Council Resources

GMCS 2012 Giornata CS UPS

DICASTERO DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE

 

SUSSIDI GIORNATA MONDIALE 2012

DICASTERO DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE


SUSSIDI GIORNATA MONDIALE 2012
reset
don Franco Lever: "Il silenzio è comunicazione"

Sr Maria Antonia: "E sia parola"
don Franco Lever: "Il silenzio è comunicazione"
 

 

Sr Maria Antonia: "E sia parola"

… e sia parola.
Maria Antonia Chinello (Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium»)
Incontro per giovani religiosi in formazione sdb e fma
Facoltà di Scienze della Comunicazione (Università Pontificia Salesiana, Roma, 12 maggio 2012)

Parole, parole, parole… Abbiamo bisogno di parole.
La vita è un “contratto” con le parole: camminiamo con loro dalla mattina alla sera, ci accompagnano come il nostro respiro. Dialogare è una necessità, un piacere, una sfida. Ogni incontro interpella e mette a nudo il nostro rapporto con le parole, quelle giuste e quelle sbagliate, quelle che uniscono e quelle che dividono. Noi siamo le nostre parole, nulla ci traduce o ci tradisce quanto le parole.
L’appello (o l’invito) che ci rivolge il Papa è di ritrovare parola e silenzio non in contrapposizione tra loro, ma in simbiosi. Riscoprire il silenzio e la parola nel loro reciproco fecondo rapporto, è un’urgenza assoluta del nostro tempo. abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare, ma a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio dell’ascolto dell’altro; imparare a tacere non nel senso di chiudersi nella prigionia delle nostre solitudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla parola che evoca, che abita, che attira, che trasforma.
È una sfida educativa, soprattutto per noi, giovani (e meno giovani) salesiani e salesiane.
Attorno a questi due aspetti, la parola come pienezza dell’essere e come realizzatrice di giustizia vorrei impostare il mio dialogo con voi.
La pienezza dell’uomo è la sua parola, che implica una risposta di responsabilità per aprirsi a comunicazioni e relazioni autentiche e fiduciose. Una parola che, nella pienezza, restituisce la parola e si fa parola all’uomo perché nessuno sia escluso dal dialogo, dalla partecipazione, dalla comunicazione in pienezza di umanità e relazionalità.

 

1.   La parola alla “parola”

La parola è tema troppo grande per essere scritto o detto in maniera esaustiva. Ci si prova, ma non basta mai.
Secondo i filosofi del linguaggio sono le parole a imprimere il senso costitutivo all’essere umano, a dare ragione del suo comportamento. Il servirsi delle parole, secondo Sapir, «sembra un atto naturale come il camminare e poco meno naturale del respirare». Il linguaggio appare scontato ma è centrale nella comunicazione umana.

 

2.  La parola: pienezza dell’essere

L’essere umano è tale perché parlante, cioè abitato dal linguaggio. L’esistenza dell’uomo è condizionata dalla parola. Nella comunicazione verbale, si riflette l’essere e la sua vita: idee, sentimenti, vissuto, intenzioni, immagine di sé, valori, caratteristiche…
È nella profondità interiore, dove hanno origine i pensieri e le emozioni, le idee e i sogni delle immaginazioni, che avviene il rito essenziale del “dire”, cioè l’incontro tra la parola e il pensiero, i sentimenti e le idee. L’uomo è la sua parola. L’identificazione si concretizza nell’autenticità del dire, che è allo stesso tempo autenticità dell’essere.

La parola come risposta: la responsabilità
Dalla ricerca storica, antropologica, filosofica si evince che da sempre gli uomini si sono incontrati nella parola. Una parola che esiste come suono, come canto, come espressione, come appello, come misura, come ritmo, ma solo nella compresenza di uomini e donne dentro un “luogo” investito collettivamente come spazio della condivisione. La parola è dunque plurale, si indirizza a qualcuno, sollecita un coinvolgimento, una partecipazione, una presa in carico, una risposta. L’etimologia del termine responsabilità deriva da qui, da risposta. L’uomo che risponde è l’uomo responsabile: risponde di sé davanti agli altri.

La parola conduce a qualcosa che va oltre se stessa: «È piena di significato: piena di qualcosa più grande di sé. Questo è il modo in cui vogliamo che siano tutte le nostre azioni, per cui desideriamo che l’intera vita sia piena di significato; la vogliamo rivolta a qualcosa di ulteriore, collegata ad altre cose, e, implicitamente, a qualcosa di più grande di essa. Così la nostra vita e tutte le nostre azioni sono in questo senso parole finché hanno significato, sono dense di significato; come parole esse vanno oltre se stesse per indicare qualcos’altro, qualcosa che sta oltre».

La parola rinvia a un incontro, a una presenza, al dialogo. Il dialogo è un dato nella vita quotidiana. Un atto ordinario e nello stesso tempo impegnativo, apparentemente semplice, ma in realtà estremamente complesso.
Il dialogo, nella sua pienezza, nasce in un contesto di incontro e suppone l’accettazione dell’altro, il rispetto, la tolleranza, la lealtà, la volontà di capire e di farsi capire, l’autocontrollo dei sentimenti e degli interventi, delle parole e delle reazioni…
Il benessere o il malessere individuale e sociale si gioca sulla qualità del dialogo. Si parla e si scrive molto sulla umanizzazione e sulla qualità della vita, le due espressioni rivelano un intrinseco riferimento alle modalità comunicative. Spesso cambiare la qualità del dialogo, genera una qualità della vita diversa, radicalmente differente.
Rendersi consapevoli del miglioramento del proprio stile comunicativo è prendere coscienza di un cammino da compiere e di un atto di volontà. La competenza comunicativa si raggiunge assumendo un ruolo attivo, responsabile, che è la capacità di creare un clima relazionale dove non conta solo la presenza, ma il modo in cui si è presenti.

Giocare con la parola: attivi e partecipi della comunicazione
Il bisogno di comunicare insito nella condizione umana è “consegna” di sé all’altro in una parola creatrice e oggi più che mai riparatrice di brecce. Non si può parlare di nulla se non si è fatta un’esperienza interiore e se questa non è diventata consapevole di uno “sguardo particolare”.
Nei suoi sviluppi più recenti, la filosofia del linguaggio tende ad occuparsi «del linguaggio come un insieme di atti linguistici». La persona attraverso gli atti linguistici (o atti di parole) attiva processi di comunicazione, cioè la possibilità sia di comprendere che farsi comprendere.
Nell’atto della comunicazione gli interlocutori sono soggetti attivi, in quanto eseguono atti linguistici, cioè “creano” significati, operando nell’ambito della lingua. Il processo comunicativo è dinamico, interattivo e comporta continui riferimenti al contesto socio-culturale di coloro che vi prendono parte e l’accordo sui segni che vengono significati.

La fatica della parola
Quando il parlare non è più processo di significazione e agire comunicativo, si sperimenta la fatica della parola, che viene svuotata del suo significato, del suo senso, ridotta a una cosa.
La percezione corrente è che con l’affermarsi della comunicazione informatica si sia avviato un processo di astrazione della parola dalla realtà, che nella cultura della comunicazione per assurdo possiamo essere «tutti comunicanti e afasici allo stesso tempo, solitari e connessi nello spazio virtuale».
Smarrire la dimensione simbolica della parola, significa far venir meno la sua potenza evocativa, la sua capacità di porre in continuità il mondo interiore con quello esteriore.
La fuga nella banalità è più facile di quanto sembri. Predomina un’informazione inutile: notizie, sondaggi, previsioni, un compulsivo coprire di parole ogni spazio affinché di tutto si abbiano notizie “in tempo reale”.
Il falso è venduto per vero. La parola diventa menzogna, strumento di inganno in diversi modi. Il più semplice è l’affermazione che intenzionalmente allontana dalla verità, dalla realtà dei fatti, il dare falsa testimonianza.
Una parola a doppio senso, che crea attese illusorie, genera false speranze e/o impropri timori, dilata la logica pubblicitaria agli ambiti più seri della vita: non soltanto la politica ma l’etica e la stessa religione. Svuotare di significato la parola è vivere la comunicazione come un flusso incessante di informazioni in uno spazio fluido, senza confini e senza vero movimento, una sorta di navigazione, come dentro un’astronave.

Uno spazio lungo 140 caratteri
Nel messaggio del Papa si trovano riferimenti alle caratteristiche della comunicazione contemporanea, legata alla Rete. È un capovolgimento di prospettiva quello cui ci invita il Papa: oggi ci sono molte risposte a domande che forse l’uomo non si pone. Il compito è quello di portare alla luce le domande quelle vere per cercare conferma e risposta alla sete di significato.
L’affermarsi della comunicazione in rete risponde all’antico bisogno di comunicare. La tecnologia rende possibile l’accadere: comunicare sempre e dovunque. Non è una comunicazione virtuale, nel senso del non reale, ma del virtuale più che reale, in quanto la Rete è un luogo antropologico da abitare.

In Rete la parola è un testo digitale aperto, continuamente modificabile e manipolabile. Si amplificano le opportunità e i canali per intervenire e produrre testi in sé stessi differenti da quelli di partenza, e la scrittura elettronica imprime all’elaborazione e alla composizione dei testi caratteri di immediatezza comunicativa. Si parla allora di scritto-parlato, nel senso che il testo contiene tracce di scrittura e di oralità, poiché se nella quotidianità si possono distinguere scrittura e oralità, in Internet vi è una mescolanza dei due.

Dentro allo spazio composito e immersivo della Rete prevale una relazione empatica e orientata all’armonia più che all’argomentazione. Lo spazio digitale è l’ambiente adatto per “essere-con” più che per “parlare-di”. È questo uno degli aspetti ambivalenti, che rivelano un aspetto positivo della sensibilità relazionale, ma anche una certa inconsistenza.
Una parola-chiacchiera più che una “parola-dono”, recuperando il senso profondo del termine “comunicazione”,  e cioè, cum-munere, condividere, mettere in comune, il dono.

 
3.  La parola realizza la giustizia

La parola è evento che accade. In ebraico, “dabar”, la parola, significa sia “una parola” che “un evento”. La parola di Dio è l’azione di Dio, il suo ingresso nella storia, un avvenimento.
Nella creazione, quando Dio dice “sia la luce”, la luce è. Le parole hanno dunque un potere sulle cose: senza di loro siamo incapaci di controllare la realtà. La parola parlata è la parola-azione che muta il mondo”.
La “parola giusta” può essere una categoria per interpretare alcuni fenomeni comunicativi dell’oggi.

La parola capovolta
Viviamo in un “villaggio globale” in cui le notizie, sulle ali delle nuove tecnologie, dovrebbero viaggiare alla velocità della luce. Solo a parole.
In una logica di spettacolo e di mercato fatti di cronaca dolorosi, ma per nulla significativi di presunte evoluzioni o involuzioni sociali, intasano i notiziari e gli spazi di trasmissione, pubbliche e commerciali…
L’informazione del Sud del mondo è monopolizzata dalle grandi agenzie (Associated Press, Reuters e France Press), prime fornitrici di notizie che dettano le regole del gioco. Le notizie, che le grandi agenzie lasciano filtrare, sono messaggi funzionali a interessi politici ed economici intesi a marginalizzare o annullare le periferie del mondo.

Non tacere
«Il mondo è diventato materiale: bisogna far conoscere il bene che si fa». Questa frase di don Bosco è indicativa e pregnante: siamo chiamati a testimoniare, parlare, denunciare, agire, scegliere di stare dalla parte degli ultimi, dei  dimenticati. È carica di responsabilità sociale. Una missione, ma soprattutto una chiamata vocazionale. Si colloca qui il diritto-dovere di informare, comunicare, per cambiare lo sguardo, far aprire gli occhi, agire e trasformare, diventare cittadini e cittadine del tempo globale.
Lo scenario pesante dello squilibrio dell’informazione, invita a identificare le possibili alternative per far parlare chi non ha voce, il sud del mondo, ma anche i “sud” delle nostre città, delle nostre comunità locali, e quelle con cui si viene in contatto quando si è in “missione”, come pure il “sud” dell’esistenza umana: i bambini, i diversamente abili, gli anziani. Nella vita esistono circostanze di fronte alle quali non è permesso chiudere gli occhi, non vedere e non sentire. Soprattutto, oggi, non si può NON SAPERE.
Se nei decenni precedenti, la partita si giocava nella carta stampata e in televisione, è ormai scontato che quella del nostro millennio si sta giocando sul terreno delle tecnologie digitali, il web in testa.
Internet, e il Web in particolare, hanno in questi anni promosso e fatto emergere una “democrazia dal basso” offrendo ambienti e strumenti alla società civile  sui temi del volontariato, della cooperazione, dello sviluppo, della mondialità, dell’educazione.

 

4.  Il Silenzio: confine sul quale si affaccia la Parola

Il silenzio fa parte del nostro parlare e il nostro parlare deve includere i momenti di silenzio.
Il parlare è un’azione tra il suono e il silenzio: il silenzio permane, puoi “tenerlo”, puoi “prenderlo”, a differenza del suono. Ma le parole dell’uomo interrompono la durata del silenzio, e queste parole, diversamente dalla parola di Dio nella Bibbia, non restano in eterno.
Silenzio e parola sono componenti intrecciate di un solo atteggiamento, ma anche momenti e tappe successive di un cammino. In certi momenti è importante il silenzio, in altre la parola, altre volte sono necessari i simboli per esprimere ciò che è invisibile.
Dio si comunica nella Parola della rivelazione cristiana svelando se stesso. La sua Parola è in cerca di tutto l’uomo. Occorre saper ascoltare, essere pronti e capaci a percepire perché le parole non scivolino sulla superficie e non soffochino nell’indifferenza e si perdano fra le chiacchiere. Solamente così la sua Parola non finisce per diventare «una voce tra le altre, parte del chiasso diffuso». Occorre dunque «nutrire questa parola del dovuto silenzio».

 

5.  Educarsi ed educare la parola

* Educarsi al silenzio
Imporsi dei tempi nella giornata in cui staccare la spina, far tacere il frastuono in noi e attorno a noi, le preoccupazioni, le urgenze e le scadenze ed attingere a momenti di quiete per ascoltare le voci interiori, soprattutto la voce di Dio. Da questi momenti nasce il dialogo interiore, il discernimento, la preghiera, la meditazione. È lì che incontriamo Dio e in lui la verità su di noi e sugli altri.

* Ritrovare la “parola-dono”
In ogni ambiente di vita e in ogni contesto di comunicazione.
Il nostro è un agire comunicativo che non dovrebbe correre il rischio di scambiarsi informazioni senza comunicare, pur essendo in rete, costantemente connessi sia online che offline.

* Abitare nell’interiorità profonda e nella pienezza dell’essere
Ritrovare la potenza evocativa della parola originaria per riscoprire la relazione dei volti e il significato dei vissuti e delle azioni.

*  Qualità relazionale e comunicativa
Perché una relazione dice lo stile di rapporto che si instaura con l’altro. L’incontro è il compimento della comunicazione e della relazione empatica, che si costruisce in un lento passaggio dall’Io al Tu al Noi.
Relazione che non alza barricate e divide, ma ritesse con pazienza e umiltà i fili del dialogo, che non ha risposte pronte e prefabbricate, ma parole nuove che fanno brillare gli occhi, perché lasciano intravvedere mete più alte e cammini più lontani.
Una qualità che raffina le nostre competenze comunicative altrimenti, presto o tardi, ci ritroveremo fuori gioco, seduti in panchina e ... non avremo più niente da dire, perché ci mancheranno le categorie del “come” dirlo.

*  Riprendere a narrare
Ritrovare il tempo e le parole per incontrarci e raccontare la vita, nostra e degli altri. Mai come oggi, è importante tessere i fili con il passato, la memoria, per guardare avanti al futuro.
secondo uno studio inglese, i giovani hanno perso per strada un mucchio di parole: per cui, se nel 1976 un ragazzo di 16 anni disponeva di 1.400 vocaboli, oggi sembra che non ne abbia in bocca più di 600. Come esprimere sentimenti, emozioni, gioie e dolori?

* Andare oltre la banalità e la mediocrità della nostra parola e delle fonti a cui attingiamo
Andare oltre le forme di diseducazione, le sceneggiate del confronto che ci offrono i media.
Siamo chiamati a dire perché vale la pena vivere, imparando nuovamente a interrogare e a rispondere, al suscitare domande e a cercare insieme le soluzioni, perché una via migliore c’è sempre. Si tratta di abbassare i toni, di attenuare il livello dello scontro partendo da un riequilibrio delle forme di comunicazione.

* Testimoni della Parola
Non c’è annuncio, comunicazione della Buona Notizia, e di buone notizie, se prima non c’è testimonianza: «L’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie». (Redemptoris Missio, 42). Abilitarsi a un ascolto attivo e mite, che non è solo vibrare all’unisono, ma capacità di ospitare la Parola dell’Altro, lasciandosi interpellare; prendere la parola, correre IL rischio, sfidare il quieto vivere per testimoniare CHI ha toccato la nostra vita, e l’ha resa un’avventura impensabile del dono dato e ricevuto con sacra gratitudine.

 

«Occupandosi di parole,
l’uomo si è sempre trovato profondamente coinvolto
in domande sul tempo, sull’eternità, sulla sua stessa identità.
La povertà linguistica è una cosa pericolosa»
(Walter Ong)