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Formazione dei Formatori: Consulta Mondiale 2017

Formazione dei Formatori

Consulta Mondiale, Santiago de Compostela, 13-18 febbraio 2017

Ivo Coelho, SDB

 

1. Il cammino della congregazione

Per quanto riguarda la formazione dei formatori, abbiamo una buona idea del cammino della congregazione nella lettera di Francesco Cereda in ACG 404, “Formazione dei formatori della formazione iniziale.” La lettera parla della necessità di selezione e formazione dei formatori, dei compiti dei formatori (aiutare la trasformazione della persona, accompagnare, favorire il primato della vita spirituale, comunicare il carisma di don Bosco, lavorare in equipe), e dei vari momenti di formazione al livello personale, locale, ispettoriale, regionale e mondiale).

Questa lettera segue due importanti documenti del magistero: Pastores dabo vobis (1992) e Vita Consecrata (1996), con le Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993) che segue subito dopo PDV.

Dopo 2009 abbiamo il pontificato di Francesco, con EG, LS e AL, l’anno di vita consacrata (2014-2015), e la preparazione del sinodo sui giovani, la fede, e il discernimento vocazionale. Francesco non sta cambiando la dottrina; sta tirando l’attenzione della chiesa alla vita e alla concretezza e alla singolarità delle persone. La grande via che sta offrendo la chiesa è la via del discernimento (cfr la sua conversazione con i superiori generali, 25 novembre 2016).[1] Nel suo discorso alla Plenaria della CIVCSA, le due parole chiavi sono accoglienza e accompagnamento.[2]

Questo ci porta a un punto interessante nella lettera di Cereda in 2009. Nonostante una certa diffidenza verso il colloquio personale e l’accompagnamento spirituale personale, la lettera annuncia l’intenzione “di concretizzare una scuola per la formazione delle guide spirituali.”[3] In 2011 il settore della formazione cominciò un processo di elaborazione di un supplemento alla Ratio sull’accompagnamento personale salesiano, dove ‘accompagnamento personale’ includeva la direzione spirituale ma anche il colloquio con il direttore, il sacramento di riconciliazione, l’accompagnamento psicologico, gli scrutini, e l’accompagnamento intellettuale, pastorale e liturgico. Due volte le bozze erano presentate al Rettor Maggiore e al suo consiglio, ma il documento non era mai promulgato. In 2015, invece, il Rettor Maggiore chiese il settore della formazione di lavorare insieme con il settore della pastorale giovanile (che aveva lavorato sul tema dell’accompagnamento spirituale dei giovani) con l’obiettivo di offrire alla congregazione orientamenti e linee di azione sul tema dell’accompagnamento personale salesiano, dopo aver prima ascoltato non solo i delegati ispettoriale per la formazione ma tutti i giovani salesiani in formazione iniziale e le loro guide. Questo processo sta andando avanti.

Nella sua lettera “Vocazione e Formazione,” don Pascual Chavez ha detto che la congregazione deve saper preparare non solo professori ma soprattutto formatori.[4] È un fatto che la congregazione ha imparato l’importanza dell’investimento di tempo e denaro nella preparazione dei docenti. Non ha invece imparato come si deve preparare i suoi formatori. O almeno possiamo dire: la preparazione dei formatori nella congregazione è ancora sporadica e occasionale; non è ancora diventato mentalità e sistema.

2. Formazione: metodo e contenuto

La necessità della formazione dei formatori è ribadita con grande chiarezza nei documenti post-conciliari della chiesa. Questi documenti sono più chiari nella descrizione degli elementi nel processo formativo, un po’ meno chiari sul modello di formazione proposto, e molto meno chiari su come preparare i formatori.

Sembra comunque che da Vita Consecrata (1996) abbiamo una nuova direzione. Prendo ispirazione da un intervento di Amedeo Cencini al capitolo generale straordinario degli OFMConv in 1998, “La formazione oggi: Ministero e mistero.”[5] In questo intervento, che viene poco dopo Vita Consecrata, Cencini dice che “mentre abbiamo molti modelli teologici della vita consacrata… non abbiamo ancora ben definito con sufficiente accuratezza come realizzare un cammino di adesione a questi modelli. È una vera e propria situazione paradossale: a una ricchezza di modelli teologici fa riscontro una singolare povertà di percorsi metodologici.”[6]

Il nostro esperto chiarisce subito che per metodo non intende semplicemente un insieme di tecniche, e neanche una prassi educativa che obbedisca ai criteri della maturazione umana ma che poi finisca per essere in sostanza indipendente dalla maturazione cristiana e dalla vita consacrata. Pensa invece del metodo come a qualcosa che è strettissimamente legato al contenuto e ad esso connaturale. Metodo in questo senso sarebbe la logica e la inevitabile conseguenza operativa, e una anticipazione e pregusto dell’obiettivo. “E se il metodo è in qualche modo la declinazione o la traduzione operativa del modello, allora un autentico obiettivo educativo deve poter diventare metodo, deve saper dettare un cammino che conduca ad esso, altrimenti non è vero obiettivo.”[7]

In questa luce possiamo chiedere: qual è l’obiettivo della formazione proposto da Vita Consecrata?

Vero che l’Esortazione Apostolica ha solo 8 paragrafi dedicati espressamente alla formazione; ma, secondo Cencini, “la ricchezza del testo va ben oltre questa scarna presentazione.” “Fondamentalmente il documento affronta il problema della formazione da un duplice punto di vista: quello del metodo e quello del contenuto.

Qual è allora l’obiettivo della formazione? È la configurazione al Cristo, l’“assumere i sentimenti [phronein] di Cristo” (Fil 2,5), condividendo la sua totale oblazione al Padre e ai fratelli, diventando memoria viventi di lui, al punto di condividere anche le sue scelte concrete. (VC 66, 22) Questo obiettivo non è un ideale qualsiasi di perfezione, ne un insieme di capacità e di comportamenti da imparare, ma la formazione del cuore della persona consacrata, perché sia persona che ama con il cuore stesso di Dio e del Figlio sulla croce.

Questo si che è un obiettivo che possa diventare metodo, perché seguono alcune conseguenze.

Una dinamica di chiamata e risposta. La formazione non può essere azione solo umana, ma divina e trinitaria. È Dio Padre il primo formatore, è solo “l’azione del Padre che, mediante lo Spirito, plasma nel cuore dei giovani e delle giovani i sentimenti del Figlio” (VC 66).[8] Formazione è una dinamica di chiamata e risposta, una dialettica di due libertà e due amori, una opera divina con il quale siamo invitati a collaborare. È così che le nostre costituzioni vedono la formazione: come risposta alla vocazione.

Una dinamica di bellezza. La collocazione di formazione in sinu Trinitatis rende la vita consacrata partecipe della bellezza stessa di Dio. In VC, la categoria della bellezza diventa una chiave di lettura della vita consacrata (cfr. la maniera nella quale Papa Francesco sta parlando della via pulchritudinis nell’evangelizzazione, nella formazione, nella vita della chiesa). La pastorale vocazionale e la formazione devono saper trasmettere la bellezza della sequela (VC 64, 66). Il giovane va formato a percepire e gustare ciò che è bello, non solo santo e doveroso – la bellezza e lo splendore del Signore che chiama e della vita alla quale ci chiama.[9] Questa è la dinamica dell’esempio e della testimonianza. Il fuoco si accende solo con il fuoco.[10]

Una dinamica di libertà. “Se si deve formare il "cuore", nel senso biblico e pieno del termine, perché il giovane abbia i medesimi sentimenti del Figlio e scopra la bellezza della sequela, allora il processo educativo diventa formazione alla libertà (VC 66).”[11] La grazia incide sulla nostra libertà ma non la toglie ma – neanche la grazia più potente. Perché grazia è amore, e perché la libertà è elemento costitutivo dell’amore: senza libertà non c’è amore e non c’è possibilità di una risposta libera all’amore. “È significativo e a suo modo nuovo in questo tipo di documenti, che l'EA sottolinei la "formazione alla libertà" come contenuto e come metodo della formazione.”[12]

se il fine della formazione fosse solo l'abilitazione a un certo tipo d'apostolato o a un certo stile di vita o mirasse semplicemente al possesso di certe qualità virtuose funzionali per il ministero, allora la metodologia pedagogica potrebbe seguire qualche altro percorso e criterio (ad es. il rinforzo della volontà, la capacità di ascesi e di rinuncia, l'abilitazione apostolica, ecc.), ma se si deve formare il "cuore", perché il giovane abbia i medesimi sentimenti del Figlio, allora non può esistere altra via al di fuori di quella della libertà. Il cuore dell'uomo può e dev'essere educato ed evangelizzato, purificato e liberato con tutta la sofferenza che questo comporta, al punto da provare sempre più naturalmente, grazie a una sapiente disciplina, quasi per connaturalità, quei sentimenti. Non esiste autentico processo educativo alla consacrazione per il regno che non passi attraverso le fasi, negativa e positiva, ascetica e mistica, d'una formazione alla libertà, alla libertà – in concreto – come consapevolezza dei propri condizionamenti interni, anche inconsci, e capacità d'esserne sempre meno dipendenti (libertà "da"); libertà come dono ricevuto da Dio in Cristo e continuamente rivitalizzato dal dono dei sacramenti e della vita nuova in Cristo (libertà "in") e libertà come ricchezza di vita interiore e di amore per Dio, come conseguente qualità di desideri e forza di attuarli (libertà "per").
L'impressione, se è concesso esprimerla, è che ben raramente vi sia stata un'attenzione teorica e metodologica a quest'area. Sembra che non vi sia posto in tanti programmi formativi per la formazione alla libertà, come se l'uomo nascesse già libero o come se la libertà non fosse una virtù. Di fatto la libertà non è una virtù, ma rappresenta quell'atteggiamento interiore che è la condizione indispensabile perché una qualsiasi virtù sia veramente tale o significa quella disposizione di cuore-mente-volontà, di tutto l'uomo, che consente d'amare la virtù, d'esserne attratti, di sperimentare la beatitudine che è legata all'agire virtuoso. Forse, allora, potremmo dire che l'educazione alla libertà rappresenta o dovrebbe rappresentare "il" metodo del processo di formazione alla consacrazione.[13]

È questo modello di formazione alla libertà che Papa Francesco propone ai superiori generali in 2013:

“… Non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto. Per evitare i problemi, in alcune case di formazione, io giovani stringono i denti, cercano di non commettere errori evidenti, di stare alle regole facendo molti sorrisi, in attesa che un giorno gli si dica: ‘Bene, hai finito la formazione.’ Questa è ipocrisia frutto di clericalismo, che è uno dei mali più terribili…. Io lo riassumo in un consiglio che una volta ho ricevuto da giovane: ‘Se vuoi andare avanti, pensa chiaramente e parla oscuramente.’ Era un chiaro invito all’ipocrisia. Bisogna evitarla a ogni costo.”
Quindi, “Se il seminario è troppo grande, bisogna dividerlo in comunità con formatori capaci di seguire davvero le persone. Il dialogo deve essere serio, senza paura, sincero. E bisogna considerare che il linguaggio dei giovani in formazione oggi è diverso da quello di chi li ha preceduti: viviamo un cambiamento d’epoca. La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca.”[14]

Una dinamica di apprendimento dall’esperienza. Se Dio sta plasmando in noi i sentimenti del Figlio, e se noi siamo invitati a collaborare con questo lavoro, c’è una dinamica dell’attenzione (“fare esperienza” – C 98) che fa parte della formazione. Più prestiamo attenzione al lavoro di Dio in noi, meglio possiamo rispondere e collaborare.[15]

Aggiungo alcuni altri punti. Dato il forte afflato biblico di VC, percepibile anche in una serie di icone bibliche che ne scandiscono, come quella della Trasfigurazione e, per quanto riguarda la formazione, del Cristo kenotico, dobbiamo parlare del posto dell’ “attento, prolungato ascolto della parola di Dio.[16] Nella preghiera salesiana, dice uno dei nostri Rettori maggiori, la preghiera personale ha un ruolo critico: senza questo, la preghiera comunitaria perde gradualmente il significato. Possiamo discutere sul posto, nella vita salesiana, dell’ascolto prolungato della parola di Dio e dei momenti sostanziosi di preghiera personale. Se vogliamo credere don Rinaldi, sembra che nella vita di don Bosco c’era posto per questo. Che cosa aspettava dai suoi discepoli? Sto pensando del tema della preghiera nelle tre Vite, ma anche nei racconti biografici dei giovani salesiani morti vivente don Bosco, scritti da Barberis all’istanza di don Bosco, e firmati dallo stesso don Bosco.

Possiamo parlare anche della capacità di trasformazione della lettura spirituale in genere. È vero che la dimensione intellettuale della formazione è forte al momento, più forte delle dimensioni umane e spirituali; ma non possiamo dimenticare che la lettura serena e meditativa non è solo un mezzo semplice e sempre accessibile a tutti, ma anche molto efficace.

Poi c’è l’accompagnamento personale e il colloquio con il direttore. Secondo l’ACG 404:

Nella formazione iniziale vi è spesso una mentalità che attribuisce un’importanza eccessiva al colloquio personale tra il formatore e il formando. Non vi è dubbio che la guida spirituale giochi un ruolo cruciale, ma ciò non deve in alcun modo minimizzare la necessità dell’équipe dei formatori.[17]

VC invece dice senza ambiguità: “Strumento precipuo di formazione è il colloquio personale, da tenersi con regolarità e con una certa frequenza, come consuetudine di insostituibile e collaudata efficacia.” (VC 66) Dice Cencini: “È un'altra preziosa indicazione metodologica che ribadisce quanto abbiamo sottolineato prima. La formazione, che pur avviene in comunità, è fenomeno in sé individuale; è il singolo che va aiutato a conoscersi, a lasciar emergere la propria interiorità, anche quella più nascosta e problematica, e a superare difese e paure per scegliere di seguire Cristo…: tutte operazioni che esigono, ripetiamo, quel clima di confidenza e segretezza, di comprensione e attenzione all'individuo che solo il rapporto a due può garantire, e sempre in un'ottica d'integrazione tra aspetto umano-psicologico e spirituale-carismatico.”

La nostra regola vivente è Cristo, dice C 196, e lo troviamo presente in Don Bosco. Ma dobbiamo dire chiaramente che non si tratta di due persone allo stesso livello. Don Bosco non ha altro obiettivo che quello di portarci a Cristo. Don Bosco non può essere il fine della nostra esistenza; quel fine è Cristo, e a Cristo solo il primato. Don Bosco è parte del Corpo glorioso di Cristo nel tempo, ma suo compito è di portarci a Cristo.[18] Ai piedi di Cristo ci sediamo, e da li ci manda fuori. E con Don Bosco e come lui ci manda ai giovani, e ai più bisognosi tra di loro.

La nostra missione è rivelazione, epifania. Come Cristo ci rivela il Padre ed è il volto misericordioso del Padre, così noi siamo chiamati ad essere rivelazione del Padre, segni e portatori del suo amore per i giovani. Formazione è missione vengono insieme in modo meraviglioso: formazione che consiste nell’assumere i sentimenti del Figlio, e missione che è rivelazione del Padre come lo è il Figlio.

3. Formazione dei formatori

3.1 La necessità

La necessità di formare i formatori è ribadito costantemente nel magistero ecclesiastico del post-concilio.

Così Pastores dabo vobis (1992):

È evidente che gran parte dell'efficacia formativa dipende dalla personalità matura e forte dei formatori sotto il profilo umano ed evangelico. Per questo diventano particolarmente importanti, da un lato, la scelta accurata dei formatori e, dall'altro, lo stimolo ai formatori perché si rendano costantemente sempre più idonei al compito loro affidato. Consapevoli che proprio nella scelta e nella formazione dei formatori risiede l'avvenire della preparazione dei candidati al sacerdozio, i Padri sinodali si sono soffermati a lungo nel precisare l'identità degli educatori. In particolare hanno scritto: « Il compito della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige non solo una qualche preparazione speciale dei formatori, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione nell'unità per sviluppare il programma, così che sempre sia salvata l'unità nell'azione pastorale del seminario sotto la guida del rettore. (PDV 66)

E Vita Consecrata (1996):

Di fronte a compiti tanto delicati appare veramente importante la formazione di formatori idonei, che assicurino nel loro servizio una grande sintonia con il cammino di tutta la Chiesa. Sarà opportuno creare adeguate strutture per la formazione dei formatori, possibilmente in luoghi dove sia consentito il contatto con la cultura in cui sarà poi esercitato il proprio servizio pastorale.. (VC 66)

Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993) dice che non basta il “buon senso”; occorre una capacità di discernimento affinato da una buona conoscenza delle scienze umane per andare al di là delle apparenze ed  “aiutare l'alunno a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a correggersi e a maturare partendo dalle radici reali, non illusorie, e dal «cuore» stesso della sua persona.”[19]

La collaborazione inter-istituti per la formazione (1998) insiste di nuovo sulla selezione accurata di formatori, ma aggiunge che “i criteri di scelta, le qualità richieste, la preparazione e l’aggiornamento siano definiti dalla norme proprie di ciascun istituto e sviluppati nella Ratio Institutionis.”[20]

3.2 Contenuti e metodi

Nel contesto della formazione di presbiteri, PDV parlava della necessità di “una qualche preparazione speciale dei formatori, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica,” e aveva fatto una distinzione tra una fase iniziale e una fase successiva di aggiornamento periodico. (PDV 66)

In genere i documenti sono abbondanti sulle condizioni della formazione (l’equipe, il contenuto, i formatori) e sulle qualità richieste nei formatori. Si può studiare i seguenti:

  • Potissimum institutioni: Direttive per la formazione negli istituti religiosi (1990), che cita La dimensione contemplativa della vita religiosa[21] of 1980
  • Pastores dabo vobis (1992)
  • Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993)
  • Vita Consecrata (1996)
  • La collaborazione inter-istituti per la formazione (1998)
  • Il dono della vocazione presbiterale. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (2016)

Direttive (1993) fanno appello a PDV (1992) e Optatam Totius per insistere sulla necessità di una buona preparazione nella scienza pedagogica e nelle scienze umane. Come abbiamo già detto, non basta il “buon senso”; ma la pedagogia cristiana non sottovaluta né assolutizza l’apporto delle scienze umane.[22]

Lo stesso documento parla solo verso la fine, sotto il tema della formazione permanente dei formatori, in una sezione con il titolo “La revisione,” della necessità di favorire un accurato esame della stessa personalità dell'educatore, del suo impegno ministeriale, del suo modo di concepire e di vivere la propria missione educativa” con delle “esercitazioni pratiche condotte con l'aiuto di un supervisore e sottoposte con lui ad attenta revisione critica. In questo modo l'educatore potrà prendere coscienza più viva delle proprie capacità e attitudini, accettare più serenamente i propri limiti, e aggiornare e migliorare i criteri cui ispirare la propria azione.” Dice inoltre che “nei programmi di formazione permanente di questa ampiezza devono essere previsti periodi prolungati di rinnovamento spirituale (mese ignaziano, esercizi spirituali, tempi di deserto) per consentire all'educatore di rivedere la propria missione nelle sue connessioni e radici spirituali e teologiche più profonde.”[23]

Parlando del direttore spirituale, il documento dice che “deve affinare le sue capacità di accogliere, di ascoltare, di dialogare e di comprendere, insieme con una buona conoscenza della teologia spirituale, delle altre discipline teologiche e delle scienze pedagogiche ed umane. Non si dovrebbero risparmiare mezzi per dargli la possibilità di frequentare un istituto o almeno un corso intensivo di spiritualità.”[24] Secondo il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (2013),  i presbiteri stessi devono ricevere la direzione spirituale per poter meglio accompagnare altri e più facilmente discernere l’azione dello Spirito Santo nella loro vita.[25]

Penso che potremmo riassumere il compito della formazione dei formatori salesiani in tre componenti: umano, spirituale e salesiano, aggiungendo che, senza sottovalutare l’importanza di sana dottrina, tale formazione non può essere principalmente teorica, ma deve, come sopra detto, toccare la persona del formatore  nella profondità.

3.3 Possibilità concrete

Parlando in 1993, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari ammette che “le possibilità di procurarsi una preparazione specializzata previa all’incarico presso qualche istituto per la formazione degli educatori del clero non sono grandi.”[26] Il documento invita l’istituzione dei corsi,[27] poi ribadita in VC 66.

Per noi salesiani, penso che il compito è (1) cambiare il modello operativo di formazione: da un modello formalistico e verticale a uno con l’obiettivo di “assumere i sentimenti di Cristo”; (2) cambiare l’atteggiamento dei formatori, che devono percepire la necessità e l’urgenza della propria preparazione; (3) trovare possibilità concrete per tale preparazione.

I “momenti” delineati nella lettera di Cereda (2009) sono ancora validi e utili, anche se dobbiamo distinguere con Direttive (1993) le fasi iniziale e successiva. al momento attuale stiamo facendo uno sforzo importante per quanto riguarda la fase successiva; e dobbiamo prestare attenzione alla fase iniziale e previa.

In questo campo, 25 anni dopo Direttive (1993), le possibilità non sono abbondante, specialmente dentro la congregazione, anche se esistono (cfr Appendice). Dobbiamo dire che la formazione dei formatori non è una questione di acquisire un dottorato e neanche una licenza in qualche materia formativa. È di importanza capitale che un buon corso di formazione dei formatori (1) tocchi e coinvolga la persona del formatore, (2) e solo dopo tenta di consegnare le capacità e gli strumenti utili nel lavoro della formazione.

Tocca a noi offrire il componente salesiano. Possiamo offrire anche i componenti umano e spirituale, ma qui possiamo approfittare da quello che si offre nella chiesa. Rimane il compito di integrazione e armonizzazione di queste “tecnologie” con il carisma salesiano, ma si spera che con gli sforzi dei due dicasteri della Pastorale Giovanile e della Formazione anche questa sarà fatta.

 

APPENDICE

Roma
UPS: licenza formazione dei formatori (nella FSE e nella FT); licenza in teologia spiritual con specializzazione in studi salesiani (FT); il corso di formazione permanente dei formatori (“Roggia corso” di 4 mesi).
Altre università ecclesiastiche: la Gregoriana; il Claretianum; etc.

India
Don Bosco Renewal Centre, Bangalore
Sadhana, Lonavla
Sadhana, Patna

Filippine
Galilee Center, Tagaytay
Emmaus

America
Argentina
USA: Fordham; Chicago; Berkeley; St Luke’s
Canada: Guelph

Africa
Nairobi
Burkina Faso

Europa
France

Australia
Melbourne: corso di 1 anno sull’accompagnamento spirituale


[1] Francesco, Conversazione del Papa Francesco con i Superiori Generali, 25 novembre 2016 (nella redazione di Antonio Spadaro).

[2] Francesco, Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, 28 gennaio 2017.

[3] Cereda, ACG 404:80.

[4] P. Chavez, “Vocazione e formazione: dono e compito” 416:10.

[5] See http://www.ofmconv.org/x/CENCINI.htm#N_13_ (11 febbraio 2017).

[6] Cencini.

[7] Cencini.

[8] In questo senso, non sono d’accordo con il suggerimento di Rupnik di parlare di “probazione” più che “formazione,” perché presuppone che la formazione è un opera umana. Invece è il Padre che plasma i nostri cuori… E per questo S. Paolo potrà dire: “finché Cristo sia formato in voi!” La forma è Cristo, e il formatore è principalmente il Padre. 

[9] Cfr. Ignazio di Loyola insiste sulla devozione nel senso di ‘gustare’ il Signore.

[10] Cfr l’intervento di J. Finnegan al Congresso sulla spiritualità di don Bosco durante il Bicentenario.

[11] Cencini.

[12] Cencini.

[13] Cencini.

[14] “Svegliate il Mondo.” Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali, La Civiltà Cattolica 2014 I 3-17 3925 (4 gennaio 2014) ??.

[15] Cfr. “La formazione è permanente,” AGC 425 (forthcoming). Cfr. Ivo Coelho, “Lonergan and Formation,” Salesianum (forthcoming).

[16] Cfr. Potissimum institutioni 1990 31, che cita La dimensione contemplativa della vita religiosa 20.

[17] Cereda, “Formazione dei formatori della formazione iniziale,” AGC 404:66.

[18] But see what Adrienne Von Speyr says: “it is not very easy for [Don Bosco] to lead his fellowmen into the world of his prayer… and if his helpers pray too little and take more joy in the action, in the undertakings, in the work, or in the outer shell than they do in God, then, he becomes sad and, at the same time, is at a loss about what to do. He doesn’t know how to convey his own enthusiasm to them.”

[19] CEC, Directives concerning the preparation of seminary educators (1993) 57. See Origins: CNS Documentary Service 23/32 (27 January 1994) 558-571, at http://www.usccb.org/beliefs-and-teachings/vocations/priesthood/priestly-formation/upload/preparation.pdf (as of 11 February 2017) The English text is not available at http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/documents/.

[20] CIVCSA, Inter-Institute… 24.

[21] Sacred Congregation for Religious and Secular Institutes, The Contemplative Dimension of Religious Life, http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/documents/rc_con_ccscrlife_doc_12081980_the-contemplative-dimension-of-religious-life_en.html (as of 11 Feb 2017).

[22] Directives 1993 57, 58.

[23] Directives 1993 70-71.

[24] Directives 1993 61.

[25] Directory 2013 73.

[26] CEC, Directives 1993 49, 75.

[27] CEC, Directives 1993 73, 74, 78, 79.