Le risposte delle FMA alle sfide prodotte dai cambi socio-culturali. L’ottica del governo
Grazia Loparco, fma
Premessa
L’indagine sulle risposte delle FMA alle esigenze prodotte dai processi mondiali in atto tra fine ’800 e metà ’900 deve tener conto di alcuni fattori che caratterizzano la loro comprensione della realtà e la percezione delle sfide: innanzitutto la natura e la missione educativa dell’istituzione, la sua struttura organizzativa e di governo, i suoi destinatari in vari contesti e periodi, l’interazione tra governo centrale e intermedio o locale, prima e dopo l’erezione canonica delle ispettorie nel 1908. Inoltre incidono la formazione delle FMA, la loro estrazione culturale e sociale, i mezzi di informazione di cui disponevano; la mentalità vigente tra le superiore circa il rapporto tra il “buono spirito” dell’Istituto ed esigenze emergenti, la mentalità ecclesiale generale. Come avvenne nella maggioranza delle Congregazioni, le superiore non si interrogavano sulle motivazioni dei cambiamenti. Piuttosto, con mentalità “popolare”, propositiva nella prassi ma non intellettualmente raffinata, cercavano di prenderne atto, di prevenire le ripercussioni negative sulla riuscita di una vita, mentre con l’accelerazione dei cambi spinsero ad “arginare” gli effetti di quanto, inevitabile, appariva sempre più insidioso.
Dinanzi a un tema tanto ampio, la selezione delle fonti inerenti al governo centrale indica l’angolatura dell’esplorazione, delimita la tipologia delle informazioni e la conseguente valutazione. Gli orientamenti delle superiore e dei superiori SDB, sempre consultati anche dopo l’autonomia dell’Istituto nel 1906, vanno infatti intrecciati con la storia vissuta locale, le biografie. Nelle visite delle superiore, nelle lettere circolari, come negli atti e verbali dei Capitoli generali e nei verbali del Consiglio si poteva intuire l’approvazione o la preoccupazione che ci si attenesse al proprio spirito nell’andare incontro alle esigenze. Ovviamente questo implica la domanda su cosa arrivasse al centro dei contesti locali e quanto pesasse il governo intermedio delle ispettorie. In tal senso le fonti ufficiali di governo si completano con le tracce dell’effettivo riscontro di quanto ne hanno assunto, verificabile con studi monografici.
Per situare i temi, occorre ancora tener conto del diverso ritmo di sviluppo nelle aree di presenza delle FMA tra 1888 e 1950 circa. Con il 1954 esse erano in tutti i continenti, tuttavia il peso maggiore delle opere restava in Italia, mentre crescevano soprattutto in America Latina e in vari Paesi europei, in aree industrializzate come tra emigranti e missioni, spesso in regime liberale. Nell’urbanizzazione aumentava la mobilità femminile, pertanto spesso le FMA miravano ai quartieri popolari delle città, arrivando però fino a piccoli centri isolati, soprattutto grazie agli oratori festivi popolari, gremiti. Nelle missioni nel Medio Oriente e in Oriente si inserivano in contesti molto diversi, con un impatto modesto sull’istruzione e la promozione femminile. A parte le prime opere codificate nelle Costituzioni, la grande diversificazione scaturiva dal contatto con la lettura preveniente della realtà locale, dalla parte delle ragazze, prendendosene cura in vista della vita adulta. A volte integrando la famiglia, a volte sostituendola nella prospettiva di un’educazione cristiana a tutto tondo, non limitata alla conoscenza dottrinale della fede e alle pratiche di pietà, pur irrinunciabili. Dato lo sviluppo in atto, dominava il desiderio di libera espansione della propria opera a vantaggio della missione educativa, in una Chiesa che si considerava “società perfetta”.
Le grandi arcate del periodo in esame abbracciano gli anni dalla morte di don Bosco allo scoppio della prima guerra mondiale; quelli tra le due guerre, segnate da diverse dittature; la seconda guerra e dopoguerra, diversamente vissuto nell’Europa occidentale e in quella orientale, sotto la pressione comunista. I periodi di governo delle superiore generali: Caterina Daghero (1881-1924), Luisa Vaschetti (1924-1943); Linda Lucotti (1943-1958) hanno una certa corrispondenza con la grande storia, a parte il primo lungo periodo di Daghero, con cui l’Istituto visse il passaggio dei due secoli e la prima Grande guerra. In questo studio si terrà maggiormente conto del secondo periodo, dopo il 1922, sia per apportare informazioni inedite, sia per abbracciare un’estensione più ampia delle opere FMA. Nel primo cinquantennio, più studiato, era emersa l’intraprendenza dell’Istituto, ampiamente riconosciuta; dopo, affrontava problemi più complessi.
Le FMA, presto internazionali nella composizione, per lo più di estrazione popolare e media, si rivolgevano alle giovani della stessa condizione, con una formazione religiosa e culturale generalmente modesta, ma spesso propositiva a livello locale. La tendenza a raggiungere grandi numeri di ragazze, con molte opere sostenute a un ritmo di lavoro intenso, sembra rispondere alla logica di una società di massa, in una visione universalistica, all’avanguardia rispetto ai tempi segnati da chiusure nazionalistiche.
1. Le opere dalla prospettiva del governo: risposte ai cambiamenti più attinenti alle ragazze delle fasce popolari
Rispetto alle ripercussioni dei processi storici sulle fasce popolari e femminili, la mediazione delle superiore FMA tendeva a tutelare l’identità salesiana nel legittimare “esperimenti” o indirizzare decisioni locali. Tra i macro processi del periodo indagato, risaltano soprattutto la domanda di istruzione popolare, la ripercussione della questione sociale legata all’industrializzazione e più in generale il mondo del lavoro femminile, impiegatizio o operaio. La mobilità richiesta alle ragazze dalle nuove esigenze, la socializzazione allargata, il nuovo rapporto che si disegna tra sfera privata e pubblica, una speranza di elevazione sono effetti percepiti come inevitabili e interpellanti, al pari della “scristianizzazione” correlata alla secolarizzazione. Preoccupazione costante sarà l’ignoranza religiosa e l’inadeguatezza crescente delle famiglie, da cui la difficoltà di remare controcorrente.
1.1. Impegno poliedrico per un’istruzione finalizzata all’educazione
Con l’istruzione ed educazione femminile le FMA partecipavano a un processo storico realmente rivoluzionario. Dalle classi elementari l’impegno si estese presto alla formazione di maestre, moltiplicatrici di valori cristiani nei contesti più diversi. Nell’’800 liberale, in cui era cresciuta la richiesta di istruzione femminile, don Bosco aveva voluto contrastare l’incidenza negativa di maestre prive di fede con le FMA, fornite dei titoli legali. Operando a largo raggio, molte religiose furono maestre comunali. L’impegno maggiore, tuttavia, fu profuso in tutti i contesti nei giardini d’infanzia e nelle scuola materne, influendo così anche sulle famiglie. Le istituzioni tipiche per l’istruzione erano i collegi, però l’opera magistrale delle FMA non si identificò mai totalmente in essi, che richiedevano il pagamento di una retta non a tutti accessibile, per quanto contenuta. Le superiore ricordavano la gerarchia dei valori, la fedeltà a don Bosco fin nei dettagli, mentre in diversi Capitoli generali giungevano richieste locali per cambiare alcune norme sempre meno gradite alle allieve e alle famiglie. Mentre la preparazione magistrale fu ritenuta strategica, e lo era realmente, da parte delle superiore non si appoggiavano le scuole tecniche e quanto avrebbe portato le allieve in uffici ritenuti moralmente insidiosi.
Sempre il sostegno all’istruzione aveva attirato l’attenzione sulle ragazze che dovevano trasferirsi di sede, offrendo convitti e pensionati per studenti. Nel Capitolo del 1913 si pose la domanda su come assicurare un ambiente educativo, non “un semplice albergo”, a tante ragazze prive di altro collegamento con la fede, mentre erano a continuo contatto con ambienti a rischio. Volendo appoggiare la loro elevazione culturale o la necessità di guadagno onesto, le FMA offrivano l’assistenza rassicurante per le famiglie, senza omettere la cura dell’intera persona. Ovviamente non tutte le condizioni disciplinari trovarono sempre il gradimento delle ragazze, perché la velocità dei cambi di mentalità esterni non corrispondeva a quelli istituzionali. La condizione delle allieve, lungi dall’essere censurata come facevano molti reazionari, era dunque raggiunta in molti modi, dall’età infantile fino alle pensionanti universitarie. Certo, la consapevolezza del distanziamento dalla visione religiosa della vita si trasformava in frequente richiamo alla cura del catechismo e alla formazione religiosa delle alunne, oltre alla preparazione culturale, per armonizzare “testa e cuore”. Tra le risposte più ardite, l’esperienza di suor Clotilde Morano, che negli anni Trenta tenne corsi di educazione fisica per le religiose di molte congregazioni nel Piemonte e fu autrice di fortunati volumi di Educazione fisica, apprezzati dalla critica e usati per decenni in molte scuole statali. L’impegno editoriale di diverse FMA per libri scolastici di larga diffusione, per varie materie e ordini di scuole, si affermò nei decenni successivi.
Con la diffusione delle case crebbe la spinta locale verso i collegi, specie in America Latina (Cile, Colombia, Brasile, Venezuela, …), nel pieno dello slancio. Le superiore invitavano ad avvicinare le classi sociali, e al contempo a evitare le classi miste o maschili. L’insufficienza di FMA introdusse il tema delle insegnanti laiche negli anni ’30, sollevando apprensione per l’unitarietà e il carattere salesiano, fino alla netta condanna di don Ricaldone. Mentre aumentavano istituti e scuole magistrali, egli spingeva verso le scuole professionali, cioè verso il mondo del lavoro da affrontare in modo più qualificato. Egli temeva la “mania dei licei”, inadatti ai poveri e alla classe media: “Nell’ora presente, soprattutto, che è l’ora dell’avvento della democrazia, il nostro preciso dovere è di dare impulso alle scuole di carattere popolare”.
Per fronteggiare la variabilità politica, nelle lettere circolari spesso si sollecitava a conoscere la legislazione scolastica, per salvare le scuole, senza rinunciare però all’essenziale del proprio sistema educativo. Rispetto agli obblighi imposti durante le dittature, come le sfilate fasciste, si favoriva un atteggiamento prudente, per continuare con le proprie opere, eludendo le ingerenze improprie. Fedeli alla tradizionale apoliticità, mancano prese di posizione ufficiali delle superiore, ma in Italia, come prima in Francia, Messico, Spagna, Germania e poi nell’Est europeo si indicava di agire in vista della possibilità di continuare a operare. Si poteva lasciare l’abito religioso e la visibilità istituzionale, non le giovani.
I rettori maggiori lamentarono il rischio di trasformare le case di beneficenza in collegi, che assicuravano stabilità economica, travisando le priorità istituzionali. In varie lettere circolari anche le superiore fecero risuonare l’importanza della cura delle destinatarie più disagiate. Quando l’immaginario salesiano femminile sembrava inclinare verso l’istruzione e le classi medie, quello maschile restava più attaccato al lavoro, vedendo una necessità limitata di istruzione per le ragazze del popolo. I superiori spingevano verso il mondo lavorativo extradomestico, come dato di fatto popolare da arginare negli effetti morali. Dunque occorreva frenare la richiesta di scuole di élite, mentre non ci si doveva opporre, anzi bisognava qualificare, le scuole professionali per le povere.
Varie volte le consigliere scolastiche insistettero sulla scelta dei libri di testo e le letture, sull’insegnamento religioso, sulle relazioni educative, per preparare le ragazze alla vita adulta. Perciò non bastava mirare alla riuscita negli studi, ma alla buona educazione, sempre più trascurata dalle famiglie. A volte, invece, don Rinaldi notò che si formavano “signorine”, prive delle necessarie abilità pratiche e sodezza di convinzioni.
1.2. Donne e lavoro. Tra effetti dell’industrializzazione e formazione al lavoro redditizio
Una sfida a cui le FMA non potevano sottrarsi dalla fine dell’800 fu la questione sociale, nelle ripercussioni pratiche sulle ragazze e le famiglie, coinvolte in modi diversi nei contesti urbani e rurali. Le superiore FMA avevano la casa madre nel Piemonte interessato allo sviluppo industriale, per cui colsero da vicino che la inevitabile micromobilità avrebbe indotto adolescenti in cerca di lavoro al disorientamento morale, al contatto con la propaganda anticlericale e socialista, con condizioni economiche, sanitarie e igieniche precarie. Le FMA prevedevano i rischi dell’allontanamento dalle famiglie, dell’apertura incauta a idee e comportamenti più liberi. Prive di guida, le operaie sarebbero rimaste impreparate come spose e madri cristiane, cosa che importava alle religiose, ma anche alla società. Secondo le esigenze percepite come appello alla responsabilità preveniente, le superiore si coinvolsero in vari modi nel binomio giovani donne e lavoro. Innanzitutto favorendo la gestione di numerosi convitti per operaie, con molteplici problemi da affrontare tra proprietari e dipendenti, senza sfuggire a critiche contemporanee e successive.
Dinanzi ai sindacati e agli scioperi che iniziarono con il XX secolo le superiore non favorirono uno schieramento combattivo, affidandosi al consiglio di alcuni superiori. In vari oratori furono invitati esponenti del Movimento cattolico per illuminare le oratoriane più interessate.
Nel Consiglio generale si registra il consenso convinto ai convitti per operaie, e dunque la disponibilità ad agire come dipendenti di privati, sulla base di convenzioni firmate a garanzia delle condizioni materiali di vita e della qualità dell’assistenza. Si ammetteva una certa elasticità, purché le richieste non contraddicessero il sistema educativo salesiano. Ad esempio negli atti del Capitolo generale del 1947 si denunciava l’ingerenza delle Commissioni interne delle ditte, a cui occorreva resistere, facendo valere i propri diritti. A diversi industriali, che richiesero le FMA in varie proprie sedi, le superiore accondiscendevano, allo scopo di diffondere un modello educativo che tendeva a mantenere in equilibrio ordine, senso del dovere e relazioni interpersonali in stile familiare; in più si favoriva l’interscambio di manodopera in periodi crisi, per cui le religiose fungevano da mediatrici tra richiesta e offerta di lavoro, evitando la disoccupazione delle ragazze. Sempre con il consenso delle superiore le FMA collaborarono al cosiddetto “industrialismo illuminato”, come la Marzotto a Valdagno, la Lane Rossi, la FIAT a Torino, che predisposero una serie di servizi per dipendenti e famiglie, dagli asili nido alle colonie estive agli ospedali. Nelle lettere circolari non mancano direttive sulle cautele rispetto ai gruppi misti, all’età degli assistiti…
L’impellenza delle esigenze suscitò persino la domanda se non fosse più conveniente impiegare più suore nei convitti piuttosto che nell’insegnamento in classi a volte poco numerose. La risposta non fu mai di creare un’alternativa, ma di mantenere offerte differenziate corrispondenti alle esigenze diversificate delle ragazze.
La stessa necessità di sostituire la famiglia lontana incoraggiò le superiore ad assumere “case famiglia” e pensionati per impiegate e lavoratrici, anche in collaborazione con associazioni laicali e patronati. La presenza diretta nel mondo industriale riguardava comunque soprattutto l’Italia e alcuni altri Paesi. Fino agli anni ’50 in molti ambienti il connubio donne e lavoro era invece affrontato diversamente: da una parte l’industrializzazione non era giunta dappertutto, dall’altra nei documenti si percepisce una certa resistenza delle superiore, idealmente volte a tutelare il modello cattolico, al lavoro fuori casa. Posto l’intento di assicurare alle ragazze di guadagnare onestamente da vivere, il primo modo era qualificare innanzitutto il lavoro in casa propria con una saggia economia; ma poi anche a produrre e guadagnare con attività svolte in casa: cucito, rammendo, taglio, stiro, ricamo, che si imparavano nelle numerose scuole di lavoro.
Il contatto con lo sfruttamento delle operaie fece pensare di procurare occasioni di lavoro onesto nei laboratori, tramite i quali le FMA divennero esse stesse datrici di lavoro su commissioni di confezione di corredi e biancheria. Le superiore intervennero a più riprese sulla necessità di non assecondare la moda, in sintonia con i papi e l’Azione Cattolica, che remavano nella stessa direzione.
Ancora nel Capitolo generale del 1928 si incoraggiava a sondare la possibilità di aprire laboratori produttivi dove raccogliere per un lavoro retribuito le ragazze in uscita dalle case di beneficenza e dagli orfanotrofi. L’invito a impiantare vere Scuole professionali partì da don Ricaldone. Nel Capitolo del 1934 si parlò molto di scuole artigiane, agricole, di buona massaia; di scuole aziendali dove le ditte offrivano la materia prima e pagavano un po’, sicché le ragazze erano poi pronte, senza dover frequentare altre scuole in cui potrebbero perdere i frutti dell’educazione cristiana ricevuta. Maturava così l’idea che le scuole professionali non erano da pensare solo abbinate alle opere assistenziali, poiché si affermava progressivamente la classe operaia in vista del guadagno. Perciò negli anni ’30 e ’40 si proponevano dal centro le scuole professionali per restare tra le ragazze povere. Per la preparazione del personale, don Ricaldone notava che sull’esempio dei salesiani, si doveva contemperare la teoria e la pratica: “Noi e voi dobbiamo camminare paralleli”. Si poteva iniziare da scuole di sartoria, cucito in bianco, ricamo (più noti), per poi arricchirle di tanti altri rami. Si auspicava che ci fosse almeno una scuola per ispettoria, ma anche di più. In altri termini, si maturava la professionalizzazione del lavoro femminile come campo proprio per le FMA, nonostante stentasse ad affermarsi in diversi contesti.
1.3. Educazione negli interstizi informali: oratorio, associazionismo per masse giovanili
La moltiplicazione delle offerte di svago, specie dal ’900, è un indicatore della modernità. L’oratorio salesiano aveva intercettato in anticipo un bisogno crescente nelle classi popolari, coniugando formazione cristiana, sano divertimento, cultura delle regole, socializzazione di masse giovanili che spesso non disponevano di altri spazi ludici e informali, predisposti in ambiente educativo, fino all’attenzione all’aspetto economico per un mutuo soccorso e l’educazione al risparmio, ai corsi serali e festivi.
L’insistenza sugli oratori festivi nelle lettere circolari dopo il 1922 è quasi impressionante, segno che in molti contesti non era facile impiantare l’opera salesiana per antonomasia, tanto che il permesso di ospitare l’oratorio in un edificio affidato alle FMA era condizione importante nell’accettazione delle case. Ad esempio nelle visite in America Latina, dove fiorivano i collegi, si ricordava di coltivare gli oratori, anche se richiedono sacrifici e non portano denaro, per il molto bene che si può fare. Con le proposte associative, nei primi decenni essi creavano una possibilità inedita di socializzazione per bambine e ragazze dei ceti popolari. Don Rinaldi ricordava alle capitolari che prima era più facile attirare le ragazze che i ragazzi, invece ormai “parità di condizione, di aspirazioni, di divertimenti; e, perciò, le stesse molte difficoltà per gli uni e per le altre. Aumentiamo, dunque, le attrattive dell’oratorio; si fruttino specialmente le risorse locali; sia cinematografo, sia pattinaggio, sia quel che si voglia”.
Nel pieno dell’emergenza bellica, nel 1944 si ripete un accorato appello di madre Carolina Novasconi sulla familiarità per attrarre le oratoriane, sulla necessità di aprire porte e cuori, senza contare i sacrifici, andando a cercare quante erano lontane. Dopo la guerra molte bambine erano per strada, perciò le capitolari si chiedevano se l’oratorio, “pupilla degli occhi” di don Bosco e tavola di salvezza, a volte anche serale, potesse essere anche diurno e persino quotidiano: “Faremo secondo richiederanno le circostanze, l’importante è che siamo sempre vigili e preparati”. Sempre nel 1947, dinanzi all’abbassamento del numero, ci si chiese se le suore potevano andare a cercare le ragazze, e per contrastare la disaffezione si incoraggiavano le compagnie filodrammatiche, evitando però le recite di compagnie miste nei teatri delle FMA.
Una componente tipica erano le associazioni e compagnie, in particolare quelle mariane e missionarie. Con l’impulso dato da Pio XI all’Azione Cattolica parrocchiale, le superiore e i rettori maggiori più volte tornarono sull’argomento per incoraggiare la collaborazione, senza perdere lo specifico salesiano e senza rinunciare alle proprie attività, base e fucina per altre appartenenze più impegnative. Affiora qua e là la difficoltà di superare una concezione particolaristica dell’apostolato e la potenziale concorrenza con l’Azione Cattolica. Non era tema facile, in una mentalità difensiva che fece presente come le migliori Figlie di Maria ed ex allieve diventassero attivi membri dell’Azione Cattolica. Nei Capitoli generali come nelle lettere circolari si mirava a coniugare fedeltà alla Chiesa e attaccamento alle proprie attività collaudate e principi, che in materia di riserbo e di letture erano più esigenti. Le superiore non si stancavano ancora negli anni ’50 di insistere sull’impegno di tutte le FMA nell’oratorio, vincendo fatiche e scoraggiamento rispetto a mezzi che parevano inadeguati ad alcuni contesti più esigenti. Non da ultimo, perché dall’oratorio arrivava il numero più alto di vocazioni.
2. Indicazioni trasversali
Nel tempo i verbi salesiani assistere, prevenire, elevare, si articolano nelle direttive delle superiore in: penetrare, arginare, tener duro, lottare, andare a cercare, applicare regolamenti… il successo educativo dei primi decenni pareva in bilico nei contesti più sviluppati e le superiore indicavano mezzi di contrasto.
Stimolate dai rettori maggiori, le superiore espressero la preoccupazione di uno slittamento progressivo delle FMA verso opere e destinatarie meno tipicamente salesiane. Dopo la prima guerra mondiale don P. Albera richiamò l’attenzione sulle case di beneficenza, (ne occorreva impiantare almeno una per ispettoria) dal momento che in Italia come all’estero, con la tendenza alla collegializzazione, comune ai salesiani, c’era pericolo di andare verso le classi medie. Stesso richiamo con la seconda guerra mondiale, in cui le FMA si prestarono a un’ampia opera di assistenza. Insieme alle scuole professionali e all’oratorio erano le opere di beneficenza erano le meno remunerative, ma più caratterizzanti e significative per la società.
Dinanzi alle numerose richieste di fondazione, con strategia mirata, nel 1922 si consigliò di fermare le fondazioni di asili nei piccoli centri, preferendo case convenienti “alla libera espansione dell’Istituto, in Centri grandi”, per non sprecare energie, lavorando per piccoli numeri.
La vigilanza nelle letture sarà varie volte ripresa, ma evidentemente non bastava censurare. La necessità di competere piuttosto con una stampa allettante, farà inaugurare la prima rivista per adolescenti nel 1950, Primavera. Per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, nel 1928 si stigmatizzò l’uso della radio, il cinema, il ballo, la moda, certa stampa. Don Ricaldone, intervenendo in merito più tardi, si rendeva conto di contrapporsi alle richieste delle famiglie, delle stesse suore… ma bisognava andare avanti, tenere alle tradizioni. Le circolari fino al Capitolo generale del 1953 ribadivano la linea difensiva rispetto ai cambi di mentalità che parevano intaccare le stesse religiose a contatto con le ragazze. Occorreva “insegnare un po’ di religione a tanta povera gente, che non ha la più lontana idea di Dio e della sua legge d’amore”. L’urgenza di una “crociata catechistica” fece pensare alla necessità di creare una sala catechistica con i mezzi moderni, di formare come catechiste le allieve degli istituti magistrali, ma anche le FMA, per le quali balenò l’intento di aprire un istituto superiore, che sarebbe stato quello di Pedagogia e Scienze religiose a Torino, nel 1954 (il Pedagogico).
La penetrazione cristiana doveva avvalersi di molte persone. Se da una parte non si desideravano insegnanti laiche per non sminuire l’unità del sistema educativo, in una società sempre più moderna e restia alla tradizione, le superiore suggerivano di coltivare sia l’associazione delle Ex allieve, per ampliare in raggio d’azione nella famiglia e nella società, sia dei Cooperatori.
L’organizzazione unitaria delle FMA mostrava punti di forza e alcune debolezze. Dall’inizio le superiore ebbero attenzione alle leggi, come pure a mantenere intatta l’indole salesiana preventiva nella varietà delle opere. Essa giocò a favore della flessibilità anche dinanzi a politiche anticongregazioniste e regimi che impedivano scuole e opere educative religiose.
Con lo scopo della rigenerazione morale e del benessere materiale, le FMA promuovevano di fatto interessi personali e sociali insieme, il contrario di un’esperienza religiosa autoreferenziale come si voleva alla fine del regime di cristianità. Spesso appare come la spinta ai cambi venisse dal basso, dalle FMA a diretto contatto con le giovani e le famiglie, mentre le superiore vigilavano per restare fedeli allo spirito di don Bosco.
Una debolezza ereditata dal contesto originario riguarda la maturazione di una cittadinanza più attiva dopo l’acquisizione del diritto di voto, pur constatando che fino agli anni ’50 sarebbe stato difficile pensarla per giovani donne del popolo (ma forse non in contesti anglosassoni). L’impegno formativo era certo un’educazione prepolitica, però non cambiò molto linguaggio e prospettive. Così la resistenza allo sport, alle sue divise, ai mass media, che rispecchiava la visione ecclesiale. Ovviamente il gap era differenziato per contesti e periodi.
In sintesi sono apparsi elementi di continuità e aperture. Globalmente la documentazione del governo rivela che il riferimento a don Bosco rimase piuttosto fermo per alcune opere classiche (specie internati), perché la mentalità soggiacente era: don Bosco è santo, il suo metodo vale sempre e per tutti i paesi. Questo ritardò un ripensamento. Invece, quello che era più nuovo trovò le FMA più libere nel reinterpretare lo spirito del fondatore (ad es. i convitti). Le superiore, mentre cercavano di frenare iniziative che parevano incaute, ebbero in genere la tendenza alla concretezza e ad accogliere il suggerimento di novità formative in attenzione alle destinatarie.
Nella maggior parte dei casi esse indirizzarono le religiose verso un notevolissimo sviluppo delle vocazioni e delle opere, anche grazie alla mobilità del personale. Spesso, creando comunicazione, essa favorì lo sviluppo capillare del territorio, in termini di capitale umano, di reti di relazioni, di modelli ed istituzioni educative, come pure di maggiore iniziativa femminile. Dinanzi all’intento di rendere accessibile a un numero alto di ragazze i vantaggi della modernità (istruzione, impiego pubblico, lavoro retribuito, tempi informali…), senza perdere i valori religiosi fondanti, molto si era fatto e tanto restava da fare, ma le superiore disponevano di un contingente potenzialmente ricco di risorse.