Don Bosco

Studio della pedagogia e pratica educativa nei programmi formativi dei Salesiani (1874-1951)

Studio della pedagogia e pratica educativa nei programmi formativi dei Salesiani (1874-1951)

 

José Manuel Prellezzo, sdb

PREMESSA

Nel titolo della relazione s’intrecciano diversi temi che possono essere studiati in prospettiva diversa. Tenendo anche presenti gli argomenti pedagogici che saranno svolti nel nostro Congresso, il contributo si limiterà a esaminare quattro nuclei tematici significativi nel periodo delimitato: a) La “Scuola di pedagogia” nella prima tappa di formazione dei salesiani: noviziato. b) Gli studi pedagogici e l’azione educativa nelle “Conferenze capitolari” di Valdocco. c) Il laborioso, ma proficuo incontro tra teoria pedagogica e impegno educativo nel “triennio di esercizio pratico”. d) La fondazione dell’Istituto Superiore di Pedagogia per la formazione dei membri della Società salesiana, una congregazione di educatori.

Fonti archivistiche utilizzate nella ricerca: Deliberazioni de capitoli generali, Verbali del Capitolo Superiore (oggi consiglio generale), Atti del Capitolo Superiore, Verbali delle conferenze capitolari di Valdocco, Programmi, Circolari, lettere personali, edite e inedite.

1. La “Scuola di pedagogia” nella prima tappa di formazione dei salesiani: noviziato.

Nell’autunno del 1874, il Consiglio della casa di Valdocco prese questa deliberazione: “Gli studenti del 1° corso di filosofia ascritti abbiano una scuola di pedagogia sacra […], la quale sarà loro fatta dal loro vice-maestro, don Barberis” (Valdocco…, 193).

Anni più tardi, nel 1897, il menzionato primo professore di pedagogia dei giovani salesiani, alludendo al tema, precisava: “Il nostro indimenticabile fondatore e padre Don Giovanni Bosco non ebbe altro che gli stesse più a cuore quanto l’educare bene i giovanetti che la divina Provvidenza gli mandava, e vedendo che non poteva fare tutto da sé, cercò ogni modo di dare regole, affinché anche noi potessimo ben riuscire in un’opera tanto difficile. […] Poi, quando la nostra pia Società – continua Barberis – fu approvata definitivamente dalla Santa Sede, dispose che tutti i suoi chierici ascritti avessero una scuola apposita, in cui si spiegassero quei principi educativi, che potessero in seguito aiutarli ad ottenere buoni risultati tra i loro allievi” (Appunti, 1897, 3-4).

1.1. Circostanza appropriata all’origine di una decisione importante

La decisione di iniziare la prima scuola di pedagogia per i giovani salesiani era quanto mai tempestiva. Oltre all’approvazione definitiva delle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, nel 1874, sono indicativi altri fatti. Ne accenno due. I salesiani avevano ormai preso coscienza di essere una congregazione di educatori, ma avevano pure toccato con mano la necessità di una adeguata formazione per poter portare a buon fine l’educazione dei giovani poveri e abbandonati, un’opera, che il primo professore salesiano di pedagogia, Barberis e non soltanto lui, qualificava “tanto difficile”.

Infatti già nel 1865, in uno scritto indirizzato al pretore urbano della città di Torino don Bosco si esprimeva in questi termini: “per tenere in freno certi giovanetti per lo più inviati dall’autorità governativa, si ebbe facoltà di usare tutti que’ mezzi che si fossero giudicati opportuni, e in casi estremi di mandare il braccio della pubblica sicurezza siccome si è fatto più volte”.

In questo contesto – pur solamente accennato – si capisce che, nel classico fascicolo pedagogico del 1877, anche don Bosco dichiarasse che il suo scritto sul sistema preventivo, aveva un’unica finalità: quella di “giovare alla difficile arte della giovanile educazione”.

1.2. Caratteristiche della “scuola di pedagogia”

Per superare la difficoltà accennata, don Bosco non propone, però, né auspica una trattazione sistematica. In un colloquio avuto nel 1876 con il più stretto collaboratore in questa materia, traccia le linee del programma che intende proporre: “Riguardo alla pedagogia, io [dice don Bosco] desidero molto che sia uno studio fatto apposta per noi: sia ad esempio intitolato: Il maestro, l’assistente salesiano. Un capo dirà come deve comportarsi l’assistente in dormitorio, un altro l’assistente di passeggiata, l’assistente di chiesa ecc. Vi si dichiari come debba comportarsi il maestro salesiano per riguardo alla puntualità nel trovarsi in classe, riguardo la disciplina, ai castighi ecc. Queste cose si hanno da insegnare in modo che servano di libro di testo per noi” (cit. da A. Barberis, don Giulio, fol 11).

Don Barberis, dal canto suo, dopo più di 20 anni d’insegnamento, offre alcune notizie sul modo con il quale egli ha impostato la scuola di pedagogia, scrivendo nel 1897: “Finora detta scuola fu sempre fatta senza testo determinato, prendendosi ciascun allievo quelle note che gli erano più opportune. Questo parve sufficiente finché rimase centro di tutto l’Oratorio; ma cresciuto il numero degli Ascritti, ed apertisi, varii noviziati in regioni anche lontane, a mantenere l’unità di metodo, si sentì la necessità di un testo apposito. Ed è perciò che il nostro attuale Superiore, il venerando Don Rua, stabilì che esso si pubblicasse” (Barberis, Appunti, p. 4).

1.3. Accoglienza e diffusione

La decisione di iniziare una “scuola di pedagogia”, presa dal Capitolo di Valdocco, nel 1874, fu approvata ufficialmente, dal primo Capitolo Generale della Società salesiana del 1877. In esso si accennò inoltre, sulla scia tracciata da don Bosco, alle linee programmatiche da svolgere: “Nella scuola di Pedagogia […], che è stabilita tra noi per tutti i chierici di Prima filosofia, si facciano leggere più volte e si spieghino le norme da seguirsi dai maestri e dagli assistenti” (Studio, 42).

Da questo momento, la scuola di pedagogia stabilita a Valdocco e in altri noviziati d’Italia e di altri paesi europei e latinoamericani diventa un fatto di congregazione. Infatti nel 1895, don F. Rinaldi, allora ispettore in Spagna, scrive da Sarriá a don Barberis: “Gli ascritti del 1° anno hanno scuola di pedagogia due volte per settimana che fa D. Cerri. Si serve del Regolamento delle case salesiane, degli appunti che fece lei nel noviziato e di quanto ha litografato D. Cerruti pel 1° anno di normale”. (ASC 9.31 Rinaldi Corrispondenza).

Da parte sua, don Antonio Balzario, maestro dei novizi spagnoli a San Vicenç dels Horts, nel 1898, scriveva a Barberis, ringraziandolo del “volume di pedagogia ricevuto”, cioè degli Appunti di pedagogia. Essi, nell’originale italiano o tradotti in spagnolo, furono utilizzati nei noviziati segnalati, ed in altri di America Latina: Las Piedras (Uruguay); Bernal (Argentina), Jaboatão (Brasile).

A questo proposito è particolarmente significativa la testimonianza di don Carlo Leôcio da Silva, professore di pedagogia nel Brasile e futuro primo decano dell’ISP. Precisa che quando cominciò a dare “alcune nozioni di ‘pedagogia’ ai novizi di “Jaboatão, utilizzò alcune opere pedagogiche del padre marianista francese A. Monfat e soprattutto gli “Appunti di pedagogia Sacra”’ di Barberis, “dove trovai – precisa don Leôcio – molta cosa buona, messa un po’ alla rifusa”.

A questo punto, è opportuno sottolineare che “l’importante decisione” presa, nel 1874, sulla “scuola di pedagogia” nella tappa iniziale della formazione dei giovani salesiani, non costituiva il primo intervento di don Bosco riguardo allo studio e alla formazione pedagogico-didattica dei suoi collaboratori.

Ma penso che sia sufficiente limitarsi, in proposito, a menzionare, tra tante altre, le norme che lo stesso don Bosco propose, nel 1863, al direttore della prima istituzione da lui fondata fuori Torino, a Mirabello, riguardo ai rapporti con i maestri: “Parla spesso con loro separatamente o simultaneamente; osserva se non hanno troppe occupazioni; se loro mancano abiti, libri; se hanno qualche pena fisica o morale; oppure se in loro classe abbiano allievi bisognosi di correzione o di speciale riguardo nella disciplina, nel modo e nel grado dell’insegnamento”.

Fatto questo breve chiarimento, passo ad un altro nucleo tematico non carente d’interesse, e direi che conserva ancora attualità.

2. Studi pedagogici ed azione educativa nelle “Conferenze capitolari” di Valdocco.

Mentre la “scuola di pedagogia” stava dando i primi passi a Valdocco e in altre case di noviziato, don Barberis consegnava nelle sue cronachette (1876) una esperienza che merita particolare attenzione nel contesto dello studio pedagogico e dell’esperienza educativa salesiana: le “conferenze capitolari”, denominate anche “conferenze dominicali”, perché si tenevano “regolarmente tutte le domeniche a sera”. Intervenivano ordinariamente negli incontri tutti i membri del Capitolo particolare dell’Oratorio di Valdocco e un certo numero di quelli del Capitolo superiore della Società salesiana.

Partendo dall’esame della propria esperienza, i partecipanti mettono in risalto, nei loro racconti, l’importanza e utilità di questi incontri per prevenire i disordini tra i giovani e per trovare i mezzi più idonei per superarli, se fossero già avvenuti.

Due effetti delle conferenze capitolari favorivano particolarmente il buon andamento dell’Oratorio di Valdocco: 1) “i superiori si mettono d’accordo tra di loro ed operano tutti unanimemente, con ugual spirito”; 2) tutti i partecipanti responsabili della casa restano informati dal da farsi […] e vengono, tra le altre cose, ad acquistare una prudenza pratica negli affari che non si potrebbe acquistare altrimenti” (Valdocco nell’O, p. 127).

Non eccezionalmente prendevano parte alle “conferenze capitolari” tutti quelli che avevano qualche responsabilità nell’andamento scolastico e educativo della casa: sacerdoti, chierici, maestri, assistenti. In qualche occasione il cronista delle conferenze puntualizza che vi “erano presenti, tra chierici assistenti, maestri e sacerdoti, un 35” (16-11-82).

Nella discussione dei problemi o nella soluzione di questioni relative all’educazione o alla scuola, si accennava al sistema preventivo e agli articoli del Regolamento relativi al fatto esaminato. Talvolta la conferenza si chiudeva con la lettura di alcune pagine di un’opera pedagogica di autori non salesiani, come la Pratica dell’educazione cristiana del padre marinista Antoine Monfat o, in qualche caso, con la distribuzione ai partecipanti di una breve pubblicazione sull’argomento discusso, come, ad esempio, gli Avvertimenti agli educatori di Alessandro Teppa, barnabita (Valdocco, p. 258).

L’iniziativa delle “conferenze capitolari” si inseriva tra le proposte e pratiche diffuse nelle istituzioni e centri educativi del tempo: denominate “conferenze pedagogiche”. Sicuramente a queste si riferisce il gesuita P. De Damas, in una sua opera nota nell’Oratorio di Don Bosco (“Le surveillant dans un collége catholique). Trattando dell’organizzazione di dette “conférenze”, scriveva, nel 1857: “Si tiene almeno una volta per settimana una conferenza, alla quale assistono tutti i sorveglianti; si comincia, leggendo qualche brano del regolamento o d’un libro che tratti della condotta dei ragazzi” (Valdocco, 127).

Senza negare un eventuale influsso del clima pedagogico del tempo, si può affermare con P. Braido: “Valdocco appare un vero «laboratorio sperimentale», dove si denunciano francamente le lacune, si inventano i rimedi, si apprestano mezzi e interventi, si controllano esiti, si decidono aggiustamenti” (Braido, Presentazione, Valdocco p. 7). 

3. Laborioso ma proficuo incontro tra teoria e impegno educativo nel “triennio di esercizio pratico” (dal 1901).

È stato più volte e giustamente affermato che all’inizio del secolo ventesimo ebbe luogo un cambio rilevante nell’organizzazione generale degli studi salesiani. E non soltanto quelli ecclesiastici. Nel IX CG del 1901, fu approvata la seguente norma: “dopo il corso di filosofia i chierici facciano un corso di lavoro pratico nelle Case della nostra Pia Società” (p. 275).

La deliberazione capitolare si collocava senz’altro in sintonia con una prassi formativa ampiamente convalidata nel contesto pedagogico europeo. Fin dalla seconda metà del secolo XIX si era messa in risalto la necessita e l’urgenza che lo studio della teoria pedagogica fosse accompagnato dalla esperienza educativa in atto. I programmi delle nuove istituzioni per la formazione professionali dei maestri – le denominate “scuole normali” – prescrivevano le esercitazioni pratiche del “tirocinio” (Studio p. 59).

Nella deliberazione dei capitolari salesiani influì probabilmente il clima culturale, ma certamente ebbe un peso particolare un fatto molto concreto: il bisogno di garantire nelle case della Congregazione la presenza di giovani salesiani che potessero sostituire nell’assistenza e nella scuola quelli che, secondo le nuove norme da seguire, dovevano compiere gli studi ecclesiastici negli studentati teologici.

Pur con qualche opposizione e alcune divergenze iniziali, si giunse poi alla schietta convinzione che, al di là della riposta a una situazione concretai, il “tirocinio” aveva una “importanza del tutto eccezionale” dal punto di vista educativo per i giovani maestri e assistenti, “essendo in questo tempo specialmente che si formano i nostri chierici – scrive il primo successore di Don Bosco – alla vera vita pratica salesiana” (Rua, circolari, 276).

Il tema venne raccolto e sviluppato dal Consigliere Scolastico generale, don Fascie. Questi giunse, nei programmi annuali, a formulare e ribadire insistentemente determinate affermazione che esigerebbero sfumature.

Dopo aver citato le parole di don Rua che abbiamo riportato, Fascie conclude: “si potrebbe dire che il triennio è il corso di studio della nostra pedagogia. La quale non può essere imparata sui libri, perché noi in quanto salesiani, non dobbiamo tendere ad essere filosofi o studiosi di pedagogia, ma diventare educatori secondo lo spirito di Don Bosco […]. Per questo il nostro studio deve essere fatto nella vita pratica e in modo pratico” (Programmi per l’anno scolastico 1923-24, p. 10).

Le stesse affermazioni sono riportate letteralmente dal Consigliere scolastico generale nel Programma per l’anno scolastico 1925-26 e per quello del corso 1926-27.

Nei Programmi per il corso scolastico 1927-28 la posizione del direttore generale della scuola salesiana è più equilibrata. Ribadisce l’importanza del “triennio pratico” dal quale “dipende il vero apprendimento e la vita continuativa e perenne del nostro metodo educativo”; ma, allo stesso tempo, aggiunge e precisa che esso – il metodo educativo salesiano – “si può solo apprendere, dopo le nozioni fondamentali imparate durante il Corso Filosofico, nella pratica della vita salesiana” (p. 6).

Lo studio teorico e l’esperienza della vita salesiana trovano ormai un incontro più armonico. E il Consigliere scolastico generale lo sottolinea più volte. Scrive, ad esempio, nel programma per l’anno scolastico 1934-35: “Pel triennio pratico si ripete quanto fu già più volte inculcato, che cioè si metta ogni studio ed impegno per farne rilevare il significato e l’importanza, come quello da cui dipende il vero apprendimento e la vita continuativa e perenne del nostro metodo educativo. Il quale si può solo apprendere, dopo le nozioni fondamentali imparte durante il Corso Filosofico, nella pratica della vita salesiana, sotto la vigile e paterna sorveglianza dei Superiori e dal loro esempio” (Programmi per l’anno scolastico 1934-35, p. 5).

In questo cenno alla paterna sorveglianza dei superiori e al bisogno del “loro buon esempio” per la formazione pedagogica dei giovani salesiani che iniziavano nel tirocinio l’attività educativa di maestri e assistenti, risuonava l’eco alle direttive tracciate dagli ispettori e membri del Capitolo superiore, riuniti a Valsalice nel 1907:
 “Coi nuovi in qualunque ufficio si abbia pazienza – si passi con loro tutto quel tempo necessario a leggere assieme il regolamento nella parte che li riguarda, spiegandolo e commentandolo - si rivedano le pagine corrette - il Direttore o il Consigliere scolastico si facciano render conto del modo di far scuola - si visitino le classi - si assista a qualche lezione, facciano in una parola quanto suggerirà loro la carità fraterna e il regolamento e dimostrino ai confratelli la coi fatti che amano le loro fatiche e se ne prendono  interesse” (ASC E171 “Verbali delle adunanze tenute a Valsalice [Superiori e Ispettori] nei giorni 26, 27 2 28 agosto 1907”).

4. ISP – L’Istituto Superiore di Pedagogia per la formazione dei membri di una Congregazione di educatori

Accanto all’insistenza sull’apprendimento pratico e sull’indispensabile intervento diretto dei “superiori” responsabili della casa e della scuola (direttore, consigliere scolastico) nell’orientamento e nella verifica dell’azione educativa e didattica di quanti iniziavano la loro attività tra i giovani, si fece strada, pur con qualche difficoltà, l’impegno dello studio della pedagogia in tutte le tappe della formazione salesiana.

Nell’Archivio Salesiano Centrale si custodisce uno scritto anonimo, redatto, probabilmente nella prima metà degli anni ’30, dal prof. universitario salesiano, don Paolo Ubaldi. Il documento presenta, i sintesi, le linee essenziali di “un corso completo di teologia”, includendovi una equilibrata proposta riguardante la preparazione pedagogica di ogni sacerdote salesiano: che “deve essere un educatore di giovani, che conosce bene la teoria dell’educare, bene il sistema salesiano di educazione, bene la maniera d’insegnare dappertutto e sempre (in qualunque materia di scuola ed in qualsiasi occupazione”).

L’autore del documento, pur riconoscendo il passo positivo dato già negli ultimi anni del secolo XIX in alcuni studentati filosofici (come le case di Foglizzo, Ivrea e Valsalice) [Cerruti, 451-459), aggiunge una costatazione: “Lo studio della Pedagogia fatto nello studentato filosofico non è ancora sufficiente: l’arte di educare è difficile, l’età era troppo immatura”.

Il tema fu discusso dal Capitolo superiore. Nell’adunanza del 20.10. 1933, sotto la presidenza di don Pietro Ricaldone, nuovo Rettor maggiore, “tutti i membri del Capitolo Superiore si trovarono d’accordo nell’affermare la necessità che fosse ormai fissato il programma degli studi pedagogici per ogni periodo di formazione”. Il Consigliere scolastico generale – ancora don Fascie –, abbozzò le linee generali: a) Noviziato: “i puri e semplici elementi educativi di Don Bosco”; b) Studentato filosofico: “una breve idea della pedagogia e dei classici della pedagogia”; “sistema educativo di Don Bosco.

I capitolari presenti non si mostrarono soddisfatti: “Qualcuno vorrebbe che si desse ai teologici qualche idea generale della pedagogia in modo scientifico” (Studio, p. 70).

Si stava ormai completando il progetto di un centro superiore di studi, il Pontificio Ateneo Salesiano (PAS), giunto ad attuazione nel 1940. Nell’inaugurazione del corso accademico 1941-1942, don Ricaldone diede la “lieta comunicazione” della apertura, all’interno del PAS, di una specie di facoltà o Istituto Superiore di Pedagogia (ISP), mettendo in risalto l’importanza e urgenza dell’opera: “E’ una necessità per noi l’erezione di questa nuova Facoltà; è una necessità per la Società Salesiana, società religiosa di educatori”.

Volendo poi puntualizzare con maggior precisione il suo pensiero e la natura dell’ISP, il Rettor Maggiore aggiungeva: “Fin’adesso i nostri studi pedagogici si sono fatti come si è potuto; continuandosi la tradizione di Don Bosco, i nostri ricevevano praticamente la loro formazione. E’ tempo di sistemare, di organizzare meglio questi studi” (AFSE Cronaca del’Ist. da l940 a 1946).

Rendendo poi pubblica la notizia alla Congregazione negli ACS (21 (1941) 106. 142: don Ricaldone precisava ancora: “Per preparare appunto sempre meglio i Soci Salesiani all’alta missione di educatori secondo il Sistema Preventivo lasciatoci in eredità preziosa dal nostro Santo Fondatore, abbiamo potuto al fine attuare una aspirazione da tempo accarezzata, aprendo cioè il prossimo anno scolastico nell’Ateneo Pontificio Salesiano, a fianco delle tre Facoltà di Teologia, Diritto e Filosofia, un Istituto Superiore di Pedagogia. […] Nel sullodato Istituto vogliamo anzitutto formare gl’insegnanti di pedagogia per le nostre Case di Formazione, perché da esse possano uscire Salesiani esemplari ed educatori attrezzati e aggiornati nella Pedagogia e nella Didattica”.

Da parte sua, don Carlos Leôncio, stretto collaboratore di don Ricaldone nella fondazione dell’ISP e primo decano del medesimo, lasciò scritto nella cronaca:
L’idea dell’organizzazione di questa nuova Facoltà in seno al Pontificio Ateneo Salesiano è la realizzazione del desiderio dei Superiori, specialmente del Rettor Maggiore, il Sig. D. Ricaldone, di dar uno sviluppo più grande e più profondo agli studi pedagogici nella nostra Congregazione.
Oltre dunque alle nozioni che si continueranno ad impartire nel noviziato, sul problema pedagogico, oltre allo studio sistematico che tutti i chierici principalmente dovranno fare nei tre anni di filosofia, ci sarà per alcuni individui, scelti da ogni ispettoria, questo Corso di pedagogia in piano universitario allo stesso modo che si fa per gli altri rami di studio, come la filosofia, la teologia ed il diritto canonico.

E’ una istituzione un po’ diversa da quelle che si sono già organizzate in altri Atenei ed Università, delle quali si son prese le dovute conoscenze e tenuto il dovuto conto, e se dovutamente approvata dalla Santa Sede sarebbe la prima Facoltà Pontificia di Pedagogia.” (Cronaca di don Carlos Leôncio).

Tenendo presente la volontà manifestata da don Ricaldone, nel 1945 le autorità del PAS iniziarono le pratica per il riconoscimento giuridico. Superate le difficoltà emerse, in particolare quella della “novità” dell’istituzione proposta, la Congregazione dei Seminari e università diede la sua approvazione nel 1957.

[E. Giammacheri, La prima Facoltà di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di don Bosco, in “Scuola Italiana Moderna” 66 (1957) 17, 7.8)] 

5. Sintesi e considerazioni conclusive

  • Nel periodo esaminato, benché con momenti di intensità differente, si mantiene vivo l’interesse per lo studio della pedagogia, che si fa progressivamente più intenso nelle ultime decadi.
  • All’origine di questo fatto emerge la esplicita volontà di don Bosco e dei primi collaboratori, consapevoli della necessità di una adeguata preparazione dei sui collaboratori per affrontare con successo la “difficile arte” dell’educazione dei giovani, soprattutto se poveri e abbandonati.
  • Nei programmi delle diverse tappe formative (soprattutto nelle prime: noviziato, corso filosofico) è privilegiato lo studio del sistema preventivo e i regolamenti delle differenti cariche.
  • Nel triennio pratico, tra le letture pedagogiche proposte, si trovano opere pedagogiche di pedagogisti classici (Sant’Agostino), moderni (Monfat, Dupanloup, Alessandro Teppa); tra questi, i salesiani Barberis, Cerruti, Fascie.
  • Dal punto di vista metodologico, sono seguite anche le modalità tradizionali: lettura di libri su temi educativi, conferenze o brevi discorsi sui diversi aspetti e questioni pedagogiche.
  • Sono da mettere in risalto, però, due modalità di notevole rilevanza che conservano ancora attualità: a) Le “conferenze capitolari” di Valdocco, cioè riunioni periodiche, in cui i membri del capitolo della casa e quelli del Capitolo superiore della Società salesiana, più, talvolta, tutti gli incaricati dei diversi settori, si incontrano per individuare i problemi della istituzione educativa, trovarne, insieme, le cause e, sempre le possibili soluzioni. b) Il tirocinio pratico dei giovani salesiani, i quali durante tre anni – sotto la guida di “una persona amica, prudente, savia” – imparano nell’azione la “difficile arte” dell’educare.
  • Non è necessario accennare di nuovo all’ISP – dal 1973 Facoltà di Scienze dell’Educazione – la cui rilevanza è ormai nota da tutti i presenti.