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Annali della Società di San Francesco di Sales 1910-1921 vol.4

Sac.  EUGENIO  CEBIA
ANNALI
DELLA  SOCIETÀ  SALESIANA
VOLUME  QUARTO
IL  RETTORATO  DI  DON  PAOLO  ALBERA
1910-1921
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921

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V I S T O :  N U L L A  OSTA
Torino,  S  aprile  1$S1.
Can.  D.  L.  CARMINO,  Bevis.
I M P R I M A T U R :
O.  L.  COCCOLO,  V.  G.
Visto  per  la  Società  Salesiana:
Torino,  1&  marno  1951.
Sac.  F E L I C E  MUSSA
Ristampa extra-commerciaie
a cura Editrice SDB
Via de^la Pisana, 1111
C.P. 9092-00100 Roma-Aurelio
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 I I ~ ~ ~   P A O I , O   A I , B E R A 
secondo  Successore  di  S.  .  Rost:o ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 S O D A L I T A T I S  S A L E S I A N A ^
EEGTORI  MAXIMO
P E T R O  R I C A L D O N E
S E S B X  NEC  SEGNIS
S E N I O R I  ET  I M P I G E E R I M O
D .  D .  B .
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 P R E M E S S A
Questo  quarto  volume  degli  Annali  della  Società  Salesiana  ab-
braccia  gli  undici  anni  del  Rettorato  di  Don  Albera.  Un  biografo  del
secondo  successore  di  Don  Bosco  potrebbe  far  sue  le  parole  del
Manzoni  sul  Cardinal  Federigo  Borromeo  (1):  «La  sua  vita  è  come
un  ruscello,  che,  scaturito  limpido  dalla  roccia,  senza  ristagnare  né
intorbidarsi  mai,  in  un  lungo  corso  per  diversi  terreni,  va  limpido  a
gettarsi  nel  fiume  ».  Dalla  fanciullezza  alla  vecchiaia  la  non  breve
vita  dì  Don  Albera  passò  gradatamente  per  diversi  uffici,  trovandolo
sempre  uguale  a  se  stesso  in  una  compostezza  serena  e  operosa,  quasi
senza  mutazioni  di  rilievo.
Questa  sua  calma,  appresa  da  Don  Bosco,  fu  messa  a  dura  prova
negli  anni  della  prima  guerra  mondiale,  quando  tutto  d'un  tratto
vide  tanti  confratelli  dì  varie  nazioni,  strappati  alle  loro  pacifiche
opere  di  bene  per  essere  lanciati  sui  campi  di  battaglia.  Dio  solo  sa
quanto  la  sensibilità  della  .ma  natura  abbia  dovuto  soffrire  in  tali
frangenti;  ma  non  si  perdette  d'animo,  anzi  si  studiò  con  ogni  mezzo
di  sostenere  il  coraggio  di  quelli  che  partivano  e  di  infondere  energia
negli  altri  che  dovevano  moltiplicare  le  loro  forze  per  far  fronte  alle
esigenze,  della  tragica  ora,  Nonostante  le  enormi  difficoltà  da  supe-
rare  la  Congregazione  non  solo  stette  in  piedi,  ma  fece  anche  passi
avanti,  sicché,  uscita  dal  periodo  cruciale,  potè  presto  riassettarsi,
ingrossare  le  fife  e  mettersi  a  nuove  imprese.
Tre  fatti  speciali  distinsero  il  Rettorato  di  Don  Albera:  un  gruppo
di  nuove  diffìcili  Missioni  affidate  dalla  Santa  Sede  ai  Salesiani,  le
riallacciate  relazioni  ufficiali  tra  le  due  fam'glie  di  Don  Bosco  per
disposizione  di  Benedetto  XV,  l'organizzazione  degli  ex-allievi  di-
venuta  internazionale.  Su  tutto  questo  getta  una  luce  simpatica  l'ele-
vazione  di  un  figlio  di  Don  Bosco  alta  porpora  romana.
(1)  Promessi  Sposi,  C.  XXII.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  I
Il  secondo  successore  di  Don  Bosco.
Capitolo  Generale  XI.  Terza  Esposizione  professionale
Non  sembra  quasi  possibile  parlare  di  antichi  Salesiani  senza
prendere le mosse  da Don Bosco.  Quesita volta è  per ammirare la  divi-
na  Provvidenza,  che  a  Don  Bosco  lungo  l'arduo  cammino  fece  incon-
trare  gli  uomini  a  lui  indispensabili  nei  vari  gradi  e  uffici  dell'isti-
tuenda sua  Congregazione. Uomini,  dico,  non fatti,  ma  da  fare.  Toccò
al  fondatore  cercarseli  giovanetti,  crescerli,  educarli,  istruirli,  infor-
marli  del  suo  spirito,  sicché,  dovunque  li  mandasse,  lo  rappresentas-
sero  degnamente  in  mezzo  ai  Soci  e  di  fronte  agli  estranei.  Ecco  il
caso  anche  del  suo  secondo  successore.  Il  piccolo  ed  esile  Paolino
Albera,  quando  dal  paesello  nativo  venne  all'Oratorio,  non  spiccava
tra  la  turba  dei  compagni  per  alcuna  di  quelle  caratteristiche,  le
quali  richiamano  l'attenzione  sopra  un  nuovo  arrivato;  ma  Dori
Bosco  non  tardò  a  scorgere  in  lui  innocenza  di  costumi,  capacità  in-
tellettuale  velata  da  naturale  timidezza,  e  indole  di  fanciullo,  che  gli
dava  bene  a  sperare.  Portatolo  su  su  fino  all'altare,  lo  mandò  Diret-
tore  a  Sampierdarena,  poi  Direttore  a  Marsiglia  e  Ispettore  per  la
Francia,  dove  Io  chiamavano  petit  Don  Bosco,  finché  nel  1886  la  fidu-
cia  dei  confratelli  lo  elesse  Catechista  generale  ossia  Direttore  spiri-
tuale  della  Società.  Ma  lì  non  si  arrestarono  le  sue  ascensioni.
Dopo  la  morte  di  Don  Rua  il  governo  della  Società  passò,  se-
condo  la  Regola,  nelle  mani  del  Prefetto  Generale  Don  Filippo  Ri-
naldi,  che  perciò  presiedeva  il  Capitolo  Superiore  e  dirigeva  i  pre-
parativi per il  Capitolo Generale da  tenersi  entro l'anno  1910.  Il gran-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  l
de  convegno  fu  stabilito  che  si  aprisse  il  15  agosto,  preceduto  da  un
corso  di  esercizi  spirituali,  fatti  dai  Capitolari  e  predicati  da  Don
Albera.
Un  diario  intimo  di  Don  Albera,  in  inglese,  ci  mette  in  grado  di
conoscere  quali  fossero  i  suoi  sentimenti  nel  periodo  dell'attesa.
Sotto  il  21  aprile  troviamo:  «Parlo  a  lungo  con  Don  Rinaldi  e  con
gran  piacere.  Io  desidero  di  tutto  cuore,  che  sia  eletto  alla  carica
di  Rettor  Maggiore  della  nostra  Congregazione.  Pregherò  lo  Spirito
Santo  per  ottenere  questa  grazia»,  E  sotto  il  26:  «Raramente  si
parla  del  successore  di  Don  Rua.  Io  spero  che  si  elegga  il  Prefetto.
Ha  le  virtù  necessarie  per  la  carica.  Ogni  giorno  prego  per  questa
grazia».  Di  nuovo  1*11  maggio:  «Accetto  di  andare  a  Milano  per  il
funerale  di  Don  Rua.  Sono  contentissimo  di  obbedire  a  Don  Rinaldi,
nel quale riconosco il  mio vero Superiore. Prego  tutti  i  giorni  doman-
dando  che  sia  eletto  Rettor  Maggiore».  Sotto  il  6  giugno  rivela  il
perchè  di  tanta  propensione  per  Don  Rinaldi  scrivendo  di  lui:  «Ho
un'alta  idea  della  sua  virtù,  della  sua  capacità  e  iniziativa »,  An-
dando  poco  dopo  a  Roma in  sua  compagnia,  scriveva  1*8  in  Firenze:
«.Vedo  che  Don  Rinaldi  è  bene  accetto  dappertutto  e  considerato
come  il  successore  di  Don  Rua.  Lascia  buona  impressione  in  quelli
con  i  quali  parla ».
Se  fosse  dunque  stato  lecito  fare  propaganda,  egli  sarebbe  stato
suo  grande  elettore.  Né  erano  pochi  i Salesiani  che la  pensavano  allo
stesso  modo.  Non  parliamo  degli  spagnoli,  tra  i  quali  aveva  lasciato
grande  eredità  d^affetti.  Ispettori  e  delegati,  quando  arrivavano  dalla
Spagna  per  il  Capitolo  Generale,  non  facevano  tanti  misteri  nem-
meno  parlando  con  lui.  Ma  egli  a  tali  discorsi  mostrava  tutta  l'indif-
ferenza  di  un  sordo,  che  non  intenda  sillaba  di  quanto  gli  si  dice.
In  questo  il  suo  atteggiamento  era  tale,  che  impressionava  i  suoi
giocondi  interlocutori.  C'era  veramente  del  mistero.
La  sera  dell'Assunta  si  tenne  l'adunanza  di  apertura,  nella  quale
Don  Rinaldi  « parlò  molto  bene »,  nota  nel  diario  Don  Albera.  Al-
l'elezione  del  Rettor  Maggiore  si  procedette  nella  seduta  del  mattino
seguente.  Dall'inizio  dello  scrutinio  i  nomi  di  Don  Albera  e  di  Don
Rinaldi  si  avvicendavano a brevi  intervalli.  Il  primo  appariva  sempre
più  turbato  e  sbigottito;  l'altro  invece  non  dava  il .menomo  segno  di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secando successore di Don Bosco
commozione.  La  cosa  era  notata,  e  non  senza  una  puntolina  di  cu-
riosità.  Un  grande  applauso  salutò  il  voto,  che  raggiungeva  la  mag-
gioranza  assoluta,  richiesta  dalla  Regola,  Don  Rinaldi,  com'ebbe
compiuto  l'ultimo  atto  nella  sua  qualità  di  presidente  dell'assemblea
con  la  proclamazione  dell'eletto,  domandò  di  poter  leggere  un  suo
promemoria.  Ottenuto  l'assenso,  si  fece  restituire  da  Don  Lemoyne,
Segretario  del  Capitolo  Superiore,  una  busta  chiusa,  consegnatagli  il
27  febbraio  e  recante  la  soprascritta:  «Da  aprirsi  dopo  le  elezioni
che  avverrebbero alla  morte  del caro  Don  Rua ».  Avutala  nelle  mani,
la  dissuggellò  e  lesse:  «Il  sig.  Don  Rua  è  gravemente  ammalato  ed
io  mi  credo  in  dovere  di  consegnare  per  iscritto,  quanto  conservasi
nel  mio  cuore,  al  suo  successore.  Il  22  novembre  1877  si  celebrava
a  Borgo S.  Martino  la  solita  festa  di  S.  Carlo.  Alla  tavola  presieduta
dal  Ven.  Giovanni  Bosco  e  da  Mons.  Ferrè  sedeva  io  pure  al  fianco
di  Don Belmonte.  Ad  un  certo  punto  cadde  la  conversazione  su  Don
Albera,  raccontando  Don  Bosco  le  difficoltà,  che  gli  mosse  il  clero
del  suo  paese.  Fu  allora  che  Mons.  Ferrè  volle  sapere,  se Don  Albera
avesse  superato  quelle  difficoltà:  —  Certamente,  rispose  Don  Bosco.
Egli  è il mio  secondo... — E  passando  una  mano  sulla  fronte,  sospese
la  frase.  Ma  io  calcolai  subito  che  non  era  il  secondo  éhtrato  né  il
secondo  in  dignità,  non  essendo  del  Capitolo  Superiore,  né  il  se-
condo  Direttore  ed  arguii  che  fosse  il  secondo  successore;  ma  con-
servai queste cose nel mio  cuore, aspettando  gli  eventi. Torino, 27 feb-
braio  1910 ».  Gli  elettori  compresero  allora  il  perchè  del  suo  conte-
gno  e  sì  sentirono  allargare  il  cuore:  avevano  dunque  eletto  colui
che  dai  Don  Bosco era  stato  preconizzato  trentatrè  anni  prima,
Venne  subito  incaricato  Don  Bertello  di  formulare  due  telegram-
mi  di  comunicazione  al  Santo  Padre  e  al  Card.  Rampolla,  Protettore
della  Società.  Al  Papa  si  diceva:  « Don  Paolo  Albera,  nuovo  Rettor
Maggiore  Pia  Società  Salesiana  e  Capitolo  Generale,  che  con  mas-
sima  concordia  di  animi  oggi  novantacinquesimo  anniversario  nasci-
ta  Ven.  Don  Bosco lo  elesse e  col  massimo  giubilo  lo
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 festeggia  eletto,,
ringraziano  Vostra  Santità  preziosi  consigli  e  preghiere  e  protestano
profondo  ossequio  ed  illimitata  obbedienza».  Sua  Santità  rispose
tosto  inviando  l'apostolica  benedizione.  Nel  telegramma  si  allude  a
un  autografo  pontifìcio  del  9  agosto.  Era  del  tenore  seguente:  « Ai.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo I
diletti  figli  della  Congregazione  Salesiana  del  Ven.  Don  Bosco  rac-
colti  per  la  elezione  del  Rettor  Generale,  nella  certezza,  che  tutti,
•quacumque  humana  affectione  postposita,  daranno  il  loro  voto  a  quel
Confratello,  che  giudicheranno  in  Domino  il  più  adatto  per  mante-
nere  il  vero  spirito  della  Regola,  per  incoraggiare  e  dirigere  alla
perfezione  tutti  i  Membri  del  religioso  Istituto,  e  per  far  prosperare
le  molteplici  opere  di  carità  e  di  religione,  alle  quali  si  sono  consa-
crati,  impartiamo  con  paterno  affetto  l'Apostolica  Benedizione.  Dal
Vaticano  li  9  agosto  1910.  Pius  PP.  X».
Anche  il  Cardinale  Protettore  aveva  indirizzato  il  12  agosto
« al  Regolatore ed  Elettori  del  Capitolo »  una  parola  paterna  di  au-
gurio  e  di  incoraggiamento,  dicendo  tra  l'altro:  «Il  vostro  amatis-
simo  Don  Bosco  col  più  intenso  affetto  di  padre  già  vi  rivolge  senza
dubbio  dal  Cielo  lo  sguardo  ed  implora  ferventemente  dal  Divino
Paracleto  che  spanda  su  di  voi  i  celesti  lumi  ispirandovi  savi  con-
sigli.  La  santa  Chiesa  attende  dai  vostri  suffragi  un  degno  successore
di Don Bosco e di  Don Rua, il quale  sappia  sapientemente  conservare
l'opera  loro,  anzi  accrescerla  con  nuovi  incrementi.  Ed  anch'io  col
più  vivo  interessamento,  unito  a  voi  nella  preghiera,  formo  caldis-
simi  voti,  affinchè  col  divino  favore  la  vostra  scelta  sia  sotto  ogni
rapporto  felice  e  tale  da  recarmi  la  dolce  consolazione  di  vedere  la
Congregazione  Salesiana  ognora  più  rigogliosa  fiorire  a  vantaggio
delle  anime  e  ad  onore  dell'Apostolato  cattolico.  Fate  dunque  che
in  atto così sacro e  solenne gli animi vostri  si tengano lungi  da umani
riguardi  e personali  sentimenti;  onde  guidati  unicamente  da  rette  in-
tenzioni  e  ardente brama  della  gloria  di  Dio  e  del  maggior bene  del-
l'Istituto,  congiunti  nel  nome  del  Signore  nella  più  perfetta  concordia
e  carità,  possiate  scegliere  a  vostro  reggitore  colui  che  per  santità
di  vita  vi  sia  esempio,  per  bontà  di  cuore  padre  amoroso,  per  pru-
denza  e  saggezza  guida  sicura,  per  zelo  e  fermezza  vigile  custode
della  disciplina,  della  religiosa  osservanza  e  dello  spirito  del  Vene-
rabile  Fondatore».  Sua  Eminenza,  ricevendo  non  molto  dopo  Don
Albera,  gli  diede  segni  non  dubbi  di  ritenere  che  la  scelta  fosse  stata
fatta  conforme  ai  voti  da  lui  espressi.
Quale  fosse  nei  primi  istanti  il  sentimento  dell'eletto,  lo  dice  il
diario,  nel  quale  sotto  il  16  agosto  leggiamo:  «Questo  è  un  giorno
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo successore di Don Bosco
di  grande  sfortuna  per  me.  Sono  stato  eletto  Rettor  Maggiore  della
Pia  Società  di  S.  Francesco  di  SaJes.  Quale  responsabilità  sulle  mie
spalle!  Ora  più  che  mai  debbo  gridare:  Deus,  in  adiutorium  meum
intende.  Ho  pregato  moltissimo,  specialmente  davanti  alla  tornba  di
Don  Bosco ».  Nel suo  portafoglio fu  rinvenuto  un  foglietto  ingiallito,
nel  quale si era tracciato e firmato  questo programma:  « Avrò  sempre
Dio  in  vista,  Gesù  Cristo  qual  modello,  FAusiliatrice  in  aiuto,  me
stesso  in  sacrificio ».
Erano  scaduti  nel  medesimo  tempo  tutti  i  membri  del  Capitolo
Superiore  e  bisognava  farne  l'elezione,  il  che  si  eseguì  nella  terza
seduta.  Primo  fu  eletto  il  Prefetto  Generale,  La  votazione  sul  nome
di  Don  Rinaldi  risultò  plebiscitaria.  Dei  73  votanti,  71  diedero  a  lui
il  voto.  Mancò  dunque  un  voto  solo,  che  andò  a  Don  Paolo  Virion,
Ispettore  francese.  L'altro,  assai  probabilmente  il  suo,  fu  per  Don
Pietro  Ricaldone,  Ispettore  nella  Spagna,  da  lui  molto  stimato.  Ri-
pigliò  pertanto  la  sua  quotidiana  fatica,  che  doveva  durare  ancora
dodici  anni,  fino  a  quando  diventò  egli  stesso  Rettor  Maggiore.
Fatto  questo,  il  Capitolo  passò  all'elezione  dei  rimanenti,  che
furono:  Don  Giulio  Barberi»,  Catechista  Generale;  Don  Giuseppe
Bertello,  Economo;  Don  Luigi  Piscetta,  Don  Francesco  Cerruti,  Don
Giuseppe  Vespignani,  Consiglieri.  Quest'ultimo,  Ispettore  nell'Argen-
tina,  ringraziata  l'assemblea  per  l'atto  di  fiducia,  si  disse  obbligato
da  motivi  particolari  e  anche  dalla  salute  a  declinare  la  nomina,
pregando  si  volesse  addivenire  a  un'altra  elezione.  Ma  il  Superiore
non  credette  doversene  accettare  così  su  due  piedi  la  rinuncia  e  lo
pregò  di  sospendere  fino  al  domani  ogni  decisione.  Al  domani,  in-
vitato  dal  Rettor  Maggiore  a  notificare  la  risoluzione  presa,  rispose
che,  seguendo  il  consiglio  del  Superiore,  si  rimetteva  interamente
all'obbedienza  con  l'accettare  la  carica.
Primo  atto  del  rieletto  Prefetto  Generale  fu  di  portare  ufficial-
mente  a  conoscenza  dei  Soci  l'elezione  del  nuovo  Rettor  Maggiore.
In  una  breve  lettera,  accennate  di  volo  le  varie  fasi  della  sua  vita,
ricordava  opportunamente  il  così  detto  « Sogno  della  Ruota »,  nel
quale  Don  Bosco  aveva  visto  Don  Albera  con  una  lucerna  in  mano
illuminare  e  guidare  gli  altri  (1).  Quindi  molto  opportunamente
(1)  Mera,  Bìogr.,  v.  VI,  p.  910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo I
conchiudeva:  «Miei  cari  confratelli,  risuonino  ancora  una  volta  alle
vostre  orecchie  le  amorose  parole  di  Don  Bosco  nella  lettera-testa-
mento:  " Il  vostro  Rettore  è  morto,  ma  ve  ne  sarà  eletto  un  altro,
che  avrà  cura  di  voi  e  della  vostra  eterna  salvezza.  Ascoltatelo,
amatelo,  ubbiditelo,  pregate  per  lui,  come  avete  fatto  per  me " ».
Alle  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice  Don  Albera  stimò  opportuno
fare  senza  troppo  indugio  una  sua  comunicazione,  tanto  più  che
da  esse  riceveva  lettere  in  buon  numero.  Le  ringraziava  pertanto
dei  loro  rallegramenti,  ma  soprattutto  delle  loro  preghiere.  « Spero,
scriveva,  che  Iddio  esaudirà  i  vostri  voti  e  che  non  permetterà  che
la  mia  inettezza  abbia  ad  essere  di  nocumento  a  quelle  opere,  a
cui  il  Ven.  Don  Bosco  e  l'indimenticabile  Don  Rua  consacrarono
tutta  la  loro  vita ».  Si  augurava  infine  che  tra  i  due  rami  della  fa-
miglia  di  Don  Bosco  regnasse  ognora  una  santa  gara  nel  conser-
vare  lo  spirito  di  carità  e  di  zelo  lasciato  in  eredità  dal  fondatore.
Diamo  ora  un  fuggevole  sguardo  ai  lavori  del  Capitolo  Gene-
rale.  Tema  fondamentale  si  può  dire  che  ve  ne  fu  uno  solo.  Il  Ca-
pitolo  antecedente,  compiuta  una  revisione  piuttosto  sommaria  dei
Regolamenti,  aveva  deliberato  che,  così  com'erano,  si  praticassero
per  sei  anni  ad  experimentum  e  che  il  Capitolo  XI  lì  ripigliasse  in
esame  fissandone  il  testo  definitivo.  Questi  Regolamenti  erano  sei:
per  gl'Ispettori,  per  tutte  le  case  salesiane,  per  le  case  di  noviziato,
per  le  parrocchie,  per  gli  oratori  festivi  e  per  la  Pia  Unione  dei
Cooperatori.  Il  medesimo  Capitolo  X  con  una  petizione  firmata  da
36  membri  aveva  chiesto  che  nelPXI  si  trattasse  la  questione  ammi-
nistrativa  e  soprattutto  il  modo  di  rendere  sempre  più  proficui  i
cespiti  d'entrata,  che  la  Provvidenza  concedeva  a  ogni  casa  sale-
siana.  Ad  agevolare  l'arduo  lavoro  fu  nominata  per  ogni  Regola-
mento  una  Commissione,  dirò  così,  di  tecnici,  estracapitolare  con
l'incarico  di  fare  gli  studi  relativi  e  di  presentare  al  Capitolo  me-
desimo  le  conclusioni.
Le  discussioni,  incominciate  alla  quinta  seduta,  si  protrassero
per  altre  21.  A  voler  esaurire  la  materia  sarebbe  stato  necessario
prolungare  ben  più  i  lavori;  ma  il  Capitolo  Generale  con  votazione
unanime  deferì  il  compito  di  ultimare  la  revisione  al  Capitolo  Su-
periore,  il  quale  promise  di  eseguirla,  nominando  un'apposita  Com-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo  successore  di  Don  Bosco
missione.  Tuttavia  il  Capitolo  Generale,  per  mostrare  che  non  se
ne  disinteressava  e  per  aiutare  l'opera,  manifestò  il  desiderio  di
creare  una  Commissione  incaricata  di  formulare  i  principali  cri-
teri,  che  avrebbero  dovuto  guidare  la  nuova  Commissione  dei  Re-
golamenti  nella  sua  lunga  e  delicata  fatica.  Così  fu  fatto.  Vennero
pertanto  portate  a  conoscenza  dell'assemblea  e  approvate  dieci  nor-
me  direttive,  elaborate  da  suoi  delegati  sotto  la  presidenza  di  Don
Ricaldone.  Lo  sfondo  di  esse  era  di  mantenere  saldo  Io  spirito  di
Don  Bosco,  integri  conservando  quegli  articoli  che  si  riconoscevano
suoi,  e  di  eliminare  dai  Regolamenti  quanto  contenevano  di  pura-
mente  esortativo,
Dell'XI  Capitolo  Generale  altro  più  non  ricorderò  fuorché  due
episodi,  i  quali  sembrano  avere  particolare  importanza.  II  primo  si
riferisce  al  Regolamento  degli  Oratori  festivi.  La  Commissione
estracapitolare  aveva  creduto  bene  di  sfrondarlo,  massime  nella
parte  concernente  le  svariate  cariche.  A  Don  Rinaldi  parve  che  ne
risultasse  distrutto  il  concetto di  Don  Roseo  circa  gli  Oratori  festivi;
onde  insorse  dicendo:  «Il  Regolamento  stampato  nel  1877  fu  ve-
ramente  compilato  da  Don  Bosco,  e  me  lo  assicurava  Don  Rua
quattro  mesi  prima  della  morte.  Faccio  quindi  voti,  che  sia  con-
servato  intatto,  perchè,  se  sarà  praticato,  si  vedrà  che  è  sempre
buono  anche  oggi».
Qui  si  accese  un'animata  discussione,  della  quale  colgo  le  bat-
tute  più  notevoli.  Il  relatore  dichiarò  che  la  Commissione  ignorava
affatto  questa  particolarità;  ma  osservò  pure  non  essersi  mai  quel
Regolamento  praticato  integralmente  in  nessun  Oratorio  festivo,
nemmeno  a  Torino.  Opinare  la  Commissione  che  il  Regolamento
fosse  stato  fatto  compilare  da  Don  Bosco  su  Regolamenti  degli  Ora-
tori  festivi  lombardi;  a  ogni  modo  aver  essa  inteso  soltanto  di  sfron-
darlo  e  d'introdurvi  quanto  di  pratico  si  riscontrasse  nei  migliori
Oratori  salesiani.  Ma  Don  Rinaldi  non  si  acquietò,  e  insistette  nel
desiderio  di  Don  Rua  che  quel  Regolamento  venisse  rispettato,  come
opera  di  Don  Bosco,  pur  con  l'introduzione  di  quanto  si  giudicasse
utile  per  i  giovani  adulti.
Rincalzò  questa  tesi  Don  Vespignani.  Egli,  venuto  all'Oratorio
già  sacerdote  nel  1876,  aveva  ricevuto  da  Don  Rua  l'incarico  di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo 1
trascrivere  dall'originale  di  Don  Bosco  quel  Regolamento  e  ne  con-
servava  ancora  le  prime  bozze.  Anche  Don  Barberis  assicurò  di
aver  veduto  l'autografo.  Gli  oppositori  l'avevano  contro  le  cariche.
Ma  Don  Rinaldi  non  disarmò,  anzi  proferì  queste  energiche  parole:
« Nulla  si  alteri  del  Regolamento  di  Don  Bosco,  che  altrimenti  per-
derebbe  l'autorità »,  Don  Vespignani  confermò  un'altra  volta  il  pen-
siero  di  lui  con  esempi  dell'America  e  specialmente  dell'Uruguay,
dove,  essendosi  voluto  al  tempo  di  Mons.  Lasagna  provare  diversa-
mente,  non  si  era  riusciti  a  nulla.  Finalmente  la  controversia  fu
chiusa  col  votare  il  seguente  ordine  del  giorno:  «Il  Capitolo  Ge-
nerale  XI  delibera  che  si  conservi  intatto  il  " Regolamento  degli
Oratori  festivi"  di  Don  Bosco,  quale  fu  stampato  nel  1877,  facendovi
solo  in  appendice  quelle  aggiunte  che  vi  si  ritenessero  opportune,
specialmente  per  le  sezioni  dei  giovani  più  adulti ».  Va  encomiata
la  sensibilità  dell'assemblea  di fronte  a  un  tentativo  di  riforma  in cose
sancite  da  Don  Bosco.
Il  secondo  episodio  appartiene  alla  penultima  seduta  per  una
questione  non  estranea  ai  Regolamenti,  come  a  prima  vista  po-
trebbe  sembrare.  La  sollevò  di  nuovo  Don  Rinaldi,  resosi  interprete
del  desiderio  di  molti,  che  venisse  definita  la  posizione  dei  Direttori
nelle  case  dopo  il  decreto  sulle  confessioni.  Fino  al  1901  l'essere
essi  confessori  ordinari  dei  soci  e  degli  alunni  faceva  sì  che  nel
dirigere  agissero  abitualmente  con  uno  spirito  paterno  (1).  Dopo
d'allora  invece  si  cominciava  a  osservare  che  veniva  smettendosi
il  carattere  paterno  voluto  da  Don  Bosco  ne'  suoi  Direttori  e  da
lui  insinuato  nei  Regolamento  delle  case  e  altrove;  i  Direttori  infatti
si  davano  ad  accudire  gli  affari  materiali,  disciplinari  e  scolastici,
sicché  diventavano  Rettori  e  non  più  Direttori.  « Dobbiamo  tornare,
diceva  Don  Rinaldi,  allo  spirito  e  al  concetto  di  Don  Bosco,  mani-
festatoci  specialmente  nei  " Ricordi  confidenziali "  (2)  e  nel  Rego-
lamento.  Il  Direttore  sia  sempre  Direttore  salesiano.  Eccetto  il  mi-
nistero  della  confessione,  nulla  è  mutato».
Don  Bertello  deplorò  che  i  Direttori  avessero  creduto  di  dover
lasciare  con  la  confessione  anche  la  cura  spirituale  della  casa,  de-
ci) Questo argomento è ampiamente esposto in Annali delta S. $., v, IH, pp. 170-194.
(Hi  Si  possono  legger»  in  o.  c,'\,  ì,  pp.  49-53.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // secondo  successore  di  Don  Bosco
dicandosi  ad  uffici  materiali.  « Speriamo,  disse,  che  sia  stata  cosa
di  un  momento,  Bisogna  tornare  all'ideale  di  Don  Bosco,  descrittoci
nel  Regolamento.  Si  leggano  quegli  articoli,  si  meditino  e  si  prati-
chino »  (1).  Conchiuse  Don  Albera  dicendo:  «È  questione  essen-
ziale  per  la  vita  della  nostra  Società,  che  si  conservi  lo  spirito  del
Direttore  secondo  l'ideale  di  Don  Bosco;  altrimenti  cambiamo  il
modo  di  educare  e  non  saremo  più  salesiani.  Dobbiamo  fare  di  tutto
per  conservare  lo  spirito  di  paternità,  praticando  i  ricordi  che  Don
Bosco  ci  lasciò:  essi  ci  diranno  come  bisogna  fare.  Specialmente
nei  rendiconti  noi  potremo  conoscere  i  nostri  sudditi  e  dirigerli.
Quanto  ai  giovani,  la  paternità  non  importa  earezze  o  concessioni
illimitate,  ma  l'interessarsi  di  loro^  il  dar  loro  facoltà  di  venirci  a
trovare.  Non  dimentichiamo  poi  l'importanza  del  discorsino  della
sera.  Siano  fatte  bene  e  con  cuore  le  prediche.  Facciamo  vedere  che
ci  sta  a  cuore  la  salvezza  delle  anime  e  lasciamo  ad  altri  le  parti
odiose.  Così  sarà  conservata  al  Direttore  l'aureola,  di  cui  lo  voleva
circondato  Don  Bosco».
Anche  questa  volta  i  Capitolari  trovarono  aperta  nell'Oratorio
un'Esposizione  generale  delle  Scuole  Professionali  e  Agricole  Sale-
siane,  la  terza,  che  durò  dal  3  luglio  ai  16  ottobre.  Avendo  già  de-
scritte  le  due  precedenti,  non  occorre  più  fermarci  a  ripetere  su  per
giù  le  medesime  cose  (2).  Naturalmente  l'esperienza  patssata  servì  a
una  migliore  organizzazione  della  mostra.  Prevalse  il  criterio  enun-
ciato  già  due  volte  dall'organizzatore  Don  Bertello,  che  cioè,  se-
condo  un  ordinamento  voluto  da  Don  Bosco 5   ogni  Esposizione  di
tal  genere  è  un  fatto  destinato  a  ripetersi  periodicamente  ad  am-
maestramento  e  stimolo  delle  scuole.  L'apertura  e  la  chiusura  rice-
vettero  lustro  dall'intervento  delle  autorità  cittadine  e  di  rappresen-
tanti  del  Governo.  Visitatori  non  ne  mancarono  mai,  e  fra  essi  per-
sonalità  d'alto grado  ed  anche di  vera  competenza.  Nell'ultimo  giorno
il  prof.  Piero  Gribaudi  fece  al  nuovo  Rettor  Maggiore  la  prima  pre-
sentazione  di  ex-allievi  torinesi  in  numero  di  circa  300.  Il  Deputato
Cornaggia  nel  suo  discorso  finale  pronunciò  questo  giudizio  ben
(1)  Li  citò  secondo  l'edizione  d'allora';,  nella  presente  sarebbero  i  156,  157,  158.  159,
57,  160, 91,  195.
<2)  Ann.,  v.  Ili,  pp,  452-472.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  l
degno  di  restare  (1):  «Chi  ha  avuto  occasione  di  approfondire  lo
studio  sull'ordinamento  di  queste  scuole  e  dei  concetti  che  le  ispi-
rano,  non  può  non  ammirare  la  sapienza  di  quel  Grande,  che  ha
compreso  i  bisogni  operai  nelle  condizioni  dei  tempi  nuovi,  preve-
nendo  filantropi  e  legislatori ».
Avevano  partecipato  alla  mostra  55  case  con  un  numero  com-
plessivo  di  203  scuole.  L'esame  dei  lavori  esposti  fu  affidato  a  nove
giurie  distinte,  delle  quali  fecero  parte  50  tra  i  più  insigni  profes-
sori,  artisti  e  industriali  di  Torino.  Dovendo  avere  l'Esposizione  ca-
rattere  esclusivamente  scolastico,  secondo  tale  criterio  vennero  giu-
dicati  i  lavori  e  aggiudicati  i  premi.  Questi  ultimi  furono  cospicui,
offerti  dal  Papa  (una  medaglia  d'oro),  dal  Ministero  di  Agricoltura
e  Commercio  (cinque  medaglie  d'argento),  dal  Municipio  di  Torino
(una  medaglia  d'oro  e  due  d'argento),  dal  Consorzio  agrario  di  To-
rino  (due  medaglie  d'argento),  dalla  " Pro  Torino  "  (una  medaglia
vermeil,  una  d'argento  e  due  di  bronzo),  dagli  ex-allievi  del  Circolo
"  Don  Bosco "  (una  medaglia  d'oro),  dalla  Ditta  "  Augusta "  dì  To-
rino  (lire  500  in  materiale  tipografico  da  dividersi  in  tre  premi),
dal  Capitolo  Superiore  salesiano  (corona  d'alloro  in  argento  dorato
per  il  gran  premio)  (2).
Mette  conto  riportare  gli  ultimi  periodi  della  relazione,  che  Don
Bertello  lesse  prima  che  si  proclamassero  i  premiati.  Disse:  «Circa
tre  mesi  fa,  nell'atto  d'inaugurare  la  nostra  piccola  Esposizione,  noi
abbiamo  deplorato  che  per  la  morte  del  Rev.mo  sig.  Don  Rua  fosse
mancato  Colui,  al  quale  intendevamo  di  fare  l'omaggio  dei  nostri
studi  e  dei  nostri  lavori  nel  suo  giubileo  sacerdotale.  La  Divina
Provvidenza  ci  ha  dato  un  nuovo  Superiore  e  Padre  nella  persona
del  Rev.mo  sig.  Don  Albera.  Orbene,  chiudendo  l'Esposizione,  noi
deponiamo  nelle  sue  mani  i  nostri  propositi  e  le  nostre  speranze,
sicuri  che  l'artigiano,  che  fu  già  prima  cura  del  Ven.  Don  Bosco  e
delizia  del  signor  Don  Rua,  avrà  sempre  un  posto  conveniente  nel-
l'affetto  e  nelle  sollecitudini  del  loro  Successore ».
Quello  fu  l'ultimo  trionfo  di  Don  Bertello.  Poco  più  di  un  mese
dopo,  il  20  novembre,  un  malore  improvviso  spegneva  d'un  tratto
(1)  Boll.  Sai.,  novembre  1910,  p.  332.
(Z\  he  assegnazioni  stanno  elencate  nel  citato  numero  del  Boll.  Sat.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il secondo successore di Don Bosco
un'esistenza  così  operosa.  L'ingegno  robusto,  la  soda  cultura,  la  fer-
mezza  del  carattere  e  la  bontà  dell'animo  fecero  di  lui  prima  un
saggio  Direttore  di  collegio,  poi  un  solerte  Ispettore  e  infine  per  do-
dici  anni  un  esperto  Direttore  Generale  delle  scuole  professionali  e
agricole  salesiane.  Tutto  egli  doveva,  dopo  Dio,  a  Don  Bosco,  che
l'aveva  allevato  nell'Oratorio  fin  da  piccolo  e  se  l'era  formato  a  sua
immagine  e  somiglianza.
Don  Albera  non  aveva  frapposto  il  menomo  indugio  a  com-
piere  il  gran  dovere  di  rendere  omaggio  al  Vicario  di  Gesù  Cristo,
a  Colui  che  la  Regola  chiama  « arbitro  e  supremo  Superiore »  della
Società.  Subito  il  1°  settembre  partì  per  Roma,  dove,  giunto  il  2,
trovò  già  il  biglietto  di  udienza  per  la  mattina  del  3.  Sembrò  quasi
che  Pio  X  fosse  impaziente  di  vederlo.  Dalle  labbra  del  Papa  rac-
colse  alcune  amabili  espressioni,  che  si  ripose  nel  cuore.  Ai  ringra-
ziamenti  per  l'autografo  e  la  benedizione  rispose  il  Papa  d'aver  cre-
duto  di  agire  così  per far  conoscere  quanto  gli  tornasse  gradita  l'at-
tività  mondiale  dei  Salesiani  e  soggiunse:  —  Siete  nati  ieri,  è  vero,
ma  siete  sparsi  in  tutto  il  mondo  e  dappertutto  lavorate  molto.  —
Essendo  informato  delle  vittorie  già  ottenute  nei  tribunali  contro  i
calunniatori  di Varazze  (1),  ammonì:  —• Vigilate,  perchè  altri  colpi
vi  preparano  i  vostri  nemici.  —  Finalmente,  richiesto  umilmente  di
qualche  norma  pratica  per  il  governo  della  Società,  rispose:  —  Non
vi  scostate  dagli  usi  e  dalle  tradizioni  introdotti  da  Don  Bosco  e
da  Don  Rua.
Era  già  finito  il  1910  e  Don  Albera  non  aveva  ancora  fatto  una
comunicazione  all'intera  Società.  Occupazioni  nuove  per  lui  e  inces-
santi,  massime  le  molte  conferenze  con  i  32  Ispettori,  gl'impedivano
sempre  di  raccogliersi  al  tavolino.  Solo  nella  prima  metà  di  gennaio,
come  si  rileva  dal  diario,  scrisse  le  prime  pagine  di  una  circolare,
che  doveva  riuscirgli  lunghetta.  La  spedì  con  la  data  del  25,  Scusa-
tosi  del  ritardo  a  farsi  vivo,  commemorato  Don  Rua  ed  elogiato  Don
Rinaldi  per  il  suo  buon  governo  interinale  della  Società,  si  diffon-
deva  in  particolari  notizie  sul  Capitolo  Generale,  sulla  propria  ele-
zione,  sulla  visita  al  Papa,  sulla  morte  di  Don  Bertello.  In  tutto
(1)  Ann.,  v,  III,  pp.  729-749.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  i
aveva  l'aria  di  un  padre  che  s'intrattiene  familiarmente  con  i  figli.
Li  mise  pure  a  parte  delle  sue  pene  per  i  fatti  del  Portogallo.  Spo-
destata  a  Lisbona  la  monarchia  nell'ottobre  1910,  i  rivoluzionari
avevano preso  accanitamente  di  mira  i  religiosi,  assalendoli  con  una
furia  selvaggia.  I  Salesiani  non  ebbero  a  lamentare  vittime;  tuttavia
i  confratelli  del  Pinheiro  presso  Lisbona  passarono  una  brutta  gior-
nata.  Un branco  di  energumeni  invase  e  svaligiò  quella casa, non  solo
prendendosi  ludibrio  dei  sacerdoti  e  dei  chierici,  ma  anche  profa-
nando  sacrilegamente  la  cappella  e  più  sacrilegamente  disperdendo
al  suolo  e  perfino  calpestando  le  ostie  consacrate.  Quasi  tutti  i  Sa-
lesiani  dovettero  lasciare  il  Portogallo,  rifugiandosi  nella  Spagna  o
nell'Italia.  I  rivoluzionari  ne  occuparono  le  scuole  e  i  laboratori,
donde  furono  scacciati  gli  alunni.  Anche  alle  colonie  si  estese  la
persecuzione, sicché  bisognò  abbandonare  Macao  e  Mozambico,  dove
si  faceva  gran  bene  (1).  Ma  già  allora  Don  Albera  poteva  scrivere:
« Coloro  stessi  che  ci  hanno  dispersi,  riconoscono  che  hanno  pri-
vato  il  loro  paese  dell*  uniche  scuole  professionali  che  possedesse ».
Egli,  che  tante  volte  aveva  udito  Don  Bosco  nei  primordi  della
Società  predire  il  moltiplicarsi  de'  suoi  figli  in  ogni  nazione  anche
remota,  e  vedeva  allora  avverate  mirabilmente  quelle  predizioni,
sentiva  certo  tutto  il  peso  dell'immensa  eredità  ricevuta  e  riteneva
che  per  qualche  tempo  non  fosse  da  metter  mano  a  opere  nuove,  ma
convenisse  applicarsi  a  consolidare  le  esistenti.  Stimava  quindi  do-
veroso  inculcare  la  stessa  cosa  a  tutti  i  Salesiani:  a  ottener  ciò  non
bastando  da  soli  i  Superiori,  si  raccomandava  caldamente  alla  coo-
perazione  comune.  Siccome  poi  in  quegli  anni  il  modernismo  ten-
deva  insidie  anche  alle  famiglie  religiose,  metteva  sull'avviso  i  Sa-
lesiani,  supplicandoli  a  fuggire  ogni  novità,  che  Don  Bosco  e  Don
Rua  non  avrebbero  potuto  approvare.
Insieme  con  la  circolare  inviava  pure  a  ogni  casa  un  esemplare
delle  circolari  di  Don  Rua,  che  dal  letto  di  morte  aveva  dato  a  lui
l'incarico  di  raccoglierle  in  un  volume.  Il  lavoro  tipografico  era  già
terminato  da  circa  due  mesi;  infatti  la  pubblicazione  recava  in
fronte  una  lettera  di  Don  Albera  con  la  data  dell'8  dicembre  1910.
(1)  Cfr.  Ann.,. V.  HI,  pp.  606  e  622-4.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il secondo successore di Don Bosco
Per  il  vicino  anniversario  della  morte  di  Don  Bosco  inviava  dunque
alle  case  un  doppio  regalo,  la  circolare  e  il  libro.  A  questo  secondo
egli  teneva  in  modo  speciale,  perchè  sapeva  di  offrire  in  esso  un
gran  tesoro  di  ascetica  e  di  pedagogia  salesiana.  Le  tracce  di  Don
Rua  egli  si  era  proposto  di  seguire,  prefìggendosi  specialmente  d'i-
mitarne  la  carità  e  lo  zelo  nel  procurare  il  bene  spirituale  di  tutti
i  Salesiani.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  II
Quinto  Congresso  nazionale  degli  Oratori  festivi  e  delle  scuole
di  religione,  e  primo  Congresso  internazionale  degli  ex-allievi.
Due  fatti,  che  sul  principio  del  Rettorato  di  Don  Albera  ebbero
larga  risonanza,  furono  il  Quinto  Congresso  nazionale  degli  Oratori  fe-
stivi  e  delle  scuole  di  religione,  terzo  organizzato  dai  Salesiani  (1),  e
il  Primo  Congresso  internazionale  degli  ex-allievi.  Congressi  di  que-
sto  genere,  mentre  chiudono  un  periodo  di  attività,  ne  aprono  un
altro che, raccogliendo i  frutti  dell'esperienza, si  svolgerà più  fecondo
di  bene.  È  quello  che  si  verificò  nei  due  casi,  dei  quali  vogliamo
trattare.
Don  Albera,  in  una  lettera  circolare  del  31  maggio  1913,  si  di-
ceva  sommamente  lieto,  che  il  primo  Congresso  da  lui  presieduto,
quale  Rettor  Maggiore,  fosse  stato  un  Congresso  degli  oratori  festivi
e  delle  scuole  di  religione,  parendogli  felice  auspicio  del  suo  go-
verno  il  dover  prendere  in  mano  ìa  Magna  Charta  della  Congrega-
zione  per farla  applicare  in  tutta  la  sua  ampiezza;  dichiarava  inoltre
d'aver  compreso  una  volta  più  in  quelle  adunanze  la  portata  del-
l'Opera  prediletta  da  Don  Bosco  e  il  lungo  cammino  che  restava  an-
cora  da  compiere  per  raggiungere  la  mèta  intraveduta  dal  Servo
di  Dio  ne'  suoi  sogni,  vale  a  dire  la  salvezza  della  gioventù  di  tutto
il  mondo  per  mezzo  dell'Oratorio  festivo.
(1)  Degli  altri  due  uno  fu  tenuto  a  Torino  nel  19(12  e  l'altro  a  Faenza  nel  1906.  Il  primo
di  tutti  si  ero  tenuto  a  Brescia  (1895)  e  il  quarto  a  Milano  (1909)j  per  iniziativa  quello  dei
Padri  Filippini  e  questo  del  Card.  Ferrari.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto  Congresso  naz.  degli  OnMori  festivi' e  delle  scuole  di  religione,  ecc.
Questo  Congresso  venne  inserito  opportunamente  nella  serie  di
omaggi  da  tributarsi  all'Arcivescovo  Card.  Richelmy  per  il  suo  giu-
bileo  episcopale.  lì  degno  Porporato  ne  accettò  la  presidenza  ono-
raria,  mentre  Don  Albera  ne  assunse  l'effettiva,  coadiuvato  da  di-
stinti  ecclesiastici  di  Torino  e  di  altre  parti.  Anima  di  tutto  e  di  tutti
fu,  come  sempre,  Don  Stefano  Trione.  I  lavori  si  svolsero  nell'Ora-
torio  di  Valdocco  il  17  e  18  maggio  1911.  Vi  parteciparono  parecchi
Vescovi  e  intervennero  sacerdoti  e  laici  numerosi,  autorevoli  e  illu-
minati;  mandarono  le  loro  adesioni  quasi  tutti  i  Vescovi  d'Italia,
compresi  cinque  Arcivescovi  Cardinali.  Il  Papa  per  mezzo  del  Se-
gretario  di  Stato  Card.  Merry  del  Val  inviò  la  sua  benedizione  con
l'augurio  che  il  Congresso  riuscisse  « fecondo  di  salutari  e  pratiche
iniziative ».
Si  lavorò  di buona  lena  in  particolari  adunanze  di  ben  sette  se-
zioni,  dov'erano  sviscerati  i  singoli  temi  in  base  a  relazioni  affidate
molto  prima  a  persone  competenti  e  si  formulavano  le  conclusioni
da  presentare  alle  adunanze  plenarie  per  l'esame  definitivo  e  l'ap-
provazione.  L'importanza  degli  argomenti  trattati  balza  fuori  dalla
semplice  elencazione  dei  titoli:  1,  Organizzazione  interna  e  forma-
zione  del  personale.  2.  Spirito,  pratiche  di  pietà  e  funzioni  religiose.
3.  Insegnamento  del  catechismo,  gare  e  prediche.  4.  Sport,  musica  e
drammatica.  5.  Educazione  sociale,  risparmio  e  previdenza.  6.  Ora-
tori  femminili.  7.  Scuole  di  religione,  Le  proposte  approvate  conte-
nevano  direttive  sapienti  e  in  parte  nuove,  richieste  dall'evoluzione
sociale.  Vi si  tenne  conto  pure  di quanto  erasi  deliberato  nei  quattro
Congressi  precedenti.  Nel  loro  complesso  si  può  dire  che  costitui-
scono  ancora  il  Vade  mecum  per  coloro,  che  intendono  consacrare
i!  proprio  apostolato  agli  Oratori  festivi  e  alle  scuole  di  religione.
Per  dare  maggior  impulso  a  quest'opera  santa  e  urgente,  Don
Albera  fece  compilare  uno  studio  particolareggiato  intorno  alle  de-
liberazioni  del  Congresso,  sobbarcandosi  alla  non  tenue  spesa  di
stampa  e  di  gratuita  spedizione  non  solo  alle  case  salesiane,  ma
anche  a  tutti  i  Vescovi  e  i  Parroci  d'Italia.  Ne  risultò  un  elegante
fascicolo  di  gran  formato,  che  oltre  al  succinto  resoconto  delle  di-
scussioni  racchiude  più  cose  di  rilievo,  come  studi,  norme  e  schemi
generali  per  gli  Oratori  moderni  con  programma  minimo,  medio  e
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  II
massimo  secondo  il  concetto  di  Don  Bosco  e  per  le  molteplici  opere
annesse  di  cultura  e  di  divertimento.  Essendosi  nella  prima  sezione
accennato  alla  convenienza  che  sì  pubblicassero  gli  statuti  di  vari
Oratori  d'Italia,  affinchè  servissero  d'indirizzo  nella  fondazione  di
nuovi,  si  offersero  ivi  notizie  sull'organismo  e  sul  regolamento  degli
Oratori  Filippini,  sull'organismo  e  scopo  degli  Oratori  milanesi  d'i-
stituzione  Borromea,  sulle  regole  comuni  delle  Congregazioni  Ma-
riane  erette  nelle  case  e  chiese  della  Compagnia  di  Gesù  e  sulle  re-
gole  dettate  da  S.  Francesco  di  Sales  intorno al  modo  dì fare  il  cate-
chismo.   ( Vengono  da  ultimo  due  parti  notevoli, una  sugli  Oratori  fem-
minili  e  l'altra  sulle  scuole  di  religione.  La  succosa  monografia  non
ha  perduto  ancora  nulla  della  sua  attualità.  Pio  X,  presane  cono-
scenza,  scrisse  di  suo  pugno  parole  di  cordiale  benedizione  e  au-
gurio  (1).
Nella  citata  circolare  Don  Albera  si  compiaceva  di  veder  avve-
rarsi  il  desiderio  espresso  nell'autografo  pontifìcio.  Numerosi  Ora-
tori  festivi  si  erigevano  nelle  parrocchie  delle  città  e  dei  paesi  non
solo  d'Italia,  ma  anche  di  altre  nazioni,  insegnandovisi  costante-
mente  la  dottrina  cristiana;  donde  pigliava  animò  a  esortare  i  Sa-
lesiani,  affinchè  perseverassero  dal  canto  loro  in  quest'opera  salu-
tare,  anzi  facessero  ancora  di  più.  Il  risveglio  iniziatosi  allora  non
fu  fuoco  di  paglia,  come  egli  stesso  ebbe  occasione  di  rilevare  a  più
riprese  in  seguito.
Il  primo  Congresso  internazionale  degli  ex-allievi  salesiani  o
di  Don  Bosco,  come  si  prese  a  chiamarli  tutti  indistintamente,  si  ha
da  considerare  vero  avvenimento  storico,  non  solo  nell'ambito  del-
l'attività  salesiana,  ma  anche  in  più  ampia  sfera,  perchè  Congressi
di  tal  natura  non  se  n'erano  mai  fatti  e  neppure  immaginati  prima
di  quello;  possiamo  anzi  aggiungere  che  finora  l'esempio  non  ha
avuto  imitatori.
Ideato  dal  Prefetto  Generale  Don Rinaldi,  approvato  da  Don Rua,
non  potè  essere  indetto  se  non  nel  1911  dal  secondo  successore  di
Don  Bosco.
L'idea  non  nacque  come  un  fungo,  ma  fu  il  risultato  spontaneo
di  un  lungo  lavorìo  sporadico,  che  concentratosi  a  poco  a  poco,  finì
<t)  Boll.  Sai.,  gennaio  1912,  p.  1.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto  Congresso  naz.  degli  Oratori  festivi  e  delle  scuole  di  religione,  ecc.
con  dar  origine  al  disegno  di  un  internazionale  convegno.  Il  remoto
punto  di  partenza  risale  al  1870,  quando  si  costituì  una  Commis-
sione  di  ex-allievi  dell'Oratorio,  che  si  assunse  l'incarico  di  pro-
muovere  ogni  anno  una  dimostrazione  filiale  a  Don  Bosco.  Quella
fu  la  prima  Unione  di  ex-allievi.  Una  seconda  aspettò  a  sorgere
fino  al  1896,  formatasi  a  Parma  attorno  a  Don  Baratta  e  sotto  la
presidenza  di  Giuseppe  Micheli,  deputato  al  Parlamento.  Imitarono
l'esempio  gli  ex-allievi  di  Faenza,  di  Buenos  Aires,  di  Milano  e  di
tanti  altri  luoghi,  dove  i  figli  di  Don  Bosco  lavoravano  a  prò  della
gioventù.  Un  comune  pensiero  dava  vita  a  tutte  le  Unioni,  ma  fecero
ognuna  da  sé  fino  al  1908,  nel  qual  anno  spuntò  a  Torino  l'intra-
prendente  Circolo  "  Giovanni Bosco  ",  che  si  componeva  di  ex-allievi
dimoranti  in  città  e  aveva  sede  fuori  dell'Oratorio,  svolgendo  a
vantaggio  dei  soci  azione  cristiana  e  sociale.  Questo  Circolo,  d'ac-
cordo  con  là  detta  Commissione  dell'Oratorio,  accolse  e  lanciò  l'i-
dea  di  una  Federazione  di  tutte  le  Unioni  sparse  nel  mondo.  La  cosa
maturò  a  segno,  che  nel  luglio  1909  il  Circolo  propose  uno  Statuto
di  Federazione  internazionale.  Lo  Statuto  fu  accettato,  sicché  in
breve  raggruppò  un  centinaio  di  Associazioni.  Poco  ormai  ci  voleva
per  addivenire  alla  proposta  di  un  Congresso  internazionale,  E  la
proposta  fu  messa  in  campo  e  incontrò  subito  generali  e  fervide  ac-
coglienze,  che  stimolarono  a  preparare  senza  indugio  quella  manife-
stazione  mondiale.
Il  Congresso  si  sarebbe  dovuto  tenere  nel  1910  durante  gli  spe-
rati  festeggiamenti  per  il  giubileo  sacerdotale  di  Don  Rua;  ma,  es-
sendo  per  divina  disposizione  venuto  a  mancare  il  festeggiando,
fu  rimandato  all'anno  seguente  e  fissato  dall'8  al  10  settembre.  &
notevole  la  presentazione  che  circa  due  mesi  avanti  un  giornale  li-
berale  ne  faceva  in  questi  termini  a'  suoi  lettori  (1):  «Questo  Con-
gresso  rappresenta  un  fatto  nuovo  nella  storia  della  pedagogia:  esso
vuole  costituire  una  solenne  dimostrazione  di  gratitudine  degli  edu-
cati  ai  loro  educatori.  Si  ebbero  altra  volta  dimostrazioni  parziali
verso  qualche  singolo  Collegio:  mai  una  manifestazione,  come  que-
sta,  internazionale,  che  raccoglierà  nella  città  ove  Don  Bosco  iniziò
con  umiltà  di  cuore,  ma  con  immenso  fervore  di  fede,  con  infinita
(1)  La  Stampa,  16  tuglìo  1911.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  li
ansietà  di  speranza,  l'opera  sua  meravigliosamente  civile,  un'im-
mensa  falange  di  coloro  che,  in  tutto  il  mondo,  nelle  contrade  civili
e  nelle  contrade  barbare,  da  quest'opera  trassero  i  benefìci  inesti-
mabili  d'una  coscienza  morale,  d'una  cultura  pratica,  d'una  ope-
rosità  fattiva ».  Si  deve  aggiungere  che  il  « fatto  nuovo  nella  storia
della  pedagogia»  non  era  tutto  nella  «solenne  dimostrazione  di
gratitudine »,  ma  includeva pure  il  solenne riconoscimento  d'un  pen-
siero  di  Don  Bosco,  non  essere cioè  finita  l'opera  educativa  col  unire
degli  anni  passati  nella  scuola  e  nel  collegio.  Del  pensiero  di  Don
Bosco  si  era  fatto  bellamente  interprete  Don  Rua,  scrivendo  il  20
gennaio  1900  ai  Salesiani:  «Con  queste  associazioni  si  continua  a
fare  da  angeli  custodi  ai  nostri  alunni,  come  l'abbiamo  fatto  a  loro
giovanetti ».
Il  programma  del  Congresso  non  differiva  sostanzialmente  dal
programma  delia  Federazione.  Si  può  riassumere  così:  stringere
tra  gli  ex-allievi  vincoli  di  fratellanza  allo  scopo  di  agevolare  la
reciproca  conoscenza  per  meglio  conservare  i  frutti  della  ricevuta
educazione  e  facilitare  il  mutuo  soccorso;  studiare  il  modo  di  dif-
fondere  nella  famiglia  e  nella  società  lo  spirito  di  Don  Bosco,  spe-
cialmente  per  la  religiosa  e  civile  educazione  della  gioventù;  come
promuovere  e  attuare  iniziative  private  e  pubbliche  miranti  al  so-
stegno  e,  occorrendo,  alla  difesa  delle  molteplici  opere  di  assistenza
e  previdenza  religiosa  e  sociale  suscitate  nel  nome  di  Don  Bosco.
Si  trattava  allora  di  dare  a  questo  programma  uno  svolgimento  inte-
grale  e  uniforme.
La  preparazione  era  cominciata  da  molto  tempo.  Essa  consi-
stette  in  quell'insieme  di  mezzi  e  di  metodi  che  a  Bologna  nel  1895
avevano  fatto  la  fortuna  del  primo  Congresso  dei  Cooperatori,  ag-
giunte  le  esperienze  raccolte  in  Congressi  successivi;  di  quello  e  di
questi  si  parla  nei  due  precedenti  volumi  degli  Annali.  L'organizza-
zione  non  sarebbe  potuta  essere  più  completa  in  ogni  minima  parte.
Agevolarono  l'intervento  le  facilitazioni  ferroviarie,  marittime  e  di
soggiorno  concesse  per  le  Esposizioni  internazionali,  che  si  tene-
vano  a  Torino,  a  Roma  e  a  Firenze  per  il  cinquantenario  della  pro-
clamazione  del  Regno  d'Italia.  Si  era  temuto  ch«  l'Esposizione  to-
rinese  distraesse  i  congressisti;  invece  la  loro  ammirabile  assiduità
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fornì  una prova  eloquente  del  loro  amore  a  Don Bosco  e a'  suoi  figli,
per  i  quali  erano  venuti.  Don  Rinaldi,  che  senza  parere  poteva  dirsi
«l'anima  ispiratrice  e  direttrice»  di  tutto  (1),  aveva  esortato  in  ,
nome  di  Don Albera  i  Direttori  a  mandare  da  ogni casa  qualche  rap-
presentante,  esprimendo  la  fiducia  che  il  Congresso  fossa  anche  un
solenne  attestato  postumo  alla  venerata  memoria  di  Don  Rua,  il
quale  si  era  ripromessa  la  consolazione  di  potersi  trovare  in  mezzo
a  tanti  cari  amici  (2).  La  sua  fiducia  non  andò  delusa;  alla  notizia
del  Congresso  innumerevoli  ex-allievi  di  tutte  le  parti  si  affretta-
rono  a  manifestare  la  loro  gioia  di  poter  aderire  personalmente  al-
l'invito  diramato  dalla  Commissione  Provvisoria  o  il  dispiacere  di
doverlo  fare  cordialmente  solo  in  ispirilo.
Quale  sede  più  adatta  al  Congresso  che  l'Oratorio  di  Valdocco,
già  campo  delle  epiche  lotte  di  Don  Bosco  e  poi  quartiere  generale
delle  sue  opere,  all'ombra  del  Santuario  di  Maria  Ausiliatrice,  la
celeste ispiratrice e protettrice  amorosa delle istituzioni  salesiane?  Qui
convennero  i  congressisti  in  numero  superiore  al  migliaio  delle  tes-
sere  preparate.  Nella  moltitudine  spiccavano  le  vesti  talari;  ma  l'e-
lemento  predominante  si  componeva  di  laici  d'ogni  condizione.  Il
giornale  liberale  citato  pocanzi  rilevava  (3):  «Nessun  Congresso
ebbe mai,  per  quanto  noi  sappiamo,  le  caratteristiche  di  questo;  ca-
ratteristiche  schiette  e  imponenti  di  vastità  e  di  semplicità.  Tutte
le  categorie  e  tutte  le  classi  sociali  sono  in  esso  ampiamente  rap-
presentate:  dai  più  alti  Ordini  ecclesiastici  alle  più  umili  attività
manuali,  dall'intellettualità  professionistica  nazionale  alle  energie
operanti  nei  lontani  paesi  ultramontani  e  oltreoceanìci.  Difatti  sono
giunti  già  a  Torino,  per  partecipare  ai  lavori  di  questo  Congresso,
animato  da  un vero,  da  un  profondo,  da  un  beninteso  spirito  di  de-
mocrazia,  monsignor  Pasquale  Morganti,  Arcivescovo  di  Ravenna,
già  allievo  di  Don  Bosco,  i  delegati  di  Marsiglia,  di  Lilla,  di  La
Piata nell'Argentina,  di Alessandria d'Egitto,  del  Veneto,  della  Sicilia,
della  Liguria,  di  Roma,  di  Gorizia,  del  Belgio ».  In  questa  rassegna
affrettata  manca  il  più  delle  nazioni.  Molto  bene  il  prof.  Gribaudi,
(1)  II  Momento,  10  settembre  1911.
(2)  Ciré,  men,  tic)  Cap,  Sup.,  24  giugno  1911.
(3)  La  Slampa,  9  seUcml>re  1911.
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presidente  del  Circolo  " Don  Bosco  "  e  del  Comitato  esecutivo,  nel
saluto  augurale  disse:  —  Rientrando  nella  casa  di  Don  Bosco,  tutti
gli  ex-allievi  hanno  dimenticato  i  loro  titoli  e  i  loro  gradi  per  non
essere  che  gli  amici di  un  tempo,  i  fratelli  dispersi,  che  ritornano  vo-
lentieri  all'antico  asilo.  — Veramente  nella  loro  grande  maggioranza
i  presenti  non  erano  stati  alunni  dell'Oratorio;  ma  come  ogni  casa
salesiana  è  una  casa  di  Don  Bosco,  così  l'Oratorio  è  la  casa  comune
di  tutti  gli  alunni  di  Don  Bosco.  Qui  dunque,  nella  casa  del  Padre,
si  raccoglievano  tutti  da  tutte  le  parti  a  rivivere  insieme  la  lontana
adolescenza  studiosa  od  opei'osa.
Le  adunanze  si  tennero  nel  teatro,  elegantemente  addobbato.
La vasta  aula  si  popolava  ogni  volta  di  un  pubblico fittissimo.  In  alto,
sulla  fronte  spaziosa  che  dominava  il  palco  d'onore,  tutti  potevano
leggere  il primo verso dell'inno a Don Bosco (1), musicato  dal Maestro
Pagella  su  parole  del  suo  confratello  Don  Ruffino:  inno  cantato  e
ricantato  con  sempre  rinnovato  entusiasmo  da  mille  voci,  anzi  da
mille  anime  durante  i  tre  giorni  del  Congresso.  Avrebbe  dovuto
presiedere  l'onorevole  Micheli,  ma,  essendo  scoppiato  all'improv-
viso  il  colera  nel  suo  collegio  elettorale,  stimò  suo  dovere  di  rappre-
sentante  della  nazione  rimanersi  tra  i  colpiti.  La  presidenza  veniva
quindi  assunta  da  altri,  sempre  però  in  nome  di  lui  e  in  sua  vece.
Lunghe,  animate  e  ordinatissime  si  svolsero  le  discussioni  in
quattro  sedute  generali.  A  quella  inaugurale  precedette  una  novità.
Entrarono  primi  e  soli  nell'aula  i  delegati  di  venti  nazioni  per  la
presentazione  di  una  pregiudiziale,  se  cioè  secondo  il  loro  modo  di
vedere  nulla  ostasse  alla  discussione  dei  tre  temi  stabiliti  dal  Co-
mitato  Esecutivo  e  ai  voti  formulati  intorno  ad  essi  dai  rispettivi
relatori.  Avutone  il  pieno  assenso,  le  porte  vennero  aperte  a  tutti.
Riassumendo  in  breve,  diremo  che  trionfarono  dal  principio
alla  fine  gli  ideali  di  Don  Bosco  nell'azione  educativa  per  la  forma-
zione  delle coscienze cristiane  e per  la soluzione pratica  della questio-
ne sociale.  Coincidenza singolare !  Nel  giorno  in cui  il  Congresso  sale-
siano  si  apriva,  se  ne  chiudeva  a  Torino  un  altro  dell'Unione  Ma-
gistrale  con  programma  di  sovversivo  anticlericalismo  scolastico.
(1)  «  Cantiam  di  Don  Bosco,  fratelli,  le  glorie  ».
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Alla  pedagogia  anticristiana  di  quegli  insegnanti  gli  ex-allievi  di
Don  Bosco  venivano  a  contropporre  senza  volerlo  un'eloquente  di-
fesa  non  solo  a  parole,  ma  a  fatti  dell'insegnamento  cattolico.  Nes-
suno  tuttavia  pensò  a  far  polemiche;  piacque  a  tutti  udir  Don  Al-
bera  definire  con  felice  espressione  il  Congresso  l'abbraccio  della
beneficenza  e  della  gratitudine.  A  questo  proposito  il  secondo  dei
tre  relatori,  Don  Annibale  Giordani  di  Portogruaro,  ex-allievo  del-
l'Oratorio,  fece  notare:  «La  gratitudine  è  la  prova  più  bella  di
una  educazione  riuscita.  Ora,  mentre  fuori  di  qui  professori  e  pre-
sidi  devono  temere  manifestazioni  brutali  di  loro  discepoli,  qui
spunta  il  flore  dell'affetto  e  della  riconoscenza.  Noi  non  siamo  che
piccola  rappresentanza  d'una  moltitudine  immensa  di  cuori,  che
in  questo  momento  sono  qui  con  lo  spirito,  se  mancano  di  persona;
e  sono  qui  per  ripetere  il  nostro  medesimo  cantico  di  riconoscenza
e  d'amore ».
Tre  ordini  di  idee  formarono  oggetto  di  discussione  e  di  co-
mune  inlesa,  come  dicevamo  sopra:  unione,  spirito  di  Don  Bosco,
azione.  Entusiasmo,  alacrità,  ardore  animarono  continuamente  le
discussioni.  Lo  slancio  dei  giovani,  lo  zelo  dei  più  attempati,  la  buò-
na  volontà  di  tutti  contribuirono  a  rendere  le  adunanze  varie,  vi-
vaci,  serene  e  piene  d'interesse.
Unione.  Promuovere  convegni  locali,  regionali,  nazionali,  inter-
nazionali  e  diimostrazioni  e  omaggi  all'Opera  di  Don  Bosco  e  spe-
cialmente  agli  antichi  Superiori;  diffondere  la  conoscenza  della
Federazione,  de'  suoi  atti  e  di  quelli  delle  Società  federate  per
mezzo  della  stampa  quotidiana  e  periodica;  scambiarsi  fra  le  Unioni
le  proprie  circolari,  1  fogli  volanti  o  periodici  che  venissero  pubbli-
cati;  istituire  presso  ogni  Associazione  di  ex-allievi  uno  speciale
comitato,  al  quale  i  Direttori  dei  collegi  salesiani  possano  indiriz-
zare  i  giovani  che  escono  dagli  istituti,  sia  perchè  vengano  iscritti
alle  singole  Associazioni,  sia  per  eventuale  aiuto;  introdurre  una
tessera  di  riconoscimento  per  il  caso  dì  passaggio  da  una  località
o  da  una  regione  o  da  una  nazione  all'altra.
Spirito  di  Don  Bosco.  Secondo  la  posizione  sociale  di  padri  di
famiglia,  educatori,  pubblici  amministratori,  ecc.,  attendere  seria-
mente  alla  formazione  di  una  retta  e  illuminata  coscienza  religiosa
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  II
e  civile  della  gioventù  dipendente,  basando  l'opera  educatrice  sulla
pratica  della  religione,  la  ragione  e  l'amorevolezza  e  confortandola
con  l'efficacia  del  quotidiano  esempio  nella  vita  privata  e  pubblica;
leggere  e  diffondere  gli  scritti  educativi  di  Don  Bosco,  le  pubblica-
zioni  e  i  periodici  che  vanno  illustrando  il  pensiero  religioso,  pe-
dagogico  e  sociale  di  Lui  in  armonia  con  le  nuove  esigenze  sociali;
richiamare  frequentemente  nella  stampa  e  nelle  conferenze  l'atten-
zione  del  pubblico  e  guadagnare  il  favore  dei  dotti  alla  grandezza
e  praticità  dello  spirito  educativo  di  Don  Bosco,  mediante  opuscoli
popolari  e  scientifici,  articoli  illustrati  nelle  riviste  più  accreditate
e  nei  più  diffusi  giornali  e  partecipando  assiduamente  ai  congressi,
convegni  e  adunanze  d'indole  sociale  e  pedagogica.
Azione.  Iscriversi  nell'Unione  dei  Cooperatori  Salesiani,  leg-
gere  e  diffondere  il  Ballettino  Salesiano  pubblicalo  in  nove  lin-
gue  e  inviare  alla  Direzione  generale  di  Torino  i  nomi  e  l'indirizzo
delle  persone,  alle  quali  si  possano  far  conoscere  le  Opere  di  Don
Bosco, e rendersele benevoli;  rispondere  volentieri  agli  appelli  della
direzione  generale  dei  Cooperatori  e  a  quelli  degli  Ispettori  e  di-
rettori,  appelli  che  soglionsi  pubblicare  per  speciali  bisogni  gene-
rali,  regionali  e  locali;  con  la  stampa,  le  conferenze  e  le  conversa-
zioni  procurar  di  conciliare  all'Opera  di  Don  Bosco  la  pubblica
e  privata  stima  e benevolenza,  facendone  conoscere le  varie  ed  alte
benemerenze  religiose,  sociali,  patriottiche,  scientifiche  e  filantro-
piche;  favorire  moralmente  e  materialmente  i  collegi,  gli  oratori
festivi  e  ìe  istituzioni  giovanili  dei  Salesiani  e  farsi  promotori  di
quelle  opere  moderne  di  assistenza  professionale  e  sociale  che  mi-
rano  a  completare  l'azione  degli  oratori  festivi  e  delle  scuole  pro-
fessionali;  indicare  ai  Salesiani  i  nuovi  bisogni  sociali,  special-
mente  per  l'assistenza  morale  ed  economica  della  gioventù  in  ge-
nerale e  quelli  che  si  manifestano  in  determinati  momenti  e  paesi,
suggerendo  pure  i  mezzi  per  attuare  le  opere  corrispondenti  a
tali  necessità;  informare  prontamente  i  Superiori  locali  e  la  Dire-
zione  generale  di  Torino  degli  attacchi,  delle  accuse  o  minacce  di
qualsiasi  genere contro  le  opere  di  Don  Bosco,  dando  e  raccoglien-
do  consigli,  indicazioni  e  documenti  per  sollecite  ed  efficaci  difese
e  riparazioni.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto  Congresso  naz.  degli  Oratori  festivi  e  delle  scuole  di  religione,  ecc.
Il  Congresso  aderì  a  due  voti  e  acclamò  due  proposte.  I  Sale-
siani  dell'Argentina  avevano  intenzione  di  umiliare  alla  Santa  Sede
una  supplica,  che  venisse  istituito  il  processo  dì  beatificazione  e
canonizzazione  del  giovane  patagone  Zeflrino  Namuncura,  figlio  di
un  famoso  cacico  e  allievo  di  collegi  salesiani,  morto  in  concetto
di  santità.  Avutasi  al  Congresso  notizia  della  cosa,  il  vicepresidente
Poesio  propose  un  plauso  ai  Salesiani  argentini,  die,  dopo  aver
educato  il  bel  fiore  del  deserto,  desideravano  vederlo  collocato  sul-
l'altare,  e  invitò  i  congressisti  a  far  voti  che  l'Autorità  Ecclesia-
stica  accogliesse  una  proposta  atta  a  dimostrare  una  volta  di  più
come  la  Chiesa  sia  sempre  cìrcumdata  varietate.  Gli  si  rispose  con
un  caloroso  applauso.  Quando  poi  Don  Trione  chiese  che  si  appro-
vasse  una  postulatoria  per  raccomandare  alla  Santa  Sede  l'intro-
duzione  della  causa  dell'altro  ex-allievo  Domenico  Savio,  non  isfug-
gi  a  nessuno  l'incontro  di  due  simili  estremi  geografici  ed  etnici
nel  mondo  degli  ex-allievi  di  Don  Bosco.  Oggi  il  processo  di  Ze-
flrino  Namuncura  è  bene  avviato;  giunto  alla  beatificazione  è  quello
di  Domenico  Savio.
II  secondo  voto  venne  enunciato  da  Mons.  Morganti.  Approssi-
mandosi  il  primo  centenario,  dacché  era  stata  istituita  la  festa  di
Maria  Ausiliatrice,  egli  si  augurava  che  tale  ricorrenza  fosse  resa
più  solenne  dall'inserzione  di  detta  festa  nel  Calendario  della  Chiesa
universale;  perciò  i  Vescovi  e  Prelati  ex-allievi,  associandosi  i  Ve-
scovi  salesiani  e  costituendosi  in  Commissione,  raccogìiessero  com-
mendatizie  da  presentare  alla  Santa  Sede  per  ottenere  quella  gra-
zia.  Il  Congresso  afferrò  subito  tutta  l'importanza  del  nuovo  omag-
gio  da  rendere  alla  Madonna  di  Don  Bosco  e  aderì  con  un  cuor  solo
al  pensiero  dell'Arcivescovo  di  Ravenna.  Passi  ne  furono  fatti  d'al-
lora  in  poi  per  conseguire  l'intento.  Le  feste  del  1915  vennero  distur-
bate  dalla  guerra  mondiaile  e  si  ripigliarono  appresso  quelle  pra-
tiche  da  Don  Rinaldi,  che  molto  probabilmente  era  stato  anche  in
questo  l'ispiratore.  Fino  al  presente  tuttavia  Roma  non  ha  parlato;
si  ha  per  altro  fiducia  in  un  non  lontano  avvenire.
Delle  proposte  una  fu  inviata  dall'onorevole  Micheli.  Mentre
lo  si  aspettava  ancor  sempre  alla  presidenza  del  Congresso,  mandò
nella  seconda  giornata,  da  Castelnuovo  Monti  in  provincia  di  Reg-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  li
gio  Emilia,  la  seguente  comunicazione:  « Da  vari  giorni  ho  assunto
la  direzione  dei  soccorsi  nell'epidemia  diffusa  già  in  tre  frazioni;
pure  desiderosissimo  trovarmi  con  tanti  antichi  amici,  non  posso
muovermi.  Comunichi  ai  congressisti  il  mio  fraterno  saluto  e  il  voto
ardente  che  il  Congresso  deliberi  di  celebrare  il  prossimo  cente-
nario  della  nascita  di  Don  Bosco  con  l'erezione  di  un  monumento
nella  piazza  di  Maria  Ausiliatrice,  costituendo  un  Comitato  inter-
nazionale  di  ex-allievi,  associandovi  i  nomi  dei  più  illustri  Coo-
peratori  Salesiani  del  mondo ».  Il  vicepresidente  Poesie,  sciolto  un
inno  alato  al  generoso  ex-allievo  del  collegio  di  Alassio,  accolse  fra
le  acclamazioni  dell'assemblea  la  magnifica  proposta.  Ne  dovremo
riparlare  più  avanti.
Da  molto  più  lontano  giungeva  l'altra  proposta,  meno  gran-
diosa,  ma  non  priva  di  valore.  Una  lettera  dell'Associazione  degli
ex-alìievi  di  Rio  de  Janeiro,  accompagnata  da  un'offerta,  faceva  ri-
levare  l'opportunità  che  venisse  collocata  una  lapide  commemo-
rativa  del  Congresso  presso  la  tomba  di  Don  Bosco  a  Valsaìice.
Accolta  favorevolmente  l'idea,  due  membri  del  Comitato  esecutivo
in  fin  di  seduta  si  fecero  trovare  alla  porta  per  raccogliere  a  tale
scopo  le  offerte.  Il  rappresentante  della  Bolivia,  lo  scultore  Um-
berto  Beltran, si  offrì  di  eseguire  il  lavoro.  Mancava  solo  l'iscrizione;
a  dettarla  il  Gribaudi,  seduta  stante,  invitò  fra  gli  applausi  Don
Francesia.  Ma  la  faccenda  di  questa  lapide  andò  per  le  lunghe.
Fu  inaugurata  solennemente  dal  Circolo  " Giovanni  Bosco "  il
7  dicembre  1913.
L'uomo  è  composto  di  anima  e  di  corpo.  L'anima  si  effondeva
nel  Congresso  e  si  elevava  nel  santuario;  si  volle  pur  dare  al  corpo
qualche  contentino.  Il  Comitato  Esecutivo  offerse  nel  secondo  gior-
no  una  colazione  intima  a  tutti  i  rappresentanti  esteri  e  ai  delegati
di  Associazioni.  Centoventi  commensali  trascorsero  due  ore  di  gio-
condità  fraterna  nel  Ristorante  Gambrinus,  facendo  corona  a  Don
Albera.  Con  il  buon  nutrimento  fisico  andava  associato  il  pascolo
più  gradito  dei  ricordi  di  Don  Bosco,  di  Don  Rua  e  della  vita  col-
legiale  vissuta  in  tanti  paesi  diversi.  Al  momento  dei  brìndisi  suc-
cedette  una  gara  a  chi  portasse  nella  propria  lingua  la  parola  più
alta  dell'affettuosa  riconoscenza.  Infine  un  paterno  discorsetto  di
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto  Congresso  naz.  degli  Oratori  festivi  e  delle  scuole  dì  religione,  ecc.
Don  Albera  chiuse  la  serie;  furono  pochi  e  brevi  periodi,  che,  sgor-
gati  dal  cuore,  andarono  ai  cuori.
Il  giorno  seguente  Don  Albera  volle  a  banchetto  intorno  a  sé
tutti  gli  ex-allievi  prima  di  accomiatarli.  Un  ampio  cortile,  coperto
e  mutato  in  bella  galleria,  contenne  le  tavole  ordinatamente  im-
bandite  per  oltre  800  commensali.  Durante  la  straordinaria  agape
la  musica  strumentale  sotto  la  direzione  dell'insigne  maestro  Do-
gliani  rallegrava  con  liete  sonate  le  mense.  Era  stupefacente  vedere
l'ordine,  l'esattezza  del  servizio  e  la  tranquilla  soddisfazione  che
regnava  tra  tante  centinaia  di  persone  diverse  per  età,  condizione
e  patria.  Prestavano  servizio  i  non  pochi  coadiutori  dell'Oratorio.
Un  giornale  faceva  su  di  essi  un'osservazione  che  non  deve  dile-
guarsi  con  il  folìum,  quod  vento  rapìiur,  perchè  potrà  col  tempo
diventare  un  bel  documento.  Scriveva  (1):  «Sono  quasi  tutti  mae-
stri  d'arte,  quelli  stessi  che  a  gran  parte  degli  ex-allievi  presenti
hanno  insegnato  il  primi  rudimenti  dell'arte,  hanno  dato  loro  il
mezzo  di  guadagnarsi  il  pane  per  l'esistenza  e  che  ora  sono  felici
di  trovarsi  nuovamente  a  contatto  con  gli  allievi  di  ieri.  E  che  ca-
merieri  ideali  sono!  Passano  dall'uno  all'altro  tavolo  con  l'agilità
dei  camerieri  provetti.  Infaticabili  soddisfano  tutte  le  richieste,  pre-
vengono  ogni  desiderio,  faticano  per  giungere  a  tutto,  per  appa-
gare  tutti.  Come  non  ricordarli?  Nel  prestarsi  per  la  funzione  umile
hanno  dato prova  di  tanta  bontà  e  di  tanta  abnegazione,  che  ad  uno
ad  uno  si  dovrebbe  nominarli.  Schiera  preziosa  di  librai,  di  fabbri,
di  sarti,  di  falegnami,  di  scultori,  di  compositori,  di  fonditori,  di
calzolai,  che  sono  stati  i  sostegni  saldi,  i  cooperatori  indispensabili
della  mirabile  Opera  Salesiana.  Schiera  grandiosa  che  ha  svolto
la  sua  industria  nell'ombra,  e  che  delle  due  grandi  iniziative  di
Don  Bosco,  Oratori  festivi  e  Scuole  professionali,  non  potendo  es-
sere  la  mente  direttiva,  è  stata  il  braccio  che  tutto  muove.  Schiera
gloriosa,  che  pur  non  avendo  le  soddisfazioni  intime  che  dà  l'eser-
cizio  del  ministero,  per  amore  di  Don  Bosco  e  per  il  desiderio  di
raggiungere  la  perfezione  cristiana,  tutte  ha  sacrificate  le  gioie
della  vita».
Il  banchetto  procedeva  lentamente.  Nessuno  dimostrava  impa-
<1)  //  Momento,  11  seUcml>re  1911,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo 11
zienza.  La  compagnia  era  così  allegra,  senza  essere  rumorosa,  che
si  sarebbe  voluto  prolungarla  fino  a  sera.  Ma  dopo  gl'immancabili
brindisi,  pochi  per  verità,  come  volle  chi  si  preoccupava  del  tempo,
si  passò  nel  santuario  a  ricevere  la  benedizione  da  Don  Albera,  e
poi  per  le  diciassette  tutti  a  Valsalice.  Il  Congresso,  che  aveva
avuto  manifestazioni  clamorose,  si  andava  a  chiudere  nell'intimità
lassù  presso  la  cappella  dov'era  sepolto  Don  Bosco  e  presso  la  cel-
letta  dove  riposavano  le  spoglie  di  Don  Rua.
All'ora  fissata  la  massa  dei  congressisti  riempiva  lo  spazioso
e  luminoso  cortile  del  collegio  valsalicese.  I  loro  canti  echeggia-
vano  per  la  valletta  amena;  si  sprigionava  potente  dai  petti  l'inno
degli  ex-allievi,  rafforzato  dalle  note  della  musica  strumentale.
Don  Bosco,  sebbene  fosse  già  venerabile,  non  poteva  ancora  rice-
vere  culto  pubblico  o  liturgico;  ma  fremeva  irrefrenabile  la  vo-
lontà  collettiva  di  glorificarlo.
A  un  vibrato  squillo  di  tromba  si  produsse  con  effetto  magico
il  più  assoluto  silenzio.  Allora  tutti  gli  occhi  si  appuntarono  verso
un  piccolo  palco,  sul  quale  stava  ritto  in  atto  di  voler  parlare  il
cremonese  avvocato  Miglioli.  Egli  trovò  l'espressione  adeguata  al
sentimento  comune.  li  suo  discorso  fu  giudicato  eloquente  e  sodo.
Infatti,  non  retorica,  non  romanticherie,  ma  calde  rievocazioni  sto-
riche  ed  anche  monita  salatis.  Basti  dire  che  seppe  perfino  invi-
tare  gli  uditori  a  un  esame  di  coscienza  sulla  loro  attività  di  fronte
agli  insegnamenti  appresi  alla  scuola  di  Don  Bosco,  che  riassunse
iti  tre  virtù:  castità,  obbedienza  e  povertà.  La  castità,  che  è  ele-
mento  di  forza  fisica  e  dà  la  sincerità  e  l'ardore  degli  affetti;  l'ob-
bedienza,  che  fa  dei  figli  di  Don  Bosco  quasi  l'avanguardia  mili-
tarizzata  della  Fede;  la  povertà,  che  è  base  del  sentimento  demo-
cratico,  cristianamente  inteso  ed  applicato  al  bene  del  popolo.
Finito  il  discorso,  s'intonò  il  Tantum  ergo,  mentre  dalla  cap-
pella  soprastante  la  tomba  di  Don  Bosco  si  avanzava  Don  Albera
a  impartire  una  seconda  volta  la  benedizione  eucaristica.  Così  non
rito  solenne,  intimo  e  commovente  si  chiuse  il  primo  Congresso
internazionale  degli  ex-allievi,  del  quale  non  si  sarebbe  più  can-
cellato  nei  presenti  il  caro  e  salutare  ricordo.
Nulla  era  mancato  al  Congresso:  non  la  benedizione  del  Papa,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Quinto  Congresso  naz.  degli  Oratori  festivi'  e  delle  scuole  di  religione,  ecc.
non  la  cordiale  visita  del  Cardinale  Arcivescovo  e  neppure  un  rice-
vimento  generale  da  parte  del  Municipio,  cosa  più  straordinaria
allora  che  oggi.  Non  mancò  nemmeno  il  contributo  di  una  buona
stampa;  non  solo  non  si  levò  dai  giornali  nemmeno  una  nota  sto-
nata,  ma  anche  donde  meno  si  sarebbe  aspettato,  si  poterono  avere
manifestazioni,  se  non  proprio  di  simpatia,  di  rispetto.
Nella  stampa  di  quei  giorni  troviamo  messi  in  rilievo  due  signi-
ficati  del  Congresso.  Il  primo  fu  che  l'omaggio  delle  diverse  nazio-
nalità  a  Don  Bosco  e  a'  suoi  continuatori  indicava  chiaramente  come
l'Opera  salesiana  avesse  nel  suo  mirabile  fiorire  gettato  tali  radici
nel  cuore  del  popolo,  che  nessuna  insidia,  nessuna  guerra  palese  od
occulta  sarebbe  potuta  riuscire  a  svellerle.  Il  secondo  significato
dedotto  dalla  stessa  circostanza  dell'internazionalità  era  che  un  si-
stema  di  educazione  esperimentato  ottimo  in  tutte  le  parti  del  mon-
do,  nonostante  le  diversità  di  lingua,  di  usi,  di  razza,  aveva  pieno
diritto  di  essere  segnalato  al  rispetto  di  tutti.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  III
Le  cause  di  Don  Bosco  e  di  alcuni  suoi  figli:  Domenico  Savio,
Michele  Rua,  Andrea  Beltrami,  Augusto  Czartoryski.
Dove  passano  i  Santi,  germoglia  e  fiorisce  la  santità;  né  sol-
tanto  ìa  santità  delle  anime  che  diciamo  comunemente  sante,  ma
anche  di  quelle  che  la  Chiesa  proclama  solennemente  tali.  Già  nei
primordi  dell'Oratorio  dj  Valdocco  S.  Giovanni  Bosco  aveva  veri
santerelìi  tra  i  suoi  ragazzi,  primeggiante  su  tutti  l'angelico  Dome-
nico  Savio.  Fin  d'allora  si  veniva  santificando  al  suo  fianco  Michele
Rua,  suo  primo  successore.  Sotto  la  sua  guida  ascese  ai  più  alti
gradi  della  perfezione  colei  che  è  la  Beata  Maria  Domenica  Maz-
zarello, confondatrice  delle Figlie  di  Maria Ausiliatrice.  Attratti  dalla
santità  del  fondatore,  vennero  alla  sua  Congregazione  i  Servi  di
Dio  Don  Andrea  Beltrami  e  Don  Augusto  Czartoryski,  che,  soprav-
vissutigli  di  pochi  anni,  morirono  in  concetto  di  santi.  E  non  fu-
rono  i  soli.  Della  Mazzarello  diremo  altrove;  qui  toccheremo  solo
degli  altri  nominati,  riferendo  delle  loro  cause  che  si  svolsero  du-
rante  il  Rettorato  di  Don  Albera.  I  Servi  di  Dio,  mentre  sono  i  più
degni  rappresentanti  che  una  famiglia  religiosa  possa  vantare,  for-
mano  pure  la  gloria  maggiore  che  la  sua  storia  registri.
Come  nel  processo  di  Don  Bosco  si  giungesse  all'introduzione
della  causa  e  contemporaneamente  allora  alla  venerabilità,  fu  nar-
rato  nel  capo  XXXII  del  volume  precedente.  Ciò  avveniva  il  24  lu-
glio  1907.  Il  4  aprile  1908  su  richiesta  del  Postulatore  Don  Marenco
partirono  da  Roma  per  Torino  le  litterae  remissariales  all'Arcive-
scovo  Card.  Richeìmy,  affinchè  facesse  iniziare  il  processo  aposto-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  cause di Don Bosco  e  di alcuni suoi  figli:  Domenico Savio, Michele  Rua, ecc.
lieo.  Questo  si  divide  in  due  parti,  dette  incoativa  una  e  continua-
tiva  l'altra.  Espletate  le  formalità  volute,  il  21  maggio  1909  dal  Vi-
cepostulatore  Don  Rinaldi  fu  presentata  al  Cardinale  formale  do-
manda  che  volesse  dare  esecuzione  alle  remissorìali.  Sua  Eminenza
tre  giorni  dopo  costituì  il  tribunale,  invitandolo  a  radunarsi  il  28.
Le  sessioni  si  succedettero  regolarmente  senza  notevoli  intervalli.
1  testimoni  citati  erano  dodici.  Il  processo  incoativo  d'ordinario  non
dura  più  di  due  anni;  ma la necessità  di  udire  altri  nove testi  obbligò
a  chiedere  una  proroga,  accordata  dalla  Congregazione  dei  Riti  il
13  gennaio  1911.  Nel  frattempo  il  Procuratore  della  Società  Don
Marenco,  creato  Vescovo  di  Massa  Carrara,  aveva  ceduto  con  l'uffi-
cio  di  Procuratore  anche  quello  di  Postulatore  a  Don  Dante  Mu-
nerati.
S'andò  avanti  così  ancora  per  alcuni  mesi,  dopo  i  quali  il  tri-
bunale  intraprese  il  processo  sulla  fama  d'i  santità  in  genere,  com-
piuto  in  tempo  relativamente  breve,  perchè  già  il  9  gennaio  1913
potè  essere  rimesso  a  Roma,  dove  la  Congregazione  dei  Riti  il  17
seguente  ne  cominciò  l'esame.  L'anno  appresso  morì  il  Cardinale
Ponente  Vives  y  Tuto,  al  quale  Pio  X  diede  per  successore  il  Car-
dinale  Ferrata,  morto  egli  pure  dopo  meno  di  un  anno.  Benedet-
to  XV  deputò  a  tale  ufficio  il  Card.  Vico,  che  il  13  e  14  luglio  1915
condusse  finalmente  all'approvazione  e  alla  ratifica  del  processo  in-
coativo.
A  nuova  domanda  del  Postulatore  la  Sacra  Congregazione  il
2  agosto  concesse  le  remissorìali  per  la  parte  continuativa  del  pro-
cesso  apostolico  sulle  virtù  in  specie.  L'espletamento  delle  relative
pratiche  non  permise  di  convocare  a  Torino  la  prima  sessione  se
non  il  12  febbraio  1916.  In  poco  più  di  un  anno  vennero  escussi  t
diciannove  testimoni  citati.  Chiusa  così  anche  questa  parte  del  pro-
cesso,  mentre  si  faceva  la  trascrizione  degli  atti,  il  tribunale  eseguì,
a  tenore  delle  leggi  ecclesiastiche,  la  ricognizione  canonica  della
salma.
La  cerimonia  fu  compiuta  dal  13  ai  15  ottobre  1917.  Rimosso
l'ultimo  coperchio,  « invece  del  comune  fetore  cadaverico,  scrive  il
Dott.  Peynetti  nella  sua  relazione  ufficiale,  si  percepì  un  odore  sui
generis,  punto  sgradevole,  direi  quasi  di  grato  profumo ».  Dopo  l'o-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  III
pera  di  ricognizione,  richiuse  le  casse  e  sigillate,  il  feretro  venne
ricollocato  nel  suo  loculo,  in  attesa  di  altra  ricognizione  molto  più
solenne.
Il  29  novembre  1918  fu  trasmesso  a  Roma  l'incartamento  della
suddetta  trascrizione.  Con  questo  finivano  il  loro  compito  essenziale
i  giudici  torinesi.  All'attività  del  tribunale  rese  testimonianza  Don
Albera,  scrivendo  il 22  febbraio  1918  ai  Soci:  « Crederei  di  mancare
a  uno  stretto  dovere  se  non  tributassi  un  ben  meritato  elogio  e  un
largo  attestato  di  riconoscenza,  a  nome  dell'intera  nostra  Congre-
gazione,  ai  Rev.mi  Membri  del  Tribunale  Ecclesiastico,  che  per  tanti
anni  s'imposero  incredibili  sacrifìci  per  condurre  a  buon  fine  un
sì  lungo  e  sì  faticoso  processo.  Nessun  compenso  potrebbe  essere
pari  al  loro  merito».
La  revisione  di  quegli  atti  durò  a  Roma  dal  6  dicembre  1918  al
1° luglio 1919.  Principiò  allora  l'esame  sulla  validità  dei  due  processi
ordinario  e  apostolico.  A  dar  giudizio  convennero  l'8  giugno^  1920
i  Cardinali  e  i  Consultori  della  Congregazione  dei  Riti  che,  udita  la
relazione  del  Cardinale  Ponente,  si  pronunciarono  in  senso  favore-
vole.  La  mattina  seguente  il  Papa  ratificò  il  giudìzio.
Ma  qui  sorse  un  incaglio.  Abbiamo  già  detto  del  processicolo
segreto,  che  risolse  trionfalmente  le  difficoltà  affacciatesi  nell'esame
degli  scritti  intorno  a  una  decennale  controversia  di  Don  Bosco  con
l'Ordinario  torinese  (1).  Un  ecclesiastico  dell'archìdìocesì  rimise  a
nuovo  quelle  difficoltà  e  le  presentò  in  un  grosso  plico  alla  Sacra
Congregazione.  Questa  rinviò  tutto  al  Card.  Richelmy  con  le  se-
guenti  istruzioni:  «Dal  contenuto  delle  deposizioni  è  facile  rile-
vare,  quanto sia  necessario  che  il  Tribunale,  il  quale  inquisisce  sulle
virtù  del  Ven.  Don  Bosco,  si  faccia  ad  investigare  altresì  sulla  por-
tata  dei  fatti  asseriti. E  perciò  sarà  bene che V.  E.  comunichi  al  Tri-
bunale  ecclesiastico,  già  costituito,  il  suddetto  plico,  affinchè  ne  fac-
cia  oggetto  di  studio  speciale,  il  cui  risultato  dovrà  trasmettersi  a
questa  Sacra  Congregazione».
Il  tribunale  aperse  l'indagine,  attendendovi  con  scrupolosa  di-
ligenza.  Il  risultato  non  poteva  essere  più  favorevole  alla  causa,
Tuttavia  a  Roma  sembrò  che  sussistessero  ancora  dubbi  da  chia-
(1)  Ann.,  v.  IH,  pp.  720-721.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause dS Don Bosco  e dì alcuni suoi figli: Domenico  Savio,  Michele  Bua,  ecc.
rire;  onde  la  Sacra  Congregazione  il  16  ottobre  1921  ordinò  nuove
investigazioni,  che  servissero  a  illuminare  meglio  i  Cardinali  nel
dare  il  loro  voto  definitivo.  Finalmente  il  4  luglio  1922  la  conclu-
sione  fu  che  si  poteva  procedere  ad  ulteriora.  Si  era  così  all'ultima
fase  della  causa,  alla  vigilia  cioè  delle  tre  grandi  Congregazioni  o
adunanze,  dette  antipreparatoria,  preparatoria  e  generale.  Ma  noi
qui  abbiamo  raggiunto  il  limite impostoci  dalla  nostra  storia,  perchè
nell'ottobre  1921  era  finito  con  la  vita  il  Rettorato  di  D.  Albera  (1).
Passiamo  ora  dal  padre  ai figli, incominciando  dal  più  fanciullo
e  dal  più  adulto,  dal  quindicenne  Domenico  Savio  e  dal  settua-
genario  Don  Rua.  Al  pensiero  del  Savio  non  poteva  Don  Bosco  trat-
tenere  le  lacrime  (2),  tanto  lo  commoveva  il  ricordo  di  quell'anima
angelica.  Egli  non  solo  di  frequente  lo  proponeva  all'imitazione  dei
gióvani,  ma  si  disse  più  volte  convinto,  che  avesse  imitato  lo  stesso
S.  Luigi  e  che perciò  la  Chiesa  l'avrebbe  un  giorno  elevato  all'onore
degli  altari  (3).
L'avveramento  di  quel  presagio si  preannunciò  nel  1908,  quando
il 4  aprile si  aperse a  Torino il  processo informativo  o  dell'Ordinario
sulla  sua vita,  virtù  e fama  di  santità.  Allora  Don  Rua,  che  vi  depose
in  sette  sedute,  credette  bene  d'inviare  la  biografìa  del  Savio,  scritta
da  DOTI  Bosco,  a  vari  Cardinali  e  a  tutti  i  Vescovi  d'Italia  quale  suo
omaggio  personale.  La  lettura  del  delizioso  libriccino  destò  univer-
sale  ammirazione.
In  meno  di  due  anni  il  detto  processo  era  condotto  a  termine.
La  minor  fatica  dei  giudici  fu  quella  di  esaminare  gli  scritti:  una
lettera  al  padre,  pagina  di  squisita  finezza  grafica  e  psicologica;  la
versione  scolastica  di  una  favoletta  dall'italiano  in  latino  con  le
sue  irregolarità  sintattiche  segnate  dal  professore  chierico  Fran-
cesia  e  con le relative  correzioni  dell'alunno  all'esterno  del  foglietto;
due liste  di libri, quali ogni  giovane, secondo il Regolamento,  doveva
presentare  al Direttore, facendo conoscere  quali stampe avesse con sé
<1)  Qui  e  altrove  abbiamo  allargato  un  po'  ìa  «nano  nei  particolari  deìla  causa  di
Don  Bosco  per  dare  un'idea  di  tali  procedure.  Ce  ia  spicceremo  in  breve,  parlando  delie
altre  cause.
(2)  CAVIOIJA,  Opere  e  scritti  di  Don  Bosco,  v.  IV,  p.  xiv.
<3)  Proc.  ap.,  Snmm.,  pp.  200  e  107.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  IH
al  principio  dell'anno;  un frammento di  appunti  scolastici,  nei  quali
si  ammlira  una scrittura  quasi  di  adulto  (1).
Chiuso e  mandato  a  Roma  il  processo  diocesano,  sarebbero  do-
vuti  trascorrere  dieci  anni  prima  che  si  decretasse  l'introduzione
della  causa  e  si  iniziasse  il  processo  apostolico;  tuttavia  si  aveva
motivo  di  sperare  una  dispensa  da  sì  lungo  indugio.  Appunto  per
questa  speranza  l'XI  Capitolo  Generale,  nella  15
a
  seduta  del  24  ago-
sto, fu  invitato  a  preparare  la  sua  postulatoria  a  tale  scopo.  La  po-
stulatola  fu  redatta,  firmata  da  tutti  e  spedita  a  Roma  il  giorno
stesso.  Ma  non  si  era  aspettato  tanto  a  chiedere  altre  postulatone
simili;  Don  Trione  lavorava  già  da  un  anno  a  sollecitarne.  Non  si
fecero  davvero  sospirare.  In  breve  tempo  ne  arrivarono  518,  delle
quali 24  di  Cardinali, 55  di  Arcivescovi  e 214 di Vescovi.  Nella  loro
postulatoria  i  membri  del  Capitolo  Generale  si  dicevano  indotti  a
sollecitare  l'introduzione  della  causa  dal  fatto  che,  essendo il  Servo
di  Dio  morto  da  ormai  54  anni,  erano  già  molto  invecchiati  i  testi
superstiti,  che  personalmente  l'avevano  conosciuto  e  quindi  c'era
da  temere  che,  tardandosi  il  processo  apostolico,  non  vi  potessero
più  deporre.  Accennavano  pure  alla  grande  edificazione  e  conforto
che  ne  sarebbe  derivato  alla  gioventù  cristiana  in  genere e  alla  So-
cietà  Salesiana  in  specie  e  agl'innumerevoli  suoi  allievi  sparsi  in
tante  parti  del  mondo.  Il  10  settembre  1911  si  aggiunse  la  postula-
zione  degli  ex-allievi  intervenuti  al  loro  Congresso  internazionale
di  Torino.  Un  plebiscito  insomma  che  per  numero e  qualità  di  per-
sone non  si  sarebbe potuto  desiderare  né maggiore né più  cospicuo,
data la giovanissima età  del  Servo  di  Dio.
Una  simile  valanga  di  postulatoria  produsse  l'effetto  desiderato.
L l l  febbraio  1914  Pio  X  segnò  l'introduzione  della  causa.  Prima
d'allora  ai  Servi  di  Dio,  dei  quali  veniva  introdotta  la  causa,  compe-
ti)  Don  Trione  fece fare  uno  studio  grafologico da  periti  sopra  quest'ultimo  autografo.
I  grafologi  ne  ignoravano  l'autore.  Ecco  uno  dei  vari  giudizi ;  « La  piccola  scheda  rivela
una  bella  personalità,  ma  di  una  personalità  ancora  di  vita  ristretta  e  non  formata
aE'iniziativa  e  alla  responsabilità.  Vi  sono  dei  segni  di  alta  moralità,  scrupolo,  assenza  di
avidità  e  di  sensualità;  attitudine  al  lavori  precisi  e  minuti  e  molta  capacità  di  sforzo  e
di  disciplina.  Anima  dolce  ed  affettuosa,  con  una  grande  sensibilità.  Una  naturale  timidezza
che  si  difende  dietro  una  linea  di  condotta  di  fermezza  e  di  volontà.  La  rapidità  non  c'era
come  dote  nativa,  il  rendimento  è  venuto  dalla  tenacia  e  dalla  pazienza.  Temperamento
pensoso  e  meditativo,  capace  di  tacere,  ricco  di  capacità  fantastiche.  Mancanza  di  abitudine
alla  vita  libera  ed  ai  rapporti  sociali,  conseguente  semplicità.  Nell'insieme  un  tono  di  de-
pressione,  ma  un'evidente  serenità ».  Milano,  ottobre  1930,  Avv.  Marcello  Trattini,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause di Don Bosco  e di alcuni suoi figli: Domenico  Savio,  Michele  Hua,  ecc.
leva  senz'altro  il  titolo  di  Venerabili;  ma  per  un  decreto  emanato
dalla  Congregazione  dei  Riti  il  26  agosto  1913  la  venerabilità  doveva
in  avvenire  cominciare  dopo  che  fosse  proclamata  l'eroicità  delle
virtù,  il  che  ha  luogo  solo  quando  sia  chiuso  il  processo  apostolico.
Ciò  non  tolse  che  la  data  delFll  febbraio  arrecasse  viva  gioia  ai
Salesiani  e  fosse  festeggiata  dappertutto  con  solennità  a  edifica-
zione  dei  loro  alunni.  A  questo  Don  Albera  il  24  marzo  esortava  i
Soci,  raccomandando  in  pari  tempo  la  lettura  della  Vita  di  Dome-
nico  Savio  scritta  da  Don  Bosco.  Il  24  del  mese  appresso,  tornando
sull'argomento,  diceva  assere  quella  Vita  uno  dei  libri,  che  avevano
contribuito  di  più  nei  tempi  andati  a  mantenere  il  buono  spirito
nei  collegi  salesiani  e  a  sviluppare  molte  vocazioni;
Le  commemorazioni  si  fecero  con  vero  entusiasmo  e  durarono
parecchi  mesi.  L'Oratorio  di  Valdocco  celebrò  la  sua  il  16  aprile.
Alla  presenza  del  Card.  Richelmy,  fra  una  corona  di  principi  e
principesse  sabaudi  e  di  Prelati,  con  l'intervento  delle  autorità  di
ogni  ordine,  oltre  a  rappresentanze  di  numerosi  collegi  e  oratori
salesiani,  dinanzi  a  una  folla  di  torinesi,  pronunciò  un  elevatissimo
discorso  il  dotto  Vescovo  di  Bergamo,  Giacomo  Maria  dei  conti  Ra-
dini-Tedeschi.  Per  tal  modo  l'umile  allievo  di  Don  Bosco  ricevette
un  omaggio  di  ammirazione,  quale  raramente  si  suol  rendere  anche
a  insigni  e  benemeriti  personaggi  del  gran  mondo,
L'importanza  del fatto  stava  in questo,  che  la  Santa  Sede  si  fosse
ufficialmente  e  formalmente  occupata  di  un  giovane  tanto  singolare,
esaminandone  con  diligenza  il  processo  informativo  e  riconosciutolo
regolare  nella  procedura,  traendone  argomento  per'  venire  all'in-
troduzione  della  eausa  di  Beatificazione.  Ne  ridondava  naturalmente
un  onore  altissimo  alla  Società  Salesiana  e  soprattutto  all'Oratorio
di  Torino,  dove sotto  la  guida  di  Don  Bosco il  Savio  aveva  trascorso
nella  pratica  di  ogni  virtù  gli  anni  migliori  della  sua  puerizia.  Come
non  vedere  in  ciò  un  prezioso  documento  della  santità  del  Padre
e  Maestro  e  una  prova  eloquente  dell'efficacia  pedagogica  del  suo
sistema  educativo?
Intanto  si  era  provveduto  al  trasferimento  de"  suoi  resti  mortali
dall'umile  Mondonio  ai  suo  diletto  Oratorio.  I  Salesiani  avevano
ottenuto  apposito  decreto  dalla  Congregazione  dei  Riti,  e  la  sorella
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  III
del  Savio,  di  nome  Teresa,  residente  a  Torino,  quello  della  Prefet-
tura  di  Alessandria,  dalla  quale  dipendeva  allora  Asti.  Ma  gli  abi-
tanti  del  paese  non  volevano  sapere  di  decreti,  ne  avrebbero  mai
permesso  di  portar  via  il  loro  santino.  Perciò  la;  mattina  del  19  ot-
tobre  1914  si  schierarono  in  gran  numero  dinanzi  al  camposanto,
disposti  a  opporre  ogni  resistenza.  Quel  giorno  i  delegati  della  curia
di  Asti  compievano  nell'interno  le  formalità  prescritte  dall'Istru-
zione  di  Roma.  Le  cose  andavano  in  lungo  e  pioveva  dirottamente;
ma  per  cinque  ore  continue  quella  buona  gente  stette  là  a  montare
la  guardia,  mentre  altri  neilla  cappella  del  cimitero  alternavano
preghiere  e  canti  e  le  campane  sonavano  senza  posa.  Si  tentò  ogni
mezzo  di  persuasione;  ma  era  sprecare  il  fiato.  Visto  lo  stato  degli
animi,  si  sospese  per  allora  il  trasferimento,  che  fu  poi  eseguito con
infinite  cautele  e  di  nascosto  la  sera  del  27.
Le venerate  spoglie  entrarono  poche  ore dopo,  tra la commozione
generale,  nell'Oratorio.  Diligentemente  curate,  furono  riposte  in
un'urna  nuova,  collocata  provvisoriamente  in  un  loculo  del  santua-
rio  di  Maria  Ausiliatrice,  finché  non  fosse  pronto  un  decoroso  mo-
numento  sepolcrale,  che  si  stava  apprestando.
Dopo  l'introduzione  della  causa  un  altro  punto  fermo  nei  pro-
cessi  sarebbe  stato  il  decreto  sull'eroicità  delle  virtù;  ma  a  raggiun-
gere  questa  mèta  restò  da  fare  ancora  un  lungo  cammino,  tant'è  che
bisognò  arrivare  fino  al  9  luglio  1933..  Possiamo  però  asserire  che
nel  frattempo  due  Papi  avevano  già  per  conto  loro,  dirò  così,  cano-
nizzato  il  piccolo  Servo  di  Dio:  Pio X  e Benedetto  XV.
Il  20  luglio  1914  Mons.  Salotti,  ìndi  Cardinale,  si  trovava  alla
presenza  di  Pio  X.  La  sera  innanzi  aveva  commemorato  la  figura
del  Savio  nell'Ospizio  del  Sacro  Cuore  e  nel  corso  dell'udienza,  ca-
duto  lì  sopra  il  discorso,  prese  ardire  e  domandò  al  Papa  che  cosa
pensasse  del  pio  allievo  di  Don  Bosco.  —  Che  cosa  penso?  disse  il
Santo  Padre,  È  il  vero  modello  per  la  gioventù  dei  nostri  tempi.
Un  adolescente,  che  porta  nella  tomba  l'innocenza  battesimale  e  che
durante  i  brevi  anni  di  sua  vita  non  rivela  mai  alcun  difetto,  è  ve-
ramente  un  Santo.  Che  cosa  vogliamo  pretendere  di  più?  —•  Il  Sa-
lotti,  che  ni  febbraio  precedente  aveva  fatto  le  parti  di  avvocato
della  causa,  ricordò  come  alcuno  obbiettasse  allora  che  il  Savio  era
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le cause (ti Don Bosco e d'i alcuni suoi figli: Domenico Savio, Michele JRua, ecc.
troppo  giovane  per  innalzarlo  agli  onori  degli  altari.  E  il  Pontefice:
—  Ragione  di  più  per  santificarlo.  È  tanto  difficile  per  un  giovanetto
osservare  le  virtù  in  una  maniera  perfetta!  E  Savio  vi  è  riuscito.
La  vita  che  Don  Bosco  ne  scrisse  e  che  ho  letto,  mi  ha  dato  l'idea
d'un  giovanetto  esemplare,  che  merita  d'essere  additato  quale  mo-
dello  di  perfezione.  —  Alludendo  poi  alla  commemorazione  testé
accennata,  aggiunse:  — Tutto quello che  potete  averne  detto  di bene,
è  poco.  Adoperatevi  a  spingerne  avanti  la  causa.  Non  abbiano  i  Sa-
lesiani  i  pregiudizi  di  qualche  Congregazione  religiosa,  la  quale
ha  trascurato  d'interessarsi  della  glorificazione  de'  suoi  membri
prima  di  aver  promossa  la  causa  del  fondatore.  La  figura  e  l'opera
di  Don  Bosco  è  troppo  vasta  e  complessa  e  forse  richiederà  molto
studio.  Per  la  vita  breve  e  semplice  del  Savio  non  occorre,  credo,
tutto  questo;  perciò  non  si  perda  tempo;  la  sua  causa  si  sospinga
innanzi  alacremente.  —  Difficoltà  ne  sorsero  appresso  non  dalla  vita
vissuta  del  Savio,  ma  dalla  vita  scrittane  da  Don  Bosco.
Udite  sì  incoraggianti  parole,  il  Salotti  disse  al  Santo  Padre  che
stava  scrivendo  del  giovane  una  vita,  nella  quale  raccoglieva  non
solo  quanto  si  era  appreso  da  Don  Bosco,  ma  anche  quanto  i
suoi  discepoli  avevano  narrato  o  scritto  di  lui  o  attestato  nel  pro-
cesso  canonico  di  Torino.  —  Se  la  terminerete  presto,  disse  il  Pon-
tefice,  me  ne  porterete  una  copia  e  la  leggerò  volentieri.  —  Ma  ap-
pena  un  mese  dopo  Pio  X  chiudeva  per  sempre  gli  occhi  nell'af-
fanno  dell'imminente  guerra  di  popoli  e  il  Salotti  portava  l'anno
dopo  al  suo  successore  la  sua  Vita  del  Savio  (1).
Il  16  agosto  1915  era  parimenti  dinanzi  a  Benedetto  XV  il  mae-
stro  di  Domenico  Savio,  Don  Giovanni  Battista  Francesia.  A  un
certo  punto  il  Santo  Padre,  girando  l'occhio  d'attorno,  pose  la  mano
sopra  un  libro  riccamente  legato  e  gli  disse:  —  Sa  di  chi  è  questo
caro  volume?...  Di  Mons.  Salotti,  e  per  onorare  uno  di  quei  santi  che
fanno  per  il  nostro  secolo. È  la  vita  di  Savio  Domenico,  vostro  dilet-
tissimo  discepolo.  Tornerà  questa  vita  più  accetta  di  qualche  altra.
Lui  soave  con  tutti,  lui  giovanetto  amico  della  ricreazione  e  quasi
quasi  chiassosa.  Il  secolo  non  si  figura  più  i  Santi  tanto  penitenti  e
(1)  Ho  riportato  letteralmente  le  parole  di  Pio  X  dall'ultimo  capo  della  Vita  del  Sa-
lotti,  il  quale  scrive  che,  appena  tornato  a  casa  dal  colloquio,  l'aveva  fissato  sulla  carta
per  non  dimenticarne  nulla.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IH
rigorosi.  E  Savio  Domenico  piacerà  ai  giovanetti,  che  vedranno  in
lui  un  giovane  proprio  come  loro.  —  Don  Francesia  era  ammirato
e  diceva  tra  sé  e  se:  —  Mi  pare  di  sentire  Don  Bosco,  quando  ce
ne  parlava  più  di  cinquant'anni  fa.  —  Soggiunse  che  veramente
l'Oratorio  respirava  ancora  l'aria  di  Savio  Domenico  e  che  era  mi-
rabile  l'influenza  che  egli  continuava  a  esercitare  sopra  quei  gio-
vani, specialmente  dopo che ne erano  stati trasportati  i  resti  mortali
nella  chiesa  di  Maria  Ausiliatriee  (1).
Diciamo  ora  della  causa  di  Don  Rua.  Che  Don  Rua  fosse  un
vero  santo,  tutti  lo  pensavano  senza  dirlo;  era  cosa  che  si  vedeva
da chiunque avesse occhi. Nessuna meraviglia quindi, se  subito dopo
la  sua. morte  si  presagisse non  poter  mancarne la  causa di beatifica-
zione.  Pio X,  che  aveva  già manifestato  anche  a Don  Albera  la pro-
pria  altissima  stima  delle  virtù  di  lui,  sembra  che  fosse  del  mede-
simo
1
 parere;  infatti  nella  mentovata  udienza  a  Mons.  Salotti,  udito
dei  Servi  di  Dio,  dei  quali  quegli  sosteneva  le  cause,  lo  interrogò:
—  E  Don  Rua  dove  lo  lasciate?  In  lui  parmi  ritrovare  tutto  quel
complesso  di  virtù  intime e  solide,  che  sono  proprie  dei  Santi,  Che
cosa  aspettano  i  Salesiani?  Perchè  non  ne  promuovono  la  causa  di
beatificazione? Ecco un  altro  grande  e umile Servo  di  Dio,  del quale
la  Chiesa  si  occuperà;  ne  sono  sicuro  (2).  —.  Questa  notizia  diffusa
con  la  Vita  del  Salotti  diede  origine  alla  voce  che  si  fosse  in  pro-
cinto  di  cominciare  gli  atti  processuali,  onde  piovvero  tosto  a  Don
Albera  adesioni  e  incoraggiamenti  da  membri  dell'Episcopato  e  del
Sacro  Collegio  ed  anche da  parte  di  insigni  laici.
D'allora  in  poi  nulla  di  notevole  troviamo  a  questo  riguardo
fino al 1921, quando il  22 novembre Don Rinaldi  nel  Capitolo Supe-
riore  « con  ragioni convincenti »,  come  è  detto  nel verbale  della  se-
duta,  propose  che  in  occasione  del  prossimo  Capitolo  Generale  se
ne  iniziasse  il  processo  informativo.  Tutti  approvarono  e  si  decìse
di  far  redigere  senz'altro  i  così  detti  articoli,  che  servono  nei  pro-
cessi per la  escussione  dei testi. Ma  Don  Albera  ebbe  appena tempo
di  far  i  primi  passi  necessari  allo  scopo,  perchè  rapito  poco  dopo
da  morte.  Il  Capitolo  Generale  XII,  indetto  già  da  lui  nel  settembre
<1>  Lett.  di  Don  Francesia  a  Do»  Albera,  Roma,  16  agosto  1915  (Arch.  XLVI,  1).
(2)  SALOTTI,  I.  e.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 he  cause d$ Don Bosco  e di alcuni suoi figli: Domenico  Savio,  Michele  Bua,  ecc.
1921  per  il  16  agosto  1922,  elesse  a  nuovo  Rettor  Maggiore  Don  Ri-
naldi,  che  durante  iì  suo  governo  interinale  non  aveva  lasciato  dor-
mire  la  pratica;  infatti  il  2  maggio  precedente  era  slato  costituito
dal  Card.  Richelmy  il  tribunale  ecclesiastico  per  il  processo  infor-
mativo  e  dal  18  luglio  progrediva  l'esame  dei  testi,  il  quale  si  pro-
trasse  per  cinque  anni,  fino  al  31  agosto  1927.
Di  Don  Rua,  appena  avvenuto  il  decesso,  aveva  scritto  Mons.
Salotti:  «Se  un  giorno  la  Provvidenza  disporrà  che  alla  eausa  di
Don  Bosco  tenga  dietro  quella  di  Don  Rua,  gl'innumerevoli  testi-
moni  che  sfileranno  davanti  al  tribunale  ecclesiastico  di  Torino,  nel
rammentare  gli  eroismi  dell'uomo  che  abbiamo  perduto,  dovranno
confessare  che  l'uno  fu  degno  dell'altro  e  che  forse  sarebbe  com-
pito  non  lieve  determinare  a  chi  dei  due  spetti  il  primato  nell'eser-
cizio  di  quelle  eminenti  virtù  cristiane,  nelle  quali  entrambi  si  di-
stinsero  da  eroi ».  La  Provvidenza  dispose  che  non  dopo,  ma  du-
rante  la  causa  di  Don  Bosco  avesse  inizio  quella  di  Don  Rua,  la
quale  fu  iniziata  flnalmentte  nel  gennaio  1936.  Vi  seguì  il  processo
apostolico,  durato  fino  all'8  maggio  1939.
Anche  di  Don  Andrea  Beltrami  e  di  Don  Augusto  Czartoryski
s'interessò  il  Capitolo  Generale XI  nella  sua  15*  adunanza,  facendosi
interprete  di  un  sentimento  largamente  diffuso,  col  rivolgere  per
bocca  di  Don  Trione  a  Don  Albera  la  preghiera,  che  volesse  pro-
muovere  la  causa  di  entrambi.  Dei  due  Servi  di  Dio  si  è  già  fatta
la  presentazione  ai  lettori  (1).  L'eroico  soffrire  del  primo  e  l'eroismo
del  secondo  nell'obbedire  alla  vocazione  divina  costituirono  l'ele-
mento fondamentale,  su  cui  si basava il  giudizio  di  quanti  li  avevano
conosciuti,  per  ritenerli  degni  della  massima  glorificazione;  che  ogni
altra  parte  della  loro  breve  esistenza  si  era  svolta  in  armonia  con
quei  due  caposaldi.
Il  Beltrami,  nato  a  Omegna  il  14  giugno  1870  e  morto  a  Valsa-
lìce  il  30  dicembre  1897  in  età  di  appena  27  anni,  passò  per  vari
stadi  di  vita,  segnalandosi  per  non  ordinarie  virtù.  Alunno  studente
edificò  iì  collegio  salesiano  di  Lanzo  Torinese,  dove  fece  il  ginnasio.
Fu  esemplare  come  novizio  nella  casa  di  Foglizzo  presso  Ivrea;  e  di
nuovo  come  studente  chierico  nella  casa  di  Valsalice;  come  inse-
(1)  Ann.,  v.  II,  pp.  728-730.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Cupo IH
gnante  in  entrambi  questi  luoghi  e  come  studente  universitario  per
circa  tre  anni.  Ammirabile  poi  si  mostrò  la  sua  esemplarità  nella
penosa  e  lunga  malattia,  che  sopportò  per  sette  anni  non  solo  con
animo  rassegnato  ai  divini  voleri,  ma  col  desiderio  di  sempre  mag-
giori  patimenti  per  poter  iscontare  meglio,  diceva,  i  suoi  peccati  e
per  ottenere grazie  ai  peccatori  moribondi  e  suffragare  le  anime pur-
ganti.  Prete  celebrava  la  Messa  con  ardore  serafico  e  nella  sua  qua-
lità  di  religioso  osservava  scrupolosamente  tutte  le  Regole  della
Congregazione;  scrittore  impiegò  l'ingegno  e  la  penna  in  recare  g"o-
vaimento  al  popolo  e  alla  gioventù.  Quando  morì,  la  voce  unanime
lo  proclamava  santo,  la  qua!  fama  andò  poi  sempre  crescendo.
Don  Albera  dunque,  che  già  da  Catechista  Generale  aveva  auto-
rizzato  Don  Trione  a  preparare  il  materiale  per  il  processo  dell'Or-
dinario,  dopo  il  Capitolo  prese  a  occuparsi  della  causa,  sicché  il  la-
voro  preparatorio  era  già  tutto  compiuto  nell'ottobre  1910.  Il  Ve-
scovo  di  Novara,  nella  cui  giurisdizione  trovasi  Omegna,  che  ne  cu-
stodisce  la  tomba,  diede  il  suo  benevolo  assenso.  Il  tribunale  eccle-
siastico  da  lui  costituito  si  mise  volenterosamente  all'opera.  Non
durò  a lungo  il  suo  lavoro,  essendo  stato  condotto  felicemente  a  ter-
mine  nell'aprile  1914,  nel  qual  mese  gli  atti  furono  inoltrati  alla
Congregazione  dei  Riti.
Incominciò  allora  il  lavorio  per  avere  le  postulatone  e  chie-
dere  l'introduzione  della  causa.  Dal  marzo  al  maggio  1916  se  ne
poterono  riunire  268,  delle  quali  sette  portavano  le  firme  di  Car-
dinali.  Finalmente  il  28  luglio  1920  Benedetto  XV  appose  al  decreto
dei  Riti  il  placet  Jacobo,  secondo  lo  stile  della  Curia  (1),  autoriz-
zando  l'introduzione  della  causa  e  l'inizio  del  processo  apostolico.
Questo  atto,  che  fu  considerato  come  un  avvenimento,  diede
occasione  a  commemorazioni,  due  delle  quali  vanno  segnalate.  Ha
naturalmente  il  primo  posto  quella  del  2  giugno  1921  nell'Oratorio
con  gran  concorso  di  torinesi  a  udire  la  parola  del  Card.  Mistran-
gelo,  Arcivescovo  di  Firenze.  La  figura  di  Don  Beltrami  nella  frase
scintillante  dell'insigne  Porporato  brillò  dinanzi  agli  uditori,  an-
gelo  dell'amore  e  angelo  del  dolore.  Era  la  prima  volta  che  Don
(1)  In  questi  casi  il  Papa  non  mct!e  ii  suo  nome  di  Pontefice,  ma  quello  di  battesimo
con  la  formula  qui  indicata.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  cause di Don Bosco  e di alcuni suoi figli: Domenico  Savio,  Michele  Bua,  ecc.
Andrea  veniva  esaltato  in  forma  pubblica  e  solenne.  L'altra  com-
memorazione  fu  fatta  il  14  dello  stesso  mese  a  Omegna.  Dinanzi  ai
concittadini  del  Servo  di  Dio  il  marchese  Filippo  Crispolti  pronun-
ciò  una  delle  sue  orazioni  più  originali,  presentandolo  in  un  magni-
fico  quadro  come  fiore  sbocciato  dal  tronco  robusto  di  Omegna  e
maturato  nei  giardini  salesiani.  Con  novità  e  acume  pose  in  rilievo
i  tratti  del  carattere  di  Don  Bosco,  che  si  riscontravano  in  lui.  Fin
dal  1914  la  Civiltà  Cattolica,  nel  primo  quaderno  di  settembre,  re-
censendo  la  vita  scrittane  da  Don  Barberis,  aveva  espresso  un  suo
giudizio  in  questi  termini:  «  I  frutti  sono  la  lode  più  bella  e  più
sicura  dell'albero,  e  può  quindi  rallegrarsi  la  Pia  Società  Salesiana,
che,  mentre  tanta  messe  raccoglie  nella  Chiesa  di  Dio,  sa  dare  al
mondo  modelli  di  santità,  come  Don  Andrea  Beltrami »,  Quando  il
processo  apostolico  incominciò  il  27  gennaio  1922,  Don  Albera,  che
tanto  vi  aveva  cooperato,  era  da  tre  mesi  passato  all'eternità.
Il  medesimo  Don  Albera  visse  appena  tanto  da  vedere  gli  atti
iniziali  del  processo  informativo  per  Don  Czartoryski,  da  lui  cal-
deggiato.  Questo  principe  polacco  era  volato  trentaquattrenne  al
cielo  nell'aprile  1893.  Dieci  anni  prima  aveva  conosciuto  Don  Bosco
a  Parigi,  ponendo  immediatamente  in  lui  tutta  la  sua  confidenza.
Vagheggiando  già  da  tempo  di  abbracciare  la  vita  religiosa,  decise
allora  di  entrare  nella  Società  Salesiana,  il  qual  disegno  mandò  ad
esecuzione nel  1887 non senza  gravi  difficoltà.  Gran  signore,  si  ridusse
a  un  tenore  di  vita  priva  di  quei  comodi,  ai  quali  era  abituato.  Nel
1889  si  manifestò  fieramente  la  malattia  di  petto,  che  da  molto  gli
covava  in  seno.  Nell'aprile  1892  potè  con  sua  grande  consolazione
essere  consacrato  sacerdote.  Dopo  fu  un  anno  di  preparazione  alla
morte,  essendo  il  suo  vivere  tutto  un  patire e  pregare.  Don  Beltrami,
che,  avendo  avuto  con  lui  intima  e  santa  amicizia,  lo  conosceva  a
fondo,  diceva  che  la  sua  unione  con  Dio  era  « connaturata  alla  sua
mente »  e lo  dichiarava  « un santo, un  angelo  in  carne  umana ».  Ebbe
l'impressione  che  egli  possedesse l'innocenza  battesimale.  La  sua  vita
di  perfezione  non  oltrepassò,  è  vero,  i  sei  anni;  ma  S,  Gabriele
dell'Addolorata  ne  contò  ancor  meno.  Inoltre,  mentre  questi  prima
di  essere  passionista  era  stato  alquanto  leggiero,  il  principe  polacco
fu  sempre  castigato  e  pio.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Ili
La  sua  fama  di  santità  mosse  nel  1920  l'autorità  ecclesiastica  a
costruire  il  processo  informativo,  eseguitosi  ad  Albenga  con  roga-
torie  per Cracovia, Przemysl  e  Madrid.  Terminò  in quattro  anni.  Vi
tenne  dietro  a  lunga  scadenza  il  processo  apostolico,  che  si  fece  a
Torino nel 1946.
Ammirando questi giganti di virtù cresciuti alla scuola di  S.  Gio-
vanni  Bosco,  ci  corre spontaneo  alla  mente  il  pensiero  di  Emerson
in  Gli  uomini  tipi,  dove  dice  che  tutte  le  istituzioni  sono  l'ombra
allungata  di  un  solo  grande  individuo  eroico.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  IV
Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germa-
nico  durante  il  Rettorato  di  Don  Albera.
Szentkereszt, NyergesAjfalu, Buda-Pest, Wcrsee, Unterwaltersdorf, Vienna XIII, Fulpnien,
Wttrtzburg,  Freyung,  Bamberga,  Passavia,  Burgfaauspn,  Endorf,  Essen
Quando  uscirono  i  Bollettini  Salesiani  tedesco  nel  1895  e  un-
gherese  nel  1908,  che  si  stampavano  nell'Oratorio  di  Torino,  cor-
revano  già  ned due ex-imperi notizie sopra  Don  Bosco e  la  sua  Opera.
Nella  Germania  contribuì  più  di  tutti  a  divulgarne  la  conoscenza
il  vecchio  cooperatore  Mons.  Moelher  di  Ratisbona  col  suo  Marien-
Kalender,  diffusissimo  tra  i  cattolici.  Nell'Austria  i  Salesiani  erano
conosciuti  da  così  gran  tempo,  che  già  nel  1903  avevano  potuto  fare
il  loro  ingresso  a  Vienna  VI  (1).  Loro  propagandista  era  stato  il
celebre  predicatore  gesuita  P.  Abel,  apostolo  degli  operai.  Nell'Un-
gheria  molti  li  conobbero  per mezzo  di  Don  Zaffery,  che,  da  preside
del  Liceo  di  Fiume  fattosi  salesiano,  si  diede  a  far  propaganda  nel
regno  di  S.  Stefano,  cercando  aspiranti  da  inviare  alla  casa  di  Ga-
vaglià  in  Piemonte,  destinata  dal  1902  a  questa  nuova  categoria  di
alunni.  Parimente  Figli  di Maria  tedeschi  affluivano a  Penango  Mon-
ferrato.  In  entrambi  questi  istituti  l'insegnamento  s'impartiva  in  ita-
liano.  Se  ciò  costituiva  una  difficoltà,  produsse  però  l'inestimabile
vantaggio  che  ì  molti  Salesiani  usciti  di  là,  quando  furono  inviati
nelle  loro  terre  native,  sapevano  ottimamente  quella  che  possiamo
chiamare  lingua  di  famiglia.
(1)  Ann.,  v.  HI,  pp.  436-440.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
La  prima  guerra  mondiale  fu  per  i  Salesiani  dei  due  già  potenti
Stati  la  prova  del  fuoco.  Molti  confratelli  e  novizi  chiamati  sotto  le
armi,  parecchie  case  occupate  dai  belligeranti,  scarsezza  di  viveri,
i  più  anziani  rimasti  sovente  senza  tetto  e  senza  mezzi.  Una  cosa  che
si  sentiva  vivamente  era  l'impossibilità  di  comunicare  direttamente
per  lettera  con  i  Superiori  di  Torino.  Lo  diceva  Don  Augusto
Hlond  (1):  «Una  delle  provei  più  dure,  a  cui  al  Signore  piacque  di
sottoporci  nei  lunghi  giorni  della  grande  contesa  mondiale,  si  fu
certamente  quella  di  essere  tagliati  dalla  culla  della  Congregazione
e  dover  stare  anni  senza  consiglio,  conforto  e  direzione.  Sapesse,
con  che  avidità  andavamo  dietro  a  quelle  povere  notizie,  che  di
tanto  in  tanto  per  diverse  vìe  ci  pervenivano!  Come  si  strappavano
i  Direttori  le  circolari,  che  riuscirono a  passare  i  monti  ed  i  cordoni
militari!  Come  si  rallegravano  i  confratelli  nelle  varie  case,  quando
io  mandava  loro  qualche  informazione,  tolta  da  giornali  pervenuti
alla  Nunziatura!»,  E  dell'Ispettore  dice:  «Poveretto!  Ha  avuto  da
fare  in  questi  anni  di  guerra!  Di  più  sofferse  varie  e  lunghe  malat-
tie  e  indisposizioni.  Ma  compì  l'opera  sua  a  perfezione,  da  contentar
tutti e  da  poter  essere  lui  contento  dello  spirito,  che  regna  nelle  case
a  lui  affidate ».
Questo  Ispettore  era  Don  Pietro  Tirone.  Risiedeva  in  Polonia,
nella  casa  di  Oswie.cim  donde  governava  quelle  dell'Austria,  del-
l'Ungheria,  della  Jugoslavia,  della  Polonia,  della  Slovacchia  e  della
Croazia.  Ma  questo  stato  di  cose  non  poteva  più  durare  a  lungo;
onde  egli  stesso,  avendo  saputo  che  i  Superiori  volevano  dividere
PIspettoria,  ma  non  tanto  presto,  scriveva  a  Don  Albera  nel  1919:
« Mi  faccio  lecito  di  osservare  che  le  ragioni  che  militano  per  la  di-
visione,  riguardano  specialmente,  non  solamente,  i  tempi  presenti.
L'enorme  difficoltà  dei  viaggi  ed  in  generale  di  qualunque  genere
di  comunicazione con  le  diverse  case  è  specialmente  di  questi  primi
anni  dopo  la  guerra.  Adesso  appunto  gli  animi  sono  eccitati  e  mal
disposti  a  convivere  insieme;  e  ci  conviene  fare  la  divisione,  perchè
si  può  conservare  un  certo  modus  vivendi,  salvando  la  carità,  e  non
aspettare  quando  questa  abbia  già  troppo  sofferto.  Anche  gl'inte-
ressi  materiali  ora  permettono  una  divisione  abbastanza  facile  e
(1)  L,ett.  a  Don  Albera,  Vienna,  8  novembre  1918.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
netta,  ciò  che  non  sarebbe  più  possibile  dopo  uno  sviluppo  più
grande  in  Polonia.  Infine  permetta  che  aggiunga  che,  non  per  fug-
gire  la  fatica,  ma  per  vera  impossibilità  morale,  mi  pare  di  non
poter  star  più  a  capo  di  un'Ispettoria  di  questo  genere,  sia  per
l'estensione  veramente  straordinaria  sia  per  la  diversità  delle  lin-
gue e delle leggi dei vari paesi che essa ora abbraccia »  (1).  Queste con-
siderazioni  produssero  il  desiderato  effetto  prima  ancora  che  finisse
l'anno.  Di  un'Ispettoria  se  ne  fecero  due,  denominate  Polacco-jugo-
slava  e  Tedesco-ungarica.  Don  Tirone  continuò  a  reggere  la  prima;
della  seconda  fu  fatto  ispettore  Don  Augusto  Hlond,  con  residenza
a  Vienna  III.
Fondazioni  Ungheresi,
Dopo  undici  anni  di  lavoro  e  di  sacrifici,  l'istituto  ungherese  di
Cavaglià  (2)  incominciava  a  vedere  i  frutti,  che  era  stato  chiamato  a
preparare.  In  quel  collegio  si  formavano  per  il  noviziato  Figli  di
Maria  ungheresi,  che  a  suo  tempo  avrebbero  dato  il  personale  da
mandar  a  trapiantare  nella  loro  nazione  l'Opera  di  Don  Bosco.  Il
primo  invito  fu  fatto  in  forma  molto  sbrigativa,  ma  anche  abba-
stanza  positiva  dal  Card.  Giovanni  Czernoch,  Arcivescovo  di  Stri-
gonia  e  Primate  di  Ungheria.  Il  Cardinale,  sapendo  che  i  Salesiani
avevano  in  animo  di  andare  a  Buda-Pest,  dipendente  dalla  sua  giu-
risdizione  arcivescovile,  non  solo  approvava  l'idea,  ma  diceva  di
voler  concorrere  alla  sua  attuazione,  assegnando  ai  primi  venuti  un
punto  vicino  alla  capitale,  donde  potere  poi  trasferirsi  in  questa
dopo  un  periodo  quasi  di  allenamento.  I  Superiori  trovarono  buona
la  proposta  e  rispondente  alla  loro  intenzione  di  trasferirvi  gli  alun-
ni  di  Cavaglià,  affinchè  ricevessero  ornai  l'insegnamento  nella  pro-
pria  lingua  da  docenti  loro  connazionali  e  secondo  i  programmi  go-
vernativi.  Il  luogo  designato  era  Szentkereszt,  Santa  Croce,  dove
Sua  Eminenza  metteva  a  disposizione  dei  Salesiani  un  santuario
della  Santa  Croce.  Qui  si  erano  già  seguiti  i  Paolini,  così  detti  dal
Beato Paolo eremitano, e  i Minimi di S,  Francesco  da  Paola. Per conto
suo,  il  Primate  si  contentava  che  i  Salesiani  provvedessero  all'uni-
ti) Vienna IH, 19 maggio 1910.
(2)  Ann.,  v,  II,  p.  378.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
datura  ordinaria  della  chiesa  e  ai  bisogni  spirituali  dei  pellegrini.
La  chiesa  era  frequentata  da  poche  centinaia  di  paesani  e  i  pelle-
grini  vi  accorrevan  numerosi  anche  dall'estero,  massime  dalla  Ger-
mania e dalla  Slovacchia, ma  solo  in  quattro feste  annuali.  La salu-
brità  del  clima  e  l'amenità  della  posizione  avrebbex"o  favorito  lo
svilupparsi  di  opere  salesiane.  I  Cooperatori,  pochi  ma  influenti,
aspettavano  con  desiderio  i figli di  Don Bosco.  Per  tutti  questi  mo-
tivi  Don  Tìrone  giudicava  la  fondazione  preferibile  ad  altre,  che
si  ventilavano in quei giorni,  tanto più che  per la  natura  delle occu-
pazioni estrascolastiche non si richiedeva personale monito qualificato.
Anche  a  lui,  come  all'Arcivescovo,  pareva  che  di  là  i  Salesiani  si
sarebbero  preparata  una  buona  entrata  in  Buda-Pest.  Sembrandogli
però  opportuno  che,  per  il  decoro  della  casa  dinanzi  a  un  clero
istruito,  almeno  il  Direttore  avesse  qualche  titolo  di  studi,  venne
nominato  Don  Francesco  Walland,  laureatosi  in  Roma  all'Univer-
sità Gregoriana. Non era ungherese, ma sloveno;  questo tuttavia  non
noceva, nulla impedendo che avesse la direzione uno straniero, anche
se  fosse un italiano,
Il  trasferimento  del  collegio  di  Cavaglià  avvenne  il  13  ottobre
1913.  Non  si  pensi  che  i  nuovi  arrivati  prendessero  possesso  di  un
venerando  cenobio monumentale. Lo  era  stato una  volta;  ma  allora
si  trovava  in  condizioni  da  far  pietà.  Quando non  c'è  più  per lungo
tempo la presenza dell'uomo, un edifìcio  a  poco a poco va in  sfacelo.
Delia  chiesa  si  erano  occupati  i  preti  della  parrocchia  di  Bajót  e
qualche altro prete secolare; ma il chiostro, abbandonato  a se stesso,
aveva  i  muri  mezzo  diroccati.  Posto  mano  alle  riparazioni,  i  Sale-
siani  provvidero  alle  più  urgenti  necessità  di  un'abitazione  umana.
Il  primo  anno  passò  così  così.  Tuttavia,  nonostante  i  disagi,
traspare  da  una  relazione,  che  vi  si  menava  una  serena  vita  di  fa-
miglia,  quale  si  suole riscontrare  nelle  case  salesiane.  Poi  cominciò
il  finimondo  della  guerra.  Il  Direttore  e  vari  confratelli  dovettero
partire  per  la  caserma.  Gli  uomini  di  poca  fede  temettero  che  l'O-
pera  Salesiana  nell'Ungheria  morisse  in  fasce.  Invece  la  Provvi-
denza  non  lo  permise.  L'Ispettore  mandò  a  dirigere  la  casa  il  po-
lacco  Stanislao  Pìywaczyk,  che,  fattosi  risolutamente  ungherese,  si
guadagnò  la  fiducia  generale.  Intanto  dagli  aspiranti  maturarono  i
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
primi  novizi,  ai  quali  fu  dato  ivi  stesso  per  maestro  l'italiano  Don
Francesco  Binelli,  sant'uomo,  che  non  era  alle  prime  armi  in  novi-
ziati  stranieri  e  che,  sebbene  avanti  nell'età,  si  diede  con  coraggio
eroico  allo  studio  del  difficile  idioma.
Finita  la  guerra,  si  cascò  dalla  padella  nella  brace:  scoppiò  la
rivoluzione  politica,  seguita  da  quella  sociale  con  l'immancabile  dit-
tatura  del  proletariato  ossia  del  comunismo,  che  durò  solo  tre  mesi,
ma  seminò  il  paese  di  stragi  e  di rovine.  Terre,  case,  scuole  religiose
e pie  fondazioni  confiscate.  Nessun  emolumento  ai  ministri  del  culto.
Proibito  ogni  insegnamento  della  religione,  ogni  atto  di  culto  nelle
aule  scolastiche;  vietato  a  persone  ecclesiastiche  insegnare  o  avere
altri  pubblici  impieghi,  se  non  dichiaravano  di  essersi  laicizzati.
Anche i Salesiani ebbero  le loro ore  di  angoscia,  Don  Michele  Schaub
salesiano scriveva il 5  giugno 1919 a  Don Albera,  anche  lui  in  perfetto
italiano:  « Oh  se  in  Italia e  in  altri  paesi  i  lavoratori  e  il  popolo  ve-
dessero  in  pratica  dove  conducono  certe  idee  e  sistemi  sovversivi,
cambierebbero  tosto  di  tattica  ora  che  sono  ancora  in  tempo  e  non
aspetterebbero  sicuramente  di  doverne  fare  la  triste  esperienza ».
La  casa  di  Szentkereszt  restò  pressoché  chiusa,  finché  non  dispose
della, riapertura  nel  1921  il  nuovo  Ispettore  Don  Hlond,  collocandovi
accanto  ai  novizi  anche  i  chierici  studenti  di  filosofia.
Quando  la  rivoluzione  rendeva  impossibile  la  vita  a  Szentkereszt,
la  Provvidenza  suscitò  un  benefattore  insigne  nella  persona  del  par-
roco  di  Nyergesùjfalu  Don  Giuseppe  Metzker,  il  quale  si  determinò
a  preparare  per  i  Salesiani  un  nuovo  nido  in  un  luogo  fuori  di  mano
tra  i  boschi,  a  sei  chilometri  di  distanza,  sulla  riva  del  Danubio.
Da  gran  tempo  egli  desiderava  i  Salesiani  nella  sua  parrocchia;
dopo  lungo  aspettare  finalmente  decise  di  agire,  facendo  acquisto
di  un  albergo.  I  Superiori  approvarono,  ma  le  prime  circostanze  fu-
rono  avverse.  Nel  1919,  terminati  appena  i  lavori  di  restauro  e  di
adattamento,  gli  alunni  di  Szentkereszt  stavano  per  immigrarvi.
quando  lo  stabile  venne  sequestrato  dai  comunisti,  che  vi  stabili-
rono  una  scuola  di  pittura,  vero  covo  d'immoralità.  Ma  i  tristi  mesi
del  terrore  finirono.  Allora,  liberati,  sbrattati  e  ribenedetti  i  locali,
si  accelerarono  le  riparazioni  e  l'arredamento,  giacché  i  tempora-
nei  inquilini  vi  avevano  fatto  de  populo  barbaro.  In  settembre  tutto
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
era  pronto  per ricevere  ì  giovani  di  ritorno  dalle  famiglie.  Nel  giorno
dei  Santi  si festeggiò l'inaugurazione con  l'intervento  di  tutto  il  paese.
Vi  erano  51  studenti  interni  e  22  semiconvittori.  Presto  la  casa  fu
arricchita  del  suo  Oratorio  festivo  e  della  scuola  serale,  frequentata
da  giovani  operai  delle  fabbriche.  Gli  ungheresi  sono  amantissimi
della  musica;  perciò  vi  si  salutò  con  gioia  la  schola  cantorum,  che
attirava  ammiratori  anche  dai  luoghi  circostanti.  Nel  1921  il  Cardi-
nale  Primate  visitò  due  volte  il  collegio,  largheggiando  in  soccorsi.
La  terza  fondazione  ungherese  è  quella  di  Buda-Pest.  Se  n'era
trattato  già  con  Don  Rua  nei  1903,  ma  senza  mai  conchiudere.  Una
proposta  del  1913  attirò  l'attenzione  dell'Ispettore.  Mons.  Pokorny,
capo  di  un'Associazione,  che  aveva  cura  di  giovani  artigiani  viventi
lontano  dalla  famiglia  ed  era  Direttore  diocesano  dei  Cooperatori,
aveva  visitato  nel  1911  la  casa  di  Cavaglià  col  Vescovo  Varady  di
Gyòr,  partendone  col  proposito  di  chiamare  i  figli  dì  Don  Bosco
a  Buda-Pest.  A  nome  dunque  del  Comitato  da  lui  presieduto  rivolse
nel  1912  all'Ispettore  formale  invito  ad  aprire  una  casa  nella  capi-
tale,  specialmente  per  tenervi  un  buon  Oratorio  festivo.  Ma  i  Supe-
riori  pensavano  allora  piuttosto  al  modo  di  trasferire  nell'Ungheria
la  casa  di  Cavaglià,  come  abbiamo  veduto,  e  l'ora  per  Buda-Pest
sonò  un  po'  più  tardi.
Modesti  furono  gli  inizi,  in  un  rione  molto  esteso,  popolato  di
operai  e  privo  di  chiesa  e  d'assistenza  religiosa.  I  Salesiani  rileva-
rono  un'opera  già  esistente.  L'aveva  fondata  un  virtuoso  sacerdote
Agostino  Ficher,  che  con  il  preciso  metodo  di  Don  Bosco,  del  quale
era  ammiratore,  raccoglieva  intorno  a  sé' nei  giorni  di  domenica  e
di  festa  i  giovani,  divertendosi  con  loro  e  istruendoli  nella  religione
mediante  i  sussidi  d'una  Associazione  organizzata  da  lui;  mante-
neva  pure  quindici  poveri  convittori.  Ma  nel  1918  un  incidente
tramvìario  troncò  una  vita  così  preziosa.  Due  anni  dopo  l'Autorità
ecclesiastica  affidava  tutta  l'opera  ai  Salesiani,  che  in  ottobre  ne  pre-
sero  la  direzione  e  a  poco  a  poco  la  ingrandirono,  allargando  la
beneficenza.  Col  tempo  vi  unirono  un  pensionato  per  studenti  di
una  vicina  scuola  pubblica.  Dalla  casa  uscirono  vocazioni  ecclesia-
stiche  e  religiose.
L'opera,  come  dicevamo,  era  di  piccole  proporzioni,  ma  offriva
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
tre  vantaggi:  avere  subito  un  alloggio  nella  capitale,  dare  ivi  i
primi  saggi  dell'attività  salesiana  a  prò  della  gioventù  operaia  e
poter  iniziare  l'organizzazione  dei  Cooperatori  in  un  centro  di  tanta
importanza.  Direttore  fu  il  già  menzionato  Don  Pìyrvaczyk,  che  in
quegli  anni  difficilissimi  del  dopo  guerra  seppe  reggere  con  pru-
denza  e  spirito  di  sacrifìcio  le  sorti  dell'umile  fondazione,  cattivan-
dosi  l'affetto  di  tutti.  Gli  succedette  poco  dopo  Don  Antal,  il  quale
pure  in  mezzo  a  gravi  difficoltà  seppe  destreggiarsi  assai  bene.  Gra-
zie  allo  zelo  di  questi  due  primi  Direttori  la  benevolenza  generale
die  all'opera  il  modo  di  gettare  buone  radici.
Fondazioni  nella  Stiria.
Nella  Stiria  il  Vescovo  di  Marburg  Michele  Napotnik  dal  1908
domandava  con  insistenza  i  Salesiani  per  Wernsee,  dove  alcuni
Cooperatori  preparavano  loro  una  casa;  ma  fino  al  1912  non  si  potè
far nulla
1
.  11  paese dista  circa  sei  ore  di  treno  da  Vienna  e  un  paio  di
chilometri  dall'Ungheria.  Nel mese  di luglio  Don  Barberis,  Catechista
Generale,  dopo  aver  visitato  la  casa  di  .Vienna  III,  diretta  da  Don
Hlond  (1),  e quella in  preparazione  a  Wernsee,  scriveva  a  Torino  da
Lubiana:  « Quel  professor  Kovacic  che  ci  chiamò  a  Wernsee,  pare
proprio  una  santa  persona,  umile.  Le  tre  sorelle  che  cedettero  il  ter-
reno,  sono  buone  vecchiette,  che  saranno  la  nostra  provvidenza.
Sono  contadine  che  vivono  lavorando  tutto  il  giorno,  ma  tutte  del
Signore,  senza  pretensioni ».
I  Superiori  deliberarono  di  traslocare  là,  con  il  loro  Direttore
Don  Aurelio  Guadagnini,  i  Figli  di  Maria  tedeschi,  che  da  parecchi
anni  andavano  a fare  il ginnasio  nel  collegio  di  Penango  Monferrato;
ma  non  essendo  ancora  ultimato  l'edificio  di  Wernsee,  ne  poterono
inviare  solo  una  cinquantina,  fermando  la  classe superiore  a  Vienna.
Due  serie  difficoltà  si  dovettero  subito  affrontare.  Non  solo  tutta
la regione  era slovena,  ma  gli abitanti  avevano  a  noia i  tedeschi  come
il  fumo  negli  occhi,  e  su  di  questo  i  Superiori  non  avevano  avuto
precise  informazioni.  Inoltre  quella  buona  gente  rurale  si  aspettava
una  scuola  di  agricoltura.  Per  fortuna  il  Governo  aprì  poco  dopo
(1)  Ann.,  v.  Ili,  p.  440.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
nelle  vicinanze  una  scuola  di  tal  genere,  sicché  a  Wernsee  non  se
ne  parlò  più;  quanto  agli  ospiti  indesiderabili,  gii  animi  si  rassere-
narono,  quando si  seppe  che i  Salesiani,  non  appena  avessero  potuto
disporre  di  personale  sloveno,  avrebbero  levato  di  là  i  tedeschi  per
destinare  la  casa  a  elementi  locali,  e  intanto  cominciarono  a  tra-
sferirne  nel  collegio  di  Unterwaltersdorf,  del  quale  diremo,  facendo
posto  in  Wernsee  a  una  prima  classe  di  nativi.  Questa  mescolanza
recò  un  notevole  vantaggio,  perchè  molti  buoni  giovani  sloveni,  ve-
nuti  a  contatto  con  i  Figli  di  Maria  tedeschi,  appresero  a  conoscerli
e  a  stimarli,  imparandone anche  la  lingua,  Durante  la  guerra,  un'ala
del  fabbricato  fu  occupata  dall'esercito;  dopo  la  guerra,  la  casa  si
ripopolò  di  soli  sloveni.  Avendo  poi  il  trattato  di  pace  assegnato
quella  parte  del  territorio  alia  Jugoslavia,  Wernsee  divenne  Verzej.
Anche  a  Graz,  capoluogo  della  Stiria,  i  soci  della  Conferenza
di S.  Vincenzo  de'  Paoli  invitavano  dal  1905 ì  Salesiani  per prendervi
la  direzione  di  una  colonia  agricola;  ma  alle  reiterate  domande  Don
Rua  fece  rispondere  prima  declinando l'invilo  per  mancanza  di  per-
sonale  e  poi  pigliando  sei  anni  di  tempo,  il  che  fu  inteso  come  un
rifiuto.  Nel  1919  si  rivolse  a  Don  Albera  un'Associazione  di  donne
cattoliche,  le  quali,  avendo  aperto  un  Oratorio'  festivo,  volevano  ri-
metterlo  ai  Salesiani.  Allora,  essendovi  personale  sloveno,  si  andò.
L'Oratorio  si  faceva  in  due  baracche  lasciate  dai  militari,  una; delle
quali  serviva  da  cappella  e  l'altra per  le  adunanze  dei ragazzi.  Senza
entrare  in  particolari,  mi  limito  a  dire  che,  nonostante  il  buon  vo-
lere  da  ambe  le parti,  sorsero tante  e  tali  difficoltà,  che  bisognò  dopo
due  anni  prendere  commiato,  in  attesa  di  occasione  migliore;  la
quale  occasione  tardò  a  presentarsi  fino  al 1934.
Fondazioni  Austriache.
Tedesco fino  al  midollo  era  il  paese  di  Unterwaltersdorf,  situato
a breve  distanza  da  Vienna.  L'Ispettore  Don  Tirone,  sempre in  cerea
di  un  rifugio  per  il  trasferimento  dei  tedeschi  cosi  male  accetti  a
Wernsee, stimò  dì non  doversi lasciar sfuggire  un'occasione di  traslo-
carli  colà.  È  vero  che  quelli,  essendo  germanici,  non  nutrivano  sim-
patie  per  gli  austriaci;  ma  si  sarebbero  venuti  a  trovare  in  un  am-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
biente  assai migliore che non  dove stavamo allora.  I  Salesiani vi  erano
desiderati  dalle  autorità  e  dal  popolo.  Il  comune  offriva  gratuita-
mente  un  bel  tratto  di  terreno  fabbricabile  e  coltivabile  e  avrebbe
venduto  a  buone  condizioni  un  podere  quattro  volte  più  esteso.  Sì
aggiungevano  altre  agevolezze,  sulle  quali  si  poteva  fare  sicuro  as-
segnamento.  Da  quelle  parti  non  esisteva  ancora  nessun  istituto  reli-
gioso.  I  Superiori  accordarono  il  loro  assenso,  Ma  l'uomo  propone  e
Dio  dispone.  Il  26  aprile  1914  venne  collocata  con  tutta  solennità
la  prima  pietra.  Scoppiata  la  guerra,  quando  i  Russi  invasero  la
Galizia,  i  Salesiani  polacchi  per  mettersi  in  salvo  si  riversarono  nel-
l'Austria  e  trovarono  provvidenziale  rifugio  insieme  con  l'Ispettore
nelFediflcìo  appena  terminato,  occupandolo  per  due  anni.  Al  loro
ritorno  in  patria  sottentrarono  nella  casa  i  germanici  di  Wernsee.
Durante  la  guerra  l'Ispettore,  come  italiano,  dovette  assogget-
tarsi  a  una  specie  d'internamento.  Godeva,  sì,  di  una  certa  qual  li-
bertà;  ma  fu  avvertito  che  non  sarebbe  potuto  allontanarsi  note-
volmente  da  Unterwaltersdorf  senza  l'esplicito  permesso  del  Capi-
tano  distrettuale.  La  necessità  di  recarsi  nei  vari  collegi  lo  obbligava
a  chiedere  di  questi  permessi,  che  gli  venivano  accordati  dopo  molte
e  lunghe brighe.  Solo  per  Radna  il  comando  militare  di  Lubiana  gli
rifiutò  assolutamente  l'autorizzazione,  anzi  gli  vietò  qualsiasi  dimora
in  Carniola.  Con  i  Superiori  di  Torino  cercava  di  corrispondere  per
mezzo  della  Nunziatura  di  Vienna.  Si  valeva  pertanto  di  Don  Gua-
dagnini,  che,  essendo  suddito  austriaco  del  Trentino,  poteva  andare
e  venire  liberamente  e  si  valeva  di  questa  libertà  per  giovare  ai  con-
fratelli  militari.  Così  nel  marzo  1916  ne  convocò  quanti  più  potè  a
Monaco  di  Baviera,  riuscendo  a  radunarne  ventisette.  Scriveva  da
Unterwalters  a  Don  Albera  il  7  aprile:  « Oltre  una  funzione  religiosa
tenuta  in  comune  e  seguita  poi  da  una  refezione  comune,  durante  la
quale  manifestarono  in  vari  discorsi  il  loro  amore  alla  Congrega-
zione,  la  loro riconoscenza  ai  Superiori,  i  sentimenti  della  loro  pietà,
essi  vollero  pure presentare i loro  doni,  consistenti  in  un paramentale
completo,  una  pianeta  violacea,  un  calice  d'argento  dorato,  camici,
tovaglie,  messali,  tutto  acquistato  con  i  loro  risparmi  e  dedicato  a
Maria  SS.  Ausiliatrice,  quale  segno  di  gratitudine  per  averli  scam-
pati  da  tanti  pericoli  e  visibilmente  protetti.  I  ricami  e  le  lavora-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
zioni  sui  diversi  oggetti  ricordano  il  tempo,  in  cui  ci  troviamo,  e  il
molto  Bonum  certarnen  celiavi,  fìdem  servavi  deve  ricordare  anche
ai  posteri  le  loro  lotte  fisiche  e  spirituali  e  la  loro  fedeltà  a  Dio,  alla
patria,  alla  vocazione.  Tutti  approfittarono  della  mia  presenza  per
tare  il  rendiconto  e  sono  lieto  di  poterla  assicurare  che  sono  animati
da  buona volontà  e  guidati  dallo  spirito  del  nostro  santo Fondatore ».
Passato  il  terrore bolscevico,  la casa il  1° giugno  1919 fu  allietata
dalla  visita  del  Card.  Piffl,  Arcivescovo  di  Vienna,  che  aveva  guar-
dato  sempre  con  occhio  di  predilezione  quell'opera  salesiana.  In
una  sua  allocuzione  manifestò  la  propria  contentezza  per  aver  con-
statato  che  vi  regnava  veramente  lo  spirito  di  Don  Bosco.  Lo  colpì
specialmente  la  povertà  e  semplicità  della  vita.  Ripetè  alcuni  giorni
dopo  di  essere  rimasto  molto  edificato,  aggiungendo  che  la  giornata
trascorsa  in  mezzo  ai Salesiani gli  era stata  molto  gradita  e che  molto
sperava  in  un  prossimo  sviluppo  dell'istituto.  Era  naturale  che  gli
facesse  impressione  la  vita  di  una  casa  salesiana,  tanto  diversa  per
vari  aspetti  da  quello  che  poteva  aver  osservato  in  altri  collegi.  Non
aveva  trovato,  per  esempio,  dai  Salesiani  il  contegno  inappuntabile
e  freddo  di  altri  luoghi  d'educazione,  ma  spontanee  e  cordiali  ma-
nifestazioni,  che  sapevano  tanto  di  famiglia.
Durante  e  dopo guerre  un  po'  lunghe i  ragazzi,  figli  di  richiamati
o  di  morti  sul  campo,  abbandonati  tv se  stessi,  diventano  nelle  grandi
città  una  piaga  sociale.  Vienna  in  occasione  della  prima  guerra  mon-
diale  non  fece  in  questo  eccezione.  Vi  fu  allora  chi  comprese  che  i
Salesiani  avrebbero  potuto  in  tale  frangente  essere  utili.  Oltreché
dalle  due  fondazioni  anteriori  alla  guerra  (1),  ciò  si  era  veduto
anche  da  un'opera  intrapresa  al  principio  delle  ostilità.  Allora  il  co-
mando  militare  aveva  fatto  evacuare  parecchie  località  della  Ve-
nezia  Giulia  e  Tridentina,  distribuendo  le  popolazioni  in  campi  di
concentramento  anche  intorno  alla  capitale.  I  Salesiani  si  portavano
in  mezzo  a  loro  per  l'esercizio  del  sacro  ministero,  tanto  più  accetti,
perchè,  sebbene  sudditi  dell'impero,  parlavano  italiano.  Il  Governo
con  provvido  pensiero  istituì  in  un  grande  albergo  di  Vienna  XVIII
un  pensionato  per  studenti, figli di  quei  profughi.  Ma  dopo  due  anni,
nel  1917,  le  cose  là  dentro  andavano così  male,  che  per suggerimento
(t)  Ann.,  v.  Ili,  pp,  .136-449.
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del  Cardinale  Arcivescovo  le  autorità  decisero  di  affidarne  la  dire-
zione  ai  Salesiani.  Essi  accettarono;  ma  si  trovarono  di  fronte  a
tanta  indisciplinatezza,  che  ebbero  un  bel  da  fare  per mettere  un  po'
d'ordine;  in  compenso  tuttavia  provarono  la  soddisfazione  di  vedere
in  atto  l'efficacia  del  sistema  educativo  di  Don  Bosco.  Nella  lettera
di  capo  d'anno  del  1920  Don  Albera  se  ne  compiaceva  altamente,
Su  170  giovani  si  cominciarono  ad  avere  in  breve  alcune  e  poi  ses-
santa  e  ottanta  comunioni  quotidiane.  Anzi,  quando  il  pensionato
cessò  di  funzionare e  venne chiuso,  venti  di  essi  avevano  domandato
di  farsi  salesiani  e  furono  assegnati  quali  a  Unterwaltersdorf  per
terminare  il  ginnasio,  quali  al  noviziato  di  Wernsee,  e  otto  dopo  il
noviziato  passarono  nello  studentalo  di  Valsalice.
Dicevo  che  il  pensionato  di  Vienna  XVIII  fu  chiuso.  Questo  av-
venne  perchè,  terminata  la  guerra,  quegli  italiani  già  soggetti  all'Au-
stria  poterono  rimpatriare.  Allora  per  i  Salesiani  l'occupazione  cam-
biò.  La  necessità  di  tenere  a  segno  tanta  gioventù  scapestrata  aveva
indotto  nel  1917  una  "  Charitas-Verband ",  Associazione di  carità,
ad  aprire  in  Vienna  XVIII  una  casa,  dove  raccogliere  i  birichini,  che
sarebbero  stati  consegnati  dal  municipio,  il  quale,  a  sua  volta,  li
avrebbe  ricevuti  dalla  polizia  o  dal  tribunale  dei  minorenni.  L'in-
tenzione  era  ottima,  si  voleva  riabilitarli;  ma  il  metodo  usato  con-
duceva  all'effetto  opposto,  rendendoli  peggiori.  La  casa,  concepita
come  un  porto  di  salute,  era  invece  un  triste carcere.  Disciplina  fer-
rea,  porte chiuse  a  chiave  e  finestre  fermate  con  catenelle  e  lucchetti,
sorveglianza  poliziesca,  punizioni  senza  misericordia.  Quando  i  ca-
ritatevoli  fondatori  si  convinsero  che  così  non  si  faceva  nulla  di
buono,  implorarono  l'aiuto  dei  Salesiani,  che  nel  1919,  rimasti  liberi
dal  primitivo impegno,  si  accinsero  alla  santa  impresa.  Ma  per prima
cosa,  vista  la  ristrettezza  dei  locali,  dove  ì  poveri  giovani  stavano
appollaiati,  ottennero  che  si  trasmigrasse  in  un  edifìcio  più  comodo
e  più  capace  a  Vienna  XIII.  Qui,  più  ancora  che  nel  chiuso  pensio-
nato,  ebbero  modo  di  far  vedere  il  valore  del  sistema  salesiano.
Incominciarono a  guadagnarsi  la  confidenza  dei  ricoverati, sbandendo
tutto  quello  che  sapeva  di  prigione  e  mettendosi  in  mezzo  a  loro,
tenendoli  allegri  e  soprattutto  circondandoli  di  benevolenza.  La
pietà  poi  insinuata  a  poco  a  poco  e  l'istruzione  religiosa  impartita  a
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
piccole  dosi  compivano  l'opera.  Naturalmente  li  tenevano  occupati
in  lavori  manuali.  Si  verificavano  reali  trasformazioni.  La  città  am-
mirava.  Perfino  il  giornale  socialista  Arbeitter  Zeitung,  Gior-
nale  dell'operaio,  cantava  le  lodi  dei Salesiani  scrivendo  così  nel  nu-
mero  del  14  maggio  1920,  cioè  pochi  mesi  dal  principio  dell'opera:
« In  passato  erano  all'ordine  del  giorno  le  indisciplinatezze,  le  ri-
volte, i tentativi  di fuga  e  le  fughe.  A  nulla  giovavano  le  precauzioni:
quei  giovinastri  sapevano  eluderle.  Ma  quando  il  nuovo  Direttore
assunse  la  direzione  e  sostituì  il  sistema  educativo  preventivo  al  si-
stema  del  rigorismo  e  della  punizione,  la  condotta  è  cambiata.  Egli
fece  togliere  le  catenelle  alle  finestre  e  diede  ordine  che  non  si  chiu-
desse  a  chiave la  porta  di  uscita.  Intanto prese  a  manifestare  fiducia
ne'  suoi  giovani,  permettendo  loro  certe  uscite,  incaricandoli  di  pic-
cole  commissioni  in  città,  destando  una  sana  emulazione  tra  essi  e
premiando  chi  si sforzava  di  essere  diligente.  In  breve non  si  verificò
più  nessun  tentativo  di  fuga,  non  più  sommosse,  non  più  gravi  insu-
bordinazioni.  I  giovani  insomma  si  mostrano  degni  della  fiducia  in
loro riposta  ».  Il Direttore qui tanto lodato  era DoniValentino Kehrein,
che  da  direttore  di  fabbrica  si  era  ridotto  a  Figlio  di  Maria  nella
casa  di  Penango.  In  tutto  questo  il  giornalista  non  vedeva  se  non
la  superficie,  né  immaginava  che  l'oggetto  de'  suoi  encomi  era effetto
di  quella  religione,  la  quale  egli  doveva  ignorare,  se  voleva  essere
coerente  a'  suoi  princìpi.  Tuttavia  le  sue  constatazioni  non  perdono
per  questo  il  loro  valore,  anzi!
Dobbiamo  pure  completare  la  nostra  narrazione.  S'andò  avanti
così  pacificamente  e  fruttuosamente  fino  al  1925,  allorché  i  socialisti
s'impadronirono  del  municipio.  Gli  sfegatati  amici  del  popolo  con-
tinuarono  a  spendere  come  i  loro  predecessori,  ma  non  mandavano
più  nessuno  dai  Salesiani,  anzi  un  dopo  l'altro  ne  toglievano  quelli
che  c'erano,  finché  la  casa  perdette  il  suo  scopo  e  le  si  dette  un'altra
destinazione.
È  del  1919  un'altra  fondazione  viennese,  non  grande,  ma  vitale
e  feconda.  Una  località  del  quartiere  XXI,  oggi  XXII,  difettava  di
assistenza  religiosa  per  scarsità  di  clero  e  per  la  lontananza  dalla
chiesa  parrocchiale.  C'era  là  un  convento  di  suore  del  Bambino
Gesù  con  un  modesto  alloggio  per  il  cappellano.  Il  Cardinale  Arci-
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vescovo  incaricò  della  cappeUania  i  Salesiani,  perchè  avessero  l'ubi
consìstam,  ma  con  la  doppia  missione  di  curare  la  vita  spirituale
di  circa  diecimila  anime  e  d'impartire  l'insegnamento  religioso  nelle
scuole  elementari.  Essi  ci  si  misero  con  tutta  la  buona  volontà.  Loro
primo  pensiero  fu  di  organizzare  ^oratorio  quotidiano  per  tirarsi
subito  attorno  la  gioventù  e  guadagnarsi  in  tal  modo  la  popolazione.
Quei  buoni  confratelli lavorarono  e  soffrirono  assai.  Dal  1919  al  1925
non  ebbero  né  casa  propria  né  chiesa,  ma  continuarono  ad  abitare
quattro  stanzucce  delle  suore,  mentre  le  funzioni  si  facevano  per
il  popolo  nella  cappella  semipubblica  dei  monastero  e  per  i  giovani
dell'oratorio  nella  sala  di  ginnastica  della  scuola  comunale;  le  adu-
nanze  giovanili  si  tenevano  in  un  angusto  sotterraneo.  Dopo  il  1925
si  ebbero  locali  appositi  e nel  1934  fu  eretta  ivi una  nuova  parrocchia
e  affidata  alle  loro  cure.
Un'ultima  fondazione  fatta  poco  dopo  il  crollo  dell'impero  abs-
burgico  e  sotto  il  Rettorato  di  Don  Albera  è  quella  di  Fulpmes  nel
Tirolo.  Appartiene  alla  primavera  del  1921,  due  anni  dopo  la  divi-
sione  dell'Ispettoria  accennata  in  principio,  La  casa  era  stata  un
Grand  Hotel,  che,  adibito  durante  la  guerra  a  lazzaretto  militare,
fu  dopo messo  in vendita.  Un corsorzio lo  acquistò  e  il  parroco,  buon
cooperatore,  ne  propose  la  compera  ai  Salesiani.  Don  Hlond  rice-
vette  l'incarico  di  aprire quella  casa,  destinata  ai  Figli  di  Maria,  con
pensionato  per  alunni  delle  scuole  industriali  e  con  Oratorio  festivo.
Il  primo  anno  incominciò  col  primo  corso;  vi  si  aggiunsero  poi  di
anno  in  anno  i  rimanenti,  mentre  viceversa  si  lasciava  estinguere
la  scuola  dei  Figli  di  Maria  nella  casa  di  Unterwaltendorf,  destinata
ad  altro  scopo.  L'anno  seguente  Don  Hlond,  mandato  dalla  Santa
Sede  Amministratore  Apostolico  a  Kattowice,  incominciò  le  sue
ascensioni,  che  dovevano  culminare  nei  cardinalato.
Fondazioni  germaniche.
I  Salesiani  germanici  anelavano  di  andar  a  lavorare  tra  i  loro
connazionali,  specialmente  in  Baviera,  donde  era  provenuta  la  mag-
gior  parte  dei  Figli  di Maria,  accorsi  all'aspirantato  di  Penango.
D'altra  parte  in  Germania  i  Salesiani  erano  desiderati.  Ne  ebbe  una
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
prova  Don  Guadagnine,  quando  fu  a  Monaco  nel  1916.  Nella  lettera
già  citata  scriveva:  « Anche  durante  la  mia  permanenza  a  Monaco
potei  persuadermi  quanto  si  desiderino  i  Salesiani  in  Baviera  e  tro-
vai  anche  persone  disposte  ad  aiutarci  ».  In  Germania  dalla  fine  del
secolo  xix  sì  venivano  sviluppando  opere  giovanili  come  reazione
ai  deleteri  influssi  esercitati  sulla  gioventù  dalle  organizzazioni  an-
ticristiane.  Sorse  così  un  numero  considerevole  di  istituzioni  catto-
liche,  le  quali  spiegarono  il  loro  zelo  in  quei  campo;  ma  si  sentiva
da  tutti  la mancanza  di una  Congregazione  religiosa, che  potesse met-
tere  a  disposizione  un  personale  adatto  e  Asso.  Ecco  perchè  non  sì
ebbe  ritegno  di  ricorrere  a  una  Congregazione  di  origine  straniera,
nonostante  il  divieto  della legge. La  prima  proposta  risale  al  1911.  La
fece  alquanto  vagamente  un  parroco  di  Wùrtzburg;  un  secondo  in-
vito  di  cinque  anni  dopo era  più  concreto  e  partiva  da  Mons.  Stahler,
presidente  diocesano  delle  Associazioni  giovanili  operaie.  La  pensa-
vano  come  lui  anche  altri  presidenti.  Egli  offriva  la  direzione  di
un  convitto  operaio  e  di  un  circolo  operaio  giovanile,  convitto  e  cir-
colo  che  dipendevano  dalla  Società  Cattolica  protettrice  dei  giovani
operai  a  Wùrtzburg.  L'Ispettore  Don  Tirone  sollecitava  da  Torino
una  risposta  favorevole,  scrivendo  da  Vienna  il  1"  giugno  1916:
« L'entrare  in  Germania  (per  ora  solo  in  Baviera)  è  per  noi  cosa
di  capitale  importanza».  Chi  più  di  tutti  si  adoperava  presso' il  Go-
verno  per  la  venuta  dei  Salesiani  era  il  Dottor  Winterstein,  par-
roco  del  duomo  ed  ecclesiastico  molto  influente.
I  Salesiani,  stipulato  un  regolare  contratto,  andarono  a  Wiirtz-
burg  nel  mese  di  dicembre.  Da  principio  presero  stanza  nell'ala  d'un
convento  degli  Agostiniani,  mentre  altri  cercavano  di  procurar  loro
una  casa  indipendente.  Il  convitto  conteneva  ottanta  giovani  arti-
giani,  e  il  circolo,  che  i  Salesiani  denominarono  " Don  Bosco ",  ne
riuniva  quotidianamente  un  numeroso  stuolo.  Il  Governo  bavarese
aveva  chiuso  un  occhio,  perchè  impressionato  dall'aumentare  della
delinquenza  nei  minorenni  e  perchè  in  tutta  la  Germania  non  esi-
stevano  religiosi,  che  avessero,  come  i  Salesiani,  il  compito  preci-
puo  di  curare  l'educazione  della  gioventù  operaia.  Per  i  convittori
il  pericolo  derivava  dalle  officine,  dove  lavoravano  mescolati  con
socialisti  e  comunisti,  Non  si  può  credere  quanto  giovassero  a  com-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
battere  gli  errori  di  questa  gente  le  parole  della  "  buona  notte  ".
Come  faceva  già  Don  Bosco,  quando  i  suoi  artigiani  andavano  a
lavorare  fuori  dell'Oratorio,  il  Direttore  profittava  di  quel  sermon-
cino  serale  per  offrire  ai  giovani  il  controveleno  delle  cose  udite  du-
rante il giorno,  e  i  giovani  non  tenevano  solo  per sé le  salutari  parole,
La  presenza  dei  Salesiani  non  tardò  a  far  sentire  i  suoi  bene-
fici  effetti;  il  sistema  di  Don  Bosco,  fedelmente  applicato  dal
Direttore  Don  Niedermayer,  trasformò  quasi  in  UB  batter  d'occhio
l'ambiente,  che  sulle  prime  si  mostrava  piuttosto  freddo  rispetto
alla  frequenza  dei  sacramenti.  La  vita  di  famiglia,  che  vi  si  con-
duceva,  affezionava  grandemente  i  giovani  alla  casa.  Allontanatisi
per  qualunque  motivo,  coglievano  tutte  le  occasioni  per  visitarvi
i  Superori.  Gli  uomini  del  Governo guardavano la casa  con  simpatia;
nelle  loro  visite  li  impressionava  la  franchezza  e  ilarità,  che  tra-
spariva  dal  volto  dei  giovani.  Nel  1918  Don  Hlond,  andato  per  inca-
rico  dell'Ispettore  a  fare  la  visita  prescrìtta  dai  Regolamenti,  rimase
molto  soddisfatto  del  buon  andamento  e  dello  spirito  salesiano  che
regnava  nel  convitto.
In  città  giovò  ai  Salesiani  l'aver  trovato  un  antico  sodalìzio  ma-
riano  sotto  il  titolo  di  Maria  Ausiliatrice.  La  prima  Confraternita
così  intitolata  era  sorta  a  Monaco  di  Baviera  nel  secolo  xvn  per
decreto  di  Innocenzo  XI  dopo  la  liberazione  di  Vienna  (1683).  Tro-
varono pure  un  nucleo  di  Cooperatori, ma nella  propaganda  per  mol-
tiplicarli  bisognava  aver  riguardo  ad  altri  sei  Ordini  religiosi  ma-
schili  locali,  che  avevano  tutti  una  loro  organizzazione  analoga.
Una  seconda  fondazione  bavarese,  fatta  a  Freyung,  nella  dio-
cesi  di  Passavia,  non  s'incontra  più  nell'Annuario  della  Società,  per-
chè  dopo  cinque  lustri  di  attività  chiuse  i  suoi  battenti;  ma,  finché
la  casa  fu  aperta,  i  Salesiani  lavorarono  molto  ed  erano  assai  ben
voluti  dalla  popolazione,  a  cominciare  dal  primo  Direttore  Don
Augusto  Trummer.  Un  industriale  protestante  del  luogo  aveva  dato
al  Capitano  distrettuale  150.000  marchi  da  impiegare  in  qualche
opera  di  educazione  della  gioventù  operaia.  Il  parroco,  temendo  che
la  somma  andasse  a  finir  male,  d'accordo  col  Capitano  chiamò  i
Salesiani.  Erano  entrambi  antichi  cooperatori.  La  pratica  giunse
alla  conclusione,  sicché  nell'ottobre  1916  i  Salesiani  aprivano  a
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Freyung  un  Oratorio,  pigliavano  la  direzione  d'uno  dei  soliti  cir-
coli  operai  e  accettavano  l'insegnamento  religioso  nelle  scuole  ele-
mentari  e  industriali,  benché  due  di  queste  ultime  distassero  un'ora
di  cammino  dalla  città.  La  casa  presentava  anche  il  vantaggio  di
offrire  un  luogo  di  riposo  e  di  cura  per  i  confratelli  di  altre  case,
i  quali  ne  abbisognassero.  Questo  lavoro  non  indifferente  si  svolgeva
in  santa  pace,  quando  nel  1931  un  nuovo  parroco  portò  nuove  idee,
che  si  tradussero  in  nuove  organizzazioni  giovanili,  dirette  ad  atti-
rare  a  lui  tutta  la  gioventù.  Il  mondo  è  grande  e  c'è  posto  per  tutti.
Venuto  meno  lo  scopo  primario  della  fondazione,  i  Salesiani  tra-
sportarono  le  loro  tende  altrove.
Fin  dopo  la  guerra  non  vi  furono  altre  fondazioni  in  Baviera;
due  se  ne  fecero  nel  1919,  a  Monaco  e  a  Bamberga.  In  Monaco  ven-
ne  aperto  il  1°  ottobre  uno  dei  consueti  ospizi  per  giovani  artigiani,
che  lavoravano  in  città;  ma  si  abitava  alla  meglio  in  povere  barac-
che.  Intanto  si  seppe  da  persona  amica  dover  andare  in  vendita
ì'ex-manicomio, edificio  di  vaste proporzioni,  ma  non  in  buono  stato,
sebbene  non  difficilmente  utilizzabile.  L'informatore,  uomo  influente
nell'affare,  temendo  che  lo  acquistassero  i  socialisti,  sollecitava  i
Salesiani  a  comperarlo.  Recatisi  sul  posto  l'Ispettore  Don  Hlond  e
Don  Guadagnini,  si  limitarono  alla  compra  di  una  sola  quarta  parte,
quantunque  il  Governo non  esigesse nulla  per il  fabbricato,  ma  chie-
desse  unicamente  quattro  marchi  al  metro  quadrato  per  l'area  occu-
pata.  Misurava  questa  trentacinquemìla  metri  quadrati,  il  che  parve
importare  una  somma  superiore  alle  possibilità  dell'Ispettoria,  Ma
intervenne  la  Provvidenza.  Il  giorno  dopo  Don  Guadagnini  rice-
vette  un  assegno  bancario  di  cinquecento  mila  marchi  da  una  be-
nefattrice,  che  aiutava  già  la  casa  di  Penango,  quand'egli  vi  diri-
geva  gli  aspiranti  germanici.  Si  tornò  subito  sulla  faccenda,  imma-
giniamoci  con  quale  stupore  del  cassiere,  testimonio  dell'imbarazzo
di  ventiquattr'ore  prima.
Questo  però  non  significava  che  l'edificio  fosse  subito  disponi-
bile.  Vi  abitavano  ancora  molte  famiglie,  che  la  legge  non  permet-
teva  di  sfrattare;  onde  l'opera  si  veniva  sviluppando  man  mano
che  gli  ambienti  rimanevano  sgombri.  Così  un  po'  alla  volta  si  aper-
se  l'Oratorio  festivo,  s'impiantarono  laboratori,  s'introdussero  Figli
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
di  Maria  e  si  fece  luogo  anche  a  convittori  che  frequentavano  scuole
medie  dello  Stato.  Ma  ben  poco  si  potè  usufruire  del  vecchio  ma-
nicomio,  demolito  un  po'  alla  volta  e  sostituito  gradatamente  con
più  solide  e  più  adatte  costruzioni.
Fra  il  maggio  e  il  giugno  del  medesimo  anno  1919  il  Vescovo
Ausiliare  di  Bamberga,  visitando  la  casa  di  Wùrzburg,  rimase  così
ammirato  d'un'opera  tanto  bene  rispondente  ai  bisogni  dei  tempi,
che,  rientrato  in  sede,  colse  una  propizia  occasione  e  acquistò  col
concorso  del  Capitolo  metropolitano  un  terreno  e  un'abitazione  da
affidare  ai  Salesiani,  perchè  dessero  vita  a  un  ospizio  per  artigiani
e  a  un  Oratorio  festivo  con  circolo  giovanile.  I  benefattori  rimasero
poi  talmente  soddisfatti,  che  ne  diedero  testimonianza  otto  anni  do-
po,  quando  bisognò  rimediare  a  un'omissione  per  obbedire  al  nuovo
Codice  di  Diritto  Canonico.  Essendosi  pensato  erroneamente  che  il
contratto  col  Capitolo  includesse  anche  il  permesso  dell'Ordinario,
Io  si  dovette  richiedere  nel  1928,  per  poter  quindi  ottenere  da  Ro-
ma  l'approvazione  canonica  della  casa.  Orbene  la  Curia  di  Bamberga
nel  suo  rescritto  volle  inserire  il  voto  che  la  Congregazione  Sale-
siana,  tanto  benemerita  dell'educazione  cristiana  della  gioventù,
potesse  continuar  a  lavorare  con  molto  frutto  nell'archidiocesi.
Un  convitto  per  artigiani  con  circolo  operaio  i  Salesiani  piglia-
rono  sopra  di  sé  a  Passavia  nel  1920.  In  pochi  mesi  i  giovani  ap-
prendisti  da  17  salirono  a  150,  Quanto  era  sentito  i]  bisogno  di  tali
ospizi!  Prima  della  guerra  i  garzoni  di  bottega  vivevano  presso  i
loro  principali;  ma  dopo  per  la  scarsezza  dei  viveri  e  degli  alloggi
i  padroni  non  li  volevano  più  e  si  sa  che  cosa  possa  avvenire  dei
giovani  di  quella  età  e  condizione  lasciati  in  balia  di  se  stessi.  Il
vantaggio  ricavato  dal  vivere  sotto  la  guida  dei  Salesiani  formava
l'ammirazione  delle  autorità  e  dei  competenti.
Nella  diocesi  di  Passavia  è  Burghausen,  dove  fu  offerta  ai  Sa-
lesiani  la  chiave  per  la  soluzione  di  un  imperioso  problema,  il  pro-
blema  delle  vocazioni  germaniche.  L'aspirantato  e  il  noviziato  per  i
giovani  di  lingua  tedesca  era,  come  abbiamo  veduto,  in  Austria;
ma  dopo  la  guerra  dalla  Germania  non  venivano  più  giovani  in
Austria,  desiderosi  di  arrolarsi  sotto  la  bandiera  di  Don  Bosco.  La
voce  pubblica  della  fame  che  si  pativa  in  Austria  spaventava  tal-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
mente  le  famiglie,  che  i  genitori  non  permettevano  più  ai  figli  di
andarvi  e  piuttosto  li  mandavano  da  altri  religiosi  nella  Germania
stessa.  Venivano  così  a  mancare  le  migliori  vocazioni.  Per  rime-
diarvi  ci  voleva  in  Germania  un  collegio  per  giovani  aspiranti  alio
stato  ecclesiastico  e  religioso.  Che  fare  adunque?  Anche  in  questo
caso  si  sperimentò  la  mano  pietosa  della  Provvidenza.
Nel  1920  il  Vescovo  di  Passavia  voleva  vendere  ai  Salesiani  la
bella  residenza  del  suo  piccolo seminario  in  Burgliausen.  Don  Hlond
vi  pose  subito  gli  occhi  sopra  e  si  affrettò  a  chiedere  il  permesso
di  fare  quella  compera  per  destinare  la  casa  al  detto  scopo.  Il  Ve-
scovo  avrebbe  fatto  senz'altro  alla  Santa  Sede  la  domanda  per  l'a-
lienazione  e  non  avrebbe  avuto  fretta  per  il  pagamento.  Trattan-
dosi  di  vocazioni,  tutte  le  case  dell'Ispettoria  si  dichiararono  solidali
nel  concorrere  alla  spesa.  Il  permesso  giunse  in  tempo  per  il  prin-
cipio  dell'anno  scolastico  1920-21.  Si  accettarono  giovani  dai  dieci
ai  diciassette  anni.  Frequentavano  il  ginnasio  pubblico,  che  si  tro-
vava  a  pochi  passi  dal  convitto  ed  era  diretto  da  un  buon  cattolico.
Si  aveva  dunque  un  vero  piccolo  seminario.  L'effetto  del  cambia-
mento  si  vide  subito;  giacché,  mentre  dai  1890,  quand'era  stato
aperto  dal  Vescovo,  gli  alunni  scarseggiavano  sempre,  alla  venuta
dei  Salesiani  il  loro  numero  prese  ad  aumentare  rapidamente,  né
tardarono  i  frutti  bramati.
La  stessa  ragione,  che  aveva  consigliato  l'apertura  di  un  colle-
gio  salesiano  per  studenti  di  ginnasio  in  Germania,  valeva  pure
per  un  noviziato  e  uno  studentato  di  chierici,  e  si  potè  avere  l'uno
e  l'altro  a  Endorf,  nella  diocesi  di  Ratisbona.  Ottime  persone  aiu-
tarono  i  Salesiani  a  procacciarsi  quel  nido  di  pace  e  di  studio  in
un  ex-convento  di  Benedettini,  fondato  da  otto  secoli  e  da  cent'anni
rimasto  vuoto.  Vi  si  trasferirono  i  novizi  e  gli  studenti  germanici
da  Unterwalters.  A  inserirsi  nella  vita  locale  i  Salesiani seppero  trar
partito  dalla  celebrazione  dell'ottavo  centenario  dello  storico  mona-
stero  nazionale.  Nella  popolazione  sopravviveva  il  sentimento  ata-
vico  per  l'antichissimo  luogo,  già  santuario  di  preghiera,  scuola  di
lavoro e primo nucleo della città.  I Salesiani  dunque, interpreti di que-
ste  ereditarie  disposizioni  d'animo,  fecero  del  loro  meglio  per  dare
splendore  alla  commemorazione,  a  cui  parteciparono  con  il  Vescovo
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Espansione  Salesiana  negli  ex-imperi  Austro-ungarico  e  germanico,  ecc.
anche  due  Abati  dell'Ordine.  Un  dotto  oratore  intrecciò  bellamente
i  ricordi  del  vetusto  cenobio  con  le  speranze  che  si  concepivano  per
l'opera  dei  novelli  abitatori,  seguaci  sott'altra  forma  del  tradizio-
nale  motto  benedettino  ora  et  labora.
L'ultima  casa  germanica,  la  quale  deve  la  sua  fondazione  a
D.  Albera,  è  quella  di  Essen  nella  Prussia  Renana,  in  diocesi  di  Co-
lonia,  La  sua  importanza  derivava  soprattutto  dalle  condizioni  del
luogo.  Era  là  il  cuore  dell'industria  tedesca  occidentale,  la  città  del
carbone  e  dell'acciaio,  sulle  sponde  della  Ruhr,  tra  una  selva  di  ci-
miniere  eternamente  fumanti.  Il  lavoro  ferveva  di  notte  nelle  ma-
gnifiche  officine  e  nei  tortuosi  labirinti  sotto  il  suolo.  La  casa  sale-
siana,  già  sede  di  Associazioni  giovanili  protestanti,  divenne  la  casa
del  giovane  operaio  cattolico.  Vi  si  affollò  fin  da  princìpio  una  fa-
lange  di  giovani,  guadagnati  dalla  novità  del  sistema  di  Don  Bosco.
Ben  presto  bisognò  fabbricare,  mentre  da  ogni  parte  della  Prussia
s'invocavano  simili  fondazioni.  Indice  del  favore  acquistatovi  dai
Salesiani è il numero dei  Cooperatori, che  nel  1932 erano in città 2147.
Il  nome  di  Don  Bosco  sonava  programma  di  azione  sociale.
Quattro  opere  si  svolgevano  a  Essen:  ospizio  per  giovani  ope-
rai  delle  fabbriche,  alloggio  per  giovani  operai  di  passaggio,  ora-
torio  giornaliero,  che  era  anche  doposcuola,  e  frazione  locale  del-
l'Associazione  cattolica  degli  studenti  di  ginnasio  e  di  liceo,  che
aveva  ramificazioni  in  tutta  la  Germania.  A  ragione  si  compia-
ceva  il  Direttore  Don  Lampe,  tedesco  autentico,  d'aver  attuato  l'i-
deale  di  Don  Bosco,  che  mirava  ad  accomunare  le  differenti  classi
sociali.  E  questo  piaceva  agli  estranei,  che  n'erano  testimoni;  onde
egli  scriveva  a  Don  Albera  il  21  ottobre  1921 :  « Se  Ella,  mìo  caro
Padre,  fosse  qui,  riceverebbe  forse  una  delle  più  belle  impressioni
della  sua  vita,  al  vedere  come  gli  Ordinari,  le  autorità  civili,  i  be-
nefattori  e  specialmente  i  poveri  hanno  acclamato  l'opera  benefat-
trice  salesiana».  Nella  medesima  lettera  riferiva:  «Invitato  dai
Presidente  del  Tribunale,  che  si  occupa  degli  affari  criminali  della
gioventù,  fervorosissimo  cattolico  e  grande  ammiratore  di  Don  Bo-
sco,  dovetti  assistere  ad  una  seduta  e  visitare  pure  le  carceri  dei
giovani,  per  dare  agli  intervenuti  giureconsulti  un  resoconto.  Mio
buon  Padre,  mi  parve  di  riprodurre  gli  incanti  di  Don  Bosco  al  ve-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IV
dere  epme  manca  qui  l'amore  nell'educazione,  il  sistema  preven-
tivo  finora  poco  compreso  in  Germania,  ed  ho  potuto  spargere  un
po'  di  balsamo  nel  cuore  di  quei  piccolini,  che  nella  maggior  parte
non  mi  parvero  materia  atta  per  le  prigioni.  Così,  per  esempio,  mi
fu  condotto  innanzi  un  giovane  sedicennne  (il  più  scellerato  di
tutti!!!),  che  aveva  rubato  (forse  per  aver  fame)  e  si  trovava  ab-
bandonato  dai  suoi  parenti  senza  coscienza.  Quando  gli  parlai  della
sua  mamma  e  dei  suoi  primi  anni  di  vita,  proruppe  in  un  pianto
dirottò.  Forse  era  la  prima  volta,  che  gli  si  parlava  in  tono  dolce!
Mi  pregò  di  visitarlo  altre  volte  e  di  portargli  qualche  buon  libro.
Il  Direttore  della  polizia  mi  domandò  con  le  lacrime  agli  occhi,  che
mi  volessi  occupare  ogni  tanto  di  quei  derelitti,  che  si  trovavano
mescolati  con  veri  delinquenti.  Spero  di  poter  dettar  loro  fra  breve
un  piccolo  corso  d'esercizi  spirituali;  l'autorità  competente  m'ha
dato  tutte  le  facoltà,  che  m'abbisognano».  Questa  lunga  lettera
giunse  a  Don  Albera  quasi  alla  vigilia  della  sua  repentina  morte.
L'entusiasmo  per  l'Opera  di  Don  Bosco  aumentava  nella  Ba-
viera.  Si  vedeva  nelle  escursioni  che  i  giovani  di  quelle  case  face-
vano  in  vicine  città.  Dappertutto,  nonostante  le  strettezze  generali,
erano  regalati  di  abbondante  vitto  dai  Cooperatori.  Tutte  le  case
poi  erano  piene  di  alunni  e  si  venivano  ampliando,  secondo  i  mezzi
somministrati  dalla  Provvidenza  e  in  attesa  di  tempi  migliori,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  V
Nella  prima  guerra  mondiale.
(1914  -1918)
Il  periodo  centrale  del  Rettorato  dì  Don  Albera  coincise  con
la  prima  grande  guerra,  che  per  quattro  anni  tenne  diviso  il  mondo
in  due  campi  di  battaglia  e  causò  rovine  e  lutti  quali  non  si  erano
mai  visti  nelle  guerre  precedenti.  Aperse  il  fuoco  l'Austria  il  28  lu-
glio  1914,  movendo  le  armi  contro  la  Serbia  per  vendicare  l'eccidio
di  Serajevo,  l'assassinio  cioè  dell'Arciduca  ereditario  Francesco
Ferdinando  e  della  sua  consorte;  entrò  quindi  in  campo  anche  l'al-
leata  Germania,  dichiarando  ìa  guerra  alla  Russia  e  alla  Francia,
in  aiuto delle  quali  si  levò  l'Inghilterra  e  con  essa Belgio,  Giappone,
Portogallo,  Rumania,  Stati  Uniti,  Brasile,  Cina  e  le  tre  Repubbliche
del  Centro  America,  Guatemala,  Nicaragua,  Costarica,  mentre  a
fianco  degli  Imperi  centrali  si  mettevano  con  la  Serbia  e  il  Monte-
negro  la  Turchia  e  la  Bulgaria.  L'Italia,  che  aveva  un  patto  di  al-
leanza  con  la  Germania  e  l'Austria,  non  riscontrando  nella  causa
della  lotta  il  casus  foederis,  dichiarò  da  principio  la  sua  neutralità
e  il  23  maggio  1915  prese  parte  al  conflitto  con  la  dichiarazione
della  guerra  all'Austria-Ungheria.
La  vasta conflagrazione,  di  mano  in  mano  che  si  dilatava,  avvol-
geva  le  opere  salesiane  in  vari  paesi,  producendo  tre  conseguenze
immediate:  diminuzione  di  personale,  requisizione  di  case  e  pro-
gressivo  scemare  di  beneficenze.
Anzitutto  le  varie  chiamate  sotto  le  armi  portavano  via  coadiu-
tori,  chierici  e  preti  in  buon  numero.  Circa  duemila  Soci,  strap-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
pati  alle  loro  pacifiche  occupazioni  e  indossate  le  divise  militari,  do-
vevano  recarsi  a  vivere nelle  caserme  e  nelle  trincee  o  dedicarsi  alla
cura  degli  infermi  e  dei  feriti  in  ospedali  cittadini  o  in  ospedaletti
da  campo.  Ben  presto  giunsero  notizie  che  giovani  salesiani  si  tro-
vavano  schierati  gli  uni  contro  gli  altri,  obbligati  a  reciproci  as-
salti.  L'assottigliarsi  del  personale  costringeva  i  più  anziani  a  gravi
sacrifìci  per  tener  in  piedi  le  opere;  poiché  da  Torino  la  parola
d'ordine  era  che  si  conservassero  a  ogni  eosto  le  posizioni.
Intanto  i  comandi  militari  requisivano  in  tutto  o  in  parte  edi-
fici  scolastici  e  collegi  per  convertirli  in  caserme  o  in  ospedali.  A
tali  richieste  si  opponeva  rispettosa,  ma  energica  resistenza,  mo-
strando  i  danni  che  ne  sarebbero  derivati  alla  gioventù.  Se  non  ci
si  riusciva  in  tutto,  si  cercava  di  salvare  almeno  una  parte  dei  lo-
cali;  dove  poi  bisognava  cedere  le  case  intere,  si  otteneva  d'ordi-
nario  che  qualche  salesiano  continuasse  a  risiedervi  per  prestare
assistenza  religiosa  o  d'altro  genere,  secondo  i  casi.  In  questo  modo
presso tutti  gii  Stati  belligeranti  le  istituzioni  di  Don  Bosco prosegui-
rono  la  loro  missione,  sia  pur  ridotta  ai  minimi  termini.  Il  non  im-
mischiarsi  di  politica  agevolava  i  buoni  rapporti  anche  con  le  auto-
rità  occupanti.  Bisogna  dire  a  onor  del  vero  che  le  Autorità  gover-
native  italiane  dimostrarono  vera  comprensione  dell'utilità  che  de-
rivava  dal  non  ostacolare  troppo  l'Opera  Salesiana.  Don  Concili  che
a  Roma  conduceva  le  pratiche  per  ottenere  dispense  ai  richiamati,
la  cui  presenza  era  indispensabile  in  certi  rami  di  attività,  scrive-
va  {1):  «È  impossibile  non  vedere  in  tutte  le  Autorità  la  particolare
benevolenza  verso  di  noi.  Ne  sia  ringraziato  il  Signore».
Ai  due  menzionati  effetti  si  aggiungeva  l'impossibilità  di  rice-
vere  aiuti  da  molti  Cooperatori.  Dove  ferveva  la  guerra,  essi  non
avevano  modo  di  estendere  la  loro  beneficenza  fuori  delle  proprie
terre  o  perchè  erano  precluse  le  vie  di  comunicazione  o  perchè  stret-
tezze  finanziarie  e  perdite  di  cari  angustiavano  le  famiglie.  La  pub-
blicazione  dei  Ballettino  Salesiano  in  otto  lingue  estere,  sospesa
momentaneamente  allo  scoppio  delle  ostilità,  fu  ritentata  nel  gen-
naio  1915. Le  edizioni  francese,  inglese,  tedesca,  polacca  e  ungherese
recavano  una  nota  del  successore  di  Don  Bosco,  che,  mentre  espri-
(1)  Lett.  a  Don  Altera,  10  febbraio  191*.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella  prima  guerra  mondiale
meva  ai  Cooperatori  l'intima  partecipazione  alle  loro  angustie,  li
pregava  di  continuare  a  tutte  le  opere  salesiane  e  in  particolar  modo
a  quelle  impiantate  fra loro  ogni  migliore appoggio  (1).  In  pari  tempo
con  sue  circolari  si  studiava  di  sostenere  il  coraggio  dei  soci  rimasti,
facendo  appello  alla  loro  fede  e  al  loro  affetto  verso  3a  Congrega-
zione  per  non  arrestarsi  sfiduciati  dinanzi  alle  difficoltà.  Era  venuto
il  tempo,  in  cui  tutti  dovevano  mostrarsi  più  che  mai  fedeli  all'imi-
tazione  di  Don  Bosco  nello  spirito  di  sacrificio  e  nella  rigida  pratica
delia  povertà  religiosa.
Con  l'inasprirsi  e  il  prolungarsi  del  flagello  la  Chiesa  moltipli-
cava  gl'inviti  alla  preghiera  e  alla  penitenza  per  implorare  la  cessa-
zione  di  tanti  mali.  Nel  santuario  di  Maria  Ausiliatrice  era  un  fer-
vore  continuo  di  suppliche  private  e pubbliche  e  una  gran  frequenza
dei  sacramenti.  Don  Albera  volle  che  si  rinnovasse  con  particolare
solennità  la  commemorazione  del  24  d'ogni  mese,  introdotta  da  poco
in  onore  di  Maria  Ausiliatrice,  unendovi  l'intenzione  d'invocare  la
protezione  divina  sui  Salesiani  e  sui  Cooperatori  combattenti.
Fin  da  principio  egli  pensò  alla  corrispondenza  con  i  confratelli
militarizzati,  A  ciò  esortava  Ispettori  e  Direttori,  raccomandando
loro  di  aiutarli  moralmente  e  materialmente  quanto  potevano,  di
procurarsene  i  non  sempre  facili  indirizzi  e  di  comunicarli  ai  Supe-
riori.  Egli  stesso  rispondeva  con  paterna  sollecitudine  a  quanti  gli
scrivevano;  anzi,  non  pago  di  lettere  individuali,  cominciò  dal  mar-
zo  1916  a  spedire  ogni  mese  una  circolare  collettiva  esortando,  inco-
raggiando,  comunicando  notizie  domestiche,  narrando  esempi  edifi-
canti  di  confratelli  morti  in  battaglia.  Tali  scritti,  accolti  con  affet-
tuosa  riconoscenza  e  continuati  fino  ai  dicembre  1918,  contribuirono
a  mantenere  nei  destinatari  il  buono  spirito  e  la  fedeltà  alla  vo-
cazione.
Secondando  le  direttive  di  Don  Albera,  i  Salesiani  e  le  Figlie  di
Maria  Ausiliatrice nelle  loro  case,  e,  potendo,  anche in  quelle adibite
a  usi  militari,  organizzavano  opere  di  assistenza,  ricovero  e  prote-
zione  per  i  figli  dei  richiamati,  come  dare  asilo  notturno  a  giovani
senza  tetto,  offrire  una  refezione  ai  più  bisognosi,  raccogliere  lungo
(I)  L'animo  <iei  Cooperatori  traspare  dalia  loro  corrispondenza  di  quel  tenino.  It  Bol-
lettino  ne  pubblicò  trn  saggio  a  pp.  1357  dei  1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
il  giorno gli  abbandonati per istruirli  e  assisterli.  Tutto  questo  e  altro
ancora,  secondo  la  necessità,  si  faceva  nelle  diverse  nazioni  belli-
geranti.
Detto  questo  in  generale,  scendiamo  al  particolare,  incomin-
ciando  dagli  Imperi  centrali.  Nell'Impero  Germanico  fin  dopo  la
guerra  non  vi  furono  case  salesiane;  si  avevano  però  salesiani  sud-
diti  germanici  in  Ispettorie  d'Europa,  d'Oriente  e  d'America,  i  quali
ricevettero  tutti  il  precetto  di  presentarsi  ai  rispettivi  distretti.  A
uno  di  essi  toccò  un'avventura  singolare:  alludo al  chierico  Teodoro
Seelbach,  che  divenne  poi  Ispettore  in  Germania.  Egli,  raggiunto  il
grado  di  capitano,  si  prese  per  attendente  il  soldato  Hitler
1
!
Nell'Impero  austro-ungarico  le  case  disseminate  in  Austria,  Un-
gheria,  Polonia,  Slovenia  e  Croazia  formavano  un'Ispettoria  sola,
governata  da  Don  Pietro  Tirone  con  residenza  a  Oswiecim.  Esse
stettero tutte aperte meno le quattro  di  Oswiecim,  Przemysì, Lubiana
e  Leopoli,  trasformate  in  ospedali  militari.  In  quelle  critiche  circo-
stanze  il  Rettor  Maggiore  aveva  conferito  all'ispettore  i  pieni  poteri.
Gli  ecclesiastici  sudditi  dell'Austria  erano  esenti  dal  servizio  militare
anche  in  tempo  di  guerra;  perciò  i  soli  coadiutori  andarono  sotto  le
armi. All'arrivo  dei Russi  a  Cracovia,  dall'istituto  ivi  esistente  si  mi-
sero  al  sicuro  alunni  e  superiori  trasferendosi  in  una  villa  dei  din-
torni,  dove  rimasero  fino  alla  cacciata  degli  invasori.  Dappertutto
l'attività  salesiana  vi  sì  ridusse  a  poca  cosa.
Diciamo  due  parole  delle  terre  di  lingua  italiana  soggette  all'Au-
stria,  Ivi  le case,  trovandosi  presso  i  confini, erano  tenute  d'occhio.  A
Trento  l'istituto  " Maria  Ausiliatrice  "  e  l'orfanotrofio  vennero  re-
quisiti;  ma  i  Salesiani,  essendo  quasi  tutti  triestini,  poterono  con-
tinuare  in  parte  a  svolgere  la  loro  attività,  trasportando  gli  orfani
in  una  casa  presa  ad  affitto;  nell'istituto  convertito  in  ospedale  pre-
starono  l'assistenza  religiosa.  A  Trieste  la  guerra,  come  raffica  di
bora,  spazzò  via  tutto  quanto vi  era  di  buono  e  di  bello  nel  fiorentis-
simo  Oratorio,  lasciandovi  una squallida  miseria.  Per colmo  di  sven-
tura,  poche  settimane  avanti  che  la  città  si  ricongiungesse  all'Italia,
moriva  il  Direttore,  Don  Federico  Moratti,  stimatissimo  per  il  suo
zelo.  Anche  il  collegio  di  Gorizia  diventò  ospedale  militare.
Vivevano  in  Italia  per  ragioni  di  studio  una  cinquantina  di  chie-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella  prima  guerra  mondiale
rici  salesiani  provenienti  da  varie  parti  dell'Impero  absburgico.  Po-
che settimane  dopo che l'Italia  aveva  dichiarato  la  guerra  all'Austria,
il  Governo  italiano  li  internò in  Sardegna,  ma  permettendo che  pren-
dessero  dimora  nei  collegi  salesiani  di  Lanusei  e  di  Cagliari,  dove
però  né  dalle  Autorità  né  dalle  popolazioni,  per  quanto  avverse  al-
l'Austria,  non  ebbero  a  soffrire  molestie.
Dopo  la  sconfìtta,  sì  trovarono  nell'Ispettoria  di  Don  Tirone  nu-
merosi  confratelli,  che  avevano  militato  nell'esercito  germanico.  Ri-
mandarli  nelle  nazioni,  dove  stavano  prima  e  che  avevano  combat-
tuto  contro  gli  Imperi  centrali,  non  sembrò  cosa  prudente;  d'altra
parte  mancava  la  maniera  non  solo  di  occuparli,  ma  anche  di  con-
venientemente  alloggiarli.  L'Ispettore,  valendosi  delle  facoltà  rice-
vute,  aperse  ben  dodici  case,  di  parecchie  delle  quali  si  è  detto  nel
capo  precedente.  Don  Augusto  Hlond," Direttore  a  Vienna,  Io  coa-
diuvò  efficacemente  in  tutte  queste  pratiche.  Nel  gennaio  1919  Be-
nedetto XV,  avendo  in  udienza  raccomandato  a  Don  Albera  di  ado-
perarsi  quanto  più  potesse  a  vantaggio  della  gioventù  dei  due  ex-
imperi,  si  rallegrò  vivamente  al  sentire  da  lui  quanto  per  l'appunto
si  era  venuto  e  si  veniva  facendo.
Quell'anno,  il  24  novembre,  uscì  l'Enciclica  Paterno  iam  diu,
commovente  grido  del  Padre  comune,  perchè  si  corresse  ai  soccorso.
dei  bambini  dell'Europa  centrale,  che  pativano  la  fame.  I  Salesiani,
prevenendo  il  paterno  appello,  avevano  già  aperto  i  detti  nuovi  isti-
tuti  in  Polonia,  Baviera,  Ungheria  e  Austria  per  ricoverarvi  il  mag-
gior  numero  di  giovani  indigenti.  Il  documento  pontifìcio  stimolò
Don  Albera  a  fare  ancora  di  più.  Nell'ultimo  giorno  dell'anno  inviò
Una  lettera  agli  Ispettori  dell'Europa  centrale  per  eccitarli  a  intensi-
ficare  e  ad  estendere  maggiormente  le  opere  assistenziali.  Da  un
mese  la  vasta  Ispettoria  di  Don  Tirone  era  stata  divisa  in  due;  la
ruova,  affidata  a  Don  Hlond,  aveva  sede  a  Vienna.  Dal  canto  suo
Don  Albera  cooperò  con  essi  doppiamente.  Prese  a  favorire  tutte  le
iniziative  pubbliche  e  private  sorte  in  Italia  per  dare,  promuovere  e
raccogliere  offerte  e  per  procurare  ai  fanciulli  più  malaticci  una
ricostituzione  fìsica  mediante  alcuni  mesi  di  cura;  inoltre  dispose  che
fosse  riserbato  a  questi  ultimi  l'istituto  di  Perosa  Argentina  in  Pie-
monte,  capace  di  contenerne  una  cinquantina.  Poiché  la  fame  si  fa-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
eeva  sentire  a  Vienna  più  che  altrove,  i  Salesiani  del  III  distretto
avevano  cominciato  dal  1916  a  distribuire  ogni  giorno  pane  e  mi-
nestra  a  circa  300  fanciulli  poveri,  il  qual  numero  in  seguito  crebbe
in  misura  straordinaria.  Dalla  disgraziatìssimta  capitale  pertanto  fu
stabilito  che  partissero  per  Perosa  giovanetti  più  bisognosi  di  solle-
cite  attenzioni.  La  prima  squadra  di  51  giunse  a  Torino  il  24  marzo
1920.  Abbisognavano  di  tutto,  anche  di  vestiti,  scarpe,  biancheria,
ed  erano  oltremodo  deperiti.  Arrivati  che  furono  a  Perosa,  commo-
veva  il  vedere  fra  le buone  popolazioni  della  vallata  una  vera  gara
per  somministrar  loro il  necessario.  Vi  si  fermarono  fino  ai  primi  di
luglio.  Nel  ritorno  s'incontrarono  all'Oratorio,  tutti  rifioriti,  con  una
seconda  schiera  di  50, che  andavano  a  prendere  il  loro  posto.  Avanti
di  separarsi,  il  doppio  gruppo  verme  fotografato  intorno  a  Don  Al-
bera,  che  vi  ha  tutta  l'aria  di  buon  padre  in  mezzo  a  una  corona  di
tanti  figli.  Il  primo  stuolo  gli  diede  poi  l'addio  l'8  settembre,  ese-
guendo  nella  basìlica  di  Maria  Ausiliatrice  una  Messa  del  Bottazzo
e  alcuni  mottetti.
Dei  paesi  dell'Intesa  o  alleati  dell'Intesa,  come  si  chiamò  l'al-
leanza  tra  Francia  e  Inghilterra,  il  Belgio  sopportò  le  maggiori  sof-
ferenze.  Contro  i  trattati  del  1839,  che  ne  garantivano  la  neutralità,
gli  eserciti  germanici  lo  invasero  nell'agosto  1914,  portando  devasta-
zioni  e  distruzioni  alle  sue  principali  città.  Tutto  il  territorio  fu  oc-
cupato  e  martoriato  fino  alia  vittoria.  Le  dieci  case  salesiane  ivi  esi-
stenti  subirono  durissime  prove.  Più  di  tutte  patì  quella  di  Liegi,
la  maggiore,  dove  s'insediarono  ufficiali  tedeschi,  che  dovettero  però
far  posto  a  50  orfani,  i  quali  non  avevano  altro  rifugio.
Nell'Inghilterra  le  opere  salesiane  non  andarono  soggette  a  gravi
scosse.  Dei  soci  quattro  soli  preti  furono  chiamati  a  fare  da  cappel-
lani  militari.  Essendo  tutta  la  gioventù  obbligata  alle  armi,  il  no-
viziato  restò  chiuso  per  mancanza  di  novizi.  I  salesiani  condivisero
con  le  popolazioni  i  comuni  disagi,  massime  il  rigore  della  fame,
perchè  i  sottomarini  nemici  impedivano  le  importazioni  e  troppo
tardi  si  ricorse  al  tesseramento.  Oggi  gli  Inglesi  dicono  che  nella
prima  guerra  impararono  a  fare  la  seconda.
Nella  Francia  la  legge  sempre  in  vigore  contro  le  Congregazioni
religiose  non  impedi  che  i  perseguitati  volassero  in  soccorso  della
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella prima guerra mondiale
patria  anche  da  luoghi  remoti,  dove  sarebbero  potuti  starsene  in-
disturbati.  Tra  i  Salesiani  non  furono  pochi  quelli  segnalati  per
eroismo  di  carità  e  di  valore.  Ebbero  essi  111  (preti  69)  mobilitati,
dei  quali  18  morti  (5  preti)  e  16  feriti  (4  preti);  molti  ricevettero
varie  onorificenze  e  due  anche  la  Legione  d'onore.  La  condotta  degli
invisi  " congregazionisti  "  durante la  guerra  operò  nell'opinione  pub-
blica  un  sì  profondo  rivolgimento  in  lor  favore,  che  a  poco  a  poco
anche  le  case  salesiane  vennero  tutte  riaperte  e  se  ne  aprirono  di
nuove. L'elenco dei  soci e  delle opere,  che  più  non  si leggeva  nell'An-
nuario  della  Congregazione,  ricomparve  finalmente  nel  volume  del
1928.  Però  già  da  tempo  essi  lavoravano  apertamente  in  più  luoghi.
Nel  1920  Don  Albera  trovò  le  case  di  Nizza,  della  Navarra  e  di  Mar-
siglia  in  piena  attività.  Scriveva  (1);  «Qui  in  Francia  trovo  molte
consolazioni.  C'è  molto  buona  volontà.  I  Cooperatori  anche  pare  sì
risveglino.  Speriamo  di  rivedere  l'opera  salesiana  risorgere ».
L'Oriente  ottomano  si  tirò in  casa non  solo  ripercussioni  belliche,
ma  anche  la  guerra  guerreggiata,  e  i  Salesiani  vi  sopportarono  la
loro  parte  di  guai.  Essendosi  la  Turchia  alleata  con  gli  Imperi  cen-
trali,  incominciarono  presto  le  occupazioni  di  case  nostre.  Turchi  e
Austro-tedeschi  se  le  disputarono.  Nel  1914  chiusa  la  Scuola  italiana
di  Giaffa  e  chiuso  l'istituto  di  Gesù  Adolescente  a  Nazaret;  l'anno
dopo,  chiuse  la  Scuola  italiana  di  Gerusalemme,  la  Colonia  agricola
di  Cremisan  e  le  fiorenti  Scuole  italiane  di  Smirne;  nel  1916  invaso
l'orfanotrofio  di  Betlemme.  Gli  orfanelli,  ricoverati  prima  nella  casa
di  Beitgemal,  vennero  poi  trascinati  a  Gerusalemme  e  messi  sotto
direzione  mussulmana.  Per  mantenerli  si  requisì  ogni  cosa  ai  Sale-
siani;  ma  quella  specie  di  istituto  durò  finché  durarono le  provviste;
finiti  i  viveri,  quei  poveri  ragazzi  furono  abbandonati  alla  ventura.
Della  casa  dì  Gerusalemme le autorità civili  incarcerarono il  coa-
diutore  Angelo  Bormìda,  accusato  d'intelligenza  col  nemico  per  aver
fatto  uso  di  telegrafìa  senza  fili.  Notisi  però  che  si  trattava  di  spe-
rimenti  anteriori  alla  guerra  e  di  un  apparecchio  eostruito  da  lui  e
molto  primitivo.  La  malignità  di  accusatori  in  tempo  di  guerra  ar-
riva  a  tutto.  Il  povero  coadiutore  morì  in  carcere  a  Damasco,  vit-
tima  di  maltrattamene.  Più  tardi  l'autorità  militare  Surca  fece  cat-
ti)  Lett. a D.  Gusmawo, Chateau d'Alx, 2-i febbraio  1320.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
turare  Don  Mario  Rosin,  Direttore  a  Betlemme,  e  il  coadiutore  Gia-
como  Zanchetta,  perchè  trovati  senza  permesso,  quantunque  sen-
z'ombra  di  dolo,  in  luogo  dichiarato  zona  di  operazione.  I  due,
condannati  a  tre  mesi  di  prigione,  vennero  poi  esiliati  ad  Angora  e
a Keskin nel  cuore  dell'Anatolia. Il  Zanchetta  perì  di  sofferenze  sulla
via  dell'esilio;  anche  Don Rosin  avrebbe lasciato  la  vita,  se  non  fosse
stato  soccorso  dalia  carità  di  alcuni  amici  e  compagni  di  sventura.
All'arrivo  degli  alleati  a  Gerusalemme,  otto  salesiani  e  due  famigli
italiani  della  casa  di  Cremisan,  poche  ore  prima  della  capitolazione.
vennero  dai  Turchi  internati  come  ostaggi.  Era  tra  essi  il  Direttore
Don  Giovanni  Villa  e  il  settuagenario  Don  Vincenzo  Ponzo.  Tra-
dotti  a  Gerusalemme,  furono  deportati  a  Keskin.  Privi  di  ogni  con-
forto  materiale  e  di  ogni  spirituale  sollievo,  osteggiati  dai  paesani
che  li  pigliavano  a  sassate,  dopo  un  anno  di  patimenti  rividero  d'un
tratto  spezzate  le  catene.  Ricondotti  contro  le  umane  previsioni  alla
loro  casa,  fu  lor  primo  pensiero  domandare  a  Dio  perdono  per  gli
autori  di  tante loro pene;  giacché i  barbari istigatori  dei  Turchi  erano
stati  tutt'altro  che  seguaci  di  Maometto.
Le  case  si  vennero  riaprendo  una  dopo  l'altra;  ma  furono  tro-
vate  spoglie  di  tutto.  L'orfanotrofio  di  Betlemme,  per  esempio,  non
aveva  più  neppure  una  macchina  nelle  scuole  professionali.  I  Coo-
peratori  d'Europa  risposero generosamente  alle implorazioni  di  aiuti.
Finita  la  guerra,  perdurava  nelle  case  salesiane  della  Palestina
un  perturbamento  interno,  che  aveva  origini  lontane  e  non  cessava
di  causare  seri  disturbi.  Il  nazionalismo,  acceso  dopo  la  cacciata  del
Sultano  dai  Giovani  Turchi  e  da  essi  alimentato  senza  posa,  infiam-
mava  gli  Arabi,  anche  quelli  resisi  salesiani,  quando  Don  Belloni
aveva  incorporato  la  sua  opera  palestinese  alla  Congregazione  di
Don  Bosco.  Nulla  peggio  della  passione  politica  fomenta  dissensi,
rivalità  e  partiti.  Nel  caso  nostro  l'antipatia  del nuovo  Governo  turco
verso  gli  Europei  serviva  ad  attizzare  continuamente  il  fuoco,  so-
prattutto  contro  gli  Italiani.  Ne  derivò  uno  stato  di  cose  insoppor-
tabile,  che  ormai  era  conosciuto fuori  e  scandalizzava  le popolazioni.
Appena  tornò  possibile  viaggiare,  Don  Albera,  desideroso  di  rista-
bilire  la  pace,  mandò  in  Palestina  con  pienezza  di  poteri  il  Con-
sigliere  professionale  del  Capitolo  Superiore  Don  Pietro  Ricaldo  ne.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella  prima  guerra  mondiale
Egli,  sbarcato  il  17  dicembre  1918  in  Asia,  si  trattenne  più  di  due
mesi  nel  paese  di  Gesù,  finché,  con  il  suo  tatto  improntato  a  carità
e  prudenza,  non  gli  parve  di  aver  avviato le  cose  verso  la  normalità.
Questa  però  non  fu  raggiunta  tutta  d'un  tratto  né  così  presto,  co-
m'era  sembrato  dover  avvenire;  una  buona  volta  tuttavia  la  si  con-
seguì  e  non  venne  mai  più  turbata.
Abbiamo  da  dire  ancora  qualche  cosa  dell'Italia,  dove,  essendo
assai  maggiore  che  altrove  lo  sviluppo  dell'Opera  salesiana,  era  na-
turale  che  in  quei  frangenti  si  facesse  anche  di  più  a  beneficio  della
gioventù  bisognosa.  Allargandosi  la  piaga  della  fanciullezza  priva
di  assistenza,  mentre  da  varie  parti  si  escogitavano  rimedi,  il  suc-
cessore  di  Don  Bosco  mise  mano  senz'altro  a  un'opera  concreta.
Su d'un colle poco lungi  da Pinerolo  era  stato posto in vendita  a buone
condizioni  un  loro  stabile,  che  sorgeva  sopra  un  poggio  isolato  e  ve-
stito  di  alberi  fruttiferi,  dimora  amenissima  e  saluberrima.  Ne  de-
cìse  l'acquisto  allo  scopo  di  aprirvi  un  orfanotrofio,  nel  quale  acco-
gliere  giovanetti  che  per causa  della  guerra  si  trovassero  in  perìcolo
di  abbandono  morale  e  nell'impossibilità  di  essere  educati  e  mante-
nuti  senza  il  soccorso  della  pubblica  beneficenza.  Fu  stabilito  di  ac-
cettare  quelli  che  fossero  orfani  di  madre  e  avessero  il  padre  morto
in  guerra  o  richiamato  al  servizio militare,  purché  non  fossero  di  età
inferiore  agli  otto  né  superiore  ai  dodici  anni,  e  venissero  presentati
da  persone  o  da  enti  che,  mentre  ne  assumessero  la  responsabilità
legale,  si  obbligassero  a  ritirare  i  fanciulli,  quando  per  qualunque
causa  non  potessero  più  rimanere  nell'istituto  (1).  Questo,  ben  inteso,
veniva  dopo  il molto che  per  esortazione  di  Don  Albera  già  si  faceva
in  oratori  festivi  e  in  collegi.  11  provvedimento  riscosse  alte  lodi
dalla  stampa  anche  anticlericale  e  caldi  encomi  dalle  Autorità  ec-
clesiastiche  e  civili.
Senza  frapporre  indugi,  la casa  venne  allestita.  Il  luogo, noto col
nome  di  Monte  Oliveto,  era  un  vero  paradiso  per  poveri  fanciulli,
che  non  potevano  più  godere  le  dolcezze  del  domestico  nido.  L'isti-
tuto,  intitolato  a  Don  Bosco,  fu  inaugurato  solennemente  da  Don
Albera,  assistito  da  Autorità  d'ogni  ordine  e  grado,  il 22  ottobre  1916
(1)  Verb.  del  Cap.  Sup.,  21  marzo  1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
con  i  primi  22  orfanelli,  aumentati  poi  fino  a  87,  Da  quell'anno  al
1924 i piccoli ospiti sperimentarono in numero di 265 coi benefìci  delia
Divina  Provvidenza  i  vantaggi  dell'educazione  salesiana.
Nell'anno  seguente  la  carità  di  Don  Albera  attuò  un'altra  isti-
tuzione,  una  Scuola  pratica  di agricoltura  per figli di contadini  caduti
in  guerra.  La  aperse  alle  porte  di  Roma,  mettendola  alla  diretta  di-
pendenza  dell'Ospizio  del  Sacro  Cuore,  dal  quale  distava  circa  tre
chilometri,  in  una  campagna  detta  il  Mandrione.  Intento  precipuo
era  di  formare  veri  e  propri  contadini,  capaci  di  condurre  poi  una
modesta  azienda  agricola;  perciò  gii  alunni  dividevano  il  loro  tempo
tra  il  lavoro  e  lo  studio.  Il  favore  generale  e  la  protezione  delle  Au-
torità  circondarono  il  nascente  istituto,  che  contò  ben  presto  fino  a
128  eontadinelìi.  La  Scuola  del  Mandrione  era  dai  competenti  addi-
tata  a  modello  di  analoghe  Scuole  governative  per  il  suo  programma
e  i  suoi  metodi.
Da  nuovi  bisogni  originarono  nuove  caritatevoli  ispirazioni.  Un
momento  assai  critico  fu  per  L'Italia  quando  il  24  ottobre  1917  gli
Austro-tedeschi  sfondarono  il  fronte  italiano,  e  causando  la  ritirata
di  Caporetto,  invasero  il  Veneto  fino  al  Piave.  Si  assistette  allora  al
tragico  spettacolo  dei  profughi,  che  affluivano  a  migliaia  nelle  re-
gioni  circostanti,  privi  delle  cose  più  necessarie  alla  vita.  Don  Al-
bera  si  preoccupò  subito  della  gioventù.  Indirizzò  pertanto  ai  Di-
rettori  salesiani  di  tutta  l'Italia  una  circolare,  esortandoli  ad  ag-
giungere  nelle  loro  case  il  maggior  numero  possibile  di  giovanetti
profughi  agli  orfani  di  guerra  che  già  vi  avevano.  Sapeva  bene  le
loro  difficoltà  e  strettezze;  ma  non  confidò  invano  nel  loro  spirito  di
sacrifìcio.  Dalle  relazioni  inviategli  risulta  che  in  25  collegi  pote-
rono  essere  ricoverati  423  profughi,  segnalandosi  allora,  come  sem-
pre,  l'Oratorio  di  Valdocco,  che  diede  ricetto  a  ben  122  giovanetti
Bisogna  ripetere  che  anche  in  tale  contingenza  i  Cooperatori  mo-
strarono  di  comprendere  la  loro  missione.
Nel  1924  vi  fu  a  Gand  un'Esposizione,  nella  quale  figuravano
pure  le  Opere  della  Cooperazione  sociale.  I  Salesiani  nel  reparto
italiano  a  ciò  destinato  esposero  due  grossi  Albums,  uno  dei  quali
conteneva  l'esatta  statistica  dei  giovani  ricoverati  dal  principio  della
guerra  fino  a  quell'anno  in  58  istituti,  e  l'altro  le  fotografìe  degli  or-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Nella  prima  guerra  mondiale
fani  che  vi  dimoravano  ancora.  Il  linguaggio  delle  cifre  era  più  elo-
quente  di  qualsiasi  relazione  verbale:  i  nomi  e  cognomi  dei  gio-
vani,  che  avevano  trovato  asilo  in  quegli  istituti  sommavano  a  2476
e  per  un  numero  complessivo  di  1.636.659  giornate.  Una  diversa  sta-
tistica  fu  quella  compilata  a  Roma  per  ordine  della  Sacra  Congre-
gazione  Concistoriale  sull'opera  del  clero  e  del  laicato  cattolico  ita-
liano  durante  la  guerra.  Leggiamo  in  essa  che  la  Società  Salesiana
ebbe  sotto  le  armi  in  Italia  903  membri,  dei  quali  261  sacerdoti  con
43  cappellani.  Di  tutti  questi rimasero feriti 38 e  morirono 24.  Inoltre
erano stati  61  i locali  dovutisi  cedere alle  autorità  militari.
Lacrime  i  Salesiani  ne  asciugarono  anche  altrove.  Nel  primo
Congresso  Internazionale  delle  Opere  di  soccorso  ai  bambini  soffe-
renti,  tenutosi  a  Ginevra  nel  1920,  vennero  presentati  questi  dati:
in  Austria  131  infelici  raccolti  e  curati  in  diverse  case;  in  Baviera
143,  nel  Belgio  179,  nell'Egitto  53,  in  Jugoslavia  34,  in  Polonia  186.
in Turchia 110,  in  Ungheria 22.  Né  furono da  meno le Figlie  di  Maria
Ausiliatrice,  dovunque  le  sorprese  la  guerra.
I  reduci  dalla milizia  dopo parecchi anni  di una vita  così  opposta
a  quella,  alla  quale  per  vocazione  religiosa  e  per  la  sacerdotale  or-
dinazione  erano  stati  dediti,  difficilmente  avrebbero  potuto  ripigliare
senz'altro  le  passate  abitudini.  Don  Albera,  sentito  in  proposito  il
parere  di  tuttf gli  Ispettori  degli  Stati  usciti  dalla  guerra  e  d'accordo
col  suo  Capitolo,  il  26  novembre  partecipò  ai  primi  una  serie  di
deliberazioni.  Le  principali  erano  queste:  nelle  singole  Ispettorie
tutti  i  Soci  tornati  dal  servizio  militare  facessero  un  serio  corso  di
esercizi  spirituali;  tutti  i  chierici,  novizi  o  aspiranti,  subito  dopo  gli
esercizi,  andassero  alla  rispettiva  casa  di  formazione;  i  chierici  per
necessità  mandati  nelle case  prima  che  per  loro  cominciasse  il  trien-
nio  pratico,  fossero  sostituiti  con  i  sacerdoti  ritornati;  i  coadiutori
fossero  oggetto  di  speciali  cure  da  parte  dei  Direttori,  Così  a  poco
a  poco  ognuno  riprese  le  tranquille  e  feconde  occupazioni  di  un
tempo.
La  guerra  non  fece  soltanto  vittime  cruente;  nelle  varie  nazioni
vi  furono  di  coloro  che  disgraziatamente  soccombettero  alla  tenta-
zione  e  non  trovarono  più  la  strada  del  ritorno.  Tuttavia  per  testi-
monianza  di  chi  possedeva  elementi  sicuri  di  confronto,  il  numero
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo V
dei figli di  Don Bosco  che smarrirono la  diritta  via fu  relativamente
piccolo.  Quanto all'Opera  salesiana  in genere, era  sembrato  a  taluni
che  il  1918  dovesse  riuscirle  calamitoso;  invece  la  Provvidenza  di-
spose  che,  nonostante  l'aggravarsi  della  situazione  economica  e  la
penuria  di  personale, non solo le  case  già  requisite  si  ripopolassero
di  giovani,  ma  che  s'intraprendessero  nuove  fondazioni.  Fu  come
dire:  punto  e  daccapo.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  VI
Due  centenari  e  due  cinquantenari,
È  innegabile  che  feste  e  festeggiamenti  entrano  come  elemento
essenziale  nel  campo  dell'attività  salesiana.  "Ve  lo  fece  entrare  Don
Bosco  stesso  col  suo  esempio;  quindi  avvenne  che  ab  antico  i  Sale-
siani  ebbero  fama  o  taccia  di  festaioli,  Ma  si  lasciò  dire  e  si  videro
così  i  loro  censori  farsi  a  poco  a  poco  loro imitatori.  Le  celebrazioni
festose,  preparate  ed  eseguite  come  voleva  Don  Bosco,  servono  a
ravvivare nella gioventù  e nel  popolo i  sani  entusiasmi  religiosi,  rom-
pono la monotomia  della vita quotidiana,  sollevano  gli  spiriti  a  ideali
superiori,  allietano  insomma,  incoraggiano,  rendono  più  buoni  e  più
laboriosi.  Non  deve  quindi  parere  un  uscire  del  seminato  questo
dedicare  un  capo  alle  celebrazioni  di  due  ricorrenze  centenarie  e  di
altre  due  cinquantenarie.
Purtroppo  le  due  prime  date  s'incontrarono  nel  periodo  bellico,
quando  gli  animi,  preoccupati  dalla  comune  calamità,  avrebbero
visto  poco bene  pompe  esteriori,  quali  si  addicono  a  tempi  di  quiete
e  pace.  Perciò  i  lussureggianti  programmi  già  pronti  prima  che  scop-
piassero  le  ostilità,  si  dovettero  mettere  a  dormire.  Lo  stesso  Be-
nedetto  XV,  che  era  informato  dei  grandi  preparativi,  aveva  detto  a
Don  Albera  fin  dal  14  ottobre  1914:  —  E  che  ne  sarà  delle  vostre
feste?  — Fu  un  esprimere  abbastanza  chiaramente  i  suoi  dubbi  sulla
convenienza  di  celebrarle  nelle  forme  divisate;  infatti  continuava
facendo  voti  che  si  conchiudesse  presto  la  pace  e  cadessero  così  gii
ostacoli.  Ma  purtroppo  la  pace  sembrava  ornai  un  sogno  lontano;
onde  si  decise  senz'altro  di  pensare  solamente  a  manifestazioni  pie
e  divote.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
I  due  centenari  si  riferivano  alla  nascita di  Don  Bosco  e  all'isti-
tuzione  della  festa  di  Maria  Ausiliatrice  e  coincidevano  nel  1915.
Su  entrambi  Don  Albera  aveva  richiamato  l'attenzione  degli  Ispet-
tori  e  dei  Direttori  già  nel  gennaio  1914,  rilevandone  l'eccezionale
importanza  e  animandoli  a  concorrere  alla  loro  degna  celebrazione.
Circa  i  modi  concreti  di  tale  concorso  parlavano  i  particolareggiati
programmi,  che  furono  comunicati  poco  dopo.  Il  Bollettino  italiano
cominciò  nel  marzo  1915  a  intrattenere  diffusamente  i  lettori  sul
duplice  argomento;  gli  altri  otto  Bollettini  fecero  altrettanto  per  le
rispettive  lingue.
Nel mondo salesiano  e  non  salesiano cresceva  l'aspettazione;  poi-
ché  il richiamo  dell'uno e  dell'altro  avvenimento  non  interessava  solo
alcuni  luoghi,  ma  il  mondo  intero,  non  avendo  avuto  confini  lo  zelo
di  Don  Bosco  ed  essendo  la  Santa  Vergine  sotto  il  titolo  di  Ausilia-
trice  rappresentata  quale  vindice  della  libertà  della  Chiesa.  Che  poi
in  un  medesimo  anno  s'intrecciassero  i  nomi  di  Don  Bosco  e  di
Maria  Ausiliatrice,  com'erano  andati  sempre  di  concerto  durante  la
vita  e  dopo  la  morte  del  Servo  di  Dio,  parve  a  tutti  una  di  quelle
che  Pio  XI  soleva  dire  eleganti  disposizioni  o  combinazioni  della
Divina  Provvidenza.  Se  non  che  nel  gennaio  1915  Don  Albera  do-
vette  notificare  che  l'esecuzione  dei  programmi  diramati  ai  quattro
venti  rimaneva  sospesa  sine  die.
Ciò  non  tolse  che  il  16  agosto  1915,  centesimo  natalizio  di  Don
Bosco,  venisse  segnalato e  atteso  anche  fuori  della  famiglia  salesiana.
Diffusi  Calendari  italiani  ed  esteri  saiutavano  quella  data  recando
la  figura  del  Venerabile  e  dedicandogli  affettuosi  cenni  biografici
con  illustrazioni.  La  stampa  quotidiana  aveva  già  portato  a  cono-
scenza  del  pubblico  i  tre  omaggi  principali  che  gli  si  sarebbero  resi:
inaugurazione  di  un  monumento  sulla  piazza  di  Maria  Ausiliatrice,
molteplice  esposizione  salesiana  e  secondo  Congresso degli  ex-allievi.
Inoltre  fra  il  chiudersi  del  1914  e  l'aprirsi  del  1915,  quando  i  Coo-
peratori  si  raccoglievano  per  la  regolamentare  conferenza,  l'argo-
mento  del  centenario  aveva  dato  materia  a  intrattenere  gli  uditori.
A  Bologna  l'Arcivescovo  Gusmini  aveva  di  lì  preso  lo  spunto  per
un  lungo ed  elaborato  discorso  (1).  Svanita  l'attesa,  l'occasione,  nono-
(1)  Il  Bollettino  io  pubblicò  per  intero  ce!  num.  dell'aprite  1915.
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stante  la  tristezza  dell'ora,  non  passò  inosservata.  Giornali  e  pe-
riodici  ne  fecero  degna  menzione  (1).  Inviarono  adesioni  otto  Car-
dinal^  molti  Arcivescovi  e  "Vescovi  e  innumerevoli  personalità  (2).
Mancò  un  documento  pontifìcio,  perchè  il  Santo  Padre  riteneva  che
il  Papa  dovesse  intervenire  solo  nel  centenario  della  morte,  non
della  nascita  dei  Servi  di  Dio;  ma  diede  incarico  al  Card.  Gasparri
di  scrivere  nella  sua  qualità  di  Protettore  della  Società  Salesiana,  il
che  egli  fece  con  un'affettuosa  lettera  (3).
Ma  bisognava  pur  fare  qualche  cosa  di  più,  che  fosse  concilia-
bile  con  la  recente  entrata  dell'Italia  in  guerra.  Venuto  pertanto  il
mese  di  agosto,  Don  Albera  invitò  Cooperatori  e  amici  a  un  doppio
pellegrinaggio,  uno  alla  tomba  e  l'altro  alla  culla  di  Dan  Bosco:
il 15  a Valsalice,  il  16  ai  Becchi  di  Castelnuovo.  Il nome di  Don  Bosco
non  aveva  perduto  nulla  della  sua  misteriosa  attrattiva.  A  Valsalice
il  concorso  fu  tanto,  che  bisognò  erigere  un  altare  sotto  il  portico
antistante  alla  tomba.  Celebrò  Don  Albera,  il  quale,  aiutato  da  tre
sacerdoti,  distribuì  oltre  mille  e  cinquecento  Comunioni.  Vi  mancò,
è  vero,  lo  splendore  esterno,  ma  vi  supplirono  la  partecipazione
di  ogni  classe  sociale  e  la  viva  pietà  che  traspariva  dal  contegno  di
tutti.  Ivi  stesso  si  ritornò  nel  pomeriggio  per  la  commemorazione
del  festeggiato.  Non  meno  di  cinquemila  persone  si  serravano  com-
patte  nel  cortile  ombreggiato  da  sei  file  di  platani.  Il  professor  Gri-
baudi,  presidente  della  Federazione  internazionale  degli  ex-allievi,
diede  lettura  di  numerose  adesioni.  L'oratore  Arturo  Poesio,  capo-
sezione  al  Ministero  del  Tesoro,  tratteggiò  con  fervida  e  colorita  fa-
condia  la  vita  operosa  e  benefica  del  grande  maestro  e  apostolo.  Par-
larono  ancora  un  rappresentante  del  Sindaco  e  il  Consigliere  Co-
munale  Saverio  Fino.  Com'ebbe  detta  l'ultima  parola  Don  Albera,
il  cortile  diventò  un  vasto  tempio:  canti  e  preghiere  prelusero  alla
benedizione  eucaristica,  impartita  dall'alto  del  terrazzo,  che  si  stende
(1)  Due  lunghi  elenchi  ne  diede  il  Bollettino  eoa  precise  indicazioni  (ott.  e  nov.  1915}.
(2)  Notevole  quello  del  P.  Tacchi  Venturi,  storico  della  Compagnia  di  Gesù.  Auguravi).
egli  che  presto  alla  voce  del  Papa  proclamante  la  santità  di  Don  Bosco  rispondesse  « dall'alto
del  Campidoglio  il  plauso  e  la  riconoscenza  all'amico  e  vero  benefattore  del  popolo  ».  L'au-
gurio,-  che  allora  sembrò  semplicemente  un  pio  desiderio,  si  avverò  nel  193+  subito  dopo  la
canonizzazione,
(3)  Lett,  de!  Procuratore  Don  Muneratì  a  Don  Gusmsno,  segretario  del  Capitolo  Supe-
riore,  Roma,  7  e  8  agost»  1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
dinanzi  alla  cappella  sepolcrale.  Tutti  i  presenti  ricevettero  un  ele-
gante  " Ricordo "  con  il  ritratto  ài  Don  Bosco e  con  alcune  massime,
che  ne  avevano  informato  l'apostolica  operosità,  soprattutto  a  bene
della  gioventù.  Se  non  sì  potè  inaugurare  il  monumento  ideato
dalla  riconoscenza,  le  migliaia  di  anime  raccoltesi  in  quel  giorno
presso  la  sua  tomba  mostrarono con  il  loro  affetto  d'aver innalzato  a
Don  Bosco  nel  proprio  cuore  un  monumento  ben  più  prezioso  del
bronzo  e  del  marmo.
Rimaneva  la  seconda  giornata  presso  l'umile  e  gloriosa  casetta,
nella  quale  vide  la  luce  colui,  che  dopo  cent'anni  riempiva  il  mondo
del  suo  nome  e  delle  sue  opere.  La  mattina  del  16  al  poggio  dei  Bec-
chi  scendevano  dalle  colline  circostanti  per  stradiccìoìe  campestri
lunghe  file  di  popolani;  salivano  da  Torino  drappelli  di  giovani  e
larghe  schiere  di  ecclesiastici  e laici.  Li  attendevano  con  Don  Albera
tutti  i  Superiori  e  molti  Salesiani.  Di  mano  in mano  che  giungevano,
visitavano  commossi  le  anguste  e  povere  camerette  e  poi  si  aggira-
vano  nelle  vicinanze,  osservando  i  luoghi,  che  erano  stati  testimoni
degli  anni  di  Don  Bosco  fanciullo.  Infine  tutto  il  pio  pellegrinaggio
sì  raccolse  nello spazio  di  fronte alla  casetta  natale,  dove Don  Albera
cantò  Messa  all'aperto  e  poi,  udita  la  parola  evocatrice  del  signor
Poesio,  procedette  alla  cerimonia  della  posa  d'una  prima  pietra.
A  ricordo  del centenario,  là  a  pochi  passi  dalla  stanzetta,  nella  quale
al  novenne  la  Vergine  aveva  rivelata la  missione  destinatagli  da  Dio,
doveva  sorgere  una  chiesa  dedicata  a  Maria  Ausiliatrice.  In  quell'ora
medesima la  Provvidenza  disponeva che il  Santo Padre  Benedetto XV
ricevesse  Don  Francesia  e  gli  dichiarasse  che  col  ricevere  lui,  il  più
antico  dei  figli  di  Don  Bosco,  intendeva  rendere  onore  alla  Società
Salesiana  nei  fausto  centenario  della  nascita  del  Venerabile  Fon-
datore  (1).
L'epilogo  della  giornata  fu  a  Castelnuovo,  la  cittadina  in  cui  il
17  agosto  1815  Don  Bosco  era  stato  rigeneralo  nelle  acque  battesi-
mali.  Vi  convennero  tutte  le  autorevoli  persone  presenti  ai Becchi,  il
Deputato  del  collegio,  il  Consiglio  municipale  e  rappresentanze  di
Torino  e  dei  paesi  circostanti.  Per  prima  cosa  fu  scoperta  una  la-
(1)  Lctt.  cil.  di  D,  Francesia  a  D.  Albera  (pag.  35).
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pide  commemorativa.  Dopo  la  colazione  offerta  nella  casa  salesiana,
seguì  l'omaggio  ufficiale.  Con  biglietto  d'invito  del  Sindaco  la  mag-
gior  parte  della  cittadinanza  si  adunò  nell'ombroso  cortile  per  un
trattenimento,  nel  quale  si  riudì  l'ex-allievo  Poesio.  Poi  il  Deputato
Gazelli  di  Rossana  dal  ricordo  della  visita  fatta  quella  mattina  alla
casetta  di  Don  Bosco  assurse  ad  esaltare  l'intervento  della  Provvi-
denza  divina nell'Opera  del Venerabile.  — Ed ora,  esclamò,  a me pare
che  Don  Bosco  dev'essere  contento  di  noi.  Noi  lo  abbiamo  onorato,  lo
abbiamo  festeggiato,  e  come  un  buon  padre  si  volge  soddisfatto  agli
amati  figli  e  ci  domanda  sorridendo  che  cosa  vogliamo.  Ebbene  ri-
spondiamogli  che  lo  preghiamo  di  ottenerci  da  Dio  la  sospirata  pace.
—•  Don  Albera,  cittadino  onorario  di  Castelnuovo,  rese  grazie  a  tutti,
facendo  suo  il  voto  del  Deputato;  ma  purtroppo  il  mondo  non  me-
ritava  ancora  il  prezioso  dono  della  pace.
Così  Torino  aveva  fatto  quanto  di  più  e  dì  meglio  si  potesse  fare
nelle  critiche  circostanze  create  dalla  guerra  all'Italia  e  al  mondo.
Per  tutto  il  continente  antico,  o  fosse  lo  stato  dì  guerra  o  fossero  ì
contraccolpi  della  guerra,  non  accompagnarono  la  commemorazione
di  Don  Bosco  le  manifestazioni  inseparabili  dalle  feste  salesiane.
Non  così  nel  continente  nuovo,  come  diremo.  Il  medesimo  si  ha  da
ripetere  del  centenario  di  Maria  Ausiliatrice.
Stavano  per  compiersi  in  settembre  i  primi  cent'anni,  dacché
era  stata  istituita  la  festa  di  Maria  Ausiliatrice;  ma  la  commemora-
zione  erasi  anticipata  al  24  maggio.  Se  non  fosse  stata  la  tristezza
dell'ora,  chi  sa  quale splendore  di feste  si  sarebbe  avuto!  Ma  proprio
il  giorno  avanti  l'Italia  aveva  dichiarato  guerra  all'Austria.  Con-
venne  perfino  tralasciare  la  solita  processione,  sempre  tanto  cara
alla  cittadinanza.
Il  decreto  della  festa,  emanato  il  15 settembre  1815,  aveva  avuto
per  iscopo  di  render  grazie  alla  Madre  dì  Dio  per  la  liberazione  dei
Papa  Pio  VII  dalla  sua  quinquennale  prigionia  napoleonica  e  di  per-
petuare  il  ricordo  del  suo  trionfale  ingresso  nell'eterna  città,  avve-
nuto  il  24 maggio  1814.  Questo  coincidere  della  nascita  di Don  Bosco
e  del  suddetto  decreto  nel  medesimo  anno  ci  fa  pensare  a  un  tratto
speciale  della  Divina  Provvidenza,  come  ben  rilevò  anche  l'Arci-
vescovo  Card.  Richelmy.  il  quale,  parlando  al  popolo  nella  solennità
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
del  24 maggio 1915,  ebbe  a  dire:  « Dispose  il  benignissimo  Iddio,  che
l'anno  stesso,  in  cui  fu  istituita  la  festa  di  Maria  Ausiliatrice  avesse
a  nascere  Colui,  che  doveva  così  largamente  diffondere  il  culto  alla
Vergine  Benedetta  sotto  questo  dolcissimo  titolo».
Sebbene  iì  centenario  cadesse  in  settembre,  si  era  creduto  più
opportuno  aprirlo  il  24  maggio,  giorno  della  festa  divenuta  ormai
popolare.  Le  funzioni  si  celebrarono  nel  santuario  con.  solenni  pon-
tificali  e  con.  l'omelia  del  Card,  Ferrari,  Arcivescovo  di  Milano.
Quanto  vi  sarebbe  da  narrare,  se  si  fosse  potuto  compiere  tutto
quello  che  era  nei  propositi  e  nei  disegni !  In  compenso, le  pubbliche
ansietà,  che  impedirono  lo  splendore  dei  festeggiamenti,  produs-
sero  uno  straordinario  fervore  di  pietà.  Mai,  neppure  nel  1903  in
occasione  dell'incoronazione,  s'innalzarono  nel  santuario'  tante  e  sì
infocate  preghiere,  né  si  dispensarono  mai  tante  comunioni.  Dal  15
al  31  maggio  fu  proprio  una  festa  quotidiana.  Non  si  potè  fare  la
processione;  ma  fu  per  più  di  due  settimane  una  processione  con-
tinua  di  torinesi  e  di  forestieri  ai  piedi  dell'Ausiliatrice  per  implo-
rare  la  pace.  Era  appunto  quello  che  si  voleva,  e  il  popolo  capì.
L'ardore  dei  divoti  si  riaccese  in  settembre  durante il  novenario,
che cominciò  il  15  e finì il  24,  in  memoria  del  decreto.  Il  Card,  Arci-
vescovo  nell'ultimo  giorno  ripetè  in  forma  geniale  il  pensiero  accen-
nato sopra.  Cent'anni  prima,  disse  in sostanza, quando  il  Sommo Pon-
tefice  istituiva  la  festa  di  Maria  Ausiliatrice,  non  esisteva  ancora  il
santuario  di  Valdocco  né  ancora  viveva  alcuno  de'  suoi  uditori;  ma
io  sguardo  di  Dio  contemplava  già  le  meraviglie  che  il  Venerabile
Don  Bosco,  bambinello  allora  di  pochi  giorni,  avrebbe  operate  nel
nome  di  Maria  Ausiliatrice  e  si  posava  con  compiacenza  anche  sopra
la  pia  moltitudine  adunata  in  quel  1915  per  celebrare  il  centenario
dell'atto  riconoscente  di  Pio  VII.
Ci  voleva  qualche  cosa  anche  per  ricordare  il  centesimo  anni-
versario  della  prima  festa  di  Maria  Ausiliatrice.  A  questo  scopo  il
24  maggio  1916  fu  contraddistinto  con  un  grande  tesoro  spirituale.
Don  Albera  aveva  fatto  presentare  al  Santo  Padre  una  supplica  per
ottenere  l'indulgenza  plenaria  toties  quoties  nel  dì  della  festa,  lu-
cratone  cioè  da  ognuno  tutte  le  volte  che  in  detto  giorno  visitasse  il
santuario.  Il  Papa  di  proprio  pugno  gli  rispose  il  13  maggio:  «Ad
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esprimere  la  viva  fiducia  che  abbiamo  nella  intercessione  di  Maria
Ausiliatrice,  siamo  ben  lieti  di  accogliere  la  istanza  del  Rettor  Mag-
giore  della  Congregazione  Salesiana  di  Don  Roseo,  e  concediamo
che  tutti  i  fedeli,  i  quali  visitino ìa  Basilica  di  Valdocco  in  Torino  il
24  maggio,  possano  lucrare  toties  quoties  la  indulgenza  plenaria  nella
forma  consueta  e  che  la  indulgenza  stessa  sia  applicabile  ai  defunti.
Contrariìs  quibuscumque  minime  obstantibus  »  (1).  La  notizia  di  que-
sto  favore,  rapidamente  e  largamente  diffusa,  attrasse  un  mondo  di
gente.  Crebbero  solennità  alla festa  la  porpora  e  la  parola  del  Card.
Cagherò,  elevato  da  pochi  mesi  all'alta  dignità  della  Porpora.
Nell'America  le  ripercussioni  della  guerra  non  si  fecero  sentire
tanto  forti  da  perturbare  l'andamento  della  vita  ordinaria,  sicché  i
centenari  poterono  essere  celebrati  con  tutta  libertà  e  col  dovuto
decoro.  La  partecipazione  generale  ai  festeggiamenti  è  un  fatto  de-
gno  di  passare  alla  storia.  Nelle  varie  Repubbliche  ogni  categoria  di
cittadini interveniva  alle  onoranze  rese  a  Don  Bosco,  quasi  egli  fosse
un  Santo  nazionale,  e  alle  commemorazioni  di  Maria  Ausiliatrice  si
accorreva  in  massa,  come  se  si  trattasse  di  una  divozione  locale,
consacrata  da  lunga  tradizione.  Anche  Presidenti  di  Stati  e  Corpi
legislalivi  ci  tennero  a  non  apparire  estranei  ai  sentimenti  popolari.
In  grandi  città  s'intitolavano  vie  a  Don  Bosco  e  in  più  luoghi  si  con-
corse  all'erezione  di  nuovi  istituti  e  di  nuove  chiese  a  perpetua
memoria  dei  centenari.  Detto questo  in genere,  tocchiamo  di  due  Re-
pubbliche,  le  quali  più  si  segnalarono  in  quella  circostanza;  voglia-
mo  dire  il  Brasile  e  l'Argentina.
Il  Brasile  solennizzò  le  due  ricorrenze  con  un  VII  Congresso
Internazionale  dei  Cooperatori  Salesiani.  Fu  tenuto  in  ottobre  nel
collegio  ispettoriale  di  San  Paolo,  che  offriva  già  allora  una  rile-
vante  sintesi  dell'Opera  di  Don  Bosco.  Aveva  infatti  studenti,  arti-
giani,  alunni  esterni,  allievi  delle  scuole  notturne,  i  quali  tutti  rag-
giungevano  il  numero  di  1300;  oratorio  festivo  con  un  buon  migliaio
di  frequentanti  e  con  notevole  spirito  di  pietà;  organizzazione  degli
ex-allievi,  santuario  del  Sacro  Cuore  e  assistenza  agli  emigrati.  In
un  simile  ambiente  non  stentiamo  a  credere  che  il  Congresso  otte-
(1J  Facsimile  dell'autografo  in  Boli.  Sai.,  giugno  1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VI
nesse  uno  strepitoso  trionfo,  come  scrisse  un  testimonio  oculare  ed
oculato  (1).
Le  cose  furono  fatte  sulla  falsariga  degli  analoghi  Congressi  di
Europa,  Un  tragico  incidente  accaduto proprio  alla  vigìlia  minacciò
di  mandare  a  vuoto  tutti  i  preparativi.  La  sera  del  26 ottobre,  due
giorni  prima  dell'apertura,  i  330  convittori  del  collegio  di  Nicteroy
con i  loro  superiori  tornavano  pieni  di  allegria  da  Rio  de  Janeiro,
dove  erano  stati  a  rendere  omaggio  al  Cardinale  Arcivescovo  Arco-
verde  Cavalcanti,  primo  Porporato  brasiliano,  nelle  sue  episcopali
nozze  d'argento,  quando  nell'attraversare  sopra  un  traghetto  i  sei
chilometri  di  mare,  che  separano  le  due  città,  l'imprudenza  del  pi-
lota  spinse contro  uno scoglio la  nave,  che ebbe squarciata la  chiglia
e  in  quattro minuti affondò. La notizia corse in un baleno il  Brasile,
ingrandita  al  solito  oltre  misura.  Si  diceva  che  tutti  fossero  periti.
E  forse  così  sarebbe  stato,  se  per  fortuna  il  pronto  salvataggio  or-
ganizzato  da  marinai  vicini  e  l'abnegazione  eroica  dei  superiori  e
dei giovani più grandi non avessero limitato di molto  le  conseguenze
del  disastro.  Le  vittime  furono  28,  compreso  un  coadiutore  brasi-
liano,  travolto  dalle  onde,  mentre  si  slanciava  la  sesta  volta  a  sal-
vare  naufraghi.  Era  pur  sempre  una  gravissima  sciagura.  A  coloro
che facevano gli ultimi  preparativi  del  Congresso caddero le braccia.
La  prima  idea  fu  di  sospendere  ogni  cosa;  ma  l'Arcivescovo  con-
sigliò dì  proseguire.  li  28 presero a  giungere  i  congressisti.  Alla  sta-
zione, nonostante il grande concorso, regnava alto silenzio. La figura
dell'Ispettore  Don  Rota  passò  circondata  come  da  un'aura  di  com-
mossa  simpatia.  I  Vescovi,  che  nella  Capitale  federale  a  fianco  di
Sua  Eminenza  avevano  ammirato  il  contegno  dei  baldi  giovani,
erano ancora  in preda alla costernazione.  Il  Presidente  della  Repub-
blica ebbe il delicato pensiero di fare una visita al collegio di Nicteroy
per sollevare gli animi in sì duro frangente. Venne eliminata dal pro-
gramma  tutta  la  parte  ricreativa,  sicché  le  cose  si  svolsero  in  una
atmosfera di austero raccoglimento, che però  non nocque, anzi  parve
giovare  alla  serietà  dei  lavori.
Il  Congresso,  durato  dal  28  al  31,  riuscì  una  solenne  testimo-
nianza  di  amore  a  Maria  Ausilìatrice  e  di  affetto  a  Don  Bosco.  In
(1)  Lett.  di  Doti  R.  Piltiiìi  a  Don  Albera,  Montevideo,  20  novembre  1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
separate  sezioni  si  attese  allo  studio  dei  temi  proposti,  discutendosi
poi  le  conclusioni  in  assemblee  plenarie,  nelle  quali  dotti  oratori
laici  tenevano  discorsi  di  mirabile  elevatezza.  Ogni  sera  una  solenne
cerimonia religiosa  riuniva  i  congressisti nella  chiesa del  Sacro  Cuore
a  udire  la  parola  dei  Vescovi.  Non  solo  nelle  funzioni  sacre,  ma
anche  nelle  grandi  adunanze,  la  musica  liturgica,  maestrevolmente
eseguita  dai  giovani,  rapiva  gli  astanti,  per  la  massima  parte  dei
quali  fu  una  vera  rivelazione.  Dopo  il  Congresso  l'Arcivescovo  di
San  Paolo  volle  dare  una  prova  inattesa  della  sua  stima  per  la  So-
cietà  Salesiana.  Era  morto  da  pochi  giorni  il  Direttore  diocesano  dei
Cooperatori.  Don Rota  si  recò  da  lui  a  chiederne  il  consenso  per  la
nomina  del  successore  designato;  ma  egli  dichiarò  che  si  riputava
onorato  di  assumere  egli  stesso  tale  carica.
Nel  Congresso  si  fece una  constatazione:  la Pia  Unione  dei  Coo-
peratori  brasiliani  presentava  ancora varie  lacune.  Ciò  derivava  spe-
cialmente  dal  non  essere  abbastanza  conosciuta.  I  congressisti  com-
presero essere quella il  punto fondamentale  dell'Opera  di  Don  Bosco;
onde  presero  deliberazioni  atte  a  diffonderne  la  giusta  conoscenza,
a  moltiplicarne  i  membri  e  ad  organizzarli  secondochè  prescrive  il
Regolamento  dell'istituzione.
A  duraturo  ricordo  del  Congresso  fu  deliberata  l'erezione  di  un
nuovo  istituto  intitolato  a  Don  Bosco  e  di  una  chiesa  parrocchiale
dedicata  a  Maria  Ausiliatrice  in  San  Paolo.  Le  Autorità  civili,  che
tanto  interesse  avevano  preso  per  il  Congresso,  contribuirono  al-
l'impresa cedendo ai  Salesiani  un  vasto  terreno  in  un  quartiere  molto
popolato  di  famiglie  operaie  italiane.  L'Arcivescovo  Duarte  il  14  no-
vembre,  dopo  aver  celebrato  sull'area  suddetta,  benedisse  alla  pre-
senza  di  una  compatta  moltitudine  la  prima  pietra.  Così  all'istituto
e  alla  chiesa  del  Sacro  Cuore,  voluti  da  Don  Bosco  nel  1885,  si  ag-
giungeva  la  nuova  doppia  costruzione,  a  cui  nel  1931  ne  seguirono
altre  due,  cioè  uno  studentato  teologico  con  aspirantato  e  un  grande
esternato  con  parrocchia,  più  una  quinta  nel  1936,  anche  quella  per
soli  esterni.  La  vitalità  delle  Opere  dei  Salesiani  e  delle  Figlie  di
Maria  Ausiliatrice  nel  Brasile  ha  del  prodigioso  e  risponde  piena-
mente  a  predizioni  di  Don  Bosco.
Il  Congresso  ebbe  pure  un  riflesso  lontano.  Un  nome  era  riso-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VJ
nato  nelle  adunanze,  il  nome  di  Mons.  Lasagna,  di  colui  che  aveva
condotti  j  primi  Salesiani  nel  Brasile  e  aveva  fondato  il  collegio  di
S.  Paolo.  Il  ricordo  della  sua  immatura  tragica  fine  commoveva
ancora  gli  animi.  L'idea  di  perpetuare  la  memoria  della  catastrofe
con  un  monumento  eretto  presso  il  luogo  dov'era  avvenuta,  aveva
raccolto  numerose  e  calde  adesioni.  Ragguardevoli  congressisti  an-
darono  là  a  chiudere  la  loro  assemblea  con  quella  solenne  inaugu-
razione,  quale  atto  di  riconoscenza  verso  l'intrepido  e  operoso  apo-
stolo.  La  cerimonia  si  compiè  a Juiz  de  Fora  il  6  novembre,  20° anni-
versario  del  luttuoso  avvenimento.  Vi  assistette  con  uno  stuolo  di
Cooperatori  una  larga  rappresentanza  dei  Salesiani  e  delle  Figlie
di  Maria  Ausiliatrice,  in  mezzo  a  una  moltitudine  di  oltre  duemila
persone.  Il  Vescovo  salesiano  D'Aquino  Correa,  allora  ausiliare  del-
l'Arcivescovo  di  Cuyabà,  illustrò  il  rito  commemorativo  con-  un'ele-
vato  discorso,  evocando  il  terribile  fatto  ed  esponendo  il  significato
della  glorificazione.  Il  monumento  sorge  sulla  linea  ferroviaria  tra
Juiz  de  Fora  e  Mariano  Procopio,  in  un  terreno  donato  dalla  Dire-
zione  delle  Ferrovie.  È  una  croce  alta  e  massiccia  di  granito,  ergen-
tesi  sopra  un  artistico  piedestallo.  Sul  davanti,  a  pie'  della  croce,
una  grande  lapide  marmorea  reca  il  busto  di  Mons.  Lasagna  in  bas-
sorilievo  e  un'inscrizione;  dalla  parte  opposta  in  un'altra  lapide  di
marmo  sono  scolpiti  i  nomi  di  tutte  le  vittime.  Nessun  segno  si  sa-
rebbe  potuto  escogitare  più  eloquente  per  un  gruppo  di  apostoli,
sorpresi  dalla  morte  mentre  portavano  il  culto  della  croce  in  quelle
remote  contrade.
Del  Congresso  Don  Albera  nel  febbraio  1917  inviò  al  Papa  gli
Atti,  accompagnando  l'omaggio  con  la  protesta  di  filiale  attacca-
mento  al  Vicario  di  Gesù  Cristo  e  alla  Santa  Sede  in  nome  suo  e  di
tutta  la  famiglia  salesiana.  Il  ritardo  fu  causato  dalla  difficoltà  delle
comunicazioni  portata  dall'estendersi  del  conflitto.  Il  Papa  non  solo
gradì  l'ossequio,  ma  rispose  a  Don  Albera  addirittura  con  un  Breve
in  data  1°  maggio.  Chiamata  la  capitale  dello  Stato  di  San  Paolo
«città  nobilissima  della  Repubblica  Brasiliana»,  continuava:  «Nel
leggere  questi  Atti  a  Noi  parve  di  avere,  quasi  dinanzi  agli  occhi,
la  vita  industre  e  attiva  di  tutta  la  vostra  Società.  Sorta,  come  suol
accadere,  da  umili  principi,  essa,  con  l'aiuto  di  Dio,  crebbe  tanto
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
in  breve  tempo  per  numero  dì  operai,  che,  trapiantatasi  nelle  terre
lontane  delle  due Americhe,  abbracciò  felicemente,  insieme  con  l'an-
tico,  anche  il  nuovo  Continente.  E  qui,  in  tanta  ampiezza  di  lavoro,
maravigiioso  è  il  vedere  quanta  utilità  abbia  apportato  di  già  alla
Chiesa  Cattolica,  con  la  costanza  nelle  fatiche,  con  lo  splendore  delle
virtù.  Ed  è  vostra  lode  il  conoscere  le  esigenze  dei  tempi,  il  cono-
scere  con  quali  armi,  data  l'indole  dell'età  presente,  sia  particolar-
mente  da  combattere.  Poiché,  come  i  nemici  della  religione,  ed  anzi
dell'umanità,  cospirano  per  distruggere,  se  fosse  possibile,  anche  la
Chiesa,  così  voi  avete  giudicato  essere  assolutamente  necessario  il
tenere  frequenti  Congressi  Generali  dei  Cooperatori,  comunicare
idee,  associare  energie,  opporre  armi  ad  armi.  Pertanto,  con  l'aiuto
di  Dio,  voi  poteste  già  raccogliere  frutti  copiosissimi.  Vediamo  poi
che  in  questo  settimo  Congresso  tenutosi  al  Brasile  sono  stati  di-
scussi  argomenti  in  verità  importantissimi,  come  nei  Congressi  an-
teriori.  Infatti  che  vi  ha  di  più  opportuno  e  di  più  utile,  che  trat-
tare  del  modo  d'aiutare  sempre  meglio  la  gioventù  e  di  tutelare
con  nuovi  presidii,  o  dì  usare  maggiori  sollecitudini  nella  forma-
zione  degli  aspiranti  al  Sacerdozio;  o  di  promuovere  nuove  spedi-
zioni  di  missionari  ai  popoli  barbari;  o  di  allestire  in  maggior  copia
e  più  largamente  diffondere  libri  che  spieghino  il  vero,  confutino
il  falso,  promuovano  l'amore  alla  religione;  o  di  assistere  con  mag-
gior  zelo  gli  emigranti,  in  modo  che,  venendo  attorniati  dai  ne-
mici  della  Chiesa  Cattolica,  non  abbiano  a  soffrirne  alcun  danno
nella  fede?  Di  questi  e  di  tutti  gli  altri  temi  discussi  in  quel  Con-
gresso,  quale  si  può  dire  più  consentaneo  ai  tempi  presenti?  per
questo  Noi  ci  congratuliamo  vivamente  con  te  e  con  i  Cooperatori
tuoi  e  con  tutta  la  Società  alla  quale  presiedi,  per  l'esito  felice  di
questo  settimo  Congresso.  Noi  infatti  nutriamo  per  le  Opere  del
Venerabile  Don  Bosco  quella  stessa  benevolenza  che  ebbero  i  No-
stri  Predecessori,  ed  essendo  esse  attaccatissime  al  Vicario  di  Gesù
Cristo,  Noi  fortemente  bramiamo  che  abbiano  ogni  dì  ad  allietarsi
di  nuovi  Soci  e  ad  aumentare  di  Cooperatori  in  modo  che  possano,
con  l'aiuto  di  Maria  Ausiliatrice,  provvedere  con  risultati  ognor
maggiori  ai  bisogni  dei  tempi »  (1).
(1)  Periilicnter  Nos  «1  quas  dedssti  ad  Mos  miper  litteras  accepimn»  tuae  tuorumque
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VI
Con  questa  splendida  testimonianza  del  Sommo  Pontefice  se
ne  connette  un'altra  pure  significativa,  proveniente  dal  medesimo.
Don  Albera,  recatosi  a  Roma  per le feste  di  Beatificazione  del  Cot-
tolengo, fu  ricevuto il 2 maggio in udienza  privata da  Benedetto  XV.
al  quale  rese  grazie  del  Breve  allora  allora  ricevuto.  Il  Papa  gli
disse:  «È  bene  che  il  Papa  a  quando  a  quando  dia  alla  Congrega-
zione  un  pubblico  attestato  della  sua  sovrana  compiacenza.  Conti-
nuate  nell'opera  vostra  di  zelo  secondo  lo  spirito  di  Don  Bosco  e
ne avrete  le benedizioni  di  Dio »  (1).
Anche  i  Santi  hanno  le  loro  predilezioni.  È  fuor  di  dubbio che
S.  Giovanni  Bosco,  se  abbracciava col  suo  zelo  tutte  le  Repubbliche
d'America,  prediligeva  però  la  Repubblica  Argentina.  Oggi,  veden-
do  i  sorprendenti  progressi  fatti  ivi  dalle  Opere  di  Don  Bosco  in
ogni  campo,  si  capisce  da  che  cosa  fosse  ispirato  e  dove  mirasse
questo  amore  di  preferenza.  Nel  1915  l'Argentina  contava  già  44
case  dei  Salesiani  e  29  delle  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice.  Era  dun-
que naturale  che quella  Repubblica  nel festeggiare  le  due  date  cen-
erga  Nos  et  Apostolìcam  Sedem  observantiae  plenas  et  adiuncta  litteris  seta  septimi  con-
ventus,  quein  Salesiani  cooperatore^  Sancii  Pauli,  in  urbe  Brasilianae  Reipublicae  peniobili,
haud  ita  pridem  frequentissimi  celebrarant.  Quae  quidem  acta  perlegentes  velut  positum  in
conspectu  videbamur  vitam  intueri  industrem  sane  et  actuosam  universae  Sodalitatis  vest'rae.
Haec  a  parvis  orta,  utì  flt,  initiis  Ita  brevi  Deo  adiuvante  aucta  est  operariorum  mimerò,  ut
in  dissitis  etiam  utriusque  Americae  plagia  sede  collocata  orbem  terrarum  cum  veteri  novtsm
complexa  sit  felfeiter.  Atque  hic  i»  tanto  industriae  spati»  mirtini  quantum  adirne  utilitatis
attulit  Ecclesiae  Catholicae  constantia  laborum,  splendore  virtutum.  Vostra  tamen  laus  est
novisse,  tempora  quid  postulent,  novisse,  quibus  armi»  horum  data  temporum  natura  sit
potissime  dlmieandum.  Ouemadmodum  enim  religioni»  atque  adeo  homanitatis  inimici  passim
sese  congregant  et  pessimo  foedere  iuncti  conspìrant,  ut  Ecclesìam,  si  fieri  possit,  ipsam
deleant,  ita  vos  necesse  omnino  esse  duxistìs  frequentes  universi  coetus  congreasiones  eoope.
ratorum  taire,  conununicare  Consilia,  consociare  vires,  arma  armis  opponere.  Qus>  factum
est,  ut  ope  divina  freti  fructus  coIUgeretis  uberrimos.  Hes  autem  maxim*  profecto  momenti,
ut  in  supertoribus,  ita  in  hoc  septimo  Brasiliano  conventu  fuisse  videmus  ad  deliberandum
propositas.  Quid  enim  oppoftunius,  quid  utilius,  quam  aut  de  iuventute  quotidte  magia
ìuvanda  novisque  praesidiis  Srmanda  decernere  aut  de  malore  ad  sacri  ordini»  alumnorum
ìnstitutionem  studio  adhlbendo  aut  de  sacris  expeditionibus  ad  barbaros  promovendis  aut
de  Ubrorum,  qui  vera  explicenl,  falsa  diluant,  amorem  religionis  excitent,  maiore  pa-
randa  copia  fusiusque  dìsseminanda  aut  de  tuendis  studiosius  emigrantibus  e  patria,  ne
ab  hostibus  Ecclesiae  Catholicael  circumventi  aliquid,  in  «de  detrimenti  capiant?  Quid  hisce
aliìsque  rebus,  de  quibus  in  eo  conventu  consultum  est,  his,  quibus  vivimus,  temporibus,
putemus  magìs  consentancum?  Quare  tibi,  dileete  liii,  tuisque  cooperatoribus  et  universae,
cui  praees,  sodalitati  felicem  huius  septimae  congressionis  exitum  vehementer  gratulamur.
Eadem  enim  Nos,  qua  decessores  Nostri,  benevolentia  Venerabilis  Ioannis  Bosco  instituta
complectimar,  quae,  ut  Jesu  Christì  Vicario  deditissima,  valde  cupimus  novìs  in  dica  et  ilo-
rere  alumnis  et  cooperatoribus  augert  ita,  ut  posslnt  Mariae  AuxiUatrìcis  ope  necessltatibus
temporum  uberiore  usque  cum  fructu  «sederi,
(1)  Yerì>,  del  Cap,  Snp.,  19  maggio  1917.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
tenarie  primeggiasse  sulle  altre  sorelle  e  la  capitale  Buenos  Aires
riportasse  la  palma.  Le  feste  commemorative  di  Buenos  Aires,  ini-
ziate  in  maggio  e  conchiuse  in  ottobre,  si  svolsero  secondo  un  pro-
gramma  redatto  sotto  l'ispirazione  dell'ammirabile  Ispettore  Don
Vespignani  e  sotto  la  sua  direzione  eseguito.  Nel  mese  di  maggio.
funzioni  religiose  in  onore  della  Madonna  di  Don  Bosco;  in  giu-
gno,  tradizionale  assemblea  di  ex-allievi ;  in  luglio,  concorso  di  so-
ciologia  e  apologetica  e  diversi  festeggiamenti;  in  agosto,  feste  ge-
nerali  a  omaggio  di  Don  Bosco,  inaugurazione  di  un  grande  edificio
scolastico  e  tornate  accademiche;  in  settembre,  concorso  ginnastico
e  gran  corteo  giovanile;  in  ottobre,  Congresso  nazionale  degli  ex-
allievi  e  pellegrinaggio Anale  al  santuario  di  Lujan.  Questo  per soni-
mi  capi;  i  particolari  d'ogni  fatta  sono  cose  da  cronache  locali  più
che oggetto  di  storia.  Non  ne ometteremo  tuttavia  due.  L'Arcivescovo
Espinosa  di  Buenos  Aires  e  i  .Vescovi  Orzali  di  Cuyo,  Romero  di
Salto,  Terrero  di  La  Piata  invitarono  con  lettere  pastorali  tutti  i
loro  fedeli  ad  associarsi  all'esultanza  dei  Salesiani,  dei  loro  ex-al-
lievi  e  dei  Cooperatori,  Inoltre  agli  alunni  del  Seminario  archidio-
cesano  di  Buenos  Aires  venne  proposto  uno  studio  su  "  Don  Bosco
e  la  sua  Opera  sociale  "  come  omaggio  nel  centenario  della  nascita,
e  la  rivista  Etudios  pubblicò  il  miglior  lavoro,  riprodotto  poi  a  parte
in  un  opuscolo  di  18  pagine;  autore  ne  fu  il  chierico Matteo  Filippo.
Il  Congresso  rivestì  un'importanza  singolare.  Vi  parteciparono
200  delegati  di  Associazioni  degli  ex-allievi  argentini,  con  un  gran
numero  di  altri  ex-allievi  e  di  Cooperatori.  Lo  svolgimento',  anzi-
ché  costretto  al  solito  nel  breve  spazio  di  pochi  giorni,  procedette
a  intervalli,  tenendosi  tre  sedute  private  il  7,  14  e  21  ottobre,  e  tre
pubbliche  il  10,  17  e  24  dello  stesso  mese.  Le  trattazioni  si  raggrup-
parono  sotto  quattro  titoli:  azione  cristiano-sociale,  azione  patriot-
tica,  mutuo  soccorso,  sviluppo  delle  singole  associazioni.  Le  delibe-
razioni  rivelano  maturità  d'intenti  e  senso  di  praticità.  Il  meglio  si
fu  che  quanto  era  stato  deciso,  non  rimase  lettera  morta,  ma  venne
con  sollecitudine  messo  in  atto.  Dopo  l'ultima  seduta  i  congressi-
sti  diedero  un  edificante  e  imponente  spettacolo,  recandosi  tutti  in
pellegrinaggio  alla  Madonna  di  Lujàn  (1).
(1)  Cfr.  Ann.,  v.  IH,  p.  116.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
Risale  all'occasione  dei  centenari  un'istituzione,  che  vigoreggia
tuttora  nei  numerosi  Oratori  salesiani  dell'Argentina.  Il  lodato  Ispet-
tore, che per  trent'anni  resse  i  Salesiani  nella  Repubblica,  faceva  sua
ogni  iniziativa  diretta  a  favorire  il  progresso  scientifico  e  morale  e
lo  sviluppo  fisico  della  gioventù.  Andava  allora  per  la  maggiore  l'i-
stituzione  dei  boy-scouts  o  giovani  esploratori,  riconosciuta  d'indi-
scusso  vantaggio.  Egli  la  introdusse  in  tutta  l'Ispettoria,  ma  liberan-
dola  da  quanto  sapeva  troppo  di  laicismo  e  imprimendole  un  carat-
tere  prettamente  salesiano.  Quindi,  niente  nudi  nella  divisa;  cam-
peggi,  nei  quali  fosse  assicurata,  senza  tolleranze  credute  lecite  da
altri,  la  moralità;  un  regolamento  con  i  dieci  precetti  della  «legge
d'onore »,  come  la  chiamano,  ma  racchiudenti  con  i  doveri  del  buon
cittadino gli  obblighi  dei buon  cristiano.  Non  vi  si  ammettono  se  non
giovani  degli  Oratori  festivi.  Anche  la  denominazione  è  salesiana:
si  chiamano  Exptoradores  de  Don  Bosco.  Sorsero  tosto  cinque  bat-
taglioni  a  Buenos  Aires,  altri  cinque  in  vicine  località,  altri  a  Ro-
sario,  Tucuman,  Salto,  Cordoba,  Mendoza.  Il  9  luglio  1916,  anniver-
sario  dell'indipendenza,  in  numero  di  1210,  alla  testa  di  3000  gin-
nasti  dei  collegi  salesiani,  fecero  la  loro  prima  comparsa  nella  ca-
pitale,  sfilando  magnificamente  dinanzi  alle  Autorità  e  ad  un  pub-
blico  immenso,  che  li  applaudiva.  D'allora  in  poi  l'organizzazione
si  estese  anche  fuori  dell'Argentina,  sicché  ancora  al  presente  è  un
vivo  ricordo  degli  indimenticabili  centenari.
Ci  voleva  pure  un  ricordo  monumentale.  Esisteva  dal  1893  l'O-
ratorio  festivo  S.  Francesco  di  Sales  (1);  ma  usava  di  vecchi  e  di-
sagiati  locali,  Per  il  1915  si  era  eretto  un  grande  edificio,  che  ser-
visse  non  solo  all'Oratorio,  ma  anche  a  scuole  esterne.  Lo  benedisse
e  inaugurò  nel  mese  di  agosto  l'Arcivescovo  dinanzi  al  Presidente
della  Repubblica  Vittorino  de  la  Plaza.  Il  deputalo  Gafferata  pro-
nunciò  un  nobile  discorso  con  affermazioni,  che  sono  documento
per  la  nostra  storia.  Dopo  aver  detto  che  veniva  ad  offrire  a  Don
Bosco  l'omaggio  della,  sua  parola  nel  centenario  della  sua  nascita,
perchè,  vecchio  amico  della  Società  Salesiana,  aveva  appreso  ad
amarla  da  fanciullo  per  ammirarla  da  uomo,  tra  tante  belle  cose
fece  la  seguente  dichiarazione:  «Come  argentino,  io  mi  faccio  l'in-
(1)  Ann.,  v.  II,  pp.  113-4.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
terprete  della  gratitudine  nazionale  verso  l'Opera  Salesiana  fiorente
tra  noi  con  sì  eccellenti  e  splendidi  frutti,  per  cooperare  alia  sua
grandezza  e  alla  sua  gloria.  Come  rappresentante  del  popolo  ricono-
sco  che  questo  popolo,  nella  sua  espressione  più  genuina,  l'operaio
e  il  figlio  dell'operaio,  a  essa  va  debitore  di  grandi  benefici.  Come
cattolico,  rendo  omaggio  alla  memoria  di  un  Figlio  prediletto  della
Chiesa,  colonna  della  sua  fede,  araldo  della  sua  dottrina,  soldato
della  sua  causa,  eroe  delle  sue  battaglie ».  Passando  poi  a  dire  dei
risultati,  che  l'educazione  salesiana  otteneva  in  una  moltitudine  di
fanciulli,  osservava:  «Studenti,  operai,  professori,  pastori  d'anime
sorgono  da  questa  massa  apparentemente  infonne,  come  raggi  di
luce  da  una  massa  incandescente.  E  così  si  crea  un'accolta  di  uo-
mini  sani,  con  un  chiaro  concetto  della  vita,  della  propria  respon-
sabilità  e  dei  propri  doveri,  dal  cuor  generoso,  dallo  spirito  tem-
prato,  dal  carattere  fermo,  che  sono  più  tardi  in  mezzo  alla  so-
cietà  il  contrappeso  e  l'equilibrio  che  ia  difendono  contro  il  disor-
dine,  l'anarchia  e  la  rivoluzione ».  Invitava  finalmente  gli  uditori
d'ogni  ceto  a  compenetrarsi  di  tutta  l'importanza  sociale  dell'O-
pera  di  Don  Bosco,  di  tutto  il  suo  valore  nello  sviluppo  del  pro-
gresso  nazionale,  di  tutta  la  sua  eccellenza  nell'educazione  del  po-
polo.  Perciò  chi  per  i  propri  ideali  religiosi,  chi  per  le  proprie
aspirazioni  patriottiche,  e  gli  altri  per  la  brama  di  miglioramento
sociale,  tutti  vi  dessero  la  loro  protezione,  il  loro  incoraggiamento,
la  loro  cooperazione,  nella  certezza  che  farebbero  un'opera  santa
di  giustizia  e  di  vero  patriottismo.
Sul  principio  dell'anno  lo  zelante  Ispettore  aveva  tracciato  ai
Direttori  una  serie  di  argomenti  da  svilupparsi  tra  i  giovani  in-
terni  dei  collegi.  Essi  gli  erano  stati  suggeriti  da  una  letterina  in-
viatagli  da  Don  Bosco  il  22  agosto  1880.  Gii  scriveva  il  Santo  « Di-
rai  agli  studenti  ed  ai  nostri  ascritti  che  io  attendo  grandi  cose  da
loro.  Moralità,  umiltà,  studio:  ecco  il  loro  programma».  Bisognava
far  comprendere  agli  alunni  che,  una  volta  messo  in  pratica  questo
programma  nella  vita  di  collegio,  avrebbero  poi  potuto  compiere
un'importantissima  missione  nella  famiglia,  nella  società  e  nella
Chiesa.  Questo  programma,  che  Don  Bosco  aveva  mandato  da  To-
rino  per  i  suoi  primi  alunni  argentini,  Io  stimassero  allora  man-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VI
dato  dal  Cielo  e  Io  spiegassero  ai  loro  giovani  nel  corso  dell'anno
giubilare.  A  tal  fine  egli  stesso  presentava  un  commento  di  quelle
tre  virtù,  interpretate  secondo  gl'insegnamenti  di  Don  Bosco.
Il  Papa  non  è  mai  assente  dalle  celebrazioni  salesiane.  Ter-
minati  i  festeggiamenti,  l'Ispettore  e  i  Direttori  argentini  riuniti  in
Capitolo  ispettoriale  spedirono  al  Papa  un  elegantissimo  album,  re-
cante  nella  prima  pagina  il  ritratto  di  Benedetto  XV  con  un'am-
pia  dedica  e  contenente  nell'interno  15.000  firme  di  alunni  dei  Sa-
lesiani  e  di  alunne  delle  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice,  più  altre  2000
di  loro  ex-alunne.  Vi  andava  unita  la  somma  di  lire  17.000,  una
lira  ciascuno,  per  l'obolo  di  S.  Pietro.  Il  Papa  manifestò  il  proprio
compiacimento  a  mezzo  del  Card.  Gasparri,  suo  Segretario  dì  Stato,
con  lettera  del  14  maggio  1916  indirizzata  a  Don  Vespignani,  rin-
graziando  con  i  Salesiani  e  con  le  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice  an-
che  i  giovanetti  e  le  giovanette  che  crescevano  « con  esuberanza  di
vita  cristiana  all'ombra  benefica  di  Maria  Ausiliatrice  e  sotto  lo
"sguardo  sorridente  del  Ven.  Don  Bosco  nelle  case  salesiane ».
Volendo  rappresentarci  ora  sotto  un  simbolico  punto  di  vista
tutto  quello  che  si  fece,  si  disse  e  scrisse  da  un  capo  all'altro  del-
l'America  nell'anno  dei  centenari,  troviamo  dimostrate  ad  evidenza
due  cose.  La  prima  è  l'universalità  spontanea  della  stima  che  cir-
condava  Don  Bosco,  spinta  fino  all'unanime  persuasione  che  egli
fosse  non  solo  già  al  possesso  della  gloria  celeste,  ma  anche  desti-
nato  sicuramente  alla  glorificazione  suprema  dei  più  grandi  servi
di  Dio.  In  secondo  luogo  si  comprese  sempre  meglio  quanto  sia
universale  e  perenne  l'idea  dell'intervento  di  Maria  Santissima  in
tutti  i  bisogni  della  Chiesa  e  del  mondo  e  perciò  quanto  appaia
giusto,  importante  e  opportuno  il  titolo  di  Auxilium  Christianorum
inserito  nelle  litanie  lauretane.
I  due  cinquantenari  indicati  nel  titolo  del  capo  occorsero  il
9  giugno  e  il  2  agosto  1918.  Uno  riguardava  la  chiesa  di  Maria  Au-
siliatrice,  cinquantanni  dalla  consacrazione,  e  l'altro  si  riferiva  a
Don  Albera,  cinquant'anni  dalla  prima  Messa.  Nel  quarto  anno  di
una  guerra  sterminatrice  sarebbe  stato  inconsulto,  a  dir  poco,  di-
sporre  solenni  festeggiamenti,  come  certo  si  sarebbe  fatto  in  tempi
migliori;  quasi  tutto  perciò  fu  ridotto  a  pie  pratiche.  In  momenti
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
sì  tristi,  chi  aveva  la  fortuna  di  serbare  viva  nel  cuore  la  fede,  non
trovava  rifugio  e  conforto  più  caro  fuori  della  preghiera;  ed  ecco
che  popolo,  gioventù,  Cooperatori  accorrevano  volenterosi  dove  gli
inviti  sacri  li  chiamavano  in  quelle  circostanze.  Don  Albera,  quanto
a  sé,  avrebbe  preferito  nascondere  la  sua  persona;  ma  altri,  spe-
cialmente  molte  nobili  dame  torinesi  riunitesi  in  Comitato,  non  la
pensavano  come  lui,  e  gli  bisognò  lasciar  fare.  Allora  il  ricordo  di
Don  Bosco  e  di  Maria  Ausiliatrice,  suscitato  con  maggiore  inten-
sità,  produsse  un  gran  bene:  vivificò  la  fede,  santificò  le  anime,  in-
fuse  novelli  slanci  nei  cuori.  E  questo  non  solo  a  Torino,  ma  in
spirituale  unione,  si  può  dire,  con  tutto  il  mondo  cristiano,  per-
chè  i  Salesiani  e  le  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice  accesero  fiamme  per
ogni  dove.
Il  Crispolti,  parlando  il  25  aprile  nell'Ora  torio  a  un  pubblico
numeroso  e  scelto,  fece vedere  come  i  due  cinquantenari  stessero  be-
nissimo  insieme.  Il  giubileo  sacerdotale  dj  Don  Albera  non  doveva
passare  come  un'accidentale  e  piccola  coincidenza  del  cinquante-
nario  del  tempio  di  Maria  Ausiliatrice.  Infatti  la  storia  di  lui  era
intimamente  legata  con  quella  dell'erezione  del  tempio  e  d'altri
grandi  atti  di  Don.  Bosco  in  favore  del  culto  di  Lei,  sicché  Maria
avrebbe  gradito  d'essere  festeggiata  anche  nel  servo  suo  e  che  gli
osanna  a  Essa  elevati  vibrasseso  della  commozione  suscitata  da  una
serena  canizie  umana,  che  giustamente  si  riveriva  come  il  segno
parlante  d'una  cara  e  sacra  paternità.
Si  volle  opportunamente  che  Don  Albera  anticipasse  la  Messa
giubilare  al 9  giugno,  data giubilare  della  consacrazione.  Quella  mat-
tina  la  chiesa  di  Maria  Ausiliatrice  sembrava  un  atrio  del  paradiso.
Il  celebrante,  con  a'  suoi  fianchi  il  Prefetto  Generale  Don  Rinaldi
e  il  Direttore  Spirituale  Don  Barberis,  circondato  da  dodici  Vescovi
e  assistito  pontificalmente  dal  Card.  Cagliero,  appariva  quasi  tra-
sfigurato,  tra  suoni  e  canti  celestiali,  alla  presenza  delle  Principesse
di  Savoia  e  di  una  folla  accorsa  da  ogni  parte.  Sul  tronetto  del-
l'altare  spiccava  una  preziosa  croce  argentea  donata  dalla  Regina
Elena ;  la  base  della  mensa  eucaristica  era  ornata  da  un  aureo  cuore
votivo  dei  soldati  del  presidio,  mentre  sulla  mensa  stessa  brillavano
splendide  cartegloria  offerte  dalla  Principessa  Isabella  di  Genova.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VI
Egli  indossava  una  maravigliosa  pianeta  inviatagli  dal  Santo  Padre
Benedetto  XV.  Cinquantanni  prima  al  medesimo  altare,  nella  me-
desima  ora,  Don  Bosco  aveva  celebrato  la  Messa  inaugurale  della
basilica.  Le  anime  della  folla  palpitavano  con  quella  del  celebrante.
Dopo  la  Messa  si  compiè  una  bella  cerimonia.  La  Principessa
Isabella  y  Camposagrado  Czartoryski  aveva  offerto  un  prezioso
scettro  da  fissare  nella  destra  dell'Ausìììatrice.  Il  Card.  Cagìiero,
ricevutolo  da  due  paggetti  e  seguito  da  Don  Albera,  salì  sul  ca-
stello  appositamente  costrutto  dinanzi  alla  sacra  immagine  e  pro-
cedette  all'apposizione  del  gioiello,  pronunciando  a  voce  sonora
un'antifona  dettatagli  cinquantanni  prima  da  Don  Bosco  stesso  con
la  predizione  ch'egli  l'avrebbe  recitata  in  un'occasione  solenne  (1).
Ridisceso  quindi  all'altare,  parlò  con  vigore  all'attento  uditorio,  ri-
destando  cari  ricordi  salesiani  e  rilevando  energicamente  come  tra
le  opprimenti  miserie  del  tempo  il  popolo  italiano  avesse  il  dovere
di  abbandonare  ogni  abitudine  di  peccato  per  ritornare  a  Dio  e  alia
sua  legge  e  così  ottenere  la  sospirata  vittoria  e  pace.  La  funzione
ebbe  termine  con  la  lettura  di  un  atto  di  consacrazione  dell'Opera
di  Don  Bosco  fatta  da  Don  Albera  e  con  la  benedizione  apostolica
impartita  per  concessione  pontificia  dal  Cardinale.
La  sera,  ai  vespri,  l'Arcivescovo  Card.  Richelmy  montò  in  pul-
pito  e  tessè  un  fervido  discorso,  svolgendo  tre  punti:  potenza  mi-
sericordiosa  di  Maria  Ausiliatrice,  prodigiosità  delPOpei*a  di  Don
Bosco,  fedeltà  di  discepolo  e  di  compagno  superstite,  con  la  quale
Don  Albera  conservava  il  culto  di  Maria  e  la  fede  operosa  di  Don
Bosco.  A  notte,  nel  cortile  dell'Oratorio,  dinanzi  a  una  statua  del-
PAusiliatrice,  eretta  su  alto  trono,  sotto  un  arco  di  arazzi  e  di  fiori,
tutti  i  giovani  della  casa,  tutti  i  superiori  e  i  Vescovi  ospiti,  dopo
le  orazioni,  ricevettero  il  saluto  paterno  del  Rettor  Maggiore.  Egli
compì  quest'ultima  fatica  della  sua  grande  giornata  con  sentimenti
che  suscitarono  viva  commozione.
Questa  volta  vi  era  stata  anche  la  parola  del  Papa  in  un  Breve
molto  affettuoso,  recante  la  data  del  12  maggio.  Il  documento  giunse
(1)  O  Maria,  Virgo  potens,  Tu  magnum  et  praeclarum  in  Ecclesia  praesidium,  Tu  sin-
golare  ausiliwn  Christianorunjj  Tu  terribili»  ut  castrorum  acies  ordinata,  Tu  cunctas  haereses
sola  interemisti  in  universo  mundo;  Tu  in  angustia
1
,  Tu  in  bello,  Tu  in  necessitatibus  nos
ab  hoste  protege  atque  in  aeterna  gaudia  in  morti  s  hora  suscipe.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Due  centenari  e  due  cinquantenari
accompagnato  con  un  duplice  dono,  commemorativo  dell'una  e  del-
l'altra  solennità,  ossia  la  pianeta  destinata  a  Don  Albera  e  una
sacra  pisside  per  il santuario  di  Maria  Ausiliatrice.  Anche  nel  Breve
il  Santo  Padre  associava  le  due  ricorrenze,  enumerando  e  illustran-
do  i  titoli  che  rendono  venerando  il  tempio  e  giustificavano  il  giu-
bileo  della  sua  consacrazione  e  richiamando  i  meriti  che  facevano
degno  della  giubilare  celebrazione  il  successore  di  Don  Bosco.  Di-
ceva  il  Papa:  « Il 9  del  prossimo  giugno  sarà  un  giorno  doppiamente
avventurato  per  tutti  quanti  i  membri  dell'Istituto  Salesiano  e  per
i  suoi  Cooperatori  ed  amici,  perchè  cinquantanni  fa  era  solenne-
mente  aperto  al  divin  culto  il  Tempio  di  Maria  Ausiliatrice  a  To-
rino,  e  tu  stesso,  o  diletto  figlio,  celebravi  la  prima  Messa.  In  vero
la  Madre  di  Dio,  come  assistè  alla  nascita  della  vostra  Congrega-
zione,  proleggendo  amorevolmente  il  venerabile  Fondatore,  così  le
continuò  ognor  opportuno  aiuto  nel  suo  crescere,  specialmente  dal
dì  che  pose  in  detto  tempio  quasi  il  seggio  regale  della  sua  bontà
in  vostro  favore.  In  esso  infatti  venne  presa  ogni  deliberazione  più
acconcia  per  Io  stabile  incremento  delle  vostre  opere;  in  esso  reli-
giosamente  si  venne  a  conservare  e  ad  alimentare,  secondo  lo  spi-
rito  di  S.  Francesco di  Sales,  l'ardore  di  molteplice  carità  per  la  sa-
lute  delle  anime;  da  esso  partirono,  gli  uni  dopo  gli  altri,  esempla-
rissimi  membri  dell'Istituto  sia  per  educare  sanamente  la  gioventù,
sia  per  recare  il  nome  di  Cristo  ai  barbari;  da  esso  infine,  come  da
prmcipal  sorgente,  scaturì  quasi  un'onda  perenne  di  grazie  celesti
per  tutta  la  famiglia  salesiana.  Quindi  si  può  dire  con  ragione,  che
tutti  gli  avvenimenti  della  vostra  Società  siano  consacrati  dal  culto
a  Maria  Ausiliatrice.  E  l'inizio  di  cotesto  santuario  mariano  viene
per  felice  coincidenza  a  essere  celebrato  insieme  con  quello  del  tuo
sacerdozio.  Tu  in  vero,  per  tutto  questo  tempo,  con  non  poco  senno
e  zelo  e  lavoro  cooperasti  al  bene  di  cotesta  Società:  alla  quale,  se
desti  il nome  non  appena  iniziata,  ora  che  è  mirabilmente  accresciuta
e  diffusa  per  ogni  dove,  presiedi  saggiamente.  E  poiché  tutti  i  tuoi,
rendendo  omaggio  alla  comune  Patrona,  si  apprestano  da  tutte  le
parti  a  dare  a  te  varie  dimostrazioni  di  affetto,  molto  a  Noi  piace
precedere  cotesto  quasi  coro  di  felicitanti,  sia  perchè  in  modo  affatto
t-peciaìe  vogliamo  raccomandati  Noi  stessi  insieme  con  tutta la  Chiesa
all'aiuto  potentissimo  della  Madre  di  Dio,  sìa  perchè  meritamente
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VI
abbiamo  cara  la  Società  Salesiana.  Che  essa  ancora  per  molti  anni
abbia  te,  e  in buona  salute,  a  rettore,  è  ardente  Nostro  voto»  (1).
Così  i  due  cinquantenari,  fusi  in  una  stessa  data,  quasi  che l'uno
fosse  parte  dell'altro,  incontrarono  unanime  consenso  di  partecipa-
zione,  pronto  e  generale  fervore  di  sentimento  in  tutte  le  parti.
UOsservatore  Romano  dell'I  1  giugno  scriveva:  «Vorremmo  dire
che  questa  è  la  festa  della  gratitudine:  gratitudine  a  Maria,
che  ha  voluto  essere  la  patrona  di questa  grande  opera  dì  redenzione
della  gioventù;  gratitudine  a  Don  Bosco,  che  rivive  nel  suo  succes-
sore,  il  quale altro  non cerca che di  perpetuare  l'opera  da lui  iniziata;
gratitudine  verso  la  Società  Salesiana,  che  nel  suo  Rettor  Maggiore
è  tutta  simboleggiata, perchè  attorno a lui  tutti i  Salesiani  si  uniscono
in  una  così  completa  fusione  di  pensiero,  di  volontà,  di  abnegazione,
che  l'omaggio  reso  a  lui  allieta  ognuno  di  essi  come  un  proprio
trionfo •».
(1)  Salesiani  instituti  quoquot  sunt  participes,  adiutores  et  amici,  iìs  omnibus  nonus
proximi  mensis  dics  iimii  duplìciter  faustus  aecidet,  quod  abbine  anni»  quinquagirata  et
Taurinensis  aedes  Mariae  Auxiiiatricis  soliemni  ritu  dedicata  est  et  ipse,  diìecte  illi,  rem
divjnam  primitus  fecìsti.  Etenim,  cum  congregationi  vestrae  Mater  venerabilem  Condito-rem
studiose  fovendo  afifuit  nascenti,  tum  adoiescejitem  opportuna  semper  ope  prosecuta  est,  ex
quo  praesertim  suae  erga  vos  benignitatis  in  eo  tempio  lamquam  principerò  sedcm  coììo.
cavit.  Namque  ibi  optima  quaeque  inita.sunt  Consilia,  quae  ad  perpetuum  vestrorum  operaio
ìncrementum  pertìnerent;  ibi  religiose  custodir!  atque  ali  cotisuevit  ductus  a  Francisco
Salesio  muttiplicis  caritatis  ardor  in  saluiem  anìmarum;  inde  aJii  ex  aliis  lectissimi  sodales
proferì!  sunt,  qui  vel  iuventuiem  rette  insiituerent  ve]  Christianum  nomen  barbari»  infer-
rent;  eo  denique  ex  fonte  et  capite  perennis  quaedam  caelesirum  beneficiorum  copia  per
uni  versar»  Salesianorum  familiatn  deftuxit.  Itaque  iure  dixerjs  omnes  sodalitatls  vestrae
fastos  Mariae  Auxiiiatricis  religione  comecrari.  Feiìciter  vero  i:ontingit,  ut  simal  Marianae
huius  aedis  et  tui  sacerdote  natalis  celebretur.  Sìquidem  non  panini  hoc  toto  spatio  et
oonsilii  et  sludii  et  operae  in  sodetatis  isiius  bonum  contuìisU,  quam  quidem  vix  inchoatam
ingressus  auctam  nunc  miriike  et  ubique  propagatasi  sóllerter  moderar]  s.  Cum  igitur
omnes  tui  eommunem  Patronam  venerantes  varias  amoris  significationes  tibl  undique  daturi
sint,  huie  quasi  concentrò  gratulantium  praeire  admodum  Nobis  libet,  qui  presentissimo
Deiparae  auxiiio  Nos  cum  tota  Ecciesia  maxime  commendato»  volumus  et  Salesianam  sodali-
tatem  merito  hahemus  caratn.  Eaque,  ut  multos  annos  te  rectore  salvo  et  incolumi  utatur,
vehemenicr  optamus,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  VII
Il  Cardinal  Cagliero.
Il  Card,  Cagliero,  nei  primi  giorni  dopo  la  sua  elevazione,  sen-
tendosi  dire  "  Eminenza ",  volgeva  gli  occhi  intorno  per  vedere  chi
e  dove  fosse  'l'eminente  personaggio  salutato  con  quel  titolo.  Un'im-
pressione  analoga  provarono  sulle  prime  i  vecchi  salesiani  alla  no-
tizia  che  uno  dei  loro  era  stato  fatto  Cardinale.  A  coloro  special-
mente  che  dalla  fanciullezza  avevano  vìssuto  la  vita  dell'Oratorio,
non  sembrava  vero  che  un  figlio  di  quell'umile  famiglia  fosse  stato
chiamato  a  far  parte  del  Sacro  Collegio  e  venisse  annoverato  tra  i
Prìncipi  della  Chiesa.  Don  Bosco,  che  tante  cose  della  sua  Società
aveva  prevedute,  previde  di  dover  avere  un  suo  alunno  innalzato
a  tanta  altezza?  Parrebbe  di  sì.  Quando  il  Cagliero  fu  nominato  Ve-
scovo,  il  Santo  disse  non  solo  che  egli  sarebbe  vissuto  molti  anni
(superò  infatti  gli  88),  ma  inoltre  che  avrebbe  assistito  a  un  grande
avvenimento  in  Vaticano.  Quale  poteva essere  il  grande  avvenimento
se  non  il  Conclave  del  1922,  in  cui  fu  eletto  Pio  XI?  Avvenimento
davvero grande  in sé, ancor più  grande nell'estimazione  di  Don Bosco,
che,  amando  d'intenso  amore  il  Romano  Pontefice,  giudicava  onore
sommo  iì  partecipare  un  suo  figlio  alla  elezione  di  un  Papa  (1).  Se
egli  non  parlò  più  chiaro,  disse  però  abbastanza  per  essere  poi  in-
teso,  quando  fosse  venuto  il  tempo,  ne  certo  sarebbe  stato  conve-
niente  che  si  esprimesse  in  termini  precisi.  Del  resto  è  proprio  dello
stile  profetico  velare  le  cose  nell'ombra  del  mistero.  Tale  innalza-
ti) Lett.  di  Don Rinaldi  al  Card.  Vico,  Torino,  29  settembre  1926,  in Mem.  Biogr.,
v. XIX, p. 400.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
mento irradiava  di  nuova  luce  la  figura  di  Don  Bosco  e  tutta  la  sua
Opera.  Intanto  a  noi  la  persona  del  Cagliero  è  apparsa  e  riapparsa
tante  volte  nei  tre  volumi  precedenti,  che  non  c'è  più  bisogno  di
farne  qui  una  qualsiasi  presentazione,  ma  ci  basterà  dire  del  suo
Cardinalato.
Il  primo  a  manifestare  la  sua  autorevole  opinione  che  Monsi-
gnor-Cagliero  avesse  meriti  sufficienti  per  essere  fatto  Cardinale,  fu
l'Arcivescovo  Espinosa  di  Buenos  Aires,  che  conosceva  le  fatiche
apostoliche  da  lui  sostenute  nella  Patagonia  e  i  frutti  raccoltine.  In
un  Album  destinatogli  per  ricordo,  quando  nel  1904  Monsignore  si
accingeva  a  lasciare  l'Argentina,  l'Arcivescovo  esprimeva  il  parere
che,  come  Leone  XIII  aveva  premiato  con  la  Porpora  Cardinalizia  il
Massaia per i  trentacinque  anni  di Missione  etiopica,  allo stesso  modo
Pio  X  avrebbe  dovuto  premiare  Mons.  Cagliero,  che  ne  aveva  spesi
trenta  nella  Missione  patagonica.  « Auguriamoci,  conchiudeva,  di  po-
terlo  salutare  Cardinale  della  Santa  Chiesa  Romana,  che  ben  se  lo
merita».  Di  questo  suo  augurio  s'intravvide  possibile  l'avveramento
nel  gennaio  1915.  Monsignore,  che  contava  ornai  78  anni,  sentiva
un  prepotente  desiderio  di  deporre  l'incarico  di  rappresentante  della
Santa  Sede  nel  Centro  America  e  di  ritornare  in  Italia,  non  a  ripo-
sare,  ma  a  sostenere  occupazioni  più  confacenti  alla  sua  età  avan-
zata.  Il  Card.  Gasparri,  Segretario  di  Stato  de!  nuovo  Papa  Bene-
detto  XV,  parlando  di  questo  con  il  salesiano  Mons.  Marenco,  Ve-
scovo  di  Massa  Carrara,  mostrò  di  pensare,  che  in  caso  di  ritiro  sa-
rebbe  stato  conveniente  premiarne  i  meriti  con  il  Cardinalato;  neì-
l'accennarvi  però  strinse  le  labbra,  come  per  far  comprendere  che
l'elevazione  dipendeva  non  solo  dal  Papa,  ma  da  molteplici  conside-
razioni  (1).
Tuttavia  l'idea  fece  buon  cammino;  infatti,  mentre  Mons.  Ca-
gliero  attendeva  al  disbrigo  degli  affari,  ecco  giungergli  un  foglio  del
21  luglio,  nel  quale  il  Card.  Gasparri  gli  comunicava  essere  volere
del  Santo  Padre  che  si  preparasse  a  partire  per  Roma  a  ricevere  il
Cappello  Cardinalizio.  Egli  era  ben  lungi  dall'aspettarsi  una  simile
comunicazione.  Aveva  gravi  negozi  tra  mano  e  poiché  non  gli  s'in-
dicava  la  data  del  Concistoro,  continuò  a  occuparsene  senza  dir
(1)  LcH.  di  Mons.  Marenco  a  Don  Albera,  Roma,  26  gennaio  1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il  Cardinal  Coglierò
niente  a  nessuno  fuorché  al  fido  segretario.  Intanto  in  una  lunga
lettera  esponeva  al  Segretario  di  Stato  i  motivi  che  consigliavano  di
non  affrettare  la  partenza  e  pregava  di  telegrafargli  il  limite  mas-
simo  di  tempo  concessogli.  Scriveva  tra  l'altro:  «Profondamente
grato  e  confuso  allo  stesso  tempo,  mi  sottometto  ai  Superiori  Voleri
di  Sua  Santità;  non  poco  umiliato  per  una  parte,  considerandomi
privo  di  meriti  voluti  per  dignità  sì  grande;  e  d'altronde  assai  con-
solato,  pensando  che  ben  lo  merita  la  Società  Salesiana,  a  cui  ap-
partengo  sin  dai  suoi  primi  inizi,  la  quale  da  oltre  mezzo  secolo
lavora  con  visibile  successo,  mercè  la  Divina  Protezione,  quasi  in
ogni  angolo  della  terra  per  l'onore  della  Chiesa,  per  l'incremento
della  religione  e  per  la  salvezza  della  gioventù.  E  godo  non  propter
me,  sed  propter  meos,  che  celebreranno  la  Sovrana  degnazione  pon-
tificia  con  doppia  gioia  per  il  coincidere  con  le  fauste  ricorrenze
centenarie  di  Maria  Ausiliatrice  e  del  Ven.  Fondatore  delia  Congre-
gazione,  Giovanni  Bosco.  In  quanto  a  me,  ricorderò  col  Salmista  il
Suscitans  a  terra  inopem  et  de  stercore  erigens  pauperem,  ut  col-
loceteum  cum  principibus  populi  sui».  Pregava  poi  Sua  Eminenza
di  manifestare  in  suo  nonie  a  Sua  Santità  i  propri  sentimenti  di  gra-
titudine,  affetto,  venerazione  e  attaccamento  alla  sua  augusta  per-
sona.
Continuò  così  a  lavorare  tranquillamente  fino  alla  metà  di  ot-
tobre.  Finalmente il  17  un  laconico  telegramma  gli ordinava:  «Parta
per  la  più  breve ».  Non  c'era  piroscafo  prima  del  9  novembre  e  il
Concistoro  era  fissato  al  22.  Inteso  che  solo  al  principio  di  dicembre
sarebbe  potuto  giungere  a  Roma,  il  Papa  usò  la  benignità  di  trasfe-
rire il  Concistoro al  6  dello stesso  mese  (1).
Sette  anni  di  operoso  soggiorno  nel  Centro  America  erano  stati
più  che  bastevoli  a  cattivargli  stima  e benevolenza  in  alto  e  in  basso.
Del  citato  telegramma  ebbe  subito  sentore  il  Governo  di  Costarica,
nella  cui  capitale  S.  José  Monsignore  aveva  la  sua  ordinaria  dimora,
e se  ne allarmò  a  segno,  che  fu  mandato  immediatamente  il  Ministro
degli  Esteri  a  proferirgli  aiuto  e  assistenza,  caso  mai  ci  fosse  stato
qualche  urto.  Allora  non  gli  fu  più  possibile  tacer  il  vero.  Tosto  il
Presidente della  Repubblica  si recò  a  fargli  visita  e  offrì  un  banchetto
(!'.  Lett.  di  Don  Mimerai)  a  Don  Gtismano,  29  ottobre  19:15.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
m  suo  onore  con  inviti  a  tutto  il  Corpo  diplomatico  e  ad  altri  rag-
guardevoli  personaggi.  Anche  la  popolazione,  appena  si  sparse  la
notizia,  gli manifestò  i  suoi  sentimenti di  ammirazione e  insieme  di
rammarico.  Più  tardi  ricevette  pure  molti  rallegramenti  dalle  altre
quattro  Repubbliche  dell'Istmo.
Perchè  bisogna  sapere  che  egli  non  si  era  condannato  a  solo
espletare  pratiche,  ma  aveva  percorse  in  lungo  e  in  largo  quelle
terre,  fra  infiniti  disagi  e  ostacoli  provenienti  dalla  viabilità  e  dai
mezzi  dì  trasporto;  ma  dappertutto  con  la  parola  di  Dio  e  con i  sa-
cramenti  portava  risveglio  di  vita  religiosa  e  pigliava  conoscenza
dei  bisogni  spirituali,  che  erano  grandissimi.  Torna  a  sua  lode,  se
salì  quel  clero  in  maggior  riputazione  dinanzi  ai  popoli;  ottenne  il
permesso  di  entrata  dei  Fratelli  delle  Scuole  Cristiane,  dei  Cappuc-
cini,  dei  Gesuiti  e  dei  Salesiani,  mentre  dalie  cinque  Repubbliche
erano esclusi  per legge  tutti i religiosi;  si prese cura dei poveri Indi,
per i quali fece istituire  tre  Vicariati Apostolici.  Si deve inoltre  a  lui
un'opera  di  somma  importanza.  Fino  ai  suo  arrivo  quattro  Repub-
bliche avevano un solo Vescovo;  egli provvide all'erezione di quattro
Chiese  Metropolitane,  ripartendo  fra  esse  otto  Vescovi  suffragane!.
Altro  vi  sarebbe  da  aggiungere,  se  tutto  fosse  noto  il  suo  operato.
Allontanandosi  dunque da  quei  paesi, vi  lasciava  un  ricordo  imperi-
turo  del  suo  relativamente breve  passaggio  (1).
Incontrato  a  Genova  da  Don  Albera  e  da  altri  Superiori,  arrivò
a Roma  giusto  la mattina  del  6,  poco  prima  del  Concistoro  segreto.
Stette  nell'Ospizio  del  Sacro  Cuore  in  attesa del messo pontifìcio  che
doveva  fra  breve  recargli  il  biglietto  di  nomina. Lo  circondava  una
corona  di  distinte  personalità.  Ricevuto  il  biglietto,  lo  porse  a  Don
Albera, che ne diede lettura. Ringraziato il  latore, ripetè:  — Minimo
fra  i  minimi,  mi  rallegro  dell'elevazione  alla  sacra  Porpora  non
propter me,  sed propter  meos.  Accetto  con  gli  onori  anche  gli  oneri
del  Cardinalato, bramoso  di  prestare,  nonostante  l'età, i  miei servigi
alla  Chiesa.  —  Tra  gli  omaggi,  il  conte  Olivieri  di  Vernier  veniva
da Torino a presentargli quelli del Card. Richelmy, del sindaco Rossi
(1)  Don  Albera  in  una  sua  circolare  del  21  novembre  1915  riferiva  queste  parole  det-
tegli  da  Pio  X:  «  Sapete  che  il  vostro  Mons.  Cagliero  nel  Centro  America  fa  veri  prodìgi?
la  lui  non  v'è  più  personalità,  propria,  vi  è  solo  il  rappresentante  del  Papa.  Quanto  mi  feli-
cito  d'averlo  scelto  io  stesso  per  quella  Missione 1  ».
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // Cardinal  Caglìero
e  della  Direzione  diocesana  di  Azione  Cattolica.  Le  dimostrazioni
si  moltiplicarono  poi  siffattamente,  che  sappiamo  avere  il  Santo  Pa-
dre  a  tal  vista  osservato  a  chi  di  ragione  che  l'Osservatore  Romano
doveva  interessarsene  di  più.
La  sera  della  festa  di  Maria  Immacolata  il  Santo  Padre  impose
la  berretta  ai  quattro  nuovi  membri  del  Sacro  Collegio  presenti  a
Roma,  che  erano  gli  Em  inentissimi  Tonti,  Misti-angelo,  Cagìiero  e
Gusmini;  gli  altri  due,  Friihwirth  e  Scapinelìi  assenti,  ricevevano  la
berretta  dal  Re  di  Baviera  e  dall'Imperatore  d'Austria,  presso  i  quali
rappresentavano  il  Papa  nella  qualità  di  Nunzi.  Dopo  la  cerimonia
Sua  Santità  tenne  un  breve  discorso,  nel  quale,  com'è  costume,  ri-
volse  individualmente  la  parola  ai  singoli.  Fece  prima  un  elogio  in
comune,  nel  quale  unì  al  Cagìiero  il  Tonti,  già  Nunzio  al  Brasile
e  allora  in  Portogallo,  dicendo:  «Dall'Europa  e  dall'America  si  leva
concorde  il  plauso  agli  alti  pregi  di  intelligenza  e  di  zelo,  che  bella-
mente  rifulsero  in  quelli  tra  voi,  ai  quali  la  Santa  Sede  affidò  deli-
cate  missioni  e  onorifiche  rappresentanze  presso  le  Estere  Nazioni ».
Dopo  ai  Cagìiero  in  particolare  disse:  « Per  non  offendere  la  vostra
modestia,  o  degno  figlio  del  Venerabile  Don  Bosco,  accenniamo  ap-
pena  di  volo  alle  feconde  fatiche  da  Voi  sostenute  per  recare  la  luce
del  Vangelo  ai  popoli  che  sedevano  ancora  nelle  tenebre  e  fra  le
ombre  di morte ».
Il  9  dicembre  vi  fu  nuovamente  Concistoro  pubblico  per  l'im-
posizione  dei  Cappello.  Prima  di  questo  atto,  mentre  i  Cardinali  fa-
cevano  il  loro  ingresso  nell'aula  concistoriale,  l'avvocato  conte  San-
tucci  perorava  per  la  seconda  volta  davanti  ai  Papa  assiso  in  trono
la  Causa  di  Beatificazione  e  Canonizzazione  del  Ven.  Don  Bosco.
Alle  cerimonie  che  accompagnarono  e  seguirono  l'imposizione,  tenne
dietro  il  Concistoro  segreto,  nel  quale  il  Santo  Padre  pose  ai  nuovi
Eminentissimi  Fanello  cardinalizio  e  assegnò  loro  un  Titolo,  ossia
una  delle  più  vetuste  chiese  di  Roma  aventi  tale  onore.  Ai  Cagherò
destinò  il  Titolo  presbiterale  di  S.  Bernardo  alle  Terme,  chiesa  cosi
detta,  perchè  ricavala  dai  resti  di  un  tepidario  delle  immense  terme
di  Diocleziano.  Nel  medesimo  giorno  il  Papa  con  biglietto  della  Se-
greteria  di  Stato è solito  designare le Sacre  Congregazioni, delle  quali
i  neoporporati  dovranno  fare  parte.  Addisse  il  Cagherò  a  quelle  dei
Religiosi,  di  Propaganda  e  dei  Riti.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo VII
Così  dunque  incominciava  per  lui  l'ultimo  glorioso  periodo  della
sua  vita.  Lo  splendore  della  sua  porpora  illuminò  di  fulgida  luce  il
tramonto  dei  due  centenari.  Ad  analoga  conclusione  veniva  il  Car-
dinal  Mani  scrivendo  da  Pisa  iì  28  ottobre  1915  a  Don  Albera:  «Ne
esultai  più  che  di  cosa  mia,  e  benedico  il  Signore,  che  sì  sapiente-
mente  ha  guidato  ìa  mano  del  Papa  a  portare  una  porpora  ad  onori
sudati  e  che  l'avevano  altamente  meritata!  Don  Bosco  doveva  avere
il  suo  monumento  nel  centenario:  quello  di  marmo  sulla  piazza,  i
tempi  fortunosi  l'hanno  fatto  differire;  ed  ecco  in  casa,  un  monu-
mento vivo  e  più  grande!  Forse  c'è  un  insegnamento:  ì  tempi  richie-
dono  non  statue  di  marmo  freddo,  ma  ben  altro!  Richiedono  dei
Cagherò,  vivi,  palpitanti,  apostoli ».
I  Cardinali  prendono  solennemente  possesso  dei  loro  titoli.  Il
Cagherò  compiè  questa  cerimonia  il  12  dicembre.  La  chiesa  appar-
tiene  all'Ordine  Cistercense.  Vi  assistettero  con  prelati  e  monaci  an-
che salesiani con loro alunni  e Figlie di Maria Ausiliatriee  con  alunne.
Nel  suo  discorso  il Cardinale,  ricordando  come  il  tempio  fosse  dedi-
cato  a  uno  dei  più  eccelsi  dottori  della  Chiesa,  nel  quale  risplendet-
tero  l'amore  delia  perfezione  cristiana,  l'amore  alla  Santa  Vergine  e
l'amore  verso  il  Vicario  di  Gesù  Cristo,  ebbe  una  nota  personale.
« Questi  tre  amori,  disse,  io  appresi fin dai più  teneri  anni  alla  scuola
del  mio  grande  Maestro  e  Padre  Don  Bosco,  che  ci  chiamava  alla
perfezione  e ci  destinava  alla  salvezza  delle  anime,  dopo  averci  du-
rante  tutta  la  vita  condotti  ai  piedi  della  Vergine  ad  attingere  cre-
scenti  energie  ed  ai  piedi  del  Vicario  di  Cristo  per  aumentare  i  te-
sori  della  fede.  Anche  al  letto  di  morte  io  raccolsi  dalle  labbra  del
mio  tenero  Padre  questa  eredità  preziosissima ».
È  facile  comprendere  come  l'annuncio  telegrafico  dell'elevazione
dovesse  commuovere  salesiani  e  fedeli  nella  Patagonia,  specialmente
a  Viedma,  capitale  del  Rio  Negro.  Dell'impressione  prodotta  pos-
siamo  farci  un'idea  da  questo  passo  di  una  lettera  diretta  al  Cardi-
nale  (1):  «La  sua  memoria  non  si  cancellerà  mai  più  in  questa
benedetta  terra.  Ogni  pietra,  ogni  collina  di  questa  valle  del  Rio
Negro  ed  ogni  famiglia  ripete  il  suo  venerato  nome  con  rispetto  e
amore.  Tutto  parla  di  Lei,  tutto  ci  ricorda  tante  avventure,  tante  con-
ti)  I.e(1.  <'<•!  missionario  Don  Bonaoina,  Patagones,  23  novembre  1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 // Cardinal  Coglierò
solazioni  che  ha  provate  ed  anche  tante  pene  e  dolori...  Lo  spinto
cristiano  delle  famiglie  genuine  patagoniche  è  quello  impresso  fin
dal  principio  della  sua  Missione».  Furono  quindi  esplosioni  di  en-
tusiastica  allegrezza  in  tutti  i  centri  principali.  Gli  ex-allievi  orga-
nizzarono  a  Viedma  una  dimostrazione  popolare,  alla  quale  parte-
cipò  una  moltitudine  di  gente  accorsa  anche  da  Patagones  e  da  altri
luoghi.  A  memoria  del lieto avvenimento  fu  aperta  a  Viedma  nel  col-
legio  edificato  dal  Vicario  Apostolico  una  Scuola  Normale  Popolare,
nella  quale  con  incalcolabile  vantaggio  i  figli  del  popolo  avrebbero
potuto  continuare  i  loro  studi.  Il  22  gennaio  1916  quarantadue  sa-
cerdoti  missionari,  formati  già  dal  Cagliero,  terminando  un  corso  di
esercizi  spirituali  nella  casa  di  Bahia  Bianca  inviarono  al  Papa  per
mezzo  deìl'Intemunzio  di  Buenos  Aires  una  lettera  collettiva  per
porgergli  umili  e  sentitissime  grazie  dell'onore  fatto  alla  loro  Mis-
sione.  Chi  scriverà  la  storia  di  quelle  remote  plaghe  dirà  certamente
del  solco  luminoso  dischiuso  nella  Patagonia  con  eroici  sacrifici  dai
figli  di  Don  Bosco  sotto  la  guida  dell'intrepido  apostolo.
Il  Cardinale non  poteva  dimenticare  il  Missionario;  la  sua  anima
anzi  era  piena  dì  ricordi  del  lungo,  indefesso  e  a  volte  tragico,  ma
fecondo  apostolato.  Colse  volentieri  un'occasione  offertaglisì  di
esporre in  pubblico  la  natura,  le  condizioni  e  lo  stato  presente  della
Patagonia,  Ciò  fu  il  27  febbraio  1916.  I  Sacerdoti  della  Pia  Unione
di  S.  Paolo  l'avevano  pregato  di  tener  loro una  conferenza.  Egli  an-
nuì.  Saputosi  che  avrebbe  parlato  della  Patagonia,  la  chiesa  di  San
Giovanni  della  Pigna  annessa  alla  Procura  salesiana  si  riempì  di
ecclesiastici.  Cinque  Cardinali  egli  si  trovò  dinanzi  nel  presbiterio
e  poi  Arcivescovi,  Vescovi,  Prelati,  sacerdoti  del  clero  romano,  rap-
presentanti  di  Ordini  religiosi.  Rievocati  brevemente  gli  anni  da  lui
vissuti  a  fianco  di  Don  Bosco,  entrò  a  descrivere  con  energica  sem-
plicità  il  lavoro  dei  Salesiani  nelle  Missioni  patagoniche.  Le  cose
dette  furono  ascoltate  con  molto  interesse  dall'uditorio;  anche  la
stampa  se  ne  occupò  (1).  Un  mese  dopo  il  Papa  in  un'udienza  gli
disse  d'aver  letto  la  sua  conferenza,  non  so  in  qual  giornate,  e  volle
avere  altre  informazioni  sulla  Patagonia.  Nella  stessa  occasione  gli
disse  di  andare spesso a trovarlo  e si  augurò che lo facessero  Ponente,
(1)  La  parte  essenziaìe  della  conferenza  si  può  leggere  nel  Bollettino  di  maggio  1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
ossia relatore,  di  qualche  causa  di  beatificazione,  poiché  così  avrebbe
dovuto  andare  spesso  da  lui  (1).  In  quell'ora,  nella  quale  si  parlava
tanto  di eroismo guerriero,  vi  fu  chi  scrisse domandandosi  se  la voce
«eroismo»  non  fosse  suscettibile,  pur  tra  il  fragor  del  cannone,  di
interpretazioni  più  vaste  e  più  umane:  se  oltre  l'eroe  soldato  non
debba  esaltarsi  anche  l'eroe  missionario.
Intanto  la  Santa  Sede  gli  cercava  un  successore  nella  Delega-
zione,  divenuta  Internunziatura  per  Costarica  e  Honduras.  In  questo
fu  usato  il  massimo riguardo  al  Cardinale.  Prima  della  partenza  era
stato  autorizzato  a  lasciare  durante  la  vacanza  il  suo  segretario  Don
Nalio  salesiano  quale  Incaricato  d'affari.  Si  sapeva  poi  a  Roma  che
egli  aveva  creato  là  opere  importanti,  che  bisognava  non  solo  con-
servare,  ma  anche  far  progredire;  perciò  un  suo  alter  ego  sarebbe
stato  indicatissimo  a  prenderne  il  posto.  Con  tale  intendimento  la
Santa  Sede  chiamò  da  Massa  Carrara  il  salesiano  Mons.  Marenco,
che,  fatto  Arcivescovo, venne  destinato  a  quella  carica.  La  scelta  non
poteva  essere  più  felice,  perchè  l'eletto,  oltre  a  essere  uomo  istruito,
di  fine  tatto,  esperto  negli  affari  e  di  sentimenti  apostolici,  posse-
deva  anche  lo spagnolo  e  durante  il  suo  ufficio  di  Procuratore  aveva
avuto  modo  di  conoscere  personalmente  parecchi  di  quei  Vescovi,
che  l'avrebbero  ricevuto  molto  volentieri.  Inoltre,  come  salesiano,
potè  valersi  con  grande  vantaggio  dell'aiuto  di  Don  Nalio,  che,  aven-
do  dal  1908  in  poi  accompagnato  sempre  il  Delegato  nelle  diverse
visite  in  tutti  i  cinque  Stati,  era  conosciuto  dai  Vescovi  e  dai  singoli
Governi  civili.  La  Santa  Sede  ebbe  poi  motivo  di  compiacersi  della
nomina  di  Mons.  Marenco.
La  dignità  cardinalizia  imponeva  al  Cagliero  norme  di  vita,  alle
quali  da  prima  si  rassegnava  a  stento.  Quel  non  poter  andare  a  piedi
in  città  non  gli  garbava  affatto.  Quel  prestarsi  a  qualsiasi  funzione,
quel  suo predicare  con  frequenza  e  all'apostolica,  ossia  a  braccio,  se
ricordavano  il  missionario  della  Patagonia,  mal  si  addicevano  a  un
principe  della  Chiesa.  La carrozza  chiusala  due  cavalli  di color  nero
e  con  lunga  coda,  secondo  l'etichetta  dei  prìncipi  romani,  non  gli
andava.  La  spesa  di  un'automobile  gli  pareva  esorbitante  per  un
religioso  e  per  un  salesiano.  Gliela  comprarono  poi  i  confratelli  del-
(1)  Le!t.  di  Don  Laureri,  segr,  di  S.  E.,  30  nume  1910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 lì  Caldina!  Cagiicro
l'Argentina  a  titolo  di  omaggio  riconoscente.  Insomma  erano  tutte
pastoie,  com'egli  le  chiamava,  e  a  volte  non  si  faceva  scrupolo  di
passarvi  sopra.  Bastò  per  altro  una  delicata  osservazione  proveniente
dal  Cardinal  Decano,  perchè  vi  si  adattasse,  quasi  fossero  cose  di
suo  genio.  In  realtà  aveva  tanta  intelligenza  da  comprendere  come
anche  le  più  elevate  condizioni  sociali  non  possano  esimersi  da  certe
obbligazioni  e  convenienze,  che  limitano  la  libertà,  perchè  richieste
d a l  a  legge  del  decoro.
Riguardo  pure  all'abitazione  vi  sono  esigenze  particolari  per  i
Cardinoli.  Si  era  pensato  di  affittargli  un  buon  appartamento  non
troppo  distante  dal  Vaticano  e  facilmente  adattabile;  ma  a  lui  ripu-
gnava  \ivere  fuori  dell'ambiente  salesiano  e  perciò  gli  fu  preparato
quasi  tulio  il  primo piano  nell'ospizio  del  Sacro  Cuore,  dove  si  trovò
benissimo.  Gran  parte  del  suo  tempo  se  n'andava  nella  lettura  delle
pratiche  riguardanti  le  tre  Congregazioni,  alle  quali  apparteneva.
interveniva  poi  assiduamente  alle  sedute  delle  medesime,  che  dura-
vano fin quattro  ore  e  più;  ma  egli  al  ritorno non  dava  segno  di stan-
chezza,  anzi  faceva  il  disinvolto,  quasi  lo  tentasse  l'ambizione  d'ap-
parir  giovane.  Il  buon  umore  non  lo  abbandonava  mai.  Un  buon  di-
versivo  gli  offrivano  gl'inviti  per  funzioni;  giacché,  sapendosi  della
sua  arrendevolezza,  non  eran  pochi  coloro  che  ne  approfittavano.
Si  recava  non  di  rado  alla  parrocchia  salesiana  del  Testacelo  e  nelle
case  delle  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice,  regalando  a  queste  ultime
conferenze  spirituali.  Studiava  anche  il  nuovo  Codice  di  Diritto  Ca-
nonico,  man  mano  che  uscivano  i volumi,  dei  quali  gli  donò  subito  i
due  primi  il  Card.  Gasparri.  Di  salute  stava  benino;  unico  incomodo
aveva  un ronzio  nella  testa,  che  nonostante  le  cure  e  le  visite mediche
non  accennava  a  passare,  disturbandolo  nel  sonno  e  non  lasciandolo
occupare  come  avrebbe  voluto.  Chiamava  quei  rumori  le  sue  cicale.
In  Piemonte  e  massimamente  a  Torino  era  molto  aspettata  una
sua  visita;  anche  lui  anelava  di  rivedere  la  Casa  madre  e  gli  ornai
rari  superstiti  compagni  de'  suoi  anni  giovanili.  Non  lo  moveva  già
desiderio  di  andar  a  fare  pompa  di  sé,  portando  in  giro  la  Porpora
Piomana;  ma  egli  non  ignorava  quanto  la  sua  presenza  sotto  sì  ono-
rifiche  spoglie  avrebbe  giovato  a  rafforzare  le  generali  simpatie
verso  la  Congregazione,  per  il  cui  amore  godeva  della  dignità  tocca-
fagli.  Fu  scelta  bene  Poccasione  dell'andata,  e  fu  la  festa  di  Maria
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
Ausiliatrìce,  tanto  più che nel 1916  ricorreva il centenario  della  prima
festa  celebrata  sotto  quel  titolo  glorioso.  Vide  nelle  fermate  durante
il  viaggio  il  fervore  dei  ricevimenti;  ma  nella  capitale  piemontese
un mondo  di  cittadini  si mise in  moto  per dargli  il  ben  venuto  e  poi
per  rendergli  omaggio  nell'Oratorio.  La  mattina  del  24  maggio  ac-
corse  una  moltitudine  immensa.  Nel  pontificale  di  Mons.  Marenco,
pronunciò  un'allocuzione  con  voce  squillante  e  solenne:  pareva  rin-
giovanito.  Fece  passare  dinanzi  alla  mente  degli  uditori  i  tempi  lon-
tani  della  sua giovinezza,  quando  il  caro  Padre  Don  Bosco  gli  predi-
ceva  i  futuri  trionfi  dell'Ausilìatrice  (1).  Nulla  esisteva  allora,  e  le
cose  incredibili  a  lui  giovane  chierico  erano  ornai  un  fatto  compiuto,
come  tutti  con  ì  loro  occhi  vedevano.  La  fama  del  Cardinale  di  Don
Bosco  riempì  le  terre  piemontesi,  donde  non  gli  si  dava  requie,  per-
chè  le popolazioni  lo  volevano,  impazienti  di  ammirarlo,  quasi  fosse
una  creatura  loro.  La  Società  Salesiana,  popolana  per  origine  e  per
natura,  (oggi  si  preferirebbe  dire  democratica)  ossia  venuta  dal  po-
polo  e  vivente  in  mezzo  al  popolo,  è  ovvio  che  goda  tanto  affetto
popolare.
La  sua  vita  trascorse  operosa  e  tranquilla  senza  grandi  novità
fin  sullo  scorcio  del  1920.  Don  Bosco  gli  aveva  detto  che  sarebbe
divenuto  Vescovo  di  una  diocesi  e  la  predizione  ebbe  effetto  nel
dicembre  di  quell'anno.  Nel  Concistoro  del  giorno  16  la  Santità  di
Benedetto  XV  lo  prepose  alla  Chiesa  suburbicaria  di  Frascati,  va-
cante  per la  morte  del  Card.  Boschi.  li  Cagliero  passava così  dall'Or-
dine  dei  Preti  a  quello  dei  Vescovi,  dimettendo  il  Titolo  presbiterale
di  S.  Bernardo  alle Terme. A 83  anni  di  età  egli  mostrò  quanto  possa
l'energia  del  volere  associato  alla  forza  dell'abitudine:  abitudine  di
agire  senza  posa  e  sempre  per  motivi  e  fini  superiori.  Nei  cinque
anni  del  suo  governo  diede  mirabili  prove  di  zelo  pastorale,  di  fer-
mezza  apostolica  e  di  paterna  bontà.
Prese possesso  la  domenica  16  gennaio 1921,  preceduto  da  grande
aspettazione, come si  potè vedere  dalla folla  imponente che  lo accolse
e  dal  corteo  magnifico  che  lo  accompagnò  alla  cattedrale,  non  che
dagli  entusiastici  evviva  che  risonavano  da  ogni  parte.  Anche  Don
Albera,  venuto  appositamente  da  Torino,  aveva  voluto  essere  del
(1)  Ne  diede  un  riassunto  il  Bollettino  nel  num.  di  giugno  1916.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il Cardinal Cagliero
seguito.  Nell'allocuzione,  dopo  aver  espresso  auguri  per  la  pace,  che
dopo  due  anni  dalla  cessazione  della  guerra  non  era  ancora  tornata
fra  gli  uomini,  chinando  lo  sguardo  sulle  schiere  giovanili  formate
dagli alunni  del  collegio  di  Mondragone  dei  Gesuiti  e del  collegio  sa-
lesiano di  Villa Sora  e dai soci  del  circolo  cattolico  diocesano,  disse:
« Mi è piaciuto  vedermi circondato  da  questa balda  e  ardita  gioventù.
Noi,  in  questo  momento  così  grave,  abbiamo  bisogno  di  arditi,  i
quali  sentano  l'amore  di  Cristo,  sentano  la  nostra  fede,  sentano  la
nostra  religione,  Noi  abbiamo  bisogno  di  arditi  del  pensiero  e  del-
l'azione  per  fare  del  bene;  degli  arditi  senza  pugnale,  con  la  me-
daglia  di  Maria,  Madre  di  Dio;  degli  arditi  del  Re  pacifico,  di  Gesù
Cristo».  Poi,  rivolto  a  tutti:  «Nei  miei  lunghi  anni  di  apostolato
cristiano  ho  lavorato  per  molti  popoli  civili  e  per  tribù  di  infedeli.
Li  ho  amati.  Ma,  credetemi,  miei  cari  frascatani,  vi  è  posto  anche
per  voi.  Nelle  mie  Missioni  per  le  lontane  terre  di  America  ho  avuto
grandi  soddisfazioni;  ma  voi,  cari  figliuoli,  oggi  avete  preso  tutto  il
mio  cuore ».
È  bene  far  conoscere  un'opera  diocesana  condotta  strenuamente
a  termine  dal  Cagherò,  che  in  conseguenza  di  essa  si  tirò  addosso
un  mondo  di  pensieri.  Trionfarono  nella  faccenda  il  suo  spirito  emi-
nentemente  pratico  e  il  suo  carattere adamantino,  che  non  si  piegava
alla  lusinghe  del  quieto  vivere,  così  tentatrici  per  un  vegliardo  di
quell'età,  ma  non  di  quella  tempra.  Traggo  poche  essenziali  notizie
da  due  fonti  sicure,  che  sono  due  ampie  e  precise  Memorie,  una  a
stampa e  l'altra  dattilografata,  stese  dopo  la  morte  del  Cardinale  (1).
Dirò  cose  non  appartenenti  all'attività  religiosa  di  un  Vescovo,  ma
non  estranee.  Anche  nell'Amministrazione  materiale  deve  mettere
le   1X13.1X1   il  Pastore  di  una  diocesi,  a  volte  senza  poter  attendere,
come  nel  caso  nostro,  il  consenso  né  guadagnarsi  l'assenso  di  tutti
i  diocesani.
Il  Vescovo  trovò  la diocesi  suburbicaria  in  uno  stato  di  completo
abbandono  economico e  oberata  di  debiti.  Nessuna  potenzialità  aveva
la  Curia.  Il  suo  predecessore,  vissuto  solo  nove  mesi  Vescovo  di
(1)  Avv,  GIOACCHINO  FAKINA,  I  cinque  anni  di  S.  E.  il  Card.  G,  C.  come  Vescovo  delta
tfioc.  sub,  di  Frascati,  Roma,  Soc.  Tip.  Pio  X.  Mons.  SILVIO  DE  ANGELIS,  Relazione  {senz'altro
titolo).  Il  primo  era  procuratore  legale  di  fltlucia  del  Cardinale,  il  secondo  Vicario  Generale
dì  Frascati.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
Frascati,  andava  malinconicamente  ripetendo:  —  Mi  hanno lasciato
un  mucchio  di  ossa  spolpate!  —  Debiti  per 50.000  lire;  Mensa vesco-
vile  passiva;  parrocchie  amministrate  dalla  Curia  tutte  passive  e
impotenti  non  solo  a  mantenere  il  parroco  al  livello  del  più  umile
operaio,  ma  anche  a  pagare  le  tasse  cresciute  a  dismisura  nell'im-
mediato  dopoguerra;  una  cinquantina  di  cause  giudiziali,  la  più
grave  trascinantesi  da  undici  anni;  minacce  dell'esattore  di  vendere
in  subasta  diversi  fondi.
A  tal  vista  il  Cagliero  concepì  un  vasto  disegno,  che  tagliasse
corto  a  questo  stato  di  cose  e  mettesse  la  Curia  e  le  parrocchie  in
condizioni  di  relativo  benessere:  deliberò  di  alienare  i  beni  irridu-
cibilmente  passivi  e  di  convertire  in  titoli  le  somme  ricavate.  La
cosa  presentava  difficoltà  enormi:  tra  l'altro,  si  dovevano  toccare
interessi  di  sfruttatori;  ma  pur  bisognava  affrontare  l'impresa,  e  la
affrontò  con  la  massima  risolutezza.  Bisognava  finirla  con  gli  utenti
dei  beni  ecclesiastici  che  se  ne  godevano  i  frutti,  mentre  la  Curia
doveva  sottostare  al  pagamento  delle  tasse.  Lasciando  le  cose  allo
statu  quo,  disavanzo  e  debito  sarebbero  cresciuti  a  dismisura.  Orbene
dopo  laboriose  e  odiose  pratiche  scomparve  il  deficit,  vennero  pa-
gati  i  debiti,  costituita  una  rendita  fissa  di  circa  60.000  lire,  oltre  la
precedente  e  le  proprietà  rimaste  in  essere.  Cessarono  le  detenzioni
abusive  di  appartamenti  e  tante  altre  disonestà.  I  parroci  non  si  at-
tiravano  più  le  odiosità  degli  affittuari  morosi.  Finì  pure  lo  spetta-
colo  di  parroci  che  il  martedì  e  il  venerdì  si  presentavano  in  Curia
per  avere  un  povero  sussidio  da  poter  vivere,  tornandosene  talvolta
a  mani  vuote.  Certo  era  molto  più  comodo  tagliare  e  riscuotere  le
cedole  semestrali  delle  cartelle  di  rendita.  Senza  contare  quello  che
riguardava  la  mensa  vescovile  e  altri  affari,  trattati  personalmente
dal  Cardinale.  I  facili  denigratori  senza  coscienza  ignoravano  quanto
gli  erano  costate  le  sanatorie  di  parecchie  alienazioni  irregolari  ese-
guite  in  precedenza  e  Pammobigliamento  del  palazzo  vescovile.  In
morte  dei  Vescovi  i  suoi  mobili  passavano  agli  eredi;  egli  invece
dispose  che  quelli  provvisti  da  lui  restassero  per  i  successori.  E
tutto  questo  senza  parlare  di  altre  provvidenze  nelFordine  spirituale
e  di  culto,  provvidenze  che  il  Cardinale  compiva  nel  silenzio  e  nel
solo  scopo  di  salvare  la  diocesi  da  tante  angustie.  Riconobbero  il
suo  merito  illustri  personaggi.  Un  autorevole  Prelato  asserì  che
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 //  Caidinal  Cagliero
l'opera  ammirevole  del  Cagliero  aveva  facilitato  di  molto  la  via
a'  suoi  successori.  In  una  lettera  che  a  mo'  di  testamento  scrisse  al
suo  procuratore  legale  poco  prima  di  partire  per  l'eternità  poteva
affermare  con  intima  e  giusta  compiacenza:  «La  situazione  econo-
mica  e  finanziaria  di  questa  diocesi,  ch'io  trovai  disastrosa  nelì'as-
sumerne  la  direzione  e  il  governo,  dopo  cinque  anni  di  continuo,
indefesso  lavoro,  è  finalmente  condotta  a  termine  con  risultati  così
soddisfacenti,  che,  date  le  enormi  difficoltà  da  vincere,  non  era
lecito  sperare ».
Le  brighe  amministrative  non  lo  distraevano  dalle  cure  pasto-
rali;  ma  questo si  lascia  ai  biografi.  Una  ricorrenza  spuntò  nel  1922,
che  se  fu  per lui  festa  personale,  si  può  considerare  come  fatto  sto-
rico  per  la  Società  Salesiana.  Parlo  del  suo  giubileo  sacerdotale  di
diamante,  come  si  suol  chiamare  il  sessantesimo  anno  di  Messa.  Gli
si svegliò  allora intorno un largo e vivo  interessamento, che  non  finiva
nella  sua  persona,  ma si  estendeva  a  tutta  la  famiglia  religiosa,  della
quale egli era lustro  e  decoro.  Gli rese  onore non  solo la  cerchia  degli
intimi,  ma  anche  una  moltitudine  di  uomini,  che  apprezzavano  nel
Porporato  uno  dei  migliori  rappresentanti  dell'Opera  di  Don  Bosco.
In  tale  circostanza portarono  su  di  lui  la  loro  attenzione  anche, dalle
alte sfere non  pochi, i  quali  attraverso  alle  sue  benemerenze  avevano
imparato  a  comprendere  che  cosa  fosse  l'istituzione,  dond'egìi  era
uscito.  Fu  insomma  un  momento,  nel  quale,  grazie  al  Cardinale,  il
nome  salesiano  corse  onorato  sulle  labbra  e  soU$>. le  penne  di  molti.
Solenne  si  levò  prima  e su  di  tutte la  voce  del  Papa.  Non  era  più
Benedetto  XV,  salito  il  22  gennaio  agli  eterni  riposi.  Gli  era  succe-
duto  quel  Pio XI,  che  nel  1934  doveva  essere  salutato in  S.  Pietro  da
una  turba  di  giovani  il  "  Papa  di  Don  Bosco  "  e  ciò  con  suo espresso
compiacimento.  Egli  il  14 giugno  indirizzò al  Card.  Cagliero  un Breve
trasmessogli  a  Torino  per  mezzo  di  un  suo  inviato  particolare,  che
fu  il  Sostituto  della  Segreteria  di  Stato  Mons.  Pizzardo,  oggi  Car-
dinale.  Ecco  del  documento  il  punto  più  saliente:  «Esultano  teco,
e ben a  ragione,  i  numerosi figli della  Società  Salesiana  del Ven.  Gio-
vanni  Bosco,  della  quale  tu  sei  la  gloria  più  bella  non  solo  per  lo
splendore  della  Sacra  Porpora,  ma  anche  e  soprattutto  per  due  ca-
ratteristiche  che in  te particolarmente  rifulgono:  la  costanza  con  cui,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII
in  ogni  tempo,  luogo  o  vicissitudine,  ti  sei  mantenuto  fedele  allo
spirito  e  alle  direttive  del  grande  Fondatore;  l'instancabile, attività
di  missionario  che  dalla Patagonia,  primo  campo  del  tuo  zelo  apo-
stolico,  si estese  alle  altre  vaste  regioni  dell'America  Meridionale  e
Centrale, suscitando con il  plauso  e  con  l'ammirazione  generale  no-
bilissimi  entusiasmi  di  santa  emulazione tra  i  tuoi  stessi  Confratelli.
Per  questa  tua  indefessa  e,  per  divina  grazia,  fruttuosissima  ope-
rosità  missionaria  e  civilizzatrice  del  nuovo  mondo,  Noi  riteniamo
di  non  andar  lungi  dal  vero  giudicando  fin  d'ora  che  sull'orizzonte
cristiano  dell'età  nostra  l'opera  tua  brillerà  di  viva  luce,  accanto  a
quella di un altro non meno illustre missionario, apostolo delle lande
africane,  la  cui  francescana  umiltà  fu  pur  essa  meritamente  esaltata
ai  supremi  fastigi  della  dignità  cardinalizia.  Più  che  legittimo  e
naturale  è  lo  spirituale  conforto  che  ti  deriva  dall'odierno  fausto
avvenimento,  giacché  dando  uno  sguardo  al  lungo  percorso  cam-
mino,  lo  vedi  rigoglioso  in  frutti  di  bene  religioso  e  morale  e  tutto
seminato di  tesori  di  vita  eterna ».
Celebrava  le  sue  nozze  sacerdotali  di  diamante  anche  il  vene-
rando  Don  Francesia,  ordinato  con  lui  nel  1862.  Dopo  una  solenne
tornata  accademica  nell'Oratorio,  alla  presenza  di  un  pubblico  nu-
meroso  e  cospicuo,  il  Cardinale,  manifestata  la  sua  riconoscenza  a
Dio e fatti i  suoi ringraziamenti  a tutti, levò il  pensiero a Don  Bosco
e  associando  a  sé  il  caro  compagno,  confratello  e  amico,  uscì  in
questa  nobile  dichiarazione:  «Se  abbiamo  acquistato  un  posto  ono-
rifico  in  società,  se  abbiamo  potuto  fare  un  po'  di bene,  (e  di  bene,
ve  l'assicuro,  abbiamo  sempre  procurato  di  farne  quanto  più  ci  è
stato  possibile)  andiamo  debitori,  dopo  Dio s   a  una  persona  sola:
non  a  nostro  padre,  che  ambidue  perdemmo  in  tenera  età,  non  alle
nostre madri, pie e sante, incapaci però  di aiutarci, ma a Don Bosco,
che  abbiamo chiamato  padre  da  giovani,  che  abbiamo  continuato  a
venerare  e  a  chiamare padre  e maestro fino a oggi,  e  che  speriamo
di  poter  venerare  come  santo  anche  sulla  terra,  prima  di  andare  a
ringraziarlo  in  Paradiso».
Prese viva  parte  ai  festeggiamenti il  secondo successore  di  Don
Bosco,  il Rettor  Maggiore  Don  Albera;  fu  anzi  questa  l'ultima  delle
maggiori consolazioni concessegli  da  Dio,  che  a  quattro mesi  appena
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Il Cardinal Cagliera
di  distanza lo chiamò  a  ricevere  il  premio delle sue virtù,  Quale  fosse
il  suo  concetto  del  Cardinale,  che  egli  conosceva  a  fondo,  si  legge
in  una  circolare,  dove  diceva  (1):  «Veramente  pare  che  Don  Bosco
abbia  voluto  stampare  una  più  vasta  orma  del  suo  spirito  in  questo
suo  figliuolo,  che  fu  uno  dei  primi  a  darsi  tutto  a  lui  e  a  lasciarsi  da
lui  completamente  plasmare».
Una  sì  luminosa  esistenza  si  spense  il  28  febbraio  1926,  sotto
il  rettorato  di  Don  Filippo  Rinaldi.
(1)  Circ.  10  febbraio  1921.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  Vili
Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  xnarsicano.
Castel  de'  Britti,  Taormina,  Venezia  (Castello  e  Coletti),  Borgo:<nanero,  Vercelli,
Cagliari,  Rovigno,  Casa  Capitolare,  Torre  Annunziata,  Pinerolo  (Monte  Olivete),
Roma  (Mandrione),  Messina,  Fiume,  Colle  D.  Bosco,  Torino (Monteresti e S.  Paolo),
Asti,  Rìntini,  Montechiarugolo,  Trapani,  Palermo  (Santa  Chiara)
Delle  fondazioni  italiane  dovute  al  secondo  successore  di  Don
Bosco  nessuna  per  grandezza  si  presenta  con  un'importanza  più  che
ordinaria;  alcune  si  distinguono  per  finalità  specifiche  ed  eccezio-
nali;  tutte,  in  numero  di  ventidue,  sussistono  ancora.  Diremo  di
esse  dividendole  in  tre  gruppi,  secondochè  ebbero  principio  avanti,
durante  e  dopo  la  guerra.
Prima  della  guerra.
La  prima  fondazione  fatta  da  Don  Albera  in  Italia,  unica  nei
1910,  non  fu  gran  cosa:  una  piccola  residenza  a  Castel  de'  Britti,
frazione  del  comune  di  S.  Lazzaro  dì  Sàvena,  archidiocesi  di  Bo-
logna.  La  marchesa  Teresa  Spada  aveva  lasciato  ivi  ai  Salesiani
una  sua  villa  con i terreni  circostanti,  affinchè radunassero ogni  giorno
e  massimamente  nelle  domeniche  e  feste  i  fanciulli  dei  dintorni,
figli  dì  agricoltori  sparsi  per  la  campagna,  li  istruissero  nella  dot-
trina  cristiana  e  procurassero  loro  opportuni  divertimenti.  Dal  1921
al  1924  la  villa  divenne  anche  noviziato  dell'Ispettoria  ligure-emi-
liana, e dal 1933 in poi  i  Salesiani hanno  assunto la  cura  parrocchiale.
Due  fondazioni  appartengono  al  1911,  una  a  Taormina  e  l'altra
a  Venezia.  Taormina  in  provincia  di  Messina  è  Taurómene  e  Tauro-
menium  dei  Greci  e  dei  Romani.  Nota  ai  dotti  per  la  sua  storia,  at-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  dt Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  morsicano
traente  per  ì  suoi  mirabili  panorami,  saluberrima  per  la  dolcezza
dei  clima,  offre  graditi  soggiorni  temporanei  a  italiani  e  stranieri,
massime  inglesi.  Questo  ne  ha  fatto  un  ambiente  saturo  di  monda-
nità  e  di  corruzione,  aprendo  le  porte  al  malcostume,  L'arciprete
Marziani  nel  1908  in  un  coraggioso  discorso  metteva  a  nudo  di-
nanzi  a'  suoi  parrocchiani  un  vizio  abbominevole  che  deturpava  la
città,  facendo  nauseante  contrasto  alle  incantevoli  bellezze  naturali
e  creandole  una  fama  niente  invidiabile.  Esortava  perciò  alla  coope-
razione  tutti  gli  onesti  per  estirparlo  (1).  N'erano  sventurate  vit-
time  l'infanzia,  l'adolescenza  e  la  gioventù.  Il  suo  grido  d'allarme
non  sorprese  ì  cittadini,  ma  scosse  e  mise  in  guardia.  Urgeva  com-
piere  opera  efficace  di  educazione  giovanile.  Questo  sentiva  più  di
ogni  altro  lo  zelante  pastore  e  trovò  persona  volenterosa  e  atta  a
secondarne  i  disegni,  in  una  ricca  signora,  inglese  di  nascita  e angli-
cana  di  religione.
Miss  Mabel  Hill,  da  tempo  domiciliala  a  Taormina,  tocca  dal
triste  spettacolo  di  una  gioventù,  che,  abbandonata  a  se  stessa,  va-
gava  di  continuo  per  le  vie  senza  ohi  se  ne  prendesse  cura  e  la
istruisse  nella  religione  e  quindi  facile  preda  di  malviventi  special-
mente  forestieri,  incominciò  a  fondare  un  grande  laboratorio  di  ri-
cami  per  le  fanciulle;  poi  volle  provvedere  anche  ai  fanciulli.  In-
dotta  dall'Arciprete  a  visitare  gli  Oratori  salesiani  di  Catania  e  di
Torino,  ne  rimase  così  entusiasmata,  che  decise  di  farne  sorgere
uno  anche  a  Taormina.  Due  anni  d'inutili  insistenze  presso  l'Ispet-
tore  siculo  non  la  scoraggiarono.  Andò  a  Roma,  ottenne  un'udienza
da  Pio  X  e  perorò  così  bene  la  sua  causa,  che  il  Papa  commosso  le
promise  d'interessarsene.  Infatti,  ricevendo  Don  Albera  subito  dopo
la  sua  elezione  a  Rettor  Maggiore,  gli  raccomandò  di  fondare  un
Oratorio  a  Taormina.
Don  Albera  non  frappose  indugio  a  eseguire  il  desiderio  del
Pontefice.  L'Oratorio  fu  aperto  in  una  casa  donata  dalla  Miss  con
un  annesso  terreno.  In  principio  vi  andavano  ogni  sabato  sera  un
prete  da  Messina  e  un  chierico  da  Catania,  facevano  l'oratorio  e
se  ne  ritornavano  il  lunedì;  ma  il  19  marzo  1911,  presenti  l'Arcive-
scovo,  l'Ispettore  e  alte  personalità,  s'inaugurò  con  gran  gioia  della
(1)  Messina,  Tip.  S.  Giuseppe,  1908.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
benefattrice  la  stabile  residenza  dei  Salesiani,  L'opera'  s'intitolò  a
S.  Giorgio,  protettore  dell'Inghilterra,  in  omaggio  alla  munifica  an-
glicana,  che  non  cessò  più  di  mostrarsene  affettuosamente  sollecita.
Le  pratiche  e  le  feste  salesiane  produssero  a  poco  a  poco  per  mez-
zo  dei  ragazzi  un  risveglio  religioso  nella  popolazione,  fino  allora
piuttosto  indifferente,
Ma  la  sede  primitiva  presentava  tTe  inconvenienti:  posizione
eccentrica,  vicinato  di  mala  fama  e  mancanza  di  chiesa.  Perciò,
venduto  l'immobile  donato,  se  ne  acquistò  uno  migliore  con  accanto
una  chiesa  pubblica.  All'Oratorio  i  salesiani  aggiunsero  scuole  ele-
mentari  e  medie  esterne.  Un  episodio  dimostrò  quanto  essi  godes-
sero  il  favore  popolare,  Un  Commissario  prefettizio  e  il  segretario
comunale,  forestieri,  spalleggiati  da  un  prete  giovincello,  pensarono
di  far  loro  concorrenza,  aprendo  un  ginnasio  misto;  poi,  partiti  quei
signori,  le  loro  scuole  caddero  nelle  mani  del  fascio.  Ma  per  quante
pressioni  facessero  le  autorità  comunali  e  il  segretario  politico  per
mezzo  di  subalterni  e  di  subalterne  sulle  famiglie  per  attirare  alun-
ni  dei  Salesiani,  non  riuscirono  ad  averne  se  non  uno  solo,  il
quale,  resistito  per  un  anno,  aveva  dovuto  cedere  per  non  incor-
rere  nelle  ire  dei  prepotenti.  L'effetto  di  tali  manovre  fu  che  alle
scuole  salesiane  il  numero  degli  inscritti  andò  via  via  crescendo.
Aveva  avuto  ragione  Don  Albera  di  dire  all'Arciprete,  quando  vi-
sitava la casa  (1):  «Ringraziamo  il  Signore  di  esserci  determinati  ad
accettare  quest'opera».
Dal  1879  giungevano  a  Don  Bosco  e  a  Don  Rua  da  Venezia
frequenti  proposte  di  fondazioni  (2).  Un'insistente  richiesta  durata
più  a  lungo  di  tutte  venne  alla  fine  esaudita.  Premettiamo.  Nel  1858
menava  vita  stentata  nel  popoloso  quartiere  di  Castello  un'opera
benefica  sorta  per  iniziativa  di  caritatevoli  persone  sotto  il  titolo  di
"  Patronato  pei  ragazzi  vagabondi  e  viziosi  ";  noi  diremmo  più  vo-
lentieri  per  l'assistenza  dei  poveri  ragazzi  abbandonati.  Patronato
a  Venezia  significa  quello  che  Patronage  in Francia:  è  più  ameno  il
(1)  Leti,  di  Don  Marziani  a  Don  Aibera,  Taormina,  10  ottobre  19Ì4.
(2)  Abbiamo  anche  due  lettere  de!  Card.  Sarto  a  Don  Bua  (19  dicembre  1894  e  i  gen-
naio  1895),  nella  prima  delle  quali  il  futuro  Papa  diceva:  «I  tìgli  di  Don  Bosco  non  hanno
ancora  piantato  le  loro  tende  a  Venezia,  ed  io'  vorrei  che  l'opera,  di  marita  che  dessi  esercitano
Sì  estendesse  anebe  a  questa  povera  diocesi  ».
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  morsicano
nostro  Oratorio.  Presto  bisognò  pensare  anche  al  ricovero  dei  più
derelitti,  ed  ecco  organizzarsi  un  esternato  a  rao'  di  scuola  profes-
sionale,  modellata  alla  meglio  su  quelle  di  Don  Bosco,  già  molto  co-
nosciute  nella  città  della  laguna.  L'opera  venne  poi  eretta  in  ente
morale  autonomo.
Ma  la  buona  volontà  non  poteva  sopperire  al  difetto  di  locali,
di  macchinario  e  di  personale  tecnico;  onde  a  lungo  andare  l'opera
cadde  in  uno  stato  quasi  d'inazione.  Il  desiderio  di  rialzarla  mosse
il  Consiglio  di  Amministrazione  a  rinnovare  con  maggior  calore  le
istanze  già  fatte  ai  Salesiani,  perchè  volessero  assumerne  la  dire-
zione.  La  domanda,  avvalorata  dall'autorevole  raccomandazione  di
Pio  X,  non  potè  più  «ssere  respinta  nel  1911  da  Don  Albera,  che.
stipulata  una  convenzione,  mandò  in  novembre  i  primi  Salesiani.
L'istituzione  ripigliò  vita.  Gli  alunni  da  36  poterono  nel  secondo
anno  essere  portati  a  82,  quanti  ne  capiva  la  casa.  La  fiducia  aveva
aumentata  la  beneficenza.
Ma  la  guerra  arrecò  lo  scompiglio.  La  vicinanza  dell'Arsenale
faceva sì  che  l'edifìcio  fosse  bersagliato  dai  bombardamenti.  Fu  forza
sloggiare  a  Trevigiano  di  Mestre,  in  una  villa  affittata.  Senonchè  la
terribile  sciagura  di  Caporetto  rese  anche  quella  sede  pericolosa;
onde,  collocate  alcune  decine  di  orfanelli  presso  loro  parenti,  gli
altri  in  numero  di  quaranta  trovarono  asilo  nell'Oratorio  di  Valdoc-
co,  dove  Don  Albera  provvide  a  mantenerli  per  due  anni.  Intanto
i  Salesiani  avevano  rilevato  a  Castello  l'Oratorio  Leone  XIII,  tenuto
già  dai  Fratelli  delle  Scuole  Cristiane  (1)  e  ancora  in  fiore.  Termi-
nata  la  guerra  e  tentato  inutilmente  di  riorganizzare  l'opera  nella
casa  di  prima,  non  si  veniva  a  capo  di  nulla;  onde  l'Amministra-
zione  dell'ente  ventilò  e  sottopose  ai  Superiori  di  Torino  un  nuovo
disegno.
Il  veneziano  abate  Carlo  Coletti  aveva  fondato  a  Cannaregio
un'opera  consimile,  erigendola  pure  in  ente  morale.  Avvenuta  l'im-
matura  morte  del  fondatore,  la  sua  fondazione  andò  di  crisi  in
crisi;  la  più  grave  fu  nel  1875,  quando  il  Governo  pretese  dall'Am-
ministrazione  che  cambiasse  l'istituto  di  beneficenza  in  casa  di  cor-
rezione,  ricevendo  i  discoli  che  esso  vi  avrebbe  mandato.  Fu  sti-
(1)  Verb.  del  Corp.  Sup.,  25  novembre  1918.
I l i
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
pulato  regolare  contratto  per  un  magro  assegno  individuale.  Allora
cessò  la  beneficenza  cittadina.  Scaduta  la  convenzione  nel  1915,  non
la  si  volle  più  a  nessun  patto  rinnovare;  onde  il  Governo  ritirò  i
corrigendi  e  l'opera  tornò  ad  avere  il  carattere  primitivo.
Ma  le  finanze  erano  a  terra:  c'era  la  possibilità  di  mantenere
gratuitamente  appena  dieci  ricoverati.  Che  fare  per  salvare  l'opera?
Si  affacciò  il  disegno  di  fondere  insieme  i  due  istituti  sotto  l'egida
dei  Salesiani.  L'idea  trovò  consenzienti  i  Salesiani  (1)  e  le  autorità
cittadine.  Corsero  trattative,  durate  Ano  al  1922.  Da  prima  i  pochi
alunni  del  Coletti  rimasti  passarono  a  Castello,  restandovi  finché
non  furono  ultimati  i  lavori  di  riattamento  nei  vasti  locali  dell'altro
istituto,  nel  quale  finalmente  furono  tutti  i  giovani  trasferiti.  Con-
tinuò  a  Castello  l'oratorio;  un  secondo  oratorio  riuscì  il  Direttore
Don  Segala  a  far  aprire  nel  1934  al  Coletti.  In  tutte  le  accennate
peripezie  Don  Luigi  Maffini  per  lo  spazio  di  undici  anni  ripetè  le
prove  di  zelo  e  di  abilità  date  già  nel  Portogallo  (2),  dove  fece  ri-
torno,  sbollite  che  furono  le  passioni  rivoluzionarie.
Il  1912  vide  iniziarsi  tre  opere  sotto  gli  auspici  di  Don  Albera,
una  delle  quali  a  Borgomanero  nella  provincia  di  Novara.  Dobbia-
mo  rifarci  dal  1878.  Apertasi  in  quell'anno  a  Borgomanero  una
scuola  tecnica  comunale,  vi  accorsero  alunni  anche  da  paesi  vicini
e  lontani,  sicché  fu  sentita  la  necessità  di  provvedere  loro  assistenza
e  ricovero.  A  tale  scopo  si  mise  su  un  modesto  pensionato,  che  nel
1895  divenne  il  convitto  Manzoni.  Questo  convitto  nel  1908  passava
sotto  la  direzione  di  Don  Giuseppe Tacca  salesiano,  ma  che  per  mo-
tivi  di  famiglia  aveva  ottenuto  l'esenzione  temporanea  dalla  vita  di
comunità  (3).  Egli  nel  1912  ricevette  il  mandato  di  consegnarlo  ai
Salesiani,  che  lo  accettarono,  conservandogli  il  medesimo  carattere:
solo  vi  introdussero  una  regolare  scuola  di  religione,  insegnamento
non  impartito  allora  nelle  scuole  governative.  I  Salesiani  però  non
si  fermarono  li.  Nel  dicembre  1914,  quando  di  là  dalle  Alpi  già
tuonava  il  cannone,  Don  Albera  fece  una  visita  al  collegio.  Tutta
la  città  lo  ricevette  in  trionfo.  Celebrata  ivi  la  festa  dell'Immaco-
lata,  partì  lieto  d'aver  visto  le  cose  bene  incamminate  e  quanto  i
(1)  h.  e.
(ì)  Ann.,  v.  HI,  pp.  571-2  e  773,
(3)  Verb,  del  Cap.  Sap„  lo  maggio  1905.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  morsicano
Salesiani  fossero  circondati  di  stima  da  parte  della  popolazione;  non
esitò  quindi  ad  approvare  il  disegno  di  dare  maggiore  sviluppo
all'opera;  ma  bisognò  aspettare  il  termine  della  guerra.  Allora,  ab-
bandonata  l'insufficiente  e  scomoda  casa  primitiva,  si  passò  in  un
edificio  nuovo,  più  capace  e  meglio  rispondente  alle  esigenze  mo-
derne,  e  alla  denominazione  antica  si  sostituì  quella  di  "  Collegio
Don  Bosco  ".  Oggi  oltre  al  convitto  ha  il  liceo  classico  parificato.
Un'ala  del  fabbricato  accolse  fino  al  1943  i  novizi  delPIspettoria
novarese.
Don  Bosco,  che  pure  contava  numerose  relazioni  personali  a
Vercelli,  non  pensò  mai  a  stabilirvi  una  propria  fondazione.  Non
sembra  improbabile  il  motivo.  La  città  del  grande  S.  Eusebio,  prin-
cipal  sede  vescovile  del  Piemonte,  aveva  tante  istituzioni  religiose
e  benefiche  da  poter  in  questo  bastare  a  se  stessa,  A  che  prò  dun-
que  portar  legna  alla  selva?  Ma  venne  il  momento,  in  cui  si  cre-
dette  necessaria  anche  l'opera  specifica  dei  Salesiani.  Un  sobborgo
detto  di  Belvedere,  formatosi  da  pochi  decenni  in  centro  industriale
e  continuamente  amplificantesi,  si  trovava  alquanto  fuori  mano,  e
la  sua  popolazione  operaia  era  insidiata  dalla  propaganda  sovver-
siva.  Uno  zelante  sacerdote  del  clero  diocesano  vi  aveva  bensì  im-
piantato  un  Oratorio  festivo;  ma da  solo  poteva  fare  poco.  Il  10  no-
vembre  1911  l'Arcivescovo  Teodoro  Valfrè  di  Bonzo  scriveva  a  Don
Albera:  «  Stando  oramai  per  ultimare  una  chiesa  qui  in  Vercelli
in  un  sobborgo  eminentemente  operaio,  chiesa  che  sarà  tosto  eretta
in  parrocchia,  avrei  ideato  di  affidarla  alla  benemerita  Congrega-
zione  Salesiana,  ben  conoscendo  lo  zelo  degli  ottimi  figli  di  Don  Bo-
sco  e  la  loro  speciale  attitudine  nell'educazione  della  gioventù.  Alla
chiesa  va  annessa  una  nuovissima  casa  parrocchiale,  anche  questa
quasi  finita,  ed  un  larghissimo  spazio  per  l'Oratorio  con  gran  salone
per  adunanze,  teatro  e  simili ».  Chiedeva  dunque  per  il  prossimo
anno  il  personale  occorrente.
La  proposta  fu  giudicata  buona  sotto  ogni  riguardo:  c'era  un
campo,  dove  spiegare  in  pieno  l'attività  salesiana.  Don  Albera  or-
dinò  d'incominciare  senz'altro  le  pratiche,  le  quali  si  svolsero  ra-
pide  con  risultati  chiari  e  precisi,  di  modo  che  ì  Salesiani  nel  no-
vembre  1912  sì  trovavano  già  sul  posto.  Della  chiesa,  considerata
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
come  un  gioiello  d'arte,  -essi  fecero  il  centro  del  loro  ministero.  La
fiancheggiavano  due  Oratori,  il  maschile  e  il  femminile,  questo  te-
nuto  dalle  Figlie  di  Maria  Ausiìiatrice  insième  con  l'asilo.  Si  vide
pure  l'opportunità  di  aprire  di  qua  e  di  là  scuole  elementari  par-
rocchiali  per  la  gioventù  d'ambo  i  sessi.  La  popolazione  da  prima
indifferente,  cosa  ordinaria  in  città  fiere  del  loro  passato  di  fronte
a  persone  venute  di  fuori  a  occuparsi  di  esse,  finì  con  affezionarsi
ai  Salesiani,  secondandoli  con  sempre  maggiore  corrispondenza,
sicché  il  borgo  si  venne  rinnovando.  La  generazione  odierna  sotto
i  trent'anni  è  pressoché  tutta  composta  di  ex-allievi  e  di  ex-allieve.
Già  nel  febbraio  1915  Don  Albera  constatò  che  del  bene  se  ne  fa-
ceva  e  più  ancora  se  ne  sarebbe  fatto  in  seguito.  I  parrocchiani,
desiderosi  di  conoscere  il  secondo  successore  di  Don  Bosco,  gli  di-
mostrarono  più  a  fatti  che  a  parole,  il  loro  piacere  di  vederlo.  Vi-
vevano  ancora  dei  vecchi,  i  quali,  trovatisi  presenti  nel  settembre
1865  alla  consacrazione  della  monumentale  basilica  di  Santa  Maria
Maggiore,  ricordavano  di  aver  udito  allora  tre  indimenticabili  pre-
diche  di  Don  Bosco.
Là,  come  in  tanti  altri  luoghi,  l'Oratorio  fu  un  vero  toccasana.
Stava  aperto  tutti  i  giorni.  L'Arcivescovo  lo  sceglieva  sovente  a
meta  delle  sue  passeggiate  serali,  compiacendosi  nel  contemplare  lo
spettacolo  delle  animate  ricreazioni.  Erano  due  belle  feste  per  lui
l'annuale  gara  catechistica  e  la  premiazione  finale  in  entrambi  gli
Oratori.  Nelle  gare,  dopo  le  tenzioni  mnemoniche  dei  piccoli  e  dei
mezzani,  scendevano  i  grandi  in  lizza  di  botte  e  risposte  su  punti
difficili  o  controversi  e  anche  intorno  a  questioni  sociali.  Si  presen-
tavano  alla  lotta  ben  agguerriti.  Il  pubblico  ci  si  appassionava  e
faceva  ovazioni  ai  vincitori.  Queste  prove  si  ripetevano  annualmente
dopo  i  catechismi  quaresimali,  nella  domenica  delle  palme.  L'anno
catechistico  si  chiudeva  tra  il  Natale  e  l'Epifania  con  la  solenne
distribuzione  dei  premi  a  circa  trecento  più  meritevoli  per  assiduità
e  diligenza.  Si  davano  tagli  di  buona  stoffa  in  misura  tale  da  rica-
varne  abiti  completi.  Il  primo  parroco.  Don  Natale  Signoretti,  ca-
duto  sulla  breccia  dopo  anni  di  fatiche  pastorali,  lasciò  dietro  di
sé  ottima  memoria  e  sincero  rimpianto.
La  casa  di  Cagliari,  i  cui  esordi  sono  del  1912,  sembra  prossima
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  d'i Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  marsìcano
ad  assumere  proporzioni  degne  della  nobile  capitale  sarda.  Le  pri-
me  domande  di  fondazione  sono  del  1879:  abbiamo  lettere  dell'Ar-
civescovo  e  del  senatore  liberale  Siotto  Pintor  dirette  a  D.  Bosco per
questo  scopo.  I  princìpi  tardarono  un  po'  a  lungo.  Ci  voleva  e  si
voleva  un  Oratorio  festivo:  tutti  vedevano  in  esso  un'arca di salvezza
per  la gioventù  cagliaritana.  L'Oratorio  prese  ad  affermarsi  solo  dopo
la  guerra.  A  poco  a  poco  la  casa  salesiana  divenne  iuventutìs  do-
mus.  A  compiere  l'opera  si  desiderava  dai  buoni  anche  il  collegio.
Il  collegio  venne:  un  coìlegino,  perchè  dell'edificio  designato  si  era
costruita  appena  la  terza  parte.  Oggi  finalmente  nel  fabbricato  com-
pleto  si  è  potuto  aprire  un  liceo,  specialmente  per  i  giovani  pro-
venienti  dai  due  istituti  salesiani  di  Lanusei  e  di  Santolussurgiu.
Sotto  il  dominio  austriaco,  ma  in  terra  d'italiani  era  Rovigno,
città  marinara  di  circa  12.000  abitanti  nella  penisola  d'Istria.  Nel
1909  Don  Rua,  commosso  dalla  descrizione  dell'abbandono  in  cui
viveva  quella  gioventù,  aveva  promesso  di  mandare  i  Salesiani.  Lo
moveva  anche  il  sapere  che  già  nel  1878  Don  Bosco  aveva  dato  as-
sicurazione  che,  appena  avesse  il  personale,  avrebbe  fatto  qualche
cosa  per  Rovigno.  Ma,  sopravvenuta  di  lì  a  poco  la  morte  di  Don
Rua,  svanì  la  sua  promessa;  non  se  ne  dimenticò  tuttavia  il  parroco
Don  Francesco  Rocco,  che  l'aveva  raccolta.  Egli  nel  1910  si  recò  a
Trieste,  quando  vi  si  trovava  Don  Albera  e  lo  supplicò  di  tener  pre-
sente  la  parola  del  suo  predecessore.  Don  Albera  gliela  confermò.
Allora  i  principali  Cooperatori  rovignesi  costituirono  un'" Associa-
zione  Salesiana ",  che  nel  dicembre  1910  ebbe  dal  Governo'  impe-
riale  la  sua  legale  esistenza.  Era  condizione  indispensabile  per  pro-
cedere  all'acquisto  di  un  terreno,  costruire  un  edifìcio  e  dar  prin-
cipio  all'opera.  Terminati  i  lavori  nel  1912,  quando  si  riteneva  im-
minente  l'arrivo  dei  Salesiani,  nacquero  difficoltà  da  parte  dell'I-
spettore,  il  quale  dichiarò  di  non  poterli  mandare  se  non  dopo
cinque  anni.  Un  fulmine  a  ciel  sereno!  Il  parroco  ricorse  a  Don  Al-
bera,  esprimendogli  tutta  la  sua  amarezza  per  il  colpo  inaspettato.
« Il  sottoscritto,  scriveva  egli,  con  tutta  la  forza  dell'anima  sua,  sup-
plica,  supplica  e  supplica  la  S.  V.  Rev.raa  per  quanto  ha  di  più
caro  il  cuor  suo,  non  ci  abbandoni! »  Don  Albera  non  li  abbandonò,
ma  dispose  che  nell'ottobre  1913  l'Oratorio  venisse  aperto.  I  buoni
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
esultarono,  i  giovani  volevano  bene  ai  Salesiani,  si  cominciavano
a  cogliere  frutti,  belle  speranze  brillavano  per  l'avvenire;  ma  dopo
mena  d'un  anno,  scoppiata  la  guerra,  tutta  la  popolazione  fu  fatta
evacuare  martu  militari,  e  venne  trasportata  raminga  nei  campi  di
concentramento  per  circa  tre  anni.  Cessato  il  flagello  e  ricomposte
le  cose,  ricongiunta  l'Istria  alla  patria  antica,  una  delle  prime  cure
fu  di  ottenere  che  si  riaprisse  l'Oratorio,  provvidenziale  rifugio  della
gioventù  restituita  alla  pace  del  focolare  domestico.  Molte  cose  man;
cavano;  ma  l'Oratorio  con  le  sue  festicciole  diventò  il  ritrovo  più
gradito  di  tutta  la  cittadinanza,  unico  luogo  dove  i  giovani,  senten-
dosi  come  in  casa  loro,  aprissero  l'animo  ai  salutari  influssi  delle
istruzioni  e  pratiche  religiose.
Nel  medesimo  anno  1913  l'Oratorio  di  Valdocco  subì  una  modi-
ficazione,  che  un  tempo  non  sarebbe  stata  neppure  immaginabile;
ma  tempora  mutantur  e  necessità  non  ha  legge.  Don  Bosco  teneva
fortemente  all'unificazione  di  tutte  le  attività,  che  si  svolgevano  nella
Casa  madre.  Per  questo  motivo  conservò  sempre  il  titolo  di  Ret-
tore,  affidando  la  direzione  a  un  suo  immediato  dipendente.  Don
Rua  pure  continuò  a  portare  il  titolo  di  Rettore,  deponendolo  solo
negli  ultimi  anni,  senza  che  per  questo  l'Oratorio  cessasse  mai  di
fare  una  cosa  sola  col  Capitolo  Superiore.  Venne  però  il  momento,
in  cui  si  rese  indispensabile  dividere;  ma  vi  si  arrivò  gradatamente,
a  poco  a  poco.
L'estendersi  della  Congregazione  richiedeva  un  sempre  mag-
gior  numero  di  soci  addetti  ai  singoli  membri  del  Capitolo  Superiore
e  quel  numero  crebbe  a  segno  che  il  Direttore  dell'Oratorio  non
poteva  più  occuparsi  di  loro;  onde  la  necessità  di  pensare  a  una
separazione.  Il  provvedimento  apparve  tanto  grave,  che  nel  1911
Don  Albera  nominò  una  Commissione  composta  di  quattro  Capito-
lari  e  presieduta  dal  Prefetto  Don  Rinaldi,  perchè  si  studiasse  bene
il  da  fare  (1).  La  Commissione  conchiuse  unanime  dover  avere  il
Capitolo  Superiore  col  suo  personale  amministrazione  e  modo  di
essere  al  tutto  indipendente  dall'Oratorio.  Ciò  posto,  si  presenta-
rono  due  vie:  o  allontanarsi  totalmente  dall'Oratorio,  andando,  per
esempio,  nella  casa  di  S.  Giovanni  Evangelista  o  rimanere  nell'Ora-
(!)  Verb.  liei  Cap.  Slip..  2S  agosto  1911.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le,  fondazioni  d'i  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  manicano
torio  separati.  La  prima  soluzione  non  sembrò  ammissibile  anche
per  i  ricordi  che  legavano  i  Superiori  alla  Casa  madre;  si  deliberò
dunque  di  fissare  i  locali  occorrenti  entro  il  recinto  dell'Oratorio  (1).
Ma  si  vide  presto  che  nei  vecchi  locali  si  sarebbe  stati  troppo  a  di-
sagio;  perciò  fu  decisa  l'erezione  di  un  edificio  apposito,  incomin-
ciato  al  principio  del  1912.
Non  si  aspettò  tuttavia  che  la  costruzione  fosse  ultimata  per  at-
tuare  la  separazione.  Già  nel  1913  gli  addetti  al  Capitolo  Superiore
incominciarono  a  formare  una  comunità  distinta,  pur  continuando
a  fare  vita  comune  con  gli  altri  della  casa,  solo  non  dipendendo  più
dal  Direttore:  fu  messo  loro  a  capo  il  maestro  di  musica  Don  Gio-
vanni  Grosso  col  titolo  di  "  Preposto  alla  direzione  del  personale
addetto  al  Capitolo  Superiore  ".  Venne  adottata  questa  sistemazione,
perchè  durava  l'incertezza,  se  si  dovessero  o  no  formare  due  case
distinte,  e  i  pareri  dei  Capitolari  erano  divisi.  Don  Albera  nel  1915
propose  che  si  prendesse  tempo  per  aver  modo  di  fare  l'opportuna
esperienza,  e  intanto  si  andasse  avanti  così,  quantunque  fosse  già
stata  inaugurata  e  occupata  la  nuova  fabbrica  l'ottobre  1914,  acco-
gliendo  e  concentrando  tutti  gli  uffici  e  l'abitazione  dei  Superiori
maggiori  e  dei  loro  segretari.  La  voluta  esperienza,  prolungata  an-
cora  otto  anni,  suggerì  di  procedere  a  una  divisione  netta  col  creare
in  grembo  all'Oratorio  due  comunità,  anzi  due  case  interamente
distinte,  assegnando  nel  1923  alla  casa  capitolare  un  Direttore  vero
e  proprio,  Dopo  una  nuova  esperienza  condotta  per  altri  sei  anni,
finalmente  nel  maggio  1929  il  Rettor  Maggiore  Don  Rinaldi  iniziò  le
pratiche  a  fine  di  ottenere  il  beneplacito  apostolico  per  l'erezione  ca-
nonica  di  detta  casa.  Il  decreto  relativo  si  ebbe  il  12  giugno.
Ha  un  addentellato  col  1913  la  casa  di  Torre  Annunziata,  città
divenuta  in  breve  tempo  assai  popolosa,  fra  Napoli  e  Castellammare
di  Stabia  sul  golfo.  Il  sacerdote  Pasquale  Dati,  spaventato  della  cre-
scente  rovina  spirituale  di  tanta  gioventù  ed  essendo  favorito  dalla
Provvidenza  di  un  discreto  patrimonio,  era  disposto  a  creare  una
base  finanziaria  per  l'apertura  di  un  Oratorio  festivo.  Ne  trattava
già  nel  1895.  Finalmente  nel  giugno  1913,  trovandosi  Don  Albera  nel
collegio di  Castellammare,  gli  si  presentò  per  rinnovargli  a  viva  voce
(1)  L.  e,.,  25  e  26  settembre  1911,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
le  sue  istanze.  Don  Albera  fece  buon  viso  alla  proposta  e  finché  non
si  potesse fare  di  meglio,  fu  stabilito  che  intanto  si  cominciasse  su-
bito  l'Oratorio,  andando  ogni  settimana  a  Torre  alcuni  salesiani  di
Castellammare.  L'opera  si  sviluppò  a  segno  che  sedici  anni  dopo  nei
locali  ingranditi  ebbe  vita  un  istituto  destinato  ad  accogliere  gio-
vani,  i  quali  avessero  volontà  e  attitudini  di  dedicarsi  allo  stato  ec-
clesiastico  o  religioso.
Durante  la  guerra.
Entrando  ora  nel  periodo  bellico,  troveremo  assai  poche  le  fon-
dazioni  in  Italia.  Nessuna  nel  1914,  l'anno  che  vide  il  principio  della
terribile  conflagrazione.  Furono  però  istituite,  accanto  a  opere  già
esistenti,  le  tre  parrocchie  di  S.  Agostino  a  Milano  e  della  Sacra  Fa-
miglia  a Firenze  e  ad  Ancona,  L'anno  dopo,  essendo  anche  l'Italia  in
guerra,  bisognò  pensare  a  tanti  poveri  giovani  rimasti  orfani  per  la
morte  dei  loro  padri  al  campo  o  abbandonati  per  il  richiamo  del
loro  genitore  alle  armi;  sorsero  così  le  due  case  di  Monte  Oliveto  a
Pinerolo  e  del  Mandrione  a  Roma,  delle  quali  abbiamo  detto  quanto
basta  nel  capo quinto.  Naturalmente  queste case,  avendo  finalità  spe-
ciali  e  temporanee,  venuto  a  cessare  l'elemento  che  le  popolava,
dovevano  ricevere  nuova  destinazione;  perciò  nella  prima  si  stabilì
il  noviziato  dell'lspettoria  Subalpina  e  nella  seconda  una  scuola
agraria  parificata.
Le  Costituzioni  della  Società  Salesiana  dicono  che  in  via  ordi-
naria  non  si  accettano  parrocchie;  accennano  però  anche  all'even-
tualità  che  per  giuste  ragioni  convenga  talora  accettarne.  Ecco  per-
chè  da  un lato  i  Superiori si  mostravano  restii  ad  accogliere  proposte
di  tal  genere  e  dall'altro  ammettevano  eccezioni.  Queste  eccezioni
si  fecero  sempre  più  frequenti,  tanti  erano  i  motivi  che  le  giustifica-
vano.  Una  ne  accettarono  a  Messina  nel  1915,  Dopo  il  tremendo  ter-
remoto  del  1908  la  città  stentò  molto  a  rialzarsi  (1)  anche  per quello
che  concerneva  i  bisogni  religiosi.  Era  perita  la  maggior  parte  del
clero  secolare;  non  rimaneva  in  piedi  nemmeno  una  chiesa.  Pio  X
invitò  i  Superiori  Generali  degli  Ordini  religiosi  ad  andare  in  aiuto
(1)  Ann.,  v.  IH,  pp.  750-759.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  marsicano
dell'Arcivescovo,  mandando  là  in  gran  copia  sacerdoti  loro  e  accet-
tando  anche  cure  parrocchiali.  Le  funzioni  si  facevano  in  baracche
e  in  baracche  si  abitava.  L'Arcivescovo  superstite  Letterio  D'Arrigo
ottenne  che  i  Salesiani  prendessero  ìa  parrocchia  di  S.  Leonardo
in  uno  dei  rioni  più  popolari,  denominato  La  Giostra,  I  Superiori
maggiori,  saputo  che  vi  predominavano  operai  e  poveri,  ritennero
che  quello  fosse  più  d'ogni  altro  un  campo  tutto  salesiano,  nel  quale
si  sarebbero  meritate  le  benedizioni  di  Dio  e  si  sarebbe  fatto  gran
bene  alle  anime  (1).  Perciò,  omologati  dalla  Santa  Sede  i  patti  di
cessione,  due  sacerdoti  vi si  recarono  l'8  dicembre  1915.
Certi  cataclismi,  come  il  disastro  di  Messina,  producono  sempre
con  le  rovine  materiali  anche  disorientamenti  nelle  idee,  nelle  abi-
tudini  e  nelle  tradizioni,  I  Salesiani  trovarono  tutto  da  fare.  Senza
perdersi  d'animo  si  misero  subito  all'opera  per  avviare  le  istituzioni,
che rendono  efficace  l'attività di  un  parroco.  Don Rinaldi,  predicando
gii  esercizi  a  Randazzo  nel  1916,  aveva  raccomandato  loro  special-
mente  di  suscitare  e  zelare  la  divozione  alla  Madonna  e  la  frequenza
ai  sacramenti.  Così  fecero  e  ne  sperimentarono  gli  effetti.  Si  occu-
pavano  intanto  dei  fanciulli  con  l'Oratorio  festivo  e  i  catechismi.  Il
nuovo  Arcivescovo  Angelo  Paino,  che,  benemerito  quant'altri  mai
della  ricostruzione  di  Messina,  sostituì  alle  baracche  buone  costru-
zioni,  procurò  pure  ai  Salesiani  una  bella  chiesa  e  una  discreta  ca-
nonica;  ma si  dovette aspettare fino al  1931  per inaugurarle. Nel 1925
i  Superiori  credettero  che  ornai  i  Salesiani  non  fossero  più  indi-
spensabili  come  per  l'addietro  e  quindi  volevano  rinunciare  alla  par-
rocchia.  Ma  il  detto  Arcivescovo  ricorse  a  Roma,  e  supplicando  che
s'invitassero  i  Superiori  a  recedere  da  quel  divisamento,  rendeva
loro  questa  testimonianza:  «Io  poi  sono,  molto  contento  dei  Sale-
siani:  lavorano  con  zelo,  sono  molto  amati  dai  fedeli  e  raccolgono
copiosi  frutti  spirituali,  specie  nella  gioventù ».
Questi  elogi  andavano  a  tutti;  ma  uno  se  li  meritava  in  modo
speciale;  Don  Enrico  Vanoli.  Nel  tornare  indietro  dalPaccennata  de-
liberazione  il  Rettor  Maggiore  Don  Rinaldi  aveva  Voluto  che  si
tenesse  in  gran  conto  il  pensiero  « del  buon  Don  Vagnoli »,  come
(1)  Verb.  del  Cnp.  Sup„  22  aprile  1914  e  26  marzo  1915.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
scrisse  di  suo  pugno  sopra  una  lettera  di  lui  (1).  Laborioso  quanto
modesto,  fu  viceparroco  a  Messina  dai  1916  al  1938.  Visse  quindici
anni  nelle  misere  baracche  sempre  sereno,  sempre  col  suo  amabile
sorriso  sulle  labbra,  sempre  tutto  carità  e  zelo  p«r  la  salute  delle
anime.  Migliorate  le  condizioni  materiali,  egli  non  mutò  tenor  di
vita:  una  vita  di  sacrifici,  di  povertà  e  di  abituale  santa  letizia.  Il
suo  confessionale  era  ricercatissimo  da  persone  d'ogni  classe.  Ag-
gravatosi  il  suo  mai  di  cuore,  dovette  ritirarsi  nell'istituto  S,  Luigi
della  medesima città,  dove rese  l'anima a Dio  il 24 luglio 1939,  pianto
da  tutta  la  popolazione  della  parrocchia.  Era  nato  il  12  dicembre
1875  a  Valdomino di Luino  (Varese).  È  opinione  di  coloro con i  quali
divise  le  fatiche  del  ministero  in  quella  poverissima  fra  le  più  po-
vere  parrocchie,  doversi  attribuire  in  massima  parte  a  lui  il  molto
bene  ivi  compiuto,  a  lui  cioè  e  al  suo  influsso  (2).
Per  tutto  il  biennio  1916  e  '17,  nulla  di  nulla  in  Italia.  Nella  let-
tera  del  gennaio  1918,  là  dove  il  Rettor  Maggiore  suole  render  conto
delle  opere  compiute  nell'anno  precedente,  Don  Albera  faceva  rile-
vare  ai  Cooperatori:  «Non  v'è  casa  dell'Opera  di  Don  Bosco  che
non  abbia  aperto  le  sue  porte  ai  figli  o  alle  figlie  dei  richiamati  o
dei  morti  in  guerra  o  dei  profughi,  o  agii  stessi  soldati ».
Tuttavia,  prima  che  la guerra  fosse  terminata,  una  fondazione  si
fece  in  una  città  annessa  poco  dopo  all'Italia.  Parlo  di  Fiume,  la
perla  del  Quarnero.  I  buoni  deploravano  la  piaga  sempre  più  in-
quietante  di  una  fanciullezza  abbandonata  a  se  stessa  ed  esposta  ai
pericoli  della  peggiore  corruzione  e  invocavano  fin  dal  1900  la  ve-
nuta  dei  Salesiani  a  prendersene  cura.  Le  istanze  si  fecero  più  pres-
santi  nel  1904,  pressantissime  nel  1914:  intervenne  anche  il  Cardinal
De.  Lai,  Segretario  della  Concistoriale.  Finalmente  Don  Albera  potè
disporre  di  alcuni  soggetti  e  li  mandò.  Erano  chiamati  da  un'Asso-
ciazione  "  Maria  ",  che  aveva  dipendenti  varie  istitoioni  cittadine
di  beneficenza.  Vi  giunsero  per  l'Epifania  del  1918.  Trovarono  un
bellissimo  locale,  che  da  un'incantevole  posizione  dominava  tutta
la  città.  Apersero  subito  un  Oratorio  festivo  e  feriale.  Il  quartiere
di 20.000 anime non  aveva chiesa né vedeva mai  un prete.  Già, di preti
(1)  Milano,  7  giugno  1926.
(2)  Cronaca  delia  parrocchia  di  S.  Leonardo,  luglio  1939.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  dì  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  morsicano
sembra  che  non  ve  ne  fossero  più  di  cinque  o  sei  per  una  città  con
50.000  abitanti.  S'immagini  quindi  l'apatia  religiosa  della  popola-
zione.  I  giovani,  attratti  dalle  buone  maniere  e  dai  divertimenti,  a
poco  a  poco  accorsero,  si  affezionarono  e  presero  gusto  alla  pietà.
Questo  influì  nelle  famiglie;  infatti  si  vedeva  risvegliarsi  l'interesse
per  le  pratiche  religiose.  Alla  prima  solenne  premiazione,  fatta  nel
gennaio  1919,  assistette  l'Ispettore  Don  Giraudì,  rimasto  contento  di
constatare  quanta  simpatia  la  cittadinanza  dimostrasse  già  per  l'o-
pera.  E  l'opera  progrediva  di  anno  in  anno.  11  Vescovo  Isidoro  Sain
benedettino  in  una  ietterà  del  18  novembre  1926  a  Don  Rinaldi  ma-
nifestava  la  sua  soddisfazione  di  avere  nella  sua  diocesi  i  figli  di
Don  Bosco,  dichiarando  di  apprezzare  altamente  lo  zelo  apostolico,
che  andavano  spiegando  in  mezzo  alla  gioventù  fiumese.  Purtroppo
i  mutamenti  politici  causati  dalla  seconda  guerra  mondiale  dove-
vano  stroncare  tanto  bene.
Mentre  quella  che Benedetto  XV  chiamò  « inutile  strage »  faceva
le  ultime  ecatombi,  compievasi  in  un  remoto  angolo  del  Monferrato
una  cerimonia  pacifica,  quasi  preludio  di  non  lontana  pace  e  inìzio
di  un'opera  destinata  a  giganteggiare.  Il  suolo  toccato  dai  Santi  di-
venta sacro,  tanto più  dove un  Santo  nacque  o visse. Là  a perpetuai'ne
la  memoria  sorgono  tosto  o  tardi  monumenti,  ai  quali  traggono  le
moltitudini  in  pellegrinaggio,  i  divoti  o  studiosi  in  visita,  ed  anche  i
semplici  turisti  in  cerca  di  cose  nuove  o  di  emozioni.  Cassino  e Assisi
sono  i  due  esempì  classici.  Così  doveva  accadere  al  Colle,  dove  San
Giovanni  Bosco  ebbe  i  natali  e  trascorse  gli  anni  della  prima  età  in
seno  alla  famiglia  poverella.  Dovunque  palpita  un  cuore  ricono-
scente  de'  suoi  benefìci,  dovunque  s'incontra  un  ammiratore  delle
sue  virtù  e  delle  sue  opere,  la  mente  si  volge  al  luogo,  che  ne  ac-
colse  i  primi  vagiti  e  fu  teatro  delle  sue  precoci  manifestazioni.  Po-
teva  mai  quel  colle  rimanere  sempre  con  lo  squallore  delle  sue  quat-
tro  casucole  di  lavoratori  della  terra  e  nella  silenziosa  solitudine
de' suoi  vigneti? Non  è  questo  nell'ordine  consueto  delle  cose  umane.
Venne  l'ora  dì  rompere  quella  solitudine  e  quel  silenzio.  Il  dop-
pio  centenario  del  1915  ispirò  l'idea  di  erigere  il  tempio  votivo,  del
quale  abbiamo  parlato  nel  capo  sesto:  votivo,  perchè  costruito  du-
rante  tre  anni  di  guerra  anche  come  voto  per  la  pace.  Non  era  però
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
questo  il  motivo  principale.  Il  verbale  posto  nella  prima  pietra  dice
ispiratore  dell'erezione  il  desiderio  di  dare  a  Dio  e  a  Maria  San-
tissima  un pubblico  pegno  di  riconoscenza  per i  favori elargiti  a  Don
Bosco,  non  ultimo  fra  gli  altri  l'apparizione  delia  Vergine  a  lui  non
ancora  decenne, là  nella  casa  paterna,  per  additargli  la  missione,
alla  quale  lo  chiamava  il  Cielo.  Era  pur  stata  viva  brama  di  Don
Bosco  dotare  il  suo  luogo  nativo  di  una  cappella  per  provvedere  ai
bisogni  spirituali  di  quella  buona  gente,  che  viveva  alla  distanza
di  cinque  chilometri  dalla  parrocchia.  Si  può  affermare  che  a  co-
struire  la  chiesa  concorsero  specialmente  i  bimbi  e  le  bimbe  d'Italia
e  dell'estero.  Dal  1915  ai  1918  ogni  numero  del  Bollettino  Salesiano
ne  registra  le  offerte  piccole,  ma  continue,  accompagnate  da  mille
graziose  particolarità,  che  spesso  non  si  leggono  senza  commozione.
La  facciata  della  chiesa  si  aderge  di  fronte  alla  parte  anteriore
delia  casetta  di  Don  Bosco:  la  casa  di  Maria  sembra  guardare  con
amore  e  tenere  sotto  la  sua  protezione  l'umile  dimora  del  fedele
servo  di  Maria,  perchè  le  ingiurie  del  tempo  non  abbiano  a  recarle
maggiori  offese.
La  sera  del  1°  agosto  1918  Don  Albera,  presenti  tutti  i  Supe-
riori,  la  benedisse  e  la  mattina  del  2  celebrò  la  prima  Messa  sull'al-
tare  consacrato  allora  allora  dall'Arcivescovo  di  Ravenna  Pasquale
Morganti.  Era  venerdì  quel  giorno.  La  domenica  seguente  si  fece
gran  festa,  resa  più  solenne  dalla  porpora  del  Card.  Cagliero,  ralle-
grata  dai cantori  dell'istituto  di  Castelnuovo  e  animatìssima  per gran
numero  di  pellegrini.  A  servizio  della  chiesa  e  a  custodia  della  ca-
setta  fu  in  quella  circostanza  stabilita  una  comunità.  Era  stato  posto
così  il  principio  della  grandiosa  e  benefica  opera  attuale,  che,  una
volta  ultimata,  dirà  ai  posteri  quanto  abbiano  voluto  e  saputo  fare
i  figli  di  Don  Bosco  a  gloria  del  Padre.
Dopo  la  guerra.
L'armistizio  segnò  la  ripresa  delle  fondazioni,  ma  principiando
da  alcune  speciali  e  di  urgente  necessità.  Dopo  le  guerre  sono  ine-
vitabili  i  rilassamenti  della  disciplina  sociale.  Allora  nelle  grandi
città  la  gioventù  rompe  ogni  freno  e  la  dà  pazzamente  di  traverso.
Questo  si  sperimentava  a  Torino,  massime  nei  quartieri  eccentrici,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  dì  Don  Albera  in  Italia,  Terremoto  marsicano
dove  per  giunta  imperversava  la  propaganda  sovversiva  e  anticle-
ricale.  Ecco  il  movente  della  fondazione  di  due  Oratori  festivi  com-
pleti  sotto  ogni  aspetto,  nei  sobborghi  popolari  di  Monterosa  e  di
San  Paolo.  Entrambi  furono  inaugurati  l'8  dicembre  1918,  festa  del-
l'Immacolata.
A  Monterosa  l'attuale  Oratorio  " Don  Michele  Rua "  ebbe  ori-
gine  durante  la  guerra  dalla  generosità  del  Cooperatore  Salesiano
Luigi  Grassi,  consigliere  comunale,  che  aprì  un  ritrovo  per  giova-
netti,  facendo  erigere  anche  una  piccola  cappella  e  un  teatrino  e
denominando  l'opera  " Ricreatorio  Margherita  Bosco  ".  ,Vi  attende-
vano  alcuni  maestri,  i  quali,  pagati  da  lui,  curavano  la  formazione
morale  dei  ragazzi.  Ma  il  numero  di  questi  era  sempre  meschino;
onde  il  fondatore  invitò  i  Salesiani  a  prenderne  la  direzione.
I  Superiori  accettarono  e  mandarono  due  Salesiani.  L'affluenza
giovanile  aumentò  rapidamente  a  segno,  che  i  locali  di  prima  non
bastavano  più  a  contenerli.  Allora  si  mise  mano  coraggiosamente
alla  costruzione  di  un  Oratorio,  che  offrisse  le  più  desiderabili  co-
modità.  Non  si  aspettò  che  la  fabbrica  fosse  finita  per  trasferire  la
sede.  Il  19  giugno  1920  si  occuparono  i  primi  locali  già  pronti  e  il
2  ottobre  1921  fu  dal  Card.  Richelmy  benedetta  la  prima  pietra  di
una  chiesa  pubblica.  Del  nuovo  edifìcio  condotto  a  termine  si  fece
l'inaugurazione  il  30  luglio  1922  e  la  chiesa  venne  aperta  al  culto  il
30  settembre.  Alle  spese,  oltre  le  larghe  offerte  del  Grassi  e  della
marchesa  Thaon  di  Revel,  concorsero  le  oblazioni  di  enti  morali
e  di  privati,  sollecitate  da  un  Comitato  promotore  e  da  un  Sottoco-
mitato  d'instancabili  Patronesse.  Anche  il  Papa  largì  una  cospicua
somma.
Allora  fu  che  all'Oratorio  si  cambiò  nome,  intitolandolo  a  "  Don
Michele)  Rua ".  Oltre  all'ufficio  di  Direzione,  aveva  le  sale  dei  cate-
chismi  e  delle  scuole  serali,  sale  di  musica,  di  lettura,  di  ritrovo  per
circoli,  dopo  scuola,  dopo  officina,  conferenze,  e  le  stanze  di  abita-
zione,  non  che  due  cortili  fiancheggiati  da  portici,  uno  piccolo  per
i  giuochi  preferiti  e  uno  grande  per  campo  di  foot-ball.  Nella  chiesa,
che misura  metri 40 per 11, spicca  una  nota  di  armonia  e  di  eleganza.
Ci  voleva  pure  un  ricordo  di  Don  Rinaldi,  il  quale,  secondo  un  suo
costume,  aveva  fatto  tutto  senza  che  nulla  apparisse  di  suo;  perciò
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
il  6  febbraio  1927,  inaugurandosi  un  nuovo  salone, gli  si  diede  il  suo
nome.  L'opera  di  Monierosa,  benedetta  da  Dio,  compiè  e  va  com-
piendo  un  mondo  di  bene.
Fratello  dell'Oratorio  d'i  Monterosa,  anzi  quasi  gemello,  è  l'Ora-
torio  di  San  Paolo.  Era  tanto  il  bisogno  di  assistenza  religiosa  alla
gioventù  nel  borgo  di  tal  nome,  che  persone  secolari  s'ingegna-
vano  di  fare  qualche  cosa  secondo le  loro  forze.  Così  alcune  maestre,
socie  dell'Unione  Insegnanti  fondata  da  Don  Rinaldi,  s'industria-
vano  durante  la  guerra  per  attirare  i  giovani  alla  pratica  dei  doveri
cristiani,  ma  non  ottenevano  gran  che.  La  contessa  Rebaudengo-Ce-
riana,  zelatrice  delle  opere  buone  a  prò  delle  classi  operaie,  essendo
in  relazione  con  Don  Rinaldi,  che  le  aveva  affidato  la  direzione  d'un
Comitato di  "  Amiche  delle  Lavoratrici  "  istituite  da  lui  nell'Oratorio
femminile  delle  Figlie  dì  Maria  Ausjliatrìce  a  Valdocco,  propose  a
Sui  la  fondazione  di  un  Oratorio  in  quella  località,  promettendogli
la  somma  necessaria  per  l'acquisto  di  un  terreno.  Don  Rinaldi  il
4  febbraio  1918  ne  parlò  in  Capitolo  e  Don  Albera  disse  subito  che,
stante  il  bisogno  evidente  e  l'offerta  provvidenziale,  conveniva  ac-
cettare.  Il  3  aprile  fu  stipulato  il  contratto  per  la  compera  e  sen-
z'altro  venne  determinato  il  programma:  fondare  un  Oratorio  con
doposcuola  da  intitolarsi  a  S.  Paolo  in  ricordo  perenne  della  Messa
d'oro  del  medesimo  Don  Albera;  erigere  una  grande  chiesa  per  i
bisogni  spirituali  del  borgo  e  quale  centro  di  attività  religiosa,  ma
da  fabbricarsi  a  guerra  finita;  aprire  una  casa  famiglia  per  lavora-
tori.  Si  voleva  far  presto,  arrivando  all'inaugurazione  dell'Oratorio
per  la  festa  dell'Immacolata.  E  più  presto  non  si  poteva  fare:  a
mezzo  novembre  il  personale  era  già  sul  posto,  occupando  un  fab-
bricato  rurale  (1):  un  caseggiato  rustico  con  fienile  e  tettoia  per
carri,  un  tratto  di  abitazione  civile  con  portico,  una  casetta  rustica
di  fronte  tra  un  cortile  e  un  giardino  alberato.
Riattati  i  locali  e  improvvisata  una  cappella,  l'8  dicembre,  men-
tre  Don  Rinaldi  inaugurava  l'Oratorio  di  Monterosa,  Don  Albera
compieva  la  medesima  cerimonia  per  quello  di  S.  Paolo.  Nelle  tre
settimane  precedenti  i  Salesiani  erano  andati  raccogliendo  un  nu-
mero  sempre  crescente  di  giovani.  Il  24  novembre  fu  la  prima  do-
di Verb. del Cap. SuP-, i febbraio, 3 aprile, 2] giugno, 17 settembre, 23 ottobre 1918.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  morsicano
menica  dell'Oratorio.  Alla  Messa  assistettero  72  ragazzi;  nel  pome-
riggio  ruzzavano  là  attorno  in  200,  i  più  tutt'altro  che  farina  da  far
ostie.  Il  Direttore  e  i  suoi  due  aiutanti  lavoravano  alacremente  a
preparare  l'inaugurazione  ufficiale  nella  festa  dell'Immacolata.  Quel
giorno Don Albera celebrò dinanzi  a 300 birichini e a gente del popolo,
Erano  presenti  gli  amici  e  i  benefattori  della  prima  ora.  Dopo  la
Messa  Don  Albera  si  trattenne  alquanto  in  mezzo  alla  turba  giova-
nile,  mentre  si  andava  facendo  una  distribuzione  di  castagne.  Prima
di  partire  rivolse  con  la  sua  caratteristica  dolcezza  alcune  parole
al  pubblico  da  un  ballatoio.  Alla  sera  i  giovani  affluirono  ancor  più
numerosi.  Quel  giorno  segnò  una  vittoria.  La  gente  del  luogo  inco-
minciò  a  capire  non  essere  il  prete  la  bestia  nera  che  si  voleva  dare
a  intendere.  E  ce  n'era  bisogno.  A  Torino  il  nominare  San  Paolo
faceva  subito  pensare  al  borgo  più  rosso  immaginabile.  Episodi  tri-
stissimi  gli  avevano  creato  quella  fama.  Nella  massa  operaia  fer-
mentavano  odi  di  classe,  generatori  di  rivolte;  e  di  operai  si  com-
poneva  il  grosso  della  popolazione.
Mentre  si  lavorava  a  organizzare  l'Oratorio  in  modo  che  diven-
tasse  la  casa  di  tutti,  ecco  di  nuovo  la  mano  della  Provvidenza.  Una
Commissione  di  signori  e  signore,  d'accordo  con  Don  Rinaldi,  sì
profferse  a  Don  Albera  per  far  cintare  il  vasto  terreno  e  far  costruire
qualche  cosa  d'altro,  come  il  teatrino.  Intanto  presso  l'ufficio  dell'E-
conomato  Generale  salesiano  si  apprestava  un  disegno  regolare,
perchè  i  lavori  che  quei  signori  volevano  eseguire,  non  avessero  un
giorno a  essere demoliti  (1). Tra  questi  lavori  spuntò  un  edificio  a  due
piani,  dove  allogare  le molteplici  opere  già  in  attività  o in  program-
ma:  Unione  dei  Padri  di  famiglia,  cominciata  nel  1919  dal  signor
Gastaldo con 17  amici e  cresciuta  a più  di  600;  e  poi  Circolo S.  Paolo
e  Aspiranti  di  Azione  Cattolica,  Esploratori,  Piccolo  Clero;  Sezioni
sportiva,  ginnastica,  filodrammatica,  musicale  di  canto  e  di  stru-
menti  e  culturale;  doposcuola,  scuole  professionali  serali  e  segreta-
riato  del  popolo.  Prestavano  aiuto  professori  esterni,  che  ogni  sera
dedicavano  qualche  ora  a  tanta  gioventù  operaia.  Erano  tutti  mezzi
per  attirare  il mondo giovanile,  avvincerlo all'Oratorio,  istruirlo  nella
(1)  L.  e,  31  gennaio  e  17  maggio  1919,
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
dottrina  cristiana  e  iniziarlo  alle  pratiche  religiose,  Una  nota  sin-
golare  dominò  fin  da  principio  in  questo  Oratorio;  un  vivo  entu-
siasmo,  che  s'impadroniva  di  quanti  vi  entravano.  Lo  dicono  ancora
oggi  molti  di  quei  giovani  divenuti  uomini.  Non  si  creda  che  siano
mancate  le  noie.  Un  gruppo  di  giovinastri  per  alcuni  mesi  faceva
le  sassaiole  contro  gli  oratoriani,  provocando  reazioni,  che  causa-
vano  episodi  drammatici,  se  non  proprio  tragici  in  tutto  il  senso
della  parola.  Allontanati  dalla  polizia  gli  aizzatori  forestieri,  la  ves-
sazione  cessò  e  i  Salesiani  rimasero^ per  sempre  padroni  del  campo.
A  degno  coronamento  venne  la  chiesa.  Una  chiesa  grande  e
bella,  fatta  su  disegno  dell'architetto  salesiano  Giulio  Vallotti  e  in-
titolata  a  Gesù  Adolescente.  Per  questo  titolo  fu  presentata  ai  gio-
vani  come  chiesa  loro;  quindi  gli  alunni  dei  collegi  e  oratori  sale-
siani  contribuirono  con  il  loro  obolo  alla  sua  edificazione.  Erasi  di-
visato  che  ponesse  Don  Albera  la  prima  pietra  il  1°  novembre  1921 ;
ma  il  29  ottobre  egli  improvvisamente  moriva.  Tuttavia  il  lutto  non
fece  rimandare  la  cerimonia.  Benedisse  la  pietra  e  versò  la  prima
calce  il  Cardinal  Cagliero.  In  quattro  anni  s'arrivò  al  termine.  La
consacrò  l'Arcivescovo  Giuseppe  Gamba  il  31  ottobre  1925.  Il  po-
polo  quasi  intero  ne  gioì.  Quantum  mutatum  ab  ilio!  A  notte,  quando
le  campane,  che  per  più  di  cinquantanni  avevano  sonato  dal  san-
tuario  di  Maria  Ausiliairice,  trasportate  là,  invitarono  i  fedeli  alla
prima  benedizione  eucaristica,  le  case  del  borgo  s'illuminarono  in
segno  di  esultanza.  Durante l'ottavario  di  rito  incominciò  quel  fervor
religioso,  che  ancora  oggi  vi  si  ammira  e  che  dal  tempio  passa  alle
famìglie.  Nel  1934  il  Card.  Fossati  la  eresse  a  parrocchia.  Nel  giorno
della  consacrazione  Don  Rinaldi,  che  a  buon  diritto  poteva  conside-
rare  tutta  l'opera  di  S.  Paolo  come  creatura  sua,  scriveva  al  Diret-
tore:  «Nessuno più di  me  vede spuntare con  gioia  il  sospirato giorno
della  consacrazione  della  chiesa  a  Gesù  Adolescente  in  borgo  San
Paolo ».  Poi  dal  passato  dell'opera,  dimostratasi  veramente  provvi-
denziale,  pigliava  argomento  a  pronosticarle  nuovi  sviluppi  per  l'av-
venire;  nel  che  fu  facile  profeta,
Il  1919  ci  viene  innanzi  con  cinque  fondazioni  italiane:  una  in
Piemonte,  due  nell'Emilia  e  due  in  Sicilia.  Costarono  sforzi,  perchè
la  guerra  e  le malattie  avevano  diradato  le file del  personale;  perciò
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di Don  Albera  in  Italia,  Terremoto  morsicano
i  cominciamenti  si  fecero  con  i  minimi  mezzi,  nell'attesa  di  tempi
migliori.
Incominciamo  da  Asti,  capoluogo  del  circondario,  dove  nacque
Don  Bosco;  questo  memore  pensiero  al  Padre  influì  pure  a  non  la-
sciar cadere  la  proposta  (1).  Partiva  essa  da  un  duplice  Comitato  lo-
cale,  che  aveva  promossa  l'erezione  di  un  fabbricato  e  che  da  sei
anni  vi  si  occupava  di  un  Oratorio  cittadino,  ma  avendo  sempre  in
mira  di  prepararvi  l'avvento*  dei  Salesiani.  L'avevano  intitolato  " Ri-
creatorio  della  Vittoria  "  dal  luogo  dove  si  trovava;  ma  quell'ibrido
titolo  avrebbe  ceduto  il  posto  al  titolo  salesiano.  Era  un  Oratorio
aperto  tutta  la  settimana.  Fece  le  pratiche  presso  i  Superiori  Don
Stefano  Robino,  parroco  di  S.  Maria  Nuova.  L'edificio,  costruito  su
disegni  dell'Economato  Generale  dei  Salesiani,  era  grande,  bello,
corrispondente  a  tutte  le  esigenze  e  per  di  più  quasi  completamente
arredato.  L'ampiezza  dei  locali  rendeva  possibile  pensare  all'istitu-
zione  di  un  pensionato  per  giovani,  che  venivano  alle  scuole  gover-
native  in  città  dai  paesi  del  circondario,  affinchè  non  vivessero  in
balia  di  se  stessi  con  gravi  perìcoli  morali,  ma  ricevessero  una  soda
formazione cristiana.  Il pensionato cominciò solo nel  1923.  Il  19 otto-
bre dunque fu  mandato* D.  Luigi  Castellottj  ad  assumere  la  direzione
dell'Oratorio.  Egli  da  principio  menò,  prima  da  solo  e  poi  con  pochi
aiutanti,  una  vita  di  stenti;  ma  alla  fine  i  loro  sacrifici,  com'era  già
avvenuto più  volte  altrove,  diedero  i  frutti  desiderati.  A  poco  a poco,
per  esempio,  si  vide  andar  giù  il  teppismo  giovanile,  che  infestava
la  città.
I Riminesi,  chiamando  ì  Salesiani,  fecero  le cose  meglio  che quei
di  Asti,  perchè  non  si  contentarono  solo  di  far  trovare  loro  l'abita-
zione,  ma  vollero  provvederli  anche  dei  mezzi  di  sussistenza.  Non
aveva  avuto  esito  una  pratica  iniziata  dal  canonico  Francesco  Ven-
turino  nel  1885  con  Don  Bosco  e  proseguita  con  Don  Rua  per  un
Oratorio.  Don  Bosco  c'era  stato  nel  maggio  1882.  Senza  risultato  ri-
masero  pure  altre  pratiche  intraprese  da  Mons.  Ugo  Maccolini  nel
1892,  passate  per  le  mani  dell'Ispettore  Don  Cagherò  e  trascinatesi
a  lungo.  Le  condusse  a  termine  soltanto  nel  1919  l'Ispettore  Don  To-
masettì.  Il  predetto  Monsignore  e  altre  personalità  avevano  prepa-
(1)  Verb.  del  Cnp.  Sup.,  6  giugno  1919.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  VII!
rato  in  luogo  ridente  e  ameno  un  edifìcio  per  istituto  e  per  oratorio;
avevano  inoltre  costruito  e  dedicato  a  Maria  Ausiìiatrice  una  gra-
ziosa  chiesa,  che  il  Vescovo  sì  disponeva  a  erigere  senza  indugio  in
parrocchia.  Vari  cespiti  di  entrata  assicuravano  la  vita  ai  Salesiani
e  ulteriori  sviluppi  all'opera  (1).  Si  prese  possesso  nel  mese  di  otto-
bre.  Su  altre notizie  documentabili l'Archivio  è avaro.
Abbiamo  avuto  occasione  di  menzionare  nel  volume  prece-
dente  (2)  l'agronomo  Stanislao  Solari  di  Parma,  e  la  Scuola  Agricola
di  Montechiarugolo  presso  Parma.  Eccoci  ora  a  dover  parlare  di
questa  Scuola.  Della  teoria  solariana  abbiamo  detto  a  sufficienza
nel  luogo  citato.  La  Scuola  fu  aperta  in  un  ex-convento,  che  si  sa-
rebbe  prestato  per  un  collegio  di  cento  e  più  ragazzi.  Aveva  annessa
una  chiesa  e  attorno  quattro  ettari  di  terreno;  pochini  per  insegnare
i vari generi  di coltivazione:  ma  se  ne  acquistarono  quanti  bastavano
allo  scopo.  Un  Comitato  parmense,  che  si  occupava  dei  figli  di  con-
tadini  morti  in  guerra,  ne  mandò  subito  parecchi  e  continuò  poi  a
mandarne.
La  magrissima  cronaca  della  casa  ci  fa  sapere  senza  eufemismi
che  il  Direttore  Don  Pietro  Gullino  e  due  suoi  aiutanti  HI  novem-
bre  1919  arrivarono  portando  un  po'  di  materiale  da  un'altra  Scuola
Agricola  del  Piemonte  e  che  trovarono  molta  miseria  e  per  di  più
ambienti  poco  adatti,  mancanza  di  mobili,  terreno  di  difficile  lavo-
razione.  Ma,  nonostante  tutte  queste  contrarietà,  essi  e  i  loro  primi
18  allievi  non  si  perdettero  d'animo,  sicché,  messisi  all'opera,  con
la  pazienza  e  grazie  a  rinforzi  dì  personale  giunsero,  discretamente
soddisfatti,  ai  termine  dell'anno  scolastico.  Inoltrati  che  furono  nel
secondo  anno,  il  21  aprile  1921, si  sentirono  in grado  di  presentare  la
Scuola  alPonor  del  mondo  con  una  pubblica  inaugurazione,  alla
quale  intervennero  professori,  tecnici,  autorità  ed  anche  giornalisti.
La  sullodata  Cronaca  fa  una  serie  di  nomi  e  poi  laconicamente  eon-
chiude  dicendo  che  « la  festa  riusci  soddisfacentissima »,  Dovette
essere  stato  così,  perchè  la  Scuola  richiamò  fin  d'allora  l'attenzione
perfino  del  Ministero,  tanto  che  nell'anno  della  beatificazione  di  Don
Bosco  fu  dichiarata  sede  d'esami.  Come  già  in  altre  fondazioni,  là
(1)  L.  e,  28  gennaio  1919,
(2)  Pag.  459.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  marsicano
pure  si  sperimentò  la  verità  del  proverbio  che  chi  la  dura  la  vince.
La  Sicilia  nel  1919  alle  tredici  case  salesiane,  che  già  aveva,  ne
aggiunse  altre, due;  una  è  quella  di Trapani.  In  una  lunga  lettera  del
1886  il  Vescovo  Francesco  Ragusa  supplicava  Don  Bosco  di  voler
mandare  tre  o  quattro  Salesiani  a  prendere  la  direzione  degli  studi
e  l'amministrazione  del  seminario  minore  e  ad  aprire  un  Oratorio
festivo;  ma  non  fu  possibile  appagare  i  suoi  desideri,  né  sembra  che
egli  insistesse  ulteriormente.  Dovettero  passare  ancora  trentatrè  anni
prima  che  Trapani  potesse  avere  i  figli  di  Don  Bosco.  Li  ottenne  il
Vescovo  Francesco  Raìti  carmelitano,  che  il  7  novembre  1918  scri-
veva  a  Don  Albera:  «Confido  che  a  mezzo  di  qualche  degnissimo
figlio  di  Don  Bosco,  che  a  causa  del  servizio  militare  abbiamo  avuto
l'onore  e  la  consolazione  di  ospitare  nella  nostra  città,  ammiran-
done  con  vera  edificazione  lo  zelo  incomparabile  per  le  nostre  po-
vere  opere  di  educazione  dei  fanciulli,  V.  S.  Rev.ma  avrà  potuto
apprendere  che,  dopo  tutto,  è  proprio  il  caso  dì  affermare  che  io
e  V.  S.  Rev.ma  saremmo  costretti  a  sentire  rimorso,  se  non  provve-
dessimo  d'urgenza  con  tutte  le  nostre  forze  a  dare  alla  vigna  giova-
nile  di  Trapani  i  coltivatori  tecnici  della  educazione  cristiana  della
gioventù,  quali  sono  appunto  i  benemeriti  Figli  di  Don  Bosco »,
Erano  due  i  salesiani  militari  di  stanza  a  Trapani  nel  1915.  Si
unirono  essi  con  due  sacerdoti  locali  nel  mand.are  avanti  un  loro
Oratorio  festivo.  Alcune  nobili  Signore  ne  seguivano  l'opera  con  in-
teresse  e  simpatia  e  formarono  un  Comitato  a  fine  di  sostenerla.
Questo  Comitato  subito  dopo  la guerra  fece  istanza  a  Don  Albera  per
la  fondazione  di  una  casa  salesiana  in  città.  E  non  furono  solo  pa-
role,  ma  il  Vescovo  per  primo  e  qualche  altra  persona  misero  in-
sieme  la  somma  necessaria  per  l'acquisto  di  un  palazzo  annesso  a
una  chiesa  di  S.  Alberto,  adattandolo  a  collegio.  I  Salesiani  lo  inau-
gurarono  nel  settembre  1919,  aprendovi  scuole  per  esterni  e  un  pen-
sionato  per  alunni  di  scuole  medie.  Se  non  che  quel  luogo  si  rivelò
incomodo  e  senza  possibilità  di  sviluppi.  La  principessa  Sofia  di
Resuttana,  che  aveva  già  fatto  molto  per  i  Salesiani,  diceva  che  Don
Bosco  per  tutta  una  notte  l'aveva  martellata  col  pensiero  che  do-
vesse  procurar  loro  un  certo  altro  edificio.  Ella  non  seppe  resistere
e  fece  la  compera.  Sistemato  il  locale,  i  Salesiani  vi  si  trasferirono
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
nel  1923.  Il  9  gennaio  Don  Rinaldi  assistette  alla  benedizione  della
prima  pietra  di  una  chiesa  da  dedicarsi  a  Maria  Ausiliatrice.  La
chiesa fu  consacrata  il  15  aprile 1925,  divenendo  centro  di culto  e  di
pietà  con  grande  vantaggio  di  tutto  il  rione.  Oggi  è  parrocchia.  Le
difficoltà  disciplinari  consigliarono  di  sostituire  al  pensionato  un
doposcuola;  poi  anche  questo  cedette  il  posto  a  una  scuola  prepara-
toria  e  media parificata.  Si  modificò  pure  l'Oratorio,  ma  per  renderlo
quotidiano.
I  Salesiani  non  avevano  ancora  in  Sicilia  un'opera  di  pura  be-
neficenza;  perciò  un  Ispettore,  scrivendo  a  Don  Albera,  manifestava
il  timor  suo,  che  i giovani  soci,  abituati  ai  collegi  dove non  mancava
nulla,  dimenticassero  la  missione  dei  figli  di  Don  Bosco,  la  quale  è
di  fare  la  beneficenza,  raccogliendo  poveri  fanciulli  e  cercando  ele-
mosine.  Si  augurava  quindi  e  pregava  il  Signore,  che  offrisse  l'occa-
sione  d'incominciare  qualche  cosa  rispondente  a  tale  scopo.  E  il  suo
augurio  e  la  sua  preghiera  furono  esauditi.  Nel  febbraio  1918  a  Pa-
lermo  un  Gomitato  " Pro  orfani  di  guerra "  deliberò  di  affidare  ai
Salesiani  l'educazione  e  l'istruzione  dei  giovanetti  orfani  di  guerra
più  bisognosi  di  assistenza  e  proponeva  che  si  fondasse  per  loro  in
città  un  istituto  professionale.  Avuto  l'assenso  dei  Salesiani,  il  Co-
mitato  ottenne  dal  Municipio  un  ampio  locale  da  mettere  a  loro di-
sposizione,  promettendo  di  aiutare  nelle  spese  d'impianto,  di  con-
tribuire  per  il  mantenimento  e  di  lasciare  libertà  di  fare  quanto  si
sarebbe  creduto  utile.  La  notizia  che  i  Salesiani,  assai  ben  voluti
in  PaiermOj  avevano  accettato,  determinò  una  larga  corrente  di
simpatia  per  l'opera  da  essi  intrapresa.
II  locale,  detto  dì  Santa  Chiara,  perchè ex-monastero  delle  Cla-
risse,  si  trovava  nel  centro  della  città;  ma  era  in  pessime  condizioni.
Bisognò  demolire  per  ricostruire.  Sette  salesiani  con  venti  orfani
nell'ottobre  1919  vi  si  acconciarono  come  poterono,  accingendosi
con  fervore  alla  riedificazione.  Nel  gennaio  1920  gli  orfanelli  erano
42  e  aumentando  di  anno  in  anno  arrivarono  a  150.  Siccome  entra-
vano  quasi  sempre  inferiori  ai  dodici  anni  e  spesso  erano  analfa-
beti,  prima  di  metterli  al  lavoro,  facevano  le  prime  tre  classi  ele-
mentari.  Da  principio  riluttavano  contro  i  disagi  dell'ambiente  e
si  mostravano  indocili;  ma  l'esempio  dei  superiori,  che  non  stavano
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meglio  di essi, e le  loro  visibili  premure per  migliorare  le  condizioni,
finirono  con  pacificarli.  Si  dovette  lottare  anche  contro  l'incom-
prensione  e  il  malanimo  di  certi  membri  del  Comitato,  che  cavilla-
vano  odiosamente  per  negare  i  sussidi  pattuiti  a  favore  dei  rico-
verati  e  manovravano  sott'acqua  per  laicizzare  l'opera.  Tutto
ciò  per  altro  non  impedì  il  progredire  dei  restauri,  l'attrezzamento
dei  laboratori  e  l'apertura  dell'Oratorio  festivo.  Venuti  meno  gli
orfani  di  guerra,  i  Salesiani  avevano  potuto  acquistare  la  proprietà
dello  stabile,  nel  quale  continuarono  ad  ammettere  poveri  orfani.
La  bellissima  chiesa  pubblica,  monumento  nazionale,  si  prese
a  ufficiare  fin  dai  primi  giorni  con  crescente  frequenza  della  popola-
zione  alle  funzioni  e  ai  sacramenti.  Particolarità  degna  di  nota  si
è  che  in  questa  chiesa  stava  da  molti  anni  esposta  alla  venerazione
dei  fedeli  una  statua  di  Maria  Ausiliatrice  (1).
Nel  1920  e  '21,  fin  dopo  la  morte  di  Don  Albera,  fondazioni  ita-
liane  più  non  vi  furono;  si  era  fatto  già  quasi  troppo  ultimamente,
date  le  condizioni  postbelliche  del  personale.  Perciò  nelle  proposte
solite  ad  annunciarsi  dal  Rettor  Maggiore  nelle  lettere  di  gennaio
ai  Cooperatori  per  ogni  anno  che  incomincia,  Don  Albera  non  ne
annunciò  per  fondazioni  da  eseguirsi  in  Italia  durante  quel  biennio.
Invece  ricordava  ai  Cooperatori  le  chiese  e  le  altre  fabbriche  in  co-
struzione,  i  bisogni  delle  Missioni,  la  cura  delle  vocazioni  per  accre-
scere  il  personale  salesiano.  Ma,  mentre  invocava  il  loro  aiuto  mate-
riale,  raccomandava  pure  al  loro  zelo  la  cooperazione  salesiana,
ossia  l'apostolato  voluto  da  Don  Bosco  per  far  fronte  eglino  stessi
nelle proprie  terre  alle esigenze  spirituali  delle  popolazioni  in  quegli
anni  dei  dopoguerra.
Terremoto  maraieano.
Dopo  aver  detto  di  tante  fondazioni  italiane,  diciamo  anche  di
una  distruzione  e  di  altre  conseguenze  derivate  da  una  medesima
causa,  in  quanto  riguardarono  da  vicino  i  Salesiani.  Alludo  al  ter-
remoto  denominato  della  Marsica,  dalla  località,  dove  si  fece  sentire
(1)  Terb.  del  Cap.  Sap„  9  luglio  1919.
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più  tremendo.  Marsica  si  chiama  la  regione  dell'Italia  centrale  abi-
tata  anticamente  dai  Marsi  e  avente  per  capoluogo  Avezzano  nell'A-
bruzzo  Aquilano.
La  mattina  del  mercoledì  13  gennaio  1915,  alle  ore  7,53,  una
forte  scossa  tellurica  durata  per  più  di  trenta  secondi  mise  in  ispa-
vento  tutta  Roma,  causando  lesioni  a  molti  edifici  e  seminando  ro-
vine  e  strage  nelle  terre  attorno.  Dai  luoghi  maggiormente  colpiti
non  si  seppe  nulla  tutto  il  giorno,  essendo  interrotte  le  vie  di  comu-
nicazione;  ma  nella  notte  presero  a  giungere  treni  di  feriti,  che  sve-
larono  la  tragicità  del  disastro,  Roma  fu  tosto  in  moto  per  appre-
stare  soccorsi.  Anche  il  Papa  riempì  di  feriti  l'ospizio  apostolico  di
Santa  Marta  presso  il  Vaticano;  anzi,,  spinto  dalla  sua  carità,  andò
due  volte  a  visitare  i  ricoverati,  accostandosi  a  ciascun  letto,  rivol-
gendo  ai  poveretti  parole  di  conforto  e  dando  loro  una  medaglia
d'argento  e  la  benedizione.  Quante  fantasie  allora  nella  stampa  in-
torno  all'extraterritorialità!  Non  appena  fu  nota  l'entità  della  scia-
gura  anche  le  altre  città  italiane  gareggiarono  nell'arrecare  aiuto.
Il  cataclisma  aveva  sconvolto  più  o  meno  una  larga  estensione
del  territorio  nazionale,  ma  colpendo  maggiormente  la  provincia  di
Aquila;  nell'industre  Avezzano  sopra  undicimila  abitanti  scampa-
rono  appena  ottocento,  feriti  la  massima  parte  e  non  leggermente.
II  Vescovo  dei  Marsi,  residente  a  Pescina,  telegrafò  al  Papa  che  la
sua  diocesi  era  ridotta  a  un grande  cimitero.
Accennato  questo  per  sommi  capi,  veniamo  a  noi.  Subitochè
a  Roma  s'intuì  la  gravità  del  fatto,  tre  sacerdoti  salesiani  volarono
col  primo  treno  di  soccorso  sul  luogo  maggiormente  colpito,  prodi-
gandosi  per  ventiquattro  ore  in  dar  aiuto  spirituale  ai  morenti.  Al
loro  ritorno,  partì  una  seconda  squadra,  composta  di  cinque  sale-
siani  e  tre  Figlie  di  Maria  Ausiliatrice  e  guidata  dall'Ispettore  Don
Conelli.  Si  dirigevano  questa  volta  a  Gioia  dei  Marsi  per rintracciare
il  parroco  e  il  viceparroco  salesiani  e  tre  Figlie  di  Maria  Ausilia-
trice  colà  dimoranti,  dei  quali  a  Roma  non  si  potevano  avere  infor-
mazioni.  Di  salesiani  poi  se  ne  trovavano  sempre  dì  e  notte  sotto  la
tettoia  della  stazione  a  prestar  opera  di  sacerdoti  e  anche  d'infer-
mieri.
La  nostra  squadra  viaggiante  vedeva  dal  treno  mucchi  di  ro-
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vine  là  dov'erano  prima  Avezzano  e  i  paeselli  che  abbellivano  le
sponde  del  Fìcino  da  Avezzano  a  Pescina.  Qui  giunti,  scavalcando
monti  di  macerie,  ritrovarono  la  già  nota  strada  di  Gioia  e  vi  s'in-
camminarono  di  buon  passo,  rimontando  di  tanto  in  tanto  su  nuovi
mucchi  di  rovine.  Lungo  il  percorso  incontravano  segni  terrificanti
del  flagello:  fenditure,  crepacci,  spaccature,  dislivelli,  macigni  fra-
nati.  Dopo  circa  venti  chilometri  a  piedi,  ecco  dove  Gioia  non  era
più:  non  un  muro  restava  dritto.  Almeno  li  confortò  l'apprendere
che  i due confratelli  erano  illesi,  sebbene  entrambi se  la  fossero  vista
brutta.  Il  viceparroco  era  rimasto  alcune  ore  sotto  i  calcinacci  della
canonica.  II  parroco,  che  nel  momento  della  catastrofe  stava  cele-
brando,  giunto  all'offertorio,  aveva  visto  precipitare  tetto  e  pareti
della  chiesa  e,  apertosi il  pavimento,  sì  trovò  ad  un  tratto  nel  sotter-
raneo, protetto  da  un  arco che stette saldo,  onde potè  uscire  subito da
sé all'aperto. E le Suore? Le poverine giacevano ancora sepolte né  per
esse  vi  era  più  speranza  di  scampo.  Solo  a  mezzogiorno  del  16  fu-
rono  là  soccorsi  di  soldati;  ma  di  sotto  le  macerie  non  si  udiva  più
da  nessuna  parte  un  gemito;  era  tutto  una  tomba.  Le  salme  delle
tre  religiose  poterono  essere  disseppellite  solo  dopo  vari  giorni  di
lavoro,  I  miseri  corpi,  avvolti  in  candidi  lini  e  deposti  nelle  casse,
vennero  accompagnati  al  camposanto  dalle  poche  Figlie  dì  Maria
superstiti. Tumulate  in  unica fossa, una gran  croce serba  i  nomi  delle
sacre  Vergini,  che  erano  riapparse  alla  luce  tutte  sì  ben  composte
da  sembrare  in  atto  di  fare  volontariamente  a  Dio  il  supremo  ine-
vitabile  sacrificio.
Un'opera  importante  attendeva  poco  dopo  i  Salesiani  a  Roma.
Fra il  23  e  il 24 i  treni  portarono  un  migliaio  di  bambini  e bambine,
e  il  Patronato  Regina  Elena ?   non  ancora  disciolto  dopo  il  terremoto
di  Messina  (1),  ne  avviava  quanti  più  poteva  all'ospizio  del  Sacro
Cuore  e  al  vicino  istituto  delle  Suore,  affinchè  si  desse  loro  un  col-
locamento  provvisorio.  Circa  duecento  fanciulli  e  altrettante  fan-
ciulle  poterono  avere  ospitalità  nelle  case  salesiane  della  capitale.
Nell'ospizio  fu  trasformata  in  dormitorio  l'ampia  cappella  interna,
mandando  artigiani  e  studenti  per  le  funzioni  nel  coro  della  basi-
(1)  Ann.,  v.  Ili,  p.  756.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
lica.  La  casa  del  Testacelo  emulava  l'ospizio  del  Sacro  Cuore,  do-
poché  aveva  fatto  opera  molto  caritatevole  nel  giorno  della  scossa.
Un  palazzo  poco  discosto  dalla  chiesa  aveva  riportato  gravi  lesioni,
che  obbligarono  a  sfrattare  gl'inquilini.  Il  parroco  Don  Olivares,
preso  in  affitto  per  due  mesi  un  locale,  vi  allogò  una  ventina  di  fa-
miglie  con  87  persone.  Don  Conelli  intanto,  fatto  un  giro  per  tutti  i
ricoveri,  che  non  fossero  istituti,  con  l'autorizzazione  del  Patronato,
scelse  una  quarantina  di  minorenni  da  mandare  nella  casa  di  Gan-
zano,  poco  distante  da  Roma,  fra  i  Castelli  romani.
Nel  pomeriggio  del  6  febbraio/ecco  la  Regina  Madre,  Marghe-
rita  di  Savoia,  all'ospizio  del  Sacro  Cuore,  in  vìsita  pietosa.  La  rice-
vettero  il  Direttore  Don  Tomasetti  e  parecchie  dame  dell'aristocrazia
dimoranti  nel  rione,  avvertite  all'improvviso.  Un  ragazzo  di  Avez-
zano  le  rivolse  alcune  parole  di  commovente  semplicità.  Veduti  i
locali  dei  ricoverati,  la visitatrice  entrò  nella  chiesa  del  Sacro  Cuore,
dove fu  impartita la benedizione eucaristica.  Dopo  si recò  dalle Figlie
di  Maria  Ausiìiatrice,  ammirandovi  l'ordine  e  la  proprietà  dell'im-
provvisato  dormitorio,  come  aveva  fatto  gli  elogi  per  quello  allestito
entro  la  cappella  dell'ospizio.  Anche Benedetto  XV  s'interessava  per-
sonalmente  dei  piccoli  ricoverati,  designando  suoi  inviati  speciali,
che  li  visitassero  e  regalassero  a  ognuno  un  libro  di  preghiere,  una
coroncina  e  aranci.
Ma  egli  fece  ancor  più  per  gli  orfani,  come  ce  lo  attesta  pure
una  lettera  scritta  il  9  marzo  dal  Card.  Gasparri  a  Don  Albera.  Il
Segretario  di  Stato  diceva  che  il  Santo  Padre  con  la  cooperazione
dei  Vescovi  aveva  potuto  provvedere  alla  collocazione  d'un  numero
grande  di  orfanelle;  ma  orfani,  per  la  scarsità  di  istituti  maschili
diocesani,  appena  trenta  avevano  potuto  godere  della  carità  pon-
tificia,  e  aggiungeva:  « Se  mancano  istituti  maschili  diocesani  adatti
allo  scopo,  l'Augusto  Pontefice  ben  conosce  che  esiste  in  Italia  una
fiorentissima  Congregazione  religiosa,  quella  dei  figli  del  Yen.  Don
Bosco,  i  quali  in  ogni  pubblica  o  privata  sventura,  ed  anche  nel  re-
cente  terremoto,  si  sono  fatti  ammirare  per  lo  slancio  di  generosa
pietà  e  di  carità  cristiana,  e  che,  tutti  dediti  all'educazione  giovanile,
tengono  in  tutta  Italia  un  notevolissimo  numero  di  fiorenti  collegi
ed  istituti  maschili  [...]  e  l'Augusto  Pontefice,  attesa  appunto  l'alta
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Le  fondazioni  di  Don  Albera  in  Italia.  Terremoto  marsicano
stima  in  cui  tiene  i  Salesiani,  ben  volentieri  affiderebbe  loro  tutti
quegli  orfanelli  che  essi  potessero  accogliere  gratuitamente  nei  loro
Istituti  d'Italia ».  Don  Albera il  12  dello  stesso mese  rispose  dicendo;
« Malgrado  le  strettezze  in  cui  ci  troviamo,  faremo  tutto  ciò  che  po-
tremo  per  corrispondere  ai  desideri  del  Santo  Padre».
Del  buon  volere  di  Don  Albera  l'Ispettore  Don  Conelli  riferiva
il  26  marzo  al  Card.  Gasparri  in  una  udienza  da  lui  avuta,  dicen-
dogli  come  il  Superiore,  appena  informato  che  solo  una  trentina  di
orfanelli  avevano  potuto  ottenere  ricovero  definitivo,  avesse  escla-
mato  spontaneamente:  —  Altrettanti  vogliamo  riceverne  noi,  e  gra-
tuitamente.  —  Il  Cardinale,  dicendosi  lieto  di  riscontrare  in  tale  im-
peto  di  carità  lo  spirito  sempre  vivo  del  Fondatore  della  Società
Salesiana,  lo  incaricò  di  portargli  i  ringraziamenti.  Avendo  poi  Don
Conelli  soggiunto  che  la  carità  di  Don  Albera  sì  sarebbe  certamente
spinta  più  oltre,  se  non  fossero  state  le  straordinarie  difficoltà  eco-
nomiche  dell'ora,  il  Cardinale  se  ne  mostrò  convintissimo  e  disse:
—  Ab  amlcis  honesta  petamus.  Non  potremmo  domandare  di  più,
È  molto  questo  che  fanno,  aggiunto  a  tutto  il  resto  che  già  facevano.
E  quello  che  già  facevano  in  questo  campo  non  è  interamente
conosciuto,  perchè  non  vi  si  diede  pubblicità.  Avrebbero  ben  voluto
i  giornalisti  romani  amici  sapere  per  divulgare  e  lodare,  e  assedia-
vano  Don  Conelli;  ma  egli  aveva  scritto  a  Torino  il  26  gennaio:
«Niente  per  me  di  più  antipatico  e  di  meno  opportuno.  Per  grazia
di  Dio,  l'Italia  sa  già  che  i  Salesiani  fanno  e  fanno  sempre  tutto
quello  che  possono!».
A  Roma  nel  1916  la  parrocchia  di  S.  Maria  Liberatrice  restò
priva  di  quel  tesoro  di  parroco,  che  fu  Don  Luigi  Olivares.  Il  suo
zelo  pastorale  e le  sue  non  ordinarie  virtù  avevano  richiamato  sopra
di  lui  l'attenzione  del  Santo  Padre  Benedetto XV,  che  lo  nominò  Ve-
scovo di Nepi  e Sutri,  le diocesi già  di  S.  Pio V. Nato  neli'archidiocesi
milanese  e  preparato  al  sacerdozio  nel  seminario  ambrosiano  dal
futuro  Arcivescovo  di  Ravenna  Pasquale  Morganti,  affezionatissimo
allievo  di  Don  Bosco,  si  era  sentito  crescere  nell'anima  i  due  amori
a  Don  Bosco  e  alla  gioventù,  onde  nel  1904,  superati  gravi  ostacoli,
potè  far  pago  il  voto  del  suo  cuore,  dando  il  nome  alla  Società  Sa-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  Vili
lesiana.  Mandato poi  a reggere quella parrocchia novella, con la  mo-
destia  semplice  e  umile, che  era  uno  de'  suoi  più  cari  pregi,  aveva
in  sei  anni  svolto  un'azione  maravìgliosa,  come  lo  dimostrava  il
complesso  di opere  religiose  e  sociali,  che  ne  fecero  vivamente  rim-
piangere la partenza.  Nella nuova  e più  ampia sfera  di attività, servì
santamente  la  Chiesa,  forma  factus  gregis  ex  animo,  secondo  l'in-
segnamento  del  Principe  degli  Apostoli  (1).
(1)  I,  Petr.,  V,  3.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  Di
Fondazioni  di  Spagna,  Svizzera  e  Francia.
Orense,  Alcala  de  Guadoiro,  Alicante,  La  Corufiu,  ArcoB  de  !a  Frontera,  Villetta,
Ronda.  —  Lugano,  Morgee.  —  Caìuìre,  St.  Genie  Lavai  (Pressi»),  St.  Rembert
Nel  1913  Don  Albera  visitò  le  case  salesiane  della  Spagna,  im-
piegandovi  quattro  mesi,  dalla  metà  di  gennaio  alla  metà  di  mag-
gio.  Alcune  circostanze  ci  aiutano  a  comprendere  quali  accoglienze
vi  ricevette.  Erano  tanti  i  desiderosi  di  assistere  alla  sua  Messa  e
di  avere  dalle  sue  mani  la  santa  comunione,  che  in  qualche  luogo
fu  necessario  stabilire  turni,  ammettendo  un  giorno  i  Cooperatori,
un  altro  giorno  le  Cooperatici,  un  terzo  gli  ex-allievi  e  così  via.  A
Ciudadela nell'isola dì Minorca per riguardo a lui si  rimandò  la rap-
presentazione  di  un'opera  già  allestita  per  allora  nel  teatro  citta-
dino.  Al  Governatore  di  Salamanca  il  Ministro  dell'Interno  Roma-
nones  ordinò  di  dislocare  un  buon  nerbo  di  guardie  civili  per  im-
pedire  eventuali  disordini  negli  affollamenti;  ma  le  guardie  servi-
rono  a  rendere  più  solenne  il  tragitto  dalla  stazione  al  collegio.  A
Santiago  le  Autorità,  pensando  che  veniva  il  padre  dei  giovani,  gli
mandarono  incontro  a  riceverlo  oltre  quattrocento  ragazzi,  che,  se-
guiti  da  immenso popolo,  lo  accompagnarono  con  grida  di  evviva  a
lui  e  a  Don  Bosco.  Come  si  vede,  la  luce  di  Don  Bosco  irradiava
ancora  dopo ventisette  anni il  suo  secondo  successore.
Da  tempo  non  c'era  più  quasi  alcuna  parte  della  penìsola  ibe-
rica,  dove  non  fosse  pervenuta  la  fama  di  Don  Bosco  e  delle  sue
opere;  onde la frequenza di domande per avere i  Salesiani, La prima
casa fondata  da Don Albera nella  Spagna fu  quella  di  Orense, capo-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
luogo  di  provincia  sul  Minho  in  Galizia.  Venne  aperta  nel  1910.  La
signora  Carolina  Vazquez  aveva  lasciato  per  testamento  nel  1897
parte  della  sua  sostanza,  cioè  un  palazzo  e  i  terreni  circostanti,  af-
finchè  i  Salesiani  portassero  qualche  loro  opera  a  Orense;  ma  erano
questi  appena  •entraiti  in  possesso,  che  sorsero  i  presunti  eredi  a
contestare  e  a  disturbare.  Prolungandosi  ognor  più  la  lite,  il  Vicario
Generale,  quale  esecutore  testamentario,  propose  nel  1909  una  tran-
sazione:  i  Salesiani  ritornassero  al  possesso  dell'eredità,  ma  senza
reclamare  né  i  frutti  per  il  tempo  dell'allontanamento  né  il  risarci-
mento  dei  danni  derivatine,  e  gli  eredi  desistessero  da  ogni  pretesa
e  si  obbligassero  a  pagare  i legati  inerenti  al  lascito.  Ma tale  transa-
zione,  secondo  le  leggi  spagnole,  doveva  essere  sottoposta  al  bene-
placito  della  Santa  Sede.  Il  Card.  Vives,  Prefetto  della  Sacra  Con-
gregazione  dei  Religiosi,  per  la  conoscenza  che  aveva  dell'ambiente,
consigliò  di  non  insistere per  le  vie  legali,  perchè  non  si  sarebbe  ve-
nuti  a  capo  di  nulla,  e  di  ritenere  invece  la  proposta  transazione
come  l'unica  maniera  di  risolvere  l'increscioso  affare.  E  si  stette  al
suo  consiglio.
A  Orense  i  Salesiani  erano  molto  desiderati;  ma  quella  contro-
versia  impedì  che  vi  andassero  prima  del  1910.  Incominciarono  con
scuole  elementari  per  esterni  e  con  l'Oratorio  festivo,  nella  speranza
di  potere  in  seguito  svilupparsi  più  ampiamente,  fondati  anche  su
varie  promesse  di  aiuti.  Ma  nonostante  i  gravi  e  continui  sacrifìci
delPIspettoria,  l'opera  rimaneva  rachitica;  cause  principali,  la  di-
stanza  della  casa  dal  centro  della  città  e  la  posizione  sul  fiume,  che
mandava  umidità  e  nebbia;  perciò,  se  si  fosse  voluto  mettere  l'inter-
nato,  difficilmente  i  genitori  vi  avrebbero  condotto  i  figli.  Più  volte
quindi  si  fu  sul punto  di  chiudere;  ma  alte  influenze  agirono  sempre
in  senso  contrario  e  oggi  i  Salesiani  sono  ancora  là  in  pochi  a  fare
quel  poco  che  possono.
Dai  documenti,  che  abbiamo sotto  gli  occhi,  appare  che  era  sen-
tito  allora  dai  Salesiani  nella  Spagna  il  bisogno  di  arrestare  l'espan-
sione  per  aver  modo  di  rassodare  le  opere  esistenti;  difatti  dopo  la
modesta  unica  fondazione  del  1910  non  ne  compaiono  altre  prima
del  1914,  nel  qual  anno  se  ne  fecero  due  di  non  grande  portata;
appresso  nello  spazio  di  sette  anni,  cioè  fino  alla  morte  dì  Don  Al-
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bera,  se  ne  annoverano  appena  quattro,  anch'esse  d'importanza
poco  notevole.
La  prima  fondazione  del  1914  è  quella  di  Alcaìà  de  Guadaira,
a  mezz'ora  da  Siviglia.  La  vedova  Virginia  Belloe  aveva  destinato
lire  centomila  in  contanti  per  l'istituzione  di  scuole  elementari  gra-
tuite  a favore di  esterni poveri  e  per l'apertura  di  un Oratorio  festivo.
Un  cugino  della  signora,  Rettore  dell'Università,  avrebbe  voluto  met-
tere  la  somma  nelle  mani  della  Curia  vescovile;  ma  a  tale  condi-
zione  i  Superiori  non  accettavano  l'offerta.  Onde  quegli  la  rimise
in via  confidenziale,  come  del  resto  era  intenzione  della  cugina.  Essa
poneva  inoltre  a  disposizione  dei  Salesiani  un  ex-convento  di  Car-
melitane  arredato  per  scuole  e  una  chiesa  annessa.  Le  trattative  du-
rarono  quattro  anni  chiudendosi  nel  1913  (1).  La  fondatrice  non
escludeva  l'internato,  che  fu  realmente  aggiunto  molto  più  tardi,
ma  in  mediocri  proporzioni.
La  seconda  fondazione  del  medesimo  anno  appartiene  ad  Ali-
cante,  città  e  porto  sul  Mediterraneo,  ben  nota  per  il  suo  vino.  I  Sa-
lesiani  vi  trovarono  molto  diffusa  la  divozione  a  Maria  Ausiliatrice,
che  sembrava  anzi  la  più  popolare  di  tutte.  Appunto  da  questa  divo-
zione  nacque  l'idea  di  chiamare  i  figli  di  Don  Bosco.  Lo  zelo  di  quei
Cooperatori,  massime  del  loro  Direttore  diocesano  Can.  Modesto
Nàjera,  aveva  preparato  non  solo  il  collegio,  ma  anche  una  bella
chiesa  costruita  per  loro  e  dedicata  a  Maria  Ausiliatrice.  Per  lungo
tempo  gli  allievi  furono  esterni  e  del  corso  elementare.  Nel  febbraio
1914  alla  benedizione  e  inaugurazione  fatte  dal  Vescovo  assistette
la  città  quasi  intera;  i  vecchi  non  ricordavano  una  manifestazione
religiosa  accompagnata  da  un  entusiasmo  così  fervido  e  generale.
Due  anni  dopo  ebbe  principio  l'opera  di  La  Coruna,  capoluogo
della  provincia  omonima  nella  Galizia,  sull'Atlantico,  La  benefica  e
pia  Cooperatrice  Raimonda  Matos,  attratta  dalla  fama  di  Don  Bosco,
era  venuta  a  Torino per procurarsi  la  consolazione  di  parlare  con  un
santo.  Don  Bosco  la  ricevette  con  squisita  bontà,  le  fece  visitare  l'O-
ratorio  e  lasciò  nell'animo  suo  una  profonda  impressione  insieme
con  un  vivo  affetto  per  l'Opera  Salesiana  e  una  tenera  divozione
a  Maria  Ausiliatrice.  Desiderosa  di  vedere  i  Salesiani  nella  sua  pa-
ci) Veri, del Cap. Sup., 10 dicembre 1913.
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tria  prima  di  morire  e  ricordando  averle  detto  Don  Bosco  che  per
questo  il miglior mezzo  era propagare la  divozione  a  Maria  Ausilia-
trice, si  adoperava quanto poteva per diffonderne il culto. Intanto ve-
niva  organizzando  la  Pia  Unione  dei  Cooperatori.  Intoppò  in  non
pochi ostacoli; ma alla fine la promessa  di Don  Bosco si  avverò.
Esisteva dal 1886 in  città una  Scuola  elementare  gratuita per ra-
gazzi  poveri.  L'aveva  fondata  un  colonnello  d'artiglieria  e  la  man-
teneva con i mezzi da lui lasciati un gruppo dì buoni cattolici, preoc-
cupati  dell'abbandono  di tanta povera  gioventù. L'istituzione  godeva
di  una popolarità grande;  ma gl'interessati volevano  assicurarne  l'e-
sistenza,  affidandola  a  una Congregazione  religiosa.  A  quale,  se  non
a  quella  di  Don  Bosco?  La  signora  Matos  l'aveva  ornai  fatta  cono-
scere  a  tutti.  Le  pratiche,  intraprese  nel  1907,  duraron  nove  anni,
chiudendosi con una convenzione. La Scuola disponeva di fondi assai
limitati e aveva  sede in una  casa  più piccola che mediocre;  la  carità
privata  sopperiva  abbastanza  a  quello  che  mancava.  Don  Albera,
che era stato  a  La Coruna nel  1913 e aveva visto quanto  entusiasmo
vi  fosse  per  i  Salesiani,  non  esitò  a  sottoscrivere  il  contratto,  seb-
bene  l'onorario pattuito  fosse  inferiore al bisogno.  Fece  solo  una  ri-
serva. L'esperienza  aveva  insegnato  che  le  fondazioni concertate con
enti finiscono sempre con dover stare subordinate a  estranei, i  quali,
anche  senza  cattive  intenzioni,  inceppano  la  libertà  di  azione.  È
umano  del  resto  che  i  membri  di  tali  enti  rinuncino  malvolentieri
ai vantaggi, se non altro, morali  che ne ritraggono  di fronte  alle po-
polazioni; peggio poi quando vi si mescolassero  interessi d'ordine  di-
verso.  Don  Albera  dunque  volle  inserita  nel  patto  la  clausola  che
ai  Salesiani  fosse  riservata  libertà  assoluta  di  svolgere  la  loro  atti-
vità  secondo  il  loro  spirito  ed  anche  trasportando  la  residenza  in
altro  punto  della  città,  se  così  fosse  loro  piaciuto,  non  che  di  far
ricorso alla carità cittadina (1). Si affacciava fin d'allora la prospettiva
che  quell'edificio si sarebbe dovuto  abbandonare,  perchè  insufficiente
e  disagiato,  coirne  difatti  avvenne.
I  Salesiani  giunsero  a La  Coruna  il 13  luglio  1916.  Da  prima  si
limitarono a continuare le  scuole elementari, come le  trovarono,  ag-
giungendovi  naturalmente l'Oratorio festivo, che si  popolava dei loro
(1)  L.  e,  30  giugno  1916.
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alunni.  Per  l'Immacolata,  la  prima  festa  salesiana  ivi  celebrata,  una
festa  di  comunioni,  di  canti  e  di  allegria  parve  una  rivelazione:  non
si  era  mai  visto  nulla  di  simile.  Il  favore  popolare  andò  poi  sempre
aumentando.  Oggi  la  nuova  casa  ha  pure  scuole  secondarie  per  in-
terni  ed  esterni  e  si  fa  gran  bene  in  una  cappella  semipubblica.  La
signora  Matos  fu  per  i  Salesiani  una  vera  mamma.
Scuole  elementari gratuite per esterni  ed Oratorio festivo nel 1916
anche  ad  Arcos  de  la  Frontera,  archidiocesi  di  Sivilia;  fondatrice  la
nobildonna  Anna  Velazquez.  Critiche  da  principio  le  condizioni  dei
Salesiani  per  lo  stato  della  casa,  un  ex-convento,  del  quale  non  resta-
vano  se  non  i  muri.  La  popolazione  diede  loro  mano  forte  per  met-
tersi  in  assetto.  Nel  terzo  anno  Don  Rinaldi,  Prefetto  Generale,  li
visitò,  lasciando  in  essi  un  ricordo  indelebile.  Anche  i  ragazzi  lo  fe-
steggiarono;  il  suo  fare  caratteristicamente  paterno  ne  guadagnò  i
cuori.
Queste  piccole  fondazioni  si  rassomigliano  tutte.  A  Viìlena  pure,
diocesi  di  Murcia,  Oratorio  festivo  e  scuole  elementari  gratuite  per
esterni,  più  una  chiesa  pubblica.  In  tre  grandi  fogli  rabescati  di
firme  « todos  los  vecinos  de  està  Muy  Noble,  Leal  y  Florentissima
ciutad »  scongiuravano  l'Ispettore  di  mandare  presto  gl'insegnanti,
perchè,  come  dicevano,  l'aver  trovato  tutto  il  necessario  era  segno
essere  questa  la  volontà  di  Dio.  L'Ispettore  li  mandò  il  19  novem-
bre  1917.  Si  misero  immediatamente  al  lavoro.  Una  rendita  fissata
da  caritatevoli  persone  doveva  costituire  la  base  finanziaria.  Non
sarebbe  stata  sufficiente;  ma  la  generosità  dei  Vilienesi  supplì  a
quello  che  mancava.  La  divozione  a  Maria  Ausiliatrice,  che  aveva
preparato  la  via,  non  tardò  a  divenir popolare.
L'ultima  fondazione  spagnola  sotto  Don  Albera  fu  accettata  da
Don  Rinaldi  a  Ronda  durante  il  suo  viaggio  del  1919,  accennato  or
ora. A Ronda,  diocesi  di  Malaga,  c'era già  una  casa  dal  1897,  e ne  ab-
biamo  parlato  nel  volume  terzo.  Appunto  nel  visitarla  Don  Rinaldi
ne  accettò una  seconda:  un  collegio  con  scuole  primarie  e  medie per
interni  e  per  esterni  poveri,  tenuto  px*ima  dagli  Agostiniani.  Appar-
teneva  alla  fondazione  Montezuma,  come  l'altra  casa  salesiana.  Par-
titi  quei  religiosi,  il  patronato,  dal  quale  dipendeva,  non  vedeva  l'ora
di  metterlo  sotto  la  direzione  dei  Salesiani,  e  le  condizioni  offerte
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
erano  accettabili.  Perciò  Don  Rinaldi,  pur  riserbandosi  di  riferire
al  Capitolo  Superiore,  aveva  senz'altro  dato  la  sua  parola.
Quale  lo  scopo  del  suddetto  viaggio  di  Don  Rinaldi  nella  Spa-
gna?  Andava  a  sistemare  legalmente  le  proprietà  dei  Salesiani,  e  gli
parve  di  aver  condotto  a  buon  termine  l'affare,  A  tale  scopo  con
l'aiuto  di  buoni  avvocati e  notai  aveva  costituito  tre  Società:  una  a
Siviiia,  l'altra  a  Madrid  e  la  terza  a  Barcellona.  Queste  Società,  seb-
bene  tra  i  Salesiani  ci  fosse  chi  ne  conosceva  bene  il  funzionamento,
tuttavia  venivano  assistite  da  legali  e  gestite  da  competenti  (1).
Come  si  è  visto,  in  tutte  le  descritte  fondazioni  predominava  la
preoccupazione  di  provvedere  all'istruzione  primaria  e  all'educazione
cristiana  della  gioventù  povera;  segno  evidente  che  si  trattava  di  una
vera  necessità  sociale,  non  ristretta  ai  luoghi  menzionati.  Degne  per-
tanto  di  somma lode  erano  le  benemerite persone,  che  se  ne  davano
seriamente  pensiero.  I  Salesiani  purtroppo  non  potevano  bastare  a
tutto,  né i  buoni  cattolici  trovavano  con facilità  il  personale  e  i  mezzi
occorrenti,  Certo, se si fosse  potuto  fare  di  più, quale  maggiore  opera
di  preservazione  ne sarebbe  derivata i  Molta  gioventù  cresciuta  senza
scuola  e  senza  catechismo  non  sarebbe  poi  andata  a  ingrossare  le
file  di  quei  sovversivi,  che  dovevano  turbare  tanto  la  vita  civile  e
religiosa  nella  cattolica  nazione.  Don  Bosco  l'aveva  detto  chiaro  nel
1886  dinanzi  a  un  uditorio  di  signori  e  signore  barcellonesi  (2):
«II  giovane  che  cresce  per  le  vostre  strade,  vi  chiederà  da  prima
una  limosina,  poi  la  prenderà  e  infine  se  la  farà  dare  con  la  rivol-
tella  in  pugno».
Portiamoci  ora  nella  Svizzera,  a  Lugano,  capitale  morale  del
Canton  Ticino.  Da  tempo  due  salesiani  andavano  là  da  Mareggia  a
fare l'oratorio festivo  (3);  vi  si  aperse  poi  anche neli  1918 un collegio,
che  i  Superiori  vollero  denominato
  a
 Istituto  Elvetico' "  (4).  Esclu-
sero  a  ragion  veduta  nomi  italiani,  per  disarmare  certi  avversari,  il
cui cavallo  di battaglia  era  l'accusa  che  i  Salesiani  fossero  nella  Sviz-
zera  per  fare  dell'italianismo.  Fu  assunta  la  direzione  di  un  collegio,
che  esisteva  già  da  ottant'anni.  L'aveva  fondato  nel  1838  il  dottor
<1)  L.  e,  22  aprile  1919.
(2)  Mem.  Biogr.,  v.  XVHI,  p.  85.
<3>  Ann.,  V.  Ili,  p,  589.
<4>  Verb.  del  Cuj>.  Slip-,  31  maggio  1918.
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Camillo  Landriani  per  formare  giovani  commercianti.  Le  cose  an-
darono  bene  fino  alla  prima  grande  guerra;  allora,  venuta  a  man-
care  la  clientela  internazionale,  che  dava  la  massima  parte  degli
interni,  accadde  lo  spopolamento.  Seguirono  tre  anni  di  stenti,  dopo
i  quali  lo  si  sarebbe  chiuso,  se  i  Salesiani  non  si  fossero  indotti  a
rilevarlo.  Con  questo passaggio  l'istituto  abbandonava  l'originario  in-
dirizzo,  prettamente  liberale  e  laico,
Il  merito  del  cambiamento  spetta  al  Vescovo  Aurelio  Bacciarini,
che  prima  e  più  di  tutti  lavorò  per  attuarlo,  non  appena  l'edifìcio
fu  messo  in  vendita.  Si  esigevano  250.000  lire  da  pagarsi  a  rate;  ma
il  valore  del  caseggiato  e  del  terreno  annesso  sopravanzava  di  molto
tale  somma.  Monsignore  venne  appositamente  a  Torino  per  proporre
a  Don  Albera  l'acquisto,  impegnandosi  a  versare  la. prima  rata  di
lire  4tì.O0O;  al  rimanente  si  sarebbe  pensato.  Don  Albera,  sapendo
che  il  Capitolo  si  rimetteva  a  quanto  egli  avrebbe  deciso,  disse  sen-
z'altro  di  andare  avanti  in  nomine  Domini.  A  lui  parve  che  conve-
nisse  aprire  un  collegio  religioso  in  una  città  come  Lugano.  Né  si
indugiò  a  eleggere  il  Direttore  nella  persona  di  Don  Aristide  Re-
daelli,  che,  da  anni  incaricato  di  quell'Oratorio,  vi  si  era  fatto  ben
volere,
Il  fatto  produsse  ottima  impressione  nella  parte  sana  della  cit-
tadinanza,  interessata  alla  sorte  della  studiosa  gioventù.  Nell'edifi-
cio  s'introdussero  subito  le  modificazioni  richieste  dal  metodo  edu-
cativo  salesiano.  Furono  però  mantenuti  i  contratti  stipulati  dalla
cessata  Direzione,  in  forza  dei  quali  prestavano  in  casa  l'opera  loro
di  assistenza e  d'insegnamento sei  professori  laici,  in  attesa  della pos-
sibilità  di  sostituirli  gradatamente.  Se  questa  da  un  lato  era  una  ne"
cessila  imposta  da  difetto  di  personale  salesiano,  poteva  dirsi  anche
una  transitoria  misura  di  prudenza.  A  tutta  prima  un  collegio  di  re-
ligiosi  avrebbe  suscitato  una  guerra  senza  quartiere  da  parte  dei  ra-
dicali;  invece,  mentre  l'istituto  per  la  permanenza  di  elementi  laici,
che  l'avevano  condotto  fino  a  quel  momento,  serbava  un  carattere
meno  spiccatamente  congregazionista,  in  realtà  diventava  tale.  In-
tanto  le  famìglie  di  Lugano,  i  cui  capi  erano  usciti  di  là,  vedendovi
ancora  come  insegnanti  quei  medesimi  professori,  dai  quali  erano
stati  a  loro volta  istruiti,  vi  mettevano volentieri  i  propri  figli.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  IX
L'istituto  primitivo  aveva  convitto,  semiconvitto  ed  esternato
per  giovani  che  si  avviavano  alle  carriere  tecniche  e  commerciali.
La  nuova  direzione vide  fin  da  principio  la  necessità  dì  evitare pos-
sibili concorrenze a  danno  del vicino collegio salesiano  di Maroggia;
perciò  diede  la  preferenza  alle  scuole  commerciali,  che  a  Maroggia
non  esistevano.  Istituì  pure  un  pensionato  e semipensionato  per stu-
denti,  che venivano  a frequentare il  prossimo ginnasio e liceo  canto-
nale. Nel  primo  anno  scolastico  1918-19,  benché  sì  facessero  sentire
i  gravi  bisogni  del  dopoguerra,  all'appello  di  un  Comitato  per  soc-
correre  i  bambini  di  Vienna,  l'istituto  si  offerse  per  sei  posti,  che
poi  diventaron  nove.  I  ragazzi  così  caritatevolmente ricoverati,  tra-
scorso  il  periodo  invernale,  fecero  ritorno  in  patria,  riportando  il
più  grato  ricordo  dei  loro  benefattori.  Un'altra  lode  va  data  a  quei
primi  salesiani,  per  non  essersi  risparmiati  di  fronte  alle  difficoltà
provenienti  dalle  modeste  entrate, che  li obbligavano  a  non lievi  sa-
crifìci.  Ne  li  compensarono  e  la stima  guadagnatasi  presso  la  citta-
dinanza  e  il  frutto  ottenuto nei  loro  alunni.  Nonostante  il personale
estraneo,  l'educazione  impartita  ai  giovani  era  schiettamente  sale-
siana. Ne rendeva testimonianza dopo il primo  decennio un  valoroso
avvocato luganese,  il  quale  scriveva  (1):  «La venuta  dei  Salesiani  a
Lugano  è  stata  ritenuta  un  avvenimento  di  grande  importanza  per
l'evoluzione  spirituale che vi ha  prodotto, Lugano  è il centro  morale
più importante  del  Cantone,  ed è  caratterizzato dal  dominio  che gli
elementi più settari vi esercitano. L'oratorio  ha rotto  il primo ghiac-
cio,  imponendosi  al  rispetto  degli  anticlericali;  l'assunzione  del  col-
legio  già  Landriani fu  una  vera  conquista  nel  campo  delle  idee  [...).
La  mentalità  di  Lugano  va  subendo  una  graduale  trasformazione,
per cui  in  molte  famiglie  rientrano  la  stima  ed  il  rispetto  per il  sa-
cerdote  e le credenze religiose ».
C'è  dal 1912 nella  Svizzera un  collegio  a  Morges, diocesi  di  Fri-
burgo,  dipendente  dall'Ispettoria  francese  dei  Sud.  Ha  il  corso  ele-
mentare,  le prime classi ginnasiali  e  scuola  di  orticoltura. Tra  i  con-
vittori  si  mantiene  sempre  una  dozzina  di  aspiranti.  L'istituto,  co-
minciato  in Francia  a St. Denis nel  1898,  passato poi  in Savoia, indi
(1)  Avv.  Batt.  Moroni,  Lettera  a  Don  Luigi  Noi,  visitatore  straordinario.  Lugano,
17  aprile  1928.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni  dì  Spagna,  Svizzera  e  Francia
nel  Cantone  di  Vaud,  si  fissò  finalmente  dopo  varie  altre  peregrina-
zioni  a  Morges  nello  stesso  Cantone.  Don  Albera  visitò  la  casa  nel
1912 di ritorno  dal Belgio  e  una  seconda  volta nel  1921  dopo  l'ultimo
suo  viaggio  in  Francia,  Vi  regnò  sempre  un  ottimo  spirito.  Ha  in
media  una  sessantina  di  allievi  all'anno.  Si  sostiene  specialmente
con  offerte  di  benefattori,  che,  secondo  l'uso  del  paese,  le  rimettono
al  Direttore  in  periodiche  visite  personali.
In  Francia,  come  dicevamo,  dal  tempo  della  guerra  il  Governo
non  dava  più  fastidio  ai  religiosi;  questa mutazione  di  atteggiamento
era  stato  imposto  dalla  union  sacrée,  per  la  quale  sul  suolo  della
Francia  non  c'erano  più  che  francesi.  I  religiosi  perciò  col  ritorno
della  pace  imitarono,  secondo  un'immagine  cara  a  Don Bosco,  i  pas-
seri  adunati  sull'aia  a  beccare.  Uno  strepito  improvviso  lì  mette  in
fuga;  ma,  cessata  la  minaccia,  uno  dopo  l'altro  calano  dov'erano
prima  e  riprendono  a  fare quello  che  prima  facevano.  Come  gli  altri
religiosi  francesi,  così  anche  i  Salesiani,  senza  pubblicità  di  sorta,
rientravano  dalla  dispersione,  riorganizzandosi  sulle  posizioni  anti-
che  e  su  posizioni  nuove.  Non  tutti  avevano  abbandonato  la Francia,
ma  i  rimasti  facevano  vita  nascosta  in  vario  modo;  a  guardia  delle
persone  e  delle  cose  già  appartenenti  alle  due  Ispettorie,  stette  sem-
pre  un Ispettore solo,  Don  Paolo Virion  (l),il quale mediante le dovute
cautele  corrispondeva  con  i  Superiori  e  riceveva  da  loro  le  oppor-
tune  istruzioni.  Egli  nel  1919  cedette  il  posto  a  Don  Bessière.
Don  Virion,  prima  ancora  che  terminasse  la  guerra,  aveva  po-
tuto  creare  un'opera  di  somma  importanza  per  l'avvenire  della  Con-
gregazione  in  Francia,  Bisognava  profittare  presto  del  momento  pro-
pizio  per  provvedere  alle  vocazioni.  Il  contingente  preparato  a  Mor-
ges  era  troppo  esiguo;  un  aspirantato  sul  suolo  francese  avrebbe
reso  assai  più.  La  Provvidenza  gli  venne  in  aiuto  per  mezzo  della
baronessa  Rochetaillée,  che  mise  a  sua  disposizione  il  proprio  ca-
stello  di  Aix  nel  territorio  di  St.  Martin  la  Sauveté,  archidiocesi  di
Lione.  Là  Don  Virion  nel  1917 iniziò  un  ginnasio per giovanetti,  che,
terminate  le  scuole  elementari,  dessero  segni  di  vocazione  sacerdo-
tale.  Si  accettavano  gratuitamente  o  a  modicissima  pensione.  Le
sale  del  castello  furono  a  suo  tempo  adibite  per  il  noviziato.  Alla
(1)  Verb.  elei  Cap.  Sup.,  13  luglio  1906  e  23  aprile  1919.
145
ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo IX
casa  s'impose  il  nome  innocentissimo  di  Orphelinat  (TAix.  Inoltre
i  terreni  circostanti,  permettendo  di  occupare  un  certo  numero  di
orfani  in  lavori  campestri,  davano  alla  casa  l'aria  di  una  scuola
agrìcola.  Dai  dintorni  la  popolazione,  essendo  molto  religiosa,  non
poteva  recare  disturbo  di  sorta.  Il  Cardinale  Arcivescovo  Morin  ve-
deva  con  simpatia  e  favoriva  quest'opera,  sebbene  per  ovvie  ragioni
di  prudenza  evitasse  di  esprimere  la  sua  approvazione  in  forme  uf-
ficiali,  il  che  fece  più  tardi  a  Roma,  approvando  per  iscritto  che  si
procedesse  all'erezione  canonica.  Don  Albera,  visitando  la  casa  nel
1921,  « en  a  été  enchanté »,  come  si  legge in  una  memoria.
Durante  il  governo  di  Don  Albera  tre  altre  case  furono  aperte
in  Francia.  Circa  i  loro  primordi  il  Rettor  Maggiore  Don  Rinaldi,
chiedendo  alla  Santa  Sede  nel  1929  il  beneplacito  apostolico  per
l'erezione  canonica,  scriveva:  «Al  termine  della  recente  guerra  eu-
ropea si  potè  riprendere  un  po'  di  attività  anche  in  Francia  da  parte
dei  figli  del Beato  Giovanni  Bosco,  E  così,  sia  pure  con  ogni  cautela
e  molta  prudenza,  dato  l'ambiente  instabile  di  quella  nazione,  si  po-
terono  aprire  varie  case,  destinate  soprattutto  all'educazione  della
gioventù.  Tra  queste  case  sono:  1.  Caluire,  Istituto  Sant'Ireneo.  -
2.  Saint  Genis  Lavai,  Scuola  Agricola  di  Pressin,  -  3,  Saint  Rembért,
Residenza  Ispettorìale  e  Procura  delle  Missioni.  Tutt'e  tre  queste
case  si  trovano  nelFArchidiocesi  di  Lione,  e  sono  annesse  all'Ispet-
toria  Francese  di  San  Lazzaro.  Finora  si  ritenne  opportuno  di  so-
prassedere  alla  loro  erezione  canonica.  Ora  invece  pare  che  si  possa
procedere  alla  regolare  istituzione,  dato  anche  che  ì'Em.mo  Cardi-
nale  Arcivescovo  di  Lione  ha  concesso  volentieri  il  suo  consenso ».
Don Bosco e Don Rua avevano  desiderato  sempre  e  fatto  di  tutto
per entrare  in  Lione  (1), ma  non  era  stato  loro  possibile.  Don  Albera
riprese  i  tentativi,  incaricando  a  sua  tempo  Don  Virion  di  cercare.
Questi  riuscì  ad  acquistare  nel  1917  una  modesta  e  piccola  casa  di
campagna  a  St.  Rembert presso Lione,  dove fu  istituita  la  sede  ispet-
torìale  e  vennero  riuniti  i  chierici  studenti  di  teologia;  ma  per  non
dare  nell'occhio  la  si  intitolò  " Procura  delle  Missioni ".  I  chierici
andavano  a scuola nel seminario.  Si continuò così fino al 1931, quando
la  casa  fu  venduta  e  lo  studentato  passò  a  La  Mulatière.  I  Superiori
(1)  L.  e,  27  luglio  1915  e  22  novembre  1917.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Fondazioni  di  Spagna,  Svizzera  e  Francia
del  seminario  ebbero  sempre  molto  a  lodarsi  della  condotta  e  della
diligenza  dei  giovani  salesiani,
Ma  quella  di  St.  Rembert  non  era  ancora  la  casa  desiderata:  si
voleva  un  collegio,  e  il  collegio  potè  aversi  nel  1918  a  Caluire,  loca-
lità  poco  distante  dalla  periferia  di  Lione.  S'incominciò  con  scuole
elementari;  poi  vi  si  aggiunsero  i  corsi  ginnasiale  e  liceale.  L'altra
casa  di  Pressin  nel  territorio  di  St  Genis  Lavai  data  dal  1920.  Le
due  sorelle  nubili  Bonnot  avevano  donato  al  Card.  Morin  una  loro
tenuta  di  23  ettari,  affinchè  se  ne  servisse  per  un'opera.  Egli  vi  chia-
mò  i  Salesiani,  che  v'impiantarono  l'attuale  Scuola  di  Agricoltura.
Come  si  è potuto  osservare,  l'opera  salesiana  in Francia,  dopo  le
note  vicende,  ripigliava  vita.  In  seguito  fu  un  crescendo  di  vocazioni
e  di  opere.  Oggi  nelle  due  Ispettorie  ristabilite,  si  lavora  molto  e  si
studia  con  amore  lo  spirito  di  Don  Bosco.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  X
In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra.
Lubiana.  —  Przemysl  (prot.  S.  Gius.),  Kielce,  Ateksandrów,  Rózanystok,  Cracovia
(Patrocinio  della  B.  V,  Immae.  Contea.,  S.  Sta».  Kostka,  Lad),  —  Pallaskenry.  —
Malta  (S.  Alfonso),  Oxford  (Cowley)
Negli  ultimi  anni  della  sua  vita  Don  Albera  vide  sorgere,  nono-
stante le  gravi  difficoltà  interne  ed  esterne  causate  dalla  guerra,  tutta
una  costellazione di  nuove  case  salesiane,  che  si  estendeva  dalla  Slo-
venia  per  la  Polonia  fino  all'Inghilterra.  Tutte  ricevettero  notevoli
sviluppi,  ad  eccezione  di  una  provvisoriamente  chiusa  a  Przemysl in
Polonia.  Toccherà  ad  altri  parlare  delle  dolorose  vicende  occorse  ai
Salesiani  polacchi  e  iugoslavi  negli  anni,  che  vennero  dopo  la  se-
conda  grande  guerra.
Anche  nella  nuova  Repubblica  Jugoslava  la  gioventù  del  dopo-
guerra  attraversava  una  crisi  morale  preoccupante,  A  Lubiana  per-
sone  autorevoli costituirono un Comitato  allo  scopo  di  erigere Oratori
maschili  e  femminili  in  diverse  parti  della  Slovenia.  Di  quanti  ne
avrebbe  fondati,  il  Gomitato  intendeva  serbare  la  proprietà,  pronto
a  concederli  in  uso  o  a  venderli  a  Congregazioni  religiose  dedicate
all'educazione  della  gioventù.  Il  primo  di  questi  Oratori,  che  pur-
troppo  doveva  essere  anche  l'ultimo,  fu  fondato  alla  periferia  della
città,  in  un  luogo  detto  Kodeljevo,  dal  nome  del  barone  Codelli,  che
una volta ne  aveva la  proprietà,  Il  suolo era  ivi occupato  da  baracche
militari,  che  durante  la  guerra  servivano  ad  albergare  e  curare  i
feriti.  Il  Comitato  ne  domandò  cinque  al  Governo,  che,  adattate  alla
meglio,  si  sarebbero  potute  utilizzare  ancora  un  paio  d'anni,  mentre
intanto  si  sarebbe  raccolto  danaro  per  costruire  un  solido  edifìcio.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malia,  Inghilterra
Il  terreno,  non  volendo  i  proprietari  venderlo,  fu  preso  in  affitto
per  la  durata  di  un  quinquennio.
Fatti  questi  preparativi  abbastanza  alla  buona,  il  Comitato  ot-
tenne  dall'Ispettore  Don Tirone  i  Salesiani,  Tre  di essi,  due  sacerdoti
e  un  chierico,  andarono  a  stabilirsi  colà  il  22  novembre  1919.  Delle
cinque  baracche  ne  disfecero  due  in  più  cattivo  stato,  adoperando
il  materiale  ricavatone  per  riparare  le  altre,  adibite  rispettivamente
a  cappella,  a  teatrino e per  abitazioni.  Il  suolo  sgombrato  offrì  spazio
sufficiente  al  cortile.
Tosto  i  ragazzi  affluirono,  birichini  anzi  che  no,  ma  riducibili.
Dell'istruzione religiosa  e  del culto  nessuno  si  occupava  più  da  tempo
nel  popoloso quartiere  operaio.  Al  solito,  la  prima  festa  salesiana  si
celebrò  all'Immacolata.  La  novità  di  una  pubblica  accademia  attirò
molta  gente.  L'Oratorio  era  così  bell'e  avviato,  Alle  istruzioni  cate-
chistiche  domenicali  assistevano  pure  mamme,  babbi  e  altri,  A  poco
a  poco  si  determinò  in  mezzo  alla  popolazione  un  crescente  movi-
mento  religioso.
Due  opere  buone  colpirono  quel  mondo  di  umili  e  guadagna-
rono  simpatie  all'Oratorio.  Nelle  vacanze  autunnali  i  Salesiani  sce-
glievano  i  ragazzi  migliori  e  li  mandavano  alle  ferie  in  campagna
presso  famiglie  di  buoni  contadini,  che  li  mantenevano,  occupandoli
in utili  lavori. Inoltre accanto all'Oratorio  apersero una cucina  econo-
mica,  la  quale  somministrava  ogni  giorno  a  mezzodì  un  pasto  a  circa
120  tra  ragazzi  e  ragazze  più  bisognosi.  Il  Governo  aiutava.
Intanto  urgeva  metter  mano  a  fabbricare,  perchè  il  legno  delle
baracche  marciva  alla  base.  Ricorrere  alla  beneficenza  il  Comitato
non  voleva,  essendo  stata  questa  già  troppo  sfruttata;  perciò  fece
appello  agli  Stati  Uniti,  e  non  invano.  Potè  così  acquistare  un'area
alla  distanza  di  mezzo  chilometro,  dove  fu  costruita  una  casa  ter-
minata  nel 1925.  A fianco  della  casa sì  eresse pure  una  grande chiesa
pubblica,  dedicata  a  S.  Teresina  del  Bambino  Gesù.
Come  dicemmo,  nel  1924  le  case  della  Jugoslavia  e  Cecoslovac-
chia,  distaccate  da  quelle  dell'Ispettoria  polacca,  formarono  un'Ispet-
toria  a sé, della quale fu primo  Ispettore il già nominato  Don  Walland.
Egli  nel  1931  potè  acquistare  la  proprietà  dell'immobile  dal  Comi-
tato,  ridotto  a  mal  partito  per  gravissime  difficoltà  finanziarie.  Chiesa
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo  X
e  Oratorio  divennero  due  centri  attivissimi  di  istruzione  religiosa  e
formazione  cristiana  tanto  per  la  gioventù  quanto  per  il  popolo.
Otto  furono  le  case  aperte  in  Polonia  negli  anni  sopraddetti;
la  prima  fu  il  protettorato  di  S.  Giuseppe  a  PrzemysL  In  questa  ce-
lebre  piazza  forte  esisteva  già  dal  1907  un  Oratorio  S.  Giuseppe,  del
quale  abbiamo  parlato  nel  volume  precedente;  il  patronato  venne
ad  aggiungersi  nel  1917  per  dar  ricovero  a  orfani  di  guerra.  La  casa
diventò  il  rifugio  dei  ragazzi  più  disgraziati,  quasi  figli  di  nessuno.
La  polizia,  quando incontrava poveri fanciulli  girovaghi, che non  ave-
vano  recapito,  li  conduceva  senz'altro  al  patronato,  dov'erano  man-
tenuti  gratuitamente, istruiti  e  avviati  a  un  mestiere.  Il  loro  numero
da  30 salì  a 150.  Fino  al  maggio  1921  si  occupò  una  casetta  scomoda,
malsana  e  insufficiente,  presa  in  affìtto;  dopo  si  passò  in  una  vec-
chia  caserma,  affittata  dal  Governo  per  trent'anni  mediante  il  pa-
gamento  di  soli  dieci  marchi  annui.  I restauri però  costarono  due  mi-
lioni  di  marchi  polacchi.  Ragguardevoli  benefattori  favorivano  e
soccorrevano  l'opera;  primeggiava  fra  tutti  la  signora  Teresa  Duda,
la  cui  eredità  fornì  gran  parte  della  somma  impiegata  nei  lavori  di
riparazione.  Sì  andò  avanti  così  fino  a  quando  nella  seconda  guerra
mondiale  arrivarono  i  Russi.  Essendo  la  città  divisa  in  due  dal  fiume
San,  i  Russi  occuparono  la  parte  dove  si  trovava  il  patronato,  sicché
i  Salesiani  dovettero  sloggiare.  Ritiratisi  i  Russi,  quelli  aspettano
ancora  (1950)  il  momento  propizio  per  farvi  ritorno.
Subito  dopo  la  guerra,  nella  risorta  Polonia  fu  affidata  ai  Sale-
siani  la  cura  e  l'ufficiatura  della  chiesa  parrocchiale  di  Santa  Croce
nella  città  dì  Kielce.  Attorno  alla  chiesa  si  iniziarono  nel  1918  e  sì
svilupparono  varie  opere  salesiane,  concentrate  in  un  collegio  e  nel-
l'Oratorio  festivo.  Il  collegio,  destinato  per  orfani,  aveva  le  scuole
professionali.  Tutta  l'istituzione  sostenne  da  principio  gravi  disagi,
dovuti  alle  anormalissime  condizioni  dei  tempi;  ma  raggiunse  a poco
a  poco  un  notevole  grado  di  floridezza,  tanto  che  gli  orfani  da  20
che  erano  nel  primo  anno,  poterono  essere  portati  al  centinaio.  La
parrocchia  con  l'andare  del  tempo  subì  una  mutilazione  consigliata
dal  bene  delle  anime.  Essa  abbracciava  una  parte  della  città  con
8000  anime  e  alcuni  villaggi  con  altre  4000.  Tre  di  questi  villaggi
distavano  da  otto  a  dieci  chilometri.  Tanta  lontananza  dal  centro
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
rendeva  molto  difficili  i  doveri  del  ministero,  le  visite  agli  infermi,
la  partecipazione  dei  fedeli  alle  funzioni  parrocchiali  e  impediva  il
lavoro  di  organizzazione  indispensabile per il  regolare funzionamento
della  vita  religiosa.  Perciò  l'Ordinario  propose  al  Rettor  Maggiore
uno  smembramento,  con  il  distacco  dei  suddetti  villaggi  e  la  forma-
zione  d'una  nuova  parrocchia  indipendente  dalla  Società  Salesiana.
Le  cose  si  fecero  di  tutto  buon  accordo.
Negli  anni,  che  seguirono  la  guerra,  i  Salesiani  di  Polonia  ve-
nivano  insistentemente  sollecitati  dalle  autorità  ecclesiastiche  e  ci-
vili  a  moltiplicare  le  loro  istituzioni  in  favore  della  gioventù.  Essi,
vedendo  la  reale  gravità  dei  bisogni,  facevano  del  loro  meglio  per
corrispondere  a  tante  insistenze  col  mettere  a  disposizione  tutto  il
personale  che  poteva  essere  impiegato  utilmente.  Così  nel  1919  sor-
sero  tre  fondazioni:  ad  Aleksandrów,  a  Rózanystok  e  a  Cracovia.
Ad  Aleksandrów,  Diocesi  di  Vladislavia,  offerse  loro  la  sede  il
parroco  Francesco  Szczygtowski ;  ma  il  merito  principale  spetta  al
Vescovo  Zozitowski,  Monsignore  da  giovane  prete  aveva  conosciuto
personalmente  Don  Bosco  e  amava  molto  la  sua  giovane  Congre-
gazione;  perciò,  appena  diventato  pastore  della  diocesi,  tentò  tutte
le  vie  per  istrappare  al  Governo  russo  il  permesso  di  chiamare  i
Salesiani;  ma  le  sue  istanze  trovarono  sempre  orecchie  di  bronzo.
Egli  intanto  inspirava  nel  suo  clero  una  grande  ammirazione  per
Don  Bosco,  ammirazione  condivisa  a  pieno  dal  detto  parroco.  Questi
allo  scoppio  della  guerra  stava  costruendo  un  edificio,  nel  quale  in-
tendeva  aprire  scuole  medie.  Sopraggiunti  i  Tedeschi  e  visto  che  il
fabbricato  avrebbe  potuto far loro  comodo,  lo  terminarono  in  fretta  e
lo  destinarono  a  Casa  del  Soldato.  All'arrivo  degli  Alleati,  il  par-
roco  riebbe  una  buona  parte  del  palazzo,  dove  aperse  subito  il  gin-
nasio  inferiore,  ma  col  pensiero  rivolto  ai  Salesiani,  che  riuscì  ad
avere  dall'Ispettore  Don  Tirone.
Vennero  essi  U  13  aprile  1919  e  presa  la  direzione  della  scuola,
completarono  il  corso,  che  fu  pareggiato;  pareggiato  fu  pure  in  se-
guito  l'aggiunto  liceo.  Frequentavano  l'istituto  circa  300  alunni  ester-
ni, Nel  1923,  acquistata  la proprietà  della  casa  e  del  terreno,  ingran-
dirono  la  fabbrica  per  mettervi  l'internato.  Nel  dopoguerra  si  pre-
starono  generosamente  in  favore  dei  fanciulli  bisognosi,  che  abbon-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
davano.  Curarono  l'impianto  di  una  cucina  economica,  dalla  quale
somministravano  il  pranzo  quotidiano  a  200  poveri  ragazzi;  inoltre
assunsero la  direzione  di  un  ospizio  con 40  orfani  di  guerra  e pro-
fughi  e  si  occuparono  di  due  case,  nelle  quali  si  radunavano  ogni
mattina  circa  300  tra  bambini  e  bambine  inferiori  agli  otto  anni,
ricevendovi  l'alimento  e  ritornandosene  a  casa  la  sera.  Alle  spese
provvedeva  un  apposito  Comitato  anche  con  sussidi  del  Governo.
Nel  1920,  per  compiacere  ai  Vescovo,  si  accettò  pure  la  parrocchia;
ma  dopo  cinque  anni  vi  si  rinunciò.  Le  scuole  salesiane  salirono  a
grande reputazione  e  i figli di  Don Bosco erano  oggetto dell'univer-
sale benevolenza. Tutti vedevano  il profìtto religioso, morale e scien-
tifico  dei  loro  allievi.  Lo  spìrito  dì  Don  Bosco,  dovunque  sia  inte^
gralmente  applicato,  produce  sempre  il  medesimo  effetto  di  guada-
gnare  ai  Salesiani  simpatie presso  ogni  ceto  di  persone.
Di  una  storia cinematografica,  cioè  con  rapido  succedersi  di  vi-
cende,  era  stato  teatro  il  luogo,  dove  presero  stanza  i  Salesiani  a
Rózanystok  sui  confini  della Russia,  diocesi  di  Wilno.  Un  magnate
polacco  fa  costruire  una cappellina  esponendo  alla  venerazione  dei
fedeli un quadro della Madonna, dipinto  da  un protestante. La sacra
effìgie  attira il popolo, la Vergine  largisce grazie, incominciano i  pel-
legrinaggi.  Il  signore  del  luogo  erige  una  chiesetta  e  la  affida  ai
Domenicani.  Questi  zelanti  religiosi  edificano  un  maestoso  tempio,
eretto  poi  in  parrocchia.  Ma  scoppia  la  persecuzione  zarista.  I  mo-
naci  vengono espulsi  e  per  poter  più  facilmente  russificare  i  Polac-
chi,  il  santuario  è  dato  al  clero  secolare;  ma  non  si  ottiene  nulla.
Allora  il  santuario è  convertito in tempio greco-scismatico;  ma l'im-
magine  taumaturga  non  opera  più  cose  straordinarie.  I  popi,  aiu-
tati  larghissimamente  dal  Governo,  conducono  una  spietata  propa-
ganda, mentre il popolo tiene fermo. Il Governo si appiglia a un altro
mezzo:  invia  uno  sciame  di  quaranta  suore  eterodosse,  provviste  di
danaro in  gran  copia,  perchè  aprano  un  asilo  infantile,  un  educan-
dato  di  giovanette  e  altre  istituzioni  sociali.  Con  le  donne  e  con  la
gioventù  si  spera  una  maggior  opera  di  penetrazione.  Circa  500 ra-
gazze  ricevono  un'educazione  attossicata.  Per  gli  adulti,  attaccatis-
simi  alla  fede  degli  avi,  si  apre  accanto  al  santuario  trasformato,
un  tempietto  in  stile  basalicale,  ufficiato  in  rito  pseudo-cattolico  da
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
un  apostata.  Senonchè  l'incendio  della  guerra  disperde  i  rei  conati.
Le  sconfitte  russe  e  il  fulmineo  avanzare  dei  Tedeschi  mettono  in
fuga  le  monache,  le  quali  portano  via  tutto  il  meglio,  compreso  il
quadro  della  Madonna.  L'esercito  vittorioso  fa  della  chiesa  un  ma-
gazzino  militare,  fracassando  vandalicamente  ogni  cosa.  Finalmente
scocca Fora  dello  sfratto:  la  chiesa  viene riattata  e  restituita  al  culto
cattolico  e  la  parrocchia  ripristinata.
II  Vescovo  Watulewiez  vide  che  per  ridare  vita  al  santuario
occorrevano  le  risorse  di  una  comunità  religiosa;  pregò  quindi
Don  Tirone  di  mandarvi  i  Salesiani.  Il  Nunzio  Achille  Ratti  cal-
deggiò  la  proposta;  anzi  si  fece  mediatore  tra  i  Salesiani  e  i  Do-
menicani,  I  primi tre Salesiani  arrivarono  il 10  novembre  1919.  L'an-
no  dopo  ebbero  a  passare  giorni  tragici  durante  l'invasione  bolsce-
vica.  Alcuni  soldàtacci,  penetrati  in  casa  a  mano  armata,  misero
tutto  a  soqquadro, facendo  bottino  di  quanto  trovarono  e  strappando
ai  Salesiani  fìnanco  quello  che  portavano  in  dosso,  sicché  li  ridus-
sero  all'estremo  della  miseria;  ma  il  popolo  si  levava  il  pan  di
bocca  per  soccorrerli,  esponendosi  anche  a  gravi  pericoli  per  difen-
derli.  La  bufera  per  altro  si  dileguò  rapida,  come  rapida  erasi  sca-
tenata.  Il  santuario  diventò  nuovamente  focolare  di  pietà;  anche  la
fonte  delle  grazie  riprese  a  zampillare.
I  Salesiani,  quando  accettano  una  chiesa,  anche  se  parrocchiale,
mettono  generalmente  la  condizione  di  potervi  sviluppare  attorno
opere  giovanili.  Là  poi  bisognava  riedificare  quello  che  lo  scisma
aveva  distrutto.  In  breve  raccolsero  più  di  200  ragazzi,  tra  i  quali
molti  orfanelli  reduci  dalla  Russia,  dove  durante  la  rivoluzione  ave-
vano  perduti  i  genitori  o  per  pestilenza  o  per  fame  o  per  piombo
omicida.  Incominciarono  dunque  un  ginnasio  inferiore,  una  scuola
professionale  con  tre  laboratori  e  una  scuola  agricola.  Nell'ambito
poi  della  parrocchia  insegnavano  il  catechismo  in  diverse  scuole
elementari  pubbliche.  Abbondando  ancora  gli  scismatici  Rózatonysk
poteva  considerarsi  allora  come  terra  di  missione.  Molti  entravano
in  seno  alla  Chiesa  Cattolica,  sicché  il  povero  pope  vedeva  farglisi
intorno  il  deserto.  A  integrare  l'opera  dei  Salesiani,  furono  man-
date le Figlie  di  Maria  Ausiliatrice,  che  con  abnegazione  si  accinsero
a  purificare  la  città  dagli  inquinamenti  dello  scisma.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
L'accennata  fondazione  del  1919  a  Cracovia  era  stata  preceduta
da  altre  due  nel  1911  e  nel  1918.  Di  tutt'e  tre  daremo  qui  unita-
mente  notizia.
Esìsteva  a  Cracovia  per  giovani  abbandonati  un  istituto  Lu-
bomirski,  così  detto  dal  nome  del  principe  fondatore.  Ne  aveva  già
parlato  una  signora  con  Don  Bosco  a  Parigi  nel  1883,  scorgendo  nel
Santo  la  disposizione  a mandarvi  i  Salesiani,  quando ne  avesse  avuto
la  possibilità  (1).  La  famiglia  del  fondatore  aperse  più  tardi  tratta-
tive  con  Don  Rua,  al  quale  scrisse  pure  il  Card.  Vescovo  Puzyna  nel
1893.  Le  insistenze  furono  rinnovate  a  più  riprese;  gl'interessati  sì
contentavano  di  un  salesiano  o  due.  Don  Rua  finì  con  accettare  la
sola  direzione  spirituale,  nella  speranza  di  potere  un  giorno  aver
tutto  nelle  mani  per  applicare  il  metodo  di  Don  Bosco;  ma  questa
speranza  svanì,  perchè  il  Governo  dì  Vienna  non  permetteva  che
fossero  modificate  le  disposizioni  testamentarie,  e  quindi  i  Salesiani
dopo  alcuni  anni  nel  1905  si  ritirarono  (2).
Allora  persone  influenti  tanto  si  adoperarono,  che  nel  1910  ot-
tennero  di  affidare  ai  Salesiani  l'istituto.  Subito  il  Capitolo  Supe-
riore  autorizzò  Don  Manassero  a  trattare  e  a  conchiudere.  Stipu-
latasi  una  convenzione,  i  Salesiani  vi  ritornarono  il  1°  settembre
1911,  padroni  del  campo.  Trovarono  162  giovani,  divisi  in  parecchi
laboratori  ed  anche  applicati  al  giardinaggio.  Il  22  ottobre  giunse
là  Don  Albera,  che  visitava  le  case  dell'impero  austriaco.  Gli  alun-
ni,  benché  da  sì  poco  tempo  fossero  sotto  la  nuova  direzione,  lo
accolsero  nel  modo  più  cordiale  che  si  potesse  immaginare.  Vi  si
trattenne  due  giorni,  ricevendo  segni  di  stima  e  di  cortesia  da  au-
torità  ecclesiastiche  e  governative.
Ogni  nuovo  studentato  di  chierici  segnava  un  progresso  nello
sviluppo  della  Società:  era  un  pampino  novello,  che  spuntava  sulla
rigogliosa  vite  per  dare  poi  frutto  in  tempore  suo.  A  Cracovia  fu
acquistato  nel  1918  un  locale,  dove  collocare  uno  studentato  filoso-
fico  dell'Ispettoria  polacca.  Nel  primo  anno  i  chierici  studenti  fu-
rono  31.  Vi  si  aggiunse  pure  per  qualche  tempo  il  noviziato;  pre-
cedentemente  i  novizi  polacchi  andavano  a  Radna.  Lasciamo  stu-
di) Lett. delia baronessa Maria Lempii-ka a Don Bosco, Cracovia, 3 febbraio 1886.
(2)  Verb.  del  Cap.  Sup.,  13  dicembre  1910.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Ir,  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
diare  gli  uni  e  farsi  santi  gli  altri:  non  c'è  più  nulla  da  dire  su
questa  casa,
Nel  1919  i  Salesiani  accettarono  a  Cracovia  la  parrocchia  di
S.  Stanislao  Kostka,  istituita  allora.  Il ,Vescovo  Sapieha  aveva  scritto
il  2  aprile  a  Don  Tirone:  «Siamo  disposti  ad  affidare  ai  Salesiani
la  parrocchia,  che  stiamo  per  erigere,  certi  che  con  ciò  procureremo
a  quella  gioventù  ferventi  apostoli».  Non  c'era  né  casa  ne  chiesa.
Per  due  anni  il  parroco  e  il  suo  aiutante  dovettero  abitare  in  locale
d'affitto  e  per  l'Oratorio  festivo  adattarono  un  ambiente  civile,  fin-
ché  non  venne  costruita  in  legno  una  cappella  provvisoria.  Solo  nel
1932  si  diede  principio  alla  fabbrica  della  chiesa  e  della  canonica
su  terreno  donato  dal  municipio.  Andavano  a  prestar  aiuto  i  con-
fratelli  dello  studentato  filosofico,  che  si  trovava  nel  territorio  par-
rocchiale.  Il  primo  parroco  Don  Antonio  Symior,  da  vero  figlio  di
Don  Bosco,  spiegò  iì  massimo  zelo  nella  cura  delle  anime,  vincendo
con  fortezza  d'animo  le  difficoltà  del  dopoguerra  e  le  molestie  del-
l'invasione  bolscevica.  Si  acquistò  molta  stima  e  benevolenza  dalla
popolazione.
Una  casa  per  Figli  di  Maria  e  la  parrocchia  del  luogo  furono
date  ai  Salesiani  nel  1921  in  Lad,  diocesi  di  Vradislavia.  C'era  stato
là  dal  secolo  XII  un  monastero  di  Cistercensi,  che  vi  avevano  abi-
tato  fino  al  1818,  quando  il  Governa  russo  espulse  l'Ordine  da  tutta
la  parte  della  Polonia  soggetta • agli  Czar.  Nel  1850  vi  sottentrarono
i  Cappuccini,  ma  vi  rimasero  solo  quattordici  anni,  cedendo  il  posto
al  clero  secolare.  Ritiratosi  que$to s   succedettero  il  28  aprile  1921  i
Salesiani,  chiamati  dal  Vescovo  Zdzitowiecki.  Al  vedere  il  mise-
rando  stato  dell'edificio  e  la  povertà  del  paese,  i  primi  arrivati  si
sentirono  cascar  il  cuore,  tanto  che  si  sforzarono  di  far  persuaso
l'Ispettore  non  essere  quello  un  luogo  per  loro.  Don  Tirone  invece
li  confortò  ad  aver  pazienza  e  a  cercar  di  superare  le  difficoltà,  ed
essi  rassegnati  si  misero  di  buona  voglia  all'opera,  sicché  in  ottobre
le  scuole  si  poterono  aprire.  L'annessa  chiesa,  uno  di  quei  monu-
mentali  templi  monastici  antichi,  era  la  più  artistica  della  diocesi.
Prima  di  allontanarci  dalla  Polonia  non  è  possibile  non  far
menzione  d'un  personaggio,  che  vi  passò  non  lungo  tempo,  ma  vi
lasciò  un  ricordo  imperituro  ed  ebbe  con  i  Salesiani  relazioni  indi-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
menticabili.  Alludo  a  Mons,  Achille  Ratti,  futuro  Pio  XI,  inviato  da
Benedetto  XV  Visitatore  in  Polonia  e  poi  dal  medesimo  Pontefice
creato primo  Nunzio  Apostolico  del  risorto  Stato.  Egli  favorì  in  tutti
i  modi  e  ad  ogni  occasione  i  Salesiani,  che  vi  trovò.  Quasi  tutte  l'è
case  aperte  nella  Polonia  già  russa  furono  aperte  per  sua  inizia-
tiva  o  col  suo  consiglio  ed  aiuto.  In  più  circostanze  intervenne  a
sventare  pregiudizi,  che  perduravano  in  certi  circoli  contro  l'azione
salesiana.  Scriveva  l'Ispettore  Don  Tirone  (1):  «La  sua  bontà  non
conosceva  limiti,  quando riceveva  i  Salesiani  nel  suo  palazzo;  li  con-
sigliava e li  aiutava  in  ogni  maniera.  Mi  ricorderò  sempre  come  una
volta,  essendo  oppresso  da  gravissime  difficoltà,  ricorsi  a  lui.  Egli
mi  venne  in  aiuto  con  munificenza  veramente  sovrana.  Né  fu  quella
l'unica  volta,  che,  servendosi  di  tutte  le  facoltà  amplissime  conces-
segli  da  Santo  Padre  Benedetto  XV,  con  mano  generosa  sostenne
efficacemente  i  nostri  istituti  di  Polonia,  che  in  questi  tempi  diffi-
cilissimi  sì  trovavano  in  gravissime  strettezze;  ma  ogni  qualvolta  io
ricorrevo  a  lui,  trovavo  sempre  il  padre,  l'amico,  il  benefattore».  In
un  momento  più  critico  degli  altri,  il  13  agosto  1920,  quando  i  bol-
scevichi  alle  porte  di  Varsavia  incominciavano  l'attacco,  e  tutta  la
città,  anzi  l'intera  nazione  erano  in  ansia  estrema,  il  Nunzio,  seb-
bene  fosse  in  trattative  febbrili  con  il  Governo  e  con  il  Corpo  di-
plomatico,  volle  ricevere  l'Ispettore,  con  lui  riflettè  attentamente
sulla  posizione  degli  istituti  salesiani  e  diede  savi  suggerimenti  per
salvarli.  È  passato  alla  storia  il  coraggio,  c'ol  quale,  mentre  allora
tutti  i  diplomatici  abbandonarono  le  loro  residenze s   egli  solo  stette
fermo  al  suo  posto.
Elevato  nel  1922  al  soglio  pontificio,  si  ricordò  di  Don  Augusto
Hlond,  che gli  aveva resi  importanti  servizi.  Avendone  conosciute  da
vicino  le  rare  doti,  lo  chiamò  ad  un  incarico  assai  delicato.  L'Alta
Slesia,  prima  della  guerra  appartenente  alla  diocesi  di  Breslavia  e
soggetta  alla  Germania,  era  stata  inclusa  politicamente  nel  nuovo
Stato  polacco;  ma  aveva  una  popolazione  mista  di  polacchi  e  dì
tedeschi,  il  che  rendeva  difficile  e  delicata  l'assistenza  spirituale.
Perciò  Pio  XI  stabilì  di  affidarla  temporaneamente  a  un  particolare
Amministratore  Apostolico  e  nominò  a  tale  ufficio  il  salesiano,  ac-
(1)  Lelt.  a  Torino,  Oswìfcitn,  13  marzo  1922.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
cordandogli  tutti  i  diritti  e  privilegi  inerenti  alla  carica.  Quello  fu
il  primo  passo  del  figlio  di  Don  Bosco  nella  luminosa  carriera,  che
doveva  portarlo  alla  dignità  cardinalizia.
Era  cosa  desiderabile  e  da  gran  tempo  desiderata  di  poter  aprire
una  casa  nella  cattolicissima  Irlanda,  sia  per  essere  quello  un  ter-
reno  ferace  di  vocazioni  sia  per  il  bisogno  crescente  di  salesiani,  che
sapessero  bene  l'inglese.  Non  venendo  mai  proposte  che  fossero  ac-
cettabili,  un  sacerdote  salesiano  irlandese  fu  incaricato  di  andarvi
a  fare  un  giro  per  vedere  se  si  potesse  tentare  qualche  cosa.  Egli
parlò  con  alcuni  Vescovi;  ma  li  trovò  contrari  per  la  ragione  che
scuole  e  istituti  religiosi  abbondavano  già  nelle  loro  diocesi.  Solo
il  Vescovo  di  Limerick  Davide  O'Duyer  si  mostrò  da  ultimo  favo-
revole, anzi  lieto  di  avere i figli di  Don  Bosco.  Egli  da  giovane  prete,
incontrato  il  Santo  a  Roma,  ne  aveva  accolto  l'invito  di  recarsi  con
alcuni  compagni  a  Torino  per  insegnare  l'inglese  a  chierici  desti-
nati  alle  Missioni.  Ci  si  vide  perciò  la  mano  di  Don  Bosco.  Il  Ve-
scovo  proponeva  la  compera  d'una  tenuta  a  Pallaskenry,  in  una  loca-
lità  chiamata  Copsewood,  nome  che  significa  «bosco».  Tutto  sem-
brava  colà  ben  adatto  a  un  collegio  agrario.  I  Superiori  approva-
rono.  Le  4.700  sterline  richieste  dal  proprietario  furono  procurate
mediante  un  prestito  bancario.  Il  15  dicembre  1919  i  Salesiani  en-
trarono  in  possesso  della  casa  e  della  campagna;  ma  l'apertura  uf-
ficiale  si  rimandò  al  luglio  dell'anno  seguente,  quando  le  cose  erano
in  ordine  e  l'opera  si  poteva  presentare  decorosamente  al  pubblico.
Si  aveva  già  una  quarantina  di  giovani,  il  qual  numero  fu  raddop-
piato  nel  secondo anno  scolastico.  Vi  erano  pure Figli  di  Maria  aspi-
ranti  alla  Congregazione.  Il  Ministero  dell'Agricoltura  riconobbe  il
collegio  come  istituto  agricolo,  assegnandogli  anche  un  sussidio.  L'I-
spettore  Don  Enea  Tozzi  diede  nel  1931  all'aspirantato  il  carattere
di  istituto  missionario.
A  Malta  nella  luventutis  domus  e  nell'Oratorio  quotidiano,  di
cui  abbiamo  parlato  nel  volume  precedente,  i  Salesiani  del  vicinis-
simo  istituto  S.  Patrizio  continuavano  a  svolgere  per  la  gioventù
un  fecondo  apostolato;  anzi  il  loro  esempio  produceva  salutari  ef-
fetti  nell'isola,  suscitando  qua  e  là  altre  simili  fondazioni  per  cura
di  sacerdoti  locali  e  laici.  Ora  nel  1920  si  pensò  a  stabilire  in  quegli
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
ampi  e  comodi  locali  una  comunità,  che  tenesse  un  collegetto  de-
dicato  al  Santo,  del  quale  portava  il  nome  l'insigne  benefattore  Al-
fonso  Gàlea.  Lo  scopo  era  di  poter  coltivare  vocazioni  religiose  ed
ecclesiastiche  in  una  vita  di  famiglia,  dove  tornasse  facile  formare
alla  virtù  e  al  sapere  un  limitato  numero  di  convittori  e  di  esterni.
Infatti  uscirono  presto  di  là  buoni  soggetti,  che  passarono  ai  novi-
ziati  della  Società  Salesiana  e  di  altre  Congregazioni  religiose  ed  al
seminario  diocesano.  Quello  era  stato  veramente  provvido  consiglio.
In  Egitto,  in  Tunisia  e  in  Palestina,  dove  domina  la  lingua  araba  e
vivono  colonie  numerose  di  Maltesi,  sacerdoti  nativi  di  Malta,  nella
quale  l'idioma  ha  struttura  semitica e  dizionario  in  prevalenza  arabo,
potevano  fare  molto  a  bene  delle  anime.  Purtroppo  però  l'istituto
non  si  sostenne;  i  Superiori  a  motivo  dello  scarso  numero  dei  gio-
vani  ne  ordinarono la  chiusura  nel  1936.  Degli  undici  alunni  che  vi
si  trovavano,  otto  andarono  all'aspirantato  salesiano  di  Pedara  in
Sicilia,  due  in  quello  dell'Inghilterra  e  uno  entrò  nel  seminario.
Parrebbe  augurio  di  possibile  ripresa  l'esser  rimasto  all'opera  ora-
tori  an  a  dopo  la  soppressione  del  collegio  ài  titolo  di  istituto,  datogli
quando  tra  la  Juuentutis  domus  e  l'Oratorio  era  sbocciato  il  nuovo
virgulto.
Chiuderemo  questa  rassegna  con  un  cenno  all'isola,  che  un
tempo  si  gloriava  del  bel  titolo  di  Dos  Mariae,  datole  dai  Papi.  In-
tendo  l'Inghilterra.  Il  numero  delle  vocazioni  inglesi  andava  conti-
nuamente  crescendo;  sorgeva  quindi  imperioso  il  bisogno  di  avere
confratelli  forniti  dei  titoli  legali  d'insegnamento  e  perciò  di  farli
frequentare  ìe  Università  dello  Stato.  La  cosa  fu  resa  possibile  nel
1920  con  la  fondazione  della  casa  di  Cowley,  sobborgo  di  Oxford.
Prima  di  parlarne,  non  sarà  inutile  premettere  alcune  notizie  sulle
condizioni,  alle  quali  in  Oxford  debbono  conformarsi  tutti  gli  stu-
denti  universitari.
Oxford  è  città  eminentemente  universitaria.  Poiché  la  sua  posi-
zione  centrale  nell'isola  offriva  a  molti  studenti  comodità  dì  sog-
giorno  poco  lungi  dai  luoghi  di  loro  domicilio,  vi  sorsero  ab  imme-
morabili  scuole  con  insegnanti  nazionali  ed  anche  stranieri.  Nel
1214 il Vescovo di Lincoln  (Colonia Livii),  dal  quale  il borgo  di  Oxford
ecclesiasticamente  dipendeva,  vi  creò  uno  studium  generale  o  uni-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
versità,  a  cui  affluirono  tosto  anche  religiosi  in  buon numero,  sicché
si  fondarono  collegi  monastici,  divenuti  centri  di  operosità  intellet-
tuale.  Col  tempo  accanto  ai  collegi  ecclesiastici  se  ne  apersero  altri
di  carattere  laicale;  ma  anche  questi  avevano  ed  hanno  posto  per
dormire,  insegnare,  pregare,  studiare.  Tali  collegi  vennero  costituiti
da  enti,  da  re,  da  vescovi  o  da  mecenati;  onde  esistono  collegi  del
Re,  della  Regina  e  di  altre  denominazioni.
L'Università  è  libera  nel  senso  che  si  regge  con  suoi  statuti  e
col  suo  senato  di  professori,  d'insegnanti  e  di  studenti.  Al  Parla-
mento  nazionale  manda  i  suoi  deputati  indipendentemente  dalla
città.  Questa  ha  diritti  e  doveri  verso  l'Università,  la  quale  esercita
sugli  studenti  poteri  giudiziari,  disciplinari  e  di  polizia.  Nessuno  stu-
dente,  chiunque  sia,  fosse  anche  principe  del  sangue,  può  vivere
isolato,  ma  tutti  debbono  far parte  di  un  collegio  e  seguirne  l'orario,
Si  ammettono  però  studenti  così  detti  esterni  quanto  all'alloggio;
ma ognuno di questi  alloggi  è collettivo e dev'essere riconosciuto,  cioè
autorizzato  e  controllabile  dall'autorità  universitaria,  e  viene  desi-
gnato  ufficialmente  col  nome  di  ostello  (hostel).  Ogni  collegio  poi
ha  un  tutore  o  ripetitore,  che  lo  segue,  lo  aiuta  e  lo  controlla  negli
studi,  affinchè  possa  far  onore  a  sé  e  all'Università.  Questa  sceglie
i  suoi  insegnanti  e  ammette  i  suoi  studenti  dopo  averli  sottoposti  a
esame  e  trovati  idonei.  I  collegi  pertanto  sono  grandi  palestre  di
educazione  morale,  intellettuale  e  fisica.
È  degno  di  nota  il  fatto  che  al  tempo  della  Riforma  l'Università
di  Oxford  fu  l'ultimo  baluardo  cattolico  che  cedette,  ma  subendo
pochi  mutamenti  nel  suo  regime  e  solo  per  imposizione.  Nel  secolo
scorso  vi  fu  il così  detto  movimento  di  Oxford,  determinato  da  intel-
lettuali  mal  soddisfatti  della  dottrina  ufficiale  e  della  Chiesa  sta-
bilita.  Gran  parte vi  ebbe il Newman,  il quale,  seguito  da  altri  cospi-
cui  personaggi,  finì  con  farsi  cattolico,  abiurando  nelle  mani  del
celebre  padre  Domenico  Pacelli,  santo  passionista  italiano,  dopo  un
ritiro  nel  vicino  villaggio  di  Littlemore,  che  oggi  fa  parte  della  par-
rocchia  salesiana di  Cowley.  Di fronte alle casette  Newman sta  aperta
una  cappella  per  due  o  tre  mila  cattolici.
I  Salesiani  dunque  cercavano  presso  qualche  Università  uno
stabile  per  farne  una  casa  di  formazione  e  di  studio.  Saputo  che  a
sud-est  di  Oxford,  nei  sobborgo  di  Cowley,  i  Francescani  erano  di-
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
sposti  ad  abbandonare  un  edifìcio,  con  annessa  una  chiesetta  eretta
a  parrocchia,  non  si  lasciarono  sfuggire  l'occasione,  ma  ne  fecero
acquisto,  allestendo  in  una  parte  del  locale  il  noviziato  e  nel  resto
del  caseggiato  lo  studentato filosofico. È  interessante  vedere  come
i  Salesiani  seppero  rendersi  accetti  in  un  ambiente  saturo  d'inve-
terati pregiudizi  anticattolici.  Ruppero  da prima il  ghiaccio andando
a  giocare  nel  common.  Si  chiama  così  un  terreno  da  gioco  in  co-
mune  con  tribuna  e  attrezzi.  Ogni  borgo  in  Inghilterra  ha  il  suo.
Così  i  Salesiani  si  fecero  molti,  sebbene  piccoli,  amici.  Fu  possibile
per  tal modo iniziare un vero Oratorio festivo che ebbe edifìcio pro-
prio  in  un  terreno  comprato  adiacente  alla  casa.  S'arrivò  ad  avere
150  giovani  frequentanti,  in  massima  parte  protestanti o  senza  reli-
gione, Vi furono parecchie premiazioni  per lo studio  del  catechismo,
oltreché  per  vittorie  nei  giochi.  Nella  parrocchia,  dacché  fu  ammi-
nistrata  dai  Salesiani,  andò  crescendo  il  numero  dei  fedeli.  Quasi
quasi non  c'è bisogno  di cercare le  anime, perchè gli  abitanti  si pre-
sentano  da  sé  a  chiedere  di  essere  istruiti  nel  catechismo  e  nella
fede  e  seguono  corsi  individuali  d'istruzione  religiosa,  secondo  che
consigliano le  loro  individuali  attitudini.  I  confratelli  si  vedono cir-
condati di stima ?  tanto che Don Franco, quand'era Direttore a Covdey,
venne  eletto più  volte  presidente  di  un'associazione  agricola  locale.
Il  lavoro  di  penetrazione  con  mezzi  sportivi  continuò  fruttuo-
samente.  I  confratelli  poterono  talora  incontrarsi  in  gare  di  foot-
ball  con  soldati  nel  campo  della  caserma  e  con  operai  in  quello
della  grande  fabbrica  d'automobili  Morris,  due  campi  che  sì  tro-
vano  nel  territorio  della  parrocchia.  Anzi  la  banda  di  questa  fab-
brica si  prestò non  di rado a rallegrare bazar  e feste,  che i Salesiani
organizzavano  in  periodi  dì vacanza  nel  proprio  terreno  allo  scopo
di  essere conosciuti  e  aiutati.
Con  tutte queste notizie  non abbiamo  dimenticato  l'Università.  I
Salesiani  presero  a  frequentarla  regolarmente  da  esterni;  perciò,
adattata  una  parte  della  casa,  secondo  che  vogliono  le  norme  uni-
versitarie,  la  fecero  riconoscere  come  ostello:  noi  diremmo  quale
pensionato  autorizzato  per  universitari  salesiani.  Apposero  quindi
sull'entrata  Io  stemma  dell'Università:  tre  corone  circondanti  un
libro  con  la  scritta  Dominus  illuminatio  mea.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 In  Jugoslavia,  Polonia,  Irlanda,  Malta,  Inghilterra
Queste  due  pagine  rimarrebbero  incomplete,  se  non  dicessimo
nulla  di  un  grande  trionfo  riportato  dai  nostri  nel  campo  religioso:
riuscirono  a  fare  le  processioni.  Osarono  tentare  con  quella  del
Corpus  Domini,  La  sfilata  mosse  dalla  casa  dei  Salesiani  e  vi  per-
corse  il  tratto  che  separava  questa  dalla  casa  delle  Figlie  di  Maria
Ausiliatrice,  le  quali  alla  distanza  di  un  chilometro  e  mezzo  tene-
vano  un  loro  noviziato.  Si  procedette  tra  canti  e  suoni  e,  cosa  inau-
dita,  i  religiosi  della  città  intervenuti  comparvero  in  pubblico,  in-
dossando  le varie  loro tonache.  Era  l'ora,  nella  quale  gli  operai  usci-
vano  dalla  fabbrica;  eppure  non  accadde  il  menomo  incidente,  anzi
i  giornali locali  commentarono  benevolmente  il  fatto,  illustrando  an-
che  gli  articoli  con  fotografìe.  Il  buon  successo  del  primo  tentativo
incoraggiò  a  ripeterlo  nella  festa  di  Maria  Ausiliatrice.  Anche  allora
ìa  processione,  spiegatasi  con  gran  pompa  religiosa,  ebbe  per  mèta
il  giardino  delle  Suore,  dove  fu  impartita  la  benedizione  eucaristica.
Don  Bosco  deve  aver  gioito  dal  cielo.
Ma  c'è  un'altra  cosa,  che  non  va  taciuta.  Tutti  sanno  quale  ri-
sveglio  cattolico  sia  stato  prodotto  nell'Inghilterra  dal  menzionato
movimento  di  Oxford;  ma  non  si  pose  abbastanza  mente  alla  coinci-
denza  di  una  visione  del  venerabile  Domenico  Savio  con  quel  movi-
mento.  Una  mattina  del  1857  dopo la  santa  comunione  parve  all'an-
gelico  giovanetto  dell'Oratorio  di  vedere  Pio  IX,  che,  pontificalmente
vestito,  avanzava  verso  una  moltitudine  d'Inglesi  avvolti  in  densis-
sima  nebbia  e  sollevava  con  le  mani  a  guisa  di  ostensorio  una  lumi-
nosa  fiaccola,  ai  cui  chiarore  andavasi  dileguando  la  nebbia t   finché
gli  uomini  restarono  in  una  luce  meridiana.  Il  fanciullo  rimase  così
impressionato,  che  pregò  Don  Bosco  di  dirlo  al  Papa.  Don  Bosco
glielo  disse  l'anno  dopo,  e  Pio  IX  gli  rispose  che  quel  racconto  lo
confermava  nel  suo  proposito  di  lavorare  energicamente  a  favore
dell'Inghilterra,  alla  quale  aveva  già  rivolto  le  sue  più  vive  solleci-
tudini;  tal  cosa,  se  non  altro,  essergli  quale  consiglio  di  un'anima
buona.  Ma  oltre  all'accennata  contemporaneità  ci  si  presenta  oggi
un  altro  particolare  degno  di  nota.  Il  movimento  oxfordiano  ebbe  il
suo  centro  d'irradiazione  a  Littlemore,  sobborgo  di  Oxford,  perchè
il  grande  Newman  e  parecchi  de'  suoi  discepoli  maturarono  ivi  la
loro  conversione,  seguita  poi  da  quella  di  tanti  altri.  Orbene  Little-
more  fa  appunto  parte  della  giurisdizione  parrocchiale  affidata  ai
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 Capo X
Salesiani.  Si  direbbe che li abbia condotti  Domenico Savio  a Oxford
e proprio in quella frazione di Oxford, donde  molti  presero le mosse
verso Roma.
Don  Albera  visitò  i  Salesiani  inglesi  nell'aprile  1912.  Si  festeg-
giava allora  il  venticinquesimo della  prima  casa salesiana  in Londra.
Dopo  l'altra  sua  andata  in  Inghilterra,  diciannove  anni  innanzi,
quand'eravisi  recato  con  Don  Rua  per  l'inaugurazione  della  chiesa
del  Sacro  Cuore, potè vedere  con i  propri  occhi,  quanto si fosse svi-
luppata l'opera di Dan Bosco nella capitale e fuori. Visitate le diverse
case,  si  augurò  partendo che  quella  ricorrenza  giubilare  segnasse  il
principio  d'un  nuovo  periodo  di  progresso  ancor  maggiore.  L'au-
gurio,  nonostante  le  difficoltà  che  insorgono  contro  tutte  le  opere
buone,  ebbe  felice  avveramento.
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ANNALI DELLA SOCIETÀ SALESIANA IV. R.M: ALBERA 1910-1921 CAPO  XI
Cuba,  Centro  America,  Stati  Uniti.
Santiago,  Camaguey,  Avana,  —  Granada, Ayagualo (Mona. Moresco).  —  Pori  Chester
Filadelfia,  Ramsey,  New  Rochelle,  Watsonville
Dopo  che  i  Salesiani  si  erano  ritirati  nel  1908  dall'isola  di  Gia-
maica,  una  nuova  via  si  dischiudeva  loro  alle  Antille,  verso  la  metà
del  Rettorato  di  Don  Albera;  essi  entrarono  allora  nella  Repubblica
cubana,  lontano  preludio  dell'ingresso  nelle  altre  due  di  Santo  Do-
mingo  e  dì  Haiti.  Vi  furono  preceduti  dal  salesiano  Mons,  Felice
Guerra,  che,  mandato  nel  1915  Amministratore  apostolico  della  sede
arcivescovile  di Santiago, venne l'anno  dopo  creato  Arcivescovo  della
medesima  città.  Subito  fin  da  principio,  con  l'intenzione  di  chiamare
i  Salesiani,  acquistò  una  piccola  tipografia  con  legatoria  e  nel  1920
ottenne  da  Don  Albera  che  Don  Francesco  Dona,  appartenente  alla
casa  di  Panama,  andasse  da  lui,  per  incominciare  dal  poco  a  prepa-
rare  un'opera salesiana.  Quel poco durò  molto;  ma infine  si  vide che
tout  vieni  à  qui  sait  attenére.  Con  i  due  1  abora  toiletti  aperse  l'Ora-
torio  festivo  e  una  scuola  elementare  per  esterni  assai  frequentata.
Gli  alunni,  allegri  e  contenti  come  non  solevano  mostrarsi  quelli
di  altre  scuole,  richiamarono  l'attenzione  del  pubblico;  le  festicciole
religiose  e  civili  secondo  lo  stile  salesiano  fecero  il  resto.  L'Oratorio,
cosa  della quale  non  si aveva  neppur l'idea,  destava maraviglia e  atti-
rava  benefattori.  L'Arcivescovo  istituì  nel  medesimo  quartiere  una
nuova  parrocchia,  affidandola  ai  Salesiani.  Don  Dona  tra  l'altro  or-
ganizzò  un'Associazione  operaia  dal  singolare  titolo  di  "  Caballeros
de  Don  Bosco ",  che  arrivò  ad  avere  ^)0  soci.  Approvata  legalmente
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dall'autorità  civile  e  canonicamente  da  quella  ecclesiastica,  si  pre-
stava  molto  bene  a  rendere  più  cristiane  le  famiglie,  del  che  era
sentito  il  bisogno.  Nel  1923  l'Economo  Generale  Don  Condii,  ritor-
nando  dagli  Stati  Uniti,  passò  per  Cuba  e  visitata  la  casa  di  San-
tiago,  ne  pronosticò  bene.  Le  case  di  Cuba  dipesero  nei  primi  anni
dall'Ispettoria  celtica  della Spagna;  ma  poi  l'enorme  distanza  e  più
che  tutto  l'avversione  dei  Cubani  agli  antichi  dominatori,  consigliò
di  staccamele  e  di  annetterle  alPIspettoria  messicana.
Prima  della  modesta  opera  di  Mons.  Guerra,  un'altra  aveva
avuto  inizio  nella  città  di  Camagùey,  capitale  dell'omonima  pro-
vincia  e  distante  317  chilometri  da  Santiago.  La  ricchissima signora
Dolores Betancourt,  nativa  di  Camagùey  e  domiciliata  a New York,
avendo  avuto  occasione  di  conoscere  i  Salesiani  e  specialmente
Don, Coppo, era  rimasta  entusiasmata dell'opera  loro  e  si propose  di
dare  alla  sua  patria  una  tale  istituzione  col  fine  precipuo  di  prov-
vedere  all'educazione  della  gioventù  povera  e  abbandonata.  Mossa
da cosi santa intenzione, venne a Torino, dove il 24 luglio 1915 firmò
con Don Albera  una  convenzione,  nella  quale  si  obbligava  a  donare
casa  e  terreno,  a  costruire  un  collegio  nello  spazio  di  tre  anni  dal
giorno  dell'arrivo  dei  Salesiani,  a  provvedere  tutto il  mobilio  scola-
stico  e  professionale  e gli  utensili  domestici,  a  mantenere trenta  or-
fani ed a passare un assegno per il personale. I Salesiani a  loro volta
s'impegnavano  a  fondare  una  scuola  di  arti  e  mestieri,  ad  aprire
scuole  elementari  ed  a  tenere  un  Oratorio  festivo,  godendo  pienis-
sima  libertà  di  direzione  e  di  amministrazione.  Ma  purtroppo  dal
dire al fare  ci fu di mezzo  il  solito  mare.
I  primi  quattro  salesiani,  partiti  da  Barcellona,  giunsero  a  Ca-
magùey il 4  aprile 1917  col  Direttore Don  Giuseppe Calasanz,  pren-
dendo  alloggio in una casa della signora, con la servitù  di  altri coin-
quilini.  Né  fu  questo  il  solo  contrattempo.  Sulla  carta  tutto  era
chiaro;  ma  quanto  a  mettere  in  atto  il  contenuto  non  si  veniva  a
capo di nulla.  Eppure  della  donatrice  scriveva Mons.  Guerra  a  Don
Albera il 20 febbraio 1918:  « Veramente essa ha denari ed è generosa
e  piena  di  buona  volontà ».  Perchè  dunque  non  si  moveva?  Il  mi-
stero si spiega, quando, si sappia che teneva a Camagùey un procura-
tore  senza  coscienza,  il  quale  avversava  i  Salesiani  e  serviva  ad
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altri  interessi.  I  Salesiani,  dopo  un  anno  di estenuante inazione,  ritor-
narono  nella  Spagna,  meno il  Direttore,  per  il  motivo  che  diremo.
Intanto  però  a  Camaguey  accadeva  una  novità.  Nell'estate  del
1918  il  Vescovo,  trovandosi  nella  Spagna  e  mal  soffrendo  di  dover
restare  senza  i  Salesiani,  tanto  si  adoperò  presso  l'Ispettore  Don  Bi-
nelli, che lo indusse  ad  accettare  a  Camaguey  la  parrocchia  di  Nostra
Signora  della  carità,  vicinissima  al  luogo,  dove  sarebbe  dovuto  sor-
gere  il  collegio.  Là  i  Salesiani  avrebbero  potuto  esercitare  il  sacro
ministero  e  aver  casa  propria  con  i  mezzi  di  decorosa  sussistenza.
I  Superiori,  tutto  ben  considerato,  diedero  la  loro  approvazione  e
destinarono  a  reggere  la  parrocchia  Don  Filippo  De  la  Cruz,  che
risiedeva  nel  collegio  di  Santander.  Arrivò  egli  il  9  maggio  1919  con
un viceparroco.  Li  accompagnava  Mons.  Guerra,  Incontrarono  acco-
glienze  oneste  e  liete  da  ogni  parte,  fuorché  dal  suddetto  procura-
tore,  che  scatenò  una  campagna  di  denigrazione  presso*  la  signora
lontana  e  sulla  stampa  vicina.
I  Salesiani  Io  lasciavano  cantare  e  lavoravano  di  buona  voglia.
La  parrocchia  offriva  largo  campo  al  loro  zejp.  Comprendeva  essa
un  nucleo  di  popolazione  urbana  e  un  altro  di  popolazione  rurale,
disseminata  per  un  raggio  di  70 chilometri.  Questa  parte  era  un  vero
territorio  di  missione.  Il  sacerdote  doveva  percorrerla  a  cavallo  per
battesimi,  per  matrimoni  e  per  l'istruzione  catechistica.  Quella  po-
vera  gente  versava  in  un'ignoranza  religiosa  che  non  poteva  non
preoccupare  chi  aveva  la  responsabilità  delle  anime.  Facevano  pure
egregiamente  l'ufficio  loro  le  Figlie  di  Maria  Ausiliastrice,  volute
anch'esse  dalla  mentovata  signora.
Mentre  i  Salesiani,  vessati  sempre  dal  molesto  procuratore,  fa-
ticavano  senza  risparmiarsi  e  con  soddisfazione  generale,  ecco  la
repentina  scomparsa  della  signora.  Nel  1921  ella  si  era  finalmente
decisa  a  recarsi  sul  posto  per  vedere  e  agire;  ma  a  Camaguey  cessò
di  vivere  il  25  aprile.  A  New  York  aveva  depositato  fin  dal  1916  un
testamento,  nel  quale  destinava  due  vistosi  legati  per  i  Salesiani  e
per  le  Suore,  nominando  esecutore  testamentario  un  suo  cugino.
Costui  non  si  dava  il  menomo  pensiero  di  eseguire  le  clausole  del
testamento,  rivelandosi  sempre  più  uomo  senza  scrupoli.  Da  ultimo
incominciò  a  fabbricare,  ma  a  modo  suo,  facendo  orecchio  di  mer-
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cante  ai  suggerimenti  di  chi  poteva  e  doveva  consigliarlo.  Un  anno
dopo  morì  anche lui.  Allora,  apriti  cielo !  Si  levarono su  da  più  parti
pretendenti  a  impugnare  il  testamento  e  incominciò  un  accanirsi
di  liti,  che  durò  fino  ai  1927.  Don  De  la  Cruz,  munito  di  legale  pro-
cura  da  Don  Albera,  tenne  testa  con  energìa  e  abilità  agli  avversari,
finché  costoro,  stanchi  di  appellarsi,  chiesero  di  venire  a  un  com-
promesso.  Allora  un  delatore  per  il  proprio  tornaconto  rivelò  un
particolare,  che  chiamava  in  causa  il  Ministero  della Beneficenza,  il
quale,  entrato  nell'affare,  impediva  che  si  risolvesse  nel  modo  di-
visato  la  questione.  Visto  ciò,  1286  cittadini  di  Camaguey  firmarono
una  petizione  al  Presidente  della  Kepubblica,  pregandolo  d'interve-
nire.  La  domanda  sortì  il  desiderato  effetto.  Naturalmente  i  Sale-
siani,  oltre  alle  forti  spese  sborsate  agli  avvocati,  dovettero  cedere
in  parte  al  loro  diritto.  In  ogni  modo  il  collegio  fu  costruito  e  le  sue
scuole  esterne  continuano  a  fare  gran  bene.  Purtroppo  ne  andò  di
mezzo  l'indipendenza,  perchè  il  detto  Ministro,  avendo  fatto  dell'o-
pera  un  ente  morale,  vi  mise  lo  zampino;  la  legge  voleva  così.
Ad  Avana  (La  Habana),  capitale  di  Cuba,  i  Soci  della  Confe-
renza  di  S.  Vincenzo  De'  Paoli  avevano  nel  1886  aperte  trattative
per  ottenere  che  i  Salesiani  andassero  a  prendere  la  direzione  di  un
loro  orfanotrofio,  composto  di  due  case.  Le  loro  insistenze  si  face-
vano  sempre  più  pressanti;  ma  i  Superiori  non  avevamo  personale
disponibile.  Allora  Cuba  stava  ancora  soggetta  alla  Spagna;  onde
nel  1893  l'Ambasciatore  dì  quella  nazione  presso  la  Santa  Sede  in-
teressò  della  cosa  il  Card.  Rampolla,  Segretario  di  Stato,  e  questi
interpose  premurosamente  i  suoi  uffici,  facendo  conoscere  che  la
Società  di  S.  Vincenzo  aveva  urgenza  di  provvedere,  perchè  altri-
menti,  non  per  mancanza  di  mezzi  materiali,  che  abbondavano,  ma
per  difetto  di  personale  atto  a  dirigere  e  amministrare,  si  sarebbe
trovata  nella  dura  necessità  di  chiudere,  abbandonando  al  loro  de-
stino  tanti  poveri  giovani.  C'era  però  un  punto  delicato  da  chiarire.
L'esperienza  aveva  ornai  insegnato  che  in  casi  simili  si  correva  fa-
cilmente  il  rischio  di  non  godere  poi  la  necessaria  indipendenza.
Per  vederci  chiaro  fu  mandato  ad  Avana  dagli  Stati  Uniti  Don  Pi-
perni,  che  non  rimase  soddisfatto.  I  Superiori  avrebbero  voluto  la
cessione  totale  degli  immobili;  il  che  alla  Società  non  garbava.  In-
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somma  la  corrispondenza,  interrotta  e  ripresa  più  volte,  si  protrasse
fino  ai  1903,  senza  che  si  potesse  mai  venire  a  una  soddisfacente
intesa.
Molti  in  Avana  desideravano  i  Salesiani.  Il  Vicario  Generale
Emmaauele  Arteaga,  nipote  di  quel  Don  Riccardo  Arteaga  che  era
stato Cooperatore nel  Venezuela  (1),  e  zelante  Cooperatore  egli  stesso,
veniva  preparando  l'ambiente  col  divulgare  la  divozione  a  Maria
Ausiliatrice,  col  diffondere  il  Bollettino  spagnolo  e  con  l'organizzare
la  Pia  Unione  dei  Cooperatori.  Egli  cercava  di  formare  un  Comi-
tato  per  raccogliere  fondi,  quando  intervenne  in  modo  inaspettato
la  Provvidenza.  Don  Calasanz,  nel  1918,  andato  ad  Avana  per  par-
lare con la signora  Befancourt  ivi  dimorante,  giunse proprio  in  tempo
per  essere  strumento  della  Provvidenza.
I  fratelli  Emmanuele  e  Gustavo  Inclan,  nativi  di  Avana,  rimasti
orfani  in  tenera  età  e  senza  mezzi  di  fortuna,  campavano  la  vita
attendendo  a  umili  lavori.  Divenuti  grandicelli,  s'impiegarono  in  una
casa  di  commercio,  presso  la  quale  esplicarono  tanta  attività,  che
dopo  alcuni  anni  divennero  soci  e  più  tardi  padroni.  La  loro  oculata
operosità  rese  quella  casa  una  delle  più  forti  in  Avana,  sicché  i  due
fratelli  si  crearono  un  capitale  rilevante.  Non  avendo  nessuno  dei
due  contratto  matrimonio,  stabilirono  di  lasciare  per  testamento
una  somma,  che  servisse  alla  fondazione  di  un  orfanotrofio.  Mori  il
primo  nel  1910  e  il  secondo  nel  1915,  Siccome  però la  maggior  parte
dei  beni  veniva  dal  primo dei fratelli,  si  diede  all'opera  il  suo  nome,
Il  capitale  destinato  all'opera  benefica  era  di  oltre  600.000  dollari;
esecutore  testamentario  l'avvocato  Francesco  Angulo,  uomo  onesto
e unito  in  intima  amicizia  con  i  due  defunti.  Egli  prese  la  cosa  come
se  fosse  sua  propria,  studiandosi  di  metterla  fedelmente  in  esecu-
zione? Pensò  anzitutto  a  chi  affidare  la  direzione.  Per  questo  consultò
l'Arcivescovo,  il  quale  lo  mandò  a  interrogare  i  Gesuiti,  e  i  Gesuiti
gli  dissero  senz'altro:  —  Questo  è  affare  dei  Salesiani.  —  E  trovan-
dosi  ad  Avana  il  salesiano  Don  Calasamz,  si  rivolse  a  lui.  I  Supe-
riori,  avuta  la  relazione  della  proposta,  incaricarono  Don  Calasanz
delle  pratiche  preliminari.
Le  ripercussioni  della  guerra  mondiale  causarono  ura  ritardo  di
(lì  Ann.,  voi.  II,  pp.  513  e  518.  Oggi  è  Arcivescovo  a  Santiago  di  Cuba.
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