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4° tema: La visione dei Vescovi per l’orientamento della Congregazione salesiana

4° Tema: L’animazione della vita consacrata nel ministero episcopale

 

Incontro dei vescovi salesiani - 3° Tema,

23 maggio 2010,
Valdocco, Torino

La missione giovanile e
il carisma educativo nel governo e nell’animazione pastorale della diocesi

1. Excmo. Mons. Gaston Ruvezi, Vescovo di Sakania-Kipushi - R.D.Congo

2. Exmo. Card. Calogero La Piana,  Arcivescovo di Tegucigalpa - Honduras

3. The Most Reverend. Thomas Menamparampil, Arcivescovo di Guwahati - India

4. Excmo. Mons. Adrianus van Luyn, Vescovo di Rotterdam - Olanda

5. His Em. Card. Joseph Zen, già Vescovo di Hong Kong

 

La visione dei Vescovi per l’orientamento della Congregazione salesiana nell’attuale momento dopo il CG26. Quali gli stimoli e le sfide dai Sinodi Continentali.

INTERVENTO 1

Secondo Sinodo Africano

Mons. Gaston RUVEZI KASHALA, SDB
Vescovo di Sakania-Kipushi, R. D. Congo

 

INTRODUZIONE

Mi è stato chiesto di portare davanti a questa assemblea il mio contributo sulla visione per l’orientamento della congregazione salesiana nell’attuale momento dopo il CG 26. Quali sono gli stimoli e le sfide dai Sinodi continentali. Lo doveva fare il mio confratello maggiore con più esperienza salesiana e pastorale di me, Sua Eccellenza Mons Jean-Pierre Tafunga. Purtruppo egli non può essere con noi perché impegnato in varie manifestazioni che segnano il centenario dell’evangelizzazione dell’arcidiocesi di Lubumbashi. Dopo avermi chiesto di sostituirlo mi ha incaricato di portarvi i suoi cari e fraterni saluti.

Ringrazio il Rettore Maggiore, Don Pasquale Chavez, per questa iniziativa di radunare i confratelli chiamati ad un ministero nella Chiesa come pastori. L’ultimo incontro di questo tipo del quale mi ricordo è quello che convoco don Egidio Vigano, allora Rettore Maggiore, nell’ottantotto sempre qui al Valdocco, ero a quell’epoca studente di teologia alla Crocetta. Incontrarci qui a Valdocco presso la Basilica di Maria Ausiliatrice e’ un rientrare a casa per rifarci nuove energie; e’ un modo anche per noi di festeggiare sia il 150° anniversario della nascita della Congregazione salesiana sia il centesimo anniversario della morte di Don Rua primo successore di Don Bosco. Ringrazio cosi anche tutti gli organizzatori che con il loro savoir-faire ci fanno godere l’aria di casa, delle nostre origini, della nostra fierezza di essere figli di Don Bosco a servizio delle Chiese locali e della Chiesa universale.

 

1. IL SECONDO SINODO PER L’AFRICA

Come voi sapete l’anno scorso dal 4 al 25 ottobre si è tenuto a Roma la Seconda Assemblea sinodale dedicata all’Africa. Vi ha partecipato Mons. Jean-Pierre Tafunga per la nostra provincia ecclesiastica di Lubumbashi. Il tema del sinodo era “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. “Siete il sale della terra... Siete la luce del mondo.(Mt5,13.14)” Perché la scelta di un tale tema? Si tratta dice Benedetto XVI “di dare un nuovo impulso all’evangelizzazione, alla consolidazione e alla crescita della Chiesa e alla promozione della riconciliazione e della pace sul continente africano.”

L’Africa ha la triste fama mondiale di essere il teatro di tanti conflitti, tante guerre e tante violenze di ogni genere. Non solo ma anche di molte calamità naturali povertà, fame, malattie. Le risorse naturali che si trovano nei vari paesi sono alla base di conflitti, basta vedere la mappa di tutte le guerre e di tutti i conflitti di questi ultimi ventanni per rendersene conto. Si può notare che i conflitti nascono attorno ai pozzi petroliferi, alle miniere d’oro, di coltan e cosi via. Questo sfruttamento ha dei responsabili a livello internazionale ma anche gli stessi africani siamo responsabili in parte della nostra miseria.

I giovani che costituiscono la maggioranza delle popolazioni africane, sono i più colpiti: vengono sfruttati da tutti dall’analfabetismo che tocca la maggior parte di loro alla mancanza di un sistema educativo integrativo scuola-vita, vita-scuola; vengono arruolati nelle diverse guerre come soldati o nelle milizie di un partito politico, scavatori nelle miniere, spacciatori di varie merce. A questo si aggiunge la disoccupazione generalizzata. Questi giovani hanno bisogno di vere proposte che rispettano le loro aspirazione legittime per questo molti trovano la salvezza nella emigrazione soprattutto verso l’opulente Europa dove sperano di trovare lavoro, casa e soldi da mandare anche nei loro villaggi di origine e qualcuno altro preferisce emigrare in Sudafrica o in America del Nord. L’Africa ha bisogno oggi più che mai di una cultura di riconciliazione, di pace e di giustizia, ; deve arrivare a procurare sicurezza ai suoi abitanti. In questa fase di incertezza, di smarrimento e di ricerca delle vie giuste da imboccare la Chiesa è chiamata ad entrare nel gioco col suo ruolo di mater et magistra verso i dirigenti africani, verso gli africani di tutte le categorie e in modo speciale verso i giovani.

 

2. IL PROGETTO AFRICA

Lanciato una trentina d’anni fa, il Progetto Africa è stato una risposta profetica alla chiamata di un continente che naturalmente aveva, che ha bisogno del carisma di don Bosco. I confratelli salesiani hanno risposto volentieri alla chiamata del Rettore Maggiore di aprire nuove presenze in Africa. Si ha avuto delle risposte da varie ispettorie europei per questo largo movimento dal Nord al Sud dall’Est all’Ovest. Dalle piccole case isolate degli inizi si è giunto oggi a tante visitatorie, ispettorie, una regione.

L’annuncio della Parola ai giovani e agli ambienti popolari di prima evangelizzazione ad gentes con lo stile di Don Bosco ha sedoto più di un giovane. E questo si è fatto secondo le raccomandazioni di dello stesso Don Bosco nel rispetto cioè nel rispetto delle autorità locali tanto civile quanto religiose. Ancor oggi molti colleghi vescovi si rivolgono anche a me per avere la presenza dei salesiani o delle Figlie di Maria Ausiliatrice nelle loro diocesi.

Il numero di giovani che frequentano i nostri centri è sempre in crescita. Al giorno d’oggi questa realtà continua e dà dei frutti molto promettenti: in tanti paesi africani subsahariani si vedono anche molti salesiani africani. Il volto di Don Bosco sta cambiando poco a poco.

 

3. IL CG 26: “DA MIHI ANIMAS CETERA TOLLE”

Il capitolo generale 26 è il capitolo dell’essenziale che ci ha ricordato la quintessenza della nostra missione salesiana. Come lo dice bene il Rettore Maggiore nella presentazione dei documenti del CG 26 “Il tema del CG 26 “Da mihi animas, cetera tolle” è unitario...si tratta di un unico tema: il programma di vita spirituale e apostolica di Don Bosco”, che deve essere in questo periodo più che mai il programma di vita di ogni singolo salesiano specialmente del salesiano africano di nascita o di adozione. I 5 nuclei tematici : ripartire da Don Bosco, urgenza di evangelizzare, necessità di convocare, povertà evangelica e nuove frontiere anche nel loro articolarsi in chiamata di Dio, situazione e nelle linee di azione c’è il salesiano dia testimonianza della fede, la comunità offra ai laici..l’ispettoria, la regione, il rettore maggiore con il suo consiglio... da nessuna parte sta scritto il vescovo salesiano faccia questo o quest’altro.

E’ un richiamo all’identità carismatica e la passione apostolica, è su base di questo che ci presentiamo al mondo e nella Chiesa. Che ha bisogno di carismi incarnati per svogere la sua missione di annunzio della Buona Novella. Il salesiano obediente, povero e casto, attento ai segni dei tempi e alle necessità dei giovani si fa guardiano che coglie l’aurora e l’aureola di santità. Ogni salesiano è chiamato a partire dalla sua situazione a costruire oggi la bella copia della Congregazione. In Africa siamo aiutati dall’ultimo sinodo tenutosi a Roma parlando del tema generale che era la Chiesa in Africa a servizio della reconciliazione, della giustizia e della pace...siete il sale della terra, siete la luce del mondo (Mt 5, 13,14). Il Sinodo si è rivolto anche ai giovani e ai bambini ai numeri 48-49.

 

4. Il SECONDO SINODO AFRICANO E IL CG 26 A CONFRONTO

In genere (dalle 57 propositiones): la giustizia sociale e lo sradicamento della povertà, la dottrina sociale della Chiesa, la educazione alla pace, la buona gestione, i profughi, l’AIDS, i laici, la famiglia, la comunicazione sociale (mezzi di comunicazione sociale).

4.1. I temi che sono di attualità per la pastorale in Africa e che il CG 26 ha appena sfiorato sono:

Sui giovani africani: L’Assemblea sinodale per l’Africa ha parlato dei giovani, bambini come vittime di una situazione ma guarda su di essi con speranza come dei possibili protagonisti del cambiamento. Si legge “Finalmente ci rivolgiamo a voi, ragazze e ragazzi , la gioventù delle nostre comunità. Non siete solo il futuro della Chiesa: siete già li numerosi con noi. In molti paesi africani, più del 60% della popolazione ha meno di 25 anni. Il percentuale non è molto differente nella Chiesa.”(n°27 e 28).

E’ soprattutto al numero 48(e 49 dei bambini) dove il sinodo parla in modo esteso dei giovani africani e dei loro tanti problemi e sfide che li rendono vulnerabili a causa di una formazione e di una educazione personale inadeguate, mancanza di lavoro, lo sfruttamento politico, tali situazioni generano nella gioventù sentimenti di frustrazione e di rigetto. Merita che ci soffermiamo ad ognuna delle 7 raccomandazioni:

  1. La Chiesa locale mobilizzi risorse e stabilisca dei centri di insegnamento professionale e di formazione umana, in collaborazione con varie istituzioni; qui ritroviamo i nuclei tematici 1,2 e 4
  2. Prodighi alla gioventù consigli di carriera, di formazione all’imprenditoria, e alla creazione del lavoro (impiego). Qui pensiamo al nucleo 4 e 5 del CG 26
  3. Dia alla gioventù una formazione catechetica e biblica continua per formarla ad essere agente di riconciliazione, di giustizia e di pace fra di loro e ad adottare uno spirito critico di fronte ai problemi posti dai media; qui vi sono i nuclei 1 ma soprattuto il nucleo 2
  4. La Chiesa locale, tramite le commissioni diocesane e parrocchiali, intraprenda uno studio dei problemi e delle sfide cui fanno fronte i giovani; ( p. es.educazione alla vita, educazione all’amore (affettività) nucleo1e 5
  5. La Chiesa locale organizzi commissioni per i giovani al livello diocesano, nazionale, regionale e continentale 1,2 e 5
  6. Stabilisca dei centri di riabilitazione per i giovani che soffrono di traumatismi vari (bambini soldati, bambini violentati, tossicodipendenti, ecc.); 1 e 5
  7. I sistemi nazionali di educazione siano più accoglienti per persone meno dotate e per offrire a tutti delle opportunità. 1 e 5

Il numero 49 invece si ferma sulla realtà dei bambini in Africa, bambini che sono un dono di Dio all’umanità essi sono la speranza per le loro famiglie, per la società e per la Chiesa. Queste sono le categorie dei bambini che purtroppo vengono maltrattati (dagli adulti) e quindi ema.

Bambini abortiti, bambini orfani, bambini albini, bambini di strada, bambini abandonnati, bambini soldati, bambini prigionieri, bambini al lavoro, bambini vivendo con handicap fisico o mentale, bambini stregoni, bambini venduti come schiavi sessuali, bambini traumatizzati senza nessuna educazione cristiana né prospettiva del futuro.

E’ qui che vedo una linea d’azione per il salesiano vescovo: -faccia arrivare alle conferenze provinciali, nazionali e regionali le problematiche giovanili, dia la chiave di lettura salesiana cioè attenta ai problemi dei giovani a favore loro, vegli che nelle varie comunicazioni vi sia sempre un punto che riguarda i giovani ( programmazione pastorale, messaggi, lettere pastorali) Quale puo essere il contributo dei giovani?

4.2. Gli aspetti (preoccupazioni) del 2° Sinodo Africano che non emergono nei documenti del CG 26

I temi sui quali il CG 26 non ha approfondito per noi africani ma che potrebbero far parte del contesto sono: la malaria, l’ambiente e le risorse minerarie. Difatti la malaria uccide più dell’AIDS e colpisce soprattutto i giovani. Eppure tra il sistema educativo di Don Bosco e la salute c’è un punto comune: la prevenzione. Basta solo pensare quanto Don Bosco si spese per salvare con i giovani delle vittime umane colpite dal colera. Questa prevenzione consiste nella salubrità dell’ambiente. Per fortuna che c’è sempre qualche salesiano intuitivo che oltre ad un centro di sanità, un dispensario, ha costruito anche una clinica per alleviare la sofferenza, le malattie della gente. Chi viene spesso sfruttato nelle miniere sono i giovani. Le risorse minerarie possono servire alla formazione degli stessi giovani e al loro inserimento nel mondo del lavoro.

 

5. OGGI LA CHIESA IN AFRICA HA BISOGNO DEI SALESIANI... COME DON BOSCO

Come si può vedere i temi si toccano si tratta in modo particolare della gioventù dei giovani, dell’AIDS, della famiglia e della comunicazione, campi nei quali la Chiesa africana ha bisogno di maestri ma soprattutto di guide spirituali. Se partono dal tema del capitolo “Da mihi animas cetera tolle.” Se abbiamo celebrato il giubileo d’argento della presenza salesiana in vari paesi africana, se abbiamo già raccolto qualche frutto del carisma di don Bosco in Africa con dei confratelli salesiani africani, il bello deve ancora venire: i santi tra i salesiani o tra giovani presso cui essi sono mandati.

E’ vero per lavorare nell’Africa del dopo sinodo bisogna ripartire da Don Bosco ritornando a don Bosco e ai giovani con identità e passione apostolica. Perché l’Africa abbiamo bisogno di persone presenti in mezzo ai giovani condividendo i loro problemi di disoccupazione e questo richiede una ascesi che consiste nel stare in presenza fisica in mezzo ai ragazzi. Si pensi solo che don Bosco lasciava il suo berettino per marcare la sua presenza “io con voi mi trovo bene”. La contestualizzazione in altri termini la inculturazione inizia da li. “Io che sono il volto africano di Don Bosco, cerco di tradurre al meglio don Bosco torinese, italiano, europeo”. Il cortile diventa luogo di inculturazione del carisma e del vangelo.

Una delle sfide anzi la prima della Chiesa in Congo è giustamente la evangelizzazione in profondità la fede in Gesù Cristo): abbiamo dei cristiani che lo sono perché sono stati battezzati ma nella vita quotidiana non si comportono in modo coerente con la loro fede. Qualcuno abbina tutte e due le credenze la fede in Gesù Cristo e la fede della religione tradizionale.

E’ felice notare che anche qui il carisma di don Bosco al seguito del CG 26 “centrale deve essere l’annuncio di Gesù Cristo e del suo vangelo, insieme con l’appello alla conversione, all’accoglienza della fede...la testimonianza della carità operosa” può dare molto anzi il suo apporto originale: evangelizzare cioè la centralità della proposta di Gesù Cristo, soprattutto quando parla della evangelizzazione nei diversi contesti.”Ci impegniamo, nella missione ad gentes, a conoscere e comprendere le culture, le lingue, le religioni e le tradizioni locali per inculturare il vangelo (CG 26 n°30)

 

6. A MO’ D’CONCLUSIONE LE JRJ DI BUJUMBURA
5. La Chiesa locale organizzi delle commissioni per i giovani al livello diocesano, nazionale, regionale e continentale 1,2 e 5.

Dal 29 luglio al 2 agosto 2009 si erano tenute  a Bujumbura in Burundi le prime giornate della gioventù della zona ACEAC (Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale). Il tema di quest’incontro era “Giovani, testimoni e attori della giustizia, del perdono e della riconciliazione.”

C’erano 7000 ragazzi e ragazze, i giovani dei tre paesi dei Grandi Laghi africani cioè Congo, Rwanda e Burundi. L’incontro era pensato dai vescovi dei 3 paesi che erano presenti a ragione di 3 vescovi per paese (il sottoscritto era presente tra i 3 vescovi dal Congo). L’insegnamento sui temi di giustizia di pace, di riconciliazione che toccano tanto alla Regione colpita dalle guerre fratricidi infinite, lo sforzo è per gli organizzatori cioè i vescovi di creare nei giovani una regione di grandi laghi pacifica onde regna la pace la giustizia e la riconciliazione avendo per come protagonisti gli stessi giovani. L’organizzazione era magnifica quasi perfetta, i giovani motivatissimi come sanno farlo davanti all’essenziale, i momenti di ricreazione, di preghiera di riflessione erano intensi cosicché la marcia della pace a mo’ di pellegrinaggio per le vie di Bujumbura. In Congo, Rwanda e Burundi abbiamo molte e tante comunità salesiane, ma al mio gran dispiacere non ho visto nessun salesiano né per accompagnare i gruppi né per animare, né per accogliere. La spiegazione che mi è stata data è che la informazione non era giunto all’incaricato della pastorale giovanile. Mi domando come mai lo spostamento di un gruppo cosi corposo che non ha lasciato indifferenti le autorità civili non dica nulla ad un salesiano di Don Bosco col cuore di Don Bosco? Anche se solo per la semplice curiosità? Sappiamo che le relazioni col clero diocesano non sempre vanno liscio ma quando si tratta di giovani come diceva don Bosco vado fino alla temerité, les jeunes c’est notre affaire!

Mi chiedo se non apportiamo alla Chiesa locale, alle Chiese locali dove siamo presenti, la richezza, la freschezza, l’entusiasmo  del nostro carisma, cosa facciamo altro se non che impoverirla?

E’ vero che in Africa si muore di fame, si muore di malaria e di AIDS, è vero che in Africa ci sono guerre che non finiscono mai. Ma è vero anche che l’Africa è come ha detto Benedetto XVI il pulmone spirituale del pienata Chiesa, grazie anche alla sua gioventù che costituisce il 60% della popolazione. Sono questi giovani come tanti altri in tutto il mondo che aspirano ad un benessere non solo materiale ma anche e soprattutto spirituale. “I bisogni più impellenti dei giovani sono le loro povertà materiali, ma anche quelle affettive, culturali, spirituali; esse chiamano ad una disponibilità radicale ed a lasciare da parte tutto il resto.” Da mihi animas, cetera tolle.

 

 

INTERVENTO 2

LA  VISIONE DEI VESCOVI CIRCA L’ORIENTAMENTO DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA NEL MOMENTO ATTUALE DOPO IL CG26.

“Stimoli e sfide dei sinodi continentali”

Card. Oscar Andrés Rodrìguez Maradiaga SDB
Arcivescovo di Tegucicalpa

 

Miei Cari Confratelli,

E’ per me una grande gioia dirigermi a Voi in questa importante riunione. Ringrazio il nostro caro Rettor Maggiore che ha preso l’iniziativa di invitarci a condividere la nostra esperienza episcopale sotto il profilo dell’identità salesiana.

I Sinodi Continentali sono stati un’iniziativa provvidenziale del Servo di Dio Giovanni Paolo II ed hanno ottenuto risultati molto positivi nella vita della Chiesa.

Il Sinodo dell’America si tenne nel mese di ottobre del 1997. Il tema era “L’incontro con Gesù Cristo vivo, cammino di conversione, comunione e solidarietà”.  L’esortazione post-sinodale fu consegnata a noi, Presidenti delle Conferenze Episcopali del Continente, a gennaio del 1999. Questo evento ecclesiale senza precedenti tese un ponte fra tutte le Chiese dell’America, permise di celebrare la fede comune ed aiutò a riconoscere che questa fede ha delle potenzialità capaci di creare comunione e solidarietà al di là delle frontiere socioculturali ed economiche. Ecclesia in America è una fonte preziosissima di sintesi teologica  e di proposte pastorali, che richiede alle nostre Chiese una testimonianza eloquente di coerenza nella vita cristiana ed un nuovo ardore missionario. Si può dire che questa Esortazione Apostolica rimane come un’agenda aperta che continua a presentare molte possibilità di comunione e di solidarietà non solo per le Chiese dell’America Latina ma anche per tutto il Continente.

La categoria di “Incontro” è stata la principale chiave di lettura di questa Esortazione. In effetti, la vita cristiana non proviene dall’incontro con una teoria, con una dottrina o con qualcosa del passato. E’ un incontro con una Persona che vive e che ha qualcosa da dire a ciascuno.

Dieci anni dopo, la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano celebrata ad Aparecida, Brasile, col tema “Discepoli e Missionari di Gesù Cristo affinché i nostri popoli abbiano la vita in Lui”, riprende fortemente la suddetta tematica parlandoci dell’itinerario formativo dei discepoli missionari, prendendo come punto di partenza una spiritualità trinitaria dell’incontro con Gesù Cristo: “Non si comincia ad essere cristiano per una decisione etica o una gran idea, ma per l’incontro con un evento, con una Persona, che dà un nuovo orizzonte alla vita e con ciò un orientamento decisivo” (DA 243). Occorrerà lavorare con coraggio affinché ogni cattolico abbia come centro la persona di Gesù Cristo, sia dotato di spirito di preghiera, sia amante della Parola di Dio e partecipi all’Eucaristia; ottenere che si inserisca cordialmente nella comunità ecclesiale e sociale, sia solidale nell’amore e fervoroso nella missione. Ecco la grande sfida!

Il Capitolo Generale 26° ci parla di :”Mettere l’incontro con Cristo nella Parola e nell’Eucaristia al centro delle nostre comunità, per essere discepoli autentici e apostoli credibili” (32). E una delle chiavi di lettura dei documenti postcapitolari dev’essere quella di ravvivare il cuore degli uomini ritornando a Cristo e a Don Bosco.

Tredici anni dopo il Sinodo, il Continente Latinoamericano continua ad avere urgente bisogno della missione salesiana, poiché è ancora sempre un Continente in cui la maggior parte della popolazione è giovane ed è povera e questo è aggravato dall’emarginazione  e dal malessere dei giovani. Il disagio giovanile tende ad approfondirsi a causa delle carenze educative delle istituzioni (specialmente la famiglia, la scuola, la Chiesa, ecc.) e per le difficoltà che esse incontrano a collegarsi con i linguaggi dei giovani e a colmare la superficialità e il vuoto di valori.

In alcuni contesti il disagio giovanile si deve alle antiche e nuove forme di povertà, alla mancanza di prospettive di vita e di occasioni sociali e a forme di razzismo etnico, culturale e religioso.

Il CG26 ci ricorda che “l’invito a costruire itinerari per condurre i giovani a incontrare il Signore Gesù non è stato accolto pienamente” (28). Anzitutto si constata la dolorosa e provocatoria realtà per cui una grande percentuale di giovani non partecipa all’Eucaristia domenicale né si accosta ai sacramenti, avendo una identità cristiana debole e vulnerabile. Per questo motivo ci mettiamo in discussione: “O educhiamo nella fede, mettendo realmente in contatto con Gesù Cristo ed invitando a seguirlo, oppure non adempiremo la nostra missione evangelizzatrice.

La situazione impone il compito irrinunciabile di offrire una modalità operativa di iniziazione cristiana che, oltre ai contenuti dia anche elementi su ‘chi, come e dove’ si realizza”.

Il nostro Continente soffre di enormi deficit economici, tremendi deficit etici ma anche di seri deficit di Catechesi.

 

1. La Sfida dell’educazione sistematica e progressiva nella Fede.

Si continua a considerare la Catechesi come una preparazione ai sacramenti dell’iniziazione e, quindi, è lasciata all’iniziativa personale con il conseguente abbandono di questo elemento indispensabile nella vita cristiana. Il mondo d’oggi vuole essere uno specialista in tutte le discipline scientifiche, preuniversitario, universitario e postuniversitario, master e dottorato, ma in fatto di Fede si accontentano di una formazione elementare e molte volte deficitaria.

La nuova evangelizzazione, in cui è impegnato tutto il Continente, indica che la fede non si può supporre, ma dev’essere presentata esplicitamente in tutta la sua ampiezza e ricchezza. E’ questo l’obiettivo principale di tutta la catechesi che, per sua natura, è una dimensione essenziale della nuova evangelizzazione. “La catechesi è un processo di formazione nella fede, nella speranza e nella carità che informa la mente e tocca il cuore, portando la persona ad abbracciare Cristo in modo pieno e completo. Introduce più pienamente il credente nell’esperienza della vita cristiana che comprende la celebrazione liturgica del mistero della redenzione ed il servizio cristiano a favore degli altri” (EA 69).

“La situazione religiosa dei giovani e degli adulti richiede una catechesi più kerigmatica e più organica nella sua presentazione dei contenuti della fede” (EA 69).

Nella catechesi occorrerà tener presente – soprattutto in un Continente come l’America, dove la questione sociale costituisce un aspetto rilevante – che “la crescita nella comprensione della fede e la sua manifestazione pratica nella vita sociale sono in intima correlazione. Conviene che le forze spese nel nutrire l’incontro con Cristo ridondino in una promozione del bene comune in una società giusta” (EA 69).

Si tratta di “ricominciare da Cristo”, come dicono il Papa Benedetto XVI e i Vescovi latinoamericani. “Ricominciare” dal kerigma che conduce ad un incontro personale, sempre più profondo, con Cristo vivo, che porti alla conversione, alla sequela ed alla maturazione della fede nella pratica dei sacramenti, nel servizio e nella missione. Dobbiamo continuare su questa strada con perseveranza, metodo e profondità.

Il CG26 ci parla della “centralità della proposta di Gesù Cristo” (36) e di “ritornare a Don Bosco e ritornare ai giovani” (1 e 2).

La catechesi ha occupato un posto rilevante nella storia della fede in America Latina. Fin dagli inizi ha contribuito non solo all’inizio della Chiesa ma anche alla maturazione della fede  delle comunità cristiane. Il Vangelo è penetrato progressivamente nelle culture del Continente e le ha trasformate, grazie a questo ministero essenziale per la missione della Chiesa e a migliaia di catechisti che con la loro vita e generosità hanno edificato il Regno di Dio tra la nostra gente.

Ciò nonostante, nei nostri attuali contesti comunitari osserviamo che, non poche volte, il processo dell’iniziazione cristiana quasi non è avvenuto o è stato fragile e frammentario, tanto nelle persone adulte come nei bambini e nei giovani. Per questo, si sente l’urgente bisogno di una catechesi rinnovata che si preoccupi anche del primo annuncio e che porti la persona ad aprire il cuore a Cristo, affinché possa giungere all’adesione personale e alla confessione pubblica della fede nella persona e nel messaggio di Gesù.

E’, quindi, indispensabile ricuperare l’esperienza dell’iniziazione cristiana come punto di partenza dell’itinerario della fede; questo implica privilegiare l’annuncio kerigmatico del Signore risorto che invita all’incontro con Lui ed alla conversione, ad assumere il metodo processuale, sullo stile del catecumenato nella Chiesa degli inizi. La catechesi è un processo esteso nel tempo e non solo preparazione immediata alla celebrazione dei sacramenti. In esso le persone sono invitate ad accogliere l’insegnamento evangelico, a conformare la propria vita a quella di Gesù, ad inserirsi pienamente nella comunità, a partecipare con essa all’Eucaristia ed a vivere in atteggiamento di servizio agli altri. In America Latina abbiamo bisogno di approfondire i fondamenti teologici – e non solo le metodologie – che danno identità al ministero della catechesi, perché continui a contribuire alla crescita della fede nella comunità credente.

Il documento di Aparecida richiede da noi la capacità di forgiare discepoli e missionari “impegnati personalmente con Cristo, capaci di partecipazione e di comunicazione in seno alla Chiesa e dedicati al servizio salvifico del mondo” (DP 1000).  Per questo, nelle circostanze attuali dell’America Latina, la catechesi deve promuovere comunità mature ai fini della trasformazione della realtà in cui compiono il loro cammino di fede.

D’altra parte si sente l’urgenza di stabilire dei processi di formazione di catechisti che armonizzino la scienze umane, teologiche e pratiche ed abbiano di mira la dimensione della persona e del discepolo missionario; processi che si concretizzino in progetti formativi dove si integra l’aspetto esistenziale e quello biblico, dottrinale ed etico, l’elemento celebrativo, quello pedagogico e della comunicazione. Oggi occorrono catechisti esperti nell’arte della catechesi degli adulti e delle situazioni ed ambiti particolari; catechisti capaci di educare alla vita comunitaria ed all’impegno storico e sociale. A questo processo di formazione bisogna invitare i genitori, affinché siano i primi catechisti dei loro figli. Ci si chiede anche, per quanto possibile, di riscoprire la “catechesi mistagogica” affinché l’itinerario formativo del cristiano abbia un carattere di esperienza con Gesù Cristo in base ad una vera e gioiosa esperienza dei sacramenti. Ritornare a partire da Cristo Pane di Vita, l’unico che si è consegnato a noi come viatico e fonte di vita.

 

2. La  sfida  delle  nuove  povertà.

Un’altra delle aree concrete del “Da mihi animas” è la povertà evangelica, come segno di una dedizione totale.

Il Sinodo ci dice che: “La Chiesa in America deve incarnare, nelle sue iniziative pastorali, la solidarietà della Chiesa universale verso i poveri e gli emarginati di ogni genere. Il suo atteggiamento deve implicare l’assistenza, la promozione, la liberazione e l’accettazione fraterna. La Chiesa vuole che non vi siano in assoluto degli emarginati” (EA 58). Il ricordo dei capitoli oscuri della storia dell’America relativi all’esistenza della schiavitù e di altre situazioni di discriminazione sociale, deve suscitare un sincero desiderio di conversione che porti alla riconciliazione e alla comunione.

Il testo del Vangelo circa il giudizio finale (cfr. Mt 25,31-46), in cui si afferma che saremo giudicati sull’amore ai bisognosi, in cui è misteriosamente presente il Signore Gesù, indica che non si deve trascurare un terzo luogo di incontro con Cristo: “Le persone, specialmente i poveri, con cui Cristo si identifica” (EA 12). Come ricordava Papa Paolo VI, alla chiusura del Concilio Vaticano II, “nel volto di ogni uomo, specie se reso trasparente dalle lacrime e dai dolori, possiamo e dobbiamo riconoscere il volto di Cristo (cfr. Mt 25,40), il Figlio dell’uomo” (EA 12).

La cura dei più bisognosi nasce dalla scelta di amare in modo preferenziale i poveri. Si tratta di un amore che non è esclusivo e non può essere interpretato come segno di particolarismi o di settarismo (EA 58); amando i poveri il cristiano imita l’atteggiamento del Signore che nella sua vita terrena si dedicò con sentimenti di compassione alle necessità delle persone spiritualmente e materialmente indigenti.

L’attività della Chiesa a favore dei poveri in ogni parte del Continente è considerevole; ciò nonostante bisogna continuare a lavorare affinché questa linea di azione pastorale sia sempre più un cammino verso l’incontro con Cristo, il quale, essendo ricco, per noi si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9). Si deve intensificare ed ampliare quanto già si sta facendo in questo campo, cercando di raggiungere il maggior numero possibile di poveri. La Sacra Scrittura ci ricorda che Dio ascolta il grido dei poveri (cfr. S 34 [33],6)  e la Chiesa deve prestare attenzione al clamore dei più bisognosi. Ascoltando la loro voce “la Chiesa deve vivere con i poveri e partecipare ai loro dolori… […] Deve, infine, testimoniare col proprio stile di vita che le sue priorità, le sue parole e le sue azioni ed essa stessa sono in comunione e solidarietà con essi” (EA 58).

La linea di azione 15 del nostro CG26 ci chiede di passare da una attenzione occasionale ai giovani poveri a progetti mirati e duraturi a loro servizio; da una mentalità assistenzialista al coinvolgimento dei giovani poveri perché siano protagonisti del loro sviluppo e si impegnino nell’ambito socio-politico… (104). Certamente, in  primo luogo incontriamo coloro che sono poveri materialmente, perché soffrono la fame, non hanno una abitazione dignitosa, mancano di beni economici, non possono lavorare; ma, inoltre, anche i poveri di cultura perché non hanno la possibilità di studiare né di promuoversi, né di aprirsi alle novità; i poveri di famiglia perché non hanno genitori, i loro genitori sono divorziati, sono figli di ragazza madre, in casa hanno un ambiente disgregato; ed i poveri di affetto perché nessuno li accetta, nessuno li ama, non hanno amici. I poveri di libertà perché schiavi della droga, del sesso, della moda, del consumismo, dominati dalle ideologie, sfruttati dagli adulti. Ad essi aggiungiamo i poveri nella loro psicologia perché disabili, difficili, violenti, subnormali; poveri di valori perché non distinguono il bene dal male, accettano qualunque progetto di vita; poveri di religione perché non credono, non conoscono Gesù Cristo, non sanno che Dio li ama come un Padre, ignorano che sono fatti per il cielo.

Così come la dedizione preferenziale ai poveri fu in Cristo un segno caratteristico dell’arrivo del Regno di Dio e fu in DON BOSCO un tratto fondamentale della sua vocazione, così pure dev’essere per noi. La nostra fedeltà a Cristo e a DON BOSCO passa anche attraverso la nostra fedeltà alla gioventù povera.

 

3. La  sfida  della  missione  continentale

Tutti, senza eccezione, siamo agenti evangelizzatori e quindi siamo tutti chiamati a dare la vita per il Regno partecipando all’attività missionaria della Chiesa, sia inserendoci, con identità cristiana, nei vari spazi e istituzioni della vita sociale come collaboratori di Dio, sia operando nelle iniziative evangelizzatrici delle comunità ecclesiali. Il discepolato missionario si comprende solo come un cammino quotidiano di presenza attiva e feconda nella società per servire con Gesù Cristo e comunicare la vita che abbiamo ricevuto dal Signore.

Il Sinodo dell’America ci ha detto che “ l’incontro col Signore causa una profonda trasformazione in coloro che non si chiudono a Lui. Il primo impulso che scaturisce da questa trasformazione è quello di comunicare agli altri la ricchezza acquisita nell’esperienza di questo incontro.  Non si tratta solo di comunicare quel che abbiamo conosciuto ma anche, come la samaritana, di fare in modo che gli altri si incontrino personalmente con Gesù: “Venite a vedere” (Gv 4,29). Il risultato sarà lo stesso che avvenne nel cuore dei samaritani, che dicevano alla donna: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo” (Gv 4,42). La Chiesa, che vive della presenza permanente e misteriosa del suo Signore Risorto, ha come centro della sua missione “condurre tutti gli uomini all’incontro con Gesù Cristo” (EA 68).

La Chiesa è chiamata ad annunciare che Cristo vive realmente, cioè che il Figlio di Dio, che si è fatto uomo, è morto e risorto, è l’unico Salvatore di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, e che come Signore della storia continua ad operare nella Chiesa e nel mondo per mezzo del suo Spirito fino alla fine dei secoli. La presenza del Risorto nella Chiesa rende possibile il nostro incontro con Lui, grazie all’azione invisibile del suo Spirito vivificante.  Questo incontro avviene nella fede ricevuta e vissuta nella Chiesa, corpo mistico di Cristo. Questo incontro, quindi,  ha una dimensione ecclesiale e porta ad un impegno di vita. Infatti, “incontrare Cristo vivo significa accettare il suo amore per primo, fare la nostra opzione per Lui, aderire liberamente alla sua persona e al suo progetto, che è l’annuncio e la realizzazione del Regno di Dio” (EA 68).

La chiamata suscita la ricerca di Gesù : “Rabbì - che significa ‘Maestro’ – dove dimori? Disse loro: ‘Venite e vedrete’. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,38-39). “Questo ‘rimanere’ non si riduce al giorno della chiamata, ma si estende a tutta la vita. Seguirlo è vivere come Egli è vissuto, accettarne il messaggio, assumerne i criteri, abbracciarne la sorte, partecipare al suo progetto che è il piano del Padre: invitare tutti alla comunione trinitaria ed alla comunione con i fratelli in una società giusta e solidale” (EA 68). L’ardente desiderio di invitare gli altri a incontrare Colui che noi abbiamo incontrato sta alla radice della missione evangelizzatrice che spetta a tutta la Chiesa, ma che diventa specialmente urgente oggi in America, dopo di aver celebrato i 500 anni dalla prima evangelizzazione e mentre ci disponiamo a commemorare con gratitudine i 2000 anni dalla venuta del Figlio unigenito di Dio al mondo.

L’incontro col Signore produce una profonda trasformazione in coloro che non si chiudono alla Sua azione. Il primo impulso che nasce da questa trasformazione è quello di comunicare agli altri la ricchezza ricevuta nell’esperienza di questo incontro. Non si tratta solo di insegnare quel che abbiamo conosciuto, ma anche, come la samaritana, di far sì che gli altri incontrino personalmente Gesù: “Venite e vedete” (Gv 4,29). Il risultato sarà lo stesso che è avvenuto nel cuore dei samaritani, che dicevano alla donna: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. (Gv 4,42). La Chiesa, che vive della presenza permanente e misteriosa del suo Signore risorto, ha come centro della propria missione “portare tutti gli uomini all’incontro con Gesù Cristo” (EA 68).

Una delle chiavi di lettura indicate dal nostro Rettor Maggiore è proprio la missionarietà come espressione della passione evangelizzatrice per i giovani.

 

4. La sfida della gioventù attuale

I giovani sono una grande forza sociale ed evangelizzatrice. “Costituiscono una parte considerevole della popolazione in molte nazioni americane. Nel loro incontro con Cristo vivo si fondano la speranza e le attese di un futuro di maggiore comunione e solidarietà per la Chiesa e per le società dell’America” (EA 47). Sono evidenti gli sforzi che le Chiese particolari realizzano nel Continente  per accompagnare gli adolescenti nel processo catechistico prima della Cresima e ed in altre forme di accompagnamento che vengono loro offerte affinché crescano nel loro incontro con Cristo e nella conoscenza del Vangelo. Il processo di formazione dei giovani dev’essere costante e dinamico, atto ad aiutarli  a trovare il proprio posto nella Chiesa e nel mondo. Pertanto, la pastorale giovanile deve occupare un posto privilegiato tra le preoccupazioni dei Pastori e delle comunità.

In verità sono molti i giovani americani che cercano il vero significato della loro vita e che hanno sete di Dio, ma molte volte mancano le condizioni idonee per realizzare le loro capacità e soddisfare le loro aspirazioni. Purtroppo la mancanza di lavoro e di speranze di futuro li porta in alcune occasioni all’emarginazione e alla violenza. Il senso di frustrazione che sperimentano per tutto questo fa sì che spesso abbandonino la ricerca di Dio. Di fronte a questa situazione così complessa, “la Chiesa si impegna a mantenere la sua opzione pastorale e missionaria per i giovani affinché possano incontrare Cristo vivo” (EA 47).

L’azione pastorale della Chiesa giunge a molti adolescenti e giovani attraverso l’animazione cristiana della famiglia, la catechesi, le istituzioni educative cattoliche e la vita comunitaria della parrocchia. Ma molti altri , specialmente tra coloro che soffrono diverse forme di povertà, rimangono fuori del campo dell’attività ecclesiale. Tocca ai giovani cristiani, formati con una coscienza missionaria matura, essere gli apostoli dei loro coetanei. E’ necessaria un’azione pastorale che raggiunga i giovani nei loro stessi ambienti, come la scuola, l’università, il mondo del lavoro o l’ambiente rurale, con una attenzione adatta alla loro sensibilità. Nell’ambito parrocchiale e diocesano sarà opportuno sviluppare anche un’azione pastorale giovanile che tenga conto dell’evoluzione del mondo dei giovani, che cerchi il dialogo con essi, che non lasci passare le occasioni propizie per incontri più al largo, che incoraggi le iniziative locali ed approfitti di quanto già si fa in ambito interdiocesano e internazionale.

E cosa fare per quei giovani che presentano dei comportamenti adolescenziali di incostanza e difficoltà ad assumere impegni seri per sempre?  Di fronte a questa mancanza di maturità occorre invitare i giovani ad essere coraggiosi, aiutandoli ad apprezzare il valore dell’impegno per tutta la vita, com’è il caso del sacerdozio, della vita consacrata e del matrimonio cristiano.

Accompagnare il bambino nel suo incontro con Cristo

I bambini sono dono e segno della presenza di Dio. “Bisogna accompagnare il bambino  nel suo incontro con Cristo, dal suo battesimo fino alla prima comunione, poiché fa parte della comunità vivente di fede, speranza e carità” (EA 48). La Chiesa è grata per il lavoro svolto da  genitori, maestri, agenti pastorali, sociali e sanitari e da tutti coloro che prestano qualche servizio alla famiglia ed ai bambini con lo stesso atteggiamento di Gesù Cristo che disse: “Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli” (Mt 19,14).

A ragione i Padri sinodali  deplorano e condannano la condizione dolorosa di molti bambini in  tutta l’America, privati della dignità e dell’innocenza e persino della vita. “Questa condizione comporta la violenza, la povertà, la mancanza di una casa, la carenza di una cura adeguata della salute e dell’educazione, i danni della droga e dell’alcool, ed altri stati di abbandono e di abuso” (EA 48). A questo proposito, nel Sinodo si è fatto menzione in particolare della problematica dell’abuso sessuale dei minorenni e della prostituzione infantile, ed i Padri hanno lanciato un appello urgente “a tutti coloro che occupano posizioni di autorità nella società, affinché , come elemento prioritario, facciano tutto quel che è in loro potere per alleviare il dolore dei bambini in America” (EA 48).

 

5. La  rinnovata  missione  educativa

Una delle aree tematiche del “Da mihi animas” è l’evangelizzazione principalmente nel campo dell’educazione.

“Tra i fattori che favoriscono l’influsso della Chiesa nella formazione cristiana degli americani occorre segnalare la sua ampia presenza nel campo dell’educazione e, in modo speciale, nel mondo universitario. Le numerose Università cattoliche disseminate nel Continente sono un  tratto caratteristico della vita ecclesiale in America. Così pure, nell’insegnamento primario e secondario, l’elevato numero di scuole cattoliche offre la possibilità  di un’azione evangelizzatrice  di ampio respiro, sempre che vada accompagnata da una decisa volontà di impartire una educazione veramente cristiana” (EA 18).

Il mondo dell’educazione è un campo privilegiato per promuovere l’inculturazione del Vangelo. Ciò nonostante, i centri educativi cattolici e quelli che, pur non essendo confessionali, hanno una chiara ispirazione cattolica, potranno sviluppare un’opera di vera evangelizzazione  se a tutti i livelli, compreso quello universitario, si mantiene chiaramente il loro orientamento cattolico. I contenuti del progetto educativo devono fare costantemente riferimento a Gesù Cristo e al suo messaggio, così come lo presenta la Chiesa nel suo insegnamento dogmatico e morale. Solo così si potranno formare dirigenti autenticamente cristiani nei diversi campi dell’attività umana e della società, specialmente nella politica, nell’economia, nella scienza, nell’arte e nella riflessione filosofica (EA 71). In questo senso “ è essenziale che l’Università Cattolica  sia, allo stesso tempo, veramente e realmente tutte e due le cose: Università e Cattolica […] L’indole cattolica è un elemento costitutivo dell’Università in quanto istituzione e non una mera decisione degli individui che dirigono l’Università in un tempo concreto” (EA 71). Per questo, il lavoro pastorale nelle Università Cattoliche dev’essere oggetto di particolare attenzione ai fini di promuovere l’impegno apostolico degli studenti perché loro stessi giungano ad essere gli evangelizzatori del mondo universitario (EA 71). Inoltre “si deve stimolare la cooperazione tra le Università Cattoliche di tutta l’America affinché si arricchiscano mutuamente” (EA 71), contribuendo in questo modo a far sì che il principio di solidarietà e di scambio tra i popoli di tutto il Continente avvenga anche a livello universitario.

Qualcosa di simile si deve affermare anche a proposito delle scuole cattoliche, in particolare dell’insegnamento secondario: “Si deve fare uno sforzo speciale per rafforzare l’identità cattolica delle scuole che basano la loro natura specifica su un progetto educativo che ha la sua origine nella persona di Cristo e la sua radice nella dottrina del Vangelo. Le scuole cattoliche devono cercare non solo di impartire un’educazione che sia competente dal punto di vista tecnico e professionale, ma specialmente di provvedere una formazione integrale della persona umana” (EA 71). Data l’importanza del compito che svolgono gli educatori cattolici, mi unisco ai Padri sinodali nel loro desiderio di incoraggiare, con animo grato, tutti coloro che si dedicano all’insegnamento nelle scuole cattoliche: sacerdoti, uomini e donne consacrate e laici impegnati, “a perseverare nella loro missione così importante” (EA 71). Bisogna far sì che l’influsso di questi centri di insegnamento giunga a tutti i settori della società senza distinzioni né esclusivismi. E’ indispensabile che si facciano tutti gli sforzi possibili perché le scuole cattoliche, nonostante le difficoltà economiche, continuino “a impartire l’educazione cattolica ai poveri ed agli emarginati nella società” (EA 71). Non si arriverà mai a liberare gli indigenti dalla loro povertà se prima non si liberano dalla miseria dovuta alla mancanza di una educazione adeguata.

Nel progetto globale della nuova evangelizzazione, il campo dell’educazione occupa un posto privilegiato. Per questo si deve incoraggiare l’attività di tutti i docenti cattolici, compresi quelli che insegnano in scuole non confessionali. Così pure rivolgo una chiamata urgente ai consacrati e alle consacrate perché non abbandonino un campo così importante per la nuova evangelizzazione (EA 71).

Come frutto ed espressione della comunione fra tutte le Chiese particolari dell’America, rafforzata certamente dall’esperienza spirituale dell’Assemblea sinodale, si procurerà di promuovere convegni per gli educatori cattolici in ambito nazionale e continentale, cercando di ordinare ed incrementare l’attività pastorale educativa in tutti gli ambienti (EA 71).

La Chiesa in America, per raggiungere tutti questi obiettivi, ha bisogno di uno spazio di libertà nel campo dell’insegnamento; non si tratta di un privilegio ma di un diritto, in virtù della missione evangelizzatrice affidatale dal Signore. Inoltre, i genitori hanno il diritto fondamentale e primario di decidere in merito all’educazione dei figli e per questo motivo i genitori cattolici  devono avere la possibilità di scegliere un’educazione secondo le loro convinzioni religiose. La funzione dello Stato in questo campo è sussidiaria. Lo Stato ha l’obbligo di garantire a tutti l’educazione e l’obbligo di rispettare e difendere la libertà di insegnamento. Occorre denunciare il monopolio dello Stato come una forma di totalitarismo che vìola i diritti fondamentali che deve difendere, specialmente il diritto dei genitori all’educazione religiosa dei figli. La famiglia è il primo spazio educativo della persona (EA 71).

 

6. La  Solidarietà

Un’altra chiave di lettura del CG26 è leggere la realtà sociale proponendo, con fantasia pastorale, una profonda azione trasformatrice.

Il Sinodo d’America è molto ricco a questo proposito. Ci presenta l’Incarnazione del Figlio di Dio come la maggior dimostrazione di solidarietà con l’essere umano. Ci presenta la solidarietà come frutto della comunione e la dottrina della Chiesa come espressione delle esigenze della conversione. Raccoglie il tema, così caro a Giovanni Paolo II, della Globalizzazione della solidarietà, denuncia i peccati sociali che gridano al cielo ed accentua il fatto che il fondamento sul quale si basano tutti i diritti umani è la dignità della persona.

Segnala con coraggio profetico i temi del debito esterno, della lotta contro la corruzione, il problema delle droghe, la corsa agli armamenti, la cultura di morte ed una società dominata dai potenti. Colloca in questo settore anche i popoli indigeni e gli americani di origine africano e la problematica degli immigrati costretti dai problemi economici. Temi che non hanno perso attualità.

Su questo tema potrei dilungarmi molto, ma basterebbe leggere l’Enciclica ‘Caritas in veritate’ per attualizzare tutta la sfida della Solidarietà.

 

7. La  Santità  salesiana

Non vi è mistica del ‘Da mihi animas’ senza l’ascetica del ‘coetera tolle’. “Siate santi, perché io, il Signore , vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2). L’Assemblea  Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’America ha voluto ricordare con forza a tutti i cristiani l’importanza della dottrina della vocazione universale alla santità nella Chiesa (86). Si tratta di uno dei punti centrali della Costituzione dogmatica  sulla Chiesa, nel Concilio Vaticano II (EA 30). La santità è la meta del cammino di conversione, poiché la santità “non è fine a se stessa ma sviluppo verso Dio, che è santo.  Essere santo è imitare Dio e glorificare il suo nome in tutte le opere che realizziamo nella nostra vita (cfr. Mt 5,16) (EA 30). Nel cammino della santità Gesù Cristo è il punto di riferimento e il modello da imitare: Egli è “il Santo di Dio e fu riconosciuto come tale (cfr. Mc 1,24). Egli stesso ci insegna che il cuore della santità è l’amore, che porta anche a dare la vita per gli altri (cfr. Gv 15,13). Per questo, imitare la santità di Dio, così come si è manifestata in Gesù Cristo, suo Figlio,  non è altro che prolungare il suo amore nella storia, specialmente nei confronti dei poveri, ammalati e indigenti (cfr. Lc 10,25s)” (EA 30).

Gesù, l’unico cammino per la santità

“Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14,6). Con queste parole Gesù si presenta come l’unico cammino che conduce alla santità. Ma la conoscenza concreta di questo itinerario si ottiene  principalmente mediante la Parola di Dio che la Chiesa annuncia con la sua predicazione. Per questo la Chiesa in America “deve dare una grande priorità alla riflessione orante sulla Sacra Scrittura, realizzata da tutti i fedeli” (EA 31). Questa lettura della Bibbia, accompagnata dalla preghiera, è nota nella tradizione della Chiesa sotto il nome di Lectio divina, pratica da promuovere presso tutti i cristiani. Per i presbiteri essa deve costituire un elemento fondamentale nella preparazione delle loro omelie, specialmente quelle domenicali (EA 31). Solo una volta convinti potremo fare la proposta per la vita consacrata salesiana.

 

8. Nuove  frontiere  per  la missione  salesiana lì  dove  si  trovano 

giovani  oggi.

8.1  Cosa significa un mondo ‘nuovo’?

Non è la prima volta che appare questa categoria nella storia. Ricordiamo semplicemente alcuni elementi del mondo precedente che si stanno dissolvendo e consideriamo fino a che punto noi siamo rappresentanti del mondo che finisce.

Il mondo precedente si è costruito in base a 6 principi. Tre del mondo greco-romano e tre dell’eredità giudeo-cristiana.

Virtus (fortezza con cui affrontare la realtà); Gravitas  (la responsabilità nel prendere sul serio il mondo) e Pietas (l’atteggiamento di rispetto verso la Famiglia e la Patria). Così si è costruita una civiltà.

La cultura cristiana aggiunse: Fides, Spes e Caritas, che lette in linguaggio attuale suonerebbero così: Fides ( la corretta interpretazione della realtà che ci offre Cristo), Spes (e in cui abbiamo piena fiducia perché esiste la possibilità di un mondo migliore) e Caritas ( ma esso non si può costruire se non in un rapporto fraterno con gli esseri umani e con la natura).

Ci rendiamo conto che questa civiltà sta subendo un collasso e siamo di fronte a un mondo nuovo dove sembrerebbe che questi valori non trovino più posto, oppure sono stati reinterpretati e non dicono più nulla all’uomo d’oggi.

Da 30 anni in qua ha cominciato a crollare lentamente in America Latina e molto più ancora nell’America del Nord.

8.2    Un mondo nuovo significa anzitutto:

Un territorio da esplorare: e questo a volte fa paura, presenta dei rischi ed è una sfida all’avventura. Molti pensavano che nel secolo XXI non vi fosse più nulla da esplorare. Ma … la umanità continua a cambiare, non è statica. La gente cambia. Si stanno formulando sempre nuovi modi di essere nel mondo. Per questo affrontiamo

Una nuova umanità da interpretare: interpretare a fondo quel che sta succedendo. Comprendere gli esseri umani che vivevano e vivono qui nelle nostre terre. E questo suscita il problema della comunicazione. Si presenta ripetutamente lo stesso problema. Non parliamo più il linguaggio del mondo attuale. Sempre meno gente ci capisce. Per questo pochi ci ascoltano.

Affrontiamo nuovamente il problema della comunicazione. Ogni linguaggio presuppone un emettitore  ed un recettore. Molte volte non siamo sulla stessa frequenza ed il recettore non ci capisce. Ed allora ci poniamo la domanda: Come interpretare la nuova umanità se non conosciamo il linguaggio del mondo d’oggi?  Per questo dobbiamo imparare nuovamente. Si tratta di un linguaggio provocatorio che ci impone la formazione permanente. Abbiamo bisogno di foniatri. Quando una persona ha sofferto un malessere cerebro- vascolare , deve rieducarsi ed imparare di nuovo a parlare. E’ questo il lavoro del foniatra.

Nuove opportunità: Quando analizziamo la realtà, troviamo molti problemi che ci possono scoraggiare. Ma vi è un modo diverso di mettere a fuoco le situazioni. Quelle che ci si presentano sono nuove opportunità, non nuovi problemi. Una volta, un analista di un organismo finanziario internazionale mi disse: “Dove voi, uomini di Chiesa vedete dei problemi, noi vediamo delle opportunità”. E credo che avesse ragione.

Quello di cui ha bisogno la gente  è di esperienze  di salvezza perché vivono in un mondo turbolento. Abbiamo allora delle opportunità straordinarie. Si tratta di un mondo da scoprire. Certo, ci sono anche

Nuovi rischi: ed ecco la chiave di fronte ad essi. Chi si paralizza di fronte ai rischi perde le opportunità. Nella misura in cui ci qualifichiamo diventano maneggiabili. Se una persona non li affronta seriamente o lo fa usando utensili del passato, finisce in un disastro totale. Per questo parliamo di alcune

Sfide importanti: Se vogliamo modificare la rotta della nuova civiltà non si tratta di reprimerla né di farla finire. Dobbiamo approfittare della direzione della corrente per risalirla poco a poco e condurla dove vogliamo. Ci chiediamo allora, come Vescovi Salesiani: Quali sono le sfide più rilevanti per  EVANGELIZZARE il nuovo mondo dei giovani poveri?

8.3.  Le condizioni della realtà in molti luoghi dell'America Latina:

Un nuovo modello di vita: L’essere umano costruisce l’esistenza attraverso dei modelli. Sembrerebbe che l’amore a Dio e al prossimo sia finito. L’amore si è ridotto all’individualismo. Oggi cerca di imporsi il piacere a tutti i costi e l’egoismo.

Cambi nella coscienza sociale dell’umanità: apparentemente la gente non crede più a quel che credeva precedentemente. Prima credeva che una cosa fosse cattiva… e adesso molti dicono: “che cosa veramente buona!” . E, per quel che era considerato buono…. “che noia!”. Sta cambiando la mentalità. Prima bisognava andare a Messa. Ora, no. Prima occorreva confessarsi. Ora, no.

E’ finito l’impegno cristiano e di conseguenza la solidarietà. I cambi derivano da piccole e impercettibili modifiche del nostro modo di pensare, di agire e di credere.

Molta gente non crede più. E questo significa mettere la fede e la morale con le spalle al muro. A ciò si aggiunge la crisi di molte istituzioni.  (Un confratello vescovo mi diceva che nel Messico un deputato guadagna in un giorno il salario di 165.000 operai).

La gente oggi ha convinzioni molte volte assolute ma effimere. Vi è una grande fragilità. Non si è sicuri quasi di nulla. E il peggio è la fragilità nella coscienza. In queste condizioni, come assumersi delle responsabilità? Per questo non vogliono formarsi una famiglia, celebrare il sacramento del Matrimonio, o seguire il Signore nel sacerdozio o nella vita consacrata. I sei pilastri si sono sgretolati. E con essi tutta una gerarchia di valori.

Tutto si riduce all’Economia, a falsi valori e ricerca morbosa di sicurezza.

Si è ridotto il tempo reale che produce un vero cambio di vita, che causa una modifica del significato della vita. La vita si abbrevia . In molti posti le persone di più di 35 anni d’età non trovano più lavoro. Se a questo aggiungiamo  i numerosi anni di studio per intraprendere una carriera, le rivalità furiose e le competizioni per potere mantenere il posto, i licenziamenti e la perdita di posti di lavoro… tutto si complica. E allora si viene alla conclusione: “Dato che nulla è sicuro: rilassatevi e godetevi la vita”.  Il divertimento diventa l’obiettivo della vita. Si opera la sostituzione dei valori ideali con  valori pragmatici.

E qui si presenta la sfida per noi, persone di Chiesa: il lavoro non ci mancherà; che poi lo facciamo è un’altra cosa. Avremo sempre un alloggio e qualcosa da mangiare. Non abbiamo problemi nel campo della Fede né in quanto a etica. Abbiamo tutto assicurato; fino alla pensione o al servizio sanitario. Come comprendere una società in cui tutto si sta frammentando?

8.4.  La condizione della Chiesa nell’America Latina

E’ stata quasi sempre una istituzione solida. Ma questo può rappresentare un vantaggio o uno svantaggio.

Una posizione così solida che è diventata rigida. Aveva tutto per avvantaggiarsi, meno la flessibilità. Molti l’hanno abbandonata. Non avevano disciplina. L’istituzione diventò così rigida che perse flessibilità. E’ il pericolo di trincerarsi nella Parrocchia come unico ambito di evangelizzazione. Ciò che è rigido corre il pericolo dell’immagine pubblica: il pericolo di spezzarsi. Per questo la Conferenza di Aparecida insiste tanto sulla CONVERSIONE PASTORALE (cfr. Aparecida 98-100).

Dobbiamo rafforzare quello che rende forte la Chiesa oggi. Molta gente si mantiene nella fedeltà e vogliono continuare come cattolici. In molti Paesi siamo eredi di una cultura cattolica  abbastanza radicata che è presente nella vita quotidiana dell’uomo latinoamericano. La religiosità popolare è molto forte (cfr. EA 16): si convoca da sé e si finanzia da sé. Le dà appoggio sociale la Chiesa istituzionale. Dà senso di appartenenza alle persone che assistono alle sue diverse manifestazioni.

Ma va anche crescendo una comunità diversificata. Un’alta percentuale di coloro che si dicono credenti non sono più praticanti. Non tutti hanno la Fede cattolica. Molte denominazioni la manipolano e creano confusione. Economicamente, la gente che ha più di 50 anni sostiene la Chiesa. Ma i loro figli non più. I nipoti… meno ancora. La gente che aderisce di più è quella che frequenta le chiese.

Ci chiediamo allora: si trovano tra loro quelli che dettano gli stili di vita nel Continente? La risposta, con poche eccezioni, è NO.

Vi è un gruppo ridotto che si è impadronito del pensiero. E questo è grave. I gruppi che vanno rimanendo non sono i conduttori, bensì quelli condotti.

La Chiesa ha creato reti sociali ed è stata quella che ha dato loro coesione. Corriamo il pericolo di rimanere senza una base solida. Dobbiamo promuovere una maggiore partecipazione. Ciò implica penetrare i gruppi sociali col Vangelo.

Un nuovo contesto culturale e mediatico: quel che oggi si muove è il mondo delle percezioni, non delle realtà. Tutti gli strumenti mediatici creano percezioni. I Mezzi di Comunicazione Sociale modificano la percezione sociale. Il più spettacolare di tutti è Internet.

Si dice che l’adolescente medio trascorre 28 ore davanti a Internet. Se va magari in chiesa, vi rimane al più due ore? E questo sta producendo persone molto strane.

Sappiamo che educare è insegnare a vivere. Tradizionalmente l’educazione avveniva nella famiglia. nella scuola e nella Chiesa. Oggi nulla di tutto questo.

La società attuale ha modificato questa missione. La famiglia si riduce alla prestazione di alloggio, alimentazione e vestito. La scuola, a insegnare abilità per guadagnare soldi in futuro. E la Chiesa: tutt’al più una bella cornice decorativa per cerimonie sociali.

Chi insegna allora ai giovani a vivere? Gli schermi telematici e la socializzazione dei comportamenti avviene nei cosiddetti ‘antri’.

La nostra maggiore minaccia: “è il grigio pragmatismo della vita quotidiana di una Chiesa in cui apparentemente tutto procede normalmente, ma in realtà la fede si va consumando e degenerando in meschinità”.

Quali gruppi indicano la rotta nei Paesi? Vi faccio un esempio: Jacques Derrida, il padre della decostruzione, fece filosofia. Nathanaekl Hawthorne scrisse un romanzo “La lettera scarlatta”. Roland Joffré girò un film sullo stesso argomento. La conclusione popolare è: il futuro della società sta nel farla finita col cristianesimo. Francisco Martìn Moreno, giornalista messicano, conclude: (…) “Il colpevole di tutti i mali del Messico è la Chiesa cattolica”. Bisogna farla finita.

Dice uno studioso che per ribattere le menzogne di Dan Brown occorrono 17 specializzazioni.

Per questo vogliamo evangelizzare, affinché Cristo restituisca la vita al nostro mondo, perché questa confusione gli sta togliendo la vita.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) ha tracciato un profilo del professionista attuale nei seguenti punti:

  1. Conoscenze teoriche adeguate all’esercizio della sua professione
  2. Abilità pratiche per applicare con successo le proprie conoscenze
  3. Attitudini di cui abbisogna come persona per soddisfare quanto richiede il raggiungimento degli obiettivi.
  4. Valori che rendano affidabile l’esercizio professionale di fronte alla comunità.

Nella misura in cui vi riesce, trasformerà la realtà in cui vive: apportando conoscenza – trasformando la realtà – generando sviluppo attorno a sé e partecipando ai beni ottenuti.

Cosa riusciamo ad ottenere come salesiani? Quali delle quattro caratteristiche stiamo raggiungendo meglio?

La risposta non può essere univoca, ottimista o pessimista. Ciascuno sa qual è il proprio livello.

Potremmo azzardare una certa interpretazione come schema pedagogico:

Abbiamo seguito la carriera che esige più tempo e dedizione nella maggior parte dei Paesi: almeno 7 anni. Oltre al noviziato, tirocinio e, a volte, specializzazioni.

Ma vi è il pericolo che la carriera sia orientata ancora oggi in gran parte all’acquisizione i conoscenze teoriche. Con un rischio molto grande. Potremmo magari sapere tutto quel che interessa sapere, essere delle Enciclopedie di nozioni inutili. Per questo la Conversione permanente ci sfida. Come siamo ‘attualizzati’? Anche in altre scienze che ci danno degli elementi per interpretare la realtà? Quanto tempo fa ha dato il suo ultimo esame? Lei cambierà la realtà? Con un atteggiamento del genere la può piuttosto peggiorare.

Abilità. Come sacerdoti, abbiamo le abilità specifiche che ci occorrono? Non solo saper parlare, saper entrare, saper resistere.

Attitudini: Un problema latente è l’assenza di spirito di superamento. Tendiamo a diventare mediocri. Nel mondo tutti cercano titoli, dottorato. Molti non lo cercano né in campo spirituale, né in campo professionale. Molte volte mancano le attitudini/idoneità, specialmente quella della LEADERSHIP: uno che sa dove va e può indicare agli altri dove andare. Si è persa la leadership. Non sappiamo cosa vogliamo ottenere.

Valori: il peggio sarebbe di non avere nemmeno dei valori. Senza di essi non agiremmo nel ministero. Continuiamo a credere e a scommettere che il modello che Cristo propone è il nostro modello e per questo lo seguiamo. Ma ciò non toglie che possiamo osservare delle variabili. Prima si diceva che vi erano due tipi di sacerdote. Quelli che erano profondamente cristiani: persuasi di vivere i valori di Cristo. E quelli che erano solamente cattolici: puntavano tutto sul progetto della Chiesa.

Oggi, quelli che ci criticano dicono che adesso nasce un altro tipo: quelli che non sono né cristiani né cattolici né niente. Il peggio si è che non se ne rendono conto. Luis Rius risponde così alla domanda ’Chi è il sacerdote?: “un seguace di Cristo, ma più ricco”.

I collassi culturali avvengono  a tre livelli:

1. Individuo isolato: vi è sempre della gente che ha abbandonato la Fede.

2. Settore sociale: a questo livello  siamo in molti Paesi.

3. Culturale: crolla la cultura di una società.

 

9. CONCLUSIONE

Il momento che viviamo rappresenta una grande opportunità ma abbiamo bisogno di vivere le quattro caratteristiche suddette, a livello altissimo. Così affronteremo con successo questa difficile realtà.

E’ crollato tutto? Abbiamo l’opportunità di rialzarlo. Siamo creativi. Impegniamoci a fondo. Quali sono i tuoi grandi ideali? Cosa vuoi raggiungere?

L’Anno Sacerdotale ci sfida in questo senso. Quando studiamo filosofia ricordiamo il detto: “Agere sequitur esse”. La gente agisce secondo quel che sa di essere. Per questo sono importanti i nostri Capitoli Generali che ci fanno ricordare e rafforzano la nostra identità. Quanto lontanamente prevediamo il futuro della Chiesa e della nostra Madre Congregazione? Per questo dobbiamo prendere le misure necessarie adesso e quando si presenteranno problemi più grandi ancora.

Alcuni di coloro che condivisero la vita della prima comunità salesiana sono stati riconosciuti dalla Chiesa quali testimoni di santità. Ciò significa che a Valdocco si respirava un clima particolare: la santità era costruita da tutti, si condivideva e si comunicava reciprocamente, tanto che è impossibile spiegare la santità di uno senza quella degli altri.

La meta di una formazione comunitaria che Don Bosco, la Chiesa e soprattutto i giovani di oggi attendono dai Salesiani e dai laici, è il regalo della nostra santità personale, della comunità educativo-pastorale e della Famiglia Salesiana: una santità condivisa.

Anche come Vescovi Salesiani vogliamo apportare alla nostra Madre Congregazione il regalo di una santità condivisa.

 

 

INTERVENTO 3

Il Vangelo al Mondo

Mons. Thomas Menamparampil, SDB
Arcivescovo - Guwahati, India

 

Mi vorrete probabilmente scusare se vi presento una conferenza profondamente incentrata su vita e contesto. Gesù guardava i campi, i fiori, la polvere della terra e i cieli lontani; guardava i malati, le masse impegnate nel duro lavoro, gli affamati e le moltitudini disorientate. Ciò costituiva il punto di partenza delle sue riflessioni e delle sue prediche. Guardiamo le realtà del mondo: brutte, dolorose, persino allarmanti... e allo stesso tempo incoraggianti, rassicuranti e ricolme di speranza.

Don Bosco è vissuto in tempi agitati, ma sapeva vedere il lato più luminoso delle cose e costruire su possibilità limitate anche in situazioni infinitamente negative. Sapeva affrontare l’opposizione che proveniva da colleghi gelosi, da autorità ecclesiastiche o civili, da anticlericali o gente che lo minacciava con la violenza fisica. Sapeva trasformare in amici gli oppositorie ottenere aiuti anche da persone che erano contro la Chiesa. E continuava ad essere creativo. Ricavava energia dagli stessi pericoli che affrontava. Per lui i problemi erano possibilità, le crisi costituivano opportunità mandate da Dio: sforzarsi per andare oltre le possibilità diventava estasi pura.

Shakespeare ha detto: “Il tempo ha sofferto una slogatura” (Hamlet). Il nostro può essere un tempo del genere. Ogni giorno, al leggere i giornali e al guardare la TV, possiamo sentirci portati a un profondo auto-interrogatorio: che cosa dovremmo fare in un contesto di guerra e violenza, di minacce e ammonimenti di un gruppo/nazione contro un altro, di notizie che riguardano scandali e corruzione di ogni tipo? Questo è il mondo realein cui viviamo. Come portare avanti il lavoro di Dio in contesti tanto sconcertanti? Che fare affinché la gente creda che il Vangelo ha qualcosa da offrire in situazioni così imbarazzanti? Come infondere nei nostri collaboratori il coraggio necessario davanti a queste sfide, che fare per convincerli che nulla è impossibile con l’aiuto di Dio?

Se aspettiamo passivamente tempi migliori, facilità migliori, attrezzature migliori, personale migliore, atmosfera migliore per intraprendere seriamente il lavoro, staremo soltanto ingannando noi stessi. Ciò che possiamo fare è incominciare proprio dove ci troviamo,usare i mezzi che abbiamo, essere felici con i collaboratori di adesso, e portare avanti almeno di un passo il lavoro. Ma al farlo dobbiamo rinnovare, pensare da capo,guardare le cose da un angolo nuovo, aprire nuovi solchi, attrarre nuovi collaboratori, costruire risorse, adottare nuove direzioni e indirizzare le cose verso un nuovo livello di esistenza.

‘Pensare da capo’, abbiamo detto.  Papa Benedetto XVI, mentre consegnava i pallium agli arcivescovi l’anno scorso, ha esortato: “Fa parte dei nostri doveri come Pastori di penetrare la fede col pensiero per essere in grado di mostrare la ragione della nostra speranza.” (Osservatore Romano 1.7.09).

 

1. Secolarizzazione contro Fondamentalismo

A) Ci sono tante cose che ci preoccupano ai nostri tempi. Nel campo della fede cristiana contempliamo il grande Sahara del mondo secolarizzato che si espande in ogni direzione. Dio e i valori del suo Regno sono ignorati totalmente in media, politica, economia, trattenimento, università, imprese di sviluppo e promozione umana. I giovani che serviamo sono esposti continuamente a prospettive che non prendono in considerazione la trascendenza. Le nostre discussioni pubbliche, gli studi di scienze naturali e umane, i programmi per lo sviluppo della persona umana ai vari livelli, gli obiettivi di ricerca, gli sforzi intellettuali, le mete dei movimenti sociali fissati per noi…. tutto evita la domanda dell’esistenza di qualsiasi ente posto al di là di ciò che è visibile e tangibile.

Più vicino a casa, molti dei nostri istituti cattolici, ospedali, scuole, università, centri formativi si stanno secolarizzando: la visione di fede si annebbiae la formazione alla fede è quasi assente. Posso avere il coraggio di dire che i nostri seminari e case di formazione sono fortemente portati a considerare le cose solo da un punto di vista secolarizzato, a lasciarsi guidare unicamente da teorie sociali e psicologiche altamente secolarizzate? Stanno forse diventando solo centri accademici e istituti di ricerca, invece di essere case di formazione?

Ecco come descrive la situazione Papa Benedetto XVI: “Si è così assistito a interventi di alcuni responsabili ecclesiali in dibattiti etici, in risposta alle aspettative dell'opinione pubblica, ma si è smesso di parlare di certe verità fondamentali della fede, come il peccato, la grazia, la vita teologale e i novissimi. Inconsciamente si è caduti nell'autosecolarizzazione di molte comunità ecclesiali; queste, sperando di compiacere quanti erano lontani, hanno visto andare via, defraudati e disillusi”(Osservatore Romano 11.9. 2009).

B) C’è inoltre, in reazione alla secolarizzazione, la corrente del crescente Fondamentalismo,alquanto più evidente in Asia. In aperta risposta alla forte corrente di secolarizzazione nell’ovest e al suo impatto sul resto del mondo, si dà una robusta riasserzione di tradizioni religiose indigene. E questa tendenza tende ad assumere forme estreme, enfatizzando purtroppo solo certi aspetti esterni di religione: dettagli  superficiali, tradizioni vuote, leggi senza vita, auto-espressioni fanatiche, persino militanza.

Una simile tendenza frequentemente si lega a politiche locali e a forme esagerate di riasserzione di gruppi culturali ed etnici, fino ad arrivare alla violenza. Miti e leggende sono interpretati come storia. I pregiudizi si rafforzano. Si chiudono le porte ai missionari o si restringe l’area delle loro attività (leggi sulla bestemmia come in Pakistan, legge sulla “Libertà di religione” come in India), organizzando resistenze popolari contro attività evangeliche,resistenze che arrivano all’incendio di chiese, ad umiliazioni e persino eliminazioni di personale ecclesiastico.

I nostri giovani sono attirati dalla secolarizzazione, da una parte, e dalle sette pentecostali, dall’altra. Mi chiedo: esiste una opzione moderata, una posizione intermedia fra le due? È possibile essere semplicemente dei credenti convinti e sinceri?

 

2. Globalizzazione contro asserzione di identità locali, regionali ed etniche

A) La Globalizzazione dell’economia è un tema così ampiamente discusso che non ho bisogno di dedicargli molto tempo. Siamo pienamente coscienti dell’impatto che il sistema globale imperante ha su media, visioni del mondo, prospettive, culture e atteggiamenti. Riguardo al possibile contributo della globalizzazione nel creare un sistema comprensibile e praticoche faciliti la collaborazione internazionale:

  1. fin quando offre possibilità di lavoro alla gente del Terzo Mondo
  2. fin quando incoraggia la cultura del lavoro e assicura rimunerazione adeguata
  3. fin quando stimola l’economia
  4. fin quando si possono sviluppare le norme universali che assicurano trasparenza, giustificabilità, responsabilità mutua, onestà verso i deboli e protezione dell’ambiente…  fin lì, la globalizzazione sembra uno sviluppo da accogliere volentieri.

D’altra parte:

  1. fin quando il sistema globale minaccia con la disoccupazione la gente nel mondo sottosviluppato
  2. fin quanto sfrutta la gentedel Terzo Mondo trattandola come massa anonima di ‘lavoro a basso prezzo’
  3. fin quando l’anonimità di un mercato globale senza regole lascia il campo alla manipolazione delle persone e alla deviazione delle risorse in mano illegittime su scala massiccia, destabilizzando l’economia di nazioni intere, danneggiando i gruppi e gli interessi più deboli
  4. fin quando rovina il medio ambiente e danneggia la natura
  5. e, finalmente, fin quando cerca di imporre una  cultura monolitica all’intera umanità con il maggior danno per le culture e i gruppi etnici più deboli del mondo, il sistema ha bisogno di una correzione seria.

B) Il quadro presenta un altro lato: la resistenza alla globalizzazione è evidente.

  1. Coloro che guardano alla dimensione economica fanno notare che le industrie locali e le abilità economiche indigene stanno morendo.
  2. Coloro che ripongono interesse nel campo politicolamentano il fatto che l’autonomia della regione o la sovranità della nazione si sta riducendo.
  3. Coloro che sono orgogliosi della propria identità culturale ed etnicasono inconsolabili al vedere l’erosione giornaliera della loro cultura e l’offuscamento dei confini etnici fino al punto della scomparsa di identità.
  4. Ma altri vanno più avanti. Lanciano ‘guerre di cultura’in dura opposizione. I moderati organizzano gruppi, lanciano programmi e appoggiano movimenti che si propongono di ridare vita a tradizioni, rivendicare retaggi di civiltà affermare identità etniche, promuovere con zelo lingue che stanno morendo e politicizzare religiosamente.
  5. Ci sono anche duri scontri tra differenti gruppi etnici e culturali, sfruttamenti di minoranze e della loro resistenza, genocidi e pulizie etniche.

Papa Benedetto XVI dice che i capi religiosi devono disimpegnare un ruolo significativo nel creare la pace nella società: “La pace, tanto desiderata, nascerà solo dall'azione congiunta dell'individuo - che scopre la sua vera natura in Dio - e dei dirigenti delle società civili e religiose che - nel rispetto della dignità e della fede di ognuno - sapranno riconoscere e conferire alla religione il suo nobile e autentico ruolo di realizzazione e di perfezionamento della persona umana.”(Benedetto XVI parlando agli ambasciatori, Osservatore Romano 23/30.12.2009).

 

3. Abbondanza inutile contro lotta violenta per la Giustizia. Uguaglianza

A) Nel presente sistema globale competitivo i fortunati ammassano enormi fortune. Coloro che hanno il vantaggio di appartenere a nazioni sviluppate o a settori situati in testa alla società, o che partono bene grazie all’educazione o ad altri motivi, si collocano in posizioni migliori se hanno voglia di impegnarsi. Ora, mentre chi muove verso l’alto è abitualmente assai motivato e lavora molto, colui che è già riuscito a farsi una fortuna incomincia, dopo un po’ di tempo, a sentirsi stanco e annoiato.

La noia è frequentemente visibile tra figli e nipoti di chi ha fatto fortuna. Poco a poco si sentono stanchi, senza scopo, direzione, finalità e vanno alla deriva nella vita. Incominciano a sperperare la ricchezza, cercano di sfuggire alla noia vivendo in modo edonistico, si abbandonano alla dipendenzadi alcol, droghe, sesso; trovano una soluzione finale alla stanchezza della vita nel suicidio. Nazioni ricche come Giappone e Korea informano di un numero di suicidi in aumento.

"... se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze " (Benedetto XVI, nella basilica di S.Pietro, 1.1.2010).

Un’abbondanza di ricchezza, o addirittura una relativa uguaglianza di entrate, non crea necessariamente una società felice. L’accumulo di ‘cose’ nelle mani di una persona non le riempie il cuore, non la rende felice. Soltanto la persona può rendere felice un’altra persona.

B) Ci sono anche gli infelici. La gente rimane indietro nella concorrenza accanita oggi, per il successo. Può capitare per colpa propria o di altri o per strutture ingiuste della società. Quando le disuguaglianze incominciano ad aumentare e ad assumere forme rigide, è immancabile che sorgano problemi. Attraverso i secoli ci sono state lotte dei meno fortunati reclamando giustizia per se stessi. Continuano nei nostri giorni in forme diverse:

  1. Alcuni lottatori per la giustizia sono eroi autentici, costantemente fanno appello al senso di onestàimpiantato nel cuore della gente. Cercano di essere giusti con tutti i partiti coinvolti nella lotta per la giustizia. È il modello Gandhi.
  2. Altri adottano metodi violentie riescono a far accettare la loro forma violenta proiettando un’immagine di zelo per l’uguaglianza sociale, l’onestà, la giustizia. Intanto magari mascherano interessi egoistici per dominare sulla comunità e sfruttarne i membri.
  3. Altri possono star mettendo nel sacco gente deprivata come loro, come loro in bisogno di aiuto, avvalendosi della propria abilità di manipolazione delle masse. Così la stessa lotta per la giustizia diventa ingiusta quando i più furbi tra i poveri approfittano di altri in condizioni simili o peggiori.
  4. Il vero lottatore per la giustizia assicura onestà in ogni direzione: a se stesso, al proprio partito o comunità, agli altri partiti, alla gente attorno. Si assicura di non far danni all’economia, nella quale tutti hanno una partecipazione legittima.

 

4. Esagerazioni di vari tipi

Abbiamo visto sopra uno o un altro tipo di esagerazioni. Le incontriamo continuamente nella vita giornaliera. Le nostre esagerazioni personali suscitano resistenza personale(forme esagerate di disciplina religiosa, ascetismo, devozioni contro assenza totale di ogni forma di disciplina religiosa e ascetismo; spinta eccessiva all’efficienza, professionalizzazione e razionalizzazione contro mancanza di mete, piani, ordine, programmi). Ma c’è anche una posizione di mezzo, un punto bilanciato di vista.

L’esagerazione sociale suscita resistenza sociale. Abbiamo già visto come le forme di disuguaglianza portano a lotte violente per la giustizia. In tutti questi casi, se nell’arco di una generazione ci volgiamo in modo fanatico in una direzione, nella generazione seguente il pendolo oscillanella direzione opposta. Come nella vita civile, così nella vita della Chiesa. Penso che Don Bosco ha scelto la strada di mezzo. Egli aveva una maniera moderata di affrontare le cose:

  1. Nessuna esagerazione nella sua pietà.
  2. Il suo ascetismo si limitava a un duro lavoro.
  3. La sua politica era il ‘Padre nostro’: il Regno di Dio e il benessere della gente.
  4. Pienamente con i tempi, ma afferrato a ciò che era centrale all’eredità cristiana.
  5. Perfettamente inserito nelle realtà secolari del giorno, ma la sua vita era caratterizzata da profondità mistica.
  6. Amava la sua nazione, ma aveva uno sguardo universale

Abbiamo vissuto alcuni decenni di tensione nata da vari modi di considerare le cose:

  1. riguardo alla nostra fede cristiana
  2. riguardo alle norme che guidano vita, culto e organizzazione cristiana
  3. riguardo a norme che si riferiscono a vita religiosa, impegno religioso e vita comunitaria
  4. riguardo alla natura della nostra missione nel mondo: servizio sia alla sfera secolare che a quella religiosa 

Siamo stati stiracchiati in direzioni differenti. Abbiamo visto idee buone e creative portate troppo lontano, fino a diventare contro-producenti.È possibile assumere una posizione intelligente, bilanciata e impegnata in una varietà di scelte tra opinioni diverse? Riguardo, per esempio, a:

  1. libertà dell’individuo – e responsabilità verso famiglia e comunità
  2. autonomia del secolare – e visione di fede che qualifica anche il secolare
  3. asserzione della propria cultura – e senso di appartenenza alla più ampia famiglia umana
  4. preoccupazione per ambiente ed equilibrio ecologico – preoccupazione anche per economia e sviluppo economico
  5. inculturazione della liturgia – e senso del sacro e rispetto delle norme liturgiche
  6. innovazione nella vita e nel servizio cristiano – e continuità di tradizione e orgoglio di storia ed eredità.

Lo stesso si può affermare delle nostre lealtà salesiane:

  1. affermazione del socio come individuo – e sua relazione con la comunità
  2. una atmosfera comunitaria che incoraggi l’iniziativa personale – e rispetto per il ruolo dell’animatore che guida la vita comunitaria e l’apostolato
  3. costrizioni provenienti dalle situazioni contestuali e culturali – e valori salesiani universalmente validi
  4. affermazione dei propri diritti come socio – e richieste del Vangelo
  5. amore e lealtà alla propria patria e cultura – e attaccamento a Don Bosco, alla sua pedagogia e spiritualità.

La lista è infinita. C’è un modo di armonizzare cose che sembrano opposte Gli asiatici crediamo che, all’armonizzare gli elementi, collochiamo le fondamenta di un futuro certo e costruiamo il nostro destino. Di Buddha si dice che ha scelto il Sentiero Intermedio tra l’austerità estrema e una vita di grande lusso.

Che buon senso e fede sincera (ragione e religione) ci mantengano percettivi, svegli e bilanciati. È un modo per ottenere che “tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). E così mettere in pratica quanto abbiamo “imparato e ricevuto” da Don Bosco e dalla sua tradizione.

 

5. Rispondere all’ispirazione di Dio nel contesto

Abbiamo guardato la situazione. Comprendere la situazione è già metà della soluzione. È rispondendo alla voce di Dio nel contestoche diventiamo innovativi. Egli ci chiama come ha chiamato Gedeone o Iefte o Mosè o i profeti. Egli ha suscitato Don Bosco per rispondere a un bisogno specifico della società, come ha fatto con Madre Teresa a Calcutta e Padre Damiano a Molokai. E oggi Dio colloca noi in questo mondo che si globalizza rapidamente, affidandoci una grande responsabilità riguardo alla società del nostro tempo.

La risposta corretta alle tensioni della secolarizzazione da una parte e del fondamentalismo dall’altra è l’evangelizzazione vera. Per noi missionari ciò è centrale. Gesù deve essere annunciato in ogni contesto (GC26, 24). Cercare la pecora smarrita ha la stessa importanza. Una delle ragioni per cui sbagliamo può essere che offriamo ai giovani e alla società risposte a domande che essi non formulano, porgiamo aiuti che non cercano. Non commetteremo mai questo errore se siamo abbastanza vicini alla gente.

Papa Benedetto XVI recentemente a un gruppo di vescovi ha detto: "E 'nostro compito non lasciarlo (fede) rimane solo una tradizione, ma di riconoscerla come risposta alle nostre domande"(Osservatore Romano 1.7.09).

  1. L’arte della presenza – essere presenti tra la gente

È qui che si trova il segreto dell’esito di Don Bosco: mantenerci accanto alla gente che vogliamo aiutare. Per i salesiani ciò significa stare con i giovani. Per i missionari si riferisce anche ai fedeli, alla gente ordinaria, contadini, lavoratori, immigranti, rifugiati, ragazzi delle baraccopoli, gente sradicata dalle proprie comunità, persone indigenti senza aiuto, giovani a rischio, tutti (GC26, 98).

Le persone si radicalizzano e assumono posizioni estreme, vanno oltre i limiti, adottano posizioni aggressive o sviluppano modalità ingannevoli quando non hanno un senso di appartenenza (a una famiglia, comunità, fraternità, gruppo di solidarietà, rete di amici). La radicalizzazione stessa è espressione di fame di solidarietàe di mutua appartenenza. La gente si raggruppa facilmente attorno a un’idea, una nuova ideologia, uno sbocco, una causa, una protesta, un programma di azione, una campagna contro qualcosa percepito come ingiustizia.

Però vi sorprenderà scoprire che persino i gruppi radicali si fanno attenti davanti a un punto di vista equilibrato,rispettano la vera saggezza anche quando danno l’impressione di ignorarla. 

“Con la vostra vicinanza (alla gente) e la vostra parola, con l'aiuto materiale e la preghiera, con la chiamata al dialogo e allo spirito di intesa che ricerca sempre il bene comune del popolo, e con la luce che viene dal Vangelo, volete rendere una testimonianza concreta e visibile dell'amore di Cristo…”(Benedetto XVI ai vescovi dell’Argentina, Osservatore Romano 13.4.09).

Presenza significa disponibilità: disponibilità quando la gente ci cerca, disponibilità quando siamo noi che usciamo per andar ad incontrarla nelle sue situazioni di vita. È un metodo di evangelizzazione che non può fallire. Vediamo Gesù che esce continuamente; la stessa cosa fa Paolo; così fanno i missionari. Presenza significa incontro,interazione, vicinanza umana, non soltanto vicinanza geografica.

  1. L’arte di comprendere (persone e culture)

Abbiamo parlato di vicinanza umana, che implica comunicazione. Che a sua volta implica comprensione. Non si dà comunicazione, non si dà nessun vero incontro, senza mutua comprensione. È un grande complimento per un missionario essere descritto come ‘persona comprensiva’ Il nostro rivolgerci agli altri non può diventare efficiente se non quando comprendiamo le persone e le situazioni coinvolte.

Un salesiano capisce molto bene il bisogno di riconoscere la diversità di caratterenelle persone per aiutarle. Le norme di psicologia ci possono guidare, se non ci lasciamo intrappolare ciecamente da esse. Un missionario capisce il bisogno di riconoscere la diversità delle cultureper aiutare persone che provengono da culture e civiltà diverse (GC26, 29). Possono costituire un appoggio l’antropologia e altre scienze sociali (GC26, 30).

Permettetemi di aggiungere ancora una parola sulla cultura. Quando entriamo in dialogo con una cultura dobbiamo andare oltre l’ammirazione della sua dimensione artistica e raggiungere la comprensione delle diverse visioni del mondo, atteggiamenti mentali, pregiudizi ereditati, priorità interne, costrizioni e inibizioni che spontaneamente nascono nelle persone di quella cultura (GC26, 26). La prima cosa da fare è riconoscere che esiste ciò che si chiama schema-significativoche guida la tua vita. Devi identificare le configurazioni della tua propria cultura attraverso la tua auto-consapevolezza, tradurre i significati di chi dialoga con te nel tuo proprio schema-significativoe aiutare lui a capire il tuo significato grazie a spiegazioni comprensibili.

"... ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio"(Benedetto XVI, Udienza Generale 17.6.09, Osservatore Romano 24.6.09).

Negli ultimi anni il dialogo interculturale e interreligioso ha cercato di ampliare la zona condivisa dalle comunità e di servire l’umanità in modo deciso (GC26, 26).

Nel mondo globalizzato odierno non si può essere ciechi davanti alle forze dell’economiase si vuole essere di aiuto a persone e comunità nei loro sforzi per risolvere problemi. La nostra lotta per la giustizia e i diritti avrà un futuro soltanto se non ignora l’economia. Ognuno ha un interesse investito in essa. D’altra parte l’economia che ignora i diritti delle persone che sono cointeressate in essa, alla larga è destinata a fallire. Quindi il nostro dialogo può avere un senso solo se prendiamo in considerazione anche tali realtà economiche e altre realtà sociali. Allo stesso modo, in nessun momento si possono ignorare i principi etici.

“Tutti sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è proprio un deficit di etica nelle strutture economiche; si è capito che l’etica non è una cosa ‘fuori’ dall’economia, ma ‘dentro’ e che l’economia non funziona se non porta in sé l’elemento etico”. (Benedetto XVI, in volo all’Africa, Osservatore Romano 23.3.09).  

  1. L’arte di rispondere – a contesti, ostacoli

L’opera di Don Bosco ha continuato a svilupparsi e a crescere lungo tutta l’esistenza del nostro fondatore. Egli si è mantenuto creativo e vigilante, rispondendo ai bisogni della situazione e alle possibilità del tempo. Le possibilità in una situazione specifica sono frequentemente limitate. Nell’area dell’evangelizzazione ciò che si può fare in Korea può essere non fattibile in India. Quello che si può fare in India magari non è permesso in Myanmar o Saudi Arabia. Comunque, anche nelle difficoltà, c’è un modo di reagire a ogni situazione e di rispondere ai bisogni di ogni persona. Anche una forte opposizione,come è successo in Orissa (India), racchiude un messaggio per noi Impariamo, rispondiamo, cambiamo strategie e sfondiamo.

Traduciamo il messaggio ai bisogni della gente di varie categorie: ragazzi intenti ai loro giochi, intellettuali nelle università, politici impegnati nelle nuove elezioni, giovani alla ricerca di impiego, persona ferita in incidente, povero che sta morendo in una casa di Madre Teresa. Quando non riusciamo a farlo, perdiamo una causa, siamo irrilevanti.

C’è chi ha sviluppato l’arte di ‘procedere oltre’ le realtà visibili. Rivolgendosi alla Pontificia Università Lateranense in occasione del 400º anniversario dell’uso del telescopio, Papa Benedetto XVI ha affermato: “Chi guarda al cosmo, seguendo la lezione di Galileo, non potrà fermarsi solo a ciò che osserva con il telescopio, dovrà procedere oltre per interrogarsi circa il senso e il fine a cui tutto il creato orienta.” (Osservatore Romano 9.12.2009).

Per noi salesiani è familiare la frase “la parola all’orecchio” di Don Bosco: una parola che fa al caso ed è necessaria nel contesto Portiamola a una situazione di vita più ampia. Anche nel pieno trambusto della vita, nel bel mezzo di contraddizioni, una parola significativa,un suggerimento utile può catturare l’attenzione, toccare il cuore, cambiare la vita. Un messaggio può trasformare comunità intere, se è pertinente:

  1. in contesti di conflitto, un messaggio di pace (GC26, 83)
  2. in situazioni di divisione, un messaggio di unità
  3. quando la natura è vandalizzata, rispetto per l’ambiente
  4. quando la famiglia è minacciata, enfasi sui valori familiari
  5. quando il bambino non ancora nato è in pericolo, preoccupazione per la vita
  6. nel contesto della manipolazione genetica o dell’eutanasia, una presa di coscienza della dignità della persona umana e un senso profondo di responsabilità
  7. quando le etiche commerciali sono dimenticate, un richiamo affinché si presti attenzione agli immutabili principi di integrità
  8. dove si presenta  un’opportunità di collaborazione ecumenica per il bene comune, un invito a lavorare insieme
  9. quando spuntano idee teologiche discutibili o si propongono nuove teorie educative dubbiose, valutazione responsabile delle proposte in vera saggezza e fede.

Non siamo soli in questa missione. Oggi ci sono molti volontari, agenzie ecclesiali e movimenti (GC26, 26) con cui possiamo unire gli sforzi: così si irrobustisce il nostro potere di persuasione. Si osservano inoltre meravigliosi esempi di uguali che evangelizzano uguali (GC26, 29).

  1. L’arte della persuasione

Alcuni pensano che non riusciamo ad evangelizzare il mondo perché non ci sono abbastanza persone che proclamino la verità con voce alta e chiara. Io vorrei aggiungere qualcosa di più: non ci sono abbastanza persone che abbiano sviluppato l’arte della persuasione.I nostri nemici ci accusano di convertire altri con i metodi della forza, della frode e della lusinga. L’unico modo che noi conosciamo è quello della persuasione:

  1. quando la verità è combinata con l’amore
  2. trasformata in preoccupazione, in impegno e caldo rapporto
  3. combinata anche con rispetto per l’individualità della gente e la sua cultura
  4. combinata ancora con la saggezza contestuale, pertinente, riadattata alla necessità
  5. combinata finalmente con la bellezza. Perché, come dice Dostoevsky, “L’uomo può vivere senza scienza, può vivere senza pane, ma senza bellezza non potrebbe più vivere…”.

La persuasione è tutta cosa d’amore. “Fatevi amare”, ha detto Don Bosco. Quando siamo veramente e intimamente vicini a una persona, basta un sussurro per comunicare. Una volta ho scritto un articolo: “Sussurrare il Vangelo all’Anima dell’Asia”. A molti è piaciuta l’idea. Non rigettavo l’idea della proclamazione, lì dove essa era possibile e utile. Ma se passiamo la barriera di culture e identità nazionali ed etniche e siamo vicini a qualcuno, perfino un sussurro può valere molto.

Sappiamo che non è la sola logica che comunicao convince. La vita nella sua pienezza offre qualcosa di più:

  1. C’è l’eloquenza naturale del servizio impegnato, disinteressato.
  2. C’è il potere dell’esempio.
  3. C’è il potere del simbolismo religioso.
  4. C’è la gentile persuasione dell’arte religiosa. Hermann Hesse ha detto: “Arte significa rivelare Dio in tutto ciò che esiste”.
  5. C’è l’attrattiva delle pratiche religiose (GC26, 30).
  6. C’è l’attrazione dei canti devozionali.
  7. In India, i santuari e i centri di pellegrinaggio hanno potere di attrazione.
  8. Molti sono impressionati dalle grazie che ricevono in risposta alla preghiera.
  9. Molti sono toccati dalla profondità che osservano in un credente religioso (GC26, 27).
  1. L’arte di portare la gente alla convinzione e all’impegno

Un passo ulteriore è l’arte di convincere. Una persona che è lei stessa profondamente convinta ha certamente un vantaggio, ma ciò non è tutto quando si tratta di condividere il Vangelo. Non sempre la gente ha una inclinazione religiosa. La maggioranza è presa dai propri affari di ogni giorno, soddisfatta delle sue convinzioni secolari o felice delle proprie tradizioni religiose. Come trarla da dove si trova e portarla a un livello più profondo di convinzione e di impegno religioso? Dovremo sempre incominciare dal problema che sta affrontando,il dubbio che ha, le emozioni che cerca di controllare, la disperazione da cui vorrebbe emergere.

“…la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede , animati cioè dal santo timore di Dio. In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio…” (Papa Benedetto XVI, riflessione all’Angelus,10.3.2010).

Si danno momenti seripersino nella vita delle persone più superficiali. Questionano se stessi in momenti di crisi, ansietà, tensione : uno tsunami, un ciclone, un terremoto.

Il Cardinale Tarcisio Bertone ha pronunciato queste commoventi parole a L’Aquila dopo il terremoto: "La morte rende tangibile il fatto che tutto ciò che può cessare in un istante, le cose e progetti. Tutto finisce; resiste solo l'amore ... e trionfa su tutto. Solo Dio, che è l'amore dura"(Osservatore Romano 13.4.09).

Ci sono giovani che non questionano mai seriamente se stessi fin quando non si trovano coinvolti in un incidente, o i loro migliori amici li tradiscono, o vivono una crisi familiare, o sono nei guai in qualche altro modo. Cercano chi li comprenda. A volte il silenzio può comunicarepiù delle parole, la commiserazione più della lusinga, la condivisione dell’ansietà più dei suggerimenti precipitati di soluzione. Persino un poveruomo desidera qualcosa più soddisfacente di un rammendo d’emergenza: in lui c’è fame di Dio.

È a questo che si riferiva Papa Benedetto XVI all’affermare: "In questo deserto senza Dio, la nuova generazione si sente una profonda  sete di trascendenza" (ai vescovi del Brasile, Osservatore Romano 16.9.09). Ogni persona umana anela a ciò che ho chiamato frequentemente ‘il Misticismo del Momento Breve’,un breve momento di preghiera. Ella trae nutrimento dall’autenticità, serietà religiosa e convinzioni profonde dell’evangelizzatore che le addita Gesù.

Possano altri milioni di persone avvicinarsi a Lui e dire con il centurione: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39).

 

 

INTERVENTO 4

DARE UN'ANIMA ALL'EUROPA
Stimoli e sfide per l'orientamento della Congregazione Salesiana in Europa

Mons. Adriano van Luyn, SDB
Vescovo di Rotterdam, Olanda

 

Nel commento alla strenna dell' anno 2009, in cui ricorreva il 150° anniversario della fondazione della Società Salesiana il nostro Rettor Maggiore ha affermato «Non dimentichiamo mai che siamo stati fondati da un santo della carità sociale» e ha parlato di una "nuova fase" della nostra missione, segnata dalla stessa carità pastorale di Don Bosco, in risposta alle nuove urgenze del nostro tempo. «Oggi i tempi sono diversi e anche le condizioni in cui ci troviamo a vivere la vocazione salesiana sono mutate: ciò ci domanda una continua riflessione e un risposta aggiornata alle nuove sfide. Non sono cambiate, invece, la missione salesiana e le sue finalità, i destinatari, ... i criteri». Ilcarisma di Don Bosco ci ispira «a promuovere la trasformazione della società, a rimuovere le cause profonde di ingiustizia, di povertà, di esclusione, a potenziare la crescita della persona umana nella sua dignità, ad evangelizzare i giovani, soprattutto i più poveri» (ib.).

Il R.M ha elencato varie sfide concrete come: la famiglia da promuovere, la vita da custodire, l'educazione, i diritti dei minori, il problema della pace, la questione della donna, la salvaguardia del creato, la solidarietà globale... e ha sottolineato con vigore l'appello del CG 26 (n. 107) ad «educare alla responsabilità per i diritti umani in tutte le nostre attività e opere». I diritti umani «intaccano lo `status quo', le strutture del potere e gli stili di vita dominanti, i modelli di consumo; essi sono un potente mezzo a nostra disposizione per la promozione e la protezione dei minori, più a rischio, più deboli, più bisognosi» (ib.). I diritti umani sono da «valorizzare come storicizzazione del progetto di Dio», perché essi hanno come «fondamento... il dato ontico della dignità di ogni persona umana» (ib.).

In fine ha sottolineato l'appello delle nostre Costituzioni: a discernere continuamente le urgenze del momento attuale e dei luoghi in cui operiamo: «Seguire il movimento della storia e assumerlo con la creatività e l'equilibrio del Fondatore, verificando periodicamente la propria azione» (Cost. 19).

Le nostre Costituzioni ci esortano più volte a rispondere tempestivamente alle urgenze del momento e dei luoghi, e quindi a discernere i segni dei tempi. Come Congregazione intera con particolare intensità nel Capitolo Generale : «una riflessione comunitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi» (Cost. 146).

Ciò suppone un'analisi critica del mondo sociale e politico del proprio paese (oppure continente o federazione/unione di stati). Le Costituzioni elencano tra gli obiettivi del nostro servizio educativo pastorale : «la promozione sociale e collettiva» e affermano « Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l'ingiustizia e la violenza, e cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell' uomo » (Cost. 33). La nostra Congregazione è chiamata a fare sue «le legittime aspirazioni dei poveri ad una società più umana» (Cost. 79) e a dare un contributo critico e qualificato al dibattito pubblico a tutti i livelli, denunciando le strutture economiche che producono spereguazioni e invitando i responsabili a eliminare le cause dell' esclusione sociale.

I salesiani non possono tenersi in disparte, ma devono diventare alleati attivi di tutte le forze nella Chiesa e nella Società che si impegnano per una società più umana e umanizzante. Dobbiamo formare non solo «onesti cittadini e buoni cristiani» (Cost. 31), ma «li educhiamo alle responsabilità morali, professionali e sociali» (Cast. 33), formando dei «leaders» per la società civile di domani, anche attraverso la coscientizzazione e educazione all' impegno politico.

Questa creatività e verifica sono più che mai attuali e urgenti nella attuale crisi finanziaria globale. La causa della crisi non va cercata tanto nella mancanza di regolazione, di trasparenza, di responsabilità giuridica, ma piuttosto nel modello discutibile della nostra società moderna, un modello che punta sul consumo aggressivo e illimitato di risorse limitate. La causa profonda della crisi finanziaria si trova in un errato ordinamento di valori, in una mancata gerarchia di valori, a scapito dei fondamenti della convivenza umana - che formano pure con diritto i principi essenziali della dottrina della Chiesa -, ossia: la dignità inviolabile della persona umana, e il bene comune che supera tutti gli interessi particolari e abbraccia in ultima analisi tutta l'umanità, oltre i confini dello spazio e del tempo.

La crisi finanziaria rivela una crisi morale e spirituale, ed è nostro compito farne un'analisi critica, in base alla dottrina sociale della Chiesa e della nostra missione salesiana.

Nel discorso al Congresso della Comece a Roma nel marzo 2007 - in occasione del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma - Benedetto XVI ha avvertito rischi seri, che minacciano gli sviluppi europei, come la mancanza di un sano equilibrio tra la dimensione economica e quella sociale, il calo demografico, mancanza di solidarietà internazionale, mancanza di consenso circa valori umani fondamentali, relativismo etico, marginalizzazione del contributo essenziale del Cristianesimo, dubbi circa la propria identità.

Il Papa ci ha esortati come cristiani di non stancarci e di non scoraggiarci, ma di “contribuire a edificare con l'aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo... Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell'odierna civiltà, denunciando però tutto ciò che è contrario alla dignità dell'uomo[1]”.

 

I. Un problema di "meta-politica"

“Si tratta, infatti, di una identità (europea) storica, culturale e morale prima ancora che geografica, economica o politica, un' identità costituita da un       insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell'Europa. Tali valori costituiscono l'anima del continente e devono restare nell'Europa del terzo millennio come ‘fermento di civiltà’” (Discorso S. Padre).

Il problema del rapporto tra i valori ultimi e le decisioni politiche appartiene alla "meta-politica". Esso trascende la competenza della politica. Non è la politica e nemmeno lo Stato di diritto democratico che fanno nascere i valori umani essenziali. Questi valori non devono la loro origine e validità alla politica né allo stato democratico, devono però essere protetti e garantiti dallo stato. Sono predeterminati con la stessa esistenza umana, sia a livello della singola persona che a livello dei rapporti interpersonali. Non spetta ai politici determinare quali sono i diritti della persona umana né a stabilire il loro contenuto. Come tutti i cittadini, essi sono chiamati a rispettare questi diritti e a farli rispettare, e ciò precisamente sulla base della funzione che loro è stata affidata in quanto politici.

In una nota dottrinale sull'apporto dei cattolici nella vita politica (novembre 2002), il Cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, rivolse ai cattolici l'appello di non rassegnarsi di fronte ai compromessi democratici riguardanti i valori. “Se il cristiano è tenuto ad "ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali” (GS 75), egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, che ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”[2].

Dopo la sua elezione a Papa, Benedetto XIV ripete la stessa pronunzia nell'incontro con i partecipanti di un congresso del Partito Popolare Europeo (30 Marzo 2006). “Il tema principale degli interventi della Chiesa cattolica nel dibattito pubblico riguarda la protezione e la promozione della dignità della persona, e essa dà particolare attenzione ad alcuni principi che non sono negoziabili”. Il Papa elenca poi alcuni di questi principi: il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, il riconoscimento e la promozione della famiglia come unità naturale dell'uomo e della donna basata sul matrimonio, e la protezione del diritto dei genitori ad educare i propri figli. E aggiunge: “questi principi non sono verità di fede, anche se dalla fede sono ulteriormente chiariti e confermati. Sono iscritti nella stessa natura umana e pertanto sono comuni all'umanità intera, L'impegno della Chiesa per loro promozione non è legato alla fede, ma riguarda tutte le persone, senza distinzione di religione o di visione della vita. Da un altro lato, tale azione è tanto più necessaria, quando questi principi sono negati o compresi in maniera errata, poiché significa in questo caso una violazione della dignità della persona umana, e una seria infrazione della stessa giustizia[3]”.

La dignità della persona umana è incondizionata. I diritti umani riguardano valori che sono dati precedentemente a qualsiasi legislazione di un qualsiasi stato, e quindi precedentemente ad ogni decisione politica. Questo punto di partenza non è negato esplicitamente quasi da nessuno. Non è lo stato che legittima i diritti umani, ma sono questi diritti che costituiscono lo stato.

Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, accettata dal Consiglio Europeo a Nizza nel 2000, i “valori indivisibili e universali della dignità umana, e della libertà, uguaglianza e solidarietà” sono menzionati come fondamenti dell'Unione Europea. Riguardo alla dignità umana si dichiara esplicitamente che essa è “inviolabile” e “deve essere onorata e rispettata[4]”.

Che cosa accade, in questo ambito, quando la maggioranza della popolazione o dei loro rappresentanti impone tuttavia interpretazioni o misure restrittive? D'altronde lo stato di diritto democratico come tale quale garanzia offre che le maggioranze democraticamente elette prendano delle decisioni responsabili e giuste? Non si può escludere che il punto di vista di una minoranza sia maggiormente rispettosa dei valori fondamentali irrinunciabili. Dove trovare una risposta a questi interrogativi?

 
II. Contributo della fede cristiana al dibattito sui valori

Papa Benedetto XVI ha ribadito l'auspicio che esso (il Trattato Costituzionale Europeo) tuteli i valori naturali fondanti la dignità umana, salvaguardi i diritti istituzionali delle Chiese e riconosca esplicitamente il patrimonio cristiano di questo continente. Tale riconoscimento non conferirebbe un carattere confessionale all'Europa e nemmeno contrasterebbe con la sua laicità ... proprio per tutelare il valore della sana laicità in Europa è necessaria la presenza del Cristianesimo, espressione tangibile di una realtà che esiste e trascende i regni di questo mondo[5]

Qual è il contributo specifico della fede cristiana a questi interrogativi che riguardano l'ambito pubblico?

a) ancoraggio trascendente

L'apporto maggiore, specifico e maggiormente critico alla cultura e alla società consiste in ciò che la fede cristiana ancora i valori fondamentali in un rapporto trascendente, cioè in un Dio Creatore e Redentore, che ha stabilito in Cristo un'alleanza d'amore con gli uomini, Ne scaturisce una visione dell'uomo e del mondo, che offre una coerenza nello spazio e nel tempo, e apre una prospettiva su una realtà che trascende la “ratio” e tutto ciò che è percebile con i sensi. La consapevolezza religiosa che vi esiste un Dio, che è in ultima analisi garante contro l'arbitrio e la prepotenza da qualsiasi parte, costituisce una garanzia contro la dipendenza da maggioranze politiche alterne, contro compromessi relativistici, contro preferenze individuali e le illusioni del giorno, contro predominio economico e pragmatismo.

Senza tale radicamento in Dio il principio della “human dignity” perde la sua forza inviolabile, come si è drammaticamente verificato sotto i sistemi totalitari del nazismo e del comunismo nel secolo passato, e come purtroppo anche nel nuovo secolo di continuo si manifesta in massicce violazioni di diritti umani e nelle inumane condizioni di vita di milioni di persone nei continenti poveri. L'ancoraggio dei valori umani fondamentali è nell'esperienza di Dio della fede rivelata. Essi sono, infatti, precedenti all'esistenza umana e alla società umana, vale a dire: sono dati insieme con la natura umana com'è stata creata da Dio.

“Perciò il miglior servizio che i cristiani possano offrire ai loro contemporanei consiste nel proporre loro un mondo e un’etica con Dio. A questo fine è necessario rovesciare radicalmente il paradigma dell'Illuminismo radicale, giacché un mondo senza Dio conduce a un mondo senza l'uomo. I cristiani oggi devono fare quanto fece Pascal al suo tempo: sfidare i suoi amici non credenti a pensare un mondo a partire dalla possibilità che Dio esista. Come in un tempo di conflitti religiosi, l'ipotesi ‘etsi Deus non daretur’ è servita per creare una base etica che permetteva di vivere insieme al di sopra di questi conflitti, così un pensare etico attuale 'etsi Deus daretur' può ottenere lo stesso risultato in una società che senza Dio soccombe alle proprie contraddizioni[6]”.

Tale ancoraggio dei valori umani esclude un falso concetto di "autonomia", inteso nel senso di illimitato diritto all'autodeterminazione, che di fatto distoglie l'uomo completamente dalla solidarietà con il prossimo, dalla convivenza umana di cui fa parte e dalla natura umana in quanto natura creata.

L’“autonomia” non può essere senza “eteronomia” e ciò in un duplice senso: l'uomo si trova in relazione con l'altro, il prossimo, e con l'Altro, il Creatore dell'uomo e del mondo. Nell'incontro con l'altro, l'uomo non incontra un qualsiasi altro “io autonomo”, ma incontra un altro verso il quale ha responsabilità, come ha pure responsabilità verso Dio, il suo Creatore. Secondo l'espressione classica: la libertà umana va di pari passo con il riconoscimento di stare “sotto la legge di Dio”. Ciò avviene concretamente quando “nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce [...] lo chiama sempre, ad amare e a fare il bene e a fuggire il male[7]”.

b) legame tra morale personale e pubblica

Vitalità economica e provvedimenti sociali altamente qualificati per sé non sono ancora garanzia di felicità, non offrono un senso di vita generale coerente, non producono automaticamente la solidarietà reciproca e la pace. Spetta all'autorità provvedere, creare le necessarie condizioni, offrire garanzie, che fanno giustizia al vero benessere dei cittadini. La nostra società moderna, altamente organizzata, ha indubbiamente tratto valori importanti dall'ethos dell'Illuminismo, che ora sono fissati in sistemi e strutture: la divisione dei poteri, il controllo pubblico sull'esercizio del potere, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, l'equa divisione degli oneri e dell'assistenza sociale. Ma anche laddove le “strutture di giustizia” - questa moralità oggettiva nei sistemi sociali - funzionano bene, l'esigenza di un'etica personale (come base della società) non è diventata superflua come tantomeno la religione è diventata superflua per la promozione di tale ethos. Uno stato assistenziale perfetto può infatti condurre a l'esperienza del vuoto, all'arbitrio individualistico nell'approfittare dei diritti, oppure al sentimento di vivere in un cattivo orfanotrofio, dove sei curato bene, ma dove nessuno ti ama veramente. Se la morale privata è trascurata, e mancano pure legami morali che fondano la convivenza, ciò si ripercuote poi sulla morale pubblica e disintegra la società.

c) promozione dei consenso sui valori fondamentali

Il ruolo della religione non consiste soltanto nell'incrementare la motivazione dell'agire etico a livello personale. Essa contribuisce anche a incrementare la riflessione sui valori comuni, che costituiscono la nostra motivazione per agire in senso comunitario, e ciò anche in assenza di prescrizioni di legge. Tale riflessione riguarda l'immagine dell'uomo, la visione del mondo e i principi del bene e del male, come pure la connessione e l'ordinamento dei valori essenziali. Alcuni valori sono superiori rispetto ad altri, che sono relativi e che non devono mai essere trattati come se fossero assoluti. L'eccessiva accentuazione della libertà individuale va a scapito della responsabilità e della solidarietà.

S'impongono però anche altri interrogativi, ad esempio: Quale via scegliere, quando due valori risultano conflittuali? Come raggiungere un consenso di base riguardo ai valori fondamentali, che sono normativi per un'organizzazione umana della convivenza nelle grandi città, nei nostri paesi e nel nostro continente? Come superare i contrasti tra individui e società, tra libertà e responsabilità, tra autorità e libertà, tra iniziativa personale e vincoli posti dalle strutture della società, tra interessi personali e bene comune, tra la logica dell'utile e la gratuità, tra funzionale e relazionale, tra l'auspicabile unità e i vantaggi della diversità?

Tutte queste domande trovano una risposta nell'insegnamento sociale della Chiesa. Recentemente questo insegnamento sociale è stato chiamato “il segreto della Chiesa meglio conservato”, con allusione al fatto che nella comunità cristiana è troppo poco conosciuta. E' stato grandamente opportuno che il Consiglio Pontificio Justitia et Pax ne abbia pubblicato nel 2004 un “compendio[8]”.

 
III. La dottrina sociale della Chiesa

“Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo, anche a causa della globalizzazione dell'economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un'indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei suoi confini: questi orientamenti - di fronte al progredire dello sviluppo - devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell'uomo e del suo mondo” (Deus Caritas Est, 27).

La Chiesa cattolica considera come parte del proprio compito `monitorare', alla luce dei principi evangelici, l'esercizio di governo da parte delle strutture politiche. In questo modo essa spera di contribuire alla formazione dell'opinione pubblica nella società e di promuovere nell'ambito della “civil society” il dialogo tra fede e politica. La separazione tra Chiesa e Stato, che è un gran bene, non implica la separazione tra fede e politica. Un importante criterio di verifica a questo riguardo è dato dalla “Dottrina sociale della Chiesa”, con i suoi due principi fondamentali, da un lato la “human dignity” e dall'altro il “common good”.

a) dignità umana / human dignity

“Una comunità che si costruisce senza rispettare l'autentica dignità dell'essere umano, dimenticando che ogni persona è creata a immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno” (Discorso Santo Padre).

Quarantacinque anni fa il Concilio Vaticano II hapromulgato la “Dichiarazione sulla libertà religiosa”, nota e citata sotto il titolo: “Dignitatis humanae” ossia “Human Dignit”[9]. “Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone”, così l'inizio del documento.

I diritti umani radicano in questa inalienabile dignità, creata da Dio, “a Sua immagine e somiglianza”, donata a tutti gli uomini in uguale misura. E particolarmente il diritto di libertà religiosa, perché ogni persona, libera da qualsiasi forma di pressione, secondo la propria scelta e la propria coscienza, possa aderire a una visione della vita, nel privato e nella vita pubblica, da solo o insieme con altri. Questo diritto è inviolabile e nell'ordinamento giuridico della società deve essere riconosciuto come diritto civile. Non può essere impedito, a condizione che non sia violato il giusto ordine pubblico. Ad ogni modo il Concilio unisce questo diritto con il dovere di ogni uomo di cercare sinceramente la verità, soprattutto riguardo agli ultimi interrogativi dell'esistenza umana, della sua origine e del suo destino, e con il dovere di formarsi prudenti e corretti giudizi di coscienza.

A questa responsabilità personale inalienabile il Concilio ricollega la responsabilità sociale: ognuno deve tener conto dell'altro, che gode uguali diritti, e dei propri doveri verso l'altro. Ciò implica il rispetto della persona altrui, nessuna forma di pressione o di blocco della libertà, nessuna discriminazione o violenza contro persone di altre convinzioni, ma giustizia accompagnata da umanità. Le autorità devono garantire a ogni livello questi diritti fondamentali. “La dignità umana è il valore fondamentale della dottrina sociale cristiana, che deve essere rispettata e perseguita in tutte le attività umane[10]”.

Questi diritti umani riguardano in primo luogo ciascuna persona umana, senza eccezione, tutte sono di uguale dignità. E', pertanto, inaccettabile che tante persone si trovino di fatto private di questo diritto, a causa di condizioni inumane di vita come povertà, oppressione, discriminazione, mancanza di istruzione, esclusione sociale, mancanza di cure mediche, oppure a causa di violenze, terrorismo e guerra.

Inoltre valgono per l'uomo integrale. L'uomo è più delle sue funzioni o delle sue capacità, più di ciò che possiede o di ciò che è in grado. Non è un “individuo” chiuso in se stesso, autosufficiente, ma è essenzialmente chiamato a crescere e diventare una vera “persona” umana, e quindi in relazione con le altre persone e con la convivenza delle persone. Le relazioni interpersonali non si possono cogliere in categorie materiali e calcolabili, ma ciò non toglie che si possa fare autentica esperienza di questa realtà. Sono precisamente queste relazioni che rendono “umano” l'uomo. L'uomo non è soltanto un essere fisico, ma anche un essere psichico, sociale e politico, culturale, morale, spirituale. E' un essere vivente indivisibile, senza dualismo o riduzione. E' appunto la dimensione spirituale che costituisce l'uomo capace di completa crescita e realizzazione di sé, nel senso voluto da Dio e stimolato dal Suo Spirito.

L'uomo “integrale” comprende in particolare le relazioni con il prossimo e con la Realtà che ci trascende. Per questo motivo è auspicabile e necessario che a qualsiasi livello vi sia maggiore attenzione e cura per l'uomo in quanto “pneumatikos” - cioè in quanto essere spirituale.

b) bene comune o “common good”

“Sono certo che Iddio non mancherà di benedire lo sforzo generoso di quanti, con ispirito di servizio, operano per costruire una casa comune europea dove ogni apporto culturale, sociale e politico sia finalizzato al bene comune” (Discorso del Santo Padre).

Il secondo principio - complementare al primo - è il bene comune, il “common good” della società. Tutte le persone, infatti, fanno parte della società di persone, l'una ha bisogno dell'altra, esse sono interdipendenti, tutte insieme responsabili per creare, all'interno di un ordinamento pacifico e giusto, le migliori condizioni possibili perché a tutti sia garantita un'esistenza umana e umanizzante. Il bene comune è lo scopo di questo insieme di condizioni sociali e politiche, di modo che sia resa giustizia alle necessità di base per l'esistenza di ciascun membro della società, mentre nello stesso tempo a ogni membro sono aperte reali possibilità di assumere responsabilità per la propria vita e, proporzionalmente, corresponsabilità per la vita degli altri. E' compito dell'autorità, a ogni livello, fare in modo che la sua politica sia a servizio di questo bene comune. Ciò si realizza incrementando lo sviluppo integrale di gruppi e di singole persone, e proteggendo le persone povere e vulnerabili.

Inoltre il bene comune non può essere interpretato in senso restrittivo limitandolo alla comunità concreta di cui noi facciamo direttamente parte. Siamo pure inclini a ciò e troviamo che questo sia già assai difficile. Il “bene comune” non riguarda soltanto il proprio popolo, ma anche l'alleanza degli Stati dell'Unione Europea, e tutto il continente europeo. In ultima analisi riguarda l'intera famiglia umana sparsa in tutto il mondo. Il bene comune trascende tutti i confini dello spazio e del tempo - quindi anche del tempo, poiché ora già portiamo responsabilità verso le generazioni future e verso la terra. Giustamente il Trattato dell'Unione Europea colloca il bene comune a questi tre livelli: dei cittadini del proprio paese, della pace, giustizia e solidarietà a livello mondiale e delle future generazioni.

Questi due principi fondamentali della dottrina sociale vengono specificati in due altri principi.

Il principio della dignità umana richiede l'applicazione della “sussidiarietà”, un concetto che fu formulato per la prima volta da Pio XI, nell'Enciclica sociale “Quadragesimo Anno” (1931) e divenne poi elemento stabile della dottrina sociale, e nel frattempo è diventato principio-guida per la distribuzione delle competenze tra le Istituzioni Europee e i singoli Stati membri. Il principio significa che gli organi superiori non si appropriano quanto può essere fatto da organi inferiori; al contrario devono facilitare le attività di questi organi. La sussidiarietà fa leva sul diritto di partecipare effettivamente nella vita della società a ogni livello, locale, nazionale, internazionale. A questo diritto corrisponde ovviamente il dovere di dare effettivamente il proprio contributo, di assumere la propria responsabilità, soddisfacendo quanto richiesto dal bene comune superiore. Ciò può applicarsi, ad esempio, alla partecipazione alle elezioni come pure al fornire le prestazioni convenute come Stato membro dell'Unione Europea.

Il principio del bene comune richiede l'applicazione della “solidarietà”, ossia la disponibilità a contribuire effettivamente alla realizzazione del “common good”, atutti i livelli, con l'impegno personale, con la moderazione dei propri interessi, con l'attenzione e la cura verso le necessità nel proprio ceto e altrove, con il sostegno fattivo di energia personale e di mezzi. Ciò vale in primo luogo nel proprio paese dove ancora centinaia di migliaia vivono sotto il limite di ciò che noi riteniamo il minimo indispensabile per l'esistenza - Vale anche per la solidarietà all'interno dell'Unione Europea, dove recentemente si segnala una tendenza di “rinazionalizzazione”, vale a dire un movimento di ripiegamento sul proprio paese, e sull'interesse nazionale. - Ciò vale anche in altissima misura per la solidarietà a livello mondiale. Una "globalizzazione umana" deve rendere fattibile che tutti gli esseri umani possano vivere e partecipare a un livello degno dell'uomo.

A dire il vero la comunità internazionale ne è già consapevole da parecchio tempo. Già negli anni ‘70 del secolo passato, i paesi ricchi hanno assunto l'obbligo di mettere lo 0,7 % del prodotto interno lordo (PIL) a disposizione dei paesi in via di sviluppo. Finora soltanto cinque paesi in Europa raggiungono questa quota, altri paesi non ne raggiungono neppure la metà. A Monterrey nel 2002 questo obbligo è stato nuovamente confermato formalmente dai paesi ricchi, soprattutto in vista del raggiungimento dei “Millennium Development Goals” (MDG), cui nel 2000 centottantanove paesi si sono obbligati firmando la “Millennium Declaration” delle Nazioni Unite. Questi goalriguardano un efficace impegno collettivo contro la povertà e l'esclusione a livello mondiale e dovrebbero essere realizzati prima del 2015[11].

Il due terzi del termine fissato è già scaduto e troppo poco è stato raggiunto[12]. Perciò è urgente che questi MDG ottengano un maggiore interesse da parte della gente del mondo Occidentale, e soprattutto da parte della giovane generazione che rischia di subire le conseguenze disastrose di questo odierno malgoverno mondiale. Dovrebbero occupare un posto più prioritario nell'agenda dei partiti politici e dei governi dei paesi Occidentali e dell'Unione Europea[13].

 
IV. Necessità del dialogo

“Siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, e affiancate a tale impegno un'efficace azione culturale” (Discorso S. Padre).

Il documento conciliare “Dignitatis Humanae” ha già insistito sulla necessità di un dialogo sincero, in cui gli uomini si aiutano reciprocamente nella ricerca della verità; su una duratura cooperazione nell'attuazione di ciò che è valore autentico e giustizia; su un effettivo impegno per rapporti pacifici e concordia nel mondo d'oggi. Il Concilio pone che l'urgenza di questo dialogo cresce. “E' infatti evidente che tutte le genti si vanno sempre più unificando, che si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli uomini di diversa cultura e religione e che cresce in ognuno la coscienza della propria responsabilità” (DH 15). Dopo quarantacinque anni dobbiamo costatare che l'urgenza di tale dialogo è ulteriormente accresciuta, non soltanto a causa delle moderne tecniche di comunicazione, ma soprattutto a motivo delle tensioni e dei conflitti, che in questo secolo sono sorti tra culture, religioni e ideologie, tra popoli, stati e organismi internazionali.

Anche se il dialogo interreligioso ne fa parte, pare comunque più urgente e fruttuoso il dialogo interculturale. Lo ha esposto chiaramente il Papa Benedetto XVI nel suo incontro con le comunità islamiche, il 20 agosto 2005 a Colonia, durante le Giornate Mondiali della Gioventù. In quell'occasione ha fatto appello alla coscienza, come fattore prioritario rispetto alla religione. “Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell'ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto in essere per attuarlo. E' questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E' un messaggio che occorre ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l'eco nei cuori, il mondo sarebbe esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base d'intesa, superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie[14]”.

Secondo il Papa il dialogo deve essere basato sulla dignità centrale della persona, che è di là dei contrasti culturali e ideologici, in cui ci possono entrare anche le religioni. Il pensiero centrale del Papa è che il dialogo con l'Islam e con le altre religioni non deve essere tanto un dialogo teologico, ma piuttosto - in un quadro più ampio - un dialogo su valori morali, quindi piuttosto un dialogo tra culture e civiltà.

Il contenuto del dialogo fra culture, ideologie e religioni riguarderà principalmente gli interrogavi del `perché' e `per quale fine', vale a dire problemi del senso e problemi etici. Alla domanda circa il senso della vita, la scienza non è grado di dare una riposta definitiva, ma non è nemmeno possibile escludere questa domanda. Nel suo pensiero l'uomo può cercare di fuggire a questa domanda, ma non nel suo agire. Di fatto, nella vita quotidiana le persone danno una risposta positiva o negativa a questa domanda, assumendo una prospettiva di responsabilità oppure assumendo un atteggiamento scettico di fronte alla vita.

Anche i problemi etici non possono trovare una risposta puramente positivo­scientifica, e ciò malgrado l'enorme espansione delle conoscenze e della tecnica. A che servono tutte queste nuove acquisizioni, quale uso di esse è giustificato in vista della dignità umana e del bene comune? E' importante che la Chiesa apporti in questa materia la visione della fede riguardo all'uomo e al mondo. L'importanza del suo contributo si situa precisamente sul piano della connessione e della gradazione tra i valori essenziali alla luce del Vangelo. Non si tratta di questioni “one-issue”, ma di un problema essenziale: cioè se le moderne tecnologie e gli sviluppi scientifici vengano maneggiati responsabilmente in base all’ideale evangelico della giustizia, di cui i cristiani devono valutare criticamente sia l'agire personale che quello di altre persone (scienziati, persone di governo, imprenditori, autorità). 1 problemi etici devono essere considerati alla luce di un concetto personalistico dell'uomo, il quale per il cristiano è chiaramente ancorato nella fede in Dio. Grazie a questa immagine relazionale dell'uomo nel senso di "persona nella comunità", gli uomini prendono consapevolezza della loro responsabilità per l'uomo d'oggi e di domani, per “le meilleur humain possible” (P. Ricoeur).

Lo scopo del dialogo interculturale riguarda la convivenza umana e umanizzante fra gruppi di differenti culture e religioni, dei quali parecchi erano sino a poco tempo sconosciuti in Europa. In che maniera tali minoranze possono partecipare come concittadini a pieno titolo nella società europea?

Tre condizioni sembrano indispensabili per giungere a un dialogo autentico e fruttuoso per la società.

E' necessario, in primo luogo, un atteggiamento di autocritica. Nessuno, individuo o gruppo o comunità che sia, è in grado di realizzare tutti gli ideali della propria fede o cultura. Inoltre nessuno è proprietario della verità integrale, né a livello della percezione, né a livello dell'interpretazione. Ciò vale anche per i cristiani. “La pienezza della verità in Gesù Cristo, non dà ai singoli cristiani la garanzia di aver assimilato pienamente tale verità. In ultima analisi, la verità non è qualcosa che possediamo, ma una persona da cui dobbiamo lasciarcipossedere. E' un processo senza fine”[15].

Nessuna cultura è la migliore, neppure la “Leitkultur” [la cultura dominante] in un determinato paese: ogni cultura ha i suoi lati ombrosi, le sue lacune e le sue manifestazioni negative, che le persone provenienti da fuori possono percepire come deplorevoli, e persino come decadenti. Inoltre la storia insegna che nessuna cultura, religione o visione della vita è rimasta immune da interpretazioni errate o tendenziose dei propri libri sacri o delle proprie leggi, oppure abbia resistito alla tentazione di ricorrere alla violenza per imporre le proprie concezioni di fede o espressioni culturali. “Pertanto, non soltanto nel dialogo con gli islamici, ma anche nella riflessione critica su se stessi - elemento costitutivo di ogni vita religiosa - le Chiese e i cristiani segnaleranno e riconosceranno anche le tendenze alla violenza nella propria storia.[16]” Secondo l'esempio della confessione di colpa della Chiesa Cattolica, pronunciata da Giovanni Paolo Il a Roma nella Quaresima dell'anno Giubilare 2000.

Un'esigenza assoluta per l'adempiersi di questa condizione è la reciprocità ossia la disponibilità di tutti i partner del dialogo - a qualunque visione della vita essi aderiscano - a praticare questa capacità della auto-correzione. In questo modo si possono evitare due impedimenti del dialogo: il sentimento di superiorità di un gruppo rispetto all'altro, e ogni possibile forma di fondamentalismo a spese di coloro che la pensano diversamente.

Inoltre è necessario che i partner siano aperti verso gli elementi positivi presenti in altre culture o religioni. Un dialogo costruttivo non tende soltanto verso il rispetto e la comprensione degli altri partner del dialogo, ma anche verso il reciproco arricchimento e la complementarità. “Pur mantenendo intatta la loro identità, i cristiani devono essere disposti a imparare e a ricevere dagli altri e per loro tramite i valori positivi delle loro tradizioni. Così, attraverso il dialogo possono essere condotti a vincere i propri pregiudizi inveterati, a rivedere le idee preconcette e ad accettare a volte che la comprensione della loro fede sia purificata”[17].

Non ci può essere, quindi, un movimento in senso unico, nel senso di una rigida integrazione nella cultura dominante, ma piuttosto un processo di partecipazione e arricchimento con il contributo di altre culture e dello sforzo comune per giungere a una cultura superiore e migliore.

Infine è indispensabile l'impegno comune per il ‘common good’, nella consapevolezza che questo non sia la somma degli interessi particolari o parziali delle diverse entità culturali o religiose. Il bene comune supera questi interessi e non può essere equiparato con l'interesse o con la visione di uno solo di questi raggruppamenti o partiti nella società. Il bene comune può e deve relazionare tra loro gli interessi particolari, realizzare un equilibrio tra loro, perciò può anche, se necessario, richiedere dei sacrifici, certamente da parte dei più benestanti o influenti in favore dei più poveri e vulnerabili. In tutto ciò la prospettiva non può essere limitata al solo livello nazionale, ma dovrà anche avere delle conseguenze per il livello internazionale e mondiale.

Il frutto sia del dialogo interculturale che del dialogo tra fede e politica consiste nel fatto che la comunità internazionale, attraverso uno sforzo comune, giunge a valutare correttamente i valori fondamentali universalmente validi, come risposta ai problemi e alle nuove sfide di questo tempo.

Questo dialogo, per quanto condotto in maniera intensa e fruttuosa, non tocca la separazione tra Chiesa e Stato o, come lo esprime Il Concilio Vaticano II, non toglie “l'autonomia delle cose terrene”. Anche Benedetto XVI nella sua Enciclica “Deus Caritas est” (DCE) rileva che la Chiesa non può né deve sostituirsi allo stato, né può appropriarsi della lotta politica, ma aggiunge immediatamente che sia la Chiesa, sia i singoli cristiani e le associazioni e organizzazioni di cristiani non possono tenersi in disparte in questa lotta per un ordinamento giusto della società e dello stato. Significa, quindi, che fede e politica hanno rapporti tra loro. La realizzazione di strutture più giuste è il compito principale del potere politico, e non può essere realizzato da parte della Chiesa. La Chiesa, tuttavia, tramite la via dell'argomentazione, quindi del dialogo, può inserirsi nella lotta per la giustizia, dando un contributo di purificazione della ragione e presentando la sua dottrina sociale. Il Papa pone esplicitamente che la Chiesa, agendo in questo modo, non pretende esercitare potere - essa, infatti, ha imparato che autorità non è la stessa cosa che potere; la Chiesa può parlare con autorità, ma non può esercitare potere.[18]  Nell'Enciclica, Benedetto XVI ripete due volte che la Chiesa non vuole “imporre” nulla agli altri; egli conferma quanto hanno affermato i Papi a partire dal Concilio Vaticano Il, in seguito al “ad nuntium proponendum” della “Gaudium et Spes” (nr. 1), quindi da “proporre”, non da “imporre”[19]. La Chiesa può comunque dare un suo contributo per stimolare le forze morali e spirituali nella società perché promuovano le strutture di giustizia e le facciano perdurare. Infine, la Chiesa offre la sua collaborazione con gli organismi dello Stato tramite le sue organizzazioni caritative, le opere di misericordia, che sono compito diretto dei cristiani nella “civil society”.

“Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire, attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica, il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili”[20].

Difatti, la necessità del dialogo tra politica et fede diventa sempre più urgente. Esso mira allo scopo che tutti insieme ci impegniamo coscienziosamente nel discernimento accurato e nella valutazione corretta circa i valori fondamentali universali e i diritti umani, e che uniamo le nostre forze per una società umana.

 
V. Una scelta spirituale

“La Chiesa ha da offrire all'Europa il bene più prezioso, che nessun altro può darle: è la fede in Gesù Cristo, fonte della speranza che non delude, dono che sta all'origine dell'unità spirituale e culturale dei popoli europei, e che ancora oggi e per il futuro può costituire un contributo essenziale del loro sviluppo e della loro integrazione” (Ecclesia in Europa, 18).

In preparazione al lore Congresso europeo a Roma i vescovi della COMECE hanno

pubblicato un documento che presenta una lettura teologica del processo politico

dell'unificazione d'Europa: “Il futuro dell'Unione Europea e la responsabilità dei cattolici”[21].

L'occasione per questo studio era l'adesione di dieci nuovi stati membri all'Unione (l' l maggio 2004), dei quali otto si sono liberati dall' ex-impero sovietico. Esso è il frutto della riflessione comune sulla "memoria comune" del nostro continente, nonostante la separazione avvenuta dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1945.

I vescovi sono giunti alla scoperta “che le condizioni che hanno permesso la riunificazione dell'Europa sono in realtà molto vicine a quelle che hanno permesso la nascita dell'Unione Europea. In un caso e nell'altro troviamo una scelta spirituale a favore del perdono e una volontà di superare la violenza con il dialogo e la solidarietà. In questi due momenti vediamo anche un impegno della società civile e dell'insieme delle forze vive di numerose nazioni decise a vivere nella democrazia e nella pace” (n. 7). 1 vescovi fanno una rilettura della nascita del progetto con la dichiarazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950 - "un atto spirituale la cui fecondità è ancor oggi attiva" (n. 9) - e invitano a rileggere la “svolta degli anni 1989/91 nel suo significato politico e nella sua portata spirituale” (n, 10). “L'Unione Europea, allo stato attuale del suo sviluppo, si fonda sulla confluenza di due movimenti storici carichi di un grande significato spirituale” (n. 9). “Questi eventi non sono spiegabili senza una lunga storia di ‘Tradizione Cristiana’ di cui l'Unione Europea è l'erede” (n. 11).

Perciò i vescovi fanno un appello ai cattolici in quanto cittadini dell'UE di "mostrarsi come autentici discepoli di Cristo. La Tradizione Cristiana non appartiene solo al passato. Non si limita a un patrimonio di esperienze storiche e di saggezza politico-sociale. Essa continua a nutrire l'impegno dei cittadini che si riconoscono esplicitamente come credenti in Cristo ... devono impegnarsi in una esperienza spirituale personale e mettere i loro talenti a servizio dei fratelli" (n. 12).

Alla fine del documento i vescovi precisano: “la missione primaria della Chiesa non è di partecipare, in quanto tale, alla costruzione di un modello politico. La sua prima missione è di evangelizzare, cioè di proporre la fede e di annunciare la buona Novella della Salvezza a tutti gli uomini. La nostra riflessione, qui, non ha il fine di analizzare le opzioni segnatamente pastorali della Chiesa. Ma nel momento stesso in cui compie la sua missione principale, la Chiesa porta un contributo significativo all'unità di tutto il genere umano (LG, 1)”.

L'appello dei vescovi della COMECE corrisponde a quello fatto dal Papa Giovanni Paolo Il nella sua Esortazione Apostolica post-sinodale: “Ecclesia in Europa”[22]. Il Santo Padre esorta i vescovi, diaconi, religiosi e religiose e tutti i fedeli laici in Europa di: “ritornare a Cristo, fonte di ogni speranza” (n. 18). E' difatti lo stesso appello che il Papa fece alla chiesa universale nella sua lettera apostolica "Novo Millennio Ineunte", al termine del grande Giubileo dell'anno 2000[23]: “Ripartire da Cristo". Il Signore Risorto è presente tra noi: “il mediatore unico e costitutivo di salvezza per l'intera umanità” (EIE, 20). “Non una formula ci salverà, ma una Persona e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!” (NMI, 29).

In ambedue i documenti il Papa ci offre un programma elaborato, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Essi rimangono preziose fonti per le prospettive pastorali delle chiese locali, che sono chiamate di tradurle in “orientamenti pastorali adatti alle condizioni di ciascuna comunità” (NMI, 29). IlPapa dà nell'esortazione post-sinodale il seguente riassunto del significativo apporto dei valori evangelici al nostro continente europeo: “sono molteplici le radici ideali che hanno contribuito con la loro linfa al riconoscimento del valore della persona e della sua inalienabile dignità, del carattere sacro della vita umana e del ruolo centrale della famiglia, dell'importanza dell'istruzione e della libertà di pensiero, di parola, di religione, come pure alla tutela legale degli individui e dei gruppi alla promozione della solidarietà e del bene comune, al riconoscimento della dignità del lavoro” (EIE, 19). In questo contesto, dice il Papa, ogni chiesa particolare in Europa “deve porre in atto un'articolata azione culturale e missionaria” (EIE, 21).

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L'attuale crisi ci pone la domanda: perché oggi gli uomini non vedono più nel messaggio cristiano con il suo appello alla condivisione e alla temperanza la chiave del segreto per una vita felice e riuscita? Il Vangelo chiede ai discepoli del Signore un deciso movimento “controcorrente” rispetto ai tre grandi processi in atto nella società moderna: contro la “materializzazione” che concentra tutto sul benessere, contro l'individualizzazione che causa l'egoismo e contro la secolarizzazione che radicalizza l'autonomia dell'uomo. E se siamo sinceri con noi stessi dobbiamo ammettere che anche noi, cristiani e religiosi, subiamo l'influsso di questi processi. Anche noi condividiamo, volendo o meno, in qualche misura questa mentalità.

Perciò è indispensabile l'atteggiamento dell'autocritica, un serio esame di coscienza.

Per questo esame, sia personale che comunitario vorrei sottolineare altre tre crisi profonde che stanno alla base della crisi finanziaria e di altre crisi del nostro tempo: del clima, del nutrimento, dell' energia, del commercio, della violenza ....

Il mondo odierno viene lacerato da una crisi di giustizia: da una parte una povertà estrema, dall'altra una ricchezza sproporzionata, e inoltre a causa di conflitti armati numerosi e quasi interminabili, violazioni dei diritti umani e dell'integrità delle vita umana, esaurimento delle risorse naturali, trasformazioni climatiche in parte già irreversibili.

Qui è necessario verificare le nostre opere di promozione personale e sociale­-collettiva, il nostro impegno per la giustizia e la pace, la nostra opposizione alla miseria, alla violenza, alle ideologie politiche (Cost. 31-33).

La società moderna soffre una crisi del senso della vita, non esiste più un consenso circa i valori umani essenziali. Gli uomini si mostrano indifferenti e incapaci di fronte alle domande ultime del “perché” dell'esistenza umana, non vedono nessuna prospettiva significativa, vivono senza una vera speranza e consumano la vita quotidiana nell'immediato e nel vuoto.

Qui ci si richiede di rinnovare le nostre attività educative e catechetiche, esaminare se la nostra evangelizzazione sia adeguata, se siamo autentici educatori alla fede. Partendo dalla situazione in cui i giovani di oggi si trovano e facendo un uso creativo e intelligente dei mezzi e delle tecniche nuove che per loro sono ormai consuete.

La Chiesa, come la Congregazione, sta attraversando una preoccupante crisi della sequela. Non è mai stato facile seguire Gesù, ma il grado di difficoltà è forse più che mai alto. Riusciamo a prendere le nostre decisioni concrete, le nostre scelte in base alla fede in Gesù o più ancora in base alla nostra professione religiosa? La sequela di Cristo esige tutte le nostre forze, tutta la vita, in pienezza e radicalità, il prezzo più alto, il dono di se stesso.

Più che l'annuncio a voce del Vangelo vale la testimonianza di una vita coerente e conseguente (Cost. 62): «In un mondo tentato dall'ateismo e dall'idolatria del piacere, del possesso del potere, il nostro modo di vivere testimonia, specialmente ai giovani, che Dio esiste e il suo amore può colmare una vita; e che il bisogno di amare, la spinta a procedere e la libertà di decidere delle propria esistenza acquistano il loro senso supremo in Cristo Salvatore».

 

Allegato

ECCLESIA IN EUROPA
Alcuni elementi centrali della visione della Chiesa Cattolica sull'Europa

La dottrina sociale della Chiesa fa per varie ragioni da sfondo intellettuale e da ‘movens’ spirituale per il nostro lavoro a Bruxelles. Sia nel contesto della ricerca politica europea, che nei diversi rapporti sui diritti umani pubblicati dalle istituzioni europee, cerchiamo di guardare a queste iniziative dal punto di vista della dignità di ogni persona umana. Nel più ampio dibatto sul futuro dell'Europa cerchiamo di rilevare che il bene comune deve costituire la bussola etica e politica per l'integrazione europea, messo in pratica attraverso l'applicazione costante dei principi di sussidiarietà e solidarietà. Sussidiarietà significa che l'Europa deve assumere il comando là dove l'iniziativa nazionale si rivelasse carente. Questo, per esempio, è evidente nel settore della politica nel campo energetico. In merito al principio di solidarietà rileviamo che è necessario creare un legame profondo di solidarietà non solo tra i paesi membri dell'Unione Europea, ma anche con gli altri continenti e con l'umanità intera. Questi sono aspetti ben conosciuti del lavoro della Chiesa al livello delle istituzioni europee.

L'Esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” è radicata nelle deliberazioni della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa[24]. Essa si fa portavoce del pensiero della Chiesa sull'Europa negli ultimi decenni. Conforme al pensiero dei papi da Pio XII in poi, e in particolare con le riflessioni della Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi[25], tenuta nel 1990 subito dopo la caduta del muro di Berlino, l'Europa è vista in termini più ampi rispetto all'Unione Europea. L'Europa, perciò, è descritta come " un concetto prettamente culturale e storico, che rivela una realtà nata come un continente grazie alla forza unificante della Cristianità, che è stata capace di integrare popoli e culture tra loro" (EE, 108). La diagnosi dell'Esortazione riguardante la condizione spirituale dell'Europa, mette in luce una tensione, quando segnala una ambiguità nella coscienza europea. “Ecclesia in Europa”, invita L'Europa contemporanea “a fare un salto di qualità per diventare cosciente della sua eredità spirituale” (EE, 120); a causa della perdita della memoria cristiana del suo patrimonio culturale predominante l'Europa offre l'impressione di una “apostasia silenziosa” (EE, 9). Questo termine è stato ripetuto da Papa Benedetto XVI nel suo saluto al Congresso della COMECE a Roma. Egli ha precisato questo concetto aggiungendo che la politica decisionale dell'Unione Europea si avvicina a una forma di apostasia dai propri valori, si può, perfino, parlare di apostasia di Dio[26].

Sulla questione della relazione tra Chiesa e Stato, fra la fede cristiana e l'autorità pubblica, il documento afferma esplicitamente che la Chiesa “non auspica un ritorno allo stato confessionale” (EE, 117). Essa vuole rispettare in pieno la natura secolare delle istituzioni Europee (EE, 114). Riconoscendo così la separazione tra i reami religiosi e politici, l'Esortazione Apostolica afferma l'importanza di una “sana collaborazione tra la comunità ecclesiale e la società politica” (EE, 117). La Chiesa “è convinta di poter dare un singolare contributo alla prospettiva dell' unificazione offrendo alle istituzioni europee, in continuità con la sua tradizione e in coerenza con le indicazioni della sua dottrina sociale, l'apporto di comunità credenti che cercano di realizzare l'impegno di umanizzazione della società a partire dal Vangelo vissuto nel segno della speranza” (EE 177).

La vocazione spirituale dell'Europa di promuovere i valori universali, solidarietà e pace nel mondo è messa in evidenza nel capitolo finale del documento. In esso fanno eco i sentimenti della Dichiarazione di Schuman del 9 maggio 1950 e la visione dei padri fondatori del progetto Europeo. “Ecclesia in Europa” afferma che "Dire Europa deve voler dire ‘apertura’ .... Deve essere un continente aperto e accogliente, continuando a realizzare nell' attuale globalizzazione forme di cooperazione non solo economica, ma anche sociale e culturale” (EE, 111). “L' Europa, dunque, non può ripiegarsi su se stessa” (ibid). “Non può e non deve disinteressarsi del resto del mondo” (ibid), deve “essere parte attiva nel promuovere e realizzare una globalizzazione della solidarietà” (EE, 112). “L'ispirazione cristiana può trasformare l'aggregazione politica, culturale ed economica in una convivenza nella quale tutti gli europei si sentono a casa e formino una famiglia di nazioni, a cui altre regioni del mondo possono fruttuosamente ispirarsi” (EE 121).

Per offrire contributi fondati sull'ispirazione cristiana serve, “una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nella varie istanze e istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici a attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune” (EE 117). La democrazia e il dialogo sono accettati dalla Chiesa come il cuore del processo politico europeo. Essa riconosce, inoltre, che tutti i contributi al dibattito nel campo politico sono fatti “nel contesto del pluralismo etico e religioso che va sempre più caratterizzando l'Europa” (EE, 20). Il contributo al dialogo nei vari settori della politica serve a costruire un' Europa "non soggetta esclusivamente alle leggi del mercato, ma decisamente preoccupata di salvaguardare la dignità dell' uomo anche nei rapporti sociali ed economiche" (EE, 87).

Il significato centrale e costitutivo dell' eredità cristiana per l'identità dell'Europa è il leitmotiv del testo: la Cristianità “appartiene in maniera radicale e decisiva ai fondamenti della cultura europea” (EE, 108). Papa Giovanni Paolo Il chiede perciò che “un riferimento all'eredità religiosa e in particolare cristiana” (EE, 114), sia incluso nel Trattato che deve stabilire una Costituzione per l'Europa.

Giovanni Paolo Il sollecitava, per di più, che tre “elementi complementari fossero riconosciuti (nel trattato): il diritto delle Chiese e delle comunità religiose a organizzarsi autonomamente in conformità con i propri statuti e convinzioni; rispetto per l'identità specifica delle varie confessioni religiose; e provvedere strutture idonee per il dialogo tra l'Unione Europea e queste confessioni; infine, rispetto per lo stato giuridico già goduto dalle Chiese e dalle istituzioni religiose, in base alla legislazione degli stati membri dell'Unione” (EE, 114).

L'Esortazione L'Apostolica Ecclesia in Europa, attribuisce alla Chiesa in Europa la qualità di un soggetto avente la responsabilità di predicare la Parola di Dio, celebrare la liturgia e di rendere ‘diaconia’ nella politica concreta (EE, 26, 45, 66, 69, 105, 124). 1 vescovi ai quali è indirizzato il testo in primo luogo, e tutti i cristiani sono sfidati ad assumere responsabilità per l'Europa. Come possono i cristiani come soggetti attivi dare vita e contenuto a questo concetto di “Chiesa in Europa”? Come interagisce la Chiesa nell' Unione Europea?