OPERE E SCRITTI
EDITI E INEDITI
DI
“ DON BOSCO “
NUOVAMENTE PUBBLICATI E RIVEDUTI SECOND() LE EDIZIONI ORIGINAL!. E MANOSCRITTI SUPERSTITI
A CURA
DELLA PIA. SOCIETA SALESIANA
VOLUME QUARTO
LA VITA DI SAVIO DOMENICO
" SAVIO DOMENICO E DON BOSCO
STUDIO DI DON ALBERTO CAVIGLIA
TORINO - SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE
Corso Regina Margherifa, 176
la Edizione: 1942-1943 Ristampa: giugno 1977
Propriety riservata alla
SOCIETA EMI-RICE INTERNAZIONALE Officine Grafiche SEI • Torino
M. E. 43053
•
A
DON PIETRO RICALDONE
RETTOR MAGGIORE DELLA SOCIETA SALESIANA
CHE COLLA PI& CARA DELLE OBBEDIENZE
LEGO I MIEI ULTIMI ANNI
ALLO STUDIO DI DON BOSCO SCRITTORE
DEDICO RIVERENTE E GRATO
. IL FRUTTO DELLE MIE AMOROSE RICERCHE
SUL PENSIERO E SULL´OPERA
DEL SANTO EDUCATORE
QUALI SI RIVELANO
NELLE c VITE s> DA LUI DETTATE
DEI GIOVANI CH´ET FECE SANTI •
D. ALBERTO CAVIGLIA
LA VITA DI SAVIO -DOMENICO
SCRITTA DA DON BOSCO
INTRODUZIONE ALLA LETTURA
A) Ragguaglio hibfiografico.
A distanza d´un anno e none mesi dalla morte del Savio Domenico (9 marzo 1857), si pubblicava, nel gennaio 1859 la VITA, scrittane da Don Bosco, che raggiunse una decina di edizioni numerate fino al 1908, e in appresso numerose ristampe, variamente annotate e illustrate, rassegnate per migliaia fino alla edizione stereotipa del 1934, che riproduce fedelmente la quinta edizione.
La 1a edizione usci in Lett. Cattol., anno VII, fast. XI, gennaio 1859, col titolo: VITA - del giovanetto Savio Domenico - allievo dell´Oratorio - di San Francesco di Sales - per cura del Sacerdote Bosco GIOVANNI. - Torino, Tip. G. B. Paravia e Comp., 1859 (prezzo 1. it. o,zo). Nel fascicolo, di pag. i44, precedeva alla Vita (pag. 3-6), un Estratto di Lettera Pastorale di Mons. Gioanni Antonio -Gianotti, Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo, ai Venerandi paroci della sua diocesi in favore delle Letture Cattoliche
L´interno del foglio di guardia era corredato dal ritratto del Savio in incisione (z) firmato: C. Tomatis, suo alnico dis. Il ritratto rappresenta it giovanetto sedutO accanto ad un tavolo, abbracciando con la sinistra una- statua di Madonna col Bambino, e tenendo nella destra un
(0 in data: Saluzzo, ii 9 ottobre 1858. t la chiusa della pastorale.
(a) Riprodotta fuori testo in questo volume. II LEMOYNE, Mem. Biogr., VI, 146, la dice impressa dal litografo Hummel, benche non ne rechi alcuna sigla e segno. II tratteggio del disegno none diverso da quello di una incisione, benche per avventura abbia servito per una litografia.
X
cartello con la scritta: La morte ma non peccati. Sotto la figura stava la scritta incisa (doe faciente parte della inciS lone):
SAVIO DOIVIENICO
a suoi amici
A questa Vergin d´ogni grazia plena Promettete di cuor, fratelli amati, Voter prima morir, the far peecati.
La prima edizione con la prefazione (pag. 7-1o) diretta ai Giovani carissimi, era in 26 capitoli, occupando col testa le pag. 11-136, net formato in-320 delle primitive Letture Cattoliche, e recando (pag: 137138) una PROTESTATIO AUCTORIS in Latino, sostituita poi nelle altre edizioni (ed anche nel Magone Michele, 1861) da una breve dichiarazione in italiano.
_Quest´ edizione usci a gennaio inoltrato, come ci fa intendere Don Bosco nella prefazione al Michele Magone, dicendo che questi pate appena leggere le prime pagine del libro desideratissimo, quando fu colic) dal male the la rapi in due giorni (19-21 gene.).
Il Lemoyne c´informa (t) delle varie contestazioni sorte nell´Oratorio circa la veracita dei fatti contenuti nella VITA, e gli apprezzamenti, non tutti rispettosi, che ne derivavano (a). Tanto pill che un giovane (sappiamo essere tal Giovanni Zucca) smentiva l´affermazione (capo IV, • pag. 24) the it Savio non si fosse lasciato indurre una prima volta dalle istanze d´un compagno che lo invitava ad andare a bagnarsi: giacche egli stesso ye lo aveva indotto, ed era andato con lui.
. Sappiamo come fini la cosa. Don Bosco si spiege, pubblicamente in in discorsino della buona notte, mostrando che cosi aveva scritto per risparmiare una trista figura al colpevole compagno li presente, che ora si scopriva da se, e « dopo aver tradito it compagno in vita, voile tradirlo dopo morte; allora si era messa a rischio l´innocenza, ora l´anore*. Le critiche e le dicerie cessarono.
Ma it Santo Scrittore ordinava la ristampa di quella Biografia, aggiungendo it fatto omesso, coi debiti commenti (3). Codesta ristampa
(1) Mem. Biogr., vol. VI, 1.4.6-14e.
(z) Forse it Lemoyne ha arnolificato it fatto del Zucca, facendone un punto d´appoggio a troppe altre critiche. I Processi dicono chiaro che non vi furono, all´infuori di quests, altre contestazioni: anzi nessuno trovo a ridire.
(3) Mem. Biogr., VI, 549.
c--4, XI
fu la 2a edizione, divenuta da gran tempo introvabile, tanto da indurre la Sectio Historica della S. Congr. dei Riti a dar name di Seconda a quella che usci nel 1861 dalla Tip. Martinengo, e thee titolata come terza edizione -accresciuta.
Ma la seconda edizione usci veramente, e non solo per ritoccare quella certa pagina, ma per dar luogo ad altri e non pochi ritocchi e aggiunte, di capitale importanza: tra cui un capitolo inter°, it XVI (portando i capitoli a ventisette), e poi l´Appendice, di cui diremo piu oltre. La troviamo annunziata sulfa copertina del fasc. di gennaio, anno VII (186o), delle Lett. Catt. (1), cosi: «Vita del giovanetto Savio Domenico. Edizione 2a. La prima edizione fu interamente esaurita: la seconda e in torso di stampa, e venne accresciuta di molte importanti notizie ». Nel fasc. di maggio (anno VIII, fasc. III, 186o), si annunzia: «Vita del giovanetto Savio Domenico. Edizione 2a, migliorata ed accresciuta. Cent. 30» (2). Poiche i fascicoli di febbraio e marzo non ne Bann annunzio, dobbiam credere the sia uscita a fine d´aprile pet mese di maggio.
E cid in grazia d´un altro argomento the ne dimostra l´esistenza. Gia nella 35 edizione la Relazione stesa dal Sac. Michele Rua della grazia ottenuta da Bechis Carlo di Chieri, recante la data 10 marzo 1861, dice the quella persona, leggendo la Vita di Savio Domenico, « al vedere come parecchie person travagliate da diversi mali, ed anche dalla sua medesima infermita, avevano a lui ricorso, ed erano istantaneamente guarite, sentissi ripieno di fede, etc... ». Con che si alludeva alla grazia ottenuta da Bellino Carlo, it 20 febbraio 186o, riferita nelrAppendiee sopra alcune grazie ottenute da Dio ad intercession di Savio Domenico: quale Don Bosco inseri dopo la Vita, e che dunque cominciO ad apparire nella seconda edizione, comprendendo ancora la Relazione di grazia ottenuta da Paira Maria, del lo aprile .186o (3).
Tutte le novita recate nella 2a edizione compaiono nella 33 edizione, uscita dopo l´aprile e prima dell´ agosto 1861, col titolo: 4 Vita del gio
(1) II momenta della grazia, o is uttime ore di un condaimato, Anonimo, trad. dal franc.
(z) Angelina, o la buona janciulla istruita nella vera divozione a Maria SS., Anonimo:
(3) t percie inesatto it recensore Arrnonia, 25 agosto 1861, quando at-.
tribuisce l´aggiunta dell´Appendiee edizione, che e la terza, uscita al
lora. — Cfr. Mein. Biogr., VI, 90. Toms a confer= della nostra asserzione la dep. France,sia al Proc. Apostolico: Somm. Proc., pag. 402. — Cosi la Relazione di Pastrone Giacinta, io marzo, 186T, dice dell´ispirazione aorta nel leggere le graottenute da altri: cib in III ediz., pag. 177.
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trovandosi Don Stefano Trione, ancor chierico, ad Albano Laziale con Don Bosco, mentre questi correggeva le bozze di una nuova edizione della Vita di Savio Domenico, it Santo gli disse: « Non posso mai pensare alla Vita di Savio ed attendere alla correzione delle starve, senza piangere al pensiero di lui ».
Noi sappiamo eke cio fu nel 1878, e quelle erano le bozze della Quinta erlizione, che usci in quell´anno. Essa reca l´impronta di evidenti ritocchi autore, e fa piacere d´incontrarli, come segni della cura amorosa d´un uomo che vuol bene al suo libro, e che ha pure affinato it suo stile.
La Quinta edizione aceresciuta usciva con l´indicazione editoriale: 4 Torino, 1878. Tipografia e Libreria Salesiana, Sampierdarena, Nizza Marittirna ».
Formate, e caratteri bodoniani dei Classici della Bibl. della GioventU Itiliana, di pag. 3-156; si noti: senza it consueto ritratto del Savio. L´autore 0´ questa volta: Giovanni Bosco.
Essa riproduce la quartet edizione nella- grafia e nelle disposizioni; ma offre un certo numero di ritocchi verbali, e due aggiunte notevoli. Queste sono:
Cap. XIV, pag. 59-60: i due capoversi, Ia crisi degli scrupoli nel Savio, e Ia sua illimitata confidenza nel Confessore stabile. Dove si sente l´eco delle massime espresse nel Magone (1861) e pia precisamente nel Besztcco (1864);
Capo XVII, pag. 78-81: Ia lunga Nota biografica su Don Giuseppe Bongiovanni, collaboratore e amico del Savio. Forse fu preparata da Don Berto (v.. infra) come altre pagine di quegli anni, e poi ritoccata o rifusa da Don Bosco.
Degli emendamenti it pin significativo 0 quello del Capo XIV, pag. 61, M dov´e detto che it Savio teneva «un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la Comunione quotidiana»: la parola e mutate in « frequente. Fatto importantissimo, che si spiega storicamente dally circostanze in mezzo ale quali ii libro si pubblicava in quel 1878; e che farebbe credere che Don Bosco rinunci a S. Alfonso per tornare all´ Alasia. Ne daremo le proprie spiegazioni a suo luogo (i).
(r) Si osservi che iI Libro usci come edito a Sampierdarena e Nizza Marittima, non dalla Tip. dell´Oratorio di Torino. Cia per evitare le noie che tutti sanno.
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Nell´Appendice non fu aggiunta nessun´altra relazione di grazie, neppur quella del ch. Pellegrini di Como, ch´e del 1871 (r).
L´Edizione Quinta a l´ultima curata personalmente da Don Bosco. Essa fu stereotipata, e tale si mantenne rielle edizioni successive. Una sesta edizione non appare in nessun modo, mentre nel 1890 compare una ristampa, nel formula Letture Cattoliche di Torino, n. 71 (copertina gialla e contorno di fregi), eke porta in fronte: Ottava edizione; e nel frontespizio: Settima edizione: -core gia accadute per altre opere di Don Bosco, p. es. per la Storia d´Italia. Nella prefazione stan´z d´ora in poi:.. «in questa nuova edizione ».
Due novita in questa edizione: l´aggiunta della relazione del Ch.Pellegrini di Como (1871), e, a parte (pag. 154), con data 186o in testa, la Relazione di due grazie ottenute da Savio Domenico in mio favore, a firma di Don Garino Giovanni. Torino, 1889: Puna e l´altra non rife-rite nell´Indice, che 0 stereotipo dalla quinta edizione.
Una ristampa identica si fete nel 1893, col tit.: Nona edizione (senza raccresciuta). Torino, Libr. Sales., 1893. —Anche qui l´Indice e stereotipo.
Altre tirature si saranno fatte in seguito; ma la numerazione non va pia oltre.
Finalmente, pel cinquantenario della morte del Savio e l´apertura del Processo informativo, nel 1908, fu fatta una nuova edizione, a cura del diligentissimo D. Angelo Amadei, ehe vi appose opportune Note e Appendici, pubblicd alcuni facsimili documentarii, e diresse le illustrazioni di G. Carpanetto (z). Tale edizione si riprodusse find al 1931 (3).
(i) La serie delle grazie si chiude con la dichiarazione in italiano: a A quarto fu detto o scritto, ecc. a benche nel verso del frontispizio vi sia gia la dichiarazione di ossequio ai decreti di Tirbano VIII. In ediz. successive Ia dichiarazione prirnitiva scompare.
(2) VEN. GIOVANNI Bosco, Il Servo di Dio Domenico Savio. Con illustrazioni
originali di Giovanni Carpartetto. — Torino, 1908. La parte I del vol. con
tiene Ia Vita con 1´Appendice gia aggiuntavi da Don Bosco, e la Relazione Pellegrini; Ia parte II: Altre Memorie, tratte da varie pagine del Lemoyne e da altre fonti, anche inedite (tra I´altro: it Sogno di Don Bosco del 22 die. 1876 a Lanzo, detto del Glardino salesiano). Accedono le notizie sae Commemorazioni varie, e sulle vicende della tomba. — Questa edizione fu promossa dal Vice Postulatore Don Stefano Trione, she vi premise (pag. 5-6) un suo"A chi legge datato: a Torino 9 marzo 1928, 51° anniversario della morte del pio alunno di Don Bosco. Per iI Comitato Promotore: Sac. Stefano Trione s. Nelle repliche di questa ´edizione, l´.4 chi legge fu soppresso, e la numerazione anticipata di due su quella del 1908.
(3) Nel 1931 e nurnerata Sesta edizione, 2o0 migliaio. S´intende sesta ristampa della ediz. 1908.
XVI
L´Amadei dice (pag. 223-221) di avere u scrupolosamente seguito > la 3a edizione, quella del 186i, lodata dall´Armonia, etc. In realty l´ediz. Amadei non segue soltanto la edizione del 1861, ma accoglie tutte le innovazioni e aggiunte della 4a e 5a, e si attiene, quanto alle varianti formali, a tutte e tre. Tuttavia la fedelta sostanziale e osservata giacchh tutte le tre suddette edizioni furono curate diligentemente da Don Bosco, e nulls vi fu introdotto (cosa the di altre opere non si pith dire) the non _ sia sicuramente e tutto suo. Naturalmente, e per ovvie ragioni editoriali, prima tra tulle la comodita di chi Legge, furono adottate le osservanze grafiche pia indispensabili per un´edizione divulgativa: dico degli alinea nei capoversi e nei .dialoghi, le lineette, i virgolati, qualche interpunzione pits regolare, le maiuscole costanti e d´uso piii generale, e insomnia un ammodernamento non inutile, e del resto non lesivo della sincerity del testa.
Nel 1934 la Soc. Edit. Internazionale cure, un altro tipo di edizione per la serie delle Letture edificanti, alla quale appartengono le Vite del Comollo, del Magone, del Besucco (1).
Nelle sue modeste apparenze questa edizione e senz´altro la pit fedele, cinzi la sola veramente fedele all´ultimo testo iasciato dalr Autore (z). E un caso nonche raro, quasi unico nella storia delle edizioni delle opere di Don Bosco. Essa riproduce, con scrupolo quasi pedantesco, la Quinta edizione del libro, fino ad accettarne le inosservanze grafiche e distributive. Poco ci manta a fame, come si dice tra studiosi, un´edizione diplomatica. Nella collazione th´io feci di tutte le edizioni, compresa quella del 1908, ho sempre, trovato che la dove c´era una differenza tra essa e le altre, questa del 1934 era immancabilmente it ritorno alla 5a edizione, e i non mold ne apprezzabili scostamenti erano da ascriversi alle inevitabili sviste o licenze dei tipografi e del proto, facili a riconoscersi e ristabilirsi. — Per chi, come lo scrivente, si adopera da tempo a dare it testo genuino di Don Bosco, cercandolo tra le alterazioni e i rivestimenti subiti nel torso degli anni, questa 0 davvero una soddisfazione insperata,
(I) SAN GIOVANNI Bosco, Vita del Venerabile Domenico Savio, allievo dell´Oratorio di S. Francesco di Sales. Soc. Edit. Internazionale (seguono le sedi). La data di edizione e nell´interno: Scuola Tipograf. di S. Benign Canavese, 193411 volume contiene, oltre la Vita con l´Appendice, e le due Relazioni aggiunte, Tan´ Appendice II, intitolata: Carismi e visioni celesti, ch´e it Cap. XV del Domenico Savio del Salotti tora Cardinale) pubblicato: 1915, Torino, S. E. I. con illustrazioni di Mastroianni.
(z) S´intende, dopo quelle stereotipe del 189o-93, da tempo esaurite. Questa deI 1934 parte dall´edizione originale del 1878.
t"1, XVII
e non pith non dame lode al curatore dell´edizione. Che se, per le accennate opportunity editoriali, utili alla propaganda, si creda di dovervi
praticare le osservanze graficite edizione 1908, it testo dovra
sempre essere quell° di questa edizione del 1934 (I).
Noi percia riproduciamo questa, purgandola dalle ovvie mende tipografiche, sicuri di dare finalmente e senza dubbi di, sorts la vera e autentica edizione definitiva lasciataci dal Santo autore, colle parole sue e tutte sue.
B) 11 ritratto del Savio.
Rientra anche nel cameo critic& della tradizione, in quanto attinge la realty stessa delle case, r autenticita del ritratto. Se si pensa al giorno in cui l´immagine del santo fanciullo sara pasta sugli altari, e diffusa per divozione, non 0 di piccolo moment() poterne accertare la yenta (2). Come si apprende dal biografo (3), Don Bosco diede incarico a Carlo Totnatis, compagno ed amico del giovane santo, di disegnare o a memoria
o con r aiuto di qualcuno dei fratelli di lui, it ritratto del Savio, e quell´incisione (o lavoro a penna) impresses dal litografo Hummel, fu pubblicata insieme con la Vita fin .dalla prima edizione, e noi sappiamo che fino al 1866 (4a ediz.) sempre comparve nel foglio di guardia. Sappiamo anti che ne furono tirate copie a parte (d´ingrandimenti non consta), che si distribuivano ai giovanetti, ed anche a persone estranee all´Oratorio (4).
Che valore ha questo ritratto? E, anzitutto, a un ritratto?
(t) Circa i criteri seguiti e da seguirsi nel dare un´ediz. critica delle opere • leggasi quanto e detto in Civata Cattolica, a. 85-IV, 15 dic. x934, circa
la nuova edizione delle opere ascetiche di S. Alfonso M. de´ Liguori, pag. 614623. — Ivi pure e dimostrata la necessity di far la storia delle edizioni, e di valu
tarle secondo le abitudini e la diligenza e secondo le vicissitudini editoriali.
Quello appunto che facciamo noi.
(z) Son note le discussioni suscitate nel 1934 Fel vero ritratto di S. Alfonso M. de Liguori, esposte nel fascic. sopra citato della Civiltd Cattolica, pag. 624 segg. Quanto a Don Bosco, con tanti superstiti che l´han conosciuto e tante fotografie, si dovrebbe avere una iconografia sicura e costante, perche fedele al vero. Purtroppo non avviene sempre cosi, a quella care imagine paterna ci torna sovente innanzi nella figura di parenti lon.tani, o neppur tali.
(3) Mem. Biogr., vol. V, 733.
(4) Cfr. Vita, ediz. 3., Appendice, pag. 177: Pastrone Giacinta teneva in case appeso un quadretto con l´immagine di Savio regalata al suo figliuolo all´Oratorio. La sorella del Savio, Teresa Tosco-Savio, aveva distribuito alle sue colleghe della Manifattura Tabacchi l´immagine del fratello, e attesta che n´avevano divozione e .fiducia. Cfr. Somm. Proc.. pag. 378.
— CAVICUA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte IL
XVIII
Si noti bene. Carlo Tomatis, the a quei di continuava a studiar pittura all´ Accademia di Torino» none uno dei solid dilettanti genialoidi e autodidatti, che dram giu disegni e ritratti per amor di Dio: no: e uno studente autentico e regolare della ufficiale scuola di Pittura della R. Accademia Albertina di Torino, e di buona scuola, bisogna aggiungere, com´era allora universalmente stimata. Compagno suo di corso e d´iscrizione era, per esempio, Lorenzo Delleani. Io ho potuto rintracciare nei brogliazzi del bidello (che di quegli anti non si hanno altri registri) tutta la serie delle sue iscrizioni, anno per anno, fino al 186o. E fit inscritto ally Scuola di Pittura del prof. Arienti dal 1855 al 1859, e poi, come perfezionamento, ally scuola di Gaetano Ferri. Dopo it 186o (e i registri sono allora ben regolati e ben tenuti) non compare pit´s (1). Quando adunque disegno it ritratto del Savio (1858) non era neppure un principiante, ma gia allievo del quarto anno, e non respinto per insufficienza, se lo troviamo ancora ally scuola del Ferri.
Benche non disegnasse direttamente dal vero (ma allora gli allievi erano esercitati anche al disegno di figura senza modello e a riprodurre a memoria un tipo conosciuto), qui it Tomatis ritraeva un tipo rimastogli impresso per la frequenza quotidiana e pit ancora per l´aniicizia. E voile farlo intendere scrivendo sotto it ritratto a stampa: C. Tomatis, suo amico dis.
Ora, se Don Bosco fu coniento del disegno del Tomatis, bisogna dire cite ci vedesse it Savio quale egli conosceva e riconosceva, e the, se la rassomiglianza non era perfetta (noi non abbiamo it modo di controllarla) certamente doveva essere la men lontana dal vero. (z). E che it pittore amico del giovinetto abbia voluto essere vero al possibile, e rappresentarlo
(I) Archivio della R. Acead. Albertin.a: e Reale Ace. Albert. di Belle Arti. Nomi degli allievi che furono inscritti dal 24 ottobre a tutto it 28 novembre 1856, ecc., fol. 6°: Tomatis Carlo, gia ammesso con Carta domanda per continuare Ia scuola di Pittura. Prof. Arienti. Sotto: Valdocco, Casa Nuova Sac. Don Bosco. — Ibid., a. 1857-58, idem. — Ibid., z° quint., 1858, 22 ottobre, Regolarizzato 1858-59. Ibid., 3° quint.: a. 1859-6o, 22 ottobre: e Tomatis Carlo alla Pittura prof. Arienti.
Passato dal prof. Ferri, 5 nov. 1860 s. L´Arienti era it titolare di Pittura dal
1843 al 1859, e passe a Direttore della Accad. di Bologna. Suo successore fu Andrea Gastaldi.
Cfr. A. STELLA, Pittura e Ncoltura in Pienzonte 1842-1891, Torino, 1891; pag. 64 seg.
(2) Nel resto opera qui come nella maggioranza dei fatti analoghi, it process° psichico dell´integrazione rappresentativa, comune a tutte le figurazioni approssimative di cib che not conosciamo nella realty. L´essenziale e che la figurazione non sia la negazione assoluta del vero.
XIX
come egli to aveva veduto e tutti lo ricordavano, ce lo dice it verisrao
dei particolari: le case sono quad erano allora all´Oratorio: la sedia rusticana, it tavolo rozzo, it soffitto a travicelli (ce n´ erano ancora ai miei tempi), la statue di gesso della Consolata, imitate da quella celebre primitive della Cappello Pinardi: povere case, ma vere. Il vestito poi,
che non si dimentica, e quale soleva portarlo (e non n´ aveva troppi!), e nel costume del tempo; la capigliatura, appena rassettata da una spartita a sinistra, senza troppo studio, com´era di moda allora sotto Don Bosco; un insieme di poverta decorosa e nulla pit, come vuol intendersi ii detto dell´ Anfossi e altri coevi: pulito e di aspetto civile (1).
E it portamento none quello della pose eroica o assorta in rapimento, ma umile e dimesso, soprattutto naturale e senza intenzione: a it suo, cite tutti avevano ancora negli occhi. Le testimonianze dei Processi (e quelle del Cagliero hanno dei tocchi plastici molto suggestivi) ce lo danno piccolo e gramo, cioe gracilino e malaticcio, col capo un po´ sempre
· inclinato e l´espressione calma e sorridente (2). Dicono anche di quel certo non so che proprio dello sguardo e dell´ aspetto dei Santi (3), di e quella potente concentrazione o eccelso rapimento, cite doveva essere, negli occhi del fanci•allo santo» e che spiega l´immediata ammirativa impressione, ch´ egli suscitava, e cite it Cagliero esprimeva dicendo di vederlo come un angioletto (4). Ma sarebbe troppo pretenders da un modesto ritratto a penna.
Tonto sia detto per la storia. Purtroppo, con tutti codesti argomenti
- in favore, it ritratto, cosi com´ 0, none un capolavoro, ed e anti un lavoro non riuscito: oltrecch0 mel si adatta ells circostanze che lo rendono necessario; cite sono i due inconvenienti pit notevoli. Il primo difetto, o inconveniente, 0 grave. Chiunque abbia una qualche competenza di disegno, scorge senz´ altro che la figure (dico it volto e la testa) e mel discgnata, con scorrettezze di prospettiva facciale, di proporzione; di grafia pittorica. .1I disegno non 0.710 tutto di fronte ne tutto di quarto: it naso, gli occhi sono tracciati indipTendentemente della posizione; la bocca segnata calligraficamente di maniera: dubbia la simmetria, e forse troppo grossa la testa. Ne riesce una figure privet di carattere, e non dico di
(1) Somm. Proc., dep. Anfossi, pag. 78.
(2) Somm. Proc., Cagliero, 307-308; IVIelica, ivi, e a.
(3) CRISPOLTI, S. Luigi Gonzaga, pag. 25.
(4) Sown. Proc., Cagliero, pag. 288.
xx
vita, che sarebbe voter troppo. Per un quasi licenziando in pittura, un fatto grave (I).
Rimane tuttavia acquisito it tipo generale e i particolari accessorii, almeno per escludere le´ troppo arbitrarie invenzioni e imprestiti, che si potrelbero anche chiamare deformazioni.
L´altro inconveniente, ch´e di carattere sociale, sta nella troppo umile e meschina apparenza del povero figlio dell´Oratorio. Cosi come si presenta, ed a pure it vero, l´unico vero sicuro, non a di aspetto motto civile. Lascianio stare it moderno, che cambia con le mode, ma qui, nel suo costume, e pur sempre un abito pulito, si, ma di povero (2).
Sid creduto pertanto the per questo non riesca attraente e simpatico, e n´abbia danno l´esemplarita vivente e attuale, che s´ avrebbe da una figura pit civile e pit prossima alla vita del nostro tempo. E si a ricorso, per • necessity di circostanze, ad una figura convenzionale, ammodernata e ripulita o civilizzata. Vogliamo qui alludere alla figura ormai mondialmente divulgata in oleografie, stampe, immagini di libri e di memorie, in illustrazioni della stessa Vita, tradotta persino in plastica e in sta- ´ tuette._
quella che l´indimenticabile Don Stefano Trione, promotore prima e massimo della causa del Savio, fece eseguire in pittura net 1908 dal prof. Kirchmayr di Torino, ispirandola e quasi dettandola all´artista. Questa figura none un ritratto, e non ha che vedere con la realty storica: e una pretta invenzione, creata per stabilire, chiamandolo Savio Domenico, un tipo di giovane studente, moderno, civile, da presentare come modello dappertutto e ad ogni ceto di person, in ispecie tra le nazioni di carattere diverso dal nostro (3).
Dall´originale si e imitata soltanto la posa, doe l´atteggiamento del
(r) Pub dares che I´originale disegnato dal Tomatis fosse migliore, e che sia stato mal condotto dal litografo o incisore. Ma l´originale non esiste pin. Del Tomatis pittore non si ebbe mai notizia, e le Mem. Biogr., 1888, vol. XVIII, pag. 496, ricordano che versava in grave poverty. Come mai Don Bosco non lo chiamb a lavorare in Maria Ausiliatrice, o a S. Giovanni o a Roma, mentre diede lavoro a Rollini e a Reffo? Si noti che it Rollini entre nell´Oratorio e in Accadernia appunto nel 186o, quando Tomatis ne usciva.
(z) Somm. Proc., Anfossi, pag. 78. Altre deposizioni cit. a suo luogo.
(3) Per esempio, anni sono, fun pregato dai midi confratelli d´Inghilterra (Oxford) di far studiare da uno scultore un tipo di Savio Domenico che non fosse in figura di povero e inelegante, ma moderno e civile (un piccolo gentleman) perche grInglesi non si adatterebbero a venerate un santo popolano e dimesso. Lo volevano almeno come quello dell´immagine divulgata.
´---+., XXI
giovane seduto e volto a destra, che abbraccia una Bella statua della Madonna, e tiene dall´altra mano it cartello col suo motto tradizionale. Il resto: l´abito nero attillato, it colletto e la cravatta moderni, la persona slanciata, la statures di giovanotto (1) a tutta roba d´altri. E pit the mai d´altri sono la testa e le fattezze, riportate ingrandendo in giusta proporzione la fotografia di chissa chi. Tale era infatti la professione del Kirchmayr, non pittore, ma dipintore d´ingrandimenti fotografici. E come tale fece anche troppo bene, salvo, cone a naturale, quel manco di vita e di anirno a di espressione, the un tat genere di lavori non pith dare. La testa d´un altro non dares mai il sorriso del piccolo Santo di Don Bosco!
La storia era sacrificata, ma l´immagine era fatta, e fu accettata e diffusa. L´idea cite in astratto ci facciamo di un giovane studente di quindici anni e anche pit, Buono, mite e tranquillo (un po´ collegiate, none vero?) l´idea a quella, e l´immagine che vi risponde ha fatto for-tuna. La buona intenzione del taro Don Trione va rispettata, e in un certo senso gli si puo dar ragione, soprattutto pensando at moment° in cui promosse quell´opera. Ma non at punto da alterare la verita per sempre.
Il disegno del Tomatis deve rimanere a documento di questa, ed anche se l´ortografia a difettosa, it senso rimane. Bisogna studiarlo e integrarlo, o interpretarlo, seguendo i dati descrittivi dei Processi canonici. Ed é quello the si d fatto. Noi possediamo ora net quadro di M. Caffaro Rore (1941) it ritratto del nostro piccolo Santo, restituito secondo tale criteria cioe secondo la verita e secondo to spirito: spirito e vita che tutti sentiamo dover essere stati quelli del santo fanciullo. Con questa figura dinnanzi not possiamo intendere le pagine della Vita. Quanto all´abito, dipentlera dally destinazione dei quadri o immagini t´essere piic o meno elegante. Ma perche non si pu6 essere civili net costume del mezzo ottocento? (2).
(r) Eppure tutta Is distesa delle deposizioni processuali, cioe la tradizione de visa, ci parla del piccolo Savio, del Savietto (Don Bosco), del piccolo ma grande
. Santo (Cagliero d´una figura d´angioletto (id.).
(2) II ritratto e ormai accettato ufficialmente. II prof. Mario Caffaro-Rore, per mio suggerimento, ha restituita (e, nel caso, ricostruita) la figura del Savio studiando I dati positivi dell´incisione e del Processi; ma poi, con profonda intuizione e senso d´arte squisitissimo, ha inapresso nella sus immagine quella personality di Santo, calms e consapevole, e pronta al sorriso come alla preghiera, quella semplicita candida e profonda, senza della quale i1 Savio non si pub pensare. Ed ha evitato ingegnosamente it gesto un po´ volgare della presentazione del motto
XXII 4-,
ben vero che nello svolgersi della divozione, dopo che it Magistero della Chiesa si sara pronunziato, potra accadere al caro Santino quello the accadde a S. Luigi e a molti santi, che si bada pia al senso the alla lettera, e si regala Vilna o l´altra figura immaginaria: 1´ essenziale
che non sia discorde o addirittura contraddicente, come nel caso del Savio finora accettato e divulgato. L´umano e lo storico net Santo si
trasumana, e la divozione pith astrar-a dalle contingenze della figura terrena (r).
C) L´opera cello Scrittore.
Rinzane cosi aperta la via per la presentazione del libro come opera dello scrittore, quale e nostra consuetudine di fare, e ci sembra essere nostro dovere. E, nel caso, e veramente doveroso e necessario: perchO l´importanza capitale, quasi la personalita, the it libro riveste nella vita del pensiero di Don Bosco e nella sua opera spirituale, richiede che sia collocato net suo giusto valore e veduto nella lace pia adatta a comprenderne it contenuto.
La Vita di Savio Domenico, uno dei pochi libri di Don Bosco fatti senza libri, e cioe personali e originali, e, tra questi medesimi, it capolavoro, l´altro capolavoro del Santo scrittore. Per altro titolo, con altra
materia, con altro scopo, da quello della Storia un altro ge
nere di letteratura, e, nel fatto, un atteggiamento spirituale al tutto di-verso e distante, oltrecche, senza paragone, pia elevato, da quello delle opere di storia. In queste l´Autore, put mirando agli alti fini che a suo
con un cartello tenuto ostentatamente in. una mano: qui ii Santo studente tiene net libro aperto, come per segno, un foliolo su cui stanno le sue sante parole, e it gesto e naturalissimo e significativo. E dal tutto spira un´amorosa simpatia, ch´era appunto la prima e pia cara impression che it Santino lasciava di se. Sicche e per la realty della figura e per lo spirito the l´anima, ognuno che la vede puo credere ch´essa e la pia prossima alla verita fisica e spirituale del caro giovanetto. Quel fanciullo e it Savio, ed e un Santo.
L´aitista ha Iavorato nella tecnica e nello stile del mezzo ottoccnto, come se it ritratto fosse stato eseguito al tempo del Savio.
Io ringrazio da queste pagine ramie() pittore, gia mio uditore all´Accademia Albertina, a allora e poi stimato da tutti come anima d´artista e di cristiano.
(I) Non si vuol dire con questo che, per avere una buona immagine, un´iconografia devota dei Santi, bisogni astrarre daI vero e regalar loro le fattezze the meglio ci accomodano: si pub (e si dovrebbe!) unire una cosy con l´altra: e it- S. Filippo Neri di Guido Reni a Roma e un bel saggio di ritratto santOcato. Cosi vorrernmo the fosse di Don Bosco. Ma come di S. Luigi e di altri divulgatissimi Santi, assorti a simbolo, e invalso l´uso contrario, e del male non ne fa, e fa anti del bene. I.1 puro realismo fotografico non induce a divozione.
luogo ho messo in luce, dew per forza adattarsi al soggetto e dipendere dai libri e seguire in programma culturale. Qui non ci son libri di mezzo; la fonte e egli stesso, lo scrittore, the i fatti ha veduti e sovente ispirati, e it programma e quel ch´egli vuole per dar corpo alla sua idea. Qui non c´0 the Don Bosco, tutto e solamente Don Bosco. E una biografia veduta e narrata, per quanto fedelmente, alla luce d´una concezione the
fatta vita nello scrittore, ed e divenuta l´anima della stessa vita che narra. Il pensiero dell´ Autore s´immedesima coi fatti storici, perch questi, per quanto hanno di umano, sono ispirati da esso pensiero.
Oso dire che, in questo e per questa, its Vita del Savio si distingue dagli altri quattro scritti biografici affini, usciti dalla penna di Don Bosco. La Vita di Luigi Comollo (5844-1854), affettuosissima, rispecchia Don Bosco nella prima formazione del suo spirito. Quella di Magone Michele (1861), scritta (Fun sol getto, con una simpatia perfino umana per it campione dei quasi tutti, che impersona la potenza redentrice del suo sistema educative, e percorsa dall´idea della viral trasformatrice _ dell´educazione cristiana, ch´e per Don Bosco it principio organico della formazione morale: idea gia apparsa in altro campo, e per altra finality sociale, net Pietro o la forza della.buona educazione, uscito net 1855, originate soltanto nella meta che appartiene a Don Bosco (1). 11 Santo Pedagogo compare nella sua figura pia propria di educatore, e l´esito a cui perviene mette in chiara luce la religiosity sostanziale della sua concezione pedagogica_
La Vita di Francesco Besucco (1864), opera pensata con un ordine sistematico, ci mette in presenza delle idee di spirituality che Don Bosco offre come attuabili a tutti; ma it Santo Maestro vi figura phi con la didascalia, che non con la compenetrazione di se col soggetto, benche effettivamente sits esso a condurre quell´ anima alle alte time dell´interiorita. Ede da tenet conto dei due Elogi funebri del Cafasso (186o), sgorgati dal cuore commosso del Santo discepolo di un Santo: dove, nonostante le inderogabili necessity della forma oratoria, la medesimezza dei sentimenti e delle vedute tra it Santo che parla e it Maestro di cui traccia la magnifica figura, disegna net ritratto dell´uno it rispecchiamento dell´ altro: vicenda reciproca di quella del Savio, dov´e it Maestro che parla del discepolo. E per questo aspetto della medesimezza dell´uno colt´ altro, i due discorsi sono i Xis affini alla Vita del Savio.
(1) La prima meta e traduzione d´un opuscolo francese anoninao che lo stesso autore confessa nella Prefazione aver preso a guida.
XXIV
Ma questa nostra supera ogni altra. Non gia soltanto per l´eccellenza del soggetto (nel che sta in pan col Cafasso), ma principalmente e Veramente per la pat profonda ed intima relazione tra lo spirit° dello scrittore e quello del suo figlio spirituale. E, a dirla con payola tecnica, una relazione di causality: in quanto, come vengo dicendo, i fatti medesimi della storia biografica sono ispirati dall´idea e dallo spirit° dell´Autore maestro, e la forma della santita, veduta e vissuta dal Santo educatore,
divenuta r anima e la forma della santita vissuta dal discepolo. La Prefazione del libro ci fa pensare a questo, quando amorevolmente r Au-tore si spiega, e quasi si scusa, del parlare ch´egli dovra di se quasi sempre. E da cio credo posses spiegarsi quel torso dominante di tenerezza che vi si fonde con 1´ amoroso stupore ande continuamente e pervaso I´ animo di Don Bosco nel contemplare i fatti, un per uno, di quella vita notoriamente meravigliosa. Come babbo e mamma, teneramente stupiti delle rivelazioni impensate che si vengono palesando nei loro bambini. Tanto lo commuove, che non pito mai pensare ne rileggere it suo libro senza
lacrime codesto indefinito senso di paternity affettuosa the rende
cosi taro e cosi avvincente it libro a chiunque lo legga.
Piace raccogliere tutte le nostre suesposte vedute nelle parole autorevoli di un Eminentissimo, the fu dei pit efficaci promotori della gloria del Savio e di Don Bosco. 11 Card. Lucido M. Parrocchi, it 4 ottobre 1895, scriveva: a ... La Vita,... scritta con tanto affetto, tanta unzione, con tanto paterno compiacimento»...q nella quale non solo e espressa al vero l´immagine di quell´ innocente, ma limpida si rispecchia e fedele la fisionomia di Don Bosco ».
Possiamo anche dire che la composizione del lavoro troy° Don Bosco ormai fatto e formato all´ arduo mestiere dello scrivere come egli vuole, scrivendo come si deve. Noi sappiamo quale singolarissima fatica gli sia costata, quattro anni innanzi, la composizione della Storia d´Italia. Qui, libero dagrimpacci dei libri, detta di suo e col cuore intenerito, e detta bene, in quella difficile facility, che io ho gin detto inimitabile.
Dico, si noti bene, dello stile, del genus dicendi: che, quanto all´ economia della materia, egli non se n´e dato molto pensiero, e ad un ordine sistematico (com´e, ad esernpio, net Besucco) ha preferito al libero andamento dell´ associazione d´idee, ed invece d´una biografia cronografata (le date sono persino troppo rare) ci ha dato sin insieme di tanti quadretti
(I) Cfr. supra, fol. XIV.
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che impersonano fatti spirituali. Come, se e lecito it confronto, avviene nei Vangeli.
Nessuno, a mio parere, strivers mai una Vita di Savio Domenico che valga quella di Don Bosco. Quella del Salotti, dettata con amore grande per al Santo educatore e con simpatia tenerissima verso it giovanetto che Don Bosco forma a santo, e assicurata coi dati dei Processi canonici, e opera solidissima,. e degna dello scrittore e del soggetto, ed
anche attraente, che non e merito secondario. Altre se ne scrissero, e se ne scriveranno, speriamo, anche da penne di prim´ ordine, con vario intento e in varia forma. Ma, com´a gin avvenuto, persino nel torso dei Processi canonici (dove i Capitoli della Vita sono addotti nei Sommarii a .conclusione e conferma di ogni articolo), sempre bisognera tornare a Don Bosco, trovandovi gin implicito ed incluso quel che altri avra pensato, e, senza voter esagerare, dovremo dire che ogni altro lavoro sara sempre una parafrasi della piccola simile Vita scritta dal Santo Maestro. Forse, ed e anche nostra intenzione di farlo, si potra condurre piu di uno studio, e almeno uno ben approfondito, sugli aspetti della santita del 4 piccolo, anti grande gigante dello spirit° » come l´ha definito Papa Pio XI, particolarmente su cia che in essa vi ha di piii squisitamente ed altamente spirituale: e it mio forse ha mate ragioni per diventare una realta. Una santita cosi singolare non pu° essere lasciata solo ai termini generali, ma vuol essere indagata profondamente a vantaggio della spirituality della Chiesa, nella quale essa apporta una nuova personality. Ma rimane sempre che la semplicita e it candore del piccolo Santo di Don Bosco non si puo rappresentare meglio che con it candore e la semplicita del biografo che aveva scritto nella vita vissuta di lui le pagine che ha scritte poi net libro.
Per merit° di questo piccolo libro, Savio Domenico a divenuto net mondo dells Salesianda interna ed esterna, e sta per diventare in tutto mondo, un tipo antonomastico, come San Luigi.
un libro che nella sua piccolezza di mole e nella senzplicita del suo dettato (1), e riuscito ad imporre at mondo, ai cuori, alla Chiesa stessa, al miracolo di un´ attrazione, d´un´ammirazione, d´una simpatia, anti
(i) Tra raltro: nessuno ha mai osservato quanto lo stile di Don Bosco sia adatto ad essere tradotto in ogni altra lingua, e riesca anche in quella sempre amabile e chiaro. Me lo dicono i Missionari d´F.stremo Oriente, come per le letterature europee possiamo constatare not stessi. C´e da fame, invece d´una postilla, una espressa trattazione, che rimetto a qualche bravo linguista.
xxvm
amoroso: vi 0 codesta visione unitaria della persona, la sintesi del tutto
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in un principio che tutto genera e pervade della sua vitality?
Non aspettiamoci da Don Bosco rth parole solenni, ne proc. edimenti deduttivi: egli non si a tracciato un paradigma distributivo per far derivare da un concetto i suoi subordinati e da questi via via le altre dipendenze. Egli scrive con un ordine d´idee cite ha sua origine dal concetto della santita ch´egli vuole contemplare nel suo discepolo, e di cui vuol comunicare ai lettori la persuasion e quasi la sensazione: in altri termini, egli lavora a mostrare che it Savio 0 Santo e in qual modo a Santo e si e fatto Santo.
Non sta a definire it principio fondamentale di quella santita, e non insiste a costruire la sintesi personale del suo piccolo gigante dello spirito e; egli mira all´esemplarita di quella vita, che nella sua perfezione sublime addita alla gioventit la via che deve seguire e la mira a cui deve tendere e pith arrivare.
Ma non cite nella sua intima visione non si disegni la fisionomia propria, la personality del suo giovane santo; non ch´egli non vi senta e non vi leggy chiaramente it principio da cui tutto si origin, e che tutto pervade e informa. Oltre it principio essenziale e costitutivo d´ogni santita ch´e la Carita ossia l´amor di Dio eroico: egli vi fa sentire in tutta la tela della sua esposizione, e pis ancora nel tono del suo discorso, che obbedisce ad un´idea unitaria, non formulata in sentenza, ma permeata in ogni parte, e the vuol piuttosto essere sentita cite espressa. Egli clod non vuole che it suo racconto appaia come it riflesso d´un ragionamento cite gli darebbe l´ aria di tesi preconcetta e prestabilita (1): ma fa in modo che i fatti parlino da se, e it lettore concluda da se. e assorga alla ragione prinzaria e movente.
Invero not la troviamo quasi formulata, e del resto messa in rilievo nelle parole stesse del Savio, in due momenti cite it Santo Maestro di quell´anima considera come risolutivi per tutto it conseguente atteggiamento spirituale del suo discepolo.
Gia nei propositi della Prima Comunione it fanciullo, poco pis cite settenne, aveva pronunziata la parola che divenne it suo motto caratteristico: La morte ma non peccati (2). Ed era motto: non solo per
(i) Fu una pregiudiziale prospettata dall´opposizione nelle Animadversiones della Seetio Historica. Fu dimostrato, in risposta, che Don Bosco non fabbrica it santo secondo la sua tesi, ma dalla storia deI santo ricava is sua tesi.
(a) Vita, ediz. i´, III, pag. so.
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Petit in cui fu pronunziata, ma pel suo valore intrinseco, e per l´esemplarita incisiva della sentenza, come monito capitale per la gioventit.
Dimino che questa 0 la sintesi personals del Savio? Si sarebbe tentati a crederlo, appunto perche la parola a divenuta it motto e l´emblema tradizionale del giovane Santo, e Don Bosco medesimo lo ha fatto scrivere sul cartello del ritratto, e ripetuto nel terzetto in rima apposto in calve all´incisione. Tuttavia, chi guarda pis a fondo, e si conosce delle case dello spirito, non esita a riconoscere cite, per quanto lo si voglia estendere, quello non pia essere, da solo, it principio costruttivo della santita; anche se si voglia, come nel fatto del Savio, vedere un motivo d´amore di alto grado. Esso sta al principio nell´ordine del tempo (1); e it primo gran passo, ed e decisivo e ardito, verso una vita che vuol es-sere di Dio: 0 la scelta della strada, e un atteggiamento, quasi un portamento, da forte. E cite un fanciullo di sette anni sia gin in grado"di esprimere in questa forma quel desiderio della santita ch´d it prima passo verso di essa (2), non pito essere che it portato d´un amore cite non trova altrimenti la sua espressione, ma cite intanto vine in viral della grazia abituale e d´una vocazione alla perfezione, e conduce per la via delle ascensioni spirituali, mentr´egli non ha .coscienza se non di voler amare: Iddio quanto piu puo. Voglio dire che nel nostro giovinetto 0 gia, per dono speciale della grazia, qualche cosa di piii che it primo grado della via di perfezione, ed 0, per l´eta sua, cosa non ordinaria e d´assai supe?ion (3).
Quando la medesima parola vien pronunciata a dodici anni, nel
fervore d´uzu2 consacrazione a Maria Immacolata essa e giti dive
nuta espressione consapevole d´un amore di dedizione: tanto consapevoli e la dedizione e l´orrore del peccato, da apparire anche alt´esterno come la rivelazione d´una trasformazione interiore, si che to stesso suo Maestro comincia da quel pinto a tenet- nota dei passi ch´egli muove (5). Passi da gigante, diremmo, cite pochi mesi dopo, nel marzo 1855, portano alla piena coscienza di se e di quel che vuole: ed e quando dice: o Voglio dire che ,mi sento un desiderio e un bisogno di farrni santo:...
(i) TANQUEREY, Comp. di Teal. Aseetica e istica, trad. ital., Desclee, 1932:
§ 341-342.
(a) TANQUEREY, op. cit., 409-412.
(3) TANQUERFy, op. cit., 343
(4) Vita, pag. 40: Bic. 1854.
(5) Vita, cap. VIII.
)0.:x
ho assolutamente bisogno di farad santo... voglio essere tutto del Signore, e voglio farmi santo, e sarel infelice finche non saro Santo r> (i).
Questa e la sintesi personale, it principio e it carattere individuo di quella santita. Una santita adunque mossa dal bisogno cosciente di es•-sere santo, e raggiunta col soddisfarlo. Pensiamo a quel che dice S. Teresa nella sua Autobiografia, at Cap. XIII, circa i desiderio di farsi santi (2).
E) L´esemplaria.
Codesto indirizzo del lavoro biografico che diviene, per la natura intrinseca del soggetto, un´ agiografia, non allontana e non infirma per nulla l´intento dell´ esemplarita o edificazione che l´Autore si prefiggeva. Don Bosco propane ad esempio dei suai giovani prima, e con essi a tutta la gioventia quella vita di giovane santo, che, vivendo la lard vita mede-, sima, in medesimezza d´eta, di condizione, di lavoro, di circostanze ambienti, ha percorso una via di virtu cristiana che to ha condotto alla santita. Diremo che la mira e troppo alta e it canunino troppo arduo per essere imitato?
Ma ogni vita di Santo serve all´ edificazione e esempio, anche se
non e raggiungibile nel grado e nei carismi; ne mai si pretende un´imitabilita minuta dei particolari individuali. E vero invece che resempio
tanto pits praticamente efficace, quanta pits la vita del modello e affine a quella di chi se to propane (3). La perfezione sublime, che it Santo raggiunge, addita appunto la mira a cui si deve tendere, e. dove pun arrivarsi, vivendo quella vita come it santo r ha vissuta. Ed 0 questo it pensiero a l´intento di Don Bosco, e fu persino preso ad argomenta di obbiezione contra la sua fedelta storica. Che poi, col suo piccolo libro,
· (i) Vita, edit. ra, cap. X, pag. 5i-52.
(2) a Crediamo fermamente che con i´aiuto divino e per via di storzi potremo col tempo anche not acquistare ci6 che tanti Santi, aiutati da Dio, potesono ottenere. Se non avessero mai concepiro simili tiesideri, e non li avessero adagio adagio rnessi in pratica, non sarebbero mai saliti cosi in alto! a. Cit. in TANQUEREY, op. cit., 456. — 10 cito da questo autore (che suol essere esattissimo) per agevolare i riscontri al Iettore.
(3) Cfr. Ie parole del Card. Maffi nella Lettera .Postidatoria, dove appunto
rileva in tale modello ii facto e della modernity. Cosi quelle del Card.
Parrocchi, the lo dice a modello imitabile di virtu agli studenti di Ginnasio, ed esemplare di perfezione alla gioventit dei nostri tempi a. — E quella del Card. Cavallari, che lo propone a a modello dello students cristiano dei nostri tempi a. E altri, tutti riferiti dal Salotti nella Responsio ad Animadversiones. Cfr. Positio, fol. 1-8o, a. 1913.
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egli abbia non soltanto ottenuta r edificazione degli altri, che fu e continua ad essere a penetrantissima a d´immensa vastita, ma insieme l´affermazione a l´esaltazione di una santita, e it merito, questo, d´una santita reale, die, in grazia appunto del suo libro, viene ora anche giuridicamente sanzionata.
F) La storicia.
L´esemplarita fu uno scopo, ma non fu una tesi prestabilita; voglio dire che ad essa non fu mai forzata tendenziosarnente, ne sacrificata la verita storica. E un´obbiezione the pith sorgere facilmente (1), al vedere come fin dalla Prefazione l´intento edificante e dichiarato, ed -e poi cosi spiccazzte nelle pagine del testa. E la Congregazione dei Riti, la quale nella sua disamina deve prospettare tutte le possibili, anche pits cavillose e artificiose, si direbbero persin malevole obbiezioni, affinche non resti alcun dubbio in chicchessia sulfa fondatezza giunidica e morale delle sue decisioni, aveva cosi sentita questa difficolta,. che diede incarico alla Sectio Historica di studiarla e proporla da risolvere alla Postulazione (2).
La question sarebbe stata agevolmente risolta se si fosse limitata a questi termini: bastando provare distintamente la storicita dei fatti. Ma la coca si complicava in grazia di an altro dubbio, soprannato sul prima. Le testimonianze acquisite al Processo hanno una tale conformity col contenuto del libro, e talvolta si esprimono con le parole medesime o poco divario, da far pensare che dunque, a tanta distanza di tempo quanta ne corre dalla rnorte del Savio (1857) e dalla pubblicazione della vita (i859) all´apertura dei due processi (19o8-1914-1921), i testi non . potevano non avere in mente le pagine del libro stesso, e parlavano non
(I) Ovvia del recto, a causa della tendenza al panegirismo miracolante, in materia d´agiografia, e, purtroppo, largamente fondata sts secoli di letteratura con.- venzionale.
(2) La Sectio Historica fu istituita da S. S. Pio XI col deer. a Gia da qualche tempo a del 6 febbraio 193o, per lo studio di quells cause per le quali non esistono testimoni coevi, ne alcuna testimonianza certa raccolta in tempo opportuno: nella sfera tuttavia limitata alla ricerca storica circa la vita, virtu, raartirio, culto antico del S. di Dio in discussion. Percib, a rigor di termini, it caso di Savio Doinenico non rientrerebbe nei compiti di tal commission. Ma la S. Congr. dei Riti voile interessarla, ttattandosi di sincerare it valore e l´efficienza del documento storico che sta a fondamento di tutto it processo. Fu un´eccezione felice, perch la causa ne guadagn6 in sicurezza, e ne guadagnb Fautorita del piccolo libro di Don Bosco.
mcKrf
di scienza propria, ma per influsso e suggestions della lettura di quello. E se it libro non fosse storicamente sicuro, in grazia della valuta esemplarita, che coca ne rimaneva?
E con cio it Processo era minato nella stessa sua base, infirmandosi it valore di tutte le testimonianze, anche piii prossime e autorevoli, delle -quasi appunto a materiata rindagine.
Qualcuno potrebbe pensare che una tale idea sia troppo ingegnosa, e sappia di cavillo: ma appunto e strettamente doveroso per it Magistero della Chiesa prevenire anche i cavilli, e ricercarli coscienziosamente in ogni parte (1). La Chiesa, per i suoi Santi, vuole non solo le prove, ma anch& la certezza giuridica e piena anche nelle prove (z).
La risposta all´ obbiezione primaria, e all´ altra che su di essa si fondava, fu, in ogni senso e in ogni minima particolare, esauriente, e la Magistratura della Chiesa lo riconobbe in pieno. E ne guadagrui la fede sicura nella storicita dei fatti narrati da Don Bosco.
Le deposizioni dei testi coincidono col libro (in certuni usque ad litterarn) perche essi erano coloro appunto che a Don Bosco avevano fornito, al tempo della redazione della Vita, le notizie a voce o per iscritto (3). E tutti dichiarano di riferir le cose di propria scienza, e non per influsso del libro, oppure dicono che it libro corrisponde appunto a cid ch´essi sapevano; pit ancora: che quando it libro fu pubblicato nessuno aveva trovato da dire in contrario (k).
Cid che deposer° in piu di quanto vi e scritto, non solo non contraddice mai, ma conferma it valore del contenuto, e ne d quasi un´estensione.
(i) ovvio che I Relatori delle Cause, quando per ufficio sostengono l´oppo
sizione, non hanno alcuna intenzione men the retta, a parlano non per demolire, ma per far rispondere in modo esauriente alle possibili difficolta e sgombrare ii terreno al trionfale cammino dei Santi. Afiehe S. Tommaso, nella Somma, si propane obiezioni che ci vuol proprio it suo ingegno per risolverle in beneficio della yerita. E cosi fa pur sempre ogni ragionatore serio.
(2) S. S. Pio XI, zi aprile 1929 (sul deer. de Tuto per la Beatificazione di Don Bosco).
(3) Lo dice l´Autore stesso nella prima pagina della Prefazione. singolare
II caso del teste Mons. Giacomo Piano, che in due distinte deposizioni attestava che un certo particolare da lui rivelato era narrato nella Vita testuaimente con un period.° di una sua lettera, scritta per invito di Don Bosco. Cfr. Somm. Proc.: pag. 295 e 293; e Declar. script., pag. 469.
(4) Somm. Proc. Apostolico: tit. III, Testitan scientiae causa: tit. XX, De fama etc., in vita et post mortem, pag. 371, seg. Ibid., Proc. Ordin., pag. z9 seg.: Testim. di D. Michele Rua. Nel Proc. Apostolico it teste Cerruti esponeva le ragioni da cui la Vita di Savio scritta da Don Bosco e u costituente Is fonte storica principals, trae tuna la sua forza s. Cfr. Somm., pag. I9.
´cum
I fatti marrati SOW) ore di vita vissuta da quelli stessi, che ora venivano a testimoniare (1). Sicche invece di credere ad un influsso del libro sulk loro notizie, si doveva, invertendo l´ordine, parlare della parte ch´essi avevano avuta nella preparazione di esso.
E pertanto la piit irrefragabile prova della storicita della Vita del Savio a venuta dai Processi Canonici; e giustamente, come s´g detto, l´estensore dei Sommari ha pensato di addurre, dopo le testimonianze riferite su ogni articolo, le pagine di Don Bosco che le confermano e le riassumono. La storicita della Vita scritta da Don Bosco ha per questo mezzo sines conferm-a giuridica della sua autenticita.
Essa e del recto tanto sicura anche agli occhi degli studiosi, che Accademico d´Italia, S. E. Alessandro Luzio, non esito, di fronte alle prospettate obbiezioni, dichiarare la sua piena fede nella veracita di Don Bosco (2).
L´esemplarita, a sua volta, non nuoce alla fedelta storica. Una Vita di Santo si strive non solo per far della stories, ma « per continuare calla biografia quell´efficacia del buon esempio, alla Speranza del quale gli
. stessi Santi piu umili non poterono mai rinunziare s, e a to scrittore intende di sollevare ed edificare it suo lettore eccitandolo all´imitazione * (3). Sono parole del Crispolti, che cita lo Schroeder, a proposito della Vita di S. Luigi scritta dal P. Cepari. Credo che it valoroso scrittore cattolico avrebbe potuto dire della Vita del Savio quel ch´egli dice di quest´ altra: it parallelo a strettissimo. A due scopi intese di soddisfare it diligentissimo storico del Gonzaga: quello dell´ esattezza storica e quello delredificazione. Ora in quell´ opera sotto ogni aspetto solidissima, l´intento edificativo non ha per nulla infirmato it vatore storico, e questo rimane irrefragabile, anche con tutti i progressi della critics. Anche P. Cepari era contemporaneo e amico del Gonzaga, e it suo lavoro fu pubblicato net 16o6 con autorizzazione- e per desiderio di Papa Paolo V, dopo cite quattro consultori indipendenti l´ebbero confrontato accuratamente col dati dei processi di canonizzazione. Ne, osserva bene it Crispolti (4),
(I) Basta pensare a Don Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti, Piano, Anfossi, Melica, Carlo Savio, Roda, Conti, a agli altri che furono compagni di scuola, di collegio e di vita del Savio.
(z) II documento originale, the non si pubblica per delicati riguardi, fu nelle mani proprie di PP. Pio XI, a si conserva nell´Archivio Capitolare. Cosi e pure d´una dichiarazione del Prof. Costanzo Rinaudo, -Bliley° di Don Bosco dal 1858 al 1866, e mancato nel 1937, dopo una splendida carriera di studioso a di docentediStoria.
(3) CRISPOLI op. cit., pag. 25.
(4) Op. cit., pag. 25.
c CAVIGLIA, Don Basco, seritti. Vol. IV. Pert I.
XXXIV
le biografie successive, se anche arrecarono qualche contributo documentario, o presero una forma piit attraente, superarono (e un po´ anche scapitarono al confronto) it materiale raccolto dal Cepari. Non e di questo luogo insistere maggiormente a dimostrare it rigore della critica e della diligenza del pio biografo del Gonzaga (i): dico senz´ altro che in cio, come nel resto, possiamo usare le medesime parole per lo scritto di Don Bosco.
11 quale lo dice da se nella sua Prefazione, al secondo capoverso, come ce lo confermano molte testimonianze dei Processi (z). Alla possibile « critica cui va incontro chi scrive case delle quali avvi moltitudine di testimoni viventi}} risponde: Questa difficoltei credo di aver superato con farmi uno studio di narrare unicamente le cose che da voi o da me furono vedute, the quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima* (3). Altri documenti ebbe d´altronde, ch´egli stesso riferisce, integrandoli con le spiegazioni orali avute dagli scriventi o da altre persone. E i testi ci dicono della sollecitudine ch´egli ebbe d´interrogare persone che avevano conosciuto it Savio, i parenti, i suoi .compagni di scuola, i sacerdoti e i maestri del paese, e del terser conto degli aneddoti pit spiccioli; oltre alla cura che s´era data, fin dal dicembre 1854 in poi, di notarsi i fatti singolari del suo discepolo, corn´ egli stesso dice al Cap. VIII. In queste case Don Bosco, .stoffa di storico quale lo sappiamo, era scrupoloso, appunto perche c´entrava lo straordinario, ed egli non scriveva parola di cui non fosse sicuro. Invece di pensare ad esagerazioni panegiriche, si deve piuttosto parlare di ritegno cauto e prudente (4): tanto e vero Me dal Processo risultarono circostanze e fatti indiscutibilmente straordinari, che si sanno da lui conosciuti, e che egli non nferi nella Vita. Basti per tutti ii meraviglioso episodio dell´intervento del Savio al letto della madre, della quale aveva, per interna rivelazione, appreso it gravissimo stato (5).
(I) Op. cit., pag. 26.
(2) Somm. Proc. Apostolic°, tit. III, pag. rt-zz.
(3) Alcune (meno d´una ventina) si conservano e furono allegate ai Processi, e davvero coincidono qualche volta anche Ietteralmente con le pagine della Vita. Cfr. Somm. Proc., tit. XXII: Documenta vitam et virtutenz S. Dei spectantia (pag. 445-452) e Ntun. II: Declarations authenticae 15 super vita et virtutibus Servi Dei (pag. 453-481). — Cfr. sopra, n. (a).
(4) Nella Vita del Besucco, questa sua ritenutezza e dichiarata apertamente. Cfr. cap. XXXIV.
(5) Somm. Proc. Apostolico, tit. XVIII, pag. 316-31g: deposizione di Teresa Tosco-Savio.
ifiv
G) 11 valore documentario del libro.
bene che la storicita di questo libro sia states accertata e assicurata cosi solidamente e con l´Autorita della Chiesa. Perche da codesta che storia, e in essa medesima, scaturisce un altro valore del libro, ed appunto il pill importante, che ne fa il documento capitale tra quell lasciatici da Don Bosco del suo pensiero e della sua tradizione spirituale.
L´essere un capolavoro del suo genere, per quanto sia bello e caro it riconoscerlo, 0 un merito inferiore d´assai al valore intrinseco ch´esso ha per it suo contenuto. Direi ehe neppure la descrizione della santita del simpatico fanciullo sarebbe, per se, il massimo de´ suoi valori (giacchh rientrerebbe nel novero delle agiografie, e vi figurerebbe in ragione delle sue attrattive di edificazione e della penetrazione degli esempi): per se, adunque, non sarebbe quello it titolo massimo, se gift questa santita, descritta come fa Don Bosco, non costituisse precisamente it fondamento e la ragione del valore documentario del libro.
Che sia un documento cosi capitale dello spirito di Don Bosco, a un fatto d´un valore cosi alto e cosi prezioso, che solo pue) misurarsi pensando a che cosy ci mancherebbe se questo libro non fosse. Non solo nella trilogia biografica educativa di Don Bosco esso ci sta come uno, e, benche primo nel tempo, come il termine supremo a cui si puO giungere: ma ci sta came principale e dominante: ci sta come quello che, contenendo it termine ultimo d´arrivo, (la ragione del lavoro descritto negli altri, e lo alumina riverberandovisi in ogni sua pane e facendolo pit comprensibile.
Se Don Bosco parlo sempre del doversi far santi, e cerca di far santi, quanto e pit che pote in grado e in numero, quelli che gli furono figliuoli nello spirito, e chiaro che it mostrare di fatto che il Santo si fece e fu realmente, mette la corona a tutta la scaly delle ascension morali, alle quali si studia di avviare le anime dei giovani da lui indirizzati al bene.
C´e di pill. La forma di santita impersonatasi nel Savio non appartiene a lui solo. E certo (ed io almeno lo credo) che se la indefinibile
grazia di Dio doveva portare quell´anima alla santita, it giovanetto
poteva farsi santo anche in altra forma., ossia con un altro indirizzo: come, puts caso, se fosse stato educato tra i Fratelli delle Scuole Cri
stiane, o tra gli Scolopii e i Barnabiti, o presso i Gesuiti, che vantano tra Toro it Kostka, it Berckmans, e, sopra tutti, S. Luigi Gonzaga.
— CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol IV. Parte I.
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dirigeva, ma autonoma ed estranea al clima e alla vita the lo circondava: questa vita e questo clima erano ben quelli della Casa Nuova di Don Bosco; e se non in tutti « it tenor di vita fu notoriamente meraviglioso », non d detto che fossero pochi quelli che seguirono la via medesima, e Don Bosco non trascura di nominarne parecchi, fin dalla Prefazione del suo • libro. E chi, come me, ha conosciuto, e in buona eta, quelli che allora furono col Savio e, perche no? gareggiarono con ´lui net farsi buoni e santi (1), pu6 dire che di quel medesimo stampo erano tutti, e tutti portavano, diciamo cosi, la marca di fabbrica. It resto e questiane di grado, e in questo lasciamo fare al buon Dio.
Il Savio chiuse la sua vita nella prima adolescenza, fatto maturo supra l´ eta dalla grazia di Dio: non per questo lascio di essere l´espressione piu significativa e la impersonazione piii esemplare, la prima di tutte, dei modi della santita the Don Bosco ha insegnato.
So che tutto questa vuol essere dimostrato, e sara appunto l´oggetto dello studio the intendb dedicarvi, senza tuttavia rinunciare a mettere in lute quel the vi e di piit proprio e profondo nella storia rnirabile di quella vita che Don. Bosco disse meravigliosa: per ora mi contengo a proporre it terra, al fine di collocare nella sua capitale e ineguagliata posizione l´umilissimo libro della Vita di Savio Domenico.
E qui si rende necessaria una spiegazione, la quale torna essa medesima di sostanziale completamento dei valori del nostro piccolo libro.
H) 11 valore pedagogic° del libro.
La capitalissima e, in certi aspeiti, classica contenenza del libro che cosi si presenta, non deve far pensare ad una didascalia ascetico mistica, ne, poiche it Savio appare come it capolavoro educativo di Don Bosco, ad una tesi pedagogica, dimostrata impersonando nella figura e .nella vita del discepolo le membrature del sistema concepito dal Santo Educatore. Niente di tutto questo. Il tessuto del libro e una descrizione della santita mediante fatti contemplati dal Maestro con amoroso stupore: e le sue concezioni e i suoi indirizzi sono messi in lute non con didascalie
(i) Nomino: Don Rua, Cagliero, Francesia, Durando, Cerruti, Bonetti, Garin°, Buzzetti, Piano, Anfossi, Ballesio, ed altri nomi noti a chi legge la storia salesiana: per non dire di quern the vennero a Casa di Don Bosco negli anni immediatamente susseguenti, e sono i compagni di Magone e di Besucco. Ricordo, per es., Don Alliera e Don Giu3io Barberis.
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e spunti dottrinali, quali si hanno net Magone e net Besucco, venuti dappoi, ma come incluse e significate dai fatti stessi e dai motivi onde procedono.
Chi legge, con l´animo inteso a raccogliere quel che sta alla radice del fatti, non tarda a scoprire it lavoro del Maestro e it pensiero che lo
conduce, e cioe la dottrina della santita che e in Don Bosco la .ragione della forma ch´egli insegna. Io non dico neppure che to Scrittore Santo avesse l´intenzione di valersi della biografia del suo giovanetto per incarnarvi una dottrina, e lo consider°, almeno questa volta, come un artista di genio, che produce i suoi capolavori seguendo a l´intenzion dell´arte* senza pensare con essi ad insegnarne le ragioni e i secreti: ma poi gli altri ne ricavano i nuovi indirizzi e i precetti, ed o li seguono o li diffondono.
Anche per questa parte, anti in questa soprattutto, Don Bosco d un realista, ed insegna coi fatti a produrne altri: a un Santo ed 0 un Maestro e tipo di santita; ma non fa it dottore di ascetics o di mistica. In tutta la sua copiosa e varia letteratura non c´d uno scritto che tratti espressamente di tale santissima materia: eppure, oltre alle moltissime anime condotte ad alti gradi di perfezione, di santi formali ne ha prodotti parecchi gia di sua mano, e poi cogrindirizzi della sua tradizione spirituale: dei quail egli e Autore e Maestro appunto perche cosi h costrutta la santita di lui stesso (1).
Codesti indirizzi e concezioni noi, studiando it Savio Domenico, possiamo intendere ed esprimere con buona fiducia di rispondere al vero. Essi si presentano nell´aspetto di un lavoro educativo, ed anche, come dicono nelle scienze, in funzione di esso. E nasce allora la domcoula: pue) codesto lavoro. rientrare nella pedagogia?
Rispondiamo. Se l´esemplaiita d´una vita di giovane santo, che guidato da un grande Maestro, vale come dato pedagogico d´un´arte sapientissima net condurre un´anima alle pii4 alte sfere della virtu; o se ogni buon educatore pith additare a modello dei suoi discepoli una vita di giovanetto tutta sostanziata di virtu imitabili, la Vita di Savio Domenico a dessa medesima una pedagogia, ed d pedagogicamente efficace ed istruttiva la vita vissuta dal giovinetto modello.
(1) S. S. Pio XI, disc. 20 febbraio 1927, § 8: s Proprio egli continua ad es-sere it Direttore di tutto, non solo it padre lontano, ma l´Autore sempre presente, sempre operante nella vivacity perenne dei suoi indirizzi, dei suoi metodi, e soprattutto de´ suoi esempi 3 a.
XL
Ed-e appunto uno degli aspetti da stu iare nel tessuto di questo libro,
l´arte santissima di Don Bosco nel condurre l´anima del suo alum) per le vie e alle alte ascension della santita. Studiare, per ritrovare e scoprire: giacche il Maestro qui non formula principii e precetti, ma, come s´e detto, si fissa sui fatti. Vi troviamo adunque, inclusa e implicita, la pedagogia della santita.
E dico d´una pedagogia specifica: perche alla santita, ossia all´elevazione cristiana della vita morale (I), a volta tutta la pedagogia di Don Bosco, la cui santita fu specificamente ordinates alla vita educativa, fin dal primo sogno dei nave anni: mentre qui, col fatto del Savio, si dedica al suo lavoro supremo, e tocca it termitic ultimo di tutto it cammino.
In ordine di tempo vengono dopo, ma nell´ordine concettuale sono da collocare prima, come espressione di momenti intermedi di tale lavoro di spirituality elevatrice, le figure di Magone e di Besucco.
11 Magone d trovato monello, come i quasi tutti dei figli di Don Bosco, ed a condotto A ad un meraviglioso grado di perfezione» (Vita di Ma-gone, cap. IX); il Besucco, ch´d gia Buono e preparato, perviene ad un
· grado di spirituality e ad una forma cosi alts d´amor di Dio, da fame quasi un santo canonizzabile, al quale non manca neppure la sanzione d´zin fatto soprannaturale; it Savio, che comincia, si direbbe, dove il Besucco finisce, s´innalza a volo « oltre la sfera che pis largo gira» (2), e spazia nel cielo della sandhi confermata.
E, sia detto di passaggio, a provvidenziale che a toccare l´apice sia proprio primo nel tempo quel the in ordine di gradi dovrebbe venire per ultimo: cio persuade adunque, meglio d´ogni altro ragionamento, che it lavoro di Don Bosco intende a quel terrnine, e che it movente della sua pedagogia e la santita, ossia che, veduto con gli occhi di Lui, tutto it sistema a sostanziato di spirituality. E spero di dimostrarlo, trattando a suo luogo delle Vite degli altri due.
Dopo questi riflessi, a agevole vedere come, se la Vita del Savio e il documento classico della pedagogia spirituale di Don Bosco, essa non puO, per l´indole sua medesima, prestarsi a ricavarne dettami di quella pedagogia, che non so come chiamare, se scientifica, o pratica, o metodica;
(i) S´intende qui della santita doverosa per ogni cristiano, che deve vivere fuori del peccato, e in grazia di Dio. In tal senso eran detti santi i priori cristiani.
(2) DANE, Vita Nuova, son. XXV.
XLI
di quella insomnia che s´intende nei trattati e negli studi dei pedagogisti, e che, nel caso presente, cerca it Sistema.
Il sistema di Don Bosco vale per il Savio in quanto lo mette in condizioni di vita e di clima da poter svolgere i doni speciali della sua santita. Si direbbe che personalmente non ne ha pill bisogno: giaccha quello a cui, umanamente, intende it sistema, egli gia lo ha raggiunto e possiede, e la grazia di Dio ha gia fatto in quell´ anima i suoi lavori.
11 Savio non e un prodotto o, come nel Magone, una conquista del sistema: vine in quello, ma sta phi in alto, e cio che di esso lo attinge,
appunto it contenuto spirituale di esso, che non 0 pis la solo pedagogia, bensi coltivazione di anime per la santita. Cosi avviene che nel libro di Don Bosco gli accenni at sistema sono pochi e per indiretto, e in gran parte dobbiamo presupporlo, per inquadrare i fatti nelle opportune ccmdizioni storiche.
Il Sistema (insisto sully parola, perchh purtroppo it mondo dei profani non ha che la parola umana) appare, e si deve vederlo e contemplarlo, appunto in quei dati che i pedagogisti e gli studiosi, anche di buon conto, o mettono in disparte, o non hanno finora presi nella dovuta considerazione, mentre sono per l´ Autore, e nella realty effettiva, principii e fattori tanto essenziali, qualcuno anzi fine ad esserne la quintessenza, che senza di essi tutto quell´ altro complesso di cose, che chiamano it sisterna, non ha piit n0 mezzo ne ragione di esistere, e finisce nella irriuscita.
Accenno a tre case. Una O la funzione addirittura primaria e sovrana, diciamo senz´ altro essenziale e quintessenziale, della vita religiosa per mezzo dell´ eflicacia pratica dei Sacramenti; tanto che i1 libro conclude con un richiamo alla Confessione. 11 primo capoverso del capo XIV preannuncia da Ionian° la formulazione esplicita che verra cinqu´ anni dopo col capo XIX della Vita di Besucco: che senza la pratica dei sacramenti non 0 possibile una very e solida educazione, e the di tutti i sistemi, questo e l´unico capace di guarentire la morality. In una parola, la religiosity pratica, la pieta, 0 it sardine del sistema.
Non esposto in sentenze, ma reso evidente dai fatti, e a sua volta l´altro principio pratico di Don Bosco e classicamente suo, della vita comune coi giovani (in molta parte vita del cortile); cio0 it contatto fraterno e paterno dell´educatore coi suoi alunni nella convivenza quotidiana di famiglia, per la pratica del lavoro educativo personale: principio pratico che nell´idea di Don Bosco non avrebbe valore n0 effetto senza refficacia della vita gioiosa, dell´allegria, come dice il Santo
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Maestro, sullo spirit° del giovane, che per essa si dischiude alla penetrazione del bene. Questo principio bisogna, nel libro, saperlo leggere
tra le righe e nel tono degli episodi: ma non occorre poi troppo sforzo a vedercelo, quando a to stesso Savio che dice al nuovo venuto, it piissimo Camillo Gavia: e Sappi che not qui facciam consistere la santita ?jell° star molto allegri... Comincia fin d´oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia» (capo XVIII).
Per terzo, e connesso, anti impostato in gran parte sul precedente, ma d´un valore non mend essenziale in se, e personalissimo di Don Bosco, a segno ch´io, la direi una seconds creazione del suo genio educativo,
rapostolato (eke cosi bisogna chiamarlo) dei giovani stessi tra i loro cornpagni: quel lavoro di correzione, esortazione, persuasione, invito, che
Don Bosco affida ai suoi migliori, e che completa, quando pure non sup
plisce, l´opera dell´ educazione dell´un per uno, che it Santo Maestro pone a base del suo sistema. Ecco, per it Savio: « La prima cosa che gli
venne consigliata per farsi Santo, fu di adoperarsi a guadagnare anime a Dio» (cap. IX). Che codesto apostolato mini soprattutto alle cose dell´ anima, non scema punto it valore morale di esso, se almeno crediamo che, appunto per nzotivo dell´ anima, si ha da essere moral e virtuosi.
Don Bosco e i suoi giovani apostoli con lui hanno sempre veduta la morale in questo modo, e nel mondo salesiano e it dato capitale della tradizione. Ed d it fatto pedagogico che ha nel Savio it suo piu luminoso documento; come quello che per it canto giovane e la piiz visibile, e, per av
ventura, la piis personale tra le attuazioni della sua santita, fino ad es
serne storicamente it suo merito piit glorioso. Pensiamo a quel che fu per lui e per il mondo in cui visse l´istituzione della Compagnia dell´Imma
colata, e l´opera di bene che questa esercitO visibilmente e in segreto, fino
ad apparire come una non lontana preparazione at costituirsi della Society Salesian. Savio Domenico e it Santo dell´ apostolato giovanile,
e per tale lo ha contemplato net suo static() discorso del 9 luglio 1933 it Papa Pio XI, the lo disse: a piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni».
Ai profani, che cercano it metodo preformato sul vocabolario dei trattati e voglion tutto ridurre alle formole preconcette, questo data pedagogico a sempre sfuggito, mentre ha, come gli altri rievocati prima, nell´umile libro di Don Bosco la sua piu luminosa affermazione.
La Vita di Savio Domenico, che abbiam veduta netts intenzioni e nelr opera dello scrittore risplendere della santita del soggetto e mostrarsi
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inoppugnabilmente forte della sua storicita, ci si e venuta per via di deduzione rivelando piu che preziosa per it valore documentario del contenuto, ed out ci appare nel suo valore pedagogico: piccolo libro the, se non fosse, force non ci sarebbe dato di comprendere quello che fu e quello che e Don Bosco nella vita spirituale della Chiesa.
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I) Come deve leggersi ii libro.
Ecco adunque come io penso che debba leggersi questo prezioso libro di Don Bosco. Per comprendere, doe, quanto a consentito allo sguardo dell´uomo, e contemplare una santitd giovanile che deve stare a modello della gioventis, e vedervi, dopo it lavoro della grazia diving, it lavoro dell´ educatore the conduce quella santita per le vie divenute una tradizione spirituale della Istituzione che Iddio voile suscitata dal Santo Maestro: vie di santita e di santificazione´ vedute-da Lui ed insegnate con la sua vita medesima e con gl´indirizzi dad. alla vita spirituale dei suoi discepoli immediati o futuri, e per essi trasfuse nella vita cristiana modern e nella recente spirituality della Chiesa.
to riconosco bene, un lavoro che non tutti possono fare, e alla comune dei lettori basta sapere che vi e tra le righe qualche cosa che vorrebbe essere messo in luce, e intanto dd a quel che si legge un valore superiore alla pratica della lettura: ne e da pensarsi the in una Nota intro d uttiva, come la presence, possa collocarsi una analisi cosi ampia quale it libro richiederebbe. Ma, su queste line, e con piena liberty di movimento. , ho pensato di condurre uno Studio che uscira con questo volume stesso, intitolandolo Savio Domenico e Don Bosco, e spero che non sand condannato perche ampio e minuzioso (scrupolosamente minuzioso), quando si avra la soddisfazione di vedere come it contenuto della Vita — commentato coi dati dei Processi Canonici, — rimane intatto e graniticamente saldo, a provare quel che Don Bosco ha voluto dire col suo libro. Troveremo allora che la santita del Savio non puo essere genuinamente compresa se non vedendola con gli occhi di Don Bosco: cosi appunto come, e r abbiam delta ha fatto it Magistero della Chiesa, quando ha accettato come fondamento e guida del suo esame giuridico it libro scritio da Lui.
Giovani carissimi,
Vol mi avete piit volte dimandato, Giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno at vostro compagno SAVIO DOMENICO ; ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro pio desiderio.
Eccovi la vita di lui descritta con quella brevita e sernplicitci the so tor-mare a voi di gradimento.
Due difficolta si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima a la critics a cui per to pit va soggetto chi strive cose delle quali havvi moltitudine di testimoni viventi. Questa difficolta credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose the da voi o da me furono vedute, a the quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima.
Altro ostacolo era it dovere piis volte parlare di me, pereiocche essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa, mi tocca so-yenta riferire cose, a cui ho preso parte. Questo ostacolo credo pure di aver superato tenendomi at dovere dello storico the a di scrivere la verita dei fatti, senza badare alle person. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche conzpiacenza, attribuiteta at grande affetto the io portava all´amico defunto e ehe porto a tutti voi; it quale affetto mi fa aprire a voi l´intimo del mio cuore, come farebbe un padre, the parla a´ suoi amati figli.
Taluno di voi dimandera, percha io abbia scritto la vita di SAVI0 DOMENICO e non quella di altri giovani the vissero tra not con fama di specchiata virtit. E vero, miei cari, la Divina Provvidenza si degno di mandarci parecchi modelli di virtit: tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni, ed altri; ma le azioni di costoro non sono state egualmente note e speciose come quelle del SAVIO, it cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Per altro, se Dio mi dara sanita e grazia, ho in anirno di raccogliere le azioni di questi vostri
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virtuosi compagni, per essere in grado di appagare i vostri ed i miei desiderii col darvele a leggere e ad imitare in quell° thee compatibile col vostro stato.
In questa nuova edizione poi, ho aggiunto varie notizie che spero la renderanno interessante anche a caw° che hanno gin letto quanto si nelle antecedenti edizioni stampato.
Intanto cominciate a trar profitto da quanto vi vertu descrivendo, e dice in cuor vostro quanto diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia eta, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovo tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesic Cristo, perche non posso anch´io fare lo stesso? Ricordatevi bene che la religions very non consiste in sole parole; bisogna venire alle opere. Quindi, trovando qualche cosa degna d´ammirazione, non contentatevi di dire: Questo Bello, questo mi piace. Dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle case che lette di altri, mi eccitano alla maraviglia.
Dio Boni a voi ed a tutti i lettori di questo libretto sanita e grazia per trar profitto di quanto ivi leggeranno; e la Vergine Santissima, di cui it giovane SAVIO era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un´anima sola per amare it nostro Creatore, thee it solo degno di essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita.
CAPO I
Patria. -- Indole di questo giovino. — Suoi primi atti di virtù.
genitori del giovinetto, di cui intraprendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e Brigida di lui consorte, poveri ma onesti con¬cittadini (I) di Castelnuovo d´Asti (z), paese distante dieci miglia da Torino. L´anno 1841, trovandosi i buoni conjugi in gravi stret¬tezze e privi di lavoro, andarono a dimorare in Riva (3), paese di¬stante due miglia da Chieri, ove il marito si diede a fare il fabbro-ferraio, mestiere a cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimoravano in questo paese, Dio benedisse il loro matrimonio con¬cedendo un figliuolo, che doveva essere la loro consolazione. La na¬scita avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad essere ri
(T) Leggi contadini. L´errore tipogr. data dalla IV edizione (N. d. E.).
(2) Anticamente appellavisi Castelnuovo di Rivalba, perchè dipendeva dai conti Biandrate, signori di questo paese.
Circa l´anno 1300 essendo stato conquistato dagli astigiani, fu di poi detto Castelnuovo d´Asti. — In quel tempo era molto popolato di gente industriosa ed applicatissirna al commercio, che andavano ad esercitare in varie città d´Europa.
Fu patria di molti uomini celebri.
Il famoso Argentero Giovanni, detto il gran medico di quel secolo, nacque
iu Castelnuovo d´Asti nei 1513 scrisse molte opere di vasta erudizione. Egli era
molto pio ed assai divoto della gran Madre di Dio, ed eresse in di Lei onore la cappella della B. V. del popolo nella chiesa parrocchiale di S. Agostino in To¬rino — Il suo corpo fu sepolto nella chiesa metropolitana con una onorevole iscrizione, che tuttora si osserva. — Molti altri personaggi illustrarono questo paese.. Ultimamente fu il sacerdote Giuseppe Cafasso, uomo commendevolissimo per pietà, scienza teologica e carità verso gli ammalati, carcerati, condannati al pa¬tibolo ed infelici di ogni genere. Nacque nel 18/1 e morì nel 186o. (V. Casalis, dir.) (a). — "´ Ricordiamo a comodo dei lettori che il miglio piemontese equivaleva a km. 2,466 (N. d. E.).
(3) Dicesi Riva di Chieri per distinguersi da altri paesi di questo nome. E distante quattro chilometri da Chieri. L´imperator Federico con diploma del 1164 investì il conte Biandrate del dominio di Riva di Chieri. Di poi venne ceduto agli astigiani. Nel secolo decimosesto passò sotto al dominio di Casa Savoia. — Mon-signor Agostino della Chiesa e Bonino nella biografia medica parlano a lungo di molti celebri personaggi che ivi ebbero i loro natali (a).
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generato nelle acque battesimali, gl´imposero il nome di Domenico, la qual cosa, sebben per sè indifferente, tuttavia fu soggetto di alta considerazione pel nostro fanciullo, siccome vedremo.
Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritor¬nare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, bor¬gata di Castelnuovo d´Asti.
Le sollecitudini de´ buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al loro fanciullo, che fin d´allora formava l´og¬getto ,delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla natura un´in¬dole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera, ed all´età dí soli quattro anni già recitavale da sè. Anche in quell´età di na¬turale divagazione egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua geni-trice; e se qualche volta da lei si allontanava era solamente per met¬tersi in qualche cantuccio della casa e fare con maggior libertà pre¬ghiere lungo il giorno.
( Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di riflessione i fanciulli sono un disturbo e cruccio continuo per le madri; età in cui tutto vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere. Non solo era ubbidiente, pronto a qualsiasi nostro co¬mando, ma si studiava di prevenire le cose, che egli scorgeva tornare a noi di gradimento ».
Erano poi curiose e nel tempo stesso piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando lo vedeva giungere a casa, dopo i suoi ordi¬nari lavori. Correva ad incontrarla e presolo per mano e talor saltan¬dogli al collo, caro papà, gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono. Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perché vi si sedesse; gli teneva compagnia e gli faceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce con¬forto nelle mie fatiche, ed io ero come impaziente di giungere a casa per imprimere un tenero bacio al mio Domenica, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.
La sua divozione cresceva più dell´età, ed a soli quattro anni non occorreva più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell´angelus; che anzi egli mede¬simo invitava gli altri di casa a recitare qualora se ne fossero dimen¬ticati.
(1*) Avvenne che un giorno i suoi parenti distratti da alcuni
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schiamazzi si posero senz´altro a desinare. O papà, disse l´attento Domenico, non abbiamo ancora invocato la benedizione del Signore sopra i nostri cibi? Ciò detto cominciò egli stesso a fare il segno della santa croce e a recitare la solita preghiera.
Altra volta un forestiere accolto in casa sua si pose parimenti a mangiare senza fare alcun atto di religione. Domenico non osando avvisarlo si ritirò afflitto in un angolo della casa. Interrogato di poi da´ suoi parenti intorno a tale novità rispose: io non ho osato pormi a tavola con uno che si mette a mangiare come fanno le bestie.
CAPO II
Morale condotta tenuta in Murialdo. -- Bei tratti di virtù. -- Sua frequenza alla scuola di quella borgata,
Qui ci sono cose che appena si crederebbero se chi le asserisce non escludesse i nostri dubbi. Io mi attengo alla relazione che il Cap¬pellano di quella borgata (i) ebbe la cortesia di farmi intorno a quel suo caro alunno.
Nei primi giorni, egli dice, che io sono venuto a questa borgata di Murialdo, vedeva spesse volte un fanciullo di forse cinque anni venire alla chiesa in compagnia di sua madre. La serenità del suo sembiante, la compostezza della persona, il suo atteggiamento di-voto, trassero sopra di lui gli sguardi miei e gli sguardi degli altri. Che se giunto alla chiesa l´avesse trovata chiusa, allor succedeva un ameno spettacolo. Ben lungi dallo scorazzare o schiamazzare da sè
o con altri, come sogliono fare i ragazzi di tale età, egli recavasi sul limitare della porta, si metteva in ginocchio e col capolino chinato
e colle innocenti manine giunte dinanzi al petto fervorosamente pre¬gava finchè venisse aperta la chiesa. Si noti che talvolta il terreno era coperto di fango, oppure cadeva neve o pioggia; ma egli a nulla ba¬dava e vi si metteva egualmente ginocchioni a pregare. Maravigliato
e mosso da pia curiosità ho voluto sapere chi fosse quel fanciullo, che era divenuto l´oggetto della mia ammirazione, e seppi essere il figliuolo del ferraio Carlo Savio.
» Quando poi m´incontrava per la strada cominciava di lontano a dar segno di compiacenza, e con un´aria veramente angelica preve¬niva rispettosamente il mio saluto. Cominciò egli pure a venire alla scuola, e poiché era fornito d´ingegno e assai diligente nell´adempi
(i) Cappellano di questa Borgata era allora il sacerdote Zucca Giovanni di Moriondo, ora domiciliato in patria sua (a). (a").
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mento de´ suoi doveri, fece in breve tempo notevole progresso nello studio. Egli era costretto a conversare con giovani discoli e divagati, ma non mi è mai accaduto di vederlo in contesa. Se poi fosse venuto qualche alterco, egli, sopportando con pazienza gl´insulti dei com-pagni, tosto da loro si allontanava. Nè mi ricordo di averlo veduto a prendere parte a divertimenti pericolosi, a dare il minimo disturbo nella scuola. Anzi molti compagni lo invitavano ad andare seco loro a fare delle burle a persone d´età avanzata, a scagliar sassi, a rubar frutta altrui o a cagionar guasti nelle campagne; ma egli destramente sapeva disapprovare la loro condotta e rifiutavasi dal prendervi parte.
» La pietà già dimostrata pregando sul limitare della chiesa non venne meno col crescere dell´età.- Di cinque anni egli aveva già im¬parato a servire la santa Messa e la serviva devotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la ascoltava, altrimenti vi si prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovino d´età e piccolo .di statura, non poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo avvicinarsi ansioso all´altare, levarsi sulla punta dei piedi, ,tendere quanto poteva le braccia, fare ogni sforzo per toc¬care il leggio. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la .cosa più cara al mondo, doveva non già trasportare il messale, ma avvicinargli il leggio tanto che lo potesse raggiungere; ed allora egli con gioia lo portava all´altro lato dell´altare.
» Si confessava con frequenza, e come fu capace di distinguere il pane celeste dai. pane terreno, venne ammesso alla santa comunione, che egli riceveva con una divozione veramente ammirabile. Alla vista di que´ belli lavori, che la grazia divina compieva in quell´anima innocente, ho più volte detto tra me: Etco un giovinetto´ di ottime speranze. Dio voglia che gli si apra una strada per condurre a matu¬rità frutti così preziosi». Fin qui il Cappellano di Murialdo (3*).
CAPO III
È ammesso alla prima Comunione, -- Apparecchio. -- Raccoglimento e ricordi di quel giorno.
Nulla mancava a Domenico per essere ammesso alla prima co-munione. Sapeva a memoria tutto il piccolo catechismo; aveva chiara cognizione di questo augusto sacramento, e ardeva dal desiderio di accostarvisi. Soltanto l´età se gli opponeva, perciocchè ne´ villaggi ordinariamente non si ammettono i fanciulli a fare la prima comu-nione se non agli undici o dodici anni compiuti. Il Savio correva sol-tanto il settimo anno di sua età. Oltre la fanciullesca sembianza aveva
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un corpieciuolò che lo faceva parer ancora più giovane; sicché il Cappellano esitava a promuoverlo. Ne dimandò anche consiglio ad altri sacerdoti, i quali ponderata bene la cognizione precoce, l´istruzione ed i vivi desideri di Domenico, lasciarono da parte tutte le difficoltà,
e lo ammisero a partecipare per la prima volta al cibo degli Angeli. E assai difficile esprimere gli affetti di santa gioia, di cui gli riempì il cuore un tale annunzio. Corse a casa e lo disse con trasporto alla madre; ora pregava, ora leggeva; passava molto tempo in chiesa prima
e dopo la messa, e pareva che l´anima sua abitasse già cogli angeli del Cielo. La vigilia del giorno fissato per la comunione chiamò la sua genitrice: Mamma, le disse, domani vo a fare la mia comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi pel passato: per l´avvenire vi prometto di essere molto più buonp; sarò attento alla scuola, ubbi-diente, docile, rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a piangere. La madre che da lui non aveva ricevuto altro che consolazioni, ne fu ella pure commossa e ratte-nendo a stento le lagrime lo consolò dicendogli: Va` pure tranquillo, caro Domenico, tutto è perdonato: prega Iddio che ti conservi sempre buono, pregalo anche per me e per tuo padre.
AI mattino di quel memorando giorno si levò per tempo e, vesti¬tosi dei suoi abiti più belli, andò alla chiesa che trovò ancor chiusa. S´inginocchiò, come già aveva fatto altre volte, sul limitare di quella
e pregò finché giungendo altri fanciulli ne fu aperta la porta. Tra le confessioni, preparazione e ringraziamento della comunione la fun¬zione durò cinque ore. Domenico entrò il primo in chiesa e ne uscì l´ultimo. In tutto quel tempo egli non sapeva più se era in cielo o in terra,
Quel giorno fu per lui sempre memorabile e si può chiamare vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano. Parecchi anni dopo facendolo par¬lare della sua prima comunione, gli si vedeva ancor trasparire la più viva gioia sul volto. Oh! quello, soleva dire, fu per me il più bel giorno ed un gran giorno. Si scrisse alcuni ricordi che .conservava gelosa¬mente in un libro di divozione e che spesso leggeva. Io ho potuto averli tra le mani e li inserisco qui nella loro originale semplicità. Erano di questo tenore: « Ricordi fatti da me; Savio Domenico, l´anno 1849 quando ho fatta la prima comunione essendo di 7 anni.
I. Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi darà licenza.
z. Voglio santificare i giorni festivi.
2. I miei amici saranno Gesù e Maria.
La morte, ma non peccati».
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Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita.
Se tra quelli che leggeranno questo libretto vi fosse mai chi avesse ancora da fare la prima comunione, io vorrei caldamente raccoman-dargli di farsi modello il giovane Savio. Ma raccomando poi quanto so e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che eserci¬tano qualche autorità sulla gioventù, di dare la- più grande impor¬tanza a questo atto religioso. Siate persuasi che la prima comu¬nione (4.*) ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita; e sarà cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quel solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e vir¬tuosa. Al contrario si contano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro; ma se si va alla radice del male si conosce, che la loro condotta cominciò ad apparire tale nella poca o nessuna preparazione alla prima comunione. È meglio differirla, anzi è meglio non farla, che farla male.
CAPO IV
Scuola di Castelnuovo d´Asti. — Episodio edificante. — Savia risposta ad un cattivo consiglio.
Compiute le prime scuole, Domenico avrebbe già dovuto molto prima essere inviato altrove per proseguire i suoi studi, il che non
poteva fare in una cappellania di campagna. Ciò desiderava Dome-nico, ciò eziandio stava molto a cuore a´ genitori di lui. Ma come effettuarlo mancando affatto i mezzi pecuniari? Iddio, padrone su-premo di tutte le cose, provvederà i mezzi necessari affinchè questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama.
Se io fossi un uccello, dicea talvolta Domenico, vorrei volare mat¬tina e sera a Castelnuovo e così continuare le mie scuole,
Il suo vivo desiderio di studiare gli fece superare ogni difficoltà e risolse di recarsi alla scuola municipale del paese, sebbene vi fosse la distanza di quasi due miglia. Ed ecco un fanciullo appena di dieci´ anni intraprendere un cammino di sei miglia al dì tra andata e ri¬torno dalla scuola. Talvolta vi è uh vento molesto, un sole che cuoce, un fango, una pioggia che opprimono. Non importa, si tollerano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà; egli vi trova l´ubbidienza ai suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare con piacere ogni incomodo. Una persona alquanto attempata vedendo un giorno Domenico solo andare a
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scuola alle due pomeridiane mentre sferzava un cocente sole, quasi per sollevarlo gli si avvicinò e gli tenne questo discorso:
— Caro mio, non hai timore a camminare tutto solo per queste strade?
— Io non sono solo, ho l´angelo custode che mi accompagna in tutti i passi.
— Almeno ti sarà penosa la strada per questo caldo, dovendola fare quattro volte al giorno!
— Niente è penoso, niente è fatica quando si lavora per un pa¬drone che paga molto bene.
— Chi è questo padrone?
— È Dio creatore che paga un bicchiere d´acqua dato per amor suo.
Quella medesima persona raccontò questo episodio ad alcuni suoi amici, e finiva sempre il suo discorso dicendo: un giovinetto di cosi tenera età, che già nutrisce tali pensieri, farà certamente parlare (5*) di sè in quella carriera che sarà per intraprendere.
Nell´andare e venire da scuola egli corse un grave pericolo per l´anima a motivo di alcuni compagni.
Sogliono molti giovanetti nei caldi estivi andarsi a bagnare ora nei fossi, ora ne´ ruscelli, ora negli stagni e simili. Il trovarsi più fan
ciulli insieme, svestiti e talvolta in luoghi pubblici a bagnarsi, riesce
cosa pericolosa pel corpo, a segno che noi dobbiamo pur troppo spesse volte lamentare annegamenti di ragazzi e di altre persone
che terminano la loro vita affogati nell´acqua; ma il pericolo è assai maggiore per l´anima. Quanti giovanetti deplorano la perdita della loro innocenza ripetendone la cagione dall´essere andati a bagnarsi con que´ compagni in que´ luoghi malaugurati!
Parecchi condiscepoli del Savio avevano l´abitudine d´andarvi. Non paghi di andarvi eglino stessi, volevano condurre seco loro an¬ch´esso (6*) ed erano riusciti a sedurlo una volta. Ma essendo stato avvertito che tal cosa era male, si mostrò profondamente addolorato; nè fu mai possibile indurvelo di nuovo, anzi deplorò e pianse più volte il pericolo in cui si era messo riguardo all´anima e riguardo al corpo. Tuttavia due compagni dei più disinvolti e ciarlieri gli diedero un nuovo assalto, parlando così:
- Domenico vuoi venire con noi a fare una partita?
— Che partita?
— Una partita a nuotare?
— Oh no! io non ci vado, non sono pratico, temo di morir nel¬l´acqua.
— Vieni, fa molto piacere. Quelli che vanno a nuotare non sen
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tono più il caldo, hanno molto buon appetito, ed adquistano molta sanità.
— Ma io temo di morir nell´acqua.
- Oibò, non temere, noi t´insegneremo quanto è necessario;
comincerai a vedere come facciamo noi, e poi farai tu altrettanto. Tu ci vedrai a camminare nell´acqua come pesci, e faremo salti da gigante.
— Ma non è peccato l´andar in quei luoghi dove sono tanti pe-ricoli? (7*).
— Niente affatto; anzi ci vanno tutti.
— L´andarvi tutti non dimostra che non sia peccato.
— Se non vuoi tuffarti nell´acqua, comincerai a vedere gli altri.
— Basta; io sono imbrogliato, e non so che dire (80). — Vieni, vieni: sta sulla nostra parola: non c´è male, e noi ti libe¬reremo da ogni pericolo.
— Prima di fare quanto mi dite, voglio dimandare licenza a mia madre: se ella mi dice di si ci andrò; altrimenti non ci vado.
— Sta´ zitto, minchione, guardati bene dal dirlo a tua madre; essa non ti lascerà certamente venire, anzi lo dirà ai nostri genitori e ci faranno passare il caldo con buoni colpi di bacchetta (e).
— Oh! se mia madre non mi lascia andare, è segno che è cosa malfatta; perciò non ci vado (10°); se poi volete che vi parli schietta-mente, vi dirò che fui ingannato e vi andai una volta sola, ma non ci andrò mai più per l´avvenire; perchè in tali luoghi havvi sempre pericolo di morire nell´acqua o di offendere altrimenti il Signore. Nè statemi più a parlarmi di nuoto; se tal cosa dispiace ai vo¬stri genitori, voi non dovreste più farla; perchè il Signore castiga quei figliuoli che fanno cose contrarie ai voleri del padre e della madre.
Cosi il nostro Domenico, dando una savia risposta a quei cattivi consiglieri, evitava un grave pericolo, in cui se si fosse precipitato, avrebbe forse perduto l´inestimabile tesoro dell´innocenza a cui ten¬gono dietro mille tristi conseguenze.
CAPO V
Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d´Asti. — Parole del suo maestro.
Nel frequentare questa scuola, egli cominciò ad imparare il modo di regolarsi co´ suoi compagnia Se egli vedeva un compagno attento alla scuola, docile, rispettoso, che sapesse bene le lezioni, che facesse i suoi lavori, e che fosse lodato dal maestro, questi diveniva tosto
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l´amico di Domenico. Eravi un discolo, un insolente, che trascurasse i suoi doveri, parlasse male o bestemmiasse? Domenico lo fuggiva
come la peste. Quelli poi che erano un po´ indolenti ei li salutava, loro rendeva qualche servizio, qualora ne fosse il caso, ma non con¬traeva seco loro alcuna famigliarità.
La condotta da lui tenuta nella scuola di Castelnuovo d´Asti può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progre
dire nella scienza e nella pietà. Su tal proposito io trascrivo la giudi¬ziosa relazione scritta dal suo maestro D. Allora sac. Alessandro, tut
tora maestro comunale di questo capoluogo di mandamento. Ec
cone il tenore:
» Molto mi compiaccio di esporre il mio giudicio intorno al gio-vinetto Savio Domenico che in breve tempo seppe acquistarsi tutta la mia benevolenza, sicché io l´ho amato colla tenerezza di un padre. Aderisco di buon grado a questo invito, perchè conservo ancora viva, distinta e piena memoria del suo studio, della sua condotta e delle sue virtù.
» Non posso dire molte cose della sua condotta religiosa, perchè, dimorando assai distante dal paese, era dispensato dalla congrega-zione a cui se fosse intervenuto avrebbe certamente fatto risplendere la sua pietà e divozione.
» Compiuti gli studi di la elementare in Murialdo, questo buon fanciullo chiese ed ottenne distintamente l´ammissione alla mia scuola di za elementare, propriamente il zi giugno 1852; giorno dagli sco¬lari dedicato a S. Luigi, protettore della gioventù. Egli era di una complessione alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto aI dolce con un non so che di grave e piacevole. Era d´indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva costantemente tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l´occhio, il pensiero od il parlare del maestro volgevasi a lui, vi la¬sciava la più bella e gioconda impressione. Là qual cosa per un mae¬stro si può chiamare uno de´ cari compensi delle dure fatiche che spesso gli tocca di sostenere indarno nella coltura di aridi e mal di¬sposti animi di certi allievi. Laonde posso dire che egli fu Savio di nome e tale pur sempre. si mostrò col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel conversare coi suoi compagni ed in ogni sua azione. Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino alla fine di quell´anno scolastico e ne´ quattro mesi dell´anno successivo ei progredì nello studio in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto di suo periodo, e le altre onorificenze della scuola e quasi sempre tutti i voti di ciascuna materia, che di mano in mano s´andava inse¬gnando. Tal felice risultato della scienza non è solo da attribuirsi
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all´ingegno non comune, di cui egli era fornito, ma eziandio al gran¬dissimo suo amore allo studio ed alla sua virtù.
» È poi degna di speciale ammirazione la diligenza con cui procu¬rava di adempiere i più minuti doveri di scolaro cristiano e segnata¬mente l´assiduità e la costanza mirabile nella frequenza della scuola. Di modo che, debole quale egli fu sempre di salute, percorreva ogni giorno oltre quattro chilometri di strada, il che ripeteva pur quattro fiate tra l´andata e ritorno. E ciò faceva con meravigliosa tranquillità d´animo e serenità di aspetto anche sotto l´intemperie della stagione invernale, per crudo freddo, per pioggia, o neve, cosa che non poteva a meno di essere riconosciuta dal proprio maestro per prova ed esem¬pio di raro merito. Ammalando frattanto si degno alunno nel corso dello stesso anno 185z-53, ed i parenti di lui mutando successiva¬mente domicilio fu cagione che con mio vero rincrescimento, non ho più potuto continuare l´insegnamento di un sì caro allievo, le cui sì grandi e bellissime speranze andavano scemando col crescere dei ti¬mori ch´io aveva, che non potesse più proseguire gli studi per man¬canza di salute o di mezzi di fortuna.
» Mi riuscì poi di grande consolazione quando seppi che egli era stato accolto fra i giovani dell´Oratorio di S. Francesco di Sales, essendogli così aperta la via alla coltura del raro suo ingegno e della sua luminosa pietà». (Fin qui il maestro di scuola) (II*).
CAPO VI
Scuola di Mondonio — Sopporta una grave calunnia.
Pare che la divina provvidenza abbia voluto far vedere a questo giovanetto che cotesto mondo è un esilio ove andiamo di luogo in luogo pellegrinando: o meglio abbia voluto che egli andasse a farsi conoscere in diversi paesi e così mostrarsi in più luoghi esimio spec¬chio di virtù.
Sul finire dell´anno I852 i genitori di Domenico da Murialdo an¬darono a fissar la loro dimora in Mondonio, che è un piccolo paese confinante con Castelnuovo. Egli continuò colà nel tenor di vita pra
(i) Mondonio, e Mondomio, oppure Mondonc è un piccolo paese di circa 400 abitanti; distante due miglia da Castelnuovo d´Asti, con cui ha facile relazione per mezzo di una strada che ultimamente fu praticata mediante il traforo di una collina. — Vi sono memorie di questo paese che rimontano al 1034. Passò al do¬minio di Casa Savoia col trattato di Cherasco del /631. (V. Casalis, diz.) (a). — * Questa nota storica fu aggiunta dall´A. in IV edizione.
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ticato in Murialdo ed a Castelnuovo; perciò dovrei ripetere le cose che di lui scrissero gli antecedenti suoi maestri; giacché il signor Don Cugliero (i), che l´ebbe a scolaro, fa una relazione quasi simile. Io trascelgo da essa solamente alcuni fatti speciali, ommettendo il rimanente per non fare ripetizioni.
Io posso dire, egli scrive, che in venti anni da che attendo ad istruire i ragazzi non ne ebbi mai alcuno che abbia pareggiato il Savio nella pietà. Egli era giovane di età ma assennato al pari di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio, e l´affabilità si catti¬vavano l´affetto del maestro e lo rendevano la delizia dei compagni. Quando lo rimiravo in chiesa, io era, compreso da alta meraviglia nel vedere tanto raccoglimento in un giovanetto di così tenera età. Più volte ho detto tra me stesso: Ecco un´anima innocente, cui si aprono le delizie del paradiso, e che coi suoi affetti va ad abitare cogli angeli del cielo ».
Tra i fatti speciali il maestro annovera il seguente:
« Un giorno fu fatta una mancanza tra i miei allievi, e la cosa era tale che il colpevole meritava l´espulsione dalla scuola. I delinquenti prevengono il colpo, e portandosi dal maestro si accordano di gettare tutta la colpa sopra il buon Domenico. Io non poteva crederlo capace di simile disordine; ma gli accusatori seppero dare tale colore di ve¬rità alla calunnia che dovetti crederla. Entro dunque nella scuola giustamente sdegnato pel disordine avvenuto; parlo al colpevole in genere: poi mi volgo al Savio, e questo fallo, gli dico, bisognava che fosse commesso da te? non meriteresti di essere sull´istan¬te cacciato dalla scuola? Buon per te che è la prima che mi fai di questo genere, altrimenti... fa´ che sia pur l´ultima. Domenico avrebbe potuto dire una parola sola in sua discolpa, e la sua in¬nocenza sarebbe stata conosciuta. Ma egli si tacque: chinò il capo e a guisa di chi è con ragione rimproverato, più non alzò gli occhi.
» Ma Dio protegge gl´innocenti, e il dì seguente furono scoperti i veri colpevoli e così palesata l´innocenza di Domenico. Pieno di rincrescimento pei rimproveri fatti al supposto colpevole, il presi da parte, e: Domenica, gli dissi, perché non mi hai subito detto che tu eri innocente? Domenico rispose: Perché quel tale essendo già col¬pevole di altri falli sarebbe forse stato cacciato di scuola; dal canto mio sperava di essere perdonato, essendo la prima mancanza di cui
(i) Il Sac. Cugliero Giuseppe, dopo aver passati alcuni anni in qualità di Cappellano beneficiato a Pino di Chieri, dopo una vita esemplare riposava nel Si¬gnore in quello stesso paese (a) (iz*).
a — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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era accusato nella scuola: d´altronde pensava anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato.
n> Tacqui allora, ma tutti ammirarono la pazienza del Savio, che aveva saputo render bene per male, disposto a tollerare anche un grave castigo a favore del medesimo calunniatore ». (Così D. Cugliero) (13*).
CAPO VII
Prima conoscenza fatta di lui. — Curiosi episodi in questa congiuntura.
Le cose che sono per raccontare posso esporle con maggior cor-redo di circostanze, perché sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei, e per lo più alla presenza di una moltitudine di giovani che tutti vanno d´accordo nell´asserirle. Correva l´anno 1854, quando il nomi-nato D. Cugliero venne a parlarmi di un. suo allievo per pietà degno di particolare riguardo. Qui in sua casa, egli diceva, può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe mandato a Murialdo all´occasione che sono solito a trovarmi colà coi giovani di questa casa per far loro godere un po´ di campagna, e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la solennità del rosario di Maria Santissima (149´).
Era il primo lunedì d´ottobre di buon mattino (I5*), allorchè vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicinava per parlarmi. — Il volto suo ilare, l´aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.
— Chi sei, — gli dissi, — donde vieni?
— Io sono, — rispose — Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.
Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.
Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva già operato in così tenera età.
Dopo un ragionamento alquanto prolungato prima che io chia-massi il padre, mi disse queste precise parole: Ebbene che gliene pare ? mi condurrà a Torino per istudiare?
— Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
— A che può servire questa stoffa?
— A fare un bell´abito da regalare al Signore.
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— Dunque io sono la stoffa; ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell´abito pel Signore.
— Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio.
— Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l´avvenire.
-- Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?
— Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardente¬mente di abbracciare lo stato ecclesiastico.
— Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche), di quest´oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela. Ciò detto lo lasciai in libertà d´andarsi a trastullare con gli altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto ¬minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole re¬cito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.
— Bravo — gli dissi — tu hai anticipato lo studio della tua le¬zione ed io anticipo la risposta. Si, ti condurrò a Torino e fin d´ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli; comincia anche tu fin d´ora a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà. Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e in fine disse: spero di regolarmi in modo che non abbia mai a la¬mentarsi della mia condotta.
CAPO VIII
Viene all´Oratorio di S. Francesco di Sales. — Suo pri´ino tenore di vita.
Egli è proprio dell´età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a quello che si vuote; perciò non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un´altra; oggi una virtù prati¬cata in grado eminente, domani l´opposto; e qui se non avvi chi vegli attento, spesso va a terminare con mal esito un´educazione -che forse poteva riuscire delle più fortunate. Del nostro Domenico non fu così. Tutte quelle virtù, che noi abbiamo veduto nascere e crescere, nei vari stadi di sua vita, crebbero ognora maravigliosarnente e crebbero insieme senza che una fosse di nocumento all´altra.
Venuto nella casa dell´Oratorio, si recò in mia camera per darsi, come egli diceva, intierarnente nelle mani de´ suoi superiori. Il suo
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sguardo si posò subito su di un cartello, sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di
Sales: Da mihi animas, coetera tolte. Fecesi a leggere attentamente,
ed io desiderava che ne capisse il significato. Perciò l´invitai, anzi l´aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: ho capito: qui non havvi negozio di danaro, ma negozio di anime, ho
capito; spero che l´anima mia farà anche parte di questo commercio. Il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario; nè altro in esso ammiravasi che un´esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri. Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell´uomo per la strada del cielo; quindi ogni massima udita in una predica era per lui un ricordo inva-riabile che più non dimenticava.
Ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica quantunque prolungata era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben inteso, tosto facevasi a dimandarne la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell´esemplare tenor di vita, quella esat¬tezza nell´adempimento dei suoi doveri, oltre cui difficilmente si può andare (16*).
Per essere ammaestrato intorno alle regole e disciplina della casa, egli con bel garbo procurava di avvicinarsi a qualcheduno dei suoi superiori; lo interrogava, gli dimandava lumi e consigli, suppli¬cando di volerlo con bontà avvisare ogni volta che lo vedesse trasgre¬dire i suoi doveri. — Nè era meno commendevole il contegno che egli serbava coi suoi compagni. Vedeva egli taluno dissipato, negli¬gente ne´ .proprii doveri, o trascurato nella pietà? Domenica lo fug
giva. Eravi un compagno esemplare, studioso, diligente, lodato dal
maestro? Costui diveniva tosto amico e famigliare di Domenico.
Avvicinandosi la festa dell´Immacolata Concezione di Maria, il Direttore diceva tutte le sere qualche parola d´incoraggiamento ai giovani della casa, affinchè ciascuno si desse sollecitudine a cele¬brarla in modo degno della gran Madre di Dio; ma insistette spe¬cialmente a voler chiedere a questa celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno.
Correva l´anno 1854 in cui i cristiani di tutto il mondo erano in una specie di spirituale agitazione perché trattavasi a Roma della
definizione dogmatica dell´Immacolato Concepimento di Maria. An¬che tra di noi si faceva quanto la nostra condizione comportava per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale de´ nostri giovani.
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Il Savio era uno di quelli che sentivasi ardere dal desiderio di celebrarla santamente. Scrisse egli nove fioretti, ovvero nove atti di virtù da praticarsi, estraendone a sorte uno per giorno. Si preparò e fece con piacere dell´animo suo la confessione generale, e si accostò ai santi Sacramenti col massimo raccoglimento.
La sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le sacre funzioni di chiesa, col consiglio del confessore, Domenico andò avanti l´altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! ma per pietà, fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.
Presa così Maria per sostegno della sua divozione, la morale di lui condotta apparve così edificante e congiunta a tali atti di virtù che ho cominciato fin d´allora a notarli per non dimenticarmene.
Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovane Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive ed in chi legge.. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non secondo l´ordine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione od hanno rapporto colla medesima materia. Dividerò per¬tanto le cose in altrettanti capitoli, cominciando dallo studio del la-tino, che fu motivo principale per cui venne e fu accolto in questa casa di Valdocco.
CAPO IX
Studio di latinità. — Curiosi incidenti. — Contegno nella scuola. — Impedisce una rissa. — Evita un pericolo.
Egli aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità nello studia e colla non ordinaria sua capa¬cità ottenne in breve di essere classificato nella quarta, o come di; ciamo oggidì, nella seconda grammatica latina (17*). Fece egli questo corso presso il pio e caritatevole professore Bonzanino Giuseppe; imperciocchè allora non erano ancora stabilite le scuole ginnasiali nella casa dell´Oratorio, come sono presentemente. Io dovrei anche qui esprimere il suo contegno, profitto e la sua esemplarità colle stesse parole degli antecedenti suoi maestri. Laonde esporrò solamente alcune cose che in quest´anno di latinità e ne´ due susseguenti furono notate con particolare ammirazione da coloro che lo conobbero. Il professore Bonzanino ebbe più volte a dire che non ricordavasi di
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aver avuto alcuno più attento, più docile, più rispettoso, quale era il giovane Savio. Egli compariva modello in tutte le cose. Nel vestire e´ nella capigliatura non era punto ricercato; ma in quella modestia di abiti e nella umile sua condizione egli appariva pulito, ben educato, cortese, in guisa che i suoi compagni di civile ed anche di nobile con-dizione, i quali in buon numero intervenivamo alla detta scuola, go-devano assai di potersi trattenere con Domenico non solo per la scienza e pietà, ma anche per le sue civili e piacevoli maniere di trattare. Se poi fosse avvenuto al professore di ravvisare qualche scolaro un po´ ciarliero, mettevagli Domenico a´ fianchi, ed egli con destrezza stu¬diavasi di indurlo al silenzio, allo studio, all´adempimento de´ suoi doveri.
Egli è nel decorso di quest´anno, che la vita di Domenico ci som-ministra un fatto che ha dell´eroismo, e che è appena credibile in quella giovanile sua. età. Esso riguarda a due suoi compagni di scuola che vennero tra di loro ad una rissa pericolosa. Il litigio cominciò da alcune parole dettesi scambievolmente in dispregio della loro famiglia. Dopo alcuni insulti si dissero villanie e si sfidarono a far valere le loro ragioni a colpi di pietra. Domenico giunse a scoprire quella discordia; ma come impedirla, essendo i due rivali maggiori di forze e di età? Si provò di persuaderli a desistere da quel progetto, facendo ad ambi-due osservare che la vendetta è contraria alla ragione ed alla santa legge di Dio; scrisse lettere all´uno e all´altro; li minacciò di riferire la cosa al professore ed anche ai loro parenti; ma tutto invano; i loro animi erano così inaspriti, che tornava inutile ogni parola. Oltre iI pericolo di farsi grave male alla persona, commettevasi grande of¬fesa contro Dio. Domenico era oltre modo crucciato, desiderava di opporsi e non sapeva come. Dio lo inspirò di far così. Li attese dopo la scuola, e come potè parlare ad ambidue. da parte, disse: Poichè persistete nei bestiale vostro divisamento, vi prego almeno di accet¬tare una condizione. L´accettiamo, risposero, purché non impedisca la nostra sfida. Egli è un birbante, replicò tosto un di loro: ed io non sarò in pace con lui, soggiungeva l´altro, finché egli od io non abbiamo rotta la testa. Savio tremava a quel brutale diverbio, tuttavia, nel desi¬derio d´impedire maggior male, si fermò e disse: La condizione che sono per mettervi non impedisce la sfida.
Com. Qual è questa condizione?
Sav. Vorrei soltanto dirvela al luogo dove volete misurarvi a sas-sate,
Com. Tu ci minchioni, o studierai di metterci qualche incaglio. Sav. Sarò con voi, e non vi minchionerò; state tranquilli.
Com. Forse tu vorrai andare a chiamare qualcheduno.
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Sav. Dovrei farlo, ma nal farò; andiamo, io sarò con voi. Mante¬netemi soltanto la parola.
Glielo promisero, andarono nei così detti prati della Cittadella fuori di Porta Susa (i).
Tanto era l´odio dei due contendenti che a stento il Savio potè impedire che non venissero alle mani nel breve tratto di strada che era a farsi.
Giunti al luogo stabilito, iI Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi immaginato. Lasciò che si ponessero in una certa distanza; già avevano le pietre in mano, cinque cadono, quando Do¬menico
parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che adem¬piate la condizione accettata. Ciò dicendo trasse fuori il piccolo Cro¬cifisso, che aveva al collo, e tenendolo in una mano, voglio, disse, che ciascuno fissi lo sguardo in questo Crocifisso, di poi, gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce ´queste parole: Gesù Cristo innocente morì perdonando a´ suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e far una solenne vendetta.
Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: Fà il primo colpo sopra di me: tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si aspettava simile proposta, cominciò a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e vorrei difenderti, se qualcuno ti volesse oltraggiare.
Domenica, ciò udito, corse dall´altro dicendo le stesse parole. Egli pure ne fu sconcertato, e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male.
Allora Domenico si rizzò in piedi, e prendendo un aspetto serio e commosso: come, loro disse, voi siete ambedue disposti ad affron¬tare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una misera¬bile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una de¬risione fattavi nella scuola per salvare l´anima vostra, che costò il sangue del Sal-sfatare, e che voi andate a perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque, tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.
A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti.
In quel momento, asserisce uno di loro, io fui intenerito; un freddo mi corse per le membra, e mi sentii pieno di vergogna per aver co¬stretto un amico sì buono, come era Savio, ad usare misure estreme per impedire l´empio nostro divisamento. Volendogli almeno dare un segno di compiacenza perdonai di cuore a chi mi aveva offeso, e pregai
(t) Quei prati ora sono tutti coperti di edifizi, ed il sito di quell´alterco cor¬risponde all´area sopra cui giace la chiesa parocchiale di S. Barbara (a). *(Nota
aggiunta in sa ediz.),
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Domenico di suggerirmi qualche paziente e caritatevole sacerdote per andarmi a confessare. In questa guisa dopo di essermi novella-mente fatto suo amico fui riconciliato col Signore, che coll´odio e col desiderio di vendetta aveva di certo gravemente offeso ».
Esempio é questo ben degno di essere imitato da ogni giovane cristiano qualora gli avvenga di vedere il suo simile in atto di far ven¬detta, od essere da altri in qualche maniera offeso, oppure ingiuriato.
Quello poi che in questo fatto onora singolarmente la condotta e la carità del Savio si è il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto. Ed ogni cosa sarebbe stata totalmente ignorata, se coloro stessi, che vi ebbero parte, non l´avessero ripetutamente raccontata.
L´andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che dai villaggi vengono nelle grandi città, pel nostro Do¬menico fu un vero esercizio di virtù. Costante nell´eseguire gli ordi¬ni dei suoi superiori, andava a scuola,: ritornava a casa senza neppur dare un´occhiata, o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse, Se avesse veduto alcuno a fermarsi, correre, saltel¬lare, tirar pietre, o andar a passar in luoghi non permessi, egli tosto da costui si allontanava. Che anzi un giorno fu invitato ad andare a far una passeggiata senza permesso: un´altra volta venne consigliato ad omettere la scuola per andarsi a divertire, ma egli seppe sempre rispondere con un rifiuto. Il mio divertimento più bello, loro rispon¬deva, è l´adempimento de´ miei doveri: e se voi siete veri amici, do¬vete consigliarmi ad adempirli con esattezza e non mai a trasgredirli. Nulladimeno ebbe la sventura di aver alcuni compagni che lo mole¬starono a segno, che il Savio si trovò sul punto di cadere nei loro lacci. E già risolvevasi di andare con loro e così per quel giorno tralasciare la scuola. Ma fatto breve tratto di cammino si accorse che seguiva un cattivo consiglio, ne provò gran rimorso, chiamò i tristi consi¬glieri, e loro disse: Miei cari, il dovere m´impone di andare a scuola ed io vi voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio ed ai nostri superiori. Sono pentito di quello che ho fatto; se mi darete altra volta somiglianti consigli, voi cesserete di essere miei amici.
Quei giovani accolsero l´avviso del loro amico; andarono seco lui a scuola, e per l´avvenire non cercarono più di distoglierlo da´ suoi doveri. Nel fine dell´anno, mediante la sua buona condotta e la sua costante sollecitudine allo studio, meritò di essere promosso fra gli ottimi alla classe superiore. Ma sul principio del terzo anno di gram¬matica la sanità di Domenico apparendo alquanto deteriorata, si giu¬dicò bene di lasciargli fare il corso privato qui nella casa dell´Ora¬torio, a fine di potergli usare i dovuti riguardi nel riposo, nello studio e nella ricreazione.
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L´anno di -umanità o di la retorica sembrando meglio in salute, fu mandato dal benemerito professore D. Picco Matteo. Esso aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che ornavano il Savio, sicché di buon grado l´accolse gratuitamente nella sua scuola che passava fra le migliori approvate in questa nostra città (x8*).
Molte sono le cose edificanti o dette cr fatte dal Savio nell´anno di terza grammatica e di prima retorica; e noi Ie andremo esponendo di mano in mano che racconteremo i fatti che con quelle sono col¬legati.
CAPO X
Sua deliberazione di farsi santo.
Dato così un cenno sullo studio fatto nelle classi di latinità, par¬leremo ora della grande sua deliberazione di farsi santo.
Erano sei mesi da che il Savio dimorava all´Oratorio, quando fu ivi fatta una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che fecero profonda impressione sull´animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci facciamo" tutti santi: è assai facile di riuscirvi: è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo. Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl´infiammò il cuore d´amore di Dio. Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicché se ne accorsero i compagni e me ne accorsi anch´io. Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene, — Che vorresti dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che hp capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assoluta¬mente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.
Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perché nelle commozioni dell´animo non si conosce la voce del Signore; che anzi io voleva per prima cosa una costante e moderata allegria: e consi¬gliandolo ad essere perseverante nell´adempimento dei suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni.
Un giorno gli dissi di volergli fare un regalo di suo gusto; ma esser mio volere che la scelta fosse fatta da lui. Il regalo che domando, prontamente egli soggiunse, è che mi faccia santo. Io mi voglio dare tutto al Signore, per sempre al Signore (i910), e sento un bisogno di
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farmi santo, e se non mi fo santo io fo niente. Iddio mi vuole santo, ed io debbo farmi tale.
In una congiuntura il direttore voleva dare un segno di speciale affetto ai giovani della casa e fece loro facoltà di chiedere con un bi¬glietto qualunque cosa fosse a lui possibile, promettendo che l´avrebbe concessa. Quindi può ognuno facilmente immaginarsi le ridicole e le stravaganti domande fatte dagli uni e dagli altri. Il Savio, preso un pezzetto di carta, scrisse queste sole parole: Dimando che mi salvi l´anima (2,0") e mi faccia santo.
Un giorno si andavano spiegando alcune parole secondo la etimo¬logia. E Domenico, egli disse, che cosa vuol dire? Fu risposto: Do¬menico vuoi dire del Signore. Veda, tosto soggiunse, se non ho ragione di chiederle che mi faccia santo: fino il nome dice che io sono del Signore. Dunque io debbo e voglio essere tutto del Signore e voglio farmi santo e sarò infelice finchè non sarò santo.
La smania che egli dimostrava di volersi fare santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo, ma ciò diceva, perchè egli voleva far rigide penitenze, passar lunghe ore nella preghiera, Ie quali cose erangli dal direttore proibite, perchè non compatibili colla sua età e sanità e colle sue occupazioni.
CAPO XI
Suo zelo per fa salute delle anime.
La prima, cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di ado¬perarsi per guadagnai. anime a Dio; perciocchè non havvi cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristó sparse fin l´ultima goccia del prezioso suo sangue. Co¬nobbe Domenico l´importanza di tale pratica, e fu più volte udito a dire: Se io potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio.
(W") La cosa che gli cagionava grande orrore e che recava non piccolo danno alla sua sanità, era la bestemmia, o l´udir nominare il santo nome di Dio invano. Se mai nelle vie della città o altrove gli fosse accaduto di udire alcuna di somiglianti parole, egli tosto abbas¬sava dolente il capo, e diceva con cuor divoto: sia lodato Gesù Cristo.
Passando un giorno per mezzo ad una piazza della città, un com¬pagno lo vide a togliersi il cappello e proferire sotto voce alcune
parole: Che fai? gli disse, che dici? Non hai udito? Domenica ri¬spose: quel carrettiere nominò il santo nome di Dio invano. Se avessi creduto utile sarei corso ad avvisarlo di non farlo mai più: ma temendo di fargli dire cose peggiori, mi limito a togliermi il cappello e dire: sia lodato Gesù Cristo. E questo con animo di riparare qualche poco l´ingiuria fatta al santo nome del Signore.
Il compagno ammirò la condotta ed il coraggio di Domenico, e va tuttora con piacere raccontando tale episodio ad onore dell´amico e ad edificazione dei compagni.
Nel ritornare dalla scuola una volta udì un cotale di età alquanto avanzata che proferì un´orribile bestemmia. Il nostro Domenico tremò all´udirla; lodò Dio in cuor suo, dipoi fece una cosa certamente ammirabile. Con aria la più rispettosa corse verso l´incauto bestem¬miatore e gli domandò se sapeva indicargli la casa dell´Oratorio di S. Francesco di Sales. A quell´aria di paradiso, l´altro depose quella specie di ferocia, e non so, caro ragazzino, mi rincresce.
— Oh! se non sapete questo, voi potreste farmi un altro piacere.
— Dimmelo pure, volentieri.
Domenico gli si avvicinò quanto potè all´orecchio, e piano che altri non capisse, voi, soggiunse, mi farete un gran piacere se nella vostra collera direte altre parole senza bestemmiare il santo nome di Dio,
— Bravo, — disse l´altro, pieno di stupore e. di ammirazione; — bene, hai ragione: è questo un vizio maledetto che voglio vincere a qualunque costo.
Un giorno avvenne .che un fanciullo di forse nove anni si pose ad altercare con un compagno in vicinanza della porta della casa, e nella rissa proferì l´adorabile nome di Gesù Cristo. Domenico a tale parola, sebbene sentisse un giusto sdegno in cuor suo, tuttavia con animo pacato s´intromise tra i due contendenti e li acquetò; poi disse a chi aveva nominato il nome di Dio invano: vieni meco e sarai con¬tento. I suoi bei modi indussero il fanciullo ad accondiscendere. Lo prese per mano, lo condusse in chiesa avanti all´altare, di poi lo fece inginocchiare vicino a lui dicendogli: dimanda al. Signore perdono dell´offesa che gli hai fatta col nominarlo invano. E poichè il ragazzo non sapeva l´atto di contrizione, lo recitò egli seco lui. Dopo soggiunse: Di´ con me queste parole per riparare l´ingiuria fatta a Gesù Cristo: sia lodato Gesù Cristo, e il suo santo e adorabile nome sia sempre lodato.
Leggeva di preferenza la vita di quei santi che avevano lavorato in modo speciale per la salute delle anime. Parlava volentieri dei mis¬sionari, che faticano tanto in lontani paesi pel bene delle anime, e
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non potendo mandar loro soccorsi materiali, offriva ogni giorno al Signore qualche preghiera, e almeno una volta alla settimana faceva per loro la santa comunione.
Più volte l´ho udito esclamare: Quante anime aspettano il nostro aiuto nell´Inghilterra: oh se avessi forza e virtù vorrei andarvi sul momento, e colle prediche e col buon esempio vorrei guadagnarle tutte al Signore. Si lagnava spesso con sè medesimo, e spesso ne parlava ai compagni del poco zelo che molti hanno per istruire i fanciulli nelle verità della fede. Appena sarò chierico, diceva, voglio andare a Mondonio, e voglio radunare tutti i fanciulli sotto di una tettoia e voglio far loro il catechismo, raccontare tanti esempi e farli tutti santi. Quanti poveri fanciulli forse andranno alla perdizione per mancanza di chi li istruisca nella fede! Ciò che diceva con parole lo confermava coi fatti, poiché per quanto comportava la sua età ed istruzione faceva con piacere il catechismo nella chiesa dell´Oratorio,• e se qualcheduno ne avesse avuto bisogno, gli faceva scuola e lo am¬maestrava nel catechismo a qualunque ora del giorno ed in qualunque giorno della settimana, ad unico scopo di poter parlare di cose spiri¬tuali e far loro conoscere l´importanza di salvar l´anima.
Un giorno un compagno indiscreto voleva interromperlo mentre raccontava un esempio in tempo di ricreazione. Che te ne fa di queste cose? gli disse. Che me ne fa? rispose; me ne fa perchè l´anima de´ miei compagni è, redenta col sangue di Gesù Cristo; me ne fa perchè siamo tutti fratelli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente l´anima nostra; me ne fa perchè Iddio raccomanda di aiutarci l´un l´altro a salvarci; me ne fa perchè se riesco a salvare un´anima, met¬terò anche in sicuro la salvezza della mia.
Né questa sollecitudine pel bene delle anime in Domenico rallentava nel breve tempo di vacanza, che passava nella casa paterna (20). Ogni immagine, medaglia, crocifisso, libretto od altro oggetto che egli si fosse guadagnato nella scuola o nel catechismo mettevalo da parte per servirsene quando fosse in vacanza. Anzi prima di par¬tire dall´Oratorio soleva fare speciale dimanda a´ suoi superiori, che gli volessero dare simili oggetti per far stare allegri, come egli diceva, i suoi amici di ricreazione.
Giunto appena in patria, vedevasi tosto circondato da fanciulli suoi pari, più piccoli, ed anche più grandi, che provavano un vero piacere trattenendosi con lui. Egli poi distribuendo i suoi regali a tempo opportuno, eccitavali a star attenti alle dimande, che loro fa¬ceva ora sul catechismo ora sui loro doveri.
Con questi bei modi riusciva a condurre parecchi con lui al cate¬chismo, alla preghiera, alla messa e ad altre pratiche di pietà.
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Sono assicurato che egli impiegò non poco tempo per istruire un compagno. Se giungerai, dicevagli, a far bene il segno della santa croce, ti fo dono d´una medaglia, di poi ti raccomanderò ad un prete che ti doni un bel libro. Ma vorrei che fosse ben fatto, e che dicendo le parole colla bocca, la mano destra partisse dalla fronte, si portasse al petto, indi andasse a toccar bene la spalla sinistra, poscia la destra e terminasse col giungere veramente le mani dicendo: Così sia. Egli desiderava ardentemente che questo segno di nostra redenzione fosse ben fatto, ed egli stesso facevalo più volte alla loro presenza, invi¬tando gli altri a fare altrettanto.
Oltre l´esattezza nell´adempimento d´ogni più minuto suo dovere, egli prendevasi cura poi di due fratellini, cui insegnava a leggere, scrivere, recitare il catechismo e li assisteva nella preghiera del mat¬tino e della sera. Li conduceva in chiesa, porgeva loro l´acqua bene¬detta, mostrava loro il vero modo di far il segno della santa croce. Il medesimo tempo che avrebbe passato qua e là trastullandosi, egli Io passava raccontando esempi ai parenti, o ad altri compagni che l´avessero voluto ascoltare. Anche in patria era solito a fare ogni giorno una visita al Santissimo Sacramento; ed era per lui un vero guadagno quando poteva indurre qualche compagno ad andargli a tenere com-pagnia. Onde si può dire che non presentavasi a lui occasione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene del¬l´anima, che egli la lasciasse sfuggire.
CAPO XII
Episodi e belle maniere di conversare coi compagni.
Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque. In tempo libero era l´anima della ricreazione; ma quanto diceva o faceva tendeva sempre al bene morale o di sè o di altri. Aveva ognor presente que´ bei principii di educazione, di non interrompere gli altri quando parlano. Se per altro i compagni facevano silenzio, egli tosto metteva fuori questioni di scuola, di storia, di aritmetica, ed aveva sempre alla mano mille storielle, che rendevano amabile la sua compagnia. Se mai taluno avesse rivolto il discorso intorno a cose che fossero mormorazioni o simili, egli lo interrompeva e metteva fuori qualche facezia od anche una favola o altra cosa per far ridere, e intanto distoglieva il discorso dalla mormorazione ed impediva l´offesa di Dio tra´ suoi compagni.
La sua aria allegra, l´indole vivace lo rendevano caro anche ai
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compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva.
Un giorno un suo compagno desiderava andarsi a mascherare, ed egli non voleva. Saresti contento, gli diceva, di divenir realmente quale vuoi vestirti, con due corna sulla fronte, con un naso lungo un palmo, con un abito da ciarlatano? Mai no, rispose l´altro. Dunque, soggiunse Domenico, se non desideri avere questo sembiante, perché vuoi comparir tale a deturpare le belle fattezze che Dio ti ha donato?
(z3´). Una volta in tempo di ricreazione accadde che un uomo si avanzò in mezzo ai giovani che si divertivano; e voltosi ad uno di loro si mise a discorrere, ma con voce alta che tutti i circostanti po¬tevano udire. L´astuto, onde trarli vicino a sè, da principio si diede a raccontare cose strane per far ridere. I giovani tratti dalla curiosità in breve gli furono attorno affollati, e attenti pendevano dal suo labbro nell´udire quelle stranezze. Appena si vide cosi circondato, fece cadere il discorso su cose di religione, e, come suol fare tal sorta di gente, gettava giù degli strafalcioni da far inorridire, mettendo in burla le cose più sante e screditando tutte quante le persone ecclesia¬stiche. Alcuni degli astanti, non potendo soffrire tali empietà e non osando opporsegli, si contentarono di ritirarsi. Un buon numero in¬cautamente continuava ad ascoltarlo. Intanto per caso sopraggiunse il Savio. Appena potè conoscere di che genere fosse quel discorso, rotto ogni rispetto umano, subito si rivolse ai compagni: Andiamo¬cene, disse, lasciamo solo quest´infelice; egli ci vuol rubare l´anima. I giovani ubbidienti alla voce di un sì amabile e virtuoso compagno, tutti quanti si allontanarono prontamente da quell´inviato del demo¬nio. Questi vedutosi così da tutti abbandonato, se ne parti senza più lasciarsi vedere.
Altra volta alcuni volevano andarsi a bagnare, la qual cosa, se è altrove pericolosa, lo è assai più nel circondario di Torino, ove, senza parlare dei pericoli dell´immoralità, trovansi acque sì profonde ed impetuose, che spesso i giovani restano vittima infelice del nuoto. Se ne accorse Domenico, e cercava di trattenersi con loro raccontando or questa, or quell´altra novità. Ma quando li vide decisi di volersene assolutamente andare, allora si pose a parlare risoluto: No, disse, io non-voglio che andiate.
— Noi non facciamo alcun male.
— Voi disubbidite ai vostri superiori, voi vi esponete al pericolo di dare o ricevere scandalo, e di rimaner morti nell´acqua, e questo
non è male?
— Ma noi abbiamo un caldo che non ne possiamo più.
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Se non potete più tollerare il caldo di questo mondo, potrete poi tollerare il caldo terribile dell´inferno, che voi vi andate a me¬ritare ?
Mossi da queste parole cangiarono divisamento e si posero seco lui a fare ricreazione, e all´ora dovuta andarono in chiesa per assi¬stere alle sacre funzioni.
Alcuni altri giovani dell´Oratorio amanti del bene de´ loro com¬pagni si unirono in una specie di società per darsi alla conversione dei discoli. Savio vi apparteneva ed era dei più zelanti. Se avesse avuto
un confetto, un frutto, una croce, un´immagine o la riserbava
per questo scopo. Chi lo vuole, chi lo vuole, andava dicendo. Io, io, da tutti si gridava correndo verso di lui. Adagio, egli diceva, voglio darlo a chi meglio mi risponderà ad una domanda di catechismo. Intanto egli interrogava solo i più discoli, ed appena essi davano ri¬sposta alquanto soddisfacente faceva loro quel piccolo regalo.
Altri poi erano guadagnati in altre maniere: li prendeva, li invi¬tava a passeggiare con lui, li faceva discorrere, se occorreva, giocava con loro. Fu talvolta veduto con un grosso bastone sulle spalle che sembrava Ercole colla dava, giocare alla rana, volgarmente cirimella, e mostrarsi perdutamente affezionato a quel giuoco. Ma ad un tratto sospendeva la partita e diceva al compagno: Vuoi che sabato ci an¬diamo a confessare? L´altro per la distanza del tempo e per ripigliare la partita e anche per compiacerlo rispondeva di sì. Domenico ne aveva abbastanza e continuava il giuoco. Ma nol perdeva più di vista: ogni giorno o per un motivo o per un altro gli richiamava sempre quel sì - alla memoria, e gli andava insinuando il modo di confessarsi bene. Venuto il sabato, qual cacciatore che ha colto buona preda, l´accom¬pagnava in chiesa, lo precedeva nel confessarsi, per lo più ne preve¬niva il confessore, si tratteneva seco dopo a fare il ringraziamento. Questi fatti, che pur erano frequenti, tornavano a lui della più grande consolazione e di grande vantaggio ai compagni: perciocchè spesso avveniva che taluno non riportasse alcun frutto da una predica udita in chiesa, mentre arrendevasi alle pie insinuazioni di Domenico.
Avveniva qualche volta che taluno il lusingava tutta la settimana e poi al sabato non lasciavisi più veder per l´ora di confessarsi. Come poi lo vedeva di nuovo, quasi scherzando gli diceva: eh! biri¬chino! me l´hai fatta. Ma vedi, dicea l´altro, non era disposto, non mi sentiva... Poverino, soggiungeva Domenico, hai ceduto al demonio che era assai ben disposto a riceverti; ma ora ancor più sei indi¬sposto, anzi ti vedo tutto di mal umore, Orsù fa´ la prova di andarti a confessare, fa´ uno sforzo e procura di confessarti bene e vedrai di quanta gioia sarà ripieno il tuo cuore. Per lo più dopo che quel tale
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erasi confessato andava tosto da Domenica col cuore pieno di conten¬tezza: È vero, diceva, sono veramente contento; per l´avvenire voglio andarmi a confessare più sovente.
Nelle comunità di giovani sogliono esservene alcuni che o per essere alquanto rozzi, ignoranti, meno educati o crociati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati da parte dai loro compagni. Co¬storo soffrono il peso dell´abbandono, quando avrebbero maggior bisogno del conforto di un amico.
Questi erano gli amici di Domenico. Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon, discorso, loro dava buoni consigli; quindi spesso è avvenuta che giovani, decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornavano a buoni sentimenti. .
Per questo motivo tutti quelli che avevano qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui, In questa guisa egli aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo ed accrescersi merito davanti a Dio.
CAPO XIII
Suo spirito di preghiera. — Divozione verso la Madre di Dio. — Il mese di Maria.
Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fer¬vore nella preghiera. Il suo spirito era così abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi tram¬busti, raccoglieva i suoi pensieri e con pii affetti sollevava il cuore a Dio.
Quando poi si metteva a pregare in comune pareva veramente un angioletto: immobile e composto a divozione in tutta la persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l´avresti detto un altro S. Luigi.
Bastava vederlo per esserne edificati. L´anno 1854 fu eletto il Signor conte Cays priore della compagnia di S. Luigi, eretta in quest´Oratoria. La prima volta che prese parte alle nostre funzioni vide egli un giovanetto che pregava con atteggiamento così divoto, che ne fu pieno di stupore. Terminate le sacre funzioni volle infor¬marsi e sapere chi fosse quel fanciullo che era stato il soggetto della sua ammirazione: quel fanciullo era Domenica Savio.
La stessa sua ricreazione era quasi sempre dimezzata; una parte per lo più era passata in pia lettura, oppur in qualche preghiera che
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egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in suffragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria Santissima.
La divozione verso la Madre di Dio in Domenico era grande assai. In onore di lei faceva ogni giorno qualche mortificazione. Non rimirava mai in faccia persone di sesso diverso; andando a scuola non alzava mai gli occhi. Talvolta passava vicino a pubblici spettacoli, che dai compagni rimiravnnsi con tale ansietà da non saper più dove si fossero. Interrogato il Savio se quegli spettacoli gli fossero piaciuti, rispondeva che nulla aveva veduto. Di che quasi incollerito una volta un compagno lo rimproverò dicendo: Che vuoi dunque fare degli occhi, se non te ne servi a rimirar queste cose ? Io voglio servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria, quando, se coll´aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in pa¬radiso.
Aveva una speciale divozione all´immacolato cuore di Maria. Tutte le volte che recavasi in chiesa andava avanti all´altare di lei per pregarla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. Maria, dicea, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un pec-cato contrario alla virtù della modestia.
Ogni venerdì poi sceglieva un tempo di ricreazione, si portava in chiesa con altri compagni per recitare la corona de´ sette dolori di Maria, o almeno le litanie di Maria Addolorata.
Non solo egli era divoto di Maria SS., ma godeva assai quando poteva condurre qualcheduno a prestarle pratiche di pietà. Un giorno di sabato aveva invitato un compagno a recarsi con lui in chiesa a recitare il vespro della E. Vergine. Questi si arrendeva di mala voglia, adducendo aver freddo alle mani. Domenico si levò i guanti dalle mani e glieli diede, e così andarono ambidue in chiesa. Altra volta si tolse il mantelletto dalle proprie spalle, per imprestarlo ad un altro, affinchè andasse volentieri con lui in chiesa a pregare. Chi non sentesi compreso d´ammirazione a tali atti di generosa pietà?
In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra protettrice Maria quanto nel mese di maggio. Si accordava con altri per fare ogni giorno di quel mese qualche pratica particolare oltre a quanto aveva luogo nella pubblica chiesa. Preparavasi una serie di esempi edificanti, che egli andava con gran piacere raccontando per animare altri ad essere divoti di Maria. Ne parlava spesso in ricreazione: animava tutti a confessarsi e fre-quentare la santa comunione specialmente in quel mese. Egli ne dava l´esempio accostandosi ogni giorno alla mensa eucaristica con tal rac¬coglimento, che maggiore non si può desiderare.
3 — CPSWLIA, Don Bosco, scritti, Vol. IV, Parte I.
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Un curioso episodio fa vedere la tenerezza del suo cuore per la - divozione di Maria. Gli alunni della camera ove egli dormiva, deli-berarono di fare a spese proprie un elegante altarino, che servisse a solennizzare la chiusura del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per quest´affare; ma venendosi alla quota che ciascuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! esclamò, sì che stiamo bene! per questi affari ci vogliono denari; ed io non ho nessun quattrino in tasca. Pure voglio fare qualche cosa a qualunque costo, Andò, prese un libro, che eragli stato donato in premio, e chiestone il permesso dal supe¬riore, ritornò pieno di gioia dicendo: Compagni, eccomi in grado di concorrere anch´io per onorar Maria: prendete questo libro, cavatene quell´utilità che potete; questa è la mia oblazione.
Alla vista di quell´atto spontaneo e così generoso s´intenerirono i compagni, e vollero essi pure offerir libri ed altri oggetti. Con essi fu fatta una piccola lotteria, il cui prodotto fu abbondante per sop¬perire alle spese che occorrevano.
Terminato l´altare, i giovani desideravano di celebrare la loro festa colla massima sontuosità. Ognuno se ne dava grande sollecitu¬dine, ma non essendosi potuto totalmente terminare l´apparato, era mestiere lavorare la notte precedente alla festa. Io, disse il Savio, io passerò volentieri la notte lavorando. Ma i suoi compagni, perché aveva fatto poco prima una malattia, l´obbligarono di andarsi a cori¬care. Non voleva arrendersi, e solo andò a letto per ubbidienza. Al¬meno, disse ad uno dei compagni, appena sia tutto terminato, vienmi tosto a risvegliare, affinché io possa essere de´ primi a rimirare l´al¬tare addobbato in onore della nostra cara madre.
CAPO XIV
Sua frequenza ai santi Sacramenti della confessione e comunione.
Egli è comprovato dall´esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della confessione e della comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi Sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, Che è l´esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la com¬prendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell´educazione dei medesimi per insinuarla.
Prima che il Savio venisse a dimorare all´Oratorio frequentava questi due Sacramenti una volta al mese secondo l´uso delle scuole. Di poi li frequentò con assai maggiore assiduità. Un giorno udì dal
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pulpito questa massima: Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa- comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità. Comprese Domenico l´importanza di questi consigli.
Cominciò egli a scegliersi un confessore, che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinché questi potesse poi formarsi un giusto giudizio di sua coscienza, volle, come si disse, fare la con-fessione generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il con¬fessore osservando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana e nel termine di un anno gli permise anche la comunione quotidiana.
(24.*) Fu qualche tempo dominato dagli scrupoli; perciò voleva confessarsi ogni quattro giorni ed anche più spesso; ma il suo diret¬tore spirituale nol permise e lo tenne all´obbedienza della confes¬sione settimanale.
Aveva con lui una confidenza illimitata. Anzi parlava col mede-simo con tutta semplicità delle cose di coscienza anche fuori di con-fessione. Qualcheduno lo aveva consigliato a cangiar qualche volta confessore, ma egli non volle mai arrendersi. TI confessore, diceva, è il medico dell´anima, nè mai si suole cangiar medico se non per mancanza di fiducia in lui, o perché il male è quasi disperato. Io non mi trovo in questi casi. Ho piena fiducia nel confessore che con pa-terna bontà e sollecitudine si adopera pel bene dell´anima mia; nè io vedo in me alcun male che egli non possa guarire. Tuttavia il diret¬tore ordinario lo consigliò a cangiar qualche volta confessore, special¬mente in occasione degli spirituali esercizi; ed egli senza opporre difficoltà prontamente ubbidiva.
Il Savio godeva di se medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, vo dal confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacche Gesù Cristo ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di. Dio. Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l´Ostia santa in cui trovasi corpus quod pro nobis traditum est, cioè quello stesso corpo, sangue, anima e divinità, che Gesù Cristo offerse al suo Eterno Padre per noi sopra la. croce. Che cosa mi manto_ per essere felice ? nulla in questo mondo: mi manca solo di poter godere svelato in cielo colui, che ora con occhio di fede miro e adoro sull´altare.
Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. Nè pensiamoci che egli non comprendesse l´im
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portanza di quanto faceva, e non avesse un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la comunione frequente (z5*). Perciocchè la sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invi¬tato i suoi compagni a dirmi se ne´ tre anni, che dimorò fra noi, aves¬sero notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire; ma tutti asserirono d´accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione, nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui.
Il suo apparecchio a ricevere la santa eucaristia era pio, edificante. La sera che precedeva la comunione, prima, di coricarsi faceva una preghiera a questo scopo e conchiudeva sempre cosi: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino poi premetteva una sufficiente preparazione; ma il ringra¬ziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato, dimenti-cava la colazione, la ricreazione e talvolta fino la scuola, standosi in orazione; o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita misericordia.
Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabil¬mente a fargli visita, invitando altri ad andarvi in sua compagnia. La preghiera a lui prediletta era una coroncina (i) al Sacro Cuore di Gesù per compensare le ingiurie che riceve dagli eretici, dagli infe¬deli e dai cattivi cristiani.
Affinchè le sue comunioni fossero più fruttuose e nel tempo stesso in ciascun giorno gli dessero novello eccitamento a farle con fervore egli si era prefisso ogni di un fine speciale.
Ecco come distribuiva le comunioni lungo la settimana.
Domenica. In onore della Santissima Trinità.
Lunedì. Pe´ miei benefattori spirituali e temporali.
Martedì. In onore di S. Domenico e del mio Angelo custode. Mercoledì. A Maria Addolorata per la conversione dei peccatori. Giovedì. In suffragio delle anime del purgatorio..
Venerdì. In onore della passione di G. C.
Sabato, Ad onore di Maria SS. per ottenere la sua protezione in vita ed in morte.
Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le quali riguardassero al Santissimo Sacramento. Se gli fosse capitato d´in-contrare il Viatico quando veniva portato a qualche infermo, egli si
(i) Questa coroncina trovasi stampata in molti libri e fra gli altri nel Giovane Provveduto (a).
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inginocchiava tosto ovunque fosse; e, se il tempo glielo permetteva, l´accompagnava finché fosse terminata la funzione.
(26*). Un giorno passavagli vicino il Viatico mentre pioveva e le strade erano fangose. Non avendo miglior sito, si pose ginocchioni in mezzo alla fanghiglia. Un compagno ne lo rimproverò di poi, osservandogli non essere necessario imbrattarsi così gli abiti, nè il Signore comandare tal cosa. Egli rispose semplicemente: ginocchia e calzoni è tutto del Signore, perciò tutto deve servire a rendergli onore e gloria. Quando passo vicino a lui non solo mi getterei nel fango per onorarlo, sibbene mi precipiterei in una fornace, perchè così sarei fatto partecipe di quel fuoco di carità infinita che lo spinse ad istituire questo gran Sacramento.
In simile congiuntura vide un giorno un militare che se ne stava in piedi nel momento appunto che passava vicino il Santissimo Sacra¬mento. Non osando invitarlo ad inginocchiarsi, trasse di saccoccia il piccolo suo mocchichino, lo stese sul terreno insudiciato, poi fece cenno al militare a volersene servire. Il soldato si mostrò da prima confuso, poi lasciando a parte il moccichino, si inginocchiò in mezzo della medesima strada.
Alla festa del Corpus Domini fu con altri compagni vestito da chierico, e mandato alla processione della parochia. Egli vi andò con sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo, che maggior ninno gli avrebbe potuto fare.
CAPO XV
Sue penitenze.
La sua età, la sanità cagionevole, l´innocenza dí sua vita l´avreb¬bero certamente dispensato da ogni sorta di penitenza; ma egli sa¬peva che difficilmente un giovane può conservare l´innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva si che la vita dei patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della mortificazione continua e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione. Queste penitenze in lui erano continue.
Io parlo solamente delle penitenze afflittive del corpo. Nel suo fervore aveva stabilito di digiunare ogni sabato a pane ed acqua in onore della Beata Vergine, ma il confessore glielo proibì; voleva di¬giunare la quaresima, ma dopo una settimana la cosa venne a notizia del Direttore della casa, e tosto gli fu vietata. Voleva almeno lasciare la colazione, ed anche tal cosa gli venne proibita. La ragione per cui
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non gli si permettevano quelle penitenze era per impedire che la sua cagionevole sanità non venisse rovinata, interamente. Che fare adun-que? Proibito di fare astinenza nel cibo, prese ad affliggere il corpo in altre maniere. Cominciò a mettersi schegge di legno e pezzi di mattone in letto per rendersi molesto il medesimo riposo; voleva por¬tare una specie di cilicio; le quali cose gli vennero eziandio tutte proibite. Egli si appigliò ad un novello mezzo. In tempo d´autunno e d´inverno lasciò inoltrare la stagione senza accrescere coperte al letto, sicchè eravamo a gennaio, ed egli era tuttora coperto da estate. Un mattino rimasto a letto per qualche incomodo, il Direttore l´andò a visitare. Al vederlo tutto aggomitolato gli si avvicinò, e si accorse che non aveva altro addosso che una sottile copertura. Perchè hai fatto così, gli disse? Vuoi morire di freddo ? — No, rispose, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme, e quando pendeva in croce, era meno coperto di me.
Allora gli fu assolutamente proibito di intraprendere penitenze di qualsiasi genere, senza prima dimandarne espressa licenza; al quale comando, sebben con pena, si sottomise. Una volta lo incontrai tutto afflitto, che andava esclamando: povero me! io sono veramente imbro¬gliato. Il Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in para¬diso; ed a me è proibito di farne; quale adunque sarà il mio paradiso? — La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l´ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta.
— Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza ?
— Si: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza e tutti gli inco¬modi di salute che a Dio piacerà di mandarti.
— Ma questo si soffre per necessità.
-- Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l´anima tua.
Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo.
CAPO XVI
Mortificazioni in tutti i sensi esterni (a7*).
Chi mirava il Savio nella sua ccmpostezza esteriore ci trovava tanta naturalezza che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Ma quelli che lo conobbero da vicino, od ebbero cura della .sua educazione possono assicurare che vi era grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio (z8*).
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I suoi occhi erano vivacissimi, ed egli doveva farsi non piccola violenza per tenerli raccolti. Da prima, egli ripetè più volte con un amico, quando mi son fatta una legge di voler assolutamente domi-nare gli occhi miei, incontrai non poca fatica: e talvolta ebbi a patire grave mal di capo. La riservatezza de´ suoi sguardi fu tale che di tutti quelli che lo conobbero niuno si ricorda di averlo veduto a dare una sola occhiata, la quale eccedesse i limiti della più rigorosa modestia. Gli occhi, egli soleva dire, sono due finestre. Per le finestre passa ciò che si fa passare. E noi per queste finestre possiamo far passare un angelo, oppure il demonio colle sue corna e condurre l´uno e l´altro ad essere padroni del nostro cuore.
Un giorno avvenne, che un giovinetto estraneo inconsiderata¬mente portò seco un giornale sopra cui erano figure sconce ed irreli¬giose. Una turba di ragazzi lo circonda per vedere le meraviglie di quelle figure che avrebbero fatto ribrezzo ai turchi e ai pagani me¬desimi. Corre pure il Savio, pensandosi di lontano, che colà si facesse vedere qualche immagine divota.
Ma quando ne fu vicino fece atto di sorpresa, poi quasi ridendo prese il foglio, e lo. fece a minuti pezzi. Rimasero i suoi compagni pieni di stupore, sicchè l´uno guardava l´altro senza parlare.
Egli allora parlò così: poveri noi! il Signore ci ha dato gli occhi per contemplare la bellezza delle cose da lui create, e voi ve ne ser¬vite per mirare tali sconcezze inventate dalla malizia degli uomini a danno dell´anima nostra? Avete forse dimenticato quello che tante volte fu predicato? Il Salvatore ci dice, che dando un solo sguardo cattivo macchiamo di colpa l´anima nostra; e voi pascete i vostri occhi sopra oggetti di questa fatta?
Noi, rispose uno, andavamo osservando quelle figure per ridere. Sì, si, per ridere; intanto vi preparate per andare all´inferno ri¬dendo... ma riderete ancora se aveste la ,sventura di cadervi?
Ma noi, ripigliò un altro, non ci vediamo tanto male in quelle figure.
Peggio ancora; il non vedere tanto male in guardar simili scon¬cezze è segno che i vostri occhi sono già abituati a rimirarle; e queste abitudini non vi scusano dal male, ma vi rendono più col¬pevoli.
O Giobbe, o Giobbe! tu eri vecchio, tu eri un santo, tu eri op¬presso da una malattia per cui giacevi sdraiato sopra un letamaio; nulladimeno facesti un patto co´ tuoi occhi di non dar loro la minima libertà intorno alle cose invereconde!
A quelle parole tutti si tacquero e niuno più osò ´di fargli alcun rimprovero, neppure altra osservazione.
Alla modestia degli occhi era congiunta una gran riservatezza nel parlare,
O per torto o per ragione quando alcuno parlava, egli taceva e più volte troncava la propria parola per dar campo ad altri di parlare. I suoi maestri e gli altri suoi superiori vanno tutti d´accordo nell´asse¬rire, che non ebbero mai alcun motivo di soltanto avvisarlo d´aver detto anche una sola parola fuori di proposito nello studio, nella scuola, nella chiesa o mentre aveva luogo l´adempimento di qualche dovere di studio o pietà. Anzi in quelle stesse occasioni che riceveva qualche oltraggio, sapeva moderare la lingua e la bile.
Un giorno aveva avvisato un compagno di una cattiva abitudine. Costui invece di accogliere con gratitudine la fatta ammonizione si lasciò trasportare a brutali eccessi. Lo copri di villanie, di poi lo per¬cosse con pugni e calci. Il Savio avrebbe potuto far valere la sua ra¬gione coi fatti, poichè era maggiore di età e di forze. Egli per altro non fece altra vendetta se non quella dei cristiani. Divenne bensì tutto rosso nella faccia, ma frenando l´impeto della collera si limitò a queste parole: Io ti perdono; hai fatto male; non trattar con altri in simile guisa.
Che diremo poi della mortificazione degli altri sensi del corpo ? Mi restringo ad accennare soltanto alcuni fatti.
In tempo d´inverno egli pativa i geloni alle mani. Ma comunque ne sentisse dolore, non fu mai udito a fare parola o dar segno di la¬mento. Piuttosto pareva che ne avesse piacere. Più sono grossi i ge¬loni, egli diceva, e più faranno bene alla sanità, volendo indicare la sa¬nità dell´anima. Molti suoi compagni asseriscono, che nei crudi freddi invernali egli soleva andare a scuola a passo lento, e ciò pel desiderio di patire e fare penitenza in ogni cosa che gliene porgesse occasione. Più volte il vidi, depone un suo compagno, nel più rigido inverno squarciarsi la pelle ed anche la carne con aghi e punte di penna af¬finché tali lacerazioni convertendosi in piaghe lo rendessero più simile al suo Divin Maestro.
Nelle comunità di giovani se ne incontrano di quelli che non sono mai contenti di nulla. Ora si lamentano delle funzioni religiose, ora della disciplina, ora del riposo o degli apprestamenti di tavola; in tutto trovano di che disapprovare.
Costoro sono una vera croce pei superiori; perché il malcontento di uno solo si comunica agli altri compagni, talvolta con non piccolo danno della comunità. La condotta del Savio era totalmente opposta a costoro.
Non mai il suo labbro proferiva voce di lamento nè pel caldo del-l´estate, nè pel freddo dell´inverno. Facesse bello o cattivo tempo egli
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sempre era ugualmente allegro. Checchè gli si fosse apprestato a mensa mostravasi in tutto soddisfatto. Anzi con un´arte ammirabile trovava ivi un mezzo onde mortificarsi. Quando una cosa era censurata da altri, perché troppo cotta o troppo cruda, meno o molto salata, egli all´opposto mostravasi contento, dicendo essere quello appunto il suo gusto.
Era sua pratica ordinaria trattenersi in refettorio dopo i suoi com¬pagni, raccogliere i minuzzoli di pane lasciati sopra la tavola o dispersi sul pavimento, e quelli mangiarseli come cosa saporita. Ad alcuni che ne facevano le maraviglie egli copriva il suo spirito di penitenza di¬cendo: le pagnotte non si mangiano intere, e se sono ridotte in bri¬ciole è già un lavoro fatto pei denti.
Ogni rimasuglio di minestra, di pietanza, di altra qualità di cibo era da lui colto e mangiato. Nè ciò faceva per ghiottoneria, perciocchè spesso egli donava la medesima sua porzione agli altri compagni. Interrogato perché si desse tanta sollecitudine per raccogliere quegli avanzi che avrebbero mosso taluno a schifo, egli rispondeva: Quanto abbiamo nel mondo, tutto è dono prezioso fattoci da Dio; ma di tutti i doni, dopo la sua santa grazia, il più grande è l´alimento con cui ci conserva la vita. Perciò la più piccola parte di questo dono merita la nostra gratitudine, ed è veramente degno di essere custodito colla più scrupólosa diligenza.
Il pulire le scarpe, spazzolare abiti ai compagni, prestare agli in-fermi i più bassi uffici, scopare e fare altri simili lavori era per lui un gradito passatempo. Ciascuno faccia quel che può, soleva dire: Io non sono capace di far cose grandi, ma quello che posso, voglio farlo a maggior gloria di Dio; e spero che Iddio nella sua infinita bontà vorrà gradire queste miserabili mie offerte.
Mangiar cose contrarie al suo gusto, evitare quelle che gli sareb¬bero piaciute: domare gli sguardi anche nelle cose indifferenti; trat¬tenersi ove sentisse ingrato odore: rinnegare la sua volontà; sopportare con perfetta rassegnazione ogni cosa che avesse prodotto afflizione al suo corpo od al suo spirito sono atti di virtù che da Domenico eser¬citavansi ogni giorno, e possiamo anche dire ogni momento di sua vita.
Taccio pertanto moltissimi altri fatti di questo genere che tutti concorrono a dimostrare quanto in Domenico fosse grande lo spirito
di penitenza, di carità e di mortificazione in tutti i sensi della per¬sona, e nel tempo stesso quanta fosse industriosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occasioni, anzi delle stesse cose indifferenti per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al Signore.
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CAPO XVII
La compagnia dell´Immacolata Concezione.
Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divo¬zione verso Maria Santissima. Né lasciavasi sfuggire occasione alcuna a fine di tributarle qualche omaggio. L´anno 1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma di fede l´immacolato Concepimento di Maria. Il Savio desiderava ardentemente di rendere fra noi vivo e durevole il pensiero di questo augusto titolo dalla Chiesa dato alla Regina del Cielo. Io desidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perché temo che mi manchi il tempo.
Guidato egli adunque dalla solita industriosa sua carità, scelse al
cuni de´ suoi fidi compagni e li invitò- ad unirsi insieme con lui a for-mare una compagnia detta dell´Immacolata Concezione.
Lo scopo era di procurarsi. la protezione,della gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte. Due mezzi proponeva il Savio a questo fine: esercitare e promuovere pratiche di pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente comunione. D´accordo co´ suoi amici compilò un regolamento e dopo molte sollecitudini nel giorno 8 del mese di giugno 1856, nove mesi prima della sua morte leggevalo con loro dinanzi all´altare di Maria SS. Io lo trascrivo di
buon grado nel pensiero che possa servire ad altri di norma a fare altrettanto. Eccone adunque il tenore.
Noi Savio Domenico, ecc. (segue il nome di altri compagni) per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della Beatissima Ver
gine Immacolata e per dedicarci interamente al suo santo Servizio, nel giorno 8 del mese di giugno, muniti tutti dei SS. Sacramenti della confessione e comunione, e risoluti di professar verso la Madre nostra una figliale e costante divozione, protestiamo davanti all´altare
di Lei e col consenso del nostro spiritual Direttore, di voler imitare per quanto lo permetteranno le nostre forze, LUIGI ComoLLo (i).
Onde ci obblighiamo:
io Di osservare rigorosamente le regole della casa.
2,0 Di edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente ed ec¬citandoli al bene colle parole ma molto più col buon esempio.
(i) Lumi Comou.o nacque in Cintano l´anno 1818 e moriva l´anno 1839 in concetto di singolar virtù nel Seminario di Chieri in età di anni zz. La vita di questo modello della Gioventù fu la seconda volta stampata nell´anno I delle Letture Cattoliche (a).
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30 Di occupare esattamente il tempo. A. fine poi di assicurarci della perseveranza nel tenor di vita, cui intendiamo obbligarci, sotto-mettiamo il seguente regolamento ´al nostro Direttore.
N. I. A regola primaria adotteremo una rigorosa ubbidienza ai nostri superiori, cui ci sottomettiamo con una illimitata confidenza.
N. a. L´adempimento dei propri doveri sarà nostra prima e spe¬ciale occupazione.
N. 3. ´La carità reciproca unirà i nostri animi e ci farà amare in¬distintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisce utile una correzione.
N. 4. Si sceglierà una mezz´ora nella settimana per convocarci, e dopo l´invocazione del S. Spirito, fatta breve lettura spirituale, si tratteranno i progressi della Compagnia nella divozione e nella virtù.
N. 5. Separatamente per altro ci ammoniremo di´ quei difetti, di cui dobbiamo emendarci.
N. 6. Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo dispia¬cere, sopportando con pazienza i compagni e le altre persone moleste.
N. 7. Non è fissata alcuna preghiera, giacché il tempo che rimane dopo compiuto il dovere nostro, sarà consacrato a quello scopo che parrà più utile all´anima nostra.
N. 8. Ammettiamo tuttavia queste poche pratiche:
§ I° La frequenza ai SS. Sacramenti, quanto più sovente ci verrà permesso.
§ 2° Ci accosteremo alla Mensa Eucaristica tutte le domeniche, le feste di precetto, tutte le novene e solennità di Maria SS. e dei Ss. Protettori dell´Oratorio.
§ 30 Nella settimana procureremo di, accostarvici al giovedì, eccetto che ne siamo distolti da qualche grave occupazione.
N. g. Ogni giorno, specialmente nella recita del Rosario, racco¬manderemo a Maria la nostra società, pregandola di ottenerci la gra¬zia della perseveranza.
N. Io. Procureremo di consacrare ogni sabato in onor di .Maria qualche pratica speciale od atto di cristiana pietà in onor dell´imma¬colato suo Concepimento.
N. n. Useremo quindi un contegno viemaggiormente edificante nella preghiera, nelle divote letture, durante i divini uffizi, nello studio e nella scuola.
N. 12. Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio e ne rianderemo le verità ascoltate.
N. 13. Eviteremo qualunque perdita di tempo per assicurare l´a¬nimo nostro dalle tentazioni che sogliono fortemente assalirci nell´o¬zio; perciò:
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N. 14. Dopo aver soddisfatto agli obblighi che appartengono a ciascun di noi, consacreremo le ore rimaste libere in utili occupazioni, come in divote ed istruttive letture o nella preghiera.
N. 15. La ricreazione è voluta o almeno permessa dopo il cibo, dopo la scuola e dopo lo studio.
N. 16. Procureremo di manifestare ai nostri superiori qualunque cosa possa giovare alla nostra morale condotta.
N. 17. Procureremo eziandio di fare gran risparmio di quei per¬messi, che ci vengono largiti dalla bontà dei nostri superiori, imper¬ciocchè una delle nostre mire speciali è certamente un´esatta osser¬vanza delle regole della casa, troppo spesso offese dell´abuso di co¬desti permessi.
N. i8. Accetteremo dai nostri superiori quello che verrà destinato a nostro alimento senza mai muovere lamento intorno agli appresta-menti di tavola e distoglieremo anche gli altri dal farlo.
N. 19. Chi bramerà far parte a questa società, dovrà anzitutto pur¬garsi la coscienza col Sacramento della Confessione e cibarsi alla Mensa Eucaristica, dar quindi saggio della sua condotta con una settimana di prova, leggere attentamente queste regole e prometterne esatta osservanza a Dio ed a Maria SS. Immacolata.
N. 2,0. Nel giorno della sua ammissione i fratelli si accosteranno alla santa Comunione pregando Sua Divina Maestà di accordare al compagno le virtù della perseveranza, dell´ubbidienza, il vero amor di Dio.
N. 2,1. La società è posta sotto gli auspizi dell´Immacolata Conce¬zione, di cui avremo il titolo e porteremo una devota medaglia. Una sincera, figliale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di lei, una divozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci delle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto,
Consigliamo inoltre i fratelli a scrivere i SS. nomi di Gesù e di Maria prima nel cuore e nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che possono cadere sott´occhio.
Il nostro Direttore è pregato di esaminare queste regole e di mani¬festarci intorno ad esse un giudizio, assicurandolo che noi tutti intie¬ramente dipendiamo dalla sua volontà. Egli potrà far subire a questo regolamento quelle modificazioni che gli parranno convenienti.
E Maria? Benedica essa i nostri sforzi, giacchè l´ispirazione di dar vita a questa pia società fu- tutta sua. Ella arrida alle nostre speranze, esaudisca i nostri voti, e noi coperti del suo manto, forti del suo pa¬trocinio, sfideremo le procelle di questo mare infido, supereremo gli assalti del nemico infernale, In simil guisa da Lei confortati speriamo
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di essere l´edificazione dei compagni, la consolazione dei superiori, diletti figliuoli di Lei, e se Dio ci concederà grazia e vita di poterlo servire nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo con tutte le nostre forze, per farlo col massimo zelo, e diffidando delle nostre forze, illi¬mitatamente fidando nel divino soccorso, potremo sperare che dopo questa valle di pianto, consolati dalla presenza di Maria raggiungeremo sicuri in quell´ultima ora quel guiderdone eterno, che Iddio tien ser¬bato a chi lo serve in ispirito e verità.
Il Direttore dell´Oratorio lesse difatto il sopra esposto regolamento di vita, e dopo di averlo attentamente esaminato, lo approvò colle seguenti condizioni:
t. Le mentovate promesse non hanno forza di voto.
z. Nemmeno obbligano sotto pena di colpa alcuna.
3. Nelle conferenze si stabilisca qualche opera di carità esterna, come la nettezza della Chiesa, l´assistenza od il catechismo di qualche fanciullo più ignorante.
4. Si dividano i giorni della settimana in modo che in ciascun giorno vi siano alcune comunioni.
5. Non si aggiunga alcuna pratica religiosa senza speciale per¬messo dei superiori.
6. Si proponga per iscopo fondamentale di promuovere la divo¬zione verso Maria Santissima Immacolata, e verso il SS. Sacramento.
7. Prima di accettare qualcheduno, gli si faccia leggere la vita di Luigi Comollo (i).
(i) Uno fra quelli che più efficacemente aiutarono Savio Domanico nell´isti-tuire la Compagnia dell´Immacolata Concezione, e compilarne il regolamento, fu Bon¬gioanni Giuseppe. Questi rimasto orfano di padre e di madre, era stato raccoman¬dato da una zia al Direttore dell´Oratorio, che caritatevolmente lo accolse nel Novembre del 1854. Trovavasi allora all´età di /7 anni, e a malincuore sforzato dalle circostanze egli venne, ma ancora colla mente piena delle vanità del mondo e con vani pregiudizi in fatto di religione. Si vede però in lui chiaramente l´opera¬zione della divina grazia, giacchè in breve si afFer,ionò grandemente alla casa, alle regole e ai Superiori; rettificò insensibilmente le sue idee e diedesi con tutto ardore all´acquisto delle virtù e alle pratiche di pietà. Dotato com´era d´ingegno molto perspicace e di grande facilità ad imparare venne applicato allo studio. Con mirabile rapidità compiè gli studi classici, facendovi eccellente riuscita. For¬nito di fervida immaginazione spiegò una grande abilità nel poetare sia nell´italiana favella, sia in dialetto; e mentre nelle famigliari conversazioni serviva di diletto agli amici coll´improvvisare su argomenti scherzevoli, scriveva al tavolino bellis¬sime poesie, di cui molte furono pubblicate, come quella ad onore di Maria Au¬siliatrice che comincia: Salve, Salve, pietosa Maria ecc., che trovasi nel Giovane
promedu.to.
Avviatosi alla carriera ecclesiastica sempre si segnalò durante il chiericato per la sua pietà e fedele osservanza delle regole e zelo pel bene dei suoi com-pagni. Fatto sacerdote nel 1863, non è a dire con qual fervore siasi dato all´eser
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CAPO XVIII
Sue amicizie particolari. — Sue relazioni col giovane Gavio Camillo,
Ognuno era amico con Domenico: chi non lo amava, lo rispettava per le sue virtù. Egli sapeva passarsela bene con tutti. Era così rasso-dato nella virtù che fu consigliato di trattenersi con alcuni giovani
tizio del sacro ministero. Sebbene poco fosse favorito nella voce, riusciva tuttavia di tanto gradimento nella predicazione per la bellezza della materia e pér l´unzione nell´esposizione, che era ascoltato molto volentieri e ne riportava copiosi frutti.
Dopo aver aiutato Savio Domenico, con cui era unito in santa amicizia, ad istituire la Compagnia dell´Immacolta, essendo allora solamente chierico, fondò col permesso del Superiore un´altra compagnia ad onore del SS. Sacramento che aveva per iscopo di promuovere il culto fra la gioventù e di addestrare gli allievi più noti in virtù al servizio delle sacre funzioni, formando così un piccolo clero ad accrescerne la maestà e la grazia. Tale compagnia continuò a coltivare con mag¬gior attività e con ottimi risultati quando tu sacerdote. E ben si può dire che se la Congregazione di S. Francesco di Sales potè già dare alla chiesa un bel nu¬mero di ministri degli altari, in gran parte si deve alle sante premure del Sac. Bongioanni intorno al Piccolo Clero.
- Nel i868 avvicinandosi l´epoca della consacrazione della Chiesa eretta in Val
docco ad onore di Maria Ausiliatrice, D. Bongioanni si adoperò con tutto l´im¬pegno per disporre le cose necessarie a tale funzione e specialmente nel preparare il Piccolo Clero a fare con edificazione la parte sua nel giorno della festa e nel¬l´ottava successiva, che dovevasi pur solennizzare in modo straordinario. Traspor¬tato da ardente amore a Maria SS. nulla risparmiò di sollecitudini, di fatiche e sudori, particolarmente nella vigilia che fu all´S di Giugno di tale anno. La Ver¬gine Ausiliatrice aggradendo la sua fervorosa divozione ed ossequio, gliene ottenne ben presto il premio. Prima però lo volle assoggettare a una prova che sopportata con rassegnazione riuscì certamente al buon sacerdote di gran merito. Egli che tanto erasi adoperato per la buona riuscita delle feste, al 9 Giugno, giorno della consacrazione, trovassi infermo, in modo da non potersi alzare dal letto. Pei giorni seguenti la malattia continuava. Esso desideroso di poter almeno una volta cele¬brare i divini misteri nella nuova chiesa, supplicò la SS. Vergine con calde istanze ad ottenergliene la grazia. Nella domenica fra l´ottava sentissi tale miglioramento di forze, che potè colla debita preparazione accostarsi all´altare e celebrare la santa Messa con immensa consolazione del suo cuore. Dopo la messa disse a qualcuno de´ suoi amici che era tanto contento che ben poteva intonare il Nane dirnittis. E cosi fu: giacchè sentendosi venir meno le forze ritornò a letto; nè più si rialzò. Al mercoledì successivo, essendo finita l´ottava, si fece un servizio funebre pei benefattori defunti; e nel pomeriggio, compiuta ogni funzione e so¬lennità, i giovani allievi de´ vari collegi che eran venuti a prendere parte alla festa, partirono per la loro destinazione.
Un´ora dopo il Sac. Bongioanni Giuseppe munito dei conforti della reli-gione, assistito dall´amato suo Direttore, circondato da una corona de´ suoi più cari amici e confratelli rese la sua bell´anima al Signore, andando come ferma¬mente si spera, a vedere come si festeggia in Cielo Colei, che formava l´oggetto della sua più tenera divozione (a)..
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alquanto discoli per far prova di guadagnarli al Signore. Ed egli ap-profittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indiffe-renti per ritrarne vantaggio spirituale. Tuttavia quelli che erano in-scritti nella società dell´Immacolata Concezione erano i suoi amici particolari, coi quali, come si è detto, si radunava ora in conferenze spirituali, ora per compiere esercizi di cristiana pietà. Queste confe-renze tenevansi con licenza dei superiori; ma erano assistite e regolate dagli stessi giovani. In esse trattavano del modo di celebrare le no¬vene delle Maggiori solennità, si ripartivano le comunioni, che cia¬scuno avrebbe avuto cura di fare nei giorni determinati della setti¬mana, si assegnavano a vicenda quei giovani che avevano bisogno d´assistenza morale e ciascuno lo faceva suo cliente, protetto, e ado¬peravano tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviarlo alla virtù.
Il Savio era dei più animati, e si può dire che in queste confe¬renze la faceva da dottore.
Si potrebbero accennare parecchi compagni del Savio che prende-vano parte a queste conferenze e che trattarono molto con lui, ma es¬sendo ancor essi tra´ vivi, pare prudenza non parlarne. Ne accennerò solamente due, che sono già stati chiamati alla patria celeste. Questi sono Gavio Camillo di Tortona, e Massaglia Giovanni di Marmorito. Il Gavio dimorò solamente due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza di sé presso i compagni.
La sua luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e la scultura avevano risolto il municipio di quella città ad aiutarlo affinché potesse venire a Torino a proseguire gli studi per l´arte sua. Egli aveva fatto una grave malattia in patria; e come venne all´Oratorio, sia per essere convalescente, sia per trovarsi lontano dalla patria e dai parenti, sia anche per la compagnia dei giovinetti tutti sconosciuti, se ne stava osservando gli altri a trastullarsi, ma assorto in gravi pensieri. Lo vide il Savio, e tosto si avvicinò per confortarlo, e tenne con lui que-sto preciso discorso.
Il Savio cominciò: Ebbene, mio caro, non conosci ancora alcuno, non è vero?
Gavio. È vero, ma mi ricreo rimirando gli altri a trastullarsi.
— Come ti chiami?
— Gavio Camillo di Tortdna.
— Quanti anni hai?
— Ne ho quindici compiuti.
— Da che deriva quella malinconia che ti trasparisce in volto? Sei forse stato ammalato ?
— Si, sono stato veramente ammalato; ho fatto una malattia di
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Alcuni mossi dal desiderio di progredire nello studio ed atten¬dere meglio agli esercizi di pietà preferirono rimanere all´Oratorio, e
tra questi furono Savio e Massaglia. Sapendo io quanto fossero an-siosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambidue: Perché non andate a passare qualche giorno in vacanza ? Essi invece di ri-spondere si misero a ridere. — Che cosa volete dirmi con questo ridere?
Domenico rispose: Noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere; noi eziandio li amiamo e ci andremmo volentieri; ma sappiamo che l´uccello finchè trovasi in gabbia non gode libertà, è vero; è per altro sicuro dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all´altro può cadere negli artigli del falcone infernale (3I*).
Ciò non ostante ho giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa pel bene della loro sanità, e si arresero alla mia volontà soltanto per ubbidienza, restandovi quei soli giorni che erano stati stretta¬mente loro comandati.
Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, do-vrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finchè visse. Egli godeva buona salute, e dava ottima spe-ranza di sé nella carriera degli studi. Compiuto il corso di rettorica, subì con esito felice l´esame per la vestizione clericale. Ma questo abito, da lui tanto amato e tanto rispettato potè soltanto portarlo alcuni mesi. Colpito da una costipazione, che aveva aspetto di sem-plice raffreddore, non voleva nemmeno interrompere i suoi studi. Fel desiderio di fargli fare una cura radicale, e per toglierlo dall´occa-sione di studiare, i genitori lo condussero a casa (32), Fu nel tempo di questa sua dimora in patria che scrisse al suo amico una lettera del seguente tenore:
Caro amico,
Mi pensava di dover passare solamente alcuni giorni a casa e poi ritornare all´Oratorio, perciò ho lasciato tutti i miei arnesi di scuola costi. Ora per altro mi avveggo che le cose vanno a lungo e l´esito di mia malattia rendesi ognor più incerto. Il medico mi dice che va meglio. A me sembra che vada peggio. Vedremo chi ha ragione. Caro Domenico, io provo grande afflizione lungi da te e dall´Oratorio, perché qui non ho comodità di attendere agli esercizi di divozione. Solo mi conforto rammentando quei giorni che noi fissavamo per prepararci ed accostarci insieme alla santa comunione.
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Spero nulladiméno che, sebbene separati di corpo, nol saremo di spirito.
Intanto io ti prego di andare nello studio e di fare una visita da questore al mio cancello. Ivi troverai alcune carte manoscritte, là vicino havvi il Kempis, ossia D3 imitationg Christi. Farai di tutto un pacco solo e me lo invierai. Bada bene che tal libro è latino; perchè sebbene mi piaccia la traduzione, tuttavia è sempre traduzione, ove non trovo il gusto che provo nell´originale latino, Mi sento stanco dal fare niente; tuttavia il medico mi proibisce di studiare. Fo molte passeggiate per la mia camera e spesso vado dicendo: Guarirò da questa malattia? Ritornerò a vedere i miei compagni? Sarà questa per me l´ultima malattia? Che che ne sia per essere di tutte queste cose, Dio solo il sa. Farmi di essere pronto a fare in tutti e tre i casi la santa ed amabile volontà di Dio.
Se hai qualche buon consiglio, procura di scrivermelo. Dimmi come va la tua sanità; ricordati di me nelle tue preghiere e special-mente quando fai la santa comunione. Coraggio, amami di tutto cuore nel Signore; che se non potremo trattenerci insieme lungo tempo nella vita presente, spero che potremo un giorno vivere felici in dolce compagnia nella beata eternità.
Saluta i nostri amici e specialmente i confratelli della compagnia dell´Immacolata Concezione. Il Signore sia con te e credimi sempre il tuo affezionatissimo
MASSAGLIA GIOVANNI.
Domenico eseguì la commissione dell´amico, e, nel mandargli quanto gli chiedeva, univa la seguente lettera:
Mio caro Massaglia,
La tua lettera mi ha fatto piacere, perché con essa fui assicurato che tu vivi ancora, perciocchè dopo la tua partenza noi non avevamo più avuto notizie di te e non sapeva se dovessi dirti il Gloria Patri o il De profundis. Riceverai gli oggetti che mi hai richiesto. Debbo sol¬tanto notarti che il h empis è un buon amico, ma egli è morto, né mai si muove di posto. Bisogna adunque che tu lo cerchi, lo scuota, lo legga adoperandoti per mettere in pratica guanto ivi andrai leggendo.
Tu sospiri la comodità che abbiamo qui per gli esercizi di pietà, ed hai ragione. Quando sono a Mondonio ho il medesimo fastidio. Io studiava di ´supplire con fare ogni giorno una visita al SS. Sacra-mento, procurando di condur ´ricco quanti compagni poteva. Oltre al Kempis leggeva il Tesoro nascosto nella santa messa del beato Leo
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nardo. Se ti par bene fa´ anche tu altrettanto. Mi dici di non sapere se ritornerai all´Oratorio a farci visita; la mia carcassa apparisce anche assai logora, e tutto mi fa presagire che mi avvicino a gran passi al termine de´ miei studi e della mia vita. Ad ogni modo facciamo cosi: preghiamo l´uno per l´altro, perchè ambedue possiamo fare una buona morte. Colui che sarà il primo di noi ad andarsene al Paradiso pre¬pari un posto all´amico, e quando lo andrà a trovare, gli porga Ia mano per introdurlo nell´abitazione del cielo.
Dio ci conservi sempre in grazia sua, e ci assista a farci santi, ma presto santi, perchè temo che ci manchi il tempo. Tutti i nostri amici . sospirano il tuo ritorno all´Oratorio e ti salutano caramente nel Si-gnore.
Io poi con fraterno amore ed affetto mi dichiaro sempre
Affezionatissimo amico
SAVIO DOMENICO.
La malattia del giovane Massaglia dapprima sembrava leggiera; più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde, finchè quasi inaspettatamente venne all´estremo di vita.
Egli ebbe tempo, scriveva il teologo Valfrè, suo direttore´ spi¬rituale nelle vacanze (33*), di ricevere colla massima esemplarità tutti i conforti di nostra santa cattolica religione; moriva della morte del giusto che lascia il mondo per volare al cielo »
Alla perdita di quell´amico il Savio fu profondamente addolorato, e sebbene rassegnato ai divini voleri lo pianse per più giorni. Questa
(i) Il sacerdote teologo Valfrè Carlo nacque in Villafranca di Piemonte il 23 luglio 1813. Con una condotta veramente esemplare e con felice successo egli per¬correva la carriera degli studi: secondando la sua vocazione abbracciò lo stato ec¬clesiastico. Con zelo apostolico lavorò più anni nel sacro ministero, finchè in un concorso fu giudicato degno della parrocchia di Marmorito.
Era indefesso nello adempimento de´ suoi doveri. L´istruzione ai poveri ra-gazzi; l´assistenza agli infermi; sollevare i poverelli erano le doti caratteristiche del suo zelo. Per bontà, carità e disinteresse poteva proporsi a modello di qua-lunque sacerdote che abbia cura di anime.
Quando le cure parrocchiali il comportavano, egli andava altrove a dettare esercizi spirituali, tridui, novene, e simili. Il Signore benediceva le sue fatiche, le quali erano sempre coronate da frutto copioso.
Ma nel tempo che noi avevamo maggior bisogno di lui, Iddio lo trovò ma-turo pel cielo. Dopo breve malattia, colla morte del giusto, egli passava alla vita beata nella bella età d´anni 47, il Ia febbraio dell´anno 1861.
Questa perdita privò la Chiesa di un degno ministro, tolse a Nlarmnrito un pastore che a buon diritto chiamavasi il padre del popolo: ma Siamo tutti non poco consolati nella speranza di aver acquistato un benefattore presso Dio in
cielo (a). (34*).
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è la prima volta che vidi quel volto angelico a rattristarsi e piangere di dolore. L´unico conforto fu di pregare e di far pregare per l´amico defunto. Fu udito talvolta ad esclamare: Caro Massaglia, tu sei morto e spero che sarai già in compagnia di Gavio in paradiso; ed io quando andrò a raggiungervi nell´immensa felicità del cielo ?
Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico l´ebbe ognor presente nelle pratiche di pietà e soleva dire, che non poteva andar ad ascoltare la santa messa, od assistere a qualche esercizio devoto senza raccomandare a Dio l´anima di colui che in vita erasi cotanto adoperato pel suo bene. Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuor di Domenico, e la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata.
CAPO XX
Grazie speciali e fatti particolari.
Finora ho raccontate cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo chiamare straordinaria una condotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando coll´innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll´esercizio della pietà. Potrebbesi pur chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua spe¬ranza e Pinfiamínata sua carità e la perseveranza nel bene sino all´ul¬timo respiro. Qui per altro io voglio esporre grazie speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa io stimo bene di notare aI lettore, che quanto ivi riferisco ha piena somiglianza coi fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi poi interamente ai riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.
Più volte andando in chiesa, specialmente nel giorno che Dome¬nico faceva la santa comunione oppure era esposto il Santissimo Sa¬cramento, egli restava come rapito dai sensi; talmente che lasciava passare del tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per com¬piere i suoi ordinari doveri.
Accadde un giorno che man ò dalla colazione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo, e ninno sapeva dove fosse; nello studio non c´era, a letto nemmeno. Riferita al Direttore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e lo vede là fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull´altro, una mano appoggiata sul leggio dell´antifonario, l´altra sul petto colla faccia fissa e rivolta verso il ta
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bernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo e dice: Oh è già finita la messa ? Vedi, soggiunse il Direttore, mostrandogli l´orologio, sono le due. Egli domandò umile perdono della trasgressione delle regole di casa, ed il Direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: Se taluno ti dirà: onde vieni? risponderai, che vieni dall´eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le domande inopportune, che forse i compagni avrebbero fatte.
Un altro giorno, terminato l´ordinario ringraziamento della messa, io era per uscire dalla sagrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e trovo il Savio che par¬lava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiaramente queste parole: Si, mio Dio, ve l´ho già detto e ve lo dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare.
Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità rispondeva: povero me, mi salta una di¬strazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e panni di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.
Un giorno entrò nella mia camera dicendo: Presto, venga con me, c´è una bell´opera da fare. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l´importanza di questi inviti, accon¬discesi. Lo seguo. Esce di casa, passa per una via, poi un´altra, ed un´altra ancora, ma non si arresta, nè fa parola; prende in fine un´altra via, io Io accompagno di porta in porta, finché si ferma. Sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. È qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.
Mi si apre: oh presto, mi vien detto; presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da buon cattolico.
Io mi recai tosto al letto di quell´infermo, che mostrava viva an¬sietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla mas¬sima prestezza le cose di quell´anima, giunge il Curato della parrocchia di S. Agostino, che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il Sacramento dell´Olio Santo con una sola unzione, poiché l´ammalato divenne cadavere.
Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato, ed egli mi guardò con aria di do¬lore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatta ulteriore do¬manda.
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L´innocenza della vita, l´amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato, che si po¬teva dire abitualmente assorto in Dio.
Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo. Interrogato perché lasciasse così i compagni, rispondeva: Mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il paradiso mi si apra sopra il capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridi¬colo (35*). Un giorno in ricreazione parlavasi del gran premio da Dio preparato in cielo a coloro che conservavano la stola dell´inno¬cenza. Fra le altre cose dicevasi: Gli innocenti sono in cielo i più vi¬cini alla persona del nostro divin Salvatore, e gli canteranno speciali inni di gloria in eterno.
Questo bastò per sollevare il suo spirito al Signore e, restando im¬mobile, si abbandonò come morto nelle braccia di uno degli astanti.
Questi rapimenti di spirito gli succedevano nello studio, e nell´an¬data e ritorno dalla scuola e nella scuola medesima.
Parlava assai volentieri del Romano Pontefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripe¬tutamente che aveva cosa di grande importanza da dirgli.
Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che avrebbe voluto dire al Papa.
— Se potessi parlare al Papa, vorrei dirgli che in mezzo alle tri¬bolazioni che lo attendono non cessi di occuparsi con particolare sol¬lecitudine dell´Inghilterra; Iddio prepara un gran trionfo al cattoli¬cismo in quel regno.
— Sopra quali cose appoggi tu queste parole ?
— Lo dico, ma non vorrei che ne facesse parola con altri, per non espormi forse alle burle. Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un bel mattino, mentre faceva il ringraziamento della comunione, fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di ve¬dere una vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Camminavano, ma come uomini che, smarrita la via, non vedono più dove mettono il piede. Questo paese, mi disse uno che mi era vicino, è l´Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il Sommo Pontefice Pio IX tale quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella turba immensa di gente. Di mand in mano che si avvicinava, al chiarore di quella fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno. Questa fiaccola, mi.disse l´amico, è la religione cattolica che deve illu¬minare gl´Inglesi.
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L´anno 1858 essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo Pontefice, che la udì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio proposito di lavorare energica¬mente a favore dell´Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più vive sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi è come consiglio di un´anima buona.
Ommetto molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, la-sciando che altri li pubblichi, quando si giudicherà che possano tor¬nare a maggior gloria di Dio.
CAPO XXI
Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente.
Chi ha letto quanto abbiamo finora scritto intorno al giovine Savio Domenico, conoscerà di leggeri che la vita di lui fu una continua preparazione alla morte. Ma egli reputava la compagnia dell´Imma¬colata Concezione come un mezzo efficace per assicurarsi la prote¬zione di Maria SS. in punto di morte, che ognuno presagiva non es¬sergli lontana (36a). Io non so se egli abbia avuto da Dio rivelazione del giorno e delle circostanze di sua morte, o ne avesse egli solo un pio presentimento. Ma è certo che ne parlò molto tempo avanti che quella avvenisse, e ciò facea con tale chiarezza di racconto, che meglio non avrebbe fatto chi ne avesse parlato dopo la medesima di lui morte.
In vista del suo stato di salute gli si usarono tutti i riguardi per moderarlo nelle cose di studio e di pietà; tuttavia e per la naturale gracilità, e per alcuni incomodi personali ed anche per la continua tensione di spirito, gli si andavano ogni giorno diminuendo le forze. Egli stesso se ne accorgeva, e talvolta andava dicendo: Bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada. Volendo dire che gli restava poco tempo di vita e che doveva essere sollecito in fare opere buone prima che giungesse la morte.
Havvi l´uso in questa casa che i nostri giovani facciano l´esercizio di buona morte una volta al mese. Consiste questo esercizio nel pre¬pararci a fare una confessione e comunione come fosse l´ultima della vita. Il regnante Pio IX nella sua ´grande bontà arricchì questo eser¬cizio di varie indulgenze. Domenico lo faceva con un raccoglimento, ´che non si può dire maggiore. In fine della sacra funzione si suole recitare un Pater ed Ave per colui che tra gli astanti sarà il primo a morire. Un giorno scherzando egli disse: In luogo di dire per colui primo a morire, dica cosh,un Pater ed. Ave per Savio Do^ menico che di noi sarà il primo a morire. Questo disse più volte.
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Sul finire di aprile del 1856 egli si presentò al Direttore e gli domandò come avrebbe dovuto fare per celebrare santamente il mese di Maria.
— Lo celebrerai, rispose, coll´esatto adempimento de´ tuoi do¬veri, raccontando ogni di un esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno Ia santa comu¬nione.
— Ciò procurerò di fare puntualmente; ma qual grazia dovrò
dimandare?
- Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e
grazia per farti santo.
— Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi momenti di vita mi assista e mi conduca
in cielo, •
(37*) Di fatto egli dimostrò tale fervore nel decorso di quel mese, che sembrava un angelo vestito di umane spoglie. Se scriveva parlava di Maria, se studiava, cantava, andava a scuola, tutto era per onore di Lei. In ricreazione procurava di aver ogni giorno pronto un esempio per raccontarlo ora a questi, ora a quegli altri compagni radunati. •
Un compagno un giorno gli disse: Se fai tutto in quest´anno, che cosa vorrai fare un altro anno?
— Lascia far da me, rispose: in quest´anno voglio fare quel che posso; l´anno venturo, se ci sarò ancora, ti dirò quello che sarò per fare.
Per usare tutti i mezzi atti a fargli riacquistare la sanità ho fatto fare un consulto di medici. Tutti ammiravano la giovialità, la pron¬tezza di spirito e l´assennatezza delle risposte di Domenico. Il dottor Francesco Vallauri, di felice memoria, che era uno dei benemeriti consulenti, pieno di ammirazione: Che perla preziosa, disse, è mai questo giovanetto!
— Qual è l´origine del malore che gli fa diminuir la sanità ogni giorno più? gli domandai.
— La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le - forze vitali.
— Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente. utile?
— Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare in paradiso, per cui mi pare assai preparato. L´unica cosa che potrebbe protrargli la vita si è l´allontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio, e trattenerlo in occupazioni materiali adattate alle sue forze,
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CAPO XXII
Sua sollecitudine per gli amirolati. — Lascia l´Oratorio. Sue parole in tale
occasione.
Lo sfinimento di forze in cui si trovava non era tale da tenerlo continuamente a letto; perciò talvolta andava a scuola, allo studio;
oppure si occupava in affari domestici. Fra le cose in cui si occu¬pava con gran piacere era il servire i compagni infermi qualora ve ne fossero stati nella casa.
— Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell´assistere o vi¬sitare gl´infermi, perchè lo fo con troppo gusto; anzi mi è un caro divertimento.
Mentre poi loro faceva de´ servizi temporali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spirituale. Questa carcassa, diceva
ad un compagno incomodato, non vuol durare in eterno, non è vero?
Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finché vada alla tomba; ma allora, caro mio, l´anima nostra sciolta dagli impacci del corpo vo
lerà gloriosa al cielo e godrà una sanità ed una felicità interminabile.
Avvenne che un compagno rifiutavasi di bere una medicina, per¬chè amara. Caro mio, dicevagli Domenico, noi dobbiamo prendere
qualsiasi rimedio, perchè così facendo obbediamo a Dio, che ha stabi
lito medici e medicine, perchè sono necessari a riacquistare la per-. duta sanità; che se proviamo qualche ripugnanza pel gusto, avremo
maggior merito per l´anima. Del resto credi che questa tua sia tanto
amara ed aspra quanto era amaro il fiele misto con aceto di cui fu abbeverato Gesù sopra la croce? Queste parole dette colla maraviglio
sa sua schiettezza facevano sì che niuno osava più opporre difficoltà.
Sebbene la sanità del Savio fosse divenuta assai cagionevole, tut¬tavia l´andare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli
rincresceva interrompere gli studi e le solite sue pratiche di pietà.
Alcuni mesi prima io ve l´aveva già mandato, ed egli vi diniorò solo pochi giorni e tosto mel vidi ricomparire all´Oratorio. Io debbo dirlo,
il rincrescimento era reciproco; io l´avrei tenuto in questa casa a qua¬lunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso di un figliuolo il più degno di affezione. Pure il consiglio de´ medici era tale, ed io voleva eseguirlo; tanto più che da alcuni giorni crasi manifestata una ostinata tosse.
Se ne avverte dunque il padre, c si stabilisce la partenza pel primo di marzo 1857.
Si arrese Domenico a tale deliberazione, ma solo per farne un sacrificio a Dio. Perché, gli si domandò, vai a casa così di mal animo,
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mentre dovresti andarvi con gioia per godervi la compagnia de´ tuoi amati genitori? Perchè, rispose, desidero di terminare i miei giorni all´Oratorio.
— Andrai a casa, e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute,
ritornerai.
- Ohl questo poi no, no, io me ne vo e non tornerò più.
La sera precedente alla partenza non poteva levarmelo d´attorno: sempre aveva cose da dimandare. Fra le altre diceva: Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar merito davanti a Dio ?
— Offrire spesso a Dio quanto egli soffre.
— Qual altra cosa potrebbe ancor fare ? — Offrire la sua vita al Signore.
— Posso esser certo che i miei peccati mi siano stati perdonati?
— Ti assicuro a nome di Dio che i tuoi peccati ti sono stati perdonati.
— Posso essere certo di essere salvo?
— Si., mediante la divina misericordia la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti. —. Se il demonio venisse a tentarmi che cosa gli dovrei rispondere?
— Gli risponderai che hai venduta l´anima a Gesù Cristo, e che egli l´ha comperata col prezzo del suo sangue; se il demonio ti facesse ancora altra difficoltà, gli chiederai qual cosa abbia egli fatto per l´a¬nima tua. Al contrario. Gesù Cristo ha sparso tutto il suo Sangue per liberarla dall´inferno e condurla seco lui al paradiso.
— Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell´Oratorio, ed i miei genitori?
— Sì, dal paradiso vedrai tutte le vicende dell´Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li riguardano, ed altre cose mille volte ancor più belle.
— Potrò venire a far loro qualche visita ?
Potrai venire, purchè tal cosa torni a maggior gloria di Dio. Queste e moltissime dimande andava facendo e sembrava una persona che avesse già un piede sulle porte del paradiso e che prima d´entrarvi volesse bene informarsi delle cose che entro vi erano.
CAPO XXIII
DA l´addio a´ suoi compagni.
Il mattino di sua partenza fece co´ suoi compagni l´esercizio della buona morte con tale trasporto di divozione nel confessarsi e nel comunicarsi, che io, che ne fui testimonio, non so come esprimerlo. Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio, perchè_ spero
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che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Ché se mi accadesse di morire per la strada, sarei già comunicato. Il rimanente della mattinata lo impiegò tutto per mettere in sesto le cose sue. Aggiustò il baule mettendo ogni oggetto come se non dovesse toc¬carlo mai più. Dopo andava visitando un per uno i suoi compagni, a chi dava un consiglio, avvisava questo ad emendarsi di un difetto, incoraggiava quell´altro a perseverare nel bene. Ad uno cui doveva rimettere due soldi, il richiamò e gli disse: Vien qua, aggiustiamo i nostri conti, altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell´aggiusta¬mento de´ conti col Signore. Parlò ai confratelli della Società dell´Im¬macolata Concezione, e colle più animate espressioni li incoraggiava ad essere costanti nell´osservanza delle promesse fatte a Maria SS. ed a riporre in lei la più viva confidenza. Al momento di partire mi chiamò e dissemi queste precise parole: Ella adunque non vuole questa mia carcassa (carcame ovvero scheletro) ed io sono costretto a portarla a Mondonio. Il disturbo sarebbe di pochi giorni... poi sa¬rebbe tutto finito; tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma si ricordi della commissione dell´Inghilterra presso il Papa; preghi affinchè io possa fare una buona morte e a rivederci in paradiso (38*). Eravamo giunti alla porta che mette fuori dell´Oratorio, ed egli mi teneva tuttora stretta la mano, quando sí volta ai compagni che lo attorniavano e dice: Addio, amati compagni, addio tutti, pregate per me e a rivederci colà dove saremo sempre col Signore. Era già sulla porta del cortile, quando lo vedo tornare indietro e dirmi:
— Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria.
— Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull´istante. Vuoi tu un libro ?
— No; qualche cosa di meglio.
— Vuoi danaro pel viaggio ?
— Si, appunto: danaro pel viaggio dell´eternità. Ella ha detto che ha ottenuto dal Papa alcune indulgenze plenarie in articolo di morte, metta anche me nel numero di quelli che ne possono partecipare.
— Si, figlio mio, tu puoi ancora essere compreso in quel numero e vo subito a scrivere il tuo nome in quella carta.
Dopo di che egli lasciava l´Oratorio dove era stato circa tre anni con tanto piacere per sè, con tanta edificazione de´ suoi compagni e de´ medesimi suoi superiori, e lo lasciava per non ritornarvi mai più.
Noi eravamo tutti maravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sape¬vamo che egli pativa molti incomodi di salute, ma poiché si teneva quasi sempre fuori di letto, non facevamo gran caso della sua malattia. Di più avendo un´aria costantemente allegra, niuno dal volto poteva scorgere, che egli patisse malori di corpo o di spirito. E sebbene quegli
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insoliti saluti ci avessero posti in afflizione, avevamo però la speranza di rivederlo presto a ritornare fra noi. Ma non era cosi, egli era ma¬turo pel cielo; nel breve corso di vita erasi già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a sè per liberarlo da´ pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone.
CAPO XXIV
Andamento di sua malattia. — Ultima confessione, riceve il Viatico. — Fatti edificanti.
Partiva il nostro Domenico da Torino il ´primo marzo alle due pomeridiane in compagnia di suo padre, e il suo viaggio fu buono: anzi pareva che la vettura, la varietà dei paesi, la compagnia de´ pa¬renti gli avessero fatto del bene. Onde giunto a casa, per quattro giorni non si pose a letto. Ma veduto che gli si diminuivano le forze ´e l´ap¬petito, e che la tosse si mostrava ognor più forte, fu giudicato bene di mandarlo a farsi visitare dal medico. Questi trovò il male assai più grave che non appariva. Comandò che andasse a casa e si mettesse tosto a letto, e giudicando che ´fosse malattia d´infiammazione fece uso dei salassi.
È proprio dell´età giovanile il provare grande apprensione pei salassi. Verciò il chirurgo nell´atto di cominciare l´operazione esor¬tava Domenico a voltare altrove la faccia, aver pazienza e farsi co¬raggio. Egli si pose a ridere e disse: Che è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle mani e nei piedi dell´innocentis¬simo nostro Salvatore? Quindi con tutta pacatezza d´animo, face¬ziando e senza dar segno del minimo turbamento mirava il sangue ad uscire dalle vene in tutto il tempo dell´operazione. Fatti alcuni salassi, la malattia sembrava volgere in meglio; cosi assicurava il me-dico, cosi credevano i parenti: ma Domenico giudicava altrimenti. Guidato dal pensiero che è meglio prevenire i Sacramenti, che per¬dere i Sacramenti, chiamò suo padre: Papà! gli disse, è bene che fac¬ciamo un consulto col medico celeste. Io desidero di confessarmi e di ricevere la santa comunione.
I genitori che eziandio giudicarono la malattia in istato di miglio¬ramento udirono con pena tale proposta, e solo per compiacerlo fu mandato a chiamare il Prevosto, che lo venisse a confessare. Venne questi prontamente per la confessione, poscia sempre per compia¬cerlo gli portò il Santo Viatico. Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento sfasi comunicato. Tutte le volte che
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si accostava ai santi Sacramenti sembrava sempre un san Luigi. Ora che egli giudicava esser veramente quella l´ultima comunio¬ne della sua vita, chi potrebbe esprimere il fervore, gli slanci di te¬neri affetti che da quell´innocente cuore uscirono verso l´amato suo Gesù ?
Richiamò allora alla memoria le promesse fatte nella prima comu-nione. Disse più volte: sì, sì, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell´anima mia. Ripeto e lo dico mille volte: morire ma non peccati. Terminato il ringraziamento, tutto tranquillo disse: Ora sono contento; è vero che debbo fare il lungo viaggio dell´eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho nulla a temere. Oh! dite pur sempre, ditelo a tutti: chi ha Gesù per suo amico e compagno non teme più alcun male, nemmeno la morte.
La sua pazienza fu esemplare in tutti gli incomodi sofferti nel corso della vita: ma in questa ultima malattia apparve un vero modello di santità.
Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinari bisogni. Finchè potrò, diceva egli, voglio diminuire il disturbo a´ miei cari genitori; essi hanno già tollerati tanti incomodi e tante fatiche per me; potessi io almeno in qualche modo ricompensarli! Prendeva con indifferenza i rimedi anche i più disgustosi; si sottomise a dieci salassi senza dimo-strare il minimo risentimento.
Dopo quattro giorni di malattia, il medico si rallegrò coll´infermo, e disse ai parenti: Ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto, il male è vinto, abbiamo soltanto bisogno di fare una giudiziosa convalescenza. Godevano di tali parole i buoni genitori. Domenico però si pose a ridere e soggiunse: il mondo è vinto, ho soltanto bi¬sogno di fare una giudiziosa comparsa davanti a Dio. Partito il medico, senza lusingarsi di quanto eragli stato detto, chiese che gli fosse am¬ministrato il Sacramento dell´Olio Santo. Anche quivi i parenti accon¬discesero per compiacerlo, perchè né essi, nè il prevosto scorgevano in lui alcun pericolo prossimo di morte, anzi la serenità del sembiante e la giovialità delle parole il facevano realmente giudicare in istato di miglioramento. Ma egli o fosse mosso da sentimenti di devozione oppure fosse così inspirato da voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell´aritmetica, ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinanzi a Dio, Prima di ricevere l´Olio Santo fece questa preghiera: Oh Signore, perdonate i miei peccati, io vi amo, vi voglio amare in eterno! Questo Sacramento, che nella vostra infinita misericordia permettete che io riceva, scancelli dall´anima mia tutti i peccati commessi coll´udito, colla vista, colla bocca, colle mani
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é co´ piedi; sia il mio corpo e l´anima mia santificata dai meriti della vostra passione: così sia.
Egli rispondeva a ciascuna occorrenza con tale chiarezza di voce e giustezza di concetti, che noi l´avremmo detto in perfetto stato di salute.
Eravamo al 9 marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati praticati dieci salassi con altri rimedi e le sue forze erano intieramente prostrate, perciò gli fu data la benedizione papale. Disse egli stesso il Confiteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote. Quando intese a dirsi che con quell´atto religioso il Papa gli compar¬tiva la benedizione apostolica con indulgenza plenaria provò la più grande consolazione. Deo gratias, andava dicendo, et semper Deo gratias. Quindi si volse al crocifisso e recitò questi versi che gli erano molto famigliari nel corso della vita:
Signor, la libertà tutta vi dono, Ecco le mie potenze, il corpo mio, Tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio, E nel vostro voler io m´abbandono.
CAPO XXV
Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte.
È verità di fede che l´uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue. Quae seminaverit homo, haec et metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in quegli ultimi momenti frutti di consolazione; se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà desolazione sopra desolazione. Nulla di meno avviene talvolta che anime buone dopo una santa vita provino terrore e spavento all´avvi-cinarsi l´ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili decreti di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno contratto in vita e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo. Del nostro Savio non fu così. Io credo che Iddio abbia voluto dargli quel centuplo che alle anime dei giusti egli fa precedere alla gloria del paradiso. Difatti l´innocenza conservata fino all´ultimo momento di vita, la sua viva fede, e le continue pre¬ghiere, le lunghe sue penitenze e la vita tutta seminata di tribolazioni gli meritarono certamente quel conforto in punto di morte,
Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità del-l´anima innocente; anzi sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili dagli sforzi che natu
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ralmente l´anima deve fare nel rompere i legami del corpo. Insomma la morte del Savio si può chiamare riposo piuttosto che morte.
Era la sera del 9 marzo 1857, egli aveva ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica religione. Chi l´udiva soltanto a parlare e ne mirava la serenità del volto, avrebbe in lui ravvisato chi giace a letto per riposo. L´aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso, erano cose che facevano tutti maravigliare e niuno fuori di lui poteva persuadersi che egli si trovasse in punto di morte.
Un´ora e mezza prima che tramandasse l´ultimo respiro il prevosto l´andò a visitare, e al vederne la tranquillità lo stava con istup ore ascoltando a raccomandarsi l´anima. Egli faceva frequenti e prolun
gate giaculatorie, che tendevano tutte a manifestare il, di lui
desiderio di andare presto al cielo. Quale cosa suggerire per racco¬mandare l´anima ad agonizzanti di questa fatta? disse il prevosto. Dopo aver recitato con lui alcune preghiere, il parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: signor prevosto prima di partire mi
lasci qualche ricordo. — Per me, rispose, non saprei che ricordo la¬sciarti. — Qualche ricordo, che mi conforti. — Non saprei dirti altro
se non che ti ricordi della passione del Signore. — Deo gratias, ri¬spose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e. Maria, assistetemi in questa ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l´anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz´ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo ai suoi parenti:
papà, disse, ci siamo.
— Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna ?
— Mio caro papà, è tempo; prendete il mio Giovane provveduto (I)
e leggetemi le preghiere della buona morte.
A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla ca
mera dell´infermo. Al padre scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano la voce; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni pa¬rola; ma infine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l´anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà, non la rigettate dal vostro cospetto, ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinché io canti eternamente le vostre lodi; ebbene,
(i) Con questo nome indicava il libro totalmente diretto alla gioventù che ha per titolo: il Giovane Provvidirio per la pratica de´ suoi doveri, degli esercizi di cristiana pietà, per la recita dell´uffizio della li. Vergine, dei vespri di tutto l´anno e dell´uffizio dei morti, ecc. (a).
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soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo un po´ di sonno a guisa di chi riflette seriamente a cosa di grande importanza. Di li a poco si risvegliò e con voce chiara e ri¬dente: Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro ed io non posso più ricordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai... Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento.
Va´ pure, anima fedele al. tuo Creatore, il cielo ti è aperto, gli an¬gioli ed i santi ti hanno preparata una gran festa; quel Gesù che tanto amasti t´invita e ti chiama dicendo: Vieni, servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni al possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: Intra in gaudium Domini tui.
CAPO XXVI
Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco ai suoi allievi.
Quando il padre di Domenico il vide proferire parole nel modo che abbiamo riferito, e poi piegare il capo come per riposare, pensa-vasi realmente che avesse di nuovo preso sonno. Lo lasciò alcuni istanti in quella posizione, ma tosto volle chiamarlo, e si accorse che egli era già fatto cadavere. Lascio ad ognuno immaginare la desola¬zione dei genitori per la perdita di un figliuolo che alla innocenza, alla pietà univa i modi più graziosi e più atti a farsi amare!
Noi pure quivi nella casa dell´Oratorio eravamo ansiosi di avere notizie di questo venerato amico e compagno; quando ricevo dal padre di lui una lettera che incominciava cosi: « Colle lagrime agli occhi le annuncio la più triste novella: il mio caro figliuolo Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga, rese l´anima al Signore ieri sera 9 del corrente mese di marzo dopo aver nel modo più consolante ricevuto i santi Sacramenti e la benedizione papale ».
Tale notizia pose in costernazione i suoi compagni. Chi piangeva in lui la perdita di un amico, di un consigliere fedele; chi sospirava di aver perduto un modello di vera pietà. Alcuni si radunarono a pregare pel riposo dell´anima di lui. Ma il maggior numero andava dicendo: Egli era santo, ora è già in paradiso. Altri cominciarono a raccoman¬darsi a lui come ad un protettore presso Dio. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse appartenuto a lui.
Recata quella notizia al prof. D. Picco, ne fu profondamente addolorato. Come furono radunati i suoi alunni, tutto commosso par¬tecipava loro il tristo annunzio con queste parole (39*):
5 CAVIGLIA, Doli Bosco, scritti, Voi. IV, Parte I.
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Non è molto tempo, o giovani carissimi, parlandovi a caso della caducità della vita umana, vi faceva osservare come la morte non ri¬sparmi talvolta anche la vostra florida età, e per esempio vi adduceva, come, or sono due anni, in questi stessi giorni frequentava questa medesima scuola, sedeva qui presente ad ascoltarmi un giovane pieno di vita e di vigore, il quale, dopo l´assenza di pochi giorni, passava da questa vita, dai parenti e dagli amici compianto (i). Quando io vi rammentava quel caso doloroso era ben lungi dal pensare che il presente anno avesse ad essere funestato da un somigliante duolo, e che tale esempio si avesse a rinnovare sì presto in uno di quelli stessi che mi ascoltavano. Si, miei cari, io debbo amareggiarvi con una dolo¬rosa nuova. La falce della morte mieteva ieri l´altro la vita di uno tra i più virtuosi vostri compagni, del buon giovinetto Domenico Savio. Voi forse vi ricorderete, come negli ultimi giorni, in cui fre¬quentò la scuola, si mostrasse tormentato da una tosse maligna, onde nissuno di noi si stupì quando udimmo che era stato per quella obbli¬gato ad assentarsi dalla scuola. Per meglio curare il suo morbo, e già prevedendo, come replicatamente disse ad alcuni, il suo prossimo fine, egli secondò il consiglio dei medici e de´ suoi superiori, e andò in seno della famiglia. Quivi la violenza del male si sviluppò oltre modo e dopo soli quattro giorni di malattia rese l´innocente suo spirito al Creatore.
Io lessi ieri la lettera, con cui il desolato genitore dava la dolorosa nuova, e questa nella sua semplicità faceva tale pittura della santa morte di quell´angelo, che mi commosse fino alle lagrime. Egli non trova espressioni più acconcie a lodare l´amato suo figliuolo che col chiamarlo ún altro S. Luigi Gonzaga sì nella santità della vita come nella beata rassegnazione alla morte. Io vi assicuro che assai mi duole, che egli abbia frequentato si poco la mia scuola, e che in questo breve tempo la sua poca sanità non mi abbia permesso di conoscerlo e pra¬ticarlo più che si può fare in una scuola alquanto numerosa. Perciò io lascio a´ suoi superiori il dirvi quale fosse la santità dei suoi senti¬menti, quale il suo fervore nella pietà; lascio ai suoi compagni ed amici, che quotidianamente lo avevano seco, e con lui domesticamente con-versavano, il dirvi la modestia de´ suoi costumi e di ogni suo porta-mento, la severità de´ suoi discorsi; lascio a´ suoi parenti il dirvi quale fosse la sua obbedienza, il suo rispetto, la sua docilità. E che potrò io ricordarvi che a tutti voi non sia noto ? Io altro non dirò se non che sempre si rese commendevole pel suo contegno e per la sua tran¬quillità nella scuola, per la sua diligenza ed esattezza nell´adempimento
(x) Leone Cocchis studente dt Retorica, giovanetto di belle speranze, morto
il 25 marzo x855 in età di 15 anni (a).
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di ogni suo dovere, e per la sua continua attenzione a´ miei insegna-menti, e che io sarei beato se ognuno di voi si proponesse di seguirne il santo esempio,
a Prima ancora che l´età e gli studi gli permettessero di frequentare la nostra scuola, essendo egli da tre anni annoverato tra quelli che hanno ricetto ed istruzione presso l´Oratorio di S. Francesco di Sales, io ne aveva più volte udito a fare parola dal Direttore di quell´Oratorio,
e lo aveva udito ad encomiare come uno tra i più studiosi e virtuosi giovani di quella casa. Tale era il suo ardore nello studio, tale il rapido progresso che aveva fatto nelle prime scuole di latinità, che sommo era il mio desiderio di porlo nel numero dei miei allievi, e grande era l´a¬spettazione che io aveva della felicità del suo ingegno. E prima di averlo in iscuola già l´aveva annunziato ad alcuno de´ miei allievi come emulo, con cui bello sarebbe stato il gareggiare non meno nello studio che nella virtù. E nelle frequenti mie visite all´Oratorio scorgendo in lui una fisionomia sì dolce, quale voi sapete essere stata la sua, scor¬gendo quel suo sguardo si innocente, mai nol vedeva che non mi sen¬tissi tratto ad amarlo e ad ammirarlo. Alle belle speranze, che io ne aveva concepite certamente egli non venne meno allorché nel presente anno scolastico prese a frequentare la mia scuola. A voi mi appello, giovani dilettissimi, che siete stati testimoni del suo raccoglimento
e della sua applicazione non solamente nel tempo che il dovere lo chiamava ad ascoltarmi, ma in quello eziandio, che per lo più non si fanno scrupolo di perdere molti giovanetti, che non sono privi di docilità e diligenza. A voi domando, che gli eravate compagni non solo nella scuola, ma pur anche negli usi domestici della vita, se mai lo avete veduto a far cosa che lo mostrasse dimentico di alcuno dei suoi doveri.
Parmi ancora di vederlo, quando con quella modestia, che era tutta sua propria, entrava nella scuola, prendeva il suo luogo e in tutto il tempo dell´ingresso, lungi dal vano cicaleccio consueto dei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si tratteneva in qualche utile lettura; e quindi cominciata la scuola con quale applicazione io vedeva quel suo angelico volto pendere dalle mie parole! Perciò non fa meraviglia se non ostante la sua tenera età
e la sua poca salute fosse grandissimo il profitto che col suo ingegno dagli studi ricavava. E prova ne sia che in un considerevole numero di giovani, la maggior parte di più che mediocre ingegno, benché già covasse in seno la malattia, che alfine lo trasse alla tomba, e fosse perciò obbligato a frequenti assenze, tuttavia egli tenne quasi sempre i primi posti della sua classe. Ma una cosa destava in modo affatto particolare la mia attenzione, e traeva a sé la mia ammirazione, ed era
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il vedere come quella giovanile sua mente si mostrasse unita a Dio, ed affettuosa e fervida nelle preghiere. Ella è cosa consueta anche nei giovani-meno dissipati, che tratti dalla naturale vivacità e dalle distra¬zioni, a cui va soggetta questa fervida vostra età, pochissima rifles¬sione facciano al senso delle orazioni, cui sono invitati a recitare, e quasi con nessuno affetto del cuore le accompagnino. Onde avviene che in gran parte di essi niente altro vi ha che le labbra e la voce. Or se cosi abituale è la distrazione della gioventù anche nelle preghiere che indirizzano al Sigriore nel silenzio e nella tranquillità delle chiese, oppure nella solitudine delle proprie celle, nelle quotidiane orazioni, voi, o giovani, lo sapete quanto questo avvenga più facilmente in quelle brevissime preghiere che sogliono dirsi prima e dopo le lezioni della scuola. Ed è appunto in queste che mi fu dato di ammirare il fervore del nostro Domenico alla pietà, e l´unione dell´anima sua con Dio. Quante volte io l´osservai con quel suo sguardo rivolto al cielo, al cielo che sì presto doveva essere la sua dimora, raccogliere tutti suoi sentimenti, e con quell´atto offrirli al Signore e alla Beatissima sua madre, con quella pienezza di affetti che appunto richiedono le recitate preghiere! E questi sentimenti, o amatissimi giovani, erano poi quelli, che animavano i suoi pensieri nel compiere ogni suo dovere, erano quelli, che ogni suo atto, ogni sua parola santificavano, che tutta la sua vita interamente dirigevano alla gloria di Dio. O beati quei gio¬vani che a tali concetti s´ispirano! Faranno la loro felicità in questa vita e nell´altra, e beati renderanno i parenti che li educano, i maestri che li istruiscono, tutte le persone che si occupano dei loro bene.
» Dilettissimi giovani, la vita è un dono preziosissimo, che Iddio ci fece, per darci il mezzo di acquistarci dei meriti pel cielo, e così sarà se tutto quello che noi facciamo è tale che offerirsi possa a quel su¬premo Donatore, come appunto faceva il nostro Domenico. Ma che direm noi di quel giovane, che passa intera tutta la vita dimentico affatto del fine a cui Dio lo ha destinato, che mai non trova un mo¬mento, in cui pensi a dedicare i suoi affetti al Creatore, che nel suo cuore non dà mai luogo ad alcuna aspirazione che lo sollevi verso il suo Dio? Inoltre che diremo di quel giovane che fa quanto sta in lui per tenere da sè lontani simili sentimenti, o per combatterli e soffo-carli, se li sente vicini a penetrare nel suo cuore ? Deh! riflettete al¬quanto sulla santa vita e santo fine del carissimo vostro compagno, sulla invidiabile sorte, di cui possiamo avere fiducia che goda; e quindi ritornando col pensiero su voi stessi esaminate che cosa angora vi manchi per somigliargli e quali voi essere vorreste, se al pari di lui vi trovaste sul punto di dovervi presentare a quel tribunale ove Dio chiederà a tutti stretto conto di ogni più leggero mancamento. Quindi
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se a questo confronto voi ritrovate che grande sia la differenza, pro¬ponetevelo per esempio, imitatene le cristiane virtù, disponete l´anima vostra ad essere come la sua, pura e monda agli occhi di Dio, acciocché all´improvvisa chiamata, la quale immancabile o tosto o tardi dovrà udirsi da tutti noi, le possiamo rispondere coll´ilarità sul volto, col sorriso sulle labbra, come fece l´angelico vostro condiscepolo. Ascol¬tate ancora un mio voto, con cui io conchiudo queste mie parole. Se io mi accorgerò che i miei allievi diano luogo nella loro condotta ad un notevole miglioramento, se li vedrò d´or innanzi più esatti nei loro doveri, e più compresi dell´importanza di una vera pietà, lo crederò effetto del santo esempio del nostro Domenico e lo riguarderò quale grazia di lassù impetrata dalle sue preghiere in premio di essergli stati per breve tempo Voi compagni ed io maestro ».
Così il prof. D. Picco esponeva ai suoi allievi la profonda e dolo¬rosa sensazione provata all´annunzio della morte del cari) suo alunno Savio Domenico.
CAPO XXVII
Emulazione per la virtù del Savio. — Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti favori, e ne sono esauditi. — Un ricordo per tutti.
Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto, intorno al giova¬netto Savio Domenico non si maraviglierà che Dio siasi degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di lui in molte guise. Mentre egli ancor viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempi ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla santità della vita, dall´innocenza de´ suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli era ancora nella vita mortale. Ma dopo morto crebbe assai verso di lui la confidenza e le venerazione.
Appena giunse tra noi la notizia di sua morte, parecchi suoi com¬pagni lo andavano proclamando per santo. Si radunarono essi per recitare le Litanie per un defunto; ma invece di rispondere ora pro eo cioè Santa Maria, pregate pel riposo dell´anima di lui, non pochi rispondevano: ora pro nobis: Santa Maria pregate per noi. Perchè, dicevano, a quest´ora Savio gode già la gloria del Paradiso e non ha più bisogno delle nostre preghiere.
Altri poi soggiungevano: Se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio, che tenne una vita così pura e così santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare ? Laonde fin d´allora diversi amici e
compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo
modello nel bene operare e cominciavano a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.
Quasi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l´anima. Io ho veduto un giovane che pativa maI di denti che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull´istante,´ e finora non andò più soggetto a questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono esauditi. Io fui testimonio di uno che istan-taneamente ottenne Ia grazia di essere liberato dà gagliarda febbre (i). Ho sott´occhio molte relazioni di persone che espongono celesti fa¬vori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbehe il ca¬rattere e l´autorità delle persone che depongono questi fatti siano per ogni lato degne di fede, tuttavia essendo esse ancor viventi, stimo meglio di ometterli per ora .e contentarmi di riferire qui soltanto una
grazia speciale ottenuta da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico.
L´anno 1858 questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, assoggettarsi a molte cure e in fin dell´anno non gli fu possi¬bile di subire l´esame. Stavagli molto a cuore di potersi almeno pre¬parare per l´esame di Tutti i Santi, perciocché in tale guiSa avrebbe
(i) Tale venerazione e confidenza nel giovine Savio crebbe grandemente da che fu ivi fatto un curioso racconto dal genitore di Domenico, che è pronto a confermare la sua asserzione in qualunque luogo e in presenza di qualunque per¬sona. Egli espose la cosa così:
t La perdita dí quel mio figliuolo, egli dice, mi fu causa di profondissima afflizione, che si andava fomentando dal desiderio di sapere che si fosse avvenuto di lui nell´altra vita. Dio mi ha voluto consolare. Circa un mese dopo la sua morte, una notte, dopo essere stato lungo tempo senza poter prender sonno, mi parve vedere spalancarsi il soffitto della camera in cui dormiva, ed ecco in mezzo ad una grande luce comparirmi Domenico con volto ridente, giulivo, ma con aspetto maestoso .e imponente. A quel sorprendente spettacolo io son rimasto .fuori di me. O Domenico l mi posi ad esclamare: Domenico mio! come va ? Dove sei ? sei già in paradiso ? Sì, padre, rispose, io sono veramente in paradiso! Deh io replicai, se Iddio ti ha fatto tanto favore di poter andare a godere la felicità del cielo, prega pei tuoi fratelli e sorelle affinché possano un giorno venire con te. — Si, si, padre, rispose, pregherò Dio per loro affinchè possano un giorno venire con me a godere l´immensa felicità del cielo (4.o*). Prega anche per me, re¬plicai, prega per tua madre, affinchè possiamo tutti salvarci e trovarci un giorno in¬sieme in Paradisi). SI, si pregherò. Ciò detto disparve, e la camera tornò nell´oscu¬rità come prima s.
Il padre assicura, che depone semplicemente la verità e dice che nè prima nè dopo, nè vegliando nè dormendo, ebbe ad essere consolato da somigliante apparizione (a).
impedito la perdita di un anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano ogni più scemando. Si recò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora con amici in campagna, e già parevagli di avere alquanto migliorato nella sanità. Ma giunto a Torino e postosi per poco tempo a studiare, egli ricadde peggio di prima. « Io era vicino agli esami, egli depone, e la mia salute trovavasi in deplorevole stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza. Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch´io a lui raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti con-discepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per pri-meggiare nella nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Impetrami adunque, ti prego, dal Signore un po´ di salute, affinché io mi possa preparare.
» Non era ancor compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a fare così notabile e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare, e con insolita facilità imparare le ma-terie prescritte e prendere benissimo l´esame. La grazia poi non fu di un momento, imperciocchè attualmente io mi trovo in uno stato di regolare salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per intercessione di questo mio com-pagno, mio famigliare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazia fu ottenuta, e la mia sanità continua ad essere la medesima con grande mia consola-zione e vantaggio ».
Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare più sotto alcuni altri fatti in forma d´appen-dice, nel modo che sembrano tornare a maggior gloria di Dio e van-taggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacché fosti benevolo di leggere quanto fu scritto di questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, che fu coronata da una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo una doppia caparra di essergli simili nella preziosa morte.
Ma non manchiamo d´imitare il Savio nella frequenza del Sacra¬mento della confessione, che fu il suo sostegno nella pratica costante
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della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e con le dovute disposi-zioni a questo bagno di salute nel corso della vita: ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non manchiamo di volgere un pen¬siero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben fatte, e se ne scorgiamo il bisogno rimediamo ai difetti che per avven¬tura fossero occorsi. A me sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora con ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo in¬contro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci, siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità, per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia.
APPENDICE
SOPRA ALCUNE GRAZIE OTTENUTE DA DIO
AD INTERCESSIONE
di SAVIO DOMENICO
Fra le moltissime grazie che si reputano da Dio ottenute ad inter-cessione di Savio Domenico, io ne trascelgo alcune, che tra esse pre-sentano un carattere più ordinario. Di codeste grazie esiste nella curia arcivescovile di Torino una relazione autentica firmata da coloro stessi che hanno ricevuti tali celesti favori e che ne fecero pubblica deposi-zione. Affinchè poi ogni cosa si esponga con maggior esattezza e ve-racità, ho pensato di scrivere i fatti tali quali esistono nelle mentovate autentiche relazioni; sono come segue:
Guarigione da febbri maligne.
Se è proprio del Cristiano tenere nascosti i fatti che ridondano a gloria di se stesso, egli è però suo dovere il rendere manifeste quelle cose, che servono a glorificare i servi di Dio ed esaltar il santo di Iui Nome in faccia agli uomini.
Questo dovere è quello appunto che mi stringe a pubblicare un fatto riguardante al servo di Dio Domenico Savio, che io riconosco mio protettore dinanzi a Dio e benefattore di mia famiglia.
Io mi era già alcune volte raccomandata al giovane Luigi Comollo, siccome avevano, fatto altri; e Dio nella sua• grande bontà mi aveva sempre esaudita; più volte pure mi raccomandai a Savio Domenico, la cui intercessione mi fu ognor efficace presso al Signore. Motivi particolari mi persuadono a tacere vari fatti, ma per compiere la mia promessa, uno almeno io debbo rendere manifesto, sia per dare a Dio l´onore che gli è dovuto, sia per glorificare in faccia ai cristiani quel servo fedele che Dio stesso ha fatto depositario de´ suoi tesori.
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Ecco il fatto: non racconto altro che la pura e coscienziosa verità.
Il giorno otto di ´settembre 1858 fui sorpresa da una costipazione, che dopo avermi legata qualche settimana al letto, degenerò in febbri.
Mi sono assoggettata ad ogni cura dei periti dell´arte, ma tutto inutilmente. Anzi la gracile mia complessione e la mia sanità già prima cagionevole, in breve mi condussero a grave debolezza e´ ad una pressochè totale prostrazione di forze.
Rimedi, visite, consulti, cangiamenti di aria e di paesi furono per me senza risultato. Ai malori del corpo si aggiunsero le afflizioni dello spirito che mi si andavano aumentando, perché non poteva attendere ai miei doveri di madre di famiglia. Povera me! Prostrata in un letto, perduta ogni speranza nei medici e nelle medicine, nulla più mi ri¬maneva che l´aiuto del cielo, e questo non mi mancò. Erasi da pochi giorni stampato il libretto che conteneva la vita del Savio Domenico; e mossa dalle belle virtù che in vita egli seppe praticare, -e mossa assai più dalle grazie che altri a sua intercessione avevano ottenuto, deli¬berai di raccomandarmi a lui per essere sollevata dalle mie angustie.
La notte adunque del 2,0 febbraio 1859, confidando nella potenza di Dio, che in copia concedei suoi favori per intercessione di coloro che gli furono fedeli in vita; spinta dal bisogno di qualche conforto nelle mie afflizioni ed un sollievo a´ miei mali, proferii queste parole:
Oh tu, Savio Domenico, che nei pochi anni di vita, sapesti giun¬gere a così alto grado di virtù, conferma la potenza e la bontà di Dio, fammi conoscere che tu sei ne´ cieli e che da quel luogo di beatitudine proteggi i tuoi divoti. Ottienmi dal Signore che io sia sollevata da´ miei mali, e possa riacquistare la mia primiera sanità. Io ti prometto che racconterò ovunque io possa, il favore che tu sarai per ottenermi dal Signore ».
Finiva appena le ultime parole, quando sentomi un brivido in tutta la persona. Il mio spirito rimane sull´istante sollevato: si calmano i miei mali, scomparisce la febbre, ed un dolce sopore mi invade per modo che riposai tranquillamente tutta la notte. Al mattino io era perfettamente guarita. Il dott. Frola, da cui era visitata, rimase non poco stupito di tale miglioramento. Non so, egli disse, quale rimedio le abbia potuto fare tanto bene. Certamente la mano di Dio ci ha preso parte.
Io mi levai dal letto, e mi trovai tosto in perfetta salute dopo una malattia, a cui non sarebbero bastati più mesi di convalescenza.
Scorsero già otto mesi da che sono guarita da´ miei malori, e finora, grazie a Dio, e all´intercessione del santo giovanetto Savio Domenico, non sono più andata soggetta ad incomodo di sorta. Quanto io qui racconto spontaneamente, desidero che sia pubblicamente stampato
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ovunque si giudichi tornare a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime: e son disposta di confermare le stesse cose in presenza di qua¬lunque persona. D´allora in poi feci altre volte ricorso a questo celeste benefattore, e ne fui sempre esaudita. Valgano questi fatti ad eccitare fiducia in altri fedeli cristiani onde facciano ricorso a questa fonte di benedizioni e trovare nei bisogni spirituali e temporali un efficace conforto in colui che santamente visse sopra la terra, e che ora glo¬rioso ci protegge dal cielo.
Torino, 15 ottobre 1859. Contessa BUSCHETTI
nata di Mezzenile.
Guarigione da grave mal d´occhi.
Era l´anno 1858 circa il finire di maggio, quando fui preso da forte mal d´occhi. Questo ora crescendo, ed ora diminuendo, mi tra¬vagliò sino a novembre del 1859. Cominciando poi da marzo di quest´anno crebbe a tale, che fui costretto da principio a lasciar quasi del tutto lo studio, in fine ad abbandonarlo affatto. Giunto però ai primi giorni di luglio il mio malore si aggravò a segno, che il collegio medesimo, dove scavasi molto bene, mi parve insopportabile.
Di modo che sia pel male che pativa, sia per un´afflizione che mi struggeva il cuore nel vedere i miei condiscepoli a faticarsi per un buon esito nei vicini esami, dovetti andarmene a casa. Credevami di trovare nel paese miglioramento, ed infatti migliorai alquanto. Ma questo fu di breve durata. Erano appena scorsi quattro o cinque giorni dacchè aveva cominciato a star meglio, che il male peggiorò, e non solo fui ridotto allo stato di prima, ma ad altro di gran lunga più de¬plorabile. Ricorsi allora ad alcuni dottori. Uno di essi mi ordinò di prendere 400 pillole di non so qual materia. Le ho prese secondo l´av¬viso datomi, ed ho fatto puntualmente tutto quello che mi fu detto di fare, ma sempre invano. Mi sono fatti fare quattro salassi ed il male era sempre allo stesso grado. Per cinque volte mi furono messi dei vescicanti dietro le orecchie, ma non si vedeva alcun giovamento. In questo tempo mi era anche fatto visitare da altri dottori i più accreditati in fatto di mal d´occhi, quali sono il cavaliere Sperini, il dottore Fissore ed il dottore Paganini, ma dopo avermi assogget¬tato a varie prove dell´arte, mi risposero chiaramente, che il modo di curare il morbo di cui io ero affetto, era almen per essi ancora sconosciuto, Allora io stanco di me stesso, non sapeva a chi rivolgermi. Passava i miei giorni sempre in una camera oscura. Ogni divertimento mi era venuto in abborrimento, ed intanto il dintorno degli occhi si
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era fatto talmente rosso, che questi sembravano due gemme accer-chiate di scarlatto. Verso il fine però di ottobre mi pareva di sentir
qualche miglioramento. Perciò colla speranza di acquistare ben tosto
una perfetta guarigione mi recai al collegio. Ma non erano passate due settimane, che con tanta forza gli occhi mi si ammalarono, che Ia
sciaronmi incerto se ancor avrei potuto seguire i miei studi. Allora
mi son fatto mettere vescicanti alle braccia; li ho fatti rinnovare; così pure alle orecchie più volte, ma nullo era il profitto. Mi avvicinava
spesso al nostro Direttore (41*), affinché mi consolasse con quei detti che egli sapeva essermi di vantaggio temporale è spirituale, coll´inco¬raggiarmi ad aver pazienza, col darmi qualche speranza di presto guarire. Una sera fra le altre, mentre tutti i miei compagni radunati ciascun nella propria classe cantavano, io pensieroso e tristo, col volto tra le mani stava seduto ed appoggiato alla tavola presso cui era il Direttore. Quando egli alzandosi mi si accostò pian piano e, tocca¬temi le spalle, quasi ridendo mi fe´ questo motto: « Che non possiamo una volta liberarti da questo male ? La voglio finita. Voglio che pren¬diamo Savio Domenico pel ciuffo e non lo lasciamo più andare finché ci abbia ottenuto da Dio la tua guarigione ». A queste parole io lo guardai fisso in volto, e non aprii bocca. Allora egli seguitò a dire: « Sì, tu prega tutti i giorni di questa novena (era la sera del giorno prima che si incominciasse la novena dell´Immacolata Concezione) Savio Domenico affinché interceda per te e t´impetri questa grazia. Procura di trovarti in tale stato da poter fare la santa comunione ogni mattina di questa novena. La sera poi prima di coricarti digli così: Savio Domenica prega per me, ed aggiungi un´Ave Maria ». Io pro¬misi di fare puntualmente quello che m´aveva detto: Ed egli: « Bene, disse, tu fa´ quel che t´ho detto ed io in tutti i giorni di questa no¬vena mi ricorderò di te nella s. Messa. E chi sa, proseguì, chi sa che questa volta Savio Domenico non ci scappi prima che tu sia guarito ».
Il giorno stesso che ho cominciato a far la mia novena sentiva già qualche alleviamento nei mio male. Allora con maggior fervore con¬tinuai le mie pratiche di pietà. E qual ne fu il premio? Io ben lo vedo. Gli occhi miei furono in pochi giorni perfettamente guariti. Io durante la novena avevo promesso a me stesso, che se dopo un dato tempo non fossi ricaduto, avrei fatto il possibile per far palese in onor di Savio Domenico questa grazia da lui ricevuta. Ora man¬tengo la mia promessa, poiché il tempo fissato (i febbraio 1860) è corso, ed io sto benissimo. Spero che Savio Domenico vorrà conti¬nuare il suo favore ed io farò quanto posso per essergli riconoscente studiandomi d´imitarlo in quelle virtù che egli fece cotanto risplen¬
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dere nella vita mortale. Siane intanto lode a Dio ed a Savio Dome¬nico, per la cui speciale protezione ho ottenuta questa grazia.
Torino, i febbraio 186o.
Grazie a Dio continuo tuttora nel buon essere di perfetta salute degli occhi miei e confermo quanto sopra
Torino, 20 marzo /861.
DONATO EDOARDO di Saluggia.
Guarigione istantanea da mal di denti.
Avendo letto la vita del santo giovanetto Savio Domenica, io me ne era scolpita una profonda venerazione.
Ma un fatto degno di osservazione che mi obbliga infinitamente verso questo Angioletto di paradiso è quello che sono per esporle, pregandola di dargli quella pubblicità che V. S. stimerà conveniente. Fin dal mattino del giovedì 7 aprile del corrente anno (1859) io mi sentiva affetto da un legger mal di capo. Non vi badai credendolo passeggiero, ma sentii che verso il mezzodì, e più verso sera andava aggravandosi, e non mi lasciò lavorare punto quel giorno, nè dormir la notte seguente. Alzatomi venerdì col dolore sempre crescente, mi si aggiunse un mal di denti così acuto, che malgrado mi sia sforzato di andare a scuola, non potei attendere nè allo studio, nè alle spiega¬zioni, nè ad altra cosa, tanto mi cruciava lo spasimo del dente. E. come aveva cominciato, così pure continuava a dolere non solo, ma ad. ac¬crescersi, finché la sera, reso io troppo esacerbato dell´acutezza della doglia, mi diedi ad un piangere dirotto. Era l´ora della scuola serale, io mi andava vagando per la casa dal dolore malmenato, quand´ecco mi sorprese in quello stato il Prefetto (4z*) mentre piangeva sul bal¬cone, che guarda il cortile rustico. Raccomandati a Savio Domenica, mi disse egli, poiché intese la cagione per cui mi doleva. Raccoman¬dati a Savio Domenico, egli può guarirti, se vuole. Ringraziai di cuore il prefetto di un tanto consiglio, e rimproverai me stesso di non averci pensato prima. Corsi tosto all´altare di Maria, m´inginocchiai in quel¬l´angolo della predella che era stata tante volte consacrata dalla pre
senza del Savio, dove egli si ritirava nel silenzio del santuario a spar¬gere le lacrime della sua filiale tenerezza verso la più cara delle madri,
e dove egli veniva ad attingere in tanta copia l´amore, lo zelo e la pietà che ora gli fanno bella corona in cielo. Colà prostrato feci il segno della santa croce, e cominciai a pregare, risoluto di ottenere
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la guarigione ad ogni costo, purché fosse secondo la volontà di Dio. Il male aveva sempre più che mai infierito fino allora. Quando alle parole: Sed libera nos a malo sentii istantaneamente in un baleno cessarmi la doglia. Il sangue ripigliò il suo corso regolare, la guancia tornò al suo stato normale, ed io mi trovava bello e sanato e tranquillo, senzachè più traccia alcuna rimanesse a ricordarmi lo spasimo sof¬ferto!
Qual fu, qual è, quale dovrà essere la mia riconoscenza verso questo caro angioletto, che così prontamente mi ha esaudito ? e quanto più propenso non debbo stimarlo pel bene dell´anima mia colui che con tanta celerità guariva il mio corpo ? Voglia la S. V. prendere in considerazione quanto mi è accaduto ed usarne in quel modo che giu-dicherà più atto a promuovere la gloria di Dio e la confidenza verso del santo Savio Domenico.
Obbedientissimo figlio
GALLEANO MATTEO di Caramagna.
Deposizione d´una madre che aveva il suo figliuolo ammalato a Torino nell´ospedale de´ santi Maurizio e Lazzaro.
Contava già circa un mese dacché io aveva nell´ospedale de´ santi . Maurizio e Lazzaro il mio unico figliuolo infermo. Il suo male era prodotto dal sangue, che, essendogli furiosamente corso al cervello, lo faceva delirare. Fra le altre circostanze della sua malattia merita specialmente di essere notata questa, che egli si era messo in capo di non volere più proferire parola. Niuno può immaginarsi il dolore di una madre che mira l´unico suo figliuolo travagliato da malattia che non ammette più speranza di guarigione. Nella mia cadente età non avrei più avuto soccorso di sorta, prevedeva per me una vita infelice.
Un giorno che acerbo dolore mi opprimeva il cuore, mi recai al¬l´ospedale con alcuni miei parenti. Poiché fummo al letto dell´infermo, all´udire il gran numero di salassi a lui già fatti, al vederlo pallido e sfinito come un cadavere, diedi in dirotto pianto: nè cosa del mondo mi poteva consolare. Ma viva Dio, che si degnò di recarmi inaspet¬tato soccorso e cangiare i miei affanni nella più grande consolazione! In quel momento io vidi un giovane, avente un piccolo libro tra le mani; si appressa ad un letto vicino a quello del figliuol mio, ed aper¬tolo, mostra all´infermo ivi giacente l´immagine di un giovanetto, nell´età di quindici anni circa, di cui quel libro narrava le virtuose azioni. Egli consigliava´ ed esortava l´infermo a voler ben leggere, ed imitare le virtù di quel giovanetto che visse e mori da santo. Alla vista
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di quel libro e di quell´effigie, credetti tosto che il giovane in essa rappresentato fosse qualche santo; ed avvicinandomi cogli occhi la¬crimosi: o caro giovane, dissi a quello che teneva il libro fra le mani, concedetemi per amore di Dio e della B. Vergine uno di questi libretti pel mio figliuolo. Egli rispose non avere difficoltà alcuna a donarmi uno di quei libri, ma essere cosa inutile il darlo a leggere ad un in-fermo delirante, esser meglio che si raccomandasse a quel giovanetto di santa vita, chiamato Savio Domenico, implorando da lui la guari¬gione. Approvai incontanente la proposta, e fattami all´orecchio del quasi agonizzante mio figliuolo, con voce tremante: caro figlio, gli dissi, ascolta, raccomandati al giovane Savio Domenico, affinehè ti ottenga da Dio la guarigione. A queste parole l´infermo non proferisce sillaba; volge occhio severo alla madre, e sta immobile alcuni momenti, quindi con grande stupore degli astanti, e .con grande mia consola¬zione, prorompe in questi detti: mi raccomando (4.3*). Non ho parole ad esprimere la gioia, il contento che provò il mio cuore all´udire la voce di un figliuolo, di cui aveva pressoché perduto ogni speranza di guarigione, all´udir quella voce che sià da diciotto giorni più non suonava all´orecchio. Allora feci ogni sforzo per fargli conoscere la santità e la virtù del Savio cui ci eravamo ambidue caldamente rac¬comandati.
Cosa meravigliosa! poco dopo sentissi quasi perfettamente risa-nato da una malattia per cui i medici l´avevano già condannato alla tomba o almeno al manicomio.
Ora sia ringraziato il cielo: colla più grande consolazione veggo in perfetta e florida salute quel mio figliuolo che mi trasse dal cuore tanti sospiri, e mi fece spargere tante lacrime.
Torino, io aprile 1860. PAIRA MARIA.
Altra guarigione da mal di dente.
Io sottoscritto udii una sera a leggere una lettera, in cui raccon¬tavasi come un mio compagno poco prima tormentato da gravissimo mal di denti, si era raccomandato a Savio Domenico, ed istantanea¬mente ne era rimasto affatto libero (444). Io trovavaeni pure tormen¬tato da parecchie settimane dallo stesso male, di modo che da molto tempo era costretto a tenere la faccia avviluppata, senza che però ne potessi ricavare alcun miglioramento. Animato dal felice successo del compagno, chiesi al Direttore: Dovrò pur io fare la prova di racco¬mandarmi a Savio ? Sì, fanne la prova, mi rispose quegli, digli di questa sera medesima un Pater ed un´ Ave e poi confida in lui. Reca
So 4-,
torni in camera, recitai l´orazione indicatami, quindi pieno di fiducia di rimaner guarito mi posi a letto. Mi addormentai ben tosto, ed in¬vece che le notti antecedenti doveva passarle in gran parte vegliando a motivo del dolore dei denti, questa notte la passai tutta intera dor-mendo saporitissimamente senza essere minimamente disturbato. Quando al mattino fui svegliato, subito secondo il solito presi il pan-nolino per avvilupparmi nuovamente il volto, ma che ? pensando come mai avessi potuto dormir si bene mi accorsi che io era perfet¬tamente guarito. Lasciato allora il pannolino, tutto allegro mi levai facendo noto ai compagni la grazia ricevuta, cagione della straordi¬naria allegrezza. D´allora in poi non ebbi più a provare mal di denti. Perciò riconoscente pel benefizio ricevuto da Savio Domenico, mentre di cuore lo ringrazio, ne fo la presente testimonianza.
Revello, zo aprile 1859. DEMATTEIS CARLO.
Altra guarigione da grave mal d´occhi.
Un altro giovane fa la seguente dichiarazione: Da più settimane travagliato da mal d´occhi, io mi trovava nella necessità di dover ab¬bandonare la scuola. Udite le pronte grazie ottenute da miei compagni, fui ripieno di gran fiducia nella protezione di Savio Domenica. Un giorno (era mercoledì santo 1859) dissi: debbo provare anch´io di raccomandarmi a Savio? ha guarito tanti altri che non l´hanno neppur conosciuto; ed io che gli era compagno non vorrà ottenermi la grazia di poter guarire dal mal d´occhi ? Io doveva lavorare pel santo sepolcro, che suole farsi il detto giorno. Il Direttore mi rispose: Bene, prova anche tu, recitagli un Pater ed un´Ave, e domani tutto confidando in lui fa i lavori che hai da fare: procura però di offerirli ad onore di Dio. Alla sera recitai la breve preghiera; e all´indomani mi sentii molto migliorato; di modo che potei compiere i miei lavori senza inco¬modo. Al sabato io era perfettamente guarito. Pieno di riconoscenza, ne fo la presente testimonianza, onde sia dilatata la gloria di questo servo di Dio, ed altri mossi dall´esempio ricorrano pure a lui con fiducia nei loro bisogni.
Torino, zo luglio r859. M.zzucco GIACINTO di Nucetto.
Guarigione repentina da gravi doglie intestine.
Fra le varie cose operate in favore di persone, che ebbero ricorso al giovane Savio Domenico, è degna di essere riferita la meravigliosa
Si:
guarigione di un giovane studente. Io stesso e una moltitudine di giovani fummo testimoni oculari. Ecco come egli stesso narra il
fatto.
Tre anni or sono, fui colpito da un´ernia, male terribile cagionato dallo spostamento di un viscere, per la cui guarigione ebbi a soffrire dolori acerbissimi. D´allora in poi nissuno indizio più si manifestò in me di quel male. Se non che alli 20 del mese di febbraio di questo anno 186o, mentre mi trastullava co´ miei compagni, fui colto dal malore medesimo. Non potendo più reggermi in piedi, fui costretto a pormi sull´istante a letto, travagliato dai più acuti dolori. Oppresso dal male e dagli affanni, non sapendo a qual partito appigliarmi, mandai a chiamare il Direttore, affinché mi suggerisse qualche rimedio, e mi desse qualche consiglio. Venne egli tosto presso al mio letto, e vedutomi straziato dai dolori, accondiscese aI mio desiderio, e mi con¬fessò. Intanto mandò a chiamare il medico, a comperare legacce, e per timore di troppo ritardo fu apparecchiata una vettura per condurmi, ove fosse d´uopo, all´ospedale, onde avere una pronta operazione. In questo mentre il dolore divenne così intenso, che io era fuor di me stesso e come in delirio. Anzi seppi poi che alcuni mi credevano moribondo e taluno anche morto, formandosi tale giudizio dal gran male che io pativa, Allora a caso il pensiero si portò sopra il defunto mio compagno Savio Domenico, di cui aveva letto la vita ed i favori che altri a sua intercessione avevano da Dio ottenuto, .e sentendomi crescere la fiducia in lui, proferii queste precise parole: Se é vero che tu sia in cielo, fa´ di alleggerire questo mio male, e recitai un Pater, Ave e Gloria a suo onore. Terminava appena la preghiera, quando m´invade un dolce torpore, che come un balsamo mitigò il male e quasi sull´istante presi sonno. Dormii circa un quarto d´ora. Di poi alcuni miei compagni mi svegliarono dicendomi essere pronti i le¬gami per l´operazione, ed anche pronta la vettura per condurmi al¬l´ospedale. Non ho più alcun male, risposi con grandissima mia e loro sorpresa, e di fatto io era perfettamente guarito, e mi sarei tosto alzato di letto, se la sera non fosse stata inoltrata, e non mi avessero consigliato a non farlo. L´indomani mi levai, tutto fu finito, ed ora sono in ottima salute.
Ciò tutto io debbo al giovane Savio Domenico, che intercedette per me presso il Signore Iddio, e mi ottenne un cosi segnalato favore, per cui conserverò la più viva gratitudine verso Dio e verso il celeste mio benefattore.
BELLINO CARLO
di Bard, provincia d´Aosta.
4 — CAVIOLIA, Don Bosco, scritti. Vol, TV. Parte I.
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Altra guarigione da acuto mal di denti.
Giacinta Patrone in attestato di riconoscenza verso Savio Dome¬nico desidera che sia conosciuto il seguente favore che ella stessa ot¬tenne ad intercessione di questo servo di Dio. Da buona pezza ella era molestata da grave mal di denti che non le lasciava più prender nè riposo durante la notte, nè ristoro durante il giorno e persino la di¬straeva dalle cure della famiglia. Provossi ad applicarvi quei rimedi che soglionsi suggerire per mitigare tali doglie, ma tutti le riuscirono inutili: perciocchè il suo male continuava a tormentarla colla stessa forza. Teneva essa appeso un quadro contenente l´immagine di Savio Domenico, immagine che era stata regalata al suo figliuolo nell´Ora¬torio da lui frequentato. La vista di quella immagine le fece venire in mente le grazie che aveva letto essersi ottenute a di lui intercessione. Chi sa, disse fra se stessa, se il Savio non vorrà pure far sperimentare a me Ia forza della sua protezione? Per tanto a lui si rivolse a fine di ottenere ciò che non aveva potuto ottenere coi temporali rimedi, ed inginocchiata si mise a recitargli un Pater noster. Non aveva ancora finita sì breve orazione, quando sentissi interamente libera dal suo terribile dolore in modo che in appresso non fu mai più da esso mo¬lestata. Riconoscente per tale favore, introdusse nella famiglia la pia usanza di recitare ogni giorno un Pater ed Ave in onore di Savio Domestico, e desidera che molto si propaghi la divozione verso di lui.
Torino, i marzo 186r. PATRONE GIACINTA.
Altra guarigione di un´ernia pericolosa.
Nella città di Chieri fu ad intercessione del Savio ottenuta una grazia degna di essere conosciuta. Certo Bechis Carlo di questa città da ben tre anni trovavasi gravemente indisposto della persona a ca¬gione di un´ernia. Egli non poteva più sostenere veruna fatica, perocchè il minimo sforzo che avesse fatto, tosto per acutezza di dolori veni¬vangli meno le forze, nè più potevasi reggere in piedi. Egli aveva già fatto uso di quanto l´arte medica e chirurgica sapesse suggerirgli; ma tutto invano, poichè l´incomodo invece di diminuire andava ognora crescendo. In principio di quest´anno medesimo mentre era tuttavia fortemente travagliato dal suo male, vennegli alle mani la vita del Savio Domenico. Egli che non poteva attendere ad altro lavoro, attentamente, e con gusto la lesse e rilesse. Al vedere come altre per-sone travagliate da diversi mali ed anche dalla sua medesima infermità
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avevano a lui ricorso ed erano state istantaneamente guarite (45*), sentissi ripieno di fede e cominciò a sperare fermamente di ottener anch´egli dal Savio la sua guarigione. Senza frapporre tempo diè subito principio ad una novena in suo onore, diretta a tal fine. La novella consisteva in tre Pater, Ave e Gloria. Promise inoltre che ove avesse ottenuto il tanto desiderato favore, sarebbesi recato presso al sacerdote Bosco per fare la deposizione del fatto. Appena ebbe inco¬minciata la novena prese a migliorare. Dopo tre o quattro giorni, potè togliersi le bendature, che soglionsi usare per tale malattia, cui da lunga pezza non aveva più potuto deporre. Finita la novena egli pro¬vossi a lavorare, a far gravi fatiche e tutto gli riuscì benissimo senza più sentire il minimo dolore; egli era perfettamente guarito. Correva il mese di marzo e d´allora in poi non soffri più il minimo incomodo e potè riprendere i suoi lavori da agricoltore che da circa due anni aveva dovuto abbandonare.
Il medesimo attesta ancora che il Savio Domenico non si limitò ad ottenergli questa grazia temporale, ma gliene ottenne pure un´altra spirituale di gran lunga più considerevole. Egli da anni non si era più accostato al Sacramento della penitenza e di più vi sentiva tale un´av¬versione, che parevagli insuperabile senza un aiuto speciale del cielo. Per la qual cosa nel tempo che gli chiese la grazia surriferita, chiesegli pure la sua guarigione spirituale; ed il Savio mentre gli procurò la guarigione del corpo, gli compartì pure la guarigione dell´anima, o per dir meglio gli amministrò i mezzi per ottenerla, giacchè fece in lui svanire la grande avversione che sentiva riguardo alla confessione e lo riempì di una santa volontà di riavvicinarsi con Dio. Laonde il Bechis non appena si sentì liberato dalla sua infermità, per ringraziare il Signore e il santo suo servo Domenico, accostossi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione con grande sua interna consolazione.
Il sottoscritto scrisse tale relazione raccolta dalla bocca stessa del Carlo Bechis che è pronto a fare qualunque deposizione.
Torino, so marzo 1861. Sac. RUA MICHELE.
Guarigione da grave mal d´occhi.
Un fatto che mi pare di somma importanza mi spinge a scriverle, ed è questo. Alli In gennaio di quest´anno, essendo da otto e più giorni tormentato da un grave mal d´occhi, ed avendo inutilmente provato ogni rimedio materiale, ricorsi ad uno spirituale, che solo fu quello che mi giovò. Imperciocchè venutomi in mente il suo antico allievo Savio Domenico, e le tante grazie da lui ottenute da Dio a favore di
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chi l´invocava di cuore, medesimamente ricorsi a lui, ed ecco che nel momento della preghiera mi parve che mi avessero miracolosamente lavati gli occhi, e da quel momento mi svanirono i dolori e mi restò libera e chiara la vista.
Conobbi da ciò quanto siano vane le cose del mondo, e quanto fruttuose quelle del cielo. Questo desidererei ardentemente che lo aggiungesse, se lo fosse possibile, agli altri miracoli da Dio a gloria di lui operati, poichè me ne par degno.
Aggradisca i miei cordiali saluti, e mi creda sempre suo umile servo
Carmagnola, i aprile 1861. PELAZZA LORENZO.
A quanto fu detto o scritto intorno al giovane Savio Domenico l´Au¬tore non intende di dare altra autorità se non quella di semplice storico, rimettendo ogni cosa al giudizio di S. Chiesa, di cui reputasi a massima gloria ogni volta che si può professare umilissimo figliuolo (46*).
FIN QUI IL LIBRO DI DON Bosco IN TUTTE LE EDIZIONI CURATE DA LUI O PUBBLICATE DURANTE LA SUA VITA. (N. d. E.).
MOLTO REVERENDO SIGNORE (47*),
È la gratitudine e l´affetto inverso il benemerito di lei scolaro Savio Domenico che mi spinge a indirizzarle codesta mia. Sollecitato da non poche pie e dotte persone di rendere conscia la S. V. della gua¬rigione impetrata dal sullodato pio giovanetto, vorrei pregare la bene¬merita di Lei persona a rendere noto il sommo favore ricevuto, ag¬giungendolo alle altre grazie ottenute per intercessione del giovanetto Savio, Allo scopo di eccitare i pii fedeli, massime i giovanetti, a espe¬rimentare la di lui intercessione, ad eccitarli all´imitazione delle sue virtù e a diffondere vieppiù la proficua divozione a questo amabile di Lei scolaro, a cui vado sommamente debitore.
In sul principio di luglio dell´anno 1871 venni assalito da una tosse si ostinata che nè di giorno nè di notte potea trovare requie. Si andò pel medico, se ne esperimentarono tre, ma tutto indarno. Se non che passati alcuni giorni ed ornai rassegnato al beneplacito di Dio, sentitimi assai debilitato in forze, ed oppresso da un catarro che continua¬mente mi impediva la respirazione. La tosse inveterandosi avea guasto
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i bronchi sicchè la malattia andava convertendosi in una pericolosis¬sima bronchite. La tosse va di male in peggio, il medico ormai mi spedisce. Mi si proibiscono libri meditativi e di scuola, e tanto per ingannare un po´ il tempo andava di quando in quando leggendo la dilettevole vita di Savio Domenico, resami famigliare da parecchi anni. La vita esemplare di questo giovanetto nonché i favori ch´egli accordò
ai suoi divoti, m´inspirano il pio sentimento di raccomandarmi a Lui. Feci un triduo recitando tre Pater, Ave e Gloria, colla fiducia d´esser esaudito. Tostochè il medico mi venne a visitare rinvenne si sensibile miglioramento di salute ch´egli non sapea credere che fosse accaduto per opera umana, ma divina. Mi pare un´illusione, egli così mi di¬ceva. In quell´istante si sciolse quell´ostinata tosse che mi tenne stra¬ziato per 3 mesi, cessò in un subito il repentino morbo che mi tradu-ceva quasi insensibilmente alla tomba, ed ora sano e robusto vo bene¬dicendo l´angelico Savio per sì strepitosa grazia ottenuta. L´inaspet¬tata guarigione colpì di meraviglia tutti i conoscenti, sicchè benedi¬cendo andavano Domenico Savio.
PELLEGRINI G. B.
Ch. nel ven. Semin. di Como.
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RELAZIONE DI DUE GRAZIE
ottenute da Savio Domenico in mio favore (48*).
ra Era l´anno 286o ed io mi trovava affetto da un grave mal d´oc¬chi, e tale che più non poteva attendere allo studio. Al par di me sof¬frivano mal d´occhi alcuni miei compagni, i quali si affidarono a valenti dottori, da cui vennero curati. Io pure avrei dovuto mettermi nelle mani dei medici, ma non seppi decidermi, sentendo dai miei compagni quanto in tali cure dovevano soffrire. Allora palesai il mio male a D. Bosco, il quale mi disse che la signora madre di D, Rua, la quale stava nell´Oratorio, conservava qualche pezzo di seta nera, con cui Savio Domenico soleva coprirsi gli occhi, quando li aveva infermi. Tosto chiesi alla detta Signora, se conservasse tale pezzo di seta, ed avutolo, andai- a mettermi sul letto per riposare alquanto, mentre i miei compagni erano alla scuola. Mi gettai, così come era, sul letto come per dormirè, ma prima mi posi ben applicato ad am¬bedue gli occhi il pezzo di seta nera avuto dalla signora Rua. Contro ogni mia speranza presi subito sonno, e dormii saporitamente per
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circa due ore, cioè sinché fui desto dalla campanella che indicava il fine della scuola. Appena svegliato, mi levo il pezzo di seta nera dagli occhi, e quindi me li lavo con acqua fresca. Da quel punto mi trovai guarito completamente, e cogli occhi così sani, come se nulla avessi dovuto soffrire. Ne fecero le meraviglie i miei compagni, i quali in¬tanto dovevano subire spesso dai medici curanti dolorosissime ope¬razioni. Tale grazia ottenuta così improvvisamente, io l´attribuii e l´attribuisco tuttora unicamente all´intercessione di Savio Domenico, da me in tale circostanza invocato.
2a Passarono pochi anni, ed ecco nei mesi più caldi dell´estate (mi pare che fosse il mese di luglio) fui colpito da altra specie di mal d´occhi, da cui vennero pur affetti altri miei compagni. Io non sof¬friva alcun dolore agli occhi, ma giunta la sera, e sull´imbrunire, più non ci vedeva, come se fossero già tenebre fitte, mentre restava tut¬tavia un po´ di giorno ben chiaro. Per questo, tanta io quanto altri miei compagni, all´approssimarsi della notte, dovevamo farci guidare per mano da qualche caritatevole amico. Or bene nello stesso anno avendo dovuto portarmi a Fossano, e quando appunto era soggetto a questo incomodo, una sera mi recai al duomo per ricevere la bene¬dizione che vi si dava col SS. Sacramento. Quando, impartita la bene¬dizione, uscii di Chiesa, sebbene non fosse ancora oscuro, mi accorsi del mio incomodo; ché nulla ci vedeva, come se fosse notte perfetta¬mente oscura. In tale stato, non sapéndo come fare, nè a chi racco¬mandarmi, ritornai in Chiesa, mi inginocchiai e pregai fervorosamente Savio Domenica, affinché, come mi aveva aiutato altra volta, così volesse aiutarmi anche al presente. Recitai un Pater, ed al dimitte nobis mi parve che i miei occhi divenissero di un tratto liberi da ogni incomodo. E lo furono veramente, perché, uscito di Chiesa, sebbene fosse già più presso a notte, tuttavia vedeva benissimo, e potei libe¬ramente da solo recarmi alla casa in cui dimorava. D´allora in poi più non ebbi a soffrire simile incomodo, da cui venni in tal occa¬sione liberato per avere invocato Savio Domenico.
D. CARINO GIOVANNI.
Torino, 1889.
NOTE AL TESTO
(i´.) .I due capoversi seg. sono aggiunti in 4a ediz. (1866).
(24i) Nella 35 ediz. (1861):... « ora dimorante in. Buttigliera d´Asti ».
(3*) La lettera del Cappellano Don Zucca si conserva ancora (benchè molto devastata per deperimento, e perciò lacunosa), ed è allegata agli Atti del Pro¬cesso Canonico. Il testo originale offre qualche divario non sostanziale da quello qui riferito. Cfr. Sanati. Proc. Inf. e Apostolico, pag. 445-446.
(4*) Nella i5-35 ediz.: « La prima comunione... è l´elemento di tutta la vita a. (5*) La 3a-45 ediz. dicono: « parlare molto ». La sa ediz. ha soppresso l´av-verbio.
(6*) Da questa parola fino a « due dei più disinvolti s il tratto fu aggiunto in z5 edizione (r86o) in seguito all´osservazione fatta a Don Bosco da colui ap¬punto ch´era stato l´invitatore in quella prima volta. Il fatto è narrato in Mem. Biogr. vol. VI, 147-149.
(7*) L´ultima proposizione è aggiunta in IV edizione.
(8*) La /5 ediz, diceva: « Se è male andare credo che sia anche male vedere gli altri. Basta, io sono imbrogliato, ecc, ».
(9") La i5-35 ediz. hanno: u lo dirà ai nostri genitori e saremo tutti casti¬gati ».
(io") Il seguito di questo periodo fu aggiunto in edizione, in accordo col
fatto accennato sopra (cfr. nota preced., n. 6").
(i V") La il edizione aggiungeva un capoverso: a Fin qui il mentovato suo maestro, il quale continua esprimendo il dolore grande da lui provato quando ri¬cevette la notizia dell´immatura sua morte a. Nelle edizioni seguenti il capoverso è soppresso, e nella 45è ´sostituito dalla parentesi qui riportata. Cfr. Somari. Proc., cit. pag. 449.
(12*) Così diceva la sa edizione. La 5a-35 avevano: « Il Sac. Cugliero Giuseppe, presentemente (1861) cappellano beneficiato a Barbasio, borgata di Moncucco, paese limitrofo a Castelnuovo d´Asti a. La 45 ediz. (1866); « ...presentemei te Cap¬pellano beneficiato in Pino di Chieri » .
(r3") La parentesi fu aggiunta in 45 ediz. — La lettera del Cugliero è ri¬ferita integralmente in Somm. Proc. Apostolico, ,pag. 450-452, con qualche divario dal testo qui riferito, che amplifica e completa con dati d´altra fonte (o forse ap-presi oralmente) la sostanza non discorde dello scritto. Il fatto a cui si allude è confermato e spiegato dal teste Carlo Savio, allora presente, nel Somm. Proc. cit,, pag. 98 e 336.
(I4*) Murialdo è il nome della frazione del Comune di Castelnuovo (ora Cast. Don Bosco) alla quale appartiene il gruppo di case detto dei BecChi, ov´era la casa di Don Bosco. I Becchi si chiamano ora Colle S. Giov. 110,sco,
(15") Dunque il z ottobre. La festa del Rosario (s" dom. di ottobre) cadeva quell´anno il lo ottobre.
(x6*) L´avv. « difficilmente » è della 5 ediz. Prima era: « oltre cui non si può andare », — Il capoverso seguente fu aggiunto in 45 edizione.
(17*) È la nomenclatura delle classi secondo l´ordinamento scolastico ante-riore al 1859. Gli epiteti attribuiti al prof. Bonzanino sono della 5a edizione, e il resto del periodo è della 41 edizione.
(18*) Nella 1a-35 edizione era: « nostra capitale ». Nel 1866, facendosi la 4a edizione, fu messo « città» perchè la Capitale era passata a Firenze.
(ig") I due primi incisi sono della 5a ediz., pag. 45. — Prima cominciava: « Io mi sento un bisogno di farmi santo, ecc. ».
(2c5) « Che mi salvi l´anima » è aggiunto in 4a edizione. La ediz. avevano
semplicemente: n Dimando che mi faccia santo ». Ed era più naturale, cioè in carattere.
(21") Da questo punto, fino a a vincere a qualunque costo * i due episodi furono aggiunti in z5-35 edizione.
(22*) Da questo punto fino a e gli altri a fare altrettanto e si ha una aggiunta (e quale !) fatta in 2a-3a edizione.
(23%) L´episodio fu aggiunto in 3a edizione.
(244) I due capoversi seguenti furono aggiunti in 5" ediz. (1878) pag. 59-6o. E arrecano una novità di gran momento.
(25*) Nelle edizioni ia-4a era detto: quotidiana. Ma nella 5a edizione (1878), pag. 61, l´Autore sostituì a frequente e. La variante ha una storia, che viene spie-gata nello Studio: ed è storia d´un incidente doloroso. L´intenzione però dell´A. fu sempre che quel frequente volesse dire quotidiana.
(26*) I due episodi seguenti furono aggiunti in 3" edizione.
(27*) Il capitolo presente (cap. XVI) fu scritto dopo la la edizione, e si trova già nella 3a. — Un capitolo intero!
(28*) Nell´ediz 1a-3a: e ..,era tutto sforzo umano e.
(29*) Questa lunga Nota fu ingerita dall´A. nell´ediz. (1878) a pag. 78-81:
edizione che sappiamo essere stata personalmente riveduta sulle bozze da Don Bosco ad Albano, e che in questa nostra si riproduce fedelmente.
(30*) È un evidente errore di scrittura, rimasto nella stampa. Ma è 29 di-cembre 1855. -- Cfr. SALOTTI, Savio Domenica, ecc., pag, zoi. Cfr. pure le nostre osservazioni nello Studio e le altre rettifiche cronologiche ivi confrontate.
(31*) Nell´ediz. I"-45 il testo finiva: e _negli artigli di quell´uccello di rapina. La nostra gabbia è l´Oratorio; qui stiamo sicuri: se usciamo di qui, temiamo di
cadAe negli artigli del falcone infernale ». Quest´ultimo periodo fu soppresso
in 5" edizione, restandone solo l´ultima frase messa al posto dell´uccello di rapina.
(32*) Si noti che da questo punto tutta la materia, fino alla ripresa della sto-ria della -malattia (e La malattia del giovane Massaglia dapprima sembrava leg-gera, ecc. ») fu aggiunta in 2" edizione. Così nella ra mancavano le due lettere del Massaglia e del Savio.
(33*) La 15 ediz, aveva semplicemente: « scrive il suo paroco ». — La 3" ediz. ha inserito la nuova persona del Teol. Valfrè; con la nota, etc., e per err. tip. ometteva il suo.
(34*) Questa nota biografica cominciò ad essere inserita nella 3a edizione, dove la morte era e dell´anno corrente > (186i). In seguito fu messo il millesimo.
(35") Il fatto che segue (rapimento di spirito, fino a n come morto nelle brac-cia di uno degli astanti e) fu aggiunto in a" ediz. (186o).
(36*) Il seguito del capoverso (fino a: e dopo la medesima di lui morte e) è aggiunto in 25,3a edizione.
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(37*) Il tratto che segue, fino a e quello che sarò per fare » è aggiunto in
2"-3" edizione.
(38*) Il tratto che segue, fino all´e addio amati compagni » è aggiunta poste
riore al 186/, e precisamente della 5a edizione (1878).
(39*) Il discorso improvvisato fu messo .in iscritto dal buon Professore per
compiacere a Don Bosco, che voleva pubblicarlo, e lo riferì integralmente (cfr. Somm. Proc., dep. Francesia, pag. 398). — Nella 5a edizione appaiono alcune leggere varianti di pura forma (che= il quale; che= onde; questo= tale, ecc.). Notevole: « quando quel deplorabile caso io vi rammentava* migliorato in: a quan
do io vi rammentava quel caso doloroso u.
(4o*) Così hanno tutte le prime cinque edizioni (1859.78) che furono curate
da Don Bosco. Le edizioni posteriori subirono un evidente disturbo tipografico, che si è tramandato fino alla più recenti (Amadei). Esse hanno: o ...prega pei tuoi fratelli e sorelle affinchè possano un giorno venire con me (sic) e godere l´immensa felicità del cielo ». Come si vede, è il salto d´una riga. — Noi restituiamo il te¬sto autentico, sulla 5a edizione: come del resto è già nella ta ediz. pag. 532-133.
(41°) La 3" ediz. recava: e ...affinchè vedendomi, mosso a compassione, si esibisse spontaneo di pregare per me, ed anche affinchè, ecc... ». Nella 4" ediz. Don Bosco soppresse questo tratto, che alludeva evidentemente a Lui stesso. Giacchè il Direttore qui accennato non è altri che Don Bosco, essendo il Donato allievo dell´Oratorio, — Cfr. Somm. Proc., Relaz. di grazie, ecc., pag. 433-436, dove è riportato dall´originale il testo com´è nella 3" edizione.
(42") Era D. Vittorio Alasonatti, venuto all´Oratorio il 18 agosto 1854.
(4.3*) In 3a edizione: « mi raccomando, mi raccomando, mi raccomando *.
Cfr. Somm. Proc., cit., pag, 437.
(44*) Cfr. sopra la lettera di Galleano Matteo da Carmagnola (dopo 8 aprile
1859).
(45*) Allude alla grazia ottenuta da Bellino Carlo, zo febbraio 186o, pubbli
cata nell´Appendice aggiunta alla 2n edizione che uscì per il maggio 186o. — Que-sta è dunque inserita in 3a edizione.
(46*) Questa dichiarazione fu sostituita in 3a-55 ediz. alla Protestatio auctoris della I° ediz. (pag. 137-138): ma nella 5" edizione fu introdotta, subito dopo il frontespizio, altra dichiarazione di ottemperanza ai decreti di Urbano VIII, senza sopprimere, in fine dell´Appendice, la dichiarazione presente, che nelle ediz. suc-cessive fu omessa.
(47*) Questa relazione, benché appartenga,all´a. 187x (ma non risulta quando sia stata redatta), non compare ancora nella 55 edizione (1878), la quale si chiude come le precedenti con quella del Pelazza Lorenzo, e con la dichiarazione sopra riferita. La relazione Pellegrini compare nella VII edizione (189o), pag. 152-153: e non è rassegnata nell´Indico, essendo l´edizione stereotipata dal 1878, cioè dalla 5a ediz.
(48*) Questa relazione compare la prima volta nell´ediz. 7a (189o) a pag. 164 (non numerata), senza essere rassegnata nell´Indice, perchè tale edizione è la stereotipia ´della quinta.
INDICE
INTRODUZIONE ALLA LETTURA. — A) Ragguaglio bibliografico . . pag. ix
B) Il ritratto del Savio a XVII
C) L´opera dello scrittore » xxxx
D) La santità nel libro " » xxvi
E) L´esemplarità » xxx
F) La storicità » XXXI
G) Il valore documentario del libro n xxxv
H) Il valore pedagogico del libro xxxvin
I) Come deve leggersi il libro » XLIII
n VITA DI SAVIO DOMENICO
INTRODUZIONE pag. 3
CAPO
I. Patria. — Indole di questo giovane. — Suoi primi atti di virtù * 7
Morale condotta tenuta in IVIuriaido. — Bei tratti di virtù, — Sua
frequenza alla scuola di quella borgata *
III. t ammesso alla prima Comunione. — Apparecchio. Racco
glimento e ricordi di quel giorno u i o
IV. Scuola di Castelnuovo d´Asti. — Episodio edificante. Savia
risposta ad un.cattivo consiglio o 1 2
V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d´Asti, — Parole del
suo maestro o 54
VI. Scuola di Mondonio. — Sopporta una grave calunnia . . .
VII. Prima conoscenza fatta di lui. — Curiosi episodi in questa
congiuntura n r 8
VIII. Viene all´Oratorio di S. Francesco di Sales. — Suo primo tenore
di vita »
IX. Studio di infinita. — Curiosi incidenti. -- Contegno nella scuoia.
— Impedisce una rissa. — Evita un pericolo n 25
X. Sua deliberazione di farsi santo n 25
XI. Suo zelo per la salute delle anime n a6
XII. Episodi e belle maniere di conversare coi compagni . . n 29
XIII. Suo spirito di preghiera. — Divozione verso la Madre di Dio.
mese di Maria
92
CAPO
XIV. Sua frequenza ai santi Sacramenti della confessione e della co
munione Pag• 34
XV. Sue penitenze è 37
XVI. Mortificazioni in tutti i sensi esterni D 38
XVII. La compagnia dell´Immacolata Concezione 42
XVIII. Sue amicizie particolari. — Sue relazioni col giovane Gavio Ca
millo è 46
XIX. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni > 49
XX. Grazie speciali e fatti particolari è 53
XXI. Suoi pensieri sopra la morte e sua preparazione a morir santa
mente » 56
XXII. Sua sollecitudine per gli ammalati. — Lascia l´Oratorio. —
Sue parole in tale occasione » 58
XXIII. Dà l´addio ai suoi compagni > 59
XXIV. Andamento di sua malattia. — Ultima confessione, riceve il
Viatico. — Fatti edificanti » 6I
XXV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte * 63
XXVI. Annunzio di sua morte. — Parole del prof. D. Picco ai suoi
allievi » 65
XXVII. Emulazione per la virtù. del Savio. — Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti favori, e ne sono esauditi, — Un ricordo
per tutti » 69
APPENDICE -- Sopra alcune grazie ottenute da Dio ad intercessione di
Savio Domenico pag. 73
Guarigione da febbri maligne » 73
Guarigione da grave mal d´occhi . » 75
Guarigione istantanea da mal di denti » 77
Deposizione d´una madre che aveva il suo figliuolo ammalato a Torino
nell´ospedale de´ Santi Maurizio e Lazzaro » 78
Altra guarigione da mal di dente » 79
Altra guarigione da grave mal d´occhi » 8o
Guarigione repentina da gravi doglie intestine » 8o
Altra guarigione da acuto mal di denti » 8z
Altra guarigione di un´ernia pericolosa » 82
Guarigione da grave mal d´occhi » 83
Relazione di, grazia ottenuta nel 187r » 84
Relazione di due grazie ottenute da Savio Domenico in mio favore (G.
Garino) » 85
•
NOTE AL TESTO 9 87
SAVIO DOMENICO
E DON BOSCO
STUDIO
DI
D. ALBERTO CAVIGLIA
PARTE PRIMA
" I LINEAMENTI UMANI"
" ... il piccolo grande Servo di Dio "
(PP. Pio XI, g luglio 1933).
LIBRI I-1V
TORINO • SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
AVVERTENZA. - Per i riferimenti dei due Processi, Ordinario e Apostolico, mi valgo della Positio Advocati super virtutibus in cui sta il Summarium, in quo testimonia et documenta integra referenda sunt (CIC., Can. 2106). — E cito semplicemente: Somm., nome del teste, pag. del vol.; p. es.: Somm., Cagliero, 289; oppure: Somm. Docum. I, II, etc., o Declaratio, n. r...14: pag. nn.
Non sono distinte le citazioni dal Proc. Ordin. o dall´Apostolico se non quando ciò torni utile o necessario.
L´AUTORE.
CAPITOLO I
Le virtù nate con esso ».
Due sentimenti s´ingenerano spontaneamente in chi legge la Vita di Savio Domenico scritta da Don Bosco: la meraviglia per le cose che vi appaiono, e la simpatia conquistatrice, quasi un fascino, per il santo giovinetto di cui è disegnata la figura. E l´impressione significata da tutti, senz´eccezione, gli alti personaggi che nel 1895 e 1908 e nei 1914, con loro lettere autorevolissime aderirono al movimento crea¬tosi in favore della causa di Beatificazione o la postularono presso la Santa Sede. Esse sono pubblicate in buona parte, e del resto elen¬cate (sono in tutto 58o!) nei Sommarii dei due Processi, e valsero anzi di buon argomento all´Avvocato Mons. Salotti per rispondere alle difficoltà del Promotore della Fede nel 1913: intanto le più notevoli formano una brillante antologia in appendice alle varie Vite scrittesi dappoi, principalissima quella del Salotti, e sono citate ad illustrare Io storico discorso commemorativo di Mons. Radini Tedeschi (i).
Né altro è, il sentimento che si esprime nelle parole di PP. Pio X, nel colloquio del 20 luglio 1914 con Mons. Salotti (a), e, in forma ufficiale, da PP. Pio XI nel discorso del 9 luglio 1933, per la defini¬zione del grado eroico delle virtù del Servo di Dio, divenuto perciò Venerabile.
Sono appunto i sentimenti che ispirarono e accompagnarono Don Bosco nel dettare il suo piccolo capolavoro: né altrimenti poteva essere, quando si sa che in ogni momento il Santo Maestro aveva contem¬plato il suo piccolo Santo con ammirazione e con santa simpatia. L´attrazione sentimentale verso l´angelico sorridente santino traspare, senza bisogno di apposite parole, dal tono dominante dell´esposizione e dai frequenti epiteti con che si ricorda la persona. Quando si vuol bene ad una creatura, e si nutre « un grande affetto « per essa, bisogna
(i) MONS. RADINI-TEDESCHI, Vescovo di Bergamo: Per Savio Domenica, Servo di Dio: r6 aprile 1914.. Torino-S. Benigno, 1914.
(2) Riferito dal Salotti in Appendice alla sua Vita citata, pag. 334.
7 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. W. Parte I.
6
fare uno sforzo per nasconderlo nel parlarne, e davvero Don Bosco non lo ha fatto.
La meraviglia o, se vuoi dirsi, lo stupore, non è solo nel tono del discorso, molte volte veramente ammirativo, specialmente nel
commentare certi fatti e parole: ma si esprime in sentenze, sulle quali il lettore affrettato passa via senza notarle, ed hanno invece un conte¬nuto profondo e possente. Si direbbe che il nostro caro Scrittore, coi suo fare semplice e piano, dove sembra timoroso del parlare non quo¬tidiano e comune a tutti, si lasci sfuggire, quasi da un lume nascosto, degli sprazzi di luce, che bastano da soli a illuminare tutto il quadro ch´egli fa contemplare, e sono cioè la parola adeguata della sintesi visuale, ond´egli apprende la storia dei fatti e la vicenda dello spirito che viene disegnando.
Di tali parole una compendia tutta la prima vita del suo santo fanciullo; un´altra la definisce nel tempo in cui fu suo alunno; una terza (non posta qui, ma nella Prefazione alla Vita di Michele Magone) dà in un tratto tutta la magnifica storia morale di quell´anima, dal primo inizio al culmine glorioso della santità.
AI chiudersi della prima età il santo Maestro rimane « non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva operato in quel tenero cuore » (i). Quando scrive la Vita richiama i suoi giovani let¬tori, ai quali è destinata, a ricordare le azioni del Savio, « il cui tenor di vita fu notoriamente meraviglioso » (2). E due anni dopo,. presen¬tando la Vita del Magone, segna la differenza da quella del Savio, nella quale « voi osservaste, dice, la virtù nata con lui, e coltivata fino all´eroismo in tutto il corso della sua vita mortale » (3). Aggiungete i miracoli, ed è la canonizzazione (4).
Su quest´ultima definizione non mi soffermo per ora, riferendo quel che i Processi hanno fatto conoscere del concetto ch´ebbe Don Bosco della santità del suo alunno: ne rilevo la parola della « virtù nata con esso » per aprirmi la via al tema di questa parte del mio studio che versa sulla prima età del giovanetto Venerabile.
· (i) Vita, cap. VII. — La parola ricorre anche, ma più debolmente, nella let¬tera del Cappellani) Don Zucca (cap. II, pag. 13, ediz. Is), ma è un imprestito
che Don Bosco fa al documento di cui rifà il periodo: « nel vederlo io ho più volte detto: Ecco un figlio di buone speranze ». Il periodo si continua in una serie d´idee fuor di proposito e non riferite. Cfr. Somm. Proc., tit. XXII, Documenta: pag. 446.
(a) Vita, Prefaz. pag. 5 (la ediz.).
(3) Vita di Michele Magone, (1861), prefaz., pag. 5.
(4) Infatti, senz´aver stabilito il grado eroico delle virtù, non si procede all´esame dei miracoli, e quando si giunge a quello, lo si dichiara g,i´a Venerabile. Così è avvenuto pel Savio il 9 luglio 1g33•
7
La prima età di Savio Domenico, fino ai dodici anni, quando Don Bosco lo divinò (è la parola più propria), è la storia d´una « virtù nata con esso » e dei « lavori che la grazia divina aveva operato in quel tenero cuore ». In questa luce dobbiamo vederlo noi, leggendolo nei primi sette capitoli della Vita, ed aiutandoci con i riferimenti dei Processi, i quali ne sono una conferma e una illustrazione. Una vi¬sione così penetrante e precisa non deve passare come detta senza un perchè fondato e convinto, e, più che tutto, illuminato dall´intuito di un Santo.
Il medesimo, fatte le debite proporzioni, avvenne per S. Luigi Gonzaga, anch´esso dodicenne, quando nel 1580 s´incontrò con San Carlo B.orrorneo, il quale, fattolo passare nella sua camera, si trattenne con lui, e restò meravigliato dei prodigi operati dalla grazia in questo fanciullo, senza l´aiuto di alcuna direzione esteriore (i). Il Santo co¬nobbe subito il Santo.
Veramente, ad una semplice lettura di queste pagine della Vita, non appare codesto tessuto di azione soprannaturale, né i testi dei Processi mostrano d´averne avuto sentore. Il piccolo Minot non ebbe la fortuna del Besucco, il quale, fisiche stette in paese, fu sempre seguito dall´occhio amoroso e sagace del suo buon padrino arciprete, che lo guidava per le vie di Dio, e, dopo la morte di lui, ne rese una relazione minutissima a Don Bosco, già intonata a sentimenti di or¬dine superiore: del Savio, i compagni di scuola e i compaesani non potevano vedere se non quello che ognuno vede nella piccola vita di un fanciullo, ed essi parlano di cose lontane di più che mezzo secolo, quand´esci erano fanciulli al par di lui.
Stanno, per buona ventura, le relazioni dei tre maestri di scuola, due dei quali sono pure Cappellani del paese, e per esse conosciamo qualche circostanza e qualche fatto di non secondario interesse. Ma e questo, e il resto che lo Scrittore ha potuto raccogliere e viene espo¬nendo, non avrebbe, cosa per cosa, quel senso di soprannaturale, che Don Bosco vi ha pur veduto, per giungere ad una conclusione come quella che leggiamo. Se anche non lo dice ad ogni passo, bisogna convenire ch´egli avesse l´intenzione di farlo sentire, non con un solo riflesso teologico, ma come un´azione della grazia in ogni fatto.
E qui mi giova un argomento, del quale mi valgo, per altro fine,
anche nello studio sulla Vita del Besucco. Dico dell´affinità che la fanciullezza del Savio ha con quella di molti Santi della Chiesa, dei quali il Breviario ricorda le virtù giovanili. Ne ho presenti una quaran¬tina tra i Santi confessori del Breviario Romano e del diocesano to
(i) MESCRLER, Vita di S. Luigi Gonzaga, trad. Testore, pag. 48.
8
rinese (i). Di essi le Lezioni dell´Ufficio ricordano, con poco divario di espressioni sinonime, che fin dalla prima età (infanzia e fanciullezza), diedero segno della futura santità (2): ricordano la pietà subito sboc¬ciata, l´amor della preghiera, l´animo alieno dalle divagazioni e allet¬tamenti puerili, la gravitas o compostezza, il raccoglimento, anche il precoce istinto di mortificazione; ricordano, più raramente, qualche atto particolare o abito di virtù: di molti la castigatezza dei costumi e l´abborrimento d´ogni cosa o parola men che onesta. Di parecchi si noti l´ammirazione che destavano le loro giovanili virtù e la divo¬zione del contegno. Non mancano fatti paralleli a quelli che incon¬triamo nel nostro santino, e che a suo luogo annoteremo.
Ma tutto questo è ordinato a mostrare che la santità di quei primi anni era già un indizio della santità che poi si maturò nella vita susse¬guente: non più, e non come una santità raggiunta nella giovinezza. Ed è naturale: santi fanciulli e santi di prima adolescenza se n´ebbero pochi, e solo quando fiorirono Stanislao K ostica, morto a 18 anni, Giovanni Berckmans, morto a 23 anni, e S. Luigi Gonzaga, morto
a 23 anni, ma santo qualificato già a 16 anni, quando entrò nella Com
pagnia. E per questi le lezioni del Breviario dicono della santità fan¬ciulla ben più che per tutti gli altri.
Tuttavia una santità compiuta, morendo a 15 anni, non è ancora registrata nel catalogo dei Santi, è dovrebb´essere quella del Savio.
Per lui le sante opere non sono futurae sanctitatis indivia, ma sono appunto la sua propria santità.
L´argomento di cui voglio valermi ci sta per questo, che dunque la fanciullezza di Savio Domenico è una fanciullezza di Santo, alla quale, secondo il sentimento della Chiesa per quegli altri Santi, con¬corre la grazia preveniente di Dio: ciò che dà ragione a Don Bosco
nello scorgere in quell´anima « i lavori che la grazia divina aveva operato ».
Ed anche mi giova a spiegare la stima dei coetanei e dei coevi: che tutti, o scrivendo o testificando giuridicamente, confermarono per sè e per altri, che fin da fanciulletto il Savio era tenuto per un piccolo santo. Carlo Savio, suo condiscepolo, dice appunto che vedendolo trattenersi dopo la funzioni a pregare davanti alla Madonna, i com¬pagni dicevano: « Savio è là che prega: egli vuoi farsi santo » (3). E il buon Cappellano maestro don Cugliero lo raccomanda a Don Bosco dicendo che « troverà un S. Luigi » (4).
(i) I Martiri e Ie Sante non fanno al caso nostro.
(2) Ab ineunte aetate futurae sanctitatis specimen (indivia) dedit, etc.
(3) Somm. Proc. Apostolico, pag. 47.
(4) Vita, cap. VII, ra ediz., 34.
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Teniamoci adunque alla sentenza di Don Bosco: la prima età di Savio Domenico è intessuta dei « lavori della grazia divina ». Con quella della «virtù nata con lui» è un´idea che trasporta subito nella regione propria la vita del nostro giovanetto: il lato umano, laicizzante, della consueta psicologia è messo senz´altro da parte. Don Bosco inserisce tutto nel mondo dei valori divini; perchè a spiegare i Santi senza il soprannaturale non si riesce a nulla di concludente e com¬piuto (i).
Non occorre tutto il cumulo dei fatti prodigiosi che accompagna¬rono l´infanzia, e perfino il nascere, di certi santi (per stare in tema, ricordo S. Stanislao Kostka),- perchè la vita di questo, fanciullo appaia, come Don Bosco la vede, involta nel nimbo del soprannaturale. È, come disse il Card. Cagliero al Processo, sensibile in Iui la gratia praeveniens (2), ed egli è santo, come la teologia più profonda intende il termine, per una consacrazione della grazia di Dio, che lo fa suo e lo destina ad esser tutto suo (3). Anche di lui avrebbe potuto dire il Segneri quel che di S. Luigi, che Cristo cacciatore, anzi predatore di anime, lo predò dal nido (4), ed egli fin dai primi anni rimase preda di Dio.
Questa è, se posso dir cosi, una pregiudiziale da premettere a tutte le disamine e considerazioni che possono condursi intorno alla storia intima e spirituale, ed anche intorno alla vita esteriore, del nostro piccolo santo. Allora trova suo posto e la nozione della relatività nel¬l´eroismo e quella della natura e della personalità. La sentenza di Benedetto XIV è che l´eroismo vuol essere commisurato alle occa¬sioni che si offrirono di esercitare le virtù, alla condizione, rango, stato della persona (5), ed anzi non deve esigersi per ogni qualsiasi virtù, ma soltanto per quelle che il Servo di Dio potè, secondo sua condizione e stato, esercitare (6).
L´essere le cose e i fatti della vita di Savio di umile e comunale apparenza non vieta pertanto che ci si veda quel senso che la grazia divina dà alle azioni fatte per suo impulso. Ed anche la vita dell´in¬fanzia e quella della prima fanciullezza hanno un valore per la vita
(i) Così pure pensava il Crispolti rispetto a S. Luigi. Cfr. S. Luigi Gonzaga, Saggio. za ediz., pag. 157.
(a) Somm. cit., pag• 322.
(3) C. V. I-Ikus, O P.: Il mistero di Cristo, trad. ital., Brescia, Morcelliana, 1938: pag• 55-56.
(4) Panegirico di S. Luigi, arde. III.
(5) De Sanctorum beatificatione et canonizatione, lib. III, zr.
(6) Op. cit., III, 13. -- I due passi sono addotti dall´Avvocato difensore (Mons. Salotti) nella risposta alle Animadversiones del Promotore della Fede contro la Introduzione della Causa. Cfr. Somm. Proc., cit., pag. 32 e pag. 6o.
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Seguendolo adunque nella sua maniera (dicono in arte) o, per meglio dire, interpretando la sua intenzione di vedere nella vita che si svolge una storia di santità, che, non occorre ripeterlo, è sostanzial¬mente il prodotto della vita vissuta e della grazia di Dio, noi leggiamo quei primi sette capitoli della Vita per farne, non un racconto am¬pliato e postillato da commenti, ma una traduzione in lingua di santi.
È il periodo della fanciullezza, e, per questo primo momento, del-l´infanzia, fino ai sette anni. Età che non si contempla mai senza un sorriso di poesia, come la prima fioritura di primavera. Nessuno che abbia scritto di santità fanciulle ha potuto farne a meno, e iI Faber, nel suo Betlemme, ha genialmente irradiato di codesta bellezza gl´in-segnamenti dell´infanzia di Gesù. Cosi han fatto il Meschler per San Luigi, e il Radini-Tedeschi e il Salotti per Savio Domenico (i). E se il nostro compito di segnare linee costruttive non sembra molto propizio ad intessere poeticamente il discorso, non è detto che al lettore non si dia campo di vedervi almeno il soi-riso della simpatia.
Vorrei qui riportare le due pagine che il Faber dedica, nell´opera testè ricordata, alla parte che ha l´infanzia nella preparazione dei fat¬tori della vita intera, dicendo che quello è « il tempo dell´incessante imparare », ed è quello « il solo semenzaio delle molte mietiture della vita, dove le messi sono seminate ad un tempo e in una apparente confusione, ma nascono e crescono poi in una ordinata successione, che indica una legge, non però esente da influenza di circostanze ». « Ma nello scorrere della vita quella che soprattutto si manifesta è l´influenza del padre, di cui la voce prende il tono, e il portamento prende il garbo, e molti piccoli modi non sono che un´imitazione lon¬tana di uno che non è più presente: la famiglia e le eredità di essa si riproducono senz´avvertirlo, e vivono nei ricordi della casapaterna » (2).
Ricordo queste pagine perchè fanno mirabilmente al caso nostro: quando si considera quale fu la famiglia dalla quale uscì il nostro pic¬colo santo, e quale fu il clima nel quale fiorì la sua infanzia.
Umile condizione, di gente che vive del suo lavoro, e deve traslo-carsi o cambiar mestiere per trovarne; gente sana del buon popolo subalpino delle campagne: quella medesima da cui provenne Don Bosco. Altri osservò che qui non ci hanno che vedere né tradizioni storiche, nè la nobiltà di un nome, nè il censo, nè altro di quanto
(i) MESCHLER, op. cit., pag. 25. — RADEVI-TEDESCHI, cit., pag. 17. SA
LOTTI, cap.. I, pag. I-IO.
(2) FABER, Betlemme, pag. 102-103.
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insomma fa una storia, e ne trasse argomento di contrapposti e di sentenze apologetiche (i). Con più alto pensiero PP. Pio XI diceva della « perfezione di vita cristiana in questo povero, umile figlio di modesta gente e di modestissima famiglia, non ricca che di aspira¬zioni cristiane, di vita cristiana vissuta, sebbene nelle più modeste condizioni, nell´esercizio ordinario, nel compimento degli ordinarli doveri di una vita comune » (a).
È uno scultorio elogio della famiglia dei Savio, dove i genitori sono « lodati dai vicini come cristiani esemplari » e si dice il Rosario a sera, e si va nelle stalle del vicinato a passar la sera col Rosario e con le buone letture, e il padre « assiduo cantore della parrocchia » era con¬siderato come « ottimo cattolico », e della madre, quando mori, disse il Parroco ai figliuoli: « Non state a pregare per vostra madre, perchè era una santa donna, ed ora è già in Paradiso » (3). In quella casa si respirava l´aria di Dio. E il primo capitolo ce lo fa sentire intorno al bimbo, che a quattro anni sa già tutte le orazioni, e ricorda agli altri le preghiere della mensa.
Bella figura quella del padre, e non si toglie valore alla santità del figlio, dicendo che da lui deve aver ritratto più che i lineamenti di famiglia. Intanto ebbe dieci figliuoli, di cui Domenico, se non fu, rimase il primogenito (4): segno di una moralità ispirata alla fede nella Provvidenza. Era agricoltore, e si diede a fare il fabbro per aver lavoro, e lo andò a cercare dal piccolo borgo di Mondonio a Riva di Chieri, dove-nacque il Nostro, e poi, nel 1844, a Murialdo, e di nuovo a Mondonio. La madre faceva la sarta di paese. Il pane in quella casa non mancò mai. Una circostanza singolare ci mostra l´intraprendenza e la sagacia di quell´uomo. Negli Atti di Matrimonio (i 840) esso è dato per illitterato, e. cosi pure nell´Atto di Battesimo del Domenico (184z) (5). Eppure quando il figlio è presso a morire, gli legge, sul
(i) Riamm-Tanasem, da, pag. 14 e pag.. (al Discorso del 9 luglio, art. 3.
(3) Somm., cit., pag. 43, 47, 50, 84.
(4) Ìc un fatto non conosciuto. Un primo figlio era nato il 3 novembre 1840 in Mondonio, a cui furono imposti i nomi di Domenico Giuseppe Carlo. Esso premorì (r8 nov. 1840) alla nascita del nostro, che ne ereditò i nomi. Così dai Registri Parrocchiali di Mondonio, cortesemente esplorati per me dall´attuale Par¬roco Rev. D. Pietro Trinchero. Ed è segno di buone tradizioni familiari iî fatto che al primogenito si impongono í nomi deí nonni paterno e materno, Dome¬nico e Giuseppe. Il padre era nativo di Castelnuovo, fraz. Ranello.
(5) I due Atti sono pubblicati in facsimile nell´ediz. AMADEI della Vita, 1908, pag. 22r e 23r. Al tempo del matrimonio il padre aveva 24 anni (n. 1816) e la madre zo (182o). — E però singolare (e lo osserva anche D. Trinchero) che nel¬l´Atto di Battesimo del primo figlio (4 nov. 184o) il padre firma di sua propria
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Giovane Provveduto le preghiere della buona morte, e scrive di sua mano a Don Bosco la commossa lettera dell´annunzio, che ancora si conserva. Imparò dunque a scrivere quando già era padre di famiglia, a tempo perso, trammezzo alla vita faticosa. E mandò a scuola i figliuoli, tra i quali la figlia Teresa Tosco Savio, buona e stimata ope¬raia presso la Regia di Torino, dimostrò al Processo del fratello (1915) e in più altre circostanze un´intelligenza e assennatezza superiori alla sua condizione.
E poi quell´uomo e quella santa madre, pur nell´umiltà e povertà del vivere, dovettero possedere e trasmettere certe abitudini e ma¬niere, che nella vita rusticana non sogliono essere comuni. Per esem¬pio, una delle qualità di cui tutti i compagni del Savio, e perfino i maestri suoi di Torino, diedero testimonianza, fu la pulizia e il buon assetto della personcina, vestita, si, da poveretto, ma tenuta in modo da non spiacere neppure a condiscepoli di condizione elevata (i). E cosi tutti, senz´eccezione, hanno detto delle sue maniere cortesi e gentili, e « civile » è la parola che lo descrive d´un tratto. E questo fin dai primi giorni, e con un condimento di gaiezza e di naturalezza che formava l´incanto della sua compagnia (2). Sono qualità che non si acquistano in un giorno, e non mai tanto che non trapeli la rustica ori¬gine. Non era il villan che s´inurba. Il Besucco, santo fanciullo quanto si può dire, non riuscì mai a raffinarsi. E noi diciamo: dov´ha impa¬rato il nostro Domenico quelle maniere e quel contegno ? Si, la san¬tità trasforma, e rende buoni e amabili, ma il garbo non lo insegna, e dobbiamo convenire che in quella povera casa ce ne fosse lo stile. Anche tra la povera gente s´incontra quella lindura di assetto e quella semplice cortesia e garbatezza di maniere che, purtroppo, non si trova sempre nelle case dei fortunati, e che ce la rende tanto più degna di rispetto.
La madre di Don Bosco, anch´essa campagnuola e itlitterata, come la madre del Savio, fu povera, ma ordinata e pulita (3), ed egli vesti sempre poveramente, ma senza trascuraggini: e quanto a ma¬niere, chi l´ha conosciuto sa ch´egli era, con tutta naturalezza, ben educato e civile.
Non può applicarsi, nel fatto deI Savio, la celebre sentenza di
mano, come si vede nel Registro Nascite e Battesimi della Parrocchia. Segno in¬somma che sapeva leggere, ma poco scrivere, e non osò sempre farlo.
(r) Somm. Proc., cit., pag. 27r. Dep. di D. Rua Michele: u non ambiva ele¬ganza di abiti, sebbene amasse la pulizia, ed in questo, come in ogni altra virtù, era di esempio ai compagni ».
(2) Somm. cit., Dep. Anfossi, pag. 77; Ballesio, 373. •
(3) Mem. Biogr., cit., I, 72-73.
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Ludovico Vives: Nam pauperurn jiliis nullum est inajus periculum quam a rudi, sordida et incivili educatione: in casa Savio si è poveri, ma non volgari, non sporchi, non grossolani. E vuoi dir molto.
Su questo tema della povertà dovrò tornar più oltre, per trarne un riflesso pedagogico. Ma qui giova averlo notato, per la ragione sopracz cennata del continuarsi nella vita ciò che s´è appreso nella fanciullezza e nell´infanzia.
Dai suoi genitori trasse il nostro santino la complessione fisica. Tutti lo ricordano coi diminutivi o accompagnano il nome coll´epi¬teto di piccolo, anche quando avrebbe dovuto essere grandicello (t). E mori a meno di un mese dai 15 anni: consunto o, pensando come il Dott. Vallauri, consumato dalla stessa nostalgia del paradiso. E se si pensa che dei fratelli suoi nati in quel tempo, quattro erano già morti, si è tratti a pensare che o il sangue o la povertà vi avessero parte. Lasciamo quest´ultima, che non c´entra, perchè a casa sua non si patì la fame nè la vera miseria: « qualche strettezza, si, della quale
mai non fece lamento » (2).
La complessione gracilina di Domenico non dipendeva dal sangue,
come non ne derivava la malattia che lo consumò giovinetto (3). Il padre visse fino ai 75 anni, e lo conobbi io, vecchio sì, ma sano e con le tracce della vigoria passata. La madre mori nel 1870, ed era sanissima. La sorella Teresa, nata nel 1859, era ben vegeta e sveglia a 56 anni quando testimoniò al processo, e lavorava ancora alla fabbrica.
E insomma non si può dire che il nostro santino sia stato votato alla santità da una debolezza nativa e da una complessione che con¬danna alla malinconia e all´impressionabilità, e rende proclivi all´esal¬tazione (4). Egli ha finito a quindici anni il suo corso, perché quel che crea la vita, ed è signore del tempo, ha voluto creare (la grazia non è anch´essa una creazione,?) (5) un tipo di santità capace di adem
(i) È perciò erroneo rappresentarlo sia pure per fine di edificazione, come fu fatto fare al Kirchmayr, in aspetto di giovanotto o di ragazzo ben maturo.
(2) Somm., 296: dep. Teresa Tosco-Savio.
(3) Il teste D. G. Branda (Somm., 3o9) depose d´aver udito raccontare nel 1869 da Don Bosco il fatto d´un piccolo trionfo di solista in una funzione celebrata alla Consolata di Torino, nel quale il Savio si sarebbe turbato per le lodi avute della bella voce e della buona esecuzione, con che la sua umiltà veniva messa a peri¬colo e si perdeva il merito della buona azione. Ma è evidente che il Branda attri¬buiva al Savio il fatto del Magone. (Cfr. Vita di M. Magone, cap. VI).
(4) Joi..y, ob. cit., pag. e pag. 52, ha riflessi di questo genere: può dirsi
anzi che la tesi del suo libro consista nel dimostrare che la santità non è il pro¬dotto d´una forma psichica morbosa come Ia pseudo-scienza del laicismo pretende
rebbe.
(5) FABER, Creatore e Creatura, pag. 158.
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piersi in quella età, e non è troppo ardito pensare che l´abbia voluto per fini comprensibili anche a noi: primo tra tutti l´esempio per la gioventù.
Neppure deve credersi che la virtù, quella specialmente che si dimostra nei rapporti sociali, derivasse da temperamento poco suscet¬tibile di emozioni o timido o apatico: i Processi lo dicono (testi Don Rua, Cerruti, Cagliero) di « carattere vivace, indole pronta, sensibile alle contrarietà » che però « non fu mai visto alterarsi », e si che non ne mancarono occasioni anche eroiche (t).
Don Bosco dice che « aveva sortito dalla natura un´indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà» (cap. I): altrove ci mette innanzi dei tratti di buon cuore, confermati con ricco apporto di cir¬costanze dai Processi (2), i quali danno pure ragione della nativa dispo¬sizione del cuore alla pietà (3).
E all´indole sua appartiene quel suo perpetuo sorriso, quella gio¬condità che, se nella coscienza della grazia di Dio trova la fonte che la ravviva, ha nel temperamento e nell´indole la sua prima radice. Nel
l´ « indole buona» del Savio si deve riconoscere codesta nota di letizia e di serenità, ch´è tanta parte e precipua della simpatia che conquista. Ed anche questa è voce unanime di quanti lo conobbero, e fa parte del ritratto che ne riesce. Segno, diciamolo ancora, che non era un essere malato.
Egli è un caro bimbo, vivo, sorridente, lieto, amoroso e amorevole, che si tira i baci (4), e ne dà a babbo e mamma, e sa star buono da se, senza bisogno di richiami. Don Bosco ha fatto parlare quei fortu¬nati genitori, e n´ha avuto quella risposta ch´egli scrive, e che ritrae, in tocchi ben fermi la bellezza dell´indole e la bontà precoce di lui (5). Essi gli dicono del cuore, del buon cuore. Sta sempre intorno alla mamma e non la lascia che per pregare; pel babbo, che torna a casa dal lavoro, il suo affetto trova gesti e maniere affascinanti. Don Bosco si compiace in descrivere come gli va incontro festoso (nel Processo è detto che gli toglieva i ferri di mano) e gli salta al collo, e gli di
(i) Somm. Proc., pag. 278 e seg.: art. XIII, De heroica fortitudine. — Così il Senerii nel Panegirico di S. Luigi, art. VI. — Cfr. Vita, cap. I, ediz. 1a, pag. 7.
(2) Vita, cap. IX, XI, XII. — Somm. Proc., tit. IX, De heroica caritate in pratimum.
(3) Somm., tit. VIII: De heroica caritate in Deum.
(4) La parola è di Mons. Meriano Soller, arcivescovo di Montevideo, set¬tembre 1907, in una lettera variamente pubblicata e allegata ai Processi.
(5) Vita, cap. I, pag. 9: Fin dalla più tenera età, nella quale per mancanza di riflessione i fanciulli sono un disturbo e un cruccio continuo per Ie madri: età in cui tutto vogliono vedere, toccare, e per Io più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere s. Si legga l´intera pagina.
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mostra di capire che è stanco e che lavora per lui, e che pregherà per lui, e gli appronta lo scanno perché si segga, e lo copro di carezze,
e il buon uomo si rifà tutto in quell´amore (i). E la sorella attesta che già allora dava ai poverelli i pochi soldini avuti in regalo ed anche il pane che aveva tra mano (z).
E sono i genitori che dicono della piccola mente che si rivela. Più oltre si vedrà che Dio lo ha dotato di buona intelligenza: da bimbo egli la manifesta nell´imparare « con meravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera (in piemontese: dì ´I bin = dire il bene), si che a quattro anni già recitavale da sè ». E se non ne capiva tutto il senso, sapeva che con quello si parlava al Signore e, se in qualche momento si allontanava dalla mamma, « era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa a fare con maggior libertà preghiere lungo il giorno » (3).
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Con questo ricordo ci si scopre l´altro quadro. Fin qui s´è detto della natura; felicissima, si, ma non più che natura. Quest´altro tocco segna una nota che appartiene al mondo dello spirito, e, per dir breve, a quello della grazia di Dio.
Io non voglio qui applicare quel ch´è detto della fanciullezza di Gesù in S. Luca: non c´è proporzione (4). Ma il concetto serve a noi per vedere in ogni anima santa la legge del progresso della vita spiri¬tuale. È una crescenza soprannaturale in virtù della grazia santificante: crescenza in Cristo: uno svolgersi della grazia secundum mensuram donationis Christi (i). E vorrei poter trasportare qui. il capitolo del classico libro di Columba-Marmion, che svolge ampiamente e pro¬fondamente questo concetto (6).
Ma per l´economia del nostro discorso non occorre tanto. È dot¬trina della Chiesa, che il Battesimo, oltre a darci la grazia santificante, che ci fa amici di Dio, ci infonde anche i doni soprannaturali dello
(i) Vita, cap. I, pag. 9.
(a) &mut. Proc., Teresa Tosco-Savio, 217-218.
(3) Vita, cap. I, pag. 8. Lo dice anche il Segneri di S. Luigi: .3 Bambino di men che quattro anni è trasportato da interno istinto a congiungersi tanto stret¬tamente con Dio, che lo trovano spesso tutto intento a pregare nei canti della casa 1. Paneg., art. VI.
(4) Luc., II, .40: Pacar autem crescebat et confortabatur, plenus sapientia; et gratia Dei erat in
(5) EP», IV, 7.
(6) Le Christ vie de I´dme, p. II, cap. VI: » Notre croissance surnaturelle dans le Christ 5, pag. 278-313.
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Spirito Santo: « abiti cioè, come dice S. Bonaventura, disponenti a seguire l´istinto dello Spirito Santo » (I). Cotesti impulsi della grazia (che sono altra cosa dallo stato di grazia) differiscono da uomo a uomo: appunto secondo il detto citato di S. Paolo. E se, come s´è veduto, nell´anima del caro bambino si, rivelano già i primi accenni delle virtù naturali, che noi chiamiamo i buoni istinti che perfezio¬nano l´essere naturale soprattutto nel fatto morale, è innegabile, per chi ripensi attentamente ai fatti dell´infanzia del Savio, che subito vi compare l´intervento delle virtù infuse o soprannaturali, che le in¬nalza e le trasforma: quelle che la grazia di Dio depone direttamente egli stesso fin dal Battesimo colla grazia santificante, e Sostiene poi con altrettante grazie speciali, che sono il lavoro della grazia di Dio. E se ciò si dice delle virtù teologali, può e deve dirsi parimenti delle virtù morali: quistione ardua in astratto, e risoluta praticamente nella storia d´una giovane anima di santo, dove si rivela, si sente, il digitus paternae dexterae (a).
Mettete accanto a queste elementari dottrine la parola di Don Bosco che dice della « virtù nata con lui e coltivata fino all´eroismo per tutto il corso della sua vita mortale », e di « quelle virtù che noi abbiam ´veduto nascere e crescere nei varii stadi della sua età» (cap. VIII), e quell´altra dei « lavori della grazia di Dio », e vedrete come il Santo biografo abbia intuito quella crescenza in Cristo nella quale si compendia la vita morale e soprannaturale del nostro piccolo Santo.
E, per esempio, se pensiamo che tra i sette doni dello Spirito Santo vi è quello della pietà, che può definirsi raggio divino che illu¬mina la mente e piega il cuore ad adorare Iddio come nostro amatis¬simo Padre, con una tenerezza che supera il solo fatto del culto for¬male (3): noi ci spieghiamo appunto quel primo istinto ed impulso a pregare che il bimbo rivela appena sa parlare, e lo porta a pregare da sè in disparte, e lo orienta insomma verso la divozione, che poi si specializzerà nelle diverse divozioni (4).
Don Bosco soggiunge: « La sua devozione cresceva più dell´età, e a soli quattro anni non occorreva più di avvertirlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell´Angelus: che anzi egli medesimo invitava gli altri di casa a recitare, qualora
(I) FABER, Progr. cit., pag. 351.
(2) COLUMBA-MARIVIION, Cit., pag. 154.
(3) COLUIVLBA-MARMION, op. cit., — FABER, Progressi dell´anima, pa
gina 351. Anche più espressamente affettivo è il concetto della pietà nella defi¬nizione del TANQUEREY, Compendio di teologia Ascetica e Mistica, n. 1325.
(4) FABER, Progressi, cit., cap. XXII.
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se ne fossero dimenticati ». E in quarta edizione (1866) aggiunse i due aneddoti del rammentare ai genitori la preghiera, e il piccolo dramma di protesta per la trascuratezza d´un tale che si asside a mensa « come le bestie » (i).
Come per S. Luigi, avviene nel nostro una prima precoce rivela¬zione, come uno schiudersi della gemma che poi darà il fiore. La pietà prende una forma, e il cuore si dilata nell´amor di Dio, riflettendosi nella vita esteriore.
E si dischiude allora, tra i cinque e i sette anni, l´anima alle espan¬sioni dell´amor divino, alla pietà, che giunge al fatto eroico. Qui ancora
stanno le parole del Segneri: « Come l´eliotropio si volge al sole, come la calamita si volge al ferro,... C,Osi certe anime singolarmente elette da Dio sogliono avere non so quale occulta virtù, che interior¬mente trasportale a ricercarlo prima ancora che lo possano cono¬scere » (z).
E così il primo lampo di ragione che gli splende nella mente è quel¬lo che come da un alto sonno lo risveglia, e fa che con gran chiarezza
viene a conoscere Iddio e a dedicarsegli don altrettanto fervore. Egli,
come S. Luigi, può dire di aver cominciato ad amare Iddio nel primo istante che cominciò a conoscerlo (3). Prima lo riveriva e amava per
un istinto, ch´era una grazia di Dio: ora, con precocità di amore, si abbracciava a Lui, filialmente, come col padre suo. Dice bene il Ra¬dini-Tedeschi: « i cinque anni sono per lui il principio d´una precoce maturità» (4).
Non è una frase oratoria, è una realtà. Don Bosco nota senz´altro che « qui ci sono cose che appena si crederebbero, se chi le asserisce
non escludesse i nostri dubbi » (5). E riporta la relazione del cappel¬lano-maestro di Murialdo, dove ora stavano i Savio, che descrive il fanciulletto di forse cinqu´anni che va alla chiesa con la mamma: « la serenità del suo sembiante, la compostezza della persona, il suo atteggiamento divoto, trassero sopra di lui gli sguardi miei e quelli degli altri ». Com´è detto di parecchi santi, e dí S. Luigi (6).
Ma poi ci va da se, e se la trova chiusa, si reca sul limitare della
(i) Nel Processo (cfr. Sonno. cit., pag. 44, dep. Tosco-Savio) il fatto è anche più vivace: I Si allontanò da tavola, e andò con la scodella in mano a mangiare in un cantuccio
(z) Panegirico, cit., art. IV.
(3) SEGNERI, loc. Cit.
(4) 01. cita pag. 16.
(5) Vita, cap. II, pag. Io (ediz. 39-).
(6) Cfr. Lez. del Breviario per S. Leonardo da P. M., S. Giovanni Nepo¬muceno, ecc.: per S. Luigi, cfr. MESCFILER, Vita cit., pag. 24, dove cita i Boi¬landisti 924-F.
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porta, si mette ín ginocchio, e col capolino chinato e le manine giunte innanzi al petto, prega fervorosamente, finchè sia aperta la chiesa. E talvolta c´è fango, o piove, o nevica: « Ma egli a nulla badava e vi si metteva ugualmente ginocchioni a pregare» (I).
É l´eroismo d´un fanciullino: tutto l´eroismo di cui è capace a qual-l´età l´amore di quell´anima. E proprio in quegli anni, circa il 1846-47, a Mornese, una fanciulla santa faceva il medesimo, portando in chiesa la neve sugli zoccoli, che si gelava stillando sul suolo. Era la B. Maz¬zarello (z).
E imparò a servir la messa, a cinque anni, e i graziosi aneddoti non mancano, a mostrare lo sforzo del piccino che non arriva all´altare e non regge al peso del messale: eppure, per fargli piacere, basta acco¬stargli il leggio perchè possa far da sè. E serve devotissimamente (3).
Qui si sente il soprannaturale, il lavoro della grazia di Dio. Sono anzi i misteri della grazia. Dei Santi noi conosciamo • solo la vita esterna: le operazioni intime della grazia rimangono un segreto, un mistero per noi: sono i modi di Dio verso l´anima umana, modi misteriosi (4). Ma i fatti esteriori ci fanno intendere che appunto vi deve intervenire un qualche cosa di misterioso, di cui non riusciamo a disegnare la forma, mentre ne sentiamo la presenza.
Ed è un´attrazione secreta, che rapisce l´anima del Santo oltre la sfera della vita semplicemente buona, e che nessun argomento psico¬logico riuscirà mai a spiegare. Qui vi è un fascino secreto in azione, niente meno di un fascino: ed è la bellezza di Gesù, ch´è la vita e la luce del cielo delle anime. Anche sui fanciulli agisce codesto fascino: fanciulli, come il Nostro, santi nell´infanzia, dei quali la ragione fu anticipata affinchè potessero amare Gesù: un fascino che li rapisce e porta fino agli atti eroici (5).
Solo il soprannaturale (e Don Bosco lo lascia intendere colle pa
(i) Vita, pag. rr. — La lettera originale di Don Zucca (riferita in Somm. Proc., pag. 445), alquanto racconciata da Dori Bosco (e ce n´era bisogno!) non ci dà questo particolare: ma l´Autore deve ´averlo saputo parlando con lui, ed è del resto accertato nel Processo dalla sorella: ci I cappellani e i devoti lo trovavano inginocchiato e intirizzito dal freddo sulla porta della chiesa ». Somm. Proc., pagi¬na 43. — Nelle Animadversiones della Sez. Storica si contestò all´Autore il rifaci-mento del documento originale (che non poteva inserirsi tale e quale), ma non il fatto come fosse inventato.
(a) E lo si leggerà ancora, pochi anni dopo, di Francesco Besucco in Ar¬gentera.
(3) Vita, pag. 12. — I Processi confermano e completano con vani partico¬lari i riferimenti dei Cappellano. Per S. Luigi, cfr. MESCtILER, cit., pag. 24.
(4) FABER, // SS. Sacramento, pag. 233 e 299.
(5) La dottrina è del FABER, Creatore e Creatura, pag. 407-409.
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role che abbian ricordate) ci può spiegare ciò che avviene in questo fanciullo. E il soprannaturale lo circonda anche visibilmente_ fl padre di lui ricorda che, portandolo una volta ad una festa in un borgo vi¬cino, al ritorno si tapinava per la stanchezza del cammino: ed ecco un giovinotto gli compare accanto, che se lo piglia in braccio e lo porta fin presso casa, e scompare. E il buon padre pensa ad un fatto mira¬coloso (a).
Più tardi, ma forse non troppo, l´Angelo suo lo aiuta a trar fuori dall´acqua, ove rischia d´annegare, la sorellina Raimonda, certamente ben greve per le sue forze, ed alla meraviglia degli altri risponde: « Non è colle sole mie forze che son riuscito: perchè, mentre con un braccio tenevo la sorella, dall´altra mano ero aiutato dall´Angelo Cu¬stode» (2).
Quando si pensa a tale stato d´animo, quasi non meraviglia più o si trova naturale che la sua condotta esterna fosse quella di un caro fanciullino che non manca in nulla, e alla scuola, dov´è messo a sei anni, profitta per la sua diligenza ed è la consolazione del maestro. Comincia a manifestarsi la sua precisione nel dovere, che sarà ammi¬rata poi sempre anche dai condiscepoli, ed è il primo segno, più tan¬gibile ed indispensabile, della vera pietà; così si afferma la sua com¬postezza e, se può dirsi, serietà, nell´avversione alle consuete monel¬lerie, e peggio, dei compagni discoli e scioperati; già si delinea in quel primo vivere sociale il suo spirito alieno dalle contese, e più, la sua pazienza, che diventerà un giorno eroica, nel sopportare gl´insulti dei compagni e nell´allontanarsene senza ripicca. E non adduco, per brevità, ciò che si legge, nel Breviario, dell´infanzia di molti Santi, dei quali, con poca varietà,, si ricorda che gravem et a nugis alienam indolem puerili aetate ostendit (3).
Pensando a codesta infanzia, non si può non ricordare le parole del Cagliero, che conobbe ed amò teneramente l´angelico fanciullo, quando affermava che: « egli praticò le virtù teologali, carelinali e morali in modo non comune, e con tanta spontaneità e facilità, che fanno conoscere averne come un abito fin dalla prima infanzia » (4).
(I) SALOTTI, op. cit., cap. XV, 178. — Ricavato dai Processi. (z) Somm. Proc., pag. 218, dep. Teresa Tosco-Savio.
(3) S. Ben. jos. Labre, Lect. IV. Cfr. pure le lezioni di S. Giuseppe della Croce, S. Alfonso Lig., Raimondo di Pennafort, Brunone, Lorenzo da Brindisi, Ludovico da Tolosa, e a.
(4) Somm. Proc., pag. 102. — II medesimo asseriva (Ibid., pag. 99) D. Giovanni Melica: e Praticava le virtù con tanta naturalezza, da poter dire che erano già ra¬dicate in h, fin dall´infanzia. ».
8 VIGL1A, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
CAPITOLO II
I sette anni: la sua parola.
I sette anni sono, per la breve e pienissima storia di Savio Dome¬nico, una data; la prima vera e grande data della sua santità. Don Bosco, il quale non si è dato troppo pensiero della cronologia bio¬grafica (e lo dice, al capo VIII) ha tuttavia segnato i tempi dell´anima, almeno nelle ore e momenti decisivi: segno che gli stava a cuore la storia intima non meno della vita esterna in cui quella si rifletteva e dimostrava.
t stato detto che le vere date della vita umana sono i giorni e le ore in cui si ebbe una nuova idea di Dio (i); e il sintomo più sicuro del crescere in santità è il sempre crescente sensibile amor di Gesù (2). L´uno e l´altro fatto si avverano in queste ore dell´anima: in Savio come in S. Luigi.
Il fascino di Gesù, che lavora l´anima prima della conoscenza, come ha notato il Segneri, diviene amore consapevole quando la co¬gnizione si dischiude nello svelarsi dell´intelletto; ai sette anni, per gl´individui meglio dotati, e nel caso nostro singolarmente privile¬giati, sembra quasi che il crepuscolo degli anni primi si apra ad una Ince, mattutina ancora, ma luce chiara. Ed è stupendo codesto illu¬minarsi del cielo dell´anima nelle creature di santità che non giunge¬ranno a sera: sembra che il Creatore vi disponga più serrate le ore e più vivido il chiarore, anticipando il meriggio. Gli è che alla luce del giorno di tutti si aggiunge, e a certo momento sottentra, una luce che non è più di natura, ma di cielo; e si fa il giorno della grazia pieno e radioso prima del meriggio degli astri.
Tra il Savio e San Luigi (ed io li ravvicino tanto più volentieri, perché in queste prime ore non può pensarsi ad una imitazione che il nostro faccia del Gonzaga) corre più di una somiglianza di fatti e di incidenze di tempi. Per S. Luigi, dopo i primissimi albori dei cinque
FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 17. (2) Ihid., pag. 4o.
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anni, sono i sette anni, ch´egli chiamava il tempo della sua conver¬sione; i nove anni, in cui consacra a Maria la sua virtù angelica; gli undici anni, quando si dà alle penitenze più rigide; i dodici anni, al¬lorché, per la prima Comunione, egli apprende da S. Carlo la ´vita Eucaristica e la pratica dell´orazione. Non vado oltre, perché super¬fluo pel nostro confronto.
Nel Savio sono i cinque anni, colle prime tenerezze della pietà; i sett´anni, con la prima Comunione; i dodici, con la venuta all´Ora¬torio di Don Bosco, e qui l´Immacolata del 1854, la risoluzione di farsi santo nel marzo susseguente, e l´ultima, la più alta e radiosa delle sue ore, dopo l´istituzione della Compagnia dell´Immacolata Concezione. Sono, per la vicenda dell´anima che si santifica, altrettante ore e mo¬menti, e potremmo ben dire epoche, se si pensa al meraviglioso cu¬mulo di lavoro che la grazia di Dio opera in lui, e all´intensità di la¬voro ch´egli compie nel corrispondervi.
La santità consiste appunto nel corrispondere alla grazia. Nel fatto, una grazia prontamente corrisposta arreca un´altra grazia, e così di seguito, per una serie sempre crescente in numero, quantità, bellezza, efficacia, e l´irresistibile celerità del processo di santificazione, quale vediamo in questi santi di pochi anni, ci sí presenta come cosa da re¬starne sbalorditi. E se noi potessimo seguire nei singoli particolari, e ad una ad una, tali corrispondenze tra l´amor di Dio nell´anima e l´anima nell´amor di Dio, noi vedremmo come quasi inconsciamente essa è condotta ad altezze di santità, che la natura tremerebbe a con¬templarla quando è pervenuta all´elevazione per lei suprema, più che nella sua graduale ascensione: quella si vede finalmente; questa non si riesce a seguire, perché sono i modi di Dio segreti e miste¬riosi (t).
Codesto lavoro, percettibile almeno nei suoi effetti, si rivela, per il nostro piccolo santo, ai sette anni, e l´attrazione di Dio in quell´ora può dirsi che dia forma a tutta la vita.
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t l´ora della Prima Comunione. Noi sappiamo come quell´anima vi è disposta: Don Bosco (Capo III) dice pure che « ardeva dal desi¬derio di accostarvisi». Quel modesto cappellano di Murialdo, rude maestro della piccola scuola, ma buono e bravo prete, fu capace di
(i) Per la dottrina, cfr.: FABER, II piede della Croce, pag. 435-36; Betlemme, pag• 435-36; Betlemme, pag. 171; Il Prezioso Sangue, pag. 233 e pag. 299. (Ediz. Torino, Marietti).
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comprendere la cara anima del fanciulletto così sveglio nell´intelli¬genza e singolare nella devozione, nonostante l´apparenza troppo te¬nera del suo essere quasi di bimbo. E quell´aria e piccolezza infantile, aggiunta alla consuetudine dell´ammettere alla Comunione soltanto agli undici o dodici anni, era un ostacolo non lieve per adempiere al vivo desiderio del fanciullo e, perchè no ? a quello del maestro, che sentiva in lui qualche cosa che in altri non c´era. E si consigliò con altri sacerdoti, i quali considerando la cognizione precoce, l´istruzione (sapeva a memoria già tutto il piccolo catechismo) e i « vivi desiderii » di Domenico, « lasciarono da parte tutte le difficoltà e lo ammisero ».
La consuetudine adunque non era accettata formalisticamente (i), e i sacerdoti di quelle terre non erano rigoristi: diciamolo a loro me¬rito, e ad onore del clero dei paesi di Don Bosco. Si son dette tante inesattezze su questo proposito, perfino pensando a correnti gianseni¬stiche, da sentirsi ben lieti di poterle smentire coi fatti. Il Cagliero fu presente, tra gli undici e dodici anni, alla prima Comunione del Savio, facendo la sua terza Pasqua, e cioè era stato ammesso a nove anni (a), e non è detto che abbia incontrato difficoltà. Quei buoni preti seguivano appunto il criterio dell´ammettere alla Comunione « quando si sapeva distinguere il pane celeste dal pane terreno », come dice la lettera di Don Zucca, e come pensa Santa Chiesa (3).
Ritorno al concetto, espresso più sopra, dell´ardenza del desiderio ch´era nel fanciullo. Il fascino di Gesù, che davanti all´altare lo teneva assorto come in contemplazieine, era soprattutto quello che emana dal Magnete delle anime: Gesù presente nell´Eucarestia. L´idea di questa attrazione non è mia, e discende da due autori, ugualmente autore¬voli, e distanti fra loro: il Faber e il Columba-Marmion (4). Accet¬tiamola, che ci serve mirabilmente, traducendo la nozione del fascino
(i) La consuetudine, del resto, non era infondata, per quei tempi, molto an¬cora arretrati, quanto ad istruzione, rispetto ai nostri, specialmente nelle campagne. E non era del solo Piemonte, ma universale.
(2) Somm. Proc., Cagliero, pag. 533. La 55 Comunione del Cagliero era stata nel 1847, ed egli era nato nel 1838: nove anni. — Il Besucco, all´Argentera, dico. di Cuneo, fu ammesso alla Comunione a otto anni e mezzo, e pare che l´ottimo arciprete, suo padrino, non stesse a misurare i tempi col calendario neppur per gli altri.
(3) Decr. Quam singulari, di Papa Pio X (8 agosto 19/o): n ...aetatem discretio¬nis ad Communionem eam esse in qua puer panem eutharisticum a pane communi et corporari distinguere sciat, ut ad altare possit accedere s. E l´art. III ritorna nel concetto, collegandolo con la istruzione sufficiente e coi fine del ricevere l´Eu¬carestia colla miglior divozione possibile a quell´età.
(4) FABER, Il SS. Sacramento., lib. IV, cap. 6: Il magnete delle anime, 442¬46g. — COLUMBA-MARMION, op. cit., parte II, cap. VII. Ma il concetto e l´espres¬sione sono del Faber.
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e dell´orientamento magnetico dell´anima nel fatto spirituale del¬l´anima di quel bimbo che da tempo, dal primo accostarsi con mamma e da solo all´altare, si sentiva attratto verso quello e come portato da una forza arcana ad avvicinarsi e ad unirsi al Gesù che sentiva pre¬sente. È una mistica anticipata, ma non impossibile, sia che la ve¬diamo secondo la grazia, sia, chi lo crederebbe? che la collochiamo tra i fatti psicologici della mistica incosciente (i).
Don Bosco ha segnato ben tre volte in un capoverso codesta at¬trazione, dicendo di ardore, di vivo desiderio, e, naturalmente, confessa dí non aver parole per dire della gioia in cui quel desiderio appagato si effonde. Ce ne dà però il segno: il bimbo corre a dirlo con trasporto alla mamma, e poi sembra non trovar più posa nè contenersi: ora prega, ora legge, e si trattiene a lungo davanti all´altare prima e dopo messa: l´anima di lui è presente al suo Dio nella letizia dell´attesa: « pareva, dice Don Bosco, che l´anima sua abitasse già cogli angeli in cielo ». È una preparazione alla quale nessun libro può suggerire nulla; essa viene dal cuore, che palpita del sentimento indefinibile della vici-nanza di Dio.
Anche il rito farnigliare del perdono (2), ch´egli la sera innanzi al suo giorno viene a domandare alla mamma, con parole d´uso, con promesse singolarmente comuni, si compie tra quel trepidare del cuore: ed egli dà in pianto di commozione, che intenerisce quella donna fortunata, e le fa dire: « Prega Dio che ti conservi sempre buono » perchè sente che non ha nulla da rimproverare.
E così la preparazione immediata: l´ansioso correre sul primo mattino alla Chiesa, e l´aspettare pregando su quel suo consueto limi¬tare: ed entra il primo, e ci sta cinque ore, e n´esce l´ultimo. Quel giorno vi era anche il Cagliero undicenne, e faceva Ia sua terza Pa¬squa. Ed egli ricordò al processo l´ammirazione del popolo di Caste!, nuovo « per la divozione con la quale (il Savio) fece nella Pasqua del 1849 la sua prima Comunione, sia per la compostezza, sia per la sua pietà e divozione non mai veduta, come per la poca età dei sette anni » (3).
Don Bosco non s´indugia in commenti e parole ammirative, per interpretare quel che si passa nell´anima d´un innocente che si comu
(i) Riserbando a più oltre una particolare spiegazione, mi limito ad accennare alla dottrina del TANQUEREY, op. cit., e di JuLEs SEcomp, La prière (Paris, Alcan, 1911), cap. II e VIII.
(2) Era d´uso una volta, e raccomandato anche, preparando i giovanetti alla prima Comunione. Cfr. D. Bosco, Pietro, o la forza della buona educazione (cap. III,
pag. z8. Edizione 1855), dove le ingenue parole del fanciullo toccano il cuore
del padre traviato.
(3) Senni. Proc., cit., pag. 133.
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nica: ha così chiara la persuasione che quello scambio d´amore tra l´anima e Dio non si traduce colla parola umana, che qui e altrove (diciamo: sempre) evita ogni pia amplificazione (i). Ma una parolà basta .per tutte, e poi, si, viene la prova dei fatti nei quali quell´ora s´impronta allora e per sempre. « In tutto quel tempo, dice, non sa
peva più se fosse in cielo o in terra ». È l´esprimere con una frase fatta ciò che invece disegna uno stato d´animo misteriosamente oc
culto agli occhi, e che si avvera appunto nello stato mistico della consapevolezza dell´unione con Dio (a). L´età tenerissima del fan¬ciullo non è un impedimento a che l´anima privilegiata di lui non possa vivere misticamente quell´ora, come poi vivrà molte ore e molti giorni, in un assiduo senso della presenza di Dio e nel secreto collo¬quiare con Lui. Ce lo dirà a suo tempo Don Bosco stesso.
Intanto egli ci mette innanzi il valore capitale di quel giorno me¬morando per la storia spirituale del suo piccolo Santo. Capitale, di¬ciamo, giacchè « quel giorno fu per lui sempre memorabile, e si può chiamare un vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano ».
Esso lo dice, e Savio lo sentì: « Parecchi anni dopo, facendolo parlare della sua prima comunione, gli si vedeva ancor trasparire la più viva gioia sul volto. Oh! quello, soleva dire « fu per me il più bel giorno, ed un gran giorno! ».
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Che cosa dunque era passato, quel giorno, nell´anima di lui, da volgerlo per sempre verso le vie della santità, e segnare nella sua memoria intima quell´ora come una data memorabile e decisiva?
Quello che abbiam detto poco fa, e che la parola non descrive, e l´età, non aveva vietato che avvenisse: l´unione mistica dell´anima con
Dio, mediante un colloquio arcano e un patto secreto, e, si può dire, reciproco; una consacrazione offerta e accettata, con una sanzione divina e uno scambio di parola, quasi di firme, tra l´anima e Gesù.
Non è troppo argomentar così, per un fanciullo di appena sette anni. Chi può dire che cosa sia l´intelligenza d´un´anima permeata da Dio? E qui la precocità, anche umanamente parlando, s´era già affermata; tanto che, fuori d´ogni consuetudine, lo si era visto maturo e capace di tanto.
(i) Si confronti, per es., le pagine del Pietro (p. pr., n. 2) dove lo scrittore de¬scrive anche l´atto del comunicarsi; così quella del Besucco, dove D. Pepino s´in¬dugia in commenti. — Ma non sono pagine di Don Bosco.
(a) Lo vedremo a suo luogo, citando, per es. il TANQUEREY, 1448-r45o, e il SECOND, cit., cap.
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Non è troppo; e la prova sta in quei Ricordi che le sue piccole manine vergarono sul foliolo che « conservava gelosamente in un libro di divozione, e che spesso leggeva ». Essi sono ad un tempo la formola d´una consacrazione e la parola dell´impegno preso nel patto ¬secreto con Dio: una parola ch´egli ripeterà altre volte, come a ricon¬ferma, nelle altre ore decisive della vita e fino alla morte.
È Don Bosco medesimo che vede in quei ricordi codesto signifi¬cato e valore di programma: « essi furono, scrive, la guida delle sue azioni sino alla fine della vita » (i).
E poniamo pure che qualche spunto di quei ricordi sia stato ispi¬rato da chi lo preparò, il buon cappellano, che non doveva essere un´anima volgare: ma la parola, quella antonomastica del Savio, no, non glie l´hanno suggerita. È troppo sua, per sempre. Essa è venuta da sè, in quel mistico dialogare della Comunione.
I primi due propositi sono il riflesso della sua preparazione cate¬chistica e spirituale: quella del confessarsi spesso e far la comunione tutte le volte che il confessore ne dia licenza, è indizio della sana dire¬zione (non giansenistica dunque, nè rigorista!) avuta e passata in con¬vinzione, così come quello del «.voler santificare i giorni festivi?) è un articolo di vita cristiana appreso già nell´aria di famiglia. Ma il terzo proposito: « I miei amici saranno Gesù e Maria », è più intimo, e se la formola può essersi trovata nel libro di divozione, non è rimasta, come di solito, una bella e divota espressione, ma si è fatta cosa tutta di lui, che l´ha sentita nel cuore in tutta la sua significazione.
Perché il valore di tali propositi non è tanto nella maggiore o mi¬nore originalità della loro formulazione, quanto nella scelta fattane da lui, come programma e visione della vita. Per questo e con que¬sto si accresce senza paragoni il valore della grande parola di quel giorno e di tutta la figura spirituale del Savio: La morte, ma non peccati.
Come gli sia venuta un´idea così possente e totalitaria, non è dato di rintracciare. Non consta che fosse tra le formole correnti nei libri di divozione, se non nell´Atto di contrizione in uso a quei tempi e per molti dappoi, fino ai giorni nostri (a); ad ogni modo la sua recet¬tività spirituale l´ha assorbita e quasi estratta, trasformandola nella formola che rimane tutta sua, e passerà nei secoli col suo nome.
(i) Tra l´altro, veda il lettore come Don Bosco, sente parole di lusso e pose dottrinarie, sa ben segnare i momenti psicologici e rilevarne i valori spirituali anche più intimi e squisiti. E si neghi poi che questo libro è un capolavoro!
(a) La formola dell´Atto di Contrizione in uso nella Diocesi di Torino, e ri¬portata nel Giovane Provveduto del 1847, diceva: a Vorrei prima esser morto che avervi offeso ».
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A questa, ch´è l´idea centrale di tutto il divenire del giovane santo, Don Bosco ha dato, e scrivendo la Vita. e sempre poi, parlandone, e perfino nel farne disegnare il ritratto, il massimo valore che si può dare ad un´idea madre, vedendovi il fondamento della spiritualità pratica cristiana e l´efficacia dinamica d´un assioma morale ed edu¬cativo.
Collocata nel suo giusto punto, nella storia dell´anima giovinetta del Savio, come nel quadro più ampio della spiritualità cristiana, essa non è una limitazione di orizzonte spirituale, come un semplice do¬vere e assunto di giustizia assoluta (i): bensì una forma dell´amor di Dio, che racchiude in sè le più vaste fioriture di santità. Il dovere di preferire la morte all´offesa di Dio è già chiaramente espresso da S. Agostino, commentando il Vangelo: Qui amai animam suam, perdei eam, e finisce con dire al cristiano: ibi eligat Deo diletto errori, quam offenso vivere: preferisca, morire amando Dio, che vivere offenden¬dolo (2). E il vecchio atto di Contrizione diceva: «Vorrei prima esser morto che avervi offeso ». Così la regina madre di S. Luigi di Francia gli diceva di volerlo piuttosto morto che vederlo offender Dio, come si legge dell´umile mamma del pastorello delle Alpi, Francesco Be-succo (3), e, perchè no ? forse fu detto dalla santa madre al nostro Savio: sono l´espressione del profondo sentimento cristiano.
Ma non è ancor tutto quello che dobbiamo saper vedere nell´anima del nostro santo fanciullo quando scrive quel motto. La sua non è mai una religione spaurita, e quelli che lo hanno ammaestrato nell´in¬fanzia gli hanno, con santo e verace senso della pietà, insegnato a voler bene al Signore e alla Madonna: una tenerezza verso Gesù, che porta ad operare con lui, com´Egli desidera, con l´istinto d´amore, e non con lo spirito angusto d´un obbligo da soddisfare e d´un castigo
(i) È l´errore spirituale di troppi buoni cristiani quello di a limitar la propria vita cristiana al solo evitare il peccato mortale od essere di edificazione a chi sta loro intorno, come se le dottrine di perfezione non lì riguardino, e iI servir Dio per solo amor di Dio fosse cosa d´una professione speciale. Pensare così è mettersi fuori di tono con una parte importante e considerevole del sistema cat¬tolico ». Cfr. FABER, Il Creatore e la Creatura, pag. 37. — L´andare alla buona che certuni hanno creduto di attribuire a Don Bosco, si risolve nella falsa disin¬voltura spirituale.
(a) Attuus-r., In Re. Joh., Tract. LI, in cap. XII, § so. Cfr. MIGNE, PL, XXXV, 1767.
(3) Vita, cap. I. Fil santo giovanetto, morente, manda a dire a sua madre che a la sua preghiera fu ascoltata da Dio i. Cap. XXIX.
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da temere (i). «I miei amici saranno Gesù e Maria» dice il terzo suo proposito. E dall´amore non definito in parole, ma compenetrato nel¬l´anima, deriva quella parola. È appunto l´amore affettivo quello che ispira quegli atti e desiderii eroici, onde si forma una persona nuova e tutta pel cielo; e di tali desiderii è il proposito di evitare ogni sorta di peccato, a qualunque costo (a), nel che si avvera l´eroico dell´a¬more.
Ed è chiaro che ciò presuppone un´istintiva e crescente sensibilità di coscienza, che comprende sempre meglio che cosa sia il peccato (3), e conduce a vivere in uno stato di preventivo abborrimento di ciò che si oppone o rallenta la foga dell´amor di Dio: uno stato d´amore vivo e costante che detesta ogni deficienza (4). Io vorrei riportare qui per intero tutte le pagine profonde e divote del classico libro del. Columba¬Marmion, nel prezioso capitolo: Delicta quis intelligit? sulla morte al peccato e l´odio del peccato; e vi accosterei il magnifico Capo XIX dei Progressi dell´Anima del Faber, dove il tema del Dolore incessante del peccato si volge intorno al concetto iniziale dell´odio al peccato (5). Credo che ne verrebbe luminosa la prova che dunque il proposito del nostro piccolo santo è frutto di amore, e vive d´amore, come un portato della tenerezza per Gesù. È un dono che sta alla radice d´ogni perfezione, e forma il vigore soprannaturale della perseveranza: la più sicura ed efficace delle grazie speciali (6).
Ora intendiamo forse meglio perchè Don Bosco, santo alla sua volta, abbia dato tanto valore a quei propositi del suo piccolo futuro discepolo, e n´abbia veduta la continuità nella vita susseguente. Non un solo valore esemplare, ma intimamente e radicalmente effettivo di spiritualità. E non gliene son mancate le prove. Certamente quella prima volta che il Savio si disse quella parola, non era in lui che il portato di un amore ch´egli stesso non si definiva, mentre la grazia di Dio, che lavorava in lui, gli atteggiava la mente verso quel pen¬siero. Ma quando, più tardi, negli sfoghi dell´anima che si dedica al¬l´Immacolata (7), e finalmente nell´estasi d´amore, quando dialoga ad alta voce col suo Gesù, egli protesta ancora di amarIé- e volerlo
(I) FABER, Il piede della Croce, pag. 77.
(a) FABER, Tutto per Gesù; Pratiche di lode e di desiderio, pag. 347, e 356¬57, dove riporta il Lancisio.
(3) FABER, Progressi, cit., 311.
(4) FABER, SS. Sacramento, cit., 308.
(5) CoLont-BA-1VIARmioN, op. cit., pag. 205-227, — FABER, Progressi dell´anima nella vita spirituale, pag. 301-317.
"(6) FABER, Il piede della Croce, cit., 77. (7) Vita, cap. VIII, ediz. ta, pag. 40.
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amare fino alla morte, e domanda: « Se voi vedete che io sia per of¬fendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare! » (i): allora il significato foratale della grande parola, ch´è tutta sua, appare luminosamente: ed è l´amore.
Dire che in quella scelta di propositi, nell´aver cioè a sett´anni ve¬duto in quello spirito la sua vita, non vi sia del soprannaturale, e un´illustrazione superiòre che inspira e guida quell´anima, mi sembre¬rebbe un disconoscimento dell´evidenza, e un´esagerazione quasi pela¬giana delle capacità di natura. Questo fu un lavoro, uno dei tanti, ma primario, della grazia di Dio.
Quei propositi, come ci ha detto Don Bosco, rimasero il pro¬gramma della vita, e, poichè sono l´espressione e il portato dell´amore, possiamo, guardando più all´interno, chiamarli il lievito, il fermento della vita vissuta. La sua storica parola non era sconosciuta a quelli che con lui trattavano più intimamente, e la sorella può dire al Pro¬cesso d´averla saputa dal padre e poi da Don Bosco (2). Ed essa mede¬sima soggiunge che nessuno l´ha mai visto commettere alcuna man¬canza neppure leggera. Ed è appunto l´affermazione unanime di tutti i testi che depongono sull´articolo De heroica caritate in Deum (a), e più d´uno ricorda in tal senso espresse parole di Don Bosco (4).
E l´essere tali affermazioni collegate con il tema dell´amor verso Dio (la deposizione del Cagliero, in questo senso, è categorica) (5), conferma la fondatezza della nostra dimostrazione. Quel fermento compenetra realmente tutta la sua piccola vita quotidiana, vissuta, non fuori del mondo, o isolata in mezzo ad esso (l´osservazione è di PP. Pio XI) (6), ma nel piccolo mondo della sua condizione e del suo dovere: semplicemente e alla luce del giorno. Ma in quel che appare al di fuori c´è il riverbero dell´interno, e questo interno, nonchè river¬berarsi, produce, più d´una volta, ed anche durevolmente, l´eroico. Nei cinque anni che intercedono tra la Prima Comunione e l´incontro con Don Bosco, noi assistiamo ad un intensificarsi ed accelerarsi del lavoro dell´anima, che svolge quel primo getto di grazia rivelatoci dai suoi propositi e dalla sua grande parola.
(r) Vita, cap. XIX (alias XX), ediz. 1A, pag. 95. (a) Somm. Proc., pag. 189.
(3) Somm. Proc., tit. VIII, 186-z11
(4) Somm cit., pag. 198 (dep. Barberis); pag. zoo (dep. Amadei, dalla Cro¬naca di Don Ruffino, coeva).
(5) Somm. Proc., pag. 193.
(6) Disc. cit., 9 luglio 1933, § ´ Un giovane che non passa i suoi anni
rinchiuso in una vita particolarmente custodita, ma, come appunto accenna il de¬creto, ma, prima in mezzo al mondo, poi, ecc. *.
CAPITOLO III
La fanciullezza e i « lavori della grazia di Dio ».
Don Bosco ha dunque dato al fatto della Prima Comunione tutto il rilievo che vi conviene, chiudendo la sua narrazione col riflesso del riverberarsi di quel giorno su tutta la vita del suo alunno. E per i fini del suo libro ne trae una didascalia educativa intorno al valore che ha, per le sorti della vita morale, la Prima Comunio ne. Ai giovanetti una parola sola: « farsi modello il giovane Savio ». Ai genitori inculca « di dare la più grande importanza a questo atto religioso « La prima Comunione, scriveva nelle prime edizioni (i), è l´elemento di tutta la vita »: nelle successive dice che: « la prima Comunione ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita ». E Chiama « cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quei solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e vir¬tuosa ». Laddove « si contano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro »: ma se si va alla radice, si conosce che la loro condotta ha origine « dalla poca o niuna preparazione alla prima Comunione ». E conclude severamente che «è meglio differirla, anzi meglio non farla, che farla male » (2).
Nei tre capitoli seguenti è descritto il periodo della fanciullezza fino ai dodici anni, quando avviene l´incontro con Don Bosco. Qui l´Autore si vale massimamente delle relazioni avute dai maestri, e delle notizie dategli da quei di casa, ed anche dai compaesani e dai
(i) Vita, cap. III; 18 ediz., pag. 20-21; 35 ediz., 16-17.
(z) Oltre che in queste pagine del suo libro, Don Bosco volle anche molti-plicarne l´esemplarità con far eseguire dal Doyen di Torino, nei primi anni dopo il 1859, una suggestiva litografia in nero come Ricordo di prima Comunione, dove propone ai fanciulli un Modello di virtù in Savio Domenico, del quale ricorda la 1a Comunione a sette anni, e riporta i Ricordi ch´egli si scrisse quel giorno. Il testo è firmato: Un amico dei fanciulli. — Ne pubblichiamo un facsimile ridotto di 2/,, da un esemplare trovato a Chesio di Valstrona (Novara), presso la figlia della Comunicante ivi nominata. Era allora Prevosto il Cm. Carlo Primatesta, grande amico di Don Bosco.
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compagni di scuola: notizie che ricompaiono nelle testimonianze dei
Processi insieme con altre da lui non riferite nel libro, ma certamente conosciute (i).
Ricchi di contenuto sono questi tre capitoli e il periodo della vita che vi corrisponde: ricchi di atti virtuosi, di particolari significanti un´ansiosa prosecuzione d´un alto ideale, e una osservanza e dili¬genza indefettibile e certamente straordinaria nell´adempimento dei doveri: il tutto irradiato dal riverbero di sentimenti eccezionali e di
fatti eroici, che scaturiscono da un´interiorità non conosciuta da al¬cuno e, per quell´età, non facile a presumere.
La vita di lui in quei cinque anni venne via via sempre meglio rivelandosi come non comune e, benché di cose interne e di virtù eroiche il mondo circostante non potesse intender nulla, c´era intorno a lui come la sensazione di un qualche cosa di speciale, d´una bontà particolare, che attirava l´attenzione e quasi il rispetto; certamente la simpatia, che anche dopo non gli mancò mai. Senza poterlo definire, era la presenza in lui della grazia di Dio che s´irradiava intorno. Nella loro semplicità i compagni lo stimavano perché era più buono di loro (2); le madri lo additavano a modello per i suoi diportamenti (3):
con giusta comprensione i tre maestri ne segnarono le virtù e le esal¬tarono.
È doveroso render merito (non dico giustizia) a quei tre bravi e buoni sacerdoti maestri. Essi capirono il Savio da educatori e da uomini spirituali, ed essi diedero alla sua anima religiosa indirizzi non superficiali e praticoni, non rigoristi e paurosi, ma nella soda sem¬plicità e praticità dei loro avviamenti, lo volsero alla visione amorosa della pietà e della vita cristiana. Don Zucca, la cui lettera, nella forma documentaria superstite, farebbe credere rude e fegatoso, scrive nella medesima pagina parole belle del suo piccolo alunno, e lo comprende tanto che lo fa ammettere eccezionalmente alla prima Comunione, praparandovelo piamente, come si vede dai propositi ch´egli ha segnato. E Io ha tenuto a scuola più di tre anni. D. Alessandro Allora, il mae¬stro di Castelnuovo, ci ha lasciato un ragguaglio minuto di tutte le belle qualità e abitudini del suo scolaro; al suo occhio sagace e pene¬trante non sfugge nulla di ciò ch´è in lui di veramente significativo, e il bene che gli vuole gli fa vedere cose che altrimenti non si note¬rebbero. Eppure non l´ebbe con sè che quattro mesi. È sua la parola che rivela lo spirito del prete educatore: quando segna con speciale
(i) Valgono specialmente le testimonianze di Carlo Savio, Francesco Desi¬deri, Domenico Molino, compagni di scuola, e della sorella Teresa Tosco-Savio. (a) ,Somm., Carlo Savio, 396.
(3) Sa.
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ammirazione la diligenza del suo alunno nell´adempiere i più minuti doveri di scolaro cristiano; un´idea che fa tutt´uno del dovere e della religione.
Terzo ed ultimo viene Don Cugliero. Nonostante l´episodio che diede occasione al fatto eroico del Savio, esso ci appare come buon intenditore delle cose dello spirito, e uomo poi di buon cuore e cari¬tativo. L´ammirazione per lo scolaro solerte e pio gli fa dire parole che mostrano in lui la profonda intuizione della santità del suo disce¬polo, e quando ne discorre con Don Bosco per farlo accettare all´Ora¬torio, lo definisce senz´altro un San Luigi. E quella fu premura di carità, così come, da quanto si può intendere, fu carità l´averlo pre-parato, fuor della scuola, ai primi passi del latino. E Don Bosco ne ricorda la vita esemplare (i).
In una parola, quei tre maestri non sono mestieranti della scuola, ma buoni preti e buoni educatori di spirito cristiano. E quando c´è questo, la pedagogia non fallisce mai al suo scopo.
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Del periodo di Murialdo, che va dal ´44 alla fine del ´52, la Vita non dice altro, dopo il racconto della prima Comunione. Ma dalla lettera stessa del Cappellano e dalle testimonianze si possono rica¬vare elementi bastevoli a darci un´idea del proseguirsi e dello svolgersi di quei felici cominciamenti. E intanto, nello scolaretto, l´assiduità, docilità e diligenza, notata dal maestro (2), avanzando nell´imparare, come appare dall´aver saputo, a sette anni, formularsi e scriversi da sè così ordinati e chiari i suoi Ricordi (3). E se il maestro (Don Zucca) non dice molto dello studio, gli è che questo merito viene da lui collo-cato soltanto tra altri particolari più adatti a mostrarne la virtù e la pietà. Non è senza importanza l´aver notato che tra quella rustica progenie di sbarazzini e di discoli, quali sono descritti nella lettera í suoi compagni (marmaglia), il piccolo Savio si tenga fuori dalle facili contese. Vi appare quella nota di carattere che, in età più inoltrata, nell´Oratorio, gli guadagnerà tanta simpatia: quella pazienza nel sop¬portare le ingiurie dei compagni altercanti, e l´allontanarsi da loro
(i) Vita, cap. VI, nota (i) della 5a edizione (1878).
(a) Somm. Proc., tit. XXII, Documenta, pag. 445-46. Lett. di D. Giovanni Zucca 5 maggio 1857.
(3) Il suo libro di divezione e il foglietto inseritovi non si san conservati. Può darsi che Eton Bosco abbia rettificato l´ortografia e messi in serie gli articoli, ma rispettandone la e originale semplicità ».
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senza offendersi (/), che in un fanciulletto è ben altro che la consueta paura dei più forti, e in lui deriva da sentimenti che un giorno spie¬gherà in parole. E i compagni debbono avergli voluto bene pel suo buon cuore. Fu raccontato nel Processo che un giorno, avendo il Maestro castigati e scapaccionati due scolari (erano altri tempi), il piccolo Domenico se ne commosse fino a piangere, e diceva poi: « Avrei preferito che il maestro avesse castigato e percosso me>> (2). Più tardi, a Mondonio, quel medesimo sentimento lo indurrà ad un atto eroico.
È ancora il maestro che rileva la sua condotta morigerata e l´av¬versione alle monellerie e scapestrataggini dei suoi mal educati con¬discepoli, come pure il tenersi fuori dai « divertimenti smodati, peri¬colosi o indecenti »; segno, nonchè di costumata educazione, anche di quello spirito di raccoglimento e di custodia di sè; che la vita della grazia doveva inspirargli.
La quale, com´è evidente, lo portava alla pietà. E quella povera lettera non trascura di farci sapere, oltre alle cose maggiori già altrove considerate, che « l´amore alle funzioni religiose lo portava a servire la Benedizione col SS.mo Sacramento e cantar lodi ed inni con un compagno di scuola alternativamente col padre, il che praticava anche in casa e nelle stalle... ». E avrebbe potuto dirci di più, egli proprio che abitava vicino a lui, e Io vedeva, si può dire, anche in casa.
Ma dell´obbedienza e dell´affetto verso i suoi abbiamo notizie sicure da questi stessi. In casa « dipendeva interamente dalla ma¬dre » (3), e vi è la parola del padre, che al Cagliero diceva che « il piccolo Domenico non gli aveva mai dato un dispiacere, e che l´ob¬bedienza ai suoi ordini era sempre pronta e senza ripugnanze o ri¬luttanze » (4). E chissà quanto avrebbero potuto dire i fratelli e le sorelle: ma la sola sorella Teresa sopravvisse fino al tempo del. Pro¬cesso, e ricordò il salvataggio della sorellina Raimonda, al quale, come disse Domenica, diede mano il suo buon Angelo Custode, come più sopra fu accennato.
Era viva in lui la convinzione d´aver con sè il suo buon Angelo. Una sera, tornando a casa allo scuro, un uomo gli domanda: « Come
(i) Nel documento originale non c´è questa notizia, che Don Bosco deve aver attinto a vi-va voce dal Cappellano maestro, e qui inserita aI luogo opportuno.
(2) Sornm. Proc., 63-64: Dep. di Anastasia Molino, che apprese il fatto dal cognato Giovanni Savio, coetaneo di Domenico.
(3) SOMM. Proc., Francesia, 299.
(4) Soma. Proc., pag. 300. — Nel medesimo senso depose Don Rua al Proc.
Ordin., ibid., 308.
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sei tutto solo? Non hai paura? — No, risponde; ho sempre l´Angelo Custode con me r>
· Messe insieme tutte queste circostanze e notizie, ci dicono che quegli anni di Murialdo furono vissuti così come il fervore della Prima Comunione dovette animarli, continuandosi nell´anima.
E siamo ai fatti nuovi e meglio descritti del periodo di Castel¬nuovo, breve, ma incisivamente significativo. Esso va dal 21 giu¬gno 1852 ai primi giorni del 1853; in tutto, quattro o cinque mesi scarsi di scuola. II fanciullo ha dieci anni e da tempo la scuola unica di Murialdo era superata (z); bisognerebbe andar altrove: lo vede e lo desidera anche il padre, ma difettano i mezzi. « Iddio provvederà, scrive Don Bosco, a che questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama >>.
È questo il punto. C´è nel piccolo Savio una pietà, un´attrazione amorosa dell´altare, che lo chiama sempre più chiaramente a sè e lo trasporta verso una meta, ch´egli sente segnata da Dio: c´è la coscienza della vocazione e il bisogno irresistibile di seguirla. È un desiderio d´amore, per esser tutto di Dio e lavorare per lui: è un imperativo categorico (il termine qui sta bene) che gl´impone di adempiere alla volontà di Dio che ve lo chiama. è Se fossi un uccello, va dicendo, vorrei volare mattina e sera a Castelnuovo, e così continuare le mie scuole >>. Parole testuali (3).
La vita del peregrinante scolaro di Castelnuovo si spiega così. Non è, come si sa di parecchi grandi della storia e della scienza, il solo impulso dell´ingegno che vuol imparare e farsi la strada a qual¬che cosa che poi si rivelerà grande: chi porta qui il fanciullo fino all´e¬roismo, è la sua vocazione e l´amore dal quale essa deriva. Ed è l´amo¬re di un Santo, amore eroico.
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Dalla borgata di Murialdo al capoluogo di Castelnuovo corrono poco meno di cinque chilometri: un´impossibilità per un fanciullo che voglia andare a quella scuola. Ma il Savio vuole studiare, e la lon¬tananza è superata giornalmente colla tenacia d´una volontà che so
Somm. Proc., Teresa Tocco-Savio, 122.
(2) Si ricordi che Murialdo non era che una frazione del Comune di Castei¬nuovo, e non aveva che una classe unica di scuola ausiliaria. Così non era Par¬rocchia, ma semplice Cappellania dipendente dalla Parrocchia di Castelnuovo. Così Don Bosco, nato e abitante ai Becchi, sottofrazione di Murialdo, appartiene a Castelnuovo, ora chiamato, per R. Decreto, Castelnuovo Don Bosco.
(3) Vita, cap. IV, pag. 22, ediz. la.
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stiene quelle deboli forze. In questa pagina Don Bosco s´è indugiato a colorire il quotidiano eroismo del suo santino. Quel cammino era ben-noto anche a lui, che, già quindicenne (1830), non durò a lungo a fare ogni giorno, tra le due andate e ritorni, i venti chilometri di cammino (i), e dovette ridursi alla sola andata del mattino e ritorno della sera: per questo fa ben notare le sei miglia quotidiane (il miglio piemonteSe era di Km. 2,466) di cammino tra l´andata e il ritorno del povero bimbo. E nota il vento molesto e il sole cocente e il fango e la pioggia che opprimono: e mette là quel: « non importa » che lo immedesima col suo fanciullo, passando all´impersonale: « si tolle-rano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà ». E gli sovvenivano alla memoria le dure asprezze ch´egli aveva superate da fanciullo, condotto o trasportato ancor esso dai medesimi sentimenti del suo santo piccino. E se non lo dice di sè, lo dice di lui: « egli vi trova l´ubbidienza ai suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare ogni incomodo ». Motivi superiori adunque, come d´imparare la scienza della salute necessaria alla sua vocazione: motivi tanto superiori che poggiano immediata¬mente in Dio, e lo significa il dialogo ammirevole e la risposta che lo conclude. « Alle due pomeridiane » sotto la sferza del sollione di lu¬glio, là nella strada polverosa e scottante Io trova una persona che l´in¬terroga amorevolmente se non abbia timore a camminar da solo per quella strada per il caldo, e quattro volte al giorno. Le risposte sono superiori all´età e vengono da altra cognizione: « Non sono solo: ho l´Angelo Custode che m´accompagna; niente è penoso, niente è fatica, quando si lavora per un padrone che paga molto bene, Dio Creatore, che paga un bicchier d´acqua dato per amor suo ».
Pensiamo a quell´anima di fanciullo che si sente accompagnato dal suo Angelo: che dura una fatica superiore alle sue forze per nient´altro che servir Dio, lavorare per lui e lavorare per amor suo: che vive del¬l´idea di Dio e sopporta a lungo una grave fatica con lo stesso amore con che darebbe un bicchier d´acqua ad un assetato. La scienza della salute si è già compenetrata nel suo spirito ed è divenuta l´anima del suo operare. E sta bene l´inconsapevole vaticinio di quella persona: che « un giovanetto di così tenera età che già nutrisce tali pensieri, farà certamente parlare di sè in quella carriera che sarà per intra¬prendere ». Come avesse interrogato il Muratori fanciullo. Ma qui la carriera è quella del Santo, e di lui parla la Chiesa Cattolica.
(i) Mem. Biogr., I, zig-zzo. Il manoscritto Allora dà la distanza in oltre chilometri; ciò darebbe in totale più di 16 km. — La differenza da quella percorsa da Don Bosco si spiega dal fatto che le varie frazioni sono sparse largamente pel territorio.
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A me, se vale il dirlo, quasi fa più meraviglia l´eroismo (che così bisogna chiamarlo) di quei quattro mesi, che non altri fatti eroici, compiuti in breve momento. Non per nulla la Chiesa_ricerca l´eroicità delle virtù non solo nei fatti singoli ed eccezionali, ma nell´esercizio continuato e diuturno, anche delle cose più umili e ordinarie della vita. Savio si offre al nostro pensiero come un´anima eroica; anche nel senso umano della parola. Ma il suo è un eroismo che va dal fatto singolo del superamento drammatico al fatto continuo della vittoria sulla debolezza di natura. E perchè un fanciullino di dieci anni (i) sia capace di tanto, di superare cioè ogni giorno tutte le asprezze d´un compito che logorerebbe la pazienza, e fors´anche la resistenza, d´un uomo fatto, si deve supporre una tale attrezzatura dello spirito, che non può essere umana, ed è, come veniamo dimostrando, lavoro della grazia di Dio; che coltiva nell´anima l´amore.
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Su codesto fondo di eroismo si svolge la vita di quei brevi mesi: vita di scolaro cristiano, come dice il bravo maestro di Castelnuovo. Don Bosco se ne vale, oltrecchè a dimostrare la virtù del suo futuro alunno, ed anzi col mostrarla, a scopo educativo, per l´esempio dei giovanetti: sicchè non manca qualche spunto didascalico. Il libro, anche se non fosse divenuto un´agiografia, doveva essere soprattutto un libro di edificazione.
Con una di tali didascalie, lo scrittore introduce l´episodio della superata minaccia all´innocenza; quella dell´invito a bagnarsi. Sap¬piamo che questa pagina fu dovuta ritoccare alla seconda edizione, inserendovi l´accenno ad un primo invito, fattogli da quel medesimo che poi, all´Oratorio, fece rimprovero a Don Bosco di averlo omesso. E le Memorie Biografiche ci danno anche d´avanzo i particolari di quell´incidente (2). Ma non bisogna dimenticare che nel volume pre¬cedente si legge il racconto della visione che quel medesimo Giovanni Zucca, il quale contestò a Don Bosco l´integrità di quella pagina della prima edizione, aveva avuto il 7 settembre 1857 all´Oratorio (3): il che
(i) I grammatici non vogliono che si scriva in cifre: ma qui un io ben chiaro non è di effetto più immediato?
(a) Men. Biogr., VI, r47-r1-9•
(3) 1lfem. Biogr., V, 720-723. — Non fu un´apparizione comechessia, seguita dalla guarigione. TI giovane ebbe commissione dalla Madonna di dire a ciascuno dei compagni, ed anche al suo Maestro e a Don Bosco stesso, cose del tutto se¬grete e personali, che furono ascoltate perchè vere e produssero buon effetto. Sin¬golare il fatto d´un tal Gastaldi che credette poter fingere d´aver ottemperato, e
g — CAVIGLIA, Dea Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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sta a dimostrare che quel giovanetto potè essere imprudente nel discorrere, ma certamente non era, nè ai giorni di Castelnuovo nè tra la vita dell´Oratorio, un ragazzo guasto o cattivo, e doveva anzi appartenere al novero dei molti che Don Bosco riteneva capaci di santità e di favori soprannaturali.
Questo va detto, perchè non si pensi ad un qualsiasi intorbida¬mento dell´innocenza. Da quel fatto il Savio non imparò la malizia, ma apprese l´esistenza del pericolo. Bastava per quello l´abito del riserbo che le buone mamme insegnano ai bambini, senza discorsi e col solo trattarli e vestirli, e che passa in istinto di pudore. Al piccolo Domenico, come possiam credere del suo ingenuo compagno, deve aver fatto senso anche solo il trovarsi svestiti, e non ne fu altro. E il nostro lo disse subito a mamma, che, con la santa saggezza che Dio dà alle madri, capì e gli disse che non era bene, senza mettergli ma¬lizia.
Quando pertanto altri compagni, non certo ingenui come quel primo, vollero tirarlo con loro a bagnarsi, lo trovarono fermo al di¬niego. Il dialoghetto è disposto per gradazione, sia nel proporre la cosa, sia nelle risposte del Savio. Le quali, dall´obbiettare il pericolo di morire nell´acqua, passano a prospettare il male del peccato che vi può essere; e poi mette di mezzo la domanda del permesso alla madre e l´obbedire a lei. Gli dan del minchione, ed egli si rifà moralizzando sul pericolo che vi deve essere per il corpo e per l´anima: dichiarando che, quanto a sè, ingannato una volta, non sarà più per l´avvenire, ed inculcando a loro di non fare ciò che spiace ai genitori.
E certamente, con quella ragazzaglia, l´innocenza non sarebbe rimasta senza danno. Lo dice Don Bosco (i). E così possiamo acco¬stare quest´unico fatto della vita del Savio a quelli nei quali S. Luigi, con altro discorso e con altro gesto, si sottrasse e si ribellò al- pericolo che minacciava il suo candore (z); e l´uno e l´altro rimasero senza
il giovane Zucca dal suo /etto lo vide e al ritorno gli rinfacciò l´inganno e lo ri¬dusse a rifar la strada e confessarsi sul serio, e, dal suo letto, lo segui passo passo, finchè ebbe fatto il dovere.
(t) Del bagnarsi Don Bosco fece sempre un grave caso. Abborriva l´andarsi a bagnare insieme, secondo l´impudente costumanza dei villanelli e dei loro simili. E non si può dargli torto. Né si può fargli addebito come di poca cura dell´igiene, se si mostrò sempre avverso ai bagni non comandati dal medico. Ora il tenor di vita è mutato d´assai da quel tempo, e con esso le idee. Ma una famiglia per bene non andrà mai ai bagni di fiume (roba da suburbio!), e al mare si regolerà colla maggior prudenza. Su questo punto cfr. la esauriente risposta ad un que¬sito concernente l´accusa contro la Chiesa e i suoi riserbi, in Ami du Clerge, a. 5o´, serie 5a, 14 dicembre 5935, pag. 820.
(z) MESCHLER, cit., pag. 14. 6z, 92.
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macchia, anzi splendenti di purezza per tutta la vita. Quanto al no¬stro, i compagni stessi n´avevano tale concetto e quasi sensazione, che, come scrisse Don Cugliero riferendosi a questo tempo, « al suo arrivo nella scuola i suoi condiscepoli si componevano a modestia ». E ne vedremo altre prove in altra parte del nostro discorso: per ora
basti riportare, tra le tante, la dichiarazione fatta da Don Rua al Pro¬cesso Ordinario: « Sono per credere che per singolare privilegio il
Servo di Dio non andasse soggetto a tentazioni contro la castità» (t). Il Cagliero ebbe allora un´espressione felicemente comprensiva, rile¬vando nel Savio « una riservatezza propria dei Santi ». Come fu detto di S. Luigi. L´uno e l´altro ricavarono dalla conoscenza dei pericoli
quella gelosa circospezione che il Segneri notava del Gonzaga nel .suo celebre Panegirico (2).
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Rimane adunque stabilito che a Castelnuovo il piccolo Domenico doveva guardarsi dai compagni e far la scelta. È lo spunto che serve a Don Bosco per un´amplificazione d´intento didascalico, con che inizia il capo Quinto della Vita; e che ha suo fondamento in una notizia data, per il periodo castelnovese, dal maestro di Mondonio, D. Cugliero:, « Esso, sebbene amasse tutti, si teneva lontano da co¬loro ch´erano dati alla dissipazione ». Ci fa vedere cioè « il modo di regolarsi co´ suoi compagni »: quali sano quelli che divengono gli
amici di ]3omenico, che sono dunque i ragazzi buoni, docili, diligenti nei doveri di scuola, lodati dal maestro: quali sono coloro che egli
« fuggiva come la peste », e sono i negligenti, i malparlanti e bestem¬miatori: e quali egli salutava e compiaceva con qualche servizio, ma non contraendo « alcuna familiarità»: gl´indolenti. A suo tempo lo
ripeterà in altra forma (3).
E viene a descrivere la condotta scolastica: « una condotta, dice,
che può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progredire nella scienza e nella pietà ». È la figura esemplare dello scolaro cristiano, non però costrutti da lui, ma storicamente documen
tata dalla relazione del maestro, Don Alessandro Allora.
Il bravo precettore, che risponde il 25 agosto 1857, con le forme di
un rapporto ufficiale, ha voluto ponderare le sue notizie e misurare le sue parole, mettendosi innanzi le Decurie e i Registri scolastici.
(i) Sonznz. Proc., D. Rua, pag. 291. Ivi pure la testimonianza dei Cagliero. (a) Cfr. pure MescHLER, cit., pag. 38, dopo iI voto di castità. Ma nel senso più prossimo al nostro, cfr. pag. ai: la vita tra i soldati.
(3) Vita, cap. VIII.
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Ma se era stato invitato « ad esporre un suo giudizio, ovvero sempli¬cemente certificare intorno la condotta del giovinetto », non è però che nel suo scritto non compaiano espressioni affettuose e ammira¬tive, e non si senta l´amorosa paternità dell´educatore che ha com¬presa l´anima del suo alunno.
Le scuole di Castelnuovo erano complete secondo i Regolamenti vigenti prima della legge Casati, e la 2a elementare rispondeva alla nostra terza (i). A Murialdo il Savio aveva i due gradi della prima. Il Regolamento Albertino del 1831 comportava l´obbligo delle Con¬gregazioni Domenicali degli scolari, e della Messa quotidiana prima della scuola: dalle quali il Savio, « residente ai Cascinali » era dispen¬sato, benché da quanto fa supporre la relazione, si trovasse presente alla Messa (2).
Da cotesta relazione Don Bosco ha ricavato quanto faceva al caso suo, riordinando la materia ed uguagliando la forma, senza però alte¬rare la sostanza, e conservando al possibile il testo di quanto ne ri¬porta_ A noi, veramente, che in fatto di documenti abbiamo altre idee, piacerebbe meglio che questo fosse stato riferito qual era e quale è riprodotto negli Allegati del Processo (3): personalmente l´avrei pre¬ferito questa volta, non per uno scrupolo storico, bensì perchè nel¬l´originale, oltre a certi ravvicinamenti che paiono disordinati e di¬cono più che riordinandoli, si sente meglio lo sforzo del buon Don. Allora di tradurre nella forma burocratica le cose che gli vengono dal
cuore.
Perché in quella condotta straordinariamente irreprensibile ed
esemplare, in quella « meravigliosa tranquillità d´animo e forte buon volere che gli erano proprii » onde affrontava i disagi del venire alla scuola, non solo riconosceva « una prova ed esempio di raro merito »; ma sentiva che altro doveva racchiudersi, non valutabile coi soli dati convenzionali della scuola. Bisogna riportare il secondo capoverso del testo di Don Bosco nel mezzo (ed in parentesi) del periodo in cui si dice « specialmente degna d´ammirazione la diligenza con cui pro
(i) Castelnuovo ora capoluogo di mandamento, ed aveva diritto ai corsi com¬pleti: nella frazioni c´erano soltanto la prima inferiore e superiore (dette poi, dopo il 1889, prima e seconda), con un solo maestro.
(2) Di tali Ordinamenti scolastici si è discorso più minutamente nelle Note alla Vita di Luigi Cornelio. Essi risalivano ad età più antica, da Vittorio Amedeo II a Carlo Felice. — La Legge del 1859 abolì tutto questo.
(3) Somm. Proc., Docum. n. 2, pag. 447-450: Cenni biografici intorno Savio Domenico, alunno di 2a classe nel Comune di Castelnuovo d´Asti. L´Allora è però inesatto, quando (i° capoverso) dà il Savio defunto come o allievo del 30 corso di grammatica » mentre nel 1856-57 questi era già passato al corso di sa Rettorica (Umanità) presso il prof. Picco, e cioè faceva la IV Ginnasiale.
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curava di adempire a tutti i doveri di scolaro cristiano », seguitando, dopo la parentesi, a ricordare « segnatamente l´assiduità e la costanza mirabile della frequenza alla scuola ». £, senz´altro commento, la prova che il suo eroismo e la precisione del dovere erano per lui in funzione (come si dice) del suo intimo spirito di pietà.
Lo riconosce il maestro stesso quando, poco prima, parlando del suo progredir nello studio « in modo straordinario » e delle alte ono
rificenze della scuola da lui conseguite, non attribuisce il risultato sol
tanto all´ingegno non comune, « ma eziandio al grandissimo suo amore per lo studio e alla sua virtù » (I).
Ed è così. Tutta la vita esterna del nostro giovanetto, anche negli anni susseguenti, è permeata dell´idea del servizio di Dio, come ap
pare già dalla risposta data per istrada. E Don Bosco assiduamente v´insiste, come vediamo anche nelle altre Vite, perché questo è un principio .e fattore essenziale del suo concetto educativo e del lavoro spirituale: la religiosità nel dovere, che ne fa un servizio di Dio e una prova, per avventura la più concreta e persistente, dell´amor di Dio. Non dimentichiamo mai che quando il santo Pedagogo racconta una Vita, egli vi sottolinea quello che fa maggiormente per la sua
idea e in cui la trova esemplata.
Il buon maestro disegna in pochi tratti la figura simpatica del suo
alunno; « complessione alquanto debole e gracile (il piccolo Savio!), di aspetto grave e piacevole a chiunque, d´indole mitissima e docilis¬sima, d´un umore sempre eguale ». Così come viene descritto nel Pro¬cesso dai testi di veduta. E aggiunge che « aveva tale un contegno, nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l´occhio, il pensiero o il parlare del M.o volgevasi a lui, vi lasciava sì bella e gioconda impressione, che meritava registrarsi (sic) fra i rari (z) com¬pensi delle dure fatiche che spesso toccagli sostenere indarno nella coltura di aridi, ingrati, e mal disposti animi di certi allievi ».
E conclude: « laonde forse non vi sarà più da far le meraviglie se dicessi che esso, di temperamento sì felice e di nome Savio, tale sempre siasi dimostrato pure col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel
conversare co´ suoi colleghi, ed in ogni sua azione ».
Realmente la piccola persona del Savio non passò inosservata a
Castelnuovo: quando vediamo che della sua esemplarità era venuta notizia anche a Mondonio, dove il maestro Don Cugliero nella bre¬vissima relazione a Don Bosco (che è anteriore di quattro mesi a quella
(i) Il Maestro che vuole e certificare intorno la condotta» e riafferma nella chiusa della lettera di dare quei cenni a per debito di coscienza e di giustizia » cita qui in fede t le decurie e i Registri scolastici che tuttora si conservano 4.
(2) E non cari come, per riguardo ai lettori, ha trascritto Don Bosco.
di Don Allora) riparla del tempo di Casteinuovo nel tenore medesimo
di quello, ma con qualche nota particolare. Riferisco il passo: « Si
distinse sempre per la sua compostezza della persona, per la sua mo¬rale condotta; affabile con tutti, era da tutti amato, e al suo arrivo nella scuola i suoi condiscepoli si componevano a modestia. Ottenne sovente la medaglia d´onore, perchè alla pietà univa pure l´amore allo studio, ed il suo maestro era rapito dall´ammirazione nell´osservare iI corredo di virtù che adornavano l´animo giovanile di lui »
Sono virtù connaturate nel caro fanciullo, e il maestro di Castel¬nuovo vuole affermarlo quando ricorda nell´ultima parte, non pub¬blicata, del suo scritto (2) la sua visita all´Oratorio « forse nel 1854» (cioè nei primi mesi dell´entrata del Savio) dove con « grandissima contentezza » rivide questo ottimo discepolo, là, tutto intento allo studio, e seppe « che il già buon fanciullo non aveva per nulla lasciato la via della sapienza (sic), e che appunto per le sue egregie virtù e rari suoi meriti nello studio erasi cattivata la benevolenza dei supe¬riori e l´amore di qualche benefattore, che gli dava la mano per com¬piere la sua carriera ». Il Savio a casa di Don Bosco non ebbe che ad essere il Savio di Castelnuovo per essere subito un giovane mo¬dello. E Don Bosco segnerà a suo luogo codesta continuità, per farci sentire che la nuova forma più ampia e matura della santità di lui è la continuazione dei precorrenti lavori della grazia divina.
Tale ci è offerta da quello scritto la riposante figura, mite, amabile, « piacevole a chiunque », e insieme composta, padrona di sè e del suo carattere, « di umore sempre uguale », che si muove tra i suoi doveri quotidiani di scolaro e di cristiano. Ed ha dieci anni.
Io domando se così si possa essere, se sia possibile a quell´età una tempra capace di eroismi quali abbiam veduti, e di tanta serenità ed equilibrio, senza una vita interiore in cui siede la grazia di Dio, e lavora in modo non comune ad altri nella specie e nel grado. C´è la grazia e la coscienza della grazia: di qui quella gioia intima e profonda, tutta propria dei Santi, ch´è l´atmosfera delle virtù eroiche, ed è condizione indispensabile di azione generosa e costante, ed è l´aiuto più potente per mantenere in noi la cortesia, la soavità dei modi, l´equanime dolcezza, la serenità (3).
(i) V. infra, pag.. 45, la collocazione del passo.
(2) È il comma B) della Relazione, omesso insieme ad un altro periodo della conclusione. Cfr. loc. cit., pag. 449. Nella sa ediz. vi aveva accennato sommaria¬mente.
(3) Seguo la dottrina del FAME Betlemme, 413-414; .1-1 SS. Sacramento, 178¬179. Potrei citare molte altre pagine, giacchè questa è dottrina fondamentale per la vita dei Santi. Ma vi tornerò altrove.
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Per me è meraviglioso. Solo i Santi sanno essere così e, intera¬mente, neppure tutti (i). Ma in questo il Savio è già, anche prima di conoscerlo, uno spirito tipo Don Bosco.
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La nota della continuità nella santa condotta del nostro Domenico è rilevata dal santo biografo per annunziare l´ultimo periodo della sua vita di fanciullo, che si svolge nel terzo e definitivo domicilio, a Mondonio. Necessità famigliari portano la casa dei Savio al paese dove s´era formata la famiglia (2), e dove il piccolo figlio del fabbro irradiò fulgori di virtù e mori da santo. Don Bosco dice semplice¬mente che « egli continuò colà nel tenor di vita praticato a Murialdo • e a Castelnuovo » (3). Ma è continuazione e continuità di progresso, perchè la santità è cosi fatta, che non può fermarsi, a costo di tornar indietro o sfiorire (4). Dovremo dire di un altro grado raggiunto dal santo fanciullo? Certamente col crescere nell´età si avanza nello svi¬luppo della mente e della coscienza; è un fatto naturale e, nell´ambito della santità, attestato perfino da S. Luca in Gesù fanciullo precisa¬mente all´età del nostro santino, notando che « gratia Dei erat in filo » (5), come (non sia irriverenza il riavvicinarlo) Don Bosco ha detto dei lavori della grazia.
A guardarvi bene, nella vita finora vissuta dal nostro fanciullo, i gradi vi sono, e abbastanza visibili, tantochè ciascuno è accompa¬gnato, o meglio, segnato da un momento o fatto eroico. C´è il primo manifestarsi della pietà a cinque anni, col piccolo eroismo dell´aspet¬tare tra l´intemperie e il gelo alla porta della chiesa: poi il momento della Prima Comunione a sett´anni, con quel proposito antonomastico che segna un vero stato d´amor di Dio; e in terzo luogo gli eroismi di
(i) joLy, op. cit.. cap. II: La nature chez les Saints, pag. 45-57.
(2) II padre, nativo della frazione Rana° di Castelnuovo, si era sposato a Mondonio nel 5840, e vi aveva fatto battezzare il primo nato: poi era passato a Riva di Chieri, dove nacque Domenico nel r842, e di qui nel 1844 a Murialdo, dove stette fino all´autunno inoltrato del 1852, e donde tornò a stabilirsi a Mon¬donio, dove i Registri Parrocchiali notano i battesimi degli altri cinque figli, dal 1853 al 1863. Il paesello, che nel 1852 contava 372 abitanti, era Comune e aveva Parrocchia propria e proprie scuole.
(3) Vita, cap. VI, pag. 31, ediz.
(4) È ila Non progredi, regredi est )5 notissimo e quasi proverbiale tra le persone spirituali.
(5) Luc. Il, v. 40: Puer autem crescebat et confortabatur, plenus sapientia, et grafia Dei erat in illo. — L´altro testo, a v. 52, si riferisce all´adolescenza di Gesù dai dodici anni in poi: Iesus proficiebat sapientia, aetate et gratia apud deum et homines.
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Casteinuovo per la vocazione indefinita ma già vivente nel fondo del¬l´anima. La vita a Mondonio segnerà un altro grado, continuazione, dice il Biografo, del precedente, e avanzamento che si manifesterà in un eroismo superiore, e darà a Don Bosco ragione di concludere con la grande parola dei lavori della grazia.
È il periodo in cui appunto questo lavoro si compie destando nell´anima chiaramente la conoscenza e la volontà della vocazione. « Desidero farmi prete, per poter più facilmente salvare l´anima mia e far del bene a molti altri » diceva in quei tempi all´amico Angelo Savio, chierico presso Don Bosco (i). La qual vocazione non è una risposta all´interrogatorio, sia pur precoce, della via che si seguirà: ma è l´esito inderogabile del moto d´amar di Dio, che vuole tutto l´essere dedito e consacrato a Lui nella forma più prossima a Lui stesso, ch´è il sacerdozio e l´apostolato delle anime. Anche Don Bosco, tra dieci e undici anni, aveva rivelato a Don Calosso la ragione per cui voleva studiare, ch´era di abbracciare lo stato ecclesiastico « per avvicinarmi, parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono cattivi, ma diventano tali perchè nessuno ha cura di loro ».
E in seguito, alla cascina dov´era stato messo a lavorare, ripeteva di volere, di dovere farsi prete (2).
Di qui si spiega il lavoro interno di autoeducazione spirituale, per essere al possibile più degno di quella vocazione e più conforme al¬l´ideale di essa. La virtù, che esteriormente si palesa con una sempre maggior attenzione alla pratica quotidiana dei doveri e della pietà, ora si vien facendo più interiore, coi moti soprannaturali ispirati dal concentrarsi sulle cose di Dio. E la perfezione di quella piccola vita non rimane neppure un fatto isolato e personale; ma risplende agli occhi altrui, e se ne parla, senza ch´egli lo sappia. Quel suo vivere all´interno è significato dal suo spontaneo raccoglimento e perfino dal modo di « camminare a capo chino » (3); si vede in lui, nel piccolo scolaro, uno « che vuoi farsi santo » (4).
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Noi possiamo parlar così, perchè i documenti ce ne danno ragione. Quel periodo della vita è documentato dalla Lettera o Relazione di
(i) Somm. Proc., Declarat. auth., n. 15: Lettera del ch. Angelo Savio a Don Bosco, 31 dicembre 1858, pag. 453.
(2) Mem Biogr., I, pag. 178, e pag. zoo e 107.
(3) Somm. Proc.; Carlo Savio, 47; D. Melica, 307.
(4) Somm. Proc., Carlo Savio, 8z. — Il eh. Angelo Savio lo conobbe allora a come un giovane di non comune virtù a. Cfr. sopra, not. a, loc. cit.
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D. Giuseppe Cugliero, riportata da D. Bosco nella Vita, e dalle testi¬monianze dei coevi. Tra questi compaiono alcuni de´ suoi compagni e condiscepoli di quel tempo, e qualche altra persona che lo conobbe, come il detto ch. Angelo Savio e l´Anastasia Molino, oltre la sorella Teresa, che senti in casa quel che i famigliari dicevano di lui. A Mondonio i condiscepoli non gli erano estranei come a Castel¬nuovo: nel piccolo paese (372 anime!) tutti si conoscevano, e uno dei testi, il Desideri, gli era vicino di casa, ed i Savio andavano nell´in¬verno nella stalla dei suoi: un altro, Carlo •Savio, era di buona fami¬glia, amica dei Savio nostri; e, diciamolo subito, non era più il caso di doversi difendere da inviti pericolosi e da cattive compagnie, ap
poggiato com´era, in perfetta obbedienza, alla vita di casa sua, da tutti conosciuta per esemplare. Le testimonianze hanno perciò un carat
tere speciale di oggettività che pci bisogno nostro torna molto oppor¬tuno, e fa sentire il rincrescimento che la tardiva apertura del Processo ci abbia privati di tanti particolari che qualche decina d´anni prima
sarebbero venuti a conoscenza (t).
Don Bosco ricostruisce la vita di Mondonio sulla lettera 19 aprile
1857, del Maestro Don Giuseppe Cugliero; ma integrandola, com´è solito, con particolari avuti da collo quii con lo scrivente, e forse (ma il dubbio è molto tenue) da quei medesimi che poi furono testi al Processo: per esempio da Carlo Savio, che frequentò pure l´Ora¬torio. Egli lascia da parte quel tratto già sopra da noi riportato che ri
guarda il periodo di Castelnuovo, e l´altro che ricorda la Prima Comu¬nione e la specchiata virtù del fanciullino, e riporta senz´altro da quel
punto la continuazione della lettera, rifacendone la forma e interpre
tando i concetti (2).
Sono poche righe qùelle del Cugliero, ma piene di cose. In venti
anni d´insegnamento non ebbe mai chi « pareggiasse in pietà» il caro alunno, o che « sebben giovine, fosse assennato al pari di lui ». Il
premettere come nota primaria la pietà e connetterla con l´assenna
tezza superiore all´età, e, nel periodo testuale, il farla seguire dalle qualità di scolaro e dal carattere « che si cattivava l´amore di tutti »,
(s) È un´osservazione fatta dal Promotore della Fede, M0115. (poi Card.) Ales¬sandro Verde (30 ottobre 1913), a cui fu risposto dal Salotti, allora Avvocato della Causa. Naturalmente noi la rileviamo per una diversa ragione. Si ricordi che il Processo dell´Ordinario tu iniziato soltanto nel 1908 e l´Apostolico nel 1914; a distanza di più che mezzo secolo dalla morte del Savio.
(z) Somm. Proc., tit. XXII: Documenta, ecc., doc. n. 3, pag. 450-452: Cenni storici sulla vita del giovane Domenica Savio, nativo di Riva di Chieri, frazione bor¬gata S. Giovanni. -- Dall´originale, firmato: D. Cugliero Giuseppe, Mondonio, 19 aprile 1857.
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ci fa vedere come il buon maestro intendeva che nel Savio la vita dell´anima era la vera fonte da cui derivava tutta la virtù che mostrava all´esterno (i).
E infatti prosegue: « In chiesa poi era modello di compostezza, e pareva che quell´anima innocente aprisse in essa il cuore alle celesti dolcezze che la religione piove sulle anime innocenti (che) ancor non aprirono il vergine cuore alle seduzioni del mondo » (a). Non sono ancora
i rapimenti che lo possederanno in appresso, ma è già la consapevolezza del parlare amoroso con Dio, che dà a tutto il suo aspetto la parvenza angelica propria delle anime semplici e senza macchia, alle quali è riserbato di veder Dio (3). Non vi è nulla di esagerato nelle parole del buon prete; il testo originale è, come si vede, sobrio e schietto, e d´una rassicurante oggettività; sicchè non è difficile commentarlo con le attestazioni del Processo, che provengono da testi di veduta.
Della sua vita di scolaro sappiamo che « nell´andare a scuola come alla Chiesa, e così nel tornare, camminava sollecito a capo chino » e che « intento interamente a studiare... evitava di accompagnarsi con altri per divertirsi »: sicchè le mamme lo additavano ad esempio: « Ecco, Savio Domenico non si ferma mai per. la strada a giocare e va subito a casa è. E nell´andare, se rimanevagli tempo e la chiesa era aperta, egli vi entrava a pregare (4). Nella classe sua (una terza e quarta elementare, vecchio tipo) primeggiava anche nel profitto: « abitualmente era lui il primo della scuola per la diligenza nello studio e nella condotta (5); e tra lui e Francesco Desideri, che occu¬pavano abitualmente i primi posti, il maestro diceva: « Desideri legge più correntemente, ma Savio intende meglio quello che legge » (6).
Notavano i compagni la sua pietà, chè lo vedevano « pregare da¬vanti alla Madonna prima e dopo le funzioni: questa devozione era notata anche da altri nel paese, ed io (dice Carlo Savio) ho pure udito allora persone che dicevano: Domenico Savio è là in chiesa che prega;
(i) Ecco il periodo testuale: « ...ed in verità posso dire che in 20 anni dacchè attendo ad istruire ragazzi, mai ne ebbi alcuno che Io pareggiasse in pietà, e che, sebbene giovine, fosse assennato al pari di Domenico Savio: diligente, assiduo, studioso, affabile, si cattivava l´amore di tutti: in chiesa poi era modello di com¬postezza, ecc. e.
(a) Dai passi che noi riferiamo in nota o in testo è agevole vedere che nella Vita vi ha piuttosto una traduzione che non una citazione documentaria dello scritto originale.
(3) Beati mondo corde, quoniam ipsK Deum ridebunt. MATT.u., V, 8.
(4) Si è già cit. più sopra, pag. zi, la nota delle lezioni del Breviario, che di più Santi rileva come Az a nugis puerorum alostinebat e.
(5) Somm., Cdrio Savio, 8z-98.
(6) Ibid.: Desideri, 51-52; Savio, 82.
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egli vuoi farsi santo » (i). Anzi era già in voce di volersi far prete, e ci è riferito un aneddoto abbastanza significativo: « Essendo pas¬sato per istrada vicino al ballo pubblico, un compagno per scherzo lo invitò ad andare al ballo. Qualcuno li vicino esclamò: stiamo un po´ a vedere se il prete andrà a ballare. Ma egli abbassò la testa e se ne andò tosto lontano. Io credo che sia andato in chiesa » (a).
P uno scherzo bonario, se si guarda all´età di lui e alla buona compagnia che doveva avere: ma il suo contegno ricorda quello di S. Luigi in un casa consimile (3).
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Altri riferimenti sarebbero superflui. E qualcuno, per esempio l´Avvocato dei Diavolo (Promotore della Fede), potrebbe dire che, veramente, in tali attestazioni non è detto nulla che ecceda l´ordinaria virtù di un buono e pio giovanetto: al più sarebbe da ripetere: fu¬turae sanctitatis indivia dedit. Ma, oltrecchè esse confermano la verità e la fondatezza del giudizio dato dal documento che Don Bosco ha fatto suo, convengono a mostrare come fosse attrezzata spiritualmente quell´anima, sempre e in ogni caso presente a se stessa, e le manife¬stazioni non ordinarie di pietà la fanno vedere intesa unicamente a dare ad ogni sua azione il significato di un servizio di Dio o, ch´è lo. stesso, d´un atto di amore. Egli doveva essere ormai tutto compe¬netrato dal pensiero di Dio e dal desiderio della santità, se lo vediamo ad un tratto capace d´un eroismo morale superiore, non dico all´età, che sarebbe pure assai, ma alla capacità di anime già erudite in cose di perfezione e maturate da lungo esercizio.
Alludo al fatto capitale che. Don Bosco ha ricavato dal Docu¬mento, facendone senz´altro l´oggetto primario. Don Cugliero lo espone in poche righe, trammezzo alle altre notizie che dà: il Santo biografo lo svolge in un drammatico racconto, valendosi, non si può dubitarne, di particolari e di dati appresi altrimenti o dallo stesso Don Cugliero o dai compagni del Savio (4).
· (I) SOMM., Carlo Savio, 47. Questo Carlo Savio fu poi dei notabili del paese e Consigliere Comunale, e cooperò nel 1914 a difendere la causa del trasporto della Salma di Domenico a Torino.
(a) Somm., Carlo Savio, 98.
(3) MESCHLER, eit., pag. 93. Ma S. Luigi aveva allora /6 anni, e fu invitato a ballare come ogni altro cavaliere. Si sdegnò perchè gli si era promesso di non invitarlo, e lo trovarono poi in una cameretta di servi genuflesso in preghiera.
(4) Somm. Proc., Docum. cit. — Scrive Don Cugliero: a Fatto speciale: aven¬dolo io un giorno rimproverato aspramente per una mancanza di cui era stato
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A noi, più che la critica del racconto, sta a cuore la sostanza morale di esso, nella quale si accordano i testi scritti e le referenze del pro¬cesso. È una monelleria un po´ grossa (neve e sassi nella stufa), di cui il Maestro domanda chi sia il colpevole, e da qualche maligno si fa il nome del Savio. Il maestro, un po´ eccitato, passando sopra a tutti i precedenti d´uno scolaro come quello, vi crede senz´altro, lo redar¬guisce, e lo mette in ginocchio in mezzo alla scuola. Egli sopporta in pace la correzione, e, senza dir parola di discolpa, obbedisce al ca¬stigo. Il giorno dopo, il Maestro (a mente calma, non è vero ?) viene a conoscere i veri colpevoli, e domanda al piccolo santino perché non si fosse scolpato. « Egli rispose che preferiva far penitenza lui che veder puniti i suoi compagni è, oppure: « Ho taciuto perché non fos¬sero puniti gli altri ». Cosi riferiva il suo condiscepolo Carlo Savio due volte al Processo, aggiungendo: «A questo fatto fui io pre¬sente » (t). E un altro teste, il Desideri, lo riferì come udito da que¬st´altro (z).
Di tale risposta il Cugliero non parla nella lettera, ma Don Bosco la riferisce con qualche variante e con l´aggiunta d´un concetto, che dà al fatto un significato più alto, e che non poteva conoscere se non dallo stesso maestro (3). Il Savio adunque rispose: « Perché quel tale, essendo già colpevole di altri falli, sarebbe forse stato cacciato di scuola; dal canto mio speravo di essere perdonato, essendo la prima mancanza di cui era accusato nella scuola: d´altronde pen¬sava anche al Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato (Cap. VI).
È, per ogni titolo, un fatto eroico: sia di carità, sia di umiltà, sia di mortificazione morale, sia, soprattutto, di squisita pietà. Ed io do¬mando quale e quanto cammino abbia percorso quell´anima, e quanto
a torto (è il testo che sottolinea) accusato, esso soffrì ogni cosa pazientemente, non proferì parola, e come fosse stato realmente colpevole non si scolpò, portando in pace la correzione pel supposto fallo, quale venne poscia a cognizione mia es¬sere stato commesso d´un altro condiscepolo ».
(i) Somm. Proc. Apostolico, De virtutibus in genere, pag. 98; De heroica humi¬Etats, pag. 313.
(z) Somm. Proc., Desideri, 51: e A Domenico Savio fu data la colpa, ed egli, innocente, non si discolpò ».
(3) Così dobbiamo arguire, vedendo che l´aggiunta introdotta nel documento, così come le altre varianti, coincidono con le attestazioni dei condiscepoli. Che poi certe circostanze di fatto siano o attenuate (al castigo, per es., non si accenna) o modificate, deve attribuirsi all´intenzione dell´Autore, che vuole da una parte allontanare ogni odiosità dal Maestro, dall´altra offrire un esempio di sana peda¬gogia. Così egli fa che il Maestro prenda a parte il Savio per interrogarlo deI perchè non si sia scolpato: è l´idea del tu per tu nel parlar con gli allievi dei fatti disciplinari: uno dei canoni del sistema preventivo.
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lavoro si sia operato in lei, perché a undici anni fosse capace di toc¬care una tale altezza di eroismo morale.
Noi ricordiamo un analogo fatto di S. Luigi, che però si risolve altramente, a causa delle circostanze incombenti: quando cioè, già adulto e religioso, avendo per virtù accettato di far ammenda di man¬camenti attribuitigli per errore, ci pensò meglio, e deliberò che, se l´accusa fosse rinnovata, si sarebbe indotto a rivelare e difendere la propria innocenza, affinchè non nascesse scandalo, come se la Regola fosse da lui insistentemente violata (1).
Il senso della carità, che appare tanto nelle espressioni del teste oculare quanto nella redazione della Vita, era già nel caro Domenico fin da piccino, dai tempi di Murialdo, e n´abbiamo citato l´esempio (2): nel testo del libro appare anche più generosa, in quanto la spiegazione data dal santo discepolo riguarda espressamente il calunniatore, ren¬dendo ben per male; e in tal senso vien confermata in seguito dal commento che se ne fa: sia poi del Cugliero o dello scrittore, non im¬porta. La carità e la generosità del perdono avranno nella restante vita ancora altre prove, e molte.
Ma vi è un altro aspetto dell´eroismo in questo fatto. È il sacri¬ficio morale della propria stima, e di quella a cui quasi si è tenuti a non rinunziare; perchè la colpa tocca senz´altro l´adempimento d´un dovere inderogabile, e offende, sia pure involontariamente, la perso¬nalità del superiore, ed ha tutta l´aria d´un´azione impropria d´un cuore ben nato. Le frasi fatte qui non c´entrano: altro è che mi si con¬sideri da meno di quel che sono, e magari un nulla o un essere spre¬gevole: al che tutti i Santi hanno sempre avuto la mira, ed è la per-fezione dell´umiltà; altro è che mi si creda capace di un´indegnità o di una colpa vera e positiva. S. Luigi non l´ha voluto, a cagion dello scandalo; qui scandalo non c´era, perché Savio sapeva che gli altri sa¬pevano tutto (3), e rimaneva soltanto allo scoperto la colpevolezza. L´eroismo sta qui: nel comparir colpevole davanti al maestro, egli proprio che sapeva di non aver mai commesso mancanze. In un uomo fatto, ecco, Io capirei, perché può essere sostenuto da altri sentimenti a lungo maturati: in un fanciullo, che « non ha mai dato un dispia¬cere» ad alcuno, è difficile capirla, se non si ammette in lui una forza morale preparatagli nell´anima da una mano superiore, e sostenuta
(i) CRISPOLTI, Op. Cit., cap. VII, pag. 131. Nel fatto del Gonzaga appare prin¬cipalmente l´umiltà: non il complesso di circostanze che rendono più eroico d´as¬sai il fatto del Savio, fanciullo undicenne.
(z) Cfr. sopra, pag. ai.
(3) E nessuno fece segno di saperlo. Perchè ? Paura di vendetta, o paura del
Maestro infuriato ?
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da un ideale che non si crea in un istante, ma vive e risplende assi¬duamente agli occhi dello spirito. « D´altronde pensava, egli dice, anche al Nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato ». Ecco l´ideale: somigliare a Gesù nel patire, e nel patire più delicato, qual è quello del buon nome.
Queste son cose da Santi. E che possano avverarsi in un fanciullo di undici o dodici anni quasi non si crederebbe, se non sapessimo che la grazia di Dio non guarda ai tempi e non misura le distanze, ma acce¬lera come vuole i suoi lavori.
Quest´atto eroico, che sta sopra ogni altro della vita precedente, perchè più intimo, e perciò più squisitamente spirituale di tutti, co¬rona i dodici anni della fanciullezza ed assomma in un punto tutto il lavoro fatto da quell´anima e fattosi in lei. E sta al termine e al culmine di quella prima stupenda età, la quale con esso non si chiude, ma si dischiude all´età nuova, nella quale la santità deve prendere finalmente la forma a cui la grazia di Dio l´ha preparata e predesti¬nata. Sarà un cammino fatto di voli, secondo la direzione segnata da una mano sulla carta di Dio con le linee dell´amore: Don Bosco.
CAPITOLO IV
Verso Don Bosco.
· L´anima di Savio Domenico era preparata a questo e, parlando secondo Dio, predisposta per questo. Le circostanze contingenti del suo venire con Don Bosco ne schiusero la via; ed egli vi entrò senza bisogno di rimutarsi in nulla, perchè quella era la via sua. Già lo sentiva quando esprimeva ad Angelo Savio « il gran desiderio di es
sere annoverato tra i figli (sic) dell´Oratorio » e con l´espressa inten¬zione « di farmi prete per salvare l´anima mia e far del bene a molti
altri » (i). Quello che per altri, per una gran parte degli altri, non era che un mezzo offerto ai non abbienti e ai poveri per studiare e per supplire o rimediare all´educazione della famiglia, era per Iui
un´aspirazione a trovare finalmente la via ben chiara per adempiere al bisogno di farsi santo: forse n´aveva un presentimento non del tutto
definito, ma pronto a chiarirsi al primo incontro. Don Bosco non gli era sconosciuto, giacchè nelle terre circostanti a Mondonio e a Mu¬rialdo del suo nome e della sua opera si parlava con ammirazione.
Ne parlava l´amico Don Cugliero (a), che diffondeva nel paese le iniziate Letture Cattoliche, e gl´indirizzava i giovanetti, dei quali il
Savio non fu forse il primo: ma il desiderio che il fanciullo aveva di venire da Don Bosco fa intendere che il buon prete gliene parlava come non forse ad altri; mentre lo preparava anche negli studi, inse¬gnandogli, fuori programma, i primi elementi del latino (3). Che ne avesse compresa tutta la virtù, e .presentito quel di più che non è
(i) Somm. Proc., lett. cit. di Angelo Savio, pag. 453.
(a) Di qualche armo maggiore di Don Bosco, e non compagno di Seminario, giacchè gli dà del Lei. Infatti nel 1857 era nel 20° anno d´insegnamento, che po¬teva aver assunto nel ´37, avendo suppergiù da 25 a 27 anni, ed essendo già prete.
(3) Non occorre qui ripetere le notizie date altrove sull´ordinamento scolastico del tempo. Ma in più luoghi nel 5° anno delle scuole elementari si dava qualche notizia di latino, sicchè si facevano poi le tre classi regolari di grammatica.
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ordinario anche nei buoni, lo dimostrano le parole con le quali lo fece conoscere e raccomandò a Don Bosco: « Qui in sua casa può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova, e troverà un San Luigi ».
E non esagerava. In realtà, se raccogliamo quanto siam venuti dicendo, scorgiamo nel santo fanciullo una precocità spirituale che ha dello straordinario. Fin dalle prime manifestazioni dai quattro ai sei anni, e più dopo la Prima Comunione, si rivela in lui uno spirito di preghiera e un atteggiamento dell´anima, ch´è un´espansione del cuore che si dà tutto a Dio (i), e che si svolgerà nel tempo in un vero stato d´animo (z), ed è intanto raccoglimento e attenzione a Dio. Donde, ed insieme, la religiosa cura e scrupolosa diligenza nell´adempimento dei doveri, che, nella sua condizione, è la migliore, forse la sola, via per divenire santo (a).
Ed è, anche solo a guardar´ lo, un San Luigi per la modestia del portamento e la purezza che irradia dall´aspetto: lo sentono perfino
i compagni fanciulli. Non altrimenti dovette essere là pietà fanciulla di San Luigi, prima che S. Carlo, a dodici anni, gli schiudesse la via dell´orazione, ossia quella pietà più ordinata che s´apprende dallo studio di sè (4).
Gli orientamenti della divozione, sintomo della ispirazione indi¬viduale della grazia (5), hanno cominciato a delinearsi, con l´attra¬zione verso il Tabernacolo, con la tenerezza per Gesù, con la prefe¬renza al culto dell´Addolorata, con la familiarità coll´Angelo Custode, con la pratica del Rosario che dalla casa trasporta alla chiesetta sua, davanti alla sua Madonna.
Bisogna riconoscere da codesti lineamenti una spiritualità supe¬riore all´età sua, e che riveste di sè le azioni della fanciullezza: una psicologia di Santo, della quale si hanno ad ora ad ora i segni non dubbi, perché sono i medesimi che la significano nelle anime adulte. Pur¬troppo, quando si studia cotale psicologia, non la si considera se non negli uomini fatti o in giovani usciti dall´adolescenza (6). Ma io credo
(r) FABER, cit.: Tutto Oer Gesù, pag. 84; Creatore ecc., pag.
(2) In., Progressi, ecc., pag. 417.
(3) FABER, Progressi, pag. 3o.
(4) MESCHLER, cit., 48-49.
(5) FABER, Belle/Mite, 224.
(6) Anche iI Hertling, nella sua risolutiva monografia, non potè recare altri esempi che di giovani, come S. Luigi, Stanislao Kostka, Giovanni Berkmans: di fanciulli no; benché la dottrina ch´egli espone e difende voglia riferirsi anche a questi. Se il Savio fosse stato già elevato agli altari, certamente n´avrebbe fatto un caposaldo della sua tesi.— Così iI Joly, nel suo citato lavoro, sorvola sui santi fanciulli.
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che al nostro piccolo santo si debbano riferire, non meno che ad altri, le dottrine dei moti di grazia.e di preghiera, che fanno della persona un essere nuovo e un uomo soprannaturale. Basta leggere, pensando al Nostro, il celebre capitolo XV dei Progressi dell´anima del Faber, e ivi stesso il capo XXVI, che parla del Fervore (i).
Non è un´immagine esornativa, ma è buona teologia, pensare anche del piccolo Savio che « intorno all´uomo di preghiera vi stanno coa¬bitatori e gli son famigliari Dio, Gesù, Maria, Angeli e Santi » (a). Non li aveva egli già familiari, colla tenera confidenza del fanciullo, anche nei suoi primi anni ? La psicologia dei Santi trasportata nel mondo giovanile riesce appunto a ciò che la figura del nostro piccolo santo rappresenta nella innumerevole varietà dei Santi di Dio: la spe¬cie dei santi fanciulli. E se fin dapprincipio ho ricordato che di lui, come di S. Luigi, si può dire che l´amor di Dio lo predò bambino (3), la sua tenera età passata nell´amor di Dio ci fa pensare all´amor di Dio per lui: quell´amore che precede sempre colle sue grazie la corrispon¬denza dell´anima, onde s´avvera quello scambio che in parola di. Don Bosco si chiama lavoro della grazia (4). Non è necessario essere dotti di teologia per amare Iddio con tutta l´anima, come non occorre sa¬pere l´ottica per vederci bene.
Io insisto su questi concetti, perché, prima di sentire la storica parola di Don Bosco, mi pare necessario spiegare come mai, in un´età di fanciullo tra undici e dodici anni, il Savio sia potuto giungere a quell´atto eroico, che, come dicevo, corona tutta la vita precedente. Per me quel fatto, quei motivi, e più, quel motivo intrinsecamente derivato dall´amor di Gesù, indicano una, persino inconsapevole, ma non meno reale, preparazione interiore e un´abitudine ai pensieri d´a¬more, che si sono venuti svolgendo nell´anima, e formando la sua sem¬plice ma già ben segnata fisionomia spirituale: si chiami poi psicologia o altrimenti, è sempre una vita dall´interno che si rivela nei fatti este¬riori. E cioè, ancor nel piccolo mondo d´anima fanciulla, non è già un saggio di quello che S. Maddalena de´ Pazzi disse di S. Luigi, ch´egli fu santo perchè « operò dall´interno ? »
(i) Sono pagine ornai citate da tutti, dal Segond, ch´è uno studio della psi¬cologia della preghiera, al Don Columba Marmion, dotto e pio maestro di Teologia Ascetica.
(2) FABER, Progressi, XV (Preghiera), pag. zo6.
(3) CRisporri, op. cit., ros.
(4) FABER, Piede della Croce, 436.
(5) CRISPOLTI, cit., pag. 31. MESCHLER, op. cit., pag. zryi: Visione di Santa
M. de´ Pazzi, 4 aprile r600.
io — CAVIGLIA, D071 Basco, scritti. Val. TV. Parte I.
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Ed ora udiamo quella parola. Il a ottobre 1854, di buon mattino, là, in casa Don Bosco a Murialdo (i), « un fanciullo accompagnato dal padre si avvicina per parlare a Don Bosco; il volto suó ilare, l´aria ri¬dente, ma rispettosa » interessa subito il Santo dei fanciulli. Vi è già una mezza intesa solo in quel presentarsi, e la figura non selvatica e ritrosa, ma ilare e ridente è quella propria che sarà sempre del nostro santino una prerogativa. Don Bosco non parla al padre, fa parlare il fanciullo: tra il Santo dei fanciulli e il fanciullo santo vi è una sin¬tonia che li fa intendersi fin dal primo momento, come da lunga data. Infatti dopo la presentazione, il racconto continua: « Allora lo chia¬mai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo, tosto entrati in piena confidenza, egli con me, ed io con lui ». Ed ecco la rivelazione: « CONOBBI IN QUEL GIOVANE UN ANIMO TUTTO SECONDO LO SPIRITO DEL SIGNORE, E RIMASI NON POCO STUPITO CONSIDERANDO I LAVORI CHE LA GRAZIA DIVINA AVEVA GI). . OPERATO IN COSÌ TENERA ETÀ » (2).
Che cosa si son detto? E che cosa si dissero, in quel luglio 158o, S. Carlo Borromeo e S. Luigi? Anche S. Carlo « fece passare Luigi nella sua camera, si trattenne a lungo con lui, e restò meravigliato dei prodigi operati dalla grazia in questo fanciullo, senza l´aiuto di alcuna direzione esteriore,» (3). Per l´uno e per l´altro la conclusione è uguale; meraviglia e stupore al vedere i lavori o i prodigi (è quistion di stile) operati dalla grazia di Dio in un fanciullo di dodici anni, qual è l´uno e l´altro dei giovani santi: e il Borromeo osserva che ciò sí è fatto « senza l´aiuto di alcura direzione esteriore » come Don Bosco, senza dirlo, poteva vedere anche nel Savio.
In quel colloquio; nel quale il giovanetto « apre interamente il suo cuore » a colui ch´egli conosce per Santo (4), è tornata nelle parole del
(a) La festa del Rosario (allora ia dom. d´ottobre) cadeva quell´anno il lo ottobre, e ai Becchi (Murialdo) novena e festa si facevano nella piccola cappella a terreno della casa di Giuseppe Bosco, com´è tuttora: di fronte a questa casa (sul cui fienile dormivano i ragazzi e dormii anch´io) sta la nota casetta nativa del Santo. Nel Processo (Somm. cit., 68) D. Barberia depose che qualche antico compagno gli indicò il posto ove stava Don Bosco parlando. col padre del Savio per l´accettazione, e che da Don Bosco stesso gli fu indicato il punto del colloquio con Domenico.
(2) Così l´ediz. 51. Ma le tre prime avevano: ‹, Conobbi in lui... in così tenero cuore h. Cfr. 11 ediz. pag. 35: 3a ediz., pag, 31-32.
(3) MESCULER, cit., pag. 48, che prende dal Cepari. —. Cfr. sopra, pag. 7.
(4) Cfr. MESCHLER, loc. cit.
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fanciullo tutta la vita precedente, « il tenor di vita fino allora prati¬cato » dice Don Bosco, e le domande « in piena confidenza » vanno a
trovare quei sentimenti, quei motivi, quegl´impulsi, di cui s´intesse la storia meravigliosa di quell´anima, quale noi abbiamo finora de¬scritta, e che fa prorompere nello stupore Don Bosco.
Come l´esperto mercante, che sente al tocco la qualità del panno, Don Bosco al tocco dell´anima del Savio sente la stoffa del Santo.
Ed ora, alla fine d´ « un ragionamento alquanto prolungato » e ancora in confidenza, anzi con la confidenza più disinvolta, il fanciullo do¬manda (« precise parole » dice il testo): « Ebbene, che gliene pare? mi condurrà a Torino per istudiare? ». Traducetelo in piemontese, e sentirete la forza di quell´Ebbene?
E Don Bosco risponde bonariamente, ma con un senso più recon¬dito, ch´egli solo crede capire, con la metafora della stoffa: « Eh! mi
pare che ci sia buona stoffa! ». Il fanciullo, sveglio nell´ingegno e non meno nello spirito, afferra l´immagine e la segue: « A che può ser¬vire questa stoffa? ». «A fare, risponde Don Bosco, un bell´abito da regalare al Signore ».
Non dunque s´intende solo degli studi: il parlar chiuso, cioè per simboli, involge ben altro nel pensiero del Santo Maestro e ben altro
dice al cuore del piccolo santo: « Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto: dunque mi prenda con lei, e ne farà un bell´abito pei Si¬gnore ».
Ma sai, o buon lettore, che questa risposta è stupenda? Non ci vedi un´ispirazione, un qualche cosa come di profetico: come se in
quel punto egli abbia condensata la visione della vita che gli resta,
che vuol essere tutto un lavoro di santità sotto la mano di Don Bosco ? Quando, sei mesi dopo, il giovinetto dirà a Don Bosco: « Io voglio
farmi santo... mi aiuti a farmi santo », non sarà che la traduzione in termini proprii di quello che qui è l´intenzione espressa per im¬magini.
Il resto del dialogo è contingente, benchè consono alle persone e al tema: difficoltà di complessione e fiducia bene ancorata (Ia parola è di S. Paolo) nell´assistenza di « quel Signore che mi ha dato finora
sanità e grazia »: parole robuste da uomo maturo, che si assommano in un « non tema » detto da un ragazzino che a vederlo fa proprio temere. E poi la vocazione. Don Bosco la domanda sempre, anche quando la sa: vuol che sia il giovane a volerla, non che possa parere suggerita. Così farà con Magone e Besucco.
E così è del seguito del racconto. La prova della capacità allo studio superata vittoriosamente imparando in otto minuti le 28 righe di una pagina: l´anticipata risposta di « annoverarlo fin d´ora tra i miei
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figliuoli »: l´esortazione a pregare Iddio perché aiuti lui educatore, e il figliuolo a fare la sua santa volontà. Dove, chi vuol guardar bene, vede come Don Bosco pensa che il lavoro dell´educazione, sia umana che spirituale, è opera di collaborazione, non meno di quel che sia collaborazione di Dio e dell´anima nel lavoro della santità. E il fan¬ciullo che queste cose intende col cuore, ringrazia con la tenera effu¬sione del suo gesto.
CAPITOLO V
Quel che vi era e quel che doveva venire.
Don Bosco ha fatto cosi acquisto della buona stoffa di Savio Do¬menico. Egli ha visto, dal racconto del tenor di vita condotto fino allora, e dalle altre confidenze del fanciullo, come quella stoffa sia stata in¬tessuta dalla mano di Dio, coi lavori della grazia. E l´ha detto a noi, come al fanciullo ha detto di volerne fare « l´abito- da regalare al Si¬gnore ».
Noi abbiamo, col nostro discorso, voluto descrivere quel che Don Bosco ha veduto in quell´ora: come si è intessuta di mano in mano (ripeto l´espressione perchè la dissi prima con intenzione) la storia di quell´anima fanciulla. E l´abbiamo voluta vedere quasi colla lente, come fanno gli esperti, filo per filo e passo per passo (del telaio). Ora sappiamo qual era il Savio al momento che la sua stoffa passava nelle mani di Colui che da giovanetto aveva fatto il sarto per procac¬ciarsi di che adempiere alla sua vocazione di operaio di Dio.
E se vogliamo «in un sol punto e in una vista » comprendere tutto il già fatto, ecco presentarcisi qual era in quel momento. Delle sue virtù abbiamo una definizione nella testimonianza di D. Rua al Processo: « Ciò che vidi durante la sua dimora all´Oratorio bastava a far conoscere quanto dovesse già essere avanti nella pietà, prima an¬cora che venisse da noi ». « ... Io argomento che fosse di speciale ingegno e di preclara virtù, anche prima di venire all´Oratorio, dal¬l´interesse non solo del padre, ma del suo Cappellano e del maestro di Castelnuovo per fargli continuare gli studi». « ... La prudenza usata nella scelta degli amici e nel modo di comportarsi coi compagni, fa credere che anche al paese natio abbia saputo evitare i pericoli delle cattive compagnie» (t). Il Cagliero diceva di « una spontaneità e fa- cilità nell´esercizio delle virtù, da far conoscere averne un abito già dalla prima infanzia » (a). E gli riconosceva una purezza che egli, Car
(i) Somm. Proc., pag. 80.
(2) Somm. Proc., Cagliare, roz,
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dinale di Santa Chiesa, credeva essere in lui una prerogativa speciale, frutto della divina grazia, e l´anima sua essere stata esente da tenta¬zioni: il che Don Rua opinava che fosse un privilegio singolare (i).
Internamente egli era giunto ad un amore che fin dai sette anni gli faceva pronunziare la sua grande parola, che lo staccava ed oppo¬neva radicalmente ad ogni idea di peccato: ad un senso della preghiera che gliela rendeva spontanea e diveniva ormai un bisogno della pic¬cola anima, e ad un´attenzione a Dio che lo accompagnava in tutte le azioni, ad un´intensità di raccoglimento che atteggiava il suo contegno
e che nella preghiera meravigliava le anime divote.
E tutta codesta attitudine dell´anima si era prodotta in lui dall´ar¬resa al fascino di Gesù nel SS. Sacramento, che lo richiamava all´al¬tare ogni volta che potesse e ve lo teneva quant´era possibile; mettendo nella sua pietà quel moto d´affetti che lo avviava, come aduna mamma, alla Madre di Dio, e quasi fraternamente all´Angelo Custode: un moto di affetti, diciamo di affezione, che più teneramente si volgeva a sentire congiuntamente la Passione di Gesù e i Dolori di Maria: ch´erano il soggetto delle sue prime riflessioni. E tra tutto, e come ri-sultanza di tutta la sua devozione e pietà così immedesimata, la devo¬zione (quasi la diremmo divozione) a tutto ch´era un dovere, nelle osservanze precipue e nelle più minute: un modello di precisione.
In tali disposizioni di cuore e di anima, si era delineata e poi affer¬mata la voce di Dio che lo chiamava al sacerdozio, per essere santo ed apostolo: a quella voce egli aveva risposto con l´eroismo della fatica
e dello strapazzo diuturno per adempiere allo studio.
C´era già in lui una precoce maturità e una coltura di virtù interne: serietà schiva di cose aliene dal raccoglimento, fortezza nel respin¬gere le occasioni men sicure, carità e buon cuore verso gli altri, fino all´eroismo della generosità; fiducia in Dio semplice ed immediata; obbedienza a Dio negli uomini; umiltà eroica. Operava coll´interno, ed era giunto all´eroismo delle virtù interne e dell´affetto pel suo Gesù: uno stato eroico quasi non immaginabile per la sua età e cognizione,
e tanto più sicuramente eroico, perchè derivato da un animo sempre sereno e lieto e caratteristicamente amabile, vivente in uno stato di letizia propria dell´innocente che gioisce della grazia di Dio.
Tutti questi sono più che indivia o sintomi: sono principii o ele¬menti e fattori di santità, che devono ancora, senza rimutarsi, fornire materia .ad un lavoro ulteriore, pel quale, svolgendosi essi, e comple¬tandosi di nuove attuazioni non ancora offerte alla vita precedente, vengano ad avere la forma predestinata al tipo ch´è nel pensiero di
(T) Somm. Proc., Cagliero 291; z88; Rua, 291.
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Dio. Sono, come dice la felice metafora, la stoffa con che deve farsi l´abito. Il sarto sarà Don Bosco: egli darà il modello e ritaglierà (mi si conceda il breve allegorismo, che a lui piacque sempre) dalla pezza vergine i pezzi di misura, e li cucirà al lume di Dio e col filo delta sua pedagogia, e vi metterà anche la finitura: così lo regalerà, regalo da Santo, al Signore, finito di tutto punto, agiato e giusto di taglio e bello di seria eleganza. I ritagli non andranno perduti: le individualità del carattere e della divozione serviranno di buona provvista per gli altri, perchè la stoffa è abbondante.
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Usciamo dalla metafora. Noi abbiam veduto quello che c´era nel Savio ai suoi dodici anni, e ci disponiamo a vedere che cosa vi sarà dopo e che allora non c´era. Non s´era ancora affermato quel pungente desiderio, quella ricerca studiosa, ingegnosa (la parola è del Segneri), della mortificazione, che Don Bosco dovrà frenare o volgere in altro senso. Ma non nasce da sè; bensì è il riflesso più immediato e più naturale della nuova essenziale e trasfigurante visione che il giova¬netto ha della sua vita: dovere e volere farsi santo. Questa idea vi è naturalmente in ogni santo, giacchè senza tale volontà santi non sì viene. Ma la novità è il definirselo e volerlo espressamente, è nell´e¬sprimere questa volontà. L per eccellenza la parola nuova di Savio Domenico, che finisce di farlo santo davvero. Ne diremo a suo luogo.
E non dico da questo, ma con questo, la forma d´attività interiore ed esterna, di sentimento, di pensiero e d´azione, che distingue la figura del giovane santo. Due attrazioni, collegate e interdipendenti, ma egualmente irresistibili, e a loro volta feconde, agiscono ora su quell´anima, occupandola tutta; la vita eucaristica, nella quale il gio¬vanetto s´immedesima fino all´estasi; e il culto di Maria Immacolata, che genera un´istituzione originata dal santo alunno: e tutt´e due, com´è loro natura, dispongono e muovono e accompagnano l´attività del Savio sulla via che Don Bosco vede essere la sua: l´apostolato. Il Santo Maestro glielo dice apertamente, ed egli diviene un grande piccolo
apostolo.
È un´altra grande parola che l´anima di Savio Domenica impara a pronunziare, e che lo occupa finalmente tutto di sè. L´apostolato dei prossimi e l´apostolato in grande, quello ch´è tutt´uno con gli interessi della Chiesa e cioè di Gesù: la conversione degli eretici e la conversione d´una nazione estranea alla Chiesa. Codesto grandeg
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giar d´idee soprannasce, quasi erompendo, appena l´anima si è dette le nuove parole della pietà.
Sono queste le attitudini, le vedute, le aperture dell´anima che prima non c´erano; la volontà definita di farsi santo, lo spirito ardente
di mortificazione, la vita eucaristica, l´aderenza al culto pratico di
Maria, l´istinto dell´apostolato, la devozione alla Chiesa: messe in¬sieme, esse appartengono ai caratteri della santità. E allora non c´è da
stupire che l´Autore della grazia circondi il piccolo santo d´una vita carismatica, che non è neppure di tutti i Santi, e nel Savio appare più che nello stesso San Luigi.
Diremo, dopo questo, che il nostro Savio è diventato un altro ? Si dice nel parlar corrente, quando alcuno si rivela altrimenti da prima, e non è sempre oggettivamente vero. Nel fatto nostro, i principii, gli elementi, i fattori vi erano prima dei dodici anni; essi hanno preso sviluppo e forma meravigliosa, che sembra nuova e non derivata, perchè i fatti soprannaturali hanno una loro logica e un loro modo di svilupparsi a cui la logica naturale non giunge. È Don Bosco stesso che ci fa notare, subito al cominciar della nuova età del suo discepolo, che « tutte quelle virtù che noi abbiamo veduto nascere e crescere ne´ vani stadi di sua età, crebbero ognora meravigliosamente, e creb¬bero insieme, senza che l´una fosse di nocumento all´altra» (i).
A codesto svolgimento o, diciamo pure, nuova produzione, con¬corrono, com´è davvero naturale, due fatti: l´età e il luogo. I dodici anni sono il trapasso dell´adolescenza: precisamente quell´età che Don Bosco, l´Educatore dell´Adolescenza, riteneva adatta per cominciare una vera educazione; fosse morale, fosse spirituale o di santo, non distinse (2). Ed è l´età in cui una guida è necessaria. Genii si nasce; ma senza una grammatica dell´operare, non si produce l´opera . del genio. E Santi si può essere fin dall´infanzia e si è poi sempre e sol¬tanto colla grazia di Dio: ma a un dato momento è d´uopo d´un po´ di grammatica della santità. S. Carlo si meravigliò dei prodigi dalla grazia operati nel Gonzaga fanciullo, « senza alcuna direzione appa¬rente »; ma allora gliela diede, indicandogli la vita eucaristica e la meditazione. Cosi Savio Domenico ha fatto stupire Don Bosco: ma appunto perché questi ha veduti in lui i lavori operati dalla grazia, appunto in virtù di questo l´ha preso con sè. Nell´uno e nell´altro dei due giovani santi, l´autarchia della santità non avrebbe dato frutti oltre un certo limite.
(i) Vita, cap. VIII, t ediz., 37.
(a) Citeremo a suo luogo le precise parole del suo primo _Regolamento, del 1852-54.
LIBRO II
A CASA DI DON BOSCO
CAPITOLO I
" Incipit vita nova ".
Non senza una profonda ragione attribuisco la storica parola del Poeta (i) al nuovo momento della storia del Savio. La venuta di lui alla Casa: di Don Bosco fissa una volta per sempre il luogo proprio dove si rivelerà la sua vera vita di santo. Quel Capitolo VIII della Vita, che sta quasi a preambolo del restante racconto, è già intessuto di cose e di sentenze di tanto valore, da gettare un fascio di luce sulla vita susseguente. Chi legge s´accorge subito che Don Bosco vede già il Santo, e nel nimbo della santità avvolge le singole manifestazioni della piccola persona del suo alunno. Sì, queste pagine furono scritte assai dopo ,ma, oltrecchè sulle note che poi egli venne segnando, ben più palesando l´affettuoso stupore da cui fu presa l´anima sua in presenza del rivelarsi quasi subitaneo della vitalità d´uno spirito che, per quanto nel primo colloquio di Murialdo gli avesse dimostrato °i lavori della grazia divina, egli probabilmente non credeva ancora così maturo e temprato. E così gli vengono sotto la penna sentenze di vasta comprensione e rilievi lumeggianti che trasportano il lettore in quella medesima atmosfera nella quale egli vede vivere il suo piccolo eroe.
Benchè Don Bosco veda, e lo dice, che codesta nuova attività dello spirito del Savio non è senza precorrimenti, ed anzi sono le virtù di prima portate a meravigliosa crescenza: non può non sentire, nell´atteggiamento di quell´anima, il fatto nuovo e come l´intervento di una nuova ed imprevista energia, o di una luce non prima accesa, che fa del suo fanciullo un altro da quello di prima_ E senz´altro ci mette in grado di riconoscere fin dapprincipio quella novità, ch´è per lui quasi una scoperta, e che distingue (vorrei dire separa) l´antece¬dente età dell´autarchia nella santità da quella che ora s´inizia e si maturerà nelle sue mani medesime.
Il nuovo sta in quel subito ritrovarsi di se stesso nella nuova vita, e viverla senz´altro in pieno, nella più desiderabile e ideale delle per
(i) DANTE, La Vita nuova, § i.
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fezioni, senza esitane e senza ignoranze. È questo che colma di stu¬pore Don Bosco su quel principio.
Meravigliosa è infatti questa posatezza, questo equilibrio e padro¬nanza di sé, per la quale il nostro fanciullo si orienta e cammina riso¬luto verso la meta, seguendo un programma predisposto non si sa quando, ma sicuramente definito e posseduto. Nè può spiegarsi se non come un lume di Dio che accompagna la volontà della virtù già acquisita. Questo piccolo ometto che fa subito tutto bene, e con l´a¬nima protesa a fare e volere tutto il bene che può, non è soltanto un tipo precocemente riflessivo: è un piccolo santo: piccolo, ma Santo, come disse a quei tempi il Cagliero.
Sono cominciamenti; ma in quelli Don Bosco vede già delinearsi la figura del suo santo, nella bellezza della sua armonia spirituale: vede che non cominciamenti, ma sono principii attivi che si verranno armonicamente svolgendo e maturando. E contemplando già nel suo insieme tutta la vita decorrente, il Santo Maestro esce in una defini¬zione che, ad un lettore comune, sembra messa là a conferma d´una didascalia educativa, ed è invece atteggiata nella sua mente dall´emo¬zione destata in lui alla scoperta del nuovo santo. Leggiamo: « Tutte quelle virtù che noi abbiamo veduto nascere e crescere nei varii stadi di sua vita, crebbero ognora meravigliosamente, e crebbero insieme, senza che una fosse di nocumento all´altra» (i).
Orbene, che in un giovanetto che tocca appena la prima adole¬scenza, si possa vedere una temperie di spirito, per la quale le virtù, oltre ad una meravigliosa fioritura, crescano insieme senza che una sia di nocumento all´altra, cioè in un´armonia, che solo può essere data, e non sempre, da una lunga e non facile disciplina di sé: che la discre¬zione propria delle menti meglio illuminate e delle anime più fine¬mente perfette (z), faccia di quest´anima quasi un saggio estetico di santità, com´è avvenuto poi della S. Teresa di Lisieux (3), è cosa tanto straordinaria e sopraterrena, che non può convenire se non con l´idea e l´immagine di un Santo. La parola di Don Bosco tocca in questo punto una profondità e un´estensione, quale solo poteva provenire dalla mente e dall´intuizione d´un Santo di genio.
Nè la definizione di Don Bosco può farci pensare a quello svol¬gersi e crescere dal poco al molto che si avvera in chi deve quasi ope
(i) Vita, loc. cit.
(2) FABER, Progressi, XXVII, 424; 428, 3. Cfr. pure S. BERNARDO, Sup. Cant., Semi. XLIX: Auriga virtutum discretio est.
(3) e L´equilibrio stabile e armonioso di tutte le virtù fu l´aspetto più risaltante della santità della Teresa del B. G. ». PETITOT, S. Teresa di Lisieux, ossia una ri
nascita spirituale, pag. 125.
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rare una graduale conversione, conquistandosi la virtù e il progresso spirituale a poco a poco, con diuturno lavoro e magari tra lotte e fa¬tiche. Ogni santità è per sua natura una continua non mai intermessa crescenza nella esperienza amorosa di Dio (ed è in ciò, come dicemmo altrove, il lavoro misterioso dello scambio nel regime della grazia), e Don Bosco non omette di riconoscere che le virtù del suo caro san¬tino « crebbero meravigliosamente «: ma esse erano già nate con lui e « cresciute nei vani stadi di sua vita », e non era nel caso del princi¬piante (i trattatisti dicono incipiente) che comincia a metter su qual¬che cosa, passando, se Dio l´aiuta, di grado in grado fino alla perfe¬zione della via illuminativa e della unitiva. L´ «a poco a poco » nel caso nostro ci sta molto a disagio: sia perché il punto da cui si parte è già un molto, e Don Bosco l´ha sentito fin dal primo incontro: sia perché il nostro piccolo ma grande gigante dello spirito, come l´ha detto Pio XI, comincia subito e forte con fatti che non sono semplici cominciamenti, e prosegue poi, per grazia speciale di Dio, in una forma che trascende le parziali gradazioni. Con lui il buon Dio ha fretta, perchè il tempo che gli ha segnato è breve; e quel che dovrebbe com¬piersi in lunga ora, Egli, con un tocco della sua grazia, Io rende pos¬sibile e fatto in pochi momenti. Sono, anche questi, misteri di Dio.
Con tale concetto la vita uova del Savio ha una ragione di conti¬nuità, anche se non in ogni parte esso venga rievocato. II racconto biografico della Vita non segue strettamente una cronologia, ed è fatto per buone ragioni, come dirà lo stesso scrittore. Perché la vera cronologia di questa santità, più che dal volgere dei giorni, è data dai momenti della grazia, che segnano _nuove e più ardue ascensioni e sempre più intensi addentramenti dello spirito in Dio.
Perciò il nostro studio vuoi essere condotto, in questa parte, così come nella mente del Santo Maestro restò figurata la storia del suo discepolo santo: su tre linee che s´intrecciano e interferiscono a vi¬cenda, riuscendo ad un medesimo e unico termine. E sono: la bio¬grafia esterna come traduzione plastica della vita interiore; la storia interiore, ossia la vita dell´anima in Dio e la vita di Dio nell´anima, ora fonte, ora oggetto dei carismi soprannaturali; il lavoro di Don Bosco che guida e segue ed inspira.
Codeste tre vedute non sono distinte nel dettato della Vita, e l´ultima rimane alquanto velata, perché s´incontra con la direzione interna, che rimane secreta: solo compare a quando a quando la sen¬tenza comprensiva del Biografo, a mostrare ch´egli le ha presenti e ne vede le concordanze e l´unità. Non è da trascurare il fatto che se, al primo aspetto, la materia del libro è di preferenza un tessuto di fatti esemplari, non si hanno qui gl´inconvenienti dello sminUzzarnento
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episodico, onde si perde il senso dell´insieme giacché quegli episodi sono coordinati ogni volta ad un tema ed ad un´intenzione, e stanno a dimostrare un particolare aspetto della ;vita di santità e, in sostanza, a provarne l´esistenza e l´azione. E sono appuntd le sentenze e le os¬servazioni d´insieme che ne raccolgono il significato.
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Un saggio molto persuasivo è questo Capo Ottavo, nel quale son descritti i cominciamenti della vita nuova. Don Bosco è tanto preso dall´idea di presentarli come annunzi e segni, più ancora, come rive¬lazioni di santità, che nemmeno si cura di segnare la data dell´ingresso del Savio nell´Oratorio, che fu il 29 ottobre 1854 (i).
Entriamo anche noi, per prendere conoscenza di quella Casa, materia e spirito, nella quale doveva avverarsi la vita nuova del no¬stro giovane santo. Don Bosco, scrivendo nel 18.57-58, mentre era ancora in atto il mondo di Savio Domenico, non aveva bisogno di richiamare circostanze d´ambiente, quali sarebbero occorse a distanza d´anni e di decenni, e quali perciò occorrono a noi, così lontani nel tempo e in presenza di condizioni del tutto mutate, se vogliamo in¬tendere, fuori del vago e del generico, che cosa fu la vita vissuta dal nostro giovanetto santo.
Quando il Savio venne a Torino, la Casa dell´Oratorio era ancora ai suoi esordii. Diciamo la Casa, perché questa fu sempre la parola usata da Don Bosco, annettendo alla parola un senso di convivenza famigliare, quasi d´intimità, quale intendiamo noi pure quando par¬liamo di casa nostra (a).
E, ripeto, nella Casa tutto era ancora agli esordii. Siamo al periodo delle origini: quando si vien costruendo la prima fabbrica, e mentre con l´accogliere un crescente numero di giovani, si vien via via ordi¬nando un regime di vita più regolato, benché, per parecchi anni an
(i) L´annunziò il Card. Cagliero al Processo Apostolico, osservando con parti¬colare tenerezza che e casualmente o provvidenzialmente la salma del Savio fu trasferita a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice lo stesso giorno in cui 6o anni prima egli entrava all´Oratorio, alunno del Ven. D. Bosco ». (Somm. Proc., Cagliero, 341). Il trasferimento della Salma da Mondonio a Torino avvenne il 27 ottobre: ma nella Basilica venne riposto soltanto il 29 del mese medesimo. (Cfr.
SALOTTI, cit., pag. 248-49).
(2) Propriamente la Casa dell´Oratorio voleva indicare il piccolo fabbricato d´abitazione annesso` all´Oratorio, ch´era la primitiva e specifica fondazione dal 1846 in poi (e, quanto al nome, dal 1845), nei locali di Casa Pinardi. Insomma l´Oratorio di S. Francesco di Sales aveva una Casa, in cui abitava Don Bosco con sua Madre, e si allogavano i vani locali occorrenti al funzionamento dell´Oratorio
stesso, e poi, stringendosi bene, anche il primo Ospizio.
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cora (che nell´intenzione di Don Bosco avrebbero dovuto esser sem¬pre) non vi apparisse affatto lo stile collegiale. Possiamo dire anzi, che, come la Casa, così si veniva edificando nel pensiero di lui la con¬cezione organizzata del suo sistema: giacché proprio in quel 1854 egli fissava le sue idee nel Primo Piano di Regolamento per la Casa annessa all´Oratorio di S. Frane. di Sales: pensato e abbozzato in parte nel 1852, ma, dopo lunghe meditazioni, finito di elaborare nel ´54, e pensato, come si vede, per la Casa d´allora (i).
Io credo che non s´intenderà mai a fondo la ragione intima del suo sistema educativo, se non si tien conto della fonte prima della•sua con¬cezione, ch´era il ricordo e, diciamo pure, la nostalgia della vita di quei primi tempi. Eh! l´origine delle idee come dovrebbe valere a spie¬garle! Non è una parentesi oziosa, se pensiamo che appunto allora, nella formazione del Savio, si concretavano una volta per sempre gli indirizzi spirituali ch´egli ha lasciato in retaggio ai suoi e al mondo.
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Diciamo intanto della Casa. Quando Savio Domenico vi entrò, della presente città salesiana in Valdocco non esistevano che la Casa Pinardi, la chiesa di S. Francesco (1852), e l´ala destra del fabbricato centrale, col breve e ristretto braccio trasverso, in capo al quale, al 20 piano, 33 stanza, dall´ottobre 1853, si era allogata la camera di Don Bosco, affacciata (cioè con l´entrata) sul balcone. Questa parte era stata costrutta nel ´53 (2), e aspettava di completarsi dell´altra _metà (dal portone-andito di mezzo verso sinistra), che fu fabbricata, presente il Savio, nel ´56, sul sito della primitiva Casa Pinardi. La vecchia tettoia-cappella serviva da sala di studio! (3).
E con quella prima costruzione il numero dei giovani fu portato subito a 65: nell´anno 1854-55 crebbero fino a 115, e nel successivo, a 153. Come ci stessero, è un miracolo! (4).
(i) Mena Biogr, IV, 542, e Appendice, 735.
(a) P, la Casa nuova del Soc. Bosco data come domicilio di Carlo Tomatis nei quaderni dell´Accad. Albertina di Belle Arti, anno 1855-56. — La prima fab¬brica giungeva fino alla scala e la comprendeva, poi, tirandosi su l´altra, fu lasciato il passaggio di mezzo, che ancora esiste.
(3) Cfr. F. GIRAT.3DI, L´Oratorio di Don Bosco: Inizio e progressivo sviluppo
edilizio, ecc. Torino, 2& ediz. rifusa, pag. 124-127. — opera capitale per la
storia Salesiana.
(4) Eppure nel ´57, con l´altra parte di fabbrica, il numero fu di 199, e c´erano già tre scuole interne e quattro laboratorii. La parola » non c´è più posto » il buon Padre non la volle mai sentire. Potrei dimostrarlo con fatti di veduta, anzi coI fatto persomile.
i — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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. Anche col numero cresciuto e crescente, il tono della vita era pur sempre quello della famiglia, con un Padre che si spendeva tutto pei suoi figliuoli e viveva in mezzo a loro, e si tapinava in procacciare il pane, che nel 1854 costava 14. soldi al chilo (i): con una Madre, mamma Margherita, che ormai non bastava a tutto, ma il cuore e le buone
parole non le mancavano mai; con una disciplina che in mano di Don Bosco non andava più in là dell´ordine e dell´obbedienza amorevole
d´una famiglia cristiana. Il Patriarca dell´educazione cristiana (z) vo¬leva, e avrebbe voluto sempre, che ogni suo figliuolo si sentisse a casa sua (3). Un Regolamento c´era e fu terminato di scrivere in quel¬l´anno (.4.), come poi, in seguito,. l´esperienza e la necessità suggerirono qualche altra regola disciplinare; ma il tono paterno ed esortativo delle
regole stesse, e la loro evidente praticità e ragionevolezza, allontanava ogni idea di costrizione o d´imperio.
E poi questo amorevole codice era osservato non in forza d´una sanzione qualsiasi, ma per coscienza, e il testo di quella legge, che venne pubblicato con qualche ritocco nel 1877, non era che la for¬mula fissata degli avvisi che quotidianamente si davano a voce, in forma di consigli e di esortazioni, dal buon Padre di tutti.
Il motto Dio ti vede era sui cartelli un po´ dappertutto, e bastava.
Era questa spontaneità nell´obbedire alle poche regole e alle osser¬vanze comuni, che dava senz´altro l´aspetto della vita di famiglia a
tutta la Casa. Ed è il primo grande principio del sistema educativo di Don. Bosco: ottenere che i doveri, si facciano per coscienza.
Egli non aveva allora pressochè nessun aiuto: solo dal 15 agosto 1854 era venuto a star con lui D. Vittorio Alasonatti, disposto e pre¬sente a tutto e moltiplicato per tutto: una qualche parte di sorveglianza
potevano avere i primi chierici Rua, Francesia, Savio, e, dal novembre di quell´anno, il Cagliero: tutti dai sedici ai diciott´anni di età; e con=
siderati come allievi anziani: poca cosa adunque.
o o o
Ma, e per principio e per forza di cose, tutto il´ buon andamento
della Casa era fondato sul principio della presenza di Dio e della coscienza. L´aria di famiglia si compenetrava con l´aria di Dio
(i) Lascio al lettore esperto di fare il ragguaglio del valore della moneta d´al¬lora con quella presente: ne viene un costo carissimo. Ed era certamente pane tli 2a qualità.
(a) °RESTANO, Acc. d´Italia: Don Bosco Santo, Cagliari, 1934.
(3) Mem. Biogr., IV, 679.
(‘D Cfr. pag. prec., n. r.
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a formare un clima da santi, ch´era in molta parte un clima di santi.
Non è una frase speciosa, nè un gioco di parole. Don Bosco aveva già creato in casa sua quello spirito di filialità verso Dio e verso lui stesso, che traduceva ogni fatto, buono o meno che fosse, in lingua di Dio; e se il bene, il dovere si adempiva per non offendere il Signore, la mancanza era un peccato e il richiamo era alla voce della coscienza e alle cose dell´anima. Chi legge nel IV volume delle Memorie Bio¬grafiche il capo LVIII, e vede come si viveva attorno a Don Bosco, ancora tutto solo, negli anni precedenti al 1854 e intorno a quello, egli sorriderà leggendo che, per esempio, ogni giovane segnava da se stesso la sua presenza alla Messa con un cavicchio infisso in una tabella ac¬canto al suo nome; e sparsamente, anche nelle Biografie, troverà che ciascuno prendeva in chiesa il posto che più gli piacesse (i). Ma tro¬verà pure che Don Bosco era sempre tra loro, e alla sera s´inginoc¬chiava in terra, in mezzo a loro, per dir le orazioni, e poi si alzava a tener loro il tipico sermoncino della buona notte; dopo di che, a molti, passando per salutarlo, diceva una parola all´orecchio, e non tutte di rimprovero: tantochè e dalle intenzioni delle preghiere rac¬comandate a tutti e dalle preghiere di qualcuno ch´egli conosceva più intimo con Dio, otteneva le grazie per la Casa e per le persone che gli si raccomandavano (2). Non mancavano piccoli santi: quel Giuseppe Morello, dell´Oratorio festivo, ch´egli prese a tipo del suo PIETRO O la forza della buona educazione, pubblicato nel 1855; quel Burzio, tosto passato al cielo; ch´egli chiamò un piccolo San Luigi e che ebbe una visione eucaristica palese con valore di profezia (3): e la serie dei Fascio, Rua Luigi, Gavio, Massaglia, ricordati nella prefazione alla Vita del Savio: nonché quella di giovanetti dotati di autentici carismi profetici, di cui discorreva il buon Padre allora e nel tempo prossimo
a quello (4).
Si potrebbe pensare che ciò fosse possibile finché i giovanetti
furono pochi, con le sole nove stanze e la ex-cappella di Casa Pinardi, che però, con le nuove fabbriche e il cresciuto numero degli accolti, un tal regime e il conseguente frutto morale avessero a diminuire assai
o a mancare. No: anche col nuovo incremento della Casa lo spirito non mutò, e si può, anticipando, affermate che piuttosto si venne in
(i) Ivi, pag. 677-679.
(2) Per quanto spetta al Savio, lo confermano i Processi. Cfr. Somm., Anfossi,
78; Francesia, 121.
(3) Mem. Biogr., IV, 3o3.
(4) Cfr. pel 1857, Mem. Biogr., V, 725; 72.0 e seg.; VI, 828, 968 e seg.: ri¬cordiamo la stessa visione del Zucca già citata
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qualche parte intensificando: poniamo pure che a codesta nuova cor¬rente abbia avuto parte la presenza del Savio e il suo apostolato (i).
Ancora al tempo del Besucco (1863-64), quando ornai l´Oratorio s´era steso largamente nello spazio, ed esisteva una vita regolare d´Istituto, e la stessa Congregazione Salesiana aveva la sua forma, anche allora
non s´era peranco smentita la tradizione nè obliterata o svanita l´im¬pronta data da Don Bosco alla vita della sua Casa: e n´è prova la Vita
del Besucco scritta dal Santo, come le continue manifestazioni di vita • santa ch´egli vedeva avverarsi tra´ suoi.
Il capo XXXI del vol. V delle Memorie citate (2) c´informa delle felici disposizioni dei giovani nel tempo che ora noi consideriamo, rilevando lo studio che Don Bosco poneva nei mesi di novembre-di¬cembre dell´anno scolastico per preparare il campo all´opera educativa di tutta l´annata: notizia utilissima per noi, che vogliamo conoscere i cominciamenti del Savio, rivelatisi appunto in quel tempo. Ma non è da credere che ogni volta ci si dovesse rifar daccapo, come se nulla avanzasse del lavoro procedente. C´era un fondo, diciamo così, di giovani buoni e santi, che emergevano per la loro virtù, e c´era il tono dominante di quella sinfonia d´anime creata dal Santo educatore.
li Savio, entrando a fin d´ottobre, non veniva in un Collegio, ma
in una Casa, e la vita che gli si offriva non era una disciplina qualsiasi di ragazzi d´Istituto, ma una vita intonata e avviata alla santità da
Chi la dirigeva. Compagni che l´accolsero erano Rua, Cagliero, Fran
cesia, Savio, Reviglio, Piano, Anfossi, Tomatis, Massaglia, Vaschetti, Buzzetti, Enria (poco oltre vennero Bongiovanni, Bonetti, Durando,
Cerruti, Ballesio, e altri del medesimo valore): tutti nomi acquisiti alla storia di Don Bosco e dell´opera Sua di educatore e di apostolo. Alcuni di quelli poterono ancora, cinquanta e più anni dopo, testi- . moniare di lui e della vita ambiente dell´Oratorio nei due Processi
per la Beatificazione. Le loro parole dicono più d´ogni altro ragiona¬mento. Giovanni Molino, conterraneo del Savio, ci dice che « tanto
egli quanto gli altri compagni. che ivi ebbe, tutti erano buoni d´indole e osservanti del proprio dovere ». Dice anzi di più: chè quanto a va
lore eroico delle virtù egli non saprebbe discernere fin dove giungesse, « perchè fra tanti luminosi esempi di virtù che si osservavano tra i
giovani d´allora, non mi colpiva in modo speciale la figura del Servo di Dio, che era tra i più giovani » (3). Parole preziose, delle quali
(i) I fatti a cui si allude con le citazioni della Nota precedente appartengono a questo periodo.
(z) Cit., pag. 366-67.
.(3) Somm. Proc., pag. 96. — Il Molino fece poi gli studi teologici, ma non si fece prete, e fu Maestro nei suoi paesi. Egli non intende diminuire il valore
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terremo conto ancora altra volta. Di non minor valore è la defini¬zione che di quella vita ci dà Mons. Ballesio (i): « Nell´Oratorio, co¬minciando da Don .Bosco e venendo giù fino ai suoi figli, compreso il Servo di Dio tra i migliori, si viveva una vita ricca di virtù, di pietà, di allegria, di studio, e di lavoro (a); ma poverissima di tutto quello che si dice il confortabile. Tutto per amor di Dio e sperando il suo aiuto e il suo premio. Questa era la bandiera». E in altra deposizione metteva in evidenza lo spirito vivissimo di fede di Don Bosco e del suo Oratorio, aggiungendo che « la nostra vita era di somma vene¬razione alle cose sante, desiderio della parola di Dio, rispetto affet¬tuoso alla Chiesa, al Papa, ai Superiori ecclesiastici» (3).
Il Cagliero a sua volta ricordava che « al tempo deI Servo di Dio vi era uno slancio nei giovani più buoni di esercitarsi nella virtù in modo straordinario » spiegandosi poi con particolari che ci torneranno utili altrove (4).
Accenni consimili spesseggiano nelle testimonianze: ma questi, più significativi, bastano a farci intendere in quale atmosfera respi¬rava e si alimentò la santità del Savio fin dai primi giorni e nel resto della sua permanenza presso Don Bosco. Il soprannaturale aleggiava sull´Oratorio, e non erano neppure insoliti, come s´è detto, i carismi speciali, di visioni, discernimenti di spirito, profezia. V´era una cor¬rente di pietà che Don Bosco stesso diceva essere in taluni superiore a quella stessa del Savio (5).
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Naturalmente, e sarebbe grave il trascurarlo, coi buoni c´erano, in una istituzione che sorgeva per la salvezza e redenzione « della gioventù povera e abbandonata », c´erano anche i non buoni e persino i traviati nella fede e nella morale. Pio XI, con delicatezza squisita, illumina d´un sol tratto la virtù e il merito del Savio, e la carità trion¬fatrice dell´azione educativa di Don Bosco, quando dice di « un gio
del Savio, che poi riconosce ampiamente; bensì intende mostrare quale fosse il tono della vita d´allora intorno a Don Bosco. Del resto egli fa ben notare che e l´età giovanile d´allora, íl poco spirito osservatore delle particolarità, l´applicazione agli studi e la distanza di tempo gli tolgono di poter specificare fatti partico¬lari, ecc... e.
(i) Somm. Proc., Ballesio, ´70.
(2) La formola che Don Bosco darà al Besucco nel 1863: e Tre cose: allegria, studio, pietà e. Cfr. Vita, cap. XVII, edit. ra, pag. go.
(3) Ibid., pag. 157.
(4) Somm. Proc., CaZlier0, 289. •
(5) Mem. Biogr., VI, 8z8: dalla Cronaca di D. Domenico Ruffino, i i genn. 1862.
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vanetto che non passa i suoi anni rinchiuso in un orto particolarmente custodito: ma prima in mezzo al mondo, e poi là dove la Provvidenza l´aveva collocato, e quindi in mezzo a una gioventù che la grande anima di Don Bosco adunava e formava, e veniva formando e rifor¬mando, santificando: ma dove era tanta miscela di buoni e non sem¬pre buoni esempi, di buoni e non sempre buoni elementi. Era infatti il segreto del grande Don Bosco di mettere talvolta la mano proprio su elementi non buoni... era il suo segreto di mettere, allungare, al¬lungare talvolta la mano ovunque per trarre dal male il bene, proprio come fa la mano di Dio » (i). Parecchi degli atti eroici del nostro san¬tino, neppur tutti narrati nella Vita, hanno per cagione appunto le male azioni di giovani che Don Bosco, con una longanimità e una sapienza sovrumana, cercava di ridurre al bene. Non pochi dei rico¬verati, specialmente artigiani, venivano dalla strada e da condizioni famigliari di miseria e abbandono morale, quand´anche non era malo esempio, per cui il rimedio più urgente era di mettere il giovane al riparo, ritirandolo. Ce n´era perfino dei raccomandati dalla pubblica tutela, e qualche teppista in erba non mancava. La stessa povertà poi, ch´era un po´ di tutti, si trovava troppe volte associata alla volga¬rità, alla bassezza, alla grossolanità, ordinarie nel basso ceto, il che non era praticamente iI miglior aiuto per una educazione morale. Qui torna bene la sentenza, altrove citata, di Ludovico Vives: Nam pau¬perum filiis a nullo est nzaius periculura, quanz a vili, sordida et incivili educazione.
Gli elementi buoni si trovavano di preferenza tra gli studenti, sia perchè di questi si poteva far la scelta nell´accettarli, sia principalmente perché la maggior parte, e quasi di regola, venivano con l´intenzione di darsi alla vita ecclesiastica.
Il miracolo pedagogico di Don Bosco, che non può essere com¬preso nelle pedagogie di gran nome, è in questa trasformazione di mali elementi in buoni e morali, e dei meglio disposti in esemplari di vita santa fino all´autentica santità. E non so se sia minor miracolo d´esser riuscito a creare, tra una miscela così difforme, un clima e un tono di vita quale ci descrivono le testimonianze e ci confermano i fatti della storia.
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Ho accennato alla povertà come ad una delle possibili cause predi¬sponenti del guasto morale. Vi ritorno per un altro aspetto, molto dis¬simile, ma non estraneo al mondo circostante al Savio Domenico, e
(i) Disc. del 9 luglio z933 § 3.
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del resto intimamente connesso con l´opera educativa e il sistema pro¬prio di Don Bosco.
Povera e squallida era la Casa di Don Bosco in quei tempi, e po¬verissimo il tenor di vita che vi si corr.;-uceva, e se n´hanno parecchi accenni nello stesso Processo del Savio per parte di allievi superstiti. Il Santo Pedagogo non fa mai cenno espresso, nella Vita del Savio (e neppure nelle altre che la seguirono a breve distanza), di quel che fosse la vera condizione dei giovani da lui ricoverati, e la forma del¬l´educazione che conveniva pur adottare per quella folla di giovani poveri, ch´egli manteneva. Appena ne lascia travedere qualche cosa attraverso gli spiragli del racconto, per via dei fatti e delle circostanze che vi si leggono.
Non che gli mancasse il senso del reale; ma perchè, mentre tutta la sua vocazione e tutta la sua vita furono per la gioventù povera e abbandonata, e in nome di essa unicamente invocò sempre la-carità del mondo, non volle mai pronunciare la parola che sta all´inizio e dà lo stile alla sua più genuina pedagogia; che cioè la sua è e vuol essere la pedagogia del povero. Essa non sarebbe probabilmente stata compresa, mentre dell´opera sua non compariva se non la carità cri¬stiana in quella parte che la società non curava.
La spiegazione di questo concetto mi porterebbe ad una digres¬sione carissima, donde vorrei che risultasse ben chiara la differenza tra i sistemi o i metodi pedagogici anche celebri, concepiti quasi sol¬tanto per la società borghese e civile, e ad ogni modo senza tener conto delle condizioni del povero, e questa pedagogia, di cui Don Bosco è, si deve riconoscerlo, l´iniziatore e il classico modello. La quale non è solo il gesto caritativo del dare il pane al figlio del povero, nè la sola bontà che indulge e compatisce alla povertà: ma è un´intera sistema¬tica concezione, che parte dalla vita e dalla psicologia del povero e s´iminedesima con esso, per elevarne il livello morale e spirituale, ma-teriandosi di vedute, di precetti, di metodi, conformi alla psicologia e alla mentalità del povero. Ha detto bene Francesco Orestano (i) che la più vera benernerenza sociale di Don Bosco sta nella scoperta della legge dell´educare col lavoro e al lavoro. Potremmo dirla, un po´ ar¬ditamente, una pedagogia proletaria, o, quanto meno, la pedagogia del proletario, pensando che tale apparve, come dice Carlo Adam, la morale del Vangelo fin dalla prima delle Beatitudini (2).
Rinuncio alla digressione e vengo al concreto. Quei giovanetti, in buona parte raccolti o accolti di tra la gente più umile e povera,
W Disc. cit., pag. 22.
(2) Cuti.° ADAM, Gesù il Cristo (trad. ital.), capo IV, art_ n´, pag. z31
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erano per lo più figli della campagna; e chiunque consideri la condi¬zione dei tempi, quando il progresso civile non poteva ancora diffon¬dersi molto all´infuori dei maggiori centri, intenderà bene che la vita rusticana non aveva peranco sofferto o ricevuto, secondo che si vuole, l´influsso della vita cittadina. Le maniere di quei poveri ragazzi erano naturalmente quelle della gente di campagna o delle più umili classi proletarie: e, salvo ad essere, massime tra i campagnuoli, anime so¬vente vergini e ingenue, nel resto erano sfornite quasi del tutto di coltura civile. Molti erano addirittura rozzi e grossolani: qualcuno, nella sua selvatichezza, finiva con essere anche rozzo di cuore. Quello a cui si dà nome di educazione, e che almeno suppone un certo assetto della persona e una cotale compostezza di atti e di maniere, era per loro un far come i signori, e ci riuscivano a stento o per caricatura (i). E se il Savio fu lodato dai maestri e compagni di scuola, anche di condizione signorile, -perchè era, nella povertà sua, assettato, garbato e civile, gli è appunto perchè tale dote non era comune agli altri.
Dire, come scrissi altrove (2), che lo stile di Casa Don Bosco è uno stile di terza classe, per quel tempo non è ancora esatto, o bi¬sogna pensare al regime più bassamente popolare delle terze classi nelle ferrovie dei primi tempi, che si protrassero fino alla memoria nostra. Ricordiamo, per esempio, che il piccolo Savio, come i suoi compagni, andavano d´inverno a scuola coperti con vecchi giubboni di rifiuto regalati dall´Amministrazione Militare, e che i professori Bonzanino e Picco glieli facevano deporre in anticamera, per non urtare troppo la sensibilità degli altri alunni di condizione nobile o agiata. E solo per suggerita indulgenza s´indussero a tollerare il tac¬chettio degli zoccoli.
Non mi soffermo a descrivere lo stato materiale della casa, anche dopo la-trasformazione di Casa Pinardi nella Casa nuova, e i sempli¬cismi abdicatarii a cui costringeva un´amministrazione che dipendeva giornalmente dalla carità; vita ridotta al puro indispensabile nelle cose e nelle forme. Ma quella sortita dello studente che va da Bonza¬nino col cucchiaio in tasca, e perchè, cadutogli in terra, i signorini e i suoi ne ridono, egli protesta: Già, debbo venire a scuola senza il cucchiaid, eh? » mi sembra che dica qualche cosa. A me fu raccontata dal Cagliero nel 1884. Io ricordo queste circostanze perchè, se non si hanno presenti, si rischia di cader nell´astratto, e non vedere la realtà che fu nella vita del Savio. Credo persino che, oltre al rico
(i) Quante volte abbiate sentito parlar cosi ancora noi di quasi trent´anni dopo!
(z) Don Bosco. Profilo storico. Ediz. 2a, 1934, pag. 13.
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struirsi il mondo ambiente, torni utile l´esser vissuto, come lui, da bravi figli di Don Bosco, sotto gli occhi del Santo, in uno stile di
vita e in mezzo a un popolo, per quanto più numeroso, non dissimile per origine e condizione da quello di quei tempi. Quasi trent´anni
dopo io vissi quella vita appunto, che in molte cose, via, serbava an¬cora lo stile primitivo, conoscendo coloro che al tempo del Savio
erano giovani al par di lui. t una specie di nobiltà salesiana, della quale davvero non saprei adontarmi.
Dico che, per capire tante cose del Savio, giova moltissimo l´affi¬nità delle condizioni. Il Crispolti nel suo magistrale lavoro, ha potuto spiegare certi atteggiamenti dello spirito di S. Luigi, non mai com¬presi e persino alterati nella tradizione (i), e darci in molta parte la reale personalità del Santo, che fu umilissimo fino all´umiliazione, ma non poteva non essere quel che era, principe e colto e costumato nelle Corti, e cioè sentire ed operare sempre nobilmente e da nobile; ha potuto, dico, intenderne l´animo, perchè egli stesso, lo scrittore, è anche un marchese, e per nobiltà di carattere, di educazione e di pen¬samenti, predisposto a comprendere meglio d´ogni altro un nobile che si fa Santo.
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Questo riflesso ne richiama un altro, affine e connesso, e quasi derivato dal primo. È la condizione mentale (la chiamano mentalità)
di quei buoni figliuoli di Don Bosco. È un orizzonte ristretto ad una coltura puramente scolastica, e questa, a sua volta, limitata al piccolo
ginnasio o scuola di grammatica: dove appunto tutto il lavoro è gram¬matica e altre cognizioni non c´entrano. Anche più innanzi, nelle co¬siddette Umanità e Rettorica (IV e V Ginnasiale) non si esce dall´am
bito dei pochi autori e della ancor píù poca teoria retorica e gramma¬ticale. E poi c´è da tener conto della provenienza di quegli scolari.
Vengono da scuole di paese, in un tempo che l´italiano era cosa di lusso anche per la gente di certa istruzione: del resto domina il dia¬letto, il piemontese, che, pure all´Oratorio, si parlò, persino dal
pulpito, fino al -1863. Poca istruzione plimaria, adunque, e confinata coltura secondaria: donde piccolo contributo allo sviluppo dell´intel
ligenza, e ristrettissimo ambito d´idee e di pensamenti. La vita am¬biente non ne fornisce di più, ridotta, com´è, allo scambio delle pie
(i) Si veda, per es., come spiega il non guardare in faccia a sua madre, che fu sempre portato a prova di quello che non può provare, e diede ansa, in ore di accanimento anticristiano, a basse insinuazioni e ad esplosioni di sentimentali¬smo posticcio. — Op. cit., cap. V: « Non guardava sua madre a, pag. 89-102.
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cole idee d´una società composta di quei poveri giovani di cui si è
discorso.
Non dunque abbiamo da pretendere, o da aspettarci, levatura
d´idee e pensamenti espressi in forme squisite; se nei piccoli Santi di Don Bosco i sentimenti sono alti e spiritualmente superiori, non è frutto di coltura, nè di concezione di spirito geniale: è frutto della grazia di Dio. Tantochè sono espressi nella forma più umile e pede¬stxe, e riferendone le parole lo scrittore deve aggiustarne la gramma¬tica e la dicitura. Si può, lo sappiamo, esser Santi anche senza. saper di lettera: quel che l´uomo non sa, Dio glielo inspira; ma insomma, nel fatto comune, con la mediocrità e la limitazione dei concetti, non si riesce a formare una mentalità altrimenti che mediocre e limitata. È bene tenerlo presente, per spiegarci lo stile molto umile e popolano dei discorsi e delle sentenze che si leggono nel modesto dettato di Don Bosco, come uscite dai suoi piccoli santi, e del resto nel dettato stesso della scrittore, che parla ai giovani col linguaggio che solo pos
sono intendere (i).
Che di mezzo ad un genere e tenor di vita come quello sia potuto
uscire un Santo qualificato e molte santità, ed anzi vi si sia potuto formare un clima da Santi, quale troviamo descritto nelle citazioni
dei Processi, è precisamente la novità santa di Don Bosco, e, per dirlo subito, la realtà della sua pedagogia del povero e la verità della sua tesi
spirituale. È l´originalità storica di Don Bosco.
Da ciò si può anche dedurre che solo fino a certo segno (ed anche
superficialmente) è possibile accostare la figura di Savio a quella di San Luigi (2). Non dico della sostanza della santità e dei parecchi punti di affinità che possono intercedere tra i due santi: sibbene della forma della santità e della vita vissuta praticamente. Savio Domenico è un´altra specie di Santo, distinta da S. Luigi. Pure studiandosi d´i¬mitarlo (in qualche momento perfin troppo, e Don Bosco dovette moderarlo), il Savio rimase un altro, rimase se stesso. Qualche capo
(i) Il libro è dettato in italiano, e certamente in una forma più corretta di quanto ne vediamo nelle lettere dei Maestri del Savio allegate al Processo: ma per sentirlo ben addentro, bisognerebbe, in molte parti almeno, e nei dialoghi sempre, tradurselo mentalmente in piemontese. E se il linguaggio che si usa ha qualche influenza sull´indole delle idee, non è chi non veda che l´intellettualità di quel piccolo umile mondo non poteva essere molto raffinata.
(z) Un parallelo tra essi potrebbe formare un gran paragrafo, che, a cano-nizzazione avvenuta, sarà certamente opportuno per molti motivi, e dico che l´at-trazione è per me molto forte, ma ora me ne astengo, lasciando ad altri di farlo a tempo suo. Ma il parallelo non sarà esatto se non concluderà con la differenza tra i due esemplari. In Paradiso S. Michele, S. Gabriele, S. Raffaele, sono Ar¬cangeli tutti e tre, e, dicono, di specie diversa!
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ameno è giunto a pensare che, col Savio sugli altari, i Figli di Don Bosco possano pretendere di far a meno di S. Luigi e, in volgaris¬simo parlare, far concorrenza al modello insuperato della purezza giovanile. Non diciamo di gradi, che quelli li vede solo il Signore: diciamo di specie, affini sì, ma distinte, e cioè pensate dal buon Dio per completare l´armonia delle sue creazioni.
A pari età, S. Luigi vive alla Corte di Firenze, e il Savio passa le sere d´inverno nelle stalle dei vicini; quello riceve un´educazione da cavaliere dí spada e cappa, ed un´istruzione accurata e personale, coi classici italiani e latini, e da maestri dotti: viaggia e vede cose, e tratta con personaggi d´alta condizione: riceve la. prima Comunione da un Santo, ch´è pure principe e Cardinale:- a dodici anni può entrare alla Corte di Filippo Il, al quale a quindici anni è in grado di presen¬tare, dicendola, una fortissima orazione latina da lui composta; poco dopo dimostra di possedere un patrimonio d´idee e una tempra d´in¬gegno capace di rappresentare suo padre in affari delicati: umana-mente parlando, è un tipo superiore.
Il piccolo Savio, povero campagnuolo, vive nello stile´ della più povera ed umile società: la sua istruzione, formata nella miscela d´una scuola di villaggio, non gli fornisce altro che le idee e cognizioni indi¬spensabili alla vita che l´attende nella sua condizione, ed anche quando giunge., sui quindici anni, alla classe di umanità, il suo sapere non eccede il contenuto dei pochi testi scolastici. L´educazione, come la diciamo, è, per fortuna, buona in famiglia, ed anche per l´innata bontà materna, più accurata che non si crederebbe; ma al certo non può essere di troppo più raffinata che quella della miglior gente rusticana, e solo la sua propria virtù lo renderà capace di quanto il suo povero mondo non gli aveva insegnato.
E basta un tratto a distinguere l´un dall´altro. S. Luigi pervenne quasi all´incredibile, certo all´inimitabile, nelle austerità e macera¬zioni, e seppe trovare umiliazioni eroiche, e finire con un gesto di carità che gli guadagnò l´ultima malattia. Ma non so se avrebbe mai praticato la ripugnante mortificazione del Savio, di raccattare gli avanzi di tavola mantrugiati, scalpicciati e rnorsecchiati, sporchi sem¬pre, e preferirli alle cibarie sane e pulite. Eroica mortificazione anche questa, ma d´una bassezza non pensabile in un ceto alcun poco civile.
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Don Bosco ha sempre mirato, e lo disse sovente, a fare de´ suoi giovanetti altrettanti San Luigi, e non trovava miglior parola per dar l´idea della virtù d´un suo figliuolo, che dirlo un altro S. Luigi o un
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piccolo S. Luigi. L´ha detto anche del Savio, con qualche .concetto di più, che ricorderemo a suo luogo (i). Per il Santo E._iucatore del¬l´adolescenza, il culto di S. Luigi era quasi una necessità del suo apo¬stolato; quando si pensi che soprattutto si offriva a rr odello di suprema purezza in quell´età appunto alla quale Don Bosco si dedicava, e il problema primordiale e naturale dell´educazione dell´adolescenza non può essere che la disciplina del costume e il culto della virtù opposta agl´insorgenti richiami e ai pericoli della pubertà. Così l´ha inteso anche il Crispohi, ricordando la parte che il culto di S. Luigi ha, per merito di Don Bosco, nell´esemplarità della vita giovanile (z).
Ma non ha, per questo, modellato sul tipo di S. Luigi il suo si¬´itema spirituale e l´indirizzo che diede alla santità de´ suoi discepoli, e rimase anch´egli se stesso, nella sua pedagogia del povero elevata a pedagogia di Santi, facendone sorgere una nuova specie, nonché prossima, aderente alla vita meno alta e più generale dei figli del po¬polo, e imitabile perciò da tutti.
S. Luigi, anche presso di noi, seguaci di Don Bosco, sarà sempre, come prima, fin dai primi esordi dell´opera di lui, il santo ideale della gioventù: e un altare non gli mancherà mai nelle nostre chiese, e più nelle Cappelle destinate ai giovani; e se ne celebreranno le Sei Dome¬niche e la Festa nella forma più atta ad imprimerne nella mente il ri¬cordo e l´esempio.
Savio Domenico, una volta elevato agli altari, avrà il culto di fa¬miglia, e insegnerà ai nostri giovani a vivere da santi la loro piccola vita, ch´è quella vissuta da lui medesimo, sotto la guida e l´ispirazione di Don Bosco, che, anche al presente inspira l´educazione salesiana. In così pensare so di essere in accordo con gli eccellenti Gesuiti, i quali, come non hanno mai preteso d´aver essi fabbricata la santità del Gonzaga, sono i primi a dar merito a Don Bosco d´avere educato il Savio in modo, da farne, con la grazia di Dio, un Santo destinato a modello pratico della santificazione della vita ordinaria e comune. Rimangono due modelli, voluti e quasi costrutti da Dio per fini di¬versi dell´edificazione della gioventù.
Codesta distinzione, alla quale s´è accennato, si afferma concreta¬mente e chiaramente a cominciare appunto dalla vita nuova del Sa¬vio, quando cioè vien posto dalla Provvidenza nel suo luogo proprio. A cominciar da quell´ora, si vengono via via formando i lineamenti di quella fisionomia spirituale tutta di lui solo, che ne fa una persona di Santo non confondibile con quella d´ogni altro.
(i) SOMM. Proc., Amadei, 200.
(z) Cit., pag. 87.
8r
E se nella fanciullezza tra i due giovani santi ha potuto interce¬dere una certa somiglianza (avviene così di tutti i fanciulli), coll´inizio e il progredire dell´adolescenza, dai dodici anni in poi, ognuno segue una via sua propria, che se in qualche momento è parallela, non è mai che coincida con l´altra. I Santi hanno sovente di tali affinità, spiccatissime talvolta, specialmente. se il genere di vita sia il medesimo, come avviene di religiosi del medesimo ordine, e analogamente di altre circostanze: senza che perciò possan dirsi copie reciproche, o edizioni successive d´un medesimo dettato della grazia di Dio (t). Anche quando si propongono espressamente di imitare un modello, la loro santità, senza che se n´avvedano, ritiene la propria originale figura; chè altrimenti non sarebbe santità, mancando nientemeno che della spontanea corrispondenza ai moti della grazia, che son diversi e speciali per ogni persona, perché s´adatta alla natura e rispetta la libertà. E quando mai riuscirono grandi nell´arte gl´imitatori e i ma¬nieristi ?
(E) Ed è perciò un´espressione puramente letteraria dire d´un Santo ch´è un secondo questo, un altro quello, o il tal Santo del secolo suo. Sono antonomasie che non hanno altro valore da quello d´un traslato. Savio Domenico, e altri, fu¬rono detti, anche da Don Bosco, dei veri San Luigi: ma non pensò mai che fos¬sero una replica di lui.
CAPITOLO TI
La direzione di Don Bosco.
In questa vita nuova, e fin dalla prima ora, nell´orientamento dello spirito verso la sua propria via, e nel determinarsi (rapidissimo e so¬vente inatteso, e non umanamente spiegabile nelle sue affermazioni) della personalità del nostro Savio, entra Don Bosco e, dopo la grazia divina, il lavoro di lui.
Allora, nella Casa dell´Oratorio, Don Bosco era tutto, e su tutto aleggiava il suo spirito e la sua presenza reale o morale. Quell´essere quasi solo, ed anche se con qualche aiuto, sempre solo e unico nella figura di Padre di famiglia, faceva sì che tutto convergesse a lui e da lui s´inspirasse. Non era accentramento, ché gli altri o mancavano od erano ancor troppo manchevoli: era Paternità sentita da lui e da tutti. Il suo cuore lo portava verso ciascuno di quei figliuoli ch´egli aveva raccolti per una individua mossa di carità, amandoli un per uno, e volendoli un per uno condotti alla virtù: i figliuoli, i tutti, lo vede-vano, com´egli voleva, non altrimenti che nella figura di Padre di tutti e di ciascuno: convinti, un per uno, ch´egli volesse loro bene singolar¬mente in un modo e con un affetto speciale e tutto proprio.
Non è un´amplificazione discorsiva: è il senso che deriva dai Mol¬tissimi episodi che rivelano l´indole di quella convivenza familiare, fatta d´intercambio di paternità amorosa e di affetto filiale. Basta leg-- gere le tre Vite dei suoi giovani santi. Don Bosco era, secondo il linguaggio convenzionale (ed egli si nasconde per lo più sotto questo nome) il Direttore della Casa. E realmente dirigeva: colla pedagogia esteriore, intessuta di bontà e conquista dei cuori, e di spiritualità permeante la pratica delle azioni: dirigeva la comunità nell´amorosa disciplina familiare, come dirigeva l´uno per uno, educandolo e cor¬reggendolo secondo l´indole sua. Una dimostrazione tipica di quanto diciamo era, per esempio, la pratica serotina della buona notte, una creazione originalissima di Don Bosco. Col suo discorsivo detto dopo
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le orazioni (v´abbiamo già accennato) Egli indicava quale doveva es¬sere il pensiero e Ia pratica condotta di tutti: educazione collettiva che formava il clima ambiente. Ma poi, sceso dal suo rudimentale podio, ai giovanetti che gli si serravano intorno per baciargli la mano e salutarlo, egli diceva una parola personale all´orecchio, o si faceva capire con un´occhiata o una stretta significativa della mano; era «un eccitamento a virtù o una correzione amorosa ». Di questi momenti si valeva il Savio per attingere dal Padre tanti piccoli consigli, e si valeva il Santo Maestro per dargliene, e ciò con una frequenza così regolare, da aver l´aria d´una preferenza. « Noto, riferiva un teste coevo al Processo, in modo speciale la sollecitudine che il Ven. Don Bosco poneva nel suggerire ogni sera al Servo di Dio consigli in modo particolare opportuni al medesimo, il quale, a sua volta li accoglieva con profonda venerazione, e in assoluto silenzio si ritirava nel dormi¬torio, dimostrando col suo contegno che vi dava molta importanza e cercava di trarne profitto » (i).
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Ma soprattutto, ed essenzialmente, come condizione inderogabile, la sua direzione era quella interna delle anime, e la sua opera educa¬trice e trasformatrice si compieva mediante quella, cioè con la Con¬fessione. Nessuno è mai entrato nella Casa di Don Bosco, senza che fin dai primi momenti non sia stato avviato verso la sede dov´egli,
confessando, dirigeva.
La sua effettiva pedagogia era qui: e non s´intenderà mai Don
Bosco educatore o formatore di santità, se non pensandolo confessore
dei suoi giovani.
Vi tornerò con maggior ampiezza in altro studio parallelo a questo:
per ora ci valga quest´idea per intendere come l´azione direttiva che il Santo Maestro ebbe esercitata sul Savio, fu principalmente, e con prevalenza assoluta, quella che si svolgeva nella direzione interna e secreta della Confessione. Per il nostro giovane santo Don Bosco con¬fessore fu tutto, e gli stessi momenti che segnano, nella sua brevissima vita, le vere grandi epoche della santità (z), non sono del tutto indi¬pendenti da quelle ispirazioni. Anche per questo il Savio sí distingue
(i) Somm. Proc., Anfossi, pag. 78. — Id. ricorda in sede d´altra materia, pag. 302. — Il Francesia faceva poi notare che egli, come chierico assistente, cer¬cava bene di liberare Don Bosco da quella ressa, ma che il Savio, caramente avido di quelle parole, girava la posizione, e da un´altra parte tornava a farsi dire qual¬che cosa. Cfr. Somm. cit., pag. tzt.
(a) Consummatus in brevi, explevit tempora multa. Sap., IV, 53.
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da San Luigi, il quale, non solo prima dei dodici anni, come rico¬nobbe, meravigliandosi, il Borromeo, non ebbe direzione, ma nep¬pure dopo, a causa del mutar di luogo, potè valersi se non di confes¬sori occasionali e temporanei: quando a Madrid trovò il gesuita ita¬liano P. Paternò, egli era già avviato per una via autonoma, e non sembra che il suo direttore sia stato in grado di fargliela cambiare, come non lo ritennero dalle sue asprezze affiittive le letture spirituali, pure sodissime e quasi tutte uscite dalla penna dei primi figli di San Ignazio (i). E se nella sua santità autarchica, quale si mantenne fino ai diciassett´anni, trasmodò fin quasi a rovinarsi la salute, ciò è dovuto a difetto di una ordinata e autorevole direzione.
Il Savio invece ebbe una direzione, e in quella età nella quale più propriamente è necessaria. Ed egli sentì che quella di Don Bosco gli era data da Dio, ed era la sua unica e vera, e si arrese. Quest´arresa completa al suo Confessore e Maestro fu per lui la vera guida e il fattore precipuo della sua santificazione.
È Don Bosco medesimo che ce lo dice. In un sermoncino della sera, il 16 maggio 1857 (poco più di due mesi dalla morte del Savio), un giovane Io interrogò: Qual fu la regola e la chiave che Savio Dome¬nico usava per divenire cosi buono e santo da essere veramente un figlio della Madonna ? — E il buon Padre rispondeva: « La chiave e la serratura che usava Savio Domenico per entrare nella via del Pa¬radiso e chiudere il passaggio al demonio, era l´obbedienza e la gran confidenza nel direttore spirituale » (a). Cosi nella Conclusione della Vita (cap. XXVII) potè scrivere che: « La frequenza del Sacramento della Confessione... fu il suo sostegno nella pratica costante della
virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita co¬tanto glorioso ».
Giacchè si trattava, in quella pratica, non solo dell´ovvio e comune ministero sacerdotale, che include i moniti e i consigli appropriati al caso di ciascun penitente: ma di una scuola e collaborazione spirituale intima, dove il discepolo dialogava col Maestro, e questi gli svelava le vie della perfezione e gl´infondeva l´ardore di seguirle. Vi aveva parte l´obbedienza e la confidenza: l´una allontanava i timori e le esitanze che ogni anima schiettamente santa può provare nel salire più in alto, dubitando delle proprie forze (a), ed incoraggiava e co
(t) MESCHLER, cit., pag. 55, 78, e a. — Quanto a letture: Loarte, pag. 37; Canisio, 47; Lettere dall´India, 4 7 ; Lippomano, 53; P. Granata, 77.
(2) Mem_ Biogr., V, 679.
(3) Potevano essere forse di tal natura gli scrupoli dei Savio, di cui si parla nella Vita, al capo XIV, ma, si noti, solo dalla 5a edizione in poi, essendo un´ag¬giunta fattavi da Don Bosco nel 1878. Vi torneremo sopra a suo tempo.
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mandava di accogliere i nuovi impulsi misteriosi della grazia: l´altra, di questi impulsi e suggestioni, come dei moti dell´anima, rivelava il secreto, interrogando e raffermandosi nell´intendervi la voce di Dio che chiamava dall´alto verso l´alto.
La confidenza nel direttore spirituale, il bisogno di confidarsi con lui, non era, del resto, una prerogativa del Savio, per quanto in lui, totalmente devoto, si risolvesse in una più luminosa e trasparente apertura: era, si può ben dire, cosa di tutti coloro che si valevano del ministero di Don Bosco; giacchè la fiducia che la sua santità subito infondeva nel giovanetto che gli parlava era tanta, che nessuno faceva differenza dal parlargli, in confessione o fuori, delle sue cose più intime e delicate (t). Lo sanno per esperienza-tutti quelli che, come me, hanno avuto da Dio la grazia di essere figli spirituali di lui.
Quali fossero gl´indirizzi di quella secreta direzione lo rivela tutta la susseguente storia del santo giovinetto. Ma possiamo già antive¬derli nelle loro linee generali. Libertà di spirito e di movimento, rispetto alla libertà della grazia, pratica santificante del dovere, atten¬zione a Dio, orientamento verso Gesù Eucaristico e María, mortifi¬cazione della vita: in capo a tutto, fiducia in Dio, serenità, gioia, alle¬gria, senza terrori e scontrosità paurose, ma colla vista fissa al Para¬diso: tutto con amore e per amore, nell´interno come all´esterno. Non è tutto il Savio: ma è quello ch´egli ha di comune con tutti quelli che formano il clima dei santi in cui vive.
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E qui sta un´osservazione, forse contrastante con l´idea più ovvia che ci si fa della convivenza del Savio con Don Bosco. Poichè sap¬piamo qual concetto n´abbia il Santo Maestro, e l´esito eccezionale, unico, dell´educazione che gli ha impartito, ci dipingiamo alla mente il Savio ad ogni poco, e più spesso e più a lungo che può, da solo a solo con Don Bosco. È un´immagine delle migliori per farne delle immagini e dei quadri, o altro di artistico. Ma la realtà è un´altra.
(i) Una postilla autobiografica forse non disdice, dacché faccio sovente ap¬pello ad esperienze personali. — Quando entrai all´Oratorio, vidi Don Bosco che stava confessando i giovani nell´antisacrestia di M. Ausiliatrice, e così seguitò tutto quell´anno, ed io era tra quelli. L´anno dopo (facevo la 32´ ginn.) si limitò a quelli dalla terza in su, e fui di quelli; l´anno seguente (facevo, modestia a parte, la sa l) si ridusse a quelli delle ultime due classi, e fui di quelli. E fu Don Bosco ad accettarmi salesiano, e in mano sua deposi la mia professione religiosa. Mi conosceva assai bene, e sul mio nome faceva, scherzando, una rima... non ancora avverata.
rz C.Avret2A, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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Quei colloqui non erano nè frequenti nè lunghi, e Don Bosco rice¬veva il Savio come gli altri, salvo a dirgli quel che ad altri non diceva.
Lo sappiamo da un documento personale e autografo del Savio stesso (uno dei pochissimi scritti superstiti): una lettera scritta al padre, colla data (bollo postale) del 6 settembre 1855. Il nostro Do¬menico passava quasi intere le vacanze all´Oratorio (vedremo altrove perchè), e quell´anno ne aveva particolare bisogno permettersi a posto negli studi,.avendo fatto col prof. Bonzanino una specie di corso acce¬lerato, dove, con quel poca di latino appreso a Mondonio, era stato aggregato alla seconda- grammatica, e doveva rendersi capace di en¬trare, come poi fece, e non male, in terza grammatica regolarmente. A noi però quella data dice molte cose, o almeno le suggerisce. Il giovanetto santo si trova nel periodo dei cresciuti e crescenti fervori, che si accesero quand´ebbe preso la risoluzione di farsi santo, e Don Bosco glie n´aveva insegnato il segreto, lanciandolo nella sua voca¬zione d´apostolo, come sarà detto nell´altro libro. E più oltre dovremo vedere il suo stato d´animo, mentre ferve la collaborazione col Massa-glia, rimasto anch´esso col Savio in quelle vacanze all´Oratorio. Se vi è un tempo nel quale dobbiamo pensare Savio Domenica accanto a Don Bosco, è questo appunto, quando per il lavoro interno e per l´azione esteriore occorrerebbe una instante frequenza e diuturnità.
Ebbene, la lettera dice altrimenti. Ne adduco i passi opportuni, ri¬mettendo, pel resto, alla nota.
Carissimo padre, scrive il Savio, ho una novella molto curiosa da scrivervi, ma prima di tutto vi do delle mie nuove... La novella è che, avendo potuto stare un´ora solo con Don Bosco, siccome per io addietro non ho mai potuto stare dieci minuti solo con lui, gli parlai di molte cose, tra le quali di un´associazione per l´assicurazione dei colera... e mi ha anche associato, il che sta tutto in preghiere... » (i).
(i) Biogr., V, 342. — La forme genuina del documento è quella che
l´Amadei restituì correggendo dall´originale il testo del Lemoyne, che ha più cor¬rezioni formali e parecchi ritocchi verbali. Ma è strano che I´Amadei, nella sua edizione della Vita dei 1908, a pag. 213, ripeta il testo dei Lemoyne ¢ Come re¬ligiosamente lo trascrisse egli stesso dal foglio originale s. Credo non inutile ri¬produrre il testo genuino, con le sue scorrettezze e la propria forma, anche per¬chè sia documento della piccola letteratura dello scolaro di seconda grammatica, almeno a quei tempi:
Carissimo Padre,
Ho una novella molto curiosa da scrivervi; ma prima di tutto vi dò delle mie nuove. lo, ringraziando il Cielo, fin qui son sempre stato bene, e ancor godo una per¬fetta salute, come pure spero di voi e di tutta la famiglia; i miei studi vanno avanti progressivamente e D. Bosco ne ´è ogn´ora più contento. La novella è, che avendo
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Dunque dopo quasi un anno dacchè il piccolo Santo sta con Don Bosco, quella è la prima volta che passa un´ora sola con lui, e gli parla di molte cose, tra le quali di un´associazione per la difesa dal co¬lera: cosa già esistente dal precedente anno ´54, che fu quello della più grave epidemia, e vi concorsero i primi giovani dell´Oratorio. A codesta associazione, ed è in questo anche la novità, Don Bosco ag¬grega anche il Savio, non perchè assista gli infermi, ma perchè, come altri e i più, formino una lega di preghiere. Veramente il piccolo santo sorpassò d´un balzo quella limitazione: giacchè proprio due giorni dopo questa lettera, l´8 settembre 1855, egli, per una interna rivelazione, scopriva là vicino, in via Cottolengo, quella povera cole¬rosa moribonda, che solo in grazia di lui potè ricevere i Sacramenti. Ma non è di questo luogo l´intrattenervisi.
Prima di quel giorno, poniamo il 5 settembre, salvo quei due o tre momenti che DOTI Bosco riporta nella Vita (Capo X, XV, XVII), dieci minuti da solo il Savio non aveva avuti per parlare con lui. Il fatto è significantissimo, tanto per la storia del nostro santino, quanto per la pedagogia di quella direzione, che ha fatto dei santi alunni e un allievo santo. E lasciamo al lettore di trarne le ovvie deduzioni.
potuto stare un´ora sol con D. Bosco, siccome per lo addietro non ho mai potuto stare dieci minuti solo, gli parlai di molte cose, tra le quali di un´associazione per l´assi¬curazione del colera, il quale mi disse che è in un buon principio e se non fosse del freddo che già s´inoltra, forse farebbe un grande guasto, e mi ha anche associato io, il che sta tutto in preghiere. Gli parlai anche di mia sorella come voi mi avete detto, e mi disse che la conduciate a casa sua alla festa della Madonna del Rosario, per vedere la sua cognizione e le qualità che ha, quindi ve ne intenderete. D´altro non mi resta che salutare voi e tutta la famiglia, il mio maestro D. Cugliero, ed anche Robino Andrea ed anche il mio amico Savio Domenico di Ranello e sono
il vostro
Agano ed amantissimo figlio SAVIO DOMENICO.
Il bollo postale ha: Torino, 6 settembre $5 - 8 m.: il che fa credere che la lettera sia stata scritta almeno al 5 settembre, perchè potesse partire colla prima
posta (Corriera) del mattino seguente.
CAPITOLO III
I fatti del cominciamento.
Invito ora chi mi ha seguito, a leggere il Capitolo Ottavo della Vita, quello dei cominciamenti. Al principio del primo capitolo ho
fatto notare come, fin dalla prima presentazione e poi dai primi fatti,
Don Bosco abbia avvertito con ammirazione e stupore nel suo nuovo alunno quella padronanza di sè e quel subito affermarsi e atteggiarsi in un programma predisposto, che l´anima, tutta protesa verso il suo
scopo, intraprende e segue, senza-esitanze e senza dubbi, nè adopran¬dosi a poco a poco, ma con mano sicura, come per un lavoro pensato e attrezzato (i).
Sale il fanciullo, quel 29 ottobre 1854., a quella cameretta del se¬condo piano, là, in fondo al balcone della Casa nuova. Viene « a darsi, com´egli diceva, intieramente nelle mani dei suoi superiori ». Non è una parola da ragazzo: è l´espressione d´un primo punto del pro¬gramma. Chi gli avrà insegnato a parlar così? Nessuno, io credo: perchè una volta detta Ia parola, egli resterebbe là, timido ed esitante, come tutti i fanciulli nel presentarsi a persona superiore. Ma questa presentazione vale ben l´altra di Murialdo: è la stessa apertura, lo stesso desiderio di essere veduto addentro, lo stesso donarsi tutto: le metafore giocano qui come l´altra volta, e sono intese con la stessa perspicacia e tradotte con la medesima volontà.
C´è, davanti a Don Bosco, quel cartello che poi, quando nel 1861 Ia stanza diventò anticamera, passò, come un´insegna, sulla cornice della porta, e ci sta ancora,, col_ medesimo senso e per lo stesso mo¬tivo: DA MINI ANIMAS, COETERA TOLLE. Il fanciullo vi si affisa, e Don Bosco, perchè « desiderava che ne intendesse il significato », l´aiuta a tradurlo e cavarne il senso ch´egli vuole, d´un´aspirazione dell´a¬nima: « O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose ».
Quel motto non è solo per Don Bosco: è anche per Savio, che il
(i) Cfr. sopra, pag. 65-66.
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Santo, con una indefinita previsione, si disegna già come apostolo. Ma, nel momento, il giovanetto, con Ia mente nelle cose di Dio, l´in¬tende per sè altrimenti, come una delle anime che Don Bosco acquista pel Signore: « Ho capito: qui non havvi negozio di danaro, ma ne¬gozio di anime: ho capito: spero che l´anima mia farà anche parte di questo commercio ». L´idea di Don Bosco, per allora, non si dispiega altrimenti; ma tornerà più oltre come primo fattore della santificazione per il Savio, e allora il senso che il Maestro voleva che il discepolo intendesse, sarà espresso in parole proprie (Capo XI).
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La vita nuova incomincia. E come nei veri santi, comincia senza parere, con la precisione nel dovere. È il primo articolo d´ogni san¬tità; così com´è per Don Bosco il primo postulato della spiritualità. La letteratura, diciamo noi, di tutti i suoi precetti e discorsi, è sostan¬ziata da questo principio, e si dovrebbe arrecare tutta la serie delle parole dette o scritte da lui sulla condotta morale e religiosa, e sulla vita spirituale che la compenetra, per dimostrare la fondamentale posizione di tale concetto nell´ordine del suo sistema educativo e re¬ligioso. Per parte del Savio è adunque un cominciamento significa¬tivo, tanto più che, come scrive il dettato, « il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario, nè altro in esso ammiravisi che un´esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri ».
È singolare la coincidenza, a distanza di quasi sessant´anni, delle parole del libro con le parole dei compagni che deposero al Processo; e la testimonianza di Giovanni Molino, che non sa distinguere l´eroi¬cità del Savio, perchè « tra tanti luminosi esempi di virtù che si osser¬vavano tra i giovani d´allora, non lo colpiva in modo speciale la figura del Savio ch´era tra i più giovani» (i). La sua condotta inappuntabile non compariva in modo speciale, perchè era già quella di tant´altri, che componevano il clima della Casa. E cioè, fin dal primo giorno, egli non è il nuovo arrivato, che deve mettersi .in ordine con la vita ambiente: ma uno di più tra quelli che il clima ha già formati. L´assi¬milazione del clima era immediata, perchè era già predisposta come primo punto del suo programma. È un principiante ben singolare, che agisce colla sicurezza e colla pratica d´un esperto.
Io lascio di commentare la preziosità di questo primo tocco bio¬grafico: di un ardente cercatore di santità che sa equilibrarsi tra un
(i) Cfr. sopra, pag. 72, nota (3).
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piccolo mondo di virtuosi, senz´altro mostrare che « un tenor di vita tutto ordinario », e solo è ammirato per « l´esatta osservanza di tutte le regole della Casa ». O io mi sbaglio, o in un fanciullo di dodici" anni è cosa straordinaria.
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Io non la credo istintiva, come effetto di bontà e docilità naturale: penso che fosse cosa voluta. Quell´anima era già aperta consapevol¬mente all´idea della santità, e si schiudeva a tutto che vi conferisse in ogni modo. Cosi si spiega la squisita recettività e l´intensa atten¬zione a ricevere ed assimilare ogni parola che venisse detta dal Santo Maestro. Il quale, allora, parlava egli in chiesa, e parlava delle cose di Dio con una comunicazione di spirito, quale sola può dare, a parte Funzione della santità, lo studio di parlare per quelli che ascoltano, scegliendo e disponendo ed esprimendo i concetti secondoché la loro mente e la loro condizione possono accogliere: non faceva la predica, ma parlava ai suoi giovani e parlava per loro. Ed .è un vero sacrificio, per chi scrive, non potere, per economia di condotta, rife¬rire quei discorsi. Ma legga, chi può, le parlate di Don Bosco, che non differiscono, se non pèr il luogo e la circostanza, dallo stile e dal tenore delle sue prediche, e si farà un´idea di quel che doveva essere l´effetto che producevano, incatenando e prendendo tutta l´anima dei giovani ascoltatori. Quanta pedagogia in quei discorsi e quanta auten¬tica sapienza oratoria!
Il Savio riceveva e assorbiva ogni massima come « un ricordo in¬variabile che più non dimenticava ». C´entrava la convinzione « che la parola di Dio è la guida dell´uomo per la strada del cielo »: centrava l´amorosa sollecitudine d´imparare le cose di Dio, ed era « una delizia » per lui ascoltarle, come si faceva uno studio d´intenderle, e ne doman¬dava spiegazione.
E poichè, com´è detto, procedevano dal desiderio della santità, quella recettività e attenzione si concretavano in valori pratici, into¬nando sempre più alto il tenore della vita, col renderne sempre più cosa di Dio le opere quotidiane (i). È una stupenda veduta, un´intui¬zione profonda di Don Bosco, quella di connettere, anzi di derivare da codesta assimilazione delle sante massime la perfezione insupera¬bile della condotta pratica: il suo di qui ha un contenuto che vale una dottrina, e le parole che lo seguono sono allo stesso tempo un pro¬gramma e una definizione di perfezione raggiunta dal giovane santo.
(t) Rimetto al cap. seg. le citazioni dai Processi che dimostrano la verità di quest´asserzione.
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Ecco le parole: Di QUI EBBE COMINCIAMENTO QUELL´ESEMPLARE TE¬NOR DI VITA, QUELLA ESATTEZZA NELL´ADEMPIMENTO DE´ SUOI DO¬VERI, OLTRE CUI DIFFICILMENTE SI PUÒ ANDARE.
È lo stile della santità secondo Don Bosco: fatta di realtà sostan¬ziali e sostanziose: quella che Pio X nel suo colloquio zo luglio 1914 col Salotti, e Pio XI, colla sua ´incisiva formula dello « spirito di no¬bile precisione » hanno collocato nel suo giusto valore (i).
Con queste parole dinnanzi il lettore può ora, io spero, convincersi che tutto il nostro precedente ragionare sulle disposizioni dell´animo nei cominciamenti del Savio, che forse appariva suggerito da una qual¬che prematura veduta, ha invece un valore positivo e una ragione fon¬data. I cominciamenti del Savio sono tali, « oltre cui difficilmente si può andare ». È un´altra delle definizioni forti e comprensive, con le quali l´ammirato Maestro stampa i lineamenti di quella santità.
La quale stava allora, cioè in quei due primi mesi, contenuta e quasi nascosta in quel « tenor di vita tutto ordinario », mentre fer¬veva nell´interno l´alacrità dell´elaborazione di quello che lo spirito veniva di giorno in giorno apprendendo. Il fervore, ch´è lo stato dei santi sulla terra, incremento ad un tempo e forza per cui cresce la santità, compenetrava quello spirito che lavorava prontamente e senza posa al suo presente dovere, risollevandosi, dopo averlo toc¬cato, in alto, e librandosi nella sfera dei desiderii soprannaturali (z). La grazia di Dio maneggiava per un lavoro tutto speciale lo strumento comune a tutti, creando uno stato d´animo che non doveva tardare a rivelarsi.
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Lasciamo di commentare un capoverso inserito tardivamente a scopo didascalico per l´esempio dei giovani lettori (3): vi abbiamo ac¬cennato altrove. È nulla più che una specificazione pratica dell´im¬pegno del giovanetto per conoscere i suoi doveri, e della prudenza già sempre usata nello scegliersi per amici i compagni migliori (4).
(i) SALOTTI, pag. 334: » Un adolescente che portò nella tomba l´in
nocenza battesimale. e che durante i brevi anni di sua vita non rivela mai alcun difetto, è veramente un Santo. Che cosa vogliamo pretendere di più ? ». Così Pio X. — Per Papa Pio XI, cfr. Disc. 9 luglio, 1933, cit., — Qui occorrerebbe addurre per intero tutta la serie delle testimonianze dei Processi, al tit. IV: De orto, pa¬tria et studiorum curriculo Servi Dei in Orat. Sales_ Pag. 35-82 del Summ. Proc. cit.
(a) FABER, Progressi, cit., pag. 41o.
(3) Nella 43 ediz. (1866), pag. 35-3z.
(4) Somm., pag. 80. D. Rua: » ...la prudenza usata nell´Oratorio nella scelta degli amici ed il modo di comportarsi con tutti i compagni, fa credere che anche al paese abbia saputo evitare i pericoli delle cattive compagnie s. Cfr. sopra, pag. 39.
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Veniamo al nostro proposito. Qui appare evidente il legame che
congiunge strettamente l´opera educativa di Don Bosco e il cammino della santità nel suo alunno.
È lo storico dicembre del 1854: quando si prepara la definizione dei dogma dell´Immacolata Concezione. La divozione a Maria, che
nella Casa di Don Bosco si respira da ogni parte e s´intreccia a tutto il parlare e l´operare del Padre della famiglia (i), raggiunge in quei
momenti un´insolita intensità. Ce lo dice il Capo XV del Quinto Vo¬lume delle Memorie Biografiche, descrivendo l´infaticata intrapren¬denza del Santo Maestro nel disporre l´animo de´ suoi giovani a quella nuova esaltazione di Maria, e la corrispondenza di quelli ai suoi pii incitamenti. Tanto più che la celebrazione della solennità doveva si¬gnificare, nell´intenzione di Don Bosco e della sua Casa, un rendi¬mento di grazie a Maria per essere stati tutti miracolosamente immuni, dal colera, che in quel 1854 aveva infierito in Torino e nei pressi del¬l´Oratorio (2), e se n´aveva il ricordo presente nei venti e poi trenta orfani che, proprio in quel dicembre, il Municipio affidava alle cure di Don Bosco (a). A questo non accenna la Vita del Savio: ma certa-mente il biografo di Don Bosco ebbe presenti le poche linee di questo
capitolo della Vita, che trovano nell´ampia opera la conferma e la spiegazione.
Purtroppo delle « parole d´incoraggiamento ai giovani della casa », che Don. Bosco diceva ogni sera della Novena dell´Immacolata neI consueto sermoncino, non ci resta nulla: egli ci dà il senso dominante di quelle esortazioni a celebrar degnamente la festa della Gran Madre di Dio, e ricorda che « insistette specialmente a voler chiedere a que¬sta celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno ». E appunto per l´eccezionale circostanza, -che te¬neva « in una specie di spirituale agitazione » i cristiani di tutto il mondo, rileva lo speciale impegno di tutta la sua Casa per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale dei giovani (4).
In mezzo a quella fervida alacrità, si moveva il Savio. Se altri asse¬condava le intenzioni e i suggerimenti del buon Padre, le sue parole trovavano nell´anima del Nostro una rispondenza più vibrante, e
(i) Mem. Biogr., V, 153. (a) Mem_ Biogr., V, 15r.
(3) Mem. Biogr., V, 132.
(4) Di quel fervido moto di pietà e della preparazione fattane da Don Bosco rimaneva memoria ancora due anni dopo, nel 1856, quando ne sentiva parlare il Cerruti, che poi rese testimonianza al Processo, aggiungendo che « uno dei più infiammati era iI Savio ». — Cfr. Somm. cit., pag. 5z. Vi è detto che. Don Bosco parlava ai suoi figliuoli, « eccitandoli ad onorar la Madonna colla fuga del peccato, la frequenza dei Sacramenti, la pratica costante della santa purità».
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tutto il suo spirito era proteso, per una inconscia attrazione, verso un qualche termine che doveva essere raggiunto a un dato momento, ri¬solvendo quella tensione nell´acquiescenza d´una nuova conquista. È ben vero che, stando alla lettera del libro, egli è soltanto « uno di quelli che sentivnnsi ardere dal desiderio di celebrare santamente»
quella. solennità: e intanto (come forse altri: per esempio, Michele Rua) si scrisse « nove fioretti, ovvero nove atti di virtù da praticarsi,
estraendone uno ogni giorno », che potrebbero far pensare ad uno studio personale di perfezione, se non sapessimo ch´essi venivano as
segnati sera per sera da Don Bosco (i).
Nè troppo spiccante è il rilievo dato al fatto della Confessione
generale, di cui altra volta terrà gran conto, e così l´accenno alla co¬munione di quel giorno, che il suo giovanetto « fece col massimo rac¬coglimento ». Ben altrimenti parlava di quella preparazione, propo¬nendone l´esempio ai suoi giovani, la sera del z8 novembre 1876 (ch´era la vigilia dell´inizio della novena), con particolari che in parte spiegano, in altra amplificano o completano il racconto del libro. Di¬ceva: « Io mi ricordo ancora quel volto ilare, angelico, di Savio Do
menico, tanto docile, tanto buono. Egli mi venne innanzi il giorno prima della Novena dell´Immacolata Concezione (cioè 28 novembre),
e mi disse: " Io so che la Madonna concede grandi grazie a chi fa bene le sue novene. Io voglio fare una confessione generale della mia vita, per tenere ben preparata l´anima mia: voglio eseguire esat¬tamente i fioretti che per ogni giorno della novena si daranno la sera precedente. E poi vorrò regolarmi in tutto questo tempo in modo da poter fare la mia Comunione quotidiana ". " D´altro non hai più niente? " gli chiesi. " Si, voglio fare una guerra micidiale al peccato mortale ". " E altro? ". " Voglio pregar tanto e tanto Maria SS.ma e il Signore di farmi piuttosto morire che lasciarmi cadere in un pee¬cato veniale contro la modestia "» (2).
(i) Mem. Biogr., V, 153. Vi si dice che Don Bosco ne veniva assegnando ogni sera uno per tutti. Non abbiamo quelli proprio, ma di altre novelle Mariane, e dell´Immacolata possediamo quelli dati in anni posteriori, e pare che, da più a meno, si ripetessero. Sono tutti propositi pratici, e tutti terminano con la Con
fessione e Comunione.
(z) Mem. Biogr. cit., XII, 572. — Qualche variante di fatto o d´espressione
è probabilmente da attribuirsi all´intento esortativo del discorso. Così il voler esat¬tamente eseguire i fioretti, ecc., che sembra contraddire al testo, e, più ancora, il a voler regolarsi in modo da poter fare la Comunione quotidiana » ch´è un con¬cetto posteriore ai primi tempi del Savio (non ancora ammesso alla Comunione quotidiana: cfr. cap. XIV), e non accennato affatto nella Vita: mentre Io studio di evitare il peccato è qui amplificato al segno di voler evitare a qualunque co¬sto « un peccato veniale contro la modestia ».
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o o o
Dobbiamo dire adunque che sotto quel che vi era di esteriormente comune o non del tutto particolare, ferve uno spirito che non è se
non suo e della grazia speciale di Dio che lo muove. Non sempre il lavoro di Dio si palesa con gesti appariscenti, e solo appare poi nel momento, in cui sí assomma quasi in figura di un moto improvviso (I). L´anima stessa, che pure inconsciamente vi tendeva, non saprebbe de¬finire in che consista la novità, salvo che si sente fatta maggiore da quella di prima (z). Ma nel guardare al suo santo discepolo, Don Bosco avverte così chiaramente il fatto nuovo, il momento, che ne fissa la data:
la sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le funzioni di chiesa ».
Si può dire che lo prevedesse. Perché ciò che il santo giovinetto fa in quell´ora avviene « col consiglio del confessore »: sia poi col con¬siglio o per consiglio, non cerchiamo: nell´un caso e nell´altro Don Bosco è presente a dirigere quel moto interiore. Ed io sto alla parola sua, che ci lascia travedere nell´anima del piccolo santo appunto quel lavoro e quella tensione che lo porta verso il fatto onde si adempie la nuova ascensione. L´anima sentiva di dover far qualche cosa, e se ne disegnava forse l´idea, e ne chiese consiglio e n´ebbe la conferma e la definizione: son due santi, maestro e discepolo, che dialogano del
modo di adempiere al moto della grazia di Dio. Fino a che punto giunge il consiglio di Don Bosco?
C´è la forma suggerita, e c´è, non so dire se l´esortazione o non piuttosto l´approvazione e l´incitamento a far quel passo: se cioè
Don Bosco abbia detto: « Fa´ questo » o, più sicuramente: « Fa´ pure! ».
La forma è, almeno in parte, suggerita. Le « precise parole » del Savio sono parallele all´esortazione con che Don Bosco terminava
quella sera il discorso ch´egli tenne ai suoi giovanetti prima d´into¬nare il Te Deum del ringraziamento: « cordiale e sincera promessa di consacrare a Dio solo il resto dei proprii giorni, amandolo da buoni cristiani, osservando i comandamenti, fuggendo il peccato mortale, ch´è un morbo infinitamente peggiore della peste e del colera» (a).
(i) Dice bene il sempre vicinissimo Faber: «Una dettagliata corrispondenza alla grazia nelle cose di nostra condizione ci condurrebbe quasi inconscii ad altezze di santità che la natura trema a contemplarle, quando le vede nella loro elevazione
assoluta, e non nella loro ascensione graduale Yì. Cfr. Betlemme, cit., pag. 171.
(z) Come avviene al buon Dante, allorchè passa dall´una all´altra sfera del
Paradiso:
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l´uom di giorno in giorno
s´accorge che la sua viriate avanza, ecc. (Par., XVIII, 38-6o).
(3) Mem. Eiogr., V, isz.
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Il sentimento che Don Bosco nutriva in quel giorno trapassa nei con¬sigli dati in secreto al santo fanciullo, e si concreta nelle precise pa¬role che questi pronuncia appiè della Madonna, dopo che il suo Diret¬tore ne ha fatto un´esortazione per tutti. E la consonanza di quel che ascolta allora con quello ch´è stato un suggerimento, certamente più preciso, particolare per lui, non fa che confermarlo nel proposito e accrescere il fervore della risoluzione. Ed egli, dopo quella funzione, si porta appiè della sua Madonna, e Le si presenta colla sua storia passata e con l´offerta dell´avvenire.
Sa di compiere un atto formale e solenne, e vi dà la forma dovuta, iterandola per ogni miglior certezza: Rinnovò le promesse fatte nella prima Comunione: di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro! Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! Ma per pietà, fatemi morire, piuttosto che mi ac¬cada la disgrazia di commettere un solo peccato!
È la storia sua dalla prima Comunione in poi, ed è, con più alto
e consapevole sentimento, la consacrazione della vita avvenire: è pur sempre, come dicemmo allora, il fanciullino di sett´anni che precoce¬mente si dà a Dio, e pronuncia il grande e tutto suo proposito, e a dodici anni, col proposito medesimo, ma con piena conoscenza di amore, non più nello scritto, ma nell´ardenza d´un´iterata preghiera
e nella luce che gli splende nell´anima, si consacra alla sua Madonna
e al suo Gesù (t). Nessuno può dire che cosa sia passato nell´anima di lui in quel momento: ma nel fatto edificante e semplice d´una fer¬vida preghiera è penetrato un soprannaturale più profondo e più forte, ed è forse balenato un bagliore di luce superna, che lo trasforma
e trasfigura. Cosa d´un attimo, che s´incide per sempre.
o o o
Non è una mia induzione o interpretazione mistica. È il fatto. Dopo quel giorno egli, il Savio, appare realmente un altro, più visi¬bilmente o straordinariamente virtuoso, più chiaramente permeato di soprannaturale; e Don Bosco, per la sua sensibilità delle cose di Dio, non può non avvertirlo, ed è costretto a tenerne nota, presentendo il Santo. Le parole sue, a questo punto della Vita, bastano da sole a fissare il nuovo momento di quella santità, e a dare il carattere a tutta la vita susseguente: PRESA COSI MARIA PER SOSTEGNO DELLA SUA DIVO¬ZIONE, LA MORALE DI LUI CONDOTTA APPARVE COSI EDIFICANTE E CON
(t) Non c´è da pensare all´Atto di consacrazione totale a Maria proposto dal B. Grignon de Montfort. (Cfr. Tanquerey, cit., 170-v76). Don Bosco non avrebbe-consigliato un voto così arduo ed esclusivo.
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GIUNTA A TALI ATTI DI VIRTÙ, CHE HO COMINCIATO FIN D´ALLORA A NOTARLI PER NON DIMENTICARMENE (I).
Nella nuda semplicità di questo periodo si racchiude e si conchiude tutto quello che noi abbiamo trovato commentando chi nostro di¬scorso l´Incipit vita nova. Dopo neppur due mesi dall´ingresso del
Savio nella Casa dell´Oratorio, egli è pervenuto al momento, in cui la santità latente, e´ 1i1 cerca della sua parola (z), ha letto questa parola
in un raggio d´amore che lo ha folgorato, volgendo da quell´ora il suo desire e il vale nella sfera di Dio, onde procedono le virtù e lo spirito che le rende più che umane.
E una nuova data della vita: giacche le date più vere sono quelle segnate dai giorni e dalle ore in cui si ha una nuova idea di Dio, e nel mondo della santità ogni nuova idea di Dio si identifica con un crescente sensibile amore di Gesù (a). In questa trasfigurazione Don Bosco non è soltanto lo spettatore: è la mano che ha guidato in quel cammino il suo fanciullo, sentendo ad ogni passo il crescente vigore
di quella tenera vita, e consigliando infine, quando lo sente capace e temprato, il gesto della consacrazione.
Il resto è cosa di Dio, e Don Bosco lo sa, tanto da sentirsi costretto a notarne i portati. Che anzi l´idea di codesta novità, che s´afferma in quel momento, e gli trasfigura il suo giovinetto, è in lui così viva e si¬cura, che lo induce ad ordinare, seguendola, tutta l´economia del suo racconto. Son sue parole: « Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovane Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive e in chi legge. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non se¬condo l´ordine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti ».
Ed io dico: Hanno mai pensato, quei che il libro di Don Bosco han letto, ed anche lodato, come non più che un simpatico profilo edificante, hanno mai creduto, dico, che racchiudesse tali finezze spi
rituali e profondità di vedute, quali il nostro discorso ha già potuto (e potrà in seguito), senza forzare mai nè imprestare nulla, rivelare
e dimostrare come contenute nella oggettiva concretezza del semplice racconto di Don Bosco ?
(i) Ciò è confermato dalla testimonianza di D. Michele Rua al Proc. Orditi.: se Ricordo d´aver inteso dal Venerabile (Don Bosco) che stava scrivendo la Vita di un giovane dell´Oratorio, mentre ancor viveva Savio Domenico... che poi si seppe essere il Savio Domenico... (il che) ci fa comprendere che per non lasciar sfuggire dalla memoria i tratti edificanti, ti andava raccogliendo mentre ancor viveva il Servo di Dio... v. Cfr. Somin., cit., pag. 3o-31.
(z) Cfr. sopra, pag. 91.
(3) FABER, Prezioso Sangue, cit., pag. 17 e pag. 4o. Cfr. sopra, pag. 22.
CAPITOLO IV
La vita del dovere.
Seguendo il suo programma « di esporre le cose non secondo l´or¬dine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti «, l´Autore santo in¬tende a metterci sott´occhio i vari aspetti e le singole manifestazioni della santità, ch´egli ha già veduta nell´anima del suo discepolo. Non dimentica e non scema l´intento edificante e talora parenetico del suo libro: ma questo fa dipendere appunto dalla prosopografia della san¬tità in atto. Un intero mio studio sul contenuto spirituale della Vita di Besucco Francesco intende espressamente a dimostrare la spiritualità del sistema educativo di Don Bosco e della vita giovanile vissuta nel clima dei suoi insegnamenti e de´ suoi metodi. La Vita del Savio, col far vedere una santità autentica vissuta tra quella spiritualità e al con¬tatto più immediato della persona dell´Educatore, viene a sublimare il valore di quel contenuto, associandovi il fattore soprannaturale della grazia di Dio, che, compenetrando tutta quanta quella vissuta spiri¬tualità, la perfeziona e trasfigura, e stabilisce un intercambio di meriti personali e di moltiplicazione di doni superiori (i).
Non si può pertanto ridurre (che sarebbe diminuire) l´esposizione dei fatti esemplari all´interesse pedagogico di una personificata dida¬scalia morale: l´esemplarità, quand´è raggiungibile, viene come con¬seguenza spontanea della presentazione del bene operato, ma non limita nè altera il valore intrinseco della soprannaturalità della vita virtuosa. E se n´avessi l´agio, io vorrei ben richiamar l´attenzione di chi vuoi studiare Don Bosco educatore, a non valersi troppo—delle dottrine ora dominanti, ma non per questo integralmente sicure, del¬l´educazione della volontà e dell´autoeducazione pragmatistica: dot¬trine che, se non si collegano, o meglio, si fondano sui principii della vita spirituale cristiana, possono, inconsapevolmente presso molti,
(i) TANQUEREY, cit., n. 504 e n. 243.
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riuscire ad uno stoicismo o ad un pelagianismo nient´affatto orto¬dosso (i).
Che non vi possa essere nè educazione nè conquista di carattere virtuoso senza che la volontà sia educata a volere il bene, e senza che sia richiamata la coscienza a lavorare in se stessa, è cosa ovvia, e Don Bosco, buon seguace di S. Francesco di Sales, l´ha sempre veduto: ma tanto egli quanto il suo ispiratore, come del resto la dottrina di S. Chiesa, han veduto che codesto lavoro della volontà non conclude senza l´intervento del fattore religioso e spirituale, e senza gli ausilii soprannaturali che la grazia di Dio e la Chiesa sua forniscono (2).
Tanto meno questa faccenda dell´educazione della volontà può invocarsi nel fatto d´una santità quale è quella del Savio, svoltasi nelle mani di Don Bosco e da lui praticamente modellata. I « lavori della grazia divina » hanno già educato la sua volontà e vengono educan¬dola, cioè elevandola e facendola più ardente, così com´egli, per corri¬spondere agl´impulsi di quella, si è autoeducato nel cuore e confermato nelle abitudini della vita santa: ha cioè costrutto in sè un carattere di santo. Egli vive di già in una sfera superiore alla comune formazione d´una volontà e alla costruzione d´un carattere; e per quanto venga progredendo e perfezionandosi sempre più nel fatto umano della vita esterna, i vari momenti che rivelano un apporto nuovo di grazie attuali e doni gratuiti, fanno intendere che in lui, nei suo intimo, germina e matura, con la celerità dei tempi della grazia, una vita che non si misura soltanto coi dati umani della pedagogia.
Tutto questo vuol tenersi presente nel seguire Don Bosco appunto nella prima presentazione che ci fa, col capitolo IX, dei fatti e delle virtù del suo alunno. Comincia dal più umano e comune degli argo¬menti: la vita del dovere nella vita del Savio scolaro. Salvo il fatto eroico che vi si innesta, il resto non è altro che la descrizione d´una condotta indefettibilrnente virtuosa nell´adempimento dei doveri del
(i) Il classico lavoro di JuLEs 13.kYoT, L´Éduration de la volonté, scritto inne¬gabilmente con buone intenzioni, anche ricorrendo non poche volte a citazioni da S. Francesco di Sales, rimane pur sempre un libro laico, e il pensiero della reli¬gione c´entra qualche volta, e non organicamente, come uno dei possibili coeffi¬cienti di persuasione. Così dicasi d4ell´altro pur classico lavoro di PIERRE 152~115SE, L´éime de l´adolescent, e così ancora degli scritti del FOERSTER, Ottimi e utilissimi, ma bisognevoli dell´integrazione dello spirito cristiano.
(2) In questo senso la direzione ascetica di S. Francesco di Sales, è quella della a éducation de la volonté 5, come appunto dice iI sottotitolo del fondamentale lavoro di FRANCIS VINCENT: S. Franfois de Sales directeur d´dmes. (L´education de la volonté). Paris, 1923 (5n ediz.). Vedasi quanto è detto nel mio studio sul Besucco, svolgendo il grande principio educativo di Don Bosco, enunciato al capo XIX della Vita.
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proprio stato. Eppure anche questo, e prima d´ogni altro dato, ha valore di santità. Cosi l´intende Don Bosco, il quale ha poco prima annunziato che tutto quanto andrà dicendo è prova del fervore che arde in quell´anima, ed ha un valore che e merita speciale attenzione in chi scrive e in chi legge »; e così compare tutta quella serie di cir
costanze, e la condotta in genere, nei riferimenti dei due Processi, dove parlano i suoi condiscepoli e compagni (i). E Roma, nel rico
noscere il grado eroico delle virtù del nostro « piccolo, ma grande Servo di Dio », ha dato giusto valore al proposito di Don Bosco, tro¬vando tale merito soprannaturale nelle cose e nei fatti di quella vita,
che sembrano cose comuni o di non molta levatura. Dar valore di santità alla vita che si vive, è il tema e l´insegnamento delle pagine
di Don Bosco, confermato da Santa Chiesa! (2).
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Vita del dovere. Non faccio qui Ia teologia nè l´ascetica di questo
primordiale postulato della perfezione cristiana. Nello studio sul Be-succo mi vi sono intrattenuto quant´è sufficiente ad illustrarne il va
lore spirituale. Ma non è fuor di luogo domandare: Perchè, per de
scrivere una santità in azione, Don Bosco incomincia da questo sog¬getto, e non, per esempio, dalla pietà, o da altre virtù più ovviamente
pensabili in un santo? Ecco. Egli segue in questo il pensiero e l´indi¬rizzo del Santo suo modello. È un titolo specifico di S. Francesco di
Sales nella storia della spiritualità l´aver instaurato codesta nozione primordiale, che la santità dipende dall´umile e quotidiana osser
vanza dei doveri del proprio stato: la gran legge del dovere come su
premo regolatore della vita (3).
Chi conosce un po´ davvicino il Santo educatore, sa che questa
concezione stava alla base d´ogni suo lavoro educativo, tanto nell´am¬bito della vita comune, quanto nello spirituale. Alle stesse ostensioni
(i) Cfr. Somm. Proc. Ordin. e Apostolico, cit.: tit. IV, V, XVI, XVII.
(2) Si confronti, per l´affinità delle idee: FABER, Progressi, cit., cap. XVI, pa¬gine 251-253, ricordate e citate pure nel mio studio sul Besucco.
(3) FRANCIS VINCENT, op. cit., pag. 199. Potremmo, senza difficoltà, addurre molti passi degli scritti del Santo Dottore, e non di seconda mano: ma oltrechè sarebbero troppi, non è precisamente l´assunto e il merito capitale del suo libro più vivo e diffuso: Introduction à la vie dévote, l´aver insegnato che ci si può far santi in qualsiasi condizione della vita ? — Così pensa anche il FABER in ogni suo lavoro, e principalmente in Il piede della Croce, 447-449. Anche nelle sue Lettere v´insiste. Cfr. Vita e lettere del P- G. Faber del BOWDEN: Lettere alla Sig. M***, CVIII: pag. 372-373 (ediz. Marietti).
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della pietà egli non. credeva se non erano confermate dall´osservanza diligente e coscienziosa dei rispettivi doveri. È codesto spirito di con¬cretezza che la Beata Mazzarello, sua interprete fedelissima nella for¬mazione della salesianità femminile, esprimeva nel 1878, affermando che « la vera pietà religiosa consiste nel canipiere tutti i nostri do¬veri a tempo e luogo, e solo per amor del Signore ».
Ed è tanto cosa di Don Bosco, e perciò inerente alla santità che da lui s´inspira, che PP. Pio XI vi ha accennato in due momenti capi¬tali: quando, nel discorso per il Tuto della Canonizzazione, applicò al nostro Padre la dottrina del martirio del dovere nascosto, quella del piccolo martirio della vita quotidiana (3 dicembre 1933); e quando, appunto esaltando le virtù eroiche di Savio Domenico, trovava nella sua esistenza di soli quindici anni « una vera e propria perfezione di vita cristiana... vissuta con uno spirito di nobile precisione », e già, del resto, preparata dalla santa vita di famiglia, «vissuta nell´esercizio, nel compimento degli ordinari doveri d´una vita comune » (9 luglio
1933)
È un ideale per Don Bosco la compiutezza e la precisione nell´a
dempimento dei doveri della propria condizione. Non è superfluo ripetere qui com´egli abbia fatto risplendere tale carattere come pri- - mario nei giovani di cui ha narrato la vita: dal Coniano al Burzio, dal Savio al Magone e al Besucco: dal « non si poteva desiderare di più », del:Burzio, alr « oltre il quale non si può andare´», del Savio (i). E
poichè altrettanto fu detto di lui stesso, giovane seminarista (z), pos¬siamo ben dedurre che l´ideale non era solo nella teoria, ma nella propria sua concezione e attuazione della santità.
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Nel fatto di Savio Domenico dobbiamo tuttavia andar più oltre,
pensando che il santo Autore connette e coordina l´esposizione delle virtuose azioni del suo alunno a quel concetto ch´egli si è formato di
lui dopo il momento nuovo del giorno dell´Immacolata. Con che reser
(i) Anche per questo mi rimetto al mio studio sul Besucco, dove ricorrono anche i paralleli con la Teresa del Bambino Gesù: paralleli non derogabili, quando si pensi alla parallela modernità degl´indirizzi di Don Bosco.
(2) Mem. Biogr., I, 374: D. Bosco, nuovo seminarista, domanda - al prof. D. Temavasio una norma di vita per riuscire un buon chierico: « Una cosa sola, gli risponde: coll´esatto adempimento dei vostri doveri e. E nelle Memorie inedite egli dice di aver ottemperato a quel consiglio. Xbid., 4o9: la santa lega tra i quat¬tro amici di Seminario e per una esatta osservanza delle regole e l´adempimento esatto dei propri doveri di pietà e di studio s. E c´era il Comolio. Cfr. pure, op. cit., I, cap. LVI.
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eizio perfetto dei doveri dello scolaro diviene nel piccolo santo un motivo, cioè un valore di santità, perchè vi agisce il medesimo fattore d´ogni altra attuazione.
Mi spiego con la dottrina, salesiana in ogni senso, di S. Francesco di Sales: per la quale l´amore è fine e mezzo d´ogni valore di santità, e la qualità delle nostre azioni, qualsisiano, grandi o comuni, dipende dal motivo d´amore che le produce e le accompagna. L´atto in sè è nulla o poco: il motivo d´amore è tutto. La nobiltà del motivo d´amore nobilita le azioni anche meno cospicue, e il merito di esse non si mi¬sura dall´altezza e dall´ampiezza o da ogni altro valore umano, sibbene dalla fiamma segreta che la vivifica ed anima dal di dentro. Se anche non può dirsi che il principio-, come tale, sia quasi un´innovazione del Santo Dottore (lo troviamo enunciato chiaramente nell´Imitazione di Cristo, ch´egli maneggiò assiduamente) (i) è tuttavia da lui definitiva¬mente formulato e condotto a dottrina fondamentale di tutta la spiri¬tualità del Santo rinnovatore dell´ascetica moderna, e perciò squisita¬mente compenetrato in ogni suo scritto (2).
Ed è dottrina squisitamente salesiana, non più etimologicamente, ma in quanto fatta sua da Don Bosco. Egli ha insegnato a farsi santi in una vita d´intenso lavoro e di dedizione quotidiana alle opere di minore appariscenza, agli obblighi d´una vita che non conosce quasi nulla dell´apparato della grande ascesi. Ed ha prodotto dei santi, e messo semi di santità, coll´insegnare a far ogni cosa con l´intenzione e la consapevolezza d´un amoroso servizio di Dio (3).
L´aspetto pratico di questa santissima tesi salesiana, che ci stringe senz´altro al nostro tema, ci è dato dalle due lucidissime pagine del Columba Marmion, là dove mette a confronto ciò che dà valore sem¬plicemente meritorio alle azioni, con ciò che mentre aumenta il grado di esso, fa avanzare l´anima nell´unione con Dio. Due persone pie in istato di grazia, compiono fianco a fianco le medesime azioni mate¬riali: eppure agli occhi di Dio può esservi tra loro una stragrande differenza. L´una segna il passo, l´altra avanza a grandi passi nella via della grazia, della perfezione, della santità. Donde la differenza? Dalla perfezione interiore, dall´intensità dell´amore, dal grado di
(t) De imitatione Christi, lib. I, cap. xv, Deus siquidem magi: pensar ex
quanto quis desiderio et amore opus agat, quam quantum faciat».
(a) VINCENT, op. Git., Part. Deuxième, chap. III: L´arnour but et moyen. -Premier corollaire: e Latte en soi n´est rien: le motif d´amour est tout e. Pag. 178, seg. — Il riferimento dell´Imitazione di Cristo non è del Vincent; ma si deve aver presente perchè familiare a Don Bosco.
(3) Cfr. Disc. di Papa Pio XI, 3 dic. 1933. (disc. del Tuto), § 8: dove la vita quotidiana di Don Bosco è definita « un vero, proprio e grande martirio e.
13 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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carità con che ciascheduna di esse compie le proprie azioni. Quella alla quale noi qui vogliamo alludere, sempre attenta a Dio, opera con un
amore alto e possente: opera unicamente per piacere a Dio, e rimane
intrinsecamente prosternata in adorazione davanti al Signore: la sua attività non procede, in radice, che da Dio: e per questo ogni sua azione
l´avvicina a Dio sempre più, ed ella progredisce celermente nell´unione con Dio. Qui sta il segreto di quella forte differenza, e questa è l´emi¬nenza della virtù della carità, la forza dell´amore, in quanto essa è che regola propriamente la misura della vita divina in noi (i).
Cosi ci è dato comprendere il pensiero di Don Bosco nell´inserire, in primissimo luogo, la modesta vita del dovere del suo piccolo santo nella serie delle virtù, per le quali si manifesta e svolge la sua santità. Non c´è che da attribuire al Savio quel che ci vien suggerito dalla pagina del pio benedettino. Non è una supposizione gratuita. Nel pro¬cesso dell´Ordinario Don Rua attesta che egli « compiva i suoi doveri per amor di Dio: studiava per dovere di coscienza, senza mira di su¬perare alcuno, giacché non ambiva di primeggiare ». Altrove un condi¬scepolo, autorevole assai, dice che « compiva tutte le azioni ordinarie con un fervore speciale «; e un altro: « L´ho sempre veduto compiere le sue azioni più comuni e ordinarie colla massima diligenza, con tale e tanta esattezza e semplicità, che tutti l´ammiravano e lo tenevano come un modello di giovane cristiano, sia nella pratica delle cristiane virtù che nei doveri dei proprio stato ». E che l´amor di Dio, la ca¬ritas, fosse l´anima di tutte Ie sue azioni, ce Io dice il Cagliero: « L´amor di Dio aveva compenetrato tutti i pensieri, affetti e atti del suo cuore... Quantunque il Savio si studiasse di non manifestare esternamente alcuna singolarità, tuttavia non poteva occultare il grande amor di Dio che infiammava il suo cuore » (2).
Su tali concetti mi è parso dovere d´insistere, perché in tutto questo io vedo (mi si conceda il termine) il Don Bosco numero uno. Voglio dire che gl´indirizzi capitali della spiritualità del Santo nostro Maestro qui si rispecchiano e affermano nel loro primo punto, quasi con un primo articolo: la santificazione della vita nell´adempimento del dovere, compiuto per servizio di Dio, ossia per amor di Dio. Che, per il genere e condizione di vita attuatasi intorno a Don Bosco e ordinata da lui, codesto dovere sia essenzialmente lavoro, è un dato
(i) COLUMBA MAAM!ON, op. cit., pag. zoo-zoz. — La derivazione da S. Fran¬cesco di Sales è qui evidente, cosi com´è evidente l´affinità e medesimezza con la dottrina del Faber su le azioni ordinarie, che citeremo a suo luogo.
(z) Somm. Proc., cit., D. Rua, 312; Piano, z x6; Melica, 47; Cagliero, 193, 195. Molte altre conformi affermazioni sotto i titoli: De charitate erga Deum; De fide; De Spe.
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storico che mette capo all´essenziale principio spirituale salesiano for-mulato da PP. Pio XI: Qui laborat, orat. Il Savio nella sua piccola grande vita ne dà un primo esempio. La santità del Savio è la san¬tità salesiana.
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Santità che non appare ad un occhio meno intento alle cose dello spirito, e che pure contiene nella continuità del suo esercizio un suo proprio eroismo, come appunto diceva PP. Pio XI nel citato discorso (t); che anzi predispone agli eroismi più visibilmente eroici (2). Don Bosco ha voluto farcelo intendere collocando, in mezzo alla descrizione della santa esemplarità nel dovere, l´atto per eccel¬lenza più eroico della vita del Savio. È un fatto forse unico nella storia della santità giovanile: certamente tipico nella storia del nostro gio¬vane santo. Esso lo scolpisce per sempre in una statura smisurata¬mente maggiore dell´età sua, e in un atteggiamento di forza morale, che nei valori umani non trova nè fondamento nè sostegno, e solo attinge da virtù superiori e non terrene la sua origine e la sua potenza.
Bisogna, perchè possa essere, che un´anima sia vissuta e temprata nel clima di Dio, in vista d´un modello continuamente contemplato, e tra un insistente travaglio d´amore che l´innalza sopra di sè nello sforzo di avvicinarsi e assomigliare a quell´Unico sempre presente e sempre invitante (3). Uno stato d´animo e un travaglio d´amore che non appare se non all´occhio di Dio, e che non è d´un momento d´e-mozione, neppure, direi, un tocco improvviso della grazia divina; ma, anche se rapidamente, maturato nel secreto dello spirito. Quand´è quel momento, tutta quella forza che si era venuta accumulando, si concentra in un punto, e si sprigiona nell´atto, che pare intuizione od ispirazione subitanea, ed è invece somma e risoluzione di continuo e assiduo lavoro (4_).
Stupisce che tanto si possa dire d´un fanciullo di forse tredici anni,
(i) Disc. cit., 3 dic. 1933; § 6.
(z) Anche questo ha dimostrato il Pontefice in quel suo discorso al § 5, e più con l´esempio di S. Fruttuoso, che prepara, nell´osservanza eroica della legge, l´eroismo del martirio. E faceva suo un pensiero del Manzoni, Oss. sulla Mo¬rale Cattolica, XVI. — Cfr. Disc. cit., § 7.
(3) Cfr. in COLUMBA MARMION, cit.: Notre croissance surnaturelle dans le Christ, § VIII-IX, pag. 305-352. — Il concetto è quello di S. Paolo: Dover occurramus omnes in virurn perfectum, in rnensurant aetatis plenituclinis Christi. (Fph., IV, 13).
(4) Non è questa pure la vicenda delle creazioni del genio? Così pensa an-che il Joly, pel quale l´ispirazione del genio è o de la reflexion accuraulée5>. Cfr.
op. cit., 156.
104
e la psicologia, sia pur dei Santi, lo supporrebbe al più in una vita matura (i); ma se il fatto è tale che appena lo penseremmo dopo anni
ed anni di allenamento morale, che vuol dire virtù, perchè non dob¬biam) vedere in colui che da un Pontefice fu detto « piccolo, anzi grande gigante dello spirito a 15 anni », un lavoro della grazia divina che ve lo ha preparato e fatto capace ? Non è questa la parola di Don Bosco?
Invero il fatto avviene « nel decorso di quest´anno» cioè del primo anno di vita nell´Oratorio. Noi dobbiamo collocarlo tra il dicembre e
il marzo (2), dopo il primo momento che, come s´è detto, ha trasfigu
rata l´anima del piccolo santo, e prima del secondo, che gli darà la coscienza definita della sua individua vocazione (3). Da quel primo
momento si origina e inizia l´interno lavoro che lo porta al fatto eroico; Don Bosco lo ha, se non preveduto, già incluso mentalmente nei fatti conseguenti a quel momento, ch´egli ha sentito il bisogno di subito notare.
È il fatto d´una rissa fra scolari, in cui gl´insulti reciproci toccano l´onore della famiglia, e ne nasce una sfida a duello, diremmo, in piena
forma: cavalleria rusticana, naturalmente, giacché l´arma saranno i sassi. Il Savio, che per la sua bontà è caro all´uno e all´altro, mette in opera ogni mezzo per stornarli da quel bestiale proposito: l´amor di Dio, lo zelo delle anime, la carità per le loro persone, gli suggeriscono argomenti di persuasione, ed egli parla, e scrive, e perfino severamente minaccia di denunziare: gli sta a cuore d´impedire l´offesa di Dio e il danno che alle due anime arreca quella vendetta e quel sangue. Ma ogni buon ufficio del piccolo Domenico s´infrange contro l´ostinata pervicacia di quei due bastraconi inviperiti (4).
E allora tutto il genio della santità dirompe nell´idea eroica: metter sè di mezzo, tra la battaglia: ed in nome di Gesù Crocifisso immolarsi in vece loro e per loro. Un´idea da martire.
(I) jOLY, Psychologie des Saints, cit., cap. IV e cap. VI.
(2) Cinque testi deI Processo, per diverso titolo, ricordano il fatto, ma nes¬suno accenna al tempo in cui avvenne, nè fa il nome degli attori di quel dramma, che certamente conoscevano. Cfr. Somm., cit., Cerruti, ..54; Cagliero, 021 ; Anfossi, 228; Rua, 113, 220, 287; Ballesio, 186, 203.
(3) Se il fatto fosse accaduto dopo di questo, Don Bosco l´avrebbe collocato al cap. XI o al XII, e non avrebbe mancato di connetterlo con l´azione di apo¬stolato e di zelo delle anime, che conseguitano al suo proposito di essere santo.
(4) Ed erano studenti di ginnasio, di quelli che Don Bosco manteneva per carità e mandava a scuola da Bonzanino l Non abbiamo dunque esagerato quando, nel descrivere l´ambiente dell´Oratorio, abbiamo accennato alla volgarità e bas-sezza di certi elementi. Mi contento di rilevarlo in nota: ma dovrebbe stare in testo.
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Il dialogo della proposta e dell´impegno è storico (t). Savio li prega di accettare una condizione: l´accettano purché non impedisca la sfida, giacché non saranno in pace finché « o l´uno o l´altro abbia rotta la testa ». Ed egli consente alla sfida, ma la condizione si riserva di dirla sul posto. E non li minchionerà ín nessun modo (parlano in piemontese), e non chiamerà nessuno: basta che mantengano la pa¬rola. E vanno, i due cavalieri da strada, senza padrini e senza medico, col solo Savio, ai prati della Cittadella (2): si approntano con cinque pietre ciascuno, alla distinza stabilita.
Qui è il gesto eroico. Dichiara la condizione accettata: trae fuori il suo piccolo crocifisso, « e tenendolo in una mano: Voglio, dice, che ciascuno fissi lo sguardo in questo Crocifisso: di poi gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole; Gesù Cristo inno¬cente morì perdonando ai suoi crocifissori: io, peccatore, voglio offen¬derlo e fare una solenne vendetta ». E va ad inginocchiarsi davanti al più infuriato, e gli dice: « Fa´ il primo colpo sopta di me: tira una forte sassata sulla mia testa ». Che suono avrà avuto la sua voce, e che lume il suo volto in quel momento ?
È un gesto inatteso, che afferra il cuore, è un´angoscia: il ragazzo trema. « No, e mai no, dice. Io non ho alcuna cosa contro di te, e vorrei difenderti se alcuno ti oltraggiasse ».
Il medesimo avviene con l´altro: anch´esso trema, e ricusa di fargli del male, perchè suo amico. « A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti* dice il libro, semplicemente.
E l´eroe si aderge con l´ardimento del martire e l´ardenza dell´a¬more, e, solenne ed autorevole, col crocifisso levato in alto, li urge e li serra nella stretta a cui non possono sottrarsi: « Come ? voi siete ambidue disposti ad affrontare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdo¬narvi un insulto e una derisione fattavi nella scuola, per salvarvi l´a¬nima vostra che costò il sangue del Salvatore e che voi andate a per¬dere con questo peccato? ».
Son ragioni di Dio, che traggono forza dall´amore eroico di chi
(i) Don Bosco dice apertamente che ne seppe i particolari da uno dei due contendenti. E nel Processo´ il teste Anfossi, suo condiscepolo riferisce le parole: «Fate pure, a condizione ch´io rimanga con voi a e riporta altri particolari del
fatto eroico. — Cfr. Somm., cit., 228.
(2) La Nota del testo fu messa in 5" ediz., nel 1878. Ma al tempo del Savio, e del fatto (1855), la cittadella c´era ancora, e la spianata di fronte al Maschio (di cui esiste ancora il corpo centrale) era a prati incolti, lasciati ad 71S0 pubblico. La Cittadella fu demolita nel 1857, ed il suo tracciato si trova ancora disegnato sulle Carte Topografiche di Torino dei primi anni successivi. Cfr. per es. la
Pianta di Torino deI 186o, riprodotta nell´op. cit., di D. FEDELE GIRAUD1.
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le dice e dal coraggio di chi è pronto ad ogni sacrificio; e quelle po¬vere anime di giovani, non cattivi del tutto, ma non ancora svestiti della nativa selvatichezza, le sentono addentro e si danno vinti. Vinti e convinti: uno di essi, supponiamo per primo, dipinge a Don Bosco il suo stato d´animo in quel momento, e dà prova della vittoria morale e della sua conversione strappata al suo ruvido cuore dall´eroismo del santo fanciullo. Conversione, dico: giacche entrandovi le ragioni di Dio e l´amore d´un santo, il fatto umano della pacificazione doveva operare in quella parte dell´anima dove giunge lo spirito di Dio (t). Il giovane perdona, e prega il suo santo amico di trovargli un confessore « paziente e caritatevole », e si riconcilia coll´offensore e con Dio.
Don Bosco ha, senza troppi commenti, messo in luce chiarissima l´eroismo del suo piccolo Santo, e certamente vi ha veduto ciò che vi abbiam veduto noi: « un fatto che ha dell´eroismo e che è appena credibile in quella giovane età» (2). Ma nel modo di collocarlo e pre¬sentarlo ha saputo rilevare tali circostanze e particolari, ha scorto tali sentimenti nell´anima del suo eroe, che non si può non vedervi quello che noi vi abbiamo contemplato. Ed aggiunge, a conferma della santità del fatto, il tocco dell´umiltà nella carità: « il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto ». Anche nel Processo, un condi¬scepolo (estraneo ad ogni influsso della biografia scritta, perché vis¬suto fuori del mondo salesiano) affermava d´aver saputa la cosa dai compagni, perché « Savio soleva tacere ogni opera buona che fa¬cesse» (3).
o o o
Ripeto: il fatto eroico è collocato in mezzo alla descrizione della vita di scolaro. Vita, come s´è dimostrato, che, oltre all´essere esem¬plare, assume nella persona del Savio il valore di un fatto di santità. Egli non è solo un ottimo studente: è uno studente santo. I fatti spe¬cifici danno segno d´un´alacrità di spirito (la dévotion di S. Francesco di Sales) e di una forma esteriore della bontà che giustamente il santo
(t) Vivus est enim sermo Dei et efficax, et penetrabilior ornai gladio ancipiti; et pertingens usgue ad dizisionem animae et spiritus. Hebr., IV, z.
(2) *Il che dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, che anche in giovane età l´eroismo è possibile e son possibili le virtù eroiche, quali si vogliono per una canonizzazione. L appunto la tesi della citata dissertazione del .Fiertling.´ Se Dio vuole che vi siano dei santi anche tra i giovani e i fanciulli, deve dar loro la grazia di essere eroici.
(3) Somm. Proc., cit., De cantate in proximum, dep. Anfossi, pag. zz8. Cfr. sopra, pag. ro5, n. I, e le testimonianze dei testi indicati a pag. 104, n. 2.
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Scrittore fa derivare dalla vita interiore, appunto come più sopra spie¬gammo dicendo della vita del dovere (i).
E i Processi confermano tale concetto. Le parole che si dissero in tali deposizioni, non derivano dal libro, perchè sono essi i testi che hanno dato materia allo scrittore; ma, quando non ripetono, confer¬mano e spiegano le linee del dettato. Si potrebbe postillarlo riga-per riga con altrettante espressioni eguali o sinonime dei testi.
Essi ci dicono intanto d´un t ingegno più che mediocre e soprat¬tutto equilibrato » (2); oppure, e sono i più, di « ingegno facile e pie¬ghevole », di «precoce e svegliata intelligenza » 9 addirittura « eletta » e di « accuratezza e perspicacia » (3). Ma tutti riconoscono che il suo profitto e i suoi avanzamenti nelle classi, giacche ne fece due in un anno (4), sono dovuti alla sua compostezza e diligenza esemplare, al¬l´applicazione e fiducia in Dio: sicchè teneva quasi sempre i primi posti, e il professore si volgeva a lui per i passi difficili e oscuri del¬l´autore, ed anzi gli commetteva la sorveglianza dei compagni nei mo¬menti di sua assenza, ed era sentimento comune che « l´alacrità, la diligenza, l´attenzione, il grande spirito di raccoglimento e di opero-sità », e il « compiere tutte le sue azioni con fervore speciale », gli da¬vano tale ascendente che « volgendo gli occhi a lui ognuno si sentiva incitato a compiere il dovere e attendere al professore» (5).
Ed era modello nel mostrarsi docile e rispettoso verso i Maestri,
(t) Cfr. sopra, pag. 100-103.
(2) Somm. Proc., cit., Cerruti, 52. Il Ballesio dice di una « capacità sufficiente s; pag. 36; e il Piano di « un ingegno non eccessivo s. pag. 84. Forse il più esatto è il Cerruti, benchè non compagno di classe.
(3) Somm. Proc., cit., per ordine: Francesia, 83; Cagliero, 57; Anfossi, 76; Cerruti, 5z. Ma bisogna tener conto anche dell´aprirsi della mente, dei primi inizi dello studio (preparato noi sappiamo come!) ai progressi dovuti ad una scuola ben fatta. Ei infine un buon ingegno adatto agli studi, anche se non de¬stinato a diventar celebre in questo campo.
(4) D. FRANCESIA, Somm. cit., pag. 40, dice che furono la ra e la 2a classe; Cagliero, pag. 58, che la 2a e la 3a. È più esatto il Francesia, giacchè, finito il primo anno scolastico, il Savio fu senz´altro ammesso alla terza grammatica, al¬lora appunto istituita nell´Oratorio, (e fu, per quella volta, unica classe), con lo stesso Francesia diciassettenne a Maestro. Insomma tra quel che aveva un po´ portato da casa, e la scuola dei Bonzanino, e un no´ di studio nelle vacanze, si trm.,ò all´autunno del ´55 in grado d´entrare in terza.
(5) Somm. Proc.: dep. Ballesio, i1, 35, 37; Molino, 46; Piano, 38, 84, 116; Anfossi, 76; Cerruti, 62; Melica, 47. L´Anfossi ricorda il Conte Bosco di Rullino, comune condiscepolo, il quale gli diceva molt´anni dopo: a Ricordo ancora il po¬sto che Savio occupava nel banco di scuola, e quante volte, volgendo gIi occhi a lui mi sentivo eccitato a compiere i miei doveri e a porre attenzione alle spie¬gazioni del professore a. (Pag. 77).
io8
obbediente, diligente e grato verso di essi; sicché questi avevano per lui una speciale attenzione a causa delle sue virtù (i).
Vedremo altrove quale fosse nella scuola la sua umiltà: non vi manca neppure qualche spunto di eroicità. Ma e compagni e maestri erano attratti dalla sua amabilità e dalla cortesia e gentilezza del suo contegno e perfino dalla sua presenza. Il Ballesio; vicino a lui nella sala di studio, « lo vedeva pulito, ordinato nei suoi libri, nelle sue
carte, e in tutta la persona. Egli era di aspetto civile, di modi semplici ed educati s (2). Cosa ripetuta da altri, e notata da Don Bosco. La
sua era una bontà garbata e cortese, tanto da piacere anche ai com¬pagni di condizione superiore o nobili di sangue: classica poi, bisogna
dire, la sua prerogativa d´essere, a scuola e a casa, il paciere de´ suoi compagni (3).
Codesta capacità di diportarsi senza scorrettezze e sgarbatezze nè rusticità, poteva essere in lui, povero figlio di campagna, un po´ il frutto della santa educazione familiare (4), e più, un istinto e una connaturata delicatezza d´indole; ma appunto perché non facile a conciliarsi con tale condizione, bisogna ben vedere nel bisogno del¬l´ordine e della compostezza, come, e più, nella cortesia e soavità di modi che lo resero accetto e simpatico a tutti, un fiore germogliato dall´interna germinazione che si produce nell´animo con la vita euca¬ristica (5). E il Savio è, per eccellenza, un´anima eucaristica.
L´idea della scuola (lo sanno maestri e scolari) non si scompagna dall´immagine della strada. Lo scolaro porta in classe poco o molto di quello ch´egli è stato per via; per altro verso, troppe volte il male della strada guasta il bene della scuola. Don Bosco lo ha voluto se¬gnare nella Vita del Savio, ad esempio dei suoi e di tutti i giovani. E si sarebbe tentati di pensare che qualche spunto sia stato messo per la sola esemplarità didascalica, se proprio quei particolari non si leg¬gessero nelle deposizioni, dei testi coevi e di veduta.
È intanto il giovanetto che, per non divagarsi, rivede per via le sue lezioni, o legge qualche libro istruttivo: il suo raccoglimento è tale che di due strade che conducono alla scuola egli ne sa una sola,
(i) Sornm. cit., Ballesio, 35; Melica, 47; Cagliero, 58.
(2) Somm. cit., Ballesio, pag. 78.
(3) Somm., cit. Uno per tutti, il Cav. Conti: « Egli era certamente il paciere di noi. Appena avveniva che qualche nostra discussione si accalorasse, egli si intrometteva, e cercava di calmare gli animi e rappacificare quelli che per avven¬tura avessero qualche contesa ». Pag. 6a.
(4) Cfr. sopra, pag. 54.
(5) FABER, Il SS. Sacramento, lib. Il, lez. VII, pag. 179-58o: i Fiori dell´al-tare. — Cfr. pure: Il piede della Croce, pag. 391; e Progressi, cit., pag. 63.
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e la percorre macchinalmente senza saperne i nomi o ricordarne i par. ticolari; quando devono avviarsi, è il primo al cancello, e chiama i ri¬tardatari e li sollecita; nel tragitto cammina sempre con gran com¬postezza, collo sguardo rivolto a terra, e, se non ha libri per mano, colle braccia conserte. Al ritorno, per la via più breve, non esce di squadra (i), e se qualcuno scappa alla vicina piazza di Porta Palazzo, dov´era il mercato e giocavano i ciarlatani, egli anche da solo, vien dritto a casa (z).
Del resto i suoi compagni preferiti (e i testi non dicono di sè per • modestia) sono i più esatti nell´adempimento dei doveri, e, benchè amico di tutti, si tien lontano da qualche discolo, per sentimento del proprio dovere; salvo quando la carità o la prudenza gli suggerissero di dare un buon consiglio, il che faceva con belle maniere (3).
E a questo. proposito Don Bosco ricorda un momento, in cui la sua abituale precisione fu messa in pericolo: quando, dopo tant´altre volte ch´egli si era rifiutato, í compagni, dagli e ridagli, quasi lo tira¬vano fuor di strada per andarsi a divertire, marinando la scuola.
Un momento, non più: pochi passi di malavoglia, e poi la risoluta ripresa di se stesso gli fa stroncare il conato dei tristi consiglieri (così li chiama lo scrittore) e dichiarare: « il dovere m´impone d´andare a scuola ed io voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio e ai nostri superiori: son pentito di quello che ho fatto: se mi darete altra volta somiglianti consigli, non sarete .più miei amici ». E, i compagni si riprendono anch´essi, «e per l´avvenire non tentarono più di disto¬glierlo dai suoi doveri ».
Ma egli n´ebbe un acuto rimorso, e chissà con qual commozione se ne sarà accusato con Don Bosco, confidandogli subito l´accaduto (4). Ed è bene che lo scrittore l´abbia ricordato, perché si veda che la virtù di lui era cosa della volontà, non abito incosciente nè privilegio di predestinato. Tutti sappiamo la dottrina delle tentazioni, e S. Paolo dice che il Signore facit etiam cum tentatione proventum (i). Ed è il
(i) Squadra per modo di dire: l´ordine era di tornare a casa insieme, e così di recarsi insieme a scuola: ma, come appare dagli episodi, c´era molta libertà.
Vedi poco oltre.
(2) Somm., cit.: Francesia, 83, 286; Piano, 38; Conti, 6z, 198; Anfossi, 76.
Queste deposizioni ci danno i singoli tratti sopra esposti.
(3) Somm., cit.: Francesia, 83.; Anfossi, 76. In questo tema il Piano e l´Anfossi come il Conti, possono dire di più, perché facevano parte del suo gruppo e an
davano a scuola insieme.
(4) Così dobbiamo pensare, giacché nessuno dei suoi consueti amici che lo accompagnavano (Anfossi, Piano, Conti) ne fa il minimo cenno. Forse quei giorno
non c´erano?
(5) I Cor., X, 13.
zio
concetto che il Columba-Marmion svolge ampiamente (ma per cose ben più gravi?) in una delle sue pagine più belle, confrontando lo stato d´un´anima fervorosa che cade in colpa e si risolleva, con quello d´una anima tiepida che non se ne risente. Lo ricordo, benchè il parallelo
del pio scrittore si adatti solo per lontana analogia al caso del nostro santo giovanetto (i).
La conclusione a cui vogliamo venire con le singole serie di rife-rimenti testimoniali non è la conferma della verità e serietà storica dello scritto di Don Bosco; sibbene è di dar Ia prova che nello sten¬dere questo capitolo della vita del dovere il Santo scrittore ha sopra
tutto avuto di mira la spiritualità funtale di tutto quel bene che dice. Perché tutte quelle testimonianze, cosi consonanti col testo del libro,
non provengono soltanto dall´interrogatorio sul titolo quarto del Pro¬cesso, che esamina la condotta esterna del Savio fanciullo e collegiale; bensì sono ricavate da altri titoli concernenti le virtù: dico dell´amor di Dio, dell´amor del prossimo, dell´umiltà, dell´obbedienza, della purezza, della giustizia, fino alle affermazioni sulla opinione di san¬tità, dove la precisione nel dovere è quasi sempre la prima ragione (2).
Vale a dire che i testi (e i giudici con essi) hanno veduta da sè, all´in¬fuori d´ogni idea preordinata, la dipendenza e la connessione di quei
particolari della condotta con le virtù e la spiritualità, o, diciamo, con la santità del loro eroico condiscepolo (3).
Appunto come noi abbiam voluto dimostrare che abbia pensato
Don Bosco, facendo, nello spiegare il Savio, un´affermazione della sua dottrina spirituale.
(a) COLUMBA MARMION, op. cit., pag. 221-222.
(2) Cfr. Somm. Proc.: Tit. IV, VIII, IX, X, XIV, XI, XVI, XVII, XXV.
(3) È dunque l´attuazione della dottrina del FABER, in Progressi dell´anima, Capo VI: Spiritualità della condotta esterna. pag. 58-7o. Id., cap. XVI, 251-253.
LIBRO III
FARSI SANTO
CAPITOLO I
Il secondo momento.
La santità del Savio, mentre è un tipo eccezionalmente ricco di vita cristiana, e perciò mirabilmente esemplare, è nel tempo stesso un capo¬lavoro di armonia tra le fonti personali e il lavoro esterno che le avvia per il cammino loro segnato da Dio nell´esuberanza della sua grazia e nel mistero della vocazione a quella luce di gloria, dove ogni santo è una stella che differisce da ogni altra (i). A questo io richiamo l´at¬tenzione del lettore, mentre m´accingo a lumeggiare un´altra pagina della Vita (Capo X), che segna un nuovo momento, il secondo, nello svolgersi del meraviglioso poema di questo « piccolo, anzi grande gigante dello spirito ».
Bisogna pertanto distinguere ciò ch´è la santità stessa come dono e svolgimento della grazia di Dio nell´anima, e come innesto sulla in¬dividua natura, che nella santità si eleva al soprannaturale, e ciò ch´è la forma e l´indirizzo, il tipo esteriore e l´attuazione pratica di codesta santità: le vie che segue, gli oggetti in cui si concentra, le scelte e gli orientamenti, il tenore della vita quotidiana: ciò che proviene dalla vita ambiente e dalla direzione del santo Maestro: in una parola, di¬stinguere ciò che è proprio personale del Santo, e ciò che a lui deriva dalla formazione, dagl´indirizzi, caratteristicamente salesiani, im-prontati da Don Bosco. Mi spiego.
L´aver rivelazioni ed estasi, il dono della profezia, il senso mistico della presenza, la vita interiore dell´unione permanente con Dio; inoltre la sensibilità all´attrazione, al fascino dell´amor di Gesù, la risoluta volontà del ben fare in ogni ora, la bontà e carità eroiche, l´istinto del sacrificio e della mortificazione, la serena gioia dello spi¬rito, le grazie del carattere, sono doti e doni personali, che in qualsiasi forma di vita si sarebbero esplicate. D´altra parte l´aver orientate tutte
(i) I Cor., XV, 41. L´immagine di S. Paolo è rilevata bellamente dal FABER, in Betlenzme, pag. 311. Cfr_ sopra, pag. a t.
I 14
le forze dell´anima verso il Gesù del Sacramento e verso Maria Imma¬colata, verso l´apostolato, verso gl´interessi della Chiesa e la salvezza delle anime: l´esercizio stesso dell´apostolato e dello zelo, la forma esterna delle virtù attuate, della divozione, della preghiera; i modi della mortificazione, la gaiezza nella convivenza sociale; sono cose di
Don Bosco, e proprie dei suoi insegnamenti o derivate da essi come naturale riflesso. L´unione con Dio, per esempio, che nei santi è uno
dei più essenziali fattori (altrimenti ragionando, può essere un pro¬dotto) della santità, è non tanto una pratica inculcata, quanto un pro¬dotto di tutto il sistema di educazione spirituale, che a Dio mira onni
namente ed esclusivamente. Lo stile della santità del Savio viene da Don Bosco.
L´armonia, di cui ho detto, tra queste due fonti si afferma anche nei momenti, ossia fatti determinanti del. corso della vita. Essi non sono
soltanto tocchi specialissimi della grazia attuale, come un gesto, un atto, una mozione di essa; ma sono favoriti e preparati dal clima am¬biente, e più, dall´opera del Maestro, e si svolgono nella sfera costruita da lui. Senza questa non avverrebbero. Lo abbiamo gíà traveduto al
primo momento, quello del giorno dell´Immacolata, e dobbiamo ve¬derlo nel secondo momento, che ha per Ia storia di questo giovane
santo un valore supremo, come quello che gli dà la coscienza della sua individua vocazione, ed esprime la parola antonomastica, che di¬viene la formola generatrice e attiva del suo lavoro di ascesa verso la
santità. E comprendiamo perché Don Bosco n´abbia fatto un capitolo apposito, come fondamento e ragione di tutto il susseguente dispie
garsi delle singole attuazioni delle virtù e secrete meraviglie del suo santo.
La genesi del fatto vuol ricercarsi in quel moto d´amore che si è
affermato nel momento della consacrazione a Gesù e a Maria, che ha quasi trasfigurata l´anima del giovanetto. L´amore di Gesù non può
mai essere stazionario, e il sintomo più sicuro del crescere in santità è nel sentir crescere in sè codesto amore (i). E se non è possibile seguire i modi misteriosi con che la grazia abituale e attuale agisce
sulle facoltà mentali, è vero che ad ogni anima spiritualmente aperta si rendono sensibili molti suoni, molte voci di Dio che altri non odono,
e sono come secrete profezie del Cielo (2). Ora le parole di Dio, quando
Egli stesso le dirige all´anima, sono sostanziali e creatrici: producono quel che esprimono, e Io producono perchè proferite (3).
(i) FABER, Prezioso Sangue, cit., pag. 40. -- Cfr. COLUMBA-MARMION, OP. cit., cap. cit.: Notre croissance en Jésus-Christ; passim, ossia generalmente.
(2) FABER, Il SS. Sacramento, cit., pag. 299. Id., Bettemme, cit., 229.
(3) FABER, Il piede della Croce, pag. 254.
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O o o
Dopo quell´8 dicembre, nell´anima del Savio si era ingenerato uno stato d´animo che non può definirsi se non come di attesa e d´inter¬rogazione; e le voci di Dio trovavano aperto l´udito di essa, reso più sottile dal desiderio amoroso. Desiderio crescente, come ormai più forte si faceva sentire il fascino e l´attrazione del magnete delle anime, ch´è Gesù stesso nel suo Sacramento e nella inscindibile consocia¬zione della Maternità di Maria (i).
Che cosa aspettava, che cosa desiderava, che cosa, diremmo, an-dava cercando, quell´anima affascinata da Gesù e Maria? Aspettava una parola, quella che gli mancava per intendere le parole di Dio che lo chiamavano con insistenza sempre maggiore, e conoscere che cosa voleva il Signore da lui. La sua parola.
Non mi soffermo a spiegare come questo protendersi dell´anima
· verso una comprensione più intima e chiara dei desiderii di Dio, è già un avanzare in santità; giacché è per se stesso un desiderio amoroso che innalza e santifica col chiarore della prossimità di Dio. È il fatto dell´aspirazione espressa dal: Loquere, Domine, quia audit servus tuus (2). E la parola venne. Dío si serve delle occasioni, perchè no? comuni a molti, per gettare un suo raggio in un´anima a lui cara (3). Qui l´oc¬casione fu data da una predica di Don Bosco. Il fatto rimase, natu-ralmente, chiuso nell´intimità dei colloqui tra il Santo Maestro e il santo alunno, e i Processi quasi non parlano, o vagamente e solo di riflesso, ed un teste, Don Rua, sbaglia anche la data (4).
(1) Spiegheremo più oltre come il Savio, Santo della giovinezza, non è ela-borato al modo della maggior parte degli altri, che spesero in tale opera tutta una lunga vita: esso è un Santo elaborato dalla Comunione e dalla Vita Eucari¬stica. Quanto alla e consociazione » a cui accenno, cfr. FABER, SS. Sacramento,
cit., lib. II, Lez. IV, pag• 544-155-
(a) Gli studiosi di dottrine spirituali sanno che questo è quasi un assioma della scienza di perfezione. Rinuncio perciò ad ogni citazione di fonti: bisognerebbe dire: apud omnes.
(3) FABER, Creatore e Creatura, pag. 410: « Un testo della Scrittura preso a caso, udito nella chiesa o . fuori (io aggiungo: la parola di un predicatore) porta seco il tocco d´una potenza, e colla potenza un lampo di luce, e il Santo è fatto ». E più oltre: e ...l´opera è fatta, ed una sanità soprannaturale vibra nel nostro san¬gue, e noi tosto scaliamo un monte nella nostra via verso il cielo s. Per la realtà storica di tale idea, basta rievocare l´agiografia di S. Antonio abate e Francesco d´Assisi.
(4) Somm. Proc., tit. De Spe, pag. iRo: « Un impegno assunto in occasione che il giorno dei Santi (sic) udì una predica .suila facilità di farsi santi, ecc. — Il teste D. Barberis, pag. 199, dice soltanto: « L´impegno continuo di farsi Santo. e il tendere continuamente alla perfezione, indicavano in lui un amor di Dio straor¬dinario 0. Questo disse all´art. De caritate in Deum, ed è l´unico.
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Questa fu a fin di marzo del 1855, secondo dice lo scrittore: « Erano sei mesi da che il Savio dimorava all´Oratorio (egli era entrato a fine d´ottobre), quando fu fatta ivi una predica sul modo facile di farsi santo... Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl´in¬fiammò il cuore d´amor di Dio ».
Per gli altri fu semplicemente un discorso edificante: nessun altro sentì in quelle parole un´espressa chiamata di Dio; nessuno n´ebbe quel tocco di potenza né vide quel lampo di luce che crea il Santo (1). E c´era pure un Michele Rua, del quale si sta ora trattando la Causa di beatificazione; c´era il Massaglia, che Don Bosco giudicò santo; ed altri ed altri vi erano, che respiravano il medesimo spirito e forma¬vano il clima santo dell´Oratorio. Per il Savio « fu la scintilla che gli infiammò il cuore di amor di Dio »: perchè, come diceva bene il teste al Processo, ciò « indicava in lui un amor di Dio straordinario » (2). L´amore aspettava, e cercava, e l´amore divampò.
Quella era la parola che aspettava, quella era la sua parola: Fusi
SANTO!
Salvare l´anima, farsi santo, essere santi, erano parole consuete a Don Bosco, e quasi un´espressione abbreviata del suo programma religioso e morale: le troviamo ad ogni passo nei suoi discorsi, e qual¬cuno di noi può ricordarsene. Ma in certi momenti esse prendevano un senso più profondo e un valore più alto: talvolta erano dette con tutto il calore concentrato d´un´ispirazione. Per non digredire inop¬portunamente, ometto di provarlo con citazioni, che sarebbero infi¬nite, perché continue, fino all´ultimo. Quella volta il farsi santo non fu solo una frase, fu il tema dell´intero discorso, e la cura ch´egli si dà di riferirne il contenuto nei suoi tre punti (anche predicando ai giovani Don Bosco non trascurava le buone osservanze dell´oratoria), dimo¬stra che quella era una predica pensata con le sue proprie idee e se¬condo le sue intenzioni. E veramente il tema risponde o, per dir me¬glio, esprime tutto lo spirito da cui procede la sua concezione della pedagogia spirituale e della stessa sua spiritualità.
Sono tre i pensieri ch´egli svolge: « è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi: è assai facile il riuscirvi: è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo ». Il primo e il terzo punto sono di dottrina (3); ma il secondo è cosa sua, pensata da lui e materiata d´idee e riflessi
(i) Cfr. pag. prec., n. 3: citai_ dal Faber.
(a) Ibid., nota 4. — Test. Barberis.
(3) Per non eccedere in citazioni, rimando alle buone pagine del TANQUEREY, OP. Cit., n. 353-366: Dell´obbligo per i Cristiani di tendere alla perfezione. — Ma non voglio omettere le parole di Papa Pio XI, nell´Encicl. 26 gennaio 1923, so¬pra S. Francesco di Sales: e Nec vero grusguain putet ad paucos quosdam lectissintos
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suoi proprii. Ed anche senza possederne il testo, possiamo conoscere in che senso abbia svolto quella sentenza.
È facile farsi santi. Leggete il. Giovane Provveduto (uscito nel 1847 e giunto in quell´anno alla 3a edizione), e riconoscerete subito, nella prima pagina della Prefazione, l´idea: « Io voglio insegnarvi un me¬todo di vita cristiana che sia nel tempo stesso allegro e contento, addi¬tandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri; sicchè voi pos¬siate dire col santo Profeta Davidde: Serviamo il Signore in santa allegria: Servite Domino in laetitia. Tale appunto è lo scopo di questo libretto: Servire al Signore e stare allegri! »,
Che questo sia stato il tenore delle sue parole, ce lo dice il Savio stesso nello spiegare a Don Bosco come sia venuto nella deliberazione di farsi santo, e ancora egli medesimo, quando, incontrandosi col Gavio (capo XVIII), gli dice: « Sappi che noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri... Comincia fin d´oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia: serviamo il Signore in santa alle¬gria ». E la spiegazione ch´egli ne dà in brevi parole, coincide col senso adombrato nella Prefazione e svolto nel testo del Giovane Provveduto,
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Ch´è appunto lo spirito di Don Bosco. Il santo Maestro non è un facilone o un minimista, e quando mostra facili le vie della santità, pei giovani e per tutti, non intende alla faciloneria e alla falsa disin¬voltura, ma soltanto ad escludere la melanconia, l´umbratilità (la pa¬rola mi viene da PP. Pio XI), le astruserie, nonchè le forme intempe¬ranti ed eccentriche o eccezionali della divoZione malintesa. N´è prova l´ultimo capoverso del capitolo che leggiamo. Il suo è lo spirito di San Francesco di Sales e di San Filippo Neri (i). « La vita spirituale, ch´è via di santità, non consiste tanto in una quantità di cerimonie e cre¬denze ed esercizi singolari, quanto nell´elevare all´ordine soprannatu¬rale la nostra vita comune (quella che Dio ci ha assegnata): in una pa¬rola, non consiste tanto in certe cose, quanto nel modo di fare ogni cosa » (2). E questo, cioè, per amor di Dio, servendo Gesù da amante, giacché il valore delle azioni dipende dal nostro grado d´unione con
id persistere, ceterisgue in quodanz inferiori zirtutis gradu licere consistere. Tenentur enim hac leve omnes, nullo excepto >).
(I) FARM, Tutto per Gesù, pag. 346: e Qualcuno che voleva farsi santo, si
sognò che il Padre Filippo lo trascinasse per aspri rovi e pungenti spine E
il Santo gl´insegnò ad amar Dio...
(a) FABER, Progressi, vit., pag. 281-
14 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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Dio, che dall´amore scaturisce (i). È la forni. ola, se si può dire, essen¬ziale della salesianità, ossia di Don Bosco, ed è, adunque, la facilità
di farsi santi senza straniarsi dalla vita.
Concetto, questo della facilità, che domina tutto il pensiero di S. Francesco di Sales (a), e riappare quasi ad ogni pagina degli otto volumi del carissimo Faber, nel senso appunto che intendeva darvi
Don Bosco. E dal Santo di Sales fino al Nostro, sempre con un at¬teggiamento di antitesi contro gl´indirizzi rigoristici ed irreali, e pur
troppo inefficaci, di certe correnti che non mettono a primo fonda¬mento l´amor di Dio e il lavoro personale operato per esso. Certa¬mente la facilità di farsi santi non fa della santità un´impresa volgare, che non tutti son capaci di ascenderne le vette e giungere ai culmini, quando si pensi che a ciò è necessario un amore di Dio per vero non ordinario, e d´altra parte, anzi in precedenza, una specifica vocazione della grazia divina. La facilità consiste, ripetiamolo pure, nei mezzi
pratici, che sono alla portata di tutti, e cioè non straordinari e non difficili per una volontà ben disposta.
È quel senso della misura che contrassegna la forma di santità per¬sonale e la pedagogia spirituale di Don Bosco, ispirato dalla umiltà e
carità o, ch´è lo stesso, dall´amore. Lo insegna, si noti, Francesco Ore-stano (a).
E qui è bene intendersi sul significato del termine di santo, che forma il nostro tema, e diviene, d´ora in poi, per il Savio, l´espressione acuta-e mordente d´un indefettibile dovere ch´egli sente d´avere vers.) Dio. Ciascuno dovrebbe aspirare alla perfezione, ed essere santo, nel senso che intendono le sacre pagine; nessuno può legittimamente aspi¬rare a ciò ch´è tecnicamente la via dei Santi, e meno ancora ha l´ob¬bligo di farlo. E lasciamo in disparte la questione se la via dei Santi
debba o no passare per la via mistica: se anche non è indispensabile (per esempio S. Vincenzo de´ Paoli non ne ha dato segno evidente),
nel fatto non vi è santo canonizzato in cui non vi fosse qualche parte
di quella: ce n´è in Don Bosco, e ce n´è, come vedremo, perfino ad e.3u-beranza, nel nostro piccolo santo (4). Che per le vie della vita inte
(1) De Christi, I, xv, — Cfr. anche FABER, Tutto per Gesù, pag. 96;
Betlemme, pag. 15o, — Cfr. sopra, pag. ior.
(2) Per me, almeno stando alr Introduction à la vie dévote, è la scoperta spiri¬tuale del Santo Dottore. Almeno una delle scoperte, che n´ha parecchie.
(3) ORESTANO, Disc. cit.; pag. 18: e L´umiltà e la carità gli fecero trovare il giusto livello nelle sue relazioni con Dio e con gli uomini, ecc. n. Pag. 22: e Fin nell´istituzione religiosa, pur nella pratica frequente della Confessione e del culto Eucaristico, l´amore gli fe´ trovare la misura n.
(4) Per la dottrina, cfr. FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 35o.
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gralmente cristiana, quale s´intende con la parola usata da Don Bosco, si possa pervenire alla formale santità, nessun dubbio; giacché questa suppone quella, e la differenza è tutta nel grado: questo poi dipende dalla grazia, e qui sta precisamente il mistero di Dio nei suoi santi (i).
Mirare dunque a farsi santi e potervi riuscire con facilità è il di¬scorso di Don Bosco: voler esser santo, come furono i Santi, è l´idea che finalmente appare ben definita all´anima del. Savio, e gli si radica a fondo, germogliando nel fiore della santità. Volendo tradurre in parole povere, il caro santino non si contenta di riuscire un buono e bravo fanciullo, ma vuole il di più, vuole la perfezione e l´adempi¬mento dei suoi doveri d´amore verso Dio: non solo una vita santa, ma una vita da santo. Ed è appunto la definizione che Don Bosco stesso dà della vita del Savio nell´ultimo capoverso del capitolo!
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Così intendiamo i fatti. Il discorso di Don Bosco lo ha trovato nel fondo dell´anima, ed egli « per qualche giorno non disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicchè se n´accorsero i compagni, e me n´accorsi anch´io a. Ma non era turbamento. il desiderio indefi¬nito che gli vibrava nell´anima ora gli si precisava luminosamente, e diveniva un bisogno e una volontà, ravvalorandosi con la sicurezza della via a lui dischiusa nella stessa sua lieta giovinezza, senza compri¬merla o alterarla; e andava meditando come attuare quella parola, ossia quel bisogno e quella volontà trarnrnezzo a codesta vita e, se non lo vedeva, presentiva che qualcuno, Don Bosco, glielo avrebbe insegnato. E, tutt´altro che triste, stava raccolto e concentrato nella sua gioia, senza quasi accorgersi del moria() circostante. Non c´era la consueta allegria compagnesca: c´era la gioia interiore. Don Bosco non sapeva spiegarsi quel contegno, perchè a nessun altro quelle sue parole avevano suscitato alcuna commozione. « Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se patisse qualche male a. « Anzi, mi rispose, patisco qualche bene a.
Questa risposta, perfino spiritosa, dimostra che l´animo era se¬reno e lieto. E viene la spiegazione. È la definizione netta, precisa, maturata in quei giorni, della sua vocazione ormai sicuramente cono¬sciuta e fatta risoluzione indeclinabile: a Voglio dire che mi sento
(i) Naturalmente non escludo il concorso dei doni gratuiti, nè la vita mi¬stica: ma tanto quelli quanto questa (quand´è vita con Dio, non fenomeno psi¬cologico) suppongono, a lume di buona teologia, una vita santa, ed anche una vita da Santo. Nè poi è detto che tutti coloro che furono santi, siano canonizzati.
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un desiderio e un bisogno di ´farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bi¬sogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tate impresa ».
Non gli si può togliere nè mutare una parola. Quei due assoluta¬mente vengono da una chiarezza e forza di convinzione, che nessuna altra parola riuscirebbe a scuotere o ad attenuare. E nella sua fiducia domanda a Don Bosco che, senz´altro, gl´insegni come si fa: quasi come dovesse imparare da un esperto un nuovo qualsiasi lavoro.
Un tal parlare, in un ragazzo di giusti tredici anni, od è un´allu¬cinazione d´incosciente od è un prodigio. Altri, che non fosse Don Bosco; avrebbe o data una crollata di spalle, o, ridendo di compas¬sione, avrebbe detto al ragazzo che quella non era roba fatta per lui. Cosi appunto accadde, tant´anni dopo, alla Teresa di Lisieux, quando ebbe detto a quel predicatore d´esercizi: « Padre, vorrei. diventare una santa: vorrei amare Iddio quanto e anche più di S. Teresa! ». N´ebbe una risposta acre e sprezzante, e il monito a moderare i suoi desiderii intemperanti. E non le valse ricordare le parole del Vangelo: Estote perfecti sicut et Pater vester caelestis perfectus est (i).
Don Bosco invece era partito proprio da questo punto nel fare la sua predica, e, per altra parte, conosceva• a fondo « i lavori della grazia divina » nell´anima del suo discepolo, di cui già annotava gli atti sin¬golari di virtù. Egli credeva alla santità giovanile, e ripetutamente n´aveva avute prove evidenti dalle manifestazioni soprannaturali di qualcuno dei suoi figliuoli, come in seguito, fino agli ultimi anni, atte¬stava di avere tra i suoi giovani qualcuno capace di doni straordinari e perfino di miracoli (z).
La posatezza del suo racconto ci dimostra ch´egli in quel punto, più che intuire, sentì ch´era passata nel suo piccolo santo la mano di Dio: non contraddisse, e come avrebbe potuto ? ma lodò il proposito, come se fosse una buona risoluzione presa alla predica fatta per tutti (3),
(i) PzrrroT, op. cif., pag. 14. — Del resto la grande Autrice delle Vie d´in¬fanzia non ebbe, in tutto il tempo della sua vita religiosa, la sorte di trovare un Direttore che la capisse. Quando ne incontrò uno, le venne proibito di tornare da lui. (fbid., pag. 148-149).
(2) Nelle Meni. Biogr., sovente, quasi in ogni volume. Nel Processo del Savio,
cfr. Somm.; Cagliero, pag. 31s, e a. Cfr. sopra, pag. 71. Ancora più tardi,
fatti straordinari tra giovani sono riferiti: cfr. Mem. Biogr., X (r871-74), pag_ 38-40.
(3) Quei che hanno trattato con Don Bosco sanno a prova l´arte squisita delle sue risposte e dei suo dialogare. Quando accettava ciò che gli era detto, e non credeva d´insistervi, continuava con un: u Ben L. Guarda, fa´ così... e. Foise col Savio parlò in queste maniera.
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e, avvertendo che nella voce del piccolo Savio tremava la commozione, e si faceva sentire l´ansia del cominciare, col tono più tranquillante 15 esortò « a non inquietarsi, perchè nelle commozioni dell´animo non si conosce la voce del Signore »; e subito soggiungeva, come appunto era lo stile della santità ch´egli insegnava (e ch´era già così ben pene¬trato nel suo discepolo), ch´egli voleva da lui « per prima cosa una costante e moderata allegria ». E poi il programma pratico: essere perseverante nell´adempimento de´ suoi doveri di pietà e di studio »; e la raccomandazione « che non mancasse di prender parte alla ri¬creazione coi suoi compagni ».
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La sapienza psicologicae pedagogica di Don Bosco qui rifulge del più vivo splendore. Che cosa sarebbe avvenuto di quel primo santo fervore se il Maestro l´avesse o stornato o gettato in un prematuro ascetismo, che lo straniasse dalla vita e Io affogasse in chissà quali osservanze divote e solitarie ? La tenera pianta si sarebbe presto intri¬stita, e si guastava il carattere, senza speranza di ritorno (i). L´isola¬mento morale, la divozione contrastata dal dovere, l´intemperanza dei desiderii, la pretesa di riuscir subito, sono fattori di malinconia e di tristezza: e che cosa vi è di più deprecabile nella vita spirituale che la malinconia? S. Teresa non temeva di peggio per le sue figlie spiri¬tuali (z). E se questo è vero per le anime adulte, quanto più per un´anima fanciulla?
Il Santo pedagogo non contrasta a quella che sente essere una chiamata di Dio, e l´asseconda e coltiva, aiutandola ad effettuarsi; ma la volge all´unica via che sicuramente la porta al suo adempimento: Ia via della santità vissuta nella vita reale e per mezzo di essa (3).
È un punto vivo e primario della salesianità spirituale, così com´è il principio primo dell´ascetica di S. Francesco di Sales e della Via delle piccole anime della Santa di Lisieux (4). Codesta visione della
(t) Vedremo a suo luogo la dottrina del Faber sull´indirizzo della spiritualità. Ma non vi è trattato del dotto Teologo in cui non torni su questo disastroso malanno della divozione esagerata e malinconica. Don Bosco si mostra di questo retto spirito nei vari passi citati e nell´indirizzo dominante della Vita del Savio.
(a) Vi ricorre perfino il foLv, op. cit., pag. 187. — Vi torneremo sopra in altra parte di questo studio.
(3) fi il carattere della dottrina di S. Francesco di Sales. Eppure, osserva il PETITOT, pag. 53, e generalmente il FAISETt, si danno certi direttori di anime che. frustrano le autentiche chiamate di Dio con l´irreaItà della vita che insegnano. La deplorazione è in tutti i più sodi maestri di spirito, compreso S. Giovanni della Croce.
(4) PETITOT, Cit., pag. 75.
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santità è per Don Bosco immedesimata con la visione lieta della vita. Stando allegri è la parola che muove il Savio, il quale dirà un giorno: « Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri ». NeI fanciullo, nel giovane, la gioia è tutto: il bimbo di cattivo umore fa i capricci, e il giovane intristito sta di mala voglia in tutto. Nel mondo spirituale avviene lo stesso. Può dirsi che la contentezza è l´indole propria della santità: la tristezza (ecco S. Teresa!) è una specie di inabilità spirituale, e un uomo melanconico non può mai essere che un convalescente nella casa di Dio. La gioia è la freschezza del nostro spirito, è il mattino incessante della nostra anima, un´aurora abituale, dalla quale nascono culto di Dio e virtù eroiche (I). Perciò Don Bosco l´ha voluta ne´ suoi, e primamente nei giovani. Essa è l´anima del suo sistema educativo, com´è la condizionante della sua spiritua¬lità, ch´è a sua volta la ragione intima della sua pedagogia, come al¬trove ho dimostrato (a).
Dei due modi di guardare il mondo: quello molto fosco dei clau¬strali del Medio Evo e, diciamolo, di S. Bernardo (3), e quello, lieto e sereno, che ha il suo tipo in S. Francesco di Sales, il Santo dei giovani, che ha santificato la gioia di vivere (4), ha tenuto il secondo, come una base migliore per la perfezione della vita nel mondo e nel lavoro. Esso esclude la tristezza, pur deplorando il male che regna intorno, e guardandosene: e se è vero che le due visioni non debbono escludersi a vicenda, è pur vero che il tono lieto coi vantaggi spiri¬tuali della gioia deve dominare tutto il quadro (5). Con tal senti¬mento di giocondità interiore Don Bosco portava la gioia e la serenità dappertutto, e la voleva come mezzo spirituale e come indice del buono stato dell´anima nei suoi giovanetti (6): la gioia della santità, ch´è nelle anime sante, doveva risplendere negli occhi dei suoi figli¬uoli, e vedremo, in altra parte, che nel Savio, come in lui stesso, il raggio lieto della bontà era un mezzo potente di apostolato.
(i) FABER, Betlemme, pag. 196. Qui, come altrove, non sto a distinguere il mio e il suo: mi basta Ia medesimezza delle idee tra il grande Oratoriano e Don Bosco. Per S. Francesco di Sales, cfr. Introduction à la Vie Dévote, p. IV, cap. xu: De la Tristesse. Id. Lett. spir., 73, 39.
(a) La vita di Francesco Besucco scritta da Don Bosco e il suo contenuto spi¬rituale. È l´assunto di quello studio.
(3) « Un funerale in giorno piovoso in un desolato cimitero » chiama il Fa¬ber questo modo di vedere il mondo. Cfr. Creatore e Creatura, cit., pag. 375.
(4) ORESTANO, Disc. cit.
(5) Cfr. per questa dottrina: FABEEt, Creatore e Creatura, pag. 375-379.
(6) Così al Besucco, nel fissargli il programma (qui il termine è suo) indicava per prima cosa l´allegria. E tutti sanno che la prima domanda che faceva ai suoi giovanetti, era: o Sei allegro ? e. E se vedeva qualcuno immalinconito e scuro, du¬
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Cosi si era avverato quel secondo momento, che diede al santo giovanetto l´idea unica per la quale visse il resto della vita. Vivere per un´idea e, come ora si dice, vivere un´idea: e l´uno e l´altro concetto si addicono pienamente al Savio. Egli n´è tanto penetrato, che, per del tempo parecchio, con Don Bosco non parla d´altro, e insiste, quasi dubitando di non essere stato compreso. Quando, poco tempo dopo, il buon Padre gli dice « di volergli fare un regalo di suo gusto, ma volere che la scelta fosse fatta da lui », egli risponde prontamente: « Il regalo che domando è che mi faccia santo. Io mi voglio dare tutto al Signore, per sempre al Signore. Sento un bisogno di farmi santo, e se non mi fo santo, io fo niente. Iddio mi vuole santo, ed io debbi farmi tale» (i).
Non è solo il bisogno imperioso; c´è l´Iddio vuole. Come avrà rico¬nosciuta la voce di Dio? I Santi, come ho detto sopra, odono voci e suoni che gli altri non percepiscono, e Dio parla alle anime nel si¬lenzio, ma parla chiaro. Quando altre volte Don Bosco domanderà al suo figliuolo come ha saputo qualcosa, egli abbasserà la testa, pian¬gendo, e tacerà: e Don Bosco avrà inteso. Ma la sua domanda è riso¬luta e rimarrà immutata: domando che mi faccia Santo. E la ragione è che, senza quello, la sua esistenza non ha scopo: « se non mi faccio santo, non fo niente ». Don Bosco non parla della sua risposta. Se la sarà scritta negli appunti, e messa nel cuore (z).
Dal marzo al San Giovanni il tema e il tono son quelli. Per l´ono¬mastico suo (3) il Padre, volendo dare un segno di speciale affetto ai suoi figliuoli, fa loro facoltà di chiedere con un biglietto qualunque cosa fosse a lui possibile, promettendo di concederla. Ed ecco il ce¬lebre biglietto del Savio: Dimando che mi salvi l´anima e mi faccia santo.
È l´altra parola antonomastica della sua santità, che sta insieme-con
bitava che il cielo di quell´anima non fosse limpido e chiaro. — Per le mie as¬serzioni, cfr. FABER, Betlemme, 383; Creatore e Creatura, pag. 300.
(i) Certamente egli non pensa a diventare un Santo da mettere sugli altari: pensa a divenire santo come quelli. La distinzione non è superflua, come sanno i buoni Maestri di spirito. Cfr. sopra, pag.
(2) Questa è anche, senza pretese, una pagina d´arte. Le psicologie della let¬teratura romanzesca non hanno, perchè la fallacia morale non glielo consente, una pagina così solida e possente nella sua evangelica semplicità.
(3) Mem. Biogr., V, 256: z4 giugno 1855. È noto che il nome di battesimo di Don Bosco era quello dell´Evangelista: ma i suoi figliuoli cominciarono a fe¬steggiarlo (cfr. vol. III, 534; a. 1849) alla solennità del Battista, e tale rimase l´usanza. — Le ediz, za r _hanno soltanto: Domando che ad faccia Santo.
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la prima: La morte ma non peccati. L´una e l´altra, •a guardarvi in fondo, valgono spiritualmente lo stesso: l´una e l´altra sono, come si dice, dinamiche, come quelle che generano ed animano la santità di lui. Ma se quella sta alla radice, questa è la pianta germogliata e fruttifera;
ed è questa la parola che impelle ed accompagna l´ascesa verso le vette più sublimi.
Ancora altra volta, giocando sull´etimologia del nome Domenico, che vuoi dire, gli si risponde, del Signore, ancora riprende il suo tema: « Veda se non ho ragione di chiederle che mi faccia santo; perfino il nome dice che io sono del Signore (i). Dunque io debbo e voglio
essere tutto del Signore, e voglio farmi santo, e sarò infelice finchè non sarò santo!» (a).
Caro fanciullo e simpatico Santo! Infelice non sarai, perchè alla felicità, alla gioia della santità Don Bosco ti viene guidando. Tu non te n´avvedi, ed insisti a domandarlo; ma la mano di lui, santamente dotta nelle cose di Dio, ti conduce per la via dei Santi, e tu stesso andrai giocondandoti inconsapevolmente di quello ch´è nel tuo cuore
il lavoro di Dio e il cammino che Don Bosco ti fa seguire. La gioia nel tuo cuore non mancherà mai.
Quell´effervescenza di fervore, suscitata dal nuovo momento del¬l´anima, Don Bosco la chiama smania, e forse il termine parrà, più che improprio, stonato. Ma è un fatto che nei giovani il primo accen¬dersi di un nuovo fervore ha sovente l´aspetto d´uno zelo indiscreto, benchè sia incontestabile il loro alto sentire, e vi si avverta la dolce potenza di Dio che ha santificata l´anima, toccandola (3). -E qui tut¬tavia non si tratta dei primi sentimenti d´un convertito o poco ´più: sibbene di un accrescimento di luce e di grazia in un´anima santa. Lasciamo la parola, e teniamoci al concetto. Quello stato d´animo è fervore, lo stato dei santi sulla terra. Don Bosco, senza darvi il nome, ed anzi usando un termine meno felice, lo riconosce, con una di quelle espressioni che paiono messe là di passaggio, e che riescono ad una
(i) DANTE, per S. Domenico, Par. XII, 67-7o:
E perchè fosse, qual era, in costrutto, Quinri si mosse spirito a nomarla dal .possessivo di cui era tutto. Domenica fu detto;...
(a) Don Francesia colloca l´episodio in una delle consuete conversazioni del dopo pranzo o dopo cena, che Don Bosco teneva, stando a tavola, coi suoi gio¬vani che venivano finalmente attorno a lui: un´usanza che durò abbastanza a lungo, almeno coi primi Salesiani. Cfr. S´omm. Proc., pag. 121. — Ma io dubito di quella circostanza, perchè Ie parole del Savio non sono di quelle che si dicono forte.
(3) FABER, Progressi, cap. XXVI: Il fervore, pag. 4.22.
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definizione formale: « La smania che egli dimostrava di volersi far santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo ».
Qtiello che, come si è detto più sopra (t), il giovanetto ora voleva, già si avverava, senza ch´egli lo credesse: viveva da santo. La cara im¬pazienza del giovane veniva dalla premura di apprendere l´arte di quel lavoro con che i santi si son fatti santi, ed è ciò che domanda a Don Bosco. Ed è anche questo un indice del suo buon criterio ed equilibrio: sentire il bisogno d´essere ammaestrato e diretto. Della direzione abbisognano tutti-per avanzare senza sviarsi nel campo della vita spirituale, e i perfetti non meno degli altri (a). Vi son volumi scritti su questo proposito, e non v´è trattato d´ascetica che non vi de-dichi una delle parti principali.
Il piccolo santo s´immaginava, nella sua naturalissima inespe¬rienza, che per essere santi bisognasse fare tutto quello che i libri dicono aver praticato i santi. È l´idea comune, che risponde a molta parte della storia agiografica, ma non contiene (e i panegiristi per lo più trascurano d´insegnarlo) quello ch´è lo spirito vitale della santità e -di ogni Santo.
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Don Bosco non intende paralizzare gli slanci di quell´anima: pensa ad avviarli per la via più propria e più adatta al suo discepolo, ed in¬segna a lui _quello che insegnerà a tutti, e che forma la sua concezione spirituale. Essa è strettamente affine alla concezione della Teresa dí Lisieux: dalla quale concezione il Papa che la proclamò Santa si at¬tendeva « una riforma della società umana» e « una rinnovazione della vita cattolica-» (3). E fu il medesimo Papa a vedere nel tipo spi¬rituale formato da Don Bosco in Savio Domenico l´esemplare di quella vita d´azione cattolica della quale abbisogna la Chiesa. Non c´è sforzo a vedere cotali affinità: è lo spirito moderno della spiritua¬lità che si esprime nei Santi, e la Chiesa inculca per il bene delle anime e la rinascita spirituale del mondo. Ora lo spirito della Maestra delle Vie d´infanzia è contrassegnato dall´assenza d´ogni ascesi vio
(i) Cfr. sopra, pag. 119.
(2) FABER, Progressi, cit., cap. XVIII, pag. 278-304. — Per questa asserzione, cfr. pag. 291-292. La cara Teresa di Lisieux non ebbe la sorte d´incontrare mai un direttore che la intendesse, e avanzò da sola, come Caterina da Genova e po¬chissimi altri Santi. Ma a tali eccezioni fanno riscontro quasi tutti gli altri Santi. Pensiamo alla S. Teresa di Avila, alla Santa di Chantal: così come il Savio e Don Rua furono diretti da Don Bosco, e Don Bosco dal B. Cafasso.
(1) PETITOT, ob. cit., Prefaz., pag. it. E cfr. anche il discorso di Papa Pio XI, 9 luglio 1933, per Savio Domenico.
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lenta, di mortificazioni eccezionali o supererogatorie, e da una spic¬cata diffidenza verso tutto ciò che io chiamerei lo stile dei virtuosi, quale insegnano troppi libri in cui la perfezione è mostrata attraverso mille impacci onerosi e non possibili che a pochissimi, quand´anche non n´è dubbia l´efficacia. È uno spirito di semplificazione (i), che rende la santità accessibile ad ogni anima, e la fa consistere, com´è di fatto, nell´unione con Dio e nell´amore con cui compiamo le nostre azioni comuni: dove la mortificazione sta soprattutto nell´accetta¬zione delle minime contingenze contrarie al proprio senso (2), e nella fedeltà, che può divenire eroica, ai proprii doveri: la pratica della divo-zione e della preghiera, quella possibile a ciascuna condizione di vita, ma divenuta parola dell´unione con Dio; semplificazione ch´è nella sua essenza l´antitesi del virtuosismo (3). Anche la cara Carmelitana, come il Savio, avrebbe dapprincipio voluto imitare i Padri del deserto; ma lo Spirito Santo che la guidava le chiuse questa via laterale, che non era quella per cui era chiamata (4).
Il piccolo Santo, a ritrarlo da un errore generoso, trovò Don Bosco, del quale si valse lo Spirito Santo. Lo spirito di Don Bosco è quello di Lisieux, di S. Francesco di Sales e del mio caro Faber, salesiano con lui e con il Santo Dottore: le citazioni sarebbero infinite, giacché nelle opere di tali Maestri questo è il pensiero dominante, ed anzi la concezione vitale.
Anche Don Bosco è un semplificatore realista, e il suo stile spiri¬tuale è per eccellenza estraneo e avverso ad ogni eccezionalità e ad ogni appariscente e ingannevole virtuosismo devoto e ascetico (5). Nel considerare gli aspetti particolari della santità del Savio e della corrispondente pedagogia del Santo Maestro, ne vedremo le prove.
Ma qui, sul bel principio, noi vediamo che agli slanci generosi del suo discepolo, che vorrebbe uscir dalle vie comuni e ricercare l´eccel¬lenza nelle cose straordinarie, egli oppone i dettami della discrezione, e gli proibisce tutte quelle cose è perchè non compatibili con la sua età e sanità, e colle sue occupazioni » (6).
(i) FABER, Creatore e Creatura, pag. 104.
(2) S. Francesco di Sales, per sè e per le anime che diresse, si attenne ti¬picamente alla mortificazione della propria volontà e, nel resto, all´accettazione della volontà di Dio. — Cfr. FABER, Tutto per Gesù, pag. 85.
(3) La dottrina della Santa di Lisieux è in PETITOT, op. cit., sparsamente esposta: cfr. pag. 23-24; 25-2,6; 53; 71-72; 73; 75; 163.
(4) PETITOT, cit., pag. 163.
(5) Anche in questo, Don Bosco si accosta a S. Filippo Neri. (Cfr. sopra, pag. 117, nota i.). Cfr. Faber, Tutto per Gesù, pag. 346.
(6) Singolare coincidenza con la Santa di Lisieux. La quale diceva alla sua sorella maggiore, Madre Agnese: « Il demonio inganna spesso certe anime generose
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Con questa prima svolta s´incammina .per Ia sua via la santità del Savio. Lo diremo adunque fabbricato da Don Bosco a sua idea, impo¬nendogli la formola spirituale (i), e modellandolo in uno stampo pre¬concetto, come materia plastica dal formatore?
No, assolutamente: e il vedere altrimenti, vedere il contrario, .ci riserba una cara meraviglia.
La santità del Savio. ha potuto essere educata e coltivata secondo lo spirito del Santo Pedagogo, perchè essa medesima possedeva già nel suo essere le attitudini, le inclinazioni e quasi gl´istinti (il Faber li chiama così) che rispondevano ai lineamenti di quello spirito (2). Le due anime, quella del discepolo e quella del Maestro, si vennero in¬contro, trovando, nell´attuare quella scuola, l´una l´esito naturale delle proprie tendenze, l´altra la temperie espressamente creata per effettuarla. Don Bosco era fatto pel Savio, perchè il Savio era fatto per Don Bosco (3).
Osserviamo. I lavori della grazia di Dio hanno fatto germinare nel¬l´anima del Savio gl´istinti specifici dei Santi, e l´hanno preparato ad essere quel che sono i Santi. Noi vi abbiamo già letto l´obbedienza cosciente ai Comandamenti di Dio e della Chiesa, e perfino l´eroismo del dovere; vi scorgiamo gl´istinti energici e affettuosi, che toccano l´eroico, per quanto riguarda il Signore, la sua gloria, glinteressi, diremmo, di Gesù, la salvezza delle anime (basterebbe per tutti il fatto eroico della rissa acquietata): Don Bosco ci dice fin d´ora d´un amore intenso ai patimenti e alle austerità ch´esso dovrà moderare; cosi com´è innegabile fin dagl´inizi uno stato di preghiera assai pros¬simo al soprannaturale, e che si svolge in breve tempo in soprannatu¬rale autentico e in istati mistici. Non dico dei favori speciali e dei doni
ma imprudenti, spingendole ad eccessi che nuocciono alla loro sanità, e le impe¬discono di adempiere ai loro doveri ». Cfr. PErrror, cit., pag. 24. — Id., pag. 23.
(i) Non è qui iI luogo da ricordare il principio capitale che la saggia dire¬zione deve rispettare la libertà di spirito, e non impone la formola, forzando le innate tendenze dell´anima. Con che si educano non dei Santi, ma dei poveri abulici o ammalati spirituali. — Ne discorro più ampiamente nello studio sul. Be-succo.
(2) La recettività è in proporzione della omogeneità: e se, come stato passivo, è effetto d´un´azione causativa, non è escluso che anche l´effetto sia un´attività, perchè ogni effetto è un fatto, e ogni fatto è attivo. Così dicono le psicologie moderne. Più alla buona, la pianta attecchisce dove il terreno è fatto per essa, e, salvo l´erbe cattive, non ogni pianta attecchisce dappertutto. Il luogo proprio!
(3) Non è il fatto della Chantal e di S. Francesco di Sales ?
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straordinarii, che si riveleranno dappoi (i). L´attrazione, il fascino di Gesù sull´anima, che noi già conosciamo nel santo fanciullo, lo porta istintivamente verso il Gesù del Sacramento, così come alla insepa¬rabile divozione a Maria, sicché l´una divozione, che diventa dedi¬zione, s´immedesima con l´altra, e quasi non si riesce a distinguerle, nonché a separarle.
Che se entriamo a vedere quali siano quegl´interessi di Gesù, che sente per istinto l´anima d´un Santo, e sono: la gloria di Dio Padre, il frutto della Passione, ossia l´adempimento della Redenzione, l´onore e Ia gloria di Maria, la stima della grazia (2): noi li rinveniamo conna¬turati con l´anima del nostro fanciullo: il quale, fin quasi da bimbo, si scrive: La morte ma non peccati, e si consacra a Gesù e a Maria: più innanzi difende l´onore di Dio dall´offesa con atti eroici, e vuol dedicarsi al sacerdozio per salvare delle anime.
Orbene, quali furono gl´indirizzi che Don Bosco diede a quell´a¬nima, se non questi appunto, che -corrispondono agli elementi che stavano riposti, ed ora si venivano manifestando, a cominciare da quel¬l´istinto imperioso, che diventa bisogno, di guadagnare anime al suo Dio, fino alla dedizione completa dello spirito all´amore del SS. Sa¬cramento e di Maria?
La nostra esposizione farà vedere che, ad una ad una, le conce¬zioni spirituali (e perciò anche pedagogiche) di Don Bosco trovano nel Savio già preparato lo spirito ad effettuarle, e che la fisionomia di Santo che se ne viene improntando, è formata dai lineamenti che il Santo plasmatore di anime vi disegna, traendoli dalla vita propria deI suo figlio nello spirito. Nel fatto nostro le concezioni del Maestro sono anche le attuazioni e i lineamenti della sua stessa personale santità; e l´efficacia penetrativa e assimilatrice è di tanto più possente, perché vi ha parte un esempio e un potere in cui si sente la mano di Dio. E che il figlio somigli al Padre è la felice riuscita nel mondo della natura e in quella dello spirito.
(i) Cfr. per la dottrina qui seguita, FABER, Tutto per Gesù, pag. 85-93: pag. 344 e seg. — Le attuazioni ivi enumerate dallo scrittore Filippino corrispondono sin¬golarmente alla realtà della storia del Savio e di Don Bosco.
(2) FABER, op. cit., pag. 69-78.
CAPITOLO TI
Vocazione di santo:. l´apostolato.
« ...piccolo, ma grande apostolo s.
(PP. Pio XI).
. A questo punto la tesi che mi son proposta col presente studio, si ravvalora, quasi d´una forza probativa, d´un´autorità che più alta non può essere: quella del Vicario di Cristo, PP. Pio XI. Il discorso, più volte citato, intorno alle virtù del Ven. Savio Domenico (i) è appunto inspirato a questo concetto, che in Savio Domenico ritorna Don Bosco, « e proprio così come il suo piccolo discepolo ce l´ha ripre¬sentato nella sua breve esistenza ». E poiché in Don Bosco « tutta la vita, tutta l´opera sua fu sempre un apostolato,... e di spirito dell´apo¬stolato pervase tutta quanta la sua esistenza, già permeata dallo spirito che si esprimeva concisamente e completamente... in quella che fu la sua vera parola d´ordine: Da mihi animar, cetera tolte »: veniva spon¬taneo, e perciò fu voluto, l´assimilare in questa visione del Maestro anche quella del piccolo ma grande discepolo di lui, che, se nelle sue virtù appare « piccolo... anzi grande gigante dello spirito », « piccolo e grande cristiano », si rivela perciò anch´esso « piccolo ma grande apostolo », come quello che rivela « a quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognano ai nostri giorni,... perché è una vita cristiana, una perfezione di vita cristiana sostanzialmente fatta, si può ben dire, per ridurla alle sue linee caratteristiche, di purezza, di pietà, di apostolato: di spirito e di opere di apostolato ».
C´è di più, anzi, e torna felicemente al nostro proposito. Codesto spirito attivo di apostolato appare, nelle parole del Sommo Pontefice, come il prodotto e l´esito di tutta la somma di lavoro compiuto nella santità dal nostro giovanetto; e questo riesce ad « una preparazione
(i) _Disc. 9 luglio 1933, per la definizione del Grado eroico delle virtù del S. d. D.
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soprannaturalmente naturale » di quello che non è in sostanza se non « quella naturale tendenza del bene a diffondersi, a comunicare il più largamente possibile i proprii benefici, specialmente là dove n´è più visibile il bisogno e la privazione: tendenza che grandemente si riscontra nel caro giovanetto ». E allora eccolo definito e descritto nel¬l´esercizio del suo apostolato: « Piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni: attentissimo a coglierle, a crearle, facendosi apostolo in tutte le situazioni, dall´insegnamento formale del catechismo e delle pratiche cristiane, fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene ».
Savio Domenico è pertanto, nei limiti della sua giovinezza, un altro Don Bosco. Il Sommo Pontefice non poteva (per ovvia ragione di bre¬vità) indugiarsi a mostrare in qual modo e in qual misura l´opera edu¬cativa di Don Bosco fosse intesa e riuscita ad imprimersi « nei carat¬teri più cospicui della breve esistenza (i): ma il mostrarlo così for¬mato dagl´insegnamenti e dall´esempio del Santo Maestro, e più an¬cora il presentarlo quasi come un ritratto giovanile di lui, « proprio così come ce l´ha ripresentato nella sua breve esistenza », è più che bastevole ad assicurare la solidità di quanto una più minuta indagine potrà rivelare.
A confermarci nel nostro proposito interviene il fatto che questa dell´apostolato nel Savio è appunto la nota dominante nelle testimo¬nianze dei due Processi; la materia più estesa e ripetuta, quasi ad ogni articolo, dal principio alla fine: cosa del resto naturale, perchè più delle altre visibile a tutti e, per merito intrinseco, da tutti provata e sentita. Quasi non v´è teste che, volendo dire della santità di lui, non ne adduca a -prova lo zelo con che lavorava a far buoni o migliori i suoi compagni, oppure, da parte dei più vicini a Don Bosco, fatti e parole non comuni e d´indole più elevata (z).
Non potremmo desiderare di meglio per collegare quanto abbiam desunto dalle parole del Pontefice con-la più vera e prossima sostanza del nostro tema. Il quale vuoi essere veduto da due lati naturalmente convergenti: primo che la santità del Savio culmina e si raccoglie nello spirito e nell´azione dell´apostolato, perchè tale fu la via segna
(i) E l´avrebbe fatto, giacchè n´aveva l´intenzione: ma in quei giorni stava lavorando .al Concordato con la Germania, e non poteva occuparsi più a fondo, e con analisi accurate come soleva, di questo tema. Còsi disse ai convenuti Sale
siani dopo quel discorso.
(2) I testi, tra l´uno e l´altro Processo, sommano a 28 (io nel primo, 18 nel secondo). Io ho annotato le diverse testimonianze più significative in materia, oltre quelle dei Documenti scritti, che hanno soltanto valore di adminicula.
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tale dalla mano di Don Bosco; e che, in secondo luogo, l´indole spi¬rituale del Savio e la forma che a codesta spiritualità impresse il Santo Maestro si coordinano a tale oggetto, come sostanza e rispecchiamento della spiritualità impersonata in Don Bosco e da lui lasciata in tradi¬zione. È il nostro tema generale, condotto qui ai più comprensivo dei suoi punti vitali.
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Eppure è singolare, e vorrei dire strano, che quanti hanno scritto del Savio, abbiano dato un´importanza così poco notevole, perchè non principale, al primo precetto che Don Bosco dà al suo discepolo, quando, dopo così ripetute e calde insistenze, questi vuole una for¬male risposta che gli indichi come deve fare per farsi santo. Quella risposta è il cardine di tutto il sistema di formazione di quella santità, non già in ordine di tempo, ma in ordine di valori e di fattori. Don Bosco non intende con quel precetto, il primo assolutamente e il più esplicito, di dare una risposta che potrebbe dare ad altri, come indi¬rizzo generale. Essa è pensata e proposta espressamente per Savio Do¬menico. Non gli dice: Se vuoi farti santo, attienti a questa o a quella pratica, o segui questa o quella regola di condotta, o medita sempre questo o quello; e così via, come nelle storie dei Santi ne troviamo tante. Neppure gli assegna il trinomio proposto al Besucco, più tardi, è vero, ma tratto dal clima da lui creato in Casa sua. Allegria, studio, pietà, sono il programma di chi vuol esser buono, molto buono, ed even¬tualmente (nel fatto del giovane alpigiano, effettivamente) anche santo, almeno come istradamento. Qui Don Bosco dà la prima formula per farsi santo, nel senso più proprio della parola, e per tale l´accoglie, come appunto la desiderava, il Savio. Ecco: LA PRIMA COSA CHE GLI VENNE CONSIGLIATA PER FARSI SANTO FU DI ADOPERARSI PER GUADA¬GNARE ANIME A DIO.
È un balzo che oltrepassa tutte le graduazioni intermedie indicate dalle ascetiche; un sorpassare, come già posseduta, la tecnica, per di¬scoprire ed insegnare senz´altro i segreti dell´arte.
E che il Maestro di santità così la intenda, ce lo fa sapere egli stesso arrecandone la ragione: « perciocchè non avvi cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l´ultima goccia del prezioso suo Sangue ». Leggete neli Tutto per Gesù del Faber (che il nostro Santo Maestro non poteva ancora conoscere) quel ch´è detto degl´Interessi di Gesù, degli Elementi di cui son fatti i Santi, dei Tre istinti dei Santi, e la massima, tutta di Don Bosco anche nelle parole, che: « per salvare l´anima propria dobbiamo
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studiarci di far anche qualche cosa per l´anima altrui » (i); e poi dite se la dottrina spirituale di Don Bosco sia una coserella superficiale e praticona, e non fondata su basi solidissime di-teologia ascetica; o se i pensieri, così semplicemente atteggiati che si leggono così ´di pas¬saggio in questo libro e in altri consimili (si vedano, ad esempio, il Magone e il Besucco) non siano appunto gli elementi sostanziali di tutto un proprio sistema di spiritualità (z). Anche qui è da dire: Don Bosco, bisogna saperlo leggere.
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Per il santo giovanetto quelle parole furono una rivelazione. Da sè, per quanto predisposto, non l´aveva ancora veduta, e quella fu la parola vissuta della sua santità. Dice bene, nella sua semplicità, il libro: « Conobbe Domenico l´importanza di tale pratica, e fu più volte sentito a dire: Se potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! ».
E la massima passò nell´azione: « Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio ». Sicchè, al capo seguente (XII) il Santo scrittore può affermare che il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque.
Orbene, questo atteggiamento dello spirito nel quale si compone la santità del discepolo, è quanto di più essenzialmente e squisita¬mente proprio si può pensare del Santo Maestro e della sua conce¬zione spirituale. Nella parola da lui detta al giovane Savio c´è- tutto il Don Bosco che prende per suo stemma il: Da mihi animas, cetera tolie. C´è in questo -tutta la ragion d´essere della personalità storica del Santo autore della salesianità, e del suo lavoro, colossale lavoro! di apostolato nel mondo dei giovani e nel vasto mondo della vita. La
(i) Cfr. FABER, Tutto per Gesù, cit., pag. 69, seg.; pag. 346, seg; pag. 8o-93; pag. 255 (qui la massima citata). Di tali concetti dovrò naturalmente valermi a spiegare l´atteggiamento interiore e le fonti dell´azione missionaria dei Savio. Non credo d´essere il pericoloso 1/07710 unius libri nel senso che ha nell´ironia: sibbene desidero riaffermare che, tra i .tanti autori, quello che praticamente ho trovato più prossimo e parallelo a Don Bosco, è il suo coevo P. Faber, informato, come S. Francesco di Sales e Don Bosco, allo spirito di S. Filippo Neri. Quanto al¬l´apprezzamento del Faber per S. Francesco di Sales e la derivazione delle sue idee, cfr. Conferenze spirituali, pag. 173.
(z) È chiaro, a pensarci bene, che in questo genere non s´inventa nulla. Qual¬siasi autore di qualsiasi materia costruisce con materiali che poi, qua e là, gli eru¬diti riscontrano anche in altri: ma il merito è nella sintesi e nella novità creativa del concetto che aduna quei materiali per farne una costruzione non ancora pen¬sata. Come, nel caso di Don Bosco, deve dirsi (e l´ho detto nel mio Profilo Sto¬rico, pag. 29-30) della sua concezione pedagogica.
L-I, 133
concezione salesiana (cioè di Don Bosco) della spiritualità trae le sue origini e i suoi modi, e poggia sulla base di questo principio: Salvarsi e farsi santo salvando le anime. Tutta l´ascetica, non formulata in trattati, ma vissuta nella realtà quotidiana, dipende e si coordina a questo scopo, ch´è il lavorare per la salvezza delle anime: tutta la spi¬ritualità di Don Bosco, in una parola, è sostanziata dall´apostolato e
costrutta per esso. una concezione totalitaria, di cui è permeato
tutto il sistema educativo e tutto il sistema pratico, spirituale, ascetico, che procede da Don Bosco. Anche lo stile della vita religiosa e le Re¬gole della sua Congregazione furono da lui concepiti nella figura di una disciplina del lavoro, giacchè la sua Istituzione non ha altro scopo. La formola espressa da PP. Pio XI per definire la sintesi spirituale di Don Bosco e Io spirito dell´opera sua: Qui laborat, orat, prende suo significato e valore da questo spirito o istinto di apostolato, per il quale vive tutto ciò che a Don Bosco appartiene e da lui s´informa. Il la¬voro che il Santo creatore della nuova milizia spirituale ha segnato come vita dell´opera sua, non è altro che il lavoro delle anime e per le anime: lavoro di apostolato.
Nel fatto pertanto di additare al suo discepolo, come principio di santificazione, l´apostolato delle anime (e per lui, nelle sue condizioni, per il « guadagnar anime a Dio » il mezzo pratico era di « guadagnare a Dio le anime di tutti i suoi compagni »), si riflette o, diciamolo, si riversa tutto l´essere spirituale dei Santo Maestro, che, avuta tra mano un´anima da Dio predisposta ad essere formata da lui, vi getta la scin¬tilla della salesianità, e ne svolge la santità sul modello suo proprio e della sua concezione totalitaria. Per questo ho detto fin dapprincipio, ed ho ripetuto, che la santità del Savio, oltrecchè autenticamente pro¬pria della sua persona, è nelle forme e nello spirito, il tipo della san¬tità salesiana. E non ripeto che, per esser tale, è anzitutto la santità stessa personale di Don Bosco Santo, quale fu, dal Magistero infalli¬bile della Chiesa, canonizzata.
La statura spirituale del piccolo Savio qui grandeggia a dismisura: quando si pensa che a lui questo germine sacrosanto viene affidato mentre appena ha toccato i tredici anni. Veramente Don Bosco ha veduto in lui, come il Vicario di Cristo, un gigante dello spirito!
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E qui apro una parentesi pedagogica. L´apostolato del Savio (come, del resto, quello del Magone e di quanti furono in mano di Don Bosco i missionari del bene tra i suoi giovani) non possiamo casi pensarlo fuori della scena del cortile: le poche eccezioni, i pochi episodii acca
15 -- CAVIGLIA, D073 Bosco, scritti. Vol. rV. Parte I.
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duti altrove, non infermano la regola. Noi sappiamo qual sia la parte che nel sistema od organismo educativo di Don Bosco ha la vita del cortile, tanto per lui in persona (i), quanto nella sua tradizione. Dopo la confessione, non si può indicare altro centro più vitale e attivo di questo nel suo sistema (a). Poiché non solo nella spontaneità della vita gioiosa e famigliare del giovane si ha una delle fonti capi¬tali .della conoscenza degli animi (3); ma soprattutto si ha mezzo ed Occasione di avvicinare, senza soggezione e senza parere, un per uno i giovani, e dir loro in confidenza la parola che fa per ciascuno.
Torna qui il principio vitale della pedagogia, o meglio, dell´edu¬cazione vera e propria: quello dell´educazione dell´un per uno, sia pure respirata nel clima ambiente dell´educazione collettiva. Tutto deve cooperare all´educazione dei singoli, e la vera pedagogia perenni s, nel senso religioso e fuori di esso, sarà sempre quella che forma una per una le anime o, pei profani, gli animi. In tale lavoro Don Bosco non è solo: è il Maestro che lavora esso e fa anche lavorare. Bisogna lamentare che, da parte degli studiosi applicatisi a spiegarne iI sistema e le riuscite, non si è avvertita la presenza e l´opera d´uno degli stru-menti più consuetamente maneggiati e più redditizi per l´efficienza del lavoro di penetrazione e di coordinazione: uno strumento col quale il Santo poteva lavorare una per una le anime dei suoi alunni, ch´erano più centinaia. Nello studio sulla Vita di Magone Michele sarà dato il conveniente rilievo alla massima che Don Bosco seguiva nella sua Casa, e al fatto dell´assistenza messa intorno all´incauto monello che allora entrava all´Otatorio, e ne riuscì lo stupendo e classico esem¬plare che noi sappiamo. E il santo Maestro aggiunse appositamente nella seconda edizione che il fare a quel modo «è consuetudine di questa casa che, quando si riceva qualche giovanetto di moralità so¬spetta o non abbastanza conosciuta, si affidi ad un allievo dei più an¬ziani della casa, di moralità assicurata, affinché Io assista, Io corregga secondo il bisogno, etc. » (Capo II).
Non s´è tenuto conto che delle due braccia che lavoravano, uno
(i) Cfr. sopra, fol. 82.
(a) Un numero stragrande di episodi caratteristici della vita del Santo tra i giovani, e di quel che si legge in queste biografie_ hanno per scena il brulichio rumoroso e giocondo di una ricreazione; e i pochi momenti di conversazione tre i giovani e il Santo avvengono fuori della scuola e della Chiesa e fuori dalle poche ordinanze disciplinari. Anche le parole della sera, dopo le preghiere e il sermoncino, erano, diremmo, fuori d´ordinanza.
(3) Lo diceva anche Quintiliano: a mores in !udendo se simi´licius detegunt first. Orat., I, 2-13.
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era l´apostolato dei giovani migliori tra i loro compagni. Don Bosco si moltiplicava in questi giovani con lo spirito missionario che in essi trasfondeva, e arrivava a tutti. Chi è stato a casa di Don Bosco ai tempi di Don Bosco (e anche adesso, dove le cose vanno com´Egli le voleva) ricorda con sicura precisione, ed anche con piacere, che molte e molte cose le ebbe apprese, od imparò ad evitarle, da un compagno amico, e che certe belle riuscite morali, singole o plurime e collettive, certe correnti di pietà e di pratiche buone erano mosse dalla mano di tanti giovani missionarii del bene (a).
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In tale azione pedagogica viene a collocarsi la parte più estesa e più conosciuta dell´apostolato del Savio. Che fosse inteso a « guada¬gnar anime a Dio » nulla toglie al carattere educativo a cui nel regime dell´Oratorio esso doveva rispondere, se non vogliamo dimenticare che, per Don Bosco, l´opera educativa consisteva essenzialmente nel salvare le anime dei giovani; e sta anzi a dimostrar la natura tutta santa e spirituale della pedagogia del Santo Maestro, il quale si valse di lui come d´un missionario santo per conseguire appunto lo scopo ch´ei santamente si proponeva (z). Ne vedremo più oltre un esem¬pio, non molto dissimile da quello del Magone, in quel Giovanni Roda, che al Processo spiegò in qual modo il Savio lo convertì in ogni senso, nelle abitudini cioè e nelle cose di religione.
Siamo ad una reciprocanza stupenda: dall´una parte l´anima del
avio, temprata per qualche cosa che adempia all´amore che gli arde nel cuore: dall´altra la parola di Don Bosco che gliela rivela e lo mette in azione per adempirvi. È ancora il fatto della stoffa e dell´abito: c´era la stoffa salesiana, e l´abile Maestro ne fa l´abito sul taglio del costume salesiano.
Ed è bene, anzi è bello e caro, spiegarsi. Come ho detto più sopra, non si può, quando si parla di formazione e d´indirizzi, pensare per il Savio ad un adattamento che venga dal di fuori, e in cui il santo
(i) In ciò consistette principalmente il valore del piccolo Santo, Gidvarmi
. Meraschi da Alessandria, mio discepolo, del quale scrissi una memoria, non male accolta e persuasiva di bene a molti giovani. Fu l´apostolo dei suoi condiscepoli, dei quali convertì parecchi a miglior condotta, e fu, nel Collegio di S. Giovanni Evangelista, un apostolo della divozione a Maria Ausiliatrice. E morì a tredici anni e mezzo, neI 1919.
(2) 0 perchè l´apostolato della Chiesa è divinamente ordinato alla salvezza degli uomini, cessa forse d´essere insieme, e per questo, il solo vero e irrefraga¬bile fattore di civiltà?
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giovane sia non altro che spiritualmente passivo (i). No: l´opera del Maestro non fa che aiutare e dirigere la spontaneità del suo divenire, salvo ad integrarlo con gli apporti che l´indole di quella santità ri¬chiede.
La santità del Savio era naturalmente missionaria (non v´è santità che non sia tale, in un modo o nell´altro: ma qui s´intende nel senso più concreto e specifico del termine), in virtù della sua nativa struttura psicologica (aiutata, com´è ovvio, dalla grazia di Dio che lavora), e in forza degli atteggiamenti della sua pietà.. Questi, sì, sono via via educati da Don. Bosco, non creandoli, ma facendoli svolgere: ed è anche questo un altro termine della reciprocanza che abbiamo se¬gnata. Voglio dire che e l´istinto di santità, ch´era, per grazia della sua particolare vocazione, nell´essere spirituale del nostro giovane, e d´altro canto, ma parallelamente, l´indole congenita alle forme di pietà da lui e in lui coltivate, contenevano di lor natura lo spirito missionario, e conducevano, portavano alla vita attiva di apostolato. Posto in altre mani da quelle di Don Bosco e in un clima differente, il nostro Domenico avrebbe forse assunto altri atteggiamenti e se¬guito, nella pratica, altre vie: ma, per quanto dipendeva dalla santità sua, ad un apostolato si sarebbe infine rivolto. Non tocca a noi imma-ginare quale sarebbe stato: ma se la stoffa era salesiana, non so se un taglio diverso avrebbe reso un abito di pari figura (2).
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Lo spirito missionario trova la sua prima e vera fonte nell´amor di Dio, ed è un segno di poco amore personale verso di Lui il non pos¬sedere tale spirito. Senza ricorrere al nostro consueto Autore (3), ci bastino le parole di PP. Pio XI, più sopra citate, intorno alla na¬tura diffusiva dell´amore, e riferite appunto al nostro « piccolo ma grande apostolo ».
Nel quale tuttavia troviamo una nota spirituale, che si riscontra
(t) Cfr. sopra, pag. 127. — E cfr. a pag. 51 le parole dette al eh. Angelo Savio del desiderio di venire all´Oratorio, con l´intenzione a di farmi prete per salvare l´anima mia e far del bene a molti altri «.
(a) La vocazione della Santa di Lisieux non fu sbagliata in radice, e giovò poi a farne una Santa: ma certamente la sua creazione spirituale, in cui si rac¬chiude tanta e così vitale parte della rinascita della spiritualità moderna, non può dirsi un frutto prodotto dalla vita del suo convento. Ce lo attestano le pagine im¬mortali da lei lasciate, e la sua storia esterna e intima, confermata dai Processi.
(3) FABER, Creatore e Creatura, pag. 238; Progressi, pag. 69; Tutto per Gesù, pag. 218: ivi, pag. 89 e seg., la dottrina degl´istinti dei Santi.
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in tutti i santi, ma in lui immedesimata a segno da divenire un linea¬mento caratteristico. È l´orrore del peccato. Noi pensiamo subito al suo motto antonomastico: La morte, ma non peccati, che inizialmente si riferisce agl´interessi dell´anima sua propria, cioè al non peccare egli stesso: ma poi si svolge e si matura dilatandosi nella sensibilità pei peccati che si commettono o possono commettersi nel mondo cir
costante, e, più vastamente ancora, fino a confondersi con gl´interessi della Passione di Gesù e coi dolori della Madre di Lui per il peccato del mondo (r).
È veramente la storia delle sue ascensioni. Dall´essere l´orrore del
peccato la sua passione dominante (2) scaturisce una crescente sensi¬bilità di coscienza, che comprende sempre meglio che cosa sia il pec
cato (3); tantochè nelle sue più inoltrate comunicazioni con Dio giunge a protestare di non voler neppure il più piccolo peccato ve¬niale (i), e a chiedere quell´odio vivo e cocente del peccato che di
stinse qualcuno dei Santi; un dono ch´è la radice d´ogni perfezione ed è la più sicura ed efficace di tutte le grazie spirituali (5).
E poichè tale sensibilità e consapevolezza è tutta cosa dell´amor di
Gesù, con lo svolgersi della conoscenza pratica di Dio e dei motivi di quell´amore, motivi che sono, si, di ragione ragionata, ma che in
un´anima fervente affiorano dal sentimento (il cuore arriva per intui¬zione più presto che la mente per ragionamento), viene spontaneo il
trapassare e il dischiudersi all´orrore del peccato altrui in quanto è
offesa di Dio, e perdita di anime che tutte a Dio son care. L´acu¬tezza di codesta sensibilità è nel nostro santino cosi pungente, da farlo soffrire e « recare non piccolo danno alla sua sanità». Donde
l´immancabile associarsi dell´un sentimento col desiderio della con¬versione dei peccatori e con l´apostolato che lavora ad impedire l´of¬fesa di Dio (6).
(i) Il piccolo, anzi grande gigante dello spirito » non è, come nell´idea di certi saputi superficiali, un innocentino incosciente, e tutt´al più un buon ragazzo simpatico e pio per istinto e per induzione, quasi da collocarsi tra i pargoletti che- sten sotto l´Altare dell´Agnello. È un bel posto, ma non il suo. Savio ha nel cuore la fiamma degli Apostoli.
(a) FABER, Progressi, pag. 36.
(3) Id., ibid., pag. 311.
(4) Cfr. sopra, pag. 93. Cfr. FABER, Progressi, pag. 36. Le deposizioni una¬nimi sul tit. VIII (De heroica caritate in Deuni) dimostrano la verità della nostra asserzione.
(5) FABER, Il piede della Croce, pag. 77.
(6) FABER, ibid., pag. 78. È uno spirito direttamente riflesso dal culto dei dolori di Maria SS., che fu fortissimo nei. Savio, e quasi parallelo (anzi precedente) a quello dell´Immacolata.
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Tale genitura di sentimenti e di pensieri che metton capo all´a¬zione, risponde nel fatto a quanto fu detto del Savio nel Processo. Lascio, per brevità, di addurre le• 15 deposizioni sul titolo: De heroica caritate in Deum, dove l´amor di Dio è presentato come ragione del¬l´orrore del peccato, che, né grave né venialmente volontario, non toccò mai l´integrità di quell´anima, e che si manifestava sensibilmente
al conoscere il peccato altrui, e lo induceva ad operare per impedirlo: cito soltanto, a conferma di tutto il precedente ragionare le parole ivi
dette dal Card. Cagliero: « L´amor di Dio aveva occupato tutti i pen¬sieri, affetti e atti del suo cuore... unico timore, quello di offender
Dio... L´orrore del peccato alimentava in lui il desiderio di placare Iddio dei peccati degli uomini, e di adoprarsi per la conversione e ad impedire il peccato»
In codesto atteggiamento hanno grandissimo potere i sentimenti inspirati dalla divozione Mariana, e, nel nostro Savio, singolarmente dalla particolare divozione ai Dolori di Maria SS.ma. Ma di questo mi riserbo a parlare in altro luogo. Giacché le divozioni particolari non avrebbero in questa parte dato l´effetto pratico, se già l´anima non fosse altrimenti attrezzata, e più sostanzialmente, per questo.
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La fisionomia spirituale del Savio è quella dell´anima eucaristica, e la divozione in cui si rispecchia è quella del SS.mo Sacramento.
Di qui dobbiamo derivare primamente gl´impulsi all´apostolato, così come ne deriva la forza d´azione e di resistenza. Lo spirito missionario,
ossia l´ansietà dell´apostolato, è un fiore dell´altare. A qualcuno potrà parere che il parlare di ansietà sia sproporzionato. Ma questo è il vero stato d´animo d´ogni tempra d´apostolo (e il Savio è ben quella), a cominciar dal Buon. Pastore che cerca e salva la pecorella smarrita. Don Bosco con le prime righe del Capo XII della Vita, e con la de¬scrizione che prima ha dato dell´attività febbrile del suo discepolo, quand´ebbe capito in che modo doveva farsi santo (2), non dice di meno di quanto spiccatamente ci fanno intendere i Processi. Rimanga
adunque il termine ad esprimere la natura dello spirito missionario nel nostro ‹s piccolo, ma grande apostolo ».
Cotale ansietà spunta ai piedi dell´altare, dove l´amore per Gesù
(i) Somm. Proc., Cagliero, 193 e 195. — Tit. VIII, De heroica charitate in Deum, pag. 186-2.15.
(2) Vita, cap. XII, pag. 57: a Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo ac¬compagnava ovunque». — Cap. XI, pag. 53: a Intanto non lasciava sfuggire al¬cuna occasione, ecc. ».
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è sostanziato dal culto della sua Umanità sacrificatasi per noi e per noi vivente è comunicabile, sotto i veli delle Sacre Specie, e sempre presente nel Tabernacolo (i). Il culto eucaristico è non solo affine, ma intrinseco al culto del Prezioso Sangue che ci ha redenti e continua a pulsare nella vita mistica del SS. Sacramento del Corpo e Sangue di Cristo (2). E insieme col fascino d´amore, con l´attrazione miste¬riosa che il Gesù dell´Altare esercita sulle anime in cui vive la grazia divina (più sopra l´abbiamo detto del nostro santino, ricordando il Beati munda corde), insieme adunque con codesta « corrispondenza d´amorosi sensi » deriva dallo spirito di tal divozione (duplice solo in apparenza di parole, una nella sostanza del culto all´Umanità di Cri¬sto) una grazia che, com´è comune all´istinto di tutti i Santi, così im¬plica il corredo del massimo numero di grazie e l´esercizio del mas¬simo numero di virtù.
È l´amore delle anime, ossia lo zelo per la salute delle anime: una grazia capace di arrecare alla vita di uno spirito una meravigliosa unità e consistenza, e che la corona con una riuscita certa e ammira¬bile. Nelle rispettive sue proporzioni è un rispecchiamento della grandezza e vocazione degli Apostoli, che vennero prescelti fra tanti nel mondo, e la cui santità dovette essere veramente singolare. Fra tutte le grazie, questa dello zelo per le anime e del lavorare in tal campo, è forse la grazia più diretta, naturale, immediata, della divo¬zione all´Umanità di Cristo, presente col suo Sangue Preziosissimo nel SS.mo Sacramento (3).
Nell´esporre questi concetti io sento ad ogni proposizione di ri¬trarre un lineamento e infine la fisionomia dell´anima eucaristica del Savio. Ne sono tanto più convinto quanto più vedo addentro nei pro¬gressi e nello svolgersi del suo apostolato. Tra poco vedremo le diverse fasi o momenti di esso. Ora codesti progressi od ascese e ampliamenti d´orizzonte sono in una cotale corrispondenza con la pratica della Comunione a lui accordata dal suo Direttore: dove la prima frequen¬tazione diviene frequenza settimanale e più ancora, fino a che, dopo un anno (spiegheremo a suo tempo questo fatto), è ammesso e inco¬raggiato alla Comunione quotidiana. Ebbene il crescere, l´ampliarsi, il culminare e sublimarsi dell´apostolato o, se si voglia, dello spirito
i FABER, Il SS. Sacramento, pag. 118.
(2)• FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 245 e 299.
(3) FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 295-298. Restringo, senz´alterare, una bel¬lissima esposizione che, con squisito apparato dottrinale, riesce a quello che Don Bosco dice nel dar ragione dell´aver anzitutto consigliato al suo discepolo, per farlo santo, 4 l´adoperarsi per guadagnar anime a Dio ». Doti Bosco parla alla sem¬plice, ma pensa profondamente e da Santo. Cfr. sopra, pag. 131.
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missionario del. Savio, corrispondono con qualche prossimità alle sue epoche eucaristiche, fino a che l´istituzione squisitamente costruttiva
e spiritualmente missionaria della Compagnia si matura e si compie
e perfeziona nel periodo dei massimi fervori e delle estasi dell´Altare. Il suo spirito d´apostolato ha una genesi e una temperie che non pos¬sono altrimenti spiegarsi nello svolgimento e nella figura, se non con la carissima storia dei sentimenti che siam venuti contemplando, e che, ripetiamolo, ci danno in lui veramente quel che fu detto dal Sommo Pontefice un piccolo ma grande apostolo.
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Risaliamo ora a quei principii foratali, che son comuni a tutti i Santi e in ciascuno prendono forma e attuazione dai motivi e moventi predisposti secondo la propria vocazione di ognuno: moventi che, per il Savio sono appunto quelli ora accennati. Quelle scaturigini ed ele¬menti onde son formati i Santi tutti noi li abbiam riscontrati nel Savio sul finire del capitolo precedente (i). Tra essi sono i tre istinti nativi d´ogni natura di Santo: lo zelo per la gloria di Dio, la sollecitu¬dine affettuosa per gl´interessi di Gesù; l´ansietà per la salute delle anime, dove torna il termine sul quale ci siamo fissati.
Il che viene o torna a dire che la simpatia per Gesù, generata dal fascino -ch´Egli esercita sulle anime sante, e che, in fine, è il proprio
e più vero carattere dei Santi (z), svolge nel fondo dell´anima (con la grazia di Dio e le virtù infuse, s´intende) quegl´istinti e tendenze connaturate e permanenti onde il carattere prende sua figura, e che, lo si vede chiaramente, si appuntano tutti nel vivere e operare per Gesù, secondo che s´apprendono i suoi desiderii.
Sono essi, quegl´istinti, ed è quel carattere, che orientano lo spi¬rito verso una direzione (che diviene, nelle anime più forti, l´idea dominante ed anche l´unica per la quale si vive la vita), nella quale direzione trovano posto le abitudini volitive che lo spirito viene edu¬cando in se stesso, col sussidio dei moventi e motivi estrinseci: neI fatto nostro è l´orientamento verso l´apostolato, verso il « guadagnar anime a Dio » che si precisa nell´indicazione di Don Bosco, e prende forza dallo spirito della vita devozionale che ne contiene i moventi. Non è, caro lettore, un ragionare troppo sottile per un santo ado¬lescente e quasi fanciullo, e per il caro Savio, al quale probabilmente non abbiamo mai pensato di attribuire una psicologia così logicamente
(i) Cfr. sopra, pag.
(2) FARER, ´lutto per Gesù, 83.
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ordinata; come se l´anima d´un « piccolo, anzi grande gigante dello spirito » potesse pervenire alle altezze a cui giunse il Nostro, senza una logica della grazia e senza una consapevolezza, almeno intuitiva, di quello che avveniva in lui e di quello che voleva Iddio da lui e ch´egli voleva fare. Un discorso del nostro giovane missionario ci fa vedere in atto e in un sol punto la somma di tutti i sentimenti e di tutti i motivi che gli abbiamo riconosciuti. Ecco:
Quando., raccontando egli un fatto edificante, un ragazzo « indi¬screto» gli dice: « Che te ne fa di queste cose?» egli risponde con ca¬lore: « Che me ne fa? Me ne fa, perchè l´anima dei miei compagni è redenta col Sangue di Gesù Cristo; me ne fa, perché siamo tutti fra¬telli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente l´anima nostra; me ne fa, perché Iddio raccomanda di aiutarci l´un l´altro a salvarci; me ne fa, perchè, se riesco a salvare un´anima, metterò in sicuro anche l´anima mia » (i).
Chi non sente qui vibrare gl´istinti dei Santi per la gloria di Dio, per gl´interessi di Gesù: chi non scorge l´ansietà per la salvezza delle anime, e i motivi inculcati da Don Bosco?
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Ancora una volta, adunque, diremo che Don Bosco, nel volgerlo all´apostolato, non fece che adempire a ciò ch´egli vedeva essere un istinto (latente prima, e da lui scoperto e messo in atto) della santità del suo giovanetto, e questi, nel darsi da quel momento con piena dedizione al compito che gli veniva additato, si trovò a suo agio per svolgere in pieno le doti della sua vocazione. E dico svolgere perché, come tra poco vedremo, la vita missionaria di quell´anima viene via via acquistando in ampiezza e in profondità di comprensioni, mentre a questo lavoro concorrono doni soprannaturali gratuiti, che suggel¬lano in modo non dubbio, colla. mano di Dio, quella vocazione.
Questa attuazione pratica dello spirito missionario mancò a San Luigi. Che il Principe dei Santi giovani sentisse, non solo perché santo, ma per carattere personale, una vocazione all´apostolato, e, si noti, nell´età più giovanile, è un dato storico legato perfino alla scelta da lui fatta della Compagnia di Gesù a preferenza d´ogni altro ordine religioso, perché quella era destinata al lavoro attivo per le anime, alle missioni, all´educazione della gioventù (2): e ancora, dalle
(i) Vita, cap. XI, 73 ediz. pag. 55-56.
(2) MESCHLER, op. cit., pag. 8z. — CRISPOLTI, OP. Cit., pag. 7s; 41-43. a E avrebbe desiderato di poter seguire le orme del Saverio, sia " per la sete del mar-tirio " sia " per la redenzione degl´infedeli" a. Ibid., pag. 38.
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notizie che si hanno delle sue volontà più, mature, appare che, ad ogni modo, lo spirito di conquista fu sempre vivo nelle sue intenzioni, com´era, del resto, nello spirito dei Santi del suo secolo. Ma, dice bene il Crispolti, a questa ulteriore esplicazione dell´anima di Luigi il tempo mancò (t).
Noi possiamo tuttavia soggiungere che non solo gli mancò il dopo, sibbene anche l´occasione del presente_ Il Gonzaga non ebbe intorno a sè la convivenza ch´ebbe il Savio, e la società che lo circondò nel secolo, fanciullo e adolescente, non offriva generalmente tali occasioni da richiedere un apostolato o uno stile di vita che potesse compor¬tarlo (a). Quando, più tardi, fu religioso tra religiosi (e quali!), poteva esercitar l´apostolato d´un esempio insuperabile di virtù, ma non altro che potesse dirsi una conquista. E nessuno disse mai all´angelico gio¬vane che per farsi santo bisognasse guadagnar anime a Dio. La figura spirituale di S. Luigi Gonzaga era un´altra, ed altra doveva essere per lui la parola della vocazione.
(i) Op. cit., pag. 32.
(2) CP1SPOLTI, OP. cit., cap. IV: La società che lo circondi nel secolo, pag. 71¬87. Sono pagine sensatissime, che dovrebbero far cadere tutto il barocchismo della rettorica panegirista, per la quale S. Luigi fu quasi un Santo in mezzo all´inferno.
CAPITOLO III
L´apostolato in azione.
Al Savio il campo dell´apostolato non mancò, ed è una delle mera¬viglie della sua brevissima vita l´operosità e l´intraprendenza ch´egli vi dispiegò nei men che tre anni che seguirono alla parola indicatrice di Don Bosco. E poiché s´è detto d´uno svolgersi, è bene fissarne su¬bito il senso e i momenti. Sta all´inizio il piccolo quotidiano lavoro morale religioso tra i compagni, e nella vita ordinaria, indicato dal Santo Maestro: la reazione e l´impedimento del male, l´opera di corre¬zione e d´incitamento al bene.
Ma poi, e presto, le viste si allargano, e dalla cerchia della convi¬venza giovanile si stendono ai più vasti interessi di Gesù nel mondo della Fede e della Chiesa, e lo spirito missionario prende la figura dello spirito cattolico: il giovane apostolo ha nel cuore l´ansietà di salvare chi è in pericolo di morte, e chi vive nel peccato, e chi è fuori della vera Chiesa, e dalle persone trapassa alle genti, e sente e solle¬cita la conversione dell´Inghilterra.
E finalmente, nell´ultimo appuntarsi dei desideri d´amore che sug¬geriscono e alimentano lo spirito di conquista per Gesù, l´apostolato si fa costruttivo, e crea un moto di pietà attiva, che si adempie in una missionarietà più elevata, dove si raccoglie e si fa più intenso il lavoro di penetrazione del bene..ù allora la creazione della Compagnia del¬l´Immacolata Concezione: sia essa tutta o in parte cosa del Savio, non importa: senza di lui non sarebbe.
Sono dunque tre momenti dello svolgersi di quella vita d´apostolato che, prima dall´indicazione di Don Bosco, poi dall´accrescersi dei lumi e del fervore, e infine dalla perfezione della pietà e della vita interiore, prendono impulso ed ispirazione, e passano dalle vie ordi¬narie dell´impedimento del male e della persuasione del bene alle più estese visioni della conquista fino alla costruzione del bene ed alla consociazione della pietà più fervorosa. Veramente non è da pensare che i tre momenti, le tre fasi, diciamo, di codesto lavoro, si succedano
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con rigore di tempi, e neppure che la successiva faccia tacere o rallenti la precedente: è l´attività e la comprensione che viene non solo avan¬zando, ma sdoppiandosi e anche più, rimanendo tutte vive ed ope¬ranti. La distinzione cronologica ci sta storicamente, ma solo fino a certo punto: ed è piuttosto una distinzione logica di moltiplicità che a un dato momento si raccoglie nell´unità stupenda di quell´anima così giovane e così grande.
Così l´aveva veduta, nella profondità della sua intuizione, il Santo Padre Pio XI, quando la definiva l´anima del « piccolo ma grande apostolo », e la veniva proponendo ad esempio della Gioventù Catto¬lica, come destinata a sostenere l´apostolato gerarchico della Chiesa. Il Pontefice vedeva nel Savio l´apostolato quale Don Bosco aveva con¬cepito ed inculcato nel suo giovane santo, esso che appunto visse tutte le forme di apostolato. Il discorso tenuto dal Papa in quel 9 luglio 1933 è la più prossima spiegazione del Savio apostolo nell´aria di Don Bosco. Perché tutto ciò ch´è detto di codesta simpatica storia di conquiste, tutto si è avverato ed ha potuto avverarsi nell´alone di energia spri¬gionantesi dal Santo Maestro, e con l´intervento della sua parola e del suo consiglio.
La Vita non segue così strettamente quest´ordine d´idee, e tanto meno l´ordine cronologico, benchè da essa appunto noi li dobbiamo dedurre: all´infuori dei due capitoli in cui si tratta, senza darvi il nome, dell´apostolato del nostro giovinetto (cap. XI e XII), il resto è disseminato attraverso l´esposizione biografico-episodica, raccoglien¬dosi sotto vani titoli, e solo ritorna a questo tema quando (cap. XVII, alias XVI) è discorso della fondazione della Compagnia accennata. Ma, ripetiamolo, chi sa leggere trova sempre nelle parole dello Scrit¬tore i suggerimenti opportuni per una giusta comprensione d´in¬sieme (i).
Tanto meno tengono conto di tale coordinazione i Processi, dove s´incontrano, è vero, spunti chiarificatori e suggestivi, specialmente nelle parole del Cagliero e di Don Rua, che compresero meglio d´ogni altro l´anima del santo loro amico, il Cagliero poi con una simpatia tenerissima ispirata dall´affinità dello spirito: ma in genere la materia data dalle testimonianze, non tutte, per vere, superficiali, si limita al¬l´esteriorità dei fatti della vita comune, senz´altro legame d´idee.
Ma la concordanza tra la Vita scritta e le testimonianze è costante, e sta a prova della veridicità dello storico quanto ai fatti e quanto al sentimento comune: anche se non assolutamente tutto ciò ch´è scritto
(i) Lo si è visto poco sopra, quando si è addotto il discorso del Savio come sintesi di tutta la sua psicologia missionaria. Cfr. sopra, pag. 14r.
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ritorna nelle parole dei testi, e, in cambio, non manca materia da aggiungere alle cose pubblicate. Anehe in questa materia i testi si mostrano indipendenti dal libro, salvo quando essi depongono preci¬samente quello di cui già avevano discorso con l´Autore per concor¬rere alla stesura del libro stesso (i).
Epperò, volendo e dovendo a questo punto disegnare concreta¬mente coi fatti la figura dell´apostolo nell´esercizio della sua azione, non vi è forse miglior via che di attenersi al parallelismo dei dati pro¬cessuali col contenuto della Vita, illustrando con quelli i dati e i con¬cetti di questa.
Sobrii ma significanti sono gli accenni sintetici del Santo Maestro allo spirito missionario istintivo prima ed effettuato poi dal caro alunno. Questi esprime più volte il suo desiderio di « guadagnare a Dio tutti i miei compagni » e e non lascia sfuggire occasione alcuna di dare buoni _consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio »: così come ancora conclude il medesimo capitolo (Cap. XI): « Onde si può dire che non presentavasi a lui occasione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene del¬l´anima, che egli la lasciasse sfuggire ». E leggeva di preferenza le Vite dei Santi dell´apostolato, e parlava volentieri dei missionari, e faceva settimanalmente una Comunione per essi: pensava alle anime che nell´Inghilterra « aspettano il nostro aiuto », e vorrebbe « andarvi
sul momento e guadagnarle tutte al Signore! a.
Don Rua dice che « fin d´allora i Superiori scorgevano che era già
guidato dallo spirito di zelo e dal desiderio di far del bene ai com¬pagni »: altri, che sovente diceva di aspettare il momento di potersi far missionario e predicare con maggior fervore la religione fra le genti; il Roda, un artigiano da lui convertito, afferma che « era ze¬lante non solo della propria, ma dell´altnii perfezione, facendola da vero apostolo fra i suoi compagni » (2). E il Cagliero, il quale, per dire del suo apostolato, legge in sede di Processo gran parte dei due capitoli XI-XII della Vita (3), ricorda aver udito da Don Bosco che, « sebbene giovanetto, il Savio desiderava ardentemente che tutti amassero il sua Signore, e che si convertissero, i peccatori e special¬mente gli eretici, e principalmente pregava per la conversione dell´In
ghilterra» (4).
A far breve, Don Rua conclude con questo pensiero: « Era vera
(i) Così avviene, per esempio, che iì Cagliero e Don Rua, per maggior pre¬cisione, leggono senz´altro quelle pagine. Cfr. Somm., cit., pag. 196-197 e pag. 304.
(2) Somm. P70C. cit. Per ordine: Rua, SI; Francesia, 95; Roda, zoo.
(3) Somm. cit., Cagliero, 196-z97.
(4) Suona. cit., Cagliero, pag. 1z9.
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mente ammirabile che in un giovanetto di quell´età già regnasse tanto zelo per la gloria di Dio, in guisa da aver orrore e soffrire fisicamente se gli avveniva di sentir bestemmiare, o vedere in qualche altro modo offesa la Maestà di Dio » (i).
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Il che c´introduce nella serie di episodi esemplari subito ricordati nella Vita. « La cosa che gli cagionava grande orrore e che recava non piccolo danno alla sua sanità era la bestemmia o l´udir nominare iI Santo Nome di Dio invano » (a). E seguono tre fatti, di cui i due primi aggiunti, come le citate parole, in seconda edizione (3). È il turbarsi all´udir quelle parole e abbassare il capo dicendo la nota giaculatoria; o scoprirsi il capo e dirla all´udir bestemmiare un carret¬tiere, spiegandone il motivo ad un compagno, che poi racconta il fatto: è l´accostare un vecchio incauto e con modo ingegnoso e garbato chie¬dergli segretamente per piacere che non faccia più così, ed esserne ringraziato; è il levare un fanciullino novenne da un alterco e con¬durlo in chiesa a far riparazione della bestemmia proferita (4).
Siamo nell´ambito dell´orrore pel peccato e dell´impedimento del male. Don Rua ricordava a tal proposito l´eroico dramma di quella rissa composta col Crocifisso: il Cagliero le industrie con che si ado¬perava a far evitare ogni sorta di dissensioni, ingiurie, risse e simili, oppure ad interdire certi crocchi pericolosi (5). Vi fu perfino un momento in cui s´impose arditamente a Don Bosco per far risolvere senza indugio una situazione pericolosa per la fede dei deboli e degli incauti (6). La Vita (capo XII) accenna all´arte d´interrompere di¬scorsi di mormorazione o simili; all´arguzia nel distogliere un giova¬netto dall´andarsi a mascherare; alla bonaria imposizione con che im
(I) Somm. cit., D. Rua, pag. t x t.
(a) Cap. XI: aggiunta• della za-3a ediz. alla pag. 53 della Ia.
(3) Forse da relazioni posteriori alla 1a ediz., come farebbe intendere la ci¬tata testimonianza di Don Rua.
(4) Il fatto è analogo, ma non identico, a quello esposto da G. Roda, avve¬nuto a lui stesso. Il Roda aveva allora 53 anni. Cfr. Somm. cit., Roda, pag. 220.
(5) Somm. Proc. cit., D. Rua, pag. 113, 282; Cagliero, pag. 42, 54, 59.
(6) Somm. cit., Francesia, pag. izo e 158: e lin giorno m´incontrai per caso vicino a Don Bosco che parlava col giovinetto. Io mi stupii nel´ veder lui, che pensava fosse timido, a parlare mettendo Ie mani sui fianchi, e dire a Don Bosco con aria tutta seria (sic): — Queste cose non si debbono tollerare all´Oratorio! ¬E dicendo Don Bosco: ---- Guarda: faremo: abbi pazienza! — egli insistendo re¬plicava: — E uno scandaloso, e non si può tollerare. — Era la prima volta che io sentiva quel giovinetto a parlare quasi con autorità a Don Bosco... e. Sembra che si trattasse d´un tipo irreligioso e provocante.
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peci" a certi compagni di andarsi a bagnare chissà dove, e il dialogo è davvero curioso, con quel: « no, io non voglio che andiate », e con gli argomenti morali e religiosi che adduce.
C´è poi (Capo XII) l´intervento coraggioso ed energico del piccolo « guardiano dell´Oratorio » (i) a far allontanare i compagni incauti da un pervertitore irreligioso e beffardo penetrato nel cortile (2); come altra volta (Cap. XVI) strappa di mano ad un ragazzo esterno un gior¬nalaccio irto di caricature sconce ed irreligiose. Giustamente fu atte¬stato « ch´egli adoperò sempre grande fortezza per far evitare il pec¬cato e lo scandalo » e Don Rua diceva che di questo egli « fu sempre ammirato ed edificato » (3).
A questo lavoro, che diremmo, con termine tutto di Don Bosco, preventivo, si associava l´altro, più veramente attivo e missionario, della conversione degli sviati e del condurre a Dio gl´indifferenti (cosa, anche questa, salesianissima). Ed io vorrei riferire a questo, almeno in parte notevole, una circostanza di fatti, già altrove accennata (4), quella delle parole suggerite a ciascuno dopo il sermoncino della buona notte. Che cosa avrà detto Don Bosco al Savio in tali momenti? Tutto induce a credere che, oltre a qualche consiglio personale di per¬fezione, ci stesse l´indicazione di qualche lavora da fare tra i compagni
o di qualche compagno da lavorare. La Vita lo fa intendere in più punti (5), ed è attestato dalla tradizione delle maniere educative di Don Bosco (6).
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Qui la santità aguzzava l´ingegno. Il santo Autore sembra si com¬piaccia (e certamente se ne vale a scopo educativo) in mostrare le
(i) La parola è del Francesia: cfr. Somm. cit., pag. 587: 1Don Bosco scrisse e sentii dire che era il fedele guardiano dell´Oratorio perchè colla vigilanza impe¬diva che persone estranee entrassero nell´Oratorio e diffondessero l´empietà». L´in¬tervento qui citato, dal cap. XII della Vita, fu aggiunto dall´A. in 2a-3a edizione.
(z) Somm., cit., pag. 461-6z: Declar, authent. n. 6: « Memorie del ch. Mi¬chele Rua, 1859 ».
(3) Ibid., dep. Barberis, 279, riferisce le parole di D. Rua.
(4) Cfr. sopra, pag. 83.
(5) Per es. al cap. XVIII: » Egli era così rassodato nella virtù, che fu consi¬gliato di trattenersi con alcuni giovani alquanto discoli, per far prova di guadagnarli al Signore ». E ciò è confermato dal Roda, che lo attesta già per il. 1854, quando entrò nell´Oratorio, e il Savio anch´esso c´era da poco tempo. Cfr. Somm. Proc., pag. 21-22. Possiam supporre che ciò avvenisse dopo l´Immacolata; n a è ur se¬gna ben chiaro della stima che fin dai primissimi mesi (o settimane) Dor Bosco aveva concepito di lui.
(6) Somm. cit., D. Rua, pag. 112. — Nelle Mem. Biogr. è frequente il fatto del suggerire a qualcuno di dire al tale qualche cosa o di seguirlo e tenerlo d´oc
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abili e cortesi, ma persuasive, perfino irresistibili (e lo dice), maniere con le quali il giovinetto riusciva ad ottenere l´intento. I casi anno¬verati non sono molti, giacchè la prudenza non permetteva allo scrit¬tore di parlare di persone viventi e conosciute da tutti, e i Processi ci dicono molto di più; ma in ogni caso quella che appare è l´indu¬stria meravigliosa, certamente anche meditata, con cui il Savio ma¬neggiava la sua bontà, l´eutrapelia o giocondità, la disinvoltura, non di rado la sua positiva carità, per volgere al bene chi n´aveva bisogno. In ciò fare non era solo e non era il solo, e lo si vedrà nell´ultimo quadro del suo apostolato; ma in lui eccelleva e rimase tipica codesta attività, nella quale è riposto e stabilito un dato capitale del sistema educativo del Santo Pedagogo, il lavoro collaborativo dei suoi giovani stessi.
La Vita (capo XII) ci descrive il Savio come l´anima della ricrea¬zione, in una pagina che può servire di modello pedagogico a chiunque voglia capire lo stile salesiano della vita del cortile. Il santo giova¬netto, anima tutta e squisitamente salesiana (non per nulla il Papa ha visto in lui un ritratto di Don Bosco), se ne valeva ai fini dell´apo¬stolato: « quanto diceva o faceva, tendeva sempre al bene morale di sè .o degli altri ». Possedeva l´arte della conversazione piacevole e gar-bata (i), non interrompendo chi parlava, volgendo il discorso su cose d´interesse quotidiano, o spargendolo di amenità: voltandolo abilmente se piegava male: « l´aria allegra, l´indole vivace, lo rendevano caro anche ai compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva » (a).
Gli episodi del dissuadere dal mascherarsi o dall´andarsi a bagnare, dello stornare dall´intruso predicatore, del giornale strappato, rien¬trano in questo campo. Ma si hanno conversioni vere e proprie di costumi e d´idee. A non dire di Celestino Durando (divenuto poi una delle colonne della Congregazione), che, venuto all´Oratorio con tutt´altra idea, si volse alla vocazione ecclesiastica e salesiana (3), ri¬mane tipica quella deI giovane Roda, artigiano sperduto e mal avvezzo, che il Savio corresse a poco a poco delle abitudini volgari o irreli¬giose,. e portò a vita onesta ed esemplare; e il Roda fu a 74 anni
chio per correggerlo. o Guarda se puoi dire in bel modo al tale, che... » era la forma. Ai tempi miei lo faceva ancora, quando poteva.
(i) È l´urbanitas et comitas con che l´Ernesti traduce il greco EISTpar.EXía.
(z) Cfr. infra, pag. 155, il riferimento del FABER, Conf. Spir., pag. 39. — E con tutti questi dati, osiamo domandare, chi ravvisa qui il tisico che nella mente di taluni dovrebbe essere il Savio ?
(3) Somm. cit., Francesia, pag. 42.
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buon testimonio al Processo Apostolico della virtù di chi l´aveva sal¬vato (i).
E come questo, altri molti. « Soleva, dice Don Rua, sia per pro¬pria iniziativa, sia per suggerimento avuto da qualche superiore (ma allora non c´era che Don Bosco) prendere di mira qualche giovinetto più discolo, più bisognoso di assistenza, per assistérlo in modo par¬ticolare, e trattenersi d´avvantaggio con esso al fine di condurlo col mezzo della carità e delle buona maniere a tener buona condotta >> (a). È quasi una replica, e cioè una conferma, della pragrnatografia della Vita, dove l´Autore lo mostra nella varietà delle maniere di guada¬gnarsi i giovani che l´interessavano; com´è l´episodio del gioco inter¬rotto ad un punto, per impegnar il compagno a confessarsi poi con lui.
E il Cagliero poteva dire: « Da parecchi fatti che vidi io stesso e da altri che mi narravano i compagni, il piccolo Savio ottenne per la sua virtù, buon cuore ed angelico aspetto conversioni subitanee di compagni di scuola e adulti coi quali si era incontrato per caso: smet¬tendo alle sue insinuazioni l´abito della bestemmia. Così pure consta :dalla biografia » (3).
Ed è la Vita che ci fa sapere (Cap. XII) d´una « specie di società » formatasi tra « alcuni altri giovani amanti del bene... per darsi alla conversione dei discoli; il Savio vi apparteneva ed era dei più zelanti ». Il buon Padre s´indugia a descrivere le amene industrie con che ri¬chiamava a sè i monellucci sventati, offrendo una coserella a chi ri
(1)"SOMM. Proc., cit., pag. 21-2z; pag. 55 e 220. — Diceva: « Nel /854 en¬trai all´Oratorio e Don Bosco mi diede per compagno Savio Domenico perché mi guidasse nei primi giorni e m´indicasse quello che dovevo fare o. Pag. 21-22.
Altrove: *Nei primi giorni della mia venuta all´Oratorio, giocando a bocce con lui, mi lasciai vincere dalla trista abitudine di bestemmiare, che aveva con¬tratto vivendo abbandonato e senza istruzione ed educazione alcuna. Appena udì la bestemmia, cessò il gioco, lasciò sfuggire una parola di doloroso stupore, e avvicinatosi a me, con caritative parole mi consigliò di recarrni subito in cerca di Don Bosco per confessarmi: il che io feci immediatamente, e quest´ammo¬nizione fu così salutare, che da quel tempo io non caddi in simili mancanze o. Ivi, zio. — Altrove (pag. 55); a Io debbo allo zelo del Savio se, appena arrivato all´Oratorio, mi diedi a frequentare i Sacramenti... Quando entrai all´Oratorio io non conosceva le preghiere del buon cristiano, nè mai mi ero accostato ai Sa¬cramenti ».
Altre positive deposizioni del medesimo si hanno su altre questioni; ma su tutte domina sempre il ricordo della sua conversione. Giovanni Ambrè Roda morì di 96 anni a Racconigi, e pochi mesi prima, presentato a S. A. R. il Prin¬cipe di Piemonte, come il decano della sua terra, non fece che gloriarsi di esser
stato allievo di Don Bosco. Pei vari riferimenti, cfr. sopra pag. 146, n. 4, e
più sopra, pag. 135 e 147, n. 5.
(z) Somm. cit., D. Rua, pag. 112. (3) Somm. cit., Cagliero, pag. 222.
16 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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sponderebbe per primo a una domanda di Catechismo. Forse a tale società (lontano abbozzo della futura Compagnia organizzata dal Savio) si deve la conversione di quel giovane incredulo, che si strascinò per più settimane lungo i cortili dell´Oratorio senza voler sapere di reli¬gione, e finalmente, tra «i consigli dei nuovi e leali amici» e la forza esemplare del clima ambiente, piegò e fu reso un altro. L´episodio è narrato dal Lemoyne (t).
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Per vero, quell´apostolato non fu sempre accolto benevolmente,
e non mancano le renitenze, le ripulse, le villanie e i piccoli martirii. Dei malcreati, tra quella miscela di buoni e men buoni, ce n´era forse più del bisogno, e l´abbiamo detto, coi rispettivi commenti or si or no confortevoli; e se Don Bosco non ha voluto insistere troppo sui par¬ticolari, non è già che non lo lasci intendere in più punti (2). Quelli che convissero con lui n´ebbero un ricordo dei più vivi, e lungo sa¬rebbe riportare le loro attestazioni e gli episodi da loro narrati, che la Vita non riferisce (3). « Talvolta era mal corrisposto dai giovani operai (si noti), che lo trattavano come importuno e cercavano sottrarsi alle amorose premure, ed egli, senza tener conto delle sgarbatezze usa¬tegli, non perdeva di vista i più bisognosi e ricorreva a nuove industrie per richiamarli sul buon sentiero » (4). « Egli soffriva con ilarità di animo e tanta calma le offese dei compagni, che li guadagnava col suo perdono sino a promettergli che si sarebbero confessati e cor¬retti » (5).
E non è senza un qualche significato .che tali fatti siano riferiti o
(i) Biogr., Vol. V, cap. XXXI, pag. 367-372. — Questo dato della
piccola società di apostolato non compare affatto nei Processi. E anche questo un segno dell´indipendenza dei testi dalla Vita scritta.
(z) Cfr. al cap. XVI: l´eccesso brutale di un compagno ammonito dal Savio, che non è insensibile, ma perdona e tratta con dolcezza l´offensore. Così altrove, come si vedrà.
(3) Somm. cit.: Francesia, pag. 42: n Io poi ricordo d´aver veduto il Savio ricevere un pugno da un compagno, senz´averlo provocato, con queste parole: Adesso va a dirlo , a Don Bosco. Ricevette quell´insulto senz´alcun lamento, e con mia meraviglia seppi che il Savio non andò a lamentarsi con Don. Bosco
o con altri, ma tutto in pace perdonò al compagno ». Forse perchè era buono
e assiduo con Don. Bosco, qualcuno (come accade nella vita collegiale) pensava che « facesse la spia».
(4) Somm. cit., ctep. D. Rua, pag. 231. Id., pag. z8z, dove parla chiaramente di s ingiurie e busse, come talvolta gli avvenne di ricevere ». Quanto ai n giovani operai* cfr. sopra, pag. 74.
(5) Smuri. cit., Cagliero, pag. 223.
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rispondendo sull´eroismo della carità verso Dio, o sull´eroico amore del prossimo o, senz´altro, al titolo dell´eroica fortezza d´animo (i).
In realtà occorrevano tutte e tre codeste virtù, santità, bontà, ca¬rattere, a sopportare e perdonare ad un peggio che maleducato, che in faccia a tutti gli lanciava l´insulto: « Va là, che sei un tisiconel ». Ciò avveniva in un giorno d´inverno, in cui, attorno ad una stufa (la sola di tutta la casa!) messa in uno stanzone a terreno dove si fa¬ceva ricreazione, si trovava con tanti altri (tra cui i testimoni di veduta, del Processo) il povero Savio, tormentato dai geloni e mal coperto:
e un ragazzaccio (che si seppe poi essere un tal Rattazzi) lanciava dal di fuori palle di neve là contro. E il buon Domenico lo ammoniva, ricordandogli che solo la sera innanzi Don Bosco aveva avvertito di non farlo: e forse disse qualche altra parola di richiamo più personale alla disciplina e all´assennatezza. E fu una furia d´insulti volgari e di percosse: d´uno schiaffo almeno parlano tutti. E il piccolo santino si fece di fiamma in volto (che sangue nelle vene n´aveva), ma si contenne
e abbassò la testa, e rispose all´offensore: « Io ti perdono, hai fatto male: non trattare altri in simile modo ». E benchè sollecitato a rife¬rirne a Don Bosco, non volle farlo. Tutti soggiungono che poi, a mente calma, quel ragazzo si penti d´aver maltrattato quel santo fanciullo, ed anzi mutò condotta: il Cerruti aggiunge che, uscito poi rifatto dalle mani di Don Bosco, pervenne ad occupare un´importante carica dello Stato (2).
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Queste erano vittorie ottenute colla forza della bontà nella lotta contro il male. C´è nello straordinario lavoro della carità spirituale del Savio un altro apostolato, ed è quello costruttivo del bene. In certi gesti, chiamiamoli cosi, del suo alunno Don Bosco ha veduto appunto un´opera di conquista, non certamente combattuta, ma ´penetrativa,
e sono i momenti nei quali agisce il buon cuore. Egli ci descrive (Capo XII) la sollecitudine di lui nel cercare, confortare, rasserenare gli animi di quelli che « o per essere rozzi, ignoranti, meno educati,
o crucciati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati in disparte dai loro compagni. Costoro soffrono il peso dell´abbandono, quando
(t) Cfr. Somm. cit. Tit. VIII, Tit. IX, citati: e Tit. XIII: De heroica forti-taciute, pag. 279-282.
(z) Somm. cit.: Cagliero, 193; Cerruti, 220 e 282; Francesia, 234. Cfr. sopra, pag. prec., n. 2: è probabilmente il fatto a cui allude la Vita. I testi danno nei particolari referenze diverse che poi ricompaiono qua e là nel racconto di Don Bosco; ma è facile accordarle tutte in un senso e fatto medesimo.
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avrebbero maggior bisogno del conforto d´un amico. Questi erano gli amici di Domenico. Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon discorso, loro dava buoni consigli: quindi spesso è avvenuto che gio
vani, decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornavano a buoni sentimenti ». Il ritornavano dice
tutto il pensiero del buon Padre, che non volle mai vedere in casa sua ragazzi isolati, appartati, abbandonati; e la vita del cortile doveva es¬sere la cura profilattica del male a cui conduce l´isolamento.
E il Savio era tanto con lui e compenetrato del pensiero del Mae¬stro, che esercitava in tal parte un efficace apostolato. Aggiungete a
questo la cura ch´egli si dava dei nuovi arrivati, per lo più sperduti e
nostalgici, e sovente, per le loro origini, grossolanamente scontrosi e selvatici. Il nostro santino era il primo a rompere il ghiaccio, e lavo
rava ad acclimatarli, a far loro piacere la vita dell´Oratorio; e il noi che allora usava voleva dire che egli e tutti facevano una casa e una famiglia sola; giacchè per Savio Domenico l´Oratorio era ormai casa sua e, scampando, non ne sarebbe uscito mai più.
È una nota di lode che risuona da capo a fondo nei Processi. Con rilievi molto spiccati Don Rua e il Cagliero ci fanno vedere il suo la
voro soprattutto al principio dell´anno scolastico, tra i giovani che tor
navano dalle vacanze, e « cercando nel cortile, per le scuole e nei na¬scondigli se vi fossero compagni isolati»; e coi nuovi poi, che maggior
mente sentivano la nostalgia, e con « qualche più timido e melanco¬nico che non osava »: e gli uni incoraggiava a riprender lo studio e la pietà; agli altri raccontava fatterelli, e dimostrava « la felicità di tro¬varsi nella casa del Signore, sotto la guida di un Padre tenero come Don Bosco »
Il Cerruti ricordava di se stesso il primo incontro col Savio. La sua deposizione ripete letteralmente quanto aveva pubblicato nel
1907 e fu riportato dal Salotti. E la conclusione di quel carissimo dia
logo dove, per distrarre il novellino dalle sue melanconie, il santino gli dava a risolvere l´etimologia di sonnainbalo, la conclusione fu un:
« Saremo amici, è vero? » (2). Altrettanto diceva di sè il Ballesio, che « la prima sera, solo e piangente » fu avvicinato da un giovane che io consolò della nostalgia della famiglia e del paese natio, e conobbe poi ch´era il Savio (a).
(i) Somm. cit.: Don Rua, pag. 112 e 231; Cagliero, pag. 59-6o: e tutti af
fezionava alla vita dell´Oratorio ».
(2) L´amico della Gioventù, 15 marzo 1907. SALOTTI, op. cit., cap. XI, 126-128. — Somm. cit., Proc. Apostolico, pag. 18-19: deposizione del 15 settembre 1915.
(3) Somm. Proc., Ballesio, pag. 1 e pag. z8. Cfr. anche ivi, Roda, pag. 55. -- Cosa singolare, che questa sia la prima notizia che ci dà il Sommario.
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Era gentilezza dei buon cuore che operava un vero apostolato di efficacia duratura. Lo dicono le parole di Don Rua che concludono questa serie di notizie: « Parecchie volte mi avvenne di sentir allievi che, divenuti chierici ed anche preti, accennavano che, se essi non si erano lasciati vincere dalla nostalgia, Io dovevano alle cure di qualche buon compagno, che fin dai primi giorni s´era interessato di Loro, e tra questi spiccava su tutti il buon Savio v (i). Che se, invece d´un solo, son parecchi gli apostoli del conforto in casa di Don Bosco, si fa tanto più evidente ch´essi erano ispirati dal Padre comune, e che dunque lo spirito del Maestro trapassava ne´ suoi discepoli, e più che mai nel -più perfetto di essi. I soliti pedagogisti non arrivano a queste finezze.
Più prossimo ancora al significato che noi diamo alla parola era l´apostolato delle opere di misericordia spirituale (a). L´Autore ac¬cenna in brevi tratti quella del consolare gli afflitti, riserbandosi a dirne di più quando vorrà lumeggiare le squisitezze di quell´anima bella e gentile (Capo XXII). Ma intanto, poiché discorre di conquista dei cuori, non lascia di mettere in luce anche questa, per la quale il suo giovinetto si veste di quella simpatia profonda onde a lui i cuori si aprono. Come consolava i sofferenti della vita collegiale, cosi «tutti_ quelli che avevan qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano confoi-to esponendole a lui. In questa guisa aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità del prossimo ed accrescersi merito davanti a Dio ». È, come diciamo, un´anticipazione, ma non uno spostamento di materia.
L´attenzione dello Scrittore si volge, con più stretta inerenza al suo tema, nei due capitoli a cui ci riferiamo (Cap. XI-XII), al fervore del discepolo per promuovere l´apprendimento del Catechismo: una vera vocazione. Ed apprendiamo che avrebbe voluto andar sul mo¬mento in Inghilterra a predicarvi la sana dottrina; avrebbe voluto, in chi doveva, maggior zelo per istruire i fanciulli nelle cose della fede; che già preannunziava ciò che, fatto chierico, avrebbe voluto fare al suo Mondonio: radunare tutti i fanciulli sotto una tettoia, e raccontare esempi, e farli tutti santi: perchè la perdizione di molti dipendeva « dalla mancanza di chi li istruisse nella fede ». E, come poteva per la sua età e statura, si prestava a supplire i catechisti mancanti all´Ora¬torio festivo, e tutti lo volevano per la sua amabilità, e vigilava contro l´intrudersi degli emissarii protestanti e li faceva allontanare: prendeva,
(i) Somm., cit., D, Rua, 112.
(2) La parola viene dalle deposiz. 1Vlelica, pag. 219, e dal Cagliero, pag. 22,2 dei Somm, cit.
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non senza suo incomodo, in disparte qualche compagno nuovo ancora ignaro della religione e lo istruiva (i).
E mentre il suo fervore si dispiegava nelle opere dell´Oratorio in¬terno ed esterno, egli pensava già al lavoro delle vacanze tra i suoi piccoli conterrazzani. L´Autore si compiace in descrivere la cura che egli aveva di provvedersi d´un mondo di oggettini religiosi « da far star allegri i suoi amici di ricreazione ». Ma questa pel piccolo missio¬nario non era che l´occasione attraente per condurre al Catechismo, alle funzioni, o per fare egli stesso la dottrinetta, così, all´aria aperta. Nel tracciar queste linee Don Bosco non s´accorge di fare insieme (o piuttosto diciamo che rivive) il suo autoritratto: giacchè quello ch´è detto del Savio risponde appuntino a ciò che sappiamo della sua prima età, e il Savio ha il suo medesimo spirito, che a lui corrisponde in pieno in grazia d´una vocazione simile alla sua.
Così ci appare naturale che il buon Padre s´intrattenga a disegnare il suo bozzettino del Savietto che insegna ad un piccino il segno della Croce, promettendo un premio subito e uno poi, spiegandone e aiu¬tandone il gesto; così vien bene colloCato l´altro quadretto del buon Savio che fa il maestro ai due fratellini, e li porta con sè per la cam¬pagna e li assiste in ogni cosa per farli buoni e pii (a).
Per dir breve, tutto il tempo delle vacanze diventa una missione per il piccolo paesello, e il piccolo Missionario lavora tra i coetanei e i compaesani, e risuscita il Catechismo e la pietà, e la pratica delle Visite al SS.mo Sacramento. Bene conclude lo Scrittore dicendo « che non presentavasi a lui occasione di fare opera buona, di dare un buon consiglio che tendesse al bene dell´anima, ch´egli si lasciasse sfuggire >>. È anche questo un lineamento comune al discepolo e al. Maestro (3).
(i) È superfluo citare qui le testimonianze del Processo, le quali a ciò ch´è detto nel libro aggiungono pochissimi particolari, che abbiamo già inseriti di pas¬saggio. Ma tutti sono concordi sull´operosità infaticata e sagace del. Savio, e quel¬l´amabilità con cui faceva accogliere la sua intraprendenza e carità. Cfr. Somtn. cit., Francesia, zo; Melica, r24-125; Cerruti, 124-126; Lett. di Angelo Savio chierico, pag. 453, e passim.
(2) Lett. del eh. Angelo Savio (13 dic. 1858): « Alle volte per mano condu¬ceva due suoi fratellini, a cui indirizzava le più tenere parole, e diceva: — An¬gioletti son dessi! Saranno ben cari al Signore! — e cose simili. I vicini che lo sentivano erano meravigliati al vedere un giovanetto sì buono e giudizioso e. &min., /oc. cit., 453.
(3) Massima di Don Bosco giovane prete: e Un prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi in ogni sua parola. Ora esser prete vuol dire aver per obbligo continuamente di mira il grande interesse di Dio, cioè la salute delle anime. Un sacerdote non deve mai permettere che chiunque si avvicini a lui ne parta senz´aver udito una parola che manifesti desiderio della salute eterna della sua anima e. (Mem. Biogr., cit., III, 74-75). Il Savio viveva già fin d´allora in questo spirito.
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V´è ancora un altro tocco, che direi di fmitura, per questo primo quadro, ed è, come fu detto sopra, la penetrazione e l´attrazione al bene. Il santo Autore ne discorre sparsamente, giacchè in questo genere l´azione ha più stretto legame con.l´esercizio delle singole virtù, e più ancora col fervore della pietà, e perfino con la vita mistica, che pervade l´anima e il vivere del suo giovinetto santo, e insieme con l´attività dell´apostolato interviene l´efficacia dell´esempio e il concorso dei doni soprannaturali. Per questo il nostro discorso, se non vuol essere una rassegna inorganica di fatti, dovrà rinettere ad altro mo¬mento, e ai momento sovrano su tutti, la presentazione delle più alte e vaste attuazioni dell´apostolato.
Non però che le testimonianze dei Processi non ci offrano più che sufficiente materia a delineare nella sostanza quella che fu codesta permeazione, che da lui si estese nel mondo che lo circondava. L´in¬defesso apostolo del bene, sempre allegro e sorridente coi condisce¬poli (1) ci è presentato (e da una fonte davvero impensabile, quale il Roda) « molto zelante non solo della propria, ma anche dell´altrui perfezione, facendola da vero apostolo tra i suoi compagni, sia colle parole, sia cogli esempi, cercando di portare tutti al bene coi consigli, colle ammonizioni, colle preghiere. A tale scopo sapeva unire mira¬bilmente la giovialità alla pietà e modestia, per attirare i più discoli » (z). La giovialità, che lo Scrittore della Vita segna nel suo Capo XII, è notata da tutti, giacche è la veste più attraente dell´apostolato, com´è un elemento dell´aria di Don Bosco e una• proprietà del suo ritratto. Sbaglierebbe chi si figurasse la presenza dell´amabile santino e la sua attività come qualche cosa di uggioso, di molesto, di pesante. Come più volte s´è detto, e spiegheremo nel libro seguente, dicendo della simpatia, egli è soprattutto un tipo lieto e ingegnosamente gioviale, che attacca senza parere, e penetra amabilmente, e trova sempre l´ora più giusta e la parola più a proposito. È un piccolo genio, il genio della giovialità conquistatrice. V´è per questo una bella pagina del Faber, dove l´uomo gioviale e di umore lieto è definito un apostolo ed un evangelista (3).
Cosi il Savio potè essere considerato come uno dei primi e più
(i) Somme. cit., Cagliero, 6o.
(a) Somm. cit., Roda, roo-xot. Le deposizioni del Roda mostrano che, se all´Oratorio e dopo visse la vita del lavoratore, non rimase però un incolto, e l´educazione avuta da giovane fece di lui un uomo di non comune valore.
(3) Confer. Spir., ediz. cit., I, pag. 39. — Cfr. sopra, pag. 148:
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forti promotori della Comunione frequente e quotidiana (i), e il vero iniziatore della Visita al SS. Sacramento dopo le refezioni (z). .E non è una lontana induzione di tempi posteriori: l´efficacia del suo agosto-lato era tanto sensibile, che già nel 1855-56, second´anno della sua vita oratoriana, « era voce comune che promotore principale della divo¬zione, che si manifestò in quegli anni, fosse frutto della sua devozione alla Madonna » (3). 11 medesimo teste dirà anche di più, dopo Visti¬íuzione della Compagnia.
Se vogliamo una parola che includa e concluda tutta questa splen¬dida storia di conquista d´anime, quale siam venuti leggendo, la tro¬viamo detta dal Cagliero, il quale, come abbiam fatto noi pure, ed ha fatto Papa Pio XI, vede in quella un riflesso di Don Bosco e della salesianità: « La salute delle anime gli stava a cuore, oltrecchè dal¬l´innato spirito dell´amor di Dio che vuole la nostra eterna salvezza, anche dagli sforzi del nostro Padre Don Bosco, tutto zelo e sacrificio per il bene e la salvezza dei suoi giovani» (4). E come Don Rua escla-mava: « Era cosa veramente ammirabile vedere in cosi tenera età sentimenti di un vero apostolo » (5), cosi PP. Pio XI poteva definirlo e descriverlo con tratti incisivi: « Piccolo, rna grande apostolo in tutte le occasioni; attentissimo a coglierle, a crearle, facèndosi apostolo in tutte le situazioni, dall´insegnamento formale del Catechismo e delle pratiche cristiane, fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene » (6).
(i) Somrn., cit., Francesia, zzo. Altrimenti citeremo altrove.
(z) Smnm. cit., Branda, 138. — Ma il Savio non si limitò a questo particolare.
(3) Somm. cit., Francesia, 159.
(4) Somm. cit., Cagliero, pag. 222. Per fedeltà al testo, lascio intatta la di-citura_ Il Cagliero faceva questa deposizione il 31 luglio 1916, tornato appena dall´America. — Si veda intanto come il Cagliero ha veduto nell´apostolato del suo amico Santo le medesime fonti delle quali abbiamo noi ragionato.
(5) Somm. cit., Don Rua, 232.
(6) Disc. cit., 9 luglio r933, n. 7. E al § zo lo ripresenta come rispecchiante Don Bosco « nei, caratteri più cospicui della sua esistenza »: che sono, in Don Bo¬sco, tutti i singoli modi dell´apostolato, il raccoglimento dell´unione con Dio, e lo spirito di mortificazione e di lavoro apostolico.
LIBRO IV
LA PERSONA
CAPITOLO I
La simpatia.
Le parole del Pontefice, ricordate alla fine del libro precedente, con alcuni tocchi di pratica realtà, ravvicinano a noi la piccola persona del nostro giovanetto, che ci si presenta viva e operante nella sua azione. E se la circostanza l´avesse consentito, non è da dubitare che non pochi, anzi quasi tutti, i commenti che vi si fanno alle virtù del Savio, avrebbero preso un consimile, ed anche più spiccato atteggia¬mento (i).
Voglio dire che l´attenzione alla realtà visibile e quotidiana della persona e del carattere nella vita vissuta si mostra necessaria ogni volta che si voglia effettivamente e concretamente intendere o spiegare che cosa fu quel vivere da Santo, che, dopo tutto, è il-dato essenziale di ogni santità. Come, al vedere il ritratto fedele di un personaggio, noi diciamo con Dante: « Or fu sì fatta la sembianza vostra ? » (2), e ri¬pensandone la vita, ci sembra di capirla meglio: così, per sentir più vera e prossima la santità del nostro eroe, è indispensabile (direi « quasi », ma senza convinzione) delineare la figura visibile e quoti¬diana dell´essere suo o, diciamo, il ritratto vivente.
Molte cose di più, se anche non tutte, si capiscono, quando la persona ci sta oggettivamente dinnanzi col suo aspetto, colla sua espres¬sione, colle sue maniere, con le abitudini e gli atteggiamenti, coi sen¬timenti; e, insomma, con la sua presenza fisica e con le manifesta¬zioni della sua indole propria e del suo carattere: tanto meglio se, come nel fatto nostro, e l´una e l´altre danno prova d´essere animate da uno spirito squisito di virtù. Nel Santo è bene vedere anche l´uomo ed è necessario vedervelo, se non si vuoi supporre che l´uno
(i) Se ne travede la tendenza in certi spunti e parole usate nell´accennare alla persona: per es. l´insistere sul piccolo, ma grande, ecc. (2) Par., XXXI, io8.
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e l´altro siano diversi e separati, e non anzi che il Santo sia l´uomo stesso che colla grazia di Dio s´innalza al sovrumano e al sopran¬naturale.
Volendo dir la cosa in parole più povere (che san poi le più co¬mode per farsi intendere) noi ci mettiamo in questa posizione: Se fossimo stati noi presenti all´Oratorio di Don Bosco quando c´era il Savio, quale l´avremmo veduto? Come ci sarebbe apparsa la sua per¬sona, il suo modo di trattare e di parlare, il suo diportarsi tra i com¬pagni e nella vita comune: che idea ci saremmo fatti della sua indole, del suo cuore, del suo carattere? E chiamati ad esprimere quel che pensassimo di lui, che cosa avremmo detto?
E abbiamo già bella e pronta la risposta. Noi avremmo ´ veduto, pensato, sentito, e avremmo detto precisamente quello che dissero i testi coevi e compagni rispondendo ai quesiti dei singoli Processi. Qualcuno, in sede di opposizione procedurale, osservò che veramente, a tanta distanza di tempi, i testi non potevano dare che notizie fram¬mentarie e fors´anche un po´ svanite: ma, oltrecchè non sempre è vero e non è di tutti, anche così, senza pretesa di sistema, esse no¬tizie sono vive e vere, e attestano un´impressione che neppur mezzo secolo era riuscito a cancellare o indebolire. Tantochè fu detto, in ri-sposta alla non pericolosa abbiezione, che, raccogliendo e ordinando quelle deposizioni, e neppur tutte, c´era da comporre, senz´altra fonte, uno splendido profilo di Santo, tale da bastare abbondevolmente ad una definizione canonica
La Vita scritta da Don Bosco appare tanto più autorevole, in quanto, senza mai soffermarsi a tracciare un profilo d´insieme, ne segna sparsarnente i lineamenti precisi e irrefragabili, concatenati e immedesimati coi fatti: sicché, quando ci si accinge a disegnarne la figura, mettendo insieme tutto quello che deriva dall´altra fonte, sem¬pre si trova, più che un riscontro, una medesimezza fontale, che di¬mostra come il santo Scrittore avesse presente il suo piccolo eroe, e come apparisse agli occhi suoi appunto quale gli altri lo videro. Non sono frequenti, o almeno non molto estesi, i tratti descrittivi dell´eto¬peia; ma gli spunti e i brevi accenni comprensivi gettano, come s´è veduto già di certe sentenze, chiara luce sul tutto, e valgono di buon tracciato per dar carattere alla figura. Si potrebbe dire, anzi, che, in grazia dell´esemplarità a cui mirava con quelle sue Vite, fosse in¬dotto a trattenersi di preferenza su ciò che nel suo giovanetto (e
(i) Non cito i documenti, che pure ebbi in mano, perchè stanno sotto riserva negli Archivi della S. Congregazione dei Riti. Modestamente, ci sta anche qual-, che mia pagina.
L-a 161
negli altri venuti dappoi) era virtù visibile, e cioè sui fatti e dimo¬strazioni esteriori: benché poi non abbia potuto esimersi dal se¬gnare anche quello che non era soltanto virtù esemplare, ancorchè eroica, ed abbia notato anche lo straordinario e il soprannaturale,
fino ai carismi proprii dei Santi, anch´essi, del resto, storicamente veri.
Al compito nostro è pertanto indicata e aperta la via dell´adem-- pierlo: raccogliere in sintesi tutta quell´ampia e molteplice somma di notizie che ci deriva dalle testimonianze dei Processi e dalle suggestive parole del santo Scrittore, per dare la sensazione viva della presenza del giovane santo nei fatti che compongono la storia e la prova della sua santità: vedere la persona di lui quale si offre al- lavoro inte
riore della santità stessa, che innalza l´essere umano all´essere dei Santi.
Chi bada agli schemi potrà pensare che, sotto altro titolo più lette¬rario, si voglia qui discorrere delle virtù morali, o naturali o infuse che siano, e, ad ogni modo, fuori del campo delle virtù teologali e dei carismi e doni soprannaturali. Non è precisamente questo il nostro assunto. Le virtù morali c´entrano anch´esse, appunto per la loro in¬trinseca connessione con la natura e il carattere personale nativo o acquisito: e non occorre sbandarci in dimostrare il nesso che tali virtù hanno con l´effettuazione della carità, che sta in capo ad ogni perfezione e n´è il principio vitale e indispensabile (i); ma esse non sono il tutto di una persona o d´un´esistenza, o, quanto meno, ogni persona le possiede, se ha un carattere, in forma e misura propria a se stessa: sicché l´articolo procedurale che le contempla, torna, pra¬ticamente, a far definire un aspetto del carattere stesso (a).
Dal che vede ognuno come non sia possibile, per questo aspetto, un parallelo, e anche meno un accostamento al tipo di S. Luigi Gon¬zaga. I due giovani santi (ma non si dimentichi, oltre al resto, che San Luigi mori a ventitrè anni studente di teologia, e diretto da una Re¬gola) possono assomigliarsi in certe cose e in taluni aspetti della santità; ma nel carattere personale e in ciò che ne deriva (anche per la diversità delle condizioni) non possono confrontarsi, se non per dire che son due personalità diverse come le loro due nature. Le figure . dei Santi differiscono tra loro come le fisionomie degli uomini, in terra e nell´Empireo.
(i) COLITIVERA-MARMION, OP. Cit., pag. 293-298. Cfr. ivi, pag. 295-97, dov´è spiegato s le service que les vertus morales doivent rendre à la charité ».
(z) C´è, p. es., l´umiltà in S. Francesco d´Assisi e in S. Francesco di Sales; possiamo dire che i due Santi siano umili allo stesso modo?
162,
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Vi è tuttavia un riflesso da non trascurare. Quando si studia il nostro « piccolo, ma grande Santo » nei fatti, si è costretti a vedervi attuazioni e attività di Santi non fanciulli. Sovente di piccolo non c´è che la figura fisica e l´età verde: mentre il fatto, l´azione e il senti¬mento che l´inspira è grande, da uomo fatto e da santo lungamente maturato. Non per nulla Don Bosco, scrivendo dei suoi giovani santi, è molte volte indotto ad osservare che essi fanno o pensano o sentono oltre la loro età, e in fatto di progresso spirituale avverte che quanto è per dire del suo giovinetto è cosa da persone provette e temprate da lungo esercizio di perfezione (i). Così, e più d´ogni altro, s´ha da pensare del Savio. Non c´è da insistere troppo sull´essere suo di fan¬ciullo o poco più, se non per ammirare la maturanza celerissima della santità, che fa di lui, a 15 anni, un « gigante dello spirito ». Sono i precorrimenti della grazia, alla quale non tocca all´uomo segnare i tempi. Che se di virtù s´ha da parlare, nel fatto nostro presente quelle che c´interessano sono soprattutto le virtù esterne. Grave errore sa¬rebbe il trascurarle nello studio anche d´un Santo, come se, per es¬sere virtù naturali, fossero estranee alla struttura spirituale e meno atte a disporre alle ascensioni ´superiori. La bontà, la gentilezza, l´affabi¬lità, la cordialità, l´apertura sincera dell´animo, la gratitudine, il ri¬spetto, la sopportazione, la puntualità nei doveri, sono riflesso esterno d´una soda spiritualità, e talmente congiunta con essa, che non le tra¬scura se non chi è proprio all´infimo grado del cammino di perfe¬zione: quel grado che, per lo più, rende antipatica agli altri troppa gente che vuoi essere pia (z). Noi sappiamo ch´è merito di S. Fran¬cesco di Sales avere rimesso in valore codeste virtù nella vita spirituale, seguendo i dettami di S. Paolo, specialmente nel Capo XIII della Prima Epistola ai Corinti: e gli Indici come gli Estratti delle sue opere sono ricchi, quanto nessun altro, dei richiami e delle sentenze che a tali doti si riferiscono (3). E 1´Introduction à la vie dévote n´è il docu¬mento principe. E la dolcezza vorremmo dirla una piccola virtù, e un affare di buon garbo piuttosto che di santa vita, quando la vediamo sublimata e glorificata in un Santo come Egli fu? (4).
(i) Cfr. Vita di Besucco Francesco, capo XXII, pag. 118 (ediz.
(2) FABER, Conf. Spir., I, I, pag. 16-17.
(3) Cito, perchè ornai rarissima, la utilissima Somme ascétique de St. Fr. de Sales, ecc. dell´ab. NESTOR ALBERT, Paris, Oudin Frères, 1878.
(4) Per la dottrina sovra esposta, cfr. FABER, Conf. Spir., cit., pag. 44-45, 47-52. — È in sostanza appunto la dottrina di S. Francesco dì Sales in: baro¬duction à la vie dévote, Parte III, cap. I e II, e generalmente in tutta quella
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E per non allontanarci da Don Bosco, non è forse uno dei più spiccanti caratteri ed anzi il tono stesso della salesianità (i), quello della santità casalinga, fatta cioè di forti ed elementari virtù, vestite e operanti nelle forme della vita ordinaria e nelle forme più ordinarie del vivere? (z).
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Il libro di Don Bosco, nella semplicità e candore della sua forma, conquista ogni lettore, perchè rende simpatico il soggetto: come le Mie Prigioni di Silvio Peffico hanno commosso tutti i cuori e, anche fuori della sentimentalità romantica, hanno attirato su di lui una cor¬rente di simpatia che non sarà mai cancellata. I due più caldi amatori del Savio, Don Bosco e il Cagliero, l´uno scrivendo, l´altro descriven¬dolo al Processo, hanno, senza usare per sè la parola, fatto sentire ad un tempo la simpatia ch´essi provarono e quella che, da lui spirando, per lui nasceva (3). Non è dubbio che in questo avesse parte l´affi¬nità di animo e di spirito; e se, quanto al santo Maestro, è già cosa più volte affermata, non è meno vera per il grande Missionario, che trovava nel giovinetto rispecchiata tanta parte di sè.
D´altra parte, e parlando molto umanamente, se nell´intenzione dello Scrittore della Vita il suo eroe aveva ad essere un esemplare di vita cristiana per i giovanetti, avrebbe potuto pretenderlo, qualora il modello proposto fosse pure un santo, ma un tipo meno attraente? Di santi più ammirevoli che attraenti ve ne furono sempre: ma il Santo Maestro ha insegnato e messo a fondamento la pietà simpatica, la letizia, la serenità, il sorriso, e Savio rispondeva meglio d´ogni altro all´idea. Forse nella mente di molti, anche credenti, l´idea d´un Santo è quella d´una persona incomoda in società e, come si direbbe, pe¬sante. Si è detto già che pel Savio bisogna allontanare codesta idea. Egli è una figura sorridente.
In realtà la prima e incancellabile impressione lasciata dal piccolo
parte, rimasta classica e storicamente rinnovatrice, « contenant plusieurs avis tou¬chant l´eXercice des vertus ».
(i) In questo senso Don Bosco è salesiano con S. Francesco di Sales, da cui deriva l´appellativo.
(2) È il concetto che m´è parso incarnato nel tipo della B. Mazzarello, e vi ho accennato in qualche mio scritto.
(3) Nessun rigorista vorrà far colpa al Santo Maestro dell´aver sentita tale simpatia. Don Bosco non fu mai così alieno dai sentimenti del cuore come vor¬rebbero certe astruserie pseudo ascetiche. Seppe essere figlio, padre ed amico, e voler bene teneramente. Se no, come sarebbe stato il creatore d´un sistema che si fonda sulla bontà e sull´amorevolezza? Non sentì forse Gesù simpatia per quel¬l´adolescente (Msnc., X, 21), e non vi fu un discipulus quem diligebat jesus:´
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erbe in quanti, poco o molto, Io conobbero, fu la simpatia. A scorrere le testimonianze dei. Processi, essa appare nel tono dei discorsi, che notano i particolari di fatti virtuosi e disegnano le belle abitudini con una tenerezza pari all´ammirazione convinta per la santità. Non possiamo qui trasportare, e basterebbero da soli, i discorsi del Cagliero: nel fondo dei quali i due motivi più forti del caldo suo sentire sono la maturanza della virtù in quel piccolo santetto (« piccolo » è sempre la parola che ricorre), e la serena e geniale ilarità, che in lui era natu¬rale, e che attirava subito le simpatie di tutti. Socievole e amorevo¬lissimo, mirabile coltivatore di bontà, virtù praticate piacevolmente, con facilità e spontanea volontà, serenità di animo, aspetto geniale ed ilare naturalmente, inalterabile carattere che appariva nativamente mite e pacifico e d´una dolcezza ammirabile; maniere belle e attraenti, umiltà schietta nel portamento e nel fare: in fondo a tutto, buon cuore e cor¬dialità generosa: sono i termini con che s´intesse il parlare del Grande amico (i).
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E che non sia solo il sentimento d´un amico, ce lo conferma con una parola un documento degli Atti: « un modo di agire così bello, che sí procacciava i cuori» (z). Citazioni consimili sarebbero infinite. Dice il Ballesio: «Umiltà naturale e congenita nella sua persona lo rendeva caro e simpatico a vederlo e trattargli insieme ». E il Piano: « Amico di tutti, era da tutti riamato » (3).
Io non credo di esagerare riconoscendo in codesta cara personcina una specie di fascino che avvinceva l´animo di ognuno che lo avvici¬nasse. Mi pare (e tanto più tue ne convinsi dopo la lettura dei Pro¬cessi) che con quello si possa e si debba spiegare tanta parte dell´irre¬sistibile potere di bene e d´apostolato ch´egli diffuse intorno a sè, e che gran parte dí quello ch´è narrato nella Vita non trovi miglior ragione che questa dell´indefinito nimbo di attrazione della sua per
sona.
È la persona d´un fanciullo (l´età non appare, perché è piccolo),
d´un caro fanciullo che vuol bene a tutti e tutti gli vogliono bene: di quelli a cui non si può non sorridere, perché sorride a tutti, e vi guarda con quei suoi occhi chiari e vivi d´un´allegria che vien dal cuore e dimostra l´amore, e dice parole graziose con un accento di bontà
(i) Somme cit.: cfr. specialmente pag. 57, toz, 174, 221, 278, 308.
(2) &min. cit., Docum. n. 11, pag. 474: Relazione a Don Bosco di Luigi
Marcellino.
(3) Semm. cit.: Ballesio, 306. — Piano, 84.
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semplice e nativa, che fascia l´anima di chi lo sente d´un´affettuosità calda e sentita, e alla quale si è quasi forzati a rispondere colla bene
volenza. Cose rare, e raramente continue, che in lui sono spontanee e naturali, come nel bimbo l´ingenuità, mentre una precoce assenna¬tezza, che regola il dire e il fare, rende tanto più bella e gentile l´espan¬sione della nativa bontà.
Queste creature sorridono. Non possiamo immaginarci il Savio se non sorridente. L´ineffabile sorriso della Santa di Lisieux, ch´è
rimasto un attributo della sua figura, e n´esprime da solo tutto il significato spirituale e mistico, risplende, giacché il sorriso è luce del volto, anche sul volto del nostro fanciullo: e se in quell´amabilissima tra le tante creature fu quasi un´invenzione creata da lei ad esprimere la sua intima e inoffuscabile gioia spirituale (i), e divenne, fra le -tri¬bolazioni per cui essa se lo venne formando, il suo vero e proprio eroismo: nel nostro Savio era la nativa fisionomia dell´anima semplice
e giocondante in Dio, e riuscì anch´esso eroico, quando rifulse tra le sofferenze del suo lento consumarsi e lo sconfortevole dileguarsi degli ideali della sua vocazione (a). Nel fondo, nell´intimo, era la gioia delle anime che sentono Iddio: nell´aspetto era il sereno limpido
e schietto della comunicazione, che traduceva l´amore e la bontà. Così l´hanno ritratto incancellabilmente quei che vissero con -lui,
e se la parola del « sorriso » non è di tutti, ne rimane però sempre l´espressione che .lo fa intendere: la perenne amabile allegrezza.
Con questo siamo ad uno dei lineamenti più caratteristici, tanto nell´umano che nello spirituale, del nostro Savio. Pensiamo ch´egli si decide a volersi far santo, perché si può farsi santi « anche stando allegri » (Cap. X), e che al Gavio spiega lo stile della Casa di Don Bosco, dicendo: « Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri » (Capo XVIII): ed avremo l´idea di quel che fosse per lui l´allegria. Ma questa era anche nativamente in lui. Era, come Don Bosco, un santo lieto e gioviale, di buon umore, nemico delle malinconie tanto dell´umore che dello spirito. Non ritorno a spiegare quanto sia prezioso codesto stato d´animo (3).
(i) Lo scrisse ella medesima di sè, che questa fu una grazia accordatale sui quindici anni, e ch´essa si era studiata di acquistare. Cfr. PETITOT, op. cit., pa-gina zoo, e per l´eroismo, Parte seconda, cap. III, 199-207.
(2) Vita, cap. XXI: « Tutti ammiravano la giovialità, la prontezza di spirito
l´assennat~a delle risposte di Domenico ». Era il consulto dei medici. — Ca¬po XXIII: » aria costantemente allegra, che non lasciava immaginare le sue sof¬ferenze... ». — Cap. XXIV: » la serenità del sembiante e la giovialità delle parole lo facevano realmente giudicare in istato di miglioramento ». Ed era per morire!
(3) Cfr. sopra, pag. 121-122, e pag. 155.
17 — CAVIGLIA, Don Bosco, ante. Voi. IV. Parte II.
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Qui la nostra attenzione si volge alla sua presenza tra il mondo • in cui vive. Dobbiamo dire ch´egli non è lieto solo per sé, ma porta in¬torno e diffonde ove compare la giocondità e la letizia, e induce al sorriso. È un guadagnatore di cuori, perché colla gioia li fa volgere a sé, e poi li volge dove vuole. Non è idea: mia: è la presentazione assidua che ne fa Don Bosco, il quale a codesta simpatia attribuisce le riuscite dell´apostolato (1). Ma poi è rimasta l´idea di tutti, che con universale consenso uniscono la nota della sua allegria con le notizie dei fatti e dello stile del suo vivere, e la vedono. come veste dei suoi atteggiamenti, e come fonte della simpatia e come indice di bellezza d´animo. E se vi fu mai chi abbia effettuato nella più larga e profonda comprensione e senza lacune il Servite Domino in laetitia, proposto da Don Bosco ai giovani fin dalla programmatica Prefazione del Giovane Provveduto, può ben dirsi che fu il Savio, il quale, come la Teresa di Lisieux, ne fece perfino una forma di eroismo (a). Se in tutti quelli che portarono la marca di fabbrica salesiana (ne ho detto altrove) questo segno non manca mai, nel Savio esso è nella freschezza del marchio originale.
(i) Vita, cap. XII: a La sua aria allegra, l´indole vivace, lo rendevano caro an¬che ai compagni meno arn.antì della pietà; per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che suggeriva ». Cfr. anche sopra, pag. 155 cit.
(z) La capiranno i pittori che Savio Domenico è un Santo sorridente? Così è riuscito nel ritratto ora restituito dal pittore M. Caffaro-Rore, e chiunque Io con-templa è obbligato a dire, prima di tutto: Caro e simpatico fanciullo!
CAPITOLO II
Il cuore.
Perchè in lui l´allegria non è solamente forma e colore, ma è parola dell´anima, che all´anima discende e la muove. Non è una veste, quale può usualmente vedersi nei tipi ameni e di buon umore, virtuosi o no che siano; ma sempre, nella memoria di tutti, è ricordata insieme e come un fatto dell´amabilità, bontà, buon cuore, semplicità e cordialità; sicchè gli accenni a questo carissimo tra i doni che Dio svolge nella natura appaiono non per un articolo particolare, bensì commisti e fusi con le altre memorie (t).
Vien pertanto naturale il volgerci a queste doti, le quali, nella vita vissuta, si palesano ad un tempo non solo come virtù, ma come modi di essere proprii del tipo personale. E mettiamo in primo piano, chè non si può altrimenti, la bontà e il buon cuore, facendo un po´ di forza per distinguerli.
La bontà, nella sua figura di affabilità, di amabilità, di dolcezza, di cordialità, è appunto nel Savio la potenza affascinante. Si può es¬sere pii, virtuosi, magari impeccabili: si può persino essere capaci di gesti generosi, e perchè no ? eroici, ed essere asciutti e freddi, e riu¬scire inamabili, perché manca la bontà. Ce lo dice nientemeno che San Paolo, nel celebre capo XIII della Prima ai Corinti (2). Non è facile definire la bontà. S. Paolo preferisce darcene una descrizione, sfaccettandola come un brillante, in quel tratto della suddetta Epi-stola che tutti conoscono (3). Ma in difetto di una definizione, pos¬siamo dire che la bontà si conosce soprattutto quando manca. E noi tutti abbiamo esperienza di persone, che avranno tante belle qualità, ma sono vestite d´una durezza e d´una freddezza che distacca da loro
(a) Il lettore mi dispensi dalle citazioni, che sarebbero troppe. Ricordo in particolare dai Somvz. cit.: Cerruti, pag. i8; Molino, 46; Cagliero, 103, 128, 174; e gente. t del Cagliero l´espressione citata dell´, aspetto geniale ed ilare i> (pag. 174), ed è nel titolo VII, De he-toica spe.
(2) Ep. I Cor , XIII, 1-3.
(3) Ihid., XIII, 4-7.
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e le rende increscevoli e pesanti, quando pure non fa prendere in ug¬gia la stessa pietà che professano (I).
Io dico della bontà come sentimento che inclina noi verso gli altri, e che si manifesta nei pensieri e giudizi, nelle parole, nelle azioni e nel tratto: potremmo dirla benevolenza, se la parola bastasse per tutte le buone azioni e disposizioni che vi s´includono o ne deri¬vano (a). Che questa bontà o benevolenza attraente e confortevole, quando si esercita appieno, non possa confondersi con un qualsiasi sentimento del tutto umano, e non possa scaturire da bassa fonte, ma attinga e sia ispirata soprattutto da fini soprannaturali, come pro-mossa dal tocco di Dio, ch´è la carità cristiana, è cosa tanto evidente che, se potessimo supporre un pagano interamente buono e benevolo, dovremmo crederlo dominato dalla grazia di Dio, e collocarlo in cielo, come ha fatto Dante di Traiano e di Rifeo (3).
Nel nostro Domenico la bontà è apparsa in ogni forma. Era affa¬bile e caritatevole: un esempio abituale di amabilità, tanto-che tutti,
i fanciulli specialmente, lo volevano, e per la benevolenza verso i compagni, chè non si rifiutava mai di fare qualsiasi piacere, si atti¬rava l´affezione di tutti: un vero modello insomma di bontà e carità verso ognuno; e non c´è da meravigliare se, nel deporre intorno alla caritas heroica erga proximum, il Cagliero ne ha intessuto un ampio e splendido panegirico, nutrito di fatti concreti e di riflessi sapienti (4).
Dei fatti una parte sono quei medesimi che la Vita ricorda e dei quali già più sopra si è detto, parlando dell´apostolato: una parte sono definizioni comprensive di abitudini: come quando si attesta: « non diceva mai parola o faceva atto che potesse disgustare i compagni, e perdonava qualunque sgarbatezza o affronto ricevuto »; oppure « era mirabile nel praticare le opere di misericordia » e che « ottenne per la sua virtù, buon cuore e angelico aspetto (si noti l) conversioni subi¬tanee di compagni di scuola e di adulti »; e che « molti, tratti dalle
(i) FABER, Confer., cit., pag. 17-18. Ma l´Autore ha parole assai più forti.
(a) Su questo tema rimane classica Ia serie delle quattro Conferenze Spirituali del Faber: op. cir., 1-55, L´A. ha sviscerata la materia sotto ogni aspetto umano e spirituale, con una compiutezza e acutezza difficilmente superabili. E dove espone il lato positivo della Benevolenza (il traduttore Mussa ha preferito questo termine a bontà), sembra ritrarre molto sovente il nostro Santino, e le idee del Santo Maestro.
(3) Par., XX, 43-48. (Traiano che a la vedovella consolò del figlio n);• 67-72 (Rifeo troiano). Per i concetti sono con FABER, op. cit., 2r-23. Ed è chiaro che, se la pratica di questa preziosa dote sta tutta nella citata descrizione di S. Paolo, essa non può essere considerata come un semplice fatto umano.
(4) Somm. cit. Cito per ordine: Piano, 38 (id.: Molino, 46; Melica, 47; Cagliero, 59); 1VIelica, 124; Conti, 225; Piano, 234; Roda, • 220; Cagliero, 221-225.
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sue belle maniere e candore del suo aspetto, venivano i giorni festivi per stare con lui » e che, povero com´era, « sapeva infondere negli al¬tri poveri l´amore del loro stato perchè voluto da Dio: sapeva insinuare ai miserabili, ammalati o rovesciati da infortuni, un naturale compa- -
timento che partiva dal suo cuore sensibile, e li portava a tutto sof¬frire per amor ,di Dio » (I).
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Tante altre sfaccettature di codesta gemma potremmo far ri¬splendere, ricavandole dalle testimonianze e, voglio notarlo, mostran¬dole già descritte nelle stupende pagine del mio solito autore. Le ve¬dremo in altra luce. Una, tuttavia, domanda di non essere differita, ed è l´umiltà. La bontà rende umili, non foss´altro perchè non vi ha cuore così bisognoso di benevolenza quanto quello ch´è egli stesso bene¬volo ad esuberanza (2). È un tratto dei più simpatici nella figura del Savio, e l´umiltà è uno dei titoli specifici del Processo (3). Ma non può affatto immaginarsi disgiunta dalla bontà, della quale è l´espres
sione elegante, così come la semplicità ne è Ia condizione. Sono qua¬lità della S. Teresa di Lisieux (4).
Il Nostro tutti Io ricordano, quasi colle medesime parole, come schivo d´ogni ostentazione ed esagerazione, dell´esteriorità, del met
tersi innanzi, del farsi vedere, del far sentire che fa il bene, e Io di¬cono la semplicità in persona, contrario ad ogni artifizio od inganno; parlano di naturalezza, di spontaneità e facilità nel praticare il bene, dell´operarlo in silenzio e celatamente: sempre modesto, senza mai
assumere quell´aria di superiorità, così estranea al genio della benevo¬lenza (5). Poteva dirsi che l´aspetto di lui nei gesti della bontà fosse
più quello di ricevere un favore che conferirlo, e come gli si facesse un piacere a lasciarsene fare. « Oltre all´essere il dono di sè, vi era
(i) somm. cit. È il panegirico del Savio fatto dal Cagliero: pag. 221-225. Nessun altro lo ha saputo descrivere come il Grande amico. Anche altra volta lo disegna: e Già da Iungi mi parve di vedere un angioletto, tanto era sorridente e di aspetto angelico, coi- suo volto pallidetto, occhi cerulei, aspetto celestiale, e dissi tra me: Ecco un angelo in carne, come S. Luigi s. Cfr. Somm., pag. 288.
(a) FABER, OP. cit., pag. 7. E LACORDA1RE: a La bonté e l´humilité sont presque une mérne chose. Quand Fon est bon, l´on se cent porté à se donner, à se sa¬crifier, à se faire petit, et c´est là Phumilité... Sovez bon, et vous serez humbles infaillib]ement a. Lettres à des jeunes gens, n. XVI.
(3) Somm., Tit. XVII: De heroica humilitate. E_viè citato il cap. XVI della Vita.
(4) PET11,13T, cit., pag. 151, § r.
(5) FABER, op. cìt., pag. 38. — Per quanto è detto dai testi, cfr. Somm., pag• 93-99; pag• 102, 125; pag. 178 e seg.; pag. 251 (Cerruti); pag. 248 (Cagliero).
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in quella bontà una maniera di donarsi, una grazia, che pareva trasfi¬gurare il beneficio: una trasparenza che permetteva di vedere il cuore e di amarlo: un non so che di semplice, di dolce, di spontaneo e pre¬veniente, che attraeva l´animo altrui ». Son parole di Lacordaire, che, leggendole, mi han fatto pensare al Savio, vedendovi espressa la deli¬catezza della sua bontà (i).
La bontà così descritta è, fino a certo punto, l´aspetto visibile: al fondo sta il cuore. Santi senza cuore non ce n´è, ed è il cuore che ha fatto di Don Bosco quello ch´egli fu ed è nella storia della Chiesa; così come senza di esso non esiste la salesianità, cioè quello spirito di vita che si rivela così genuinamente nel Savio. Dico del cuore per dire del buon cuore, della bontà che mette gli altri al posto di sè, e com¬prende tutte le forme, ossia tutte le opere e le azioni e i sentimenti e le maniere, con che si fa agli altri il dono di se stessi (2).
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Il tipo del Savio, tipo squisitamente pari a quello di Don Bosco, è quello dell´uomo di cuore e di buon cuore. Possono quei che lo conobbero aver scordato tanti particolari di virtù e di vita: ma, dallo Scrittore della Vita fino al più semplice e indotto autore d´un biglietto d´informazione (3), il ricordo e il sentimento che domina incancellato e vivo e palpitante, è quello del buon cuore di questo fanciullo. Don ¬Bosco ne sembra talmente dominato, che quasi non v´è pagina dove non lo faccia sentire (4): gli altri, tutti, a voce o in iscritto, se ne mo¬strano affettuosamente compresi. Come non voler bene a un fanciullo che voleva bene a tutti, .e che « giovane com´era, disse Don Rua, non viveva per sè, ma per il bene degli altri? « (5).
Appaiono in codesta attività del cuore tutte le maniere e gli aspetti in cui può esercitarsi e che il Savio esercitò; e a raccogliere quanto se
(i) LACORDAIRE, Pang. da B. Pierre Fournier; in Op. Orna., t. VIII.
(a) LACORDAIRE: a La charité est le don de soi A. Conf. XXIV di N. D., 1844. -- E ricorda il passo sopra citato.
(3) Alludo all´ingenuo, sgrammaticato biglietto di un artigianello, Duina An-tonio, da lui occultamente beneficato, che non ricorda altro se non due tratti di buon cuore, e nella sua schietta oggettività ha dei tocchi commoventi. Cfr. Somm. cit., Doc. n. 53, pag. 478.
(4) Vita, capo I, VI, IX, XI, XII, XVIII, XIX, XXI. I capi IX, XI, XII, XVI sono addotti nel Processo. -- Sarebbe qui il luogo d´innestare un riflesso suI valore che Don Bosco Educatore • diede al fatto dell´avere un fanciullo buon cuore o no. Ne discorro altrove (nel Proemio al Magone, e specialmente nello Studio sul Besucco). Qui ci troviamo più in su dell´ordinario fatto educativo.
(5) SOMM. cit., pag. 113.
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ne venne a sapere ci sarebbe da farne un´esposizione meravigliosa. Vi accenno per sommi capi, per venire a ciò che vi è di più proprio e caratteristico.
È pertanto il ragazzo servizievole con tutti, che non si rifiuta mai di fare un piacere a chicchessia; disinteressato e generosamente condi¬scendente, affettuosamente partecipe e sollecito delle pene altrui, fino a piangere perchè un compagno è castigato, e a levarsi il pane di bocca per darlo agli altri; ed è classico il gesto del prestare i guanti ad un compagno intirizzito, esso che patisce terribilmente i geloni, e di mettere sulle spalle d´un altro il pastrano, rude ma buono, _perché possa pregare con lui, ed egli è un povero esserino malato! E poi c´è, quasi obbedendo ad una vocazione, lo spendersi per insegnare ai giovani tardivi o ignoranti, e sacrifica le sue ricreazioni più necessarie per un illetterato (Garzena Carlo: la descrizione minuta di Don Rua è eloquente), o per qualche povero artigianello di cui si conserva l´umile scritto (Duina Antonio): e lo si vede sovente nei cantucci a spiegar la lezione o ripassare gli autori ai compagni, o in disparte ad insegnar la dottrina ed anche l´ abbia a poveri figli del suburbio, e di questa caritativa pedagogia è rimasta profonda la memoria e la riconoscenza (i).
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Su tutto, la sua gesta di carità è apparsa nelle tre figure del paciere, del consolatore, del generoso che perdona. La settima Beatitudine che i pacifici saran chiamati figli di Dio, e la seconda, che i mansueti (Beati mitesl) saranno i padroni della terra. Il fatto della pericolosa sfida a sassate impedita dal Savio col suo gesto eroico (Capo IX) si conclude,
nella Vita, con una raccomandazione ad ogni giovane cristiano di imitare quell´esempio « quando gli avvenga di vedere il suo simile in
atto di far vendetta od essere da altri offeso od ingiuriato ». E questa era una missione che il piccolo eroe si era assunta: sembra che, mentre era l´anima della ricreazione viva e rumorosa, e la vita delle compa¬gnie (2), avesse l´occhio attento ad accorrere dove fosse sorta una rissa o, tra gli amici, nascesse un diverbio (3). Cose naturali e consuete tra
(i) Somrn. cit., (per ordine): Conti, 21, 225; Ballesio, Piano, 216-217; Molino, 64; Anfossi, 229; Tosco-Savio, 217; Amadei, 227; Barberis, 226. Documenti: Rua, doc. 6, pag. 461: Duina, doc. 13. pag. 478; Reano, doc. 3, pag, 458; Vaschetti, doc. ro, pag. 474. — Le relazioni Rua e Vaschetti sono minuti ed eloquenti elogi della carità fraterna del Savio.
(2) Somm. cit., Don Rua, 8o; Cagliero, 59.
(3) Somm.: Cagliero, 59; ...e che evitassero ogni sorta di dissensioni, ingiurie e risse, e simili s.
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ragazzi, e tanto più in mezzo ad un ceto piuttosto grossolano e biso¬gnoso di civile educazione, com´era quello che lo circondava. Sicchè gli accadeva perfino d´essere ricambiato de´ suoi buoni uffici con in¬giurie e peggio (a). Valga una citazione per tutte: « Egli era certa¬mente il vero paciere di tutti noi. Appena avveniva che qualche di¬scussione si accalorasse, egli s´intrometteva, e cercava di calmare gli animi e rappacificare quelli che per avventura avessero qualche con-tesa» (z). Il nome di paciere era veramente il suo, insieme con altri titoli laudativi, che lo fanno dire al Cagliero: « mirabile nel coltivare la vicendevole bontà, carità e amorevolezza» e più oltre: « santamente industrioso: e insuperabile nell´esercizio della carità fraterna» (3). Egli infatti non ví si adoperava per un semplice bisogno di tranquil¬lità, come accade consuetamente: sibbene per un moto di buon cuore e di carità cristiana delle anime, e appunto se ne discorre sempre per attestare il suo zelo per il bene e impedire l´offesa di Dio, come per mostrare nelle sue varie figure la carità verso il prossimo e il buon cuore verso i compagni, che non voleva vedere turbati o afflitti o molestati: e i fatti stanno in prova degli atteggiamenti che tali virtù prendevano nella vita quotidiana di lui (4).
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Anche più alta, e genuinamente soprannaturale, era in lui la gene¬rosità del perdontn una dote di superiorità morale e di cristiana bontà, per la quale tutti rimanevano santamente affascinati per il piccolo santo. Tra ragazzi mille piccole cose valgono a conoscersi, e tutti sa¬pevano benissimo che la sua vivacità e l´aperta giovialità, come le spontanee e subite trovate del buon cuore venivano da un naturale vivo e sensibile, e pronto alle reazioni; glie lo vedevano in faccia quando, brutalmente ingiuriato e villanamente percosso (noi ne cono¬sciamo due casi classici (5), oltre a quelli generalmente fatti intendere dalla Vita e dai testi), stava un momento sopra di sè, colle fiamme al
(i) Somm. cit.: Francesia, 42; Melica, 47.
(a) Somm. cit.: Conti, 61. — Altri testi in proposito: Cerruti, 54; Francesia, 42; Melica, 47; Cagliero, 59-60; id., 174, 221.
(3)?Somm. cit., Cagliero, 59-6o.
(4), Infatti questa materia rientra quasi tutta sotto i titoli: De studiorum cur-riculo, etc., in Orat. Sa. (tit. 117); De virtutibus in genere (tit. V) ossia dell´eroicità; De fide (tit. VI); De spe (tit. VII); De caratate in proximum (tit. IX); e quanto all´offesa di Dio, in: De cantate in De:1771 (tit. VIII).
(5) Il fatto ricordato dal Francesia (cfr. sopra, pag. 15o, n. 3) e il fatto del Rattazzi (cfr. sopra, pag. r5t).
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viso, e poi, diciamo pure eroicamente, rispondeva con la parola: « Io ti perdono: voglia il Signore perdonarti!» (i).
Questo nei momenti più gravi. Ma era di dominio comune l´opi¬nione (e affiora poi nelle memorie rimaste) che tutte le altre asprezze della convivenza o non lo toccassero al vivo o non le curasse: più
ancora, e fu scritto, che vi avesse piacere, per sua mortificazione, al punto da far smettere i rimproveri che si facevano a chi l´aveva of
feso (2). « Savietto non se la prende mai » era voce comune. Ingiurie, grossolanità, male parole, dispetti, cartoni, violenze (e le cattiverie in quel mondo così misto non mancavano), se erano offese di lui, senza
miscela di. esplicita offesa di Dio, passavano senza traccia: non si of-fendeva mai, non reagiva, non ricordava, non ne parlava neppure a
Don Bosco: agli offensori non voleva male, ed anzi diveniva più gene¬roso nel far del bene: li amava, scrive un suo illuminato amico e con
discepolo, Mons. Piano! Erano i momenti in cui il suo sorriso dive¬niva irresistibile.
E non si creda ad alcunchè di esornativo letterario: ad ogni mia espressione potrei apporre la postilla d´una testimonianza (3). Non era possibile cancellare dai cuori la commozione, la tenerezza, che il piccolo eroe destava con la bellezza dei suoi gesti di perdono. II vo
lergli bene, a cui sí era così caramente forzati, si fondeva allora con l´ammirazione.
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E non meno con la riconoscenza, quando il cuore mostrava d´im-medesimarsi col cuore altrui, e sentiva le altrui pene, ch´è proprio l´essenza della bontà (4). Il consolatore, il confortatore, è uno dei più
affettuosi titoli dati al caro fanciullo. Don Bosco ha ricordato, con particolare attenzione, l´apostolato di bene ch´egli compieva coi nuovi
venuti, cogli attristati, coi timidi spaesati (Cap. XII): il ricordo di quella carità finissima ritorna nelle parole dei superstiti fin dalla prima
(i) Somm. cit.: Don Rua, pag. 232. Si noti come il misuratissimo Don Rua lo presenta come un fatto abituale, appunto come noi facciamo.
(z) Somm. cit., Docum. n. 4: Relaz. Piano (186o), pag. 46o: (. grande ed eroica pazienza._ giacchè essendo non solo disprezzato con parole, ma ancora con atti da alcuni suoi tristi compagni, oltre il perdono che loro concedeva di tutto cuore, li amava, e se alcuno loro sgridava per quell´atto, Ii difendeva a tutta possa, di¬cendo ch´era meritevole d´ogni insulto )5.
(3) Somm. cit. Principalmente: Piano, 38; Francesia, 42; Piano, 84; Melica, 218-219; Tasso, zar; Francesia e Cerruti, 22o, 234, 283; Cagliero, 223; Don Rua, 23o; Cerruti, 277. Nei Documenti: Bonetti, 470; Roetto, 477; Duina, 478.
(4) Dolores nostros ipse tulit. la. LII, 17.
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testimonianza, e si estende fino agli ultimi documenti allegati al Pro¬cesso (i). E se il consolare e rianimare gli afflitti era parte di quel¬l´apostolato delle anime che si era proposto, la tenerezza nell´accudire agl´infermi era, a detta di ognuno, una prerogativa dei suo buon cuore. Il Cagliero, nel tracciare il quadro dell´universa carità di lui, ricorda
che « era tutto sollecitudine per i suài compagni sofferenti e infermi, aiutandoli e confortandoli a sopportare con pazienza le infermità man
date da Dio, e servendoli in quanto poteva ». E non esita ad affermare che il chierico Savio, malato d´occhi nel 1856, confortato da lui, guarì per le preghiere dell´amico santo (z). Ed è un altro compagno dei più intimi, il Piano, il quale, all´encomio che tutti senz´eccezione danno al suo amico per cotale carità, aggiunge in prova che: « essendo io ammalato d´occhi, il Savio (Domenico) si privava della ricreazione per prestarmi i suoi servizi e per tenermi compagnia, rivolgendomi pa¬role d´incoraggiamento » (3). Bastava che vedesse un compagno indi¬sposto perchè domandasse al prefetto di camerata il permesso di assisterlo (4): in una parola, dice Don Rua, « occorreva che il Supe¬riore lo frenasse in tale pietoso ufficio, perchè non si privasse della necessaria ricreazione » (5).
Il suo stesso malfermo stato di salute gliene dava occasione. Allora, dice Don Bosco, « fra le cose in cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi, qualora ve ne fossero stati nella Casa ». E le parole che gli mette in bocca dicono la squisitezza dei suoi senti¬menti: « Io non ho alcun merito avanti a Dio nell´assistere o visitare gl´infermi, perchè Io fo con troppo gusto: anzi mi è un caro diverti¬mento ». L´Autore aggiunge che « mentre faceva loro dei servizi tem¬porali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spiri¬tuale » (Capo XXII). E la pagina continua con gli episodi. Qui noi possiamo coronare questa simpatica rassegna con le parole d´un´altra pagina del libro: « Per questo motivo tutti quelli che avevano qualche
incomodo di salute dimandavano Domenico come infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui. In
questa guisa aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo, ed accrescersi merito davanti a Dio » (6).
(i) Cfr. sopra, pag. 152.
(z) Ricorda pure il fatto, non la guarigione, il medesimo chierico nella sua lettera 13 dic. 1858. Cfr. Somm., Declar. n. I, pag. 453. — Ibid., dep. Cagliero, pag. 22r-224.
(3) Somm., Piano, 234.
(4) Somm., Anfossi, 229.
(5) Samm., Don Rua, 230.
(6) Vita, cap. XII, fine.
CAPITOLO III
Il costume quotidiano della vita.
Parole nelle quali vibra ancora una volta quell´onda di simpatia che avvolge tutta l´angelica figura del piccolo santo. Tanto più che, come disse egli medesimo, senz´accorgersi di rivelare uno dei bei se¬greti dell´anima, tutto ciò scaturisce spontaneo dalla sua mirabile natura, che, nel mostrarsi buona, ci ha « troppo gusto ».
Codesta simpatia e tenera ricordanza, che appare in tutti, perchè è il tono dominante della conoscenza che ne ebbero, non fu tuttavia mai disgiunta, almeno nei più prossimi a lui e nei più capaci d´inten¬derlo, dall´ammirazione per le altre doti di un carattere, che più tardi conobbero essere più che di fanciullo. Quella gioia intima che per¬meava tutto il suo spirito, e si esternava per l´allegria vivace e comu¬nicativa: quella semplicità e naturalezza onde si vedevano rivestite le azioni anche non comuni o facili a tutti, e i discorsi pieni di senso gen¬tile e pio: la serenità, la calma pressochè impensabile in un giova¬netto di quell´età, come non pensabile era l´assennatezza e la pru¬denza o, diciamolo, l´equilibrio dello spirito: la sensibilità poi della gratitudine e l´affettuosità elevata dell´amicizia: erano, a volta a volta, altrettanti motivi di riconoscere nel Savio una bellezza d´animo e di costume d´assai superiore a quella degli ordinarii buoni giovani, e del resto non posseduta interamente da alcuno. Certi giudizi, certe im¬pressioni manifestate dai testi, che allora erano ragazzi o poco più, ci danno a divellere che nel loro concetto quel vivace e buon giovanetto non era come gli altri, e il ricordare che fanno i particolari dell´una
o dell´altra maniera, dà segno che adunque attiravano la loro atten-zione e si fissavano nella memoria. È un rilievo di non secondaria importanza. Si tratta di piccoli fatti
o maniere della vita quotidiana, e, sovente, più del modo di fare le cose che non delle cose stesse, e son notate da fanciulli e giovinetti, che poi non hanno nè acume eccezionale nè esperienza della vita, da far dei confronti conclusivi. E di queste cose è materiato in molta
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parte il contenuto delle testimonianze, sulle quali si fonda il giudizio della superiorità morale e dell´eroicità, ossia della santità della vita vissuta. Occorre ancora ripetere, col Faber, che la vera vita spirituale e la santità della vita consiste nell´elevare al soprannaturale le azioni ordinarie e quotidiane, e che sta più nel modo di fare ogni cosa che non nel fare certe cose speciali e straordinarie? (i).
Questo è veramente il pensiero di Don Bosco quando, volendo in¬trodurre il racconto di « grazie speciali e fatti non comuni », fa notare che già potrebbesi chiamare straordinaria tutta la restante sua con¬dotta, quale egli è venuto descrivendo, e ch´è intessuta di « cose che presentano nulla di straordinario » (2).
· o o o
La più semplice ed elementare idea che potevan farsi del Savio, sta nelle parole d´un compagno artigiano, il Roetto: « Dacchè io lo conobbi mi feci un santo concetto di lui, e dicevo fra me: questo è proprio un giovane che ha un cuore ben fatto, e vive da buon cri¬stiano» (3). In tale sentenza s´accordano altri, con varie parole. Ed è singolare che, se vogliamo raccogliere le impressioni più immediate e comuni, sembra che l´attenzione dei giovani sia stata richiamata da atteggiamenti che per lo più non si rilevano come particolari: dico della giocondità e allegria tutta personale nella sua forma, e della serenità e calma, e, più ancora, della temperie o misura, ossia dell´as¬senza d´ogni esagerazione. Sono le doti che appaiono spiccatamente quando il tema degli articoli volge sulla vita di scolaro o, se può dirsi, di collegiale (Tit. IV): più ancora, quando si tratta delle virtù in ge¬nere (Tit. V), ossia dell´idea che se n´è prodotta vivendogli insieme.
Tra codesta singolarità è notevole l´osservare che fecero i più prossimi, che, nel dispiegarsi di quell´insieme di virtù, nell´apparire virtuoso, non si poteva pensare a « nessuna esagerazione od ostenta¬zione »i:(e lo dicono in due); e che « si studiava di menar una vita interamente regolare e senza esteriorità»; ed è una sorella che lo dice « mai_ esagerato nella pratica della virtù », eppure in famiglia e da Don Bosco, lodato come ammirabile; ed un coetaneo ne afferma la naturalezza senz´affettazione nella pratica del bene; fino al Cagliero che ne commenta la spontaneità e facilità e il praticare piacevolmente
(I) FABER, Progressi, cit., pag. 28.
(21 Vita, cap. XX, init.
(3) Somm., Declarat. n. 12, gag. 477. È un breve scritto, di singolare ingenuità di dettato, che ha servito a Don Bosco per scrivere la Vita. È intitolato: Doti dell´ottimo mio compagno Savio Domenico.
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le virtù. Sicchè il Sommario comprende tutta codesta serie (non ho citato tutto) nel titolo marginale: Modum numouam excessit (i).
E che una dote in certo senso negativa, e così facile a sfuggire al-l´osservazione, sia stata avvertita da giovani di quell´età, è segno che
doveva ben apparire nel confronto con l´apparenza di altri. La tempra
del piccolo santo era appunto la semplicità in persona, contraria a
qualsiasi artifizio o inganno o ipocrisia: noi diremmo nemica d´ogni
posa e d´ogni ombra di vanità; la semplicità dei veri figli di Dio, che
sono lieti della grazia che sentono vivere in sè, e consapevoli esecu¬tori dei suggerimenti di essa (z).
E poi, ´in brevissimo tempo, apparve, ossia fu compresa, la sere¬nità, la calma imperturbabile di quell´animo. Fu la dote, o virtù, ch´è
lo stesso, più singolare in Don Bosco: quella sulla quale tutti i discorsi di PP. Pio XI tornarono con maggiore insistenza e ampiezza, facen¬dola derivare dalla intensa e abituale unione con Dio (3). E non si può neppure pensare altrimenti pel nostro Savio. Se fosse vissuto, egli avrebbe in questo, come in altre cose, rispecchiato fedelmente il suo Maestro e affine nel tipo di santità. Non abbiamo documento alcuno a provare che tale virtù di carattere gli sia stata insegnata, se pure può insegnarsi e non è piuttosto un dono di Dio: ma, senza dubbio, il
Maestro e il discepolo sono, anche in questo, una figura Medesima in due specchi.
È una dote o una virtù che non sfuggì a nessuno, e fu tenuta come una prerogativa della sua persona. Sulla fronte del Savio non apparve
mai una ruga e negli occhi non lampeggiò mai il lampo dell´ira. San¬gue nelle vene l´aveva, lo dicono bene quelli che lo conobbero davvi¬cino, e lo dice Don Bosco (Capo XVI); ma, come diremmo, non montò mai fino alla testa. Anche nel dispiacere, nel disgusto, nell´energia del
l´opporsi o impedire il male e la bestemmia, o di fronte alle scortesie, villanie e violenze di compagni malcreati, o tra le sofferenze, talora
pungenti, e nella dolorosa consapevolezza della sua infermità e della fine non lontana, Savio Domenico si è incontrato sempre uguale, calmo, sereno, perfino sorridente. « La prima volta che vidi quel volto angelico attristarsi e piangere di dolore » dice Don Bosco,, fu quando perdette l´amico del cuore e dell´anima, il Massiglia. Ne dolorò a lungo, fino a patirne nella salute. Ma non fu turbamento: l´anima del
(i) Somm. cit., pag. 93-103. -- Testimonianze per ordine: Ballesio e Piano, 93, 94; Francesia, 95; Tosco-Savio, 96; Melica, 99; Cagliero (cit.), .102-103.
(a) Idee del FABER, Confer. Spir. cit., Tratt. III, sez. Semplicità: pag. 1q.4
158. Ma poi, chi ha visto, anche una sol colta, Don Bosco a pregare, sa che cosa sia la semplicità dei Santi. Io l´ho visto.
(3) Cfr. mio Profilo Storico, ediz. pag. 104.
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giovane santo trovò subito in quel dolore la via di Dio, e si nutrì di fede e di preghiera. Non son vietate le lacrime ai Santi: non a Gesù che piange l´amico Lazzaro, non a S. Agostino, non a S. Francesco di Sales, e non a Don Bosco, che piansero la madre: non a Savio Domenico, che Don Bosco fece ammirare nella santità del suo pianto di fanciullo.
Noi abbiam fatto sentire che, nell´aura di simpatia ch´egli moveva intorno a sé, l´angelica serenante presenza e la tranquillità dell´animo aveva gran parte, e ce lo conferma la frequenza e la concordanza delle espressioni che la rievocano, quasi sempre a prova della vitalità inte¬riore dello spirito di Dio. « Dalla serenità del suo animo e dall´aspetto geniale ed ilare che in lui era naturale, dice il Cagliero, deduco la sua intima e viva fiducia nella bontà e misericordia di Dio, e nella prote¬zione della Vergine e dei Santi... fiducia che non venne mai meno »
E continua, secondo il nostro proposito: « La semplicità del piccolo Savio era così patente e palese a noi, da arguire tutto il suo appoggio nella bontà e grazia divina: senza tener conto di alcun umano soccorso,
o della propria capacità, sempre fidandosi della Divina Provvidenza ». E tanto l´Eminente testimonio, quanto ogni altro, sono concordi nel dirlo sereno in volto, sempre calmo e ordinato, senz´averlo mai visto malinconico o abbattuto, nè impazientito, soffrendo con ilarità di animo e con calma le offese, e, come lo definiva Don Rua, « sempre calmo ed amabile, senza che mai abbia potuto vedere (e Don Rua era buon osservatore!) la sua fronte offuscata da tristezza o da collera »; una serenità che non si smentiva nelle sofferenze delle sue malattie, Che sopportava con pace e tranquillità e senza lamenti, serbandosi al¬legro, fino al punto che la sua serenità nelle ultime ore e nell´ora ul¬tima trasse in inganno i famigliari, il medico e il parroco, e il padre credette che avesse ripreso sonno, ed egli era spirato (2).
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A tutti codesti dolcissimi lineamenti, che rendono davvero ange¬lica, come fu detto dallo stesso Don Bosco, la presenza del piccolo santo, io credo che si voglia aggiungerne altri due, che fioriscono dal
(i) S0712172., Cagliero, 174.
(2) SOMM, cit. Testimonianze: Cerruti, 18; Ballesio, 93; Cerruti, 18z; Conti, 6x; Cagliero, 223 ; D011. Rua, 8o; Francesia, 171; Melica, 173; Cagliero, 193, Barberis, 177. — Dalla Vita: cap. XXIII: « avendo un´aria costantemente al¬legra, ninno dal volto poteva scorgere ch´egli patisse malori di corpo o di spirito a. Per l´ultima malattia, cfr. cap. XXV-XXVI. Cfr. sopra, pag. 165, n. z.
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Cuore e dall´anima, e ne sono la più nobile espressione: dico della gratitudine e dell´amicizia, sentimenti delicatissimi, che raggiungono, nel piccolo povero figlio del fabbro, un´altezza e finezza di sensi, e un´affettuosità virtuosa e gentile, propria soltanto delle anime più elette e generose degli uomini superiori.
Parrà singolare, forse strano, a chi non ha pratica di tali proce¬dure, che queste due doti (ma diciamole pure virtù, quali, nella loro forma più alta, sono veramente) siano ricordate sotto il titolo della giustizia (Tit. XI), dov´entrano l´osservanza dei doveri ed obblighi verso il prossimo, obbedienza, rispetto, riconoscenza, onestà, rettitu¬dine. Le esigenze della prassi canonica vogliono così, senza che ne venga nocumento al valore e all´indole dei fatti.
Volendo parlare della gratitudine, dobbiamo dire che, veramente, se s´intende della riconoscenza, essa è collocata a suo posto, giacché essa è, dopo tutto, giustizia. Ma qui non è solo conoscenza e adempi¬mento del dovere, bensì un sentimento vivente del cuore, del quale sentimento la riconoscenza è il principio necessario. Io vorrei qui ri¬portare le studiose sentenze del Tommaseo (un santo padre della lingua italiana), là dove nel suo Dizionario dei Sinonimi, spiega la distinzione tra riconoscenza e gratitudine (i). Non solo per farmi dar ragione del distinguere che faccio anch´io, ma principalmente perchè l´analisi acuta e positiva che vi si fa di tal nobile sentimento, sembra ritrarre fedelmente l´animo del Savio (a).
Se la riconoscenza è la rimembranza e la confessione del bene che ci si fa, e la si, esprime con rendere a chi lo fa le dovute osservanze, o, nel caso, il ricambio: la gratitudine è il sentimento che rende caro esso bene e caro chi l´ha operato, care le occasioni e i. modi di retri¬buirlo. É amare la memoria del beneficio e amare di farlo noto e di rimeritarlo. t insomma un´affezione che si desta nel cuore per il be¬neficio ricevuto, e che ci rende grato l´aspetto, il pensiero, la presenza del benefattore. La presenza di chi ha fatto il beneficio è sempre cara . alla gratitudine, sempre desiderata, e se, nel primo momento, questa non trova subito le parole, è abbondante di affetti e di quegli atti inimitabili che eloquentemente li esprimono, e del bene avuto ri¬porta in sè quella soavità che somiglia a tenerezza verso chi fece e
(i) N. TOMMASEO, Dizionario dei Sinonimi della lingua italiana. Ediz. prima, Napoli, 1859: n. 3154, pag. 72o-721.
(Z) Altrettanto potrebbe dirsi delle massime che S. Francesco di Sales esprime circa Ia gratitudine; le quali in gran parte concordano con quelle del Tommaseo (Opusc. spir., III, 38). Ma preferisco attenermi ad uno scrittore coevo e non re¬ligioso, per tenermi nel carattere di questa esposizione. È chiaro che l´una ra¬gione non esclude l´altra, anzi la conferma.
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volle il bene. E in un cuore ben fatto vive perennemente, e non può mai soddisfare a se stessa.
Sentenze autorevoli, che trovano, una per una, nella storia della Vita, come nella memoria dei coevi, la loro chiara ed effettiva rispon¬denza. Il primo incontro con Don Bosco ce ne dà un esempio. Quando il buon Padre gli ebbe detto che l´avrebbe accolto tra´ suoi, « non sa¬pendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e-la sua gratitu¬dine, mi prese la mano, -la strinse, la baciò più volte, e disse: Spero di regolarmi in modo che non abbia a lagnarsi della mia condotta » (Cap. VII). Quella tenerezza rimase per sempre nel cuore del fan-ciullo, e la persona, la presenza del suo benefattore gli riusciva santa¬mente cara e soave, elevandosi ad una venerazione religiosa, che univa la gratitudine verso l´Uomo con la riconoscenza verso Dio che glielo aveva fatto incontrare: un insieme d´intimi sentimenti, che si riflet¬tevano nelle sue parole e nella sua vita. Lo vedremo confermato dalle parole dei compagni. Ma tutto il libro scritto da Don Bosco è la prova, e quale prova! che la prima parola della gratitudine, che il fanciullo potè dire nella commozione del primo momento, ebbe_ nella condotta di lui il suo avveramento. E quello fu il ricambio ch´egli volle e seppe dare al suo benefattore.
- E se, come dice ancora quel forte_ pensatore, « a un maestro, qua¬lunque siasi, si deve riconoscenza e quindi rispetto, e a maestro amico gratitudine »; il nostro faceva tutt´uno dell´uno e dell´altro senti¬mento, perché i suoi maestri gli erano, e lo dissero, veramente amici; ed egli- li considerava spontanei benefattori dei poveri figli di Don Bosco e suoi, che li curavano amorosamente e a lui mostravano par¬ticolare affetto (Capo IX e Cap. XXVI). Essi, i maestri, non solo lo vedevano rispettosissimo e ossequente come nessun altro, ma lo sa¬pevano e sentivano veramente grato. Per questo il Prof. Picco ne sentì la mancanza e ne tessè l´elogio.
Per parte sua, Don Bosco educava a tali sentimenti i suoi figliuoli. E, se non a punta di sinonimi, nel fatto distingueva i due termini. Egli rimproverava nei suoi discorsi, e anche in qualche pagina scritta, il manco di riconoscenza, ed esaltava il buon cuore di chi si mostrava grato ai benefizi della vita e dell´educazione: per lui un ragazzo sco¬noscente ed ingrato non dà speranza di buona riuscita. E come nella Vita del Magone (cap. XII) s´indugia a descrivere i modi della gra¬titudine del suo monello di buon cuore (e anche questi rispondono alle sentenze del Tommaseo), così nella Vita del Besucco (cap. XVI) la lode per il buon cuore del rude Pastorello delle Alpi richiama al contrapposto dell´ingratitudine e del suo sconfortante significato.-
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Non meno visibile è la corrispondenza tra quelle sentenze e le parole degli antichi compagni del Savio. Tutti ne dicono-qualche cosa,
ma alcuni paiono inspirarsi a quei concetti. Due testi, a distanza d´anni, si esprimono quasi nel modo´medesisno. Don Rua (1908):
« Fui io stesso testimonio del rispetto e riconoscenza verso i pro¬fessori e superiori, parlandone con rispetto, lode e gratitudine, som¬mamente contento di poter mostrare la propria gratitudine col render loro qualche servizio ». E il Melica (1915): « Per dimostrare la sua ri¬conoscenza, parlava di loro con espressioni di lode, o ricambiava con qualche servizio, e pregava per loro, esortando i compagni a fare il
medesimo » (i). Significanti quelle del Cagliero: o Inappuntabile nel rendere omaggio di obbedienza e gratitudine: cercava anzi di preve
nire i desiderii, circondandoli di premurosa riverenza, che tanto era spontanea e naturale al suo cuore ». E più oltre: « La riconoscenza verso i suoi benefattori era grande, e la manifestava avvicinandoli con rispetto e venerazione, specialmente i maestri e il principale benefat¬tore, Don Bosco » (z). Vi è pure l´affermazione dell´altezza e religio¬sità del suo sentire: « Somma riconoscenza aveva e conservava per quanti gli facevano del bene: riconoscenza che in lui non aveva sem
plicemente un fondo umano, ma aveva origine da Dio, cui riferiva e derivava ogni cosa » (a).
E non mancano cenni più concreti. Per esempio, che « serbò sem¬pre riconoscenza per il suo Maestro Cappellano, che l´aveva promosso alla prima Comunione » e che « parlava sempre in lode dei maestri, specialmente del Bonzanino, del Francesia, di Don Picco, e nutriva un´affettuosa sconfinata riconoscenza per Don Bosco, sua guida, ve¬dendo in ciascuno un rappresentante di Dio » (4.). Più sensibile questo tocco di vita vissuta, datoci dal Francesia, che fu, giovane di dicias¬sett´anni, suo maestro: « Si mostrava sempre riconoscente verso chi gli avesse fatto qualche servizio; alcune volte, non potendo altro, li assicurava che avrebbe pregato per loro. Questo posso dirlo in modo particolare, perché, essendo quasi coetaneo, mi usava speciale defe-renza, non solo nella scuola, dov´era sempre rispettoso e docile, ma
anche nelle ricreazioni, dove quasi scomparivano le differenze so¬ciali» (5).
(i) Somm., D. Rua, 265; MAic2, 255
(2) Somm., Cagliero, 257.
(3) Somm., Cerruti, 256.
(4) Somm., Barberis, 258.
(5) Somm., Francesia, 262. — Allora ragazzi e chierici, ch´erano allievi più anziani, si davano del tu e si consideravano compagni. Il costume cambiò per ordine di Don Bosco, solo nel 1863, e gradualmente.
28 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
r82
Io invito il lettore a rileggere le sentenze con che ho preparato questa esposizione, e, confrontandole con quanto ho riferito, appari¬ranno la squisitezza, la gentilezza, l´affettuosità, la nobiltà dei senti¬menti del piccolo Domenico in una luce che non ci saremmo forse attesa, e che dà nuova bellezza alla figura di lui.
o o o
A codesta bellezza ne ho associata un´altra, non so se maggiore, ma:certamente più sensibile e più largamente appresa come fonte di simpatia: l´una e l´altra provenienti dal cuore, ma questa in modo più palese. Dico dell´amicizia. Un´anima bella, come fu il Sa¬vio, non poteva mancare di questa, che il Lacordaire chiama il ter¬mine e la ricompensa suprema delle virtù della giovinezza cri¬stiana (I).
E fu davvero nella stupenda psicologia del giovane santo la dimo¬strazione più pura e più profonda del suo essere, fatto di bontà, come un bisogno del cuore e dello spirito. L´amicizia è comunione di anime,
e senza tale comunicazione non può né nascere nè sussistere (2), e un´anima che sentiva in sè la gioia della grazia e lo spirito comuni¬cativo dell´amore più elevato, non poteva in sè sola contenersi, senza condividere con altre anime quello ch´essa provava, e comunicar con esse le proprie ascensioni.
Non si pensi con ciò ch´io voglia subito portar tutto ad un piano di ascesi, che nulla abbia che fare con la vita reale e col sentimento
e bontà umana. Quello ch´era umano e gentile sentimento della bontà nativa, l´apertura, l´affettività spontanea e calda del cuore, il simpatico piccolo santo non l´abnegò nè represse, ed anzi lo dispiegò anche più apertamente tra la serenità e la giocondità del suo vivere e del convi¬vere: ma lo volse ed elevò negli oggetti e nei fini, formando nel suo essere l´abito dell´amicizia cristiana e valendosene per l´unione spiri¬tuale. Amico affettuoso e carissimo, e desiderato da tutti, e tale che ciascuno poteva dirsi amico suo (3), nel tempo istesso più intimo e più
(a) e L´amitié est, dans le ehristianisme, le terme et la recompense suprème... des vertus de la jeunesse e. LACORDAIRE. S. Marie Madeleine, chap. I: De
de N. S. y. Christ. Invito a leggere tutto quell´aureo capitolo, ch´è ad un tempo un inno all´amicizia e un profondo esame della vera amicizia cristiana. Paralleli a tali pagine sono non pochi punti delle Lettres à des jeunes gens: cfr. spec. Lett. 7,
35, 41, 42, 63, 81, 83.
(z) FRANCESCO DI SALES, Introduci., cit., P. III, cap. XXII. Cfr. perfino ARI
STOTELE, Etica, VIII.
(3) Somm., Piano, • 8.. e z93, cit. sopra.
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sentitamente affezionato con quelli ch´erano più aperti alla comunione delle idee sante coltivate nel cuore.
C´è di più. Codesta bellezza morale, che fu nel Savio l´istinto e lo spirito dell´amicizia, dovette apparire in lui quasi un contrassegno,
o un lineamento così spiccato e personale della sua figura, che Don Bosco non potè non fissarvi lo sguardo e farne, nello scrivere la Vita, un tema di speciale considerazione. Si noti. In nessun altro dei gio¬vanetti santi, dei quali scrisse i Cenni (i), egli notò questa dote come un fatto speciale: solo per il Savio (che, come sarà detto a tempo suo, è per lui il più vero modello e, salvo il giudizio di Santa Chiesa, un santo autentico, il suo santo) ´solo per il SaVio sentì il bisogno di fer¬mar l´attenzione dei suoi giovani lettori sull´amicizia e sulle amicizie, e, oltre gli accenni antitetici del Capo V e del Capo XII, e quello predisponente del Capo XVII, dedica ben due capitoli, il XVIII e il XIX, a parlare delle « Sue amicizie particolari », fissandosi poi spe¬cialmente su quell´è da lui avute col Gavio e col Massaglia. E poichè il libro ha, insieme con l´intento celebrativo della santità, quello del¬l´edificazione, e cioè d´insegnare con l´esempio, quest´esaltazione e commento delle amicizie riesce ad una dottrina di esemplarità. Il pensiero del Santo educatore è, in questa materia, quello di S. Fran¬cesco di Sales. Tutti conoscono le classiche pagine della Introduction à la vie dévote, rimaste a fondamento d´ogni sensata trattazione del¬l´argomento, sia nel campo morale, come nello spirituale ed asce¬tico (2). Così Don Bosco non rigetta l´amicizia e ne riconosce la ne¬cessità per sostenersi nella vita morale ed aiutarsi nel progresso dello spirito; e ciò che inculca nelle sue massime, come ciò che loda nel suo piccolo grand´eroe, corrisponde esattamente alla dottrina del suo Pa¬trono. Estrarre dal Sales le sentenze capitali e collegarle idun profilo teorico è, come abbiam fatto delle sentenze del Tommaseo, delineare i sentimenti e la condotta del Savio.
o o o
Vi è innanzi tutto il fatto della scelta tra le amicizie buone e le cattive o pericolose, tra buoni e cattivi compagni, spiegata nel capo V e ribadita nel Cap. VIII della Vita (3); vi è espresso il precetto di
(a) Alludo alla Vita (Cenno biografico) di Michele Magone, 1861; e al Pa¬storello delle Alpi ossia Vita del giovane Besucco Francesco, 1864. E, se si vuole, al Pietro, ossia la forza della buona educazione, in quella parte (la sola storica) dove si inserisce il profilo di Giuseppe Morello; 1855.
(2) TANQUEREY, op. cit., n. 395-599.
(3) SALES, Introd., cit., P. III, cap. XXI-XXII.
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amar ognuno di grand´amore di carità, come ben faceva´ il giovanetto suo, tutto buon cuore; ma aver amicizia solo con chi può comunicare negl´intenti virtuosi, e aiutare nelle cose dello spirito, sì che più sa¬ranno elette le virtù, più unanime e profonda sia l´amicizia (i); ed oltre alla bontà amichevole e alla piena carità verso tutti, e le opere buone da ,questa ispirate (le abbiam viste nel Savio), questa vera e autentica sia l´amicizia spirituale che lega le anime in una comunica¬zione particolare di virtù e di perfezionamento (a). E Don Bosco ne fa argomento espresso nel suo capo XVIII, ricordando, sì, l´amiche¬volezza del suo alunno, ma subito venendo a presentarvi «i suoi amici _particolari », che vorrebbe nominare e non può, perché tuttora pre¬senti, e coi quali, appunto come dice il Santo Dottore, « si tira in di¬sparte », per soccorrersi, aiutarsi e assicurarsi scambievolmente (3) nell´opera del proprio profitto. Con questi che non nomina Don Bosco, ma che noi conosciamo benissimo, e più ancora col Gavio e col Mas¬saglia, si avvera quell´intera comunicazione delle anime, dell´una nel¬l´altra e con l´altra, di cui il Maestro della spiritualità moderna si esalta (4) e dimostra la necessità e la bellezza (5), mentre Don Bosco ne fa sentire la presenza e la preziosità nel tratteggiare in un commo¬vente capitolo, il XIX, l´intimità e la santità dell´amicizia tra il Savio e il Massaglia. Anime di santi, fatte l´una per l´altra, e scambievol¬mente necessarie a completarsi nelle ascensioni verso le vette della santità: sì che mancando l´una, l´altra, quella del Savio, si sentì come dimezzata, e sopravvisse (non molto, per vero) perfezionandosi in¬tanto nel ricordo di quella vita unanime in Dio, nell´attesa di rinno¬varla quanto prima.
Così era vissuto Don Bosco col suo Luigi Comollo, e quell´ami¬cizia, quella vita di due in uno, rimasta per sempre scolpita nel primo libro uscito dal cuore del Santo amico, lo preparò a comprendere tutto il significato e il valore delle amicizie del suo alunno. Anche il giovane Don Bosco, tra la vita regolamentare e raccolta d´un Semi¬nario, aveva sentito il bisogno di « tirarsi in disparte » con pochi, due o tre, per sostenersi e avanzare nel bene, e con uno, particolarmente, aveva´ condivise le più intime comunicazioni spirituali. Noi cono¬sciamo il santo consorzio dei quattro seminaristi di Chieri, Bosco, Comollo, Giacomelli, Garigliano, e sappiamo quale fu la virtù, varia ma solida, ch´essi dispiegarono nella vita. E, ancora una volta, ritorna
(t) Op. cit., cap. XVII, XVIII e cap. XIX, pag. 2.03-204 (ed. Nelson). (z) Op. cit., pag. 204-205.
(3) Op. cit., pag. zoè. — , Se tirer à part > è la frase.
(4) Op. cit., pag. 204.
(5) Op. cit., pag. zo5-zo6.
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il pensiero del Sales, quando parla « de spirituelle, par la
quelle deux ou trois ou plusieurs ftmes se communiquent leur dé
votion, leurs affections spirituelles, et se rendent un seni esprit entre elles » (i). E l´aureo capitolo insiste sul fatto che tali amicizie o comu¬nioni d´anime sono di lor natura particolari; ma la partialité che ne viene è, nel caso, « une partialité sainte, qui ne fair aucune division, si non celle du bien et du mal, séparation nécessaire » (2), e reca l´au¬torità di S. Tommaso, non solo per dire che l´amicizia così intesa è una virtù, ma ben anche per confermare che l´amicizia perfetta non può estendersi a molte persone (3).
Credo superfluo l´osservare che questo fatto delle amicizie parti¬colari non ha che vedere con le affezioni ed intimità morbose degli adolescenti, e con le precauzioni della convivenza egualitaria della vita conventuale, specialmente nel periodo di formazione. Questa se¬conda eccezione è già proposta dal medesimo Dottore (4), ed è con¬tinuamente richiamata da tutti i trattatisti di spiritualità: benché per i religiosi maturi ammettano una mèno stretta dottrina (5). Quanto alla prima, se non è contemplata espressamente con tal nome, è in certo modo inclusa, per la sua affinità, nelle trattazioni degli altri cinque capitoli, particolarmente nel XVIII, dov´è detto delle ami¬cizie morbose (6).
Don Bosco, e come educatore e come fondatore e Maestro d´una Istituzione religiosa a scopo educativo, ha seguito, e con giusta com¬prensione, le massime del suo Santo Dottore. L´indole di questo studio non consente d´indugiarci sulla particolare e specifica peda¬gogia della convivenza educativa, quale scaturisce dai documenti pe¬dagogici e dalle tradizioni pratiche del Santo, ch´è detto Padre e Mae¬stro dell´Adolescenza. Ma dalle pagine stesse della Vita che stiamo studiando, appare ben chiaro tanto il precetto della discriminazione tra i compagni buoni e men buoni, quanto il tipo del minuto aposto¬lato dei buoni; condotto, per sua indicazione, mediante amicizie tem¬poranee, che diremmo a programma, e cioè intese a ricondurre sulla
(I) Op. cit., XIX, pag. 204. (a) Ibid., pag. 205-206.
(3) Ibid., pag. 207.
(4) Op. cit., pag. zos.
(5) TANQUEREY, sgg.
(6) Op. cit., III, cap. XVII, XVIII, XX, Il capo XVIII: Des
amourettes. — I precetti della Imit. Christi ci stanno per chi vive la stretta vita
monastica (cfr. lib. I, c. van; lib. II, c. ibid, c. tx), e c´entrano qui solo per
l´aspetto negativo. Da consultarsi: PJERRE MENDOUSSE, L´ame de l´adolescent, lib. II, cap. I, pag• 53-SI.
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buona strada gli sviati (ce lo dice al Capo XVII, e per il Savio, al Cap. XVIII); così come, con cuore di uomo e saggezza di educatore, non disapprova nè contrasta la naturale amicizia tra compagni, quando si dimostra innocente e vantaggiosa: la incoraggia anzi, e la loda quando la cordialità e la familiarità, il volersi bene (anche questo fu attestato del Savio), sono un contrassegno di sana bontà, e l´amicizia dei due o tre diventa una lega del bene. Non era forse questo, in più largo campo, lo scopo delle sue Compagnie, e prima e soprattutto di quella dell´Immacolata Concezione, promossa dal Savio stesso ? (i). Alle astrattezze troppo ascetiche della disimpersonazione Don Bosco non ha pensato mai (forse non credette neppure alla possibilità ed all´effi¬cacia di essa), nè per i suoi giovani, nè per la sua stessa istituzione religiosa. E mi duole non aver campo di spiegarmi più oltre.
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Così il Santo Maestro ha innalzato l´amicizia del suo santo alunno a tipica esemplarità. Non c´è in tale presentazione nè amplificazione nè adattamento didascalico: c´è il cuore nella sua natura gentile, collo¬candolo nella sua più vera luce d´una calda affettività, posta a servigio della virtù e dell´ascesa spirituale. Caro fanciullo e caro santino!
Le vedute del Maestro si riflettono nella memoria dei discepoli coevi, i quali a lor volta non poterono non essere attratti da quella personalissima prerogativa del compagno santo, che per essa appunto era loro amico particolare. Nelle loro parole l´amicizia del Savio si colora in vivi particolari e si concreta nei nomi di quelle persone che Don Bosco dice di non poter menzionare per varii riguardi, allo stesso modo che i superstiti non nominano se stessi, benché lo facciano poi intendere altrimenti. Nomi ripetuti da tutti sono quelli di Bonetti, Bongiovanni, Durando: altri ricorda il Rua, il Vaschetti (ancor vivente al tempo del Processo) con Anfossi e Piano: per non dire del Massa-glia, già messo in luce particolare nella Vita (z). Ma quei che li ricor
(i) Un´osservazione, che raccomando al buon senso di chi legge. Gli amici più stretti del Savio (Massaglia, Gavio, Rua, Cagliero, Bongiovanni, Bonetti, Du¬rando e qualche altro) erano maggiori di lui di parecchi anni e, fisicamente, dei grandi, mentr´egli era un piccoletto non senza grazia. Ordinariamente c´è da badare a codeste amicizie, e vigilarle o impedirle. Ma anche in questo la scuola di Don Bosco insegna a non tirar giù, tocca a chi tocca. Che ne sarebbe avvenuto nel caso del Savio ?
(2) Somm.: Francesia, 41; Cerruti, 54 e 292: D. Rua, 26o; Cagliero, 195, e a. Io che scrivo ebbi la fortuna di conoscerne parecchi, e non da lontano: D. Bo¬netti,- D. Durando, D. Francesia, D. Cerruti, Mons. Anfossi, Mons. Piano, e,
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dano sono Don Rua, il Cagliero, il Francesia, il Cerruti, rimasti con Don Bosco dopo di lui a continuarne l´opera e lo spirito: sono il Piano
e l´Anfossi, che portarono nel clero torinese Paura allora respirata, e che dell´amicizia del Savio si gloriarono sempre. Di tali era composta la Compagnia dell´Immacolata, dove, come dice la Vita, il Savio aveva i suoi amici particolari (Cap. XVIII) (i).
Sono questi superstiti che nelle loro parole ci fanno quasi toccar con mano come si manifestasse nel Savio l´amicizia. E se l´Anfossi, anticipando di otto anni le parole del Cagliero, ci fa sapere che, man¬tenendo coi compagni i rapporti più amichevoli, adempiva ogni do¬vere di convenienza (z); il Piano, che si professa di lui « amico mentre viveva, e dal medesimo riamato sinceramente (e Io considera pur sem¬pre come un Patrono e ne tiene l´immagine sullo scrittoio) », dopo aver ripetuto anche una volta ch´era « amico di tutti e da tutti riamato », soggiunge: « peri) posso assicurare che la sua amicizia era rigorosa-mente cristiana e non ispirata da motivi sensibili » (3). Come appunto ci si fa intendere nella Vita. Ma ciò non significa che da quella fosse assente una calda affettuosità. E piace confermarlo con le ponderate parole di chi sapeva di rendere appieno il sentimento di Don Bosco, ed è l´austero Don Rua. Dice: «Era prudente nella scelta (degli amici), ma poi molto fedele e costante nel rendere quei tratti di familiarità che, senza ledere per niente il buon costume, servono a mantenere vivi i vincoli della fraterna carità » (4). Cioè il caro Savietto non temeva di far male con qualche gesto amabile e carezzoso, dal quale esulava ogni senso men che innocente, ma che esprimeva la tenerezza della sua affezione.
Quell´affezione che si definisce da sè nella squisitezza d´un senti
naturalmente, Don Rua e il Cagliero (che mi vollero un gran bene!): e Ii conobbi dalla loro mezza età fino al termine di loro santa vita. Al Piano e all´Anfossi sono anche debitore di carissimi tratti di bontà.
(i) Singolare: il Francesia non vi appartenne mai, e n´ebbe notizia vaga e tardiva, come appare dalle sue deposizioni. DeI Savio era amico, e lo dice; ma forse l´essergli «maestro a non consentiva l´intimità e confidenza che poteva in¬tercedere con gli altri. Ne abbiamo parecchie prove. Tra persone disuguali (cfr. Somm., pag. 262, dep. Francesia) vi può essere affezione, non vera amicizia. Lo diceva già S. Girolamo, nel Comm. a S. Matteo: Amicitia parem aut facit aut accipit, con quel che segue.
(z) Somm., Anfossi, 259: Cagliero, 257.
(3) Ibid., Piano, 84, 398, 293
(4} Somm., D. Rua, pag. z6o. Dell´amicizia sua col Savio dice (pag. 392): e Durante la vita del S. di Dio fui legato con Iui di fraterno affetto, e fin dalle
prime settimane di sua residenza all´Oratorio concepii grande stima... che andò crescendo quando fu istituita la Compagnia dell´Immacolata (di cui il eh. Rua fu confondatore) a.
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mento profondo e interno che vuole non estinguersi mai, nè saprebbe far senza di coloro a cui s´è appreso, e che Don Bosco, artista più di cose che di parole, ci rivela con un tocco magistrale (Cap. XXII). Quando l´angelico fanciullo, ormai certo della sua fine imminente, sta per lasciare l´Oratorio divenuto casa sua, egli pensa alle persone più dilette, e domanda a Don Bosco: « Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni dell´Oratorio e i miei genitori? ». E rassicurato che si, soggiunge: « Potrò venire a far loro qualche visita? ». Oh piccolo ca¬rissimo santo? chi ti ha fatto dire codeste parole se non il tuo tene-rissimo cuore?
CAPITOLO IV
Carattere.
In una nota di simpatia, per avventura la più tenera e compren¬siva, si assomma adunque tutta l´attraente umana bellezza di un´anima, come quella del nostro santo giovinetto, composta di amore appren¬sivo, che in sè accoglie e attorno a sè diffonde ogni raggio della pre¬ziosa gemma della bontà (t). Ciò vuoi dire che, presentandocisi la persona del Savio, si desta in noi spontaneo e irresistibile il fascino che spira dalla bellezza del suo animo. È gran cosa per un Santo, e quasi tutto per un Santo giovane, quasi fanciullo, dal quale non ci attendiamo, umanamente, le forti cose dei Santi adulti e ma¬turati.
Eppure nel Savio appaiono anche queste. Lascio per ora, senza escluderlo, quel ch´è proprio delle sfere superiori della grazia di Dio, e mi attengo agli atteggiamenti e virtù umane. Il nostro giovane, come s´è detto, è appunto singolare, anzi meraviglioso, perchè in così verde età dimostra un´altezza e un´energia di spirito propria del¬l´età matura. È non solo un essere gentile: è anche un forte. Ha un carattere.
E voglio dire, non già come comunemente s´intende, d´un tempera¬mento rassodato dalle abitudini, buone o no che siano, e divenuto costante o, se accade, incorreggibile: il temperamento e l´indole sono una cosa, il carattere morale è un´altra: è l´abitudine di volere e di ope¬rare secondo determinati principii, e qui si vuole forza e tenacia di volontà (a).
Che nel Savio i principii, che regolano il suo volere e il suo ope¬rare, siano quelli delle virtù morali e cristiane, non c´è da mettere in dubbio; e l´eroismo a lui riconosciuto dal Magistero della Chiesa sta
(i) Cfr. sopra, la citaz. da S. PAOLO, I Cor., XIII, 3-7.
(2) Si può citare Kant? Ebbene, sono concetti suoi: cfr. Krit. der reinen Ver-nunft, ed. Recluti, 433.E Critica della ragion pura1
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appunto nell´eccezionale forza e costanza della volontà, protesa a conseguire le virtù medesime.
Ma, contemplandolo al modo che finora abbiam tenuto, per far¬celo più prossimo, più reale, più vivo di vita pratica e quotidiana, quale del resto è ricordato dalla maggior parte di quei che lo conob¬bero, il senso della figura morale, che noi chiamiamo carattere, ci si appresenta con spiccate note personali, che lo distinguono in indi¬viduo e, se è lecito dire, lo fanno essere lui.
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Tali note di carattere sono intanto comprese tutte in un fatto pri¬mordiale, che sta come fondo comune, ed è, per l´età giovane soprat¬tutto, meraviglioso e, se non incredibile, certo impensabile. Dico di quella impeccabilità indefettibile, che fece stupire tutti i conviventi col Savio, e fu affermata nelle forme più assolute da tutti, a cominciar da Don Bosco. Nel senso spirituale è opinione che non abbia mai com¬messo ombra di peccato, non solo grave, che nessuno suppone, ma neppur leggero, ossia veniale, deliberato. Fuori di questo, e pratica-mente, è parola di tutti, che in Iui non si poteva trovare alcun difetto. Ed io domando quale presenza e dominio di sè, quale costanza, quale, insomma, forza e tenacia di volontà si richieda, in un giovanetto che muore a 15 anni, per vivere così, e se possa volersi dì più per dirlo e definirlo eroico!
Ebbene, è lo stesso Don Bosco che ce lo dice. Al Capo XIV esce in una affermazione che, ancor più dal punto in cui la colloca, ch´è quello della purezza di coscienza voluta dalla Comunione quotidiana, prende un valore supremo, congiungendo il pratico umano coi valori spirituali. Dice: « La sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se ne´ tre anni, che dimorò fra noi, avessero notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire: ma tutti furono d´accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione, nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui ».
Don Bosco dice iI vero. Quei ch´egli aveva invitato a dire del Savio, e dei quali riferisce la sentenza, sono precisamente quelli che nei due Processi Canonici hanno detto la cosa medesima: non perché letta nel libro, ma perchè già detta da loro affinché Don Bosco la scri¬vesse nel libro. E l´han detto quasi colle medesime parole, aggiun¬gendo, secondo l´incidenza del discorso, ch´era « opinione di tutti », « voce comune », e che « nell´Istituto si riteneva da tutti ». E Don Rua,
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sempre così misurato nelle sue affermazioni, include il tutto in una sentenza anche più forte: che cioè, quanto alla fama postuma di san¬tità del Servo di Dio, « tanto meno si cercò di occultare i difetti: giacchè, se tutti i suoi giovani compagni, si diceva fin d´allora, si fos¬sero -messi insieme per trovarne alcuno, non avrebbero potuto riu¬scire » (i).
Non riferisco le attestazioni degli altri: sono una quindicina i testi coevi, e uno, Mons. Tasso, posteriore appena di cinque anni (a): di questi ben dodici affermano l´assoluta assenza d´ogni difetto anche minimo: cinque aggiungono esser quella l´opinione comune: sette vanno nel campo spirituale, escludendo anche ogni venialità volon¬taria. Non ne parlano quei pochissimi che su tal punto non furono in¬terrogati o non conobbero abbastanza la vita dell´Oratorio; mentre, presso i testi posteriori, si trova riaffermata la fama primitiva, quale ancora, e più viva e determinata, durava nell´opinione.e nei discorsi di Don Bosco (3).
E perchè non si creda ad una suggestione divenuta generale per il diffondersi d´una frase fatta (come capita, in bene o in male, nelle collettività e, purtroppo, anche nelle comunità), ci sta il fatto che quel
·l´idea di perfezione del Savio veniva messa in confronto con l´inecce¬pibile esemplarità del chierico Michele Rua, allora giudicato « mo¬dello di perfezione », col quale si diceva che il Savio gareggiasse e gli stesse alla pari (4). Ed anche l´altro fatto, che il Nostro non figurava l´unico santo giovane dell´Oratorio, ma si riconosceva comunemente che altri ve n´erano (lo nota anche Don Bosco), benché tra quelli il Rua e il Savio avessero il primato, e, se dobbiamo dirlo, il piccolo santino, più lieto e più amabile, raccogliesse maggiori simpatie (i).
Ed ora, caro lettore, mettiti in presenza di questo gentile, lieto, vivace, amabile giovinetto, e pensa ch´egli non manca mai, che non ha un difetto, che se c´è una virtù, egli la possiede: e dimmi se tu non vi senti il sovrumano, e non sei tentato a venerarlo come un essere « ve¬nuto di cielo in terra a miracol mostrare » (6).
(r) Somm. Proc. Ordire., D. Rua, pag. 394•
(2) Dei 28 testi (m + 18) citati, sette comparvero anche al Processo Aposto¬lico, sicché sono 15 testi su 21 che qui si adducono. Gli altri o sono posteriori,
o estranei all´Oratorio, o non vogati. Naturalmente tutti han parlato bene del Sa-vio: ma qui si citano le attestazioni formali del fatto. Indicare nomi e pagine delle singole testimonianze, mi parrebbe qui inutile pedanteria.
(3) Somm., Barberis, 598.
(4) Somm., Conti, 61 e 104.
(5) Somm., Baliesio, 371; Tasso, 56.
(6) DANTE, Vita Nova, Son. XV.
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Ma dirai pure: questo è carattere, è il carattere. Perchè quella forza e tenacia del volere e quella presenza di sè a se stesso, ond´è fatto
possibile un tale costante ed eroico tenor di vita, seno, sì, i contras
segni d´un carattere, ma si esercitano (direi che mettono in azione) sulle abitudini morali, che neI loro insieme danno la fisionomia della
personalità, .e nelle quali la morale umana riconosce particolarmente
il carattere stesso. Che tali doti morali siano virtù, acquisite umana¬mente o portate al valore di virtù infuse per grazia di Dio, già si è
accennato, e qui non c´entra se non perchè esse formano materia d´in¬dagine nei Processi: segno che non si può conoscere e giudicare nep¬pure d´una santità senza tenerne conto, se è vero che nel Santo c´è l´Uomo, ed è l´Uomo che si eleva a Santo.
Nel nostro Savio, insieme con tutte le altre care virtù che gli ab¬biamo riconosciute, spiccano appunto quelle particolari doti, per le quali chi le possiede è detto uomo di carattere. Il dirlo uomo non è qui troppo fuor di luogo, poichè veramente tutti gli hanno conosciuto una capacità morale superiore, quasi estranea, all´età sua. È un poco più che fanciullo che vale un uomo fatto.
Nella tipologia canonica tutta questa materia rientra nei titoli De prudentia, de justitia, de temperantia, de fortitudine, de castitate, de paupertate, de oboedientia, de huntilitate: doti o virtù pratiche, nelle quali ha parte, innanzi tutto, l´umano.
Appare intanto, in primo luogo, l´assennatezza, il criterio, la ponderatezza, la misura: altri dice, equilibrio, dominio di sè, saper tacere: un tutto che fa del nostro caro soggetto un tipo giudizioso, riflessivo, in ogni senso prudente. Il piccolo santino ha meravigliato ognuno per quest´assennatezza e prudenza, così in contrasto con l´aria e la statura di fanciullo, e con la gaiezza sua abituale. Quei che vissero con lui usano termini ben precisi e citano fatti di gran valore. Per non dire della misura nel bene, del non esagerare in nulla, che altrove ab¬biamo già considerato (i): i suoi antichi compagni lo fanno equili¬brato in tutto, prudente e riflessivo, di sapiente criterio (z): dicono che non si è mai osservata in lui azione o parola che dimostrasse leg¬gerezza di carattere (3). La sua « specchiata prudenza » lo induce, col Massaglia, a non volersi esporre ai pericoli delle vacanze, e lo. narra anche il Capo XIX della Vita, citato in prova negli Atti del Pro
(i) Cfr. sopra, pag. 176.
(2) Somrn., ´Ballesio, 245; Piano, ibid.
(3) Tbid., Piano, 252.
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cesso (I): una prudenza che lo fa astenere da certe compagnie o, al caso, sventare i complotti dei male intenzionati (z). « Illuminata pru¬denza » vede in lui il Cagliero, perchè nulla fa senza consigliarsi con Don Bosco, o con gli amici più intimi, prima di operare: e « prudenza superiore all´età» la definisce insieme con Don Rua (3). Ed essi ed altri ricordano, cosa non ordinaria in quell´età, la riservatezza nei par¬lare e più ancora il saper tacere (4).
Un capolavoro, quanto meno, di senno e di prudenza è per tutti (le citazioni sarebbero molte) la formazione della Compagnia dell´Im¬macolata, preparata e condotta a compimento senza che nessuno,
all´infuori dei partecipanti, ne sapesse nulla, neppure il Francesia, che gliene dà lode (5).
La prova più luminosa dell´assennatezza e criterio del Savio è nel concetto che n´aveva Don Bosco. Il quale, come attestava la sorella superstite, « faceva gran conto dell´assennatezza e criterio di mio fra¬tello; tanto chè, come Don Bosco mi narrava, in qualche speciale ed importante circostanza si rivolgeva a lui, sebbene ancora così giova¬netto, per averne il parere... E tutte le volte, concludeva, non si era mai sbagliato nel seguire i suoi suggerimenti » (6).
Non occorre indugiarci a collegare questa preziosa dote con l´idea del carattere quale abbiamo esposta: è certo che mentre non la si crede cosa da giovani, il possederla a un grado che lo stesso Don Bosco è obbligato a notarla, e, più ancora, a valersene, dà ragione al giudizio della Chiesa di collocarla tra gli argomenti di eroismo, e dall´ambito puramente intellettuale portarla a quello delle virtù morali, perchè la sua eccellenza suppone l´opera d´una volontà. O non è la prudenza una delle quattro virtù cardinali?
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Tanto più dobbiam dirlo di tutto ciò ch´è onestà, coscienza del. do¬vere, rettitudine o dirittura di sentimenti. Se si vuole, può chiamarsi
(i) Somm., pag. 252-253. — Il fatto è addotto anche dall´Anfossi, che ripete le parole della Vita; cfr. pag. 248-249-
(z) Somm., D. Rua, 250.
(3) Somm., Cagliero, 247; Rua, 250.
(4) Somm., Conti, 248; Francesia, 245.
(5) Somm., Francesia, 245.
(6) Somm., Tosco-Savio, 246. Le parole omesse dicono: e E quando Don Bo-sco mi diceva questo, soggiungeva: Non ti spiego le cose intorno alle quali io lo interrogava, perchè tanto non le potresti compiendere à. C´è da pensare a S. Luigi, che a sedici anni (1584) poteva trattare gli affari del Marchesato presso il Se¬nato di Milano. — Cfr. CRISPOLTT, cit., pag. 58.
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col termine dottrinale di giustizia. Noi vedemmo, poco fa, che in questo titolo si son comprese quelle due preziose espressioni della bontà: la gratitudine e l´amicizia, che son cosa tutta del cuore. Ma, senza destreggiamenti dialettici, possiarn vedere che con quelle ci stanno anche le altre n´tanifestazioni del carattere giustamente equili¬brato (t). Ci sta la cura di non offender mai nessuno (a), e di tollerare e tacere i difetti dei compagni (3); ci sta l´esattezza nel corrispondere ai doveri della propria condizione (4), e il rispetto d´ogni persona, cosa subito notata da tutti, tanto da farne un merito personale, e dav¬vero non facile nè comune nel ceto tra cui viveva (5). C´era un´onestà generosa nel non riferire i torti e villanie ricevute, e dopo aver sedato quella rissa famosa: così come la parola data lo obbligava a veri sa¬crifizi, quando, impegnatosi ad aiutare alcuno nelle cose di studio, vi si prestava a tutte l´ore. Senso d´onestà era l´accettare con ricono¬scenza quel che la Casa somministrava, pensando alla propria po¬vertà e a quello che costava al benefattore, nè mancò di notarlo Don Bosco (6). Più pronto a dare che a ricevere (´i), si fa scrupolo di con¬correre con quel che può, un povero libretto, alla festa della Madon¬nina, e sul partire per l´ultima volta, si affretta a soddisfare un debito
di due soldi (8).
Questo senso di onestà, che gli uomini chiamano moralità delle azioni. (9), non è una dote da fanciulli, e c´è nel Savio, perché in questo genere un fanciullo non è. È una virtù naturale, umana, che nel vero cristiano non deve mancare, e che.S. Paolo vuol congiunta alla carità: Veritatem facientes in caritate (Eph., IV, 15). Nel nostro giovanetto la rettitudine delle intenzioni è appunto ispirata al pensiero di Dio. Vi¬vendo, la sua pietà non l´avrebbe mai distratto dai doveri umani, perchè era un carattere (1c).
(I) SALES, Introd. cit., III, cap. XXXVI: u Qu´il faut avoir l´esprit juste et
raisonnable n.
(z) Somm., Ballesio, 254; Barberis, 257: s Non aver mai fatto torto à nessuno
nelle piccole cose i.
(3) Ibid., Francesia, 114. — Ricordiamo i suoi diportamenti con gli offensori.
(4) Somm., Cerruti, 256; Anfossi, 259.
{5) Somm., Melica, 255; Cerruti, cit., 256; Cagliero, 256; Cerruti, 26r; Fran
cesia, 262.
(6) Somm., Cerruti, 297: ´( Dor, Bosco fa tanti sacrifizi per noi: facciamo an
che noi tutti ì risparmi possibili Cfr. Vita, cap. XVI.
(7) Somm., D. Rua, 259.
{8) Vita, cap. XIII e XXIII. -- Somm., Francesia, 255.
(9) Il suo contrario è l´essere amorale, un neologismo che purtroppo ha fatto
fortuna.
(Io) Vi è su questo tema una forte pagina del COLUMBA-MARMION, che invito
a leggere: op. rit., pag. 261-263, e per l´ultimo concetto, pag. 263-264.
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Anche più evidente si rivela la forza della volontà e il dominio di sè nel superamento di se stesso quale importano altre virtù, dove lo spirito vince la materia e si rende indipendente da essa. Non parlo qui delle penitenze e mortificazioni, le quali sono più intrinsecamente connesse con le ragioni superiori dell´ascesi, o, per dir meglio, del¬l´ascesa verso la santità. Ne dirò a parte, come anche fa Don Bosco.
Ma la temperanza, il coraggio e la pazienza, l´accettazione della povertà, il padroneggiare il proprio temperamento, la modestia che fiorisce sulla purezza e la modestia che germina dall´umiltà sono an¬cora componenti del carattere o qualità di esso, e virtù dell´uomo: per quanto sia vero che ad essere come di fatto le troviamo nella persona
del Savio, la sola virtù naturale non basta, e vi concorre un fattore più alto. Ma quella ci vuole e quella vi è.
Un detto del Cagliero ci fa appunto vedere come stanno fra loro i due gradi delle virtù: quando, deponendo sul tema della temperanza, ci dice: « la temperanza cristiana guidò il Savio nella costante mortifi¬cazione dei suoi sensi, degli atti, della volontà. Egli fu costantemente parco neI vitto, nel vestito, e mortificato nella gola » (t). Nel resto egli fa sua la deposizione di Don Rua. Il quale entra in argomento di¬cendo: « non m´accorsi mai che secondasse l´avidità tanto comune nei fanciulli di procurarsi ghiottonerie ». E continua segnando che « mai fu inteso muovere lagnanze sugli apprestamenti di tavola » (a).
Parola classica e quasi di rito nel mondo di Don Bosco, questa del « contentarsi degli apprestamenti di tavola ». Il Santo educatore ne ha fatto un caposaldo e un criterio di giudizio per i suoi giovani e per i suoi figli spirituali; ne ha fatto una delle massime capitali del¬l´educazione morale. Sappiamo già che in tutti i suoi scritti biografici e in tutti i discorsi morali ai giovani, fin nel primo Regolamento, quel¬l´espressione ritorna invariata; e non ci meraviglieremo se dei testi dei due Processi non uno trascura di farne un merito per il Savio (3). Eppure ricordano Ia semplicità del vitto molto ordinario dell´Oratorio, e la durezza della vita di quei tempi (4), mentre il loro amico mai non dimostrava desiderio di cibi più delicati o di preferenze. Neppure le
(i) Somm., Cagliero, 259. (a) Somm., D. Rua, 27o.
(3) Uno veramente c´è: ed è Don Pastrone, parroco di Mondonio dal 187o in poi, che riferisce per udito cose attinenti alla condotta tenuta in paese: e cioè affatto estranee alla Casa di Don Bosco.
(4) Somm., Ballesio, Piano, pag. 263. Ordinario in pieni. -:— grossolano.
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eccezioni ragionevoli, dovute al suo stato inferrniccio, avrebbe volute, e, pur soffrendo male di stomaco, non domandava « cosa da parte » che senza dubbio Don Bosco gli avrebbe concessa. « Bisogna mangiare cogli altri quello che ci danno a tavola » (i). Qui c´entra anche lo spi¬rito di mortificazione, e ne riesce provata la parola del Cagliero. Il grande amico aveva in questo tal concetto del piccolo Domenico, che, rievocandone fin le più fuggevoli manifestazioni, quali il moderarsi « anche nelle soddisfazioni lecite e giuste dopo la fatica », non poteva significarne il valore se non dicendo che tale virtù « era praticata in grado eroico, sommo, costante, spontaneo, naturale, quale non so¬gliono averla anime anche giunte a perfezione » (2).
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Ed è davvero difficile sceverare e separare i due momenti; e Don Bosco infatti non li ha distinti. Non però che alcuni particolari non possano applicarsi alla sola virtù del carattere. Per esempio, quello dell´assetto nel vestire. Era povero e vestiva poveramente, senz´ambire eleganze mentitrici: ma « amava la pulizia, ed in questa... era di esem¬pio ai compagni; povero, ma decente, era accolto volentieri dai condi¬scepoli di più alta condizione » (3).
Non è piccola cosa codesta dignitosa sincerità del povero, e che indica altezza d´animo certamente non comune in quella condizione, e tra gli uomini troppo più rara che non si creda. Io vi insisto, perchè fu anche una virtù di Don Bosco. Nato povero, volle sempre essere e comparire povero, senz´affettazioni e trascuraggini, ma, come il suo alunno, semplice e dignitoso. Maestro e discepolo non si adontarono mai della povertà; possiam dire che, come Don Bosco aveva appreso da Mamma Margherita a non voler esser ricco (è nota l´intimazione di quella Madre al figlio novello prete), e del vivere povero fece anche una legge a sè e ai suoi: cosi il Savio, se fosse vissuto, sarebbe rimasto ac¬canto a Lui esemplare perfetto e assertore della povertà pratica e della povertà religiosa, come fu per antonomasia Don Michele Rua.
Né vi è solo la sopportazione e l´adattamento e il decoro della po¬vertà: buone cose, che già la sapienza umana e gli uomini della storia hanno umanamente insegnate e praticate. C´è il senso cristiano del¬l´amore della povertà. Il nostro giovane santo, non meno del suo Mae
(i) Somm., Docum. n. 8, pag. 469: Promemoria di G. Bonetti a Don Bosco, 1858.
(2) Somm., Cagliero, z66.
(3) Somm., D. Rua, 271.
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stro, amò la povertà. E fu in lui tale virtù, che nel secondo Processo
· (Proc. Apostolico) si senti il bisogno di farne un titolo apposito: de heroica paupertate, che nel primo (Proc. dell´Ordinario) non c´era (i). Ed impariamo dà quello che non solo non´si lamentò mai della sua condizione familiare o del disagio della vita « piuttosto dura »
del
l´ (2); non solo « era sempre contento del suo stato » e non
ebbe mai desiderio di ricchezze o agiatezze (3): ma, « cosa a tutti no¬toria », viveva da povero e non voleva tener niente per sè, consegnando ai superiori anche quei pochi soldarelli, e studiandosi di risparmiare
e far economia di quello che Don Bosco procurava con tanti sa¬crifici (4).
C´è carattere adunque, ma più che il solo carattere. Giustamente diceva il Cagliero: « Il Savio prese pure amore alla povertà, che pra¬ticava costantemente con retto spirito d´imitazione di G. Cristo. Que¬sto spirito non era comune, ma aveva dello straordinario, e perciò dell´eroico, essendo anche in ciò guidato dalla grazia di Dio e da quello stesso ardore di farsi santo, che lo distaccava da tutto ciò che era umano e terreno, sollecito solo dei beni spirituali e celesti » (5).
Ed io non so se Don Bosco abbia pensata altrimenti la povertà religiosa dei suoi salesiani. Certo -è che, appunto nel 1858, parlando ai suoi più fidi, e cioè agli amici ch´erano stati del Savio nella Com¬pagnia, come a preparare la prossima futura Congregazione, usciva in quella memoranda sentenza: « La povertà bisogna averla nel cuore per praticarla ». E forse, perchè no ? l´avrà pronunciata anche prima, vivente e presente il suo santo discepolo (6). Ed è precisamente il distacco che sta alla base della dottrina alfonsiana alla quale Don Bosco si ispirò (7).
(i) Soma., tit. XV: De heroùa paupertate. — La famiglia del Savio era po¬vera, e la sorella ricorda « qualche strettezza »; ma non eran poi mendicanti, e il pane pei dieci figliuoli il buon padre e Ia madre, lavorando, lo trovarono sem¬pre. Don Bosco certamente accolse con generosa carità il fanciullo, tenendolo quasi gratuitamente, e coprendo lui e altri, divemiti poi qualche cosa (a me lo diceva D. Durando), dei giubboni avuti in dono dai depositi militari. Ma non è da credere che il Savio fosse il solo povero o il più povero dei figli della carità di Don Bosco.
(a) Somm., Piano, 276.
(3) Somm., Francesia, 272: r Frequentando le scuole private, cui intervenivano giovinetti di civil condizione, non si mostrava mai malcontento di sè, nè parlava di loro come più fortunati e.
(4) Somm., Francesia, 296; Tosco-Savio, ibid.; Conti, 297; Barberis, 298.
(5) Somm., Cagliero, pag. 297.
(6) 111ern. Biogr., V, pag. 67o. Del resto torna a proposito l´intero cap. LV.
(7) KEUTSCH, La dottrina spirituale di S. Alfonso M. de´ Liguori, cap. TI, pag. 290 seg.
Tq CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. VoL IV. Parte I.
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Ma c´è un distacco anche più forte, ed è anzi, per antonomasia, il vero essere forti: quando si sta sopra e contro il proprio essere: quando si resiste al dolore e alle sofferenze o avversità, e quando si vince il proprio temperamento. I saggi hanno detto che il vincere se stesso è la massima delle vittorie, e la parola virtus include radical¬mente l´idea di forza. Tra le virtù morali la fortezza è una delle quattro cardinali, e nel concetto comune essa sta come fattore ordinario e, se si vuole, primordiale dell´idea di carattere.
Nella persona del giovane santo il carattere, anche umanamente inteso, vi è, ed è forza d´animo e fortezza in ogni senso. Stando alla
genesi psicologica, si poteva parlarne prima; ma è un crescendo espres
samente disposto per ottenere il massimo risalto della figura. Perchè non mai, come qui, appare così spiccata la persona, il se stesso, anche
se poi, immediatamente, venga ad avvolgerla il nimbo della santità.
Mi spiego. Per Don Michele Rua il Savio è il tipo della spiritua¬lità pratica: per il Cagliero è senz´altro l´angelico: per il Bonetti, che,
giovane di diciott´anni, ne scrive a Don Bosco, egli è QUEL FORTE (i). La parola non è di lui solo, ma è l´eco del sentimento comune, che trova in lui la sua espressione.
Così è: Savio Domenico, il sorridente amabile angelico fanciullo, è un forte. Per misurare meglio il valore del termine, pensiamo ch´è un fanciullo sulla soglia dell´adolescenza, delicato di fibra, presto in¬debolito da malattia assidua ed estenuante, che lo rapisce anzi tempo, - ed è poi di cuore tenerissimo, e dev´essere pertanto d´una sensibilità squisita al dolore fisico non meno che al contatto morale. Eppure su¬pera tutto questo, e si diporta come non fosse.
È un essere delicato, ma non un debole, e la sua vita, come la sua pietà, è ben lontana dal presentare la sentimentalità e la mèlanco
nia, l´impressionabilità e l´abulia, l´incostanza e lo squilibrio, l´esalta¬zione e la fantasticheria d´uno stato morboso (2). Analizzando i dati biografici e i fatti spirituali, nessun psichiatra troverebbe di che infe¬rire per una psicologia patologica, così come non riuscì all´Albertotti di riscontrarne nella persona di Don Bosco.
(i) Somm., tit. XXII: Documenta, ecc., n. 9, pag. 470. L una delle due let-tere di risposta del Bonetti alla richiesta di Don Bosco per aver notizie della
vita del Savio.
Jouv, op. cit., pag. 7. Potrei addurre, pagina a pagina, tutto quel classico lavoro che dimostra appunto che i Santi non sono quello che la scienza pura vor
rebbe.
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Anche così., il sangue nelle vene al Savio non manca, ed è per na¬tura sveglio e vivace. Lo hanno visto tutti, così com´hanno visto la normalità, per non dir altro, dei suoi comportamenti. Hanno visto anche di più: il superamento di tutte codeste condizioni dell´essere fisico mediante l´energia dello spirito: per questo egli è ai loro occhi quel forte.
Don Bosco, nel rappresentarlo, mostra d´averne piena e profonda conoscenza, e lo comprende tanto, da fare di quella forza (ch´egli am¬mira) uno dei lineamenti più espressivi della figura ´che ne disegna. Egli ce lo ritrae pazientissimo non solo, ma sempre lieto e vivace in mezzo alle infermità, fino ad una serenità addirittura eroica nella sua volontarietà, nei momenti più -duri delle malattie, e perfino quando vede correre il proprio sangue (i). E non meno incisivamente segna il contrasto tra la vivacità dell´indóle e dello spirito, e la naturalezza d´un tenor di vita composto ed equilibrato: segna anche i momenti in cui affiora la tempra nativa, il cosiddetto carattere naturale, e il su-peramento che quel forte ne ottiene. Il Capo XVI è per questo aspetto il testo più eloquente. « Chi mirava il Savio nella sua compostezza esteriore, ci trovava tanta naturalezza, che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Pure quelli che lo conobbero da vicino (sono appunto i testi del Processo), od ebbero cura della sua educazione, possono assicurare che era tutto sforzo umano, coadiuvato dalla grazia di Dio ».
P ben vero che il santo scrittore, vent´anni dopo, temprò l´espres¬sione dicendo che vi era un grande sforzo umano (V Ediz., 1878). Ma, lasciando stare che nel 1878 egli era costretto da certe circostanze sto¬riche a studiare più accuratamente le parole che stampava (a), il cam¬biamento non altera la sostanza del fatto, quando si vede che o tutto
o grande, lo sforzo umano vi è, ed è coadiuvato dalla grazia di Dio. Ed è in sorm-na la virtù cristiana della fortezza, che, secondo S. Tom¬maso (3), essendo sottomessa alla ragione, richiede una deliberazione e uno sforzo, e presenta pure nel suo esercizio una certa difficoltà. Che poi nel nostro Santino essa diventi un dono dello Spirito Santo, non ne mancheranno le prove.
È, come si vede, l´assunto che veniamo dimostrando. Il Savio è
(i) Vita, cap. XXI, XXIII, XXIV-MCV.
(z) Leggere nei vol. XIII-XV delle Mem. Biogr. (CERrA) le vicende deI con¬trasto con le Autorità Ecclesiastiche di Torino. Ne vedremo più oltre, e in ma¬teria ben più delicata, gli effetti.
(3) Summa Theol., q. ´23, art. 3-6. E il PETITOT, pag. AI, la rico
nosce nella Santa di Lisieux l
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quello che è, anzitutto per forza di carattere: per lo sforzo umano. E l´anzitutto mi salva dal cadere nel laicismo.
Il Santo scrittore ne dà due saggi significantissimi, oltrecchè dav¬vero eroici. « I suoi occhi erano vivacissimi, ed egli doveva farsi non piccola violenza per tenerli raccolti. Da prima, egli ripetè più volte con un amico, quando mi son fatto una legge di voler assolutamente dominar gli occhi miei, incontrai non poca fatica, e talvolta ebbi a patire grave mal di capo ». È il superamento di se stesso, voluto ed elaborato con tenacia di volontà fino alla sofferenza: è lo sforzo umano del carattere.
Lo sforzo è tanto più evidente quando la tempra naturale è colta di sorpresa, e bisogna chiamare a raccolta e concentrare in un punto tutte le potenze e le virtù acquisite. Ecco: « Un giorno egli aveva avvi¬sato un compagno d´una cattiva abitudine. Costui invece di accogliere con gratitudine la fatta ammonizione, si lasciò trasportare a brutali ec¬cessi. Lo copri di villanie (forse gli diede del tisicone?), di poi lo per¬cosse con pugni e calci. Il Savio avrebbe potuto far valere la sua ra¬gione coi fatti, perché era maggiore di età e di forze. Ma non fece altra vendetta, se non quella dei cristiani. Diventò bensì tutto rosso nella faccia, ma frenando l´impeto della collera, si limitò a queste parole: « Io ti perdono: hai fatto male: non trattar con altri in simil guisa » (i). L´episodio è addotto a conferma dél già detto, che « anche in quelle stesse occasioni in cui riceveva qualche oltraggio, sapeva moderare la lingua e la bile ».
Tutto il libro di Don Bosco è pervaso da codesta idea del coraggio, della forza d´animo, del superamento della natura. Si rilegga al Capo IX il coraggio della famosa rissa tra i due compagni; al Capo XI la fermezza d´imporre i suoi buoni discorsi; al Capo XII la risolutezza nell´affrontare l´uomo scandaloso; al Capo XV, la pazienza nel soppor¬tar ingiurie e dispiaceri; al Capo XXI la calma nel presentimento della morte, e « Ia giovialità, la prontezza di spirito, l´assennatezza » nel¬l´ora del consulto medico; al Capo XXIV la serenità e il coraggio, la pazienza abituale divenuta « modello di santità »; e la serenità degli ultimi momenti (Cap. XXV): il tipo rimane costante, e il carattere di quel forte illumina di sua luce tutta la vita.
Certamente tutti i Santi, per essere tali, han dovuto superare, lot¬tando, la natura, ed è la predica più comune che si fa: per non us::ir di casa, la virtù più lodata in S. Francesco di Sales è quella della dot
e) il fatto del Rattazzi, altrimenti narrato dai testi oculari, dai quali, e
non dal Savio, lo apprese Io scrittore. Ma nessuna testimonianza presenta la prima parte dell´episodio al modo della Vita.
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cezza, conquistata, come tutti sanno dalle sue proprie parole, vincendo, con lavoro di anni, il proprio bollente temperamento. Ma l´eroismo del Santo in tanto è tale, in quanto presume ed involge lo sforzo umano;
e questo sforzo è di troppo più ammirevole in un fanciullo che non in un uomo maturo, specialmente se, come nel fatto nostro, si giunge ad una perfezione superiore all´età, e il lavoro assiduo e diuturno si eserciti tuttavia in circostanze quotidiane e poco appariscenti.
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il lettore dovrebb´esser grato a chi scrive (perdonandogli tutto il gravame restante) perché, a condurre il suo studio ha richiamato i dati dei Processi. Quella Relazione del Bonetti ci ha dato la parola che stampa il carattere: quel forte; e le testimonianze giurate c´illustrano
e concretano il concetto, e sono di quegli altri « che lo conobbero da vicino », i quali hanno, come dice lo Scrittore, potuto assicurare che « era tutto sforzo umano ». Non che si voglia laicizzare una figura di santo: ma nè il Santo scrittore nè gli altri hanno voluto, per esaltare la grazia di Dio, negare la personalità. Tutti i testi coevi riaffermano in vario modo, e con circostanze specificate, l´immutabile pazienza e serenità « nel sopportare la debole salute » e le malattie degli ultimi suoi mesi, non solo « con rassegnazione » ma « con ilarità costante »
e con « una pace e serenità che non las´ ciava conoscere quanto pa
tiva» E possiamo anche anticipare il punto ascetico delle peni
tenze e mortificazioni, ricordando sulle loro parole il sopportare senza lamenti « la vita piuttosto dura » dell´Oratorio, dove mancava affatto il riscaldamento (z), e la tolleranza tutta sua dei geloni, che più d´ogni altro gl´impiagarono le mani, ed egli (ma qui andiamo più in là) giungeva perfino a stuzzicarli (3): tutto insomma un insieme, quasi un sistema, d´indipendenza e di superiorità sulle sofferenze, che non potè sfuggire a nessuno (4).
Con pari unanimità tutti rammentano la pacatezza, la calma, la mitezza, la dolcezza ammirabile, con che si diportava in presenza delle ingiurie e maltrattamenti di ragazzi discoli e maleducati, quali ab¬biamo già ricordato: « conservando inalterata sempre, con grande sforzo della volontà, la pacatezza e la calma delle sue azioni, sebbene per
(i) Somm., Piano, 276; Melica, 276; Cerruti, 277; Cagliero, 277. (a) Somm., loc. cit., Piano, 276.
(3) Vita, cap. XVI. — Somm., Piano, 283; e Docum. n. 4, pag. 46o; Anfossí, 280.
(4) Anche qui verrebbe naturale il parallelo con Don Bosco: ma che cosa diventerebbe questo povero mio scritto, se vi mettessi tutto quello che si può dire ?
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carattere (qui, nel senso di temperamento) fosse inclinato a un´indole
piuttosto vivace » (i). •
Parole d´un intimassimo e intelligente amico, alle quali s´accordano le definizioni dei tre più autorevoli relatori, il Cerruti, il Rua, il Ca¬gliero, le cui esperienze confermano il concetto espresso così giusta¬mente dall´Anfossi, e, prima, da Don Bosco. « A me parve sempre, dice il Cerruti, che il naturale del Savio fosse- piuttosto irascibile, e che quella calma, quell´equilibrio, quella padronanza che aveva acqui¬stato di se stesso, fosse effetto di un grande lavoro che in se stesso aveva operato ». Ciò gli pare dover dedurre dal caso Rattazzi: « Ho veduto in quel caso nel caro ragazzo un vero sforzo per reprimere se stesso » (2).
Don Rua: « Quanto all´indole, sebbene io non abbia avuto mai occasione di vederlo in collera, giacchè sempre lo vidi con aspetto calmo e sereno, sono tuttavia persuaso che tale sua calma e serenità fosse effetto di vera virtù: giacché seppi da altri che, in occasione ch´era stato ingiuriato e battuto... lo si vide accendersi in volto, non perdendo però la pazienza, e limitandosi a dire: Io vi perdono, voglia il Signore perdonarvi » (3).
La più completa, la più definitiva sentenza viene dal Cagliero: «Nei tre anni che lo conobbi all´Oratorio, durante i quali gli fui assi¬stente e maestro in molte attribuzioni, constatai che, sebbene fosse di carattere vivace, d´indole pronta e sensibile alle contrarietà, nondi¬meno non lo vidi mai alterato, nè sentii dire che siasi lasciato traspor¬tare dall´ira con atti o parole contrarie alla mitezza cristiana. Assicuro anzi che fu sempre mio convincimento che il suo carattere (leggi tem-peramento) fosse talmente da lui dominato, sino ad apparire naturalmente mite e pacifico, e d´una dolcezza ammirabile» (4).
Dòpo tali parole non c´è da soggiungere altro: il nostro ragiona¬mento e la sentenza di Don Bosco vi sono così armonicamente ri¬flessi e compendiati, da lasciare in noi la persuasione più convinta che il dolce, angelico piccolo santo è veramente quel che fu detto: QUEL
FORTE!
(i) Somm., Anfossi, pag. 280. L´Anfossi, se occorre dirIo, ricorda le cose della sua giovinezza vedendole ornai da uomo più che maturo (68 anni) e da per¬sona nutrita di forti studi. Io posso dirlo, che posseggo parte dei suoi libri, e perfino i suoi appunti universitari, scritti sul bianco dei temi de´ suoi scolari (oh povertà salesiana!) ricuciti in quaderni!
(z) Sonun., Cerruti, 277.
(3) Somm., Don Rua, 282. Si noti il plurale, o multiplo o generalizzante.
(4) Somm., Cagliero, 278. — Non s´è detto altrettanto di S. Francesco di Sales?
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È una forza questa, che noi vediamo spesa quasi tutta in rendersi amabile, e dà un tono di simpatia affettuosa all´ammirazione che se n´è concepita. Tanto più perchè la dolcezza, che appare nativa e non è, s´immedesima con un modo di esercitarla (la parola viene da Don Rua) (i), ch´è alla sua volta una virtù, ed è tale perché il superamento di sè, quale prima si volgeva contro ogni sensibilità, ora si esercita sopra il concetto- di se stesso, quasi sul senso del proprio io, e com¬pone l´animo a quell´atteggiamento che si chiama umiltà, e che si ri¬vela nelle maniere della modestia.
Lascio (non senza difficoltà, come ho già detto) l´aspetto ascetico, e m´attengo ancora una volta al senso umano che noi diamo a queste parole: alla modestia, ch´è in antitesi con ogni, non solo orgoglio o alterigia o presunzione, ma presentazione e sentire di sè.
La figura del nostro giovanetto è, dirò con Dante, benignamente d´umiltà vestuta. I suoi sentimenti, il suo portamento, Ie parole, le maniere, hanno quel tono indefinibile a termini propri (e spiegabile solo per via di antitesi) che si chiama modestia. È un santo, ed è neces¬sariamente umile: ma non di quella drammatica e pittoresca umiltà dei santi cercatori di umiliazioni, bensì di quella che, accompagnata dalla bontà, dalla mitezza, dalla temperie e gentilezza dei modi, in¬spira e riveste ogni atto ed ogni azione. Quella di Don Bosco, che sta a tipo della virtù salesiana.
Le parole di Dante sono tanto più vere nella persona del nostro santino, quanto la bontà nativa glie inspiratrice d´umiltà, e questa
ne colora gli aspetti (z). Non è l´umiltà accorata di chi si pensa il gran peccatore: Savio Domenico non dice mai questo; l´umiltà di lui è quella serena e lieta di chi riposa nella grazia di Dio, e si espande nella gioia della sua coscienza (3).
L´umiltà è una perpetua presenza di Dio, e l´uomo umile è un uomo lieto, appunto come il fanciullo che solo vive ed espandesi ed esilara nella luce solare che l´avvolge, felice, forse senza saperlo; ed è il caso di chi è santificato dall´umiltà (4).
(I) Sonarla., pag. 258: sLa stima e l´affetto che Don Bosco e i giovani nutri¬vano per lui, non era solamente effetto delle virtù da lui esercitate, ma anche del modo con cui le esercitava e. Parole di D. Rua, riferite dall´Amadei.
(a) FABER, Confer: spir., cit., pag. 7. — Cfr. sopra, pag. 569, la citaz. da La¬cordaire.
(3) FABER, Progressi, cit. pag. 183: Creatore e Creatura, cit., pag. 300; Be¬tlèmnie, pag- 413-414.
(¢) FABER, Betlemme, cit., pag. 175.
2o4
M´accorgo d´essere uscito (ma è. inevitabile) dal puro umano; ma
per dar luogo ad un riflesso non superfluo. umanamente impossibile che un Santo, il quale per esser tale, deve onninamente operare colla propria coscienza interiore, sfugga alla consapevolezza della propria condizione rispetto a Dio, e alla coscienza, al senso della grazia vi¬vente in lui (I). Sarebbe come volere che un galantuomo non sappia d´essere un uomo onesto. I Santi vivono nella coscienza della propria indegnità; e si alimentano del timor di Dio; ma non possono, a meno d´essere incoscienti o ingrati, disconoscere i doni di Dio nella loro anima.
Ma ciò non è incompatibile con l´umiltà. Semplicemente, i Santi
riconoscono tutto da Dio e vivono di questa vita di ringraziamento (2), col solo timore di non corrispondervi abbastanza (3). L´umiltà della Teresa di Lisieux non le ha mai fatto dire nè credere d´essere una Maddalena, nè impedito di preconizzare la sua canonizzazione e di¬chiarare il suo programma di vita in Paradiso. Così il nostro santino va in deliquio al pensiero del premio degl´innocenti in cielo: confessa di patire « distrazioni » nelle quali « mi pare che il Paradiso mi si apra sopra il capo » (Capo XX), e nel momento di partire, domanda a Don Bosco se potrà dal Paradiso vedere i suoi cari e venirli a trovare!
questo, che gli dà quella gioia affascinante e inalterabile, che tutti gli hanno letto negli occhi, ed è questo che lo rende guardingo contro ogni spunto d´amar proprio, e lo fa essere umile nel sentir di se stesso, e singolarmente modesto nella vita esteriore.
Don Bosco non fa di questa virtù un tema particolare nella Vita:
la fa sentire implicitamente descrivendo la bontà, le maniere e la vo¬lenterosa sommessione, perfino un gesto eroico come il sopportare l´accusa immeritata della scuola di Mondonio (capo VI). E benchè dia a tutto un significato superiore, si attiene ai fatti umani che manife¬stano il carattere. Così il suo santino ha « ormai presenti quei bei principii di educazione di non interrompere gli altri quando parlano » (Capo XII); e l´idea è ripetuta a Capo XVI: « per torto o per ragione, quando alcuno parlava, egli taceva, e più volte troncava la parola per
dar campo agli altri di parlare ». E tiene per « gradito passatempo... il pulire le scarpe, spazzolare gli abiti ai compagni, prestare agl´in¬fermi i servizi più bassi, scopare e fare altri simili lavori ». E dice:
(I) JOLY, OP. eit., pag. 132.
(a) Cfr. in FABER, Tutto per Gesù, cap. VII, art. Lo spirito dei santi è
spirito di ringraziamento, pag. 266-271. Ivi tutto il capitolo è dedicato a questa vita di ringraziamento nella spiritualità cristiana.
(3) Mi pare che S. Paolo sia buon testimonio, e Don Bosco non sentiva al¬trimenti.
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« io non son capace di far cose grandi, ma quello che posso voglio farlo a maggior gloria di Dio » (Capo XVI). E tutta la costruzione della Compagnia dell´Immacolata egli la conduce come fosse opera d´altri (Capo XVII) (i).
Quanto a sé, si stima bisognoso di correzione, e s´accorda col Massaglia (Capo XIX), ed insieme preferiscono la gabbia dell´Ora¬torio all´aria libera delle vacanze, perchè temono di cadere nei peri¬coli; i suoi rapimenti, il suo stato estatico, li chiama « distrazioni » (Capo XX), e del bene che fa dice non avervi merito, perchè lo fa « con troppo gusto ».
Sono i gesti umani delle virtù dei Santi. Il mio solito praticissimo autore mette appunto tali maniere in relazione con la più soda spiri¬tualità, notando che il difettarne non è buon segno. Egli commenda « il benevolo ascoltare », il « non interrompere a mezzo il parlare », il « saper ascoltare 5> (la grande virtù di Don Bosco!): deplora « l´aria di superiorità, estranea al genio della benevolenza » e ne fa una que¬stione di umiltà: « Quanto più saremo umili, tanto più saremo cortesi nel conversare, e quanto più benignamente parleremo, tanto più umili diverremo » (z). L´opposto di tale umiltà è l´amor proprio, che conduce all´ostentazione della pietà, ad una cercata opinio sanetitatis, e produce quell´irritabilità in fatto di reputazione, che non lascia tollerare nè le parole maldicenti, nè i torti che ci si fanno (3).
E perfino quella giovialità e allegria nel soffrire che fu una pre¬rogativa del Savio, tanto spiccatamente fatta sentire dal Santo bio¬grafo, viene riferita all´umiltà, nel suo aspetto del saper soffrire con garbo (4): quella che fu nella Santa di Lisieux, fatta santa dall´umiltà (lo disse perfino quella Priora!), una delle più belle gemme del suo gentilissimo carattere (5).
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Questa parentesi spiritualizzante torna opportuna come premessa alle referenze dei coevi del Savio, dove ciò che finora è detto trova una luminosa conferma nei fatti osservati e ricordati dai compagni,
(i) È dottrina di S. Francesco di Sales, che dalla modestia interna deriva la forma ben composta del diportarsi con gli altri, che si chiama educazione. Un suo periodo dell´Entretien, n. IX, sembra esser stato modello a ciò che Don Bo-sco dice qui del Savio. Cfr. Entret. spirit., IX, in Op. Omn., VI, 142.
(2) FABER, Conf. Spir. cit., pag. 36-37; 38. Cfr. la precedente citaz. da San Francesco di Sales.
(3) FABER, Progressi, cit., 168, 7z -172 ; Il SS. Sacramento, 196, 177-585.
(4) FABER, Conf. Spir., cit., 49-3°.
(3) PETIT01-, op. cit., pag. 214 e Parte II, cap. III, pag. zoo e gente.
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e nel concetto che se n´erano formato. Sta in capo a tutto l´esauriente definizione del Ballesio: « L´umiltà, naturale e ingenita nella sua per¬sona, lo rendeva caro ai suoi compagni, e simpatico a vederlo e trat¬targli insieme » (i). Una virtù adunque che si manifestava nel trattare col suo prossimo, ed era causa dell´essere amato da tutti (2).
Il portamento modesto, col capo un po´ chino,´ senza nulla di af¬fettato o di altero nelle maniere (3), andava di pari passo con la mo¬destia del parlare. Per l´orgoglio e l´amor proprio innato in ogni uomo, non c´è cosa che lo punga tanto, quanto il vedere altri mettersi in¬nanzi e parlar di sè con qualche compiacenza. Il Savio, dicono tutti, non parlava mai di sè, né per lodi che ricevesse nè per ingiurie o torti avuti. Schivo com´era dal vanagloriarsi delle rhiscite scolastiche sapendo di essere « benveduto dai superiori », non se ne faceva accor¬gere, e metteva innanzi di preferenza i compagni; non amando nep¬pure di primeggiare, benchè per la sua diligenza vi riuscisse (4). E non adduco la deposizione del Branda, che, se fosse sicura, sarebbe davvero edificante, se già Don Bosco non avesse narrato quel fatto come avvenuto al Magone, e con maggior fondamento, essendo questi ben più forte e capace di bel canto che non il piccolo gracile Sa¬vietto (5): si che con tutta probabilità dobbiamo pensare ad un errore di ´ memoria del teste, così prezioso per tanti altri rispetti (6). Già sappiamo, quanto al nostro Domenico, della sua sopportazione e buone maniere cogli sgarbati e i molestatori; vuole aggiungervisi, continuando uno spunto deI biografo, il riserbo modesto con che prendeva parte alle adunanze e convegni dei giovani: « un´umiltà così abituale, che molte volte non era avvertita la sua presenza » (7).
Vera umiltà di spirito era la sua, « cioè interna, sincera, profonda¬mente sentita e aliena da qualsiasi affettazione » (8). Si credeva real¬mente quale voleva apparire. Alieno da onori e lodi, quando, nel gen¬naio 1857, Don Bosco indisse il plebiscito pei giovani di miglior con
(i) Somm., Ballesio, 306.
(2) Ibid., Piano, 3o6.
(3) Somm., Melica, 306; Cagliato, 3o8; D. Rua, 3r2.
(4) Somm., Piano, 306; Melica, 3o6; Cagliero, 308; Francesia, 313; D. Rua, 312. ,
(5) Vita di Michele Magone, capo VI, r ediz. (186/), pag. 32-33.
(6) Il Branda, in età di a. 79 al tempo deI Processo (1921) riferiva il fatto come avvenuto per una solenne _funzione alla Consolata, e come narrato a lui da Don Bosco nel 1869. Nessun altro teste ha mai accennato nè a questo fatto (e c´era ben Cagliato!) nè alla voce del Savio. Somm., 309. Cfr. sopra, pag. 15.
(7) Somm., Cagliero, 308; Piano, 311. Cfr. FABER, Conf. Spir., cit., 36-37.
(8) Somm., Cerruti, 308, 313. Il med. teste pag. 124) diceva: « Non
ho mai notato in lui alcun´ombra di vanità ».
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dotta, ed egli, Savio, fu il secondo dopo Don Rua (ch´era già chierico e maestro), non si riesce a descrivere la confusione che provò a quella proclamazione, e come « tutto rosso in faccia, muto e dimesso, a capo basso, si avanzò a prendere il premio (i).
La presentazione di sè era conforme al concetto ch´egli n´aveva. Parlando, non arrossiva di ricordare gli umili natali e la povertà dei parenti, e la gracilità sua stessa: si diceva buono a poco e da meno dei suoi compagni (2), nè il premio ottenúto gli fece mutar sentimento (3)! I maestri ricordano come accogliesse le correzioni con un: « Pazienza, non credevo d´aver sbagliato... farò meglio altra volta ». E si rimet¬teva (4).
E si rimise anche quel giorno che il giovane chierico Rua, facen¬dogli scuola, lo mise in penitenza perchè non riusciva a contenere il riso per una ridevolissima facezia d´un compagno, « ed egli pronta¬mente ubbidì, senza la minima difficoltà». « Un po´ sul serio, un po´ per mettere alla prova la sua virtù » diceva il teste ch´era lo stesso Don Rua. Ed aggiungeva che così avveniva per ogni avviso ed esorta¬zione (5).
Così pure, senza credersi gran peccatore (che la coscienza non glielo diceva) si stimava bisognoso di un ammonitore, e se ne raccomandava a compagni, e ne• troviamo espressa notizia nel dialogo col Mas¬saglia (6).
(i) Scanni., Cerruti, 313 e 308. — Il teste non era più sicuro del grado del premio: e Uno dei primi quattro * oppure « secondo o terzo e; ma di tutto il re¬sto è più che sicuro, perchè e era vicino a lui in quel momento e. Anche Ballesio lo colloca a tra i primi quattro » (pag. 37i). Il Barberis (pag. 106), su riferimenti posteriori, dice che a risultò il primo » ma egli è incerto anche nella data dell´anno. E fu obbiettato: Perchè secondo o terzo, e non primo ? Perchè il Rua, più an¬ziano e chierico, era anch´egli un santo e con lui paragonavano il Savio. — Se nel Carmelo di Lisieux si fosse fatta una votazione simile, neppure la Teresa del Bambino Gesù, così santa e così grande, avrebbe avuto il primo premio. È cosa notoria.
(2) Vita, cap. XVI. — Somm., Cagliero, 3o8.
(3) Sornm., Barberis, 310. Ma, storicamente, quella premiazione avviene nel-l´ultimissimo periodo della Vita.
(4) Somm., Francesia, 306. Ma è cosa ricordata da molti altri.
(5) Scanni., D. Rua, 312. — Il Rua chierico non era che un compagno an¬ziano (l´abbiam notato altrove), tantochè nella votazione del premio di condotta fu quotato anche lui, e riuscì primo. Ma in quel momento era in funzione di superiore, come il Francesia già ricordato. E si noti: e impose al Savio di met¬tersi in ginocchio e. Tutti sanno che D. Rua giovane era, quanto a disciplina, un po´ duretto, e non per nulla D. Bosco gli diceva di a comprar molto olio e.
(6) Somm., D. Rua, 31z; Cagliero 308; Anfossi, 3 i i, ricordando un articolo del Regolamento dell´Immacolata (Vita, cap. XVII, art. 5), Vita, cap. XIX. II
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Vi è pure il lato commovente, e tutti lo serbarono nella memoria, anche Don Bosco. In una pagina già ricordata ce lo descrive tutto affannato a prestare in casa e ai compagni «i più umili servizi » (Ca¬pitolo XVI): in un altro ce lo mostra sollecito nell´assistere i malati 1 coi più bassi uffici» (Cap. XXII), studiandosi di dissimulare la virtù de´ suoi atti con ingegnose ragioni di umiltà, e mostrando di non avervi merito. Ma gli altri hanno inteso quel ch´egli era, e così lo hanno ricordato (i).
Dire che qui sia tutto puramente umano non si può: è un umano sorretto e ispirato dal soprannaturale, e la modestia fatta di spirito d´umiltà ascende fino all´umiltà dei Santi. Ecco: « Un giorno ho vo¬luto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato; ed egli mi guardò con aria di dolore, dipoi si mise a piangere. Io non ho più fatto ulteriore domanda » (Capo XX).
Vaschetti, da lui assistito con assidua caritativa ripetizione, dice che si raccoman¬dava anche a lui! Docum. n. Io, pag. 473.
(i) Somm., Anfossi, 3o6; Cagliero, 308; D. Rua, 352.
CAPITOLO V
Il giglio salesiano.
Anche più sottile è la distinzione tra il fatto umano del carattere nativo o acquisito, e il fatto dell´ispirazione spirituale superiore (pra¬ticamente, il concorso della grazia divina), quando la modestia, che finora abbiam veduta come veste umana della cristiana umiltà (i), ci si presenta come veste della purezza e del candore dell´anima (2). Dal senso primario di sentimento opposto a presunzione o vanagloria, la parola è venuta, in bocca del popolo, a significare la virtù del buon costume. In realtà non so se possano così staccarsi l´una dall´altra, l´una e l´altra modestia, giacchè entrambe procedono dal dominio dell´io più intimo, e si manifestano nel riserbo esteriore (3). Perfino nelle deposizioni dei testi che continuamente adduciamo, il linguaggio per l´uno e per l´altro titolo è identico, e si parla di modestia nel con¬tegno, nel portamento, negli sguardi, negli atti, per l´umiltà come per la purezza (4).
Tutti sappiamo che, anche da buon italiano (5), Don Bosco ha preferito sempre (e io ricordo personalmente) la parola modestia alle altre di purità, castità, etc., come preferì sempre dire disonestà (6) piuttostochè i termini contrarii a quelli della virtù. Con nn alto ideale
(i) Tordylmno, Sinonimi, 3955.
(2) TOMMASEO, op. cit., 3953: e La modestia è nei sentimenti e negl´indizi di essi sentimenti ».
(3) Si osservi che nel concetto spirituale di S. Francesco di Sales, umiltà e castità sono inseparabili, e questa non può durare senza quella (cfr. Serm. sur l´Annonc., 25 marzo). Il che è verissimo non solo in via spirituale e ascetica, ma fors´anche nel fatto psicologico.
(4) Somm., cit., tit. XVII e tit. XIV.
(5) Ogni diziouario ammette ì due significati. Cfr. p. es. il Rigutini e il Pe¬trocchi.
(6) -E proprio il primo senso dato dal Rigutini. E TOMMASEO, op. cit., 3254: e Il disonesto offende la modestia, la castità, la decenza ».
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di purezza, il Santo rievocava l´idea di S. Francesco di Sales, peI quale « la modestie est la fleur de la chasteté »: l´espressione più squi¬sita e più fine della castità, non soltanto esteriore, ma soprattutto interna (i).
È ben vero che, con gli elementi che prendeva ad educare, il Santo Maestro doveva anzitutto intendere a costruire il più elementare buon costume, ed insegnare il modo di difendersi dalle male abitudini e dalle occasioni pericolose, e combattè instantemente le cose contrarie all´onestà, cercando d´infondere un sacro abborrimento al peccato, ch´era, nella sua intenzione, principalmente il peccato dell´adole¬scenza. Ma poi additava, come ideale da raggiungere, la forma ge¬nuina della purezza, ch´è appunto la modestia. Nei migliori suoi, puri nel costume e nell´anima, che conservavano il fiore dell´inno¬cenza non ancora appassito al soffio corrompitore, il Santo educatore coltivava senz´altro la modestia più delicata ed interiore, che deriva dalla volontà di piacere a Dio.
Nel Magone, sano di costumi, ma non ingenuo nè dimentico del male conosciuto, e del resto di tempra infiammabile, egli fa rilevare l´attrezzatura difensiva, fatta di mezzi validi e ben maneggiati, ma non più che difensiva contro il male (a). Ma il Savio non ha bisogno di schierare i sette carabinieri: egli si riveste per innata virtù della delicatezza della più- squisita modestia. La sua persona ci appare in un alone di candori liliali, dove non è dato. scorgere il benchè mi¬nimo offuscamento, ed egli si muove, agli occhi di quelli che ancora ne ritengono la figura, come qualche cosa di consacrato, che inspira rispetto e venerazione.
Don Bosco (e qualcuno potrà forse farne meraviglia) non ha dedi¬cato un apposito capitolo della Vita per questa .fulgida parvenza del _ suo discepolo che, tutta immedesimata nella nativa innocenza, s´irra¬diava per ogni suo atto e atteggiamento (3). Ma ce ne ha dato pagine eloquenti, nelle quali si sente pulsare la vita d´un´anima che vuol su¬perare, e supera, il povero senso umano. La purezza, che si appalesa
(i) MA_NDRINI, La spiritualità di S. F. di Sales; Milano, 1938, pag. 132 e 137. Cfr. SALES, Entretiens spirituels, n. IX, in Op. Omn., VI, pag. 137 seg.
(z) Vita di Magone, ecc„ cap. IX: Sua sollecitudine e sue pratiche per conser¬vare la virtù della purità.
(3) Per S. Luigi n´aveva fatto una breve Considerazione per la Terza Dome¬nica (o terzo giorno della Novena) in onore del Santo; ma nei Brevi cenni, inse¬riti poi, dopo la IV edizione, nel Giovane Provveduto, non dettò un paragrafo speciale. Cfr. Le Sei Domeniche in onore di S. Luigi Gonzaga, Torino, 1846. ¬Il Cenno sopra la vita di S. Luigi Gonzaga fu inserito nel Giovane Provveduto soltanto a cominciar dall´edizione (detta Nuova) del 1863, che fu la prima stam¬pata all´Oratorio.
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nella modestia, è primamente, non diremo congiunta, ma immedesi¬mata con l´ideale della devozione a Maria: e voglio dire che la dedi¬zione alla Vergine Madre di Dio è per lui un ideale sublime a cui s´inspira la purezza del suo cuore. Per Lei egli custodisce, anzi ri¬serba i suoi sguardi: « Non rimirava mai in faccia persona di sesso diverso; andando a scuola non alzava mai gli occhi ». E quando i
compagni, straniati a certi pubblici spettacoli « con tale ansietà da non saper più dove fossero », gli domandano se gli eran piaciuti, ri
sponde che nulla ha veduto. Perchè « degli occhi voglio servir¬mene, dice, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria,
quando, se coll´aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in Pa
radiso ».
Il Cuore immacolato di Maria è una sua divozione. A Lei, così
contemplata, « tutte le volte che va in chiesa» si prostra « per pre¬garla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lonta¬no da ogni affetto impuro ». E la sua preghiera è amorosamente forte: « Maria, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di mo¬rire prima ch´io commetta, un peccato contrario alla virtù della mo
destia» (Cap. XIII).
È ancora la prima parola del fanciullo: La morte, ma non peccati,
che si determina nella concretezza della più nobile delle virtù.
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Qualche critico diffidente (di quelli a cui talvolta pensa Io stesso Don Bosco) potrà ben osservare che i sentimenti e le idee del Savio,
quali il Biografo qui gli attribuisce, non sono in fondo che una replica di cose già dette fin dal 1847 nei Giovane Provveduto (t), che il gio
vinetto usava abitualmente e devotamente leggeva: e si va fino alla reminiscenza letterale. Colà noi troviamo la raccomandazione di chie
dere prima di tutto a Maria la grazia di non cadere mai in peccato mortale: s´intende, genericamente. Più prossimo al fatto nostro è il chiedere « la grazia di conservare la santa e preziosa virtù della pu¬rità », che pel Savio diventa una calda implorazione al Cuore di Maria. E praticamente s´insiste soprattutto sulla custodia degli occhi. Qui troviamo la similitudine tra gli occhi e le finestre per le quali « il de
(i) Il Giov. Provv., ecc., ediz. Ia, Torino, Paravia, 1847: pag. 51-54. Divo¬zione a Maria Santissima. Con la stessa paginatura e carattere, anche in 2,, ediz., 1851. Non c´è il riflesso inverso, cioè degli esempi di Savio Domenico, nelle edizioni posteriori alla pubblicazione della Vita. Le pagine del Giov. Provv. ri¬masero in questa parte sempre invariate
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monio riesce a prender possesso dell´anima nostra» (I), come la rac-comandazione di non fermarsi a rimirare cose le quali siano anche per poco contrarie alla modestia. E, agli esempi tradizionali di San Luigi, soggiunge quello del giovinetto che, interrogato perché fosse così cauto negli sguardi, diede questa risposta: « Ho risoluto di non guardare sembiante di donna, per serbare gli occhi miei a mirare la prima volta (se non ne sarò indegno) il bellissimo volto della Madre di purità Maria SS.rna» (a).
Spero pertanto che nessuno penserà ad una personificazione di¬dascalica degli spunti del Giovane Provveduto nella storia di Savio Domenico. I fatti sono storicamente veri, e documentati. Per esempio, la tenera invocazione al Cuore di Maria viene da una lettera di Fran¬cesco Vaschetti, del maggio 1857, cioè anteriore di molto alla stesura della Vita (a). Si deve invece pensare, ed io ne sono felicissimo per l´assunto di questo mio studio, che adunque nel Savio storico e vi¬vente, che s´ispira al Giovane Provveduto, si riflette e si attua intera-mente e nella sua più alta efficacia, fino ai gradi della santità, l´educa¬zione di Don Bosco, e questi, trovando finalmente un campione insu¬perabile delle sue idee, lo esalta e propone a modello. Il Savio assimila ed esempla in se stesso tutta la pedagogia spirituale e morale, special¬mente quella più elevata, del suo Maestro, e la didascalia scaturisce dalla storia (4).
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L´ideale sovraterreno si riverbera sulla vita quotidiana, informan¬dola ad un costume di modestia, dove ha parte precipua la volontà e iI superamento di sè. Don Bosco vuol farcelo sentire, e appunto con tale concetto apre il capitolo dove tratta della mortificazione (Ca¬pitolo XVI). Nella compostezza esteriore di quella modestia altri « ci trovava tanta naturalezza » da credere che il Savio « fosse così creato dal Signore è. E allora soggiunge: « Ma quelli che lo conob¬(i) Giov. Provv., cit., pag. 53. — Vita, ediz. 3a, capo XVI, pag. 79.
(2) Giov. Provv., cit., ediz. la-4a, pag. 53. — Vita, capo XIII, gag. 64. Ediz. x a. Io: pag. 472-474- —
(3) Somm., tit. XXII, Docum., Salvo qualche ritocco
di lingua (le chiamava= chiedeva) il tratto è passato letteralmente nella Vita.
(4) In parole più povere, si deve dire che Savio non ha inventato tutto, ma ha imparato anche dal Giov. Provveduto, e cioè da Don Bosco, e dalla tradizione vivente intorno al Santo Maestro, l´arte della modestia. E a fatto uguale rispon-dono nel dettato del medesimo Autore parole uguali. Tanto meglio, dico, per il mio assunto!
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bero da vicino ed ebbero cura della sua educazione, possono assi
curare che vi era grande sforzo- umano coadiuvato dalla grazia di Dio » (I).
Qui sta il merito. Quella modestia è dunque opera personale, sforzo di conquista, superamento di sè: virtù di carattere. E ne arreca la prova. Quella, già altrove ricordata, della « non piccola violenza » fat¬tasi per tener raccolti gli occhi vivacissimi: una fatica, come confes¬sava ad un intimo, che gli cagionò perfino grave mal di capo. E quella legge di « voler assolutamente dominare gli occhi» si adempiva in modo che « di tutti quelli che lo conobbero ninno si ricorda d´averlo veduto a dare una sola occhiata la quale eccedesse i limiti della più rigorosa modestia » (Capo XVI). Virtù non solo voluta, ma ragionata: ed egli ne dava la spiegazione con la comparazione tra gli occhi e le finestre, per le quali « passa ciò che si fa passare, e noi per queste finestre possiam far passare un angelo oppure il demonio colle sue corna, e condurre l´uno o l´altro ad essere padroni del nostro cw5re ». Mettiamo questo sforzo umano accanto al proposito espresso nella dedica a Maria, di voler morire piuttosto che commettere « cosa con¬traria alla modestia » e serbare il cuore lontano da ogni affetto men puro; e le dolcissime intenzioni di risparmiar gli sguardi per con¬templar la sua Madonna in Paradiso ci appariranno non una qualsiasi
idea venuta da influssi devozionali, ma da un ideale consapevolmente inteso e virilmente raggiunto.
Tanto n´era compreso, che di quella custodia « delle due finestre »
si faceva propugnatore e apostolo. Don Bosco ricorda subito appresso l´episodio del giornale sconcio strappato di mano a un crocchio di
ragazzi inverecondi, con le sante proteste del casto giovanetto contro la profanazione di quel santo dono di Dio che son gli occhi in « mi
rare sconcezze inventate dalla malizia degli uomini a danno dell´anima nostra ».
L´episodio, che risponde alle intenzioni educative del Santo Maestro, involge la breve stringente discussione del piccolo ragiona¬tore (2),. che ricorda le parole del Salvatore per -« un solo sguardo cattivo », e ribatte la scusa del farlo « solo per ridere », ed esce nell´apo¬strofe a Giobbe, ricordando eufemisticamente iI sacro patto ch´egli
fece co´ suoi occhi « di non dar loro libertà intorno alle cose invere¬conde
(i) Così l´ediz. 4a-5a. Prima era detto: * era tutto sforzo umano ». Cfr. sopra, pag. 199.
(z) Un documento dice che in certi ragionati pareva un decorino ». Declar. n. 9, di G. Borsetti, pag. 47i.
so — Cavicue, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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Il Santo biografo, più volte per questa materia, fa appello « a quelli che lo conobbero da vicino od ebbero cura della sua educazione » (i). La modestia del santo alunno era edificantemente conosciuta e notata.
Ed è quanto ci dicono i Processi, dove parlano appunto coloro ai quali si appellava Don Bosco. Non solo « spiccava in special modo in questo giovinetto la modestia » (z), ma « l´aspetto del Savio e il suo contegno erano un profumo di modestia e santità ». Lo dice il Ballesio, e si può dire l´impressione di tutti (3): tanto che altri può affermare che tutti i compagni magnificavano il suo candore e purità verginale (4). L´immagine di lui (per qualcuno fu quasi una sensa¬zione) dava l´idea d´un essere angelico, e lo dicevano i più intimi « un angelo in carne » e comunemente « un angelo di costumi »: il Cagliero, nel vederlo avvicinarsi per via, esclamava: « Ecco un angelo in carne come S. Luigi »: Don Bosco diceva alla sorella: « ch´era veramente un angelo » (5).
E come già Don Bosco, così gli altri notano i segni esterni della modestia, a cominciar dal portamento, che per il Santo di Sales è indice di modestia (6). Per esempio non andava correndo per via, ma con passo grave e moderato, in guisa che non pareva di giovane età (7). Il contegno di lui in ogni circostanza era sempre circospetto, riservato, delicatissimo, e lo notarono compagni e assistenti (8): per via, com´era noto, non guardava in giro, al punto da non sapere bene la strada e conoscere i nomi delle vie (9): tanto meno interessarsi di quanto accadeva, fosse pure attraente (io).
(t) Nei i° e zu capoverso del cap. XVI e ancora nel seguito del cap., dopo l´episodio accennato.
(2) Somm., Docutn. n. x t: Marcellino, pag. 474. Ricordo il docum. Vaschetti, cit. più sopra.
(3) Somm., Ballesio, 285. — Così il Melica, pag. 286: a La modestia traspa¬riva dalla persona a.-
(4) Somm., Barberis, zgo. La testimonianza d´un teste ex-auditu ha qui spe-cial valore, perchè attesta il perdurar della fama.
(5) Somm., Cerruti, 292; Cagliero, z88; Tosco-Savio, 286. L´epiteto di a An¬gelico » ricorre più d´una volta nel dettato della Vita e noi lo rileviamo sempre.
(6) « Celle cy compose les mouvements, les gestes et contenances du corps, évitant les deux extrémités, qui sont ces deux vices contraires, la légéreté ou dissolution, et la contenance trop affectée i. Entretien IX, cit., pag. 137.
(7) Somm., Docum. n. II, Marcellino, 474•
(8) Soinm., Cagliero, z88. E dice noi.
(9) Somm., Francesia, z86; Piano, 285. Il Piano andava sempre con lui. (io) Vita, cap. XIII, Somm., Conti, 289.
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Nella condotta ordinaria nessuno ebbe mai veduto di lui un atto scomposto (d´indecente non si parla) (i), e il Cagliero, compagno assi¬stente, può dire d´una riservatezza propria dei Santi. Per esempio, lo vedeva «alzarsi da letto e coricarsi con tale una modestia e sempli¬cità, che ne restavano edificati gli stessi compagni di dormitorio;... e i vicini di camera, alle volte sbadatelli e poco circospetti, impara¬vano da lui ad essere più modesti » (a). .
Che se l´insieme del contegno, dove s´incontrano umiltà e mo¬destia, dava l´impressione d´un ripensato riserbo: soprattutto doveva la modestia apparire dagli occhi, che in questo genere son tutto, e da quelli subito si conosce. Don Bosco n´ha fatto qui, e sempre, il punto capitale della pratica (3); e come tale tutti, senza eccezione, i coevi, l´hanno segnalato come una prerogativa del santo amico.. Si va da chi ricorda semplicemente « gli occhi modesti » per via, o « la custodia che sempre aveva de´ suoi occhi », a chi osserva che « i suoi occhi non erano divagati nel conversare colle persone, specialmente se di altro sesso » (4): da chi osservava che « mai diede un´occhiata che potesse offendere la modestia », al Cerruti, al Piano, che vedono in quell´abito la mortificazione interna inculcata da Don Bosco (5), e a Don Rua che lo paragona con S. Luigi (6), e il confronto non è sproporzionato, quando si sa che cosi pensava Don Bosco (7). La « gelosa circospe¬zione » onde il Segneri definiva l´abito della modestia nel suo angelico Santo, sta in pari misura tra le definizioni che scolpiscono i modi della virtù liliale nel nuovo esemplare della gioventù.
Non meno impresso rimase il ricordo del suo contegno sociale, ed è quello del senso di rispetto che la sua presenza imponeva. Per parte sua cercava di allontanare dalla convivenza ogni pericolo di male (ricorda il fatto del giornale), fosse di parole, di gesti, o di li¬bri (8), e specialmente vigilava sui crocchi men fidati, ai quali il suo intervento faceva mutare il tono. E se dei discoli che Don Bosco gli affidava od egli si studiava di rimbonire, avvertì qualcuno di cose deli¬cate, non fu mai perché le avesse vedute, bensì per averlo veduto con quella gente (9). Quel suo abito di modestia e di purezza incuteva,
(i) Somm., Cerruti, 287.
(i) Somm., Cagliero, 295 e 288.
(3) Fin dal primo libro che stampò, e dal Giovane Provveduto, loc. cit.
(4) Somm.: Piano, 285; Anfossi, zgx ; Docum. p. r t, Marcellino, pag. 474: e l´osservazione non è volgare.
(5) Somm., Cerruti, 287; Piano, 285.
(6) Somm., Don Rua, 282.
(7) Somm., Amadei, zio.
(8) Somm., Amadei, 29o; Francesia, z86.
(9) SOMM., D. Rua, zgz. — L´osservazione è acuta_
ao — CAVIGLIA, DM Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.
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come dissi, rispetto. Nessuno si sarebbe permesso parola men che corretta in sua presenza « per non farlo corrugato e triste » (i). Il Cagliero: « Mai che un compagno si azzardasse a dir parola men che casta in sua presenza, mai che si permettesse con lui atti meno mo¬desti o dissipatamente liberi (dei villanzoni non ne mancava); il suo contegno li premuniva, li ammoniva, li conteneva nella virtù » (a).
Tutta codesta opportunissima somma di fatti e di osservazioni (ed io ho voluto essere minuto e copioso e completo, perchè so di far piacere a Don Bosco e ai suoi figliuoli), ci spiega la conclusione, alla quale i più ponderati conoscitori del Savio furono condotti. Ed è che l´anima di lui non sia per alcun modo stata sfiorata dal male, ed abbia portata con sè l´innocenza del battesimo (a). « Le tentazioni non hanno certo osato assaltarlo, né tentato di entrarvi, perchè trova¬rono sempre chiuse le porte dei sensi » afferma il Cagliero (4). E al¬trove: « Non credo che il demonio abbia mai vessato il Savio con arte particolare, e le stesse tentazioni non potevano turbare il suo cuore innocente, e meno la sua mente, ignara affatto delle malizie umane » (i). Egli pensa che il suo amico « non abbia mai peccato neppur venial
mente in materia di castità, perchè semplice, ignaro delle malizie del mondo, e perchè prevenuto dalla grazia » (6).
Questa persuasione suggerisce a lui, come a Don Rua, l´opinione che il Savio abbia fruito del Privilegio di S. Luigi. « Si può dire, spiega il Cagliero, che questa virtù era in lui una prerogativa speciale, frutto della divina grazia ». Più esattamente Don Rua: « Sono per credere che per privilegio singolare il Servo di Dio non andasse soggetto a tentazioni contro la castità» (7). Nè altro fu il concetto che n´ebbe Don Bosco, il quale, se considerò il Savio come «il fiore bellissimo
(T) Somm., Melica, 288.
(2) Somm., Cagliero, 288. — Quegli ultimi tre verbi sono una icastica finita.
(3) Somm., Cerruti, 287; Melica, 286.
(4) Somm., Cagliero, pag. 289.
(5) Somm., id., 175.
(6) Somm., loc. cit., Cagliero, 289. — Al tempo di queste deposizioni il Ca¬gliero era già Cardinale di S. R. C. — Per conto nostro diciamo: Che valore hanno tutte quelle strutture scientifiche sulla psicologia dell´adolescenza, e tutte le agno¬stiche ipotesi che fanno dei Santi altrettanti esseri malati? Il Savio è al periodo critico dell´età e di salute sta come sappiamo: eppure niente avviene in lui di-- morboso, come si dovrebbe supporre. Vi è dunque in lui qualche cosa che la scienza non vede.
(7) Somm., Cagliero, 291; D. Rua, 291. È noto quel che il Bellarmino scrisse dei cinque privilegi di S. Luigi nella celebre lettera al P. Cenati, riferita in Bol¬land. jun., t. IV, 1037, C, D, F. — Nel Decreto della S. Rota è detto: u Non¬quam stimulos carnis passus est, nec cogitationem ullam in mente impuram habuit: quod in aliis Sanctorum historiis non legitur ».
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tra i belli » (i), diceva poi abitualmente che egli « riteneva le virtù del Savio per nulla inferiori a quelle di S. Luigi » (a).
(i) Somm., Cagliero. 288. — Piace ricordare che con questa immagine co¬minciavano le Aninzadversiones del Promotore della Fede per l´introduzione della Causa in Sede Apostolica: a E piae Sal. Societatis viridario primus flosculus sancti¬tatis odore flagrans depromitur Dontinicus Savio, qui tamquam angelicus iuvenis al¬terque .4loysius Gonwaga lede sacro Ordini exhiltetur » (30 ottobre 1913). — Il Pro¬motore (volg. Avvocato del Diavolo!) era allora Mons. Alessandro Verde, poi Card. S. R. E., non certo ostile alla Causa. Gli rispose l´Av. v. Mons. Carlo Sa¬lotti, ora Card. S. R. E. (8 dicembre 1913).
(z) Somm., Amadei, zoo, citando la Cronaca di D. Domenico Ruffino, autore¬volissima. — Il parallelo con S. Luigi è frequente, quasi generale, nei testi. Cfr. tit. XX: De fama sanctitatis in vita et post mortem. Cfr. ivi principalmente: Bal¬lesio, Cerruti (che ´riferisce da Don Bosco), Cagliero, e nel Proc. Orditi. il Cer¬ruti, pag. 395, che riferisce l´opinione dei compagni più insigni.
CAPITOLO VI
Savio, modello alla gioventù e tipo d´una tradizione.
Codesto nuovo S. Luigi, proposto a modello della gioventù mo¬derna, non può essere, anche nel tenore più umile della vita da lui vissuta, altrimenti che un lavoro della grazia divina, e verrebbe da sé, a questo punto, l´esaltazione evangelica della purezza: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt (i). In questa luce ci si aprirebbe il cielo radioso della veduta di Dio nell´anima del nostro purissimo an¬gelico fanciullo. Ma questo è tal soggetto che richiede più ampio respiro, quale noi troveremo fra poco: mentre qui, per non uscire dallo stile più possibilmente umano della trattazione del corrente libro, credo opportuno un altro capitalissimo e finale riflesso.
La figura del Savio, in questa parte e nella totalità della sua per¬sona di Santo, assorge ad un valore capitale. Egli è ad un tempo un esemplare insuperabile per la gioventù dei tempi nuovi, ed un tipo che impersona una tradizione. Dell´esemplarità ideale del Santo hanno detto e diranno quanti ne parlarono e scrissero e ne dovranno parlare e scrivere in avvenire, giacchè in essa consiste la sua personalità. Dirlo il modello della gioventù moderna non è una nostra espressione enfatica: dal 1895, quando cominciò il primo richiamo dell´attenzione sulla figura di questo giovanetto (e fu, allora e poi, opera di D. Ste¬fano Trione, compianto eroico campione della salesianità), e poi alla vigilia dell´apertura del.Processo Diocesano e in seguito, e dagli scritti di Eminentissimi Cardinali ed illustri Prelati, fino al celebrato discorso di Mons. Radini-Tedeschi, si è proclamato da tutti (e quegli scritti sono allegati agli Atti del Processo) che Domenico Savio doveva essere il modello della gioventù dei nuovi tempi. E finalmente venne la parola del Vicario di G. C., PP. Pio XI, il 9 luglio 1933, a dire: «A quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognavano a noi, ai nostri giorni, per
(r) MATTE., V, 8.
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poterle presentare alla gioventù dei nostri giorni,... una perfezione fatta di purezza, di pietà, d´apostolato ».
Nella modestia della presentazione del Savio, fatta colla Vita, che mira all´edificazione cristiana dei giovani,. Don Bosco non ha
pensato altrimenti, mentre, bisogna dirlo perchè è attestato (i), sa
peva (e forse prevedeva) che il modello era tale da reggere al compito storico di così alta e vasta missione.
Per l´altro aspetto, onde il Savio ci appare come impersonante una tradizione, è bello soggiungere senz´altro il chiarimento. Si fece que¬stione, in sede di Processo Canonico, se il Savio avesse fatto dei voti,
qualche voto speciale: e chi disse di non crederlo, chi disse d´igno¬rarlo (2): un solo, ma incontestabile, lo affermò: il Cagliero. Cito,
per la ragione che fra poco vedremo, l´intero passo della sua dichia¬razione: « Ricordo che al tempo del Servo di Dio vi era uno slancio nei giovani più buoni di esercitarsi nelle virtù in modo straordinario:
come fare una mortificazione al sabato, usare piccoli cilizi al braccio, astenersi dalla frutta, fare preghiere con speciale compostezza; con
la santa obbedienza praticando specialmente la castità e la povertà, fa¬cendone voto temporaneo e secondo la portata dell´età nostra. Tra questi
era il piccolo Domenico, sempre dei più animati e dei primi a praticare i consigli evangelici» (3):
Le Memorie Biografiche ci danno la relazione e i nomi di coloro che il 18 dicembre 1859 costituirono il primo nucleo della nuova Congre¬gazione: ai quali pochi giorni innanzi Don Bosco la proponeva, anche alludendo a «promessa o voto temporaneo» che alcuni avevano fatto in mano sua (4). Sono questi gli amici intimi di Savio, quelli della
Compagnia dell´Immacolata, promossa da lui, che fu come il grembo spirituale della Congregazione.
Orbene io invito il lettore a pensare che nella modestia del Savio
(I) Somm., Ballesio, 373; D. Rua, 395. Dice: «Dichiaro averne opinione come di un santo giovane dato dalla Provvidenza a modello della gioventù dei nostri tempi». Altre deposizioni contengono sparsamente frasi di Don Bosco, che riu¬nite formano il discorso di D. Rua. — Ad ogni buon fine, si avverta che la de-posizione di D. Rua è del 23 giugno 19o8. Altre proclamazioni (p. es. di Radini Tedeschi) sono posteriori e certamente estranee alle dichiarazioni del Processo.
(2) Somm.: Il Piano (pag. 94) ignora; il Francesia (pag. 95) non crede; il Cerruti (pag. Tool dice: a Voti religiosi propriamente non n´aveva, e non mi con-sta: ma non mi stupirei che n´avesse fatti dí particolari al suo Superiore e al Confessore ordinario s.
(3) Somm., Cagliero, 289: al tit. XIV: De heroica castitate.
(4) 114em. Biogr., VI, 534-535. Dei 18 nomi ivi rassegnati, alcuni non sono di Soci dell´Immacolata o non erano al tempo del Savio: ma quelli dei suoi giorni vi sono tutti.
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e di quelli che gareggiarono nell´imitarlo e così lo hanno ricordato, si vede esemplata, e quasi fissata tipicamente, la tracli7ione dello stile tutto proprio e caratteristico (in qualche parte persino singolare per chi non ne conosce i motivi e i fini) delle maniere del Salesiano edu¬catore, il quale con la forma della propria modestia (la forma casti¬tatis) insegna e insinua la modestia nei proprii alunni, e cioè con la castità della pedagogia esercita la pedagogia della castità.
Ed al medesimo lettore io dico ancora, concludendo: Metti in¬sieme quanto è stato trovato in questa lunga e minuziosa analisi della persona e del carattere del santo giovinetto figurato nelle pagine della Vita, e, pensando a Don Bosco, suo Maestro e modello, dimmi: vi è qualcuna di tali caratteristiche, qualcuno di tali lineamenti del ri¬tratto morale del discepolo santo, che non si possa e debba dire af¬fine, quand´anche non proprio e tipico, della figura morale di Don Bosco, e non appartenga vitalmente alla concezione che della vita morale e spirituale il Santo Maestro lasciò come sua? E ve n´è qual¬cuno che rimanga del tutto personale, e non sia invece innestato, nonchè nella tradizione spirituale, ma nello stile proprio della sale¬sianità, quale, secondo la tradizione, forma il clima e il modo di vi¬vere, l´abito del Salesiano di vera e buona stoffa? Per me e, credo, per quanti han conosciuto o studiato davvicino Don Bosco, e per quanti sanno che cosa sia iI genuino tipo salesiano, non vi è dubbio: la figura vivente del Savio e quella di Don Bosco si rispecchiano a vicenda, e danno l´idea di quello che deve essere il Salesiano vivente.
INDICE E SOMMARIO
LIBRO
•
LA PRIMA STORIA DI SAVIO DOMENICO
CAPITOLO I. — « Le virtù nate con esso » . . . . . pag.
sommmuo. — La meraviglia e la simpatia avvolgono la figura di Savio Domenico. — La sintesi di Don Bosco. — Come bisogna leggere la storia della prima età. — tt Virtù nate con esso e o la-vori della grazia di Dio s. — Il soprannaturale e la personalità. -Parallelo coi Santi: i segni di futura santità. --- Distinzione. — La relatività. — La natura e Ia personalità. — La Vita è una storia di santità.
o La prima infanzia. — Il padre. — La famiglia ordinata. — La buona educazione. — La madre. — La complessione. — Il bimbo sorridente. — Ricordi dei genitori.
o Virtù nate con lui. — Crescenza spirituale. — Come il Segneri
per S. Luigi. — Pietà eroica di binibo. Conte la Mazzarello.
— II fascino di Gesù. — Fatti soprannaturali. — L´abito delle virtù: parole del Cagliero.
CAPITOLO II. -- I sette anni: la sua parola » 2z
SOMMARIO. — La prima grande data. — Luce nuova nell´anima.
— Grazia .e santità. — Parallelo con S. Luigi.
o L´ora della Prima Comunione. — Il cappellano D. Zucca e le con¬suetudini del ritardo.
o L´orientamento dell´anima verso Gesù. — La preparazione. — Ca¬gliero fanciullo presente e ammiratore. — La sentenza di Don Bosco.
o Precocità spirituale. — I Ricordi della Prima Comunione: loro valore nella vita. — La parola antonomastica: 4 La morte ma non peccati ».
o Valore capitale di quella massima nel concetto di Don Bosco: h il programma e la guida di tutta la vita del Savio ». — Suo valore spirituale: atto d´amor di Dio. — Commento spirituale e storico. ¬i cinque anni seguenti: crescenza nella grazia.
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CAPITOLO III. — La fanciullezza e i t lavori della grazia di
Dio » • pag. 31
SOMMARIO. — I capitoli IV, V, VI, della Vita: documenti e .testi¬monianze. — I tre maestri.
o A Murialdo: la lettera di D. Zucca. = Scolaro santo. — Figliuolo esemplare. — L´assistenza dell´Angelo Custode. — Necessità di scuole ulteriori: senso d´una vocazione.
o Il periodo di Castelnuovo. — Da Murialdo alla scuola: cammino eroico. — I motivi di quella fatica: una risposta per via: «L´Angelo Custode mi accompagna! ». — Valore di quell´eroismo nella storia spirituale.
o- La relazione del Maestro Allora. — « Scolaro cristiano ». L´epi
sodio del a bagnarsi e. — La contraddizione di Giovanni Zucca, e la correzione alla 22" edizione della Vita. — Altra volta, non più.
— L´innocenza intatta. — La e gelosa circospezione» come in San Luigi.
o Diportamento nella scelta dei compagni. — Lo scolaro esemplare.
— I Regolamenti. — La precisione inspirata dalla pietà. — Il ri¬tratto disegnato dal Maestro. — Virtù non inosservate. Attesta¬zioni del Maestro Cugliero. — Significato spirituale di quella con¬dotta.
o il periodo di Mondonio. — Puer autem erescebat. — I momenti della fanciullezza seguiti da altrettanti gesti eroici_ — Savio sente la sua vocazione. — Come Don Bosco. — Virtù più profonde e anche visibili: « Egli vuol farsi santo e.
o La Relazione del Maestro D. Cugliero. — Testi coevi e condisce¬poli. — .Le espressioni encomiastiche del Cugliero. — La pietà. — La scuola. — Il Cugliero e i testi. — Aneddoti: invito al ballo.
— Come S. Luigi ?
o Il fatto del grande eroismo. — Varianti dei testi di veduta. — Il perchè di quel gesto: carità per i compagni e ricordo di Gesù. — Commento morale e spirituale del fatto. — Il sacrificio della pro¬pria stima. — a Anche il Signore fu calunniato e. — L´atto eroico corona dodici anni di virtù.
CAPITOLO IV. — Verso Don Bosco » 51
SOMMARIO. — Il desiderio dì venire da Don Bosco: per la sua vo¬cazione. — Il Maestro Cugliero cooperatore di Don Bosco. — Pre¬sentazione: q Troverà un S. Luigi ». — Commento alla verità di tale
espressione. — Vita e spiritualità superiori. La specie dei « Santi
fanciulli — La preparazione interiore del Savio: psicologia di santo. — a Operar dall´interno » come S. Luigi.
o L´incontro con Don Bosco: intuizione di anime. — Il colloquio a
e in piena confidenza e. — La rivelazione: « I lavori della gra¬zia divina e. — Come S. Carlo e S. Luigi nel 1580. — Arguto dia¬logare: e Che gliene pare ? ». — La buona stoffa. — Il dunque del fanciullo: la stoffa e il sarto, e l´abito pel Signore. — Un programma di lavoro per la santità. — Le altre circostanze. — La salute e il
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coraggio del fanciullo. — L´accettazione: il disegno della collabo¬razione.
CAPITOLO V. — Quel che vi era e quel che doveva venire . pag. 57
SOMMARIO. — Com´era quando venne all´Oratorio. — Parole di Don Rua e del Cagliero. — Internamente: l´anima che dice la grande parola. — Senso eroico della preghiera. — Il fascino del SS. Sa¬cramento. — La precisione nel dovere. — Senso eroico della voca¬zione. — Serietà. — Fortezza contro il male. — Carità eroica. — Virtù eroiche in un fanciullo. — Non indizi, ma principii e germi di santità. — La stoffa.
o Savio è un altro ?... Don Bosco vede il crescere meraviglioso e si¬multaneo, anzi armonico, delle virtù precedenti. — Funzione del¬l´età e del luogo. — Parallelo con S. Luigi. — Bisogno d´una di
rezione. Segneri e il luogo proprio. — Il luogo proprio del Sa
vio è l´Oratorio. — Adolescenza naturale e soprannaturale: la pa¬rola è: « Farsi santo ». — Chiusa del primo Libro: biologia della santità nei lavori della grazia divina.
LIBRO II
A CASA DI DON BOSCO
CAPITOLO I. — Incipit vita nova » 65
SommAkto. — Significato della parola nella storia del Savio. — Il capo VIII della Vita: come vi è presentato: novità per Don Bosco.
— Il Savio si ritrova subito nella nuova vita, e continua la sua cre¬scenza. — Una definizione: virtù che crescono meravigliosamente, simultaneamente e in armonia. —• L´armonia dell´anima. -- Pro¬fondità ed estensione di tal definizione. — Nel Savio non vi è l´in¬cipiente: fuori delle gradazioni. — Assenza voluta della cronologia.
— Linee del nostro studio. — Come appaiono nella Vita.
o Cominciamenti. — La Casa di Don Bosco. — La data dell´ingresso.
— La e Casa dell´Oratorio a. --- Il termine ha il senso di famiglia.
— Nostalgia di Don Bosco e spirito del suo sistema. — Casa Pi¬nardi diventa la Casa Nuova in quegli anni. — Stile di famiglia: un Padre e una Mamma. — Un Regolamento paterno.
o Aria di Dio e- clima di santi. — Felici condizioni attestate nel Le¬moyne e dalle testimonianze. — Molino, Ballesio, Cagliero. ¬Nomi della storia salesiana. — Il soprannaturale aleggia.
o Coi buoni, anche gli altri. — La sentenza di Ludovico Vives. ¬II miracolo educativo di Don Bosco.
o La povertà. — Quella di Don Bosco è la Pedagogia del povero. ¬Differenza dalle altre pedagogie. — Sentenza dell´Orestano. ¬L´origine di quei giovani e lo stile della vita. — Meno che di terza classe. — L´educazione rudimentale. — Il Savio lodato perché gar
224
bato, pulito e civile. — Come e da chi si comprende quella vita. Crispolti e S. Luigi. — Una nobiltà salesiana.
o La mentalità di quei giovani e la loro coltura. — Il o saper di Dio » nei piccoli santi di Don Bosco. — Lo stile umile e popo¬lare del Santo scrittore e Maestro. — Con tali elementi Don Bosco fa dei Santi: la sua novità. — Differenze e distanze tra il Savio e S. Luigi. — Un esempio.
o L´intenso culto di S. Luigi presso Don Bosco. — Un modello ideale di purezza. — In che senso il Savio sarà modello alla gio¬ventù: santificazione della vita ordinaria e comune. — Savio nel suo luogo proprio afferma e svolge la sua forma personale.
CAPITOLO II. — La direzione di Don Bosco pag. 8z
SOMMARIO. — Don Bosco nella Casa è tutto. — II Padre della famiglia. — Paternità e filialità. — L´un per uno. — La tipica Buona notte per l´educazione collettiva. — Il saluto della sera, per .ognuno.
o La Direzione vera ed essenziale: la Confessione. — L´effettiva Pe¬dagogia è nell´essere il confessore dei suoi giovani. — Per il Sa¬vio fu tutto. — Quel che mancò a S. Luigi. — Un sermoncino della sera e la conclusione della Vita. — Attività e confidenza. — Gl´indirizzi di quella direzione rivelati dalla storia della santità del Savio.
O Rari i lunghi colloqui esterni. — Una lettera singolare di -Dome¬nico al padre. — Dopo un anno, finalmente un´ora da solo con Don Bosco. — Mai dieci minuti da solo! — Il testo genuino di quella lettera (Nota).
•
CAPITOLO III. — I fatti del cominciamento » 88
SOMMARIO. — 29 ottobre 5854: il primo colloquio con Don Bosco
— Viene a darsi nelle mani dei Superiori. — Significato. — Il cartello: Da mihi animar, cetera tolte. — Traduzione e spiegazioni.
— L´applicazione del Savio.
O La vita nuova comincia colla precisione nel dovere. — Il primo postulato della spiritualità per Don Bosco. -- e Tenor di vita tutto ordinario » in questo senso. — Una testimonianza eloquente. ¬Lo straordinario di tale condotta.
o La recettività dell´anima del fanciullo santo alle parole di Don Bo¬sco. — La pedagogia in atto. — Assimilazione in progressi di per¬fezione. — Il di qui di Don Bosco: esemplarità ed esattezza « ol¬tre cui difficilmente si può andare *. — È la definizione dei co¬minciamenti del piccolo Santo. — La santità che ferve sotto il e te¬nore tutto ordinario ». — Spunti didascalici postumi.
O Il Dicembre del 1854. — Preparazione della Definizione dell´Im¬macolata Concezione. — Intraprendenza di Don Bosco per l´esal¬tazione di Maria: ringraziamento per Io scampato colera. — Corri¬spondenza dei giovani. — La tensione dell´animo nel Savio verso una nuova conquista. -- I fioretti della novena. — Don Bosco ri¬corda ventidue anni dopo (1876) le parole del Savio alla vigilia
`-h, 225
della novena. — I suoi propositi. — Preannunzio del momento spi¬rituale.
o Il PRIMO MOMFNTO. — Don Bosco ne segna la data: sera dell´8 dicembre. — o Col consiglio del confessore ». — La nuova ascen¬sione diretta o inspirata da Don Bosco. — Consonanza dell´esorta¬zione comune con le parole della consacrazione del Savio. — L´at¬to solenne del piccolo Santo. — La Prima Comunione ritorna con nuovo ardore e nuova luce. — Il soprannaturale.
o Il nuovo momento della vita, una nuova data: Don Bosco riconosce il nuovo Savio, e comincia a notarne i fatti. — Programma del libro dopo questo fatto, e ragione di essere. — Non più cronologia. — Profondità di vedute.
CAPITOLO IV. — La vita del dovere pag. 97
SOMMARIO. — Nella Vita del Savio l´edificazione deriva dalla sto¬ria della santità. — Differenza dalla Vita del Besucco. — Non è
una personificata didascalia pedagogica. — II pericolo di certe dot¬trine. — L´educazione della volontà: come va intesa. — S. Fran¬cesco di Sales. -- Nel Savio siamo ad una sfera superiore. — Il capo IX della Vita: il Savio scolaro. — Una premessa di Don Bo¬sco: anche l´umano è prova del fervore. — La Chiesa e il grado eroico dei fatti umani.
o Perchè Don Bosco comincia dalla vita del dovere. — La dottrina di S. Francesco di Sales: la santità nei doveri del proprio stato. — Don Bosco e la Mazzarello in quest´idea. — Due discorsi di P. Pio XI: « lo spirito di nobile precisione ». — Le biografie det¬tate da Don Bosco: dal Burzio al Besucco.
o Nel Savio, più oltre: è un motivo di santità. — La dottrina fon¬damentale del Sales: il motivo dell´amore santifica ogni azione. Questa è la dottrina e il pratico indirizzo di Don Bosco. — Una dotta pagina del Columba-Nlarrnion..— Così pensa Don Bosco del Savio. — Testimonianze autorevoli. — Don Bosco numero uno.
qui laborat, orat di P. Pio XI. — Savio è la santità salesiana.
o II grande atto eroico dimostra la santità e l´altezza della sua sta¬tura. — Il. lavoro secreto dell´anima da cui sgorga ed erompe l´atto eroico. — Significato del fatto in un fanciullo tredicenne. — Data del fatto: tra il primo e il secondo momento. — La narrazione del fatto. — Una sfida bestiale tra due scolari. — Il genio della san¬tità nell´idea eroica. — Il dialogo della proposta. — Il momento: il Ceocifisso in alto, e la formola che propone: e Il primo colpo sopra di me ». — I contendenti disarmati. — L´ardente perorazione sul perdono. — I compagni vinti e convinti. —La conversione: e tro¬vargli un confessore e. — Come lo ha narrato e contemplato Don Bosco: « eroico e appena credibile e. — Umiltà del Savio.
o Alla scuola. — Lo studente santo. Vita interiore riflessa nella
condotta. — L´ingegno, il profitto, la diligenza. — Testimonianze copiose. — Bontà garbata e cortese: soavità di modi: educazione ci¬vile. — Il paciere. — Un fiore della vita eucaristica. — La strada. — Diportamenti e compagnie. — Una tentazione superata. — Com¬mento. — La spiritualità fondamentale della sua condotta.
226 `-s-,
LIBRO III
FARSI SANTO
CAPITOLO I. — Il secondo momento pag. 113
SOMMARIO. — Altra pagina della Vita: capo X: il secondo mo¬mento. — Armonia nella santità del Savio. — Distinzione tra l´a¬zione della grazia nella santità e la vita pratica di essa: tra i dati e doni personali e gl´indirizzi ricevuti. — Spiegazione: quali sono gli uni e gli altri. — Lo stile della santità che viene da Don Bo¬sco. — Avverarsi dell´armonia tra i due fattori nel secondo mo¬mento. — La genesi del fatto nel crescere dell´amore destato nel primo momento: amore crescente. — Parole secrete di. Dio.
o Dopo l´8 dicembre: l´attesa di una parola: la sua parola. — L´oc¬casione: una predica sulla facilità di farsi santi. -- Fine marzo 1855.
— Per il Savio « Fu la scintilla che gl´infiammò il cuore d´amor di Dio i. — La parola: Farsi santo. — Particolarità di quel di¬scorso: i tre punti o pensieri. — Il secondo punto: e Facile farsi santi » e la prefazione del Giovane Provveduto. — Unione con l´al¬legria: « Servire al Signore e stare allegri a.
O Lo spirito di Don Bosco. — In che senso è da intendere la fa-cilità. — La salesianità da S. Francesco di Sales a ´Don Bosco.
— Il senso della misura di Don Bosco: sentenza dell´Orestano.
— Il termine di Santo. — Che cosa vuole il Savio: una vita da santo.
o La psicologia del santo fanciullo in quei giorni. — II dialogo con Don Bosco: la dichiarazione del piccolo santo definisce ogni cosa.
— I due assolutamente. — Esaltazione o voce di Dio ? La Santa di Lisieux. — Don Bosco crede al suo alunno. — Moderazione delle sue risposte: calma, allegria, e perseveranza.
o Sapienza psicologica e pedagogica di Don Bosco in questo fatto. — L´indirizzo pratico e la serenità contro la tristezza. — Due modi di guardare il mondo: tra S. Bernardo e Francesco di Sales, Don Bosco sta col secondo. — Parole dell´Orestano. — La gioia interiore irradiata nella vita.
o Il secondo momento dà al Savio l´idea unica per cui e di cui vive.
- Insistenze- con Don Bosco: a Domando che" mi faccia santo a.
— a Iddio lo vuole a. — Lo scopo dell´esistenza. — Il biglietto della fest. di S. Giovanni. — a Domenico a. — t Sarò infelice finchè non sarò santo a. (Nota: Pagina squisita di scrittore). — La smania è il fervore: «vita da santo a.
o Un rischio generoso. — Prudenza di Don Bosco. — Le vie indi¬cate dal Santo Maestro e la rinnovazione della spiritualità moderna.
— La Santa Teresa di Lisieux e Don Bosco nella Vita del Savio.
— Semplificazione nell´unione e nell´amor di Dio. — Don 13Q¬sco semplificatore realista. — Suoi fondamenti nelle dottrine dei Maestri.
o Le vie della santità dopo questo fatto. — Don Bosco educa un´a¬nima affine. — La realtà già concretata nel Savio e riconosciuta dal
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Santo Maestro. — Gl´interessi di Gesù sentiti dal fanciullo santo. — Gl´indirizzi di Don Bosco vi corrispondono o li svolgono. ¬La formazione o educazione spirituale risponde alle disposizioni del
discepolo. — Il Maestro v´impronta se stesso.
CAPITOLO IL — Vocazione di santo: l´apostolato . . . pag. 129
SommAmo. — Il nostro assunto nelle parole di P. Pio XI: in Sa¬vio Domenico ritorna Don Bosco. — Perciò lo spirito d´aposto¬lato contrassegna il Maestro e il discepolo. — Tale spirito è l´esito di tutto il lavoro d´una preparazione «soprannaturalmente natu¬rale ». — a Piccolo, ma grande apostolo n. — Ciò che Pio XI non disse, ma fece intendere. — Le testimonianze adducono l´aposto¬lato a prova della santità. — Conclusione sul nostro assunto.
o Il primo precetto dato al Savio per farsi santo. — È un precetto tutto personale, che sorpassa le graduazioni ascetiche. — Idee del Faber. — Solidità delle idee di Don Bosco e del suo sistema spi¬rituale. — Per il Savio la parola rivelatrice diviene parola vissuta.
— Il Da mihi animar è per Don Bosco l´espressione della sua con¬cezione spirituale e la ragione della sua personalità storica. — La salesianità si fonda sul principio dell´apostolato. — Senso del la¬voro salesiano. — Valore della formola data al Savio, come espres¬sione della salesianità nel a piccolo, anzi grande gigante dello spi¬rito a.
o Parentesi pedagogica. — L´apostolato dei giovani nella vita del cor¬tile. — Che cosa è la vita del cortile nel sistema salesiano. — La
collaborazione nell´educazione l´apostolato dei giovani
tra i giovani. — L´esempio del Magone. — I piccoli apostoli. — Valore educativo dell´opera del Savio inteso a i guadagnare anime a Dio a. — Reciprocanza di spirito: santità missionaria per vocazione, chiarita e diretta da Don Bosco.
o Fonti dello spirito missionario. — L´amor di Dio diffusivo nei suoi aspetti di orrore del peccato in sè e nel prossimo. — Estensione di esso nei sentimenti personali e nell´apostolato. — Testimonianze sul titolo De charitate in Deum.
o Come lo spirito eucaristico generi l´ansietà per la salvezza delle anime. — Nessi col culto della Passione e del Prezioso Sangue.
— Lo zelo e amore delle anime intimamente collegato con la vita eucaristica: corrispondenza tra la frequenza alla Comunione e l´at
tività diffusiva. Espressione di Don Bosco.
o Il piccolo grande apostolo e i moventi della sua vocazione. — I tre istinti nativi dei Santi, e l´ansietà per le anime. — La simpatia per Gesù e sua relazione col carattere dei Santi: nel Savio l´orien¬tamento verso l´apostolato, nelle forme indicate da Don Bosco. ¬Psicologia e logica della grazia in questo « gigante dello spirito ».
— Somma dei sentimenti e motivi del suo zelo nel fatto storico della protesta contro un´insulsa parola.
o Conclusione: Don Bosco volge all´apostolato un istinto della san¬tità del Savio, che così vi svolge la sua vocazione. — Ciò che man¬cò a S. Luigi: commento del Crispolti.
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CAPITOLO III. — L´apostolato in azione Pag. 143
SOMMARIO. — Lo svolgersi dell´intraprendenza del piccolo apostolo: dalla convivenza giovanile agl´interessi di Gesù e della Chiesa, e dalle persone alle genti: il culmine è l´apostolato costruttivo. — Momenti
o aspetti di progresso e di estensione. — Come Pio XI ha veduto l´apostolato del « piccolo, ma grande apostolo ». — L´apostolato nella Vita e nelle testimonianze: concordanze e conferme. — Come si rivela subito lo spirito e l´attività del piccolo apostolo. -- Sintesi del Cagliero. — Espressioni delicate di Don Rua sulla reazione al peccato.
o Episodi esemplari e probativi. — Contro la bestemmia. — Lotta contro il male: le risse, gli scandali, i pericoli, gli attentati alla fede e ai costumi. — « Fortezza contro il peccato e lo scandalo e.
o Conversione di sviati e persuasione di accidiosi. — Le parole se¬grete di Don Bosco alla sera. — Ingegnosi espedienti e bontà al¬legra. — Lo stile salesiano della vita del cortile. — La maniera del Savio: l´urhanitas e la comitas delle sue conversazioni. — Vere conversioni. —• Giovanni Roda. — I discoli, i monellucci e il Ca¬techismo. — Una società per la conversione dei discoli. — Un irre¬ligioso convertito.
o I renitenti e i malcreati: villanie e fatti di mano. — Sotto quali titoli li riferiscono i Processi. — Bontà, fortezza. — Il fatto Rat¬tazzi: sensibilità e perdono.
o L´apostolato costruttivo del bene. — Conquiste penetrative del buon cuore. — Atti di carità: gli sconsolati, gli sperduti, i nuovi, sono gli amici del Savio. — Contro l´isolamento. — Esempi attestati. — Parole di Don Rua e del Cagliero. — Le opere di misericor
dia spirituale. — 1 malati. Il fervore pel Catechismo: piccolo
catechista all´Oratorio. — A Mondonio, nelle vacanze: bozzetti. ¬Conclusione dello Scrittore.
o La permeazione del bene: la più alta attuazione dell´apostolato ot¬tenuta coll´esempio del fervore e colla Compagnia dell´Immacolata.
— Due testimonianze importanti. La giovialità colorisce tutta
l´azione. — Il Savio è il genio della giovialità conquistatrice. II tipo salesiano. — La vita di pietà ravvivata nell´Oratorio nel 1855-56. — Iniziative accolte e rimaste. — Somma di tutti i ri¬flessi sull´apostolato nelle parole del Cagliero, di Don Rua, di Papa Pio XI.
LIBRO IV
LA PERSONA
CAPITOLO I. — La simpatia a 159
SOMMARIO. — Necessità di vedere il Santo nella vita vissuta: l´uo¬mo nel Santo. — Se fossimo stati col Savio all´Oratorio, quale
l´avremmo veduto ? I testi: un profilo di Santo nelle deposizioni
dei coevi. L´etopeia nella Vita e l´esemplarità: lineamenti esterni.
`aia 229
— La persona quale si offre al lavoro della santità. — Come c´en
trano le virtù teologali e morali. Differenze che ne derivano tra
il Savio e S. Luigi.
o II piccolo Savio ha virtù da santo maturo: è un « gigante dello spi-rito ». — Le virtù esterne e la santità. — S. Francesco di Sales e la santità casalinga di Don Bosco. -
o Il tipo del Savio nel libro di Don Bosco. — Don Bosco e il Ca-gliero: la simpatia pel piccolo Santo. — Santo attraente. — Non è una santità austera e pesante.
o L´impressione generale delle testimonianze. — Nel Cagliero è la maturanza delle virtù e la serenità gioviale del Santetto. — Docu¬menti. — II fascino di un santino sorridente. — La Teresa del Bam¬bino Gesù e il suo sorriso. — Il sorriso del Savio, e sua sorgente.
— Perchè vuol farsi Santo. — Come vede egli la santità. — La sua presenza neI suo mondo. — Don Bosco ripone in ciò la riu¬scita dell´apostolato. — Servite Domino in laetitia.
CAPITOLO IL — II cuore pag. 167
SOMMARIO. — La letizia neI Savio è parola dell´anima. — Le sue virtù sono un modo di essere del tipo personale. — La bontà ama¬bile: la caritas di S. Paolo. — La trattazione del Faber. — Come s´intende la bontà. — Il panegirico dei coevi. — Il Cagliero.
o La bontà umile. —II Faber e un pensiero di Lacordaire.
o Il buon cuore: ricordo incancellato in ognuno. — Frequenza domi¬nante di accenni ed esempi nella Vita scritta. — I coevi e il buon cuore del piccolo Santo. — I fatti della Carità. — Testimonianze eloquenti.
O Il paciere.
o E generoso che perdona. — Fatti eroici. — Generosità quotidiana.
— « Amava i suoi offensori e. — Folla di attestazioni. Il Consolatore. — Apostolato del conforto. — Il. desiderato de¬gli infermi. — Tenerezze e riconoscenze.
CAPITOLO III. — Il costume quotidiano della vita . . . » 175
SOMMARIO. — Come lo ricordano i coevi. — Le virtù quotidiane dotate da giovanetti e non dimenticate. — Pensiero di Don Bosco: una condotta straordinaria fatta di cose ordinarie.
o Modum nunquam excessit. — Semplicità senza alcuna posa. — La calma e serenità: virtù di Don Bosco e del Savio. — Spiegazioni di PP. Pio XI. — Aspetto angelico non mai turbato. — L´unico pianto.
— Serenità perenne. — L´angelico.
o Nobili e delicati sentimenti. — La gratitudine: gratitudine e rico¬noscenza nella definizione del Tommaseo. — La definizione si ad¬dice al Savio. — Gratitudine per Don Bosco. — Il ricambio in santità. — Gratitudine per i Maestri. — Don Bosco e le sue sen¬tenze sul buon cuore, cioè sulla gratitudine. — Testimonianze di fatti concreti. — Nobiltà di sentire.
o L´amicizia. — Un aureo capitolo e una sentenza di Lacordaire. ¬Nel Savio è bisogno di condividere la vita dell´anima. — Il cuore e l´umano nelle sue amicizie. — Don Bosco insiste sulle amicizie del
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Savio, a differenza delle altre Vite. — Don Bosco è con Francesco di Sales: ricorsi paralleli.
o La scelta degli amici. — Le * amicizie particolari * del Savio e loro spirito. — Il Gavio e il Massaglia. — Don Bosco e Comollo: sentimento di S. Francesco di Sales sulla pariia/ité. — Le ami¬cizie nella vita educativa e la discrezione di Don Bosco:
o L´amicizia del Savio esaltata dal Santo Educatore. — Le amicizie del piccolo santo secondo i testi coevi. Singolaxi_parole di Don Rua: i tratti di familiarità. — Un tocco magistrale di Don Bosco,
CAPITOLO IV. — Carattere pag. 189
SOMMARIO. - Il simpatico giovinetto ha carattere. — Distinzioni teoriche. — L´eroismo delle virtù e suo significato.
o Un fatto primordiale: l´impeccabilità. — Nel senso spirituale e nel senso pratico. — Eloquenti affermazioni del capo XIV della Vita. Nessuno gli riconosce un difetto. — Unanimità dei testi. — Pa¬ragone con Don Rua. — Cosa più che umana.
o Le doti del carattere e gli schemi canonici. — La pnidenza e as-sennatezza. — Testimonianze e fatti. — Fiducia di Don Bosco.
Valore spirituale. •
o Onestà e coscienza, rettitudine (iustitia). — Particolari di fatto. ¬Non dote da fanciulli.
o Il superamento di sè e la temperanza eroica. — La massima di Don Bosco per * gli apprestamenti di tavola ». — La definizione del Cagliero.
o Accettazione della povertà. — Povertà dignitosa. — Copia di Don Bosco. — Amore alla povertà. — De heroica paupertate: attestazioni mirabili. — II distacco.
o La fortezza d´animo. — Savio è un forte. — La parola di D. G. Sonetti. — Contrasto con le condizioni fisiche. — Contro la scien¬za. — Don Bosco ne fa un lineamento tipico. — La virtù del Savio è « sforzo umano ». — Le prove addotte nella Vita. — Il dominio degli occhi. — L´episodio del Rattazzi.
o Il coraggio. — Lo sforzo umano nei Santi. — La superiorità dello spirito sull´infermità della complessione. — Le testimonianze più autorevoli sull´equilibrio e dominio del temperamento: il e grande sforzo della volontà e. — Non fu mai veduto in collera. — Parole del Cagliero.
o La modestia. — e Benignamente d´umiltà vestuta e. — Le fonti e le maniere dell´umiltà nel piccolo Santo: come S. Paolo e Don Bo¬sco. — Come appare l´umiltà e modestia nella Vita scritta. — Ana¬lisi del contenuto spirituale.
o Come la videro i coevi. — Modestia sociale. — La causa del vo¬lergli bene. — Episodi di modestia e d´umiltà. — Il premio di condotta. — Umiltà fatta bontà e carità.
CAPITOLO V. — II giglio salesiano » 209
SOMMARIO. — La modestia come veste della purezza. — Il ter¬mine in entrambi i senqi, presso. i testi. — Don Bosco preferisce
"-io 231
questo termine. — L´idea è quella di S. Francesco di Sales. — II peccato degli adolescenti. — Don Bosco addita nella modestia la forma più squisita della purezza. — Differenza tra le Vite di Magone e di Savio in questo tema. — Don Bosco non ha pel Sa¬vio un capitolo apposito. — Come ne fa sentire la presenza. ¬La purezza immedesimata con la divozione a Maria. — La preghiera al S. Cuore. di Maria.
o Aderenza e coincidenze verbali col Giovane Provveduto. — Ma i fatti sono storici e non pure didascalie. — La pedagogia della ca¬stità assimilata dal Savio.
o I fatti celebrati da Don Bosco mostrano Ia volontà della virtù. ¬La e non piccola violenza » nel dominar gli occhi. — La metafora delle finestre. — Un atto coraggioso contro lo scandalo: l´eloquenza del piccolo Santo.
o La modestia dell´angelo in carne nelle parole dei coevi. — L´epi¬teto di angelo in tutti. — Contegno per via. — Riserbo negli atti.
— Modestia di sguardi. — La * gelosa circospezione » definisce i modi della virtù. — Contegno sociale: virtù che s´impone a tutti. — Concetto della sua virtù nelle affermazioni: prevenuto dalla gra¬zia, innocenza nativa, esente da tentazioni: il privilegio di S. Luigi.
— Concetto di Don Bosco: e fiore bellissimo tra i belli n. — e Non inferiore a S. Luigi ».
CAPITOLO VI. — Savio, modello alla gioventù, e tipo d´una
tradizione pag. zig
SOMMARIO. - Proclamazioni solenni. — Parole di PP. Pio XI. ¬Intenzione di Don Bosco nello scrivere la Vita. — II Savio im¬persona la prima tradizione salesiana. — Importanza delle dichia¬razioni del Cagliero: la pagina 289 del Sommario dei Processi. ¬Gli amici del Savio formano il primo nucleo della Congregazione il 18 dicembre 1859. — Lo stile del salesiano educatore nelle ma¬niere del Savio e suoi consorti. — La castità della pedagogia. ¬Tutto il ritratto morale del discepolo ripete la figura morale del Santo Maestro o appartiene alla sua concezione. — Tutto inne¬stato nella Salesianitd. — Le due figure si rispecchiano a vicenda.
Visto: nulla osta
Torino, 5 agosto 1942.
D. CARLINO, Revisore.
IMPRIMATUR
C. L. CoccoLo, V. G.´
SAVIO DOMENICO
E DON BOSCO
STUDIO
DI
D. ALBERTO CAVIGLIA
PARTE SECONDA
" LA VITA DELLO SPIRITO-"
... piccolo, anzi grande gigante dello spirito ".
(PP. Pio XI, 9 luglio 1933).
LIBRI V-XIII
TORINO • SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
AVVERTENZA. — Per i riferimenti dei due Processi, Ordinario e Apostolico, mi valgo della Positio Advocati super virtutibus, in cui sta il Summarium, in quo testimonia et documenta integra referenda sunt (C. I. C., can. 2106). E cito semplicemente: Somm., nome del teste, pag. del vol.; p. es.: Somm., Cagliero, 289; opp.: Somm., Docum. I, II, etc., o Declaratio, n. 1...14: pag. nn.
Non sono distinte le citaz. dal Proc. Ordin. o dall´Apostol., se non quando ciò torni utile o necessario.
L´AUTORE.
Proprietà riservata alla
SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE Officine Grafiche SEI • Torino
M. E. 43053
CAPITOLO I
Lo spirito di Don Bosco e il Savio.
L superfluo ripetere, per non so qual volta, che quando si parla di santità, s´intende d´una vita superiore dello spirito, tanto supe¬riore da doverla leggere nel soprannaturale; e ciò che vi appare di umano, l´umanità della vita, diviene come l´espressione sensibile, la parola, del discorso interno dello spirito, che non ragiona coi motivi dell´uomo, ma colle idee di Dio. Non è questo il luogo di una digres¬sione intesa a dimostrare che certi fatti, azioni, atteggiamenti, condi¬zioni psichiche, e va dicendo, possono essere comuni anche a non santi (i). Tutto si riduce, come diciamo, a questione di linguaggio: le parole son là, a disposizione di tutti: ma il discorso vien dal di den¬tro, ed ha il valore che prende dal nostro pensiero.
Noi entriamo a questo punto, in una serie di osservazioni di carat¬tere, più che prima, ascetico e spirituale e, se si può dire, agiografico.
Non può negarsi, e l´abbiamo detto, che, anche nello studio dei linea¬menti umani della nostra carissima figura, s´è dovuto fare uno sforzo per non dare troppo nello spirituale, e il ritratto umano ci è apparso più d´una volta in una luce che non poteva essere altrimenti che so¬vrumana: tantochè debbo confessare che la sola economia del lavoro mi ha trattenuto dal farne poi tutta una traduzione ascetica; e l´avrei potuto, commentando ogni punto con altrettanti riflessi di maestri di spirito.
Ma ín quest´altra parte i fatti che noi verremo considerando sono per se stessi d´indole essenzialmente spirituale, e perciò attinenti alla
(i) È appunto la tesi del jOLY, Psychologie des Saints: benchè, com´era giusto, l´A. vada anche più in là, dimostrando che non tutto poi è uguale nell´una e nell´altra condizione, e che le sublimazioni dei Santi non son da confondere con le psicopatie degli anormali e degli isterici. Cfr. particol. cap. IV e cap. V. — Anche il mio buon Faber segna più d´una volta tali differenze, e la ragione in¬tima della diversità. Cfr. p. es. Progressi dell´anima, pag. 146,
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vita dello spirito nell´anima del santo giovanetto. Anche qui andiamo per gradi, e cioè dal più sensibile e visibile al più intimo e profondo, dove la mano di Dio adopera misteriosamente.
È ben vero che il libro di Don Bosco, con una disposizione con¬servata nella Vita del Besucco, condotta con più ragionato sistema, discorre prima dello spirito di preghiera e della pietà, e vi soggiunge poi le notizie sullo spirito di penitenza; ma, se nel libro più studiosa¬mente composto questo secondo tema è fatto chiaramente derivare dagli elementi animatori del primo, e cioè la mortificazione nel Be-succo è disegnata come un´espressione ed un´esigenza, anzi come un mezzo di attuare l´amor di Dio, che poi dà all´anima di quel beato fanciullo la sua grande parola finale (Capo XXIX): non così può dirsi della Vita del Savio, dove l´Autore non segna questi nessi, e non coor¬dina ancora in un insieme d´idee i gruppi di fatti che viene esponendo.
I capitoli XV e XVI sulla Penitenza e Mortificazione potrebbero be¬nissimo stare, senza disturbo, al posto dei due capitoli precedenti; e, sia detto con ogni riverenza, ne guadagnerebbe la condotta del libro, legandosi nello spirito quei due, sulla Preghiera e sulla Pietà,co1 capitolo ove tratta della fondazione della Compagnia dell´Immacolata.
In tal materia, come poi prevalentemente in più parti del suo libro, Don Bosco è ancora molto occupato-dall´intento edificante, e il senso spirituale e soprannaturale, o, diciamo, agiografico, traspare soltanto per forza di cose. Una sentenza, come quella che inizia il capo XXIII del Besucco, nella Vita del Savio non appare ancora. Ep¬pure è innegabile che nel pensiero del santo Autore, che sapeva di scrivere d´un Santo, la cosa non poteva presentarsi altrimenti; tanta è la cura con la quale rileva certi atteggiamenti e stati d´animo del suo figliuolo. « Quando l´amor di Dio prende possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nissun patimento lo affligge, anzi ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosa ricompensa nella beata eternità» (/). E vi è poi, al Capo XXVI, quella chiusa e quell´insomma, che accostano
i sentimenti dell´umile alpigiano nientemeno che a quelli di S. Paolo, e iI desiderio di « voler separar l´anima dal corpo, per meglio gustare che cosa voglia dire amar Dio » (2).
Sono due tipi giovanili di penitenti, i quali imparano da S. Luigi, e cominciano suppergiù alla stessa età (3), ma non sono tali soltanto
(t) Vita di Francesco &succo, cap. XXIII, pag. 70, ediz. corr¬w ThW., cap. XXVI, pag. 86.
(3) Per S. Luigi, cfr. 114.EscHLER, cit., cap. V. pag. 43-44.
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per imitazione, sibbene per proprio impulso interiore d´amor di Dio, che in parte l´induce ad imitare, ma più li conduce per se stesso; e se il Besucco si propone, come sappiamo, di ricopiare in sé il Sa¬vio, non è Ia sua un´imitazione esteriore ed incosciente, ma una assequenza di spirito che adotta alcune forme, fino all´eroica di
smisura.
Non vorrei che il lettore vedesse in questo alcuna velleità di cri¬tica, quando si pensi che la Vita del Savio rimane immortale perchè
scritta da un Santo per presentare un Santo, e contiene ad esube¬ranza gli. elementi d´una santità, come si viene col nostro studio di
mostrando (I): si deve semplicemente intendere che il premettere il
tema della mortificazione a quegli altri è suggerito da ragioni di con¬gruenza, o, ch´è lo stesso, da un ordine d´idee.
Purtroppo a noi manca quasi totalmente la conoscenza minuta,
quasi quotidiana, della vita vissuta dal nostro_ santino prima di venire con Don Bosco. Le relazioni scritte che noi abbiamo riferite, con le
attestazioni dei coevi e compagni di quel tempo, non toccano affatto codesti aspetti così delicati e intimi della spiritualità. Eppure se Don
Bosco, quando incontra primamente il Savio, é portato a scoprire « i lavori che la grazia divina aveva operati in quell´anima », bisogna con
venire che lo svolgersi dell´ari-10r di Dio e la pratica di ciò che l´accom¬pagna e conserva, fossero già ben superiori all´ordinario, e facessero
sentire la stoffa del Santo. Non era dunque supponibile che un amore vero e crescente, e sempre meglio illuminato, potesse vivere senza lo
spirito di mortificazione; giacché la vera idea di questa è ch´essa è amore di Gesù (2). E la sentenza di Don Bosco, dettata pel Besucco,
deve ovviamente intendersi anche pel Savio, nel quale l´amor di Gesù abbiam visto prender possesso fin dai primissimi moti del cuore e dell´anima. Basterebbe, per tutto, quel che sappiamo della sua prima Comunione, e della storica parola di quel giorno.
La sua vita in famiglia dovette essere, e questo, sì, appare dalle
testimonianze altrove addotte (3), intonata ad un´austerità e tenor di vita mortificato, che vuoi essere preso in quel senso più compren
sivo e totalitario, che difficilmente si definisce, e che dovrebbe spie¬garsi in una moltitudine di particolari negativi e positivi, i quali rive
(i) 11 libro del Besucco, pure scritto da Don Bosco, con tanto maggior copia d´idee e miglior economia della condotta, è rimasto infinitamente meno popolare che quello del Savio. Vi sono parecchi perchè, e li spiego a suo tempo: ma il principale è che nell´un libro si sente in ogni modo un Santo, nell´altro sembra che un secondo Savio non vi sia.
(2) FABER, Progressi, cit., cap. XI, pag. 132.
(3) Cfr. sopra, lib. I, cap. II e III.
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lavo, in chi potesse osservarli, tutto un carattere, un habitus, ch´è precisamente quello del cristiano vestito della mortificazione di Cristo (i).
Mancano, ripeto, i particolari minuti che si leggono nella Rela¬zione stesa dall´arciprete Don Pepino per il suo Francesco Besucco; ma, oltrecchè da alcune delle testimonianze appare quale fosse il suo comportamento e la sua abituale, anzi esemplare modestia, e perfino la capacità dell´eroismo, si deve ammettere che quelle doti di carat¬tere (possiamo anche dirle virtù), delle quali è circondata la sua figura morale, non poterono essere improvvisate, e si eran venute prepa¬rando nella vita antecedente. Come appunto riconosceva D. Mi-chele Rua (2).
Sicché, lasciando pure di ricercare le prime scaturigini, ci è dato addentrarci nel fatto della vita di mortificazione, quale Don Bosco ha voluto descrivere. Tanto più che, se ben si osserva, tanto nel Santo modello di tutti i giovani, ch´è S. Luigi, quanto nei nostri due santi figliuoli di Don Bosco, quello spiccato e definito spirito di penitenza, e la ricerca studiosa della mortificazione, si rivela alla medesima età, dagli undici ai dodici anni (a): e si noti che congiungo in uno il Savio e il Besucco, pur così differenti in tante cose, perché il secondo, anche prima di venir da Don Bosco, che fu sui tredici anni, leggendo la Vita del Savio, allora uscita, si destò a nuovi sentimenti, e in seguito si volle, per-fin troppo, assomigliare a lui.
Per il nostro Savio, tutto quello ch´è detto del suo spirito di peni¬tenza e delle pratiche di mortificazione (Cap. XV-XVI) appartiene esclusivamente al tempo della sua dimora all´Oratorio; cose cioè sa¬pute o vedute da Don Bosco. E qui si vuole una distinzione. Nella materia, di cui stiamo occupandoci, non entra più tutta quella edifi¬cante quantità di fatti già da noi ricordati, secondo l´opportunità dei temi, per lumeggiare le attitudini e gli atteggiamenti virtuosi e belli dell´animo, e le energie del carattere; come il sopportare ingiurie e difetti, fino a tollerare l´intollerabile, l´eroica serenità nelle malattie, la temperanza e la dignitosa accettazione della povertà: l´abito della bontà e della compostezza, congiunto con la calma e l´allegria conti¬nua; per non dire della modestia nel senso dell´umiltà e in quello dei riserbo nel costume; tutte cose- che lo stesso Santo Pedagogo, con la profondità delle sue viste, aveva comprese in uno sforzo umano totale
o prevalente, sempre tuttavia dérivato da una volontà che, per riuscire,
(i) 11 Cor., IV, so.
(2) Cfr. Somm., D. Rua, pag. Si. Ióid., Melica, pag. 99.
(3) Cfr. sopra, pag. 238, n. 3.
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deve superare un ostacolo, nel che consiste appunto la mortificazione del proprio essere (i).
Don Bosco non torna su tutto questo, e qui non lo richiama se non per necessità. Egli si appunta su ciò che più comunemente si chiama penitenza, inspirandosi al ricordo di San Luigi, innocente per privilegio e penitente per volontà. Ed ha voluto, già nella Vita di Co-mollo (capo VII), e poi in questa biografia, come in quella posteriore del. Besucco, dedicarvi un´apposita trattazione. C´è di più, quanto al Savio. Nella I edizione (1859) il capitolo delle penitenze era uno solo, il XV: Sue penitenze, rimasto invariato in tutte le edizioni. Ma nel 1860, ritoccando il libro per la edizione seconda (l´introvabile!) (2),
o che sentisse che quello non bastava, o che, come appare da qualche documento superstite (3), si trovasse con altra materia sotto mano, si vide r bbligato ad aggiungere un altro capitolo; ch´è il XVI delle edizioni correnti dalla II-III fino a noi, e che s´intitola: Mortificazione in tutti i sensi esterni.
Non stiamo ad indagare se quei fatti gli potessero essere prima ignoti (ed è ben difficile), o se, per sue viste personali, non avesse cre¬duto opportuno di addurli: il fatto è che quest´altro capitolo è mate¬riato di esperienze eroiche e continuative, che lasciarono nei coevi un´impressione profonda e un´ammirazione che non si cancellò più. Vi è qualche tratto, due specialmente, che afferrano tutta la sensibilità del lettore con la loro tremenda ripugnanza, e riportano al ricordo di tempi lontani, quando la penitenza e l´afflizione di sè erano tormenti spiegabili soltanto con l´eroismo dell´amor di Dio o con l´aspra puni¬zione dei peccati. Io credo che Don Bosco nello scrivere quelle poche pagine, e sempre poi, come disse un giorno, nel rivederle, non abbia potuto rattenere le lacrime. •
o o o
Anche così fatte, queste pagine, e aggiungendovi quanto è narrato nei Capitoli XXII-XXIV intorno a´ suoi giorni ultimi, rimangono capitali per gl´indirizzi di Don Bosco nella formazione spirituale de´
(i) TANQUEP,EY, op. cit., 754. E nel n. 753 il valente autore insiste appunto sull´idea dello sforzo, naturalmente intrapreso per fini e con aiuti superiori.
(a) Si potrebbe pensare anche alla 3a, del 186r, venuta subito dopo. Ma la lettera del Piano (Somm. Proc., Docum. n. 4. pag. 459) sembra piuttosto alludere ad una seconda edizione, di cui Don Bosco deve aver parlato per quella notoria correzione cagionata dal fatto del Zucca.
(3) Appunto la lettera del Piano e quelle di Don Rua, più volte menzionate, che sono, la seconda almeno, prossime alla nuova edizione.
2 - CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. TV. Parte
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suoi. Qui è Don Bosco in persona quello che opera e dirige il moto spirituale del suo alunno; e l´insistere ch´egli fa sulla parte del Di¬rettore nel regolare e contenere, e, diciamo subito, nel volgere in altra direzione l´industriosa attività penitenziale del suo figliuolo spiri¬tuale, culmina infine nel dialogo concettoso tra Maestro e discepolo e nella conclusione di esso. Segno che, insieme con l´esaltazione della virtù del suo santino, lo scrittore Maestro mirava più oltre: e non dico dell´edificazione immediata dei giovanetti lettori della Vita, che si sarebbero formati sugli esempi del loro fratello nello spirito: bensì pensava a stabilire saldamente una disciplina spirituale, che avesse a servire dappoi agli eredi delle sue tradizioni.
Non è neppur questa un´argomentazione venuta in mente di chi scrive, come per dare non so quanto maggior valore alla tesi del suo tema: ciò è provato dal fatto che quel dialogo si ripete pressap¬poco nelle medesime forme, e certo con le ragioni medesime, cinque anni dopo, quando scrive il capo XV del Besucco, con intenti dida¬scalici manifesti e con ordine sistematico più ponderato, e, se non è troppo ardire, quando le sue idee appaiono assai più maturate e sta¬bilite per sempre.
Per questa ragione nello studio su Ia Vita del Besucco mi soffermo a commentare le idee del Santo Maestro, e in questo, come in altri punti, io dimostro che da quegli anni in poi Egli è rimasto fisso e de¬terminato nella sua dottrina. Ma qui è bene vedere che l´idea è già nata e formata, e se n´ha una prima attuazione nella formazione d´una santità, che anche per voce della Chiesa, è da riconoscere per au¬tentica. L´anima del Savio, se ha, per questo aspetto, i caratteri suoi, e colla grazia di Dio si sente, a quell´età, portata ad un nuovo fervore di penitenza (e diciamo nuovo, per la ragione, già addotta, che lo approssima a S. Luigi); se in quello spirito di penitenza egli si trova affine allo stesso Don Bosco (del quale, come uomo- di penitenza, parlano i capitoli XVIII-XIX del quarto volume delle Memorie); nell´attuazione degl´indirizzi non diremo che subisce il Maestro, ma ch´è formato da Lui, il quale volge in altra direzione le esperienze del santo alunno. Fortunato lui, diremo, che, al primo dirompere dei fervori ascetici d´austerità, ebbe una guida e un Maestro! Se S. Luigi, avesse avuto tale fortuna (l´ebbe, per poco tempo, a Madrid, in per¬sona del P. Paternò gesuita) (i), non si sarebbe ridotto come fu tro¬vato, quando entrò nella Compagnia a diciassett´anni, e si dovette subito incatenarne le esorbitanze.
(i) 1k´lPsCm.E.R, cit., pag. 78. Ma non consta che in materia di penitenze quel buon confessore abbia avuta molta ingerenza.
243
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Le idee di Don Bosco, e la direzione ch´egli assegna a questa fun¬zione ascetica dello spirito, sono al presente, dopo tanti decenni, poco
men che un secolo, di esperienza salesiana, penetrate nella tradizione e nella vita che a lui ed ai suoi insegnamenti aderisce. Ed anche s´è detto qua e là, occasionalmente, qualche cosa dei suoi pensamenti, a volte perfino interpretandoli con una tal quale faCiloneria, confusa con una falsa nozione della libertà di spirito (t).
In primo luogo il Santo Don Bosco è diametralmente opposto alla visione nera e tetra della vita e alle idee terrorizzanti della Religione. La sua non è certamente una religiosità inzuccherata o frolla, ma so¬prattutto non ha niente di amaro o di rigido. Pensiamo alla predica sulla facilità di farsi santi, che ha segnato il grande momento nella storia spirituale del Savio (a). Se, predicando al popolo e parlando alle comune dei suoi giovani, fa pur sentire le tremende realtà dei quattro Novissirni, e dell´inferno ravvicina i bruciori (che cosa deli¬cata per certe morbidezze religiose!) (a), non è per altro se non perchè ad ogni fedel cristiano, e a certi, diciamo cosi, elementi della sua giovane folla, occorre quella prospettiva assolutamente paurosa perchè si scuotano dal torpore e si astengano dal male più grosso. Ma non è davvero Don Bosco, pure continuamente occupato a salvar le anime, • e ché in fin di tutto parla sempre di « salvarsi l´anima », non è Don Bosco il Maestro delle anime che pone nel solo peccato e nello Scampo dell´inferno il limite della libertà morale e i confini della pratica (la dicono anche esperienza) religiosa (4).
Dei due modi di vedere il mondo e la vita adoperati da coloro che si sforzano di servir Dio e amarlo con purezza: quello fosco e pauroso, malinconico e scoraggiante, del Medio Evo e di certi spirituali mona¬stici, o quello opposto, il modo lieto e bonario, compaziente e fidu
(i) Parecchie di tali interpretazioni sono già previste dal FABER, Progressi, cit., pag. 135-138: due specialmente sembrano tolte di bocca a chi interpreta così poco spiritualmente Don Bosco. — Potrei, se la modestia non l´impedisse, riferirmi a certe mie Istruzioni pei Confratelli Salesiani, che so essere state purtroppo! ste¬nografate e divulgate.
(a) E si consideri il ragionamento sereno e invitante della Prefazione al Giovane Provveduto/
(3) Per l´idea, cfr. FABER, Progressi, cit., pag. 129, e, in altro senso, Crea¬tore e Creatura, cit., pag. 37. Più precisamente, Ibid., 302-303: la falsa delica¬tezza dei tempi moderni.
(4) Vita e lettere di P. F. Faber, del BOWDEN (Marietti, 1884) pag. 437: dalla penultima predica del Faber.
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cioso del bene: tra la veduta, per esempio, di S. Bernardo e quella di S. Francesco di Sales, Don Bosco preferisce la seconda, senza, com´è ovvio e doveroso, rinnegare il fondo di vero che vi è nella prima (i). E parimenti, dei due indirizzi della pedagogia spirituale, quello che presenta la vita, il vivere secondo Dio, come un assoluto e inderoga¬bile dovere di coscienza e di giustizia, il fare il bene perchè così deve essere, o quello che mette in capo a tutto l´amore, e da questo deriva naturalmente il dovere: fare il dovere perchè Dio ci ama e noi amiamo Dio: il Santo Maestro, che in questo, come prima, s´identifica col suo Santo Dottore (e possiam dire anche col S. Alfonso degli scritti asce¬tici), si attiene all´indirizzo più consono, oltrecchè al suo spirito per-sonale e alla modernità delle vie spirituali (di queste è personificazione la S. Teresa di Lisieux), anche all´intuizione ch´Egli ha dell´anima giovanile, che si muove nell´amore e nella gioia, e fa per amore quello che l´astrazione della legge da lei non otterrebbe. Insistendo esclusiva¬mente sul dovere, specialmente coi giovani o coi peccatori, può avve¬nire che i veri motivi del dovere non agiscano pienamente, e intanto il carattere proprio del Vangelo, ch´è l´amore, venga negletto o inade¬guatamente rammentato (a).
Pensiamo ora al nostro Savio. Per l´amor del cielo nessuno pensi a concezioni tetre o a principii astratti nella mente del caro fanciullo. Di tali idee non n´ebbe mai una! Basta leggere le deposizioni testi¬moniali al titolo De Spe, che lo dipingono come un´anima rapita nella visione del Dio che ama e del Paradiso bello, così come vedevano, prima degli spaventi medioevici, i cristiani dei primi secoli (3). Io invito a leggere, nel mio Faber, una pagina, che mi sembra essere la descrizione dello stato d´animo del nostro santino; che include ad un tempo lo spirito del desiderio dell´espandersi e diffondersi del-I´amor di Dio tra le anime, e vorrebbe, se potesse, l´impossibile:
o subire il martirio e convertire l´inferno e vuotare il purgatorio ». spirito di lode di Dio e di desiderio amoroso di Dio e per Dio, ben diverso da quello di sfuggir l´inferno, di star poco in purgatorio, di non aver tribolazioni, di morir pacificamente e arrivare alla pace del Paradiso per esser libero dalle asprezze della vita terrena: spirito non
(i) FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 375-379. — Cfr. sopra, vol. I, pa¬gina r
(z) È tutta una dottrina svolta dottamente e piamente dal FABER in Creatore e Creatura, cit., pag. 395-404. Pagine preziose per ogni pedagogia: tanto più per noi, figli di Don Bosco, che seguiamo quel tipo di spiritualità e dobbiamo infor¬marne la nostra opera educatrice.
(3) Abbiamo, a conforto di questa idea, tutta l´Archeologia figurativa ed api-grafica I
L-i, 245
erroneo, ma che non è lo spirito dei Santi, i quali, come il Savio, vi¬vono in un´atmosfera di lode e desiderio di Dio (pensiamo al ratto improvviso descritto nel Capo XX), onde si genera una spiritualità fatta di amore (i).
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Parlando adunque di penitenza e di mortificazione secondo le idee di Don Bosco, si deve anzitutto rinunciare a tutto ciò che deriva dalle concezioni superate d´altri tempi, e del resto neppur gradite al suo Maestro, il Dottore di Sales. Praticamente, la sua direzione spirituale si esercitava tra giovani o, come indirizzo presente e avve¬nire, era intesa ad un ceto di lavoratori religiosi, quali dovevano es¬sere i suoi Salesiani, pei quali era da escludere ogni forma di peni-tenzialità espiatoria o claustrale. Ma, anche per principio, certe cose non le avrebbe mai accolte né inculcate.
Non è fuor di luogo, ed anzi torna più che opportuno, distinguere tra le forme specifiche o pratiche di penitenza o mortificazione ch´egli ammette ed inculca, e lo spirito di mortificazione ch´egli soprattutto inserisce nella sua tradizione spirituale.
Quanto al primo fatto, è più che evidente la sua attinenza con gli insegnamenti di S. Alfonso. Alludo particolarmente alla Praxis Con¬fessarii, che fu essenzialmente il libro maestro del nostro Santo Diret¬tore di anime (z). Anima incipiens vellet onerari mortificationibus: Director aegre illas permittat, dice il libro (3). Non riferisco il seguito della trattazione. Il regime in cui Don Bosco educa le anime de´ suoi più fervorosi e del suo santino, esclude senz´altro le penitenze afflit¬tive, inopportune pei suoi soggetti, mentre accetta, secondo la dot¬trina dei maestri di spirito, le mortificazioni esterne indispensabili alla mortificazione interna, che anzi debbono precedere (4). Ma codesta mortificazione sensibile è soprattutto ridotta alla mortificazione dei sensi e alle cosiddette mortificazioni negative che per S. Alfonso sono meliores et utiliores, et periculis minus obnoxiae (a). E quelle che il
(i) FABER, Tutto per Gesù, capo VIII, Lez. H: Che cosa intendesi per lode e desiderio. Pag. 323 e 324.
(z) Per questa materia, cfr. il cap. IX, De directione animarum spiritualiunt: dove il § III è De mortificatione, e comprende i tre articoli 145-147. Mi attengo all´Editto epica Vaticana del 1912, curata dal P. Blanc O. SS. R., ed estratta dal¬l´Eclitio critica Vat. curata dal P. Goudè, vol. IV (1912).
(3) Op. cit., n. ´45.
(4) FABER, Progressi, cit., pag. 132.
(5) Op. cit., n. 146.
246
Santo Dottore reca ad esempio sono precisamente -nel programma di Don Bosco, e sono da lui ricordate come personali e assidue pratiche del suo santino: privarsi di vedere cose curiose ed umane (i), parlar poco, contentarsi dei cibi qualichessiano, ch´è il proverbiale salesiano:
contentarsi degli apprestarnenti di tavola », e trovar buono anche il cattivo (z); non accostarsi al fuoco d´inverno, cercar per sè le cose più vili, esser contenti e rallegrarsi della mancanza di cose pur ne¬cessarie, ossia amore alla povertà; inoltre non lagnarsi degl´incomodi di stagione, del disprezzo di sè e delle molestie (3), sopportare gl´inco¬modi delle infermità: cose tutte enumerate nella suggestiva pagina della Praxis.
La dottrina di Don Bosco è pertanto sana e sicura. La mortifi¬cazione interna è la più importante (est quidem potissima, dice il Li¬guori), e nel nostro Savio l´abbiamo già luminosamente descritta quando si parlò di quel tenor di vita e di tutte quelle belle doti di carattere, che non eran tutte « senza un grande sforzo umano» (4). Non era quella un´estetica del carattere nè un sentimentalismo qual-siasi: era virtù solidamente fondata sul lavoro interno sostenuto da un assiduo esercizio di mortificazione esterna (i).
Ma il nostro Maestro (per non confonderci, ricordo che è Don Bosco) non cade nell´errore dei moralisti che rigettano la mortifica¬zione esterna. Ha con sè S. Alfonso, proprio all´art. I45, che cita la sentenza di S. Giovanni della Croce; e sta col suo contemporaneo, alfonsiano pur esso, il Faber, che per buone ragioni di opportunità combatte la sentenza contraria (6). Quanto a S. Francesco di Sales, nessuno deve lasciarsi fuorviare dall´inizio del celebre capo XXIII della Parte Terza della Introduction à la vie devote. Quel capitolo, nella sostanza, torna alla dottrina a cui accenniamo; e soltanto per contin¬genti circostanze del tempo suo combatte l´esclusiva prevalenza data ai gesti esteriori a detrimento dello spirito interno. E se leggete più avanti nello stesso, capitolo (7), trovate che cosa pensa della mortifi¬cazione esterna-. Lascio le citazioni dagli altri scritti del Santo Dottore
(i) Per esempio i testi ricordano che al paese rifuggiva dalle feste e dagli spettacoli: la Vita ci dice che non si, lasciava attrarre dalle divagazioni della strada, e cosi via.
(2) Loc. cit., 146: contentum esse cibis gustui minus acceptis et male conditis.
(3) Ricordiamo le ingiurie eroicamente sopportate dal Savio.
(4) TANQUEREY, cit-, 753-754-
(5) FABER, Progressi,´ cit, 145.
(6) Progressi, cit., cap. XI, 132-138. Ma a pag. 146 ha un´allusione o con-cordanza con quanto tra poco diciamo di S. Francesco di Sales.
(7) Nell´ediz. Nelson, pag. 218-19.
247
spirituale, che convergono alla sentenza di S. Giovarmi della Croce (i) e ricordo quanto, della pratica personale del Santo stesso, delle sue discipline, dice la vita scritta dal P. Hamon.
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Lasciando adunque le mortificazioni strettamente affiittive e pe¬nitenziali (che S. Alfonso del resto sconsiglia pel primo), se noi enu¬meriamo le altre forme esterne di tali pratiche, troviamo che sono appunto quelle ammesse e consigliate dagli spirituali e da Don Bosco. Sono: la sopportazione di dolori e malattie, fino all´accettazione della morte; fatiche e sacrifici a beneficio altrui; pratica di doveri comuni quotidiani penosi; lavoro, povertà, disagio atmosferico (il freddo e il caldo), e così via: « cose tutte che possono divenire meritorie venendo sopportate con interno spirito di penitenza in unione coi patimenti sopportati da Nostro Signore ». Parole del Faber che coincidono, quasi alla lettera, con quelle di Don Bosco al Savio e al Besucco (Capi¬tolo XXIII) (2). Ed è più che _singolare che appunto S. Alfonso faccia capitale questione della gola, la più difficile a ottenere dagli spiri¬tuali (3). Il Faber ne fa anch´esso un tema analogo, con osservazioni non meno argute (4). E Don Bosco ha fatto di questo punto quasi il cardine della mal creduta piccola spiritualità salesiana-, traendone un criterio per giudicare di certe virtuose apparenze.
Il lettore dirà che parlo di Don Bosco, dimenticando che debbo discorrere del Savio. Ma non si può fare altrimenti, quando sia vero che e la direzione del Savio fu condotta da Don Bosco nel suo spirito, e la Vita ne deve essere, ed è in questa parte più che altrove, la di¬mostrazione. Invero con questa esposizione abbiam descritto già, per quanto lo siam venuti conoscendo, il regime del Savio. Ma lo vedremo tra poco anche per altro aspetto. Sta intanto un altro fatto, o meglio un altro fattore, ch´è quello dell´obbedienza: dico di quella dovuta al direttore di spirito in materia di mortificazione. È un principio vi¬tale posto da S. Alfonso, che il direttore ab initio exigat oboedientiam,
(i) A colui che riprova le penitenze esteriori, non bisogna credergli, anche se facesse miracoli. Cfr. Praxis., 545.
(2) FABER, Progressi, 146-147.
(3) Op. cit., 145.
(4) Op. cit., pag. 148. — Tutta Ia teoria e i motivi addotti dal Faber coinci¬dono con le pagine da noi citate di S. Alfonso. Cfr. p. es. i riflessi del Santo sullo spirito di unione con Cr. Cristo (art. 146), confortati da una citazione da S. Teresa, con la conclusione sopra addotta dal Faber. E il COLIRVIBA-1VIARMION, op. cit., pag. 247-249 dice forse altro ?
248´
e reca la sentenza di S. Giovanni della Croce che « chi fa penitenze
contro l´obbedienza, progredisce più nei vizi che nella virtù » Il
medesimo pensano í buoni Maestri, e naturalmente il Faber (2): cioè, come vedremo, Don Bosco, il quale ne fa anch´esso il punto
capitale.
Quel ch´era accaduto a S. Luigi, fattosi religioso, avviene anche al nostro santino: il contrasto fra l´impulso interiore dello spirito
che porta a sacrificarsi soffrendo per amor di Dio, e il limite imposto
dal precetto di chi dirige.
A me duole di non poter, neppure in appendice, riferire i para
grafi della Praxis e le pagine del mio consueto Autore: ne risulterebbe evidente il parallelismo con le concezioni e la pratica di Don Bo¬sco (3). Ma, sopra ogni altra considerazione studiosa, mi sembra doveroso determinare il concetto proprio e personale del nostro più vero e proprio Maestro, dal quale si origina la tradizione spirituale che noi seguiamo. E lo dico qui, e lo ripeterò altrove, se occorre, come dato e punto essenziale di tutta la spiritualità salesiana.
Il principio costitutivo della concezione di Don Bosco in fatto di mortificazione (diciamo adunque: la concezione salesiana) è che essa non dev´essere un´aggiunta alla vita, come un di più al tutto personale, e pertanto indipendente dallo spirito della vocazione professata: ma
deve provenire dalla vita stessa, ed è la vita che si vive, quale ch´essa sia, quella che deve mortificarci; e cioè il mezzo della mortificazione,
lo strumento, diremmo, della disciplina, dev´essere la vita stessa, che Don Bosco naturalmente concepisce austera, povera, limitata,
fatta di lavoro e temperanza, accompagnata da incessante e infaticata
sopportazione; vestita in tutto dall´abito della mortificazione, e cioè praticamente e consapevolmente mortificata (i).
La concezione che Don Bosco ha della vita dei suoi, è, bisogna dirlo, una concezione austera: non già nel comportamento esteriore,
che dev´essere, per sistema, alieno da rigidezze, accostevole e lieto: ma nella contenutezza e limitazione del tenor di vita, e nell´adatta
mento dello spirito a ciò che ne deriva. Sopra e fuori delle mortifi¬cazioni e della ricerca del soffrire, egli vuole spiritualizzare l´istinto
(I) Op. cit., art. 146.
(2) Progressi, cit., pag. 147 e passim, cioè un po´ dappertutto.
(3) Nello studio sul Besucco ricordo anche lo SCAVINI, Theol. Mor. Univ. ad mentem S. Alph., uscito nel 1847 e già pervenuto alla 4a ediz. nel 1854: opera che fu sempre presente a Don Bosco. Ma, pel momento, basta la fonte primaria, a cui sembra essersi attenuto di preferenza.
(4) L´esemplare più prezioso e tipico, dopo Don Bosco stesso, sarebbe Don Michele Rua. Ma non ne parlo, perchè pende la sua Causa di Beatificazione.
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della penitenza con innalzarlo al superiore e più delicato lavoro della formazione interna, all´esercizio della vera penitenza spirituale. È la più sicura ortodossia in fatto di spiritualità, quando si pensa alla pre¬minenza che tutti i dottori (qui compreso S. Francesco di Sales) hanno dato al lavoro dello spirito in confronto delle forme esteriori, utili e necessarie, ma non superiori alla ragion di mezzo (I). A questo spirito, in pratica non facile davvero, egli informa i suoi primi, che, come dicemmo, dalla Compagnia del Savio assorsero a formare il primo nucleo della sua Congregazione.
Dobbiamo tuttavia portarci più in alto. La spiritualità cristiana, qualunque ne sia la forma, ha sua radice e suo termine in Dio, e nella immedesimazione dei membri della Chiesa col Capo, ch´è Gesù Cristo (2). È l´unione con Cristo che dà valore e significato alla nostra parte di sofferenze nella vita: praticamente l´imitazione di Cristo (3). È questa l´idea che spira dai ragionamenti-che Don Bosco tiene quando discorre della mortificazione, in qualunque modo s´intenda. « Tutto per amor di Dio » e « tutto in unione ai meriti di N. S. G. Cr. » sono le sue consuete parole. Il Colomba Marmion, nella sua classica opera: Gesù Cristo vita dell´anima, ha una pagina che sembra dettata da Don Bosco: la pagina 247-248, dove tra gli atti di penitenza sono appunto annoverate, coll´osservanza dei proprii´ doveri, tutte le contingenze della vita che devono accettarsi con quello spirito di autopenitenza che il nostro Santo Maestro ci ha inculcato. È difficile che uno scritto benedettino non concordi con lo spirito salesiano.
Portiamoci .più in alto ancora. Lo scopo della mortificazione, ch´è l´unione con Dio (4), non può essere conseguito ove questa non sia un´unione di amore: « La vera idea della mortificazione è che essa è amor di Gesù, che prende tal forma ad imitazione di Lui, sia per esprimere la veemenza di tal amore col distacco da quanto non è Egli stesso, sia per assicurarsene la continuazione e perseveranza » (5). La dottrina o, per dir meglio, l´enunciazione dell´amore come scopo e termine, e come effetto conseguito mediante la mortificazione, non è espressa formalmente nella Vita del Savio, come invece la troviamo nella posteriore Vita del Besucco, e l´abbiamo citata più sopra (6);
(i) COLUMBA-MARMION, op. cit., pag. 244 (ediz. francese, 1938).
(2) CoLumBa-Mmtmtopt, op. cit., specialmente pag. 248-250; ma tutto il libro, come dice il titolo. P il concetto Paolino per eccellenza, così come quello che segue.
(3) Ihid., pag. 247.
(4) TANQUEREY, op. C1t., n. 754.
(5) FABER, Progressi, cit., cap. XI, pag. 13z. É il concetto iniziale e fonda¬mentale, ed è il concetto medesimo del Columba-Marmion, sopra citato.
(6) Cfr. sopra, pag. 238.
25o
ma, dopo tutto, si può dire che, se nell´opera più sistematica il Santo scrittore ha potuto fermare più chiaramente le idee, qui, nel Savio, l´incanto della santità e della bellezza di quest´anima già tutta rapita (assorta, è dir poco) in Dio e nel Gesù dell´Altare, gli ha fatto trala¬sciare ogni studio di concetti, pensando a quella figura angelica già
tutta animata e mossa dall´amore che lo fa santo, e lo consuma nella nostalgia del Paradiso (Cap. XXI).
o o o
Ma che tutta la vita mortificatissima del Savio (nel senso inculcato dal Maestro e nelle industrie personali) conosciuta dagli intimi, dai,
diciamoli pure iri anticipo, Salesiani (i), apparisse come un lavorio dell´amore e un´opera d´amore, un qualche cosa di superiore alla co¬mune spiritualità de´ suoi emuli nel bene, ce lo spiega una definizione del Cagliero, dettata in sede di Processo: « L´amor di Dio aveva occu¬pato tutti i suoi pensieri, affetti, e atti del suo cuore... Avrebbe voluto far penitenze corporali, ma ne venne impedito. Era però tanto mortifi¬cato in tutti i suoi sensi, che c´incantava tutti nella pratica costante della._ pazienza, della dolcezza, esattezza e puntualità nei proprii do¬veri » (2).
E questo è detto al titolo VIII, de Heroica charitate in Deum, dove appunto si affollano, non meno che al tit. XII, De temperantia, le
testimonianze intorno allo spirito di mortificazione del santo giovi¬netto. Possiamo noi pensare altrimenti, se non che adunque l´amor
di Dio in lui si manifestava non solo nelle maniere espressamente
caritative, ma, e in modo visibile, con la pratica della sua imitazione di Cristo paziente? Questi riflessi ci approssimano alla persona del
Savio, quale ci viene, nell´aspetto ora considerato, offerta dal libro.
Don Bosco si trova qui in una situazione non poco dissimile da quella che ricorre nelle altre due Vite di suoi giovanetti. Dall´una all´altra
l´idea di penitenza cambia aspetto; e pel Magone è senz´altro quella della difesa; nel Besucco è prima semplicemente penitenziale e di¬fensiva (capo XIII), e solo quando la mano del Santo lo forma´ alla nuova più alta spiritualità, assorge a quell´altezza di sentimenti con la quale termina la sua vita (Cap. XXIII e Cap. XXVI) (3). Ma
(i) Il nome éra stato assunto dai primi quattro che si legarono con un im¬pegno speciale a Don Bosco la sera del 26 Gennaio 1854. Vi erano già Rua e Cagliero ancora studente. Cfr. Mem. Biogr., V, 9.
(a) Somm., Cagliero, 193.
(3) Si noti a capo XXII come il Besucco è descritto quale già pervenuto a ad un grado dì perfezione quale raramente si osserva nelle persone di virtù consumata ».
t-4, 251
quando il Savio entra nella sfera di Don Bosco, è già più in alto che
non il Besucco al medesimo tempo.
Per un po´ di economia mi spiego col Tanquerey. Il bravo trat
tatista distingue tre gradi nell´esercizio della pazienza: a principio (n. 1089) è l´accettazione del dolore come proveniente da Dio, con
intento penitenziale o purificatore delle passioni, per padroneggiar le tendenze e gli scoraggiamenti, per aprirsi la strada verso Dio: rasse
gnati in ogni baso al fiat voluntas tua. Nel secondo grado (n. 1090) (che, intendiamoci bene, non annulla quel che c´è di utile nel primo),
si abbracciano i patimenti con ardore, in unione con Gesù Cristo per
conformarsi a Lui: si gode di percorrere la stessa via sua; è il Christo confixus sum cruci (i), che fa rallegrare quando si soffre e quanto più
si soffre, perché, col sentimento dell´Apostolo, non solo si è partecipi, ma se ne compie la Passione (z). Di qui, coll´amore che vi ferve, si perviene al terzo grado (n. 1091), ed è il desiderio e l´amor del sof¬frire per Iddio e per santificare le anime e guadagnarle a Lui: t cosa che conviene ai perfetti, e cioè alle anime apostoliche, sacerdoti, reli¬giosi, anime elette ». E il doloroso battesimo della Passione, andato da Gesù (3).
Nella Vita del Besucco sono visibili, perché ben chiariti dal testo,
i tre momenti: nel Savio, bisogna almeno cominciar dal secondo e, se pure non è detto e distinto esplicitamente, è quasi immediato il passaggio e la permanenza nel grado dei perfetti. Si direbbe che co
desto spirito esplode nell´anima del piccolo santo, appena ha detto la sua grande parola: Voglio farmi santo. E si manifesta nella forma
aloisiana.
Non è il caso di distinguere, come fanno i Maestri della materia, una via illuminativa (della purgativa pel Savio non c´è da parlare)
e una via unitiva o mistica. Questi schemi non fanno per noi. Lo stesso Tanquerey, quando parla del dono di fortezza nella via unitiva, colloca,
tra le perfezioni a cui conduce, l´eroismo del sopportare lunghe e dolorose malattie, e l´osservare tutta ra vita, senza venirvi mai meno, tutti i punti della propria regola (n. 1331). Che sono caratteri propri del Savio, quali ampiamente abbiamo córnmentato con le parole di
quei che lo conobbero.
Per Don Bosco, dobbiamo dirlo ? è una rivelazione, che, se non fosse dell´economia del libro, egli avrebbe certamente annunciata su
(i) Gai. II, 19.
(2) Rom. VIII, 17; II Cor., XII, 9; principalmente Co/oss., I, 24.
(3) Luc. XII, so: Baptirnio habeo baptizarì, et quomodo coarctor usquedum perficiatur? Cfr. anche MARC, X, 38.
2,52
bito. Come già al primo incontro di Murialdo, quando scoperse « i lavori della grazia divina in quell´anima », qui si trovò in presenza, diremmo tra mano, un carattere aloisiano, che voleva 13 penitenza e la mortificazione così come le aveva apprese dal modello, unico fino allora per lui, del Santo della gioventù. E dovette, il Santo Pedagogo, lavorare a dirigerne gli accesi desiderii e i vividi impulsi, e a mode¬rarne le esuberanze, volgendone, senza reprimerlo o contrastarlo, lo spirito sulla via che egli, il Maestro, vedeva essere la più efficace e più spirituale, come fu fatto, tardi purtroppo, per lo stesso S. Luigi.
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Il Savio è tipo aloisiano. Ricordo le due belle pagine del Crispolti su questo tema (i), e mi pare che il Savio ci stia a suo agio, pur pen¬sando che dovremo aggiungere una nota di carattere, che il Segneri accenna felicemente, e Don Bosco richiama pel suo santino con buona sinonimia.
Che il nostro Savio pensasse a pene espiatorie per i suoi peccati, si può forse arguire dal principio stesso della fede che professava, ma nel racconto non è fatto apparire. Invece appare bentosto, e dalla Vita (Cap. XIII e XV) e da parecchie testimonianze (2), lo spirito di disciplina, quello della mortificazione preventiva e difensiva contro ogni ostacolo opposto alla virtù (3). Ma poi vi è l´afflizione di se stesso, voluta e cercata per soffrire, o sia per impetrare di amar sempre meglio il suo Dio, o sia per unirsi più strettamente al suo Gesù, e somigliare a Lui, e staccarsi da sè, e far sacrificio in omaggio alla sua Madonna (4), perchè il sacrificio è la suprema parola umana dell´amore. È la mortifi¬cazione unitiva che, sotto qualsiasi Forma, Don Bosco gli suggerisce come termine d´arrivo (Cap. XV).
È questa, non definita così, ma fatta chiaramente intendere dal Maestro dell´anima che ne detta la Vita, quella che gli fa sentire il godimento del soffrire in nome di Dio e per amor di Dio: che glielo fa cercare studiosamente o accoglierlo quando gli si offre; e se di San Luigi è detto che proibirlo di esercizi dí penitenza era privarlo d´una festa (5), del nostro Savio è detto: « la via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose » (Cap. XV).
(I) CRISPOLTI, op. Cit-, pag. 113-115.
(n) Che io giudico in più d´un caso piuttosto interpretative che concrete. Cfr. Somm. Proc., tit. XIV: De heroica castitate.
(3) Cfr. anche TANQUFREY, Cit., 754.
(4) Somm. Proc., Cagliero, 289.
(5) CRISPOLTI, cit., pag. 114.
253
E allora si comprende quel di più, che il Segneri ha fatto intendere con quella parola di « ingegnosa mortificazione » (t), alla quale ri¬sponde quella di Don Bosco, quando, chiudendo il discorso sulle mortificazioni, fa pensare « quanto fosse industriosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occasioni... per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al suo Signore » (fine del Cap. XVI). Come S. Luigi, e prima dell´obbedienza e dopo di questa, s´ingegnava di trovare di che mortificarsi, così il piccolo Savio, nonostante e pur rispettando l´obbedienza del suo Direttore, era industrioso nella ri¬cerca dell´afflizione, e l´uno e l´altro godevano di riuscirvi: per l´uno era una festa, per l´altro un cammino di rose!
E non soltanto nel dolore cercato di rallegrava (abbiamo un fatto addirittura straziante, quello dei geloni tormentati), ma anche in quello che Iddio gli mandasse da sè, che non è eroico nella sua ori¬gine, ma che sopravvenendo in modi e tempi non prefissi dalla vo¬lontà, è spesso così difficile ad accettare, e diviene eroico a sua volta, se la pazienza si muta in compiacenza (z). L´allegria, autentica e vi¬vace, di quel povero malatino, fin nelle ore estreme, come la serenità e la dolcezza con che accoglieva e poi allietava gli scontri ingiuriosi e brutali di gente malcreata, sono il segno della visione amorosa ch´egli aveva del dolore. E pertanto non sentiamo il bisogno che Don Bosco ci traduca tutto codesto in grandi sentenze: qui parlano da sè e di sè i fatti stessi senza commento.
Così predisposta, la lettura dei due capitoli della Vita dedicati a questo tema ci riesce illuminata in pieno e fortemente suggestiva. Qui poi abbiamo una fortuna non comune ad altri argomenti: che i Processi non aggiungono gran che di nuovo, e quasi non fanno che ripetere ciò che leggiamo. Ciò è dovuto al fatto che le pagine della Vita derivano dal cumulo delle notizie dei coevi, comunicate a Don Bosco, e tornate (lo ricordino bene i critici) per le medesime persone a giuridiche testimonianze.
(i) Panegir., cit., p. V.
(2) CRISFOLTI, OP. Cit., 114-115.
CAPITOLO II.
La via dei patimenti.
Noi ci fermiamo principalmente sui capitoli XV-XVI, perché l´Autore vi ha voluto raccogliere i fatti che più comunemente espri¬mono la virtù della penitenza. Ma non sarebbe giusto trascurare certi fatti, ricordati prima o spiegati dappoi, che rientrano nell´am¬bito della volontà di patire. Il capo XIII, ad esempio, ci descrive la posizione, al certo incomòda, ma appositamente voluta, ch´egli te¬neva nel pregare, stando eretto, senz´appoggio nè mutamenti su quelle povere primitive panche della Cappella (i), e come, in onore della Madonna, « faceva ogni giorno qualche mortificazione » (a); e per amor di Lei, come dicemmo, conteneva i suoi sguardi, e non alzava gli occhi andando a scuola. E per farla onorare dai compagni, ad uno prestò i suoi guanti che gli riparavano le mani tormentate dai geloni, e ad un altro mise sulle spalle il suo magro mantelletto: non piccoli sacrifici d´un cuore che per Dio è sempre pronto a soffrire. E do¬vremmo parimenti rievocare tutti gli esempi, anche eroici, di cristiana
fortezza dei quali si abbellisce il disegno della sua figura morale.
A tutto questo allude il preambolo del Capo XV, intitolato: Sue
penitenze, e lo fa per poter raccogliere tutto in una espressione che dice di una continuità di spirito tutta propria della santità. Il discorso si apre con dire che il pensiero della penitenza, come indispensabile a conservarsi innocente,. era cosi vivo e operante nel Savio, che « fa¬ceva sì che la via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose ». come fu visto poco sopra, un pensiero non dissimile nè distante da quello di S. Luigi. E l´accostamento è anche più stretto se, pensando a tutti e due i giovani santi, riflettiamo con lo Scrittore che «l´età, la sanità cagionevole, l´innocenza della vita, l´avrebbero certamente
(i) Somm., pag. 267: rif. notizie del Francesia e parole di Don Bosco, che attribuiva ciò a «spirito di penitenta ». Cfr. Ibid., Cagliero, pag. 195.
(z) Cosa divenuta comune, specialmente nei Sabati, tra i Soci della Compagnia dell´Immacolata, di cui fu ispiratore ed anima. Cfr. Somm., Cagliero, 289.
255
dispensato da ogni sorta di penitenza ». Non occorre commento, men¬tre sentiamo ora quanto sia giusto il parallelo che più sopra fu istituito per questo aspetto tra il Savio e il Gonzaga, ancorché l´Autore non vi abbia fatto espresso accenno.
.Si parla di penitenza, ed ovviamente noi v´includiamo la mortifi¬cazione. E questa comprende pure le afflizioni interne e le sopporta¬zioni dei disagi esterni e la contenutezza dei sensi, e tanti fatti in¬somma che non sono penitenziali nel senso più comune. Ora Don Bosco, riassumendo, come si diceva, tutta codesta somma di fatti (i), li separa dal suo tema. Ma con un´affermazione che getta una luce radiosa su tutta la vita, facendone sentire e vedere lo spirito: Queste penitenze in lui erano continue. Ripetiamolo: vivere cosi è da Santi.
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Il Santo Maestro si sofferma sulle « pene afflittive del corpo ». Sono quelle appunto ch´egli non vuole, secondo i principii che ab¬biamo già conosciuti per suoi, e non suoi solamente. Il giovinetto vor¬rebbe digiunare a pane ed acqua al Sabato, ma a lui viene proibito (2): vorrebbe digiunar la quaresima (citra aetatem!), e vi riesce per una settimana, ma il Direttore, saputolo, glielo proibisce: almeno lasciar la colezione, e gli è proibito. Al Besucco furono parimenti vietate tali ed altre penitenze, ma con qualche concessione (Capo XXIII). La ragione era evidente: non rovinare del tutto la già scossa salute (3).
E allora l´industriosa virtù del piccolo santo trova modo di afflig¬gersi da sé. Si rende molesto il letto con schegge e pezzi di mattone: vuoi portare una specie di cilicio (4): ma ne vien proibito.
Veramente l´obbedienza non fu completa, almeno quanto al tempo: giacché sappiamo che poi nelle vacanze, dove Don Bosco non coman¬dava più, affliggeva il suo riposo con sassi e rottami, a segno da con¬sumar le lenzuola (i), e ancora nell´ultima malattia serbava e si
(i) « Non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non della mortificazione continua e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione P. Vita, XV.
(a) La mortificazione al sabato era una delle pratiche dei giovani più buoni dell´Oratorio, probabilmente quelli della Compagnia, secondo la deposizione Ca¬gliero, pag. 289.
(3) _Praxis, cit., n. 145: anche concedendo qualche cosa, sempre « secundum christianam prudentiams.
(4) Questo facevano in parte anche altri della Compagnia. Dep. Cagliero, cit., 2.89.
(5) Sonora., cit.:. Tosco-Savio, pag. 45, e 172; Pastrone, rifer. parole della Molino, 272.
256
faceva dare i gusci di noci o nocciuole per metterseli sotto e averne pena (i).
Così credo poter collocare in questa serie di volontarie esperienze afflittive il fatto narrato da Don Bosco poco dopo la morte del gio¬vanetto: che una volta tenne per mortificazione (sie) un dito della mano destra sopra una candela accesa, per tutto il tempo che recitò l´Ave Maria: verso il termine della preghiera svenne, e fu ritirato dai compagni. A Don Bosco disse di aver voluto farlo in penitenza de´ suoi peccati! E il buon Padre ne lo sgridò, soggiungendo poi agli altri ragazzi: Non fate nulla di simile senza permesso dei superiori! (2).
L´ingegnosa mortificazione andò fino al pericolo, lasciando inol¬trare l´autunno e l´inverno senz´accrescere coperture al letto: a gen¬naio stava come d´estate. L´eroica penitenza viene scoperta da Don Bosco, andato a visitarlo perché incomodato; ed egli stava « tutto rag¬gomitolato» con addosso nient´altro che una sottile copertina. Do¬mandato del perchè ha fatto così, con pericolo di morir di freddo, dà una spiegazione che rivela tutti i perchè: « No, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme e quando pendeva in croce, era meno coperto di me ». Assomigliarsi a Gesù! Quando negli ultimi giorni vedrà fluire il sangue dalle braccia, avrà gli stessi sentimenti. Ecco il seme sublime e santificante del soffrire!
Noi sappiamo che la lettura di questa pagina è divenuta sett´anni dopo la causa innocente dell´eroica imprudenza che portò alla tomba il Besucco. Il forte alpigiano voleva ricopiare il Savio, e vestiva leg¬gero anche nell´inverno, e fu comandato di ripararsi: ma non si pensò a prevenire l´interpretazione troppo letterale della proibizione, ed egli non credette disobbedire imitando il gesto eroico del Savio (3). E la sua risposta ripeteva le parole del suo modello.
Con queste anime benedette ci vuole proprio la sottigliezza più acuta per aver ragione del loro bisogno di sofferenza e d´immola¬zione (4). Si conoscono le ingegnose trovate di S. Luigi, e si leggono dunque in Don Bosco le sue quasi irriuscite nel moderare i suoi gio¬vani santi. Ed egli ricorre finalmente al mezzo radicale, vietando « d´in
(i) Somm., cit., Anastasia Molino, pag. 105.
(2) Somm., dep. Cerruti, pag. 265. Riferisco alla lettera. Nella Vita non ne fa cenno, per ovvia precauzione contro il pericolo di improvvide imitazioni. Si pensi a quella del Besucco.
(3) Vita di Francesco Besucco, cit., cap. XXIII e cap. XXVII.
(4) S. Luigi morente vorrebbe disciplinarsi o che gli si desse la disciplina. Il P. Carminata spiritosamente gli fa osservare che egli è troppo debole per dar-sela bene, e che è proibito dai canoni di battere un chierico. E Luigi si con-tenta. Cfr. MESCHLER, cit., pag. 235.
2.5´j
traprendere penitenze di qualsiasi genere senza prima dimandarne espressa licenza». È pel Savio, come fu per S. Luigi (i), una pena, e soltanto l´obbedienza può valere, perché la spiritualità del giovane è giustamente costretta e porta alla santità (a).
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Qui Don Bosco riferisce la santa discussione che ne sorge col di¬scepolo. Il quale concepisce lo slancio di penitenza suo proprio come nulla più che l´adempimento della penitenza imposta a tutti dalla legge cristiana: Si paenitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis (Luc., XIII, 5). Non abbisogna certamente il mio lettore che io gli spieghi il senso di questa condizione necessaria della salvazione e del precetto che ne consegue. Sappiamo tutti che sono obbligatorie, nonché le opere penitenziali prescritte dalla Chiesa sotto pena di peccato, an¬che sovente le penitenze volontarie come unico mezzo di superar tentazioni o evitare il peccato, in circostanze individuali; è l´idea di penitenza in se stessa e la sua funzione nella Chiesa come istituzione fatta per salvare le anime (3). Il caro santino, come del resto han fatto tutti i santi (anche i santi teologi, perchè si credettero grandi pecca¬tori), estende il valore del precetto alle opere di supererogazione e di perfezione, salvo a coltivare nell´anima, insieme con l´incessante ti¬more del peccato e col dolore di esso (che sono fattori attivi di perfe¬zione) (4), l´ideale più alto dell´imitazione di Cristo e dell´unione amo¬rosa con Dio.
Così il fanciullo dice, tutto afflitto, a Don Bosco: « Povero me! io sono veramente imbrogliato. Il Salvatore dice che se non fo penitenza, non andrò in paradiso, ed a me è proibito di farne: quale sarà adunque il mio Paradiso ? ». La risposta di Don Bosco è la più ascetica e teolo¬gica ad un tempo che si possa pensare, ed anche, nel fatto, la sola con¬veniente e bastevole: « La penitenza che il Signore vuole da te è l´ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta ». Non vi è più alto grado di virtù nel campo dello spirito, come non vi è più profonda mortifica¬zione che iI sacrificio della propria volontà. Quelli che citano come di S. Francesco di Sales la sentenza: « Assez meurt martyre qui bien se mortine» non dicono sempre che il Santo Dottore appunto per quello riporta da S. Pacomio tutto un tratto che continua: « ed è
( T ) MESCHLER, pag. 141.
(2) FABER, Progressi, cit. pag. 147. Cfr. gli altri Autori sopra citati: S. Al
fonso e Giovanni della Croce.
(31 FABER, Progressi, cit., pag. 134.
(41 FABER, Progressi, cap. XIX: pag. 201-217.
3 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte TI.
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maggior martirio perseverare nell´obbedienza che morire tutto ad un tratto di spada » (i).
E il piccolo grande santo, persuaso sì, ma ardente d´amore e di unione, e bisognoso di concretarne Vespressione con qualche gesto di sacrificio, insiste: « Non potrebbe permettermi qualche altra peni¬tenza ? ».
Ed ecco lo stile di Don Bosco: « Sì: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza, e tutti gl´incomodi di salute che a Dio piacerà di man¬darti ». È il principio alfonsiano che abbiamo ricordato: Meliores mor¬tificationes et utiliores sunt negativae. E fa ricordare quel che lo stesso Don Bosco rispose a un´ suo penitente, che voleva da lui il permesso di mortificarsi: « Oh! vedi: mezzi non mancano: il caldo, il freddo, le malattie, le cose, le persone, gli avvenimemti... Ce ne sono dei mezzi ´per vivere mortificati! ». E ai giovani diceva sovente: « Miei cari gio¬vani! non vi raccomando penitenze e discipline: ma lavoro, lavoro, lavoro!» (z).
« Questo si soffre per necessità», obbietta il Savio. Ed egli lo innalza al giusto livello spirituale: « Ciò che dovresti soffrire per ne¬cessità, offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l´anima tua ».
Con qualche variante esplicativa e specificante, leggiamo nella Vita del Besucco il medesimo dialogo: nella conclusione è più chiara: mente definito che « se tu aggiungi di soffrire per amor di Dio, di¬venterà vera penitenza », ma il senso propriamente non cambia. E di qui in poi le due figure si corrispondono, se non nei fatti singoli, nello stile della vita. Certamente il Savio, -c ,m´è presentato dallo Scrit¬tore nel capitolo che segue, appare più vivo ed efficacemente pene¬trativo, e in taluni fatti eroico: mentre molta parte di quel che avviene nel Besucco è rispecchiamento del Savio, finchè l´eroismo imprudente che gli costa la vita viene a mostrare dove può condurre quell´assiduo lavorio di sacrifizi, che Don Bosco propone a modello nel suo primo piccolo santo.
Io richiamo di proposito il lettore a questo confronto tra i due libri e tra le persone dei due tipi spirituali offerti dal Santo Maestro, non già, ch´è da escludere affatto, per vedervi una didascalia, prima abbozzata e poi rifinita, sull´educazione dello spirito nei giovani; sibbene per la dottrina, che così vogliamo chiamarla, della spiritualità
(i) Entret. Spir., n. XI. — Cfr. anche TANQUEREY, 1068-1071. Non parliamo . qui dell´obbedienza religiosa professata per voto. (2) Mem. Biogr. IV, pag. 216.
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insegnata da Don Bosco e qui esemplata nei fatti, piuttostochè ragio¬nata con discorsi.
Sappiamo bene, dalle Memorie Biografiche, che quanto a sè, per¬sonalmente, in fatto di mortificazione, ed anzi di espressa penitenza, il Santo che fu Don Bosco non risparmiò a se stesso quasi nessuna forma di austerità e asprezze, comprese le discipline e il cilizio, salvo quando gli fossero d´impedimento al lavoro della sua propria voca¬zione. I capitoli XVIII e XIX del volume Quarto delle Memorie ci mettono sott´occhio non soltanto quello spirito di penitenza che l´ac¬compagnò sempre nel suo tenor, di vita e nei particolari quotidiani del vivere: spirito di penitenza divenuta parola sua, tanto da inserirla nelle biografie di giovinetti santi; bensì ancora ci dicono di asprezze e penitenze afflittive nascoste, delle quali si scoperse il fatto per casi fortuiti, ma che furono frequentemente praticate a scopo d´impetra-zione, nelle ore più difficili delle tribolazioni e opposizioni che l´osta-colavano .nel cammino del suo apostolato, e così bisogna intendere certe sue misteriose maniere di esprimersi quando parla di lotte e di sconfitte del diavolo. Giustamente l´Orestano riconosce che « la bio¬grafia di Don Bosco costituisce tutto un vasto capitolo di teologia mistica, nel significato che a questo termine hanno dato Padri e Dot¬tori della Chiesa ». E coi gradi della perfezione tutti da lui conosciuti a prova, egli vede che il Santo raggiunse quello stato di elevazione in cui entrano in azione i doni superiori dello Spirito Santo, con le ope¬razioni straordinarie preter e supernaturali (i). Orbene, in tali sfere la vita di penitenza percorre tutti i gradi e tutte le forme.
Ma il regime della vita da Lui dimostrato in sè (nè sempre avver¬tito) e insegnato agli altri, anzi esclusivamente ammesso per i suoi
seguaci, era quell´altro, del quale abbiamo già prima spiegato Io spi
rito e le forme, e che diventò lo stile spirituale della tradizione sale¬siana di mortificazione e di austerità: la vita, così come il buon Dio ce
la offre per mezzo delle cause seconde, vestita i cristiana austerità e
presa come strumento di penitenza elevandola ad atto di amor di Dio. Lasciamo, per brevità, tutte le considerazioni e i paralleli con Ia modernità della concezione spirituale, quale ci si offre sublimata nella
Santa Teresa di Lisieux, e quale venne ripetutamente commentata nelle parole dei Pontefici più prossimi a noi, Benedetto XV e Pio XI: quello per la Santa del sorriso tra i dolori, questo per Don Bosco e per Savio Domenico. Il pensiero di tale correlazione tornerà tra poco, a conclusione di questo tema.
(i) F. ORESTANO, Acc. d´Italia: Il Santo Don Bosco, discorso di Cagliari, 1934: Pag• 4-5.
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Dopo tali affermazioni e insegnamenti, lo scrittore Maestro può venire a descrivere il sistema di mortificazione seguito dai suoi alunni. Parlo per un momento in plurale, perché ciò che nel Savio viene a formare il nuovo capitolo XVI è nella Vita del Besucco esposto in continuazione. Siamo adunque, come il titolo dice, alla Mortificazione di tutti i sensi esterni. E l´Autore s´introduce con quella eapitalissima definizione, che la compostezza esteriore del santo giovanetto non era cosa di natura, ma frutto di un grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio. Di questa sentenza noi ci siam valsi per la com¬prensione di tutto l´apparato di virtù esterne che brillarono nel ca¬rattere del Savio: ne abbiamo anzi messo in luce il valore pratico, ricordandone le attuazioni nei fatti singoli e nelle abitudini. Qui, punto per punto, ci accompagnano le testimonianze dei Processi, quali leg¬giamo sotto il titolo VIII, De heroica charitate in Deum, e. principal¬mente nel tit. XII, De heroica temperantia, e, per quanche spunto, in qualche altra parte.
Rimetto il lettore ,a quanto già fu citato altrove per l´eroico do¬minio degli occhi in sè e la cura ch´egli ebbe che altri non avesse nocumento dalla vista di cose illecite (i): parimenti ricordo i commenti fatti intorno al dominio di sé, temperanza nel parlare, equilibrio di carattere, freno di sentimenti, fino all´eroico dramma di quelle bru¬talità e ingiurie, da lui perdonate con parole scultorie (2). È tutto un complesso di azioni e di sentimenti che, direbbe altrove Don Bosco, « segna un grado di perfezione che raramente si osserva nelle persone in virtù consumata » (3). Qui sembra richiesto propriamente dal tema il quadro delle altre forme di mortificazione, quelle, dice l´Autore, « degli altri sensi del corpo ». Sono, in causa dello stesso tenore umile e povero della vita vissuta, episodi e pratiche umili e persino umi¬lianti: dove il senso cristiano sa dare quel valore che supera, contra-standovi, i pensamenti e gli apprezzamenti umani.
Vi è anzitutto la sopportazione del ´freddo. La Casa di Don Bosco, la sua camera stessa, non ha stufe, e bisogna andare a scuola fuori di casa, tra il gelo e le nebbie (4). Il Savio è, in una- parola, eroicamente forte, egli così gracile e cagionevole, contro la stagione., Ci fa pensare
(i) Cfr. sopra, Parte Prima, lib. IV, cap. V.
(2) Ibid., cap. IV.
(31 Vita di Francesco Besucco, cap. XXII. Il Cagliero dice senz´altro che tutto dimostrava nel Savio «un emulo delle penitenze dei Santi provetti s. Cfr.
Somm., cit., pag. 193.
(4) Somm. Proc., dep. Rua, pag. 282. Docum. Bonetti, n. 8, gag. 466.
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agli eroismi della Santa di Lisieux, che almeno si fece capire con quella parola: « freddo... quasi da morirne » (i). Del Savio si può dire che, proibito di far altre penitenze, lo cercava. D´inverno stava leggermente vestito (2), e se teneva le braccia conserte e riparava le mani sotto la giubba, ciò era più per sua abitudine, che non pei- difendere gli stra¬zianti geloni (3). Infatti proprio sotto il Natale del ´56, che fu anno rigidissimo, mentre il compagno Bonetti, che ce lo ricorda, quasi piangeva pel dolore, il piccolo Savio; con la sua tosse ostinata (4), andava a passo tranquillo come a un passeggio, senz´affrettarsi come tutti fanno. « Chiunque l´avesse veduto, facilmente giudicava che lo facesse a bella posta per patire il freddo per amore di Gesù Bambino ». «Aspettatemi, che andiamo insieme » disse ai compagni che lo stavano oltrepassando: ma essi lo lasciarono venire a scuola, così, da solo (5).
Tutti seppero dei geloni, che lo afflissero fino allo strazio, e tutti attestarono che non se ne lamentò mai, che anzi aveva piacere di sof¬frirne « dicendo che ne veniva vantaggio alla salute! » (6).
Vi fu in questa sofferenza l´atto eroico. È il teste Mons. Piano, che in uno scritto del 186o (che ancora possediamo) lo faceva noto a Don Bosco, il quale senz´altro lo inserì, con le proprie parole del gio¬vane condiscepolo e amico, nella seconda edizione del suo libro, al nuovo capo XVI: « Più volte il vidi nel più rigido inverno squar¬ciarsi la pelle ed anche la carne con aghi e punte di penna, affinchè tali lacerazioni, convertendosi in. piaghe, lo rendessero più simile al Divino Maestro » (7). E Don Bosco lo seppe soltanto allora!
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Il Santo Maestro conosceva invece quello che distingue la vera pietà e la vera mortificazione, con dare uno stile alla vita quotidiana. È un contrassegno, notato da tutti i maestri di spirito, dell´autentico spirito di penitenza, e quasi un dovere primario della vita spirituale, quello dell´adattamento e della sopportazione dei minori o maggiori
PETITOT, cit., pag. 36.
(a) Proc. Somm., dep. Conti, z66.
(3) Somm. Proc., Anfossi, z80.
(4) Somm. cit., Rua, pag. 205, che riporta come detto dal Bonetti.
(5) Somm. cit., Docum. 8: Bonetti, pag. 466.
(6) Somm., cit.: Dep. Rua, pag. 206, che ricorda parole del Sonetti; Conti, 266; Cerruti, 283; Anfossi; z8o, dove sono addotte le parole citate; Piano, 285¬293. — E altri.
(7) Somm. cit., Docum. n. 4, pag. 459. — Il Piano nei due Processi (cfr. pag. 285-293) ricorda la cosa, e si gloria anzi che le sue parole siano passate te¬stualmente nella Vita.
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disagi e spiacevolezze quotidiane e continue (i). In ciò rifulge di splendore tutto proprio la santità della Teresa di Lisieux, con la quale, episodicamente, molte volte concorda il Savio (2). Don Bosco, at¬tento e sagace osservatore, come educatore ch´egli era per istinto e maestro di anime per vocazione, non si lascia sfuggire questi segni. In contrasto con la difficile contentatura delle comunità (egli la rileva, anche a scopo educativo), la condotta di un Savio, che cercava la mortificazione in ogni cosa, doveva naturalmente spiccare, come « op¬posta a costoro ». Si noti che tutti i testi coevi ebbero cura di insistere su codesto modo di condursi, e se non s´indugiarono sui confronti, non pochi fecero sentire (che n´avevano buona memoria!) quanto la vita dell´Oratorio a quei tempi fosse dura, disagiata, sprovveduta quasi di tutto. Lasciamo stare il perché, quando ricordiamo Don Bosco che in quegli anni limosinava il pane e i vestimenti pei suoi figliuoli (3).
Sembra non accorgersi il Savio del caldo nell´estate (chi non ri¬corda le gocce di sudore non deterse della Teresa di Lisieux?) e del freddo d´inverno (l´abbiam già detto.. ma qui è pel confronto con le dita irrigidite della Santa delle piccole vie): neppur del tempo cattivo si curava, che con quel portico mezzo finito e un cortile, via, non ci¬vilizzato, doveva essere una bella molestia. Savio era sempre con¬tento (4).
La preziosa tavola (oh! potessi descriverla nel suo squallore!) era per il santo giovinetto, possiamo dirlo, il giardino delle mortificazioni. Già tutto andava bene per lui, proprio come per la Santa di Lisieux, e il salesiano «contentarsi degli apprestamenti di tavola » aveva in lui un esempio imitato certamente, ma non forse superato (5). Che anzi « con un´arte ammirabile trovava ivi un mezzo onde mortificarsi » (Cap. XVI). Quando una portata (diciamole cosi, per convenzione) era censurata perché mal riuscita di cottura o di condimento, egli n´era più contento che mai, « dicendo essere quello appunto il suo gusto » (ivi).
Piccoli fatti d´ogni giorno, senz´altro eroismo che quello della fe
(i) S. ALFONSO, Praxis, cit., 146; FABER, Progressi, cap. XI, cit.; TaNquEREv, n. cit.
(2) PETITOT, P. I., § 4, Pag• 33-38. — Per la Teresina tutto era buono, e si servivano a lei i piatti che Ie altre consorelle non avrebbero voluto!
(3) Cfr. Mem. Biogr., V, 261: proprio nel 1855, un miracolo per pagare il panettiere. Così, V, 131-132: M. Margherita e Don Bosco aggiustano i vestiti;
V, 676: il povero vestito di Don Bosco.
(4) È affermazione comune, e non cito i singoli testi.
(5) Alla pari con lui poteva stare il Rua, che, anche nella vita susseguente, e più da superiore, non cambiò mai. — P superfluo ripetere i richiami biografici di S. Francesco di Sales e di S. Teresa del Bambino Gesù. Sono noti a tutti.
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deltà e perseveranza nelle piccole cose (I): e Don Bosco se ne vale per innestarvi un´altra forma, e questa forte davvero, di eroismo. Perché non l´ha messa nella prima edizione? Un fatto così generalmente noto ai suoi giovani non poteva sfuggirgli. Ma egli aspettò il tempo oppor¬tuno che gli desse il coraggio di raccontarlo. Perché è umiliante, è ripugnante, come l´altro dell´inciprignire i geloni fa ribrezzo: e solo può dirsi quando si è sicuri che sarà preso in buona parte, perché viene da un Santo (2). Ora nel 186o-61 (al tempo della seconda-terza edizione) e cioè a tre e più anni dalla fine del Savio, la fama sancti¬tatis era ormai tanto stabilita in casa e fuori, -che si ricorreva per grazie all´intercessione del piccolo Santo, e Don Bosco ne riferisce una ancor nella I edizione, al Capo XXVII. L´edizione seguente già è obbligata a riferirne parecchie in appendice. Lo stesso Don Bosco incorag-giava i giovani a ricorrere alle preghiere di Lui, e ciò pochi mesi dopo la morte (3).
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Il Savio adunque, già temperantissimo per virtù, e per tale sti¬mato da tutti (4), che si priva del poco cibo e dell´unica porzione di pietanza non abbondante per rallegrar qualcuno (5), coltivando il rispetto della Provvidenza anche pei piccoli frustali dimenticati (6)
o trascurati, si vale di quella santa ragione e delle ingegnose spiega¬zioni che la Vita riferisce, per innestarvi una mortificazione, che, nei particolari, oltrepassa le più evangeliche intenzioni. Non solo raccoglie e preferisce i tozzi al pane intero, ma inosservato, o non credendolo (7), li raccatta da terra, di sotto alle tavole, così come sono sul lordo pavi¬mento e scalpicciati; e al più vi dà una botta per scuoterne la più
(i) FABER, Progressi, cit., pag. 251. E tutto il lavoro della Tesesa di Lisieux si esercita intorno alle « piccole cose a. Cfr. PETITOT, loc. cit., § 5.
(2) Cfr. Somm. tit. XX; De fama sanctitatis in vita et post mortem. Ibid.,
tit. XXI, De miracvlis post mortem. Ibid., DecIarationes, n. I.: Angelo Savio, 1858.
(3) Somin., pag. 424-425: Relaz. Vaschetti, che riporta un discorso di Don Bosco un mese prima degli esami 1857. Cfr. pure le deposizioni ai tit. XX-XXI.
(4) Somm. Pro c., tit. XII, De temperantía. Tutti i testi.
(5) Somm., cit., Cerruti, 53.
(6) Vita, cap. XVI. Somm., cit., Anfossi, 269: Ia ragione del rispetto alla Provvidenza (che appare nella Vita) è data da lui. Cfr. ivi dep. Melica, 264; Cerruti, 265; Rua, 27o. -- I3 Francesia, ivi, 264, lo dice fondatore della Compa¬gnia dei tocchi, una specie d´intesa tra salesiani di preferire i tozzi avanzati al pane fresco od intero. Certamente i Salesiani primitivi, di cui conobbi buon numero, compresi i compagni superstiti del Savio, praticavano quella legge, senza troppi scrupoli per l´igiene.
(7) Somm., cit., Anfossi, 269.
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grossa sporcatura, o vi soffia via la terra; spazza sul legno della ta¬vola (tovaglie non c´erano!) e raccoglie anche le briciole: e quello è il pane che preferisce.- Quando gli altri se ne sono andati via, egli si sofferma, e con quella sorta di pane raccatta dalle scodelle abbando¬nate i resti delle minestre, e « i pezzettini di cado, gli avanzi, gettati
a terra sull´ammattonato umido, sudici, buttati via per disprezzo da qualcuno, che ripuliva e mangiava, rinunziando ad altro comparia
fico » (t).
Disgustosi particolari, lo so, caro lettore, e che con la magnilo
quenza dei panegirici si confanno poco; ma che vogliono essere co¬nosciuti, come Don Bosco li ha messi nella Vita del suo piccolo Do¬menico. Non sono avvilimenti da degenerato, come non sono frenesie da fachiro gli strazi dei geloni: sono eroismi d´una mortificazione cri-. stiana, che non potendo seguire l´enfasi del martirio (a), si martirizza nei sensi e nei sentimenti, per imitare tutto ciò che soffrì di più umi¬liante e disgustoso il Modello Divino. I compagni lo sapevano, e non l´hanno disprezzato per questo: solo non si san sentiti d´imitarlo.
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Questi- eroismi il santo Maestro li offre come saggi del tenore di mortificazione dominante nel Savio: mortificazione assidua, inces¬sante, nelle piccole cose e circostanze della sua limitatissima vita. C´è un´intenzione, un principio (diremmo una tesi), in codesta maniera di Don Bosco. Ed è il principio che fa grande la Santa di Lisieux, che ha formulata la santità di piccolezza. In questa, la mortificazione, come in ogni concezione ortodossa di spiritualità, ha una parte pre¬cipua e, in certo senso, essenziale; ma, nel concetto della Santa come nell´idea e negli insegnamenti di Don Bosco, essa vuol essere morti¬ficazione della sensibilità in tutte le circostanze: una mortificazione assidua di tutti gl´istanti e di tutte le piccole cose (3). « Saper mortifi¬carsi nelle minime cose, fino in quelle infinitamente piccole, è più umiliante e non meno crocifiggente di quello esercitato nella ricerca delle grandi pene volontarie » (4). Ed è la splendida dottrina del Fa¬ber (5) sul valore delle piccole cose nelle vie della perfezione, che in
(i) somme cit., Cerruti, 53: ( L´ho visto io stesso... » dice. Cfr. anche dep. Rua, pag. 270, donde ho tratto la prima descrizione. Così Cerruti, 271.
(z) Fu il sentimento degli ultimi anni della Santa di Lisieux: « La follia del martirio », PETITOT, cit., pag. 178.
(3) PETITOT, cit., pag. 18o e pag. 32.
(4) Ióid., pag. 25.
(5) FABER, Progressi, cit., cap. XVI, pag. 551-253.
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volge in una sostanziosa comprensione tutto il valore dell´umiliazione nelle cose che non si curano dai meno spirituali: dove noi portiamo invisibilmente in noi la mortificazione di Cristo, e « facciamo (si noti la coincidenza col fatto nostro) tanta varietà di cose triviali puramente per Iddio ».
E le parole più sopra riferite di Don Bosco a quel suo penitente, come quelle dette al suo piccolo Santo, concordano pienamente, come vi concorda il suo personale tenor di vita (t) mortificato in tutto, spe¬cialmente in cose minime e in minuti eroismi, che, come per la Santa di Lisieux, erano men conosciuti, perché velati dalla continua serenità e letizia (2). Così è del piccolo nostro santino. Ha dei gesti eroici, che paiono fatti strani, più che atti di virtù, e si esercitano in cose dove, ecco, non si è soliti cercare l´eroismo e quasi neppure la virtù. Ed ha un sistema (bisogna pure adoperare questo termine) di piccole, con¬tinue e assidue azioni mortificanti, che solo l´occhio d´un Direttore santo o di emuli virtuosi riesce a discernere.
Per questo, dopo i due eroismi che abbiamo spiegato, e proprio dopo il più umiliante, vedi collocato un saggio di umiliazione « in cose triviali », nel prestare che fa i servizi più umili ai compagni (3), e di mortificazione di sensi nel « prestare i più bassi uffici -» agli in¬fermi.
Ne ho parlato per il fatto dell´umiltà: qui torna il pensiero che eleva il tutto sopra la temuta sfera dei sentimenti di bassa condizione, e li porta in quella della gloria di Dio, al quale tutto si offre per amore (4).
Colla medesima intenzione il santo Scrittore s´intrattiene ad enu¬merare i tanti piccoli, e certamente non saputi da tutti, casi, in cui le piccole cose danno occasione al giovanetto santo di contrastare al senso: mangiar cose contrarie al suo gusto (5), evitare quelle che gli piacerebbero (6); domare gli sguardi anche sulle cose indifferenti (7); trattenersi tra odori ingrati (8); rinnegare la sua volontà (o); soppor
(i) Dovrei dire anche di Don Rua: ma qui e altrove ne taccio, per non disturbare il Processo in causa di Beatificazione. (a) PETITOT, cit., pag. 177.
(3) Sono i servizi di casa, comuni a tutti, e quelli verso i compagni, di cui si è discorso altrove per il buon cuore e l´umiltà. Cfr. Vita, cap. XVI.
(4) PETrrcyr, cit., pag. 41. Vita, cap. XV, parole di Don Bosco.
(5) Fumi:Yr, cit., pag. 23: dal Processo della Santa di Lisieux.
(6) Ibid., pag. 183: il sidro (le cidre doux), unica bevanda gradevole, rinun¬ciata a beneficio delle consorelle.
(7) Cfr. sopra, cap. XVI, init.
(8) MESCHLER, cit., pag. 233: S. Luigi tra gli appestati.
(9) Cfr. Soinna. cit., tit. VI: De Fide e passim.,
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tare con perfetta rassegnazione ciò che portava afflizione al corpo o allo spirito (i).
· E l´enumerazione potrebbe continuare se citassimo tanti spunti dei Processi, che l´Autore forse avrebb´egli medesimo ricordati, se non gli fosse bastato quanto aveva detto «a dimostrare quanto in Do¬menico fosse grande lo spirito di penitenza, di carità, di mortificazione in tutti i sensi della persona, e nel tempo stesso quanto fosse indu¬striosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occa¬sioni, anzi delle stesse cose indifferenti, per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al Signore ».
Vediamo tra queste parole che Don Bosco ha la sensazione d´una santità. Ed è questa sensazione che il grande amico del Savio, il Ca¬gliero, esprimeva in una scultoria definizione al Processo: « Tutto questo (una serie di fatti ed esempi di fortezza e di mortificazione eroica) unito insieme alle piccole e continue astinenze nel mangiare e nel bere, nel soffrire il freddo senza pure accennarlo ai compagni, mostrava che il piccolo DomenicO non era solo un piccolo penitente, ma emulo delle penitenze dei santi provetti » (2).
Quella industriosa virtù, ch´è poi l´ingegnosa mortificazione di San Luigi,- e che fa dell´uno e dell´altro un martire incognito di se stesso (a), ci fa collocare nella sua giusta luce e posizione la sentenza di Don Bosco, che vale da sè sola un´intera santità, ed è per Lui, Maestro, e per la santità del Savio, come per l´idea della nostra spiritualità, do¬cumentaria ed essenziale; e cioè che codesta somma di minute mor¬tificazioni sono atti di virtù che da Domenico esercitavansi ogni giorno e possiamo anche dire ogni momento di sua vita (4).
Io non mi trattengo a commentarla, giacchè tutto il precedente discorso l´ha preparata_ Mi contento di metterla accanto alla defini¬zione data della Teresa di Lisieux, giovinetta: « la sua mortificazione era di tutti gl´istanti e nelle più piccole cose » (5). E poi elevarla al concetto che la Santa ebbe della vita vissuta in intima unione con Gesù (e qui son sue parole): Gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici (6).
(i) FABER, Progressi, cit., I48 TANQTJEREY, eh., n. 1091.
(2) Somm. cit, tit. VIII De Charitate in Deum: dep. Cagliero, pag. 193. Dalla medesima deposizione viene l´altra capitale sentenza sul senso d´amor di Dio che regge Io spirito del Savio: cit. più sopra.
(3) n Luigi fu martire incognito e si fece anche martire da se stesso h disse S. M. Maddalena de´ Pazzi nella sua estasi del 4 aprile 1600. — La parolà e la fonte sono ricordate dal SEGNERI, Paneg., cit., punto VII.
() Cfr. anche, sopra, pag. 255: e queste penitenze in lui erano continue e•
(5) PF.TITOT, cit., pag. 32.
(6) Storia d´un´anima, capo XII.
CAPITOLO I
L´anima con Dio.
« Lo spirito di fede e di unione con Dio era in lui abituale, sicché la sua vita era tutta una vita di fede viva, certa, e indubbia nel suo cuore semplice e tutto di Dio. Tutto ciò che faceva era accompa¬gnato da gran fede e sentimenti divini e soprannaturali, che lo im¬pulsavano e animavano con meraviglia di noi suoi compagni, maestri e assistenti, che godevamo della sua conversazione. NON VIVEVA CHE DI DIO, coN DIO, E PER DIO» (I). «E siamo testimoni, io e i miei compagni d´allora (seguono i nomi), sopra quanto scrisse Don Bosco: « Fra i doni di cui Dio lo arricchì era eminente quello del fervore nella preghiera. Il suo spirito era così abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri, e con gli affetti sollevava il suo cuore a Dio » (a). Questo profilo spirituale è disegnato con le parole dette dal Card. Cagliero il 31 luglio 1916 al Processo Apostolico. Esse ci intro¬ducono nel tema più squisito della spiritualità e nel mondo della san¬tità in cui sí colloca: può dirsi che ci fissano incisivamente le linee e ci danno il tono delle nostre considerazioni.
Finora abbiamo veduto nella figura del Santo principalmente l´uo¬mo, e, come s´è già detto, fu, non poche volte, quasi sempre, difficile vedervi l´umano soltanto: ora abbiamo a vedere il Santo nell´Uomo, elevato alla sfera del contatto con. Dio. Le parole che abbiam riferite (e non sono d´un qualunque!) fanno appunto pensare che nel santo gio¬vanetto si avvera quel sesto elemento della santità, che il Faber giu¬stamente afferma come superiore alle più oneste aspirazioni d´un comune buon cristiano, ed è lo stato soprannaturale della preghiera (3). In quell´anima c´è Dio che lavora, e l´anima vive di Dio, con Dio, per Dio : e l´uomo, Ia persona, non sono obliterati, come trasumanati in
(i) somm., Cagliero, 129.
(2) Somm., Cagliero, 1gs. — Vita, cap. XIII, ira.
(3) FABER, Tutto per Gesù, pag. 344.
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una trascendenza impalpabile, ma sono elevati, in tutto l´essere loro, e cioè con la consapevolezza e la volontà, ad una vita superiore, ch´è la santità dell´uomo.
Uno studio di questo genere potrebbe trasportarci nei campi di chissà quale ascetica e mistica. Non abbiam bisogno di tanto: la mi-gliore e più edificante delle ascetiche è la vita reale dei Santi, e la mistica, non indispensabile, del resto, alla santità (I), si afferma negli atteggiamenti e nei moti della vita vissuta da quello spirito. È quel-1´ estasi della vita >>, l´estasi perpetua dell´agire e operare in Dio e per Dio, che S. Francesco di Sales, nel celebre passo del Teotimo, premette come condizione inderogabile ad ogni altra manifestazione mistica, osservando che sono molti i Santi che non ebbero altro pri¬vilegio e dono d´orazione, se non la divozione e il fervore, ma non ve n´ha alcuno che non abbia avuto « 1´ extase et ravissement de la vie et de ropération, surmontant soy mesme et ses inclinations natur 1¬les >> (2).
E neppure può pensarsi l´anima, o la vita di essa, come costretta a traversare tanti compartimenti di atmosfere, che non si passa ad un altro senz´attemprarsi nel precedente (3): quando lavora di suo il buon Dio, tutta quella quadratura vale quanto può e quanto Egli vuole. La santità non si schematizza: ed ha ben ragione il mio solito Maestro a protestare contro l´effetto delle letture trattatistiche (i), mentre il passaggio dall´uno all´altro stadio di preghiere è un segreto dell´ami¬cizia che Dio ha co´ suoi Santi, e « i differenti stati di preghiera pas¬sano così insensibilmente l´uno nell´altro, che appena possono essere definitamente e distintamente riconosciuti, e sono considerati sepa¬ratamente soltanto per la convenienza della teologia mistica » (5).
II nostro compito è perciò stesso men che agevole, sia per la so¬stanza, dove tra i dati di fatto emerge qualche cosa di non empirico, sia nella distribuzione, dove si corre il rischio, già deprecato, di allo¬gare quei dati in compartimenti aecessorii ed esteriori, che fan di¬menticare l´unità della vita che li anima. A dir vero, l´unità psicologica di quella vita appare, se stiamo agli scritti, meglio nella Vita del Be-succo, dove lo svolgersi del senso d´amar di Dio è messo a suo luogo
(i) FABER, Creatore e Creatura, pag. 349: n. I, dove si reca l´esempio di
San Vincenzo de´ Paoli. •
(2) Teotimo, lib. VII, cap. VII. Op. orna., V. 27-28. -- Altri legge: «ses opératìons naturelles e. — Cfr. anche FABER, op. cit., pag. 349.
(3) Un po´ come nelle campane pneumatiche, nelle miniere e nei sottoma¬rini, ecc.
(4) FABER, SS. SaCr., I SI ^182,
(5) Id., op. cit., pag• 332.
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in evidenza, che non in quella del Savio, nella quale il disegno pra¬tico, e cioè la materia esemplare dei fatti, nasconde e involge pro¬fondità e stati spirituali, che solo qualche volta trovano in espressioni comprensive quella luce che deve riflettersi sul tutto. Don Bosco ha offerto i fatti di un fanciullo santo, senza indugiarsi a darne ragione: per l´edificazione ciò era più che bastevole ed anzi affascinante, come lo prova la simpatia universale pel suo soggetto e pel suo libro; ma per chi voglia andar più a fondo, e vedervi quel che noi, per assunto, dobbiamo leggervi, la difficoltà della costruzione non è poca.
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Ma il fondamento, sicuro e accertato anche da altre fonti, non manca, e l´unità spirituale (o psicologica) si travede nella serie come nell´indole stessa dei fatti. E allora ci si vede vivere l´anima con Dio, e una vita ch´è tutta in Dio e per Dio. In questo so di dar ragione a Jules Segond, classico studioso della psicologia della preghiera, che, pure in un senso più sottile e strettamente scientifico, viene a dirci che « les ouvrages d´édification sant une source documentaire pour le psychologue: il y trouve une réalisation des valeurs de la prière, une analyse de fait de la génèse de l´esprit de prière » (i). Noi non ab¬biamo nè assunti scientifici, nè, tanto meno, propositi semplicemente umani: ma, per quel tanto di ragionato che abbiamo ad offrire pel
nostro studio, vale, nella giusta misura, quella sentenza, e vi ci atte¬niamo.
Il nostro tema muove pertanto dai capitoli XIII-XIV della Vita, con ovvii riferimenti alle altre parti del libro (2), ispirandoci alla fondamentale definizione dell´amico Cardinale; ed abbraccia ne´ suo campo vastissimo tutto ciò che, in una parola, può chiamarsi il feno¬meno della preghiera, o, più religiosamente, la vita di preghiera: quella che Don Bosco suoi chiamare spirito di preghiera, divozione, e più generalmente e profondamente, pietà. Un campo, dico, vastissimo,
(i) JUT FS SEGOND, La Prière: Essai de psychologie réligieuse. Paris, Alcan, igrt. — Il Segond conosce perfettamente tutti gli scrittori mistici e ascetici cristiani, soprattutto S. Teresa, Giovanni della Croce, Francesco di Sales, Faber, nonchè S. Paolo, Cassiano, S. Agostino, ecc. Non certo si può aderire ad ogni pagina, benchè l´A. sia animato delle più nobili intenzioni, e, in fondo, riesca ad una prova della verità cristiana. Cito volentieri quest´opera fondamentale, ma ho voluto esplorare buon numero degli autori aventi riferimento al tema: purtroppo sono inservibili, perchè o materialisti, o agnostici o acattolici; e simili.
(z) P. es. cap. XVII; cap. XVIII; cap. XIX (l´amicizia col Massaglia); cap. XX (estasi e carismi).
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perchè nel fatto della santità, una vita quale l´ha definita il Cagliero, che è tutta in Dio e- con Dio, se l´anima sia, com´è ealmente nel Savio, consapevole, vorrebbe essere veduta tutta quanta in questa luce, giacché questa è la santità. Ma, come nelle altre nostre precedenti ri¬flessioni non abbiamo, spero, mai trascurato di vedervi quel lume, così ora ci è consentito di attenerci specialmente al fatto proprio (altri direbbe fenomeno) della preghiera: sia poi orazione o preghiera for¬male o vita d´unione, non fa divario. E consideriamo l´anima del Savio con Dio, ossia la preghiera in ogni suo aspetto; e l´orientamento, le forme della sua vita esterna di preghiera, e la pietà interiore, che s´in¬nalza nello spirito eucaristico fino al sublime.
Sono tre aspetti, distinti solo per ragioni d´ordine: non per, come s´è detto più sopra, separarli. E bisogna vedervi non l´anima sola del piccolo Santo, ma la presenza morale e indicatrice di Don Bosco: l´educazione del santo alla vita di pietà. Il Maestro scopre nell´anima del suo alunno lo stato d´animo del Santo, e lo ravviva con l´esempio e la parola, ma poi lo indirizza versò forme di pietà che sono proprie di lui Maestro, e trovano nel discepolo la preparazione ancora inde¬finita, ma presto divenuta´ attuazione vivente della pietà, che ascende a sfere più alte, tracciate dalla mano di Dio.
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Quella che si usa chiamare vita interiore si esplica nonchè (come dev´essere, se realmente esiste) in tutto l´insieme della vita, partico¬larmente, anzi (ma non vi credo troppo) principalmente nel fatto della pietà e della preghiera: in quanto la vita interiore, ch´è permanente ed attiva coscienza dei nostri rapporti spirituali, trova in esse le sue espres¬sioni formali, e da queste si risale allo spirito che le informa.
Per questo aspetto, e lo notiamo subito, il Savio non presenta i sintomi dell´anima novizia, dell´anima bambina o convertita di fre¬sco, che non può ancor sciogliere l´alto inesprimibile cantico riser¬bato alle anime progredite e già formate da lungo tirocinio di lavoro interno (i): esso si presenta (l´abbiam pur detto) subito coi fatti della vita formata e adulta, quasi familiare nella conoscenza che ha con Dio. Non come il Magone, ch´è da sgrommare della ganga ignara e grossolana: non come il Besucco, avviato già in ottima scuola, ma bi¬sognoso di forma: nel Savio i gradi sono voli nell´aria di Dio. Non dico di mio: S. Teresa (quella di Avila) ricorda quelle due novizie » di poca età», che, l´una in tre giorni, l´altra in tre mesi, si mostrarono
(i) TANQUEREY, op. cit., 1399, cit. S. Bernardo.
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ricche di beni così grandi, che solo essa poteva ritenere credibili. Sono anime privilegiate, che, condotte da Dio, fanno progressi che paiono
sproporzionati alla loro capacità (i).
Quei che scrissero di queste materie, anche Santi, anche secondo
le proprie esperienze, non ebbero mai occasione di considerare (né forse previdero) il fatto di un santo ancor fanciullo. La direzione in¬terna (ch´è tuttavia in stretta relazione con l´esterna) condotta da Don Bosco nell´anima del caro santino sorpassa per questo il semplice tema pedagogico del suo sistema educativo, ed appartiene ai segreti, che poi si rivelano, ed egli stesso, il Maestro, afferma essere stati la guida e il sostegno del Savio verso la perfezione (2), segreti d´intima personale direzione d´uno spirito eccezionale (3). Di tali impreviste ascensioni Don Bosco stesso stupiva, e l´accompagnava ammirando. Tante cose non le disse nel libro, perché non poteva dirle senz´apparire come un canonizzatone arbitrario; ed anche perchè, quando scrisse, pensava all´edificazione pratica dei giovani quali egli li conosceva, e, d´altra parte, gli spunti o le note di ascetica e mistica non sarebbero state comprese o potevano imbattersi in qualche diffidenza.
Non però che tra l´indole dei fatti e le sue poche sentenze non trasparisca il suo pensiero. Il quale era non altro da quello che, tanti anni dopo, espresse il Cagliero con le parole da noi ricordate, e forse apprese da lui nell´intima lunga consuetudine. Giacché quei pochi primissimi che, nel fatto, furono in sua mano i costruttori della sua Istituzione, non parlarono mai se non le parole che avevano da lui imparate. Bisogna averli conosciuti per esserne certi. E il Grande amico del Savio non avrebbe parlato così se, chissà quante volte, non l´avesse sentito dire da Don Bosco. Non adduco altri, Don Rua prin¬cipalmente; e invece mi giova far osservare che purtroppo, nella mag¬gior parte, le parole dei testi coevi rispecchiano le impressioni´della
- loro giovinezza: fedeli, perfino penetranti, ma non più che esteriori (4). Ma sono preziose, già come complemento e conferma di quel che dice la Vita, e poi perchè sono come la pronunzia segnata delle parole, che sono i fatti della vita.
(i) TANQUEREY, cit., n. 1408. Di qui la citazione da S. Teresa: Concetti sul¬l´Amar di Dio, cap. VI.
(2) Vita, cap. XXVII. Cfr. anche la citaz. della sentenza di Don Bosco: , Il segreto... fu l´obbedienza al suo confessore n. Cfr. sopra, lib. II, cap. II, pag. 84..
(3) Sappiamo già che il tormento della Santa di Lisieux fu di non aver tro-vato Un direttore che volesse capirla, uscendo dalle formole consuetudinarie. Cfr. TANQUEREY, op. cit.,- n. 1411, circa la materialità di certi direttori formalisti.
(4) Non tutti convissero così a lungo con Don Bosco o non così intimamente come quei due grandi collaboratori e qua´che altro rimasto salesiano.
4 — CAVIGLIA, Dan Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.
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Il soggetto, santo soggetto! delle nostre considerazioni, così come le condizioni in cui si trovano le notizie che ne possediamo, non si adattano ai dettami e alle analisi scientifiche della psicologia, non meno che ad un disegno mistico tracciato a regola d´arte. In cotal genere di fatti, dice bene il Segond, il miglior metodo è di attenersi a ciò che ce ne danno « les hommes qui prient » (i). Non possiamo, neppur dalla lunga, tentare una specie di storia naturale della santità e della preghiera di Savio Domenico (ha ricusato di farlo, e per Don Bosco, l´Orestano) (2), e il nostro compito consiste nell´intendere i fatti, le esperienze, secondo il valore che hanno, al lume della scienza spirituale, per conoscere lo stato d´animo del santo fanciullo in pre¬ghiera e, fin dove si può, le vie dell´ascensione verso le sublimità dell´unione: mentre tutto ciò è collegato con l´indirizzo pratico della pietà avuto da Don Bosco_ Che di qui e in ciò si rivelino anche valori intimi e superiori, e in fin dí tutto la grazia di Dio, è cosa ovvia e tocca pure a noi indicarlo per una comprensione compiuta d´entrambi gli assunti. A suo luogo (e se occorrerà, le addurremo) possono venire le sentenze dei Santi e Maestri di spirito che, fondandosi sull´espe¬rienza spirituale, ne hanno disegnato la figura e lo svolgimento. Giac¬ché i veri psicologi, e, diciamolo pure, i soli scienziati della preghiera sono i Santi; e c´è più scienza nelle due Terese, e in Giovanni della Croce, Olier, Francesco di Sales, fflosio, e mettiamo anche Faber e scrittori affini, che in tutti gli Essais delle scuole scientifiche positi¬viste o agnostiche. E i più onesti degli scienziati, se vogliono dir qualche cosa di sodo, ricorrono a quelli e vi si fondano, come appunto fa il Segond, più volte ricordato (3). La scienza della preghiera è la scienza dei Santi, scienza sperimentale al cento per cento, perchè in-teramente sperimentata.
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Il tipo di Savio Domenico non è quello di un divotino (4), d´un pio ragazzo che prega volentieri bene, e si compiace delle cose di
(i) sEcoND,.op. cit., pag. 36, /1. I.
(z) Disc. cit., 1934, § t. — Il tentativo dell´Albertotti di spiegare Don Bosco colla scienza, è fallito completamente.
(3) Op. cit., — Cfr. i limiti e gl´intenti dell´A. nella Introduction, specialmente § IV-VII, dove accetta senz´altro (pag. 3z-33) la definizione romana ed ecclesiastica della preghiera data dal Damasceno e accolta da S. Tommaso, e su quella si fonda, come quella che in sè contiene tutta la psicologia della preghiera (pag. sz). A que¬sto autore ricorriamo qualche volta per la felicità delle definizioni.
(4) e Mica cattivo, quel poverino!9 diceva un buon prete che l´aveva un po´ conosciuto.
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chiesa e, come altri per altro, vi mostra una preferenza: se n´hanno tanti tra le nostre popolazioni più semplici, o dove le mamme sono sante donne, i quali cominciano da quello a rivelare, perché no? una inclinazione a farsi preti. Quella del Savio è un´anima già orientata fin dalle prime ore della coscienza verso Dio e piena di Dio: non ade¬rente alla terra, e fatta per unirsi a Dio. Le parole del Cagliero e di Don Bosco, confermate quasi una per una dalle altre testimonianze riferentisi 0112 sua vita di fede (fede soprannaturale), di filucia in Dio, ch´è la speranza infusa, di amor di Dio tenero e personale, quelle parole ci hanno dato la definizione di quell´anima che sta unita con Dio in preghiera continua: attratta verso di lui, come per una gravita¬zione della mente verso Dio, che deriva dall´amore e dalla pratica della presenza divina nel pensiero (i). È una continuità di attrazione ( che stendesi dall´intercessione al ringraziamento, da questo alla lode, dalla lode alla domanda » (2), e ne avviene, e l´hanno detto in varie forme e in un medesimo senso (3), un visibile addentellarsi e quasi confondersi delle operazioni naturali con le soprannaturali, che aumenta man mano che i Santi si avvicinano, mediante la grazia di¬vina, alla primitiva, cioè più pura innocenza (4), e nel Savio tocca il suo apice nel palpito crescente della nostalgia del Paradiso (5).
Il senso di presenza continuamente vivente in lui lo conduceva ad un concentramento perfino visibile agli altri (le sue care distrazioni ne sono prova!), e ad ogni modo sempre nello stato di raccoglimento permanente, ch´è il contrassegno della sua interiorità. A lui Don Bo¬sco non vietò mai di concentrarsi, come fu invece creduto necessario per S. Luigi: ma il tipo aloisiano della preghiera continua siAipete in Iui quanto ad intensità (6), e quanto a costanza e letizia. Del Savio,
(i) FABER, Progressi, cap. XV, pag. 206: citato a prova da JULES.SECOND, op. cit., pag. 33.
(2) FABER, loc. cit.
(3) &rant.: Cerruti, 124; Conti (laico), 137; Dallesio, 149; D. Rua, 152; Ca¬gliero, 125. Del Cagliero ricordo qui la definizione citata: « Parole ed opere si può dire ch´erano tutte guidate dallo spirito di fede a. Cosi, pag. t95: Per quanto si studiasse di non manifestare esternamente... non poteva occultare il grande amor di Dio... Cosi, pag. zo3, zos, le conversazioni con Gavio e Massaglia.
(4) FABER, Prefaz. al volume della Vita di 5. Rosa di Lima (settembre, 1847), cit. in Vita e lettere di F. G. Faber, cit. pag. 299. — Ed è quanto disse ripetu-tamente di Don Bosco PP. Pio XI, nei suoi immancabili accenni allo stato di con¬tinua preghiera, presenza, unione CO/1 Dio. Ricordo in particolare: disc. zo febbraio 1927, n. Io; disc. Io nov. 1933; disc. 17 giugno 1932 ai Seminaristi Romani.
(5) Vita, cap. XXI. — Somm., Cerruti, 127; Cagliero, 133. Di questo la de-finiz. citata: e Non viveva che di Dio, con Dio, per Dio e, pag. 129.
(6) Per questo, dice il Cepari, fu imposto a Luigi di distrarre la mente dal pensiero di Dio, perchè vi si consumava...
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come del Gonzaga, si può dire e fu detto (i), che non vi fu un´ora che non fosse di Dio, nè cosa, anche apparentemente estranea, che lo togliesse dal sentirlo presente e adorarlo; così come, e molto, molto più deve dirsi della gioia che faceva del caro santino.un tipo comuni¬cativamente lieto (2).
Codesta virtù della preghiera continua, che Don Bosco rileva con così forte sentenza nel Besucco (cap. XXII), dicendo che t( segna un grado di elevata perfezione, che raramente si osserva nelle persone di virtù consumata », e concludendo con un insomma che immedesima tutta la vita di lui con la preghiera: anche pel Savio, in forma più contenuta, ma non meno significante, è fatta spiccare (capo XIII), dicendo che « il suo spirito era cosi abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri, e con pii affetti sollevava il cuore a Dio ». Possiam dire col Columba-Marmion che per tali anime cc l´oraison devient un état, et 1´k/1e peut trouver son Dieu quand elle veut, mème au milieu de toutes ses occupations » (3).
Non occupiamoci, che non è fattibile, dello scambio di affetti e di grazie e doni animatori che si avverano in codesti misteriosi modi della grazia divina (4), e pensiamo invece all´avverarsi di quell´ope¬rare coll´interno, che la M. Maddalena de´ Pazzi ha definito essere il segreto della santità di Luigi Gonzaga (5). Dovremo perciò attendere alla vita interiore, all´interiorità dell´anima del piccolo Santo? E, se mai, lo dovremo collocare tra le anime dei mistici e degli estatici, e, per così dire, indagarne le vie e i gradi, immaginando che per esser Santi sia necessario un corredo di fatti mistici e il raggiungimento d´una condizione spirituale che, se non è l´estasi permanente, ne dista di poco? No. La figura spirituale del Savio non si disegna con codeste linee. Non solo perchè, non c´è da dimenticarlo, egli è infine un giovane quasi fanciullo, al quale il buon Dio abbrevia il tempo del lavoro, dandogli in compenso le ali per volare e la spedi¬tezza del muoversi; ma anche perchè è un santo di Don Bosco, presso il quale la santità, se non cambia natura, che non potrebbe, prende altra fisionomia.
(i) Cfr. pag. preced. le citaz. alla nota (3) e nota (s).
(2) CR1SPOLTI, OP. Cit., 108-113.
(3) Op. cit., pag. 418. — Il santo abate Benedettino sembra quasi tradurre Don Bosco! Ad ogni buon fine, ricordiamo che il Col. Mar. nacque appunto nel 1858, l´anno in cui fu scritta e stampata la Vita.
(4) FABER, SS. Sacramento, pag. 299.
(5) MESCIILER, cit., pag. 27. — La visione e le parole son ricordate dal SE-ONERI, op. cit., e dal CRISPOLTI, op. cit., pag. 31.
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La vita interiore, l´interno, del Savio non si manifesta se non con i segni della vita esterna (i), e la si travede, come han fatto i più autorevoli testimonii della sua giovinezza, deducendola dai modi onde operava e pregava. Una storia intima del Savio Don Bosco non ce l´ha data, e nessuno può costruirla. E di ciò egli, il Savio, non ha
mai detto nulla, salvo quando insistette per esser fatto santo. Il resto rimase nel secreto dei due cuori, il suo e quello di Don Bosco.
Ma poi, dato che se non vita di mistico, una mistica della vita deve pur trovarsi in ogni Santo (2), anche se non rivela un perma¬nente o intermittente stato estatico, noi troviamo che, sia in Don Bosco che nei santi formati da lui, come il Savio e la Mazzarello (taccio di Don Rua, per le note ragioni), quella mistica della vita non si traduce in vita mistica, così com´è offerta dai tradizionali dettami di tale dottrina. Vi appaiono, si, qua e là, spunti disseminati, sparsi segni, per lo più inattesi o non pensabili, che non formano visibilniente uno stato, e non si riesce a ridurre in gradi metodicamente disposti. Eppure il Santo Maestro conobbe e provò tutta la scala delle vie di perfezione e delle ascensioni mistiche, e l´abbiam ricordato con l´Orestano: ma nè si riesce a darvi l´ordine dottrinario classico, nè,
tanto meno, ne ha tenuto conto nello scrivere dei suoi giovani esem¬plari e specialmente del suo piccolo santo.
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Forse, o senza forse, siamo in presenza d´un´ascetica e mistica nuova, dove la mistica appunto sembra sparire del tutto, come nella Mazzarello, e l´ascetica non è altro che l´azione santa delle anime sante, come in lui stesso e nella sua tradizione spirituale. E se in molta parte ciò è comune a molti santi d´azione, neI regime spiri¬tuale di Don Bosco tocca l´apice della semplificazione, dove tutta la vita è presa dal lavoro esterno del dovere e dell´apostolato, anche nei minuti ritagli e senza orario fisso: dove ci si fa santi senza parere, purché ci sia una vita interiore da santi e una vita esterna che la tra¬duce in piccole parole, che messe insieme fanno un gran discorso.
(i) Ciò rientra in parte nella stessa natura della vita interiore, come dice iI De-Guibert, che: Vita interiori.. actibus constituitur internis, actus vero hesterni va¬lorem hauriunt ex internis agentis dispositionìbus a. J. DE GLIMERT. Theol. spir. asce¬tica et inystica. Ouaestiones selectae, Romae, 1939. Ma nel caso nostro non è solo questione di valore.
(2) FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 349, dice bene che o tecnicamente la via dei Santi è la via estatica s; ma poi (come già notammo sopra, pag. 27o) in nota fa vedere che la manifestazione esterna non è necessaria per la santità: e reca l´esempio di S. Vincenzo de´ Paoli,
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la squisita attività del santo moderno, che non ha parentesi o riposi ascetico-mistici, e si alimenta di che? Precisamente di quello in cui PP. Pio XI vedeva il segreto, la chiave del mistero di Don Bosco: « in quella sua perenne aspirazione, anzi continua preghiera a Dio.» che viveva trammezzo, o, diremmo, dentro a tutto il pondo colossale della sua attività e della sua opera: « giacchè egli identificava appunto il lavoro con la preghiera » (i). Ed io vorrei bene, se n´avessi l´agio, indugiarmi sul tipo della Mazzarello (che poi è donna, e naturalmente, dicono, disposta alle cose mistiche), nella quale la forma e la formola di Don Bosco trova la sua espressione più semplice e concreta (2). Del resto, l´elogio che il Santo fece del Cafasso, il zo luglio 186o, non si diparte in nulla da questa concezione (a). Si vede che fu buon discepolo di un Santo che comprese lui e ch´egli comprese.
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Ritorno al Savio. Chi legge la Vita (che poi si dispensa espressa¬mente dalla cronologia: com´è detto a capo VIII) non trova alcun or¬dine tè graduazione nel disporsi dei fatti soprannaturali e di ciò che, in qualche modo, ha che fare colla vita mistica ed estatica. Forse una cotale graduazione vi fu, così come noi ne vediamo l´andamento nel disporre i momenti di quella storia di santità; ma, un per uno, i fatti appaiono sparsamente dislocati in momenti diversi. Non c´è dunque da pensare a scoprirvi le tracce delle vie di perfezione: se mai, la prima via, quella degl´incipienti, con tutte le sue buone qualità, non compare affatto, perchè già superata; il rimanente appartiene ora alla via illuminativa, ora, e anche più, all´unitiva. Ma non oserei dire che, per esempio, non vi siano già le proprietà dei perfetti nel primo periodo della vita oratoriana: quando Don Bosco sente senz´al¬tro il bisogno di notare i fatti del suo recente discepolo, nel quale al primo incontro ha scorto « i lavori che la grazia divina aveva già ope¬rato », e quando, come per deduzione storica bisogna ammettere, il giovanetto è già capace di un rapimento, come quello che gl´incolse in cortile alla presenza di Don Bosco, e che sembra non fosse il
solo (Cap. XX).
Se, come fanno i trattatisti moderni, si vogliono far corrispondere
(i) Dice. 19 nov. 1933, sui Miracoli.
(z) La formula della indotta Mazzarello: n La vera pietà religiosa consiste nel compiere tutti i nostri doveri a tempo e luogo, e solo per arnor del Signore» è precisamente quella dell´adattamento della pietà alle esigenze del dovere, spiegata dal Faber: cfr. Il piede della Croce, pag. 449.
(3) .11 Beato Giuseppe Cafasso. (Memorie pubblicate nel 1860 dal Sac. Gio-vanni Bosco) Torino, S. E. I., 1925, pag. 39-63.
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ai gradi dell´ascesa le mansioni del Castello Interiore di S. TereSa, si può, senza tema d´esagerare, trasportare la vita intima del nostro santino in quello stadio dell´unione con Dio ch´è abituale bisogno di pensare a Dio, gran purità di cuore, gran padronanza di sé: dov´è sentita la presenza di Dio per via d´un certo gusto spirituale, e il raccoglimento è quale Don Bosco ci dice essere abituale nel suo disce¬polo: per S. Teresa è « la prima orazione soprannaturale » propria della Quarta mansione. È già lo stadio della contemplazione in¬fusa (i). Ma al vedere come si avverino certi momenti della preghiera (intesa nel suo senso più largo e comprensivo di ogni forma), sia come riflesso della perfezione morale, sia come effetto dei doni di Dio, non si esita a vedervi quello stadio dell´orazione di unione, unione piena delle facoltà interne, nel quale l´assenza delle distrazioni e della stanchezza, e la copiosa inondazione di gioia spirituale attestano che ogni avvicinamento del demonio si rende (per la paura ch´esso ha della presenza di Dio) impossibile (z). Ch´è appunto l´opinione, non mistica, ma praticamente fondata e tenuta dai testi più forti del Pro¬cesso (3). Possiamo perfino inoltrarci a quel grado che sí chiama del-l´Unione estatica, nelle sue varie fasi dell´estasi semplice, del rapi¬mento, fino al volo dello spirito: S. Teresa la direbbe Mansione se¬sta (4), e l´effetto ne deve essere, come vuole S. Francesco di Sales, una santità di vita che giunge sino all´eroismo, sì che, mancando questa, sarebbe da sospettare dell´autenticità di quello stato (5). Io domando in qual grado si ha da collocare un´anima che Don Bosco (Capo XX) descrive così: « L´innocenza della vita, l´amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti, avevano portato la mente di Savio Do-menico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio ». E domandato del perché di certi subiti allontanamenti, rispondeva: « Mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il Paradiso mi si
TANQL-EREY, OP. cit., n. 1435-1436. — É certo che il Savio si rivela già oltre la terza mansione, in cui vedremo collocato .(sia pure facendo capo talvolta nelle altre successive) il Besucco: non si può dire infatti che il Nostro non fosse
ancor ben rassodato nella prova » e che al più attingesse la via unitiva semplice (cfr. TANQuEREY, Cit., n. 973 e 1303 -1304)-
(2) TANQUEREY, cit., n. 1449-1450.
(3) Cfr. Sonum, tit. V, De virtutibus; tit. VIII, De charitate in Deum; tit. XIV: De heroieci castitate; tit. VII, De spe, e qui: Don Rua, 18x, e Cagliero che dice: n Non credo che il demonio abbia mai vessato il Savio con atte particolare, e le stesse tentazioni non potevano menomamente turbare il suo cuore innocente, e meno la sua mente ignara affatto delle malizie umane a (pag. 175).
(4) TANQuEREv, cit., n. 1458-1460.
(5) Teotimo, cit., lib. VII, cap. VII .(cfr. sopra, pag. 270). Cfr. anche TAN¬QUEREY, n. 1461.
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apra sopra del capo, e io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo » (1). E non mi spingo fino al settimo grado, quello dell´unione trasformativa: chè di quello è meglio lasciar testimone Signore, che incatena l´anima in una intimità, in una serenità sopraterrena, in una quasi indissolu¬bilità, che fa quasi pensare ad una confermazione nella grazia. Di questo è impossibile aver prove esteriori (2).
o o o
Vorrà pensare qualcuno ch´io mi lasci trasportare all´esagera¬zione, attribuendo ad un santo fanciullo fatti e condizioni di spirito proprie di chi si è lungamente maturato nell´esercizio nonchè della perfezione, ma, e soprattutto, dell´orazione, nel senso più elevato della parola? Lasciamo di ripetere che quel fanciullo della vita non è un fanciullo nella santità: ma io invito il lettore accurato e studioso a fare un lavoro, un po´ materiale per vero, ma forse non infruttuoso, che gli—farà acquistare tangibilmente la convinzione medesima che io ho esposta. Provate a ritagliare, punto a punto, dal libro di Don Bosco (e, se fosse possibile, dalle testimonianze del Processo) ciò che vien detto di tutti i particolari di quest´ampia e delicata materia, e collocateli, frasi o periodi che siano, ciascuno a suo luogo tra i fogli del vostro trattato di ascetica e di mistica, secondo le affinità verbali e di fatto che intercorrcno tra gli uni e gli altri: e vedrete che Don Bosco, non so se volendolo, ma certo avendo cognizione delle cose com´erano, ci ha offerto una quantità di dati da costruirne il profilo interiore, sia poi d´una o d´altra figura, non conta. E così del Processo.
Ma non è del mio assunto, nè conforme alla maniera del santo Maestro il prender le cose tanto dall´alto e così in grande e, tanto per intenderci, diremo, con S. Francesco di Sales, che lo stato del¬l´anima del caro santino è « un´amorosa, semplice e pennianente at¬tenzione alle cose divine » (3). Si noti che ciò è detto della contem¬plazione infusa (4); eppure chi vorrà negarlo al nostro fanciullo, mentre Don Bosco lo dice, e con lui quanti lo hanno conosciuto ?
(i) Si noti che questo è detto nel Capitolo destinato espressamente a Grazie speciali e fatti particolari (cap. XX).
(2) TANQUEREY, cit., 1470-1471.
(3) Teotimo, cit., lib. VI, e. 3.
(4) TANQUEREY, Cit., n. 1386. — La contemplazione infusa è già un fatto so¬prannaturale, ed essenzialmente gratuita, come risultante da una grazia speciale, grazia operante, che s´impossessa di noi, e ci fa ricevere lumi ed affetti che Dio opera in noi col nostro consenso. Cfr. ivi, n. 13oo.
CAPITOLO II
Don Bosco nella " pietà " del Savio.
È invece mio espresso dovere mettere in luce quel che vi è di Don Bosco nella pietà del Savio, quale si ordinò e quale fu veduta. Ho detto più sopra che intorno a Don Bosco, e secondo i suoi indirizzi, la san¬tità non cambia natura, ma prende una propria fisionomia. Dovrei pertanto indugiarmi sullo spirito salesiano (ohl se si potesse dire: boschiano!) della pietà, e sugl´indirizzi del santo Pedagogo delle anime. Ne dirò di mano in mano che il tema ne offre l´occasione: qui mi re¬stringo a poche -osservazioni preliminari, quasi linee di massa o di
contorno.
Non è lecito trascurare il fatto che, per bocca del medesimo Don
Bosco, l´edificio spirituale del Savio fu costrutto nella confessione, ossia, mettendo a parte ciò ch´è proprio del Sacramento, dall´opera direttiva dello spirito che per mezzo o. in occasione della confessione si compieva. Il Savio è un capolavoro della confessione, « che fu il suo sostegno nella pratica della virtù e fu la guida sicura che lo con¬dusse ad un termine di vita cotanto glorioso » (Cap. XXVII) (I).
Nè s´intenda questo come una fabbricazione artificiosa, in cui il dirigente è tutto e il soggetto è ridotto ad un automa, o conte un lavoro di modellatore d´una materia molle ed amorfa, anzi inerte, che prende passivamente la forma che le si dà: Don Bosco fu per eccellenza, anche esteriormente (lo ricordiamo bene noi, che lo cono¬scemmo), l´uomo della libertà di spirito e del principio d´iniziativa. E il fine, lo scopo della direzione spirituale in tutte le fasi d