Sono onorato, innanzitutto, di rivolgere un cordiale saluto all’Illustrissimo Rettor Magnifico dell’Università e a tutte le Autorità Accademiche; saluto anche le altre Autorità qui convenute e tutti i partecipanti, che mi onorano della loro presenza.
Sono consapevole che il riconoscimento della laurea “honoris causa”, di cui Ella Signor Rettore ha voluto insignirmi, è rivolto alla mia persona in quanto Nono Successore di Don Bosco; e che, soprattutto, è un apprezzamento per l’opera di evangelizzazione, di promozione culturale, di educazione e di sviluppo sociale che i Salesiani di don Bosco hanno svolto e svolgono in questa città e in questa regione e nei 128 paesi in cui si trovano ad operare. I Salesiani sono benemeriti: a loro va questa laurea, per il merito e l’onore che si sono conquistati sul campo.
Le esprimo perciò riconoscenza da parte mia e da parte dei Salesiani miei confratelli. E’ la riconoscenza di chi sa di ricevere un dono e per questo ringrazia; ma è pure la riconoscenza di chi, pur donando, sa di aver ricevuto molto. Da parte mia mi sento particolarmente onorato di essere accolto, come membro onorario, dal Corpo Docente di questa Università.
Mi auguro perciò che questo gesto significativo della laurea “honoris causa” rafforzi i legami esistenti tra l’Università e i Salesiani e sia segno di comunione e di collaborazione.
In questo mio intervento parlerò dell’ “Impegno di don Bosco e dei Salesiani per la cura della salute, la ricerca nel campo della medicina alternativa e la preservazione della biodiversità”. Ritengo utile, e forse è anche necessario, aiutare a cogliere il senso e la prospettiva dell’attenzione per la cura della salute che don Bosco e i salesiani hanno avuto nel loro impegno educativo, che – com’è noto – è l’orizzonte privilegiato della loro azione.
La coscienza della dignità dell’uomo, immagine di Dio, è alla base della visione antropologica ed educativa di don Bosco, ed è per questo che, nella sua concretezza, mentre aiuta a cogliere ragioni di vita e orizzonte di salvezza, essa non può non farsi carico e raccomandare la cura della salute: la sanità come base e condizione per una vita operosa e lieta. “Mens sana in corpore sano”, dicevano gli antichi.
La cura della salute, la promozione della persona umana in tutte le sue dimensioni, la disponibilità e l’intraprendenza per poter venire incontro ai bisogni dei più poveri, sono stati obiettivi e compiti che hanno caratterizzato da sempre l’azione educativa e di promozione umana svolta dai salesiani. Cerchiamo di coglierne meglio il fondamento nelle origini e lo sviluppo nel tempo.
Il “manifesto educativo” che solitamente riassume il sistema educativo di don Bosco ed esprime gli obiettivi e le prospettive educative da lui seguite è condensato nell’espressione “onesti cittadini e buoni cristiani”.
La praticità e la sagacia operativa, tipiche in don Bosco, lo portarono a coniugare aspetti antichi e nuovi, evitando i radicalismi moderni come pure la semplice restaurazione di aspetti tradizionali. Il suo manifesto educativo e l’intero suo “sistema preventivo” cercava di coniugare la perenne novità cristiana con la necessità e capacità di inserirsi da protagonisti nella nuova realtà sociale. [1]
La stessa espressione del manifesto educativo è stata letta giustamente come una formula dell’umanesimo educativo di don Bosco [2] , del suo impegno di ricostruzione morale e civile, coniugando “civiltà e religione”, promozione del “bene dell’umanità e della religione, espresso in modo chiaro ed esplicito nel testo che pose nelle mani dei suoi ragazzi, Il giovane provveduto, come guida religiosa della loro vita: «Vi presento un metodo di vivere breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo»”. [3]
Il desiderio di formare un nuovo tipo di uomo e di cristiano, nella cui esperienza potessero integrarsi le esigenze di pietà e moralità insieme a scienza e civiltà, lo portarono a mettere in evidenza l’attività umana e la valorizzazione delle realtà terrene, il lavoro e la gioia di vivere, in un progetto di “vita cristiana operosa e lieta”. [4]
Si trattava di un’esperienza di vita che proponeva ai suoi ragazzi indicando loro le qualità che dovevano impegnarsi a realizzare per arricchire e armonizzare la loro vita. Ai suoi ragazzi dell’Oratorio di Valdocco, agli allievi dei collegi salesiani appena avviati e per lettera ai figli dei suoi amici e benefattori raccomandava “sanità, sapienza, santità”. Le tre S, [5] come sinteticamente le indicava, costituivano un vero programma di vita.
Oltre alla raccomandazione circa la “sanità” inclusa nelle tre S, vi sono altri segni e fatti concreti dell’attenzione di don Bosco alla salute, che è utile richiamare.
Anzitutto è presente tra le modalità di applicazione del suo sistema preventivo: «III. Si dia ampia possibilità di saltare, correre, schiamazzare a piacimento – scrive nell’opuscolo sul sistema preventivo –. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità» [6] .
Nel 1854, nelle sue Letture Cattoliche (una serie di fascicoli che pubblicava per l’istruzione del popolo) pubblicò un fascicolo dal titolo “La buona regola di vita per conservare la sanità”. Non è lui l’autore, ma il fatto che la inserisce tra le pubblicazioni delle sue Letture Cattoliche dice la sua attenzione al problema. Si tratta di dodici conversazioni al popolo in cui si presentano gli effetti fisici di abusi e si indicano mezzi e regole di condotta a livello individuale, familiare e sociale.
Nello stesso 1854, nella Torino infestata dal colera, in una situazione di precarietà e di estremo bisogno, don Bosco visse con i suoi adolescenti (alcuni di soli 14 anni) e giovani un’esperienza che ha dell’incredibile. Leggiamo nelle Memorie Biografiche: “dopo di aver veduto coi propri occhi il bisogno in cui molti malati versavano, D. Bosco un giorno radunò i suoi giovani e fece loro una tenera parlata. Egli descrisse loro lo stato miserando, in cui tribolavano tanti poveri colerosi, alcuni dei quali soccombevano per mancanza del pronto e necessario soccorso. Disse il bell’atto di carità, che si era il consacrarsi in loro sollievo; che il divin Salvatore aveva assicurato nel santo Vangelo di riguardare come fatto a se stesso il servizio prestato agli infermi; che in tutte le epidemie, e nelle stesse pestilenze vi erano sempre stati Cristiani generosi, i quali avevano sfidato la morte al lato degli appestati, per servirli ed aiutarli nel corpo e nell’anima. Loro notificava come il Sindaco stesso erasi raccomandato, per avere degli infermieri ed assistenti; che D. Bosco con vari altri già si erano esibiti; e conchiudeva esprimendo il desiderio che alcuni de’ suoi giovani si facessero suoi compagni in quell’opera di misericordia”. [7]
Quattordici giovani risposero prontamente all’appello e altri trenta si aggiunsero pochi giorni dopo. Questa generosa risposta lo allietò molto, fino a farlo piangere di consolazione.
Ovviamente non li mandò allo sbaraglio, ma indicò le norme da seguire e anche il trattamento possibile a seconda delle fasi della malattia, insieme ad altre utili indicazioni infermieristiche e suggerimenti, affinché nessuno “avesse a morire senza i conforti della Religione”. [8]
Fu una gara di estrema generosità e impegno. Partecipò attivamente anche la sua mamma, che svuotò il guardaroba di tutto ciò che poteva essere utile per pulire e coprire i poveri ammalati. Un giorno, non avendo più nulla da dare, chiese a don Bosco di poter utilizzare una tovaglia dell’altare e altri indumenti della sacrestia per ricoprire “le membra di Gesù Cristo, perché tali sono i poverelli”. [9]
Il fatto non passò inosservato. Il giornale Armonia, il 16 settembre 1854, fece un dettagliato resoconto del servizio prestato da don Bosco e dai suoi giovani.
Oltre a questi fatti straordinari, l’attenzione alla salute ritorna frequentemente nelle lettere di don Bosco ai salesiani, agli amici e benefattori. Non si tratta solo di richiami ad aver cura della salute. A don Michele Rua scrive a fine ottobre del 1863: «Evita le mortificazioni nel cibo e in ciascuna notte non fare meno di sei ore di riposo. Questo è utile per la tua sanità…». [10] In una lettera a don Giovanni Bonetti alla fine del mese di novembre 1864, insieme a proibizioni e raccomandazioni, esprime tutto il suo humor: «…non parlare di breviario fino a Pasqua: cioè sei proibito di recitarlo… Ogni digiuno, ogni mortificazione di cibo è proibita. Il Signore ti prepara lavoro, ma non vuole che tu lo cominci se non quando sarai in perfetto stato di sanità… (…) Porta un materasso nel tuo letto, aggiustalo bene come si farebbe ad un poltrone matricolato; sta’ bene riparato nella persona in letto e fuori letto…». [11]
Il richiamo alla salute è espresso anche nei ricordi confidenziali ai direttori: «2