Memorie biografiche di San Giovanni Bosco
raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Vol. XV, Ed. 1934, 863 p.
Prefazione 2 CAPO I. 5 Missioni, Missionari e due spedizioni. 5 CAPO II 17 Un mese e mezzo in Francia. 17 CAPO III. 31 Il conte Colle. 31 CAPO IV. 54 Dalla Francia a Roma e da Roma a Torino. 54 CAPO V 68 Feste, fastidioli e il sogno sopra il futuro stato della Congregazione. 68 CAPO VI. 79 La causa di Don Bonetti dinanzi alla Congregazione del Concilio. 79 CAPO VII. 95 Intentato processo criminale per gli opuscoli. 95 CAPO VIII. 111 La "Concordia" di Leone XIII. 111 CAPO IX. 122 Proposte di fondazioni declinate o differite. 122 CAPO X. 134 Entrata dei Salesiani nella Spagna. Inizi delle fondazioni di Firenze e di Faenza. 134 CAPO XI. 149 Le Figlie di Maria Ausiliatrice in morte della prima loro Madre Generale. 149 CAPO XII. 155 Consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista 155 CAPO XIII. 166 Intorno alla chiesa de1 Sacro Cuore di Gesù in Roma. 166 CAPO XIV. 179 Le ultime difficoltà per la comunicazione dei privilegi. 179 CAPO XV. 186 Notizie e lettere varie dei 1881. 186 CAPO XVI. 201 Due mesi del 1882 nella Francia del Sud. 201 CAPO XVII. 219 Per Liguria e Toscana a Roma e da Roma per la Romagna a Torino. 219 CAPO XVIII. 233 Fatti episodici del 1882. 233 CAPO XIX. 246 Una grande Cooperatrice francese. 246 CAPO XX. 258 Per le Missioni e per i Missionari. 258 CAPO XXI. 265 Il Beato Don Bosco nella sua corrispondenza epistolare. 265 APPENDICE DI DOCUMENTI 293 DOCUMENTI INEDITI ANTERIORI 354
Prefazione
Il Santo Padre Pio XI, in una privata udienza del 29 aprile scorso, raccomandò allo scrivente che nelle Memorie Biografiche di Don Bosco Facesse largo posto alla documentazione. - Possono avere, disse il Papa, quanto valore si voglia le osservazioni dell'autore; ma l'importanza vera sta nei documenti. Questi più di qualsiasi altra cosa gioveranno ai Posteri e saran da loro ricercati. - Parole che sonavano approvazione incondizionata e autorevolissima al metodo finora seguìto e che animavano a insistervi fino ad opera compiuta. Nulla dunque verrà mai sottratto alle esigenze dei presenti e futuri studiosi, che valga comunque a documentare una vita così complessa e così interessante. Appunto perché nulla vada perduto, giacché occasioni impreviste recano spesso a nostra conoscenza documenti ignorati di tempi anteriori, si é presa fin da principio la risoluzione di accantonare simili documenti in apposite appendici alla fine dei singoli volumi. Far largo ai documenti é inondare di luce sempre più smagliante la figura di Don Bosco; dallo studio imparziale di questo tormentato biennio ne avranno i lettori novella prova. Altrettanto purtroppo non si può asserire de' suoi oppositori; ma l'ora è scoccata, che segna il termine di longanime ed eroica attesa. Don Bosco infatti nei momenti delle massime contraddizioni soleva ripetere: - Pazienza! A suo tempo conosceranno tutti; a suo tempo Dio farà capire tutto. - Questo tempo di piena comprensione ecco che oggi é venuto.
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Sui documenti, poiché se ne porge il destro, vi é qualche cosa da aggiungere. Nella vita di Don Bosco la questione dei documenti si presenta sotto un aspetto che ha bisogno di essere illustrato alquanto, affinché col volgere degli anni non sorgano ostacoli che paiano insormontabili a storici competenti e coscienziosi. Molti fatti di Don Bosco oggi per noi sono certi; ma quando in avvenire se ne vorrà fare l'accertamento con criteri storici, mancheranno documenti veri e propri per suffragarne la storicità. La certezza loro deriva da una circostanza poco o nulla avvertita finora, perché, non sentendosi la necessità di richiamarla all'attenzione, vi si passava ordinariamente sopra. Noi sappiamo che Don Bosco in private conversazioni e non di rado anche in pubbliche adunanze amava narrare vicende occorsegli durante il non breve periodo anteriore all'assetto definitivo dell'Oratorio. Questi richiami si fecero più rari col tempo; ma non furono mai smessi del tutto. Così in questo stesso volume vedremo com'egli raccontasse durante un solenne trattenimento in Francia il famoso episodio del manicomio e come ripetesse nella casa di S. Benigno a Don Barberis la narrazione di altri accidenti accadutigli tanti anni addietro. Orbene, mentre nel primo caso le sue parole furono affidate all'aria e alla memoria dell'uditorio, nel secondo vennero dal suo interlocutore fissate sulla carta e conservate (I). Se più sovente si fosse fatto a questo modo, oggi la documentazione di avvenimenti remoti non sarebbe così scarsa, come forse lamenteranno i posteri. Tuttavia simili narrazioni o confidenze più e più volle ripetute crearono una tradizione che corse vivace sotto il controllo immediato di quanti erano in grado di segnalarne eventuali deviamenti, appellandosi magari a Don Bosco in persona. A questa fonte attinse largamente Don Lemoyne senza preoccuparsi troppo di cercar appoggio in quegli amminicoli, che ne guarentissero o ne mettessero in vista l'attendibilità agli
(1) Capo XVI e App., doc. 13.
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occhi dei lontani. Ecco un punto che si deve tenere ben presente nel leggere i suoi ponderosi nove volumi. Fino agli ultimi decenni, viventi ancora testimoni diretti o comunque autorevoli della tradizione, i suoi racconti si sono accettati con serena fiducia nell'informazione e nell'onestà dell'autore; ma non sarà sempre così. Tempo verrà che lettori estranei alla descritta atmosfera vorranno andare a fondo allora pertanto, prima di scartare un fatto da lui narrato od anche qualche particolare notevole di un fatto, sarà da porre ben mente alle peculiari circostanze ambientali in cui il bravo scrittore condusse avanti l'opera sua. Scendiamo un po' al concreto. Sia, per esempio, il notissimo episodio della Generala. Chi visse ai tempi di Don Bosco o sentì ancora nella trasmissione orale l'influsso dell'autentica narrazione primitiva, vi aggiusta fede senza la menoma esitanza; ma generatio praeterit et generatio advenit (1) e da coloro che questo tempo chiameranno antico (2), non si sospetterà di leggenda? Diranno: - Da solo, condurre fuori dal penitenziario e ricondurvi dentro alcune centinaia di corrigendi, senza guardie di scorta e senza che neppur uno se la svignasse (3), é certo un miracolo di efficacia pedagogica. Di un avvenimento cotanto straordinario avran parlato i giornali d'allora e sarà rimasta memoria negli archivi della casa correzionale. - Ma chi si desse a cercare, non verrebbe a capo di nulla: silenzio nella stampa, nessuna traccia negli archivi. Dirò di più: non troverebbe nemmeno un documento sicuro per precisare l'anno del fatto. Già nel 1882 pratiche per appurare quella data andarono a vuoto. Non si sa con esattezza chi conducesse l'indagine, di cui ci fornisce la prova una lettera scritta da Stupinigi. A un sacerdote di là che risponde così al suo richiedente: “Con mio rincrescimento debbo ripeterle che vane furono le mie ricerche intorno al tempo che i birichini della
(I) Eccle., 1, 4. (2) Par., XVII, 120. (3) LEMOYNE, M. B., vol. V, pag. 2 17 sgg.
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Generala vennero qua accompagnati dalla carità del Sig. Don Bosco. Andai anche a domandare al Sig. Curato di Mirafiori, il più anziano in questi dintorni. Egli ricorda benissimo il fatto ma non sa dire l'anno ”. Evidentemente non se ne ricordava più bene neanche Don Bosco; altrimenti non sarebbe stato necessario fare indagini lontano dall'Oratorio (1). Meno male che qui abbiamo la testimonianza di uno, il quale di scienza propria conferma la verità del fatto, unico documento scritto di qualche autorità finora sul celebre avvenimento. Questa mancanza di documenti che potrà mettere nelle angustie gli storici di là da venire produce già i suoi effetti in storici dell'età nostra. Da più parti ci si domanda: - Il Soderini che nel primo volume della sua Vita di Leone XIII riferisce tante minute particolarità intorno ai preparativi del Conclave, da cui uscì eletto quel Pontefice, come mai non ha un cenno sui passi di Don Bosco presso Crispi, Ministro dell'Interno, e presso Mancini guardasigilli? - La ragione é semplicissima: il biografo non rinvenne documenti su questo proposito. La missione di Don Bosco si svolse in forma tutta confidenziale e puramente orale, senza la menoma ombra di ufficialità. La ebbe probabilmente dal cardinale Di Pietro, che quale decano del Sacro Collegio si dovette occupare subito e molto della questione circa il luogo del prossimo Conclave. A lui il Mancini erasi affrettato, é vero, a indirizzare una lettera riservatissima, e resa ora di pubblica ragione dal Soderini, per assicurare l'Eminentissimo che il Governo Italiano non avrebbe ostacolato in Roma la libertà del Sacro Collegio; ma questa lettera non rendeva inutile l'azione di Don Bosco. Infatti il Cardinale, che non poteva ignorare come il Crispi nella discussione sulla legge delle guarentige avesse in pieno Parlamento
(1) La lettera, che é del 16 ottobre 1882, sembra provenire dalle carte di don Bonetti. L'ipotesi é confermata anche dalla circostanza che egli, scrivendo allora nel Bollettino Salesiano, di cui era Direttore, la “Storia dell'Oratorio ”, proprio nel numero del novembre di quell'anno pubblicò il capo, in cui descriveva l'uscita dei corrigendi dalla Generala in compagnia di Don Bosco. Il sacerdote che scrive la lettera, chiama “direttore” il destinatario.
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sostenuto la necessità per le autorità italiane d'invigilare il Conclave, non poteva neppure non sentire la convenienza di esplorarne ben bene l'animo e così accertarsi se il pensiero reale del Governo rispondesse effettivamente alle assicurazioni date per iscritto. Ora a conseguire l'intento non c'era persona più adatta di Don Bosco. Il Cardinale, che ne conosceva l'abilità e la prudenza da quando, Vescovo di Albano, aveva trattato con lui per quelle scuole, ma condivideva pure le idee conciliative circa i rapporti possibili fra la Santa Sede e lo Stato Italiano per il bene delle anime. Così rimane risposto anche a un dubbio espresso dal Mollat nel suo pregevolissimo volume sulla Questione Romana. Esaminando egli un articolo del nostro Don Auffray (1) sulla condotta di Don Bosco durante il periodo del Risorgimento italiano, nel toccare di questo punto conclude che i documenti pubblicati dal nipote di Crispi sembrano infirmare la versione salesiana (2). Da quei documenti si apprende che, appena morto Pio IX, il Mancini propose al Presidente del Consiglio De Pretis l'invio di una lettera privata per dare assicurazioni che impedissero di portar il Conclave fuori di Roma (3). Ma una cosa non esclude l'altra per le ragioni detto di sopra. Méfiance, mére de súreté! Presso di noi l'attività di Don Bosco in quel senso fu ritenuta fin d'allora come un fatto certissimo, la cui notizia provenne in parte da Don Berto, compagno a Don Bosco in Roma nel 1878, e in parte da confidenze di Don Bosco medesimo; onde Don Lemoyne ce ne lasciò memoria nella forma sua abituale, di cui si avrà a discorrere fra breve.
(1) La politique d'un Saint: Dom Bosco aux heures du Risorgimento. In Etudes, 20 giugno 1929. (2) G. Mollat prof. à l'univ. de Strasbourg. La Question Romaine de Pie VI à Pie XI. Paris, Lecoffre 1932, pgg. 371-2. L'articolo di Don Auffray diventò poi un capo distinto nella sua Vita di Don Bosco, che tanto favore incontrò in Francia e nei paesi di cultura francese (Lyon, Vitte). (3) FR. CRISPI, Politica interna, e. VIII, pgg. 81-93. Ivi é detto che la lettera era destinata al cardinale Camerlengo, con cui il Mancini sarebbe stato in relazione; ma doveva dire il Cardinale decano, con cui veramente il Mancini aveva qualche familiarità; mentre non consta dì suoi rapporti col Camerlengo Pecci.
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Un altro caso. Il Soderini nel suo secondo volume, parlando dei denegati Exequatur ai Vescovi italiani, scrive (1): “ Così il cardinale Parocchi, uomo di grande cultura, nominato Arcivescovo di Bologna, rimase cinque anni ad attendere l'Exequatur e malgrado le ripetute insistenze di due Senatori, uno dei quali il Pépoli, e le istanze delle autorità civili di Bologna, non si poté ottenere nulla, di guisa che, per impedire mali maggiori, il Cardinale dovette dimettersi e venire a dimorare a Roma ”. Orbene anche di questo affare, come possono ricordare i lettori (2), Don Bosco ebbe a occuparsi, e per diretto incarico della Santa Sede. Egli fece del suo meglio tanto a Roma che a Bologna per vincere le resistenze; ma del suo lavorío si conserverà forse qualche traccia in relazioni del Cardinale presso la Segreteria di Stato: certo é però che per conto di Don Bosco il tutto procedette ore tenus, e oralmente se ne trasmisero alcuni particolari, di cui al suo solito Don Lemoyne prese nota. Come per i due accennati, così anche per tanti altri casi Don Lemoyne, nel preparar materiali di lavoro, non si lasciava sfuggire occasione per procacciarsi testimonianze, che gli arrecassero utili contributi alle ideate Memorie Biografiche, appuntando il tutto diligentemente e riponendo. Vivono ancora testimoni, i quali affermano che con tali appunti alla mano interpellava a volte anche Don Bosco su circostanze da chiarire o su dati da completare (3). Poi circa trent'anni fa, coordinando
(1) Pag. 31. (2) Cfr. Vol. XIV, pgg. 102-4. Cfr. anche ivi pag. 66. (3) Preziosa per questo é la dichiarazione che egli fa riguardo a quanto narra della madre di Don Bosco. Nel vol I, pag. 121, delle Mem. Biogr. scrive: “ Per ciò che riguarda mamma Margherita, lo scrivente seppe quanto qui descrive dalla bocca stessa di Don Bosco, avendo goduta la fortuna di avere con lui per sei e più anni giornalmente tutte le sere familiari colloqui; e benché rarissimamente si ritornasse sulle cose già raccontate, pure interrogandolo talora di ciò che aveva detto anni precedenti e che fedelmente aveva messo in carta, stupiva nell'udirmi ripetere le stesse cose e le medesime parole di sua madre e con tale esattezza da sembrare le leggesse in un libro. Lo stesso posso assicurare di tanti altri fatti, che ebbe la bontà di confidarmi e dei quali io feci tesoro per i miei cari confratelli ”. E in una lettera del 28 aprile 1894 scriveva da Roma a Don Rua: “ Io non ho ancora potuto vedere Roma, perché c'é sempre da scrivere, ma troppo mi preme assistere questo gran uomo di Dio, prender nota di quanto giungo a conoscere di lui, e aiutarlo
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questi promemoria con documenti d'archivio, diede ogni cosa segretamente a comporre nella tipografia di S. Benigno Canavese, contentandosi di trarre dalla composizione soltanto un piccol numero di copie e a mo' di semplici bozze. Disgraziatamente però non ebbe cura di autenticare né di conservare i suoi propri originali; ma, ricevuti dal proto gli stamponi, si sbarazzava delle carte, dove con le raccolte informazioni aveva indicate le relative provenienze. Qualche suo autografo di questo genere é rimasto, ma per cose comunicate dopo le riproduzioni tipografiche e non peranco da lui utilizzate nella sua storia. Così operando, egli faceva a fidanza con i suoi confratelli, per i quali principalmente scriveva, non prospettandosi punto l'eventualità che estranei o posteri potessero mostrarsi di men facile contentatura. Nell'usare pertanto di quelle stampe non bisogna per i casi anzidetti esigere altra garanzia di credito all'infuori dell'indiscutibile intelligenza e onestà di chi ce le ha ammannite. Fu buona ventura che i processi apostolici per la causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio fossero intrapresi, possiamo ben dire, quasi subito dopo la sua morte; onde vi si succedono numerosi testimoni oculari e auricolari di prim'ordine, le cui deposizioni giurate contengono copiosi elementi di raffronto, quando si vogliano verificare i racconti del Biografo. Un altro provvidenziale sussidio é venuto in soccorso nella compilazione degli ultimi volumi, un bel gruppo cioè di documenti che gettano molta luce sulle vertenze sorte fra il nostro Beato Padre e un Ordinario torinese. Più volte i lettori hanno trovato a pié di pagina la nota che di qualche documento l'originale era in possesso del teologo Franchetti di Torino. Questo distinto ecclesiastico ebbe una bellissima fortuna. Morto che fu il canonico Chiuso, segretario particolare di monsignor
in quel poco che posso. ” Don Viglietti in un suo diario sotto il 27 febbraio 1885: “ Ogni giorno che D. Bosco scende a passeggio, e che io sempre lo accompagno, si delizia in raccontare cose antiche occorsegli. E’ una conversazione amenissima; di tutto prendo nota su quaderni a parte da consegnarsi a D. Lemoyne per la Storia dell'Oratorio e vita di D. Bosco ”.
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Gastaldi e suo erede, ne acquistò per mille lire la biblioteca, dove in mezzo ai libri scoperse un pacco di lettere e manoscritti riferentisi alle note divergenze. Intuì egli subito qual partito potesse trarre da sì buona preda, quando fosso giunto il tempo opportuno di preparare una monografia intorno all'interessante argomento; pure con generosità superiore ad ogni elogio ci permise non solo di prenderne visione, ma di copiare tutto quello che credessimo utile. Del che riceva da queste pagine pubbliche grazie. Senza l'aiuto di tale documentazione non sarebbe stato possibile lumeggiare, come i lettori vedranno, la fase estrema dell'angosciosa controversia. Quanto a me che scrivo, non saprei figurarmi di essere altro che paziente filugello, intento anima e corpo a fabbricare la mia parte del gran bozzolo, dal quale altri un giorno filerà la seta, con cui tessere al nostro Fondatore e Padre un manto di gloria.
Torino, 2 agosto 1933
CAPO I. Missioni, Missionari e due spedizioni.
L’ANNO 1881 si aperse e si chiuse per Don Bosco con l'invio di nuovi operai nella remota porzione di vigna dal padrone evangelico affidata alle sue cure. Una voce era venuta da Roma. Leone XIII in data 3 dicembre 1880 aveva indirizzata ai Vescovi del mondo cattolico una sua Enciclica su tre opere missionarie: Propagazione della Fede, Santa Infanzia e Scuole d'Oriente. In essa il Santo Padre faceva udire questo caldo appello: “Voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte della Nostra sollecitudine, caldamente esortiamo, affinché, sorretti dalla fiducia in Dio e non isgomenti da veruna difficoltà, con animi concordi vi adoperiate con Noi ad aiutare alacremente le Apostoliche Missioni. Si tratta della salute delle anime, per le quali il Nostro Redentore pose l'anima sua, e costituì Noi, Vescovi e Sacerdoti, pel perfezionamento dei Santi e per la edificazione del suo corpo. Laonde ciascuno nel luogo dove da Dio fu posto a custodia del gregge, sforziamoci con ogni mezzo, affinché alle sacre Missioni siano arrecati quegli aiuti, che abbiamo rammentato essere stati in uso sin dai primordi
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della Chiesa, vale a dire la predicazione del Vangelo, e le preghiere e le elemosine degli uomini pii. ” Dopo questa esortazione il Papa continuava: “Se alcuni dunque troverete zelanti della divina gloria, e pronti e idonei a intraprendere le sacre spedizioni, incuorateli, affinché, esplorata e conosciuta la volontà di Dio, non si facciano impigrire dalla carne e dal sangue, ma si affrettino ad assecondare le voci dello Spirito Santo. ” Infervorato da sì forte incitamento, Don Bosco credette giunta l'ora di riprendere le interrotte spedizioni di Missionari. Da due anni non se ne facevano più. Erano bensì partiti alcuni, fra cui Don Bernardo Vacchina, ma alla spicciolata e in numero assai esiguo (I). La necessità di personale in Europa e le strettezze finanziarie avevano impedito che si facesse di più. Allora però che la Patagonia era aperta e il già fatto cominciava a venir riguardato come uno dei segni tangibili della perenne vitalità della Chiesa Romana (2), bisognava cogliere il momento propizio per spingere innanzi l'impresa. Perfino certi fogli ultraliberali commentavano, pur non osando confessarlo, il solenne invito pontificio (3). Il Servo di Dio deliberò dunque una prima spedizione di sei Salesiani e di otto Suore, che si trovarono pronti verso la metà di gennaio; con i primi egli uni poi altri sei che dovevano
(I) Per altro negli elenchi ufficiali delle spedizioni si tenne sempre conto anche di costoro, considerandoli come componenti una spedizione del 1880. (2) Fra gli omaggi pervenuti a Don Bosco nel capo d'anno vi fu un libro scritto da un Rosminiano e a lui offerto “ in segno di profonda venerazione ” dall'autore, che, toccando dei progressi fatti dalla Chiesa nelle più remote regioni del globo, accennava pure “ alle inospiti lande dei Patagoni e dei Pampas nell'America del Sud ” e polemizzando diceva: “Appunto adesso il Cattolicismo dal suo capezzale di morte ha tanta lena fra un rantolo e l'altro da inviare [colà] sempre nuove schiere di Missionari Salesiani, recente creazione di quel Don Bosco, altro Calasanzio, che intanto qui in Europa co' suoi numerosi e ognor crescenti istituti ritrae dalle vie della gogna e della galera migliaia di fanciulli per farne operosi ed onesti cittadini ”. (P. A. CICUTO, Se il Cattolicismo sia morente. Saggio diagnostico. Tipografia Giulio Speirani e figlio, 1881, Torino). Il libro non é scevro di mende. (3) Così il Diritto del 7 gennaio, in un lungo articolo di Raffaele Mariano, intitolato i “ Missionari e Parlamento ”, rendeva omaggio alla potenza incivilitrice del Cattolicismo, benché fin d'allora l'autore simpatizzasse per i protestanti, dei quali ivi stesso elogiava l'energia, la moralità e il sapere.
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partire contemporaneamente per la Spagna. Quanto alle spese occorrenti, Don Bosco, come si espresse nella solita lettera di gennaio (I), riponeva piena fiducia nei Cooperatori. Volle tentare di strappare sussidi anche dal patrio Governo; perciò spedì al Ministro degli Esteri Benedetto Cairoli (2) una succinta relazione di quanto si era fatto e si andava facendo nell'Argentina e nell'Uruguay specialmente a pro degli Italiani, che vi emigravano in sempre maggior numero (3). Dice in essa che i Salesiani colà “ sono divisi in trentaquattro località ”. Tale calcolo va inteso in senso largo, computando cioè non le sole residenze fisse, ma anche i luoghi, dove i Salesiani si recavano per esercitare temporaneamente il loro ministero (4). Notevole é il seguente periodo
(I) Bollettino Salesiano, gennaio 1881. (2) Era anche Presidente dei Ministri. (3) Appendice, doc. I. (4) L'Unità Cattolica del 15 gennaio, per far conoscere l'opera compiuta dai Salesiani nell'America in un solo quinquennio, pubblicò il seguente prospetto, del quale erasi poc'anzi inviata copia autentica a S. S. Leone XIII:
CASE E MISSIONI SALESIANE NELL’AMERICA DEL SUD DALL'ANNO 1875 AL 1881. Buenos Aires. - San Nicolas: Collegio maschile; Parrocchia di Ramallo; Missione Estancias; Parrocchia San Carlos. - Almagro: Collegio - Ospizio; Casa Madre delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Centro: Cappella italiana della Misericordia; Parrocchia Bocca di Rachuelos. - Sud: Scuole maschili; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Sant'Isidoro: Scuole femminili; Oratorio festivo. Uruguay. - Montevideo: Chiesa della Carità per gli Italiani; Scuole di San Vincenzo. - Las Piedras: Parrocchia; Scuole maschili; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice; Missione; Campagna. - Villa Colon: Collegio maschile; Scuole femminili delle Suore di Maria Ausiliatrice. Entre Rios. - Colonia Villa Libertà, 1877-78. Paraguay. - Missione, 1878. Pampas. - Missione; Catechismo e battesimo agli Indii. Patagonia. - Colonia: Fiscomenoco; Choele-Choel; Tribù di Catriel; Conesa; Guardia Mitre; Indios Linares; Sant'Javier. - Carmen de Patagones: Parrocchia; Scuole maschili; Collegio femminile di Santa Maria de las Indias. - Mercedes: Parrocchia. - Viedma: Scuole maschili. Del generale Roca, presidente della Repubblica Argentina, a Don Bosco pervenne in gennaio questa lettera, pubblicata in francese (Société Anonyme de la Maison Beaujour. Rapports etc. Marseille, Typ. E. Iouve et Cie. 1881; pag. 23:
Reverendo Padre, Ho ricevuto la sua lettera del 10 novembre, di cui gradisco gli onorevoli sentimenti. Ella può star certa che le missioni nelle Pampas e nella Patagonia terranno sempre il posto spettante alle imprese civilizzatrici e che i suoi
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sulla Patagonia: “Il divisamento si é di continuare le Missioni italiane fino allo Stretto di Magellano e di qui avanzarci fino al Capo Horn; ma di questo argomento ho bisogno di conferire personalmente colla E. V. come spero di fare, se mel concederà, nel prossimo mese di marzo. ” Egli aveva in animo d'indurre il Ministro a svolgere un'azione diplomatica avente per iscopo d'indirizzare la corrente migratoria italiana in regioni patagoniche abbandonate dagli Indi e incolte, dove i connazionali con loro grande vantaggio economico e morale si sarebbero potuti concentrare in vari punti, promovendovi l'agricoltura e compiendo opera di civiltà. Per questo egli parla di “ Missioni Italiane ” da continuarsi fino allo Stretto magellanico. La risposta fu, come già in passato, evasiva (I); se altro risultato egli non ottenne, non era per lui cosa disprezzabile l'aver richiamato l'attenzione del Governo sulla sua attività religiosamente patriottica all'estero. Per ottenere aiuti dalla Santa Sede, specialmente in arredi sacri e limosine di Messe, prese come intermediario il cardinale Nina Protettore, al quale scrisse una lettera da noi non rinvenuta. Ai 12 di gennaio il corriere del Sud America gli recò la prima lettera con il bollo della Patagonia; una cosa tanto piccola, ma per lui tanto significativa gli procurò tale consolazione, che, riscrivendo al Cardinale, gliene accluse la busta, quasi per fargli vedere che laggiù si faceva per davvero. Nella stessa lettera unì due copie dello specchietto sulle Case e Missioni Salesiane nell'America del Sud dall'anno 1875 al 1881 (2).
religiosi saranno sempre trattati con i riguardi, dei quali si sono finora resi meritevoli da parte delle autorità civili e politiche del paese. Desiderando vivamente il soccorso delle sue preghiere per poter sopportare il grave peso del governo, La saluto con particolare considerazione e stima. Buenos Aires, 10 dicembre 1880. Suo figlio ROCA Presidente della Repubblica.
Non abbiamo trovato l'originale, che sappiamo essere stato indirizzato dal mittente per orrore a Milano e ricevuto da Don Bosco nel febbraio a Marsiglia. (I) Appendice, DOC. 2. (2) Cfr. sopra, pag. 15, nota 4.
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Eminenza Reverendissima,
Come aveva l'onore di esporre all'Em. Vostra Rev.ma nella mia lettera precedente, i nostri Missionari a risparmio di spesa sono pronti di fare il grave sacrifizio di non venire a Roma per baciare il sacro Piede al Santo Padre e ricevere da lui personalmente l'apostolica benedizione. A tal fine pregano umilmente l'E. V. a volerla implorare dalla bontà del Santo Padre e comunicarla prima della loro partenza. E' fissato il giorno 20 di questo mese per la benedizione dei medesimi nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice; partiranno da Genova il giorno 22, a meno che, come si teme, il mare, inquieto a questa stagione, non consigli la dilazione della partenza per qualche giorno. Ho ricevuto sulle lettere d'oggi il primo timbro della Patagonia. E’ mal riuscito; ma essendo il primo in Europa credo bene di acchiuderlo in questa lettera. Credo pure fare cosa grata all'E. V. ed al buon cuore del S. Padre, unire qui due copie di specchio autentico delle nostre Missioni d'America. Uno è umiliato all'E. V., l'altro la prego di volerlo far gradite a Sua Santità, come tenue omaggio che i nostri Missionari fanno alla Santa Sede, offerendo cioè i pochi frutti che essi hanno ottenuto in cinque anni dalle loro evangeliche fatiche. Avrò occasione di comunicarle altre notizie sopra novelle conquiste che i nostri religiosi hanno conseguite tra gli Indi Pampas e Patagoni; e ciò farò dopo la partenza che ci studiamo di effettuare nei giorni sopramentovati. Colla più profonda venerazione ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di professarmi Dell'E. V. Rev.ma Torino, 12 gennaio 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Il Cardinale riferì i desideri di Don Bosco al Santo Padre, che se ne ricordò in un'occasione solenne. Il lunedì 17 gennaio Don Dalmazzo partecipò a una particolare e distinta udienza, alla quale il Papa aveva chiamati tutti i Superiori e Procuratori generali di Ordini e Congregazioni religiose residenti in Roma. Lo scopo era d'intendere lo stato delle varie famiglie religiose. Venuta la sua volta, il Papa gli si mostrò amorevolissimo. Per prima cosa gli domandò del Sacro Cuore. - Voi avete l'Esquilino, disse, ecco la parte che é affidata a voi. Lavorate si fabbrica? Ma fate presto, ché grande é
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il bisogno. Non lasciatevi sgomentare. - Poi soggiunse: - Ho letto la lettera di Don Bosco, mandata al cardinal Nina. Abbiamo già dato gli ordini opportuni, perché sia preparato qualche cosa per lui. Vi saranno pianete, calici ed altre cosette per aiutare i suoi Missionari. - Accordò la benedizione chiestagli per loro, dicendo che la dava di cuore; indi proseguì: - Ma come fa Don Bosco? Non si spaventa egli con tante cose tra mano? Si vede che il Signore é con lui. - Il cardinale Nina, temendo che il Papa si dimenticasse delle limosine di Messe, aveva suggerito a Don Dalmazzo di parlargliene. L'augusto Pontefice ebbe la bontà di rispondere: - Ne abbiamo domandato in Francia e ne daremo anche a voi. Vi bastano duemila? - Alla risposta affermativa, conchiuse: - Ebbene daremo ordine che vi siano consegnate (I). Il Beato dovette inoltre sollecitare la carità delle persone private, come sempre aveva fatto per l'addietro in casi simili; ma una sola lettera ci é finora pervenuta di questo tenore, e fu per il suo grande amico Don Pietro Vallauri di Torino.
Car.mo Sig. D. Vallauri Pietro, Ab amicis honesta sunt petenda, ed io lo so. Pure debbo andare un poco più in là della discrezione. Eccole adunque. Al 22 di questo mese sono impegnato di effettuare una spedizione di Missionari per l'America, dieci Suore e dodici Salesiani devono recarsi in aiuto dei loro Confratelli, che sono affogati dal lavoro; ma mi trovo nella morale impossibilità per mancanza di mezzi. Ella pertanto per suffragare le anime de' suoi parenti, aiutare la Chiesa, sostenere le nostre Missioni, levare me dagli imbarazzi, non potrebbe in qualche modo farmi la carità di fr. diecimila od anche solo mutuarmeli? Io scrivo con questa confidenza, perché so quali sieno i suoi desideri: cioè d'impiegare ogni sua sostanza a maggior gloria di Dio e a salvare delle anime. Io spero che Dio la conservi in buona salute, e raccomandando me e li nostri poveri ragazzi alla carità delle sue valide preghiere, mi professo in G. C. Torino, 3 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
(I) Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 20 gennaio 1881.
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Il massimo giornale cattolico d'Italia, dando notizia della prossima spedizione (I), scriveva: “ Noi applaudiamo di gran cuore al coraggioso Don Bosco e ai degni suoi figli; e sapendo come egli tira innanzi le importanti sue opere, mediante le limosine e le beneficenze delle persone caritatevoli, di buon grado raccomandiamo questa sua nobile impresa alla generosità dei cattolici. Il soccorrere Don Bosco é oggimai un atto non solamente di fede cattolica, ma di carità patria e di vera umanità[ ... ], perché questo soccorso si rifonde a vantaggio di tante migliaia d'Italiani dimoranti nell'America, serve a riformare e a far rifiorire la società per mezzo di una savia e morale coltura della gioventù, e giova a condurre, alla civiltà cristiana immense tribù, che ne ignorano tuttora i segnalati benefizi temporali ed eterni. ” Avvicinandosi il giorno dell'imbarco, Don Bosco anticipò la solita conferenza di S. Francesco ai Cooperatori, per farla coincidere con la cerimonia dell'addio, che si doveva compiere il 20 gennaio. Con un discorso di semplicità apostolica, ma di quella cara eloquenza che era tutta sua, il Beato tenne per circa mezz'ora sospeso dal suo labbro il numeroso uditorio. Esordì coll'annunziare una speciale benedizione del Santo Padre ai Cooperatori e Cooperatrici e ai Missionari. Passò quindi a parlare dei Salesiani e delle Suore partiti di là negli anni antecedenti, narrando il bene da loro fatto, bene di cui dovevano pur rallegrarsi molti de' suoi uditori ed altre caritatevoli persone, per avervi contribuito con le loro limosine. Espose appresso quello che si stava per intraprendere a salvezza delle tribù infedeli vaganti nell'immensità della Pampa, della: Patagonia e della Terra del Fuoco. Ecco perché occorrevano sempre nuovi rinforzi di operai evangelici.
(I) Unità Cattolica, 15 gennaio 1881. Ivi si legge: “ La nuova falange è composta di 23 persone ”. In questo numero il giornale comprendeva tutti i partenti, cioè, oltre i 6 salesiani e le 8 suore destinati all'America, anche i 6 che andavano a Utrera e Don Cagliero che li accompagnava, più Madre Mazzarello e Madre Roncallo, che, viaggiarono con una parte delle Suore fino a Marsiglia.
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L'ultima parte fu per i partenti, dei quali mise in rilievo il sacrifizio nell'abbandonare tutto per amore di Gesù Cristo e delle anime da Lui redente. Infine, rivolto agli ascoltanti, disse: - Se essi espongono così a cimento la loro vita, deh! non ricusate di fare anche voi qualche sacrifizio. Preghiamo Dio che li aiuti e li consoli; ma chi può, li conforti pure con le sue limosine. Coopererete così alla divina gloria e alla salute delle anime, rendendovi degni del centuplo che Dio promette fin su questa terra a chi dà qualche cosa per amor suo e, quel che é più, porrete in salvo l'anima vostra. L'Unità del 23 scriveva: “ Sappiamo che le parole di Don Bosco non sono cadute sopra sterile terreno; poiché i caritatevoli Torinesi si mostrarono per lui e per la sua Missione degni strumenti della divina pietà. ” Partiti subito per Sampierdarena, non s'imbarcarono se non il 3 febbraio. Là si fece una festa intima in loro onore nella cappella dell'ospizio. Don Bosco dal pulpito diede tre ricordi: 1° Avrebbero trovato laggiù caratteri difficili e indisciplinati, coi quali dovevano usare carità, carità, carità. 2° Facesse ognuno il proprio dovere, affinché non avvenisse che uno lavorasse per tre e l'altro per nessuno. 3° Non guardassero ai difetti altrui; tutti ne abbiamo; scorgendone in Superiori, imitare i due buoni figli di Noè e non Cam. I partenti si divisero in due drappelli. Quei dell'Uruguay e della Spagna navigarono sull'Umberto I della Società Rocco e Piaggio, e quelli di Buenos Aires sopra il Sud America della Società Lavarello. Cediamo ora la penna a Don Cagliero, che scortava i primi (I).
Ci salutammo in porto salpando questi due ore prima di noi e noi due ore dopo della stessa sera, augurandoci reciprocamente una buona navigazione. Il mare era bellissimo e più bella la luna, sicché potemmo approdare l'indomani venerdì al porto di Marsiglia allegri come quando partiti e senza scherzi pel male di mare. Tre giorni dovemmo rimanere ancorati in questo porto, anzi ci
(I) Lettera a Don Rua, Gibilterra 14 febbraio 1881.
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toccò entrare nel bacino e porci al secco, onde cambiare l’elice. Perciò scendemmo tutti a terra il sabato (5) mattino e celebrammo nella cappella della nostra casa di Rue Beaujour. Alla sera arrivò da Nizza Don Bosco, che ci aveva preceduti d'un giorno pel cammino di terra. Don Bologna, quantunque piccolo, nei due giorni che alloggiammo da lui, si dimostrò grande in bontà, generosità ed amor fraterno! E che consolazione per noi Salesiani Lasciammo, é vero, dei cari confratelli in Italia, ma ne trovammo altri non meno cari in Francia. Lasciammo questi pure, ma ecco che se ne trovano ancora dei carissimi in America! La domenica a sera tornammo a bordo ed il nostro caro padre, che diventa coraggioso quando si tratta di dar prova dell'affetto che ha pei figli suoi, vinse il più furioso dei venti mistrali, che scuotono piante, alberi, bastimenti e le stesse persone, per accompagnarci fino al bassin du radoub [alla dársena], lontano tre quarti d'ora dalla città. Egli fu accolto dal signor Evasio Piaggio, proprietario del vapore Umberto I, dal Comandante e da altri ufficiali con riguardi, dimostrazioni di stima e di venerazione non comuni. Si conversò molto, servendolo di caffè e di spumante moscato con tutti quanti l'accompagnavano. Il signor Piaggio poi, persona compitissima non solo, ma buon cristiano, entusiasmato al racconto delle opere Salesiane d'Europa, Francia ed America, accettò con gratitudine di essere Cooperatore Salesiano, e più che mai affezionato a Don Bosco già, lo volle accompagnare fino al nostro compartimento, insieme al Capitano. Quivi raccolti tutti i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice con molti altri passeggieri ascoltammo i suoi ultimi avvisi di addio e ricevemmo la sua santa e paterna benedizione. Benedizione santa, perché commosse gli astanti; paterna, perché scese fino all'intimo del cuore di tutti i suoi figli, molti dei quali si rassegnarono a non più rivederlo che in paradiso! ” Essendo notte tarda ed infuriando sempre più il vento, lo portammo, il signor Piaggio da un lato e noi dall'altro, fino al molo, dove provvidenzialmente era giunta una vettura di nolo, portando... passeggiere. E dico provvidenzialmente, perché sarebbe stato impossibile esporsi a fare tutto quel tragitto a piedi in quell'ora e con la più terribile delle bufere (I).
(I) La medesima scena é descritta così da Don Bologna (lett. a Don Rua, Marsiglia, 9 febbraio): “ Domenica a sera alle 6 con due omnibus i missionari, le Suore, Don Bosco ed il sottoscritto si recarono all'Umberto I. Era notte, il mistrale era in furore. Il bastimento era a secco in riparazione in mezzo a canali e precipizi. Con quattro mani sul cappello, aggrappati a Don Bosco, potemmo giungere al ponte del bastimento. In mezzo a tanto pericolo e con tutte le precauzioni a prendere, Don Bosco facea ridere i vicini con mille lepidezze. Giunti a bordo il Sig. Evasio Piaggio, proprietario
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Il domani (lunedì 7) lo passammo ancora in secco; ma a notte, terminati i lavori dell'elice, si diede corso all'acqua del mare nel bacino per quattro cataratte, che mettevano con tale impetuosa corrente da darci una viva immagine di quelle che il Signore ruppe per inondare il mondo! Alle quattro del mattino, spuntando l'aurora del martedì (8) uscimmo dal porto di Marsiglia in direzione a Barcellona. Fino ad ora i nostri viaggiatori non videro le furie di Nettuno; ma ci attendeva al golfo di Lione!… Cavalloni e vento, vento e cavalloni; montagne e valli di acqua, fiere onde che s'infrangono con altre onde, e tutte che si spezzano contro i fianchi della nave più fiera di loro... i marosi che assalgono di prora, altri che ci sollevano da poppa... lo scuotimento delle antenne ed il fischiar delle sartie, fu un tutto insieme, che spazzò in breve momento la tolda, e ci fece rintanare nelle nostre cabine ed accovacciare nelle cuccette... e poi... e poi quasi tutti pagando il tributo di nautica, più o meno con nausea e stomacati se non sventrati. Ho detto quasi tutti, per mettere anche me, stavolta, ed unica, in tanti viaggi che feci in mare, tra le invidiate e veramente fortunate eccezioni. A Barcellona entrammo ad ancorate in porto la sera dello stesso martedì, perché l'Umberto I corre 14 miglia per ora. Si lavorò tutta la notte e tutto il giorno del mercoledì seguente a fare carico. Noi quindi pensammo di scendere a terra. ed infatti fummo a visitare la veramente ammirabile antichità della cattedrale, lo scurolo di S. Eulalia ed il Crocefisso salvato alla battaglia di Lepanto, io, Don Piccono, D. Branda e Don Pane, e tornammo a bordo. Nella sera del mercoledì al chiarore della bianca luna si fece vela (ma senza vele) per Gibilterra. Incontrammo di bel nuovo Eolo furioso al golfo di Valenza, che ci dondolò tutta la notte e ci condannò
dell'Umberto, cercò di Don Bosco, che introdusse nel suo gabinetto e trattenne tre quarti d'ora con squisita bontà e amabilità. L'uffizialità di bordo si strinse a Don Bosco e si andava a gara a testimoniargli rispetto e benevolenza. Il capitano era fiero di saper Don Bosco più capitano di lui, avendo 60 mila sudditi. Capitano, Commissario e tutti quei di bordo accompagnarono Don Bosco sostenuto sempre dal Sig. Piaggio. Tutti si inginocchiarono quando Don Bosco dava la benedizione ai Missionari e non si alzarono finché non finì di parlar loro. Al fosco chiaror della luna uscimmo: il tempo non potea esser peggiore pel vento. Il Sig. Piaggio prese Don Bosco nelle sue braccia per guidarlo, dicendogli di abbandonarsi a lui. Il Capitano dirigeva i passi, il rappresentante della Società seguiva e gli altri accompagnavano. Per lo spazio di 20 minuti tutti costoro continuarono ad accompagnarci tra le travi ed i ponti mobili, e non ci lasciarono che quando arrivammo sulla strada, dove trovammo una vettura. I missionari eran discesi ed erano sparpagliati all'intorno. Il tempo, la notte, il mistrale davano tanto di distrazione da impedire la commozione che si sarebbe rinnovata.
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al digiuno tutto un giorno. Nella notte dal giovedì al venerdì del 11 restammo sepolti nella nebbia, che fece rallentare il corso del vapore e fischiare tratto tratto la macchina, onde avvisare i barchi del suo passaggio ed evitare scontri probabili e disastrosi. In tutto questo tratto di viaggio però, potemmo celebrare ogni mattina e dare la S. Comunione alle Suore e confratelli coadiutori. Nel resto della giornata si prega, si legge poco, si passeggia molto e si mangia sempre quando si può!... E’ la vita del Miclàs: mangé, beive e andé a spas!! (I). Nulla di serio si può fare in bastimento: si diventa ragazzi e sfaccendati e per giunta ridendo ognuno più o meno sul conto dell'altro, dopo d'essere stato colto a fare le smorfie emetiche. In 48 ore da Barcellona ci trovammo nella baia di Gibilterra; pranzammo ancora tutti insieme la sera del venerdì, fermi ed ancorati in porto, ed a notte inoltrata ci demmo l'addio vicendevole, invocando propizia la Stella del Mare, Maria, ai cari confratelli, che proseguivano per il grande Oceano, ed a noi che avremmo costeggiato in piccolo battello fino a Cadice. Questo fu il quarto ed ultimo distacco sentito da più d'uno di noi. I rimasti proseguirono per Montevideo, sotto la scorta di Don Angelo Piccono (2); l'altro piccolo stuolo di due Salesiani e quattro Suore navigava già in pieno Oceano. Una fiera burrasca tenne questi e quelli per circa tre giorni in gran travaglio. Mentre i poveri naviganti temevano per la propria vita, un periodico già tristamente noto, la Cronaca dei Tribunali, schizzò velenosa bava contro il nostro caro Don Bosco. Le aveva dato nei nervi soprattutto un articolo dell'Unità Cattolica intitolato " Potenza di un prete cattolico ed una commovente funzione in Torino " (3); quindi sotto il vistoso titolo DON BOSCO E DON MARGOTTI lanciò contro l'uno e l'altro due colonne di prosa brutta e cattiva. Insultato villanamente il Direttore del giornale cattolico, dileggiava il Servo di Dio, mescolando con malignità alle beffe un'accusa e un'insinuazione, atte a renderlo odiosamente sospetto presso
(I) Forma piemontese del motto “ L'arte di Michelaccio: mangiar, bere e andare a spasso ”. (2) Cfr. vol. XII, pag. 596. (3) Num. 19 (23 gennaio). Anche l'Emporio Popolare o Carriere di Torino nel num. 17 pubblicò un articolo sulla funzione.
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le autorità governative. Infatti lo accusava di togliere i figli ai genitori, le fanciulle alle famiglie e le braccia alla patria; insinuava poi che fra i partenti ve ne potessero essere di obbligati al servizio militare, ma costretti contro lor voglia a sottrarvisi, abbandonassero clandestinamente l'Italia. E qui, falsando il vero, rievocava il così detto "caso Foglino", terminato nel modo che sappiamo. La losca manovra era tanto più grave, perché si dibatteva allora dinanzi al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione l'affare della chiusura del ginnasio nell'Oratorio. Il bellicoso Don Margotti avrà avuto una voglia matta di rendere pan per focaccia; ma nel suo giornale non fiatò, molto probabilmente perché Don Bosco, sempre nemico del battagliare, credette meglio lasciar morire nel silenzio la polemica (I). Ai Missionari Don Bosco diede lettere per i confratelli di là. Era sua abitudine scrivere di proprio pugno tutti gli anni una letterina ai singoli Salesiani d'America, sacerdoti, chierici e coadiutori, non dimenticando nessuno. Così continuò a fare finché poté, cioè fino al 1884. Abbiamo un saggio prezioso di tale corrispondenza in nove lettere che abbiamo potuto rintracciare, recanti tutte la data del 31 gennaio 1881. Le riproduciamo con qualche riga di presentazione. A Don Costamagna, recentemente eletto Ispettore al posto del defunto Don Bodratto, impartisce istruzioni per l'assetto ecclesiastico da dare subito alla Patagonia, prima che, procedendosi innanzi nell'opera missionaria, nascano complicazioni; gli traccia inoltre brevemente la linea di condotta che ha da seguire nel suo nuovo ufficio.
(I) Può darsi che una risposta indiretta fosse in un articolo del 30 gennaio, dove, citandosi gli Atti ufficiali della Camera subalpina, si riferivano brani di discorsi tenuti dal Cavour e dal La Marmora nel 1853 contro la proposta di assoggettare tutti i chierici alla leva militare, e da quest'ultimo ribaditi poi sotto il Regno d'Italia nel 1869 e nel 1871. Nessun fatto pubblico poté dar motivo al Margotti di esumare questi documenti nel gennaio del 1881; sarà dunque stato per far intendere una volta di più che non meritava il nome di legge quella che strappava i chierici dai seminari per mandarli alla caserma.
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Carissimo D. Costamagna,
Più volte ho ricevuto tue notizie e tue lettere. Va tutto bene. A sereno con qualche nuvola. E’ questa la natura delle cose della terra. Riceverai cose, compagni e lettere. Fanne la distribuzione. Noi faremo quel che possiamo per saldare i debiti comuni; voi fate altrettanto. Quest'anno, spero, le cose nostre piegheranno bene. E' di molta importanza l'affare di una Prefettura o di un Vicariato Apostolico nella Patagonia. Il Santo Padre lo desidera e lo raccomanda; é cosa di nostro vantaggio. Giacché senza di ciò non potremo avere l'appoggio della Propaganda Fide di Roma, né della Propagazione della Fede in Lione, né della S. Infanzia. Pare che né Don Bodratto, né tu non ne conosciate l'importanza. Le nostre notizie avrai da altri. Io mi limito a dirti: Tu vero vigila, in omnibus labora, sicut bonus miles Christi. Ma non dimenticare che siamo Salesiani. Sal et lux. Sale della dolcezza, della pazienza, della carità. Luce in tutte le azioni esterne, ut omnes videant opera nostra bona et glorificent Patrem nostrum qui in coelis est. Mi farai un cordialissimo saluto al sig. deputato Frias, al Dott. Carranza ed al sig. Gazzolo se hai occasione di vederli. Dio benedica te, tutti i nostri cari confratelli, tutte le nostre opere, affinché ogni cosa sia sempre ed unicamente alla maggior gloria di Dio. Amen. Prega sempre per me che di tutto cuore ti sono in G. C. Torino, 31 - 1 - 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
PS. Interpreta i miei pensieri e fa da parte mia un sermoncino alle nostre suore. Il Capitolo superiore ti ha definitivamente eletto Ispettore Americano e ti sarà spedito quanto prima il decreto: ciò per norma di santificarti e di santificare. A Don Vespignani, che aveva la cura dei novizi e dirigeva di fatto la casa di San Carlo in Almagro, invia auguri, consigli e notizie di famiglia.
Mio carissimo D. Vespignani Giuseppe,
Più volte ho ricevuto di tue lettere e sempre con grande piacere. Benedico il Signore che ti dia sufficiente sanità per lavorare in questo universale bisogno. Dio faccia che tu possa farmi numerosa schiera di aspiranti, di poi ascritti, di poi professi, di poi fervidissimi Salesiani.
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Dirai a' tuoi e miei cari allievi che questo loro amico dall'Europa manda un consiglio per essere felici: Fuggite il peccato e frequentate la santa Comunione. Tu ne farai la spiegazione. Ho notizie de' tuoi parenti che stanno bene. Tuo fratello chierico (I) è animato e vuole divenire un buon Salesiano. Dio ti benedica, o mio caro Don Giuseppe, e ti conservi in buona salute e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Torino, 31 - 81 Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
A Don Tomatis, succeduto a Don Fagnano nella direzione della casa di San Nicolás de los Arroyos, dà una paterna tiratina d'orecchi, perché gli fa sospirare troppo sue notizie. Il Beato annetteva grande importanza alla corrispondenza epistolare specialmente dei Superiori, per mezzo dei quali esercitava meglio così il suo salutare influsso sulle loro case. Il fratello qui menzionato era gesuita.
Mio carissimo D. Tomatis Domenico,
Qualche volta ho ricevuto di tue lettere con gran piacere, ma troppo di rado. Tuo zio P. Tomatis fa lo stesso lamento. Dunque procura che una volta al mese io abbia di tue notizie e di quelle di tua casa. So che hai molto da fare e questo ti serve di scusa, io l'ammetto; tuttavia l'affezione che ti porto mi fa ardentemente desiderare di essere a giorno delle cose che ti riguardano. Mi fu detto che le faccende finanziarie di S. Nicolas si vanno sistemando. Benissimo. Ti faremo dare la croce della corona... di gloria, quando Dio ti chiamerà al cielo. Noi qui ti vogliamo sempre bene e spesso parliamo di te e delle tue prodezze poetiche. Io poi non ti dimentico mai nella S. Messa e credo che tu pure non dimenticherai l'antico amico dell'anima tua. Nel tuo particolare ti raccomando l'osservanza di quelle regole con cui ci siamo consacrati al Signore, specialmente l'esercizio mensile della Buona Morte. Ai tuoi giovani dirai che io prego per loro e che ricordino sempre che il tempo é un gran tesoro e si guardino dal perderne anche un bricciolo.
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Dio ti benedica, o mio caro Don Tomatis. Dio ti conservi in buona salute e nella sua santa grazia e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Torino, 31 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
PS. Il capitolo Superiore ha definitivamente eletto Don Costamagna ad Ispettore Americano. Puoi darne comunicazione a chi di ragione.
Per Don Remotti, unico sacerdote addetto alla chiesa di Mater Misericordiae in Buenos Aires e quindi stracarico di lavoro, trova espressioni, che sotto la sua penna acquistano una forza straordinaria d'incoraggiamento.
Mio carissimo D. Remotti,
Ho ricevuto più volte tue lettere sempre con grande piacere. Scrivimi più sovente, ma lettere lunghe. So però che lavori e questo serva di scusa. Mentre però ti occupi delle anime altrui non dimenticare la tua. L'esercizio della Buona Morte una volta al mese non sia mai dimenticato. Le cose nostre qui camminano a passo di gigante. Quando abbiamo un Salesiano capace vi sono due case che lo vogliono, e talvolta si é costretti di dare piante tenerissime. Perciò devi pregare molto che Dio ce le faccia fruttare. Dio ti benedica, mio caro Don Remotti, sempre pupilla dell'occhio mio. Lavora, il premio é preparato, il cielo ci attende. Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia. Prega per me che ti sarò sempre ma di cuore in G. C. Torino, 31 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Al chierico Giuseppe Gioachino Quaranta (I), della casa di San Nicolás, manda quasi il formulario per il suo rendiconto spirituale, preceduto e seguito da espressioni, che dovrebbero procurargli per un momento l'illusione di essere, come un tempo, in filiale colloquio col padre della sua anima.
(I) Mettiamo qui i due nomi, perché nei cataloghi compare prima col secondo e poi col primo. Mentre scriviamo (ottobre 1932), egli vive ed esercita il sacro ministero nella parrocchia di San Giovanni Evangelista alla Boca.
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Mio carissimo Quaranta,
Ho avuto notizie che sei bene in salute e che fai quello che puoi. Ciò mi fa gran piacere. Studio e pietà ti faranno un vero Salesiano. Ma non dimenticare che tu devi mettere al sicuro l'anima tua e poi occuparti di salvare le anime del prossimo. L'esercizio della buona morte e la frequente comunione sono la chiave di tutto. Di sanità stai bene adesso? Ti fai veramente buono? La tua vocazione si conserva? Ti pare di essere preparato per le ordinazioni? Ecco il tema di una tua lettera che attendo. Dio ti benedica, o mio caro 40, fatti animo e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Torino, 31 - 81. aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Molto incoraggianti sono pure le due letterine ai chierici Antonio Paseri, della casa di San Carlo a Buenos Aires, e Antonio Peretto della casa di Las Piedras nell'Uruguay.
Carissimo Paseri,
Tu, o mio caro Paseri, sei sempre stato la delizia del mio cuore, ed ora ti amo ancora più perché ti sei totalmente dedicato alle missioni, che é quanto dire: hai abbandonato tutto per consacrarti tutto al guadagno delle anime. Coraggio adunque, o mio caro Paseri. Preparati ad essere un buon prete un santo Salesiano. Io pregherò molto per te, ma tu non dimenticare questo tuo amico dell'anima. La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e ci renda forti nelle tentazioni e ci assicuri la via del cielo. Prega per me che ti sarò sempre nei Sacri Cuori di G. e di M. Torino, 31 - 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco. Carissimo Peretto,
Non dubito che tu sarai sempre il ch. Peretto, quell'amico di Don Bosco che volevi aiutarmi a guadagnare molte anime al Signore. Ora ti sei gettato nell'impresa. Dunque praebe te ipsum exemplum bonorum operum. In omnibus labora, opus fac evangelistae, et Dominus dabit incrementum plantationibus tuis. Dio ti benedica, o sempre caro mio Peretto, Dio ti conservi nella sua santa grazia e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Torino, 31 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
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Con il coadiutore Sappa, ortolano, scherza sul cognome (sápé e sapa in piemontese vogliono dire “zappare ” e “ zappa ”) traendone un suggerimento buono per lui, che pativa un po' di nevrastenia.
Carissimo Sappa,
Procura, o mio caro, di derivare il tuo nome da sapere e non da zappare e le cose cammineranno bene. Ho avuto più volte tue notizie. Fa' che siano sempre buone come nel passato. Lavoro ed obbedienza saranno la tua fortuna. Dio ti aiuti a dar sempre buono esempio; prega Dio per me ed io pregherò anche per te, perché ti voglio essere per sempre in Gesù Cristo Torino, 31-1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Al coadiutore Carlo Audisio, gran lavoratore e venuto su dall'antico oratorio festivo, ripete antiche raccomandazioni.
Carissimo Audisio Carlo,
L'antico amico dell'anima tua ti manda un saluto, e ti raccomanda di non mai dimenticare la eterna salvezza dell'anima. Lavora, ma lavora pel Cielo. Esattezza nelle pratiche di pietà, ecco tutto. L'ubbidienza poi é la chiave di tutte le virtù Dio ti benedica, o caro Audisio, Dio ti conservi sempre nella sua santa grazia, e prega per me che ti sarò sempre in G. C. Torino, 31 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco
Affettuosa e paterna é quest'altra al chierico Bartolomeo Panaro, che si trovava nel collegio di San Nicolàs de los Arroyos. Diventò un grande missionario. Dal 1884, quando ricevette l'ordinazione sacerdotale, fino al 1918, anno della sua morte, visse vita di apostolato, collaboratore strenuo prima di Don Fagnano nell'evangelizzazione dei numerosi selvaggi che popolavano le sponde del Rio Negro, e poi di Don Milanesio nel creare a Chosmalal il primo centro civile delle Ande patagoniche.
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O mio caro Panaro, che fai? Vai avanti nello studio e nella pietà? Io lo spero e perciò ti raccomando di continuare a costo di qualunque sacrifizio. Ma non dimenticare il premio grande che Dio tiene già per noi preparato in cielo. Ubbidienza e l'esercizio della Buona Morte costantemente. Ecco tutto. Dio ti benedica, o sempre caro mio Panaro, sii il modello dei Salesiani e prega per me che ti sarò in G. C. Torino, 31 - 81 Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Com'é graziosa quest'ultima letterina al chierico Pietro Calcagno! Stava nel collegio di Villa Colón a Montevideo. Guidò poi l'ultima spedizione fatta da Don Bosco il 6 dicembre 1887 e diretta all'Equatore.
Carissimo Calcagno,
Sei sempre buono, o mio caro Calcagno?, Io spero di sì. Ma non volgere indietro lo sguardo. Miriamo il cielo che ci attende. Là abbiamo un gran premio preparato. Lavora, guadagna anime e salvami la tua. Sobrietà ed obbedienza per te sono tutto. Scrivimi sovente. Dio ti benedica e ti conservi sempre nella sua santa grazia e prega per chi ti sarà sempre in G. C. Torino, 31 - 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
A proposito di queste lettere Don Vespignani scrive in una sua memoria dattilografata: “ Sul principio di questo anno [1881] giunse un prezioso regalo a ciascuno dei Salesiani d'America, e fu una lettera autografa di Don Bosco, il quale a ognuno diceva una parola d'incoraggiamento e di consiglio, che fu per tutti un grande stimolo alla perseveranza, molto più che per gli esercizi e per i passati successi poteva quella chiamarsi l'epoca del risorgimento dello spirito salesiano nella nostra Ispettoria, e quindi il cuore riceveva bene l'impressione della grazia e gli avvisi del cielo ”. Quelle lettere giunsero in carnevale. Don Costamagna informa che i destinatari “ le leggevano e rileggevano anche nel teatrino, non
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curandosi delle ridicole scene che si rappresentavano (I). Agli uruguaiani le consegnò Don Piccono, il quale fa sapere che anche là i preziosi autografi apportarono grande contentezza e venivano baciati con le lacrime agli occhi (2). Poco avanti che i nuovi rinforzi arrivassero a Montevideo, monsignor Vera aveva voluto ad ogni costo che i Salesiani accettassero la parrocchia di Paysandú, antica città adagiata sulla sponda sinistra del gran fiume Uruguay, con venticinque mila abitanti e una chiesa sola. La corruzione e l'immoralità vi traboccavano. Per contentare il Vescovo bisognò che coloro, i quali avrebbero dovuto alleggerire le fatiche ai confratelli dell'Uruguay, sostituissero quelli destinati a Paysandú. Non basta: ad aggravare le disagiate condizioni sopravvenne la malattia del direttore Don Lasagna. Travagliato da dolori interni, egli sul finire di marzo dovette arrendersi agli ordini dei medici, che gli prescrissero una dolorosa e difficilissima operazione, consigliandogli di recarsi per questo in Italia. Partì il 10 maggio. Della sua venuta Don Bosco ragguaglia la contessa Callori in una lettera del 21 luglio.
Nostra buona Mamma in G. C.,
Non ho più saputo notizie di sua sanità, nemmeno se sia a Vignale o altrove. Se avesse la bontà di farmi dare notizie da qualcuno, se Ella non potesse, mi farebbe veramente piacere, tanto più che so avere alquanto sofferto nel suo viaggio da Torino a Vignale. Io non so darmi ragione. Spesso ad una sola e breve preghiera Dio concede grazie non ordinarie. Per lei si é pregato e si continua a pregare mattino e sera dai nostri 80.000 ragazzi e finora non so che cosa siasi ottenuto. Povero Don Bosco! Ha perduto tutto il suo credito presso al Signore. E’ giunto Don Lasagna dall'Uruguay per rinforzarsi alquanto la. sanità, e fornirsi di cooperatori per ritornare poi al suo campo evangelico dove la messe é moltissima e gli operai pochissimi. Egli ha tosto fatto domanda di Lei e della sua famiglia e desidera di andarle a fare una visita da Montemagno ove si recherà alla metà di questa settimana.
(I) Lettera a Don Bosco, Buenos Aires 6 marzo 1881. (2) Lettera a Don Bosco, Villa Colón 7 marzo 1881.
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Spero che tutta la sua famiglia goda buona salute e che Ella pure andrà migliorando ed io prego Dio che la dia perfetta a tutti e tutti li conservi nella sua santa grazia. La ringrazio della generosa carità fattami per mano di Don Cagliero. Spero che almeno questo centuplo non le mancherà. Lo stesso Don Cagliero mi partecipò come la S. V. non avrebbe dimenticata la Chiesa del Sacro Cuore di Roma. E’ disposta ad accettare la carica di collettrice a nome del Santo Padre? Giudica che io possa offrire tale carica al Sig. Conte Rainero come cameriere di spada e cappa? Se mi dice una parola in proposito mi farà un favore. Dio la benedica e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C. Torino, 24 luglio 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Don Lasagna non fu in grado di sottoporsi all'operazione se non verso l'ottobre. Allora entrò nell'Ospedale Mauriziano, dove ebbe la gradita sorpresa di ravvisare fra i dottori operanti un suo affezionato ex - allievo di Lanzo. Questo lo rincorò alquanto, non però fino al punto da rassicurarlo interamente. Don Bosco, saputo de' suoi timori, gli fece dire con sicurezza che doveva tornare presto in America, dove lo attendeva un'altra importantissima missione. Infatti l'atto operatorio ebbe esito felicissimo; Don Bosco ne parla in due lettere dell'ottobre a Don Costamagna.
Mio caro D. Costamagna,
Poche parole per fare a te ed ai nostri cari figli Salesiani e Salesiane un cordialissimo saluto nel Signore. Don Lasagna va acquistando di forze ma si trova sempre lontano dall'antica robustezza. Tuttavia il suo desiderio di essere utile alla Congregazione lo spinge a fare ritorno al campo dell'azione. Egli é veramente buono. Parla bene di tutti principalmente di te e questo mi fa piacere. Don Cagliero ti ha scritto, per averne il tuo sentimento, sulle modificazioni che paiono convenienti nella Ispettoria Americana, specialmente ora che apriamo case nel Brasile. In ogni cosa però desidero seguire il tuo parere. La cosa che preme e che con qualche impazienza attende il Santo Padre, é la pratica della Prefettura, o Vicariato Apostolico nella Patagonia. Io debbo fare al medesimo una risposta formale sul parere
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del Governo e dell'Arcivescovo. Si é già fatto qualche cosa o che tutto dorme? Dammi dunque un ragguaglio positivo da presentare al Santo Padre, che desidera occuparsene egli stesso personalmente. Non so darmi ragione di Don Tomatis. Egli ha obbligo di scrivere e fare scrivere al Superiore intorno al personale del suo collegio. Dimmi lo stato morale, materiale e speranze o timori delle cose nostre. Senza di questo non possiamo camminare se non fra le incertezze. Pure io ne so più niente. Dio ci benedica tutti e de' Salesiani faccia altrettanti santi, e di te un santone. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C. S. Benigno, I ottobre 1881. Aff.mo amico Sac. GIO. BOSCO
Nota. Don Bonetti e Don Bertello predicano gli esercizi a cento settanta novizi che si preparano a fare i voti pel giorno 3 del corrente. Quanti missionari!
Mio caro D. Costamagna,
Ti mando qui una impresa a compiersi. Tu potrai servirti di qualcuno. Me ne manderai il risultato che comunicherò alla persona che fa anche un po' di bene ai nostri figli in America. Giovedì ultimo fecero una delle più serie operazioni al caro nostro Don Lasagna. Per due giorni fece temere assai. Ora é meglio ed i medici ce lo dànno fuori di pericolo. Gli altri confratelli d'Europa, grazie a Dio, sono in buona salute. Fa' un cordialissimo saluto a tutti i nostri figli di America e loro allievi, e pregate molto per me, perché ho gravi e difficili affari tra mano che richiedono lumi speciali dal cielo. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Amen. Torino, 10 ottobre 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Mentre aspettava l'atto chirurgico, l'operoso uomo non era stato con le mani alla cintola, ma si era dato d'attorno per cercare aiutanti e mezzi e in pari tempo aveva studiato il modo di attuare un suo disegno. Vagheggiava da lunga pezza l'idea di stabilire un Osservatorio meteorologico nel collegio Pio di Villa Colón. Dotato di larghe vedute, comprendeva quanto vantaggio sarebbe derivato laggiù alla sua missione dal favorire in quel modo il progresso delle scienze fisiche.
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Il collegio Pio occupava un'ottima posizione per erigervi una specola, donde esplorare i fenomeni atmosferici per comunicare poi i risultati alle Società d'America e d'Europa, che promovevano l'incremento della meteorologia. C'era in Italia, anzi a pochi passi da Torino un uomo di fama mondiale in questo ramo scientifico, il padre Francesco Denza, barnabita, Direttore dell'Osservatorio del collegio Carlo Alberto in Moncalieri. Don Lasagna andò da lui e come suol avvenire negli scambi d'idee fra persone di gran levatura, in quei colloqui il suo disegno prese assai più vaste proporzioni, Si trattò infatti di stabilire una rete meteorologica nell'America del Sud con il centro nell'Osservatorio di Montevideo e di affidarne la cura ai Salesiani. Il padre Denza fece parola del progetto nel terzo Congresso Geografico, tenutosi di lì a poco in Venezia, ottenendo che vi si formulasse un voto nel senso desiderato. Avuto questo primo successo, conferì della cosa con Don Bosco, il quale, com'ei già si aspettava, condiscese di buon grado. Allora compilò una relazione in nome del terzo gruppo, che nel Congresso aveva discusso i problemi inerenti alla meteorologia (I), e la trasmise al Comitato direttivo dell'Associazione meteorologica. Questo Comitato, appresa “ la generosa esibizione ” fatta da Don Bosco, glie ne attestò “la sua più sentita e riconoscente soddisfazione ”, esprimendogli insieme “i più sinceri rallegramenti per la iniziativa di un'opera coraggiosa in apparenza difficile non poco, ma pure cotanto vantaggiosa per la fisica del globo ” (2). Tale fu l'origine dell'Osservatorio meteorologico di Montevideo, del quale ci accadrà ancora di parlare nel seguito della nostra storia. Nel mese di giugno Don Lasagna aveva avuto il dolore di apprendere la morte fulminea di monsignor Vera, suo grande amico e buon padre dei Salesiani in quella
(I) Appendice, Doc. 3. (2) Lettera della Direzione Generale a Don Bosco, Torino 30 novembre 1881.
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repubblica (I), poi, poco prima di ripartire per l'America, ricevette la lieta novella, che Leone XIII aveva dato al defunto Presule un degno successore nella persona di monsignor Innocenzo Yeregui, amicissimo dei Salesiani, come altrove si é narrato. Perciò con maggior alacrità attese a ultimare i preparativi per la partenza. Non é possibile precisare se prima o dopo l'operazione, Don Lasagna, accompagnando il Servo di Dio nella Liguria, fu testimonio di un atto, quale solamente i Santi sono capaci di compiere. Monsignor Boraggíni, Vescovo di Savona, aveva avuto un urto col Direttore di Varazze Don Monateri, perché questi non aveva creduto bene di mandare, come Sua Eccellenza desiderava, un prete del collegio a una chiesa di montagna dietro la città, per non sappiamo che abituale servizio religioso, c'era anche di mezzo qualche controversia per diritti parrocchiali. Don Monateri però aveva ragione. Ora Don Bosco, andato con Don Lasagna a visitare il Vescovo, appena gli fu dinanzi, s'inginocchiò per terra con ambe le ginocchia e a mani giunte e in tono supplichevole gli disse: - Monsignore, le domando perdono dei dispiaceri che le ha dati Don. Monateri, Direttore del collegio di Varazze. - Ma si alzi, Don Bosco, che cosa fa? che cosa fa? fece prontamente il Vescovo. - Io non mi alzo, se prima non mi dice che lei lo perdona. - Sì, sì, perdono, perdono! Ma lei si alzi. Allora Don Bosco si alzò, e tutt'e due si abbracciarono (2). Il mese di ottobre apportava frattanto a Don Bosco una ineffabile consolazione. Un pellegrinaggio argentino, guidato da monsignor Antonio Espinosa, Vicario Generale di Buenos
(I) Monsignor Giacinto Vera, nato a S. Caterina, diocesi di S. Sebastiano di Rio de Janeiro, il 3 luglio 1813, preconizzato vescovo di Megara e nominato Vicario Apostolico di Montevideo da Pio IX il 23 settembre 1864, quando il vicariato divenne diocesi residenziale, vi fu trasferito da Leone XIII il 15 luglio 1878. Morì di apoplessia, mentre faceva la visita pastorale in Pan de Azúcar. (2) Proc., dioc., Summ. Num. XVI, 98, pag. 756.
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Aires, era venuto in Italia per rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo. Orbene il Santo Padre nel discorso pubblicamente a loro rivolto, dopo aver data lode allo zelo dei Vescovi argentini e del loro clero, proferì queste espressioni: “Né lasciano di spiegare la più viva sollecitudine per condurre a vita cristiana e civile le tribù ancora selvagge della Patagonia, in mezzo alle quali, mercé il concorso di religiosi zelanti, si stabiliscono a tal uopo nuove Missioni ” (I). E nel colloquio che segui, avendo monsignor Espinosa riferito al Papa quello che i Salesiani facevano nella Repubblica e specialmente nella Patagonia, Sua Santità gli disse: “ Quando abbiamo inteso che gli alunni di Don Bosco assumevano la Missione della Patagonia, il nostro cuore si aperse alla più lieta speranza sull'avvenire di quei poveri selvaggi ” (2). Queste solenni testimonianze procurarono un momento di vera gioia al cuore del nostro buon Padre. Nelle Missioni patagoniche si facevano reali progressi. Il loro capo Don Giuseppe Fagnano, uomo intraprendente e intrepido, vi spingeva innanzi a tutto potere l'evengelizzazione degli Indi. Era però molto difficile raggiungerli, perché aborrivano i bianchi e al loro avvicinarsi o fuggivano o brandivano le armi. Nel mese di aprile il Governo argentino, che temeva sempre la preponderanza del Chilì sulla Patagonia, aveva mandato il generale Villegas con duemila soldati contro le guerriere tribù dei Sayueques, le quali con le loro scorrerie e saccheggi seminavano il terrore nelle contrade all'intorno. Don Fagnano, montato anche lui a cavallo, prese parte alla spedizione, scorrendo in lungo e in largo quelle sconfinate pianure per rintracciare gli Indi pacifici e spauriti, rassicurarli, farsene protettore, istruirli e battezzarli. Fu tutta una storia di faticosissime e strane avventure, che ebbero per teatro le adiacenze del lago Nahuél - Huapì, da cui nasce il fiume Limay, principale affluente del Rio Negro.
(I) Civiltà Cattolica, fasc. 753 (5 novembre 1881), pag. 358. (2) Boll. Sal., novembre 1881, pag. 9.
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Un'altra missione intraprese fra l'ottobre e il novembre , raggiungendo due tribù di Indi, che si erano piantati a quattrocento chilometri da Patagónes. Vi ottenne qualche frutto; ma purtroppo la vicinanza di un accampamento militare costituiva un grave intoppo, fra l'altro, per causa dei liquori e delle conseguenti ubbriachezze e relativi disordini. Nel percorrere le rive del Rio Negro incontrò parecchie famiglie di coloni cristiani, ai quali fece un po' di bene. “ Ah, caro Don Bosco, scriveva il 10 novembre, se fossimo in più, quanto bene si potrebbe fare! ” Ma torniamo a Don Lasagna. Durante il suo soggiorno in Italia Don Bosco si era venuto formando un giusto concetto delle condizioni e dei bisogni delle case aperte nell'Uruguay; aveva potuto anche vedere da vicino la virtù, la prudenza e il tatto di quel suo carissimo figlio. Parendogli pertanto opportuno creare nell'Uruguay una provincia a sé, ne nominò lui Ispettore, tanto più che l'anno seguente bisognava fondare una casa nel Brasile ed egli possedeva tutte le qualità necessarie per introdurre ed estendere l'opera salesiana in quell'immenso impero. Né lo rimandò solo, ma gli diede un drappello di compagni, da ripartirsi fra l'Uruguay e l'Argentina. Il Beato non volle spedirli alla chetichella, quasi l'avessero impaurito le ringhiose minacce dell'altra volta. A taluno poté anche parere che fosse troppo presto per rinnovare la solennità dell'addio; ma il fatto dimostrò vano ogni timore. Il 10 dicembre fu il giorno della cerimonia: una giornataccia di vento, di freddo e di neve; eppure la chiesa si riempì. Dopo la lettura dell'Enciclica Sancta Dei civitas, da noi citata sul principio di questo capo, disse brevi parole Don Bosco per informare i Cooperatori e le Cooperatrici sui progressi fatti dalla Congregazione nel volgente anno, sui frutti conseguiti nelle Missioni e sullo stato dei lavori per le chiese di San Giovanni Evangelista in Torino e del Sacro Cuore in Roma; cedette quindi il posto a Don Lasagna, che intrattenne da pari suo l'uditorio sulla vita dei Missionari Salesiani.
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I partenti erano otto, ma due aspettavano i compagni a Marsiglia, dove tutti si dovevano imbarcare. Don Bosco per animarli al viaggio e per dare a Don Lasagna ancora un segno del suo paterno affetto, volle che Don Lemoyne, già Direttore di lui, li accompagnasse fino a Marsiglia. Di là sul France dei Trasporti Marittimi salparono il 15 gennaio. La traversata passò senza incidenti. A Villa Colón Don Lasagna trovò i Confratelli adunati per gli esercizi spirituali, essendo quello il tempo delle vacanze estive. Predicò egli stesso con l'ardore, la pietà e il verace spirito salesiano novellamente attinto al gran cuore di Don Bosco. Prima che finisse l'anno, il Servo di Dio ricevette con giubilo la visita di monsignor Espinosa. Giunse egli con due compagni la vigilia di Natale. Don Bosco, felice di conoscere personalmente l'amico sincero de' suoi figli argentini, nulla risparmiò perché il suo soggiorno a Torino trascorresse lieto. Gli ospiti fecero anche una gita a San Benigno, accolti con una bella accademia. Il 4 gennaio si rimisero in viaggio per la Francia. Monsignor Espinosa era latore di due lettere del suo Arcivescovo per Don Bosco, una in spagnuolo e l'altra in italiano, datate da Buenos Aires il 24 agosto. L'illustre Prelato scriveva nella prima: “Dica a' suoi giovani, dei quali alcuni io conosco forse ancora, che si ricordino di me nelle loro orazioni e specialmente nell'allegria che proveranno all'arrivo de' miei pellegrini. A' suoi Reverendi Sacerdoti raccomandi che preghino molto per i loro fratelli di qui, i quali vanno aumentando di numero e fanno molto bene. Nel Congresso Nazionale trattasi di autorizzare il Governo ad accordarsi col Santo Padre intorno alla divisione dei Vescovadi. Questa sarà occasione propizia per istituire un Vicariato Apostolico nella Patagonia da affidarsi alla cura de' suoi zelanti Missionari. Desidero ardentemente che questo si possa conseguire, ma non sono senza timore. Le orazioni de' suoi buoni figliuoli possono ottenere questa grazia, che sarà pure feconda
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di molti benefizi temporali. Continuerò a dare a V. R. notizie intorno a questo affare. I suoi Missionari, come anche le Suore di Maria Ausiliatrice, che sono presentemente qui, mi sono di grande aiuto e conforto. Ne rendo perciò lode al Signore, ed a V. R. ringraziamento e felicitazioni. ” Nell'altra lettera aggiungeva: “ Ai tre preti che vi erano alla Patagonia, ne hanno aggiunto in questi giorni un altro per il grande e profittevole lavoro, che hanno in quelle lontane regioni. Sempre ricordo con piacere i giorni trascorsi nella sua dolce compagnia nel 1877. ” Una terza lettera, trasmessa da Don Costamagna e arrivata a Torino per Natale, era di monsignor Yeregui, che prima ancora di prendere possesso della sua diocesi di Montevideo aveva sentito il bisogno di manifestare i sensi dell'animo suo al Superiore dei Salesiani in America. “Vostra Riverenza sappia, gli diceva (I), che i Salesiani occuperanno sempre nel mio cuore un posto distinto, e che per loro io farò quanto sarà in mio potere, affinché cresca sempre il numero di così buoni operai ed il frutto delle loro imprese. Desidero che V. S. mi usi tutta la confidenza e mi manifesti quanto di bene posso io fare per loro; poiché in tutto ciò che da me dipende, essi possono contare sopra di me, come sopra di un buon amico. Involontaria dimenticanza fu la cagione, per cui non l'ho ringraziata di avermi nominato Cooperatore Salesiano, il che ora intendo di fare col professarmele sommamente grato. ” Testimonianze così calde e sincere venivano a dare particolar risalto alle parole dette dal Papa. Con queste care consolazioni si chiudeva per Don Bosco il travagliato 1881. La divina Provvidenza gli temperava con qualche stilla di dolcezza l'amaro calice, che gli era pur forza tracannare.
(I) Lettera a Don Costamagna, Montevideo 29 novembre 1881.
CAPO II Un mese e mezzo in Francia.
IL BEATO Don Bosco era desideratissimo a Marsiglia, non solo per i trambusti dell'anno precedente, ma anche per le nuove costruzioni che importavano debiti sempre maggiori e richiedevano disposizioni per il prossimo avvenire. Più volte al suo buon volere di recarvisi avevano posto ostacolo le circostanze; ma finalmente con gli auguri natalizi poté annunziare il suo viaggio per i primi di febbraio. Non si viveva del tutto sicuri da qualche brutta sorpresa per parte delle autorità governative, poiché nei giornali massonici la campagna contro i religiosi non era definitivamente chiusa; tuttavia gli amici mettevano il cuore in pace, dicendo: Dom Bosco va arriver et lui [à l'oratoire] apportera la puissante intervention de sa sainteté (I). Partito da Genova per terra il giorno avanti che i Missionari pigliassero il mare e riposatosi un po' a Nizza, giunse a Marsiglia la sera del 5 febbraio. Gli era compagno Don Celestino Durando, Consigliere Scolastico generale, ch'ei conduceva seco, perché osservasse e regolasse nelle case l'andamento degli studi. Si prese pure da San Benigno un chierico, Giulio Reimbeau, parente degli Harmel, che gli doveva fare da segretario.
(I) Procés verbaux du Comité de Dames, 27 gennaio 1881.
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Quella sera stessa volle compiere un'opera di carità. Abbiamo già fatto menzione del celebre padre Pio Mortara, canonico lateranense (I). I decreti di ostracismo contro gli Ordini religiosi, mandati ad effetto il 31 ottobre 1880, l'avevano colto a Marsiglia gravemente ammalato nel collegio Saint - Louis presso i Fatebenefratelli, sicché non sapeva dove rifugiarsi, potendo la sua presenza compromettere quei frati ospitalieri. La Provvidenza mosse allora la religiosissima signora Marcoselles, da lui già conosciuta a Roma nel 1869, a offrirgli generosa ospitalità nella propria dimora in Rue de Rome. Là il male si aggravò tanto che egli fu forzato a non lasciare più il letto. Ragioni di prudenza consigliavano di occultare il suo rifugio, potendogli in quei giorni nefasti toccare qualche molestia, anche perché, come si disse altrove, era stato dichiarato in Italia renitente alla leva. Per questo il Direttore Don Bologna si recava di nascosto a visitarlo e in casa nessun altro sapeva che egli fosse da quelle parti. Ora Don Bosco, informato del desiderio che l'infermo aveva di vederlo, pensò di appagarlo senza indugio. Il recarvisi così a tarda sera favoriva il segreto; e poi, se avesse rimandato, non vi sarebbe forse più potuto andare o non sarebbe giunto fino a lui senza dare nell'occhio. Ecco dunque in che modo il padre Mortara narra la visita del Beato (2): “ Dal Rev. Don Bologna, mio carissimo amico, Direttore dell'oratorio di San Leone, che mi visitava prodigandomi i soccorsi spirituali di cui io abbisognava, seppi che Don Bosco si trovava a Marsiglia. Mostrai gran brama di vederlo, sperando che egli mi otterrebbe la guarigione. Un giorno difatti, il 5 febbraio, il venerabile sacerdote si recava da me. Io implorai la sua benedizione e lo pregai d'intercedere per me presso Dio affine di ottenermi la grazia desiderata, per
(I) Vol. XIV, pag. 268. (2) Lettera a Don Lemoyne, 1898. Mancano altri dati, perché non abbiamo rinvenuto l'originale, ma soltanto la copia di questa lettera per mano dello stesso Lemoyne.
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adoperarmi per la sua gloria e convertire la mia cara madre (che purtroppo passò all'eterna vita il 17 ottobre 1896). Egli rispose esortandomi alla pazienza e rassegnazione ed a fare il sacrifizio della mia vita, se ciò a Dio piacesse. Quanto a mia madre, le mie preghiere sarebbero più efficaci nel cielo. Mi benedisse di nuovo e si congedò. Io non vidi più Don Bosco e pochi anni dopo ebbi la notizia della sua morte in odore di santità. Una fondata speranza mi sorride che l'uomo di Dio che tanto mi favorì in vita, seguiterà a benedirmi e a pregare per me nella sede di gloria che certo egli avrà conseguito. ” Alludendo a questa visita diceva in una lettera del 1884 a Don Bosco: “ Quando Ella mi onorò di una sua visita a Marsiglia in casa delle signore Marcoselles, mi disse che il Signore poteva sospendere il decreto di morte già emanato per me. Il decreto fu sospeso, Ella me lo fece ritirare, ed ora guai a me se la vita che mi resta non la impiego tutta ad edificare, difendere e dilatare il mistico regno di Dio. ” Don Bosco trovò l'oratorio di San Leone interamente trasformato e quadruplicato. Nulla in antecedenza erasi detto né scritto della sua venuta anche per evitare pubblicità pericolose; eppure due giorni dopo persone d'ogni genere ingombravano la casa in quasi tutte le ore. Si previde facilmente che egli avrebbe dovuto faticare moltissimo; onde il Direttore pregava Don Rua, che lo raccomandasse alle preghiere dei giovani, affinché non avesse a soffrire troppo per gli strapazzi inevitabili. Molti volevano avere il suo ritratto. Un benemerito signore, invitatolo a pranzo, ottenne che egli posasse con cintura e rabat alla francese; ma poiché si sapeva quanto di rado si riuscisse a riprodurne bene la fisionomia lo fotografò in cinque atteggiamenti diversi (I). Dà egli stesso qualche ragguaglio di sé in una letterina al suo segretario, rimasto all'Oratorio.
(I) Lettera di Don Bologna a Don Rua, Marsiglia 9 febbraio 1881.
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Carissimo D. Berto,
Se puoi avere copia della dispensa dei voti di Don Pirro procura di mandarmela che ne ho bisogno. Cose nostre ben avviate, molto bisogno di preghiere; dillo a Caroglio (I) e a' suoi briganti. Non ho più avuto notizie dell'Oratorio. Sanità buona, ma stanchissimo. Dio ti faccia santo come Giobbe, ed amami in Gesù Cristo. Marsiglia, li 10-2-81 Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Da una lettera a Don Bonetti con la medesima data apprendiamo che il pensiero della chiesa del Sacro Cuore lo accompagnava nel suo viaggio; gli manda infatti la minuta di tre circolari, delle quali diremo più innanzi, da spedirsi ai giornalisti, ai Vescovi e ai collettori delle offerte.
Car.mo D. Bonetti,
Non so se abbi ricevuto relazione della dimora e partenza dei nostri missionari da Marsiglia; é materia ottima pel nostro Bollettino. Vi acchiudo la lettera per i giornali ed un'altra per i Vescovi. C'é l'italiano e il francese fatto da Reimbeau. Leggi, correggi, e spedisci: procura le altre traduzioni. Sarà bene che nella dichiarazione per i signori collettori si aggiunga: Sono pregati di far pervenire a destinazione almeno ogni tre - settimane? mesi? - il danaro che loro fosse dato di raccogliere dalla carità dei fedeli. Niuna notizia né dall'Oratorio, né da altra parte del mondo. Le cose nostre procedono assai bene: molto bisogno di preghiere. Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C. Marseille, li 10 febbraio 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Il parroco Guiol si mostrò cordialissimo con Don Bosco: si sarebbe detto che nemmeno più il ricordo gli rimaneva del disgraziatissimo incidente narrato nell'altro volume. Non si deve però tacere che Don Bosco aveva avuto mano felice nello scegliere il chierico Grosso per il canto liturgico alla
(I) Don Martino Caroglio, ora a Caracas nel Venezuela e allora studente nell'Oratorio. I “ suoi briganti ” erano i suoi buoni amici del piccolo clero.
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chiesa parrocchiale. Benché molto giovane, il maestro di musica godette il favore illimitato del canonico (I). Le signore del Comitato sospiravano di averlo a presiedere una loro riunione. Con grande gioia lo accolsero nella seduta del 12. Due sole non poterono godere di quella consolazione, ma il verbale dice: “La preghiera e la benedizione di Don Bosco arriveranno certamente fino a loro, compensandole del sacrifizio. ” Per prima cosa fu letta un'accurata relazione del 1880, la somma incassata raggiungeva la cifra di ventimila franchi. Poi venne fissato il programma per la festa di San Francesco da celebrarsi il giorno 16. Da ultimo prese la parola Don Bosco, destreggiandosi con quel tal francese che piaceva tanto sulle sue labbra. Il Verbale dà un largo riassunto del suo discorso, che noi tradurremo Sono venuto per ringraziare ed anche per raccomandare i miei poveri ragazzi, ma soprattutto per ringraziare queste buone Signore della loro carità. E’ bello vedere Signore che rinunziano alla propria tranquillità per andare chiedendo di casa in casa i mezzi con cui fare il bene. Non oso nemmeno lodarvi, perché temo di offendere la vostra modestia; ma rendo grazie a Dio, del quale noi siamo gli strumenti e alla cui opera si attende. Non posso non rallegrarmi e non trovar provvidenziale quanto si é fatto in circa due anni. L'ala destra é terminata e la casa conta centocinquanta interni e sessanta esterni; ma si é purtroppo costretti a rifiutarne molti, un cinquemila dacché l'oratorio é cominciato, e questo dimostra quanto necessaria fosse l'opera. Non sono molti gli stabilimenti per ragazzi e in tutti vi sono condizioni d'ammissione che ne chiudono a tanti le porte. A San Leone invece basta che vi sia pericolo di corpo o di anima per venirvi accolto. Finita che sia l'ala sinistra, si potrà portare a trecento il numero dei giovani. Bisognerebbe allargarsi, comprando una casa, le cui finestre, aperte sui cortili, dànno fastidio. Vi si potrebbero allogare le suore
(I) Nei Procés-verbaux del Comitato femminile (5 maggio 1881), il Curato dirà, parlando di lui: “ Monseigneur l'Evéque veut bien venir ordonner diacre, dans la chapelle de St-Léon, un salésien auquel ses fonctions de Maitre de Chapelle de St-Joseph attire un intérét sympatique plus particulier encore. ” E nella seduta del 14 ottobre: “ Mr le Curé loue ( ... ) le zéle de l'abbé Grosso qui ne recule devant aucune fatigue malgré ses occupations et sa santé. ”
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di Maria Ausiliatrice che debbono venire, non lasciando altre comunicazioni con la casa se non quelle richieste dalla cura della biancheria, del bucato e della guardaroba. Sarebbe facile adattarla a quest'uso e si eviterebbero gl'inconvenienti d'ora. Ma ci vorrebbe danaro per farne l'acquisto, e la divina Provvidenza sembra volerla, avendone diminuito il prezzo domandato la prima volta: questo infatti si é venuto abbassando a poco a poco, sicché al presente la si avrebbe per quarantacinque mila franchi. La divina Provvidenza che vuole l'opera, manderà il necessario; e quando dico la divina Provvidenza, intendo dire Dio. Poiché Dio vuole la nostra opera, egli ci darà i mezzi per attuarla: chi lavora per un fine, ha diritto al mezzi, e noi siamo certi che questi verranno. Noi siamo gli strumenti della divina Provvidenza, e la divina Provvidenza e Maria Ausiliatrice quest'anno ci han protetti in modo abbastanza sensibile. Vi sarebbe pure un altro acquisto da fare, un terreno di duemila metri, la cui posizione in questa parte della città si presterebbe a stabilirvi un oratorio festivo. Io desidererei che per l'istruzione religiosa e la preservazione morale si potessero riunire colà i giovani, che durante la settimana lavorano in diversi laboratori; così non avrebbero contatti con i ragazzi che frequentano sempre l'oratorio, e vi sarebbe quello che c’è a Torino e fa grandissimo bene, radunando tre mila giovani. Vi si richiederebbe press'a poco egual somma e io domando al Comitato il concorso delle sue preghiere: non gli domando caritatevoli offerte dirette, non potendo la carità essere inesauribile, ma almeno indicazioni e raccomandazioni utili a ottenerne. Vi saranno spese da fare anche per l'arredamento della casa, per la provvista di biancheria e di quanto occorre ai bisogni dei ragazzi; ma peu pour fois, o peu à la fois, come dice il signor Curato (I). Vi é ancora un arretrato di circa dodici mila franchi per le spese domestiche, ma é cosa relativamente di poca importanza; il più é la visita fattami dagli impresari, che mi han portato il conto e domandano il pagamento di centoventi mila franchi loro dovuti per le nuove costruzioni. Queste difficoltà però e queste cifre sbalorditive non ci spaventino. Evidentemente ci vuol danaro; ma io confido nella divina Provvidenza e non dubito del suo aiuto, pur non potendo presagire in che modo essa ci si manifesterà. Vi dirò una cosa, che non ho mai detta: la nostra fiducia é ben fondata, purché noi non ci rendiamo indegni; ma questo spero che
(I) Don Bosco sapeva che il suo abituale solecismo peu pour fois, poco per volta, era simpaticamente ripetuto nel Comitato.
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non avvenga. Mantenendo la casa nella pietà e nella moralità, faremo l'opera di Dio; trascurando quelle, non faremmo più questa. Ma ciò non accadrà e noi non diverremo indegni dei soccorsi della divina Provvidenza.
Il Beato continuò dando notizie sull'origine, lo scopo e lo sviluppo dell'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni tardive e disse del particolare interessamento dimostrato dal Santo Padre a riguardo di essa. Indi proseguì:
L’anno scorso, quando andai a Roma il Sommo Pontefice, profondamente afflitto per le spoliazioni che privavano “Propaganda” de' suoi stabili, era impensierito sul come rimediarvi, trasferendo altrove i collegi missionari. La Patagonia e la Terra del Fuoco, che rappresentano un'estensione equivalente alla nostra intera Europa, non sono mai state evangelizzate: francescani, gesuiti, domenicani non vi poterono penetrare o dovettero abbandonare i tentativi; ma l'ora della misericordia é sonata per quei popoli, poiché essi accolgono la parola di Dio e questa vi opera meravigliose conquiste. Il Santo Padre ha pure deciso di stabilirvi un Vicariato e una Prefettura Apostolica; ma ciò che varrebbe di più, sarebbe di potervi mandare numerosi missionari. Appunto per moltiplicarli il Papa ha espresso il desiderio che si aprisse un seminario, dove si preparassero operai evangelici. Si sono messi gli occhi sopra Siviglia, dove stabilire un noviziato per i missionari, essendo lo spagnuolo la lingua parlata nelle regioni, in cui essi devono andare. Si cercò poi dove fondare un seminario simile in Francia; ma si trovarono difficoltà nella scelta della città, non essendo altre abbastanza centrali né offrendo i medesimi vantaggi di questa. - Io ho fiducia, disse il Santo Padre, nella città di Marsiglia, in cui vi é religione e carità. Vedete un po' se trovate persone che vogliano occuparsene, e dite loro che non voi, non me aiuteranno, ma la Chiesa. C'era da temere che i Vescovi, i quali stentano tanto ad aver preti non fossero contenti di vedere le vocazioni, già così scarse, portate via per le Missioni. Il Papa lo pensò... e Don Bosco pure; ma l'opera di Maria Ausiliatrice evita questo inconveniente. I giovani che hanno la vocazione allo stato ecclesiastico, fanno gli studi preparatori, terminati i quali, scelgono con la massima libertà fra l'entrare in un Ordine religioso o il tornare nella loro diocesi. Vi sono già a Marsiglia trentadue allievi di questa categoria; ma per prudenza si sono distribuiti in varie case, come a La Navarra e altrove. Inoltre abbiamo già speranze di vocazione per un trecento francesi, senza contare i cinquecento giovani della casa di Torino. L'opera, in apparenza e agli occhi del pubblico, é destinata ad allevare fanciulli poveri
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e a fare operai in laboratori ben attrezzati; ma il pensiero principale é di cercare in mezzo ai ragazzi il germe delle vocazioni ecclesiastiche e svilupparlo. Queste difficoltà non saranno portate nella conferenza generale, per non divulgare davanti a un'assemblea numerosa un obbiettivo, che la perversità dei tempi consiglia piuttosto di nascondere; ma esse debbono stimolare il vostro zelo, perché fanno vedere la grandezza e l'importanza del risultato da conseguire.
La fede semplice e confidente del Servo di Dio ammaliò le buone Signore, che si proffersero ognuna a farsi in quattro per radunar fondi e secondare i suoi pii disegni; quella riunione lasciò in tutte un profondo ricordo. Alla fine il parroco Guiol indusse Don Bosco a dar loro la sua benedizione, dicendogli che si stimavano fortunatissime di riceverla. Il Beato avec son inaltérable bonté la diede, ma dichiarando che era la benedizione ad esse portata per incarico avutone direttamente dal Santo Padre. La fiducia di Don Bosco nella divina Provvidenza fu ben giustificata dai fatti, poiché, come ci apprende il Verbale del 3 marzo, generosi soccorsi permisero di scemare notevolmente il debito più grosso, dando mi primo acconto di ventimila franchi, tosto seguito da un secondo e dopo due mesi da un terzo eguali al primo. Era dunque ridotto della metà. Ma il Comitato desiderava di liberare Don Bosco da quello spettro degl'impresari, che si supponeva dovergli turbare i sonni; onde ideò una sottoscrizione straordinaria presso i capi di stabilimenti industriali, che impiegavano buon numero di operai piemontesi, e presso le madri di famiglia. Per la prima sottoscrizione invocò l'aiuto del Comitato di Signori, presieduto dal signor Rostand. Don Bosco era assediato da mane a sera, sicché a forza di accordare udienze aveva quasi perduto la voce, e la stanchezza minacciava di abbatterlo. La mattina del 14 dovette far dire che non poteva ricevere; ma si sa bene che in simili casi vi sono sempre i privilegiati. Una povera suora ammalata, il presidente di una certa opera, un distinto signore a
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cui si era già dato appuntamento, una donna neuropatica nascostasi in un angolo e piombatagli in camera con alte grida, furono successivamente da lui ricevuti, tenendolo occupato fino a mezzodì. Allora non ne poteva proprio più: l'oppressione al petto lo prostrava in modo compassionevole. Nel pomeriggio per evitare il medesimo sforzo si chiuse a chiave nella sua camera. Ne uscì verso sera, perché era aspettato fuori di città. Fece un'ora di carrozza che fu un'ora di patimento, e poi là dovette pur parlare, di modo che rientrò alle dieci stremato di forze e con la prospettiva che la dimane il sospeso assedio della folla si ripigliasse con maggior violenza. Certe persone erano venute e tornate per tre giorni di seguito! Oltre a questo la montagna delle lettere gli cresceva sul tavolo. Com'erasi previsto, la mattina del 15 non furono visite, fu un'invasione. Una sessantina almeno di persone chiedevano rumorosamente di vederlo. Si aveva un bel dire che egli non stava bene e non poteva ricevere: nessuno si voleva muovere. Stanchi di aspettare e colto il momento in cui venne a mancare la sorveglianza, i più audaci montarono in massa al primo piano e picchiarono alla porta. Egli, che nuovamente vi si era chiuso a chiave, non sospettando chi poteva essere, aprì. Non l'avesse mai fatto! Irruppero tutti nella stanza, sicché l'assalito, vista la mala parata, dato di piglio alla penna e al quaderno su cui scriveva, si rifugiò nell'attigua camera di Don Durando; ma quelli lo inseguirono. Giunsero alla fine in suo aiuto il Direttore e altri della casa, i quali con infiniti stenti poterono bel bello far sgombrare l'appartamento. Debole, sofferente, afono non vide altro scampo che riparare presso il curato di San Giuseppe. Ivi riposò fino alle cinque di sera, ripigliando un po' di vigore per le due laboriose giornate che lo attendevano. La festa di San Francesco era stata rimandata al 16 febbraio, affinché egli vi si potesse trovare. Monsignor Vescovo, con la positiva intenzione di dare una pubblica prova di
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benevolenza verso l'oratorio (I), volle celebrare la Messa della comunità, pronunciando un breve elogio del Santo Patrono e distribuendo la Comunione anche a numeroso stuolo di signori e di signore della città. Il panegirico fu detto dall'abate Guérín, predicatore di cartello. In casa, gran movimento e grande allegria fino a tarda notte; Don Bosco non ebbe requie. Il 17 fu la giornata dei Cooperatori e delle Cooperatrici. Marsiglia ne contava novecento inscritti. Ne vennero pure da paesi vicini e alcuni fin da Tolone. Monsignor Forcade, Arcivescovo di Aix, presedette all'adunanza. L'abate Mendre lesse una relazione sulle condizioni dell'istituto; poi parlò Don Bosco. Il suo dire semplice e soave in certi momenti intenerì fino alle lacrime. Scrive l'abate Mendre: “ Don Bosco si esprime abbastanza stentatamente in francese; ma anche in questa parte la divina Provvidenza, di cui egli pronunzia così spesso il nome adorabile con un'unzione che va diritto al cuore di chi lo ascolta, la divina Provvidenza, dico, gli viene mirabilmente in aiuto. L'uditorio, cosa rara in Francia, dimentica quel sorriso che sembra fiorire spontaneo sulle labbra dinanzi a una scorrezione; ognuno sta ad ascoltare, soggiogato dall'incanto di quella parola, che ha evidentemente dal cielo tanta efficacia ” In ultimo l'Arcivescovo di Aix, accogliendo cortesemente l'invito di Don Bosco, si degnò porre termine al trattenimento
(I) Verb. cit., seduta del 12 febbraio. (2) Così scrive il Mendre in una pubblicazione di cui tosto diremo. Don Bosco aveva scritto quello che intendeva di dire. L'abbozzo del suo discorso é negli autografi posseduti dai nostri archivi, e porta il numero 313. Quaderno di 14 facciate, di cui solo 9 scritte per intero. Le prime tre facciate, più quattro righe incomplete della quarta sono di carattere del Beato; nel resto un'altra mano ha scritto sotto dettato o ha copiato da una minuta diversa di Don Bosco stesso. Questa seconda ipotesi sembra la preferibile; infatti la pagina nove comincia con un quae purgat peccata che non ha alcun nesso con ciò che precede, ma il nesso vi fu poi aggiunto da Don Bosco a pié di pagína otto. Il medesimo Don Bosco, rileggendo tutto intero lo scritto, fece non poche modificazioni nel contesto e numerose aggiunte marginali Riproduciamo in Appendice (Doc. 4), il documento, lasciandovi le imperfezioni di forma e solo mettendo gli accenti.
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con una breve e paterna allocuzione, il cui punto più saliente fu quando disse: “ Le opere salesiane, le cui pacifiche conquiste hanno superato quelle di Alessandro, di Cesare e di Napoleone, provano a esuberanza questa verità, che la Chiesa sola é madre dei poveri e dei piccoli. La dolce figura di Don Bosco non ha nulla del profilo d'un conquistatore; i suoi battaglioni di preti non sono davvero terribili come gli eserciti di quei grandi capitani; ma con Don Bosco c'é Dio, e questo spiega il segreto della buona riuscita. ” Soltanto alla porta della cappella caddero nel vassoio tenuto da Don Bosco duemila franchi; ma altre elemosine gli si fecero scorrere nelle mani dopo. Anima di tutto era stato il canonico Guiol, al quale la domenica seguente Don Bosco manifestò in pubblico la propria gratitudine. Pregato di presiedere nella parrocchia a un pio esercizio della terza domenica d'ogni mese in onore della Santissima Trinità, obbedì e, venuto il momento di parlare, esordì a questo modo: - Se mi fosse lecito rifiutare qualche cosa a un re, la riconoscenza mi vieterebbe di rifiutarla al signor curato di San Giuseppe. - La vasta chiesa presentava quella sera un aspetto imponente: aveva il magnifico uditorio che soleva affollarvisi per ascoltare i grandi oratori succedutisi sul pulpito di San Giuseppe. Don Bosco parlò della manna, simbolica figura dell'Eucarestia, e dei nostri doveri verso di essa. Anche per questo sermone l'abate Mendre nota: “L'uditorio non badava all'elocuzione, ma riceveva piamente la parola di Dio. Anzi certe scorrezioni sembravano dare a quella predica, tutta apostolica, un fascino di più. Auguro il medesimo successo a quanti avranno l'onore di salire i gradini del sacro pergamo. ” La relazione letta dall'abate Mendre nell'adunanza dei Cooperatori fu data alle stampe formando con altri suoi scritti sull'oratorio di Marsiglia un'interessante monografia (I),
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che si divide in tre parti. Va innanzi una succinta descrizione della festa di San Francesco; poi viene l'ampio e accurato resoconto, preceduto e seguito da notizie sull'assemblea. Il Mendre, descritta minutamente l'ammirevole attività dei due comitati, continua: “ Mentre questi lavorano fuori, che cosa si fa dentro l'oratorio?... Varchiamo la soglia di questa casa benedetta e salutiamo da prima con particolarissimo rispetto colui che é in mezzo a noi l'inviato diretto, il rappresentante di Don Bosco. Egli ci é venuto qui, operaio della prima ora, modesto e indefesso, pronto a tutti i sacrifizi richiesti dagli sviluppi inattesi e rapidi della nostra opera, sempre all'altezza del suo dovere e modello a tutti del perfetto oblio di sé. Osservate gli straordinari lavori eseguiti in pochi mesi e soprattutto benedite Dio. ” Delineate poi le condizioni presenti dell'Istituto e portando l'occhio nell'avvenire, il relatore fa questo riflesso: “Noi non spingeremo lo sguardo indiscreto nelle intime relazioni che passano fra la Divina Provvidenza e il nostro Venerato Padre Don Bosco. Mirabili effetti noi ne abbiamo già veduti e senza dubbio ne vedremo ancora. ” Duc in altum, su, avanti! fu la sua nobile perorazione. ” L'abate Mendre pubblicò, in terzo luogo, l'apologia dell'oratorio di San Leone da lui indirizzata al console generale Strambio, ma destinata al prefetto del dipartimento per confutare le accuse mosse all'istituto da certa stampa di Marsiglia verso la fine del 1880 (2). Il prefetto, basandosi sopra un voluminoso e calunnioso rapporto, aveva fatto pervenire al console gravissime doglianze a carico dei Salesiani, che, se le imputazioni avessero risposto a verità, sarebbero stati meritevoli delle maggiori pene comminate dalle leggi agli stranieri resisi indegni dell'ospitalità. Lo Strambio
(I) Oratoire Saint-Leon, Féte de Saint-Francois di Sales et compte rendu de l'année 1880. Marseille, Typ. Olive. Le citazioni fatte qui sopra derivano da questa pubblicazione, che é anonima. Altre notizie sono attinte da lettere del chierico Reimbeau e di Don Bologna e dal Bollettino francese di aprile. (2) Cfr. vol. XIV, pag. 61o.
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ne diede comunicazione confidenziale agli interessati. Se prima non si era creduto nemmeno decoroso raccogliere quelle basse ingiurie, allora non si doveva più tacere, non solo per iscongiurare i possibili effetti di tante maligne voci, ma anche per un riguardo al console stesso. Egli sia per l'affezione che portava a Don Bosco fin dai banchi della scuola, sia per un legittimo sentimento d'orgoglio nazionale dinanzi ai progressi e alle promesse dell'oratorio, aveva questo oltremodo caro e lo favoriva con la miglior volontà del mondo; gli cagionava quindi serio imbarazzo di fronte alle autorità francesi quell'ammasso di denunzie contro l'opera ed era in ciò un motivo di più per mettere le cose a posto. Se ne assunse dunque il compito l'abate Mendre., disimpegnandolo maestrevolmente. Don Bosco ne aveva letto il manoscritto in novembre, come ne fa fede la seguente lettera, comunicataci dopo la pubblicazione del volume quattordicesimo.
Mio caro Sig. D. Mendre,
Ella non poteva meglio interpretare i miei desideri che colla esposizione che ebbe la bontà di farmi vedere. Si può anche pregare il Sig. console di darne pubblicità, se egli lo giudica a proposito. Ho commesso una mancanza. Invece di scrivere a parte alcune cose, che si possono forse aggiungere, io le ho scritte in margine allo stesso foglio. Ne faccia però il calcolo che le pare meglio. Forse potrebbe anche notarsi che nelle case d'Italia, specialmente di Torino, erano spessissimamente indirizzati giovani poveri ed abbandonati francesi, e che per impedire viaggi, spese, cangiamento di usi e di costumi, richiesti, siamo condotti a fondare case in Francia col fine medesimo di quelle d'Italia. Mi ha portato grande consolazione la notizia che la pace, l'armonia regna tuttora fra la parrocchia e l'ospizio St. Leon. Ho fondato motivo a sperare che questi vincoli di carità diventeranno ognor più consolidati. Se ciò é necessario in ogni tempo, lo é assai più in questo momento. Se Ella vede che di qui io possa fare qualche cosa, mel dica ed io seguirei fedelmente ogni suo consiglio. Dio la rimeriti della assistenza ed aiuto che presta alla nostra congregazione. Passato il temporale, che bell'inno di ringraziamento! Dio la benedica, o sempre caro e benemerito Sig. Ab. Mendre, Dio la conservi in buona salute. Voglia fare umili rispetti al nostro Sig.
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Curato, a Don Bologna, e di pregare per me che le sono sempre con pienezza di stima e profonda gratitudine in G. C. Torino, 25 novembre 1880. Aff.mo servo ed amico Sac. Gio. Bosco.
PS. Sarebbe pure opportuno di rilevare che noi non siamo altro che una Pia società di beneficenza in favore dei fanciulli poveri o pericolanti. Il desiderio di ritornar questa lettera a volta di corriere non permette di fame copia. Don Bologna potrà farmene rilevare una. Le tre già spedite al Sig. Console, van egualmente bene. Scriverò quanto prima al sig. nostro Curato.
Al canonico Guiol Don Bosco, durante la sua permanenza a Marsiglia, parlò tra il serio e il faceto di cosa vista in sogno poco prima di venire in Francia, forse sullo scorcio del 1880 (I). Il Guiol era persuaso che fosse necessario possedere in campagna una casa, dove mandare i giovani di San Leone durante i mesi più caldi. Il Beato ne conveniva; anzi diceva che bisognava preparare il luogo in modo da farlo servire anche per il noviziato. - Quanto alla casa, continuò, l'ho già a mia disposizione. E' uno spazioso edifizio situato in posizione amena, cinto da larga pineta, e vi si accede per magnifici viali di platani; un abbondante corso d'acqua attraversa da un capo all'altro tutto il podere. - Il parroco, che sapeva benissimo come Don Bosco possedesse un bel nulla a Marsiglia, né appigionasse altro stabile fuori del collegio, poco mancò che non temesse in lui un improvviso squilibrio mentale; quindi un po' sconcertato lo interrogò dove mai fosse quella villeggiatura. - Dove sia, non lo so, rispose Don Bosco; ma so che c'é e che si trova nelle vicinanze di Marsiglia. - Questa é curiosa! replicò il parroco. Ma come fa a sapere che la casa c'é e che é destinata per lei? - Lo so, perché l'ho sognato. - E come ha sognato?
(I) Scrivendo al Guiol nell'ottobre del 1883, Don Bosco dice: “Tre anni or sono ”.
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- Ho visto casa, alberi, podere, acqua, tutto come ho descritto, e per di più i giovani che correvano e si divertivano sotto i viali. L'abate Guiol che, quando Don Bosco parlava di sogni, non lo credeva affatto un visionario, non prese alla leggera le sue parole, ma le tenne bene a mente e stette a osservare. Non gran tempo dopo alcuni benefattori offersero una casa al desiderato scopo; ma Don Bosco la rifiutò, ringraziando e dicendo che non era quella. Intanto gli anni passavano senza che si vedesse alcun principio di avveramento. In ogni incontro i due amici riparlavano fra loro della famosa villa da cambiare in noviziato, e l'abate cominciava a riderne piacevolmente. Ma Don Bosco ne parlava pure con altri. Infatti nel settembre del 1882 ne fece motto con il chierico Cartier. Questi, recandosi da Marsiglia a San Benigno per ricevere il suddiaconato, si fermò a Nizza, dove il Beato presedeva agli esercizi spirituali dei Salesiani ed ebbe con lui una lunga conversazione, nella quale gli disse: - Noi avremo nei dintorni di Marsiglia una gran casa, in cui metteremo il noviziato e lo studentato filosofico. Tu sarai destinato colà, non però nel primo anno, essendovi bisogno di te a San Leone per la scuola; tuttavia vi andrai a dare lezioni, finché non vi stabilisca la tua residenza. A Marsiglia si credette che la casa del sogno potesse identificarsi con la villeggiatura della signora Broquier, a poca distanza da Aubagne; anzi, tratto in inganno da inesatte relazioni, inclinò a crederlo anche Don Bosco, che scrisse alla padrona, pregandola di volergliene cedere o la proprietà o l'uso. Mandò la lettera a Don Bologna, perché le desse recapito; ma siccome egli faceva della villa una descrizione conforme a quella che noi conosciamo, la signora non ci si raccapezzava, e Don Bologna s'accorse che Don Bosco era caduto in errore. Un'altra offerta gli venne nel 1883 dalla signora Pastré, ricca vedova parigina, a cui Don Bosco aveva guarita la
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figlia. Si trattava dell'uso di una sua villa presso Santa Margherita, poco lungi da Marsiglia; se non che Don Bosco per motivo di personali riguardi, senza nemmeno verificare le condizioni della casa, declinò l'offerta. Trascorsi alcuni mesi, Don Bologna gli scrisse che la signora insisteva nella sua proposta, pregando di accettare. Il Beato rispose che se vi erano i pini e i platani e il corso d'acqua, bene; se no, no. Il Direttore, andato a vedere, gli notificò che di pini ve n'erano centinaia e che c'erano i viali di platani e che l'acqua correva per il fondo. Allora fu accettata la casa di Santa Margherita in usufrutto per quindici anni ed ivi si pose il noviziato nell'autunno del 1883, sotto la denominazione di La Provvidenza. L'abate Guiol, andatovi la prima volta con Don Bosco nel 1884, osservò con istupore che tutto rispondeva esattamente a quanto il Servo di Dio gli aveva detto e ridetto d'aver visto nel sogno. Di un fatto straordinario, accaduto secondo tutte le probabilità in quest'anno, udì il Rettor Maggiore Don Albera il racconto nel 1921 ad Allevard - les - Bains da un medico, ed egli lo narrò tosto ai confratelli di Marsiglia il 7 febbraio. Un tal signor Guérin, marsigliese era affetto da tubercolosi ossea ad una gamba. La raschiatura dell'osso non aveva apportato nessun giovamento. Il male fu dichiarato incurabile. La piaga bisognava che sempre stesse aperta per dare l'uscita al pus. Da ottimo cristiano il paziente aveva un solo desiderio, di compiere in tutto e per tutto la volontà di Dio. Una sua conoscente. che abitava in via San Giacomo, lo consigliò di andare da Don Bosco, non per domandare il miracolo della guarigione, ma per avere dalle sue parole qualche po' di conforto spirituale. Andò, fu ricevuto e fece palese la sua buona disposizione di portare con pazienza la propria croce per amore di Dio. Il Beato lo incoraggiò e lo benedisse. L'infermo abitava ai viali di Meilhan. Da San Leone a casa sua era troppo lunga la strada per lui, che aveva la gamba in quello stato; pensò dunque di prendere il tram all'angolo
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delle due vie Paradis e San Giacomo. Ma poiché il tram si faceva aspettare, s'incamminò lentamente verso la Borsa, sperando di montare sul primo omnibus che andasse da quella parte, ma non ne incontrava nessuno. Dopo un'inutile attesa, infilò adagio adagio la Canebiére sempre con la medesima intenzione; ma niente neppure di là. Lo stesso gli accadde in via Noailles, sicché passo passo e quasi senz'accorgersi arrivò a casa. Per solito doveva coricarsi presto, cenando poi a letto. Quella sera, noli badando alle rimostranze de' suoi, volle sbrigare alcune faccende che lo tennero in piedi fino all'ora della cena. Finito tutto, non sentendo alcun incomodo, si mise a tavola con la famiglia e quindi andò a riposo. Ed ecco che, sciogliendo la fasciatura per rinnovarla, non vide più la piaga, scomparsa senza lasciar segno di cicatrice. Don Bosco, pur non essendone richiesto, aveva fatto il miracolo. Era stato adattato per le Suore un edifizio poco discosto dall'istituto; ma l'umidità dei muri e ragioni di opportunità volevano che fosse rimandata ancora la loro venuta. Frattanto però Don Bosco benedisse la casa, compiendo la cerimonia in forma privatissima e non invitando nemmeno le Signore del Comitato, che ne furono un po’ spiacenti; esse infatti in più riunioni si erano già occupate seriamente del modo di provvedere alla nuova comunità. Nella seduta del 3 marzo il Curato giustificò la cosa, allegando due ragioni. In primo luogo non era prudenza allora attirare l'attenzione d'ella cittadinanza sopra quell'altra famiglia religiosa; oltre a questo, Don Bosco negli ultimi giorni della sua permanenza a San Leone era inaccessibile per la ressa dei visitatori e il Curato non aveva potuto intendersi con lui sul giorno, sull'ora e sulle modalità. Queste spiegazioni dissiparono ogni malcontento. Certo, se si considerano gli avvenimenti narrati nell'altro volume la prudenza non era mai troppa; tuttavia bisogna anche dire che a Marsiglia presso i buoni le simpatie
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per l'opera crescevano sempre più; onde il Comitato di Signori opinò che essa aveva tutto da guadagnare con l'essere meglio conosciuta. Perciò durante la presenza di Don Bosco caldeggiarono la stampa della memoria compilata dall'abate Mendre, della quale abbiamo parlato sopra. Nulla più sappiamo d'importante intorno a questa dimora di Don Bosco a Marsiglia. Sembra che appartenga a quest'anno un rimprovero mossogli dalla tanto benemerita signora Prat. Aveva essa due figli sposati e una figlia, che le causavano gravi dispiaceri con la loro condotta; perciò altra volta li aveva raccomandati alle sue orazioni, affinché si convertissero. Don Bosco alla promessa di pregare aveva unito buone speranze per la grazia. Ora invece la madre, non vedendo alcun mutamento, se ne lagnò col Servo di Dio. Egli con tutta umiltà le rispose: - Sì, la colpa é mia, perché non ho pregato abbastanza. - Se non di quest'anno, é di questi anni un altro episodio che dimostra quanta importanza egli desse alla musica negli oratori festivi. A Marsiglia ricevette la visita di un religioso, che ne aveva fondato uno in una città della Francia e che gli chiedeva se approvasse la musica fra i divertimenti dei giovani. Il suo visitatore pensava che se ne potesse trarre vantaggio per l'educazione e glieli enumerava. Don Bosco, ascoltato con segni di approvazione, disse in fine: - Un oratorio senza musica é un corpo senz'anima. - L'altro però ci vedeva anche inconvenienti e non piccoli, come la dissipazione e il pericolo che i giovani vadano a cantare o a sonare nei teatri, nei caffé, nei balli, nelle dimostrazioni. Don Bosco, udito tutto senza dir parola, recisamente ripeté: - E’ meglio l'essere o il non essere? L'oratorio senza musica é un corpo senz'anima. Un prodigio segnalato accompagnò la partenza da Marsiglia; la memoria dell'avvenimento é consacrata in una relazione di colui, che ne fu testimonio oculare non solo, ma anche causa occasionale.
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La signorina Flandrin, da tempo gravemente inferma, sembrava omai agli estremi della vita. Tutti i giorni la madre andava a San Leone per ottenere che Don Bosco facesse una visita alla figlia; ma Don Bologna, non sappiamo perché, non credeva conveniente che egli vi andasse; perciò, comunicandogli la cosa, se la sbrigò in termini così freddi, che il Beato non si mosse. Venne intanto il giorno della partenza. Per sottrarlo alla vista dei tanti che l'avrebbero atteso alla stazione di Marsiglia, si stabili che, come l'anno innanzi, Don Bosco si portasse in carrozza fino a Aubagne. Anche all'ultima ora la signora Flandrin venne a rinnovare i suoi tentativi e questa volta si attaccò ai panni dell'abate Mendre, supplicandolo di mettere in mezzo tutta la sua influenza, perché Don Bosco fosse condotto dalla stia figlia. L'abate, che conosceva la signora solamente per averla veduta già tante volte nell'oratorio, non poté resistere alle sue lacrime; onde le promise che, dovendo avere la fortuna di viaggiare con Don Bosco fino a Aubagne, avrebbe fatto deviare la carrozza verso la casa dell'ammalata e l'avrebbe pregato di visitarla e di perdonare a lui la sua indiscrezione. Si partì sul far della sera. L'abate riteneva per fermo che Don Bosco non conoscesse la strada; quindi rimase interdetto, allorché lo udì improvvisamente esclamare: - Ma a me sembra che cambiamo strada! - Difatti in quel momento il cocchiere seguiva le indicazioni dategli in segreto dal Mendre, che solo era in grado di capire la modificazione dell'itinerario. Senza rispondere direttamente alla domanda, questi si limitò a osservargli: - Lei, Padre, viaggia sotto la mia responsabilità. Lasci fare a me, che giungeremo sicuramente alla nostra méta. Don Bosco tacque. Fermatasi poi la vettura alla casa dei Flandrin, egli cedette alla preghiera. La madre lo introdusse nella camera dell'inferma, mentre l'abate se ne restò nella stanza vicina.
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Da quindici giorni la giovane aveva la gola serrata in modo da non poter inghiottire cosa alcuna, ma le veniva praticata l'alimentazione artificiale; la tormentava inoltre ardentissima sete. Suo padre, impiegato civile, erasi dovuto recare all'ufficio, ma era uscito con la persuasione che al ritorno l'avrebbe trovata morta; essa infatti aveva da poco ricevuto l'Olio Santo. Il Servo di Dio, accostatosi al capezzale, le chiese: - Berrebbe un po' d'acqua? - Non può, fu pronta a rispondere la madre. - Preghiamo, disse Don Bosco. Allora tutti i presenti s'inginocchiarono e pregarono alcuni istanti; poi Don Bosco benedisse l'inferma e: - Ora beva, - le ordinò. Essa cominciò a sorseggiare liberamente e mano a mano che beveva, si sentiva infondere nuova vita, finché, allontanato il bicchiere, gridò: -Sono guarita! la entro succedette un vero parapiglia: si gridava, si piangeva, si andava di qua e di là, sembravano tutti impazziti. L'abate Mendre, che subito era accorso, s'imbatté in Don Bosco, il quale se ne veniva sorridente e tranquillo. Il Servo di Dio andò difilato alla carrozza, seguito dal compagno, che pareva intontito. La moribonda dunque si vestì da sé e uscì sul pianerottolo della scala per aspettare il padre, che fra breve sarebbe tornato. Appena distinse il rumore de' passi, gli volò incontro e gettandosegli al collo: - Son guarita, papà! gli gridò. Don Bosco mi ha guarita. - Il pover'uomo, quasi fulminato, barcollò e cadde. Fu chiamato in fretta il medico, che faticò non poco a farlo rinvenire. La figlia aveva aiutata la madre a prestargli assistenza. Intanto i due viaggiatori erano omai lontani. Risaliti in vettura, l'abate Mendre erasi contentato di stringere il braccio a Don Bosco e dirgli: - Ebbene, padre, adesso non dirà più che Don Bosco non fa miracoli! - Don Bosco rispose con semplicità e calma: - Dio sia benedetto! Dio sia bene-
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detto! - L'abate capì che sarebbe stato indiscrezione l'insistere sull'argomento; perciò fino a Aubagne non ne parlò più. La guarigione fu così piena, che il 4 marzo la signorina, avendo scritto a Don Bosco e non sapendo ov'egli fosse, mandò la lettera a Don Bologna con un suo biglietto, nel quale gli diceva: “ Ringraziamo tutti Maria Ausiliatrice della guarigione miracolosa, che io povera peccatrice non meritava. Preghi perché io sia più virtuosa e più affezionata alla sua opera. Ora bisogna celebrare una Messa di ringraziamento in onore di questa buona Madre. La prego, Signor Direttore, di fissare per la celebrazione un giorno della prossima settimana; ma non sia tanto per tempo, perché noi abitiamo lontano. Abbia la bontà di farmelo sapere un giorno o due prima, affinché io possa prendere le mie misure per fare la santa Comunione e avvisare alcune mie amiche. ” In che giorno Don Bosco partisse da Marsiglia, non ci é riuscito di appurarlo; sembra che sia stato ai 25 di febbraio, poiché la domenica 27 si trovava già a Roquefort nel castello del conte di Villeneuve dopo una discreta fermata a Aubagne. Di là scrisse in francese a Don Bologna la lettera che qui traduciamo,
Car.mo D. Bologna,
Sono partito; a Aubagne si sono fatte molte cose; ora sono a Roquefort, dove avrò un giorno di riposo. Domani a St - Cyr, se Dio vuole. 1° Intanto dirai ai nostri giovani che sono stato molto contento della loro buona volontà e della loro pietà e che spero che andranno sempre di bene in meglio. Procurino di rompere le corna al demonio con i due martelli della confessione e della santa comunione. 2° Ho lasciato i nostri confratelli preti e chierici e gli altri confratelli con soddisfazione vedendo nel loro volto un'ottima volontà di essere veramente Salesiani, cioè sale nelle parole e luce nelle azioni. Dio sia benedetto. Coraggio e perseveranza. 3° Ho trovato ancora alcuni biglietti di banca in mezzo alle carte (600 fr.) e se tu ne hai assolutamente bisogno, cerco di mandarteli, portando la somma a mille franchi. Ma se ne puoi fare a meno,
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porterò questo danaro a Don Ghivarello (I), che aspetta soldi come gli Ebrei aspettavano la manna nel deserto. Per tua norma, scrivo a Mad. Jacques, che in caso di necessità puoi farle domanda di qualche migliaio di franchi sulla somma di cinquemila, che caritatevolmente ti darà al più presto. Farai le mie scuse a Mad. Brouquier, che in tutta fretta ho dovuto lasciare per recarmi a Aubagne, dove tutti mi aspettavano in chiesa, per dire qualche cosa ai cooperatori. Tutto bene, Dio sia benedetto. 4° Metterai in buste i biglietti qui uniti e poi li farai pervenire a destinazione. Dio ci benedica e ci conservi tutti nella sua grazia e pregate per me che sarò sempre in G. C. Roquefort, 27 febbraio 1881. Vostro amico Sac. Gio. Bosco.
Con la identica data diede conto del suo viaggio al Cardinale Nina. Le importanti notizie dovevano nell'intenzione di Don Bosco servire ad avvalorare le sue rinnovate istanze per la concessione dei privilegi.
Eminenza Rev.ma,
Sono stato tre settimane a Marsiglia, dove ho potuto raccogliere i mezzi necessari per stabilire il nostro Oratorio di S. Leone. Gli allievi sono oltre a 250, di cui 100 sono dedicati allo studio e formano il nostro seminario per l'America del Sud, specialmente della Patagonia. Ora vado organizzando e pagando i debiti delle altre case; spero che qualche cosa potrò anche portare al S. Padre. A Dio piacendo sarò a Roma sul finire del marzo prossimo. Ma bisogna che il Santo Padre ci accordi quei favori che ci ha tolti (2), favori che ci sono indispensabili e di cui godono tutti gli altri Istituti definitivamente approvati dalla S. Sede. A Marsiglia sono già fatte le funzioni nella nuova chiesa dell'Istituto. Mons. Vescovo della diocesi ha fatto le funzioni della festa di S. Francesco di Sales: l'Arcivescovo d'Aix ha presieduto la conferenza dei Cooperatori, folla immensa. La questua passò i tremila franchi. St - Cyr, Toulon, Fréjus, Cannes, Nizza attendono per la stessa conferenza. Vedremo ciò che la grazia di Dio farà.
(I) Direttore a St-Cyr. (2) Cfr. più innanzi, capo XIV.
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Raccomando tutte le case nostre alla carità delle vostre sante preghiere ed alla sua protezione, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi della E. V. R.ma Roquefort, 27 febbraio 1881. Obbl.mo servitore Sac, Gio. Bosco.
Il canonico Brémond, parroco di La Loubiére nella diocesi di Tolone, ha un grazioso ricordo personale. Egli era chierichetto della chiesa di Roquefort e perciò ebbe la fortuna di servire la Messa a Don Bosco: Messa celebrata in un modo che non aveva mai visto. L'atteggiamento del celebrante all'altare lo colpì talmente, che non si saziava di contemplarlo, e quella volta durante la celebrazione dimenticò l'abitudine di giocare alle brilla con il suo compagno sul tappeto che dalla predella scendeva a coprire l'ultimo gradino. Da Roquefort andò a Tolone, dov'era ansiosamente aspettato per una conferenza. Parlò nella chiesa parrocchiale di Santa Maria, stipata d'una folla avida di ascoltarlo. In una corrispondenza da Tolone comparsa con ritardo sul quotidiano cattolico della provincia (I) si leggeva: “ Dopo il Vangelo montò in pulpito e fin dalle prime parole si guadagnò l'uditorio. Non ha statura imponente e si esprime con qualche difficoltà nella nostra lingua; ma tutta la sua persona ispira simpatia. E’ un taumaturgo e più ancora: é un apostolo della carità, è un uomo secondo il cuore di Dio, é un santo. ” Scusatosi di non parlare il francese con l'eleganza di Massillon né con l'eloquenza di Bossuet, raccontò gli umili principii e descrisse l'espansione della sua opera, dilungandosi alquanto a dire delle due vicine case di Saint - Cyr e della Navarre, molto bisognose di aiuti. “ Il discorso, nota il sullodato giornale, [fu] pronunziato con un linguaggio vivo, energico, pittoresco, e le stesse scorrezioni contribuirono a renderlo più efficace. ”
(I) La sentinelle du Midi, 5 marzo 1881.
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Finita la conferenza, Don Bosco in ferraiolo e con il piatto d'argento nelle mani fece il giro della chiesa questuando. Durante tale operazione accadde un incidente degno di rilievo. Un operaio, nell'atto che Don Bosco gli presentava il piatto, voltò la faccia dall'altra parte, alzando sgarbatamente le spalle. Don Bosco, passando oltre, gli disse con tutta amorevolezza: - Dio vi benedica. - L'operaio allora si mette la mano in tasca e depone un soldo nel piatto. Don Bosco, fissandolo in faccia, gli disse: - Dio vi ricompensi. - L'altro, rifatto il gesto, offre due soldi. E Don Bosco: - Oh mio caro, Dio vi rimeriti sempre di più. - Quell'uomo, ciò udito, cava fuori il portamonete e dona un franco. Don Bosco gli dà uno sguardo pieno di commozione e si avvia; ma, quel tale, quasi attratto da una forza magica, lo segue per la chiesa gli va appresso nella sacrestia, esce dietro di lui in città e non lascia di stargli alle spalle, finché non lo vede scomparire. Anche a Tolone Maria Ausiliatrice glorificò il suo servo. Una giovane sui diciott'anni, che abitava nelle vicinanze della città, andava soggetta a fierissime doglie di fegato. Rimedi e cure non approdavano a nulla. Fervente cooperatrice salesiana, si sarebbe voluta recare alla conferenza di Don Bosco; ma il suo stato, aggravatosi oltremodo sul principiare di marzo, la tenne inchiodata nel letto. - Potessi almeno vedere Don Bosco! diceva. Forse la sua presenza mi farebbe del bene. - Don Bosco, informato del suo desiderio, si sentì mosso ad accontentarla. Giunto presso di lei, la esortò a mettere tutta la sua confidenza in Maria Ausiliatrice, le diede la benedizione e nel venir via le disse: - Dio le doni santità... - fermandosi come chi sospende la frase cominciata. La madre, temendo in quella reticenza un annunzio di morte, scoppiò in pianto. Poi Don Bosco proseguì: - ...e sanità. - Ciò detto, uscì, rinnovando la raccomandazione che madre e figlia confidassero molto in Maria Ausiliatrice. La confidenza non fu vana. Otto giorni dopo il
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Beato faceva un'altra conferenza nella chiesa di Sant'Isidoro a Sauvebonne, parrocchia della Navarre, e fra i suoi uditori si trovava anche la giovane, perfettamente guarita (I). Tolone era sulla via per andare a Saint - Cyr e alla Navarre. Don Bosco visitò entrambe le case ivi aperte, ma della prima visita nulla sappiamo, pochissimo della seconda. Alla Navarre vide occupato ogni angolo; ma quante domande per giovani bisognosi di ricovero si dovevano continuamente respingere! La sua carità che dalla Provvidenza tutto sperava, lo indusse a intraprendere l'erezione di un edifizio che bastasse almeno per trecento. Perciò volle parlare egli stesso con l'ingegnere per suggerirgli il disegno. Fattolo quindi venire da Tolone, ne tracciò con lui le linee generali, sollecitandolo a ultimarlo. Tre mesi dopo il Direttore Don Perrot portava il disegno a Torino per sottoporlo alla sua approvazione. Don Bosco lo diede in esame all'Economo Generale Don Sala e a due distinti ingegneri della città, sulla relazione dei, quali il 26 giugno lo approvò, non senza introdurvi di propria mano alcune modificazioncelle, che furono scrupolosamente osservate. I lavori principiarono il 16 dicembre. Seguiremo ora il Beato nella Costa Azzurra. Arrivò a Nizza non dopo l'8 o il 9 marzo, poiché l'abate Guiol al Comitato delle Signore nell'adunanza del 10 annunziò una sua lettera di là, che conteneva cose importanti. Ce ne manca l'originale; ma il verbale della seduta ne riporta la traduzione francese, che noi rimetteremo in italiano. Il Beato scriveva: Mi resta un momento di respiro e lo impiego a scriverle, come avrei dovuto fare prima. Le dirò anzitutto che partii un po' malcontento da Marsiglia, perché non aveva mai potuto discorrere con lei a lungo, come avrei desiderato, degli affari dell'oratorio. Sembra tuttavia che Don Durando abbia lasciato le scuole abbastanza in buon ordine, sicché si possa per lettera dare le norme e le spiegazioni che saranno opportune. Pare che lo stesso si possa dire della disciplina e della moralità. Vi sarà buona volontà in tutti.
(I) Bulletin Salésien, luglio 1881, pag. 12.
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A Aubagne, Roquefort, St - Cyr, Toulon, Hyére, Dio continua a benedirci e abbiamo grandi motivi di ringraziarlo spiritualmente e materialmente. Don Bologna mi scrive che, avendo dato agli imprenditori tutto il danaro raccolto nella questua durante la mia dimora a Marsiglia, si trova adesso senza quattrini, con le note da pagare. Io aveva raccolto 1500 franchi, che desiderava lasciare alla Navarra; ma adesso glieli mando, perché possa provvedere alle necessità del momento. Spero che le sottoscrizioni degli industriali e delle madri di famiglia potranno aggiustare le cose. Don Bologna mi scrive pure che la S. V. gli ha imprestato 5000 franchi per gli impresari; spero che anche questo si potrà regolare. Che Le dirò poi per ringraziare Lei, i signori e le signore dei nostri comitati, che sono i sostegni del nostro oratorio? Dica loro che noi siamo riconoscenti a tutti, che pregheremo di cuore il Signore che li ricompensi largamente nel tempo e nell'eternità. Ho ancora una cosa che non ho potuto spiegare bene. Molti pretendono che il povero Don Bosco con le sue preghiere ottenga grazie particolari dal Signore. Non é così. Dio benedice le nostre opere, le favorisce e le protegge; ma siccome noi non abbiamo i mezzi necessari per sostenerle, Dio viene ad aiutarci con grazie e favori anche straordinari a tutti coloro che ci prestano il loro aiuto materiale. Lo dica ai nostri benefattori e specialmente a Madamigella Rocca, perché peu pour fois lo metta nel verbale. Spero di poterle scrivere altre cose alla prima occasione; ora mi raccomando caldamente alla carità delle sue preghiere. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Si ricordi di questo poverello, che Le sarà sempre in G. C. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
La conferenza dei Cooperatori era stata indetta per il venerdì 12. Il povero Don Ronchail che si dibatteva in mezzo ai debiti, l'aveva preparata con ogni studio; ai soli fornitori dei laboratori doveva trentasei mila franchi, sicché il coadiutore Moro (I), libraio e provveditore, non si azzardava più a ordinare provviste per la casa. Una sera Don Bosco, passeggiando con lui nel cortile, gli disse: - Fanno debiti e vogliono che Don Bosco li paghi. Ma egli non ha denari. Poi incrocicchiò le mani quasi pregando e dopo alcuni istanti proseguì: - Basta, pregherò la Madonna che faccia essa che
(I) Lettera di Don Carlo Moro a Don Lemoyne (cfr. vol. XIV, pag. 414).
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può. - Dalla conferenza il Direttore portò a casa più di quattordici mila e seicento franchi. Perfino due signorine protestanti, certe Dandas, inglesi, erano andate per la chiesa a raccogliere offerte. Pochi giorni appresso venne un signore francese a cercare di Don Bosco e gli disse di voler fare qualche cosa per la sua opera e che aveva sedici mila franchi disponibili. Don Bosco, pensando che quegli intendesse di proporre un prestito, gli rispose che era tanto indebitato da non poter rifiutare tale somma, ma che non sapeva proprio quando e come avrebbe potuto fargliene la restituzione. Il signore si spiegò meglio, dicendo che non imprestava, ma donava quella somma per concorrere all'opera del Patronage. Don Bosco allora, ringraziando, disse: - Non la dia a me; s'intenda invece con Don Ronchail per soddisfare in parte i creditori. Quegli così fece. In breve piovvero altre limosine, che, sommate alle precedenti, arrivarono a quarantadue mila franchi, scrive il mentovato provveditore; ma egli non possedeva tutti gli elementi per tirare una somma totale. Un paio di giorni dopo l'arrivo cominciò pure a Nizza il viavai dei visitatori, che andò sempre crescendo. “ Don Bosco! esclamava il Direttore in una lettera (I). E' impossibile descrivere l'entusiasmo che desta la sua presenza. Dal mattino alla sera é un va e vieni di persone che accorrono per vederlo Questo basti a darle un'idea della grande stima che gode anche qui il nostro amatissimo Padre. ” La settimana appresso stette quatto giorni a Cannes, ospite di una famiglia Monteiths, inglese e protestante, che si recò ad alto onore di albergarlo. Cannes é stazione climatica invernale; durava dunque ancora la stagione, in cui sull'amenissima sua riviera affluiscono dalla Francia e dall'estero, massime dall'Inghilterra, famiglie facoltose a farvi prolungato soggiorno. In quell'avventizia popolazione cosmopolita, sotto titolo di carità o di filantropia, si aprivano pure
(I) Lettera a Don Rua, Nizza 22 marzo 1881.
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le borse alla beneficenza. Ecco perché Don Bosco soleva fare colà le sue visite Nel 1881 “se avesse potuto far più lunga dimora a Cannes, scriveva scherzevolmente Don Ronchail (I), avrebbe finito per svaligiare quelle buone famiglie caritatevoli, perché ogni giorno gli recavano delle offerte molto generose ”. Ne ripartì il sabato 19 per festeggiare a Nizza San Giuseppe e l'onomastico del Direttore. Rimanevano ancora alcune famiglie, che a lui premeva di visitare a Cannes, onde ritornò a passarvi un quinto giorno, che fu il 21. Molta gente assistette alla sua Messa. Pranzò dai Monteiths, dove una cugina della signora, benché protestante, volle, prima ch'egli uscisse, ricevere la sua benedizione e una medaglia della Madonna. Per tutti i cinque giorni ebbe sempre a sua disposizione la loro vettura a due cavalli. Il soggiorno a Cannes aveva avuto un'interruzione la sera del mercoledì 16, perché gli amici di Nizza avevano preparato un concerto di beneficenza in favore dell'opera di Don Bosco. L'esecuzione si fece nella grande sala Paulliani del Circolo Cattolico: artisti di prim'ordine eseguirono con squisita finezza un bel programma dinanzi a un pubblico sceltissimo, quale Nizza può offrire in quella stagione. La serata fruttò un bell'introito. Organizzatore principale del trattenimento era stato il dottor D'Espiney, sviscerato amico di Don Bosco, sulle opere del quale compose pure una poesia molto graziosa (2). Egli si rivolgeva alle Signore presenti, terminando con dire che per compiere tanto bene Don Bosco era sprovvisto di mezzi, ma che la sua borsa era la borsa di loro Signore. Gli scorrevoli alessandrini, letti stupendamente dal signor Harmel, produssero ottimo effetto (3). Una terza adunanza, aperta indistintamente a tutto il pubblico dì Nizza, si tenne il 22, e fu un Sermon de Charité.
(I) Lettera cit. (2) App., Doc. 5 (3) Bulletin Salésien, aprile 1881, pag. II
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Dopo l'oratore disse poche parole Don Bosco, che raccolse poi discrete offerte. In mezzo a tante faccende la sua mente pensava non solo alle cose vicine, ma anche alle lontane. Pensava, per esempio, all'onomastico della sua benefattrice romana, signora Matilde Sigismondi, come ne fa fede questa delicata letterina. Nostra buona Mamà in G. C., Quest'anno non posso trovarmi a celebrare S. Matilde colla nostra buona mamà, però mi ricordo di Lei. Dimani celebrerò la Santa Messa affinché Dio la conservi molti anni in buona salute, a vedere il frutto della sua carità. E quando il paradiso? Il Paradiso le sia assicurato, ma ci vada dopo aver passato in terra gli anni di Matusalemme, cioè 969. Sono ancora in Francia, ma cammino verso Roma, dove spero presentarle i miei figliali omaggi personalmente sul principio di aprile. Dio benedica Lei, il Sig. Alessandro, buona festa e preghi pel poveretto che le sarà sempre in G. C. Marsiglia - Tolone ed ora Nizza, 13 marzo 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Pensava poi, e abbastanza intensamente, alle collette per la chiesa del Sacro Cuore, come vedremo più innanzi, e a organizzare in Francia la pia Unione dei Cooperatori, secondoché appare anche da questa lettera al Direttore del Bollettino Salesiano.
Car.mo D. Bonetti,
Mi hanno mandato le circolari colla lettera ai Giornalisti. Io ne ho spedite alcune senza accorgermene. Procura che non si mettano più. Mandami alcuni formolari per la nomina di collettori e circolari in Italiano. Manda a Don Cibrario, presso cui mi troverò domenica prossima. Martedì prossimo predico qui a Nizza nella chiesa di N. D. per raccogliere quattrini a Don Ronchail, mercoledì a Cannes, venerdì a Grasse; di poi vela per l'Italia. Ringraziate il Signore. Io non mi sarei immaginato che le benedizioni del cielo scendessero cotanto copiose in questi giorni. Dio sia benedetto. Continuate a pregare. Dà buone notizie a tutti e credimi in G. C. Nizza, 20 - 3 - 1881. Affez.mo amico Sac. G. Bosco.
PS. Ho potuto fare molto per l'organizzazione dei decurioni.
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Nella lettera é cenno di un'andata a Grasse, che é un capoluogo di circondario sopra Cannes, a quaranta chilometri da Nizza. Il dottor D'Espiney nel suo Don Bosco ci sa dire che il Beato vi passò alcuni giorni, che ricevé molte persone e che guarì un'attempata operaia. Presentatasi costei a domandargli la benedizione: - Ben volentieri, le rispose Don Bosco, ma bisogna inginocchiarsi. - La donna gli osservò che non poteva. Infatti da otto anni un ginocchio a causa di una frattura le si era irrigidito e piagato. Don Bosco volle tuttavia che ci si provasse. Ella obbedì, s'inginocchiò e, ricevuta la benedizione, si rialzò senza difficoltà. Dopo lo supplicò di compier l'opera e di concederle alcuni minuti .d'udienza. Egli accondiscese. Passati nella stanza accanto, mentre l'operaia era tutta intenta a narrare le sue miserie, ecco che due gatti cominciarono a ruzzare fra loro e a corrersi dietro, saltando sui mobili, furiosamente. La donna, balzata in piedi, si mise a rincorrerli. La sua agilità fece sorridere Don Bosco, il quale: - Mi pare, le disse, che non siate poi tanto impedita, come mi volevate dare a intendere. - E' strana! rispose la donna. La mia gamba va meglio. - Ebbene, voi guarirete, ma non subito. E’ preferibile per voi e per me che Maria Ausiliatrice non vi faccia la grazia tanto presto. Un giorno il parroco di Grasse, abate Mistre, grande ammiratore di Don Bosco, gli presentò le così dette econome, signorine che, riunite in comitato, lavoravano per i poveri della parrocchia. Erano tutte cooperatrici salesiane della prima ora. La presidente gli rivolse un saluto a nome delle colleghe e gli faceva le presentazioni, quando egli piacevolmente le disse: - Sono ben lieto di salutare le econome; ma non c'é anche la tesoriera? - La tesoriera che stava là con le altre, gli fu presentata, ed ella si avanzò recando l'offerta messa insieme da tutte loro. I1 Servo di Dio, essendosi fermato a Grasse qualche giorno, andava a celebrare dalle religiose di San Tommaso da Villanova,
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che tenevano colà un educandato. Un mattino la madre superiora, una Saint - Ferreol, donna d'ingegno ed energica, gli osservò: - Oh, Padre, come ha i capelli lunghi! Bisognerebbe tagliarli. - Non ho tempo di badare ai capelli, rispose. - Ebbene, replicò la Madre, se vuole, c'é qui vicino un parrucchiere che verrà subito ad aggiustarglieli un tantino. - Se questo le fa piacere, sono ben contento. Era un colpo preparato dal giorno innanzi. Il parrucchiere comparve all'istante e con l'ordine di raccogliere tutti i cappelli e di consegnarli alla Superiora. Essa poi li custodì come reliquie, e alle econome che andavano a lavorare in casa ne distribuì uno spizzico per ciascuna, dicendo: - Quelle di voi altre che avran voglia d'invecchiare, assisteranno alla canonizzazione di Don Bosco, perché egli é un santo. - Di tutte sopravvive soltanto la presidente (I). Abbiamo citato il Dom Bosco del D'Espiney. E' la prima vera biografia del Beato. Uscì a Nizza nel 1881: piccola di mole, limpida nella forma e ricca di aneddoti, possedeva tutto quanto bisognava, perché divenisse un libro popolare (2). L'autore, che vi lavorò attorno circa un anno, aveva rimesso il manoscritto al conte Cays, affinché correggesse, modificasse, tagliasse, suggerisse nuove aggiunte. Egli era persuaso che il lavoro avrebbe fatto del bene in Francia; inoltre giustamente rilevava: “ Da ogni parte si chieggono informazioni sulla Congregazione di Don Bosco, e in chi le chiede, ci può essere un futuro Salesiano o Cooperatore o Cooperatrice. A spiegare le cose per lettera é un affare troppo lungo, e l'opuscolo dell'abate Mendre non soddisfa abbastanza ” (3).
(I) Si chama Teresa Chauve. Comunicò queste ultime notizie a Don Cartier in una sua del 20 gennaio 1934, della quale abbiamo potuto tenere conto durante la correzione delle bozze. Sembra che la Chauve creda essere avvenuta la visita di Don Bosco nel 1875; ma non é probabile che egli vi si sia recato prima del 1881. (2) DR CHARLES D'ESPINEY, Dom Bosco, Nice, Typ. et lib. Malvano-Mignon 1881. Pgg. 180. (3) Lettera del D'Espiney al Cays, Nice 21 giugno 1880.
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Anche Don Rua vide l'originale e ne lodò in massima l'autore, pur notando che erano incorse inesattezze cronologiche e che certe cose, per i tempi che correvano, conveniva tacerle. Suggeriva inoltre che della Congregazione si parlasse non come di corporazione religiosa, ma come d'una società di beneficenza, composta di ecclesiastici e laici (I). Egli però non fece una revisione vera e propria, ma dovette darvi solo una scorsa rapida e saltuaria; altrimenti si sarebbe accorto che un aneddoto narrato a pagina 136 sul conte di Viancino non andava, a cominciare dal nome che era diventato Vianichino. Il Viancino, avendo letto il libro, se ne lagnò con Don Bosco, il quale molto bonariamente gli rispose:
Car.mo Sig. Conte,
Il Sig. Dottore d'Espiney é un buon cattolico, ma egli ha per iscopo nel suo libro di contarne delle grosse a spalle di Don Bosco. Perciò non si stupisca se trova delle inesattezze ed anche errori nella sua esposizione. Tuttavia nel prossimo gennaio vedrò questo Signore in Nizza e non mancherò di far togliere o almeno correggere alcune grosse fanfaluche nel suo libro. Sono però contento che da ciò Ella abbia avuto occasione di scrivermi e lo sarei stato ancora di più se avessi potuto riverirla personalmente. Ad ogni modo io prego Dio che conservi Lei e la Sig. Contessa di Lei moglie in buona salute e nella sua santa grazia e raccomandandomi alle preghiere di ambedue ho l'onore di professarmi con gratitudine e stima in G. C. Torino, 18 dicembre 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
L'autore provvide nella seconda edizione, che molto presto si dovette fare. Le edizioni poi si moltiplicarono rapidamente in Francia; anche la traduzione italiana, condotta sulla undicesima edizione francese e lavoro del toscano e salesiano Don Ercolini, ebbe grande fortuna. Anche oggi il libro é ricercato.
(I) Appunti autografi sopra una lettera del D'Espiney al Conte, 15 luglio 1880
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D'allora in poi biografie di Don Bosco videro la luce in differenti idiomi, e fu cosa provvidenziale; poiché s'avvicinava il tempo, in cui Don Bosco non avrebbe più potuto questuare come in passato sia per effetto dell'età, sia per la mole degli affari; il libro veniva a questuare in sua vece. In questo l'efficacia del libro si sperimentò assai durante i primi anni dalla sua morte; poiché tenne viva la memoria del Fondatore e impedì che si essicasse presso tante persone la beneficenza verso le sue opere. Quanto a sé, egli ripeteva: - Parlate di Don Bosco in male o in bene, come volete, purché le vostre parole cooperino alla salute delle anime. -Il Servo di Dio diceva questo perché non ignorava due cose, che cioè il parlare della sua opera spianava la strada al salvar anime e che della sua opera non si poteva parlare senza dire della sua persona, tanto l'una s'immedesimava con l'altra. Perciò lasciava fare, salvo a intervenire, quando sapesse che s'andava fuor del vero. Così allorché intese che il Du Boys attribuiva a' suoi genitori “ una certa agiatezza ”(I), ci narrava Don Barberis che egli fu pronto a correggere: - No, no, ma poveri! Così pure si espresse in una conversazione, alla quale chi scrive ebbe la sorte di assistere nel settembre del 1887 a Valsalice. Un confratello dell'allora Polonia austriaca accennava ad una biografia tedesca, non ricordiamo se originale o tradotta, in cui gli si attribuiva un'origine borghese. Don Bosco animatamente gli rispose: - Bisogna scrivere e dire che si corregga... Bisogna scrivere... Scrivi. Ma il nemico del bene non dormiva. Il Radical, organo del più fanatico anticlericalismo, nel suo numero del 9 giugno tornò alla carica con un articolo furibondo contro le case salesiane di Francia, eccitando il Governo a chiuderle una buona volta e ad espellere i Salesiani. Il lor Fondatore essere
(I) ALBERT Du Boys, Dom Bosco et la pieuse Société des Salésiens.. Paris, Gervais, 18 84. Dice precisamente: “ Son pére et sa mére étaient des cultivateurs jouissant d'une certaine aisance. ”
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un mistificatore, un sedicente operator di miracoli; scopo della sua istituzione suggestionare la gioventù per farle intraprendere la carriera ecclesiastica a dispetto delle famiglie e spedire poi nell'America gl'irreggimentati; i soci un'accozzaglia di poveracci, piombati senza un soldo dalla non ricca Italia in Francia per isfruttarla; tutti insieme una razza di fratacchioni, di cui parte preti improvvisati in barba alle leggi canoniche e parte chierici o laici pezzenti e disertori; gran pietà esteriore per accalappiare gl'ingenui e vita privata piena di vizi; sulle prime essersi ricevuti pochi ragazzi gratuitamente per poter battere la gran cassa e raccogliere limosine, poi licenziati sotto pretesto di cattiva condotta e sostituiti con altri a pagamento; gli alunni barbaramente trattati, percossi a colpi di martello, ridotti alla fame, costretti a gridare Viva il Papa, abbasso la Repubblica; avere il Direttore corrispondenza con il pretendente al trono francese; inesplicabile apparire la tolleranza del Governo per simili frocardes e fratres seviziatori di ragazzi, tanto più inesplicabile dopo le informazioni e le proteste fattegli pervenire dai cittadini. Il malvagio scrittore, che firmava la sua diatríba, conchiudeva così: “Oggi il loro edifizio in via Beaujour é terminato. Il personale si compone esclusivamente d'Italiani, che vivono a spese della Francia e la insultano. I lettori, ne siam certi, ci sapranno grado d'aver fatto lor conoscere una genìa, che si nasconde, che dissimula la propria qualità di congréganistes interlopes, per isvolgere meglio la sua opera depravatrice. Noi torniamo a domandare che cosa aspetti l'autorità per iscacciare questi fratacci indegni di pietà, né cesseremo mai di chiederne l'espulsione d'accordo col grande partito radicale. ” Come giunse dunque opportuna la pubblicazione del D'Espiney, che, appena messa in vendita, andò a ruba! Troppi del resto a Marsiglia avevano veduto Don Bosco e sperimentato quello che l'autore scrive nella prima pagina del suo libro: “ Vedere Don Bosco e non sentirsi attratto verso di lui e non volergli bene é impossibile. ”
CAPO III. Il conte Colle.
QUESTO insigne cooperatore salesiano merita un capo a parte; l'insieme delle sue relazioni con Don Bosco costituì un episodio non poco interessante nella vita del Servo di Dio. Il Beato, dopo una visita fattagli da lui e dalla stia consorte a Torino, gli scriveva il 5 luglio 1882: “A Torino, nel nostro collegio di Lanzo, di San Benigno, di Valsalice si é parlato e si parla molto della S. V. e di Madama Colle. Tutti sono edificati della loro affabilità e del loro spirito di pietà pratica. Ci hanno fatto del bene spiritualmente e temporalmente. Da ogni parte mi si assicura che si prega assai per loro. ” Sebbene la serie dei benefizi allora fosse appena agli inizi già il nome del conte Colle godeva nelle case salesiane di larghe simpatie, le quali poi crebbero di anno in anno, come noi stessi fummo testimoni. Per la nostra storia la realtà che s'impone é questa, che Luigi Antonio Fleury (I) Colle e la sua nobile consorte Maria Sofia dei baroni Buchet amarono veramente Don Bosco, amarono cattolicamente le sue opere, si svolgessero esse cioè in Francia o in Italia o nell'America, e dimostrarono tale amore col
(I) In scritti italiani e in qualche epigrafe latina, senza badare alla grafia antiquata, si é fatto di Fleury il nome del Conte, traducendolo per Fiorito e Floritus; ma quello invece fa parte del cognome. Il nome di battesimo era Luigi, a cui si associava l'altro di Antonio, così come per il figlio.
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fatto di una carità che non disse mai basta, quando si trattò di soccorrere il Beato Padre, confortandolo indicibilmente nelle angustie de' suoi anni estremi. La Provvidenza fece incontrare i Colle con Don Bosco alla vigilia di un loro grave lutto domestico. Nel febbraio del 1881, mentre il Servo di Dio si trovava a Marsiglia, venne da Tolone il parroco di Santa Maria a supplicarlo che andasse in quella città a benedire il figlio unico dei signori Colle, ridotto ormai in fin di vita nella fresca età di diciassette anni. Il buon sacerdote gli descriveva la desolazione dei genitori, dei quali esaltava le virtù, dicendo pure quanta speranza essi avessero che l'infermo, da lui benedetto, ricuperasse la salute. Don Bosco rispose che a Tolone non poteva andare, ma che avrebbe pregato per il giovinetto, né, per quante insistenze gli venissero fatte, si volle mai arrendere. Una settimana dopo il parroco ricomparve, risoluto a non muoversi di là, fino a che la sua preghiera non fosse esaudita. Il Beato non persistette nella sua negativa; soltanto non gli piacque aver l'aria di recarsi a Tolone per quello scopo, ma disse che vi sarebbe andato per tenere una conferenza ai Cooperatori. Rimasero così intesi per il 10 marzo. Appena giunto a Tolone, Don Bosco si portò dal malato, che lo aspettava a braccia aperte, ma senza dare mai alcun segno d'impazienza. Lo trovò consunto dalla tisi. Quando si poterono intrattenere da soli, il Beato restò ammirato dell'ingenuità e del candore di quell'anima: gli parve Luigi di nome e di fatto. Vedendolo maturo per il paradiso, lo dispose a fare volentieri il sacrifizio della vita al Signore; nel che dovette toccar con mano quant'egli si mostrasse docile ai movimenti della grazia, piegandosi pronto ai sentimenti suggeritigli e abbandonandosi interamente nelle braccia di Dio. Ciò nonostante non credette opportuno distorglierlo dal pregare per la sua guarigione, non foss'altro per riguardo ai genitori trambasciati: solo esortò a mettere sempre la condizione, se questo fosse per tornare a bene dell'anima sua.
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Dio lo chiamò a sé il 3 aprile seguente. Ricevuti gli ultimi sacramenti, egli aveva detto ai suoi: - Vado in paradiso; me l'ha detto Don Bosco. - La memoria del caro giovane s'impresse indelebile nel cuore del Beato, tanto che concepì quasi subito l'idea di scriverne la biografia, e la scrisse di fatto con la massima sollecitudine (I). Chi legge questa operetta e si ferma alla lingua e allo stile, é tentato di pensare che non sia cosa di Don Bosco. La verità é che Don Bosco la abbozzò di suo pugno, ma affidò al salesiano Don De Barruel il compito di acconciarla nella forma (2). Infatti in una lettera del 4 ottobre 1881 dice al signor Colle che per non aumentare la fatica crede meglio scrivere subito in francese, riserbandosi di far rivedere il suo scritto a un amico, che era appunto il mentovato confratello. Quanto al contenuto, egli assicura nella prefazione che le informazioni gli sono state fornite da chi visse con l'estinto
(I) Le nostre fonti sono tre: questa biografia, la corrispondenza epistolare, alcune note manoscritte della contessa Colle. Della biografia diremo subito. La corrispondenza comprende ottantadue lettere, delle quali settantacinque di Don Bosco, una di Don Barberis, tre di Don De Barruel e tre di Don Rua. Sono tutte in francese, meno una di Don Bosco e quella di Don Barberis; il francese di Don Bosco é alquanto alla buona, tirato giù currenti calamo, come si vede dalla scrittura. Le lettere abbracciano un periodo di circa sei anni e mezzo, dal 4 maggio 1881 al 17 ottobre 1887. Le note della Signora contengono appunti di conversazioni avute con Don Bosco sulle apparizioni di Luigi. In morte di lei si trovarono, con l'incartamento dell'epistolario e degli appunti, due biglietti, uno del 3 giugno 1886 e l'altro del 7 aprile 1889, in cui ella pregava caldamente i suoi eredi di rimettere ogni cosa ai Salesiani nella persona di Don Perrot o di qualche altro Salesiano. Quarantasei lettere e le note si avevano in copia già da molti anni; ma gli autografi nel numero di ottantadue ci sono pervenuti solo nel 1931 per mano dell'Ispettore francese Don Ippolito Faure. (2) Don Bosco possedeva il francese tanto da farsi intendere; ma lo parlava e lo scriveva con molta disinvoltura, Passando facilmente sopra al dizionario e alla grammatica. Per questo é rimasto celebre un aneddoto. L'abate Mendre, vicecurato e poi curato di S. Giuseppe a Marsiglia, il quale amava Don Bosco con tenerezza di figlio, un giorno gli sedeva a lato durante un trattenimento nell'oratorio di San Leone. I musici facevano ogni tanto qualche stecca. L'abate, assai intendente di musica, scattava. Dopo varie di queste impazienze il Beato gli sussurrò all'orecchio con la sua pronunzia e il suo stile: Moussieur Mendre, la mousique de les enfants elle s'ecoute avec le coeur et non avec les oreilles. Infinite volte il Mendre gustò poi la sapiente sentenza rifacendo simpaticamente il tono, con cui era stata proferita.
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o poté trattare con lui e conoscerne la pietà, la carità e il fervore. Di questa sua diligenza in procurarsi positive notizie abbiamo la prova in tre lettere al padre (I). Nella prima, ringraziatolo di quelle inviategli, lo prega di aver pazienza e di completarle, raccogliendo: 1° detti, discorsi, pensieri espressi coi genitori o nel dare la limosina ai poveri o nel fare le cose comandate; 2° azioni edificanti in materia di mortificazione o di pazienza e nei rapporti con i parenti, gli amici, i poveri; 3° circostanze speciali della visita al Santo Padre nell'aprile del 1878, parole dell'uno e dell'altro e soprattutto qualche frase del Papa; 4° lo stesso per visite a santuari e a chiese o per l'assistenza a solenni funzioni religiose. “Ogni parola, scrive Don Bosco, ogni atto di virtù figurerà bene al suo posto. Abbia dunque la bontà di aiutarmi nella raccolta di queste notizie e io metterò ogni cosa dove andrà messa. ” Le nuove informazioni vennero. “ Ogni cosa, ripeteva Don Bosco ringraziando, per piccola che sia, serve a render importante la nostra opera, che va sempre avanti e che si può dir fatta per tre quarti. Spero di portarla con me nel prossimo gennaio, venendole a fare una visita. ” Finalmente, quando gli comunicò che la biografia era terminata, aggiungeva: “ Non mi resta più che di leggerla e farne una copia, che porterò con me nel mio prossimo passaggio per Tolone. E' indispensabile che la leggiamo insieme. ” Già nella prima lettera gli aveva detto: “ Prima che sia data alle stampe, V. S. la vedrà e vi farà tutte le sue osservazioni e modificazioni ” (2). Quanto senso storico in questo modo di procedere! Ma vi é quel capo secondo con la sua lunga digressione di
(I) S. Benigno Canavese, 4 ottobre, Torino 29 novembre e 30 dicembre 1881. (2) Il libro uscì nel 1882: Biographie du jeune Louis Fleury Antoine Colle par Jean Bosco prétre. Fu stampata nella tipografia dell'Oratorio e porta in fronte questa dedica: A MONSIER ET A MADAME COLLE HOMMAGE RESPECTUEUX.
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psicologia pedagogica, che per alcuni avrebbe tutto l'aspetto di cosa composta da altri e inserita nel testo per crescere importanza e ampiezza al lavoro. Sono circa otto pagine (I) sull'educazione dei fanciulli in seno alle loro famiglie, che dovrebbe avere per base la formazione della volontà, mentre invece questa é trascurata per coltivare precocemente l'intelligenza, anzi é resa quasi impossibile dalle troppe moine e lusinghe, fomentatrici della sensualità e dell'amor proprio. Certo qui come altrove la forma non é quella di Don Bosco; ma non meno qui che altrove bisogna dire che sua é la sostanza. Naturalmente lo scriba non poteva spogliarsi di se stesso fino al punto da non introdurre elementi soggettivi; la costui mentalità poi, dedita di preferenza agli studi filosofici, in questa parte ha lasciato una più sensibile impronta. Tuttavia chi non vede qui riflesse le idee formulate poc'anzi da Don Bosco nelle sue norme sul sistema preventivo? Qui pure egli dovette stendere l'abbozzo, che l'altro rimaneggiò; indi a cose fatte lesse e diede il suo benestare. Ma abbiamo di meglio: ci sembra che il germe della breve trattazione stia già racchiuso nell'unica sua lettera italiana (2), scritta quando la biografia era ancora soltanto un pensiero della sua mente. Don Bosco, scrivendo del figlio alla signora Colle (3), aveva detto che alcune cose non le voleva affidare alla carta. Questa reticenza gettò il turbamento nel cuore della madre; onde il Beato si spiegò col marito di lei, usando la lingua italiana, forse perché sua moglie non la intendeva e quindi avrebbe ricevuto la comunicazione attraverso una traduzione all'uopo mitigata.
(I) Da pag. 23 a pag. 31. (2) Il Colle aveva dato un insegnante di lingua italiana al figlio; ma egli doveva averne appena un'infarinatura. Se così non fosse stato, Don Bosco e Don Rua non gli avrebbero scritto in francese. Don Barberis (S. Benigno Canavese 6 settembre 1882) gli scrive in italiano scusandosi con dire che non sa abbastanza il francese e che d'altra parte il Conte conosce questa lingua. Conoscere non esclude lo stento a capire. (3) Roma 4 maggio 1881.
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Stimabilissimo Sig. Avv. Colle,
Vedo che la Signora di Lei moglie é alquanto inquieta di quello che non voleva confidare alla carta. Per questo motivo le dirò qui in poche parole la sostanza delle cose. Il cuore dei genitori era troppo affezionato al loro unico figlio. Troppe carezze e ricercatezze; ma egli si conservò sempre buono. Se fosse vissuto avrebbe incontrato grandi pericoli da cui forse sarebbe stato strascinato al male dopo la morte dei genitori. Perciò Dio lo volle togliere dai pericoli, prenderlo con sé in cielo, donde quanto prima sarà il protettore de' suoi parenti e di coloro che hanno pregato o pregano per lui. Dal canto mio ho pregato e faccio ancora pregare in suffragio dell'anima del caro Luigi in tutte le nostre case. Giacché sono a Nizza, credo possano fare una passeggiata amena fino a Torino. Io li attendo con gran piacere. E Maria Ausiliatrice non mancherà di regalare ad ambidue qualche consolazione. Dio la benedica, sempre caro Sig. Avvocato. Dio benedica Lei, la Sua Signora Moglie e li conservi in buona salute. Vogliano anche pregare per me che le sarò sempre in G. C. Torino, 22 Maggio 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
PS. Nel loro arrivo a Torino vadano direttamente all'Albergo della Dogana Vecchia dove saranno ben accolti. Tutti poi sapranno condurli qui al nostro Ospizio.
Una gita a Torino per vedere Don Bosco e pregare Maria Ausiliatrice era quel che di meglio si potesse dagli afflitti coniugi desiderare per sollevar l'animo dal gran dolore; accolsero dunque l'invito. Della loro venuta é cenno in questi periodi d'una lettera del 3 luglio alla Signora: “ Il mio modo di agire avrà indotto senza dubbio la S. V. a credere, che io abbia dimenticato la loro visita, le loro attenzioni e le loro caritatevoli liberalità. Ma La prego di voler scusare la mia condizione. Sono stato come assediato dagli affari, che mi han portato via tutto il tempo. Ma nonostante il mio ritardo, ho fatto sempre tutte le mattine un particolare ricordo per la S. V., per il Sig. Colle e per colui che ci ha lasciati per andarsene in paradiso. ” Or questo per l'appunto voleva sapere la madre, quale
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fosse veramente la sorte del suo Luigi nell'eternità. Ne richiese con insistenza Don Bosco, il quale più volte gliene scrisse e più volte gliene parlò nelle visite fatte o ricevute. Qui entriamo in un mondo di fenomeni, che trascendono la natura e di cui sulla scorta di documenti intendiamo fare una completa rassegna. Il Beato per la prima volta manifestò qualche cosa alla Signora in una lettera del 4 maggio 1881: “ Ella deve stare tranquilla. Il nostro caro Luigi é certamente salvo e domanda a Lei due cose: che si prepari seriamente per andare, quando a Dio piacerà, a raggiungerlo in paradiso e che preghi molto per lui, mentr'egli Le otterrà grazie speciali. ” Non giudicò opportuno dire di più per iscritto; ma le palesò più tardi a viva voce quello che allora lasciò nella penna. Il 3 aprile, mentre stava confessando, gli era venuta, com'ei diceva, una distrazione: vide Luigi in un giardino, dove si divertiva con alcuni compagni e appariva felice. La visione durò un attimo. Luigi non parlò, ma quella vista mise in cuore a Don Bosco la persuasione che fosse già in paradiso. Tuttavia continuò a pregare per lui, domandando pure a Dio che gli facesse conoscere altro e aspettando dalla sua infinita misericordia questo favore, perché bramava nei limiti del possibile consolare un padre e una madre immergi nella desolazione dalla perdita del loro unico figlio. Dio lo esaudì assai più di quanto egli si sarebbe mai immaginato. Il 27 maggio, la dimane dell'Ascensione, il Beato celebrava nella chiesa di Maria Ausiliatrice offrendo il divin sacrifizio secondo l'intenzione dei genitori di Luigi che assistevano alla sua Messa, quando al momento della consacrazione vide Luigi in un mare di luce, bellissimo nell'aspetto, molto allegro, paffuto e rubicondo, con vesti bianco rosate e sul petto dorati ricami. Gli domandò: - Perché vieni, caro Luigi? - Non é necessario che io venga, rispose. Così come sono, io non ho bisogno di camminare.
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- Caro Luigi, sei felice? - Godo perfetta felicità. - Non ti manca proprio nulla? - Mi manca soltanto la compagnia del babbo e della mamma. - Perché non ti fai loro vedere? - Questo per essi sarebbe causa di troppo grave pena. Ciò detto, disparve. Ma alle ultime orazioni si fece nuovamente vedere, e poi da capo nella sacrestia, e questa volta accompagnato da alcuni giovani dell'Oratorio morti durante l'assenza di Don Bosco, che ne fu assai consolato. - Luigi, gli chiese, che debbo dire ai tuoi genitori per temperarne l'afflizione? - Che si facciano precedere dalla luce e si procaccino amici nel cielo. Queste cose narrò egli ai Signori Colle durante il loro soggiorno in Torino. Passato quindi poco meno d'un mese, ebbe un'altra visione, da lui descritta nella citata lettera del 3 luglio alla madre. Egli aveva continuato a pregare il Signore, perché facesse conoscere qualche cosa di preciso. Dal maggio al luglio una sola volta ebbe la consolazione di vedere il giovane e di udirne la voce. “Il 21 giugno scorso, scrive, durante la Messa, poco prima della consacrazione lo vidi con la sua faccia solita, ma dal colore della rosa in tutta la sua bellezza e di una carnagione splendente come il sole. Subito gli domandai, se avesse qualche cosa da dirci. Rispose semplicemente: -San Luigi mi ha protetto e beneficato molto. - Allora io ripetei l'interrogazione: - Vi é qualche cosa da fare? - Egli diede la medesima risposta e disparve. D'allora in poi non ho più visto né udito nulla. Caso mai Iddio nella sua infinita misericordia si degnasse di farci conoscere alcun che, mi affretterei a dargliene pronta comunicazione.” Dopo circa un paio di mesi ecco una nuova apparizione. La narra il 30 agosto alla signora Colle in questi termini:
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“ Durante l'ottava dell'Assunzione della Santa Vergine Maria e più ancora il 25 di questo mese ho pregato e fatto pregare per il nostro caro Luigi. Proprio il 25, alla consacrazione della santa Ostia, ho avuto la grande consolazione di vederlo vestito nel modo più splendido. Egli era come in un giardino, dove passeggiava con alcuni compagni. Tutti insieme cantavano Iesu corona virginum, ma con tale accordo di voci e con tale armonia, che non é possibile esprimere né descrivere. In mezzo a loro si ergeva un alto padiglione o tenda. Io desiderava di vedere e di udire la mirabile armonia; ma in quell'istante una luce vivissima come un lampo mi costrinse a chiudere gli occhi. Dopo mi sono trovato all'altare a dir la Messa. La faccia di Luigi era bellissima; egli sembrava contentissimo o meglio pienamente contento. In quella Messa ho voluto pregare per Lei, affinché Dio ci accordi la grazia singolare di trovarci un giorno tutti insieme riuniti in paradiso. ” Questa lettera é scritta da San Benigno, dove rivide Luigi, come raccontò poi a Tolone. Un giorno nella sua camera egli si stava preparando alla predica, quando gli parve di avere qualcuno accanto. Si voltò da quella parte e in quel mentre la persona passò dalla parte opposta. Fu cosa di un istante. Nell'atto ch'ei si domandava che cosa potesse mai essere: - Non mi riconosce? si sentì rispondere. - Oh Luigi! esclamò egli. Come mai ti trovi a San Benigno? - Per me non é più facile essere a San Benigno che a La Farléde (I) o a Torino o dovunque io voglia essere. - Perché non ti fai vedere ai genitori che ti amano tanto? - Sì, lo so che mi amano; ma perché mi possano vedere, ci vuole la permissione di Dio. Se parlassi io a loro, le mie parole non otterrebbero il medesimo effetto. Bisogna che queste passino per lei.
(I) Luogo di campagna dei Colle.
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L'argomento delle apparizioni ritorna due volte nelle lettere del Beato durante il 1882. Il 30 luglio scrive alla Signora: “ Ho la consolazione di dirle che ho avuto la consolazione [sic] di vedere il nostro sempre caro e amabile Luigi. Vi sono molti particolari che spero di esporle personalmente. Una volta l'ho veduto a trastullarsi in un giardino con dei compagni, riccamente vestito, ma in una maniera che non si può descrivere. Un'altra volta lo vidi in un altro giardino, dove coglieva fiori, che portava in una gran sala sopra una magnifica tavola. Gli volli domandare: - Perché questi fiori? - Sono incaricato di cogliere questi fiori, e con questi fiori fare una corona per mio padre e mia madre, che hanno faticato molto per la mia felicità. - Altre cose scriverò in altro momento. ” E il 4 dicembre alla medesima: “ Il nostro amato Luigi, il nostro carissimo amico, l'ho veduto più volte, ma sempre glorioso, cinto di luce, vestito in modo così splendido, che si può vedere, ma non si può descrivere. Verbalmente potrò dirle qualche cosa di più. Spero di farle una visita a Tolone nel mese di febbraio prossimo e di poter passare un po' di tempo in sua compagnia e col Signor Conte suo carissimo Marito e grande benefattore delle opere salesiane. ” Fece difatti la visita annunziata, ma in marzo, nella quale occasione spiegò meglio le cose. Allora disse pure di un'apparizione avuta a Roma il 30 aprile dell'anno antecedente 1882. Era la festa del Patrocinio di San Giuseppe, terza domenica dopo Pasqua. Stando nella sacrestia della cappella presso la sorgente chiesa del Sacro Cuore, vide Luigi che attingeva acqua da un pozzo. - Perché, gli chiese, tiri su tant'acqua? - Attingo per me e per i miei genitori. - Ma perché in tanta quantità? - Non comprende? Non vede che é il Sacro Cuore del Signor Nostro Gesù Cristo? Quanti più tesori di grazia e di misericordia ne escono, tanti più ve ne rimangono.
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- Come mai ti trovi qui? - Sono venuto a farle una visita e a dirle che io sono felice. Allora stette a Tolone dal 5 al 14 marzo e raccontò tante altre cose, che non tutte sono state scritte. Disse, che Luigi nelle diverse apparizioni gli si mostrava sempre differentemente vestito e che, interrogato del perché, rispose: -Questo é solo per suo svago. - Nel viso però aveva sempre i medesimi lineamenti che da vivo, ma con guance pienotte ed espressione allegra, con riflessi d'oro sulla persona e con vesti dai colori dei gigli e delle rose, ma più splendidi; il suo viso era radioso e di una luminosità che cresceva a poco a poco fino ad abbagliare la vista. Delle apparizioni avute durante la Messa diceva che duravano un minuto solo o un minuto e mezzo, e che, se si fossero prolungate un tantino di più, egli sarebbe caduto, non potendo sopportare più oltre quel contatto col soprannaturale. Quanto al valore delle apparizioni, la Contessa, che era persona illuminata, ci pensava e ne interrogò Don Bosco, che, com'ella scrive, si espresse così: “ Riflettendo a queste apparizioni e studiandone il carattere, io mi convinco che non c'entra inganno né illusione, ma che sono realtà. Tutto quello che vedo, é nettamente distinto e conforme allo spirito di Dio. Luigi gode senza dubbio la felicità del paradiso. Riguardo alla frequenza di tali visioni, io ignoro qual sia il fine segreto della divina Provvidenza; vedo in particolare che Luigi viene a istruirmi, insegnandomi tante cose di scienza e di teologia a me interamente sconosciute. ” Torniamo ai fatti da lui narrati in quella circostanza. Un giorno Luigi gli aveva presentato una rosa, dicendo: - Vuol conoscere che differenza passa fra il naturale e il soprannaturale? Guardi questa rosa... La veda ora. - Tosto la rosa si fece così splendente da raggiungere il fulgore del diamante percosso dal sole. - Adesso guardi questo monte, - tornò poi a dirgli. Ed ecco un monte prima pietroso e tutto
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a buchi pieni di fango, orribili a vedersi, e di lì a poco diventato una magnificenza, e in luogo dei fangosi buchi tante pietre preziose. Un altro giorno a Hyéres Don Bosco, invitato a un gran pranzo, si era visto non più a tavola, ma in una specie di ampio corridoio, dove Luigi, venendogli incontro, gli disse: - Veda che lusso di banchetto e che vivande prelibate! E' troppo. Tanta gente muore di fame. Troppe spese! Bisogna combattere queste esorbitanti superfluità della mensa. - In quella i convitati rivolgevano la parola a Don Bosco e credutolo distratto, lo chiamavano: - Don Bosco! Don Bosco! Una volta fra Don Bosco e Luigi si era svolto questo curioso dialogo. - Caro Luigi, sei felice? - Felicissimo. - Sei morto o vivo? - Sono vivo. - Eppure sei morto., - Il mio corpo é sepolto, ma io vivo. - Non é il tuo corpo quello che io vedo? - Non é il mio corpo. - E' il tuo spirito? - Non é il mio spirito. - E' la tua anima? Non é la mia anima. - Che cosa é dunque ciò che io vedo? - E' la mia ombra. - Ma un'ombra come può parlare? - Mercé la permissione di Dio. - E la tua anima dov'é? - La mia anima é presso Dio, sta in Dio, e lei non la può vedere. - E tu in che modo vedi noi? - In Dio si vedono tutte le cose; il passato, il presente, l'avvenire vi si vedono come in uno specchio. - Che cosa fai nel cielo?
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- Nel cielo dico sempre: Gloria a Dio! A Dio si rendano grazie. Grazie a Colui che ci ha creati; a Colui che é il padrone della vita e della morte; a Colui dal quale tutto ha cominciamento. Grazie! Lodi! Alleluia, alleluia! - E i tuoi genitori? Che cosa mi dici per loro? Prego per essi continuamente e così li ricompenso. Li aspetto qui in paradiso. In una successiva apparizione Don Bosco lo interrogò di bel nuovo sull'affare dell'ombra: - Tu dici che io vedo soltanto la tua ombra, perché la tua anima é in Dio. Come può l'ombra avere così apparenza di corpo vivo? - Rispose: - Lo vedrà presto; ne avrà una prova. Don Bosco aspettava questa prova. Qualche tempo dopo, com'egli raccontò, gli comparve nella notte il defunto parroco di Castelnuovo, che passeggiava sotto i portici dell'Oratorio. Sembrava in buona salute e molto contento. - Oh signor Prevosto, eccola qui! esclamò egli al vederlo. Come sta? - Sono felice, felicissimo. Passeggi con me. - Non desidera niente? - Nel cielo si ha tutto quello che si desidera. Ma passeggi: discorriamo insieme. Mi riconosce bene? - Oh, a meraviglia! - Mi guardi attentamente. Non vede che io sono in piena giovinezza e in perfetta letizia? - Sì, signor Prevosto, é proprio lei, non ne posso dubitare. Passeggiato che ebbero alquanto, come un tempo solevano fare, quegli disse: - Ebbene, ha imparato la lezione? - In così dire sparì. Allora Don Bosco comprese che Luigi se l'era intesa con quel prete. Narrato ciò disse ai Colle: - Simili favori sono così straordinari, che atterriscono per la responsabilità che ne ricade su chi ha obbligo di corrispondere a tante grazie. Durante quel viaggio del 1883 in Francia i casi si moltiplicarono
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La domenica Laetare 4 marzo dalle quattro alle sette pomeridiane, sulla linea da Cannes a Tolone, Luigi si accompagnò con lui in treno dalla prima all'ultima stazione. Gli parlava in latino, magnificando la grandezza delle opere di Dio. Fra l'altro, richiamò la sua attenzione sulle nebulose e gli diede nozioni astronomiche affatto nuove per lui. - Se, diceva, si andasse in treno diretto dalla Terra al Sole, vi s'impiegherebbero non meno di trecento cinquant'anni; per arrivare poi all'altra parte del sole, vi sarebbe egual distanza: il che farebbe settecent'anni. Ora ogni nebulosa é cinquanta milioni di volte maggiore del sole, e la sua luce per giungere alla Terra mette dieci milioni di anni. La luce del sole percorre trecentocinquanta mila chilometri al secondo... - A questo punto, vedendo che egli continuava con simili calcoli astronomici - Basta, basta! gli fece Don Bosco. La mia mente non ti può più tener dietro. Mi ci vuole tanta fatica, che non posso resistere. - Eppure é soltanto il principio della grandezza delle opere di Dio. - Come va che tu sei nel cielo e qui? - Più presto della luce e con la rapidità del pensiero io vengo qui, nella casa de' miei genitori e altrove. Alcuni giorni dopo a Hyéres durante la Messa., ecco Luigi. -- Che cosa c'é da fare, Luigi? - gli domandò il Beato. Luigi gli indicò una contrada nell'America del Sud, dove bisognava mandar Missionari, e gli mostrava nelle Cordigliere le sorgenti del Chubut. - Ora, gli disse Don Bosco, lasciami dir Messa. Così sono imbarazzato a continuare. - Bisogna, ripigliò Luigi, che i fanciulli si comunichino con frequenza. Deve ammetterli presto alla santa comunione. Dio vuole che si nutrano della salita Eucaristia. - Ma come si fa a comunicarli, quando sono ancora troppo piccoli? - Dai quattro ai cinque anni si mostri loro la santa
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Ostia e preghino Gesù guardandola; sarà questa una comunione. I fanciulli devono essere ben compresi di tre cose: amor di Dio, comunione frequente e amore al Sacro Cuore di Gesù. Ma il Sacro Cuore di Gesù racchiude le altre due. In una visione precedente Luigi gli aveva additato un pozzo in mezzo al mare, dicendo: - Veda quel pozzo. Le acque del mare vi entrano continuamente e il mare non diminuisce mai. Così é delle grazie contenute nel Sacro Cuore di Gesù. E’ facile riceverle: basta pregare. Nell'aprile del medesimo anno a Parigi celebrava nella chiesa di Nostra Signora delle Vittorie. Luigi gli apparve, mentr'egli distribuiva la comunione. Era, come sempre, circonfuso di gloria e portava sul petto una collana a vari colori, bianco, nero, rosso; ma con questi tre ve n'erano infiniti altri da non potersi descrivere. La subitanea impressione gli arrestò la mano, impedendogli di continuar a comunicare. I vicari della parrocchia, credendo che fosse stanchezza, presero a distribuire essi la santa Eucarestia. Il Beato disse a Luigi: -Come mai tu qui? Perché venire mentre dò la comunione? Vedi come sono impacciato. - Qui, rispose, é la casa delle grazie e delle benedizioni. - Ma dove sono? Non vedo più nessuno. Che cosa bisogna fare? - Dia la santa comunione. - Dove sono coloro che stavano ai piedi dell'altare? - Dia la santa comunione. Ecco quelli che vuol vedere. Luigi allora disparve, e Don Bosco si trovò all'altare a terminar la Messa. A Parigi vi fu di lì a poco una seconda comparsa nella chiesa di Santa Clotilde. Don Bosco, venuto da celebrare, tentava inutilmente di liberarsi dalla folla per fare il ringraziamento. In sacrestia lo stringevano da ogni parte. - Lasciatemi un momento, diceva; lasciate che dica almeno un Pater! - Ma nessuno gli dava retta. A tal vista il Curato lo trasse in una stanzetta contigua, che, appena egli fu entrato
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s'illuminò di luce celeste, e Luigi andava su e giù lentamente senza far motto. - Oh Luigi! esclamò Don Bosco. Perché passeggi così senza dirmi nulla? - Non é tempo di parlare, ma di pregare. - Oh! parlami. Dimmi qualche parola, come hai fatto le altre volte. - Ho veramente qualche cosa d'importante da dirle, ma non é ancora venuto il tempo. - Tuttavia bisogna che tu mi parli. Vedrò i tuoi genitori, e che consolazioni porterò loro? - Consolazioni! Le avranno. Continuino a pregare, a servir Dio e la Vergine Maria. Io comincio a preparare la loro felicità. - Pregare! Non c'é più bisogno di pregare per te. Sappiamo che sei felice. Perché vuoi che i genitori si stanchino a far preghiere? - Con la preghiera noi diamo gloria a Dio. - Perché non fai una visita ai tuoi genitori, che ti amano tanto? - Perché vuol sapere quello che Dio ha riservato a sé? Ciò detto, disparve. Don Bosco notò che egli aveva tenuto sempre il capo scoperto. Sempre nel 1883, la notte sul 30 agosto, Don Bosco fece un gran sogno, che riporteremo a suo tempo. Gli parve di trovarsi in una spaziosa sala fra molti amici già passati all'eternità. Uno nell'apparente età di quindici anni, bello di celestiale bellezza e più risplendente del sole, gli si avvicinò: era Luigi. In un viaggio fulmineo egli fece vedere al Servo di Dio l'eredità spirituale riservata ai Salesiani nell'America, i sudori e il sangue con cui l'avrebbero fecondata e la futura prosperità materiale di quelle terre. Di questo sogno il 15 ottobre da Torino richiese a Don Lemoyne una copia per mandarla a Tolone: “ Fammi il piacere di ultimare il sogno di America e poi mandamelo tosto. Il Conte Colle ne é
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desideroso, ma lo vuole tradotto in francese, il che procurerò di fare immediatamente. ” Scrivendone poi al Conte l'II febbraio 1884, diceva: “Il viaggio da me fatto col nostro caro Luigi si spiega ogni dì più. In questo momento sembra che sia divenuto il centro degli affari. Si parla, si scrive, si pubblica molto per spiegare e attuare i nostri disegni. Se Dio ci farà la grazia di trovarci un po' insieme, avremo tante cose da dirci. ” Nel 1884 é interessante quello che accadde a Orte. Don Bosco, tornando il 14 maggio da Roma, ebbe in quella stazione una fermata di quattro ore. Era notte, nella sala di aspetto cercò di prender sonno sur un seggiolone, ma non si addormentava. Ed ecco farglisi innanzi Luigi e da' suoi occhi sparire ogni altro oggetto. Don Bosco, alzatosi, gli mosse incontro e gli domandò: - Sei Luigi? - Non mi conosce? Non si ricorda più del viaggio, che abbiamo fatto insieme? - Oh sì, certo, me ne ricordo bene, ma come portare a compimento tutte quelle cose? Io sono stanco; la mia salute va male. - Va male la sua salute? Non é così... Domani mi darà la risposta. La visione si dileguò solo all'ora della partenza. La dimane era il primo giorno della novena di Maria Ausiliatrice. Don Bosco, che dopo il suo ritorno dalla Francia era andato sempre di male in peggio, sperimentò all'improvviso un sensibile miglioramento, che di giorno in giorno si venne accentuando. Quando si uscì dalla stazione di Orte, scoccavano le due dopo la mezzanotte. Don Lemoyne, che accompagnava Don Bosco, rimase colpito al vedere nel suo modo di fare alcun che fuor dell'ordinario. Infatti, incontrato il capotreno che lo invitava a montare in vettura, gli disse: - Sa chi sono io? - Non saprei, rispose quegli. - Sono Don Bosco.
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- Ebbene? - Sono Don Bosco di Torino. Il dialoghetto si arrestò lì, perché il treno partiva. In queste sue parole e nel modo di proferirle si ravvisava qualche cosa di singolare, che Don Lemoyne non aveva mai avvertito in lui; onde, cercandone la causa e ignorando l'accaduto, suppose perfino che egli volesse dare a lui segretario una lezione, perché non conosceva abbastanza chi fosse Don Bosco. Il fatto di quest'apparizione fu narrato da Don Bosco ai coniugi Colle il 10 giugno 1885 a Torino. Un secondo sogno, avuto nella notte sul 10 febbraio del 1885, dischiuse a Don Bosco l'avvenire delle sue Missioni. Ne scrive così al Conte il 10 agosto: “ Il nostro amico Luigi mi ha condotto a fare una passeggiata nel centro dell'America, terra di Cam, diceva egli, e nelle terre di Arfaxad o in Cina. Se Dio ci permetterà di trovarci insieme, ne avremo cose da dire. ” Di qui apprendiamo chi fosse il personaggio che a un certo punto gli si pose a fianco, quando dall'America si trovò di botto trasportato nell'Africa, e del quale, narrando il sogno, aveva detto soltanto: “Io conobbi in quello il mio interprete. ” Del medesimo sogno troviamo un cenno anche in altra lettera del 15 gennaio 1886: “ Riceveranno notizie della passeggiata in Cina col nostro buon Luigi. Quando Dio ci farà la grazia di trovarci insieme, avremo tante cose da direi. ” Da quanto precede si scorge che nel giugno del 1885 non ne aveva detto ancor nulla ai Conti Colle. L'ultima apparizione, di cui ci sia pervenuta notizia, fu nella notte del 10 marzo 1885. Il Beato pressava Luigi a dirgli qualche parola. Luigi gli rispose: - Nella sacrestia della cattedrale di Tolone Lei pregò, perché io guarissi. - Sì, domandai la tua guarigione. - Ebbene, fu meglio che io non guarissi. - Come mai? Avresti fatto opere buone, avresti dato molte consolazioni ai genitori, ti saresti occupato grandemente a far glorificare Iddio...
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- Ne é Lei ben sicuro? Pronunziò Lei stesso la sentenza, amara per me, amara per i miei genitori; ma tuttavia fu per mio bene. Quando Lei domandava il mio ristabilimento, in salute, la Santa Vergine diceva a Nostro Signore Gesù Cristo: Adesso é mio figlio; lo voglio prendere adesso che é mio. - Quando ci dovremo preparare noi per venire nel cielo? - Si avvicina il momento, in cui le darò la spiegazione che desidera. Don Bosco fece questa narrazione ai Conti Colle nella galleria accanto alla sua camera il 10 giugno 1885, vigilia quell'anno della festa di Maria Ausiliatrice. Finito che ebbe osservò: - E' indicibile la bellezza degli ornamenti che rivestivano la persona del nostro caro Luigi. La sola corona che gli cingeva la fronte, avrebbe richiesto non giorni o mesi, ma anni per esaminarla particolarmente, tante varietà offriva allo sguardo, divenendo sempre più brillante e dilatandosi a misura che la si contemplava. I genitori, prima che conoscessero tutte le cose avvenute dopo il marzo del 1883 e narrate loro solo nel 1885, non erano mai abbastanza tranquilli sulla sorte del figlio; onde chiedevano a Don Bosco speciali preghiere in suffragio della sua anima. Il Beato una volta rispose (I): “Ho già cominciato la novena con Messe, comunioni e preghiere particolari per il nostro Luigi, che, io credo, riderà di noi, perché preghiamo per lui a fine di suffragarlo; in realtà egli é divenuto nostro protettore in paradiso e continuerà a proteggerci, finché non ci accoglierà nella felicità eterna. ” La Contessa, chiudendo i suoi appunti, annotava: “Nel confidare a due cuori afflitti per loro maggior consolazione queste sue comunicazioni col mondo soprannaturale, Don Bosco sembrava così felice da far dire che egli intravvedesse la Gerusalemme celeste. La commozione lo vinceva e i suoi
(I) Lett. da Torino 23 agosto 1884.
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occhi si bagnavano di lacrime, quando ripeteva le azioni di grazie che Luigi rendeva a Dio nel cielo. ” Non ometteremo un episodio, che la signora Colle raccontò alle Suore della Navarre, avvenuto poco dopo la morte del figlio. Don Bosco le aveva detto che nelle sue necessità si raccomandasse pure al suo Luigi. Orbene un giorno si presentò alla porta di casa un individuo che con fare prepotente le domandava denaro. Essa, non badando ai modi, gli diede l'elemosina, come soleva con tutti i poveri. Ma colui prese un'aria e un tono di minaccia da mettere paura. In casa non c'era neppure la serva. Allora, ricordando le parole di Don Bosco, pregò il figlio che l'aiutasse. Appena l'ebbe in cuor suo invocato, il malandrino, come assalito da improvviso spavento, si voltò e in quattro salti fu in fondo della scala, dandosi a precipitosa fuga. Ma tornando alle apparizioni, noi ci domandiamo: forseché solamente per consolare due cuori afflitti Don Bosco riceveva e confidava ai coniugi Colle queste comunicazioni celesti? Come non pensare invece che con tal mezzo la Provvidenza mirasse soprattutto a incoraggiare quei doviziosi e cristiani Signori, perché impiegassero volentieri una gran parte delle loro sostanze in soccorrere l'uomo di Dio, suscitato a compiere nella Chiesa tante opere di bene secondo i bisogni del tempo? Così appunto doveva pensarla Don Bosco. Infatti egli ai desolati genitori dopo la perdita del figlio aveva detto con l'ardire proprio dei Santi: - Dio toglie loro questo unico figlio, perché adottino come figli tutti i miei orfanelli. -- E così la intesero quei due ferventi cristiani. Il padre esplicitamente dichiarò a Don Bosco che metteva la propria borsa a sua disposizione (I). Le quali non furono vane parole, né buoni sentimenti di breve durata. Da quella borsa uscirono per più di sei anni somme rilevanti per la nuova casa della Navarre, per la chiesa e l'ospizio del Sacro
(I) Lett. a Mad.Colle, Torino, 3 luglio 1881.
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Cuore a Roma, per l'ospizio annesso alla chiesa di San Giovanni Evangelista in Torino, per la casa dei Figli di Maria a Mathi, per le Missioni e per eventuali necessità dell'Oratorio e di San Benigno. A costo di tediare i lettori, noi ci proponiamo di mettere nella maggior luce possibile tanta carità, valendoci dell'epistolario, che, sebbene non dica tutto, molto nondimeno offre alla nostra pia curiosità. La prima richiesta di aiuto risale al 3 luglio 1881. Scrive alla Signora Colle: “Finora ho potuto tirare avanti; ma con l'andare dei mesi prevedo che sarò costretto a fare appello alla carità dei Signori Colle. Sarà per un caso di necessità e nei limiti del possibile. ” Il caso di necessità si riferiva al Sacro Cuore; ma simili casi vennero poi moltiplicandosi e allargandosi. A una domanda così vaga la risposta fu quanto mai incoraggiante. Infatti il 20 agosto scriveva al Signor Colle: “Ella mi dà la preziosa notizia che mi regalerà 20 mila franchi per la chiesa del Sacro Cuore di Roma. Questo é veramente venire in aiuto della santa Religione Cattolica e allo spogliato suo Capo. Dio Le darà il centuplo adesso e più ancora a suo tempo nell'altra vita; ma il Sommo Pontefice e tutti i buoni cristiani e le persone da bene benediranno la sua carità. ”La lettera, nella quale il Colle annunziava l'invio del danaro, piacque tanto a Don Bosco per la sua eleganza e compitezza che ivi stesso gli diceva: “L'ho letta e riletta ed ho creduto di far cosa onorevole a V. S. ed anche alla città di Tolone, mandandola al Santo Padre, al quale farà conoscere come gli avvocati sappiano opportunamente unire scienza e pietà. Dio sia benedetto in tutte le cose. ” Non sembri strano questo mandare una lettera privata al Papa. L'impresa del Sacro Cuore gli era stata affidata dal Papa, che personalmente se ne interessava . inoltre Don Bosco dovette fin d'allora mirare a uno scopo speciale, di cui diremo più innanzi. Per altro danaro speditogli nel 1882 unitamente con gli auguri dell'onomastico lo ringraziava il 7 luglio: “ In questa
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occasione Le fo tanti ringraziamenti per l'aiuto dalla S. V. prestatoci, affinché possiamo fondare, riparare, ingrandire le nostre case. Le anime salvate con l'aiuto di Dio dai Salesiani saranno per Loro, e quando Ella e la Signora sua Consorte entreranno in paradiso, saran ricevuti certamente dalle anime salvate mediante la loro carità. “Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.” Ribadirà il medesimo concetto, ma con precipuo riguardo alle Missioni, il 4 dicembre 1883: “Anzitutto La ringrazio di tutte le larghezze che Ella, Signor Conte, ci ha prodigate in più occasioni. Se noi siamo riusciti a fare progressi nell'America del Sud e specialmente nella Patagonia, lo dobbiamo a Lei, alla sua carità. Ne siano dunque lieti Ella e la Signora Contessa; le anime che i nostri Missionari guadagneranno al cielo, saranno per Lei e per Madama le portatrici delle chiavi del paradiso. Ora Ella aiuta altre case e altri selvaggi, che mediante le sue buone opere verranno alla fede, aumentando il numero delle anime che pregheran per Loro.” Nella medesima lettera informava pure il Conte di altri due usi che aveva fatti del suo danaro, cioé per le case di Mathi e di San Giovanni, successivamente destinate ai Figli di Maria. “Ho una gradita nuova da darle. La casa di Mathi é stata comperata il 10 ottobre. Ora é mobiliata e popolata da una cinquantina di giovani che non potevano più essere contenuti nella casa di S. Benigno e che adesso stanno là a studiare coraggiosamente per il sacerdozio. Questa casa giovedì scorso é stata benedetta e consacrata a Dio sotto il titolo di Casa di San Luigi, e ciò per richiamare sempre più il ricordo del nostro Luigi e di tutta la sua famiglia. E' la prima nostra casa che porti quel titolo. Dio sia benedetto. ” E per San Giovanni: “La casa cominciata presso la chiesa di San Giovanni Apostolo, nonostante tutte le nostre premure, non é ancora al tetto. La costruzione é al terzo piano. Si lavora sempre senza posa. ”Finalmente il 22 ottobre 1884 completò queste ultime notizie: “Ho la grande consolazione
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di parteciparle che la casa fabbricata dalla sua carità a vantaggio dei Figli di Maria Ausiliatrice é finita e abbiamo fissato il 10 novembre prossimo per l'ingresso degli alunni, i quali sul principio saran circa 150. ” Poi la data dell'inaugurazione ufficiale fu rinviata, perché, come Don Bosco scrisse al Conte il 20 febbraio 1885, si voleva la sua presenza: “ Abbiamo già popolato quasi tutta la casa di San Giovanni Apostolo, ma l'inaugurazione, non é ancora stata fatta. Noi dobbiamo in questa casa preparare un buon pranzo e fare un brindisi cordiale con la Signora Contessa Colle. Va bene, Signora Contessa, nostra buona Mamma in Nostro Signore Gesù Cristo? ” I Conti, come abbiamo già detto, vennero per la festa di Maria Ausiliatrice. Sul principio del 1884 la malferma salute sembrava dover impedire a Don Bosco d'intraprendere il viaggio, che durante quella stagione era solito fare in Francia. Il Conte lo aspettava con desiderio. Il Beato gli rispose l'II febbraio: “ Tutti i giorni ed anche più volte al giorno vengo a far Loro una visita in spirito; ma di venire in persona fino a Loro, Signor Conte e Signora Contessa, non mi é ancora concesso. Al presente le cose nostre vanno bene, grazie a Dio; le case aumentano, i giovani più ancora, e le opere portano sempre con sé la benedizione, Dio sia benedetto. Da alcuni giorni la mia salute non é tanto buona, e non so se potrò venire a farle la visita ordinaria; credo che glielo potrò dire di qui a poco. Ma é inteso che in ogni caso ci vedremo a Roma. ” E’ vero che aveva sperato di anticipargli questa visita, arrivando tamquam fur a La Farléde verso il 20 settembre del 1883 (I); ma poi le circostanze non glie l'avevano permesso. Tuttavia il Conte gli teneva preparato quello che sarebbe dovuto essere oggetto di quel “ furto ”, come si rileva chiaramente da quanto il Beato gli scrisse il 15 ottobre: “Grazie della sua bella comunicazione. In questi giorni i
(I) Lett. da S. Benigno Canavese 25 agosto 1883.
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lavori sono progrediti e gli impresari domandano. Dio sia benedetto, e a Loro mille ringraziamenti, Signor Conte e Signora Contessa. Loro sono proprio la nostra provvidenza e gli strumenti scelti dalla mano del Signore per venirci in aiuto. ” A ritirare i doni della Provvidenza andò allora Don Rua, al quale Don Bosco diede l'incarico di concertare con i Conti un viaggio a Roma, da essi desiderato. Il Servo di Dio, recatosi nell'aprile del 1884 alla Città eterna e riferendo in data del 16 sull'andamento dei lavori colà, toccò pure di quel viaggio: “ Sono a Roma. Il viaggio é stato buono e grazie a Dio la mia salute é migliorata. Ho esaminato attentamente i lavori tanto della chiesa che dell'ospizio del Sacro Cuore di Gesù; ma le fondamenta di questo presentano difficoltà gravissime a motivo della profondità, e perciò si deve ancora faticar molto prima di mettere a posto l'enorme quantità di pietre, che stanno preparate a tale effetto. Ora poiché la S. V. ha detto che desiderava di venir a Roma per la cerimonia della benedizione della pietra angolare e solo per pochi giorni, io credo meglio per la sanità di Madama e della S. V., che la cosa sia rinviata a più tardi. ” Il 24 rendeva conto del ritorno di Don Rua, che erasi recato a Tolone per ricevere dal Conte una somma di 150 mila franchi e ne aveva spedito subito una parte a Roma: “ La sua cara lettera é venuta a trovarmi con tutta regolarità e la cosa é riuscita benissimo. Don Rua benedice con me Iddio e le Signorie Loro, che ci aiutano così validamente a propagare la gloria di Dio, Don Rua ha mandato con prontezza tutto il necessario per mettere in moto i lavori e adesso le cose camminano. ” Camminarono però così a rilento che l'accennata funzione si compié solo nel maggio del 1885. Il 10 Don Bosco scrisse ai Conti: “A Roma i preparativi per la posa della pietra angolare sono pronti; noi potremo farci rappresentare da un Borghese: Don Dalmazzo farà e ci guiderà. Vi é tuttavia una cosa che spetta a noi. Nella pietra angolare bisogna mettere
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dei ricordi e fra gli altri un'esposizione sulla famiglia e sulle due persone del padrino e della madrina. Perciò Ella avrà la pazienza e la bontà di cercare un amico, che in succinto mi dia le notizie principali: nome, data della nascita e le particolarità dalla S. V. giudicate opportune. Abbia pazienza: sono cose storiche da consegnare alla posterità. Avuta questa esposizione, sarà mia cura di unirvi altro, che compirà l'opera. ”. E’ del 1884 il ricorso di Don Bosco al Conte per un acquisto, che importava una spesa rilevante, ma che gli premeva di fare a qualsiasi costo. Gliene scrisse così il 20 febbraio: “ Un giorno, Signor Conte, abbiamo dal mio balcone osservato una casetta. - Quella casa, Ella disse, bisogna comprarla per togliere una grande servitù. Io metterò per questo a sua disposizione 30 mila franchi. - Allora la cosa restò senza conclusione, perché la proprietaria non voleva vendere. Adesso invece si vorrebbe vendere non solo la casetta, ma anche il terreno adiacente. L'affare ci conviene sotto ogni rapporto; tutti i nostri amici e tutti i Salesiani lo desiderano e lo raccomandano; ma il prezzo sarebbe molto più alto. Tra area, alberi e costruzioni ci importerebbe in cifra tonda 100.000 franchi. Io non voglio essere indiscreto; tuttavia non voglio neppure tacerle un affare che ci sistemerebbe tutta la casa, l'oratorio festivo, le scuole ed i laboratori. Dunque, Signor Conte, potrà in un tempo più o meno lungo venirci in aiuto con questa somma? Io le parlo in tutta confidenza, perché nella sua grande carità mi ha detto più volte che mette nelle mie mani la sua borsa per tutte le cose, nelle quali possa contribuire alla maggior gloria di Dio. Ella penserà un momento su quest'affare e poi mi risponderà con la medesima confidenza, con cui mi sono io rivolto a Lei. ” La casa in vendita era quella appartenente alla signora Bellezza e più volte mentovata nei volumi di Don Lemoyne (I). Sorgeva a ponente della chiesa di San Francesco, divisa
(I) Cfr. M. B., vol. II, pag. 543.
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solo per un muro dal cortile dell'Oratorio (I). Il tutto fu comperato col denaro del Conte. Questi con l'immediata promessa dell'offerta dovette significare qualche sua idea mal conciliabile con l'umile sentimento che Don Bosco aveva di sé oppure, chi sa? con la perfetta rettitudine d'intenzione; il fatto é che Don Bosco il 27 gli rispose: “ Ho ricevuto la sua ottima lettera; ma io non voglio che mi porti ragioni perché fa questa o quell'altra cosa. Ella mi permetterà solo di esporre i miei bisogni e poi io sarò sempre ugualmente contento del suo sì o no. Mio pensiero é di pregare ogni giorno per Lei e per la Signora Contessa, e lo faccio tutte le mattine con un ricordo speciale nella santa Messa secondo la loro intenzione. I medici mi hanno detto di andare nelle nostre case del mezzodì e sabato, a Dio piacendo, partirò per Nizza con Don Barberis. Di là spero di farle almeno qualche visita per inaugurare e benedire la nostra o meglio la sua chiesa della Navarre. Nello stesso tempo ci potremo parlare e io spiegherò meglio le mie idee che sono di farle del bene, ma contentandola in tutto che possa renderla felice sulla terra e un giorno nel paradiso. ” In quel 1884 un'altra necessità grave e urgente costrinse il Servo di Dio a invocare la carità dei suo generoso benefattore. Nell'estate scoppiò il colera, le cui conseguenze per Don Bosco furono così descritte il 10 settembre al Conte: “II colera ha sconvolto vari paesi della Francia ed ora travaglia spaventevolmente l'Italia. Le nostre case e i nostri giovani finora sono stati preservati, ma la beneficenza ci vien meno in seria misura, sicché ci troviamo in gravi difficoltà per sostenerci nelle spese richieste dalle costruzioni e dalla manutenzione delle nostre opere. Quindi se in questo momento la S. V. ci può venire in aiuto, sarà come sempre, il nostro sostegno. Tuttavia se, trovandosi Ella a La Farléde, e nell'impossibilità di rientrare a casa per causa del colera,
(I) Cfr. G GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, tav. VIII.
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questo Le reca disturbo, io Le raccomando di stare tranquillo nella sua villeggiatura e noi cercheremo di trarci d'imbarazzo come potremo. Ma glielo raccomando, non si dia pensiero, se le circostanze La mettono nell'impossibilità di fare il bene. ” Per quanto ce ne manchino le prove dirette, noi crediamo che il caritatevole Signore abbia trovato modo di conciliare la propria tranquillità con l'impulso del suo cuore a fare il bene. La fine dell'anno offerse a Don Bosco l'occasione per ringraziarlo calorosamente di tanti benefizi. Gli scrisse il 29 dicembre: “ Vorrei farle una visita in persona per porgerle tanti ringraziamenti. Non potendo a voce, desidero venire per lettera, finendo l'anno con lo scrivere a Loro, o caritatevole Signor Conte e Signora Contessa Colle. Dio sia benedetto e ringraziato per averci conservati in buona salute e, spero, anche nella sua grazia. Fra le altre buone opere, Ella ha pagato per D. Perrot i debiti della Navarre e il Signore non mancherà di largamente ricompensarla e i nostri poveri orfanelli pregheranno di continuo secondo la sua intenzione. Fortunato D. Perrot che ha pagatori di tal fatta! Ma perché non possiamo trovare benefattori simili in Italia? Se un tal pagatore in Italia esiste, venga a pagare settantacinque mila franchi, che Don Rua dovrà sborsare per i nostri Missionari d'America, e un'altra somma quasi uguale per il corredo e il viaggio di quelli che partiranno quanto prima! E perché non viene a pagare i debiti delle nostre case di Torino e della chiesa e ospizio di Roma? La ragione è chiara. In Francia e in Italia vi é un solo Conte Colle. E noi benediciamo mille volte il buon Dio, che il Signor Conte e la Signora Contessa Colle vivano per aiutarci, appoggiarci, sostenerci nelle nostre difficoltà. Dio li conservi entrambi per lunghissimo tempo in buona salute, doni Loro la grazia di passar ancora molti e molti anni felici in ricompensa della loro carità sulla terra e finalmente dia loro nell'altra vita il vero prendo, il grande premio nel soggiorno del paradiso, dove io ho piena fiducia che noi ci possiamo trovare con Gesù
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e Maria e col nostro caro Luigi a lodar Dio e a parlare di Dio in eterno. ” Rivide il Conte nell'aprile del 1885 a Tolone con Don Viglietti, ricevendo dalle sue mani nel partire la somma di centomila franchi per Roma e per le Missioni. Pensava di rinnovare la visita in settembre durante gli esercizi spirituali dei Confratelli. Gliene scrisse il 18 agosto da Mathi, dove si trovava da circa un mese per riaversi un tantino dalla sua gran debolezza o meglio, se fosse possibile, come diceva, per ritardare un po' la sua vecchiaia (I). “ Il tempo dei nostri esercizi, scriveva, é sempre su per giù il medesimo: si comincia il 10 agosto fino al 10 ottobre. Ma la gita a Nizza e a Tolone non sarà fin verso la metà dì settembre; Le si dirà il giorno preciso. Io per me desidero molto di vederla, ma non ne sono sicuro, perché da un mese a Mathi i miei viaggi sono stati dalla mia camera al giardino, che é vicinissimo alla cartiera. Per ora Le dirò che la mia salute é rimasta stazionaria; ma mi sembra che la diminuzione dei gradi di calore mi apporterà gran sollievo. Ma nel caso che la salute m'impedisca di mettermi in viaggio, Ella riceverà i ragguagli dei nostri affari. Entro la settimana avrà le carte relative al nostro ospizio di Roma, e Don Rua é interamente ai di Lei ordini per eseguirne le sante intenzioni a questo riguardo.” Le condizioni della sanità pubblica dissuasero dal fare a Nizza regolarmente gli esercizi; invece Don Bosco stette un mese a Valsalice, donde inviandogli sue notizie gli diceva il 27 settembre: “Come vedrà, io sono mezzo cieco, ed Ella stenterà forse a leggere la mia lettera. Mi perdoni e abbia pazienza. Non mancherò di ricordarli ogni mattina entrambi nella santa Messa. O Maria, siate nostra guida nella strada del paradiso. ” Andò in dicembre a Tolone Don Rua, portando per Don Bosco un prezioso involto del Conte e un
(I) Lett. al Conte, Torino 14 luglio 1885.
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grazioso cartoccio della Contessa, alla quale scrisse il 24: “ Mentre Don Rua mi portava il plico che Ella sa, V. S. mi ha mandato un pacchetto di giuggiole della loro villa e del loro giardino. Io l'ho accettato quale ricordo di una Mamma la più affettuosa e caritatevole. Il decotto delle giuggiole é stato ottimo e mi ha fatto molto bene contro la tosse. E le esprimo tutta la mia riconoscenza.” Vorremmo conoscere quanto Don Rua portò a Don Bosco; ma da una lettera del 15 gennaio seguente argomentiamo una volta di più, quanto sia stata provvida la mano di Dio nel fargli contrarre una sì cordiale relazione col Conte. Scriveva il Beato: “ Io parlo di Loro ogni giorno e posso dire ogni momento; ma con la mia povera testa sempre un po' scombussolata debbo scrivere pochissimo in confronto di quello che dovrei fare per ringraziarli della tanta bontà e carità che ci usano. In questo momento Loro non solamente sono il sostegno delle nostre opere ed anche dei Salesiani, ma in questi giorni son divenuti quasi i soli nostri benefattori. Poiché in questi momenti le offerte sono diminuite in misura paurosa, massime, nelle nostre case di Francia e nelle nostre Missioni d'America. Ma la nostra caritatevole questuante (quêteuse) Maria Ausiliatrice comincia a venirci in aiuto con grazie straordinarie nella Russia, nella Prussia e segnatamente nella Polonia. Don Rua manda informazioni sull'ospizio di Roma. Roma é una città eterna. Dire molto, fare molto (I) e contentarsi di far le cose lentissimamente. Pazienza ”. Nel marzo del 1886 il Servo di Dio fece il suo viaggio nella Spagna, passando per Nizza e Marsiglia. Il 26 annunziò una visita ai Conti: “Lunedì sera, a Dio piacendo, sarò da Loro e potremo a nostro agio discorrere dei nostri affari. Se possono preparar un altare, molto volentieri dirò la santa
(I) L'una e l'altra cosa s'intende da parte di chi ha interessi da trattate. Senso: Uno deve dire e fare molto colà, ma poi rassegnarsi alla lentezza delle pratiche.
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Messa in casa loro; altrimenti starò ai loro ordini. ” Bicchiere della staffa furono ottantamila franchi. Da questo punto la corrispondenza tace fino al 25 luglio, quand'egli, infermiccio, era ospite del Vescovo di Pinerolo, monsignor Chiesa, nella sua villa. Poi da luglio si balza al 9 settembre. “ Sono ritornato a Valsalice, scrive, per un altro corso d'esercizi e per un capitolo, nel quale si sono trattati gli affari della nostra Congregazione. Vi erano radunati 70 Direttori delle nostre case. Abbiamo parlato molto di Loro e dei nostri affari. ” E il 23: “ La settimana prossimi ci recheremo a San Benigno, dove abbiamo raddoppiato il numero de' novizi e dovuto perciò preparare in fretta una nuova casa. ” Allude alla casa di Foglizzo aperta allora. Qui, come altrove, ha cura di tenere i suoi grandi benefattori al corrente delle cose che si fanno, riguardandoli quali cointeressati nello svolgimento delle sue opere. Dopo il carteggio non si ripiglia che al 14 dicembre. Don Lasagna con un gruppo di Missionari era stato a ossequiare la famiglia Colle, non partendone a mani vuote. Il Beato scrive ai pii coniugi: “ Don Lasagna ha voluto scrivere i particolari della dimora fatta presso le SS. LL. e della carità con bontà veramente paterna ai medesimi prodigata. Essi partono, ma col cuore profondamente impressionato, assicurando che delle SS. LL. si faranno due modelli di vita cristiana in America. Partono per guadagnar anime al buon Gesù, guadagnando la propria e quelle delle SS. LL. ” Poi con allusione al trattamento avuto dai Missionari in casa dei Conti prosegue: “Ed ecco un piatto che presenteranno Loro un giorno alla Loro entrata in paradiso; ma un piatto veramente ghiotto; un piatto d'oro, un piatto formato con diamanti e pieno di opere buone; e fra le altre opere buone l'aiuto da Loro portato ai Salesiani nella conversione dei selvaggi e dei peccatori arrecherà Loro una gioia ineffabile e senza fine. ” In seguito parla di una vistosa offerta, che, ricordando le giuggiole della Contessa, chiama jujube ossia
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pasta di giuggiole: “Ma il loro jujube che cosa é diventato? Sentano: il loro jujube, essendo di eccellente qualità, é stato così diviso: I° Quindici mila per una cambiale che monsignor Cagliero mi ha spedita dalla Patagonia. 2° Trentacinque mila alla Banca Tiberina [per il Sacro Cuore]. 3° Il resto a San Giovanni Apostolo, a San Benigno, a Foglizzo, dove abbiamo giovani che studiano per il sacerdozio. Come vedono, ogni parola di questa lettera avrebbe bisogno di spiegazione; ma questo sarà per quando potremo discorrere pacificamente delle cose nostre. Vorrei scrivere ancora molto per attestare l'affetto e gli obblighi che tutti i Salesiani professano alle SS. LL.; ma la mia povera testa obbedisce pochissimo e la Signora Contessa vorrà caritatevolmente decifrare questa cattiva scrittura.” Del 1887 poco sappiamo quanto a oblazioni del Conte Colle. In una lettera del 23 marzo Don Bosco gli scrive del recente terremoto di Liguria: “ Le dirò con la maggior consolazione che nel grande terremoto nessun giovane, nessuna persona ricevette danno. Soltanto gli edifizi han sofferto molto; la casa, le scuole e la chiesa del Torrione sono state quasi rovinate. Ma la divina Provvidenza ci ha sempre aiutati e non ci abbandonerà in questo momento ” E' probabile che il ministro della Provvidenza non sia rimasto insensibile a tale comunicazione. Più sicure sono due altre notizie. Una é in un poscritto di Don Rua a una lettera dell'8 aprile; egli ringrazia ivi il Conte della carità usata a Don Perrot, che era andato a fargli visita, molto probabilmente perché in bisogno. L'altra riguarda una somma di cinquemila franchi per San Benigno, come vedremo. Conchiudiamo intorno a quest'argomento. Dell'ammontare di tante larghezze non é possibile fare un calcolo esatto, mancando ogni registrazione ed essendo la documentazione troppo lacunosa e talora anche vaga; ma per quello che noi ne sappiamo, si deve ritenere che la somma totale della beneficenza partita dal Conte Colle si aggirasse in media
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sui centoventimila franchi all'anno, la qual cifra cinquant'anni addietro rappresentava indubbiamente un bel valore. Ora dalla carità del Conte Colle volgeremo la nostra attenzione alla riconoscenza professatagli con i fatti in più modi da Don Bosco. Allorché si conobbero, il Colle era semplice avvocato e cavaliere dell'Ordine di San Gregorio Magno, onorificenza conferitagli da Leone XIII su proposta del suo Vescovo. Don Bosco volle farne un Conte Romano; al che si accinse con maggior impegno, quando intravvide di fargli con questo cosa gradita. Cattolico francese d'antico stampo, egli amava quel titolo nobiliare non perché nobiliare, ma perché papale e quindi vincolo di più intima unione con il Capo supremo della Chiesa. Il Beato se ne occupava già nel giugno 1881; fin d'allora infatti aveva mandato al Vescovo di Fréjus e Tolone un esposto per il Santo Padre, affinché Sua Eccellenza certificasse nulla contenersi ivi che fosse contrario al vero, e quindi raccomandasse la pratica (I). La supplica diceva:
Beatissimo Padre,
Tra gli uomini che senza rispetto umano in questi tempi si rendono benemeriti nel professare e promuovere il decoro e la gloria di nostra Santa Cattolica Religione devesi meritamente tra' primi annoverare il Sig. Avv. Luigi Antonio Colle di Tolone. Egli appartiene ad una delle più onorate famiglie di quella città; E' genero del Barone Buchet Generale di Divisione, antico senatore di Francia; E' Presidente zelante del Consiglio dell'Unione Cattolica e sociale del dipartimento del Varo: E’ Presidente della Società di S. Vincenzo de' Paoli in questa medesima città di Tolone; E’ Fondatore del periodico quotidiano politico religioso La Sentinelle du Midi, solo giornale Cattolico nel dipartimento del Varo; E' Fondatore e Presidente del Circolo cattolico di Provenza. Nella sua agiata posizione non si rifiuta mai ad alcuna opera di carità. Nel mese di marzo dell'anno testé passato ha fatto la generosa offerta di fr. 20 mila affinché si potessero continuare i lavori già
(I) Lettera al Conte, TORINO 3 luglio 1881.
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cominciati per la Chiesa e per l'Ospizio del Sacro Cuore all'Esquilino in Roma Nel settembre dello stesso anno, essendo stato informato che cominciavano a mancare i mezzi per detta costruzione, fece una nuova offerta di fr. 20.000. Nella Colonia agricola affidata ai Salesiani nella Navarra presso Tolone mancavamo di edifizi pei poveri fanciulli colà ricoverati, ed egli offrì pari somma di 20 mila lire in aiuto ed altre ottantamila garantisce per maggiori largizioni in avvenire. Questo insigne e benemerito cittadino é già Cavaliere di San Gregorio il Grande; ma pel vivo desiderio di legare ognor più sé e tutta la sua famiglia al Capo Supremo della Cattolica Religione e così professarsi più splendidamente difensore della Chiesa reputerebbe cosa veramente gloriosa alla sua parentela e a lui di sommo gradimento il titolo di Conte di Santa Romana Chiesa. Egli è pronto a pagare tutte le spese di uffizio, di diritto che in qualunque modo si riferiscano a tale atto di benevolenza sovrana. Il sottoscritto, essendo già stato più volte beneficato nei diversi Ospizi dalla divina Provvidenza affidatigli, umilmente si prostra ai piedi di Vostra Santità, implorando la grazia sopra mentovata. Torino, 16 giugno 1881. Sac. Gio. Bosco.
Dopo tre mesi non vedendo ancora nessun risultato, raccomandò la cosa al Cardinale Vicario il quale sapeva delle liberalità del Colle per la chiesa del Sacro Cuore (I): “Il Sig. Colle di Tolone pare disposto di fare altre beneficenze in favore della religione ed é persona assai ricca. Ma bisogna che la E. V. se ne occupi presso al Santo Padre affinché gli conceda il titolo di conte, per cui ho fatto pervenire la dimanda regolare colla commendatizia del suo Vescovo presso la E. V. Qualora non giudicasse di parlarne Ella stessa al Santo Padre può affidare la cosa al Sig. Card. Segretario di Stato, che ha già favorito di questo titolo altri cattolici che da quanto appare avevano meriti meno rilevanti. Credo che il Santo Padre sarà contento di incoraggiare in questo modo un uomo che impiega una grande fortuna pel bene della Chiesa e vive da fervoroso cattolico.
(I) Sampierdarena, 14 settembre 1881.
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In dicembre la pratica era nelle mani del Cardinale Jacobini Segretario di Stato, il quale dava la cosa come fatta; “ ma, osservava Don Bosco, Roma é eterna, dicono, anche negli affari (I) ”. Il fatto lo provò anche in quell'affare. Andato a Roma nell'aprile del 1882, trovò che non erasi ancora mosso un dito. Di là il 2 maggio informava così il suo “ carissimo e rispettabile amico ”: “ Sono a Roma. Ho già veduto il Santo Padre, col quale mi sono lungamente indugiato a parlare della S. V. e della sua Signora. Gli dissi delle offerte per la chiesa del Sacro Cuore e per la Navarre, della funzione per la pietra angolare e delle altre opere di carità, alle quali la S. V. e la sua Signora si sono dedicati. Egli ha ascoltato con attenzione paterna e poi mi ha incaricato di comunicar Loro la benedizione apostolica, assicurandomi che avrebbe pregato anche per la loro salute, e per la pazienza e la perseveranza nella grazia di Dio. Infine ha aggiunto: - E la decorazione, di cui mi avete fatto domanda? - Santo Padre, gli risposi, la sto sempre aspettando. - Ma come? Oh negligenza! negligenza! Passate. subito dal Cardinal Jacobini; egli vi dirà che cosa si é fatto. ” Il Cardinal Jacobini, ossia il Segretario di Stato di Sua Santità, mi ha ricevuto con tutta prontezza, ha fatto scuse e mi ha assicurato che prima della mia partenza da Roma mi sarà dato il Breve, che spero di presentarle a Torino. A Torino, Signore e Signora, a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice; là spero che potremo intrattenerci sui nostri affari. ” A Torino i Colle non vennero, ma inviarono auguri per San Giovanni. “ E' stata una gran festa, scrisse Don Bosco il 5 luglio; festa cordiale, che più volte mi ha fatto venire le lacrime. ” Ma se i Signori fossero venuti, sarebbero partiti senza il Breve. Era giunto veramente da parecchio; ma egli
(I) Lettera al Conte, Torino 30 dicembre 1881.
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continuava nella stessa lettera: “ Il Breve di Roma si può chiamare il Breve delle contrarietà. Mi é stato mandato a Torino. Leggo, e trovo: Comes Colle Dioecésis Taurinensis [Conte Colle della Diocesi di Torino]. L'ho rispedito immediatamente a Roma e aspetto la correzione. ” Finalmente dopo un anno dall'inizio della pratica il Breve arrivò il 19 luglio, nel qual giorno poté scrivere: “ Dopo lunghissima attesa ricevo in questo momento il Breve da parte del Santo Padre. Non si può desiderare di meglio; ma io voglio che Le sia presentato in modo convenevole. Quindi incarico Don Perrot di completare la pratica e di fargliene la comunicazione in un giorno determinato. Egli Le chiederà se preferisca una visita nella sua villa o a Tolone o forse meglio alla Navarre, quando s'inaugurerà la copertura della nuova casa. Ella farà come tornerà più gradito a Lei e alla sua Signora. ” Bisognava anche richiamare l'attenzione sul valore legale del titolo; del che il Beato scrisse al Conte il 30 luglio: “ Questo Breve é un documento preziosissimo per la S. V., per la sua famiglia e per la storia della Chiesa. Lo vedrà. Ma da noi in Italia non si può legalmente né portare decorazioni né assumere titoli senza l'autorizzazione del Governo. Ma Ella é avvocato e sa che cosa si debba fare in Francia. Io desidero soltanto che un documento di tal sorta sia consegnato con decoro e poi pubblicato sui giornali. ” In Italia la “Consulta Araldica”, che esamina la materia dei titoli nobiliari, non opponeva difficoltà alla convalidazione di quelli accordati dal Papa. In Francia i titoli nobiliari sono aboliti, ma nulla impedisce che corrano privatamente; anzi nella comune estimazione godono sempre del loro credito tradizionale. Chi lo crederebbe? Le contrarietà del Breve non erano finite. O fosse andata smarrita la prima copia nello spedirla a Don Perrot o avesse sofferto qualche guasto, vi fu necessità di ottenere da Roma un duplicato, il che obbligò a pazientare ancora un bel poco. Frattanto, mentre si aspettava,
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occorse un curioso incidente. Nella lettera testé citata Don Bosco diceva: “ Entro il mese di agosto dovrò ricorrere alla sua carità per un affare, ma Le scriverò a suo tempo con tutta confidenza. ” Infatti gli scrisse da San Benigno il 28 di quel mese: “Sono qui a San Benigno Canavese, dove molto sovente parlo della S. V. e della sua Signora con Don Barberis, Don Rua, Don Durando ed altri che ebbero la buona ventura (I) di fare da noi la sua conoscenza. Ma in questo momento, come ho avuto già l'onore di scriverle, mi trovo in gran bisogno di danaro per i nostri giovani che si preparano al sacerdozio e a diventar missionari all'estero. Se loro, Signore e Signora Colle, mi possono venire in aiuto per comperare grano e far pane per gli abitanti di questa casa e per provvedere oggetti che ci si domandano da Carmen in Patagonia, farebbero senza dubbio una grande carità. Le altre volte venivano Loro spontaneamente; ora sono io a domandare. Ma Li prego di trattar con me nel modo che io tratto con Loro: con tutta confidenza. Così, se in questo momento possono o non possono, mi risponderanno con tutta confidenza si o no. La somma che mi abbisogna é di 12.000 franchi. Il loro buon cuore farà quanto possono senza loro incomodo. ” Il Conte gli mandò la metà. “Abbiamo pagato subito, scrisse Don Bosco il 6 settembre accusando ricevuta, il debito principale al fornitore di grano, che rifiutava già di darcene più oltre. Perciò tutta la casa di San Benigno Le manda tanti ringraziamenti e farà molte preghiere per la S. V. e per Madama Colle. Intanto pregheremo la divina Provvidenza che ci venga in aiuto per i nostri Missionari della Patagonia e delle Terre del Fuoco. Don Barberis desidera di ringraziarla egli stesso a nome anche de' suoi allievi, che studiano per le Missioni estere.” Don Barberis infatti accluse in quella di Don Bosco una sua lettera, scritta in italiano.
(I) Le parole in corsivo sono in italiano nel testo.
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Orbene, tutto questo aveva che fare col Breve. Don Bosco per San Benigno e per le Missioni si era trovato così con le acque alla gola, perché il Breve gli era costato relativamente caro; ma voleva levarsi d'imbarazzo senza svelare la cosa. Invece il Conte subodorò che Don Bosco avesse dovuto far fronte a spese e lo pregò d'informazioni al riguardo. Il Servo di Dio aspettò a rispondere, finché non ebbe ricevuto dal procuratore Don Dalmazzo il sospiratissimo duplicato. Avutolo nelle mani, lo spedì al Direttore della Navarre, dandogli sul da farsi le opportune istruzioni.
Carissimo D. Perrot,
Eccoti finalmente un duplicato del famoso Breve. Vedrai qui un vero monumento storico. O andare due in deputazione a Tolone, o che i Sig. Colle facessero una passeggiata alla Navarra, cosa un po' difficile in questi giorni. Tu vedrai e farai. Comunque però sia, procura di tradurlo in Francese e poi consegnarlo alla stampa. Fa poi osservare che mentre l'Avv. Colle prenderà il nome di Conte, la Signora sarà chiamata Contessa. Fa un cordialissimo saluto ai nostri Conf. e figli augurando a tutti sanità e santità. Pregate per me che vi sarò sempre in G. C. Torino, 2 dicembre 1882. Aff.mo amico Sac. Giov. Bosco.
Allora soltanto rispose al Conte sull'affare delle spese per il Breve. E qui é da leggere nelle sua integrità la risposta, tradotta nello stile italiano di Don Bosco.
Mio carissimo e ottimo amico,
Dio sia benedetto nelle rose tutte e nelle spine. Dopo aver aspettato così lungo tempo, finalmente ogni cosa é in regola e pur con ritardo il Breve è giunto e insieme Le é stata inviata la santa benedizione del Papa. Adesso mi domanda una cosa, di cui non vorrei parlare; ma per obbedienza Le dirò tutto con semplicità. Ella mi dice: “Voglia dirmi in tutta confidenza quello che io debbo dare per questo documento alla cancelleria del Vaticano. Non voglio che ciò Le costi spese.” Ora la divertirò con la storia dell'affare. Il Santo Padre non ha
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mai richiesto danaro da me, in casi simili. Questa volta il Sommo Pontefice mi disse mesi addietro: tutto fatto. Bisogna soltanto che passiate da Sua Eminenza il Segretario di Stato. - Questi mi diceva sempre: - E’ tutto fatto. - Ma non mi si dava mai il Breve. Finalmente il mio Procuratore Generale a Roma si presentò al Cardinal Jacobini, domandandogli, chiaramente la ragione della cosa. Allora quegli rispose che ci volevano dodicimila franchi. Si fecero rimostranze; si cercò di parlare al Santo Padre, e alla fine si ridusse la somma a seimila franchi. Poi l'incaricato dell'affare volle la sua porzione (I), dicendo che gli si doveva la tassa di 500 franchi. Per levar di mezzo tutti gl'imbarazzi e tutti i ritardi ho fatto pagare tutto quello che si é dovuto pagare, cioè 6500 franchi. Ma Don Bosco, voulant faire la chose en seigneur [volendo farla da signore] si trovò nella miseria e Le domandò la carità; ed Ella, certamente ispirata da Dio, gli ha mandato proprio sei mila franchi. Adesso é stato pagato tutto, e la S. V. non deve più nulla a nessuno, all'infuori della pazienza che Don Bosco ha voluto farle esercitare per leggere questa storia. Buon giorno, mio caro Sig. Conte, e mio amico nel Signore per sempre. La Santa Vergine protegga Lei e la Signora Contessa Colle e li conservi in buona salute entrambi per lungo tempo e infine dia loro, ma anche a me con loro, la gloria del Paradiso col nostro amato Luigi per sempre. Così sia. Preghi anche per questo povero prete che Le é sempre in G. C. Torino, 13 dicembre 1882. Affezionato come figlio Sac. Gio. BOSCO.
Il Conte a giro di posta gl'inviò 6550 franchi (2). “Noi, rispose Don Bosco il 20 dicembre, abbiamo ricevuta questa somma come carità che Ella ci ha voluto fare. E in questo senso io la ricevo con la massima gratitudine; e poiché questo danaro sarà impiegato a nutrire e vestire i nostri orfanelli, farò pregare i giovani per Lei, mio caritatevolissimo e ottimo amico, e per la Signora di Lei Consorte, affinché il Signore dia loro grandi consolazioni sulla terra e l'eterna felicità in paradiso. E io che cosa farò per ricambiarla? Non ho che
(I) Le parole in corsivo sono in italiano. (2) Dei 50 in più la spiegazione é in queste parole della lettera, con cui Don Dalmazzo accompagnava il duplicato: “ Eccole il Breve duplicato pel Conte Colle. Ottenni a stento a L. 50 si riscrivesse ”. Queste tasse si sogliono segnare a tergo dei documenti, dove perciò il Conte lesse dei 50 franchi.
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darle né che fare per sua degna ricompensa. Una cosa sola mi resta e gliela darò di tutto cuore. La notte di Natale, a Dio piacendo, celebrerò a mezzanotte le tre Messe con la santa Comunione dei nostri giovani e dei nostri chierici, offrendo tutto al Signore e alla Beatissima Vergine secondo l'intenzione sua e della sua Signora. ” Crescendo i benefizi, Don Bosco sentiva crescere in sé il bisogno di manifestare sempre più la sua gratitudine. Con questo intendimento nella primavera del 1884 fece di nuovo alte lodi del Conte e della Contessa a Leone XIII, che si degnò di accordare al primo un'altra onorificenza. Don Bosco senza lasciar trapelare nulla li invitò a Torino per la festa di San Giovanni, anziché per quella di Maria Ausiliatrice, nella quale egli era troppo assorbito dall'affluenza dei visitatori (I). Essi vennero e al pranzo dell'onomastico sedettero la Contessa a destra e il Conte a sinistra di Don Bosco nel refettorio grande. Qui li attendeva la sorpresa. Sul più bello Don Dalmazzo, giunto di fresco da Roma, lesse la nomina del Conte a Commendatore dell'Ordine di San Gregorio Magno. Fu un colpo di scena molto ben preparato, che destò altissimo entusiasmo. Don Dalmazzo, finita la lettura, abbracciò e baciò il Conte e porse la decorazione a Don Bosco, che la rimise alla Contessa, e questa fra le acclamazioni dei presenti la appese al collo del marito. Sempre coerente a se stesso il Conte, ritornato a Tolone, scrisse al Beato professandosi nella firma “ Commendatore tutto disposto a lasciarsi comandare da Don Bosco [Commandeur tout disposé à se laisser commander Par D. Bosco] (2). “Parole, commentava il Beato, delle quali ben si comprende la significazione. Ma Ella non lo sa! Don Bosco é sempre con le tasche vuote di danaro e Don Rua é insaziabile per averne. Dunque come farà la S. V. a cavarsela? Noi cercheremo di essere sempre molto discreti, sempre contentissimi di ricevere la carità
(I) Lettera di Don Barruel, Torino 21 maggio 1884. (2) Lettera di Don Bosco, Torino 5 luglio 1884.
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dalla S. V. prodigataci per aiutarci a guadagnare anime a Dio. Ella ben comprende, Signor Conte, che la chiusa di questa lettera é per ridere, e che la mia scrittura é cattiva e quindi ho gran difficoltà a farmi capire. Dio La benedica, mio caro Signor Conte, e con Lei benedica la Signora Contessa. Maria Ausiliatrice Li conservi entrambi in buona salute, ma sempre sulla strada del paradiso. Tutta la casa, compresi i nostri preti, chierici e giovani, presentano Loro i propri omaggi, si raccomandano alle loro preghiere e domani faranno la santa Comunione secondo la loro intenzione. ” A dimostrare la sua riconoscenza usava con i benefattori forme di piccoli presenti, che sapesse tornar loro graditi. Per regalare certe persone gli servivano egregiamente bottiglie di vini prelibati o di squisiti liquori offertegli da famiglie nobili o ricche di Torino. Così al Conte Colle mandò ogni tanto del buon vermouth. La prima volta all'espressione del suo gradimento Don Bosco rispose il 30 agosto 1881: “Un po' di Vermouth é cosa da ridere; ma nella sua grande bontà Ella ha voluto gradirlo. Sono ben contento che una tal piccolezza Le abbia potuto procurare qualche istante di benessere.” E dopo un altro invio, il 4 dicembre 1883: “Sono ben contento che il Vermouth Le sia giunto in buono stato. E' una povera, ma unica maniera che noi abbiamo per dirle che Le siamo riconoscenti, che Le vogliamo bene e che per Lei preghiamo in modo specialissimo.” Vi torna sopra una terza volta il 18 gennaio 1885: “Le domando alla buona una cosa ed Ella avrà la bontà di dirmela. Vermouth ne esiste ancora a sua disposizione? Ella sa che io ne sono il suo fornitore.” Ma il mezzo usuale per isdebitarsi gli veniva somministrato dalla sua viva fede. Non c'é lettera, in cui non dica di preghiere fatte o da fare per i suoi due benefattori; in occasioni di solennità l'espressione suol essere più ampia e calorosa. Ne abbiamo già veduti parecchi saggi; ne spigoleremo alcuni altri fra i più significativi.
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Per la festa dell'Assunta scrisse ai Conti il 10 agosto 1885: “ Credo che in questa Novena dell'Assunzione della Santa Vergine non dimenticheranno il loro povero Don Bosco, il quale prega infallantemente ogni giorno per Loro e per la lor felicità spirituale e temporale. Noi Salesiani domandiamo instantemente in questa Novena che la Santa Vergine tenga Loro assicurato un posto a sé vicino in paradiso, ma che non lo dia ancora per lungo tempo. ” E per la Natività, l'8 settembre 1886, cominciava così una lettera: “O Maria, nostra buona Madre, in questo giorno, nel quale la Chiesa Cattolica festeggia la vostra nascita, portate voi stessa una benedizione specialissima ai vostri due figli, il Signor Conte e la Signora Contessa Colle. Con tutto il cuore (I) ho celebrato questa mattina la santa Messa e i nostri giovani han fatto la santa Comunione per la loro felicità spirituale e temporale. Preghino Loro pure per questo poverello, che li ama in Gesù Cristo, come tenero figlio.” Per l'onomastico della Contessa Sofia Colle, il 23 settembre 1886: “In questo suo giorno onomastico vorrei bene farle una visita; ma per il momento bisogna rimandare questo progetto ad altro tempo. Oggi mi devo limitare a dir la santa Messa e i nostri orfanelli faranno la santa Comunione secondo la di Lei intenzione. Noi pregheremo che Dio conservi la S. V. e il Signor Conte Colle in buona salute, in pace, in carità fino all'ultimo istante della vita. E allora la Santa Vergine, accompagnata da una moltitudine di [angeli], Li porti seco in paradiso, ma coi loro parenti e amici e col povero Don Bosco, che Li ama molto nel Signore.” Nella vigilia della Novena dei Santi, 22 ottobre 1884: “Domani cominceremo la Novena dei Santi e io non voglio permettere che passi un tal giorno senza fare di Loro memoria dinanzi al Signore secondo la loro intenzione. Fra le altre cose noi renderemo grazie a Dio, che Li ha conservati in
(I) Frase sottolineata nel testo francese.
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buona salute, e io sono pieno di fiducia che la Santa Vergine continuerà Loro la sua protezione. ” All'avvicinarsi della festa di Maria Santissima Immacolata, il 29 novembre 1881: “ Non voglio lasciar passare la Novena dell'Immacolata Concezione senza preghiere per Lei, amatissimo Signore e per Madama Colle sua consorte. Nella vigilia di questa grande solennità io dirò la santa Messa e i nostri giovani faranno la santa Comunione all'altare di Maria Ausiliatrice secondo l'intenzione sua e della sua Signora. ” E il 4 dicembre dell'anno seguente alla Contessa: “ Come figlio affezionato, e che ogni mattina fa un ricordo per la buona Mamma in Gesù Cristo, non voglio lasciar passare questa Novena della Santa Vergine Immacolata senza fare speciali preghiere per Lei e per il Signor Conte Colle. Perciò nel giorno della gran festa, venerdì 8 dicembre, tutti i Salesiani e i loro giovani faranno preghiere e comunioni per loro. E il povero Don Bosco? Io dirò in quel giorno la Messa secondo la loro intenzione. Noi pregheremo la Santa Vergine che Li conservi entrambi lungamente in buona sanità, ma sempre nella sua grazia e sotto la sua santa protezione, fino a quando saremo tutti insieme riuniti col nostro carissimo Luigi nella compagnia degli Angeli in Paradiso. ” Di nuovo il 4 dicembre 1883 al Conte: “ Tutta la Congregazione Salesiana Le presenta i suoi omaggi e sabato secondo l'intenzione di Lei e della Signora Contessa celebreremo una Messa all'altare maggiore di Maria Ausiliatrice e i nostri giovani faranno comunioni e preghiere secondo la loro intenzione. ” Nell'occasione del santo Natale, il 23 dicembre 1883: “ Loro sanno che i Salesiani ogni giorno, mattino e sera, fan particolari preghiere per Loro e che il povero prete scrivente fa per Loro tutte le mattine un ricordo nella santa Messa. Ma in questi giorni desidero di far Loro un regalo, ma un regalo che sarà certamente gradito. La notte di Natale, a mezzanotte, a Dio piacendo, io dirò le tre Messe, tutti i Salesiani pregheranno e i nostri giovani faran preghiere
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e numerose comunioni secondo la loro intenzione. Le nostre preghiere sono indirizzate al Bambino Gesù per supplicarlo che dia Loro molte consolazioni sulla terra, Li conservi lungamente in buona sanità e li guidi sicuramente per la strada del paradiso. ” Il 17 dicembre 1884 ai due coniugi: “ La Novena del Natale é cominciata,. e noi non Li vogliamo dimenticare. Ogni mattino, ogni sera si prega per Loro, per la loro sanità, per la loro conservazione. Affinché il Signore dia Loro lunghi anni felici, la mattina di Natale si dirà secondo la loro intenzione la santa Messa. ” Così press'a poco in altri Natali, nel capo d'anno e a San Francesco di Sales. Del colera, che dal 1884 al 1886 afflisse qua e là l'Italia e la Francia, la corrispondenza che veniamo spogliando, ci presenta echi notevoli, oltreché per le già dette ripercussioni economiche, anche in quanto fu a Don Bosco occasione per manifestare ai Conti Colle la propria gratitudine. Il morbo fece capolino nell'estate del 1884. I Conti che erano venuti all'Oratorio per San Giovanni, come abbiamo narrato, partiti che furono, non diedero subito loro notizie, sicché Don Bosco stava in pena. Finalmente le notizie giunsero liete; onde il Beato rispose il 5 luglio: “La sua ottima lettera é stata per noi angelo consolatore. Da ogni parte ci si domandava di Lei e della Signora Contessa, ma nessuno ne sapeva nulla. Don Rua, Don Cagliero, Don Durando, Don De Barruel e tutti i Salesiani domandavano del suo viaggio, della sua salute e del luogo di sua dimora. Ma nessuno sapeva dire niente fino all'arrivo della cortese sua. Adesso Ella é a La Farléde in buona salute: Dio sia benedetto. Le notizie della sanità pubblica sembrano migliorare, e noi preghiamo incessantemente per Lei, per la Signora Contessa e per tutti i suoi amici, affinché nulla ne turbi la sanità e la tranquillità. E così faremo mattino e sera nelle nostre private e pubbliche preghiere. Ma io, oh quanto lo faccio di cuore! Ogni giorno mi ricordo di Loro nella santa Messa. ”
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Don Bosco però non istava bene. Il caldo, a lui sempre nocivo, nell'estate del 1884 lo accasciava ogni di più; onde i medici lo forzarono a cercare sollievo in aria migliore. Monsignor Chiesa, Vescovo di Pinerolo, gli offerse ospitalità nella sua villa, dove il Servo di Dio si recò in compagnia di Don Lemoyne. Sua Eccellenza lo colmava di attenzioni. Di là intanto seguiva trepidante lo svolgersi del contagio (I). I paesi all'intorno cominciavano a essere colpiti e si moltiplicavano i casi. “ La nostra confidenza, scriveva l'II agosto, è nell'aiuto di Maria Ausiliatrice. Tuttavia le nostre case sono state sconvolte dal flagello. Tutti i nostri giovani che hanno abitazione o parenti, sono andati alle loro case; i più poveri sono rimasti con noi, e noi cercheremo di averne cura e d'incoraggiarli. Se le cose saranno tranquille, ci vedremo verso la fine di settembre; altrimenti la divina Provvidenza ci darà le norme necessarie. Tutti i Salesiani e i loro giovani pregano per le Signorie Loro e noi pure abbiamo grande fiducia nelle preghiere e nella pietà delle Loro Signorie. ” Fece ritorno all'Oratorio il 23 agosto, nel qual giorno scrisse sue nuove al Conte: “Giungo ora da Pinerolo in discreta salute e Dio sia benedetto. Ho trovato la città di Torino circondata dal colera, ma la città finora interamente immune. Grazie a Dio nelle nostre case la salute é buona mercé l'antidoto della Santa Vergine. Sacerdoti, chierici, giovani pregano e fanno comunioni per Lei e per la Signora Contessa. Li ringrazio della corona che dicono secondo la nostra intenzione. Il Signore e la sua divina Madre non permetteranno che si ripeta invano: Maria aiuto dei cristiani, pregate per noi.” Ma oltreché a pregare, volgeva nell'animo anche un suo disegno. “Mentre stavo a Pinerolo, continuava, pensai seriamente che se Ella e la Signora Contessa potessero venir a passare i mesi del gran caldo a Pinerolo, sarebbe ottima cosa per la loro salute. Non si può apprestar loro un
(I) Lett. al Conte, Pinerolo, Villa del Vescovo, 20 luglio 1884
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quartierino per quella stagione? E’ cosa da trattarsi nell'anno prossimo.” Su di questo nulla si concertò; infatti il 10 agosto del 1885 Don Bosco scriveva: “ I giornali pubblicano che il colera minaccia la Francia. Io credo che La Farléde sarà risparmiata; ma tutte le volte che Ella giudicasse di venir a passare qualche tempo a Lanzo, paese sicurissimo, non ha che da prevenirmi qualche giorno innanzi, un giorno per l'altro, e troverà preparata per Lei e per tutta famiglia una casetta a loro disposizione ”. Rinnovò la profferta in modo più largo il 16 del mese: “ Mio carissimo e caritatevole amico, noi abbiamo piena fiducia che la sanità sua e della Signora Contessa sia buona, e tutte le case salesiane fanno incessanti preghiere per la loro lunga conservazione in sanità e santità a La Farléde. Ma caso mai qualche cosa desse Loro incomodo e giudicassero bene di venir a passare qualche tempo da noi, vengano con tutta libertà e troveranno che tutti faran loro grande festa. ” Nel luglio del 1886 Don Bosco era di bel nuovo dal Vescovo di Pinerolo, donde scrisse il 23: “ I miei pensieri sono sempre con Loro per pregare Iddio che li conservi lungamente in buona salute. I Salesiani stanno bene. Niente colera o altri malanni che ci disturbino. Perciò se le nostre case e le nostre persone potranno render Loro qualche servizio, sarà per noi la più grande consolazione e siamo illimitatamente ai loro ordini. ” Il reiterato invito non ebbe altro effetto che di testimoniare sempre meglio l'animo riconoscente di Don Bosco verso i suoi grandi benefattori. A manifestazioni di animo grato da una parte, come ad esercizio di carità benefica dall'altra, dava luogo lo scambio di visite, che ci è avvenuto fin qui di ricordare, ma su cui dobbiamo ancora soffermarci per iscandagliare ognor più i sentimenti del nostro Beato Padre. Era stato a Tolone fra il marzo e l'aprile del 1883. Il 5 aprile scrisse da Valenza sul Rodano: “Io porto sempre
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con me il dolce ricordo delle sue cortesie, attenzioni e larghezze, prodigatemi tante volte e segnatamente nei giorni che ho avuto l'onore e la consolazione di passare con la S. V. a Tolone. Ella comprende, Signor Conte, che quanto scrivo a Lei, intendo dirlo anche alla Signora Contessa Colle, che in questo momento noi possiamo veramente chiamare caritatevole Madre (I) dei Salesiani. Nelle loro case e nelle loro occupazioni essi non mancheranno mai di pregare per la loro salute e conservazione. ” Il 10 giugno invitò quelli a Torino per il suo onomastico. “ Il 24 di questo mese, scrisse, si fa la festa di San Giovanni e se Loro in tale occasione potran venire a Torino, la festa sarà completa. Credo che avremo tempo di discorrere insieme delle cose nostre e fare anche qualche gita. Ma caso mai fosse meglio per la S. V. e per la sua Signora anticipare o posticipare il giorno della venuta fra noi, sono pienamente liberi e in quel tempo io non ho impegni che mi chiamino altrove. La festa di Maria Ausiliatrice é stata veramente splendida. Ne parleremo a Torino. ” L'invito fu accettato con gioia. Alla partenza il Conte era un po' indisposto, e il Beato a scrivergli tosto il 7 luglio: “ Alla sua partenza da Torino, mio carissimo amico, io sono rimasto in pena per la sua salute, che non era buona; poiché Ella aveva un forte raffredore con tosse. Confido in Dio che ora stia meglio; nondimeno, se mi scrive due parole in proposito, mi fa un gran piacere. ” Fra le gite Don Bosco ne aveva divisata una a Borgo San Martino, che non si poté fare; onde gli diceva nella stessa lettera: “ A Borgo San Martino la festa era tutta per Loro. La camera, il canto, la musica, i giovani, il Vescovo Li aspettavano ansiosamente. Io ho cercato di aggiustare ogni cosa, invitando tutti a far preghiere secondo la loro intenzione. ” Sul principio del 1884 Don Bosco affrettava col desiderio il giorno di tornare a Tolone (2). Vi andò, come s'é visto,
(I) Sottolineato nel testo. (2) Lett. al Conte, Torino II febbraio 1884.
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con Don Barberis in marzo. Nuovamente i Conti vennero a Torino per San Giovanni e allora vi fu la consegna della Commenda di San Gregorio Magno. Nel medesimo anno l'elevazione di Don Cagliero alla dignità episcopale fece desiderare a Don Bosco un loro ritorno per la consacrazione. “Vengo a far loro una proposta, scrisse il 7 settembre, difficile, ma non impossibile. Loro giudicheranno. Fu Loro significato, credo, che Don Cagliero sarà preconizzato Vescovo il 13 di questo mese dal nostro Santo Padre Leone XIII. Pochi giorni dopo sarà consacrato. E’ il primo nostro alunno innalzato a questa carica, il primo Vescovo della Patagonia; egli é pure uno dei loro protetti e molto affezionato. Faremo una festa delle più splendide; ma ecco la gran cosa che desideriamo. Tutti e io per il primo desideriamo di averli fra noi in quel giorno per fare da Padrino e da Madrina nella funzione religiosa. Tale é il mio invito e tali sono i comuni desideri. Per altro io ho amore e riguardo anzitutto alla loro salute e perciò se temono, comunque sia, che la loro salute ne riceva danno, io farò per conto mio un gran sacrifizio e voglio assolutamente che rimangano a casa. Ecco, Signor Conte e Signora Contessa, il mio sincero invito, ma con pienissima libertà da parte loro e con gran desiderio di averli con noi. ” La risposta fu quale si temeva. Monsignor Cagliero, recatosi a Roma in dicembre, fece ritorno il 22 con una speciale benedizione del Papa per i Colle (I), ai quali la portò personalmente, ricevendone squisite cortesie (2) e un presente di mille cinquecento franchi (3). Prima che terminasse il 1885, Monsignore aveva battezzato un giovane indio, imponendogli il nome di Luigi Colle e mandandone a Don Bosco la fotografia per il Conte (4).
(I) Lett. di Don Bosco ai Conti, Torino 17 dicembre 1884. (2) Lett. di Don Bosco al Conte, Torino 20 febbraio 1885. (3) Lett. di Don Bonetti a Don Bosco, Marsiglia II febbraio 1885. (4) Lett. di Don Bosco al Conte, Torino 27 settembre 1885.
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Il Servo di Dio rivide i Colle nell'aprile del 1885 a Tolone, dove concertò con essi un nuovo viaggio a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice, rimandata per ragioni liturgiche al 2 giugno (I). In casa Colle il Servo di Dio si trovava a suo bell'agio, tanto era lo spirito di cristiana pietà che aleggiava là entro; infatti espresse così il dolce ricordo della dimora fattavi (2): “Il mio paradiso terrestre é sempre la mia camera o meglio la camera datami da Loro nel mio passaggio per Tolone.” All'appressarsi del gran giorno scrive il 26 maggio: “Tutti i Salesiani Li attendono per il 31 corrente nella mattinata. Non dicendomi Loro se arriveranno per Savona o per Genova, io non Li voglio in verun modo incomodare, ma noi li aspettiamo a mezzodì per il pranzo e a qualunque ora per riceverli. Loro saranno veramente i due amici di Maria Ausiliatrice e nostri Priori della gran festa Frattanto io ho fatto per loro e continuerò a fare un ricordo ogni giorno nella santa Messa fino al loro felice arrivo in mezzo a noi.”Don Bosco restituì la visita sul cadere del marzo del 1886, ultimo incontro di sì sante anime sopra questa terra. Il Beato veramente ne avrebbe voluto ancora un altro in luogo e occasione più cospicui. Nel 1887 scrisse il 22 marzo: “Si sarebbe stabilito di fare la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore a Roma il 14 maggio e di là venire alla festa di Maria Ausiliatrice il 24 dello stesso mese. Va bene così? Se la cosa é da parte sua possibile, io Le scriverò tutte le particolarità che ci riguardano [....]. Tutti Li aspettano per il tempo stabilito, si prega ogni giorno per la loro salute e conservazione e il loro povero, ma affezionatissimo Don Bosco tutte le mattine non manca mai di fare uno speciale ricordo nella santa Messa.” Ripiglia l'argomento l'8 aprile: “Non so se da un po' di tempo siano giunte fino a loro nostre
(I) Lett. di Don Bosco ai Colle, Torino 13 marzo, Nice 25 aprile, Torino 10 maggio 1885. (2) Lett. ai Colle, Nice 25 aprile 1885.
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notizie, perché io sono quasi costretto ad abbandonare la corrispondenza epistolare, fatta eccezione delle cose strettamente confidenziali. Ora si é stabilito che la chiesa del Sacro Cuore sia definitivamente consacrata a Dio il 13 maggio. Io sono obbligato a fare piccole tappe; ma per quel giorno spero di essere a Roma e là trovarli entrambi in buona salute e parlare tranquillamente di noi. Da Roma verremo qui a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice il 24 maggio. Le nostre cose le vedremo e ce le diremo.” Ma purtroppo anche la salute del Conte declinava: il suo mal di cuore aveva ripreso a travagliarlo più che mai. Per tale annunzio Don Bosco gli scrisse il 12: “La sua lettera é stata per tutti noi un colpo di fulmine, che ha rovesciato tutti i nostri disegni. Soltanto la sua salute e la necessità di usarsi ogni riguardo tiene luogo di tutte le ragioni. Si faranno o meglio si porteranno ad altro tempo le nostre feste. Io desidero di andarvi, di pregare molto per la S. V. sulle tombe di San Pietro e San Paolo, e spero che il Signore Le accorderà di venire alla festa di Maria Ausiliatrice a Valdocco. Tutte le nostre preghiere sono per questa intenzione. Ella avrà nostre nuove. Dio ci benedica e Maria ci guidi a vederci certamente a Torino, mentre tutti i nostri allievi pregano per V. S. e li aspettano infallantemente: arrecheranno ad essi una grande consolazione con la loro visita.” Ma in un poscritto Don Rua dava al Conte notizie poco buone intorno alla salute di Don Bosco. L'idea di spostare la data della consacrazione, come Don Bosco avrebbe voluto per rendere possibile l'intervento dei Colle, era inattuabile, essendo ormai troppo tardi, come osservava Don Rua, ed essendosi già pubblicato che la si sarebbe fatta il 14 maggio. Lento fu il viaggio di Don Bosco. Appena giunto a Roma, egli si affrettò a scrivere il 10 maggio: “Siamo arrivati a Roma; il viaggio è stato buono. I particolari li avrà dal mio segretario Don Rua, Se Ella non può venire, si pregherà
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molto per la sua salute. Tuttavia ho piena fiducia di vederla a Torino, perché non é possibile fare la festa di Maria Ausiliatrice senza la loro presenza. Parlo così sempre a condizione che la salute glielo permetta, giacché la sua salute per noi é tutto. Il mio ritorno é fissato per il 20 maggio al più tardi; potendo anticiperò di qualche giorno. Tutte le nostre opere qui sono cominciate; Dio ci aiuti a compierle. Dio conceda buona salute alla S. V. e alla Signora Contessa e guidi entrambi per la strada del paradiso. Amen.” Nella firma si professa “ umile e affezionato come figlio”. La risposta non fu rassicurante; onde il Beato gli riscrisse il 12 maggio: “Comprendo dalla sua lettera che la sua salute non é buona, come noi tutti desideriamo; quindi vogliamo pregare molto e fare, per dir così, violenza al Signore e alla Santa Vergine. Tutti i giovani dei nostri collegi pregano per la S. V. Domani io e Don Rua diremo entrambi la Messa per Lei. Venerdì sera alle 6 abbiamo udienza dal Santo Padre. Gli parleremo molto di Lei [...]. Sabato si farà la consacrazione della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore, che tante volte ho raccomandato alla sua carità.” Alla consacrazione la famiglia Colle fu onorevolmente ricordata; poiché ne parlavano ad alta voce le tre maggiori campane, recando incisi i nomi del Conte, della Contessa e di Luigi con elogi in relative iscrizioni latine, composte dal Beato e tuttora conservate nell'autografo (I).
(I) Dalla minuta autografa di Don Bosco: “ Sul Campanile della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma, la campana maggiore con questa iscrizione. Floritus Colle Sanctae Romanae Ecclesiae Comes patria Tolonensis in Gallia fidei rerumque catholicarum propugnator et decor, Salesianae Congregationis benefactorum princeps, tyntinnabulum hoc in obsequium Summi Pontificis Leonis XIII dicavit. 1887. ” Sulla seconda campana: Sophia Comitissa Colle de nobili familia Buchet patria Tolonensis caritate et pietate undequaque fulgens omnium virtutum viri sui fidelis pedissequa ad honorem B. V. A. Christianorum D. O. M. d. anno 1887. ” Sulla 3ª campana. Aloysius Colle, filius unicus Comit. Sophiae et Floriti Colle, dum innocentia caeterisque virtutibus parentibus solatium et exemplum praeberet, florente aetate raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Quievit in osculo Domini aetatis suae anno 17, A. D. 1881. Parentes benedicentes Dominum
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Don Bosco anticipò realmente la partenza, come aveva divisato; infatti il 18 era a Pisa, ospite dell'Arcivescovo monsignor Capponi; di là scrisse a Tolone. Riporteremo ora per intero le ultime lettere di Don Bosco ai due buoni signori. Traducendole vi lasciamo le imperfezioni sintattiche, le quali con la scrittura rivelano stanchezza di mano e di mente.
Signor Conte e Signora Contessa Colle,
Credo che abbiano ricevuta la relazione che il S. Padre ha voluto di loro fare nel dar loro la santa benedizione. Adesso io dirò soltanto due parole nella casa Arcivescovile dell'Arcivescovo di Pisa, che m'incarica di presentare loro i suoi rispettosi omaggi. Domani mattina partirò per Torino, dove vogliamo assolutamente impegnare la S. Vergine Ausiliatrice a ridarle la primiera salute. Tutti i Salesiani pregano incessantemente per Lei e per la Signora. Dio li benedica e la S. Vergine li guidi per sempre nella strada del paradiso. Così sia. Pisa, 18 maggio 1887. Affezionato come figlio Sac. Gio. Bosco.
Il S. Padre nella lunga udienza che mi ha voluto dare, io ho avuto tempo di parlare di Lei, della Signora e di tutte le opere buone che fanno e che ci aiutano a fare. Gli rincresce molto che la sua salute non sia quale si desidera e raccomanda molte preghiere nella chiesa del Sacro Cuore, e specialmente nella novena e nella festa di Maria Ausiliatrice. Io gli ho raccomandato di Lei la sua salute per lungo tempo nella Santa Messa. Egli mi ha assicurato e mi ha incaricato di darle da sua parte una speciale benedizione con l'indulgenza plenaria. Pazienza della mia scrittura.
qui dedit et abstulit, Pauperes Christi haeredes constituerunt, qui illorum thesauros in coelum deportaverunt. ” Nel 1893 in un ambulacro a lato della chiesa del Sacro Cuore venne murata una grande lapide con i rilievi dei tre Colle e con la seguente epigrafe di Don Francesia: Honori et memoriae - Aloysii Colle Comitis F. Floriti et Sophiae Buchet - qui cum pietatis et litterarum studio - inclaresceret quievit in Domino sexdecim an. n. - Parentes dum moesti Dei mentem adorant - rei suae haeredes pauperes Chr. constituerunt - et pueros in primis - qui Christianis moribus imbuendi alerentur - Romae in aedibus a div. Corde Jesu nuncupatis - ut rei memoria ad posteros prorogetur - hunc titulum insculpendum curavimus - an. MDCCCXCIII.
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Una lunga lettera, in cui é visibile lo sforzo di spingere avanti la ritrosa penna, indirizzò a Tolone da Torino dopo circa un mese dalla precedente. Vi é dimenticata l'intestazione.
Torino, 14 giugno 1887. Sono nel nostro collegio di Valsalice, che fu onorato dalla sua presenza e che ci dà occasione di parlare assai spesso di loro, o caro Sig. Conte Colle e rispettabile Sig. Contessa. Nel caso che la sua salute le permetta di venire da noi per le feste di S. Luigi e di S. Giovanni, la camera e la mensa é preparata per lei e per la Signora. Questo soggiorno io lo credo molto gradevole per lei, giacché il caldo non ci disturberà. Tutta la casa sarà ai suoi ordini. Ma anzitutto noi dobbiamo rivolgere i nostri pensieri alla sua salute, di cui ignoro il vero stato. Desidero veramente di passare qualche tempo con la S. V. e di parlarle un po' dei nostri affari di Roma, di S. Benigno, dei nostri Missionari; ma tutto questo richiede buona salute da parte sua e da parte della Signora Contessa. Tutti i Salesiani fanno preghiere per la sua salute e abbiamo piena fiducia di essere esauditi. Le notizie dei nostri Missionari sono state cattive, specialmente per Monsignor Cagliero, che viaggiando dalla Patagonia al Chily é caduto da cavallo e rimasto come morto nei deserti delle Cordigliere. Ora la vita é salva e dopo un mese di vita pericolosa, finalmente sono arrivati tutti vivi alla città La Conception e cominciarono le fatiche per la conversione dei selvaggi. I nostri Missionari scrivono molto spesso che si raccomandano sempre alle sue caritatevoli preghiere; dal canto loro tutti assicurano che ogni giorno non mancano di raccomandare la S. V. e la Signora alle preghiere dei selvaggi e soprattutto di quelli che hanno ricevuto il nome delle SS. LL. nel battesimo. Dio li benedica entrambi e la Santa Vergine sia loro guida in tutti i pericoli fino al Paradiso. Don Rua, con tutti i Salesiani, presentano i loro omaggi affettuosi. Sarò per tutta la vita affezionatissimo come figlio Sac. Gio. Bosco. Torino, Valsalice.
Il Conte dovette aver pregato Don Bosco di fare novene. Subito ne ricevette la seguente risposta, nella quale é omessa un'altra volta la consueta intestazione. Anche la Contessa non stava bene.
Noi faremo la novena alla Santa Vergine non solo una volta, ma, com'Ella desidera, tante volte, affinché Dio ci esaudisca, come ci assicura il Curato di S. Luigi. Dio lo faccia. Tutta la casa prega con la S. V.
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E’ da noi il Conte di Villeneuve con la figlia Anna Maria per ringraziare la Santa Vergine. Abbiamo parlato molto di Lei ed egli mi promette di pregare pure con noi per la di Lei perfetta guarigione. O S. Giovanni, non permettete che facciamo la vostra festa senza ottenere da Dio o la guarigione perfetta o almeno un assai notevole miglioramento. Così sia. Quando avrà la bontà di rispondere alle mie lettere, La prego senza complimenti di due semplici parole: Io sto o non sto meglio. Questo é solo perché non si dia troppa pena a scrivere una lunga lettera. Noi preghiamo anche per la Signora Contessa Colle e abbiamo piena fiducia nella sua perfetta guarigione. O Maria, nostra Madre pietosa e caritatevole, pregate per noi e proteggeteci. Così sia. Suo umile e obbligato come figlio Sac. Gio. Bosco.
Saputo da Don Perrot, che le condizioni del Conte non accennavano a farsi soddisfacenti, Don Bosco credette cosa buona mandare Don Rua a visitarlo, tanto più che questi aveva affari da sbrigare a Marsiglia. “Don Rua, scrisse il Beato (I), conosce benissimo le di Lei intenzioni, le intenzioni della sua Signora e le mie. ” Ritornato Don Rua, egli scrisse alla Contessa.
Signora Contessa Colle,
Don Rua ci dà la notizia che il Sig. Conte sta un po' meglio. Dio sia benedetto. Noi continuiamo sempre le nostre preghiere. Speriamo che il poco continuerà, benché a rilento. Io sono quasi nella medesima condizione. Un po' meglio, ma non posso camminare senza il sostegno di due persone. Ma Ella per sé, Signora Contessa, trascura la sua salute. Curi il nostro caro infermo, ma non dimentichi sé. Tutte le mattine nella Santa Messa le mie preghiere saranno per il Sig. Conte e per la Signora di Lei Sorella. I nostri orfanelli fanno tutti i giorni comunioni speciali secondo la sua intenzione all'altare di Maria Ausiliatrice. O gloriosa S. Anna, otteneteci da Dio sanità, santità e perseveranza fino al paradiso - paradiso - paradiso. Torino, 26 luglio 1887. Affezionato come figlio Sac. Gio. Bosco.
(I) Lett. da Torino, 7 luglio 1887.
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Un improvviso e notevole miglioramento ravvivò le speranze. Don Bosco manifestò prontamente alla Contessa la sua gioia.
Signora Contessa Colle,
Dio sia benedetto e la Santa Vergine sempre ringraziata. La grazia o la guarigione del Sig. Conte Colle é veramente cosa mirabile. Più volte io aveva detto e scritto: - Se piace a Dio, egli mi chiami all'eternità, ma dia ancora tempo al suo figlio Sig. Conte Colle per poter continuare la sua protezione ai nostri missionari e alla nostra nascente Congregazione. - Dio ha voluto scegliere il giorno della mia nascita e darmi tale notizia. Sia sempre sempre ringraziata la Santa Vergine. E' la notizia più gradita. Scriverà anche Don Rua; la S. V. leggerà con pazienza questa cattiva scrittura. Maria sia la nostra protettrice per sempre. La S. V. voglia anche continuare le sue preghiere per questo prete povero, ma sempre affezionato come figlio. Lanzo, 14 agosto 1887. Sac. Gio. Bosco.
Posteriori notizie orali portate dal Direttore della Navarre confermarono il buon andamento della malattia; del che il Beato si rallegrò col Conte.
Mio caro e ottimo amico,
Spero dinanzi a Dio che la sua salute andrà sempre di bene in meglio e che la Signora Contessa e la S. V. avranno salute regolare.. Noi abbiamo pregato sempre con questa intenzione, ma nel giorno della natività di Maria Santissima pregheremo in modo speciale. Io sono sempre a Valsalice; Don Rua é a Este nel nostro collegio per dirigere gli esercizi dei Salesiani di Lombardia. Sabato sarà qui con me. Don Perrot é stato alcuni giorni con noi e abbiamo avuto tempo di discorrere della di Lei guarigione, della sanità della Signora Contessa e della Signora sua Sorella. Dio ci benedica e la Santa Vergine sia nostra guida in tutti i pericoli fino al paradiso. I miei omaggi a tutti. Torino, 6 sett. 87. Umile e affezionato come figlio Sac. Gio. Bosco.
Il 20 ottobre Don Bosco doveva a Foglizzo vestire dell'abito chiericale novantaquattro aspiranti; il Conte aveva
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mandato la somma occorrente per il panno. Questa lettera di ringraziamento é l'ultima al Conte Colle e una delle ultime scritte dal Servo di Dio. Torino, 17 ott. 87.
Signore e mio caro Conte Colle,
Don Perrot ci ha mandato la di Lei generosa somma di 5 mila franchi per aiutarci a vestire i nostri giovani chierici. Li ho spesi immediatamente per essi e giovedì prossimo é fissato per la loro vestizione chiericale; ma nel giorno stesso pregano e fanno la santa comunione per Lei, per la Signora Contessa e per la continuazione della di Lei salute. Preghiere speciali noi faremo per i vivi e per i defunti della sua famiglia. Coraggio, noi continuiamo le nostre preghiere. La mia salute va meglio. Dio sia benedetto e la Santa Vergine ci protegga. Io sono assai felice tutte volte che potrò ancora pregare per la S. V. e per la Signora e dirmi suo obbligato e umile servitore Sac. Gio. Bosco.
Il grande amico e benefattore di Don Bosco precedette di un mese il Servo di Dio all'eternità; il 10 gennaio 1888 un insulto al cuore ne troncò quasi improvvisamente l'esistenza. Negli alti e bassi del male aveva ricevuto due volte il Viatico. Don Rua dispose l'animo di Don Bosco infermo a ricevere la dolorosa notizia. Per lui e per la Contessa, come per altri massimi suoi benefattori, Don Bosco aveva lasciato una lettera scritta con mano tremante, perché fosse calligrafata e spedita dopo la sua morte. Firmandosi “affezionato come figlio”, diceva loro: “Io li aspetto dove il Signore ci ha preparato il gran premio, la felicità eterna col nostro caro Luigi. La Divina Misericordia ce l'accorderà. Siano sempre il sostegno della Congregazione Salesiana e l'aiuto delle nostre Missioni. Dio li benedica.” La carità dell'estinto non si smentì fino all'ultimo; nelle sue disposizioni testamentarie assegnò a Don Bosco o in mancanza di lui a Don Rua un legato di franchi quattrocentomila. Ma il demonio ci volle mettere la coda. Il testamento olografo depositato presso il notaio Marquand di Tolone portava la data del 2 luglio 1884; se non che la filigrana
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della carta bollata, su cui era scritto, mostrava un millesimo posteriore, cioé 1886. Un lontano parente, che il Conte rifiutava di ricevere in casa sua, attaccandosi a quel rampino, presentò domanda di nullità. Il Conte aveva bensì conservato nel suo domicilio un testamento identico per il contenuto e per la data, scritto su carta libera; ma disgraziatamente una nota autografa diceva: “ Questa é la copia esatta del mio testamento depositato presso il signor Marquand. Sarà esecutivo, se quello depositato presso il notaio venisse a sparire.” In realtà, originale era quello su carta libera, e copia posteriore l'altro, mentre legalmente doveva apparire il contrario. L'impugnatore credette di avere egualmente buon giuoco, adducendo due ragioni per dimostrare il nessun effetto del testamento conservato in casa: “I° Una copia non può avere maggior valore dell'originale. Nullo essendo l'originale, nulla del pari dev'essere la copia. 2° Il secondo testamento, conformemente alla volontà del testatore, dovrebbe andare in esecuzione se quello depositato presso il notaio venisse a sparire. Ora quel testamento non é sparito, e per conseguenza non si deve eseguire il secondo.” Per buona sorte il tribunale civile rigettò la domanda di nullità sulla motivazione che il testamento conservato in casa, essendo senza contestazione scritto, datato e firmato dal testatore, portava in sé i tre requisiti indispensabili pel la validità di un testamento olografo; questo dunque doveva essere eseguito. La qual sentenza venne confermata in appello. La Contessa vedova, degnissima erede del defunto, sebbene per una clausula del testamento tutti i legati in numerario si dovessero soddisfare due anni dopo la di lei morte, decise di sborsare immediatamente quello destinato a Don Bosco e fu ben lieta allorché vide le relative formalità condotte a termine. Però al trar dei conti l'incasso netto fu appena di ottantamila franchi.
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Sulla tomba del Conte Colle si legge un versetto dei Salmi che rappresenta l'estrema testimonianza di affettuosa gratitudine del Beato Don Bosco alla sua benedetta memoria. Tre giorni prima che lo seguisse nel cielo, la sera del 28 gennaio 1888, quando stentava già molto a farsi intendere e a dar segno che capiva, si parlava sommessamente accanto al suo letto di una sentenza scritturale da incidersi in testa all'epitaffio del defunto. Don Rua era di parere che vi si scolpisse questa: Orphano tu eris adiutor; monsignor Cagliero invece proponeva quest'altra: Beatus qui intelligit super egenum et pauperem. Don Bosco, il quale gli astanti credevano che non avvertisse quanto si diceva, aperse a un tratto gli occhi e con grande sforzo pronunziò: Pater meus et mater mea dereliquerunt me, Dominus autem assumpsít me. A Don Bosco il Signore nella sua Provvidenza affidava grandi opere di bene a vantaggio specialmente della gioventù povera e abbandonata; il medesimo Signore fece incontrare a Don Bosco l'Uomo, che in anni di estremo bisogno per il consolidamento delle sue opere fu per lui della divina Provvidenza tesoriere e ministro.
CAPO IV. Dalla Francia a Roma e da Roma a Torino.
AFFARI molteplici, alcuni dei quali gravi e delicati, richiedevano imperiosamente le presenza di Don Bosco a Roma; quindi al ritorno dalla Francia, senza passare per Torino, proseguì a quella volta. Avvicinandosi però il tempo pasquale, in cui a Roma avrebbe potuto fare poco o nulla, trascorse un paio di settimane visitando case della Liguria e profittando della stagione propizia per andar in cerca di offerte. Lasciata pertanto Nizza il 27 marzo in compagnia di Don Durando e del chierico Reimbeau, si diresse prima a Vallecrosia. Qui la comunità si componeva di due preti, un chierico e due laici, i quali nell'attesa che la nuova casa fosse pronta a riceverli, stavano molto allo stretto; perciò Don Bosco e i suoi furono ben riconoscenti al cavalier Moreno, che offerse loro generosa ospitalità. Il chierico Reimbeau descrive così le condizioni, in cui versavano allora quei confratelli (I): “La loro vita è proprio edificante. Sono così poveri che fanno pena a vedere. Io ho visitato, quale membro della Società di San Vincenzo de' Paoli, molte famiglie disgraziate, ma raramente ne incontrai di più povere. Spesso,
(I) Lett. a Don Barberis, S. Remo 3 aprile 1881.
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cosa incredibile, per intere settimane si cibano di soli legumi cotti nell'acqua e conditi col puro sale. Nondimeno sopportano tali privazioni con un'allegria che reca stupore e io non vidi mai faccie più liete. La loro é una vera capanna da Patagoni; la cappella é un magazzino da olio, come pure le scuole. E' così stretta che vi si soffre mancanza d'aria ed io non poteva resistere e mi sentiva venir meno il respiro. Ma passeranno presto in una casa spaziosa, dove saran ricompensati largamente delle loro presenti sofferenze.” Il Signore al Torrione sembra aver voluto premiare la carità del buon cooperatore e glorificare la santità di Don Bosco con due fatti prodigiosi. Una signora Moreno, parente del Cavaliere, giaceva da gran tempo inferma, quando la mattina del 31 marzo un suo figlio cadde tutto a un tratto in letargia. I mezzi dell'arte per farlo rinvenire non producevano nessun effetto; onde il suo stato appariva ai medici oltremodo pericoloso. La madre a tal notizia provò sì forte dolore, che la sua malattia, repentinamente precipitando, la ridusse agli estremi. Il nostro Don Pesce le amministrò in tutta fretta gli ultimi sacramenti. Don Bosco, saputa la cosa, se ne afflisse per l'ottimo cavalier Moreno, a conforto del quale volle recarsi in quella famiglia a visitare gli ammalati. Il figlio non dava segno di vita, la madre agonizzava, e il medico passava dall'uno all'altra senza vederci un filo di speranza. Don Bosco, appressatosi a entrambi e postosi alcuni istanti in preghiera, li benedisse. Mirabile effetto! Il giovane cominciò subito a distendere liberamente le membra, addormentandosi poi d'un sonno tranquillo, finché verso sera, ristabilito a pieno, chiese di alzarsi, accusando una gran fame. Anche la signora si sentì all'improvviso tanto meglio, che prima di notte era guarita. Il marito, ritornato esso pure quasi da morte a vita, se già era buon cooperatore salesiano, professò da quel giorno a Don Bosco la più cordiale riconoscenza, che dimostrava generosamente col fatto, avendogli dato Iddio un ricco patrimonio.
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Da Vallecrosia Don Bosco scrisse due lettere; tante almeno ce ne sono giunte. La prima era indirizzata al Direttore di Nizza.
Car.mo D. Ronchail,
Procura di mandarmi ad Alassio la lettera di Don Confortóla ed un'altra cominciata che non ho finita. Ho dimenticato, o meglio hanno dimenticata la mia zimarra nella vettura che ci condusse alla stazione. Trovatala piegala coll'indirizzo: D. Bosco a Torino. E poi avutane occasione la manderai Abbiamo dimenticato il Bellet di Mad. Daprotis. Riassumendo le cose pare che si possa dire: I° I principali tuoi debiti sono pagati, ma ritieni nota e relazione delle persone che ti ho notato e che sono ben disposte a dare. 2° Quando puoi visita Mad. Medà, Dam. Guigon, coltiva Mad. Daprotis. 3° Occorrendo che convenga qualche mia lettera, dimmelo; io procurerò di scrivere. 4° Procura di radunare spesso il tuo capitolo per insistere che non si battano i giovani, che ciascuno legga la parte di regolamento che lo riguarda. Abbiamo da fare e ci mancano braccia. Preghiamo. Dio ti benedica, o sempre caro Don Ronchail, e ti conceda buona salute, benedica anche tutti i nostri cari figli e confratelli. Saluta i nostri amici e benefattori e credimi sempre in G. C. Torrione, 29 - 3 - 81. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
PS. Domani a sera spero vedere Don Cerruti e parlargli delle cose nostre. Il “Bellet di Madame Daprotis” era una cassetta di bottigliette contenenti vino così denominato dalla vigna che lo produceva e regalatogli da quella signora. Era vecchio di novant'anni. Don Bosco lo voleva portare a Roma per farne un presente al Santo Padre. La seconda lettera fu per Don Barberis.
Mon cher D. Barberis,
I) Ho ricevuto notizie di te e dei nostri cari giovani. Benediciamo il Signore in tutte le cose. Ogni giorno io benedico il nostro caro Don Buffa e prego per lui, affinché Dio pietoso me lo conservi ancora molto tempo.
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2) Dirai al Ch. Lucca ch'io sono stato molto contento della sua lettera, che continui, ho bisogno di parlare un momento con lui, prima di presentarlo all'ordinazione, e intanto stia tranquillo sulla mia benevolenza e paterna affezione. 3) Riguardo ai lavori a farsi ho dato i pieni poteri a Don Rua: procura di intenderti con lui. 4) Nostre cose vanno bene. Da fare immenso, continuate a pregare. 5) Godo molto che gli esercizi siano riusciti bene; a tale uopo dirai ai nostri amati chierici e preti, nominatamente a Don Piscetta e a Don Merigi che io ho bisogno di qualche eroe nella virtù, e che almeno un paio giungano a far miracoli. Senza di ciò non posso andar avanti. Dio ci benedica tutti, ci conservi nella sua santa grazia e pregate per me che vi sarò sempre nel Signore. Ventimiglia, 29 Marzo 1881. Aff.mo amico Sac. Giov. Bosco.
Don Buffa morì a San Benigno il 7 aprile seguente. Interrotti gli studi nel secondo anno di liceo e travagliato successivamente da varie malattie, dopo qualche tempo di vita agitata, trovò finalmente la pace per mezzo di Don Bosco, che, fattigli trascorrere alcuni mesi a Varazze e alcuni altri ad Alassio, lo accettò al noviziato. Se non che, vedendo come i suoi giorni fossero contati, gli accelerò straordinariamente le sacre ordinazioni fino al presbiterato; la qual cosa non gli fu difficile, grazie alla benevolenza del nuovo Vescovo d'Ivrea monsignor Davide dei conti Riccardi. “La memoria di quel sacerdote, si legge nella cronaca della casa di San Benigno, sarà incancellabile in coloro che ebbero la bella sorte di conoscerlo e d’ammirarne le elette virtù. ” La sera del 10 aprile si discese a San Remo, dove li aspettava il direttore di Alassio Don Cerruti, che, dato il ben venuto al Padre, fece ritorno al proprio collegio. Alloggiarono tutti presso le suore della Visitazione, fra le quali trovavasi una nipote di Don Giulio Barberis (I). Là Don Bosco ebbe
(I) Cfr. M. B., vol. XII, pag. 484.
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occasione di avvicinare una gran dama inglese, convertitasi da poco al Cattolicismo e assai ricca, che all'invito di lui si disse disposta ad aiutare l'opera di Vallecrosia; ma sopra tutto le sarebbe piaciuto ottenere una fondazione nella sua Inghilterra. Rimase a San Remo circa quattro giorni, trattato da quelle religiose come non si sarebbe potuto meglio desiderare. Quel riposo e la salubrità dell'aria giovarono grandemente alla sua malferma salute. “Mi gode l'animò, scriveva il già citato Reimbeau, nel vedere che il breve soggiorno a San Remo gli ha fatto molto bene; poche visite, lavora solo nella sua stanza, non parla con alcuno e si riposa. Oggi sta benissimo. Del resto le suore della Visitazione lo trattano come si deve.” Il giorno in cui lasciò San Remo per Alassio, che fu il 4 aprile, spedì questo bigliettino a Don Rua: “Chi sa se non sia possibile che divenga tu mio angelo custode da San Pierdarena a Roma? Le nostre fermate sarebbero più brevi ed io ne sarei molto sollevato, mentre vedresti le cose cogli occhi tuoi. Dimmi quid tibi ” Che poteva dirgli se non: Tanto m'é bel, quanto a te piace (I)? Ogni desiderio di Don Bosco valeva per Don Rua uno stretto comando. Prima di andare a Roma aveva bisogno di vedere i principali Superiori, fra cui Don Cagliero, che continuava ad esercitare il sacro ministero a Utrera; perciò da Alassio gli scrisse:
Carissimo D. Cagliero,
Non so se questa mia potrà raggiungerti. Ad ogni modo ti dico: se puoi trovarti mercoledì santo a Sampierdarena, ci sarà anche Don Rua e ci potremo parlare. Esso mi accompagnerà a visitare le case di Spezia, Firenze, Roma ed al ritorno probabilmente Lucca, Este, Venezia etc. etc. Il piano é di potermi trovare al 6 di maggio a Torino per fare S. Giovanni ante portam latinam. Ho la testa che va in cimbalis, pure debbo ancora rotolare. Spero però di essere sollevato da Don Rua. Saluta Don Branda, Don Pane, Don Oberti, il profes. di Musica ed il maestro di cucina Gentre.
(I) DANTE, Inf., XIX, 37
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La casa di Firenze é stabilita dal 4 di marzo passato e Don Confortóla fa mirabilia. Abbiamo fatti buoni affari in Francia, anche per la Chiesa ed Istituto del Sacro Cuore. E tu e Don Branda avrete riuscito a cominciare qualche cosa? Fate omaggio di rispetto al Sig. Marchese Ulloa e famiglia, come a Monsig. Arcivescovo, che attendiamo a Torino. Dio vi benedica tutti, pregate per me Alassio, 6 - 4 - 1881. Vostro Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Mandò pure una serie d'istruzioni a Don Dalmazzo; della terza di esse dovremo ragionare più avanti.
Car.mo D. Dalmazzo,
D. Rua verrà a raggiungermi al mercoledì santo e poi mi accompagnerà fino a Roma, facendo però breve fermata a Firenze. Di qui ti scriveremo giorno ed ora del nostro arrivo. Intanto: I° Prepara le cose in modo, che se non potremo ancora andare nella casa nuova, almeno si possa alloggiare cristianamente anche con qualche spesa se è necessaria. 2° Prepara terreno sulla possibilità di ottenere qualche aiuto per la Chiesa ed Istituto del Sacro Cuore presso al municipio di Roma, al Ministero di Finanze nostro parrocchiano (I), Ministero dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dell'Economato. 3° Il Can.co Colomiatti avv. Fiscale insiste sulla necessità di accomodare l'affare di Don Bonetti. Io ci ho risposto che dipende soltanto da lui: 1° Togliendo la sospensione al Don Bonetti. 2° Rivocando le imputazioni fatte a Roma a carico del medesimo. Vedremo. A Roma ci parleremo di tutto. 4° Se puoi va a dire al Sig. Alessandro che quest'anno non ho potuto trovarmi a celebrare S. Matilde al giorno stabilito, ma che le feste solenni si trasferiscono e che almeno una bottiglia di Cipro o di altro desidero che la beviamo. 5° Hai ricevuto li f. 20 mila per la Chiesa del Sacro Cuore provenienti da Tolone? Spero giungeranno altri fra breve tempo. 6° Saluta le Signore Oblate e la Madre Presidente da parte mia. Lo stesso a casa Vitelleschi, Comm. Morello, Cav. Vignolo ecc. Il Sig. Moreno ti potrà dare consiglio e direzione sul modo di chiedere i sussidii di cui sopra.
(I) Il nuovo palazzo del Ministero delle Finanze é a breve distanza dal Sacro Cuore.
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Prega molto per me, o caro Don Dalmazzo, Dio ti benedica e credimi sempre in G. C. Alassio, 6 - 4 - 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
PS. Domenica prossima vado a fare un sermone di carità a S. Remo; di poi parto per Varazze e Sampierdarena.
Finalmente pensò al suo Don Berto, a cui regalò una diecina di Commissioni e qualche frase allegra, per rasserenare quello spirito abitualmente scontroso.
Mio caro D. Berto,
Per avere un appoggio nei varii spinosi affari ho bisogno che Don Rua mi accompagni in varie nostre case. Ma dal canto tuo sono necessarie più cose. I° Che tu lo metta a giorno delle principali nostre vertenze a Roma, colle carte relative al noviziato di Marsiglia, ai tre favori rivocati ed alla Chiesa del Sacro Cuore. 2° Tu poi preparami un paio di scarpe di quelle che non schersinano (I), il mio mantellino da estate, alcuni moccichini, il Breviario di Primavera, con alcune circolari del Sacro Cuore in francese ed un numero discreto in italiano. 3° Messo questo ed altro che ben giudichi nel tuo sacco da viaggio, accompagnerai Don Rua a Sampierdarena il mercoledì prossimo (2). Quivi ci parleremo di più cose che non conviene scrivere e ti darò norme a seguirsi nella mia assenza ed in quella di Don Rua. Dopo con Reimbeau ritornerai a Torino per dirigere la seminagione dei fagiuoli (3). 4° In confidenza, abbiamo cose assai gravi tra mano e perciò avvi urgente bisogno di molte e fervorose preghiere e comunioni. 5° Se é finita la stampa de' nostri privilegi é bene che Don Rua ne porti seco, per lasciarne copia nelle case in cui passiamo e anche per me. 6° Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Berto; Dio ti conservi fermo nella sua santa grazia e prega molto per me che ti sarò costantemente in N. S. G. C. Alassio, 8 - 4 - 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco. PS. I saluti ai soliti nostri amici (4).
(I) Vocabolo piemontese per “scrìcchiolano”. (2) Mercoledì santo, 13 aprile. (3) I giovani aspiranti salesiani (cfr. vol. XIII, pag. 870). (4) I giovani che pregavano per lui e per il buon esito de' suoi affari.
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Sopra due cose accennate in questa lettera sarebbe necessario che ci soffermassimo alquanto. La prima riguarda le “ circolari del Sacro Cuore ”, e l'altra l'opuscolo dei privilegi; ma ne diremo nei capi tredicesimo e quattordicesimo. Partito per Alassio verso sera, vi giunse sull'imbrunire. Superiori e ragazzi gli andarono incontro alla spicciolata. Disse al primo gruppo scherzevolmente: - Siete venuti a ricevere Don Bosco cum fustibus et lanternis. - Scrive Don Pietro Giordano: “Ogni volta che veniva ad Alassio era sempre accolto, più che in trionfo, festevolmente, specie dai nostri allievi e superiori. ” E più innanzi ripete: “ Ogni volta che Don Bosco passava per Alassio era per gli Alassini e per noi Salesiani specialmente una festa, una festa, una festa. ” Spinto del gran bisogno di danaro per la chiesa del Sacro Cuore, fece nella parrocchia una conferenza, dopo la quale Don Cerruti e il prevosto Della Valle andarono in giro per la questua. Il medesimo Don Giordano ci ha trasmesso una reminiscenza importante. Don Bosco, parlando di Pio IX, disse che quel santo Pontefice nella sua ultima infermità gli aveva mandato invito di andarlo a trovare e che si lagnava di non vederlo; ma le porte del Vaticano, come si narrò nel volume tredicesimo, erano allora ben serrate a Don Bosco. Don Bosco raccontò questo nel refettorio, mentre si prendeva il caffé, e gli stavano attorno parecchi Salesiani, fra cui Don Giordano, il quale crede di rammentare le parole precise del Beato. Egli avrebbe detto: “Quello che più m'addolorò fu l'aver saputo che il Papa, non vedendo Don Bosco, disse ad un suo familiare queste parole: - Quando Don Bosco aveva bisogno del Papa, era sollecito a venire dal Papa, e il Papa lo accoglieva come un padre accoglie un caro figlio; ora che il Papa ha bisogno di Don Bosco, Don Bosco non si fa vivo. - ” Nel proferire queste parole il Servo di Dio aveva gli occhi gonfi di lacrime, e non aggiunse altro (I).
(I) Lett. di Don Giordano, Alassio 30 novembre e 4 dicembre 1932.Quest'anno 1932 in un Numero Unico pubblicato dai Concettini o Concezionisti
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Il Servo di Dio, arrivando da San Remo ad Alassio, trovò il Direttore afflittissimo per un caso occorso di fresco. Dall'anno scolastico 1878-79 il salesiano Don Matteo Torrazza andava ogni giorno da Alassio con un altro maestro a fare scuola nel comune di Laigueglia, fermandosi ivi per il pranzo e tornando la sera. Per quel maestro successe ai primi di aprile un putiferio a Laigueglia, ed ecco l'anticlericale Secolo di Milano pubblicare un telegramma da Alassio, che un prete salesiano, addetto al collegio dei Salesiani in quella città, aveva oltraggiato turpemente i ragazzi delle scuole comunali di Laigueglia, ov'era maestro. A questo telegramma ne tenne dietro un secondo che confermava il primo e rincarava la dose, dando a intendere che Don Bosco si fosse recato ad Alassio per tacitare la cosa e rimediare al male e che i parenti ritirassero indignati i loro figli dal convitto. L'Osservatore Cattolico di Milano (I), assunte informazioni, rimbeccò più tardi il confratello dell'opposta riva, riferendo alcune voci malevole sparse in quell'angolo della Liguria perfino contro Don Bosco. Don Cerruti telegrafò al foglio diffamatore essere il collegio di Alassio interamente estraneo ai fatti immorali di Laigueglia; esser falso che l'imputato fosse prete salesiano; falso che i parenti ritirassero alunni. A termini di legge l'organo della sétta dovette pubblicare il telegramma, dopo di che non osò più rimestare la delicata materia. Per isvagare Don Cerruti dalla dolorosa impressione cagionatagli da questi fatti il Beato lo condusse con sé a Porto Maurizio, dove sperava di fare una buona questua.
per commemorare il 75 o anniversario della loro fondazione, il padre Spreafico barnabita, storico di quell'Istituto, asseriva che Don Bosco volle ingerirsi nelle cose dei Concettini per mutarne le regole e che per questo Pio IX non lo volle più ricevere. I documenti da noi pubblicati nei volumi XII e XIII mostrano che Don Bosco fu incaricato espressamente da Pio IX di riformare quella Congregazione; quanto all'altro asserto, la testimonianza di Don Giordano viene a ravvalorare quanto dicemmo altrove circa la natura degli ostacoli che si frapposero a impedirgli di arrivare al Papa. (1) Num. 88, sabato-domenica 16-17 aprile 1881.
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Li accolse in casa sua un canonico amico, Don Fabre, presso il quale dormirono due notti. Don Bosco, accompagnato da un ottimo avvocato Ferraris, bussò a molte porte, ma con magro risultato. Ciò nonostante, tranquillo e sorridente, scherzava sul poco o nulla che riceveva di elemosina e sulle ripulse stesse che talora gli toccavano. Con questo suo buon umore, che non lo abbandonò mai, diede pure una salutare lezione, stando alla mensa dell'ospite. Nell'ultimo giorno sedevano a pranzo con lui due signorine, nipoti del canonico, una delle quali piuttosto civettina permetteva a un giovinotto, pur esso commensale, d'indirizzarle parole, non proprio cattive, ma nemmeno interamente castigate. Don Bosco per troncare così sciocchi scherzi, disse bonariamente di ricordare un sonetto che aveva studiato a. memoria da giovane e in cui si giocava sulle parole donna e danno e prese a recitare adagio adagio la prima quartina. La signorina capì benissimo l'allusione e serpentosetta: - Come? scattò a dire. Lei, ospite in casa nostra e alla nostra tavola, si permette di schernirci? - Don Bosco, quasi non avesse afferrato l'insolenza, continuò con la sua flemma a recitare il resto della poesia. La signorina si rodeva, ma non l'interruppe né dopo ardì proferire parola. Anche il signorino non s'arrischiò più a fare il galante. Vedremo poi come la cosa abbia avuto lieta fine. Quella sera, lasciato Don Cerruti in casa del canonico e accompagnato dall'avvocato Ferraris, tornò a girare in cerca di elemosine. Vi era a Porto Maurizio una signora chiamata Maria Acquarona, nubile, che da oltre dieci anni teneva il letto per un male incurabile alla spina dorsale. Tutta la cittadinanza la conosceva. Ebbe da prima intenzione di mandare semplicemente un'elemosina a Don Bosco; ma poi pensò meglio di farlo pregare che le regalasse una visita e le portasse la sua benedizione. Don Bosco andò, accolto da lei con segni della più grande allegrezza. Si trovavano presso l'inferma una sorella e il cognato avvocato Ascheri, che in
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poche parole gli espose natura e circostanze della malattia, da cui i medici disperavano di liberarla. Il Beato, animandola ad aver fiducia nella Madonna, la benedisse e le assegnò alcune preghiere da recitare in seguito; indi passò in un'altra camera, dove s'intrattenne un po' a discorrere con i due avvocati. Sul punto ch'ei si alzava per uscire, ecco affacciarsi vestita l'ammalata e dire che non sentiva più nessun male. L'avvocato Ascheri grida al miracolo e tutti sono in preda a intensa commozione. La signora che camminava con passo spedito dopo tanti anni che non aveva più fatto uso delle gambe, accompagnò Don Bosco fin sulla porta di strada, dicendo che l'avrebbe poi salutato alla stazione; ma egli le raccomandò di non farsi vedere in città per evitare il chiasso. Così tornò da Don Fabre, e là, come un padre avrebbe parlato a un figlio, raccontò con tutta ingenuità il fatto a Don Cerruti, osservando in fine: - Mi duole però che la signora voglia venire alla stazione. Se ne farà rumore! Pazienza: sia fatta la volontà di Dio... Ma sono contento, caro Don Cerruti, proseguì con una bontà che commosse il Direttore fino alle lacrime, sono contento che in mezzo al tuoi dolori tu abbia avuto questo conforto. Quando canterai l'inno di San Giuseppe, arrivato a miscens gaudia fletibus [alternando gioie e dolori], dillo bene: é la storia di questa vita. - La notizia del fatto scosse anche la nipote del canonico, che si presentò umile umile al Servo di Dio e, gettatasi in ginocchio, gli domandò perdono di quanto era occorso nel tempo del pranzo. Sonata l'ora di avviarsi alla stazione, quale sorpresa! La voce del prodigio si era diffusa in un baleno per la città, traendo una folla di gente a vedere Don Bosco. La signora, che aveva preceduto in carrozza i viaggiatori, passeggiava tranquillamente dinanzi all'ingresso, oggetto di stupore ai concittadini, che, quasi non prestando fede ai propri occhi, le chiedevano se fosse proprio lei la signora Maria. “Io stesso
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la vidi, depone Don Cerruti nei Processi, e confesso che mi pareva persona non stata mai ammalata, cotanto stava bene.” Essa aspettava Don Bosco per rinnovargli i suoi ringraziamenti. Il Beato, appena giunto, si voleva ritirare nella sala d'aspetto per sottrarsi alla calca, non senza essersi prima lamentato con la signora che non gli avesse dato ascolto e supplicandola di tornare a casa. La signora, fatte le sue scuse, gli porse una busta sigillata, dalla quale si estrasse poi un biglietto da lire mille. La sala si riempi tosto di persone. Arrivò il treno, e l'avvocato Ascheri pregò ad alta voce Don Bosco di dare ai presenti la sua benedizione. Tutti s'inginocchiarono per riceverla.. Benedetti che li ebbe, sali con Don Cerruti in carrozza, diretto a San Remo. I passeggieri, incuriositi, avevano voluto nella breve fermata sapere il perché di quell'affollamento e quando il treno era in moto, si faceva un gran parlare dell'accaduto e ognuno diceva la sua. Nello scompartimento di Don Bosco un giovanotto esclamò: - Io non credo né ai miracoli né a Dio. Ma lei crederà ai fatti provati da testimoni, gli rispose Don Bosco. Bisognerebbe non essere ragionevole per fare diversamente. - E prese a narrargli per filo e per segno come quella signora fosse guarita all'istante per una semplice benedizione. Il giovane ascoltava attento. Finito il racconto, Don Bosco lo interrogò, come avrebbe egli spiegato la cosa senza ricorrere all'intervento soprannaturale; strettolo quindi con pochi argomenti sull'esistenza di Dio, terminò con la domanda: - Qualcheduno adunque vi é sopra di noi? - Eh, bisogna ammetterlo, rispose colui. - E dunque? - Io non ci voglio pensare. - Ma perché? - Perché... perché non ho voglia di cangiar vita, glielo dico francamente. Ma lei chi é? - Non fa bisogno di saperlo, gli rispose Don Bosco, che
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da nessuno era ivi conosciuto, e si alzò per discendere, essendo arrivato a San Remo. A San Remo Don Bosco tornava per una conferenza annunziata cinque giorni prima con una sua circolare a quei “ benemeriti cittadini ” (I). Erano venuti a mancare i mezzi per la continuazione dei lavori nella vicina Vallecrosia; a fine di raccogliere sussidi aveva costituito un comitato di trentasei fra signori e signore sanremesi, disposti a questuare presso le persone caritatevoli di loro conoscenza. Essi fecero anche la propaganda per tirare gente ad ascoltare il Beato, e se ne toccarono con mano gli effetti. In quella stazione climatica e balneare i protestanti avevano seminato a larga mano l'indifferenza religiosa; eppure non solo la chiesa di San Siro, ma anche la piazza era piena di gente desiderosa di udire Don Bosco. Il teologo Margotti, che era di San Remo e conosceva la sua città, ebbe a dire che l'aver tirato tanta gente alla sua predica in una popolazione così fredda per le pratiche religiose gli sembrava uno dei più grandi miracoli operati da Don Bosco. Sul finire della conferenza disse che avrebbe egli stesso fatto il giro per la questua e poi proseguì: - Voi vi meraviglierete forse nel vedere un prete a girare per la chiesa con la borsa in mano; ma quando guardo il Crocifisso e penso a quanto ha fatto Gesù per la nostra salvezza, prendo volentieri in mano la borsa e vado a chiedere per amor suo la limosina. - Raggranellò così ottocento lire. Don Cerruti rammentava nei Processi d'averlo veduto dopo in sacrestia così stanco, prostrato e quasi sfigurato, che ne fu vivamente tocco. Ciò nonostante si sedette e diede udienza a buon numero di persone, che volevano parlargli e deporre nelle sue mani le loro oblazioni. Ritornò il giorno stesso ad Alassio. Qui compilò un documento, che é prova della sua vigile cura per mantenere
(I) App., Doc 6.
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salda in ogni parte la. compagine della Congregazione. Come già si disse, Don Cerruti era stato nominato Ispettore delle case di Liguria e di Francia, e sia per alleviargli la fatica, sia per un riguardo alla sua debole salute il Servo di Dio gli aveva assegnato un vicedirettore nella persona di Don Luigi Rocca. Questo ufficio, riconosciuto necessario anche per il collegio di San Carlo in Almagro, costituiva una novità, non contemplata fino allora in nessun regolamento. Perché dunque la cosa pigliasse un aspetto normale e uniforme, dettò i seguenti articoli:
Ufficio del Vice - Direttore,
I. Il Vice - Direttore condivide col Direttore tutto quello che riguarda il governo della Casa, e ne fa le veci nella di lui assenza. 2. A lui é affidata la Direzione religiosa, morale e disciplinare degli alunni interni ed esterni, della cui condotta é particolarmente responsabile. Egli dovrà quindi invigilare attentamente a questo riguardo e tenersi in relazione col Prefetto, Catechista, Consigliere Scolastico, Maestri ed Assistenti, onde avere tutte le informazioni che valgano a fargli conoscere lo stato preciso delle cose, ad impedire o levare disordini ed a promuovere con ardore la pietà, la moralità e la disciplina. 3. Ogni Domenica visiterà col Prefetto i voti settimanali di studio e scuola che gli consegnerà il Consigliere Scolastico e quelli dei dormitorii, trasmessigli dal Catechista. 4. S'informerà pure nello stesso tempo delle mancanze che fossero state commesse durante la settimana nella Chiesa, alla passeggiata, nel refettorio e nella ricreazione. S. Potrà fare le accettazioni degli allievi e del personale pei lavori domestici, attenendosi alle norme stabilite ed assicurandosi sovratutto delle loro condizioni religiose e morali. Comunicherà poi le fatte intelligenze al Prefetto, affinché ne tenga nota nel Registro dei postulanti. 6. Ogni mese riempirà insieme col Direttore il formulario appositamente stampato sul rendiconto della Casa. 7. Spetterà pure a lui l'esecuzione di quanto é stabilito dagli Art. 8 e 10 del Regolamento del Direttore nelle Deliberazioni del Capitolo Generale cioé: (8) Il Direttore procuri anche ogni giorno di visitare la Casa; veda l'andamento di tutto; passi nelle camere, in cucina, nei refettorii e in cantina; sappia tutto quello che vi si fa. E' questo il mezzo d'impedire che non mettano mai radice i disordini.
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(10) Terrà registro delle persone benemerite e benefattrici per invitarle ad assistere in occasione di feste religiose, di accademie, di distribuzioni di premii agli allievi. 8. Non potrà però, salvo casi gravi ed urgenti, licenziare alunni o persone di casa, né far mutazioni negli uffici dei Maestri od Assistenti senza il consenso del Direttore, a cui spetta in particolar modo l'alta sorveglianza della Casa, la direzione religiosa e morale dei Socii e tutto ciò che riguarda l'esterna rappresentanza in faccia ai parenti degli alunni, le autorità ecclesiastiche, civili e scolastiche. 9. Al Direttore però potranno sempre rivolgersi per qualsiasi motivo Socii ed alunni.
Recatosi di là a Sampierdarena, s'incontrò con Don Rua e altri del Capitolo Superiore e con essi conferì un paio di giorni. Di quella dimora un fatto solo noi possiamo narrare, rammentato nei Processi da Don Berto, testimonio oculare. Una signora genovese, di cui il teste tacque per convenienza il nome, viveva in pieno disaccordo col marito, che da dodici anni non le aveva più detto una buona parola, ma richiedeva dalla figlia quanto gli abbisognava. A tavola, mai avveniva che le rivolgesse il discorso; non c'era caso che le desse mai il menomo segno di attenzione. In quel suo stato di malumore cronico aveva perfino dimenticato ogni pratica religiosa; quindi non più Messe, non più preghiere. In famiglia la vita era insopportabile. Nella sua esacerbazione la moglie, non sapendo più a che Santo votarsi, andò a Sampierdarena per vedere Don Bosco, raccomandarsi alle sue orazioni e averne qualche parola di conforto. Ma lo trovò occupatissimo, tanto che senz'altro egli le disse: - Mi é impossibile trattenermi a lungo con lei. - La poveretta aveva appena cominciato a contargli la storia delle sue pene, che il Beato la interruppe, dicendole: - Dia a suo marito questa medaglia, - e in bel modo la licenziò. In questo suo fare sbrigativo entravano anche ragioni di prudenza non difficili a intendersi. Ma non si può descrivere l'afflizione della povera donna allorché si vide privata
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anche di quello sperato sollievo. Imbattutasi in Don Albera, Direttore della casa, gli mostrò la medaglia dicendo: - Come fo io a dare una medaglia a mio marito? Non prega più. La getterà chi sa dove. - Esortata ad eseguire fedelmente il consiglio di Don Bosco, rispose che non se ne sentiva il coraggio; ma Don Albera le replicò la sua raccomandazione. - Ebbene, riprese ella, lo farò, avvenga quello che, vuole. Un sabato a sera dunque, stando in villeggiatura, la signora dopo cena, pigliato il coraggio a due mani, disse al marito di aver visto Don Bosco, il quale aveva promesso di pregare per tutta la famiglia e offriva a lui una medaglia. Quegli, rosso in faccia: - Come?! esclama. Una medaglia? In cosi dire esce dalla sala da pranzo e si ritira in camera. La moglie, presa da timore, lo segue. Il marito, trovatosi a tu per tu con lei, ha una crisi di pianto, dice che é tempo di finirla, l'abbraccia e le promette che per l'avanti sarà un altro. La dimane con istupore universale furono visti insieme alla Messa; insomma la pace era rientrata in quella casa. Don Albera attestava di scienza propria l'efficacia del suggerimento dato da Don Bosco. Dalla corrispondenza surriferita si fa palese che se questa volta Don Bosco nel suo viaggio a Roma volle a fianco Don Rua, ci ebbe i suoi buoni motivi. Uno principalissimo riguardava la chiesa del Sacro Cuore. Bisognava prendere conoscenza dei contratti stipulati dalla precedente amministrazione con i fornitori, intendersi con l'architetto, esaminare i disegni dell'ospizio, studiare tutti i modi per procacciarsi le somme necessarie: lavoro immenso, di cui Don Rua lo avrebbe alleggerito, sicché a lui restasse la libertà di attendere ad altri negozi. E fra questi altri negozi primeggiavano le pratiche a fine di ottenere i privilegi e la grossa questione di Don Bonetti per le faccende di Chieri (I). Ci rincresce però che il materiale d'informazione raccolto di qua e di là non
(I) Cfr. vol. XIV, pag. 230.
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sia affatto proporzionato alla mole degli affari che Don Bosco trattò; anzi scarseggiano financo le notizie di cose che nulla consigliava di tenere avvolte nell'ombra di prudenziale silenzio. L'unico informatore sarebbe dovuto essere Don Rua; ma di lui abbiamo appena una lettera e tre affrettati biglietti a Don Lazzero. Evidentemente anche lui era tutto intento a ben altre cure che non fossero quelle d'inviar notizie a Torino. Fecero una fermata di tre giorni interi a Firenze, dove arrivarono la sera del 16 aprile, vigilia di Pasqua. Dal 4 marzo Don Faustino Confortóla abitava là in via Cimabue un'umilissima casetta (I), alla quale si studiava di attirare il maggior numero possibile di ragazzi per catechismi quotidiani e per l'oratorio festivo. L'abitazione era tanto angusta, che non aveva spazio per albergare chicchessia; laonde il Beato continuò a usare dell'ospitalità offertagli cordialmente dalla contessa Girolama Uguccioni. La mattina di Pasqua, trattenuto in palazzo da visite, mandò il suo compagno di viaggio a celebrare la Messa nella povera cappelletta dell'oratorio; ma nel pomeriggio vi si recò egli stesso. Assistito da Don Rua e da Don Confortóla diede la benedizione eucaristica; poi fece ai ragazzi una larga distribuzione di confetti, regalati a tal fine da una ragguardevole cooperatrice. Si valse naturalmente dell'ottima occasione per amicarsi quella turba giovanile. Visitò nelle ore pomeridiane l'Arcivescovo monsignor Eugenio Cecconi, non essendo stato possibile presentarglisi prima a motivo delle funzioni pasquali in duomo. Impiegò quindi gli altri due giorni in visite a benefattori e nella trattazione di affari, come vedremo più innanzi. L'ultimo giorno, resistendo a ogni invito, pranzò con i suoi Salesiani. Durante quella dimora avvicinò persone in gran numero lasciandosi dietro quasi una scia luminosa, non sapremmo qual più, se di ammirazione per la
(I) La si vede tuttora, al num. 31.
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sua affascinante amabilità o di venerazione per la santità che gli traspariva dal volto, dal parlare, da tutto il contegno (I). I nostri viaggiatori giunsero a Roma la notte del 2° aprile. Prima e dopo Firenze fecero conoscenza con molti che o erano già cooperatori o chiesero di essere. Questa volta Don Bosco non prese più dimora a Tor de' Specchi, ma trovò un discreto alloggio nella casetta acquistata presso la chiesa del Sacro Cuore. Le condizioni del luogo sono così descritte da Don Rua (2): “ Il sito in cui dimoriamo qui in Roma, è quanto mai comodo, ameno, salubre. Forse é una delle località di Roma in cui si sta meglio e non si andrà soggetti alla malaria, neppure nell'estate. Ma anche qui ci troviamo alle prese con i protestanti. Pare veramente che il Signore ci voglia destinare a combattere l'eresia colle armi della preghiera, della scuola e della carità, giacché, come sai, a Bordighera ci troviamo proprio dappresso ai protestanti, alla Spezia siamo loro accanto a pochissima distanza, a Firenze il nostro piccolo istituto che dovrà diventare grande, non si poté allogarlo altrove, che nella regione della città, in cui i protestanti fanno propaganda; e qui a Roma il collegio dei protestanti é separato dal nostro ospizio solo da una via. Preghiamo adunque il Signore che ci aiuti a ben riuscire nella Missione che ci vuole affidare, cominciando a mandarci quei soccorsi per far procedere alacremente la nuova fabbrica, che non costerà meno di parecchie centinaia di mila, se pure non ci vorrà qualche milione. Don Bosco prega e lavora a tutto potere per riuscir nell'impresa, non lasciando intentato nessun mezzo che possa giovare; ma sempre dice che ha bisogno del sostegno delle preghiere dei giovani.
(I) Cfr. Sac. L. MORI, Don Bosco a Firenze. Firenze, Libr. sal. edit. 1930. In questo opuscolo la parte più notevole per noi é costituita da testimonianze di superstiti, delle quali terremo il debito conto. (2) Lett. a Don Lazzero, 22 aprile 1881.
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L'udienza del Santo Padre non si fece attendere a lungo; il Beato si affrettò a stenderne per i Cooperatori una relazione, che comparve nel Bollettino di maggio (I).
Vi tornerà certamente di grande consolazione, o Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, il conoscere l'insigne benevolenza manifestata dal Santo Padre verso di voi, e di tutto buon grado io ve la comunico. Nella sera del 23 corrente aprile, essendosi Sua Santità Leone XIII degnata di ricevermi in udienza particolare, ebbi agio ad esporgli lo zelo con cui i Cooperatori vengono in aiuto alle nostre opere di carità in Italia, in Francia, nella Spagna e nell'America. Con premura non ordinaria il Santo Padre volle minutamente informarsi della chiesa e dell'ospizio dei Piani di Vallecrosia presso Ventimiglia, della Spezia e di Firenze. Queste opere formano oggetto di particolari sollecitudini del S. Padre, - perché, Egli diceva, vengono direttamente in aiuto della Chiesa assalita dall'errore e da coloro che lo propagano. Partecipate a mio nome che io mando l'Apostolica Benedizione a tutti questi zelanti Cooperatori, che li ringrazio di quello che fanno, e loro raccomando la fermezza di proposito nel fare il bene. Non mancano le difficoltà, ma Dio non mancherà di venirci in aiuto. L'opera che viene loro affidata é grande. Il raccogliere poveri fanciulli, l'educarli, il toglierli dal vestibolo delle carceri per ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini sono cose che non possono a meno d'avere l'approvazione di tutte le condizioni degli uomini. - Ma e la Chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù all'Esquilino? Progrediscono i lavori? Si va avanti oppure si sta fermi? Io ho potuto rispondere che i lavori progrediscono alacremente, e che circa centocinquanta operai impiegano l'arte loro e la loro industria nell'Opera tante volte benedetta da Sua Santità. Feci notare che la carità dei fedeli ci incoraggiava, ma che la gravezza delle opere cominciava a farci sentire la scarsità del danaro. Un momento prima una persona aveva offerto al S. Padre la somma di franchi cinquemila per l'obolo di S. Pietro. - Ecco, Egli mi disse con ilarità, questo danaro venne a tempo; l'ho ricevuto colla destra e ve lo dò colla sinistra; prendetelo, e serva pei lavori intrapresi all'Esquilino. Spero che il mondo apprezzerà questo sforzo del Sommo Pontefice per un'opera che mi sta molto a cuore, ed ho fiducia che altri generosi oblatori non mancheranno di concorrervi con quei mezzi, che Dio pose in loro mano. Godo molto che abbiate potuto
(I) La relazione porta la data dell'udienza; fu spedita a Don Bonetti il 29 con questa avvertenza: “Ti mando qui una lettera pel Bollettino. Se trovi da correggere, fallo pure.”
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stabilire dei Collettori. Raccogliendo così anche le piccole oblazioni si potranno più facilmente riunire i mezzi che ci sono necessari. In quel momento il S. Padre apparve alquanto commosso ed esclamò: - Oh! Sacro Cuore di Gesù, siate per tutti i fedeli sorgente di grazie e di benedizione. Benedite tutti coloro che faticano per la vostra Chiesa nelle varie parti del mondo; ma una speciale vostra Benedizione discenda copiosa su tutti i Cooperatori e su tutte le Cooperatrici di S. Francesco di Sales, su tutti gli Oblatori, ed in particolar modo su tutti i Collettori, che prestano l'opera loro ad accrescere l'onore e la gloria Vostra. Sì, continuò il Santo Padre, benediteli tutti: benedite le loro fatiche, le loro famiglie, i loro interessi, e rendeteli felici nel tempo, e beati nella eternità. A queste parole del Vicario di Gesù Cristo io non ho più osato esprimere altro pensiero, se non di ringraziamento, assicurando che i Cooperatori avrebbero continuato a lavorare con tutto zelo alla gloria di Dio e di S. Madre Chiesa. Siccome le opere raccomandate alla pietà dei nostri Cooperatori sono dirette a sollievo dei più bisognosi della civile società, e a sostegno della Religione nostra santissima, così io credo che l'elemosina necessaria a farsi per l'acquisto del Giubileo, elargito dal Santo Padre dal 19 marzo al 10 novembre dell'anno corrente, possa assai bene erogarsi a vantaggio delle medesime In fine vi assicuro, o Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, che tutti i fanciulli da voi beneficati innalzeranno mattino e sera con me le comuni loro preghiere al Cielo pel vostro benessere spirituale e temporale.
Il Giubileo, a cui Don. Bosco accenna, era stato annunziato da Leone XIII nel ricevimento del 20 febbraio al Sacro Collegio, venuto a complimentarlo per il terzo anniversario della stia esaltazione. Rispondendo agli omaggi e auguri degli Eminentissimi, dopo aver deplorato le offese inflitte in quasi tutto il mondo alla Chiesa e la triste condizione a cui era stata ridotta la Santa Sede, terminava dicendo: “ Persuasi per altro che principalmente dal cielo debba attendersi l'aiuto opportuno, senza del quale é vano ogni nostro sforzo e fatica, e memori che nelle epoche più procellose e nei momenti più trepidi fu sempre usa la Chiesa di intimare pubbliche preghiere ed opere di penitenza, abbiamo risoluto di aprire in quest'anno per tutta la cristianità uno straordinario Giubileo, affinché, moltiplicate le preghiere
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e le opere sante, più presto il Signore inclini a clemenza e prepari alla Chiesa tempi migliori. Questo Giubileo se per una parte é segno delle gravissime condizioni in cui si trova la Chiesa, per l'altra é cagione di speranza e conforto, giacché apre in larghissima copia a beneficio della cattolicità i preziosi Tesori, dei quali per divina bontà é ricca la Sposa di Gesù Cristo. ” Mentre Don Bosco fra prelati e signore aspettava il suo turno per l'udienza, si era svolto uno di quei gustosi incidenti, che con tanta abilità egli sapeva far nascere e condurre sino alla fine. Entrò nell'anticamera un Monsignore a lui sconosciuto; ma gielo fece conoscere un gentiluomo, col quale conversava. - Quegli é monsignor Pio Delicati, disse. - Don Bosco aveva dunque dinanzi a sé colui che nella controversia per la Vita di San Pietro aveva emesso parere sfavorevole. Egli neppure conosceva Don Bosco; anzi non poteva nemmeno supporre che il medesimo fosse venuto a sapere come si chiamasse il consultore, dal quale il suo libro era stato così tartassato, perché dalla relazione comunicatagli aveva avuto l'avvertenza di far scomparire il proprio nome (I). - Voglio prendermi una piccola rivincita, - pensò Don Bosco fra sé e sé. E avvicinatosi con bel garbo, gli fece una riverenza e gli chiese della sua salute. Monsignore gli domandò con chi avesse l'onore di parlare. - Con un povero prete di Torino, Don Giovanni Bosco - Ah! Don Giovanni Bosco! E' un nome molto ben conosciuto; é il nome di un valente scrittore. - Scusi, Eccellenza, scrittore si, ma valente sono ben lontano dal crederlo. - Tutta modestia sua. I suoi libri fanno gran bene. - Certo la mia intenzione non é di far male. Tuttavia avrà forse sentito parlare delle peripezie da me incontrate per certo mio libretto...
(I) Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 762.
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- Oh! Quale ? - La Vita di San Pietro. - La cosa mi sorprende. - Eppure é così. Ci fu chi vi rinvenne proposizioni inesatte e non mancò chi lo credette addirittura meritevole di essere messo all'Indice. Sarebbe stata bella, perché io aveva seguito in tutto il Cuccagni (I) e il Santorio (2) e si sarebbero con tale sentenza condannati due autori di polso, approvati già dai medesimi giudici che stavano per condannare me. Aggiungo che per quell'operetta io teneva una lettera di lode inviatami da Pio IX. Meno male che lo stesso Santo Padre troncò la questione! - Eh, meno male!... E lei ha molti giovani nei... nei suoi collegi? - Un numero abbastanza grande, Monsignore... E così, come le dicevo, la mia Vita di San Pietro... - E dica un po'... i suoi collegi sono numerosi? Don Bosco, visto che il suo interlocutore faceva di tutto per levar i piedi da quel terreno scottante, parlò dei collegi. Monsignor Delicati non lasciò punto trapelare di essere stato lui il famoso relatore; Don Bosco a sua volta non volle essere indelicato, ma gli raccomandò i suoi ragazzi, gli baciò rispettosamente la mano e si ritirò alcuni passi più indietro. Vediamo ora le poche lettere scritte da Roma e a noi pervenute. Di una abbiamo solamente notizia dai verbali del comitato femminile di Marsiglia, perché l'abate Guiol ne diede comunicazione alle Signore nella seduta del 28 aprile, leggendo i passi più notevoli tradotti in francese. Don Bosco diceva: “Vengo dall'udienza del Papa e ne dò a Lei notizia prima d'ogni altra cosa. Egli ha parlato molto di Marsiglia. Ha ascoltato con piacere quello che io gli diceva
(I) LUIGI CUCCAGNI, Vita di S. Pietro Principe degli Apostoli cavata dalla S. Scrittura ed illustrata colle considerazioni dei Ss. Padri, Roma, 1777. In due voll., Venezia 1782. (2) P. AEM. SANCTORIUS, Acta SS. Petri et Pauli ex Sacris Scripturis collecta Roma, 1597.
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della nostra costruzione e del numero crescente di giovani e di aspiranti al sacerdozio. Approva e raccomanda un noviziato in cotesta città. Infine ha soggiunto: - Ho difficoltà a scrivere io stesso, ma vi prego di ringraziare da mia parte il Comitato delle signore e dei signori e quanti vi aiutano. Benedico poi in modo speciale tutti i signori della pia Società Beaujour. Benedico essi, le loro famiglie, i loro interessi spirituali ed anche temporali. - Dopo continuando si parlò dei Cooperatori e della chiesa del Sacro Cuore, come si vedrà stampato nel Bollettino Salesiano. Don Bologna mi scrive del grande impegno con cui Ella e il Comitato agiscono a vantaggio della nostra opera. Dio li ricambi tutti largamente. ” Ci rimangono poi tre lettere, delle quali daremo in primo luogo quella che fu scritta alla marchesa Fassati per la morte della contessa De Maistre, sua parente. La defunta, come aveva sempre beneficato Don Bosco in vita, così gli legò per testamento la somma di lire tremila (I).
Benemerita Signora Marchesa,
Io era in giro quando avvenne la disgrazia della morte della compianta contessa De Maistre benevola benefattrice della Congregazione Salesiana, ma ne ho avuto prontamente la notizia. Ho tosto ordinato che si facessero in tutte le case della Congregazione, speciali preghiere pel riposo eterno dell'anima di Lei, che fondatamente io credo che sia stata accolta dalla misericordia del Signore e tosto ricevuta a godere la felicità eterna del cielo. Tuttavia continuerò a pregare ogni giorno per la defunta, ed in modo speciale anche per la S. V. affinché Dio la conservi in quella buona salute, che fu tanto tempo oggetto delle comuni preghiere nostre e di altri molti. Nella udienza privata del Santo Padre ho potuto comodamente parlare delle famiglie de Maistre e Fassati. Si espresse con molta benevolenza ricordando nome e cognome del Sig. Conte Francesco, Eugenio e Carlo. Mostrò rincrescimento per la morte della Contessa Madre ed assicurò che avrebbe fatto memoria di Lei nella S. Messa. Di poi conchiuse: - A tutte queste benemerite famiglie (De Maistre, Fassati, Ricci e Montmorency) comunicate da parte mia
(I) App., Doc. 7.
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l'apostolica benedizione. Dal canto mio mi raccomando alle loro preghiere. Io spero che la sua sanità continuerà ad essere buona e a tale fine faccio ogni mattina un memento nella Santa Messa. Dio la benedica, o Sig. Marchesa, Dio la conservi a vedere il frutto della sua carità, conceda ogni bene alla Baronessa Azelia, al Barone Carlo Ricci, e raccomandandomi alle sante loro preghiere ho l'onore di potermi professare in G. C. Roma Porta S. Lorenzo 42, 30 aprile 1881, Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
PS. Spero di essere a Torino per la novena di Maria SS. Ausiliatrice.
Rispose poi alla signora Maria Acquarona, che gli aveva scritto di essere ricaduta nel suo male.
Stimabilissima Signora,
Ho ricevuto la sua che mi consolò da un lato e dall'altro mi rammaricò per la sua ricaduta nel male di prima. Veramente io desiderava, come le dissi, di non fare rumori, pregare e ringraziare il Signore. Ma al presente dobbiamo raddoppiare le nostre preghiere. Dio ci ascolterà certamente in modo definitivo se la nostra dimanda non é contraria al bene dell'anima nostra. In questo senso ho dimandato una speciale benedizione al S. Padre, che volentieri ha dato assicurandomi che avrebbe anche pregato per Lei e per la Signora Sorella Vincenza. La prego di voler stendere i miei umili rispetti al Sig. D. Fabre, al Sig. Avv. Ascheri e famiglia quando avrà occasione di vederli. Dio la benedica, o benemerita Sig. Maria, la rimeriti della carità fattami per la Chiesa ed Ospizio dei Piani di Valle Crosia e voglia anche pregare per me, che le sarò sempre in G. C. Roma Porta S. Lorenzo 42, 27 aprite 1881. Obl.mo Servitore Sac. Giov. Bosco.
Che Dio abbia ascoltato “in modo definitivo” la domanda, non vi può essere alcun dubbio. Infatti tre anni dopo il cognato della signora, avvocato Ascheri, incontratosi sul treno con Don Cerruti che egli non riconobbe, si mise a parlare
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di Don Bosco e di quello che aveva visto con i propri occhi a Porto Maurizio, e da buon parlatore qual era incantò i viaggiatori, che lo stettero ad ascoltare col massimo interesse. Inoltre sei anni dopo la grazia il medesimo Don Cerruti rivide nel collegio di Alassio la graziata, venuta a riverire Don Bosco, a dargli sue nuove e a fare la propria offerta come cooperatrice. Pendendo dinanzi al Consiglio di Stato la controversia per le scuole ginnasiali dell'Oratorio, come abbiamo narrato nel volume precedente, Don Bosco tentò di vedere il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione; poiché dal 2 gennaio a Francesco De Sanctis era succeduto in quel dicastero Guido Baccelli, ultraliberale. Dalla terza lettera al conte Tomasi abbiamo un saggio di chi sa quante simili anticamere dovette fare a Roma e di cui purtroppo non c'é rimasta memoria. Molti passi avrà fatti senza dubbio e inutilmente per i privilegi. Di altre pratiche ci resta solo la miseria di una supplica per ottenere una decorazione dell'Ordine Mauriziano al signor Giuseppe Repetto da Lavagna Ligure, che aveva fatto eseguire a proprie spese lavori notevoli nell'ospizio di San Giovanili Evangelista a Torino (I). Ecco la lettera al conte Tomasi, impiegato al Ministero della Pubblica Istruzione.
Gentil.mo Sig. Conte Tomasi,
Ringrazio ben di cuore la S. V. Gentil.ma per le due letterine che si compiacque dirigermi relative ad ottenere l'udienza dal sig. Ministro Baccelli. Sono andato precisamente all'ora segnatami, aspettai dalle II mattino all'una e un quarto pomeridiano Allora mi fu fatto dire di ripassare pel giorno seguente all'una pomeridiana. Mi recai. Venne il Ministro, dipoi ripartì senza che potessi né parlargli, né chiedergli altra ora. Nemmeno mi fu possibile avvicinare il Segr. Generale. Perciò indirizzerò un piego all'uffizio, ma non posso conferire di varie cose che si riferiscono al pubblico bene. Tuttavia, io le sono obbligatissimo per la bontà con cui si volle
(I) App., Doc. 8.
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occupare dei nostri poveri giovani e pregando Dio a colmarlo di sue celesti benedizioni ho l'onore di potermi professare Della S. V. Gentil.ma Roma, 9 maggio 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
PS. Per assicurarmi che il mio piego vada in mano a qualcuno dei capi del Ministero, credo meglio di pregare la bontà di Lei a volermelo far recapitare.
Durante il suo soggiorno a Roma il Beato inviò Don Rua a visitare i confratelli e la casa di Magliano Sabino. Sulla linea da Roma a Magliano sembra che sia avvenuto un incontro del segretario di Don Bosco col futuro Eminentissimo Lafontaine, Patriarca di Venezia, e allora giovane chierico, il quale ne scrisse così trentaquattro anni dopo (I): “Mi fece grande impressione l'affabilità di lui, il raccoglimento, la confidenza piena di riserbo, che usò verso di me.” La mattina del 10 maggio il Beato intervenne a una bella funzione. Alcune centinaia di pellegrini francesi, desiderosi di acquistare il Giubileo, facevano le prescritte visite alle basiliche maggiori, invitando ogni volta qualche prelato per la celebrazione della Messa. A San Giovanni in Laterano invitarono Don Bosco, con preghiera di fare anche un discorsetto nella loro lingua. Egli accettò di buon grado. Nella parole ai medesimi rivolte espresse due concetti: encomiò il loro buon pensiero di recarsi divotamente a quella che era Mater et caput omnium ecclesiarum dopo d'aver reso omaggio al Vicario di Gesù Cristo, al Pastore dei pastori, e con loro si rallegrò che fossero venuti a ritemprare la propria fede nell'attaccamento alla Cattedra di San Pietro e nell'affetto al suo successore Leone XIII, la cui benedizione, ricevuta pochi dì avanti, sarebbe pegno di giorni migliori per essi, per le loro famiglie e per la loro patria, dove con tanto male c'era pur sempre tanto bene, sicché quella nazione non aveva
(I) LETT. a Don Amadei, Venezia 22 settembre 1915.
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punto smentito il suo titolo glorioso di Figlia primogenita della Chiesa. A Tor de' Specchi il Servo di Dio convocò secondo il solito i Cooperatori romani nel pomeriggio del 12 maggio. L'Aurora del 13, dando relazione della conferenza, notava che egli aveva l'aspetto affranto e la parola calma. Assisteva il cardinale Alimonda. Il medesimo giornale riassume così il suo discorso:
Dopo aver annunziato che Sua Santità degnavasi inviare una benedizione speciale ai Signori intervenuti all'adunanza, disse che avrebbe parlato dell'opera dei Salesiani in genere e poi della chiesa del Sacro Cuore. Dall'anno decorso in poi le Case dei Salesiani essere aumentate. Le missioni della Patagonia prosperare. Consolidate ed estese le fondazioni di Nizza, Ventimiglia, Spezia, Lucca, Firenze; dove i nuovi istituti, sorti e prosperando al fianco di istituzioni consimili aperte dai protestanti, riescono a paralizzare i loro dannosissimi effetti ed a strappare anime al regno di Satana. La gioventù e l'avvenire essere, secondo la frase di Dupanloup, una stessa cosa, e doversi augurare all'Italia un avvenire sereno, posto che quest'opera benefica di educare e salvare la gioventù, mediante il sussidio dei Cooperatori Salesiani, prenda nuovo incremento. Venendo quindi a parlare della chiesa del Sacro Cuore, disse essere stato con ottimo intendimento stabilito che sorgesse sul colle Esquilino, una volta sacro ai numi, un tempio sacro alla divina Clemenza, cioé al Sacro Cuore. Come un dì però ivi stavano le excubiae; o sentinelle, convenire far sì che vi sorgesse uno stabilimento, in cui educare le sentinelle destinate a vegliare per la salute delle anime. L'egregio Padre Maresca aveva cominciato con zelo il lavoro. I Salesiani l'avrebbero continuato. Ben 66 stabilimenti protestanti, sale, scuole, ospizi grandiosi disputare in Roma le anime alla fede cattolica, e molti adescati da promesse di lavoro e da facili concessioni lasciarsi sedurre. Convenire porre un argine a questa propaganda e raccogliere questi giovani senza parenti, senza protettori, senza pane, di qualunque parte d'Italia siano; e però accanto alla chiesa del Sacro Cuore doversi erigere un asilo per raccogliere, educare almeno un cinquecento giovani. A quest'oggetto faceva appello alla carità dei Romani, che, se prima furon larghi di aiuto a lui per fare il bene in altre città d'Italia, oggi dovrebbero stendergli la mano, onde non si avesse a vedere qui in Roma i protestanti solleciti di impiegare energia e tesori nel trionfo dell'eresia, e neghittosi ed impotenti i Romani per il trionfo della fede. Terminò dicendo che a confortarli
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a questa carità l'Eminentissimo Alimonda aveva gentilmente consentito di rivolgere loro due parole; che egli era felice di veder l'eloquente Porporato trattar la causa dei Salesiani..
Sua Eminenza, parlando dei Salesiani, espresse il seguente giudizio: “Questa Congregazione sembra essere stata istituita dalla Provvidenza per recare un balsamo a tante ferite, rialzare tanti caduti, recar pace a tanti disperati, per glorificare il nome di Dio e sterminare il peccato. ” E sul finire delicatamente e opportunamente osservò: “ Voi Romani avete un clero virtuoso, é vero, ma gli aiuti morali non sono mai troppi e si accolgono volentieri da qualunque parte ne vengano. ” La conferenza a Tor de' Specchi fu il commiato; la sera del 13 giungeva a Firenze, dove la domenica 15 parlò ai Cooperatori e agli amici fiorentini nella chiesa di San Firenze ufficiata dai Filippini. Per preparare bene questa riunione aveva abbozzato una circolare (I), che mandò a Don Confortóla con la seguente lettera.,
Car.mo D. Confortóla,
Legga tutto quello che é qui unito, dipoi sigilli la lettera a Mons. Vicario e gliela porti con la lettera d'invito ai Cooperatori; modificate le cose che potessero essere del caso, la faccia stampare colla massima fretta; di poi: 1° Le stampe sieno circa seicento; 2° Ne faccia spedizione a tutto il clero di Firenze, a tutti quei signori e signore che Le saranno segnati da Don Giustino Campolini, dalla Signora Marchesa Uguccioni e da altre persone benevole; 3° Quando Mons. Vicario avrà fissato la chiesa, Ella vada tosto a fare parola col curato di quella, perché veda se niente possa ostare alle ordinarie sacre funzioni. Mi dia poi notizie di quello che si fa. 4° Per fare la spedizione degli indirizzi si metteranno 2 centesimi e potrà essere aiutato dalla Sig.ra Marchesa, dalle sue figlie, da Don Giustino e da altri che nostra buona mamma conosce. Noi giungeremo a Firenze venerdì sera e partiremo lunedì mattina dopo la conferenza. Saluti i nostri cari Salesiani, preghiamo che tutto riesca bene e a maggior gloria di Dio e la grazia di Dio sarà sempre con noi. Amen. Roma, 10 maggio 1881. Aff.mo in G. C. Sac. Gio. Bosco.
(I) App., Doc. g.
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Secondo la relazione mandata a Don Bonetti da Don Confortóla, direttore di quel recentissimo oratorio festivo e pubblicata nel Bollettino di luglio, il Beato fece ivi conoscere chi fossero i Salesiani, quali le loro mire, che cosa avessero fatto altrove, che cosa venissero a fare in Firenze e quanto abbisognassero del concorso dei Cooperatori, delle Cooperatrici e di tutti i buoni per riuscire nel loro intento. Il relatore, trascorrendo rapidamente sul resto, riprodusse quasi alla lettera quello che egli disse della elemosina uno degli argomenti preferiti da Don Bosco specialmente nell'ultimo decennio della sua vita, sia che parlasse dal pulpito o in private conversazioni, sia che scrivesse lettere o circolari; anzi pressoché alla vigilia della morte gli parrà di essere ancora in obbligo di scrivere un libro apposito su tale materia. In un tempo, nel quale l'umanità s'ingolfava ognor più nell'egoismo e nella febbrile ricerca dei beni materiali, Don Bosco fece quanto seppe e poté per aiutare il mondo a fare cristiano uso del superfluo. Ne parlò ai Fiorentini così:
Voi mi domanderete: Come possiamo noi avere del superfluo da dare in elemosina negli anni che corrono così critici, in cui non si sa come andare innanzi? Ed io vi rispondo francamente che del superfluo tutti ne abbiamo da dare anche ai poveri e alle opere pie, basta che vogliamo. Del superfluo ce n'è nelle abitazioni e nel lusso, che vi si sfoggia. Quanti mobili, quanti oggetti anche preziosi e superflui! Del superfluo ce n'è nei cavalli e nei cocchi e sulle forniture. Del superfluo ce n'è nelle persone di servizio, ce n'è nelle vestimenta, ce n'è nel vitto, e ce n'è, se volete, anche in molte borse. Ora secondo il precetto di nostro Signore questo superfluo si deve ai poveri. Alcuni fanno questione quanto ciascuno debba dare del proprio superfluo in elemosine, e chi dice un quinto, chi un quarto, chi altro. Per me, io credo già sciolta questa questione dalle parole del Vangelo, che non potrebbero essere più semplici e più chiare: Quod superest, date elemosynam, quello che vi sopravanza datelo in elemosina. E tra coloro ai quali dovete fare la vostra elemosina sono tanti poveri giovanetti abbandonati, che si aggirano oggidì sudici, scalzi e pezzenti per le contrade di questa vostra città e che vivendo d'accatto e andando la sera a stivarsi malamente in certe locande, senz'alcuno che si prenda cura pietosa del loro corpo e della loro anima, crescono ignoranti delle cose di Dio, della religione e dei loro doveri
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morali, bestemmiatori, ladri, impudici, ingolfati in tutti i vizi, e capaci d'ogni azione anche la più scellerata, e molti dei quali vanno poi a cadere miseramente o nelle mani della giustizia che li caccia a marcire in qualche prigione, oppure, ciò che é ancor peggio, tra le branche dei Protestanti. Questi in Firenze hanno ormai aperti molti covi, dove la povera gioventù allettata dal luccicare dell'oro e da mille promesse fallaci, dopo aver perduto ogni altro bene e calpestata ogni altra virtù, vanno a far getto deplorabile anche della lor fede. Fatti di simil genere voi li avete sott'occhio tuttodì. Voi stessi mi avete narrato come i Protestanti abbiano già irretito coll'oro e con regali d'ogni sorta, sì di oggetti di vestiario, sì di commestibili, molti giovinetti e giovinette, anzi famiglie intere che, secondo la vostra espressione, si sono vendute ai nemici della nostra fede, ai ministri di Satana. Come si può arrestare tanto male ed impedirne le luttuose conseguenze? Don Bosco é venuto per questo a Firenze, aderendo agli inviti in primo luogo di S. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo, poi dei più zelanti Cooperatori e Cooperatrici. Don Bosco in Firenze, e precisamente in via Cimabue num. 31, ha già aperto un oratorio festivo. Don Bosco vorrebbe aprire anche un ospizio per ricoverare tanti poveri figliuoli abbandonati, salvarli dalla corruzione dei costumi e dalla perdita della fede, educarli in modo da fame buoni cittadini e veri cristiani. Ma Don Bosco ha bisogno per questo della vostra carità; Don Bosco ha bisogno che a lui consegniate quel superfluo che avete, e che egli saprà usare alla maggior gloria di Dio e della Vergine Santissima e al maggior bene delle anime, specie della gioventù. Dunque per conchiudere vi dirò: io devo partire da Firenze, vi lascio però il mio rappresentante, il Direttore dell'oratorio sopraccennato. Versate nelle sue mani, secondo che Iddio ve ne ha dato il potere, larghe elemosine, e con questo i desideri miei, che sono pure i vostri, si realizzeranno: si salveranno molte e molte anime e, come dice S. Agostino, voi salvando l'anima dei vostri prossimi avrete assicurata la salvezza dell'anima vostra.
Alla conferenza vennero accompagnati anche chierici di parecchi seminari, desiderosi di conoscere il Servo di Dio. Uno di essi, monsignor Gioachino Bonardi, vescovo di Pergamo e ausiliare del cardinale Mistrangelo, ricordava i dolci sensi allora provati nel vederlo, nel baciargli la mano e nell'udire la sua parola molto semplice, ma tutta unzione. Don Bosco, nonostante alcune contrarietà di cui dovremo parlare, aveva tanta fiducia nella Provvidenza, che partendo
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per Torino lasciò ordine al Direttore di non indietreggiare; pensasse non solamente a fabbricare l'ospizio, ma anche ad erigervi accanto una chiesa degna della Gran Madre di Dio e della pietà dei buoni; essere egli disposto a fare per i Fiorentini tutti i sacrifizi possibili (I). A Firenze non sembra che sia accaduto nulla di straordinario. Don Rua nella lettera a Don Lazzero accenna solo ad un provvidenziale, per quanto sgradito, ritardo alla partenza durante il primo passaggio, contrattempo che permise a Don Bosco di ricevere una inattesa e vistosa offerta. A Roma invece qualche cosa vi era stata, ma senz'alcun rumore. I fatti, a testimonianza di Don Dalmazzo, furono due. In uno di questi due casi veramente le grazie si moltiplicarono. Con la benedizione di Maria Ausiliatrice Don Bosco ridonò la sanità a una signora. Costei imbattutasi di lì a poco in suoi conoscenti che erano protestanti, e interrogata come mai fosse guarita in un subito da si grave malattia, raccontò ciò che era successo. Queglino, avendo una figlia molto inferma, senza badare a pregiudizi religiosi, decisero di condurla da Don Bosco. Il Beato la benedisse e la giovane guarì. Sua madre, piena di consolazione, andava dicendo: - Ecco l'errore di noi protestanti: non onorare Maria. - Nel 1885 Don Bosco ricevette da quella famiglia una lettera, in cui gli si annunziava la conversione di tutti i suoi membri al Cattolicismo. Un altro giorno mentr'egli diceva Messa nella nostra antica chiesetta di Via Vicenza, entrò un signore che, da diciott'anni infermo alle gambe, si reggeva a stento sulle grucce, e pregava Don Dalmazzo di presentarlo al Servo di Dio; ma Don Dalmazzo, dovendo tornare in casa per preparare il caffè a Don Bosco, lo affidò al chierico Zucchini. Questi lo condusse dopo la Messa alla sua presenza. Con tutta umiltà il buon signore gli chiese la benedizione. Don
(I) Lett. di Don Confortóla a Don Bosco, Firenze 10 giugno 1881.
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Bosco, fattegli alcune domande e vista la sua viva fede, lo benedisse, gli tolse di mano le stampelle e: - Cammini! - gli ordinò. Lo storpio prese a camminare senza la menoma difficoltà e partì con le grucce sotto il braccio, dicendo che le voleva conservare per ricordo. Mentre poi si prendeva il caffè, il Procuratore disse a Don Bosco: - Dunque è proprio guarito del tutto dopo la sua benedizione! - A stata la benedizione di Maria Ausiliatrice a guarirlo, corresse egli. - Anch'io, replicò Don Dalmazzo, ho dato tante volte la benedizione di Maria Ausiliatrice con la medesima formola, ma non mi é mai successo nulla di simile, - Ragazzo che sei! rispose Don Bosco. E’ perché non hai fede.
CAPO V Feste, fastidioli e il sogno sopra il futuro stato della Congregazione.
Vi era nell'Oratorio un ciclo di feste, che potremmo chiamare propriamente salesiane, fissate oramai in modo stabile dalla consuetudine: Maria Ausiliatrice, San Luigi, San Giovanni e Assunta, ossia, queste due ultime, onomastico e supposto compleanno di Don Bosco. Esse tornavano ogni volta aspettate da tutti e apportatrici di allegria e di frutti spirituali. Dovendone riparlare per questo 1881, non troviamo gran che di nuovo da dire quanto al loro svolgimento; coglieremo perciò soltanto quei particolari che escano dall'ordinario. Quasi tutto quello che é da narrare si riferirà alla solennità del 24 maggio. Nell'Oratorio vigeva la buona abitudine di pensare alle cose per tempo, né accadeva sotto Don Bosco che sopraggiungessero ricorrenze, per le quali non si fosse provveduto a quanto potesse bisognare. Così per trovar un Vescovo che venisse a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice nel dì della grande solennità, Don Rua da Roma in nome di Don Bosco incaricò sul finire di aprile L'Economo Generale Don Sala che trattasse con la Curia torinese. Oggi in qualsiasi diocesi tali formalità si spicciano in breve; ma nell'archidiocesi di Torino si avevano esigenze speciali, come lo diceva
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chiaro il tono di un'ordinanza contenuta nel Calendario Liturgico del 1881. L'articolo XIV sonava così, tradotto in italiano: “ Manca e gravemente alla riverenza che ognuno deve prestare al suo Pastore e alla dignità Episcopale chi invita un Vescovo a compiere qualche sacra funzione in questa Archidiocesi senza prima ottenerne volta per volta facoltà esplicita dal suo Arcivescovo. ” Don Sala dunque si portò il 2 maggio da monsignor Gastaldi per pregarlo di voler permettere che monsignor Pampirio, nuovo Vescovo di Alba venisse nel giorno 24 a fare qualche solenne funzione od almeno a predicare. L'Arcivescovo, mentre Don Sala gli baciava l'anello, gli chiese: - Di che cosa ha bisogno lei da me? -- Don Sala girò largo e disse: - Essendo dal mio Superiore incaricato dei lavori per la chiesa di San Giovanni Evangelista ed avendo già ivi i pittori che lavorano, mi é nata una difficoltà, per la quale ho creduto opportuno di recarmi da V. E. Si tratta di dipingere i sette Vescovi delle chiese di Asia in figura di Angeli, secondo che si legge nell'Apocalisse... - Veramente, interruppe l'Arcivescovo, qualche cosa dell'Apocalisse bisogna dipingervi. Per me, facciano come vogliono. - L'altro giorno, ripigliò destramente Don Sala, andai ad Alba per vedere quel Duomo dipinto dal medesimo nostro pittore Costa e allora monsignor Pampirio, parlando di questo e della chiesa di Maria Ausiliatrice, lasciò intendere che sarebbe venuto volentieri una volta a pontificare nel giorno della festa. Ma prima di sentire V. E. io non gli poteva dare risposta definitiva; perciò gli dissi soltanto che saremmo stati ben fortunati di averlo fra noi in sì bella circostanza. Ora sono qui appunto anche per domandare la necessaria licenza, se Ella lo crede. - Di questo bisogna che mi scriva Don Bosco. - Don Bosco per l'appunto, informato del santo desiderio di monsignor Pampirio, incaricò Don Rua di scrivere
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che mi recassi io da V. E. a chiederne prima d'ogni altro passo la voluta permissione. - No, rispose Monsignore, perché i Salesiani si comportano troppo male con quella chiesa di Maria Ausiliatrice, e tutto per fare dispetto a me. Il permettere sarebbe approvare quello che io disapprovo. - Oh, non dica questo, Monsignore. Noi lavoriamo per fare del bene a tutti e del male a nessuno, tanto meno al nostro Arcivescovo; si fanno anzi sacrifizi per essergli d'aiuto nella sua diocesi, massime in Torino. - Sì! sì!... Don Lemoyne stampa i miracoli di Maria Ausiliatrice senza il mio permesso, e sotto il mio naso si spargono per tutta l'archidiocesi, e questo per fare dispetto a me. - E’ la prima volta, Monsignore, che io sento parlare di miracoli. Sempre si parla di grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice. - Quelli che scrisse Don Lemoyne sono miracoli e i miracoli vanno approvati dall'Autorità ecclesiastica, secondo il decreto della Sacra Congregazione. - Io sono affatto ignaro di questo decreto; ma so che non esce nessun libro che parli di grazie ottenute da Maria Ausiliatrice senza che abbia l'approvazione ecclesiastica. - Sì!!! Da un'altra diocesi! E poi con quale autorità si vuole far passare quella chiesa per santuario? Per fare questo bisogna che i fatti, i miracoli, siano approvati dall'Ordinario e non inventati... A questo punto Don Sala, uomo d'imponente statura, ma di patriarcale semplicità, balza da sedere, si fruga nelle tasche, cava fuori una manata di carte, ne estrae una cartolina e gliela porge dicendo: -Legga, legga, Monsignore, e si persuaderà che le grazie ottenute da Maria Ausiliatrice non sono inventate da Don Bosco. - Ma poiché l'Arcivescovo non voleva leggere: -- Ebbene, riprese Don Sala, permetta
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che legga io: senta com'è proprio la Provvidenza che me, l'ha mandata questa mattina. Difatti lesse. Lo scrivente era il cavaliere Mercalli, che da Roma gli dava notizia della guarigione prodigiosa di sua moglie, contessa Fenile. Monsignore ogni tanto intercalava qualche frase: - Sono persuaso che... che... che quelle persone... - Infine disse: - Se tutte le grazie fossero come questa, non avrei difficoltà ad approvarle... E poi del bene se ne fa. - Ma allora, ripigliò Don Sala, perché ci tratta così? Qui per altro si cambiò discorso e si parlò della chiesa di Roma. Monsignore aveva preso un tono assai diverso, dicendo perfino che ammirava Don Bosco e che la Provvidenza l'aveva sempre aiutato e che Don Bosco faceva uscire danaro anche dalle pietre... Nel licenziarsi Don Sala gli disse: - Se nulla osta, monsignor Pampirio farebbe il panegirico. Risposta: - Monsignor Pampirio lasciatelo là in Alba, a inveire contro Rosmini. - Finalmente, mentre Don Sala, fattogli riverenza, si voltava per uscire: - Ci penserò riprese Monsignore (I). Per sapere poi che cosa avesse pensato, Don Sala ritornò il giorno 19, e gli domandò che, se non per i pontificali, monsignor Pampirio potesse venire almeno per il panegirico della Madonna. Ma n'ebbe un secondo rifiuto. Assolutamente Monsignore non sembrava disposto a disarmare con i Salesiani. Il giorno seguente Don Francesia, Direttore del collegio di Valsalice, lo pregò di volere, quando più gli facesse comodo, recarsi ad amministrare la cresima a quei convittori. Rispose di no e che giammai non si sarebbe recato in alcuna casa salesiana, perché i Salesiani gli erano contrari. Eppure lo stesso Don Francesia doveva dargli due settimane appresso una magnifica prova di soggezione. Confessore da dodici anni, fu avvertito di presentarsi a dare
(I) Lett. di Don Sala a Don Rua, TORINO 3 maggio 1881,
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l'esame di teologia morale. Don Francesia, a scanso di malintesi, quasiché egli non fosse in regola per le confessioni, si limitò a chiarirgli con una rispettosissima lettera la perfetta regolarità della sua patente (I); ma poi obbedì, si presentò agli esaminatori designatigli che dinanzi a lui si mostrarono sorpresi e imbarazzati, e naturalmente. ne riportò la piena approvazione. Dobbiamo aggiungere che nell'anzidetta circostanza dell'invito a Valsalice monsignor Gastaldi fece un rimprovero, perché nella tipografia di Sampierdarena si era stampato per le Letture Cattoliche un fascicolo sul Socialismo del conte Emiliano Avogadro della Motta con un'appendice del medesimo autore contro le dottrine e i principii del Rosmini. Durante questi ultimi incidenti Don Bosco si trovava già a Torino, essendovi tornato la sera del 16. Dopo un'assenza di quattro mesi gli si voleva fare un solenne ricevimento; ma egli anticipò di qualche ora il suo arrivo entrando nell'Oratorio mentre tutti stavano in chiesa per le funzioni della novena. Mancava poco alla benedizione. Ciò inteso, pensò di darla egli medesimo. Non si può dire la gioia che riempì i cuori appena fu visto uscire dalla sacrestia vestito dei sacri paramenti e avviarsi all'altare. Il resto della sera si trascorse in canti di gioìa, in festosi applausi e in serenate della banda musicale. Subito la mattina appresso una sua circolare andava in cerca dei Cooperatori e delle Cooperatrici torinesi, per invitarli separatamente a conferenza nella chiesa interna di San Francesco il 19 e il 23. “ Si tratteranno, diceva in essa, cose di rilievo che si operano per la maggior gloria di Dio, vantaggiose alla civile società e dì gradimento a tutti. ” Ai Cooperatori venne facendo una di quelle esposizioni particolareggiate che hanno tutta l'aria di resoconti in famiglia e che appunto per questo si ascoltano volentieri da
(I)App.,Doc.10
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uditori chiamati a udire come più o meno cointeressati. Essi videro successivamente a che punto stessero i lavori per la chiesa e l'ospizio di San Giovanni Evangelista a Torino, per la chiesa di Maria Ausiliatrice a Vallecrosia, per le scuole e l'oratorio della Spezia, per l'oratorio di Firenze, per la chiesa e l'ospizio del Sacro Cuore a Roma; passarono quindi ad ammirare le fatiche apostoliche dei Missionari e delle Suore nell'Uruguay e nella Patagonia. Quando l'animo degli astanti era ben tocco dalle cose udite, Don Bosco fece con tutta naturalezza un'abile digressione. Istituì un confronto tra la vita del Missionario e quella di tanti cristiani che guazzano nelle delizie senza muoversi a dare una limosina per cooperare alla salute eterna dei fratelli.
A cristiani di tal fatta, diss'egli, si potrebbero rivolgere le parole, che S. Pietro in altra occasione pronunziò contro Simon Mago: Pecunia tua tecum sii in perditionem, il tuo denaro perisca con te. Cotali cristiani dovrebbero riflettere che Dio chiederà conto un giorno dei beni che ha loro concessi. Egli dirà a ciascun facoltoso: - Io ti aveva dato delle sostanze, affinché una parte ne disponessi alla mia gloria e a vantaggio del tuo prossimo; tu invece che ne facesti? Il lusso, i divertimenti, i viaggi di piacere, le gozzoviglie, le partite, le comparse, ecco la voragine de tuoi beni. Taluno dirà: - I miei beni io non li spreco; me li tengo cari, li accresco ogni anno; compero case, campi, vigne e via dicendo. Anche a costoro dirà il Signore: - Li accumulaste! li accresceste! Sì, é vero; ma intanto i poveri soffrivano la fame; ma intanto migliaia di fanciulli abbandonati crescevano nell'ignoranza della religione e nel mal costume; ma intanto le anime redente dal mio Sangue cadevano nell'inferno. Aveste più a cuore i vostri danari che non la mia gloria, più care le vostre borse che non le anime dei vostri fratelli. Ora coi vostri piaceri, coi vostri tesori, colle vostre sostanze andatevene alla perdizione: pecunia tua tecum sit in perditionem.
So bene, soggiunse Don Bosco, che voi non siete di questi tali e che fate limosina secondo le vostre forze; ma nel mondo quanti sono che potrebbero imitare il vostro esempio, eppure non lo imitano! Infine comunicò che poche ore prima era venuto a sapere come la casa di San Benigno, dove appunto si educavano i futuri missionari e i futuri direttori, maestri e assistenti dei collegi, versasse in gran bisogno; da parecchi mesi non essersi
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più potuto pagare il panattiere, né questi sentirsi più in grado di somministrare il pane; aver egli Don Bosco avuto intenzione di raccomandare la limosina a vantaggio di varie opere importanti, ma tra tutte la più importante parergli quella di non lasciar mancare il necessario alle preziose speranze della Congregazione; perciò raccomandarla loro a tale scopo. “ La carità che voi farete, conchiuse egli, partirà questa sera medesima a consolare quei miei cari figli e vostri fratelli, affidati interamente alla divina Provvidenza. ” Alle Cooperatrici parlò nella medesima forma, esponendo quanto nel corso dell'anno erasi operato a bene della povera gioventù dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice: aumento e ingrandimento di case, numero ognor crescente di anime indirizzate nella via del cielo, colonie agricole, asili, scuole, oratori festivi femminili. Se volevano aver un'idea specialmente di questi oratori, andassero a vedere quello si faceva dalle Suore in Torino o nella vicina Chieri. E' descritta la vita dei due oratori proseguì:
A quello spettacolo voi provereste una grande consolazione e non potreste non desiderare che si aprissero simili istituti in più altri punti della città, anzi in ogni paese del mondo. Ora quello che si fa vicino a noi nelle città di Torino e di Chieri si fa pure in quaranta e più altre case dirette dalle Suore di Maria Ausiliatrice; si fa in Italia, in Francia, in America; si fa persino nella barbara Patagonia. Oh se avessimo mezzi, quanto maggior bene si potrebbe fare! Il buon volere non manca; ma questo non basta. Per incominciare e sostenere queste opere occorrono somme di denaro, e queste il più delle volte si fanno desiderare. Come dunque promuovere queste ed altre opere di carità e di religione? Imitando le donne ebree nel deserto, quando si trattò di fabbricarsi un idolo per adorarlo invece del vero Dio. Mosé era salito sul monte Sinai per ricevere dal Signore le tavole della legge e tardava a discendere. Allora il popolo impazientito si sollevò contro di Aronne e volle che questi gli facesse un idolo simile a quelli che si adoravano in Egitto: volle che gli facesse un vitello. Impaurito dai tumultuanti, Aronne si mostrò pronto ad accondiscendere; ma forse nella speranza di distogliere quegli sciagurati dall'empia pretesa, domandò loro che gli portassero gli anelli, i braccialetti, le collane e gli orecchini delle donne e delle figlie. Lo credereste? Aveva appena
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fatta tale richiesta, che vide portare a' suoi piedi un mucchio di quegli oggetti d'oro, e fattili fondere, ne compose un vitello, a cui uomini e donne si prostrarono davanti, facendo un'empia baldoria, come si legge nella Sacra Scrittura. Ciò posto, non é una vergogna il vedere da una parte le donne e le figlie ebree privarsi dei loro oggetti più cari per concorrere a un'opera iniqua, e dall'altra parte vedere le donne e le figlie cristiane abbigliarsi come tante regine e dame di Corte e mettersi così nell'impossibilità di fare una limosina a gloria del vero Dio, a decoro delle sue chiese, a sollievo di tanti fanciulli e fanciulle abbandonate? Oh io certo non vorrei trovarmi al posto di queste cristiane nel punto di morte! Non vorrei essere al loro posto nel dì del giudizio! Con questo non voglio dire che una donna, che una signora sia obbligata a spogliarsi de' suoi ornamenti, che sono secondo il suo stato; se le convenienze non le permettono di farne senza, se li tenga pure; ma intendo di dire che è obbligata a non trasmodare, a non correre dietro le vanità del mondo; é obbligata a osservare se ha del superfluo nei mobili di casa, sulla persona, nel trattamento, e trovandolo é obbligata a disporne in pro della religione, a vantaggio del suo prossimo. Questo voi l'avete già fatto finora; continuate, o benemerite Cooperatrici, a farlo in avvenire, affinché chi in un modo e chi in un altro possiamo far amare e glorificare il nostro dívin Salvatore Gesù Cristo e mandare gran numero di anime in Cielo.
Ai più insigni Cooperatori lontani soleva in questa occasione scrivere letterine, che ne richiamassero il pensiero alla grande festa; poiché, non essendo ancora la solennità così universale com'è oggi, facilmente passava inosservata. Ecco un saggio di questi richiami indirizzato al conte Eugenio De Maistre.
Carissimo Sig. Conte Eugenio,
Non le scrivo sovente perché so che é occupato in mille cose, ma mi ricordo ogni giorno di Lei e di tutta la sua famiglia nella santa Messa. A Roma il S. Padre mi parlò molto di Lei, e de' Sig. Fratelli Carlo e Francesco, e a tutti manda una speciale benedizione. Nel giorno di martedì, solennità di Maria SS. Ausiliatrice, sarà celebrata una Messa secondo la pia di Lei intenzione all'altare di questa celeste benefattrice supplicandola a voler concedere a tutta la sua famiglia sanità perfetta, e il prezioso dono della perseveranza nel bene. Dio la benedica, o sempre caro Sig. Eugenio, e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C. Torino, 21 Maggio 1881, Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
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La vigilia della festa, oltreché dal numeroso concorso delle Cooperatrici torinesi alla conferenza di Don Bosco, fu rallegrata pure dalla presenza dei pellegrini francesi reduci da Roma, che, seguendo l'esempio dato negli anni antecedenti da altri loro compatrioti, si fermarono una mezza giornata a Torino e dedicarono qualche poco di questo tempo all'Oratorio. Al loro arrivo si cantavano con grande pompa i primi vespri di Maria Ausiliatrice, e dopo la benedizione si fece ai graditi ospiti un degno ricevimento con suoni, canti e discorsi. Parlò pure Don Bosco. Rammentato il recente incontro a San Giovanni in Laterano, li ringraziò della visita e promise di accompagnarli con le preghiere sue e de' suoi. - Considerate me, disse da ultimo, considerate tutti i Salesiani come i vostri migliori amici; ogni volta che vi potremo servire, noi saremo ben lieti di farlo. - All'invito poi dell'abate Picard, Superiore degli Assunzionisti, che anche questa volta guidava il pellegrinaggio e pronunziò eloquenti parole, molti, se non tutti, chiesero di essere annoverati fra i Cooperatori. Francesi furono nel 1881 il Priore e la Priora della festa. Come Priora venne appositamente da Marsiglia la nota Cooperatrice Madame Jaques, sebbene fosse già stata a Roma in aprile. Essa poté così nel ritorno far pago un vivo desiderio di quel Comitato che Don Bosco chiamava la sua milizia contro il demonio (son armée contre le diable). Le buone Signore avevano domandato a Don Bosco alcune copie della fotografia presagli, come si deve ricordare, a Marsiglia; ma, egli, non avendone allora, promise di mandarne da Torino con la sua firma. Ma poíché non le vedevano mai arrivare, si raccomandarono a Madame Jaques di farsi dare le précieux souvenir promis par le vénéré fondateur. La Signora, risoluta di contentare le sue colleghe, se ne procurò una copia, ne fece trarre a sue spese quante altre occorrevano, e poi volle dal Servo di Dio la sua firma su ciascuna, Don Bosco fece di più: le arricchì tutte d'un long et pieux autographe. Vi impiegò
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tutto il tempo dei vespri nel dì dell'Ascensione. Era visibile lo sforzo richiesto per scrivere; ma questo, a detta delle destinatarie, aggiunse un mérite de plus aux précieux souvenir. Il parroco Guiol si rese interprete della gratitudine di tutte presso Madame Jaques nella prima seduta del Comitato (I). Priore o Priorino o petit Prieur, come lo chiamavano, fu un fanciullino di sei anni, figlio del conte Flayose di Villeneuve, quello di Roquefort, tanto amico di Don Bosco. Nell'aprile del 1880 il piccolo languiva per una seria polmonite. Il padre costernatissimo, viste svanire le umane speranze, telegrafò a Don Bosco, che conosceva benissimo il bimbo. Don Bosco ricevette la notizia a Lucca. Celebrò per lui la Messa, invocando da Maria Ausiliatrice la grazia della guarigione. Orbene, come si verificò di poi, mentre egli celebrava, il padre, accostatosi al malatino e per vedere se fosse ancor vivo chiamatolo per nome, si udì con infinita consolazione rispondere: - Papà, dammi da mangiare. - Ricuperò i sensi perduti, la febbre disparve, la tosse si calmò e senza convalescenza riebbe forze e salute. Ma un mese dopo ecco sopravvenirgli una grave pleurite. Scongiurato il pericolo, i medici prescrissero delicatissime cure per alcuni mesi. Il padre però, pieno di fede, venne a Torino il 24 maggio, pregò con fervore Maria Ausiliatrice e tornato in famiglia trovò il figliuoletto interamente ristabilito, tanto ristabilito che per la festa del 1881 lo condusse all'Oratorio a farvi una parte ordinariamente riserbata ai grandi. Il fanciullo con il suo bel contegno si attirò le simpatie di tutti (2). La grande solennità fu senza pontificali, ma non senza Vescovo. Nel 28 e 29 maggio si doveva festeggiare a Milano il giubileo sacerdotale dell'Arcivescovo monsignor Luigi Nazari dei conti di Calabiana con l'intervento dell'Episcopato
(I) Verbali del Comitato, seduta del 12 maggio e dell'8 giugno 1881. (2) LEMOYNE, La Madre delle Grazie, Sampierdarena 1881, pag. 155. Cfr. anche Boll. Sal. del luglio 1881 La sorella del graziato, religiosa del Sacro Cuore, ci ha fatto pervenire una relazione del prodigio nel marzo del 1934 (App., Doc. II).
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non solamente lombardo, ma anche subalpino, essendo il festeggiato piemontese ed ex - vescovo di Casale (I). Monsignor Pampirio, recandosi a Milano, passò per Torino e, preso alloggio a San Domenico dai Frati del suo Ordine, venne per sua particolare divozione la mattina del 24 a celebrare la Messa nella chiesa di Maria Ausiliatrice, dove un tempo aveva predicato. Don Bosco naturalmente gli fece dire la Messa della comunità e della comunione generale. Ma l'Ordinario, appena lo seppe, scrisse a Monsignore una lettera di biasimo, dicendogli che non poteva permettere la sua presenza nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Il Vescovo di Alba, tornato a San Domenico e trovato il foglio arcivescovile, mandò subito un biglietto a Don Bosco per notificargli la cosa; rispose quindi all'Arcivescovo che non avrebbe più fatto alcuna funzione, ma solo il panegirico della Madonna alla sera, così essendosi già annunziato; non volesse per questo sollevare impedimenti a motivo dello scandalo che ne sarebbe derivato, quando la cosa si divulgasse tra l'immenso popolo di divoti accorsi alla solennità. L'Arcivescovo consentì contro sua voglia ch'ei facesse il discorso, ma tenne duro per il resto, non permettendogli di dare la benedizione. Benché fosse giorno feriale, pure la fiumana del popolo durò dall'alba fino a notte avanzata, quando una moltitudine innumerevole si riversò in tutte le adiacenze del tempio per assistere allo spettacolo della prima grande illuminazione a gaz. Si cominciò quell'anno a sperimentare quanto fosse insufficiente la chiesa nell'occasione dei maggiori concorsi di fedeli; poiché alle funzioni principali una folla di gente
(I) Memore della benevolenza, con cui monsignor Calabiana aveva accolto nel 1867 i Salesiani andati ad aprire il collegio di Mirabello nella sua diocesi casalese e delle tante prove d'affetto date loro in ogni tempo, Don Bosco gl'inviò il 29 maggio questo telegramma: “ Salesiani, loro allievi, vostri affezionatissimi figli, fanno cordialissime congratulazioni vostro Giubileo sacerdotale, ricordando Voi amico, protettore, benefattore. Tutti pregano Dio conservarvi coi vostri commensali per rinnovazione questo giorno. ” L'insigne Prelato gli rispose: “ Ringrazio commosso, amorevole attenzione. Benedico cordialmente, padre, figli. ”
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dovette contentarsi di prendere parte dalla piazza. Non essendovi pontificale, Don Bosco alle altre fatiche della giornata fu costretto di aggiungere anche il non piccolo incomodo di cantare la Messa e dare la benedizione; ma, dice un giornale torinese (I), fu “cosa che rallegrò tutti. ” Il medesimo giornale terminava così il suo articoletto: “Dio conservi ancora per molti anni questo degno ecclesiastico, il quale nella sua umiltà e zelo sa eccitare e tener così viva la pietà in mezzo al popolo cristiano.” Affluirono relazioni di grazie. Chi riferiva oralmente, chi per iscritto. Don Bosco non voleva che se ne perdesse la memoria; perciò si conservano molte lettere a lui dirette e da lui postillate per le risposte, e un apposito registro della sacrestia ne contiene un lungo elenco (2). Le principali furono poi pubblicate, come sempre, da Don Lemoyne (3). L'avvicendarsi di tanti visitatori nell'Oratorio offriva un'occasione quanto mai propizia per iscrivere nuovi Cooperatori. Appunto con l'intenzione di agevolare questa propaganda il Beato stese una Breve Notizia sullo scopo della Pia Società Salesiana e fattala stampare con la data del 24 maggio sopra un foglietto agile e nitido, la distribuì a quanti più gli fu possibile. Con semplicità brevità e chiarezza vi si presentavano le notizie più essenziali sulla Congregazione salesiana sulle sue attività, sul suo stato d'allora e sui mezzi per sostenerla (4). Chiusi i festeggiamenti per Maria Ausiliatrice, l'attesa si volgeva alle due ricorrenze intime di San Giovanni e di San Luigi. Per entrambe nulla troviamo che non sia già stato narrato negli anni antecedenti. Riguardo al genetliaco di Don Bosco, assegnato erroneamente al giorno dell'Assunta,
(I) Unità Cattolica, No 24, giovedì 26 maggio 1881. (2) Nel registro una di queste relazioni é scritta da Don Bosco; un'altra pure di suo pugno e con data posteriore é sur un foglio volante. (Appendice, Doc., 12). (3) La stella del mattino, Sampierdarena, 1883. (4) App., Doc. 13.
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si nota come di anno in anno venisse assumendo sempre maggiore importanza nella casa. Dal 1881 si cominciò a fare in tal giorno la solenne distribuzione dei premi tanto agli artigiani che agli studenti sotto la presidenza di Don Bosco; la qual novità agevolò pubbliche dimostrazioni per il suo sessantesimo sesto natalizio. Nelle parole di chiusa, fatti i ringraziamenti, osservò: - Voi dite che Don Bosco ha fatto tante belle opere; ma il vostro affetto vi fa vedere le cose diversamente da quello che sono. Tutto fu compiuto e si compie per l'aiuto di Dio e per intercessione di Maria Santissima. Se il Signore non ci avesse dato braccio forte e condotti per mano, che cosa avremmo potuto fare noi? E non contate i soccorsi di tanti benefattori e benefattrici? Don Bosco non é che un cieco strumento nelle mani di Dio, il quale così dimostra che, quando vuole, può fare le più grandi cose anche con mezzi meschinissimi. - Fece quindi un'allusione alle croci cadutegli quell'anno sopra le spalle. I giovani certo non vi capirono gran che; ma egli mirava a incoraggiare i suoi collaboratori e amici, che chi più chi meno ne sapevano tutti qualche cosa. Si diffuse poi in lodi per un ex - allievo di Nizza Monferrato, perché nella sua patria aveva fondato una fiorente ed esemplare società di giovani operai cattolici, additandolo all'ammirazione e all'imitazione dei presenti. Il pensiero finale fu per l'anima - Chi sa se l'anno venturo noi ci troveremo ancora tutti qui radunati? Ci sarete voi? Ci sarà Don Bosco? Altri un anno fa erano tra noi vispi, lieti, allegri, sani e robusti, ed ora non sono più! Viviamo dunque sempre come se ogni giorno fosse l'ultimo della nostra vita; operiamo il bene mentre abbiam tempo: così quando sonerà anche per noi l'ultima ora non avremo a pentirci d'aver passati i nostri giorni inoperosi, inutili per Iddio e per la società. Io spero e prego che quest'ora suoni tardi e per voi e per me; ma se così non fosse, sia sempre fatta la volontà di Dio. - Accennando alle tribolazioni più recenti, Don Bosco si
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era espresso così: - Ed ora, passando ad altro, vi dirò che sempre, ma specialmente in quest'anno, abbiamo avuto belle e grandi consolazioni, come pure, conviene dirlo, molte spine e dolori. Ma, si sa bene, non c'è rosa senza spine. Ebbene, che fare, figli carissimi? In quelle e in queste, nelle gioie e nelle pene, sia sempre. fatta la volontà di Dio, il quale non ci abbandonerà mai, nemmeno quando ci ruggirà intorno la più furiosa tempesta. Coraggio dunque, coraggio sempre; non istanchiamoci mai di fare il bene, e Dio sarà con noi. Nel corso del 1881 toccarono a Don Bosco fastidi maggiori e fastidi minori. Dei maggiori alcuni ci sono già noti dal volume precedente, altri saranno oggetto di narrazione nel volume che ci sta dinanzi; qui diremo solo di quelli che appartengono alla categoria dei minori e che abbiamo chiamati fastidioli, non perché trascurabili, ma perché, confrontati con altri, appaiono quasi inezie. Tali si possono considerare gli attacchi giornalistici, tre dei quali si sono già dovuti menzionare nei capi antecedenti; ma ne rimangono ancora. Fu abitudine costante di Don Bosco ricambiare come sapeva e poteva meglio i benefizi ricevuti. Uno dei mezzi da lui usati era di far giungere ai benefattori onorificenze civili o ecclesiastiche, sempreché vedesse che tornavano accette. Non lo moveva a ciò nessun segreto pensiero di lusingare l'altrui vanità per cavarne vantaggi, ma unicamente il desiderio di sdebitarsi rendendo bene per bene. E’ cosa chiara che le distinzioni accordate dal Governo guadagnavano credito a chi le riceveva e quindi ne favorivano gl'interessi; quelle poi concesse dalla Santa Sede venivano presentate in guisa che fossero accolte da buoni cattolici o da ragguardevoli ecclesiastici come vincoli di più stretta unione con il Capo supremo della Chiesa. Non la pensavano così certi mettiscandali, avvezzi a giudicare tutti gli altri alla propria stregua. Uno di questi cotali era il famoso direttore della Cronaca dei Tribunali.
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Questo periodico nel suo numero del 26 marzo uscì con un articolo intitolato "Don Bosco e i Cavalieri", in cui, dopo essersi svelenito contro i trentasettemila decorati d'Italia, andava a ripescare nel passato remoto e per libidine di dir male del povero Don Bosco raccontava a modo suo per quali torte vie un liquorista Revelli torinese fosse arrivato a ghermire nel 1870 una croce da cavaliere. La realtà era che questo signore, smanioso del cavalierato, aveva fatto a Don Bosco un'oblazione di quattromila lire; dopo di che il suo voto fu pago. Ma Don Bosco ignorava che ci stava di mezzo un sensale di decorazioni, il quale aveva fatto due parti in commedia; onde il neocavaliere, subodorato l'intrigo, tirò in ballo anche Don Bosco, quasi che con l'altro messere avesse cooperato a imbrogliarlo, e li querelò entrambi dinanzi al pretore di Borgo Dora, esigendo restituzione di somma fraudolentemente carpita. Il magistrato condannò il querelante alle spese e ai danni; ma la sentenza non piaceva all'articolista, che, manipolato per i suoi creduli lettori un cervellotico racconto dell'affare chiudeva con questa malignità il suo scritto: “ Raccomando questo fatto a coloro che dovranno un giorno canonizzare l'abate Bosco, prete, volpe politica e sensale di croci. Sentiamo ora la difesa del “Corriere di Torino” Ma il quotidiano cattolico non difese nulla, certamente per volere di Don Bosco, nemico acerrimo delle polemiche. Per altro dallo sfogo atrabiliare del libellista ecco balzar fuori una testimonianza inattesa della universale fama di santità, che, volere o no, circondava la persona di Don Bosco. Più grave e più velenoso assalto gli mosse da Firenze la Gazzetta d'Italia del 7 giugno; autore ne sembra un protestante, disturbato forse dalla presenza dei Salesiani nella città. Era apparso un nuovo libro del celebre ex gesuita Carlo Curci (I), che, ripetendo cose già dette in altre sue
(I) Sac. C. M. CURCI. La nuova Italia ed i vecchi zelanti. Firenze, Fratelli Bencini editori, 1881. Fu messo all'indice con decreto del 15 giugno 1881; l'autore laudabiliter se subiecit et opus reprobavit.
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pubblicazioni, vi lamentava la poca istruzione di grandissima parte del clero italiano. Il giornalista ne prendeva argomento per mostrare in che modo si mettessero insieme e si ordinassero i preti d'Italia, e quindi come dovessero essere necessariamente digiuni di sapere, privi di educazione civile e senza nessuna efficacia morale sui cittadini. Orbene, con l'aria pacata e sorniona di chi vuol dare a intendere che dice verità incontestabili, scriveva: “E v'è a Torino un sacerdote, Don Bosco, che in parecchi de' suoi istituti educa al servizio della chiesa centinaia e centinaia di giovanetti; molti si dànno poi alle missioni in Africa e nell'America Meridionale e nelle Indie; ma parecchi rimangono o dopo qualche anno di vita fra gl'infedeli, ritornano alle nostre chiese. Ognuno può immaginare che sacerdoti sieno. Per novanta su cento vengon fuori da' più bassi strati sociali.” E proseguendo su questo metro e generalizzando, tirava la conclusione che della questione ecclesiastica in Italia tutti oramai dovevano interessarsi. Con quei tutti intendeva di dire specialmente gli uomini del Governo, i quali, a dir vero, nel senso voluto da lui se n'erano già interessati fin troppo da una ventina d'anni a quella parte! Intanto ecco che dei Salesiani si faceva negli ambienti di Toscana una ben brutta presentazione, quasi d'un'accozzaglia di gente incolta, zotica e retriva. Don Bosco ebbe dinanzi al pensiero sì nefaste insinuazioni, allorché parlò agli ex - allievi sacerdoti nell'annuale adunanza del 10 agosto. L'oratore di circostanza aveva creduto di dover ribattere sì malevole accuse. Don Bosco, pigliando occasione dalle sue parole, raccontò che pochi anni innanzi una persona, di cui tacque il nome, aveva scritto a Roma accusando d'ignoranza i Salesiani (I). Allora che si fece? -Si prese in mano il registro, diss'egli, e con documenti autentici e bollati si fece constare che sopra duecento membri dell'Istituto cent'ottanta avevano
(1) Cfr. vol. XI, pgg. 218-220.
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subito rigorosi esami in Seminario, nell'Università di Torino, in Licei e Collegi governativi e ottenutone diploma o di teologia o di filosofia o di belle lettere o di professore o di maestro. Ricevuta a Roma simile risposta documentata, ne venne fatta rimostranza all'accusatore, il quale sapete che cosa rispose? Rispose non essere da stupirsi che Don Bosco avesse tanti laureati o diplomati, perché egli tra i suoi giovani sceglie e tiene con sé i giovani d'ingegno, lasciando gli altri in disparte. Vedete contraddizione, e nel tempo stesso una prova di quel detto dello Spirito Santo che mundus totus in maligno positus est. Sì, il mondo é tutto malignità e non tacerebbe nemmeno se gli mettessimo gnocchi in bocca. - Poi, allargando il suo concetto, soggiunse: - Del resto io non voglio che i miei figli siano enciclopedici; non voglio che i miei falegnami, fabbri, calzolai siano avvocati; né che i tipografi, i legatori e i librai si mettano a farla da filosofi e da teologi; tanto meno intendo che i miei professori e maestri studino De arte Politica, come se avessero a diventar ministri e ambasciatori. A me basta che ognuno sappia bene quello che lo riguarda; e quando un artigiano possiede le cognizioni utili ed opportune per ben esercitare la sua arte, quando un professore é fornito della scienza che gli appartiene per istruire adeguatamente i suoi allievi, quando un sacerdote mediante i dovuti esami é giudicato idoneo ad esercitare il sacro ministero e lo esercita di fatto con vantaggio delle anime, costoro, dico, sono dotti quanto è necessario per rendersi benemeriti della Società e della Religione ed han diritto quanto altri di essere rispettati. Regoliamoci dunque bene e non curiamoci delle male lingue né delle cattive penne. - Muove proprio a nausea il vedere oggi la spudoratezza con cui certi giornali versavano di quando in quando a piene mani l'insulto e lo scherno su Don Bosco. Anche nel 1881 il Fischietto volle dar prova della sua trivialità contro di lui e lo fece in un articolaccio dell'II ottobre, nel quale, immaginando una lettera di un Cardinale romano a Don Bosco,
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designati entrambi con nome e cognome da suburra, sotto forma di elogi canzonatorii rappresentava il Servo di Dio intento solo a gabbare gl'ingenui per far quattrini; e sebbene tutti vedessero l'uso che faceva della carità pubblica, pure gettava il dileggio financo sulle chiese da lui fabbricate. Questo non era più fare del buon timore, ma della diffamazione. Il fogliaccio nondimeno con tutto il suo malvagio intento di screditare, veniva senza volerlo a mettere in evidenza un fatto che le spiegazioni ironiche non spiegavano per nulla; poiché gli si faceva dire dallo pseudo prelato: “Un po' fortemente e un po' soavemente vi siete imposto a tanta brava gente e non si sente che il vostro nome echeggiare sul continente.” Ente... ente... ente; ma il fatto sta che Don Bosco in Italia era l'idolo della brava gente. Pochi giorni dopo, nel numero del 20 ottobre, perfino la male affettata gravità della Gazzetta Piemontese volle sbizzarirsi contro Don Bosco. Un signor Anglesio, banchiere assai noto in Torino e buon cattolico, per affari disgraziati versava in pessime acque; onde prima di lasciarsi travolgere nel vortice delle procedure pensò meglio di ecclissarsi. Dietro quella scomparsa si sbrigliarono le fantasie degl'imbrattacarte; dissero perfino che si fosse rifugiato in Vaticano e che fosse preconizzato direttore di una favolosa Banca Vaticana da impiantare. Finalmente corse voce che, per dirla col citato giornale, fosse stato “ ricoverato in qualcuna delle tante case del famoso Don Bosco ” e “ più tardi mandato a Buenos - Aires appunto in un istituto di questo influentissimo capo ecclesiastico ”. Anche qui nelle “ tante case ” e nell' “in fluentissimo” si sente rodimento di bile settaria di fronte a un uomo che in un mondo avverso andava per la maggiore. Nel fattispecie dunque la verità era questa. L'Anglesio, benefattore costante di Don Bosco, aveva provveduto sempre gratis et amore Dei le medicine all'Oratorio. La rovina delle sue fortune lo trovò cristianamente rassegnato. Abbandonato al suo destino quanto gli rimaneva, ritenutasi la somma
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necessaria per il viaggio in America e dato il resto, poche centinaia di lire, in elemosina, si mise nelle mani del Servo di Dio, che lo ricoverò nella casa di Patagónes, dov'egli santamente visse e morì. L'ultima noia di questo genere nel 1881 ebbe origine da un testamento del 1878. In tre anni nuvoli di foglietti volanti si sparpagliarono entro e fuori di Genova per opera di un Don Paolo Ricchino, fratello del testatore, prete esso pure. L'ultimo lancio fu nel dicembre del 1881 e ne vennero spediti esemplari a molti personaggi e a Vescovi e Cardinali. Noi ne abbiamo davanti uno inviato al Cardinale Vicario e da lui rimesso a Don Dalmazzo. Fortuna che la volgarità del linguaggio e l'inettitudine dell'esposizione squalificano senza altro la denunzia contro il “taumaturgo torinese ”, operatore di “ portentosi miracoloni ”. Ma chi può dire tutti gli effetti di una calunnia, per quanto strampalata essa sia? E di pretta calunnia qui si trattava. Don Angelo Ricchino, custode della chiesa di Nostra Signora delle Grazie a Sampierdarena, ammalatosi per fungosità a un piede., tenne parecchi anni il letto senza potersi muovere. Allora Don Albera mandava tutte le domeniche gratuitamente due preti a dire la Messa a confessare e predicare nella sua chiesa; egli stesso poi andava con frequenza ad assisterlo e a confortarlo. Allorché bisognò procedere all'operazione chirurgica per amputargli il pollice del piede, Don Albera fu il solo che gli alleviasse l'angoscia causatagli dall'apprensione di quel taglio. Una persona autorevole, ma poco prudente gli aveva presentato come obbligo di coscienza il sottomettersi a tale amputazione; onde il meschino si dibatteva fra l'idea del dovere e la paura delle conseguenze. Don Albera cominciò a liberarlo da simile tortura morale, assicurandolo che obbligo non esisteva; quindi a poco a poco lo indusse a fare il volere dei medici. Ma era troppo tardi. Il paziente, venuto a morte volle ricompensare in qualche modo la carità di chi l'aveva tanto assistito, e insieme provvedere alla sorella che
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non restasse sola al mondo. Affidò la sorella a Don Albera, che l'accolse fra le suore, e nel testamento nominò lui erede universale. Non era però una grande eredità. Or ecco insorgere il fratello D. Paolo e sollevare contestazioni. Prete di condotta equivoca, come lo dimostrano i processi che dovette sostenere, impugnò la validità del testamento, egli che non era mai stato neppur a visitare il fratello infermo finché non lo seppe agli estremi. Accampò dunque la ragione che Don Albera non era erede vero, ma fiduciario ossia interposta persona a favore di Don Bosco, e i tribunali settari gliela diedero vinta. Ma prima della sentenza definitiva, che cosa non fece il disgraziato per disonorare Don Bosco sui giornali, con fogli volanti e a viva voce? Se non che la giustizia di Dio non lasciò impunita la malvagità. Ben quattro giornalisti, che si erano prestati al tristo giuoco, finirono condannati da tre a sette anni per ricatti, avendo minacciato a cittadini di rivelar segreti a loro carico, se non sborsassero danaro. L'autore medesimo di tutto questo fracasso chiuse malamente i suoi giorni; poiché dovette subire un processo infamante e da ultimo se ne morì senza sacramenti. Quasi per rialzare l'animo a Don Bosco, sicché il peso di tante contrarietà piccole e grandi non glielo accasciasse, il cielo, diremmo così, si abbassava di tratto in tratto fino a lui sotto forma d'illustrazioni superne, che lo confermavano nella incoraggiante certezza della missione affidatagli dall'alto. Nel mese di settembre egli ebbe uno de' suoi sogni più importanti, che, prospettandogli le sorti della Congregazione in un prossimo avvenire, gliene svelava i grandiosi incrementi, ma insieme gli scopriva i pericoli che minacciavano di annientarla, se non si correva in tempo ai ripari. Le cose vedute e udite lo impressionarono talmente, che non si contentò di esporle a voce, ma le mise anche per iscritto L'originale oggi é smarrito; ce ne sono per altro pervenute numerose copie, che tutte concordano a meraviglia.
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Spiritus Sancti gratia illuminet sensus et corda nostra. Amen.
Ad ammaestramento della Pia Società Salesiana. Il dieci settembre anno corrente (1881), giorno che S. Chiesa consacra al glorioso Nome di Maria, i Salesiani, raccolti in S. Benigno Canavese, facevano gli Esercizi Spirituali. Nella notte del 10 all'11, mentre dormiva, la mente si trovò in una gran sala splendidamente ornata. Mi sembrava di passeggiare coi Direttori delle nostre Case, quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso, che non potevamo reggerne la vista. Datoci uno sguardo senza parlare, si pose a camminare a distanza di qualche passo da noi. Egli era così vestito: Un ricco manto a guisa di mantello gli copriva la persona. La parte più vicina al collo era come una fascia che si rannodava davanti, ed una fettuccia gli pendeva sul petto. Sulla fascia stava scritto a caratteri luminosi: Pia Salesianorum Societas anno 1881, e sulla striscia d'essa fascia portava scritte queste parole: Qualis esse debet. Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinario erano quelli che c'impedivano di fermare lo sguardo, se non con gran pena, sopra quell'Augusto Personaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto, ed era scritto sopra di uno Fides, sull'altro Spes, e Charitas su quello che stava sul cuore. Il quarto diamante era sulla spalla destra, ed aveva scritto Labor; sopra il quinto nella spalla sinistra leggevasi Temperantia. Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto, ed erano così disposti: uno più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava scritto Obedientia. Sul primo a destra leggevasi Votum Paupertatis. Sul secondo più abbasso Praemium. Nella sinistra sul più elevato era scritto Votum Castitatis. Lo splendore di questo mandava una luce tutta speciale, e mirandolo traeva e attraeva lo sguardo come la calamita tira il ferro. Sul secondo a sinistra più abbasso stava scritto Ieiunium. Tutti questi quattro ripiegavano i luminosi loro raggi verso il diamante del centro. Questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si alzavano e portavano scritto qua e colà varie sentenze. Sulla Fede si elevavano le parole: Sumite scutum Fidei, ut adversus insidias diaboli certare possitis. Altro raggio aveva: Fides sine operibus mortua est. Non auditores, sed factores legis regnum Dei possidebunt. Sui raggi della Speranza: Sperate in Domino, non in hominibus Semper vestra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia. Sui raggi della Carità: Alter alterius onera portate, si vultis adimplere legem meam. Diligite et diligemini. Sed diligite animas vestras et vestrorum. Devote divinum officium persolvatur; missa attente celebretur; Sanctum Sanctorum peramanter visitetur.
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Sulla parola Labor: Remedium concupiscentiae, arma potens (I) contra omnes insidias diaboli. Sulla Temperanza: Si lignum tollis, ignis extinguitur. Pactum constitue cum oculis tuis, cum gula, cum somno, ne huiusmodi inimici depraedentur animas vestras. Intemperantia et castitas non possunt simul cohabitare. Sui raggi dell'Obbedienza: Totius aedificii fundamentum, et sanctitatis compendium Sui raggi della Povertà: Ipsorum est Regnum coelorum. Divitiae spinae. Paupertas non verbis, sed corde et opere conficitur. Ipsa coeli ianuam aperiet et introibit. Sui raggi della Castità: Omnes virtutes veniunt pariter cum illa. Qui mundo sunt corde, Dei arcana vident, et Deum ipsum videbunt. Sui raggi del Premio: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat multitudo laborum. Qui mecum patitur, mecum gaudebit. Momentaneum est quod patimur in terra, aeternum est quod delectabit in coelo amicos meos. Sui raggi del Digiuno: Arma potentissima adversus insidias inimici. Omnium Virtutum Custos. Omne genus daemoniorum per ipsum eiicitur. Un largo nastro a color di rosa serviva d'orlo nella parte inferiore del manto, e sopra questo nastro era scritto: Argumentum praedicationis. Mane, meridie et vespere. Colligite fragmenta virtutum et magnum sanctitatis aedificium vobis constituetis. Vae vobis qui modica spernitis, paulatim decidetis. Fino allora i Direttori erano chi in piedi, chi in ginocchio, ma tutti attoniti e niuno parlava. A questo punto Don Rua come fuor di sé disse: Bisogna prendere nota per non dimenticare. Cerca una penna e non la trova; cava fuori il portafoglio, fruga e non ha la matita. Io mi ricorderò, disse Don Durando. Io voglio notare, aggiunse Don Fagnano, e sì pose a scrivere col gambo di una rosa. Tutti miravano e comprendevano la scrittura. Quando Don Fagnano cessò di scrivere, Don Costamagna continuò a dettare così: La Carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola colle parole e coi fatti.
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Mentre Don Fagnano scriveva, scomparve la luce, e tutti ci trovammo in folte tenebre. Silenzio, disse Don Ghivarello, inginocchiamoci, preghiamo, e la luce verrà. Don Lasagna cominciò il Veni Creator, poi il De Profundis, Maria Auxilium Christianorum, a cui tutti rispondemmo. Quando fu detto, Ora pro nobis, riapparve una luce, che circondava un cartello in cui leggevasi: Pia Salesianorum Societas qualis esse periclitatur anno salutis 1900. Un istante dopo la
(I) Dev'essere stato un lapsus calami invece di potentissima, come appunto più sotto dopo Digiuno.
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luce divenne più viva a segno che potevamo vederci e conoscerei a vicenda. In mezzo a quel bagliore apparve di nuovo il Personaggio di prima, ma con aspetto malinconico simile a colui che comincia a piangere. Il suo manto era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti. Respicite, Egli ci disse, et intelligite. Ho veduto che i dieci diamanti, erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto. Pertanto al diamante della Fides erano sottentrati: Somnus (I) et accidia. A Spes: Risus et scurrilitas. A Charitas: Negligentia in divinis perficiendis. Amant et quaerunt quae sua sunt, non quae Iesu Christi. A Temperantia: Gula, et quorum Deus venter est. A Labor: Somnus, furtum, et otiositas. Al posto dell'Obedientia eravi nient'altro che un guasto largo e profondo senza scritto. A Castitas: Concupiscentia oculorum et superbia vitae. A Povertà era succeduto: Lectus, habitus, potus et pecunia. A Praemium: Pars nostra erunt quae sunt super terram. A Ieiunium eravi un guasto, ma niente di scritto. A quella vista fummo tutti spaventati, Don Lasagna cadde svenuto, Don Cagliero divenne pallido come una camicia, e appoggiandosi sopra una sedia gridò: Possibile che le cose siano già a questo punto? Don Lazzero e Don Guidazio stavano come fuori di sé, e si porsero la mano per non cadere. Don Francesia, il conte Cays, Don Barberis e Don Leveratto erano quivi ginocchioni pregando con in mano la corona del SS. Rosario. In quel tempo sì fé' intendere una cupa voce: Quomodo mutatus est color optimus!
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Ma nell'oscurità succedette un fenomeno singolare. In un istante ci trovammo avvolti in folte tenebre, nel cui mezzo apparve tosto una luce vivissima, che aveva forma di corpo umano. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo, ma potevamo scorgere che era un avvenente giovanetto vestito di abito bianco lavorato con fili d'oro e d'argento. Tutto attorno all'abito vi era un orlo di luminosissimi diamanti.. Con aspetto maestoso, ma dolce ed amabile si avanzò alquanto verso di noi, e ci indirizzò queste parole testuali: Servi et instrumenta Dei Omnipotentis, attendite et intelligite. Confortamini et estote robusti. Quod vidistis et audistis, est coelestis admonitio, quae nunc vobis et fratribus vestris facta est; animadvertite et
(I) Nelle varie redazioni c'è erroneamente sumnum.
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intelligite sermonem. Iacula praevisa minus feriunt, et praeveniri possunt. Quot sunt verba signata, tot sint argumenta praedicationis. Indesinenter praedicate opportune et importune. Sed quae praedicatis, constanter facite, adeo ut opera vestra sint velut lux, quae sicuti tuta traditio ad fratres et filios vestros pertranseat de generatione in generationem. Attendite et intelligite. Estote oculati in tironibus acceptandis, fortes in colendis, prudentes in admittendis. Omnes probate, sed tantum quod bonum est tenete. Leves et mobiles dimittite. Attendite et intelligite. Meditatio matutina et vespertina sit indesinenter de observantia constitutionum. Si id feceritis, numquam vobis deficiet Omnipotentis auxilium. Spectaculum facti eritis mundo et Angelis, et tunc gloria vestra erit gloria Dei. Qui videbunt saeculum hoc exiens et alterum incipiens, ipsi dicent de vobis: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris. Tunc omnes fratres vestri et filii vestri una voce cantabunt: Non nobis, Domine, non nobis; sed Nomini tuo da gloriam (I). Queste ultime parole furono cantate, ed alla voce di chi parlava si unì una moltitudine di altre voci così armoniose, sonore, che noi rimanemmo privi di sensi e per non cadere svenuti ci siamo uniti agli altri a cantare. Al momento che finì il canto si oscurò la luce. Allora mi svegliai, e mi accorsi che si faceva giorno.
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Pro memoria. Questo sogno durò quasi l'intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze. Tuttavia pel timore di dimenticarmene mi sono levato in fretta e presi alcuni appunti, che mi servirono come di richiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al Tempio. Non mi fu possibile ricordar tutto. Tra le molte cose ho pur potuto con sicurezza rilevare che il Signore ci usa grande misericordia.
(I) Servi e strumenti di Dio Onnipotente, ascoltate e intendete. Siate forti e animosi. Quanto avete veduto e udito é un avviso del Cielo, inviato ora a voi e ai vostri fratelli; fate attenzione e intendete bene quello che vi si dice. I colpi previsti fanno minor ferita e si possono prevenire. Le parole indicate, siano tanti argomenti di processione. Predicate incessantemente, a tempo e fuori tempo. Ma le cose che predicate fatele sempre, sicché le vostre opere siano come una luce, che sotto forma di sicura tradizione s'irradi sui vostri fratelli e figli di generazione in generazione. Ascoltate bene e intendete. Siate oculati nell'accettare i novizi, forti nel coltivarli, prudenti nell'ammetterli [alla professione]. Provateli tutti, ma tenete soltanto il buono. Mandate via i leggieri e volubili. Ascoltate bene e intendete. La, meditazione del mattino e della sera sia costantemente nell'osservanza regolare. Se ciò farete, non vi verrà meno giammai l'aiuto dell'Onnipotente. Diverrete spettacolo al mondo e agli Angeli e allora la vostra gloria sarà gloria di Dio Chi vedrà la fine di questo secolo e il principio dell'altro dirà di voi: Dal Signore é stato ciò fatto, ed é ammirabile agli occhi nostri. Allora tutti i fratelli e figli vostri canteranno: Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo Nome dà gloria.
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La nostra Società é benedetta dal Cielo, ma Egli vuole che noi prestiamo l'opera nostra. I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi ivi notati; se ciò che predichiamo, lo pratichiamo, lo tramanderemo ai nostri Fratelli con una tradizione pratica di quanto si é fatto e faremo. Ho potuto eziandio rilevare che ci sono imminenti molte spine, molte fatiche, cui terranno dietro grandi consolazioni. Circa il 1890 gran timore, circa il 1895 gran trionfo. M. A. Chr. ora p. n.
Don Rua mise subito in pratica l'ammonimento del Personaggio, che delle cose rivelate si facesse materia di predicazione; poiché tenne ai Confratelli dell'Oratorio una serie di conferenze, nelle quali commentò loro minutamente le due parti del sogno. Il tempo a cui Don Bosco riferiva la doppia eventualità dei trionfi o delle sconfitte, corrispondeva nella Congregazione a quello che nella vita umana é il principio dell'adolescenza, momento delicato e pericoloso, da cui dipende per lo più tutto l'avvenire. Nell'ultimo decennio del secolo scorso il moltiplicarsi delle case e dei soci e l'estendersi dell'opera salesiana in tante nazioni differenti potevano senza dubbio dar luogo a taluno di quei deviamenti dalla linea retta che, se non si arrestano con prontezza, conducono sempre più lontano dalla strada maestra. Ma allo scomparire di Don Bosco la Provvidenza ci aveva fatto trovare nel suo successore la mente illuminata e la volontà energica che per quella fase critica si richiedevano. Don Rua, che si poteva dire benissimo la personificazione vivente di tutto il bello e buono rappresentato nella prima parte del sogno, fu davvero scorta vigile e duce indefesso e autorevole a disciplinare e guidare le novelle schiere per legittimo cammino. La portata del sogno non ha limite di tempo. Don Bosco diede l'allarme per un momento speciale che doveva seguire alla sua morte; ma il qualis esse debet e il qualis esse periclitatur contengono un ammonimento che non perderà mai nulla del suo valore, sicché sarà sempre vera la dichiarazione fatta da Don Bosco ai Superiori: “I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sopra le virtù e i vizi ivi notati.”
CAPO VI. La causa di Don Bonetti dinanzi alla Congregazione del Concilio.
I1 2 novembre 1881 Don Bosco andò a San Benigno per fare con gli ascritti l'esercizio della buona morte e benedire a quarantacinque di essi l'abito chiericale. Il suo aspetto era sempre il medesimo né da tutto il suo esteriore trapelava alcun indizio di gravi afflizioni; ma, discorrendo confidenzialmente con Don Barberis, gli raccontò parecchi dispiaceri che disse essere dei più gravi della stia vita. - Ieri, soggiunse, dovetti pregare assai il Signore che mi tenesse bene la testa a posto; son cose che fanno diventar matti. Specialmente in questi due giorni si sono accumulati fatti di vario genere, e altri già passati ci son venuti a notizia, ma tutti in senso sfavorevole. - Poi, raccoltosi un istante e sorridendo d'un sorriso mesto, concluse: - Ho bisogno di qualcuno che mi sollevi un poco. - Parole che spiegano abbastanza perché col suo caro Don Barberis si fosse abbandonato a quelle effusioni. Poi, dopo la cena, per mandar via i pensieri tristi, prese a narrare episodi occorsi a lui in tempi remoti (I).
(I) Da un fascicolo manoscritto, unito alla Cronaca della casa di S. Benigno. Il contenuto o fu dettato da Don Barberis o da lui scritto e dato a copiare. Pubblichiamo in Appendice (Doc. 14) il racconto degli episodi.
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I maggiori travagli provenivano allora a Don Bosco dalla questione che si agitava dinanzi al Consiglio di Stato per la chiusura delle scuole nell'Oratorio, dalla causa di Don Bonetti per l'oratorio di Chieri e da una terza causa per certi opuscoli contro l'Arcivescovo di Torino. Della prima, anticipando il racconto degli ultimi fatti, abbiamo già detto tutto nel capo sesto del volume precedente; dell'ultimo diremo più innanzi; ripiglieremo qui la storia della seconda, rimasta in sospeso al capo ottavo del quattordicesimo volume. Riassiumiamo gli antecedenti. Dopo le due prime fasi della controversia svoltesi nell'ambiente ecclesiastico torinese, una terza se ne aperse, allorché Don Bonetti, stanco degl'indugi che artatamente si frapponevano alla revoca del decreto di sospensione, decise di provvedere alla sua onorabilità di sacerdote e di salesiano e al buon nome della religiosa famiglia, a cui apparteneva, deferendo la lite alla Sacra Congregazione del Concilio. Tre volte egli era ricorso a detta Congregazione per ottenere che l'Arcivescovo di Torino o lo rimettesse in piena libertà di esercitare il sacro ministero o almeno si degnasse di dare la ragione canonica del suo rifiuto. La Sacra Congregazione scrisse e riscrisse all'Arcivescovo su tale proposito, ma dopo lungo silenzio questi addusse motivi che non furono trovati soddisfacenti. Onde il 3 luglio 1880 la Congregazione decretò di discutere la causa in pieno consesso dei Cardinali e il 17 ne diede comunicazione a monsignor Gastaldi. Finalmente l'II dicembre gli venne l'ordine di notificare d'ufficio la cosa a Don Bonetti, notificazione fattagli la vigilia di Natale dal segretario Chiuso, che terminava così la sua nota: “ Mons. Rev.mo prefigge a V. S. il termine di un mese a computarsi dalla data della presente lettera, affinché Ella esponga le sue ragioni innanzi alla Sacra Congregazione del Concilio.” Nell'intervallo corso fra l'II e il 24 dicembre Monsignore aveva avuto tempo di compilare una prolissa relazione, che
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spedì al cardinale Prefetto Eminentissimo Caterini il 29. E' tutta una requisitoria contro i Salesiani, nella quale però Monsignore esordisce così: “ Il mio animo é in pena nel trovarsi obbligato a fare recriminazioni contro un'opera del benemerito Don Bosco Giovanni, ché ricordo con compiacenza l'essere stata una delle mie più vive cure sacerdotali aiutare Don Bosco nelle sue nascenti istituzioni, né poscia e come Vescovo di Saluzzo e come Arcivescovo di Torino ho mai diminuito il pensiero e l'opera di secondare le stesse istituzioni ognora crescenti con visibile benedizione celeste. ” Per dimostrare poi la sua simpatia per l'opera di Don Bosco cita due fatti. “ Quando, dice, il Collegio di Valsalice di questa città stava per sciogliersi, io mi sono adoperato affinché i Sacerdoti Salesiani ne ottenessero la proprietà, da mantenerlo aperto come casa privata di Don Bosco. Allo scopo ho sborsato del mio lire diecimila, in estinzione di debiti giacché il M.to Rev.do Don Bosco non voleva assumersi l'obbligo di pagare i debiti fatti dall'Amministrazione del Collegio. Pure di quest'anno 1880 verso il fine di febbraio al Molto Rev.do Don Bosco ho fatto l'offerta di una casa mia attigua alla chiesa parrocchiale del Cuore di Gesù in questa città, del valore, di quarantamila lire, alla condizione che i Salesiani vi aprissero due scuole gratuite elementari pei maschi. Questa offerta restò senza risposta. ” Se quest'offerta sia rimasta senza risposta, l'abbiamo veduto altrove (I). Quanto a Valsalice, diecimila lire non erano certo una bagatella; ma di tanta larghezza gli dovevano saper grado i vecchi amministratori, di cui estingueva i debiti, non i Salesiani, che non ne toccarono un centesimo. Inoltre dell'immobile i Salesiani ottennero l'uso, non la proprietà; infatti pagarono per otto anni ai Fratelli delle Scuole Cristiane ottomila lire annue di fitto, né, quando fecero la compera, l'Arcivescovo contribuì in minima guisa.
(I) Vol. XIV, pag. 532 sgg.
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A questa introduzione tengono dietro i già noti gravami, sul conto di Don Bonetti: violazione dei diritti parrocchiali in morte di una suora a Chieri, questione col Curato di Santa Maria della Scala per le ragazze anziane frequentanti l'oratorio festivo, affare della sospensione non preceduta da monizioni canoniche, opuscolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino “stampato dic'egli, non senza la mano del Don Bonetti”. Ma la finale é un'odiosa accusa contro Don Bosco stesso. “Il Molto Rev. Don Bosco, scrive Monsignore, Superiore della Congregazione Salesiana, che fa tanto bene in Torino e in altri luoghi, in un colloquio avuto col Sig. Canonico Curato di Chieri a riguardo delle questioni dell'Oratorio, disse a costui che quando che sia sorgessero divergenze per il detto Oratorio, egli, il Canonico Curato, non si rivolgesse più a Monsignor Arcivescovo, ma direttamente a lui Don Bosco, che così soli tratterebbero la bisogna, senza Monsignore. Il Canonico Curato fui scandolezzato per questa istigazione fatta dal Molto Rev. Don Bosco, stimato moltissimo per sue virtù, la quale porterebbe insubordinazione di un parroco verso il suo Superiore Ecclesiastico, l'Arcivescovo,” Se non che il Canonico Curato, pieno di animosità aveva pigliato un granchio a secco. Il colloquio risaliva al 1878, quando l'Arcivescovo aveva concesso a Don Bosco le necessarie facoltà per aprire l'oratorio festivo di Chieri. Allora il Beato, non ignorando che il Canonico Curato ne friggeva, e facilmente presago che per ogni nonnulla egli sarebbe corso a strepitare presso Monsignore, in una conversazione con lui gli aveva detto: - Veda, Signor Curato, poiché Monsignor Arcivescovo concede che si facciano queste funzioni, non occorre dargliene noia per ogni piccola divergenza che insorga. Quindi se vostra Signoria scorge qualche inconveniente nell'oratorio, me ne scriva amichevolmente e tra noi due aggiusteremo le cose di buon accordo. - Tutto questo é il grande scandalo che turbò la timorata coscienza del Canonico Curato!
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Don Bonetti presentò a Roma la sua esposizione l'8 gennaio 1881. A Roma circa un mese dopo l'Arcivescovo mandò il canonico Colomiatti, avvocato fiscale della sua Curia, con l'incarico di vedere presso la Sacra Congregazione del Concilio la posizione della causa e di fare le opportune risposte. Arrivato il venerdì 4 febbraio, questi ebbe l'udienza pontificia la mattina dell'8, grazie allo zelo di monsignor Macchi, Maestro di Camera. Nel frattempo monsignor Verga, segretario del Concilio, gli aveva consegnato la posizione, permettendogli di leggerla ivi e di apporvi note, se le credesse necessarie. Il Canonico impiegò il meglio di una giornata per esaminare tutte le carte di Don Bonetti; poi stese una memoria, con la quale volle riassumere i fatti e rispondere in diritto. Nella lettera, in cui riferiva queste cose a Monsignore, si notano due punti che mal si conciliano insieme. Dopo l'esame della posizione non esita ad asserire che Don Bonetti resterà soccombente; viceversa dimostra il massimo interesse di vedere presto il cardinale Nina, giustificandosi nelle prime righe per non averlo visitato subito il giorno dopo del suo arrivo a Roma: “Non mi recai subito dal Card. Nina, giacché mi premeva vedere prima la posizione della causa.” Aveva dunque una missione particolare, presso Sua Eminenza, e qual fosse, si spiega abbastanza chiaramente da quello che dice più sotto: “Oggi stesso vado dal detto Cardinale e vedrò di combinare un appianamento extragiudiziale, senza toccare la pendenza in S. Congreg. del Concilio, né impedirla” (I). Era, come si dice, un mettere le mani innanzi per non cadere, tanto poco fondamento aveva la sua vantata sicurezza di vittoria. Visitò dunque il Cardinale Protettore dei Salesiani senza altro scopo che d'interessarlo sullo stato della vertenza nel senso detto or ora. Infatti gli manifestò il vivo desiderio che
(I) Lett. 8 febbraio 1881. Gli originali delle lettere che il Colomiatti scrisse da Roma all'Arcivescovo, sono presso il teologo Franchetti di Torino.
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la questione venisse accomodata de bono et de aequo fra le parti senza progredire nel giudizio, dichiarando che, qualora Don Bonetti fosse disposto a fare una scusa all'Arcivescovo si sarebbe potuto sul merito stabilire un accordo che riuscisse di reciproca soddisfazione. Il Cardinale trovava più prudente che, essendo ormai la Sacra Congregazione in possesso dell'affare, le parti si rimettessero al giudizio che essa avrebbe pronunziato. Tuttavia il Canonico insistette, pregando Sua Eminenza d'interporsi presso Don Bosco a tale scopo. Il Cardinale dopo matura riflessione non credette opportuno respingere la preghiera fattagli; onde ne scrisse a Don Bosco, rimettendosi alla sua prudenza e carità e assicurandolo che il Colomiatti si mostrava ben animato né avrebbe rifiutato di preferire una via conciliativa (I). Il cardinale Nina scrisse dunque subito a Don Bosco, esponendogli questo suo modo di vedere, e inviandogli la lettera per mano dello stesso Canonico; ma questi non gliela poté consegnare personalmente, perché il Beato, come noi sappiamo, si trovava allora in Francia, dove quella gli fu spedita. La limpida risposta del Servo di Dio inchioda la questione sopra i suoi giusti caposaldi.
Eminenza Reverendissima,
La veneratissima lettera che la Em.za V. si degnò scrivermi in merito alla vertenza di Don Bonetti fece un lungo giro e mi venne a raggiungere a Roquefort vicino a Tolone. Desidero vivamente che ogni cosa venga accomodata amichevolmente. E' circa un anno da che l'Arcivescovo mi fe' chiamare e fummo intesi che egli toglieva la sospensione a Don Bonetti ed io pro bono pacis avevo fatto in modo di non inviare questo Sacerdote nella città di Chieri ad esercitarvi il sacro ministero. Comunicai la cosa al medesimo Don Bonetti che ne fu assai contento, giacché é un sacerdote di esemplare condotta laborioso assai. Ma il giorno appresso al nostro accomodamento ricevo per tempissimo una lettera da Mons. Arcivescovo con cui é ritirato ogni pensiero, ogni parola di accomodamento, richiamando le cose allo stato di prima.
(I) App., Doc. 15.
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Nel caso presente poi all'accomodamento proposto vien tosto messa una condizione inaccettabile: se Don Bosco, dice il Teol. Colomiatti, non accetta un accomodamento, l'Arcivescovo gli tenterà un processo come autore dei libelli infamatorii, che furono pubblicati a carico dell'Arcivescovo. Per la qualcosa se io accetto l'accomodamento, mi dichiaro colpevole dei libelli infamatorii, cosa che ho sempre avuto in orrore. Qualora poi si volesse terminare la questione extra forum iuridicum, io non vedo via più facile che ritornare a quanto erasi già stabilito, vale a dire togliere la sospensione al Don Bonetti ed ogni cosa é finita. E’ pur bene di notare che la minaccia di sospensione ipso facto incurrenda gravita tuttora sopra lo scrivente, qualora per sé o per altri, o colla stampa o cogli scritti pubblicasse qualche cosa che tornasse a carico del nostro Arcivescovo. Ciò nullameno io scriverò di qui all'Arcivescovo di. Torino pregandolo a voler dire quale sia la sua intenzione a questo proposito. Fo umili ringraziamenti all'E. V. della parte che prende alle cose nostre, e assicurandola della comune gratitudine mercé le deboli nostre preghiere, ho l'alto onore di potermi professare colla più profonda riconoscenza. Della E. V. Rev.ma Obbl. Servitore Sac. Gio. Bosco.
Contemporaneamente il Beato mandò a Don Rua le necessarie istruzioni sul da farsi. Don Rua con tutta prontezza le eseguì, recandosi il 4 e 5 marzo dall'Avvocato fiscale della Curia arcivescovile, al quale significò che per aderire ai desideri del Cardinale Protettore i Salesiani avrebbero di buon grado aggiustato pacificamente l'affare di Don Bonetti e ritirata la querela da lui sporta presso la Congregazione del Concilio contro di Monsignore Arcivescovo; tale anzi essere stato sempre il desiderio di Don Bosco e di tutti i Superiori; se si era ricorso al Tribunale della Santa Sede, essersi fatto perché Monsignore non aveva mai voluto indursi a togliere spontaneamente una pena disonorevole inflitta a un Regolare contro un formale decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Dopo alcune riflessioni da una parte e dall'altra, il Canonico gli lasciò sperare che la sospensione a Don Bonetti sarebbe stata tolta anche per Chieri, a patto però che egli si sottomettesse a domandare scusa.
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- Ma per quali offese domandare scusa? interrogò Don Rua. - Per qualche po' di renitenza, rispose, ad assoggettarsi agli ordini di Monsignore e per qualche lettera non troppo rispettosa, ed anche per avere l'anno scorso rinnovata l'istanza a Roma, dopo che la sospensione gli era stata surrogata con un semplice divieto di andar ad esercitare il sacro ministero in Chieri. Questa cosa per altro non era esatta. Infatti Monsignore in una sua lettera del 27 maggio 1879 a Don Bosco diceva chiaro e netto: “ Ritiro la facoltà da Don Bonetti di assolvere sacramentalmente. ” In tal modo lo faceva pur sempre apparire colpevole di delitti non commessi, disonorandolo al cospetto di un'intera città. Ma su di questo il Colomiatti sembrava disposto a lasciar correre e a passarla per buona; voleva tuttavia che si domandasse scusa per gli opuscoli stampati contro Monsignore, specialmente per quello riguardante l'affare di Chieri. A una simile uscita Don Rua replicò che la sospensione non aveva nulla da fare con gli opuscoli, pubblicati parecchi mesi dopo; che in siffatta pubblicazione i Salesiani non ci entravano; che, essi anzi ne declinavano ogni responsabilità. Insomma, da tutto l'insieme Don Rua rilevò due cose: I° Che Monsignore, non potendo sostenere la querela da lui presentata a Roma, cercasse allora dai Salesiani una confessione più o meno esplicita di complicità nella faccenda degli opuscoli per tirar l'acqua al suo mulino. 2° Che, temendo una condanna nella causa della sospensione malamente inflitta, volesse col timore della querela per gli opuscoli far sospendere la causa e mandarla così alle calende greche. “I miei sono sospetti, scriveva Don Rua a Don Bosco (I), ma non punto temerari. E’ vero che il Can. Colomiatti mi assicurava che nel suo soggiorno in Roma ha potuto capire
(I) Lett., Torino 7 marzo 1881.
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che, se si pronunzia la sentenza, Don Bonetti sarà condannato; tuttavia penso che in realtà si tema una sentenza contro Monsignore.” Due altre cose Don Rua poté con certezza riferire a Don Bosco: I° Che Monsignore, pur togliendo la sospensione, non avrebbe voluto far nulla per riparare alla sinistra impressione in danno di Don Bonetti; poiché insisteva che non gli si lasciasse più mettere i piedi a Chieri, se non dopo un tempo indefinito; eppure a Don Bonetti era dovuta una riparazione dell'onore, specialmente là dove aveva avuto origine la questione. 2° Che il Canonico desiderava veder aggiustato da lui Don Rua l'affare senza più informarne Don Bosco, adducendo la ragione che altrimenti le cose sarebbero andate troppo in lungo. Perciò Don Rua saviamente avvertiva: “Io temo che gatta ci covi.” Il timore di Don Rua non era davvero campato in aria. Posta la sincera volontà di venire ad un pacifico accomodamento, la via si parava dinanzi piana e aperta. Monsignore liberasse anzitutto Don Bonetti dalla pena ecclesiastica inflittagli contro il decreto che proibisce agli Ordinari di sospendere confessori Regolari, eccetto che per causa spettante la confessione, quale non era certamente una mancanza di rispetto vera o supposta; quindi cercasse di riparare pubblicamente il torto fattogli, col dissipare almeno i sinistri sospetti fatti concepire contro di lui a scapito di tutta la Congregazione. Il magno spauracchio poteva essere che ne andasse di mezzo l'autorità arcivescovile; ma quell'effetto si poteva evitare benissimo col farlo solo predicare alcune volte nelle chiese di Chieri o con dargli per iscritto la generale facoltà di udire le confessioni negli istituti femminili della diocesi, quando ne venisse richiesto. Alle osservazioni di Don Bosco il cardinale Nina rispose con un dilemma (I). O Don Bonetti poteva in coscienza e
(I) Lett., Roma 16 marzo 1881
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giuridicamente difendersi dalla pretesa complicità degli opuscoli contro l'Arcivescovo, e allora il suo onore, come quello della sua Congregazione, esigeva che non si facesse luogo ad alcuna composizione; o Don Bonetti non era totalmente tranquillo e per circostanze incidentali anche da lui indipendenti poteva presentire di essere involto in una qualche complicità anche indiretta, e in tale ipotesi gli sembrava non disconvenire un atto di scusa ben redatto e motivato, da cui risultasse la verità del fatto con le circostanze vere e nulla più. Ciò premesso, continuava: “Ella riflettendo bene che si ha da fare con un personaggio sui generis, giudicherà meglio nella sua prudenza il partito da adottare; ed Ella che conosce assai meglio di me le persone, sarà in grado pure di vedere se nel contegno della parte contraria si nasconda un tranello e doppiezza. Ella non si perda di coraggio e ricordi che la prova delle contraddizioni é inseparabile dalle opere accette al Signore.” Un Cardinale, che dopo tante prove di affettuosa stima per Don Bosco usava espressioni di questa forma, non sappiamo persuaderci che l'8 febbraio si fosse realmente potuto esprimere in modo da giustificare le parole scritte allora dal Colomiatti al suo Superiore: “ Sia tra parentesi: il Cardinale non tiene per santo Don Bosco, mentre ha opinione di santità riguardo al P. Anglesio della Piccola Casa” (I). Don Bosco da Nizza Marittima spedì la lettera di Sua Eminenza a Don Bonetti, che faceva una predicazione ad Aosta. Questi rilevato come gli avversari fossero in timore, perché si trovavano nel torto, raccomandò a Don Rua di tener duro sulla riparazione dell'onore leso da una sospensione non canonica, e riparazione senza condizioni di scusa, perché l'ipotetica mancanza di rispetto non era causa canonica; e stesse duro anche riguardo agli opuscoli. “Noi, scriveva, ci abbiamo preso parte come vittime.” Tutt'al più egli
(I) Lett., Roma 8 marzo 1881.
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ammetteva che nel parlare con persone venute a spiare com'erano andate le cose, si fosse lasciato portare a confidar le sue pene, per dare le ragioni della propria innocenza. Ma al certo nessuna legge né divina né umana proibisce ad un condannato di sfogarsi e difendersi con amici; se poi questi abusano delle confidenze, l'altro non ne può nulla. Proponeva inoltre a Don Rua di temporeggiare, finché Don Bosco fosse a Roma (I). In Curia però si aveva una fretta insofferente d'indugi. Infatti il 29 marzo partì da Torino una lettera del Colomiatti a Don Bosco, per invitarlo a venire ad un accomodamento con Monsignore. Il Beato rispose da Alassio, ponendo due articoli fondamentali, se si voleva finire subito la questione e conchiudere la pace.
Rev.mo Sig. Can.co Avv.to Colomiatti,
Io aveva incaricato Don Rua con pieni poteri di aggiustare ogni vertenza relativa al povero Don Bonetti. Notava che il mezzo più spiccio era quello di togliere al medesimo una sospensione che canonicamente parlando non si sa su di che sia fondata. In questo senso erano già state accomodate le cose da me con S. E. Rev.ma, il nostro sempre veneratissimo Arcivescovo. Ma il mattino del giorno dopo delle nostre intelligenze Monsignore con sua lettera a me diretta ritirava ogni trattativa e concessione al riguardo. Nello esaminare poi lo stato delle cose fu conosciuto che furono denunziate cose che mettono nel fango l'onore e la riputazione d'un Sacerdote che nella sua morale e civile condotta tra noi é sempre stato inappuntabile. Quello poi che non so capire si é il volere che il medesimo Don Bonetti faccia venia di cose che egli respinge con orrore, e che un solo sospetto fondato mi obbligherebbe di allontanarlo immediatamente dalla povera nostra Congregazione esposta a tante prove. L'unico mezzo pertanto per finire una delle più disgustose vertenze parmi debba essere: 1° Togliere a Don Bonetti la sospensione, come giá si aveva fatto. 2° Rivocare le gravi accuse mosse a Roma contro al medesimo, a meno che si abbiano argomenti sicuri per provarle ed in questo caso il Don Bonetti sarebbe dichiarato espulso dalla Casa religiosa cui appartiene. Egli però assicura che non ha il minimo timore delle fatte imputazioni, e domanda soltanto il permesso di poter dare a suo tempo le necessarie spiegazioni.
(I) Lett. di Don Bonetti a Don Rua, Aosta 20 marzo 1881.
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Eccole, o caro e Rev.mo Sig. Canonico, il mio modo di vedere e di giudicare, in modo amichevole e confidenziale. Don Rua che ha la pratica nelle mani potrà meglio intendersi colla S. V. Ill.ma. Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia, mentre ho il bell'onore di potermi professare con pienezza di stima Della S. V. Ill.ma e Rev.ma Alassio, 5 aprile 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
La lettera passò per le mani di Don Rua, che la rimise sollecitamente al Canonico. Dal colloquio avuto con lui riportò l'impressione che tutto si potesse accomodare pacificamente a patto che Don Bonetti, senza più chiedere venia per l'opuscolo o, come lo chiamava l'Arcivescovo, libello di Chieri, scrivesse e poi facesse anche stampare nel Bollettino qualche parola, con cui declinasse ogni responsabilità di quella pubblicazione e ne biasimasse il contenuto (I). Don Bonetti, informatone, volò da Aosta a Torino, perché Don Rua doveva presto raggiungere Don Bosco a Sampierdarena e di là accompagnarlo a Roma. Rimasero pertanto d'accordo che a fare un'ampia dichiarazione di non aver influito né direttamente né indirettamente sulla pubblicazione detestata, non esisteva difficoltà di sorta. Don Rua ne diede avviso al Canonico da Sampierdarena. perché nel giorno della partenza dopo un paio d'ore di anticamera non aveva potuto vederlo (2). Non lasciava però d'insistere sul punto capitale, dicendo: “ Pare tuttavia che sia da sceverarsi la questione della sospensione da quella degli opuscoli e che l'assoluzione della prima e la riparazione dell'onore non abbiano da dipendere da tale dichiarazione. ” Ancor più modestamente poi continuava: “Come la sospensione venne inflitta per iscritto, non sarebbe conveniente che per iscritto venisse dichiarata come tolta? O meglio, ancora si dichiarasse che non venne inflitta pei motivi per cui ad un religioso si può infliggere, cioè per
(I) Lett. di Don Rua a Don Bonetti, Torino 8 aprile 1882. (2) Lett. 14 aprile 1881.
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motivi infamanti, ma per altre ragioni? Veda V. S. che cosa si possa fare.” Dal Canonico Don Rua aveva ricevuto una copia dell'opuscolo sulle cose di Chieri, perché lo esaminasse e si persuadesse che era farina del sacco di Don Bonetti. Or ecco il suo parere: “Per dire quello che me ne pare, sebbene per la moltitudine degli affari io non abbia potuto leggerlo interamente, tuttavia dal poco che ne ho veduto sembrami che non si possa arguire che Don Bonetti siane l'autore. Che se taluno può aver pensato tale cosa, convien dire che purtroppo sovente erriamo nei nostri giudizi.” La conclusione della lettera é puro stile di Santi: “Del resto ammirandola pell'interessamento che V. S. prende a questi affari, non posso a meno che testificarle la mia sincera stima; mentre augurandole buon alleluia e ogni benedizione per le prossime feste pasquali [era il giovedì santo], godo professarmi, ecc.” Lasciata passare la Pasqua, l'Avvocato fiscale subito il giorno dopo con un suo biglietto invitava Don Bonetti a recarsi da lui all'ufficio in un mattino della settimana per una comunicazione. Con questa latitudine di cinque giorni Don Bonetti ebbe tempo di consultare Don Bosco, il quale da Roma laconicamente gli rispose: “Credo si possa andare dove sei richiesto, tenendo sempre ferme le due condizioni fondamentali: Lasciarti libero, ritirar tutti i reclami inviati alla Santa Sede. Affretteremo il nostro ritorno.” Quando e come avvenisse l'incontro dei due antagonisti, non si sa; ma il 24 aprile arrivò nell'Oratorio all'indirizzo di Don Rua ancora assente un altro biglietto del Colomiatti con la comunicazione che le patenti di confessione per Don Bonetti erano firmate; egli quindi o Don Bonetti passasse in Curia per ritirarle. Don Bosco, avvertito della cosa, raccomandò a Don Bonetti (I): “Riguardo alla nota vertenza riceverai altra lettera. Procura di non dire, non scrivere parola che possa andare in mano altrui. Ci vogliono compromettere.
(1) Lett., Roma 29 aprile, 1881.
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Ogni cosa cautamente.” Di cautela dava esempio egli stesso, come si vede da questi due suoi scritti. Appresso nei nostri documenti tutto tace per due settimane. Dopo, ecco una lettera di Monsignore a Don Bosco, che la ricevette a Roma quand'era sulle mosse per andare a Firenze., L'Arcivescovo vi ripeteva i suoi titoli di benemerenza verso la Congregazione Salesiana; ma per noi fanno questi soli periodi: “ Sarei molto lieto che tra il sottoscritto e V. S. le cose si restituissero come erano e furono dal 1848 al 1872 nello stato più florido che mai potesse desiderarsi. Io sono sempre quello di allora e ne diedi a V. S. ed a' suoi splendide prove [...]. Se V. S. ed i suoi desiderano trarre sopra di loro tutta la pienezza delle benedizioni di S. Massimo vescovo di Torino, si dispongano a riconoscere i torti che hanno verso l'attuale suo successore, ed a chiederne venia; e gli promettano di non fare, né dire, né pubblicare colle stampe in qualunque sia luogo alcuna cosa che riguardi la diocesi di Torino se non d'accordo col medesimo, e vedranno che immantinenti ritorna tutto il sereno e tutto lo splendore dei tempi passati ” (I). Don Bosco, prestando fede a tali dichiarazioni, aderì al desiderio di Monsignore; onde il canonico Colomiatti si presentò a lui il 27 maggio con pieni poteri per terminare a nome dell'Arcivescovo la questione. Il colloquio durò a lungo. Il Beato credette alla lealtà e sincerità delle promesse che gli si facevano; perciò fu verbalmente stabilito che l'Ordinario avrebbe rievocato tutti i reclami spediti a Roma contro Don Bonetti, contro Don Bosco e contro l'intera Congregazione, e che Don Bonetti sarebbe stato sciolto da ogni molestia e sospensione, com'era prima del 12 e 14 febbraio 1879 e come pure era già stato concesso dall'Arcivescovo la sera del 26 maggio dell'anno medesimo, concessione revocata di buon'ora la mattina appresso. A queste due sole condizioni Don Bosco
(I) Lett., Torino 10 maggio 1881.
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rilasciò nelle mani del Colomiatti un suo autografo, che servisse di base al pacifico aggiustamento, ma, si noti bene, da doversi ritornare a Don Bosco unitamente a un altro dell'Arcivescovo, in cui fosse espressa l'adesione di lui alle suddette condizioni. Così dunque rimase oralmente inteso. La carta di Don Bosco diceva “Il sottoscritto, nella qualità di Rettore della Pia Società Salesiana, contento che la vertenza tra il sacerdote Giovanni Bonetti e sua Ecellenza Reverendissima Mons. Arcivescovo sia stata amichevolmente ultimata, prega l'Eminentissimo Card. Prefetto della S. Congregazione del Concilio a voler ritornare indietro le carte presentate a quest'uopo.” Seguiva la data e la firma. L'Arcivescovo, appena avuto nelle mani siffatto scritto, lo spedì con una sua dichiarazione non già a Don Bosco, perché vedesse se questa era conforme alle intelligenze prese con l'Avvocato fiscale, ma al Cardinale Prefetto del Concilio. Nella lettera di accompagnamento Monsignore diceva: “Il sottoscritto, avendo riguardo alle dichiarazioni fatte al suo avvocato fiscale dal Molto Rev. Don Bosco Giov. nella sua qualità di Rettore Maggiore della Congregazione Salesiana relativamente all'Oratorio femminile tenuto in Chieri dalle Suore Salesiane, finora non godenti di alcuna esenzione dalla Autorità Arcivescovile, nel vivo desiderio di ogni bene alla Congregazione Salesiana, dichiara essere sua volontà che non abbia ulteriore seguito la sua controistanza mossa presso la Sacra Congregazione del Concilio contro Don Bonetti Sacerdote, perché obbligatovi da querela del Don Bonetti stesso; e quindi prega Sua Eminenza Rev.ma il Card. Prefetto a permettergli di ritirare le carte in causa prodotte.” Qui ci sono parecchie cose da osservare. Anzitutto non si fa alcun cenno delle due condizioni verbali; non si revoca il divieto fatto a Don Bonetti di ascoltare le confessioni nella città di Chieri; le carte riguardanti la questione di Don Bonetti non erano le sole da ritirare, ma anche di altre erasi stabilito con l'Avvocato fiscale il ritiro; parlare di oratorio
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delle Suore Salesiane, era un insinuare che Don Bonetti fosse stato sospeso unicamente dall'udire le confessioni in una cappella privata di Suore e non in una cappella pubblica appartenente ai Salesiani. In secondo luogo, un semplice abbozzo consegnato confidenzialmente e da restituirsi, non foss'altro perché venisse copiato in pulito, quando Monsignore avesse dato il suo consenso alle poste condizioni, non si poteva considerare come documento definitivo, così definitivo da potersi mandare a un Cardinale Prefetto. Ma non finirono qui le anormalità. Si era convenuto che il Canonico ripassasse in persona da Don Bosco per fare la risposta verbale; invece il Canonico la mandò per lettera, unendovi una sua copia dell'atto arcivescovile. Non basta: il Canonico aspettò più giorni per dare l'avviso dell'invio a Roma. Non basta ancora: invece di servirsi del mezzo più breve, che sarebbe stato di mandare la lettera a mano, la affidò alla posta. In questo modo trascorse una settimana senza che Don Bosco sapesse più nulla di nulla, avendo egli ricevuto la lettera solo il 2 giugno poco prima dell'ora di cena. Egli vide in tutto questo una manovra, il cui fine si capisce dal telegramma che per impedire le conseguenze spedì subito verso le sette pomeridiane a monsignor Verga, segretario della Congregazione del Concilio: “Prego non rimettere fuori uffizio alcuna carta sulle nostre vertenze. Riceverete lettera Bosco.” La sera medesima il Beato scrisse a monsignor Verga.
Eccellenza Reverendissima,
In questo momento dalla posta ricevo avviso che Monsignor Arcivescovo di Torino inviò a codesta Sacra Congregazione del Concilio un mio scritto, che doveva servire come di base ad un amichevole accomodamento sulla vertenza di Don Bonetti. Quello scritto era confidenziale pel sig. avvocato fiscale. Can. Colomiatti da mostrare a Monsignore, e poi ritornarmelo con altro scritto relativo alle nostre intelligenze. Questo atto Arcivescovile é di fatto venuto, ma non corrisponde a quanto fu convenuto col suo avvocato fiscale, vale a dire di togliere la sospensione al Don Bonetti, e ritirare non solamente
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i reclami al medesimo relativi, ma eziandio tutte le lettere dirette ad infamare il Sac. Bosco e la sua povera Congregazione. D'altro lato io non l'avrei spedito a Roma, e, quando ciò si fosse, non avrei mandato così un pezzo di carta senza unirvi una lettera, quale conviensi ad un Em.mo sig. Cardinale Prefetto di sì autorevole Congregazione. Pertanto prego la S. V. a voler mantenere la vertenza al punto normale, in cui si trova: con altra lettera saranno date più positive spiegazioni. Mi creda quale ho l'onore di professarmi con alta stima e considerazione. Di V. E. Ill.ma e Rev.ma Oblig.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
Non lasciò senza immediata risposta il Colomiatti: troppo gli premeva di dichiarargli che l'atto di pacificazione formulato da Monsignore non rispondeva alle intelligenze corse fra loro due.
Rev.mo Sig. Avvocato,
Ricevo in questo momento dalla posta la sua lettera che mi dà comunicazione del noto atto Arcivescovile. Mi rincresce assai, ma esso mi pare che non corrisponda alle nostre intelligenze. E’ perciò necessario poterci parlare per meglio intenderci. Io non esco di casa. Se può, come ne la prego, faccia un passo sin qui e spero che in poche parole potremo intenderci meglio. M creda con perfetta stima Della S. V. Rev.ma Torino, 2 giugno 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Di tanta premura Don Bosco aveva il suo perché. Eseguita che si fosse la spedizione delle carte, la vertenza era entrata nelle vie pacifiche; se poi, naufragato l'accordo amichevole, si fosse dovuto ritornare sulla questione, sarebbe stato necessario ricominciare da capo con nuove carte e nuove ragioni. Se dunque Don Bosco si fosse lasciato prendere in questo laccio, rotte le trattative, si sarebbe trovato a un brutto bivio, o di non avere alcuna soddisfazione o di riaffrontare tutte le noie indispensabili per riprendere la causa.
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Meno male che fece giusto in tempo a sventare ogni tranello, prevenendo la sospensione del giudizio. Il Colomiatti ritardò di due giorni la sua venuta; ma quando venne, gli negò cavillando, che nel colloquio antecedente si fossero poste le due verbali condizioni per l'aggiustamento. A sì sorprendente disinvoltura Don Bosco capì sempre meglio il giuoco. Per altro nel licenziarlo gli promise che ci avrebbe pensato su ancora qualche giorno prima di rompere affatto le trattative; poiché non era stata sua intenzione di chiudere ogni via ad un accomodamento ulteriore, ma solo di chiarire temuti equivoci. A una settimana circa dall'abboccamento egli scrisse così al Canonico:
Ill.mo sig. Can. Colomiatti Avv. Fiscale,
Secondo il suo avviso nel corso di questa settimana ho pensato, pregato ed anche consultato persona molto affezionata al nostro Arcivescovo intorno alla nostra vertenza. Ma mi sono sempre più convinto che l'atto Arcivescovile non corrisponde alle nostre intelligenze, lascia D. Bonetti nello stato in cui si trovava, e non revoca per niente le carte inviate a Roma a carico dello scrivente e della nostra povera Congregazione. Ciò viene confermato dal contegno che il medesimo Mons. Arcivescovo mantiene verso di noi, siccome a lei é ben noto (I). Forse, se Ella avesse osservate le intelligenze di tenere il mio scritto come cosa confidenziale a Lei, farlo vedere e poi comunicarmi il tenore di quello che si voleva unire ad esso, la vertenza avrebbe potuto appianarsi con qualche modificazione; ma non fu così. Anzi Ella mi disse che non sarà cangiata parola di quanto fu scritto. In questo stato di cose non vedo più altra via che lasciare alla Santa Sede lo stabilire i miei torti e le mie ragioni, che di tutto buon grado accetto preventivamente, qualunque siano per essere. Credo che Monsignore pure ne sarà contento, perché é una Superiore Autorità, la quale concede e limita i poteri e regola l'esercizio dei medesimi. Nel mio particolare però io l'assicuro che in ogni cosa sarò sempre lieto quando potrò professarmi Di V. S. Ill.ma e Rev.ma Torino, II giugno 1881. Umil.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
(I) Allude qui al rifiuto di andare a Valsalice per la cresima e all'obbligo fatto a D. Francesia di dare l'esame di teologia morale. Cfr. sopra, pag. 166.
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Nel frattempo anche Don Bonetti aveva scritto a Roma, spiegando a monsignor Verga in che modo e per qual fine si fosse carpito il piano di conciliazione mandato al cardinale Caterini (I). Certo è insomma che chiunque abbia volontà sincera di venire a una transazione, concede alcun che alla parte avversaria; ma pretendere di accordar un affare e non voler sapere di concessioni, non é invocare un accomodamento, bensì cercar di fare unicamente il proprio comodo. Monsignor Gastaldi, vista la risolutezza di Don Bosco, diede formale incarico all'avvocato Menghini di prendere le sue difese (2). Più tardi il Colomiatti ragguagliò a modo suo il Cardinale Protettore dei Salesiani (3). Negli stessi giorni Don Bosco ricevette una lettera senza indicazione di luogo nella data e con una firma non decifrabile. Colui che la scriveva, riferite certe impressioni prodotte in qualche ambiente romano dal suo telegramma e dalla sua lettera del 2 giugno a monsignor Verde, gli faceva un predicozzo sulla convenienza di accomodare pacificamente la contesa; il documento sembra provenire da persona amica dell'Arcivescovo e interprete dei sentimenti di altri amici, che avrebbero desiderato di parargli il colpo (4). Uno di questi amici era il cardinale Hohenlohe, che pure gli consigliò di por termine alla lite (5). Ma l'uno e l'altro dei contendenti aveva scelto la sua via e, checché pensasse di fare monsignor Gastaldi, Don Bosco intendeva ormai di percorrerla fino in fondo; soltanto raccomandò al proprio avvocato di usare riguardi all'Arcivescovo.
Ill.mo Sig. Avvocato Leonori,
Malgrado il mio vivo desiderio di terminare in modo amichevole la vertenza che da oltre due anni esiste tra l'Arcivescovo Monsignor Gastaldi di Torino e il Sacerdote Giovanni Bonetti tuttora sospeso, tuttavia vedo che deve essere giudicata in piena Congregazione degli
(I) App., Doc. 16. (2) La lett. niente oggettiva, poté essere copiata da Don Dalmazzo e inviata a Torino. (App., Doc. 17). (3) App., Doc. 18. (4) App., Doc., 19. (5) Lett. dell'avv. Leonori a Don Bonetti, Roma 14 agosto 1881.
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Eminentissimi Cardinali entro breve tempo. A tale uopo io prego la S. V. a volersene assumere la trattazione e la difesa nostra raccomandando che Ella procuri di evitare tutti i modi di parlare ed anche quei sentimenti che possano giudicarsi inopportuni nella bocca di un inferiore che parla al suo Superiore. Qualunque spesa occorra procurerò che sia debitamente soddisfatta. Mi voglia credere con pienezza di stima e gratitudine Torino, 8, luglio 1881 Di V. S. Illustrissima Obbligatissimo Servitore Sac. GIOVANNI Bosco.
A sollevare un momento l'animo nostro dallo sconcertante spettacolo di tante miserie, nulla troviamo di meglio che interrompere la narrazione per leggere una lettera indirizzata da Don Bosco al Cardinale Protettore proprio nel punto culminante di tutti questi brutti intrighi.
Eminenza Reverendissima,
Almeno qualche volta che io possa dare delle buone notizie alla E. V. Rev.ma. Dopo una serie di sforzi, di stenti, di sacrifizi sostenuti nella Spezia, finalmente siamo riusciti a terminare la chiesa e la casa nuova di cui siamo già al possesso e l'abitiamo. In questo modo abbiamo potuto allontanare oltre cinquecento giovanetti dalle scuole dei protestanti ed avviarli come fanno, alle classi ed alla istruzione cattolica. Se avessimo più spaziosi locali maggior ancora ne sarebbe il numero. Studieremo come ciò possa farsi e speriamo che l'aiuto di Dio non ci verrà meno. La nuova casa e la nuova chiesa dei Piani di Valle Crosia sono eziandio terminate e frequentate a più non dire. Dal Bollettino Salesiano potrà vedere la solenne funzione fatta quando il Vescovo portò il SS. Sacramento dalla chiesa provvisoria alla chiesa definitiva. Io noto solo con piacere che le Scuole dei fanciulli e delle ragazze attivate dai protestanti furono chiuse definitivamente per difetto di allievi. Così neppure un cattolico frequenta il tempio Valdese malgrado le incessanti proferte che fanno per adescare gli incauti credenti. La casa di Lucca progredisce in mezzo alle gravi difficoltà, ma si vanno oggi giorno appianando. Più tempestose sono le cose di Firenze, dove i Protestanti spendono immenso danaro, e noi ci troviamo nella miseria e senza casa. Abbiamo ciò nullameno viva fiducia di poterci provvedere e consolidarci entro breve tempo, ma
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qui abbiamo bisogno di una preghiera da parte della E. V. e di una speciale benedizione del S. Padre Don Dalmazzo darà particolari ragguagli. Dal canto mio la prego di voler comunicare questi risultati al S. Padre il quale ebbe più volte a manifestare essergli sommamente a cuore. Mi raccomando alla carità delle sante Sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi umilmente professare della E. V. Rev.ma Torino, 30 giugno 1881. Obbl.mo servitore Sac. Giov. Bosco.
Sembrava che la causa dovesse venir trattata in settembre; ma questo mese volgeva al termine senza che si scorgessero indizi di prossima discussione. Don Bonetti che stava sulle spine, faceva fuoco e fiamme con l'avvocato Leonori, quasi gettando su di lui la colpa dell'indugio; lo stimolava pertanto a finir di scrivere la difesa in tempo per distribuirla stampata ai Cardinali prima delle ferie, sicché subito dopo queste la causa si potesse discutere (I). L'ultimo di settembre accadde un colpo di scena. Don Bosco presiedeva nella casa di San Benigno a un corso di esercizi spirituali per gli ascritti che si preparavano a fare i voti, quando comparve colà improvvisamente il canonico Menghini, l'avvocato dell'Arcivescovo, con la missione officiosa di concertare una base di accomodamento. Il Beato chiamò Don Bonetti e di comune intesa furono proposti i tre seguenti articoli fondamentali:
I° Il Sac. G. Bosco Superiore, dei Salesiani dichiara di ritirare la querela sporta dal Sac. Giovanni Bonetti alla Sacra Congregazione del Concilio a motivo della sospensione inflittagli 3 anni sono dall'Arcivescovo di Torino per causa dell'Oratorio di S. Teresa in Chieri, e promette di dare obbedienza al medesimo di non recarsi ad udire le confessioni in quell'Istituto sino a che non siano scomparsi i veri o supposti timori di urti col parroco locale. 2° Dal canto suo Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Lorenzo Gastaldi Arcivescovo di Torino dichiara per iscritto aver sospeso il Sac. Bonetti non già per causa spettante la confessione, o per
(I) App., Doc. 20.
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violato interdetto, ma per urti incontrati col parroco locale; di riabilitarlo per le confessioni in modo assoluto anche per Chieri e di ritirare qualunque scritto o stampato diretto a denigrare il Sac. Bosco e la Congregazione Salesiana non solo nella presente questione, ma in ogni altra. 3° A legittima riparazione Sua Eccellenza darà ancora al Sac. Bonetti la facoltà di udire le confessioni giusta il prescritto della Costituzione Superna di Clemente X comprese quelle delle persone religiose, o in Ritiro soggetto alla giurisdizione Arcivescovile.
Fatica di Sisifo! Il Menghini sottopose al suo Cliente le conclusioni, ripartì per Roma, e chi s'era visto, s'era visto: Don Bosco aspettò indarno una comunicazione qualsiasi. Monsignore invece rimandò a Roma il suo Avvocato fiscale per imbastire contro il Servo di Dio un'altra causa che attraversasse la prima. Anche di questa per altro si occupò; poiché mentre si badava alla seconda, bisognava cercar di ritardare al possibile l'antecedente. Per questo se la intese con il Cardinale Ferrieri, e fu stabilito che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari avrebbe preso in esame quattro quesiti di massima: 1° Se le Suore di Maria Ausiliatrice fossero esenti o no dalla giurisdizione arcivescovile. 2° Se fossero pure esenti o no gl'istituti e oratori loro. 3° Se esenti fossero i sacerdoti salesiani funzionanti nei detti istituti ed oratori. 4° Se gli stessi Salesiani negli oratori e istituti delle Suore di Maria Ausiliatrice dovessero considerarsi come in conventi della loro Congregazione Salesiana o no. Il Colomiatti scrisse il necessario incarto per l'introduzione di tale questione, che, essendo presentata come di massima, aveva la precedenza su quella pendente dinanzi alla Congregazione dei Concilio (I).
(I) Lettere del Can. Colomiatti a Mons. Gastaldi, Roma 16 e 19 ottobre 1881 E' istruttivo conoscere come venga nella seconda di queste lettere travisato il fatto della Madre Galeffi, già Presidente delle Oblate di Tor de' Specchi (cfr. vol. XIII, pgg. 464-5): “Oggi stesso seppi dal sottosegretario della S. Congr. dei Riti che Don Bosco é ormai conosciuto per Roma per quello che é. Mi narrò come di quest'anno venne a morire quasi repentinamente [era morta nel gennaio del 1876 dopo non breve malattia!!] la Superiora delle Oblate di Torre de' Specchi. Don Bosco siccome con questa superiora teneva conto corrente riguardo a libretti delle letture cattoliche [qui nell'originale c'è la parola approfittò, cancellata con un tratto di penna], sapendo
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I lettori non perdano di vista il punto vero della controversia, che in poche parole era questo: il 12 febbraio 1878 l'Ordinario torinese, sotto pretesto di mancato rispetto verso il Curato di Chieri e di causati dissidi, senza preavviso né all'interessato né al suo Superiore, aveva contro le leggi canoniche sospeso Don Bonetti dall'udire le confessioni dei fedeli non solo per la città di Chieri, ma per tutta l'archidiocesi, con disonore suo e della Congregazione; la qual sospensione venne in seguito limitata a Chieri. Che cosa avevano dunque a fare con la causa di Don Bonetti i mentovati quesiti? Assolutamente nulla; ma servivano a stancare temporeggiando. Se non che il temporeggiare giovò anche a Don Bonetti, dandogli agio di fare altri passi. In ottobre diede alle stampe un Pro - memoria, che umiliò al Santo Padre e fece distribuire ai Cardinali. A un fascicolo di quindici facciate, di largo formato, contenente una sobria esposizione dell'antefatto e dei fatto e una dignitosa confutazione delle ragioni addotte da Monsignore per non riabilitarlo interamente. Il temporeggiare arrecò pure un altro vantaggio. Avendo cessato di vivere il venerando cardinale Caterini (contava 86 anni) fu il 10 novembre nominato Prefetto della Congregazione dei Concilio l'Eminentissimo Nina, che conosceva molto
che essa non aveva potuto ragguagliare le Oblate circa l'amministrazione da lei tenuta [le Oblate erano ragguagliatissime di tutto, fuorché delle irregolarità di un nipote della Galeffi, ignorate naturalmente dalla zia stessa], chiese alle medesime come suo avere quattromila scudi [ossia fece risultare una scadenza di lire 20.133,32 al proprio danno per merci spedite, ricevute, non pagate]. Le Oblate rimasero stordite a questa richiesta [no, a questa scoperta] e non sapevano pacificarsi a credere che la superiora si fosse addossato un debito tale senza parlarne; ma non avevano prove in contrario. Per altro a non fare scandalo gli offersero una parte della somma [non é vero]. Don Bosco allora cercò di ottenere una parte del caseggiato loro, dicendo che ivi avrebbe aperto scuole, ecc., ecc. [falsità] e così sotto sembianza di non volere quel denaro come denaro, perché vedeva che lo sborsarlo era alle Oblate molto gravoso, tentò di farsi padrone di parte della casa loro [un atto in piena regola smentisce queste asserzioni - cfr. vol. XIII. pag. 954. ]. Questo fatto fu sentito pure da me biasimare dallo stesso Card. Ferrieri, quando gli parlai. ” Nel processicolo di Roma (1915-16) due superstiti Oblate d'allora, fecero deposizioni onorevolissime per il Servo di Dio tanto su questo fatto quanto su altre imposture del Colomiatti (Summarium, Pgg. 49-50).
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bene Don Bosco. Il Beato non indugiò a congratularsi con lui della nomina. Sua Eminenza gli rispose il 24 novembre: “ Ascrivo ad un tratto di singolare bontà della S. V. Ill.ma le troppo obbliganti signifìcazioni dei suo animo, che col suo pregiato foglio dell'II corrente mi ha fatto tenere per la circostanza della mia nomina a Prefetto della S. C. dei Concilio. La ringrazio con tutta l'effusione dei mio animo. Dei resto, diffidando sempre delle povere forze che mi restano, sento maggiormente il bisogno di impegnare la di Lei bontà ad implorarmi dal Signore gli aiuti e conforti necessari a reggere il peso, che dalla clemenza dei Santo Padre si é voluto imporre alle mie spalle. Ad onta però della mia pochezza non verrà mai meno in me il buon volere di corrispondere alla aspettazione, ed alle giuste esigenze nella sfera delle mie attribuzioni. ” Sul principiare di novembre Don Bosco ebbe il dolore di sapersi fatto segno a pubbliche manifestazioni di sdegno da parte del Capo della diocesi. Il 10 di quel mese Monsignore, tenendo il sinodo diocesano, fece nella cattedrale due discorsi, nei quali proferì espressioni poco benevole sul conto dei Salesiani e dei loro Superiore, pur senza nominarli. Al mattino mostrando l'utilità degli oratori festivi per i giovanetti, non accennò nemmeno a quelli che da quarant'anni Don Bosco dirigeva in Torino, ma si diffuse a lodare quelli dei Filippini, i quali, disse, dappertutto si distinguono, aiutano il proprio Vescovo e non gli recano fastidi. Gli uditori afferrarono a volo l'allusione. Alla sera poi si espresse ancor più chiaramente, dicendo: - Vi raccomando sottomissione e rispetto al vostro Vescovo e che non facciate come certi religiosi che sono tutta riverenza e devozione al Papa lontano, e portano poco o niun rispetto al Vescovo vicino; si mostrano ossequiosi alla Cattedra di San Pietro e non a quella di San Massimo. Così purtroppo fa nella Diocesi qualche ecclesiastico, il quale col vanto di stare coi Papa mette la mano in cose che non gradiscono all'Arcivescovo e gli dà fastidi. - Se la prese pure
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con la stampa cattolica che combatteva le dottrine rosminiane, usando parole ancor più aspre: - Periodici, giornali, anzi giornalacci che si vantano del titolo di cattolici e sono invece una disgrazia per la Chiesa. Forse non ve ne ha neppur uno che non esca dai suoi limiti, che non s'intrometta in cose che non gli appartengono, che non faccia più male che bene, che non sia di scandalo ai fedeli. - Da questo linguaggio uno dei presenti, il teologo Luigi Fiore, riportò tanto disgusto, che ne riferì direttamente al Papa (I). Fra di somma importanza dissipare negli ambienti ecclesiastici e civili di Roma le sinistre prevenzioni che le male lingue vi diffondevano. Con tale intendimento l'avvocato Leonori aveva posto mano alla compilazione di un opuscolo su Don Bosco e la sua Opera per ispargerlo largamente nella città. Il lavoro vide la luce verso la fine dell'anno (2). In sette capitoli vi si discorreva di Don Bosco, della Società Salesiana in sé, de' suoi progressi in Italia, in Francia, nelle Missioni estere e dei più notevoli apprezzamenti su di essa, per conchiudere che con la sua Opera Don Bosco aveva indicata al Clero la via che doveva tenere praticamente, se voleva camminare con il proprio tempo. Le clamorose apostrofi sinodali fecero sentire vieppiù a Don Bosco la necessità di correre ai ripari in un campo più ristretto, ma più importante. Guai per la Congregazione, se allora nelle alte sfere ecclesiastiche, cioè fra i Vescovi d'Italia e i Cardinali di Roma, si fosse fatta strada l'idea che i Salesiani e il loro Fondatore erano uomini insubordinati all'autorità episcopale e la osteggiavano! E purtroppo su quella via del cammino se n'era già fatto! Ci voleva a tutti i costi un documento che andasse per le mani degli alti Prelati e li illuminasse ben bene sullo stato reale dei rapporti fra l'Oratorio salesiano e la Curia torinese, fra Don Bosco e monsignor
(I) App., DOC., 21. (2) COSTANTINO LEONORI, Cenni sulla Società di S. Francesco di Sales istituita dal sacerdote Giovanni Bosco. Roma, Tip. Tiberina 1881.
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Gastaldi. A un lavoro di tal genere attendevano appunto Don Bonetti e Don Berto, il quale, oltreché segretario di Don Bosco, era, anche l'archivista della Congregazione (I). Fu compilata così una monografia che portava nel frontispizio questa intestazione: Agli Eminentissimi Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio. Esposizione del sacerdote Giovanni Bosco. Le ragioni di questa esposizione erano chiaramente significate nelle prime pagine con un'introduzione scritta da Don Bonetti, ma riveduta e fatta sua da Don Bosco.
RAGIONI DI QUESTA ESPOSIZIONE.
Sono ormai dieci anni, dacché il sottoscritto e la nascente Congregazione Salesiana soffrono gravi vessazioni per parte dell'Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, le quali, oltre agli innumerevoli disturbi che ci hanno arrecato, c'impedirono eziandio di attendere alla salute delle anime. Imperocché questo Prelato ora ci vietò di servirci delle facoltà conceduteci dalla Santa Sede; ora contro le prescrizioni ecclesiastiche pretese d'ingerirsi nel regime interno e disciplinare della nostra Congregazione, come se fosse solamente un Istituto diocesano; sovente senza ragione rifiutò di ammettere i nostri Chierici alle Sacre Ordinazioni; talvolta per futili pretesti negò ai nostri Sacerdoti la facoltà di predicare e di confessare ed anche di celebrare la Messa nella sua Diocesi; talora li sospese senza colpa canonica e senza far precedere le formalità richieste dai Sacri Canoni; ci proibì di pubblicare nella sua Diocesi Brevi ottenuti dal Sommo Pontefice a favore delle nostre Opere; biasimò Istituzioni benefiche già commendate e benedette dal Santo Padre; scrisse lettere a grandi e a piccoli, e stampò e pubblicò persino libelli per infamare i Salesiani ed il loro Superiore. Tutti questi atti paiono essere stati promossi dal nemico di ogni bene, per soffocare e distruggere la nostra povera Congregazione, o metterle almeno intoppi sopra intoppi, perché non possa conseguire quel fine, per cui venne stabilita ed approvata dalla Santa Sede. Tutte queste ed altre innumerevoli molestie noi abbiamo fin qui tollerate in silenzio. I tempi corrono difficili per la Santa Chiesa e io non voleva recarle disturbi, provocando solennemente l'autorevole e supremo suo giudizio a nostro sostegno. Mi doleva eziandio reclamare contro un Personaggio, verso il quale nutrii sempre stima e venerazione.
(I) L'originale dei due compilatori ha numerose cancellature, aggiunte e modificazioni per mano di Don Bosco; i tratti della sua penna che sopprimono anche lunghi brani, sono frequenti.
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Noi avremmo continuato ancora a sopportare in silenzio simili molestie e difficoltà; ma ultimamente l'Arcivescovo deferì alla Sacra Congregazione del Concilio, e pubblicò cose infamanti pel sottoscritto e per tutta la Pia Società Salesiana, invocandone provvedimenti; e perciò io mi trovo dal dovere dell'ubbidienza costretto a fare alla Santa Sede la presente Esposizione. Siccome io compio questo doloroso uffizio con grande ripugnanza dell'animo mio, così passerò sotto silenzio molti fatti e detti, che riguardano solamente l'umile mia persona, esponendo invece quelli che riflettono alla Congregazione o a me stesso, siccome Capo e Superiore della medesima.
Torino, 15 dicembre. Ottava della festa di Maria Immacolata, 1881.
Sac. GIOVANNI Bosco.
Il testo, procedendo cronologicamente dal 1872 al 1881, elenca anno per anno in più di settanta pagine gli atti non benevoli dell'Ordinario torinese verso Don Bosco e i Salesiani; riassume poi in due pagine le dannose conseguenze derivatene, e si chiude con una preghiera e una protesta: preghiera di aiuto e protezione da parte della Santa Sede, e protesta di sottomissione incondizionata a qualunque disposizione, consiglio e avviso piacesse al Papa di dargli. Il “ dovere dell'ubbidienza ” che lo costringe a fare questa Esposizione, non faccia supporre un precetto venuto dall'alto. Il confronto della prima stesura con la definitiva sull'originale ci riporta al fatto che la Santa Sede stessa, approvando la Congregazione e affidandone a lui la custodia e il governo, l'ha posto nell'obbligo di tutelarne gl'interessi e difenderne l'onore. Egli fece stampare il lavoro nel modo più segreto e riservato, ritirando presso di sé l'originale, le bozze e le copie. Anche nello spedirla si usavano tutte le cautele, mandandola solamente a personaggi altolocati della gerarchia ecclesiastica e in busta chiusa. Il fascicolo uscito dalla tipografia sul cadere dell'anno 1881, pervenne anche a Leone XIII, che, sfogliatolo, esclamò impressionato: - Oh, si ponga un termine a questo dissidio, altrimenti monsignor Gastaldi resterà infamato dalla storia. - Allora fu che
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sorse in lui il primo pensiero di avocare a sé tutta la causa, come diremo nel capo seguente. Appressandosi il giorno della discussione, l'Arcivescovo andò a Roma. Ve lo chiamava però anche una circostanza solennissima: nella festa dell'Immacolata il Sommo Pontefice sarebbe proceduto alla canonizzazione di quattro Beati: Benedetto Giuseppe Labre, Lorenzo da Brindisi, Giovanni Battista de' Rossi e Chiara da Montefalco. Ne profittò dunque per studiare da vicino il terreno e guadagnare quanti più poteva alla propria causa. Fu due volte all'udienza del Santo Padre. Nella seconda, durata un'ora e mezzo, il Papa lo intrattenne anche sulle sue relazioni con i Salesiani. Assistette a tutto il colloquio l'Eminentissimo Nina, dal quale provengono i particolari a noi noti (I). A un certo punto Sua Santità domandò: - Ma e poi quelle questioni continue con Don Bosco e con la Congregazione Salesiana quando termineranno? Povero Don Bosco! Lavora continuamente e fa tanto bene; di questi Salesiani io non sento che elogi da tutti e mi stanno tanto a cuore; perché Lei li tratta in questa guisa? Ma la finisca una volta! Invece di favorirli e di aiutarli, Ella non fa che mettere impedimenti al loro sviluppo! - Santo Padre, rispose l'Arcivescovo, non é vero: io voglio tanto bene a Don Bosco e alla Congregazione ed ho cercato tutti i modi di aiutarla, e il Signore sa quanto desidero che si venga a un accomodamento. Solo che Don Bosco venisse da me, lo abbraccerei di cuore; io ho sempre preferito aggiustarla all'amichevole, ma Don Bosco vi si rifiutò e mi intentò la causa alla Congregazione del Concilio. Venga pure Don Bosco e vedrà come io lo ricevo. - Come volete che venga a voi, se quando si presenta, non lo ricevete nemmeno? A questo il modo di trattare un sacerdote di tanto zelo e così pieno dello spirito di Dio?
(I) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 21 dicembre 1881.
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- Ma io lo riceverò subito, e sono disposto ad accomodare ogni cosa. - Dunque andate; ma sia una volta finita, perché altrimenti converrà prendere provvedimenti a cui non vorrei ricorrere. Le difese degli avvocati erano pronte e stampate. Quella del Menghini, a chi la lesse, parve piuttosto moderata e invocava la conciliazione fra “ i due ornamenti della diocesi di Torino (I) ”. Entrambi si accordarono di formulare così il dubbio: An suspensio seu interdictum locale ab audiendis confessionibus sit confirmandum vel infirmandum in casu. [Se la sospensione o divieto locale di udire le confessioni sia da confermare o da infirmare nel caso]. L'avvocato di Don Bosco, dedicata la prima parte alla narrazione dei fatti, dimostrava nella seconda che il decreto dell'Arcivescovo doveva essere dichiarato nullo perché ingiusto mancando la colpa, perché vessatorio come emanato in odio alla Congregazione Salesiana, perché nullo essendo privo di solennità. La terza parte confutava le obbiezioni. La difesa dell'Arcivescovo prospettava il caso non come sospensione, ma come semplice restrizione di giurisdizione, per inferirne che l'Ordinario era nel suo diritto d'imporla quando e come gli paresse, anche senza bisogno di solennità. Su questo e su altri punti Don Bonetti quasi alla vigilia della scioglimento credette bene di sottoporre al Cardinale Prefetto del Concilio alcune considerazioni, profilando nettamente e in breve il vero stato della questione (2). Inteso poi che si faceva gran conto dell'accusa che si fossero mandati Salesiani ad amministrare in Chieri il Viatico e l'Estrema Unzione a una Suora di Maria Ausiliatrice, inviò al medesimo Cardinale una dichiarazione del canonico Sona, che attestava d'aver sacramentato egli stesso la
(I) Lettera dell'avv. Leonori a Don Bonetti, Roma 10 novembre 1881, e di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 29 novembre 1881. (2) App., Doc. 22.
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moribonda (I). Indirettamente questo documento metteva in guardia anche la Sacra Congregazione contro altre asserzioni inducendo ad accettarle per lo meno col benefizio dell'inventario. La causa si agitò il 17 dicembre. Degli otto Cardinali due soli votarono in favore dell'Arcivescovo; i più energici a sostenere le ragioni di Don Bosco furono gli Eminentissimi Randi, Chigi, Hergenroether e Ledochowski. Il Papa, udita la relazione, ritornò al concetto già espresso a Monsignore. - Non si pronunzi, disse, nessuna sentenza e si faccia invece proposta di accomodamento, salvando così l'autorità vescovile. Don Bosco é così virtuoso che a tutto si acconcia. L'Arcivescovo o si acconcia o no. Nel primo caso Don Bosco sarà contento, perché non cerca che la pace, e tutto sarà finito quando questa sia conseguita. Nel secondo caso noi avremo preso il bue per le corna (2), e allora per lui la é finita. A questo punto il cardinale Nina si animò e disse che era tempo di farla finita anche altrove, perché anche a Roma si teneva bordone a Torino nel perseguitare Don Bosco e si paralizzava il bene che faceva la Società Salesiana, privandola dei privilegi. E altro osservò come Protettore della Congregazione. Il Tribunale romano emise sentenza dilatoria con la formula: Dilata et ad mentem ab Eminentissimo Praefecto panditam. Quale fosse la mente, il Cardinale Prefetto lo significò prima confidenzialmente a Don Bosco in questa sua lettera.
RISERVATA.
Rev.mo D. Bosco,
A momenti Le perverrà una lettera per parte della S. Congregazione del Concilio concernente la consaputa vertenza, la di cui risoluzione é stata differita, perché senza vulnerare il merito, è anche nelle viste del S. Padre che essa venga sopita nel modo che le verrà indicato, e perché lo stesso Arcivescovo ha a voce manifestato alla
(I) App., Doc., 23. (2) “ Parole testuali ”, commentava il Cardinale Nina nel riferire questo discorso a Don Dalmazzo (Lett. Cit., 21 die.).
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stessa Santità Sua molta propensione di devenire ad un accordo. Sperando che questa volta Mons. si presti sinceramente a quanto gli si propone, la interesso, per quanto mi sta a cuore la sua Congregazione, a non frapporre ostacolo di sorta, ma con tutta spontaneità aderendo a quanto le si dirà, non allontanarsi da sua parte menomamente dalle istruzioni, che le verranno indicate. Nel presentarsi Ella a Mons. Arcivescovo, non ho bisogno di fare appello alla di Lei virtù, son certo che Ella userà tale un contegno e linguaggio ossequioso e temperato da non compromettersi menomamente obbligandolo, se fia possibile, ad addimostrarsi umanissimo. Gli dirà in sostanza di esser ben lieto, che dalla S. Sede gli sia stata offerta una propizia occasione di trovarsi ancora una volta ai piedi di Mons. Arcivescovo, che ella non ha cessato mai di amare e venerare. Non entrerà in discussione sulla questione o quistioni, e si limiterà a presentare l'istanza a nome di Don Bonetti, attenendosi in essa ai termini che Le vengono suggeriti. Si mostri disposto a venire a degli accordi sul regime dell'Oratorio nei limiti consentiti dal diritto e nel reciproco intendimento di procurare il bene delle anime. Avverta poi il Don Bonetti di tenersi in molto riserbo nel parlare ed in tutto quello che potesse riferirsi all'Arcivescovo ed al Parroco locale. Un contegno corretto in questa circostanza anche a costo di qualche sacrifizio tanto da parte sua, quanto dei suoi dipendenti, concilierà maggior stima all'Istituto ed appianerà la via a risolvere altre difficoltà, che ormai ad ogni pié sospinto Le si vanno creando per attraversare, forse anco senza volerlo, l'opera del Signore. Avverta poi di tenere esatto conto di tutto quello che si passerà fra Lei e Mons. Arcivescovo, per farne poi fedele discarico alla S. Congregazione. Questo é quanto mi premeva di significarle. Ora poi profitto di questa occasione per augurarle di cuore ogni felicità spirituale e temporale dal S. Bambino, cui, sono certo, sarà gradita l'offerta delle molte sue tribolazioni ed amarezze, e ne riceverà per compenso grande conforto e coraggio a proseguire la di Lei opera, ed implorando dai Signore una copiosa benedizione su tutta la Congregazione, passo al piacere di raffermarmi con particolare stima Di Lei Rev.mo Signore Roma, 20 decembre 1881. Aff.mo per servirla L. Card. NINA Prefetto.
La mente era dunque che prima di pronunziare una sentenza definitiva si tentasse di risolvere la controversia de bono et de aequo cum partis utriusque decore, cioè mediante un equo e onorevole accomodamento. Questo la Sacra Congregazione notificò ufficialmente a Don Bosco, precisandogliene
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pure il modo: far visita all'Arcivescovo; umigliargli una supplica di Don Bonetti per essere riabilitato a confessare nell' oratorio di Chieri e chieder venia di qualunque dispiacere avesse potuto arrecargli; accordarsi sulla maniera di regolare le cose a Chieri, sicché né i Salesiani disturbassero le funzioni parrocchiali propriamente dette, né ai Salesiani fosse impedito di promuovere il bene spirituale delle anime, come fino allora avevano fatto con grande frutto (I). L'altra lettera ufficiale diretta nel medesimo tempo all'Arcivescovo era un po' più lunga. Vi si dicevano cinque cose: 1° Essere stata troppo severa la misura presa contro Don Bonetti; 2° deliberazione cardinalizia e modo di attuarla; 3° l'Arcivescovo accogliesse statim atque humaniter [con prontezza e cortesia] Don Bosco e concedesse a Don Bonetti la chiesta facoltà nulla interposita mora [senza indugio di sorta]; 4° ammonisse il Curato chierese e i suoi aiutanti di usare maggior carità con i Salesiani; 5° togliesse la comminazione di sospensione ipso facto incurrenda, se Don Bosco scrivesse o stampasse checchessia in difesa sua o del suo Istituto. In ultimo si faceva appello alla docilità e abilità di Monsignore, perché tutto fosse eseguito con la massima sollecitudine (2). Prima di ricevere il rescritto di Roma, Don Bosco aveva risposto così al Cardinale Nina:
Em.za Rev.ma,
Quanta bontà la E. V. si degna di usare verso questa povera Congregazione! Io ne la ringrazio di tutto cuore. Finora non ho ancora ricevuto alcuna lettera dalla Sacra Congregazione del Concilio; ma appena sia nelle mie mani io seguirò fedelmente i paterni consigli che Ella si compiace tracciarmi. Sarà però difficile venire ad una conclusione. Ne' tempi addietro sono già stato chiamato tre volte dal medesimo Arcivescovo, ma il nostro trattenimento fu sempre conchiuso con una strapazzata e con un titolo di mentitore. Ciò nulla di meno io sarò pronto a ritornarvi e spero di non essere cagione di alterazione. Sembra però che i preparativi non siano di buon presagio. Il 17 di questo mese si propone un accomodamento. Il 20 si manda
(I) App., Doc. 24. (2) App., Doc. 2.5.
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un monitorio che richiama la causa di Don Bonetti al suo principio in termini certamente non pacifici (I). Il 23 dello stesso i Chierici del Seminario dì Torino che furono nostri allievi chiesero di venire ad augurare le buone feste a Don Bosco che loro fece da padre nelle cose spirituali e temporali; ma in quest'anno ne furono severamente proibiti di venire né in corpo, né separatamente (2). Ieri un nostro antico allievo, ora Sacerdote nel Seminario (3) chiese al Rettore del Seminario di far visita e parlare a Don Bosco e gli espose il suo desiderio che da molti anni nutre in cuore di farsi Salesiano con animo di recarsi alle Missioni estere. Ne ottenne una paternale niente paterna, e conchiuse con queste parole che prego permettermi di scriverle testuali: “Se tu vai a farti Salesiano, oppure vai nelle missioni, tu vai a casa del diavolo a gambe levate.”Spero con un atto di contrizione si possa facilmente ottenere il perdono del peccato commesso nel farsi Salesiano, e nel recarsi nelle missioni estere. Da tutte parti ricevo visite di condoglianze di amici che vengono a significarmi l'Arcivescovo decantare la vittoria completa su Don Bonetti, Don Bosco e i su tutti i Salesiani. Ad ogni modo io fui e sono tuttora pronto a fare ogni sacrifizio, purché si possa porre termine ad un affare che mi fa perdere tanto tempo. La prego di compatire la confidenza con cui scrivo e di permettermi elle con profonda venerazione abbia l'alto onore di professarmi Della E. V. Rev.ma Torino, 28 dicembre 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Leone XIII stimò che in questo caso non fosse venir meno al proprio abituale alto riserbo il far giungere a Don Bosco una sua parola. Ne diede incarico a monsignor Boccali, Cameriere Segreto Partecipante, che a nome di Sua Santità gli scrisse il 27 dicembre. La prima parte della lettera é diplomatica: “L'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Arcivescovo di
(I) Di questo si parlerà nel capo seguente. (2) Lettera del ch. Bartolomeo Gillio seminarista a Don Bonetti (23 dic.): “Quest'anno gli alunni del seminario metropolitano di Torino che già furono alunni di Don Bosco, non possono più con loro grande rincrescimento recarsi in corpo ad augurare i loro amati Superiori, perché il Can.co Soldati li proibisce. Il nostro rincrescimento é grandissimo, specialmente perché gli altri nostri compagni oggi vanno liberamente ad augurare ai Superiori di quegli istituti in cui compirono il Ginnasio. Onde a gran furia deliberai di scrivere ad insaputa de' miei Superiori [...]. Questi sono i sentimenti di tutti i Seminaristi che in quest'oggi vengono proibiti di recarsi in persona a quell'Oratorio in cui passarono i più begli anni di loro vita. ” (3) Il Rev.do Don Cravero.
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Torino quando fu a Roma per assistere alle feste della Canonizzazione, manifestò al Santo Padre il desiderio di veder composta di comune accordo delle parti contendenti, la vertenza che pende presso la Sacra Congregazione del Concilio tra lui e il sacerdote Salesiano Don Bonetti per le cose di Chieri. Il Santo Padre fu contento di sentir questa proposta; e appunto per dare agio a questa composizione, la Sacra Congregazione nell'ultima adunanza non si é pronunziata sul merito della vertenza, ma ha differito il giudizio, ed ha stabilito che intanto si comunicasse alle due parti la maniera conveniente, con la quale potrebbero giungere a stabilire tra loro un accordo. La S. V. riceverà tale comunicazione officialmente dalla Sacra Congregazione del Concilio; e così pure Mons. Arcivescovo. ” La seconda parte é indice del buon concetto, in cui Sua Santità teneva Don Bosco: “ Il Santo Padre sa come la S. V. si é sempre mostrata disposta a secondare non solo i comandi, ma anche i desideri suoi, e non dubita che la S. V. si presterà prontamente e docilmente a fare tutto ciò che nella suddetta comunicazione Le verrà indicato. E poiché tra le altre cose Le verrà pure suggerito di presentarsi a Monsignor Arcivescovo, procuri di presentarglisi in quella maniera conveniente e rispettosa che é dovuta alla sua autorità. Composta questa prima vertenza col Bonetti, non sarà forse difficile procedere ad altri accordi e giungere a far cessare gli attriti. ” In ultimo il Segretario avvertiva: “ Gradirò di essere informato dell'esito dell'abboccamento e della piega che prenderanno le cose; ché io poi dovrò tutto riferire e sottoporre a Sua Santità. ” Don Bosco rispose così a monsignor Boccali e per lui al Papa (I):
Eccellenza Reverendissima,
Ho avuto l'alto onore di ricevere la venerata lettera della Ecc. V. Rev.ma in proposito della vertenza Bonetti e Monsignor Arcivescovo. L'assicuro di tutto cuore che ricevuta la lettera della sacra
(I) L'autografo fu donato il 16 ottobre 1926 dal signor Pasquale Piancastelli di Bologna all'Istituto salesiano di Faenza, dove si conserva.
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Congregazione del Concilio io mi terrò fedelmente al tenore di quella e di poi seguirò i consigli della Ecc. V. Finora non ho ancora ricevuto alcuna lettera in proposito. Temo però che nasca qualche difficoltà dalla parte di Monsignor Arcivescovo perché mi fa sapere in vari modi che egli a Roma ha riportato compiuta vittoria nella causa sopra citata. Anzi al giorno 20 di questo mese ha mandato un novello monitorio minaccioso citando Don Bonetti a comparire in curia per la medesima cagione intorno a cui si é già pronunziato il Dilata il 17. Ad ogni modo assicuri il S. Padre che io sono pronto a qualunque sacrifizio per terminare una questione di niuna entità che mi ha già fatto perdere tanto tempo. Tempo che io ho assolutamente bisogno di occupare per la povera nostra congregazione e nel sacro ministero delle anime. Prego V. E. di far gradire un piccolo atto di amor figliale a Sua Santità da parte dei nostri 80.000 giovanetti. Domani 1 del 1882 essi faranno la loro santa comunione con particolari preghiere per ottener da Dio che il medesimo Santo Padre abbia ancora molti anni di vita felice per il bene di santa Chiesa ed anche per l'umile nostra congregazione. Con gratitudine profonda ho l'onore di potermi professare Della E. V. Rev.ma Torino, 30 dicembre 1881. Obbligatissimo Servitore Sac. Gio. Bosco.
Ma Don Bosco purtroppo conosceva il suo uomo. L'Arcivescovo si buttò sul rescritto di Roma, sottoponendolo a una critica minuta e acerba, che mise in carta e inviò al cardinale Nina (I). “E che composizione! esclama a un certo punto. In essa sono fissi tassativamente il tempo e l'imperativo, l'ubbidienza e quella di tutta la docilità quanta ne posseggo. Eminenza, tra la composizione ed una decisione definitiva della Sacra Congregazione che differenza passa? Questa: Una decisione non é mai mordace verso chi é condannato. La impostami composizione mi dice humaniter excipere”. E più innanzi: “ Inoltre la composizione nei termini posti non é ex bono et aequo (..) Ecco un ordine contro giustizia e credo che negli atti della Sacra Congregazione simile disposizione non trovi esempio (…) La composizione
(I) App., Doc. 26.
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imposta […] è una scappatoia che lascio ad altri il qualificarla [...]. Mi si dica chiaramente che non mi si vuole far giustizia, ma non si coprano i delinquenti con un manto che mi é più grave che una di quelle cappe, di cui parla Dante nell'Inferno [..] Si vegga tutta l'enormezza dell'atto della composizione [..] Via! non posso e non debbo credere che la Santa Sede sanzioni il contenuto della veneratissima lettera.” D'irriverenza in irriverenza arriva a questo insulto finale: “Eminenza, Ella come Cardinal Protettore della Congregazione Salesiana ha fatto bene da Avvocato per questa. Io poi debbo lagnarmi che il Protettore stesso faccia da giudice contro di me, e che stante la sua qualità e autorità di Prefetto della Congregazione del Concilio, m'imponga un ordine che dalla piena Congregazione degli Em.mi Padri non verrà mai [...]. Umil.mo Osseq.mo Servo, ecc.” Dopo questa lettera di fuoco, quello che avvenne era da aspettarsi. Don Bonetti scrisse la sua supplica secondo i termini prescritti. Eccola nei due punti essenziali: “ In ossequio alla Suprema Autorità della Santa Sede ed in segno di venerazione alla Eccellenza Vostra Reverendissima, io la supplico nuovamente che voglia avere la bontà di riabilitarrni ad ascoltare le confessioni sacramentali, non solo in tutto il resto dell'Archidiocesi di Torino, ma eziandio nella città di Chieri e nell'Oratorio di Santa Teresa. Nel tempo stesso io le dimando umilmente perdono di qualsiasi dispiacere che per qualsivoglia causa, anche contro la mia intenzione, io abbia recato all'animo della Eccellenza Vostra Reverendissima, promettendo che mi diporterò sempre verso di Lei, come si conviene ad un Sacerdote obbediente e rispettoso, secondo il dovere della mia professione religiosa. ” Con questa supplica Don Bosco il 2 gennaio, accompagnato dal coadiutore Giuseppe Rossi, verso le dieci antimeridiane si portò nell'Arcivescovado e domandò l'udienza. Cediamo la penna a lui stesso, che c'informi dell'esito. Immediatamente scrisse al cardinale Nina:
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Eminenza Reverendissima,
Ricevuta la lettera della S. Congregazione del Concilio sulla vertenza tra Don Bonetti e l'Arcivescovo Monsig. Gastaldi ho tosto fatto preparare una supplica ed io stesso la portai in persona, pronto ad affrontare qualsiasi rimprovero e strapazzatura colla dovuta calma e rispetto. Questa mattina alle 10e mezzo mi presentai all'episcopio, e sebbene giorno di pubblica udienza, non vi era alcun forestiero nell'anticamera, perciò il Segretario Vescovile, nostro antico allievo, mi disse, che uscito un Sacerdote, anche nostro antico allievo parroco, io ci avrei potuto entrare. Esce quegli, ma si fa segno di attendere. Intanto sopraggiunge un Signore laico che é tosto ammesso. Dopo circa un'ora di anticamera, Mons. Arcivescovo mi fa dire che aveva da trattare affari col Procuratore del Re, altri affari dopo di esso doveva trattare col suo Avvocato Fiscale, che perciò non poteva per tale giorno darmi udienza. Dimandai se Sua Eccellenza non aveva significato qualche giorno o qualche ora in cui avessi potuto ripassare. Il Segretario imbarazzato e mortificato mi rispose che no. In quel momento ho giudicato di far consegnare all'Arcivescovo la supplica di Don Bonetti, facendogli dire che quello era l'oggetto della mia visita, e che veniva da parte di quella autorità di cui in quello scritto si parlava. Più nissuna risposta. Vedremo. Se potrò fare qualche cosa io ne dò tosto cenno all'E. V. e se mai Ella avesse qualche consiglio a darmi l'assicuro che lo seguirò fedelmente con quella calma e quel rispetto che deve usarsi verso al capo di una diocesi. Noti che nei tempi addietro ebbi più volte l'esito medesimo, non ammesso all'udienza; in alcune volte fui ammesso, ma non ottenni altro che una delle più umilianti strapazzate. Quasi identica esposizione ho fatto a Mons. Boccali secondo la richiesta che egli stesso mi aveva fatto. Dio rimeriti la E. V. dei rinnovati disturbi che Ella deve sostenere per noi. Ma si assicuri che i Salesiani non le saranno sconoscenti. Essi hanno lavorato e lavorano indefessi, e continueranno a lavorare pel bene di S. Chiesa come la V. E. potrà osservare nella Relazione che spero di fare pervenire alle venerate di Lei mani come a benevolo protettore della umile nostra Congregazione. Si degni compartirci la sua santa benedizione e gradisca l'umile omaggio delle preghiere dei Salesiani, e dei loro allievi (80.000 e presto 100.000), i quali tutti innalzano i loro voti al cielo, per ottenere da Dio sanità e lunga serie di anni felici per la E. V. Rev.ma di cui ho l'alto onore di potermi professare Obbl.mo Servitore Sac. GIOVANNI Bosco.
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La relazione a monsignor Boccali, compilata da Don Bonetti e ritoccata da Don Bosco, descrive inoltre l'ammirazione prodottasi tra i familiari dell'Arcivescovo e in altri che videro o seppero l'accaduto; accenna poi a nuove e gravi vessazioni recentissime, di cui si dirà nel capo seguente. Vi si allegò anche la copia dell'istanza di Don Bonetti. “ L'una e l'altra carta, rispose monsignor Roccali (I), fu per superiore disposizione trasmessa da me alla Sacra Congregazione del Concilio: presso la quale dovrà continuare a svolgersi la causa, fallita essendo la composizione in via particolare.” Il canonico Colomiatti e il segretario arcivescovile teologo Corno, che il 2 gennaio faceva servizio di anticamera, tentarono nel processo apostolico di dare a intendere che monsignor Gastaldi era “dispostissimo” a concedere udienza a Don Bosco, in qualsiasi ora di qualsiasi giorno. Entrambi avrebbero fatto meglio a tacere. Due cose osserva ottimamente Don Cossu (2): “Mons. Gastaldi non ignorava lo scopo della venuta di Don Bosco[...] Ma con qual animo si dispose ad accoglierlo[...] si può indubbiamente desumere dalla lettera [...]. al Card. Nina.” No, dopo quella lettera egli non poteva essere disposto a ricevere Don Bosco né subito né mai per tale scopo. Infatti nella lettera stessa aveva dichiarato senz'ambagi: “Per altro io, finché specialissimi privilegi non siano loro [ai Salesiani] concessi, non posso per dovere e per diritto di autorità Vescovile di cui benché indegno sono insignito, sottoscrivere alla composizione, nella quale non é servato utriusque decore.” La causa fu dunque riproposta il 28 gennaio 1882. Al dubbio se la sospensione o divieto di udire le confessioni fosse da confermare o da infirmare nel caso, gli Eminentissimi risposero Negative per la prima parte, Affirmative per la
(I) Lett., Roma, 9 gennaio 1882. (2) Confutazione delle accuse formulate contro la causa del Ven. Giovanni Bosco, § 93. Roma, Stabilimento poligrafico per, l'Amministrazione della Guerra, 1922. 15 - CERIA. Memorie biografiche. - Vol. XV.
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seconda, et ad mentem. E la mente era che l'Arcivescovo venisse ammonito severamente in nome e per ordine della Sacra Congregazione per l'inconsulta lettera [severe moneatur nomine et iussu S. Congregationis ob inconsultam epistolam] mandata il 31 dicembre 1881 all'Eminentissimo Cardinale Prefetto, lettera che la Sacra Congregazione gravemente riprovava [quam epistolam S. Congregatio graviter improbat]. L'avvocato Leonori nel dare notizia del risultato scriveva a Don Bonetti (I): “Mi pare che possa essere contento [...]. Non cesserò però mai colla libertà dell'Avvocato raccomandare la massima riservatezza e prudenza. Scusi, ma io voglio bene assai a Don Bosco. ” La comunicazione ufficiale all'Arcivescovo fu fatta il 31 gennaio (2). Tosto Don Bonetti scrisse la buona notizia a Don Bosco, che si trovava in Francia (3). Monsignore non si arrese, ma interpose appello il che importava una nuova udienza della Sacra Congregazione e la sospensione degli effetti della sentenza. Così Don Bonetti rimaneva nella sua pena e sotto l'incubo dei cattivi sospetti concepiti sul suo conto. Per questa ragione supplicò il cardinale Nina che, se la causa si dovesse riproporre, si facesse al più presto possibile (4). Il 12 aprile rinnovò le insistenze in una lettera a Don Bosco, giunto a Roma: “Prego Vostra Paternità che voglia anche ricordarsi di me. Io sono da 4 anni punito a nome della Chiesa e contro le sue leggi. Sino a quando dovrò rimanere così? Io sono stanco e domando pietà. ” Ma secondo la procedura, non si poteva ripresentare la causa, finché non fossero decorsi tre mesi. L'ultima sentenza, e veramente definitiva, sarebbe stata emanata in maggio, se il Papa, come abbiamo accennato poc'anzi e come presto vedremo, non avesse avocata la causa a sé.
(I) Roma 29 gennaio 1882. (2) App., Doc. 27. (3) Lett., Torino 2 febbraio 1882. (4) App., Doc. 28.
CAPO VII. Intentato processo criminale per gli opuscoli.
Noi siamo entrati nel periodo più tragico della vita di Don Bosco. Gravissime tribolazioni non si succedettero l'una all'altra, ma si accumularono contemporaneamente sul suo capo. Solo un uomo tutto di Dio poteva reggere a tanti contrasti. Era proprio la lotta per la esistenza. Pur non volendo dare peso alla voce corsa allora che si mirasse a distruggere la Congregazione, una cosa é certa, che l'infamia non avrebbe colpito soltanto il nome di Don Bosco, ma ferita anche a morte la Società da lui fondata. Non pochi ne sarebbero usciti e tanti altri non vi sarebbero più entrati. Fra questo pericolo e con l'onta dello scredito in faccia al mondo, vi era più che a sufficienza per causarle una fatale rovina. A bello intanto vedere come anime umili e buone, conoscendo le sue pene, indirizzassero a Don Bosco parole di cristiano conforto. Un giovane prete, cooperatore salesiano, gli scriveva da Roma (I): “ Divido con Lei tutte le sciagure che toccarono ai Salesiani da undici anni. Dio che ha disegnato di formare della Congregazione Salesiana un grande e forte strumento di apostolato, ne bagna le fondamenta
(I) Lett. di Don Andrea Maggia, 3 maggio 1882. Era addetto al collegio degli Orfani di Piazza Capranica.
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coll'acqua della tribolazione […] Dio ha permesso che i Salesiani avessero a trovare nel loro naturale protettore un avversario potente. Dio conosce tutti i perché, e alla Congregazione Salesiana il trionfo che tarda non mancherà. ” Anche una cooperatrice parlando a nome di altre cooperatrici di Acqui, toccò note delicate (I): “Apprendiamo con dolore che molti nemici muovono guerra a Lei e alle sante opere sue; ma, per altra parte, a mostrarle come il nostro cuore cerchi di informarsi ai principii e, sentimenti suoi, bisogna che confessiamo che tali guerre invece di scoraggiarci, c'infondono maggiore animo, fanno ardere di zelo i nostri cuori, ci persuadono sempre più che il Signore gradisce le opere sue e servono a consolarci, come consolavano Santa Teresa, la quale addoloravasi quando non era combattuta, perseguitata.” Più volte abbiamo fatto menzione di opuscoli e relative controversie; ora é venuto il momento di ragionarne per disteso, poiché anche questa questione s'intreccia con le precedenti. Nel 1878 apparve in Torino, edito dalla tipografia Bruno, un libretto intitolato Strenna pel Clero, ossia Rivista sul Calendario Liturgico dell'Archidiocesi di Torino per l'anno 1878, scritta da un Cappellano. L'anno dopo la medesima tipografia ne lanciò un secondo dal titolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco, e Don Oddenino ossia Fatti buffi, serii e dolorosi raccontati da un Chierese; il qual Chierese appié della prefazione si sottoscrive Un capo di famiglia. Su queste due pubblicazioni non abbiamo qui nulla da aggiungere a quanto ne dicemmo già altrove. Una volta cominciato, si continuò, ché la materia non mancava. Nel medesimo anno 1879, sempre a Torino, ma dalla tipografia Fina, uscì un terzo opuscolo intitolato Piccolo Saggio sulle dottrine di Monsignor Gastaldi Arcivescovo di
(I) Lett. di Giovanna Bosio-Saladino, 15 giugno 1882.
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Torino; autore, Il Cappellano. Una lunga Introduzione fa in stile bernesco la critica di alcuni atti arcivescovili ed enumerando i migliori sacerdoti perseguitati da monsignor Gastaldi, mette per ultimo “il più umile, mansueto ed operoso fra i sacerdoti torinesi, Don Bosco ”. La parte principale del libro si diffonde a confutare con dottrina soda e con ricca erudizione ventiquattro teorie estratte da vari stampati di Sua Eccellenza. Seguono quattro Appendici nel tono dell'Introduzione. La prima si aggira intorno a certe tendenze liberalesche professate dal Gastaldi, quand'era semplice canonico. La seconda narra come finì per opera di Monsignore il Convitto Ecclesiastico, recando una larga citazione cavata dal Bollettino Salesiano sulla storia dell'importante istituto (I); e qui l'anonimo autore ricorda che Don Bosco fu nel Convitto, discepolo di Don Cafasso e che più volte egli fu udito dire: - Se ho fatto qualche cosa di bene lo debbo a Don Cafasso, nelle cui mani rimisi ogni mia deliberazione, ogni studio, ogni azione della mia vita. - La terza Appendice riproduce la Circolare arcivescovile del 4 agosto 1877, in cui si deprime lo stato religioso in genere, ma con allusioni a Don Bosco, quasi stornasse di proposito i giovanetti dai seminari diocesani di Giaveno e di Bra, e per questo il Cappellano ironicamente commenta: “ Quando si ha bisogno di malignare contro taluno (2), si può benissimo far qualche confusione e strappare Vangelo, storia, tradizione ed altro ancora. ” La quarta fa la storia dell'oratorio chierese di Santa Teresa, accoppiandovi un entusiastico scritto del canonico Gastaldi sull'Oratorio di Valdocco e stampandone in caratteri cubitali l'apostrofe finale (3), che giova riportare: “ Salve perciò, o nuovo Filippo, salve, o Sacerdote egregio: il tuo esempio, deh! trovi molti imitatori in ogni città; sorgano per ogni parte sacerdoti a premere le tue orme; aprano ai giovani de' sacri recinti,
(I) Num. di gennaio 1879, pag. 7. (2) Il corsivo è del CAPPELLANO. (3) Dal Conciliatore di Torino, 7 aprile 1849.
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dove la pietà si circondi di onesti sollazzi; ché solo in tal modo si potrà guarire una delle piaghe più profonde della società civile e della Chiesa, che é la corruzione dei giovani. ” Finalmente il solito Cappellano, quale, numero per l'anno secondo della Strenna pel Clero, coi tipi del Bruno e cor la medesima data dell'opuscolo precedente, marzo 1879, ne mise fuori un quarto intitolato La Questione Rosminiana e l'Arcivescovo di Torino. Di suo però egli non ha che una breve Prefazione, una Conclusione un po' più lunga e qua e là appié di pagina note piccanti o trammezzati al testo rapidi spunti polemici. Il grosso del volume riunisce e ripubblica una serie di botte e risposte scambiatesi fra monsignor Gastaldi o suoi partigiani in rosminianismo e lo storico Don Pietro Balan in un'ardente polemica rosminiana, cominciata nell'Unità Cattolica, ripresa dal teologo Biginelli nel rosminiano Ateneo di Torino e condotta ad oltranza dal Balan nell'Osservatore Cattolico di Milano. Nell'ultima parte il compilatore riesuma e riassume un gruppo di articoli pubblicati dal canonico Gastaldi nel Conciliatore del 1848 e '49 in difesa del libro di Rosmini Le Cinque Piaghe della Chiesa, non ancora condannato da Roma. Anche in questo opuscolo s'incontrano accenni a Don Bosco. Una nota a pagina 79 ricorda la questione per La Nuvoletta del Carmelo (I); in un'altra a pagina 94 si dice che la diocesi di Torino é “ scandalizzata, perché sa che un fondatore e superiore di una Congregazione religiosa approvata da Pio IX é perseguitato crudelmente ”; nell'Avvertenza premessa alla terza parte, riferendosi a parole di monsignor Gastaldi, che affermava d'aver conosciuto nel Rosmini un sacerdote santo e pio, l'autore, rimandando all'elogio di Don Bosco riportato nell'opuscolo antecedente, ribatte: “ Anche un altro sacerdote ancor vivente fu conosciuto e giudicato da lui santo e pio; ciò non di meno se io e voi non avessimo altre prove che
(I) Cfr. Mem. Biogr, vol. XI, pag. 450.
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questo sacerdote esimio é veramente tale , oggidì non potremmo più aggiustargli credenza, perché col trascorrere del tempo Gastaldi mutò di pensiero, ed ora lo dice superbo, ignorante e peggio. ” Anche nel primo opuscolo Don Bosco era menzionato più volte, come indicammo nell'altro volume; nel secondo poi il titolo parla da sé. Ci era necessario porre in rilievo il continuo chiamar fuori Don Bosco, perché questo serve a meglio lumeggiare i fatti che seguirono. Un'altra osservazione é bene fare. Monsignor Gastaldi chiamò sempre libelli famosi o infamatorii questi opuscoli; ma il Teologo Censore della Sacra Congregazione dei Riti, deputato all'esame degli scritti riferentisi alla controversia fra l'Arcivescovo e il Servo di Dio, ritenne che non sarebbe neppur giusto qualificarli senz'altro per tali (I). Ed ora vediamo le croci toccate a Don Bosco per queste malaugurate pubblicazioni. In Curia, com'era naturale, si smaniava di scoprire la fucina da cui emanavano scritti così roventi; poiché a un semplice confronto non apparivano opera di un solo, sebbene unico potesse dirsene l'ispiratore, colui che si qualificava per Il Cappellano. Le indagini furono orientate verso l'Oratorio e fatte convergere su Don Bonetti e su Don Bosco. Quante arti non s'impiegarono per istrappar loro una riga o una parola che li compromettesse! Per questo appunto si esigeva da Don Bosco che domandasse venia del secondo opuscolo, sconfessandolo; se egli pro bono pacis vi si fosse indotto, avrebbe dato appiglio all'accusa di essere reo confesso per uno e indiziato di corresponsabilità negli altri. Ma la sua prudenza non gli permise mai di piegarsi a tale ingiunzione. In seguito il Colomiatti, che in quella inchiesta agiva, nella qualità di giudice delegato per istruire il processo, mostrò di contentarsi che Don Bonetti lasciasse travedere se aveva sospetto su qualcuno; ma Don Rua, che faceva le parti di
(I) Positio super rev. script, anno 1906, pag. 17.
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Don Bosco e di Don Bonetti assenti, lo dissuase da simile pretesa (I). Già nella lettera del 29 dicembre 1880 (2) al cardinale Caterini monsignor Gastaldi aveva espresso il suo convincimento che Don Bonetti, se non autore, fosse stato cooperatore nella compilazione di quel secondo opuscolo; donde ne inferiva la colpevolezza anche per gli altri, nel cui stile si appalesava, a parer suo, identità di origine. Perciò dichiarava senza la menoma esitazione: “Mi sento in dovere di procedere contro Don Bonetti e contro Don Bosco, che quale Rettore Maggiore della Congregazione deve conoscere ogni cosa al riguardo e quindi avrebbe potuto impedire tanto scandalo e dovuto castigare chi di ragione, facendo constare a me del castigo.” Poi, caricando le tinte, ripigliava: “Eminenza Rev.ma, il fatto é gravissimo; perciò faccia V. E. che in debito modo si ripari al male operato col libello dai Salesiani compromessi nel medesimo. Ho fiducia che la Sacra Congregazione coglierà questa mia domanda e farà l'interesse della dignità Episcopale violata con vitupero, provvedendo secondo giustizia.” Per accertarsi bene del passo che stava per dare, fece leggere al Procuratore del Re avvocato Demissoglio i famosi libelli, pregandolo di esaminarli e di vedere se ci fossero gli estremi per intentare un processo criminale a Don Bosco o a chi li avesse scritti. Il magistrato, esaminabili, gli disse: - Certo, materia di processo vi si può trovare; ma non c'é poi nulla di vero in tutte queste imputazioni? - Naturalmente, rispose Monsignore, certi fatti potrebbero essere interpretati diversamente... Vi é dell'equivoco... Certe cose non potrebbero negarsi. - Allora lasciamo stare, replicò quegli, non destiamo un vespaio, dal quale non potessimo uscire con onore.
(I) Lett. di Don Rua a Don Bonetti, Torino 8 aprile 1881 (2) Cfr. sopra, pag. 190.
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Intanto le inquisizioni procedevano. L'II e il 13 luglio 1881, il Cancelliere della Curia, canonico Chiuso, e l'Avvocato fiscale Colomiatti, fatto chiamare Don Turchi, rettore allora dell'Istituto dei ciechi e allievo dell'Oratorio, lo sottoposero a un minuto interrogatorio sulla colpabilità di Don Bosco nella pubblicazione dei libelli. Al medesimo fine il giorno 12 era stato invitato in Curia l'ex - gesuita padre Pellicani. Ma qui siamo di fronte a un episodio alquanto complicato e di gravi conseguenze. Nel 1880 il padre Luigi Leoncini delle Scuole Pie, recatosi da Savona a Torino, visitò l'Arcivescovo, al quale disse di essere a conoscenza di un fatto, che giudicava conveniente rendergli noto. Tempo addietro avendo egli avuto in Piacenza vari colloqui col padre Pellicani, questi gli aveva narrato come cosa indubitabile di essere stato da Don Bosco spinto a scrivere contro monsignore Gastaldi, con promessa di fornirgliene i materiali; che il Pellicani protestava di non aver ceduto a tale invito; che invece egli Leoncini, confrontando la Strenna Pel Clero con un libro pubblicato allora dal Pellicani, vi scorgeva la mano stessa che nell'altro e si credeva in diritto di conchiudere avere il Pellicani fatto buon viso all'incitamento ed essere l'autore nascosto sotto quel generico Il Cappellano. Monsignore non dimenticò la preziosa informazione; onde il 6 giugno 1881 chiese per lettera allo Scolopio se confermava il già detto, assicurandolo che con questo gli avrebbe reso un servizio, di cui gli sarebbe molto riconoscente (I). Il padre Leoncini gli rispose a giro di posta, parlando non più di un opuscolo, ma degli opuscoli anonimi scritti contro monsignor Gastaldi e dicendo che il padre Pellicani dopo averglieli fatti leggere gli aveva raccontato come Don Bosco un tempo avesse esortato e pregato lui a scrivere cose
(I) Tanto risulta da una lettera non firmata, ma tutta di pugno dell'Arcivescovo e con un'annotazione dello stesso carattere che dice: Copia di lettera. E’ posseduta dal teologo Franchetti.
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simili contro l'Arcivescovo di Torino, ma che, sembrandogli tale incarico pericoloso, per liberarsene senza offendere il committente, aveva risposto mancargli i materiali necessari per comporre tali scritture; che allora da Don Bosco gli si era dichiarato esser pronto egli stesso a procurargli tutti i materiali di cui abbisognasse, e che di lì a qualche tempo, incontratosi con Don Bosco, aveva saputo dal medesimo, che dopo il suo rifiuto aveva trovato chi si era assunto il compito e l'incarico di comporre i desiderati opuscoli. Il padre Pellicani, chiamato in Curia all'improvviso, attestò con giuramento la veracità della delazione; poscia la lettera dello scolopio e la testimonianza dell'ex gesuita, non mai però il testo preciso della sua deposizione giurata, furono mandate a Roma, dove costituirono il fulcro principale dell'accusa. Don Bosco, saputa alcuni mesi dopo la cosa, mandò a chiamare il Pellicani, gli fece coscienza dell'ingiustizia a cui aveva cooperato e lo persuase a smentire quella falsità; ma poi, non contentandosi di parole che volano, gl'inviò uno scritto che dovesse restare, e in cui esponeva la genuina verità del fatto (I).
Molto Reverendo Sig. D. Pellicani,
Ho fatto riflessione su quanto si riferisce nella esposizione del nostro colloquio, e per tutto quello che ho potuto richiamare alla memoria credo che con sicurezza storica debba scriversi come segue: Ella venne all'Oratorio a motivo delle sue Opere stampate o in corso di stampa. Nel discorrere si vennero a lamentare alcuni fatti relativi al nostro Superiore ecclesiastico. La S. V. disse essere utilissima cosa il darne comunicazione al S. Padre. Io risposi: - La S. V. potrebbe ciò fare, avendone tempo e capacità. - Ecco tutto. Può darsi che siansi usate altre parole, ma il senso é preciso. Giudico opportuna tale rettificazione, perché dalle indagini che si vanno facendo da Mr Arcivescovo é molto probabile che io sia obbligato di invitarla a fare novella deposizione. Ella potrebbe dire
(I) Don Berto ne poté trarre una copia, che é nei nostri archivi.
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che avendo fatto più attenta considerazione sul colloquio avuto tra noi si trova in dovere di modificarlo come sopra. Gradisca i sentimenti della mia stima e mi creda Torino, 14 ottobre 1881. Suo Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Il giorno precedente a questa data l'Avvocato fiscale della Curia era partito per Roma. Dietro la sua corrispordenza con Monsignore seguiamolo passo passo nelle sue visite a Cardinali e Prelati e ad altri personaggi. Il 14 ottobre scrisse: “ Questa mattina, recatomi in Vaticano, col Segretario del Card. Jacobini fu stabilito che in questa sera stessa sarei ricevuto da S. Em.za. Mi recai pure dall'Avv. Achille Carcani, il quale vide le carte della questione - complicità Don Bosco circa i libelli - e rimase gravemente sorpreso del modo di agire di Don Bosco. Siccome egli sarà in questo affare giudice relatore, mi pregò di non interpellarlo intorno al suo giudizio; mi mandò per altro da un suo amico, avvocato criminale molto stimato, Avv. Sinistri, affinché avessi da costui ogni norma al riguardo. ” Giorno 16: “Venerdì (14 del corrente) a notte mi recai dal Card. Jacobini, ed ebbi appena consegnata a lui la lettera di V. Ecc. ed il danaro di S. Pietro, quando il Papa lo mandò a chiamare. Il gent.mo Card. mi pregò di ritornare nel giorno appresso ed alle prime ore notturne. Ritornato, gli esposi, anche a lungo, tutta la questione - Don Bonetti e Don Bosco. -- S. Em. al leggere la lettera del P. Leoncini, ne vide la gravità e mi chiese se non avessi di già parlato col Card. Ferrieri al riguardo. Io gli risposi che ne aveva fatta parola al detto Card. nel mattino stesso di quel giorno e che il Card. Ferrieri mi disse non rimanere sorpreso pel fatto criminoso addossato a Don Bosco dal P. Leoncini, perché nelle varie questioni agitate a suo riguardo nella S. Congr. dei VV. e RR., l'ebbe a conoscere per un uomo con cui non si può trattare; e che era bene si facesse in proposito il processo informativo in Curia al fine
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di smascherarlo. Eravi col Card. Mons. Agnozzi, Segretario della stessa S. Congr. All'udire ciò, il Card. Jacobini mi soggiunse: - Io sarei del medesimo avviso anche al fine che si raccolgano i necessari documenti e si stabiliscano bene in contraddittorio di Don Bosco nella speranza che egli vorrà piegarsi a riconoscere l'autorità. ” Giorno 17: “ Questa mattina ebbi la dolce consolazione di prostrarmi ai piedi del Santo Padre e baciarli […]. Prima mi ero recato dal Card. Nina, il quale, al leggere la lettera del P. Leonciní, ripeté: - Possibile, possibile! - Quindi disse: - Sarà ... ; perché veggo qui la lettera originale. - Gli osservai che i documenti, comprovanti la complicità di Don Bosco riguardo ai libelli non sarebbero venuti a luce, qualora Don Bosco non avesse fatto come ha fatto nelle trattative di componimento. - Ora poi (continuai ad osservare) siccome Don Bosco, che non ignora alcuni di tali documenti, invece di rimettersi a Mons. Arcivescovo, dice che é calunniato, Mons. Arcivescovo è obbligato a difendersi coll'addurre i necessari documenti. Di qui é che il Card. Ferrieri ed il Card. Jacobini edotti in proposito, mi dissero essere necessario che si istruisca il processo informativo. - Il Cardinale Nina, udito tutto ciò, soggiunse: - Io non ho che opporre, é giusto che così si faccia. Mi scriva poi intorno a quanto si andrà svolgendo in tale processo. - Come vede, Ecc. Rev.ma, sta bene che la questione si trovi ora in tali termini per il trionfo della verità e della giustizia e per ottenere una volta per sempre che i Salesiani si mettano nella dovuta soggezione. ” Giorno 19: “ Vengo dall'Avv. Giovanni Sinistri, un avvocato che apparteneva al Tribunale laico Pontificio di Roma, sezione criminale, e che dall'attuale governo non accettò impiego di sorta. Gli presentai gli atti di già seguiti in Curia riguardo alla causa - Don Bosco e Salesiani; e li trovò in regola e rispose soddisfacentemente ai dubbi o alle domande che gli feci circa quanto vi é ancora a compiersi per tale processo. Io rimasi contento di lui, tanto più perché egli, ove nello
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svolgimento del processo io abbia bisogno di qualche suggerimento e nella sentenza abbia bisogno di qualche parola sicura, mi disse di ricorrere con scritto a lui. Egli stesso poi, nel caso che Don Bosco sì appellasse dalla sentenza, ne prenderebbe la difesa; e il suo nome è rispettato e fa autorità presso la S. Congr. dei VV. e RR., in cui é, giudice relatore in materia criminale l'Avv. Carcani, dal quale mi fu proposto. Così mi sono munito sotto ogni aspetto, anche perché i Salesiani qui vanno già stampando la posizione della causa (I); donde non vogliono componimenti di sorta: e fiat così; è meglio così! […]. L'avere io parlato ai personaggi, di cui scrissi e in questa mia e nell'altra a V. Ecc. e uditone il parere; l'avere io diviso in tre la questione (onde, questione Bonetti al Concilio questione di quesiti di massima ai VV. e RR. e questione di processo criminale) gli [all'avv. Menghini] fece dire che così andava bene, tutto era sicuro: divide et impera.” Massima preoccupazione del Colomiatti dopo il suo ritorno a Torino fu di procacciare le prove della reità di Don Bosco. Riuscite vane le torture morali, a cui erano stati messi parecchi sacerdoti, fra cui Don Vincenzo Minella e il canonico Matteo Sona, perché deponessero contro i Salesiani, la Curia subornò un Ispettore (2) della Questura torinese, il quale di sua testa e all'insaputa del Questore si diede alacremente a inquisire. Non si risparmiarono mezzi polizieschi, finché i sospetti caddero su d'un operaio tipografo, già allievo dell'Oratorio. Satelliti sconosciuti gli piombarono più volte in casa durante la sua assenza e ne tempestarono la moglie con domande suggestive: chi frequentasse la famiglia, con chi bazzicasse suo marito, se questi avesse relazione con preti e quali. Cercavano anche d'intimidirla con la minaccia di catturarle il marito, se non isvelasse tutto quello
(I) Quella per la sospensione di Don Bonetti (cfr. c. prec.). (2) Ispettori di Pubblica Sicurezza si chiamavano allora quelli che oggi si dicono Delegati.
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che sapeva. Ma poiché non riuscivano a cavare un ragno dal buco, ecco il 23 ottobre l'Ispettore di Pubblica Sicurezza chiamare al suo ufficio il pover'uomo e sottoporlo a un lungo interrogatorio: parole villane, minacce di processo e di prigione, promesse di ricompense, tutto fu adoperato, come se si trattasse di un volgare delinquente caduto nelle branche della Polizia, pur di strappargli dalla bocca quello che altri voleva. Don Bosco non abbandonò senza difesa il suo antico allievo, che fece a lui ricorso; scrisse infatti all'Ispettore:
Illustrissimo Sig. Ispettore di Pubbl. Sicurez. di Borgo Dora,
In questo momento giunge il Sig. Brunetti Ferdinando pallido e tremante per le ripetute visite fatte al suo domicilio in modo minaccioso a segno, che la stessa sua moglie ebbe a soffrirne assai. Credo opportuno notificare per istruzione di V. S. che il sopranominato Brunetti fu cinque anni allievo di questa Casa con irreprensibile condotta, e che da 22 anni che vive fuori di questo istituto fu sempre conosciuto onesto e laborioso operaio che si é sempre guadagnato il pane col sudore di sua fronte. Perciò si raccomanda rispettosamente, ma con calda istanza, che gli sia tutelata la libertà di domicilio garantita dalle vigenti leggi, e gli siano allontanate le incessanti molestie di gente sconosciuta che si va introducendo in sua casa. Torino, 24 ottobre 1881. Sac. Gio. Bosco.
Don Bosco mandò anche a domandare spiegazioni in Questura; ma il Questore non ne sapeva nulla né molto probabilmente avrebbe consentito a' suoi subalterni d'immischiarsi in operazioni che non erano di loro spettanza. L'operaio ben conscio di non aver che fare con la Polizia, per liberarsi da tali molestie scrisse sul principio di novembre al Ministro di Grazia e Giustizia; quando poi gli capitò in casa un poliziotto vestito da prete e qualificatosi per Salesiano, allora non poté difendersi dal dubbio che colui avesse indossato la tonaca perché indebitamente autorizzato dai Superiori ecclesiastici, e pieno di esasperazione scrisse al Papa (I).
(I) App., Doc., 29.
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Ma in questo brutto negozio chi più d'ogni altro aveva il dovere di spiegarsi, era il padre Pellicani. Orbene egli il 23 novembre si ripresentò al Colomiatti per chiarirgli la sua deposizione antecedente; anzi gli rilasciò la lettera di Don Bosco. L'Avvocato fiscale ne riferì in questi termini all'Arcivescovo che si trovava a Roma: “Ieri si portò all'ufficio il P. Pellicani, il quale riconfermò la sua deposizione antecedentemente fatta; e, più, ebbe a deporre che Don Bosco cercò di fargli cambiare la deposizione sia parlandogli che scrivendogli. Il P. Pellicani mi consegnò una tale lettera. Oh! mores! oh! tempora! La presente deposizione del P. Pellicani non potrebbe essere più fatale contro Don Bosco. Anzi il detto P. Pellicani disse che pure P. Franco Secondo fu istigato da Don Bosco a farsi scrittore di libelli contro V. Ecc. Rev.ma; egli però, come il P. Pellicani, rifiutò la proposta. Quindi io ho citato il P. Franco per lunedì prossimo. ” Cosa singolare! Questa deposizione del Pellicani era la prova più formidabile per gettare sul Servo di Dio la macchia di complicità nella questione dei libelli; eppure non se ne conobbe mai il vero tenore. Financo nei processi per la Beatificazione il Colomiatti si contentò di chiamarla “ contraria a Don Bosco ”, ma non ne riferì nemmeno la sostanza, non che produrre il testo. E del padre Franco chi sentì più a parlare in tutto il seguito della controversia? La testimonianza di un tanto uomo avrebbe schiacciato per sempre il presunto mandante. Ma, se interrogatorio vi fu, il padre Franco, da quell'uomo superiore quale tutti lo conoscevano dovette aver confuso in siffatta guisa il suo inquisitore, che né allora né poi durante i Processi fece mai più motto di lui; se poi interrogatorio non vi fu e il Colomiatti rinunziò alla citazione, vuol dire ch'egli n'aveva ben donde. Del resto che un Don Bosco a un padre Franco abbia fatto una proposta simile e che nella peggiore delle ipotesi questi ne abbia propalato la notizia parlando con il suo ex confratello, sono cose di tanta e tale inverosimiglianza che l'averne supposta la
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possibilità é indizio per lo meno di mente inferma. La spiegazione più plausibile di ciò che l'Avvocato fiscale scrisse a Monsignore é che il Pellicani abbia parlato in un senso e il Colomiatti abbia voluto intendere in un altro a sé favorevole; del che avremo tosto una luminosa conferma. Nella citata lettera il Colomiatti continuava: “ Per altro V. Ecc. vede che al presente non si deve dire parola a chichessia della accennata deposizione del P. Pellicani, perché, se essa sta sub secreto, Don Bosco non cercherà un ripiego contro la medesima. Invece ove venisse palesata a chichessia, tosto verrebbe alle orecchie di Don Bosco, e costui non risparmierebbe mezzi per difendersi. Pertanto permetta, Ecc. Rev.ma, che io La preghi a non farne motto con qualsiasi Cardinale o con altri a Roma. ” Meticolose precauzioni dettate dalla paura di dovere quandochessia mettere le carte in tavola e rimanere scorbacchiato. All'orecchio di Don Bosco qualche rumore venne di questi armeggii; onde sullo scorcio di novembre o sul principio di dicembre (la copia della lettera non porta data) scrisse al Santo Padre.
Beatissimo Padre,
Mentre sono occupato a preparare una nuova spedizione di Missionari Salesiani per l'America e sopratutto per la Patagonia (I), vengo a sapere di una certa recriminazione fatta alla Santa Sede contro di me e della nostra povera Congregazione dal Rev.mo Mons. Lorenzo Gastaldi Arcivescovo di Torino, in riguardo di alcuni opuscoli pubblicati da autori anonimi. Mons. Arcivescovo accuserebbe me ed i Salesiani quali autori di quelle pubblicazioni e mi si dice che la sentenza debbasi proferire entro pochi giorni. Siccome non posso avere una giusta cognizione delle imputazioni, ed essendo assicurato che tutto si appoggia ad alcune congetture ed osservazioni, così io non posso dare i dovuti schiarimenti, e quindi sono nella impossibilità di poter difendere né me, né la mia Congregazione, secondo l'obbligo mio di coscienza. Per la qual cosa supplico che nella Cong. del 17 corrente si porti giudizio solamente sulla vertenza di Don Bonetti riguardo alla sua sospensione, e di essere ascoltato prima che si
(I) La cerimonia della partenza fu ai 10 di dicembre.
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addivenga ad un definitivo giudizio sopra le imputazioni, prive affatto di fondamento, di complicità nella pubblicazione de' mentovati opuscoli. Intanto comincio dal dichiarare che io non ho preso parte alcuna né direttamente né indirettamente alla pubblicazione di quegli opuscoli, i quali non ho neppur letti. Due cose solamente io so in riguardo dei medesimi, cioé che trattano di alcune dottrine di Mons. Arcivescovo intorno a Rosmini, e che Mons. medesimo tempo fa volle ch'io facessi una dichiarazione per disapprovare, anzi condannare quegli opuscoli. Ma da relazioni avute sapendo che le cose in essi contenute non sarebbero state disapprovevoli, ma lodevoli siccome conformi alla dottrina cattolica e ad opinioni, che godono giustamente il favore della Santità Vostra, io ricusai di apporre la mia firma a qualsiasi dichiarazione in contrario, e non permisi che alcuno dei miei ve l'apponesse, e ciò pel timore di disapprovare quello, che forse sarebbe stato approvevole. Credo quindi che per questo mio rifiuto Mons. Arcivescovo abbia concepito il sospetto che gli opuscoli fossero usciti da me o dai Salesiani. Santissimo Padre, io sono pronto a condannare e disapprovare qualunque cosa contenuta in quei libri, giudicata condannabile o disapprovevole dalla Santa Sede. Anzi siccome quei libri furono e sono tuttavia letti da molti ed hanno suscitato dei dubbi intorno ad alcuni importanti punti di dottrina, così io supplico umilmente ma istantemente la Santità Vostra, che voglia farli esaminare, e dare apposito giudizio per norma di chi li ha letti o li avesse a leggere. Nella fiducia che la S. V. colla sua solita bontà e carità voglia accogliere la preghiera che umilmente Le porgo, mi unisco a tutti i religiosi Salesiani per prostrarmi ed invocare la Santa Apostolica benedizione dalla Vostra Santità di cui mi glorierò sempre di essere
Umil.mo Obbl.mo Figliuolo Sac. Gio. Bosco.
Privatamente Leone XIII, presentandosi qualche occasione, manifestava senza eufemismi il suo pensiero; così fece col barone Héraud, l'insigne cooperatore salesiano di Nizza Mare. Recatosi egli a Roma per fare la sua quindicina di servizio come Cameriere di spada e cappa, il 30 novembre fu ammesso a un'udienza privata, nella quale presentò al Santo Padre gli omaggi di Don Bosco. Il Papa sorrise all'udirne il nome, e disse: - Ah, Don Bosco che fa... e come fa... - La Provvidenza é con lui, Padre Santo, rispose il Barone.
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- Mi saprebbe Lei dire, ripigliò il Papa, perché ha dei fastidi in Torino? - Eh! Santo Padre, i suoi privilegi adombrano il prossimo. - Tutto l'Episcopato, notò Sua Santità, e il Clero, al quale forma membri, é per lui, ad eccezione d'un solo....Ma perché questo?... Già, lo vedo, c'é un po' di gelosia [“proprio parola del Santo Padre”, commenta il Barone fra parentesi]... Già, già! Sì, lo benedico, come benedico tutte le sue opere ed in modo particolare quella intrapresa in Roma (I). Monsignor Gastaldi era andato a Roma, come dicevamo, per le canonizzazioni dell'8 dicembre; ma il suo viaggio non aveva quel solo scopo. Infatti, incontratosi ivi con monsignor Ronco, nuovo Vescovo di Asti; gli disse: - Son venuto qualche giorno prima a Roma, perché vi ho qualche causa a sostenere nelle Congregazioni. Monsignore saprà di quegli opuscoli, che si stamparono in Torino; ebbene verrà dimostrato chiaramente e indubitatamente esserne autore Don Bosco. - D'un simile parlare il suo Suffraganeo, che conosceva bene Don Bosco, rimase scandolezzato (2). Di tale quistione degli opuscoli urgeva intanto sbarazzare il terreno, perché procedesse libera da intoppi la causa della sospensione, che doveva trattarsi fra breve; quindi Don Bosco, ricevuta dall'avvocato Leonori e letta una copia della difesa preparata dall'avvocato Menghini e visto che vi si facevano entrare i libelli, mandò un'esauriente esposizione del suo modo di vedere al cardinale Nina.
Eminentissimo Principe,
Mentre sono occupato a preparare una nuova spedizione di Missionari per l'America del Sud e per la Patagonia, i quali partono oggi stesso da Torino, mi viene comunicata la scrittura dell'Arcivescovo di Torino relativa alla vertenza tra lui e il Sac. Giovanni Bonetti,
(I) Il barone Héraud, ritornato in patria, scrisse a Don Bosco questo dialoghetto il 23 dicembre seguente. (2) Lett. di Don Anfossi a Don Bonetti, Torino 5 dicembre 1881.
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membro della Congregazione Salesiana. In detta scrittura rilevo con mia sorpresa che il Rev.mo Arcivescovo, invece di limitarsi a produrre argomenti in prova della liceità della sospensione inflitta al prelodato Sacerdote Salesiano, involge nella questione me stesso e l'umile Congregazione Salesiana, accusandoci della pubblicazione di alcuni opuscoli che non vi hanno nulla a che fare, appoggiato a sole congetture e asserzioni prive di fondamento. Siccome la causa deve trattarsi in pieno consesso degli Em.mi Padri il 17 del corrente, e in sì breve spazio di tempo e in mezzo alle gravi cure che mi dà in questi giorni la suddetta partenza di Missionari, non mi é possibile di dare tutti i dovuti schiarimenti né difendere me ed i miei sudditi secondo il mio obbligo di coscienza; così domando umilmente che la Sacra Congregazione voglia nella prossima sua adunanza portare l'alto suo giudizio solamente sul punto della sospensione inflitta da circa 3 anni al Sac. Bonetti, e non sulle imputazioni che le sono estranee. Questa mia domanda parmi ragionevole: 1° Perché i detti opuscoli non furono causa della sospensione che diede motivo a questa vertenza, perché in allora non esistevano ancora. 2° Perché da quanto riferiscono quelli che li hanno letti, essi non contengono nulla né contro la fede né contro i costumi né contro la disciplina ecclesiastica; anzi si dice che sono ortodossi e combattono solo certe dottrine e certi atti per nulla conformi alle savie intenzioni della Santa Sede. 3° Perché per giudicare rettamente che chi ha preso parte alla loro scrittura e pubblicazione sia colpevole o no, é necessario di prima sapere se i medesimi sieno buoni o cattivi. Tempo fa Mons. Arcivescovo pretese che io facessi una dichiarazione per disapprovarli, anzi condannarli; ma nel timore appunto di disapprovare quello che sarebbe stato approvabile, io ricusai di apporre la mia firma a qualsiasi dichiarazione in contrario e non permisi che alcuno dei miei ve l'apponesse, cosa che indispettì altamente l'Arcivescovo. Siccome questi opuscoli furono e sono tuttavia letti da molti ed hanno suscitato dei dubbi di coscienza, così ho intenzione di scriverne a Sua Santità e pregarla umilmente che voglia farli esaminare, e dare un apposito giudizio per norma di chi li ha letti o li avesse a leggere. Intanto come di volo comincio a dichiarare che io non ho preso parte alcuna nella composizione e nella pubblicazione di quegli opuscoli, e non ho dato alcun ordine in proposito. Indi protesto contro il racconto riferito nel documento che si legge a pagina 47 della detta scrittura dal Rev.mo contradditore. Quel racconto é stato sostanzialmente travisato. Ed ecco invece come é la cosa. Qualche tempo fa il Padre Antonio Pellicani ex gesuita, essendo venuto nella nostra tipografia di Torino per farvi stampare qualche
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sua operetta, si portò in mia camera. Nella conversazione il discorso cadde su certi fatti notorii nell'Archidiocesi, i quali facevano sparlare e non parevano tornare alla maggior gloria di Dio e al bene delle anime. Il Padre Pellicani disse: - Sarebbe bene raccogliere questi fatti e scriverli al Santo Padre, affinché fosse appieno informato come vanno le cose, e possa portarvi rimedio. - Io gli dissi: - Padre, Lei ha tempo, ne scriva Lei stesso a Sua Santità. - Ecco tutto. Ho detto che scrivesse, sì, ma al Santo Padre. Perciò non é vero che io abbia esortato e pregato il Pellicani a scrivere e pubblicare libelli; non é vero che avvenuta quella pubblicazione, ed incontrato il Padre, io gli abbia detto che dopo il suo rifiuto aveva trovato chi si era assunto il compito e l'incarico di comporre i desiderati opuscoli. Basta avere anche solo un po' di buon senso per tosto persuadersi che posto anche il fatto come viene riferito, io non sarei stato così bonomo di parlare in quel modo coll'ex gesuita o a qualsiasi altra persona, Quindi che giudizio portare della lettera del Padre Leoncini delle Scuole Pie? L'uno dei due: o egli ha travisato o frainteso il racconto del Pellicani; oppure questi, saputo che alcuni facevano lui medesimo autore di quei libri, e ne fu persino chiamato nella Curia di Torino fece il racconto in quel modo, allo scopo di stornare la tempesta dal suo capo, e mandarla sulle spalle del povero Don Bosco. Iddio che vede e sa tutto, vede e sa che io non mentisco, e ciò mi basta (I). Monsignore nella sua lettera che si legge a pag. 22 parla anche di una scrittura del Sac. Vincenzo Minella a mio carico; ma siccome non la vedo nei documenti, così non posso sapere che cosa vi si dice, né che debba rispondere. Osservo ancora che la Curia Arcivescovile di Torino in questa vertenza mancò di delicatezza e di convenienza. Essa fece chiamare parecchi Sacerdoti della diocesi stati anche da giovanetti miei allievi, e li sottopose ad odiose inquisizioni ed anche a minaccie per sapere e far loro deporre contro di me cose che non erano, e ciò a vantaggio dell'Arcivescovo parte interessata. Mi pare che esso non avrebbe dovuto costituirsi giudice e parte come ha fatto. Anzi vi é chi dice che alcuni gravi disturbi, perquisizioni, minacce fatte dalla Questura di Torino ad alcune persone benevole alla nostra Casa, siano state promosse dallo stesso Arcivescovo. Rifletto eziandio che la relazione fatta dall'Avv. Fiscale al Rev.mo Arcivescovo intorno al tentativo di un pacifico componimento pecca in più luoghi e gravemente. Mi basta domandare: Se fosse vero che io aveva convenuto col Sig. Avvocato che Don Bonetti non andasse più a Chieri, come si pretende, a che dunque venire ad un pacifico componimento? Se questo doveva lasciare le cose come stavano prima, era inutile fare tante parole, e scrivere tante lettere.
(1). Negli atti del Processicolo, da monsignor Mariani, promotore della fede, il Pellicani é definito inconstans e il Leoncini nimis simplex.
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Ancora: Nella detta relazione a pag. 42 il Sig. Avvocato Fiscale cita alcune parole della mia lettera del 2 giugno e di quella del Sac. Bonetti al Rev.mo Segretario della Sacra Congregazione, nelle quali si pregava di non rimettere alcuna carta, ma di tenere viva la causa; ma egli sopprime le parole principali colle quali io dimostrava come la dichiarazione lasciatagli era cosa confidenziale, e doveva solo servire di norma per comporre l'atto dell'Arcivescovo conforme alle verbali intelligenze, e non già per ispedirla a Roma, perché in questo caso io non la avrei scritta in un misero foglio, ma in un foglio di rispetto. Queste mie parole l'Avv. non le riferisce. Quindi fa una relazione ben poco sincera e in più luoghi molto infedele. Riguardo al secundum documentum che si legge a pag. 44 domando: Che cosa ha esso da fare colla questione? Dobbiamo forse supporre che l'Arcivescovo lo abbia riferito coll'intenzione di denigrare la nostra Congregazione? E se questo non fu il suo intendimento, perché non ha egli unita anche la risposta trionfante data a quella lettera dallo stesso Vescovo di Casale a nome suo e a nome mio? Questo modo di riferire documenti non mi pare leale (I). Finalmente dico che invece di riferire documenti che non fanno al caso, sarebbe stato bene, anzi necessario che avesse riferiti i documenti a cui si allude nel corpo della scrittura e di cui Mons. si fa forte contro di noi. Tra gli altri avrebbe dovuto produrre la famosa dichiara del Sac. Don Michele Sorasio Segretario della sua Curia, la quale dichiara, come scrive Monsignore, compromette non poco Don Bonetti. Perché dunque non ha riferita questa dichiarazione tanto compromettente? La parte contraria ha diritto di conoscerla per vederne la forza , per esaminare se non fu adulterata, avendo dovuto passare per mani interessate. Qui dovrei aggiungere che il 26 maggio dell'anno 1879 l'Arciv. mi fece chiamare a sé e di comune accordo si aggiustò la cosa con soddisfazione; ma al mattino per tempo mi mandava una lettera con cui disdiceva tutto il convenuto nella sera innanzi. Dovrei ancora aggiungere che sin dal dicembre del 1877, mentre egli scriveva e stampava per denigrare la nostra povera Congregazione, mi minacciò la sospensione ipso facto incurrenda, se mai per mezzo mio o per mezzo altrui avessi scritto qualsiasi cosa a lui sfavorevole, fosse pur per mia legittima difesa o per difesa dei miei. A questo proposito, giacché ho il bene di scriverle, io supplico umilmente la E. V. Rev.ma che voglia avere la bontà di far ritirare la detta minaccia di sospensione, la quale da 4 anni mi pende sul capo, come la spada di Damocle. Eminenza Rev.ma, più altre cose io avrei ancora ad osservare:
(I) Il fatto risaliva al dicembre 1869 (cfr. LEMOYNE, M. B., vol. IX, pag. 749 sgg.).
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ma la cosa preme, e il tempo, per l'addotta ragione, in questi giorni mi manca. Nel domandare umilmente scusa di tanto nuovo disturbo io prego V. E. e per mezzo suo tutti gli Eminentissimi giudici a voler portare le loro illuminate riflessioni sulla questione principale, cioé la sospensione inflitta a Don Bonetti, lasciando da parte la querela degli opuscoli da risolversi a tempo più opportuno. Nella fiducia che la E. V. Rev.ma vorrà darmi un benigno compatimento ed usare la grande sua bontà, come ha fatto finora, verso la nascente Congregazione Salesiana esposta a sì dolorose prove, prego alla E. V. ogni favore, e mi professo con altissima stima e profonda venerazione Torino, 10 dicembre 1881. Di V. E. R.ma obb.mo ed U.mo Figlio Sac. Gio. Bosco.
Gli eventi precipitarono. Il 17 dicembre la Sacra Congregazione del Concilio decideva la sospensione del giudizio di merito nella causa di Don Bonetti per invitare le parti all'accomodamento. Questa per Don Bonetti era già una mezza vittoria; onde dalla parte avversa bisognava affrettarsi a distruggere il sinistro effetto che la notizia avrebbe indubbiamente prodotto in Torino. Che si escogita? Prima che arrivi la partecipazione ufficiale, s'irretisca Don Bonetti in un processo criminale. Le lettere d'ufficio non furono pronte a Roma che per il 22; il 20 Don Bonetti venne citato a comparire dinanzi al tribunale ecclesiastico, per rispondere del reato di diffamazione per mezzo della stampa col libello L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, in seguito a denunzia del teologo Sorasio, promotore fiscale della Curia arcivescovile: giudice delegato, il canonico Colomiatti. Questo tribunale figurava costituito fino dal 22 giugno. Trenta giorni di tempo all'imputato per presentarsi; trascorso senza giusto motivo quel termine, procedimento in contumacia (I). Don Bosco ne ragguagliò il cardinale Protettore, inviandogli una copia dell'Esposizione.
(I) App., Doc. 30.
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Eminenza Rev.ma,
Mi fo ardito di mandare a V. Em. Rev.ma una esposizione di alcune delle nostre vessazioni che l'Arcivescovo nostro ha fatto, e ciò servirà anche di risposta ai violenti reclami senza alcun fondamento, che egli ha voluto fare su Don Bosco e la nostra Congregazione. Ho però taciuto quanto ha fatto personalmente contro di me per denigrare la mia posizione. Ma chi lo crederebbe? Mentre la questione é sub iudice in un tribunale superiore, ieri mandò un monitorio a Don Bonetti con cui lo minaccia di un processo, e lo cita a comparire in Curia per rispondere alla imputazione sui libelli famosi in cui Don Bonetti ci entrò come Pilato nel Suscipiat. Intanto scritti, tempo, scoraggiamenti occupano le ore che si vorrebbero occupate al bene delle anime e della religione. Io non ho mai dimandato e non dimando altro che lasciarmi lavorare in questo tempo di gran bisogno. Tutti i Salesiani fanno voti al cielo affinché Dio la conservi in buona salute pel bene della Santa Chiesa e pel vantaggio della bersagliata nostra Congregazione. La notte del S. Natale i nostri giovanetti faranno la santa Comunione secondo la pia intenzione della Ecc. V. Tutti ci raccomandiamo alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare Della Ecc. Rev.ma Torino, 22 dicembre 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Una copia dell'Esposizione Don Bosco umiliò pure al Santo Padre, portando a sua conoscenza quanto era accaduto (I).
Beatissimo Padre,
In ossequio agli Eminentissimi signori Cardinali della Sacra Congregazione del Concilio, e per dare schiarimenti e rispondere ai reclami, che Mons. Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino, ha fatto pervenire alla prelodata autorevole Congregazione a carico dello scrivente e della Pia Società di S. Francesco di Sales, mi sono creduto in dovere di fare una breve Esposizione di alcuni non leggeri disturbi che hanno incagliato seriamente quel poco di bene, che i poveri Salesiani studiano di operare in Europa e nelle Missioni dell'America.
(I) Questa lettera fu minutata da Don Bonetti e riveduta da Don Bosco, che vi fece qualche aggiunta.
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Ne mando copia a Voi, Beatissimo Padre, che siete il Moderatore Sapremo della Congregazione Salesiana, affinché conosciate come stanno le cose nostre. Ma se i disturbi del passato furono gravi, non lo sono meno quelli del presente. Oggidì si vorrebbe indurre la nostra Congregazione ad abbracciare dottrine filosofiche non punto gradite alla Santità Vostra, perché erronee o pericolose. Noi abbiamo fin qui resistito e resisteremo a costo di qualsiasi sacrifizio e tribolazione; ma il confesso, io abbisogno di opportuno consiglio per sapere dare ai miei religiosi istruzioni sicure, affinché in tutti i nostri Collegi, Studentati e Seminari del Piemonte, Italia, Francia, Spagna ed America, possiamo seguire principii prettamente cattolici, con illimitato ossequio al Supremo Gerarca della Chiesa. Se poi nel decennio passato ci furono date molestie e noie non poche, le quali ci hanno moltissime volte distratti dalle occupazioni del Sacro Ministero, e fatto perdere del tempo immenso, che avremmo voluto spendere unicamente alla gloria di Dio ed al bene delle anime; queste molestie e noie non indicano punto di scemare al presente. Povero me! Mentre sto scrivendo questa lettera, e mentre presso la Sacra Congregazione del Concilio Pende la questione tra Mons. Arcivescovo di Torino e il Sac. Giovanni Bonetti Salesiano, ricevo un monitorio che cita detto mio Sacerdote a comparire davanti all'avvocato fiscale Arcivescovile, per rispondere alla vertenza medesima, e gli si minacciano le pene ecclesiastiche se non si presenta dinanzi a chi si erige a giudice in propria causa, e in una questione devoluta al supremo tribunale della Santa Sede! Quindi contro la comune aspettazione continuano i disturbi e la perdita di tempo così prezioso e la nostra condizione minaccia di farsi ancora più intollerabile. I nemici della religione si arrabattano con una smania satanica per rapire la fede e il buon costume ai grandi ed ai piccoli, menando guasti e rovine lagrimevoli. I Salesiani si vedono aumentare ogni giorno il lavoro tra mano per opporsi con qualche buon esito al male che irrompe. Abbiamo quindi bisogno di essere lasciati in pace, e di essere aiutati, o almeno di non essere incagliati nell'operare il bene, secondo lo scopo della nostra Congregazione; altrimenti non si può più tirare innanzi. Per la qual cosa, Beatissimo Padre, umilmente ma pur caldamente io imploro l'illuminato Vostro consiglio, e il validissimo Vostro appoggio. Parlate e noi Vi ascolteremo. Non solo ci atterremo ai Vostri comandi, ma ai Vostri desiderii; non solo Vi seguiremo come Dottore Universale, ma eziandio come Dottore privato; saremo devoti alla vostra augusta Persona non solamente noi Salesiani, ma ci adopreremo ad ispirare, nutrire e crescere nei medesimi sentimenti gli ottanta mila e più giovanetti, che la Divina Provvidenza tiene oggidì raccolti nelle nostre case nell'Europa e nell'America. Saremo in una
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parola ossequiosissimi alla Vostra Cattedra Apostolica in tutto, in ogni tempo e in ogni luogo, dove ci chiamerà il Signore. Ma acciocché possiamo compiere liberamente questo sacro dovere; affinché possiamo lavorare alacremente e secondo il bisogno di questi tristissimi tempi; affinché l'umile sottoscritto possa governare i suoi sudditi com'é d'uopo, deh! Beatissimo Padre, fate sentire una parola efficace a Colui, che unico tra i mille membri dell'Episcopato Cattolico pare che tenda a distogliere dalla retta via questa povera Congregazione, e le mette nella Casa Madre e centro di tutte le altre, incagli sopra incagli, affinché non cammini colla necessaria speditezza e si arresti. Ho piena fiducia che Voi, Beatissimo Padre, vorrete accogliere con paterna bontà quest'umile supplica, che a nome mio e a nome di tutti i Salesiani innalzo al Vostro eccelso trono, e che verrete in aiuto a tanti Vostri devotissimi figli. Colgo poi con lietissimo animo questa propizia occasione delle Feste Natalizie, per augurare alla Santità Vostra ogni sorta di felicità, assicurando che ogni giorno nelle Case Salesiane s'innalzano particolari preghiere e si fanno ardentissimi voti a Dio, che Vi conceda quanto desidera il Vostro cuore magnanimo. In fine prostrato in ispirito al bacio del sacro piede, imploro l'Apostolica benedizione sopra la povera mia persona, sopra tutta la Congregazione Salesiana, sopra i nostri giovanetti, sopra i nostri Missionarii che in questi giorni salpano le onde dell'Atlantico alla volta della Patagonia, mentre mi gode l'animo di potermi professare colla massima venerazione Di Vostra Santità. Torino, 22 dicembre 1881. Umil.mo Obb.mo ed Osseq.mo Figlio Sac. Gio. Bosco.
La risposta dal Cardinale non si fece attendere (I). Era “confidenziale ” e conteneva questi periodi: “ Le raccomando la calma e freddezza d'animo onde non dare pretesto di sorta a chi ex adverso est […]. In quanto all'intimazione, essa rivela sempre più il mal talento di cotesta Curia e di chi la ispira […]. Dai termini della intimazione ove é detto Don Bonetti scriptor libelli etc. dovrebbe arguirsi che il fisco abbia prove in mano da dimostrare la colpabilità dell'imputato.
(I) App., Doc., 31
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Secondo la lettera del P. Leoncini l'accusa peserebbe su di lei. Perché in questo caso non dovrebbe esser chiamato Ella in giudizio? Forse per declinare la soverchia odiosità ed esecrazione del pubblico dal canto degli inquisitori? M'avveggo che il Signor Colomiatti è istrumento degno del suo principale. ” Gli consigliava poi di sospendere l'invio dell'Esposizione ai Cardinali, non essendo quello il momento opportuno. Diceva bene il Cardinale per la citazione di Don Bosco; ma quod differtur, non aufertur. La citazione venne anche per lui, e fu addì 5 gennaio 1882, comunicatagli il 7 verso le dieci antimeridiane per mano del signor Aghemo, cursore arcivescovile (I). Il pubblico accusatore gli moveva due imputazioni: essere egli stato il mandante dei libelli e aver procurato al libellista i materiali. Si ponga ben mente: quella voleva essere la vera risposta alla domandata udienza del 2 gennaio e insieme un bel passo sulla via dell'accomodamento voluto da Roma!!! Pensiamo dunque un po' se quella mattina e nei giorni seguenti Monsignore era proprio “ dispostissimo ” a ricevere Don Bosco, secondoché pretese il Colomiatti nei Processi per la Beatificazione! E si noti stravaganza: la questione dei libelli stava già dinanzi alla Sacra Congregazione del Concilio e per volere dell'Arcivescovo stesso. Infatti nella sua lettera del 29 dicembre 1880 aveva denunziato a quella Congregazione Don Bosco e Don Bonetti come autori dei libelli e nel Sommario della causa Bonetti redatto per lui, a pagina 20 si diceva: “Domando dalla Sacra Congregazione ed insisto affinché essa provveda riguardo al medesimo Bonetti coautore, se non autore, del libretto diffamatorio. ” La medesima denunzia ripeté egli il 21 giugno 1881, implorando un provvedimento. Dunque nel supposto crimine dei libelli Monsignore aveva già eletto a giudice la Sacra Congregazione del Concilio,
(I) App., Doc., 32.
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rimasta così prevenuta in questa causa, né su tale vertenza gli era più lecito procedere criminalmente. Circa il da farsi Don Bosco chiese subito consiglio al Cardinale Protettore.
Eminenza Reverendissima,
Ecco un nuovo argomento di buon volere di accomodamento amichevole. Tutto apparisce chiaro dalla unita copia di citazione. Pare che l'Arcivescovo voglia tirare a lungo e farmi perdere tempo e danaro. 1° Ora io avrei bisogno di essere guidato, se sono obbligato a comparire mentre la vertenza é sub iudice in tribunale superiore. Se affermativamente, potrei appellarmi di essere interrogato da un altro tribunale? Può un Ordinario citare a capriccio il Superiore di una Congregazione ecclesiastica e così mettere a soqquadro una povera società religiosa, a cui L'Ordinario non poté mai imputare colpa alcuna e che desidera unicamente di lavorare pel bene delle anime che purtroppo camminano per la via della perdizione? 2° Al dieci di questo mese dovrei recarmi in Francia per questuare in favore della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore, dove sta per mancare il danaro. Posso allontanarmi o rimanere in Torino con danno grande delle opere cotanto raccomandate dallo zelo e dalla carità del S. Padre? 3° Ho disposto di protrarre la mia partenza fino al 16, ma di più non potrei a motivo degli appuntamenti pel buon esito della colletta. Io ed i miei Salesiani abbiamo bisogno di aiuto, di consiglio e di conforto e riponiamo piena fiducia nella E. V. nostro benemerito protettore. Non ho mai dimandato, non mai dimanderò altro se non pace e tranquillità a fine di lavorare nel sacro ministero in favore delle anime esposte a tanti pericoli. L'origine di queste nuove imputazioni si é che Don Bosco non vuole mutare sistema; Don Bosco é contro al Rosmini. Ecco il motivo per cui mi si vorrebbe autore dei mentovati opuscoli. Autore di tali opuscoli non lo sono: il mio sistema é quello di professare la dottrina cattolica e seguire ogni detto, ogni consiglio, ogni desiderio del Sommo Pontefice. Mi voglia credere in Nostro Signore G. C. con somma gratitudine e con profonda venerazione Della E. V. Rev.ma Torino, 7 gennaio 1882. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
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Nel dar conto a monsignor Boccali della mancata udienza da parte dell'Arcivescovo, Don Bosco aveva mandato anche a lui una copia della citazione. Il Prelato gli rispose il 9 gennaio 1882: “Abbia pazienza e non si perda d'animo. Se Ella non ha nulla a vedere in quegli opuscoli, l'esito di questa nuova vertenza non potrà essere sfavorevole. ” A Torino si tirava innanzi imperterriti. Solo parecchi giorni dopo le due citazioni, cioé il 12 gennaio, fu notificato l'atto arcivescovile, che costituiva il Colomiatti giudice delegato per il processo dei libelli, atto recante la data di circa sette mesi innanzi. Il 18 Don Bonetti presentò una istanza, con cui impugnava la legittimità e la competenza di quel tribunale sia a motivo della prevenzione detta di sopra, sia perché sospetto, essendo l'Arcivescovo stesso parte principale nella causa. Deduceva perciò a cognizione della Curia d'aver commesso al suo procuratore in Roma, che supplicasse la Sacra Congregazione, già prevenuta nella vertenza, di voler delegare un giudice speciale nella persona di un Vescovo viciniore o in quella di qualche altro ecclesiastico idoneo e imparziale, che assumesse gli atti e istruisse canonico processo da inviarsi alla Sacra Congregazione per la sentenza o per le relative provvidenze. Secondo il consiglio dell'avvocato Leonori l'istanza era formulata a nome di Don Bonetti per rispetto a Don Bosco, perché, scriveva il legale, “questo uomo benefico veramente santo non bisognava metterlo allo scoperto in una lite” (I). Il Colomiatti respinse l'eccezione d'incompetenza e intimò a Don Bonetti di comparire. Don Bonetti, anziché arrendersi, appellò a Roma. L'appello fu ammesso senza incontrare la menoma difficoltà; onde la Sacra Congregazione inibì all'Arcivescovo di procedere tanto contro Don Bonetti che contro Don Bosco e delegò monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli, a
(I) Lett. a Don Bonetti, Roma 9 gennaio 1882. 253
compilare solamente il processo e poi inviarlo alla Congregazione del Concilio, che si riservava di giudicare. Così gli imputati non avevano più da fare i conti con la Curia torinese per questo processo (I). Facciamo luogo qui a un breve intermezzo. L'ultima settimana di gennaio si trovava a Torino il Vescovo d'Ivrea monsignor Riccardi, col beneplacito certamente del suo Metropolitano, poiché celebrava la Messa or qua or là, dovunque lo invitassero. Due inviti gli fecero pure i Salesiani, avendolo pregato Don Rua di venir a dire la Messa della comunione generale il 29 per la festa di San Francesco, e Don Francesia di andare a Valsalice per la medesima celebrazione, trasportata di due giorni. Monsignor Riccardi accettò di gran cuore entrambi gli inviti; ma in seguito, essendo stato a pranzo dall'Arcivescovo, scrisse all'Oratorio che motivi sopraggiunti gl'impedivano di mantenere la data parola e al Direttore di Valsalice, che era dolente per lo stesso motivo. Nel partire poi dalla città, confessò al teologo Margotti che se n'andava disgustatissimo, non sapendo concepire come un Metropolitano potesse vietare a un Suffraganeo di celebrare la Messa in una chiesa di religiosi, e lo incaricò di fare ai Salesiani le sue condoglianze. Quando monsignor Fissore venne a Torino per eseguire la missione affidatagli, Don Bosco era a Roma; onde conferì con Don Rua. Egli non avrebbe dovuto far altro che interrogare i testimoni, se ve n'erano, raccogliere le loro deposizioni e poi mandare tutto a Roma; invece, aderendo al desiderio di monsignor Gastaldi, agì nell'intento di ottenere una conciliazione fra le parti, nel che Don Rua pareva secondarlo. V'ha di più. Monsignore aveva pregato i vescovi Eula e Riccardi, venuti a Torino, che cercassero una via di accomodamento per mezzo di Don Durando. I due Prelati si recarono a Valsalice, ove Don Durando si trovava col
(I) App., Doc.- 33.
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teologo Margotti per una festa, e dopo l'accademia, presolo in disparte, lo pressarono a contentare l'Arcivescovo. Il Beato, leggendo in lettere di Don Bonetti e di Don Durando queste notizie, pianse quasi di dolore al vedere sorpresa la buona fede dei suoi e fece tosto scrivere a Don Rua queste sue testuali parole: “Né esso Don Bonetti né alcun altro della casa tratti di questa questione senza preventivo avviso della Congregazione del Concilio e sempre d'accordo con Don Bosco. Questo consiglio viene dall'autorità competente” (I). A quel punto l'andare in cerca di una soluzione pacifica tradiva una ben scarsa sicurezza di vittoria, mentre dalla parte dei Salesiani l'adattarvisi equivaleva a confessare il timore di una giusta condanna. Sempre in vista di un componimento, monsignor Fissore aveva già ottenuto una dichiarazione firmata da Don Rua e da Don Bonetti contro i libelli e ne avrebbe voluta anche un'altra da Don Bosco per presentarla a monsignor Gastaldi, ma Don Bosco non la mandò, fece fare anzi inutili tentativi per riavere la precedente; ne lasciò invece una del tenore seguente nelle mani del cardinale Nina.
Eminenza Rev.ma,
Un accomodamento amichevole della vertenza del Sacerdote Gio. Bonetti fu sempre il mio vivo desiderio. Più volte feci proposte a S. E. Mons. Arcivescovo di Torino, che furono accettate ma di poi respinte. Una fu nel maggio 1879. Il giorno 26 fui chiamato dal medesimo Mons. Gastaldi, ci andai e fummo intesi che il Don Bonetti fosse riabilitato ad ascoltare le confessioni dei fedeli in tutta la diocesi di Torino, rimettendo alla prudenza dello scrivente a non inviare questo sacerdote a dimorare in Chieri, ma che egli ne fosse libero, e qualora in casi particolari vi si fosse recato a predicare ed ascoltare le confessioni non ne avesse avuto biasimo da parte dell'autorità ecclesiastica. Questa proposta fu accettata. Ho dato comunicazione della cosa al Don Bonetti che ne fu assai contento e ne provammo tutti grande consolazione che fosse finalmente finita una questione inutile e che faceva spendere tempo immenso che ognuno desiderava impiegare a vantaggio delle anime. Ma il mattino immediatamente
(I) Lett. di Don Berto a Don Bonsetti, Roma 18 aprile 1882.
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dopo, 27 dello stesso mese, per tempissimo ricevo una lettera di Mons. Arcivescovo che rievocava a tempo indeterminato tutto quello che era stato convenuto il giorno precedente. Nello stato presente delle cose io non vedo altra via che possa convenire ad ambe le parti se non quella stessa già proposta ed accettata nel maggio 1879 cioè: 1° Mons. Arcivescovo di Torino darà facoltà al Don Bonetti di ascoltare le confessioni dei fedeli in tutta la Diocesi di Torino. 2° Don Bonetti continuerà da buon sacerdote a lavorare per la maggior gloria di Dio come si conviene ad onesto e zelante sacerdote. 3° A fine poi di non dover ritornare sopra questioni di questo genere, l'Arcivescovo ritirerà due lettere in data una del 25 novembre e l'altra del 1 dicembre 1887, con cui minaccia al Sac. Bosco la sospensione ipso facto incurrenda se scrive, stampa e propaga scritti o detti che possano tornare a carico dell'Arcivescovo di Torino. Queste lettere richiamate saranno consegnate alle fiamme, e non se ne parlerà più. Riguardo alla questione degli opuscoli debbo dichiarare che né io né i Salesiani non se ne sono mai mischiati per quanto finora mi consta. Ho sempre biasimato e biasimo tuttora il modo non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica. Sono anche prontissimo a condannare la materia in essi contenuta qualora mi siano specificate le cose, che in faccia alla Chiesa siano da biasimarsi. Coloro per altro che li hanno letti e meditati convengono nell'asserire che la materia di questi opuscoli o libelli concorda pienamente coi principii e colle idee raccomandate dal S. Padre in questi ultimi tempi. Ogni cosa poi che Sua Santità o la E. V. giudichi tornare alla maggior gloria di Dio io sarò sempre pronto ad accettarla senza condizioni. Mi conceda l'onore di potermi professare Della E. V. Rev.ma Roma, 8 maggio 1882. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
A questa lettera andavano unite queste osservazioni:
E’ da notarsi che identiche proposte di accomodamento furono già altre volte fatte a Mons. Arcivescovo di Torino. Vennero accettate ma di poi furono cangiate e infine rifiutate. Rifiutò crudamente di ricevermi il 2 gennaio 1882 quando io mi sono a lui presentato a nome della E. V. e del medesimo Santo Padre per accomodare le cose amichevolmente. Sono pochi giorni che esso, l'Arcivescovo di Torino, va propalando e me lo mandò a dire dai nostri stessi religiosi, che Don Bosco é il
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più scellerato degli uomini; é un impostore; inventa i miracoli e poi li affibbia e li fa stampare in onore della Madonna. Che Roma fa male quello che fa, a Roma tutto cammina per compare e per comare, ecc. ecc. Queste cose sembrano argomenti poco opportuni per venire ad un accomodamento amichevole. Tanto più dopo la sentenza profferita dall'autorevole Congregazione del Concilio. Roma, 8 maggio 1882.
Il Cardinale giudicò troppo concisa questa relazione, di cui avrebbe desiderato uno svolgimento in forma più ampia (I); Don Bosco allora ne fece fare una seconda a Don Bonetti (2). Il medesimo Cardinale consigliò inoltre di ottenere una ritrattazione dal padre Leoncini e dal padre Pellicani circa la famosa lettera, della quale il Papa non sapeva darsi pace (3). Il primo non volle saperne; l'averlo però il Tribunale di Torino per la causa di Beatificazione qualificato come uomo nimis simplex, che vuol dire semplicione, ne scalza abbastanza l'autorità, come di persona facile a intendere una cosa per un'altra e a lasciarsi raggirare. L'altro, spiacente che corresse ancora quell'accusa a carico di Don Bosco, intervenne per amore della verità e per debito di coscienza con la seguente smentita.
DICHIARAZIONE.
Avendo udito che su la deposizione, che io in virtù di sant'obbedienza feci intorno ad una proposta fattami di scrivere intorno al governo dell'Archidiocesi Torinese, si fonda un'accusa contro del Rev.mo Sig. Don Giovanni Bosco, Superiore dei Salesiani, di avermi cioè eccitato a scrivere libelli a danno di S. E. R. Monsignor Arcivescovo di Torino, dichiaro davanti a Dio che il predetto Sig. Don Bosco non mi ha mai proposto altro fuorché di scrivere Una memoria da presentare al S. P. Pio IX, né di altro fuorché di questa abbiamo parlato mai; ed aggiungo di più, che questa dichiarazione limpida e netta l'ho fatta e raccomandata ripetutamente all'avvocato fiscale Sig. Can.co Colomiatti, quando fui invitato a deporre.
(I) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 15 maggio 1882. (2) App., Doc. 34. (3) Lett. cit. dì Don Dalmazzo.
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Che se la medesima dichiarazione non é tanto esplicita, quanto io avrei voluto, nella deposizione da me fatta, sottoscritta e giurata, egli é perché la frase in essa usata da presentare a Roma, mi fu detto che equivaleva, come veramente può, e qui anche dee, equivalere all'altra da presentare al Santo Padre. In quanto poi alla lettera colla quale il P. Leoncini comunicò a Monsig. Arcivescovo il discorso privato da me tenuto con esso lui unicamente per difendermi dal sospetto, che il Padre stesso mostrava (forse per iscalzarmi) di avere contro di me, quasi autore di certi libelli usciti in luce contro Monsig. Arcivescovo, lettera da me riconosciuta e sottoscritta come vera solo sostanzialmente, dico che se in essa vi é, come si dice ed io non ricordo, la proposizione: Mi Propose di scrivere contro l'Arcivescovo, senza aggiunto alcuno, essa dee interpretarsi in conformità alla dichiarazione posta di sopra, e che il darle altro senso, il senso cioè favorevole all'accusa a danno del Rev.mo Sig. Don Bosco, sarebbe affatto contrario alla verità. Tutto questo affermo per puro amore della verità non avendo io nulla in cuore né contro Monsig. Arcivescovo, né contro il Sig. Don Bosco, fra i quali sarei molto lieto di vedere ristabilita a gloria di Dio perfetta pace. Torino, 30 maggio 1882. P. ANTONIO PELLICANI.
Fra scrivere al Papa e comporre libelli c'è un abisso. Ma dal secondo capoverso di questa dichiarazione emerge abbastanza che si dovette arzigogolare ben bene sulle sue parole per trarre la deposizione del teste a significare quello che egli non aveva punto inteso di esprimere. E così ci sembra che resti sempre meglio chiarito il perché si tenne ostinatamente occulta la testuale deposizione giurata del Pellicani, mentre si divulgò tanto la lettera del padre Leoncini, fatta stampare anche nel Summarium della posizione gastaldiana per la causa di Don Bonetti. Nel corso di queste vicende altri fatti erano maturati. Il 12 maggio 1882, allorché Don Bosco aveva lasciato Roma, vi compariva il Colomiatti, accreditato presso il cardinale Jacobini per confutare l'Esposizione e trattare della concordia. L'Arcivescovo aveva domandato per lettera al Papa il permesso d'inviare un delegato a dare spiegazioni e il Papa aveva consultato in proposito l'Eminentissimo Cardinal Nina.
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Leone XIII, che aveva già deciso di pigliare nelle sue mani la causa, non appena fu rassicurato che monsignor Gastaldi voleva venire ad un accomodamento, arrestò senz'altro la procedura e diede ordine di chiamare telegraficamente Don Bosco a Roma. Don Dalmazzo gli telegrafò nel pomeriggio del 18 maggio, ricevendo da Don Rua questa risposta: “ Sanità assai disturbata impedisce papà mettersi in viaggio.” Il Procuratore corse tosto dal cardinale Nina per vedere se fosse possibile dispensare Don Bosco dal venire o almeno permettergli di ritardare la venuta. Sua Eminenza disse che l'ordine era partito del Papa, e che essendoglisi osservato come Don Bosco se ne fosse andato da poco e si trovasse già a Torino, Sua Santità aveva risposto: - Pazienza. Ora che l'Arcivescovo di Torino ha queste buone disposizioni, voglio io stesso accomodare questa divergenza e però gli si telegrafi che venga. - Al Colomiatti da Torino fu ingiunto di fermarsi in Roma quanto bisognasse, anche quattro mesi, finché non avesse sciolto il nodo gordiano (I). Don Dalmazzo dunque replicò: “Cercato dispensare venuta. Rincresce Nina ritardo, dovendo egli il ventotto partire.” E Don Rua da capo: “Impossibile umanamente venuta padre. Aspettiamo voi Torino.” Per il Cardinale Don Bosco aveva mandato a Don Dalmazzo questa letterina.
Eminenza Rev.ma,
Mi rincresce assai non potermi tosto mettere in viaggio come desidero alla volta di Roma. Non posso star seduto ed ho un piede guasto per cui stento a camminare. Tuttavia se é d'uopo una mia gita presso di V. Em. mi metterò in via il 24 0 il 25 del corrente mese. Dovrò fare qualche breve fermata ma pel mezzogiorno del 26 spero di trovarmi a Roma. Mi voglia perdonare questo involontario ritardo e mi permetta l'onore di potermi professare della Em. V. Rev.ma Torino, 20 maggio 1882. Obbl.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
(I) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 21 maggio 1882.
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Ma al Procuratore nel biglietto di accompagnamento si spiegava in termini alquanto realistici sulla natura del suo disturbo. Era necessario parlar chiaro così, per escludere ogni sospetto di malattia diplomatica.
Car.mo D. Dalmazzo,
Leggi e porta questa lettera al Sig. Card. Nina. Il mio male non ha importanza. Ho un guasto nel deretano, e ciò m'impedisce di stare in ferrovia. Poi ho un piede gonfio con due rotture non politiche. Procura di sapere quale sia la cagione di questa premura di dovermi recare a Roma. Se non si può fare a meno io sono pronto a mettermi in via anche subito, avvenga che vuole. Se tu vieni potremo intenderci di tutto ed anche accompagnarmi. Saluta Ventrelli e Don Barale cogli altri nostri cari confratelli Don Braga, Don Savio, Don Cagnoli, etc. Se occorre scrivimi tosto. Dio ci benedica tutti. Amen. Torino, 20 Maggio 1882. Aff.mo amico Sac. GIOVANNI Bosco.
Egli pativa allora di emorroidi, come depose Don Albera nei Processi per la causa di Beatificazione. Con il Cardinale Protettore il Papa dopo aver sentito il Colomiatti si era lagnato dell'Esposizione, dicendola non solo inopportuna, ma contenente cose non conformi al vero, perché l'Arcivescovo allegava argomenti in contrario, escludendo tutto da capo a fondo; perciò Don Bosco, informatone, fece indirizzare da Don Bonetti a Sua Eminenza queste osservazioni, con preghiera di tenerle presenti nel ragionare con il Colomiatti.
I° Si separi la causa Bonetti da ogni altra. Questa non ha da fare né colla questione degli opuscoli, né colla Esposizione dei fatti, né con qualsiasi altra insorta o prima o dopo; e ciò in vista della decisione già data dalla Sacra ed autorevole Congregazione del Concilio. 2° Si noti che la Esposizione fu provocata dai reclami sporti dall'Arcivescovo di Torino e pur pubblicati per le stampe; reclami che richiedevano un'adeguata risposta; altrimenti sarebbero state ammesse come verità accuse gravissime contro la Congregazione Salesiana, della quale l'unica ricchezza é il buon nome e l'appoggio
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morale, che le occorre per lavorare alla maggior gloria di Dio e alla salute delle anime. 3° Le cose descritte in quella Esposizione sono fatti, tutti appoggiati ad autorevoli documenti. 4° Se il Sig. Avvocato Colomiatti ha ragioni, con cui dimostrare che i fatti ivi esposti non sono veri, in questo caso Don Bosco domanda che gli sieno fatte conoscere non a voce ma per iscritto, affinché o possa ricredersi, o dare la dovuta risposta. Intanto giova notare che dopo il progettato accomodamento avvennero fatti, che fanno temere essere illusoria la speranza di un esito felice. A questo riguardo il Sig. Don Bosco ha fatto telegrafare a Don Dalmazzo che venga a Torino per comunicargli di presenza cose di rilievo.
Servirono di presentazione della lettera queste righe del Beato:
Eminenza Rev.ma,
Quanto scrive Don Bonetti lo fa da parte mia. Le mandiamo queste lettere per mano di Mons. Marini che ci ha onorati in questa giornata. Attendo Don Dalmazzo che tosto rimanderò munito di tutte le facoltà necessarie. Mi raccomando alla carità delle sue preghiere e mi benedica. Ho l'alto onore d'inchinarmi e professarmi Della E. V. Rev.ma Torino, 22 - 5 - 82. Obbl.mo servitore Sac. G. Bosco.
Uno dei fatti accennati da Don Bonetti come sintomi poco promettenti toccava il collegio di Valsalice. In aprile s'era tenuto a Torino il Congresso Cattolico regionale sotto la presidenza del duca Salviati e senza intervento dell'Arcivescovo indisposto. In onore dei personaggi che vi avevano preso parte, Don Francesia fece recitare un drammetto latino a mo' di trattenimento accademico, trasformando in sala l'ampia cappella interna. Non ci fu nulla che disdicesse alla qualità del luogo; infatti i Vescovi di Novara e d'Ivrea che vi assistettero non trovarono niente da ridire (I). A Roma
(I) Quel saggio fruttò al Direttore una bella lettera del duca Salviati (App., DOC. 35).
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stessa quante volte si facevano accademie perfino in chiese pubbliche, come nel dicembre del 1881 ai Santi Apostoli e nel maggio del 1882 a San Vitale! Ma per Valsalice l'Ordinario torinese sollevò un casus belli: Don Francesia chiamato in Curia, non ammessa spiegazione di sorta, denunzia a Roma. Scriveva Don Francesia (I): “Era nostra intenzione di cogliere quell'occasione per protestare la nostra fede cattolica, apostolica, papale, ed invece abbiamo incorso nei dispetti dei due estremi. Un giornale empio di Torino, che se avesse potuto trovar a ridire qualche cosa sopra a profanazione non l'avrebbe taciuto, ci mosse una guerra spietata perché papali, ed ora sento che il nostro Arcivescovo continua a tormentarci come profanatori del tempio. ” Quel “ continua a tormentarci ” deve alludere a un altro fatto di non vecchia data. A Valsalice era professore esterno di lingua tedesca il cavaliere Besson, protestante convertito e presidente di un popolarissimo circolo, denominato del Coraggio Cattolico. Un giorno fu invitato a pranzo da Monsignore. L'ospite dovette subire dal principio alla fine una conversazione ininterrotta su Don Bosco, sui Salesiani, sui loro collegi e soprattutto sulle loro miserie; ma il peggio venne dopo. Levate le mense, l'Arcivescovo chiamò in disparte il professore e gli disse: - Lei frequenta il collegio di Valsalice e deve sapere qualche cosa. Mi dica dunque: non é vero che tra i superiori di quel collegio si commettono immoralità? - A simile domanda quel signore, dolorosamente sorpreso e scandolezzato, negò reciso e poi a voce e per iscritto ne informò il Direttore, manifestando tutto il suo disgusto. Altri fatti punto benevoli si dovevano considerare le difficoltà opposte alla consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista, come diremo a suo luogo. Ma non é da tacere qui l'ultima Pastorale per la quaresima. Vi erano in essa due pagine, proprio le ultime, piene di chiare allusioni
(I) Lett. a Don Dalmazzo, Torino 24 maggio 1882.
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a Don Bosco e ai Salesiani, e la accompagnava l'obbligo espresso di leggerla tutta e di spiegarla al popolo; la qual lettura fu fatta ciò nonostante da alcuni con l'omissione dell'ultima parte (I). Insomma, quanto più c'inoltriamo in questa via crucis, di cui narreremo l'epilogo nel capo seguente, tanto meglio ci spieghiamo la forma tragica che il Beato diede all'espressione del suo dolore, allorché nel 1882 al Colomiatti e a chi era con lui disse e pregò di riferire a Monsignore le sue parole: - Ormai ci manca solo che egli mi pianti un coltello nel cuore. - Nessuno scoraggiamento però in lui, ma grande fiducia in Dio e nella giustizia della sua causa. Alcuni anni dopo Don Berto gli manifestava qualche pena, perché nel sostenere tanta guerra non si fosse combattuto sempre a viso aperto, essendosi dovuto ricorrete a coperte strategie per battere l'avversario con le sue stesse armi. Don Bosco, lasciatolo dire, alla fine gli rispose: - E’ il Signore che ha guidato ogni cosa. -
(I) App., Doc, 36.
CAPO VIII. La "Concordia" di Leone XIII.
NELL'ESTATE del 1884 Don Bosco, essendo male in. salute, andò a passare alcune settimane a Pinerolo presso quel Vescovo monsignor Chiesa, in compagnia di Don Lemoyne. Un giorno disse improvvisamente al suo futuro biografo: - Sarebbe bene che distruggessimo tutto il carteggio scambiato col povero monsignor Gastaldi e tutti i documenti relativi. - Don Lemoyne, nascondendo il suo sbigottimento, gli domandò: - Ma allora che cosa avremo da dire della storia dell'Oratorio dal 1872 al 1883? - Rispose: - Direte che Don Bosco in questi anni ha continuato i suoi affari. - E proseguì con tanta convinzione che Don Lemoyne, temendo un suo ordine preciso, approfittò dell'arrivo di un altro e lo lasciò in sua compagnia. Tornati in seguito a Torino, non se ne parlò più. Ma, a non dir altro, per poter fare prudentemente tale distruzione, sarebbe stato d'uopo che anche dalla parte opposta si desse alle fiamme tutta la corrispondenza avuta coi Salesiani; senza di questo, la verità storica ne avrebbe sofferto troppo. Se oggi, per esempio, altri avessero le lettere del Colomiatti a monsignor Gastaldi da Roma su gli affari di cui ci occupiamo, e non si conoscessero per mezzo di copie autentiche quelle che contemporaneamente scriveva o faceva scrivere Don Bosco, sarebbe un'impresa ben difficile scagionarlo delle imputazioni
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che si leggono nelle carte dell'Avvocato fiscale. Così invece si è potuto dare unicuique suum, come ora ci accingiamo a continuare. Don Dalmazzo, obbedendo alla chiamata di Don Rua, partì immediatamente per Torino, donde poté inviare al cardinale Nina notizie poco buone sulla salute di Don Bosco, il quale stava in piedi e si moveva per casa, ma non era in condizione d'intraprendere viaggi. Gli comunicò pure informazioni documentate sul fatto dell'accademia in chiesa a Valsalice, come il Cardinale gli aveva ordinato, per ismontare anche quel nuovo capo d'accusa (I). Sua Eminenza gli rispose:
Rev. Signore,
Ho ricevuto la sua lettera con gli inserti e la ringrazio. Ma già da Mons. Marini avevo conosciuto il vero stato delle cose. Quel che avviene é provvidenziale. Vedendo Don Bonetti gli dica che ho ricevuto la di lui lettera. Me lo ringrazii e lo riverisca. Le notizie però che mi dà Ella del buon Don Bosco mi rattristano da un lato e mi confortano dall'altro; cioè non vorrei che fosse sofferente, ma da un altro canto egli deve in questa vita rappresentare Giobbe. Intanto lo conforti a mio nome; e se lo stato della di lui salute non gli consente di venire, è necessario per seguire gli intendimenti del S. Padre, che incarichi Lei con tutti i poteri mediante una lettera nella quale dica in ordine alla concordia da farsi coll'Arcivescovo, che egli aveva già manifestato i suoi intendimenti al Cardinal Protettore, il quale deve avere già fatto conoscere al S. Padre che in ogni modo egli accetterà di buon grado tutte quelle disposizioni che Sua Santità nella sua illuminata rettitudine crederà stabilire, gloriandosi di essere egli ed il suo istituto figli obbedienti della S. Sede. Ella vegga di tornare con sollecitudine ed intanto mi creda con particolare stima. Roma, 27 maggio 1882. Aff.mo per servirlo L. Card. NINA Protettore.
Don Bosco eseguì senza dilazione quanto il Cardinale Protettore suggeriva, scrivendo queste due lettere a Sua Santità e all'Eminentissimo.
(I) Lett. del 25 maggio 1882.
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Beatissimo Padre, La mia sanità, o Beatissimo Padre, m'impedisce di recarmi a Roma per mettermi rispettosamente ai piedi suoi per qualunque cosa la S. V. giudichi tornare alla maggior gloria di Dio. Ho però incaricato il nostro confratello Don Dalmazzo con facoltà di fare le mie veci in tutto quello che sarà beneviso alla Santità Vostra. Supplico umilmente V. S. a voler compartire una benedizione alla mia vista gravemente minacciata affinché possa impiegare i giorni di vita, che Dio vorrà ancora concedermi, a regolare le cose relative alla umile Congregazione che la S. V. si é degnato di affidarmi. Umilmente prostrato reputo al più grande onore di potermi professare. Della S. V. Torino, 30 maggio 1882. Aff.mo Umil.mo figliuolo Sac. GIOVANNI BOSCO
Eminenza Rev.ma,
Nella impossibilità di recarmi a Roma e mettermi a totale disposizione dei benevoli voleri del Santo Padre Leone XIII conferisco i pieni poteri al nostro Confratello Prof. Sacerdote Francesco Dalmazzo Procuratore Generale della Pia Società di S. Francesco di Sales, Curato della chiesa del Sacro Cuore di Gesù con facoltà di trattare, conchiudere ed approvare qualunque cosa torni di gradimento alla stessa Santità sua sulla spiacevole vertenza con sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Gastaldi Arcivescovo di Torino. Il medesimo nostro procuratore é incaricato di dare spiegazione ad alcuni fatti insussistenti ma che si vorrebbero imputare alla povera Congregazione Salesiana. Sac. GIO. BOSCO Rettore Maggiore della Pia Società Salesiana.
Il Santo Padre si dichiarò soddisfatto che Don Dalmazzo, venendo con pieni poteri, fosse in grado di rappresentare il suo Superiore presso il Segretario di Stato per la conclusione dell'affare (I). Le cose erano dunque in mano all'Eminentissimo Jacobini, che agiva come delegato dal cardinale Nina, ma riferiva direttamente al Papa. Al Cardinale Segretario di Stato e
(I) Lett. del card. Nina a Don Dalmazzo, Roma 30 maggio 1882,
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per suo ordine il Colomiatti presentò uno schema di equo accomodamento in sette articoli, che investivano tutte le questioni dibattute fra l'Arcivescovo di Torino e Don Bosco. Questi articoli furono comunicati al Beato, che li diede a studiare e ne contrappose altri sette, con le ragioni che consigliavano i mutamenti Noi riprodurremo gli uni e gli altri, usando il tondo per i primi e il corsivo per i secondi. Le relative motivazioni si possono leggere altrove (I).
I° Don Bosco scriverà una lettera a Mons. Arcivescovo, nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere, che in questi ultimi anni alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano tra esso e la Curia, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore; e se Monsignore ha potuto ritenere che egli o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, Don Bosco implorerà venia da Monsignore e lo pregherà di dimenticare il passato. I° Don Bosco scriverà una lettera a Mons. Arcivescovo nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano tra di loro ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore.
2° Monsignore Arcivescovo risponderà a Don Bosco dichiarando che i sentimenti da questo espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi dimentica il passato e lo riamette nella sua grazia. 2° Mons. Arcivescovo nel termine di tre giorni risponderà che i sentimenti da Don Bosco espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi promette di dare a lui ed ai Salesiani nuove prove della primiera sua benevolenza.
3° Decorsi tre giorni da tale scambio Monsignore trasmetterà la riabilitazione alle confessioni a Don Bosco per Don Bonetti senza limitazione di luogo. Don Bosco impegnerà la sua parola di non mandare per un anno Don Bonetti a Chieri. Decorso tale termine non dovrà per parte della Curia inibirglisi il ritorno in detto luogo per qualche particolare circostanza a predicare o ad ascoltare le confessioni. 3° Decorsi tre giorni da tale scambio Mons. Arcivescovo in base del Rescritto della Sacra Congregazione del Concilio in data del 28 gennaio dell'anno corrente 1882 trasmetterà la riabilitazione a Don Bosco per Don Bonetti senza limitazione di luogo; Don Bosco impegnerà la sua parola di non rimandare per un anno Don Bonetti a Chieri in
(I) App., Doc. 37.
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qualità di Direttore. Decorso tale termine Don Bosco e chi per esso sarà libero di servirsi nella sua prudenza dell'opera di Don Bonetti secondo che richiederà il bisogno della Congregazione Salesiana, e il prelodato sacerdote in vista soprattutto del citato Rescritto e della indebita punizione da lui sofferta già per 4 anni, rientrerà almeno nella condizione di ogni altro confessore dell'Archidiocesi, che dopo regolare esame sia stato giudicato idoneo ed approvato; e quindi la Curia non potrà inibirgli di confessare o limitargliene la facoltà pei fedeli, se non a norma dei Sacri Canoni.
4° Quantunque l'Esposizione a stampa dei fatti riguardanti l'Arcivescovo, non abbia avuto lo scopo di pubblicità: ma solamente sia stata diretta ai Cardinali della Congregazione, tuttavia Don Bosco s'impegna di ritirare dai medesimi quelle copie e sopprimerle. 4° Quantunque la Esposizione dei fatti riguardanti l'Arcivescovo non abbia avuto lo scopo di pubblicità e sia stata una semplice difesa presso gli Eminentissimi giudici diretta a ribattere accuse pubblicate a stampa da Mons. Arcivescovo contro i Salesiani e sia poggiata a fatti e a documenti, tuttavia, Don Bosco s'impegna di ritirare le copie per tale effetto distribuite, quando gli sia dimostrato a voce o per iscritto che le cose ivi contenute non sono conformi alla verità.
5° Ad eliminare ogni occasione di attriti Mons. Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877 in cui si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Monsignore Arcivescovo. 5° A riparare l'onore dei Salesiani, a scancellare la macchia loro inflitta nello sfregio recato al loro fondatore e superiore generale e ad eliminare ogni occasione di attriti per l'avvenire, Monsignore Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877 in cui contrariamente ai Sacri Canoni si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Monsignor Arcivescovo. Dichiarerà ancora di ritirare qualunque stampa o manoscritto in cui si contengano accuse ed imputazioni contro i Salesiani senza le dovute prove. 6° Per ciò che concerne la questione degli opuscoli incriminati dalla Curia, Don Bosco dichiara di aver sempre biasimato e di biasimare il modo e la forma non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica, ed é pronto quante volte si richieda ad emetterne atto formale. Come altresì é prontissimo a condannare la materia in essi contenuta qualora gli siano specificati i punti o proposizioni che in faccia alla Chiesa sono da biasimarsi. 6° (Si accetta tutto questo articolo).
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7° Tale dichiarazione dovrebbe avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile. 7° Tale dichiarazione, da farsi per altro dopo che Monsignore avrà concessa la riabilitazione a Don Bonetti, dovrà avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile.
Queste controproposte erano state scritte da Don Bonetti. Proposte e controproposte messe a confronto vennero fuse in una carta di composizione che fu detta la Concordia. Il 15 giugno a Don Dalmazzo e al canonico Colomiatti giunse una chiamata del cardinale Nina, che fece leggere loro il documento da doversi firmare al più presto, con facoltà però di esporre ognuno le proprie considerazioni. Don Dalmazzo rilevò che, se da una parte si aveva motivo di andar lieti per quanto erasi fatto a favore di Don Bosco, dall'altra lo addolorava la conclusione riguardante Don Bonetti. In tal senso ne scrisse la sera stessa a Sua Eminenza; se non che, essendo quello il volere del Papa, le sue rimostranze a nulla valsero. Chiese allora di firmare con una riserva formulata a dovere. Il Cardinale rifiutò e gl'impose di firmare. Don Dalmazzo firmò. Fatto questo, Sua Eminenza gli spiegò chiaramente le ragioni che avevano indotto a prendere un tal partito. Il Papa con quel mite provvedimento sperava di tirare a sé l'Arcivescovo e di fargli cambiare sistema su tutta la linea, specialmente in materia di dottrina; pareva anzi che il Colomiatti glielo avesse promesso. In secondo luogo il Papa aveva tenuto conto della mordacità di certe cose scritte da Don Bonetti intorno all'Arcivescovo nel Bollettino Salesiano, il che mostrava il suo spirito battagliero, e di questo spirito il Papa disse che era una prova la lettera a lui diretta (I). Ora ecco il testo della Concordia.
(I) Nella lettera di Don Dalmazzo (18 giugno 1882), che riferiva queste cose, Don Bonetti appose qui più tardi la seguente nota: “E’ vero, ma era più giovane, un po' stanco, scandalizzato che non si ponesse rimedio e poi l'amor mio a Don Bosco. Tuttavia se avessi ancora da trovarmi in simili lotte, mi pare che userei più prudenza, quantunque lo stile é l'uomo”.
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La Santità di Nostro Signore considerando che le varie vertenze da qualche tempo insorte tra Mons. Arcivescovo di Torino e la Congregazione dei Salesiani sono sorgente di dissapori ed attriti, con detrimento dell'autorità e ammirazione nei fedeli, ha fatto conoscere alle parti dissidenti essere suo volere, che si cessi da ogni dissidio, e si ristabilisca fra essi una pace vera e duratura, mediante i seguenti accordi:
I. Don Bosco scriverà una. lettera a Mons. Arcivescovo, nella quale dovrà esprimere il suo dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che passavano fra esso e la Curia, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo di Monsignore. E se Monsignore ha potuto ritenere che o egli o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, Don Bosco implorerà venia da Monsignore, e lo pregherà di dimenticare il passato.
II Mons. Arcivescovo risponderà a Don Bosco, dichiarando che i sentimenti da questo espressi gli sono stati di non lieve conforto, e non dubitando della sincerità dei medesimi dimentica il passato e lo riammette nella sua grazia.
III. Decorsi tre giorni da tale scambio, Mons. trasmetterà la riabilitazione alle confessioni a Don Bosco per Don Bonetti, senza limitazione di luogo; Don Bosco impegnerà la sua parola di non rimandare per un anno Don Bonetti a Chieri. Decorso tale termine non dovrà per parte della Curia inibirglisi il ritorno in detto luogo per qualche particolare circostanza a predicare o ad ascoltare le confessioni.
IV. Quantunque la esposizione a stampa dei fatti riguardanti l'Arcivescovo non abbia avuto lo scopo di pubblicità, ma solamente sia stata diretta ai Cardinali della S. Congregazione, tuttavia Don Bosco s'impegna di ritirare dai medesimi quelle copie e di sopprimerle.
V. Ad eliminare ogni occasione di attriti, Mons. Arcivescovo ritirerà e distruggerà le due lettere, una in data del 25 novembre, l'altra del 10 dicembre 1877, in cui si minaccia a Don Bosco la pena preventiva della sospensione ipso facto incurrenda se scrive, se stampa o propaga scritti o detti che possano tornare a danno di Mons. Arcivescovo.
VI. Per ciò che concerne la questione degli opuscoli incriminati dalla Curia, Don Bosco dichiara di aver sempre biasimato, e di biasimare il modo e la forma non conveniente con cui si parla dell'autorità ecclesiastica, ed è pronto, quante volte si richieda, ad emetterne atto formale. Come altresì è prontissimo a condannare la materia in essi contenuta, qualora gli siano specificati i punti o proposizioni, che in faccia alla Chiesa sono da biasimarsi.
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VII. Tale dichiarazione dovrebbe avere per conseguenza la soppressione del processo incoato dalla Curia Arcivescovile. Roma, questo dì, 16 giugno 1882.
In virtù dei poteri accordatimi dal mio amatissimo Superiore, S. Ecc. Rev.ma Mons. Lorenzo Gastaldi, accetto ed approvo quanto sopra viene stabilito. Can.co EMANUELE COLOMIATTI
In virtù dei poteri accordatimi dal mio Superiore Generale Rev.mo Don Giovanni Bosco, accetto ed approvo quanto sopra viene stabilito.
Sac. FRANCESCO DALMAZZO Procuratore Generale.
Il cardinale Nina spedì a Don Bosco l'atto autentico il 23 giugno, accompagnandolo con queste parole di commento: “Come vedrà dal tenore della detta Concordia, il primo e principale incombente si è quello che Ella dovrà scrivere una lettera a Mons. Arcivescovo del tenore, di cui troverà la traccia nel primo articolo. Non ho bisogno di aggiungerle, che più Ella si atterrà ad espressioni castigate ed inspirate ad umiltà e più sarà sperabile guadagnare l'animo di quel Prelato. Né sarebbe fuor di proposito procurare di rivederlo ed avvicinarlo. Insomma dal canto suo dovrebbe usare ogni industria per persuadere che Ella veramente s'inspira alle intenzioni del Santo Padre, per una pace vera e duratura. Che se malauguratamente non avesse a trovare corrispondenza, non si sgomenti, perché Iddio provvederà [...]. Se la misura riguardante Don Bonetti può sembrare piuttosto severa, Ella potrà persuaderlo che il di lui onore in sostanza é riparato coll'abilitazione illimitata, e la di lui virtù non verrà meno se deve rassegnarsi al tempo di un anno per accedere a Chieri. Debbo infine raccomandare per quanto so e posso alla di Lei sperimentata prudenza, due cose. La prima é né nel Bollettino Salesiano, né in altra guisa permetta a chicchessia dei suoi di pubblicare cose, che abbiano la men che indiretta allusione all'Arcivescovo e sua Curia. L'altra che presentandosi qualche nuovo motivo o pretesa che
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potrebbe dare occasione ad attrito, non Le sia discaro di tenermene in prevenzione informato per quei consigli, che potrei suggerirle a bene dell'Istituto. La molta fiducia che ho della di Lei virtù e senno, mi sono arra del buon risultato delle pratiche da esaurire, e di cui La prego pure tenermi informato. ” Per ben comprendere la risposta che Don Bosco inviò al Cardinale, bisogna sapere che Don Dalmazzo nella lettera del 18 gli aveva scritto: “ Dal Papa [il Colomiatti] ebbe udienza ripetutamente ed una volta ci stette un'ora e mezzo, ed io non fui chiamato, non fui sentito. ” Di qui il dubbio che gli articoli, anziché dettati da Sua Santità, fossero stati presentati dalla parte contraria; tanto più che il cardinale Nina veniva a trovarsi in contraddizione con una sentenza emanata da lui stesso nella Sacra Congregazione del Concilio. Don Bosco dunque rispose così:
Eminenza Rev.ma,
Ho ricevuto la lettera di V. E. Rev.ma che mi comunica il progetto del Sig. Avv. Colomiatti presentato al S. Padre. Vi sono cose di assai difficile esecuzione. Dimando alcuni giorni per fare alcuni schiarimenti che tosto farò tenere alla E. V. Mi compatisca della maniera forse sconveniente con cui scrivo; voleva scrivere io stesso che, son male in arnese (I). Mi voglia sempre credere colla massima venerazione Della E. V. Torino, 27 Giugno 1882. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
La supposizione di Don Bosco non si può pensare che fosse un pretesto per guadagnar tempo e far disfare il fatto, come forse dubitò il cardinal Nina. Egli era sinceramente persuaso che la chiamata di Don Dalmazzo da parte di Sua Eminenza per dire le proprie ragioni in confronto con il
(I) Si scusa della cattiva scrittura, dovuta alle sue condizioni di salute; ma non ha voluto servirsi di altri per la delicatezza dell'argomento.
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Colomiatti fosse una pura commedia, ma che dietro le quinte si fosse già concertato col Canonico tutto il da farsi. Lo dice senz'ambagi in una sua del 28 al Procuratore: “ Le cose sono molto pasticciate. Ho ricevuto la famosa comunicazione. Preparo qualche osservazione. Ma vi é la tua firma. Se hai qualche cosa da osservare dimmelo subito. Il Card. Nina ti attendeva per farti fare il pulcinella. Ci caveremo anche da questa come potremo. ” Ma, checché fosse degl'intrighi dell'avversario, la Concordia era veramente espressione della volontà papale, come assicurò Don Dalmazzo il 30 giugno: “[Il Cardinale Nina] incaricato di stendere in carta i pensieri di Lui, anzi le condizioni di accomodamento, si permise di togliere il punto che consiglia a Don Bosco ritenere il Bonetti per un anno a Torino, e ne ebbe rimprovero dal Papa come non l'avesse ben compreso. Si fece leggere tutto il foglio ed ordinò e fece fare sotto i suoi occhi parecchie modificazioni. Dunque é il Papa, é Lui solamente che ordinò ogni cosa, ed essendo assicurato che non solo era desiderio, ma volere di Lui esplicito, che pro bono pacis Don Bosco si rimettesse, e per altra parte memore delle proteste antecedenti di Don Bosco, di voler essere ossequentissimo a quanto il Papa avrebbe stabilito, io non poteva e non doveva far altro che firmare.” Il Servo di Dio comprese; ma ragion voleva che aspettasse la risposta del Cardinale, e la risposta fu alquanto severa, poiché a lui evidentemente sfuggivano i motivi che Don Bosco aveva avuto di dubitare sull'origine vera degli articoli.
Rev.mo D. Bosco,
La sua lettera del 27 spirante giugno giuntami solamente questa mattina, mi é riuscita di non poca sorpresa, e dirò pure di amarezza. In essa Ella mi parla come di un progetto dell'Avv. Colomiatti presentato al S. Padre, aggiungendo che in esso vi sono cose di assai difficile esecuzione. Invece io con la mia Le partecipai la Concordia già firmata dalle parti munite di autorizzazione dai rispettivi Superiori, i di cui
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articoli non dal Colomiatti, ma dalla stessa Santità Sua sono stati ispirati ed approvati. Questa sola circostanza dovrebbe far sparire ogni difficoltà di esecuzione, se pure Ella non voglia dimenticare e smentire quello che più volte e a voce ed in iscritto ha dichiarato, cioè che nella sua linea di condotta non vorrebbe mai allontanarsi dalla volontà del Santo Padre in cui scorgeva la volontà di Dio. Richiamare quindi in discussione gli articoli approvati, sarebbe lo stesso che sindacare la volontà del Papa, se sia o no fondata su principii di equità e sopra viste di utilità per ambe le parti. Su qual proposito debbo anzi aggiungerle che il Santo Padre in questi giorni stessi mi ha, con officio del Segretario di Stato, fatto premura di essere cerziorato della esecuzione di quanto si é convenuto, che Egli intende sia un fatto compiuto. Cosa dovrei rispondergli? Io non ho il coraggio di dirgli che nulla si é fatto, che anzi si elevano ora da sua parte difficoltà gravi nell'esecuzione, perché amo che Ella stessa ne giudichi la sinistra impressione che ne risentirebbe, vedendo in fatto smentita quella docilità e sottomissione che a parole si professa, da volersi richiamare fors'anche sulle benevoli disposizioni che nutre verso l'Istituto. Non vorrei pensare che le difficoltà insorgano per parte di Don Bonetti; ma se la cosa fosse così, mi spiacerebbe scorgere in Lei soverchia debolezza o deferenza verso un subalterno; ed altronde considerata nel suo giusto valore la condizione che lo riguarda, non parrebbe che nell'insieme dei fatti e delle circostanze importasse essa un impossibile sacrifizio. Torno adunque a pregarla e scongiurarla per quanto so e posso, a non perdere tempo con nuove osservazioni, che allo stato delle cose sarebbero inutili, se non nocevoli, ed invece a dare pronta esecuzione alla detta Concordia, ond'essere in grado di annunziare quanto prima al Santo Padre, che essa é veramente un fatto compiuto, recando così al di lui animo, in mille guise amareggiato, un qualche conforto. Con la solita distinta stima mi creda Di V. S. Rev.ma Roma, 5 luglio 1882. Aff.mo per servirla L. Card. NINA Prot.
Allora Don Bosco lesse in Capitolo gli articoli della Concordia. Fu una costernazione generale. Don Bonetti era esasperato per la parte toccatagli; tutti erano afflitti per l'umiliazione imposta al loro buon Padre. Dopo il primo sgomento, si accese fra i Capitolari una discussione sull'opportunità
18- CERIA. Memorie biografiche. - Vol. XV.
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di chiedere una dilazione per guadagnar tempo e intanto prendere consiglio dalle circostanze. Solamente Don Cagliero taceva. Don Bosco, dopo aver ascoltato in silenzio, disse a lui: - E tu non parli? - Don Cagliero, cosi interpellato, si rivolse ai suoi colleghi e con l'usata sua franchezza dichiarò che non condivideva affatto la loro opinione. Il Papa aveva parlato, e bisognava obbedire. Il Papa aveva deciso a quel modo, perché conosceva Don Bosco e sapeva di poter fare assegnamento sulla sua virtù, e non c'era da tergiversare. Essendo cosa nella quale era impegnato l'onore della Congregazione, Don Bosco aveva letto la Concordia in Capitolo unicamente per darne comunicazione ufficiale ai Capitolari, non già per metterla in discussione o per aspettare l'altrui consiglio sul da farsi. L'8 luglio chiese venia a monsignor Gastaldi con questa lettera:
Eccellenza Ill.ma e Rev.ma,
La Santità di Nostro Signore, considerando che le varie vertenze da qualche tempo insorte tra la Ecc.za Vostra Ill.ma e Rev.ma e l'umile Congregazione dei Salesiani, sono sorgente di dissapori e attriti, con detrimento dell'autorità ed ammirazione nei fedeli, si é degnata di farmi conoscere essere suo volere che si cessi da ogni dissidio e si ristabilisca tra di noi una pace vera e duratura. Laonde, per assecondare le paterne e savie intenzioni dell'Augusto Pontefice, che furono pur sempre le mie io esprimo alla Eccellenza V. Rev.ma il mio dispiacere che in questi ultimi tempi alcuni incidenti abbiano alterato i pacifici rapporti che già passavano tra di noi, ed abbiano potuto cagionare amarezze all'animo della E. V. Rev.ma. Anzi se mai la E. V. ha potuto ritenere che o io o qualche individuo dell'Istituto abbia influito a tale condizione di cose, io ne imploro venia da V. E. Rev.ma, e La prego di dimenticare il passato. Nella speranza che V. E. Rev.ma vorrà accogliere benignamente questi miei sentimenti, godo di prendere questa propizia occasione per augurarle dal Sommo Iddio le più elette benedizioni, mentre ho l'alto onore di professarmi con grande stima e con profonda venerazione Di V. E. Ill.ma e Rev.ma Torino, 8 luglio 1882. Osseq.mo Servitore Sac. GIOVANNI Bosco.
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I1 giorno medesimo scrisse al Cardinale Protettore, confessando con la massima calma il proprio errore ed informandolo d'aver eseguito il primo e più importante articolo della Concordia, senza dare il minimo segno di amarezza per la paternale poc'anzi ricevutane.
Eminenza Reverendissima,
Da principio ho creduto che i sette articoli della Concordia sottoscritti dal nostro Don Dalmazzo non fossero da riguardarsi se non quale un progetto di accomodamento presentato dal Sig. Can. Colomiatti, e che quindi fosse permesso alla parte contraria il dare o chiedere schiarimenti in proposito. Ma dal venerato foglio dell'Em.za V. Rev. avendo conosciuto che sono l'esplicito volere del Santo Padre, mi sono affrettato di adempire il 1° articolo, che, come Ella ebbe già ad esprimersi, é il primo e principale mio incombente. Per norma della E. V. Rev.ma Le unisco copia della lettera scritta al Rev. Mons. Arcivescovo. Voglia l'Em. V. continuarmi la sua benevolenza, e pregare per me e per la povera nostra Congregazione esposta oggidì a grandi traversie. Nella speranza di poterle tra poco comunicare l'esito della mia lettera diretta a Mons. Arcivescovo, prego il buon Dio che la feliciti, mentre godo dell'onore di potermi professare con alta considerazione Di V. Em.za Rev.ma Torino, li 8 luglio 1882. Osseq.mo Servitore Sac. GIOVANNI Bosco.
L'Arcivescovo, a termine dell'articolo terzo, rispose a Don Bosco in forma inappuntabile.
Molto Rev.do Signore,
Ho ricevuto la lettera di V. S. colla data 8 luglio 1882, e sono assai lieto di potere dichiarare che i sentimenti in essa lettera espressi mi sono stati di non lieve conforto. Quindi di cuore concedo l'implorato perdono a Lei ed a qualche individuo della Congregazione Salesiana, che io ho potuto ritenere avere influito alla condizione di cose della quale Ella mi esprime il suo dispiacere; ben volentieri dimentico il passato; e la riammetto nella mia grazia. Anzi liberamente rinunzio a domandare atto di formale dichiarazione e condanna intorno agli Opuscoli incriminati dalla mia Curia. Perché poi le due lettere mie, l'una in data 25 novembre 1877, e l'altra datata dal 10dicembre dello stesso anno, per la presente
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lettera sua, cessano di avere lo scopo col quale furono scritte, io intendo che le medesime mi siano rimandate e cessino di esistere. Medesimamente con questa mia riabilito Don Giovanni Bonetti, Sacerdote Salesiano, ad udire le confessioni senza limitazione di luogo, poiché ritengo impegnata la parola di V. S. secondo le intenzioni del S. Padre, state a Lei manifestate e da Lei riconosciute paterne e savie; e sopprimo il processo incoato dalla mia Curia. Ringrazio il Sommo Iddio e l'Augusto Pontefice, che nelle insorte questioni fece veramente da buon Padre, quale é, e nella fiducia che la Congregazione Salesiana sarà ognora di consolazione all'Arcivescovo di Torino, dò a Lei ed ai Salesiani la mia pastorale benedizione, auspice di quella amplissima che sopra di Lei e su tutta la Congregazione imploro dal misericordioso Iddio. Sono in Gesù Cristo Della S. V. Molto Rev.da Da S. Ignazio presso Lanzo, II luglio 1882. Aff.mo LORENZO Arcivescovo.
Restava da eseguire l'articolo quinto. A tal fine Don Bosco gli rimise le due lettere minacciantigli la sospensione.
Eccellenza Reverendissima,
Fo seguito alla lettera che V. E. mi ha scritto in data 1° del corrente luglio, e Le ritorno le due lettere, 25 novembre, 1° dicembre 1877, con cui erami minacciata la sospensione ipso facto verificandosi i motivi colà descritti. Io benedico di cuore il Signore che siano cessati i motivi di dispiaceri tra la E. V. e la povera Congr. Salesiana, ed ho piena fiducia che in avvenire soltanto la gloria di Dio sarà oggetto delle nostre sollecitudini nei difficili tempi che corrono per la santa nostra religione. Con pienezza di stima e colla più grande venerazione, ho l'onore di professarmi. Della E. V. Rev.ma Torino, 18 luglio 1882. Obbl.mo servitore Sac. GIOVANNI Bosco.
Con la stessa data informò brevemente del suo operato e dei suoi sentimenti il Cardinale Protettore.
Eminenza Reverendissima,
Le mando copia della risposta fatta da Monsignor Arcivescovo, ed oggi stesso ho mandato a lui medesimo le due lettere che diedero origine a tanti dispiaceri.
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Giacché io sottometto la povera Società Salesiana a questa umiliazione, almeno le cose durassero Ma ci temo assai. Si va decantando che Don Bosco fu condannato, Don Bonetti non andrà più a Chieri etc. Ad ogni modo io ho agito con serietà; e serbando silenzio vado avanti. Mi permetta l'onore di potermi con inalterabile gratitudine professare della E. V. Rev.ma Torino, 18 luglio 1882. Obbl.mo servitore Sac. G. Bosco.
A cose fatte, venne la parola alta del Cardinale Protettore a commentare e a commendare la finale del dramma. Scrisse a Don Bosco il 26 luglio: “Ho ricevuto la sua ultima graditissima, con l'inserto che era già pervenuto a mia notizia per la trasmissione del Can. Colomiatti Come era ben naturale, ho di tutto reso conto al Santo Padre, il quale é rimasto molto soddisfatto e consolato che finalmente sia stata sopita ogni differenza e fatta la pace, che egli intende sia sincera e duratura. Ora é superfluo parlare e discutere di chi sia la vittoria o la sconfitta. A mio modo di vedere la vittoria é sempre della Congregazione, perché mentre il merito della questione è invulnerato, le modalità accidentali non gli cambiano natura. E non conviene dimenticare che gli atti di umiltà, se in faccia al mondo appaiono debolezze, in faccia a Dio ed ai ben pensanti sono sempre atti virtuosi, che onorano chi li emette ed hanno seco la ripromessa, che qui se humiliat exaltabitur. Per cui Ella stia tranquilla sul suo operato e tranquillizzi pure i suoi dipendenti, che l'aver seguito le viste del Santo Padre ridonderà a vantaggio dell'Istituto ed a gloria di Dio.” Sotto l'iride di pace che allargava le sue braccia dalle rive della Dora alle valli di Sant'Ignazio non doveva mancare il gracidare stonato di ranocchi giornalistici. Col titolo “Una questione nera” la Gazzetta Piemontese pubblicò nel numero del 26 luglio un articolo, in cui, richiamati i vecchi “malumori” fra monsignor Gastaldi e Don Bosco, raccontava con poca
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esattezza le ultime vicende. L'intonazione sonava favorevole al primo. Infatti vi si attribuiva ai “patroni del Vaticano” l'avere le Congregazioni dato precedentemente ragione a Don Bosco e torto a Monsignore, soggiungendosi poi che il Papa “cassò le decisioni”delle Congregazioni e “diede torto” a Don Bosco e che il Santo Padre “obbligò” Don Bosco a “fare atto di sottomissione”, e a distruggere le copie “invendute” o reperibili degli opuscoli. L'articolista informato a quel modo non aveva certo attinto a Valdocco per manipolare la sua prosa. Già il 25 luglio Don Bosco medesimo scrivendo al cardinale Nina per la consacrazione della chiesa di San Giovanni, era uscito in questi lamenti: “Dalla stessa Curia si decantano le umiliazioni che hanno fatto fare a Don Bosco. Altre ne dovrà ancora esso fare. Queste dicerie dilatate male, male interpretate abbattono i poveri Salesiani. Già due nostri Direttori di case dimandano di ritirarsi da una Congregazione che loro pare divenuta il ludibrio delle autorità. Altri nostri preti e chierici fanno la medesima domanda. Tuttavia io voglio serbare rigoroso silenzio, secondo che ho già scritto alla Eminenza vostra.” Per tutte queste ragioni il 29 luglio apriva l'animo suo anche a Don Dalmazzo nei seguenti termini: “Le cose coll'Ar. fanno ogni giorno nuove fasi. Oggi tutto pace, dimani tutta guerra, ed io accetto tutto e intanto andiamo avanti” (I). Il povero Don Bonetti non poteva inghiottire la sua pillola. Alla prima notizia aveva dato sfogo ai sentimenti dell'animo in una lunghissima lettera da inviare al Papa; ma, quando la si ricopiava in bella, si venne a conoscere con certezza essere espressa nella Concordia la volontà del Papa; onde chiuse nel cassetto il suo scritto, che però non ha perduto
(I) Don Dalmazzo il 21 giugno gli aveva scritto di monsignor Verga, segretario del Concilio, poi Cardinale: “Interpellato da Nina sulle conclusioni prese, si mostrò contrario dicendo che era aperta ingiustizia, ammirò la pazienza e l'abnegazione di Don Bosco che a tutto si accomoda pro bono pacis ”. Indi proseguiva per conto suo: “ Sono però tutti persuasi, eccetto il Papa, che non se ne farà nulla. Avremo però tentate tutte le vie. ”
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il suo valore, mostrando chiaramente per quali tribolazioni siano passati Don Bosco e i suoi. Si lagnò pure con Don Albera della tranquillità, con cui Don Bosco aveva accettata ed eseguita la decisione pontificia, anzi gli palesò l'idea di uscire ad tempus dalla Congregazione per essere libero di difendere lui e sé. Il teologo Margotti desiderava molto di accaparrarsene la penna a servizio del proprio giornale. Il confronto fra i due atteggiamenti ci serve a valutare meglio la virtù eroica di Don Bosco, del quale il medesimo Don Albera attestò: “Per parte mia a quell'epoca ebbi a trattare molte volte e di molte cose con Don Bosco e non mi accorsi mai che egli avesse preoccupazione o pena” (I). Don Bonetti, nei mesi della sua maggiore agitazione, per procurare allo spirito un confortevole diversivo, si era applicato a scrivere una Vita Popolare di Santa Teresa, che uscì nella seconda metà di agosto. Il lavoro, nonostante le difficoltà, che presentava, é assai ben condotto. Ne inviò due copie al cardinale Nina, pregandolo di volerne presentare una al Santo Padre. Nella sua lettera gli diceva (2); “Mi furono a suo tempo fatti conoscere i 7 articoli della Concordia tra Sua Ecc. Rev.ma Mons. Arcivescovo di Torino e la Congregazione dei Salesiani. Le confesso, Eminenza, che alcuni di quelli articoli mi hanno da prima profondamente addolorato, perché mi sembrò di vedervi punito il mio venerato Superiore Don Bosco e la povera mia persona. Ma appena venni a sapere che i detti articoli erano suggeriti dal Santo Padre, io trovai nel mio cuore tanta stima e tanta devozione per Lui, da non esitare un istante ad accogliere quella sua disposizione colla più assoluta docilità e sudditanza, come Egli ha diritto di aspettarsi dai suoi veri figli.” Il Cardinale accolse molto benevolmente la lettera e gli fece scrivere che, vedendo il Papa, gli avrebbe presentato il
(1) Summarium del Processiculum, pag. 125. (2) Torino. 27 agosto 1882.
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libro e letta la sua lettera (I). Ed ecco adempiuta tre settimane dopo la promessa. Il Papa volle leggere la lettera da capo a fondo e affidò a Sua Eminenza l'incarico di manifestargli il proprio gradimento e di fargli giungere parole di conforto; il che egli eseguì con tutta sollecitudine (2). In novembre Don Bonetti impugnò nuovamente la penna per segnalare al Cardinale le male voci che la parte contraria andava spargendo a disdoro di Don Bosco e dei Salesiani. Esposti i fatti, conchiudeva: “Noi siamo trattati per irriverenti, per ribelli, per la feccia del Clero; il peggio si é che tali ci fanno credere appoggiandosi a disposizioni del Santo Padre; qui si tratta ormai della vita o della morte della Congregazione Salesiana, la quale ha bisogno della stima dei suoi benefattori, perché le prestino la mano a sostenere le molteplici opere sue, a vantaggio della religione e della civile società; ha bisogno di godere la fiducia tra i fedeli per avere delle vocazioni religiose; la fiducia degli stessi suoi membri, affinché non venga meno la loro vocazione.” “Sono pettegolezzi inevitabili”, gli fece dire il Cardinale dall'avvocato Leonori (3); perciò non ne facesse caso e non perdesse la calma. Pettegolezzi però che riempivano di calunniose maldicenze le sacrestie e le canoniche (4) e donde si deve ripetere, in qualche superstite del vecchio clero diocesano, un certo strascico di freddezze o di scarse simpatie verso i Salesiani. Nel febbraio del 1883 Don Bonetti si vide ancora obbligato a protestare presso il cardinale Nina contro gl'imbarazzi che si frapponevano continuamente dalla Curia nell'esame delle stampe salesiane per dare il Visto (5) e contro certi divieti ai parroci di distribuire come segno della comunione pasquale un libretto intitolato Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re e composto dallo stesso Don Bonetti nell'intento pratico di
(I) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bonetti, Roma 5 settembre 1882, (2) Lett. del 16 settembre 1882 (3) Lett. dei 15 febbraio 1883. (4) Cfr. App., Doc., 38. (5) App., DOC.. 39.
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rintuzzare le bestemmie che un giornalaccio, denominato sacrilegamente Gesù Cristo, vomitava in mezzo al popolo (I). Ma quando Sua Eminenza gli rispose, monsignor Gastaldi non era più tra i vivi: la mattina di Pasqua l'avevano trovato freddo cadavere. Sugl'incidenti lamentati era dunque superfluo interloquire. “Adoriamo, gli scriveva invece Sua Eminenza il 29 marzo 1883, gl'imperscrutabili disegni di Dio e con cristiana carità preghiamo. Ma Le confesso che all'annunzio del disastro fui compreso da una gravissima tristezza, pensando che l'ultimo atto della sua autorità pastorale commesso a sfregio dei poveri miei Salesiani, osterebbe certo alla di lui canonizzazione. Rimane che si preghi moltissimo perché il Signore mandi un Pastore iuxta cor suum” La morte dell'Arcivescovo fece sorgere il dubbio, se le disposizioni contenute nella Concordia a carico di Don Bonetti durassero tuttavia in vigore. L'interessato ne interpellò la Sacra Congregazione del Concilio, la cui risposta fu: Nihil innovetur: nessuna novità, fino all'ingresso del successore. Ma egli bruciava dalla voglia di scuotere da sé l'odioso gravame. Il terzo articolo portava che, dopo l'allontanamento di un anno da Chieri, gli sarebbe lecito di ritornarvi, ma solo per qualche particolare circostanza. Compiuto dunque l'anno dalla sottoscrizione della Concordia, supplicò di essere prosciolto da ogni condizione di tempo. Il Papa, facendo buon viso alla domanda, revocò pienamente la disposizione (2). Questa decisione del Santo Padre fu comunicata ufficialmente a Don Bosco dalla Sacra Congregazione con un rescritto, nel quale si dichiarava che la prefata disposizione non aveva più nessun valore post Archiepiscopi funus. Sulla carta che racchiudeva il sospirato decreto Don Bonetti scrisse: “E così fu tutto finito. Finalmente!!!” (3) Ma non tutto é finito per la storia. Dinanzi a noi stanno
(I) App., Doc. 40. (2) Lett. del card. Nina a Don Bosco, 10 luglio 1883. (3) App., Doc. 41.
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ancora due punti oscuri, che domandano di essere chiariti. Il primo è sull'inizio del processo criminale. I decreti della Curia torinese che citavano Don Bonetti e Don Bosco a rispondere degli opuscoli, designavano il teologo Michele Sorasio come sostenitore ufficiale dell'accusa, precisando che egli aveva basato la sua denunzia su prove sufficienti. Un po' tardi, se si vuole, ma un bel giorno la verità venne a galla. Ciò fu nel 1917, quando il Sorasio in una lettera dell'8 novembre al Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti confessò umilmente e francamente com'erano andate le cose. Da che fosse mosso a tale confessione lo diceva nell'esordio: “Il Processo Apostolico del Ven. Don Bosco é oramai terminato, ed io, qual Vicario deputato dall'E.mo nostro Card. Arcivescovo, mi unirò coi Colleghi nel farne la relazione; ma avendo già oltrepassato ottant'anni, e nei timore d'essere colpito dalla morte, mi permetto di esporre all'Emin. Vostra R.ma un mio fatto personale, che potrà dare una qualche luce sulle opposizioni fatte contro il processo; ed intendo che questa esposizione venga unita al processo, avvenendo la mia morte.” E il fatto personale é questo. Nel 1881 il Sorasio era segretario della Curia. Un giorno il canonico Chiuso, segretario dell'Arcivescovo e Cancelliere, gli disse che nella sua qualità di promotore della mensa doveva fare istanza all'Avvocato fiscale canonico Colomiatti, perché intentasse causa contro Don Bosco, quale autore dei famosi opuscoli. Gli rispose energicamente che credeva impossibile che Don Bosco fosse caduto in tale bassezza; aver egli ben altro da fare, dovendo provvedere il pane a tanti giovani del suo Oratorio, dei collegi e delle missioni; sembrargli anzi incapace di trattare argomenti filosofici, come quelli che formavano la materia di uno degli opuscoli. Essendo stato condiscepolo del Chiuso nello studio della morale, ebbe anche il coraggio di dirgli: - Vedi, a quest’ora Don Bosco é tale un colosso, che vi schiaccerà tutti. -
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Il canonico Chiuso, colpito da questo linguaggio, gli rispose: - Ma dunque tu sai chi n'è l'autore! - Gli dichiarò che non lo sapeva, ma che nutriva sospetti sul padre Rostagno, gesuita, perché una volta l'aveva udito esclamare: - Ah! l'aggiusteremo noi il vostro Arcivescovo! - Il Chiuso, non potendo spillare di più, lo mandò dal Colomiatti, che gli ripeté il medesimo invito o comando e ne ricevette le medesime risposte, meno il giudizio sul colosso. Allora il Colomiatti con aria di sicurezza l'interrogò: - E se lo condannassimo? - L'altro si strinse nelle spalle e conchiuse che in tal caso si sarebbe inchinato alla sentenza, dovendo supporre che ci fossero tante prove e così chiare e sicure da potergli infliggere la condanna. A quel punto il Colomiatti, agitandogli davanti agli occhi un voluminoso incartamento, sentenziò: - Vede? Il processo [di Beatificazione] di Don Bosco non lo faremo, come l'abbiamo fatto per il Cottolengo. - Ciò udito, il Sorasio firmò la domanda già preparata di procedere contro Don Bosco. Parcat mihi Deus [Dio me la perdoni], esclama egli nella sua lettera, scusandosi con l'affermare che quello era il tempo “della potenza e dell'ultrapotenza, per non dir altro”. Male però gl'incolse per aver osato pigliare le difese di Don Bosco. Si vide tollerato in Curia. L'Arcivescovo senza mai accennare a quanto era passato, gli reiterava le proposte, e con certo calore, perché accettasse parrocchie vacanti, prima fuori dell'Archidiocesi e poi fuori di Torino, finché i Preti del Corpus Domini, sapendolo bersagliato in Curia, lo accolsero nella loro Congregazione. Un secondo punto da chiarire é la paternità degli opuscoli. Il voluminoso incartamento ostentato dal Colomiatti non conteneva proprio nulla che proiettasse almeno un'ombra su Don Bosco e i Salesiani? Chi diede il colpo di grazia alle così dette prove sufficienti, fu Don Giovanni Turchi, che nel 1881 dirigeva l'Istituto dei Ciechi in Torino. Chiamato a deporre nel Processo Apostolico, chiese ai giudici e ottenne di
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presentare al Tribunale un suo plico suggellato da servire esclusivamente alla Sacra Congregazione dei Riti. Era una lettera molto lunga, che, sotto il vincolo stesso del giuramento da lui prestato come teste, egli indirizzava al Cardinale Prefetto, protestando innanzi tutto di non essere mosso da rancori verso la memoria di monsignor Gastaldi, compatendolo anzi, perché uomo di prima impressione, perché cervello un po' anormale, perché mal circondato (I). Fatta quindi una particolareggiata esposizione sullo stato dell'Archidiocesi torinese durante l'episcopato di monsignor Gastaldi, e narrate in lungo e in largo le circostanze che precedettero e accompagnarono le famose pubblicazioni “scritte da un Cappellano”, confessava esplicitamente: “Quel Cappellano era e son io Giovanni Turchi.” Compaesano di Don Bosco, il Turchi era stato presso di lui nell'Oratorio per un decennio, dalla terza ginnasiale fino a qualche mese dopo l'ordinazione sacerdotale; apparteneva a quel gruppo di seminaristi che durante la chiusura del Seminario il Beato aveva accolti in casa per aiutarli a proseguire i loro studi. Egli amava moltissimo Don Bosco; perciò si sentiva ribollire il sangue al vederlo bistrattato e angariato da monsignor Gastaldi, dal Chiuso e dal Colomiatti. A Roma, dove stette nel 1877 e '78 come insegnante privato, mercé le sue ragguardevoli conoscenze, aveva potuto sapere quanto si susurrava delle cose di Torino fra alti dignitari ecclesiastici. Cosi a poco a poco si venne formando in lui l'idea di scrivere quello che scrisse. Da Torino Don Anfossi, dottore in lettere e filosofia, che al par di lui e con lui era stato nell'Oratorio e a Don Bosco si manteneva affezionatissimo, gli mandava
(I) Cfr. App., Doc. 42. Anche monsignor Re, vescovo di Alba, depose nel Processicolo (Summarium, pag. 137): “ A spiegare la durata di quegli attriti tra due persone animate entrambe da retta intenzione, stimo opportuno ricordare che l'Arcivescovo, insieme con molte buone qualità, aveva pure un'idea un po' esagerata della propria autorità e della propria scienza, oltre ad un carattere pronto, per cui talora precipitava nelle sue decisioni e difficilmente poi si induceva a recedere dalle medesime per timore di menomare il prestigio della sua autorità. ”
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da Torino frequenti notizie, che egli utilizzava nel suo lavoro. Così ebbe origine il primo opuscolo, Strenna pel Clero. Durante il suo soggiorno a Roma seppe che il padre Antonio Ballerini gesuita scriveva intorno alle dottrine di monsignor Gastaldi; egli preparava infatti il Piccolo Saggio, che mandò poi a Torino dopo il ritorno del Turchi alla propria città, e di cui il Turchi medesimo curò la stampa, aggiungendovi di suo la Prefazione, l'Introduzione, le Appendici e l'Avvertenza finale. Ma né il Turchi né il Ballerini ebbero mai a fare nulla col tipografo, poiché alla stampa badavano Don Anfossi e due fidati operai, ex-allievi dell'Oratorio; costoro pensavano pure al contratto e alle spese. Dalla vendita si ricavò tanto da pagare l'editore e da dare una discreta somma al Ricovero cittadino. Si procedette con tale segretezza, che nemmeno il tipografo poté mai indovinare chi fossero gli autori. Don Anfossi per conto proprio compilò il libretto intitolato La questione rosminiana, a cui Don Turchi appose note appié di pagina (I). Riguardo all'opuscolo L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino, il Turchi scrive: “Io pensava che potesse averlo scritto Don Bonetti stesso; ma di poi mi fu accertato da persona che lo può sapere e fededegna, che lo scrittore non ne fu punto Don Bonetti, ma altri, estraneo all'Oratorio Salesiano; né io so chi ne sia lo scrittore.” Parrà strano che Don Turchi abbia aspettato a parlare nel 1895. Se col processo criminale si fosse arrivati agli estremi, indubbiamente egli avrebbe fatto il dover suo di svelare la verità; “che fossi io uno degli scrittori degli opuscoli, dichiara nella sua lettera, l'avrei detto francamente e a qualunque costo, ma sol quando le cose fossero giunte a tal punto a carico di Don Bosco, che ne avesse potuto aver gravi danni”. L'intervento pontificio, che mise fuori di questione quell'accusa, tolse alla sua confessione il carattere di urgenza.
(I) Il Turchi ci fa anche sapere che Don Anfossi era stato l'autore dello stampato del Cooperatore Salesiano, di cui si disse nel vol. XIII, pag. 376.
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Dopo quanto siamo venuti esponendo nei tre ultimi capi nulla troviamo di meglio che conchiudere con il giudizio finale enunziato dal Teologo Censore deputato d'ufficio dalla Sacra Congregazione dei Riti all'esame delle controversie originate dall'opposizione di monsignor Gastaldi e della sua Curia contro Don Bosco. “Da tutto emerge, scrive egli, come tutte le accennate vertenze, che Don Bosco mal suo grado è stato costretto a subire, siano state provocate e poi aggravate con le parole e con le opere dall'Ecc.mo Arcivescovo Gastaldi, il quale par che andasse continuamente ricercando, si direbbe con San Paolo, quae quaestiones praestant magis quam aedificationem, quae est in fide (I). Ad ogni modo resta accertato che il Servo di Dio, durante il periodo delle controversie, non solo nel parlare e nell'operare si è mantenuto costantemente rispettoso, umile, sottomesso e conciliativo, come s'addiceva alla sua qualità d'Istitutore e Rettore della Società Salesiana, ma ha saputo far valere con carità e fortezza le ragioni della propria condotta, a difesa e tutela del suo religioso Istituto” (2). Sono parole chiare come la luce del sole, che fugano ogni ombra, non già dalla fronte di Don Bosco aureolata di tanto splendore, ma dall'animo di ogni più esigente storico. Ricco pertanto di sapienza cristiana ci sembra il giudizio espresso nel periodo più burrascoso da monsignore, poi cardinale Giuseppe Guarino, arcivescovo di Messina (3) “So tutto, scriveva al Servo di Dio. Ma quando le contraddizioni vengono da uomini, non sono affatto durevoli. Ella non si scoraggi. Per altro il suggello delle opere di Dio é la contraddizione: il demonio deve far qualche cosa contro l'Ordine novello: lo conceda un pochino alla povera bestia, perché poi al postutto le sue opere maligne producono il gran bene di purgarci nella pazienza”. E così fu.
(I) I Tim., 1, 4. (2) Positio super revisione scriptorum, a. 1906. (3)Lettera “Riservatissima” a Don Bosco, Roma 1° dicembre 1881.
CAPO IX. Proposte di fondazioni declinate o differite.
DURANTE il biennio, di cui narriamo la storia, affluirono a Don Bosco esibizioni e inviti dalla Francia, dall'Inghilterra e da altre parti fuori d'Italia e d'Europa; ma ne daremo notizia a tempo e luogo, limitandoci per ora solamente a dire di proposte italiane, e non di tutte, rimaste in sospeso o senza verun effetto né immediato né remoto. Nei volumi che seguiranno, certo non dedicheremo più tanto spazio a narrazioni di pratiche andate in fumo o rimesse a un lontano avvenire, perché l'azione diretta e personale del Beato, restringendosi gradatamente in questo campo, non ci offrirà più materia che da vicino lo riguardi. Qui invece sembra ancora opportuno allargare un po' la mano e stringere insieme e presentare ai lettori un complesso di atti che, sebbene non condotti al termine voluto, continuano tuttavia a rappresentare un lato non trascurabile della sua attività. Cominceremo dunque dalla Sicilia, risalendo poi il continente fino a Torino. E’ degno di nota quanto per tempo il clero siculo mostrò di comprendere Don Bosco e le finalità della sua opera. Vescovi, canonici, rettori di seminari parroci, semplici sacerdoti ricevevano con entusiasmo il diploma di Cooperatori salesiani, scrivendo al Beato lettere piene di affettuosa ammirazione e facendo voti o calde insistenze, perché mandasse
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i suoi figli a prendersi cura della gioventù nella loro isola. Si deve certamente a questa larga preparazione d'animi il gran numero di case aperte laggiù dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice dopo la morte del Fondatore, quando cioè il rapido aumentarsi del personale permise maggiori espansioni. A compimento od a continuazione del già detto nel quattordicesimo volume, altro non poco rimane a dire su documentazione in parte anche anteriore a questo biennio, ma venutaci posteriormente tra mano. Qualche capatina oltre il 1882 servirà 9a integrare la nostra esposizione.
CATANIA.
Da Catania continuavano più che mai pressanti le sollecitazioni non solo per la casa di artigiani, ma anche per il collegio Cutelli, tanto più che Don Bosco si era vincolato con promessa vera e formale a mezzo de' suoi due inviati Don Cagliero e Don Durando (I). In un'adunanza capitolare del giugno 1881: il primo ricordò essere di lunga data l'impegno per Catania; onde il Servo di Dio espresse il desiderio che si mantenesse la parola e tutti i Superiori con particolare predilezione si posero in animo di formare il personale seduta stante. Ma non venne fatto di trovare chi mettere alla testa; perciò si conchiuse di scrivere al canonico Cesàreo che si volesse pazientare ancora. Mercé una nuova dilazione, diceva Don Cagliero (2), “la casa di Catania sarà una realtà ed i Salesiani addiverranno cittadini catanesi. Che se la Commissione si vedesse compromessa da questo nuovo ritardo e non potesse conformarsi a questo spediente, nostro malgrado ci vedremmo fuggire di mano le speranze co' desiderii nostri finora avuti per Catania. E non ne potremo accagionare che la assoluta impossibilità per parte nostra, reclamata dalla eccezionale mancanza di personale maturo.”
(I) Cfr. vol. XIV, pag. 318. (2) Lett. 14 giugno 1881.
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Si rassegnarono laggiù a prolungare l'attesa. “Qui, rispondeva subito il canonico, i Salesiani si aspettano con impazienza: si fanno molte domande per ragazzi anche a pagamento. Mi auguro che la messe sarà molta, ma gli operai? Gli operai quando verranno? Noi li aspettiamo e li aspetteremo ancora, ma per amore di Gesù e di Maria, vengano prestamente.” Anche quale segno tangibile del proprio interessamento, Don Bosco inviò allora a parecchi ecclesiastici catanesi diplomi di Cooperatori, nominandone anche il direttore nella persona del Vicario Generale canonico Riccioli. E' edificante leggere con quanta umiltà e gratitudine essi accettassero di far parte della pia Associazione, mentre poi tale qualità li rendeva più animosi a invocare il sollecito invio dei Salesiani.
MESSINA.
Come sono commoventi le implorazioni dell'Arcivescovo di Messina monsignor Giuseppe Guarino! Aveva un seminario che non era seminario. “Io sono desolato, afflittissimo, scriveva a Don Guidazio, Direttore del collegio di Randazzo (I). Senza seminario non mi fido a continuarla nel vescovato. Tutti abbondano di mezzi allo scopo, io non ne ho alcuno. Sono un martire di desiderio. Ma senza i miei Salesiani amatissimi io non posso aver seminario”. Volle poi “con confidenza alla salesiana”, secondo la sua espressione, aprire il cuore a Don Bosco (2). Traslatato da Siracusa a Messina nel 1875, vi aveva trovato che da ottant'anni non si pensava alla buona formazione del clero. Seminario distrutto in parte da terremoti e incendi, e il restante edifizio lurido e malconcio; studi incompleti e fatti alla carlona; chierici pochissimi, disciplina e ordine zero. E' facile arguire le conseguenze che da questo stato di cose derivavano a tutta l'archidiocesi.
(I) Lett. 17 luglio 1880. (2) Lett. 24 luglio 188o.
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“Il mio cuore, esclamava, scoppia nei gemiti più affannati del dolore. Si metta un po', Ella che ha un cuore così sensibile, senza di che non avrebbe potuto produrre opere così belle di carità, nella mia posizione! Sprovvisto di mezzi, tutto solo, con una vasta diocesi sulle spalle, col dovere di rialzarla, gettato nella impotenza!” Qualche ecclesiastico istruito c'era, avendo studiato da sé o frequentato la regia Università, quando vi esisteva la facoltà teologica; ma nessuno sapeva che cosa fosse seminario e come si educasse la gioventù. Monsignore aveva dovuto aspettare quattro anni l'exequatur, dopo di che si era dato subito a migliorare il fabbricato: ma per l'andamento morale tutto restava da fare. Egli dunque pensò che bisognasse cominciare ab imo, con una classe elementare preparatoria e poi il ginnasio; occorrevano però gl'insegnanti e insieme un maestro di spirito che avesse l'intera formazione educativa. C'era bensì un Rettore; ma abitava fuori né si prendeva altra briga che di “far note e contronote di pesci, sale, carne, cavoli, etc.” Consigliato anche dal cardinale Bilio, Monsignore invocava i figli dell' “amoroso Don Bosco”; onde supplicava: “Deh! Padre, consoli un cooperatore salesiano per la di Lei grande bontà, e quindi un suo figlio, indegno sì, ma figlio. Ah! Non mi rigetti, mi stenda la mano e mi aiuti! […] La città è avidissima dei figli di Don Bosco, molto più dopo averli veduti di passaggio così buoni, così cari, così gioviali ad un tempo e modesti.” Li avevano veduti quando passavano per andare a Randazzo. Don Durando non poté che notificare le buone disposizioni di Don Bosco per dare principio a un seminario convitto “al più presto possibile” (I). Ma tardando tale possibilità ad affacciarsi, L'Arcivescovo ricorse all'intercessione di Don Guidazio presso il Capitolo Superiore, scrivendo (2): “Al venerando consesso io chiedo in grazia, in ginocchio.
(I) Lett. di Monsignore a Don Durando, Messina 20 agosto 1881. (2) Lett. 27 maggio 1881.
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Apra al medesimo il mio cuore, dica che so amare, e che i Salesiani saranno i miei figli prediletti, le gemme della mia infula episcopale, la corona della mia testa, la delizia del mio cuore, i compagni delle mie gioie, il conforto de' miei dolori […]. Sono un poverello che chiede un tozzo di pane per la mia sposa alla porta di Don Bosco.” Alcuni mesi dopo tornava a scrivere (I), pigliando le mosse da un concetto che troviamo anche sotto la penna di altri Presuli siciliani: “Altro che America! Le circostanze, nelle quali mi trovo io, meritano l'assoluta preferenza sopra tutti. Molto, molto v'ha qui da fare, ed io sarò sempre alla testa de' miei cari figli Salesiani. Se li amo, ne chieda ad essi. Quando ne ho uno in casa, é per me gran giorno di festa. Ah! se talvolta potesse Ella venire in Sicilia [….]. Le scrissi già che verrei ad incontrarla in Reggio, se da Napoli non vorrà venire pel mare.” All'invio dei Salesiani Don Bosco, forse tra il serio e il faceto, aveva posta una condizione: voleva che Monsignore gli ottenesse da Roma la comunicazione dei privilegi. Recatosi alla Città Eterna, il buon Prelato fece realmente quanto fu in poter suo, ma non venne a capo di nulla come diremo altrove. Non per tal motivo però i Salesiani non andarono allora a occuparsi del seminario messinese; molto comodo anzi avrebbe fatto a Don Bosco l'aprire un convitto sotto le apparenze legali di seminario perché questo lo avrebbe messo al riparo dalle esigenze delle autorità scolastiche. Il vero si é che, nonostante le assicurazioni dell'Arcivescovo in contrario, non si vedeva come fosse conciliabile la presenza di un Rettore in carica, poiché di rimuoverlo non vi era possibilità, con l'indipendenza ritenuta sempre necessaria da Don Bosco per i suoi istituti; inoltre le cose erano impostate in modo che dopo la morte del benevolo Arcivescovo nulla avrebbe guarentito i Salesiani da spiacevoli novità. Per
(I) Lett. a Don Bosco, 10 ottobre 1881.
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altre vie doveva la Provvidenza condurre i Salesiani a Messina e con loro anche le Figlie di Maria Ausiliatrice ma oggi se gli uni e le altre tanto nella città che nell'archidiocesi hanno creato un complesso meraviglioso di opere, se ne deve saper grado allo zelo illuminato e perseverante del cardinale Guarino, che preparò il terreno e del frutto vide poco più di splendide promesse. Le opere di Dio si compiono ordinariamente a poco a poco.
SIRACUSA.
Una caritatevole gentildonna, la marchesa di Castel Lentini Maria Carmela Gargallo, dimorante in Napoli, ma di famiglia siracusana, avendo a Siracusa le sue possessioni, desiderava impiegare una parte de' suoi capitali a dotare quella città di un ospizio per artigianelli e per piccoli agricoltori. Non sapendo come fare, sì rivolse nel 1879 per consiglio e per informazione al padre Valente, gesuita, che ne scrisse al suo illustre confratello torinese padre Secondo Franco, e questi rimise la lettera a Don Rua, dicendosi molto contento di poter concorrere in qualche cosa al bene che i Salesiani facevano e a dilatarlo (I). Don Bosco era a Roma. Don Rua rispose essere difficile accogliere la domanda per difetto di personale; tuttavia la Marchesa mandasse distinte notizie. Recatasi essa intanto nella Costa Azzurra, ebbe occasione di vedere la casa di Nizza e di manifestare le proprie intenzioni al Direttore Don Ronchail, che si profferse di esserle intermediario presso Don Bosco. Per suo mezzo dunque la Signora fece conoscere potersi destinare al vagheggiato scopo un ex-convento dei Cappuccini, che il Municipio siracusano era disposto a concederle e per cui l'Arcivescovo stesso avrebbe domandato le necessarie facoltà a Roma; essere ella pronta a costituire una rendita di lire quattromila. Proponeva per altro a Don Bosco
(I) Lett., Torino 20 marzo 1879.
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che in un suo viaggio a Roma facesse una corsa a Napoli, professandosi sua grande ammiratrice (I). Don Bosco fu da lei, come abbiamo narrato, nel marzo del 1880. In seguito il Beato non poté più occuparsi della cosa fin verso la fine di maggio, quando le inviò questa lettera, della quale Don Rua gli preparò la minuta.
Nobil.ma Signora Marchesa,
Malgrado il nostro buon volere non ci fu possibile prima d'oggi scriverle relativamente al nostro affare dell'ospizio da aprirsi in Siracusa. Speriamo che V. S. saprà compatirci potendo facilmente immaginare la farragine di cose di somma urgenza che si accumularono nella mia quadrimestrale assenza, come anche le gravi e quasi innumerevoli cure che assediarono me ed i miei sacerdoti nella novena e feste di Maria Ausiliatrice. Non abbiamo però dimenticato il suo desiderio di pronta risposta; anzi, appena potemmo radunarci a conferenza io ed il mio Capitolo, la prima cosa messa sul tappeto fu il collegio di Siracusa coi vari documenti che lo riguardano. Abbiamo esaminato attentamente quelli tra V. S. ed il Municipio e quelli tra V. S. e me e ci parve cosa conveniente e più spiccia che il Municipio, per evitare le molte e minute formalità, faccia a me direttamente la subconcessione del fabbricato dell'ex-convento colla cappella dei PP. Cappuccini e dell'annessa latomía (2). Per tale subconcessione poi, avendo noi già fatto un quasi identico contratto per un palazzo abbaziale col Municipio di S. Benigno, già approvato dalla R. Prefettura di Torino, penseremmo di adattarlo pel caso presente, sperando in tal modo che non si avrebbe ad incontrare nessuna difficoltà da parte della R. Prefettura di Siracusa. Troverà pertanto qui unito il progetto della subconcessione suddetta modellata sull'anzidetto istrumento. Quanto poi ai restauri e provvista di mobili per l'impianto, come pure quanto alla dotazione, pensiamo di trattare unicamente con Lei; perciò Le presentiamo altro progetto di convenzione colla S. V. Favorisca esaminarlo e vedere se si può andate d'accordo. Questo progetto sembra il più semplice e il più adatto per assicurare l'autonomia alla Congregazione Salesiana e l'esecuzione della volontà di Lei anche dopo che noi due saremo chiamati all'altra vita.
(I) Lettere a Don Ronchail, Napoli 4 novembre, e a Don Bosco, 23 novembre 1879. (2) Si chiamano così certe grotte siracusane, formate ab antiquo per lo scavo della pietra e oggi ancora utilizzate da cordari e ad altri usi. Una é il famoso Orecchio di Dionisio.
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Mi é molto cara l'occasione di rinnovarle i sensi della nostra grande stima e viva riconoscenza. Voglia il Signore benedire e compensare largamente la S. V. della generosità che si dispone ad esercitare verso la povera gioventù e far riuscire quest'impresa a sua maggior gloria e vantaggio delle anime. Mi creda quale ho il piacere di riconfermarmi. D. V. S. Ill.ma Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Il procuratore della Marchesa presentò al sindaco di Siracusa la domanda per la nuova destinazione da dare all'ex convento e il sindaco ne fece la proposta al Consiglio comunale, che approvò all'unanimità. L'arcivescovo monsignor La Vecchia allora, ritenendo ormai sicura e vicina l'apertura dell'ospizio e desiderando che anche il suo seminario “bisognevole di riordinamento ricevesse le benefiche influenze dei buoni Padri Salesiani”, chiese un sacerdote che vi facesse da Rettore (I); ma la risposta fu che per il momento non era possibile. L'anno 1880 passò senza che si scendesse al concreto. Sul principio dell'anno seguente la Marchesa sperò una seconda visita di Don Bosco da Roma. Aveva fatto studiare la cosa da un valente avvocato; ma aspettava il Servo di Dio, perché tutto venisse “ rischiarato da chi era il luminare in simili faccende ”. La perdita di persone care e le indisposizioni fisiche l'avevano abbattuta; anche per conforto del suo spirito anelava di rivedere Don Bosco. “La sua presenza, gli scriveva (2), mi darà quella gioia ed ilarità, che ormai non posso più avere in questa terra d'esilio.” Parole che sono l'eco viva della santa impressione da lei provata nell'incontro dell'anno innanzi col Servo di Dio. Il Municipio di Siracusa aveva aggiunto al convento e ceduto alla Marchesa anche la terra annessa, detta la Selva, quella pure già dei padri Cappuccini; la Signora teneva pronto
(I)Lett. a Don Bosco, Siracusa 3 agosto 1880 (2) Lett., Napoli 17 aprile 1881.
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il capitolato per una finta vendita da farsi a Don Bosco (I); per San Giovanni con gli auguri dell'onomastico rinnovò la preghiera, che si troncasse ogni indugio. Ma Don Bosco non aveva la medesima fretta, perché aspettava da tempo le conclusioni della Marchesa su due progetti a lei spediti e poi, giunte le conclusioni, (2), non le trovò accettabili. Nella lettera del 24 giugno ella accusava ricevuta di quelle carte, unendovi le sue osservazioni. “Come io non sono punto esperta in materie di diritto civile, scriveva, e in quel progetto v'erano degli articoli che non convenivano punto all'intenzione nostra nel fondare quest'opera, le portai al celebre (in queste materie) avvocato Palmulli, che fu perfettamente meco e diemmi uno schema che le invio, perché ella possa vederne l'intenzione.” E l'intenzione era che il convento restasse a lei, affinché nel caso che i Salesiani fossero obbligati a partire da Siracusa, l'opera potesse essere continuata da altri. Perché poi tristi avvenimenti non colpissero il capitale assegnato per la rendita accennata poc'anzi, il contratto doveva farsi in perpetuità e mettersi sotto la protezione dell'Arcivescovo pro tempore. Così i Salesiani avrebbero goduto soltanto l'uso del fabbricato e il frutto del capitale. A ogni altra spesa futura o per la fabbrica o per gli utensili si sarebbe provveduto con gli utili ricavati dal lavoro degli artigianelli, non consentendo la Marchesa che si lasciassero obblighi a carico de' suoi eredi. Come si vede, mancava qui la piena autonomia richiesta sempre da Don Bosco e si andava incontro alle difficoltà che imbarazzavano le opere pie soggette a ingerenze governative, essendo per legge indispensabile a un'opera perpetua l'autorizzazione del Governo. Mentre su queste due vie così divergenti non era possibile incontrarsi, il Municipio ebbe urgente necessità di adibire l'ex convento ad alloggio temporaneo di soldati.
(I) Lett. della Marchesa a Don Rua, Napoli 7 giugno 1881 (2) App., Doc. 43.
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La Marchesa, volendo impedire che l'occupazione si prolungasse di troppo, insistette per la venuta immediata dei Salesiani; ma in capo alla sua lettera, datata da Castellammare di Stabia addì 3 agosto 1881, Don Bosco scrisse: “Risposto impossibile trattare fino ad approvazione effettuata.” Intendeva l'approvazione dei due progetti; ma approvazione non vi fu. L'ultima lettera della Marchesa a Don Bosco, recante la data del 21 dicembre 1882, con gli auguri natalizi contiene una specie di nuova proposta che ha tutto l'aspetto di un diversivo per non dire apertamente che delle cose prima trattate non si parla più. Nella sua precedente la gentildonna aveva detto: “Ma finisca come si voglia questa faccenda, io non cesserò mai di essere sua affezionatissima serva o figlia.” E nel poscritto: “ Mi benedica caldamente ”. In quest'ultima scrive che si rivolge a lui come a “consolatore d'ogni tristezza ”, perché la conforti e la incoraggi. Ancora il 30 Ottobre 1883 la Marchesa mandando a Don Bosco cento lire per i Missionari e raccomandandosi alle sue preghiere, lo chiamava suo padre e diceva: “Noi non ci vediamo mai, ci scriviamo di rado, ma pure sono sicura che io sono più con lei che Ella con me.” Chi trattava con Don Bosco, benché da lui contrariato, non cessava di stimarlo e di amarlo. Qui l'affare non avrebbe presa sì cattiva piega, se la caritatevole Signora non l'avesse per soverchia prudenza messo in mano agli avvocati, che naturalmente la consigliavano a modo loro.
BRONTE E MARSALA.
Bronte, di cui ci siamo già occupati per l'andata delle Suore (I), possedeva da un secolo un grande collegio, che aveva goduto bella rinomamza per tutta l'isola, ma allora andava verso lo sfacelo. N'era stato fondatore il venerabile Ignazio Capizzi, sacerdote brontese dell'Oratorio
(I) Cfr. vol. XIV, pag. 650 sgg.
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palermitano. Lo tenevano preti secolari. Sebbene il nuovo Governo l'avesse rispettato, anzi nel 1867 gli avesse accordato il pareggiamento, pure il numero dei convittori e degli allievi esterni scemava sempre più, fors'anche per difetto di buoni insegnanti. Ora la presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la vicinanza dei Salesiani di Randazzo fecero pensare che potesse Don Bosco rialzare le sorti del decadente istituto. Nel 1879 pertanto quel sindaco, mostrandosi ben informato dell'Opera salesiana, chiese a Don Bosco due professori per il ginnasio superiore. Poi nel 1880 il priore Gioachino Leone Zappia, monaco basiliano e direttore del collegio, preoccupandosi soprattutto di un miglior assetto morale, gli scriveva: “Per la parte educativa manco di braccia; perché questo Collegio da un secolo é stato educato col sistema coercitivo, e non trovo in paese soggetti che sappiano adoperare altro modo. E’ stato questo un motivo, per cui é venuto meno il concorso degli alunni, i quali al 1859 ascendevano presso a 400 ed ora appena a 40.” Pregava dunque Don Bosco di mandargli in aiuto un sacerdote salesiano che la facesse da direttore spirituale, e un paio di assistenti, sacerdoti o chierici, che v'introducessero “l'ottimo sistema a lui ispirato dallo Spirito Settiforme”, Con i figli di Don Bosco egli prometteva di comportarsi da confratello, come si addiceva a chi gloriavasi di essere cooperatore salesiano. Quantunque anche il bisogno di assistere spiritualmente le Suore consigliasse di fare buon viso alla domanda, tuttavia fu forza rispondere negativamente per mancanza di personale. Nel febbraio del 1881 il cardinale De Luca, brontese e già alunno del collegio Capizzi, raccomandò oralmente l'affare a Don Bosco, che non poté opporgli senz'altro un rifiuto, ma gli manifestò la sua buona disposizione a secondarne il desiderio; la qual cosa appena risaputa a Bronte bastò a mandare in solluchero il Direttore. O il Cardinale non avesse posto mente che Don Bosco non si era vincolato quanto al tempo o che dai Brontesi fossero malamente interpretate le parole
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del Cardinale, il fatto é che in Bronte, si credette a una imminente esecuzione della promessa; onde un succedersi di istanze perché vi s'andasse presto. Ma la parola data da Don Bosco senza determinazione di anno fu tenuta nel debito conto dal suo Successore, che vi diede corso quattro anni dopo la morte del Beato. Anche la casa di Marsala fu aperta nel 1892, sebbene la relativa corrispondenza con Don Bosco fosse pure cominciata nel 1879. Il sacerdote Sebastiano Alagna aveva principiato a gettar le basi di un ospizio per fanciulli poveri, raccogliendone un certo numero in un ex-convento dei frati Conventuali, che dal Municipio era stato messo a sua disposizione, la pubblica beneficenza gli somministrava i mezzi per andare innanzi. Ma, non sentendosi in. grado di proseguire da sé, ricorse a Don Bosco per “consiglio, direzione, aiuto”. Più delle solite buone intenzioni a lunga scadenza non gli si poté dare. Frattanto il padre Alagna pose mano alla costruzione di un edifizio, sempre con il danaro fornitogli dalla carità dei buoni, denominandolo Casa della Divina Provvidenza. Lo sosteneva però sempre la speranza che nutriva in cuore di potere un giorno abbandonare tutto nelle mani di Don Bosco; onde, cresciutagli la famiglia, crebbero del pari le sue insistenze che non diedero requie al Beato e al suo Successore, finché i suoi voti, come abbiamo detto, non furono da quest'ultimo appagati.
MAZZARA, PIAZZA ARMERINA, NOTO.
Marsala appartiene alla diocesi di Mazzara. Due vescovi di questa città invocarono successivamente nel 1883 e nel 1885 da Don Bosco i Salesiani per il loro piccolo seminario; ma dovettero deporre ogni speranza di fronte all'impossibilità di trovare soggetti da inviarvi. Anche da Piazza Armerina il Vescovo monsignor Gerbino nel 1880 aveva fatto calde istanze a Don Bosco, perché accettasse direzione e
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amministrazione, non che parte dell'insegnamento nel seminario diocesano. “Don Durando ringrazi, si legge scritto da Don Bosco in cima alla lettera vescovile, ma rincresce tutto il personale impegnato.” Tornando al 1879, troviamo che monsignor Giovanni Blandini, vescovo di Noto, bramoso di veder sorgere nella sua diocesi un buon collegio, si raccomandava instantemente a Don Bosco; non esaudito in questo, gli chiese due Salesiani per istituire un oratorio festivo nella città; deluso per la seconda volta, tornò a scrivere per ottenere tre Suore, a cui affidare le scuole femminili nel comune di Ferla. Cominciava così la sua lettera in data 26 luglio 1883 a Don Rua: “Mi è stata di grande dolore la risposta negativa. Comprendo bene che la merce é tanto più rara quanto più preziosa, e che perciò i figli e le figlie di quel prodigio di operosità ch'é Don Bosco, vengono meno ai bisogni di ogni fatta ed alle innumerevoli richieste, le quali gli son fatte dal vecchio e dal nuovo mondo.” Infine conchiudeva così: “Se sono troppo importuno, la S. V. R. lo addebiti alla grande fiducia, che la Congregazione di Don Bosco m'ispira. ” Don Bosco fissò in queste righe a Don Durando la traccia per la risposta: “ Scrivere bella lettera. Non manca buona volontà e speriamo che il Signore ci manderà col tempo personale anche per la diocesi di Noto.”
GIRGENTI, AGIRA, LEONFORTE.
Era Vescovo di Girgenti, ora Agrigento, monsignor Domenico Turano, che nel volere i Salesiani dié prova di mirabile costanza. Egli riferiva nel 1883 a Don Bosco che in una popolosa città marittima della diocesi (doveva trattarsi di Sciacca) una pia persona desiderava da Don Bosco l'impianto di una scuola privata con le cinque classi ginnasiali, assegnando una rendita di lire quattromila; di lì a poco propose l'apertura di una casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice nella medesima città; l'anno dopo si contentava di due
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Salesiani che tenessero ivi stesso una scuola elementare privata. Nonostante tre ripulse il buon Vescovo, a nome sempre della mentovata persona, disposta a comprare e a cedere una casa per questo scopo, si ridusse a chiedere un Salesiano solo con un coadiutore per farvi una prima o seconda ginnasiale. Nella sua mente doveva dominare il pensiero, che, fatto anche solo uno, si sarebbe poi fatto trentuno. Ma le condizioni proposte poggiavano ogni volta sull'arena di mere possibilità future. Succeduto nella sede agrigentina il fratello del vescovo di Noto monsignor Gaetano Blandini, si affacciò il problema del riordinamento di un collegio cittadino, del collegio Gioeni, così detto dal nome del Vescovo, da cui ripeteva l'origine. Era destinato all'educazione di artigianelli; ma laicizzato divenne un covo di disordini, sicché le autorità stavano per procedere alla chiusura. Il Vescovo sperò che i Salesiani avrebbero portato rimedio a tanto male; ma data la trasformazione dell'ente, ogni buon volere s'infrangeva contro estranee influenze. Per dire tutto, la questione tornerà a galla molto più tardi: il primo Ispettore della Sicilia Don Bertello si farà patrocinatore dell'accettazione, nulla essendovi di più consono all'istituzione salesiana che una scuola di arti e mestieri; ma nemmeno allora si troverà un terreno d'intesa. Da Agìra, città di ventimila abitanti situata nel cuore dell'isola e appartenente alla diocesi di Nicosìa, c'é un monte di corrispondenza, che va dal febbraio del 1877 fin molto dopo la morte del Beato. Due cose vi sono da notare: la costanza del sacerdote Filippo Giulio Contessa nel tentare tutte le vie per dare alla sua patria una casa salesiana, e l'inclinazione di Don Bosco e di Don Rua a secondarlo senza che mai venissero fuori condizioni accettabili. Sulla prima lettera il Servo di Dio scrisse: “Don Rua legga e vedrà una bella proposta forse effettuabile.” Ma né la prima proposta né le seguenti furono mai tali da eliminare le incertezze di quel “forse”. Non pago di adoprarsi per sé il Contessa si faceva a
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intercedere anche per il sindaco di Leonforte, altro cospicuo comune della medesima diocesi. Là si sarebbe voluto un collegio simile a quello di Randazzo, dove schiere di Leonfortesi andavano per gli studi; si desiderava inoltre che i Salesiani prendessero le scuole comunali. Mancarono al solito condizioni che dessero affidamento. Dal primo Capitolo Generale in poi si venne procedendo con sempre maggiori cautele nell'intraprendere nuove fondazioni.
BARI.
Staccandoci ora dall'isola del sole, ci porteremo sul continente nella capitale delle Puglie. Nel 1880 e '81 vi fu uno scambio di lettere per una fondazione a Bari. Nell'ottobre del 1878 una vedova barese Maria Calò-Carducci in Guarnieri aveva con la figlia visitato a Torino Don Bosco, il quale, vedendole pie e caritatevoli, le fece entrambe cooperatrici salesiane. Tornate in patria e tocche dall'abbandono morale di tanta gioventù, gli offrirono una loro casa nella città vecchia, perché vi aprisse un oratorio festivo. L'Arcivescovo monsignor Francesco Pedicini, afflittissimo per il dilagare della propaganda protestante nella sua sede e bramoso di mettere in salvo tanti poveri ragazzi, non vide miglior arca di scampo che l'oratorio; onde reiterate suppliche anche da parte sua. Nella quaresima del 1881 monsignor Belasio, recatosi là a predicare, ebbe da Don Bosco l'incarico di visitare la casa e riferire. Egli pure confermò l'estremo bisogno che vi era dei Salesiani, massime per i fanciulli. Ma siamo sempre da capo: non si potevano sbalestrare laggiù due o tre confratelli senza che vi fossero condizioni di vita tollerabili. I Vescovi italiani purtroppo, assai meno che oggi, erano in grado di largheggiare in opere di assistenza religiosa, avendoli la tristezza dei tempi ridotti nelle più gravi strettezze. Fu veramente ammirabile la bontà delle due pie signore, le quali, benché amareggiate al sommo dai ripetuti dinieghi,
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inviavano offerte per la spedizione dei Missionari e per la chiesa del Sacro Cuore. Le loro preghiere però unite alle buone opere non furono vane; sebbene forse nessuna di esse sia vissuta fino al 1905, anno dell'apertura di quello che oggi é a Bari l'Istituto del Santissimo Redentore.
ASCOLI PICENO.
Nel 1879 ad Ascoli Piceno un riformatorio laico tenuto dal Municipio era diventato una babele. Vi s'impartiva l'insegnamento professionale a due centinaia di giovani; ma la direzione dava sempre così cattiva prova di sé, che una prima e una seconda volta la si era dovuta cacciare. Si pensò dunque a Don Bosco. Nel 1881 s'interpose anche una nipote dei Vitelleschi, la nobile famiglia romana affezionatissima al Servo di Dio. Ma non se ne fece nulla. Nel 1885, riassettate alquanto le cose, quel sindaco gli domandò almeno uno, che “coi precetti e coll'esempio” vi tenesse la direzione religiosa e morale; il Vescovo monsignor Bartolomeo Ortolani aggiunse una sua calda raccomandazione, manifestandogli quanto l'avrebbe consolato “l'acquisto di così buoni religiosi” e assicurando che l'Istituto sarebbe finito interamente nelle mani dei Salesiani. Ma l'ottimismo di Monsignore non valutava, come faceva Don Bosco, i pericoli del legarci a un Municipio e quindi sottostare a ingerenze governative.
PARMA.
Il sempre fiorente Istituto San Benedetto di Parma sorse nell'anno della morte dì Don Bosco; ma vi precedette una lunga preparazione. Il primo disegno partì dal Vescovo monsignor Domenico Villa, che nel 1879 ebbe in animo di fondare un orfanotrofio e chiamarvi i Salesiani. Le pratiche furono intavolate l'anno appresso. Sua Eccellenza fece acquisto di un ex convento di San Benedetto con l'annesso
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terreno. Ma quand'era già abbozzata una convenzione, ecco che il 21 luglio 1882 monsignor Villa morì. Nel testamento egli lasciava a Don Bosco l'immobile con l'obbligo di aprire l'orfanotrofio entro tre anni, trascorsi i quali senza che ciò si facesse, la proprietà fosse devoluta al seminario diocesano. Se non che il legato veniva lasciato a Don Bosco senza tener conto delle formule prescritte dalle leggi (I), la qual cosa diede origine a difficoltà, sicché le faccende s'ingarbugliarono e l'istituzione prese una forma differente da quella ideata in principio. Fermo nel proposito di stabilire un'opera salesiana in Parma, Don Bosco invocò anche la carità pubblica. Volle pure far ricorso alla munificenza del duca Roberto di Parma, da lui conosciuto a Nizza Mare e dimorante allora a Biarritz nei Bassi Pirenei. Avvertito che nell'interno della lettera bisognava dare al Duca il titolo di Maestà, formulò così la sua supplica:
Maestà
Da molto tempo si manifestava un vivo desiderio che nella città. di Parma fosse fondato un ospizio pei fanciulli poveri ed abbandonati, che presentemente sogliono indirizzarsi a questa nostra casa di Torino. Se ne trattò seriamente con Mons. Villa, di buona memoria, che cooperò a comperare l'antico convento di San Benedetto. In questo locale, comperato in capo allo scrivente, si può stabilire una chiesa pubblica per gli adulti, un ospizio allo scopo sopra indicato, ed un giardino di ricreazione dove trattenere i giovanetti pericolanti con onesta ricreazione dopo aver soddisfatti i loro religiosi doveri. Eravamo già in via di raccogliere i mezzi necessari per quell'acquisto, riparare e riattare le già esistenti costruzioni, quando a Dio piacque di chiamare a sé il caritatevole e zelante prelato. Fra le persone cui avrei potuto ricorrere mi aveva accennato la Maestà
(I) Monsignore si era espresso in questi termini: “Lascio lo stabile dell'ex convento di S. Benedetto, ortaglie e adiacenze, da me comperato alli Rondani Manici, per un orfanotrofio maschile sotto la direzione ed amministrazione della Congregazione Salesiana a Don Giovanni Bosco di Torino superiore generale della stessa per l'effetto suindicato. Nel caso che l'orfanotrofio non sia istituito entro tre anni dalla mia morte, lascio detto stabile,. ortaglie, ecc. al seminario diocesano di Parma.”
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Vostra e me ne diede l'indirizzo. Tale impresa dovrebbe attuarsi nel 1883. Sono sicuro che la benedizione del cielo e la benedizione degli uomini non verranno meno, ma la prima fonte a cui ricorro é la carità della Maestà Vostra. Io non so se i tempi che corrono, le vicende che ci accompagnano permettano a V. M. di accogliere benevolmente la mia preghiera. Ma io intendo di ricorrere alla bontà del suo cuore, contento di qualunque largizione Ella giudicherà di fare. Dal canto mio non mancherò di pregare Dio pietoso affinché conservi in buona salute Lei, la Sig. Duchessa e tutta la sua famiglia. Dio ci esaudisca e ci conceda di vedere tempi migliori. Assicurando a V. M. il debole concorso delle preghiere dei nostri cento mila giovanetti, reputo al più alto onore di potermi professare colla massima venerazione Di Vostra Maestà Torino 28 luglio 1882. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Roberto era figlio di Carlo III, a cui successe nel 1854, cacciato poi nel '59 (I). Egli non ignorava certamente in che modo il Beato narrasse la tragica morte del padre nella sua Storia d'Italia (2). Nell'incontro a Nizza il Duca aveva già avuto contezza dell'opera parmense, alla quale si credeva in obbligo di concorrere per una promessa fatta alla Madonna a favore della propria consorte. Mise dunque subito a sua disposizione la somma di lire diecimila, accompagnando l'offerta con una lettera ridondante di affetto per Don Bosco e di cristiana pietà (3). Non taceremo un gentile episodio, di cui abbiamo trovato memoria nei nostri documenti di questa pratica. Durante il corso delle trattative monsignor Villa, prendendosi a cuore la sorte di una civile famiglia, che la perdita improvvisa del suo capo gettava bruscamente in ben critiche condizioni, ne raccomandò a Don Bosco il maggiore di due figli, fanciullo di appena nove anni, “ giovanetto, scriveva il Vescovo, di
(I) Morì nella sua villa di Pianore presso Viareggio (1848-1907). (2) Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 324. (3) App., Doc. 44.
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belle speranze pel suo svegliato ingegno ”, e pregava che fosse “accolto in qualche istituto salesiano allo scopo che avesse a progredire negli studi e nelle vie del timor di Dio, alle quali era stato avviato dagli ottimi suoi genitori”. L'esimio Prelato intercalò questa raccomandazione in una lettera dei soliti affari indirizzata a Don Durando, implorandone “la caritatevole interposizione col miracoloso Don Bosco”, al quale non ne scriveva direttamente perché lo sapeva lontano da Torino. Né il verbo implorare é usato qui da noi a caso; poiché egli usciva in queste espressioni: “Me Le metto in ginocchio e me le raccomando quanto so e posso.” Il giovanetto fu accettato nell'Oratorio per l'anno scolastico 1882-83. Venuto a morte monsignor Villa, il canonico Tescari, suo erede universale e indi a poco Vescovo di Borgo San Donnino oggi Fidenza, facendo proprie le premure dell'estinto, preparò il piccolo alla partenza, della quale avvisò Don Durando in questa forma: “La madre quanto buona altrettanto povera vedova non ha potuto accompagnarlo; quindi il giovanetto é solo. La supplico quindi del favore di mandarlo a prendere alla stazione, affinché non si smarrisca o non trovi quello che non deve. Il Signore le renderà il contraccambio di questa carità” (I). Quel fanciullo, piccino piccino allora e vivacissimo, sul quale vegliavano anime cosi buone, accolto da Don Bosco nelle sue grandi braccia, vinte che ebbe le prime ritrosie, si affezionò talmente all'Oratorio, che non se n'é voluto staccare mai più. Egli é Don Paolo Ubaldi, salesiano, ordinario di lettere greche nelle regie Università e al presente professore stimatissimo in quella Cattolica di Milano. (2)
(I) Lettere di mons. Villa 9 ottobre 1881 e del can. Tescari 6 agosto 1882. (2) Nel giugno del 1885 il piccolo Ubaldi, alunno della quarta ginnasiale, lesse a Don Bosco nell'accademia dell'onomastico una sua composizioncella in greco; andato quindi a baciargli la mano, si aspettava qualche parola di complimento. Invece Don Bosco gli disse: - Oh il grecista! Ti faremo poi professore di Università!
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PISA.
Pisa richiamò l'attenzione di Don Bosco nel 1880. Il gesuita padre Emilio Pardocchi, colà residente, era di passaggio a Luca, allorché Don Bosco vi teneva la conferenza ai Cooperatori. Volle assistervi, riportando dalle sue parole una profonda impressione. Avuto un colloquio con lui, gli rappresentò così al vivo le condizioni religiose di Pisa, infestata anche dai protestanti, che il Servo di Dio si disse disposto ad accorrere in aiuto e gli commise di parlarne con l'Arcivescovo monsignor Paolo Micaleff. L'Arcivescovo, vecchio e accidentato, ciò udendo, alzò le mani e gli occhi al cielo ed esclamò: - Pur che fosse vero! Venga, venga Don Bosco, non desidero altro e intonerò il Nunc dimittis -. Anche al Vicario Generale monsignor Ricci parve cosa tanto bella da non poterci credere per la troppa allegrezza. I Cooperatori del luogo, fra cui l'impareggiabile professore Giuseppe Toniolo, che illustrò l'Università pisana con la sua cattedra di economia politica, unendo alla grande scienza una rara pietà cristiana, presero a concertare fra loro il modo di affrettare l'auspicato avvenimento. La morte dell'Arcivescovo non arrestò l'iniziativa, tanto più che il novello Arcivescovo monsignor Ferdinando Capponi era dell'identico pensare. Si venne ai fatti. Fuori Porta a Piagge esisteva una casa detta degli Esercizi con pubblica chiesa unita, che si denominava di San Jacopo: casa e chiesa si sarebbero volute concedere a Don Bosco. Là presso avevano il convento le Salesiane o Suore della Visitazione, le quali con lunghe lettere non finivano di scongiurare Don Bosco che facesse presto a mandare i Salesiani. Nel giugno del 1883 L'Arcivescovo redasse un minuzioso abbozzo di convenzione, su cui però Don Bosco non poté convenire, poiché il tutto presentava un aspetto di precarietà, che nonostante ogni buon volere non dava bastevole affidamento.
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Il Servo di Dio vide poi dal cielo l'ingresso dei Salesiani e delle Suore nella storica città dell'Arno.
ARENZANO, PEROSA, OULX.
Toccheremo ancora di tre luoghi, omettendone altri, che senza pro ci manderebbero troppo in lungo. Il primo é Arenzano, nel circondario di Genova. Quel Municipio trattò nel 1881 con Don Bosco, affinché gli desse i maestri per le scuole comunali. Rispostosi che tentassero presso altre Congregazioni: “E quali, replicò il sindaco, in questi tristi tempi, che per le loro condizioni siano come quella dei Salesiani tollerate dal Governo?”. Ma Arenzano fu meno fortunata di Perosa e di OULX, che se non altro ebbero a lungo andare i figli di Don Bosco. Perosa Argentina, importante comune del circondario di Pinerolo, contava duemila abitanti cattolici, a cui vivevano frammisti circa duecento Valdesi. Questi eretici, sparsi un po' dappertutto nell'Italia, sommano a circa quaranta mila, metà dei quali formano diverse comunità nelle valli pinerolesi. Nuclei importanti popolano i villaggi limitrofi a Perosa; a Pomaretto, per esempio, vi era allora oltre un grandioso tempio e ospedale, anche un collegio con ginnasio, dove si lasciavano pure attrarre giovani cattolici d'altre parti. Il parroco di Perosa, che aveva assistito alla trasformazione del borgo da agricolo in industriale e commerciante per l'impianto di due notevoli stabilimenti serici, vedeva purtroppo trasformarsi insieme le abitudini della popolazione, con danno specialmente della gioventù, che adescata da molte distrazioni disertava dai catechismi. Essendo poi il paese un centro notevole in quelle valli, i Valdesi agognavano d'insediarvisi e di dominarlo. A sì doloroso spettacolo il zelante pastore, Don Giuseppe Paolasso, buon cooperatore salesiano, scrisse il 23 settembre 1881 a Don Bosco: “Mi rivolgo a Lei ed a' suoi Salesiani,
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che Dio scelse in questi tempi a ministri delle sue Misericordie, onde voglia studiar modo di aprire in questo paese ed in sito acconcio un oratorio festivo, non che un piccolo collegio.” Il Beato riconobbe tutta la convenienza di fare ivi qualche cosa; ma ne rimise ad altro tempo l'attuazione, quando potesse avere personale disponibile. Si richiesero ben sedici anni prima che il buon volere di lui venisse posto ad effetto dal suo Successore. Nel 1881 e '82 i maggiorenti di Oulx, borgata montana del circondario di Susa, brigarono per ottenere che Don Bosco andasse a stabilire lassù un convitto con scuole ginnasiali a benefizio di tutta la vallata. Parecchi furono i piani studiati; ma per allora mancò l'ubi consistam.
TORINO.
Trarremo dall'oblio un fatto, che merita di essere ricordato, perché onora Don Bosco e ne mette in rilievo l'abituale chiaroveggenza negli affari. Per poco egli non ebbe la direzione spirituale dell'Ospedale Mauriziano in Torino. L'Ordine Mauriziano fu istituito da Emanuele Filiberto, Duca di Savoia, nel 1573 con la fusione dell'Ordine Militare di San Maurizio, creato nel 1434 da Amedeo VIII, e di quello Ospitaliero di San Lazzaro, le cui origini rimontavano al secolo XII. E' tuttora il più alto Ordine cavalleresco dopo quello della Santissima Annunziata ed ha per Gran Maestro il Re. Mercé il concorso dello Stato e la privata beneficenza l'Ordine fondò ne' suoi primordi a oriente di Torino un Ospedale detto Mauriziano o dei Cavalieri, che da modesti princìpi si venne ampliando in guisa da dar ricetto a gran numero d'infermi. Prima sorgeva fuori dell'abitato; ma poi per l'ingrandimento della città finì con trovarsi circondato da edifizi e per l'accrescersi della popolazione non poteva più bastare al bisogno. Si pensò dunque di costruirne uno nuovo, che fosse più vasto e occupasse un'area più adatta.
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Quest'area fu trovata lungo il viale di Stupinigi, in luogo che per libertà e salubrità niente lasciava a desiderare. Ma trovar l'area non era possedere i fondi. All'Ordine Mauriziano le finanze non bastavano per far fronte a sì gravi spese. Il Re Umberto ne conferì con i suoi consiglieri e specialmente con Cesare Correnti, primo Segretario dei Gran Magistero dell'Ordine e già due volte Ministro dell'Istruzione Pubblica; ma la soluzione del problema si presentava quanto mai ardua. Ora il Correnti conosceva assai bene Don Bosco; anzi Don Lemoyne in suoi appunti ci fa sapere che gli andava debitore di un segnalato servigio, per il quale gli si professava ognor grato e desideroso di mostrargli coi fatti la sua riconoscenza. Potrebbe darsi che la cosa risalisse al tempo, in cui egli mazziniano era a Torino esule politico dalla Lombardia. Già nella questione per la chiusura delle scuole era intervenuto con il prestigio del suo nome a difendere Don Bosco. Di lui pertanto si ricordò nell'occasione dell'erigendo Ospedale e ne fece parola al Re, come di uomo dall'ingegno fertilissimo nel trovar denaro per compiere opere grandiose. Piacque al Re il suggerimento; onde fu deciso di udirne il parere sull'importante negozio, in modo però che tutta la pratica rimanesse segreta. Il Correnti visitò più volte Don Bosco da parte del Re. Il Beato s'incaricò volentieri di studiare un progetto, offrendosi ben anche a dirigerne l’attuazione, a patto nondimeno che il suo nome non facesse mai capolino e soprattutto che nessuno s'intromettesse a disturbare i suoi piani. - Io penserò a tutto, disse. Don Bosco ha bisogno di essere libero, e se farà corbellerie, pazienza: saranno tutte a suo conto. - Correnti ci tenne ad assicurarlo essere volontà del Re che egli non vi rimettesse un centesimo di suo; sapere Sua Maestà a quante opere dovesse provvedere; intendere quindi che presentasse unicamente i suoi disegni, né volere che alcun altro vi s'immischiasse Ancora di più fece il Re: desiderò conoscere se Don Bosco avrebbe potuto assumersi la
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direzione morale del nosocomio per mezzo de' suoi Salesiani. Don Bosco rispose che non era alieno dal servire in questo a Sua Maestà. Secondo siffatte intelligenze il Servo di Dio si mise all'opera. Studiò, tastò il terreno, stese il suo disegno. Si trattava di ricorrere a una grande lotteria in danaro, con somme fisse di premi e con determinato numero e prezzo di biglietti. Per la distribuzione di questi e per la raccolta del danaro si sarebbero scelti duecento ragguardevoli signori, non però fra quelli che i liberali chiamavano uomini di sacrestia, ma nemmeno fra avversari della religione, purché fossero persone accette alla Corte. Costoro, stretti in comitato nazionale, avrebbero procurato di smaltire i biglietti, mandandone specialmente a tutti i Cavalieri dell'Ordine Mauriziano. Infine Don Bosco s'intese col banchiere Musso, perché preparasse subito e stanziasse il capitale necessario. Questi, fiutato un buon affare e sicuro che con Don Bosco non si correvano rischi, si prestò a secondarlo. Si domanderà perché mai Don Bosco si fosse imbarcato in questa impresa. Egli aveva di mira più che altro il bene spirituale degl'infermi, poiché prevedeva che non vi si sarebbe pensato. Onde si affrettò a suggerire che presso l'Ospedale si fabbricasse una chiesa, destinata a fare due servizi, uno per i bisogni religiosi dei malati e del personale loro addetto, e l'altro per le necessità del vicino borgo della Crocetta, la cui chiesa parrocchiale diveniva troppo angusta a contenere la crescente popolazione. Che se all'Ordine Mauriziano mancassero i mezzi occorrenti, egli stesso si sarebbe industriato a trovarli. Faceva pure notare che l'antica chiesuola poteva essere ceduta all'Ordine in cambio della nuova e che i sacerdoti addetti alla parrocchia, essendo già retribuiti per il loro ufficio, si sarebbero contentati di modesta retribuzione o fors'anche vi avrebbero rinunziato del tutto per il servizio dell'Ospedale. In ogni caso avrebbe potuto provvedere egli stesso con i Salesiani.
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Formulato il progetto della lotteria, lo mandò al Re, avvertendo che le somme per i premi erano pronte. Il Sovrano lesse con ammirazione e trovò eccellente l'idea; in quanto alla chiesa, gli fece dire che i fondi non sarebbero mancati. Tuttavia Don Bosco teneva preparata una circolare, in cui parlato del nuovo Ospedale, come di cosa nella quale egli non avesse parte alcuna, soggiungeva: “Ma l'Ordine Mauriziano, lo stesso suo Gran Maestro che é il nostro amato Sovrano, desiderano che accanto al futuro edifizio sia eretta una chiesa a comodità degli ammalati, di coloro che sono addetti al servizio dei medesimi ed anche a comodità di quei cittadini che dimorano in quelle vicinanze che distano notabilmente da qualsiasi altra chiesa. A fine poi di raccogliere i mezzi necessari al sacro edifizio io fo appello ai nostri concittadini e a tutti coloro che amano il bene morale ed il decoro della nostra augusta Torino. Crediamo di fare cosa grata notificando che i lavori, la forma di questa chiesa e tutto quello che si riferisce all'esercizio del culto è totalmente affidato al Sac. Giovanni Bosco ed ai suoi preti.” Questa circolare di cui possediamo l'autografo, non fu pubblicata, ma é pur sempre documento eloquente dello zelo di Don Bosco per il bene delle anime. Le pratiche anzidette corsero qualche tempo segrete fra il Re, il Correnti e Don. Bosco, secondoché erasi concertato; ingerenze occulte o palesi di guastamestieri avrebbero potuto imbrogliare le carte. Ma poi quello che si temeva, avvenne. La notizia trapelò nella Corte e Don Bosco n'ebbe alte lodi; certuni per altro si risentirono per non essere stati consultati. Cosi il teologo Pavarino, cappellano alla Regia Basilica di Superga, e il canonico Durio, cappellano di Corte, vennero da Don Bosco a dirgli che, avendo saputo della lotteria da lui ideata, desideravano di prestarvi l'opera loro, per contribuire anch'essi al buon risultato. Don Bosco cercò bene di far intendere come per volere del Re nessuno dovesse entrare a dar giudizi o a metter mano nella faccenda; ma
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queglino lo importunarono a segno, che ne rese avvertito il Correnti, e questi per mezzo del barone Cova gli ripeté a nome di Sua Maestà che a lui solo spettava la direzione e l'esecuzione dell'impresa, Se non che or sorde or palesi le opposizioni non cessavano di dargli molestia. Venne la volta anche di monsignor Gastaldi, il quale si dichiarò contrario al trasferimento della parrocchia, lagnandosi di non essere stato interpellato prima d'ogni altro; spettare a lui designare le chiese parrocchiali e opporvi quindi il suo veto. Aveva senza dubbio tutte le ragioni e tutti i diritti in linea di principio; ma esporre una opinione non era stato ancora invadergli il campo. Tanta pubblicità costrinse il Correnti a radunare il consiglio di amministrazione dell'Ospedale, pregando pure Don Bosco d'intervenire. Don Bosco andò, accompagnato dal coadiutore Pelazza, che lo attese nella sala. Data ai presenti comunicazione del noto programma, ognuno volle dire la sua circa il modo più sicuro dì procurare il danaro necessario. Interloquirono tutti, e Don Bosco taceva. Finalmente il Correnti, imposto silenzio, disse: - Sentiamo Don Bosco. Il Servo di Dio allora espose quanto aveva manifestato al Re per iscritto, dimostrando come la cosa fosse di esito sicuro. Gli si mossero obbiezioni, finché egli sorridendo uscì a dire: - Ebbene dirò io qual é il mezzo più spiccio per mettere insieme una somma straordinaria. S'invitino tutti i Cavalieri di San Maurizio e Lazzaro e tutti quelli della Corona d'Italia (I) a versare ciascuno dieci o venti lire. Si vedrà che pagheranno volentieri, e sono tanti i Cavalieri! - A una trovata sì originale tutti risero e ogni questione parve finita. Sciolta l'adunanza, il Correnti accompagnò Don Bosco fino alla porta, gli baciò la mano e si raccomandò alle sue orazioni. Il Pelazza trasecolato al vedere simili
(I) Quest'Ordine cavalleresco, istituito da Vittorio Emanuele II nel 1868 per conservare la memoria dell'annessione della Venezia all'Italia, era stato aggregato all'Ordine Mauriziano.
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dimostrazioni da parte di un tal uomo, quando si fu in strada, non nascose a Don Bosco la propria meraviglia. Il Beato, cammin facendo, gli disse: - Correnti é un uomo di gran sentimento. Se non fosse legato alle sètte, farebbe assai del bene. Tuttavia in punto di morte, se potesse aver vicino Don Bosco o qualche altro prete, io ritengo che si confesserebbe. - Egli mori a Meina otto mesi dopo che Don Bosco aveva lasciato la terra. Negli ultimi giorni, oltreché da monsignor Anzino, cappellano di Corte, era visitato dal parroco, fatto da lui chiamare. Si vide soltanto che questi gli amministrò l'Estrema Unzione (I). Diventata pressoché di pubblico dominio la notizia della parte di Don Bosco nel famoso programma, gli oppositori non gli davano tregua, massime i due preti, che quasi ogni giorno erano là a proporgli modificazioni o aggiunte al progetto. Quanto tempo gli fecero perdere! Ma la ragionevolezza delle sue vedute non entrava loro in capo. Importunità sì ostinate lo stancarono, sicché finì con dire che, se volevano fare essi in vece sua, facessero pure; essere già troppe le faccende che lo tenevano occupato; aver egli accettato quell'incarico non per gusto che ci avesse, ma per secondare il desiderio dei Re. Contenti che Don Bosco cedesse le armi, i due seccatori gli domandarono, se fosse disposto a secondare i loro disegni e ad aiutarli. Rispose di sì; ma queglino più non comparvero: lasciato da parte Don Bosco, si misero essi alla testa dell'impresa. Mancavano però loro due cose: l'ingegno di Don Bosco e la fiducia di chi doveva somministrare il denaro per la lotteria. E poi, propalatesi a quel modo le trattative, il Re e Correnti stimarono prudenza non più insistere presso di lui. Così il bel progetto di Don Bosco andò in fumo e la costruzione dell'Ospedale non solo esaurì le entrate dell'Ordine, ma ne dissestò per un pezzo le finanze. L'II novembre 1881 vi doveva essere la cerimonia per la posa della prima, pietra con l'intervento del Re. Sua Maestà
(I) Unità Cattolica, 7 ottobre 1888.
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desiderava molto di vedere Don Bosco. Anche per questo il Correnti voleva a ogni costo che facesse Don Bosco quella funzione; ma questi tanto disse, che, vinte le sue riluttanze, lo persuase della convenienza di passar sopra alle proprie antipatie e di pregare l'Arcivescovo. Allora il Correnti, divisando di presentarlo al Re in quell'occasione, venne appositamente all'Oratorio e non volle andar via finché non istrappò al Beato una formale promessa di assistervi. La promessa però aveva una condizione, che cioè il Baccelli, Ministro della Pubblica Istruzione, se, come si diceva, fosse stato là a rappresentare il Governo, non tenesse nessun discorso. Era infatti da aspettarsi che, parlando, si abbandonasse a declamazioni anticlericali e antipapali, cosa che a Don Bosco ripugnava maggiormente in un già suddito pontificio e professore nella pontificia Università della Sapienza. Oggi a noi non é più così facile comprendere quanto il contatto con tali uomini potesse allora pregiudicare un ecclesiastico di fronte ai cattolici, troppo ardente perdurando negli animi il dolore della questione romana. Don Bosco ricevette assicurazione che il Baccelli non sarebbe più venuto a Torino; difatti, sebbene fino all'ultimo giorno si desse per certo il suo arrivo, egli non si mosse da Roma (I). Don Bosco mantenne la parola: ma benché avesse un biglietto d'invito personale, che si conserva nei nostri archivi, si confuse tra la folla, né si mise menomamente in vista durante tutto lo svolgersi della funzione (2). Il Re, appena
(I) L'Unità Cattolica dell'II novembre in un articolo sulla imminente cerimonia scriveva: “ Alla solenne funzione assistono i principali personaggi ufficiali della nostra città, e non vi manca il ministro Guido Baccelli, che vi rappresenta il Governo ”. Ma nel numero del 12 rettificò: “Mancava il ministro Baccelli, trattenuto a Roma dalle sue occupazioni ministeriali. Il Governo veniva perciò rappresentato dal prefetto di Torino, senatore Casalis.” (2) Circondato dai canonici Chiuso, Antonelli e Bertoglio, dal decano dei parroci commendatore Genta e da altri preti, monsignor Gastaldi benedisse la pietra fondamentale e pronunziò dinanzi al Re un discorso, di cui allora furono censurate alcune espressioni che urtarono i sentimenti dei cattolici più fedeli al Papa. Erano poi i giorni delle tribolazioni narrate nei capi antecedenti. Don Bosco dunque si sarebbe trovato molto a disagio, se avesse preso il posto a cui l'invito gli dava diritto.
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giunto, chiese subito al Correnti dove fosse Don Bosco Il Correnti, dato uno sguardo attorno senza poterlo scorgere, ne rimase male e si tenne alquanto offeso; perciò alcuni giorni dopo andò a lamentarsi con lui, che fosse venuto meno alla sua promessa. Il Servo di Dio, scusatosi come credette meglio soggiunse: - Non mi sono fatto avanti appunto per evitare la presentazione al Re. Se il Re mi avesse rivolte anche poche parole, i giornali d'Italia chi sa che cosa avrebbero detto sul conto mio, chi sa che cosa ne avrebbero pensato a Roma! Sarebbe stato un imbroglio per me, e forse anche al Re avrebbero recato qualche noia quelle dicerie. Il Correnti, rimasto là un istante pensoso, gli diede ragione, ammirandone la prudenza e conchiudendo con dire: - Io non ci aveva pensato. - Comprese allora meglio una parola dettagli da Don Bosco in altra occasione, che non sappiamo ben precisare quale fosse. Gli aveva domandato come facesse ad andare sempre avanti senza naufragare in tempi di lotte sì accese e fra tanti partiti. - Con dare a ciascuno il suo, aveva risposto Don Bosco, e schivare tutte le questioni e le pubblicità non necessarie. Nonostante le contrarietà che abbiamo descritte, né il Correnti volle rinunziare del tutto alla collaborazione di Don Bosco, né Don Bosco credette di doversi disinteressare completamente dell'ospedale. Avendogli il Santo chiesto nel 1884 un'onorificenza per il professore Bonzanino, il primo segretario dell'Ordine Mauriziano gli rispose con molta benevolenza e profittò dell'occasione per pregarlo che lo aiutasse nella costruzione della vagheggiata chiesa, procurandogli un largo concorso dalla carità dei fedeli (I). In questo Don Bosco non poté fare nulla pubblicamente: scartato il suo disegno, egli non aveva più veste per occuparsi con frutto dell'impresa. Tuttavia essendosi parecchie volte interessato per ottenere distinzioni cavalleresche, induceva i richiedenti a versare
(I) App., DOC. 45.
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somme considerevoli a vantaggio dell'erigendo ospedale. Inoltre, essendosi abbandonata l'idea della chiesa, si restava anche senza una cappella interna; il che non desti stupore, poiché l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, trasformato in civile e unito a quel della Corona d'Italia, subiva la sorte degli enti laicizzati. Il Beato dunque, recatosi a visitare il nuovo edifizio, domandò al Correnti come s'intendesse provvedere al servizio religioso. Quegli si schermì, dicendo essersi seguite le prescrizioni dei sanitari, che avevano dettato le norme agli architetti. Allora per suggerimento delle Suore, che al suo ingresso gli avevano fatto festose accoglienze, indicò una sala che si poteva senza difficoltà adibire allo scopo. Il Correnti tacque, ma soddisfece al suo desiderio; sicché gl'infermi andarono debitori a Don Bosco del benefizio di avere vicino il Santissimo Sacramento, a conforto dei loro dolori.
CAPO X. Entrata dei Salesiani nella Spagna. Inizi delle fondazioni di Firenze e di Faenza.
TRE Opere salesiane oggi fiorenti ripetono i loro esordi dall'anno 1881: il collegio di Utrera e i due istituti di Firenze e di Faenza. Seguendo l'ordine cronologico della fondazione, diremo anzitutto del primo, la cui mercè furono dischiuse a Don Bosco le porte della Spagna. Sembra quasi uno scherzo della Provvidenza il modo come cadde nella Spagna il seme, da cui germogliò l'albero rigoglioso, che doveva spandere i suoi rami in tutte le direzioni del paese. Il marchese Don Diego di Casa Ulloa meditava di aprire in Utrera una pia casa per ricoverarvi fanciulli poveri; scrisse pertanto al Superiore Generale dei Maristi, pregandolo di accettarne la direzione. Il Generale andò per fargli visita in ora troppo mattutina e non fu ricevuto; andò una seconda volta, ma nel palazzo non c'erano che le signore. Quasi stizzito, volse le spalle né più si fece vedere. Allora il Marchese, avendo aspettato indarno una risposta, si consigliò con l'Arcivescovo di Siviglia, monsignor Gioacchino Lluch y Garriga, da cui Utrera dipendeva, invocando i suoi lumi per sapere come raggiungere il suo caritatevole intento. L'Arcivescovo era carmelitano e aveva soggiornato nel convento di Lucca, quando già si trovavano quivi i
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Salesiani; perciò, avendoli conosciuti molto favorevolmente, gli rispose di chiamare i figli di Don Bosco. Il gentiluomo che nulla conosceva né di Don Bosco né della sua Congregazione, pregò il Prelato che volesse scrivere egli stesso a Torino in suo nome. L'Arcivescovo di buon grado consentì. La risposta non si fece sospirare, ma conteneva solo vaghe speranze. Questo avveniva nel 1879. L'anno seguente Don Cagliero, come abbiamo narrato nell'altro volume, si recò nella capitale dell'Andalusìa accompagnato dal coadiutore Giuseppe Rossi. Vi giunse il 24 gennaio. L'Arcivescovo lo abbracciò con effusione, dicendosi lietissimo di vedere i figli di Don Bosco e ringraziandone il Signore. Presso Sua Eccellenza trovavasi ad attenderli il Marchese con il figlio Antonio e il genero Enrico Muñoz. Il Marchese che aveva 71 anni, venerando patriarca e uomo di fede antica, voleva prima di morire veder i Salesiani stabiliti in Utrera, sua patria. Tutta la sua famiglia, animata dal medesimo spirito cattolico, lo secondava in questo suo desiderio. A Don Cagliero sembrò di ravvisare in lui una copia fedele dell'argentino Francesco Benitez. Dinanzi a tutti l'Arcivescovo parlava di Don Bosco e delle sue istituzioni con santo entusiasmo. Il figlio e il genero del Marchese accompagnarono gli ospiti a Utrera. Monsignore aveva notificato ufficialmente il loro arrivo al Vicario del luogo; onde tutto il clero si mise in moto per riceverli bene. Anche l'alcalde o sindaco, ottimo cattolico, non solamente andò a dar loro il benvenuto, ma per due giorni volle farsi loro guida nel visitare chiese, scuole e altri stabilimenti. E' situata Utrera a trenta chilometri da Siviglia, verso sudest, in mezzo a una sterminata e fertile pianura, coltivata a frumento e popolata di ulivi e di bestiame; ma la sua maggior rinomanza le deriva dall'essere il luogo più importante della Spagna per l'allevamento dei tori destinati alle corridas e detti ganaderos. Contava a quei tempi poco più di dodici mila abitanti: popolazione cattolica, sebbene, come in
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tantissimi luoghi della Spagna, poco praticante per questo i protestanti senza difficoltà vi stavan facendo il covo. Dai buoni si aspettava che i Salesiani venissero a scuotervi la generale indifferenza religiosa e a snidarne i falsi predicanti. Vi erano nella città diverse chiese, due specialmente del secolo XV, vere cattedrali; ma parecchie per difetto di clero erano quasi abbandonate, e fra queste l'Arcivescovo disse ai Salesiani di sceglierne una, quella che paresse loro meglio. Don Cagliero pose gli occhi sulla chiesa del Carmine, perché più centrale e più comoda alla popolazione ed anche più distante dalla parrocchia. Essendo tuttavia piccoletta l'annessa abitazione il Marchese, finchè non si fosse diversamente provveduto, avrebbe lasciato a disposizione dei Salesiani metà di una sua bella casa ivi prossima. Essendosi intanto arrivati alla festa di San Francesco di Sales, Don Cagliero tenne quel giorno in detta chiesa una conferenza, dopo la quale inscrisse i primi Cooperatori Salesiani spagnuoli. Egli non dava un passo senza renderne conto a Don Bosco, che si trovava a Marsiglia, e per ordine suo anche a Don Rua, facendo questo in lunghe lettere piene di brio e di buon umore. Partì lasciando dietro di sè e recando seco le migliori impressioni. “Monsignor Arcivescovo, scriveva egli a Don Rua (I), ci vuole in Siviglia ed in altri punti della sua vastissima Archidiocesi. Egli si è costituito il gran Papà dei Salesiani per la Spagna. Il Signor Marchese Ulloa, il suo figlio e suo genero e l'alcalde di Utrera intendono essere i primi Cooperatori salesiani di Spagna. Noi avevamo già idea di cortesia e fraterna bontà girando il mondo; ma il primato credo lo tenga la Spagna e specie l'Andalusia.” E al Maestro dei Novizi Don Barberis (2): “Di noi si formarono un ideale troppo grande forse, e temo che all'atto pratico i colori abbiano a sbiadire! Di' adunque a questi novizi che facciano
(I) Siviglia, 30 gennaio 1880. (2) Siviglia, 31 gennaio 1880
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dell'uomo e stiano in gamba (I). Potrebbe darsi che più d'un di loro sia da Dio eletto a fare dei miracoli da queste parti, dove abbiamo un vastissimo campo da lavorare! E pensino che è la terra delle Terese, degli Ignazi, dei S. Domenico, degli Avila e dei Rodriguez, degli Isidori e dei Tommasi da Villanova.” Fra i novizi che udirono leggere questo pronostico trovavasi per l'appunto colui che la Provvidenza destinava a diffondere e organizzare l'Opera salesiana nella Spagna, Don Filippo Rinaldi, il terzo successore di Don Bosco. Il Servo di Dio, tornato da Marsiglia a Nizza Mare, appena poté godere un po' di respiro, volle sdebitarsi con il Marchese di Ulloa e con l'Arcivescovo di Siviglia. Scrisse pertanto al primo:
Ill.mo Sig. Marchese D. Diego di Casa Ulloa,
Non so come ringraziare la S. V. della carità usata a' miei figli Salesiani che ebbero l'alto onore di essere ospitati in casa sua. Io ne conservo la più [sentita] gratitudine e Dio saprà degnamente rimeritarla. Vivo però nella più viva speranza che saremo onorati da una sua visita in Torino ed allora potrò personalmente ringraziare di quello che ha fatto ed è pronto di fare a favore della nostra umile e nascente Congregazione. Dio la benedica, o carissimo e caritatevolissimo Sig. Marchese, e con Lei benedica e conservi in sanità, in grazia sua tutta la sua famiglia. Lieto di poterla annoverare tra i nostri insigni benefattori l'assicuro che V. S., il suo degnissimo figlio D. Antonio e Il Sig. D. Enrico e famiglia parteciperanno delle comuni e private preghiere che ogni giorno si fanno nelle case Salesiane. Mi raccomando in fine alla carità spirituale delle sante sue preghiere. mentre con animo riconoscente ho l'alto onore di potermi professare in G. C. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
P.S. Confermo quanto il mio incaricato Dottor Cagliero ha conchiuso per la casa da aprirsi nella città di Utrera e spero che coll'aiuto del Signore ogni cosa sarà preparata pel prossimo ottobre, e che i
(I) “Stare in gamba”, espressione piemontese che vuol dire “stare in buona salute” oppure “state di buon animo, farsi animo”.
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miei e suoi figli Salesiani potranno partire a quell'epoca per recarsi al luogo dell'uffizio che la Divina Provvidenza per mano di Lei ha preparato. Nizza, 26 febbraio 1880. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Della lettera all'Arcivescovo non conosciamo il tenore; ma abbiamo sott'occhio la risposta, scritta in italiano. Egli parlava questa lingua, avendo fatto in Italia i suoi studi.
Veneratissimo D. Bosco Sac. Giovanni,
Mille grazie per la sua desiderata lettera del 26 febbraio scorso. Mi rallegro nel Signore che il Sac. Don Cagliero ed il suo compagno sieno costì arrivati lieti e contenti del loro viaggio in Siviglia. Io pure godo d'averli conosciuti, e confido d'avere in cotesta mia Arcidiocesi digià stabiliti i cari Salesiani nel venturo mese d'ottobre. Iddio benedirà questa impiattagione (sic) in Ispagna, ed i nostri posteri ne coglieranno i frutti, paghi noi abbondantemente d'esserne rimeritati dal Datore d'ogni bene. I miei acciacchi seguitano impedendomi la quiete. Allorquando potrò intrapprendere il bramato da me viaggio a Roma, avviserò per tempo, e fisserò quello del nostro rendez-vous a Torino. Frattanto saluto Don Cagliero e lo ringrazio del suo biglietto al quale voglio sia questa mia lettera di risposta, come pure dei giornali di Marsiglia. Mi raccomando alle orazioni della Congregazione Salesiana, e di Lei, venerato Padre, di cui mi rassegno Um.mo e Dev.mo Servitore FR. G. Arcivescovo di Siviglia.
L'apertura della casa di Utrera si doveva dunque considerare come cosa decisa. “Sono conchiuse le trattative in Utrera, aveva scritto Don Cagliero nella citata lettera a Don Rua, e sei Salesiani sono offerti pel prossimo ottobre.” Ma la data non corrispose esattamente alla previsione. Dicevamo nel capo primo che Don Cagliero sul principio del 1881 accompagnò a Utrera il piccolo stuolo dei Salesiani destinati alla nuova fondazione. Quanto si erano diffuse nella penisola iberica le notizie di cose salesiane! I viaggiatori ne ebbero subito una prova a Gibilterra. Perduto il piroscafo che salpava
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ogni venerdì per Cadice, furono costretti di aspettare fino al martedì seguente. Ci volle del bello e del buono, perchè si accordasse loro il permesso di sbarcate nel possedimento inglese; ma tosto si videro circondati da buoni amici. Il Vicario Capitolare e i suoi dieci preti si mostrarono informatissimi di Don Bosco e delle sue vicende, sicché aderirono con gioia all'invito d'inscriversi fra i Cooperatori Salesiani. Grande banditore della fama di Don Bosco erasi fatto l'Arcivescovo di Siviglia, che nella Rivista diocesana pubblicava una Storia dell'Oratorio, attingendo al Bollettino, in cui dal gennaio del 1879 Don Bonetti dava ai lettori le briose puntate raccolte poi in volume sotto il titolo di Cinque lustri di storia dell'Oratorio di San Francesco di Sales. A loro volta la Rivista Popolare di Barcellona e giornali di Madrid e d'altri luoghi riproducevano gli articoli di Siviglia (I), facendo salire in gran rinomanza per tutta la Spagna le gesta dell'uomo di Dio. L'ingresso in Utrera fu un trionfo. Il 22 febbraio Don Cagliero col direttore Don Branda visitò l'Arcivescovo, che il giorno medesimo scrisse a Don Bosco: “I suoi figli sono arrivati a Utrera in mezzo alle dimostrazioni di affetto e di gioia di quei miei cari andalusi. Oggi ho ricevuto la visita di Don Cagliero e del nominato Superiore di quella residenza. Hanno di già cominciato a lavorare nei santi ministeri. Spero che faranno del gran bene in Ispagna. Ho già loro preparato un'altra casa in Ecija, sede vescovile che fu di San Fulgenzio. Non dubiti, caro Don Bosco, ch'io sarò leur grand Papà.” Tutto il clero secolare di Siviglia manifestava calda simpatia per la Congregazione, destinata, dicevano, a fare molto bene alla gioventù spagnuola, che dal 1868 in poi, quando il radicalismo cominciò a prendere sempre maggiormente piede, si andava purtroppo perdendo. Anche il Vescovo di Valenza si sforzava di strappare una promessa per l'accettazione di una casa nella sua diocesi; così pure quello di Malaga
(I) Lett. cit. e a Don Bosco, Siviglia 23 febbraio 1881.
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ardeva del desiderio di abboccarsi con un Salesiano per trattare della stessa cosa. Don Cagliero lo fece pago, recandosi a visitarlo. Ivi trovò che mediante lo zelo di sacerdoti e signori si era già cominciato alcunché di analogo a quanto leggevano di Torino, Sampierdarena, Nizza e Marsiglia; ma si volevano i Salesiani per riordinare, reggere e far progredire l'opera secondo i nostri sistemi educativi. Vi fece venti Cooperatori Salesiani. Da quanto udiva là e altrove egli riportava l'impressione che si sentisse “ possente il bisogno di moralizzare la classe operaia ” e si fosse persuasi essere “ la nostra Istituzione l'unico rimedio ai mali sociali ” del tempo. Sono frasi sue nella lettera a Don Bosco. I vigilanti pastori vedevano giusto. Gli avvenimenti di fresca data hanno dimostrato che in realtà la salvezza della Spagna non istava più nell'aristocrazia, ma nel popolo e che di questo urgeva al sommo prendersi cura. L'Arcivescovo di Siviglia, come abbiamo visto, lodava la prontezza dei Salesiani nel dedicarsi ai sacri ministeri. La chiesa del Carmine prima era deserta. Vi mancava tutto, sicché bisognò prendere a imprestito candele, candelieri e paramenti; ma in meno di quindici giorni fu provveduto quanto occorreva per il servizio divino. Le funzioni attiravano sempre più gente. Primi si affollarono intorno ai Salesiani i ragazzi, riempiendo sacrestia e presbiterio e vestendosi alcuni da chierichetti, altri accorrendo per imparare a servire la Messa, molti adunandosi per istruirsi nella dottrina cristiana, assai trascurata. Le madri benedicevano la venuta dei nuovi apostoli. Il Marchese di Ulloa versava lagrime di consolazione. Don Cagliero, riferendone a Don Bosco, esclamava (I): “E noi? Già abbiamo ringraziato la Divina Provvidenza che siasi servita de los muchachos di Valdocco per fare vieppiù risplendere la sua gloria e la sua misericordia in questo paese.”
(I) Utrera, 10 marzo 1881.
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Anche nel vicino Portogallo si moveva incontro ai figli di Don Bosco. Da Lisbona Don Cagliero ricevette per il tramite della Nunziatura un plico raccomandato, in cui il presidente dell'Associazione protettrice degli operai lo invitava a portarsi in quella capitale per convincersi della necessità grande di accorrere per salvare i figli del povero popolo. Da Oporto un'altra lettera, scritta a nome del Cardinale, gli diceva quanto fosse aspettata una sua visita nella seconda città del regno per istabilirvi senza indugio i Salesiani. Al leggere tutte queste notizie Don Bosco gli rispondeva con la sua imperturbabile serenità:
Carissimo D. Cagliero,
Ho ricevute lettere tue, e rinviate a Torino. I compagni furono curati bene fino a S. Vincenzo (I), d'onde ho testè ricevute notizie. Le nostre cose procedono ottimamente. Dio ci benedice. Avanti. Fa' rispettosi omaggi a tutti i nostri benefattori, specialmente al nostro veneratissimo, e carissimo più che padre, Monsig. Arcivescovo di Siviglia cui spero di scrivere quanto prima. Procura di occuparti della Chiesa del Sacro Cuore di Roma. Avvi sommo bisogno della tua presenza tra noi. Spero di essere a Roma al principio di aprile per fare presto ritorno a Torino. Un cordialissimo saluto a tutti i nostri cari amici, confratelli e figli in Gesù Cristo. Dio ci benedica tutti e pregate per me che sono vostro Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
All'Arcivescovo di Siviglia scrisse soltanto dopochè, ritornato da Roma e udita la relazione di Don Cagliero, le brighe di quei giorni gliene lasciarono la possibilità. Usò la lingua latina, forse perchè non rammentava che Monsignore conosceva benissimo, l'italiano o fors'anche perchè la sua lettera potesse venir letta pure da altri ecclesiastici: un latino semplice e schietto, con cui molto alla buona esprimeva i suoi veraci sentimenti verso il benemerito Prelato (2).
(I) Allude alla burrasca che li sbattè durante quel tragitto. (2) App., Doc. 46.
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La raccomandazione a Don Cagliero che si occupasse della chiesa del Sacro Cuore non restò lettera morta: un desiderio qualsiasi di Don Bosco era sempre una legge per quegli affezionati suoi figli ed aiutanti. Don Cagliero, preparata la traduzione di una Circolare italiana che vedremo, e della relativa lettera del Beato, le fece stampare e ne mandò, copia a tutti i Vescovi e parroci della Spagna. I giornali poi vi diedero pubblicità (I). Il difficile per i nostri era la lingua, che nessuno di essi aveva mai studiata; questo fu uno dei principali motivi che indussero Don Cagliero a prolungare tanto il suo soggiorno in Utrera. Vi si trattenne fino alla Pasqua, che cadeva il 17 aprile. La sera della grande solennità prese pubblicamente commiato dai fedeli o per dir meglio dalle fedeli, che frequentavano la chiesa del Carmine. Per la circostanza la sua vivace immaginazione gli suggerì una delle solite bizzarrie, di cui perdura tuttora la memoria. La mattina, attraversando la città, aveva visto il così detto toro del aguardiente. Lo Spagnuolo nelle maggiori occasioni non sa fare a meno del suo divertimento favorito. A quei tempi, dove non era possibile avere un circo per le corridas, vi si suppliva in una forma molto spiccia. Si prendeva un toro indomito, gli si legava una lunga fune alle corna e lo si lanciava per le vie e per le piazze, dove, fra una turba di spettatori, uomini validi si paravano dinanzi alla bestia, la aizzavano in tutti i modi, la sfidavano di fronte scansandone la furia e nei momenti di pericolo vi era chi, tirando la corda, ne arrestava l'impeto. Si slacciava la fiera nell'ora in cui i popolani uscivano a sorbire il bicchierino dell'acquavite, donde il nome che quel giorno si dava all'animale. Oggi il pericolosissimo divertimento è proibito fuori degli steccati, ma allora Don Cagliero ne fu spettatore attraverso la città. Onde nella sua predica esordì press'a poco
(I) Lett. di Don Cagliero a Don Bosco, Utrera, 17 marzo 1881.
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in questo modo: - Io me ne debbo tornare in Italia. Vi confesso che fino a oggi il pensiero della partenza mi era una spina al cuore. Non avendo mai visto se non donne in questa chiesa, m'immaginavo che esse menassero qui la vita nell'abbandono, senza uomini che provvedessero a loro e le difendessero. Ma finalmente stamane, andando per Utrera, son passato attraverso una folla compatta d'uomini nerboruti... Meno male! esclamai. Anche a Utrera uomini ve ne sono... - La morale scaturiva da sè; ma i commenti dell'oratore la ribadirono ancor meglio, sicché si assicura che, divulgatasi la peregrina trovata, ne siano seguiti buoni effetti. Il Marchese però, pur non confondendosi con la plebe, era assiduo alle funzioni. Egli poi seguiva il costume allora generale nelle persone distinte, di andare alla Comunione a lunghi intervalli, ma con tutta la solennità delle grandi occasioni, cioè in abito di cerimonia e con le decorazioni al petto. Si trattava Gesù da sovrano. Orbene, quando i Salesiani introdussero l'uso della Comunione frequente, il nobil uomo, vedendo anche la gentarella comunicarsi così spesso, non sapeva darsi pace. Ma non passò gran tempo che egli pure, lasciatosi persuadere, ruppe a poco a poco la consuetudine, arrivando fino alla Comunione quotidiana. Allora il giubilo di quell'anima cristiana era così vivo, che non finiva di manifestare la sua riconoscenza a Don Bosco per l'insigne benefizio arrecatogli sul tramonto della sua vita. Da Utrera Don Cagliero si recò prima a Lisbona e poi a Oporto. Nella capitale del Portogallo ebbe una cordialissima udienza dal Nunzio Apostolico monsignor Aloisi-Masella, grande ammiratore di Don Bosco, le cui opere chiamò opere del Signore. Venne anche ricevuto dalla Regina Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II. In un colloquio di mezz'ora si parlò di Torino, di Don Bosco, di Maria Ausiliatrice, di Missioni salesiane, della fondazione di Spagna e di quelle da farsi nel Portogallo. La Regina domandò con certa curiosità: - Come fa Don Bosco a compiere tante belle opere con niente? -
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- E' il grande segreto della Divina Provvidenza, rispose Don Cagliero. Da principio non furono estranei l'augusto avo e la santa madre di Vostra Maestà. - Mi rallegro molto che Don Bosco pensi anche al Portogallo. Bisogna cominciare presto presto. - Quando ciò fosse, avremo in Vostra Maestà una protettrice sicura e perchè Italiani e perchè piemontesi, anzi torinesi. - Questo è ben naturale. In ultimo Don Cagliero le parlò della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore, che Don Bosco per incarico del Santo Padre innalzava come monumento al Padrino di Sua Maestà la Regina. - Ah! esclamò essa, Pio IX se lo merita; era un Santo. - Promise poi che avrebbe contribuito volentieri. Nel congedarlo gli disse di salutare Don Bosco da parte sua e di esprimergli i suoi rallegramenti per le grandiose opere da lui compiute. A Oporto Don Cagliero trovò nel cardinale. vescovo Amerigo Ferreira dos Santos Silva un sincero amico dei Salesiani. Vi si voleva ad ogni costo e quanto prima una casa; ma Don Cagliero per tema di compromettersi se ne partì al più presto possibile, pur ritenendo elle sarebbe stata carità insigne piantare ivi le tende, tanto più che oltre a miserie morali d'altro genere vi sì erano già installati e bene i protestanti. A Oporto si veniva allora stampando, tradotta in portoghese, la breve monografia francese dell'abate Mendre (I). Il 27 aprile Don Cagliero per Badajoz e Valenza, attraversando la Spagna centrale, scese a Barcellona e di là, varcate le frontiere, si diresse a Marsiglia (2). Giunse a Torino precedendo di poco il ritorno di Don Bosco da Roma
(1) A obra de D. Bosco, Fondador da Congregação dos Salesianos (S. Francisco de Salles) segundo a versáo do francez do Padre Mendre. Porto, Typ. Da Palavra, 1881. (2) Lett. di Don Cagliero a Don Lazzero, Oporto 26 aprile 1881. Il settimanale di Lisbona A Cruz do Operaio nei suoi numeri del 23 luglio, 6 e 13 agosto, 3 settembre parlò di Don Bosco, dei principii dell'Oratorio, dell'opuscolo dell'abate Mendre e delle Missioni salesiane.
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Sembra che Don Bosco avesse netta dinanzi alla mente la visione del bene che i suoi figli erano chiamati a compiere nella Spagna. Infatti nel giorno di Santa Teresa del 1880, aveva detto al futuro Direttore della casa di Utrera: - A Utrera non si farà che preparare le armi e affilare le spade per occupare campi ben più vasti. Non passerà molto tempo, che una signora, oggi maritata in Barcellona (e adesso io non sogno certamente), restando vedova, inviterà noi a Barcellona, dove apriremo una casa, e poi ne verran fondate molte altre. - La predizione cominciò ad avverarsi nel 1882, quando la signora Dorotea de Chopitea, perduto il marito, pensò di suffragarne l'anima con l'aprire un oratorio festivo e un ricovero per la gioventù abbandonata e affidarli ai Salesiani. Fu quello il vero principio del grande sviluppo preso dalle opere di Don Bosco nella Spagna. Due settimane dopo l'apertura della casa di Utrera veniva aperta quella di Firenze. A Firenze Don Bosco era conosciuto da tempo. Le sue frequenti visite alla città da quando ve lo chiamava il Governo negli anni della capitale provvisoria, i salutari effetti delle sue benedizioni e soprattutto il prodigioso ritorno da morte a vita del figlioccio della contessa Gerolama Uguccioni (I) l'avevano reso noto non solo, ma caro nelle case patrizie. L'ebbero in venerazione anche i due arcivescovi Limberti e Cecconi. Allorchè quindi il lavorio dei protestanti si fece più intenso in mezzo al popolo fiorentino, i voti dei buoni si rivolsero a lui, come all'uomo più adatto che ci fosse allora per opporre un argine alla propaganda nefasta. Il primo invito a prendere stanza nella capitale toscana rimonta al 1877, e partì dall'Associazione di Carità reciproca fra operai cattolici, presieduta dal marchese Pompeo Bourbon del Monte (2). In principio fu un'idea vaga; poi in seno alla Società Operaia si costituì una Commissione incaricata di
(1) Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 536, (2) Cfr. vol. XIII, pag. 631.
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raccogliere offerte, cercare il locale e condurre le trattative. Vi stava a capo l'avvocato Giovanni Grassi e teneva la corrispondenza un signor Giorgio Rastrelli. Le ricerche di un edifizio andarono in lungo; finalmente nel maggio del 1880 fu presa in affitto una casetta situata in via Cimabue, numero 31. Lì dentro si voleva cominciare una scuola d'arti e mestieri con l'aggiunta di alcune classi elementari; ma l'intendimento era d'arrivar a fare assai più, mirandosi all'erezione di un istituto, che fosse monumento dei cattolici fiorentini alla santa memoria di Pio IX. Don Bosco che in quel maggio stesso aveva visitato lo stabile, consentì di farne la modesta culla dell'opera sua a Firenze. Nel mese di luglio quei signori pressavano Don Bosco, perchè mandasse un Salesiano a insediarvisi; Don Bosco invece mandò il Direttore della casa di Lucca a vedere, se veramente ogni cosa fosse all'ordine per cominciare. Don Marenco trovò il locale sufficiente per un inizio; quanto al resto però, molte parole, molte assicurazioni, molte speranze e nulla di positivo: egli stesso, se volle sfamarsi, dovette andare in una trattoria. L'Arcivescovo monsignor Cecconi scrisse il 10 agosto a Don Bosco: “Quattrini ce ne sono pochi; ma Ella è abituata a cominciare dal poco.” Don Dalmazzo, inviato a esplorare meglio il terreno, raccolse voci che consigliavano a procedere senz'alcuna fretta. Intanto la Commissione diramò una Circolare, che invitava a riempire certi moduli, sottoscrivendo l'invio di offerte o l'indicazione di promesse; ma si era corso troppo, dando per certa la venuta dei Salesiani in autunno al riaprirsi delle scuole. Don Bosco che, risoluto di esaudire gli amici fiorentini, non ne aveva mai fissato il tempo, quando seppe il vero stato delle cose, fece scrivere che per il 1880 non poteva disporre del personale occorrente, essendogli morti di fresco alcuni sacerdoti. Allora l'Arcivescovo, radunati i membri della Commissione, decise d'insistere, come fece il 12 novembre, dicendo che la cooperazione salesiana
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di là non era sperabile fino a che i Salesiani non fossero installati, e osservando che i protestanti lavoravano e ridevano; desse almeno una definitiva risposta. Dopo quest'adunanza un devoto Cooperatore, il canonico Giustino Campolari, scrisse a Don Bosco: “Saputo ciò da persona che si trovava presente, pensai che forse il difetto di personale non fosse la sola e unica causa di questo suo temporeggiare, e che il motivo vero stia nel non avere Ella in mano tanto da esser sicuro dei mezzi pecuniari per il mantenimento della casa, giacchè io pure non credo che quello che si è raccolto possa essere sufficiente. Se questo fosse, io le suggerirei di scrivere francamente a Monsignore in questo senso, perchè sarebbe indecoroso di veder la casa malaticcia e rachitica e col pericolo di vederla morire dopo due o tre anni. In questo caso sarebbe meglio non aprirla […]. Creda, caro Don Bosco, che la necessità di una casa di Salesiani qui in Firenze nella località prescelta è grande: ma bisogna che questa casa, una volta aperta, abbia una vita vigorosa, perchè possa far argine a quella protestante, che non manca davvero di mezzi materiali per adescare gl'incauti genitori a mandarvi i loro figliuoli, e che è piena di questi poveri innocenti.” Le ultime parole commossero fortemente il cuore di Don Bosco, che studiava col suo Capitolo la maniera di accelerare l'andata. Ed ecco nel gennaio un nuovo appello dell'Arcivescovo. “Mi sono adoperato, scriveva, per poterla assicurare che i mezzi di vivere non sarebbero mancati. Ora ho la consolazione di dirle che si può prudentemente cominciare; che il locale, a Lei ben noto, è pronto; e che i 1500 franchi annui per tre Salesiani sono assicurati per qualche anno […]. Deh! mio carissimo, non tardi di più, e si arrenda alle calde preghiere di un Vescovo, che in nome di Dio le chiede cooperazione!” Abbiamo copia della risposta definitiva, che Don Bosco aveva tardato a dare, perchè, avendo fatto scrivere a più benefattrici, aspettava l'esito; ma, come si legge nell'appunto di un segretario, fino agli ultimi di dicembre
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una sola offerta era pervenuta, e piuttosto limitata. Inoltre le persone che corrispondevano con lui, non davano bastevole affidamento, nessuna di esse trovandosi in grado di porgere qualche garanzia, non diciamo materiale, ma almeno morale. Don Bosco attendeva pertanto che l'Arcivescovo pigliasse nelle proprie mani l'iniziativa. L'ultima lettera di Sua Eccellenza soddisfaceva a questa sua attesa; onde rispose:
Eccellenza Reverendissima,
Alla commovente lettera della E. V. io mi dispongo a fare anche l'impossibile, come dicono i Piemontesi. Ritardavo a rispondere perchè le persone a cui mi era diretto o non risposero o risposero in modo poco lusinghiero. Ora che vedo il buon volere della E. V. e che ho da fare solamente con Lei, io mi ci metto nelle mani e farò tutto quello che mi dica. Pertanto sulle basi di sua lettera io scrivo al Direttore della casa di Lucca, affinché nella prossima settimana faccia una gita a Firenze per disporre le cose in modo che i futuri salesiani possano trovare quanto loro occorre per far cuocere i macheroni. Spero che nella sua grande bontà darà ospizio a quell'uno o due giorni che Don Marenco, è il nome di detto Direttore, dovrà passare in Firenze. Intanto io spigolerò qualche religioso nelle varie case e farò che entro poche settimane vi sia un prete, un chierico e un coadiutore a piena disposizione per l'Opera nostra. Farò sapere il giorno preciso del loro arrivo. Per qualche tempo credo bene che si limitino al solo Oratorio festivo e giardino di ricreazione e quando avranno un po' di conoscenza della città, delle usanze e dei costumi potranno cominciare le scuole serali con altre cose che la E. V. nella illuminata sua prudenza vorrà suggerire. Ringrazio V. E. e tutti coloro che hanno riposta tanta fiducia nella nostra pochezza e raccomandandoci umilmente alla carità delle sante sue preghiere mi reco ad alto onore potermi professare della E. V. R.ma Torino, 25 gennaio 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Questa lettera allargò il cuore all'Arcivescovo che di lì a pochi giorni accolse con gioia Don Marenco tornato a Firenze per prendere gli ultimi accordi e lo colmò di gentilezze,
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di carità, di paterno affetto. Indicato quanto mancava ancora nella casa e rientrato in sede, il Direttore di Lucca scrisse a Don Bosco che dopo un paio di settimane la nuova colonia salesiana poteva partire. “Dai discorsi tenutimi, informava egli, sembra conveniente che chi andrà a Firenze si tenga molto vicino all'Arcivescovo, il quale è davvero un buon Padre.” Il suggerimento d'intendersela bene con l'Arcivescovo si vedrà presto quanto fosse opportuno. I Salesiani presero possesso della loro dimora il 4 marzo: erano in tre, il direttore Don Confortóla (I), un chierico e un coadiutore. Si trovarono subito di fronte a serie difficoltà. Le prime difficoltà provennero dalla Commissione. Essa avrebbe dovuto cedere senz'altro ogni cosa a Don Bosco e ai Salesiani; ma un atto simile parve a quei signori che ridondasse a tutto loro discredito. Perciò, esagerando non poco quello che avevano fatto e ignorando che cosa fosse una Congregazione religiosa, s'immaginarono che i Salesiani dovessero stare in qualche modo alle loro dipendenze. Proposero quindi uno schema di convenzione, in virtù della quale il nascente istituto rimaneva per sempre vincolato alla Società Operaia, quasi non fosse che un'emanazione di essa. Don Bosco non si sarebbe mai assoggettato a sì imbarazzante servitù; che obbligava i Salesiani a muoversi secondo l'altrui beneplacito o, come si esprimeva Don Confortóla, aspettando sempre che altri prestasse loro le gambe. Dalle lettere che si conservano nei nostri archivi su questa noiosa controversia, noi comprendiamo benissimo un lamento uscito dalle labbra di Don Bosco. - Vedete un po', disse al Direttore nell'aprile seguente, come vanno le cose! Prima che Don Bosco mandasse i Salesiani a Firenze; fioccavano a Torino lettere piene delle più lusinghiere promesse. Ora che Don Bosco è qui, lo circuiscono, quasi dicessero: Adesso che Don Bosco c'è, gli faremo noi le condizioni che vorremo. -
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 848.
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Non la pensavano tuttavia così due dei soci che più spesso erano stati in corrispondenza con lui, cioè i Signori Rastrelli e Lucaccini; ma più d'ogni altro ne dissentiva l'Arcivescovo, che sconsigliò dal presentare a Don Bosco nel suo passaggio per Firenze quelle sconvenienti condizioni. Non gli si volle dare ascolto; egli ottenne nondimeno che si formulasse un altro progetto meno irto di clausole odiose. Don Bosco lo prese e lo portò con sè a Roma, dandolo in esame a Don Rua; ma si vide che neppure con quello si salvava l'indipendenza economica e la libertà d'azione da lui voluta. Quando però egli fu di ritorno in maggio, il lavoro di conciliazione intrapreso dall'Arcivescovo aveva avuto esito felice: la consegna venne fatta e la Società Operaia, invece di tante pastoie, si contentò di un'esposizione compilata da Don Rua con tatto finissimo e ad essa dal medesimo rilasciata (I). Con questo non vogliamo dire che sparissero i malumori; ma Don Bosco non ci badava. Guai se egli fosse stato facile a risentimenti od a scoraggiamenti! Le porte di alcuni signori, fra cui il presidente dell'Associazione Operaia, questa volta rimasero chiuse per lui. La sua conferenza fruttò appena lire 244,81: nessuna fino allora aveva mai dato così poco. A sì scarso successo contribuirono probabilmente la sfiducia degli uni nei collettori, che erano i membri della Commissione, e la diffidenza degli altri verso i Salesiani per le voci correnti. Al qual proposito bisogna sapere che la Commissione aveva dato alle stampe un memoriale da distribuirsi durante la conferenza per far conoscere a tutti che i firmatari consegnavano “lietamente l'Istituto, ormai già sorto per il concorso della cattolica carità, al benemerito Don Giovanni Bosco ed alla sua Congregazione”, e per presentare al pubblico a nome dell'Associazione Operaia, il rendiconto delle oblazioni ricevute e delle spese incontrate. Vi si dava come effettivo un totale di lire 18.031,56, in gran parte di
(I) App., DOC. 47.
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là da venire, perchè fondato su promesse. Il foglio venne consegnato ufficialmente a Don Bosco, che, percorsolo con lo sguardo, stette un momento sopra pensiero e poi, dondolando lievemente il capo, lo restituì senza proferir parola. Mentr'egli era sul punto di andar a chiedere l'elemosina, quel documento dava a intendere che per merito dell'Associazione i Salesiani erano già largamente provvisti. A neutralizzare l'effetto di questi disgustosi incidenti bastò per Don Bosco il vedere e poi il sapere come l'oratorio festivo andasse di bene in meglio. In una città quale Firenze, feste e spettacoli distraevano grandemente i giovani; pure gli inscritti toccavano i duecento. Quando poi furono chiuse le scuole comunali, una cinquantina di ragazzi frequentavano anche nei giorni feriali la casa, tenendo occupati i Salesiani da mane a sera. “Il Signore, scrisse Don Confortóla (I), ci dà in contraccambio alle povere nostre fatiche buona salute e la consolazione di fare qualche poco di bene, e schivar molto male e molti pericoli a questa povera gioventù.” A Don Bosco davano poi sempre un grande affidamento le materne sollecitudini della contessa Uguccioni, che metteva ognora a sua disposizione la sua alta influenza presso le famiglie della prima società fiorentina. Dopo il suo recente passaggio, appena poté, le scrisse una lettera piena di riconoscente ossequio (2).
Nostra Buona Mamma in G. G.,
Mi rimane qualche istante e voglio impiegarlo a scriverle qualche parola. Ho scritto alla Contessa Guicciardini nel senso che Ella mi ha suggerito. Forse farà qualche risposta. Mi rincresce della morte della pia cristiana Costanza Donati (3). Abbiamo pregato assai per la defunta ed ora preghiamo pei vivi.
(I) Lett. a Don Rua, Firenze 2 luglio 1881. (2) Solo ora siamo venuti in possesso delle copie di molte lettere scritte da Don Bosco alla Contessa e da noi riscontrate con gli originali. Nell'Appendice dei Doc. anteriori inediti ne pubblicheremo 37, dal 1866 al 1878. (3) Cfr. avanti, pag. 466.
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A Lei poi auguro sanità e santità in abbondanza, ed anche pazienza quando vado ad occuparla nella sua propria casa coi nostri affari. Dio conceda a Lei e a tutta la sua piccola e grande famiglia [manca l'oggetto] e preghi per questo poverello che Le sarà sempre nei Sacri Cuori di G. e di M. Torino, 22-6-81. Obbl.mo Figlio Sac. Gio. Bosco.
Nuove difficoltà sorsero per altro verso. Alla fine di ottobre scadeva il contratto di affitto, né il proprietario aveva intenzione di rinnovarlo, volendo vendere; bisognava dunque sloggiare. Don Bosco ordinò al Direttore di cercare un luogo, dove piantare definitivamente le tende. Acquistare lo stabile e rimanere là non conveniva, essendovi troppe servitù. Nelle feste, per esempio, durante la ricreazione mille occhi stavano a osservare, come se si fosse in un anfiteatro. Don Rua per ogni evenienza aveva già adocchiato varie località in quei paraggi, senza però determinarsi per alcuna. Don Confortóla, continuate le ricerche, s'imbattè in un sito, la cui opportunità e per la posizione e per la vastità dell'area e per i fabbricati ed anche per il prezzo veniva senza difficoltà riconosciuta da quanti erano richiesti del loro parere. Fiancheggiava il lato sinistro di via Fra Angelico, non molto lungi da via Cimabue. Il padre Giuseppe Franco, fratello e confratello di Secondo e buon conoscitore della città, disse al Direttore: - Scriva pure a Don Bosco che un luogo più opportuno di questo non è possibile trovarlo in Firenze per l'opera sua e per fare del gran bene anche alla popolazione. In questo canto della città la popolazione cresce affatto pagana. Non ha chiesa né sacerdoti, e perciò presto non saprà più che cosa sia né religione né sacramenti, e quel che è peggio ancora, è circonvenuta astutamente dagli Evangelici, che in mezzo ad essa hanno posto il loro nido e van facendo facili conquiste d'ogni, sorta. Ma se i Salesiani metteranno il loro ospizio, il loro oratorio, le scuole esterne e la chiesa per
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il culto pubblico, gli sforzi dei protestanti saranno resi inefficaci, Dio sarà glorificato e le anime salvate. Mandi Don Bosco quattro uomini di Dio, e basta. E dica a Don Bosco che quando verrà il giorno fortunato in cui aprirà un tempio al pubblico, allora quattro sacerdoti saranno appena sufficienti per udire le confessioni; chè la popolazione di Firenze ha in fondo una gran rettitudine e se conosce il bene, lo ama e lo segue passionatamente. - Don Confortóla scrisse queste cose a Don Bosco il 10 giugno. L'Arcivescovo infine non solo caldeggiava l'acquisto, ma esortava a non perdere tempo, anche perchè i protestanti tenevano continuamente d'occhio i Salesiani e il temporeggiare poteva dar modo al diavolo di entrarvi con la sua coda. Don Bosco costituì una società acquisitrice composta di cinque Salesiani, a cui accedette anche l'Arcivescovo rappresentato negli atti da un ecclesiastico, mentre i primi passarono procura a Don Confortóla; venditrice era la signora Giovanna Glotz nei Panzani. Si fecero le cose veramente alla svelta; tanto alla svelta che ai 5 di settembre l'istrumento di compra era all'ordine e a ottime condizioni. Allora con rapidità fulminea si pose mano ai lavori di adattamento per dar principio quanto prima anche all'ospizio. Ma sul più bello i mezzi presero a scarseggiare; perciò Don Bosco scrisse in San Benigno e spedì a Firenze una Circolare in cui diceva:
Di lontano ricorro alla nota di Lei carità per un'opera che è tutta a benefizio della pericolante gioventù Fiorentina. Credo che Le sia noto come per mettere qualche argine al guasto grande che fanno i protestanti ai poveri fanciulli in codesta città, si è cominciato un Oratorio festivo ed un Ospizio per i più abbandonati. Ma il loro gran numero ha tosto palesata la ristrettezza dell'edifizio e quale bene si potrebbe fare ad un maggior numero, qualora si potessero avere più spaziosi locali. Mosso quindi dal grave e crescente bisogno, incoraggiato da S. E. Monsig. Cecconi Arcivescovo della Diocesi e appoggiato alla carità dei Fiorentini, che non mi venne mai meno, ho giudicato bene di por mano alla riparazione ed
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all'ingrandimento dei locali già occupati. I lavori progredirono alacremente; ma ora cominciano a mancare i mezzi pecuniari, e malgrado ogni buon volere mi trovo in pericolo di dover sospendere la pia impresa diretta al bene della religione e della moralità. Per non lasciare cosa intentata in un'opera pubblica e privata, ricorro eziandio al suo zelo ed alla sua carità. Dio ricompenserà certamente la sua beneficenza, e i giovanetti che mercè il suo sussidio saranno aiutati a ritornare sulla via dell'onore e della loro eterna salvezza, di certo invocheranno ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. Pieno di fiducia nel valido suo appoggio, prego Dio che La voglia conservare lunghi anni in buona salute, mentre con gratitudine grande ho l'alto onore di professarmi, ecc.
Quasi contemporaneamente si valse di un'occasione per manifestare alla contessa Uguccioni la sua riconoscenza e in modo indiretto raccomandarle l'opera.
Nostra buona Mamma in G. C.,
Assicuri il Sig. Pestellini che pregheremo tanto per lui all'altare di Maria e speri molto nella grande bontà di questa comune benefattrice del genere umano Le cose nostre di Firenze sono cominciate, avremo da fare molto; ma l'aiuto di Dio non mancherà. Coraggio. Ella sarà sempre la nostra cara Mamma e sempre la prima delle nostre benefattrici. Dio la benedica, o benemerita Sig.a Mamma e con Lei Dio benedica la sua famiglia grande e piccola e continui a pregare per questo poverello che con gratitudine le sarà sempre in G. e M. Torino, 6 ottobre 1881. Obbl.mo come Figlio Sac. Gio. Bosco.
Don Confortóla, che nel corso delle complicate trattative per l'acquisto si era rivelato esperto uomo d'affari, seppe spingere innanzi con alacrità i lavori, ingegnandosi a procurarsi danaro e mentre badava all'oratorio festivo di via Cimabue, allestiva l'occorrente per non dover ritardare l'apertura dell'ospizio. Questo avrebbe accolto anche giovani studenti di ginnasio, per la qual cosa ci voleva l'autorizzazione del Provveditore agli Studi. E' vero che dietro il paravento delle scuole professionali si poteva eluderne per qualche
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tempo l'ingerenza; ma a quei lumi di luna c'era sempre da temere. L'Arcivescovo gli agevolò la via. Aveva egli circa settanta domande di giovani aspiranti allo stato ecclesiastico, fra i quali si proponeva di fare una buona selezione per consegnare i migliori a Don Confortóla, appena l'ospizio fosse aperto. Con questo proposito di Sua Eccellenza tornava facile ottenere un decreto arcivescovile, che erigesse la nuova casa a piccolo seminario, dove quindi il regio Provveditore agli Studi non avrebbe nulla a vedere. Così fu conchiuso. A una relazione del Direttore su quest'argomento Don Bosco rispose:
Carissimo D. Confortóla
Va tutto bene quanto fu concluso con Mons. Arcivescovo, ma io desidero secondarlo nelle sue caritatevoli intenzioni con tutto quello che noi possiamo. Perciò: 1° Accettiamo volentieri i giovani che sarà per inviare al nostro Ospizio con la retta di franchi 30 e qualora non possiamo cavarci parleremo alla stessa sua Eccellenza sopra la riduzione di qualcosa alla mensa o fare qualche piccolo aumento sulla retta mensile se fosse indispensabile. Si veda se è possibile portare il numero a trenta gli accettandi di Monsignore; 2° Il numero di 70 giovani da coltivarsi per lo stato ecclesiastico mi stuzzica veramente l'appetito. Qualora piaccia a Monsignore si potrebbe dividere questo numero per quest'anno soltanto, tra le case di Lucca, Spezia, ed anche Sampierdarena. Per altro anno spero avremo posto di poterli tutti raccogliere presso di noi in Firenze. Se l'Arcivescovo approva questo progetto, me lo scriva (I) subito e darò gli ordini opportuni. Il viaggio non sarebbe molto pesante per la spesa, perchè i nostri allievi godono del 50% nella ferrovia. 3° Dica a Monsignore che faremo sempre la preferenza ai giovani che Egli inviasse alle case nostre e che Egli sarà sempre in ogni luogo padrone nelle cose che si riferiscono alla religione ed allo insegnamento. 4° Le raccomando solo che cerchi soldi per fare i lavori e mobiliare la casa novella. Dio ci benedica in tutte le cose e mi creda sempre in N. S. G. C. Torino, 14 ottobre 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
(I) Don Bosco dava del Lei a Don Confortóla, venuto in Congregazione, quand'era già prete.
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Con l'ultimo di ottobre scadeva il fitto della casa di via Cimabue; perciò nel dì dei morti l'oratorio trasportò i suoi penati nei nuovi locali. L'inaugurazione dell'ospizio si dovette ritardare fino alla festa dell'Immacolata. La casa era ancora piccola, sicché trenta ricoverati la riempivano; ma quando il virgulto è piantato in buon terreno, lentamente l'albero si forma e cresce e stende i rami, sfidando le bufere. Fra l'una e l'altra di queste due ultime date avvenne l'ingresso dei Salesiani in Faenza. E' una storia lunga quella che precedette tale fondazione: noi la riassumeremo in poche pagine. Don Paolo Taroni, il santo Direttore spirituale del seminario faentino (I), in una sua memoria manoscritta osserva: “Voglio qui notare una volta per sempre, che la fondazione di questa Casa Salesiana di Faenza è stato sempre Don Bosco che l'ha voluta anche contro il parere e le difficoltà del Capitolo.” La buona disposizione del Beato a fare qualche cosa per la cattolicissima città romagnola rimontava al 1877, quando per la festa di Maria Ausiliatrice egli conobbe Don Taroni nell'Oratorio: allora fu che i due santi s'intesero a meraviglia, e fra il seminario di Faenza e il santuario di Valdocco si stabilì una corrente di spirituali rapporti che diedero preziosi frutti. Nel giugno seguente Don Bosco volle che passassero di là Don Lazzero e Don Barberis, reduci da Roma (2); la qual visita servì al Direttore spirituale per infiammare vieppiù gli animi. In ottobre però egli ebbe a provare un gravissimo dispiacere. Il cardinale Parocchi, promosso quell'anno alla sede di Bologna, in un pranzo solenne mostrò poca stima di Don Bosco e dei Salesiani. E’ ben vero che l'illustre Porporato dopo il suo incontro con Don Bosco a Bologna (3), cambiò del tutto sentimento e in un confidenziale colloquio
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 413 e 855 sgg. (2) Cfr. vol. XIII, pag. 54. (3) Cfr. vol. XIV, pag. 102 sgg. Desumiamo la notizia da due noterelle della citata memoria.
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si ritrattò con Don Taroni il 7 agosto 1880; ma questi nel frattempo dovette adoprarsi a tutto potere per diminuire l'effetto di quelle parole, che avevano fatto sorgere nel clero un partito avverso alla Congregazione. Nella primavera del 1878 gli amici, non trovando in città luogo adatto, lo cercarono nel Borgo detto di Urbecco, dove un ex-convento sembrava prestarsi allo scopo. L'aveva soppresso Napoleone I; poi nel 1859 il Governo, pontificio l'aveva ceduto ai due parroci del Borgo sotto certe condizioni, una delle quali portava che il parroco della Commenda vi aprisse scuole per i ragazzi borghigiani poveri: ma per gli sconvolgimenti politici non erasi mai potuto soddisfare a quell'obbligo. Perciò il vecchio prete, che si chiamava Don Babini e di cui esiste un'abbondante corrispondenza con Don Bosco, udito che ebbe il disegno dei Cooperatori faentini, ne ringraziò il cielo, sentendosi alleviare la coscienza da un grave peso. L'idea camminava. Nel mese di luglio il Vescovo monsignor Angelo Pianori ne fece parola a Leone XIII, che lo incoraggiò a proseguire nell'intento. In settembre Don Clemente Bretto, allora giovane sacerdote e poi Economo Generale, avendo accompagnato a Lugo alcuni convittori di Alassio, si recò a Faenza con l'incarico di visitare l'edifizio, che gli piacque. L'anno dopo in marzo vi giunsero Don Cagliero e Don Durando durante il loro giro di esplorazione e confermarono quel giudizio favorevole. Sedevano essi a mensa nel seminario, quando arrivò una lettera di Don Bonetti, che da Magliano Sabino a nome di Don Bosco scriveva a Don Taroni in risposta a una sua dell'anno avanti (I): “Appena sia preparato il nido, i Salesiani verranno ad occuparlo”. Queste parole venivano a confermarne altre proferite da Don Bosco un mese prima nel collegio di Alassio ad uno studente di Faenza: - I Faentini mi hanno rubato
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 855.
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il cuore e mi obbligano e mi costringono ad andarli a trovare. - La venuta dei Salesiani e una visita di Don Bosco erano il tema favorito di Don Taroni, in seminario e fuori. L'aspettazione si faceva ognor più viva e impaziente. Nel maggio il parroco Don Babini andò a Valdocco per la festa di Maria Ausiliatrice e intavolò le trattative. Don Bosco, viste le condizioni giuridiche dell'ex-convento, non credette di procedere oltre nella pratica, senza un previo consenso della Santa Sede. Il parroco volò senz'altro a Roma. Il Papa, accordatagli un'udienza privata, lodò la destinazione che si voleva dare all'edifizio, rilevando il gran bisogno di salvare la gioventù. Appresso, una lettera del cardinale Mertel Segretario dei Memoriali, domandava al Vescovo di Faenza informazioni sulla necessità e la probabilità di attuare l'opera ideata. All'uno e all'altro quesito il Vescovo diede risposta affermativa; al che seguì un Rescritto di approvazione con un assegno di lire 250 annue da elargirsi ai Salesiani nei tre primi anni della loro dimora a Faenza. Un atto di sì inaspettata benignità rinfocolò l'ardore degli amici faentini, talchè dodici sacerdoti cooperatori, sotto la presidenza del Vicario Generale, si unirono in comitato permanente a fine di avviare e accelerare l'esecuzione. Tre di essi nel maggio del 1880 andarono a Torino per vincere le ultime esitanze del Capitolo Superiore. In una conferenza che ebbero con Don Rua, Don Durando e Don Cagliero si abbozzò un capitolato contenente la promessa di mandare a Faenza tre Salesiani nel mese di giugno, purché il locale designato fosse allestito in modo corrispondente al bisogno. Intrapresi i lavori di restauro, ecco per Faenza circolare la voce che venivano i Gesuiti cacciati dalla Francia; onde proteste e minacce di dimostrazioni da parte di rumorosi anticlericali, che attizzavano le ire popolari, dipingendo quei religiosi come maestri immorali e seminatori di discordie cittadine. Ma, fatta la luce, il buon senso della gran maggioranza ridusse al silenzio lo sbraitare dei mal intenzionati.
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Intanto la Commissione dei dodici moltiplicava le sedute per dirimere le difficoltà sollevate ora dal demanio ora dalla provincia; per le quali cause di ritardo si arrivò alla fine del 1880 senza che la casa fosse abitabile. Nel 1881 il Vescovo, tornato a Roma, giudicò di poter assicurare il Papa, che i Salesiani sarebbero andati a Faenza fra breve. - Bravo, bene! esclamò Leone XIII. Sarà un gran vantaggio per la sua diocesi. - Alle incalzanti sollecitazioni dei Faentini il Capitolo Superiore rispose annunziando il prossimo arrivo di un visitatore. Infatti sul finire di marzo giunse l'economo generale Don Sala, diretto a Roma per la chiesa del Sacro Cuore. Piaciuto anche a lui il locale, impartì alcune istruzioni per l'assetto definitivo, stabilendo di comune accordo che la casa s'intitolasse da San Francesco di Sales. Ma sembrava che tutto congiurasse contro quell'opera. Dieci giorni dopo la partenza di Don Sala, piovvero in buon numero a Faenza le copie del Secolo di Milano, recanti la turpe accusa contro i Salesiani di Alassio (I). Fu un momento di trepidazione per i buoni; vi tenne però dietro la smentita, che, egualmente diffusa in città, sgominò le manovre dei settari. E poi quante vicende in quella Commissione dei dodici! Entusiasmi e scoraggiamenti, scissure e ricomposizioni, e diffidenze per il temporeggiare di Torino. Il romagnolo dal temperamento ardente e generoso stenta a persuadersi che non di rado negli affari bisogna anche saper dare tempo al tempo. Finalmente il 19 luglio Don Durando scrisse “ E’ nostro costume intendercela col Vescovo. A lui scriveremo entro la settimana e poi daremo gli ordini. Al Vescovo scrisse Don Rua, che ne ricevette risposta immediata, auspicante la pronta apertura della casa. La sua lettera tornò assai gradita a Don Bosco, che gli mandò il diploma di Cooperatore salesiano, facendogli annunziare che nella prossima distribuzione del personale sarebbe stato primo pensiero dei
(1) Cfr. sopra, pag. 139.
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Superiori assecondare con ogni sforzo il desiderio dei Cooperatori faentini. Eppure ottobre già stava per finire, e da Torino nulla. Quante preghiere aveva fatto fare Don Taroni ai suoi seminaristi! E' facile immaginare la sua afflizione allorché s'intese che il personale non si era trovato e si videro invece arrivare a Faenza i protestanti. La sua tristezza non aveva più limiti (I). Nel colmo della desolazione un raggio di conforto gli brillò da una lettera del chierico Foschini salesiano, già suo seminarista, il quale gli comunicava che Don Bosco, non ostante le difficoltà accampate dai Superiori, dava buone speranze. E le speranze si avverarono in maniera affatto inaspettata. Nella notte sul 22 ottobre fra Sarzana e Avenza in Liguria succedette un disastro ferroviario: tredici vagoni, usciti dalle rotaie, si erano sfasciati, cagionando parecchie morti e molte ferite. Viaggiava su quel treno un giovane prete salesiano, che fatti i suoi esercizi spirituali in Piemonte, se ne tornava in Sicilia a Randazzo, sua residenza. Proprio allora Don Cagliero, che aveva compiuto un giro nell'isola, avvisava i Superiori che, se fosse ancora possibile, sospendessero la partenza di un qualche sacerdote, potendosene colà fare a meno. Sembrò la mano della Provvidenza. Don Bosco fece telegrafare subito a Don Cagliero e al Salesiano incolume, che s'incontrassero a Roma e andassero a fondare l'oratorio di Faenza. In questo modo fu creato Direttore della nuova casa Don Giovanni Battista Rinaldi, che, sebbene ancora giovane, doveva cattivarsi la stima affettuosa dei Faentini
(I) Dotato di anima poetica, ogni volta che un forte sentimento lo agitava, non sapeva astenersi dall'esprimerlo in versi. Allora sfogò il suo corruccio in queste tre strofe, che inviò al chierico Foschini salesiano
- Vengono i Salesiani? - I Protestanti sì Dimandano i cristiani. I Salesiani no; - Vengono i Protestanti, - Maria, guardate qui Rispondono i birbanti. Quello che ci toccò. Mira, o Madre, a' tuoi ginocchi Tanti cari pargoletti. Pietà, pietà di lor ti tocchi, Se non hai di noi pietà.
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e dei Romagnoli. A lui vennero mandati in aiuto il già detto chierico Foschini e un coadiutore, Paolo Bassignana, popolarissimo poi in città sotto il nome di Paolino, un vero santetto, che fino al termine della sua lunga vita fu entro casa servitor fedele e saggio e fuori angelo di bontà. Don Cagliero fece la solenne apertura dell'oratorio il 20 novembre con una turba di duecento ragazzi. Quella sera si cantavano a Faenza i primi Vespri della Madonna del popolo, solennità cara ai Faentini. La coincidenza non isfuggì all'osservazione: i Salesiani venivano appunto per salvare i figli del popolo. Destò meraviglia sulle prime il sapere che con tanti Cooperatori faentini ecclesiastici e laici Don Bosco avesse dato ai partiti da Torino alcune righe di presentazione per il solo dottore Marco Cantagalli, scrivendogli sopra un semplice biglietto da visita: “Il SAC. GIOVANNI Bosco ringrazia e saluta e benedice il Coop. Cantagalli, e gli raccomanda la sua piccola famiglia di Faenza.” Il Cantagalli era medico, e si capisce l'opportunità della raccomandazione; ma non se ne capiva l'esclusività. Don Taroni, uomo di Dio e avvezzo a scorgere in ogni evento una divina disposizione, spiegò più tardi il fatto, quando il fratello del Dottore divenne Vescovo di Faenza, quasi che Don Bosco avesse previsto il futuro. La sera dell'8 dicembre giunse da Roma la prima rata della caritatevole munificenza pontificia. Il 13 maggio 1882 Don Bosco visitò aspettatissimo la casa di Faenza. Manifestò subito il desiderio che si facessero i preparativi per una pubblica conferenza; ma i pareri erano divisi. Infieriva da più giorni, come diremo, una guerra d'inchiostro contro i Salesiani. Anche nella Romagna fogli repubblicani, il qual termine durò un pezzo da quelle parti come sinonimo di massonici, vomitavano villanie e bestemmie, e nella città si adunavano comizi politici. I preti dunque, temendo che i sovversivi ne togliessero pretesto a provocare tumulti contro gli ospiti mal graditi, cercarono di dissuadere Don Bosco dal fare la conferenza. Ma egli irremovibile disse
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e ripetè loro che voleva parlare. - Vogliamo, diceva, che tutti sappiano di che si tratta, e non credano che noi congiuriamo contro chicchessia o che siamo venuti con intenzioni cattive. - Vista la sua risolutezza, presero a discutere sulla scelta della chiesa. Lasciatili questionare un po': - Andiamo in città, interruppe Don Bosco, facciamo visita al Vescovo e domanderemo a lui e c'intenderemo. - La scelta cadde sulla chiesa parrocchiale dei Servi, una delle più ampie e frequentate di Faenza. La mattina del 14, domenica, il Beato celebrò in duomo all'altare della Madonna delle Grazie, di cui ricorreva la festa. Vi assistette la camerata dei seminaristi grandi. Alla Comunione, accortosi che vi era gente desiderosa di comunicarsi, estrasse dal ciborio l'ostia grande ivi deposta per la benedizione, la spezzò e la fece bastare per tutti i comunicandi, che erano otto. Dopo la Messa passò nel seminario. Che gioia in quei chierici! Avevano sentito tante volte Don Taroni parlare di lui, delle sue virtù, delle sue opere, de' suoi prodigi, ed ecco che egli era là in mezzo a loro. Lo ricevettero nel cortile sotto una grande loggia. Il Beato, avvicinandosi a lenti passi e girando sii di essi lo sguardo, disse: - Oh quanto vi amo! - Condotto nella sala, parlò. Ripetè che li amava da gran tempo, che aveva parlato tante volte di loro, che tante volte aveva per essi pregato, che aveva desiderato molto di vederli ed ecco che allora li vedeva e n'era contento. Chiese al Rettore se andassero a casa per le vacanze. Udito che no: - Fortunati loro! - soggiunse, e raccontò il fatto di un suo allievo dodicenne che, andato un anno alle vacanze, non vi era voluto ritornare più, mai, mai. Don Taroni glie ne domandò il perchè. Rispose: - Se si vedessero le anime dei giovanetti, che vanno a casa in vacanza, si scoprirebbe che tanti partono con ali di colomba e tornano con le corna del diavolo. Dispiace dirlo: ma purtroppo si va a casa con buona intenzione, e poi e poi... Ma non facciamo predica... A me dispiace quando
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i miei figli vanno in vacanza e vorrei farli restare con me, e così giudico che dispiaccia ai vostri Superiori. Fortunati voi!... Ma non predichiamo. - Per conclusione raccomandò i suoi tre S, cioè Sanità Sapienza Santità, facendovi sopra un breve commento. Non dobbiamo tacere che il Vescovo e alcuni del clero stavano in timore, che la venuta dei Salesiani potesse nuocere al seminario, massime quando vi avessero aperto collegio; onde il Rettore con questa segreta preoccupazione gli fece osservare che i seminaristi diminuivano d'anno in anno e si raccomandò alle sue preghiere. Don Bosco gli rispose che non avesse paura: il seminario faentino sarebbe aumentato. La sua predizione fu così presto e così eloquentemente confermata dal fatto, che Vescovo e Rettore dicevano di ritenere anche per questa sola ragione Don Bosco un santo. Nel pomeriggio predicò a tre centinaia di ragazzi. Narrò l'apologo di un padre che morendo diede semente di buon grano a tre figli, dei quali uno se la ritenne e non la seminò, l'altro la seminò malamente, il terzo la seminò bene. La morale fu. che come si semina, cosi si raccoglie. Più tardi fece la conferenza, che durò quasi un'ora. Egli parlò dal palco, in piedi, con la berretta in mano, dinanzi ad un uditorio affollatissimo, esponendo lo scopo della sua opera, tutta indirizzata al bene dei fanciulli. Annunziò che la dimane avrebbe celebrato nella chiesa di Sant'Antonio da Padova e parlato alle signore della Conferenza di San Vincenzo de' Paoli. Dovunque mirasse a stabilire una delle sue opere, Don Bosco annetteva grande importanza alla cooperazione di pie signore, le quali egli sapeva muovere efficacemente in suo aiuto. A quella Messa vi furono comunioni assai numerose. Nella sua breve allocuzione, rallegratosi con le pie dame e accennato a varie indulgenze e al modo di acquistarle, narrò della chiesa del Sacro Cuore in Roma, raccomandando per essa a nome del Papa l'elemosina.
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Colpito da grave malattia, versava in pessime condizioni il conte Marcello Cavina. L'infermo e tutta la sua famiglia erano per la loro religiosità e carità circondati di venerazione da parte dell'intera cittadinanza. Si sarebbe voluto strappare al cielo la grazia della guarigione mercè le preghiere di Don Bosco. Il Beato si portò due volte al suo capezzale; la seconda fu dopo la funzione anzidetta, un'ora prima della partenza. Dei benefizi arrecati dalla visita di Don Bosco ai Cooperatori, al Seminario e a Casa Cavina scrive Don Taroni: “L'effetto che produsse la visita di Don Bosco, fu un grande incoraggiamento massime nei Cooperatori; nel seminario un grande aumento di seminaristi, e in casa Cavina una rassegnazione e una pace e serenità meravigliosa nel malato, insino alla morte.” Da Torino, prima del decesso, il Beato indirizzò tre lettere al fratello del Conte, canonico Giuseppe. Nella prima troviamo confermata nuovamente un'asserzione del Servo di Dio. Parlando nel 1875 ai Direttori (I), aveva detto essere sua cura che le beneficenze fattegli dal Papa tornassero alla sorgente per via dell'obolo di San Pietro. Che non fosse questo soltanto un pio desiderio, lo hanno dimostrato i seimila franchi portati con tale intendimento da Marsiglia e rubatigli a Roma. Qui affiora un'altra volta il medesimo nobilissimo pensiero. In ciò del resto egli si mostrava coerente a se stesso; fin dall'origine del danaro di San Pietro nel 1849 non aveva raggranellato il piccolo, ma prezioso contributo de' suoi poveri oratoriani?
Carissimo in G. C.,
Ho ricevuto la cara sua lettera e ne la ringrazio di cuore. A Faenza ho visitato due volte suo fratello che trovai assai grave. Da allora in poi ho sempre pregato e fatto pregare per lui. Quando era in casa sua stavo per suggerirgli un mezzo straordinario che più volte è riuscito: un'offerta vistosa al S. Padre che versa nelle strettezze. Ma poi mi astenni perchè le buone disposizioni della signora di lei Madre e di tutta la famiglia erano di fare un'offerta a grazia ottenuta. A
(I) Cfr. vol. XII pag. 23, e sopra pag. 149. Gli originali delle lettere di Don Bosco al Canonico si conservano nell'archivio domestico di Casa Cavina.
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me però hanno dato una graziosa limosina per messe e preghiere che abbiamo fatto e continuiamo tuttora mattino e sera all'altare di M. A. Mio carissimo Monsignore, io non mancherò di fare ogni mattina un memento per Lei nella S. Messa ed Ella voglia anche pregare per me che le sarò sempre nei sacri cuori di G. e di Maria. Torino, 28-5-82. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
La famiglia Cavina, benchè avesse già largheggiato con Don Bosco di presenza, volle inviargli ancora duemila lire, che egli destinò alla chiesa del Sacro Cuore. Accennando al contino Carlo, degno erede del nome e delle virtù del padre, il Beato usa l'epiteto “grazioso”. Sarebbe cosa molto contraria all'abituale sentire di lui il riferire questo vocabolo alle grazie fisiche della persona; si deve invece pensare al significato comunissimo del suo corrispondente nel dialetto piemontese, cioè “garbato e servizievole”.
Carissimo nel N. S. G. C.,
Ho ricevuto le sue lettere ed oggi mi sono pervenuti li quattro vaglia di franchi 500 caduno da spendersi a maggior gloria di Dio e della B. V. Maria, ad oggetto di supplicare l'Augusta Regina del cielo a venirci in aiuto dell'infermo di Lei fratello. Era quello che io avevo in animo di fare quando sono passato a Faenza. Io non fo altro che continuare le cominciate preghiere mattino e sera all'altare di Maria Ausiliatrice. Se Dio non farà un miracolo per la guarigione corporale è certo che il miracolo sarà fatto senza dubbio per la sua eterna salvezza. Mio desiderio era un'opera in favore del S. Padre che so trovarsi in bisogno; così la somma inviata è oggi stesso impiegata ad estinguere una passività contratta per la chiesa e per l'Ospizio del S. Cuore di Gesù in Roma per cui il medesimo S. Padre si dà molta sollecitudine. Dio pietoso si degni di ascoltare le comuni nostre preghiere e concedere tutte le grazie che non sono contrarie alla maggior gloria di Dio ed al bene dell'anima di suo fratello. La prego di far gradire i miei umili omaggi al suo signor fratello, sua Madre, cognata ed al grazioso Carlino di lei nipote. Il Signore li benedica tutti. Voglia pregare anche per me che le sarò sempre nel sacro cuore di Gesù e di Maria Torino. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
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La terza lettera precedette di pochi giorni la morte del Conte, avvenuta il 19 giugno.
Mio caro D. Giuseppe,
Quanto mi affliggono le notizie che mi dà del suo signor Fratello! In questa nostra casa, nella chiesa di Maria, si prega mattino e sera per ottenere la grazia. Torneranno inutili tante preghiere? Non posso persuadermene; a meno che Dio voglia favorire in senso spirituale quello che noi domandiamo corporalmente. Dica alla Signora di Lei Madre, la Marchesa Cavina-Durazzo, che noi preghiamo eziandio in modo particolare per Lei. Se poi Dio chiedesse da noi un sacrifizio intiero, pazienza! Dio è nostro padre e nostro Padrone e faremo uno sforzo per dire fiat voluntas tua. Mille ossequi a Lei ed a tutta la sua famiglia e mi creda in G. C. Torino, 8 giugno 82. Obbl.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
Il ricordo di Don Bosco si mantenne sempre vivo nella famiglia del defunto. All'approssimarsi delle feste natalizie il canonico Giuseppe, inviandogli i suoi auguri, si confidò con lui intorno ai bisogni della sua anima e ne ricevette la seguente risposta.
D. Giuseppe mio car.mo,
Ho ritardato un poco la risposta per avere il piacere di rispondere io stesso e per farle conoscere quanto io stimi i suoi auguri e le sue preghiere. La ringrazio pertanto e ben di cuore e prego Dio li centuplichi sopra di Lei, caro Don Giuseppe, e sopra tutta la sua famiglia e in modo particolare sopra il nipotino che il cielo conservi. Ella mi dice di raccomandarla a Dio che la illumini sulla scelta a fare della via che sicura la conduca alla vita eterna. Sì, lo farò di tutto buon cuore e voglia dimandare la stessa cosa per me. Se mai il Signore la inspirasse di venire a passare anche solo qualche tempo con noi, sarebbe un fratello che va a casa di suo fratello, un padrone che va a casa del suo servo. Lavoro abbondantissimo è preparato anche per Lei. Né per quanto è possibile si risparmierebbero i riguardi dovuti alla sua sanità e condizione. Ma poiché Ella ha la bontà di parlarmi in confidenza, io pure mi raccomando caldissimamente alle sue sante preghiere ed ai suoi divini sacrifizi. Io mi trovo impegnato in cose assai gravi specialmente per le missioni estere ed è veramente opera dell'aiuto del cielo il
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potermi cavar bene, perciò confido assai nella carità delle sue preghiere. Dio la benedica, o sempre caro Don Giuseppe, e la conservi in buona salute. Piacciale di estendere gli umili miei omaggi a tutta la rispettabile sua famiglia ed Ella mi abbia sempre quale ho l'onore di professarmi in N. S. G. C. Torino, 27 dicembre 82. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Il fiorire dell'oratorio mise sossopra i nemici del bene, che presero a fare fuoco e fiamme contro i Salesiani. Un giorno durante la ricreazione una fucilata attraversò il cortile, diretta a Don Rinaldi; per miracolo, non colpì nessuno. Una notte mani facinorose, inondata di petrolio la porta, vi appiccarono il fuoco. Anche da parte dei buoni si ebbero malintesi, che diedero origine a dissapori. Per tutte queste cagioni guadagnava sempre più terreno il dubbio, che Don Bosco richiamasse i suoi e chiudesse la casa. Ma egli, come Don Berto nei processi afferma di sapere, a chi gli scriveva per iscongiurare quel pericolo, dichiarava che nonostante tutti gli sforzi del demonio e delle sètte la casa di Faenza non si sarebbe chiusa, che anzi avrebbe prosperato. L'asserzione del segretario ci viene confermata da questa lettera al canonico Cavina.
Carissimo in N. S. G. C.,
Con gran piacere ho ricevuto la sua lettera che mi portò buone notizie di tutta la sua famiglia. Ringrazio Dio che tutti i suoi parenti siano in sufficiente sanità e prego di cuore che sia ognora di bene in meglio, e che la grazia del Signore li renda costanti nel Divino servizio fino al gran premio dei giusti al paradiso. Ho però con gran pena intese le cose che rendono difficile l'opera diretta al bene della povera e pericolante gioventù. Dovremo abbandonare il campo nelle mani del nemico? Non mai. Nei grandi pericoli bisogna raddoppiare gli sforzi ed i sacrifizi. Noi faremo volentieri quanto sta in noi, ma è pure mestieri la S. V. e i suoi amici diano mano efficace per aprire un qualche ospizio per i ragazzi poveri. Si studi e si faccia. D. Rinaldi spiegherà meglio i miei pensieri.
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Mancami tempo a scrivere di più, ma l'assicuro che ogni giorno non mancherò nella S. Messa di pregare per Lei, caro D. Giuseppe, per tutta la rispettabile famiglia. Voglia Ella pure raccomandare al Signore tutta la armata Salesiana specialmente in questo momento che abbiamo dato un decisivo assalto alla Patagonia. Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C. Torino, 17 settembre 83. Aff.mo in G. C. Sac. Gio. Bosco.
Non che lasciare Faenza, Don Bosco volle che si cercasse in città un luogo che offrisse comodità maggiori a far del bene e consentisse maggior libertà d'azione. Nell'attesa fu stipulata fra la Commissione dei Cooperatori e lui una privata convenzione (I), che durò in vigore fino al felice trasferimento dell'oratorio dal Borgo nell'interno della città. Qui l'opera si sviluppò largamente e continua oggi a spiegare la sua benefica influenza non solo vicino, ma anche lontano per tutta la Romagna.
(I) App., Doc. 48. Una convenzione si era fatta prima dell'andata; ma ebbe carattere preparatorio. Potrà essere utile sapere che il Beato durante il suo soggiorno nell'ex-convento occupò la penultima stanza a levante, nel corpo di fabbrica che sul cortile si allunga verso mezzogiorno.
CAPO XI. Le Figlie di Maria Ausiliatrice in morte della prima loro Madre Generale.
QUANDO cavilli di giurisdizione complicavano la causa di Don Bonetti, l'avvocato Leonori scrisse a Don Bosco (I): “Ora opinerei che lei chiedesse l'approvazione delle Costituzioni delle Suore, tenendo la stessa norma che tenne per l'approvazione del suo Istituto maschile; allora sarebbero eliminate tutte le questioni.” Anche altri opinavano allo stesso modo. Ma Don Bosco non aveva nessuna fretta di procurarsi dalla Santa Sede tale approvazione. Ben sapeva egli come a Roma s'inclinasse a rendere del tutto indipendenti dalle maschili le Congregazioni femminili, e un simile distacco sarebbe stato allora dannosamente precoce, troppo essendo ancora il bisogno che egli aveva di attendere a formare secondo il suo ideale lo spirito della promettente Congregazione. Nel che del resto seguiva l'esempio dei Signori della Missione, i quali appunto per siffatto motivo non vollero mai che fossero approvate le Regole date da San Vincenzo alle Figlie della Carità (2).
(I) Roma, 21 giugno 1881. (2) Nel 1901 un decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari fra le condizioni perchè le Congregazioni femminili potessero ottenere dalla Santa Sede l'approvazione delle Regole, poneva la piena indipendenza da ogni Congregazione maschile di eguale scopo. Nel 1918 quel decreto diventò un articolo del nuovo Codice di diritto canonico. Per le Figlie di Maria Ausiliatrice
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Promettente abbiamo detto la nuova Congregazione. Nel 1881, sull'esempio dei Salesiani che così facevano dal 1872, le Figlie di Maria Ausiliatrice cominciarono a stampare il loro Annuario o Elenco generale delle Suore e delle Case, con l'appendice di brevi necrologie delle loro defunte. Il Capitolo Superiore vi appare così composto:
SUPERIORA GENERALE Suor Mazzarello Maria. VICARIA Suor Dagliero Caterina. ECONOMA Suor Ferettino Giovanna. PRIMA ASSISTENTE Suor Mosca Emilia. SECONDA ASSISTENTE Suor Sorbone Enrichetta. MAESTRA DELLE NOVIZIE Suor Mazzarello Petronilla.
Vi sono registrati i nomi di 97 professe perpetue, 56 professe triennali, 55 novizie e 7 coadiutrici. Con il qual ultimo titolo si designava una categoria speciale di Suore, vestite di nero e con uno scialle invece del modestino. Avevano gl'identici doveri e diritti delle altre; ma la differenza dell'abito costituiva di per sè anche una differenza di condizione. Di qui il sentirsi esse talvolta un po' a disagio, quasi formassero una classe di second'ordine, cosa aliena dalla mente del Fondatore e dall'indole dell'Istituto. La convenienza per altro che vestissero più alla leggiera le Suore addette a lavori grossi e adibite nelle commissioni esterne sembrava sconsigliare modificazioni. Onde si continuò così fino al 1922, quando fu inserito nelle Costituzioni l'articolo 21, che dice: “Le Suore che sono incaricate delle commissioni esteriori, uscendo di casa, potranno usare di qualche veste modesta, che copra l'Abito religioso.” D'allora in poi dentro casa indossano tutte il vestito comune.
il detto decreto andò in vigore nel 1906. Nel 1921 Benedetto XV nominò Don Albera delegato apostolico per le Figlie di Maria Ausiliatrice con la missione di conservare fra loro per sè o per mezzo d'altri lo spirito del Fondatore,
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Nella Casa Madre di Nizza Monferrato l'ordinamento rispecchiava quello dell'Oratorio: la Superiora Generale ne era direttrice, assistita dalla Vicaria, che effettivamente esercitava la direzione. Le altre case sommavano a 23, di cui due in Sicilia (Catania e Bronte), tre in Francia (Nizza, Navarra e Saint-Cyr) e sei in America (Almagro, La Boca, S. Isidoro e Patagones nell'Argentina; Villa Colón e Las Piedras nell'Uruguay). Nel biennio 1881-82 ne furono aggiunte dieci, delle quali otto in Italia (Fontanile, Visone, Incisa Belbo nella diocesi di Acqui; Rosignano Monferrato nella diocesi di Casale; Sampierdarena nell'archidiocesi di Genova; Trecastagni nell'archidiocesi di Catania e Máscali Nunziata nella diocesi di Acireale), una in Francia (Marsiglia) e una nell'Argentina (Moron presso Buenos Aires). In tanto fervore di vita Dio chiamò a sè colei che, tutta chiusa nella sua umiltà, n'era stata l'intima forza motrice durante il periodo della lenta preparazione. Fino allora l'Istituto aveva avuto bisogno soprattutto di radicarsi profondamente nelle virtù religiose, affinchè l'albero venisse su diritto e robusto; al qual effetto la santità raccolta e operosa di Madre Mazzarello fu quanto di meglio il Beato Don Bosco potesse desiderare. Ma ormai l'andamento sempre più rapido e sempre più vasto che le cose venivano prendendo, richiedeva in chi stava alla testa un felice connubio di doni soprannaturali e di non comuni attitudini naturali. La Mazzarello stessa, da quella religiosa illuminata che era, mostrò di comprendere a meraviglia siffatta necessità, allorché prima delle elezioni compiutesi nel giugno del 1880 andava attorno alle elettrici e bel bello insinuava loro pensieri come questi: - Vedi, adesso la Congregazione ha bisogno di Superiore istruite, perchè entrano giovani educate e che sanno ed è più difficile discernere la vera virtù. Nelle giovani di campagna non è cosi: in quelle si vede subito ciò che sono. Ma per dirigere le altre ci vuole molta virtù e molta istruzione; scegliete dunque suor Maddalena Martini, benchè si trovi nel
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l'America, o suor Caterina Daghero. - Non le si diede ascolto; ma un anno dopo il suo suggerimento non fu trascurato (I). Il male che la portò alla tomba, lo covava da tempo nel petto. Durante quell'inverno la pigliava di quando in quando un dolore sordo al fianco, arrecandole un sensibile incomodo, a cui però ella non badava. Nel viaggio intrapreso per accompagnare le Suore missionarie una febbre ardente la assalì a Sampierdarena; ma ciò nonostante, riavutasi un tantino, s'imbarcò per Marsiglia con l'intenzione di visitare poi le sue figlie di Francia. Se non che, giunta a Saint-Cyr, le si manifestò una violentissima pleurite; così stette là un mese soffrendo molto e molto edificando. Rimessasi sulla via del ritorno, trovò a Nizza Mare Don Bosco, al quale domandò se avrebbe ricuperata interamente la salute. Il Servo di Dio le rispose raccontando un apologo. - Un giorno, disse, la morte andò a bussare alla porta di un monastero. La portinaia aprì, e quella le disse: Vieni con me. Ma la portinaia rispose che non poteva, perchè non c'era nessuna che la sostituisse nel suo ufficio. E la morte senza dir nulla entrò nel monastero e ripeteva il suo "Vieni con me" a quante incontrava, fossero suore o postulanti o studenti, e perfino alla cuoca. Ma tutte dicevano di non poter accettare l'invito, perchè ognuna aveva ancora tante cose da fare. Allora la morte si presentò alla Superiora, e," Vieni con me", le disse. Anche la Superiora tirò fuori le sue scuse per non doverla seguire. La morte invece questa volta tenne duro e insistette dicendo: La Superiora deve andare innanzi a tutte nel buon esempio, anche quando si tratta del viaggio all'eternità; dunque vieni senz'altro, perchè io non posso accettare le tue ragioni. Che farci? La Superiora dovette abbassare il capo e seguirla. - La Madre capì, ma fece le viste di prendere la cosa in ischerzo per non contristare le Suore presenti.
(I) Cfr. MACCONO, Suor Maria Mazzarello, pag. 268. (Prima ediz.).
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A Saint-Cyr l'inferma aveva avuto un solo desiderio, di non morire fuori della casa di Nizza Monferrato, lontano dalle sue buone figliuole. Il Signore la esaudì, concedendole di ritornarvi il 28 marzo. Ella però non s'illudeva punto: le parole di Don Bosco le dicevano chiaro che la sua ultima ora non avrebbe tardato a sonare. Con questo pensiero nella mente, quanto le facevano pena le dimostrazioni di allegrezza per festeggiare il suo arrivo! Infatti non passarono due settimane, che la pleurite riapparve accompagnata da sintomi della massima gravità. Nella sua semplicità umile e schietta soffriva pregando, cantarellando lodi della Madonna, interessandosi dei bisogni altrui e dispensando buone parole. Un giorno alle capitolari e alle più anziane raccolte intorno al suo letto diede tre avvisi: Non ci fossero gelosie dopo la sua morte; finchè c'era quel povero straccio, tali miserie non si vedevano; ma dopo, chi sa?... Si aiutassero a vicenda nel bene, ma le cose di direzione si lasciassero fare a chi ne aveva l'incarico... Le suore avevano abbandonato il mondo; non se ne fabbricassero dunque in Congregazione un altro simile al primo. Il 10 maggio arrivò dalla Spagna Don Cagliero. Don Bosco era lontano da Torino; l'inferma, non potendo avere la sua benedizione estrema, faceva voti che almeno il Direttore generale giungesse in tempo. Don Cagliero fu da lei, quand'essa aveva già ricevuto gli ultimi Sacramenti; ma la vigilia della morte sedette per tre quarti d'ora al suo capezzale, dandole agio di conferire su gli affari dell'anima. Morì santamente la mattina del sabato 14 maggio, compiendo 44 anni d'età. La vita e il governo di Madre Mazzarello è prova indiscutibile che Don Bosco fu ben ispirato nel metterla a capo della nascente Congregazione. Di natura piuttosto irritabile, si dominò e divenne la pazienza personificata; sfornita d'istruzione, godette la stima sincera delle Suore che avevano fatto studi; modestissima sempre, possedette in grado sovreminente
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l'arte di correggere, il segreto di conoscere le vocazioni e il dono di tranquillare gli spiriti. La sua perdita fu pianta amaramente da tutte le sue figlie; ma la fama di santità, che ne aureolò la memoria, ha formato pure di lei l'orgoglio della sua religiosa famiglia, inducendo ben presto a promuoverne la causa di beatificazione. Fece e fa specie a taluno che manchino indizi, da cui risulti quale parte abbia preso Don Bosco nel doloroso frangente. Qui sono da osservare parecchie cose. Nel dì della morte noi l'abbiamo trovato a Firenze intento con Don Rua a risolvere increscevoli difficoltà e a studiare la maniera di dare un assetto migliore e definitivo a quella casa. Inoltre di tante sue manifestazioni private bisogna pur dire che non è giunta a noi notizia. Restringendoci poi alle Suore, ci sembra incontestabile il fatto che egli, mentre in privato e in pubblico magnificava le opere dell'Istituto, non faceva mai lodi né nomi di singole religiose; e questo silenzio rispondeva a quel riserbo, da cui in certe cose non usciva per nessuna ragione del mondo. Né si dimentichino le osservazioni mossegli da Roma sui rapporti del Rettor Maggiore con la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice (I), e le insinuazioni partite da Torino intorno a supposti maneggi del Servo di Dio per sottrarre le Suore e le loro case alla giurisdizione Vescovile (2); circostanze tutte che dovevano allora fargli sentire l'opportunità di star in guardia per evitare malintesi e perciò di non toccare pubblicamente argomenti, dai quali altri prendesse ansa ad accusarlo di soverchia ingerenza nel governo di un'istituzione meramente diocesana. Ma se non parlò Don Bosco, parlò il Bollettino. Subito nel numero di giugno il periodico pubblicò una necrologia breve, ma densa di elogio; poi in cinque numeri diede ai lettori una succosa biografia, in cui le virtù e i meriti dell'estinta
(I) Cfr. vol. XIV, pag. 222 e 227. (2) Cfr. sopra, pag. 209.
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venivano messi in bella luce (I). Ora non è supponibile che l'una e l'altra cosa non sia passata sotto gli occhi di Don Bosco; a noi pare anzi di avvertire qua e là il tocco della sua penna. Secondo le Regole, durante la vacanza il governo generale della Congregazione passava nelle mani della Vicaria; secondo poi le Costituzioni d'allora, l'elezione della Superiora Generale non si sarebbe dovuta protrarre più di quindici giorni. Ma la Vicaria, comunicando alle Consorelle i particolari della morte di Madre Mazzarello, trasmetteva insieme la copia di questa lettera scritta dal Direttore Generale a nome di Don Bosco.
A Suor CATERINA DAGHERO, Vicaria.
Reverenda Suora e Figlie in Gesù Cristo,
Il Rev.mo Sig. Don Bosco, nostro e vostro carissimo Superiore e Padre prese viva parte al vostro giusto dolore per la sensibilissima perdita che tutte avete fatto della Rev.ma Madre Superiora. Egli raccomanda a Dio l'anima bella della defunta, non dimentica nello stesso tempo le orfane sue figlie. Vuole siate tutte rassegnate ai santi voleri di Dio e vi prega di essere tutte unite nel bel vincolo della carità, insieme alla perfetta osservanza della S. Regola del vostro Istituto. Non potendosi per circostanze stare al prescritto dell'articolo terzo, titolo 4° delle vostre Costituzioni circa la elezione della Madre Generale, la rimanda al prossimo agosto, in occasione dei S. Esercizi Spirituali. Vi anima tutte a confidare nella divina Provvidenza e nella materna protezione di Maria Ausiliatrice; e desidera che in ogni giorno e in tutte le case dell'Istituto, si reciti un Pater, Ave e Gloria allo Spirito Santo, che vi conceda una Madre come la precedente, vi guidi tutte al Paradiso! Raccomandatemi a Dio nelle vostre fervorose preghiere. Sono in G. C. vostro Torino, 24 maggio 1881. Direttore e Padre Sacerdote GIOVANNI CAGLIERO.
L'elezione venne fissata per il 12 agosto. Il Capitolo Generale si adunò nella chiesa di Nostra Signora delle Grazie a Nizza Monferrato. Vi parteciparono col Capitolo Superiore
(I) Settembre, ottobre e dicembre 1881; marzo e giugno 1882.
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tutte le Direttrici d'Italia e di Francia. Si permise anche alle educande di star presenti. Invocati i lumi dello Spirito Santo, Don Bosco, nella sua qualità di Superiore Generale, assistito da Don Cagliero, Direttore generale, e da Don Lemoyne, direttore locale, dopo un discorso d'occasione, dichiarò essere a nome di Dio aperta la seduta. Per votazione segreta furono designate a scrutatrici suor Pestarino Rosalia, direttrice del Convitto di Chieri, e suor David Adele, direttrice della casa di Vallecrosia. Il Capitolo avrebbe voluto che Don Bosco formasse una terna di eleggibili, fra cui scegliere la Madre Generale; ma Don Cagliero di scatto vi si oppose. Le votanti erano 21. Risultò eletta suor Caterina Dagliero da Cumiana. La Regola richiedeva trentacinque anni d'età, mentr'essa non ne aveva che venticinque; ma Don Bosco le concesse la dispensa. L'elezione fu accolta dappertutto con viva esultanza, godendosi già dalla nuova Superiora notevole prestigio dinanzi alle Consorelle vicine e lontane. Quando si facevano i preparativi per l'elezione, trovandosi essa con Don Bosco, le aveva detto il Servo di Dio: - Per la poverina che dovrà succedere a Madre Mazzarello, ho già pronta una bella scatola di amaretti, perchè, poverina!… - Difatti mandò alle Superiore non una, ma due scatole, la prima di amaretti e la seconda di confetti, con la seguente letterina: Alla futura Madre Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Rev. Madre Superiora Generale,
Eccovi alcuni confetti da distribuire alle vostre figlie. Ritenete per voi la dolcezza da praticarsi sempre e con tutti; ma siate sempre pronta a ricevere gli amaretti, o meglio i bocconi amari quando a Dio piacesse di mandarvene. Dio vi benedica e vi dia virtù e coraggio da santificare voi e tutta la comunità a voi affidata. Pregate per me che vi sono in G. C. Nizza Monferrato, 12 agosto 1881. Umilissimo Servitore Sac. Gio. Bosco.
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Sciolta che fu l'adunanza, le Suore, riversatesi nel cortile, attorniarono Don Bosco, presso il quale c'era anche la contessa Gatti. Il Beato disse: - Quante siete già! La casa è grande, ma sarà ancora più grande. Fatevi coraggio! Vi è mancata una Madre umile, ma ne avete già un'altra umilissima; ne avevate una santa, e già ne avete un'altra che non lo sarà meno... Dove l'avete la vostra Superiora? Andatemela un po' a cercare e ditele che si faccia vedere. - La cercarono e la trovarono rincantucciata in soffitta e tutta in pianto. Quella sera si fece nel teatrino una festicciuola per l'elezione della Madre Generale e in onore di Don Bosco. Il buon Padre volle che Madre Daghero prendesse posto fra lui e la contessa Gatti. Alla fine del trattenimento disse: - Questa è dunque adesso la vostra Madre. E voi, Madre, avete qui le vostre figlie. Vedo che ci sono là due cabarets [vassoi], uno di amaretti e l'altro di confetti. [Gli amaretti erano di quelli piccolini come favette]. Bene: distribuite, Madre, prima un cucchiaio di amaretti a ciascuna suora, poi un altro di confetti. - Terminata la distribuzione, Don Bosco ripigliò, rivolto alla Madre: - Farete poi sempre così. A ciascuna e a tutte un po' di amaretti, che fanno bene all'anima e al corpo, e un po' di confetti: questi sempre per ultimo. A Nizza Don Bosco erasi recato fino dal 2 per dirigervi gli esercizi delle signore e signorine, che gli davano molto da fare nel confessionale e nelle udienze. Ogni sera poi, dettesi le orazioni, teneva loro un sermoncino. Suor Angela Rinaldi rammenta che una volta sviluppò questo concetto: - Molti dicono che Don Bosco è un santo e che fa cose meravigliose, ma io vi so dire che Don Bosco è un povero prete; uno strumento nelle mani di Dio per fare grandi cose, è vero, per lavorare alla salvezza delle anime, specialmente della gioventù. Ma egli non potrà fare nulla senza la vostra cooperazione... Egli attende da voi soccorsi spirituali di preghiere, avvalorate dalla vostra vita veramente cristiana, e attende
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soccorsi materiali di offerte piccole e grandi... - Questi esercizi producevano sempre frutti così ubertosi, che egli nel 1882 arrivò a dire: - Se non avessi istituito la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, la vorrei istituite solo per ottenere tanto bene. Fra le esercitande si trovava la giovinetta Eulalia Bosco, pronipote del Beato, figlia di Francesco, il figlio di suo fratello Giuseppe. Appena la vide, le disse: - Tua sorella Maria desiderava di entrare postulante quest'anno; ma la Madonna la vuole con sè in paradiso e al suo posto qui vuole te. Rimase interdetta la fanciulla e: - No, no, rispose; mia sorella sta meglio e io non ho voglia di farmi suora. - La sorella realmente morì e la piccola Eulalia dopo un anno era di nuovo là per farsi suora. Essa vive tuttodì (1933), fu Ispettrice a Roma e da molti anni fa parte del Capitolo Superiore. Mentre badava alle esercitande e alle Suore, Don Bosco usufruiva dei ritagli di tempo anche nel rimaneggiare il Giovane Provveduto per aggiungervi cose da lui credute necessarie od opportune. Scriveva in proposito al suo segretario:
Car.mo D. Berto,
Venendo qui procura di prendere teco gli altri quaderni dell'antico Giovane provveduto, giacchè ho preso quelli che non fanno seguito ai quaderni già letti. -Fatti buono. Abbi cura di te e di tutti i nostri fagiuoli (I) e dell'uva. A rivederci e prega per me che ti sono in G. C. Nizza Monferrato, 8, 8, 1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Il giorno 8 aveva voluto anche compiacere un suo ex-allievo, che aveva fondato a Nizza Una Unione Cattolica Operaia. Questi, memore delle lusinghiere espressioni proferite da Don Bosco nel dì onomastico (2), pensò di profittare dell'occasione per onorare lui e fare del bene ai soci. D'accordo quindi col presidente onorario, che era il conte Cesare
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 870. (2) Cfr. sopra, pag. 175.
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Balbo, convocò i membri dell'Associazione a un solenne trattenimento, onorato dalla presenza di parroci e di altri ecclesiastici e presieduto dal Servo di Dio. Don Bertello vi lesse un elaborato discorso; parecchi altri prima e dopo di lui presero la parola. Don Bosco ringraziando commosse gli uditori, col rammentare com'egli fosse stato sempre l'amico dell'operaio (I). Quattro giorni dopo, sul punto di lasciare Nizza, rivolse ancora un delicato pensiero ai soci e al loro presidente, scrivendo a quest'ultimo:
Carissimo Brovia Carlo,
Ieri avrei voluto ringraziare ciascuno della Società Cattolica operaia a cui lodevolmente presiedi. Me ne mancò il tempo e la possibilità. Tu pertanto farai le mie parti e dirai che io fui grandemente consolato e che conserverò incancellabile la memoria di quella serata che si può chiamare trattenimento cristiano sociale. Dio ne accresca il numero. Dio benedica te e tutta la società; presenta i miei umili omaggi al conte Cesare Balbo e pregate anche per me che sarò sempre in G. C. Nizza Monferrato, 12 agosto 1881. Tuo Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Con queste premure Don Bosco mirava anche a circondare di persone benevole la Casa delle Suore, tanto più che in città non tutti le guardavano di buon occhio, come abbiamo già avuto occasione di raccontare. In ottobre la nuova Madre Generale si recò a Roma. Don Bosco aveva mandato in Sicilia Don Cagliero per visitare i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice e predicar loro gli esercizi spirituali; ma questi prima si era trattenuto alquanto a Roma e aveva visitato la casa di Magliano. Avvicinandosi poi il tempo di proseguire nel suo viaggio, Madre Daghero gli condusse alcune suore, perchè le accompagnasse laggiù a Trecastagni e le aiutasse negl'inizi di quella fondazione. L'occasione era solenne. Un numeroso pellegrinaggio di cattolici italiani accorreva ai piedi di Leone XIII in atto di
(I) Boll. Sal., settembre 1881.
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protesta e di riparazione per una recente gravissima offesa contro il Vicario di Gesù Cristo. Nella notte del 13 luglio, trasportandosi la salma di Pio IX dal Vaticano al luogo da lui scelto per sua sepoltura, una masnada di forsennati assoldata dalla sètta diede l'assalto al corteo, tentando inutilmente di sbandarlo con ogni sorta di mezzi e minacciando con furore satanico di gettare nel Tevere le sacre spoglie del grande Pontefice. L'indignazione del misfatto si levò da tutte le parti del mondo, ma particolarmente da un capo all'altro d'Italia. Il 16 ottobre circa ventimila pellegrini italiani, radunati nella basilica del Principe degli Apostoli, acclamavano entusiasticamente il Successore di San Pietro; la mattina seguente poi vi fu un ricevimento nelle Logge vaticane, dove i pellegrini si schierarono ad aspettare il Papa divisi per regioni. Madre Daghero e le Suore si unirono al gruppo piemontese, come fecero anche Don Cagliero e altri Salesiani. Giammai esse avrebbero potuto immaginare una dimostrazione di tanta grandiosità, massime quando il Santo Padre con imponente corteggio di Prelati incominciò il suo giro. Videro così con quanta amabilità Leone XIII si fermasse all'udir nominare i Salesiani e s'intrattenesse prima con il chierico Eusebio Calvi (I) e poi con Don Cagliero (2), ed ascoltarono dalle auguste labbra del Papà le parole: -Don Bosco è un santo. - Elleno pure furono presentate a Sua Santità, che, inteso: - Le Suore di Don Bosco, disse: - Oh bene, bene! Quante case avete? dove le avete? - Madre Daghero, là inginocchiata, era così commossa e confusa che non trovava le parole per rispondere; ma le venne in aiuto Don Cagliero. Il Papa, sentendo che si trovavano anche nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay e nella Patagonia: - Oh brave le Suore! esclamò. Fin nella Patagonia! Dio vi benedica tutti e tutte; benedica il vostro Superiore e tutte le case.
(I) App., Doc- 49. (2) Boll. Sal., novembre 1881. Per il viaggio di Don Cagliero in Sicilia, cfr. App., Doc. 50.
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L'anno 1881 si chiuse con un bel regalo del cielo alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco l'ultimo di dicembre fece sul loro Istituto un sogno, che raccontò a Don Lemoyne e di cui questi, come soleva di ogni cosa riguardante la venerata di lui persona, prese immediatamente nota. Nell'esporlo seguiremo i suoi appunti. Parve a Don Bosco di andar raccogliendo castagne in un castagneto presso Castelnuovo. Ve n'erano molte e belle e grosse, sparse per il terreno erboso. Mentr'egli non badava ad altro, ecco apparire una donna, che gli si appressava, raccogliendo anch'essa e mettendo in un canestro. Don Bosco rimase male al vedere come colei si prendesse così la libertà di raccogliere su quel d'altri e rivolgendole la parola le domandò: - Con qual diritto voi siete venuta qui? Io non intendo come osiate venir a raccogliere castagne sul mio. - E che! rispose ella. Io non ho questo diritto? - A me sembra di essere qui il padrone, e questa è roba mia. - Sia pure; ma io raccolgo castagne anche per te. La donna parlava con accento così risoluto e senza punto cessare dalla sua raccolta, che Don Bosco non giudicò belle d'insistere e seguitò anche lui a raccogliere. Quando poi entrambi ebbero le loro ceste ricolme, la donna chiamò Don Bosco e gli chiese: - Sai quante sono qui dentro le castagne? - E’ ben strana la domanda che mi fate! - Rispondi a tono. Sai quante ve ne sono? - Io no certamente; non sono mica un indovino, io! - Allora te lo dirò io. - Ebbene, quante? - Cinquecentoquattro. - Cinquecentoquattro? - Precisamente. E sai che cosa simboleggiano queste castagne? - Che cosa? - Le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tante saranno le case fondate dalle tue figliuole.
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Mentre facevano questo discorso, si levò un clamore di ominacci furiosi: eran voci simili a quelle degli ubbriachi. Si sentiva che i vocianti si avanzavano in mezzo agli alberi. Impaurito Don Bosco fuggì e la donna gli corse dietro, finchè si fermarono sulla proda di una riva. Andare avanti non si poteva: a tornar indietro non era nemmeno da pensare: Don Bosco stava sulle spine. Intanto quei cotali si avvicinavano schiamazzando e calpestando dispettosamente le castagne rimaste per terra. Qui Don Lemoyne commenta: “Forse le vocazioni impedite, a causa principalmente delle guerre contro le case delle nostre suore, o meglio la sorte di quelle che restano in mezzo al mondo.” Don Bosco a tale schiamazzo si svegliò; ma poco dopo riprese sonno e ricominciò a sognare. Gli sembrava di starsene seduto sull'orlo di un rivaccio; a poca distanza sedeva pure la donna col suo canestro pieno di castagne. In lontananza risonavano tuttora gli urlacci di quegli energumeni; pareva che se ne andassero via, camminando dietro una collina; ma fu cosa di brevi istanti. Don Bosco teneva gli occhi su quelle castagne, che erano belle e grosse davvero. Se non che, osservando meglio, notò che parecchie avevano il buco fatto dal verme. - Oh! guardate, disse alla donna... Che cosa faremo di queste, che hanno il baco? - Bisogna scartarle, perchè non guastino le sane... Bisogna mandar via quelle figlie che non sono buone e non hanno lo spirito della casa, perchè il baco della superbia o di altri vizi le rode: e questo specialmente se si tratta di postulanti. Commento di Don Lemoyne: “Le castagne nel secondo sogno figurano le Figlie di Maria Ausiliatrice.” Don Bosco, che continuava a guardare quelle castagne, ne mise fuori alcune e trovando che le guaste non erano poi tante, lo fece rilevare alla donna. E la donna: - Credi tu
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che le rimanenti siano tutte buone? Non ce ne saranno col baco dentro, senza che si vegga di fuori? - Ma dunque come fare a scoprirle? - Eh! la cosa è difficile. Certune sanno fingere così bene, che sembra impossibile arrivare a conoscerle. - E allora? - Guarda, vi è un solo mezzo. Mettile alla prova delle regole e tienile d'occhio. Vedrai cosi chi abbia o no lo spirito di Dio. E’ una prova questa, mediante la quale difficilmente prende abbaglio un attento osservatore. Don Bosco pensava e pensando guardava le castagne, finchè all'improvviso si svegliò. Spuntava l'alba. Egli disse a Don Lemoyne che per una settimana intera questo sogno erasi rinnovato tutte le notti, bastando che si addormentasse, perchè subito gli si parasse dinanzi la scena della donna e delle castagne. Una volta la donna gli parlò così: - Sta' attento alle castagne marce e a quelle vane. Fa' la prova a metterle nell'acqua dentro la pentola. La prova è l'ubbidienza... Falle cuocere. Le marce, se si premono con le dita, schizzano subito fuori il brutto umore che hanno dentro. Queste gettale via. Le vane, ossia, vuote, salgono a galla. Sotto con le altre non istanno, ma vogliono in qualche modo emergere. Tu prendile con lo schiumatoio e buttale. Bada ancora che le buone, quando sono cotte, non è presto fatto a ripulirle. Bisogna prima levar via la scorza, poi la pellicola. Ti parranno allora bianche bianche; eppure osserva bene: alcune sono doppie: aprile e vedrai nel mezzo un'altra pellicola, e lì nascosto c'è dell'amaro. Non si potrebbe immaginare paragone più calzante per indicare le varie qualità di persone che convivono in una casa religiosa e quanto sia difficile talvolta scandagliare il fondo di certi cuori anche buoni.
CAPO XII. Consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista
NELLA lettera del gennaio 1882 ai Cooperatori, Don Bosco riferiva così intorno alla chiesa di San Giovanni Evangelista: “Questo sacro monumento che i Cooperatori e le Cooperatrici innalzano al grande Pontefice Pio IX, nostro insigne Benefattore, si può dire terminato. I pittori e decoratori hanno già dipinto il coro, la navata di mezzo, le due laterali, i muri di fianco e tra pochi giorni daranno l'ultima pennellata. Il pavimento di marmo é collocato e sul campanile già si trovano le cinque campane, che col loro gratissimo suono chiameranno i Torinesi nel luogo santo. Ora si stanno collocando a posto gli altari, costruendo i confessionali, le porte e i banchi; e il cav. Bernasconi da Varese, celebre fabbricatore di organi, ne sta lavorando e collocando uno che farà onore al suo nome e sarà degno ornamento della nostra chiesa ” (1). Diamo uno sguardo all'interno del tempio, seguendo punto per punto le indicazioni dateci qui da Don Bosco e lasciando per ultimi il concerto delle campane e l'organo. Il “coro ” di Don Bosco é l'abside col presbiterio. Le
(1) Boll. Sal., gennaio 1882. A questa chiesa abbiamo già dedicato l'intero capo XVIII del volume XIII.
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pitture dell'abside rappresentano la scena del Calvario nel punto in cui Gesù dalla croce dice a Maria: Donna, ecco il tuo figlio, e a Giovanni: Ecco la tua madre. Lo stuolo delle pie donne sta ai piedi della croce; dall'altro assiste adorante e dolorante una corona di angeli, uno dei quali si accosta in atto di porgere al Redentore il calice della Passione. Il dipinto, eseguito ad uso mosaico alla bizantina, é lavoro del pittore torinese Enrico Reffo. Il Reffo dipinse anche le pareti laterali del presbiterio, rappresentandovi un caritatevole fatto di San Giovanni narrato da antichi storici ecclesiastici. Nel primo affresco dalla parte del Vangelo l'Apostolo dinanzi all'assemblea dei fedeli pieni di riverenza verso la sua veneranda persona consegna al Vescovo di Smirne un giovinetto, perché lo allevi al santuario; nel quadro di fronte San Giovanni in luogo dirupato raggiunge e stringe al seno il povero fìgliuolo, che, divenuto perverso, capitanava una banda di briganti. Nelle due scene il pittore intese di adombrare l'opera preservatrice e redentrice di Don Bosco a favore della gioventù. Sul presbiterio corrispondenti a queste due storie due gruppi di angeli, lavoro di Giuseppe Rollini, ex-allievo dell'Oratorio, sciolgono un inno di lode e di vittoria all'Agnello di Dio, che rompe i sigilli chiudenti il libro dei futuri destini riserbati alla Chiesa come narra San Giovanni nella sua Apocalisse. Il vaso del tempio é compartito in tre navate. Sulle pareti della mediana campeggiano in sette medaglioni (uno é sulla porta) i sette vescovi dell'Asia Proconsolare menzionati nell'Apocalisse di San Giovanni. Li dipinse il Reffo. Altri due medaglioni adornano le pareti in fondo alle navate laterali sulla rispettiva porta; in essi il professor Salvino Caneparo della Regia Accademia Albertina rappresentò a destra Sant'Alfonso Maria de' Liguori e a sinistra San Francesco di Sales, i due Santi proclamati Dottori della Chiesa da Pio IX. Queste due navi si continuano attorno all'abside, formando un comodo ambulacro, che permette di far il giro dell'altar maggiore senza recar disturbo alle funzioni.
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Dalle pareti per dieci alte finestre e sei grandiosi rosoni s'immette nella chiesa una luce moderata. Le finestre, avendo i vetri colorati, ne lasciano entrare solo tanta che basti a favorire il religioso raccoglimento; delle rose le cinque sottostanti alla mezza calotta dell'abside incorniciano, dipinte a vetro, le figure di San Giovanni Evangelista, San Giacomo, Sant'Andrea, San Pietro e San Paolo. Sei altari laterali, di cui due cospicui dedicati all'Immacolata e a San Giuseppe, hanno icone di vari autori, distinte da caratteristici pregi. L'altar maggiore, foggiato all'orientale, é con doppia mensa e grandioso tabernacolo; lo circonda una larga balaustrata in pietra di Satrio con quattro belle cancellate d'accesso. Il pavimento marmoreo in mosaico alla pompeiana ha la sua piccola storia. Il preventivo portava una spesa di novemila lire. Un giorno Don Bosco, incontrato a Sampierdarena il signor Repetto, che possedeva in Lavagna Ligure una cava di marmo, lo salutò dandogli del cavaliere. - Non mi burli, Don Bosco, gli rispose quegli, io non sono cavaliere, ma un semplice negoziante che fa i suoi affari come può. - Eppure una persona come lei avrebbe bisogno di qualche onorificenza che la rendesse, come tanti altri suoi pari, più rispettabile in faccia a subalterni, a corrispondenti e alla società. Non le sembra? - Certo, la cosa non mi spiacerebbe. - Ebbene, senta. Lei ha assunto l'impresa del pavimento per la chiesa di San Giovanni. Non potrebbe farmi gratuitamente questo lavoro, liberando me da un pensiero? Sarebbe un'opera buona agli occhi di Dio. Per parte mia, m'impegno a procurarle una croce da cavaliere. - Si potrebbe fare anche questo, disse quel signore. - Dunque é cosa fatta, conchiuse Don Bosco. Tuttavia all'atto pratico il Repetto pensava che fosse troppo gettare novemila lire per un'onorificenza. Manifestò
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questa sua esitazione a Don Sala, che lo esortò a fare quanto Don Bosco desiderava, dicendogli che la generosità verso Don Bosco aveva sempre apportato fortuna. Infatti il signor Repetto fece il pavimento, ebbe la croce da cavaliere, e poco dopo per mezzo dell'Oratorio ricevette la commissione di un monumento a monsignor Vera nella cattedrale di Montevideo, guadagnandovi una bella somma (1). La porta grande costituisce un lavoro artistico nuovo a Torino. E’ in legno di noce con bassorilievi in bronzo. La disegnò il professor Boidi, esprimendo un concetto di Don Bosco, il quale voleva che quella porta rammentasse perennemente ai Torinesi essere il tempio in cui entrerebbero, monumento a Pio IX. Vi spiccano in special modo due quadri raffiguratiti i due solennissimi atti compiuti da quel Papa: la definizione dogmatica dell'Immacolato Concepimento di Maria Santissima e la proclamazione di San Giuseppe a Patrono universale della Chiesa. Nel primo vi é una particolarità degna di nota. Dinanzi al Pontefice sta con dalmatica, in modesto atteggiamento, reggendo un libro aperto, un Prelato: l'artista, per suggerimento di Don Bosco, effigiò in esso l'intrepido monsignor Luigi Fransoni, che era stato Arcivescovo di Torino nel 1854, anno della definizione. Di tutto si addossò la spesa l'ex-allievo Don Anfossi che, rimasto orfano a tredici anni e accolto da Don Bosco nell'Oratorio, attestava cosi la sua imperitura riconoscenza verso il proprio educatore e padre. A chi dal corso Vittorio Emanuele II volge lo sguardo alla chiesa si presenta maestosa la facciata, dal cui mezzo si slancia in alto il campanile. Nel timpano della porta uno squisito mosaico raffigura il Divin Redentore assiso in cattedra con la scritta: Ego sum via veritas et vita, tratta dal Vangelo di San Giovanni, e ai lati l'alfa e l'omega come San Giovanni tre volte lo chiama nell'Apocalisse, per indicare
(1) Abbiamo la minuta della lettera indirizzata da Don Bosco al ministro dell'Interno per la decorazione (App., Doc. 51).
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che Egli é principio e fine d'ogni cosa. Più su, nel timpano della trifora superiore, un altro stupendo mosaico rappresenta l'apoteosi di San Giovanni, sorretto nella stia trionfale ascesa dall'aquila, simbolo attribuitogli dai Padri. Con particolare compiacenza sembra che Don Bosco nella sua lettera menzioni le campane. La loro benedizione fu un avvenimento; quel giulivo tintinnìo era venuto a rallegrare la popolazione circostante, rompendo finalmente il cupo silenzio che incombeva tutto attorno al vicino tempio valdese. Cinque sacri bronzi raggiunsero la cella campanaria della graziosa torre il 10 dicembre 1881. La cerimonia della benedizione, accuratamente preparata ed eseguita con solennità dal canonico Berardi, provicario generale dell'Archidiocesi, si svolse nella chiesa non ancora terminata, alla presenza di numerosi benefattori e amici, a cui Don Bosco aveva rivolto personale invito, e in mezzo a gran folla di fedeli. Tornò affatto nuovo e di mirabile effetto in mottetto accompagnato pure dal suono festivo delle campane, che mano esperta faceva vibrare a tempo e secondo le note per mezzo di apposita tastiera. Le aveva fuse il signor Bizzózero di Varese, intonandole in modo da potervi produrre un concerto armonioso in mi bemolle. Delle iscrizioni su di esse improntate ricorderemo soltanto questa della campana maggiore: Centenis domibus Salesianis Ital. Gall. Hispan. Americ. divinam opem imploro [per le cento case salesiane d'Italia, Francia, Spagna e America imploro il divino aiuto]. C'era bisogno della cancellata in ferro che chiudesse il sagrato lungo il corso Vittorio, fra l'ospizio da un lato e un palazzo dall'altro. Monsignor Gastaldi ne offerse una. L'avevano fatta fare i Canonici della Metropolitana per metterla dinanzi alla Cattedrale, ma il Municipio negò il permesso; poi era stata offerta alla nuova chiesa di San Secondo, ma fu rifiutata perché non istile. “ Io la presento, scrisse Monsignore. il 21 febbraio 1882 a Don Rua, sperando di vieppiù trarre su questa Archidiocesi la protezione di questo Santo,
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ed affine di mostrare sia la mia benevolenza alla Congregazione Salesiana, checché siasi pubblicato alle stampe in contrario; sia il mio vivo desiderio che questa Congregazione abbia coll'attuale successore di San Massimo, tutti quei rapporti, che le regole del Vangelo e della Chiesa esigono che tutte le congregazioni religiose conservino col Capo della Diocesi. ” Fu forza di ringraziare non accettando, perché la cancellata era troppo alta e per adattarla bisognava spenderci almeno quanto sarebbe occorso a provvederne una nuova. Un bell'ornamento della chiesa di San Giovanni Evangelista é la marmorea statua di Pio IX che si aderge su alto piedestallo a mano diritta di chi entra. Il Papa leva la destra nell'atto che precede la benedizione, mentre con la sinistra porge il decreto di approvazione della Pia Società Salesiana. Indossa gli abiti pontificali, recando in capo il triregno. Amorevolissimo ha lo sguardo e angelico il sorriso. Non gli manca che la parola sul labbro, perché l'illusione sia perfetta. E' opera dello scultore Francesco Confalonieri di Barzago in Brianza. L'iscrizione latina ricorda che il tempio é monumento alla memoria del grande Pontefice (1).
(1) Ecco l'iscrizione,dettata da Don Francesia PIO IX. PONTIF. MAX. QUI TEMPLUM HOC EXTRUENDUM HONORI S. IOANNIS AP. EVANG. CONSILIO RE FOVIT IPSOQUE NOMINE SIBI AD SACRUM FONTEM IMPOSITO VOCARI LUBENS ANNUIT SODALES SALESIANI IISQUE ADPELLATI COOPERATORES AUCTORITATE ILLIUS RITE COMPROBATI UNA ALTERA LIBERALITATE AUCTI OBSEQUII AMORIS GRATI ANIMI MONUMENTUM IN SUAVISSIMUM EUMDEMQUE MUNIFICUM PARENTEM LAETITIA GESTIENTES EXSTARE VOLUERUNT AN. MDCCCLXXXII. (A Pio IX Sommo Pontefice - che la costruzione di questo tempio ad onore di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista - col consiglio e coll'opera promosse - e con lo stesso suo nome battesimale - di buon grado concesse fosse chiamato - i soci Salesiani e i loro Cooperatori - da lui canonicamente approvati - e largamente più d'una volta soccorsi - l'amore, l'ossequio e la riconoscenza loro -verso un sì dolce e generoso Padre - vollero giubilanti eternare con questo monumento - l'anno 1882.)
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La statua il 25 aprile 1882 fu collocata sulla sua base, nella cui cavità venne racchiusa una pergamena commemorativa con le firme di parecchi illustri personaggi. Per Don Bosco, che si trovava a Roma, firmò Don Bonetti quale suo rappresentante. Nel verbale che precede le sottoscrizioni é notevole il seguente periodo: “ Si sarebbe desiderato di onorare questo collocamento con una particolare solennità; ma ragioni di alta prudenza, che i posteri sapranno apprezzare, consigliarono in questi giorni di farne a meno. “ Queste parole trasmettevano ai posteri la tristissima eco di un avvenimento, che riempì di afflizione l'anima dei buoni Torinesi. I fatti erano recenti. La mattina dell'II aprile monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli, aveva consacrata la chiesa di San Secondo. Fu atto di generosità, obliando il passato, mandare i giovani dell'Oratorio a far risonare per i primi delle loro note musicali le volte del nuovo tempio, e con loro anche la banda salesiana a dar concerto sulla piazza dopo le funzioni della sera (1). Don Bosco si rallegrò certamente nel vedere che fosse inaugurata al dívin culto e aperta al pubblico una nuova chiesa, a cui egli stesso aveva posto mano dieci anni prima. Non se ne rallegrò invece il nemico del bene. Abbiamo narrato come l'erezione del sacro edifizio, interrotta da più anni, venisse ripresa nel 1878 con l'intendimento che anche quello fosse monumento alla memoria di Pio IX (2). Per affermare tale proposito dinanzi alla posterità erasi collocato sul frontone un busto del defunto Pontefice con una iscrizione che urtò i nervi ai settari; onde, provocati dalla Massoneria e dal suo organo magno la Gazzetta del Popolo, scoppiarono
(1) Poiché più volte negli ultimi volumi si é parlato di questa chiesa, né, per la mancanza del volume decimo, se ne conosce ancora appieno dai lettori la storia, riportiamo nell'Appendice (Doc. 52) un articolo del Bollettino (marzo 1882), che ne racconta le origini. Don Berto scriveva da Roma: “ Quel vedere associati i nostri giovani cantori e la musica alle imprese dell'Arcivescovo, ci fa in questo momento molto male, perché i lontani credono veramente che ci sia benevolo. ” (Lett. a Don Bonetti 17 aprile 1882). (2) Cfr. vol. XIII, pag. 577 pgg.
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tumulti, nei quali si commisero indegnità da degradarne i popoli barbari (1). Furono rimossi busto e iscrizione in mezzo ai lazzi e sotto i proiettili di uomini furibondi, che la durarono fino alla fine indisturbati nei loro eccessi. Dopo simili precedenti non era davvero prudenza far rumore nell'ínalzamento della statua di Pio IX; c'é anzi da stupire che il semplice fatto del collocamento sia passato quasi inavvertito e senza scandali. Accadde allora un incidente, che diede occasione a discorsi salati. Proprio nell'ora in cui dalla facciata di San Secondo si calava il povero busto di Pio IX, giungeva dalla ferrovia il carrettone portante la statua di Pio IX destinata alla chiesa di S. Giovanni Evangelista. Orbene il coadiutore Buzzetti che andava in cerca di uomini per iscaricare quell'enorme peso, s'imbatté nei muratori che avevano compiuta quell'operazione a S. Secondo e ordinò loro il trasporto della statua nell'interno del tempio. Così le stesse mani che un momento prima avevano tolto il busto del Papa in un luogo, ne rizzavano la statua in un altro, in quell'altro appunto per cui tanto contrasto era sorto a contendergli l'onore di essere monumentale omaggio al nono Pio. Anche nella collaudazione dell'organo, compiutasi di là a tre mesi, convenne usare buone cautele. La si fece dunque in forma accademica quasi fosse una festa dell'arte, il 3, 4, 5 e 6 luglio; e perché tale fosse in tutto e per tutto l'aspetto di quell'inaugurazione, la lettera contenente l'annunzio e il programma recava soltanto la firma del musico Don Cagliero. Né qui si ristette Don Bosco, ma ricorse anche a una di quelle sue finezze, in cui era maestro. Dopo la vittoria dei forsennati che con atti e parole avevano tanto oltraggiato Dio nel suo Vicario i giornali cattolici, stigmatizzando la selvaggia sopraffazione, si erano spinti a lanciare una sfida imprudente, dicendo agli avversari: - Noi ci troveremo all'inaugurazione
(1) Per la conoscenza dei tempi é bene leggere il manifesto pubblicato allora da studenti sobillati dai mestatori (App., Doc. 53).
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della statua di Pio IX nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Venite là, se vi basta l'animo! - E noi ci verremo, - risposero in coro gli altri. Si minacciava dunque un pugilato? Certo i soci della Gioventù Cattolica avevano una gran voglia di mostrare in qualunque maniera al mondo, che nessuna paura li arrestava, quando trattavasi di portar alta la loro bandiera. Quello che si era evitato nel collocamento della statua, poteva dunque succedere nel collaudo dell'organo; ma Don Bosco seppe prevenire ogni pericolo. All'audizione s'entrava con un biglietto personale (1); egli dunque mandò il biglietto d'invito anche a tutti i giornali liberali. I direttori, soddisfatti di quella cortesia, intervennero, videro necessariamente la statua di Pio IX e nulla incontrando che avesse l'aria di provocazione, misero le cose in tacere. Anzi la Gazzetta di Torino (2), meno intransigente, non si tenne paga di serbare il silenzio, ma uscì con un articolo che cominciava così: “ Sono tre giorni che la nuova chiesa costrutta anch'essa come tante altre per opera di quell'uomo straordinario ch'é il reverendo sacerdote Bosco, non disempie (3), se non negl'intervalli, in cui il suo magnifico organo tace. Tutta la miglior società torinese vi si dà convegno, così nella prima seduta che dura dalle nove a mezzogiorno, come e più nella seconda che va dalle tre alle sei. ” Bisogna però anche aggiungere che Don Bosco aveva fatto le cose da pari suo. Magnifico sempre nella sua povertà quando ci fosse di mezzo il decoro del culto divino, massime in una grande città, non aveva lesinato fin da principio sul preventivo, tanto riguardo alle dimensioni che alle decorazioni del sacro edifizio. Nel 1870 l'architetto conte Edoardo Arborio Mella scriveva a sua figlia (4): “ E’ stato qui da me
(1) Questo “ Biglietto personale d'ammissione ” era un cartoncino che portava i nomi dei “ maestri Collaudatori, ” l'orario e questa nota: “ Si prega di un'elemosina nell'ingresso per le spese di quest'Organo”. (2) Num. del 6 luglio 1882. (3) Francesismo: désemplir, vuotarsi. (4) Contessa Adele di Rovasenda madre della marchesa Maria Terzi, che possiede l'originale della lettera e ci ha permesso la citazione.
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Don Bosco, e ci siamo intesi e vuole una chiesa discretamente larga, a tre navi e piuttosto bella. Studieremo dunque. Che uomo unico! Dandomi idea del prezzo da spendere votato dall'Amministrazione aggiungevi con una pace e confidenza invidiabili: - Però é meglio far le cose bene e se la stima eccedesse anche il doppio le somme stanziate, non fa niente, troveremo modo di soddisfarvi. - ” Volle dunque dal costruttore un organo di prim'ordine e n'ebbe per quei tempi un capolavoro da non temer rivali. Poi chiamò a metterlo in valore artisti di grido, torinesi e forestieri, fra cui il Petrali di Bergamo e il Galli di Milano. Egli poi si fece vedere solamente nel quarto e ultimo giorno. La Gazzetta citata, dopo avere sommariamente descritto chiesa, organo e organisti, conchiudeva appunto come aveva cominciato, cioè riparlando così di Don Bosco: “ Ieri nel dopopranzo l'autore primo di tutte quelle meraviglie, Don Bosco, é comparso, nel coro del novello tempio, circondato da molti altri sacerdoti. Ha aspetto grave, ma piacente e s'intratteneva con molta gentilezza di modi, fra un pezzo e l'altro e al finire dell'esperimento, coi moltissimi che si recavano a ossequiarlo. Si comprende al vederlo che quell'uomo lì, come dicono gli amici d'oltr'Alpe, é quelqu'un, e invero é d'uopo riconoscere che ciò che ha fatto e che fa é sorprendente! ” La festa dell'organo preludeva a una solennità assai maggiore. La chiesa ormai era terminata in ogni sua parte. Architettura, affreschi, pitture, ornati, pavimento, altari, porta, tutto dava l'impressione di un vero monumento, sicché a tal vista andavano lieti della loro carità i numerosi benefattori. Era dunque tempo di procedere alla solenne consacrazione. Affinché l'interesse del pubblico accompagnasse quanto più fosse possibile un atto così importante, Don Bosco non aveva aspettato l'ultima ora per occuparsene. Già il 10gennaio i principali abitanti del vicinato avevano da lui ricevuto personale invito ad una conferenza specialissima, che tenne
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il 14 nel locale attiguo alla chiesa. In essa egli espose tutto quello che pensava di fare e poi volle udire il parere dei presenti sii quanto credessero poter contribuire al buon esito (1). La consacrazione si sarebbe voluta compiere verso la fine di maggio (2). Don Bosco sembra che non avesse speranza nell'intervento dell'Arcivescovo; infatti, trovandosi a Roma, fece in aprile qualche passo per ottenere che venisse a celebrare quel rito un Cardinale (3). Lo incoraggiava in questo tentativo, che veramente aveva dell'inaudito, un'intenzione manifestata, non sappiamo perché, l'anno avanti dal Cardinale Vicario. Ce lo apprende Don Bosco stesso in una lettera a Sua Eminenza (4): “ Don Dalmazzo mi ha dato una delle più meravigliose notizie: che la E. V. si mostra disposta a venire a consacrare la chiesa di San Giovanni Apostolo che si sta costruendo e volge al termine in questa nostra città a gloria di Pio IX. Io la prendo sul serio e ci conto per quella per noi strepitosa solennità. Tale funzione sarebbe fissata pel 6 maggio 1882. Nel prossimo inverno personalmente concreteremo quanto sarà da farsi secondo il beneplacito della E. V. Rev.ma! ” La notizia che il Beato conduceva questa pratica, trapelò; infatti il 28 aprile Don Rua in via confidenzialissima fu informato che Monsignore per mezzo di persone influenti mandate o incaricate a Roma, aveva o avrebbe brigato per mandare a monte quel tentativo (5). Ma alla fine di giugno nulla ancora vi era di concluso. Don Dalmazzo informava (6): “ Per la consacrazione di San Giovanni il solo Card. Nina accetterebbe per ottobre, che dice dover venire a Torino; ma non è Vescovo e non può fare la funzione. Il prelodato
(1) App., Doc. 54. (2) Lett. di Don Bonetti a Don Bosco, Torino 12 aprile 1882. (3) Lett. cit., e di Don Berto a Don Bonetti, Roma 16 aprile 1882. (4) Sampierdarena, 14 settembre 1881. Dimenticandosi di essere a Sampierdarena, dice “ in questa nostra città ”, come se fosse a Torino. (5) Lett. di Don Bonetti a Don Berto, Torino 29 aprile 1882. Cfr. App., Doc. .5 S. (6) Lett. a Don Bosco, Roma 30 giugno 1882.
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Cardinale dice però che questa funzione o deve farsi dall'Arcivescovo di Torino, o non farsi per ora, per non suscitare un nuovo vespaio. ” Che cosa propriamente movesse Don Bosco a cercare un Cardinale, non apparisce bene dai nostri documenti. Ma Don Turchi nei processi depose avergli Don Bosco stesso narrato che monsignor Gastaldi non voleva consacrare la chiesa né permettere che s'invitasse un altro Vescovo; che egli perciò, a troncare le ciance causate dalla dilazione, aveva scritto alla Santa Sede e che da Roma erasi posto all'Arcivescovo un aut aut: o la consacrasse lui o si sarebbe mandato di là un Vescovo. Il Beato dunque, riflettendo sul consiglio del cardinale Nina, si appigliò a una via di mezzo: rimandare la consacrazione a tempo migliore e intanto per non differire l'apertura della chiesa ottenere dall'Arcivescovo la facoltà di benedirla. In questo senso gli scrisse al principiare di luglio. Eccellenza Reverendissima, I lavori della Chiesa di S. Giovanni Evangelista volgono al loro termine, epperciò gli abitanti di quel vicinato fanno vive istanze affinché il novello edifizio sia aperto al pubblico religioso vantaggio. Io sono lieto di appagare questa pia aspettazione; ma tenendo conto delle circostanze dei tempi, io mi limiterei ad una semplice benedizione riservandone la solenne consacrazione a tempo più opportuno. Sembra che i sacri canoni vadano d'accordo nell'asserire che il superiore di una congregazione definitivamente approvata dalla Santa Sede, possa fare la funzione della benedizione di una chiesa appartenente al proprio istituto. Qualora però la E. V. ne avesse dubbio, io la prego esplicitamente a volermi accordare tale facoltà con quelle clausole che sono richieste dai sacri riti. Della S. V. Rev.ma Torino, 5 luglio 1882. Umil.mo esponente Sac. Gio. Bosco. Trascorsero ventidue giorni senza che arrivasse alcuna risposta; quindi il 27 Don Bosco pregò per iscritto il Cancelliere della Curia a volergli significare se l'Arcivescovo,
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che dai primi del mese era assente da Torino, avesse dato qualche disposizione relativa alla sua domanda; ma il Servo di Dio ignorava qualche retroscena, che noi siamo in grado di svelare. Il giorno avanti che giungesse a destinazione la lettera del 5 luglio, Monsignore era partito per il santuario di San Ignazio sopra Lanzo, dove stavano raccolti sacerdoti per gli esercizi spirituali; perciò la lettera di Don Bosco fu aperta e trattenuta in Curia. Il canonico Colomiatti, ne avesse o no conoscenza, scrisse proprio il giorno 6 al cardinale Nina: “Monsignore é disposto a consacrare egli stesso la nuova chiesa di San Giovanni Evangelista per dare così una prova della sua buona volontà verso Don Bosco. Io desidero che ciò avvenga: e, pensando che tale fatto sarà gradito a Sua Santità, a V. Em. ed al Card. Jacobini, mi adopero e mi adoprerò in proposito. ” Ma l'Avvocato fiscale prevedeva un intoppo, perché sotto la chiesa c'era, diceva, una cappella e un teatro. Ciò sapendosi in Curia, Monsignore aveva presentato il 3 marzo alla Congregazione dei Riti un quesito per sapere se fosse lecito consacrare una chiesa, nel cui sotterraneo si dessero spettacoli a modo di teatro per onesto trattenimento della gioventù e la risposta in data 4 maggio era stata negativa per la ragione che una chiesa con la sua parte sotterranea si consacra Per modum unius, cioè come un sol corpo (1). Ora il Colomiatti a rimuovere l'ostacolo pregava Sua Eminenza di dire a Don Bosco che nella sua domanda all'Arcivescovo aggiungesse la dichiarazione che del sotterraneo non sarebbesi fatto quell'uso. Alla suddetta lettera teneva dietro un poscritto, nel quale il Colomiatti asseriva che sul punto di suggellarla il Provicario Generale, ricevuta quella di Don Bosco a Monsignore assente, veniva a chiedere il suo parere sulla medesima ed egli ne rimetteva copia al Cardinale, commentando così il secondo capoverso: “ Noto che in essa lettera é la pretesa di credere
(1) Cfr. Boll. Sal. del giugno 1882.
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che il superiore dell'Istituto Salesiano sia equiparato ai superiori degli Ordini religiosi o delle speciali congregazioni privilegiate, mentre pel Salesiano istituto é deciso dalla S. Congr. dei VV. e RR., 13 gennaio 1875, che la condizione imposta ad ogni istituto di voti semplici [e quindi eziandio al Salesiano] é che, trattone il caso in cui fossegli dalla Santa Sede concesso alcun Privilegio, sono quegli istituti esenti ossia non soggetti alla giurisdizione degli Ordinari soltanto in tutto ciò che é contenuto nelle costituzioni dalla Santa Sede approvate. Ora né nelle costituzioni salesiane, né in Brevi dati alla congregazione salesiana si trova la facoltà invocata da Don Bosco. V. Em. mi permetta quindi che io la preghi a dirmi al più presto la risposta che é da farsi a Don Bosco, perché desidero di non comunicare a Mons. la lettera di Don Bosco, prima di aver ricevuto un rigo da V. Eminenza. Penso che V. Eminenza converrà meco in diritto circa l'osservazione che feci, come penso che V. Em. non vedrà male che io immediatamente abbia comunicata la lettera a V. Em. affinché coi corretti giudizi di V. Em. possa scrivere a Mons. al riguardo e così eliminare una questione. In essa lettera di Don Bosco si vede il principio che ha dominato i Salesiani nella loro lotta contro l'Arcivescovo. ” Erano i giorni, in cui fra Don Bosco e l'Arcivescovo avveniva lo scambio di lettere a tenore della Concordia voluta da Leone XIII. Don Bosco aveva fatto la parte sua, quando il cardinale Nina il 26 luglio espresse a lui il proprio pensiero circa l'affare della benedizione e del sotterraneo. Rallegratosi anche a nome del Papa con Don Bosco, perché fossero state eseguite le imposte condizioni, usò parole dure sulla prima cosa. Rammentato il suo precedente consiglio che s'invitasse l'Arcivescovo a fare la consacrazione, soggiungeva: “Vidi poi la minuta della lettera che Ella ha indirizzato a quel Prelato sull'oggetto e mi parve non fosse adatta allo scopo, perché involgeva un dubbio ed implicava una evasiva. Ma bisogna essere nei nostri atti espliciti e sinceri.
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Forse Sua Eminenza badò più al commento del Colomiatti che al testo di Don Bosco. La mancanza di sincerità sarebbe stata nel nascondere il dubbio che l'Arcivescovo volesse consacrare lui la chiesa e nel mascherare il proposito di farne a meno con la scappatoia della semplice benedizione. Ma i due fatti allegati da Don Bosco erano certi, la convenienza cioè di presto officiare la chiesa e l'opportunità di non rimettere allora a rumore il campo avversario con la solennità di una celebrazione, che poteva risvegliare le ire antipapali appena sedate. Che il Beato non avesse nessun secondo fine lo confermano queste sue righe del 25 luglio al Cardinale, incontratesi quindi per via con le osservazioni del medesimo: “Ho inviato a Mons. Arcivescovo una memoria per la benedizione della chiesa di San Giovanni Apostolo e finora non si poté ottenere alcuna risposta. Ho mandato nella Curia Arcivescovile per dimandare se vi era qualche disposizione; non mi si fece alcuna risposta. Intanto il pubblico si lagna del ritardo ed io non so che rispondere. ” Nel merito della questione di diritto canonico sollevata con tanta abbondanza di parole dal Colomiatti Sua Eminenza non entrava menomamente; dotto canonista, egli sapeva certo valutare le opinioni di competenti intorno a quel caso specifico anche dopo la citata decisione generica. Restava la questione del sotterraneo. Non esisteva ivi palcoscenico. L'ambiente era formato da un'ampia platea con un ambulacro semicircolare, da potersi adibire l'una e l'altro a qualsiasi uso. Non solo il Bollettino, ma anche Don Bosco aveva fornito tali spiegazioni all'Unità Cattolica per rettificare una “ voce erronea ”diffusasi dopo la pubblicazione del decreto romano. Illustrissimo Sig. Direttore dell'“ Unità Cattolica Prego la nota di Lei cortesia a voler rettificare una voce erronea che si va ognora dilatando relativamente alla Chiesa di S. Giovanni Evangelista di cui V. S. si é compiaciuta parlarne più volte nel benemerito suo Giornale.
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Il giorno 21 prossimo passato maggio, Ella riportava una risposta della Sacra Congregazione dei Riti, in forza di cui non si può consacrare una nuova chiesa se nei sotterranei di essa fannosi teatri per ricreare la gioventù. Siccome presentemente non v'é che la Chiesa di S. Giovanni Evangelista in tale condizione, così molti si fanno a chiedere se il ritardo dell'inaugurazione al divin culto del sacro edifizio sia da ciò cagionato: cioè se non si possa compiere la religiosa funzione, che il pubblico incessantemente reclama a motivo del teatro il quale dicesi sottostare alla Chiesa. Per la qual cosa io dichiaro che l'autorevole risposta sopralodata non si riferisce in alcun modo alla Chiesa in discorso, perciocché nel sotterraneo ossia negli scuroli della medesima, non havvi altro che: 1° Una cappella destinata al Catechismo, alla celebrazione della S. Messa, e ad altre sacre funzioni, che colà si faranno pei soli fanciulli, affinché siano più tranquille le altre pubbliche funzioni che avranno luogo nella stessa Chiesa a benefizio di quel popolatissimo vicinato. 2° L'altra parte dello scurolo é una sala stabilita per trattenere ed istruire i più adulti, dare l'esame di Catechismo, ed anche fare la distribuzione di premii, come suolsi fare a coloro che lo meritano. Da tutto ciò adunque appare manifesto che quivi non havvi nemmeno l'ombra di teatro, o di cose che si possano riferire a tali profani trattenimenti. Il ritardo poi della sospirata funzione é cagionato unicamente da alcuni lavori che non sono ancora ultimati. La ringrazio del favore che spero mi vorrà concedere, mentre con gratitudine mi professo Della S. V. Ill.ma Torino, 21 giugno 1882. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco. Il Cardinale Protettore, che non ignorava queste cose, diede in proposito a Don Bosco, sempre nella lettera del 26 luglio, un suggerimento pratico. “Se Ella é disposta, diceva, a seguire un mio avviso, rinnovi la pratica presso Mons. Arcivescovo e personalmente e in iscritto lo inviti e lo preghi pure alla consacrazione in discorso. E siccome l'opinione infondata, in ordine al locale sottostante alla chiesa quasi fosse un teatro, potrebbe presentare qualche ostacolo, così Ella lo affronti direttamente, e dichiari a Monsignore in iscritto come é già detto nel Bollettino Salesiano (1)
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che quel locale non é punto destinato ad uso profano di teatro; perché certamente disconverrebbe ad una adiacenza del luogo sacro. Segua adunque questa mia insinuazione, che corrisponde pure alle viste del Santo Padre e s'assicuri che gliene verrà bene. ” Al Colomiatti, come si seppe da poi (2), il Cardinale aveva qualche giorno innanzi risposto ingiungendo senz'altro che Monsignore andasse a consacrare. In rapporto con siffatta ingiunzione era una lettera dell'Arcivescovo a Don Bosco, scritta il 26 luglio da Forno Alpi Graie, nella quale si diceva: “Il gravissimo dovere che mi corre di rimuovere ogni pericolo di chiacchiere non cristiane, e conseguentemente la pubblica edificazione richiede imperiosamente che io, proprio io, e non altri consacri la nuova chiesa da dedicarsi a Dio sotto il titolo di San Giovanni Evangelista eretta dai fedeli per cura di V. S. in Torino e perciò tale é la mia determinazione. ” Dava quindi alcune disposizioni sui preparativi da farsi. Ma la visita pastorale già annunziata alle parrocchie delle valli di Lanzo non gli permetteva il ritorno a Torino prima del finire di agosto. Avute queste comunicazioni, Don Bosco il 4 agosto credette bene di scrivere al cardinale Nina: “Spero che non torni discaro alla E. V. che le dia ragguaglio di quelle cose per cui si degnò prendere tanti disturbi. Aveva scritto a Mons. nostro Arcivescovo che tenendo conto della tristezza dei tempi io mi limitava a dare la semplice benedizione alla chiesa di San Giovanni Evangelista. Dopo circa un mese Egli mi rispose che verrebbe esso stesso a fare la consacrazione. Io accettai con riconoscenza; e se niente viene a turbare le pacifiche intenzioni, comincerà la sospirata éra di pace. Vi sono le solite difficoltà, che quando si presenta l'occasione, ci dà forti sferzate parlando con altri ed anche con pubblicazioni mordaci sui giornali. Ma io non voglio farne caso e tiro avanti tacendo. ”
(1) Num. cit. (2) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 25 ottobre 1882.
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In margine al foglio di Monsignore, Don Bosco, per chi doveva stendere la risposta, scrisse: “ Accettata ogni cosa, ma si propone fine ottobre. ” Ed aggiungeva in stile telegrafico due motivi: alla fine d'agosto i preti e i chierici erano ancora occupati negli esercizi spirituali e i giovani dell'Oratorio stavano ancora in vacanza; non sarebbe, quindi stato possibile preparare le cerimonie e i canti. D'altra parte, e questo era per lui sottinteso, quanto maggior tempo si lasciava trascorrere sulle passate agitazioni anticlericali, tanto meglio si provvedeva alla tranquillità della funzione. Sua Eccellenza non fece difficoltà per ottobre. Restava da fissare il giorno; del che scrisse il Beato medesimo all'Arcivescovo da Sampierdarena il 16 settembre. Eccellenza Reverendissima, Mentre sono qui a Sampierdarena, per una muta di esercizi spirituali, fo seguito alla pratica iniziata per la consacrazione della Chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista. Se alla E. V. Rev.ma non reca troppo disturbo, per noi andrebbe opportuno fissare il giorno 28 Ottobre, giorno di sabato, oppure il sabato seguente. Meglio forse il 28 ottobre perché non essendoci ancora gli studenti (1) saremmo più al riparo di alcuni inconvenienti che pur troppo si possono temere. Ogni cosa però come alla E. V. parrà meglio. Fissato il giorno, formolerò quello che si potrà fare e poi sottoporrò tutto al di Lei beneplacito. Qualora lo giudichi può dare una parola di risposta al portatore della presente. La prego a volermi credere colla massima venerazione e gratitudine Della E. V. Rev.ma Sampierdarena, 16 settembre 1882. Obbl.mo Servitore Sac. Gio. Bosco. La data proposta tornò bene accetta. Alla metà di ottobre il Beato, con una bella circolare, tradotta in più lingue, mise a parte della sua letizia i Cooperatori Salesiani, invitandoli
(1) Intende quei tali studenti universitari.
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a intervenire personalmente o ad unirsi in ispirito o a rendersi presenti mediante la loro carità. Benemerito Signore, Con lieto animo sono in grado di dare alla S. V. la consolante notizia che il 28 del corrente ottobre sarà consacrata al divin culto la CHIESA DI S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA, eretta in Torino per cura e specialmente per la carità dei Cooperatori e delle Cooperatrici Salesiane. A giudizio dei più ragguardevoli artisti la chiesa e per l'architettura e per la decorazione, riuscì uno dei più perfetti ed eleganti sacri monumenti che arricchiscono la città del SS. Sacramento e di Maria SS. Ora é nostro dovere di ringraziare il Signore che ci abbia in tante guise aiutati a superare le varie e innumerevoli difficoltà incontrate nell'innalzare questo tempio in onor suo, e che nella sua pietosa Provvidenza, per mezzo del consiglio, dell'arte, e dell'opera di tante pie e benemerite persone, ci abbia fornito i mezzi per riuscire nell'impresa. Nel tempo stesso dobbiamo pregarlo che voglia degnarsi di prendere la nuova Chiesa sotto l'onnipotente sua protezione, e guardare con occhio benigno ed amorevole tutti coloro, i quali verranno in appresso ad effondere il loro cuore dinanzi ai suoi altari, ed esporgli le proprie necessità spirituali e temporali ed implorare il suo possente aiuto. A questo fine ed anche perché la Dedicazione fosse per riuscire più solenne sarebbe mio vivo desiderio che vi prendessero parte i nostri Cooperatori e Cooperatrici, non solo di Torino, ma di ogni altra città e paese; ma siccome questo generale intervento non é possibile, così io li invito ad unirsi con noi con quel modo, che a ciascuno suggerirà il proprio cuore. Qualora V. S., o qualcuno della famiglia, potendo, volesse intervenirvi personalmente, troverà più sotto l'orario delle sacre funzioni, che avran luogo negli otto giorni della Dedicazione. Ho voluto dare questa comunicazione alla S. V. Benemerita, affinché goda nel Signore che la carità sua comincia ad ottenere il santo fine, per cui l'ha fatta, quale si é la gloria di Dio, il vantaggio della religione, la salvezza delle anime. Le lodi che da quel giorno in poi nella nuova chiesa si innalzeranno a Dio, le preghiere, che vi faranno tante migliaia di fedeli, la salute, che vi otterranno innumerevoli anime sono altrettanti beni, che saranno altresì partecipati alla S. V., e dei quali Ella riceverà a suo tempo dal Signore una copiosa mercede. Dal canto mio non cesserò di unire le povere mie preghiere a quelle dei Salesiani e dei giovanetti loro affidati, e domanderò ogni giorno al Signore che si degni di spandere sopra la S. V. e sopra i
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suoi parenti, le più elette benedizioni nella vita presente, e che le conceda un premio distinto nella vita futura, secondo queste sue divine parole: “ Io non toglierò la mia misericordia a chi edificherà la Casa al mio Nome, e gli stabilirò un trono nel regno sempiterno: Misericordiam meam non auferam ab eo; et stabiliam Thronum regni eius usque in sempiternum ”. Voglia infine la S. V. continuarmi il valido appoggio della carità sua per le molte opere, che Iddio per sua bontà ci ha posto nelle mani, affinché possiamo fare un po' di bene al nostro prossimo, soprattutto alla povera gioventù abbandonata, mentre con sentimento di profonda gratitudine ho l'onore di professarmi Di V. S. Benemerita Torino, 15 ottobre 1882. Obbligatissimo Servitore Sac. GIOVANNI Bosco. NB. La Chiesa é terminata in ogni sua parte, ed alcuni oggetti di minore importanza, che mancano ancora, sono già ordinati. Tuttavia non debbo nascondere che rimane ancora una passività di 45 mila lire da estinguere, parte per l'organo parte per la decorazione ed altri lavori eseguiti in questi ultimi mesi. Chi pertanto, potendo, mi prestasse la mano a soddisfare questo debito, farebbe davvero opera di carità e di religione, e Dio certamente non lascierebbe di dargliene una condegna ricompensa. Non dimenticò i tesori spirituali, di cui fece umile domanda al Santo Padre con la seguente supplica. Beatissimo Padre, Il Sac. Giovanni Bosco prostrato umilmente ai piedi della Santità Vostra prega a voler concedere per la prossima solennità della consacrazione della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino, e per tutto l'ottavario, l'indulgenza plenaria a tutti i fedeli che confessati e comunicati visiteranno la predetta chiesa, pregando secondo l'intenzione Vostra e pei bisogni di S. Madre Chiesa Che della grazia Roma 30 ottobre 1882. Il Papa rispose subito a mezzo di monsignor Boccali, limitando però l'indulgenza plenaria al solo giorno della solenne consacrazione. Da molto tempo Don Bosco non aveva più veduto monsignor Gastaldi, essendosi svolte per lettere le pratiche del
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componimento, durante l'assenza dell'Arcivescovo da Torino. Ora questi, rientrato in sede, gli manifestò il 20 ottobre che desiderava prima della consacrazione “ conferire con lui a voce su alcune cose intorno al servizio di Dio ”, sperando che egli prima di quel giorno si sarebbe recato all'Arcivescovado. Fu pronto Don Bosco alla chiamata; ma una e due volte non trovò l'Arcivescovo in palazzo. Ricorse dunque alla penna, scrivendogli con la massima deferenza: Eccellenza R.ma, Desidero anch'io di ossequiare la E. V. in persona prima della consacrazione della Chiesa di S. Giov. Apostolo; ma capitai sempre di recarmi dalla E. V. in quei giorni od in quelle ore che Ella trovavasi fuori di casa. Appena Ella sia di ritorno io mi darò premura di recarmi a prendere i suo ordini. Intanto io le fo umile preghiera di alcuni favori e 1° Che Ella venisse a pontificare qualcheduna delle sere alla S. Benedizione della sera e preferibilmente l'ultima sera della Ottava della Consacrazione. 2° Almeno il giorno della consacrazione volesse accettare da noi il pranzo col personale del religioso servizio. Non essendoci ancora locale preparato, il desinare si farebbe in Valsalice. Ma dopo la sacra funzione troverebbe tosto una vettura che la trasporterebbe dove fosse mestieri. Appena poi saprò del suo arrivo mi recherò tostamente dalla E. V. per dare pratica a qualunque sua intenzione sia per manifestare. Con pienezza di stima e di gratitudine reputo ad alto onore quando mi potrò professare umilmente della E. V. Rev.ma Torino, 24 ottobre 1882. Obbl.mo Servitore Sac. Giov. Bosco. Nonostante il suo buon volere, Don Bosco non poté in quello scorcio di tempo venire a capo d'incontrare l'Arcivescovo; s'incontrarono soltanto la mattina del 28, quando Monsignore puntualissimo arrivò per la funzione. Il Servo di Dio era là a riceverlo con i dovuti onori. Sua Eccellenza, appena gli fu vicino: - Oh Don Bosco! - disse; indi si mise a discorrere con altri, si vestì, cominciò la sacra funzione e se ne partì così presto, che Don Bosco poté appena riverirlo e accompagnarlo alla carrozza, senz'avere la comodità di
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dirgli una parola. Monsignore tuttavia prima di uscire disse ai chierici del seminario venuti per il servizio e in buona parte ex-alunni dell'Oratorio: - Andate ad ascoltare la Messa di Don Bosco. - Nei giorni dell'ottavario non andò più a pontificare, sebbene Don Bosco gliene avesse fatto cosi calda preghiera (1). Il vedere finalmente coronate le fatiche e le sollecitudini di tanti anni, lo splendore delle feste e il gran concorso di popolo consolarono assai il cuore di Don Bosco; se amarezza vi fu, egli la contenne dentro di sé, né alcuno sorprese mai alterazione anche momentanea sul suo viso o raccolse dal suo labbro accento, che rivelasse interno affanno. Perfino il cielo sembrò voler concorrere a rendere più bello il giocondo avvenimento. Infatti la sera e la notte della vigilia piovve a catinelle; ma sul mattino del 28 all'arrivo dell'Arcivescovo la pioggia era cessata e dopo la consacrazione ricomparve il sole, che per tutta l'ottava brillò come da due mesi non si vedeva. Verso mezzodì, appena un festoso scampanio annunziò che il sacro rito era compiuto e furono spalancate le porte, un'onda di popolo divoto irruppe nella chiesa e assistette alla prima Messa, celebrata da Don Bosco e servita da Don Lemoyne e da Don Bonetti. Il medesimo Don Bosco fece dopo i Vespri la prima predica, in cui raccontò che cosa fosse quel luogo trentacinque anni addietro, mostrò quello che era allora e disse ciò che con la protezione di Dio e la benevolenza degli uomini di buon cuore sarebbe diventato fra breve (2). Nei tre primi giorni dell'ottava pontificarono i Vescovi di Fossano, Biella e Alba, monsignori Manacorda, Leto e Pampirio; per tutta la settimana fu dispensata largamente la parola di Dio da zelanti predicatori; le funzioni si succedettero molto splendide nelle cerimonie, nei canti e nei suoni.
(1) Lett. di Don Bosco a Don Dalmazzo, Torino 12 novembre 1882. (2) Il Bollettino del gennaio 1883 diede la sostanza del discorso, che si può leggere nell'Appendice di questo volume (Doc. 56), Esistono anche appunti autografi.
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Dopo il pontificale del 29 Si fece l'esposizione del Santissimo Sacramento a modo di Quarantore; membri ragguardevoli del clero torinese cantarono la Messa nei giorni che seguirono il triduo dei pontificali; non mancò un grande funerale in suffragio dei benefattori defunti. Don Bosco insomma non guardò a spese, non risparmiò sollecitudini pur di dare alla manifestazione religiosa la più imponente grandiosità, in vista però sempre dei corrispondenti vantaggi spirituali. Scrivendo a una Cooperatrice francese (1), le dice con trasparente compiacimento del suo cuore: “ Leggerà nei Bollettini la consacrazione della chiesa di San Giovanni Evangelista. Si é visto uno spettacolo veramente miracoloso. A mille a mille gli uomini venivano a fare la loro confessione e comunione con una divozione tutta speciale. ” Le note ragioni di prudenza trattennero gli oratori dal parlare del Papa, alla cui memoria la chiesa era stata innalzata. Al loro silenzio suppliva per altro la sua maestosa figura, che tutti ammiravano nell'entrare e nell'uscire. Qualche cosa bolliva sotto sotto; ma non succedettero disordini. Non senza perché il Bollettino di novembre stampava: “ Don Bosco non ricusa di ringraziare persino quei pochi male intenzionati della città, i quali, spinti forse più dallo spirito d'abisso che dalla propria. malvagità, avrebbero voluto disturbare le nostre feste, come nella scorsa primavera turbate avevano quelle della chiesa di San Secondo, e pure se ne sono astenuti. Se questa loro astensione é un'opera buona, come é certamente il rispetto alla libertà e alla roba altrui, noi preghiamo il buon Dio che ne li ripaghi coll'aprire gli occhi loro alla luce della verità. ” Ma per questo bisognava ringraziare anche Don Bosco stesso, che aveva condotto le cose in modo da non dare appiglio di sorta a chi non cercava se non un pretesto qualsiasi per creare il solito incidente e legittimare le relative conseguenze.
(1) Lett. a Mademoiselle Clara Louvet, Torino 2 novembre 1882.
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Tuttavia il livore satanico, se non esplose all'aperto, si andò a sfogare specialmente in due giornali, facendo bersaglio della persona di Don Bosco. Più che ai fogli, convien badare ai loro occulti ispiratori; ma quegli articoli sono per noi documenti delle insidiose difficoltà, contro cui dovette ognor lottare lo zelo circospetto del Beato. L'immancabile Cronaca dei Tribunali, che sembrava avere il compito di demolire con ogni mezzo il credito di Don Bosco come cittadino, nel numero del sabato 28 ottobre si svelenì contro “il Santo di Valdocco ”, definendo la sua nuova chiesa “una protesta contro l'attuale ordine di cose ”; tant'era vero, che la inaugurava nel giorno, in cui il popolo veniva “ chiamato all'esercizio del suo più alto diritto ”, naturalmente del diritto elettorale. Questo carattere derivava alla chiesa di San Giovanni dall'essere monumento a Pio IX, “ traditore d'Italia ”. Nella sua statua gli occhi dello scrittore vedevano la figura del “papa-re ”, perché recante in capo il triregno; onde si mettevano in guardia i “liberali ” segnalando questo contrasto: “Nel mentre il popolo andrà alle urne, i clericali, raunati in quella chiesa, rinnoveranno il giuramento fatto contro l'attuale ordine di cose per il ripristinamento del Potere Temporale dei Papi. ” Un altro periodico ancor più perfido mosse all'assalto in due numeri consecutivi. Usciva le domeniche e portava il titolo sacrilego di Gesù Cristo. Lo dirigeva il medesimo transfuga della Cronaca. Nel numero 22-29 ottobre si leggeva, stampata, in grassetto, questa notizia: “Il 28 corrente Don Bosco, che l'ha finalmente spuntata, inaugurerà la sua nuova Chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista. Anche questa Chiesa é sacra alla memoria di Pio IX. ” Vi erano poi tre cariche a fondo contro Don Bosco. Anzitutto un lungo articolo intitolato "Don Giovanni Bosco" incominciava così: “ Don Giovanni Bosco, la cui fama oggi é veramente mondiale, rappresenta il genio non di quel cristianesimo santo, che si sprigiona dall'Evangelio, ma di quella religione, che si
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ammanta di cristiana dottrina, ma sotto la corteccia d'oro nasconde un vizio, una bruttezza. ” Prima di dire dove stesse una sì gran menzogna, si descriveva un Don Bosco primitivo, quello che “ non vedeva che i suoi poveri fanciulli, non pensava che al loro avvenire ”, e quel Don Bosco commoveva il giornalista; anzi la sua descrizione commuove sinceramente anche noi. Ma il Don Bosco primitivo non aveva più nulla di comune col Don Bosco posteriore. Il primo era la riproduzione fedele di San Vincenzo de' Paoli, il secondo l'incarnazione vera dell'agitatore cattolico. L'idea sublime della fratellanza aveva ceduto a quella del grande affare: la politica e la banca eransi confuse col Vangelo. Ecco il vizio, ecco la bruttezza. La tentata dimostrazione dell'asserto é un tessuto di falsità, che mettono capo a queste denunzie: “ Per questo si diffondono libri, giornali, per propaganda clericale; per questo si organizzano circoli e comitati. Per questo si apre la gran bottega dei miracoli; si fa di D. Bosco un Santo e se ne vendono le vesti a tanto il pezzetto come un talismano contro i mali di questo mondo e d'altri siti ancora. Per questo s'inventano le istorie di giovani divenuti santi, come quella di Domenico Savio; di giovinette divenute beate come le sorelle Rigolotti. Parlerò altra volta di questi miracoli, di questa associazione salesiana contro cui é tempo che si premunisca colla legge il governo. La bandiera é sempre la stessa, la bandiera della beneficenza; ma il signifero non é più quello di prima. Attenti dunque da questo nemico d'Italia che tanto può e che tanto male vuole alla libertà del nostro paese. Pensate che egli esercita molto fascino sulla gioventù e che alla gioventù é affidato l'edifizio nazionale, che costò tanto sangue e tanti martiri. ” In secondo luogo il giornale riproduceva da fonti luterane uno pseudodocumento, da cui risulterebbe che Leone X diede a “ Venditori d'indulgenze ” una “tariffa dei prezzi da pagarsi per ottenere dal Papa il perdono di qualsiasi peccato ”. E questa sconcia cosa doveva servir a mostrare donde
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avesse appresa Don Bosco l'arte di “ accalappiare i gonzi ” per procurarsi sussidi alle sue opere. Finalmente in un trafiletto intitolato "Contro la propaganda" si pigliava occasione dal detto sopra per contrapporre alla stampa di Don Bosco la Biblioteca universale, collezione di libri irreligiosi e immorali, che si vendevano molto a buon mercato. Il punto più saliente era in queste righe: “ Per istruirsi bisogna leggere. I preti vi offrono le letture cattoliche di Don Bosco o la collana dei Santi. Noi vi consigliamo di leggere libri, i quali non corrompono in alcun modo né il cuore né la mente, ma l'avviano alla conoscenza di noi stessi, dei nostri diritti e dei nostri doveri. ” L'empio periodico ripeté l'attacco nel numero del 5 novembre con una serie di articoli viperini. Precede una breve storia della nuova chiesa e una discreta descrizione del sacro edifizio, ma seminate l'una e l'altra di malignità, che mettono capo a questa bomba finale: “ Questa chiesa suona protesta contro il grande tempio della nostra gloria nazionale. Questo tempio é eretto al primo nemico della nostra unità, Pio IX. ” E poi in un articoletto senza titolo, il giornale, polemizzando col teologo Maigotti, insinuava minacciosamente: “Non per un mero caso Don Bosco scelse per le feste dell'inaugurazione i giorni nei quali i liberali sono impegnati nella grande lotta elettorale. E’ furbo Don Bosco! Ma, se non si fanno dimostrazioni, i liberali non hanno per ciò meno aperti gli occhi e sapranno un giorno come opporre monumento a monumento. ” Appresso, il libellista dilaniava una monografia dell'ingegnere Buffa sulla chiesa di San Giovanni. L'autore dell' “ elegante fascicolo ”nella prima pagina diceva di Don Bosco: “ Meraviglia l'uomo a così gran portento di provvidenza ed ammira la veneranda persona di Don Bosco. ” Di qui l'altro pigliava le mosse per rincarare la dose di quanto aveva detto in precedenza sui due Don Bosco, fermandosi
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ora specialmente sulla brutta faccenda di Don Ricchino (1), presentata in modo da farla servire a sfatare l'opinione della santità di Don Bosco. Il Buffa in una nota dava questa notizia: “ Gli Istituti Salesiani raggiungono ora i 150 con circa 100 mila giovanetti. ” E l'araldo del liberalismo massonico: “ Liberali, e voi dormite della grossa? Non avete paura che quei 100 mila giovinetti domani si convertano in 100 mila clericali? ” Ma il politicante ce l'aveva a morte coli Pio IX, di cui in ultimo trascinava nel fango l'angelica figura, sfidando Don Bosco a pigliarne le difese contro le indegnità spacciate su quelle colonne come fatti storici che non ammettessero discussione. Se tutte le infamie da noi per sommi capi riferite caddero sotto gli occhi di Don Bosco, egli dovette gemerne in cuor suo, pensando allo scandalo dei pusilli, che possono essere di tutte le età; ma né diede né permise di dare alcuna risposta. Sarebbe stato un versar olio sul fuoco; e poi al novello Capaneo ben si attagliavano i versi dedicati dall'Alighieri all'antico: Nullo martiro, fuor che la tua rabbia, Sarebbe al tuo furor dolor compito (2). I giornali erano i portavoce di chi manovrava dietro le quinte: i misteriosi mandanti che avevano armato la mano dei sicari nelle due aggressioni narrate sopra (3) tempravano la penna dei giornalisti prezzolati. Da tutto ciò discende per lo storico una conclusione sola. Se nonostante la cura meticolosa di Don Bosco per iscansare la politica, si persistette tanto a lungo nel voler riguardare come politica la sua azione, che cosa sarebbe avvenuto qualora fin da principio egli non fosse andato così guardingo? A noi oggi, guardando ai risultati, è facile dargli lode di somma prudenza; ma l'essersi egli da sé tracciata così nettamente la via e l'averla percorsa
(1) Cfr. sopra, pag. 181. (2) Inf., XIV, 65-6. (3) Vol. XIV, pag. 5,5 sgg.
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fino al termine senza incertezze anche di fronte ad aberrazioni di alti intelletti, fu merito sovrumano per un uomo che si proponeva di andare in tante cose a ritroso dalle tendenze del suo secolo. Mancò alle feste un desideratissimo assente, il conte Carlo Reviglio della Venarìa, defunto nel 1881. Nelle svariate controversie, a cui fin dagli inizi diede luogo l'erezione della chiesa, egli aveva prestata a Don Bosco un'assistenza generosa e molto efficace. Appena terminato l'ottavario, il Servo di Dio dispose che si celebrasse per lui nella nuova chiesa, un funerale solenne, a cui con bella circolare invitò cooperatori e amici (1). A glorificare la nuova casa di Dio furono chiamate da Don Bosco anche le lettere. Egli aveva in Don Lemoyne uno scrittore, che non era alle sue prime armi; a lui dunque ordinò d'illustrare il più largamente che fosse possibile la figura del titolare. Ne venne così un'opera assai originale e attraente, accessibile al popolo, ma di gradita lettura anche alle persone colte (2). L'autore mette l'Apostolo in relazione con i luoghi, con i fatti contemporanei. con personaggi che dànno risalto alla sua nobile figura; il capitolo "San Giovanni Maria SS. e la via dolorosa" é bellissimo. Si occupa anche degli scritti, facendo gustare i tratti più squisiti del suo Vangelo, illustrando gli squarci più notevoli delle sue lettere e tentando persino una breve esposizione dell'Apocalisse, dove ritrae le prime lotte della Chiesa a esempio e incitamento dei cristiani odierni. E’ poi felice nel cogliere occasioni per ribattere in forma popolare gli errori del tempo contro la divinità di Gesù Cristo, della sua dottrina e della sua Chiesa. L'agilità dello stile contribuisce a far sì che questo libro non invecchi
(1) App., Doc. 5 7. (2) G. B, LEMOYNE, L'Apostolo San Giovanni e la Chiesa primitiva Due vol. in 16, di pgg. 398, 362. Torino, Tip. e libr. salesiana 1882. Se ne fecero contemporaneamente due edizioni, una, per allora, di lusso e l'altra economica; la prima costava 4 lire, la seconda 1,25.
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Dopo il Santo, la chiesa a lui dedicata. Di questa scrisse un'elegante monografia l'ingegnere Alberto Buffa (1), la quale, come il lavoro di Don Lemoyne, era già stampata e pronta per la consacrazione. Prima del tecnico parla lo storico narrando le vicende per cui dovette passare l'impresa e riepilogando le evoluzioni dell'architettura sacra; ma le parti più importanti sono quelle dove fa una minuta descrizione dell'edificio e di tutto quanto lo adorna, arrivando a questa sintesi finale: “ In tutto l'insieme la chiesa di San Giovanni ha un'unione armonica nelle parti, un equilibrio generale nelle masse, una leggerezza, una precisione, una nobile semplicità, che la rendono tale da poter reggere vittoriosamente ad una critica anche severa. L'arte svelta e graziosa in essa trionfa, e levando l'anima del fedele al disopra delle terrene tristezze la guida nell'aere vivificante e puro dei pensieri soavi, delle idee immortali. Non é in essa bizzarro, fantastico e sovrabbondante accozzamento di ornati e di decorazioni, si ammira ne' suoi membri venustà e delicatezza. All'eleganza del pensiero ed alla purezza dell'arte rispose anche in modo lodevolissimo l'esecuzione d'ogni sua parte. In questa grande costruzione non fu in nessun modo, come purtroppo di frequente accade, sacrificata ai gretti pensieri di economia la convenienza dell'arte. ”
(1) A. BUFFA. La Chiesa di San Giovanni Evangelista. In 8°, pp. 22. Torino, Tip. e libr. Sal., 1982.
CAPO XIII. Intorno alla chiesa de1 Sacro Cuore di Gesù in Roma.
ALLORCHÉ nell'inverno del 1881 Don Bosco stava in procinto d'intraprendere il suo viaggio per Roma, scrisse da Alassio a Don Cagliero nella Spagna (I): “Ho la testa che va in cimbalis”. Purtroppo non in cymbalis bene sonantibus (2) andava allora quella povera sua testa, stordita com'era da tanti discordi e frastornanti pensieri, nei quali solamente la sua santa imperturbabilità lo aiutava a raccapezzarsi. Nella ressa di tante cure gli attraversavano spesso la mente e gli davano travaglio le preoccupazioni per la chiesa del Sacro Cuore. Ormai il dado era tratto e l'impresa si doveva condurre a termine, costasse quel che volesse costare. Ogni di più gli si faceva sentire il bisogno di danaro da inviarsi a Roma, senza però nulla distornare della beneficenza dalle altre opere che attendevano da lui i mezzi per sussistere o per essere portate a compimento. Fece dunque come quei pescatori che per assicurarsi buona preda gettano in mare lunghissime le reti. Nel gennaio del 1881 lanciò nel mondo per ogni direzione migliaia di circolari invocanti aiuto. Egli scrisse in italiano, ma si procurò subito buone traduzioni nelle lingue più largamente parlate.
(I) Cfr. sopra, pag. 135. (2) Salmo CL, 5.
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Movendo dal principio che le opere di religione fondate a Roma e promosse dal Papa devono interessare i Cristiani di tutto il mondo, all'universalità dei Cattolici si rivolse con la circolare stampata, redatta in italiano, francese e inglese. Questa lettera non é che il rimaneggiamento di un articolo, con cui il Bollettino Salesiano dello stesso mese dava comunicazione ai Cooperatori dell'incarico affidato dal Santo Padre a Don Bosco. Della parte storica non diremo nulla, avendone già discorso a lungo nel volume quattordicesimo. E' notevole il modo tenuto nello specificare le opere da compiersi in Roma: “1° Una chiesa al Castro Pretorio sul monte Esquilino da consacrarsi al Sacro Cuore di Gesù, che debba pur servire di parrocchia ad una popolazione di dodici mila anime, e di monumento all'immortale Pio IX. L'ente giuridico parrocchiale é già costituito e riconosciuto dall'Autorità ecclesiastica e civile. 2° Un giardino di ricreazione, dove si possano raccogliere fanciulli specialmente nei giorni festivi, trattenerli con piacevoli trastulli dopo che abbiano adempiuti i loro religiosi doveri. 3° Scuole serali per gli operai più adulti. Questa classe di giovani, occupata lungo il giorno in faticosi lavori, spesso manca di mezzi per procacciarsi la conveniente istruzione, di cui avrebbe gran bisogno. 4° Scuole diurne per quei fanciulli, i quali a motivo della loro povertà o del loro abbandono, non sono in grado di frequentare le pubbliche scuole. 5° Un ospizio in cui siano istruiti nella scienza, nelle arti e ne' mestieri quei fanciulli, che vagano per le vie e per le piazze, a qualunque paese, città o nazione appartengano. Imperocché molti di costoro si recano in Roma colla fiducia di trovare lavoro e danaro, ma delusi nelle loro speranze cadono nella miseria, esposti al pericolo di mal fare, e per conseguenza di essere condotti a popolare le prigioni dello Stato. Questo ospizio dovrà essere capace di accogliere circa cinquecento poveri orfanelli sul modello dell'Oratorio di San Francesco di Sales già esistente in Torino.”
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Viene poi a determinare il modo di concorrere: “1° Si può concorrere con mezzi pecuniarii o con materiali per fabbricazione. 2° Ciascuno può venire in aiuto colla preghiera, e consigliando persone agiate a rendersi benefattori. 3° Tutti i Cooperatori sono pregati di far pervenire le loro oblazioni in Roma a Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Raffaele Monaco La Valletta Vicario Generale di Sua Santità o al Sac. Dott. Francesco Dalmazzo (Torre de' Specchi N. 36 Roma); oppure al Sac. Giov. Bosco in Torino. 4° Saranno inviati ed autorizzati a raccogliere oblazioni alcuni sotto il nome di Collettori. Ma essi non dovranno recarsi a questuare come che sia senza essere muniti di uno scritto, in cui sia notato l'oggetto della questua, nome, cognome e qualità del Collettore, la firma del Sac. Giov. Bosco, col timbro portante le parole: Pia Societas Sancti Francisci Salesii (I). 5° Senza questa formalità sono rispettosamente pregati gli Ecc.mi e Rev.mi Arcivescovi e Vescovi delle varie Diocesi e i molto Rev.di Signori Parroci, Curati o Rettori di chiese a volersi fare Collettori tra i fedeli Cristiani dimoranti nel distretto di loro rispettiva giurisdizione, d'inviare a qualcuno dei tre sopranominati quel denaro che avessero potuto raccogliere, e di favorire i così detti Collettori muniti del richiesto attestato.” Enumera infine i vantaggi riserbati agli oblatori e Collettori: “1° Una speciale Benedizione del Santo Padre, che approva e raccomanda la pia impresa a tutti quelli che amano l'incremento della nostra santa Religione, il buon costume, il bene della gioventù e di tutta la civile Società. 2° Terminato il sacro edifizio e consacrato al divin culto, nel venerdì di ogni settimana sarà celebrata una Messa all'altar maggiore colla recita della corona del Sacro Cuore di Gesù e con altre particolari preghiere pei benefattori. 3° Il medesimo pio esercizio avrà luogo nella festa del Sacro Cuore di Gesù e di Maria, del SS. Natale, del SS. Sacramento e in
(1) Fu poi modificata così: Societas Salesiana. Discite a me qui mitis sum.
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ciascuna festa dei Santi Apostoli. 4° A fine di prestare speciale ossequio all'Augusta Madre di Dio ed invocare la potente stia protezione sopra tutti i nostri benefattori, la sera di ciascun giorno si reciterà la terza parte del S. Rosario, si canteranno le Litanie Lauretane o l'Ave Maris stella, cui seguirà la benedizione col SS. Sacramento. La funzione sarà terminata coi De profundis ed Oremus analogo, o con un Pater, Ave e Requiem in suffragio dei benefattori defunti. 5° Queste celebrazioni di Messe, preghiere ed esercizi di cristiana pietà avranno luogo in perpetuo.” Ai Collettori si distribuivano ampi moduli per segnare i nomi degli oblatori e l'ammontare delle loro oblazioni, unendovi un foglio a parte contenente otto norme dettate dalla più oculata prudenza.
A fine di agevolare l'opera dei Signori Collettori credonsi opportune alcune norme che si sottopongono alla prudenza dei medesimi: 1. Si ritenga che gli Ordinari diocesani, i Parroci, i Rettori di Parocchia sono tutti pregati ed invitati a far pervenire al dato indirizzo quelle somme che avessero a loro disposizione. 2. Vi sono poi i Collettori propriamente detti, i quali sono incaricati di raccogliere offerte ne' paesi e nelle città di loro dimora, o dove avessero a recarsi. Sono essi muniti di un Diploma che porta un bollo collo scritto: Pia Societas Salesiana e firmato dal Sac. GIO BOSCO (I). 3. E' bene che le oblazioni col nome e cognome degli Oblatori siano descritte nei modelli appositamente preparati, a meno che si desideri serbare l'anonimo. Questi modelli appena siano compiuti, col danaro raccolto saranno spediti a destinazione, e se ne invieranno altri muniti del medesimo timbro. Tali modelli saranno legati insieme per formare un glorioso volume da conservarsi nell'Archivio del Santuario a perpetua memoria di coloro che concorsero alla erezione di esso e pei quali si faranno in perpetuo preghiere quotidiane, come sta descritto nella circolare appositamente diramata. 4. I modelli, di cui sopra, porteranno il timbro di S. E. Reverendissima il Card. MONACO Vicario di S. S. LEONE XIII. In fondo ad ogni colonna si farà l'addizione e nell'ultima si formerà il totale colla firma del Collettore.
(I) Riportiamo altrove nel testo latino e francese questo diploma (App., Doc., 58).
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5. Siccome in questi nostri tempi non é tanto facile il trovare chi sia in grado e voglia offerire somme rilevanti, così verranno accettate con gratitudine tutte le piccole offerte anche di pochi centesimi. Si può presentare il modello alle Case di educazione, ai Collegi, Seminarii, invitando a concorrere, ma sempre col permesso esplicito dei rispettivi superiori. 7 Il modello può eziandio affidarsi a qualche parente, a qualche amico di famiglia od estraneo alla medesima, lasciandolo nelle loro mani alcuni giorni, affinché possano raccogliere oblazioni presso le persone di particolare conoscenza. 6. Quando s'invita taluno a fare oblazione si può fargli rilevare che colla sua carità promuove un'opera raccomandata, benedetta dal Sommo Pontefice; opera che ha per fine di aiutare la Chiesa a sostenere la religione; perciocché appunto in Roma, sull'Esquilino, accanto al nostro Sacro edifizio, si sono già pur troppo stabiliti i Protestanti che in mille modi fraudolenti minacciano il costume e la credenza degli adulti e dell'incauta gioventù. Si noti pure che il Sacro Cuore di Gesù é fonte inesausta di grazie e di benedizioni e che ogni piccola offerta sarà da Lui largamente rimunerata. L'Ospizio poi, l'Oratorio festivo, le scuole serali, le scuole diurne, essendo in favore dei giovanetti provenienti da qualunque parte del mondo, ne segue che ogni oblatore colla sua carità aiuta a migliorare la classe più pericolante e più pericolosa della civile Società e non pochi giovanetti potrebbero così essere tolti dal vestibolo, delle carceri, educati colla scienza e colla religione, istruiti in qualche arte o mestiere, per essere di poi ridonati alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini, capaci di guadagnarsi onorato sostentamento colle loro fatiche. Si potrebbe anche rilevare l'obbligo stretto che ha ciascuno di fare limosina specialmente in questi tempi, in cui sonosi in cotante guise moltiplicati i bisogni; ma é meglio limitarci ad accennare i grandi favori che ci procacciamo per noi, per le nostre famiglie mentre viviamo in terra, e più ancora quando noi saremo da Dio chiamati alla vita eterna. Molti anni dopo la nostra morte forse nessuno più si ricorderà di noi, ma nella Chiesa del S. Cuore, e nell'Ospizio annesso vi saranno dei fedeli Cristiani, vi saranno centinaia di fanciulli, che innalzeranno al cielo per noi la preghiera della riconoscenza. 7. Questa colletta essendo raccomandata alle autorità Civili ed Ecclesiastiche, e facendosi a nome del supremo Gerarca della Chiesa, si spera avrà l'appoggio ed il favore di tutti i buoni; tuttavia se taluna delle mentovate autorità si mostrasse contraria, il Collettore desista dalla questua in quel luogo sino a che ne abbia ottenuto il beneplacito. 8. I lavori progrediscono alacremente, ma temiamo che siano per mancarci i mezzi se la carità dei fedeli non ci viene efficacemente
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in aiuto. Sono quindici mila franchi che ogni mese devonsi pagare ai soli operai; perciò ogni volta che il Collettore ha potuto mettere insieme qualche somma, almeno ogni tre mesi, la faccia pervenire all'Eminentissimo Cardinale MONACO Vicario di S. S. oppure al Sac. FRANCESCO DALMAZZO, Via Porta S. Lorenzo, 42, Roma, od al Sac. Gio. Bosco in Torino.
NB. Ogni spedizione di danaro, se non si hanno altri mezzi più sicuri, è bene di farla con vaglia postale o con lettera assicurata.
In fondo a queste norme si ricordavano le undici principali promesse fatte dal Divin Redentore per mezzo di Santa Margherita Alacoque a tutti coloro che promuovono il culto del suo Sacratissimo Cuore. Né si arrestarono al fin qui detto le industrie di Don Bosco per sollecitare la carità del mondo. Egli diramò ancora un gruppo di circolari speciali in italiano agli Arcivescovi e Vescovi e ai giornalisti cattolici d'Italia, in latino a quelli esteri (I). Monsignor Gastaldi gradì l'invito di Don Bosco ad aiutarlo, ma si scusò di non poter fare nulla. Sebbene le relazioni fra lui e il Beato corressero in quei giorni come i lettori conoscono, pure seppe rispondere con dignità (2). Quanto egli stesso l'infaticabile Padre si adoprasse per il buon esito della grande colletta, ce lo dicono alcune righe da lui scritte a Don Dalmazzo. I moduli che dicevamo poc'anzi, erano stati stampati a Roma dopo la sua partenza. Ricevutane una parte pochi giorni dopo il suo ritorno a Torino, che fu il 16 maggio, non appena gl'incalzanti affari e le cento cure per le feste di Maria Ausiliatrice gli lasciarono
(I) App., Doc., 59, A-B-C-D. Dal registro delle offerte che si conserva nell'archivio dell'Ispettoria romana si raccolgono alcuni dati notevoli. Nel 1881 pervennero lire 63,964,79, di cui 50.000 dalla sola Duchessa De Séveré; nel 1882, lire 39.528,55, figurando fra gli oblatori il Conte di Chambord per lire mille e la Marchesa De Paterat per ventimila; nel 1883 il solo Don Bosco poté inviare a più riprese la somma complessiva di lire 180.500. Delle offerte del conte Colle si é detto nel capo terzo. Sotto l'anno 1885 troviamo segnate lire 20.000 da parte del Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, della cui generosità diremo più innanzi. Figurano in buon numero Vescovi italiani e stranieri. Ma le offerte non sono ivi tutte segnate. (2) La risposta che non é priva di alcune singolarità, si può leggere nell'Appendice (Doc. 60).
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un po' di tempo libero, scrisse il 31 maggio al Procuratore: “E' il primo momento di respiro. Ho ricevuto i moduli; io me ne occupo seriamente. Dimmi se li mandi da Roma ai collettori di cui hai nome e indirizzo, oppure se debbo mandarli di qui. Sarà bene di unirvi una lettera a stampa, in cui si comunichi loro una speciale benedizione del Santo Padre, si dia notizia del progresso dei lavori, si raccomandi l'impresa e stante il bisogno, si preghi d'inviare quel tanto che per avventura avessero raccolto per la metà di luglio prossimo.” Normalmente occorrevano quindicimila lire al mese per la paga degli operai e per ordinari acquisti; ma alla metà di luglio i lavori progredivano con sì grande fervore che l'architetto Francesco Vespignani credette bene avvisare Don Bosco che, andando avanti di quel passo, ci sarebbe presto voluto due volte tanto. Il Beato non si sgomentò; quindi fu lietissimo di annunziare ai Cooperatori nel suo resoconto del gennaio 1882 che le navate laterali erano già ai capitelli e la centrale toccava pure una considerevole altezza. Sollecito del bene delle anime, egli aveva fatto ancor più, provvedendo all'erezione di una cappella abbastanza capace, che servisse intanto di chiesa parrocchiale ai seimila abitanti del quartiere. Il Cardinale Vicario la inaugurò al divin culto il 10 luglio, benedicendola e celebrandovi la Messa. Ben altra benedizione riceveva quel luogo tre giorni dopo. Scortata da compatto stuolo di fedeli oranti e angosciati, che nel cuor della notte l'avevano difesa contro ignobilissimi aggressori, passava là accanto prima dell'alba e moveva verso l'estrema dimora nella basilica di San Lorenzo fuori le mura, la salma venerata del grande Pontefice, alla memoria delle cui virtù s'intendeva consacrare il sorgente edifizio. Dicevamo che Don Bosco non si sgomentò di fronte all'aggravarsi delle spese; ma egli non tentava neppure la Provvidenza. Infatti, annunziando al Cardinale Vicario una vistosa offerta, crede opportuno di far conoscere la sua attività
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in procacciare soccorsi (I): “Nel prossimo mese di ottobre un sacerdote Lovatelli Pietro di Cerano diocesi di Novara ha promesso di mandate alla E. V. la somma di lire 10.000 per la chiesa del Sacro Cuore, e prego che nella sua grande bontà le voglia ritirare secondo il solito. Io lavoro incessantemente per trovar danari, e Dio ci favorisce e se ne trova, ma Don Dalmazzo me li spende tutti e non dice mai basta.” Oltre le circolari suddette, lo vediamo indirizzare suppliche individuali a persone facoltose, dalla cui carità, sollecitata a quel modo, poteva sperare maggior larghezza di sussidi. Questa letterina a Don Dalmazzo dice molto più che non esprimano le semplici parole.
Car.mo D. Dalmazzo,
Va tutto bene: Dio sia benedetto in tutte le cose. Io non perdo un istante; ma i lavori sono benedetti da Dio e coraggio. Io ho una serie d'imprese. Tra le altre é quella che ti unisco pel Card. Vicario. Leggi per tua norma e metti tutto in una busta e poi la affiderai alla protezione dell'Em.mo e noi pregheremo che riesca questa perché ve ne sono altre e poi altre. Lavoriamo anche per mandarti preti e quattrini. Scriveremo presto, saluta i nostri amici e benefattori e credimi in G. C. Torino, 15-7-1881. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Il 10 luglio, scrivendo in Francia alla signorina Amalia Lacombe, fervida cooperatrice di Valenza (2), le aveva detto: “A nome del Santo Padre le mando un diploma di collettore per la chiesa che egli ci ha voluto affidare. Lascio in bianco il posto del nome, affinché Ella vi metta quello del suo parroco, se gli piacerà di accettare tale incombenza. Ma nel caso che il suo parroco non possa, bisogna che si ponga Lei a capo dell'impresa. ” Altrettanto fece con altre signore francesi (3) e italiane. Così scrive alla contessa Callori verso la fine dello stesso mese.
(1) Sampierdarena, 14 settembre 1881. (2) App., Doc. 61. (3) Ivi, DOC. 62.
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Nostra buona Mamma in G. C.,
Le accludo il diploma di collettrice e spero che il modulo di sottoscrizione sarà riempito di grosse e piccole oblazioni. Forse dove andrà potrà fare qualche cosa; se non in danaro, certamente avrà molto merito nelle mortificazioni che raccoglierà senza che siano sottoscritte. Ella ama le missioni di Roma ed io godo assai perché ce n'é un gran bisogno, tanto più adesso che i protestanti hanno dato gagliardo assalto al Cattolicismo sul monte Esquilino. Mentre però alcuni dànno la borsa per la Patagonia di Roma, lasciamo che altri vadano ad esercitare il loro zelo e dare la vita pei numerosi selvaggi della veramente selvaggia Patagonia. Dio la benedica, o benemerita Signora Contessa, Dio le dia sanità e santità in abbondanza e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Pochi giorni innanzi erasi rivolto alla principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II e consorte di Girolamo Bonaparte, la quale aveva la sua ordinaria dimora nel castello di Moncalieri.
Altezza Reale Imperiale,
Credo che V. A. R. I. abbia notizia come il S. Padre abbia affidato ai cooperatori Salesiani la costruzione della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma. Io sono il principale questuante che a nome della medesima S. S. vo in cerca dei mezzi necessari che in realtà cominciano a mancare. Per questo motivo mi fo ardito di ricorrere eziandio alla nota bontà di V. A. R. I. che nei limiti del possibile, non sa mai rifiutarsi ad opere di beneficenza. Ho poi un motivo speciale a sperare nel caso presente che trattasi di onorare il Sacro Cuore dì Gesù verso cui so che Ella porta una divozione tutta particolare. Dalla circolare, che le unisco, potrà vie meglio conoscere la estensione e il pregio dell'opera. La costruzione tocca l'altezza di sei metri fuori terra. Io mi servo del Sig. Can.co prevosto Ballesio antico mio allievo e al medesimo, se Le pare bene, Ella può fare quella risposta che la carità del suo cuore sarà per inspirarle. Dal canto mio posso assicurarla che in mezzo alle passate vicende ho sempre raccomandato V. A. e tutta l'augusta sua famiglia nelle comuni e private nostre preghiere; e prometto che faremo altrettanto in avvenire unitamente ai nostri 80.000 giovanetti che la Divina Provvidenza raccolse nelle nostre case.
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Dio la benedica, o pia e degna principessa della stirpe sabauda. Dio conservi in buona salute e nella sua santa grazia Lei e tutta la sua figliuolanza e mi permetta che colla massima venerazione abbia l'alto onore di potermi umilmente professare Di V. A. R. I. Torino, 24 luglio 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Sebbene ci manchino documenti atti a provalo, pure noi riteniamo che la “santa di Moncalieri ”, come la chiamava il popolo per le sue virtù e beneficenze, abbia segretamente e fors'anche sott'altro nome fatto pervenire al Beato l'obolo della sua carità. Le due sante anime non s'incontrarono mai su questa terra. Negli ultimi anni della vita di Don Bosco la Principessa desiderava ardentemente un incontro; ma l'etichetta di Corte non le permetteva di andare da lui e gli acciacchi e i riguardi impedivano al medesimo di recarsi a Moncalieri. Finalmente per mezzo del canonico Ballesio si era ben combinato che la Clotilde un mattino sarebbe venuta nella sacrestia di Maria Ausiliatrice, dove il Servo di Dio l'avrebbe attesa; ma questi poco dopo l'accordo si mise a letto per non più alzarsi. Non dimenticò il conte di Chambord, che gli fece tenere prima cento e poi cinquecento franchi (I). Trattandosi di opera estranea alla Francia, non é da stupire che egli si limitasse a quel poco (2). Nei collegi salesiani i Confratelli si sottoponevano a veri sacrifizi per rispondere agli appelli di Don Bosco, mandandogli i loro risparmi. Così a Randazzo maestri e professori, secondando la proposta di Don Guidazio, si acconciarono volentieri ad assistere i propri alunni nelle rispettive classi, per lasciar libera la sala di studio e adibirla a dormitorio, sicché, rendendosi possibile accettare quattordici convittori
(I) Lett. del cappellano a Don Bosco. Froshsdorf 28 novembre 1881. (2) Fece domanda di sussidi anche al Ministero di Grazia e Giustizia ma il 3 luglio gli fu risposto che “ per mancanza dei necessari fondi ” non si poteva concorrere alla costruzione della chiesa e dell'ospizio da lui “ con tanto zelo ”intrapresa.
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di più, avanzasse alla fine dell'anno qualche maggior gruzzolo da spedire all'amato Padre. Nonostante le sue industrie, il Beato s'avvide che fra breve i mezzi non sarebbero più stati sufficienti; per la qual cosa stimò giunto il momento di attuare un disegno da tempo vagheggiato, d'inviare cioè suoi sacerdoti a collettare dove ci fosse speranza d'incontrare buone accoglienze. Con questo incarico nella seconda metà di agosto del 1881 partirono da Torino Don Pietro Pozzan e Don Stefano Febbraro, che per più d'un mese percorsero quasi tutto il Trentino. Prima però che si mettessero in viaggio, Don Bosco aveva dato avviso del loro arrivo a quanti gli era parso opportuno con una sua lettera litografata e redatta in modo che avesse l'aria di una comunicazione personale.
Benemerito Signore,
Ho la grande consolazione di partecipare alla S. V. B. che i lavori per la Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma procedono alacremente e che l'elevatezza dell'edifizio supera già i sei metri sopra terra. Ben i 60 operai sono ivi applicati la cui mano d'opera monta alla somma di 15.000 lire mensili Tale dispendio é grave ma necessario; perciò ci siamo determinati di ricorrere al mezzo eccezionale di una questua presso ad alcuni dei nostri più benemeriti cooperatori. Pertanto colla benedizione del Santo Padre abbiamo deciso d'inviare il nostro Sacerdote Don Pietro Pozzan presso della S. V. e nutriamo viva fiducia che dalla sua carità potrà ottenere favori e protezione. A tale uopo dopo la metà di questo mese, coll'aiuto del Signore egli si recherà a farle visita, munito di una nostra lettera che lo accredita presso tutti coloro che la Divina Provvidenza avesse messo in grado di venirci in aiuto. Intanto noi la preghiamo umilmente a voler accogliere con benevolenza questo nostro incaricato e coadiuvarlo presso quelle persone amiche da Lei conosciute, che amano il bene della Religione e della civile società. Dio la benedica e la rimeriti largamente della sua beneficenza, mentre con gratitudine particolare ho l'onore di potermi professare D. V. S. Benemerita Addi, 10 agosto 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
P.S. Il Sac. Pozzan é Direttore dell'Oratorio festivo di S. Francesco di Sales e Capo d'ufficio del Bollettino Salesiano.
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Finalmente munì i suoi inviati d'una lettera di presentazione per il Vescovo di Trento, che era monsignor Giovanni Giacomo della Bona.
Eccellenza Rev.ma,
Per secondare i venerati voleri di S. S. Leone XIII si é deliberata una questua presso ai nostri Cooperatori Salesiani a fine di raccogliere i mezzi necessari a far proseguire i lavori della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore di Gesù sull'Esquilino in Roma. A tale uopo mando nell'Archidiocesi Tridentina due Professori, Sac. Don Pietro Pozzan e il Sac. Stefano Febbraro, affinché si presentino alla E. V. R.ma con preghiera di volerli benedire e loro accordare il beneplacito di fare tale questua, prestando protezione, ove ne fosse mestieri. Trattandosi di un'opera caldamente raccomandata e promossa dal S. Padre, ho fiducia che vorrà eziandio raccomandarli con qualche sua autorevole parola presso a coloro che saranno in grado di venirci in aiuto. Spero che qualche buona ventura disporrà che la E. V. abbia a venire ne' nostri paesi, e quindi possiamo avere il grande onore e la specialissima consolazione di poterla ricevere tra noi in Torino. Assicurando la E. V. della mia più sentita e profonda gratitudine, ho l'alto onore di potermi professare Torino, 16 agosto 1881. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Questuarono nelle case e nelle chiese con buoni risultati (I), tanto che Don Bosco volle manifestare la propria riconoscenza con una lettera stampata di ringraziamento (2); anzi l'esito lusinghiero del primo esperimento lo indusse a far intraprendere nel seguente anno un'altra simile escursione per tutto il Veneto, affidandola ai medesimi del Tirolo. Durante questo secondo giro, Don Pozzan quando mandava i frutti delle loro raccolte, non poteva trattenersi dal parlare del gran conto in che gli abitanti di quella regione
(I) Lett. di Don Pozzan a Don Bosco, in Bollettino Salesiano di novembre e dicembre 1881 e di marzo 1882. (2) Lo dice il Boll. Sal. del dicembre 1881; ma non ne abbiamo rinvenuta copia.
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tenevano Don Bosco. “Questi vispi veneziani, scriveva il 29 agosto da Longarone, conoscono Don Bosco come un loro cittadino e non si saziano di sentirci contare della sua vita e delle opere di carità che va compiendo. ” E il 10 settembre da Udine, dopo aver percorso parte delle diocesi di Céneda, di Feltre e Belluno, peregrinando per quasi tutto il Cadore, la Carnia e l'alto Friuli: “L'accoglienza fu, grazie a Dio, dappertutto cordialissima e le offerte raccolte, avuto riguardo alle miserie, locali, soddisfacenti […]. Ella non si dimentichi di noi, che sebbene lontani l'abbiamo sempre nel cuore e sulle labbra. Preghi anche per tanti suoi amici affettuosissimi, che mi commettono tante cose per Lei.” In ultimo il 24 settembre da Spilimbergo del Friuli: “Tutti parlano con grande effusione di Don Bosco e delle opere salesiane.” Tanta venerazione per il Servo di Dio ci spiega la generosità di cui diedero prova quelle buone genti in circostanze singolarmente critiche; poiché proprio in quei giorni disastrose inondazioni avevano allagato campagne e città nel Veneto, nel Piemonte e nella Liguria. Tratti visibili della Provvidenza intervennero pure a confortare il Beato. Per non oltrepassare il periodo di cui ci occupiamo, ne riferiremo due soli. Nel settembre del 1881 fu a Don Bosco necessario contrarre un mutuo per lire ventimila; se non che il mutuante, caduto all'improvviso in bisogno, esigeva dopo appena due mesi la restituzione della somma. Il Servo di Dio si trovò in un bell'imbarazzo, né sapeva proprio dove dare del capo, quand'ecco giungergli insieme due lettere, piovute quasi dal cielo. Una veniva dalla Repubblica Argentina. Don Tomatis, Direttore del collegio di S. Nicolas, vi aveva acclusa una cambiale di 60.500 pesos, equivalenti a 12.293 franchi in oro. Era un'offerta per la chiesa del Sacro Cuore ammassata da sedici agricoltori italiani colà residenti. Nell'altra lettera, datata da Cerano nel novarese, il parroco Don Pietro Lovatelli metteva a disposizione di Don Bosco per il medesimo scopo le lire diecimila,
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delle quali si é fatto menzione qui sopra. A Don Tomatis, dopoché per mezzo di Don Dalmazzo ebbe fatto giungere all'orecchio del Papa la generosità degli oblatori d'America, espresse tutta la sua riconoscenza con una lettera più lunga del consueto.
Mio caro D. Tomatis Domenico,
Ho ricevuto la bella offerta di 12.300 lire che i nostri fervorosi Cooperatori di S. Nicolas hanno inviato in Italia per continuare i lavori della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore in Roma. Un'offerta così generosa fatta da cristiani patriotti che dimorano tanto lontano da noi, meritava certamente che io ne facessi relazione al S. Padre che appunto affidò e raccomandò tali edifizi allo zelo dei Cooperatori Salesiani. Sua Santità ne ascoltò con gran piacere il racconto, ne lodò la somma offerta, la carità degli oblatori e in fine conchiuse così: Ringraziate que' miei buoni e cari figliuoli della Chiesa Cattolica io benedico essi, le loro famiglie, i loro interessi e a tutti concedo una plenaria indulgenza da lucrarsi in quel giorno in cui faranno la loro santa Comunione. Io sono assai lieto di poter comunicare questi benevoli pensieri del Sommo Pontefice a codesti nostri amici e cooperatori ed io sono certo che il Sacro Cuore di Gesù, che é sorgente inesauribile di grazie e di favori, darà il centuplo ai medesimi nella vita presente, come é di fede, e il vero premio nella vita futura. Se mai qualcuno di questi benemeriti oblatori venisse in Italia, io li pregherei di venire nelle case Salesiane come a casa loro propria. Fa' loro da parte mia un cordialissimo saluto e raccomandandomi alle valide loro preghiere io non li dimenticherò nel celebrare la Santa Messa. Dirai a Graziano che mi piacque assai la sua ultima lettera come pure quella di Don Rabagliati. Ad essi e ad altri risponderò quanto prima. Don Lasagna perfettamente guarito é partito di nuovo per Montevideo. La sua pietà, il suo zelo ci ha veramente edificati. I Salesiani d'Italia, di Francia, di Spagna per mio mezzo vi mandano un fraterno saluto e si raccomandano alle vostre preghiere. Un augurio tutto speciale di celesti benedizioni farai a Mons. Ceccarelli. La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e prega per me che ti sono ne' Sacri Cuori di G. e di M. Torino, 21 dicembre 81, Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco
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Nell'aprile del medesimo anno, trovandosi Don Bosco a Roma, il parroco Don Dalmazzo doveva entro la giornata fare un pagamento di lire cinquemila all'impresario. Riusciti vani tutti i tentativi per procurarsi tale somma e presentatosi più volte da Don Bosco per vedere se l'avesse, ecco giungere dalla Francia all'indirizzo del Beato una lettera assicurata con la dichiarazione sia nell'esterno che nell'interno di quattromila lire. Apertala, invece di quattromila se ne trovarono cinquemila; del che facendosi da Don Berto le meraviglie, Don Bosco disse: - Don Dalmazzo ne aveva bisogno di cinquemila, ed ecco perché invece di quattro ve ne sono cinquemila. (I). Ben a ragione, e i fatti ne offriranno prove molteplici, Leone XIII, parlando di lui e della chiesa del Sacro Cuore con l'Arcivescovo di Messina (2), esclamò: - E’ un uomo provvidenziale! - Uomo provvidenziale, sì, ma che andava incontro alla Provvidenza, non trascurando dal canto suo i mezzi umani. Anche questa lettera del 1881 ce lo dipinge al vivo nell'atto di applicare l'ingegno e le forze ad aiutarsi perché il Cielo l'aiuti.
Car.mo D. Dalmazzo,
Cominciamo dal n. 1 (3) per non confondere la povera testa. 1° Non ho più moduli; perciò é bene di farne stampare, timbrare e poi mandarne, altrimenti é tutto fermo. Ma procura che ogni modulo porti in capo di pagina: Offerte Per la Chiesa etc. 2° Procura che se ne faccia la stampa in francese, di cui ne sono richiesto e non posso provvedere. 3° Il conte De Roubion di Nizza tiene pronti e ti manderà fr. 2500 per la sua colonna. Gli scriverai due linee di ringraziamento. 4° Il sig. Don Lovatelli Pietro parroco di Cerano, ma che sarà quanto prima Salesiano, per lo stesso oggetto offre fr. 10.000 di cui 8.000 ad ottobre, gli altri a novembre. E' bene di prevenire il Sig. Card. Vicario cui probabilmente il danaro sarà indirizzato.
(I) Summ. sup. virt., VI, 118 (De heroica spe). (2) Lett. di mons. Guarino a Don Bosco, 10 dicembre 1881. (3) Cioè, procediamo con ordine, enumerando le cose da dire.
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5° Don Pozzan questua nel Tirolo. Ha già raccolto due mila fr. e continua. In altri siti si lavora e Dio ci benedice assai, ringraziamolo di cuore. 6° Quando sono partito da Roma ho smarrito la nota dei Collettori e di coloro che si assunsero delle colonne; se puoi, e se ne hai copia, fammela mandare, affinché io possa progredire il mio lavoro specialmente in Francia. 7° Credo che ti abbia scritto o fatto scrivere che di buon grado sarò o forse che già io sia padrino (I). 8° Dobbiamo prepararti o mandarti preti? Don Biondolillo ci andrebbe volentieri. Don Rossetti Prevosto egualmente, come pure Don Valimberti, etc. Dimmene qualche cosa. 9° Dimmi eziandio se in mezzo a' tuoi lavori puoi ancora respirare e che io possa fare per sollevarti. 10° Dimani parto di qui per Sampierdarena, ove rimarrò otto giorni (2).
Precedentemente da Alassio (3) gli aveva raccomandato di preparare il terreno per veder di ottenere sussidi dal .Municipio di Roma, dai Ministeri delle Finanze, dell'Interno, di Grazia e Giustizia e dall'Economato. Che cosa facesse Don Dalmazzo non ci é noto; le seguenti rapide istruzioni di data incerta gliene tracciavano la via. Passare all'Ordine Mauriziano e dire a S. E. Correnti che i suoi ordini saranno eseguiti, e che si leggano la lettera e i due promemoria. Presso a poco alla memoria [= in modo quasi conforme alla memoria] pel Ministero delle Finanze, che gli sarà pure mandata, si mandi o porti [una memoria] 1° [Al] Signor Conte Visone, Ministro della Casa del Re, notando che la nostra Istituzione fu sempre favorita o piuttosto fondata da' suoi antenati [cioé del Re] etc. 2° Quasi lo stesso a Grazia e Giustizia rilevando la parrocchia costituita etc. 3° Al Ministro dell'Interno rilevando lo scopo dei ragazzi poveri ed abbandonati.
(I) Il Marchese Léon Boulanger de Saint-Cyr comte de Villeneuve, padre del Priorino della festa di Maria Ausiliatrice, aveva invitato Don Bosco a fare da padrino a un suo neonato. Don Bosco accettò per il suo prossimo viaggio in Francia; ma la cerimonia doveva già essere stata fatta per procura. (Lettera di Don Bosco al Marchese, Turin, le 11 août 1883). (2) Manca data e firma. Lo scritto dovette essere stato portato a mano. Don Bosco era a Sampierdarena alla metà di settembre (cfr. sopra, pag. 403). (3) Lett. 6 aprile 1881.
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4° Ai Lavori Pubblici, che ci diede in passato sussidii e favori pei ragazzi istruiti o ricoverati, ma appartenenti specialmente alle famiglie imp[iegati] nelle Ferrovie dello Stato. 5° Al Municipio che cotanto ama il bene del popolo e de' poveri fanciulli. March. Francesco Vitelleschi accompagnerà Don Dalmazzo dal Sindaco. 6° Se si può avere qualcuno che accompagni al Ministro Pubblica Istruzione rilevando specialmente le cose delle scuole. Il registro delle offerte pervenute a Roma non elenca molte oblazioni che arrivino al migliaio di lire, meno assai che lo sorpassino; anche le somme racimolate dai collettori raggiungono al massimo le poche centinaia. Quante invece e là e a Torino sono le lirette, che rappresentano economie di ecclesiastici e laici dal cuore largo, ma dalla borsa ristretta! E per meglio risvegliare questa carità del popolo Don Bosco fece unire al Bollettino del marzo 1882 una silografia della chiesa su d'un foglio grande da potersi staccare e tenere esposto entro casa o in vetrine di negozi, sicché parlasse agli occhi di quanti la vedevano. A comune edificazione e a perenne testimonianza di gratitudine dobbiamo registrare un fatto che altamente onora un grande Istituto religioso. Il Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Fratello Irlide, in data 3 gennaio 1882, diramò da Parigi alle case una circolare in cui, raccomandato di raddoppiare la pietà e la mortificazione durante i mesi della Santa Infanzia, di San Giuseppe, di Maria e del Sacro Cuore, proponeva che, affinché preghiere, privazioni e digiuni tornassero più accetti a Dio, si consacrassero le risultanti economie pecuniarie all'erezione o alla decorazione della chiesa del Sacro Cuore in Roma. Un riguardo alla chiesa ché per voto nazionale s'innalzava al medesimo Divin Cuore in Parigi, aveva consigliato di non fare appello alla generosità dei cattolici francesi per quella di Roma. “Ma noi crediamo, soggiungeva il prefato Superiore, che il nostro Istituto, sparso in tutte le parti del mondo e specialmente consacrato al Sacro Cuore di Gesù, debba
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fare per l'erigenda chiesa di Roma quello che ha già fatto in favore della chiesa di Montmartre, cioé: offrire a tal fine il frutto di privazioni impostesi dai nostri cari Fratelli in una o due refezioni alla settimana per tutto un anno e raccogliere, specialmente nei convitti, ciò che gli allievi vorranno risparmiare sui loro minuti piaceri per destinarlo al medesimo scopo. Tutte queste somme, che noi faremo pervenire a Roma patrocineranno presso l'adorabile e misericordioso Cuore di Gesù gl'interessi dell'Istituto e quelli delle case oblatrici. Evidentemente tali intersecessioni saranno tanto più efficaci, quanto più generosi sacrifizi i Fratelli si saranno imposti.” Le somme, riunite in Roma dal Procuratore Generale, formarono il bel totale di ventimila franchi, che furono dal successore del defunto fratello Irlide portati personalmente a Don Bosco il 15 febbraio 1885 (I). Graziosa fra tutte é la storia di una elemosina. L'Arcivescovo di Catania monsignor Giuseppe Benedetto Dusmet, poi Cardinale, bisognandogli per il suo seminario alcune composizioni musicali di Don Cagliero, ne fece richiesta direttamente a Don Bosco, domandando la relativa nota per soddisfarla. Don Bosco diede l'incarico della spedizione allo stesso autore, che sul conto facetamente scriveva: “L'importo della musica é di lire 14,75. Nella cifra si vede bensì una virgoletta, ma questa nel totale si può anche riguardare come inutile e fuor di posto.” Al che santamente il Prelato rispose (2): “Accetto come una voce del Cielo l'osservazione di V. S. sulla virgoletta inutile e fuori posto nel totale. Perciò spedisco 14 lire in estinzione del mio debito verso la Libreria Salesiana, conforme risulta dalla lista che rimando; ed aggiungo 1400 lire senza virgoletta, da servire a Don Bosco per la fabbrica della nuova chiesa del Sacro Cuore di Gesù in
(I) Quest'ultimo particolare é notato in un diario di D. Viglietti. (2) Lett. da Catania, 21 del 1883. Cfr. Boll. Sal. del marzo 1883 e D. GAETANO AMADIO, Il Cardinale Dusmet, Catania, Casa ed. “ L'Arte Sicula ”, pag. 109.
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Roma. Quest'ultima somma io aveva raccolto a spilluzzico, risparmiando qua e là, coll'intendimento d'impiegarla in un'opera pia, che ho intrapresa, e non ancora compiuta. Ma la virgoletta fuori posto mi ha fatto mutare avviso, perché mi ha ricondotto alla memoria la nota sentenza: Qui cito dat, bis dat (I). Don Bosco adunque riceva con buon viso l'umile mia offerta, e me ne ricambi con una fervorosa preghiera a quell'adorabile Cuore, che tanto ci amò e ci ama. Rispetto a Lei, Ella si contenti del 14,00 colla virgola, la quale resterà celebre negli annali delle finanze salesiane. ” Il buon esempio fatto conoscere dal Bollettino senza indicazione di nome fruttò, invogliando lettori di varie parti a imitarlo con l'inviare a Don Bosco somme destinate a opere da compiersi in altro tempo (2). Ma le difficoltà al proseguimento dei lavori non erano soltanto di ordine finanziario. Infinite noie intralciarono l'impresa per causa della vecchia Commissione presieduta dal marchese Mereghi (3). Bisognava sciogliere i contratti anteriori che recavano la sua firma, e liquidare il passato, ma gl'interessati accampavano diritti e pretese esorbitanti. Il presidente stesso, considerando i Salesiani quali intrusi, li denunziava alle autorità ecclesiastiche come gente intrattabile e disonesta. Intorno a lui si era formata contro i nostri una coalizione degli scalpellini e marmisti, pronti a tutti gli eccessi; più accanitamente però infieriva l'impresario, che esigeva un compenso esagerato dell'opera sua, minacciando di adire le vie giudiziarie. L'architetto pendeva piuttosto dalla parte de' suoi aiutanti e lavoratori. C'era purtroppo motivo di credere che aizzassero quest'ultimo relazioni fattegli da chi aveva il suo tornaconto a creare diffidenze e a mettere incagli alla sollecita prosecuzione dei lavori. Don
(I) Il motto va comunemente nella forma Bis dat qui cito dat. Chi dà prontamente, raddoppia il dono. (2) Cfr. Bollettino del maggio 1883. (3) Cfr. vol. XIV, capo XXIV.
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Bosco, recatosi a Roma nella primavera del 1882, erasi adoprato a chiarire gli esistenti malintesi e a impedire che ne nascessero di nuovi, come ce ne fa fede questa sua lettera; ma, come appare da un'altra che riportiamo qui sotto, l'architetto dopo un primo colloquio evitava d'incontrarlo. Non si voleva riconoscere i Salesiani per proprietari.
Illustrissimo Sig. Conte Vespignani Architetto,
Dopo il colloquio che ho avuto l'onore di tener colla S. V. Ill.ma ho seguito quanto Ella stessa mi disse, ed ho invitato una persona dell'arte a dare una occhiata sulle note e sui nostri lavori già eseguiti, confrontandoli col Capitolato. Furono fatte osservazioni di qualche rilievo che desidero le siano comunicate. Siccome io debbo partire, perché chiamato da affari in Torino, così io dò formale incarico ai due miei sacerdoti Francesco Dalmazzo, Parroco e Curato della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, ed al Sac. Savio Angelo di fare le mie veci. Tutto quello che essi faranno sarà da me approvato. Dal canto mio desidero e mi raccomando che ogni vertenza venga appianata da buoni amici fuori dei tribunali civili, rimettendoci a persona perita di reciproca confidenza. Affinché poi siano in avvenire tolte le cagioni di male intelligenze, mi paiono necessarie due cose da stabilirsi; 1° Regolare il passato da non doverci più rivenire sopra per intenderci o discutere. 2° Stabilire dei principii e delle basi chiare e perciò presentare i disegni ed un capitolato preciso coi prezzi relativi a ciascun capo di lavoro. Per evitare poi i danni e le conseguenze del ritardo nei lavori, si dovrà immediatamente ripigliare la costruzione della Chiesa per non perdere le attuali giornate che sono le più propizie dell'anno per le opere di costruzioni. Prego che ogni cosa sia sempre trattata e fatta nel modo che può tornare più utile al bene spirituale delle anime nostre e della maggior gloria di Dio. Della S. V. Ill.ma Roma, 9 Maggio 1882. Devot.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
La “persona dell'arte” invitata da Don Bosco a esaminare le vertenze era l'ingegnere architetto G. Squarcina, deputato al Parlamento. Questi, scrivendogli sulle norme da lui esposte nella lettera al Vespignani, le giudicò dettate
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“con vero tatto amministrativo e con molta saviezza” e soggiungeva: “Mi pare che il tempo passi in futili discussioni e aspettative, mentre l'opera per se stessa reclama sollecitudine, anche sotto il punto di vista religioso, anzi per questo principalmente” (I). Parole che dicono chiaramente da sé, come il cantiere fosse chiuso in attesa che s'arrivasse ad una soddisfacente soluzione; infatti dal 17 giugno i lavori erano completamente sospesi. Fu tenuto un congresso dal Cardinale Vicario presente il marchese Patrizi, il conte Vespignani, l'impresario Andolfi, Don Dalmazzo e Don Savio. L'architetto diede le dimissioni da amministratore, che furono accettate da Sua Eminenza, e questo veniva ad agevolare lo scioglimento definitivo della ingombrante Commissione; ma l'Andolfì non volle sapere di piegarsi a dipendere da Don Savio. Si temeva dunque di dover ricorrere a una lite. Un altro imbarazzo era che il Cardinale non si decideva a mettere le cose nelle mani dei Salesiani: un po' sembrava per essi, un po' per la Commissione. Non vedeva poi di buon occhio l'assunzione dello Squarcina, ritenendo che egli, perché deputato, avrebbe sempre dato torto ai Romani. Intanto si buccinava che i Salesiani avessero fatto bancarotta. Insomma, secondo l'espressione di Don Dalmazzo, Roma era un osso duro (2). Mentre l'onorevole Squarcina lavorava a questo scopo, l'opposizione si acuiva sempre più, né le relazioni di Don Savio davano adito a sperare prossima la fine. In luglio il Beato, preoccupandosi perché fosse una buona volta rispettata l'autorità de' suoi rappresentanti, scrisse con molta finezza al Cardinale Vicario:
Eminenza Rev.ma,
Don Savio mi manda copia delle vertenze sulla costruzione della Chiesa del S. Cuore; vedo che si vorrebbero complicare le cose, e non riconoscere alcuna autorità, nemmeno il Curato Dalmazzo. Io mi riservo di scrivere a Don Savio che Le presenterà il mio scritto. Ma
(1) Lett. a Don Bosco, Roma 17 giugno 1882. giugno 1882 (2) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 7, 21 e 30
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per dare un avviamento alle cose credo indispensabile che V. E. si metta fuori dei disturbi, e rimetta ogni vertenza al Curato che deve cercare danaro e pagare. Io voleva provare un aggiustamento; ho scritto due lettere al Sig. Conte Vespignani, ma né venne, né mi fece alcuna risposta che attendeva in Roma, Io desidero che i lavori progrediscano, fo degli sforzi incredibili per trovare danaro; ma se le cose vanno così, quando si vedrà la Chiesa finita? Spero che la mia vista mi permetterà di poterle scrivere quanto prima. Mi benedica e mi permetta di professarmi colla massima venerazione Della E. V. Rev.ma Torino, 5 luglio 1882, Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
Lo scritto da presentare al Cardinale doveva essere compilato a Roma da Don Dalmazzo e da Don Savio e poi spedito a Torino per la revisione; ma non ne abbiamo trovato né copia né minuta. C'é invece nel nostro archivio la minuta della seguente lettera indirizzata il giorno dopo a Don Savio.
Carissimo. D. Savio,
Ho scritto una lettera al Card. Vicario in cui lo prego di lasciare ogni vertenza nelle mani del Curato e di te; e che fino a quando non si arrendano a conoscerci per proprietarii, cagioneremo disturbi a lui e non faremo niente. Ora d'accordo con Don Dalmazzo fate una risposta al Card. Vicario, ma prima di mandargliela speditemela; io la leggerò e poi ve la rimetterò tostamente. Ho corretto alcuni punti nella fatta esposizione e poi mi accorsi che era già stata nelle mani del prelodato Sig. Card. Vicario. Si perde tempo e danaro e si va incontro a dispiaceri. Noi siamo forestieri e perciò... Dio ci benedica tutti. Saluta i nostri Confratelli e credimi in G. C.
Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco. PS. Puoi consultare qualche Avv.
Don Bosco nutriva fiducia che così i litigi si venissero componendo, sicché nulla più impedisse di rimettere mano all'opera; si comprende perciò la santa impazienza con cui
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il 29 luglio scriveva a Don Dalmazzo: “Siamo privi di notizie. Dimmi dunque o fammi dire: come vanno le cose della chiesa del Sacro Cuore? Si ripigliarono o si possono ripigliare i lavori? Posso di qui fare qualche cosa? Ci sono ancora danari? Continuano lettere chargée ou recommandée? […] Saluta Don Savio, e digli che non faccia corbellerie, e che conduca la chiesa al suo termine a dispetto di tutte le unghiate che ci dà Satanasso.” La tranquillità che spira dalle ultime righe, diventa ammirevole nel seguito della lettera, dove, toccato con pacatezza di due altri argomenti assai fastidiosi, il primo su pratiche riguardanti i privilegi e il secondo sull'Arcivescovo di Torino, continua: “Fu qui avanti ieri tuo fratello, che diede buone notizie della sua piccola famiglia e di tua madre. Martedì comincia l'azienda degli esercizi spirituali, che continuerà fino ai Santi. Altro ti scriveranno altri. Fa' un cordialissimo saluto a tutti i nostri confratelli. Pregate per me.” Nonostante il vivo desiderio di Don Bosco che si ricominciasse presto a lavorare, passò l'estate, s'inoltrava l'autunno e si era sempre allo statu quo. Don Dalmazzo, venuto in ottobre a Torino per gli esercizi spirituali, trovò al ritorno la matassa più intricata che mai (I). Al riaffacciarsi dell'inverno, il 6 dicembre Don Bosco gli scriveva: “Che non ci sia mezzo per terminare la vertenza nostra coll'impresario? Fra te e Don Savio in camera caritatis forse potrete far qualche cosa.” E di nuovo il 18, sempre pacatamente, benché tanto contrariato: “Ti auguro e teco auguro a tutti ogni felicità spirituale e temporale. Procura di comunicare a tutti i Salesiani i miei augurii e le mie raccomandazioni, che sono osservanza esatta della povertà, castità, obbedienza, con cui ci siamo consacrati al Signore. Per noi sarà un bel giorno, quando avremo la carità che regni perfettamente tra noi, che saranno sistemati gli affari coll'impresario, e potremo
(I) Lett. a Don Bosco, Roma 30 ottobre 1882 (App., Doc. 63).
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ripigliare i nostri lavori del Sacro Cuore di Gesù. La lotteria dorme? Prepara di lì, che di qui ti daremo mano.” Ecco un altro dei soliti espedienti a cui ricorreva il Beato per radunare i mezzi necessari alle sue imprese: neanche a Roma egli volle trascurar di concertare una lotteria. Allora però la prudenza consigliava di fare i preparativi alla sordina, perché giravano molte collette a favore dei danneggiati dalle gravi inondazioni dell'alta Italia. Della lotteria romana e delle sue peripezie ragioneremo più opportunamente in uno dei prossimi volumi. Si uscì finalmente da quel ginepraio sul principio del nuovo anno. Il primo gran passo fu quando dal conte Vespignani venne presentata la liquidazione di tutto il lavoro dell'impresario: s'andava a circa quarantamila lire. Don Savio, come rappresentante di Don Bosco, stabilì di effettuare subito il pagamento senza muovere osservazione, sia per agevolare il ritiro di quell'uomo, sia perché non la si sarebbe finita più. Don Dalmazzo ne diede premurosamente contezza al Beato, come “di cosa desideratissima” (I). Quest'atto spianò la via a sciogliere definitivamente il vecchio contratto, la qual cosa si fece con scrittura legale firmata da ambe le parti il 6 febbraio. Quindi i rappresentanti di Don Bosco comprarono tutti gli attrezzi, legnami, steccati, materiali esistenti, saldando pure quanto ancora si doveva per la casa d'abitazione e per la cappella, e s'entrò in libero possesso di tutto. Tolto poi di mezzo l'imbroglio dell'antico contratto, fu facile rompere le varie camorre ordite quando la passata commissione, anziché fare il proprio dovere, lasciava che altri facesse il comodaccio suo, come si dice a Roma (2). Cosicché, cessato il gelo di quel crudo inverno, gli operai poterono rimettersi al lavoro. Si lavorava a tutto potere anche per riguadagnare il tempo perduto, quando nel buon dell'estate un incaglio
(1) Lett di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 31 gennaio 1883. (2) Lett. di Don Savio a Don Rua, Roma 20 febbraio 1883.
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inatteso minacciò di arrecare un rallentamento. Ne parliamo qui, sebbene la cosa appartenga al 1883. L'architetto Vespignani, troppo accessibile forse a male insinuazioni d'intriganti, declinò all'improvviso l'incarico di dirigere più oltre la costruzione, notificando il suo rifiuto al Cardinale Vicario. Il Cardinale naturalmente volle che mettesse in iscritto le ragioni che ve l'avevano indotto. Egli ne allegò cinque: 1° Variazioni arbitrarie nelle dimensioni di alcuni muri e di alcune volte; 2° novità arbitrariamente introdotte e senza le necessarie cautele; 3° pretesa di disegni per gli ulteriori lavori; 4° falsa supposizione ch'ei volesse decorazioni superflue e troppo dispendiose; 5° proposito mal celato di sbarazzarsi della sua persona. Il Cardinale, avuto il foglio, lo rimise a Don Dalmazzo, il quale, non sapendo bene che cosa rispondere oppure volendo per ogni buon fine mettersi d'accordo con Sua Eminenza, ne richiese il consiglio sul da farsi. Sua Eminenza, invece di consigliare, si riprese la lettera del Vespignani e la inviò a Don Bosco, accompagnandola asciuttamente con questa postilla: “Il sig. Curato Don Dalmazzo Francesco mi scrive che cosa si può rispondere e quale assicurazione può darsi al sig. Architetto che le sue prescrizioni saranno adempite. ” Don Bosco ordinò anzitutto a Don Dalmazzo che mettesse in carta il suo modo di vedere sui singoli addebiti dell'architetto e mandasse le sue osservazioni a Torino. Il Procuratore obbedì (I); quindi Don Bosco scrisse così al Cardinale: Eminenza Rev.ma, Io desiderava che il Sig. Conte Vespignani non si fosse indirizzato alla E. V. per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, e ciò per non aggiungere occupazione ad altre occupazioni innumerevoli che esauriscono tutto il suo prezioso tempo. Ma veduta la sua postilla dietro lettera dell'Ingegnere ho dovuto mandare ogni cosa a Roma per avere le osservazioni esatte sullo stato delle cose, come sta qui
(I) App., Doc. 64.
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unito. La vertenza sarà sempre basata sulla diversità di pratica. Tra noi l'ingegnere dà i disegni compiuti, e l'impresario si aggiusta col proprietario che paga ed é risponsale. Costà non si possono avere i disegni, quindi nemmeno dare i lavori al migliore offerente. Pare però adesso che in qualche modo e con maggiori sacrifizi i lavori progrediscano: e sia così. Io fo tutti gli sforzi per mettere insieme danaro e mandarlo a Don Dalmazzo per gli opportuni pagamenti. Ho piena fiducia, coll'aiuto di V. E., che il danaro non ci mancherà più e che l'opera potrà progredire alacremente. Noi continuiamo a pregare per la E. V. e preghiamo che Dio lungo tempo lo conservi al bene di S. Chiesa ed a fare una maestosa funzione nella consacrazione della nostra chiesa o meglio della sua chiesa di Roma. Voglia dare la sua S. Benedizione al povero scrivente e a tutti i Salesiani mentre a nome di tutti ho l'alto onore di potermi professare colla più profonda venerazione e stima Della E. V. Rev.ma Torino, 31 luglio 83. Obbl.mo Serviore Sac. Gio. Bosco.
Don Bosco aveva messo destramente il dito sulla piaga. L'impresario che se la intende solo con l'ingegnere e non anche con chi lo deve pagare, e l'ingegnere che non é tenuto a presentate al committente i disegni compiuti, costituiscono una “pratica” che è necessariamente fonte di sperperi e di vertenze ai danni del maggior interessato. Nell'architetto, che dopo tutto era un gran galantuomo, la ragionevolezza finì con. prendere il sopravvento, facendogli abbandonare il mal concepito proposito. Egli continuò dunque nella direzione dei lavori, coadiuvato dall'ingegnere Valentino Grazioli, essendo esecutore della costruzione il cavaliere Giacomo Cucco. Accomodato questo affare, Don Bosco era troppo esperto per darsi a credere che fosse d'allora in poi preclusa la via a ogni contestazione tanto più che intendeva si ponesse mano presto alla fabbrica di un grande ospizio accanto alla chiesa. Ecco a questo riguardo le sue comunicazioni e istruzioni a Don Dalmazzo.
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Car.mo D. Dalmazzo, Ti mando qui alcuni scritti che non ho avuto tempo a consegnare a Don Sala. Esso va a Roma con danaro e con pieni poteri per vedere di regolare le cose in modo da non trovarci ogni momento nei fastidii. Bisogna preparare quanto é necessario per incominciare l'Ospizio per tempo, nella prossima primavera. Se verrai pel prossimo Capitolo Generale prepara i tuoi riflessi; o mandali o portali. Dio vi benedica tutti e saluta i miei cari figli del Macao (I) e credimi in G. C. Torino, 3 agosto 1883. Aff.mo amico Sac. Gio. Bosco.
Quanti sacrifizi costerà ancora a Don Bosco la chiesa del Sacro Cuore di Gesù! Si può ben dire, e lo conferma Don Rua nei processi, che tale opera logorò gran parte delle sue forze. Già innanzi negli anni, malandato in salute, con incomodi molto gravi che di quando in quando lo disturbavano, era una pena il vederlo scendere e salire scale per chiedere limosine, sottoponendosi talora anche a dure umiliazioni. Patì tanto che qualche volta, nell'intimità, a chi de' suoi, vedendolo incurvato, gli domandava come mai si piegasse così sulla persona, rispose: - Ho la chiesa del Sacro Cuore che mi pesa sulle spalle. - Tal altra volta, amabilmente faceziando e giocando sul doppio senso, diceva: - Dicono che la Chiesa é perseguitata. Io invece posso dire che la chiesa perseguita me! -
(I) Un tempo al Castro Pretorio i Gesuiti possedevano terreni e case, per il cui acquisto avevano impiegato fondi provenienti dalla loro missione del Macao in Cina; donde i1 nome della località.
CAPO XIV. Le ultime difficoltà per la comunicazione dei privilegi.
FALLITE le pratiche dirette del 1875 per ottenere dalla Santa Sede la comunicazione dei privilegi (I), Don Bosco, senza turbarsi né disperare, ma fedele al suo programma di girare le difficoltà che non poteva prendere di fronte, si studiava di raggiungere a poco a poco per diverse vie il suo intento. Col crescere e dilatarsi della Congregazione egli sentiva ognor più quanto importasse metterla nel pieno possesso della sua personalità giuridica. Nelle condizioni d'allora l'esperienza quotidiana gli aveva dimostrato e gli veniva dimostrando quali inconvenienti le derivassero dall'essere così alla mercé degli Ordinari locali: pur con le migliori intenzioni del mondo troppe volte si finiva con incepparne la ragionevole libertà o si tendeva ad alterarne la vera fisionomia. Egli invece aveva bisogno di renderne il corpo sì ben compatto e omogeneo, che, sotto qualunque cielo, essa fosse in grado di esplicare la sua azione non impacciata da pregiudizievoli pastoie e in perfetta uniformità di spirito. Per forza di cose gli doveva dunque sembrare incompleta sua istituzione fino al giorno in cui non le vedesse riconosciuta
(I) Cfr. vol. XI, cc. IX e XXI.
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legittimamente quell'autonomia, che con tanto loro vantaggio godevano le altre grandi famiglie religiose. E grande fra le grandi a lui si prospettava nell'avvenire la Società Salesiana. Siffatta grandezza, che non era punto un mistero per lui, non balenava ancora alla mente di tutti gli osservatori, e questa fu la causa precipua che rattenne sulle prime le competenti autorità dall'accordare alla Congregazione di Don Bosco il crisma dei privilegi. Che su questa causa abbiano poi agito sinistramente da altre parti anche forze eterogenee, é cosa che non sorprende lo storico, avvezzo a muoversi fra il cozzo incessante di quelle umane debolezze, a cui si dà il nome di passioni, n é tanto meno può sorprendere l'agiografo, il quale non ignora come per multas tribulationes la Provvidenza soglia affinare la virtù de' suoi Santi per condurli alle vittoriose conquiste in servizio del regno di Dio. Nonostante la sua calma inalterabile, Don Bosco non nascondeva neppure una certa fretta di giungere a capo del suo disegno. Sentendosi venir meno la vita, gli premeva senza dubbio di fare in tempo ad assistere i suoi nei primi esperimenti della totale esenzione canonica. Anche questa considerazione valga a spiegare la tenacia inflessibile, con la quale perseguì il suo scopo, per quante contrarietà si levassero ad attraversargli il cammino. Il fatto poi che, non appena s'infransero le ostilità torinesi, i suoi sforzi furono coronati da trionfale successo, é la prova migliore che mancavano vere ragioni per contrariare la sua causa. Dopo il rigetto delle prime domande ripetutamente presentate nel 1875, Don Bosco si contentò di ottenere dal sempre benevolo Pio IX favori isolati e temporanei, accordatigli con le minori formalità possibili. Poteva così usare di tre importantissimi privilegi che erano: 1° I diritti parrocchiali, esercitati dai direttori verso i loro sudditi dimoranti nelle rispettive case; 2° l'extra tempus per i chierici salesiani; 3° la dispensa dalle lettere testimoniali dei Vescovi per l'ammissione di postulanti al Noviziato. Queste facoltà erano
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state concesse nel 1876. Le prime due dovevano durare tre anni nell'Italia e cinque fuori; la terza non aveva limite di tempo (I). Spirato il triennio di quelle due, era stata fatta domanda di proroga (2); diciamone subito i risultati. Per l'esercizio dei diritti parrocchiali bisognò insistere a lungo, finché con Breve 21 marzo 1882 fu rinnovata la concessione triennale e quinquennale, come nel 1876 (3). Per l'extra tempus non si ottenne, nulla fino al 1884. Nel 1881 l'Arcivescovo di Messina interpose una sua calorosa raccomandazione, specialmente nell'interesse del collegio di Randazzo; ma fu senza pro (4). Per la terza grazia l'affare si complicava, essendo stata revocata quattro anni avanti in modo alquanto drammatico. Ce ne ha lasciato Don Bosco stesso il racconto, scrivendo nel 1882 (5): “Sono cinque anni da che [il sig. Card. Ferrieri] si degnò di ricevermi. D'allora in poi malgrado ogni dimanda, ogni lettera, non ho più potuto ottenere né udienza né risposta per iscritto. In quella unica udienza mi rimproverò l'accusa che faceva l'Arcivescovo di Torino, che non si domandavano le lettere testimoniali nell'accettare in Congregazione. Ho risposto che tali testimoniali si chiedevano sempre; ma quando nascevano difficoltà, lo mi serviva della facoltà concessa dalla Santa Sede di farne a meno. ” - Chi concedette questa facoltà? rispose alquanto incollerito. ” - Il Santo Padre, risposi, il benemerito Pio IX. Tutta la pratica sta ai Vescovi e Regolari, ed io ne ho copia autentica. ” - Da questo momento cessa questa facoltà, e si guardi dal servirsene in avvenire.
(I) Cfr. vol. XII, pgg. 646-7. (2) Cfr. vol. XII, pgg. 241-4; XIV, Pag. 707. (3) App., Doc. 65. (4) Lett. di monsignor Guarino a Don Bosco, Roma 10 dicembre 1881, e dell'avvocato Leonori a Don Bosco, Roma 26 dicembre 1881. (5) Lett. a Don Dalmazzo, S. Benigno 8 settembre 1882.
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”Io non so se un Prefetto di Congregazione abbia la facoltà di sospendere un favore così formalmente concesso. Comunque sia, io mi sono limitato a rispondere che mi rimetteva ai suoi ordini, e non mi sono mai più servito del privilegio mentovato.” Così stavano le cose, quando nel suo viaggio del 1881 a Roma il Servo di Dio volle rimettersi all'opera per vincere le resistenze che si opponevano alla comunicazione dei privilegi. Vi aveva fatto precedere un lavoro preparatorio. Per mezzo del suo segretario Don Berto, pratico di simili ricerche e compilazioni, aveva compilato e dato alle stampe un opuscolo contenente i documenti dei favori e delle grazie concesse da Pontefici e da Vescovi alla pia Società Salesiana (I). La raccolta si apre con i primi favori spirituali largiti da Gregorio XVI il 18 aprile 1845, estensibili a cinquanta Collaboratori, e si chiude con le facoltà accordate di fresco dal Vescovo di Fréjus e Tolone e dal Vescovo d'Ivrea ai Salesiani residenti nelle due diocesi. Don Bosco, volendo che il frutto di questa fatica ridondasse anche a vantaggio dei Confratelli, distribuì il libretto alle case, premettendovi la seguente lettera per indicarne l'uso pratico.
Figliuoli in G. G. Carissimi,
Desideroso di facilitarvi la conoscenza e la pratica dei Favori benignamente concessi dalla S. Sede alla nostra pia Società, giudico opportuno, che tali Concessioni siano qui stampate a comune vantaggio. Questi Favori sono preziosi doni, che la S. Sede largisce agli Istituti religiosi, che può modificarli od ampliarli ogni qualvolta si giudica della maggior gloria di Dio. Perciò dobbiamo valercene dove sia d'uopo, e professare al Capo Supremo della Chiesa la più profonda gratitudine e la più rispettosa venerazione. Da essi appare, come la nostra Congregazione, nel suo primo decennio, consisteva nella persona del suo Direttore coadiuvato da alcuni sacerdoti e laici. In capo a quel Sacerdote erano fatte le concessioni Diocesane e Pontificie. Nel 1852 fu costituito il Capo della medesima con tutte le necessarie facoltà.
(1) Favori e grazie spirituali concessi dalla S. Sede alla Pia Società di S. Francesco di Sales dal 1835 al 1879. Torino, Tip. Sal. 1881.
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Nel 1858 cominciò di fatto a prendere aspetto di Congregazione Ecclesiastica, che dopo sedici anni di studio e di prova venne definitivamente approvata nel 1874. Affinché poi tali privilegi o favori ottengano il loro fine, é bene che ognuno ritenga: 1° Di approfittare dei favori spirituali, senza eccezione, quando questi si riferiscono al vantaggio spirituale dell'anima nostra, come sono le sante indulgenze; 2° Se ne faccia uso moderato e prudente nell'interno delle nostre case e delle nostre Cappelle private; 3° Ma siano usati colla massima parsimonia quando questi si riferiscono all'autorità degli Ordinarii. A questi sia costantemente in ogni cosa prestato ossequio, obbedienza e venerazione. Questi Rescritti, Decreti e Brevi furono attentamente confrontati coi rispettivi originali e trovati concordi coi medesimi. La traduzione de' medesimi fu fatta e riveduta da idonei professori della nostra Congregazione. Ma siccome nella pratica esecuzione di essi possono incontrarsi non lievi difficoltà, così se ne sta preparando la spiegazione intorno al modo più esatto e sicuro, affinché si possa viemeglio conseguire il fine proposto dalla S. Sede, che é la maggior gloria di Dio e il bene delle anime. Vivete felici e la grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con noi.
Sac. GIOVANNI Bosco.
Che cosa egli abbia fatto di positivo a Roma in riguardo alla comunicazione dei privilegi durante il soggiorno del 1881, a noi non risulta da nessuno dei documenti che abbiamo potuto consultare; ci sembra che in quel primo tempo abbia lavorato soprattutto a guadagnarsi l'animo di prelati influenti per averli poi favorevoli nel momento opportuno. Di certo sappiamo solo che, vicino a muovere dalla Liguria verso Roma, si fece mandare da Torino e portò seco, oltre la pubblicazione suddetta, i documenti originali riferentisi ai tre privilegi or ora mentovati (I). Dopo quella primavera ci tocca fare un balzo fino all'autunno per trovare notizie sicure. La circostanza che riferiremo, quasi ci commuove, mostrandoci a quali amminicoli si dovesse appoggiare per giungere una buona volta all'appagamento de' suoi voti.
(I) Lett. di Don Bosco a Don Berto, Alassio 8 aprile (Cfr. sopra, pag 137).
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Ricordino i lettori le affannose supplicazioni dell'Arcivescovo di Messina, perché Don Bosco gli rialzasse il seminario. Orbene, quando le istanze del Prelato sembravano proprio scritte con le lacrime, Don Bosco gli pose innanzi un patto: Sua Eccellenza gli ottenesse la comunicazione dei privilegi ed egli avrebbe mandato i Salesiani nella sua città. “Condizione scabrosetta!” rispose l'Arcivescovo, che però soggiunse (I): “Io farò, metterò Roma sottosopra […]. Abbia intanto la bontà di dirmi chi sia il contrario e l'oppositore in Roma e quali siano i suoi argomenti […]. Si degni dirmelo per mia regola, poiché davvero metterò ogni impegno.” Andato a Roma in novembre, l'Arcivescovo mantenne la parola. Anzitutto si diede premura d'informarsi come stessero le cose sulla comunicazione dei privilegi alla Congregazione Salesiana; ma purtroppo dovette subito persuadersi, che, opponendosi il Cardinale Prefetto dei Vescovi e Regolari, poco o nulla vi era da sperare. Tuttavia nell'udienza accordatagli dal Santo Padre, condusse bel bello il discorso al punto voluto. Ai suoi elogi sulle benemerenze dei Salesiani il Santo Padre rispose con elogi; udita però la menzione dei privilegi, osservò che gli altri Ordini religiosi li avevano ottenuti dopo secoli di meritorii lavori e che la Congregazione Salesiana, recente com'era, doveva lavorare ancora per ottenerne la partecipazione (2). Replicare l'Arcivescovo non poteva; ma Don Bosco gli rimise una supplica, pregandolo che la presentasse egli stesso a Sua Santità. “Creda pure, gli rispose Monsignore (3), ch'Ella forse tra i Salesiani soltanto potrebbe trovar persona più impegnata di me in vantaggio suo e del suo insigne Ordine, seppure il mio interessamento sia capace di confronti. Parlo col cuore sulle labbra. Le difficoltà ch'Ella incontra qui, partono da Torino.”
(I) Lett. a Don Bosco, Messina 1° ottobre 1881. (2) Lett. di mons. Guarino a Don Bosco, Roma 21 novembre 1881. (3) Lett., Roma 1° dicembre 1881,
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Consigliatosi pertanto, come già la prima volta, col cardinale Nina, se, tornando dal Santo Padre, dovesse rientrare in materia e presentare la supplica, sembra che ne venisse dissuaso e ne ricevesse invece il suggerimento di passare dal cardinale Ferrieri. Andò, ma non lo trovò in casa. Ne fu dolentissimo, perché avrebbe voluto sentire dalla stessa sua bocca qualche cosa, e d'altra parte non poteva fermarsi ulteriormente a Roma; consegnò nondimeno alla segreteria della Sacra Congregazione la supplica di Don Bosco. “Sia compiacente, scrisse quindi a Don Dalmazzo (I), ossequiare per me il sig. Don Bosco e dirgli quante scale ho salite, quante anticamere ho fatte, quanti andirivieni per servirlo; l'ho fatto con intimo amore, e sono amareggiatissimo di non aver potuto sentir l'esito.” Lo zelo di monsignor Guarino aveva richiamato l'attenzione sulla facoltà esercitata da Don Bosco di rilasciare le dimissorie ai chierici salesiani per le sacre ordinazioni. Per qual motivo ci si sia pensato proprio allora, noi non sapremmo dire con precisione; il fatto é che poco dopo la partenza di monsignor Guarino da Roma pervenne a Don Bosco un richiamo. In data 28 dicembre monsignor Agnozzi, segretario dei Vescovi e Regolari, gli scriveva: “Interessa a questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari avere certa notizia del privilegio ed indulto in forza del quale la S. V, rilascia le lettere testimoniali per l'ordinazione in Sacris ed inclusive ad Presbyteratum, dei professi della sua Congregazione. Sarà quindi compiacente di trasmetterne al Sacro Consesso un esemplare”. Sebbene non abbiamo rinvenuti i termini della risposta, il suo tenore non ci può essere dubbio. Il 3 aprile del 1874, con rescritto firmato dal cardinale Bizzarri, allora Prefetto di detta Congregazione, il Santo Padre Pio IX, annuendo a una supplica di Don Bosco, gli aveva benignamente
(I) Lett., Roma 14 dicembre 1881.
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conceduto tale facoltà per un decennio. La cosa non ebbe seguito, forse perché si volle lasciare che spirasse il decennio o perché la ripresa della pratica per i privilegi in genere fece sospendere la decisione sopra un privilegio speciale. Il Servo di Dio agì direttamente nel 1882 per la comunicazione dei privilegi ad instar, come si dice in linguaggio canonico. Recatosi anche quell'anno a Roma e ricevuto in privata udienza da Leone XIII, perorò a viva voce la sua causa. Il Papa non gli si manifestò contrario, ma gli rispose che andasse da monsignor Masotti, novello segretario dei Vescovi e Regolari, e gli dicesse di parlargliene in una delle ordinarie udienze. Pochi giorni dopo il cardinale Bilio, vescovo di Sabina e tanto benevolo ai Salesiani, rifece presente al Papa il desiderio di Don Bosco, riportandone l'impressione che Sua Santità inclinasse a contentarlo. Un terzo assalto fu dato da Don Bosco medesimo, con una supplica da lui stesa in lingua latina, per suggerimento forse di monsignor Segretario. Il Papa la lesse durante un'udienza al cardinale Nina, lodando il latino, che disse semplice e chiaro, ma insieme pulito. Poi chiese all'Eminentissimo: - Sa Ella chi abbia scritto questo foglio? - L'ha scritto Don Bosco, rispose il Cardinale. - Possibile? esclamò il Papa. Ma Don Bosco non ha fatto studi. - Eppure l'ha scritto lui. Nel riferire a Don Bosco questo dialogo, il Cardinale gli domandò se avesse studiato belle lettere. - Sì, gli rispose Don Bosco. Ho letto tutti i classici latini e nei migliori commenti. - Quindi prese a tirar giù la filastrocca delle opere e degli autori, finché il Cardinale: - Basta, basta! gli gridò, agitando le braccia. Voglio dirlo al Santo Padre. Nella sua supplica il santo Fondatore, rappresentato lo sviluppo della Società nei nove anni che seguirono la definitiva approvazione, e dedottane l'urgente necessità di
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accordarle la comunicazione dei privilegi, necessità della quale esponeva distintamente le ragioni in un foglio a parte (I), chiedeva che fossero comunicati quelli concessi da Leone XII il 12 settembre 1826 agli Oblati di Maria Vergine, fondati dall'abate Lanzeri. Tali privilegi erano identici a quelli goduti dai Redentoristi e parevano i più consoni alla natura e al fine della Congregazione Salesiana (2). Sollecitamente Don Bosco dopo l'udienza pontificia erasi recato alla Cancelleria per conferire con monsignor Masotti, che trovò molto premuroso e che quasi fu spiacente di essere stato prevenuto, mentre in giornata sarebbe egli stesso passato da lui. Infatti il Papa gli aveva già chiesto se avesse parlato con Don Bosco; e alla sua risposta negativa aveva soggiunto: - Ebbene, ve lo raccomando. Povero Don Bosco! Gli voglio bene. Guardate di consolarlo. - Ciò riferito, Monsignore gli suggerì di non farne motto con nessuno, ma di lasciare il tutto nelle sue mani. Il Servo di Dio si limitò a rispondergli che qualora occorressero spiegazioni o informazioni, le chiedesse pure al cardinale Bilio, il quale conosceva assai bene le cose dei Salesiani. Dal cardinale Nina egli seppe quindi in via confidenziale che il Papa aveva nominata segretamente una Commissione cardinalizia composta degli Eminentissimi Sbarretti, Martinelli e Zigliara per lo studio della questione. Don Bosco partì da Roma il 9 maggio con buone speranze in cuore; da Torino però sebbene si fosse nella fase più acuta della causa di Don Bonetti, non lasciava raffreddare la pratica. Monsignor Masotti voleva che egli specificasse gl'invocati privilegi in un'esposizione completa e documentata (3). Non era faccenda che si potesse sbrigare in breve tempo; tuttavia egli rispose abbastanza presto, scrivendo a
(I) Non ne abbiamo trovato copia. E’ probabile che quel foglio contenesse le ragioni esposte già nel 1875. (2) App., Doc. 66. (3) Lett. di Don Dalmazzo, Roma 7 giugno 1882.
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Don Dalmazzo (I): “Ecco le carte richieste per la dimanda di privilegi. Porterai ogni cosa al Card. Vicario e poi da Mons. Masotti. Quindi sapere se debbonsi stampare o soltanto alcuni. Tienmi a giorno di tutto e ti dirò come regolarti.” Fatta da poco questa spedizione, ecco giungergli all'orecchio una musica né nuova né troppo allegra. “Molte pie società, scriveva l'avvocato Leonori (2), sono state erette in questi ultimi tempi come la sua, tutte di voti semplici, e non tutte hanno tutti i privilegi; anzi, soggiungo che nessuna ha tutti i privilegi […]. Io Le proporrei che prendesse le costituzioni dei Padri Passionisti, i quali a preferenza degli altri istituti godono i privilegi, li esaminasse, e si appropriasse quelli che crede utili per la sua società, e quelli chiedesse […]. Per la concessione di questi privilegi vi è contraria presunzione, e vi sono oppositori tremendi […].” Don Bosco parve non fare gran caso di queste malinconie; infatti sul finire di luglio scuoteva il suo Procuratore, scrivendogli (3): “L'affare dei nostri privilegi dorme? Se non si batte il ferro quando é caldo, si lavora inutilmente. Passa da Mons. Masotti, porta i miei sentimenti di ossequio e pregalo a direi che debbo fare o preparare. Se vi sono difficoltà, e quali. Sono le cose promesse dal S. P. e da M. Masotti. Abbi pazienza. Se fa caldo, prenditi una vettura di ghiaccio e trotta.” Ma tutto sembrava ormai inutile. Il giorno stesso che Don Bosco spronava così da Torino il Procuratore, questi da Roma gli notificava che la comunicazione dei privilegi ad instar non si concedeva; che perciò spedisse a monsignor Masotti una nota distinta di privilegi desiderati, e la spedisse ben formulata e documentata molto prima che cominciassero le ferie; Monsignore si sarebbe adoperato a tutt'uomo per il conseguimento.
(I) Lett., Torino 19 giugno 1882. Faceva parte dell'incartamento una “Breve Esposizione ”, che riportiamo in app. (Doc. 67). (2) Lett. a Don Bosco, Roma 27 giugno 1882. (3) Lett., 29 luglio 1882.
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Si vede però che Don Bosco, non aveva ancora perduto ogni speranza. Infatti, non avendo ancora ricevuto partecipazione ufficiale in contrario, il 4 agosto scrisse al cardinale Nina:
Eminenza Rev.ma,
... Io ho mandato l'esposizione per dimanda della comunicazione dei privilegi, e mi sono tenuto alle formole già vedute dalla E. V. e ripetutamente approvate dal S. Padre. Ma ora Monsig. Masotti disse a Don Dalmazzo che fa d'uopo specificare quali privilegi si vogliano dimandare. Se dimandiamo soltanto alcuni privilegi, noi saremo, come in passato, ad ogni momento incagliati. Se la S. Sede vuole mettere i Salesiani in uno stato normale e non esporli ad ogni momento negli imbarazzi é indispensabile una comunicazione formale dei privilegi, come furono concessi ai Passionisti, ai Redentoristi, agli Oblati di Maria ed ai Rosminiani e come godono le Congregazioni ecclesiastiche definitivamente approvate dalla S. Chiesa. Qualora poi fosse deciso di non concedere tale comunicazione, ma solamente alcuni privilegi in particolare, dovrei per forza piegarmi. Ma in questo caso dovrei formare la mia supplica in altro modo. Spero però che i buoni uffizi di V. E. presso al S. Padre riusciranno ad ottenermi quello che tutte le Congregazioni ecclesiastiche di questi nostri paesi hanno goduto e godono dal tempo della loro definitiva approvazione. Don Dalmazzo passerà da V. E. e metterà in pratica que' consigli che si degnerà di suggerire al medesimo. Mi voglia perdonare la mia brutta scrittura. Non posso fare meglio e non desidero passare per terza mano. Colla massima venerazione ho l'alto onore di inchinarmi e professarmi della E. V. Rd.ma Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco.
PS. Della citata mia esposizione avvene soltanto una copia; se é mestieri, mi si dica e la farò stampare. Poi, pur provvedendo nel senso indicatogli, all'appressarsi della festa di San Gioachino che cade il 19 agosto, scrisse, come se nulla fosse, al Procuratore: “ Mando qui gli augurii nostri pel Santo Padre. Se puoi leggi, e poi o tu stesso, o per mezzo di Mons. Boccali, o del Cardinale Nina falli trasmettere a Stia Santità. In caso estremo si metta tutto alla posta. Desidero molto sapere notizie
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di tua sanità e di quella degli altri. Risparmia niente per conservarla. Ho fatto un estratto di alcuni privilegi dall'elenco di quelli dei Liguorini, Passionisti e Lazzaristi, e ciò pel caso che andasse al vento la dimanda ad instar. Avrai tutto entro due giorni. Nota però che il vento anche soffiando, qualche cosa lascia sempre cadere.” I privilegi così estratti erano novantaquattro. Nell'incartamento qui accennato accluse la seguente lettera per monsignor Masotti.
Eccellenza R.ma,
Mi fo ardito di scrivere alla E. V. non in modo ufficiale, ma in modo figliale e rispettoso come chi desidera di fare un po' di bene, ma secondo i santi voleri del Sommo Pontefice, che per me sono un precetto. Ella pertanto mi faccia da padre. Nell'ultimo passato aprile in una udienza che Sua Santità degnava concedermi, dopo aver intesi i gravi imbarazzi in cui si trovava l'umile nostra pia società di fronte alle altre Congregazioni e dirimpetto ad alcuni Ordinarii diocesani, Sua Santità mi lasciava sperare la comunicazione dei privilegi ad instar. A tale fine io formolavo rispettosa posizione da umiliarsi alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolatori di cui V. E. é sostituto degnissimo. Ma testé mi fu osservato che la communicazione si suole difficilmente concedere dalla Santa Sede; perciò ho estratto quei privilegi e facoltà che mi sembrano indispensabili affinché la nostra Congregazione possa compiere il suo fine e sostenersi nelle diverse diocesi e parrocchie, specialmente nelle estere missioni, che in questo momento formano l'oggetto principale della nostre sollecitudini e che sono caldamente raccomandate dal Santo Padre. L'Esposizione coi relativi documenti sono stati riuniti e presentati a questa autorevole e sacra Congregazione. Perciò se occorresse qualche schiarimento relativo, la prego a voler indicare al nostro Procuratore Generale Don Dalmazzo che si farà premura di cercarlo o in qualche maniera di provvederlo. Io metto questa pratica sotto la benevola protezione dell'E. V. La domanda é certamente di urgenza. Le nostre missioni in America si moltiplicano ogni giorno. Vi sono delle case che dalle altre distano quasi due mesi di cammino. Come mai poter stabilire delle norme certe ed invariabili, se prima non sono stabilite e regolate dalla Santa Sede? Mi perdoni la confidenza con cui Le scrivo. Come piccolo segno della incancellabile nostra gratitudine, tutti i Salesiani pregheranno tanto per Lei e con noi pregheranno i 150 mila allievi che la Divina Provvidenza ci volle affidare
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Mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare con profonda venerazione della E. V. Reverendissima. Torino, 21 agosto 1882.
Mandò pure copia della nuova proposta al Cardinale Protettore, con la seguente presentazione.
Eminenza Reverendissima,
Mi fo dovere di mandare a V. E. R.dma una copia della nuova proposta: dimandare non più ad instar ma “speciatim” dei privilegi più indispensabili. Temo che anche questi pochi trovino difficoltà. Mons. Masotti si mostra assai ben disposto. Dagli uniti scritti la E. V. ove occorra può vedere quanto siasi fatto. Sono qui nella casa di S. Benigno per una muta di esercizi spirit. pei nostri Sacerdoti. Tutti facciamo umili preghiere per la E. V. ma ci raccomandiamo per una speciale benedizione mentre con gratitudine profonda mi inchino e mi professo Della E. V. Rd.ma S. Benigno Canavese, 3 settembre 1882. Obbl.mo servitore Sac. Gio. Bosco. (I)
In forma ufficiale Don Bosco faceva la presentazione dei documenti al Papa con una breve e umile supplica in latino (2), nella quale non mancava pure un cenno, meno esplicito però che non qui sopra, alla comunicazione ad instar, quasi volesse blandamente mostrare che non dimenticava le buone parole avute nel suo ultimo viaggio a Roma.
(I) Nello spedire l'incartamento commise una svista; onde riscrisse il giorno dopo: Eminenza Rev.ma, Ieri probabilmente la mia povera vista o dimenticò o scambiò altra carta invece della lettera che accompagnò la petizione di alcuni privilegi per la nostra Congregazione. Qui la unisco pel caso che le occorresse in qualche occasione. Mi perdoni la E. V. della rinnovazione di tanti disturbi e permetta che io mi possa professare colla più profonda venerazione Della E. V. Reverendissima S. Benigno Canavese, 4 settembre 1882. Obbl.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
(2) App., Doc. 68.
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Ma anche per i privilegi limitati la risposta della Sacra Congregazione fu un dilata, cioè a miglior tempo. Vi venne inoltre a conoscere da buona fonte avere il cardinale Ferrieri detto al Papa che, invece di concedere ai Salesiani dei privilegi, intendeva di mandare a tutti i loro istituti una visita apostolica; alla quale minaccia essersi risposto dal Papa: - Oh! questo poi non lo permetterò giammai assolutamente! (I) Del cardinale Ferrieri Don Dalmazzo sperimentò la severità in un'udienza della fine di novembre. Senza mostrar di conoscere il risultato dell'ultima domanda, il Procuratore lo pregò a nome di Don Bosco che gliene dicesse qualche cosa. Il Cardinale gli rispose secco di non saperne niente. Insistette l'altro con dire che monsignor Masotti doveva avergliela presentata. Sua Eminenza replicò: - Io non me ne sono occupato; quando arriverà monsignor Masotti, provi a interrogarlo. - Rimasero muti un istante entrambi. Gli occhi del Cardinale fissavano l'interlocutore con fierezza scrutatrice. Questi, punto intimidito, ripigliò: - Il mio venerato Superiore Don Bosco, non avendo potuto ottenere l'onore di essere ammesso alla presenza dell'Eminenza Vostra, bramerebbe sapere se vi ha qualche cosa a notare sulla nostra Congregazione, ché volentieri ne riceverebbe le osservazioni ed i consigli. - Un'occhiata fulminante fu la risposta. E poi, visto che Don Dalmazzo faceva atto di alzarsi, esclamò ironicamente: - Don Bosco ha trattato cavaliérement! - In così dire lo accompagnava alla porta, mandandogli dietro a voce alta questo saluto: - Don Bosco non ha spirito religioso. - (2). Aveva ben ragione monsignor Masotti di dire poco dopo a Don Dalmazzo che trovava il cammino irto di spine e che conveniva andare adagio e che dando tempo al tempo tutto si sarebbe fatto (3).
(I) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 25 ottobre 1882. (2) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, 30 ottobre 1882. , (3) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, non datata ma di poco posteriore alla precedente.
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Non passò un mese che Don Bosco ricevette dalla Santa Sede un segno di fiducia del quale si valse per ribadire la sua argomentazione in favore dei privilegi. Il Vescovo di Mantova monsignor Berengo, angustiato per non trovar modo di soccorrere a stringenti bisogni spirituali del suo gregge, era pronto a fare qualunque sacrifizio pur di avere a sua disposizione alcuni sacerdoti da mandare dove più forte si sentiva il disagio dai fedeli. Ricorse dunque al Santo Padre per avere un gruppo di religiosi provenienti da vari Ordini o Congregazioni. Non piacque al Papa l'idea di tale miscuglio, ma volle che i desiderati operai fossero tutti Salesiani; nel qual senso fece scrivere a Don Bosco. Eseguì l'incarico monsignor Boccali, usando termini del più alto encomio per la nostra Società e spiegando così il pensiero del Papa (I): “Il Santo Padre, facendo assegnamento sulla docile deferenza della S. V. anche ai suoi desideri, ritiene per certo che la S. V. si darà tosto premura di secondare questo che io le ho esposto e che é, potrei dire, più che un desiderio di Sua Santità.” Veramente non era cosa che rispondesse allo scopo della Congregazione; ma l'affare si presentava oltremodo delicato. Don Bosco, quando poté trattarne con il suo Capitolo, rispose così a monsignor Boccali:
Eccellenza Rev.ma,
Con tutta venerazione ho ricevuto la rispettabile lettera con cui V. E. Rev.ma mi manifesta il desiderio di Sua Santità, che vorrebbe fossero inviati alcuni salesiani ad esercitare il Sacro Ministero nella diocesi di Mantova. Prima di deliberare in proposito ho radunato il nostro Capitolo a viemeglio esaminare diligentemente se in qualche casa della Congregazione esistessero soggetti idonei all'importante ufficio cui sarebbero destinati. Tutti siamo mossi dalla più viva brama di accondiscendere alla proposta, ma ci troviamo pur troppo nelle difficoltà per la scarsità di personale nelle singole case dei salesiani. Egli è per questo motivo che in questo anno abbiamo già dovuto sospendere la spedizione di nuovi missionari in America in aiuto delle case aperte ed anche per prendere la direzione di quelle cui niente più manca che il sospirato personale.
(I) Lett. del 29 novembre 1882.
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Ciò nulladimeno secondo il parere della E. V. ho tosto iniziate pratiche col Vescovo di Mantova e con lui studieremo di fare in modo, che almeno qualche cosa sia cominciata in ossequio ai venerati pensieri del Santo Padre. Debbo qui confessare che i soggetti disponibili sarebbero in assai maggior numero, se questa nostra Congregazione si trovasse in condizione meno anormale, come prendomi la libertà di notare a parte alla E. V. come a benemerito cooperatore salesiano. (I) Ella potrebbe di ciò dare comunicazione allo stesso S. Padre, se nella illuminata sua prudenza giudica opportuno di farlo. M permetta poi di raccomandare alla carità di V. E. questa povera Congregazione. Ringrazio Lei e per mezzo di Lei il S. Padre che ha Voluto darci questo segno di stima e di benevolenza, mentre colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi Della E. V. Rev.ma Torino, 12 dicembre 1882. Dev.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
Don Durando con validi argomenti persuase il Vescovo di Mantova ad aspettare che circostanze più propizie permettessero di far paghi i suoi voti. Conchiudiamo. Per allora di totale o parziale concessione di privilegi non era più da parlare. Quanto all'avvenire, monsignor Segretario della Sacra Congregazione diceva di dar tempo al tempo; l'Eminentissimo Segretario di Stato confermava essere questione di tempo, date le favorevoli disposizioni del Papa. Lo stesso Santo Padre disse a Don Dalmazzo: - Avete nemici e bisogna che camminiate coi calzari di piombo, perché in Roma si dà corpo anche alle ombre. - (2) A dire l'ultima parola sarà proprio il tempo, il quale anche questa volta si mostrerà galantuomo e dopo un corso assai più breve che non si sarebbe mai potuto immaginare.
(I) L'anormalità proveniva dal diniego dei privilegi. Don Dalmazzo scriverà a Don Bosco il 31 gennaio 1883: “Il Card. Nina domanda se Don Bosco ha risposto al Papa per la casa di Mantova. Se no, prega sollecitare, mettendo per condizione, umilmente, l'accordo dei privilegi. Dice che su questo punto bisogna andare fino ad importunitatem.” (2) Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma 18 dicembre 1882.
CAPO XV. Notizie e lettere varie dei 1881.
I grandi viaggi, i grandi affari, le grandi lotte cedono ora il campo a umili episodi, a personali relazioni, a private corrispondenze, cose tutte che per sé non rivestirebbero un carattere di spiccata importanza storica, ma che nondimeno attingono rilievo dall'Uomo di cui si narrano. Prenderemo però le mosse da una particolarità che si stacca notevolmente dal resto. AMPLIAMENTI NELLE CASE
Un fatto che denotava la vitalità dell'opera dì Don Bosco era l'ampliarsi delle sue case. Si faceva tanta ressa alle porte degli ospizi e dei collegi che gli edifizi primitivi diventavano angusti e bisognava aumentarne la capacità; d'altra parte tali ingrandimenti producevano un ottimo effetto sull'animo dei benefattori, i quali in modo evidente si rendevano conto dell'impiego che s'andava facendo dei mezzi dalla loro carità somministrati. Per dire soltanto degli accrescimenti più considerevoli, nel 1881 l'oratorio di San Leone a Marsiglia fu più che raddoppiato; il Patronage St-Pierre di Nizza Mare venne prolungato per buon tratto e provvisto di bella chiesa; all'oratorio festivo di Lucca si aggiunse un ospizio; a Vallecrosia, sospesi i lavori della chiesa, sorse un edifizio
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diviso in due corpi, uno per l'abitazione dei maestri e per le scuole dei fanciulli, l'altro per le maestre e le loro allieve; a La Spezia si condusse a termine la chiesa e si apprestò un locale più vasto per le scuole; ampliati furono anche i collegi di Este, di Cremona e di Randazzo. In questo generale moto di espansione non rimase stazionario l'Oratorio di Valdocco; poiché anche nel 1881 Don Bosco ne accrebbe l'area e il fabbricato. Comperò infatti per lire diciannove mila un terreno coltivabile e fabbricabile, che portò il confine dell'orto oltre la linea dell'attuale via Sassari. Ma fabbricare non vi si poté mai, vietandolo il Municipio, che divisava di aprire colà un mercato, finché nel 1932 vi fu l'esproprio per pubblica utilità. Invece l'acquisto del terreno annesso alla casa Nelva (I) rese possibile erigere a ponente di Maria Ausiliatrice un edifizio simmetrico a quello della portineria e destinato ad accogliere la scuola tipografica e tutti i suoi annessi e connessi (2). Ne fu collocata la pietra angolare il 22 novembre 1881 e con solenne cerimonia. Quanta importanza si annettesse da Don Bosco a quella costruzione, lo dice la scritta che vi fece accludere per onorare un benefattore e per esprimere esultanza (3). Il cominciato edifizio avrebbe compito l'ornamento esterno della chiesa di Maria Ausiliatrice e, dando modo di sgombrare i vecchi locali della tipografia, avrebbe permesso di provvedere alle cresciute esigenze di altri laboratori; ma più che tutto veniva a creare per l'arte del libro un insieme di ambienti, che le avrebbero offerto ogni comodità di esplicarsi in forma adeguata agli intendimenti di Don Bosco. Perché anche i lontani si facessero un concetto dell'attività libraria spiegatasi fino allora nell'Oratorio e voluta da lui maggiore e proporzionata alle necessità dei tempi, fece
(1) Cfr. vol. XIV, pag. s18. (2) Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, tav. IX, D e A. (3) Diceva l'iscrizione: I Salesiani esultanti - nella deposizione delta pietra angolare - della nuova tipografia - questo ricordo depone - il sig. cav. Giovanni Frisetti - 22 nov. 1881.
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stampare nel 1881 un catalogo generale, che in novantasei pagine conteneva l'elenco delle edizioni uscite dalla sua tipografia. Di quel fascicolo furono diffuse in tutta l'Italia quarantamila copie (I). Don Bosco dunque comprendeva già a pieno il valore della pubblicità non solo come anima del commercio, ma per lui come nuovo mezzo alla propaganda del bene.
LA PRIMA CONFERENZA A CASALE.
In tutto il Casalese le simpatie per Don Bosco avevano profonde radici. Il suo primo collegio, aperto a Mirabello nel 1863, godette subito buona riputazione; trasportato a Borgo S. Martino nel 1870, si acquistò un credito ancor maggiore. Si aggiunsero poi le case di Penango e quella delle Suore a Lu. Per questo mezzo il nome di Don Bosco godeva grande popolarità in tutto il circondario. Ma ogni anno piú l'avevano fatto conoscere e amare i non pochi sacerdoti diocesani che erano stati sotto la sua paterna direzione nell'Oratorio. Le numerose vocazioni tanto di Salesiani che di suore sbocciate nella diocesi e i larghi sussidi inviati a Torino nelle varie spedizioni di Missionari ne testimoniavano l'attaccamento generale alla pia Società. Di tali sentimenti fu novella prova la prima conferenza salesiana tenuta nella città il 17 novembre 1881. La vollero quei Cooperatori, che ne trattarono da sé col Vescovo. Non solo monsignor Ferré approvò, ma ne scrisse di proprio pugno a Don Bosco e dispose che i parroci urbani ne parlassero ai fedeli dal pulpito. La voce, propagatasi nei Comuni anche lontani, attirò pure molti dal di fuori, sicché in quel giorno la chiesa di
(I) L'Osservatore Romano, nel numero del 15 giugno 1933, in un articolo del sacerdote Giuseppe De Luca, parlando dell'antica Biblioteca dei Classici Italiani, edita nell'Oratorio, pur non nascondendone i difetti, lodava “l'attività libraria iniziata da Don Bosco, che ai cattolici italiani giovò non poco in tempi calamitosissimi”; dopo la quale osservazione affermava: “Una storia di tale attività sarebbe senza dubbio un capitolo onorato, quando si volesse narrare la cultura dei cattolici italiani nell'Ottocento.”
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San Filippo, benché vasta, bastò appena a contenere la folla degli accorsi per udire la parola del Servo di Dio. Egli si attenne al suo schema prediletto. Rappresentò anzitutto come in un quadro lo svolgersi dell'operosità salesiana dai primordi dell'Oratorio fino alla recente apertura della casa di Faenza e al prossimo ingresso nel Brasile, illuminando la sua esposizione con far vedere i tratti mirabili della Provvidenza, che interveniva sempre opportunamente per mezzo dei Cooperatori. Passò quindi a ragionare dell'elemosina, considerata come un religioso dovere e come una vera necessità sociale (I). Il Vescovo che presiedeva, presa la parola e fatto vedere il dito di Dio nelle opere descritte, eccitò clero e popolo alla cooperazione, segnalando le benemerenze di Don Bosco e de' suoi figli in tre campi: nella buona educazione della gioventù, nell'evangelizzazione degl'infedeli e nell'erezione della chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù in Roma. Quanta affezione nutrì sempre questo Vescovo per Don Bosco! Gli volle sempre un gran bene, quantunque non da lui secondato in cosa che gli era cara come la pupilla degli occhi (2). Dieci volumi sulla teoria degli Universali stanno ad attestare il suo lungo studio e grande amore per le dottrine rosminiane. Passava talora le notti intere a leggere o a scrivere del suo filosofo; con qualunque persona un po' colta gli avvenisse di parlare, dopo le prime battute entrava difilato nel vivo della questione rosminiana. Don Bosco e i suoi non erano disposti a seguirlo su quel terreno, ed egli lo sapeva benissimo; ma questo non influiva punto sulla cordialità de' suoi rapporti con loro. Ne diede una prova edificante nella circostanza, della quale discorriamo. Il giorno prima della conferenza, recatosi a Borgo San Martino per la festa del collegio, mentre si aspettava l'ora
(I) Il Bollettino Salesiano di dicembre diede di questa conferenza un largo resoconto. (Cfr. App., Doc. 69). (2) Cfr. VOI. XIII, pgg. 20-22,
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del pranzo, aveva attaccato disputa con Don Bertello, suo franco e fiero antagonista in rosminianismo. Questi aveva finito col dirgli: - Veda, Monsignore, se per impossibile io divenissi vescovo, esigerei che i miei chierici studiassero secondo le norme che partono da Roma. - Roma! Roma! rispose egli. Sapete che cosa é Roma? E’ come un alto scoglio in mezzo al mare. Il Papa sta in alto, nell'aere sereno; ma al basso i flutti si accavallano e urtano e flagellano. Sono i Gesuiti quei che combattono a oltranza Rosmini e i Rosminiani. - E s'infervorò talmente, che i convitati s'impazientirono del ritardo. Alla fine Don Bertello: - Venga, Monsignore, l'interruppe; non conviene che Rosmini ci faccia tardare più oltre il pranzo. La discussione si riaccese fra loro il dì seguente nell'episcopio, dove il Vescovo aveva invitato a pranzo con Don Bosco anche Don Bonetti, Don Bertello e parecchi del clero. A tavola, ab ovo usque ad mala, i due contendenti non la smisero un istante. In ultimo il Vescovo, osservato come Leone XIII da Papa non avesse imposto di abbandonare il sistema rosminiano, affermò ché non si era obbligati di abbracciare le sue private opinioni. - Oggi, diss'egli, l'attuale Pontefice come filosofo ha una tendenza; dopo di lui ne verrà un altro che avrà una tendenza contraria; quindi per non dover cangiare sistema filosofico ad ogni mutar di Papa, ciascuno tenga quello che crede migliore: per me il migliore é quello di Rosmini. E Don Bosco? Don Bosco ascoltava il dibattito in silenzio, senza che il Vescovo, trasportato dall'ardore della polemica, badasse agli altri commensali. Finalmente, per chiudere in bel modo la controversia, tanto più che Monsignore si appellava a lui intorno alla sua ultima osservazione, prese con tutta calma a dire cosi: - Io sono superiore di comunità; voglio lasciare un ricordo ai miei soggetti che serva loro di norma e nel caso presente e in ogni altro che possa succedere in avvenire. Vedo pertanto che in una questione filosofica
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o teologica molti filosofi e teologi tengono una sentenza che credono la migliore, mentre altri ne tengono per migliore un'altra a quella contraria. Ambedue le sentenze hanno patroni dotti, ma una di esse conta fra i suoi sostenitori anche il Papa. Da superiore prudente che cosa dovrei consigliare ai miei soggetti? quale regola pratica di condotta dare? Io non starei in forse, ma direi: Figliuoli, seguite la sentenza che arride al Papa, anche solo come filosofo, come teologo, come dottore privato. Così facendo, oltreché mostrerei rispetto al Papa, mi sembra che batterei una via più sicura: così o non si erra o si erra con onore. Monsignor Ferré non oppose replica, ma soltanto mormorò: - In questo mi credevo che Don Bosco fosse dalla mia - Eppure la sera assistette, come dicevamo, alla conferenza, dopo la quale parlò eloquentemente della Congregazione e fece di Don Bosco i più alti elogi. Don Bertello affermava di non aver mai sentito elogi più splendidi. Anzi da quel giorno, come é attestato da parecchi, incontrando Salesiani, non menzionò mai più con essi il Rosmini. Un giorno dopo le ordinazioni, fatto il solito discorsetto di esortazione, si mise in privato a parlare dei principii rosminiani, combattendo gli avversari. Tutti assentivano, meno due. Accortosene, lì interrogò: - E voi che cosa ne dite? Perché tacete? - Saputo che erano di Don Bosco: - Intendo! - rispose, e troncò il discorso, senza però cessare di mostrarsi amorevole anche con loro.
ALTRI PELLEGRINI FRANCESI.
Nel 1881 l'Oratorio vide un secondo stuolo di pellegrini francesi, che ritornavano da Roma dopo aver assistito alle canonizzazioni dell'8 dicembre. Con i tre Beati italiani Giovanni Battista de' Rossi, Lorenzo da Brindisi e Chiara da Montefalco aveva ricevuto la suprema glorificazione anche il loro connazionale Benedetto Giuseppe Labre. Il padre
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Picard che col padre Ippolito dirigeva il pellegrinaggio, non poteva omettere nel programma del ritorno una fermata a Torino per visitare il santuario di Maria Ausiliatrice, l'Oratorio e Don Bosco. L'ora del convegno a Valdocco era alle cinque pomeridiane del 15; ma, arrivati in città la mattina, ne cominciarono a giungere fin dalla prima ora del pomeriggio. Nella brama generale di poter parlare privatamente con Don Bosco, quasi tutti, a piccoli gruppi, gli uni a insaputa degli altri, si erano da diverse parti mossi a quella volta, sicché in breve il cortile ne fu pieno. Don Bosco, uscito dal refettorio, stette alcun poco ad ascoltare i primi venuti; ma poi, cresciuta la moltitudine, pregò che si dividessero in drappelli e dietro apposite guide visitassero la casa: egli si mise alla testa del più numeroso. Nell'andare lo tempestavano di domande sulle origini e sulle vicende dell'opera; ma come fare a contentare tutti? Promise di parlarne quando fossero radunati nella chiesa. Data dunque la benedizione, il Servo di Dio, accompagnato dal padre Ippolito e dai più ragguardevoli pellegrini (il padre Picard aveva tenuto altra via), salì su d'un palco, donde in lingua francese salutò commosso gli uditori, diede un'idea dell'Opera salesiana, disse dei Cooperatori e invitò tutti a iscriversi nella pia Unione (I). Che egli fosse ascoltato con interesse, si vide dal contegno dei presenti, ma più ancora dalla gara con cui dopo gli si strinsero attorno perché ne registrasse i nomi fra i Cooperatori. Dopo di lui parlò il padre Ippolito per ringraziare della cordiale accoglienza. Avendo poi accennato alle rose di virtù che olezzavano nel giardino dell'Oratorio, continuò: “Questa graziosa e spontanea accoglienza ci fa quasi dimenticare che fra tante rose noi siamo qui pungenti spine, perché, piombati in sì gran numero, abbiamo portato soltanto imbarazzi.
(I) Il Bollettino francese del febbraio 1882 pubblicò intero il suo discorso. (Cfr. App., Doc. 70).
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Ma ci conforta il pensiero che i Santi non sono come la gente del mondo. Spesse volte ciò che il mondo aborrisce é per loro oggetto di consolazione. A costo anche d'incomodi Don Bosco gode di vederci fra queste mura, dove noi possiamo apprendere in qual modo giovare alla nostra povera gioventù. Egli ama i derelitti, dovunque si trovino; ecco perché abbiamo case salesiane anche in Francia. E piacesse a Dio che ve ne fossero in maggior numero! Auguriamoci che simili istituti si moltiplichino a segno da averne presso di noi almeno uno in ogni dipartimento, in ogni grande città, non esclusa Parigi.” Quindi volle che Don Bosco benedicesse i pellegrini, i quali, uscendo dal lato del cortile, sfilarono salutati dalla banda. La loro partenza doveva essere nel pomeriggio della dimane; perciò la mattina appresso i sacerdoti vennero a celebrare nel santuario e moltissimi signori e signore vi fecero la santa comunione. Il capo e i membri più cospicui del pellegrinaggio onorarono in quel giorno la mensa di Don Bosco, il quale dopo fu preso d'assalto assai più che nella sera antecedente. Desiderando di portar seco un suo ricordo, chi gli presentava oggetti religiosi da benedire, chi libri e immagini, su cui apporre la propria firma; certuni, scritto che avesse, gli sostituivano la penna, per tenersi come preziosa memoria quella da lui usata.
UN INVITO.
Continuava Don Bosco a essere commensale desiderato presso le patrizie famiglie torinesi, sebbene non potesse più con l'antica frequenza accettarne gl'inviti. Le sue conversazioni edificanti a un tempo e amene rallegravano cuori afflitti ed erano talvolta una benedizione per la figliuolanza (I).
(I) Con qualche frequenza si recava a Borgo Cornalense dai De Maistre. Il Conte Eugenio, quando lo vedeva comparire, esclamava piacevolmente: - Oh la benedetta seccatura! - Egli fu del numero dei nobili torinesi che aiutarono in origine Don Bosco nel fare il catechismo.
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Ordinariamente quei signori non lo lasciavano partire a mani vuote, ma ne compensavano la carità spirituale con materiali larghezze per i suoi giovanetti e per le sue opere. Sul principio di gennaio il Conte di Castagnetto (I) desiderava festeggiare con lui e con alcuni intimi il nuovo anno; ma sapendo quant'ei raramente fosse libero da impegni, rimise alla sua scelta il giorno da designarsi. Il conte Cesare Trabucco di Castagnetto, morto l'anno stesso di Don Bosco, prima e dopo di essere fatto senatore aveva preso parte attiva nella politica del Risorgimento italiano, non però oltre il 1870. Cattolico convinto, il 2 dicembre di quell'anno a Firenze parlò in Senato contro l'accettazione del plebiscito delle province romane e il 21 gennaio successivo contro la legge delle guarentige; poi, come tanti altri nobili piemontesi, si tenne in disparte, dedicandosi alle opere di beneficenza e di azione cattolica. Don Bosco, che pure non volle mai rompere i ponti col Governo insediatosi a Roma, non perdette punto la stima e la fiducia degli uomini di questo pensare, tanto evidente appariva la sua onorata fermezza in dare sempre a Cesare solo quello che era di Cesare e a Dio tutto quello che era di Dio. Al grazioso invito rispose dunque piacevolmente così.
Eccellenza e Sig. Conte Carissimo,
La sua grande bontà mi dà la scelta del giorno per fare carnevale presso la E. V. ed io la ringrazio dell'invito e della comodità del giorno. Preferisco il giorno 13 del corrente perché giovedì dedicato non alla luna instabile, non a Marte guerriero, non a Mercurio protettor dei ladri, ma a Giove che, essendo capo di tutti gli déi, avrà certamente un poco di onestà. Dio benedica Lei, la sua famiglia e preghi per questo poveretto che sarà sempre in G. C. Dell'E. V. Torino, 4-81. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
(I) Cfr. vol. XIII, pgg. 381-4
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Il Conte gradì la scelta; per le modalità diede carta bianca al teologo Margotti, che era fra gl'invitati. Or ecco un altro caso che rivela come Don Bosco sapesse farsi voler bene da tutti. Il Margotti, già deputato al Parlamento subalpino e pubblicista di prim'ordine, passava per l'antesignano di quei cattolici italiani che allora si chiamavano intransigenti. Nemico giurato dei liberali e dei settari, ogni numero della sua Unità Cattolica era una battaglia. Nulla dunque di più contrario agli atteggiamenti di Don Bosco. Eppure questi due uomini sinceramente si amarono. E’ vero che negli ultimi tempi si ravvisava nel giornale un certo riserbo verso Don Bosco; ma questo era imposto da ragioni di prudenza, fatte valere fors'anche dal Servo di Dio, per non disgustare l'autorità ecclesiastica diocesana, a lui cotanto sfavorevole. I loro sentimenti però furono sempre immutati. Perché talune apparenze non ingenerino dubbi nell'avvenire, giova render nota la lettera, che il grande polemista scrisse in quell'occasione al mite uomo di Dio. Professandoglisi “devotissimo amico e servo”, si esprimeva così l'8 gennaio: “Impedito di venire personalmente, Le dico per iscritto ciò che avrei amato meglio di dirle a viva voce. S. E. il Conte di Castagnetto (I) é fuori di sé per la gioia di avere a pranzo Don Bosco. Il pranzo sarà diplomatico (2) per la casa, pel cuoco e pei commensali. Resta inteso che Don Bosco dee condurre con sé un aiutante di campo a sua scelta. Il Conte volea mandarla a prendere in carrozza; ma io mi sono incaricato di condurre Lei e il suo aiutante. Ecco ora la mia proposta. Giovedì, 13, s'inaugura il teatro di Valsalice. Ella vada all'inaugurazione, come ha promesso a' giovani. Io pure verrò, e siccome il teatro finisce alle 5½, allora partiremo
(I) Gli spettava il titolo di Eccellenza per le alte cariche sostenute a Corte sotto Carlo Alberto. (2) Un pranzo coi fiocchi, vuol dire certamente; ma c'erano anche dei diplomatici autentici fra i convitati, per esempio il conte di Donato, regio ambasciatore d'Italia presso lo Scià di Persia; la famiglia del qual Conte possiede l'autografo della lettera surriferita.
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insieme pel pranzo. Il suo aiutante di campo deve essere Don Francesia che il Conte conosce e viceversa. Alla sera troverà la carrozza che lo condurrà all'Oratorio. Se il mio progetto Le piace, mi scriva due parole: Visto, si approva. Se no, faccia una proposta qualunque, me la dica per mia regola, ed io fin d'ora l'approvo, perché mi glorio di esser con la massima venerazione ed affetto, ecc.”. La straordinaria contentezza del Conte poteva derivare dalla certezza che la presenza di Don Bosco avrebbe impedito o fatto rientrare divagazioni non conformi ai principii del padron di casa.
ANCORA DON GUANELLA.
Da circa tre anni Don Guanella era rientrato in diocesi, dove spendeva tutto il suo zelo nell'opera di bene, alla quale si sentiva chiamato (I). Non tutti però a Como vedevano di buon occhio quello che faceva; aveva anzi di fronte avversari così forti e ostinati, che le sue imprese correvano rischio di fallire. Le cose giunsero a tal punto che egli, perdutosi di coraggio, ripensò a Don Bosco e ruminava nella sua mente di abbandonare nuovamente la patria e far ritorno per sempre alla Congregazione. Tanto s'internò in quest'idea, che verso la metà di settembre scrisse a Don Bosco, pregandolo di volergli riaprire le porte. Don Bosco, che con i membri del Capitolo Superiore si trovava ad Alassio per una muta d'esercizi, diede ai Capitolari comunicazione della domanda e li richiese del loro parere. Don Guanella si era guadagnata presso di noi tanta stima e la sua dipartita era avvenuta in forma così irreprensibile, che nessuno dei presenti sollevò obbiezioni. Gli rispose Don Cagliero, che aveva l'incarico di condurre le pratiche relative alle ammissioni. Due condizioni a nome di Don Bosco gli furono poste innanzi: sbrigarsi totalmente degli affari materiali, che potessero in seguito richiamarlo a Como, e venire con l'animo pronto a
(I) Cfr. vol. XIII, pgg. 812-5
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una totale obbedienza (I). Da una frase della lettera si rileva che Don Bosco inclinava a riprendere il disegno d'inviarlo a San Domingo. Ma i legami che lo tenevano avvinto alla diocesi erano ormai troppo saldi, perché senza gravi inconvenienti se ne potesse sciorre.
IL CAVALIERE FAVA.
Le lettere dirette da Don Bosco ai torinesi coniugi Fava e da noi finora pubblicate (2) dimostrano quant'essi fossero caritatevoli verso il Servo di Dio. La corrispondenza che noi conosciamo, comincia dal 1873. Il cavaliere era segretario emerito del Municipio. Nell'estate del 1881, andato a rinfrancare la salute nella valle d'Andorno sopra Biella, ricevette da Don Bosco questa cordiale e lepida lettera.
Car.mo Sig. Cav. Fava
Godo molto che la V. S. e tutta la sua famiglia abbiano potuto regolare ad Andorno la loro dimora prima di questi intensi calori che sono giunti in pochi giorni all'eroismo. Abbiamo cominciato il corso regolare del sudore che serve di bagno permanente da un mezzo giorno all'altro mezzo giorno. Malgrado questo non venne ancora notizia che alcuno sia rimasto cotto. Mi rincresce che la sua sanità non sia ancora in uno stato perfetto. Io spero che il riposo, l'aria fresca, i riguardi, e le molte preghiere che noi facciamo, ogni dì, riusciranno ad ottenere che Ella possa ritornare a suo tempo fra noi in ottima salute. Ella mi dice che non ha ancora volontà di morire, ma neppure io voglio che parta da noi tanto presto. Abbiamo ancora tante opere di carità da compiere, le quali non devono rimanere incomplete; dunque bisogna ancor vivere. Ella accettò il mio invito di venire alla mia messa cinquantenaria che sarà celebrata la domenica della SS. Trinità del 1891. Vuole mancare ad un invito fatto e da Lei accettato? Di più ho un'impresa da affidare alla Sig. di Lei moglie, che potrà essere aiutata da Lei e dalla Signorina Maria Pia; dunque dobbiamo ripetere, bisogna vivere. Che buon tempo ha Don Bosco! Ella dirà. E' vero: ma scrivendo a Lei mi è di sollievo in mezzo alle mie 500 lettere cui vado in questo momento a cominciare la risposta.
(I) App., Doc. 71. (2) Cfr. vol. XI, p. 17; vol. XIII, P. 834; vol. XIV, pgg. 396 e 566.
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Dio la benedica, o caro Sig. Cavaliere, e con Lei benedica tutta la sua famiglia e a tutti conceda sanità e santità in abbondanza. Vogliano anche pregare per me che con rispetto e gratitudine le sono in N. S. G. C. Torino, 4-7-1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Questa fu l'ultima lettera scrittagli da Don Bosco. Il buon signore sul principio del 1882 passò a miglior vita e il Bollettino di maggio diede l'annunzio della sua morte dicendo aver egli in circostanze le più difficili prestato all'Oratorio tali servigi, che solamente Iddio poteva adeguatamente premiarlo. Si alludeva all'opera sua in favore di Don Bosco, quand'era impiegato al Municipio. La vedova continuò a beneficare l'Oratorio finché visse, cioè fino al 1911
LA SIGNORA MAGLIANO.
La signora Bernardina Magliano-Sollier, dimorante in Torino, era una ricca vedova, che fu molto larga di soccorsi a Don Bosco, a Don Rua e per l'oratorio festivo a Don Pavia. Don Bosco, che la sapeva alquanto impressionabile, le usava la carità di ascoltarla talora anche a lungo e di abbondare con lei nella corrispondenza epistolare. Nel 1881 le scrisse più volte. La prima lettera che noi abbiamo é una risposta indirizzata a Susa, poco avanti S. Luigi. Per quella festa la invita in termini faceti a far da priora.
Stimabilissima Sig. Magliano B.na,
Ricevo la sua carissima lettera con vera consolazione e le rispondo parte per parte. Al giorno 6 e 7 del prossimo luglio sarò a Torino e sarò sempre onorato quando mi favorirà qualche sua visita. Ben fatto che siano state disseppellite quelle carte, le quali cadendo in mano di taluno poteva fame tema di quistione. In questo mese il Bollettino fu alquanto in ritardo a motivo del Redattore che fu alquanti giorni malato. Ora é stampato e lo riceverà forse in giornata.
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La corona del S. Rosario l'attende, ma se ritarda molto la sua venuta può darsi che mi sia da altri involata. A tale scopo non posso facilmente farle buono che non venga a fare in questo anno la priora di S. Luigi. La festa di questo santo é fissata pel 26 di questo mese. Attesa la comodità del viaggio, non potrebbe venire a passare quella giornata con noi e condurre seco sua sorella ed anche sua nipote? Facendo S. Luigi, vi é pranzo preparato per tutti e studieremo di onorare questo Santo con una mensa assai frugale siccome so che Ella desidera. Tutte le preghiere di quella giornata, le comunioni dei giovani, la Messa del povero Don Bosco sarebbero tutte cose offerte a Dio secondo la santa di Lei intenzione. E poi io ho già pubblicato che in questo anno Ella sarebbe stata la nostra priora. Dovrò adesso disdirmi? San Luigi non si offenderà? Ci pensi e poi dica di no, se si sente. Dio la benedica, o benemerita Sig. Bernardina, Dio la conservi in buona salut,. ma sempre nella sua santa grazia. Voglia Ella pure pregare per questo poverello, che pregherà pure ogni mattino per Lei, mentre con gratitudine le sarò sempre in G. C. Torino, 18 giugno 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Al 5 di luglio le manda un regaluccio di confetti, donativo certamente fatto a lui stesso forse nell'occasione dell'onomastico, e glielo presenta con un biglietto così concepito: “Alla Sig. Bernardina Magliano nostra buona Mamma in G. C. il Sac. GIOVANNI Bosco manda questi confetti che prega rispettosamente voler gradire come piccolo segno di molta gratitudine.” Verso la fine dello stesso mese, la invita a Nizza Monferrato per farvi gli esercizi spirituali, scrivendole sopra la circolare stampata, che egli inviava quell'anno a pie signore e a maestre per annunziar loro il prossimo divoto ritiro (I): “Chi sa se la S. V. sentasi di venire a questi esercizi? Io ci vado, e farò mia parte. Vedremo il suo coraggio.” La Signora doveva in quei giorno andare a Busca, nel circondario di Cuneo, per la villeggiatura; ma prima desiderava di vedere Don Bosco, che a una sua lettera, in cui forse ella manifestava il timore di importunarlo, rispose:
(I) App., Doc. 72.
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Rispettabile Sig. B. Magliano,
Io sono in casa a qualunque ora oggi e domani e desidero di riverirla prima che Ella parta per la campagna di Busca. Qualora poi non potesse venire io l'attendo pel 2 oppure pel cinque agosto a Nizza. Per Lei é sempre tempo. Va bene? E’ sempre una vera spirituale consolazione quando mi scrive qualche sua lettera. Dio la benedica; e Maria A. la conservi sempre sua. Amen. Torino, 27-7-81. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Agli esercizi ella non andò; quindi per il 20 agosto, onomastico di lei, Don Bosco le fece pervenire i suoi auguri. Dirigendo allora gli esercizi spirituali degli aspiranti a San Benigno, avvalorò tali auguri con la promessa di abbondanti preghiere anche da parte degli esercitandi.
Sig.ra Bernardina Magliano nata Sollier,
Dimani suo onomastico vorrei riverirla personalmente, ma non posso perché occupato in una muta di esercizi in questa casa. Farò così: Dimani io celebrerò la santa messa, gli esercitandi faranno la santa comunione e preghiere secondo la pia di Lei intenzione. Ecco il nostro tributo di riconoscenza. S. Bernardo le porti il dono prezioso della dolcezza e del fervore e la S. Vergine Ausiliatrice la conservino in buona salute e per la via della santità. Amen. Preghi per me che le sarò sempre in G. C. S. Benigno, 19 agosto 1881. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
Da San Benigno nell'ultimo giorno degli esercizi (I) un giovane aspirante, Carlo Dallera, poi sacerdote salesiano in
(I) Questi esercizi, cominciati la sera del 17 agosto, si chiusero la mattina del 25. Predicarono Don Rua e Don Lazzero. Gli esercitandi erano 163, in massima parte aspiranti. Don Bosco vi arrivò a mezzogiorno del 18. La domenica 21, festa di S. Gioachino, egli fece spedire il seguente telegramma al Santo Padre: “Salesiani raccolti esercizi spirituali e loro allievi godono vostro onomastico. Pregano Dio concedervi lunghi anni di vita felice. Sac. Bosco.” Il 30 giugno su proposta di Don Bosco si era dal Capitolo stabilito che in quell'anno tutti i corsi d'esercizi si tenessero a S. Benigno e non più a Lanzo. I chierici andarono a passare le vacanze nel collegio di Borgo S. Martino,
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America essendo sul punto di dare il proprio nome alla Società, ringraziò per iscritto la Signora, che l'aveva beneficato all'Oratorio. Nella lettera di lui Don Bosco accluse queste sue righe:
Rispettabilissima Signora,
Il giovane Dàllera Carlo compie il suo dovere verso di V. S. ed io mi servo della stessa busta per presentarle i miei umili rispetti. Abbiamo oggi finita una muta di esercizi Spirituali di 160 giovani aspiranti a farsi salesiani. Dio li faccia tutti veri ecclesiastici. Voglia pregare anche per me che le sarò sempre S. Benigno, 24-8-81. Umile Servitore Sac. Gio. Bosco.
L'ultima lettera di quest'anno é dell'ottobre. La Magliano villeggiava ancora a Busca. A lei ricorse Don Bosco, pregandola di aiutarlo a provvedere il panno, con cui fornire sottane per la vestizione dei nuovi chierici ed anche per sacerdoti bisognosi di rinnovare le proprie all'approssimarsi dell'inverno.
Stimabilissima Sig. Magliano.
La S. V. ebbe la bontà di chiedere di mie notizie e la ringrazio. Io stesso ne voglio dare. Di sanità va assai bene pel corpo; per l'anima Dio lo sa. Ma vi è un Ma. Ho troppe cose da compiere e non ho danaro a sostenerle. Oltre le missioni e le costruzioni ho trecento tra preti e chierici da vestire. O se Lei, Benemerita Signora, fosse un po' inspirata a venirmi in aiuto per questa ultima impresa, quale straordinario suffragio pe' suoi defunti e per tutte le anime del purgatorio!? Sono persuaso che farà quanto potrà e a me non occorre altro che ringraziarla e pregare Dio che le dia il centuplo nella vita presente e la mercede eterna nella vita futura. Spero che il suo ritorno alla città non sarà lontano. Maria Ausiliatrice le dia buon termine della campagna, felice ritorno tra noi e voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre nei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Torino, 24 ottobre 1881. Obbl.mo Servitore Sac. Gio. Bosco.
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DON ALBERA A MARSIGLIA.
Sul principio del nuovo anno scolastico 1881-82 Don Albera aveva dovuto rimettere a Don Belmonte la direzione della casa di Sampierdarena, perché traslocato a Marsiglia con le funzioni d'Ispettore per le case di Francia. Era partito da pochi giorni, quando Don Bosco scrisse colà a Don Bologna:
Carissimo D. Bologna,
Non ho potuto accompagnare Don Albera con una lettera al vescovo di Marsiglia. Dimmi adunque che ne é delle suore, dei nostro ospizio, del sig. curato e del nuovo personale? Ho scritto a Mad. Jacques. Oggi scriverò a Madame Prat-Noilly. Dio ci benedica e di' a Don Albera che mi scriva una lunga lettera. Aff.mo amico Sac. Bosco.
A Sampierdarena il futuro secondo successore di Don Bosco godeva la stima non solo di tutto il clero, che a lui ricorreva per consiglio, ma anche della Curia e dell'Arcivescovo. Il Vicario Generale nella visita di commiato gli gettò le braccia al collo, esclamando con le lacrime agli occhi: Perdo un amico! Don Bosco era venuto preparando da un anno quel trasferimento. Egli sapeva tra l'altro di dover vincere le opposizioni della nobildonna genovese Fanny Ghiglini, maternamente affezionata al Direttore. Cominciò pertanto a scriverle come per domandare in confidenza il suo parere circa quella sua intenzione; avvertì poi Don Albera di disporre le cose in modo che, qualora i Superiori credessero di mandarlo a Marsiglia, potesse tosto senza inconvenienti lasciare Sampierdarena. Il preavviso fu per Don Albera un colpo tanto più grave quanto meno aspettato. Allora alquanto timido, s'immaginava di dover trovare un monte di difficoltà nel cambiar nazione e lingua. Don Bosco però riteneva per certo che egli
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avrebbe obbedito. La signora invece rispose con una serie di argomenti per dimostrare l'impossibilità di tale partenza. Ma, trascorsi alcuni giorni e ritornata su quella prima impressione, pigliò nuovamente la penna per dichiarare a Don Bosco, che con le sue osservazioni essa non intendeva affatto porre ostacolo alla volontà di Dio. Volere, sì, molto bene a Don Albera, perché se lo meritava; ma sopra ogni cosa portare affetto alla Congregazione. Prendesse quindi Don Bosco le disposizioni da lui giudicate migliori. In ottobre Don Albera fece la consegna al suo successore; poi, pensando che nessun ordine espresso gli era ancora giunto di partire e illudendosi che gli potesse ancora venir risparmiata un'obbedienza cosi difficile, venne a Torino per parlare con Don Bosco. - Come? gli disse Don Bosco, appena lo vide. Non sei ancora andato a Marsiglia? Parti subito! - Né aggiunse altro. Don Albera, fatto immediatamente ritorno a Sampierdarena, andò con Don Belmonte a passare una giornata presso la signora Ghiglini nella sua villa, posta sui colli che si stendono dietro l'ospizio dì San Vincenzo. La padrona, prevenuta della visita, aveva invitate colà le principali cooperatrici, uno stuolo di nobili dame. Al momento della separazione si levò un pianto generale; egli pure, scendendo di lassù col suo compagno, singhiozzava come un ragazzo. Ma il dì seguente era già in Francia. Non furono poche le critiche per quell'ordine di Don Bosco; la Signora però ogni volta ripeteva non doversi mai anteporre l'individuo alla Congregazione. Può darsi che Don Bosco alludesse a questi suoi buoni sentimenti, scrivendole poco dopo in un biglietto di presentazione: “Il SAC. GIOVANNI Bosco fa vivi ringraziamenti alla Signoria Vostra con auguri di celesti benedizioni e Le presenta la Sig. Angela Picardo valente cooperatrice salesiana.” Era cosa risaputa che egli presa che avesse una risoluzione di tal genere, non ne recedeva più per umani riguardi.
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DIPLOMA DI COOPERATORE A UN EBREO.
Nel mese di novembre accadde un grazioso qui pro quo. Per una mera svista era stato mandato da Don Pozzan il diploma di cooperatore salesiano a un signor Augusto Calabia, israelita, il quale si dié premura di rispondere a Don Bosco: “Le sono grato della fiducia ch'Ella mi dimostra col farmi l'onore di ascrivermi fra i Cooperatori Salesiani e tengo per memoria il relativo regolamento, nonché l'annesso supplemento; ma Le fo osservare che io appartengo alla religione Mosaica, e con ciò ho detto tutto. Mi professo col massimo ossequio, ecc.”. Don Bosco fu non meno sollecito a rispondergli.
Rispettabilissimo Signore,
E' cosa veramente singolare che un prete Cattolico proponga un'associazione di carità ad un Israelita! Però la carità del Signore non ha confini, e non eccettua alcuna persona di qualunque età, condizione e credenza. Fra i nostri giovani che in tutti sono 80.000 ne abbiamo avuti, e tuttora ne abbiamo, che sono Israeliti. D'altro lato Ella mi dice che appartiene alla religione Mosaica, e noi Cattolici seguitiamo rigorosamente la dottrina di Mosé e tutti i libri che quel gran Profeta ci ha lasciati, avvi in ciò disparità soltanto nella interpretazione di tali scritti. Di più il sig. Lattes della città di Nizza al Mare é Israelita, ma uno de' più ferventi nostri cooperatori. Ad ogni modo io continuerò a spedirle il nostro Bollettino, e credo che non troverà alcuna cosa che offenda la sua credenza, e qualora ciò succedesse oppure ne desiderasse la cessazione, non avrebbe che a darmene cenno. Dio la benedica, la conservi in buona salute e mi voglia credere con rispetto e stima Della S. V. Risp.ma Torino, 4 dicembre 1881. Umile servitore. Sac. Gio. Bosco.
NUOVA MINACCIA IN FRANCIA.
Verso la fine del 1881 pendeva sui così detti corpi morali la minaccia di una nuova legge assai vessatoria; Don Bosco vi allude in una lettera a Don Ronchail, lettera non datata,
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ma che deve appartenere al cadente 1881 (I). Per colpire sempre più le superstiti Congregazioni religiose, venne decretata dal radicale Ministero Gambetta una nuova imposta del tre per cento sui loro beni. La corta durata di quel Ministero non lasciò il tempo di applicare la legge; ma sotto il Ministero seguente fu poi dato al testo della medesima un'interpretazione mite nel senso che l'imposta s'intendeva gravare solamente su utili reali. Da questo lato dunque i bilanci di Don Bosco erano al sicuro, poiché si chiudevano ogni anno con reali deficit; furono quindi fatte in tempo le opportune dichiarazioni escludenti la presenza di utili (2).
Car.mo D. Ronchail,
1 Appena ho ricevuto la tua lettera che m'annunciava la malattia della sorella della damigella Girard, ho immediatamente dato ordine di farvi speciali preghiere mattino e sera all'altare di Maria SS. Ausiliatrice e noi continueremo di tutto cuore. Ma tale guarigione sarà della maggior gloria di Dio? Sarà utile all'anima dell'ammalata? Lo spero. Intanto pregate anche nella vostra casa, e se piace alla gran Madre di Dio vedremo il miracolo. Diversamente sia fatta la volontà del nostro Padre celeste. 2. La pratica per l'affare del Sig. Piron sarebbe conchiusa. Ma avvi un punto assai delicato. Sua Eccellenza Correnti, segretario di tutto l'Ordine Mauriziano, mi domanda nota delle beneficenze fatte o sperate del mentovato Signore Piron. Perciò pensaci, se sei in tale confidenza da poterne parlare tu stesso, oppure ch'io stesso ne scriva in confidenza. Pel chierico Reymond ritieni: Se fu cacciato dal Seminario per motivo d'immoralità, non può essere accettato in alcuna delle nostre case; se per altro, dimmelo. 3. A quest'ora avrai già Dellavalle e Serra. Se non bastano, manderemo altri, e ci andrò anch'io (3). 4. Sulle imposte da fissarsi ai corpi morali non possiamo dire niente; perché avendo nemmeno un soldo di preventivo non possiamo
(I) Il poscritto suppone pubblicato di recente il Dom Bosco del D'Epiney (1881). L'accenno all'invio del nuovo personale (num. 3) riporta il documento all'autunno avanzato, quando si facevano i trasferimenti (le scuole cominciavano dopo i Santi), e non prima né dopo il 1881. Don Dellavalle compare la prima volta come addetto alla casa di Nizza nel catalogo del 1882. L'allusione all'imposta sui corpi morali la fissa agl'inizi del Ministero Gambetta, che si presentò alla Camera il 15 novembre 1881. (2) Procés verbaux di Marsiglia, 9 e 23 marzo 1882. (3) Annunzia scherzevolmente la non lontana sua visita.
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presentare alcun bilancio. Qualora vogliano assolutamente una copia delle nostre Regole, se ne dia una copia in latino. 5. Come abbiamo ardentemente pregato quando fu malato il sig. ingegnere Levrot, così abbiamo tosto cominciato a fare per la signora di Lui moglie, appena abbiamo saputo che Ella era malata e speriamo che Dio ci abbia esauditi e che a quest'ora essa abbia già acquistata la primiera sanità. 6. Riguardo alla nota onorificenza, quando fui a Roma (passato aprile ultimo) ne feci proposta al Papa, che di buon grado annuì: le carte furono portate al Card. Segretario di Stato, che mi diede la cosa fatta, D'allora in qua non ho più potuto avere la conclusione. So però che il S. Padre, secondo l'uso, ne dimandò il voto all'Ordinario di Nizza. Vedremo. 7. Ho riscritto per la terza volta al medesimo Cardinale. 8. Gran cosa sono i comitati dei Signori e delle Signore pel nostro Patronato. Dirai loro che io prego |