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3° tema: L’animazione della vita consacrata nel ministero episcopale

3° Tema: L’animazione della vita consacrata nel ministero episcopale


Incontro dei vescovi salesiani - 3° Tema,

22 maggio 2010,
Valdocco, Torino

La missione giovanile e
il carisma educativo nel governo e nell’animazione pastorale della diocesi

1. S.E. Rev.ma. Mons. Ricardo Ezzati, Arcivescovo di Concepción – Chile

2. S.E. Rev.ma. Mons. Calogero La Piana,  Arcivescovo di Messia-Lipari-Santa Lucia del Mela – Italia

3. Excmo. Mons. Camilo Fernando Castrellón, Vescovo di Barrancabermeja - Colombia


TESTIMONIANZA 1

S.E.Rev.ma. Mons. Riccardo Ezzati,
Arcivescovo di Concepción- Chile

 

1.- Introduzione

Parto de una profonda convinzione personale. La esprimo con parole del Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica “Vita Consecrata, circa la vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo”, del 25 marzo 1996.

Dice il papa:

“La vita consacrata...é un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito”(VC 1); “Siamo tutti consapevoli della ricchezza che per la Comunità ecclesiale costituisce il dono della vita consacrata nella varietà dei suoi carismi e delle sue istituzioni”(Ib.2); “Essa non é una realtà isolata e marginale, ma tocca tutta la Chiesa. I Vescovi nel Sinodo lo hanno più volte confermato: “de re nostra agitur”, é cosa che ci riguarda.  In realtà la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione...; é un dono prezioso e necessario anche per il presente e per il futuro del Popolo di Dio, perché appartiene intimamente alla sua vita, alla sua santità e alla sua missione.”(Ib.3).

Tre espressioni dense di significato ecclesiale e pastorale, che hanno illuminato e illuminano il mio atteggiamento e la mia sollecitudine pastorale per i religiosi e le religiose, parte viva della mia diocesi.

Condivido con voi, fratelli salesiani, le esperienze di vita che mi hanno portato a maturare questa convinzione.

Al termine del mio periodo come Ispettore dell’Ispettoria ‘San Gabriele Arcangelo’ del Cile,  don Egidio Viganó,  invece di destinarmi a qualche presenza salesiana in Africa, come soleva fare con gli ex ispettori, mi destinò a prestare servizio presso la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica della Santa Sede, una esperienza, allo steso tempo, umile e ricca di insegnamenti. Con occasione delle ‘Visite ad Linima’ dei Vescovi del mondo, ero solito ascoltare una loro lagnanza, direi abbastanza comune, più o meno in questi termini : “nella mia diocesi ci sono religiosi e religiose che operano pastoralmente, mentre altri o altre si dedicano alle loro opere...”. Poco a poco, cominciai a prendere coraggio e a domandare: “Eccellenza, quali sono le loro opere?”. E la risposta era: “si dedicano alle loro scuole, ai loro ospedali, alle loro case per anziani, ecc., ma non lavorano in parrocchia...”. Evidentemente, la visione della missione pastorale appariva assai ridotta e la percezione dell’opera ecclesiale della vita consacrata nel seno della diocesi, molto povera.

 

2.- Cosa ho imparato:

Nominato Vescovo della piccola diocesi di Valdivia, al sud del Cile (1996-2000), ho potuto sperimentare la povertà di una Chiesa Particolare con solo una decina di presbiteri e con poca presenza di carismi di vita consacrata, ma anche la generosità straordinaria dei medesimi.  Poche comunità religiose (quattro maschili e una decina femminili), ma tutte impegnate, in campi diversi, nella costruzione del Regno di Cristo. Ho imparato che la Chiesa é una “vocazione”, fatta di molte “vocazioni”, con doni differenti, ma interdipendenti, tutte necessarie per la sua missione. In questo periodo ho presieduto la Commissione mista Vescovi-Superiori Maggiori della Conferenza Episcopale del Cile, e allo stesso tempo, sono stato membro della Commissione per la Vita Consacrata del CELAM.  In questo tempo, ho sentito fortemente il bisogno di un avvicinamento piú sistematico tra Vescovi e Superiori Maggiori. Il problema principale non era quello del “magistero parallelo”, tante volte denunciato, ma quello della mancanza di una comunicazione, comunione e corresponsabilità più organica tra Vescovi e Superiori Maggiori. L’esperienza vissuta in questo periodo, mi portò a proporre alla Conferenza Episcopale del Cile, la realizzazione di un dialogo fraterno e sistematico con la Conferenza dei Superiori Maggiori, che sbocciò in due preziose iniziative: la celebrazione della prima assemblea ecclesiale e le giornate di studio sulla formazione, organizzate insieme dai formatori dei Seminari diocesani e delle comunità religiose.

Negli anni successivi, come vescovo ausiliare di Santiago (2001-2006), città capitale, e quindi anche sede ordinaria dei Superiori Maggiori e della maggior parte delle case religiose di formazione, ho avuto occasione di seguire più da vicino l’evolversi della vita consacrata, non solo della mia comunità salesiana, ma anche di molte altre congregazioni:  il progressivo invecchiamento dei consacrati (e); la sproporzione tra le opere da sostenere e il numero sempre più esiguo di consacrati (e); la fragilità vocazionale, specialmente dei giovani religiosi e dei religiosi presbiteri; l’ indebolimento della vita comunitaria e di preghiera; l’imborghesimento di non pochi e la debolezza dell’identità propria della consacrazione religiosa. Sul versante positivo ho apprezzato la maggior consistenza ecclesiale ed apostolica delle comunità, l’inserimento tra i poveri e il ceto popolare, la presenza attiva e solidaria nei nuovi areopaghi, l’attenzione all’evangelizzazione della cultura emergente, ecc. A differenza dell’immediato post concilio, i problemi principali non erano più quelli di carattere ideologico, ma piuttosto quelli che dicono rapporto con l’identità personale e comunitaria della vita consacrata.

Anche la recente esperienza di visitatore apostolico dei Legionari di Cristo, mi ha offerto alcune lezioni utili per il compito di animare la vita e la missione dei consacrati e delle consacrate, presenti nella mia archidiocesi di Concepción. 

Due parole sintetizzano ció che ho imparato in questi anni e l’orizzonte di servizio alla vita consacrata nella diocesi: essere “servo” e “mediazione”.

 

3.- Orizzonti di animazione pastorale:

Indico i quattro orizzonti principali che mi aiutano a svolgere questo compito episcopale nel seno della mia Chiesa particolare. Non sono azioni che si sovrappongono, ma che si integrano in unità.

3.1.- “Servo e mediazione di verità”:

Il primo compito che cerco di svolgere é quello de essere servo e mediazione di verità,  inteso come un dovere di fraternità e di corresponsabilità ecclesiale, invitando i religiosi ad essere quello che sono, c’è a condurre una vita “cristiforme”, nella quale la consacrazione battesimale “é portata ad una risposta radicale nella sequela di Cristo, mediante l’assunzione dei consigli evangelici” (VC14), vissuta nella comunità fraterna “come spazio umano abitato dalla Trinità”(Ib 41), “dedicata totalmente alla missione”, che “rende presente al mondo Cristo stesso”(Ib 72), secondo lo spirito e lo stile del fondatore.

Per compiere questa missione mi é stato di grande aiuto cercare di capire, sempre meglio, l’originalità della vita consacrata nella Chiesa, come un “carisma” del tutto gratuito,  dono del Signore alla sua Chiesa. Un superiore religioso, qualche settimana fa, mi confidava: “ É duro per noi religiosi che un vescovo non ‘capisca’ la natura e la missione propria della vita religiosa, e per questo ci emargini dalla vita diocesana. Ci lascia nei  ‘nostri lavori’, però non capisce che questi lavori sono per la vita della diocesi”. Come servo e mediazione di verità, cerco di non considerarmi l’unico possessore della verità. Cerco, invece, di stimolare la ricerca della verità sulla vita consacrata e di animare i religiosi a comprendere sempre meglio la loro identità per viverla con una coerenza sempre più lucida, affinché la loro testimonianza sia un annuncio di Gesù Cristo che illumina le realtà più radicali dell’esistenza e non si limiti solo a gestualità religiose.

3.2.- “Servo e mediazione della carità”:

Il Vescovo é chiamato ad essere anche “servo e mediazione della carità”.  Compito suo é quello di stimolare tutta la chiesa particolare a vivere la dimensione della “diaconia” evangelica proclamata e testimoniata dal Signore; ad essere chiesa samaritana, che serve e lava i piedi come sacramento dell’amore di Dio verso gli ultimi. So che i religiosi e le religiose hanno sulle loro spalle una lunga e feconda storia del “servitium caritatis” proprio della Chiesa. Sono convinto che realizzino con competenza e generosità, anche nei nostri giorni, con la loro vicinanza agli ultimi, l’assistenza agli abbandonati, la compagnia di coloro che giacciono ai margini delle strade, nelle vecchie o nuove povertà o nelle frontiere della difesa dei diritti degli emarginati, dei lavoratori, dei senza tetto o dei senza terra; nell’educazione dei giovani poveri, nel servizio agli ammalati o ai carcerati, ecc. Cerco di capire che le risposte alle nuove povertà, specialmente in campi particolarmente difficili, non trovano ricette fatte e semplici e che esigono mettere in movimento “la fantasia della carità”, che non sempre indovina la strada migliore.

Nelle ultime settimane, la mia diocesi ha vissuto l’esperienza di un terribile terremoto, grado 8,8, e di un successivo maremoto, che ha distrutto tutto quello che ha trovato, seminando morte, dolore, spavento e insicurezza nell’oggi e per il domani. Anche in questa circostanza difficile, ho potuto sperimentare la verità di ciò che affermava dei religiosi il papa Paolo VI, nell’Esortazione Apostolica “Evangelii nuntiandi” circa la loro presenza nei confini delle miserie umane.   

Ho sperimentato che i religiosi che lavorano in questi campi difficili della missione, sentono il bisogno di essere capiti, apprezzati, stimolati, e, se é il caso, corretti con bontà dal loro vescovo. Compito suo é anche quello di coinvolgerli, secondo la natura del loro carisma, nel servizio di carità che offre la diocesi e di evidenziare che le loro opere di solidarietà, sono opere della Chiesa locale. Credo che non dobbiamo perdere occasione per esprimere tale convinzione, specialmente di fronte ai presbiteri diocesani e ai laici più impegnati. 

 

3.-“Servo e mediazione della missione e della comunione”:

Anche dalla prospettiva della missione e della comunione, il vescovo e chiamato ad essere “servo e mediazione”. Il documento finale della Conferenza Episcopale dei vescovi latinoamericani e dei Caraibi, celebrata ad Aparecida, in Brasile, mette in luce che tutti i battezzati sono “discepoli e missionari” di Gesù Cristo, due faccia dell’unica medaglia.  “Discepoli e missionari”, in comunione e partecipazione, ognuno però, con una particolare connotazione, non solo aggettivante, ma ontologica della loro identità. Il vescovo é discepolo missionario di Gesù Cristo ‘Sommo Sacerdote’; il presbitero é discepolo missionario de Gesù Cristo ‘buon pastore’; il diacono é discepolo missionario di Gesù Cristo ‘servo’, il laico é discepolo missionario di Gesù Cristo ‘luce del mondo e il religioso é discepolo missionario di Gesù Cristo ‘testimone del Padre’. Insieme sono sacramento di Cristo e insieme chiamati ad essere testimoni e messaggeri del Vangelo del Signore. La pastorale della Chiesa locale é chiamata a mettere in luce questa realtà, superando la tentazione di un nuovo clericalismo. La missione é affidata a tutta la Chiesa. Tutti sono corresponsabili di essere e di manifestare il sacramento di salvezza che é Gesù Cristo.

L’animazione del vescovo e la sua mediazione nel campo della missione e della comunione ecclesiale, si svolge soprattutto in due versanti. Il primo, é quello del clero secolare, che necessita essere aiutato a percepire che la vita e il lavoro pastorale dei religiosi e delle religiose non é marginale alla vita e missione della diocesi ma parte integrante della stessa. Priva dei carismi della vita consacrata, la Chiesa locale manifesta un volto impoverito. Inoltre, é necessario far capire che i religiosi e le religiose non hanno un compito di ‘supplenza’ o di ‘servizio ai bisogni del parroco’, ma un vero ruolo da vivere in comunione con le altre vocazioni. Come dicevo sopra, la tentazione di un nuovo clericalismo esige da parte del vescovo un’accurata attenzione affinché i carismi non vengano spenti o messi sotto il moggio. Il secondo versante, é quello di stimolare i religiosi e le religiose alla partecipazione attiva nella vita e missione della Chiesa particolare. Si deve capire che la ricchezza dei carismi é per la vita della Chiesa. In questo senso, mi preoccupa la chiusura, la autosufficienza, la missione non condivisa, le realizzazioni al margine dalle strutture diocesane di certe comunità. Mi preoccupa che religiosi e religiose non partecipino alle espressioni di comunione ecclesiale o alla riflessione comune sulla pastorale organica della Chiesa locale. É importante anche che i religiosi e le religiose partecipino alle celebrazioni e manifestazioni pubbliche della diocesi.

Da tutti e due i versanti, il vescovo é chiamato a essere tessitore di comunione per fare della Chiesa particolare “la casa e la scuola della comunione”, per il bene della diocesi e di tutta la Chiesa. 

 

4.-“Servo e mediazione di profezia”:

Per finire, desidero sottolineare un altro servizio ministeriale che il vescovo é chiamato a svolgere a favore dei religiosi e delle religiose nella propria diocesi. Mi riferisco al ruolo profetico della vita consacrata nella Chiesa universale e in quella particolare. Il vescovo deve avere chiara coscienza che la testimonianza profetica richiede dai consacrati, coerenza di vita, discernimento costante della volontà di Dio, audacia evangelica, confronto sereno con il carisma fondazionale e decisione di agire secondo la verità, superando possibili tentazioni provenienti da condizionamenti esterni o da altri interessi. La fedeltà é dono di Dio ma é anche frutto cosciente di decisione umana.  Una fedeltà che, lungo i secoli della storia passata, ma anche di tempi recenti, ha portato fino alla testimonianza del martirio.  Senz’altro é un dono magnifico per le chiese locali.

L’Esortazione Apostolica postsinodale del papa Giovanni Paolo II, ha messo in rilievo le grandi sfide che la vita consacrata rivolge alla Chiesa e alla società contemporanea.  Infatti, “pur affermando il valore dei beni creati, li relativizza additando Dio come bene assoluto...  La vita consacrata, specie nei tempi difficili, é una benedizione per la vita umana e per la stessa vita ecclesiale”(VC 87).

“La prima provocazione é quella di una cultura edonistica che svincola la sessualità da ogni norma oggettiva riducendola spesso a gioco e a consumo, e indulgendo con la complicità dei mezzi di comunicazione sociale a una sorta di idolatria dell’istinto”(Ib. 88). “Altra provocazione é, oggi quella di un materialismo avido di possesso, disattento verso le esigenze e le sofferenze dei più deboli e privo di ogni considerazione per lo stesso equilibrio delle risorse naturali”(Ib.89). “La terza provocazione proviene da quelle concezioni della libertà che sottraggono questa fondamentale prerogativa umana al suo costitutivo rapporto con la verità e con la norma morale”(Ib. 91).

Ognuno di noi, sia nella vita personale, come anche in quella dei nostri fratelli presbiteri, laici e religiosi, sperimenta la forza avvincente di queste provocazioni. Tutti abbiamo bisogno della testimonianza e dello stimolo che una autentica vita consacrata può  e deve offrire alla Chiesa e al mondo. Sappiamo, per esperienza, quanto sia feconda una testimonianza profetica per la vita del mondo. La Chiesa, ha sempre avuto bisogno della profezia della vita consacrata, ma forse, mai come oggi, ne sente l’urgenza.

 

Conclusione:

Spero che le riflessioni presentate, tratte dal cuore pastorale più che dalla scienza, servano a stimolare il dialogo fraterno tra di noi. Siamo “salesiani vescovi”,  portatori di una grazia vocazionale suscitata dallo Spirito Santo nella sua Chiesa. Da Don Bosco abbiamo imparato ad amare la Chiesa e anche a valorizzare tutte le vocazioni presenti in essa. In me é evidente e grata la consapevolezza di tutto ciò che la Congregazione mi ha offerto per prepararmi a servire la Chiesa, oggi come vescovo. Ne sono grato a Don Bosco e alla Congregazione che, con saggezza e pazienza ha formato in me un cuore di padre, amico e pastore. Sono certo che questa é anche l’esperienza di tutti voi. Desidero ringraziare, di cuore, don Pascual Chávez V. che ci ha convocati a questo incontro, nel luogo più emblematico della storia salesiana, vicini a Don Bosco e sotto lo sguardo dell’Ausiliatrice. Qui é stato consacrato vescovo il primo salesiano, Mons. Giovanni Cagliero e qui, sopratutto, é cominciata una straordinaria storia di santità salesiana. Il beato Michele Rua, Don Rinaldi, Mons. Versiglia e tanti altri fratelli e sorelle santi, ci stimolano a camminare per la stessa strada.

Grazie.

 


TESTIMONIANZA 2

S.E.Rev.ma. Mons. Calogero La Piana
Arcivescovo di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela-Italia

Saluti
Elementi utili alla riflessione:
  • La visione conciliare della Chiesa[1].
  • L’alta considerazione della vita religiosa del Concilio Vaticano II[2].
  • La rilevanza della Chiesa locale e la centralità del ruolo del vescovo nell’ecclesiologia del Vaticano II[3].
  • Il contributo dei Sinodi Ordinari dei Vescovi e delle Esortazioni post-sinodali sui laici, consacrati, presbiteri, vescovi[4]:
  • approfondimento e arricchimento della loro identità;
  • sottilineatura della ricchezza e della varietà dei carismi e dei ministeri, della correlazione, della complementarietà, della comunione, della loro partecipazione e corresponsabilità alla missione e alla santità della Chiesa.

 

Tensioni – incomprensioni - contrapposizioni

Dovuti alla grande diversità in cui si attua la vita consacrata (monachesimo, vita claustrale, Istituti missionari, secolari, Società di vita apostolica, “nuove forme”); diversità tra l’ambiente maschile e femminile, diversità di storia, di culture, di carismi, di ministeri e di obiettivi particolari. Le tensioni nascono anche dal modo di recepire gli stessi valori come contrapposti: servizio alla Chiesa universale e inserimento nella Chiesa particolare; autonomia e cooperazione; diocesanità e appartenenza ad un Istituto religioso, presbitero diocesano e presbitero religioso, ecc.

Il ruolo del vescovo, irrobustito dalla dottrina della sacramentalità dell’episcopato, divenuto sempre più centrale nell’organizzazione della pastorale della vita ecclesiale diocesana, ha spesso creato tensioni con i religiosi/e che rivendicavano l’autonomia del proprio carisma. Il decimo anniversario della promulgazione dei Decreti Christus Dominus e Perfectae Caritatis ha portato al documento Mutuae Relationes (14.05.1978) della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione i Religiosi, sul rapporto tra vescovi e religiosi.

La visione prevalentemente funzionalistica e meno teologica della vita consacrata all’’interno della stessa comunità cristiana. I religiosi, in molti posti, sono ritenuti utili perché assumono impegni pastorali parrocchiali, le religiose in quanto svolgono vari servizi e meno per la loro testimonianza di “sequela Christi”.

 

L’elemento irrinunciabile e qualificante della Chiesa

L’esortazione post-sinodale “Vita consacrata” (sintesi e sviluppo della dottrina conciliare) presenta la vita consacrata come espressione della dimensione carismatica del mistero e della missione della Chiesa: “Lungo i secoli non sono mai mancati uomini e donne che, docili alla chiamata del Padre e alla mozione dello Spirito, hanno scelto questa via di speciale sequela di Crosto… essi hanno contribuito ha manifestare il mistero e la missione della Chiesa con i molteplici carismi di vita spirituale ed apostolica che loro distribuiva lo Spirito Santo” (VC 1). Includendo ogni forma di vita consacrata, l’Esortazione afferma che essa, nel cuore stesso della Chiesa, è “elemento decisivo per la sua missione”, appartiene intimamente alla natura, alla santità e alla missione della Chiesa, è “parte integrante” della sua stessa vita. “Questo significa che la Vita Consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa, come un suo elemento irrinunciabile e qualigficante, in quanto espressivo della sua stessa natura” (VC 29). 

Il cammino iniziato dal Concilio Vaticano II, proseguito con Mutuae Relationes, approfondito dal Sinodo sulla vita consacrata e dall’Esortazione Apostolica post-sinodale “Vita Consecrata”, ha favorito una comprensione della vita consacrata meno legata alla sua “utilità” e più teologica.  Giovanni Paolo II ha invitato a distinguere nella vita consacrata “l’apostolato fondamentale” dalle “opere apostoliche”. E’ la consacrazione l’apostolato fondamentale delle persone consacrate. La consacrazione non è mezzo per garantire la funzionalità dei servizi nelle opere, ma è il contenuto fondamentale della missione dei consacrati tramite cui affermano e testimoniano nel mondo il primato assoluto di Dio e il valore delle realtà ultime: “perciò anche se sono estremamente importanti le molteplici opere apostoliche che svolgete, tuttavia l’opera di apostolato veramente fondamentale rimane sempre ciò che (ed insieme chi) voi siete nella Chiesa”.

 

Un dono per la Chiesa universale a servizio della Chiesa locale

Ogni carisma fiorisce in una Chiesa particolare ed è destinato alla Chiesa universale. Attraverso la specifica novità di cui ogni carisma è portatore, le varie forme di vita consacrata sono vie di santità per tutta la Chiesa. “Le persone consacrate sono chiamate ad essere fermento di comunione missionaria nella Chiesa universale per il fatto stesso che i molteplici carismi dei rispettivi Istituti sono donati dallo Spiirto Santo in vista del bene dell’intero Corpo mistico, alla cui edificazione essi devono servire”, così VC al n. 47 evidenzia la destinazione universale dei carismi relativamente alla loro missione.

La dimensione universale del carisma della vita consacrata si esprime nella Chiesa particolare: “Ovunque vi troviate, nel mondo, voi siete con la vostra vocazione per la Chiesa universale attraverso la vostra missione in una Chiesa locale. Quindi la vostra vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della Chiesa locale. Bisogna fare di tutto affinché la vita consacrata si sviluppi nelle singole Chiese locali, affinché contribuisca all’edificazione spirituale di esse, affinché costituisca la loro particolare forma. L’unità della Chiesa universale attraverso la Chiesa locale: ecco la vostra via”[5]. La Chiesa universale si realizza in un determinato contesto sociale, con una sua storia e una sua cultura. Sempre salvaguardando la fisionomia del proprio carisma, pena la perdita della peculiare identità e lo stesso impoverimento della Chiesa particolare, i consacrati si inseriscono nel tessuto della vita diocesana pena la loro evanescenza e inconsistenza.

 

La via della comunione

La vita consacrata deve pensarsi ed inserirsi fattivamente nella Chiesa locale. La comunione, infatti, non è solo realtà teologica, ma anche realtà pastorale. Nella vita della Chiesa locale la comunione deve rifulgere nei rapporti tra vescovi, presbiteri e diaconi, tra pastori e intero popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali. Nessuno, infatti, può appropriarsi del dono ricevuto “per l'utilità comune”. In VC Giovanni Paolo ha parlato di “una feconda e ordinata comunione ecclesiale” fondata su rapporti reciprochi e scambio di doni.Nell’Esortazione Apostolica Novo millennio ineunte, lo stesso Pontefice ha chiesto di fare della Chiesa “la casa e la scuola della comunione” sollecitando tutti verso una “spiritualità di comunione”, la sola che introduce nel mistero di Cristo e della sua Chiesa e lo annuncia al mondo.

Nella Chiesa, mistero di comunione, deve realizzarsi quella unità tra il “ministero” di comunione con il “carisma” di comunione. Nella comunità ecclesiale c’è lo specifico ministero fondato sull’Ordine sacro per il servizio alla comunione ed insieme il “carisma” di comunione, tipico della Vita Consacrata.

Chi è chiamato a presiedere nella carità la comunità cristiana, nell’organizzare e cordinare l’attivita pastorale della Chiesa avverte ed assume la responsabilità di valorizzare la vita consacrata nelle sue diverse forme, di sostenerne la fedeltà carismatica, rispettando e difendendo la giusta autonomia di vita e di governo degli Istituti.

Le comunità religiose, da parte loro, insieme alla testimonianza del primato assoluto di Dio e a proporsi come profezia delle relatà ultime, si impegnano a vivere e testomoniare la vita fraterna e di comunione.La più convincente ed efficace testimonianza di fraternità è la comunione di vita, di preghiera e di apostolato delle comunità religiose presenti nelle Chiese particolari. La Chiesa locale ha bisogno di trovare nella testimonianza dei consacrati e nelle loro religiose autentici “segni” e “luoghi” di preghiera, vere e proprie “scuole di comunione”.

Da affettiva la comunione deve rendersi effettiva con opportuni canali adeguati alla collaborazione e al coordinamento. Fondamentale ed indispensabile rimane, tuttavia, la conoscenza attraverso la reciproca comunicazione di programmi e iniziative pastorali. Auspicabile sarebbe il coordinamento e l’intesa nella programmazione. Luoghi istituzionali adeguati appaiono il Consiglio pastorale della Diocesi, delle unità pastorali e delle parrocchie.

Il dialogo e la comune ricerca migliorerà la conoscenza, promuoverà l’integrazione vicendevole, creerà rapporti più chiari e attuerà percorsi comuni di formazione permanente, con ricadute in una più esplicita testimonianza di comunione ecclesiale e più incisiva pastorale ordinaria delle singole comunità cristiane (pastorale vocazionale e familiare, catechesi e servizi vari…). La Chiesa particolare deve accogliere il contributo delle varie vocazioni lasciandosi interpellare e provocare dal loro messaggio e dal loro esempio, in modo che tutta la comunità si sensibilizzi ai valori testimoniati; valori da non considerare esclusivi delle singole vocazioni ma essenziali per ogni esperienza cristiana, anche se vissuti diversamente.

 

Relazioni sempre più vere e impegnative.

Le riflessioni e gli orientamenti espressi da Mutuae relationes riprese, approfondite e rilanciate dal Sinodo sulla vita consacrata e dall’esortazione apostolica Vita consecrata (nn. 48-50), hanno favorito la crescita della presenza attiva e della fattiva collaborazione dei consacrati, uomini e donne, nelle comunità ecclesiali locali. Si è anche registrato uno spostamento da una specie di individualismo istituzionale verso una relazionalità, aperta e collaborativa, con gli operatori pastorali presenti nella realtà ecclesiale. Il carisma delle persone consacrate viene vissuto in comunione con le altre vocazioni ecclesiali evidenziando in questo modo la natura battesimale di ogni ministero e carisma nella Chiesa.

 

Il vescovo al servizio della comunione ecclesiale[6]

Il Vaticano II ha collocato il vescovo al centro della vita della Chiesa, garante dell’unità, a servizio della comunione e della missione ecclesiale (cf LG 18-23). In forza di questo ministero ha una responsabilità e svolge un servizio indispensabile anche verso tutte le forme di vita consacrata.

Tocca ai Vescovi “garantire con la loro sollecitudineche gli istituti perché abbiano a crescere e fiorire secondo lo spirito dei fondatori”[7]; promuovere attivamente la vita consacrata nelle sue diverse forme; “rispettare la giusta autonomia degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica”[8], senza interferire nella loro vita e nel loro governo e senza farsi interprete del loro carisma di fondazione[9].

Le persone consacarate, da parte loro, devono riconoscere l’importanza fondamentale del ministero dei Vescovi e, in comunione con il ministero sacerdotale collaborare, secondo la specificità del loro carisma, alla vita delle Chiese particolari in cui sono inserite.

Compito del Vescovo è anche quello di aiutare le persone consacrate ad avere:

  • a non smarrire la nota di universalità che li caratterizza nella Chiesa a motivo della connotazione sovradiocesana radicata nel loro speciale rapporto col ministero petrino[10];
  • a vivere la specificità della loro consacrazione e del loro impegno apostolico o caritativo all’interno della Chiesa particolare per contribuire fattivamente alla “costruzione” di essa;
  • ad assumere modalità appropriate alle varie competenze nello stabilire relazioni tra Diocesi (Vescovo; Vicari, organismi diocesani, parrocchie, ecc.), e consacrati/e (Superiori/e generali e locali; autonomia di vita e governo dei consacrati/e). Particolarmente importante a tale scopo risulterà la vicendevole comunicazione come pure la partecipazione e la presenza ad appuntamenti ecclesiali, ecc.

Non deve mancare la valorizzare delle figure e degli organismi che si occupano della v.c. a livello diocesano:

  • Il Vicario per la vita consacrata di cui il vescovo si serve perpromuovere l’animazione e la comu­nione della vita religiosa nella propria diocesi. La sua opera nei riguardi della vita consacrata non è ordinariamente rivolta all’interno degli Istituti, ma piuttosto alla comunità diocesana. La sua funzione e, in ogni caso, la sua autorità non può andare ad intaccare la giusta autonomia degli Istituti di vita consacrata, anche se diocesani. Suo impegno sarà quello di promuovere, in nome e per mandato del Vescovo, la conoscenza della Vita Consacrata in diocesi, di sostenere il cammino di santità delle persone consacrate secondo l’itinerario proprio della loro spiritualità, di valorizzare la vita consacrata e gli Istituti presenti in diocesi, di incoraggiare ciascun Istituto religioso a contribuire all’attuazione del piano pastorale della diocesi, secondo le caratteristiche istituzionali, spirituali e apostoliche proprie.

 

  • Il Vescovo e gli organismi pastorali diocesani trovano nella Delegazione diocesanadelle Conferenze o Unioni di Superiori o Superiore Maggiori validi interlocutori rappresentativi delle molteplici espressioni della vita consacrata. La Delegazione, infatti, oltre ai servizi per promuovere la conoscenza e la comunione tra gli Istituti di vita consacrata presenti in Diocesi, realizza anche una presenza efficace nel tessuto organizzativo e progettuale delle Diocesi, favorendo un dialogo con il Vescovo e il clero diocesano, affinché questi sentano come proprie le attività apostoliche dei religiosi e delle religiose e quest’ultimi si sentano parte viva e responsabile della Chiesa particolare.

 

 Il servizio del vescovo alle comunita’ di vita consacrata
Monasteri e Claustrali

“Nella sua cura premurosa verso tutte le forme di vita consacrata… il vescovo dovrà riservare un posto speciale per la vita contemplativa” (PG 50); curerà di “nutrire la Comunità contemplativa con il Pane della Parola e dell’Eucaristia, offrendo anche, se necessario, un’assisteza spirituale adeguata per mezzo di sacerdoti a ciò preparati” (Verbi sponsa, 8.21); si impegnerà a far si che il clero e i fedeli possano scoprire la grande importanza della loro presenza, discreta ma vitale, così da potere usufruire efficacemente di questa fonte misteriosa di fecondità apostolica (cf Perfectae caritatis, 7; VC 8.59). 

Gli Istituiti Secolari

La loro vocazione, attraverso l’esercizio di un mestiere o di una professione secolare, rappresenta uno specifico modo di essere Chiesa e di renderla presente nel mondo. Si tratta di una peculiare consacrazione, anche senza la pienezza della “visibilità” che caratterizza la vita religiosa. Il Vescovo deve conoscere gli Istituti secolari esistenti nella propria diocesi e il loro specifico carisma, riconoscere e ri­chiedere il loro apporto secondo la natura propria della loro vocazione. Vi sono anche gli Istituti secolari clericali. L’appartenenza da parte di presbiteri diocesani a questa consacrazione non è mai un ostacolo alla comunione pre­sbiterale: all’interno del presbiterio diocesano possono essere uno stimolo ed un esempio per i loro confratelli nell’obbedienza al Vescovo e nello zelo pastorale.

Le vergini consacrate e le “nuove forme”

L'Ordo virginum. Si tratta di donne che vivono nel mondo e hanno un particolare legame con la Chiesa locale alla quale appartengono e, in particolare, al Vescovo diocesano. Altra forma è quella degli eremiti[11]. Si diffonde oggi anche la presenza di nuove forme di vita consacrata, la cui approvazione è riservata unicamente alla Sede Apostolica (CIC, can. 605). Ai Vescovi si chiede grande attenzione nel cogliere i doni dello Spirito ed oculato discernimento.

Gli Istituti di vita consacrata di diritto diocesano

L’accompagnamento, la nascita e l’approvazione di nuovi Istituti, è un altro servizio che esige dai vescovi grande aper­tura ma anche saggia prudenza e forte realismo consapevoli che non ogni buona iniziativa e non ogni opera di buona volontà sono destinati a far sorgere nella Chiesa un nuovo Istituto di vita consa­crata o una nuova Società di vita apostolica o una nuova forma di vita consacrata.

I consacrati presbiteri

Nella Chiesa tutti i presbiteri formano il corpo presbiterale: “Tutti i presbiteri, infatti, sia diocesani sia religiosi, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo, Capo e Pastore, lavorano per la stessa causa, cioè per l'edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi, e si arric­chisce nel corso dei secoli di sempre nuovi carismi” (PDV, 17). I consacrati presbiteri fanno parte effettiva del presbiterato al tempo stesso diocesano e universale (cf. PDV 31). Questo comporta che la dimensione ministeriale del loro sacerdozio sia attuata in risposta ai bisogni delle Chiese particolari e della Chiesa universale, senza isolarsi dentro le opere del proprio Istituto di vita consacrata. I Vescovi, da parte loro, saranno solleciti nel promuovere una conoscenza e una comunione presbiterale tra tutti i presbiteri residenti in Diocesi, senza esclusioni o particolarismi.

La conoscenza e la disponibilità all’accoglienza della complementare e reciproca ministerialità porterà le persone consacrate a valorizzare la guida pastorale dei Presbiteri diocesani e aiuterà quest’ultimi a riconoscere che i consacrati (anche non presbiteri) e le consacrate, pur se non impegnate direttamente nella cura d'anime, appartengono anch'essi, sotto un particolare aspetto, alla famiglia parrocchiale e diocesana e recano un grande aiuto alla missione propria della Chiesa in un determinato territorio a servizio delle comunità cristiane.

I presbiteri diocesani sono chiamati a rispettare e valorizzare il modo concreto con cui, in forza del loro carisma e missione, i religiosi esercitano il ministero sacerdotale nella vita monastica, nell’educazione, nell’animazione spirituale, nella formazione e negli altri vari campi di apostolato in cui possono esprimersi, secondo il dono dello Spirito che hanno ricevuto.

L’attenzione del Vescovo riguarderà altri temi o problemi sempre badando che nelle sue relazioni con l’Istituto di vita consa­crata o la Società di vita apostolica dovrà tener presente che il suo referente è il Superiore Maggiore competente e mai i singoli consacrati o consacrate:

  • le convenzioni da stabilire nel caso di affidamento delle parrocchie o di altre opere;
  • il passaggio di un religioso presbitero al clero diocesano;
  • i beni degli Istituti religiosi, specie in caso di alienazioni;
  • l’apertura e la chiusura di case religiose.

 

Tra le numerose iniziative possibili e realizzabili:
  • Incontro del Vescovo con i Consacrati/e all’inizio dell’anno pastorale per presentare loro il cammino pastorale e spirituale diocesano ed offrire una lettura dello stesso con sottolineature legate alla loro vocazione particolare, rimarcare attese e contributi specifici che si attendono da loro.
  • Momenti di preghiera (Pellegrinaggio Mariano, vocazionali, ecc.).
  • Visite e celebrazioni varie (ricorrenze, feste proprie, professioni, anniversari, giubilei di opere o persone…). Manifestazioni e dichiarazioneidi stima e apprezzamento.
  • Tempi ed occasioni di studio e di riflessione: Corsi o problematiche che  riguardano la vita consacrata.
  • Aimazione di ambienti parrocchiali, momenti di preghiera, testimonianze, in occasione della Giornata Mondiale della Vita Consacrata (2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al Tempio). Giornata voluta da Papa Giovanni Paolo II per lodare il Signore e ringraziarlo per il grande dono della vita consacrata, che arricchisce ed allieta la Comunità cristiana con la molteplicità dei suoi carismi, per promuovere la conoscenza e la stima per la vita consacrata da parte dell'intero popolo di Dio, per invitare le persone consacrate a celebrare congiuntamente e solennemente le meraviglie che il Signore ha operato in loro.

 

Conclusione

I Vescovi, in forza del loro ministero, devono far crescere la Chiesa in tutto il suo splendore. E’ loro dovere aiutare e sostenere anche gli Istituti di vita consacrata a collocarsi in modo giusto nella Chiesa, come parti insostuibili di un tutto, aiutandoli a vivere la nuova ecclesiologia con la propria specificità, riconosciuta e valorizzata.

 + Calogero La Piana
Arcivescovo di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela

 

[1]  Mistero, sacramento, comunione, missione, ministerialità, ecc.

[2]2 LG, cap. VI; Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis.

[3]  LG, cap. III; Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus

[4]  Christifideles laici, Pastores dabo vobis, Vita consecrata, Pastores gregis.

[5]   Giovanni Paolo II ai Superiori Generali, 24 nov. 1978.

[6]  Direttorio per il ministero pastorale del Vescovo “Apostolorum Successore”,98.

[7]  MR 8; cf LG 44-45; SC 80.

[8]  CIC, cann. 586 e 732; VC 48.

[9]  La giusta autonomia di vita (can. 586) è una nuova figura giuridica voluta dal CIC del 1983 come una sorta di difesa della vita propria degli Istituti. Tale autonomia è specialmente di governo.Dunque il Vescovo non va considerato in nessun caso come Superiore dell'Istituto.

[10]  Lo strumento giuridico dell’esenzione: “Per meglio procedere alle necessità dell’intero gregge del Signore, il romano pontefice, in forza del suo primato su tutta la chiesa e in vista dell'utilità co­mune, può esentare qualsiasi istituto di perfezione e i singoli membri dalla giurisdizione degli ordinari del luogo, riservandosene la sottomissione” (LG, 45b, CIC,can. 591; VC 47).

[11]   Cf. Direttorio per il ministero pastorale di Vescovi. n. 106; can. 603 55 1-2.