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Testimonianza cristiana come “presenza profetica”

GIORNATE DI STUDIO SULLA PRESENZA SALESIANA TRA I MUSULMANI

Salesianum

Roma, 30 luglio-4 agosto 2012

Testimonianza cristiana come “presenza profetica”
(con riferimenti particolari al dialogo musulmano-cristiano in Asia)

di Francesco Zannini

Introduzione

Ci chiediamo con frequenza dove incomincia il dialogo interreligioso. La risposta alla domanda è molto semplice: il dialogo nasce dove la gente è di buona volontà. I diversi fatti che ho visto durante la mia carriera universitaria mi hanno permesso di viaggiare e visitare molte nazioni del mondo non come turista ma come studioso e ricercatore, e ciò  mi ha offerto l’opportunità di vivere in mezzo a popoli di culture diverse, in particolare del mondo islamico, condividendone vita e ansietà del futuro che attualmente affrontano.

Vivendo in Egitto e nel Bangladesh, o visitando la Turchia, il Pakistan, la Malesia o l’Indonesia, ho constatato quanto sia diverso il mondo musulmano, lo si consideri da un punto di vista sociale ed etnico, o da una prospettiva culturale o persino religiosa. Musulmani sono stati miei compagni di scuola in Egitto, colleghi all’università, allievi e vicini di casa nel Bangladesh, dove persino la mia padrona di casa e il mio cuoco erano musulmani. Questi contatti  mi hanno permesso di mettermi in relazione con loro e di superare ostacoli culturali e preconcetti occidentali.

Uno dei sentimenti dominanti nella nostra società oggi è la paura dell’Islam e dei musulmani, il cui mondo e sistema di valori sono visti come lontani da quelli cristiani. Ma se ti metti in contatto con i musulmani a livello personale, ottieni una nuova prospettiva e senti una maggiore vicinanza tra “credenti”. Infatti quando, grazie alla relazione personale, questa distanza decresce, ci accorgiamo che l’altra persona è uno di noi, tutte le barriere cadono, una comune umanità e valori spirituali comuni emergono. Nel dibattito sull’Islam noi guardiamo troppo spesso al “mondo islamico” come a una categoria astratta e culturalmente distante. In realtà non soltanto l’Islam è più vicino al Cristianesimo di quanto possiamo  pensare, ma l’Islam è un universo costituito da popoli con i quali è possibile e necessario condividere valori da esprimere attraverso il dialogo. Come ha sottolineato il Vaticano II: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l‘unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce”. (1) D’altra parte, l’atteggiamento di solidarietà e di condivisione che ogni cristiano deve avere con tutti è chiaramente espresso nell’incipit della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed  hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.(2)

Al presentare esperienze particolari di dialogo, questa conferenza si concentrerà solamente sulle nazioni dell’Asia Sud, Centro e Sudest. Ciò perché vi ho trascorso la maggior parte della vita e perché l’Islam in Asia assume forme per nulla presenti in Medio Oriente, arricchendosi con un dialogo che è parte naturale del sentimento comune della gente di questo continente.

1. Testimonianza cristiana tra musulmani

Il rispetto e l’amore che i musulmani hanno per i cristiani è dichiarato nello stesso Corano: “E troverai che i più vicini all’affetto per coloro che credono sono quelli che dicono: Guarda! noi siamo cristiani. Ciò perché tra di essi ci sono preti e monaci, e perché essi non sono orgogliosi”. (3) Qui i cristiani sono stimati per la testimonianza offerta da figure spirituali come sacerdoti e monaci e dal fatto che essi siano persone umili. Questa potrebbe essere la base della nostra riflessione su come i cristiani dovrebbero comportarsi tra i musulmani per rendere testimonianza a Gesù il quale, secondo san Paolo, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. (4) Questo umile atteggiamento può anche aiutarci a superare le ostilità del passato e del presente e, malgrado le molte differente teologiche ed etiche, essere partner, insieme ai musulmani, nell’affrontare le sfide della globalizzazione, della modernità e postmodernità, dei problemi relativi alla crescita finanziaria  e alla crisi globale, al neocolonalismo, alla guerra, al terrorismo, alla giustizia sociale, allo sfruttamento e alla povertà, come il Vaticano II afferma nel documento “Nostra Aetate”:

“Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. (5)

Questa apertura e partecipazione esige, però, una profonda coscienza della rilevanza della struttura della fede cristiana, come è manifestata nella Sacra Scrittura e formulata attraverso la storia della Chiesa. La nostra testimonianza dovrebbe essere chiara. Infatti “dialogo non è relativismo, ma piuttosto è fondato in una visione essenziale di epistemologia teologica: la Chiesa confessa la venuta nella storia della vita divina, qualcosa non immediatamente ovvia e quindi bisognosa di testimonianza”. (6) Ciò non significa che noi dovremmo avere un atteggiamento statico. Al contrario, dovremmo agire in modo tale che la testimonianza cristiana si rinnovi attraverso un proceso di dialogo (7), come si conferma nel documento del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso: “Nel contesto del pluralismo religioso, dialogo significa ‘ogni positiva e costruttiva relazione inter-religiosa con individui e comunità di altre fedi che sia diretta a mutua comprensione e arricchimento’, in obbedienza alla verità e rispetto della libertà. Include sia la testimonianza come l’esplorazione delle rispettive convinzioni religiose”. (8)

La necessità di rendere testimonianza al Vangelo, così come di mostrare un atteggiamento profetico di comunità cristiana, appare anche in altre dichiarazioni e documenti che sono seguiti al Vaticano II e in vari eventi: rendere testimonianza nella vita e nelle esperienze di molti cristiani tra popoli di altre culture e religioni che caratterizzarono la vita della Chiesa negli anni recenti.
Nell’enciclica “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II il Regno di Dio è presentato come più ampio della Chiesa stessa (9) , che è al servizio del Regno  (10).

Qualcosa di simile è manifestato anche nel documento “Dialogo e proclamazione”, dove afferma che parte del ruolo della Chiesa “consiste nel riconoscere che l’iniziale realtà di questo Regno può essere trovato anche oltre i confini della Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose, fin dove essi vivono valori evangelici e sono aperti all’azione dello Spirito” (11), senza dimenticare che “questa è certamente una realtà iniziale, che ha bisogno di completarsi mettendosi in contatto  con il Regno di Cristo già presente nella Chiesa, ma che avrà la sua pienezza soltanto nel mondo che verrà”. (12)

Troviamo un atteggiamento simile nei documenti del Primo Istituto dei Vescovi per l’Apostolato Missionario, nel 1978 (13), quando dice che il dialogo può essere usato in un senso molto superficiale, mentre dovrebbe essere capito come “una testimonianza di Cristo in parole e opere, raggiungendo le persone nella realtà concreta della loro vita giornaliera, nel loro contesto culturale particolare,  le loro proprie tradizioni religiose, le loro condizioni socio-economiche”. (14) Il documento sottolinea che il dialogo inter-religioso non è sostituzione né preannuncio della proclamazione di Cristo. Il dialogo stesso è rendere testimonianza di fede cristiana: “Con umiltà e aiutandoci mutuamente cerchiamo, insieme ai nostri fratelli e sorelle, quella pienezza di Cristo che costituisce il piano di Dio per la creazione tutta, nella sua completezza e nella sua grande magnifica diversità”. (15) Infatti, dialogo e proclamazione del Vangelo non sono apostolati contrari, come se uno potesse rimpiazzare l’altro. Ambedue sono aspetti dell’unica missione evangelizzatrice della Chiesa. (16) “Questi due elementi devono ambedue mantenere la loro connessione intima e la loro distinzione; quindi non si devono confondere, manipolare o considerare come identici, come se fossero intercambiabili” (17) perché, attraverso il dialogo inter-religioso, i cristiani sono capaci di scoprire il mistero di Dio nelle persone di altre religioni e la proclamazione rende testimonianza del mistero di Dio come è stato rivelato a noi in Gesù Cristo.
 
È attraverso il nostro incontro spirituale con credenti di altre religioni che possiamo scoprire dimensioni più profonde della nostra fede cristiana e ampliare la nostra visione della presenza salvifica di Dio nel mondo. Ne consegue che “il dialogo è una strada nuova di essere Chiesa” (18), dove non c’è nessun modo di “relativizzare la nostra fede in Gesù Cristo o evitare una valutazione critica di esperienze religiose: siamo chiamati ad afferrare la verità più profonda e il significato del mistero di Cristo in relazione alla storia dell’auto-rivelazione di Dio”. (19) Questo ci porta a riconoscere che “è lo stesso Spirito,che è stato attivo nell’incarnazione, vita. morte e risurrezione di Gesù e nella Chiesa, che era attivo tra tutte le genti prima dell’Incarnazione ed è attivo nelle nazioni, religioni e popoli oggi”. (20).

La nostra presenza profetica nel mondo  musulmano dovrebbe fondarsi sul fatto che noi abbiamo Buone Notizie per i nostri amici musulmani e i loro vicini. Grazie alla nostra fede e vita noi confessiamo che c’è un unico Dio che ha parlato all’umanità e che la Parola a cui siamo soggetti, a cui ci arrendiamo, è la suprema rivelazione dello stesso Dio nella persona di Gesù Cristo. (21) Infatti, come afferma Lyle Vander Werff (22), studioso di relazioni musulmano-cristiane, “seguire Gesù significa sottomettersi al regno di Dio, entrare nel suo dominio. Nella nostra testimonianza ai nostri amici musulmani, tutto è secondario al messaggio che il Dio dell’universo attua attraverso Gesù, il Messia per la salvezza del mondo che egli ama (Gv 3,16), I cristiani vivono sotto  il grande comandamento di amare Dio sopra ogni cosa e di amare il loro prossimo (ogni nazionalità) come sé stessi. Per coloro che accolgono i comandamenti di Cristo di ‘amare i loro vicini musulmani’ e rendere testimonianza della Buona Novella che il regno di Dio  è arrivato nella persona di Gesù”. (23)

Quindi i cristiani hanno  la responsabilità di rendere testimonianza a questo mistero, sapendo che il concetto di “Storia di Salvezza” realizzato in Cristo racchiude in sé un significato diverso da quello che appare nelle affermazioni dei musulmani su Dio e che, allo stesso tempo, c’è una maggior capacità di condividere molte credenze e pratiche religiose. Ciò rende consapevoli i credenti nel dialogo interreligioso che essi si trovano alla presenza di Dio e che stanno lavorando sotto la spinta di Dio, offrendosi testimonianza l’un l’altro, prendendo in considerazione quanto unisce musulmani e cristiani, così come ciò che li divide.

Il dialogo interreligioso, infatti, non si può ridurre a un certo qual esercizio di religione comparata, ma deve assumere una dimensione altamente personale e spirituale. Così la nostra testimonianza in mezzo ai vicini musulmani dovrebbe essere una risposta alla chiamata di amare il prossimo come noi stessi (24), procurando il loro bene con gentilezza e rispetto, convinti che la speranza di salvezza che noi riponiamo in Cristo va offerta a tutti. Questo amore spirituale dovrebbe essere espresso anche attraverso l’ascolto e la conoscenza, mentre condividiamo ciò che è più importante per noi. Questo crescere più vicino è un atteggiamento amico, apportatore di pace e comprensione, apre la via a un dialogo  sincero in un tempo di tensione tra le nostre due comunità di fede, fa di musulmani e cristiani buoni vicini e amici che condividono valori comuni profondamente radicati nella loro propria fede.

Una risposta alla testimonianza cristiana e alla presenza profetica si può trovare  in un importante documento pubblicato dai musulmani per favorire il dialogo interreligioso, “Una parola comune tra noi e voi” (25), nel quale si afferma: “Musulmani e cristiani, insieme, sommano  più di metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose, non può regnare una pace significativa nel mondo. Il futuro del mondo dipende dalla pace tra musulmani e cristiani. La base per questa pace e comprensione esiste già. È parte degli stessi principi fondamentali di ambedue le fedi: amore dell’Unico Dio e amore del prossimo. Questi principi si trovano ripetutamente nei sacri testi dell’Islam e del Cristianesimo. L’Unità di Dio, la necessità di amarlo, e la necessità di amare il prossimo sono così il terreno comune di Islam e Cristianesimo”

2. Musulmani in Asia

L’Islam ha la sua origine nel mondo arabo e i musulmani in tutto il mondo sono sostanzialmente  uniti nella fede e nei valori predicati dal profeta Maometto, espressi nel Corano. I musulmani si considerano parte di una comunità super-nazionale, chiamata la Umma. Sarebbe però uno sbaglio pensare all’Islam come a un monolito: il mondo islamico è formato da popolazioni di culture e tradizioni differenti, che hanno prodotto forme diverse di vivere la stessa fede e tradizione islamica.

Quasi i due terzi dei musulmani del mondo vivono oggi in Asia. Una nazione come l’Indonesia rappresenta il 15% della popolazione maomettana mondiale, mentre il 30% della popolazione maomettana mondiale si trova in tre nazioni dell’Asia Sud - Bangladesh, India e Pakistan. In questo momento meno del 20% dei musulmani vivono in nazioni di lingua arabica. Si potrebbe dire che il  futuro dell’Islam è in Asia. Ci sono vari segni di una società maomettana in crescita: l’aumento della popolazione maomettana, lo sviluppo di un nuovo approccio teologico alla tradizione dell’Islam, l’attività della gioventù maomettana (sia maschile che femminile) nel campo dei movimenti della libertà e dei diritti umani, un coinvolgimento attivo nei mezzi moderni di comunicazione di massa come internet, giornalismo, radio e televisione.

Soprattutto in Asia l’Islam è penetrato nella società in un periodo di tempo relativamente breve e, attraverso la storia, ha fatto un profondo processo di acculturazione. Le pratiche religiose locali e tradizionali delle popolazioni indigene - diventate musulmane grazie a persuasione, conversione e conquista -  sono adesso parte delle vita della maggioranza dei musulmani dell’Asia. Tale processo di acculturazione è diventato il fattore costante che ha portato l’Islam ad assumere molte differenti forme dal Marocco alla Turchia, dal Caucaso alla Cina, dalla Tailandia alla Malesia, dall’Indonesia alle Filippine: i credenti musulmani praticano  la stessa fede e sono guidati dalla medesima legge islamica, ma ciò lo esprimono attraverso modi differenti di vita, secondo le loro proprie istituzioni  filosofico-religiose e attraverso i sistemi legali del posto.

Uno dei principali fattori della crescita dell’Islam in Asia è stato l’espansione del Sufismo nel  continente. In realtà i primi sufi non hanno dato molta importanza a formulazioni dottrinali o a questioni politiche, ma si sono concentrati piuttosto su pietà interiore e sottomissione alla volontà di Dio. Invece di assumere un atteggiamento  di confronto con la spiritualità asiatica tradizionale (che era soprattutto una specie di religiosità panteistica centrata sull’armonia cosmica ed interiore), i sufi si sono concentrati su pochi principi fondamentali dell’Islam. Al farlo, hanno favorito molte pratiche tradizionali relative al mondo spirituale e alla venerazione di  persone e luoghi santi.
Questo processo di acculturazione ha avuto luogo sia  in campo religioso-giuridico che in quello socio-politico. Ciò ha creato nuovi modi di interpretare le tradizioni islamiche secondo il contesto asiatico locale. Alcuni fondatori di nazioni maomettane hanno espresso nelle loro ideologie una grande apertura mentale verso l’integrazione di gruppi etnici e sociali differenti nel contesto pluralistico delle loro nazioni. Ciò ha sviluppato un Islam tollerante, fondato sulla conservazione di buone relazioni  con le minoranze religiose. Ci sono vari esempi al riguardo, come Jinnah nel Pakistan, la cui nascita si è caratterizzata sottolineando il fattore religioso in un modo secolare secondo l’ideologia filosofica di Muhammad Iqbal (1877-1938), o Sukarno in Indonesia, la cui Costituzione è fondata sul Pancasila, che sottolinea sia i diritti umani che lo spirito anticomune. In realtà, nella maggior parte delle nuove nazioni asiatiche dove c’è una maggioranza musulmana, la gente tende a sottolineare sia le radici culturali locali sia la sintesi che l’Islam è stato capace di introdurre come garanzia di interferenze esterne o – nel caso del Bangladesh –rifiutando interferenze esterne (vedere il Movimento Linguistico).

Si danno anche altre forme moderne di acculturazione, come “Civilizzare l’Islamª” o Islâm
Hadhari, introdotto da Abdullah Ahmad Badawi, premier della Federazione della Malesia. Questo movimento cerca di armonizzare le tradizioni islamiche e della Malesia con l’attuale processo di modernizzazione della nazione. Molti nuovi leader musulmani asiatici cercano di far crescere nuove generazioni con un vero rispetto della democrazia, attraverso la lotta per la libertà religiosa delle minoranze e un maggior rispetto della donna musulmana nel mondo islamico.
Queste maniere nuove e positive di affrontare la tradizione dell’Islam non escludono il fatto che un rigurgito dell’Islam radicale stia reagendo negativamente contro il processo di acculturazione, attraverso il processo di “islamizzazione”, che cerca di introdurre elementi arabi mescolati con la stretta interpretazione del Corano all’interno del contesto culturale asiatico. Sono gruppi radicali che vedono nelle tradizioni locali un ostacolo alla pratica del vero Islam.

3. Dialogo cattolico-musulmano in Asia

Al condividere vita e valori con le genti dell’Asia, la Chiesa cattolica si trova in un contesto di pluralità di religioni. Rispondendo ai vari problemi nella società asiatica, i musulmani giocano un ruolo importante con la loro varietà di esperienze etniche e locali, acculturazione tradizionale, modernismo, diritti umani e liberazione, così come movimenti fondamentalisti. La complessità delle relazioni cattolico-musulmane in Asia si deve a vari fattori demografici, etnici, politici, finanziari e sociali che hanno influito e influiscono ancora sul modo in cui cattolici e musulmani si relazionano mutuamente.

Se prendiamo in considerazione l’aspetto demografico, si vede chiaramente che ci sono nazioni come Pakistan, Indonesia,  Bangladesh,  Brunei e le Repubbliche dell’Asia Centrale dove la minoranza cattolica affronta  una grande maggioranza musulmana. Al contrario, in una nazione come le Filippine, la minoranza musulmana è circondata da una schiacciante maggioranza cattolica. La relazione tra le due comunità religiose è totalmente differente in aree come India, Sri Lanka, Tailandia, Burma, Singapore, Cina, dove cattolici e musulmani sono minoranze, e nella Malesia, dove la maggioranza varia da stato a stato della confederazione. In questi casi è cruciale che le due comunità vivano in armonia e coesistano, per apportare il loro rispettivo contributo alla formazione e rafforzamento del bene comune di società pluraliste e democratiche.

I fattori etnici non devono essere passati per alto, specialmente quando la fede islamica o cattolica si identifica come parte dell’identità etnica musulmana o cristiana. Nel caso dei malesi dell’Asia sudest, o delle popolazioni di Maranao, Maguindanao e Tausug delle Filippine, con frequenza l’Islam è visto come parte di ciò che fa appartenere una persona a quei gruppi etnici. Mentre i popoli Tagalog, Cebuano e Ilongo delle Filippine, o i Florinesi e Timoresi dell’Indonesia si considerano cattolici.

In quanto a potere politico o forza economica, in alcune nazioni - come Malesia, Indonesia e molte repubbliche nell’Asia Centrale - sono i musulmani a controllare il sistema politico, ma i cattolici si trovano generalmente in una posizione finanziaria più forte. Questa situazione crea un senso di disagio tra i cattolici perché la forza politica è dei musulmani, e una crescente sensazione negativa dei musulmani verso i cattolici, percepiti come coloro che controllano il paese e la vita dei cittadini attraverso il dominio della sfera economica.

La relazione dialettica di maggioranza-minornza nei campi politico, economico e sociale di paesi come Pakistan e Bangladesh continua a creare problemi per la minoranza cristiana. In questa situazione, la potenziale relazione è latente alle spalle della tensione che sorge in varie occasioni tra comunità cristiane e musulmane. Il caso è diverso quando ambedue le comunità sono minoranze in una nazione dominata da un terzo gruppo. In queste situazioni le relazioni tra musulmani e cristiani sono con frequenza amichevoli, meno problematiche e le due comunità si avvicinano maggiormente l’una all’altra. Sarebbe il caso dell’India indù, dello Sri Lanka buddista, del Myanmar e della Thailandia, o di Singapore confuciana dove musulmani e cristiani hanno sofferto l’esperienza dell’emarginazione, e a volte della persecuzione, come in Myanmar, India e nella Cina comunista.

4. Il ruolo del FABC (Federation of Asia Bishops Conferences, Confederazione delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia)

Forse il più utile, anche se breve, riferimento alla metodologia teologica del FABC è la seguente osservazione di Stephen Bevans: "Ciò che è chiaramente evidente quando uno legge i vari documenti FABC è l’uso di un metodo che parte dall’esperienza, da realtà attualmente vissute. In ogni documento emanato da una assemblea plenaria (con l’eccezione della terza assemblea plenaria che incomincia con una teologia di Chiesa) e in  molti documenti che risultano dai vari istituti dei vescovi, il punto di partenza di riflessione è la realtà dell’Asia. L’Asia, dicono i documenti, è un continente in transizione, che sta soffrendo modernizzazione, cambio sociale e secolarizzazione. Queste cose minacciano  i valori tradizionali in Asia e così la Chiesa ha bisogno di testimoniare                                                                la ricca eredità spirituale che è il marchio della religiosità dell’Asia in tutta la sua varietà ". (26)

L’orientamento fondamentale del FABC è a favore del dialogo con le religioni dell’Asia. Il  FABC è stato creato nel 1972 grazie alla riunione di varie Conferenze Episcopali, per conformare una federazione con la finalità di servire meglio la Chiesa in Asia. L’Ufficio di Affari ecumenici e Inter-religiosi (OEIA) è uno dei primi che lo compongono e organizza vari seminari di dialogo  inter-religioso per il clero. Dal 1979 ha organizzato e porta avanti una serie di programmi di studio, attraverso l’Istituto dei Vescovi per le Questioni Religiose (BIRA). In questi programmi i vescovi dell’Asia hanno cercato di riflettere sui documenti della Chiesa e su questioni teologiche, per approfondire la conoscenza di altre religioni presenti nel continente.

Questioni specifiche relative al dialogo con il buddismo, l’islamismo e l’induismo sono state affrontate nelle assemblee dell’Istituto dei Vescovi per le Questioni Religiose (BIRA) I, II e III. In particolare, il Congresso Internazionale sulla Missione celebrato a Manila nel 1979 ha sottolineato l’urgenza del dialogo inter-religioso per le Chiese locali nell’Asia. Il BIRA II (1979) ha avuto la finalità specifica di approfondire la comprensione della Chiesa e il suo impegno al dialogo con i musulmani: sia i cristiani come i musulmani condividono un vivo desiderio di servire l’unico Dio, attendono il suo giudizio e sperano di ricevere il suo premio eterno.

Comunque certe paure, pregiudizi e una generale ignoranza della religione dell’altro, unita agli atteggiamenti trionfalistici di ambedue le religioni, frenano il dialogo tra di esse. Malgrado questi ostacoli, c’è una crescente consapevolezza tra i cristiani del dialogo con i musulmani. Nel suo orientamento pastorale, BIRA II ha identificato varie forme differenti di dialogo a diversi livelli di incontro tra cristiani e musulmani.

Partendo dalla 5ª Assemblea Plenaria FABC (1990), BIRA ha incominciato ad assumere  una forma nuova. In anni anteriori l’enfasi era posta sulla formazione dei vescovi al dialogo. Ora i vescovi pensano che sia giunto per loro il tempo di dialogare con le persone di altre religioni. Così, la nuova fase della serie BIRA V (BIRA V/1 è stata un dialogo musulmano-cristiano) si è evoluta in nuovi programmi in cui gruppi di vescovi hanno incontrato persone di altre religioni per giornate di dialogo interreligioso realizzato faccia-a-faccia.
 
Nelle sessioni BIRA si sono presentati e discussi vari documenti sull’Islam. Tra essi alcuni erano di particolare importanza per il dialogo cattolico-musulmano. Meritano di essere citati: Domande che i musulmani fanno ai cattolici, di un Gruppo di studio tunisino (1980), Percezione maomettana della comunità cristiana, di Terence Farias (1982), Presenza cristiana tra i musulmani in Asia, Una consulta di dialogo inter-religioso (1985), Cristiani e musulmani in dialogo,  di Thomas Michel, S.J. (2002).

Tutto ciò fa vedere come la leadership della Chiesa in Asia veda l’urgenza di portare avanti il dialogo cattolico-musulmano con profonda convinzione e rinnovato impegno nel contesto asiatico, affrontando la sfida sia dell’Islam tradizionale come dell’insorgente fondamentalismo islamico. Lo si può constatare anche nelle prediche, nei discorsi e nelle lettere pastorali indirizzate ai vescovi cattolici, al clero, ai laici e ai musulmani dell’Asia dai Papi che hanno visitato il continente.

5. Le diverse classi di dialogo

a. Dialogo di scambio teologico

Una nuova teologia di dialogo si sta sviluppando in Asia, ma a causa del suo tipo di linguaggio contestuale e della sua filosofia con frequenza non è capita pienamente ed è persino mal interpretata in zone come l’Ovest, l’Africa Nord, l’Oriente Medio. L’Asia è un continente enorme e in essa ci sono filosofie e modi di vita numerosi e differenti.
L’Asia è un posto dove l’universalismo, e persino alcune forme di sincretismo, sono parte di una vecchia tradizione e dove recentemente in alcune aree il fondamentalismo e il comunalismo stanno crescendo. Dove le antiche culture e religioni influiscono ancora sulla vita sociale e personale di ogni singolo individuo, ci sono modi particolari di interpretare la modernità, il progresso e la rivoluzione in Asia
.
Anche la teologia cattolica sta subendo un processo di profonda trasformazione in Asia, sia nel linguaggio come nei fondamenti filosofici. Questo processo desidera essere locale, senza perdere le peculiarità di cattolicesimo che sono parte di una esperienza universale di fede e amore. La Chiesa e il dialogo musulmano-cristiano possono contribuire all’elaborazione di una nuova teologia in Asia mentre, allo stesso tempo, i teologi e intellettuali cattolici possono giocare un ruolo importante appoggiando i teologi musulmani che cercano, specialmente in Asia, di vedere e re-interpretare l’Islam nel contesto di un nuovo mondo emergente. È un servizio alla fede, un contributo a una nuova comprensione teologica, che può infondere nuova finalità al dialogo a livello intellettuale, evitando i facili cammini della semplice tolleranza e del sincretismo, e approfondendo una seria riflessione teologica.

Tale contesto, però, non può sfuggire alle sempre più crescenti sette di fondamentalisti cristiani, con la loro predicazione aggressiva e gli sforzi di conversione di massa di non cristiani che vogliono adescare. Ciò crea un ruolo molto difficile nello sviluppare un dialogo in modo armonioso all’interno del loro contesto per i teologi dell’Asia. Inoltre, la crescita di forme estremiste dell’Islam in nazioni asiatiche, come Pakistan, Malesia e Indonesia, non si possono passar per alto. Sono vere sfide per il tradizionale senso asiatico di armonia e bloccano il cammino a un nuovo approccio teologico a tali situazioni in Asia.

b. Dialogo di intercambio culturale e spirituale

Persone appartenenti ad ambedue le religioni si mantengono a livello di cordialità e amicizia. In via ordinaria molti cattolici visitano moschee e santuari musulmani e hanno incontri con mullahs, come pure con sufi pirs e murids. In Asia è pratica comune per gente di religioni differenti scambiarsi visite, saluti e regali in occasione di feste religiose. Incontri formali di dialogo, che hanno   come oggetto in forma esplicita temi spirituali, si tengono sia nel continente come fuori di esso. Vari hanno avuto luogo a Roma. Vale la pena ricordare un colloquio su “Santità nell’Islam e nel Cristianesimo” che ha avuto luogo nel Pontificio Istituto di Studi Arabici e Islamici a Roma nel maggio del 1985. I partecipanti musulmani venivano soprattutto dall’Asia, in particolare dal subcontinente indiano. Si sono presentati interventi sul tema, modelli, modi di capire la santità nell’Islam e nella Cristianità, e si è offerta un’opportunità di mutua critica. “Emulazione spirituale” è stato un tema del movimento ecumenico, che può trovare un posto anche nel dialogo inter-religioso tra cattolici e musulmani. Lo stesso Corano  afferma: “Se Dio avesse voluto, Egli vi avrebbe fatto una nazione; ma che Egli possa provarvi in ciò che vi capita. Quindi, avanti con le buone opere: a Dio ritornerete, tutti insieme; e Lui vi dirà in che cosa avete mancato ". (27)

Commissioni per dialogo cattolico-musulmano sono presenti nella maggioranza delle diocesi in Asia, e l’Islam è diventato una materia normale in tutte le scuole secondarie, nei seminari e nelle facoltà teologiche dei cattolici, con frequenza grazie all’aiuto di professori musulmani. In tutta l’Asia c’è anche un proliferare di centri cattolici per studi islamici e dialogo musulmano-cristiano, come il “Movimento-Dialogo Silsilah” (fondato nel 1983 nelle Filippine), a cui musulmani e cristiani partecipano ad ogni livello di vita. L’ “Associazione di Studi Islamici” dell’India - fondata più di trent’anni or sono da vescovi, sacerdoti, religiosi e laici cattolici - promuove la conoscenza e le buone relazioni tra musulmani e cristiani in India. L’Istituto Pastorale Multan è diretto dai domenicani nel Pakistan. È inoltre interessante notare il caso del Bangladesh, dove i cattolici appoggiano e collaborano in programmi di pace, valorizzando l’educazione offerta nel settore diretto dai musulmani della World Religious della Dhaka University.

c. Dialogo di vita e azione

C’è anche un lavoro di dialogo che è incentrato nell’aiutare gente bisognosa. Lo si fa durante calamità naturali come inondazioni, offrendo appoggio finanziario, morale e ricovero senza alcuna discriminazione religiosa. Le situazioni di Pakistan, Bangladesh, India e Filippine si possono citare come esempi.

Molti musulmani e cristiani in Asia sono coinvolti nel lavorare insieme in attività sociali della comunità e per i diritti umani. Nel Bangladesh, il “Bangladesh Inter-religious Council for Peace and Justice” (BICPAJ), fondato nel 1983, riunisce cristiani e musulmani in sforzi per la pace, soluzione di conflitti, educazione, ricerca, maggior potere per le donne; presidente è sempre una maomettana e la maggior parte dei soci sono musulmani (sia uomini che donne), ma l’ideologia è guidata fondamentalmente dalla Bibbia; con la sua inclinazione di Teologia della Liberazione, usa e
promuove la filosofia della non-violenza come vista da Gandhi, così come da Paulo Freire e Martin Luther King. Nelle Filippine del sud c’è un’organizzazione-ombrello di gente in 120 villaggi chiamata “MUCARD” (Muslim-Christian Agency of Rural Development): è  impegnata nello sviluppo umano e nel lavoro contro la povertà. Il “Zamboanga's Islamic-Christian Urban Poor Association” lavora per la giustizia, il “PAZ” (Peace Associates of Zamboanga) lo fa per la pace. Il “Muslim-Christian Interfaith Conference” e il “Moro-Christian People's Alliance” portano avanti un lavoro di riconciliazione, con frequenza in connessione con gli sforzi del gruppo “Silsilah”, che si impegna per la mutua comprensione ed educazione nel dialogo. “Identity, Merge and Action” (AIM) del Pakistan è una ONG cattolica che lavora per elevare la dignità di donne povere, cristiane e musulmane, offrendo loro corsi di addestramento in cucito, computer, cura della salute, pianificazione familiare  e facilitazioni educative di adulti. L’ “Asian Muslim Action Network”, movimento progressivo di musulmani  in dodici paesi asiatici, organizza seminari di pace e gruppi di lavoro insieme agli uffici della Federazione Cattolica delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia e alla Conferenza Cristiana dell’Asia: tutti stanno lavorando insieme per costruire un “curriculum di pace” comune che possa essere offerto a iman, maestri di religione, seminaristi e catechisti.

Sono pochi esempi delle molte associazioni, sparse in tutta l’Asia, dove cattolici e musulmani lavorano insieme per il bene sociale della comunità. Di particolare importanza in tale contesto è la Bishops-Ulama Conference (BUC), riunita per la prima volta nel 1996 da Mutilan, presidente della Lega degli Ulama (studiosi islamici) delle Filippine con l’arcivescovo cattolico Fernando Capalla di Davao. In essa vescovi cattolici e protestanti, così come musulmani e leader di popolazioni indigene, fanno del loro meglio per costruire la pace a Mindanao, isola filippina del sud: sacerdoti, iman e pastori organizzano regolarmente fori e pianificano varie attività cristiano-musulmane tra giovani, lavoratori sociali e altri gruppi.

Gli uffici CARITAS e le ONG cattoliche sono sparse in tutto il continente. Condividono con i musulmani, che frequentemente costituiscono parte del personale dell’organizzazione, la preoccupazione per i poveri. I musulmani sono anche benvenuti nelle scuole e negli ospedali cattolici, dove non c’è discriminazione di religione e credo. Tutto ciò fa che le opere caritatevoli cattoliche siano riconosciute e altamente apprezzate dai governi musulmani e dalle autorità civili, che frequentemente conferiscono riconoscimenti a una persona o istituzione cattolica nel campo dell’educazione, della medicina, dell’arte, del cinema, della legge, della letteratura, così come delle forze civili e di quelle armate.

Conclusione

Parlando di testimonianza cristiana come di “presenza profetica” tra musulmani attraverso dialogo, specialmente nel contesto asiatico, nessuno può negare il fatto che le due religioni, Islam e Cristianesimo, si sono stabilite in Asia durante il primo secolo della loro fondazione. Ambedue sono religioni universali e missionarie che si propagarono soprattutto attraverso l’ispirazione di santi mistici. Credenti di ambedue le religioni sono vissuti l’uno accanto all’altro. Ci sono stati molti sforzi positivi fatti dalla Chiesa Cattolica per un dialogo inter-religioso, significativi ad ogni livello. Si possono vedere particolari risultati nei campi dell’interscambio intellettuale e spirituale, così come nel dialogo di vita e azione.

Però ci sono fattori che possono impedire il dialogo e l’armonia tra la Chiesa cattolica e i musulmani in Asia. Infatti le linee di condotta locali attuate in nazioni come la Malesia, il Bangladesh e il Pakistan possono creare un ostacolo al dialogo. I cristiani si sentono con frequenza minacciati e ridotti a cittadini di seconda classe, quando affrontano sia politiche governative che mettono in pratica leggi islamiche, sia atteggiamenti di “fondamentalisti” islamici: sono discriminati a causa della religione. Segni di intolleranza religiosa sono apparsi in anni recenti in alcune nazioni asiatiche, a causa della pressione di gruppi particolari e di governi in nazioni dove alcuni elementi di maggioranza musulmana non sembrano mostrare quella tolleranza, che forma parte della tradizione originale dell’Islam. Ci sono sforzi di cambiare la legislazione introducendo linee di condotta che effettivamente negano i diritti di minoranze religiose. In questo contesto la presenza “profetica” della comunità cristiana, che favorisce il dialogo e la comprensione,  con umiltà e carità, giocherà un ruolo fondamentale nel “convertire” le menti e i cuori di coloro tra i musulmani che sono affetti dagli atteggiamenti ristretti di gruppi  non espressivi del sentire comune asiatico di rispetto e tolleranza per tutte le religioni e filosofie.  

La testimonianza cristiana finirà per riportarli al principio fondamentale della loro fede, creando una solida base di comprensione, pace e amore. La fedeltà al messaggio di amore di Gesù, anche per i nemici, rafforzerà gli sforzi di alcuni grandi pensatori musulmani dei nostri giorni, come lo studioso musulmano asiatico H.A. Mukti Ali il  quale, in una conferenza interconfessionale tenuta a Colombo, Sri Lanka, nel 1974, ha detto: “In questa ricerca di un sistema etico che permetterà alle persone di sopravvivere come esseri umani civilizzati nei decenni a venire, è di massima importanza che le varie religioni del mondo continuino  il loro dialogo l’una con l’altra”.
NOTE

(1) Nostra aetate, “Sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, Roma, 8.10.1965, n. 3.
(2) Gaudium et spes, “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”, Roma, 7.12.1965, n. 1.
(3) Corano 5:81 (traduzione di Yusuf Ali).
(4) Filippesi, 2. 5-11.
(5) Nostra Aetate, op.cit., n. 3.
(6) Felix Körner SJ - Debating Dialogue (Where the Christian-Muslim Encounters Must Cut More Sharply) p. 535,
http://www.con-spiration.de/texte/english/2008/koerner-e.html. Translated from the original German in Stimmen
der Zeit, Die Zeitschrift für christliche Kultur, München, 8/2008, p. 535.
(7) Cf. ; Felix Körner SJ, op.cit, p. 535-546.
(8) Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, Dialogo e proclamazione, “Riflessione e orientamento su Dialogo interreligioso e proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo”, Roma 12/05/1991, n. 9.
(9) Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, Sulla validità permanente del mandato missionario della Chiesa,12.07.1990, cap. II – Il Regno di Dio, n. 12-30.
(10) ibid. n. 20 e Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso, op.cit., n. 59.
(11) Pontificio Consiglio  per il Dialogo  Inter-religioso, op.cit., n. 35.
(12) ibid.
(13) BIMA I: Lettera di First Bishops’ Institute for Missionary Apostolate, 27.7.1978, Baguio City,
Philippines, in FAPA I, 93-96.
(14) ibid., n. 5.
(15) ibid., n. 10.
(16) Cfr. Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Dialogo e Proclamazione: Riflessioni e orientamenti su dialogo inter-relegioso e la Proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo, 1991. nn. 8-9.
(17) Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, n. 55.
(18) Paolo VI, Ecclesiam Suam, n. 63.
(19) “Nostra missione e dialogo interreligioso”, 34ª Congregazione generale dei Gesuiti (1995), Decreto 5, n.135.
(20) FABC Affermazione novembre 1986, in G. Rosales e C. G. Arévalo (eds), Per All the Peoples of Asia, New
York 1992, Orbis, p. 259.
(21) Gv. 1, 1-18.
(22) Dr. Lyle Vander Werff  ha servito a Kuwait, ha finito il suo dottorato in islamismo e missione all’Università di Edinburgo e attualmente lavora come professore di religione al Northwestern College di Iowa. È direttore di studenti internazionali.
(23) Lyle VanderWerff, “Christian Witness to Our Muslim Friends”, INTERNATIONAL JOURNAL OF
FRONTIER MISSIONS, July-September 1996 Volume 13 Number 3, p. 111.
(24) Mt 22, 36-40.
(25) “Una parola comune tra noi e voi” (13.10.2007) è una lettera aperta che alcuni dirigenti musulmani hanno inviato ad alcune autorità cristiane.
(26) cfr: in Stephen Bevans, "Inculturation of Theology in Asia (The Federation of Asian Bishops' Conferences,
1970-1995)", Studia Missionalia 45 (1996) 10.
(27) Quran. 5,48