Congresso sulla vita consagrata
PASSIONE PER CRISTO, PASSIONE PER L’UMANITÀ
“Quello che lo Spirito dice oggi alla Vita Consacrata”
Convinzioni e prospettive
C’era una moltitudine immensa…
di ogni nazione, razza, popolo e lingua
…l’Agnello li guiderà alle sorgenti dell’acqua della vita
(Ap 7,9.17)
Il Congresso sulla vita consacrata, celebrato a Roma dal 23 al 27 novembre 2004, ultima settimana dell’anno liturgico, e organizzato dall’Unione delle Superiore e dall’Unione dei Superiori Generali, è stato un avvenimento senza precedenti. Ad esso abbiamo partecipato 847 persone consacrate, provenienti da tutto il mondo:
95 dall’Africa,
250 dall’America,
92 dall’Asia,
16 dall’ Oceania
e 394 dall’Europa.
“So dove vivi… conosco la tua tribolazione
e la tua povertà…” (Ap 2,13.9)
Le due icone: del Samaritano (Lc 10, 25-37) e della Samaritana (Gv 4, 4-43), sono come uno specchio nel quale vediamo riflessa la nostra situazione di ferite e di sete, di guarigione di acqua viva.
Siamo parte dell’umanità:
assetata di benessere in un mondo di consumi e di povertà, di amore in mezzo al caos e disordine amoroso, di trascendenza in un contesto di disincanto politico ed esistenziale;
che accorre ai grandi pozzi per calmare la sua sete (come la Samaritana) e ne scava di nuovi, come Giacobbe;
che desidera sapere (come lo scriba) e sviluppa saperi e tecnologie;
che crea istituzioni (come il tempio e la locanda) per colmare i suoi aneliti di trascendenza e i suoi bisogni vitali; e genera pregiudizi di razza, di religione e di sesso;
che si sente in molti aspetti ferita e mezzo morta, esclusa e povera, senza famiglia, violentata e insicura, inferma e affamata (come l’essere umano caduto lungo la strada), a causa della violenza, le guerre e il terrorismo, della concentrazione del potere e l’arbitrarietà ingiusta, del perverso sistema economico e dell’egoismo accaparratore (i banditi).
Nello specchio delle due icone, talvolta ci vediamo con il volto
dell’istituzione sacra (sacerdote, levita, scriba, tempio) lontana dai poveri e dai dolori dell’umanità;
della sposa prostituita con alleanze di convenienza (le nostre idolatrie).
Ci troviamo in un cambiamento di epoca, marcato da:
grandi progressi della scienza e della tecnologia, e ancora incapaci di risolvere i grandi problemi dell’umanità;
potenti mezzi di comunicazione che spesso e volentieri colonizzano il nostro spirito;
la mondializzazione e la globalizzazione che ci rendono interdipendenti, e che contemporaneamente danneggiano le identità particolari;
avvenimenti (kairoi) che ci sorprendono e ci confondono (“allora apparve... un samaritano”) e che esprimono che Dio è il Signore della storia;
la sete e la crisi di “senso”, per le quali si offrono mille proposte e promesse.
Leggiamo e capiamo questo tempo con il criterio evangelico che le due icone ci offrono, facendoci interpellare e toccare:
dalla sete di senso;
dal dolore dell’umanità;
dalla passione per Gesù Cristo, mediatore della nostra Alleanza con Dio;
dalla compassione per i dolori e le necessità dell’umanità.
Questo criterio ci fa scoprire le ambiguità, i limiti, la precarietà, l’influsso del male nel nostro mondo e in noi. Però ci fa vedere anche che passione e compassione sono energie dello Spirito: esse danno senso alla nostra missione, animano la nostra spiritualità e danno qualità alla nostra vita comunitaria.
Cerchiamo il nostro posto nella Chiesa, popolo di Dio, casa e scuola di comunione (Novo Millennio Ineunte, 43)
Non ci è facile risituarci in essa come donne e uomini, come sorelle/fratelli e ministri ordinati.
Abbiamo sete di una nuova tappa di “mutue relazioni” coi nostri pastori, con altri gruppi e movimenti della Chiesa, animati dall’uguaglianza, dalla fraternità e “sororità” e da una maggior fiducia e apertura reciproca.
Ci dicono che siamo un dono per tutta la Chiesa (VC, 1):
rendiamo grazie a Dio per questo e vogliamo continuare ad esserlo in forma nuova e generosa.
riconosciamo che i diversi carismi e ministeri ecclesiali sono per noi un grande dono;
nello scambio di doni, il Corpo di Cristo recupera tutta la sua forza (1 Cor 12,12-31).
Ci comprendiamo come “vita consacrata” più in là delle frontiere dei nostri istituti, della nostra confessione cattolica, della nostra fede cristiana. Perciò,
siamo favorevoli all’ecumenismo e al dialogo della vita consacrata con altre esperienze presenti nelle diverse confessioni e religioni;
solidarizziamo con altri gruppi che lottano per la dignità umana, per la pace, per la giustizia e per l’ecologia;
accogliamo quelle sorelle e quei fratelli laici che avvertono il nostro carisma e le nostre fondatrici e i nostri fondatori come loro propri, in modo che ci identifichiamo non solo come Ordine o Congregazione, ma anche come Famiglia con vita e missione condivisa.
Da qualche tempo, qualcosa di nuovo sta nascendo fra di noi, mentre contemporaneamente altre realtà muoiono (tradizioni e stili obsoleti, istituzioni moribonde). Ci colpisce l’agonia di quello che muore e ci dà fiducia quello che nasce.
Anche se non riusciamo ancora a veder chiaro quel che lo Spirito sta facendo nascere nella vita consacrata, tuttavia possiamo già riconoscere alcuni germi di novità:
il desiderio di “nascere di nuovo”, secondo la logica dell’incarnazione (NMI, 52) e la supplica allo Spirito che ciò diventi realtà (rifondazione);
il fascino che oggi esercita sulla vita consacrata la figura di Gesù, che sulla croce manifesta pienamente la bellezza e l’amore di Dio (VC 24) e del suo Vangelo (nuova alleanza);
la centralità della “lectio divina”, nella quale proclamiamo, meditiamo, condividiamo, preghiamo, con la vita e la storia, la Parola di Dio (obbedienza);
il nucleo della missione realizzata secondo i nostri carismi particolari e condivisa, che mette in moto la nostra immaginazione e ci lancia verso iniziative nuove, audaci, profetiche, che si amalgamano con l’annuncio di Gesù Cristo attraverso l’inculturazione, il dialogo interreligioso e interconfessionale, l’opzione per gli ultimi e gli eclusi, le nuove forme di comunicazione: missione e opzione per i poveri (povertà);
la ricerca di una nuova comunione e comunità basata su relazioni profonde, inclusive, l’allargamento progressivo della vita comunitaria alla parrocchia, alla diocesi, alla città, all’umanità (celibato e comunità);
la necessità di una nuova spiritualità che integri spirituale e corporale, femminile e maschile, personale e comunitario, naturale e culturale, temporale ed escatologico, intercongregazionale e intergenerazionale, e ci accompagni in tutto quello che viviamo e operiamo.
il passaggio da una vita consacrata che fugge il mondo a una vita consacrata incarnata e testimone di trascendenza dentro la storia.
“Ecco, sto alla porta e busso” (Ap 3,20)
Il desiderio di rispondere ai segni dei tempi e dei luoghi ci ha portati a descrivere la vita consacrata come “passione”: passione per Cristo, passione per l’umanità. Questo stadio spirituale è più un punto di arrivo che un semplice sentimento iniziale. È, soprattutto, un cammino di passione crescente.
“Io sono la Via” (Gv 14,6) ci dice Gesù:
egli ci ha amati e ha dato la vita per noi. La sua passione precede la nostra. Il suo amore appassionato per l’Abbà si è tradotto in passione per l’umanità;
mosso dalla compassione divina, ha preso su di sé la nostra sete e le nostre ferite, ci ha amati senza esclusione fino a diventare il nostro Samaritano e il nostro Sposo, che consegna la coppa della nuova alleanza, il suo sangue sparso e il suo stesso corpo immolato.
dalla sua croce, Gesù “attira tutti a sé” (Gv 12, 32-33). E noi siamo stati sedotti da Lui.
ci va educando sempre più,
ci va configurando a sua immagine e somiglianza,
ci va introducendo a poco a poco nel suo mistero e nella sua missione (come la Samaritana);
ci insegna a trasformare la nostra passione in gesti di compassione (come il Samaritano).
ci riscatta dalle notre ambiguità e infedeltà davanti al potere, all’avere e al sesso;
ci consiglia interiormente attraverso il suo Spirito e ci dà la forza di combattere (Ap 2-3).
Nella scuola della sequela,
la samaritana e il samaritano diventano per noi mistagoghi di una contemplazione impegnata e di una misericordia contemplativa;
nei due si integrano armoniosamente contemplazione e azione: la samaritana sperimenta Gesù e lo va ad annunciare; il samaritano scopre nel prossimo sofferente il volto di Dio e lo soccorre.
La sequela di Gesù che cerchiamo di realizzare come vita consacrata nel nostro tempo, suscita in noi atteggiamenti che simbolicamente vogliamo chiamare “sette virtù per oggi”. Le scegliamo fra i ricchi apporti dei gruppi, col timore di non averle incluse tutte. Esse ci renderanno capaci, come ha suggerito il Papa, di saziare la sete, fasciare le ferite, essere balsamo per le piaghe, soddisfare i desideri di amore, di libertà e di pace delle nostre sorelle e dei nostri fratelli (cf. Giovanni Paolo II, Messaggio al Congresso, n.3). Con esse assumiamo il volto nuovo di una vita consacrata “sacramento e parabola del Regno di Dio”.
Profondità: discernimento evangelico, autenticità
Ospitalità e gratuità
Non violenza e mitezza
Libertà di spirito
Audacia e capacità creativa
Tolleranza e dialogo
Semplicità: dar valore alle risorse povere e piccole
I temi dei gruppi di studio spaziavano su 15 argomenti, che costituiscono, nel loro insieme, un “monitoraggio” dei segni di vitalità o, al contrario, dei blocchi che la vita consacrata sperimenta oggi. Dalle sintesi presentate in assemblea, e consegnate ai partecipanti, emergono segni di vitalità, ostacoli, convinzioni e linee di azione, anche se è impossibile racchiudere in poche righe la ricchezza del dibattito e degli apporti dei gruppi. Ne offriamo alcune.
1. Occorre una trasformazione strutturale della nostra vita e delle nostre opere, adottare strutture più leggere e semplici, comunità aperte e accoglienti per globalizzare una solidarietà “compassionevole” e creare una rete di giustizia, a servizio di una cultura di pace, perché i poveri possano essere ascoltati.
2. Il dialogo con le culture appartiene alla missione più profonda della vita consacratata. Ci sono molti segni di vitalità della vita consacratata nel mondo, attraverso i quali essa continua ad avere un senso: la crescita di congregazioni multiculturali, internazionali; anche la formazione iniziale mette maggiormente l’accento sulla cultura di origine; il Congresso stesso rappresenta un segno di apertura, di condivisione. Esistono tuttavia ostacoli all’inculturazione, tra i quali la difficoltà di esprimere l’elemento affettivo nel culto e nelle varie espressioni della fede.
3. Poveri, culture e religioni sono l’oggetto di un triplice dialogo che la vita consacratata deve portare avanti. In molti contesti il cristianesimo è percepito come estraneo, come una religione di importazione. La fragilità stessa della nostra fede, le nostre ferite, lo spirito di dominazione sono ostacoli al dialogo; così pure il fondamentalismo diffuso in tante aree culturali e religiose. Il dialogo deve diventare una scelta, uno stile di vita. Le nostre comunità devono essere luoghi di riconciliazione e di perdono.
4. L’arte e la bellezza sono icone per tutte le culture; gli artisti aiuteranno le comunità di vita consacratata a contrastare la mentalità consumistica, a creare spazi belli per la preghiera, a trovare simboli nuovi, a raccontare storie nuove al cuore degli uomini e delle donne che ascoltano. Questa comunicazione della bellezza farà nascere la gioia e la vita in mezzo alla violenza e alla morte.
5. Abbiamo bisogno di cambiare la nostra mentalità nei confronti della comunicazione, e saper rischiare: sia all’interno della Chiesa, dove spesso siamo divisi o censurati o troppo clericali, sia all’esterno, nei confronti del mondo e dei media. Dobbiamo formare religiosi e religiose specialisti in questo campo, incoraggiare chi vi opera, collaborare tra noi per provvedere risorse e lavorare a stretto contatto con laici competenti. Occorre interagire con i mass media in modo creativo, pronti a rispondere e non a fuggire. Dobbiamo avere il coraggio di mostrarci come siamo realmente, con i nostri valori e le nostre debolezze, e parlare una lingua che la gente di oggi possa comprendere.
6. Osiamo lanciare alcune proposte: nella nostra vita mettere in risalto il primato della Parola di Dio; rivedere, a partire dai poveri, il nostro stile di vita, le nostre opere, saper vivere nel provvisorio; promuovere la presenza della vita consacratata nei forum mondiali e negli organismi decisionali, come l’Onu, dove si decide il futuro dell’umanità; renderci presenti là dove la vita è più minacciata.
7. Il celibato consacrato conduce a un rapporto più profondo con Cristo e a condividere l’amore degli altri. Il celibato per noi è una scelta libera, è la nostra chiamata, è per noi un modo sano ed equilibrato di vivere la nostra sessualità. Oggi ci sentiamo più a nostro agio con il nostro corpo, con i nostri sentimenti, con le nostre emozioni. Noi crediamo, come diceva Gesù al vecchio Nicodemo, che siamo nati di nuovo (Gv 3, 4-8). La scelta della nostra castità risplende maggiormente quando rendiamo visibile che il nostro è un cammino verso il regno di Dio.
8. Dobbiamo fare della Bibbia la nostra compagna di vita e incarnarla nel nostro ministero. Per arrivare ad un autentico discernimento comunitario è necessario fondare il nostro cammino sulla Parola, facendole più spazio nel nostro quotidiano; l’esercizio della lectio divina deve diventare l’elemento di trasformazione del nostro stile di vita.
9. Parlando della sete di Dio ci rendiamo conto di toccare un argomento affascinante. La nostra esperienza di Dio è quella di un Dio incarnato. Per far emergere questa esperienza è necessario modificare le nostre strutture interne e ripartire dall’amore sponsale, radicale per Cristo. È necessaria una formazione umana, personalizzata, uno stile critico di pensiero, una formazione al dialogo, che conduce alla trasformazione personale, a guardare il mondo e la vita, con uno sguardo di fede. Occorre anche imparare a condividere l’esperienza della fede.
10. Formazione permanente vuole dire soprattutto la disposizione attiva e intelligente della persona spirituale, a imparare dalla vita, per tutta la vita. La formazione permanente comporta diversi livelli: il singolo, l’istituzione e così via, interventi ordinari e straordinari. La formazione permanente va organizzata attorno al modello dell’integrazione, e ha come suo processo di riferimento il mistero pasquale. Occorrono formatori e comunità capaci di accompagnare le persone nei momenti di crisi.
11. Siamo testimoni di un crescente pluralismo, che è un processo irreversibile. È necessario che le nostre strutture siano portatrici di valori, rendendoci disponibili per la missione. L’aggiornamento e l’adattamento delle strutture va concepito come un processo di trasformazione continua. Dobbiamo promuovere una spiritualità di comunione, intensificare gli sforzi di collaborazione intercongregazionale. Occorre chiedere, inoltre, modifiche al Diritto canonico, per una effettiva uguaglianza all’interno degli istituti tra membri clericali e no.
12. I giovani, in modo particolare, hanno sete della vita comunitaria, come espressione della missione, luogo della condivisione della fede e di relazioni profonde. Alcuni religiosi oggi, invece, vivono in comunità come in un hotel. Le nostre attuali strutture di governo riflettono un tempo in cui il numero dei membri delle comunità era elevato, e non sono adeguate alle esigenze dell’oggi. Ogni istituto deve continuare a sviluppare la formazione permanente perché si arrivi a una vita comunitaria più umana e significativa. La comunità deve essere aperta e ospitale.
13. I laici fanno scoprire che i nostri carismi sono doni per tutti i cristiani, per la Chiesa e per il mondo. Al di là delle nostre debolezze e del nostro invecchiamento, lo Spirito suscita nuova fecondità. Occorre sviluppare l’ecclesiologia di comunione e la fondazione teologica dei rapporti tra religiosi e laici; favorire la missione condivisa e il legame con la Chiesa locale, assumere strutture flessibili, condividere le esperienze tra le congregazioni.
14. L’unità delle nostre congregazioni viene senza dubbio da una visione comune, ma è sostenuta da una rete di relazioni che creano unità e abbattono barriere. C’è ancora molta strada da fare perché le donne assumano realmente il loro ruolo nella società e nella Chiesa. Condurre un gruppo a una decisione comune è un’arte difficile: i superiori devono essere testimoni di entusiasmo, se vogliono sostenere la passione dei membri. Se amore e creatività si daranno la mano, il nostro cammino sarà stimolante.
15. La vita consacratata dona cattolicità alla chiesa locale e l’apre all’universalità; noi contribuiamo ad aprire gli orizzonti della Chiesa. A 25 anni dal “Mutuae relationes”, dobbiamo continuare il dialogo a tutti i livelli nella Chiesa; compiere un maggiore sforzo per armonizzare piani congregazionali e piani pastorali diocesani; è importante formarci al dialogo tra laici, religiosi, religiose, chierici; la VC deve essere esperta di comunione. Ciò presuppone una forte chiamata alla vita comunitaria.
3. AZIONI
Durante il Congresso abbiamo riflettuto ampiamente sulla situazione della vita consacrata nelle diverse aree del mondo. I gruppi hanno segnalato linee d’azione per far fronte alla sfide del momento presente. Ci rifacciamo alle Relazioni che essi hanno redatto e presentato. Lì appaiono le diverse proposte in tutta la loro ricchezza e particolari.
È senza precedenti il fatto che donne e uomini della vita consacrata di tutto il mondo, di diversa cultura e lingua, abbiano potuto dialogare, dibattere insieme, far progetti per il presente e per il futuro della nostra vita e della nostra missione. Perciò le prospettive offerte e le azioni proposte, hanno un valore del tutto speciale.
Desideriamo che l’evento di questo Congresso, non solo nel suo discernimento, ma anche nel suo metodo e nella sua proposta, venga visto come un nuovo punto di partenza per la bella avventura della sequela di Gesù nel nostro tempo.
“Chi ha sete si avvicini
e chi lo desidera riceva gratis l’acqua di vita” .
(Ap, 22,17)
A conclusione del Congreso possiamo proclamare che lo Spirito ci ha confortati e ci ha aperto nuovi orizzonti. Benché Egli sia imprevedibile come il vento e non sappiamo da dove viene e dove vada, abbiamo ascoltato il mormorio della sua voce nella voce dei segni dei tempi e dei luoghi, che abbiamo cercato di discernere con una comune fede orante.
Come Maria e il suo sposo Giuseppe, abbiamo capito che per seguire Gesù bisogna vivere aperti a Dio e vicini alle necessità del prossimo, sempre disponibili verso il Dio delle sorprese, le cui vie e pensieri non sono i nostri (Is 55, 8-9).
La celebrazione del Congresso è terminata, ma non sono finite le sue implicazioni e le sue esigenze. Esse hanno inizio ora. È responsabilità di tutti – UISG, USG. Conferenze Nazionali di Religiose e Religiosi, Comunità e persone consacrate – il tradurle in atteggiamenti, iniziative, decisioni, e progetti. Un modo di intendere e di vivere la vita consacrata che ha dato frutti abbondanti nel passato, sta cedendo il passo a un altro modo più in sintonia con quel che ora ci chiede lo Spirito. “Non abbiamo soltanto una storia gloriosa da ricordare e da raccontare, ma abbiamo una grande storia da costruire! Volgiamo lo sguardo verso il futuro, nel quale lo Spirito ci proietta per fare ancora grandi cose! (cfr VC, 110).
Forse nella nostra epoca sperimentiamo le nostre povertà e i nostri limiti. In mezzo ad essi risuona la voce del Signore: non temere, io sono con te! Questa certezza ravviva la nostra speranza che si basa sulla bontà e fedeltà del “Dio della speranza che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiamo in essa con la forza dello Spirito” (cfr. Rom 15, 13). Egli è la nostra speranza “la speranza che non delude” (Rom 5,5)