STIMOLI AL NOSTRO CAMMINO POSTCAPITOLARE
1. Nel movimento della Chiesa
2. La nostra lettura
3. Il dono della nostra Vita Consacrata
4. La spiritualitá: una esigenza prioritaria
- Programma e cammino
- Una pastorale della spiritualitá
5. I molti ambiti della comunione
- Esperti di comunione
6. Un areopago per noi: l'educazione
Conclusione
Roma, 8 settembre 1996
Festa della Natività di Maria
Cari confratelli,
Nel momento in cui vi scrivo il CG24 è stato consegnato a tutte le Ispettorie. Alla prima comunicazione, che ebbe luogo durante la sua realizzazione tramite i nostri organi di stampa, ha fatto seguito la trasmissione, arricchita da una singolare testimonianza, da parte di coloro che vi avevano preso parte. Ultimamente vi è stata inviata l'edizione ufficiale degli Atti nelle diverse lingue. Essa porta, insieme ai documenti promulgati a norma delle Costituzioni, altri testi utili per la piena comprensione dell'avvenimento e degli orientamenti capitolari.
Immagino le Ispettorie e le comunità locali intente a comprendere e interiorizzare le motivazioni che il documento offre riguardo alla partecipazione dei laici nello spirito e missione di don Bosco e a tentarne già le applicazioni possibili nei rapporti, nella struttura, nell'organizzazione del lavoro, nei programmi di formazione continua.
Vi ricordo l’urgenza di tradurre nella prassi e nella vita, in maniera organica e comunitaria, le proposte del CG24 secondo quanto dicevo nel discorso finale: «Occorrerà che le indicazioni capitolari siano integrate in un progetto unitario e vengano tradotte in processi che ne favoriscano l'assimilazione vitale (mentalità, atteggiamenti, abilità, esperienze). Si tratta di riportare le visioni ampie sul terreno della vita quotidiana. È questa una sfida: trovare quella mediazione efficace tra le ispirazioni e la prassi, tra il documento e l'applicazione concreta».
Il CG24 interpella ciascuno: è un invito a risvegliare e attivare risorse apostoliche ancora giacenti in noi, nel nostro carisma, nella esperienza cristiana ed educativa dei numerosi laici che collaborano nelle nostre iniziative o che il Signore sta muovendo internamente verso la missione giovanile.
Il CG24 ci colloca nel cuore del progetto pastorale della Chiesa per questo ultimo scorcio di secolo. Ne assume i motivi, le mete, i contenuti e le modalità di azione.
Tale progetto ha un nome: nuova evangelizzazione. L'espressione l'abbiamo ascoltata e ripetuta molte volte e ne abbiamo colto le implicazioni ed esigenze generali. Ma forse bisogna ancora approfondirne il senso e le conseguenze pratiche per la nostra vita e la nostra azione educativa.
Si tratta infatti di una presa di coscienza della cultura odierna nelle sue realizzazioni e tendenze, alla luce del Vangelo e della vocazione della persona umana, per ricomprendere il significato di salvezza che l'avvenimento, la presenza attuale e la parola di Cristo possono avere in essa e rinnovare, di conseguenza, la testimonianza cristiana, l'annuncio del Vangelo e l'intervento dei discepoli di Cristo nella storia.
Ciò comporta una rimeditazione del mistero cristiano, una lettura vigilante di molti fenomeni ed il vaglio attento di tante opinioni che sfidano le nostre convinzioni e la nostra esperienza di consacrati. La fede infatti ci porta a confessare che Cristo è salvezza per ogni tempo: ieri, oggi e sempre.
In questo movimento per una nuova evangelizzazione ha preso particolare rilevanza la riflessione sulla Chiesa, costantemente riproposta nei documenti del magistero e celebrata con avvenimenti significativi come le Assemblee sinodali a livello di Chiesa universale o di Continenti: ciò ha prodotto una nuova coscienza ecclesiale e un rinnovamento progressivo nel modo di concepire il rapporto della Chiesa con il mondo.
La Chiesa sa di essere popolo di Dio. Proclama ed esprime nella storia dell'uomo il mistero della presenza operante di Dio. Testimonia, insegna e aiuta a vivere la filiazione divina rivelatasi in Gesù Cristo. La sua missione è di convocare, orientare e radunare i singoli e l'umanità perché vivano questa vocazione assumendo tutte le conseguenze, anche temporali, che ne derivano. Sa dunque di dover esprimere nel mondo e nella storia una forma di vita, un annuncio e scelte storiche che si addicono alle persone in quanto immagini di Dio e suoi figli in Cristo.
In tale contesto ha voluto approfondire, alla luce della Parola, della sua esperienza plurisecolare e dell'attuale temperie, le tre condizioni fondamentali nelle quali coloro che sono stati chiamati alla fede vivono in pienezza la loro vocazione di discepoli di Cristo: quella laicale, quella ministeriale, quella della consacrazione religiosa.
L'Esortazione Apostolica Vita Consecrata, che ha consegnato la riflessione su quest'ultima, risultato del lungo processo di preparazione e realizzazione della IX Assemblea del Sinodo dei Vescovi e di una accurata elaborazione posteriore, è stata pubblicata mentre il nostro CG24 era nel pieno dei lavori. Ne ha fornito i principi ispiratori, ne ha offerto il quadro di riferimento per comprendere i rapporti tra le diverse realizzazioni del carisma salesiano ed ha influito decisamente sugli orientamenti pratici. Troverete traccia lungo tutto il testo nelle abbondanti citazioni e riferimenti.
Giova dunque, in questo momento di studio e applicazione del CG24, riprendere l'Esortazione per una lettura che vada oltre la prima scorsa di legittima curiosità. È ciò che mi propongo in questa lettera, dopo averla studiata con i membri del Consiglio Generale per nostro profitto personale e per condividere con voi alcune delle sue prospettive.
Ciò avrà, penso, due effetti salutari. Ci immetterà più profondamente nella comunione della Chiesa che dappertutto è chiamata a riflettere sulla Vita Consacrata come un interesse generale. A ragione infatti i Padri sinodali hanno adoperato un'espressione, in seguito abbondantemente ripresa e sottolineata: «De re nostra agitur». Si tratta di un argomento che interessa tutta la Chiesa.
Ci aiuterà, inoltre, a mettere meglio a fuoco alcuni nodi molto sentiti nel CG24, la cui adeguata comprensione condizionerà la qualità della nostra vita e l'efficacia della nostra prassi.
Non è il caso di fare una presentazione sistematica dei contenuti dell'Esortazione. Essi sono organizzati in tre capitoli attorno alla consacrazione, alla comunione e al servizio, e comunicati con un linguaggio non specialistico ma alla portata almeno di tutti i consacrati.
Delle diverse angolature da cui leggere l'Esortazione: biblica, teologica, storica, giuridica, pastorale, si sono occupati abbondantemente convegni, seminari e pubblicazioni, in particolare quelli curati dai religiosi. Essi offrono un materiale utile per la lettura personale e comunitaria.
Nell'Esortazione si accenna pure a problemi dottrinali e pratici ancora da chiarire, che sono stati affidati a commissioni di studio. Tra di essi ci interessano particolarmente quelli che riguardano gli Istituti misti e le nuove forme di vita evangelica. Li stiamo seguendo e attendiamo ulteriori sviluppi per decidere, quando sia il caso, un orientamento conforme alla nostra identità carismatica. Così l'ha indicato il CG24 in una deliberazione riguardo alla forma della nostra Società: «Alla luce dell'Esortazione Apostolica Vita Consacrata (n. 61), e degli sviluppi giuridici in corso sulla forma degli Istituti religiosi, il CG24 ritiene importante uno studio sulla possibile forma "mista" della nostra Società e un ulteriore approfondimento se le novità inerenti a tale forma rispondano al nostro carisma e al progetto originario del Fondatore».
Ma più che fermarmi ora su questi aspetti, voglio percorrere con voi il testo per raccogliere e interiorizzare alcuni stimoli, mettendoli a confronto con la nostra esperienza e contestualizzandoli nel tempo che, come Congregazione, stiamo vivendo.
È una lettura che comporta accoglienza interiore, attenzione preferenziale ad alcuni punti sostanziali e certi, riscontro con la nostra vita concreta e con la nostra mentalità.
Alcuni hanno indicato i limiti dell'Esortazione. Essi ci ricordano che viviamo nel tempo e che, dopo questo sforzo tutt'altro che indifferente di riflessione, c'è ancora di fronte a noi strada da percorrere. Il prenderne atto con serenità fa parte della corresponsabilità che hanno i religiosi riguardo a tutta l'esperienza della Vita Consacrata. Ma sarebbe ingeneroso e inutile fermarsi su di essi, di fronte alla ricchezza che l'Esortazione offre. La sapienza porta a dare a ciascun elemento il suo giusto peso in funzione della vita.
Sulla stessa linea gioverà alle comunità una lettura creativa che non si limiti a prendere atto dei contenuti, ma cerchi di riformularli su misura propria mediante il confronto dello scritto con il proprio vissuto. Il testo deve servire come stimolo alla verifica, al ripensamento e alla conversione.
Da ultimo, ci interessa una lettura pastorale. I consacrati hanno accolto con gratitudine questa Esortazione di Giovanni Paolo II. La considerano uno strumento di revisione e di rilancio all'interno del proprio Istituto, ma anche un'opportunità per far prendere coscienza del dono della Vita Consacrata nella comunità ecclesiale e nella storia umana. Essa sovente è poco conosciuta nel suo significato essenziale, persino là dove i consacrati sono a contatto quotidiano con la gente. Ci si domanda se il nostro linguaggio ed i nostri segni sono adeguati a farla comprendere o se abbiamo trascurato di comunicare la nostra esperienza.
Noi abbiamo particolare interesse nel presentarla ai giovani nella bellezza del suo significato perenne e nella sua attuale validità. Ciò è parte dell'itinerario di fede che nell'ultimo sessennio abbiamo cercato di esplicitare, risponde al particolare momento di definizione della vita che i giovani attraversano e viene incontro ad un profondo desiderio di conoscerne le migliori realizzazioni. Dobbiamo per questo riappropriarci della nostra esperienza per farla diventare messaggio e comunicarla con efficacia.
Impressiona il ripetersi della parola dono, riferito alla totalità della Vita Consacrata, a ciascuna delle sue manifestazioni storiche o carismi, a molte delle sue componenti o aspetti particolari: i voti, la comunità, il servizio di carità. Un dono ricevuto ed un dono offerto. L'abbondanza di modulazioni con cui tale riferimento viene riproposto lascia, alla fine della lettura, l'impressione che quella del dono sia una delle categorie fondanti per percepire, nella sua giusta luce, la natura della Vita Consacrata. Il dono riporta alla gratuità, all'amore che vi sta all'origine, alla gioia di sentirsi oggetto di predilezione, all'eccellenza.
Sovente ci si sofferma sugli interrogativi che riguardano la nostra identità di consacrati. Più spesso ancora ci capita di ascoltare o di metterci ad analizzare le difficoltà da superare per riuscire ad essere significativi. Ci provoca l'ambiente secolare poco inclinato a riconoscere il valore di scelte e motivazioni che vanno oltre il funzionale, il temporale o il pratico. Ci sfida pure l'apparente inefficacia dei nostri sforzi riguardo ai grandi fenomeni del nostro tempo: la perdita del senso religioso, il disorientamento etico, le povertà che si espandono e diventano sempre più estreme, le discriminazioni, i conflitti che degenerano in violenza continuata. Ci preoccupa ancora la scarsa risposta vocazionale, specialmente là dove sembrano prevalere la razionalità, il benessere e lo sviluppo. E, non ultimo, siamo consapevoli dei nostri limiti personali ed istituzionali nel realizzare un progetto che ci attira nella sua presentazione ideale.
Noi salesiani, in particolare, ci domandiamo come vivere e raccontare la nostra esperienza ai giovani aperti ai significati e disponibili ad esperienze spirituali, ma distratti da stimoli molteplici e fugaci, portati verso progetti più immediati, diversi da noi per ciò che riguarda gusti, linguaggio, e stile di vita. Essi sovente ci interrogano sul significato e le ragioni della nostra esistenza consacrata.
Questo confronto con il mondo non è estraneo all'esperienza del credente e del consacrato. Ne troviamo abbondante traccia nella Bibbia. I Salmi lo esprimono con efficacia insolita e in forma di invocazione sofferta quando riportano la sfida dello scettico: "Dove è il tuo Dio?". Infatti la presenza di Dio e l'esperienza che provoca nell'uomo è irriducibile ad una visione puramente temporale e i suoi segni hanno una certa estraneità alla percezione umana: sono avvolti nel mistero e richiedono la fede e la grazia.
L'Esortazione non ha ignorato questi dati di un'analisi che non è solo sociologica e congiunturale, ma teologica. Si leggono in filigrana. Ma non ne ha voluto fare un capitolo importante. Non ha considerato nemmeno negativa l'esigenza di misurarsi con un contesto secolarizzato in cui siamo chiamati a testimoniare la scelta del primato di Dio e della carità. Così come non ha indulto a lamentele, giustificate o pretestuose, di deviazioni della Vita Consacrata nel complesso processo di rinnovamento che seguì al Concilio Vaticano II.
La sua visione è positiva e stimolante. Rivolge e quasi fissa lo sguardo sul valore della Vita Consacrata, che illumina con prospettive nuove.
Alcune di queste richiamano l'esperienza personale di chi si è sentito chiamato a questo genere di vita: la particolare luminosità con cui Cristo ci è apparso e il fascino che ha esercitato su di noi, la ricchezza di prospettive che si aprono alla esistenza quando si concentra in Dio, la pace che si sperimenta nell'amare con cuore indiviso, le gioie della donazione nella missione, il privilegio di godere dell'intimità di Cristo e partecipare consapevolmente alla vita trinitaria. Il tutto è significato nell'icona della Trasfigurazione di Cristo di fronte ai discepoli, scelti da Lui, testimoni della sua gloria.
È un invito a rivisitare i nostri momenti di Tabor, gli aspetti migliori della nostra esperienza personale, interpretandoli alla luce della Parola di Dio, assumendoli come motivazioni per una coraggiosa fedeltà.
Il valore della Vita Consacrata appare manifesto anche nella e per la Chiesa. Essa produce frutti copiosi di santità e di servizio in ogni stagione della Chiesa. Rapidi squarci storici fanno vedere la persistenza, la ricchezza, la diversità di espressioni e la corrispondenza alle urgenze della comunità cristiana che hanno caratterizzato il sorgere delle diverse forme di Vita Consacrata aperta anche oggi a nuove espressioni. Un Vangelo dispiegato nel tempo! Essa ripropone la santità, rispecchia lo stile di vita di Cristo, aiuta a scoprire i segni del Regno e spinge continuamente verso la realizzazione definitiva dell'uomo. Per questo è indispensabile non tanto alla organizzazione operativa della Chiesa, ma alla sua esperienza sostanziale: quella del mistero, del rapporto con il suo Signore.
La considerazione del valore della nostra consacrazione, nell'interscambio con altre vocazioni ecclesiali, in un "armonioso insieme di doni", è particolarmente attinente al tempo che stiamo vivendo. Ce lo ricorda il CG24 quando descrive il ruolo della comunità religiosa all'interno della CEP: «Il salesiano SDB, con la sua stessa vita, traduce il vangelo in linguaggio accessibile soprattutto ai giovani: per i valori della consacrazione pone interrogativi ed indica possibilità di senso; per la sua dedizione annuncia che il segreto della felicità sta nel perdere la vita per ritrovarla; per il suo stile rende attraente lo spirito delle beatitudini e annuncia la gioia della Pasqua; per il suo fare comunità diventa immagine di Chiesa, sacramento del Regno»
Noi come educatori, impegnati nella promozione umana e nella cultura, siamo stimolati anche da quelle prospettive che parlano dell'incidenza della Vita Consacrata sulla storia dell'uomo non solo attraverso il servizio, ma pure per mezzo degli orizzonti che apre, dei valori che testimonia e degli atteggiamenti che crea.
Questo fissare lo sguardo sul dono di Dio e scoprire in esso la profondità della saggezza, la luminosità della vita, la bellezza delle esperienze, la gioia degli incontri, la generosità dell'amore, ci immette in un clima di contemplazione.
Le letture superficiali della realtà, infatti, possono lasciare impressioni di estraneità, inefficacia ed insignificanza. Risalendo alle fonti del nostro vivere, alla grande presenza che l'ha provocato, alla Parola che illumina il suo senso ed il suo destino, si rafforza la consapevolezza del mistero che opera in noi e si colgono in profondità i fatti che ci interrogano.
Il rendimento di grazie attraversa perciò il documento a partire dalle prime parole. Si è detto che il testo passa continuamente dalla teologia alla dossologia, dalla riflessione alla lode a Dio.
Dalla contemplazione del dono di Dio sgorga la serena fiducia nell'affrontare le difficoltà presenti e la speranza nel futuro. Certo ci sono questioni di significatività, di adeguamento pastorale, di stile di vita, di dialogo culturale. Siamo in tempi di raccolta e di semina. Ma ci incoraggia Giovanni Paolo II: «Voi non avete solo una storia da ricordare e raccontare, ma una grande storia da costruire. Guardate al futuro nel quale lo Spirito vi proietta per fare assieme a voi ancora cose grandi». La nostra è «una vita "toccata" dalla mano di Cristo, raggiunta dalla sua voce, sorretta dalla sua grazia». Si snoda, come un esodo, dalla luce della Trasfigurazione a quella definitiva della Risurrezione.
La spiritualità appare come la dimensione fondamentale della Vita Consacrata, il punto di convergenza che unifica tutte le prospettive dalle quali essa viene approfondita: teologiche, storiche, bibliche, pastorali. È dunque un elemento trasversale e pervasivo dell'intera Esortazione.
Ma si concentra pure in alcuni numeri che la presentano in forma diretta e pratica. I titoli di questi numeri costituiscono una sintesi facilmente comprensibile: esistenza trasfigurata, chiamata alla santità, un deciso impegno per la vita spirituale, la formazione permanente, una risposta di spiritualità alla ricerca di senso e alla nostalgia di Dio. Non viene mai separata e tanto meno opposta alla riflessione teologica e alla attività apostolica, ma si radica saldamente nella prima e dà la sua forma caratteristica alla seconda.
A ragione, chi ha studiato a fondo l'Esortazione afferma che, se una nota forte deve essere subito sottolineata nel documento, questa è la spiritualità realista e incarnata, che appare sia nella quasi "mistica" della dottrina, sia nel molteplice riferirsi esplicito al bisogno e all'impegno di spiritualità.
Dallo Spirito, come dono sorgivo e germinale, prendono forma la particolare configurazione della consacrazione, lo stile della missione, la vita comunitaria, la pratica originale dei voti.
La spiritualità è dunque come il principio di individuazione, dal quale si sviluppa l'identità. La Vita Consacrata infatti non nasce da un progetto generale, pensato da qualcuno a tavolino, ma da esperienze singolari di vita nello Spirito, secondo cui si accoglie, si sente, si matura e si esprime l'amore a Dio e al prossimo, rivelatosi nella sua pienezza in Cristo. L'Esortazione lo ribadisce in non pochi punti, ma vi si sofferma soprattutto nella introduzione quando traccia il tipo spirituale delle diverse forme di Vita Consacrata sorte nel tempo.
Verso l'espressione completa di una spiritualità originale convergono regola, progetti, ordinamenti. «Tutti questi elementi, calati nelle varie forme di Vita Consacrata, generano una peculiare spiritualità, cioè un progetto concreto di rapporto con Dio e con l'ambiente, caratterizzato da particolari accenti spirituali e scelte operative, che evidenziano e rappresentano ora l'uno ora l'altro aspetto del mistero di Cristo. Quando la Chiesa riconosce una forma di Vita Consacrata o un Istituto, garantisce che nel suo carisma spirituale e apostolico si trovano tutti i requisiti obiettivi per raggiungere la perfezione evangelica personale e comunitaria».
La vita spirituale è dunque «una esigenza prioritaria, inscritta nell'essenza stessa della Vita Consacrata, dal momento che come ogni altro battezzato, ed anzi con motivi più stringenti, chi professa i consigli evangelici è tenuto a tendere con tutte le forze verso la perfezione della carità».
Da essa dipende la fecondità apostolica e l'attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni. Appare come l'energia e il punto di snodo per quel rinnovamento che è stato al centro del discorso, dei progetti e delle attese in questi anni: «Tendere alla santità: ecco in sintesi il programma di ogni Vita Consacrata anche in prospettiva del rinnovamento alle soglie del terzo millennio».
Questa richiesta incalzante, ripetuta dopo la verifica fatta dal Sinodo, sembra indicare la spiritualità come "l'ultima frontiera" della Vita Consacrata, la sua unica possibilità di rendersi significativa e feconda. Appare infatti come la sola capace di rendere credibile la proposta etica perché animata dalla verità e dall'amore, di superare, nella pastorale, la sola iniziazione catechetica e gli aspetti organizzativi ispirandosi alla logica della grazia e dei sacramenti e di vivificare con la carità l'annunzio, la celebrazione, la testimonianza e il servizio.
Programma e cammino
Il discorso sulla priorità della vita spirituale diventa concreto quando vengono ricordate le dimensioni e le esigenze collaudate dalla esperienza secolare della Vita Consacrata.
Anzitutto la fedeltà al patrimonio spirituale di ciascun Istituto. Si tratta di una fedeltà creativa e non di osservanza materiale o di conservazione immobile. Bisogna ricollegarsi all'anima, agli atteggiamenti e alle scelte evangeliche dei Fondatori e delle Fondatrici per rispondere alle sfide che ci vengono dalla mentalità dominante o dai problemi attuali della convivenza umana. Ogni carisma infatti comporta una forma di rapporto col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo espresso nella storia.
Tale fedeltà creativa non va riferita solo alle iniziative apostoliche ma, in primo luogo, allo stile di vita delle persone e delle comunità. Da essi viene un invito alla trasparenza evangelica, alla radicalità e al coraggio apostolico. Nel contesto di questa fedeltà, afferma l'Esortazione, «torna oggi impellente per ogni Istituto un rinnovato riferimento alla Regola, perché in essa è racchiuso un itinerario di sequela» e si offre la genuina tradizione spirituale dell'Istituto. È un invito a esplorare continuamente e a estrarre sempre nuove ricchezze dal nostro patrimonio.
Tra le dimensioni da coltivare con particolare attenzione viene in primo luogo quella contemplativa, che si esprime nel senso della presenza di Dio accolto con amore e gratitudine. Ad essa si riferiscono le nostre Costituzioni quando affermano che «operando per la salvezza della gioventù, il salesiano fa esperienza della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione divina della sua attività. Coltiva l'unione con Dio, avvertendo l'esigenza di pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre che sente vicino. Attento alla presenza dello Spirito e compiendo tutto per amore di Dio, diventa, come don Bosco, contemplativo nell'azione».
Di tale dimensione hanno bisogno tutti e sempre: «La teologia per poter valorizzare in pieno la propria anima sapienziale e spirituale; la preghiera perché non dimentichi mai che vedere Dio significa scendere dal monte con un volto così raggiante da essere costretti a coprirlo con un velo; l'impegno per rinunciare a chiudersi in una lotta senza amore e senza perdono».
La dimensione contemplativa attraversa e permea tutte le forme di Vita Consacrata, sebbene per ciascun carisma abbia i suoi luoghi e momenti tipici e manifestativi. Come la assuma e pratichi il salesiano lo esprimono due testi che collegano strettamente la preghiera e l'incontro educativo. Il primo è l'articolo 95: «Il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico, lo porta a celebrare la liturgia della vita, raggiungendo "quella operosità instancabile, santificata dalla preghiera e dall'unione con Dio. . .“». Il secondo riguarda il momento educativo come luogo caratteristico della nostra esperienza di Dio: «Don Bosco ci ha insegnato a riconoscere la presenza operante di Dio nel nostro impegno educativo, a sperimentarla come vita e amore. . . . Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell'incontro con Lui. . . . . Il momento educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui».
La dimensione contemplativa si alimenta e si rafforza alle sorgenti che preservano dal logorio e dalle cadute di tensione. L'Esortazione evidenzia la Parola di Dio, la comunione con Cristo nella Liturgia, particolarmente nell'Eucaristia e nella Riconciliazione, la direzione spirituale. Si ferma a sottolineare il valore della Lectio divina: «Realizzata secondo le possibilità e le circostanze della vita di comunità, essa porta alla gioiosa condivisione delle ricchezze attinte dalla Parola di Dio, grazie alle quali fratelli e sorelle crescono assieme e si aiutano a progredire nella vita spirituale». Si sa che essa comporta un approccio attento al testo, una interiorizzazione della Parola, il confronto con la vita e la condivisione. È, per noi, un suggerimento a ricuperare momenti e forme di comunicazione spirituale che porterebbe a collocare in maniera più evidente la Parola di Dio dove la vuole l'articolo 87 delle Costituzioni: ´La Parola ascoltata con fede è per noi fonte di vita spirituale, alimento per la preghiera, luce per conoscere la volontà di Dio negli avvenimenti e forza per vivere in fedeltà la nostra vocazioneª.
La dimensione apostolica emerge dall'unità interna tra consacrazione e missione: «Nella loro chiamata è compreso il compito di dedicarsi totalmente alla missione; anzi, la stessa Vita Consacrata, sotto l'azione dello Spirito Santo che è all'origine di ogni vocazione e di ogni carisma, diventa missione, come lo è stata tutta la vita di Gesù». Si preme sull'esigenza di comprendere e coltivare una spiritualità dell'azione che porti a «vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio», espressa con un'icona che consegna immediatamente il significato: la lavanda dei piedi, nella quale «Gesù rivela la profondità dell'amore di Dio per l'uomo»
La spiritualità comporta anche la dimensione ascetica, di resistenza o combattimento spirituale, rappresentata con l'icona di Giacobbe che lotta con l'Angelo. «L'ascesi, aiutando a dominare e correggere le tendenze della natura umana ferita dal peccato, è veramente indispensabile alla persona consacrata per restare fedele alla propria vocazione e seguire Gesù sulla via della Croce». Si tratta di un aspetto non molto congeniale alla sensibilità corrente, che tende alla soddisfazione dei desideri e la giustifica. Ciascun Istituto ha una tradizione ascetica coerente con il proprio stile spirituale. Nel nostro ci sono alcune parole-chiave che la definiscono: lavoro, temperanza, amorevolezza e competenza nel compito educativo, rapporto fraterno.
Aspetto importante di tale ascesi è integrare nel progetto di vita in Dio alcune tendenze che, sviluppate in forma autonoma, compromettono la qualità dell'esperienza spirituale e le finalità della missione: una esasperata ricerca dell'efficienza e della professionalità separate dalle finalità pastorali, la secolarizzazione della mentalità e dello stile di vita, le forme, anche larvate, di nazionalismo o l'affermazione eccessiva della peculiarità culturale.
La spiritualità, come cammino, porta ad assumere la totalità dell'esistenza nelle sue diverse fasi. «L'individuo cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito diverso da svolgere, un modo specifico di essere, di servire, di amare».
Alcune pennellate riportano le possibilità ed i rischi presenti nelle diverse età dell'uomo e lo sforzo che richiedono: lo svuotamento spirituale nella fase di intensa attività, l'abitudine, la delusione ed il pericolo dell'individualismo nell'età adulta, il ritiro dall'attività negli anni dell'anzianità e della malattia. Ciascuna fase ha però una grazia particolare del Signore ed include un forte invito a crescere e rispondere in forma matura attraverso la formazione permanente.
Tra di noi essa ha avuto sviluppi soddisfacenti sin dagli anni 70 con i corsi che si sono diffusi in tutte le regioni. Il CG23 ha rilanciato un aspetto che si veniva già realizzando: la comunità locale e il "quotidiano" come spazio della crescita continua, soprattutto attraverso la qualità dei rapporti e della comunicazione, i momenti di preghiera, la progettazione comunitaria e la realizzazione corresponsabile della missione.
Non è da sottovalutare l'importanza dell'impegno personale sistematico; forse questo è il momento di riproporlo. La nostra vita ha bisogno di integrare riflessione e prassi, studio e attività, silenzio e incontro, sebbene per noi ciò non sia legato ad una rigida alternanza di tempi. È una delle chiavi per tendere a quella qualità spirituale, pastorale e culturale a cui mi riferivo nel discorso conclusivo del CG24.
Una pastorale della spiritualità
Un accento di novità dell'Esortazione sta nella affermazione che la vita spirituale non è solo precondizione, base o preparazione per il servizio che i consacrati prestano all'uomo, ma è aspetto essenziale della loro missione. Essi sono invitati a diventare esperte guide spirituali ed a moltiplicare iniziative che abbiano come finalità quella di accompagnare i fedeli in un cammino verso il Signore.
In questa luce vanno lette con attenzione le parole dell'Esortazione, che affidano ai consacrati il compito di «suscitare in ogni fedele un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale, in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più povero». Si tratta non di un impegno individuale, ma di un intendimento comunitario e di una finalità istituzionale: «Ogni Istituto e ogni comunità si presentino come scuole di vera spiritualità evangelica».
Il servizio alla dimensione della spiritualità va oltre i confini della comunità cristiana e si colloca come accompagnamento ed appoggio per tutti coloro che sono alla ricerca di senso e di orientamento. «Quanti abbracciano la Vita Consacrata, uomini e donne, si pongono per la natura stessa della propria scelta come interlocutori privilegiati di quella ricerca di Dio che da sempre agita il cuore dell'uomo e lo conduce a molteplici forme di ascesi e spiritualità».
È la nostra scommessa per questo sessennio. Siamo consapevoli di aver compiuto un cammino di rinnovamento della mentalità, di aver ripensato contenuti e metodi del lavoro pastorale, di aver aggiornato le strutture di vita comunitaria e di governo. In questo momento siamo impegnati nel convocare i laici, condividere con loro la responsabilità, formarci insieme. Ma, come rilevavo nel discorso di chiusura, «il CG24 è approdato alla spiritualità nella ricerca di una fonte di comunione fra laici e salesiani. È diffusa in Congregazione la coscienza che il nostro rapporto coi laici abbisogna di maggior robustezza spirituale se, insieme, dobbiamo affrontare le difficili sfide della missione salesiana nell'ora presente».
La stessa Esortazione aveva anticipato questo approdo quando affermava: «Oggi non pochi Istituti, spesso in forza delle nuove situazioni, sono pervenuti alla convinzione che il loro carisma può essere condiviso con i laici. Questi vengono perciò invitati a partecipare in modo più intenso alla spiritualità e missione dell'Istituto».
Per facilitare questo compito si sono formulati quadri di riferimento che danno un'idea adeguata della nostra spiritualità. I salesiani hanno le Costituzioni e in esse il capitolo sullo spirito salesiano, punto di partenza e base delle altre presentazioni. Don Egidio Viganò ha enunciato alcuni tratti che formano il patrimonio comune di tutta la Famiglia Salesiana, ripresi ed ulteriormente esplicitati nella Carta di Comunione. Per i giovani si sono formulati "manifesti" e proposte sin dagli anni Ottanta e il CG23 ha dato loro autorevolezza di proposta condivisa comunitariamente. Recentemente è stata offerta una presentazione curata dai responsabili dei due dicasteri di Pastorale Giovanile FMA e SDB.
Il CG24 ha cercato di evidenziare quello che meglio e più ci porta a condividere con i laici la missione: l'amore preferenziale in forma di carità pastorale per i giovani specialmente i più poveri, la qualità dell'incontro educativo e lo spirito di famiglia, l'impegno per la Chiesa e per il mondo mosso dal "da mihi animas", il quotidiano fatto di dovere, rapporti, professionalità vissuto alla presenza di Dio, la pratica educativa del sistema preventivo continuamente rinnovata.
Così la nostra spiritualità è stata formulata per i religiosi, per i giovani e per i laici. Disponiamo di testi di meditazione e di orientamento. «Concludiamo il CG24 con la convinzione che proporre ad essi (i laici) la spiritualità salesiana sia la risposta adeguata ad una invocazione pressante e l'offerta di un dono desiderato. La domanda di spiritualità ci spinge a scoprire un tesoro di famiglia, a sviluppare e approfondire quei tratti che don Bosco ci ha consegnato con straordinaria efficacia».
Bisogna però riconoscere che ad una spiritualità veniamo iniziati mediante l'incontro con qualcuno che ne ha fatto l'esperienza e la vive con gioia e convinzione, mediante la partecipazione ad un gruppo che la comunica con capacità di coinvolgimento, sotto la guida e l'orientamento spirituale di chi ne conosce i sentieri e le risorse.
Su questi punti: vissuto, comunità, comunicazione, orientamento, dobbiamo mettere l'accento, dal momento che conosciamo formulazioni e prospettive.
Un altro filone, da cui trarre vantaggio nella lettura dell'Esortazione, è quello che riguarda la comunità. La sua novità sta nella missione di comunione che viene affidata ai consacrati. La riflessione segue infatti due direzioni: una, che guarda verso l'interno della comunità, assume e conferma quanto proponeva il documento precedente La vita fraterna in Comunità, Congregavit nos in unum; l'altra che mira all'esterno.
A partire dal Concilio Vaticano II, tutti gli Istituti hanno operato quel cambiamento che porta dalla comunità, intesa prevalentemente come "vita comune", all'esperienza di comunione. La prima sottolinea l'importanza delle strutture che regolano la convivenza. La seconda punta sull'amore reciproco, la condivisione di progetti, la comunicazione profonda, la corresponsabilità.
Pure noi, attraverso un itinerario di accentuazioni ed equilibri, abbiamo portato ad unità carismatica i due elementi indispensabili per una presenza comunitaria reale e testimoniante: quello "spirituale", la fraternità in Cristo che si esprime nell'unità dei cuori e nella qualità dei rapporti interpersonali; e l'altro più visibile, "la vita comune" o vita di comunità, che consiste nell'abitare insieme nella propria casa religiosa, nella partecipazione agli atti comuni, nel portare avanti, con impegno unanime, le iniziative pastorali.
«È chiaro che la vita fraterna non sarà automaticamente realizzata dall'osservanza delle norme che regolano la vita comune; ma è evidente che la vita comune ha lo scopo di favorire ed esprimere la vita fraterna». Il nostro carisma, la nostra prassi, la nostra missione e il caratteristico spirito di famiglia portano a unire strettamente i due aspetti: comunione di spirito e vita di comunità.
A questa fusione, che richiede maturità umana e profondità spirituale, viene attribuita dalle nostre Costituzioni significatività e particolare incidenza pastorale, fino a farla elemento indispensabile della missione. «Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione. Per questo ci riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la comunione delle persone».
Il CG23 la vede come segno, scuola e ambiente di fede per i giovani, luogo preferenziale della formazione permanente per i salesiani, presenza testimoniante nel territorio, centro di comunione e partecipazione, soggetto di una pastorale organica, proposta vocazionale.
Il CG24 poi si è fermato a esplicitare, dal punto di vista teorico e nelle applicazioni pratiche, la qualifica di nucleo animatore e le condizioni interne che consentono di diventarlo: l'identità carismatica, l'unità di spirito e di progetto, la conoscenza e la pratica del sistema preventivo, l'interiorità apostolica, la creatività, la capacità di comunicazione. Ha anche studiato le forme concrete di esercizio di tale compito: l'attenzione a coinvolgere, la partecipazione, la distribuzione delle responsabilità, i processi di formazione.
Mentre questo quadro stimolante va diventando mentalità comune, anche noi sperimentiamo l'incidenza dei fenomeni esterni ed interni che mettono a prova la comunità e la comunione. Tra i primi c'è la rivendicazione di maggiori spazi di libertà personale, il consumismo che porta al possesso individuale dei beni, l'esplosione delle comunicazioni. Tra i secondi la riduzione numerica, l'allargamento del campo di lavoro reale e potenziale, il richiamo delle nuove urgenze, un nuovo rapporto verso l'esterno.
L'Esortazione ribadisce con forza il valore indispensabile della vita fraterna per il rinnovamento e l'efficacia della missione. Giovanni Paolo II lo aveva già sottolineato alcuni anni prima nel discorso alla Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: «Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune. Più ancora, il rinnovamento attuale nella Chiesa e nella Vita Religiosa è caratterizzato da una ricerca di comunione e comunità»
La conferma di questo scaturisce da un approfondimento della dimensione trinitaria, dalla quale vengono le conseguenze ecclesiologiche e antropologiche riproposte non solo come paradigma dei rapporti reciproci ma presenza attuale, causa e origine della comunione tra i religiosi. «La stessa vita fraterna si propone come eloquente confessione trinitaria. Essa confessa il Padre, che vuole fare di tutti gli uomini una sola famiglia, confessa il Figlio incarnato, che raccoglie i redenti nell'unità, . . . confessa lo Spirito quale principio di unità della Chiesa».
La comunità, dunque, non è soltanto funzionale al lavoro. Essa è «uno spazio umano abitato dalla Trinità», dove Dio si fa presente e opera mediante la memoria del Signore, l'amore in cui ci impegniamo e ci vogliamo radicare, l'unità di coloro che si presentano come seguaci di Cristo.
Esperti di comunione
La comunione è anche contenuto e fine della missione. «Forse mai prima d'ora alla vita fraterna era stata riconosciuta in maniera tanto esplicita una così grande missione».
Forti di una esperienza personale che è dono di Dio, i consacrati, come singoli e comunità, sono chiamati a espandere, rafforzare o ricreare la comunione: diventano "esperti di comunione", lievito di unità, operatori di riconciliazione.
Gli ambiti nei quali agire sono molteplici. Nella Chiesa universale la comunione viene potenziata capillarmente dalla testimonianza fraterna e dall'opera di tutta la Vita Consacrata, dalla solidarietà operativa per cui i consacrati accorrono alle frontiere della evangelizzazione, dalla disponibilità ai richiami urgenti della Chiesa, dalla loro unione con il Santo Padre. Non va trascurata l'incidenza sulla comunione universale che deriva dalla nostra presenza, dall'azione tra giovani ed adulti, dalla professione di fede, dalla nostra parola e dalle prese di posizione. A dare un personale contributo quotidiano all'unità del corpo di Cristo ci stimola la nostra spiritualità: «Dal nostro amore per Cristo nasce inseparabilmente l'amore per la sua Chiesa, popolo di Dio, centro di unità e comunione di tutte le forze che lavorano per il Regno».
«Un ruolo significativo, - rileva l'Esortazione, - spetta alle persone consacrate anche all'interno delle Chiese particolari. . . . Molto possono contribuire i carismi della Vita Consacrata all'edificazione della carità nella Chiesa particolare». È un secondo ambito dove la comunione diventa compito della nostra missione. Vengono indicate come modalità pratiche «la collaborazione con i vescovi per l'armonioso sviluppo della pastorale diocesana», la cura e l'inserimento del proprio patrimonio spirituale e della propria prassi pastorale, il dialogo tra superiori e vescovi, l'attenzione di questi al carisma ricercata ed accolta dai religiosi.
È un aspetto necessario in vista dell'educazione dei giovani alla fede, nella quale l'esperienza ecclesiale è indispensabile e non facile. È interessante ricordare come nella sua Chiesa particolare, travagliata da tensioni dottrinali e pastorali, don Bosco volle collocarsi non in una delle parti, ma nei nodi della comunione. Nella soluzione di un conflitto personale fece prevalere il bene della Chiesa sul naturale desiderio di giustizia.
L'Esortazione presenta la missione di comunione ancora in un altro ambito: quello dei rapporti tra i consacrati. «Persone che sono fra loro unite dal comune impegno della sequela di Cristo ed animate dal medesimo spirito non possono non manifestare visibilmente, come tralci dell'unica vite, la pienezza del Vangelo dell'amore. Memori dell'amicizia spirituale che spesso ha legato sulla terra i diversi Fondatori e Fondatrici, essi, restando fedeli all'indole del proprio Istituto, sono chiamati ad esprimere una esemplare fraternità, che sia di stimolo alle altre componenti ecclesiali nel quotidiano impegno di testimonianza al Vangelo».
Anche per questo non mancano le indicazioni pratiche: conoscenza, amicizia, partecipazione attiva agli organismi di animazione e coordinamento, comunicazione e interscambio «per capire il disegno di Dio nell'attuale travaglio della storia e rispondervi con iniziative apostoliche adeguate».
Nella relazione sullo Stato della Congregazione scrivevo: «Si è molto più sensibili e aperti alla comunione ampia che si realizza tra gli Istituti di Vita Consacrata e ci si fa presenti anche con contributi validi negli avvenimenti e organismi di coordinamento (CISM, CLAR, preparazione del Sinodo, impegni comuni)». È un criterio da mantenere ed una strada da continuare.
Non è da sottovalutare la possibilità di stabilire collaborazioni sistematiche e stabili con altri religiosi per determinate imprese che richiedono convergenza di competenze e risorse. Lo si è provato già con i centri di studio. La complessità del contesto attuale e le nuove esigenze dell'evangelizzazione portano non solo a concordare le impostazioni e linee, ma anche a pensare ad alcune iniziative comuni.
C'è poi l'ambito del territorio o comunità umana, considerata a raggio immediato e ampio: quartiere, città, nazione, mondo. Emerge in essi il bisogno di aggregazione, l'invocazione della pace, il desiderio di riconciliazione e di convivenza degna e rassicurante. Alle vecchie conflittualità presenti in nuove forme, familiari, sociali e politiche, si aggiungono altre tipiche del nostro tempo come l'estraneità culturale, l'emarginazione, i fondamentalismi vari, le pluralità contrapposte. Sovente finiscono in steccati reali o psicologici, rigetto, disattenzione.
Essere “esperti di comunione” vuol dire saper creare momenti e motivi di aggregazione, mediare nelle conflittualità quotidiane, infondere volontà di incontro e convivenza, favorire strutture e spazi umanizzanti, essere pacifici nel senso forte della parola, puntare sulla qualità dei rapporti, lavorare per distruggere pregiudizi sociali o etnici, diventare sempre più capaci di dialogare con mentalità diverse. Da alcuni si auspica per questo la costituzione di comunità internazionali ed interculturali che siano laboratori di accoglienza e valorizzazione delle diversità. e ne facciano esperienza.
C'è un ultimo ambito, indicato dall'Esortazione, a cui in questo momento va la nostra attenzione perché combacia con l'impegno richiestoci dal CG24: è quello dei laici, particolarmente I "vicini e associati".
Rileggiamo il passaggio che già citavo a proposito di spiritualità: «Oggi non pochi Istituti, spesso in forza delle nuove situazioni, sono pervenuti alla convinzione che il loro carisma può essere condiviso con i laici. Questi vengono perciò invitati a partecipare in modo più intenso alla spiritualità e alla missione dell'Istituto medesimo». Un ricca esposizione di motivi carismatici, ecclesiali e pastorali sostiene l'affermazione.
Non mi dilungo nel confrontare indicazioni e motivi con quelli presentati dal nostro documento capitolare che riguarda il medesimo argomento. La convergenza è troppo evidente perché vi sfugga. Interessava soltanto ripercorrere questa parte della Esortazione per rilevare che stiamo cercando di realizzare quello che la Chiesa propone e per mostrare che tutti questi ambiti sono collegati e si rafforzano a vicenda. Al loro interno operano coloro che, secondo la medesima Esortazione, vivono e diffondono la "spiritualità della comunione" e diventano «testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo».
Non ci sarà sfuggito che il primo degli areopaghi, enumerato per la missione dei consacrati, è il "mondo dell'educazione".
L'educazione viene presa nella sua accezione più ampia e comprensiva: come crescita della persona e come insieme di mediazioni che si mettono al suo servizio per renderla consapevole del suo essere e del suo destino, darle una conoscenza adeguata della realtà, sviluppare la sua capacità di valutazione e di scelta, aprirla al senso e al mistero, annunciarle la parola di Dio.
Il modello dell'educatore è infatti «il Maestro interiore della Chiesa che penetra le profondità più inaccessibili di ogni uomo e conosce i dinamismi della storia ».
In tale prospettiva e ampiezza viene intesa la funzione educativa della Chiesa nel mondo. L'educazione delle persone e dell'umanità non è una manifestazione opzionale della carità o un aspetto settoriale della missione: ne è il cuore stesso e la via indispensabile. Come Dio salva l'uomo educandolo in quanto si rivolge alla sua coscienza e da essa si attende la risposta, così la Chiesa esercita il suo ministero illuminando, proponendo, interpellando la libertà. Essa diventa mediatrice dell'azione educante di Dio, il prolungamento e l'attualizzazione del magistero che Cristo esercitò con i discepoli e le folle, il segno dell'azione dello Spirito che trasforma i cuori.
Perciò in essa tutto ha carattere educativo: presenza, annuncio, celebrazione, servizi vari. Tutto tende a dare all'uomo coscienza del suo essere, ad aiutarlo a scoprire ed abbracciare quanto di buono, di nobile, di eterno ha posto il Creatore in lui, ad aprirlo al rapporto che lo costituisce nella sua dignità col Padre, col Figlio, con lo Spirito Santo.
In questo contesto si inserisce l'impegno educativo dei consacrati, più e prima in forza della loro scelta di vita che delle istituzioni specifiche che creano o delle professionalità che assumono. In tal senso tutte le forme di Vita Consacrata sono fortemente educatrici dell'uomo e in primo luogo dei cristiani. Il segno che offrono, i valori che fanno propri, il servizio che prestano, spingono ed aiutano a crescere in umanità e fede.
Alcuni tra i consacrati assumono professionalmente il lavoro educativo e ne fanno il luogo dove vivere l'opzione radicale per Dio ed il servizio ai fratelli, specialmente i più bisognosi.
La missione porta questi religiosi a operare in tre spazi. Il primo comprende tutto quello che riguarda la promozione integrale della persona, secondo le urgenze che si rilevano nelle situazioni concrete. La loro opera in questo campo, ispirata dall'amore di Cristo e sotto il segno della sua sequela, è vera evangelizzazione.
Il secondo spazio comprende l'iniziazione cristiana, l'educazione di coloro che hanno fatto la scelta della fede o si dimostrano disponibili a considerarla. Si tratta di accompagnare le persone a vivere nella storia come figli di Dio, incorporate all'esistenza di Cristo, membri del suo popolo. La catechesi e la formazione di una mentalità evangelica ne sono parti principali.
Il terzo è l'umanizzazione e l'evangelizzazione della cultura come forma collettiva di educazione secondo il processo che descrive l'Evangelii nuntiandi per «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità».
Questo quadro di riferimento è indispensabile per cogliere, in forma realistica, quali sono le sfide rivolte alla missione dei religiosi educatori e quali le risposte che essi possono dare.
L'educazione così intesa non si limita al settore scolastico né alle sole istituzioni specifiche conosciute, anche se queste rappresentano lo zoccolo duro dello sforzo sociale per offrire a tutti opportunità di prevenzione, recupero e crescita. Il tipo di società in cui viviamo ha moltiplicato i problemi di giovani e adulti. All'itinerario educativo, che si svolgeva secondo copione per la maggioranza, è subentrato un bisogno di adeguamento a molteplici situazioni che vanno differenziandosi a mano a mano che la società diventa complessa. A ragione nell'Esortazione si collegano, con l'educazione, un "rinnovato amore per l'impegno culturale" dei religiosi e la loro presenza nel mondo della comunicazione sociale.
Lo si chiama “areopago”, luogo di dialogo aperto e non solo sistema di istituzioni, proprio perché bisogna instaurare un dialogo sul senso della vita all'aperto, con interlocutori diversamente orientati o demotivati, perché con iniziative nuove bisogna venire incontro a nuove domande di cultura e di vita.
Per noi tutto questo discorso ha un campo preferenziale di applicazione: sono i giovani, specialmente i più poveri. Essi mettono a prova il realismo del nostro amore e la nostra capacità di annunzio. Diventa provvidenziale per loro e per la Chiesa che qualcuno scenda in piazza per agganciare con loro un dialogo.
L'Esortazione riconosce che i consacrati, «per la loro speciale consacrazione, per la peculiare esperienza dei doni dello Spirito, per l'assiduo ascolto della Parola e l'esercizio del discernimento, per il ricco patrimonio di tradizioni educative accumulate nel tempo dal proprio Istituto, per la profondità della conoscenza della verità spirituale . . . sono in grado di sviluppare una azione educativa particolarmente efficace offrendo uno specifico contributo alle iniziative degli altri educatori ed educatrici».
La citazione di don Bosco: «i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati» è inserita nella memoria degli «ammirevoli esempi di persone consacrate che hanno vissuto e vivono la tensione alla santità mediante l'impegno pedagogico, proponendo allo stesso tempo la santità quale meta educativa».
Essa ci ricorda che l'educazione, per noi, non è solo conseguenza del proposito di santificazione, ma luogo umano dove essa acquista la sua fisionomia tipica perché contiene, secondo l'indole della nostra vocazione, anche il momento di grazia. Il primato che diamo a Dio nella nostra vita e la sequela di Cristo si traducono in un desiderio di farli vivere nel cuore dei giovani che crescono, affinché vi trovino il senso e la felicità.
L'unità con cui viviamo i due aspetti plasma la fisionomia della nostra spiritualità che si identifica con il Sistema Preventivo e crea lo stile della nostra comunione come "spirito di famiglia".
Ce l'aveva additato Giovanni Paolo II nella lettera Iuvenum Patris: «Mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l'impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico. . . Proprio un tale interscambio tra educazione e santità è l'aspetto caratteristico della sua figura».
Conclusione
Cari confratelli, ho voluto richiamare la vostra attenzione sull'Esortazione che illumina la Vita Consacrata per incoraggiarvi ad una lettura accogliente e creativa. Mi sono soffermato a commentare soltanto alcuni aspetti che giudico più indicati per il momento presente, anche in vista dell'attuazione del CG24.
Penso infatti che proprio guardando agli intendimenti più fondamentali del CG24 abbiamo bisogno di esprimere la speranza nelle risorse della nostra vocazione, dare attenzione preferenziale alla nostra vita spirituale e alla sua comunicazione, diventare uomini di comunione, ripensare la portata che l'educazione ha nel realizzare la vocazione, la spiritualità e la comunione.
Concludo questa lettera l'otto settembre, giorno della Natività di Maria. In molte Ispettorie, attorno a questa festa, hanno avuto luogo le professioni. Dalle comunicazioni che arrivano dal mondo vediamo, ancora una volta, che «il Signore ama la Congregazione, la vuole viva per il bene della sua Chiesa e non cessa di arricchirla di nuove vocazioni». Io stesso ho avuto la soddisfazione di ricevere dodici prime professioni nel nostro noviziato di Oktiabrskij, presso Mosca e altre ventidue a Smarhon (Bielorussia).
Ciò incoraggia a presentare con fiducia ai giovani la Vita Consacrata e l'esperienza che noi, al seguito di don Bosco, ne facciamo.
Maria Santissima, che ha accolto il dono di Dio e l'ha cantato nel Magnificat, ci aiuti a vivere con gioia la nostra esperienza di carità pastorale, a condividerla con semplicità nelle nostre comunità ed a comunicarla con efficacia ai giovani.
Vi saluto tutti cordialmente e vi auguro un lavoro ricco di frutti.
Don Juan E. Vecchi