Sac. EUGENIO CEBIA
ANNALI
DELLA SOCIETÀ SALESIANA
VOLUME QUARTO
IL RETTORATO DI DON PAOLO ALBERA
1910-1921
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921
V I S T O : N U L L A OSTA
Torino, S aprile 1$S1.
Can. D. L. CARMINO, Bevis.
I M P R I M A T U R :
O. L. COCCOLO, V. G.
Visto per la Società Salesiana:
Torino, 1& marno 1951.
Sac. F E L I C E MUSSA
Ristampa extra-commerciaie
a cura Editrice SDB
Via de^la Pisana, 1111
C.P. 9092-00100 Roma-Aurelio
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 I I ~ ~ ~ P A O I , O A I , B E R A
secondo Successore di S. . Rost:o ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 S O D A L I T A T I S S A L E S I A N A ^
EEGTORI MAXIMO
P E T R O R I C A L D O N E
S E S B X NEC SEGNIS
S E N I O R I ET I M P I G E E R I M O
D . D . B .
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 P R E M E S S A
Questo quarto volume degli Annali della Società Salesiana ab-
braccia gli undici anni del Rettorato di Don Albera. Un biografo del
secondo successore di Don Bosco potrebbe far sue le parole del
Manzoni sul Cardinal Federigo Borromeo (1): «La sua vita è come
un ruscello, che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né
intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a
gettarsi nel fiume ». Dalla fanciullezza alla vecchiaia la non breve
vita dì Don Albera passò gradatamente per diversi uffici, trovandolo
sempre uguale a se stesso in una compostezza serena e operosa, quasi
senza mutazioni di rilievo.
Questa sua calma, appresa da Don Bosco, fu messa a dura prova
negli anni della prima guerra mondiale, quando tutto d'un tratto
vide tanti confratelli dì varie nazioni, strappati alle loro pacifiche
opere di bene per essere lanciati sui campi di battaglia. Dio solo sa
quanto la sensibilità della .ma natura abbia dovuto soffrire in tali
frangenti; ma non si perdette d'animo, anzi si studiò con ogni mezzo
di sostenere il coraggio di quelli che partivano e di infondere energia
negli altri che dovevano moltiplicare le loro forze per far fronte alle
esigenze, della tragica ora, Nonostante le enormi difficoltà da supe-
rare la Congregazione non solo stette in piedi, ma fece anche passi
avanti, sicché, uscita dal periodo cruciale, potè presto riassettarsi,
ingrossare le fife e mettersi a nuove imprese.
Tre fatti speciali distinsero il Rettorato di Don Albera: un gruppo
di nuove diffìcili Missioni affidate dalla Santa Sede ai Salesiani, le
riallacciate relazioni ufficiali tra le due fam'glie di Don Bosco per
disposizione di Benedetto XV, l'organizzazione degli ex-allievi di-
venuta internazionale. Su tutto questo getta una luce simpatica l'ele-
vazione di un figlio di Don Bosco alta porpora romana.
(1) Promessi Sposi, C. XXII.
VII
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO I
Il secondo successore di Don Bosco.
Capitolo Generale XI. Terza Esposizione professionale
Non sembra quasi possibile parlare di antichi Salesiani senza
prendere le mosse da Don Bosco. Quesita volta è per ammirare la divi-
na Provvidenza, che a Don Bosco lungo l'arduo cammino fece incon-
trare gli uomini a lui indispensabili nei vari gradi e uffici dell'isti-
tuenda sua Congregazione. Uomini, dico, non fatti, ma da fare. Toccò
al fondatore cercarseli giovanetti, crescerli, educarli, istruirli, infor-
marli del suo spirito, sicché, dovunque li mandasse, lo rappresentas-
sero degnamente in mezzo ai Soci e di fronte agli estranei. Ecco il
caso anche del suo secondo successore. Il piccolo ed esile Paolino
Albera, quando dal paesello nativo venne all'Oratorio, non spiccava
tra la turba dei compagni per alcuna di quelle caratteristiche, le
quali richiamano l'attenzione sopra un nuovo arrivato; ma Dori
Bosco non tardò a scorgere in lui innocenza di costumi, capacità in-
tellettuale velata da naturale timidezza, e indole di fanciullo, che gli
dava bene a sperare. Portatolo su su fino all'altare, lo mandò Diret-
tore a Sampierdarena, poi Direttore a Marsiglia e Ispettore per la
Francia, dove Io chiamavano petit Don Bosco, finché nel 1886 la fidu-
cia dei confratelli lo elesse Catechista generale ossia Direttore spiri-
tuale della Società. Ma lì non si arrestarono le sue ascensioni.
Dopo la morte di Don Rua il governo della Società passò, se-
condo la Regola, nelle mani del Prefetto Generale Don Filippo Ri-
naldi, che perciò presiedeva il Capitolo Superiore e dirigeva i pre-
parativi per il Capitolo Generale da tenersi entro l'anno 1910. Il gran-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo l
de convegno fu stabilito che si aprisse il 15 agosto, preceduto da un
corso di esercizi spirituali, fatti dai Capitolari e predicati da Don
Albera.
Un diario intimo di Don Albera, in inglese, ci mette in grado di
conoscere quali fossero i suoi sentimenti nel periodo dell'attesa.
Sotto il 21 aprile troviamo: «Parlo a lungo con Don Rinaldi e con
gran piacere. Io desidero di tutto cuore, che sia eletto alla carica
di Rettor Maggiore della nostra Congregazione. Pregherò lo Spirito
Santo per ottenere questa grazia», E sotto il 26: «Raramente si
parla del successore di Don Rua. Io spero che si elegga il Prefetto.
Ha le virtù necessarie per la carica. Ogni giorno prego per questa
grazia». Di nuovo 1*11 maggio: «Accetto di andare a Milano per il
funerale di Don Rua. Sono contentissimo di obbedire a Don Rinaldi,
nel quale riconosco il mio vero Superiore. Prego tutti i giorni doman-
dando che sia eletto Rettor Maggiore». Sotto il 6 giugno rivela il
perchè di tanta propensione per Don Rinaldi scrivendo di lui: «Ho
un'alta idea della sua virtù, della sua capacità e iniziativa », An-
dando poco dopo a Roma in sua compagnia, scriveva 1*8 in Firenze:
«.Vedo che Don Rinaldi è bene accetto dappertutto e considerato
come il successore di Don Rua. Lascia buona impressione in quelli
con i quali parla ».
Se fosse dunque stato lecito fare propaganda, egli sarebbe stato
suo grande elettore. Né erano pochi i Salesiani che la pensavano allo
stesso modo. Non parliamo degli spagnoli, tra i quali aveva lasciato
grande eredità d^affetti. Ispettori e delegati, quando arrivavano dalla
Spagna per il Capitolo Generale, non facevano tanti misteri nem-
meno parlando con lui. Ma egli a tali discorsi mostrava tutta l'indif-
ferenza di un sordo, che non intenda sillaba di quanto gli si dice.
In questo il suo atteggiamento era tale, che impressionava i suoi
giocondi interlocutori. C'era veramente del mistero.
La sera dell'Assunta si tenne l'adunanza di apertura, nella quale
Don Rinaldi « parlò molto bene », nota nel diario Don Albera. Al-
l'elezione del Rettor Maggiore si procedette nella seduta del mattino
seguente. Dall'inizio dello scrutinio i nomi di Don Albera e di Don
Rinaldi si avvicendavano a brevi intervalli. Il primo appariva sempre
più turbato e sbigottito; l'altro invece non dava il .menomo segno di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secando successore di Don Bosco
commozione. La cosa era notata, e non senza una puntolina di cu-
riosità. Un grande applauso salutò il voto, che raggiungeva la mag-
gioranza assoluta, richiesta dalla Regola, Don Rinaldi, com'ebbe
compiuto l'ultimo atto nella sua qualità di presidente dell'assemblea
con la proclamazione dell'eletto, domandò di poter leggere un suo
promemoria. Ottenuto l'assenso, si fece restituire da Don Lemoyne,
Segretario del Capitolo Superiore, una busta chiusa, consegnatagli il
27 febbraio e recante la soprascritta: «Da aprirsi dopo le elezioni
che avverrebbero alla morte del caro Don Rua ». Avutala nelle mani,
la dissuggellò e lesse: «Il sig. Don Rua è gravemente ammalato ed
io mi credo in dovere di consegnare per iscritto, quanto conservasi
nel mio cuore, al suo successore. Il 22 novembre 1877 si celebrava
a Borgo S. Martino la solita festa di S. Carlo. Alla tavola presieduta
dal Ven. Giovanni Bosco e da Mons. Ferrè sedeva io pure al fianco
di Don Belmonte. Ad un certo punto cadde la conversazione su Don
Albera, raccontando Don Bosco le difficoltà, che gli mosse il clero
del suo paese. Fu allora che Mons. Ferrè volle sapere, se Don Albera
avesse superato quelle difficoltà: — Certamente, rispose Don Bosco.
Egli è il mio secondo... — E passando una mano sulla fronte, sospese
la frase. Ma io calcolai subito che non era il secondo éhtrato né il
secondo in dignità, non essendo del Capitolo Superiore, né il se-
condo Direttore ed arguii che fosse il secondo successore; ma con-
servai queste cose nel mio cuore, aspettando gli eventi. Torino, 27 feb-
braio 1910 ». Gli elettori compresero allora il perchè del suo conte-
gno e sì sentirono allargare il cuore: avevano dunque eletto colui
che dai Don Bosco era stato preconizzato trentatrè anni prima,
Venne subito incaricato Don Bertello di formulare due telegram-
mi di comunicazione al Santo Padre e al Card. Rampolla, Protettore
della Società. Al Papa si diceva: « Don Paolo Albera, nuovo Rettor
Maggiore Pia Società Salesiana e Capitolo Generale, che con mas-
sima concordia di animi oggi novantacinquesimo anniversario nasci-
ta Ven. Don Bosco lo elesse e col massimo giubilo lo
1
festeggia eletto,,
ringraziano Vostra Santità preziosi consigli e preghiere e protestano
profondo ossequio ed illimitata obbedienza». Sua Santità rispose
tosto inviando l'apostolica benedizione. Nel telegramma si allude a
un autografo pontifìcio del 9 agosto. Era del tenore seguente: « Ai.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo I
diletti figli della Congregazione Salesiana del Ven. Don Bosco rac-
colti per la elezione del Rettor Generale, nella certezza, che tutti,
•quacumque humana affectione postposita, daranno il loro voto a quel
Confratello, che giudicheranno in Domino il più adatto per mante-
nere il vero spirito della Regola, per incoraggiare e dirigere alla
perfezione tutti i Membri del religioso Istituto, e per far prosperare
le molteplici opere di carità e di religione, alle quali si sono consa-
crati, impartiamo con paterno affetto l'Apostolica Benedizione. Dal
Vaticano li 9 agosto 1910. Pius PP. X».
Anche il Cardinale Protettore aveva indirizzato il 12 agosto
« al Regolatore ed Elettori del Capitolo » una parola paterna di au-
gurio e di incoraggiamento, dicendo tra l'altro: «Il vostro amatis-
simo Don Bosco col più intenso affetto di padre già vi rivolge senza
dubbio dal Cielo lo sguardo ed implora ferventemente dal Divino
Paracleto che spanda su di voi i celesti lumi ispirandovi savi con-
sigli. La santa Chiesa attende dai vostri suffragi un degno successore
di Don Bosco e di Don Rua, il quale sappia sapientemente conservare
l'opera loro, anzi accrescerla con nuovi incrementi. Ed anch'io col
più vivo interessamento, unito a voi nella preghiera, formo caldis-
simi voti, affinchè col divino favore la vostra scelta sia sotto ogni
rapporto felice e tale da recarmi la dolce consolazione di vedere la
Congregazione Salesiana ognora più rigogliosa fiorire a vantaggio
delle anime e ad onore dell'Apostolato cattolico. Fate dunque che
in atto così sacro e solenne gli animi vostri si tengano lungi da umani
riguardi e personali sentimenti; onde guidati unicamente da rette in-
tenzioni e ardente brama della gloria di Dio e del maggior bene del-
l'Istituto, congiunti nel nome del Signore nella più perfetta concordia
e carità, possiate scegliere a vostro reggitore colui che per santità
di vita vi sia esempio, per bontà di cuore padre amoroso, per pru-
denza e saggezza guida sicura, per zelo e fermezza vigile custode
della disciplina, della religiosa osservanza e dello spirito del Vene-
rabile Fondatore». Sua Eminenza, ricevendo non molto dopo Don
Albera, gli diede segni non dubbi di ritenere che la scelta fosse stata
fatta conforme ai voti da lui espressi.
Quale fosse nei primi istanti il sentimento dell'eletto, lo dice il
diario, nel quale sotto il 16 agosto leggiamo: «Questo è un giorno
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo successore di Don Bosco
di grande sfortuna per me. Sono stato eletto Rettor Maggiore della
Pia Società di S. Francesco di SaJes. Quale responsabilità sulle mie
spalle! Ora più che mai debbo gridare: Deus, in adiutorium meum
intende. Ho pregato moltissimo, specialmente davanti alla tornba di
Don Bosco ». Nel suo portafoglio fu rinvenuto un foglietto ingiallito,
nel quale si era tracciato e firmato questo programma: « Avrò sempre
Dio in vista, Gesù Cristo qual modello, FAusiliatrice in aiuto, me
stesso in sacrificio ».
Erano scaduti nel medesimo tempo tutti i membri del Capitolo
Superiore e bisognava farne l'elezione, il che si eseguì nella terza
seduta. Primo fu eletto il Prefetto Generale, La votazione sul nome
di Don Rinaldi risultò plebiscitaria. Dei 73 votanti, 71 diedero a lui
il voto. Mancò dunque un voto solo, che andò a Don Paolo Virion,
Ispettore francese. L'altro, assai probabilmente il suo, fu per Don
Pietro Ricaldone, Ispettore nella Spagna, da lui molto stimato. Ri-
pigliò pertanto la sua quotidiana fatica, che doveva durare ancora
dodici anni, fino a quando diventò egli stesso Rettor Maggiore.
Fatto questo, il Capitolo passò all'elezione dei rimanenti, che
furono: Don Giulio Barberi», Catechista Generale; Don Giuseppe
Bertello, Economo; Don Luigi Piscetta, Don Francesco Cerruti, Don
Giuseppe Vespignani, Consiglieri. Quest'ultimo, Ispettore nell'Argen-
tina, ringraziata l'assemblea per l'atto di fiducia, si disse obbligato
da motivi particolari e anche dalla salute a declinare la nomina,
pregando si volesse addivenire a un'altra elezione. Ma il Superiore
non credette doversene accettare così su due piedi la rinuncia e lo
pregò di sospendere fino al domani ogni decisione. Al domani, in-
vitato dal Rettor Maggiore a notificare la risoluzione presa, rispose
che, seguendo il consiglio del Superiore, si rimetteva interamente
all'obbedienza con l'accettare la carica.
Primo atto del rieletto Prefetto Generale fu di portare ufficial-
mente a conoscenza dei Soci l'elezione del nuovo Rettor Maggiore.
In una breve lettera, accennate di volo le varie fasi della sua vita,
ricordava opportunamente il così detto « Sogno della Ruota », nel
quale Don Bosco aveva visto Don Albera con una lucerna in mano
illuminare e guidare gli altri (1). Quindi molto opportunamente
(1) Mera, Bìogr., v. VI, p. 910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo I
conchiudeva: «Miei cari confratelli, risuonino ancora una volta alle
vostre orecchie le amorose parole di Don Bosco nella lettera-testa-
mento: " Il vostro Rettore è morto, ma ve ne sarà eletto un altro,
che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo,
amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me " ».
Alle Figlie di Maria Ausiliatrice Don Albera stimò opportuno
fare senza troppo indugio una sua comunicazione, tanto più che
da esse riceveva lettere in buon numero. Le ringraziava pertanto
dei loro rallegramenti, ma soprattutto delle loro preghiere. « Spero,
scriveva, che Iddio esaudirà i vostri voti e che non permetterà che
la mia inettezza abbia ad essere di nocumento a quelle opere, a
cui il Ven. Don Bosco e l'indimenticabile Don Rua consacrarono
tutta la loro vita ». Si augurava infine che tra i due rami della fa-
miglia di Don Bosco regnasse ognora una santa gara nel conser-
vare lo spirito di carità e di zelo lasciato in eredità dal fondatore.
Diamo ora un fuggevole sguardo ai lavori del Capitolo Gene-
rale. Tema fondamentale si può dire che ve ne fu uno solo. Il Ca-
pitolo antecedente, compiuta una revisione piuttosto sommaria dei
Regolamenti, aveva deliberato che, così com'erano, si praticassero
per sei anni ad experimentum e che il Capitolo XI lì ripigliasse in
esame fissandone il testo definitivo. Questi Regolamenti erano sei:
per gl'Ispettori, per tutte le case salesiane, per le case di noviziato,
per le parrocchie, per gli oratori festivi e per la Pia Unione dei
Cooperatori. Il medesimo Capitolo X con una petizione firmata da
36 membri aveva chiesto che nelPXI si trattasse la questione ammi-
nistrativa e soprattutto il modo di rendere sempre più proficui i
cespiti d'entrata, che la Provvidenza concedeva a ogni casa sale-
siana. Ad agevolare l'arduo lavoro fu nominata per ogni Regola-
mento una Commissione, dirò così, di tecnici, estracapitolare con
l'incarico di fare gli studi relativi e di presentare al Capitolo me-
desimo le conclusioni.
Le discussioni, incominciate alla quinta seduta, si protrassero
per altre 21. A voler esaurire la materia sarebbe stato necessario
prolungare ben più i lavori; ma il Capitolo Generale con votazione
unanime deferì il compito di ultimare la revisione al Capitolo Su-
periore, il quale promise di eseguirla, nominando un'apposita Com-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo successore di Don Bosco
missione. Tuttavia il Capitolo Generale, per mostrare che non se
ne disinteressava e per aiutare l'opera, manifestò il desiderio di
creare una Commissione incaricata di formulare i principali cri-
teri, che avrebbero dovuto guidare la nuova Commissione dei Re-
golamenti nella sua lunga e delicata fatica. Così fu fatto. Vennero
pertanto portate a conoscenza dell'assemblea e approvate dieci nor-
me direttive, elaborate da suoi delegati sotto la presidenza di Don
Ricaldone. Lo sfondo di esse era di mantenere saldo Io spirito di
Don Bosco, integri conservando quegli articoli che si riconoscevano
suoi, e di eliminare dai Regolamenti quanto contenevano di pura-
mente esortativo,
Dell'XI Capitolo Generale altro più non ricorderò fuorché due
episodi, i quali sembrano avere particolare importanza. II primo si
riferisce al Regolamento degli Oratori festivi. La Commissione
estracapitolare aveva creduto bene di sfrondarlo, massime nella
parte concernente le svariate cariche. A Don Rinaldi parve che ne
risultasse distrutto il concetto di Don Roseo circa gli Oratori festivi;
onde insorse dicendo: «Il Regolamento stampato nel 1877 fu ve-
ramente compilato da Don Bosco, e me lo assicurava Don Rua
quattro mesi prima della morte. Faccio quindi voti, che sia con-
servato intatto, perchè, se sarà praticato, si vedrà che è sempre
buono anche oggi».
Qui si accese un'animata discussione, della quale colgo le bat-
tute più notevoli. Il relatore dichiarò che la Commissione ignorava
affatto questa particolarità; ma osservò pure non essersi mai quel
Regolamento praticato integralmente in nessun Oratorio festivo,
nemmeno a Torino. Opinare la Commissione che il Regolamento
fosse stato fatto compilare da Don Bosco su Regolamenti degli Ora-
tori festivi lombardi; a ogni modo aver essa inteso soltanto di sfron-
darlo e d'introdurvi quanto di pratico si riscontrasse nei migliori
Oratori salesiani. Ma Don Rinaldi non si acquietò, e insistette nel
desiderio di Don Rua che quel Regolamento venisse rispettato, come
opera di Don Bosco, pur con l'introduzione di quanto si giudicasse
utile per i giovani adulti.
Rincalzò questa tesi Don Vespignani. Egli, venuto all'Oratorio
già sacerdote nel 1876, aveva ricevuto da Don Rua l'incarico di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo 1
trascrivere dall'originale di Don Bosco quel Regolamento e ne con-
servava ancora le prime bozze. Anche Don Barberis assicurò di
aver veduto l'autografo. Gli oppositori l'avevano contro le cariche.
Ma Don Rinaldi non disarmò, anzi proferì queste energiche parole:
« Nulla si alteri del Regolamento di Don Bosco, che altrimenti per-
derebbe l'autorità », Don Vespignani confermò un'altra volta il pen-
siero di lui con esempi dell'America e specialmente dell'Uruguay,
dove, essendosi voluto al tempo di Mons. Lasagna provare diversa-
mente, non si era riusciti a nulla. Finalmente la controversia fu
chiusa col votare il seguente ordine del giorno: «Il Capitolo Ge-
nerale XI delibera che si conservi intatto il " Regolamento degli
Oratori festivi" di Don Bosco, quale fu stampato nel 1877, facendovi
solo in appendice quelle aggiunte che vi si ritenessero opportune,
specialmente per le sezioni dei giovani più adulti ». Va encomiata
la sensibilità dell'assemblea di fronte a un tentativo di riforma in cose
sancite da Don Bosco.
Il secondo episodio appartiene alla penultima seduta per una
questione non estranea ai Regolamenti, come a prima vista po-
trebbe sembrare. La sollevò di nuovo Don Rinaldi, resosi interprete
del desiderio di molti, che venisse definita la posizione dei Direttori
nelle case dopo il decreto sulle confessioni. Fino al 1901 l'essere
essi confessori ordinari dei soci e degli alunni faceva sì che nel
dirigere agissero abitualmente con uno spirito paterno (1). Dopo
d'allora invece si cominciava a osservare che veniva smettendosi
il carattere paterno voluto da Don Bosco ne' suoi Direttori e da
lui insinuato nei Regolamento delle case e altrove; i Direttori infatti
si davano ad accudire gli affari materiali, disciplinari e scolastici,
sicché diventavano Rettori e non più Direttori. « Dobbiamo tornare,
diceva Don Rinaldi, allo spirito e al concetto di Don Bosco, mani-
festatoci specialmente nei " Ricordi confidenziali " (2) e nel Rego-
lamento. Il Direttore sia sempre Direttore salesiano. Eccetto il mi-
nistero della confessione, nulla è mutato».
Don Bertello deplorò che i Direttori avessero creduto di dover
lasciare con la confessione anche la cura spirituale della casa, de-
ci) Questo argomento è ampiamente esposto in Annali delta S. $., v, IH, pp. 170-194.
(Hi Si possono legger» in o. c,'\, ì, pp. 49-53.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo successore di Don Bosco
dicandosi ad uffici materiali. « Speriamo, disse, che sia stata cosa
di un momento, Bisogna tornare all'ideale di Don Bosco, descrittoci
nel Regolamento. Si leggano quegli articoli, si meditino e si prati-
chino » (1). Conchiuse Don Albera dicendo: «È questione essen-
ziale per la vita della nostra Società, che si conservi lo spirito del
Direttore secondo l'ideale di Don Bosco; altrimenti cambiamo il
modo di educare e non saremo più salesiani. Dobbiamo fare di tutto
per conservare lo spirito di paternità, praticando i ricordi che Don
Bosco ci lasciò: essi ci diranno come bisogna fare. Specialmente
nei rendiconti noi potremo conoscere i nostri sudditi e dirigerli.
Quanto ai giovani, la paternità non importa earezze o concessioni
illimitate, ma l'interessarsi di loro^ il dar loro facoltà di venirci a
trovare. Non dimentichiamo poi l'importanza del discorsino della
sera. Siano fatte bene e con cuore le prediche. Facciamo vedere che
ci sta a cuore la salvezza delle anime e lasciamo ad altri le parti
odiose. Così sarà conservata al Direttore l'aureola, di cui lo voleva
circondato Don Bosco».
Anche questa volta i Capitolari trovarono aperta nell'Oratorio
un'Esposizione generale delle Scuole Professionali e Agricole Sale-
siane, la terza, che durò dal 3 luglio ai 16 ottobre. Avendo già de-
scritte le due precedenti, non occorre più fermarci a ripetere su per
giù le medesime cose (2). Naturalmente l'esperienza patssata servì a
una migliore organizzazione della mostra. Prevalse il criterio enun-
ciato già due volte dall'organizzatore Don Bertello, che cioè, se-
condo un ordinamento voluto da Don Bosco 5 ogni Esposizione di
tal genere è un fatto destinato a ripetersi periodicamente ad am-
maestramento e stimolo delle scuole. L'apertura e la chiusura rice-
vettero lustro dall'intervento delle autorità cittadine e di rappresen-
tanti del Governo. Visitatori non ne mancarono mai, e fra essi per-
sonalità d'alto grado ed anche di vera competenza. Nell'ultimo giorno
il prof. Piero Gribaudi fece al nuovo Rettor Maggiore la prima pre-
sentazione di ex-allievi torinesi in numero di circa 300. Il Deputato
Cornaggia nel suo discorso finale pronunciò questo giudizio ben
(1) Li citò secondo l'edizione d'allora';, nella presente sarebbero i 156, 157, 158. 159,
57, 160, 91, 195.
<2) Ann., v. Ili, pp, 452-472.
9
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo l
degno di restare (1): «Chi ha avuto occasione di approfondire lo
studio sull'ordinamento di queste scuole e dei concetti che le ispi-
rano, non può non ammirare la sapienza di quel Grande, che ha
compreso i bisogni operai nelle condizioni dei tempi nuovi, preve-
nendo filantropi e legislatori ».
Avevano partecipato alla mostra 55 case con un numero com-
plessivo di 203 scuole. L'esame dei lavori esposti fu affidato a nove
giurie distinte, delle quali fecero parte 50 tra i più insigni profes-
sori, artisti e industriali di Torino. Dovendo avere l'Esposizione ca-
rattere esclusivamente scolastico, secondo tale criterio vennero giu-
dicati i lavori e aggiudicati i premi. Questi ultimi furono cospicui,
offerti dal Papa (una medaglia d'oro), dal Ministero di Agricoltura
e Commercio (cinque medaglie d'argento), dal Municipio di Torino
(una medaglia d'oro e due d'argento), dal Consorzio agrario di To-
rino (due medaglie d'argento), dalla " Pro Torino " (una medaglia
vermeil, una d'argento e due di bronzo), dagli ex-allievi del Circolo
" Don Bosco " (una medaglia d'oro), dalla Ditta " Augusta " dì To-
rino (lire 500 in materiale tipografico da dividersi in tre premi),
dal Capitolo Superiore salesiano (corona d'alloro in argento dorato
per il gran premio) (2).
Mette conto riportare gli ultimi periodi della relazione, che Don
Bertello lesse prima che si proclamassero i premiati. Disse: «Circa
tre mesi fa, nell'atto d'inaugurare la nostra piccola Esposizione, noi
abbiamo deplorato che per la morte del Rev.mo sig. Don Rua fosse
mancato Colui, al quale intendevamo di fare l'omaggio dei nostri
studi e dei nostri lavori nel suo giubileo sacerdotale. La Divina
Provvidenza ci ha dato un nuovo Superiore e Padre nella persona
del Rev.mo sig. Don Albera. Orbene, chiudendo l'Esposizione, noi
deponiamo nelle sue mani i nostri propositi e le nostre speranze,
sicuri che l'artigiano, che fu già prima cura del Ven. Don Bosco e
delizia del signor Don Rua, avrà sempre un posto conveniente nel-
l'affetto e nelle sollecitudini del loro Successore ».
Quello fu l'ultimo trionfo di Don Bertello. Poco più di un mese
dopo, il 20 novembre, un malore improvviso spegneva d'un tratto
(1) Boll. Sai., novembre 1910, p. 332.
(Z\ he assegnazioni stanno elencate nel citato numero del Boll. Sat.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il secondo successore di Don Bosco
un'esistenza così operosa. L'ingegno robusto, la soda cultura, la fer-
mezza del carattere e la bontà dell'animo fecero di lui prima un
saggio Direttore di collegio, poi un solerte Ispettore e infine per do-
dici anni un esperto Direttore Generale delle scuole professionali e
agricole salesiane. Tutto egli doveva, dopo Dio, a Don Bosco, che
l'aveva allevato nell'Oratorio fin da piccolo e se l'era formato a sua
immagine e somiglianza.
Don Albera non aveva frapposto il menomo indugio a com-
piere il gran dovere di rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo,
a Colui che la Regola chiama « arbitro e supremo Superiore » della
Società. Subito il 1° settembre partì per Roma, dove, giunto il 2,
trovò già il biglietto di udienza per la mattina del 3. Sembrò quasi
che Pio X fosse impaziente di vederlo. Dalle labbra del Papa rac-
colse alcune amabili espressioni, che si ripose nel cuore. Ai ringra-
ziamenti per l'autografo e la benedizione rispose il Papa d'aver cre-
duto di agire così per far conoscere quanto gli tornasse gradita l'at-
tività mondiale dei Salesiani e soggiunse: — Siete nati ieri, è vero,
ma siete sparsi in tutto il mondo e dappertutto lavorate molto. —
Essendo informato delle vittorie già ottenute nei tribunali contro i
calunniatori di Varazze (1), ammonì: —• Vigilate, perchè altri colpi
vi preparano i vostri nemici. — Finalmente, richiesto umilmente di
qualche norma pratica per il governo della Società, rispose: — Non
vi scostate dagli usi e dalle tradizioni introdotti da Don Bosco e
da Don Rua.
Era già finito il 1910 e Don Albera non aveva ancora fatto una
comunicazione all'intera Società. Occupazioni nuove per lui e inces-
santi, massime le molte conferenze con i 32 Ispettori, gl'impedivano
sempre di raccogliersi al tavolino. Solo nella prima metà di gennaio,
come si rileva dal diario, scrisse le prime pagine di una circolare,
che doveva riuscirgli lunghetta. La spedì con la data del 25, Scusa-
tosi del ritardo a farsi vivo, commemorato Don Rua ed elogiato Don
Rinaldi per il suo buon governo interinale della Società, si diffon-
deva in particolari notizie sul Capitolo Generale, sulla propria ele-
zione, sulla visita al Papa, sulla morte di Don Bertello. In tutto
(1) Ann., v, III, pp. 729-749.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo i
aveva l'aria di un padre che s'intrattiene familiarmente con i figli.
Li mise pure a parte delle sue pene per i fatti del Portogallo. Spo-
destata a Lisbona la monarchia nell'ottobre 1910, i rivoluzionari
avevano preso accanitamente di mira i religiosi, assalendoli con una
furia selvaggia. I Salesiani non ebbero a lamentare vittime; tuttavia
i confratelli del Pinheiro presso Lisbona passarono una brutta gior-
nata. Un branco di energumeni invase e svaligiò quella casa, non solo
prendendosi ludibrio dei sacerdoti e dei chierici, ma anche profa-
nando sacrilegamente la cappella e più sacrilegamente disperdendo
al suolo e perfino calpestando le ostie consacrate. Quasi tutti i Sa-
lesiani dovettero lasciare il Portogallo, rifugiandosi nella Spagna o
nell'Italia. I rivoluzionari ne occuparono le scuole e i laboratori,
donde furono scacciati gli alunni. Anche alle colonie si estese la
persecuzione, sicché bisognò abbandonare Macao e Mozambico, dove
si faceva gran bene (1). Ma già allora Don Albera poteva scrivere:
« Coloro stessi che ci hanno dispersi, riconoscono che hanno pri-
vato il loro paese dell* uniche scuole professionali che possedesse ».
Egli, che tante volte aveva udito Don Bosco nei primordi della
Società predire il moltiplicarsi de' suoi figli in ogni nazione anche
remota, e vedeva allora avverate mirabilmente quelle predizioni,
sentiva certo tutto il peso dell'immensa eredità ricevuta e riteneva
che per qualche tempo non fosse da metter mano a opere nuove, ma
convenisse applicarsi a consolidare le esistenti. Stimava quindi do-
veroso inculcare la stessa cosa a tutti i Salesiani: a ottener ciò non
bastando da soli i Superiori, si raccomandava caldamente alla coo-
perazione comune. Siccome poi in quegli anni il modernismo ten-
deva insidie anche alle famiglie religiose, metteva sull'avviso i Sa-
lesiani, supplicandoli a fuggire ogni novità, che Don Bosco e Don
Rua non avrebbero potuto approvare.
Insieme con la circolare inviava pure a ogni casa un esemplare
delle circolari di Don Rua, che dal letto di morte aveva dato a lui
l'incarico di raccoglierle in un volume. Il lavoro tipografico era già
terminato da circa due mesi; infatti la pubblicazione recava in
fronte una lettera di Don Albera con la data dell'8 dicembre 1910.
(1) Cfr. Ann.,. V. HI, pp. 606 e 622-4.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il secondo successore di Don Bosco
Per il vicino anniversario della morte di Don Bosco inviava dunque
alle case un doppio regalo, la circolare e il libro. A questo secondo
egli teneva in modo speciale, perchè sapeva di offrire in esso un
gran tesoro di ascetica e di pedagogia salesiana. Le tracce di Don
Rua egli si era proposto di seguire, prefìggendosi specialmente d'i-
mitarne la carità e lo zelo nel procurare il bene spirituale di tutti
i Salesiani.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO II
Quinto Congresso nazionale degli Oratori festivi e delle scuole
di religione, e primo Congresso internazionale degli ex-allievi.
Due fatti, che sul principio del Rettorato di Don Albera ebbero
larga risonanza, furono il Quinto Congresso nazionale degli Oratori fe-
stivi e delle scuole di religione, terzo organizzato dai Salesiani (1), e
il Primo Congresso internazionale degli ex-allievi. Congressi di que-
sto genere, mentre chiudono un periodo di attività, ne aprono un
altro che, raccogliendo i frutti dell'esperienza, si svolgerà più fecondo
di bene. È quello che si verificò nei due casi, dei quali vogliamo
trattare.
Don Albera, in una lettera circolare del 31 maggio 1913, si di-
ceva sommamente lieto, che il primo Congresso da lui presieduto,
quale Rettor Maggiore, fosse stato un Congresso degli oratori festivi
e delle scuole di religione, parendogli felice auspicio del suo go-
verno il dover prendere in mano ìa Magna Charta della Congrega-
zione per farla applicare in tutta la sua ampiezza; dichiarava inoltre
d'aver compreso una volta più in quelle adunanze la portata del-
l'Opera prediletta da Don Bosco e il lungo cammino che restava an-
cora da compiere per raggiungere la mèta intraveduta dal Servo
di Dio ne' suoi sogni, vale a dire la salvezza della gioventù di tutto
il mondo per mezzo dell'Oratorio festivo.
(1) Degli altri due uno fu tenuto a Torino nel 19(12 e l'altro a Faenza nel 1906. Il primo
di tutti si ero tenuto a Brescia (1895) e il quarto a Milano (1909)j per iniziativa quello dei
Padri Filippini e questo del Card. Ferrari.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli OnMori festivi' e delle scuole di religione, ecc.
Questo Congresso venne inserito opportunamente nella serie di
omaggi da tributarsi all'Arcivescovo Card. Richelmy per il suo giu-
bileo episcopale. lì degno Porporato ne accettò la presidenza ono-
raria, mentre Don Albera ne assunse l'effettiva, coadiuvato da di-
stinti ecclesiastici di Torino e di altre parti. Anima di tutto e di tutti
fu, come sempre, Don Stefano Trione. I lavori si svolsero nell'Ora-
torio di Valdocco il 17 e 18 maggio 1911. Vi parteciparono parecchi
Vescovi e intervennero sacerdoti e laici numerosi, autorevoli e illu-
minati; mandarono le loro adesioni quasi tutti i Vescovi d'Italia,
compresi cinque Arcivescovi Cardinali. Il Papa per mezzo del Se-
gretario di Stato Card. Merry del Val inviò la sua benedizione con
l'augurio che il Congresso riuscisse « fecondo di salutari e pratiche
iniziative ».
Si lavorò di buona lena in particolari adunanze di ben sette se-
zioni, dov'erano sviscerati i singoli temi in base a relazioni affidate
molto prima a persone competenti e si formulavano le conclusioni
da presentare alle adunanze plenarie per l'esame definitivo e l'ap-
provazione. L'importanza degli argomenti trattati balza fuori dalla
semplice elencazione dei titoli: 1, Organizzazione interna e forma-
zione del personale. 2. Spirito, pratiche di pietà e funzioni religiose.
3. Insegnamento del catechismo, gare e prediche. 4. Sport, musica e
drammatica. 5. Educazione sociale, risparmio e previdenza. 6. Ora-
tori femminili. 7. Scuole di religione, Le proposte approvate conte-
nevano direttive sapienti e in parte nuove, richieste dall'evoluzione
sociale. Vi si tenne conto pure di quanto erasi deliberato nei quattro
Congressi precedenti. Nel loro complesso si può dire che costitui-
scono ancora il Vade mecum per coloro, che intendono consacrare
i! proprio apostolato agli Oratori festivi e alle scuole di religione.
Per dare maggior impulso a quest'opera santa e urgente, Don
Albera fece compilare uno studio particolareggiato intorno alle de-
liberazioni del Congresso, sobbarcandosi alla non tenue spesa di
stampa e di gratuita spedizione non solo alle case salesiane, ma
anche a tutti i Vescovi e i Parroci d'Italia. Ne risultò un elegante
fascicolo di gran formato, che oltre al succinto resoconto delle di-
scussioni racchiude più cose di rilievo, come studi, norme e schemi
generali per gli Oratori moderni con programma minimo, medio e
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo II
massimo secondo il concetto di Don Bosco e per le molteplici opere
annesse di cultura e di divertimento. Essendosi nella prima sezione
accennato alla convenienza che sì pubblicassero gli statuti di vari
Oratori d'Italia, affinchè servissero d'indirizzo nella fondazione di
nuovi, si offersero ivi notizie sull'organismo e sul regolamento degli
Oratori Filippini, sull'organismo e scopo degli Oratori milanesi d'i-
stituzione Borromea, sulle regole comuni delle Congregazioni Ma-
riane erette nelle case e chiese della Compagnia di Gesù e sulle re-
gole dettate da S. Francesco di Sales intorno al modo dì fare il cate-
chismo. ( Vengono da ultimo due parti notevoli, una sugli Oratori fem-
minili e l'altra sulle scuole di religione. La succosa monografia non
ha perduto ancora nulla della sua attualità. Pio X, presane cono-
scenza, scrisse di suo pugno parole di cordiale benedizione e au-
gurio (1).
Nella citata circolare Don Albera si compiaceva di veder avve-
rarsi il desiderio espresso nell'autografo pontifìcio. Numerosi Ora-
tori festivi si erigevano nelle parrocchie delle città e dei paesi non
solo d'Italia, ma anche di altre nazioni, insegnandovisi costante-
mente la dottrina cristiana; donde pigliava animò a esortare i Sa-
lesiani, affinchè perseverassero dal canto loro in quest'opera salu-
tare, anzi facessero ancora di più. Il risveglio iniziatosi allora non
fu fuoco di paglia, come egli stesso ebbe occasione di rilevare a più
riprese in seguito.
Il primo Congresso internazionale degli ex-allievi salesiani o
di Don Bosco, come si prese a chiamarli tutti indistintamente, si ha
da considerare vero avvenimento storico, non solo nell'ambito del-
l'attività salesiana, ma anche in più ampia sfera, perchè Congressi
di tal natura non se n'erano mai fatti e neppure immaginati prima
di quello; possiamo anzi aggiungere che finora l'esempio non ha
avuto imitatori.
Ideato dal Prefetto Generale Don Rinaldi, approvato da Don Rua,
non potè essere indetto se non nel 1911 dal secondo successore di
Don Bosco.
L'idea non nacque come un fungo, ma fu il risultato spontaneo
di un lungo lavorìo sporadico, che concentratosi a poco a poco, finì
<t) Boll. Sai., gennaio 1912, p. 1.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori festivi e delle scuole di religione, ecc.
con dar origine al disegno di un internazionale convegno. Il remoto
punto di partenza risale al 1870, quando si costituì una Commis-
sione di ex-allievi dell'Oratorio, che si assunse l'incarico di pro-
muovere ogni anno una dimostrazione filiale a Don Bosco. Quella
fu la prima Unione di ex-allievi. Una seconda aspettò a sorgere
fino al 1896, formatasi a Parma attorno a Don Baratta e sotto la
presidenza di Giuseppe Micheli, deputato al Parlamento. Imitarono
l'esempio gli ex-allievi di Faenza, di Buenos Aires, di Milano e di
tanti altri luoghi, dove i figli di Don Bosco lavoravano a prò della
gioventù. Un comune pensiero dava vita a tutte le Unioni, ma fecero
ognuna da sé fino al 1908, nel qual anno spuntò a Torino l'intra-
prendente Circolo " Giovanni Bosco ", che si componeva di ex-allievi
dimoranti in città e aveva sede fuori dell'Oratorio, svolgendo a
vantaggio dei soci azione cristiana e sociale. Questo Circolo, d'ac-
cordo con là detta Commissione dell'Oratorio, accolse e lanciò l'i-
dea di una Federazione di tutte le Unioni sparse nel mondo. La cosa
maturò a segno, che nel luglio 1909 il Circolo propose uno Statuto
di Federazione internazionale. Lo Statuto fu accettato, sicché in
breve raggruppò un centinaio di Associazioni. Poco ormai ci voleva
per addivenire alla proposta di un Congresso internazionale, E la
proposta fu messa in campo e incontrò subito generali e fervide ac-
coglienze, che stimolarono a preparare senza indugio quella manife-
stazione mondiale.
Il Congresso si sarebbe dovuto tenere nel 1910 durante gli spe-
rati festeggiamenti per il giubileo sacerdotale di Don Rua; ma, es-
sendo per divina disposizione venuto a mancare il festeggiando,
fu rimandato all'anno seguente e fissato dall'8 al 10 settembre. &
notevole la presentazione che circa due mesi avanti un giornale li-
berale ne faceva in questi termini a' suoi lettori (1): «Questo Con-
gresso rappresenta un fatto nuovo nella storia della pedagogia: esso
vuole costituire una solenne dimostrazione di gratitudine degli edu-
cati ai loro educatori. Si ebbero altra volta dimostrazioni parziali
verso qualche singolo Collegio: mai una manifestazione, come que-
sta, internazionale, che raccoglierà nella città ove Don Bosco iniziò
con umiltà di cuore, ma con immenso fervore di fede, con infinita
(1) La Stampa, 16 tuglìo 1911.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo li
ansietà di speranza, l'opera sua meravigliosamente civile, un'im-
mensa falange di coloro che, in tutto il mondo, nelle contrade civili
e nelle contrade barbare, da quest'opera trassero i benefìci inesti-
mabili d'una coscienza morale, d'una cultura pratica, d'una ope-
rosità fattiva ». Si deve aggiungere che il « fatto nuovo nella storia
della pedagogia» non era tutto nella «solenne dimostrazione di
gratitudine », ma includeva pure il solenne riconoscimento d'un pen-
siero di Don Bosco, non essere cioè finita l'opera educativa col unire
degli anni passati nella scuola e nel collegio. Del pensiero di Don
Bosco si era fatto bellamente interprete Don Rua, scrivendo il 20
gennaio 1900 ai Salesiani: «Con queste associazioni si continua a
fare da angeli custodi ai nostri alunni, come l'abbiamo fatto a loro
giovanetti ».
Il programma del Congresso non differiva sostanzialmente dal
programma delia Federazione. Si può riassumere così: stringere
tra gli ex-allievi vincoli di fratellanza allo scopo di agevolare la
reciproca conoscenza per meglio conservare i frutti della ricevuta
educazione e facilitare il mutuo soccorso; studiare il modo di dif-
fondere nella famiglia e nella società lo spirito di Don Bosco, spe-
cialmente per la religiosa e civile educazione della gioventù; come
promuovere e attuare iniziative private e pubbliche miranti al so-
stegno e, occorrendo, alla difesa delle molteplici opere di assistenza
e previdenza religiosa e sociale suscitate nel nome di Don Bosco.
Si trattava allora di dare a questo programma uno svolgimento inte-
grale e uniforme.
La preparazione era cominciata da molto tempo. Essa consi-
stette in quell'insieme di mezzi e di metodi che a Bologna nel 1895
avevano fatto la fortuna del primo Congresso dei Cooperatori, ag-
giunte le esperienze raccolte in Congressi successivi; di quello e di
questi si parla nei due precedenti volumi degli Annali. L'organizza-
zione non sarebbe potuta essere più completa in ogni minima parte.
Agevolarono l'intervento le facilitazioni ferroviarie, marittime e di
soggiorno concesse per le Esposizioni internazionali, che si tene-
vano a Torino, a Roma e a Firenze per il cinquantenario della pro-
clamazione del Regno d'Italia. Si era temuto ch« l'Esposizione to-
rinese distraesse i congressisti; invece la loro ammirabile assiduità
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori festivi e delle scuole di religione, ecc.
fornì una prova eloquente del loro amore a Don Bosco e a' suoi figli,
per i quali erano venuti. Don Rinaldi, che senza parere poteva dirsi
«l'anima ispiratrice e direttrice» di tutto (1), aveva esortato in ,
nome di Don Albera i Direttori a mandare da ogni casa qualche rap-
presentante, esprimendo la fiducia che il Congresso fossa anche un
solenne attestato postumo alla venerata memoria di Don Rua, il
quale si era ripromessa la consolazione di potersi trovare in mezzo
a tanti cari amici (2). La sua fiducia non andò delusa; alla notizia
del Congresso innumerevoli ex-allievi di tutte le parti si affretta-
rono a manifestare la loro gioia di poter aderire personalmente al-
l'invito diramato dalla Commissione Provvisoria o il dispiacere di
doverlo fare cordialmente solo in ispirilo.
Quale sede più adatta al Congresso che l'Oratorio di Valdocco,
già campo delle epiche lotte di Don Bosco e poi quartiere generale
delle sue opere, all'ombra del Santuario di Maria Ausiliatrice, la
celeste ispiratrice e protettrice amorosa delle istituzioni salesiane? Qui
convennero i congressisti in numero superiore al migliaio delle tes-
sere preparate. Nella moltitudine spiccavano le vesti talari; ma l'e-
lemento predominante si componeva di laici d'ogni condizione. Il
giornale liberale citato pocanzi rilevava (3): «Nessun Congresso
ebbe mai, per quanto noi sappiamo, le caratteristiche di questo; ca-
ratteristiche schiette e imponenti di vastità e di semplicità. Tutte
le categorie e tutte le classi sociali sono in esso ampiamente rap-
presentate: dai più alti Ordini ecclesiastici alle più umili attività
manuali, dall'intellettualità professionistica nazionale alle energie
operanti nei lontani paesi ultramontani e oltreoceanìci. Difatti sono
giunti già a Torino, per partecipare ai lavori di questo Congresso,
animato da un vero, da un profondo, da un beninteso spirito di de-
mocrazia, monsignor Pasquale Morganti, Arcivescovo di Ravenna,
già allievo di Don Bosco, i delegati di Marsiglia, di Lilla, di La
Piata nell'Argentina, di Alessandria d'Egitto, del Veneto, della Sicilia,
della Liguria, di Roma, di Gorizia, del Belgio ». In questa rassegna
affrettata manca il più delle nazioni. Molto bene il prof. Gribaudi,
(1) II Momento, 10 settembre 1911.
(2) Ciré, men, tic) Cap, Sup., 24 giugno 1911.
(3) La Slampa, 9 seUcml>re 1911.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capa 11
presidente del Circolo " Don Bosco " e del Comitato esecutivo, nel
saluto augurale disse: — Rientrando nella casa di Don Bosco, tutti
gli ex-allievi hanno dimenticato i loro titoli e i loro gradi per non
essere che gli amici di un tempo, i fratelli dispersi, che ritornano vo-
lentieri all'antico asilo. — Veramente nella loro grande maggioranza
i presenti non erano stati alunni dell'Oratorio; ma come ogni casa
salesiana è una casa di Don Bosco, così l'Oratorio è la casa comune
di tutti gli alunni di Don Bosco. Qui dunque, nella casa del Padre,
si raccoglievano tutti da tutte le parti a rivivere insieme la lontana
adolescenza studiosa od opei'osa.
Le adunanze si tennero nel teatro, elegantemente addobbato.
La vasta aula si popolava ogni volta di un pubblico fittissimo. In alto,
sulla fronte spaziosa che dominava il palco d'onore, tutti potevano
leggere il primo verso dell'inno a Don Bosco (1), musicato dal Maestro
Pagella su parole del suo confratello Don Ruffino: inno cantato e
ricantato con sempre rinnovato entusiasmo da mille voci, anzi da
mille anime durante i tre giorni del Congresso. Avrebbe dovuto
presiedere l'onorevole Micheli, ma, essendo scoppiato all'improv-
viso il colera nel suo collegio elettorale, stimò suo dovere di rappre-
sentante della nazione rimanersi tra i colpiti. La presidenza veniva
quindi assunta da altri, sempre però in nome di lui e in sua vece.
Lunghe, animate e ordinatissime si svolsero le discussioni in
quattro sedute generali. A quella inaugurale precedette una novità.
Entrarono primi e soli nell'aula i delegati di venti nazioni per la
presentazione di una pregiudiziale, se cioè secondo il loro modo di
vedere nulla ostasse alla discussione dei tre temi stabiliti dal Co-
mitato Esecutivo e ai voti formulati intorno ad essi dai rispettivi
relatori. Avutone il pieno assenso, le porte vennero aperte a tutti.
Riassumendo in breve, diremo che trionfarono dal principio
alla fine gli ideali di Don Bosco nell'azione educativa per la forma-
zione delle coscienze cristiane e per la soluzione pratica della questio-
ne sociale. Coincidenza singolare ! Nel giorno in cui il Congresso sale-
siano si apriva, se ne chiudeva a Torino un altro dell'Unione Ma-
gistrale con programma di sovversivo anticlericalismo scolastico.
(1) « Cantiam di Don Bosco, fratelli, le glorie ».
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori {estivi e delle scuole di religione, ecc.
Alla pedagogia anticristiana di quegli insegnanti gli ex-allievi di
Don Bosco venivano a contropporre senza volerlo un'eloquente di-
fesa non solo a parole, ma a fatti dell'insegnamento cattolico. Nes-
suno tuttavia pensò a far polemiche; piacque a tutti udir Don Al-
bera definire con felice espressione il Congresso l'abbraccio della
beneficenza e della gratitudine. A questo proposito il secondo dei
tre relatori, Don Annibale Giordani di Portogruaro, ex-allievo del-
l'Oratorio, fece notare: «La gratitudine è la prova più bella di
una educazione riuscita. Ora, mentre fuori di qui professori e pre-
sidi devono temere manifestazioni brutali di loro discepoli, qui
spunta il flore dell'affetto e della riconoscenza. Noi non siamo che
piccola rappresentanza d'una moltitudine immensa di cuori, che
in questo momento sono qui con lo spirito, se mancano di persona;
e sono qui per ripetere il nostro medesimo cantico di riconoscenza
e d'amore ».
Tre ordini di idee formarono oggetto di discussione e di co-
mune inlesa, come dicevamo sopra: unione, spirito di Don Bosco,
azione. Entusiasmo, alacrità, ardore animarono continuamente le
discussioni. Lo slancio dei giovani, lo zelo dei più attempati, la buò-
na volontà di tutti contribuirono a rendere le adunanze varie, vi-
vaci, serene e piene d'interesse.
Unione. Promuovere convegni locali, regionali, nazionali, inter-
nazionali e diimostrazioni e omaggi all'Opera di Don Bosco e spe-
cialmente agli antichi Superiori; diffondere la conoscenza della
Federazione, de' suoi atti e di quelli delle Società federate per
mezzo della stampa quotidiana e periodica; scambiarsi fra le Unioni
le proprie circolari, 1 fogli volanti o periodici che venissero pubbli-
cati; istituire presso ogni Associazione di ex-allievi uno speciale
comitato, al quale i Direttori dei collegi salesiani possano indiriz-
zare i giovani che escono dagli istituti, sia perchè vengano iscritti
alle singole Associazioni, sia per eventuale aiuto; introdurre una
tessera di riconoscimento per il caso dì passaggio da una località
o da una regione o da una nazione all'altra.
Spirito di Don Bosco. Secondo la posizione sociale di padri di
famiglia, educatori, pubblici amministratori, ecc., attendere seria-
mente alla formazione di una retta e illuminata coscienza religiosa
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo II
e civile della gioventù dipendente, basando l'opera educatrice sulla
pratica della religione, la ragione e l'amorevolezza e confortandola
con l'efficacia del quotidiano esempio nella vita privata e pubblica;
leggere e diffondere gli scritti educativi di Don Bosco, le pubblica-
zioni e i periodici che vanno illustrando il pensiero religioso, pe-
dagogico e sociale di Lui in armonia con le nuove esigenze sociali;
richiamare frequentemente nella stampa e nelle conferenze l'atten-
zione del pubblico e guadagnare il favore dei dotti alla grandezza
e praticità dello spirito educativo di Don Bosco, mediante opuscoli
popolari e scientifici, articoli illustrati nelle riviste più accreditate
e nei più diffusi giornali e partecipando assiduamente ai congressi,
convegni e adunanze d'indole sociale e pedagogica.
Azione. Iscriversi nell'Unione dei Cooperatori Salesiani, leg-
gere e diffondere il Ballettino Salesiano pubblicalo in nove lin-
gue e inviare alla Direzione generale di Torino i nomi e l'indirizzo
delle persone, alle quali si possano far conoscere le Opere di Don
Bosco, e rendersele benevoli; rispondere volentieri agli appelli della
direzione generale dei Cooperatori e a quelli degli Ispettori e di-
rettori, appelli che soglionsi pubblicare per speciali bisogni gene-
rali, regionali e locali; con la stampa, le conferenze e le conversa-
zioni procurar di conciliare all'Opera di Don Bosco la pubblica
e privata stima e benevolenza, facendone conoscere le varie ed alte
benemerenze religiose, sociali, patriottiche, scientifiche e filantro-
piche; favorire moralmente e materialmente i collegi, gli oratori
festivi e ìe istituzioni giovanili dei Salesiani e farsi promotori di
quelle opere moderne di assistenza professionale e sociale che mi-
rano a completare l'azione degli oratori festivi e delle scuole pro-
fessionali; indicare ai Salesiani i nuovi bisogni sociali, special-
mente per l'assistenza morale ed economica della gioventù in ge-
nerale e quelli che si manifestano in determinati momenti e paesi,
suggerendo pure i mezzi per attuare le opere corrispondenti a
tali necessità; informare prontamente i Superiori locali e la Dire-
zione generale di Torino degli attacchi, delle accuse o minacce di
qualsiasi genere contro le opere di Don Bosco, dando e raccoglien-
do consigli, indicazioni e documenti per sollecite ed efficaci difese
e riparazioni.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori festivi e delle scuole di religione, ecc.
Il Congresso aderì a due voti e acclamò due proposte. I Sale-
siani dell'Argentina avevano intenzione di umiliare alla Santa Sede
una supplica, che venisse istituito il processo dì beatificazione e
canonizzazione del giovane patagone Zeflrino Namuncura, figlio di
un famoso cacico e allievo di collegi salesiani, morto in concetto
di santità. Avutasi al Congresso notizia della cosa, il vicepresidente
Poesio propose un plauso ai Salesiani argentini, die, dopo aver
educato il bel fiore del deserto, desideravano vederlo collocato sul-
l'altare, e invitò i congressisti a far voti che l'Autorità Ecclesia-
stica accogliesse una proposta atta a dimostrare una volta di più
come la Chiesa sia sempre cìrcumdata varietate. Gli si rispose con
un caloroso applauso. Quando poi Don Trione chiese che si appro-
vasse una postulatoria per raccomandare alla Santa Sede l'intro-
duzione della causa dell'altro ex-allievo Domenico Savio, non isfug-
gi a nessuno l'incontro di due simili estremi geografici ed etnici
nel mondo degli ex-allievi di Don Bosco. Oggi il processo di Ze-
flrino Namuncura è bene avviato; giunto alla beatificazione è quello
di Domenico Savio.
II secondo voto venne enunciato da Mons. Morganti. Approssi-
mandosi il primo centenario, dacché era stata istituita la festa di
Maria Ausiliatrice, egli si augurava che tale ricorrenza fosse resa
più solenne dall'inserzione di detta festa nel Calendario della Chiesa
universale; perciò i Vescovi e Prelati ex-allievi, associandosi i Ve-
scovi salesiani e costituendosi in Commissione, raccogìiessero com-
mendatizie da presentare alla Santa Sede per ottenere quella gra-
zia. Il Congresso afferrò subito tutta l'importanza del nuovo omag-
gio da rendere alla Madonna di Don Bosco e aderì con un cuor solo
al pensiero dell'Arcivescovo di Ravenna. Passi ne furono fatti d'al-
lora in poi per conseguire l'intento. Le feste del 1915 vennero distur-
bate dalla guerra mondiaile e si ripigliarono appresso quelle pra-
tiche da Don Rinaldi, che molto probabilmente era stato anche in
questo l'ispiratore. Fino al presente tuttavia Roma non ha parlato;
si ha per altro fiducia in un non lontano avvenire.
Delle proposte una fu inviata dall'onorevole Micheli. Mentre
lo si aspettava ancor sempre alla presidenza del Congresso, mandò
nella seconda giornata, da Castelnuovo Monti in provincia di Reg-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo li
gio Emilia, la seguente comunicazione: « Da vari giorni ho assunto
la direzione dei soccorsi nell'epidemia diffusa già in tre frazioni;
pure desiderosissimo trovarmi con tanti antichi amici, non posso
muovermi. Comunichi ai congressisti il mio fraterno saluto e il voto
ardente che il Congresso deliberi di celebrare il prossimo cente-
nario della nascita di Don Bosco con l'erezione di un monumento
nella piazza di Maria Ausiliatrice, costituendo un Comitato inter-
nazionale di ex-allievi, associandovi i nomi dei più illustri Coo-
peratori Salesiani del mondo ». Il vicepresidente Poesie, sciolto un
inno alato al generoso ex-allievo del collegio di Alassio, accolse fra
le acclamazioni dell'assemblea la magnifica proposta. Ne dovremo
riparlare più avanti.
Da molto più lontano giungeva l'altra proposta, meno gran-
diosa, ma non priva di valore. Una lettera dell'Associazione degli
ex-alìievi di Rio de Janeiro, accompagnata da un'offerta, faceva ri-
levare l'opportunità che venisse collocata una lapide commemo-
rativa del Congresso presso la tomba di Don Bosco a Valsaìice.
Accolta favorevolmente l'idea, due membri del Comitato esecutivo
in fin di seduta si fecero trovare alla porta per raccogliere a tale
scopo le offerte. Il rappresentante della Bolivia, lo scultore Um-
berto Beltran, si offrì di eseguire il lavoro. Mancava solo l'iscrizione;
a dettarla il Gribaudi, seduta stante, invitò fra gli applausi Don
Francesia. Ma la faccenda di questa lapide andò per le lunghe.
Fu inaugurata solennemente dal Circolo " Giovanni Bosco " il
7 dicembre 1913.
L'uomo è composto di anima e di corpo. L'anima si effondeva
nel Congresso e si elevava nel santuario; si volle pur dare al corpo
qualche contentino. Il Comitato Esecutivo offerse nel secondo gior-
no una colazione intima a tutti i rappresentanti esteri e ai delegati
di Associazioni. Centoventi commensali trascorsero due ore di gio-
condità fraterna nel Ristorante Gambrinus, facendo corona a Don
Albera. Con il buon nutrimento fisico andava associato il pascolo
più gradito dei ricordi di Don Bosco, di Don Rua e della vita col-
legiale vissuta in tanti paesi diversi. Al momento dei brìndisi suc-
cedette una gara a chi portasse nella propria lingua la parola più
alta dell'affettuosa riconoscenza. Infine un paterno discorsetto di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori festivi e delle scuole dì religione, ecc.
Don Albera chiuse la serie; furono pochi e brevi periodi, che, sgor-
gati dal cuore, andarono ai cuori.
Il giorno seguente Don Albera volle a banchetto intorno a sé
tutti gli ex-allievi prima di accomiatarli. Un ampio cortile, coperto
e mutato in bella galleria, contenne le tavole ordinatamente im-
bandite per oltre 800 commensali. Durante la straordinaria agape
la musica strumentale sotto la direzione dell'insigne maestro Do-
gliani rallegrava con liete sonate le mense. Era stupefacente vedere
l'ordine, l'esattezza del servizio e la tranquilla soddisfazione che
regnava tra tante centinaia di persone diverse per età, condizione
e patria. Prestavano servizio i non pochi coadiutori dell'Oratorio.
Un giornale faceva su di essi un'osservazione che non deve dile-
guarsi con il folìum, quod vento rapìiur, perchè potrà col tempo
diventare un bel documento. Scriveva (1): «Sono quasi tutti mae-
stri d'arte, quelli stessi che a gran parte degli ex-allievi presenti
hanno insegnato il primi rudimenti dell'arte, hanno dato loro il
mezzo di guadagnarsi il pane per l'esistenza e che ora sono felici
di trovarsi nuovamente a contatto con gli allievi di ieri. E che ca-
merieri ideali sono! Passano dall'uno all'altro tavolo con l'agilità
dei camerieri provetti. Infaticabili soddisfano tutte le richieste, pre-
vengono ogni desiderio, faticano per giungere a tutto, per appa-
gare tutti. Come non ricordarli? Nel prestarsi per la funzione umile
hanno dato prova di tanta bontà e di tanta abnegazione, che ad uno
ad uno si dovrebbe nominarli. Schiera preziosa di librai, di fabbri,
di sarti, di falegnami, di scultori, di compositori, di fonditori, di
calzolai, che sono stati i sostegni saldi, i cooperatori indispensabili
della mirabile Opera Salesiana. Schiera grandiosa che ha svolto
la sua industria nell'ombra, e che delle due grandi iniziative di
Don Bosco, Oratori festivi e Scuole professionali, non potendo es-
sere la mente direttiva, è stata il braccio che tutto muove. Schiera
gloriosa, che pur non avendo le soddisfazioni intime che dà l'eser-
cizio del ministero, per amore di Don Bosco e per il desiderio di
raggiungere la perfezione cristiana, tutte ha sacrificate le gioie
della vita».
Il banchetto procedeva lentamente. Nessuno dimostrava impa-
<1) // Momento, 11 seUcml>re 1911,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo 11
zienza. La compagnia era così allegra, senza essere rumorosa, che
si sarebbe voluto prolungarla fino a sera. Ma dopo gl'immancabili
brindisi, pochi per verità, come volle chi si preoccupava del tempo,
si passò nel santuario a ricevere la benedizione da Don Albera, e
poi per le diciassette tutti a Valsalice. Il Congresso, che aveva
avuto manifestazioni clamorose, si andava a chiudere nell'intimità
lassù presso la cappella dov'era sepolto Don Bosco e presso la cel-
letta dove riposavano le spoglie di Don Rua.
All'ora fissata la massa dei congressisti riempiva lo spazioso
e luminoso cortile del collegio valsalicese. I loro canti echeggia-
vano per la valletta amena; si sprigionava potente dai petti l'inno
degli ex-allievi, rafforzato dalle note della musica strumentale.
Don Bosco, sebbene fosse già venerabile, non poteva ancora rice-
vere culto pubblico o liturgico; ma fremeva irrefrenabile la vo-
lontà collettiva di glorificarlo.
A un vibrato squillo di tromba si produsse con effetto magico
il più assoluto silenzio. Allora tutti gli occhi si appuntarono verso
un piccolo palco, sul quale stava ritto in atto di voler parlare il
cremonese avvocato Miglioli. Egli trovò l'espressione adeguata al
sentimento comune. li suo discorso fu giudicato eloquente e sodo.
Infatti, non retorica, non romanticherie, ma calde rievocazioni sto-
riche ed anche monita salatis. Basti dire che seppe perfino invi-
tare gli uditori a un esame di coscienza sulla loro attività di fronte
agli insegnamenti appresi alla scuola di Don Bosco, che riassunse
iti tre virtù: castità, obbedienza e povertà. La castità, che è ele-
mento di forza fisica e dà la sincerità e l'ardore degli affetti; l'ob-
bedienza, che fa dei figli di Don Bosco quasi l'avanguardia mili-
tarizzata della Fede; la povertà, che è base del sentimento demo-
cratico, cristianamente inteso ed applicato al bene del popolo.
Finito il discorso, s'intonò il Tantum ergo, mentre dalla cap-
pella soprastante la tomba di Don Bosco si avanzava Don Albera
a impartire una seconda volta la benedizione eucaristica. Così non
rito solenne, intimo e commovente si chiuse il primo Congresso
internazionale degli ex-allievi, del quale non si sarebbe più can-
cellato nei presenti il caro e salutare ricordo.
Nulla era mancato al Congresso: non la benedizione del Papa,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto Congresso naz. degli Oratori festivi' e delle scuole di religione, ecc.
non la cordiale visita del Cardinale Arcivescovo e neppure un rice-
vimento generale da parte del Municipio, cosa più straordinaria
allora che oggi. Non mancò nemmeno il contributo di una buona
stampa; non solo non si levò dai giornali nemmeno una nota sto-
nata, ma anche donde meno si sarebbe aspettato, si poterono avere
manifestazioni, se non proprio di simpatia, di rispetto.
Nella stampa di quei giorni troviamo messi in rilievo due signi-
ficati del Congresso. Il primo fu che l'omaggio delle diverse nazio-
nalità a Don Bosco e a' suoi continuatori indicava chiaramente come
l'Opera salesiana avesse nel suo mirabile fiorire gettato tali radici
nel cuore del popolo, che nessuna insidia, nessuna guerra palese od
occulta sarebbe potuta riuscire a svellerle. Il secondo significato
dedotto dalla stessa circostanza dell'internazionalità era che un si-
stema di educazione esperimentato ottimo in tutte le parti del mon-
do, nonostante le diversità di lingua, di usi, di razza, aveva pieno
diritto di essere segnalato al rispetto di tutti.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO III
Le cause di Don Bosco e di alcuni suoi figli: Domenico Savio,
Michele Rua, Andrea Beltrami, Augusto Czartoryski.
Dove passano i Santi, germoglia e fiorisce la santità; né sol-
tanto ìa santità delle anime che diciamo comunemente sante, ma
anche di quelle che la Chiesa proclama solennemente tali. Già nei
primordi dell'Oratorio dj Valdocco S. Giovanni Bosco aveva veri
santerelìi tra i suoi ragazzi, primeggiante su tutti l'angelico Dome-
nico Savio. Fin d'allora si veniva santificando al suo fianco Michele
Rua, suo primo successore. Sotto la sua guida ascese ai più alti
gradi della perfezione colei che è la Beata Maria Domenica Maz-
zarello, confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Attratti dalla
santità del fondatore, vennero alla sua Congregazione i Servi di
Dio Don Andrea Beltrami e Don Augusto Czartoryski, che, soprav-
vissutigli di pochi anni, morirono in concetto di santi. E non fu-
rono i soli. Della Mazzarello diremo altrove; qui toccheremo solo
degli altri nominati, riferendo delle loro cause che si svolsero du-
rante il Rettorato di Don Albera. I Servi di Dio, mentre sono i più
degni rappresentanti che una famiglia religiosa possa vantare, for-
mano pure la gloria maggiore che la sua storia registri.
Come nel processo di Don Bosco si giungesse all'introduzione
della causa e contemporaneamente allora alla venerabilità, fu nar-
rato nel capo XXXII del volume precedente. Ciò avveniva il 24 lu-
glio 1907. Il 4 aprile 1908 su richiesta del Postulatore Don Marenco
partirono da Roma per Torino le litterae remissariales all'Arcive-
scovo Card. Richeìmy, affinchè facesse iniziare il processo aposto-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause di Don Bosco e di alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele Rua, ecc.
lieo. Questo si divide in due parti, dette incoativa una e continua-
tiva l'altra. Espletate le formalità volute, il 21 maggio 1909 dal Vi-
cepostulatore Don Rinaldi fu presentata al Cardinale formale do-
manda che volesse dare esecuzione alle remissorìali. Sua Eminenza
tre giorni dopo costituì il tribunale, invitandolo a radunarsi il 28.
Le sessioni si succedettero regolarmente senza notevoli intervalli.
1 testimoni citati erano dodici. Il processo incoativo d'ordinario non
dura più di due anni; ma la necessità di udire altri nove testi obbligò
a chiedere una proroga, accordata dalla Congregazione dei Riti il
13 gennaio 1911. Nel frattempo il Procuratore della Società Don
Marenco, creato Vescovo di Massa Carrara, aveva ceduto con l'uffi-
cio di Procuratore anche quello di Postulatore a Don Dante Mu-
nerati.
S'andò avanti così ancora per alcuni mesi, dopo i quali il tri-
bunale intraprese il processo sulla fama d'i santità in genere, com-
piuto in tempo relativamente breve, perchè già il 9 gennaio 1913
potè essere rimesso a Roma, dove la Congregazione dei Riti il 17
seguente ne cominciò l'esame. L'anno appresso morì il Cardinale
Ponente Vives y Tuto, al quale Pio X diede per successore il Car-
dinale Ferrata, morto egli pure dopo meno di un anno. Benedet-
to XV deputò a tale ufficio il Card. Vico, che il 13 e 14 luglio 1915
condusse finalmente all'approvazione e alla ratifica del processo in-
coativo.
A nuova domanda del Postulatore la Sacra Congregazione il
2 agosto concesse le remissorìali per la parte continuativa del pro-
cesso apostolico sulle virtù in specie. L'espletamento delle relative
pratiche non permise di convocare a Torino la prima sessione se
non il 12 febbraio 1916. In poco più di un anno vennero escussi t
diciannove testimoni citati. Chiusa così anche questa parte del pro-
cesso, mentre si faceva la trascrizione degli atti, il tribunale eseguì,
a tenore delle leggi ecclesiastiche, la ricognizione canonica della
salma.
La cerimonia fu compiuta dal 13 ai 15 ottobre 1917. Rimosso
l'ultimo coperchio, « invece del comune fetore cadaverico, scrive il
Dott. Peynetti nella sua relazione ufficiale, si percepì un odore sui
generis, punto sgradevole, direi quasi di grato profumo ». Dopo l'o-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo III
pera di ricognizione, richiuse le casse e sigillate, il feretro venne
ricollocato nel suo loculo, in attesa di altra ricognizione molto più
solenne.
Il 29 novembre 1918 fu trasmesso a Roma l'incartamento della
suddetta trascrizione. Con questo finivano il loro compito essenziale
i giudici torinesi. All'attività del tribunale rese testimonianza Don
Albera, scrivendo il 22 febbraio 1918 ai Soci: « Crederei di mancare
a uno stretto dovere se non tributassi un ben meritato elogio e un
largo attestato di riconoscenza, a nome dell'intera nostra Congre-
gazione, ai Rev.mi Membri del Tribunale Ecclesiastico, che per tanti
anni s'imposero incredibili sacrifìci per condurre a buon fine un
sì lungo e sì faticoso processo. Nessun compenso potrebbe essere
pari al loro merito».
La revisione di quegli atti durò a Roma dal 6 dicembre 1918 al
1° luglio 1919. Principiò allora l'esame sulla validità dei due processi
ordinario e apostolico. A dar giudizio convennero l'8 giugno^ 1920
i Cardinali e i Consultori della Congregazione dei Riti che, udita la
relazione del Cardinale Ponente, si pronunciarono in senso favore-
vole. La mattina seguente il Papa ratificò il giudìzio.
Ma qui sorse un incaglio. Abbiamo già detto del processicolo
segreto, che risolse trionfalmente le difficoltà affacciatesi nell'esame
degli scritti intorno a una decennale controversia di Don Bosco con
l'Ordinario torinese (1). Un ecclesiastico dell'archìdìocesì rimise a
nuovo quelle difficoltà e le presentò in un grosso plico alla Sacra
Congregazione. Questa rinviò tutto al Card. Richelmy con le se-
guenti istruzioni: «Dal contenuto delle deposizioni è facile rile-
vare, quanto sia necessario che il Tribunale, il quale inquisisce sulle
virtù del Ven. Don Bosco, si faccia ad investigare altresì sulla por-
tata dei fatti asseriti. E perciò sarà bene che V. E. comunichi al Tri-
bunale ecclesiastico, già costituito, il suddetto plico, affinchè ne fac-
cia oggetto di studio speciale, il cui risultato dovrà trasmettersi a
questa Sacra Congregazione».
Il tribunale aperse l'indagine, attendendovi con scrupolosa di-
ligenza. Il risultato non poteva essere più favorevole alla causa,
Tuttavia a Roma sembrò che sussistessero ancora dubbi da chia-
(1) Ann., v. IH, pp. 720-721.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause dS Don Bosco e dì alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele Bua, ecc.
rire; onde la Sacra Congregazione il 16 ottobre 1921 ordinò nuove
investigazioni, che servissero a illuminare meglio i Cardinali nel
dare il loro voto definitivo. Finalmente il 4 luglio 1922 la conclu-
sione fu che si poteva procedere ad ulteriora. Si era così all'ultima
fase della causa, alla vigilia cioè delle tre grandi Congregazioni o
adunanze, dette antipreparatoria, preparatoria e generale. Ma noi
qui abbiamo raggiunto il limite impostoci dalla nostra storia, perchè
nell'ottobre 1921 era finito con la vita il Rettorato di D. Albera (1).
Passiamo ora dal padre ai figli, incominciando dal più fanciullo
e dal più adulto, dal quindicenne Domenico Savio e dal settua-
genario Don Rua. Al pensiero del Savio non poteva Don Bosco trat-
tenere le lacrime (2), tanto lo commoveva il ricordo di quell'anima
angelica. Egli non solo di frequente lo proponeva all'imitazione dei
gióvani, ma si disse più volte convinto, che avesse imitato lo stesso
S. Luigi e che perciò la Chiesa l'avrebbe un giorno elevato all'onore
degli altari (3).
L'avveramento di quel presagio si preannunciò nel 1908, quando
il 4 aprile si aperse a Torino il processo informativo o dell'Ordinario
sulla sua vita, virtù e fama di santità. Allora Don Rua, che vi depose
in sette sedute, credette bene d'inviare la biografìa del Savio, scritta
da DOTI Bosco, a vari Cardinali e a tutti i Vescovi d'Italia quale suo
omaggio personale. La lettura del delizioso libriccino destò univer-
sale ammirazione.
In meno di due anni il detto processo era condotto a termine.
La minor fatica dei giudici fu quella di esaminare gli scritti: una
lettera al padre, pagina di squisita finezza grafica e psicologica; la
versione scolastica di una favoletta dall'italiano in latino con le
sue irregolarità sintattiche segnate dal professore chierico Fran-
cesia e con le relative correzioni dell'alunno all'esterno del foglietto;
due liste di libri, quali ogni giovane, secondo il Regolamento, doveva
presentare al Direttore, facendo conoscere quali stampe avesse con sé
<1) Qui e altrove abbiamo allargato un po' ìa «nano nei particolari deìla causa di
Don Bosco per dare un'idea di tali procedure. Ce ia spicceremo in breve, parlando delie
altre cause.
(2) CAVIOIJA, Opere e scritti di Don Bosco, v. IV, p. xiv.
<3) Proc. ap., Snmm., pp. 200 e 107.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IH
al principio dell'anno; un frammento di appunti scolastici, nei quali
si ammlira una scrittura quasi di adulto (1).
Chiuso e mandato a Roma il processo diocesano, sarebbero do-
vuti trascorrere dieci anni prima che si decretasse l'introduzione
della causa e si iniziasse il processo apostolico; tuttavia si aveva
motivo di sperare una dispensa da sì lungo indugio. Appunto per
questa speranza l'XI Capitolo Generale, nella 15
a
seduta del 24 ago-
sto, fu invitato a preparare la sua postulatoria a tale scopo. La po-
stulatola fu redatta, firmata da tutti e spedita a Roma il giorno
stesso. Ma non si era aspettato tanto a chiedere altre postulatone
simili; Don Trione lavorava già da un anno a sollecitarne. Non si
fecero davvero sospirare. In breve tempo ne arrivarono 518, delle
quali 24 di Cardinali, 55 di Arcivescovi e 214 di Vescovi. Nella loro
postulatoria i membri del Capitolo Generale si dicevano indotti a
sollecitare l'introduzione della causa dal fatto che, essendo il Servo
di Dio morto da ormai 54 anni, erano già molto invecchiati i testi
superstiti, che personalmente l'avevano conosciuto e quindi c'era
da temere che, tardandosi il processo apostolico, non vi potessero
più deporre. Accennavano pure alla grande edificazione e conforto
che ne sarebbe derivato alla gioventù cristiana in genere e alla So-
cietà Salesiana in specie e agl'innumerevoli suoi allievi sparsi in
tante parti del mondo. Il 10 settembre 1911 si aggiunse la postula-
zione degli ex-allievi intervenuti al loro Congresso internazionale
di Torino. Un plebiscito insomma che per numero e qualità di per-
sone non si sarebbe potuto desiderare né maggiore né più cospicuo,
data la giovanissima età del Servo di Dio.
Una simile valanga di postulatoria produsse l'effetto desiderato.
L l l febbraio 1914 Pio X segnò l'introduzione della causa. Prima
d'allora ai Servi di Dio, dei quali veniva introdotta la causa, compe-
ti) Don Trione fece fare uno studio grafologico da periti sopra quest'ultimo autografo.
I grafologi ne ignoravano l'autore. Ecco uno dei vari giudizi ; « La piccola scheda rivela
una bella personalità, ma di una personalità ancora di vita ristretta e non formata
aE'iniziativa e alla responsabilità. Vi sono dei segni di alta moralità, scrupolo, assenza di
avidità e di sensualità; attitudine al lavori precisi e minuti e molta capacità di sforzo e
di disciplina. Anima dolce ed affettuosa, con una grande sensibilità. Una naturale timidezza
che si difende dietro una linea di condotta di fermezza e di volontà. La rapidità non c'era
come dote nativa, il rendimento è venuto dalla tenacia e dalla pazienza. Temperamento
pensoso e meditativo, capace di tacere, ricco di capacità fantastiche. Mancanza di abitudine
alla vita libera ed ai rapporti sociali, conseguente semplicità. Nell'insieme un tono di de-
pressione, ma un'evidente serenità ». Milano, ottobre 1930, Avv. Marcello Trattini,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause di Don Bosco e di alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele Hua, ecc.
leva senz'altro il titolo di Venerabili; ma per un decreto emanato
dalla Congregazione dei Riti il 26 agosto 1913 la venerabilità doveva
in avvenire cominciare dopo che fosse proclamata l'eroicità delle
virtù, il che ha luogo solo quando sia chiuso il processo apostolico.
Ciò non tolse che la data delFll febbraio arrecasse viva gioia ai
Salesiani e fosse festeggiata dappertutto con solennità a edifica-
zione dei loro alunni. A questo Don Albera il 24 marzo esortava i
Soci, raccomandando in pari tempo la lettura della Vita di Dome-
nico Savio scritta da Don Bosco. Il 24 del mese appresso, tornando
sull'argomento, diceva assere quella Vita uno dei libri, che avevano
contribuito di più nei tempi andati a mantenere il buono spirito
nei collegi salesiani e a sviluppare molte vocazioni;
Le commemorazioni si fecero con vero entusiasmo e durarono
parecchi mesi. L'Oratorio di Valdocco celebrò la sua il 16 aprile.
Alla presenza del Card. Richelmy, fra una corona di principi e
principesse sabaudi e di Prelati, con l'intervento delle autorità di
ogni ordine, oltre a rappresentanze di numerosi collegi e oratori
salesiani, dinanzi a una folla di torinesi, pronunciò un elevatissimo
discorso il dotto Vescovo di Bergamo, Giacomo Maria dei conti Ra-
dini-Tedeschi. Per tal modo l'umile allievo di Don Bosco ricevette
un omaggio di ammirazione, quale raramente si suol rendere anche
a insigni e benemeriti personaggi del gran mondo,
L'importanza del fatto stava in questo, che la Santa Sede si fosse
ufficialmente e formalmente occupata di un giovane tanto singolare,
esaminandone con diligenza il processo informativo e riconosciutolo
regolare nella procedura, traendone argomento per' venire all'in-
troduzione della eausa di Beatificazione. Ne ridondava naturalmente
un onore altissimo alla Società Salesiana e soprattutto all'Oratorio
di Torino, dove sotto la guida di Don Bosco il Savio aveva trascorso
nella pratica di ogni virtù gli anni migliori della sua puerizia. Come
non vedere in ciò un prezioso documento della santità del Padre
e Maestro e una prova eloquente dell'efficacia pedagogica del suo
sistema educativo?
Intanto si era provveduto al trasferimento de" suoi resti mortali
dall'umile Mondonio ai suo diletto Oratorio. I Salesiani avevano
ottenuto apposito decreto dalla Congregazione dei Riti, e la sorella
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo III
del Savio, di nome Teresa, residente a Torino, quello della Prefet-
tura di Alessandria, dalla quale dipendeva allora Asti. Ma gli abi-
tanti del paese non volevano sapere di decreti, ne avrebbero mai
permesso di portar via il loro santino. Perciò la; mattina del 19 ot-
tobre 1914 si schierarono in gran numero dinanzi al camposanto,
disposti a opporre ogni resistenza. Quel giorno i delegati della curia
di Asti compievano nell'interno le formalità prescritte dall'Istru-
zione di Roma. Le cose andavano in lungo e pioveva dirottamente;
ma per cinque ore continue quella buona gente stette là a montare
la guardia, mentre altri neilla cappella del cimitero alternavano
preghiere e canti e le campane sonavano senza posa. Si tentò ogni
mezzo di persuasione; ma era sprecare il fiato. Visto lo stato degli
animi, si sospese per allora il trasferimento, che fu poi eseguito con
infinite cautele e di nascosto la sera del 27.
Le venerate spoglie entrarono poche ore dopo, tra la commozione
generale, nell'Oratorio. Diligentemente curate, furono riposte in
un'urna nuova, collocata provvisoriamente in un loculo del santua-
rio di Maria Ausiliatrice, finché non fosse pronto un decoroso mo-
numento sepolcrale, che si stava apprestando.
Dopo l'introduzione della causa un altro punto fermo nei pro-
cessi sarebbe stato il decreto sull'eroicità delle virtù; ma a raggiun-
gere questa mèta restò da fare ancora un lungo cammino, tant'è che
bisognò arrivare fino al 9 luglio 1933.. Possiamo però asserire che
nel frattempo due Papi avevano già per conto loro, dirò così, cano-
nizzato il piccolo Servo di Dio: Pio X e Benedetto XV.
Il 20 luglio 1914 Mons. Salotti, ìndi Cardinale, si trovava alla
presenza di Pio X. La sera innanzi aveva commemorato la figura
del Savio nell'Ospizio del Sacro Cuore e nel corso dell'udienza, ca-
duto lì sopra il discorso, prese ardire e domandò al Papa che cosa
pensasse del pio allievo di Don Bosco. — Che cosa penso? disse il
Santo Padre, È il vero modello per la gioventù dei nostri tempi.
Un adolescente, che porta nella tomba l'innocenza battesimale e che
durante i brevi anni di sua vita non rivela mai alcun difetto, è ve-
ramente un Santo. Che cosa vogliamo pretendere di più? —• Il Sa-
lotti, che ni febbraio precedente aveva fatto le parti di avvocato
della causa, ricordò come alcuno obbiettasse allora che il Savio era
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause (ti Don Bosco e d'i alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele JRua, ecc.
troppo giovane per innalzarlo agli onori degli altari. E il Pontefice:
— Ragione di più per santificarlo. È tanto difficile per un giovanetto
osservare le virtù in una maniera perfetta! E Savio vi è riuscito.
La vita che Don Bosco ne scrisse e che ho letto, mi ha dato l'idea
d'un giovanetto esemplare, che merita d'essere additato quale mo-
dello di perfezione. — Alludendo poi alla commemorazione testé
accennata, aggiunse: — Tutto quello che potete averne detto di bene,
è poco. Adoperatevi a spingerne avanti la causa. Non abbiano i Sa-
lesiani i pregiudizi di qualche Congregazione religiosa, la quale
ha trascurato d'interessarsi della glorificazione de' suoi membri
prima di aver promossa la causa del fondatore. La figura e l'opera
di Don Bosco è troppo vasta e complessa e forse richiederà molto
studio. Per la vita breve e semplice del Savio non occorre, credo,
tutto questo; perciò non si perda tempo; la sua causa si sospinga
innanzi alacremente. — Difficoltà ne sorsero appresso non dalla vita
vissuta del Savio, ma dalla vita scrittane da Don Bosco.
Udite sì incoraggianti parole, il Salotti disse al Santo Padre che
stava scrivendo del giovane una vita, nella quale raccoglieva non
solo quanto si era appreso da Don Bosco, ma anche quanto i
suoi discepoli avevano narrato o scritto di lui o attestato nel pro-
cesso canonico di Torino. — Se la terminerete presto, disse il Pon-
tefice, me ne porterete una copia e la leggerò volentieri. — Ma ap-
pena un mese dopo Pio X chiudeva per sempre gli occhi nell'af-
fanno dell'imminente guerra di popoli e il Salotti portava l'anno
dopo al suo successore la sua Vita del Savio (1).
Il 16 agosto 1915 era parimenti dinanzi a Benedetto XV il mae-
stro di Domenico Savio, Don Giovanni Battista Francesia. A un
certo punto il Santo Padre, girando l'occhio d'attorno, pose la mano
sopra un libro riccamente legato e gli disse: — Sa di chi è questo
caro volume?... Di Mons. Salotti, e per onorare uno di quei santi che
fanno per il nostro secolo. È la vita di Savio Domenico, vostro dilet-
tissimo discepolo. Tornerà questa vita più accetta di qualche altra.
Lui soave con tutti, lui giovanetto amico della ricreazione e quasi
quasi chiassosa. Il secolo non si figura più i Santi tanto penitenti e
(1) Ho riportato letteralmente le parole di Pio X dall'ultimo capo della Vita del Sa-
lotti, il quale scrive che, appena tornato a casa dal colloquio, l'aveva fissato sulla carta
per non dimenticarne nulla.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IH
rigorosi. E Savio Domenico piacerà ai giovanetti, che vedranno in
lui un giovane proprio come loro. — Don Francesia era ammirato
e diceva tra sé e se: — Mi pare di sentire Don Bosco, quando ce
ne parlava più di cinquant'anni fa. — Soggiunse che veramente
l'Oratorio respirava ancora l'aria di Savio Domenico e che era mi-
rabile l'influenza che egli continuava a esercitare sopra quei gio-
vani, specialmente dopo che ne erano stati trasportati i resti mortali
nella chiesa di Maria Ausiliatriee (1).
Diciamo ora della causa di Don Rua. Che Don Rua fosse un
vero santo, tutti lo pensavano senza dirlo; era cosa che si vedeva
da chiunque avesse occhi. Nessuna meraviglia quindi, se subito dopo
la sua. morte si presagisse non poter mancarne la causa di beatifica-
zione. Pio X, che aveva già manifestato anche a Don Albera la pro-
pria altissima stima delle virtù di lui, sembra che fosse del mede-
simo
1
parere; infatti nella mentovata udienza a Mons. Salotti, udito
dei Servi di Dio, dei quali quegli sosteneva le cause, lo interrogò:
— E Don Rua dove lo lasciate? In lui parmi ritrovare tutto quel
complesso di virtù intime e solide, che sono proprie dei Santi, Che
cosa aspettano i Salesiani? Perchè non ne promuovono la causa di
beatificazione? Ecco un altro grande e umile Servo di Dio, del quale
la Chiesa si occuperà; ne sono sicuro (2). —. Questa notizia diffusa
con la Vita del Salotti diede origine alla voce che si fosse in pro-
cinto di cominciare gli atti processuali, onde piovvero tosto a Don
Albera adesioni e incoraggiamenti da membri dell'Episcopato e del
Sacro Collegio ed anche da parte di insigni laici.
D'allora in poi nulla di notevole troviamo a questo riguardo
fino al 1921, quando il 22 novembre Don Rinaldi nel Capitolo Supe-
riore « con ragioni convincenti », come è detto nel verbale della se-
duta, propose che in occasione del prossimo Capitolo Generale se
ne iniziasse il processo informativo. Tutti approvarono e si decìse
di far redigere senz'altro i così detti articoli, che servono nei pro-
cessi per la escussione dei testi. Ma Don Albera ebbe appena tempo
di far i primi passi necessari allo scopo, perchè rapito poco dopo
da morte. Il Capitolo Generale XII, indetto già da lui nel settembre
<1> Lett. di Don Francesia a Do» Albera, Roma, 16 agosto 1915 (Arch. XLVI, 1).
(2) SALOTTI, I. e.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 he cause d$ Don Bosco e di alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele Bua, ecc.
1921 per il 16 agosto 1922, elesse a nuovo Rettor Maggiore Don Ri-
naldi, che durante iì suo governo interinale non aveva lasciato dor-
mire la pratica; infatti il 2 maggio precedente era slato costituito
dal Card. Richelmy il tribunale ecclesiastico per il processo infor-
mativo e dal 18 luglio progrediva l'esame dei testi, il quale si pro-
trasse per cinque anni, fino al 31 agosto 1927.
Di Don Rua, appena avvenuto il decesso, aveva scritto Mons.
Salotti: «Se un giorno la Provvidenza disporrà che alla eausa di
Don Bosco tenga dietro quella di Don Rua, gl'innumerevoli testi-
moni che sfileranno davanti al tribunale ecclesiastico di Torino, nel
rammentare gli eroismi dell'uomo che abbiamo perduto, dovranno
confessare che l'uno fu degno dell'altro e che forse sarebbe com-
pito non lieve determinare a chi dei due spetti il primato nell'eser-
cizio di quelle eminenti virtù cristiane, nelle quali entrambi si di-
stinsero da eroi ». La Provvidenza dispose che non dopo, ma du-
rante la causa di Don Bosco avesse inizio quella di Don Rua, la
quale fu iniziata flnalmentte nel gennaio 1936. Vi seguì il processo
apostolico, durato fino all'8 maggio 1939.
Anche di Don Andrea Beltrami e di Don Augusto Czartoryski
s'interessò il Capitolo Generale XI nella sua 15* adunanza, facendosi
interprete di un sentimento largamente diffuso, col rivolgere per
bocca di Don Trione a Don Albera la preghiera, che volesse pro-
muovere la causa di entrambi. Dei due Servi di Dio si è già fatta
la presentazione ai lettori (1). L'eroico soffrire del primo e l'eroismo
del secondo nell'obbedire alla vocazione divina costituirono l'ele-
mento fondamentale, su cui si basava il giudizio di quanti li avevano
conosciuti, per ritenerli degni della massima glorificazione; che ogni
altra parte della loro breve esistenza si era svolta in armonia con
quei due caposaldi.
Il Beltrami, nato a Omegna il 14 giugno 1870 e morto a Valsa-
lìce il 30 dicembre 1897 in età di appena 27 anni, passò per vari
stadi di vita, segnalandosi per non ordinarie virtù. Alunno studente
edificò iì collegio salesiano di Lanzo Torinese, dove fece il ginnasio.
Fu esemplare come novizio nella casa di Foglizzo presso Ivrea; e di
nuovo come studente chierico nella casa di Valsalice; come inse-
(1) Ann., v. II, pp. 728-730.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Cupo IH
gnante in entrambi questi luoghi e come studente universitario per
circa tre anni. Ammirabile poi si mostrò la sua esemplarità nella
penosa e lunga malattia, che sopportò per sette anni non solo con
animo rassegnato ai divini voleri, ma col desiderio di sempre mag-
giori patimenti per poter iscontare meglio, diceva, i suoi peccati e
per ottenere grazie ai peccatori moribondi e suffragare le anime pur-
ganti. Prete celebrava la Messa con ardore serafico e nella sua qua-
lità di religioso osservava scrupolosamente tutte le Regole della
Congregazione; scrittore impiegò l'ingegno e la penna in recare g"o-
vaimento al popolo e alla gioventù. Quando morì, la voce unanime
lo proclamava santo, la qua! fama andò poi sempre crescendo.
Don Albera dunque, che già da Catechista Generale aveva auto-
rizzato Don Trione a preparare il materiale per il processo dell'Or-
dinario, dopo il Capitolo prese a occuparsi della causa, sicché il la-
voro preparatorio era già tutto compiuto nell'ottobre 1910. Il Ve-
scovo di Novara, nella cui giurisdizione trovasi Omegna, che ne cu-
stodisce la tomba, diede il suo benevolo assenso. Il tribunale eccle-
siastico da lui costituito si mise volenterosamente all'opera. Non
durò a lungo il suo lavoro, essendo stato condotto felicemente a ter-
mine nell'aprile 1914, nel qual mese gli atti furono inoltrati alla
Congregazione dei Riti.
Incominciò allora il lavorio per avere le postulatone e chie-
dere l'introduzione della causa. Dal marzo al maggio 1916 se ne
poterono riunire 268, delle quali sette portavano le firme di Car-
dinali. Finalmente il 28 luglio 1920 Benedetto XV appose al decreto
dei Riti il placet Jacobo, secondo lo stile della Curia (1), autoriz-
zando l'introduzione della causa e l'inizio del processo apostolico.
Questo atto, che fu considerato come un avvenimento, diede
occasione a commemorazioni, due delle quali vanno segnalate. Ha
naturalmente il primo posto quella del 2 giugno 1921 nell'Oratorio
con gran concorso di torinesi a udire la parola del Card. Mistran-
gelo, Arcivescovo di Firenze. La figura di Don Beltrami nella frase
scintillante dell'insigne Porporato brillò dinanzi agli uditori, an-
gelo dell'amore e angelo del dolore. Era la prima volta che Don
(1) In questi casi il Papa non mct!e ii suo nome di Pontefice, ma quello di battesimo
con la formula qui indicata.
38
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause di Don Bosco e di alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele Bua, ecc.
Andrea veniva esaltato in forma pubblica e solenne. L'altra com-
memorazione fu fatta il 14 dello stesso mese a Omegna. Dinanzi ai
concittadini del Servo di Dio il marchese Filippo Crispolti pronun-
ciò una delle sue orazioni più originali, presentandolo in un magni-
fico quadro come fiore sbocciato dal tronco robusto di Omegna e
maturato nei giardini salesiani. Con novità e acume pose in rilievo
i tratti del carattere di Don Bosco, che si riscontravano in lui. Fin
dal 1914 la Civiltà Cattolica, nel primo quaderno di settembre, re-
censendo la vita scrittane da Don Barberis, aveva espresso un suo
giudizio in questi termini: « I frutti sono la lode più bella e più
sicura dell'albero, e può quindi rallegrarsi la Pia Società Salesiana,
che, mentre tanta messe raccoglie nella Chiesa di Dio, sa dare al
mondo modelli di santità, come Don Andrea Beltrami », Quando il
processo apostolico incominciò il 27 gennaio 1922, Don Albera, che
tanto vi aveva cooperato, era da tre mesi passato all'eternità.
Il medesimo Don Albera visse appena tanto da vedere gli atti
iniziali del processo informativo per Don Czartoryski, da lui cal-
deggiato. Questo principe polacco era volato trentaquattrenne al
cielo nell'aprile 1893. Dieci anni prima aveva conosciuto Don Bosco
a Parigi, ponendo immediatamente in lui tutta la sua confidenza.
Vagheggiando già da tempo di abbracciare la vita religiosa, decise
allora di entrare nella Società Salesiana, il qual disegno mandò ad
esecuzione nel 1887 non senza gravi difficoltà. Gran signore, si ridusse
a un tenore di vita priva di quei comodi, ai quali era abituato. Nel
1889 si manifestò fieramente la malattia di petto, che da molto gli
covava in seno. Nell'aprile 1892 potè con sua grande consolazione
essere consacrato sacerdote. Dopo fu un anno di preparazione alla
morte, essendo il suo vivere tutto un patire e pregare. Don Beltrami,
che, avendo avuto con lui intima e santa amicizia, lo conosceva a
fondo, diceva che la sua unione con Dio era « connaturata alla sua
mente » e lo dichiarava « un santo, un angelo in carne umana ». Ebbe
l'impressione che egli possedesse l'innocenza battesimale. La sua vita
di perfezione non oltrepassò, è vero, i sei anni; ma S, Gabriele
dell'Addolorata ne contò ancor meno. Inoltre, mentre questi prima
di essere passionista era stato alquanto leggiero, il principe polacco
fu sempre castigato e pio.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Ili
La sua fama di santità mosse nel 1920 l'autorità ecclesiastica a
costruire il processo informativo, eseguitosi ad Albenga con roga-
torie per Cracovia, Przemysl e Madrid. Terminò in quattro anni. Vi
tenne dietro a lunga scadenza il processo apostolico, che si fece a
Torino nel 1946.
Ammirando questi giganti di virtù cresciuti alla scuola di S. Gio-
vanni Bosco, ci corre spontaneo alla mente il pensiero di Emerson
in Gli uomini tipi, dove dice che tutte le istituzioni sono l'ombra
allungata di un solo grande individuo eroico.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO IV
Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germa-
nico durante il Rettorato di Don Albera.
Szentkereszt, NyergesAjfalu, Buda-Pest, Wcrsee, Unterwaltersdorf, Vienna XIII, Fulpnien,
Wttrtzburg, Freyung, Bamberga, Passavia, Burgfaauspn, Endorf, Essen
Quando uscirono i Bollettini Salesiani tedesco nel 1895 e un-
gherese nel 1908, che si stampavano nell'Oratorio di Torino, cor-
revano già ned due ex-imperi notizie sopra Don Bosco e la sua Opera.
Nella Germania contribuì più di tutti a divulgarne la conoscenza
il vecchio cooperatore Mons. Moelher di Ratisbona col suo Marien-
Kalender, diffusissimo tra i cattolici. Nell'Austria i Salesiani erano
conosciuti da così gran tempo, che già nel 1903 avevano potuto fare
il loro ingresso a Vienna VI (1). Loro propagandista era stato il
celebre predicatore gesuita P. Abel, apostolo degli operai. Nell'Un-
gheria molti li conobbero per mezzo di Don Zaffery, che, da preside
del Liceo di Fiume fattosi salesiano, si diede a far propaganda nel
regno di S. Stefano, cercando aspiranti da inviare alla casa di Ga-
vaglià in Piemonte, destinata dal 1902 a questa nuova categoria di
alunni. Parimente Figli di Maria tedeschi affluivano a Penango Mon-
ferrato. In entrambi questi istituti l'insegnamento s'impartiva in ita-
liano. Se ciò costituiva una difficoltà, produsse però l'inestimabile
vantaggio che ì molti Salesiani usciti di là, quando furono inviati
nelle loro terre native, sapevano ottimamente quella che possiamo
chiamare lingua di famiglia.
(1) Ann., v. HI, pp. 436-440.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
La prima guerra mondiale fu per i Salesiani dei due già potenti
Stati la prova del fuoco. Molti confratelli e novizi chiamati sotto le
armi, parecchie case occupate dai belligeranti, scarsezza di viveri,
i più anziani rimasti sovente senza tetto e senza mezzi. Una cosa che
si sentiva vivamente era l'impossibilità di comunicare direttamente
per lettera con i Superiori di Torino. Lo diceva Don Augusto
Hlond (1): «Una delle provei più dure, a cui al Signore piacque di
sottoporci nei lunghi giorni della grande contesa mondiale, si fu
certamente quella di essere tagliati dalla culla della Congregazione
e dover stare anni senza consiglio, conforto e direzione. Sapesse,
con che avidità andavamo dietro a quelle povere notizie, che di
tanto in tanto per diverse vìe ci pervenivano! Come si strappavano
i Direttori le circolari, che riuscirono a passare i monti ed i cordoni
militari! Come si rallegravano i confratelli nelle varie case, quando
io mandava loro qualche informazione, tolta da giornali pervenuti
alla Nunziatura!», E dell'Ispettore dice: «Poveretto! Ha avuto da
fare in questi anni di guerra! Di più sofferse varie e lunghe malat-
tie e indisposizioni. Ma compì l'opera sua a perfezione, da contentar
tutti e da poter essere lui contento dello spirito, che regna nelle case
a lui affidate ».
Questo Ispettore era Don Pietro Tirone. Risiedeva in Polonia,
nella casa di Oswie.cim donde governava quelle dell'Austria, del-
l'Ungheria, della Jugoslavia, della Polonia, della Slovacchia e della
Croazia. Ma questo stato di cose non poteva più durare a lungo;
onde egli stesso, avendo saputo che i Superiori volevano dividere
PIspettoria, ma non tanto presto, scriveva a Don Albera nel 1919:
« Mi faccio lecito di osservare che le ragioni che militano per la di-
visione, riguardano specialmente, non solamente, i tempi presenti.
L'enorme difficoltà dei viaggi ed in generale di qualunque genere
di comunicazione con le diverse case è specialmente di questi primi
anni dopo la guerra. Adesso appunto gli animi sono eccitati e mal
disposti a convivere insieme; e ci conviene fare la divisione, perchè
si può conservare un certo modus vivendi, salvando la carità, e non
aspettare quando questa abbia già troppo sofferto. Anche gl'inte-
ressi materiali ora permettono una divisione abbastanza facile e
(1) L,ett. a Don Albera, Vienna, 8 novembre 1918.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
netta, ciò che non sarebbe più possibile dopo uno sviluppo più
grande in Polonia. Infine permetta che aggiunga che, non per fug-
gire la fatica, ma per vera impossibilità morale, mi pare di non
poter star più a capo di un'Ispettoria di questo genere, sia per
l'estensione veramente straordinaria sia per la diversità delle lin-
gue e delle leggi dei vari paesi che essa ora abbraccia » (1). Queste con-
siderazioni produssero il desiderato effetto prima ancora che finisse
l'anno. Di un'Ispettoria se ne fecero due, denominate Polacco-jugo-
slava e Tedesco-ungarica. Don Tirone continuò a reggere la prima;
della seconda fu fatto ispettore Don Augusto Hlond, con residenza
a Vienna III.
Fondazioni Ungheresi,
Dopo undici anni di lavoro e di sacrifici, l'istituto ungherese di
Cavaglià (2) incominciava a vedere i frutti, che era stato chiamato a
preparare. In quel collegio si formavano per il noviziato Figli di
Maria ungheresi, che a suo tempo avrebbero dato il personale da
mandar a trapiantare nella loro nazione l'Opera di Don Bosco. Il
primo invito fu fatto in forma molto sbrigativa, ma anche abba-
stanza positiva dal Card. Giovanni Czernoch, Arcivescovo di Stri-
gonia e Primate di Ungheria. Il Cardinale, sapendo che i Salesiani
avevano in animo di andare a Buda-Pest, dipendente dalla sua giu-
risdizione arcivescovile, non solo approvava l'idea, ma diceva di
voler concorrere alla sua attuazione, assegnando ai primi venuti un
punto vicino alla capitale, donde potere poi trasferirsi in questa
dopo un periodo quasi di allenamento. I Superiori trovarono buona
la proposta e rispondente alla loro intenzione di trasferirvi gli alun-
ni di Cavaglià, affinchè ricevessero ornai l'insegnamento nella pro-
pria lingua da docenti loro connazionali e secondo i programmi go-
vernativi. Il luogo designato era Szentkereszt, Santa Croce, dove
Sua Eminenza metteva a disposizione dei Salesiani un santuario
della Santa Croce. Qui si erano già seguiti i Paolini, così detti dal
Beato Paolo eremitano, e i Minimi di S, Francesco da Paola. Per conto
suo, il Primate si contentava che i Salesiani provvedessero all'uni-
ti) Vienna IH, 19 maggio 1910.
(2) Ann., v, II, p. 378.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
datura ordinaria della chiesa e ai bisogni spirituali dei pellegrini.
La chiesa era frequentata da poche centinaia di paesani e i pelle-
grini vi accorrevan numerosi anche dall'estero, massime dalla Ger-
mania e dalla Slovacchia, ma solo in quattro feste annuali. La salu-
brità del clima e l'amenità della posizione avrebbex"o favorito lo
svilupparsi di opere salesiane. I Cooperatori, pochi ma influenti,
aspettavano con desiderio i figli di Don Bosco. Per tutti questi mo-
tivi Don Tìrone giudicava la fondazione preferibile ad altre, che
si ventilavano in quei giorni, tanto più che per la natura delle occu-
pazioni estrascolastiche non si richiedeva personale monito qualificato.
Anche a lui, come all'Arcivescovo, pareva che di là i Salesiani si
sarebbero preparata una buona entrata in Buda-Pest. Sembrandogli
però opportuno che, per il decoro della casa dinanzi a un clero
istruito, almeno il Direttore avesse qualche titolo di studi, venne
nominato Don Francesco Walland, laureatosi in Roma all'Univer-
sità Gregoriana. Non era ungherese, ma sloveno; questo tuttavia non
noceva, nulla impedendo che avesse la direzione uno straniero, anche
se fosse un italiano,
Il trasferimento del collegio di Cavaglià avvenne il 13 ottobre
1913. Non si pensi che i nuovi arrivati prendessero possesso di un
venerando cenobio monumentale. Lo era stato una volta; ma allora
si trovava in condizioni da far pietà. Quando non c'è più per lungo
tempo la presenza dell'uomo, un edifìcio a poco a poco va in sfacelo.
Delia chiesa si erano occupati i preti della parrocchia di Bajót e
qualche altro prete secolare; ma il chiostro, abbandonato a se stesso,
aveva i muri mezzo diroccati. Posto mano alle riparazioni, i Sale-
siani provvidero alle più urgenti necessità di un'abitazione umana.
Il primo anno passò così così. Tuttavia, nonostante i disagi,
traspare da una relazione, che vi si menava una serena vita di fa-
miglia, quale si suole riscontrare nelle case salesiane. Poi cominciò
il finimondo della guerra. Il Direttore e vari confratelli dovettero
partire per la caserma. Gli uomini di poca fede temettero che l'O-
pera Salesiana nell'Ungheria morisse in fasce. Invece la Provvi-
denza non lo permise. L'Ispettore mandò a dirigere la casa il po-
lacco Stanislao Pìywaczyk, che, fattosi risolutamente ungherese, si
guadagnò la fiducia generale. Intanto dagli aspiranti maturarono i
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
primi novizi, ai quali fu dato ivi stesso per maestro l'italiano Don
Francesco Binelli, sant'uomo, che non era alle prime armi in novi-
ziati stranieri e che, sebbene avanti nell'età, si diede con coraggio
eroico allo studio del difficile idioma.
Finita la guerra, si cascò dalla padella nella brace: scoppiò la
rivoluzione politica, seguita da quella sociale con l'immancabile dit-
tatura del proletariato ossia del comunismo, che durò solo tre mesi,
ma seminò il paese di stragi e di rovine. Terre, case, scuole religiose
e pie fondazioni confiscate. Nessun emolumento ai ministri del culto.
Proibito ogni insegnamento della religione, ogni atto di culto nelle
aule scolastiche; vietato a persone ecclesiastiche insegnare o avere
altri pubblici impieghi, se non dichiaravano di essersi laicizzati.
Anche i Salesiani ebbero le loro ore di angoscia, Don Michele Schaub
salesiano scriveva il 5 giugno 1919 a Don Albera, anche lui in perfetto
italiano: « Oh se in Italia e in altri paesi i lavoratori e il popolo ve-
dessero in pratica dove conducono certe idee e sistemi sovversivi,
cambierebbero tosto di tattica ora che sono ancora in tempo e non
aspetterebbero sicuramente di doverne fare la triste esperienza ».
La casa di Szentkereszt restò pressoché chiusa, finché non dispose
della, riapertura nel 1921 il nuovo Ispettore Don Hlond, collocandovi
accanto ai novizi anche i chierici studenti di filosofia.
Quando la rivoluzione rendeva impossibile la vita a Szentkereszt,
la Provvidenza suscitò un benefattore insigne nella persona del par-
roco di Nyergesùjfalu Don Giuseppe Metzker, il quale si determinò
a preparare per i Salesiani un nuovo nido in un luogo fuori di mano
tra i boschi, a sei chilometri di distanza, sulla riva del Danubio.
Da gran tempo egli desiderava i Salesiani nella sua parrocchia;
dopo lungo aspettare finalmente decise di agire, facendo acquisto
di un albergo. I Superiori approvarono, ma le prime circostanze fu-
rono avverse. Nel 1919, terminati appena i lavori di restauro e di
adattamento, gli alunni di Szentkereszt stavano per immigrarvi.
quando lo stabile venne sequestrato dai comunisti, che vi stabili-
rono una scuola di pittura, vero covo d'immoralità. Ma i tristi mesi
del terrore finirono. Allora, liberati, sbrattati e ribenedetti i locali,
si accelerarono le riparazioni e l'arredamento, giacché i tempora-
nei inquilini vi avevano fatto de populo barbaro. In settembre tutto
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
era pronto per ricevere ì giovani di ritorno dalle famiglie. Nel giorno
dei Santi si festeggiò l'inaugurazione con l'intervento di tutto il paese.
Vi erano 51 studenti interni e 22 semiconvittori. Presto la casa fu
arricchita del suo Oratorio festivo e della scuola serale, frequentata
da giovani operai delle fabbriche. Gli ungheresi sono amantissimi
della musica; perciò vi si salutò con gioia la schola cantorum, che
attirava ammiratori anche dai luoghi circostanti. Nel 1921 il Cardi-
nale Primate visitò due volte il collegio, largheggiando in soccorsi.
La terza fondazione ungherese è quella di Buda-Pest. Se n'era
trattato già con Don Rua nei 1903, ma senza mai conchiudere. Una
proposta del 1913 attirò l'attenzione dell'Ispettore. Mons. Pokorny,
capo di un'Associazione, che aveva cura di giovani artigiani viventi
lontano dalla famiglia ed era Direttore diocesano dei Cooperatori,
aveva visitato nel 1911 la casa di Cavaglià col Vescovo Varady di
Gyòr, partendone col proposito di chiamare i figli dì Don Bosco
a Buda-Pest. A nome dunque del Comitato da lui presieduto rivolse
nel 1912 all'Ispettore formale invito ad aprire una casa nella capi-
tale, specialmente per tenervi un buon Oratorio festivo. Ma i Supe-
riori pensavano allora piuttosto al modo di trasferire nell'Ungheria
la casa di Cavaglià, come abbiamo veduto, e l'ora per Buda-Pest
sonò un po' più tardi.
Modesti furono gli inizi, in un rione molto esteso, popolato di
operai e privo di chiesa e d'assistenza religiosa. I Salesiani rileva-
rono un'opera già esistente. L'aveva fondata un virtuoso sacerdote
Agostino Ficher, che con il preciso metodo di Don Bosco, del quale
era ammiratore, raccoglieva intorno a sé' nei giorni di domenica e
di festa i giovani, divertendosi con loro e istruendoli nella religione
mediante i sussidi d'una Associazione organizzata da lui; mante-
neva pure quindici poveri convittori. Ma nel 1918 un incidente
tramvìario troncò una vita così preziosa. Due anni dopo l'Autorità
ecclesiastica affidava tutta l'opera ai Salesiani, che in ottobre ne pre-
sero la direzione e a poco a poco la ingrandirono, allargando la
beneficenza. Col tempo vi unirono un pensionato per studenti di
una vicina scuola pubblica. Dalla casa uscirono vocazioni ecclesia-
stiche e religiose.
L'opera, come dicevamo, era di piccole proporzioni, ma offriva
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
tre vantaggi: avere subito un alloggio nella capitale, dare ivi i
primi saggi dell'attività salesiana a prò della gioventù operaia e
poter iniziare l'organizzazione dei Cooperatori in un centro di tanta
importanza. Direttore fu il già menzionato Don Pìyrvaczyk, che in
quegli anni difficilissimi del dopo guerra seppe reggere con pru-
denza e spirito di sacrifìcio le sorti dell'umile fondazione, cattivan-
dosi l'affetto di tutti. Gli succedette poco dopo Don Antal, il quale
pure in mezzo a gravi difficoltà seppe destreggiarsi assai bene. Gra-
zie allo zelo di questi due primi Direttori la benevolenza generale
die all'opera il modo di gettare buone radici.
Fondazioni nella Stiria.
Nella Stiria il Vescovo di Marburg Michele Napotnik dal 1908
domandava con insistenza i Salesiani per Wernsee, dove alcuni
Cooperatori preparavano loro una casa; ma fino al 1912 non si potè
far nulla
1
. 11 paese dista circa sei ore di treno da Vienna e un paio di
chilometri dall'Ungheria. Nel mese di luglio Don Barberis, Catechista
Generale, dopo aver visitato la casa di .Vienna III, diretta da Don
Hlond (1), e quella in preparazione a Wernsee, scriveva a Torino da
Lubiana: « Quel professor Kovacic che ci chiamò a Wernsee, pare
proprio una santa persona, umile. Le tre sorelle che cedettero il ter-
reno, sono buone vecchiette, che saranno la nostra provvidenza.
Sono contadine che vivono lavorando tutto il giorno, ma tutte del
Signore, senza pretensioni ».
I Superiori deliberarono di traslocare là, con il loro Direttore
Don Aurelio Guadagnini, i Figli di Maria tedeschi, che da parecchi
anni andavano a fare il ginnasio nel collegio di Penango Monferrato;
ma non essendo ancora ultimato l'edificio di Wernsee, ne poterono
inviare solo una cinquantina, fermando la classe superiore a Vienna.
Due serie difficoltà si dovettero subito affrontare. Non solo tutta
la regione era slovena, ma gli abitanti avevano a noia i tedeschi come
il fumo negli occhi, e su di questo i Superiori non avevano avuto
precise informazioni. Inoltre quella buona gente rurale si aspettava
una scuola di agricoltura. Per fortuna il Governo aprì poco dopo
(1) Ann., v. Ili, p. 440.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
nelle vicinanze una scuola di tal genere, sicché a Wernsee non se
ne parlò più; quanto agli ospiti indesiderabili, gii animi si rassere-
narono, quando si seppe che i Salesiani, non appena avessero potuto
disporre di personale sloveno, avrebbero levato di là i tedeschi per
destinare la casa a elementi locali, e intanto cominciarono a tra-
sferirne nel collegio di Unterwaltersdorf, del quale diremo, facendo
posto in Wernsee a una prima classe di nativi. Questa mescolanza
recò un notevole vantaggio, perchè molti buoni giovani sloveni, ve-
nuti a contatto con i Figli di Maria tedeschi, appresero a conoscerli
e a stimarli, imparandone anche la lingua, Durante la guerra, un'ala
del fabbricato fu occupata dall'esercito; dopo la guerra, la casa si
ripopolò di soli sloveni. Avendo poi il trattato di pace assegnato
quella parte del territorio alia Jugoslavia, Wernsee divenne Verzej.
Anche a Graz, capoluogo della Stiria, i soci della Conferenza
di S. Vincenzo de' Paoli invitavano dal 1905 ì Salesiani per prendervi
la direzione di una colonia agricola; ma alle reiterate domande Don
Rua fece rispondere prima declinando l'invilo per mancanza di per-
sonale e poi pigliando sei anni di tempo, il che fu inteso come un
rifiuto. Nel 1919 si rivolse a Don Albera un'Associazione di donne
cattoliche, le quali, avendo aperto un Oratorio' festivo, volevano ri-
metterlo ai Salesiani. Allora, essendovi personale sloveno, si andò.
L'Oratorio si faceva in due baracche lasciate dai militari, una; delle
quali serviva da cappella e l'altra per le adunanze dei ragazzi. Senza
entrare in particolari, mi limito a dire che, nonostante il buon vo-
lere da ambe le parti, sorsero tante e tali difficoltà, che bisognò dopo
due anni prendere commiato, in attesa di occasione migliore; la
quale occasione tardò a presentarsi fino al 1934.
Fondazioni Austriache.
Tedesco fino al midollo era il paese di Unterwaltersdorf, situato
a breve distanza da Vienna. L'Ispettore Don Tirone, sempre in cerea
di un rifugio per il trasferimento dei tedeschi cosi male accetti a
Wernsee, stimò dì non doversi lasciar sfuggire un'occasione di traslo-
carli colà. È vero che quelli, essendo germanici, non nutrivano sim-
patie per gli austriaci; ma si sarebbero venuti a trovare in un am-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
biente assai migliore che non dove stavamo allora. I Salesiani vi erano
desiderati dalle autorità e dal popolo. Il comune offriva gratuita-
mente un bel tratto di terreno fabbricabile e coltivabile e avrebbe
venduto a buone condizioni un podere quattro volte più esteso. Sì
aggiungevano altre agevolezze, sulle quali si poteva fare sicuro as-
segnamento. Da quelle parti non esisteva ancora nessun istituto reli-
gioso. I Superiori accordarono il loro assenso, Ma l'uomo propone e
Dio dispone. Il 26 aprile 1914 venne collocata con tutta solennità
la prima pietra. Scoppiata la guerra, quando i Russi invasero la
Galizia, i Salesiani polacchi per mettersi in salvo si riversarono nel-
l'Austria e trovarono provvidenziale rifugio insieme con l'Ispettore
nelFediflcìo appena terminato, occupandolo per due anni. Al loro
ritorno in patria sottentrarono nella casa i germanici di Wernsee.
Durante la guerra l'Ispettore, come italiano, dovette assogget-
tarsi a una specie d'internamento. Godeva, sì, di una certa qual li-
bertà; ma fu avvertito che non sarebbe potuto allontanarsi note-
volmente da Unterwaltersdorf senza l'esplicito permesso del Capi-
tano distrettuale. La necessità di recarsi nei vari collegi lo obbligava
a chiedere di questi permessi, che gli venivano accordati dopo molte
e lunghe brighe. Solo per Radna il comando militare di Lubiana gli
rifiutò assolutamente l'autorizzazione, anzi gli vietò qualsiasi dimora
in Carniola. Con i Superiori di Torino cercava di corrispondere per
mezzo della Nunziatura di Vienna. Si valeva pertanto di Don Gua-
dagnini, che, essendo suddito austriaco del Trentino, poteva andare
e venire liberamente e si valeva di questa libertà per giovare ai con-
fratelli militari. Così nel marzo 1916 ne convocò quanti più potè a
Monaco di Baviera, riuscendo a radunarne ventisette. Scriveva da
Unterwalters a Don Albera il 7 aprile: « Oltre una funzione religiosa
tenuta in comune e seguita poi da una refezione comune, durante la
quale manifestarono in vari discorsi il loro amore alla Congrega-
zione, la loro riconoscenza ai Superiori, i sentimenti della loro pietà,
essi vollero pure presentare i loro doni, consistenti in un paramentale
completo, una pianeta violacea, un calice d'argento dorato, camici,
tovaglie, messali, tutto acquistato con i loro risparmi e dedicato a
Maria SS. Ausiliatrice, quale segno di gratitudine per averli scam-
pati da tanti pericoli e visibilmente protetti. I ricami e le lavora-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
zioni sui diversi oggetti ricordano il tempo, in cui ci troviamo, e il
molto Bonum certarnen celiavi, fìdem servavi deve ricordare anche
ai posteri le loro lotte fisiche e spirituali e la loro fedeltà a Dio, alla
patria, alla vocazione. Tutti approfittarono della mia presenza per
tare il rendiconto e sono lieto di poterla assicurare che sono animati
da buona volontà e guidati dallo spirito del nostro santo Fondatore ».
Passato il terrore bolscevico, la casa il 1° giugno 1919 fu allietata
dalla visita del Card. Piffl, Arcivescovo di Vienna, che aveva guar-
dato sempre con occhio di predilezione quell'opera salesiana. In
una sua allocuzione manifestò la propria contentezza per aver con-
statato che vi regnava veramente lo spirito di Don Bosco. Lo colpì
specialmente la povertà e semplicità della vita. Ripetè alcuni giorni
dopo di essere rimasto molto edificato, aggiungendo che la giornata
trascorsa in mezzo ai Salesiani gli era stata molto gradita e che molto
sperava in un prossimo sviluppo dell'istituto. Era naturale che gli
facesse impressione la vita di una casa salesiana, tanto diversa per
vari aspetti da quello che poteva aver osservato in altri collegi. Non
aveva trovato, per esempio, dai Salesiani il contegno inappuntabile
e freddo di altri luoghi d'educazione, ma spontanee e cordiali ma-
nifestazioni, che sapevano tanto di famiglia.
Durante e dopo guerre un po' lunghe i ragazzi, figli di richiamati
o di morti sul campo, abbandonati tv se stessi, diventano nelle grandi
città una piaga sociale. Vienna in occasione della prima guerra mon-
diale non fece in questo eccezione. Vi fu allora chi comprese che i
Salesiani avrebbero potuto in tale frangente essere utili. Oltreché
dalle due fondazioni anteriori alla guerra (1), ciò si era veduto
anche da un'opera intrapresa al principio delle ostilità. Allora il co-
mando militare aveva fatto evacuare parecchie località della Ve-
nezia Giulia e Tridentina, distribuendo le popolazioni in campi di
concentramento anche intorno alla capitale. I Salesiani si portavano
in mezzo a loro per l'esercizio del sacro ministero, tanto più accetti,
perchè, sebbene sudditi dell'impero, parlavano italiano. Il Governo
con provvido pensiero istituì in un grande albergo di Vienna XVIII
un pensionato per studenti, figli di quei profughi. Ma dopo due anni,
nel 1917, le cose là dentro andavano così male, che per suggerimento
(t) Ann., v. Ili, pp, .136-449.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
del Cardinale Arcivescovo le autorità decisero di affidarne la dire-
zione ai Salesiani. Essi accettarono; ma si trovarono di fronte a
tanta indisciplinatezza, che ebbero un bel da fare per mettere un po'
d'ordine; in compenso tuttavia provarono la soddisfazione di vedere
in atto l'efficacia del sistema educativo di Don Bosco. Nella lettera
di capo d'anno del 1920 Don Albera se ne compiaceva altamente,
Su 170 giovani si cominciarono ad avere in breve alcune e poi ses-
santa e ottanta comunioni quotidiane. Anzi, quando il pensionato
cessò di funzionare e venne chiuso, venti di essi avevano domandato
di farsi salesiani e furono assegnati quali a Unterwaltersdorf per
terminare il ginnasio, quali al noviziato di Wernsee, e otto dopo il
noviziato passarono nello studentalo di Valsalice.
Dicevo che il pensionato di Vienna XVIII fu chiuso. Questo av-
venne perchè, terminata la guerra, quegli italiani già soggetti all'Au-
stria poterono rimpatriare. Allora per i Salesiani l'occupazione cam-
biò. La necessità di tenere a segno tanta gioventù scapestrata aveva
indotto nel 1917 una " Charitas-Verband ", Associazione di carità,
ad aprire in Vienna XVIII una casa, dove raccogliere i birichini, che
sarebbero stati consegnati dal municipio, il quale, a sua volta, li
avrebbe ricevuti dalla polizia o dal tribunale dei minorenni. L'in-
tenzione era ottima, si voleva riabilitarli; ma il metodo usato con-
duceva all'effetto opposto, rendendoli peggiori. La casa, concepita
come un porto di salute, era invece un triste carcere. Disciplina fer-
rea, porte chiuse a chiave e finestre fermate con catenelle e lucchetti,
sorveglianza poliziesca, punizioni senza misericordia. Quando i ca-
ritatevoli fondatori si convinsero che così non si faceva nulla di
buono, implorarono l'aiuto dei Salesiani, che nel 1919, rimasti liberi
dal primitivo impegno, si accinsero alla santa impresa. Ma per prima
cosa, vista la ristrettezza dei locali, dove ì poveri giovani stavano
appollaiati, ottennero che si trasmigrasse in un edifìcio più comodo
e più capace a Vienna XIII. Qui, più ancora che nel chiuso pensio-
nato, ebbero modo di far vedere il valore del sistema salesiano.
Incominciarono a guadagnarsi la confidenza dei ricoverati, sbandendo
tutto quello che sapeva di prigione e mettendosi in mezzo a loro,
tenendoli allegri e soprattutto circondandoli di benevolenza. La
pietà poi insinuata a poco a poco e l'istruzione religiosa impartita a
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
piccole dosi compivano l'opera. Naturalmente li tenevano occupati
in lavori manuali. Si verificavano reali trasformazioni. La città am-
mirava. Perfino il giornale socialista Arbeitter Zeitung, Gior-
nale dell'operaio, cantava le lodi dei Salesiani scrivendo così nel nu-
mero del 14 maggio 1920, cioè pochi mesi dal principio dell'opera:
« In passato erano all'ordine del giorno le indisciplinatezze, le ri-
volte, i tentativi di fuga e le fughe. A nulla giovavano le precauzioni:
quei giovinastri sapevano eluderle. Ma quando il nuovo Direttore
assunse la direzione e sostituì il sistema educativo preventivo al si-
stema del rigorismo e della punizione, la condotta è cambiata. Egli
fece togliere le catenelle alle finestre e diede ordine che non si chiu-
desse a chiave la porta di uscita. Intanto prese a manifestare fiducia
ne' suoi giovani, permettendo loro certe uscite, incaricandoli di pic-
cole commissioni in città, destando una sana emulazione tra essi e
premiando chi si sforzava di essere diligente. In breve non si verificò
più nessun tentativo di fuga, non più sommosse, non più gravi insu-
bordinazioni. I giovani insomma si mostrano degni della fiducia in
loro riposta ». Il Direttore qui tanto lodato era DoniValentino Kehrein,
che da direttore di fabbrica si era ridotto a Figlio di Maria nella
casa di Penango. In tutto questo il giornalista non vedeva se non
la superficie, né immaginava che l'oggetto de' suoi encomi era effetto
di quella religione, la quale egli doveva ignorare, se voleva essere
coerente a' suoi princìpi. Tuttavia le sue constatazioni non perdono
per questo il loro valore, anzi!
Dobbiamo pure completare la nostra narrazione. S'andò avanti
così pacificamente e fruttuosamente fino al 1925, allorché i socialisti
s'impadronirono del municipio. Gli sfegatati amici del popolo con-
tinuarono a spendere come i loro predecessori, ma non mandavano
più nessuno dai Salesiani, anzi un dopo l'altro ne toglievano quelli
che c'erano, finché la casa perdette il suo scopo e le si dette un'altra
destinazione.
È del 1919 un'altra fondazione viennese, non grande, ma vitale
e feconda. Una località del quartiere XXI, oggi XXII, difettava di
assistenza religiosa per scarsità di clero e per la lontananza dalla
chiesa parrocchiale. C'era là un convento di suore del Bambino
Gesù con un modesto alloggio per il cappellano. Il Cardinale Arci-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austroungarico e germanico, ecc.
vescovo incaricò della cappeUania i Salesiani, perchè avessero l'ubi
consìstam, ma con la doppia missione di curare la vita spirituale
di circa diecimila anime e d'impartire l'insegnamento religioso nelle
scuole elementari. Essi ci si misero con tutta la buona volontà. Loro
primo pensiero fu di organizzare ^oratorio quotidiano per tirarsi
subito attorno la gioventù e guadagnarsi in tal modo la popolazione.
Quei buoni confratelli lavorarono e soffrirono assai. Dal 1919 al 1925
non ebbero né casa propria né chiesa, ma continuarono ad abitare
quattro stanzucce delle suore, mentre le funzioni si facevano per
il popolo nella cappella semipubblica dei monastero e per i giovani
dell'oratorio nella sala di ginnastica della scuola comunale; le adu-
nanze giovanili si tenevano in un angusto sotterraneo. Dopo il 1925
si ebbero locali appositi e nel 1934 fu eretta ivi una nuova parrocchia
e affidata alle loro cure.
Un'ultima fondazione fatta poco dopo il crollo dell'impero abs-
burgico e sotto il Rettorato di Don Albera è quella di Fulpmes nel
Tirolo. Appartiene alla primavera del 1921, due anni dopo la divi-
sione dell'Ispettoria accennata in principio, La casa era stata un
Grand Hotel, che, adibito durante la guerra a lazzaretto militare,
fu dopo messo in vendita. Un corsorzio lo acquistò e il parroco, buon
cooperatore, ne propose la compera ai Salesiani. Don Hlond rice-
vette l'incarico di aprire quella casa, destinata ai Figli di Maria, con
pensionato per alunni delle scuole industriali e con Oratorio festivo.
Il primo anno incominciò col primo corso; vi si aggiunsero poi di
anno in anno i rimanenti, mentre viceversa si lasciava estinguere
la scuola dei Figli di Maria nella casa di Unterwaltendorf, destinata
ad altro scopo. L'anno seguente Don Hlond, mandato dalla Santa
Sede Amministratore Apostolico a Kattowice, incominciò le sue
ascensioni, che dovevano culminare nei cardinalato.
Fondazioni germaniche.
I Salesiani germanici anelavano di andar a lavorare tra i loro
connazionali, specialmente in Baviera, donde era provenuta la mag-
gior parte dei Figli di Maria, accorsi all'aspirantato di Penango.
D'altra parte in Germania i Salesiani erano desiderati. Ne ebbe una
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
prova Don Guadagnine, quando fu a Monaco nel 1916. Nella lettera
già citata scriveva: « Anche durante la mia permanenza a Monaco
potei persuadermi quanto si desiderino i Salesiani in Baviera e tro-
vai anche persone disposte ad aiutarci ». In Germania dalla fine del
secolo xix sì venivano sviluppando opere giovanili come reazione
ai deleteri influssi esercitati sulla gioventù dalle organizzazioni an-
ticristiane. Sorse così un numero considerevole di istituzioni catto-
liche, le quali spiegarono il loro zelo in quei campo; ma si sentiva
da tutti la mancanza di una Congregazione religiosa, che potesse met-
tere a disposizione un personale adatto e Asso. Ecco perchè non sì
ebbe ritegno di ricorrere a una Congregazione di origine straniera,
nonostante il divieto della legge. La prima proposta risale al 1911. La
fece alquanto vagamente un parroco di Wùrtzburg; un secondo in-
vito di cinque anni dopo era più concreto e partiva da Mons. Stahler,
presidente diocesano delle Associazioni giovanili operaie. La pensa-
vano come lui anche altri presidenti. Egli offriva la direzione di
un convitto operaio e di un circolo operaio giovanile, convitto e cir-
colo che dipendevano dalla Società Cattolica protettrice dei giovani
operai a Wùrtzburg. L'Ispettore Don Tirone sollecitava da Torino
una risposta favorevole, scrivendo da Vienna il 1" giugno 1916:
« L'entrare in Germania (per ora solo in Baviera) è per noi cosa
di capitale importanza». Chi più di tutti si adoperava presso' il Go-
verno per la venuta dei Salesiani era il Dottor Winterstein, par-
roco del duomo ed ecclesiastico molto influente.
I Salesiani, stipulato un regolare contratto, andarono a Wiirtz-
burg nel mese di dicembre. Da principio presero stanza nell'ala d'un
convento degli Agostiniani, mentre altri cercavano di procurar loro
una casa indipendente. Il convitto conteneva ottanta giovani arti-
giani, e il circolo, che i Salesiani denominarono " Don Bosco ", ne
riuniva quotidianamente un numeroso stuolo. Il Governo bavarese
aveva chiuso un occhio, perchè impressionato dall'aumentare della
delinquenza nei minorenni e perchè in tutta la Germania non esi-
stevano religiosi, che avessero, come i Salesiani, il compito preci-
puo di curare l'educazione della gioventù operaia. Per i convittori
il pericolo derivava dalle officine, dove lavoravano mescolati con
socialisti e comunisti, Non si può credere quanto giovassero a com-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
battere gli errori di questa gente le parole della " buona notte ".
Come faceva già Don Bosco, quando i suoi artigiani andavano a
lavorare fuori dell'Oratorio, il Direttore profittava di quel sermon-
cino serale per offrire ai giovani il controveleno delle cose udite du-
rante il giorno, e i giovani non tenevano solo per sé le salutari parole,
La presenza dei Salesiani non tardò a far sentire i suoi bene-
fici effetti; il sistema di Don Bosco, fedelmente applicato dal
Direttore Don Niedermayer, trasformò quasi in UB batter d'occhio
l'ambiente, che sulle prime si mostrava piuttosto freddo rispetto
alla frequenza dei sacramenti. La vita di famiglia, che vi si con-
duceva, affezionava grandemente i giovani alla casa. Allontanatisi
per qualunque motivo, coglievano tutte le occasioni per visitarvi
i Superori. Gli uomini del Governo guardavano la casa con simpatia;
nelle loro visite li impressionava la franchezza e ilarità, che tra-
spariva dal volto dei giovani. Nel 1918 Don Hlond, andato per inca-
rico dell'Ispettore a fare la visita prescrìtta dai Regolamenti, rimase
molto soddisfatto del buon andamento e dello spirito salesiano che
regnava nel convitto.
In città giovò ai Salesiani l'aver trovato un antico sodalìzio ma-
riano sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. La prima Confraternita
così intitolata era sorta a Monaco di Baviera nel secolo xvn per
decreto di Innocenzo XI dopo la liberazione di Vienna (1683). Tro-
varono pure un nucleo di Cooperatori, ma nella propaganda per mol-
tiplicarli bisognava aver riguardo ad altri sei Ordini religiosi ma-
schili locali, che avevano tutti una loro organizzazione analoga.
Una seconda fondazione bavarese, fatta a Freyung, nella dio-
cesi di Passavia, non s'incontra più nell'Annuario della Società, per-
chè dopo cinque lustri di attività chiuse i suoi battenti; ma, finché
la casa fu aperta, i Salesiani lavorarono molto ed erano assai ben
voluti dalla popolazione, a cominciare dal primo Direttore Don
Augusto Trummer. Un industriale protestante del luogo aveva dato
al Capitano distrettuale 150.000 marchi da impiegare in qualche
opera di educazione della gioventù operaia. Il parroco, temendo che
la somma andasse a finir male, d'accordo col Capitano chiamò i
Salesiani. Erano entrambi antichi cooperatori. La pratica giunse
alla conclusione, sicché nell'ottobre 1916 i Salesiani aprivano a
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
Freyung un Oratorio, pigliavano la direzione d'uno dei soliti cir-
coli operai e accettavano l'insegnamento religioso nelle scuole ele-
mentari e industriali, benché due di queste ultime distassero un'ora
di cammino dalla città. La casa presentava anche il vantaggio di
offrire un luogo di riposo e di cura per i confratelli di altre case,
i quali ne abbisognassero. Questo lavoro non indifferente si svolgeva
in santa pace, quando nel 1931 un nuovo parroco portò nuove idee,
che si tradussero in nuove organizzazioni giovanili, dirette ad atti-
rare a lui tutta la gioventù. Il mondo è grande e c'è posto per tutti.
Venuto meno lo scopo primario della fondazione, i Salesiani tra-
sportarono le loro tende altrove.
Fin dopo la guerra non vi furono altre fondazioni in Baviera;
due se ne fecero nel 1919, a Monaco e a Bamberga. In Monaco ven-
ne aperto il 1° ottobre uno dei consueti ospizi per giovani artigiani,
che lavoravano in città; ma si abitava alla meglio in povere barac-
che. Intanto si seppe da persona amica dover andare in vendita
ì'ex-manicomio, edificio di vaste proporzioni, ma non in buono stato,
sebbene non difficilmente utilizzabile. L'informatore, uomo influente
nell'affare, temendo che lo acquistassero i socialisti, sollecitava i
Salesiani a comperarlo. Recatisi sul posto l'Ispettore Don Hlond e
Don Guadagnini, si limitarono alla compra di una sola quarta parte,
quantunque il Governo non esigesse nulla per il fabbricato, ma chie-
desse unicamente quattro marchi al metro quadrato per l'area occu-
pata. Misurava questa trentacinquemìla metri quadrati, il che parve
importare una somma superiore alle possibilità dell'Ispettoria, Ma
intervenne la Provvidenza. Il giorno dopo Don Guadagnini rice-
vette un assegno bancario di cinquecento mila marchi da una be-
nefattrice, che aiutava già la casa di Penango, quand'egli vi diri-
geva gli aspiranti germanici. Si tornò subito sulla faccenda, imma-
giniamoci con quale stupore del cassiere, testimonio dell'imbarazzo
di ventiquattr'ore prima.
Questo però non significava che l'edificio fosse subito disponi-
bile. Vi abitavano ancora molte famiglie, che la legge non permet-
teva di sfrattare; onde l'opera si veniva sviluppando man mano
che gli ambienti rimanevano sgombri. Così un po' alla volta si aper-
se l'Oratorio festivo, s'impiantarono laboratori, s'introdussero Figli
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
di Maria e si fece luogo anche a convittori che frequentavano scuole
medie dello Stato. Ma ben poco si potè usufruire del vecchio ma-
nicomio, demolito un po' alla volta e sostituito gradatamente con
più solide e più adatte costruzioni.
Fra il maggio e il giugno del medesimo anno 1919 il Vescovo
Ausiliare di Bamberga, visitando la casa di Wùrzburg, rimase così
ammirato d'un'opera tanto bene rispondente ai bisogni dei tempi,
che, rientrato in sede, colse una propizia occasione e acquistò col
concorso del Capitolo metropolitano un terreno e un'abitazione da
affidare ai Salesiani, perchè dessero vita a un ospizio per artigiani
e a un Oratorio festivo con circolo giovanile. I benefattori rimasero
poi talmente soddisfatti, che ne diedero testimonianza otto anni do-
po, quando bisognò rimediare a un'omissione per obbedire al nuovo
Codice di Diritto Canonico. Essendosi pensato erroneamente che il
contratto col Capitolo includesse anche il permesso dell'Ordinario,
Io si dovette richiedere nel 1928, per poter quindi ottenere da Ro-
ma l'approvazione canonica della casa. Orbene la Curia di Bamberga
nel suo rescritto volle inserire il voto che la Congregazione Sale-
siana, tanto benemerita dell'educazione cristiana della gioventù,
potesse continuar a lavorare con molto frutto nell'archidiocesi.
Un convitto per artigiani con circolo operaio i Salesiani piglia-
rono sopra di sé a Passavia nel 1920. In pochi mesi i giovani ap-
prendisti da 17 salirono a 150, Quanto era sentito i] bisogno di tali
ospizi! Prima della guerra i garzoni di bottega vivevano presso i
loro principali; ma dopo per la scarsezza dei viveri e degli alloggi
i padroni non li volevano più e si sa che cosa possa avvenire dei
giovani di quella età e condizione lasciati in balia di se stessi. Il
vantaggio ricavato dal vivere sotto la guida dei Salesiani formava
l'ammirazione delle autorità e dei competenti.
Nella diocesi di Passavia è Burghausen, dove fu offerta ai Sa-
lesiani la chiave per la soluzione di un imperioso problema, il pro-
blema delle vocazioni germaniche. L'aspirantato e il noviziato per i
giovani di lingua tedesca era, come abbiamo veduto, in Austria;
ma dopo la guerra dalla Germania non venivano più giovani in
Austria, desiderosi di arrolarsi sotto la bandiera di Don Bosco. La
voce pubblica della fame che si pativa in Austria spaventava tal-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
mente le famiglie, che i genitori non permettevano più ai figli di
andarvi e piuttosto li mandavano da altri religiosi nella Germania
stessa. Venivano così a mancare le migliori vocazioni. Per rime-
diarvi ci voleva in Germania un collegio per giovani aspiranti alio
stato ecclesiastico e religioso. Che fare adunque? Anche in questo
caso si sperimentò la mano pietosa della Provvidenza.
Nel 1920 il Vescovo di Passavia voleva vendere ai Salesiani la
bella residenza del suo piccolo seminario in Burgliausen. Don Hlond
vi pose subito gli occhi sopra e si affrettò a chiedere il permesso
di fare quella compera per destinare la casa al detto scopo. Il Ve-
scovo avrebbe fatto senz'altro alla Santa Sede la domanda per l'a-
lienazione e non avrebbe avuto fretta per il pagamento. Trattan-
dosi di vocazioni, tutte le case dell'Ispettoria si dichiararono solidali
nel concorrere alla spesa. Il permesso giunse in tempo per il prin-
cipio dell'anno scolastico 1920-21. Si accettarono giovani dai dieci
ai diciassette anni. Frequentavano il ginnasio pubblico, che si tro-
vava a pochi passi dal convitto ed era diretto da un buon cattolico.
Si aveva dunque un vero piccolo seminario. L'effetto del cambia-
mento si vide subito; giacché, mentre dai 1890, quand'era stato
aperto dal Vescovo, gli alunni scarseggiavano sempre, alla venuta
dei Salesiani il loro numero prese ad aumentare rapidamente, né
tardarono i frutti bramati.
La stessa ragione, che aveva consigliato l'apertura di un colle-
gio salesiano per studenti di ginnasio in Germania, valeva pure
per un noviziato e uno studentato di chierici, e si potè avere l'uno
e l'altro a Endorf, nella diocesi di Ratisbona. Ottime persone aiu-
tarono i Salesiani a procacciarsi quel nido di pace e di studio in
un ex-convento di Benedettini, fondato da otto secoli e da cent'anni
rimasto vuoto. Vi si trasferirono i novizi e gli studenti germanici
da Unterwalters. A inserirsi nella vita locale i Salesiani seppero trar
partito dalla celebrazione dell'ottavo centenario dello storico mona-
stero nazionale. Nella popolazione sopravviveva il sentimento ata-
vico per l'antichissimo luogo, già santuario di preghiera, scuola di
lavoro e primo nucleo della città. I Salesiani dunque, interpreti di que-
ste ereditarie disposizioni d'animo, fecero del loro meglio per dare
splendore alla commemorazione, a cui parteciparono con il Vescovo
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione Salesiana negli ex-imperi Austro-ungarico e germanico, ecc.
anche due Abati dell'Ordine. Un dotto oratore intrecciò bellamente
i ricordi del vetusto cenobio con le speranze che si concepivano per
l'opera dei novelli abitatori, seguaci sott'altra forma del tradizio-
nale motto benedettino ora et labora.
L'ultima casa germanica, la quale deve la sua fondazione a
D. Albera, è quella di Essen nella Prussia Renana, in diocesi di Co-
lonia, La sua importanza derivava soprattutto dalle condizioni del
luogo. Era là il cuore dell'industria tedesca occidentale, la città del
carbone e dell'acciaio, sulle sponde della Ruhr, tra una selva di ci-
miniere eternamente fumanti. Il lavoro ferveva di notte nelle ma-
gnifiche officine e nei tortuosi labirinti sotto il suolo. La casa sale-
siana, già sede di Associazioni giovanili protestanti, divenne la casa
del giovane operaio cattolico. Vi si affollò fin da princìpio una fa-
lange di giovani, guadagnati dalla novità del sistema di Don Bosco.
Ben presto bisognò fabbricare, mentre da ogni parte della Prussia
s'invocavano simili fondazioni. Indice del favore acquistatovi dai
Salesiani è il numero dei Cooperatori, che nel 1932 erano in città 2147.
Il nome di Don Bosco sonava programma di azione sociale.
Quattro opere si svolgevano a Essen: ospizio per giovani ope-
rai delle fabbriche, alloggio per giovani operai di passaggio, ora-
torio giornaliero, che era anche doposcuola, e frazione locale del-
l'Associazione cattolica degli studenti di ginnasio e di liceo, che
aveva ramificazioni in tutta la Germania. A ragione si compia-
ceva il Direttore Don Lampe, tedesco autentico, d'aver attuato l'i-
deale di Don Bosco, che mirava ad accomunare le differenti classi
sociali. E questo piaceva agli estranei, che n'erano testimoni; onde
egli scriveva a Don Albera il 21 ottobre 1921 : « Se Ella, mìo caro
Padre, fosse qui, riceverebbe forse una delle più belle impressioni
della sua vita, al vedere come gli Ordinari, le autorità civili, i be-
nefattori e specialmente i poveri hanno acclamato l'opera benefat-
trice salesiana». Nella medesima lettera riferiva: «Invitato dai
Presidente del Tribunale, che si occupa degli affari criminali della
gioventù, fervorosissimo cattolico e grande ammiratore di Don Bo-
sco, dovetti assistere ad una seduta e visitare pure le carceri dei
giovani, per dare agli intervenuti giureconsulti un resoconto. Mio
buon Padre, mi parve di riprodurre gli incanti di Don Bosco al ve-
59
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
dere epme manca qui l'amore nell'educazione, il sistema preven-
tivo finora poco compreso in Germania, ed ho potuto spargere un
po' di balsamo nel cuore di quei piccolini, che nella maggior parte
non mi parvero materia atta per le prigioni. Così, per esempio, mi
fu condotto innanzi un giovane sedicennne (il più scellerato di
tutti!!!), che aveva rubato (forse per aver fame) e si trovava ab-
bandonato dai suoi parenti senza coscienza. Quando gli parlai della
sua mamma e dei suoi primi anni di vita, proruppe in un pianto
dirottò. Forse era la prima volta, che gli si parlava in tono dolce!
Mi pregò di visitarlo altre volte e di portargli qualche buon libro.
Il Direttore della polizia mi domandò con le lacrime agli occhi, che
mi volessi occupare ogni tanto di quei derelitti, che si trovavano
mescolati con veri delinquenti. Spero di poter dettar loro fra breve
un piccolo corso d'esercizi spirituali; l'autorità competente m'ha
dato tutte le facoltà, che m'abbisognano». Questa lunga lettera
giunse a Don Albera quasi alla vigilia della sua repentina morte.
L'entusiasmo per l'Opera di Don Bosco aumentava nella Ba-
viera. Si vedeva nelle escursioni che i giovani di quelle case face-
vano in vicine città. Dappertutto, nonostante le strettezze generali,
erano regalati di abbondante vitto dai Cooperatori. Tutte le case
poi erano piene di alunni e si venivano ampliando, secondo i mezzi
somministrati dalla Provvidenza e in attesa di tempi migliori,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO V
Nella prima guerra mondiale.
(1914 -1918)
Il periodo centrale del Rettorato dì Don Albera coincise con
la prima grande guerra, che per quattro anni tenne diviso il mondo
in due campi di battaglia e causò rovine e lutti quali non si erano
mai visti nelle guerre precedenti. Aperse il fuoco l'Austria il 28 lu-
glio 1914, movendo le armi contro la Serbia per vendicare l'eccidio
di Serajevo, l'assassinio cioè dell'Arciduca ereditario Francesco
Ferdinando e della sua consorte; entrò quindi in campo anche l'al-
leata Germania, dichiarando ìa guerra alla Russia e alla Francia,
in aiuto delle quali si levò l'Inghilterra e con essa Belgio, Giappone,
Portogallo, Rumania, Stati Uniti, Brasile, Cina e le tre Repubbliche
del Centro America, Guatemala, Nicaragua, Costarica, mentre a
fianco degli Imperi centrali si mettevano con la Serbia e il Monte-
negro la Turchia e la Bulgaria. L'Italia, che aveva un patto di al-
leanza con la Germania e l'Austria, non riscontrando nella causa
della lotta il casus foederis, dichiarò da principio la sua neutralità
e il 23 maggio 1915 prese parte al conflitto con la dichiarazione
della guerra all'Austria-Ungheria.
La vasta conflagrazione, di mano in mano che si dilatava, avvol-
geva le opere salesiane in vari paesi, producendo tre conseguenze
immediate: diminuzione di personale, requisizione di case e pro-
gressivo scemare di beneficenze.
Anzitutto le varie chiamate sotto le armi portavano via coadiu-
tori, chierici e preti in buon numero. Circa duemila Soci, strap-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
pati alle loro pacifiche occupazioni e indossate le divise militari, do-
vevano recarsi a vivere nelle caserme e nelle trincee o dedicarsi alla
cura degli infermi e dei feriti in ospedali cittadini o in ospedaletti
da campo. Ben presto giunsero notizie che giovani salesiani si tro-
vavano schierati gli uni contro gli altri, obbligati a reciproci as-
salti. L'assottigliarsi del personale costringeva i più anziani a gravi
sacrifìci per tener in piedi le opere; poiché da Torino la parola
d'ordine era che si conservassero a ogni eosto le posizioni.
Intanto i comandi militari requisivano in tutto o in parte edi-
fici scolastici e collegi per convertirli in caserme o in ospedali. A
tali richieste si opponeva rispettosa, ma energica resistenza, mo-
strando i danni che ne sarebbero derivati alla gioventù. Se non ci
si riusciva in tutto, si cercava di salvare almeno una parte dei lo-
cali; dove poi bisognava cedere le case intere, si otteneva d'ordi-
nario che qualche salesiano continuasse a risiedervi per prestare
assistenza religiosa o d'altro genere, secondo i casi. In questo modo
presso tutti gii Stati belligeranti le istituzioni di Don Bosco prosegui-
rono la loro missione, sia pur ridotta ai minimi termini. Il non im-
mischiarsi di politica agevolava i buoni rapporti anche con le auto-
rità occupanti. Bisogna dire a onor del vero che le Autorità gover-
native italiane dimostrarono vera comprensione dell'utilità che de-
rivava dal non ostacolare troppo l'Opera Salesiana. Don Concili che
a Roma conduceva le pratiche per ottenere dispense ai richiamati,
la cui presenza era indispensabile in certi rami di attività, scrive-
va {1): «È impossibile non vedere in tutte le Autorità la particolare
benevolenza verso di noi. Ne sia ringraziato il Signore».
Ai due menzionati effetti si aggiungeva l'impossibilità di rice-
vere aiuti da molti Cooperatori. Dove ferveva la guerra, essi non
avevano modo di estendere la loro beneficenza fuori delle proprie
terre o perchè erano precluse le vie di comunicazione o perchè stret-
tezze finanziarie e perdite di cari angustiavano le famiglie. La pub-
blicazione dei Ballettino Salesiano in otto lingue estere, sospesa
momentaneamente allo scoppio delle ostilità, fu ritentata nel gen-
naio 1915. Le edizioni francese, inglese, tedesca, polacca e ungherese
recavano una nota del successore di Don Bosco, che, mentre espri-
(1) Lett. a Don Altera, 10 febbraio 191*.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
meva ai Cooperatori l'intima partecipazione alle loro angustie, li
pregava di continuare a tutte le opere salesiane e in particolar modo
a quelle impiantate fra loro ogni migliore appoggio (1). In pari tempo
con sue circolari si studiava di sostenere il coraggio dei soci rimasti,
facendo appello alla loro fede e al loro affetto verso 3a Congrega-
zione per non arrestarsi sfiduciati dinanzi alle difficoltà. Era venuto
il tempo, in cui tutti dovevano mostrarsi più che mai fedeli all'imi-
tazione di Don Bosco nello spirito di sacrificio e nella rigida pratica
delia povertà religiosa.
Con l'inasprirsi e il prolungarsi del flagello la Chiesa moltipli-
cava gl'inviti alla preghiera e alla penitenza per implorare la cessa-
zione di tanti mali. Nel santuario di Maria Ausiliatrice era un fer-
vore continuo di suppliche private e pubbliche e una gran frequenza
dei sacramenti. Don Albera volle che si rinnovasse con particolare
solennità la commemorazione del 24 d'ogni mese, introdotta da poco
in onore di Maria Ausiliatrice, unendovi l'intenzione d'invocare la
protezione divina sui Salesiani e sui Cooperatori combattenti.
Fin da principio egli pensò alla corrispondenza con i confratelli
militarizzati, A ciò esortava Ispettori e Direttori, raccomandando
loro di aiutarli moralmente e materialmente quanto potevano, di
procurarsene i non sempre facili indirizzi e di comunicarli ai Supe-
riori. Egli stesso rispondeva con paterna sollecitudine a quanti gli
scrivevano; anzi, non pago di lettere individuali, cominciò dal mar-
zo 1916 a spedire ogni mese una circolare collettiva esortando, inco-
raggiando, comunicando notizie domestiche, narrando esempi edifi-
canti di confratelli morti in battaglia. Tali scritti, accolti con affet-
tuosa riconoscenza e continuati fino ai dicembre 1918, contribuirono
a mantenere nei destinatari il buono spirito e la fedeltà alla vo-
cazione.
Secondando le direttive di Don Albera, i Salesiani e le Figlie di
Maria Ausiliatrice nelle loro case, e, potendo, anche in quelle adibite
a usi militari, organizzavano opere di assistenza, ricovero e prote-
zione per i figli dei richiamati, come dare asilo notturno a giovani
senza tetto, offrire una refezione ai più bisognosi, raccogliere lungo
(I) L'animo <iei Cooperatori traspare dalia loro corrispondenza di quel tenino. It Bol-
lettino ne pubblicò trn saggio a pp. 1357 dei 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
il giorno gli abbandonati per istruirli e assisterli. Tutto questo e altro
ancora, secondo la necessità, si faceva nelle diverse nazioni belli-
geranti.
Detto questo in generale, scendiamo al particolare, incomin-
ciando dagli Imperi centrali. Nell'Impero Germanico fin dopo la
guerra non vi furono case salesiane; si avevano però salesiani sud-
diti germanici in Ispettorie d'Europa, d'Oriente e d'America, i quali
ricevettero tutti il precetto di presentarsi ai rispettivi distretti. A
uno di essi toccò un'avventura singolare: alludo al chierico Teodoro
Seelbach, che divenne poi Ispettore in Germania. Egli, raggiunto il
grado di capitano, si prese per attendente il soldato Hitler
1
!
Nell'Impero austro-ungarico le case disseminate in Austria, Un-
gheria, Polonia, Slovenia e Croazia formavano un'Ispettoria sola,
governata da Don Pietro Tirone con residenza a Oswiecim. Esse
stettero tutte aperte meno le quattro di Oswiecim, Przemysì, Lubiana
e Leopoli, trasformate in ospedali militari. In quelle critiche circo-
stanze il Rettor Maggiore aveva conferito all'ispettore i pieni poteri.
Gli ecclesiastici sudditi dell'Austria erano esenti dal servizio militare
anche in tempo di guerra; perciò i soli coadiutori andarono sotto le
armi. All'arrivo dei Russi a Cracovia, dall'istituto ivi esistente si mi-
sero al sicuro alunni e superiori trasferendosi in una villa dei din-
torni, dove rimasero fino alla cacciata degli invasori. Dappertutto
l'attività salesiana vi sì ridusse a poca cosa.
Diciamo due parole delle terre di lingua italiana soggette all'Au-
stria, Ivi le case, trovandosi presso i confini, erano tenute d'occhio. A
Trento l'istituto " Maria Ausiliatrice " e l'orfanotrofio vennero re-
quisiti; ma i Salesiani, essendo quasi tutti triestini, poterono con-
tinuare in parte a svolgere la loro attività, trasportando gli orfani
in una casa presa ad affitto; nell'istituto convertito in ospedale pre-
starono l'assistenza religiosa. A Trieste la guerra, come raffica di
bora, spazzò via tutto quanto vi era di buono e di bello nel fiorentis-
simo Oratorio, lasciandovi una squallida miseria. Per colmo di sven-
tura, poche settimane avanti che la città si ricongiungesse all'Italia,
moriva il Direttore, Don Federico Moratti, stimatissimo per il suo
zelo. Anche il collegio di Gorizia diventò ospedale militare.
Vivevano in Italia per ragioni di studio una cinquantina di chie-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
rici salesiani provenienti da varie parti dell'Impero absburgico. Po-
che settimane dopo che l'Italia aveva dichiarato la guerra all'Austria,
il Governo italiano li internò in Sardegna, ma permettendo che pren-
dessero dimora nei collegi salesiani di Lanusei e di Cagliari, dove
però né dalle Autorità né dalle popolazioni, per quanto avverse al-
l'Austria, non ebbero a soffrire molestie.
Dopo la sconfìtta, sì trovarono nell'Ispettoria di Don Tirone nu-
merosi confratelli, che avevano militato nell'esercito germanico. Ri-
mandarli nelle nazioni, dove stavano prima e che avevano combat-
tuto contro gli Imperi centrali, non sembrò cosa prudente; d'altra
parte mancava la maniera non solo di occuparli, ma anche di con-
venientemente alloggiarli. L'Ispettore, valendosi delle facoltà rice-
vute, aperse ben dodici case, di parecchie delle quali si è detto nel
capo precedente. Don Augusto Hlond," Direttore a Vienna, Io coa-
diuvò efficacemente in tutte queste pratiche. Nel gennaio 1919 Be-
nedetto XV, avendo in udienza raccomandato a Don Albera di ado-
perarsi quanto più potesse a vantaggio della gioventù dei due ex-
imperi, si rallegrò vivamente al sentire da lui quanto per l'appunto
si era venuto e si veniva facendo.
Quell'anno, il 24 novembre, uscì l'Enciclica Paterno iam diu,
commovente grido del Padre comune, perchè si corresse ai soccorso.
dei bambini dell'Europa centrale, che pativano la fame. I Salesiani,
prevenendo il paterno appello, avevano già aperto i detti nuovi isti-
tuti in Polonia, Baviera, Ungheria e Austria per ricoverarvi il mag-
gior numero di giovani indigenti. Il documento pontifìcio stimolò
Don Albera a fare ancora di più. Nell'ultimo giorno dell'anno inviò
Una lettera agli Ispettori dell'Europa centrale per eccitarli a intensi-
ficare e ad estendere maggiormente le opere assistenziali. Da un
mese la vasta Ispettoria di Don Tirone era stata divisa in due; la
ruova, affidata a Don Hlond, aveva sede a Vienna. Dal canto suo
Don Albera cooperò con essi doppiamente. Prese a favorire tutte le
iniziative pubbliche e private sorte in Italia per dare, promuovere e
raccogliere offerte e per procurare ai fanciulli più malaticci una
ricostituzione fìsica mediante alcuni mesi di cura; inoltre dispose che
fosse riserbato a questi ultimi l'istituto di Perosa Argentina in Pie-
monte, capace di contenerne una cinquantina. Poiché la fame si fa-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
eeva sentire a Vienna più che altrove, i Salesiani del III distretto
avevano cominciato dal 1916 a distribuire ogni giorno pane e mi-
nestra a circa 300 fanciulli poveri, il qual numero in seguito crebbe
in misura straordinaria. Dalla disgraziatìssimta capitale pertanto fu
stabilito che partissero per Perosa giovanetti più bisognosi di solle-
cite attenzioni. La prima squadra di 51 giunse a Torino il 24 marzo
1920. Abbisognavano di tutto, anche di vestiti, scarpe, biancheria,
ed erano oltremodo deperiti. Arrivati che furono a Perosa, commo-
veva il vedere fra le buone popolazioni della vallata una vera gara
per somministrar loro il necessario. Vi si fermarono fino ai primi di
luglio. Nel ritorno s'incontrarono all'Oratorio, tutti rifioriti, con una
seconda schiera di 50, che andavano a prendere il loro posto. Avanti
di separarsi, il doppio gruppo verme fotografato intorno a Don Al-
bera, che vi ha tutta l'aria di buon padre in mezzo a una corona di
tanti figli. Il primo stuolo gli diede poi l'addio l'8 settembre, ese-
guendo nella basìlica di Maria Ausiliatrice una Messa del Bottazzo
e alcuni mottetti.
Dei paesi dell'Intesa o alleati dell'Intesa, come si chiamò l'al-
leanza tra Francia e Inghilterra, il Belgio sopportò le maggiori sof-
ferenze. Contro i trattati del 1839, che ne garantivano la neutralità,
gli eserciti germanici lo invasero nell'agosto 1914, portando devasta-
zioni e distruzioni alle sue principali città. Tutto il territorio fu oc-
cupato e martoriato fino alia vittoria. Le dieci case salesiane ivi esi-
stenti subirono durissime prove. Più di tutte patì quella di Liegi,
la maggiore, dove s'insediarono ufficiali tedeschi, che dovettero però
far posto a 50 orfani, i quali non avevano altro rifugio.
Nell'Inghilterra le opere salesiane non andarono soggette a gravi
scosse. Dei soci quattro soli preti furono chiamati a fare da cappel-
lani militari. Essendo tutta la gioventù obbligata alle armi, il no-
viziato restò chiuso per mancanza di novizi. I salesiani condivisero
con le popolazioni i comuni disagi, massime il rigore della fame,
perchè i sottomarini nemici impedivano le importazioni e troppo
tardi si ricorse al tesseramento. Oggi gli Inglesi dicono che nella
prima guerra impararono a fare la seconda.
Nella Francia la legge sempre in vigore contro le Congregazioni
religiose non impedi che i perseguitati volassero in soccorso della
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
patria anche da luoghi remoti, dove sarebbero potuti starsene in-
disturbati. Tra i Salesiani non furono pochi quelli segnalati per
eroismo di carità e di valore. Ebbero essi 111 (preti 69) mobilitati,
dei quali 18 morti (5 preti) e 16 feriti (4 preti); molti ricevettero
varie onorificenze e due anche la Legione d'onore. La condotta degli
invisi " congregazionisti " durante la guerra operò nell'opinione pub-
blica un sì profondo rivolgimento in lor favore, che a poco a poco
anche le case salesiane vennero tutte riaperte e se ne aprirono di
nuove. L'elenco dei soci e delle opere, che più non si leggeva nell'An-
nuario della Congregazione, ricomparve finalmente nel volume del
1928. Però già da tempo essi lavoravano apertamente in più luoghi.
Nel 1920 Don Albera trovò le case di Nizza, della Navarra e di Mar-
siglia in piena attività. Scriveva (1); «Qui in Francia trovo molte
consolazioni. C'è molto buona volontà. I Cooperatori anche pare sì
risveglino. Speriamo di rivedere l'opera salesiana risorgere ».
L'Oriente ottomano si tirò in casa non solo ripercussioni belliche,
ma anche la guerra guerreggiata, e i Salesiani vi sopportarono la
loro parte di guai. Essendosi la Turchia alleata con gli Imperi cen-
trali, incominciarono presto le occupazioni di case nostre. Turchi e
Austro-tedeschi se le disputarono. Nel 1914 chiusa la Scuola italiana
di Giaffa e chiuso l'istituto di Gesù Adolescente a Nazaret; l'anno
dopo, chiuse la Scuola italiana di Gerusalemme, la Colonia agricola
di Cremisan e le fiorenti Scuole italiane di Smirne; nel 1916 invaso
l'orfanotrofio di Betlemme. Gli orfanelli, ricoverati prima nella casa
di Beitgemal, vennero poi trascinati a Gerusalemme e messi sotto
direzione mussulmana. Per mantenerli si requisì ogni cosa ai Sale-
siani; ma quella specie di istituto durò finché durarono le provviste;
finiti i viveri, quei poveri ragazzi furono abbandonati alla ventura.
Della casa dì Gerusalemme le autorità civili incarcerarono il coa-
diutore Angelo Bormìda, accusato d'intelligenza col nemico per aver
fatto uso di telegrafìa senza fili. Notisi però che si trattava di spe-
rimenti anteriori alla guerra e di un apparecchio eostruito da lui e
molto primitivo. La malignità di accusatori in tempo di guerra ar-
riva a tutto. Il povero coadiutore morì in carcere a Damasco, vit-
tima di maltrattamene. Più tardi l'autorità militare Surca fece cat-
ti) Lett. a D. Gusmawo, Chateau d'Alx, 2-i febbraio 1320.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
turare Don Mario Rosin, Direttore a Betlemme, e il coadiutore Gia-
como Zanchetta, perchè trovati senza permesso, quantunque sen-
z'ombra di dolo, in luogo dichiarato zona di operazione. I due,
condannati a tre mesi di prigione, vennero poi esiliati ad Angora e
a Keskin nel cuore dell'Anatolia. Il Zanchetta perì di sofferenze sulla
via dell'esilio; anche Don Rosin avrebbe lasciato la vita, se non fosse
stato soccorso dalia carità di alcuni amici e compagni di sventura.
All'arrivo degli alleati a Gerusalemme, otto salesiani e due famigli
italiani della casa di Cremisan, poche ore prima della capitolazione.
vennero dai Turchi internati come ostaggi. Era tra essi il Direttore
Don Giovanni Villa e il settuagenario Don Vincenzo Ponzo. Tra-
dotti a Gerusalemme, furono deportati a Keskin. Privi di ogni con-
forto materiale e di ogni spirituale sollievo, osteggiati dai paesani
che li pigliavano a sassate, dopo un anno di patimenti rividero d'un
tratto spezzate le catene. Ricondotti contro le umane previsioni alla
loro casa, fu lor primo pensiero domandare a Dio perdono per gli
autori di tante loro pene; giacché i barbari istigatori dei Turchi erano
stati tutt'altro che seguaci di Maometto.
Le case si vennero riaprendo una dopo l'altra; ma furono tro-
vate spoglie di tutto. L'orfanotrofio di Betlemme, per esempio, non
aveva più neppure una macchina nelle scuole professionali. I Coo-
peratori d'Europa risposero generosamente alle implorazioni di aiuti.
Finita la guerra, perdurava nelle case salesiane della Palestina
un perturbamento interno, che aveva origini lontane e non cessava
di causare seri disturbi. Il nazionalismo, acceso dopo la cacciata del
Sultano dai Giovani Turchi e da essi alimentato senza posa, infiam-
mava gli Arabi, anche quelli resisi salesiani, quando Don Belloni
aveva incorporato la sua opera palestinese alla Congregazione di
Don Bosco. Nulla peggio della passione politica fomenta dissensi,
rivalità e partiti. Nel caso nostro l'antipatia del nuovo Governo turco
verso gli Europei serviva ad attizzare continuamente il fuoco, so-
prattutto contro gli Italiani. Ne derivò uno stato di cose insoppor-
tabile, che ormai era conosciuto fuori e scandalizzava le popolazioni.
Appena tornò possibile viaggiare, Don Albera, desideroso di rista-
bilire la pace, mandò in Palestina con pienezza di poteri il Con-
sigliere professionale del Capitolo Superiore Don Pietro Ricaldo ne.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
Egli, sbarcato il 17 dicembre 1918 in Asia, si trattenne più di due
mesi nel paese di Gesù, finché, con il suo tatto improntato a carità
e prudenza, non gli parve di aver avviato le cose verso la normalità.
Questa però non fu raggiunta tutta d'un tratto né così presto, co-
m'era sembrato dover avvenire; una buona volta tuttavia la si con-
seguì e non venne mai più turbata.
Abbiamo da dire ancora qualche cosa dell'Italia, dove, essendo
assai maggiore che altrove lo sviluppo dell'Opera salesiana, era na-
turale che in quei frangenti si facesse anche di più a beneficio della
gioventù bisognosa. Allargandosi la piaga della fanciullezza priva
di assistenza, mentre da varie parti si escogitavano rimedi, il suc-
cessore di Don Bosco mise mano senz'altro a un'opera concreta.
Su d'un colle poco lungi da Pinerolo era stato posto in vendita a buone
condizioni un loro stabile, che sorgeva sopra un poggio isolato e ve-
stito di alberi fruttiferi, dimora amenissima e saluberrima. Ne de-
cìse l'acquisto allo scopo di aprirvi un orfanotrofio, nel quale acco-
gliere giovanetti che per causa della guerra si trovassero in perìcolo
di abbandono morale e nell'impossibilità di essere educati e mante-
nuti senza il soccorso della pubblica beneficenza. Fu stabilito di ac-
cettare quelli che fossero orfani di madre e avessero il padre morto
in guerra o richiamato al servizio militare, purché non fossero di età
inferiore agli otto né superiore ai dodici anni, e venissero presentati
da persone o da enti che, mentre ne assumessero la responsabilità
legale, si obbligassero a ritirare i fanciulli, quando per qualunque
causa non potessero più rimanere nell'istituto (1). Questo, ben inteso,
veniva dopo il molto che per esortazione di Don Albera già si faceva
in oratori festivi e in collegi. 11 provvedimento riscosse alte lodi
dalla stampa anche anticlericale e caldi encomi dalle Autorità ec-
clesiastiche e civili.
Senza frapporre indugi, la casa venne allestita. Il luogo, noto col
nome di Monte Oliveto, era un vero paradiso per poveri fanciulli,
che non potevano più godere le dolcezze del domestico nido. L'isti-
tuto, intitolato a Don Bosco, fu inaugurato solennemente da Don
Albera, assistito da Autorità d'ogni ordine e grado, il 22 ottobre 1916
(1) Verb. del Cap. Sup., 21 marzo 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
con i primi 22 orfanelli, aumentati poi fino a 87, Da quell'anno al
1924 i piccoli ospiti sperimentarono in numero di 265 coi benefìci delia
Divina Provvidenza i vantaggi dell'educazione salesiana.
Nell'anno seguente la carità di Don Albera attuò un'altra isti-
tuzione, una Scuola pratica di agricoltura per figli di contadini caduti
in guerra. La aperse alle porte di Roma, mettendola alla diretta di-
pendenza dell'Ospizio del Sacro Cuore, dal quale distava circa tre
chilometri, in una campagna detta il Mandrione. Intento precipuo
era di formare veri e propri contadini, capaci di condurre poi una
modesta azienda agricola; perciò gii alunni dividevano il loro tempo
tra il lavoro e lo studio. Il favore generale e la protezione delle Au-
torità circondarono il nascente istituto, che contò ben presto fino a
128 eontadinelìi. La Scuola del Mandrione era dai competenti addi-
tata a modello di analoghe Scuole governative per il suo programma
e i suoi metodi.
Da nuovi bisogni originarono nuove caritatevoli ispirazioni. Un
momento assai critico fu per L'Italia quando il 24 ottobre 1917 gli
Austro-tedeschi sfondarono il fronte italiano, e causando la ritirata
di Caporetto, invasero il Veneto fino al Piave. Si assistette allora al
tragico spettacolo dei profughi, che affluivano a migliaia nelle re-
gioni circostanti, privi delle cose più necessarie alla vita. Don Al-
bera si preoccupò subito della gioventù. Indirizzò pertanto ai Di-
rettori salesiani di tutta l'Italia una circolare, esortandoli ad ag-
giungere nelle loro case il maggior numero possibile di giovanetti
profughi agli orfani di guerra che già vi avevano. Sapeva bene le
loro difficoltà e strettezze; ma non confidò invano nel loro spirito di
sacrifìcio. Dalle relazioni inviategli risulta che in 25 collegi pote-
rono essere ricoverati 423 profughi, segnalandosi allora, come sem-
pre, l'Oratorio di Valdocco, che diede ricetto a ben 122 giovanetti
Bisogna ripetere che anche in tale contingenza i Cooperatori mo-
strarono di comprendere la loro missione.
Nel 1924 vi fu a Gand un'Esposizione, nella quale figuravano
pure le Opere della Cooperazione sociale. I Salesiani nel reparto
italiano a ciò destinato esposero due grossi Albums, uno dei quali
conteneva l'esatta statistica dei giovani ricoverati dal principio della
guerra fino a quell'anno in 58 istituti, e l'altro le fotografìe degli or-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
fani che vi dimoravano ancora. Il linguaggio delle cifre era più elo-
quente di qualsiasi relazione verbale: i nomi e cognomi dei gio-
vani, che avevano trovato asilo in quegli istituti sommavano a 2476
e per un numero complessivo di 1.636.659 giornate. Una diversa sta-
tistica fu quella compilata a Roma per ordine della Sacra Congre-
gazione Concistoriale sull'opera del clero e del laicato cattolico ita-
liano durante la guerra. Leggiamo in essa che la Società Salesiana
ebbe sotto le armi in Italia 903 membri, dei quali 261 sacerdoti con
43 cappellani. Di tutti questi rimasero feriti 38 e morirono 24. Inoltre
erano stati 61 i locali dovutisi cedere alle autorità militari.
Lacrime i Salesiani ne asciugarono anche altrove. Nel primo
Congresso Internazionale delle Opere di soccorso ai bambini soffe-
renti, tenutosi a Ginevra nel 1920, vennero presentati questi dati:
in Austria 131 infelici raccolti e curati in diverse case; in Baviera
143, nel Belgio 179, nell'Egitto 53, in Jugoslavia 34, in Polonia 186.
in Turchia 110, in Ungheria 22. Né furono da meno le Figlie di Maria
Ausiliatrice, dovunque le sorprese la guerra.
I reduci dalla milizia dopo parecchi anni di una vita così opposta
a quella, alla quale per vocazione religiosa e per la sacerdotale or-
dinazione erano stati dediti, difficilmente avrebbero potuto ripigliare
senz'altro le passate abitudini. Don Albera, sentito in proposito il
parere di tuttf gli Ispettori degli Stati usciti dalla guerra e d'accordo
col suo Capitolo, il 26 novembre partecipò ai primi una serie di
deliberazioni. Le principali erano queste: nelle singole Ispettorie
tutti i Soci tornati dal servizio militare facessero un serio corso di
esercizi spirituali; tutti i chierici, novizi o aspiranti, subito dopo gli
esercizi, andassero alla rispettiva casa di formazione; i chierici per
necessità mandati nelle case prima che per loro cominciasse il trien-
nio pratico, fossero sostituiti con i sacerdoti ritornati; i coadiutori
fossero oggetto di speciali cure da parte dei Direttori, Così a poco
a poco ognuno riprese le tranquille e feconde occupazioni di un
tempo.
La guerra non fece soltanto vittime cruente; nelle varie nazioni
vi furono di coloro che disgraziatamente soccombettero alla tenta-
zione e non trovarono più la strada del ritorno. Tuttavia per testi-
monianza di chi possedeva elementi sicuri di confronto, il numero
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
dei figli di Don Bosco che smarrirono la diritta via fu relativamente
piccolo. Quanto all'Opera salesiana in genere, era sembrato a taluni
che il 1918 dovesse riuscirle calamitoso; invece la Provvidenza di-
spose che, nonostante l'aggravarsi della situazione economica e la
penuria di personale, non solo le case già requisite si ripopolassero
di giovani, ma che s'intraprendessero nuove fondazioni. Fu come
dire: punto e daccapo.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO VI
Due centenari e due cinquantenari,
È innegabile che feste e festeggiamenti entrano come elemento
essenziale nel campo dell'attività salesiana. "Ve lo fece entrare Don
Bosco stesso col suo esempio; quindi avvenne che ab antico i Sale-
siani ebbero fama o taccia di festaioli, Ma si lasciò dire e si videro
così i loro censori farsi a poco a poco loro imitatori. Le celebrazioni
festose, preparate ed eseguite come voleva Don Bosco, servono a
ravvivare nella gioventù e nel popolo i sani entusiasmi religiosi, rom-
pono la monotomia della vita quotidiana, sollevano gli spiriti a ideali
superiori, allietano insomma, incoraggiano, rendono più buoni e più
laboriosi. Non deve quindi parere un uscire del seminato questo
dedicare un capo alle celebrazioni di due ricorrenze centenarie e di
altre due cinquantenarie.
Purtroppo le due prime date s'incontrarono nel periodo bellico,
quando gli animi, preoccupati dalla comune calamità, avrebbero
visto poco bene pompe esteriori, quali si addicono a tempi di quiete
e pace. Perciò i lussureggianti programmi già pronti prima che scop-
piassero le ostilità, si dovettero mettere a dormire. Lo stesso Be-
nedetto XV, che era informato dei grandi preparativi, aveva detto a
Don Albera fin dal 14 ottobre 1914: — E che ne sarà delle vostre
feste? — Fu un esprimere abbastanza chiaramente i suoi dubbi sulla
convenienza di celebrarle nelle forme divisate; infatti continuava
facendo voti che si conchiudesse presto la pace e cadessero così gii
ostacoli. Ma purtroppo la pace sembrava ornai un sogno lontano;
onde si decise senz'altro di pensare solamente a manifestazioni pie
e divote.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
I due centenari si riferivano alla nascita di Don Bosco e all'isti-
tuzione della festa di Maria Ausiliatrice e coincidevano nel 1915.
Su entrambi Don Albera aveva richiamato l'attenzione degli Ispet-
tori e dei Direttori già nel gennaio 1914, rilevandone l'eccezionale
importanza e animandoli a concorrere alla loro degna celebrazione.
Circa i modi concreti di tale concorso parlavano i particolareggiati
programmi, che furono comunicati poco dopo. Il Bollettino italiano
cominciò nel marzo 1915 a intrattenere diffusamente i lettori sul
duplice argomento; gli altri otto Bollettini fecero altrettanto per le
rispettive lingue.
Nel mondo salesiano e non salesiano cresceva l'aspettazione; poi-
ché il richiamo dell'uno e dell'altro avvenimento non interessava solo
alcuni luoghi, ma il mondo intero, non avendo avuto confini lo zelo
di Don Bosco ed essendo la Santa Vergine sotto il titolo di Ausilia-
trice rappresentata quale vindice della libertà della Chiesa. Che poi
in un medesimo anno s'intrecciassero i nomi di Don Bosco e di
Maria Ausiliatrice, com'erano andati sempre di concerto durante la
vita e dopo la morte del Servo di Dio, parve a tutti una di quelle
che Pio XI soleva dire eleganti disposizioni o combinazioni della
Divina Provvidenza. Se non che nel gennaio 1915 Don Albera do-
vette notificare che l'esecuzione dei programmi diramati ai quattro
venti rimaneva sospesa sine die.
Ciò non tolse che il 16 agosto 1915, centesimo natalizio di Don
Bosco, venisse segnalato e atteso anche fuori della famiglia salesiana.
Diffusi Calendari italiani ed esteri saiutavano quella data recando
la figura del Venerabile e dedicandogli affettuosi cenni biografici
con illustrazioni. La stampa quotidiana aveva già portato a cono-
scenza del pubblico i tre omaggi principali che gli si sarebbero resi:
inaugurazione di un monumento sulla piazza di Maria Ausiliatrice,
molteplice esposizione salesiana e secondo Congresso degli ex-allievi.
Inoltre fra il chiudersi del 1914 e l'aprirsi del 1915, quando i Coo-
peratori si raccoglievano per la regolamentare conferenza, l'argo-
mento del centenario aveva dato materia a intrattenere gli uditori.
A Bologna l'Arcivescovo Gusmini aveva di lì preso lo spunto per
un lungo ed elaborato discorso (1). Svanita l'attesa, l'occasione, nono-
(1) Il Bollettino io pubblicò per intero ce! num. dell'aprite 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
stante la tristezza dell'ora, non passò inosservata. Giornali e pe-
riodici ne fecero degna menzione (1). Inviarono adesioni otto Car-
dinal^ molti Arcivescovi e "Vescovi e innumerevoli personalità (2).
Mancò un documento pontifìcio, perchè il Santo Padre riteneva che
il Papa dovesse intervenire solo nel centenario della morte, non
della nascita dei Servi di Dio; ma diede incarico al Card. Gasparri
di scrivere nella sua qualità di Protettore della Società Salesiana, il
che egli fece con un'affettuosa lettera (3).
Ma bisognava pur fare qualche cosa di più, che fosse concilia-
bile con la recente entrata dell'Italia in guerra. Venuto pertanto il
mese di agosto, Don Albera invitò Cooperatori e amici a un doppio
pellegrinaggio, uno alla tomba e l'altro alla culla di Dan Bosco:
il 15 a Valsalice, il 16 ai Becchi di Castelnuovo. Il nome di Don Bosco
non aveva perduto nulla della sua misteriosa attrattiva. A Valsalice
il concorso fu tanto, che bisognò erigere un altare sotto il portico
antistante alla tomba. Celebrò Don Albera, il quale, aiutato da tre
sacerdoti, distribuì oltre mille e cinquecento Comunioni. Vi mancò,
è vero, lo splendore esterno, ma vi supplirono la partecipazione
di ogni classe sociale e la viva pietà che traspariva dal contegno di
tutti. Ivi stesso si ritornò nel pomeriggio per la commemorazione
del festeggiato. Non meno di cinquemila persone si serravano com-
patte nel cortile ombreggiato da sei file di platani. Il professor Gri-
baudi, presidente della Federazione internazionale degli ex-allievi,
diede lettura di numerose adesioni. L'oratore Arturo Poesio, capo-
sezione al Ministero del Tesoro, tratteggiò con fervida e colorita fa-
condia la vita operosa e benefica del grande maestro e apostolo. Par-
larono ancora un rappresentante del Sindaco e il Consigliere Co-
munale Saverio Fino. Com'ebbe detta l'ultima parola Don Albera,
il cortile diventò un vasto tempio: canti e preghiere prelusero alla
benedizione eucaristica, impartita dall'alto del terrazzo, che si stende
(1) Due lunghi elenchi ne diede il Bollettino eoa precise indicazioni (ott. e nov. 1915}.
(2) Notevole quello del P. Tacchi Venturi, storico della Compagnia di Gesù. Auguravi).
egli che presto alla voce del Papa proclamante la santità di Don Bosco rispondesse « dall'alto
del Campidoglio il plauso e la riconoscenza all'amico e vero benefattore del popolo ». L'au-
gurio,- che allora sembrò semplicemente un pio desiderio, si avverò nel 193+ subito dopo la
canonizzazione,
(3) Lett, de! Procuratore Don Muneratì a Don Gusmsno, segretario del Capitolo Supe-
riore, Roma, 7 e 8 agost» 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
dinanzi alla cappella sepolcrale. Tutti i presenti ricevettero un ele-
gante " Ricordo " con il ritratto ài Don Bosco e con alcune massime,
che ne avevano informato l'apostolica operosità, soprattutto a bene
della gioventù. Se non sì potè inaugurare il monumento ideato
dalla riconoscenza, le migliaia di anime raccoltesi in quel giorno
presso la sua tomba mostrarono con il loro affetto d'aver innalzato a
Don Bosco nel proprio cuore un monumento ben più prezioso del
bronzo e del marmo.
Rimaneva la seconda giornata presso l'umile e gloriosa casetta,
nella quale vide la luce colui, che dopo cent'anni riempiva il mondo
del suo nome e delle sue opere. La mattina del 16 al poggio dei Bec-
chi scendevano dalle colline circostanti per stradiccìoìe campestri
lunghe file di popolani; salivano da Torino drappelli di giovani e
larghe schiere di ecclesiastici e laici. Li attendevano con Don Albera
tutti i Superiori e molti Salesiani. Di mano in mano che giungevano,
visitavano commossi le anguste e povere camerette e poi si aggira-
vano nelle vicinanze, osservando i luoghi, che erano stati testimoni
degli anni di Don Bosco fanciullo. Infine tutto il pio pellegrinaggio
sì raccolse nello spazio di fronte alla casetta natale, dove Don Albera
cantò Messa all'aperto e poi, udita la parola evocatrice del signor
Poesio, procedette alla cerimonia della posa d'una prima pietra.
A ricordo del centenario, là a pochi passi dalla stanzetta, nella quale
al novenne la Vergine aveva rivelata la missione destinatagli da Dio,
doveva sorgere una chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice. In quell'ora
medesima la Provvidenza disponeva che il Santo Padre Benedetto XV
ricevesse Don Francesia e gli dichiarasse che col ricevere lui, il più
antico dei figli di Don Bosco, intendeva rendere onore alla Società
Salesiana nei fausto centenario della nascita del Venerabile Fon-
datore (1).
L'epilogo della giornata fu a Castelnuovo, la cittadina in cui il
17 agosto 1815 Don Bosco era stato rigeneralo nelle acque battesi-
mali. Vi convennero tutte le autorevoli persone presenti ai Becchi, il
Deputato del collegio, il Consiglio municipale e rappresentanze di
Torino e dei paesi circostanti. Per prima cosa fu scoperta una la-
(1) Lctt. cil. di D, Francesia a D. Albera (pag. 35).
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
pide commemorativa. Dopo la colazione offerta nella casa salesiana,
seguì l'omaggio ufficiale. Con biglietto d'invito del Sindaco la mag-
gior parte della cittadinanza si adunò nell'ombroso cortile per un
trattenimento, nel quale si riudì l'ex-allievo Poesio. Poi il Deputato
Gazelli di Rossana dal ricordo della visita fatta quella mattina alla
casetta di Don Bosco assurse ad esaltare l'intervento della Provvi-
denza divina nell'Opera del Venerabile. — Ed ora, esclamò, a me pare
che Don Bosco dev'essere contento di noi. Noi lo abbiamo onorato, lo
abbiamo festeggiato, e come un buon padre si volge soddisfatto agli
amati figli e ci domanda sorridendo che cosa vogliamo. Ebbene ri-
spondiamogli che lo preghiamo di ottenerci da Dio la sospirata pace.
—• Don Albera, cittadino onorario di Castelnuovo, rese grazie a tutti,
facendo suo il voto del Deputato; ma purtroppo il mondo non me-
ritava ancora il prezioso dono della pace.
Così Torino aveva fatto quanto di più e dì meglio si potesse fare
nelle critiche circostanze create dalla guerra all'Italia e al mondo.
Per tutto il continente antico, o fosse lo stato dì guerra o fossero ì
contraccolpi della guerra, non accompagnarono la commemorazione
di Don Bosco le manifestazioni inseparabili dalle feste salesiane.
Non così nel continente nuovo, come diremo. Il medesimo si ha da
ripetere del centenario di Maria Ausiliatrice.
Stavano per compiersi in settembre i primi cent'anni, dacché
era stata istituita la festa di Maria Ausiliatrice; ma la commemora-
zione erasi anticipata al 24 maggio. Se non fosse stata la tristezza
dell'ora, chi sa quale splendore di feste si sarebbe avuto! Ma proprio
il giorno avanti l'Italia aveva dichiarato guerra all'Austria. Con-
venne perfino tralasciare la solita processione, sempre tanto cara
alla cittadinanza.
Il decreto della festa, emanato il 15 settembre 1815, aveva avuto
per iscopo di render grazie alla Madre dì Dio per la liberazione dei
Papa Pio VII dalla sua quinquennale prigionia napoleonica e di per-
petuare il ricordo del suo trionfale ingresso nell'eterna città, avve-
nuto il 24 maggio 1814. Questo coincidere della nascita di Don Bosco
e del suddetto decreto nel medesimo anno ci fa pensare a un tratto
speciale della Divina Provvidenza, come ben rilevò anche l'Arci-
vescovo Card. Richelmy. il quale, parlando al popolo nella solennità
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
del 24 maggio 1915, ebbe a dire: « Dispose il benignissimo Iddio, che
l'anno stesso, in cui fu istituita la festa di Maria Ausiliatrice avesse
a nascere Colui, che doveva così largamente diffondere il culto alla
Vergine Benedetta sotto questo dolcissimo titolo».
Sebbene iì centenario cadesse in settembre, si era creduto più
opportuno aprirlo il 24 maggio, giorno della festa divenuta ormai
popolare. Le funzioni si celebrarono nel santuario con. solenni pon-
tificali e con. l'omelia del Card, Ferrari, Arcivescovo di Milano.
Quanto vi sarebbe da narrare, se si fosse potuto compiere tutto
quello che era nei propositi e nei disegni ! In compenso, le pubbliche
ansietà, che impedirono lo splendore dei festeggiamenti, produs-
sero uno straordinario fervore di pietà. Mai, neppure nel 1903 in
occasione dell'incoronazione, s'innalzarono nel santuario' tante e sì
infocate preghiere, né si dispensarono mai tante comunioni. Dal 15
al 31 maggio fu proprio una festa quotidiana. Non si potè fare la
processione; ma fu per più di due settimane una processione con-
tinua di torinesi e di forestieri ai piedi dell'Ausiliatrice per implo-
rare la pace. Era appunto quello che si voleva, e il popolo capì.
L'ardore dei divoti si riaccese in settembre durante il novenario,
che cominciò il 15 e finì il 24, in memoria del decreto. Il Card, Arci-
vescovo nell'ultimo giorno ripetè in forma geniale il pensiero accen-
nato sopra. Cent'anni prima, disse in sostanza, quando il Sommo Pon-
tefice istituiva la festa di Maria Ausiliatrice, non esisteva ancora il
santuario di Valdocco né ancora viveva alcuno de' suoi uditori; ma
io sguardo di Dio contemplava già le meraviglie che il Venerabile
Don Bosco, bambinello allora di pochi giorni, avrebbe operate nel
nome di Maria Ausiliatrice e si posava con compiacenza anche sopra
la pia moltitudine adunata in quel 1915 per celebrare il centenario
dell'atto riconoscente di Pio VII.
Ci voleva qualche cosa anche per ricordare il centesimo anni-
versario della prima festa di Maria Ausiliatrice. A questo scopo il
24 maggio 1916 fu contraddistinto con un grande tesoro spirituale.
Don Albera aveva fatto presentare al Santo Padre una supplica per
ottenere l'indulgenza plenaria toties quoties nel dì della festa, lu-
cratone cioè da ognuno tutte le volte che in detto giorno visitasse il
santuario. Il Papa di proprio pugno gli rispose il 13 maggio: «Ad
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
esprimere la viva fiducia che abbiamo nella intercessione di Maria
Ausiliatrice, siamo ben lieti di accogliere la istanza del Rettor Mag-
giore della Congregazione Salesiana di Don Roseo, e concediamo
che tutti i fedeli, i quali visitino ìa Basilica di Valdocco in Torino il
24 maggio, possano lucrare toties quoties la indulgenza plenaria nella
forma consueta e che la indulgenza stessa sia applicabile ai defunti.
Contrariìs quibuscumque minime obstantibus » (1). La notizia di que-
sto favore, rapidamente e largamente diffusa, attrasse un mondo di
gente. Crebbero solennità alla festa la porpora e la parola del Card.
Cagherò, elevato da pochi mesi all'alta dignità della Porpora.
Nell'America le ripercussioni della guerra non si fecero sentire
tanto forti da perturbare l'andamento della vita ordinaria, sicché i
centenari poterono essere celebrati con tutta libertà e col dovuto
decoro. La partecipazione generale ai festeggiamenti è un fatto de-
gno di passare alla storia. Nelle varie Repubbliche ogni categoria di
cittadini interveniva alle onoranze rese a Don Bosco, quasi egli fosse
un Santo nazionale, e alle commemorazioni di Maria Ausiliatrice si
accorreva in massa, come se si trattasse di una divozione locale,
consacrata da lunga tradizione. Anche Presidenti di Stati e Corpi
legislalivi ci tennero a non apparire estranei ai sentimenti popolari.
In grandi città s'intitolavano vie a Don Bosco e in più luoghi si con-
corse all'erezione di nuovi istituti e di nuove chiese a perpetua
memoria dei centenari. Detto questo in genere, tocchiamo di due Re-
pubbliche, le quali più si segnalarono in quella circostanza; voglia-
mo dire il Brasile e l'Argentina.
Il Brasile solennizzò le due ricorrenze con un VII Congresso
Internazionale dei Cooperatori Salesiani. Fu tenuto in ottobre nel
collegio ispettoriale di San Paolo, che offriva già allora una rile-
vante sintesi dell'Opera di Don Bosco. Aveva infatti studenti, arti-
giani, alunni esterni, allievi delle scuole notturne, i quali tutti rag-
giungevano il numero di 1300; oratorio festivo con un buon migliaio
di frequentanti e con notevole spirito di pietà; organizzazione degli
ex-allievi, santuario del Sacro Cuore e assistenza agli emigrati. In
un simile ambiente non stentiamo a credere che il Congresso otte-
(1J Facsimile dell'autografo in Boli. Sai., giugno 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
nesse uno strepitoso trionfo, come scrisse un testimonio oculare ed
oculato (1).
Le cose furono fatte sulla falsariga degli analoghi Congressi di
Europa, Un tragico incidente accaduto proprio alla vigìlia minacciò
di mandare a vuoto tutti i preparativi. La sera del 26 ottobre, due
giorni prima dell'apertura, i 330 convittori del collegio di Nicteroy
con i loro superiori tornavano pieni di allegria da Rio de Janeiro,
dove erano stati a rendere omaggio al Cardinale Arcivescovo Arco-
verde Cavalcanti, primo Porporato brasiliano, nelle sue episcopali
nozze d'argento, quando nell'attraversare sopra un traghetto i sei
chilometri di mare, che separano le due città, l'imprudenza del pi-
lota spinse contro uno scoglio la nave, che ebbe squarciata la chiglia
e in quattro minuti affondò. La notizia corse in un baleno il Brasile,
ingrandita al solito oltre misura. Si diceva che tutti fossero periti.
E forse così sarebbe stato, se per fortuna il pronto salvataggio or-
ganizzato da marinai vicini e l'abnegazione eroica dei superiori e
dei giovani più grandi non avessero limitato di molto le conseguenze
del disastro. Le vittime furono 28, compreso un coadiutore brasi-
liano, travolto dalle onde, mentre si slanciava la sesta volta a sal-
vare naufraghi. Era pur sempre una gravissima sciagura. A coloro
che facevano gli ultimi preparativi del Congresso caddero le braccia.
La prima idea fu di sospendere ogni cosa; ma l'Arcivescovo con-
sigliò dì proseguire. li 28 presero a giungere i congressisti. Alla sta-
zione, nonostante il grande concorso, regnava alto silenzio. La figura
dell'Ispettore Don Rota passò circondata come da un'aura di com-
mossa simpatia. I Vescovi, che nella Capitale federale a fianco di
Sua Eminenza avevano ammirato il contegno dei baldi giovani,
erano ancora in preda alla costernazione. Il Presidente della Repub-
blica ebbe il delicato pensiero di fare una visita al collegio di Nicteroy
per sollevare gli animi in sì duro frangente. Venne eliminata dal pro-
gramma tutta la parte ricreativa, sicché le cose si svolsero in una
atmosfera di austero raccoglimento, che però non nocque, anzi parve
giovare alla serietà dei lavori.
Il Congresso, durato dal 28 al 31, riuscì una solenne testimo-
nianza di amore a Maria Ausilìatrice e di affetto a Don Bosco. In
(1) Lett. di Doti R. Piltiiìi a Don Albera, Montevideo, 20 novembre 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
separate sezioni si attese allo studio dei temi proposti, discutendosi
poi le conclusioni in assemblee plenarie, nelle quali dotti oratori
laici tenevano discorsi di mirabile elevatezza. Ogni sera una solenne
cerimonia religiosa riuniva i congressisti nella chiesa del Sacro Cuore
a udire la parola dei Vescovi. Non solo nelle funzioni sacre, ma
anche nelle grandi adunanze, la musica liturgica, maestrevolmente
eseguita dai giovani, rapiva gli astanti, per la massima parte dei
quali fu una vera rivelazione. Dopo il Congresso l'Arcivescovo di
San Paolo volle dare una prova inattesa della sua stima per la So-
cietà Salesiana. Era morto da pochi giorni il Direttore diocesano dei
Cooperatori. Don Rota si recò da lui a chiederne il consenso per la
nomina del successore designato; ma egli dichiarò che si riputava
onorato di assumere egli stesso tale carica.
Nel Congresso si fece una constatazione: la Pia Unione dei Coo-
peratori brasiliani presentava ancora varie lacune. Ciò derivava spe-
cialmente dal non essere abbastanza conosciuta. I congressisti com-
presero essere quella il punto fondamentale dell'Opera di Don Bosco;
onde presero deliberazioni atte a diffonderne la giusta conoscenza,
a moltiplicarne i membri e ad organizzarli secondochè prescrive il
Regolamento dell'istituzione.
A duraturo ricordo del Congresso fu deliberata l'erezione di un
nuovo istituto intitolato a Don Bosco e di una chiesa parrocchiale
dedicata a Maria Ausiliatrice in San Paolo. Le Autorità civili, che
tanto interesse avevano preso per il Congresso, contribuirono al-
l'impresa cedendo ai Salesiani un vasto terreno in un quartiere molto
popolato di famiglie operaie italiane. L'Arcivescovo Duarte il 14 no-
vembre, dopo aver celebrato sull'area suddetta, benedisse alla pre-
senza di una compatta moltitudine la prima pietra. Così all'istituto
e alla chiesa del Sacro Cuore, voluti da Don Bosco nel 1885, si ag-
giungeva la nuova doppia costruzione, a cui nel 1931 ne seguirono
altre due, cioè uno studentato teologico con aspirantato e un grande
esternato con parrocchia, più una quinta nel 1936, anche quella per
soli esterni. La vitalità delle Opere dei Salesiani e delle Figlie di
Maria Ausiliatrice nel Brasile ha del prodigioso e risponde piena-
mente a predizioni di Don Bosco.
Il Congresso ebbe pure un riflesso lontano. Un nome era riso-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VJ
nato nelle adunanze, il nome di Mons. Lasagna, di colui che aveva
condotti j primi Salesiani nel Brasile e aveva fondato il collegio di
S. Paolo. Il ricordo della sua immatura tragica fine commoveva
ancora gli animi. L'idea di perpetuare la memoria della catastrofe
con un monumento eretto presso il luogo dov'era avvenuta, aveva
raccolto numerose e calde adesioni. Ragguardevoli congressisti an-
darono là a chiudere la loro assemblea con quella solenne inaugu-
razione, quale atto di riconoscenza verso l'intrepido e operoso apo-
stolo. La cerimonia si compiè a Juiz de Fora il 6 novembre, 20° anni-
versario del luttuoso avvenimento. Vi assistette con uno stuolo di
Cooperatori una larga rappresentanza dei Salesiani e delle Figlie
di Maria Ausiliatrice, in mezzo a una moltitudine di oltre duemila
persone. Il Vescovo salesiano D'Aquino Correa, allora ausiliare del-
l'Arcivescovo di Cuyabà, illustrò il rito commemorativo con- un'ele-
vato discorso, evocando il terribile fatto ed esponendo il significato
della glorificazione. Il monumento sorge sulla linea ferroviaria tra
Juiz de Fora e Mariano Procopio, in un terreno donato dalla Dire-
zione delle Ferrovie. È una croce alta e massiccia di granito, ergen-
tesi sopra un artistico piedestallo. Sul davanti, a pie' della croce,
una grande lapide marmorea reca il busto di Mons. Lasagna in bas-
sorilievo e un'inscrizione; dalla parte opposta in un'altra lapide di
marmo sono scolpiti i nomi di tutte le vittime. Nessun segno si sa-
rebbe potuto escogitare più eloquente per un gruppo di apostoli,
sorpresi dalla morte mentre portavano il culto della croce in quelle
remote contrade.
Del Congresso Don Albera nel febbraio 1917 inviò al Papa gli
Atti, accompagnando l'omaggio con la protesta di filiale attacca-
mento al Vicario di Gesù Cristo e alla Santa Sede in nome suo e di
tutta la famiglia salesiana. Il ritardo fu causato dalla difficoltà delle
comunicazioni portata dall'estendersi del conflitto. Il Papa non solo
gradì l'ossequio, ma rispose a Don Albera addirittura con un Breve
in data 1° maggio. Chiamata la capitale dello Stato di San Paolo
«città nobilissima della Repubblica Brasiliana», continuava: «Nel
leggere questi Atti a Noi parve di avere, quasi dinanzi agli occhi,
la vita industre e attiva di tutta la vostra Società. Sorta, come suol
accadere, da umili principi, essa, con l'aiuto di Dio, crebbe tanto
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
in breve tempo per numero dì operai, che, trapiantatasi nelle terre
lontane delle due Americhe, abbracciò felicemente, insieme con l'an-
tico, anche il nuovo Continente. E qui, in tanta ampiezza di lavoro,
maravigiioso è il vedere quanta utilità abbia apportato di già alla
Chiesa Cattolica, con la costanza nelle fatiche, con lo splendore delle
virtù. Ed è vostra lode il conoscere le esigenze dei tempi, il cono-
scere con quali armi, data l'indole dell'età presente, sia particolar-
mente da combattere. Poiché, come i nemici della religione, ed anzi
dell'umanità, cospirano per distruggere, se fosse possibile, anche la
Chiesa, così voi avete giudicato essere assolutamente necessario il
tenere frequenti Congressi Generali dei Cooperatori, comunicare
idee, associare energie, opporre armi ad armi. Pertanto, con l'aiuto
di Dio, voi poteste già raccogliere frutti copiosissimi. Vediamo poi
che in questo settimo Congresso tenutosi al Brasile sono stati di-
scussi argomenti in verità importantissimi, come nei Congressi an-
teriori. Infatti che vi ha di più opportuno e di più utile, che trat-
tare del modo d'aiutare sempre meglio la gioventù e di tutelare
con nuovi presidii, o dì usare maggiori sollecitudini nella forma-
zione degli aspiranti al Sacerdozio; o di promuovere nuove spedi-
zioni di missionari ai popoli barbari; o di allestire in maggior copia
e più largamente diffondere libri che spieghino il vero, confutino
il falso, promuovano l'amore alla religione; o di assistere con mag-
gior zelo gli emigranti, in modo che, venendo attorniati dai ne-
mici della Chiesa Cattolica, non abbiano a soffrirne alcun danno
nella fede? Di questi e di tutti gli altri temi discussi in quel Con-
gresso, quale si può dire più consentaneo ai tempi presenti? per
questo Noi ci congratuliamo vivamente con te e con i Cooperatori
tuoi e con tutta la Società alla quale presiedi, per l'esito felice di
questo settimo Congresso. Noi infatti nutriamo per le Opere del
Venerabile Don Bosco quella stessa benevolenza che ebbero i No-
stri Predecessori, ed essendo esse attaccatissime al Vicario di Gesù
Cristo, Noi fortemente bramiamo che abbiano ogni dì ad allietarsi
di nuovi Soci e ad aumentare di Cooperatori in modo che possano,
con l'aiuto di Maria Ausiliatrice, provvedere con risultati ognor
maggiori ai bisogni dei tempi » (1).
(1) Periilicnter Nos «1 quas dedssti ad Mos miper litteras accepimn» tuae tuorumque
83
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
Con questa splendida testimonianza del Sommo Pontefice se
ne connette un'altra pure significativa, proveniente dal medesimo.
Don Albera, recatosi a Roma per le feste di Beatificazione del Cot-
tolengo, fu ricevuto il 2 maggio in udienza privata da Benedetto XV.
al quale rese grazie del Breve allora allora ricevuto. Il Papa gli
disse: «È bene che il Papa a quando a quando dia alla Congrega-
zione un pubblico attestato della sua sovrana compiacenza. Conti-
nuate nell'opera vostra di zelo secondo lo spirito di Don Bosco e
ne avrete le benedizioni di Dio » (1).
Anche i Santi hanno le loro predilezioni. È fuor di dubbio che
S. Giovanni Bosco, se abbracciava col suo zelo tutte le Repubbliche
d'America, prediligeva però la Repubblica Argentina. Oggi, veden-
do i sorprendenti progressi fatti ivi dalle Opere di Don Bosco in
ogni campo, si capisce da che cosa fosse ispirato e dove mirasse
questo amore di preferenza. Nel 1915 l'Argentina contava già 44
case dei Salesiani e 29 delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Era dun-
que naturale che quella Repubblica nel festeggiare le due date cen-
erga Nos et Apostolìcam Sedem observantiae plenas et adiuncta litteris seta septimi con-
ventus, quein Salesiani cooperatore^ Sancii Pauli, in urbe Brasilianae Reipublicae peniobili,
haud ita pridem frequentissimi celebrarant. Quae quidem acta perlegentes velut positum in
conspectu videbamur vitam intueri industrem sane et actuosam universae Sodalitatis vest'rae.
Haec a parvis orta, utì flt, initiis Ita brevi Deo adiuvante aucta est operariorum mimerò, ut
in dissitis etiam utriusque Americae plagia sede collocata orbem terrarum cum veteri novtsm
complexa sit felfeiter. Atque hic i» tanto industriae spati» mirtini quantum adirne utilitatis
attulit Ecclesiae Catholicae constantia laborum, splendore virtutum. Vostra tamen laus est
novisse, tempora quid postulent, novisse, quibus armi» horum data temporum natura sit
potissime dlmieandum. Ouemadmodum enim religioni» atque adeo homanitatis inimici passim
sese congregant et pessimo foedere iuncti conspìrant, ut Ecclesìam, si fieri possit, ipsam
deleant, ita vos necesse omnino esse duxistìs frequentes universi coetus congreasiones eoope.
ratorum taire, conununicare Consilia, consociare vires, arma armis opponere. Qus> factum
est, ut ope divina freti fructus coIUgeretis uberrimos. Hes autem maxim* profecto momenti,
ut in supertoribus, ita in hoc septimo Brasiliano conventu fuisse videmus ad deliberandum
propositas. Quid enim oppoftunius, quid utilius, quam aut de iuventute quotidte magia
ìuvanda novisque praesidiis Srmanda decernere aut de malore ad sacri ordini» alumnorum
ìnstitutionem studio adhlbendo aut de sacris expeditionibus ad barbaros promovendis aut
de Ubrorum, qui vera explicenl, falsa diluant, amorem religionis excitent, maiore pa-
randa copia fusiusque dìsseminanda aut de tuendis studiosius emigrantibus e patria, ne
ab hostibus Ecclesiae Catholicael circumventi aliquid, in «de detrimenti capiant? Quid hisce
aliìsque rebus, de quibus in eo conventu consultum est, his, quibus vivimus, temporibus,
putemus magìs consentancum? Quare tibi, dileete liii, tuisque cooperatoribus et universae,
cui praees, sodalitati felicem huius septimae congressionis exitum vehementer gratulamur.
Eadem enim Nos, qua decessores Nostri, benevolentia Venerabilis Ioannis Bosco instituta
complectimar, quae, ut Jesu Christì Vicario deditissima, valde cupimus novìs in dica et ilo-
rere alumnis et cooperatoribus augert ita, ut posslnt Mariae AuxiUatrìcis ope necessltatibus
temporum uberiore usque cum fructu «sederi,
(1) Yerì>, del Cap, Snp., 19 maggio 1917.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
tenarie primeggiasse sulle altre sorelle e la capitale Buenos Aires
riportasse la palma. Le feste commemorative di Buenos Aires, ini-
ziate in maggio e conchiuse in ottobre, si svolsero secondo un pro-
gramma redatto sotto l'ispirazione dell'ammirabile Ispettore Don
Vespignani e sotto la sua direzione eseguito. Nel mese di maggio.
funzioni religiose in onore della Madonna di Don Bosco; in giu-
gno, tradizionale assemblea di ex-allievi ; in luglio, concorso di so-
ciologia e apologetica e diversi festeggiamenti; in agosto, feste ge-
nerali a omaggio di Don Bosco, inaugurazione di un grande edificio
scolastico e tornate accademiche; in settembre, concorso ginnastico
e gran corteo giovanile; in ottobre, Congresso nazionale degli ex-
allievi e pellegrinaggio Anale al santuario di Lujan. Questo per soni-
mi capi; i particolari d'ogni fatta sono cose da cronache locali più
che oggetto di storia. Non ne ometteremo tuttavia due. L'Arcivescovo
Espinosa di Buenos Aires e i .Vescovi Orzali di Cuyo, Romero di
Salto, Terrero di La Piata invitarono con lettere pastorali tutti i
loro fedeli ad associarsi all'esultanza dei Salesiani, dei loro ex-al-
lievi e dei Cooperatori, Inoltre agli alunni del Seminario archidio-
cesano di Buenos Aires venne proposto uno studio su " Don Bosco
e la sua Opera sociale " come omaggio nel centenario della nascita,
e la rivista Etudios pubblicò il miglior lavoro, riprodotto poi a parte
in un opuscolo di 18 pagine; autore ne fu il chierico Matteo Filippo.
Il Congresso rivestì un'importanza singolare. Vi parteciparono
200 delegati di Associazioni degli ex-allievi argentini, con un gran
numero di altri ex-allievi e di Cooperatori. Lo svolgimento', anzi-
ché costretto al solito nel breve spazio di pochi giorni, procedette
a intervalli, tenendosi tre sedute private il 7, 14 e 21 ottobre, e tre
pubbliche il 10, 17 e 24 dello stesso mese. Le trattazioni si raggrup-
parono sotto quattro titoli: azione cristiano-sociale, azione patriot-
tica, mutuo soccorso, sviluppo delle singole associazioni. Le delibe-
razioni rivelano maturità d'intenti e senso di praticità. Il meglio si
fu che quanto era stato deciso, non rimase lettera morta, ma venne
con sollecitudine messo in atto. Dopo l'ultima seduta i congressi-
sti diedero un edificante e imponente spettacolo, recandosi tutti in
pellegrinaggio alla Madonna di Lujàn (1).
(1) Cfr. Ann., v. IH, p. 116.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
Risale all'occasione dei centenari un'istituzione, che vigoreggia
tuttora nei numerosi Oratori salesiani dell'Argentina. Il lodato Ispet-
tore, che per trent'anni resse i Salesiani nella Repubblica, faceva sua
ogni iniziativa diretta a favorire il progresso scientifico e morale e
lo sviluppo fisico della gioventù. Andava allora per la maggiore l'i-
stituzione dei boy-scouts o giovani esploratori, riconosciuta d'indi-
scusso vantaggio. Egli la introdusse in tutta l'Ispettoria, ma liberan-
dola da quanto sapeva troppo di laicismo e imprimendole un carat-
tere prettamente salesiano. Quindi, niente nudi nella divisa; cam-
peggi, nei quali fosse assicurata, senza tolleranze credute lecite da
altri, la moralità; un regolamento con i dieci precetti della «legge
d'onore », come la chiamano, ma racchiudenti con i doveri del buon
cittadino gli obblighi dei buon cristiano. Non vi si ammettono se non
giovani degli Oratori festivi. Anche la denominazione è salesiana:
si chiamano Exptoradores de Don Bosco. Sorsero tosto cinque bat-
taglioni a Buenos Aires, altri cinque in vicine località, altri a Ro-
sario, Tucuman, Salto, Cordoba, Mendoza. Il 9 luglio 1916, anniver-
sario dell'indipendenza, in numero di 1210, alla testa di 3000 gin-
nasti dei collegi salesiani, fecero la loro prima comparsa nella ca-
pitale, sfilando magnificamente dinanzi alle Autorità e ad un pub-
blico immenso, che li applaudiva. D'allora in poi l'organizzazione
si estese anche fuori dell'Argentina, sicché ancora al presente è un
vivo ricordo degli indimenticabili centenari.
Ci voleva pure un ricordo monumentale. Esisteva dal 1893 l'O-
ratorio festivo S. Francesco di Sales (1); ma usava di vecchi e di-
sagiati locali, Per il 1915 si era eretto un grande edificio, che ser-
visse non solo all'Oratorio, ma anche a scuole esterne. Lo benedisse
e inaugurò nel mese di agosto l'Arcivescovo dinanzi al Presidente
della Repubblica Vittorino de la Plaza. Il deputalo Gafferata pro-
nunciò un nobile discorso con affermazioni, che sono documento
per la nostra storia. Dopo aver detto che veniva ad offrire a Don
Bosco l'omaggio della, sua parola nel centenario della sua nascita,
perchè, vecchio amico della Società Salesiana, aveva appreso ad
amarla da fanciullo per ammirarla da uomo, tra tante belle cose
fece la seguente dichiarazione: «Come argentino, io mi faccio l'in-
(1) Ann., v. II, pp. 113-4.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
terprete della gratitudine nazionale verso l'Opera Salesiana fiorente
tra noi con sì eccellenti e splendidi frutti, per cooperare alia sua
grandezza e alla sua gloria. Come rappresentante del popolo ricono-
sco che questo popolo, nella sua espressione più genuina, l'operaio
e il figlio dell'operaio, a essa va debitore di grandi benefici. Come
cattolico, rendo omaggio alla memoria di un Figlio prediletto della
Chiesa, colonna della sua fede, araldo della sua dottrina, soldato
della sua causa, eroe delle sue battaglie ». Passando poi a dire dei
risultati, che l'educazione salesiana otteneva in una moltitudine di
fanciulli, osservava: «Studenti, operai, professori, pastori d'anime
sorgono da questa massa apparentemente infonne, come raggi di
luce da una massa incandescente. E così si crea un'accolta di uo-
mini sani, con un chiaro concetto della vita, della propria respon-
sabilità e dei propri doveri, dal cuor generoso, dallo spirito tem-
prato, dal carattere fermo, che sono più tardi in mezzo alla so-
cietà il contrappeso e l'equilibrio che ia difendono contro il disor-
dine, l'anarchia e la rivoluzione ». Invitava finalmente gli uditori
d'ogni ceto a compenetrarsi di tutta l'importanza sociale dell'O-
pera di Don Bosco, di tutto il suo valore nello sviluppo del pro-
gresso nazionale, di tutta la sua eccellenza nell'educazione del po-
polo. Perciò chi per i propri ideali religiosi, chi per le proprie
aspirazioni patriottiche, e gli altri per la brama di miglioramento
sociale, tutti vi dessero la loro protezione, il loro incoraggiamento,
la loro cooperazione, nella certezza che farebbero un'opera santa
di giustizia e di vero patriottismo.
Sul principio dell'anno lo zelante Ispettore aveva tracciato ai
Direttori una serie di argomenti da svilupparsi tra i giovani in-
terni dei collegi. Essi gli erano stati suggeriti da una letterina in-
viatagli da Don Bosco il 22 agosto 1880. Gii scriveva il Santo « Di-
rai agli studenti ed ai nostri ascritti che io attendo grandi cose da
loro. Moralità, umiltà, studio: ecco il loro programma». Bisognava
far comprendere agli alunni che, una volta messo in pratica questo
programma nella vita di collegio, avrebbero poi potuto compiere
un'importantissima missione nella famiglia, nella società e nella
Chiesa. Questo programma, che Don Bosco aveva mandato da To-
rino per i suoi primi alunni argentini, Io stimassero allora man-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
dato dal Cielo e Io spiegassero ai loro giovani nel corso dell'anno
giubilare. A tal fine egli stesso presentava un commento di quelle
tre virtù, interpretate secondo gl'insegnamenti di Don Bosco.
Il Papa non è mai assente dalle celebrazioni salesiane. Ter-
minati i festeggiamenti, l'Ispettore e i Direttori argentini riuniti in
Capitolo ispettoriale spedirono al Papa un elegantissimo album, re-
cante nella prima pagina il ritratto di Benedetto XV con un'am-
pia dedica e contenente nell'interno 15.000 firme di alunni dei Sa-
lesiani e di alunne delle Figlie di Maria Ausiliatrice, più altre 2000
di loro ex-alunne. Vi andava unita la somma di lire 17.000, una
lira ciascuno, per l'obolo di S. Pietro. Il Papa manifestò il proprio
compiacimento a mezzo del Card. Gasparri, suo Segretario dì Stato,
con lettera del 14 maggio 1916 indirizzata a Don Vespignani, rin-
graziando con i Salesiani e con le Figlie di Maria Ausiliatrice an-
che i giovanetti e le giovanette che crescevano « con esuberanza di
vita cristiana all'ombra benefica di Maria Ausiliatrice e sotto lo
"sguardo sorridente del Ven. Don Bosco nelle case salesiane ».
Volendo rappresentarci ora sotto un simbolico punto di vista
tutto quello che si fece, si disse e scrisse da un capo all'altro del-
l'America nell'anno dei centenari, troviamo dimostrate ad evidenza
due cose. La prima è l'universalità spontanea della stima che cir-
condava Don Bosco, spinta fino all'unanime persuasione che egli
fosse non solo già al possesso della gloria celeste, ma anche desti-
nato sicuramente alla glorificazione suprema dei più grandi servi
di Dio. In secondo luogo si comprese sempre meglio quanto sia
universale e perenne l'idea dell'intervento di Maria Santissima in
tutti i bisogni della Chiesa e del mondo e perciò quanto appaia
giusto, importante e opportuno il titolo di Auxilium Christianorum
inserito nelle litanie lauretane.
I due cinquantenari indicati nel titolo del capo occorsero il
9 giugno e il 2 agosto 1918. Uno riguardava la chiesa di Maria Au-
siliatrice, cinquantanni dalla consacrazione, e l'altro si riferiva a
Don Albera, cinquant'anni dalla prima Messa. Nel quarto anno di
una guerra sterminatrice sarebbe stato inconsulto, a dir poco, di-
sporre solenni festeggiamenti, come certo si sarebbe fatto in tempi
migliori; quasi tutto perciò fu ridotto a pie pratiche. In momenti
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
sì tristi, chi aveva la fortuna di serbare viva nel cuore la fede, non
trovava rifugio e conforto più caro fuori della preghiera; ed ecco
che popolo, gioventù, Cooperatori accorrevano volenterosi dove gli
inviti sacri li chiamavano in quelle circostanze. Don Albera, quanto
a sé, avrebbe preferito nascondere la sua persona; ma altri, spe-
cialmente molte nobili dame torinesi riunitesi in Comitato, non la
pensavano come lui, e gli bisognò lasciar fare. Allora il ricordo di
Don Bosco e di Maria Ausiliatrice, suscitato con maggiore inten-
sità, produsse un gran bene: vivificò la fede, santificò le anime, in-
fuse novelli slanci nei cuori. E questo non solo a Torino, ma in
spirituale unione, si può dire, con tutto il mondo cristiano, per-
chè i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice accesero fiamme per
ogni dove.
Il Crispolti, parlando il 25 aprile nell'Ora torio a un pubblico
numeroso e scelto, fece vedere come i due cinquantenari stessero be-
nissimo insieme. Il giubileo sacerdotale dj Don Albera non doveva
passare come un'accidentale e piccola coincidenza del cinquante-
nario del tempio di Maria Ausiliatrice. Infatti la storia di lui era
intimamente legata con quella dell'erezione del tempio e d'altri
grandi atti di Don. Bosco in favore del culto di Lei, sicché Maria
avrebbe gradito d'essere festeggiata anche nel servo suo e che gli
osanna a Essa elevati vibrasseso della commozione suscitata da una
serena canizie umana, che giustamente si riveriva come il segno
parlante d'una cara e sacra paternità.
Si volle opportunamente che Don Albera anticipasse la Messa
giubilare al 9 giugno, data giubilare della consacrazione. Quella mat-
tina la chiesa di Maria Ausiliatrice sembrava un atrio del paradiso.
Il celebrante, con a' suoi fianchi il Prefetto Generale Don Rinaldi
e il Direttore Spirituale Don Barberis, circondato da dodici Vescovi
e assistito pontificalmente dal Card. Cagliero, appariva quasi tra-
sfigurato, tra suoni e canti celestiali, alla presenza delle Principesse
di Savoia e di una folla accorsa da ogni parte. Sul tronetto del-
l'altare spiccava una preziosa croce argentea donata dalla Regina
Elena ; la base della mensa eucaristica era ornata da un aureo cuore
votivo dei soldati del presidio, mentre sulla mensa stessa brillavano
splendide cartegloria offerte dalla Principessa Isabella di Genova.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
Egli indossava una maravigliosa pianeta inviatagli dal Santo Padre
Benedetto XV. Cinquantanni prima al medesimo altare, nella me-
desima ora, Don Bosco aveva celebrato la Messa inaugurale della
basilica. Le anime della folla palpitavano con quella del celebrante.
Dopo la Messa si compiè una bella cerimonia. La Principessa
Isabella y Camposagrado Czartoryski aveva offerto un prezioso
scettro da fissare nella destra dell'Ausìììatrice. Il Card. Cagìiero,
ricevutolo da due paggetti e seguito da Don Albera, salì sul ca-
stello appositamente costrutto dinanzi alla sacra immagine e pro-
cedette all'apposizione del gioiello, pronunciando a voce sonora
un'antifona dettatagli cinquantanni prima da Don Bosco stesso con
la predizione ch'egli l'avrebbe recitata in un'occasione solenne (1).
Ridisceso quindi all'altare, parlò con vigore all'attento uditorio, ri-
destando cari ricordi salesiani e rilevando energicamente come tra
le opprimenti miserie del tempo il popolo italiano avesse il dovere
di abbandonare ogni abitudine di peccato per ritornare a Dio e alia
sua legge e così ottenere la sospirata vittoria e pace. La funzione
ebbe termine con la lettura di un atto di consacrazione dell'Opera
di Don Bosco fatta da Don Albera e con la benedizione apostolica
impartita per concessione pontificia dal Cardinale.
La sera, ai vespri, l'Arcivescovo Card. Richelmy montò in pul-
pito e tessè un fervido discorso, svolgendo tre punti: potenza mi-
sericordiosa di Maria Ausiliatrice, prodigiosità delPOpei*a di Don
Bosco, fedeltà di discepolo e di compagno superstite, con la quale
Don Albera conservava il culto di Maria e la fede operosa di Don
Bosco. A notte, nel cortile dell'Oratorio, dinanzi a una statua del-
PAusiliatrice, eretta su alto trono, sotto un arco di arazzi e di fiori,
tutti i giovani della casa, tutti i superiori e i Vescovi ospiti, dopo
le orazioni, ricevettero il saluto paterno del Rettor Maggiore. Egli
compì quest'ultima fatica della sua grande giornata con sentimenti
che suscitarono viva commozione.
Questa volta vi era stata anche la parola del Papa in un Breve
molto affettuoso, recante la data del 12 maggio. Il documento giunse
(1) O Maria, Virgo potens, Tu magnum et praeclarum in Ecclesia praesidium, Tu sin-
golare ausiliwn Christianorunjj Tu terribili» ut castrorum acies ordinata, Tu cunctas haereses
sola interemisti in universo mundo; Tu in angustia
1
, Tu in bello, Tu in necessitatibus nos
ab hoste protege atque in aeterna gaudia in morti s hora suscipe.
90
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due centenari e due cinquantenari
accompagnato con un duplice dono, commemorativo dell'una e del-
l'altra solennità, ossia la pianeta destinata a Don Albera e una
sacra pisside per il santuario di Maria Ausiliatrice. Anche nel Breve
il Santo Padre associava le due ricorrenze, enumerando e illustran-
do i titoli che rendono venerando il tempio e giustificavano il giu-
bileo della sua consacrazione e richiamando i meriti che facevano
degno della giubilare celebrazione il successore di Don Bosco. Di-
ceva il Papa: « Il 9 del prossimo giugno sarà un giorno doppiamente
avventurato per tutti quanti i membri dell'Istituto Salesiano e per
i suoi Cooperatori ed amici, perchè cinquantanni fa era solenne-
mente aperto al divin culto il Tempio di Maria Ausiliatrice a To-
rino, e tu stesso, o diletto figlio, celebravi la prima Messa. In vero
la Madre di Dio, come assistè alla nascita della vostra Congrega-
zione, proleggendo amorevolmente il venerabile Fondatore, così le
continuò ognor opportuno aiuto nel suo crescere, specialmente dal
dì che pose in detto tempio quasi il seggio regale della sua bontà
in vostro favore. In esso infatti venne presa ogni deliberazione più
acconcia per Io stabile incremento delle vostre opere; in esso reli-
giosamente si venne a conservare e ad alimentare, secondo lo spi-
rito di S. Francesco di Sales, l'ardore di molteplice carità per la sa-
lute delle anime; da esso partirono, gli uni dopo gli altri, esempla-
rissimi membri dell'Istituto sia per educare sanamente la gioventù,
sia per recare il nome di Cristo ai barbari; da esso infine, come da
prmcipal sorgente, scaturì quasi un'onda perenne di grazie celesti
per tutta la famiglia salesiana. Quindi si può dire con ragione, che
tutti gli avvenimenti della vostra Società siano consacrati dal culto
a Maria Ausiliatrice. E l'inizio di cotesto santuario mariano viene
per felice coincidenza a essere celebrato insieme con quello del tuo
sacerdozio. Tu in vero, per tutto questo tempo, con non poco senno
e zelo e lavoro cooperasti al bene di cotesta Società: alla quale, se
desti il nome non appena iniziata, ora che è mirabilmente accresciuta
e diffusa per ogni dove, presiedi saggiamente. E poiché tutti i tuoi,
rendendo omaggio alla comune Patrona, si apprestano da tutte le
parti a dare a te varie dimostrazioni di affetto, molto a Noi piace
precedere cotesto quasi coro di felicitanti, sia perchè in modo affatto
t-peciaìe vogliamo raccomandati Noi stessi insieme con tutta la Chiesa
all'aiuto potentissimo della Madre di Dio, sìa perchè meritamente
91
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
abbiamo cara la Società Salesiana. Che essa ancora per molti anni
abbia te, e in buona salute, a rettore, è ardente Nostro voto» (1).
Così i due cinquantenari, fusi in una stessa data, quasi che l'uno
fosse parte dell'altro, incontrarono unanime consenso di partecipa-
zione, pronto e generale fervore di sentimento in tutte le parti.
UOsservatore Romano dell'I 1 giugno scriveva: «Vorremmo dire
che questa è la festa della gratitudine: gratitudine a Maria,
che ha voluto essere la patrona di questa grande opera dì redenzione
della gioventù; gratitudine a Don Bosco, che rivive nel suo succes-
sore, il quale altro non cerca che di perpetuare l'opera da lui iniziata;
gratitudine verso la Società Salesiana, che nel suo Rettor Maggiore
è tutta simboleggiata, perchè attorno a lui tutti i Salesiani si uniscono
in una così completa fusione di pensiero, di volontà, di abnegazione,
che l'omaggio reso a lui allieta ognuno di essi come un proprio
trionfo •».
(1) Salesiani instituti quoquot sunt participes, adiutores et amici, iìs omnibus nonus
proximi mensis dics iimii duplìciter faustus aecidet, quod abbine anni» quinquagirata et
Taurinensis aedes Mariae Auxiiiatricis soliemni ritu dedicata est et ipse, diìecte illi, rem
divjnam primitus fecìsti. Etenim, cum congregationi vestrae Mater venerabilem Condito-rem
studiose fovendo afifuit nascenti, tum adoiescejitem opportuna semper ope prosecuta est, ex
quo praesertim suae erga vos benignitatis in eo tempio lamquam principerò sedcm coììo.
cavit. Namque ibi optima quaeque inita.sunt Consilia, quae ad perpetuum vestrorum operaio
ìncrementum pertìnerent; ibi religiose custodir! atque ali cotisuevit ductus a Francisco
Salesio muttiplicis caritatis ardor in saluiem anìmarum; inde aJii ex aliis lectissimi sodales
proferì! sunt, qui vel iuventuiem rette insiituerent ve] Christianum nomen barbari» infer-
rent; eo denique ex fonte et capite perennis quaedam caelesirum beneficiorum copia per
uni versar» Salesianorum familiatn deftuxit. Itaque iure dixerjs omnes sodalitatls vestrae
fastos Mariae Auxiiiatricis religione comecrari. Feiìciter vero i:ontingit, ut simal Marianae
huius aedis et tui sacerdote natalis celebretur. Sìquidem non panini hoc toto spatio et
oonsilii et sludii et operae in sodetatis isiius bonum contuìisU, quam quidem vix inchoatam
ingressus auctam nunc miriike et ubique propagatasi sóllerter moderar] s. Cum igitur
omnes tui eommunem Patronam venerantes varias amoris significationes tibl undique daturi
sint, huie quasi concentrò gratulantium praeire admodum Nobis libet, qui presentissimo
Deiparae auxiiio Nos cum tota Ecciesia maxime commendato» volumus et Salesianam sodali-
tatem merito hahemus caratn. Eaque, ut multos annos te rectore salvo et incolumi utatur,
vehemenicr optamus,
92
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO VII
Il Cardinal Cagliero.
Il Card, Cagliero, nei primi giorni dopo la sua elevazione, sen-
tendosi dire " Eminenza ", volgeva gli occhi intorno per vedere chi
e dove fosse 'l'eminente personaggio salutato con quel titolo. Un'im-
pressione analoga provarono sulle prime i vecchi salesiani alla no-
tizia che uno dei loro era stato fatto Cardinale. A coloro special-
mente che dalla fanciullezza avevano vìssuto la vita dell'Oratorio,
non sembrava vero che un figlio di quell'umile famiglia fosse stato
chiamato a far parte del Sacro Collegio e venisse annoverato tra i
Prìncipi della Chiesa. Don Bosco, che tante cose della sua Società
aveva prevedute, previde di dover avere un suo alunno innalzato
a tanta altezza? Parrebbe di sì. Quando il Cagliero fu nominato Ve-
scovo, il Santo disse non solo che egli sarebbe vissuto molti anni
(superò infatti gli 88), ma inoltre che avrebbe assistito a un grande
avvenimento in Vaticano. Quale poteva essere il grande avvenimento
se non il Conclave del 1922, in cui fu eletto Pio XI? Avvenimento
davvero grande in sé, ancor più grande nell'estimazione di Don Bosco,
che, amando d'intenso amore il Romano Pontefice, giudicava onore
sommo iì partecipare un suo figlio alla elezione di un Papa (1). Se
egli non parlò più chiaro, disse però abbastanza per essere poi in-
teso, quando fosse venuto il tempo, ne certo sarebbe stato conve-
niente che si esprimesse in termini precisi. Del resto è proprio dello
stile profetico velare le cose nell'ombra del mistero. Tale innalza-
ti) Lett. di Don Rinaldi al Card. Vico, Torino, 29 settembre 1926, in Mem. Biogr.,
v. XIX, p. 400.
93
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
mento irradiava di nuova luce la figura di Don Bosco e tutta la sua
Opera. Intanto a noi la persona del Cagliero è apparsa e riapparsa
tante volte nei tre volumi precedenti, che non c'è più bisogno di
farne qui una qualsiasi presentazione, ma ci basterà dire del suo
Cardinalato.
Il primo a manifestare la sua autorevole opinione che Monsi-
gnor-Cagliero avesse meriti sufficienti per essere fatto Cardinale, fu
l'Arcivescovo Espinosa di Buenos Aires, che conosceva le fatiche
apostoliche da lui sostenute nella Patagonia e i frutti raccoltine. In
un Album destinatogli per ricordo, quando nel 1904 Monsignore si
accingeva a lasciare l'Argentina, l'Arcivescovo esprimeva il parere
che, come Leone XIII aveva premiato con la Porpora Cardinalizia il
Massaia per i trentacinque anni di Missione etiopica, allo stesso modo
Pio X avrebbe dovuto premiare Mons. Cagliero, che ne aveva spesi
trenta nella Missione patagonica. « Auguriamoci, conchiudeva, di po-
terlo salutare Cardinale della Santa Chiesa Romana, che ben se lo
merita». Di questo suo augurio s'intravvide possibile l'avveramento
nel gennaio 1915. Monsignore, che contava ornai 78 anni, sentiva
un prepotente desiderio di deporre l'incarico di rappresentante della
Santa Sede nel Centro America e di ritornare in Italia, non a ripo-
sare, ma a sostenere occupazioni più confacenti alla sua età avan-
zata. Il Card. Gasparri, Segretario di Stato de! nuovo Papa Bene-
detto XV, parlando di questo con il salesiano Mons. Marenco, Ve-
scovo di Massa Carrara, mostrò di pensare, che in caso di ritiro sa-
rebbe stato conveniente premiarne i meriti con il Cardinalato; neì-
l'accennarvi però strinse le labbra, come per far comprendere che
l'elevazione dipendeva non solo dal Papa, ma da molteplici conside-
razioni (1).
Tuttavia l'idea fece buon cammino; infatti, mentre Mons. Ca-
gliero attendeva al disbrigo degli affari, ecco giungergli un foglio del
21 luglio, nel quale il Card. Gasparri gli comunicava essere volere
del Santo Padre che si preparasse a partire per Roma a ricevere il
Cappello Cardinalizio. Egli era ben lungi dall'aspettarsi una simile
comunicazione. Aveva gravi negozi tra mano e poiché non gli s'in-
dicava la data del Concistoro, continuò a occuparsene senza dir
(1) LcH. di Mons. Marenco a Don Albera, Roma, 26 gennaio 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il Cardinal Coglierò
niente a nessuno fuorché al fido segretario. Intanto in una lunga
lettera esponeva al Segretario di Stato i motivi che consigliavano di
non affrettare la partenza e pregava di telegrafargli il limite mas-
simo di tempo concessogli. Scriveva tra l'altro: «Profondamente
grato e confuso allo stesso tempo, mi sottometto ai Superiori Voleri
di Sua Santità; non poco umiliato per una parte, considerandomi
privo di meriti voluti per dignità sì grande; e d'altronde assai con-
solato, pensando che ben lo merita la Società Salesiana, a cui ap-
partengo sin dai suoi primi inizi, la quale da oltre mezzo secolo
lavora con visibile successo, mercè la Divina Protezione, quasi in
ogni angolo della terra per l'onore della Chiesa, per l'incremento
della religione e per la salvezza della gioventù. E godo non propter
me, sed propter meos, che celebreranno la Sovrana degnazione pon-
tificia con doppia gioia per il coincidere con le fauste ricorrenze
centenarie di Maria Ausiliatrice e del Ven. Fondatore delia Congre-
gazione, Giovanni Bosco. In quanto a me, ricorderò col Salmista il
Suscitans a terra inopem et de stercore erigens pauperem, ut col-
loceteum cum principibus populi sui». Pregava poi Sua Eminenza
di manifestare in suo nonie a Sua Santità i propri sentimenti di gra-
titudine, affetto, venerazione e attaccamento alla sua augusta per-
sona.
Continuò così a lavorare tranquillamente fino alla metà di ot-
tobre. Finalmente il 17 un laconico telegramma gli ordinava: «Parta
per la più breve ». Non c'era piroscafo prima del 9 novembre e il
Concistoro era fissato al 22. Inteso che solo al principio di dicembre
sarebbe potuto giungere a Roma, il Papa usò la benignità di trasfe-
rire il Concistoro al 6 dello stesso mese (1).
Sette anni di operoso soggiorno nel Centro America erano stati
più che bastevoli a cattivargli stima e benevolenza in alto e in basso.
Del citato telegramma ebbe subito sentore il Governo di Costarica,
nella cui capitale S. José Monsignore aveva la sua ordinaria dimora,
e se ne allarmò a segno, che fu mandato immediatamente il Ministro
degli Esteri a proferirgli aiuto e assistenza, caso mai ci fosse stato
qualche urto. Allora non gli fu più possibile tacer il vero. Tosto il
Presidente della Repubblica si recò a fargli visita e offrì un banchetto
(!'. Lett. di Don Mimerai) a Don Gtismano, 29 ottobre 19:15.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
m suo onore con inviti a tutto il Corpo diplomatico e ad altri rag-
guardevoli personaggi. Anche la popolazione, appena si sparse la
notizia, gli manifestò i suoi sentimenti di ammirazione e insieme di
rammarico. Più tardi ricevette pure molti rallegramenti dalle altre
quattro Repubbliche dell'Istmo.
Perchè bisogna sapere che egli non si era condannato a solo
espletare pratiche, ma aveva percorse in lungo e in largo quelle
terre, fra infiniti disagi e ostacoli provenienti dalla viabilità e dai
mezzi dì trasporto; ma dappertutto con la parola di Dio e con i sa-
cramenti portava risveglio di vita religiosa e pigliava conoscenza
dei bisogni spirituali, che erano grandissimi. Torna a sua lode, se
salì quel clero in maggior riputazione dinanzi ai popoli; ottenne il
permesso di entrata dei Fratelli delle Scuole Cristiane, dei Cappuc-
cini, dei Gesuiti e dei Salesiani, mentre dalie cinque Repubbliche
erano esclusi per legge tutti i religiosi; si prese cura dei poveri Indi,
per i quali fece istituire tre Vicariati Apostolici. Si deve inoltre a lui
un'opera di somma importanza. Fino ai suo arrivo quattro Repub-
bliche avevano un solo Vescovo; egli provvide all'erezione di quattro
Chiese Metropolitane, ripartendo fra esse otto Vescovi suffragane!.
Altro vi sarebbe da aggiungere, se tutto fosse noto il suo operato.
Allontanandosi dunque da quei paesi, vi lasciava un ricordo imperi-
turo del suo relativamente breve passaggio (1).
Incontrato a Genova da Don Albera e da altri Superiori, arrivò
a Roma giusto la mattina del 6, poco prima del Concistoro segreto.
Stette nell'Ospizio del Sacro Cuore in attesa del messo pontifìcio che
doveva fra breve recargli il biglietto di nomina. Lo circondava una
corona di distinte personalità. Ricevuto il biglietto, lo porse a Don
Albera, che ne diede lettura. Ringraziato il latore, ripetè: — Minimo
fra i minimi, mi rallegro dell'elevazione alla sacra Porpora non
propter me, sed propter meos. Accetto con gli onori anche gli oneri
del Cardinalato, bramoso di prestare, nonostante l'età, i miei servigi
alla Chiesa. — Tra gli omaggi, il conte Olivieri di Vernier veniva
da Torino a presentargli quelli del Card. Richelmy, del sindaco Rossi
(1) Don Albera in una sua circolare del 21 novembre 1915 riferiva queste parole det-
tegli da Pio X: « Sapete che il vostro Mons. Cagliero nel Centro America fa veri prodìgi?
la lui non v'è più personalità, propria, vi è solo il rappresentante del Papa. Quanto mi feli-
cito d'averlo scelto io stesso per quella Missione 1 ».
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // Cardinal Caglìero
e della Direzione diocesana di Azione Cattolica. Le dimostrazioni
si moltiplicarono poi siffattamente, che sappiamo avere il Santo Pa-
dre a tal vista osservato a chi di ragione che l'Osservatore Romano
doveva interessarsene di più.
La sera della festa di Maria Immacolata il Santo Padre impose
la berretta ai quattro nuovi membri del Sacro Collegio presenti a
Roma, che erano gli Em inentissimi Tonti, Misti-angelo, Cagìiero e
Gusmini; gli altri due, Friihwirth e Scapinelìi assenti, ricevevano la
berretta dal Re di Baviera e dall'Imperatore d'Austria, presso i quali
rappresentavano il Papa nella qualità di Nunzi. Dopo la cerimonia
Sua Santità tenne un breve discorso, nel quale, com'è costume, ri-
volse individualmente la parola ai singoli. Fece prima un elogio in
comune, nel quale unì al Cagìiero il Tonti, già Nunzio al Brasile
e allora in Portogallo, dicendo: «Dall'Europa e dall'America si leva
concorde il plauso agli alti pregi di intelligenza e di zelo, che bella-
mente rifulsero in quelli tra voi, ai quali la Santa Sede affidò deli-
cate missioni e onorifiche rappresentanze presso le Estere Nazioni ».
Dopo ai Cagìiero in particolare disse: « Per non offendere la vostra
modestia, o degno figlio del Venerabile Don Bosco, accenniamo ap-
pena di volo alle feconde fatiche da Voi sostenute per recare la luce
del Vangelo ai popoli che sedevano ancora nelle tenebre e fra le
ombre di morte ».
Il 9 dicembre vi fu nuovamente Concistoro pubblico per l'im-
posizione dei Cappello. Prima di questo atto, mentre i Cardinali fa-
cevano il loro ingresso nell'aula concistoriale, l'avvocato conte San-
tucci perorava per la seconda volta davanti ai Papa assiso in trono
la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Ven. Don Bosco.
Alle cerimonie che accompagnarono e seguirono l'imposizione, tenne
dietro il Concistoro segreto, nel quale il Santo Padre pose ai nuovi
Eminentissimi Fanello cardinalizio e assegnò loro un Titolo, ossia
una delle più vetuste chiese di Roma aventi tale onore. Ai Cagherò
destinò il Titolo presbiterale di S. Bernardo alle Terme, chiesa cosi
detta, perchè ricavala dai resti di un tepidario delle immense terme
di Diocleziano. Nel medesimo giorno il Papa con biglietto della Se-
greteria di Stato è solito designare le Sacre Congregazioni, delle quali
i neoporporati dovranno fare parte. Addisse il Cagherò a quelle dei
Religiosi, di Propaganda e dei Riti.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
Così dunque incominciava per lui l'ultimo glorioso periodo della
sua vita. Lo splendore della sua porpora illuminò di fulgida luce il
tramonto dei due centenari. Ad analoga conclusione veniva il Car-
dinal Mani scrivendo da Pisa iì 28 ottobre 1915 a Don Albera: «Ne
esultai più che di cosa mia, e benedico il Signore, che sì sapiente-
mente ha guidato ìa mano del Papa a portare una porpora ad onori
sudati e che l'avevano altamente meritata! Don Bosco doveva avere
il suo monumento nel centenario: quello di marmo sulla piazza, i
tempi fortunosi l'hanno fatto differire; ed ecco in casa, un monu-
mento vivo e più grande! Forse c'è un insegnamento: ì tempi richie-
dono non statue di marmo freddo, ma ben altro! Richiedono dei
Cagherò, vivi, palpitanti, apostoli ».
I Cardinali prendono solennemente possesso dei loro titoli. Il
Cagherò compiè questa cerimonia il 12 dicembre. La chiesa appar-
tiene all'Ordine Cistercense. Vi assistettero con prelati e monaci an-
che salesiani con loro alunni e Figlie di Maria Ausiliatriee con alunne.
Nel suo discorso il Cardinale, ricordando come il tempio fosse dedi-
cato a uno dei più eccelsi dottori della Chiesa, nel quale risplendet-
tero l'amore delia perfezione cristiana, l'amore alla Santa Vergine e
l'amore verso il Vicario di Gesù Cristo, ebbe una nota personale.
« Questi tre amori, disse, io appresi fin dai più teneri anni alla scuola
del mio grande Maestro e Padre Don Bosco, che ci chiamava alla
perfezione e ci destinava alla salvezza delle anime, dopo averci du-
rante tutta la vita condotti ai piedi della Vergine ad attingere cre-
scenti energie ed ai piedi del Vicario di Cristo per aumentare i te-
sori della fede. Anche al letto di morte io raccolsi dalle labbra del
mio tenero Padre questa eredità preziosissima ».
È facile comprendere come l'annuncio telegrafico dell'elevazione
dovesse commuovere salesiani e fedeli nella Patagonia, specialmente
a Viedma, capitale del Rio Negro. Dell'impressione prodotta pos-
siamo farci un'idea da questo passo di una lettera diretta al Cardi-
nale (1): «La sua memoria non si cancellerà mai più in questa
benedetta terra. Ogni pietra, ogni collina di questa valle del Rio
Negro ed ogni famiglia ripete il suo venerato nome con rispetto e
amore. Tutto parla di Lei, tutto ci ricorda tante avventure, tante con-
ti) I.e(1. <'<•! missionario Don Bonaoina, Patagones, 23 novembre 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // Cardinal Coglierò
solazioni che ha provate ed anche tante pene e dolori... Lo spinto
cristiano delle famiglie genuine patagoniche è quello impresso fin
dal principio della sua Missione». Furono quindi esplosioni di en-
tusiastica allegrezza in tutti i centri principali. Gli ex-allievi orga-
nizzarono a Viedma una dimostrazione popolare, alla quale parte-
cipò una moltitudine di gente accorsa anche da Patagones e da altri
luoghi. A memoria del lieto avvenimento fu aperta a Viedma nel col-
legio edificato dal Vicario Apostolico una Scuola Normale Popolare,
nella quale con incalcolabile vantaggio i figli del popolo avrebbero
potuto continuare i loro studi. Il 22 gennaio 1916 quarantadue sa-
cerdoti missionari, formati già dal Cagliero, terminando un corso di
esercizi spirituali nella casa di Bahia Bianca inviarono al Papa per
mezzo deìl'Intemunzio di Buenos Aires una lettera collettiva per
porgergli umili e sentitissime grazie dell'onore fatto alla loro Mis-
sione. Chi scriverà la storia di quelle remote plaghe dirà certamente
del solco luminoso dischiuso nella Patagonia con eroici sacrifici dai
figli di Don Bosco sotto la guida dell'intrepido apostolo.
Il Cardinale non poteva dimenticare il Missionario; la sua anima
anzi era piena dì ricordi del lungo, indefesso e a volte tragico, ma
fecondo apostolato. Colse volentieri un'occasione offertaglisì di
esporre in pubblico la natura, le condizioni e lo stato presente della
Patagonia, Ciò fu il 27 febbraio 1916. I Sacerdoti della Pia Unione
di S. Paolo l'avevano pregato di tener loro una conferenza. Egli an-
nuì. Saputosi che avrebbe parlato della Patagonia, la chiesa di San
Giovanni della Pigna annessa alla Procura salesiana si riempì di
ecclesiastici. Cinque Cardinali egli si trovò dinanzi nel presbiterio
e poi Arcivescovi, Vescovi, Prelati, sacerdoti del clero romano, rap-
presentanti di Ordini religiosi. Rievocati brevemente gli anni da lui
vissuti a fianco di Don Bosco, entrò a descrivere con energica sem-
plicità il lavoro dei Salesiani nelle Missioni patagoniche. Le cose
dette furono ascoltate con molto interesse dall'uditorio; anche la
stampa se ne occupò (1). Un mese dopo il Papa in un'udienza gli
disse d'aver letto la sua conferenza, non so in qual giornate, e volle
avere altre informazioni sulla Patagonia. Nella stessa occasione gli
disse di andare spesso a trovarlo e si augurò che lo facessero Ponente,
(1) La parte essenziaìe della conferenza si può leggere nel Bollettino di maggio 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
ossia relatore, di qualche causa di beatificazione, poiché così avrebbe
dovuto andare spesso da lui (1). In quell'ora, nella quale si parlava
tanto di eroismo guerriero, vi fu chi scrisse domandandosi se la voce
«eroismo» non fosse suscettibile, pur tra il fragor del cannone, di
interpretazioni più vaste e più umane: se oltre l'eroe soldato non
debba esaltarsi anche l'eroe missionario.
Intanto la Santa Sede gli cercava un successore nella Delega-
zione, divenuta Internunziatura per Costarica e Honduras. In questo
fu usato il massimo riguardo al Cardinale. Prima della partenza era
stato autorizzato a lasciare durante la vacanza il suo segretario Don
Nalio salesiano quale Incaricato d'affari. Si sapeva poi a Roma che
egli aveva creato là opere importanti, che bisognava non solo con-
servare, ma anche far progredire; perciò un suo alter ego sarebbe
stato indicatissimo a prenderne il posto. Con tale intendimento la
Santa Sede chiamò da Massa Carrara il salesiano Mons. Marenco,
che, fatto Arcivescovo, venne destinato a quella carica. La scelta non
poteva essere più felice, perchè l'eletto, oltre a essere uomo istruito,
di fine tatto, esperto negli affari e di sentimenti apostolici, posse-
deva anche lo spagnolo e durante il suo ufficio di Procuratore aveva
avuto modo di conoscere personalmente parecchi di quei Vescovi,
che l'avrebbero ricevuto molto volentieri. Inoltre, come salesiano,
potè valersi con grande vantaggio dell'aiuto di Don Nalio, che, aven-
do dal 1908 in poi accompagnato sempre il Delegato nelle diverse
visite in tutti i cinque Stati, era conosciuto dai Vescovi e dai singoli
Governi civili. La Santa Sede ebbe poi motivo di compiacersi della
nomina di Mons. Marenco.
La dignità cardinalizia imponeva al Cagliero norme di vita, alle
quali da prima si rassegnava a stento. Quel non poter andare a piedi
in città non gli garbava affatto. Quel prestarsi a qualsiasi funzione,
quel suo predicare con frequenza e all'apostolica, ossia a braccio, se
ricordavano il missionario della Patagonia, mal si addicevano a un
principe della Chiesa. La carrozza chiusala due cavalli di color nero
e con lunga coda, secondo l'etichetta dei prìncipi romani, non gli
andava. La spesa di un'automobile gli pareva esorbitante per un
religioso e per un salesiano. Gliela comprarono poi i confratelli del-
(1) Le!t. di Don Laureri, segr, di S. E., 30 nume 1910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 lì Caldina! Cagiicro
l'Argentina a titolo di omaggio riconoscente. Insomma erano tutte
pastoie, com'egli le chiamava, e a volte non si faceva scrupolo di
passarvi sopra. Bastò per altro una delicata osservazione proveniente
dal Cardinal Decano, perchè vi si adattasse, quasi fossero cose di
suo genio. In realtà aveva tanta intelligenza da comprendere come
anche le più elevate condizioni sociali non possano esimersi da certe
obbligazioni e convenienze, che limitano la libertà, perchè richieste
d a l a legge del decoro.
Riguardo pure all'abitazione vi sono esigenze particolari per i
Cardinoli. Si era pensato di affittargli un buon appartamento non
troppo distante dal Vaticano e facilmente adattabile; ma a lui ripu-
gnava \ivere fuori dell'ambiente salesiano e perciò gli fu preparato
quasi tulio il primo piano nell'ospizio del Sacro Cuore, dove si trovò
benissimo. Gran parte del suo tempo se n'andava nella lettura delle
pratiche riguardanti le tre Congregazioni, alle quali apparteneva.
interveniva poi assiduamente alle sedute delle medesime, che dura-
vano fin quattro ore e più; ma egli al ritorno non dava segno di stan-
chezza, anzi faceva il disinvolto, quasi lo tentasse l'ambizione d'ap-
parir giovane. Il buon umore non lo abbandonava mai. Un buon di-
versivo gli offrivano gl'inviti per funzioni; giacché, sapendosi della
sua arrendevolezza, non eran pochi coloro che ne approfittavano.
Si recava non di rado alla parrocchia salesiana del Testacelo e nelle
case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, regalando a queste ultime
conferenze spirituali. Studiava anche il nuovo Codice di Diritto Ca-
nonico, man mano che uscivano i volumi, dei quali gli donò subito i
due primi il Card. Gasparri. Di salute stava benino; unico incomodo
aveva un ronzio nella testa, che nonostante le cure e le visite mediche
non accennava a passare, disturbandolo nel sonno e non lasciandolo
occupare come avrebbe voluto. Chiamava quei rumori le sue cicale.
In Piemonte e massimamente a Torino era molto aspettata una
sua visita; anche lui anelava di rivedere la Casa madre e gli ornai
rari superstiti compagni de' suoi anni giovanili. Non lo moveva già
desiderio di andar a fare pompa di sé, portando in giro la Porpora
Piomana; ma egli non ignorava quanto la sua presenza sotto sì ono-
rifiche spoglie avrebbe giovato a rafforzare le generali simpatie
verso la Congregazione, per il cui amore godeva della dignità tocca-
fagli. Fu scelta bene Poccasione dell'andata, e fu la festa di Maria
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
Ausiliatrìce, tanto più che nel 1916 ricorreva il centenario della prima
festa celebrata sotto quel titolo glorioso. Vide nelle fermate durante
il viaggio il fervore dei ricevimenti; ma nella capitale piemontese
un mondo di cittadini si mise in moto per dargli il ben venuto e poi
per rendergli omaggio nell'Oratorio. La mattina del 24 maggio ac-
corse una moltitudine immensa. Nel pontificale di Mons. Marenco,
pronunciò un'allocuzione con voce squillante e solenne: pareva rin-
giovanito. Fece passare dinanzi alla mente degli uditori i tempi lon-
tani della sua giovinezza, quando il caro Padre Don Bosco gli predi-
ceva i futuri trionfi dell'Ausilìatrice (1). Nulla esisteva allora, e le
cose incredibili a lui giovane chierico erano ornai un fatto compiuto,
come tutti con ì loro occhi vedevano. La fama del Cardinale di Don
Bosco riempì le terre piemontesi, donde non gli si dava requie, per-
chè le popolazioni lo volevano, impazienti di ammirarlo, quasi fosse
una creatura loro. La Società Salesiana, popolana per origine e per
natura, (oggi si preferirebbe dire democratica) ossia venuta dal po-
polo e vivente in mezzo al popolo, è ovvio che goda tanto affetto
popolare.
La sua vita trascorse operosa e tranquilla senza grandi novità
fin sullo scorcio del 1920. Don Bosco gli aveva detto che sarebbe
divenuto Vescovo di una diocesi e la predizione ebbe effetto nel
dicembre di quell'anno. Nel Concistoro del giorno 16 la Santità di
Benedetto XV lo prepose alla Chiesa suburbicaria di Frascati, va-
cante per la morte del Card. Boschi. li Cagliero passava così dall'Or-
dine dei Preti a quello dei Vescovi, dimettendo il Titolo presbiterale
di S. Bernardo alle Terme. A 83 anni di età egli mostrò quanto possa
l'energia del volere associato alla forza dell'abitudine: abitudine di
agire senza posa e sempre per motivi e fini superiori. Nei cinque
anni del suo governo diede mirabili prove di zelo pastorale, di fer-
mezza apostolica e di paterna bontà.
Prese possesso la domenica 16 gennaio 1921, preceduto da grande
aspettazione, come si potè vedere dalla folla imponente che lo accolse
e dal corteo magnifico che lo accompagnò alla cattedrale, non che
dagli entusiastici evviva che risonavano da ogni parte. Anche Don
Albera, venuto appositamente da Torino, aveva voluto essere del
(1) Ne diede un riassunto il Bollettino nel num. di giugno 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il Cardinal Cagliero
seguito. Nell'allocuzione, dopo aver espresso auguri per la pace, che
dopo due anni dalla cessazione della guerra non era ancora tornata
fra gli uomini, chinando lo sguardo sulle schiere giovanili formate
dagli alunni del collegio di Mondragone dei Gesuiti e del collegio sa-
lesiano di Villa Sora e dai soci del circolo cattolico diocesano, disse:
« Mi è piaciuto vedermi circondato da questa balda e ardita gioventù.
Noi, in questo momento così grave, abbiamo bisogno di arditi, i
quali sentano l'amore di Cristo, sentano la nostra fede, sentano la
nostra religione, Noi abbiamo bisogno di arditi del pensiero e del-
l'azione per fare del bene; degli arditi senza pugnale, con la me-
daglia di Maria, Madre di Dio; degli arditi del Re pacifico, di Gesù
Cristo». Poi, rivolto a tutti: «Nei miei lunghi anni di apostolato
cristiano ho lavorato per molti popoli civili e per tribù di infedeli.
Li ho amati. Ma, credetemi, miei cari frascatani, vi è posto anche
per voi. Nelle mie Missioni per le lontane terre di America ho avuto
grandi soddisfazioni; ma voi, cari figliuoli, oggi avete preso tutto il
mio cuore ».
È bene far conoscere un'opera diocesana condotta strenuamente
a termine dal Cagherò, che in conseguenza di essa si tirò addosso
un mondo di pensieri. Trionfarono nella faccenda il suo spirito emi-
nentemente pratico e il suo carattere adamantino, che non si piegava
alla lusinghe del quieto vivere, così tentatrici per un vegliardo di
quell'età, ma non di quella tempra. Traggo poche essenziali notizie
da due fonti sicure, che sono due ampie e precise Memorie, una a
stampa e l'altra dattilografata, stese dopo la morte del Cardinale (1).
Dirò cose non appartenenti all'attività religiosa di un Vescovo, ma
non estranee. Anche nell'Amministrazione materiale deve mettere
le 1X13.1X1 il Pastore di una diocesi, a volte senza poter attendere,
come nel caso nostro, il consenso né guadagnarsi l'assenso di tutti
i diocesani.
Il Vescovo trovò la diocesi suburbicaria in uno stato di completo
abbandono economico e oberata di debiti. Nessuna potenzialità aveva
la Curia. Il suo predecessore, vissuto solo nove mesi Vescovo di
(1) Avv, GIOACCHINO FAKINA, I cinque anni di S. E. il Card. G, C. come Vescovo delta
tfioc. sub, di Frascati, Roma, Soc. Tip. Pio X. Mons. SILVIO DE ANGELIS, Relazione {senz'altro
titolo). Il primo era procuratore legale di fltlucia del Cardinale, il secondo Vicario Generale
dì Frascati.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
Frascati, andava malinconicamente ripetendo: — Mi hanno lasciato
un mucchio di ossa spolpate! — Debiti per 50.000 lire; Mensa vesco-
vile passiva; parrocchie amministrate dalla Curia tutte passive e
impotenti non solo a mantenere il parroco al livello del più umile
operaio, ma anche a pagare le tasse cresciute a dismisura nell'im-
mediato dopoguerra; una cinquantina di cause giudiziali, la più
grave trascinantesi da undici anni; minacce dell'esattore di vendere
in subasta diversi fondi.
A tal vista il Cagliero concepì un vasto disegno, che tagliasse
corto a questo stato di cose e mettesse la Curia e le parrocchie in
condizioni di relativo benessere: deliberò di alienare i beni irridu-
cibilmente passivi e di convertire in titoli le somme ricavate. La
cosa presentava difficoltà enormi: tra l'altro, si dovevano toccare
interessi di sfruttatori; ma pur bisognava affrontare l'impresa, e la
affrontò con la massima risolutezza. Bisognava finirla con gli utenti
dei beni ecclesiastici che se ne godevano i frutti, mentre la Curia
doveva sottostare al pagamento delle tasse. Lasciando le cose allo
statu quo, disavanzo e debito sarebbero cresciuti a dismisura. Orbene
dopo laboriose e odiose pratiche scomparve il deficit, vennero pa-
gati i debiti, costituita una rendita fissa di circa 60.000 lire, oltre la
precedente e le proprietà rimaste in essere. Cessarono le detenzioni
abusive di appartamenti e tante altre disonestà. I parroci non si at-
tiravano più le odiosità degli affittuari morosi. Finì pure lo spetta-
colo di parroci che il martedì e il venerdì si presentavano in Curia
per avere un povero sussidio da poter vivere, tornandosene talvolta
a mani vuote. Certo era molto più comodo tagliare e riscuotere le
cedole semestrali delle cartelle di rendita. Senza contare quello che
riguardava la mensa vescovile e altri affari, trattati personalmente
dal Cardinale. I facili denigratori senza coscienza ignoravano quanto
gli erano costate le sanatorie di parecchie alienazioni irregolari ese-
guite in precedenza e Pammobigliamento del palazzo vescovile. In
morte dei Vescovi i suoi mobili passavano agli eredi; egli invece
dispose che quelli provvisti da lui restassero per i successori. E
tutto questo senza parlare di altre provvidenze nelFordine spirituale
e di culto, provvidenze che il Cardinale compiva nel silenzio e nel
solo scopo di salvare la diocesi da tante angustie. Riconobbero il
suo merito illustri personaggi. Un autorevole Prelato asserì che
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // Caidinal Cagliero
l'opera ammirevole del Cagliero aveva facilitato di molto la via
a' suoi successori. In una lettera che a mo' di testamento scrisse al
suo procuratore legale poco prima di partire per l'eternità poteva
affermare con intima e giusta compiacenza: «La situazione econo-
mica e finanziaria di questa diocesi, ch'io trovai disastrosa nelì'as-
sumerne la direzione e il governo, dopo cinque anni di continuo,
indefesso lavoro, è finalmente condotta a termine con risultati così
soddisfacenti, che, date le enormi difficoltà da vincere, non era
lecito sperare ».
Le brighe amministrative non lo distraevano dalle cure pasto-
rali; ma questo si lascia ai biografi. Una ricorrenza spuntò nel 1922,
che se fu per lui festa personale, si può considerare come fatto sto-
rico per la Società Salesiana. Parlo del suo giubileo sacerdotale di
diamante, come si suol chiamare il sessantesimo anno di Messa. Gli
si svegliò allora intorno un largo e vivo interessamento, che non finiva
nella sua persona, ma si estendeva a tutta la famiglia religiosa, della
quale egli era lustro e decoro. Gli rese onore non solo la cerchia degli
intimi, ma anche una moltitudine di uomini, che apprezzavano nel
Porporato uno dei migliori rappresentanti dell'Opera di Don Bosco.
In tale circostanza portarono su di lui la loro attenzione anche, dalle
alte sfere non pochi, i quali attraverso alle sue benemerenze avevano
imparato a comprendere che cosa fosse l'istituzione, dond'egìi era
uscito. Fu insomma un momento, nel quale, grazie al Cardinale, il
nome salesiano corse onorato sulle labbra e soU$>. le penne di molti.
Solenne si levò prima e su di tutte la voce del Papa. Non era più
Benedetto XV, salito il 22 gennaio agli eterni riposi. Gli era succe-
duto quel Pio XI, che nel 1934 doveva essere salutato in S. Pietro da
una turba di giovani il " Papa di Don Bosco " e ciò con suo espresso
compiacimento. Egli il 14 giugno indirizzò al Card. Cagliero un Breve
trasmessogli a Torino per mezzo di un suo inviato particolare, che
fu il Sostituto della Segreteria di Stato Mons. Pizzardo, oggi Car-
dinale. Ecco del documento il punto più saliente: «Esultano teco,
e ben a ragione, i numerosi figli della Società Salesiana del Ven. Gio-
vanni Bosco, della quale tu sei la gloria più bella non solo per lo
splendore della Sacra Porpora, ma anche e soprattutto per due ca-
ratteristiche che in te particolarmente rifulgono: la costanza con cui,
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8
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
in ogni tempo, luogo o vicissitudine, ti sei mantenuto fedele allo
spirito e alle direttive del grande Fondatore; l'instancabile, attività
di missionario che dalla Patagonia, primo campo del tuo zelo apo-
stolico, si estese alle altre vaste regioni dell'America Meridionale e
Centrale, suscitando con il plauso e con l'ammirazione generale no-
bilissimi entusiasmi di santa emulazione tra i tuoi stessi Confratelli.
Per questa tua indefessa e, per divina grazia, fruttuosissima ope-
rosità missionaria e civilizzatrice del nuovo mondo, Noi riteniamo
di non andar lungi dal vero giudicando fin d'ora che sull'orizzonte
cristiano dell'età nostra l'opera tua brillerà di viva luce, accanto a
quella di un altro non meno illustre missionario, apostolo delle lande
africane, la cui francescana umiltà fu pur essa meritamente esaltata
ai supremi fastigi della dignità cardinalizia. Più che legittimo e
naturale è lo spirituale conforto che ti deriva dall'odierno fausto
avvenimento, giacché dando uno sguardo al lungo percorso cam-
mino, lo vedi rigoglioso in frutti di bene religioso e morale e tutto
seminato di tesori di vita eterna ».
Celebrava le sue nozze sacerdotali di diamante anche il vene-
rando Don Francesia, ordinato con lui nel 1862. Dopo una solenne
tornata accademica nell'Oratorio, alla presenza di un pubblico nu-
meroso e cospicuo, il Cardinale, manifestata la sua riconoscenza a
Dio e fatti i suoi ringraziamenti a tutti, levò il pensiero a Don Bosco
e associando a sé il caro compagno, confratello e amico, uscì in
questa nobile dichiarazione: «Se abbiamo acquistato un posto ono-
rifico in società, se abbiamo potuto fare un po' di bene, (e di bene,
ve l'assicuro, abbiamo sempre procurato di farne quanto più ci è
stato possibile) andiamo debitori, dopo Dio s a una persona sola:
non a nostro padre, che ambidue perdemmo in tenera età, non alle
nostre madri, pie e sante, incapaci però di aiutarci, ma a Don Bosco,
che abbiamo chiamato padre da giovani, che abbiamo continuato a
venerare e a chiamare padre e maestro fino a oggi, e che speriamo
di poter venerare come santo anche sulla terra, prima di andare a
ringraziarlo in Paradiso».
Prese viva parte ai festeggiamenti il secondo successore di Don
Bosco, il Rettor Maggiore Don Albera; fu anzi questa l'ultima delle
maggiori consolazioni concessegli da Dio, che a quattro mesi appena
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il Cardinal Cagliera
di distanza lo chiamò a ricevere il premio delle sue virtù, Quale fosse
il suo concetto del Cardinale, che egli conosceva a fondo, si legge
in una circolare, dove diceva (1): «Veramente pare che Don Bosco
abbia voluto stampare una più vasta orma del suo spirito in questo
suo figliuolo, che fu uno dei primi a darsi tutto a lui e a lasciarsi da
lui completamente plasmare».
Una sì luminosa esistenza si spense il 28 febbraio 1926, sotto
il rettorato di Don Filippo Rinaldi.
(1) Circ. 10 febbraio 1921.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO Vili
Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto xnarsicano.
Castel de' Britti, Taormina, Venezia (Castello e Coletti), Borgo:<nanero, Vercelli,
Cagliari, Rovigno, Casa Capitolare, Torre Annunziata, Pinerolo (Monte Olivete),
Roma (Mandrione), Messina, Fiume, Colle D. Bosco, Torino (Monteresti e S. Paolo),
Asti, Rìntini, Montechiarugolo, Trapani, Palermo (Santa Chiara)
Delle fondazioni italiane dovute al secondo successore di Don
Bosco nessuna per grandezza si presenta con un'importanza più che
ordinaria; alcune si distinguono per finalità specifiche ed eccezio-
nali; tutte, in numero di ventidue, sussistono ancora. Diremo di
esse dividendole in tre gruppi, secondochè ebbero principio avanti,
durante e dopo la guerra.
Prima della guerra.
La prima fondazione fatta da Don Albera in Italia, unica nei
1910, non fu gran cosa: una piccola residenza a Castel de' Britti,
frazione del comune di S. Lazzaro dì Sàvena, archidiocesi di Bo-
logna. La marchesa Teresa Spada aveva lasciato ivi ai Salesiani
una sua villa con i terreni circostanti, affinchè radunassero ogni giorno
e massimamente nelle domeniche e feste i fanciulli dei dintorni,
figli dì agricoltori sparsi per la campagna, li istruissero nella dot-
trina cristiana e procurassero loro opportuni divertimenti. Dal 1921
al 1924 la villa divenne anche noviziato dell'Ispettoria ligure-emi-
liana, e dal 1933 in poi i Salesiani hanno assunto la cura parrocchiale.
Due fondazioni appartengono al 1911, una a Taormina e l'altra
a Venezia. Taormina in provincia di Messina è Taurómene e Tauro-
menium dei Greci e dei Romani. Nota ai dotti per la sua storia, at-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni dt Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
traente per ì suoi mirabili panorami, saluberrima per la dolcezza
dei clima, offre graditi soggiorni temporanei a italiani e stranieri,
massime inglesi. Questo ne ha fatto un ambiente saturo di monda-
nità e di corruzione, aprendo le porte al malcostume, L'arciprete
Marziani nel 1908 in un coraggioso discorso metteva a nudo di-
nanzi a' suoi parrocchiani un vizio abbominevole che deturpava la
città, facendo nauseante contrasto alle incantevoli bellezze naturali
e creandole una fama niente invidiabile. Esortava perciò alla coope-
razione tutti gli onesti per estirparlo (1). N'erano sventurate vit-
time l'infanzia, l'adolescenza e la gioventù. Il suo grido d'allarme
non sorprese ì cittadini, ma scosse e mise in guardia. Urgeva com-
piere opera efficace di educazione giovanile. Questo sentiva più di
ogni altro lo zelante pastore e trovò persona volenterosa e atta a
secondarne i disegni, in una ricca signora, inglese di nascita e angli-
cana di religione.
Miss Mabel Hill, da tempo domiciliala a Taormina, tocca dal
triste spettacolo di una gioventù, che, abbandonata a se stessa, va-
gava di continuo per le vie senza ohi se ne prendesse cura e la
istruisse nella religione e quindi facile preda di malviventi special-
mente forestieri, incominciò a fondare un grande laboratorio di ri-
cami per le fanciulle; poi volle provvedere anche ai fanciulli. In-
dotta dall'Arciprete a visitare gli Oratori salesiani di Catania e di
Torino, ne rimase così entusiasmata, che decise di farne sorgere
uno anche a Taormina. Due anni d'inutili insistenze presso l'Ispet-
tore siculo non la scoraggiarono. Andò a Roma, ottenne un'udienza
da Pio X e perorò così bene la sua causa, che il Papa commosso le
promise d'interessarsene. Infatti, ricevendo Don Albera subito dopo
la sua elezione a Rettor Maggiore, gli raccomandò di fondare un
Oratorio a Taormina.
Don Albera non frappose indugio a eseguire il desiderio del
Pontefice. L'Oratorio fu aperto in una casa donata dalla Miss con
un annesso terreno. In principio vi andavano ogni sabato sera un
prete da Messina e un chierico da Catania, facevano l'oratorio e
se ne ritornavano il lunedì; ma il 19 marzo 1911, presenti l'Arcive-
scovo, l'Ispettore e alte personalità, s'inaugurò con gran gioia della
(1) Messina, Tip. S. Giuseppe, 1908.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
benefattrice la stabile residenza dei Salesiani, L'opera' s'intitolò a
S. Giorgio, protettore dell'Inghilterra, in omaggio alla munifica an-
glicana, che non cessò più di mostrarsene affettuosamente sollecita.
Le pratiche e le feste salesiane produssero a poco a poco per mez-
zo dei ragazzi un risveglio religioso nella popolazione, fino allora
piuttosto indifferente,
Ma la sede primitiva presentava tTe inconvenienti: posizione
eccentrica, vicinato di mala fama e mancanza di chiesa. Perciò,
venduto l'immobile donato, se ne acquistò uno migliore con accanto
una chiesa pubblica. All'Oratorio i salesiani aggiunsero scuole ele-
mentari e medie esterne. Un episodio dimostrò quanto essi godes-
sero il favore popolare, Un Commissario prefettizio e il segretario
comunale, forestieri, spalleggiati da un prete giovincello, pensarono
di far loro concorrenza, aprendo un ginnasio misto; poi, partiti quei
signori, le loro scuole caddero nelle mani del fascio. Ma per quante
pressioni facessero le autorità comunali e il segretario politico per
mezzo di subalterni e di subalterne sulle famiglie per attirare alun-
ni dei Salesiani, non riuscirono ad averne se non uno solo, il
quale, resistito per un anno, aveva dovuto cedere per non incor-
rere nelle ire dei prepotenti. L'effetto di tali manovre fu che alle
scuole salesiane il numero degli inscritti andò via via crescendo.
Aveva avuto ragione Don Albera di dire all'Arciprete, quando vi-
sitava la casa (1): «Ringraziamo il Signore di esserci determinati ad
accettare quest'opera».
Dal 1879 giungevano a Don Bosco e a Don Rua da Venezia
frequenti proposte di fondazioni (2). Un'insistente richiesta durata
più a lungo di tutte venne alla fine esaudita. Premettiamo. Nel 1858
menava vita stentata nel popoloso quartiere di Castello un'opera
benefica sorta per iniziativa di caritatevoli persone sotto il titolo di
" Patronato pei ragazzi vagabondi e viziosi "; noi diremmo più vo-
lentieri per l'assistenza dei poveri ragazzi abbandonati. Patronato
a Venezia significa quello che Patronage in Francia: è più ameno il
(1) Leti, di Don Marziani a Don Aibera, Taormina, 10 ottobre 19Ì4.
(2) Abbiamo anche due lettere de! Card. Sarto a Don Bua (19 dicembre 1894 e i gen-
naio 1895), nella prima delle quali il futuro Papa diceva: «I tìgli di Don Bosco non hanno
ancora piantato le loro tende a Venezia, ed io' vorrei che l'opera, di marita che dessi esercitano
Sì estendesse anebe a questa povera diocesi ».
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
nostro Oratorio. Presto bisognò pensare anche al ricovero dei più
derelitti, ed ecco organizzarsi un esternato a rao' di scuola profes-
sionale, modellata alla meglio su quelle di Don Bosco, già molto co-
nosciute nella città della laguna. L'opera venne poi eretta in ente
morale autonomo.
Ma la buona volontà non poteva sopperire al difetto di locali,
di macchinario e di personale tecnico; onde a lungo andare l'opera
cadde in uno stato quasi d'inazione. Il desiderio di rialzarla mosse
il Consiglio di Amministrazione a rinnovare con maggior calore le
istanze già fatte ai Salesiani, perchè volessero assumerne la dire-
zione. La domanda, avvalorata dall'autorevole raccomandazione di
Pio X, non potè più «ssere respinta nel 1911 da Don Albera, che.
stipulata una convenzione, mandò in novembre i primi Salesiani.
L'istituzione ripigliò vita. Gli alunni da 36 poterono nel secondo
anno essere portati a 82, quanti ne capiva la casa. La fiducia aveva
aumentata la beneficenza.
Ma la guerra arrecò lo scompiglio. La vicinanza dell'Arsenale
faceva sì che l'edifìcio fosse bersagliato dai bombardamenti. Fu forza
sloggiare a Trevigiano di Mestre, in una villa affittata. Senonchè la
terribile sciagura di Caporetto rese anche quella sede pericolosa;
onde, collocate alcune decine di orfanelli presso loro parenti, gli
altri in numero di quaranta trovarono asilo nell'Oratorio di Valdoc-
co, dove Don Albera provvide a mantenerli per due anni. Intanto
i Salesiani avevano rilevato a Castello l'Oratorio Leone XIII, tenuto
già dai Fratelli delle Scuole Cristiane (1) e ancora in fiore. Termi-
nata la guerra e tentato inutilmente di riorganizzare l'opera nella
casa di prima, non si veniva a capo di nulla; onde l'Amministra-
zione dell'ente ventilò e sottopose ai Superiori di Torino un nuovo
disegno.
Il veneziano abate Carlo Coletti aveva fondato a Cannaregio
un'opera consimile, erigendola pure in ente morale. Avvenuta l'im-
matura morte del fondatore, la sua fondazione andò di crisi in
crisi; la più grave fu nel 1875, quando il Governo pretese dall'Am-
ministrazione che cambiasse l'istituto di beneficenza in casa di cor-
rezione, ricevendo i discoli che esso vi avrebbe mandato. Fu sti-
(1) Verb. del Corp. Sup., 25 novembre 1918.
I l i
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
pulato regolare contratto per un magro assegno individuale. Allora
cessò la beneficenza cittadina. Scaduta la convenzione nel 1915, non
la si volle più a nessun patto rinnovare; onde il Governo ritirò i
corrigendi e l'opera tornò ad avere il carattere primitivo.
Ma le finanze erano a terra: c'era la possibilità di mantenere
gratuitamente appena dieci ricoverati. Che fare per salvare l'opera?
Si affacciò il disegno di fondere insieme i due istituti sotto l'egida
dei Salesiani. L'idea trovò consenzienti i Salesiani (1) e le autorità
cittadine. Corsero trattative, durate Ano al 1922. Da prima i pochi
alunni del Coletti rimasti passarono a Castello, restandovi finché
non furono ultimati i lavori di riattamento nei vasti locali dell'altro
istituto, nel quale finalmente furono tutti i giovani trasferiti. Con-
tinuò a Castello l'oratorio; un secondo oratorio riuscì il Direttore
Don Segala a far aprire nel 1934 al Coletti. In tutte le accennate
peripezie Don Luigi Maffini per lo spazio di undici anni ripetè le
prove di zelo e di abilità date già nel Portogallo (2), dove fece ri-
torno, sbollite che furono le passioni rivoluzionarie.
Il 1912 vide iniziarsi tre opere sotto gli auspici di Don Albera,
una delle quali a Borgomanero nella provincia di Novara. Dobbia-
mo rifarci dal 1878. Apertasi in quell'anno a Borgomanero una
scuola tecnica comunale, vi accorsero alunni anche da paesi vicini
e lontani, sicché fu sentita la necessità di provvedere loro assistenza
e ricovero. A tale scopo si mise su un modesto pensionato, che nel
1895 divenne il convitto Manzoni. Questo convitto nel 1908 passava
sotto la direzione di Don Giuseppe Tacca salesiano, ma che per mo-
tivi di famiglia aveva ottenuto l'esenzione temporanea dalla vita di
comunità (3). Egli nel 1912 ricevette il mandato di consegnarlo ai
Salesiani, che lo accettarono, conservandogli il medesimo carattere:
solo vi introdussero una regolare scuola di religione, insegnamento
non impartito allora nelle scuole governative. I Salesiani però non
si fermarono li. Nel dicembre 1914, quando di là dalle Alpi già
tuonava il cannone, Don Albera fece una visita al collegio. Tutta
la città lo ricevette in trionfo. Celebrata ivi la festa dell'Immaco-
lata, partì lieto d'aver visto le cose bene incamminate e quanto i
(1) h. e.
(ì) Ann., v. HI, pp. 571-2 e 773,
(3) Verb, del Cap. Sap„ lo maggio 1905.
112
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
Salesiani fossero circondati di stima da parte della popolazione; non
esitò quindi ad approvare il disegno di dare maggiore sviluppo
all'opera; ma bisognò aspettare il termine della guerra. Allora, ab-
bandonata l'insufficiente e scomoda casa primitiva, si passò in un
edificio nuovo, più capace e meglio rispondente alle esigenze mo-
derne, e alla denominazione antica si sostituì quella di " Collegio
Don Bosco ". Oggi oltre al convitto ha il liceo classico parificato.
Un'ala del fabbricato accolse fino al 1943 i novizi delPIspettoria
novarese.
Don Bosco, che pure contava numerose relazioni personali a
Vercelli, non pensò mai a stabilirvi una propria fondazione. Non
sembra improbabile il motivo. La città del grande S. Eusebio, prin-
cipal sede vescovile del Piemonte, aveva tante istituzioni religiose
e benefiche da poter in questo bastare a se stessa, A che prò dun-
que portar legna alla selva? Ma venne il momento, in cui si cre-
dette necessaria anche l'opera specifica dei Salesiani. Un sobborgo
detto di Belvedere, formatosi da pochi decenni in centro industriale
e continuamente amplificantesi, si trovava alquanto fuori mano, e
la sua popolazione operaia era insidiata dalla propaganda sovver-
siva. Uno zelante sacerdote del clero diocesano vi aveva bensì im-
piantato un Oratorio festivo; ma da solo poteva fare poco. Il 10 no-
vembre 1911 l'Arcivescovo Teodoro Valfrè di Bonzo scriveva a Don
Albera: « Stando oramai per ultimare una chiesa qui in Vercelli
in un sobborgo eminentemente operaio, chiesa che sarà tosto eretta
in parrocchia, avrei ideato di affidarla alla benemerita Congrega-
zione Salesiana, ben conoscendo lo zelo degli ottimi figli di Don Bo-
sco e la loro speciale attitudine nell'educazione della gioventù. Alla
chiesa va annessa una nuovissima casa parrocchiale, anche questa
quasi finita, ed un larghissimo spazio per l'Oratorio con gran salone
per adunanze, teatro e simili ». Chiedeva dunque per il prossimo
anno il personale occorrente.
La proposta fu giudicata buona sotto ogni riguardo: c'era un
campo, dove spiegare in pieno l'attività salesiana. Don Albera or-
dinò d'incominciare senz'altro le pratiche, le quali si svolsero ra-
pide con risultati chiari e precisi, di modo che ì Salesiani nel no-
vembre 1912 sì trovavano già sul posto. Della chiesa, considerata
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
come un gioiello d'arte, -essi fecero il centro del loro ministero. La
fiancheggiavano due Oratori, il maschile e il femminile, questo te-
nuto dalle Figlie di Maria Ausiìiatrice insième con l'asilo. Si vide
pure l'opportunità di aprire di qua e di là scuole elementari par-
rocchiali per la gioventù d'ambo i sessi. La popolazione da prima
indifferente, cosa ordinaria in città fiere del loro passato di fronte
a persone venute di fuori a occuparsi di esse, finì con affezionarsi
ai Salesiani, secondandoli con sempre maggiore corrispondenza,
sicché il borgo si venne rinnovando. La generazione odierna sotto
i trent'anni è pressoché tutta composta di ex-allievi e di ex-allieve.
Già nel febbraio 1915 Don Albera constatò che del bene se ne fa-
ceva e più ancora se ne sarebbe fatto in seguito. I parrocchiani,
desiderosi di conoscere il secondo successore di Don Bosco, gli di-
mostrarono più a fatti che a parole, il loro piacere di vederlo. Vi-
vevano ancora dei vecchi, i quali, trovatisi presenti nel settembre
1865 alla consacrazione della monumentale basilica di Santa Maria
Maggiore, ricordavano di aver udito allora tre indimenticabili pre-
diche di Don Bosco.
Là, come in tanti altri luoghi, l'Oratorio fu un vero toccasana.
Stava aperto tutti i giorni. L'Arcivescovo lo sceglieva sovente a
meta delle sue passeggiate serali, compiacendosi nel contemplare lo
spettacolo delle animate ricreazioni. Erano due belle feste per lui
l'annuale gara catechistica e la premiazione finale in entrambi gli
Oratori. Nelle gare, dopo le tenzioni mnemoniche dei piccoli e dei
mezzani, scendevano i grandi in lizza di botte e risposte su punti
difficili o controversi e anche intorno a questioni sociali. Si presen-
tavano alla lotta ben agguerriti. Il pubblico ci si appassionava e
faceva ovazioni ai vincitori. Queste prove si ripetevano annualmente
dopo i catechismi quaresimali, nella domenica delle palme. L'anno
catechistico si chiudeva tra il Natale e l'Epifania con la solenne
distribuzione dei premi a circa trecento più meritevoli per assiduità
e diligenza. Si davano tagli di buona stoffa in misura tale da rica-
varne abiti completi. Il primo parroco. Don Natale Signoretti, ca-
duto sulla breccia dopo anni di fatiche pastorali, lasciò dietro di
sé ottima memoria e sincero rimpianto.
La casa di Cagliari, i cui esordi sono del 1912, sembra prossima
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni d'i Don Albera in Italia. Terremoto marsìcano
ad assumere proporzioni degne della nobile capitale sarda. Le pri-
me domande di fondazione sono del 1879: abbiamo lettere dell'Ar-
civescovo e del senatore liberale Siotto Pintor dirette a D. Bosco per
questo scopo. I princìpi tardarono un po' a lungo. Ci voleva e si
voleva un Oratorio festivo: tutti vedevano in esso un'arca di salvezza
per la gioventù cagliaritana. L'Oratorio prese ad affermarsi solo dopo
la guerra. A poco a poco la casa salesiana divenne iuventutìs do-
mus. A compiere l'opera si desiderava dai buoni anche il collegio.
Il collegio venne: un coìlegino, perchè dell'edificio designato si era
costruita appena la terza parte. Oggi finalmente nel fabbricato com-
pleto si è potuto aprire un liceo, specialmente per i giovani pro-
venienti dai due istituti salesiani di Lanusei e di Santolussurgiu.
Sotto il dominio austriaco, ma in terra d'italiani era Rovigno,
città marinara di circa 12.000 abitanti nella penisola d'Istria. Nel
1909 Don Rua, commosso dalla descrizione dell'abbandono in cui
viveva quella gioventù, aveva promesso di mandare i Salesiani. Lo
moveva anche il sapere che già nel 1878 Don Bosco aveva dato as-
sicurazione che, appena avesse il personale, avrebbe fatto qualche
cosa per Rovigno. Ma, sopravvenuta di lì a poco la morte di Don
Rua, svanì la sua promessa; non se ne dimenticò tuttavia il parroco
Don Francesco Rocco, che l'aveva raccolta. Egli nel 1910 si recò a
Trieste, quando vi si trovava Don Albera e lo supplicò di tener pre-
sente la parola del suo predecessore. Don Albera gliela confermò.
Allora i principali Cooperatori rovignesi costituirono un'" Associa-
zione Salesiana ", che nel dicembre 1910 ebbe dal Governo' impe-
riale la sua legale esistenza. Era condizione indispensabile per pro-
cedere all'acquisto di un terreno, costruire un edifìcio e dar prin-
cipio all'opera. Terminati i lavori nel 1912, quando si riteneva im-
minente l'arrivo dei Salesiani, nacquero difficoltà da parte dell'I-
spettore, il quale dichiarò di non poterli mandare se non dopo
cinque anni. Un fulmine a ciel sereno! Il parroco ricorse a Don Al-
bera, esprimendogli tutta la sua amarezza per il colpo inaspettato.
« Il sottoscritto, scriveva egli, con tutta la forza dell'anima sua, sup-
plica, supplica e supplica la S. V. Rev.raa per quanto ha di più
caro il cuor suo, non ci abbandoni! » Don Albera non li abbandonò,
ma dispose che nell'ottobre 1913 l'Oratorio venisse aperto. I buoni
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
esultarono, i giovani volevano bene ai Salesiani, si cominciavano
a cogliere frutti, belle speranze brillavano per l'avvenire; ma dopo
mena d'un anno, scoppiata la guerra, tutta la popolazione fu fatta
evacuare martu militari, e venne trasportata raminga nei campi di
concentramento per circa tre anni. Cessato il flagello e ricomposte
le cose, ricongiunta l'Istria alla patria antica, una delle prime cure
fu di ottenere che si riaprisse l'Oratorio, provvidenziale rifugio della
gioventù restituita alla pace del focolare domestico. Molte cose man;
cavano; ma l'Oratorio con le sue festicciole diventò il ritrovo più
gradito di tutta la cittadinanza, unico luogo dove i giovani, senten-
dosi come in casa loro, aprissero l'animo ai salutari influssi delle
istruzioni e pratiche religiose.
Nel medesimo anno 1913 l'Oratorio di Valdocco subì una modi-
ficazione, che un tempo non sarebbe stata neppure immaginabile;
ma tempora mutantur e necessità non ha legge. Don Bosco teneva
fortemente all'unificazione di tutte le attività, che si svolgevano nella
Casa madre. Per questo motivo conservò sempre il titolo di Ret-
tore, affidando la direzione a un suo immediato dipendente. Don
Rua pure continuò a portare il titolo di Rettore, deponendolo solo
negli ultimi anni, senza che per questo l'Oratorio cessasse mai di
fare una cosa sola col Capitolo Superiore. Venne però il momento,
in cui si rese indispensabile dividere; ma vi si arrivò gradatamente,
a poco a poco.
L'estendersi della Congregazione richiedeva un sempre mag-
gior numero di soci addetti ai singoli membri del Capitolo Superiore
e quel numero crebbe a segno che il Direttore dell'Oratorio non
poteva più occuparsi di loro; onde la necessità di pensare a una
separazione. Il provvedimento apparve tanto grave, che nel 1911
Don Albera nominò una Commissione composta di quattro Capito-
lari e presieduta dal Prefetto Don Rinaldi, perchè si studiasse bene
il da fare (1). La Commissione conchiuse unanime dover avere il
Capitolo Superiore col suo personale amministrazione e modo di
essere al tutto indipendente dall'Oratorio. Ciò posto, si presenta-
rono due vie: o allontanarsi totalmente dall'Oratorio, andando, per
esempio, nella casa di S. Giovanni Evangelista o rimanere nell'Ora-
(!) Verb. liei Cap. Slip.. 2S agosto 1911.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le, fondazioni d'i Don Albera in Italia. Terremoto manicano
torio separati. La prima soluzione non sembrò ammissibile anche
per i ricordi che legavano i Superiori alla Casa madre; si deliberò
dunque di fissare i locali occorrenti entro il recinto dell'Oratorio (1).
Ma si vide presto che nei vecchi locali si sarebbe stati troppo a di-
sagio; perciò fu decisa l'erezione di un edificio apposito, incomin-
ciato al principio del 1912.
Non si aspettò tuttavia che la costruzione fosse ultimata per at-
tuare la separazione. Già nel 1913 gli addetti al Capitolo Superiore
incominciarono a formare una comunità distinta, pur continuando
a fare vita comune con gli altri della casa, solo non dipendendo più
dal Direttore: fu messo loro a capo il maestro di musica Don Gio-
vanni Grosso col titolo di " Preposto alla direzione del personale
addetto al Capitolo Superiore ". Venne adottata questa sistemazione,
perchè durava l'incertezza, se si dovessero o no formare due case
distinte, e i pareri dei Capitolari erano divisi. Don Albera nel 1915
propose che si prendesse tempo per aver modo di fare l'opportuna
esperienza, e intanto si andasse avanti così, quantunque fosse già
stata inaugurata e occupata la nuova fabbrica l'ottobre 1914, acco-
gliendo e concentrando tutti gli uffici e l'abitazione dei Superiori
maggiori e dei loro segretari. La voluta esperienza, prolungata an-
cora otto anni, suggerì di procedere a una divisione netta col creare
in grembo all'Oratorio due comunità, anzi due case interamente
distinte, assegnando nel 1923 alla casa capitolare un Direttore vero
e proprio, Dopo una nuova esperienza condotta per altri sei anni,
finalmente nel maggio 1929 il Rettor Maggiore Don Rinaldi iniziò le
pratiche a fine di ottenere il beneplacito apostolico per l'erezione ca-
nonica di detta casa. Il decreto relativo si ebbe il 12 giugno.
Ha un addentellato col 1913 la casa di Torre Annunziata, città
divenuta in breve tempo assai popolosa, fra Napoli e Castellammare
di Stabia sul golfo. Il sacerdote Pasquale Dati, spaventato della cre-
scente rovina spirituale di tanta gioventù ed essendo favorito dalla
Provvidenza di un discreto patrimonio, era disposto a creare una
base finanziaria per l'apertura di un Oratorio festivo. Ne trattava
già nel 1895. Finalmente nel giugno 1913, trovandosi Don Albera nel
collegio di Castellammare, gli si presentò per rinnovargli a viva voce
(1) L. e,., 25 e 26 settembre 1911,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
le sue istanze. Don Albera fece buon viso alla proposta e finché non
si potesse fare di meglio, fu stabilito che intanto si cominciasse su-
bito l'Oratorio, andando ogni settimana a Torre alcuni salesiani di
Castellammare. L'opera si sviluppò a segno che sedici anni dopo nei
locali ingranditi ebbe vita un istituto destinato ad accogliere gio-
vani, i quali avessero volontà e attitudini di dedicarsi allo stato ec-
clesiastico o religioso.
Durante la guerra.
Entrando ora nel periodo bellico, troveremo assai poche le fon-
dazioni in Italia. Nessuna nel 1914, l'anno che vide il principio della
terribile conflagrazione. Furono però istituite, accanto a opere già
esistenti, le tre parrocchie di S. Agostino a Milano e della Sacra Fa-
miglia a Firenze e ad Ancona, L'anno dopo, essendo anche l'Italia in
guerra, bisognò pensare a tanti poveri giovani rimasti orfani per la
morte dei loro padri al campo o abbandonati per il richiamo del
loro genitore alle armi; sorsero così le due case di Monte Oliveto a
Pinerolo e del Mandrione a Roma, delle quali abbiamo detto quanto
basta nel capo quinto. Naturalmente queste case, avendo finalità spe-
ciali e temporanee, venuto a cessare l'elemento che le popolava,
dovevano ricevere nuova destinazione; perciò nella prima si stabilì
il noviziato dell'lspettoria Subalpina e nella seconda una scuola
agraria parificata.
Le Costituzioni della Società Salesiana dicono che in via ordi-
naria non si accettano parrocchie; accennano però anche all'even-
tualità che per giuste ragioni convenga talora accettarne. Ecco per-
chè da un lato i Superiori si mostravano restii ad accogliere proposte
di tal genere e dall'altro ammettevano eccezioni. Queste eccezioni
si fecero sempre più frequenti, tanti erano i motivi che le giustifica-
vano. Una ne accettarono a Messina nel 1915, Dopo il tremendo ter-
remoto del 1908 la città stentò molto a rialzarsi (1) anche per quello
che concerneva i bisogni religiosi. Era perita la maggior parte del
clero secolare; non rimaneva in piedi nemmeno una chiesa. Pio X
invitò i Superiori Generali degli Ordini religiosi ad andare in aiuto
(1) Ann., v. IH, pp. 750-759.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto marsicano
dell'Arcivescovo, mandando là in gran copia sacerdoti loro e accet-
tando anche cure parrocchiali. Le funzioni si facevano in baracche
e in baracche si abitava. L'Arcivescovo superstite Letterio D'Arrigo
ottenne che i Salesiani prendessero ìa parrocchia di S. Leonardo
in uno dei rioni più popolari, denominato La Giostra, I Superiori
maggiori, saputo che vi predominavano operai e poveri, ritennero
che quello fosse più d'ogni altro un campo tutto salesiano, nel quale
si sarebbero meritate le benedizioni di Dio e si sarebbe fatto gran
bene alle anime (1). Perciò, omologati dalla Santa Sede i patti di
cessione, due sacerdoti vi si recarono l'8 dicembre 1915.
Certi cataclismi, come il disastro di Messina, producono sempre
con le rovine materiali anche disorientamenti nelle idee, nelle abi-
tudini e nelle tradizioni, I Salesiani trovarono tutto da fare. Senza
perdersi d'animo si misero subito all'opera per avviare le istituzioni,
che rendono efficace l'attività di un parroco. Don Rinaldi, predicando
gii esercizi a Randazzo nel 1916, aveva raccomandato loro special-
mente di suscitare e zelare la divozione alla Madonna e la frequenza
ai sacramenti. Così fecero e ne sperimentarono gli effetti. Si occu-
pavano intanto dei fanciulli con l'Oratorio festivo e i catechismi. Il
nuovo Arcivescovo Angelo Paino, che, benemerito quant'altri mai
della ricostruzione di Messina, sostituì alle baracche buone costru-
zioni, procurò pure ai Salesiani una bella chiesa e una discreta ca-
nonica; ma si dovette aspettare fino al 1931 per inaugurarle. Nel 1925
i Superiori credettero che ornai i Salesiani non fossero più indi-
spensabili come per l'addietro e quindi volevano rinunciare alla par-
rocchia. Ma il detto Arcivescovo ricorse a Roma, e supplicando che
s'invitassero i Superiori a recedere da quel divisamento, rendeva
loro questa testimonianza: «Io poi sono, molto contento dei Sale-
siani: lavorano con zelo, sono molto amati dai fedeli e raccolgono
copiosi frutti spirituali, specie nella gioventù ».
Questi elogi andavano a tutti; ma uno se li meritava in modo
speciale; Don Enrico Vanoli. Nel tornare indietro dalPaccennata de-
liberazione il Rettor Maggiore Don Rinaldi aveva Voluto che si
tenesse in gran conto il pensiero « del buon Don Vagnoli », come
(1) Verb. del Cnp. Sup„ 22 aprile 1914 e 26 marzo 1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
scrisse di suo pugno sopra una lettera di lui (1). Laborioso quanto
modesto, fu viceparroco a Messina dai 1916 al 1938. Visse quindici
anni nelle misere baracche sempre sereno, sempre col suo amabile
sorriso sulle labbra, sempre tutto carità e zelo p«r la salute delle
anime. Migliorate le condizioni materiali, egli non mutò tenor di
vita: una vita di sacrifici, di povertà e di abituale santa letizia. Il
suo confessionale era ricercatissimo da persone d'ogni classe. Ag-
gravatosi il suo mai di cuore, dovette ritirarsi nell'istituto S, Luigi
della medesima città, dove rese l'anima a Dio il 24 luglio 1939, pianto
da tutta la popolazione della parrocchia. Era nato il 12 dicembre
1875 a Valdomino di Luino (Varese). È opinione di coloro con i quali
divise le fatiche del ministero in quella poverissima fra le più po-
vere parrocchie, doversi attribuire in massima parte a lui il molto
bene ivi compiuto, a lui cioè e al suo influsso (2).
Per tutto il biennio 1916 e '17, nulla di nulla in Italia. Nella let-
tera del gennaio 1918, là dove il Rettor Maggiore suole render conto
delle opere compiute nell'anno precedente, Don Albera faceva rile-
vare ai Cooperatori: «Non v'è casa dell'Opera di Don Bosco che
non abbia aperto le sue porte ai figli o alle figlie dei richiamati o
dei morti in guerra o dei profughi, o agii stessi soldati ».
Tuttavia, prima che la guerra fosse terminata, una fondazione si
fece in una città annessa poco dopo all'Italia. Parlo di Fiume, la
perla del Quarnero. I buoni deploravano la piaga sempre più in-
quietante di una fanciullezza abbandonata a se stessa ed esposta ai
pericoli della peggiore corruzione e invocavano fin dal 1900 la ve-
nuta dei Salesiani a prendersene cura. Le istanze si fecero più pres-
santi nel 1904, pressantissime nel 1914: intervenne anche il Cardinal
De. Lai, Segretario della Concistoriale. Finalmente Don Albera potè
disporre di alcuni soggetti e li mandò. Erano chiamati da un'Asso-
ciazione " Maria ", che aveva dipendenti varie istitoioni cittadine
di beneficenza. Vi giunsero per l'Epifania del 1918. Trovarono un
bellissimo locale, che da un'incantevole posizione dominava tutta
la città. Apersero subito un Oratorio festivo e feriale. Il quartiere
di 20.000 anime non aveva chiesa né vedeva mai un prete. Già, di preti
(1) Milano, 7 giugno 1926.
(2) Cronaca delia parrocchia di S. Leonardo, luglio 1939.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni dì Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
sembra che non ve ne fossero più di cinque o sei per una città con
50.000 abitanti. S'immagini quindi l'apatia religiosa della popola-
zione. I giovani, attratti dalle buone maniere e dai divertimenti, a
poco a poco accorsero, si affezionarono e presero gusto alla pietà.
Questo influì nelle famiglie; infatti si vedeva risvegliarsi l'interesse
per le pratiche religiose. Alla prima solenne premiazione, fatta nel
gennaio 1919, assistette l'Ispettore Don Giraudì, rimasto contento di
constatare quanta simpatia la cittadinanza dimostrasse già per l'o-
pera. E l'opera progrediva di anno in anno. 11 Vescovo Isidoro Sain
benedettino in una ietterà del 18 novembre 1926 a Don Rinaldi ma-
nifestava la sua soddisfazione di avere nella sua diocesi i figli di
Don Bosco, dichiarando di apprezzare altamente lo zelo apostolico,
che andavano spiegando in mezzo alla gioventù fiumese. Purtroppo
i mutamenti politici causati dalla seconda guerra mondiale dove-
vano stroncare tanto bene.
Mentre quella che Benedetto XV chiamò « inutile strage » faceva
le ultime ecatombi, compievasi in un remoto angolo del Monferrato
una cerimonia pacifica, quasi preludio di non lontana pace e inìzio
di un'opera destinata a giganteggiare. Il suolo toccato dai Santi di-
venta sacro, tanto più dove un Santo nacque o visse. Là a perpetuai'ne
la memoria sorgono tosto o tardi monumenti, ai quali traggono le
moltitudini in pellegrinaggio, i divoti o studiosi in visita, ed anche i
semplici turisti in cerca di cose nuove o di emozioni. Cassino e Assisi
sono i due esempì classici. Così doveva accadere al Colle, dove San
Giovanni Bosco ebbe i natali e trascorse gli anni della prima età in
seno alla famiglia poverella. Dovunque palpita un cuore ricono-
scente de' suoi benefìci, dovunque s'incontra un ammiratore delle
sue virtù e delle sue opere, la mente si volge al luogo, che ne ac-
colse i primi vagiti e fu teatro delle sue precoci manifestazioni. Po-
teva mai quel colle rimanere sempre con lo squallore delle sue quat-
tro casucole di lavoratori della terra e nella silenziosa solitudine
de' suoi vigneti? Non è questo nell'ordine consueto delle cose umane.
Venne l'ora dì rompere quella solitudine e quel silenzio. Il dop-
pio centenario del 1915 ispirò l'idea di erigere il tempio votivo, del
quale abbiamo parlato nel capo sesto: votivo, perchè costruito du-
rante tre anni di guerra anche come voto per la pace. Non era però
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
questo il motivo principale. Il verbale posto nella prima pietra dice
ispiratore dell'erezione il desiderio di dare a Dio e a Maria San-
tissima un pubblico pegno di riconoscenza per i favori elargiti a Don
Bosco, non ultimo fra gli altri l'apparizione delia Vergine a lui non
ancora decenne, là nella casa paterna, per additargli la missione,
alla quale lo chiamava il Cielo. Era pur stata viva brama di Don
Bosco dotare il suo luogo nativo di una cappella per provvedere ai
bisogni spirituali di quella buona gente, che viveva alla distanza
di cinque chilometri dalla parrocchia. Si può affermare che a co-
struire la chiesa concorsero specialmente i bimbi e le bimbe d'Italia
e dell'estero. Dal 1915 ai 1918 ogni numero del Bollettino Salesiano
ne registra le offerte piccole, ma continue, accompagnate da mille
graziose particolarità, che spesso non si leggono senza commozione.
La facciata della chiesa si aderge di fronte alla parte anteriore
delia casetta di Don Bosco: la casa di Maria sembra guardare con
amore e tenere sotto la sua protezione l'umile dimora del fedele
servo di Maria, perchè le ingiurie del tempo non abbiano a recarle
maggiori offese.
La sera del 1° agosto 1918 Don Albera, presenti tutti i Supe-
riori, la benedisse e la mattina del 2 celebrò la prima Messa sull'al-
tare consacrato allora allora dall'Arcivescovo di Ravenna Pasquale
Morganti. Era venerdì quel giorno. La domenica seguente si fece
gran festa, resa più solenne dalla porpora del Card. Cagliero, ralle-
grata dai cantori dell'istituto di Castelnuovo e animatìssima per gran
numero di pellegrini. A servizio della chiesa e a custodia della ca-
setta fu in quella circostanza stabilita una comunità. Era stato posto
così il principio della grandiosa e benefica opera attuale, che, una
volta ultimata, dirà ai posteri quanto abbiano voluto e saputo fare
i figli di Don Bosco a gloria del Padre.
Dopo la guerra.
L'armistizio segnò la ripresa delle fondazioni, ma principiando
da alcune speciali e di urgente necessità. Dopo le guerre sono ine-
vitabili i rilassamenti della disciplina sociale. Allora nelle grandi
città la gioventù rompe ogni freno e la dà pazzamente di traverso.
Questo si sperimentava a Torino, massime nei quartieri eccentrici,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni dì Don Albera in Italia, Terremoto marsicano
dove per giunta imperversava la propaganda sovversiva e anticle-
ricale. Ecco il movente della fondazione di due Oratori festivi com-
pleti sotto ogni aspetto, nei sobborghi popolari di Monterosa e di
San Paolo. Entrambi furono inaugurati l'8 dicembre 1918, festa del-
l'Immacolata.
A Monterosa l'attuale Oratorio " Don Michele Rua " ebbe ori-
gine durante la guerra dalla generosità del Cooperatore Salesiano
Luigi Grassi, consigliere comunale, che aprì un ritrovo per giova-
netti, facendo erigere anche una piccola cappella e un teatrino e
denominando l'opera " Ricreatorio Margherita Bosco ". ,Vi attende-
vano alcuni maestri, i quali, pagati da lui, curavano la formazione
morale dei ragazzi. Ma il numero di questi era sempre meschino;
onde il fondatore invitò i Salesiani a prenderne la direzione.
I Superiori accettarono e mandarono due Salesiani. L'affluenza
giovanile aumentò rapidamente a segno, che i locali di prima non
bastavano più a contenerli. Allora si mise mano coraggiosamente
alla costruzione di un Oratorio, che offrisse le più desiderabili co-
modità. Non si aspettò che la fabbrica fosse finita per trasferire la
sede. Il 19 giugno 1920 si occuparono i primi locali già pronti e il
2 ottobre 1921 fu dal Card. Richelmy benedetta la prima pietra di
una chiesa pubblica. Del nuovo edifìcio condotto a termine si fece
l'inaugurazione il 30 luglio 1922 e la chiesa venne aperta al culto il
30 settembre. Alle spese, oltre le larghe offerte del Grassi e della
marchesa Thaon di Revel, concorsero le oblazioni di enti morali
e di privati, sollecitate da un Comitato promotore e da un Sottoco-
mitato d'instancabili Patronesse. Anche il Papa largì una cospicua
somma.
Allora fu che all'Oratorio si cambiò nome, intitolandolo a " Don
Michele) Rua ". Oltre all'ufficio di Direzione, aveva le sale dei cate-
chismi e delle scuole serali, sale di musica, di lettura, di ritrovo per
circoli, dopo scuola, dopo officina, conferenze, e le stanze di abita-
zione, non che due cortili fiancheggiati da portici, uno piccolo per
i giuochi preferiti e uno grande per campo di foot-ball. Nella chiesa,
che misura metri 40 per 11, spicca una nota di armonia e di eleganza.
Ci voleva pure un ricordo di Don Rinaldi, il quale, secondo un suo
costume, aveva fatto tutto senza che nulla apparisse di suo; perciò
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
il 6 febbraio 1927, inaugurandosi un nuovo salone, gli si diede il suo
nome. L'opera di Monierosa, benedetta da Dio, compiè e va com-
piendo un mondo di bene.
Fratello dell'Oratorio d'i Monterosa, anzi quasi gemello, è l'Ora-
torio di San Paolo. Era tanto il bisogno di assistenza religiosa alla
gioventù nel borgo di tal nome, che persone secolari s'ingegna-
vano di fare qualche cosa secondo le loro forze. Così alcune maestre,
socie dell'Unione Insegnanti fondata da Don Rinaldi, s'industria-
vano durante la guerra per attirare i giovani alla pratica dei doveri
cristiani, ma non ottenevano gran che. La contessa Rebaudengo-Ce-
riana, zelatrice delle opere buone a prò delle classi operaie, essendo
in relazione con Don Rinaldi, che le aveva affidato la direzione d'un
Comitato di " Amiche delle Lavoratrici " istituite da lui nell'Oratorio
femminile delle Figlie dì Maria Ausjliatrìce a Valdocco, propose a
Sui la fondazione di un Oratorio in quella località, promettendogli
la somma necessaria per l'acquisto di un terreno. Don Rinaldi il
4 febbraio 1918 ne parlò in Capitolo e Don Albera disse subito che,
stante il bisogno evidente e l'offerta provvidenziale, conveniva ac-
cettare. Il 3 aprile fu stipulato il contratto per la compera e sen-
z'altro venne determinato il programma: fondare un Oratorio con
doposcuola da intitolarsi a S. Paolo in ricordo perenne della Messa
d'oro del medesimo Don Albera; erigere una grande chiesa per i
bisogni spirituali del borgo e quale centro di attività religiosa, ma
da fabbricarsi a guerra finita; aprire una casa famiglia per lavora-
tori. Si voleva far presto, arrivando all'inaugurazione dell'Oratorio
per la festa dell'Immacolata. E più presto non si poteva fare: a
mezzo novembre il personale era già sul posto, occupando un fab-
bricato rurale (1): un caseggiato rustico con fienile e tettoia per
carri, un tratto di abitazione civile con portico, una casetta rustica
di fronte tra un cortile e un giardino alberato.
Riattati i locali e improvvisata una cappella, l'8 dicembre, men-
tre Don Rinaldi inaugurava l'Oratorio di Monterosa, Don Albera
compieva la medesima cerimonia per quello di S. Paolo. Nelle tre
settimane precedenti i Salesiani erano andati raccogliendo un nu-
mero sempre crescente di giovani. Il 24 novembre fu la prima do-
di Verb. del Cap. SuP-, i febbraio, 3 aprile, 2] giugno, 17 settembre, 23 ottobre 1918.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
menica dell'Oratorio. Alla Messa assistettero 72 ragazzi; nel pome-
riggio ruzzavano là attorno in 200, i più tutt'altro che farina da far
ostie. Il Direttore e i suoi due aiutanti lavoravano alacremente a
preparare l'inaugurazione ufficiale nella festa dell'Immacolata. Quel
giorno Don Albera celebrò dinanzi a 300 birichini e a gente del popolo,
Erano presenti gli amici e i benefattori della prima ora. Dopo la
Messa Don Albera si trattenne alquanto in mezzo alla turba giova-
nile, mentre si andava facendo una distribuzione di castagne. Prima
di partire rivolse con la sua caratteristica dolcezza alcune parole
al pubblico da un ballatoio. Alla sera i giovani affluirono ancor più
numerosi. Quel giorno segnò una vittoria. La gente del luogo inco-
minciò a capire non essere il prete la bestia nera che si voleva dare
a intendere. E ce n'era bisogno. A Torino il nominare San Paolo
faceva subito pensare al borgo più rosso immaginabile. Episodi tri-
stissimi gli avevano creato quella fama. Nella massa operaia fer-
mentavano odi di classe, generatori di rivolte; e di operai si com-
poneva il grosso della popolazione.
Mentre si lavorava a organizzare l'Oratorio in modo che diven-
tasse la casa di tutti, ecco di nuovo la mano della Provvidenza. Una
Commissione di signori e signore, d'accordo con Don Rinaldi, sì
profferse a Don Albera per far cintare il vasto terreno e far costruire
qualche cosa d'altro, come il teatrino. Intanto presso l'ufficio dell'E-
conomato Generale salesiano si apprestava un disegno regolare,
perchè i lavori che quei signori volevano eseguire, non avessero un
giorno a essere demoliti (1). Tra questi lavori spuntò un edificio a due
piani, dove allogare le molteplici opere già in attività o in program-
ma: Unione dei Padri di famiglia, cominciata nel 1919 dal signor
Gastaldo con 17 amici e cresciuta a più di 600; e poi Circolo S. Paolo
e Aspiranti di Azione Cattolica, Esploratori, Piccolo Clero; Sezioni
sportiva, ginnastica, filodrammatica, musicale di canto e di stru-
menti e culturale; doposcuola, scuole professionali serali e segreta-
riato del popolo. Prestavano aiuto professori esterni, che ogni sera
dedicavano qualche ora a tanta gioventù operaia. Erano tutti mezzi
per attirare il mondo giovanile, avvincerlo all'Oratorio, istruirlo nella
(1) L. e, 31 gennaio e 17 maggio 1919,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
dottrina cristiana e iniziarlo alle pratiche religiose, Una nota sin-
golare dominò fin da principio in questo Oratorio; un vivo entu-
siasmo, che s'impadroniva di quanti vi entravano. Lo dicono ancora
oggi molti di quei giovani divenuti uomini. Non si creda che siano
mancate le noie. Un gruppo di giovinastri per alcuni mesi faceva
le sassaiole contro gli oratoriani, provocando reazioni, che causa-
vano episodi drammatici, se non proprio tragici in tutto il senso
della parola. Allontanati dalla polizia gli aizzatori forestieri, la ves-
sazione cessò e i Salesiani rimasero^ per sempre padroni del campo.
A degno coronamento venne la chiesa. Una chiesa grande e
bella, fatta su disegno dell'architetto salesiano Giulio Vallotti e in-
titolata a Gesù Adolescente. Per questo titolo fu presentata ai gio-
vani come chiesa loro; quindi gli alunni dei collegi e oratori sale-
siani contribuirono con il loro obolo alla sua edificazione. Erasi di-
visato che ponesse Don Albera la prima pietra il 1° novembre 1921 ;
ma il 29 ottobre egli improvvisamente moriva. Tuttavia il lutto non
fece rimandare la cerimonia. Benedisse la pietra e versò la prima
calce il Cardinal Cagliero. In quattro anni s'arrivò al termine. La
consacrò l'Arcivescovo Giuseppe Gamba il 31 ottobre 1925. Il po-
polo quasi intero ne gioì. Quantum mutatum ab ilio! A notte, quando
le campane, che per più di cinquantanni avevano sonato dal san-
tuario di Maria Ausiliairice, trasportate là, invitarono i fedeli alla
prima benedizione eucaristica, le case del borgo s'illuminarono in
segno di esultanza. Durante l'ottavario di rito incominciò quel fervor
religioso, che ancora oggi vi si ammira e che dal tempio passa alle
famìglie. Nel 1934 il Card. Fossati la eresse a parrocchia. Nel giorno
della consacrazione Don Rinaldi, che a buon diritto poteva conside-
rare tutta l'opera di S. Paolo come creatura sua, scriveva al Diret-
tore: «Nessuno più di me vede spuntare con gioia il sospirato giorno
della consacrazione della chiesa a Gesù Adolescente in borgo San
Paolo ». Poi dal passato dell'opera, dimostratasi veramente provvi-
denziale, pigliava argomento a pronosticarle nuovi sviluppi per l'av-
venire; nel che fu facile profeta,
Il 1919 ci viene innanzi con cinque fondazioni italiane: una in
Piemonte, due nell'Emilia e due in Sicilia. Costarono sforzi, perchè
la guerra e le malattie avevano diradato le file del personale; perciò
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia, Terremoto morsicano
i cominciamenti si fecero con i minimi mezzi, nell'attesa di tempi
migliori.
Incominciamo da Asti, capoluogo del circondario, dove nacque
Don Bosco; questo memore pensiero al Padre influì pure a non la-
sciar cadere la proposta (1). Partiva essa da un duplice Comitato lo-
cale, che aveva promossa l'erezione di un fabbricato e che da sei
anni vi si occupava di un Oratorio cittadino, ma avendo sempre in
mira di prepararvi l'avvento* dei Salesiani. L'avevano intitolato " Ri-
creatorio della Vittoria " dal luogo dove si trovava; ma quell'ibrido
titolo avrebbe ceduto il posto al titolo salesiano. Era un Oratorio
aperto tutta la settimana. Fece le pratiche presso i Superiori Don
Stefano Robino, parroco di S. Maria Nuova. L'edificio, costruito su
disegni dell'Economato Generale dei Salesiani, era grande, bello,
corrispondente a tutte le esigenze e per di più quasi completamente
arredato. L'ampiezza dei locali rendeva possibile pensare all'istitu-
zione di un pensionato per giovani, che venivano alle scuole gover-
native in città dai paesi del circondario, affinchè non vivessero in
balia di se stessi con gravi perìcoli morali, ma ricevessero una soda
formazione cristiana. Il pensionato cominciò solo nel 1923. Il 19 otto-
bre dunque fu mandato* D. Luigi Castellottj ad assumere la direzione
dell'Oratorio. Egli da principio menò, prima da solo e poi con pochi
aiutanti, una vita di stenti; ma alla fine i loro sacrifici, com'era già
avvenuto più volte altrove, diedero i frutti desiderati. A poco a poco,
per esempio, si vide andar giù il teppismo giovanile, che infestava
la città.
I Riminesi, chiamando ì Salesiani, fecero le cose meglio che quei
di Asti, perchè non si contentarono solo di far trovare loro l'abita-
zione, ma vollero provvederli anche dei mezzi di sussistenza. Non
aveva avuto esito una pratica iniziata dal canonico Francesco Ven-
turino nel 1885 con Don Bosco e proseguita con Don Rua per un
Oratorio. Don Bosco c'era stato nel maggio 1882. Senza risultato ri-
masero pure altre pratiche intraprese da Mons. Ugo Maccolini nel
1892, passate per le mani dell'Ispettore Don Cagherò e trascinatesi
a lungo. Le condusse a termine soltanto nel 1919 l'Ispettore Don To-
masettì. Il predetto Monsignore e altre personalità avevano prepa-
(1) Verb. del Cnp. Sup., 6 giugno 1919.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII!
rato in luogo ridente e ameno un edifìcio per istituto e per oratorio;
avevano inoltre costruito e dedicato a Maria Ausiìiatrice una gra-
ziosa chiesa, che il Vescovo sì disponeva a erigere senza indugio in
parrocchia. Vari cespiti di entrata assicuravano la vita ai Salesiani
e ulteriori sviluppi all'opera (1). Si prese possesso nel mese di otto-
bre. Su altre notizie documentabili l'Archivio è avaro.
Abbiamo avuto occasione di menzionare nel volume prece-
dente (2) l'agronomo Stanislao Solari di Parma, e la Scuola Agricola
di Montechiarugolo presso Parma. Eccoci ora a dover parlare di
questa Scuola. Della teoria solariana abbiamo detto a sufficienza
nel luogo citato. La Scuola fu aperta in un ex-convento, che si sa-
rebbe prestato per un collegio di cento e più ragazzi. Aveva annessa
una chiesa e attorno quattro ettari di terreno; pochini per insegnare
i vari generi di coltivazione: ma se ne acquistarono quanti bastavano
allo scopo. Un Comitato parmense, che si occupava dei figli di con-
tadini morti in guerra, ne mandò subito parecchi e continuò poi a
mandarne.
La magrissima cronaca della casa ci fa sapere senza eufemismi
che il Direttore Don Pietro Gullino e due suoi aiutanti HI novem-
bre 1919 arrivarono portando un po' di materiale da un'altra Scuola
Agricola del Piemonte e che trovarono molta miseria e per di più
ambienti poco adatti, mancanza di mobili, terreno di difficile lavo-
razione. Ma, nonostante tutte queste contrarietà, essi e i loro primi
18 allievi non si perdettero d'animo, sicché, messisi all'opera, con
la pazienza e grazie a rinforzi dì personale giunsero, discretamente
soddisfatti, ai termine dell'anno scolastico. Inoltrati che furono nel
secondo anno, il 21 aprile 1921, si sentirono in grado di presentare la
Scuola alPonor del mondo con una pubblica inaugurazione, alla
quale intervennero professori, tecnici, autorità ed anche giornalisti.
La sullodata Cronaca fa una serie di nomi e poi laconicamente eon-
chiude dicendo che « la festa riusci soddisfacentissima », Dovette
essere stato così, perchè la Scuola richiamò fin d'allora l'attenzione
perfino del Ministero, tanto che nell'anno della beatificazione di Don
Bosco fu dichiarata sede d'esami. Come già in altre fondazioni, là
(1) L. e, 28 gennaio 1919,
(2) Pag. 459.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto marsicano
pure si sperimentò la verità del proverbio che chi la dura la vince.
La Sicilia nel 1919 alle tredici case salesiane, che già aveva, ne
aggiunse altre, due; una è quella di Trapani. In una lunga lettera del
1886 il Vescovo Francesco Ragusa supplicava Don Bosco di voler
mandare tre o quattro Salesiani a prendere la direzione degli studi
e l'amministrazione del seminario minore e ad aprire un Oratorio
festivo; ma non fu possibile appagare i suoi desideri, né sembra che
egli insistesse ulteriormente. Dovettero passare ancora trentatrè anni
prima che Trapani potesse avere i figli di Don Bosco. Li ottenne il
Vescovo Francesco Raìti carmelitano, che il 7 novembre 1918 scri-
veva a Don Albera: «Confido che a mezzo di qualche degnissimo
figlio di Don Bosco, che a causa del servizio militare abbiamo avuto
l'onore e la consolazione di ospitare nella nostra città, ammiran-
done con vera edificazione lo zelo incomparabile per le nostre po-
vere opere di educazione dei fanciulli, V. S. Rev.ma avrà potuto
apprendere che, dopo tutto, è proprio il caso dì affermare che io
e V. S. Rev.ma saremmo costretti a sentire rimorso, se non provve-
dessimo d'urgenza con tutte le nostre forze a dare alla vigna giova-
nile di Trapani i coltivatori tecnici della educazione cristiana della
gioventù, quali sono appunto i benemeriti Figli di Don Bosco »,
Erano due i salesiani militari di stanza a Trapani nel 1915. Si
unirono essi con due sacerdoti locali nel mand.are avanti un loro
Oratorio festivo. Alcune nobili Signore ne seguivano l'opera con in-
teresse e simpatia e formarono un Comitato a fine di sostenerla.
Questo Comitato subito dopo la guerra fece istanza a Don Albera per
la fondazione di una casa salesiana in città. E non furono solo pa-
role, ma il Vescovo per primo e qualche altra persona misero in-
sieme la somma necessaria per l'acquisto di un palazzo annesso a
una chiesa di S. Alberto, adattandolo a collegio. I Salesiani lo inau-
gurarono nel settembre 1919, aprendovi scuole per esterni e un pen-
sionato per alunni di scuole medie. Se non che quel luogo si rivelò
incomodo e senza possibilità di sviluppi. La principessa Sofia di
Resuttana, che aveva già fatto molto per i Salesiani, diceva che Don
Bosco per tutta una notte l'aveva martellata col pensiero che do-
vesse procurar loro un certo altro edificio. Ella non seppe resistere
e fece la compera. Sistemato il locale, i Salesiani vi si trasferirono
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
nel 1923. Il 9 gennaio Don Rinaldi assistette alla benedizione della
prima pietra di una chiesa da dedicarsi a Maria Ausiliatrice. La
chiesa fu consacrata il 15 aprile 1925, divenendo centro di culto e di
pietà con grande vantaggio di tutto il rione. Oggi è parrocchia. Le
difficoltà disciplinari consigliarono di sostituire al pensionato un
doposcuola; poi anche questo cedette il posto a una scuola prepara-
toria e media parificata. Si modificò pure l'Oratorio, ma per renderlo
quotidiano.
I Salesiani non avevano ancora in Sicilia un'opera di pura be-
neficenza; perciò un Ispettore, scrivendo a Don Albera, manifestava
il timor suo, che i giovani soci, abituati ai collegi dove non mancava
nulla, dimenticassero la missione dei figli di Don Bosco, la quale è
di fare la beneficenza, raccogliendo poveri fanciulli e cercando ele-
mosine. Si augurava quindi e pregava il Signore, che offrisse l'occa-
sione d'incominciare qualche cosa rispondente a tale scopo. E il suo
augurio e la sua preghiera furono esauditi. Nel febbraio 1918 a Pa-
lermo un Gomitato " Pro orfani di guerra " deliberò di affidare ai
Salesiani l'educazione e l'istruzione dei giovanetti orfani di guerra
più bisognosi di assistenza e proponeva che si fondasse per loro in
città un istituto professionale. Avuto l'assenso dei Salesiani, il Co-
mitato ottenne dal Municipio un ampio locale da mettere a loro di-
sposizione, promettendo di aiutare nelle spese d'impianto, di con-
tribuire per il mantenimento e di lasciare libertà di fare quanto si
sarebbe creduto utile. La notizia che i Salesiani, assai ben voluti
in PaiermOj avevano accettato, determinò una larga corrente di
simpatia per l'opera da essi intrapresa.
II locale, detto dì Santa Chiara, perchè ex-monastero delle Cla-
risse, si trovava nel centro della città; ma era in pessime condizioni.
Bisognò demolire per ricostruire. Sette salesiani con venti orfani
nell'ottobre 1919 vi si acconciarono come poterono, accingendosi
con fervore alla riedificazione. Nel gennaio 1920 gli orfanelli erano
42 e aumentando di anno in anno arrivarono a 150. Siccome entra-
vano quasi sempre inferiori ai dodici anni e spesso erano analfa-
beti, prima di metterli al lavoro, facevano le prime tre classi ele-
mentari. Da principio riluttavano contro i disagi dell'ambiente e
si mostravano indocili; ma l'esempio dei superiori, che non stavano
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di- Don Albera in Italia. Terremoto marsicano
meglio di essi, e le loro visibili premure per migliorare le condizioni,
finirono con pacificarli. Si dovette lottare anche contro l'incom-
prensione e il malanimo di certi membri del Comitato, che cavilla-
vano odiosamente per negare i sussidi pattuiti a favore dei rico-
verati e manovravano sott'acqua per laicizzare l'opera. Tutto
ciò per altro non impedì il progredire dei restauri, l'attrezzamento
dei laboratori e l'apertura dell'Oratorio festivo. Venuti meno gli
orfani di guerra, i Salesiani avevano potuto acquistare la proprietà
dello stabile, nel quale continuarono ad ammettere poveri orfani.
La bellissima chiesa pubblica, monumento nazionale, si prese
a ufficiare fin dai primi giorni con crescente frequenza della popola-
zione alle funzioni e ai sacramenti. Particolarità degna di nota si
è che in questa chiesa stava da molti anni esposta alla venerazione
dei fedeli una statua di Maria Ausiliatrice (1).
Nel 1920 e '21, fin dopo la morte di Don Albera, fondazioni ita-
liane più non vi furono; si era fatto già quasi troppo ultimamente,
date le condizioni postbelliche del personale. Perciò nelle proposte
solite ad annunciarsi dal Rettor Maggiore nelle lettere di gennaio
ai Cooperatori per ogni anno che incomincia, Don Albera non ne
annunciò per fondazioni da eseguirsi in Italia durante quel biennio.
Invece ricordava ai Cooperatori le chiese e le altre fabbriche in co-
struzione, i bisogni delle Missioni, la cura delle vocazioni per accre-
scere il personale salesiano. Ma, mentre invocava il loro aiuto mate-
riale, raccomandava pure al loro zelo la cooperazione salesiana,
ossia l'apostolato voluto da Don Bosco per far fronte eglino stessi
nelle proprie terre alle esigenze spirituali delle popolazioni in quegli
anni dei dopoguerra.
Terremoto maraieano.
Dopo aver detto di tante fondazioni italiane, diciamo anche di
una distruzione e di altre conseguenze derivate da una medesima
causa, in quanto riguardarono da vicino i Salesiani. Alludo al ter-
remoto denominato della Marsica, dalla località, dove si fece sentire
(1) Terb. del Cap. Sap„ 9 luglio 1919.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
più tremendo. Marsica si chiama la regione dell'Italia centrale abi-
tata anticamente dai Marsi e avente per capoluogo Avezzano nell'A-
bruzzo Aquilano.
La mattina del mercoledì 13 gennaio 1915, alle ore 7,53, una
forte scossa tellurica durata per più di trenta secondi mise in ispa-
vento tutta Roma, causando lesioni a molti edifici e seminando ro-
vine e strage nelle terre attorno. Dai luoghi maggiormente colpiti
non si seppe nulla tutto il giorno, essendo interrotte le vie di comu-
nicazione; ma nella notte presero a giungere treni di feriti, che sve-
larono la tragicità del disastro, Roma fu tosto in moto per appre-
stare soccorsi. Anche il Papa riempì di feriti l'ospizio apostolico di
Santa Marta presso il Vaticano; anzi,, spinto dalla sua carità, andò
due volte a visitare i ricoverati, accostandosi a ciascun letto, rivol-
gendo ai poveretti parole di conforto e dando loro una medaglia
d'argento e la benedizione. Quante fantasie allora nella stampa in-
torno all'extraterritorialità! Non appena fu nota l'entità della scia-
gura anche le altre città italiane gareggiarono nell'arrecare aiuto.
Il cataclisma aveva sconvolto più o meno una larga estensione
del territorio nazionale, ma colpendo maggiormente la provincia di
Aquila; nell'industre Avezzano sopra undicimila abitanti scampa-
rono appena ottocento, feriti la massima parte e non leggermente.
II Vescovo dei Marsi, residente a Pescina, telegrafò al Papa che la
sua diocesi era ridotta a un grande cimitero.
Accennato questo per sommi capi, veniamo a noi. Subitochè
a Roma s'intuì la gravità del fatto, tre sacerdoti salesiani volarono
col primo treno di soccorso sul luogo maggiormente colpito, prodi-
gandosi per ventiquattro ore in dar aiuto spirituale ai morenti. Al
loro ritorno, partì una seconda squadra, composta di cinque sale-
siani e tre Figlie di Maria Ausiliatrice e guidata dall'Ispettore Don
Conelli. Si dirigevano questa volta a Gioia dei Marsi per rintracciare
il parroco e il viceparroco salesiani e tre Figlie di Maria Ausilia-
trice colà dimoranti, dei quali a Roma non si potevano avere infor-
mazioni. Di salesiani poi se ne trovavano sempre dì e notte sotto la
tettoia della stazione a prestar opera di sacerdoti e anche d'infer-
mieri.
La nostra squadra viaggiante vedeva dal treno mucchi di ro-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto morsicano
vine là dov'erano prima Avezzano e i paeselli che abbellivano le
sponde del Fìcino da Avezzano a Pescina. Qui giunti, scavalcando
monti di macerie, ritrovarono la già nota strada di Gioia e vi s'in-
camminarono di buon passo, rimontando di tanto in tanto su nuovi
mucchi di rovine. Lungo il percorso incontravano segni terrificanti
del flagello: fenditure, crepacci, spaccature, dislivelli, macigni fra-
nati. Dopo circa venti chilometri a piedi, ecco dove Gioia non era
più: non un muro restava dritto. Almeno li confortò l'apprendere
che i due confratelli erano illesi, sebbene entrambi se la fossero vista
brutta. Il viceparroco era rimasto alcune ore sotto i calcinacci della
canonica. II parroco, che nel momento della catastrofe stava cele-
brando, giunto all'offertorio, aveva visto precipitare tetto e pareti
della chiesa e, apertosi il pavimento, sì trovò ad un tratto nel sotter-
raneo, protetto da un arco che stette saldo, onde potè uscire subito da
sé all'aperto. E le Suore? Le poverine giacevano ancora sepolte né per
esse vi era più speranza di scampo. Solo a mezzogiorno del 16 fu-
rono là soccorsi di soldati; ma di sotto le macerie non si udiva più
da nessuna parte un gemito; era tutto una tomba. Le salme delle
tre religiose poterono essere disseppellite solo dopo vari giorni di
lavoro, I miseri corpi, avvolti in candidi lini e deposti nelle casse,
vennero accompagnati al camposanto dalle poche Figlie dì Maria
superstiti. Tumulate in unica fossa, una gran croce serba i nomi delle
sacre Vergini, che erano riapparse alla luce tutte sì ben composte
da sembrare in atto di fare volontariamente a Dio il supremo ine-
vitabile sacrificio.
Un'opera importante attendeva poco dopo i Salesiani a Roma.
Fra il 23 e il 24 i treni portarono un migliaio di bambini e bambine,
e il Patronato Regina Elena ? non ancora disciolto dopo il terremoto
di Messina (1), ne avviava quanti più poteva all'ospizio del Sacro
Cuore e al vicino istituto delle Suore, affinchè si desse loro un col-
locamento provvisorio. Circa duecento fanciulli e altrettante fan-
ciulle poterono avere ospitalità nelle case salesiane della capitale.
Nell'ospizio fu trasformata in dormitorio l'ampia cappella interna,
mandando artigiani e studenti per le funzioni nel coro della basi-
(1) Ann., v. Ili, p. 756.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
lica. La casa del Testacelo emulava l'ospizio del Sacro Cuore, do-
poché aveva fatto opera molto caritatevole nel giorno della scossa.
Un palazzo poco discosto dalla chiesa aveva riportato gravi lesioni,
che obbligarono a sfrattare gl'inquilini. Il parroco Don Olivares,
preso in affitto per due mesi un locale, vi allogò una ventina di fa-
miglie con 87 persone. Don Conelli intanto, fatto un giro per tutti i
ricoveri, che non fossero istituti, con l'autorizzazione del Patronato,
scelse una quarantina di minorenni da mandare nella casa di Gan-
zano, poco distante da Roma, fra i Castelli romani.
Nel pomeriggio del 6 febbraio/ecco la Regina Madre, Marghe-
rita di Savoia, all'ospizio del Sacro Cuore, in vìsita pietosa. La rice-
vettero il Direttore Don Tomasetti e parecchie dame dell'aristocrazia
dimoranti nel rione, avvertite all'improvviso. Un ragazzo di Avez-
zano le rivolse alcune parole di commovente semplicità. Veduti i
locali dei ricoverati, la visitatrice entrò nella chiesa del Sacro Cuore,
dove fu impartita la benedizione eucaristica. Dopo si recò dalle Figlie
di Maria Ausiìiatrice, ammirandovi l'ordine e la proprietà dell'im-
provvisato dormitorio, come aveva fatto gli elogi per quello allestito
entro la cappella dell'ospizio. Anche Benedetto XV s'interessava per-
sonalmente dei piccoli ricoverati, designando suoi inviati speciali,
che li visitassero e regalassero a ognuno un libro di preghiere, una
coroncina e aranci.
Ma egli fece ancor più per gli orfani, come ce lo attesta pure
una lettera scritta il 9 marzo dal Card. Gasparri a Don Albera. Il
Segretario di Stato diceva che il Santo Padre con la cooperazione
dei Vescovi aveva potuto provvedere alla collocazione d'un numero
grande di orfanelle; ma orfani, per la scarsità di istituti maschili
diocesani, appena trenta avevano potuto godere della carità pon-
tificia, e aggiungeva: « Se mancano istituti maschili diocesani adatti
allo scopo, l'Augusto Pontefice ben conosce che esiste in Italia una
fiorentissima Congregazione religiosa, quella dei figli del Yen. Don
Bosco, i quali in ogni pubblica o privata sventura, ed anche nel re-
cente terremoto, si sono fatti ammirare per lo slancio di generosa
pietà e di carità cristiana, e che, tutti dediti all'educazione giovanile,
tengono in tutta Italia un notevolissimo numero di fiorenti collegi
ed istituti maschili [...] e l'Augusto Pontefice, attesa appunto l'alta
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le fondazioni di Don Albera in Italia. Terremoto marsicano
stima in cui tiene i Salesiani, ben volentieri affiderebbe loro tutti
quegli orfanelli che essi potessero accogliere gratuitamente nei loro
Istituti d'Italia ». Don Albera il 12 dello stesso mese rispose dicendo;
« Malgrado le strettezze in cui ci troviamo, faremo tutto ciò che po-
tremo per corrispondere ai desideri del Santo Padre».
Del buon volere di Don Albera l'Ispettore Don Conelli riferiva
il 26 marzo al Card. Gasparri in una udienza da lui avuta, dicen-
dogli come il Superiore, appena informato che solo una trentina di
orfanelli avevano potuto ottenere ricovero definitivo, avesse escla-
mato spontaneamente: — Altrettanti vogliamo riceverne noi, e gra-
tuitamente. — Il Cardinale, dicendosi lieto di riscontrare in tale im-
peto di carità lo spirito sempre vivo del Fondatore della Società
Salesiana, lo incaricò di portargli i ringraziamenti. Avendo poi Don
Conelli soggiunto che la carità di Don Albera sì sarebbe certamente
spinta più oltre, se non fossero state le straordinarie difficoltà eco-
nomiche dell'ora, il Cardinale se ne mostrò convintissimo e disse:
— Ab amlcis honesta petamus. Non potremmo domandare di più,
È molto questo che fanno, aggiunto a tutto il resto che già facevano.
E quello che già facevano in questo campo non è interamente
conosciuto, perchè non vi si diede pubblicità. Avrebbero ben voluto
i giornalisti romani amici sapere per divulgare e lodare, e assedia-
vano Don Conelli; ma egli aveva scritto a Torino il 26 gennaio:
«Niente per me di più antipatico e di meno opportuno. Per grazia
di Dio, l'Italia sa già che i Salesiani fanno e fanno sempre tutto
quello che possono!».
A Roma nel 1916 la parrocchia di S. Maria Liberatrice restò
priva di quel tesoro di parroco, che fu Don Luigi Olivares. Il suo
zelo pastorale e le sue non ordinarie virtù avevano richiamato sopra
di lui l'attenzione del Santo Padre Benedetto XV, che lo nominò Ve-
scovo di Nepi e Sutri, le diocesi già di S. Pio V. Nato neli'archidiocesi
milanese e preparato al sacerdozio nel seminario ambrosiano dal
futuro Arcivescovo di Ravenna Pasquale Morganti, affezionatissimo
allievo di Don Bosco, si era sentito crescere nell'anima i due amori
a Don Bosco e alla gioventù, onde nel 1904, superati gravi ostacoli,
potè far pago il voto del suo cuore, dando il nome alla Società Sa-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo Vili
lesiana. Mandato poi a reggere quella parrocchia novella, con la mo-
destia semplice e umile, che era uno de' suoi più cari pregi, aveva
in sei anni svolto un'azione maravìgliosa, come lo dimostrava il
complesso di opere religiose e sociali, che ne fecero vivamente rim-
piangere la partenza. Nella nuova e più ampia sfera di attività, servì
santamente la Chiesa, forma factus gregis ex animo, secondo l'in-
segnamento del Principe degli Apostoli (1).
(1) I, Petr., V, 3.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO Di
Fondazioni di Spagna, Svizzera e Francia.
Orense, Alcala de Guadoiro, Alicante, La Corufiu, ArcoB de !a Frontera, Villetta,
Ronda. — Lugano, Morgee. — Caìuìre, St. Genie Lavai (Pressi»), St. Rembert
Nel 1913 Don Albera visitò le case salesiane della Spagna, im-
piegandovi quattro mesi, dalla metà di gennaio alla metà di mag-
gio. Alcune circostanze ci aiutano a comprendere quali accoglienze
vi ricevette. Erano tanti i desiderosi di assistere alla sua Messa e
di avere dalle sue mani la santa comunione, che in qualche luogo
fu necessario stabilire turni, ammettendo un giorno i Cooperatori,
un altro giorno le Cooperatici, un terzo gli ex-allievi e così via. A
Ciudadela nell'isola dì Minorca per riguardo a lui si rimandò la rap-
presentazione di un'opera già allestita per allora nel teatro citta-
dino. Al Governatore di Salamanca il Ministro dell'Interno Roma-
nones ordinò di dislocare un buon nerbo di guardie civili per im-
pedire eventuali disordini negli affollamenti; ma le guardie servi-
rono a rendere più solenne il tragitto dalla stazione al collegio. A
Santiago le Autorità, pensando che veniva il padre dei giovani, gli
mandarono incontro a riceverlo oltre quattrocento ragazzi, che, se-
guiti da immenso popolo, lo accompagnarono con grida di evviva a
lui e a Don Bosco. Come si vede, la luce di Don Bosco irradiava
ancora dopo ventisette anni il suo secondo successore.
Da tempo non c'era più quasi alcuna parte della penìsola ibe-
rica, dove non fosse pervenuta la fama di Don Bosco e delle sue
opere; onde la frequenza di domande per avere i Salesiani, La prima
casa fondata da Don Albera nella Spagna fu quella di Orense, capo-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
luogo di provincia sul Minho in Galizia. Venne aperta nel 1910. La
signora Carolina Vazquez aveva lasciato per testamento nel 1897
parte della sua sostanza, cioè un palazzo e i terreni circostanti, af-
finchè i Salesiani portassero qualche loro opera a Orense; ma erano
questi appena •entraiti in possesso, che sorsero i presunti eredi a
contestare e a disturbare. Prolungandosi ognor più la lite, il Vicario
Generale, quale esecutore testamentario, propose nel 1909 una tran-
sazione: i Salesiani ritornassero al possesso dell'eredità, ma senza
reclamare né i frutti per il tempo dell'allontanamento né il risarci-
mento dei danni derivatine, e gli eredi desistessero da ogni pretesa
e si obbligassero a pagare i legati inerenti al lascito. Ma tale transa-
zione, secondo le leggi spagnole, doveva essere sottoposta al bene-
placito della Santa Sede. Il Card. Vives, Prefetto della Sacra Con-
gregazione dei Religiosi, per la conoscenza che aveva dell'ambiente,
consigliò di non insistere per le vie legali, perchè non si sarebbe ve-
nuti a capo di nulla, e di ritenere invece la proposta transazione
come l'unica maniera di risolvere l'increscioso affare. E si stette al
suo consiglio.
A Orense i Salesiani erano molto desiderati; ma quella contro-
versia impedì che vi andassero prima del 1910. Incominciarono con
scuole elementari per esterni e con l'Oratorio festivo, nella speranza
di potere in seguito svilupparsi più ampiamente, fondati anche su
varie promesse di aiuti. Ma nonostante i gravi e continui sacrifìci
delPIspettoria, l'opera rimaneva rachitica; cause principali, la di-
stanza della casa dal centro della città e la posizione sul fiume, che
mandava umidità e nebbia; perciò, se si fosse voluto mettere l'inter-
nato, difficilmente i genitori vi avrebbero condotto i figli. Più volte
quindi si fu sul punto di chiudere; ma alte influenze agirono sempre
in senso contrario e oggi i Salesiani sono ancora là in pochi a fare
quel poco che possono.
Dai documenti, che abbiamo sotto gli occhi, appare che era sen-
tito allora dai Salesiani nella Spagna il bisogno di arrestare l'espan-
sione per aver modo di rassodare le opere esistenti; difatti dopo la
modesta unica fondazione del 1910 non ne compaiono altre prima
del 1914, nel qual anno se ne fecero due di non grande portata;
appresso nello spazio di sette anni, cioè fino alla morte dì Don Al-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni di Spagna, Svizzera e Francia
bera, se ne annoverano appena quattro, anch'esse d'importanza
poco notevole.
La prima fondazione del 1914 è quella di Alcaìà de Guadaira,
a mezz'ora da Siviglia. La vedova Virginia Belloe aveva destinato
lire centomila in contanti per l'istituzione di scuole elementari gra-
tuite a favore di esterni poveri e per l'apertura di un Oratorio festivo.
Un cugino della signora, Rettore dell'Università, avrebbe voluto met-
tere la somma nelle mani della Curia vescovile; ma a tale condi-
zione i Superiori non accettavano l'offerta. Onde quegli la rimise
in via confidenziale, come del resto era intenzione della cugina. Essa
poneva inoltre a disposizione dei Salesiani un ex-convento di Car-
melitane arredato per scuole e una chiesa annessa. Le trattative du-
rarono quattro anni chiudendosi nel 1913 (1). La fondatrice non
escludeva l'internato, che fu realmente aggiunto molto più tardi,
ma in mediocri proporzioni.
La seconda fondazione del medesimo anno appartiene ad Ali-
cante, città e porto sul Mediterraneo, ben nota per il suo vino. I Sa-
lesiani vi trovarono molto diffusa la divozione a Maria Ausiliatrice,
che sembrava anzi la più popolare di tutte. Appunto da questa divo-
zione nacque l'idea di chiamare i figli di Don Bosco. Lo zelo di quei
Cooperatori, massime del loro Direttore diocesano Can. Modesto
Nàjera, aveva preparato non solo il collegio, ma anche una bella
chiesa costruita per loro e dedicata a Maria Ausiliatrice. Per lungo
tempo gli allievi furono esterni e del corso elementare. Nel febbraio
1914 alla benedizione e inaugurazione fatte dal Vescovo assistette
la città quasi intera; i vecchi non ricordavano una manifestazione
religiosa accompagnata da un entusiasmo così fervido e generale.
Due anni dopo ebbe principio l'opera di La Coruna, capoluogo
della provincia omonima nella Galizia, sull'Atlantico, La benefica e
pia Cooperatrice Raimonda Matos, attratta dalla fama di Don Bosco,
era venuta a Torino per procurarsi la consolazione di parlare con un
santo. Don Bosco la ricevette con squisita bontà, le fece visitare l'O-
ratorio e lasciò nell'animo suo una profonda impressione insieme
con un vivo affetto per l'Opera Salesiana e una tenera divozione
a Maria Ausiliatrice. Desiderosa di vedere i Salesiani nella sua pa-
ci) Veri, del Cap. Sup., 10 dicembre 1913.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
tria prima di morire e ricordando averle detto Don Bosco che per
questo il miglior mezzo era propagare la divozione a Maria Ausilia-
trice, si adoperava quanto poteva per diffonderne il culto. Intanto ve-
niva organizzando la Pia Unione dei Cooperatori. Intoppò in non
pochi ostacoli; ma alla fine la promessa di Don Bosco si avverò.
Esisteva dal 1886 in città una Scuola elementare gratuita per ra-
gazzi poveri. L'aveva fondata un colonnello d'artiglieria e la man-
teneva con i mezzi da lui lasciati un gruppo dì buoni cattolici, preoc-
cupati dell'abbandono di tanta povera gioventù. L'istituzione godeva
di una popolarità grande; ma gl'interessati volevano assicurarne l'e-
sistenza, affidandola a una Congregazione religiosa. A quale, se non
a quella di Don Bosco? La signora Matos l'aveva ornai fatta cono-
scere a tutti. Le pratiche, intraprese nel 1907, duraron nove anni,
chiudendosi con una convenzione. La Scuola disponeva di fondi assai
limitati e aveva sede in una casa più piccola che mediocre; la carità
privata sopperiva abbastanza a quello che mancava. Don Albera,
che era stato a La Coruna nel 1913 e aveva visto quanto entusiasmo
vi fosse per i Salesiani, non esitò a sottoscrivere il contratto, seb-
bene l'onorario pattuito fosse inferiore al bisogno. Fece solo una ri-
serva. L'esperienza aveva insegnato che le fondazioni concertate con
enti finiscono sempre con dover stare subordinate a estranei, i quali,
anche senza cattive intenzioni, inceppano la libertà di azione. È
umano del resto che i membri di tali enti rinuncino malvolentieri
ai vantaggi, se non altro, morali che ne ritraggono di fronte alle po-
polazioni; peggio poi quando vi si mescolassero interessi d'ordine di-
verso. Don Albera dunque volle inserita nel patto la clausola che
ai Salesiani fosse riservata libertà assoluta di svolgere la loro atti-
vità secondo il loro spirito ed anche trasportando la residenza in
altro punto della città, se così fosse loro piaciuto, non che di far
ricorso alla carità cittadina (1). Si affacciava fin d'allora la prospettiva
che quell'edificio si sarebbe dovuto abbandonare, perchè insufficiente
e disagiato, coirne difatti avvenne.
I Salesiani giunsero a La Coruna il 13 luglio 1916. Da prima si
limitarono a continuare le scuole elementari, come le trovarono, ag-
giungendovi naturalmente l'Oratorio festivo, che si popolava dei loro
(1) L. e, 30 giugno 1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni di Spagna, Svizzera e Francia
alunni. Per l'Immacolata, la prima festa salesiana ivi celebrata, una
festa di comunioni, di canti e di allegria parve una rivelazione: non
si era mai visto nulla di simile. Il favore popolare andò poi sempre
aumentando. Oggi la nuova casa ha pure scuole secondarie per in-
terni ed esterni e si fa gran bene in una cappella semipubblica. La
signora Matos fu per i Salesiani una vera mamma.
Scuole elementari gratuite per esterni ed Oratorio festivo nel 1916
anche ad Arcos de la Frontera, archidiocesi di Sivilia; fondatrice la
nobildonna Anna Velazquez. Critiche da principio le condizioni dei
Salesiani per lo stato della casa, un ex-convento, del quale non resta-
vano se non i muri. La popolazione diede loro mano forte per met-
tersi in assetto. Nel terzo anno Don Rinaldi, Prefetto Generale, li
visitò, lasciando in essi un ricordo indelebile. Anche i ragazzi lo fe-
steggiarono; il suo fare caratteristicamente paterno ne guadagnò i
cuori.
Queste piccole fondazioni si rassomigliano tutte. A Viìlena pure,
diocesi di Murcia, Oratorio festivo e scuole elementari gratuite per
esterni, più una chiesa pubblica. In tre grandi fogli rabescati di
firme « todos los vecinos de està Muy Noble, Leal y Florentissima
ciutad » scongiuravano l'Ispettore di mandare presto gl'insegnanti,
perchè, come dicevano, l'aver trovato tutto il necessario era segno
essere questa la volontà di Dio. L'Ispettore li mandò il 19 novem-
bre 1917. Si misero immediatamente al lavoro. Una rendita fissata
da caritatevoli persone doveva costituire la base finanziaria. Non
sarebbe stata sufficiente; ma la generosità dei Vilienesi supplì a
quello che mancava. La divozione a Maria Ausiliatrice, che aveva
preparato la via, non tardò a divenir popolare.
L'ultima fondazione spagnola sotto Don Albera fu accettata da
Don Rinaldi a Ronda durante il suo viaggio del 1919, accennato or
ora. A Ronda, diocesi di Malaga, c'era già una casa dal 1897, e ne ab-
biamo parlato nel volume terzo. Appunto nel visitarla Don Rinaldi
ne accettò una seconda: un collegio con scuole primarie e medie per
interni e per esterni poveri, tenuto px*ima dagli Agostiniani. Appar-
teneva alla fondazione Montezuma, come l'altra casa salesiana. Par-
titi quei religiosi, il patronato, dal quale dipendeva, non vedeva l'ora
di metterlo sotto la direzione dei Salesiani, e le condizioni offerte
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
erano accettabili. Perciò Don Rinaldi, pur riserbandosi di riferire
al Capitolo Superiore, aveva senz'altro dato la sua parola.
Quale lo scopo del suddetto viaggio di Don Rinaldi nella Spa-
gna? Andava a sistemare legalmente le proprietà dei Salesiani, e gli
parve di aver condotto a buon termine l'affare, A tale scopo con
l'aiuto di buoni avvocati e notai aveva costituito tre Società: una a
Siviiia, l'altra a Madrid e la terza a Barcellona. Queste Società, seb-
bene tra i Salesiani ci fosse chi ne conosceva bene il funzionamento,
tuttavia venivano assistite da legali e gestite da competenti (1).
Come si è visto, in tutte le descritte fondazioni predominava la
preoccupazione di provvedere all'istruzione primaria e all'educazione
cristiana della gioventù povera; segno evidente che si trattava di una
vera necessità sociale, non ristretta ai luoghi menzionati. Degne per-
tanto di somma lode erano le benemerite persone, che se ne davano
seriamente pensiero. I Salesiani purtroppo non potevano bastare a
tutto, né i buoni cattolici trovavano con facilità il personale e i mezzi
occorrenti, Certo, se si fosse potuto fare di più, quale maggiore opera
di preservazione ne sarebbe derivata i Molta gioventù cresciuta senza
scuola e senza catechismo non sarebbe poi andata a ingrossare le
file di quei sovversivi, che dovevano turbare tanto la vita civile e
religiosa nella cattolica nazione. Don Bosco l'aveva detto chiaro nel
1886 dinanzi a un uditorio di signori e signore barcellonesi (2):
«II giovane che cresce per le vostre strade, vi chiederà da prima
una limosina, poi la prenderà e infine se la farà dare con la rivol-
tella in pugno».
Portiamoci ora nella Svizzera, a Lugano, capitale morale del
Canton Ticino. Da tempo due salesiani andavano là da Mareggia a
fare l'oratorio festivo (3); vi si aperse poi anche neli 1918 un collegio,
che i Superiori vollero denominato
a
Istituto Elvetico' " (4). Esclu-
sero a ragion veduta nomi italiani, per disarmare certi avversari, il
cui cavallo di battaglia era l'accusa che i Salesiani fossero nella Sviz-
zera per fare dell'italianismo. Fu assunta la direzione di un collegio,
che esisteva già da ottant'anni. L'aveva fondato nel 1838 il dottor
<1) L. e, 22 aprile 1919.
(2) Mem. Biogr., v. XVHI, p. 85.
<3> Ann., V. Ili, p, 589.
<4> Verb. del Cuj>. Slip-, 31 maggio 1918.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni di Spagna, Svizzera e Francia
Camillo Landriani per formare giovani commercianti. Le cose an-
darono bene fino alla prima grande guerra; allora, venuta a man-
care la clientela internazionale, che dava la massima parte degli
interni, accadde lo spopolamento. Seguirono tre anni di stenti, dopo
i quali lo si sarebbe chiuso, se i Salesiani non si fossero indotti a
rilevarlo. Con questo passaggio l'istituto abbandonava l'originario in-
dirizzo, prettamente liberale e laico,
Il merito del cambiamento spetta al Vescovo Aurelio Bacciarini,
che prima e più di tutti lavorò per attuarlo, non appena l'edifìcio
fu messo in vendita. Si esigevano 250.000 lire da pagarsi a rate; ma
il valore del caseggiato e del terreno annesso sopravanzava di molto
tale somma. Monsignore venne appositamente a Torino per proporre
a Don Albera l'acquisto, impegnandosi a versare la. prima rata di
lire 4tì.O0O; al rimanente si sarebbe pensato. Don Albera, sapendo
che il Capitolo si rimetteva a quanto egli avrebbe deciso, disse sen-
z'altro di andare avanti in nomine Domini. A lui parve che conve-
nisse aprire un collegio religioso in una città come Lugano. Né si
indugiò a eleggere il Direttore nella persona di Don Aristide Re-
daelli, che, da anni incaricato di quell'Oratorio, vi si era fatto ben
volere,
Il fatto produsse ottima impressione nella parte sana della cit-
tadinanza, interessata alla sorte della studiosa gioventù. Nell'edifi-
cio s'introdussero subito le modificazioni richieste dal metodo edu-
cativo salesiano. Furono però mantenuti i contratti stipulati dalla
cessata Direzione, in forza dei quali prestavano in casa l'opera loro
di assistenza e d'insegnamento sei professori laici, in attesa della pos-
sibilità di sostituirli gradatamente. Se questa da un lato era una ne"
cessila imposta da difetto di personale salesiano, poteva dirsi anche
una transitoria misura di prudenza. A tutta prima un collegio di re-
ligiosi avrebbe suscitato una guerra senza quartiere da parte dei ra-
dicali; invece, mentre l'istituto per la permanenza di elementi laici,
che l'avevano condotto fino a quel momento, serbava un carattere
meno spiccatamente congregazionista, in realtà diventava tale. In-
tanto le famìglie di Lugano, i cui capi erano usciti di là, vedendovi
ancora come insegnanti quei medesimi professori, dai quali erano
stati a loro volta istruiti, vi mettevano volentieri i propri figli.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
L'istituto primitivo aveva convitto, semiconvitto ed esternato
per giovani che si avviavano alle carriere tecniche e commerciali.
La nuova direzione vide fin da principio la necessità dì evitare pos-
sibili concorrenze a danno del vicino collegio salesiano di Maroggia;
perciò diede la preferenza alle scuole commerciali, che a Maroggia
non esistevano. Istituì pure un pensionato e semipensionato per stu-
denti, che venivano a frequentare il prossimo ginnasio e liceo canto-
nale. Nel primo anno scolastico 1918-19, benché sì facessero sentire
i gravi bisogni del dopoguerra, all'appello di un Comitato per soc-
correre i bambini di Vienna, l'istituto si offerse per sei posti, che
poi diventaron nove. I ragazzi così caritatevolmente ricoverati, tra-
scorso il periodo invernale, fecero ritorno in patria, riportando il
più grato ricordo dei loro benefattori. Un'altra lode va data a quei
primi salesiani, per non essersi risparmiati di fronte alle difficoltà
provenienti dalle modeste entrate, che li obbligavano a non lievi sa-
crifìci. Ne li compensarono e la stima guadagnatasi presso la citta-
dinanza e il frutto ottenuto nei loro alunni. Nonostante il personale
estraneo, l'educazione impartita ai giovani era schiettamente sale-
siana. Ne rendeva testimonianza dopo il primo decennio un valoroso
avvocato luganese, il quale scriveva (1): «La venuta dei Salesiani a
Lugano è stata ritenuta un avvenimento di grande importanza per
l'evoluzione spirituale che vi ha prodotto, Lugano è il centro morale
più importante del Cantone, ed è caratterizzato dal dominio che gli
elementi più settari vi esercitano. L'oratorio ha rotto il primo ghiac-
cio, imponendosi al rispetto degli anticlericali; l'assunzione del col-
legio già Landriani fu una vera conquista nel campo delle idee [...).
La mentalità di Lugano va subendo una graduale trasformazione,
per cui in molte famiglie rientrano la stima ed il rispetto per il sa-
cerdote e le credenze religiose ».
C'è dal 1912 nella Svizzera un collegio a Morges, diocesi di Fri-
burgo, dipendente dall'Ispettoria francese dei Sud. Ha il corso ele-
mentare, le prime classi ginnasiali e scuola di orticoltura. Tra i con-
vittori si mantiene sempre una dozzina di aspiranti. L'istituto, co-
minciato in Francia a St. Denis nel 1898, passato poi in Savoia, indi
(1) Avv. Batt. Moroni, Lettera a Don Luigi Noi, visitatore straordinario. Lugano,
17 aprile 1928.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni dì Spagna, Svizzera e Francia
nel Cantone di Vaud, si fissò finalmente dopo varie altre peregrina-
zioni a Morges nello stesso Cantone. Don Albera visitò la casa nel
1912 di ritorno dal Belgio e una seconda volta nel 1921 dopo l'ultimo
suo viaggio in Francia, Vi regnò sempre un ottimo spirito. Ha in
media una sessantina di allievi all'anno. Si sostiene specialmente
con offerte di benefattori, che, secondo l'uso del paese, le rimettono
al Direttore in periodiche visite personali.
In Francia, come dicevamo, dal tempo della guerra il Governo
non dava più fastidio ai religiosi; questa mutazione di atteggiamento
era stato imposto dalla union sacrée, per la quale sul suolo della
Francia non c'erano più che francesi. I religiosi perciò col ritorno
della pace imitarono, secondo un'immagine cara a Don Bosco, i pas-
seri adunati sull'aia a beccare. Uno strepito improvviso lì mette in
fuga; ma, cessata la minaccia, uno dopo l'altro calano dov'erano
prima e riprendono a fare quello che prima facevano. Come gli altri
religiosi francesi, così anche i Salesiani, senza pubblicità di sorta,
rientravano dalla dispersione, riorganizzandosi sulle posizioni anti-
che e su posizioni nuove. Non tutti avevano abbandonato la Francia,
ma i rimasti facevano vita nascosta in vario modo; a guardia delle
persone e delle cose già appartenenti alle due Ispettorie, stette sem-
pre un Ispettore solo, Don Paolo Virion (l),il quale mediante le dovute
cautele corrispondeva con i Superiori e riceveva da loro le oppor-
tune istruzioni. Egli nel 1919 cedette il posto a Don Bessière.
Don Virion, prima ancora che terminasse la guerra, aveva po-
tuto creare un'opera di somma importanza per l'avvenire della Con-
gregazione in Francia, Bisognava profittare presto del momento pro-
pizio per provvedere alle vocazioni. Il contingente preparato a Mor-
ges era troppo esiguo; un aspirantato sul suolo francese avrebbe
reso assai più. La Provvidenza gli venne in aiuto per mezzo della
baronessa Rochetaillée, che mise a sua disposizione il proprio ca-
stello di Aix nel territorio di St. Martin la Sauveté, archidiocesi di
Lione. Là Don Virion nel 1917 iniziò un ginnasio per giovanetti, che,
terminate le scuole elementari, dessero segni di vocazione sacerdo-
tale. Si accettavano gratuitamente o a modicissima pensione. Le
sale del castello furono a suo tempo adibite per il noviziato. Alla
(1) Verb. elei Cap. Sup., 13 luglio 1906 e 23 aprile 1919.
145
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
casa s'impose il nome innocentissimo di Orphelinat (TAix. Inoltre
i terreni circostanti, permettendo di occupare un certo numero di
orfani in lavori campestri, davano alla casa l'aria di una scuola
agrìcola. Dai dintorni la popolazione, essendo molto religiosa, non
poteva recare disturbo di sorta. Il Cardinale Arcivescovo Morin ve-
deva con simpatia e favoriva quest'opera, sebbene per ovvie ragioni
di prudenza evitasse di esprimere la sua approvazione in forme uf-
ficiali, il che fece più tardi a Roma, approvando per iscritto che si
procedesse all'erezione canonica. Don Albera, visitando la casa nel
1921, « en a été enchanté », come si legge in una memoria.
Durante il governo di Don Albera tre altre case furono aperte
in Francia. Circa i loro primordi il Rettor Maggiore Don Rinaldi,
chiedendo alla Santa Sede nel 1929 il beneplacito apostolico per
l'erezione canonica, scriveva: «Al termine della recente guerra eu-
ropea si potè riprendere un po' di attività anche in Francia da parte
dei figli del Beato Giovanni Bosco, E così, sia pure con ogni cautela
e molta prudenza, dato l'ambiente instabile di quella nazione, si po-
terono aprire varie case, destinate soprattutto all'educazione della
gioventù. Tra queste case sono: 1. Caluire, Istituto Sant'Ireneo. -
2. Saint Genis Lavai, Scuola Agricola di Pressin, - 3, Saint Rembért,
Residenza Ispettorìale e Procura delle Missioni. Tutt'e tre queste
case si trovano nelFArchidiocesi di Lione, e sono annesse all'Ispet-
toria Francese di San Lazzaro. Finora si ritenne opportuno di so-
prassedere alla loro erezione canonica. Ora invece pare che si possa
procedere alla regolare istituzione, dato anche che ì'Em.mo Cardi-
nale Arcivescovo di Lione ha concesso volentieri il suo consenso ».
Don Bosco e Don Rua avevano desiderato sempre e fatto di tutto
per entrare in Lione (1), ma non era stato loro possibile. Don Albera
riprese i tentativi, incaricando a sua tempo Don Virion di cercare.
Questi riuscì ad acquistare nel 1917 una modesta e piccola casa di
campagna a St. Rembert presso Lione, dove fu istituita la sede ispet-
torìale e vennero riuniti i chierici studenti di teologia; ma per non
dare nell'occhio la si intitolò " Procura delle Missioni ". I chierici
andavano a scuola nel seminario. Si continuò così fino al 1931, quando
la casa fu venduta e lo studentato passò a La Mulatière. I Superiori
(1) L. e, 27 luglio 1915 e 22 novembre 1917.
146
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni di Spagna, Svizzera e Francia
del seminario ebbero sempre molto a lodarsi della condotta e della
diligenza dei giovani salesiani,
Ma quella di St. Rembert non era ancora la casa desiderata: si
voleva un collegio, e il collegio potè aversi nel 1918 a Caluire, loca-
lità poco distante dalla periferia di Lione. S'incominciò con scuole
elementari; poi vi si aggiunsero i corsi ginnasiale e liceale. L'altra
casa di Pressin nel territorio di St Genis Lavai data dal 1920. Le
due sorelle nubili Bonnot avevano donato al Card. Morin una loro
tenuta di 23 ettari, affinchè se ne servisse per un'opera. Egli vi chia-
mò i Salesiani, che v'impiantarono l'attuale Scuola di Agricoltura.
Come si è potuto osservare, l'opera salesiana in Francia, dopo le
note vicende, ripigliava vita. In seguito fu un crescendo di vocazioni
e di opere. Oggi nelle due Ispettorie ristabilite, si lavora molto e si
studia con amore lo spirito di Don Bosco.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO X
In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra.
Lubiana. — Przemysl (prot. S. Gius.), Kielce, Ateksandrów, Rózanystok, Cracovia
(Patrocinio della B. V, Immae. Contea., S. Sta». Kostka, Lad), — Pallaskenry. —
Malta (S. Alfonso), Oxford (Cowley)
Negli ultimi anni della sua vita Don Albera vide sorgere, nono-
stante le gravi difficoltà interne ed esterne causate dalla guerra, tutta
una costellazione di nuove case salesiane, che si estendeva dalla Slo-
venia per la Polonia fino all'Inghilterra. Tutte ricevettero notevoli
sviluppi, ad eccezione di una provvisoriamente chiusa a Przemysl in
Polonia. Toccherà ad altri parlare delle dolorose vicende occorse ai
Salesiani polacchi e iugoslavi negli anni, che vennero dopo la se-
conda grande guerra.
Anche nella nuova Repubblica Jugoslava la gioventù del dopo-
guerra attraversava una crisi morale preoccupante, A Lubiana per-
sone autorevoli costituirono un Comitato allo scopo di erigere Oratori
maschili e femminili in diverse parti della Slovenia. Di quanti ne
avrebbe fondati, il Gomitato intendeva serbare la proprietà, pronto
a concederli in uso o a venderli a Congregazioni religiose dedicate
all'educazione della gioventù. Il primo di questi Oratori, che pur-
troppo doveva essere anche l'ultimo, fu fondato alla periferia della
città, in un luogo detto Kodeljevo, dal nome del barone Codelli, che
una volta ne aveva la proprietà, Il suolo era ivi occupato da baracche
militari, che durante la guerra servivano ad albergare e curare i
feriti. Il Comitato ne domandò cinque al Governo, che, adattate alla
meglio, si sarebbero potute utilizzare ancora un paio d'anni, mentre
intanto si sarebbe raccolto danaro per costruire un solido edifìcio.
148
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malia, Inghilterra
Il terreno, non volendo i proprietari venderlo, fu preso in affitto
per la durata di un quinquennio.
Fatti questi preparativi abbastanza alla buona, il Comitato ot-
tenne dall'Ispettore Don Tirone i Salesiani, Tre di essi, due sacerdoti
e un chierico, andarono a stabilirsi colà il 22 novembre 1919. Delle
cinque baracche ne disfecero due in più cattivo stato, adoperando
il materiale ricavatone per riparare le altre, adibite rispettivamente
a cappella, a teatrino e per abitazioni. Il suolo sgombrato offrì spazio
sufficiente al cortile.
Tosto i ragazzi affluirono, birichini anzi che no, ma riducibili.
Dell'istruzione religiosa e del culto nessuno si occupava più da tempo
nel popoloso quartiere operaio. Al solito, la prima festa salesiana si
celebrò all'Immacolata. La novità di una pubblica accademia attirò
molta gente. L'Oratorio era così bell'e avviato, Alle istruzioni cate-
chistiche domenicali assistevano pure mamme, babbi e altri, A poco
a poco si determinò in mezzo alla popolazione un crescente movi-
mento religioso.
Due opere buone colpirono quel mondo di umili e guadagna-
rono simpatie all'Oratorio. Nelle vacanze autunnali i Salesiani sce-
glievano i ragazzi migliori e li mandavano alle ferie in campagna
presso famiglie di buoni contadini, che li mantenevano, occupandoli
in utili lavori. Inoltre accanto all'Oratorio apersero una cucina econo-
mica, la quale somministrava ogni giorno a mezzodì un pasto a circa
120 tra ragazzi e ragazze più bisognosi. Il Governo aiutava.
Intanto urgeva metter mano a fabbricare, perchè il legno delle
baracche marciva alla base. Ricorrere alla beneficenza il Comitato
non voleva, essendo stata questa già troppo sfruttata; perciò fece
appello agli Stati Uniti, e non invano. Potè così acquistare un'area
alla distanza di mezzo chilometro, dove fu costruita una casa ter-
minata nel 1925. A fianco della casa sì eresse pure una grande chiesa
pubblica, dedicata a S. Teresina del Bambino Gesù.
Come dicemmo, nel 1924 le case della Jugoslavia e Cecoslovac-
chia, distaccate da quelle dell'Ispettoria polacca, formarono un'Ispet-
toria a sé, della quale fu primo Ispettore il già nominato Don Walland.
Egli nel 1931 potè acquistare la proprietà dell'immobile dal Comi-
tato, ridotto a mal partito per gravissime difficoltà finanziarie. Chiesa
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
e Oratorio divennero due centri attivissimi di istruzione religiosa e
formazione cristiana tanto per la gioventù quanto per il popolo.
Otto furono le case aperte in Polonia negli anni sopraddetti;
la prima fu il protettorato di S. Giuseppe a PrzemysL In questa ce-
lebre piazza forte esisteva già dal 1907 un Oratorio S. Giuseppe, del
quale abbiamo parlato nel volume precedente; il patronato venne
ad aggiungersi nel 1917 per dar ricovero a orfani di guerra. La casa
diventò il rifugio dei ragazzi più disgraziati, quasi figli di nessuno.
La polizia, quando incontrava poveri fanciulli girovaghi, che non ave-
vano recapito, li conduceva senz'altro al patronato, dov'erano man-
tenuti gratuitamente, istruiti e avviati a un mestiere. Il loro numero
da 30 salì a 150. Fino al maggio 1921 si occupò una casetta scomoda,
malsana e insufficiente, presa in affìtto; dopo si passò in una vec-
chia caserma, affittata dal Governo per trent'anni mediante il pa-
gamento di soli dieci marchi annui. I restauri però costarono due mi-
lioni di marchi polacchi. Ragguardevoli benefattori favorivano e
soccorrevano l'opera; primeggiava fra tutti la signora Teresa Duda,
la cui eredità fornì gran parte della somma impiegata nei lavori di
riparazione. Sì andò avanti così fino a quando nella seconda guerra
mondiale arrivarono i Russi. Essendo la città divisa in due dal fiume
San, i Russi occuparono la parte dove si trovava il patronato, sicché
i Salesiani dovettero sloggiare. Ritiratisi i Russi, quelli aspettano
ancora (1950) il momento propizio per farvi ritorno.
Subito dopo la guerra, nella risorta Polonia fu affidata ai Sale-
siani la cura e l'ufficiatura della chiesa parrocchiale di Santa Croce
nella città dì Kielce. Attorno alla chiesa si iniziarono nel 1918 e sì
svilupparono varie opere salesiane, concentrate in un collegio e nel-
l'Oratorio festivo. Il collegio, destinato per orfani, aveva le scuole
professionali. Tutta l'istituzione sostenne da principio gravi disagi,
dovuti alle anormalissime condizioni dei tempi; ma raggiunse a poco
a poco un notevole grado di floridezza, tanto che gli orfani da 20
che erano nel primo anno, poterono essere portati al centinaio. La
parrocchia con l'andare del tempo subì una mutilazione consigliata
dal bene delle anime. Essa abbracciava una parte della città con
8000 anime e alcuni villaggi con altre 4000. Tre di questi villaggi
distavano da otto a dieci chilometri. Tanta lontananza dal centro
150
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
rendeva molto difficili i doveri del ministero, le visite agli infermi,
la partecipazione dei fedeli alle funzioni parrocchiali e impediva il
lavoro di organizzazione indispensabile per il regolare funzionamento
della vita religiosa. Perciò l'Ordinario propose al Rettor Maggiore
uno smembramento, con il distacco dei suddetti villaggi e la forma-
zione d'una nuova parrocchia indipendente dalla Società Salesiana.
Le cose si fecero di tutto buon accordo.
Negli anni, che seguirono la guerra, i Salesiani di Polonia ve-
nivano insistentemente sollecitati dalle autorità ecclesiastiche e ci-
vili a moltiplicare le loro istituzioni in favore della gioventù. Essi,
vedendo la reale gravità dei bisogni, facevano del loro meglio per
corrispondere a tante insistenze col mettere a disposizione tutto il
personale che poteva essere impiegato utilmente. Così nel 1919 sor-
sero tre fondazioni: ad Aleksandrów, a Rózanystok e a Cracovia.
Ad Aleksandrów, Diocesi di Vladislavia, offerse loro la sede il
parroco Francesco Szczygtowski ; ma il merito principale spetta al
Vescovo Zozitowski, Monsignore da giovane prete aveva conosciuto
personalmente Don Bosco e amava molto la sua giovane Congre-
gazione; perciò, appena diventato pastore della diocesi, tentò tutte
le vie per istrappare al Governo russo il permesso di chiamare i
Salesiani; ma le sue istanze trovarono sempre orecchie di bronzo.
Egli intanto inspirava nel suo clero una grande ammirazione per
Don Bosco, ammirazione condivisa a pieno dal detto parroco. Questi
allo scoppio della guerra stava costruendo un edificio, nel quale in-
tendeva aprire scuole medie. Sopraggiunti i Tedeschi e visto che il
fabbricato avrebbe potuto far loro comodo, lo terminarono in fretta e
lo destinarono a Casa del Soldato. All'arrivo degli Alleati, il par-
roco riebbe una buona parte del palazzo, dove aperse subito il gin-
nasio inferiore, ma col pensiero rivolto ai Salesiani, che riuscì ad
avere dall'Ispettore Don Tirone.
Vennero essi U 13 aprile 1919 e presa la direzione della scuola,
completarono il corso, che fu pareggiato; pareggiato fu pure in se-
guito l'aggiunto liceo. Frequentavano l'istituto circa 300 alunni ester-
ni, Nel 1923, acquistata la proprietà della casa e del terreno, ingran-
dirono la fabbrica per mettervi l'internato. Nel dopoguerra si pre-
starono generosamente in favore dei fanciulli bisognosi, che abbon-
151
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
davano. Curarono l'impianto di una cucina economica, dalla quale
somministravano il pranzo quotidiano a 200 poveri ragazzi; inoltre
assunsero la direzione di un ospizio con 40 orfani di guerra e pro-
fughi e si occuparono di due case, nelle quali si radunavano ogni
mattina circa 300 tra bambini e bambine inferiori agli otto anni,
ricevendovi l'alimento e ritornandosene a casa la sera. Alle spese
provvedeva un apposito Comitato anche con sussidi del Governo.
Nel 1920, per compiacere ai Vescovo, si accettò pure la parrocchia;
ma dopo cinque anni vi si rinunciò. Le scuole salesiane salirono a
grande reputazione e i figli di Don Bosco erano oggetto dell'univer-
sale benevolenza. Tutti vedevano il profìtto religioso, morale e scien-
tifico dei loro allievi. Lo spìrito dì Don Bosco, dovunque sia inte^
gralmente applicato, produce sempre il medesimo effetto di guada-
gnare ai Salesiani simpatie presso ogni ceto di persone.
Di una storia cinematografica, cioè con rapido succedersi di vi-
cende, era stato teatro il luogo, dove presero stanza i Salesiani a
Rózanystok sui confini della Russia, diocesi di Wilno. Un magnate
polacco fa costruire una cappellina esponendo alla venerazione dei
fedeli un quadro della Madonna, dipinto da un protestante. La sacra
effìgie attira il popolo, la Vergine largisce grazie, incominciano i pel-
legrinaggi. Il signore del luogo erige una chiesetta e la affida ai
Domenicani. Questi zelanti religiosi edificano un maestoso tempio,
eretto poi in parrocchia. Ma scoppia la persecuzione zarista. I mo-
naci vengono espulsi e per poter più facilmente russificare i Polac-
chi, il santuario è dato al clero secolare; ma non si ottiene nulla.
Allora il santuario è convertito in tempio greco-scismatico; ma l'im-
magine taumaturga non opera più cose straordinarie. I popi, aiu-
tati larghissimamente dal Governo, conducono una spietata propa-
ganda, mentre il popolo tiene fermo. Il Governo si appiglia a un altro
mezzo: invia uno sciame di quaranta suore eterodosse, provviste di
danaro in gran copia, perchè aprano un asilo infantile, un educan-
dato di giovanette e altre istituzioni sociali. Con le donne e con la
gioventù si spera una maggior opera di penetrazione. Circa 500 ra-
gazze ricevono un'educazione attossicata. Per gli adulti, attaccatis-
simi alla fede degli avi, si apre accanto al santuario trasformato,
un tempietto in stile basalicale, ufficiato in rito pseudo-cattolico da
152
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
un apostata. Senonchè l'incendio della guerra disperde i rei conati.
Le sconfitte russe e il fulmineo avanzare dei Tedeschi mettono in
fuga le monache, le quali portano via tutto il meglio, compreso il
quadro della Madonna. L'esercito vittorioso fa della chiesa un ma-
gazzino militare, fracassando vandalicamente ogni cosa. Finalmente
scocca Fora dello sfratto: la chiesa viene riattata e restituita al culto
cattolico e la parrocchia ripristinata.
II Vescovo Watulewiez vide che per ridare vita al santuario
occorrevano le risorse di una comunità religiosa; pregò quindi
Don Tirone di mandarvi i Salesiani. Il Nunzio Achille Ratti cal-
deggiò la proposta; anzi si fece mediatore tra i Salesiani e i Do-
menicani, I primi tre Salesiani arrivarono il 10 novembre 1919. L'an-
no dopo ebbero a passare giorni tragici durante l'invasione bolsce-
vica. Alcuni soldàtacci, penetrati in casa a mano armata, misero
tutto a soqquadro, facendo bottino di quanto trovarono e strappando
ai Salesiani fìnanco quello che portavano in dosso, sicché li ridus-
sero all'estremo della miseria; ma il popolo si levava il pan di
bocca per soccorrerli, esponendosi anche a gravi pericoli per difen-
derli. La bufera per altro si dileguò rapida, come rapida erasi sca-
tenata. Il santuario diventò nuovamente focolare di pietà; anche la
fonte delle grazie riprese a zampillare.
I Salesiani, quando accettano una chiesa, anche se parrocchiale,
mettono generalmente la condizione di potervi sviluppare attorno
opere giovanili. Là poi bisognava riedificare quello che lo scisma
aveva distrutto. In breve raccolsero più di 200 ragazzi, tra i quali
molti orfanelli reduci dalla Russia, dove durante la rivoluzione ave-
vano perduti i genitori o per pestilenza o per fame o per piombo
omicida. Incominciarono dunque un ginnasio inferiore, una scuola
professionale con tre laboratori e una scuola agricola. Nell'ambito
poi della parrocchia insegnavano il catechismo in diverse scuole
elementari pubbliche. Abbondando ancora gli scismatici Rózatonysk
poteva considerarsi allora come terra di missione. Molti entravano
in seno alla Chiesa Cattolica, sicché il povero pope vedeva farglisi
intorno il deserto. A integrare l'opera dei Salesiani, furono man-
date le Figlie di Maria Ausiliatrice, che con abnegazione si accinsero
a purificare la città dagli inquinamenti dello scisma.
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11
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
L'accennata fondazione del 1919 a Cracovia era stata preceduta
da altre due nel 1911 e nel 1918. Di tutt'e tre daremo qui unita-
mente notizia.
Esìsteva a Cracovia per giovani abbandonati un istituto Lu-
bomirski, così detto dal nome del principe fondatore. Ne aveva già
parlato una signora con Don Bosco a Parigi nel 1883, scorgendo nel
Santo la disposizione a mandarvi i Salesiani, quando ne avesse avuto
la possibilità (1). La famiglia del fondatore aperse più tardi tratta-
tive con Don Rua, al quale scrisse pure il Card. Vescovo Puzyna nel
1893. Le insistenze furono rinnovate a più riprese; gl'interessati sì
contentavano di un salesiano o due. Don Rua finì con accettare la
sola direzione spirituale, nella speranza di potere un giorno aver
tutto nelle mani per applicare il metodo di Don Bosco; ma questa
speranza svanì, perchè il Governo dì Vienna non permetteva che
fossero modificate le disposizioni testamentarie, e quindi i Salesiani
dopo alcuni anni nel 1905 si ritirarono (2).
Allora persone influenti tanto si adoperarono, che nel 1910 ot-
tennero di affidare ai Salesiani l'istituto. Subito il Capitolo Supe-
riore autorizzò Don Manassero a trattare e a conchiudere. Stipu-
latasi una convenzione, i Salesiani vi ritornarono il 1° settembre
1911, padroni del campo. Trovarono 162 giovani, divisi in parecchi
laboratori ed anche applicati al giardinaggio. Il 22 ottobre giunse
là Don Albera, che visitava le case dell'impero austriaco. Gli alun-
ni, benché da sì poco tempo fossero sotto la nuova direzione, lo
accolsero nel modo più cordiale che si potesse immaginare. Vi si
trattenne due giorni, ricevendo segni di stima e di cortesia da au-
torità ecclesiastiche e governative.
Ogni nuovo studentato di chierici segnava un progresso nello
sviluppo della Società: era un pampino novello, che spuntava sulla
rigogliosa vite per dare poi frutto in tempore suo. A Cracovia fu
acquistato nel 1918 un locale, dove collocare uno studentato filoso-
fico dell'Ispettoria polacca. Nel primo anno i chierici studenti fu-
rono 31. Vi si aggiunse pure per qualche tempo il noviziato; pre-
cedentemente i novizi polacchi andavano a Radna. Lasciamo stu-
di) Lett. delia baronessa Maria Lempii-ka a Don Bosco, Cracovia, 3 febbraio 1886.
(2) Verb. del Cap. Sup., 13 dicembre 1910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Ir, Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
diare gli uni e farsi santi gli altri: non c'è più nulla da dire su
questa casa,
Nel 1919 i Salesiani accettarono a Cracovia la parrocchia di
S. Stanislao Kostka, istituita allora. Il ,Vescovo Sapieha aveva scritto
il 2 aprile a Don Tirone: «Siamo disposti ad affidare ai Salesiani
la parrocchia, che stiamo per erigere, certi che con ciò procureremo
a quella gioventù ferventi apostoli». Non c'era né casa ne chiesa.
Per due anni il parroco e il suo aiutante dovettero abitare in locale
d'affitto e per l'Oratorio festivo adattarono un ambiente civile, fin-
ché non venne costruita in legno una cappella provvisoria. Solo nel
1932 si diede principio alla fabbrica della chiesa e della canonica
su terreno donato dal municipio. Andavano a prestar aiuto i con-
fratelli dello studentato filosofico, che si trovava nel territorio par-
rocchiale. Il primo parroco Don Antonio Symior, da vero figlio di
Don Bosco, spiegò iì massimo zelo nella cura delle anime, vincendo
con fortezza d'animo le difficoltà del dopoguerra e le molestie del-
l'invasione bolscevica. Si acquistò molta stima e benevolenza dalla
popolazione.
Una casa per Figli di Maria e la parrocchia del luogo furono
date ai Salesiani nel 1921 in Lad, diocesi di Vradislavia. C'era stato
là dal secolo XII un monastero di Cistercensi, che vi avevano abi-
tato fino al 1818, quando il Governa russo espulse l'Ordine da tutta
la parte della Polonia soggetta • agli Czar. Nel 1850 vi sottentrarono
i Cappuccini, ma vi rimasero solo quattordici anni, cedendo il posto
al clero secolare. Ritiratosi que$to s succedettero il 28 aprile 1921 i
Salesiani, chiamati dal Vescovo Zdzitowiecki. Al vedere il mise-
rando stato dell'edificio e la povertà del paese, i primi arrivati si
sentirono cascar il cuore, tanto che si sforzarono di far persuaso
l'Ispettore non essere quello un luogo per loro. Don Tirone invece
li confortò ad aver pazienza e a cercar di superare le difficoltà, ed
essi rassegnati si misero di buona voglia all'opera, sicché in ottobre
le scuole si poterono aprire. L'annessa chiesa, uno di quei monu-
mentali templi monastici antichi, era la più artistica della diocesi.
Prima di allontanarci dalla Polonia non è possibile non far
menzione d'un personaggio, che vi passò non lungo tempo, ma vi
lasciò un ricordo imperituro ed ebbe con i Salesiani relazioni indi-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
menticabili. Alludo a Mons, Achille Ratti, futuro Pio XI, inviato da
Benedetto XV Visitatore in Polonia e poi dal medesimo Pontefice
creato primo Nunzio Apostolico del risorto Stato. Egli favorì in tutti
i modi e ad ogni occasione i Salesiani, che vi trovò. Quasi tutte l'è
case aperte nella Polonia già russa furono aperte per sua inizia-
tiva o col suo consiglio ed aiuto. In più circostanze intervenne a
sventare pregiudizi, che perduravano in certi circoli contro l'azione
salesiana. Scriveva l'Ispettore Don Tirone (1): «La sua bontà non
conosceva limiti, quando riceveva i Salesiani nel suo palazzo; li con-
sigliava e li aiutava in ogni maniera. Mi ricorderò sempre come una
volta, essendo oppresso da gravissime difficoltà, ricorsi a lui. Egli
mi venne in aiuto con munificenza veramente sovrana. Né fu quella
l'unica volta, che, servendosi di tutte le facoltà amplissime conces-
segli da Santo Padre Benedetto XV, con mano generosa sostenne
efficacemente i nostri istituti di Polonia, che in questi tempi diffi-
cilissimi sì trovavano in gravissime strettezze; ma ogni qualvolta io
ricorrevo a lui, trovavo sempre il padre, l'amico, il benefattore». In
un momento più critico degli altri, il 13 agosto 1920, quando i bol-
scevichi alle porte di Varsavia incominciavano l'attacco, e tutta la
città, anzi l'intera nazione erano in ansia estrema, il Nunzio, seb-
bene fosse in trattative febbrili con il Governo e con il Corpo di-
plomatico, volle ricevere l'Ispettore, con lui riflettè attentamente
sulla posizione degli istituti salesiani e diede savi suggerimenti per
salvarli. È passato alla storia il coraggio, c'ol quale, mentre allora
tutti i diplomatici abbandonarono le loro residenze s egli solo stette
fermo al suo posto.
Elevato nel 1922 al soglio pontificio, si ricordò di Don Augusto
Hlond, che gli aveva resi importanti servizi. Avendone conosciute da
vicino le rare doti, lo chiamò ad un incarico assai delicato. L'Alta
Slesia, prima della guerra appartenente alla diocesi di Breslavia e
soggetta alla Germania, era stata inclusa politicamente nel nuovo
Stato polacco; ma aveva una popolazione mista di polacchi e dì
tedeschi, il che rendeva difficile e delicata l'assistenza spirituale.
Perciò Pio XI stabilì di affidarla temporaneamente a un particolare
Amministratore Apostolico e nominò a tale ufficio il salesiano, ac-
(1) Lelt. a Torino, Oswìfcitn, 13 marzo 1922.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
cordandogli tutti i diritti e privilegi inerenti alla carica. Quello fu
il primo passo del figlio di Don Bosco nella luminosa carriera, che
doveva portarlo alla dignità cardinalizia.
Era cosa desiderabile e da gran tempo desiderata di poter aprire
una casa nella cattolicissima Irlanda, sia per essere quello un ter-
reno ferace di vocazioni sia per il bisogno crescente di salesiani, che
sapessero bene l'inglese. Non venendo mai proposte che fossero ac-
cettabili, un sacerdote salesiano irlandese fu incaricato di andarvi
a fare un giro per vedere se si potesse tentare qualche cosa. Egli
parlò con alcuni Vescovi; ma li trovò contrari per la ragione che
scuole e istituti religiosi abbondavano già nelle loro diocesi. Solo
il Vescovo di Limerick Davide O'Duyer si mostrò da ultimo favo-
revole, anzi lieto di avere i figli di Don Bosco. Egli da giovane prete,
incontrato il Santo a Roma, ne aveva accolto l'invito di recarsi con
alcuni compagni a Torino per insegnare l'inglese a chierici desti-
nati alle Missioni. Ci si vide perciò la mano di Don Bosco. Il Ve-
scovo proponeva la compera d'una tenuta a Pallaskenry, in una loca-
lità chiamata Copsewood, nome che significa «bosco». Tutto sem-
brava colà ben adatto a un collegio agrario. I Superiori approva-
rono. Le 4.700 sterline richieste dal proprietario furono procurate
mediante un prestito bancario. Il 15 dicembre 1919 i Salesiani en-
trarono in possesso della casa e della campagna; ma l'apertura uf-
ficiale si rimandò al luglio dell'anno seguente, quando le cose erano
in ordine e l'opera si poteva presentare decorosamente al pubblico.
Si aveva già una quarantina di giovani, il qual numero fu raddop-
piato nel secondo anno scolastico. Vi erano pure Figli di Maria aspi-
ranti alla Congregazione. Il Ministero dell'Agricoltura riconobbe il
collegio come istituto agricolo, assegnandogli anche un sussidio. L'I-
spettore Don Enea Tozzi diede nel 1931 all'aspirantato il carattere
di istituto missionario.
A Malta nella luventutis domus e nell'Oratorio quotidiano, di
cui abbiamo parlato nel volume precedente, i Salesiani del vicinis-
simo istituto S. Patrizio continuavano a svolgere per la gioventù
un fecondo apostolato; anzi il loro esempio produceva salutari ef-
fetti nell'isola, suscitando qua e là altre simili fondazioni per cura
di sacerdoti locali e laici. Ora nel 1920 si pensò a stabilire in quegli
157
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
ampi e comodi locali una comunità, che tenesse un collegetto de-
dicato al Santo, del quale portava il nome l'insigne benefattore Al-
fonso Gàlea. Lo scopo era di poter coltivare vocazioni religiose ed
ecclesiastiche in una vita di famiglia, dove tornasse facile formare
alla virtù e al sapere un limitato numero di convittori e di esterni.
Infatti uscirono presto di là buoni soggetti, che passarono ai novi-
ziati della Società Salesiana e di altre Congregazioni religiose ed al
seminario diocesano. Quello era stato veramente provvido consiglio.
In Egitto, in Tunisia e in Palestina, dove domina la lingua araba e
vivono colonie numerose di Maltesi, sacerdoti nativi di Malta, nella
quale l'idioma ha struttura semitica e dizionario in prevalenza arabo,
potevano fare molto a bene delle anime. Purtroppo però l'istituto
non si sostenne; i Superiori a motivo dello scarso numero dei gio-
vani ne ordinarono la chiusura nel 1936. Degli undici alunni che vi
si trovavano, otto andarono all'aspirantato salesiano di Pedara in
Sicilia, due in quello dell'Inghilterra e uno entrò nel seminario.
Parrebbe augurio di possibile ripresa l'esser rimasto all'opera ora-
tori an a dopo la soppressione del collegio ài titolo di istituto, datogli
quando tra la Juuentutis domus e l'Oratorio era sbocciato il nuovo
virgulto.
Chiuderemo questa rassegna con un cenno all'isola, che un
tempo si gloriava del bel titolo di Dos Mariae, datole dai Papi. In-
tendo l'Inghilterra. Il numero delle vocazioni inglesi andava conti-
nuamente crescendo; sorgeva quindi imperioso il bisogno di avere
confratelli forniti dei titoli legali d'insegnamento e perciò di farli
frequentare ìe Università dello Stato. La cosa fu resa possibile nel
1920 con la fondazione della casa di Cowley, sobborgo di Oxford.
Prima di parlarne, non sarà inutile premettere alcune notizie sulle
condizioni, alle quali in Oxford debbono conformarsi tutti gli stu-
denti universitari.
Oxford è città eminentemente universitaria. Poiché la sua posi-
zione centrale nell'isola offriva a molti studenti comodità dì sog-
giorno poco lungi dai luoghi di loro domicilio, vi sorsero ab imme-
morabili scuole con insegnanti nazionali ed anche stranieri. Nel
1214 il Vescovo di Lincoln (Colonia Livii), dal quale il borgo di Oxford
ecclesiasticamente dipendeva, vi creò uno studium generale o uni-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
versità, a cui affluirono tosto anche religiosi in buon numero, sicché
si fondarono collegi monastici, divenuti centri di operosità intellet-
tuale. Col tempo accanto ai collegi ecclesiastici se ne apersero altri
di carattere laicale; ma anche questi avevano ed hanno posto per
dormire, insegnare, pregare, studiare. Tali collegi vennero costituiti
da enti, da re, da vescovi o da mecenati; onde esistono collegi del
Re, della Regina e di altre denominazioni.
L'Università è libera nel senso che si regge con suoi statuti e
col suo senato di professori, d'insegnanti e di studenti. Al Parla-
mento nazionale manda i suoi deputati indipendentemente dalla
città. Questa ha diritti e doveri verso l'Università, la quale esercita
sugli studenti poteri giudiziari, disciplinari e di polizia. Nessuno stu-
dente, chiunque sia, fosse anche principe del sangue, può vivere
isolato, ma tutti debbono far parte di un collegio e seguirne l'orario,
Si ammettono però studenti così detti esterni quanto all'alloggio;
ma ognuno di questi alloggi è collettivo e dev'essere riconosciuto, cioè
autorizzato e controllabile dall'autorità universitaria, e viene desi-
gnato ufficialmente col nome di ostello (hostel). Ogni collegio poi
ha un tutore o ripetitore, che lo segue, lo aiuta e lo controlla negli
studi, affinchè possa far onore a sé e all'Università. Questa sceglie
i suoi insegnanti e ammette i suoi studenti dopo averli sottoposti a
esame e trovati idonei. I collegi pertanto sono grandi palestre di
educazione morale, intellettuale e fisica.
È degno di nota il fatto che al tempo della Riforma l'Università
di Oxford fu l'ultimo baluardo cattolico che cedette, ma subendo
pochi mutamenti nel suo regime e solo per imposizione. Nel secolo
scorso vi fu il così detto movimento di Oxford, determinato da intel-
lettuali mal soddisfatti della dottrina ufficiale e della Chiesa sta-
bilita. Gran parte vi ebbe il Newman, il quale, seguito da altri cospi-
cui personaggi, finì con farsi cattolico, abiurando nelle mani del
celebre padre Domenico Pacelli, santo passionista italiano, dopo un
ritiro nel vicino villaggio di Littlemore, che oggi fa parte della par-
rocchia salesiana di Cowley. Di fronte alle casette Newman sta aperta
una cappella per due o tre mila cattolici.
I Salesiani dunque cercavano presso qualche Università uno
stabile per farne una casa di formazione e di studio. Saputo che a
sud-est di Oxford, nei sobborgo di Cowley, i Francescani erano di-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
sposti ad abbandonare un edifìcio, con annessa una chiesetta eretta
a parrocchia, non si lasciarono sfuggire l'occasione, ma ne fecero
acquisto, allestendo in una parte del locale il noviziato e nel resto
del caseggiato lo studentato filosofico. È interessante vedere come
i Salesiani seppero rendersi accetti in un ambiente saturo d'inve-
terati pregiudizi anticattolici. Ruppero da prima il ghiaccio andando
a giocare nel common. Si chiama così un terreno da gioco in co-
mune con tribuna e attrezzi. Ogni borgo in Inghilterra ha il suo.
Così i Salesiani si fecero molti, sebbene piccoli, amici. Fu possibile
per tal modo iniziare un vero Oratorio festivo che ebbe edifìcio pro-
prio in un terreno comprato adiacente alla casa. S'arrivò ad avere
150 giovani frequentanti, in massima parte protestanti o senza reli-
gione, Vi furono parecchie premiazioni per lo studio del catechismo,
oltreché per vittorie nei giochi. Nella parrocchia, dacché fu ammi-
nistrata dai Salesiani, andò crescendo il numero dei fedeli. Quasi
quasi non c'è bisogno di cercare le anime, perchè gli abitanti si pre-
sentano da sé a chiedere di essere istruiti nel catechismo e nella
fede e seguono corsi individuali d'istruzione religiosa, secondo che
consigliano le loro individuali attitudini. I confratelli si vedono cir-
condati di stima ? tanto che Don Franco, quand'era Direttore a Covdey,
venne eletto più volte presidente di un'associazione agricola locale.
Il lavoro di penetrazione con mezzi sportivi continuò fruttuo-
samente. I confratelli poterono talora incontrarsi in gare di foot-
ball con soldati nel campo della caserma e con operai in quello
della grande fabbrica d'automobili Morris, due campi che sì tro-
vano nel territorio della parrocchia. Anzi la banda di questa fab-
brica si prestò non di rado a rallegrare bazar e feste, che i Salesiani
organizzavano in periodi dì vacanza nel proprio terreno allo scopo
di essere conosciuti e aiutati.
Con tutte queste notizie non abbiamo dimenticato l'Università. I
Salesiani presero a frequentarla regolarmente da esterni; perciò,
adattata una parte della casa, secondo che vogliono le norme uni-
versitarie, la fecero riconoscere come ostello: noi diremmo quale
pensionato autorizzato per universitari salesiani. Apposero quindi
sull'entrata Io stemma dell'Università: tre corone circondanti un
libro con la scritta Dominus illuminatio mea.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In Jugoslavia, Polonia, Irlanda, Malta, Inghilterra
Queste due pagine rimarrebbero incomplete, se non dicessimo
nulla di un grande trionfo riportato dai nostri nel campo religioso:
riuscirono a fare le processioni. Osarono tentare con quella del
Corpus Domini, La sfilata mosse dalla casa dei Salesiani e vi per-
corse il tratto che separava questa dalla casa delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, le quali alla distanza di un chilometro e mezzo tene-
vano un loro noviziato. Si procedette tra canti e suoni e, cosa inau-
dita, i religiosi della città intervenuti comparvero in pubblico, in-
dossando le varie loro tonache. Era l'ora, nella quale gli operai usci-
vano dalla fabbrica; eppure non accadde il menomo incidente, anzi
i giornali locali commentarono benevolmente il fatto, illustrando an-
che gli articoli con fotografìe. Il buon successo del primo tentativo
incoraggiò a ripeterlo nella festa di Maria Ausiliatrice. Anche allora
ìa processione, spiegatasi con gran pompa religiosa, ebbe per mèta
il giardino delle Suore, dove fu impartita la benedizione eucaristica.
Don Bosco deve aver gioito dal cielo.
Ma c'è un'altra cosa, che non va taciuta. Tutti sanno quale ri-
sveglio cattolico sia stato prodotto nell'Inghilterra dal menzionato
movimento di Oxford; ma non si pose abbastanza mente alla coinci-
denza di una visione del venerabile Domenico Savio con quel movi-
mento. Una mattina del 1857 dopo la santa comunione parve all'an-
gelico giovanetto dell'Oratorio di vedere Pio IX, che, pontificalmente
vestito, avanzava verso una moltitudine d'Inglesi avvolti in densis-
sima nebbia e sollevava con le mani a guisa di ostensorio una lumi-
nosa fiaccola, ai cui chiarore andavasi dileguando la nebbia t finché
gli uomini restarono in una luce meridiana. Il fanciullo rimase così
impressionato, che pregò Don Bosco di dirlo al Papa. Don Bosco
glielo disse l'anno dopo, e Pio IX gli rispose che quel racconto lo
confermava nel suo proposito di lavorare energicamente a favore
dell'Inghilterra, alla quale aveva già rivolto le sue più vive solleci-
tudini; tal cosa, se non altro, essergli quale consiglio di un'anima
buona. Ma oltre all'accennata contemporaneità ci si presenta oggi
un altro particolare degno di nota. Il movimento oxfordiano ebbe il
suo centro d'irradiazione a Littlemore, sobborgo di Oxford, perchè
il grande Newman e parecchi de' suoi discepoli maturarono ivi la
loro conversione, seguita poi da quella di tanti altri. Orbene Little-
more fa appunto parte della giurisdizione parrocchiale affidata ai
161
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
Salesiani. Si direbbe che li abbia condotti Domenico Savio a Oxford
e proprio in quella frazione di Oxford, donde molti presero le mosse
verso Roma.
Don Albera visitò i Salesiani inglesi nell'aprile 1912. Si festeg-
giava allora il venticinquesimo della prima casa salesiana in Londra.
Dopo l'altra sua andata in Inghilterra, diciannove anni innanzi,
quand'eravisi recato con Don Rua per l'inaugurazione della chiesa
del Sacro Cuore, potè vedere con i propri occhi, quanto si fosse svi-
luppata l'opera di Dan Bosco nella capitale e fuori. Visitate le diverse
case, si augurò partendo che quella ricorrenza giubilare segnasse il
principio d'un nuovo periodo di progresso ancor maggiore. L'au-
gurio, nonostante le difficoltà che insorgono contro tutte le opere
buone, ebbe felice avveramento.
162
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO XI
Cuba, Centro America, Stati Uniti.
Santiago, Camaguey, Avana, — Granada, Ayagualo (Mona. Moresco). — Pori Chester
Filadelfia, Ramsey, New Rochelle, Watsonville
Dopo che i Salesiani si erano ritirati nel 1908 dall'isola di Gia-
maica, una nuova via si dischiudeva loro alle Antille, verso la metà
del Rettorato di Don Albera; essi entrarono allora nella Repubblica
cubana, lontano preludio dell'ingresso nelle altre due di Santo Do-
mingo e dì Haiti. Vi furono preceduti dal salesiano Mons, Felice
Guerra, che, mandato nel 1915 Amministratore apostolico della sede
arcivescovile di Santiago, venne l'anno dopo creato Arcivescovo della
medesima città. Subito fin da principio, con l'intenzione di chiamare
i Salesiani, acquistò una piccola tipografia con legatoria e nel 1920
ottenne da Don Albera che Don Francesco Dona, appartenente alla
casa di Panama, andasse da lui, per incominciare dal poco a prepa-
rare un'opera salesiana. Quel poco durò molto; ma infine si vide che
tout vieni à qui sait attenére. Con i due 1 abora toiletti aperse l'Ora-
torio festivo e una scuola elementare per esterni assai frequentata.
Gli alunni, allegri e contenti come non solevano mostrarsi quelli
di altre scuole, richiamarono l'attenzione del pubblico; le festicciole
religiose e civili secondo lo stile salesiano fecero il resto. L'Oratorio,
cosa della quale non si aveva neppur l'idea, destava maraviglia e atti-
rava benefattori. L'Arcivescovo istituì nel medesimo quartiere una
nuova parrocchia, affidandola ai Salesiani. Don Dona tra l'altro or-
ganizzò un'Associazione operaia dal singolare titolo di " Caballeros
de Don Bosco ", che arrivò ad avere ^)0 soci. Approvata legalmente
163
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo XI
dall'autorità civile e canonicamente da quella ecclesiastica, si pre-
stava molto bene a rendere più cristiane le famiglie, del che era
sentito il bisogno. Nel 1923 l'Economo Generale Don Condii, ritor-
nando dagli Stati Uniti, passò per Cuba e visitata la casa di San-
tiago, ne pronosticò bene. Le case di Cuba dipesero nei primi anni
dall'Ispettoria celtica della Spagna; ma poi l'enorme distanza e più
che tutto l'avversione dei Cubani agli antichi dominatori, consigliò
di staccamele e di annetterle alPIspettoria messicana.
Prima della modesta opera di Mons. Guerra, un'altra aveva
avuto inizio nella città di Camagùey, capitale dell'omonima pro-
vincia e distante 317 chilometri da Santiago. La ricchissima signora
Dolores Betancourt, nativa di Camagùey e domiciliata a New York,
avendo avuto occasione di conoscere i Salesiani e specialmente
Don, Coppo, era rimasta entusiasmata dell'opera loro e si propose di
dare alla sua patria una tale istituzione col fine precipuo di prov-
vedere all'educazione della gioventù povera e abbandonata. Mossa
da cosi santa intenzione, venne a Torino, dove il 24 luglio 1915 firmò
con Don Albera una convenzione, nella quale si obbligava a donare
casa e terreno, a costruire un collegio nello spazio di tre anni dal
giorno dell'arrivo dei Salesiani, a provvedere tutto il mobilio scola-
stico e professionale e gli utensili domestici, a mantenere trenta or-
fani ed a passare un assegno per il personale. I Salesiani a loro volta
s'impegnavano a fondare una scuola di arti e mestieri, ad aprire
scuole elementari ed a tenere un Oratorio festivo, godendo pienis-
sima libertà di direzione e di amministrazione. Ma purtroppo dal
dire al fare ci fu di mezzo il solito mare.
I primi quattro salesiani, partiti da Barcellona, giunsero a Ca-
magùey il 4 aprile 1917 col Direttore Don Giuseppe Calasanz, pren-
dendo alloggio in una casa della signora, con la servitù di altri coin-
quilini. Né fu questo il solo contrattempo. Sulla carta tutto era
chiaro; ma quanto a mettere in atto il contenuto non si veniva a
capo di nulla. Eppure della donatrice scriveva Mons. Guerra a Don
Albera il 20 febbraio 1918: « Veramente essa ha denari ed è generosa
e piena di buona volontà ». Perchè dunque non si moveva? Il mi-
stero si spiega, quando, si sappia che teneva a Camagùey un procura-
tore senza coscienza, il quale avversava i Salesiani e serviva ad
164
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Cuba, Centro America, Slati Uniti
altri interessi. I Salesiani, dopo un anno di estenuante inazione, ritor-
narono nella Spagna, meno il Direttore, per il motivo che diremo.
Intanto però a Camaguey accadeva una novità. Nell'estate del
1918 il Vescovo, trovandosi nella Spagna e mal soffrendo di dover
restare senza i Salesiani, tanto si adoperò presso l'Ispettore Don Bi-
nelli, che lo indusse ad accettare a Camaguey la parrocchia di Nostra
Signora della carità, vicinissima al luogo, dove sarebbe dovuto sor-
gere il collegio. Là i Salesiani avrebbero potuto esercitare il sacro
ministero e aver casa propria con i mezzi di decorosa sussistenza.
I Superiori, tutto ben considerato, diedero la loro approvazione e
destinarono a reggere la parrocchia Don Filippo De la Cruz, che
risiedeva nel collegio di Santander. Arrivò egli il 9 maggio 1919 con
un viceparroco. Li accompagnava Mons. Guerra, Incontrarono acco-
glienze oneste e liete da ogni parte, fuorché dal suddetto procura-
tore, che scatenò una campagna di denigrazione presso* la signora
lontana e sulla stampa vicina.
I Salesiani Io lasciavano cantare e lavoravano di buona voglia.
La parrocchia offriva largo campo al loro zejp. Comprendeva essa
un nucleo di popolazione urbana e un altro di popolazione rurale,
disseminata per un raggio di 70 chilometri. Questa parte era un vero
territorio di missione. Il sacerdote doveva percorrerla a cavallo per
battesimi, per matrimoni e per l'istruzione catechistica. Quella po-
vera gente versava in un'ignoranza religiosa che non poteva non
preoccupare chi aveva la responsabilità delle anime. Facevano pure
egregiamente l'ufficio loro le Figlie di Maria Ausiliastrice, volute
anch'esse dalla mentovata signora.
Mentre i Salesiani, vessati sempre dal molesto procuratore, fa-
ticavano senza risparmiarsi e con soddisfazione generale, ecco la
repentina scomparsa della signora. Nel 1921 ella si era finalmente
decisa a recarsi sul posto per vedere e agire; ma a Camaguey cessò
di vivere il 25 aprile. A New York aveva depositato fin dal 1916 un
testamento, nel quale destinava due vistosi legati per i Salesiani e
per le Suore, nominando esecutore testamentario un suo cugino.
Costui non si dava il menomo pensiero di eseguire le clausole del
testamento, rivelandosi sempre più uomo senza scrupoli. Da ultimo
incominciò a fabbricare, ma a modo suo, facendo orecchio di mer-
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cante ai suggerimenti di chi poteva e doveva consigliarlo. Un anno
dopo morì anche lui. Allora, apriti cielo ! Si levarono su da più parti
pretendenti a impugnare il testamento e incominciò un accanirsi
di liti, che durò fino ai 1927. Don De la Cruz, munito di legale pro-
cura da Don Albera, tenne testa con energìa e abilità agli avversari,
finché costoro, stanchi di appellarsi, chiesero di venire a un com-
promesso. Allora un delatore per il proprio tornaconto rivelò un
particolare, che chiamava in causa il Ministero della Beneficenza, il
quale, entrato nell'affare, impediva che si risolvesse nel modo di-
visato la questione. Visto ciò, 1286 cittadini di Camaguey firmarono
una petizione al Presidente della Kepubblica, pregandolo d'interve-
nire. La domanda sortì il desiderato effetto. Naturalmente i Sale-
siani, oltre alle forti spese sborsate agli avvocati, dovettero cedere
in parte al loro diritto. In ogni modo il collegio fu costruito e le sue
scuole esterne continuano a fare gran bene. Purtroppo ne andò di
mezzo l'indipendenza, perchè il detto Ministro, avendo fatto dell'o-
pera un ente morale, vi mise lo zampino; la legge voleva così.
Ad Avana (La Habana), capitale di Cuba, i Soci della Confe-
renza di S. Vincenzo De' Paoli avevano nel 1886 aperte trattative
per ottenere che i Salesiani andassero a prendere la direzione di un
loro orfanotrofio, composto di due case. Le loro insistenze si face-
vano sempre più pressanti; ma i Superiori non avevamo personale
disponibile. Allora Cuba stava ancora soggetta alla Spagna; onde
nel 1893 l'Ambasciatore dì quella nazione presso la Santa Sede in-
teressò della cosa il Card. Rampolla, Segretario di Stato, e questi
interpose premurosamente i suoi uffici, facendo conoscere che la
Società di S. Vincenzo aveva urgenza di provvedere, perchè altri-
menti, non per mancanza di mezzi materiali, che abbondavano, ma
per difetto di personale atto a dirigere e amministrare, si sarebbe
trovata nella dura necessità di chiudere, abbandonando al loro de-
stino tanti poveri giovani. C'era però un punto delicato da chiarire.
L'esperienza aveva ornai insegnato che in casi simili si correva fa-
cilmente il rischio di non godere poi la necessaria indipendenza.
Per vederci chiaro fu mandato ad Avana dagli Stati Uniti Don Pi-
perni, che non rimase soddisfatto. I Superiori avrebbero voluto la
cessione totale degli immobili; il che alla Società non garbava. In-
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somma la corrispondenza, interrotta e ripresa più volte, si protrasse
fino ai 1903, senza che si potesse mai venire a una soddisfacente
intesa.
Molti in Avana desideravano i Salesiani. Il Vicario Generale
Emmaauele Arteaga, nipote di quel Don Riccardo Arteaga che era
stato Cooperatore nel Venezuela (1), e zelante Cooperatore egli stesso,
veniva preparando l'ambiente col divulgare la divozione a Maria
Ausiliatrice, col diffondere il Bollettino spagnolo e con l'organizzare
la Pia Unione dei Cooperatori. Egli cercava di formare un Comi-
tato per raccogliere fondi, quando intervenne in modo inaspettato
la Provvidenza. Don Calasanz, nel 1918, andato ad Avana per par-
lare con la signora Befancourt ivi dimorante, giunse proprio in tempo
per essere strumento della Provvidenza.
I fratelli Emmanuele e Gustavo Inclan, nativi di Avana, rimasti
orfani in tenera età e senza mezzi di fortuna, campavano la vita
attendendo a umili lavori. Divenuti grandicelli, s'impiegarono in una
casa di commercio, presso la quale esplicarono tanta attività, che
dopo alcuni anni divennero soci e più tardi padroni. La loro oculata
operosità rese quella casa una delle più forti in Avana, sicché i due
fratelli si crearono un capitale rilevante. Non avendo nessuno dei
due contratto matrimonio, stabilirono di lasciare per testamento
una somma, che servisse alla fondazione di un orfanotrofio. Mori il
primo nel 1910 e il secondo nel 1915, Siccome però la maggior parte
dei beni veniva dal primo dei fratelli, si diede all'opera il suo nome,
Il capitale destinato all'opera benefica era di oltre 600.000 dollari;
esecutore testamentario l'avvocato Francesco Angulo, uomo onesto
e unito in intima amicizia con i due defunti. Egli prese la cosa come
se fosse sua propria, studiandosi di metterla fedelmente in esecu-
zione? Pensò anzitutto a chi affidare la direzione. Per questo consultò
l'Arcivescovo, il quale lo mandò a interrogare i Gesuiti, e i Gesuiti
gli dissero senz'altro: — Questo è affare dei Salesiani. — E trovan-
dosi ad Avana il salesiano Don Calasamz, si rivolse a lui. I Supe-
riori, avuta la relazione della proposta, incaricarono Don Calasanz
delle pratiche preliminari.
Le ripercussioni della guerra mondiale causarono ura ritardo di
(lì Ann., voi. II, pp. 513 e 518. Oggi è Arcivescovo a Santiago di Cuba.
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