Messa di suffragio per Giovanni Paolo II nella solennità dell’Annunciazione
Omelia del Rettore Magnifico, don Mario Toso (lunedì 4 aprile 2005)
Grazie per essere convenuti qui a pregare in suffragio di Giovanni Paolo II. Grazie soprattutto ai Signori Decani, ai Professori, agli Studenti, al Personale che lavora in questa Università.
In questa liturgia siamo condotti dalla stessa Parola di Dio a leggere la vita e l’impegno apostolico di Giovanni Paolo II alla luce dell’Annunciazione, che ci ricorda il mistero dell’Incarnazione reso possibile dalla risposta di Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto».
Mentre lasciava la scena di questo mondo; mentre sperimentava l’austero e sublime messaggio della sua lettera apostolica Salvifici doloris, quasi riscrivendola nella sua carne e nel suo spirito; mentre la sua sofferenza era divenuta luogo di un amore più grande, sino ad attingere la gioia toccando la Vita, nella festa della Divina Misericordia l’esistenza di Giovanni Paolo II sfociava in Dio, dando senso compiuto ai molti sì pronunciati in vari momenti importanti della sua vita.
Sono stati sì resi possibili da un altro sì, quello di Maria di Nazareth. Il sì di Colei che proruppe nel Magnificat e che realizzò l’impensabile, l’indicibile: cioè, che Dio fosse con noi, uno di noi, l’Emmanuele:
«per disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore;
per rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili;
per ricolmare di beni gli affamati».
Giovanni Paolo II, memore che Dio, dopo il sì di Maria, è, nell’umanità, principio e causa di redenzione, di rinnovamento globale, ha sempre voluto essere servitore della misteriosa e rivoluzionaria unità tra Dio e la storia umana.
Per questo, ha cercato di condurre la Chiesa dentro la storia, per percorrere la «via» che è l’uomo (cf Redemptor hominis n. 14), aprendo ancor di più ogni comunità, ognuno di noi al colloquio con i popoli, con tutti, credenti e non credenti…, mostrando la tenda abitata da Dio per quello che è e dev’essere, «segno e sacramento dell’intima comunione con Dio e tra gli uomini».
Nel momento della sua agonia e della sua morte – catalizzatrici della pietas e della preghiera di cattolici, cristiani, ebrei, mussulmani – è apparso più chiaramente che egli è stato, davvero, un grande costruttore di unità tra uomini e tra religioni.
Giovanni Paolo II, ha fatto del mistero dell’Incarnazione – che l’odierna solennità dell’Annunciazione ci ricorda – il fulcro del suo magistero; l’ha considerato matrice della proposta di un nuovo Umanesimo, esigito peraltro da quella «catastrofe antropologica» – così la chiamano gli studiosi – che ci rende contemporanei a una «nuova questione etica e religiosa». Contemplando il mistero del Verbo fatto carne, egli ha compreso che la fedeltà all’uomo e la fedeltà a Dio non possono affatto considerarsi alternative, ma vanno, al contrario, realizzate congiuntamente nella storia della Chiesa e dell’umanità.
Il Papa venuto dall’Est pensa all’Incarnazione di Gesù come alla causa prima del potenziamento della libertà oggi tanto ricercata – vari pensatori (ad esempio, Ralf Dahrendorf, Amartya Sen) le dedicano i loro saggi; i potenti della terra mobilitano gli eserciti per affermarla tra i popoli – e destinata a legarsi alla verità, al bene, a Dio.
Gesù, che si è fatto uomo e che dall’alto della Croce dona il suo Spirito d’amore al mondo – Spirito come vita strutturata a tu e inabitante nella Trinità – viene, infatti, a risanare la trascendenza debilitata di ogni uomo, sia nell’apertura ai suoi simili, sia nell’apertura a Dio.
La libertà umana rivissuta, ricapitolata da Gesù Cristo, diventa per ogni persona libertà di libero arbitrio per il vero, per il bene, per l’amore (cf. GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, Milano 2005, pp. 47-57), per la comunione con Dio, per il perdono, per il bene comune, per la pace.
Non è più libertà che non si prende cura del povero, del carcerato, del peccatore, dello sfruttato. Al contrario, è libertà che si dedica alla liberazione dell’oppresso e dei prigionieri; alla liberazione dalla fame, dal debito ingiusto, dalla guerra, «avventura senza ritorno». È libertà che si rende paladina dei diritti di Dio.
Perché contemplatore della libertà redenta e umanizzata da Gesù Cristo, Giovanni Paolo II ha potuto proporre una libertà religiosa – bene e diritto di ogni uomo e popolo – non relativistica; una laicità non vuota e senescente, bensì ricca di contenuti etici; una visione più granitica della dignità delle persone. In definitiva, il Pontefice, venuto da un Paese comunista, è stato profetico per la proposta di un umanesimo alto, non appiattito sull’economico e sulle ideologie negative. È un umanesimo della trascendenza e del mutuo potenziamento d’essere, ad impronta trinitaria, animato dalla vita di comunione con Dio; è un umanesimo più proporzionato alla dignità dell’uomo, ai bisogni profondi delle persone, create a immagine somigliante dell’infinita Comunità di Amore; è un umanesimo sollecitante i popoli a costituirsi sempre più in un’unica famiglia, entro le coordinate di una civiltà conviviale.
L’umanesimo trinitario e relazionale, consegnato da Giovanni Paolo II alla Chiesa nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, sprona la Chiesa a vivere come «casa e scuola di comunione» per irradiare – nelle varie forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo – un’esistenza che costruisce ambienti ove ognuno possa sperimentare di essere per la trascendenza, per il dono all’altro, per Dio (cf Centesimus annus n. 41). Grazie alla sua connotazione di trascendenza e al primato dato all’essere, tale umanesimo sollecita i popoli a vivere nella collaborazione sulla base della fraternità e dell’amicizia civile. Impone di considerare la razionalità scientifico-tecnica insufficiente a fornire una vera e compiuta forma di cultura e di civiltà: prescinde, infatti, per la sua stessa impostazione metodologica, dalle questioni del bene e del male morale, e ancor più fondamentalmente del senso e del destino dell’uomo e dell’universo, che sono il nucleo generatore di una nuova civiltà (cf C. RUINI, Nuovi segni dei tempi, pp. 53-54).
In questi giorni, più volte si è avuto modo di pensare alla ricca e complessa eredità magisteriale ed apostolica che Giovanni Paolo II lascia alla Chiesa e ai credenti.
Nell’arco di circa 27 anni di pontificato, ha affrontato molteplici questioni. La sua riflessione sull’uomo e sul mondo, la sua testimonianza, congiunta alla sua santità di vita, hanno lasciato un’impronta che non si potrà cancellare in diverse aree: dall’ecclesiologia alla morale; dal ricentramento in Gesù Cristo all’ecumenismo; dalla priorità di una nuova evangelizzazione alla costruzione di un mondo più giusto e pacifico; dai problemi tradizionali alle res novae, quali globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia, questione ecologica e bioetica, eutanasia.
C’è da rimanere stupiti e sgomenti allo stesso tempo. E tuttavia, di fronte alla complessità dell’opera che attende e ci trova un po’ disorientati sono le stesse parole del Papa Giovanni Paolo II a rincuorarci e ad indicare la rotta, in particolare con la Lettera apostolica Novo millennio ineunte e con la celebrazione dell’anno eucaristico: «Tante cose, anche nel nuovo secolo, saranno necessarie per il cammino storico della Chiesa, ma se mancherà la carità (agape), tutto sarà inutile» (Novo millennium ineunte, n. 42). E riporta le parole di Santa Teresa di Lisieux, da lui proclamata Dottore della Chiesa proprio come esperta della scientia amoris: «Capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa […]. Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto».
Il programma pastorale è, allora, per Giovanni Paolo II: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo» (n. 43).
«Che cosa significa questo in concreto?», si domanda lo stesso Pontefice. E risponde: «Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto…» (ib.).
Giovanni Paolo II non ci ha lasciati soli. È con noi nella Comunione dei Santi, con il suo insegnamento, con la sua santità. Egli prega per noi con più efficacia. Pare ci dica con Gesù: Prendete il largo. Siate testimoni dell’amore. Contemplando il volto di Cristo, morente sulla Croce e risorto, ispiratevi, nelle vostre programmazioni pastorali, al comandamento nuovo. Potrete rispondere meglio alla vostra vocazione e ai vostri compiti se avrete amore per Gesù Cristo, se vi amerete l’un l’altro. Solo una Chiesa «casa e scuola di comunione» potrà affrontare adeguatamente le infinite necessità della stessa comunità ecclesiale e dell’umanità.
In queste parole di Giovanni Paolo II si deve sicuramente cogliere l’invito a una nuova stagione e a una nuova primavera di unità: tra i vari carismi della Chiesa, tra le famiglie religiose, tra i movimenti e le associazioni cattoliche e di ispirazione cristiana. Uniti e in comunione con Cristo e tra noi sarà più facile annunciare «integralmente Gesù Cristo e il suo Vangelo».
Celebrando questa Eucaristia, e ricordando che Giovanni Paolo II nella sua Lettera Mane nobiscum, Domine, ci invita a vederla come principio di progetti di missione e di solidarietà, preghiamo così:
«Rimani con noi, Parola vivente del Padre, Pane di Vita eterna. Insegnaci a vivere nella comunione, nell’unità e nella diversità, per meglio nutrire l’uomo affamato di Te, di verità, di libertà, di giustizia e di pace» (cf Mane nobiscum, Domine, nn. 25 e 27).
In questa Eucaristia preghiamo per Giovanni Paolo II: le sue parole rivolte ai giovani nelle ultime ore di vita – «Vi ho cercato, siete venuti. Vi ringrazio» – sono una grande proposta per noi, Università «dei giovani, per i giovani».