1. Non avere occupazioni estranee al proprio ufficio.
2. Attribuzioni dei membri del Capitolo Superiore e del Segretario.
Torino, 24 agosto 1920.
padre Don Bosco riteneva che il disimpegno diligente ed accurato di quei doveri, che a ciascuno provengono dall'ufficio affidatogli dall'ubbidienza, fosse di somma importanza per il buon andamento tanto delle singole nostre Case quanto di tutta la nostra Pia Società. Fermo in questo principio, inculcava sempre a tutti i suoi figli di non assumere alcun impegno che potesse ostacolare l'esatta esecuzione di tali doveri.
Egli scriveva una volta ai Superiori: « Un ricordo importante, e che io giudico fondamentale, si è di fare in modo che nessun membro (della Pia Società) abbia delle occupazioni estranee al proprio ufficio », e più innanzi aggiungeva che la nostra Congregazione avrebbe come un vuoto, quando i singoli membri non fossero esclusivamente occupati nelle cose fissate dal Regolamento.
Non sarà quindi fuor di proposito, che ognuno di noi, sia durante gli esercizi spirituali, sia nella preparazione che farà in questo scorcio di vacanze per incominciar bene il nuovo anno scolastico, rifletta un poco su questo punto di tanta importanza, prendendo poi le risoluzioni più opportune per il bene proprio e per quello di tutta la Pia Società.
Mi è ben noto, del resto, che i nostri buoni Direttori e Ispettori mettono già in pratica questa raccomandazione del nostro Fondatore, attendendo al proprio ufficio col più grande amore e sollecitudine senza lasciarsene frastornare da alcuna occupazione estranea. Perciò mi limito a ricordar loro una direttiva che li aiuterà grandemente in questo. Quando i Direttori hanno da far proposte ai loro Ispettori, è assai conveniente che le scrivano su fogli separati, e non nel corpo di lettere, che talvolta contengono cose confidenziali; e Direttori e Ispettori vogliano fare altrettanto coi vari membri del Capitolo Superiore. È questa una vera carità che si usa ai Superiori; fa risparmiare tempo, facilita la trasmissione al Capitolare competente di quelle proposte che più direttamente lo riguardano, e in tal modo si rende più sollecita e regolare l'evasione della pratica e l'esecuzione dell'affare.
Conoscete già per le varie comunicazioni fatte precedentemente le attribuzioni degl'Ispettori; qui mi pare opportuno ricordare sommariamente quelle dei singoli membri del Capitolo Superiore e del Segretario: così ognuno saprà meglio a chi deve rivolgersi nei singoli casi.
Il Prefetto Generale, oltre al far le veci del Rettor Maggiore in caso di assenza, ha ancora le seguénti attribuzioni: Quanto concerne la regolarità dell'amministrazione — Cura degli Ex-Allievi e dei Cooperatori Salesiani — Vigilanza sulla redazione del Bollettino Salesiano — Cura dei Confratelli Missionari in partenza, e di quelli che rimpatriano temporaneamente.
Il Direttore Spirituale Generale, si occupa del profitto spirituale e morale dei Soci, della coltura e sviluppo delle vocazioni, di quanto concerne le ammissioni al Noviziato, ai Voti e alle Sacre Ordinazioni; di far redigere le Biografie di quei soci che ne saranno ritenuti meritevoli; delle pratiche per ,le Cause di
Beatificazione; della diffusione del Culto di Maria SS. Ausiliatrice; degli Oratori Festivi. — Riceve i rendiconti morali dagl'Ispettori, dà a questi le istruzioni pei casi di dimissione, e si prende speciale cura di regolarizzare la situazione di coloro che non si trovassero a posto secondo le prescrizioni della disciplina religiosa.
L'Economo Generale amministra direttamente quanto appartiene, non a ciascuna casa o a ciascuna ispettoria, ma a tutta la Pia Società. — Dà norme direttive e vigila su quanto è di proprietà delle singole Ispettorie o Case, cioè sulla forma giuridica più adatta per acquistare, possedere, conservare, alienare gl'immobili; sulle costruzioni nuove, sugli ampliamenti o mutamenti notevoli, di cui manda i disegni debitamente approvati, senza dei quali non è permesso por mano ai lavori; sulle 'liti concernenti interessi materiali; sull'investimento dei capitali mobili, sulla quantità di questi proporzionata ai corrispondenti impegni, e sulla sicurezza della loro materiale custodia. — Ha cura di promuovere con esortazioni ed opportuni suggerimenti una ben intesa economia.
Il Consigliere Scolastico Generale ha la cura delle Scuole e degli Studi; si occupa, d'intesa col Rettor Maggiore, del trasferimento dei Confratelli Chierici o Sacerdoti da una Ispettoria ad un'altra; di assegnare alle varie Ispettorie il personale che dipende direttamente dal Capitolo Superiore; di far le pratiche per avere dalle Ispettorie quello richiesto da speciali esigenze. Esercita una cura speciale sopra i Confratelli iscritti a corsi di Studi Superiori — Cura la revisione salesiana delle pubblicazioni dei soci — Vigila sulle pubblicazioni delle Tipografie nostre.
Il Consigliere Professionale Generale ha la cura delle Scuole Professionali e Agricole nonchè del personale laico della Pia Società — Procura che i coadiutori professi, usciti dal noviziato, abbiano una conveniente formazione tecnico-professionale — Si occupa, d'intesa col Rettor Maggiore, del trasferimento dei Coadiutori da una Ispettoria ad un'altra; di assegnare alle varie Ispettorie i Coadiutori che dipendono direttamente dal Capitolo Superiore; di far le pratiche per avere dalle Ispettorie quelli richiesti da speciali esigenze — Vigila sul personale esterno, o comunque non facente parte della Pia Società; sui Saggi annuali sulle Esposizioni, dando opportunamente norme pratiche e direttive. — Cura le vocazioni tra i Coadiutori.
Il Consigliere Capitolare Generale ha la cura e la vigilanza (per mezzo degl'Ispettori, ai quali tocca la cura e la vigilanza diretta) dei Confratelli soggetti al servizio militare. — Esercita pure una cura particolare sulle nostre Missioni, assistendo ,Specialmente i Confratelli Missionari con l'aiuto morale e col cdnsiglio, anche circa i rapporti con le autorità ecclesiastiche — Svolge ancora le pratiche riguardanti i soccorsi materiali destinati alle Missioni.
Il Segretario del Capitolo Superiore cura l'ordinamento, la retta gestizione e conservazione dell'Archivio generale — Compila la relazione quinquennale da inviarsi alla S. Sede — Cura la redazione della Cronistoria della Pia Società, dell'Ordo divini Officii recitandi Missaeque celebrandae, del Catalogo dei Soci, degli « Atti del Capitolo Superiore », dell'Anagrafe generale dei Confratelli e di tutti i lavori di Statistica generale.
Per regolare informazione e per l'opportuno consenso, è necessario che ogni pratica da svolgersi e svoltasi presso le Sacre Congregazioni Romane o presso gli Uffici della Santa Sede passi per il tramite del Rettor Maggiore.
Ecco quanto avevo a cuore di raccomandarvi. Iddio benedica copiosamente le fatiche di tutti, e Maria SS. Ausiliatrice e il nostro Ven. Padre D. Bosco veglino sei:t:Tre efficacemente su tutta la nostra amata Congregazione.
Pregate per il
Vostro aff.mo in C. J. Sac. PAOLO ALBERA.
Don Bosco nostro modello nell'acquisto della perfezione
religiosa, nell'educare e santificare la gioventù, nel trat
tare col prossimo e nel far del bene a tutti
•
1. Lettere di compiacenza per la precedente Circolare sul monumento a D. Bosco. —
2. « Exemplum dedi vobis ».
3. Soavi ricordi personali.
4. La genesi della nostra Regola.
5. Apostolato santificatore.
6. Come D. Bosco cresciamo ogni dì nella perfezione.
7. L'atto più perfetto di D. Bosco.
8. Gettiamoci anche noi fra le braccia di Dio.
9. I dieci diamanti.
10. Il fondamento dell'apostolato.
11. Il dono della predilezione verso i giovani.
12. Bisogna amare i giovani.
13. ... Come ci amava D. Bosco.
14. La carità e il timor di Dio.
15. Anime e Paradiso!
16. Mettere i giovani nell'impossibilità di offendere Dio.
17. Missione educativa soprannaturale.
18. Scuola di belle maniere.
19. Come dobbiamo trattare col prossimo.
20. « Dobbiamo far del bene a tutti ».
21. La politica di Don Bosco sia la nostra.
Torino, 18 ottobre 1920.
Carissimi Figli in Gesù Cristo,
1. Molti di voi, o personalmente, o per lettera, o a mezzo dei loro Ispettori o di qualche confratello, vanno comunicandomi la loro soddisfazione e contentezza grande per la lettera che scrissi in occasione dell'inaugurazione del monumento al nostro Ven. Padre, dicendola rispondente al bisogno, universalmente sentito tra noi, di un forte richiamo alla genuina realtà della vita salesiana, e pienamente conforme al vivo desiderio che ha ogni confratello di essere con efficaci incitamenti aiutato a divenire un degno Figlio di Don Bosco.
Non vi nascondo che tali dichiarazioni mi tornano sommamente gradite e di non piccolo conforto nel mio gravoso ufficio, perchè sono l'indice sicuro del vivo interessamento che voi, o miei cari Confratelli e Figli, prendete alla conservazione della nostra Società nel suo spirito primitivo, e al suo progressivo incremento; e insieme dimostrano che avete ben compreso l'alto significato del monumento.
Oh! esso è veramente un simbolo che in muto linguaggio ci richiama di continuo l'obbligo di far rivivere Don Bosco in noi: la dolce immagine paterna, sorridente del suo affascinante, indimenticabile sorriso, par che ripeta, dal suo marmoreo piedestallo ai figli presenti e futuri, vicini e lontani, le parole di Gesù: « Io v'ho dato l'esempio, affinchè facciate voi pure come ho fatto io: exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis (Giov. XIII, 15).
Come D. Bosco, per esser più sicuro o di ricopiare in sè il modello divino, ricalcò le orme del mite Francesco di Sales, che elesse poi a Patrono dell'Opera, così noi alla nostra volta dobbiamo porre a modello unico della nostra vita religiosa il nostro buon Padre, ben convinti che, ciò facendo, riprodurremo pure perfettamente in noi il Divino Esemplare d'ogni santità. Don Bosco sia dunque il nostro modello, e studiamoci di ricopiarlo in noi con ogni perfezione, per farlo così rivivere, sempre fecondo di nuove energie nell'apostolato dell'opera sua redentrice a pro della gioventù povera e abbandonata.
Voi tutti, o miei carissimi, siete soliti a largheggiare con • me in augurii, voti e preghiere, sia nell'occasione del mio onomastico, sia nelle altre ricorrenze festive e circostanze varie che a voi sembrano più opportune: ora io ho pensato di manifestarvi la mia viva gratitudine e corrispondenza al vostro affetto, abbozzando qui alcuni pensieri sopra quest'argomento, che racchiude in sè il segreto della nostra santità personale e della prosperità dell'amata nostra Congregazione.
Vi faccio tuttavia notare, o miei carissimi Figli e Confratelli, che quanto scriverò sarà ben poca cosa a paragone della vastità dell'argomento: questo infatti abbraccia tutta la vita di D. Bosco, e lo spirito ch'egli ha impresso all'Opera sua, così varia e multiforme. Parmi però di potervene parlare con qualche conoscenza di causa, appartenendo anch'io alla fortunata schiera di coloro che a D. Bosco debbono tutto quel che sono, che l'han veduto coi propri occhi e ascoltato colle proprie orecchie: vidimus oculis nostris, audivimus, perspeximus et manus nostrae contrectaverunt
, (I Ep. di San Giovanni I, 1); e vi assicuro che,scrivo con una gioia ineffabile e con la più profonda convinzione di dirvi soltanto cose osservate e udite, che custodisco gelosamente nel mio cuore.
Quando ebbi la ventura di essere accolto all'Oratorio il 18 ottobre 1858, erano già più di tre lustri che il nostro Ven. Padre esercitava qui in Valdocco il suo apostolato, con un crescendo meraviglioso d'iniziative e d'opere giovanili così geniali e feconde, che la fama pubblica lo proclamava fin d'allora l'Apostolo modeino della gioventù povera e abbandonata. Cinque anni ho vissuto col buon Padre, respirando quasi la sua stessa anima, perchè, si può dirlo senza esagerazione, da noi giovani d'allora si viveva interamente della vita di lui, che possedeva in grado eminente le virtù conquistatrici e trasformatrici dei cuori.
Anche i cinque anni successivi, che passai nel primo Collegio di Borgo San Martino, furono si può dire una continuazione della convivenza con lui, perchè quella casa formava ancora coll'Oratorio quasi una sola famiglia: si viveva separati materialmente ma non di spirito, perchè D. Bosco era sempre l'anima di tutto e di tutti.
Poi, l'anno della consacrazione del Santuario di Maria Ausiliatrice, ritornai qui, e per altri quattro anni potei godere la sua intimità, e attingere dal suo gran cuore quei preziosi ammaestramenti ch'erano tanto più efficaci su di noi, quanto meglio li vedevamo già in pratica da lui nella sua condotta giornaliera.
Durante quegli anni principalmente, ed anche in seguito, nelle sempre desiderate occasioni che ebbi di stargli insieme o di accompagnarlo ne' suoi viaggi, mi persuasi che l'unica cosa necessaria per divenire suo degno figlio era d'imitarlo in tutto: perciò, sull'esempio dei numerosi fratelli anziani, i quali già'riprocliicevano in se stessi il modo di pensare, di parlare e di-a" igredeLP-adte-,--tritsforzai di fare anch'io altrettanto.
Ed oggi, alla distanza di oltre mezzo secolo, ripeto pure a voi, che gli siete figli al par di me, e che a me figlio più anziano, siete stati da Lui affidati: — Imitiamo D. Bosco nell'acquisto della nostra perfezione religiosa, nell'educare e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo, nel fare del bene a tutti.
L'essere stati chiamati a far parte della Congregazione fondata da D. Bosco per la continuazione dell'Opera sua nei tempi futuri, fu per noi tutti una grazia segnalatissima del Signore, il quale nella sua bontà volle toglierci dalla vita dei semplici cristiani e chiamarci ad abbracciare lo stato di perfezione, che ha per base la pratica dei consigli evangelici.
Perciò noi dobbiamo tendere con ogni studio all'acquisto progressivo della perfezione propria del nostro stato, la quale è tutta racchiusa nella Regola che abbiamo professato. Questa Regola ha da essere la norma e la misura della nostra santità; e noi dobbiamo amarla, o miei carissimi figli, dell'amore medesimo che portiamo a D. Bosco, perch'essa è, oserei dire, l'essenza dell'anima sua, o per lo meno il frutto più prezioso della sua ardente carità e dell'amabile sua santità.
Chi può enumerare gli studi, le preghiere, le mortificazioni, gli esperimenti fatti dal buon Padre mentre l'andava man mano preparando e praticando personalmente? Chi le pene, le contrarietà difficoltà d'ogni genere, da lui incontrate e felicemente superate, per farla approvare dalla suprema Autorità della Chiesa?
Il germe della Regola era in fondo al suo cuore fin da quando sogni misteriosi facevano intravedere a lui fanciullo e giovanetto la sua futura missione; fin da quando, per corrispondere alla chiamata del Signore che lo invitava sensibilmente allo stato di perfezione, egli divisava di entrare in un ordine religioso; fin da quando, iniziata la sua missione, la intravedeva, nelle sue numerose ,visioni, immensa, sterminata attraverso i secoli venturi; la qual cosa egli ben intendeva che non avrebbe potuto avverarsi, qualora egli non avesse incarnato, per dir così, tale missione in un corpo morale appositamente costituito nella Chie,sa per conservarla e propagarla di generazione in generazione.
Quelli che son mossi da superna virtù a compiere un nuovo apostolato rispondente ai bisogni spirituali della società cristiana del loro tempo, di solito vivono dapprima per anni nella solitudine nella preghiera, per preparare la Regola da praticarsi; e poi, cercati i primi compagni, si dedicano con essi all'apostolato intraveduto quale mèta lor assegnata dal Signore, nell'osservanza della Regola adottata.
Il nostro Venerabile invece, appena conobbe chiaramente essere volontà di Dio ch'egli si facesse apostolo della gioventù povera abbandonata, e che in tale apostolato conseguisse la propria santificazione, si mise tosto all'opera; la Regola e gli aiutanti sarebbero venuti in seguito, come il frutto dalla pianta. Volle anzitutto compiere egli stesso quel che avrebbe poi richiesto a' suoi figli: per dir così, vivere la sua Regola prima di scriverla e di farla approvare dalla Chiesa.
I fondatori di istituzioni religiose mirano in primo luogo alla santificazione personale, e solo dopo ciò all'apostolato a pro degli altri; perciò chi vuol abbracciare l'Istituto deve anzitutto consacrare molti anni a santificarsi. E la cosa è ragionevolissima, perchè nessuno può dare quel che non possiede. Don Bosco però — pur conservando l'idea fondamentale che la santificazione personale debba precedere l'apostolato — con fine intuito dei tempi e dello spirito moderno, insofferente di certe mediocrità non essenziali al conseguimento del fine, comprese che con un po' di buona volontà si poteva far procedere di pari passo la santificazione propria e l'apostolato.
Ne fece quindi egli pel primo l'esperienza, e poi dispose che i suoi figli facessero altrettanto, dando anzi all'apostolato 'una preferenza tale che glia osservatori superficiali potevan credere ch'egli avesse formato una società di zelanti sacerdoti e di volenterosi laici col solo scopo di consacrarsi all'educazione della gioventù.
E può sembrare che insinui la stessa cosa anche il 1° articolo delle nostre Costituzioni, nel quale il fine primario della santificazione propria è dichiarato solo con una proposizione secondaria: « i soci mentre si sforzano di acquistare la perfezione cristiana, esercitino ogni opera di carità, ecc... ».
La nostra Regola, come la vita del nostro Fondatore, fa andare innanzi simultaneamente la santificazione propria e l'apostolato, anzi dell'apostolato fa in certo senso la causa efficiente della perfezione religiosa: in quanto cioè chi si consacra all'apostolato salesiano deve necessariamente confortare con l'esempio proprio gl'insegnamenti che imparte e le virtù che inculca. Chi non sentisse una tal necessità, non può essere apostolo, perchè l'apostolo altro non è che una continua effusione di virtù santificatrici per la salvezza delle anime. Qualunque apostolato che non miri a questa effusione santificatrice, non merita punto un nome sì glorioso.
Ora tutta la vita del nostro Ven. Padre è stata un incessante, laboriosissimo apostolato; e in pari tempo egli attese con tanto ardore all'acquisto della perfezione, che non si saprebbe dire se pensasse più a questa o a far del bene ai suoi cari giovani: in lui perfezione religiosa e apostolato sono stati una cosa sola, durante tutta la sua vita!
Più studieremo, o carissimi, questa vita benedetta e meravigliosa, e meglio ci convinceremo che, per essere suoi veri figli, bisogna operare al par di lui la nostra perfezione religiosa nel più attivo e fecondo esercizio dell'apostolato che ci è imposto dalla nostra vocazione.
L'osservanza pura e semplice della Regola non basterebbe a santificarci, qualora non fosse vivificata dall'imitazione assidua di quanto ha fatto il nostro buon Padre. Quanto la Regola determina circa il fine, la forma, i voti, il governo religioso e interno della nostra Società, è contenuto dentro articoli così generali, che potrebbe benissimo applicarsi anche ad altre Congregazioni affini.
Ora, se ci accontentassimo dell'osservanza legale di questi articoli, riusciremmo bensì a plasmare un bel corpo, ma senz'anima. Questa, cioè lo spirito che deve informare il corpo, la dobbiamo attingere dagli esempi del nostro Fondatore.
Noi dobbiamo, o carissimi, esser sì, al par di lui, lavoratori instancabili nel campo affidatoci, iniziatori fecondi delle opere più adatte e opportune al maggior bene della gioventù d'ogni paese, per conservare alla Congregazione quel primato di sana modernità che le è proprio, ma non ci cada mai di mente che tutto questo non ci darebbe ancora il diritto di proclamarci veri figli di D. Bosco: per essere tali dobbiamo crescere ogni giorno nella perfezione propria della nostra vocazione salesiana, 'sforzandoci con ogni cura di ricopiare lo spirito di vita interiore del nostro Venerabile.
Sul suo esempio rendiamoci famigliari nelle nostre occupazioni qualcuna delle tante espressioni che gli fiorivano spontaneamente sul labbro, vere voci del suo cuore, il cui suono mi pare ancor adesso una carezza soavissima: « Si lavori sempre per il Signore!
— Nel lavoro alziamo sempre gli occhi a Dio! — Che il demonio non ci abbia a rubare il merito di nessun'azione. — Coraggio! Lavoriamo, lavoriamo sempre, perchè lassù avremo un riposo eterno.
— Lavora, soffri per amor di Gesù Cristo, che tanto lavorò e soffrì per te. — Ci riposeremo poi in Paradiso! — Un pezzo di paradiso aggiusta tutto. — Le nostre vacanze le faremo in paradiso! ecc... ». Lavoro e paradiso erano per lui inseparabili; e lasciò scritto ne' suoi ultimi ricordi: « Quando avverrà che un Salesiano cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la Congregazione ha riportato un grande trionfo, e sopra di essa scenderanno copiose le benedizioni del Cielo! ».
Il concetto animatore di tutta la sua vita era di lavorare per le anime fino alla totale immolazione di se medesimo, e così voleva che facessero i suoi figli. Ma questo lavoro egli lo compiva sempre tranquillo, sempre eguale a sè, sempre imperturbabile, vuoi nelle gioie, vuoi nelle pene; perchè, fin dal giorno in cui fu chiamato all'apostolato, si era gettato tutto in braccio a Dio! Se lavorare sempre fino alla morte è il primo articolo del codice salesiano da lui scritto più coll'esempio che colla penna, gettarsi in braccio a Dio e non allontanarsene più mai fu l'atto suo più perfetto. Egli lo compì quotidianamente, e noi dobbiamo imitarlo nel miglior modo possibile, per santificare il nostro lavoro e l'anima nostra.
Gettarsi in braccio a Dio è l'atto primo e più naturale di ogni anima, appena essa apre l'intelligenza alla cognizione del suo Creatore; ma se tutte le anime sentono questa spinta iniziale verso Dio, non tutte sanno corrispondervi generosamente. La più parte si lasciano dissipare dalle attrattive delle cose esteriori, alle quali si aggrappano come a lor fine, o per lo meno come a mezzo indispensabile per arrivare grado a grado fino a Dio.
Il nostro Ven. Padre invece si slanciò in Dio fin dalla sua prima fanciullezza, e poi per il resto della sua vita non fece più altro che aumentare questo suo slancio, fino a raggiungere l'intima unione abituale con Dio in mezzo ad occupazioni interrotte e disparatissime: unione della quale era indizio quella inalterabile eguaglianza d'umore, che traspariva dal suo volto invariabilmente sorridente.
In qualunque momento ricorressimo a lui per consiglio sembrava che interrompesse i suoi colloqui con Dio per darci udienza, e che da Dio gli fossero ispirati i pensieri e gli incoraggiamenti che ci regalava.
Quest'intima unione imprimeva alle sue parole tale un accento, che nell'ascoltarlo pure per brevi istanti ci si sentiva migliorati ed elevati fino a Dio, anche quando ( cosa rara) non avesse terminato il discorso col pensiero di Dio o de' suoi benefizi. Tanta era l'ardenza del suo amore per Iddio, che non poteva stare senza parlarne; e non poche volte essa traspariva anche dall'espressione del volto e dal tremolio delle labbra.
Gettiamoci fiduciosi, o carissimi, fra le braccia di Dio, come fece il nostro buon Padre; allora si formerà in noi pure la dolce necessità di parlare di Lui, e non sapremo più fare alcun discorso senza cominciare o terminare con Lui.
Allora non solo i nostri pensieri e parole, ma anche le azioni nostre risentiranno alcunchè del fuoco del divino amore, a salutare edificazione del prossimo; allora sopratutto ci riusciranno naturali, com'erano a Don Bosco, gli esercizi ordinarii della perfezione religiosa, e porremo ogni nostra cura per non tralasciarne alcuno.
Altri si servono di questi medesimi esercizi come di mezzi per raggiungere la perfezione; noi invece, figli di D. Bosco, li dobbiamo sul suo esempio praticare come atti naturali del divino amore, che già è vivo in noi, per esserci gettati intieramente ed amorosamente fra le braccia di Dio. Per noi essi debbono essere non già la legna che serve ad accendere e alimentare nel cuor nostro il fuoco divino, ma le fiamme stesse di questo fuoco.
Gettiamoci fra le braccia di Dio, e riusciremo facilmente a tenerci lontani dal peccato e a sradicare dal nostro cuore ogni cattiva inclinazione ed abitudine, togliendo così di mezzo i più gravi ostacoli della perfezione religiosa.
Lo conosceremo e lo ameremo sempre più, praticando la sua santa legge e i consigli evangelici; ci attaccheremo più strettamente a Lui con la preghiera e il raccoglimento di spirito, col lavorare incessantemente a realizzare in noi il volo piacere Deo in omnibus, conformandoci alla sua santa volontà.
Allora, con l'esercizio assiduo delle virtù proprie del nostro stato, non ci sarà difficile orientare continuamente il cuore e lo spirito verso Dio, che diverrà per tal maniera il fine diretto delle nostre azioni. E saremo, come il nostro buon Padre, sottomessi sempre e in ogni contingenza della vita ai divini voleri.
Egli, nelle più grandi disgrazie e tribolazioni, non usciva mai in parola di lamento, nè si mostrava triste, pauroso, trepidante, ma col suo volto ilare e colla sua dolce parola infondeva coraggio agli altri: « Sicut Domino placuit... sit nomen Domini benedictum! Niente ti turbi: chi ha Dio, ha tutto. Il Signore è il padrone di casa, io sono l'umile servo. Ciò che piace al padrone, deve piacere anche a me ». Quante volte sono stato testimone di questa sua totale sottomissione alle disposizioni divine!
Possederemo altresì, al par di lui, un grande raccoglimento nella preghiera. Noi al vederlo pregare restavamo come rapiti e quasi estasiati. Nulla vi era in lui d'affettato, nulla di singolare; .ma chi gli era vicino e l'osservava, non poteva far a meno di pregar bene anche lui, scorgendogli in viso un insolito splendore, riflesso della sua viva fede e del suo ardente amore di Dio.
Quando pregava con noi ( oh! l'ineffabile ricordo che ancora mi riempie il cuore di dolcezza! ), la sua voce spiccava in mezzo alle nostre così armoniosa e con un tono così singolare, che ci muoveva a tenerezza e ci eccitava potentemente a pregare con più ardore. Non si cancellerà mai dalla mia memoria l'impressione che provavo nel vederlo dare la benedizione di Maria Ausiliatrice agl'infermi. Mentre recitava P Ave Maria e le parole della benedizione, sí sarebbe detto che il suo volto si trasfigurasse: i suoi occhi si riempivano di lagrime, e la voce gli, tremava sul labbro. Per me quelli erano indizi che virtus de illo exibat; perciò non mi meravigliavo degli effetti miracolosi che ne seguivano, se cioè erano consolati gli afflitti e risanati gl'infermi.
Si è imitando questa sua intima, continua unione con Dio, che si compiranno anche nel nostro cuore le mirabili ascensioni di cui parla il Profeta: Ascensiones in corde suo disposuit (Salmo 83 ): le quali per noi consistono nella pratica esatta, generosa e costante delle virtù simboleggiate nei dieci diamanti, di grossezza e splendore straordinari, visti dal Venerabile, nella sua visione del 10 settembre 1887, sul manto di un misterioso personaggio che raffigurava la nostra Pia Società. Queste virtù, che dobbiamo sempre più far crescere in noi, o carissimi, se vogliamo che l'amata nostra Congregazione raggiunga il magnifico splendore osservato da D. Bosco nella visione, sono la fede, la speranza, la carità, la temperanza, l'obbedienza, la povertà, la castità, il lavoro, e il digiuno, delle quali tutte stimolo e corona è il premio.
Alimentiamo dunque in noi con ogni studio questa unione; assuefacciamo un po' per volta tutte le fibre del nostro essere a trovar Dio in ogni cosa.
Posti quaggiù, al dire di San Tommaso, tra le cose del mondo e i beni spirituali, coi quali è connessa la nostra eterna beatitudine, noi sappiamo che, quanto più aderiamo a quelle, tanto più ci allontaniamo da questi, e viceversa; perciò mettiamo ogni cura nel liberare il nostro cuore daí beni terreni, con la vigilanza, con lo spirito di abnegazione e di mortificazione, per vivere unicamente del nostro Dio.
Sia che ci mortifichiamo, sia che ci concediamo qualche sollievo, sia che lavoriamo, sia che riposiamo, che amiamo o sentiamo avversione; che proviamo tristezza e gioia, speranza o timore; in tutte le cose ci sforzeremo di aver sempre di mira il divino beneplacito.
Nella preghiera poi e durante la S. Messa ci separeremo ancor più dagli oggetti visibili, per arrivare a trattare con Dio invisibile come se lo vedessimo. Nulla esteriormente rivela la presenza dello Sposo divino, ma l'anima lo sente. È Lui che parla al nostro cuore, che incoraggia, che compatisce, e sopratutto è Lui che dà alla volontà nostra una tempra nuova, uno slancio più generoso.
Di qui una luce, una forza, una pace ineffabile, una libertà santa, che fa crescere l'anima di giorno in giorno nell'amor divino, fino ad inalzarla ai più eroici sacrifizi imposti dalle multiformi vicende della nostra vocazione.
Così cresceremo ognor più nella religiosa perfezione, e' la santità del Padre continuerà ad essere glorificata in quella dei figli. Su questo punto fondamentale della sua fisionomia morale non s'insisterà nè si dirà maí troppo; e la vita di lui contiene al riguardo tesori inestimabili, ma ancora in buona parte non rivelati nè esploratori.
Dobbiamo in secondo luogo imitare D. Bosco nell'educare e santificare la gioventù. Siccome in lui apostolato e perfezione religiosa furono, come sopra si è detto, due atti simultanei e quasi fondentisi in uno solo, così avviene sovente che nell'imitarlo si dia il primo posto all'apostolato, fra i giovani, perchè è cosa che da più nell'occhio.
Ma non dimentichiamolo: la perfezione religiosa è il fondamento dell'apostolato, e se manca il fondamento, il nostro edifizio educativo rovinerà al primo imperversar della bufera. Chissà che alcuno di voi, o carissimi, non abbia già dovuto farsi qualche volta questa domanda: « Perchè mai, pur affaticandomi dì e notte per educar bene i giovani affidatimi, raccolgo così scarsi frutti? Negli studi, a furia di battere, tanto va ancora; ma non riesco a • formarli nel carattere, nè a coltivare buone vocazioni; e i miei giovani, ancora prima di aver compiuti i loro studi nel mondo, dimenticano facilmente i sani principii che ho loro instillati! Perchè? ».
La risposta penso che si possa trovare in queste righe. Il gran successo di D. Bosco nell'educazione della gioventù si deve attribuire più alla santità della sua vita che all'intensità del suo lavoro o alla sapienza dei suoi insegnamenti e del suo sistema educativo.
Ben fissato questo punto, dirò che per ricopiare l'apostolato del Padre tra i giovani, non basta sentire per essi una certa qual naturale attrazione, ma bisogna veramente prediligerli. Questa predilezione, al suo stato iniziale, è un dono di Dio, è la stessa vocazione salesiana; ma spetta alla nostra intelligenza p al nostro cuore svilupparla e perfezionarla.
L'intelligenza riflette al ministero ricevuto nel Signore, per poterlo compiere convenientemente: vide ministerium quod eccepisti in Domino, ut illud impleas (Coloss. VI, 17). Essa pensa alla grandezza del ministero d'istruire la gioventù e di formarla alla virtù vera e soda: di cavare cioè dal bambino l'uomo iutiero, come l'artista cava dal marmo la statua: di far passare i giovani da uno stato di inferiorità intellettuale e morale a uno stato superiore: di formare lo spirito, il cuore, la volontà e la coscienza per mezzo della pietà, dell'umiltà, della dolcezza, della forza, della giustizia, dell'abnegazione, dello zelo e dell'edificazione, innestati coll'esempio insensibilmente anche in loro. Insomma l'intelligenza, in questa luce dell'apostolato giovanile, intuisce, medita e comprende tutta la bellezza della pedagogia celeste di D. Bosco, e ne infiamma il cuore, perchè la pratichi amando, attirando, conquistando e trasformando.
La predilezione è perfezione d'amore: è quindi sopratutto nel cuore che si forma, e si forma amando. Bisogna, o carissimi, che noi amiamo i giovani che la Provvidenza affida alle nostre cure,
come li sapeva amare D. Bosco. Non vi dico che la cosa sia facile, ma è qui che sta tutto il segreto della vitalità espansiva della nostra Congregazione.
Bisogna dire però che D. Bosco ci prediligeva in un modo unico, tutto suo: se ne provava il fascino irresistibile, ma la lingua non trova i vocaboli per farlo capire a chi non l'ha provato sopra di sè, e neppure la più fervida fantasia sa rappresentarlo con immagini atte a darne una giusta idea.
Ancor adesso mi sembra di provare tutta la soavità di questa sua predilezione verso di me giovinetto: mi sentivo come fa'tto prigioniero da una potenza affettiva che mi alimentava i pensieri, le parole e le azioni, ma non saprei descrivere meglio questo stato dell'animo mio, ch'era pure quello de' miei compagni d'allora... sentivo d'essere amato in un modo non mai provato prima, che non aveva nulla da fare Neppur con l'amore vivissimo che mi portavano i miei indimenticabili genitori.
L'amore di D. Bosco per noi era qualche cosa di singolarmente superiore a qualunque altro affetto: ci avvolgeva tutti e interamente quasi in un'atmosfera di contentezza e di felicità, da cui erano bandite pene, tristezze, malinconie: ci penetrava corpo e anima in modo tale che noi non si pensava più nè all'uno nè all'altra: si era sicuri che ci pensava il buon Padre, e questo pensiero ci rendeva perfettamente felici.
Oh! era l'amore suo che attirava, conquistava e trasformava i nostri cuori! Quanto è detto a questo proposito nella sua biografia è ben poca cosa a paragone della realtà. Tutto in lui aveva per noi una potente attrazione: il suo sguardo penetrante e talora più efficace d'una predica; il semplice muover del capo; il sorriso che gli fioriva perenne sulle labbra, sempre nuovo e variatissimo, e pur sempre calmo; la flessione della bocca, come quando si vuol parlare senza pronunziar le parole; le parole stesse cadenzate in un modo piuttosto che in un altro; il portamento della persona e
la sua andatura snella e spigliata: tutte queste cose operavano sui nostri cuori giovanili a mo' di una calamita a cui non era possibile sottrarsi; e anche se l'avessimo potuto, non l'avremmo fatto per tutto l'oro del mondo, tanto si era felici di questo suo singolarissimo ascendente sopra di noi, che in lui era la cosa più naturale, senza studio nè sforzo alcuno.
E non poteva essere altrimenti, perchè da ogni sua parola ed atto emanava la santità dell'unione con Dio, che è carità perfetta. Egli ci attirava a sè per la pienezza dell'amore soprannaturale che gli divampava in cuore, e che colle sue fiamme assorbiva, unificandole, le piccole scintille dello stesso amore, suscitate dalla mano di Dio nei nostri cuori.
Eravamo suoi, perchè in ciascuno di noi era,la certezza esser egli veramente l'uomo di Dio, homo Dei, nel senso più espressivo e comprensivo della parola.
Da questa singolare attrazione scaturiva l'opera conquistatrice dei nostri cuori. L'attrattiva si può esercitare talvolta anche con semplici qualità naturali di mente e di cuore, di tratto e di portamento, le quali rendono simpatico chi le possiede; ma una simile attrattiva dopo un po' di tempo si affievolisce fino a scomparire affatto, se pure non lascia il posto a inesplicabili avversioni e contrasti.
Non così ci attraeva D. Bosco: in lui i molteplici doni naturali erano resi soprannaturali dalla santità della sua vita, e in questa santità era tutto il segreto di quella sua attrazione che conquistava per sempre e trasformava i cuori.
Egli perciò, appena si era cattivati i nostri cuori, li plasmava come voleva col suo sistema (proprio interamente suo nel modo di praticarlo), che volle chiamare preventivo in opposizione al repressivo. Però questo sistema — com'egli stesso dichiarava negli ultimi anni di sua vita mortale — non era altro che la carità, cioè l'amor di Dio che si dilata ad abbracciare tutte le umane creature, specie le più giovani ed inesperte, per infondere in esse il santo timor di Dio.
Oh! il nostro buon Padre è sempre andato avanti ( e lo confessava con semplicità egli medesimo) come il Signore gl'ispirava e le circostanze esigevano, mosso unicamente dall'ardente sua brama di salvar le anime e d'infondere nei cuori il santo timor di Dio!
Tutta la sua pedagogia è ispirata dal Signore, ed è quindi la nostra eredità più preziosa.
Ma essa, o carissimi, si assomma in due soli termini: là carità e il timor di Dio. Prima la carità in noi ( e notate che dicendo carità intendo amor di Dio e amor del prossimo portati alla perfezione voluta dalla nostra vocazione ), e poi l'uso di tutti i mezzi — e sono senza numero — e di tutte le industrie sante delle quali è sempre feconda la carità per infondere nei cuori il santo timor di Dio.
Meditate pur seriamente e analizzate più minutamente che potete questa Magna Charta della nostra Congregazione, che è il sistema preventivo, facendo appello alla ragione, alla religione e all'amorevolezza; ma in ultima analisi dovrete convenire meco che tutto si riduce ad infondere nei cuori il santo timor di Dio: infonderlo, dico, cioè radicarlo in modo che vi resti sempre, anche in mezzo all'infuriar delle tempeste e bufere delle passioni e vicende umane.
Questo fece il nostro Ven. Padre durante l'intera sua vita; questo egli vuole che abbiano di mira i suoi figli nella pratica del sistema preventivo. Tutto il suo studio, tutte le sue cure più che materne miravano direttamente solo ad impedire l'offesa di Dio e a farci vivere alla presenza di Lui come se lo avessimo realmente veduto coi nostri occhi.
Dio ti vede! era la parola misteriosa che sussurrava di' fre- • quente alle orecchie di tanti: Dio ti vede! ripetevano qua e là appositi cartelli; Dio ti vede! era, possiam dire, l'unico mezzo coercitivo del suo sistema per ottenere la disciplina, l'ordine, l'applicazione allo studio, l'amore al lavoro, la fuga, dei pericoli e delle cattive compagnie, il raccoglimento nella preghiera, la frequenza ai Sacramenti, l'allegrezza espansivamente clamorosa nelle ricreazioni e nei divertimenti.
Al pensiero poi della divina presenza egli congiungeva quello della salvezza dell'anima. Salvar le anime! fu la parola d'ordine ch'egli volle impressa sullo stemma della sua Congregazione, fu, si può dire, l'unica sua ragione d'esistere: s'intende salvare prima l'anima propria e poi quella degli altri. Aiutarlo a salvar l'anima nostra era il regalo più prezioso che potessimo fargli, era la grazia, il favore che ci domandava con ineffabili insinuazioni, perchè l'unica sua aspirazione, il fine unico del suo apostolato in mezzo a noi, era di condurre tutte le nostre anime in paradiso a veder Dio faccia a faccia.
Infondeva poi questi tre pensieri con tanta dolcezza e soavità, che non si poteva non essere pervasi dai suoi medesimi sentimenti; e ne ricevevano salutari impressioni anche i più refrattari, nei quali fruttarono più tardi commoventi resipiscenze, con sinceri pentimenti e ritorni al bene, come più volte ho potuto toccar con mano, con immensa consolazione dell'animo mio, anche durante questi anni di rettorato.
16. Mettere i giovani nell'impossibilità di offendere Dio.
Noi pure, o carissimi, dobbiamo mirare prima d'ogni altra cosa ad infondere nei nostri giovani queste tre verità in modo che esse risaltino facilmente agli occhi loro, anche senza che ne facciamo argomento preciso dei nostri discorsi.
D'altronde non dobbiamo temere di parlarne di frequente, specie nelle conversazioni famigliari in cortile, e in quelle individuali e più intime, talora necessarie per poter lavorare meglio un'anima.
Se non stiamo in guardia, v'è molto a temere che alcuni di noi, quantunque animati da ottima volontà di zelare il bene, non sappiano compiere convenientemente questa parte principalissima, essenziale della nostra educazione salesiana.
V'è pericolo che si lascino trasportare troppo dalla passione per lo studio classico o professionale, o per i giuochi e le società sportive, e che riducano la formazione spirituale dei giovani ad impartir loro un'istruzione religiosa saltuaria, incostante, e perciò nè convincente nè duratura, e al compimento delle poche liratiche di pietà quotidiane e domenicali, fatte in gran furia e per abitudine, quasi a levarsi di dosso una noia o un peso.
Non già che si debbano aumentare le pratiche di pietà: queste debbono essere nè più nè meno che quelle prescritte, ma bisogna far sì che siano animate da quella profonda convinzione che solo si ottiene quando si riesce a farle stimare ed amare dai giovani, come sapeva fare D. Bosco.
Non vogliate credere questo pericolo tanto remoto, nè tenerlo come una pia esagerazione di chi vi scrive. Oh! no purtroppo! V'è nell'atmosfera che si respira oggigiorno tale una tendenza ad accontentarsi delle apparenze esteriori nell'educare i nostri giovani, che facilmente si mettono in non cale le mille industrie che adoperava il nostro D. Bosco per infondere nelle anime un santo orrore al peccato e una singolare attrattiva per le cose spirituali.
Ma il nostro metodo di educare non consiste forse tutto nel « mettere i giovani, per quanto è possibile, nell'impossibilità d'offendere Iddio? ». Ora questo non si Inggiunge col reprimere i disordini dopo che sono avvenuti, perchè allora, diceva D. Bosco, Dio è già offeso; nè col cercare tutti i modi per prevenirli, essendo moralmente impossibile prevenirli tutti, pur colla vigilanza più scrupolosa.
È necessario che nei cuori giovanili venga infuso il timor di Dio, alimentato dal desiderio vivissimo di salvarsi l'anima. Solo così si conquistano e si trasformano realmente i cuori dei giovani; solo così potremo dire che da noi si educa e ,si santifica la gioventù che affluisce negli Oratorii festivi e giornalieri, nei collegi, nei pensionati e negli altri Istituti che la Provvidenza viene man mano affidando alle nostre cure.
Questo punto è la chiave per applicar bene il sistema preventivo; ma forse lo si perde un po' troppo di vista, non già per mancanza di buona volontà, ma perchè riguarda cose trascendenti l'orbita dei sensi, cose che per poterle efficacemente comunicare altrui, bisogna prima sentirle profondamente dentro di se medesimi.
Senza questo senso profondo della vita soprannaturale, noi invano cercheremo di essere valenti professori, anzi specialisti nell'arte d'insegnare; invano ci assimileremo gl'insegnamenti e le massime educative del nostro Ven. Padre; invano ci sforzeremo di ricopiare e riprodurne in noi la condiscendente bontà e la prudente fermezza: potremo forse riuscirvi in apparenza, ma i frutti non corrisponderanno alle fatiche: Hic labor, hoc opus est!
Procuriamo dunque, o carissimi, che la nostra missione educativa sia eminentemente soprannaturale, come quella di D. Bosco, e troveremo il sistema preventivo molto facile e fruttuoso anche nelle sue più minute particolarità: regnerà in noi e attorno a noi quell'amorevolezza e famigliarità tanto inculcata dal Venerabile nella lettera-visione che scrisse da Roma a tutti i suoi figli dell'Oratorio, quattro anni prima di lasciar questa terra.
Se riuscissi a indurvi tutti a ciò, o miei cari Figli e Confratelli, questa sarebbe già una grande e bella ricompensa alla fatica da me sostenuta nello scrivervi la presente.
Mi resterebbe ora a dire del dovere che abbiamo d'imitare il nostro buon Padre anche nel trattare col prossimo e nel far del bene a tutti. Ma vedo questa mia già più lunga di quanto pensavo; perciò mi accontenterò solo di aggiungere alcuni pensieri, tanto più che l'assidua e amorosa lettura della sua vita sarà per ciascuno di noi anche una continua scuola di belle maniere.
In Don Bosco abbiamo una prova eloquentissima che la santità non è nemica dell'urbanità e del galateo, ma anzi se ne serve bellamente per effondere in una più vasta cerchia sociale il buon profumo delle più elette e delicate virtù. Benchè nato da poveri contadini egli ebbe un senso squisito di quanto riguarda sia la pulizia personale, il vestire, il portamento, sia il contegno in chiesa, in scuola, nei viaggi, negli incontri, nelle visite, a mensa, come ospite in casa altrui, e via dicendo.
La facilità con cui assimilava quanto leggeva o vedeva fare dagli altri, lo rese fin da' suoi primi anni padrone di sè e compitissimo nel trattare con ogni ceto di persone, dalle più umili alle più altolocate; tanto che gli stessi patrizi si domandavano con meraviglia dov'egli avesse potuto apprendere una cosi squisita urbanità. Nella buona creanza egli vedeva il fiore delicato di molte virtù; la sua scuola di galateo formò una preziosa regola di condotta civile per quanti seppero approfittarne, e continuerà ad esserlo per quelli che si studieranno di modellare la loro condotta sulla sua vita.
Sforziamoci dunque, o miei cari, di essere anche noi, come il nostro santo modello, compiti e ben educati in ogni nostro atto, anche se fossimo soli o con gente di condizione inferiore. Ricordiamo che la buona educazione consiste non già=in una serie di vane cerimonie e d'inchini più o meno aggraziati, e neppure nelle facezie e spiritosità di cattivo gusto che i mondani sogliono usare per attirarsi il favore degli uomini, ma nella sincera espressione esterna dei sensi di umiltà, di abnegazione, di benevolenza, che dobbiamo nutrire verso di tutti.
La buona educazione in D. Bosco era modestia, umiltà, dominio di se stesso, prontezza al sacrifizio, esercizio di mortificazione, amor del prossimo nel più alto senso della parola.
L'amor del prossimo lo rendeva gentile e cortese con tutti, anche con chi l'ingiuriava; a tutti mostrava la propria stima con le parole e con le opere; era sempre pronto a sacrificarsi per far loro del bene, e dimenticava se stesso e i suoi meriti per riconoscere e mettere in rilievo quelli degli altri. Rinunziava ai propri comodi pel vantaggio altrui, alle proprie opinioni per associarsi alle altrui, insomma si comportava col prossimo in modo da lasciarlo sempre edificato e contento di lui.
Ecco in poche linee il nostro modello per la maniera di trattare col prossimo! Se noi, o miei carissimi Figli, sapremo imitarlo, faremo per certo vivere D. Bosco nella nostra persona e in mezzo al mondo, e conquisteremo un grandissimo numero di anime per il Signore. Oh! sia questa la nostra più grande ambizione, sia il nostro più ardente desiderio!
Per questo dobbiamo non solo prediligere i giovani affidati alle nostre cure, ma in pari tempo cercar di avere un cuore così grande come quello del nostro Ven. Padre, il quale avrebbe voluto stringere in un amplesso tutta quanta l'umanità.
Egli nelle creature vedeva ed amava il Creatore; quindi non faceva distinzione di persone, non guardava nè alle colpe, nè alle inimicizie, nè alle ingratitudini, nè al colore politico; e chiunque ricorreva a lui non restava mai deluso.
La sua carità era proprio simile a quella del Padre Celeste, che fa sorgere il sole e cadere la pioggia sui peccatori come sui giusti; e se una predilezione si può dire che avesse, oltre a quella immensa per i suoi giovani, era per i più miserabili e bisognosi.
Voleva che noi pure facessimo altrettanto, e ci diceva di frequente: « Si procuri che chiunque avrà da trattare con noi, vada via soddisfatto; che ogni qualvolta parleremo a qualcheduno, sia un amico di più che acquistiamo; perchè noi dobbiamo cercar di accrescere il numero dei nostri amici e diminuire quello dei nemici, dovendo noi far del bene a tutti. Accoglieremo bene e sempre con dolcezza i forestieri, perchè essi lo pretendono, siano essi ricchi o poveri; anzi coloro che si trovano in condizione inferiore pretendono ancor più degli altri di essere trattati con deferenza ».
La parola del nostro Ven. Padre è che noi dobbiamo fare del bene a tutti, e dobbiamo perciò saper trattare in modo da non offendere e nemmeno disgustare alcuno. Tutto quindi in noi deve convergere a questo, che con l'esercizio della bontà, della dolcezza e della soavità ci sia dato far del bene sempre, dappertutto e in ogni circostanza. Per questo però cí vuole un tratto squisito nel conversare, nel discutere e nel trattare ,con qualunque specie di persone; ci vuole quella prudenza ch'era ammirabile in D. Bosco, e che s'acquista con lo spirito d'osservazione e di riflessione; ci vuole l'imperturbabilità di lui in ogni evento e lieto e triste; ci vuole il suo spirito di gratitudine, che lo legava indissolubilmente ai suoi benefattori, anche per i più piccoli benefizi.
Oh! il suo amore verso i benefattori, quanto era vivo ed espansivo! Egli pregava e faceva pregare per loro, era pronto a far loro ogni sorta di servigi, per quanto gravosi a lui e a' suoi figli, e persino ad accontentarli nei loro innocenti capricci; si adoperava ad ottener loro favori spirituali, indulgenze, benedizioni del S. Padre, ed anche onorificenze; li soccorreva nelle sventure, .ricambiando ad usura il bene che gli avevano fatto, e questo ricordava e faceva conoscere in ogni propizia circostanza. La gratitudine era per lui la molla più potente per fare un bene sempre maggiore al suo prossimo; e dev'esserlo anche per i suoi figli.
Qui dovrei accennare al modo com'egli trattava con le Autorità civili ed ecclesiastiche, e alla sua norma riguardo alla politica; ma sono cose che voi pure, o carissimi, già conoscete, dalla. sua vita. « La mia politica — diss'egli in un'occasione a Pio IX è quella di Vostra Santità, è quella del Pater noster... Adveniat regnum tuum! Ecco ciò che più importa! ». Raccomandava a tutti di far conoscere quale fosse il suo programma: « Far del bene a quanti si può, e del male a nessuno. Mi si lasci far del bene ai ragazzi poveri e abbandonati, affinchè non vadano a finire in un ergastolo. Ecco la sola mia politica! Come cittadino io rispetto tutte le Autorità costituite; come cattolico e come prete dipendo dal Sommo Pontefice... ».
Ho voluto richiamarvi, o miei cari, in modo particolare questo prezioso insegnamento, perchè ai tempi attuali è di somma, assoluta importanza per la vita della nostra Congregazione che ognuno di noi lo faccia suo alla lettera, sì che non si abbia mai a dire di un Salesiano che fa della politica, che s'immischia in cose di partiti. L'unico nostro partito è quello di far del bene a tutti nel miglior modo possibile.
Ancora una volta, in nome dell'affetto vivissimo che a voi mi lega, vi supplico di darvi ad uno studio costante, quotidiano della vita del nostro buon Padre, affine di poter acquistare, ciascuno secondo le proprie forze, le sue virtù.
Ad un magnifico, indimenticabile spettacolo noi abbiamo assistito nella inaugurazione del suo monumento: abbiamo visto stringersi attorno a questo, vivente ghirlanda, le schiere irrequiete e festose dei nostri giovani ( come D. Bosco dal Cielo ne avrà esultato! ); abbiamo visto gli ex-allievi accorrere da ogni paese a rendergli omaggio; abbiamo visto personaggi augusti, autorità ecclesiastiche e civili, delegati di numerose nazioni straniere, rappresentanti insigni delle lettere, delle scienze e delle arti, venire a inchinarsi a Don Bosco, a portargli il tributo riverente dell'ammirazione e della gratitudine universale. Abbiamo assistito a manifestazioni grandiose di fede, di amore, di santa allegrezza e concordia, a spettacoli indimenticabili, che ci hanno commossi fino alle lagrime, e che ci han fatto vedere quanto sia rispettata, onorata, amata in tutto il mondo e da tutte le lassi sociali la memoria del nostro buon Padre.
Ora questo spettacolo, ormai passato alla storia, si riprodurrà e rinnoverà perennemente per opera nostra, se ciascuno di noi farà rivivere in sè D. Bosco; perchè allora continueranno ad affluire le falangi giovanili attorno al Padre, e in tutti i paesi della terra il nome di D. Bosco continuerà ad essere acclamato e benedetto, perchè vivente nei figli. Affinchè questo si compia, inalzo continue preghiere a tutti i santi confratelli già beati comprensori in cielo, al Venerabile Padre, alla nostra Ausiliatrice, della quale imploro su ciascuno di voi in particolare la benedizione potentemente efficace e feconda.
Prima di terminare ricordo che il 17 p. v. dicembre ricorreranno le nozze d'oro di messa del carissimo Sig. D. Giulio Barberis, Direttore spirituale della nostra Pia Società. A me pare che basti questo semplice richiamo perchè si risvegli in tutte le Case un coro di riconoscenza, vario nella sua esplicazione, ma tale da 'far comprendere tutta la nostra gratitudine a lui, che forze, mente e cuore, tutto quanto ha speso per la Congregazione.
Pregate per il
Vostro afJ.mo in C. J. SaC. PAOLO ALBERA.
Norme per la visita delle Case
1. Dalle varan7e all'inizio del nuovo anno.
2. Importanza somma della visita ispettoriale.
3. Cura del Direttore per i Confratelli.
4. Come curare gli studi ecdesiastici.
5. Cura dei Sacerdoti novelli.
6. Il caso mensile e gli esami annuali.
7. Vigilanza sui Confessori.
8. Come esercitare questa vigilanza.
9. Per la comunicazione delle Facoltà della S. Penitenzieria.
Torino, 4 dicembre 1920.
Carissimi Ispettori,
L'anno scolastico 1919-20 è trascorso lasciando nella memoria di tutti quanti i Salesiani memorie indelebili, e imprimendo nelle pagine della storia della nostra Pia Società fatti, che il tempo non potrà mai cancellare.
Sono passate anche le vacanze scolastiche, e certamente non senza profitto dei carissimi Confratelli; profitto per l'anim.a e profitto per il corpo; per l'anima, inquantochè tutti, senza dubbio, hanno atteso a compiere religiosamente i Santi Spirituali Esercizi, rinnovandosi efficacemente nei buoni propositi della propria santificazione; per il corpo, prendendo quel poco di meritato riposo che le circostanze permettono, onde ristorare alquanto le forze, già abbastanza indebolite per le fatiche sostenute. Ed ora eccoci al principio del nuovo anno scolastico.
Non dubito punto che i Direttori, d'accordo con voi, abbiano messo tutto l'impegno per iniziare il nuovo anno con tutta regolarità. Anche qui, più che in altre cose, ha piena applicazione il detto popolare: « Chi ben comincia è alla metà dell'opera ». E ciò è tanto più vero per noi, che, seguendo gl'insegnamenti del nostro Ven. Padre Don Bosco, poggiamo tutta la nostra azione sopra il sistema preventivo.
Quindi nelle varie Case avrà avuto luogo il Triduo per l'incominciamento dell'anno scolastico; si sarà fatto conoscere tanto ai Confratelli che assumono nuovi Uffici, come ai giovanétti affidati alle nostre-cure, quelle parti del Regolamento che li riguardano in particolare; si sarà fatto tutto il possibile per provvedere ogni classe e ogni laboratorio dei propri insegnanti e assistenti; si saranno distribuiti il lavoro e le occupazioni in modo che mentre non vi sarà alcuno sovraccarico di fatiche, non rimarrà neppure alcuno inoperoso o non sufficientemente occupato, con danno evidente della sua professione religiosa.
Quando tutto è ordinato e regolato secondo le sapienti norme che ci lasciò D. Bosco nei nostri Regolamenti, ogni cosa procede bene, con soddisfazione di tutti e con comune vantaggio; e il Signore benedice più largamente. Ricordo che una delle ultime strenne che ci lasciò l'indimenticabile signor D. Rua, fu questa: « Serva ordinem, et ordo servabit te ». Pei nostri Istituti, poichè sono Istituti di educazione, questo motto dovrebbe essere la parola d'ordine.
Intanto voi, carissimi Ispettori, mentre avete assistito col consiglio e con l'opera i Direttori per l'incominciamento regolare dell'anno scolastico, vi apprestate certamente a visitare le Case, che sono soggette alla vostra giurisdizione, onde rendervi conto personalmente dell'andamento della vita salesiana che in esse si svolge. Ed ecco una bella occasione per voi d'imprimere fin da principio nei vostri Istituti quella forma di vita che più corrisponde all'ideale del nostro Ven. Padre. Tutto dev'essere presente ai vostri occhi, e particolarmente al vostro cuore, affinchè possiate opportunamente prevedere e paternamente provvedere. Il Sig. Don Rua, scrivendo agl'Ispettori nel 1902, a proposito delle visite ch'essi fanno alle Case, specialmente al principio dell'anno, disse: « ... una visita dell'Ispettore, oltre che consola grandemente e toglie i timori e le titubanze, serve a dare alle cose la vera piega che devono prendere ». (Ved. Lettere Circ. di D. Rua, pag. 215).
In questa visita, non occorre ch'io lo dica, voi avete a dar prova di tutta la vostra paterna sollecitudine, specialmente per quanto si riferisce alla vita religiosa salesiana dei Confratelli.
Come dissi fin da principio, i nostri carissimi Confratelli si sono certamente rinvigoriti nell'entusiasmo della vita salesiana negli Esercizi Spirituali; non bisogna pertanto permettere che questo entusiasmo si dissipi per trascuratezza o neghittosità, o venga messo a dura prova per soverchia tensione nel lavoro, senza lasciare il tempo necessario per compier bene tutte le pratiche di vita religiosa, che sono l'alimento della nostra professione. Siate adunque solleciti nell'assicurarvi che nulla difetti ai Confratelli, specialmente per quanto si riferisce alla loro vita di religiosi salesiani.
Una raccomandazione particolare dovete fare ai Direttori per la cura che debbono avere dei Confratelli giovani, siano Chierici o Coadiutori. Essi non possono avere ancora quella formazione religiosa e salesiana, ch'è tanto necessaria per far del bene in mezzo ai giovani; tocca pertanto ai Direttori usare ogni diligenza, come farebbe un padre, e vorrei dire una madre, attorno ai suoi figliuoli, per formarne il cuore e la mente secondo il cuore e la mente di D. Bosco.
I Chierici poi hanno bisogno di attenzioni speciali per la loro formazione ecclesiastica, ed a ciò devono rivolgere le loro cure solerti ed assidue i Direttori e i Catechisti. Dobbiamo invero ringraziare con tutto l'animo Maria SS. Ausiliatrice, per la visibile protezione largita a questi buoni figliuoli durante la terribile prova della guerra. Ben poche furono le defezioni in confronto di quanto si poteva temere; e mentre quasi tutti son ritornati fra le braccia materne della Congregazione, hanno pure conservato integro quello spirito di pietà, di umile ubbidienza, di docile attività che D. Bosco voleva nei suoi figli. Sia pertanto nostro impegno di nutrirli ora di abbondante sano spirito ecclesiastico e di 'abbondante e sana scienza ecclesiastica.
Fortunatamente quasi tutti i Chierici possono essere raccolti negli Studentati di Filosofia, e gran parte in quelli di Teologia, nonostante 'la grande scarsezza di personale; e là, sotto la vigilanza dei Superiori immediati, possono avere quella conveniente formazione ecclesiastica, che stava tanto a cuore a D. Bosco, a D. Rua, e che forma una delle più assillanti preoccupazioni del vostro Rettor Maggiore.
I Chierici che compiono il Tirocinio pratico devono essere sostenuti e guidati con amorevolezza e paternità da tutti i Superiori. È questo il periodo, vorrei dire, più importante della loro vita salesiana, poichè son messi nelle circostanze pratiche di dover attuare in sè e nei giovani affidati alla loro assistenza e al loro insegnamento, quei principii pedagogici del sistema preventivo di D. Bosco, che dovranno poi costituire il loro patrimonio educativo-didattico per tutta la loro vita.
E qui la bontà del Direttore ha larghissimo campo d'esercitarsi, specialmente nello spianare le difficbità, che inevitabilmente si presentano quando si fanno i primi passi nella difficile via dell'educare. Vigilanza pure amorevole bisogna usare verso -questi giovani Chierici, perchè facciano buon uso del tempo; perciò.conviene esigere che nelle varie Case in cui vi sono Chierici addetti al Triennio pratico, si compia diligentemente il Corso appositamente prescritto per loro. Il Sig. D. Rua scrisse delle pagine piene di pratica saggezza a questo proposito, e voi potrete trovarle nelle sue mirabili Lettere Circolari.
Un punto però su cui mi preme richiamare particolarmente la vostra attenzione, è quello che riguarda gli studi ecclesiastici.
Forse nella vostra Ispettoria avete qualche Studentato cosidetto « minore »; ebbene io desidero che tale Studentato, per quanto è possibile, sia « minore » solo di nome, ma che di fatto nulla lasci a desiderare di fronte agli altri studentati propriamente detti. Abbiate dunque la massima cura di scegliere Confratelli esperti nelle discipline ecclesiastiche che devono insegnare, stabilite un orario sufficiente per lo svolgimento normale delle varie materie, esigete rigorosamente che tutti possano frequentare e frequentino realmente con tutta regolarità le varie lezioni, e informatevi di quando in quando come procedono queste scuole, con qual diligenza s'insegna, e qual profitto ne ricavano i Chierici.
Ricordatevi, miei cari Ispettori, che è gravissima la responsabilità che vi assumete di fronte alla Congregazione, di fronte alla Chiesa, di fronte alle anime, nel formare i vostri Sacerdoti. D. Bosco non badava a sacrifici a questo riguardo: D. Rua, nelle sue lettere, tornava con insistenza sopra di questo punto; ed io potei vedere, nel periodo di tempo in cui il Signore mi volle Superiore della Pia Società, potei vedere, dico, fiorire i nostri Studentati di Teologia con esuberante vitalità. Facciamo di tutto perchè questa bella tradizione non abbia menomamente a scemare, anzi sia nostra cura di tenere sempre in fiore gli studi ecclesiastici, come sono sempre in fiore quelli delle altre scienze. Io vi auguro che nessuno di voi, quando dovrà deliberare sull'ammissione di qualche Chierico agli Ordini Sacri, senta un qualche rimprovero ' dalla propria coscienza, ripensando che se il candidato non è ben nutrito di studi sacri, la colpa non è sual...
E se tutte le materie ecclesiastiche-di programma devono essere insegnate e studiate con pari diligenza, quelle a cui deve darsi maggior importanza sono certamente la Teologia Dogmatica e la Teologia Morale. Sono queste come i due occhi, che c'illuminano nel cammino della vita spirituale, e che, per conseguenza, fanno sì che possiamo essere buone guide anche per gli altri. Se ci manca l'una o l'altra scienza, o se ne difettiamo in qualche modo, la nostra vista rimane oscurata, ottenebrata in modo che mettiamo noi stessi e le anime che si affidano a noi nei più gravi pericoli.
Ars artium est regimen animarum diceva il grande S. Gregorio, e i nostri sacerdoti, oltre che diventar buoni insegnanti, buoni educatori, devono essere anche esperti confessori e predicatori; ma non potranno essere nè l'uno nè l'altro, se, non studiano profondamente queste due materie fondamentali delle scienze sacre.
A questo riguardo pertanto procurate di dare tutto il vostro aiuto ai novelli Sacerdoti, perchè si preparino sollecitamente e con ogni diligenza all'esame di Confessione presso gli esaminatori stabiliti dagli Ordinari locali. Incoraggiateli a questo, e forniteli di tutti quei mezzi che sono necessari perchè possano fare una preparazione sollecita, accurata e completa. Fateli anche guidare nello studio d'un buon trattato d'Ascetica, affinchè prendano amore a dirigere saggiamente le anime che potranno ricorrere al loro ministero.
L'esame pubblico poi presso gli Ordinari locali sia sempre preceduto da quello dato in Congregazione avanti .esaminatori da voi delegati. Coloro che saranno riconosciuti idonei da questi ultimi, potranno esercitare il loro ministero verso i giovani delle nostre Case; nessuno per altro sia presentato , a subire l'esame presso l'Ordinario, e sopratutto ad esercitare il ministero fuori delle nostre Case, prima che siano trascorsi almeno due anni dall'ordinazione sacerdotale.
Per tenere poi in esercizio tutti i Sacerdoti nello studio della Teologia Morale, non permettete che si trascuri nelle Case la soluzione del Caso di Coscienza e della Questione Liturgica, che deve aver luogo una volta al mese. È un uso questo che vige ormai da moltissimi anni nella nostra Pia Società, e che ora ha la consacrazione da una prescrizione tassativa del Codice di Diritto Canonico, il quale al Can. 591 dispone precisamente che: « in qualibet saltem formata domo, minimum semel in mense, habeatur solutio casus ruoralis et liturgici.,. ». Nè la predetta soluzione venga omessa in qualche casa « non formata », perchè, se no, i Sacerdoti addetti alla medesima dovrebbero intervenire alla soluzione del Caso di morale e di liturgia prescritta dall'Ordinario Diocesano, come prescrive il Can. 131, § 3.
E poichè ora si è cominciato a pubblicare negli Atti del Capitolo Superiore la soluzione dei Casi di Morale e di Liturgia, proposti per l'anno scolastico testè decorso, non sarà inopportuno che ogni mese, dopo la soluzione del Caso proposto, si legga nell'adunan7a la soluzione d'un Caso di coscienza e d'una Questione liturgica proposti per l'anno precedente.
Per convincervi maggiormente dell'importanza di queste Conferenze, riflettete alla prescrizione contenuta nel Canone 2377, in forza della quale è data facoltà all'Ordinario di punire, secondo la propria prudenza, quei Sacerdoti che non intervenissero alle medesime.
Con pari fermezza esigete che i sacerdoti novelli ottemperino a quanto prescrive il Can. 590, il quale dice testualmente così: « Religiosi sacerdotes... post absolutum studiorum curriculum, quotannis saltem per quinquennium, a doctis gravibusque patribus examinentur in variis doctrinae sacrae disciplinis antea opportune designatis ». Alla qual prescrizione fa riscontro la sanzione contenuta nel Canone 2376, che impone all'Ordinario di indurre al predetto esame, con pene opportune e proporzionate, quei sacerdoti che si rifiutassero di sottoporvisi senza esserne stati dispensati o legittimamente impediti. Canone, che, sebbene direttamente si riferisca agli Ordinari Diocesani, tuttavia, per ragione della materia, che è in stretta connessione col Can. 590 sopra citato, deve estendersi anche ai religiosi. Voi pertanto prenderete occasione da queste rigorose disposizioni del Diritto Ecclesiastico sia per impedire che qualcuno si esima con facilità dal detto esame, sia per non essere tanto indulgenti nel dispensare dal medesimo per qualunque motivo; per la dispensa infatti si richiede una « causa grave » ( Ved. Canone 590). Il programma per tale esame è stato opportunamente stabilito dal Consigliere Scolastico Generale, ed è a conoscenza di tutti; non rimane quindi se non che voi facciate eseguire queste prescrizioni.
Finora vi parlai principalmente della cura assidua che si deve usare per .formare i nostri Sacerdoti istruiti nelle scienze sacre, e specialmente per formarli confessori saggi e prudenti. Ma che dovrei dirvi della vigilanza che dovete usare, perchè quelli che sono già Confessori esercitino l'altissimo ministero della Confessione colla massima delicatezza e prudenza?
Noi abbiamo un esempio sublime a questo riguardo, ed è il nostro Ven. Padre D. Bosco. Egli, come risulta dalla sua vita, aveva una riverenza così profonda tanto verso il Sacramento della Penitenza, come verso le anime che ricorrevano a lui, che nel tratto, nelle parole, in tutti i suoi atti e rapporti verso i penitenti ispirava sentimenti di viva pietà e compunzione, affezionando così le anime alla vera divozione, non a se stesso. Don Bosco fu il punto di partenza di quell'intemerata tradizione, che si è mantenuta sempre nella nostra Pia Società; e per me, e per qualunque vero figlio di D. Bosco sarebbe motivo di troppo grande dolore quando qualcuno intaccasse, anche menomamente, questa pura ed immacolata tradizione. Voi certamente comprendete il mio pensiero; ma affinchè non vi sia luogo a dubbio o incerte interpretazioni, ve lo esporrò con tutta semplicità e chiarezza.
È stato deplorato che taluni Confessori usino con le penitenti un linguaggio troppo famigliare, per esempio dando loro del « tu », e adoperando altre espressioni che fomentino intimità e dimestichezza; che facciano alle penitenti e ricevano da esse visite; che si trattengano in lunghe conversazioni con esse nelle sagrestie, nelle foresterie e nei parlatori, sotto pretesto di direzione spirituale; che tengano con le medesime senza una vera necessità corrispondenza epistolare.
Voi comprendete facilmente quanto sia pericoloso e irregolare, per non dire altro, un tal modo di procedere nell'esercizio !del sacro ministero delle Confessioni; esso facilmente potrebbe condurre a conseguenze perniciose e fatali, e non spendo altre parole sopra di questo punto.
Non posso però far a meno di comunicarvi alcune precise deliberazioni al riguardo, affinchè ciò non s'abbia mai a deplorare nei nostri confessori.
Prima di tutto, visitando le Case affidate alle vostre cure, informatevi con tutta prudenza se mai qualcuno dei sacerdoti approvati per le Confessioni sia venuto meno alla delicatezza e prudenza indispensabili per amministrare fruttuosamente questo Sacramento, con ogni sorta di penitenti, ma specialmente con quelli di diverso sesso. Se vi capitasse di trovarne qualcuno, con tutta carità ma con fermezza ammonitelo in privato, perchè si attenga scrupolosamente alle norme prudenziali che dànno i moralisti seni e i maestri di spirito sopra di questa materia; aggiungendo all'ammonizione la minaccia della sospensione dall'udir le Confessioni, o anche quella della sospensione « a divinis » secondo la gravità o le circostanze del caso, se ricadesse in tali deplorevolissime leggerezze.
In ogni Casa poi, dove si trovino sacerdoti confessori, specialmente se prestano il loro Ministero in chiese pubbliche o in qualche Istituto Femminile, raccogliete i soli sacerdoti a particolare Conferenza, e mentre raccomanderete loro di tenersi sempre in esercizio per quanto si riferisce allo studio della Teologia Morale, e sopratutto di evitare i difetti sopra deplorati, toccate il punto pratico dell'ascoltar le Confessioni, soffermandovi prudentemente sulla delicatezza da usare colle penitenti, accennando pure che sareste severi verso chiunque non mantenesse un contegno religiosamente dignitoso con loro, o comunque desse motivo a inconvenienti o abusi sopra di questo punto.
Desidero ancora che, appena avrete compiuto questa vostra visita alle Case, mi riferiate l'esito delle vostre indagini sopra questo punto in particolare.
In seguito poi, nelle vostre visite alle Case, ricordatevi d'informarvi sempre con diligenza e prudenza sul modo con cui viene amministrato questo santo Sacramento della Penitenza. Procurate
sia allontanato qualunque inconveniente o abuso potesse vèrificarsi
su tal materia, e in qualunque vostro suddito, anche se coprisse uffici importanti; nè dimenticatevi di raccomandare che si eviti di parlare di Confessione ( 1 ).
È mia precisa volontà, carissimi Ispettori, che non s'intacchi menomamente da alcuno dei nostri quella intemerata tradizione che forma una delle glorie più belle e più pure della nostra Pia Società.
(1) INSTRUCTIO S. ROMANAE ET UNIVERSALIS INQUISITIONIS AD REVERENDISSIMOS LOCORUM ORDINARIOS FAMILIARUMQUE RELIGIOSARUM MODERATORES SUPER INVIOLABILI SANCTITATE SIGILLI SACRAMENTALIS. — Naturalem et divinam sigilli sacramentalis legem in Ecclesia Christi semper et ubique santissime servatam fuisse ne ipsi quidem confessionis sacramentalis acriores hostes in dubium unquam revocare serio potuerunt. Idque providentissimo Dei consilio absque ulla dubitatione tribuendum est, qui, sacramentalem confessionem veluti secundam post naufragium deperditae gratiae tabulam hominibus misericorditer offerens, omnem aversationis causam ab ea dignatus est amovere.
Non desunt nihilominus quandoque salutaris huius sacramenti administri qui, reticitis quamquam omnibus quae poenitentis personam quomodocumque erodere queant, de subrnissis in sacramentali confessione clavium potentati sive in privatis collocutionibus sive in publicis ad populum concionibus (ad auditorum, ut aiunt, aedificationem) temere sermonem facere non vereantur. Cum autem in re tanti ponderis et momenti nedum perfectam et consummatam iniuriam sed et omnem iniuriae speciem et suspicionem studiosissime vitari oporteat, palam est omnibus quam mos huiusmodi sit improbandus. Nam etsi id fiat salvo substantialiter secreto sacramentali, pias tamen audientium aures baud offendere et diffidentiam in, eorum animis
9. Per la comunicazione delle Facoltà della S. Penitenzieria. Prima di por fine alla presente devo dir due parole intorno alla Comunicazione II contenuta nel N. 3 degli Atti del Capitolo superiore pag. 82. Tale comunicazione riferisce le facoltà speciali contenute nel nuovo Foglio della S. Penitenzieria, e che io « ad quinquennium », ho delegato tanto a voi come ai Direttori delle Case. Gli altri Confratelli Sacerdoti approvati per le Confessioni, che volessero godere tali facoltà, ho disposto che si rivolgano a voi, perchè a voi intendo di lasciare il giudizio sull'idoneità dei singoli ricorrenti a usare con la debita prudenza e cautela le dette facoltà.
haud excitare sane non potest. Quod quidem ab huius' sacramenti natura prorsus est alienum, quo dementissimus Deus, quae per fragilitatem humanae conversationis peccata commisimus, misericordissimae suae pietatis venia penitus abstergit atque omnino obliviscitur.
Haec animo reputans Suprema haec Sacra Congregatio Sancti Officii muneris sui esse ducit omnibus locorum Ordinariis Ordinumque Regularium et quorumque Religiosorum Istitutorum Superiori bus, graviter onerata eorum conscientia, in Domino praecipere ut huiusmodi abusus, si quos ali-cubi deprehendant, promte atque efficadter coercere satagant; atque in posterum tam in scholis theologicis quam in casus moralis, quas vocant, conferentiis et in publicis et in privatis ad Clerum allocutionibus et adhota- tionibus sacerdotes sibi subditos sedulo edoceri curent ne quid unquam, occasione praesertim Sacrarum Missionum et Exercitiorum Spiritualium, ad confessionis sacramentalis materiam pertinens, quavis sub forma et quovis sub praetextu, ne obiter quidem et nec directe neque indirecte (excepto casu necessariae consultationis iuxta regulas a probatis auctoribus traditas proponendae) in suis seu publicis seu privatis sermonibus attingere audeant; eosque in experimentis pro eorum habilitationes excipiendas hac super re peculiariter examinari iubeant.
Sacra Congregatio confidit neminem ex Confessariis huiusmodi praescriptionibus contraventurum: quod si secus acciderit, praedicti Ordinarli et Superiores, transgressores graviter moneant, recidivos congruis poenis percellant, ac in casibus gravioribus Supremo huic Sacro Tribunali rem quamprimum deferant.
Datum Romae ex Aedibus Sancti Officii, die 9 iunii 1915.
R. Card. MERRY DEL VAL.
Quando pertanto voi giudicaste, che il ricorrente merita la comunicazione di queste facoltà, gli trasmetterete il foglio stampato che le contiene, e che vi sarà inviato quanto prima in numero sufficiente di copie, e con questo atto io intendo di comunicare al medesimo le facoltà stesse.
Per potervi meglio regolare nei singoli casi, è bene che conosciate il tenore della concessione fatta dalla S. Penitenzieria. Essa - dice: « S. Poenitentiaria Tibi dilecto in Xto Rectori Maiori Congregatíonis Salesianae facultates quae in adnexo folio typis edito enumerantur concedit ad quinquennium a data praesenti coinputandum, cum potestate eas comunicandi etiam habitualiter, non tamen ultra praefinitum terminum... nec non, ob peculiares causas, cum aliquot eiusdem Congregationis religiosis, scientia ac prudentia conspicuis, dummodo tum Ipse tum omnes praedicti fueritis ab Ordinario loti ad excipiendas fidelium confessiones legitime adprobati; eaque lege ut iisdem facultatibus in actu sacramentalis confessionis et pro foro conscientiae dumtaxat, uti valeatis... ».
Avrete poi cura di farmi avere l'elenco dei nomi di coloro a cui sarà fatta una tal comunicazione, indicando pure per ciascuno il N° del Foglio trasmessogli.
Ecco, carissimi Ispettori, quanto mi stava a cuore di dirvi in particolare. Voi che con tanta abnegazione dividete con me e con gli altri Superiori del Capitolo le gravi cure e il peso del governo della Congregazione, tenetevi sempre strettamente uniti di mente e di cuore con questo centro della Pia Società, affuichè tutti, « cor unum et anima una », lavorando alacremente secondo lo spirito del nostro Venerabile Padre, possiamo taggiungere l'alto scopo di rigenerazione sociale, ch'egli si propose nel fondare la nostra amata Congregazione.
Pregate per il vostro
Aff.mo in C. J. Sac. PAOLO ALBERA.
Le strenne per l'anno 1921
1. Emozioni e proponimenti pel — 2. La nomina del Card. Cagliero
alla sede di Frascati.
Torino, 24 dicembre 1920.
Carissimi,
Sta per finire il 1920, questo anno che rimarrà memorando nella storia della nostra Pia Società, come « l'anno del monumento a D. Bosco »: anno di emozioni indimenticabili, di santi entusiasmi e, ne sono persuaso, anche di forti proponimenti. In altre mie vi ho già espresso, o figli e confratelli carissimi, il voto ardente ch'esso abbia a segnare per noi tutti l'inizio di un rifiorimento dello spirito salesiano, di una più amorosa ed assidua imitazione degli esempi che ci ha dati il nostro buon Padre, di una più fedele osservanza dei suoi principii educativi.
Io confido che tutti, per l'amore che portate a Lui e alla Congregazione, abbiate dato a questo mio voto la più incondizionata adesione della mente e del volere, e che in tutti esso abbia ridestato i più nobili ed elevati pensieri e sentimenti, e insieme le più elette energie di azione.
Perciò, mentre stiamo per varcare la soglia del nuovo anno, quale augurio più bello potrei fare a voi ed a me, se non che il mio voto abbia a divenire realtà, e che nel 1921 si abbia a fare un primo grande passo verso la sua attuazione? Sì, miei buoni figli, è questo l'augurio che più spontaneo prorompe dal mio cuore, e sono certo che vi riuscirà gradito: che l'anno prossimo sia un anno in cui tutti lavoriamo con impegno e concordia a far rivivere D. Bosco in noi e nell'intera opera salesiana: nella nostra vita di religiosi, nella nostra attività di insegnanti, di educatori, di pastori d'anime; nei giovanetti che il Signore ci affida, nei nostri Ex-Allievi e Cooperatori, in tutte le persone di cui dobbiamo in qualunque modo occuparci.
Con questo augurio io ricambio quelli filiali e affettuosissimi che mi giungono da voi, mentre vi ringrazio delle vostre preghiere per me, assicurandovi che da parte mia non vi dimentico mai, e di continuo vi raccomando alla nostra Madre e Ausiliatrice amorosissima e a D. Bosco, afftnchè vi conservino sempre perseveranti nella vocazione, e pieni di ardore, di perfezione e di zelo apostolico.
Di questo zelo apostolico a cui dobbiamo ispirarci, abbiamo avuto in questi giorni un altro esempio luminoso in quel grande Figlio di D. Bosco, qual'è il nostro Em.mo Cardinale Cagliero.
Con la morte del Card. Boschi si era resa vacante la Sede Suburbicaria di Frascati, una delle sei Sedi riserbate agli Em.mi Cardinali dell'Ordine dei Vescovi. S. S. Benedetto XV, che stima altamente le belle doti del nostro Em.mo Cardinale, sapendolo sempre animato da un ardente zelo per le anime, si degnò proporlo, nonostante la di lui età avanzata, a succedere all'Em.mo Card. Boschi nella Sede di Frascati, e così il nostro Em.mo Cardinale Cagliero optando per quella Sede passò nel numero dei Cardinali Vescovi.
L'alto onore, che deriva al nostro Em.mo Cardinale da quest'atto del Romano Pontefice, e la stima grandissima che S. S. Benedetto XV gli ha dimostrato in questa solenne circostanza, e che gli espresse pubblicamente con lusinghiere parole dopo il Concistoro Segreto del 16 c. m. mentre sono una 'novella prova dello zelo instancabile per la salute delle anime di questo grande Figlio di D. Bosco, devono pur essere per noi tutti forte incitamento a seguire animosi queste nobili tracie, che sono quelle stesse del nostro Ven. Padre.
Intanto eccovi le mie Strenne per il nuovo anno:
PER I SALESIANI
Persuasi che l'umiltà è il fondamento della perfezione, ci studieremo di praticarla meglio che ci sia possibile, nei pensieri, nelle parole, nel portamento.
PER I GIOVANI
•
Non dimenticate mai che Dio trova la sua delizia in un'anima adorna della sua grazia. Se invece l'anima è macchiata dal peccato, Iddio l'abbandona, ed essa diviene triste dimora del demonio. In guardia dunque contro il peccato!
Gesù Bambino vi benedica tutti e vi conceda nel santo Natale la gioia e la pace degli uomini di buona volontà! Credetemi sempre
Vostro aff.mo in C. J. SaC. PAOLO ALBERA.
Memorabile udienza Pontificia e notizie care
1. Il mio maggior conforto.
2. « Oh se fossero qui tutti! ».
3. Il Papa e D. Bosco.
4. « Senza pretendere di migliorare le Costituzioni ».
5. Il nostro Cardinale.
6. L'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
7. La « Vita di D. Bosco ».
8. La nostra riconoscenza.
9. Nuove indulgenze alla preghiera a Maria Ausiliatrice.
10. Per il patrono della Chiesa Cattolica.
Torino, 10 febbraio 1921.
Carissimi,
Il Bollettino del corrente mese vi recò la nuova dell'udienza privata che S. S. Benedetto XV, nella sua paterna benevolenza, volle accordarmi ai 18 dello scorso dicembre.
Gl'interessi, della nostra Pia Società m'indussero, come già altre volte per il passato, a recarmi a Roma, dove avrei potuto ringraziare di presenza molti Eminentissimi Principi di S. Chiesa, che seguono con profonda simpatia lo sviluppo delle Opere del nostro Ven. Padre, e le sostengono col loro benevolo appoggio; e insieme attestare al nostro Santo Padre l'indefettibile e filiale attaccamento di quanti sono Figli e Figlie di D. Bosco.
Se debbo esprimervi tutto quello che passa nell'animo mio in questo istante, vi dirò che, tra i doveri che m'incombono per l'ufficio assegnatomi dalla Divina Provvidenza, uno di quelli da cui ricevo maggior conforto è indubbiamente questo di prostrarmi ai piedi del Papa, per dirgli che tutti i Salesiani e tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice nutrono per lui quei medesimi sentimenti di devozione profonda e illimitata che nutriva il nostro Ven. Padre. E se il paterno affetto che sento per ciascuno di voi in parti, colare non mi fa velo, mi pare di poter affermare con tutta verità che realmente nei due rami della grande famiglia di D. Bosco il Papa occupa sempre il posto veneratissimo di Supremo Superiore, che gli è assegnato dalle nostre Costituzioni ( art. 33 ), anzi, più che di Superiore, di Padre amato.
É questa un'impronta che D. Bosco volle dare alla nostra umile Società, trasfondendo in essa quei sentimenti che traboccavano dal suo cuore; e noi possiamo andare orgogliosi di averla mantenuta sempre intatta, e di avere concorso a diffondere, dovunque l'opera nostra potè giungere, la divozione e l'attaccamento alla S. Sede Apostolica.
Il Santo Padre conosce molto bene questa nostra prerogativa, e forse è da attribuire a ciò la singolare e paterna benevolenza con cui si è sempre degnato di accogliere il Superiore dei Salesiani. L'ultima volta che mi fu dato dí prostrarmi alla sua presenza, io mi sentivo avvinto a lui da un legame di così forte e profonda gratitudine, che mi pareva di non essere di fronte alla dignità più sublime che esista sulla terra, quella cioè di Vicario di Gesù Cristo, ma vicino ad un Padre, ad un Benefattore, che con bontà ed amabilità seri7a pari si occupava dei molteplici interessi concernenti la nostra famiglia.
Egli di tutto si mostrò informato, e mentre visibilmente manifestava la sua paterna compiacenza per l'attività instancabile che i Figliuoli e le Figliuole di D. Bosco vanno svolgendo a benefizio di tanta gioventù, con singolare tratto di bontà voleva conoscere le difficoltà di vario genere che, oggi soprattutto, si oppongono allo sviluppo e all'efficacia dell'opera provvidenziale del nostro Ven. Padre.
Io mi sentii grandemente confortato da un'accoglienza così affettuosa e festevole, e pensavo: « Oh! se fossero qui presenti quanti formano la famiglia salesiana, quale incitamento non ne riceverebbero a lavorare sempre più a vantaggio di tante giovani anime, sull'esempio di D. Bosco! »
Il sapere che l'opera nostra, nonostante le nostre manchevolezze, con la protezione della Vergine Ausiliatrice prpduce un po' di bene alle anime, e risponde sempre a quei fini di sublimé carità che D. Bosco ebbe nell'iniziarla; il sapere ch'essa è apprezzata dai buoni, e impone rispetto anche a coloro che sventuratamente non conoscono la bellezza e la bontà degl'insegnamenti di Gesù Cristo, senza dubbio un grande conforto per noi, e insieme un incitamento efficace ad essere costanti e assidui in questa missione di bene.
Ma quando l'approvazione, il gradimento, gli attestati di stima ci vengono direttamente da Colui che, per la potestà somma di cui è rivestito, è il solo che possa renderci sicuri che camminiamo sulle orme del nostro Ven. Padre, e che l'opera nostra è benedetta da quel Dio di cui egli è il rappresentante sulla terra; allora e cuore e spirito si sentono incitati non solamente a proseguire nel faticoso lavoro dell'apostolato salesiano, ma anche a mettere in esso tutto il loro entusiasmo e fervore.
Questo entusiasmo io lo provai in quei soavi momenti in cui dalla sovrana degnazione del S. Padre mi fu concesso di stare alla sua presenza; ed è per questo che avrei voluto che tutti voi vi foste trovati ai suoi piedi insieme con me: avreste sentito anche voi in egual misura tale entusiasmo santo, che sarebbe stato un gradito compenso e sollievo alle vostre fatiche.
Ma se non vi fu concesso di attingere direttamente dalla Cattedra Apostolica questo novello vigore, io supplico la Vergine Ausiliatrice che ve lo infonda Lei quando sentirete a leggere queste mie povere parole, che non possono certo riprodurre appieno i miei sentimenti.
E, per meglio disporre a ciò l'animo vostro, gioverà che ripen= siate al salutare influsso che riportava D. Bosco da ogni sua visita al Sommo Pontefice. Noi tutti conosciamo le difficoltà senza numero che il nemico del bene suscitava attorno al nostro Ven. Padre, per impedire che l'opera sua avesse a sorgere e a prosperare. Nonostante gli aiuti particolari del Cielo e la costante assistenza della Vergine Ausiliatrice, egli doveva lottare incessantemente; e spesso, quando questa lotta si faceva più aspra, insidiosa ed accasciante, egli sentiva il bisogno di correre a Roma, di gettarsi ai piedi del Papa, per avere da lui la parola autorevole del conforto, e l'assicurazione che l'opera sua era veramente voluta da Dio.
Rinfrancato in tal modo, era solito scriver subito una lettera da Roma ai suoi amati figliuoli, per trasfondere in loro i suoi sentimenti, l'energia novella onde traboccava l'animo suo, e per invitarli tutti a inalzare fervide preghiere per il Papa, in segno di profonda gratitudine per il benefizio ricevuto.
Per D. Bosco, il Papa era una sorgente inesauribile di attività e di bene: dal Papa egli attingeva il coraggio indomito nelle sue sante imprese, la costanza incrollabile nel fare il bene, anche quando ostacoli sopra ostacoli gli attraversavano la via. D. Bosco per il Papa soffri assai, e ancor più era pronto a soffrire. Dal Papa egli cercava sopratutto una cosa: la certezza che tutto il suo operato, le sue iniziative di bene, le molteplici opere di apostolato, lo spirito informatore del suo nascente Istituto, rispondessero pienamente alle direttive e ai desideri del Vicario di Gesù Cristo; perchè, diceva, quando abbiamo l'approvazione del Papa, abbiamo l'approvazione di Dio; quando il Papa è contento di noi, lo è pure Iddio.
Cosi anche noi, che ci gloriamo di chiamarci figli di Don Bosco, dobbiamo al par di lui nutrire costantemente nel nostro spirito questi sentimenti d'illimitata e indefettibile sudditanza e devozione filiale verso il Sommo Pontefice, e rallegrarci sapendo che
il Papa è pienamente soddisfatto dell'opera nostra, per quante umile ancora e manchevole.
Questo egli mi ripetè più volte, durante l'udienza che si degne concedermi; e questo io ripeto a voi, lusingandomi che la mia voce, come eco di quella paterna e benevola del S. Padre, risuoni nell'anima vostra e nel vostro cuore, e vi susciti quei sentimenti di affetto sempre più profondo e di gratitudine sempre più sentita, che io stesso ebbi a provare.
Vi dirò ancora un'altra cosa che vi farà certo molto piacere. Il motivo principale per cui egli si dichiarava soddisfatto delle Opere Salesiane, e si mostrava sicuro ch'esse avessero sempre a mantenersi, come per il passato, degne della sua stima, era questo, ch'egli vedeva sempre vivificati dallo spirito del loro grande Fondatore i due Istituti che formano la famiglia salesiana.
A me parve allora di sentire nelle sue parole come l'eco di quelle del grande Pio IX, che il nostro buon Padre ha riferite nella sua Prefazione alle Costituzioni: « Se i Salesiani, senza pretendere di migliorare le loro Costituzioni, si studieranno di osservarle con precisione, la loro Congregazione sarà ognor più fiorente ». Nelle Costituzioni infatti potete esser certi che si contiene, meglio che altrove, lo spirito genuino di Don Bosco.
Questa assicurazione del Santo Padre, la quale, con grande conforto, è venuta a dare un'autorevole conferma alle calde raccomandazioni che spesso io vi rivolgo di essere tutto custodi gelosi dello spirito del nostro Ven. Padre, sia a tutti di efficace incitamento ad osservare in modo sempre più perfetto le nostre Costituzioni, per meritarci sempre la stima e l'approvazione del Santo Padre.
Il nostro Em.mo Cardinal Cagliero fu un altro oggetto a cui il Papa nella sua squisita bontà dedicò un'attenzione tutta particolare. Egli ebbe parole di viva compiacenza per lo zelo di cui il Cardinale si mostra sempre animato, nonostante la sua età avanzata e le gravi fatiche già sostenute a pro delle anime e in servizio della Chiesa. Veramente pare che D. Bosco abbia voluto stampare una più vasta orma del suo spirito in questo suo degno figlio, che fu uno dei primi a darsi tutto a lui, e a lasciarsi plasmare da lui interamente. Quando si tratta di lavorare per il bene delle anime, egli mostra ancora un ardore giovanile; e io stesso fui testimone di questa sua infaticabile operosità, in occasione del suo solenne ingresso nella Diocesi di Frascati, avvenuto il 16 gennaio scorso (1). Oh! non limitiamoci ad una sterile ammirazione: sappiamo imitare i buoni esempi di zelo e di attività salesiana che ci ha lasciati il nostro Ven. Padre, e che si rinnovano continuamente sotto i nostri occhi per opera dei più grandi tra i suoi figli.
Il Santo Padre si degnò altresì di ricordare con lusinghiere parole di encomio l'opera benefica e salutare che indefessamente va compiendo a benefizio delle fanciulle del popolo, l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Riconobbe con paterno compiacimento che anche questo benemerito Istituto è saldamente fondato sullo spirito di carità, di zelo e di sana operosità del nostro Ven. Padre; e rallegrandosi del suo sviluppo sempre crescente, espresse la viva speranza che con tale spirito continuasse infaticato a formare delle maestre veramente cristiane, e ad impartire una soda educazione religiosa a tante povere fanciulle. Aggiunse che si ripromette immensi vantaggi per il bene dello stesso Istituto. A questo mira sopratutto la nomina del Superiore dei Salesiani a Delegato Apostolico per l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
(1) Si porta a conoscenza dei Confratelli che S. Em. il Card. Cagliero continua a risiedere a Roma (21), Via Marsala, 42: quivi perciò gli dev'essere indirizzata la corrispondenza.
Non posso dirvi poi quanto abbia gioito l'animo mio per la benigna accoglienza fatta dal Santo Padre ad un esemplare della « Vita di Don Bosco », da me umilmente offertogli in dono; tanto da sfogliarlo con interesse alla mia stessa presenza. Con questo atto di alta degnazione mi parve ch'egli partecipasse più intimamente a quanto vi è di più caro nella nostra vita di Salesiani, e quasi volesse dirmi: « Ohl ripetete a tutti i Salesiani che il Papa vuole tanto bene a D. Bosco: tanto quanto glie ne volle ro Pio IX, Leone XIII e Pio X! ».
Egli mi disse ancora che numerose istanze gli vengono presentate direttamente, affinchè con la sua autorità voglia indurre il Superiore dei Salesiani ad accettare nuove fondazioni; e aggiunse che se da un lato queste insistenze gli fanno piacere, come un attestato di stima ai figli di D. Bosco, dall'altro egli sa che questi non si risparmiano, e fanno già quanto è in loro potere per ben coltivare il vastissimo campo affidato alle loro fatiche; e che farebbero di più se potessero disporre d'un maggior numero di braccia.
Miei cari confratelli: di fronte a così insigni prove di bontà e di benevolenza con cui il S. Padre si' è degnato di onorarci, noi non ci mostreremmo buoni figli di Don Bo'sco, se ci limitassimo ad un semplice sentimento di compiacenza, e non procurassimo di corrispondervi con un maggior impegno nel conformarci al fine per cui abbiamo abbracciato la vita salesiana.
Accettiamo dunque in spirito di umile riconoscenza questi segni di stima e di benevolenza, con la persuasione che essi, per la somma bontà del S. Padre, sono assai superiori ai nostri meriti. E ringraziando con fervore Iddio che in tempi così tristi ha voluto confortarci con incoraggiamenti così lusinghieri, studiamoci di conservare sempre in noi, nelle nostre comunità, in tutto il nostro Istituto lo spirito di lavoro e di zelo per il bene della gioventù, lo spirito di disciplina e di pietà ch'è baluardo della nostra vocazione, lo spirito di carità e di dolcezza che deve cementare ognor più la cordiale unione tra di noi, e attrarre altre anime a unirsi generosamente alle nostre file sotto la bandiera di D. Bosco. Se opereremo in tal modo, D. Bosco ci sorriderà dal Cielo, e potremo sempre meritare queste particolari benedizioni del Signore.
Prima di chiudere questo mio scritto, vi annuncio con vero piacere che la preghiera a Maria SS. Ausiliatrice, quale siamo soliti a recitare ogni giorno dopo la meditazione, fu arricchita dalla S. Sede di nuove e numerose indulgenze, parziali e plenarie. Ne troverete il testo autentico, quale fu indulgenziato, in altra parte degli Atti; e d'ora innanzi nella recita in comune userete il nuovo testo, differente dall'antico solo per una lievissima modificazione, che troverete notata in carattere corsivo, e che fu introdotta per fare partecipi delle nostre preghiere anche i carissimi nostri ex-allievi, che ce ne fecero pubblica e calda preghiera. Osservo che, se si vogliono lucrare le indulgenze suddette, bisogna servirsi del testo nuovo, e non più dell'antico. Questo prezioso tesoro spirituale, che la Santa Sede ha benignamente aperto in nostro favore, ci sproni a ricorrere con maggior frequenza e fervore alla nostra cara Madre Maria SS. Ausiliatrice, e a diffonderne sempre più il culto.
Un'ultima raccomandazione mi sta a cuore di farvi. Nello scorso luglio il S. Padre Benedetto XV emanava il Motu proprio « Bonum sane », con cui prescriveva a tutto l'Episcopato cattolico che entro l'anno, a cominciare dall'8 dicembre 1920, indicesse solenni feste giubilari in onore del grande Patriarca S. Giuseppe, ricorrendo il 50° anno da che l'angelico Pio IX lo dichiarava solennemente Patrono della Chiesa universale.
A tutti noi, che nutriamo una tenera divozione a questo gran Santo, che D. Bosco volle come uno dei celesti protettori della nostra Pia Società, deve tornare quanto mai gradita questa solenne ricorrenza, al fine di attestare al Santo Patriarca la nostra perenne gratitudine per la celeste protezione accordata alla nostra Congregazione, per rinnovarci nella fervorosa divozione verso di Lui, e per corrispondere il meglio possibile ai desiderii del S. Padre.
Sia pertanto nostro impegno di celebrare con grande fervore il mese a lui consacrato, sopratutto onorandolo con una costante imitazione delle sue virtù caratteristiche, della sua fede viva e inconcussa, del suo amor di Dio spinto fino al sacrifizio, della sua umiltà profonda, del suo totale distacco dalle cose della terra e dalle proprie comodità. E col nostro esempio trasciniamo anche i nostri cari giovani a tale imitazione.
Una cura particolare si abbia per gli artigiani, riattivando tra essi, nel miglior modo possibile, la Compagnia di S. Giuseppe, affinchè possa divenire anche un semenzaio di buone vocazioni, delle quali abbiamo si urgente bisogno. Il Santo Padre, indicendo queste solenni onoranze giubilari a S. Giuseppe, ha inteso particolarmente di incitare la classe operaia a mettersi sotto la protezione di Lui, che fu insieme umile operaio e padre putativo del Divin Redentore, e a seguirne le orme; sicchè abbia ad essere scongiurato il pericolo dei fatali rivolgimenti che di quando in quando minacciano di abbattere ogni ordine stabilito.
Noi che siamo educatori di operai, seguendo gli esempi di D. Bosco e conformandoci ai desideri del Santo Padre, facciamo del nostro meglio per infondere in essi lo spirito di questo perfetto modello di santo e di operaio insieme: faremo cosa opera meritoria di fronte alla Chiesa e alla società civile.
Perchè poi il nostro concorso a queste solenni onoranze sia più vivo ed efficace, è mio desiderio che la festa del Patrocinio di S. Giuseppe venga celebrata quest'anno in tutte le nostre Case ed Oratorii festivi col più grande splendore possibile, facendovi-. precedere, se si può, un triduo solenne con predicazione.
Dal Santo Patriarca invochiamo con fervore una protezione costante ed efficace su tutta quanta la Chiesa, sul Sommo Pontefice, su tutte le Opere di D. Bosco, e in particolare sulla nostra Pia Società, sull'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sulla Pia Unione dei Cooperatori; e infine un aiuto specialissimo per il buon esito delle Cause di Beatificazione dei nostri Servi di Dio.
Comunicandovi ora con grande affetto la benedizione del Santo Padre, mi raccomando alle vostre preghiere, e vi sono sempre
Aff.mo in C. J. SaC. PAOLO ALBERA.
Norme per la Direzione spirituale
dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatriée
1. Il loro delegato apostolico. — 2. Parte dispositiva del Decreto Apostolico. — 3. Direzione paterna. — 4. Campo per l'esercizio di questa paternità. — 5. Estensione di questo campo. — 6. L'imitazione di D. Bosco e di Madre Mazzarello. — 7. Per il progresso scientifico. — 8. Per l'amministrazione ed economia. — 9. — Norme pratiche. — Appendice.
Torino, 20 febbraio 1921.
Carissimi Ispettori,
Come già sapete, il Santo Padre Benedetto XV, in vista del gran bene che fanno le Figlie di Maria Ausiliatrice coi loro Collegi ed Oratori festivi, si degnò d'esaudire le loro ripetute suppliche di essere ancora poste sotto l'alta direzione del Successore di Don Bosco.
A tal fine quindi, quale Rettor Maggiore della Pia Società Salesiana, fui nominato Delegato Apostolico dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, coll'incarico di provvedere paternamente al bene spirituale e morale di esso, di promuoverne la conveniente' coltura e istruzione, e d'invigilare sull'investimento retto e sicuro dei capitali e delle doti. Il S. Padre pensò che in tal modo questo benemerito Istituto fosse per mantenersi più sicuramente nello spirito del suo Fondatore, che è pure il nostro.
Per parte mia, sebbene già oppresso dal peso della direzione: della nostra Pia Società, non credetti di potermi sottrarre a questo ufficio pur sapendo che avrei dovuto sobbarcarmi ad un lavoro superiore alle mie forze. Ho quindi accettato questa carica, su cui grava una grande responsabilità, allo scopo di aiutare questo secondo ramo della famiglia di D. Bosco a conservare lo spirito ch'egli aveva cercato d'infondergli.
Mi sono tosto messo all'opera, e con la parola e con gli scritti ho procurato di essere di qualche vantaggio alle buone Figlie di Maria Ausiliatrice, che si reputarono felici di vedersi, per questo atto di sovrana bontà del S. Padre, riunite spiritualmente a coloro che consideravano sempre come fratelli in Gesù Cristo e in D. Bosco.
Nell'assumere il delicato e importante ufficio mi tornò d'incoraggiamento l'aver potuto accertarmi che le buone Suore sono tutte animate da vero spirito salesiano, lavorano con zelo al bene delle anime, mostrandosi in ciò degne figlie di D. Bosco, e godono grande stima presso i Vescovi diocesani da cui dipendono, e presso la S. Sede, dalla quale ricevettero già segnalati favori. Ma dovetti pure convincermi che, se da Torino potevo essere di qualche utilità al Consiglio Generalizio e alle Ispettrici e Comunità più vicine, nonchè a poche altre per via epistolare, non ero in grado però di assistere direttamente tutta la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Compresi pertanto di aver bisogno che i miei buoni confratelli mi venissero in aiuto: e i confratelli che meglio sono in grado di aiutarmi, e in cui debbo riporre maggior fiducia, sono senza dubbio i nostri carissimi Ispettori. Al loro zelo quindi faccio appello con questa lettera, nella quale essi troveranno alcune norme per ottenere più facilmente lo scopo desiderato.
Anzitutto mi pare cosa rispondente al fine di questa mia trascrivere qui la parte dispositiva del Decreto con cui la S. Sede si degnò nominarmi Delegato Apostolico dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Esso dice: « Sanctitas Sua... statuit atque decrevit, ut Rev.mus Rector Generalis Piae Societatis Salesianorum nominaretur, ad quinquennium, tamquam Delegatus Apostolicus Istituti Sororum a Maria Auxiliatrice, qui, quovis biennio, sive per se sive per alium ab eo subdelegandum, Filiarum Mariae Auxiliatricis Domos, ( quae tamen quoad administrationem autonomae et independentes semper existent ) paterno consilio visitet eum dumtaxat in finem, ut probatus Fundatoris spiritus foveatur, et ritualis, moralis atque scientificus progressus curetur; ac etiam, si opus fuerit, et quin administrationi manus apponat; rectum capitalium investimentum et dotum a Sororibus solutarum securitatem invigilet atque tueatur. Salva tamen Ordinariorum jurisdictione ad Juris Canonici normam. Contrariis quibuscumque minime obstantibus ».
Una prima considerazione da fare sul Decreto suddetto si è che in esso viene testualmente confermata l'indipendenza ed autonomia amministrativa ed economica dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in rapporto alla nostra Pia Società. A questo riguardo perciò bisogna tener presenti, per conformarvi la propria condotta e le proprie disposizioni, le norme date con tanta saggezza dal veneratissimo nostro D. Rua di s. m. in varie sue Lettere Circolari, e particolarmente in quella del 21 novembre 1906, N° 33.
In secondo luogo è da osservare che le disposizioni presenti della S. Sede non mutano nè modificano affatto la natura dei rapporti giurisdizionali che normalmente intercedono tra i Rev.mi Ordinarli Diocesani e l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice: ciò infatti è espresso nella clausola con cui termina il Decreto: « Salva tamen Ordinariorum jurisdictione ad Juris Canonici normam ». Tali rapporti in massima parte son precisati nel Codice di Diritto Canonico, ed è oltremodo opportuno che ciascuno di. voi ne prenda ccurata cognizione, trattandosi di una materia assai delicata e importante; tenendo conto che, direttamente, riguardano l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice quelle prescrizioni che si riferiscono agl'Istituti di Diritto Pontificio; e indirettamente, dirò
così, quelle che concernono tutte le Religiose in genere, sempre però in relazione alle Costituzioni dell'Istituto stesso, che furono debitamente approvate dalla S. Sede Apostolica.
Le due considerazioni ora esposte vengono a determinare la natura dell'azione che il Delegato Apostolico, per sè o per mezzo di un suddelegato, può e deve esercitare verso l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e che nel Decreto viene caratterizzata con le due parole: « paterno consiglio ». Si tratta perciò d'un'azione tutta quanta fondata sulla paternità, di un'influsso che si esercita non mediante imposizioni, precetti e sanzioni, ma solo mediante consigli paterni.
È proprio quello a cui mirava D. Bosco allorchè, certo per divina ispirazione, gettò le prime basi della nuova famiglia religiosa, che doveva poi divenire l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dilatarsi per tutto il mondo. Egli lo dimostrò anche in seguito nel tracciare le prime Costituzioni del novello Istituto: queste infatti sono tutte pervase da uno spirito grande di paternità, quale poteva sgorgare da un cuore come il suo. E del resto è quello che sempre si fece.
Perciò la caratteristica della paternità è pur quella che deve contraddistinguere i vostri rapporti colle buone Figlie di Maria Ausiliatrice, o miei cari Ispettori. E questo pensiero mi richiama alla mente l'avviso pieno di pratica saggezza, che il nostro indimenticabile D. Rua dava sovente agli Ispettori, quando in qualche modo avevano da occuparsi delle Suore: egli voleva che tenessero un certo ordine nell'esercizio del loro zelo, e rivolgessero le prime loro cure ai confratelli Salesiani e agl'interessi delle Case Salesiane da loro dipendenti; in secondo luogo poi, e senza trascurare questo loro dovere principale, si prendessero un particolare interessamento, anche con un po' di sacrifizio, per mantenere il fervore della pietà e l'osservanza delle Costituzioni tra le Suore. Venivano in terzo luogo i giovani, intorno ai quali si doveva spendere la propria opera intelligente e solerte di educatori cristiani, per formarli secondo i santi ideali di D. Bosco. Ciò naturalmente corrisponde al concetto di una ben intesa carità, di quella carità che deve servir di norma al nostro operare, se vogliamo trar profitto dalle nostre fatiche.
Anche il campo nel quale io v'invito ad esercitare con me la vostra paterna carità a vantaggio delle buone Figlie di Mafia Ausiliatrice, è sapientemente delimitato dal sopradetto Decreto Apostolico. Prima d'ogni altra cosa si tratta di mantener sempre vivo in mezzo a loro lo spirito del nostro Ven. Fondatore e Padre, sì che tutte e ciascuna le informi, come l'anima informa il corpo, e che la vita dell'Istituto, in se stessa e nelle sue manifestazioni, sia veramente vita salesiana, conforme al concetto di D. Bosco, e alle sapienti direttive ch'egli ci ha lasciate nello sua vita, ne' suoi scritti, nelle sante tradizioni che costituiscono un prezioso patrimonio della grande Famiglia Salesiana.
Questo spirito, che vive e si perpetua in tutte le nostre istituzioni, è quello che deve dare una propria personalità morale, una propria fisionomia all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per modo ch'esso non abbia a confondersi con altri istituti congeneri. È questo spirito che deve formare il vincolo più forte e duraturo tra le diverse Case e Comunità delle Suore, e rendere veramente salesiano l'ambiente di tutte e di ciascuna, nonostante le differenze di nazionalità, paese o direlione, e gl'influssi esterni di qualsiasi natura: deve sentirsi in esse alitare lo spirito buono, amabile e santamente giocondo del nostro buon Padre.
Questo spirito non può esprimersi con parole, ma è costituito. dal complesso delle virtù, dei principii ed insegnamenti, delle molteplici attività che caratterizzano il vero figlio di D. Bosco, e che rendono attraente ed efficace il sistema educativo lasciatoci da questo nostro Padre. È uno spirito insomma che sgorga spontaneo da un cuore infiammato di carità, di amore ardente/per le anime, pronto a sostenere per la loro salvezza qualunque sacrificio, rinunziando generosamente alle proprie comodità, e anche a quelle ragionevoli soddisfazioni che si possono lecitamente attendere dalle proprie fatiche, perchè lo conforta la ferma speranza di poter condurre queste anime a Dio.
Praticamente quindi un tale spirito, mentre tiene lontane quelle piccolezze e quei risentimenti personali che sono tanto facili a nascere nelle comunità, c'induce a vivere uniti a Dio, con la costante disposizione di abbracciare con animo mansueto ed ilare le pene fisiche inerenti alla vita di ogni educatore cristiano che, praticando il sistema preventivo, voglia rendere santamente efficace la sua azione sulle menti e sui cuori dei giovani.
A conservare e rinvigorire questo spirito nelle buone Figlie di D. Bosco dev'essere principalmente diretta l'opera vostra solerte e sagace: questo infatti è il fine precipuo che ha mosso il S. Padre a nominare il Rettor Maggiore dei Salesiani Delegato Apostolico per l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice; e questo ha da essere pure il vostro santo proposito di figli affezionati che vogliono conservare intatto l'inestimabile patrimonio morale ereditato dal Padre.
Quanto mai estesi poi sono i confini di questo campo, nel quale siete chiamati ad esercitare il vostro zelo paterno di saggi consiglieri; e il Decreto stesso ora citato stabilisce con parole assai comprensive la materia intorno a cui dovrà aggirarsi l'azione del Delegato Apostolico e dei suoi legittimi collaboratori, dicendo che bisogna prendersi a cuore il progresso spirituale, morale e scientifico dell'Istituto, e salvaguardarne gl'interessi economici con vigilante assistenza. Come vedete, salva la responsabilità amministrativa, e salva anche la responsabilità disciplinare strettamente giuridica, tutto il resto che concorre a mantenere e ad accrescere la vitalità religiosa e sociale dell'Istituto, è affidato alla nostra paterna vigilanza; còmpito certamente arduo, per il fatto stesso che questa vigilanza nella sua esplicazione ed applicazione dev'essere sempre e solo paterna.
Quanto al progresso spirituale, la vostra perspicacia non ha certo bisogno ch'io accenni ch'esso non si limita solamente a quel che riguarda l'attività spirituale interna di ogni singolo membro, ma si estende alla formazione religiosa dei membri stessi in armonia con le Costituzioni professate nell'Istituto, e sopratutto con lo spirito e col fine che Don Bosco si propose, e di cui ho testè parlato. Si estende inoltre all'istruzione e coltura religiosa:C catechistica, che deve prendere sempre maggiore incrementò tra le buone Figlie di Maria Ausiliatrice, affinchè il loro Istituto corrisponda meglio allo scopo per cui D. Bosco lo fondò, e la loro azione tra le fanciulle del popolo sia ognor più efficace. Si estende infine all'istruzione religiosa che l'Istituto stesso è chiamato a impartire alle giovanette affidate dalla Divina Provvidenza alle cure delle buone Suore.
Già in questo solo si potrebbe esplicare un'attività così vasta ed intensa, da assorbire gran parte delle vostre energie. Non occorre però ch'io vi dica che questa vostra attività dev'essere sapientemente moderata, trattandosi di un'attività direttiva, quale si addice ad un saggio e paterno consigliere. Sia pertanto vostra cura illuminare opportunamente le Superiore su quanto concerne la vita religiosa, e con appropriate conferenze, fatte di rado e sopra-tutto in occasione delle vostre visite alle Case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, richiamare alla mente delle buone Suore l'osservanza esatta e fervorosa delle Costituzioni, che costituiscono come il loro Vangelo, e in particolare l'esercizi& costante di quelle virtù che le Costituzioni medesime inculcano con tanta insistenza. Nello stesso tempo informatevi se le varie Case a cui si estende la vostra paterna vigilanza, abbiano un Cappellano fisso per la celebraiione della S. Messa e per le altre funzioni religiose, e se tale incarico gli sia stato affidato dalla legittima autorità: di qui infatti si può giudicare delle garanzie morali ch'egli offre, cosa di cui certo non potete disinteressarvi. Se mai qualche Casa fosse priva di questo aiuto, che tanto giova alla regolarità della vita religiosa, non risparmiate le vostre premure per procurarglielo, preferendo, ogni volta che sia possibile, un buon Confratello Salesiano, che anch'egli però dovrà essere debitamente autorizzato.
Similmente usate ogni diligenza nell'informarvi se tanto le Suore quanto le giovanette affidate alle loro cure abbiano comodità di ascoltare la parola di Dio, esposta in modo adatto a loro, e d'istruirsi sempre meglio nella religione; e questo particolarmente in quegl'Istituti in cui le giovanette debbono frequentare le scuole pubbliche, o andar a lavorare in fabbriche invase da elementi guasti o malsani. Essendo l'istruzione religiosa, come già dissi, il perno intorno a cui deve aggirarsi tutta l'azione salesiana, se trovate in ciò qualche deficienza, procurate di prestare con tutta carità e zelo il vostro intelligente aiuto per rimediare e migliorare le cose, valendovi anche qui, sempre che sia possibile, di Confratelli nostri pii e prudenti.
Il progresso morale del nostro caro Istituto è un altro punto della massima importanza, a cui siete chiamati a rivolgere cure solerti e instancabili. Il fondamento su cui deve poggiare tutta questa attività, è una buona coscienza, retta, sicura, delicata; e saranno benedette da Dio le fatiche da voi spese, anche con qualche sacrifizio, per dirigere saggiamente le buone Figlie di Maria Ausiliatrice che ricorrono all'opera vostra. Altro elemento indispensabile per promuovere questo progresso morale colle vostre paterne industrie, è la formazione del carattere delle buone Suore, che deve modellarsi sui mirabili esempi del nostro Ven. Padre D. Bosco e della Madre Mazzarello.
Qui la materia mi condurrebbe a ripetervi qualche concetto già espresso più sopra, accennando alla necessità che anche l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice sia informato allo spirito di D. Bosco, poichè è lo spirito del Padre che deve plasmare il carattere dei figliuoli. Come pertanto non mi stanco io dal ripetervi questo punto essenziale della nostra vita e personalità salesiana, così non avete a stancarvi voi di ripeterlo anche alle buone Suore nelle vostre conferenze, per incitarle a ricopiare sempre meglio D. Bosco in se stesse, cosicchè non solo il loro interno, ma anche il portamento esterno, gli atteggiamenti, le parole, rispecchino sempre il delicato sentire, il riserbo amabile e pieno di naturalezza del nostro Ven. Padre.
Man mano che questi concetti s'imprimeranno più profondamente nell'anima e nel cuore di ogni Figlia di Maria Ausiliatrice, il vero progresso morale dell'Istituto sarà sempre meglio assicurato;/ e si manifesterà chiaramente nell'attività instancabile, umile e disinteressata a pro delle fanciulle del popolo, nell'amore alla povertà e nello spirito di sacrifizio, che si vedranno fiorire in tutte le Comunità delle buone Suore.
Con questo progresso morale, che voi dovete attivare nell'Istituto, hanno pure non poca attinenza i rapporti di esso con le Autorità ecclesiastiche, civili e scolastiche, nonchè con altri Istituti, Enti, o persone estranee. Il nostro Venerabile Padre ci ha lasciato esempi luminosi della prudenza e delicatezza che debbono evidentemente presiedere a tali rapporti; e voi non mancherete di prestare avvedutamente il vostro appoggio, i vostri consigli, l'aiuto della vostra influenza, affinchè il nome e l'opera di D. Bosco siano debitamente apprezzati anche nella persona delle sue buone figliuole.
Al progresso spirituale e morale deve poi, necessariamente andar congiunto quello scientifico. Poichè l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, al pari della nostra Pia Società, ha per fine precipuo, dopo la santificazione dei suoi membri, l'educazione e l'istruzione della gioventù, è chiaro che lo studio assiduo e ordinato e il Culto ' della sua scienza è anche per le Suore di importanza essenziale. Esso si deve far procedere in buona armonia col progresso spirituale, cosicchè nessuno dei due sia di detrimento all'altro, ma anzi abbiano ad aiutarsi e integrarsi a vicenda. Bisogna evitare che una spiritualità troppo spinta, e non conforme all'indole pratica e attiva dell'Istituto, faccia trascurare lo studio; e nel tempo stesso far si che la pietà non venga dal troppo studio inaridita. Alla conservazione di questo giusto equilibrio vi prego, miei buoni Ispettori, di rivolgere le vostre intelligenti e amorose cure.
Intanto con la vostra parola prudente incoraggiate le Superiore a indirizzare agli studi quelle buone figliuole che all'attitudine e capacità intellettuale uniscono sano criterio, serietà di giudizio, e sopratutto docilità di carattere; tenendo conto per altro che la formazione scientifica di esse non abbia menomamente a pregiudicarne la formazione religiosa. Ond'è che dalle Suore dedite agli studi si ha da esigere un'istruzione religiosa più soda e profonda, una pietà più sentita, e un maggior attaccamento alla S. Sede Apostolica, a imitazione di D. Bosco, perchè è là che splende il faro luminoso che irradia anche il sano progresso della scienza.
Alle premure per la buona formazione scientifica delle Suore che se ne mostrano capaci e degne, vogliate aggiungere uno speciale interessamento affinchè le scuole tenute dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, di qualunque grado siano, non abbiano ad essere seconde a nessun'altra; e qui è aperto alla vostra esperienza ed accortezza un campo vastissimo e assai fecondo di bene. Tutta poi l'attività scientifica, tutto il progresso e miglioramento dell'Istituto in questo campo, siano dalla vostra saggia vigilanza mantenuti in armonia col sistema pedagogico del nostro Ven. Padre: giacchè è sopra questa base che dobbiamo appoggiare ogni nostra istituzione, è sopra questo fondamento incrollabile che dobbiamo inalzare il grande edificio dell'educazione salesiana, di tanti beni apportatrice al mondo.
Anche quanto alla parte amministrativa ed economica, voi potrete, secondo lo spirito del citato Decreto, dar molto aiuto alle buone Suore, specialmente ai nostri giorni, in cui, per il sovvertimento di ogni cosa, e sopratutto dell'ordine economico e amministrativo, anche i più esperti in materie così vitali per un Istituto si trovano spesso di fronte a serie e gravi difficoltà nelle contrattazioni, negli acquisti, nelle pratiche per la sicura ed utile conservazione dei capitali e delle proprietà immobiliari, nel trapasso dei diritti reali, e simili. Generalmente in questa materia le religiose sono meno competenti ed esperte che in qualsiasi altra, sia perch'essa esige tante cognizioni e attitudini particolari, che normalmente sono in contrasto con la loro indole e con le loro inclinazioni, sia anche per la difficoltà che ordinariamente v'incontrano a motivo della loro stessa condizione.
Perciò, ogni volta che potete, vogliate prestare il vostro generoso concorso alle buone Superiore che hanno la responsabilità di questa partita, consigliandole e guidandole opportunamente. Procurate sopratutto di salvaguardare i loro interessi anche materiali, quando foste consultati o pregati d'interessarvi circa le proposte di nuove fondazioni, di nuove costruzioni da farsi nei loro Istituti, o di compre-vendite di qualche importanza. Tutelate con prudente accortezza le loro proprietà, specialmente vigilando sulla sicura garanzia nell'utile investimento dei capitali di cui dispongono, e nella retta conservazione delle doti, di cui il Decreto fa espressa menzione. Anche qui avrete talvolta da fare qualche sacrifizio per proteggere gl'interessi delle buone Figlie di Maria Ausiliatrice presso le diverse Autorità con cui possono avere dei rapporti; ma io son certo che lo farete volentieri.
Ed ora, per rendere più pratiche le brevi considerazioni che vi ho esposto per aiutarvi nell'applicazione del Decreto Apostolico citato, aggiungerò alcune norme pratiche, desumendole in massima parte dalle Deliberazioni dei nostri primi Capitoli Generali.
1. Ogni Ispettore, quale suddelegato del Rettor Maggiore della nostra Pia Società, che è pure Delegato Apostolico dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha sotto la sua cura e vigilanza paterna le Comunità di Suore comprese nei limiti della sua Ispettoria, o a lui particolarmente affidate, notando però che tale delegazione non gli conferisce sulle Comunità suddette una giurisdizione propriamente detta, giacchè questa spetta interamente agli Ordinarii, a norma del nuovo Codice di Diritto Canonico. È necessario quindi che all'occorrenza l'Ispettore ottenga le debite facoltà dal Vescovo Diocesano.
2. Procuri l'Ispettore di acquistare esatta conoscenza delle Costituzioni, deliberazioni Capitolari e delle norme disciplinari e regolamentari dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per mettersi in grado di contribuire coll'esortazione e col consiglio all'esatta osservanza di esse.
3. Se nell'Ispettoria vi è la casa di noviziato, invigili che vi si osservino le prescrizioni per la regolare ammissione al noviziato e alla professione religiosa, a norma dei Ss. Canoni e delle Costituzioni dell'Istituto.
4. Vegli affinchè le Suore siano religiosamente e convenientemente istruite secondo il proprio stato e le esigenze dell'ufficio a cui saranno destinate.
5. In occasione della sua visita alle Case, ascolti le Suore che desiderano parlargli: ciò può essere utile per il buon indirizzo delle anime, e offrirgli l'opportunità di consigliare, con cognizione di causa, quello che giudica vantaggioso a ciascuna Suora in particolare, e alla Casa in generale.
6. Vegli inoltre perchè siano debitamente osservate le prescrizioni ecclesiastiche per quanto riguarda le confessioni, l'apertura di coscienza e la santa Comunione. Aiuti poi l'Ispettrice e le Direttrici a provvedere convenientemente per gli Esercizi spirituali.
7. Visiti almeno una volta ogni due anni le singole Case, interessandosi paternamente di quanto può giovare al loro bene spirituale, morale, scientifico e materiale, in conformità dei criteri sopra esposti.
8. Infine tenga presenti nel disimpegno del suo ufficio le seguenti norme:
a) Si comporti veramente da padre, secondo lo spirito e l'esempio di D. Bosco, evitando egualmente la famigliarità e il soverchio rigore.
b) Si mantenga in buona relazione coll'Ispettrice e colle altre Superiore, aiutandole e consigliandole prudentemente nel loro ufficio, affinchè non venga menomata la loro autorità.
c) Dia benigno ascolto a quanto gli riferiscono le Suore; e, pur non lasciandosi mai sfuggire una parola che suoni disistima per alcuna, specialmente se Direttrice, tenga però conto di tutto quello che può giovargli per la loro direzione. Si astenga nelle conferenze dal far allusione a qualche difetto individuale; nelle conversazioni ordinarie coi confratelli eviti di parlar delle Suore, e tanto meno quindi ne parli con estranei. Di esse tratterà solo con chi di ragione.
d) Faccia in modo che le Suore sappiano ch'egli mantiene il segreto, che desidera il loro bene, e che a tempo e secondo giustizia ne prende le difese. Non riferisca mai in una Casa quel che può aver trovato di men lodevole in un'altra.
e) Promuova in ogni maniera lo spirito dell'Istituto, che è spirito di sacrifizio, di pietà, di santa giovialità, salva sempre la virtù e la perfezione religiosa.
Per vostra comodità riporto sotto in Appendice le Norme date dalle nostre Deliberazioni per i rapporti colle Suore che prestano l'opera loro nei nostri Istituti; norme che sono da conformare allo spirito del citato Decreto. Intanto io nutro fiducia che, con l'aiuto di Dio e della nostra potente Ausiliatrice, noi riusciremo, seguendo i criterii tracciati nella presente lettera, a dare un nuovo impulso di bene al caro Istituto delle nostre buone Suore, in conformità all'idea che ne ebbe il nostro Ven. Padre. Voi, che mi siete sempre stati larghi del vostro concorso nel governo della Pia Società, vorrete certo essermi di valido aiuto anche in quest'opera importantissima; e poichè ogni due o tre anni devo fare una relazione alla S. Sede sull'andamento di questo benemerito Istituto, vi prego d'inviarmi almeno ogni due anni un rendiconto su ciascuna delle Case soggette alla vostra paterna vigilanza: rendiconto che dev'essere compilato in base ai vani punti qui esposti.
Mentre vi auguro la sovrabbondanza dei beni celesti, e l'assistenza del nostro buon Padre D. Bosco nel disimpegno del vostro importante ufficio, mi raccomando alle vostre fraterne preghiere.
Vostro affino in C. J Sac. PAOLO ALBERA.
APPENDICE
(Dalle Deliberazioni dei 6 primi Capitoli Generali della P. S. S. )
183. Negl'Istituti ove le Suore di Maria Ausiliatrice prestani l'opera loro, la loro abitazione sia intieramente separata da quella dei Salesiani, di modo che niuno possa nè entrare nè uscire, se non per la porta della loro Casa che mette all'esterno.
184. Solo mezzo di comunicazione sia la cosidetta Ruota, tanto per commestibili, quanto per abiti, biancheria, arredi sacri, e simili.
185. Il dormitorio e l'infermeria sono luoghi rigorosamente riservati. Se per ragionevole motivo deve entrarvi il Direttore, sia esso accompagnato da una Superiora, e l'uscio non sia mai chiusc a chiave.
186. È stabilito un parlatorio, dove al bisogno la Direttrice può conferire col Direttore e con le persone esterne. Questo però senza grave necessità non deve mai avvenire di notte, nè mai coll'uscic chiuso a chiave.
187. Dove l'abitazione non è ancora a norma dell'articolo pri mo, niuno degli interni potrà inoltrarsi nella parte destinata alle Suore, senza licenza del Direttore, nè fermarsi a parlar con alcuna
di esse, senza il permesso e la conveniente assistenza della Direttrice o di chi ne fa le veci. Parimenti, occorrendo ad alcuna Suora di dover parlare col Direttore o con altra persona da lui delegata, dovrà prima render avvertita la Direttrice.
188. Questi colloqui siano brevi, ed improntati di gravità, prudenza e carità. Si eviti ogni famigliarità nelle parole e nel tratto.
189. Il Direttore vegli attentamente nella scelta e nel modo di portarsi delle persone che hanno qualche incarico, relativamente alle Suore, come sarebbe per la cucina, biancheria, ecc.
190. Le Suore avranno una Cappella propria per le pratiche di pietà. Dove ciò non potesse farsi, assisteranno, per mezzo di apposito coretto, alle sacre funzioni nella Chiesa della comunità.
191. Per la predicazione, confessione, ecc., si osserverà quanto è stabilito dai Sacri Canoni e dalle Regole loro particolari.
192. Le confessioni non si ascolteranno mai di notte. Avvenendone la necessità, si osserveranno le ecclesiastiche prescrizioni.
Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano
1. Motivi di questa lettera.
2. Il prete salesiano dev'essere un altro D. Bosco.
3. L'eccelsa dignità sacerdotale.
4. Sempre prete in ogni istante!
5. Dobbiamo studiare continuamente.
6. I vari fini dello studio.
7. Il nostro studio principale.
8. t. Approfondire lo studio della teologia.
9. Storia e liturgia.
10. Per dare un'impronta propria alle nostre scuole.
11. Lettura di giornali e libri di proprio uso.
12. Per la nostra vita morale e religiosa.
13. ... Verso una perfezione sempre più alta.
14. Costituzioni e tradizione salesiana.
15. Come dev'essere la nostra orazione.
16. Metodo per far bene l'orazione.
17. La recita dell'Ufficio Divino.
18. La celebrazione della S. Messa.
19. Durante e dopo la S. Messa.
20. Il Sacramento della Confessione.
21. Perchè la Confessione frequente è poco fruttuosa.
22. Il giorno della Confessione.
23. Necessità della direzione spirituale.
24. Il còmpito del direttore spirituale.
25. L'esame quotidiano è indispensabile.
26. ... Soprattutto l'esame particolare.
27. Le nostre divozioni.
28. ... Per l'esercizio delle virtù.
29. Lo spirito di mortificazione.
30. Santifichiamoci!
Torino, 19 marzo 1921.
Carissimi Confratelli Sacerdoti,
Padre, per farlo rivivere in noi con l'esercizio delle virtù religiose e con la continuazione del suo provvidenziale apostolato in mezzo alla gioventù, sentii vivo il desiderio d'indirizzarne una in particolare a voi, carissimi Confratelli sacerdoti, perchè solo il prete salesiano, a motivo del carattere sacerdotale di cui è stato al par di lui insignito, può più perfettamente imitarlo. Sono invero molte, gravi ed affatto speciali le obbligazioni e responsabilità del nostro sacro ministero sulle quali pare al Superiore di dover richiamare l'attenzione dei suoi cari sacerdoti; ma siccome son cose che non interessano direttamente gli altri Confratelli, chierici e coadiutori, così scrivendo a tutti è obbligato a omettere tanti particolari che pure hanno grande importanza nella formazione del vero prete salesiano.
Per ovviare in qualche modo a questo inconveniente, Don Bosco, nei primi tempi dell'opera sua, riusciva, pur in mezzo alle altre sue numerose occupazioni, a scrivere di quando in quando a ciascuno de' suoi figli in particolare preziose norme, incoraggiamenti e ammonizioni, che ancor oggi sono per noi testimonianza eloquente del suo ardente amor di Dio e del suo zelo per la salvezza delle anime. Io, come ben comprendete, non posso scrivere a ciascuno di voi in particolare; perciò scrivo a tutti insieme; ma ognuno di voi tenga questa mia come scritta proprio a lui solo, chè tale è la mia intenzione.
Quanti entrano a far parte della nostra Pia Società, assumono con ciò stesso l'obbligo di vivere secondo lo spirito, gli esempi e gli ammaestramenti del suo Ven. Fondatore. Però questo dovere non obbliga tutti nella stessa misura: ai Superiori esso incombe più gravemente che ai semplici preti, e a questi più che ai chierici e ai confratelli laici.
Quindi solo il prete salesiano può far rivivere in sè D. Bosco in tutta la pienezza della sua personalità, perchè solo chi è prete puo ricopiare integralmente un altro prete. Ma, ripeto, oltre all'averne la possibilità, egli ne ha lo stretto dovere. Se i Ss. Padri • della Chiesa dicevano che il sacerdote dev'essere un altro Gesù Cristo: Sacerdos alter Christus, non parrai di chieder troppo ripetendo a ciascuno di voi: « Il sacerdote salesiano dev'essere in tutto e sempre un altro Don Bosco! ».
E aggiungo che per conseguire questo fine dobbiamo anzitutto scolpirci bene in mente quello ch'era solito dire il nostro buon Padre quando parlava dei sacerdoti: — Il prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi ad ogni istante!
Nel giorno memorando in cui il Vescovo ci ha imposto le mani per infonderci le benedizioni dello Spirito Santo e la grazia del sacerdozio, il segno sensibile s'è arrestato alla nostra carne, ma la virtù del Sacramento è scesa a pervadere e penetrare profondamente tutte le fibre del nostro essere, e ha,fatto di ciascuno di noi un altro uomo, stampando nell'anima nostra un segno misterioso, al quale saremo eternamente riconosciuti.
Il carattere sacerdotale, lo sappiamo, non è solo una cosa santa e salutare, ma è tenace, incancellabile, perpetuo incorruttibilè, come il nostro spirito nel quale è impresso: esso persisterà in noi fin nella vita futura, ad onore eterno di chi avrà vissuto in conformità di esso, ad eterno disonore di chi si sarà reso infedele alla sua vocazione: Tu es sacerdos in aeternum.
Questo carattere indelebile ci dà il diritto di trattare e maneggiare le cose sante, di tenere tra le mani la Vittima divina e di offrirla all'Eterno Padre; e insieme ci conferisce il potere di giudicare e purificare le anime.
« E poichè Dio — come si esprime il Monsabré — non largisce mai un potere alla sua creatura, senza fornirle il mezzo di usarne come conviene, e per altra parte un potere sacro non può venir esercitato regolarmente e convenientemente che da un'anima santificata, Dio compi la consacrazione sacerdotale colla grazia. In quest'ordine di cose una bontà comune non potrebbe bastare al sacerdote: gli occorre l'eccellenza. Elevato dalla sua dignità al di sopra del popolo, il sacerdote dev'essergli superiore anche nel merito della santità; santità che dev'essere tanto più alta in quanto che per lui non si tratta solo, come per gli altri cristiani, di prendere degnamente un posto nella famiglia di Cristo, ma di adempiervi il maggior ufficio che si possa concepire... ». Ora il nostro Venerabile Padre, con quel suo detto: « il prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi ad ogni istante », voleva innanzi tutto che i suoi figliuoli sacerdoti comprendessero bene la grandezza e sublimità del loro carattere, dei loro uffici, del loro potere; perchè, quanto più si conosce e si stima la dignità di cui s'è rivestiti, tanto maggior diligenza si metterà a conservarne integro e puro lo splendore. Credetemi, o miei cari,' la prima cosa che dobbiamo fare per tradurre in realtà il detto del nostro Fondatore, si è di renderci famigliare, e sto per dire quotidiana, la meditazione dell'eccelsa dignità sacerdotale, non già per insuperbirne, ma per averne incitamento a comportarci in modo degno di essa. Ripetiamo con frequenza a noi stessi le belle parole di Sant'Efremi « Quale ineffabile potenza, quale profondità nel formidabile e maraviglioso sacerdozio della nuova legge! — O potestas inellabilis! O quam magnam in se continet profunditatem formidabile et admirabile sacerdotium! ».
Quest'assidua considerazione avrà la virtù di produrre un po' per volta in noi, miei cari sacerdoti, quel profondo intimo convincimento della nostra vera grandezza, che è sommamente necessario sopratutto ai nostri giorni. È finita, grazie a Dio, la tremenda guerra europea, ma perdurano tuttora, e chissà fino a quando, gl'innumerevoli suoi effetti deleterii. Tra questi primeggia lo sconvolgimento di non pochi dei principii che devono reggere l'umana società. Non si vuol più riconoscere autorità di sorta, nè divina nè umana, non più diritti, non più dignità nè gradi: si . pretende ridurre tutti ad uno stesso livello materiale e morale; anzi, di valori morali non si parla più affatto, ma solo della materia, della sordida materia! Tutta l'atmosfera che si respira è così pregna di siffatte perniciose aberrazioni, che anche i buoni possono alla fine esserne inquinati, conformando ad esse la propria condotta, o cercando di scusare o giustificare con esse le defezioni da quei principii cristiani che dovrebbero essere loro norma di vita.
Nella nostra Pia Società, grazie a Dio e alla visibile assistenza del Ven. Padre, v'è una cura particolare per guardarsi da simili contaminazioni; tuttavia il pericolo si fa ognor più minaccioso, e potrebbe quando che sia far capolino anche fra noi. Per questo, miei cari, ho detto che ai nostri giorni ci è necessaria più che mai una profonda convinzione dell'eccellenza del sacerdozio, affuachè possiamo conservarci preti, sempre preti in ogni istante, come fu D. Bosco, come fu il venerando D. Rua, come furono tanti altri nostri confratelli, che già ci precedettero nella patria beata
Ma questo non è, per così dire, che lo sfondo del quadro, la condizione preliminare per l'imitazione perfetta del nostro modello; noi non dobbiamo quindi limitarci a questo, ma darci anche ad uno studio assiduo e amoroso dei lineamenti morali che abbiamo da riprodurre in noi. Un aiuto e una guida in tale studio già mí sono sforzato di dare a tutti indistintamente i carissimi Confratelli con la mia ultima lettera, nella quale D. Bosco viene additato come modello nell'acquisto della perfezione religiosa, nell'educare e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo, nel far del bene a tutti. Gioverà pertanto che la rileggiate con attenzione. Qui aggiungo, quasi a complemento di essa, le cose che riguardano particolarmente la vita e perfezione sacerdotale; e per non dilungarmi troppo, lascio a ciascuno di voi, o carissimi, di farne il raffronto con la vita del nostro Ven. Padre, la quale vorrei che fosse il vostro libro prediletto.
Labia sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore sius. Con queste parole il profeta Malachia ( 2, 7) ci ammonisce che una delle qualità del sacerdote è la scienza. Ora, se questo è vero per tutti i sacerdoti in generale, lo è in modo particolare per quelli che, come noi, si consacrano all'educazione e all'istruzione della gioventù. E poichè la scienza non si acquista senza lo studio, ne segue che dobbiamo studiare. Sì, o miei cari, dobbiamo studiare, affinchè non si compia su di noi il terribile vaticinio di Osea ( 4, 6 ): Quia tu scientiam repulisti, repellam te, ne sacerdotio fungaris mihi: poichè tu hai rigettato la scienza, io ti rigetterò dal mio sacerdozio.
Dobbiamo studiare anche se fossimo dotati d'ingegno forte ed eletto: l'ingegno è una gemma preziosa, ma greggia, che abbisogna d'essere ripulita e lavorata perchè dia splendore: è il talento di cui parla il Vangelo, e che bisogna far fruttare. Di più vi sono molte cose a cui nessun ingegno, per quanto acuto, pùò senza studi arrivare.
Lo studio è necessario dal punto di vista morale e soprannaturale, per considerare la nostra pietà e avvalorare il nostro apostolato in mezzo ai giovani; e dal punto di vista intellettuale per non lasciar intorpidire nell'inerzia le nostre facoltà, per completare, secondo le esigenze dei tempi, la prima formazione intellettuale che abbiamo ricevuto nella scuola, ed anche per tenerci al sicuro dai tradimenti della memoria, e custodire intatto il tesoro delle cognizioni già acquistate.
Allo studio dobbiamo attendere con serietà, fermo volere e costanza, procurando di assegnargli un posto fisso nel nostro orario giornaliero, secondo la possibilità e le esigenze del proprio ufficio, e non solamente il tempo in cui non sapessimo che cosa fare. Poco o molto, conviene studiare ogni giorno, perchè uno studio fatto in modo saltuario non raggiunge il suo intento, e a poco a poco si finisce per abbandonarlo del tutto.
Studiamo con diligenza, senza torpore 'nè mollezza, senza precipitazione, con la pazienza di andar a fondo delle cose per cavarne tutto quello che può giovare alla nostra vita salesiana e al nostro apostolato; completando in pari tempo lo studio teorico con quello pratico sul gran libro della vita, con l'attesa osservazione dei fatti spirituali e morali che avvengono in noi stessi e negli altri. Come fa pena il vedere talvolta qualche giovane sacerdote che sciupa il suo tempo libero girando qua e là, chiacchierando, divagandosi in mille cose vane, o leggendo libri e giornali di nessuna utilità — se pur non cattivi — quasi non avesse più nulla da imparare!
Bisogna però anche evitare l'eccesso opposto: dí appassionarci per lo studio a tal segno che ne venga detrimento alla nostra vita interiore e agli altri doveri del nostro ministero. Ricordiamoci, o carissimi, che il Signore medesimo volle che í suoi ministri fossero sale della terra avanti di esserne la luce: V os estis sal terrae... vos estis lux mundi (Matth., V, 13-14 ); — sappiamo dunque moderare la nostra attività, la curiosità dello spirito, la sete della scienza, per conservare sempre il raccoglimento necessario all'unione con Dio; e non lasciamoci mai indurre A abbreviare o a tralasciare, per la passione dello studio, le nostre pratiche di pietà.
Teniamo presente quel che dice il gran Dottore San Bernardo circa i vani fini che uno può prefiggersi nello studio: « Sunt namque qui scire volunt ut sciantur ipsi, et turpis vanitas est. Sunt qui scire volunt, ut scientiam suam vendant, scilicet pro pecunia, pro honoribus, et turpis quaestus est. Sunt quoque qui scire volunt ut aedificent, et caritas est; et item qui scire volunt ut aedificentur, et prudentia est: horum hominum soli ultimi non inveniuntur in abusione scientiae, quippe qui ad hoc volunt intelligere ut bene faciant!
Santifichiamo noi pure il tempo dello studio e rendiamolo meritorio per il Cielo, proponendoci a fine supremo di esso non la vanità, non la semplice soddisfazione del naturale desiderio di sapere, ma la nostra propria edificazione, la salvezza delle anime e la gloria di Dio; e invocando sovente íl divino aiuto, non solo al principio, ma anche nel corso dello studio.
Questo nostro studio inoltre va fatto con programma, e con metodo, secondo un piano prestabilito e ben circoscritto, nel quale sia assegnato a ciascuna materia il posto che per la sua importanza e dignità le compete. Tale programma noi lo troviamo snfficientemente determinato nelle nostre Costituzioni, al Capo XII, dove si tratta « Dello Studio »; ad esso dobbiamo attenerci scrupolosamente nei nostri studi, se vogliamo veramente corrispondere ai desideri del nostro Ven. Padre.
Lo studio della Sacra Bibbia, il liber sacerdotalis per eccellenza, deve avere la precedenza su tutti gli altri, perchè, al dire dell'Apostolo, essa è utile a insegnare, a convincere, a correggere, a formare alla giustizia. Omnis scriptura divinitus inspirata. utilis est ad docendum, ad arguendum, ad corripiendum, ad èrudiendum in iustitia (II T im., 3, 16 ).
I Santi Padri si formarono sulla Sacra Bibbia; e sempre i grandi fondatori di Ordini religiosi diedero per regola ai loro seguaci di leggerne ogni giorno qualche tratto. Questo è raccomandato anche a noi da D. Bosco, che ce ne ha fatto una precisa prescrizione nelle Costituzioni, dove leggiamo che i sacerdoti, e tutti i soci che aspirano allo stato chiericale, devono dirigere, con tutto impegno, il loro studio principale alla Sacra Bibbia (art. 101-102).
Siano dunque i santi libri nostro pascolo quotidiano: leggiamoli non come farebbe un curioso, un semplice letterato od un semplice storico, ma con profondo rispetto religioso, in forma di meditazione affettiva più che per semplice studio, sforzandoci di penetrare bene quelle espressioni così luminose e profonde, e magari imparando a memoria quei versetti che meglio ci possono servire nelle meditazioni e nell'esercizio del ministero. Noi fortunati se potessimo formarci un linguaggio tutto scritturale! Allora non saremmo più noi a parlare, ma per me7:5,o nostro parlerebbe lo Spirito Santo, il quale opera quello che dice: ipse dixit, et (acta sunt (Ps. 32, 9 ), e la cui parola è luce, vita, medicina, ed ha un'efficacia tutta particolare sulle menti e sui cuori.
Una raccomandazione mi sta grandemente a cuore riguardo a questo ramo di studio: cioè, che nelle gravi controversie bibliche sollevate ai nostri giorni, specie nel campo della critica letteraria e storica dei testi ispirati, stiate bene in guardia contro le tendenze razionalistiche del pensiero contemporaneo, 'serbando intatta la vostra fede nell'autorità divina delle S. Scritture, e non abbandonando alcuno dei punti ammessi dagli esegeti cattolici. Se in questo non volete sbagliarvi mai non avete che da far sempre vostre le sentenze e le decisioni della Chiesa, unica maestra infallibile.
Non perdiamoci vanamente nelle questioni esteriori di storia e di critica, ma fissiamo bene l'oggetto generale e il piano di ogni libro, l'idea madre e il pensiero dominante d'ogni capo, e mettiamo ogni autore nell'ambiente in cui visse; allora ci sarà facile gustare questa manna discesa dal Cielo a ristorarci nel nostro pellegrinaggio verso la Patria.
Allo studio amoroso della Sacra Bibbia deve andar congiunto quello della Teologia Dogmatica, ai nostri giorni più chè mai necessario, non solo per conoscere a fondo le verità della fede, la loro ragionevolezza, la loro necessità per il nostro vero bene temporale ed eterno, ma anche per saperne render ragione ai contraddicenti: ut potens sit exhortari in dottrina sana, et eos, qui contradicunt, arguere (Ad Tit., I, 9), e ciò in maniera adatta alla condizione di ciascuno, sia dotto o ignorante, perchè: sapientibus et insipientibus debitor sum (Ad Rom., I, 14 ), dice San Paolo; e sopratutto per renderci più idonei a compiere efficacemente la nostra missione di educatori cristiani.
A questo fine infatti, secondo quanto prescrivono le nostre costituzioni, dev'essere diretto lo studio della Teologia, non che di quei libri e trattati, che parlano di proposito del modo d'istruire la gioventù nella religione ( art. 102 ). Non crediamo di saperne abbastanza per aver riportato l'optime negli esami sui varii trattati, o per aver conseguito con onore i gradi accademici.
Il dogma cattolico, più si studia e si penetra, più diventa fecondo di luce e di nuove meraviglie per le nostre menti. Ricorriamo poi a fonti sicure, non dimenticando che « il nostro maestro sarà S. Tommaso, e altri autori che nelle istruzioni catechistiche, e nella spiegazione della dottrina cattolica sono stimati comunemente più celebri » (Costit.: Art. 103 ).
Lo studio poi della Teologia Morale, Pastorale, Ascetica e Mistica, nonchè del Diritto Canonico secondo il nuovo Codice, quanto necessita di venire ben approfondito! Siccome, al dire del Ven. Cafasso, « la Teologia Morale, considerata nella sua applicazione, si può dire inesauribile ed infinita, come infiniti sono gli aggiunti e le circostanze che possono modificare le singole azioni ed il giudizio che se ne deve fare »; così il sacerdote .ha da studiarla per tutta la vita.
Altrettanto si deve dire della Teologia Pastorale, dell'Ascetica e della Mistica, le quali, per certi rispetti, si possono dire complemento e perfezione della Teologia Morale. Purtroppo questi tre rami della Teologia non sono appre77ati da tutti convenientemente, o per lo meno si considerano solo come retaggio di pochi sacerdoti privilegiati. Errore questo, per il quale non pochi sacerdoti, trascurando un tale studio, rimangono inetti a dirigere le anime, e ad elevarle a quel grado di santità cui Dio le chiama.
Nella direzione delle anime conviene curare non solo il minimum dell'obbligazione, ma anche il maximum della perfezione possibile; e questo vale altresì riguardo ai giovani affidati alle nostre cure. Noi dobbiamo mirare a farne dei santi, pur senz'averne l'aria; ma non potremo riuscirvi se non conosciamo bene la teologia ascetica e la mistica. Dicendo mistica non intendo riferirmi ai fatti straordinari della vita soprannaturale, ma solo alla perfezione cristiana raggiunta con la preghiera vocale, meditativa, affettiva e contemplativa, come insegna il nostro dolcissimo S. Francesco di Sales.
Procuriamo quindi, miei carissimi, di tenerci al corrente di questa scienza, per preparare alle anime una via sicura e piana al Cielo, iter tutum et planum, come appunto dice la Chiesa riguardo al nostro Patrono; per provvedere ad ogni bisogno, per illuminare le intelligenze, per consolare i cuori, per trarre abbondante profitto d'ogni dono anche soprannaturale delle anime, non lasciando che vadano frustrati i disegni di Dio sopra di esse.
Il nostro Ven. Padre possedeva a fondo questa scienza, ed aveva anche il segreto d'instillarla ne' giovani cuori, senza neppure farne il nome; e così ci diede un Domenico Savio, un Francesco Besucco, un Michele Magone, e tutta una falange di giovani e confratelli santi. Ma questo segreto non si può insegnare a parole: è un prezioso tesoro che si trova solo colla lettura assidua, attenta e amorosa della vita di Lui, e fortunati quelli che vi si dedicano! Quali meraviglie potranno operare nel campo dell'educazione!
Non meno raccomandabile è lo studio della Storia sacra, ecclesiastica e profana, che ci fornirà armi poderose per difendere la religione contro gli attacchi degli avversari, i quali fanno spesso della storia « una congiura contro la verità », secondo Pespressione del De Maistre. Quanti sforzi han fatto e fanno tuttora i Protestanti, i razionalisti e tutti gli altri nemici della Chiesa; per negare, alterare, contraddire certi fatti storici sia dell'Antico, sia del Nuovo Testamento, o riguardanti i Sommi Pontefici, deducendone conclusioni funeste alla fede!
Ora, se noi conosciamo bene la storia, potremo confutare facilmente questi errori e impedire che si diffondano in mezzo al popolo. Così ha fatto pure il nostro Ven. Padre, che sempre si adoperò a far conoscere al popolo le grandezze della Chiesa Cattolica e del Papa, e così dobbiamo fare anche noi.
Lo studio della S. Liturgia è anch'esso indispensabile. È questo studio che più d'ogni altro concorre a nutrire lo spirito ecclesiastico e sacerdotale, che infonde nell'animo amore e riverenza per le sacre cerimonie e per le funzioni della Chiesa, che fa penetrare il senso intimo delle solennità che si susseguono nei varii tempi dell'anno ecclesiastico, che, in una parola, ci fa vivere della vita stessa della Chiesa, nostra madre. È questo studio che ci fa ammirare l'alta sapienza della Chiesa nell'ordinamento liturgico delle feste e in tutte le sue prescrizioni anche le più piccole, che riguardano le Rubriche, le S. Cerimonie o il Canto Sacro, che ci rende accurati e diligenti nell'amministrare con edificazione i Ss. Sacramenti, e nel compiere bene e con decoro il Divino Sacrifizio ed ogni funzione.
Si legge che S. Teresa era disposta a dare la vita anche per il più piccolo precetto ecclesiastico: e noi troveremo pesante consacrare qualche tempo ad uno studio più accurato della S. Liturgia, delle prescrizioni, dei riti e delle cerimonie, della Chiesa, che il Concilio di Trento chiama venerande ed utili?
Rileggete con amore alcuni pensieri, che vi espressi sopra di questo medesimo argomento nell'Appendice I alla mia lettera sulla Vita di Fede, del 21 novembre 1912. Là troverete alcune considerazioni e norme pratiche, che mi lusingo abbiano sempre efficacia di eccitarvi ognor più allo studio diligente e accurato di quanto concerne la S. Liturgia.
Don Bosco anche negli ultimi suoi anni portava quasi sempre con sè il libro delle Rubriche per la celebrazione della S. Messa, e lo andava rileggendo attentamente. Imitiamolo!
A motivo della nostra condizione speciale di educatori dobbiamo pure coltivare le scienze profane naturali. Quindi con la lettura di qualche opera dei maestri del pensiero contemporaneo e di qualche buona rivista cattolica seguiamo, con un sano criterio e sapiente indirizzo, il movimento delle idee del nuovo tempo, le scoperte fatte nel mondo delle scienze, la tattica attuale de' nemici della Chiesa, le nuove forme che riveste l'errore, le obiezioni contemporanee contro le verità cristiane, e via dicendo.
Ma anche qui diamo la preferenza allo studio di quelle scienze; che più direttamente concorrono a farci meglio raggiungere il fine che D. Bosco ebbe nel fondare la Pia Società. Penetriamo quindi con cura affettuosa il pensiero educativo del nostro Ven. Padre, e procuriamo di approfondire le nostre cognizioni pedagogico-didattiche, ispirandole sempre ai concetti e alle direttive, che costituiscono la base del nostro sistema di educazione.
Inoltre coltiviamo con amore e con vivo interesse gli studi classici, specialmente di latinità, rimettendo in fiore i classici cristiani, affinchè il loro pensiero penetri nelle giovani anime e serva di contravveleno al pensiero dei classici pagani. Ricordiamo a questo proposito quanti sacrifici abbia sostenuto D. Bosco per diffondere le opere di questi grandi maestri nelle lettere e nella vita cristiana. È così che si concorrerà più efficacemente a liberare ovunque la scuola dalle mene segrete dei nemici della Chiesa, a dar un'impronta propria alle nostre scuole, che devono formare le novelle generazioni atte a riformare il vivere civile, guastato da tanti influssi malsani, ridonando dappertutto all'insegnamento la vera libertà, unica tutrice delle scienze e delle lettere. Tanto più poi ci deve stare a cuore lo studio di queste scienze in quanto giovano assai a procurare buone vocazioni allo stato ecclesiastico e allo stato religioso.
Non crediamoci però lecito di leggere qualunque cosa solo perchè siamo preti: le prescrizioni positive sulla censura e sulla proibizione dei libri, contenute nel Codice di Diritto Canonico (Lib., III Tit. 23, Can. 1384-1405 ), devono osservarsi diligentemente anche da noi: quindi senza permesso e senza grave necessità non leggiamo alcun libro scritto dai nemici della Chiesa, neppur sotto pretesto d'erudizione, o di esami da subire.
Che se taluno si trovasse eccezionalmente obbligato allo studio di qualche scritto pericoloso per la fede o per i costumi, ne ottenga la debita licenza, e poi, prima di farne uso, si procuri una profonda conoscenza della verità combattuta, e potendo ricorra anche al consiglio e all'assistenza di qualche confratello o persona che sia ben addentro nella materia di cui si tratta. Dio voglia che la trascura nza di questa importantissima cautela non abbia già reso debole la fede e rilassata la condotta di qualche povero confratello!
Studiamo dunque, studiamo con ardore e perseveranza, miei cari sacerdoti! Parecchi dei sacerdoti ordinati in questi ultimi anni non poterono frequentare la scuola regolarmente, o dovettero abbreviare il tempo, e quindi hanno un obbligo più pressante di completare convenientemente i loro studi ecclesiastici; ma anche gli altri non devono credersi dispensati dall'obbligo dello studio!
Nella scuola s'impara solo a studiare, ma dopo bisogna approfondire le cose studiate, e impedire che sfuggano dalla memoria; bisogna tenersi al corrente dei continui progressi delle scienze sacre, progressi non già nelle verità rivelate, chè il libro è chiuso con Gesù Cristo e i suoi Apostoli, ma bel darne la spiegazione, nel ricavarne le conseguenze, nel metterne in' rilievo le bellezze.
Persuadiamoci bene, miei cari, che lo studio ci è assolutamente necessario per conservarci sacerdoti di Gesù Cristo, sacerdoti nello spirito e nell'indirizzo abituale dei pensieri, sacerdoti nel cuore e nel ministero: sacerdoti come ci vuole e come fu D. Bosco!
Vi ho raccomandato tanto lo studio serio e ordinato, pur sapendo che ciò fate con molto buon volere. E l'ho. fatto per incoraggiarvi in una cosa di tanta importanza per la nostra Pia Società.
A ciò concorre assai il contenere nei giusti limiti la lettura dei giornali, come si esprimono le nostre Costituzioni, quindi non vi sia chi impiega il suo tempo disponibile in simili letture. A questo riguardo anzi tenete sempre presenti le disposizioni, che comunicai in proposito nell'Appendice III alla mia circolare sulla Vita di fede, più sopra citata, per conformarvi diligentemente la vostra condotta. I Signori Ispettori poi e i Signori Direttori siano vigilanti sopra di questo punto, come prescrivono le nostre Regole ( art. 7) , e i nostri Regolamenti, specialmente agli art. 270 e 397, e le ulteriori disposizioni dei Superiori.
Da quanto fin qui ho esposto non vorrei poi che qualcuno deducesse conseguenze non contenute affatto nella mia intenzione, specialmente per quel che si riferisce all'acquistare e ritenere libri per proprio uso.
A questo proposito non vi sono speciali raccomandazioni da fare, basterà che ciascuno procuri di osservare religiosamente quanto prescrivono le nostre Costituzioni all'art. 20, c; e i nostri Regolamenti agli art. 38, 39 e 40, nonchè le sagge avvertenze che il Rev.mo D. Rua, di s. m., faceva al riguardo nella sua Circolare del 1° dicembre 1909, N.° 38 (Lettere Circolari di D. Rua pag. 413).
L'amore o la passione allo studio non ci faccia mai dimenticare che sfamo vincolati dal voto di povertà, la cui osservanza esatta e diligente deve sempre precedere qualsiasi immoderato desiderio d'imparare. Si studi con amore e diligenza, mà non a detrimento della disciplina e della perfezione religiosa, e avendo di mira di rendersi sempre più capaci a disimpegnar bene quegli uffici assegnatici dall'ubbidienza, ricordando il detto dell'Apostolo S. Paolo: « Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem: et unicuique sicut Deus divisit mensuram (idei » (Ad Rom., XII, 3 ).
È facile comprendere i gravi inconvenienti che sorgerebbero a danno della nostra Pia Società da una condotta che non si conformasse a queste disposizioni; e a prevenire tali inconvenienti giova efficacemente che i Superiori interessati provvedano con saggezza e con amore perchè ogni Casa sia fornita d'una Bibliotechina, che soddisfi sufficientemente ai bisogni della medesima, in conformità e proporzione dello scopo dell'opera che svolge. Imitiamo D. Bosco, imitiamo D. Bosco anche in questo! e Maria SS. Ausiliatrice, che è pur sede della sapienza, guiderà e benedirà i nostri studi, come guidò e benedisse quelli del nostro buon Padre.
Ma l'ardore per la cultura della nostra vita intellettuale non basterebbe, o miei carissimi, a farci riconoscere degni figli di D. Bosco, se non ci eccitasse in pari tempo e con moltiplicata intensità a perfezionare la nostra vita morale, religiosa ed apostolica.
Dei vari fini dello studio enumerati da San Bernardo, solo gli ultimi due sono degni di noi: ut aedificentur, et prudentia est; ut aedificent, et hoc caritas est. Perciò la prudenza ci guidi ora nel richiamare alla mente e nel riconoscere quanto dobbiamo fare ut aedificemur, per santificarci: soltanto quando avremo provveduto alla nostra santificazione, potremo riuscire a santificare gli altri. Più precisamente, se vogliamo che l'apostolato fra i giovani sia fruttuoso, dobbiamo far servire i nostri studi all'acquisto della vita interiore.
L'abate Chautard, nel suo libro: L'anima dell'Apostolato, scrive opportunamente: « Vivere con se stesso, in sè, dirigere se stesso, e non lasciarsi dirigere dalle cose esteriori, ridurre l'immaginazione, la sensibilità, ed anche l'intelligenza e la memoria allo stato di serve della volontà, e conformare continuamente questa volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre meno, in questo secolo di agitazione, il quale ha veduto nascere un ideale nuovo: l'amore dell'azione per l'azione. Affari, sollecitudini di famiglia, igiene, buona fama, amor di patria, prestigio della corporazione, pretesa gloria di Dio, fanno a gara per impedirci di vivere in noi stessi. Questa specie di delirio della vita esteriore arriva anche ad esercitare su noi un'attrazione irresistibile ».
Non intendo qui di parlare della necessità della vita interiore: mi sia permesso però di accennare le cose più importanti per la soda formazione della nostra vita morale e religiosa di sacerdoti salesiani, per animare me e voi a metterle in pratica. In questa formazione, o miei cari, dobbiamo anzitutto aver sempre ben chiaro dinanzi alla mente lo scopo della nostra. vita, che è unicamente la gloria di Dio mediante la nostra santificazione e salvezza.
Alla visione del fine poi deve andar congiunta la stima soprannaturale della nostra vocazione sacerdotale, e la coscienza perenne del grave dovere ch'essa c'impone di servir le anime per guada= gnarle a Dio, di essere mediatori tra Dio e gli uomini, redentori e santificatori in unione con Gesù Cristo, sacerdote eterno. Non dimentichiamo inoltre che dobbiamo raggiungere questo fine essenziale del sacerdozio nell'ubbidienza assegnataci dai Superioni, e secondo la misura de' nostri talenti e delle grazie ricevute. Non c'è bisogno di compiere opere grandiose o atti eroici di virtù che non ci siano imposti dal nostro stato: basta che ci applichiamo a vivere e agire nell'obbedienza con spirito di perfetta conformità ai divini voleri e di unione intima con Gesù Cristo, facendo nel miglior modo possibile tutte le nostre azioni ordinarie, ed elevando, con l'intenzione, anche le più piccole e indifferenti al grado di opere meritorie per la vita eterna.
Di più, tranne qualche caso affatto eccezionale, nella direzione della nostra vita morale e religiosa bisogna seguire metodicamente il corso normale delle vie spirituali, ed elevarci alle vette della perfezione passando per i diversi gradi intermedi.
Quindi nelle nostre azioni dobbiamo proporci prima di ogni altra cosa la perfetta osservanza della legge naturale e dei dov.eri generali della vita cristiana, che sono il fondamento indispensabile di ogni vita sacerdotale e religiosa; non dobbiamo mai trascurare la pratica delle virtù ordinarie, la lotta contro il peccato e le cattive inclinazioni della nostra natura, le quali purtroppo non sono distrutte nè dalla consacrazione sacerdotale, nè dalla professione religiosa.
Guardiamoci però dall'errore, molto comune e molto pernicioso, di fermarci a questa pratica delle virtù ordinarie e a questa lotta contro le cattive inclinazioni, senza congiungervi il desiderio vivo di una perfezione più alta, e lo sforzo costante per conseguirla.
A una tale inerzia suole indurre la pigrizia spirituale, ed anche un falso concetto di ciò che esige la vocazione. Non basta un programma minimo di virtù, un grado di moralità solo sufficiente a mantenere l'anima nella grazia santificante, un'osservanza mediocre delle norme generali della vita sacerdotale, comuni a tutti i preti secolari. La nostra vocazione ci obbliga non solo a tendere alla santità: Haec est enim voluntas Dei, sanctificatio vestra. (I Ad Thess., IV, 3): ut essemus santi, et immaculati (Ad Eph. I, 4), ma anche ad acquistarla nel grado più perfetto che ci sú possibile, con l'orrore ad ogni male e con l'amore ad ogni bene poichè, come dice San Tommaso, la santità amovet a malo, faci, operari bonum, et disponit ad perfectum.
Uno degli aiuti più validi in quest'opera della nostra santificazione, lo abbiamo nelle Costituzioni che ci ha dato il nostro Ven. Fondatore. Il sacerdote salesiano che medita profondamente le Costituzioni e si sforza poi di praticarle con esattezza, può in breve tempo elevarsi fino alla perfetta unione con Dio, a quell'unione ch'è l'essenza della santità, e che in D. Bosco era ininterrotta, nonostante la molteplicità delle sue occupazioni.
Le Costituzioni infatti determinano tanto gli esercizi necessarii per nutrire in noi la vita spirituale (l'orazione, il Breviario, la S. Messa), quanto quelli destinati al rinnovamento dello spirito (la confessione, la direzione spirituale, i ritiri mensili e annuali, e conseguentemente gli esami di coscienza); tanto le divozioni particolari del nostro Istituto, quanto le virtù sacerdotali proprie della nostra missione; tanto il campo del nostro apostolato, quanto i modi pratici per esercitarlo con vantaggio degli altri e di noi stessi.
Ce lo dice D. Bosco medesimo nel,prezioso trattatello che precede le Costituzioni: « Adoperiamoci di osservare le nostre Regole, senza darci pensiero di migliorarle o di rifoimarle. — Se i Salesiani, disse il nostro grande benefattore Pio IX, senza pretendere di migliorare le loro Costituzioni, si studieranno di osservarle con precisione, la loro Congregazione sarà ognor più fiorente ».
Il medesimo concetto è espresso in modo più solenne da queste fatidiche parole del suo memorabile sogno del 10 settembre 1881 sull'avvenire della Pia Società: Attendite et intelligite: Meditatio matutina et vespertina sit indesinenter de observantia Constitutionum. Si haec feceritis, numquam vobis deficiet Omnipotentis auxilium. Spectaculum facti eritis mundo et Angelis, et tunc gloria vestra erit gloria Dei.
La Regola però non determina che le linee generali in ordine alla nostra santificazione; bisogna quindi integrarla e vivificarla colla genuina tradizione salesiana, tradizione che noi troviamo racchiusa nei Regolamenti, nelle primitive Deliberazioni Capitolari, nelle lettere e nelle circolari mensili dei Superiori Maggiori; e in quell'insieme di particolarità minute e di speciali consuetudini che si tramandano a viva voce e si conservano nella Casa Madre.
E a questo riguardo vigiliamo gelosamente, miei carissimi, che non abbia a penetrare nella nostra Pia Società nessuno dei tarli roditori dell'osservanza religiosa additati dal nostro buon Padre, e specialmente il primo, cioè il prurito di riforma.
Noi dobbiamo rimanere quali ci volle D. Bosco, e muteremmo la fisionomia ch'egli impresse nella Pia Società, se, mossi da troppo zelo di santità esteriore, volessimo dare alla vita nostra una molteplidtà di pratiche divote, le quali, pur essendo ottime per altri Istituti, tendono a snaturare il carattere di spiritualità intima e non appariscente che Don Bosco impresse al suo.
Sarebbe poi male peggiore se si andasse all'estremo opposto, e, mal interpretando le intenzioni del Fondatore, si ritenesse che per essere suoi seguaci basti aver la passione per la gioventù, la tendenza alla scuola e alla vita chiassosa in mezzo alle turbe giovanili, quantunque non si abbia diligente premura di esercitarsi attivamente nella propria santificazione.
Per evitare questi due estremi, occorre conoscere con chiarezza quali cose c'impongono le costituzioni per il nutrimento e il rinnovamento della nostra vita spirituale: quali divozioni e pratiche di pietà ci prescrivono, quali virtù ci obbligano ad esercitare, e in qual grado; e infine quali norme ci dànno per il nostro apostolato.
Le Costituzioni per il nostro nutrimento spirituale c'impongono tre cose: l'orazione, il Breviario, e la S. Messa. Non parlo delle varie preghiere vocali, che anche noi sacerdoti dobbiamo recitare con regolarità, attenzione scrupolosa e secondo il metodo prescritto, e possibilmente insieme colla comunità, se non ne siamo impediti da qualche urgente dovere del nostro ministero.
L'orazione, che le Costituzioni ci prescrivono a nutrimento dello spirito, è la mentale, che secondo S. Teresa è « una pura comunione d'amicizia, per mezzo della quale l'anima s'intrattiene da sola a solo con Dio, e non si stanca di manifestare il suò amore a Colui dal quale sa di essere amata »; e secondo S. Alfonso de' Liguori è « la fornace dove le anime s'infiammano d'amor di Dio ». « Se giova, dice S. Agostino, vivere con uomini saggi, perchè dalla loro conversazione c'è sempre da guadagnare; che dovrà dirsi di coloro che vivono abitualmente in compagnia di Dio? ».
Noi perciò, miei cari, per conformarci allo spirito delle Costituzioni, dobbiamo dare all'orazione mentale il carattere di vero trattenimento intimo, di conversazione semplice ed affettuosa con Dio, sia per manifestargli il nostro amore, sia anche per venir meglio a conoscere le opere necessarie per la nostra santificazione e per animarci a praticarle con maggior generosità.
Quest'esercizio, preso nel suo significato più largo, è non solo moralmente necessario alla conservazione della vita spirituale conveniente ad un prete, ma assolutamente indispensabile al progresso nella vita soprannaturale. Dobbiamo dunque attendere ad esso con costanza, non lasciandoci scoraggiare dalle, difficoltà che possiamo incontrarvi; e possibilmente farlo in comune, durante l'intiera mezz'ora prescritta.
Nel far l'orazione mentale seguiamo il metodo appreso durante il noviziato e gli anni della nostra formazione religiosa, e le norme contenute nel libretto: « Pratiche di pietà in uso nelle Case Salesiane ».
Evitiamo di aggravar la mente e il cuore con minute divisioni suddivisioni: queste cose intralciano l'opera dello Spirito Santo, e tolgono all'anima la libertà dei movimenti che le è necessaria per elevarsi a Dio. La nostra meditazione però sia attiva, cioè un vero lavoro delle potenze dell'anima, che non degeneri tuttavia in arida speculazione, ma limiti l'attività dell'intelletto soltanto alle conside-- razioni necessarie per muovere la volontà, ed eccitare in essa gli affetti soprannaturali.
I maestri di spirito dichiarano essere dottrina comune dei Santi che a ciascun grado di perfezione corrisponda un modo speciale d'orazione. Quindi, finchè l'anima nostra è assorbita dalle cure e occupazioni esteriori, per quanto buone siano, fino a tanto che è esposta a gravi pericoli di peccare, e insieme pgco esperta delle cose spirituali, avremo bisogno di molte riflessioni e considerazioni per elevare la nostra mente e íl nostro cuore a Dio, e muovere la nostra volontà a sante e forti risoluzioni.
A misura però che la forza delle passioni va in noi scemando, si fa più vivo il desiderio del progresso spirituale e più ardente l'amor di Dio, il lavoro dell'intelletto avrà una parte sempre minore nella nostra orazione, mentre prevarranno i movimenti del cuore, i santi desideri, le domande supplici e le risoluzioni fervorose. Questa è la cosidetta orazione affettiva, che è superiore all'orazione mentale, e che a sua volta conduce all'orazione unitiva, chiamata dai maestri di spirito orazione contemplativa ordinaria.
Qualcuno forse penserà che un Salesiano non debba mirare tant'alto, e che D. Bosco non abbia voluto questo dai suoi figli, giacchè da principio egli non impose loro neanche la meditazione metodica in comune.
Ma io posso assicurarvi che fu sempre suo desiderio di vedere i suoi figli elevarsi, per mezzo della meditazione, a quell'intima unione con Dio ch'egli aveva così mirabilmente attuata in se stesso, a questo non si stancò mai d'incitarci in ogni occasione propizia. Non abbandoniamo però l'orazione mentale semplice senza avere insistito a lungo negli sforzi per farla bene, nè senza aver preso consiglio da qualche illuminato direttore di spirito. Perseveriamo in essa, sopportando con umiltà e senza scoraggiamenti le difficoltà apparenti o reali che s'incontrano in quest'intimo commercio con Dio.
Le distrazioni della mente, le aridità del cuore non devono turbarci, e d'ordinario non dobbiamo nemmeno cercare di combatterle con sforzi eccessivi, i quali forse aumenterebbero il male anzichè diminuirlo. Cerchiamo però di toglierne le cause, esaminando se non provengano da qualche colpa o negligenza nostra, da mancanza di preparazione prossima e di raccoglimento, da difetto di metodo, da dissipazione abituale della vita, da passioni immortificate o mal combattute, da eccesso di attività naturale, da malessere fisico, ecc.
Se saremo uomini d'orazione, ci sarà facile sopportare con pazienza le avversità e le miserie della vita, trovare la forza e il coraggio per vincere le tentazioni del nemico, mortificare la volontà con tutte le sue inclinazioni, conoscere le astuzie del demonio, e sventarne le trame a nostro danno.
Ci sarà facile scacciare dall'anima nostra i vani pensieri e le cure soverchie, nutrirla di soda divozione, di pensieri buoni e di ardenti desiderii, confermarla nelle vie del Signore, ottenerle l'effusione e le grazie dello Spirito Santo, Maestro d'ogni verità, e inalzarla un po' per volta fino alla perfetta unione con Dio. L'orazione quindi è veramente il pernio vitale della perfezione religiosa.
La preghiera liturgica del Breviario è — dopo la Santa Messa e l'amministrazione dei Sacramenti — la funzione sacerdotale più necessaria ed onorifica; e noi dobbiamo stimarla e amarla, richiamandoci sovente alla memoria la sublimità del mandato che adempiamo quando, nonostante la nostra indegnità, offriamo a Dio, in nome di Gesù Cristo e della Chiesa universale, quest'omaggio collettivo, ufficiale, sociale dell'umanità e dell'intera creazione.
Il sacerdote infatti nell'esercizio di questa funzione cessa in certa maniera d'essere individuo singolo, e diviene moltitudine, popolo, società; ed è per questo che parla spesso in prima persona plurale, e invita ad ogni istante i cristiani a unirsi a lui nella preghiera; e se dice: Domine, exaudi orationem meam! aggiunge tosto: Oremus: preghiamo tutti insieme, o fratelli; e in questa preghiera il Signore sia con voi: Dominus vobiscum!
Oh! quanto augusta ed eccelsa è mai questa funzione, e quanto giova a mantenere nel sacerdote lo spirito soprannaturale che tutto deve informarlo! Le preghiere ch'egli va leggendo, sono in gran parte composte di parole ispirate da Dio medesimo, sono l'espressione del suo pensiero. L'adorazione, la lode, l'ammirazione, il ringraziamento, il dolore, il pentimento, l'amore, i più santi ardori e desideri trovano nel nostro Breviario l'espressiqne più sentita e più efficace.
Veramente l'uomo non saprebbe da solo trovare un linguaggio così espressivo, nobile e santo per parlare con Dio, come quello del Breviario! Quale aiuto possente è offerto alla nostra fede, alla nostra pietà, alla nostra divozione da questa preghiera così varia e così sublime nella sua semplicità!
Procuriamo dunque, miei carissimi, di penetrarci bene di questo importante dovere, e di compierlo con tale attenzione e fervore da edificare quanti ci vedono, e da nutrire veramente l'anima nostra coi divini insegnamenti e coi santi affetti racchiusi nelle preghiere che leggiamo!
Per riuscirvi però occorre una preparazione prossima, immediata, specie quando siamo più carichi di occupazioni o in un certo stato di abbattimento fisico o morale. Anzitutto dobbiamo ordinare la recita del Breviario in conformità del nostro calendario liturgico, e scegliere un luogo propizio al raccoglimento e alla pietà. Il nostro Ven. Padre fin dal primo anno del suo sacerdozio aveva fatto questo proponimento: « Procurerò di recitare divotamente il Breviario, e di recitarlo preferibilmente in chiesa ». Forse quest'ultima cosa non ci sarà sempre possibile; ebbene, in tal caso recitiamolo pure in camera, o passeggiando in luogo conveniente, tranquillo e solitario; l'essenziale è che poniamo ogni studio per evitare le cause di distrazione e d'interruzioni.
Prima di cominciare la recita raccogliamoci qualche istante per fare un atto di viva fede, per allontanare dalla mente ogni altro pensiero, per porre le varie intenzioni generali e particolari, e per chiedere allo Spirito Santo la grazia di pregar bene. Poi recitiamolo digne - attente - ac devote, come ci suggerisce la Chiesa nell' Aperi Domine.
Digne, cioè con rispetto e fedeltà: rispetto interno ed estimo, manifestato dal contegno modesto e religioso del corpo e dalla riservatezza dei sensi; fedeltà nell'osservanza precisa e costante delle prescrizioni liturgiche.
Attente, sia pronunziando le parole del testo distintamente e con senso, sia sforzandoci, senza ansietà, di comprendere il significato letterale delle parole che pronunziamo, e di rigettare prontamente ogni divagazione dello spirito; ma sopratutto evitando ogni precipitazione e fretta nel compimento di questo nostro precipuo dovere, e procurando di tenere la nostra mente fissa in Dio, che è il fine delle nostre orazioni, per adorarlo, amarlo, e ringraziarlo con tutta l'anima, e per implorare da Lui con gli affetti del cuore quelle grazie di cui abbiamo bisogno.
Questa è la terza delle tre attenzioni, che, secondo San Tommaso, si possono avere nelle orazioni vocali. Triplex est attentio, quae orazioni vocali potest adhiberi: una quideni, qua attenditur ad verba, ne aliquis in eis erret; secunda,‘qua attenditur ad sensum verborum; tertia, qua attenditur ad finem ,orationis, scilicet ad Deum, et ad rem pro qua oratur (2, 2, q. 85, a. 3 in corp.); e lo stesso Santo Dottore la dice maxime necessaria ( ibid. ), perchè è quella che dà precisamente alla nostra orazione il vero carattere di preghiera, che è elevatio mentis in Deum.
Devote, cioè con amore, pietà e fervore, in ispirito di orazione, fermandoci alquanto sulle preghiere che più ci commuovono. Di grande aiuto è il leggere qualche succinta parafrasi dei Salmi, ad es. quella eccellente desunta dalle opere del Ven. Bellarmino: una tale preparazione dischiuderà all'anima nostra le mirabili bellezze e i tesori spirituali del Breviario.
Ma l'azione vera del sacerdote, quella per la quale egli è costituito dal Sacramento dell'Ordine, voi ben lo sapete, o miei cari, è la celebrazione del S. Sacrifizio della Messa. Tutte le azioni più sante che si son compiute o si compiranno in avvenire, tutte le più ardenti e serafiche preghiere non solo della Chiesa militante, ma anche di quella trionfante, tutte queste cose prese insieme non valgono una sola Messa.
La Messa è il compendio di tutti i sacrifici antichi, che univano l'umanità al suo Dio: l'olocausto, l'ostia pacifica, la vittima pel peccato; è il sacrifizio della Croce, che perennemente si rinnova a noi; è l'immolazione di un Dio, che in certo modo si mette fra le nostre mani; è un Dio che adora, un Dio che ringrazia, un Dio che placa, un Dio che implora.
E noi sacerdoti siamo gli strumenti attivi di tante meraviglie, le quali stabiliscono fra Dio e noi una unione che direi unica nel suo genere, e che trova il suo riscontro solo nell'unione ipostatica e in quella di Maria col Verbo incarnato. La Vittima divina che offriamo a Dio dà la sua carne in cibo all'anima nostra, e si fa per così dire una sola cosa con noi, comunicandoci la sua vita medesima. È Dio che prende possesso del nostro essere, per sostituirvi le sue perfezioni alle imperfezioni e miserie nostre. Qui manducat de spirituali convivio, dice San Giovanni Crisostomo, impletur Spiritu Sancto, dilatatur sensibus, nutritur in veritate, pinguescit in fide et acquirit vitam aeternam. (Homil. XVII, sup. Matth.).
E quest'unione con Dio presente in noi non si limita ai brevi istanti della Comunione sacramentale, ma si mantiene anche dopo che le sacre specie sono scomparse. In me manet et ego in illo. (Joan., VI, 57). Gesù rimane in noi colla sua vita, perfezionando con azione misteriosa ed incessante il nostro essere. Eucharistia,
dice San Tommaso, perficit Christo coniungens, et ideo hoc Sacramentum est perfectio perfectionum. (S. Thom., in IV; dist. VIII. q. la. art. 1°, q. 3 ad 1.°').
Meditiamo di frequente, cari sacerdoti, sull'eccellenza della Messa, per poterla celebrare sempre con intenso amore, e con quella scrupolosa esattezza che nasce dall'idea d'un grande dovere e dal sentimento d'un'alta responsabilità. Avvezziamoci a considerarla come vivente memoria, riproduzione e applicazione del sacrifizio della Croce, in cui il Sacerdote celebrante fa le veci di Gesù Cristo sacerdote eterno.
Sull'esempio di D. Bosco, non omettiamo mai la celebrazione della Messa, per quanto molteplici ed urgenti siano le nostre occupazioni, eccetto il caso d'impossibilità o di malattia; allora però dovremmo procurare almeno di ricevere la S. Comunione.
Nè dispensiamoci mai dalla preparazione prossima, dall'eccitarci alla contrizione perfetta, dal determinare bene tutte le intenzioni generali e particolari secondo cui intendiamo o dobbiamo celebrare. E teniamo sempre scolpito in mente quel passo dell'Imitazione ( lib. IV, c. XI, 6, 7), in cui sono così mirabilmente compendiate le doti e le disposizioni necessarie per ben celebrare: O quam mundae debent esse manus illae, quam purum os, quam sanctum corpus, quam immaculatum cor erit sacerdotis, ad quem toties ingreditur Auctor puritatis! Ex ore sacerdotis nihil nisi sanctum, nihil nisi honestum et utile procedere debet verbum, qui tam saepe Christi accipit sacramentum. Oculi eius simplices et pudici, qui Christi corpus solent intueri! Manus purae, et in caelum elevate, quae Creatorem caeli et terrae solent contrectare!
Durante la celebrazione non pensiamo più ad altro che a mantenerci nelle disposizioni più sante possibili: calma, raccoglimento, timore riverenziale. Dopo la consacrazione, il pensiero costante che ci troviamo faccia a faccia con Dio e siano in unione intima con Gesù Sacerdote e Vittima, ecciti in noi il fervore della preghiera e una santa avidità di approfittare di quegl'istanti così preziosi.
Osserviamo con religiosa attenzione le minime rubriche: pronunzia distinta e intelligibile di tutte le parole, principalmente di quelle del Canone; gravità semplice, e improntata a pietà; riverente posatezza nelle azioni prescritte, al che deve badare sopra-tutto chi è di indole vivace e sbrigativa; non singolarità nel portamento, nel tono, nella pronunzia, nei movimenti; non genuflessioni a metà, non sguardi curiosi o distratti, non mezzi segni di croce, non esclamazioni nè sospiri.
Dopo la S. Messa guardiamoci bene dal divagarci o discorrere subito con altri: oh! come ci teneva a questo il 'nostro Ven. Padre! come insisteva che i suoi figli non facessero mai eccezione a questo riguardo, e che in sacrestia si osservasse da tutti un religioso silenzio!
Deponiamo con riverenza e garbo i sacri paramenti, e poi facciamo il nostro ringraziamento di almeno un quarto d'ora, col più grande raccoglimento a noi possibile. Se dalla Messa non ricaviamo tutto il frutto di santificazione che per sè è destinata a produrre, ciò in gran parte è da attribuire alla mancanza del conveniente ringraziamento. Facciamo un po' di esame su questo punto, e poi proponiamoci d'imitare i luminosi esempi di D. Bosco: Molte altre cose si potrebbero dire su quest'azione divina del sacerdote; ma non mancano i libri che ne trattano espressamente, e d'altra parte son persuaso che voi ne fate già l'argomento preferito delle vostre meditazioni, e perciò passo ad altro.
Oltre all'orazione, al Breviario e alla S. Messa, che hanno da essere l'alimento fondamentale della nostra vita di sacerdoti salesiani, le Costituzioni ci prescrivono ancora altri esercizi atti a corroborarci nello spirito, vale a dire la confessione settimanale, la direzione spirituale, l'esame di coscienza, la lettura spirituale, e i ritiri mensili e annuali.
Anzitutto la Confessione. Anche parlando a voi, miei cari sacerdoti, non sarà del tutto inutile il richiamare la vostra attenzione sul pericolo che vi è di ridurla ad una mera formalità, e di farla macchinalmente e per abitudine. Teniamolo lontano da noi tale pericolo, col ravvivare la nostra fede e riverenza verso questo Sacramento della divina misericordia, .e col prepararci ad esso meglio che possiamo.
Richiamiamo con frequenza alla nostra mente quanto' abbiamo studiato nella Teologia Dogmatica e Morale intorno all'origine e natura divina di questo Sacramento, che porta più profonda l'impronta di quella che può dirsi l'opera di Dio per eccellenza, l'opera cioè della nostra redenzione, e che perciò è meraviglioso in sè e nella sua efficacia. Facciamone argomento delle nostre meditazioni, e ci persuaderemo sempre meglio dell'infinita bontà e misericordia di N. S. Gesù Cristo nel donare agli uomini questa fonte meravigliosa di ogni santità, e nel comunicare a noi sacerdoti la sua stessa autorità in ordine alla remissione dei peccati, associandoci così intimamente alla sua opera redentrice.
Erit fons patens domui David, in ablutionem peccatorum, aveva profetato Zaccaria (XIII, I), e non v'ha dubbio alcuno chela fonte da lui vaticinata è questo Sacramento: fonte non chiusa,. come la piscina probatica, di cui solo una volta all'anno l'Angelo scendeva a muovere le acque, per renderle salutifere al primo che vi s'immergeva; ma a tutti aperta e accessibile in ogni tempa, e con cui ogni sacerdote, Angelo novello, "pìiò guarire le anime dalla loro infermità, e mondarle da ogni macchia.
Nulla può resistere alla potenza purificatrice e rigeneratrice di questo Sacramento: non la gravezza dei peccati, non la lorq quantità o diuturnità, non la proclività dell'abito connaturato: Gesù' ha dato agli Apostoli e ai loro successori il più ampio e illimitato• potere di rimettere i peccati.
Quello che è più meraviglioso e notevole, dice il Faber, nella, condizione di un'anima battezzata di fronte al peccato, è la perpetua ed illimitata ripetizione di questo Sacramento di purificazione, che è il Sacramento della Penitenza.
Questa purificazione è opera eminentemente positiva, è la giustificazione, la quale non si ha, nè si può avere se non per la infusione della grazia abituale perduta per il peccato. Nell'atto in cui l'assoluzione discende nell'anima, questa ritorna alla vita della grazia, ricupera i meriti delle opere mortificate dal peccato, e il potere di acquistarne dei nuovi e più grandi con l'esercizio e la perseveranza nel bene.
È vero, miei carissimi, che l'assoluzione non rende impeccabili; l'esperienza ben ce lo dice; ma non è piccolo il numero delle anime, che ricevendola con le disposizioni richieste ne sono così rinfrancate, che, per quanto possa esser lunga la loro vita, per quanto radicati gli abiti cattivi, per quanto frequenti e gravi i pericoli, violente le tentazioni, allettatrici le attrattive, pure perseverano nel bene, anzi crescono in virtù, e non rare volte giungono a toccare la santità più eminente.
Ora, queste anime che sono state in tal maniera pervase dalla virtù del prezioso Sangue di Gesù, da non commettere più alcuna colpa grave, quantunque sentano di non essere obbligate ad accostarsi a questo lavacro di rigenerazione, istituito per i peccati mortali, vi si accostano tuttavia con tanto maggior frequenza, e con disposizioni tanto più perfette, quanto meno può sembrare che ne abbiano bisogno.
E allora cosa avviene in esse? Allora non solo è riconfermato il perdono delle colpe gravi, ogni qualvolta ne fanno anche solo generica accusa, e non solo sono cancellati i peccati veniali che le deturpavano e le rendevano meno belle agli occhi di Dio; ma si accresce inoltre in esse la divina grazia, e con la grazia abituale si moltiplicano pure le grazie attuali necessarie per conservarsi stabilmente nell'intima amicizia di Dio. La loro mente è sempre più illuminata riguardo alle cose spirituali, e la volontà sempre meglio si rinfranca nei suoi propositi, e si sente come portata da una fotza misteriosa ad avanzare agile e spedita sulla via del bene, superando ogni ostacolo.
Per questo i Santi, quanto più crescevano in santità, e tanto più sovente si accostavano a questo sacramento; perchè profonda era in loro la convinzione, non esservi mezzo migliore per mondarsi dalle minime imperfezioni e per crescere nella virtù e nella santità, che il tuffarsi spesso in queste acque salutari. Perciò, miei cari, se veramente vogliamo sperimentare ancor noi la forza di questo rimedio, la virtù di questo balsamo, l'efficacia di questo conforto, dobbiamo come i Santi accostarci frequentemente alla confessione ( almeno ogni settimana, conforme prescrivono le Regole), non solo per mondarci dalle colpe, ma anche per aver nuove grazie di luce, di forza, di santa letizia, che ci aiutino a progredire sempre più nella perfezione religiosa.
Non gioverà però la frequenza a questo Sacramento, se non vi compiremo gli atti e non vi porteremo le disposizioni che la sua natura stessa richiede, e che il divin Salvatore vuole da noi. Non fa certo mestieri ch'io ripeta qui a voi ciò che riguarda tali disposizioni e tali atti, perchè son cose che tutti conosciamo ed abbiamo praticato, più o meno perfettamente, fin da bambini. Mi accontento solo di alcuni semplici riflessi.
Il Faber in una delle sue ammirabili Conferenze cerca quale sia la causa per cui la confessione frequente è così poco fruttuosa, e la trova unicamente nella mancanza di retta intenzione: tutti gli altri difetti che sogliono guastare le nostre confessioni, in ultima analisi fanno capo a questo.
Certo noi, in ossequio alle Regole, ci confessiamo settimanalmente, e siamo anche abbastanza diligenti nella preparazione: facciamo un sufficiente esame, ci eccitiamo ad un dolore prófondn, nè ci manca la volontà deliberata di farci migliori. Anche l'accusa pare non abbia difetti notevoli, onde l'assoluzione produce il suo effetto purificatore. Ma diveniamo noi migliori come abbiamo promesso?
Forse son dieci, dodici, vent'anni e più che continuiamo a confessarci ogni settimana, eppure ci troviamo sempre su per giù allo stesso punto, se non peggiori di prima. Qual è dunque il difetto segreto, che, quasi tarlo roditore, gusta tanta opera nostra insieme e di Dio, anzi più di Dio che nostra? La mancanza della purità d'intenzione, il non mirare unicamente e semplicemente a Dio.
Infatti, se ben ci esaminiamo, i motivi prevalenti che c'inducono ad accostarci alla confessione sono il più delle volte i meno retti. Talora, per es., si sente il bisogno d'andare a confessarsi, più che per il dolore d'aver offeso Dio, per timore della pena che tien dietro al peccato, sia esso l'inferno o il purgatorio. Questo motivo, in sè buono e santo, se diviene predominante toglie certo molta efficacia alla confessione, in ordine alla nostra perfezioné sacerdotale, perchè questa si compie nell'amor filiale e non nel timore.
Altre volte siamo indotti a confessarci non tanto dal peccato quanto dalle angustie che proviamo; oppure andiamo a confessarci perchè dobbiamo comunicarci nella S. Messa, e così praticamente dimentichiamo che la confessione è un Sacramento a sè, facendone quasi un rito di preparazione alla Messa.
Oppure vi andiamo perchè abbiamo bisogno di consiglio, od anche solo perchè è venuto il giorno stabilito. Non già che la fedeltà al giorno stabilito non sia cosa lodevole; ma se ci fermiamo alla materialità di essa, in breve l'accostarsi al Sacramento sarà una semplice formalità.
Perciò, miei cari sacerdoti, è molto importante che, venuto il giorno della nostra confessione, rinnoviamo l'intenzione di accostarci a questo lavacro purificatore per renderci più accetti a Dio, per servirlo con maggiore sua soddisfazione, per rinfrancarci nel suo servizio, per crescere in energia, generosità e costanza.
Nel giorno stabilito offriamo le preghiere della S. Messa e dell'ufficio per ottenere la grazia di ben confessarci, ed esaminiamo la nostra coscienza con rettitudine e severità, evitando però la soverchia applicazione, le ansietà e gli scrupoli nella ricerca dei mancamenti. Piuttosto insistiamo sull'eccitarci ad una vera e viva contrizione, con la recita attenta di qualcuno dei salmi penitenziali, con la meditazione di qualche stazione della Via Crucis, od anche solo contemplando per alcuni istanti il Crocifisso; e poi facciamo dei fermi proponimenti, determinando bene il difetto che vogliamo combattere, o meglio la virtù che vogliamo praticare.
Qui merita di essere praticata la norma che dava un .esperto direttore di spirito: « Quando le colpe veniali dice egli sono avvertite, si deve avere a loro riguardo un distino dolore e un particolare proposito, se almeno si vuole veramente emendarsene; ma se le colpe veniali sono più per debolezza e fragilità, per sorpresa, allora è molto meglio concepire il dolore e fare il proponimento sulla negligenza nel valersi dei mezzi per evitarle, o almeno per diminuirle, negligenza che ben difficilmente manca. Invero, mettendosi subito a usare tali mezzi come si conviene, si è sicuri di schivare anche la massima parte di quei difetti ».
Durante la confessione, lo spirito di fede ci faccia veder Dio nella persona del confessore; osserviamo tutte le rubriche prescritte dal Rituale o consacrate dall'uso; facciamoci conoscere quali siamo, confessando le nostre colpe con chiarezza, semplicità, precisione, umiltà, calma e lealtà, senza scuse nè artifizi, senza falso rossore nè rispetto umano.
Al momento dell'assoluzione rinnoviamo il dolore dei peccati commessi, riceviamo con gioia riconoscente la grazia sacramentale, non omettiamo mai un fervoroso ringraziamento, ed eseguiamo al più presto la penitenza che ci sarà ingiunta.
Ma affinchè la confessione produca in noi, sacerdoti e religiosi, tutti i suoi frutti di santità, e santità grande, bisogna che ci facciamo uno studio di non cambiare il nostro confessore senza una vera necessità, e in pari tempo ricordiamo che le Costituzioni dicono di accostarci al Sacramento della Penitenza da confessori qui... munus illud erga socios exerceant cum Rectoris licentia. Al Canone 519 del Codice di Diritto Canonico è detto chiaramente che tale Regola resta in tutta la sua integrità, nonostante la li bertà concessa ad ogni religioso, ad suae conscientiae quietem, accostarsi anche a confessori non annoverati fra quelli designati dal Superiore legittimo.
Ed io, per il vero bene dell'amata Congregazione e per, la conservazione del genuino spirito salesiano in ciascuno di noi, inalzc al Signore la più fervida preghiera perchè l'art. 108 delle Costituzioni sia ora e sempre osservato da ogni socio in tutta la sua integrità.
Accanto al Sacramento della misericordia di Dío, e in certo modo quasi a complemento di esso, sia come rimedio, sia come conforto nelle molteplici difficoltà che offre l'acquisto della perfezione religiosa, vi è la direzione spirituale, e di essa pure, miei cari sacerdoti, intendo parlarvi brevemente.
La direzione spirituale è l'insieme dei consigli, delle norme teoriche e pratiche, che una persona saggia e sperimentata nelle vie dello spirito, dà ad un'anima che desidera progredire nella perfezione.
Negli antichi monasteri questa direzione formava una cosa sola col rendiconto: il religioso manifestava al Superiore con filiale fiducia tutta la sua coscienza, e ne veniva diretto in foro esterno e in foro interno.
La Santa Chiesa però, a tutela della libertà di coscienza, ha stabilito che il rendiconto si aggiri solo su cose esterne, come avvertono espressamente anche le nostre Costituzioni; non escludendo però che il religioso possa di sua libera volontà aprirsi interamente col Superiore. Chi dunque ha nel suo Superiore una illimitata confidenza, e si sente di rivelargli anche le cose più intime dell'anima sua, può farlo, che ne ritrarrà inestimabili vantaggi.
Chi poi preferisce limitare alle cose esteriori il proprio rendiconto ( che nessuno deve mai omettere di fare mensilmente ), si ricordi che una direzione spirituale gli è indispensabile anche se è sacerdote, e procuri perciò di averla da colui che gl'ispira maggiore fiducia.
Naturalmente il confessore, non essendo solo giudice, ma ancora medico e maestro, amico e padre, conoscendo più d'ogni altro le spirituali nostre qualità e tutto l'insieme della vita nostra, può, nel Sacramento e fuori di esso, farsi nostra guida nella via della religiosa perfezione, tanto più che, nel nostro caso, egli medesimo è tenuto a perseguire la nostra stessa perfezione e a vivere dello stesso spirito religioso.
Ho detto, miei cari, che la direzione spirituale ci è Mispensabile anche se sacerdoti: il sacerdozio e la professione religiosa ce ne fanno un obbligo maggiore, in quanto che, come sacerdoti e come religiosi, siamo tenuti ad una perfezione più alta di quella che si potrebbe esigere dai semplici cristiani.
Infatti, senza una soda direzione spirituale, è pressochè impossibile divenir perfetti: questo è il sentimento unanime dei Padri e Dottori della S. Chiesa, e di quanti uomini spirituali fiorirono nel corso dei secoli cristiani. — Chi s'appoggia al proprio giudizio, asserisce Cassiano, non arriverà mai alla perfezione, e non potrà sfuggire alle insidie del demonio (Conf. II, 14, 15).
E San Vincenzo Ferreri: — Nostro Signore, senza del quale nulla possiamo, non accorderà mai la sua grazia a colui, che, avendo a sua disposizione un uomo capace d'istruirlo e di dirigerlo, trascura questo mezzo potente di santificazione, credendo di bastare a se stesso, e di potere con le proprie forze cercare e trovare le cose che gli sono utili alla perfezione dell'anima.
Questa della direzione è la via regia che guida sicuramente gli uomini in cima alla scala misteriosa dove si trova il Signore: è la via che han battuta i Santi: hanc viam tenuerunt omnes sancti. Solo poche anime privilegiate, prive senza lor colpa d'un direttore spirituale, furono guidate immediatamente da Dio con illstrazioni personali; ma questa è l'eccezione, e non la regola. (De vit. sp.,11,1).
Anzitutto, dice San Gregorio Magno, bisogna applicarsi a trovare una buona guida e un buon maestro ( Lib. de Virg., c. 13).
— È grande orgoglio, continua S. Basilio, il credere di non aver bisogno di consiglio. ( In cap. I, Isaiae). — Son poveri illusi, esclama a sua volta San Giovanni Climaco, quelli che confidando in se medesimi hanno creduto di non aver bisogno di guida. (I Grado, cap. 2). — Quegli che presume di farsi maestro e guida a se stesso, dice S. Bernardo, si fa discepolo d'uno stolto (Epist. 87).
Insomma, o miei cari sacerdoti, da tutti gli scritti degli uomini spirituali si eleva una voce concorde per dirci la necessità della direzione spirituale, la quale, se vogliamo ben penetrare lo spirito delle nostre Regole, ci è pure inculcata dall'art. 18, dove siamo invitati a manifestare ai Superiori con semplicità e spontaneamente le infedeltà esteriori commesse contro le Costituzioni, ed anche il nostro profitto nella virtù, affinchè possiamo ricevere da loro consigli e conforti, e, se farà d'uopo, anche'le convenienti ammonizioni. Meglio di così non poteva essere insinuata la pratica della direzione spirituale!
Non occorrono altre parole per dimostrarne la necessità; tuttavia giova osservare che, quando sentiamo dire che qualcuno s'è allontanato dalla vita religiosa che aveva professata, mentre compiangeremo una sì gran disgrazia, invocando con la preghiera la misericordia di Dio sull'infelice, dobbiamo pensare che tale sventura non gli sarebbe certamente avvenuta, s'egli si fosse affidato ad un buon direttore spirituale, e ne avesse seguiti i consigli e le esortazioni.
Ma la direzione spirituale, miei cari sacerdoti; non dev'essere una cosa saltuaria e mutevole, bensì un sistema unico e costante di condotta, teorico e pratico insieme, atto a guidarci alla santità.
Il còmpito del direttore spirituale è quello di farci conoscere quello che Dio vuole da noi, le virtù che dobbiamo praticare, i mezzi a cui dobbiamo ricorrere, i pericoli contro cui dobbiamo premunirci per non venir meno alla nostra vocazione salesiana.
È lui che deve eccitarci quando siamo rilassati, e moderarci negli ardori indiscreti; è lui che deve frenare la nostra immaginazione, e additarci la giusta misura da tenere nella pratica della virtù, nella scelta delle letture; e nelle relazioni col prossimo, la vera natura delle tentazioni e le armi più opportune per combatterle.
È lui che deve istruirci sui mezzi migliori per sradicare i difetti e acquistare le virtù; che deve misurare la nostra esattezza nelle pratiche di pietà, nell'osservanza delle regole é nell'adempimento dei doveri inerenti alla vocazione. Ora queste cose non possiamo avere se non da una guida stabile e tutta ripiena dello spirito salesiano.
Il nostro Patrono S. Francesco di Sales dice bellissime cose intorno al direttore spirituale, e molte fanno al caso nostro. Tra l'altro nella Filotea (I, 4) dice: « Non consideriamolo come un semplice uomo, e non riponiamo la nostra fiducia in lui come lui e nel suo sapere umano, ma in Dio che ci comunicherà i suoi favori e le sue ispirazioni mediante il ministero di quell'uomo, mettendogli nel cuore e sul labbro quanto sarà richiesto dal nostro bene... Trattiamo con lui a cuore aperto, con ogni sincerità e fedeltà, manifestandogli chiaramente il bene e il male senza finzioni nè dissimulazioni; in tal modo il bene sarà preso ad esame e fatto più sicuro, e il male corretto e rimediato: così anche ci sentiremo alleggeriti e fortificati nelle nostre pene, e ci serberemo modesti e regolati nelle nostre gioie.
Anche intorno agli altri esercizi sopra accennati, cioè l'esame di coscienza, l'Esercizio della buona morte; gli Esercizi spirituali annuali e la lettura spirituale, vi sarebbero molte cose a dire; ma mi limiterò a raccomandare a voi e a me di non trascurarne alcuno, affinchè in punto di morte abbiamo tutti la consolazione di poter dire a noi stessi che li abbiamo compiti regolarmente e diligentemente. Permettetemi tuttavia che insista alquanto sulla pratica giornaliera dell'esame di coscienza, per la sua somma importanza anzi necessità assoluta per chi è stato chiamato alla vita di perfezione religiosa.
Persino i filosofi antichi, che si sono in qualche modo occupati della scienza pratica della vita, hanno riconosciuto l'importanza di questo mezzo per ben ordinare la propria condotta, e l'hanno lodato, praticato e insegnato ai loro discepoli.
Ma noi, o miei cari, non abbiamo bisogno di appellarci alla sapienza pagana, perchè abbiamo la parola dello Spirito Santo medesimo, che ci inculca di riandare gli anni della nostra vita nell'amarezza dell'anima nostra (Is., 38, 15 ); di raccoglierci nella nostra stanza a pentirci dei nostri falli, nascosti nell'interno del pensiero (Salm., 4, 5); di giudicarci da noi medesimi, per non essere severamente giudicati da Dio (I Cor., II, 31). Per citare solo qualcuno dei moltissimi luoghi della Scrittura che trattaiSo tale argomento.
Perciò i Padri, i Dottori della Chiesa, e quanti hanno aperto scuole di cristiana perfezione, dai più antichi ai più recenti, inculcarono sempre l'esame di coscienza quotidiano come un mezzo indispensabile per andar innanzi nella perfezione: hoc fac singulis diebus, dice per es. S. Giovanni Crisostomo ( In Psalm. 4 ).
E notate ch'essi inculcavano l'esame di coscienza a tutti i cristiani che vogliono vivere in grazia di Dio e salvarsi; e non solo a quelli, che son chiamati ad abbracciare lo stato dei consigli evangelici.
Ascoltatemi, diceva S. Giovanni Crisostomo ai fedeli di Costantinopoli: voi avete un registro su cui notate le entrate e le uscite di ciascun giorno, e non andate a dormire alla sera senza aver tirato i vostri conti. Orbene, la vostra coscienza non è forse un libro aperto, in cui dovete ogni sera registrare partitamente le vostre perdite e i vostri profitti? Ogni sera dunque, prima di addormentarvi, prendete questo libro e dite a voi stessi: Andiamo, anima mia, facciamo un poco i conti: che hai tu fatto di bene, che hai commesso di male?
Ora, se l'esame di coscienza è così necessario per tutti, non sarà forse infinitamente più necessario a noi che, chiamati dal Signore, abbiamo abbracciato la vita di perfezione? Noi non arriveremo mai ad una perfetta purità di coscienza, se non vegliamo su tutti i movimenti del cuore e su tutti i nostri pensieri, in modo da evitare, per quanto è possibile, qualunque cosa che possa dispiacere a Dio e che non tenda alla sua gloria. Ma per conoscerci e vigilare sopra di noi bisogna che ci esaminiamo con diligenza quotidianamente.
Con quest'esercizio, al dire di S. Basilio, divengono utilissimi tutti gli altri della vita di perfezione, quali sono i SacrameMi, la meditazione e la preghiera, mentre senza di esso tali esercizi o non si fanno, o non si fanno bene: certo non se ne cava quel profitto che si dovrebbe. Prendiamo per es. la meditazione: che altro è mai, se non il preventivo, per così dire, morale e spirituale della giornata? Ma a che potrà essa giovare, se la sera non faremo di riscontro, il consuntivo, per vedere come gli effetti abbiano corrisposto alle previsioni, anzi agli stanziamenti fatti a bene dell'anima, a gloria di Dio?
Ecco perchè non vi è pratica a cui il demonio faccia una guerra così spietata, valendosi di tutte le sue arti e di tutti i suoi mezzi, come a questa dell'esame. Egli ben sa che se riesce ad impedirla ad un'anima, questa, per quanto frequenti i Sacramenti e si ecciti al fervore di spirito, non progredirà mai nelle vie della perfezione e potrà quando che sia divenire sua preda, per la mancanza della piena e perfetta cognizione di se stessa, e particolarmente dei lati più deboli e più accessibili ai suoi attacchi.
Ma perchè l'esame di coscienza torni realmente proficuo al nostro spirito, bisogna che sia davvero quotidiano, che per nessun pretesto ci dispensiamo dal farlo, e che lo facciamo come si conviene anche nella sua parte intrinseca.
Il demonio, quando non riesce a farcelo tralasciare del tuttot procura che lo facciamo trascuratamente, nel qual caso non si conclude nulla, e, quel ch'è peggio, si ha ancora l'illusione di averlo fatto. Ora, miei cari sacerdoti, S. Gregorio c'insegna che per farlo come si conviene dobbiamo esaminare noi stessi con una disquisizione sollecita, premurosa, sottile: sollecita inquisitione discernentes (Mor., V, 6 ): dobbiamo studiare le nostre azioni fino alla prima loro sorgente, il concepimento dell'idea, come hanno fatto e fanno tuttora i Santi: Electorum est actus suos, ab ipso cogitationis fonte, discutere (Mor., II, 6).
Il giardiniere che vuole aver ben ripulite le aiuole, non s'accontenta di togliere quanto viene sopra la terra, ma va a cercare le radici, e se arriva a estirparle interamente, può esser sicuro che l'erbaccia non soffocherà più i fiori. Altrettanto dobbiamo far noi coi nostri difetti: sradicarli senza misericordia.
Credo fuor di proposito scendere agli altri particolari che sogliono inculcarsi per far bene quest'esame, perchè già si conoscono, e d'altronde non mancano libri ascetici che ne trattano sapientemente: non tralasciamo però di rileggere di quando in quando le norme a ciò relative.
Oltre all'esame generale i maestri della vita di perfezione raccomandano pure quello particolare: il primo riguarda tutti i mancamenti commessi nella giornata, il secondo una sola specie di essi. « Il demonio — dice S. Ignazio — imita un capitano che vuol prendere in poco tempo una fortezza, dove spera di fare un ricco bottino. Egli si accampa, considera le forze e la posizione di questa fortezza, e l'attacca dal lato, più debole. Così fa il nemico del genere umano. Egli incessantemente gira attorno a noi, esamina minutamente come stiamo quanto alle virtù teologali, cardinali, morali, e scoperto in noi il lato debole e meno provvisto di salutare difesa, da questo ci attacca e cerca di farci sua preda. » Il lato più debole dell'anima nostra è quello dell'inclinazione naturale, è la passione o cattiva consuetudine che vien chiamata « passione dominante »: e da questo lato dobbiamo con maggior attenzione provvedere a fortificarci contro gli assalti del nostro nemico; il che si ottiene principalmente coll'esame particolare.
La ricerca della passione dominante diviene tanto più malagevole, quanto più uno si avanza nella perfezione, specie quando gl'impulsi sensibili della grazia muovono l'anima più gagliardamente e ne quietano i moti cattivi.
Per scoprirla dobbiamo anzitutto invocare i lumi dello Spirito Santo con assidua preghiera. Poi esaminiamo diligentemente e a diverse riprese quali siano i nostri pensieri abituali, di quali si occupi la nostra mente la mattina al nostro primo destarci; quale sia il soggetto dei sogni a cui ci lasciamo andare nei momenti di solitudine; quale la sorgente più comune delle nostre gioie e 'delle nostre tristezze; quale la causa del nostro affanno nell'ora dello' sconforto; quale il motivo che ci conduce ad operare, e che ordinariamente ispira la nostra condotta; quale l'origine delle nostre mancanze, e via dicendo.
Tutti questi sentimenti possono, è vero, avere altre cause accidentali, ma il più delle volte sono soltanto la conseguenza di una disposizione interna, d'una condotta abituale, che costituisce la passione dominante. Possiamo anche scoprire questa passione ponendo mente agli attacchi del tentatore, il quale ci conosce meglio che non ci conosciamo noi stessi, e ci batte da quella parte dove è.più facile riportare vittoria.
E trovata che l'abbiamo, bisogna tosto por mano a sradicarla. Quando i difensori d'una fortezza conoscono il lato debole, dove il nemico darà l'assalto e tenterà di far breccia, su questo punto concentrano i loro sforzi. E quel che si deve fare prima di tutto è di allontanare il pericolo.
In tal modo col fortificarci non solo trova un riparo, ma si assicura anche la vittoria; perchè, soggiogato il difetto predominante, il demonio è vinto, e i suoi tentativi susseguenti non sono più temibili; che anzi torneranno di vantaggio piuttosto chg di danno all'anima nostra. Non dobbiamo tuttavia lusingarci di riportare questa vittoria definitiva in un sol colpo. Fintantochè non avremo fatto serii progressi nella pietà, fintantochè non avremo acquistato il vero fervore della vita spirituale, il difetto dominante si conserverà molto forte in noi; ma se ingaggerémo la lotta, se la continueremo con coraggio e con perseveranza, saremo sicuri di raggiungere il grado di perfezione proprio della nostra santa vocazione.
Per l'esame particolare si può seguire uno dei tanti metodi suggeriti dai maestri di spirito. Quello però che arreca maggiormente utilità è l'aggiungere a tale esame una sanzione, vale a dire una penitenza per ogni mancanza che si commette. Questa penitenza può consistere in qualche orazione o in determinate mortificazioni: così si sconta la mancanza, e si è spinti a far più attenzione per l'avvenire.
Se l'esame particolare è sommamente utile e pressochè necessario all'anima nostra, tutto ciò che è forma, metodo, procedimento, ha un'importanza secondaria. Ognuno quindi l'adatti ai suoi bisogni personali. Ora questo adattamento consiste quasi sempre nel semplificare, man mano che si progredisce nella conoscenza di se stessi, la propria vita, nel concentrare i pensieri, gli affetti, gli atti, le tendenze sopra un unico punto... E questo punto sarà per lo più di poter arrivare a conoscere quale sia la volontà di Dio in quel dato momento, in quella situazione, di fronte a quelle opere, a quelle difficoltà, dopo quelle cadute, con quel temperamento, ecc. Allora l'anima, conoscendo ciò che Iddio vuole da lei, si applicherà a darglielo, si esaminerà ogni giorno se abbia raggiunto l'ideale voluto e scelto sotto lo sguardo di Dio.
Allora il controllo sotto forma di statistica rigorosa non s'impone più, quantunque un controllo vi sia sempre. Allora l'anima farà tutti i sacrifizi che l'amore domanda. E l'esame particolare di un'anima che comincia a salire, è il sacrifizio passato allo stato di regola di vita.
Mí resterebbe ancora a dire delle divozioni nostre particolari e delle virtù che il salesiano deve possedere in quanto è educatore della gioventù; ma trattandosi di cose che sono già state ripetutamente inculcate, specie nelle preziosissime lettere dell'indimenticabile nostro D. Rua, mi limiterò a fare in proposito solo qualche osservazione concernente i sacerdoti in particolari.
Noi sacerdoti dobbiamo amare e far amare le due divozioni che più ci ha inculcate il nostro Ven. Padre, cioè la divozione all'Eucarestia e quella a Maria Ausiliatrice. Dai suoi sogni egli aveva appreso come in questi ultimi tempi, in cui pare che il male trionfi e vada sempre più dilagando, l'Ostia Santa e l'Auxilium Christianorum dovessero ritenersi le due colonne fondamentali, i due primarii mezzi di salvezza per la società cristiana.
Chi guarda la cosa superficialmente, potrà forse obiettate che queste due divozioni sono di tutti i tempi e di tutti i fondatori di società .religiose, e che perciò si esagera nel presentarle come proprie quasi soltanto dell'opera di Don Bosco. È vero, sì, sono di tutti i tempi, ma il modo usato dal nostro buon Padre per diffonderle e per farle amare, e da lui lasciato in retaggio a' suoi figli, è nuovo e proprio tutto nostro.
Questo modo, o meglio segreto, non è scritto in alcun libro, ma è diffuso nella vita e negli scritti di D. Bosco, e si respira, per dir così, in tutte le nostre case; perciò lo posseggono bene coloro che in queste hanno ricevuto la loro educazione; mentre quelli che vengono da noi in età più avanzata, più di rado riescono ad assimilarselo perfettamente.
Questo semplice rilievo baúa a farci capire come la diffusione delle divozioni suddette dipenda quasi unicamente dall'instillarle con azione insensibile ma costante nel cuore dei giovani, che la Provvidenza ci affida. E siccome non si può dare ciò che non si ha, così dobbiamo cominciare ad avere noi Stessi questa divozione, questo vivo e fervente amore all'Eucarestia e a Maria Ausiliatrice, per poterlo comunicare agli altri.
Gioverà i far amare l'Eucarestia la nostra fede nella presqnza reale di Gesù Cristo, fede che noi cercheremo di manifestare in tutte le nostre azioni, dalla più piccola alla più grande, nella genuflessione davanti al Tabernacolo, come nella devota celebrazione del S. Sacrifizio.
Parliamo spesso ai giovani di Gesù Sacramentato, del suo amore
per noi; incitiamoli a fargli frequenti visite, dandone noi per i primi l'esempio, e magari accompagnandoci con loro; esortiamoli alla Comunione frequente, anzi quotidiana, mettendo in pratica tutte le industrie di cui faceva uso D. Bosco; infine facciamo di tutto per mantener in fiore la Compagnia del SS. Sacramento, senza pretendere di riformare il Regolamento, che fu approvato da D. Bosco medesimo. L'amore all'Eucarestia sarà anche il miglior' mezzo per suscitare nei nostri giovani la vocazione sacerdotale e religiosa.
Ma per far fiorire questa divozione è utilissima quella a Maria SS.: ad Jesum per Mariam! Vari sono i titoli e gli esercizi di pietà approvati dalla Chiesa, coi quali possiamo onorare la nostra Madre Celeste; ma noi Salesiani dobbiamo dare la preferenza al titolo e alla divozione dell'Ausiliatrice Immacolata; poichè in questo nome è nata e si è svolta tutta l'opera di D. Bosco, ed è questa la divozione che il nostro buon Padre ci ha raccomandata.
A diffonderla aiuterà molto il largo uso della benedizione di Maria Ausiliatrice ( di cui ogni sacerdote salesiano dovrebbe sapere la formola a memoria ), facendone conoscere l'intima efficacia ed eccitando la fiducia del popolo col racconto dei prodigi che con essa otteneva D. Bosco; nè a tal fine gioverà meno il sostenere e far conoscere l'Associazione dei Divori di Maria Ausiliatrice, canonicamente eretta in Arciconfraternita in Torino e arricchita dalla S. Sede di numerose indulgenze: Associazione che ogni salesiano deve premurosamente diffondere, come inculcano le nostre Costituzioni ( art. 6, c). Similmente si abbia zelo nel promuovere e nel prestarsi a celebrare solennemente il pio esercizio del 24 d'ogni mese in onore della Vergine Ausiliatrice, a cui sono pur annessi tanti favori spirituali.
Tutti questi esercizi e divozioni debbono essere da noi ordinati al conseguimento delle virtù necessarie alla nostra santificazione. Fra queste virtù non sono certo da trascurare quelle
dette umane o. naturali, che formano l'uomo nel senso genuino della parola, l'uomo di cuore e di carattere: come la bontà, la rettitudine, la generosità, la costanza, ecc.
Ma la base granitica della nostra vita spirituale dev'essere costituita dalle virtù cristiane: fede, speranza, amor di Dio e del prossimo, religione, umiltà, mortificazione, povertà, castità, obbedienza, giustizia, ed altre ancora. Il semplice elenco di esse dovrebbe destare in ciascuno di noi il ricordo delle esortazioni e degl'incitamenti con cui i Superiori si sforzarono durante:gli anni della nostra formazione, e si sforzano tuttora, di spingerci innanzi nella pratica di esse.
Le lettere e circolari dei nostri Padri contengono tesori di ascetica salesiana; ed io mi auguro che i Direttori sappiano servirsene opportunamente a vantaggio di se stessi e dei confratelli da loro dipendenti.
Nella pratica della virtù bisogna che evitiamo l'incostanza, cosa non rara purtroppo nella nostra vita di continua, vertiginosa attività. Si è diligenti, ma poco appresso si diviene dissipati e molli. Si dà prova talvolta di coraggio e di generosità; ma presto il fervore si rallenta e si affievolisce. Si combattono per qualche tempo i propri difetti, ma poi si torna da capo.
Altra condizione indispensabile per il fruttuoso esercizio della virtù è il raccoglimento, che è l'anima d'ogni vita interiore. Esso consiste nel chiudere il cuore, per quanto è possibile, alle occupazioni e ai rumori mondani, per aprirlo alle aspirazioni del Cielo; nell'evitare la dissipazione e vivere abitualmente alla presenza di Dio, al che occorre e basta veramente un po' di buona volontà.
Quantunque sovraccarichi di occupazioni, purchè sappiamo disporre le cose, possiamo trovare buoni momenti di calma e di pace. Anche senza vivere da cenobiti, è sempre possibile risérbarsi qualche ora di quiete; e se vi son giorni in cui non abbiamo un minuto a nostra disposizione, non ne mancano però altri in cui godiamo d'una certa libertà.
Del resto, pur in mezzo a continue occupazion,i, sí può benissimo mantenersi nel raccoglimento, seguendo gli ammaestramenti del nostro Santo Patrono a Filotea, che D. Bosco seppe praticare in modo così perfetto:
» Fra giorno, egli dice, riconduci l'anima il più spesso possibile alla presenza di Dio... osserva ciò che fa Dio e ciò che fai tu; vedrai i suoi occhi rivolti verso di te, e su te sempre appuntati coti un affetto indicibile. O Dio, gli dirai, perchè non miro sempre te come tu miri me? Perchè, o mio Signore, pensi così spesso a me, che penso così poco a te? Dove siamo, o anima mia? il nostro posto è in Dio, ed ora invece dove ci troviamo?
» Ricordati adunque di raccoglierti spesso nella solitudine del cuore, mentre col corpo sei in mezzo alle conversazioni e agli affari. Nè questa solitudine mentale può in alcun modo e1ssere disturbata dalla moltitudine di quelli che ti stanno d'intorno: poichè, se stanno intorno alla tua persona, non istanno già intorno al tuo cuore, che da solo a solo può in verità rimanere alla presenza di Dio..:
» Aspira a Dio molto spesso con brevi, ma ardenti moti del cuore: ammira la sua bellezza, invoca il suo aiuto, gettati in ispirito ai piedi della sua Croce; adora la sua bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza; donagli mille volte al giorno l'anima tua; fissa lo sguardo interiore sulla sua benignità; tendi la mano verso di' lui; come un povero bambino verso suo padre, perchè ti sia di guida; ponilo sul tuo petto come un mazzolino odoroso, piantalo nel mezzo dell'anima tua come uno stendardo; ed eccita molti e vani affetti nel tuo cuore, per accendere in te l'amor di Dio, un'appassionata e tenera dilezione di questo sposo celeste...
» Nè quest'esercizio è gran che malagevole, potendosi senza pregiudizio intercalare a tutti i nostri affari e a tutte le nostre occupazioni; perchè tanto in questi ritiri spirituali quanto in questi slanci interiori tutto si riduce a piccole e brevi diversioni, le quali, anzichè d'impedimento, sono molte volte d'aiuto a proseguire ciò che stiamo facendo... ». (Filotea, II, 12, 13 ).
Nel leggere questa bellissima pagina della Vita divota non ci par forse di vedervi un tratto della fisionomia morale del nostro buon Padre e modello? E non ci par facile, con un po' di buona volontà, riuscire ancor noi a vivere in questo modo, raccolti in intima e continua unione con Dio?
Non meno necessario, per poter esercitare in modo perfetto le virtù religiose, è il rinnegamento di se medesimo. « Chi non i vince mai le proprie ripugnanze, diviene sempre più: delicato », dice S. Francesco di Sales.
L'abneget semetipsum del Vangelo è la condizione essenziale della nostra perfezione religiosa; la mortificazione in tutte le sue multiformi applicazioni quotidiane, toglie dal cuore ogni ingombro, dà all'anima la libertà, alla mente un criterio più retto e più aperto alle divine aspirazioni; e avvezzandoci a piegare la nostra volontà sotto l'impero della fede, ci rende più facili tutte le altre virtù: l'obbedienza, la quale non è che la sottomissione della propria volontà a quella dei Superiori; l'umiltà, la quale non è che la mortificazione dell'amor proprio; la carità, la quale consiste nei dimenticare se stesso per gli altri; e sopratutto la pazienza, che è compagna indivisibile della mortificazione, perchè solo chi sa accettare le croci mostra di essere morto a se stesso e a tutti i propri affetti.
Chi invece s'avvezza a cercar dappertutto la propria soddisfazione, chi dà retta sempre ad ogni capriccio, finisce per amare i propri difetti, e perde il desiderio di emendarsene. Allora non ascolta più ragioni, tiene la mente, schiava delle proprie inclinazioni, inganna deliberatamente se stesso, e vive ribelle agl'impulsi della grazia.
Scrive a questo riguardo un pio autore: « Vi sono dei religiosi che nulla ricusano ai loro sensi. Se immaginano di aver freddo vogliono riscaldarsi, se pensano di aver fame vogliono mangiare. Se vien loro in mente qualche divertimento, vi si dànno senza stare a pensarci su, sempre risoluti a prendersi tutte le soddisfa- - zioni, senza quasi sapere praticamente in che ,consista la mortificazione. Quanto ai loro uffici, li adempiono a maniera di sgravio, senza spirito interiore, senza gusto e senza frutto... Non esaminano che molto superficialmente lo stato della loro coscienza. Vivendo essi in un sì profondo oblio di se medesimi, un'infinità di oggetti passa ogni giorno nella loro mente, e il loro cuore è trasportato fuori di sè, e come ubbriacato dallo schiamazzo delle ' cose esteriori. Tali religiosi possono trovarsi spesso in pericolo più grave che i secolari ». (Lallemant, II, Princ., 2, cap. II).
Guardiamoci dunque con ogni cura, miei cari sacerdoti, dal cadere in uno stato così miserando e fatale: pratichiamo, ad imitazione del nostro Ven. Padre, una continua mortificazione dei sensi, della gola, di tutte le passioni; rendiamoci padroni del nostro cuore, moderando gli affetti di simpatia, di sensibilità, di collera, di avversione, in guisa da tenerli sempre soggetti alla retta ragione, e da indirizzarli costantemente alla maggior gloria di Dio e al bene del prossimo.
Le nostre Costituzioni non c'impongono speciali mortificazioni, all'infuori del digiuno del venerdì in onore della Passione di N. S. Gesù Cristo; vogliono però che « ciascuno sia pronto a sopportare quando occorra, il caldo, il freddo, la sete, la fame, le fatiche, il disprezzo, ogni qualvolta queste cose giovino alla maggior gloria di Dio, allo spirituale profitto degli altri e alla salvezza dell'anima propria » ( Art. 100 ).
Ricordiamoci inoltre della risposta, degna di tutta la nostra riflessione, che fu data a D. Bosco in un sogno, allorchè domandò se la sua Congregazione sarebbe durata molto: « La Congregazione vostra durerà fino a che i soci ameranno il lavoro e la temperanza. Mancando una di -queste due colonne, il vostro edilizio ruinerà, schiacciando superiori e inferiori ed i loro seguaci. Lavoro e temperanza siano dunque la nostra quotidiana mortificazione ».
Ma è tempo ormai che ponga termine a questa mia. Miei carissimi confratelli sacerdoti, non dimentichiamo mai che D. Bosco anche dal Paradiso ci chiede continuamente che lo aiutiamo a salvare l'anima nostra, cioè a santificarci; ed io non so trovare a questo mio scritto una chiusa migliore delle parole con le quali egli nel gennaio del 1884 ci animava ad aiutarlo nella grande impresa: « Le cose che voi dovete praticare, affine di riuscire in questo grande progetto, potete di leggieri indovinarle. Osservare le nostre Regole, quelle Regole che S. Madre Chiesa si degnò approvare per nostra guida e per il bene dell'anima nostra, e per il vantaggio spirituale e materiale dei nostri amati allievi.
» Queste Regole noi le abbiamo lette, studiate, ed ora formano l'oggetto delle nostre promesse, e dei voti con cui ci siamo consacrati al Signore. Pertanto io vi raccomando con tutta l'anima mia, che niuno si lasci sfuggire parole di rincrescimento, o peggio ancora di pentimento di essersi in simile guisa consacrato al Signore. Sarebbe questo un atto di nera ingratitudine. Tutto quello che abbiamo o nell'ordine spirituale o nell'ordine temporale, appartiene a Dio; perciò quando nella professione religiosa noi ci consacriamo a Lui, non facciamo altro che offerire a Dio quello che Egli stesso ci ha, per così dire, imprestato, ma che è di sua assoluta proprietà.
» Noi pertanto, recedendo dall'osservanza dei nostri voti, facciamo un furto al Signore, mentre davanti agli occhi suoi riprendiamo, calpestiamo, profaniamo quello che gli abbiamo offerto, e che abbiamo riposto nelle sue sante mani. Qualcuno di voi potrebbe dire: L'osservanza delle nostre. Regole costa fatica. L'osservanza delle Regole costa fatica a chi le., osserva mal volentieri, a chi ne è trascurato. Ma ai diligenti, a chi ama il bene dell'anima, quest'osservanza diviene, come dice il Divin Salvatore, un giogo soave, un peso leggero: " Jugum meum suave est, et onus meum leve ".
» E poi, miei cari, vogliamo forse andare in paradiso in carrozza? Noi appunto ci siamo fatti religiosi, non per godere, ma
per patire e procurarci meriti per l'altra vita; ci siamo consacrati a Dio non per comandare, ma per obbedire; non per attaccarci
alle creature, ma per praticare la carità verso il prossimo, mossi dal solo amor di Dio; non per fare una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo; patire con Gesù Cristo sopra la terra, per farci degni della sua gloria in cielo.
» Animo dunque, o cari ed amati figli: abbiamo posto la mano all'aratro, stiamo fermi: niuno di noi si volti indietro a mirare il mondo fallace e traditore. Andiamo avanti! Ci costerà fatica, ci costerà stenti, fame, sete e forse anche la morte: noi risponderemo sempre: Se ci diletta la grandezza dei premii, non ci devono per niente sgomentare le fatiche che dobbiamo sostenere per meritarceli: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat certamen laborum ».
La protezione teneramente materna della nostra Ausiliatrice e la sua potente benedizione sia sempre con noi, e éi aiuti a perseverare nel divino esercizio fino al nostro ultimo respiro, con la certa e soave speranza di poter andare subito a tener compagnia al nostro buon Padre e a tutti i santi confratelli, nel bel Paradiso. Così sia.
Vostro a§ .mo in C. J. Sac. PAOLO ALBERA.
Preghiere per gli ex-allievi Divozione a Maria SS. Ausiliatrice
1. Dai Congressi Ex-Allievi e Cooperatori Salesiani fioritura di Opere. 2. Dagli Ex-Allievi domanda di particolare « Ave Maria », nelle preghiere dei nostri alunni. — 3. Testo della proposta. — 4. Occasione di maggior pietà Mariana per l'incipiente Mese di Maggio.
•
. Torino, 24 aprile 1921.
Carissimi,
Dopo i Congressi Internazionali degli Ex-Allievi e dei Cooperatori Salesiani, che si sono tenuti l'armò scorso, in occasione della solenne inaugurazione del Monumento al nostro Ven. Padre D. Bosco, i vincoli che univano già gli uni e gli altri alla nostra Congregazione si sono fatti sempre più' stretti e sempre più tenaci. Tutti infatti possiamo constatare, con un senso di vero conforto, l'attività spiegata tanto dai Cooperatori quanto dagli Ex-Allievi, dopo quelle solenni adunanze. Dappertutto sorsero muovi gruppi; quelli che erano dispersi o indifferenti procurarono di unirsi agli altri e di scuotere la propria apatìa, per lavorare secondo lo spirito di D. Bosco, e realizzare così i Deliberati dei Congressi celebrati.
È tutta una fioritura di nuove opere che va sviluppandosi e prendendo forma propria, dovunque giunge amato e venerato il nome del nostro buon Padre.
Tutto ciò è oltremodo confortante, perchè ci fa conoscere quanta vitalità riserbi ancora questa nostra Pia società, sorta da tanto umili principii, e perchè discopre ai nostri occhi la grandezza della mente divinatrice del nostro Venerabile Padre, quando, guidato certamente dalla Divina Provvidenza, pose mano a gettar le fondamenta di questa sua opera principale, che da sola è capace di rendere immortale il suo nome.
Ma in mezzo a tanta operosità, in mezzo a tanto fervore di entusiasmo, quello che maggiormente infonde nell'animo un sentimento di profonda contentezza, è il vedere quanto gli Ex-Allievi si mostrino sempre più animati dello spirito del nostro Istituto, che è spirito di pietà, spirito di religiosità.
Questi buoni figliuoli, ricordando con pensiero nostalgico, nei giorni del Congresso, i bei giorni della loro fanciullezza, passati nella dolce intimità della vita famigliare delle nostre Case, espressero con tenerezza filiale il desiderio di essere ricordati tutti i giorni da coloro ch'essi venerano come padri e fratelli maggiori nelle preghiere che inalzano al Signore. Oltre alla delicatezza del pensiero e del sentimento, che si ammira nell'espressione di questo desiderio, vi è in esso tutta la realtà del nostro sistema educativo, che ha lasciato nel cuore e nell'animo dei nostri carissimi Allievi un'impronta indelebile, e che deve formare per noi la più dolce ricompensa per le nostre fatiche, e lo stimolo potente per non allontanarci menomamente dagl'insegnamenti educativi del nostro Padre.
Fu per me un soave conforto soddisfare a questo desiderio filiale, e, per quanto nessun Salesiano certamente abbia mai omesso nelle sue preghiere un ricordo per tutti coloro che ci son cari come figli, mi parve opportuno che degli Ex-Allievi si facesse speciale menzione nella Preghiera e Consacrazione a Maria SS. Ausiliatrice, che siamo soliti di recitare in comune quotidianamente; intendendo con ciò non solo d'implorare sopra di loro la protezione di questa nostra celeste Madre, ma anche di rinnovare, insieme con la nostra, la loro consacrazione a Colei, a cui D. Bosco volle che tutti i suoi fossero consacrati per sempre.
Ora gli Ex-Allievi, avendo conosciuto questo atto compiuto dai Salesiani per soddisfare il loro desiderio, pieni dir riconoscenza, per mezzo del Comitato Federale, che tutti li rappresenta, avanzano un'altra domanda, non meno cara e non meno gentile della prima.
Domandando che i figli di D. Bosco li ricordassero nelle loro orazioni al Signore, essi vollero dimostrare quanto sentano ancora fortemente i vincoli che a noi li uniscono; con la domanda che ora .presentano, essi ci fanno intendere che vogliono formare con noi e coi nostri giovanetti ancora una sola famiglia, sotto il manto materno della nostra celeste Ausiliatrice.
Io non saprei meglio esprimervi il loro desiderio, che riferendovi integralmente la proposta che mi trasmise il Comitato Federale degli Ex-Allievi, nella data memoranda dell'anniversario della morte di D. Rua, di s. m. Eccola:
« Proposta al Rev.mo Don Paolo Albera d'un'Ave Maria da recitarsi dagli alunni di tutti gl'Istituti Salesiani per gli Ex-Allievi.
CONSIDERANDO:
1) Che nella Preghiera a Maria SS. Ausiliatrice, che tutti i Salesiani recitano al mattino, fu introdotta la frase Ex-Allievi fra le categorie di persone per le quali si invocano le benedizioni materne della nostra Regina; e di ciò si dà umilissimo, ma sentitissimo ringraziamento e plauso al Superiore Generale, a nome di tutti gli Ex-Allievi;
2) Che un ricordo speciale nelle preghiere degli alunni a favore degli Ex-Allievi è insieme utilissimo dal punto di vista soprannaturale ed efficacissimo dal punto di vista pedagogico, perchè abitua la mente del giovanetto all'idea della federazione, al sentimento della fratellanza, e più tardi, quando sarà fuori, può suscitargli un caro ricordo o un salutare freno, o un richiamo, o un rimorso...
Il Comitato Federale, umilmente, ma calorosamente ed unanimemente porge preghiera e fa voti:
Che nelle preghiere, per tutti gli alunni degli Istituti Salesiani sia anche prescritta questa: Per gli Ex-Allievi: Ave Maria, e sia distinta e non confusa con altre.
Torino, Oratorio, 6 aprile 1921.
XI Anniversario della morte di Don Rua.
IL COMITATO FEDERALE ».
Conviene che vi dica che questo atto compiuto dai nostri carissimi Ex-Allievi mi ha profondamente commosso. Io vedo che lo spirito di D. Bosco aleggia continuamente attorno aglinnumerevoli suoi figliuoli; scorgo che le opere nostre apportano frutti copiosi di bene nei cuori e nelle anime e mentre ne ringrazio la Vergine Ausiliatrice, ne traggo l'auspicio a sperar sempre meglio per l'avvenire.
Comprenderete pertanto facilmente che, se fu per me di non lieve conforto esaudire la prima domanda degli Ex-Allievi, non minore conforto provo ora nell'esaudire questa seconda. Ed è per questo che sono venuto nella deliberazione, che nelle preghiere che si recitano in comune, e più precisamente nelle preghiere della sera, dopo recitato il Pater, Ave, Gloria per la Beatificazione del Ven. D. Bosco, si aggiunga un'Ave Maria per i nostri carissimi Ex-Allievi, con questa forma: Per gli Ex-Allievi: Ave Maria, etc. Tale aggiunta dovrà essere pure inserita nella nuova edizione del Manualetto: Pratiche di pietà in uso nelle Case Salesiane.
Questo fatto mi porge l'occasione propizia di dirvi una parola d'incitamento, se ve n'è bisogno, per animarvi sempre più ad una tenera e viva divozione alla nostra Madre celeste, Maria SS. Ausiliatrice, nell'inizio del mese a Lei consacrato.
Noi, figli di D. Bosco, tutto dobbiamo a Lei, e questo pensiero dobbiamo tenerlo sempre fisso nella mente, perchè sia l'anima. della nostra divozione verso di questa nostra Madre.
Non è una divozione qualunque che dobbiamo praticare verso Maria SS. Ausiliatrice, ma è una divozione filiale, che deve sgorgare perennemente dal nostro cuore pieno di gratitudine, per quello che siamo, come Salesiani, per quello che, come Salesiani, abbiamo fatto e facciamo, e per quello che, come Salesiani, abbiamo ottenuto e speriamo di ottenere di bene per noi e per gli altri.
Questo è e deve essere il fondamento dell'amor nostro speciale a Maria SS. Ausiliatrice, e il contrassegno che deve distinguere la nostra divozione verso di Lei, da quella che potremmo avere verso la SS. Vergine onorata sotto qualsiasi titolo. Maria SS. Ausiliatrice è la nostra Madre.
Se pertanto in ogni tempo ci stringiamo affettuosamente attorno a Lei, con maggiore intensità, con maggiore tenerezza mettiamoci sotto il suo materno manto in questo mese a Lei consacrato, e stando continuamente vicini a Lei, mostriamole il nostro amore filiale con l'esatto adempimento dei nostri doveri e con la scrupolosa osservanza delle Costituzioni, come se negli. uni e nelle altre trovassimo l'espressione di quanto desidera da noi questa celeste Madre: Si diligitis me, mandata mea servate ( Io., XIV, 15 ).
Nè limitiamo la nostra divozione a noi soli: diffondiamo o4nor più la divozione a Maria SS. Ausiliatrice in ogni ceto di persone. È un ordine che D. Bosco lasciò ai suoi figliuoli, e che noi dobbiamo tenerci onorati di poter eseguire. Diffondiamo sopratutto questa divozione mediante l'Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice, facendola fiorire col solennizzare convenientemente la Commemorazione al 24 d'ogni mese, e accrescendo il numero degli iscritti, e delle nuove istituzioni dell'Associazione. L'anno scorso la S. Sede largì vani favori spirituali a benefizio di questa Pia Associazione, e in relazione con la Commemorazione del 24 d'ogni mese; voglio sperare che tali favori non siano stati concessi invano, ma che in tutte le nostre Case si farà il possibile per adempiere quelle poche pratiche a cui sono annessi tanti benefizi spirituali.
Si abbia poi particolare impegno di diffondere la divozione a questa nostra Madre anche tra i nostri Cooperatori. Essi dovrebbero appartenere tutti ai Divoti di Maria Ausiliatrice, perchè sono i più diretti interessati a sostenere le nostre opere, che sono Opere dell'Ausiliatrice; e a tal uopo si presta propizia l'occasione della seconda Conferenza da tenersi ai Cooperatori nella ricorrenza della festa della nostra celeste Patrona.
Mentre vi auguro che la celeste Ausiliatrice vegli sempre sopra di voi con tenerezza materna, mi raccomando alle vostre preghiere.
Affino in C. J. SaC. PAOLO ALBERA.
Sulle vocazioni
1. « Da mini liberos!... ».
2. La preghiera e l'opera nostra per le vocazioni.
3. La genesi della vocazione.
4. « Si vis perfectus esse!... ».
5. La vocazione è divina, ma libera.
6. La chiamata del Vescovo e l'accettazione del Superiore...
7. Una risposta del Catechismo.
8. Le vocazioni salesiane dipendono da noi!
9. La vocazione secondo il Ven. D. Bosco.
10. ... Nella visione paterna.
11. Il segreto per avere molte vocazioni.
12. Un pescatore meraviglioso.
13. « Come fa il giardiniere delle piante... ».
14. Siamo cercatori di vocazioni!
15. La caratteristica dello spirito salesiano
16. Il terreno più propizio per le vocazioni.
17. I veri apostoli delle vocazioni.
18. L'attrattiva per la purezza...
19. Coltiviamo la purezza nei nostri giovani.
20. La missione del coadiutore salesiano.
21. Ad maiora natus sum!
22. Il bisogno di darsi e di sacrificarsi.
23. Lo spirito soprannaturale.
24. Le virtù soprannaturali.
25. Seminiamo le vocazioni.
26.... Con la preghiera e le mortificazioni.
27. ... Con la santità personale.
28. Deliberazioni del Capitolo Superiore.
29. Ciò che devono fare gli Ispettori.
30È indispensabile l'opera del Direttore.
31. La cooperazione di tutti.
32. « Se nella mia fanciullezza... ».
- Appendice.
Torino, 15 maggio 1921.
Pentecoste e inizio della Novena di Maria Ausiliatrice.
Miei fratelli e figli dilettissimi,
L'anno scorso vi ho ripetutamente esortati ed eccitati ad inalzare al nostro Ven. Padre, con la vostra condotta modellata sui suoi luminosi esempi, il solo vero e vitale monumento degno di lui e di noi. Con quelle mie esortazioni io intendevo,principalmente di promuovere l'imitazione individuale degli esempi paterni; ma insieme esse miravano altresì a suscitare in ognuno di voi un amore più vivo e ardente per la nostra cara Congregazione, che, uscita dal gran cuore del Padre, ha da trarre vita e incremento dall'amore dei figli, ai quali egli l'ha lasciata in eredità preziosissima.
Ora quest'amore alla Congregazione ci deve spronare non solo a donarle tutte le nostre migliori energie, ma anche a sforzarci continuamente di accrescere il numero de' suoi membri, con una intensa ricerca e coltura di vocazioni salesiane, per metterla in condizione di attuare sempre meglio, e in una cerchia sempre più vasta, il suo programma, che è la gloria di Dio procurata mediante l'educazione della gioventù povera e abbandonata.
Perciò, miei carissimi, dopo avervi stimolati con tutte le mie povere forze a ricopiare in voi stessi la cara immagine paterna, ora voglio parlarvi dell'obbligo che abbiamo tutti di lavorare alacremente a guadagnare a D. Bosco nuovi figli e imitatori, i quali alla lor volta, seguendo il vostro esempio, abbiano a tramandare il Padre vivente ad altri figli venturi.
Non lo sentite adunque anche voi, come lo sento io, come lo sentono gli altri Superiori Maggiori, il gemito angoscioso della nostra amata Congregazione: Da mihi liberos, alioquin moriar? (Gen., 31, I ): dammi dei figli, altrimenti muoio? Essa vuole dei figli, cioè molte nuove vocazioni religiose, perchè sono la condizione indispensabile della sua vita e del suo apostolato. Il giorno in cui venisse colpita da sterilità assoluta, sarebbe anche il giorno della sua morte; e di questa veneranda madre della nostra religiosa perfezione non resterebbe più che un freddo ricordo storico.
Per questo, prima D. Bosco, e poi l'indimenticabile Don Rua, hanno tanto parlato e insistito sulla necessità di coltivar le vocazioni, con una frequenza che a taluno parve persino eccessiva: per questo io pure ve ne scrissi diffusamente nella mia prima lettera edificante del 31 maggio 1913, e più tardi ( 31 gennaio 1915) nel capo VIII della II parte del. Manuale del Direttore, dove raccolsi quasi alla lettera le sapienti norme dei Padri nostri a questo riguardo, affinchè ogni direttore, avendole sempre alla mano, potesse metterle più facilmente in pratica e farne argomento prediletto delle sue conferenze. Per questo infine ho approfittato di ogni occasione che mi sembrasse propizia, per animarvi anche solo incidentalmente, a suscitare nuove vocazioni.
E le mie calde esortazioni, posso dirlo con vero e profondo compiacimento, non rimasero lettera morta, ma produsserb anzi frutti eccellenti, dei quali va ora orgogliosa la nostra Pia Società.
Tuttavia mai forse come oggi si è sentito in tutta la sua dolorosa verità il divino lamento: Messis quidem multa, operarii autem pauci (Matth., IX, 37 ); la mèsse è cresciuta a dismisura, e troppo scarso è il numero degli operai che si consacrano a raccoglierla, per cui gran parte di essa va miseramente perduta. Sono stati sopratutto i terribili sconvolgimenti sociali di questi ultimi anni, che hanno tolto alla Congregazione numerosi soggetti già formati, rendendole insieme più difficile che mai la formazione di nuove reclute.
Consci di tutta la gravità e urgenza dell'odierna situazione, i Superiori Maggiori dedicarono parecchie delle loro laboriose adunanze allo studio dei mezzi più efficaci per suscitare e coltivare numerose e buone vocazioni; e io intendo ora di comunicarvi, o miei carissimi, qualcuna delle tante cose proposte, che dopo maturo esame furono ritenute più atte a raggiungere l'intento.
Ogni giorno, dopo la lettura spirituale, noi supplichiamo il Cuore di Gesù che voglia mandare buoni e degni operai alla nostra Pia Società, e conservarglieli... ut bonos et dignos operarios Piae Salesianorum Societati mittere et in ea conservare digneris te rogamus, audi nos. Questa preghiera è certo sommamente gradita a Gesù benedetto e possiamo star sicuri che, per quanto dipende da Lui, noi avremo sempre tutte quante, le vocazioni che sapremo meritarci con l'opera nostra. Ora l'opera nostra consiste primieramente nel preparare il terreno propizio alle vocazioni, poi nel seminarle, e per ultimo nel coltivarle fino a perfetta maturità.
In altri termini, la vitale questione delle vocazioni aspetta la sua positiva soluzione da ciascuno di noi; e se la nostra Congregazione non ne ha quante ne reclama l'abbondanza della mèsse che le tien preparata la Provvidenza, forse, esaminandoci un po' seriamente, dobbiamo confessare che tale scarsità di operai evangelici proviene dal non aver noi quella prudente, premurosa, incessante sollecitudine per le vocazioni, che si ammirava nel nostro Venerabile Padre, in Don Rua, che ne fu il perfetto imitatore, e in tanti altri ottimi confratelli, la cui memoria vivrà tra noi in benedizione eterna.
A far meglio comprendere ciò mi sembra conveniente, o miei carissimi, di ricordare anzitutto con la maggior chiarezza possibile i principii fondamentali che regolano ogni vocazione: ci saranno pure di grande aiuto a superare le difficoltà che avessimo ad incontrare nell'impresa.
La vocazione in genere — cioè l'elezione di un determinato stato di vita — viene da Dio, il quale, come è l'Autore di tutto il creato, così anche ispira ad ogni anima ragionevole quale via essa debba percorrere per conseguire il suo fine.
Però in generale Egli non comunica tale sua ispirazione in modo straordinario, e neppure la palesa con segni tali di certezza da non lasciare alcun dubbio sulla scelta; invece Egli suol porre, per così dire, il germe della vocazione nelle doti stesse naturali che comparte, in diverso grado e maniera, alle anime: cioè, pur creando tutti gli uomini a sua immagine e somiglianza, pur determinando a tutti il medesimo fine, secondo il suo beneplacito dà loro qualità personali differenti, che li inclinano chi ad uno stato e chi ad un altro; e per lo più forma attorno a ciascuno un ambiente adatto al pieno sviluppo di tali qualità, onde, quasi insensibilmente, ciascuno è guidato ad abbracciare lo stato di vita più conforme alla sua personalità, lo stato nel quale gli sarà più facile e sicuro il conseguimento del suo fine ultimo.
Questa è, in via ordinaria, la parte di Dio nella vocazione delle sue creature. L'abbracciare poi positivamente uno stato piuttosto che un altro, è lasciato alla libera elezione personale, coadiuvata dalla divina grazia ( che mai non manca a chi fa tutto il possibile per non demeritarla), e dall'opera di quelli che sono incaricati dello sviluppo e dell'educazione dei singoli individui.
Quali siano le vie di Dio, in questa distribuzione delle doti e qualità, ci è esposto egregiamente da S. Tommaso. « La Provvidenza, egli dice, per regola generale non impone a nessuno uno stato determinato di vita, ma dispone così bene i temperamenti e le inclinazioni degli uomini, che, in seguito a libera elezione fatta sotto questa duplice influenza, che per lo più raggiunge il suo scopo, ogni carriera umana ha sempre un numero conveniente di liberi candidati (Supp., q. 41, a 2 ad 4) ».
Ciò posto, il primo còmpito nostro riguardo alle vocazioni consiste nel vedere chi abbia le doti richieste per qualcuno dei vani rami dello stato di perfezione; per il sacerdozio, o per il semplice stato religioso, o per quello religioso-missionario; doti che si possono ridurre a tre principalmente, vale a dire: scienza sufficiente, probità di vita, retta intenzione.
Lo stato di perfezione, appunto perchè tale, è lasciato alla libera elezione delle anime. Si può dire con verità, o miei carissimi, che ad ogni vocazione sacerdotale o religiosa si rinnova misteriosamente la scena evangelica del giovane che chiede a Gesù 'cosa debba fare per conseguire la vita eterna. Il Signore s'accontenta dell'osservanza dei comandamenti: serva mandata. E la maggior parte si ferma qui. Ma accanto a questo, che è per così dire il programma minimo necessario per raggiungere il proprio fine, Gesù fa risuonare di continuo alle anime più generose, nei modi più diversi e impensati, l'invito sublime: Si vis perfectus esse...!
E queste anime, quando siano ben guidate, non si rattristano per tale invito, come il giovane del Vangelo, ma anzi ne esultano di gaudio ineffabile, e si slanciano senza esitare sulla via ch'Egli ha loro additata: Exultavit ut gigas ad curren'dam viam!
Ho detto: « quando siano ben guidate », e questa è la parte dell'uomo, la parte nostra, nella formazione delle vocazioni.
Gesù non fa a nessuno un obbligo assoluto di ascoltare il suo amorevole appello, perchè vuol rispettare nella creatura ragionevole il gran dono della libertà, di cui Egli stesso l'ha ornata.
Quindi, perchè il germe della vocazione cresca e maturi i suoi frutti, noi dobbiamo procurargli un ambiente propizio e circondarlo delle più sollecite cure. « Dio — vi dicevo già nella mia prima Lettera edificante — è l'autore delle vocazioni, ma non dimentichiamo, o carissimi, che Egli vuole servirsi della nostra cooperazione per farle germogliare e fruttificare. In ogni vocazione c'è la parte di Dío e la parte dell'uomo. Ogni chiamata alla vita religiosa e all'apostolato ha la sua naturale feconda sorgente nel cuore di Dio.
» E Dio, perchè ama la Chiesa, perchè ama gli istituti religiosi che la servono, perchè ama le anime e vuol salvarle, incessantemente e a piene mani getta i germi della vocazione nel cuore dei suoi figli. Ma come la mèsse dei campi viene a maturità per l'unione delle fatiche dell'uomo e delle benedizioni del Cielo, così le vocazioni non si sviluppano senza l'opera nostra.
» Quindi dobbiamo lavorare in esse come se la riuscita dipendesse solo da noi, senza però mai perdere di vista che ogni bene viene da Dio: Omne donum perfectum desursum est, descendens a Patre luminum ( Jac., I, 17) ».
Si, ogni bene vien da Dio, quindi non solo il germe della vocazione, ma anche la nostra potenzialità e volontà di lavorare efficacemente per lo sviluppo e la maturazione di tali germi: utraque autem sunt dona Dei (Eccl., I, 13 ). Perciò ogni vocazione sacerdotale-religiosa è divina sia per la parte diretta che vi ha Dio stesso, e sia per quella che lascia a noi giacchè in fondo anche il nostro lavoro è dono suo: unusquisque proprium donum habet ex Deo (I Cor.,7,7).
Ma perchè la vocazione possa giudicarsi divina, non è necessario che Dio palesi direttamente la propria volontà alla persona chiamata. Non già che Egli non chiami talora per rivelaziohe, o per ispirazione diretta, ma tali chiamate straordinarie non sono frequenti, nè formano la regola; e per lo più Egli le riserba solo a coloro che destina a qualche missione particolare.
« Dio — scrive Cornelio a Lapide — lascia sovente alla libera elezione di ciascuno la scelta del proprio stato di vita; tuttavia una simile scelta può dirsi che viene da Dio in quanto che è da Dio la direzione delle cause seconde e la provvidenza di ogni bene. Dio infatti con la sua Provvidenza ordinaria dirige ciascuno per mezzo dei parenti, degli amici, dei confessori, dei maestri e di tutte le altre occasioni e cause seconde, le quali fanno sì che l'uno abbracci il matrimonio e l'altro il sacerdozio: ma liberamente, giacchè queste cause direttrici non s'impongono necessariamente, ma lasciano la libertà... Avvenuta la scelta, Dio dà a ciascuno le grazie conforme allo stato abbracciato... Scegli, dice Sant'Ambrogio, lo stato che vuoi, e Dio ti darà la grazia propria e conveniente per vivervi onestamente e santamente » (Corn. a Lap., in I Cor., 7, 7 ).
Normalmente dunque la vocazione sacerdotale-religiosa consiste nella libera elezione di tale stato, fatta per motivi soprannaturali, nell'avere le qualità per esso richieste, e nella chiamata del Vescovo, ovvero, per chi aspira ad entrare in una religione approvata dalla Chiesa, nell'ammissione al noviziato e alla professione religiosa.
Il Vescovo poi o il Superiore religioso, per poter legittimamente chiamare od accettare alcuno, basta che riscontrino in lui la retta intenzione congiunta all'idoneità, cioè ad un complesso di doti di grazia e di natura, ad una scienza, ad una probità di vita, che diano fondata speranza ch'egli possa convenientemente adempiere gli uffici e i doveri della vita sacerdotale e religiosa; e prima di questa chiamata od accettazione nessuno ha il diritto di farsi ordinare sacerdote, nè di entrare in religione.
Questo è il concetto che della vocazione ci dà un autorevole documento pubblicato negli Acta Apostolicae Sedis del 15 luglio 1912. Una Commissione di Cardinali nominata dal S. Padre, dopo maturo esame, formulava sulla questione della vocazione sacerdotale i seguenti principii, approvati dal Papa Pio X di s. m.: 1. Neminem habere unquam ius ullum ad ordinationem antecedenter ad liberam electionem Episcopi. — 2. Conditionem, quae ex parte Ordinandi debet attendi, quaeque vocatio sacerdotalis appellatur, nequaquam consistere, saltem necessario et de lege ordinaria, in interna quadam adspiratione subiecti seu invitamentis Spiritus Sancti, ad sacerdotium ineundum. — 3. Sed e contra, nihil plus in Ordinando, ut rite vocetur ab Episcopo, requiri quam rectam intentionem simul cum idoneitate in iis gratiae et naturae dotibus reposita, et per eam vitae probitatem ac doctrinae sufficientiam comprobata, quae spem fundatam faciant fore ut sacerdoti munera recte obire eiusdemque obligationes sante servare queat. Qui si parla solo della vocazione sacerdotale, ma è evidente che, fatte le debite proporzioni, gli stessi principii valgono anche per le vocazioni allo stato religioso.
Ora, miei cari, questi principii non sono una novità, ma riassumono in modo chiaro e preciso la pura dottrina della Chiesa intorno alla questione della vocazione sacerdotale e religiosa, dottrina già espressa nel catechismo pubblicato per ordine di Papa
Pio X, dove è detto che « nessuno può entrare a suo arbitrio negli Ordini, ma dev'essere chiamato da Dio per mezzo del proprio Vescovo, cioè deve avere la vocazione, con le virtù e le attitudini al sacro ministero, da essa richieste » (Parte III, Sezione I, Cap. VII, N. 403 ).
Anche qui è dichiarato espressamente:
a) Che nessuno può di propria testa accedere agli Ordini o alla professione religiosa;
b) che il diritto di accedervi lo acquista chi è chiamato da Dio;
c) che la chiamata si manifesta al soggetto per mezzo del proprio Vescovo, o del Superiore religioso;
d) che chi è stato chiamato in tal modo ha la vocazione nel suo significato genuino, come l'intendeva San Paolo quando proclamava la gran legge: nec quisquam sumit sibi honorem, sed qui vocatur a Deo (Hebr., 5);
e) perchè, come spiega il Catechismo del Concilio di Trento, si considerano chiamati da Dio quelli che son chiamati dai legittimi ministri della Chiesa: Vocari autem a Deo dicuntur qui a legitimis Ecclesiae ministris vocantur (De Ordine);
f) che questa vocazione richiede nel soggetto le virtù e le attitudini necessarie per il sacro ministero e per la vita religiosa.
Pongasi mente alla conclusione che deriva dalle cose dette.
Perchè un giovane sia chiamato allo stato religioso o sacerdotale basta ( con l'ammissione del legittimo Superiore, sempre necessaria) ch'egli abbia l'idoneità per tale stato, ossia quel complesso di doti di natura e di grazia, di scienza e di virtù Per cui egli dia fondata speranza di adempiere fedelmente i doveri di tale stato: e che mosso da retta intenzione concepisca il proposito di dedicarsi al sacerdozio o alla religione.
Questo proposito, si noti bene, può essere preparato, suggerito, eccitato, rafforzato da opportuni consigli e da esortazioni anche insistenti (purchè senza pressione morale che scemi la libertà) . dell'educatore, del confessore o di altra persona prudente.
Ritornando ora al còmpito nostro riguardo alle vocazioni, lavoriamo, ripeto, come se la loro riuscita dipendesse solo da noi, e con l'intima persuasione che ne avremo quante il nostro zelo saprà e vorrà suscitarne nell'àmbito del nostro apostolato.
La Sacra Congregazione di Propaganda Fide, in una sua Istruzione ai Vescovi delle Indie Orientali sulla conversione dei Gentili, in data 19 marzo 1893, dichiara espressamente essere dovere dei Vescovi di cercare e formare il maggior numero possibile dei più degni soggetti; e a suo tempo promuoverli agli Ordini sacri: ut ad sacros ordines quamplurimos et quam aptissimos adducerent, instituerent et suo tempore promoverent ( 1 ). Ora, se la Santa Chiesa fa dipendere dall'azione dei Vescovi l'aver numerose vocazioni al sacerdozio, ne segue che le vocazioni religiose alla lor volta dipendono in via ordinaria dall'azione dei membri di ciascuna religione.
(1) Cercare i candidati al sacerdozio, formarli e a suo tempo promuoverli agli Ordini sacri spetta ai Pastori preposti alla custodia del gregge di Gesù Cristo. Se son veri pastori, essi non aspettano che Iddio mandi i candidati al sacro ministero, mali cercano con la cura amorosa con cui la donna del Vangelo cerca la dramma smarrita: adducerent; trovatili, non attendono che Dio li formi con • grazie straordinarie, ma si dedicano essi stessi alla formazione: instituerent; e solo dopo averli ben formati, li promuovono: suo tempore promoverent. Con incessanti suppliche facciano pure violenza al Signore perchè invii numerosi operai nella vigna evangelica: ma non dimentichino mai che l'invito del Maestro: ite et vos in vineam meam (MATrx., 20, 7) lo possono e devono fare a quanti giovani credono idonei all'alta missione. E siccome al dir di S. Tommaso, Dio non abbandona la sua Chiesa al punto che sia priva o quasi di ministri idonei, nè che manchi del numero sufficiente per il bisogno del popolo cristiano (Suppl. q. 36, articolo 4 ad 1): così troveranno sempre chi voglia abbracciare lo stato ecclesiastico-religioso. Mettano perciò tutto il loro impegno: id potius curandum est, ut quae Deus humanae permisit industriae, fideliter exequantur; ed il Signore non lascerà mai mancare le vocazioni sacre.
I Vescovi (diceva pure Benedetto XIV nell'Enciclica Ubi primum) sogliono lamentarsi che la mèsse è molta e gli operai pochi: ma forse sarebbe anche da lamentare che essi medesimi non usino tutte le dovute sollecitudini per formare operai idonei e in numero conveniente alla mtsse: imperocchè non nascono, ma si fanno i buoni e valorosi operai, e la cura di farli spetta principalmente all'attività intelligente e alle industrie dei Vescovi: BONI NAMQUE ET STRENUI OPERAMI NON NASCUNTUR SED FIUNT; UT AUTEM FIANT, AD EPISCOPORUM SOLERTIAM, INDUSTRT.AMQUE MAXIME PERTINET.
Quindi, come i Vescovi sono strumenti principali nel suscitare, formare e chiamare al sacerdozio soggetti idonei, così noi, o miei carissimi, dobbiamo esserlo per le vocazioni salesiane: a tutti incombe il dovere di suscitarne e formarne più che possiamo, ma il diritto di chiamare definitivamente e di ammettere alla professione religiosa compete soltanto ai Superiori Maggiori.
È bensì vero che i Vescovi hanno direttamente da Dio la missione di ammettere in suo nome al sacerdozio i candidati che ne giudicano degni, mentre i Superiori che accettano ,e ammettono alla professione religiosa ripetono la loro autorità direttamente dalla Chiesa e solo mediatamente da Dio; tuttavia coloro ch'essi ammettono alla professione, sono pure chiamati da Dio, perchè vocari a Deo dicuntur qui a legitimis Ecclesiae ministris vocantur.
Grande è dunque il nostro còmpito, e grave la nostra responsabilità, o miei carissimi confratelli e figliuoli! Il Venerabile D. Bosco era solito dire che l'accettazione di un giovane in qualche nostra Casa (particolarmente nell'Oratorio di Valdocco ) era un segno prezioso di vocazione.
Non già che tutti i giovani delle nostre Case siano chiamati ad abbracciare lo stato di perfezione; ma certo Moltissimi di loro, sotto l'influsso salutare dell'ambiente che li avvolge e li penetra, verranno a conoscere di aver doti e qualità per poter aspirare a tale eccelso stato, per cui un po' alla volta potranno anche liberamente disporsi ad abbracciarlo.
In fatto di vocazione, il buon Padre possedeva la dottrina genuina della Chiesa ( come l'ho esposto or ora per sommi capi): quindi, perchè í suoi giovani fossero del tutto liberi nell'elezione dello stato di vita, evitava ogni parola che potesse indicare una qualsiasi imposizione e coercizione, sia da parte di Dio, come delle circostanze individuali, famigliari o sociali.
Al di sopra di tutto egli poneva la salvezza dell'anima, la quale, diceva, assolutamente parlando si può conseguire in qualunque stato, purchè scelto e abbracciato dopo maturo esame delle proprie doti e qualità personali, alla luce dell'al di là e sotto la guida di persona esperta nelle vie del Signore.
E siccome senza una speciale rivelazione nessuno può sapere con certezza i disegni eterni di Dio sopra di lui, così egli ritenne che il còmpito suo, e quindi anche il nostro, riguardo alle vocazioni, consistesse non già nello scrutare e indovinare tali disegni, ma sì nell'aiutare i giovani a scegliersi lo stato di vita più conforme alle loro doti e inclinazioni particolari; perchè era sicuro che con ciò avrebbero potuto più agevolmente conseguire l'eterna salvezza.
Nel prezioso trattatello premesso alle nostre Costituzioni, egli riassume, è vero, i sentimenti di Sant'Alfonso intorno alla vocazione religiosa, e quindi a prima vista sembra inculcare la dottrina ( prevalente ai tempi del Santo Dottore) che ciascuno sia assolutamente predestinato ad un certo stato di vita, fuori del quale corre grave pericolo di non aver le grazie necessarie per salvarsi.
Ma a ben considerare, quelle pagine non sono per chi deve ancora scegliere la propria vocazione, sibbene per chi l'ha già scelta; non sono per indicare la via da percorrere, ma per mantenere in essa chi già vi cammina: sono insomma il commentario genuino delle parole del Salvatore: « Nessuno, che dopo aver messo mano all'aratro, volge indietro lo sguardo, è buono per il regno di Dio » (Luc., IX, 62 ).
È evidente infatti che chi ritorna indietro dallo stato di perfezione abbracciato nella piena luce della sua libertà come la via più certa di salvezza, deve rimaner privo delle maggiori grazie che avrebbe ricevuto perseverando, e perciò incontrare maggior difficoltà a salvarsi.
Che il nostro Padre qui abbia voluto soltanto ammonirci a perseverare nella vocazione, e non dare delle norme per la scelta dello stato, lo prova il suo stesso contegno verso coloro che, o per fiacchezza di volontà, o per altri motivi, si ritraevano poco dopo la prova dalla vocazione abbracciata: non solo egli li compativa, ma li aiutava in tutti i modi, affinchè riprendessero lena e facessero il possibile per salvarsi l'anima nello stato inferiore a cni erano discesi.
Anzi questo suo aiuto era tanto più largo e costante, quanto più cresceva il loro numero, perchè egli conosceva per esperienza le gravissime difficoltà che il più delle volte bisogna saper superare per mantenersi nella via dei perfetti.
Anche ne' suoi sogni assisteva alle lotte che i suoi giovani dovevano sostenere per divenire apostoli...
« Grande e lunga battaglia di giovanetti — lasciò scritto egli stesso in data 9 maggio 1879 — contro guerrieri di vario aspetto, di diverse forme, con armi strane. In. fine rimasero pochissimi superstiti. Altra più accanita ed orribile battaglia avvenne tra mostri di forma gigantesca e uomini di alta statura, ben armati e ben esercitati. Essi avevano uno stendardo assai alto e largo, nel cui centro stavano dipinte ín oro queste parole: Maria, Auxilium Christianorum. La pugna fu lunga, sanguinosa, ma quelli che seguivano lo stendardo furono come invulnerabili e rimasero padroni di una vastissima pianura. A costoro si congiunsero i giovanetti superstiti alla antecedente battaglia, e tra tutti formarono una specie di esercito, avendo ognuno per arma nella destra il S. Crocifisso, nella sinistra un piccolo stendardo di Maria Ausiliatrice modellato come sopra.
» I novelli soldati fecero molte manovre in quella vasta pianura, poi si divisero e partirono, gli uni all'occidente, altri verso l'oriente; pochi al nord, molti al mezzodì.
» Scomparsi questi, succedettero le stesse battaglie, le stesse manovre e partenze per le stesse direzioni. Ho conosciuti alcuni delle prime zuffe; quelli che seguirono erano a me sconosciuti, ma essi davano a divedere che conoscevano me, e mi facevano molte domande ».
In queste poche pennellate parrai, o miei carissimi, di vedere delineata prima la vita dell'Oratorio di Valdocco, e poi quella dell'amata Congregazione, di questa vigna prediletta, che piantata con inenarrabili fatiche dal Venerabile nostro Padre nel giardino della Chiesa, abbisogna di sempre nuove schiere 4i buoni operai.
Come il padrone della parabola evangelica, D. Bosco finchè visse non si stancò mai di aggirarsi per le città, per i paesi e le borgate in cerca di essi, ripetendo con insistenza ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri: Venite, venite anche voi nella mia vigna! E trovava sempre qualche volenteroso che rispondeva al suo invito. Ma siccome la vigna, oltrechè lavorarla, bisognava anche custodirla giorno e notte dai nemici, così non tutti, anzi da principio solo pochi perseveravano tra le asprezze della lotta e le intense fatiche; gli altri tornavano indietro.
I pochi superstiti però, pur sotto il pondus diei et aestus, con prolungate esercitazioni si addestrarono presto, e si agguerrirono talmente da resistere agli assalti dei nemici; e un po' per volta, divenuti un vero esercito, dopo molte manovre nella pianura, si sparsero, come D. Bosco aveva visto nel sogno, alcuni all'oriente, altri all'occidente, parecchi al settentrione, e molti al mezzodì della vigna, sia per coltivarla e difenderla meglio, sia per trovare le nuove reclute necessarie a colmare i vuoti lasciati dagli scomparsi.
L'occhio paterno, fisso nell'avvenire, assiste al rinnovarsi delle battaglie, delle manovre e partenze di altri e poi altri ancora, che gli sono sconosciuti, ma che conoscono lui e lo tempestano di domande. Vede tanto i valorosi che cadono combattendo, quanto (non so dire con che amarezza del suo cuore) i pusillanimi che indietreggiano e un po' per volta abbandonano affatto il campo di battaglia; ma al loro posto vede con gioia sottentrare tosto volenterose nuove reclute, frementi di più ricche energie.
Poi la visione si allarga: una pioggia di fiammelle splendenti che sembrano fuoco di vario colore: un amenissimo giardino: un personaggio avente la fisionomia di San Francesco ; di Sales, che gli offre un libro, nel quale a stento egli riesce a leggere alcuni avvisi per i novizi, per i professi, per i direttori e per il Superiore...
A questo punto il Venerabile, tutto assorto nel pensiero delle vocazioni, chiede al misterioso personaggio che si debba fare per promuoverle; ed ecco la risposta che gli vien data: I Salesiani avranno molte vocazioni colla loro esemplare condotta, trattando con somma carità gli allievi e insistendo sulla frequente Comunione... Nell'accettazione escludere i pigri ed i golosi; vegliare se havvi garanzia sulla castità... E per le Missioni studiare e coltivare le vocazioni indigene.
Da queste semplici parole, che • tutti dovremmo imprimerci profondamente nella memoria, appare chiaro che la formazione delle vocazioni dipende molto da noi, e che con la nostra buona condotta e carità possiamo averne quante ne vogliamo.
Come va dunque che esse sono così scarse e insufficienti alle necessità della Congregazione? Perdonatemi, o miei carissimi, ma purtroppo mi sembra che la ragione di ciò continui ad essere quella che già lamentavo nella mia prima lettera edificante.
Permettetemi di ripeterla qui con le stesse parole: « Io ho la persuasione che da non pochi Salesiani si lascia perdere ogni anno più d'una vocazione. Spesso prendo in mano il catalogo della nostra Congregazione, rileggo i rendiconti, confronto col passato, e un senso di mestizia mi prende nel constatare che vani collegi ed ospizi che una volta davano abbondanti ed ottime vocazioni, ora ne dànno pochissime o nessuna. Non mi nascondo le difficoltà dei tempi, ma parrai che, se tutti' fossimo animati dal sacro fuoco di carità per le anime che ardeva in petto al Venerabile Padre, sapremmo trovare nel cuor nostro tali e tante industrie da superarle, o almeno renderle meno sensibili ».
Da quel tempo, quanto s'è ancora aggravata questa penuria di vocazioni! Per attenuare le nostre responsabilità, abbiamo cercato di gettarne tutta la colpa sull'immane guerra che ha desolato anche l'umile famiglia nostra, privandola di tante preziose esistenze, e paralizzandone la vitalità e le iniziative; tuttavia, se ben ascoltiamo la voce della nostra coscienza, non ci sarà difficile persuaderci che se avessimo lavorato di più, la Pia Società si allieterebbe ora di un maggior numero di vocazioni.
Forse si è perduto di vista che D. Bosco ci aveva ordinato di coltivare le scienze umane specialmente per aver modo d'insegnare la scienza divina che forma i veri cristiani, e sopratutto di suscitare, coll'aiuto di Dio, numerose vocazioni nell'immenso campo giovanile affidato alle nostre cure.
Forse ci siamo dimenticati che questo era uno dei punti essenziali della nostra vocazione salesiana, e ci siamo accontentati di essere maestri e professori distinti e instancabili, di null'altro preoccupati che di far studiare, studiare e poi studiare ancora, come un qualsiasi insegnante laico, afftnchè gli alunni avessero a riportare i più brillanti risultati negli esami finali, e conseguire i migliori diplomi professionali, per poter concorrere ai posti più rimunerativi.
E nell'Oratorio festivo si è forse data la preminenza ai giuochi, allo sport, al teatro, alla musica e a tutte le altre cose esteriori, riducendo al minimo lo studio e la pratica della religione.
Ah! miei buoni confratelli, se nei nostri Oratorii, Collegi, Ospizi e Pensionati lo studio e la pratica della religione avessero sempre, come voleva D. Bosco, il posto d'onore, qual terreno propizio si avrebbe per seminare e far fiorire in abbondanza le vocazioni sacerdotali e religiose!
Mi appello alla vostra stessa esperienza: non avete anche voi osservato che le Case ove la pietà ha il primato, sono veri semenzai di vocazioni, e che queste invece scarseggiano o mancano affatto là dove la pietà languisce? Perchè il primo Oratorio festivo di D. Bosco, perchè il primo Ospizio di Valdocco, perchè i primi Collegi diedero in breve tante e così splendide vocazioni, che i Pastori di numerose Diocesi dell'Italia e dell'Estero vi ricorrevano per aver clero?
Ecco: in quelle prime Case da tutti si mirava in primissimo luogo alle cose dell'anima; le parole dell'Apostolo: Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus ( Hebr., 13, 14), che racchiudono l'intero programma della vita cristiana, erano nel cuore di tutti, spronandoli ad una santa emulazione per correggersi dei difetti ed esercitarsi in ogni più bella virtù.
In tal modo la mente direttiva del buon Padre, illuminata dall'ardente sua carità verso Dio e verso le anime, andava preparando insensibilmente il terreno più propizio per le vocazioni ecclesiastiche e religiose. Ogni qualvolta perciò risuonava alle orecchie di quei giovani il si vis perfectus esse, il divino invito alla pratica dei consigli evangelici e dell'apostolato, molti e molti pieni di santo entusiasmo rispondevano tosto: Io, io son pronto! Prenda me!
Oh! le indimenticabili scene che vidi più volte rinnovate sotto i miei occhi, negli anni più belli trascorsi accanto al Venerabile Padre! S'era tutti convinti ch'egli avesse 'dal Signore doni affatto singolari, e in primo luogo quello della penetrazione e visione delle coscienze; ma anche prescindendo da tali superni carismi, D. Bosco con le sue naturali qualità, riusciva a preparar così bene il terreno alle vocazioni, che quando ne faceva poi un lontano cenno, pareva la cosa più naturale del mondo, e si restava quasi mortificati di non aver saputo pensarci e decidersi prima.
Era nelle ricreazioni, sopratutto in quelle più animate, che il buon Padre diventava un pescatore meraviglioso. Per,lungo tempo studiava l'indole, le tendenze, il carattere di ciascuno, con più amore di quello con cui una madre si occupa del bene de' suoi figli; e più uno dimostrava nei guochi vivacità e padronanza di sè, più egli l'andava preparando con lo sguardo, con le parole all'orecchio ( nelle quali però non entrava quasi mai la vocazione), con piccoli incarichi di fiducia, col fascino del suo affetto paterno, che pareva tutto intero per ciascuno de' suoi giovani; cosicchè, quando era giunto il momento propizio, bastava solo che dicesse all'orecchio: « Non ti piacerebbe consacrarti al Signore per salvar delle anime? » perchè il fortunato vedesse già decisa con luminosa chiarezza la propria vocazione. E non erano entusiasmi passeggeri.
Ora, in queste subitanee trasformazioni e decisioni dovremo forse veder sempre dei fatti straordinarii, e per così> dire miracolosi? Che in parecchi casi sia veramente stato così, non v'è dubbio; ma per lo più esse non erano altro che il risultato finale delle sante industrie, delle assidue fatiche, delle preziose preghiere con cui il Venerabile Padre aveva preparato il terreno alla vocazione, e l'aveva coltivata fino al suo pieno sviluppo.
Ebbene, se noi pure, o miei carissimi, non risparmieremo industrie, fatiche e preghiere, io vi assicuro che non ci mancheranno certo ogni anno abbondanti vocazioni. Il più lo ha fatto D. Bosco; a noi non resta che seguirne gli esempi. La sua grande missione fu quella di fondare dappertutto Oratorii, Ospizi e Collegi in cui raccogliere i figli del popolo per allevarli cristianamente.
Noi siamo i continuatori di questa sua mirabile missione, perciò dobbiamo fare come faceva il nostro Modello, cioè studiar bene i giovani, « apprezzarne in tempo le disposizioni fisiche, intellettuali, morali, per farne poscia, come fa il giardiniere delle piante del suo vivaio, la cerva, altre pel piano, altre per la collina. Questi non ha testa nè memoria per nulla; e ben per questo ci accontenteremo di inoculargli le cose necessarie alla salute. Quest'altro non ha volontà nè attitudine a continuarla sui libri, e ben questo lo applicheremo alle arti e mestieri, qual più gli aggrada. Ma poi quest'altro dall'aria ingenua, dal carattere franco, dalla memoria felice, dall'intelligenza aperta, dagli illibati costumi, ah! questo, come primizia eletta, coltiveremo con maggior cura, perchè metta bene, s'invigorisca, vada in alto. Attenda dunque questo giovane ad un corso regolare di studi, si renda forte nei primi elementi, più forte nella latina grammatica, ancor più forte nella rettorica. Orbene, con tal coltura mandata innanzi, io metto pegno che, come sopravverrà al giovane l'età competente, egli si farà uomo/ di Chiesa, perchè il Padrone della mèsse l'avrà scelto ad operare e diss'odare la sua vigna ». (Mem. Biogr., vol. V, pag 410 ).
Quale frutto di una simile cernita diligente, oculata, penetrantissima fatta da D. Bosco durante la sua vita in mezzo ai giovani, ben 2500 sacerdoti sono usciti, per sua stessa confessione, dalle sue Case e sono andati a lavorare nelle Diocesi! E se si tien conto anche delle altre vocazioni da lui qua e là seminate e coltivate, si può ben ritenere assai probabile il calcolo di chi ha fatto ascendere ad un numero molto maggiore i sacerdoti e religiosi da lui formati.
E non dimentichiamo, carissimi, che D. Bosco per ottenere questo miracolo di apostolato ha dovuto prima cercare tutti gli elementi necessari, cioè il luogo, gl'individui e i mezzi per mantenerli e lavorarli; mentre invece noi — eccetto, s'intende, i Superiori, ai quali incombe pure la ricerca degli individui e dei mezzi — ordinariamente non abbiamo che da coltivare le vocazioni nei giovani che ci sono affidati.
Ho detto « ordinariamente », perchè in senso largo siamo anche tenuti a « questuare vocazioni allo stato greggio » tra i °nostri parenti, amici e conoscenti, sia col buon esempio, sia colla parola, sia anche colla corrispondenza epistolare.
Se il Poverello d'Assisi, per distaccare i cuori dei suoi contemporanei dalle ricchezze e dai piaceri in cui erano ingolfati, volle che i suoi seguaci vivessero nella più rigida povertà di spirito e di fatto, questuando giorno per giorno il necessario all'esistenza, per cui furono chiamati frati questuanti, o cercatori; noi in un certo senso dovremmo, sulle orme del Padre, gloriarci di essere chiamati i questuanti o cercatori di vocazioni presso tutti i popoli.
E tale nostra questua, non di cibarie per i corpi, ma di cuori generosi per l'apostolato sacerdotale-religioso, sarà una predica così efficace come quella dei fraticelli d'Assisi al loro tempo: essi, col loro distacco da tutto, facevano disprezzare le ricchezze e amare la povertà che mena dritto a Gesù Cristo; noi, facendo risuonare alle orecchie dei giovani il divino invito del si vis perfectus esse, desteremo in molti di loro il desiderio della perfezione, e così predicheremo al mondo incredulo la necessità di far ritorno al soprannaturale, nella pratica sincera della vita cristiana, che altro non è se non la vita di Gesù negli individui, nelle famiglie, nella società intera.
Mi parve opportuno, o miei carissimi, fermare la vostra attenzione sopra questa specie di apostolato da esercitarsi nella sfera delle nostre relazioni non solo famigliari, ma anche d'amicizia o di semplice convenienza, perchè esso costituisce una delle più spiccate caratteristiche del genuino spirito infuso da D. Bosco nella sua istituzione.
Più si studia la sua vita, e più emerge la genialità affatto nuova della sua creazione. Vedendo egli l'odio accanito che ferveva ai suoi tempi contro la nostra santa religione, e in modo particolare contro gli Ordini e le Congregazioni religiose che la 'rivoluzione andava sopprimendo con leggi inique anche negli Stati fino allora cattolici; ed intuendo che non gli sarebbe stato possibile dare esistenza ad una nuova famiglia religiosa, qualora l'avesse modellata su quelle già soppresse, egli mise da parte ciò che era pura forma esteriore, e iniziò la sua Società con quanto era strettamente necessario alla perfezione religiosa.
Alla tradizionale terminologia delle Congregazioni d'un tempo egli sostituì nomi comuni è meno appariscenti; la sua aveva da essere solo una pia società di persone consacrate all'educazione della gioventù povera e abbandonata; í soci dovevano conservare, coi diritti civili, il dominio radicale dei loro beni, pur essendo vincolati con voto alla pratica dei consigli evangelici, e quindi in pratica realmente poveri, non potendo senza permesso fare alcun atto di proprietà; dovevano congiungere lo spirito di personale iniziativa con la debita sottomissione al Superiore: e da ,questo" spirito appunto la nostra Società ritrae quella geniale modernità che le rende possibile di fare il bene richiesto dalle necessità dei tempi e dei luoghi; infine, pur avendo essi detto addio ai parenti, agli amici, al mondo per seguire Gesù Cristo, tale distacco non doveva imporre una separazione violenta che li obbligasse quasi a rompere i legami di natura e ogni relazione esteriore: potendo benissimo la volontà essere perfettamente distaccata da tutto e da tutti, senza bisogno di separazioni materiali.
L'intero suo sistema educativo si riduce a formare volontà capaci di compiere il proprio dovere e di praticare i consigli evangelici in grado eroico, non per timore umano, non per coercizione esteriore, non per forza, ma liberamente per amore.
La sua istituzione è una famiglia formata unicamente di fratelli che hanno accettato i medesimi doveri e diritti nella più perfetta libertà di scelta e nell'amore più vivo a un tal genere di vita.
Per questo egli voleva assolutamente esclusi dalle sue case gli ordinamenti e le disposizioni disciplinari che limitassero in qualche modo la libertà propria dei figli di famiglia: ciascuno doveva osservare l'orario e il regolamento non già costretto da agenti estrinseci, ma spontaneamente per libera elezione del proprio volere.
Ora questo spirito di famiglia, in cui l'autorità dei Superiori non si fa sentire con imposizioni militaresche, ed, è l'amor filiale che muove la volontà dei sudditi a prevenire anche i semplici loro desiderii, questo spirito di famiglia è il terreno più propizio per le vocazioni; perciò, miei carissimi, noi dobbiamo gelosamente conservarlo ed accrescerlo.
Parlando con amici, conoscenti, estranei, facciamo risplendere questo nostro spirito in tutta la sua luce, sia col contegno sempre gioviale e allegro, sia esaltando la felicità del nostro stato tutte le volte che se ne offre il destro.
Così, quasi senz'avvedercene, estenderemo il terreno per le vocazioni, perchè non pochi insensibilmente saranno indotti a deporre i lor pregiudizi intorno allo stato religioso, e all'occasione forse loderanno il nostro genere di vita, o magari anche lo consiglieranno a chi è ancor dubbioso sulla scelta dello stato. E non è questo indirettamente un apostolato per le vocazioni?
Ma sopratutto, miei cari, dobbiamo conservare questo spirito di famiglia negli Oratorii festivi, nelle Case, nei Collegi e Convitti in cui lavoriamo, perchè solo dove regna questo spirito possono fiorire le vocazioni.
Facciamo dunque vivere intorno a noi quella famigliarità che il nostro buon Padre ci ha tanto caldamente ed efficacemente descritta nella sua memoranda lettera da Roma del 10 maggio 1884, che è il commentario più autentico del suo Sistema Preventivo. La potete leggere e rileggere, o miei cari, negli Atti del Capitolo Superiore (pag. 40-48); ed io faccio i più caldi voti perchè gli alunni delle nostre Case di Noviziato e di Studentato la studino unitamente al Sistema preventivo con vero amore filiale, sì da imprimersela profondamente nella mente e nel cuore. Anzi, a rendere tale studio più agevole, la farò tra breve stampare in libretto a parte.
Da quanto sono venuto fin qui dicendo, voi, cari figli, avrete facilmente compreso l'importanza somma del cercare vocazioni nei limiti delle vostre attribuzioni e dei rapporti con gli esterni.
I veri apostoli delle vocazioni fanno come lo scultore, il quale, prima di porsi all'opera ideata, cerca egli stesso il blocco di marmo più fino, e poi lo fa trasportare nel suo studio per lavorarlo con intelletto d'amore.
Durante questi anni del mio Rettorato ho assistito con gioia al grande movimento giovanile degli allievi ed ex-allievi dei nostri istituti; e dal fondo del cuore ho inalzato più volte l'inno del ringraziamento al Signore e alla potente nostra Ausiliatrice per questa meravigliosa abbondanza di giovani baldi, accorrenti con entusiasmo sotto il vessillo che porta in ogni paese del mondo il Da mihi animas! del nostro buon Padre!
Ogni qualvolta poi nelle nostre Case ebbi a trovarmi attorniato dal gaio stuolo degli allievi, nell'osservare il lor volto buono, ingenuo, sul quale apparivano chiaramente le belle doti di cui erano forniti, mi veniva spontaneo il pensiero che moltissimi di loro si sarebbero consacrati al Signore, qualora fossero stati ben indirizzati e aiutati a scegliere quella ch'Egli chiamò « la miglior parte ».
E nelle memorande adunanze degli ex-allievi, in tanto scintillio di belle qualità di mente e di cuore nella pienezza del loro sviluppo, pensavo pure che forse molti e molti di loro avrebbero abbracciato la carriera dell'apostolato delle anime, se fossero stati ben disposti e lavorati dai loro Superiori e insegnanti.
Miei buoni confratelli, queste cose non sono semplici supposizioni e pii desiderii; è un fatto che quando il terreno, pur essèndo ben preparato e concimato, non rende frutto, la colpa è da ascriversi al contadino, che o non ha seminato, o ha sparso semente non buona, o non si è curato di vegliare ;perchè crescesse bene e non fosse mangiata dagli uccelli e soffocata dalla zizzania.
Nell'immensa turba di giovanetti che la Provvidenza invia alle nostre Case, sono numerosi quelli che offrono un terreno molto atto a produrre il fiore della vocazione sacerdotale-religiosa, cle hanno cioè speciali qualità per lo stato di perfezione; ma, come s'è già detto sopra, occorre vi sia chi sappia convenientemente indirizzarli e guidarli. E questo dobbiamo far noi, se vogliamo dimostrarci figli affezionati della S. Chiesa e della nostra Congregazione.
Quali sono dunque le giovani anime che offrono un terreno più propizio per le vocazioni? Noi, o miei cari, dobbiamo porre l'occhio, come faceva da vero specialista il nostro Venerabile, sopra quelli che hanno una particolare attrattiva per la purezza.
Non parlo di quella purezza negativa, incosciente, che è dovuta unicamente all'equilibrio o alla calma del temperamento, o ad una fortunata ma effimera ignoranza di certi misteri della vita; ma di una purezza positiva, cosciente, voluta, dell'adolescente che già sa o almeno comincia a sospettare l'esistenza e la natura di quei piaceri, che forse già sente la sua natura inferiore trascinata verso di essi, e che tuttavia nella sua ragione, nel spo cuore, nell'anima sua prova un disdegno, un disgusto per tali cose, e quindi un desiderio, un bisogno di tenersene lontano, per risparmiarne ai suoi sguardi, alla sua immaginativa, alla sua vita l'alito contaminatore.
I giovani che hanno tale attrattiva per la purezza, nella scelta del genere di vita da abbracciare non possono non dare la preferenza allo stato ecclesiastico-religioso, perchè non tarderanno a comprendere, prima per via intuitiva e poi un po' alla volta per via dimostrativa, che questo è il solo stato in cui si possa conservare la purezza nel suo più alto grado.
Infatti lo spirito generale che regna nel sacerdozio e nelle corporazioni religiose, le lezioni e gli esempi di Gesù Cristo e dei Santi, che la Chiesa fa studiare e meditare ai preti e ai religiosi, le sollecitudini di questa divina Madre delle anime per l'onore e la santità de' suoi ministri, tutto parla di purezza, tutto esalta la purezza, tutto spinge quasi a forza verso la purezza.
La purezza ha un'intima affinità con lo stato ecclesiastico-religioso, ne è inseparabile e quasi con essi s'identifica. Questo intuiscono in qualche modo anche i giovani; perciò noi possiamo sperar molto da quelli che sono affamati e assetati di purezza; mentre al contrario non dobbiamo, in via generale, fare assegnamento su quelli che hanno tendenze troppo marcate per i piaceri della vita, cosa che è relativamente facile a conoscersi con lo studio oculato dei vani temperamenti, e più ancora coll'osservazione costante delle inclinazioni buone e cattive di ciascuno.
Rivolgiamo dunque i nostri sforzi e le nostre attenzioni principalmente a conservare e a coltivare la purezza nei giovani che ci sono affidati.
Come faceva il Venerabile, insistiamo senza mai stancarci sulla necessità di stare sempre occupati in qualche cosa; in ricreazione essere sempre in moto, non mettersi mai le mani addosso, non camminare a braccetto o tenersi per mano, o stringere la mano del compagno. Non tollerare che i giovani siano tra loro sgarbati o si abbraccino anche solo per ischerzo. Rigorosamente, ma con prudenza, inibire le amicizie particolari, per quanto sulle prime paia non presentino pericolo di sorta; ed in ciò siamo inesorabili. Non solo esecriamo il turpiloquio, ma non soffriamo che si pronuncino parole plateali, che possano suscitare un pensiero, un sentimento men che onesto.
Nelle esortazioni parliamo della purezza più che del vizio contrario, e di questo facciamo solo cenno con termini riservati e prudenti. Evitiamo di pronunciare i nomi di tali peccati; alle tentazioni non diamo altro epiteto che quello di cattive; una caduta chiamiamola disgrazia, proprio come faceva D. Bosco, al quale persino il vocabolo castità non sembravi abbastanza atto a imprimere nei suoi giovani quel candore immacolato di cui li voleva rivestiti.
O miei carissimi, supplichiamo il nostro buon Padre che ci ottenga la grazia di poter anche noi insinuare nel cuore dei nostri giovani l'amore, l'entusiasmo per la regina delle virtù, cosiechè abbiamo poi a proclamare « beati quei giorni in cui un piccolo neo riguardo ai costumi li commoveva al pianto e li spingeva con insistenza ai piedi del confessore, sì grande era l'effetto prodotto in essi dalle nostre parole, quando parlavamo della purezza ».
Insomma vigiliamo continuamente per allontanare dagli occhi e dalle mani dei giovani tutto quello che può far nascere in loro qualche malsana curiosità, avendo ognor presente o112 memoria il grave monito che il buon Padre era solito dare a' suoi primi figli:
« Ricordatevi: de moribus! ecco tutto: salvate la moralità. Tollerate tutto, vivacità, insolenza, sbadataggine, ma non l'offesa di Dio, e in modo particolare il vizio contrario alla purità. State bene in guardia su questo, e mettete tutta l'attenzione vostra sui giovani a voi affidati ».
Nelle case di educazione dove regna sovrana la purezza, non difetteranno mai le vocazioni sacerdotali-religiose; aggiungo anzi che saranno più abbondanti le vocazioni religiose, perchè è in religione che si può conservare meglio e più sicuramente questo candido giglio. Per un fine particolare, o miei cari figli, desidero che notiate questo.
Per l'indole stessa della nostra istituzione, noi dobbiamo darci attorno a coltivare la vocazione religiosa anche in quei giovani studenti o artigiani, i quali, pur essendo buoni e desiderosi d'una vita di perfezione e d'apostolato, non possiedono tutte le doti di mente e di cuore per aspirare al sacerdozio, ovvero non se ne sentono l'animo.
Nelle Congregazioni d'un tempo i fratelli laici formavano una specie di secondo ordine dipendente dal primo, e partecipante dei beni spirituali solo in minor grado.
Don Bosco ha soppresso il tradizionale dualismo; e í membri della sua Società godono tutti gli stessi diritti e privilegi; il carattere dell'Ordine sacro impone, sì, maggiori doveri, ma i diritti sono eguali tanto per i sacerdoti e i chierici quanto per i coadiutori; questi non sono un « second'ordine », ma veri religiosi salesiani, che debbono esercitare in mezzo alla gioventù l'identico apostolato dei sacerdoti eccettuate soltanto le mansioni sacerdotali.
Quindi i nostri coadiutori devono rendersi atti a caterhizzare, a tener conferenze religioso-sociali, a insegnare nelle scuole primarie e medie, a divenir capi d'arte, ad assistere giorno e notte i giovani, ad amministrare i beni della comunità, a svolgere insomma tutta quella parte dello svariato programma del nostro apostolato per la quale non si richiede íl carattere sacerdotale.
Ora, presentando la missione del coadiutore salesiano in tutta la sua sociale importanza, in tutta la sua attraente bellezza e varietà a quei giovani di cui ho detto sopra, essi ne saranno facilmente invogliati ad abbracciarla.
Queste vocazioni, o miei cari, sono uno dei bisogni più imperiosi per la nostra Pia Società, la quale senza di esse non saprebbe conseguire le alte finalità sociali che le sono imposte dai tempi presenti; e d'altra parte l'istituzione dei coadiutori forma una delle più geniali creazioni della carità, desiderosa sempre di rendere a tutti più agevoli le vie della perfezione.
Coltiviamo perciò con particolare impegno buone vocazioni di coadiutori. Parlando di vocazione salesiana, facciamo chiaramente capire che si può averla intiera e completa anche senza il sacerdozio, e che i coadiutori della nostra Pia Società sono in tutto eguali ai preti, tanto per i diritti sociali quanto per gli spirituali vantaggi.
Il maestro, il professore, il catechista, il prefetto, il direttore, che potranno dire di essere riusciti a formar dei buoni coadiutori, si saranno acquistata una specialissima benemerénza nella Congregazione.
Ma soprattutto, queste vocazioni di coadiutori debbono cercarle e coltivarle i coadiutori stessi, non solo nelle scuole e laboratorii, dove se ne offre forse meno facile il destro, ma nelle ricreazioni, durante le quali debbono stare anch'essi in mezzo aí giovani, prendendo parte amichevolmente ai loro giuochi e Conversazioni. In questo í buoni coadiutori possono esercitare un'influenza di gran lunga più efficace che non i chierici e i sacerdoti; infatti un chierico, un sacerdote, può tutto al più descrivere ai giovani la vita del coadiutore salesiano, ma il coadiutore questa vita la vive dinanzi ai loro occhi, offre loro il modello,, e si sa che verba movent, exempla trahunt: se le parole possono muovere gli esempi trascinano...
E poichè parliamo del potere dell'esempio, ricordiamoci, o miei carissimi, che a nulla gioverebbero le più assidue industrie per aver buone vocazioni di coadiutori, se gli allievi non vedessero praticamente nella nostra vita salesiana quell'uguaglianza e fraternità vera tra preti e coadiutori, da noi vantata a parole.
Oh! faccia il Signore che nessuno di noi abbia già da meritarsi il grave, per quanto amorevole, rimprovero che si legge nella Circolare di D. Rua del 1° Novembre 1906: « Mi scese al fondo del cuore come uno strale — scriveva questo nostro Padre venerato — la lagnanza udita qualche volta dai coadiutori, che essi non sono considerati quali fratelli, ma quali servitori! » ( L. Circ., pag. 355 ).
Un altro carattere che il giovane deve avere per essere un terreno propizio alla vocazione, è quella elevatezza di sentire che aborre da quanto è mediocre, banale e volgare, e anela a cose grandi; che dinanzi ai beni e agli onori terreni gli fa dire, con gli occhi scintillanti di nobile fierezza: Excelsior! Ad maiora natus sum!
Evidentemente lo stato sacerdotale-religioso non può non avere delle forti attrattive per questi giovani, perchè è uno stato supàfiore ad ogni altro anche solo dal punto di vista puramente umano. Ma in loro una simile elevatezza d'animo per lo più non è che in embrione, e sta a noi di svilupparla mediante l'educazione.
Qui principalmente, o miei cari, si deve manifestare tutta la valentia dell'educatore salesiano e la bontà del sistema preventivo. Questo sistema — che è la nostra più preziosa eredità — quando sia ben interpretato e meglio applicato, ci farà distinguere facilmente i vari caratteri dei nostri giovani, e c'indicherà i mezzi per migliorarli tutti, pur elevando ad una maggior perfezione quelli che si sentono chiamati a più alte cose.
Permettetemi di ricordarvi quanto ebbi già a dire quando mi sforzai di descrivervi D. Bosco quale nostro modello nell'educare e santificare la gioventù: là può trovarsi anche la norma di quel che dobbiamo fare per plasmare i nostri giovani in conformità degli esempi paterni.
Colla pratica del nostro sistema non permetteremo che si gua• stiro i caratteri già buoni per natura e per educazione idi famiglia, vegliando perchè i compagni di natura più terrena non abbiano a trarli alle loro idee, ai loro gusti, ai loro progetti sull'avvenire, a nulla insomma di basso, e neppure di comune, come sarebbero le aspirazioni alla fortuna, al lusso, al benessere e alle comodità, ai piaceri volgari, ai successi e alle vanità mondane.
Con destrezza induciamoli a levar lo sguardo verso un ideale superiore, verso il bene e la virtù, verso le gioie ardue, ma tanto più soavi che procura il dovere compiuto e la pace con la propria coscienza, verso una vita seria, utile e degna.
Di quando in quando nella scuola, nelle conferenze, nelle « buone notti », nelle ricreazioni, parliamo con entusiasmo di questi nobili ideali; e se talvolta nei discorsi familiari delle ricreazioni qualcuno manifestasse preoccupazioni d'amor proprio o d'interesse, non manchiamo di condannarle apertamente col dire: « Ciò è basso, è meschino, è banale, non è degno di un cuore generoso ». È sopratutto in questi discorsi che possiamo trovare l'occasione di ripetere sotto mille diverse forme la parola santa del Sursum corda!
Nei primi voltimi della vita del nostro Buon Padre possiamo trovare, leggendoli con amore, una miniera preziosa di norme e di esempi per l'esercizio pratico di questo apostolato, meravigliosamente fecondo di ottime vocazioni.
Facciamone tesoro tutti quanti, o miei carissimi, tenendo però presente una cosa molto importante per noi, ed è che per D. Bosco offrivano un buon terreno alla vocazione i giovani più birichini, com'egli soleva chiamarli, cioè irrequieti e vivaci, ma insieme ardenti e di si gran cuore da sentirsi spinti ad uscir di se medesimi, ad amare, e, per conseguenza, a dare, poi a darsi, e infine a sacrificarsi totalmente per il bene altrui.
Le sue conquiste migliori sono state in mezzo ai fanciulli di tal natura; molti ancor viventi possono farne veridica testimonianza, e se mettessero sulla carta i ricordi dei loro primi anni e la genesi della lor vocazione, come risalterebbe più fulgida l'arte del Venerabile nell'inalzare i cuori al desiderio e al conseguimento della perfezione!
Mettiamo ancor noi ogni nostro studio nel cercare di tali giovani dal cuore ardente e generoso: una parola, un movimento, un atto di gentilezza o di carità a favore di qualche compagno, possono esserne le prime rivelazioni: e coltivandoli con sapiente amore, un giorno o l'altro riceveremo da loro la confidenza di un principio di aspirazione verso la vita ecdesiastico-religiosa, perchè un po' per volta si farà strada in loro il pensiero che solo in tale stato potranno soddisfare appieno al bisogno che sentono di darsi e di sacrificarsi per gli altri.
Ho detto « coltivandoli con amore »; perchè a ciò è indispensabile l'opera nostra, sia per combattere senza tregua in loro l'egoismo, correggendone ogni più piccola manifestazione, e sia per abituarli a compiere di frequente piccoli atti di generosità, mostrando loro, anche solo con un semplice sguardo, che ne siamo contenti e li approviamo.
Incitiamoli ad esser larghi nel dare ai compagni e ai poveri, ma principalmente nel darsi, cioè nell'essere servizievoli e pieni dí attività per il bene. Facciamo che amino lo studio e il lavoro come la via più sicura per giungere presto a far del bene.
Iniziamoli alle piccole cariche delle varie Compagnie, alla sorveglianza nelle ricreazioni, nei giuochi, come altrettanti mezzi per fare un po' di bene ai compagni. Stimoliamoli a dar consigli, a protestare energicamente contro i cattivi discorsi, a diffondere il buono spirito e la pietà in tutti i modi...
Che se per dare bisognerà privarsi, e per darsi ed agire bisognerà scomodarsi, faticare, farsi innanzi vincendo la timidezza e il rispetto umano, e talora esponendosi anche ai dileggi e agli scherni altrui, allora la formazione sarà migliore e più sicura.
Però i nostri giovani, per quanto amanti della purezza,: della elevatezza di sentire e dell'abnegazione più generosa, non saranno mai terreno propizio alle vocazioni, se non possederanno un profondo spirito soprannaturale.
Sappiamo che tutta l'opera nostra di educatori deve mirare, sulle orme di D. Bosco, a formare dei cristiani convinti, praticanti, il che non potremo ottenere senza penetrarli bene di soprannaturale. E questo spirito è tanto più necessario nei giovani forniti dal Signore delle qualità necessarie per l'apostolato delle anime.
Sia perciò nostro studio di dare ad essi idee soprannaturali: imbeviamo le loro menti delle grandi verità della fede, principalmente di quelle che riguardano più da vicino la direzione della nostra vita, quali sono: la grandezza di Dio, i suoi benefizi e gli altri molteplici titoli che gli conferiscono il diritto assoluto di disporre di noi per il suo servizio; — la sua infinita amabilità, la dolcezza del darsi interamente a Lui; — la certezza della morte, congiunta all'incertezza della sua 'ora e del divino giudizio che fisserà in eterno la nostra sorte felice od infelice; — la vanità e fragilità delle cose terrene; — l'importanza capitale della salvezza dell'anima; — la malizia infinita del peccato, il pregio immenso della grazia, il valore inestimabile dell'anima; — la dignità e i meriti degli sforzi che l'uomo fa per salvarsi, la necessità di seguire Gesù più da vicino che sia possibile.
Prendiamo tutte le occasioni propizie per instillare profondamente nell'animo dei nostri giovani queste supreme verità, e ciò in modo naturale e persuasivo, più con l'esempio della nostra fede che con i discorsi.
Avvezziamoli a fare una breve lettura quotidiana in forma di meditazione, come suggerisce il Venerabile Padre nel Giovane Provveduto. Quanto sono belle e care le letture e le considerazioni da lui scritte nei primi anni del suo apostolato in mezzo ai giovani! Come in esse egli rivela tutta l'ardente sua carità e il suo metodo educativo interamente ispirato al soprannaturale!
Con le idee soprannaturali suscitiamo in essi i sentimenti corrispondenti: un forte timor di Dio ( oh! il Dio ti vede! di Don Bosco com'era efficace! ), timore temperato però da una pietà filiale; l'orrore di tutto ciò che può offendere Iddio, la paura dell'inferno, un vivo desiderio del paradiso; il disprezzo del mondo, dei suoi piaceri, delle sue pompe, delle sue massime e del suo spirito.
Eccitiamoli sopratutto ad un amore virile e tenero insieme verso N. S. Gesù Cristo, il Gesù del Presepe, del Calvario, dell'Eucarestia; a studiare nel S. Vangelo la sua vita, la sua fisionomia sublime e dolce; a visitarlo nel tabernacolo, a unirsi a Lui di frequente, anzi ogni giorno con la S. Comunione, almeno spirituale; ad amare la S. Chiesa con trasporto, man mano che le loro menti vanno apprendendo le glorie meravigliose della sua storia, delle sue opere eccelse, de' suoi santi.
Di più, le idee e i sentimenti soprannaturali debbono far fiorire nei giovani — in misura compatibile colla loro età — le virtù soprannaturali: la carità, l'umiltà, la mortificazione di cui è quotidiana palestra l'osservanza esatta del Regolamento; l'abnegazione, lo zelo per le anime.
Per l'acquisto di queste virtù, e anzitutto per la correzione dei difetti, che ne è la condizione indispensabile, insegniamo ai nostri giovani a maneggiare le armi potenti dell'esame generale e particolare. Così insensibilmente si formeranno in loro dei gusti soprannaturali: il gusto della preghiera, della parola di Dio, delle devote letture, delle funzioni di chiesa; e saranno desiderosi, felici di servire la Messa, ogni volta che se ne offrirà loro l'occasione.
Leggete, leggete, miei carissimi, quei veri gioielli che sono le biografie di Savio Domenico, di Michele Magone, di Francesco Besucco, di Luigi Colle, e troverete che D. Bosco, per crescersi attorno questi vaghissimi fiori di santità, fece precisamente quanto vi ho detto or ora.
Nè si pensi che questa formazione soprannaturale dei nostri giovani spetti unicamente al direttore, al catechista, al confessore: no, no, essa esige il concorso di tutti, e quindi anche quello degli insegnanti e dei capi d'arte, dai quali anzi alle volte forse dipende in massima parte, essendo essi più d'ogni altro a contatto coi giovani.
I maestri, i professori, i capi d'arte, gli assistenti, se sono all'altezza della loro missione e sanno approfittare delle occasioni che hanno continuamente, possono meglio d'ogni altro infondere il soprannaturale prima nell'intelligenza, poi nel cuore e nella vita interna dei loro allievi.
L'insegnante salesiano dev'essere ben convinto della necessità di dare agli allievi una soda istruzione religiosa; e la storia, la letteratura, la filosofia, le scienze, le matematiche, la geografia ecc., gli offrono ad ogni istante il destro d'insinuare almeno indirettamente qualche verità religiosa.
Questo è uno dei punti capitali del nostro sistema educativo: se lo trascuriamo, inevitabilmente le vocazioni nei nostri istituti verranno meno.
Però, miei carissimi, se siamo ben compresi della nostra missione educativa, quale la vuole D. Bosco, non possiamo accontentarci di preparare il terreno propizio alle vocazioni, del che vi ho intrattenuto fin ora: ma dobbiamo anche seminarle e coltivarle amorosamente.
Anzitutto, seminarle, cioè far uso dei mezzi di cui disponiamo perchè in quel terreno propizio la vocazione realmente nasca e prenda forma. E questi mezzi sono: la preghiera, le esortazioni, le letture ascetiche, le mille pie industrie di cui D. Bosco ci fu incomparabile maestro. « I Salesiani avranno molte vocazioni colla loro esemplare condotta », gli disse il misterioso personaggio del sogno; quindi per far nascere numerose vocazioni intorno a noi, dobbiamo ordinare la nostra condotta, l'intera vita nostra allo scopo della Pia Società, che è l'acquisto della perfezione nell'esercizio d'ogni opera di carità sia spirituale, sia corporale verso dei giovani, specialmente dei più poveri, ed anche l'educazione del giovane clero.
Perchè mai D. Bosco, nel 1° articolo: Del fine della Società Salesiana, ha voluto determinare che i soci si occupino anche dell'educazione del giovane clero? Non perchè abbiamo ad occuparci direttamente di Seminari diocesani — cosa che anzi l'art. 77 ci vieta di fare senza l'espressa licenza della Santa Sede nei singoli casi ma perchè ci diamo massima cura di coltivare nella pietà e nella vocazione coloro che si mostrassero in modo speciale commendevoli nello studio e nella pietà (art. 5).
Per essere veri figli di D. Bosco dobbiamo aver sempre presente questo fine, e, qualunque sia la nostra occupazione, stiadiarci in tutti i modi di suscitare il maggior numero possibile di vocazioni nel campo assegnatoci dalla Provvidenza. Nessuno dica di non potere: anche chi ha occupazioni che non riflettono direttamente i giovani, dev'essere seminatore e coltivatore solerte di vocazioni. Fra i tanti mezzi suggeriti più volte dal Ven. Padre e da D. Rua, molti sono quelli che fanno per tutti; e mi sembra di far cosa utile a ricordarvene qui alcuni.
Il Ven. D. Bosco faceva dipendere molto dalla preghiera le numerose vocazioni che andava formando. Se ora difettiamo di vocazioni, chissà che non sia perchè non preghiamo bene?
Molte volte anche da noi si prega meccanicamente, per abitudine, senza riflessione, e allora come possono le preghiere raggiungere il loro scopo? Mettiamo dunque in esse delle intenzioni ben determinate, congiunte a quel maggior fervore che ci è possibile, e ne sperimenteremo la potente efficacia sul cuore di Dio. Nella quotidiana Preghiera e Consacrazione a Maria SS. Ausiliatrice diciamo proprio di cuore a questa nostra buona Madre e Regina: « ... promuovete le sante vocazioni, e accrescete il numero dei sacri ministri, affinchè per mezzo loro il regno di Gesù Cristo si conservi tra noi e si estenda sino agli ultimi Confini; della terral... Fate altresì, o Maria Ausiliatrice, che noi siamo tutti raccolti sotto il vostro manto di madre, e che nessuno mai vi abbandoni! »...
E ripetiamo con frequenza e con ardore lungo il giorno la bella supplica al Cuore di Gesù, già da me ricordata al principio di questa lettera: « Cor Jesu Sacratissimum, ut bonos et dignos operarios Piae Salesianorum Societati mittere, et in ea conservare digneris, te rogamus audi nos! ». Credetemi, miei cari, queste preghiere, se ben fatte, non saranno vane: il Salesiano che prega nel vero senso della parola, trasfigura e santifica se medesimo, ed è un focolare di vita divina che riscalda le anime e le apre alla grazia.
A queste preghiere per le vocazioni uniamo lo spirito di mortificazione, perchè la generosità di Dio è proporzionata a quella dei nostri desideri e delle nostre suppliche. I desideri consistenti in sole parole costano poco e valgono meno; ma quelli che ci rendono forti contro noi stessi, che ci fanno vincere le ripugnanze, resistere alle tendenze cattive, praticare i doveii penosi, sopportare i difetti del prossimo, manifestano a Dio tutta la vivezza delle nostre aspirazioni, e lo inclinano più fortemente ad esaudirci.
Non intendo dire che si debbano fare apposite penitenze per ottenere vocazioni; l'assiduo nostro lavoro e la regolare osservanza sono già di per sè mortificazione non piccola; ma certo farebbero opera grandemente meritoria ed efficace quei buoni confratelli che, non potendo far altro, imitassero l'esempio del nostro Ven. Padre, il quale, quando aveva bisogno di qualche grazia molto importante, s'imponeva speciali austerità, riuscendo così ad ottenere il suo intento.
Le anime mortificate hanno esercitato sempre uno straordinario ascendente sul cuore di Dio; perciò non vi rechi meraviglia questa mia asserzione: il Salesiano umile, nascosto, continuamente '- intento al suo dovere, che di quando in quando si mortifica coraggiosamente per ottenere vocazioni alla Pia Società, riesce a suscitarne senza neppure avvedersene.
Durante il viaggio che feci attraverso le Americhe come rappresentante dell'indimenticabile D. Rua, alcuni di questi umili confratelli mi chiesero licenza di far ciò; e avendola io concessa, ho poi constatato che le Case ov'essi avevan dimora producevano ogni anno buone vocazioni; e che trasferendoli in altre Case fino allora state affatto sterili di vocazioni, tale sterilità ben presto cessava, grazie alle loro preghiere ed occulte mortificazioni.
Però preghiere e mortificazioni varrebbero poco, senza la condotta esemplare e la santità personale di ogni singolo Salesiano. È un fatto innegabile, o miei carissimi, che nelle Comunità religiose le vocazioni sono in proporzione diretta del fervore e della santità dei loro membri.
Il nostro buon Padre ci ha sempre inculcato questa verità nelle sue esortazioni, e più ancora con l'esempio pratico della sua santità, che faceva fiorire dappertutto le vocazioni, inducendo i cuori generosi a seguirlo dappresso nell'aspra via da lui battuta.
Allora, cioè nei primi tempi della mia giovinezza, noi stimavamo un grande onore d'essere annoverati tra i suoi figli, ed era in noi la ferma volontà di consacrarci al Signore interamente e non solo a mezzo, non per vantaggi temporali, ma per la gioia di poter condurre, come lui, una vita tutta di sacrifizio, benchè apparentemente ordinaria e comune.
La santità del Padre fu la causa effettiva della vocazione di tutti i suoi figli: noi si voleva seguirlo, perchè da lui emanava una segreta virtù che ci rendeva il cuore più ardente, lo spirito più illuminato, le passioni più calme, spronandoci in pari tempo ad imitarlo in tutto.
Questa segreta virtù traluceva così abitualmente dal suo sguardo sereno, dal suo perenne sorriso e da tutta la súa fisionomia, che noi lo vedevamo già trasfigurato in Dio e nel Pieno possesso di quella pace divina e di quel coraggio sovrumano che sono propri dei santi; onde i nostri cuori ardevano del desiderio di essere come lui e con lui, a costo di qualunque sacrifizio.
Orbene anche noi, miei cari, con l'osservanza esatta delle Regole, con l'esercizio delle più solide virtù, con l'amore della nostra vocazione, con la carità fraterna, con l'evangelica famigliarità e con l'interrotta unione a Dio, possiamo acquistare questa segreta virtù della santità del nostro Venerabile Padre, e come lui suscitare numerose vocazioni intorno a noi.
Il nostro tenor di vita poi dev'essere così attraente, da farne desiderare ai nostri giovani la geniale attività, l'inalterabile gaiezza.
Don Bosco ci voleva sempre allegri, pur in mezzo alle maggiori fatiche e ai dispiaceri più assillanti, pur in mezzo alle privazioni e ai sacrifizi.
Inoltre parliamo sovente della vita salesiana, mettendone in rilievo gl'innumerevoli vantaggi, la molteplice varietà delle occupazioni, adatte per tutte le indoli e per i più differenti caratteri; il gran numero degl'istituti e delle case, per cui, quando uno non potesse più lavorare con frutto in un luogo, sarebbe facile trasferirlo altrove perchè possa continuare a rendersi utile; la bellezza del nostro apostolato, la soavità dello spirito Che là anima; la modernità e vastità delle opere.
Io sono certo poi che nessuno mai dinanzi agli allievi vorrà, mostrarsi malcontento della sua vocazione, o screditare in qualsiasi modo la Congregazione che l'ha annoverato rra i suoi figli.
Finora vi ho parlato di quello che possono e debbono fare a pro delle vocazioni i Salesiani in genere; ma, oltre a questo, speciali doveri incombono ai Superiori del Capitolo, agl'Ispettori e ai Direttori coi loro relativi Consigli o Capitoli, agl'insegnanti, ai capi d'arte, agli assistenti, a tutti quelli insomma che hanno qualche autorità sui giovani.
Ora i Superiori del Capitolo hanno tenuto recentemente varie adunanze intorno alle vocazioni, per trarre dal tesoro di norme pratiche avuto in eredità dai Padri tutto quello che sembrasse più adatto ed opportuno per conseguire lo scopo desiderato.
Tutti furono unanimi nel riconoscere l'urgenza di un intenso apostolato a pro delle vocazioni ecclesiastiche e religiose, soprattutto salesiane, e il grave dovere che incombe ai singoli soci di mettersi tosto all'opera per esercitarlo secondo le proprie forze; e in questa persuasione hanno deliberato quanto segue:
Preferire, tra le nuove fondazioni che vengono proposte, quelle che dànno speranza più fondata di fornire molte vocazioni, sia per il buono spirito della gente del luogo, come per la comodità di concentramento dei soggetti, delle visite da parte dei Superiori, e dei mezzi di finanziamento.
Mandare — quando sembri conveniente — qualche confratello abile e dotato di sano criterio e prudenza a fare conferenze per suscitare vocazioni, e, se è necessario, a reclutare giovani, specialmente artigiani e famigli, nei paesi, come fanno altre corporazioni religiose.
Interessare allo stesso scopo i Cooperatori e i Parroci mediante circolari apposite, o articoli sul Bollettino, o nelle prescritte conferenze che si tengono in occasione delle feste di San Francesco di Sales e di Maria SS. Ausiliatrice. E io per ottemperare a quest'ultima deliberazione ho ritenuto conveniente di rivolgere ai nostri buoni Cooperatori, nella mia lettera del gennaio di quest'anno, un caldo appello perchè ci aiutassero a preparare nuove vocazioni religiose e sacerdotali.
« Sono pressochè quotidiane — dicevo — le domande di nuove fondazioni, e una delle mie pene più gravi è appunto quella di dover rispondere negativamente alle commoventi istanze che ci pervengono, o da centri estremamente bisognosi di aiuto immediato per salvare tanta povera gioventù, o da eminenti ed augusti personaggi, cui non vorremmo e non dovremmo mai dir di no. Eppure, con tutta la buona volontà di non indietreggiare mai di fronte al lavoro, vi confesso apertamente che non ci è possibile far di più. Come provvedere a questo gran bisogno? ,
» Col moltiplicare le vocazioni. Quanti bravi fanciulli, se venissero debitamente incoraggiati e sorretti, sarebbero felici di consacrarsi ad opere di carità e di zelo nello stato religioso e sacerdotale! Questa coltura divina spetta principalmente ai genitori e a tutti quelli che sentono amore per la gloria di Dio e per la salute delle anime. " Ricordiamoci — diceva Don Bosco — che noi regaliamo un gran, tesoro alla Chiesa, quando le procuriamo una vocazione. Serva essa per le Diocesi, o per le Missioni, o per un istituto religioso, è sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesù Cristo ". Voi quindi farete un'opera santa e della più alta importanza, se nel nuovo anno e in tutti gli anni avvenire, col consiglio e con ogni miglior appoggio morale e materiale, vi adopererete per inviare alla Società Salesiana qualche nuova vocazione. Io vi protesto innanzi a Dio che sarà per noi la migliore e più cara elemosina! ».
Altra deliberazione del Capitolo Superiore fu che i Superiori Maggiori facciano frequenti visite alle Case, fermandovisi il tempo necessario per animare tutti alla perfetta osservanza delle nostre Regole; e ciò perchè, come ho detto sopra, le vocazioni dipendono dalla buona condotta dei soci.
Essi dovranno insistere particolarmente presso i Direttori che . si faccia fare a tutti il rendiconto mensile, chiamando coloro che non si presentassero spontaneamente; che si tengano, e bene, le conferenze bimensili; che si dia molta importanza all'Esercizio di buona morte, facendolo fare ai confratelli separatamente dai giovani, perchè altrimenti serve a poco; e che gli Esecizi spirituali annuali dei confratelli siano ben preparati, avvisando in tempo i predicatori, ed esortandoli a parlare anche della vocazione, del suo gran pregio, dell'importanza e del dovere di perseverare ín essa, dei mezzi di perseveranza, ecc.
I Superiori del Capitolo faranno di tutto perchè queste norme siano praticate puntualmente dappertutto, ma i loro sforzi per essere fecondi hanno bisogno, o miei carissimi, della vostra cooperazione; perciò vi scongiuro con tutta l'anima, e in nome dell'affetto che vi porto, a non volerci negare questo indisperísabile aiuto; e faccio appello in modo speciale a voi, miei buoni Ispettori e Direttori.
Gl'Ispettori sono il braccio, o meglio l'anima,, del Capitolo Superiore per la conservazione del vero spirito salesiano nelle Case, e per l'universale diffusione dell'Opera di D. Bosco a favore della gioventù povera e abbandonata.
Essi infatti, secondo l'art. 73 delle Costituzioni, governano le Ispettorie e tengono le veci del Rettor Maggiore nelle case e nei negozi loro affidati: debbono fare cioè per le Ispettorie quello che il Rettor Maggiore col suo Capitolo fa per tutta la Società. Anch'essi perciò col loro Consiglio debbono studiare a fondo le cause della mancanza di vocazioni, e i mezzi per rimediarvi.
In ogni Ispettoria, oltre al Noviziato proprio, che è indispensabile, vi sia alnieno una Casa-Ospizio veramente tale, cioè destinata a formar vocazioni di studenti e di artigiani, e dove la beneficenza si faccia con questo preciso scopo, il quale è bene che sia dichiarato nel foglio-programma; e l'Ispettore vegli perchè non s'abbia a trasformare poco per volta l'Ospizio in un Collegio. Vi sia pure una Casa per i figli di Maria, possibilmente modellata su quella di Penango.
Rammentino i cari Ispettori l'illustrazione superna con cui il buon Padre venne ispirato a fondare l'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni degli adulti allo stato ecclesiastico.
Più l'opera sua andava sviluppandosi, e più la sua mente era dominata dal pensiero delle vocazioni; e una sera del 1875, mentre egli stava nella sacristia del Santuario di Maria Ausiliatrice, gli sembrò di trovarsi nella sua camera al tavolino col registro dei giovani tra le mani, e di udire una voce che gli diceva: « Vuoi sapere il modo di accrescere, e presto, il numero dei buoni preti? Osserva quel registro, da esso ricaverai il da farsi ». Don Bosco osservò, ma non seppe ricavar nulla. Allora temendo di sognare, si alzò bruscamente per vedere chi gli avesse parlato. I giovani a quella vista pensarono che avesse male, e fecero per sorreggerlo, ma egli, dopo averli assicurati che non era nulla, riprese a confessare.
Finite le confessioni e andato che fu in camera, per obbedire a quella voce misteriosa si mise a sfogliare tutti i registri della casa, e alfine gli balenò alla mente il pensiero che, di tanti giovanetti che intraprendevano gli studi per abbracciare la carriera ecclesiastica, appena 15 su 100, cioè neppur due su dieci, giungevano a mettere l'abito ecclesiastico; gli altri ne eran distolti da affari di famiglia, dagli esami liceali, dal mutamento di volere, frequente a quell'età. Invece quasi tutti quelli che venivano all'Oratorio più adulti, cioè 98 su 100, mettevamo l'abito ecclesiastico e riuscivano preti con minor tempo e fatica:
Egli venne quindi a questa conclusione: « Questi sono più sicuri e possono far più presto: è ciò che cercavo. Bisognerà quindi che mi occupi di loro; che apra delle case esfQessamente per loro, e che cerchi la maniera di coltivarli in modo speciale... ».
Oggi forse quest'Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni tardive è alquanto trascurata; eppure non ha cessato di avere tutta la sua importanza.
Non si tratta certamente di far dei preti a metà, senza gli studi necessari, chè questo sarebbe un danno immenso e per la Chiesa e per la nostra Società, e d'altronde è ormai reso impossibile dalle precise disposizioni del Codice riguardo agli studi ecclesiastici; si tratta di un prezioso segreto per aver più numerose e più sode vocazioni.
Sia dunque l'Opera di Maria Ausiliatrice una delle più care ai nostri Ispettori, come lo fu a Don Bosco, a Don Rua, come lo è pur oggi a tutti i Superiori del Capitolo.
La scelta di buoni Direttori e di personale veramente adatto e degno soprattutto dal lato religioso, è un'altra cosa che ha un grande influsso sulle vocazioni, e che dipende in massima parte dall'oculatezza e prudenza degli Ispettori.
Procurino essi inoltre che possibilmente nel noviziato i coadiutori possano tenersi esercitati nella propria arte, potendo avvenire che la mancanza di tale possibilità distolga alcuni artigiani dall'andare al noviziato. Richiamando a mente quanto ho detto più sopra, si comprenderà meglio l'importanza di questa norma.
Sarebbe pure utilissimo che, come vi sono Case ove i chierici professi triennali vengono perfezionati nella formazione religiosa e negli studi, ve ne fossero di consimili anche per i coadiutori artigiani, ove questi potessero divenire buoni capi d'arte e buoni religiosi. Di una solida formazione religiosa essi hanno bisogno almeno quanto i chierici, se non di più ancora, sia per poter divenire anch'essi buoni educatori salesiani, e sia per i più frequenti contatti pericolosi che forse avranno col mondo esterno corrotto e corruttore.
Gl'Ispettori inoltre, compresi come sono di quello spirito di famiglia che D. Bosco volle sempre vedere nelle nostre Case, facciano uso di tutta la loro autorità per impedire che in essa abbia ad infiltrarsi lo spirito militaresco, un triste frutto della guerra che purtroppo ha forse qualche proselito anche tra noi. Dove già fosse penetrato, diano ordini espliciti perchè la ginnastica venga limitata ai soli esercizi preliminari, e lo sport venga usato solo con molta prudenza e parsimonia.
Le nostre Case non debbono essere trasformate nè in caserme, nè in piazze d'armi, nè in palestre o campi di giuoco; un tale abuso è una delle precipue cause dello scemare doloroso delle vocazioni.
È quindi precisa volontà non solo mia, ma di tutti i Superiori del Capitolo, ch'esso venga al più presto eliminato; e ciò valga anche per gli Oratorii festivi, dove esso non reca danni men gravi.
Altro abuso da togliersi, inaudito nel sistema educativo nostro, è quello delle vacanze-premio durante l'anno scolastico. Non si concedano sotto nessun pretesto: non per tema che diminuisca il numero dei giovani; non perchè i confratelli abbiano alcuni giorni di sollievo (noi, come il nostro buon Padre, ci riposeremo in paradiso! ); non perchè i giovani sono dei corsi superiori, o stilo pensionanti che frequentano le scuole pubbliche, nel qual caso anzi bisogna approfittare appunto di quei giorni per intensificare la loro educazione religiosa con esercizi spirituali e conferenze, se vogliamo evitare il grave pericolo di ridurci ad essere degli albergatori, o al più degli istitutori sullo stampo di quelli di certi convitti civici!
A questo riguardo gl'Ispettori procurino altresì di accorciare, per quanto è possibile, le vacanze ai novizi di fresco accettati, perchè stando a casa non abbiano a perdere la vocazione, come purtroppo di frequente è avvenuto. Potendo, procurino loro un conveniente svago inviandoli a passare le vacanze in qualche nostra Casa con dintorni ameni e ricchi di belle passeggiate.
Diano somma importanza agli Esercizi spirituali dei giovani, scegliendo buoni predicatori nostri ( agli estranei, come ho già altre volte raccomandato, si ricorra solo in caso di necessità estrema ), ed esortino i predicatori stessi a parlar molto della vocazione, sopratutto il predicatore delle istruzioni, che possibilmente dovrebbe essere un esperto Direttore. Nelle Ispettorie dove saran praticate queste norme, non difetteranno più le vocazioni, e l'azione salesiana fiorirà mirabilmente in nuovi e più grandiosi istituti.
Ma per quanto facciano i Superiori del Capitolo e gl'Ispettori, essi non riusciranno a suscitare e coltivare abbondanti vocazioni senza il concorso dei Direttori delle Case, col rispettivo loro personale. Tocca ai Direttori mantenere ed accrescere in ciascun Salesiano la pietà e la virtù, secondo gli insegnamenti e gli esempi del nostro Fondatore, e, come scriveva l'indimenticabile D. Rua ai Direttori d'America il 24 agosto 1894, « conservare ai nostri istituti quel carattere che Egli loro impresse, carattere che consiste specialmente nello sforzo unanime, generoso e costante dei Superiori, maestri e assistenti perchè sia allontanato il peccato, perchè si pratichi spontanea la vera e soda pietà. L'educazione ed istruzione della gioventù senza spirito religioso, ecco la piaga del nostro secolo. Dio non permetta mai che le nostre scuole ne siano infette! ».
Sono i Direttori che devono compiere la maggior parte di questo importantissimo lavoro, dal quale, come si è detto più volte, dipendono le tanto desiderate vocazioni. Per compierlo convenientemente meditino spesso quanto scriveva ancora lo stesso D. Rua nel 1897:
« Voi non farete le meraviglie se vi confesso che, formato alla scuola di D. Bosco, non so chiamare vero zelo quello d'un religioso o d'un sacerdote, il quale si tenesse pago d'istruire ed educare i giovani del suo istituto o della sua scuola, e non cercasse d'avviare verso il santuario quelli in cui scorgonsi segni di vocazione, e che sogliono essere i migliori ».
Io ho la certezza che i Direttori, quando siano profondamente penetrati e convinti di questo pensiero, avranno sempre nella loro casa un ricco semenzaio di vocazioni.
Pur adoperandosi a far del bene alla società civile col dar asilo a tanti poveri giovanetti che sono in pericolo d'incamminarsi sulla via del vizio, e pur praticando la carità col dare a questi giovanetti il pane, con l'istruirli, col farne dei buoni cristiani e degli onesti cittadini; pur facendo tutto questo, dico, il buon direttore mirerà più in alto, cioè si sforzerà di aumentare il numero dei preti e dei coadiutori salesiani, memore sempre che senza di ciò la nostra Pia Società si ridurrebbe a non poter più compiere la sua missione, e che l'apostolato salesiano sarebbe monco, se non tendesse in primo luogo a far proseliti.
Per ottenere un tale intento, il Direttore sia veramente padre verso i propri dipendenti, provvedendo con sollecitudine alle loro necessità, anche materiali: ciò apre i cuori, mentre l'indifferenza li chiude e genera disgusti e tentazioni contro la vocazione.
« Il punto più culminante da inculcarsi ai. Direttori — scriveva D. Rua agl'Ispettori nel 1902 — si è che la cura loro speciale dev'essere di indirizzare bene i confratelli, e preti e chierici e laici. Sì, il loro grande impegno deve consistere nel conservare loro la vocazione colla carità, pietà, prudenza: trattar tutti bene, e ricordare specialmente che i confratelli, anche coadiutori, non sono servi, ma fratelli e figliuoli; perciò van trattati con fraterna carità, con sollecitudine, con confidenza. Insegnino pure i Direttori ai soci ed inculchino la povertà, e la facciano osservare; ma comincino essi a darne l'esempio, ed intanto s'adoprino con fraterna sollecitudine a non lasciar mai mancar loro nulla del necessario, anzi siano piuttosto abbondanti nel provvederli. Insegnino i Direttori ai soci ad essere veramente ubbidienti, ma essi si studino di non far pesare troppo l'ubbidienza, adoperando con loro modi buoni, e non pretendendo da loro più di quello che possono fare.
Inculchino pure di prendere i mezzi per conservare la castità, perciò la fuga delle intemperanze, delle amicizie particolari, delle comodità, delle carezze; ma intanto siano i primi a dar buon esempio in tutte queste cose; poi ascoltino il socio quando dice di essere in pericolo, non lo lascino in circostanze troppo difficili per le sue forze, lo pongano in condizioni favorevoli per conservare la bella virtù. Non si mandino fuori di casa a fungere uffizi o a far lavori quelli che non sono più che sicuri ».
Per lo stesso motivo i Direttori facciano in modo che i chierici possano compiere i loro studi regolarmente, affinchè non abbiano a lagnarsi dell'inosservanza di quanto le Costituzioni dispongino a loro favore, e a deplorare poi di essere sacerdoti solo a mezzo. « I vani Direttori delle Case — così Don Rua agl'Ispettori nel 1902 — veglino attentamente ed usino i mezzi necessari affinchè i tre anni di tirocinio pratico, che i chierici devono passare nelle Case dopo lo studentato filosofico, siano ben regolati; si eseguisca quanto di pratico venne e verrà ordinato sul modo di occupare quel tempo, e i Direttori, in questi tre anni specialmente, facciano proprio da padri, e tengano una cura affatto speciale di questi novelli figliuoli che loro vengono consegnati, e che più degli altri abbiso.--, gnano delle loro attenzioni, non essendo ancora del tutto formati ».
Inoltre i Direttori trattengano spesso i confratelli sulla maniera di coltivare le vocazioni; facciano conferenze apposite ai confessori circa il modo sano e prudente di servirsi del loro ministero a tal fine; inculchino a tutti che non si abbia paura di parlare di vocazione ai giovani, e che si facciano fruttare i molti mezzi di cui disponiamo all'uopo, richiamando su ciò specialmente l'attenzione dei catechisti.
Quando è di passaggio un missionario zelante, lo preghino di parlare ai giovani della vita delle Missioni, della vocazione e dell'apostolato: questo, se si fa bene, è molto fruttuoso. Non è fuor di luogo ricordare ancora una volta che dipende principalmente dai Direttori di promuovere la vita di famiglia, la cordialità tra i confratelli, cosicchè ognuno possa dire proprio di cuore: O quam bonum et iucundum habitare fratres in unum! Ciò affeziona molto i giovani all'ambiente salesiano, e fa loro desiderare di vivervi sempre. Che cosa fu che distolse D. Bosco dal suo giovanile proposito di entrare in un Ordine religioso? Quel sogno in cui gli fu detto: « Alla Pace — era il nome del convento in questione non troverai pace! » (Mem. Biogr. di D. Bosco, vol. 1° pag. 301). Si raccomandi poi senza posa la massima carità coi giovani!
Nelle accettazioni i Direttori delle Case-Ospizio preferiscano i giovani che dànno maggiori speranze di vocazione; licenzino quelli che deludono tale speranza, per fare posto ad altri. Coi buoni che son poveri, non istiano a lesinare sulla pensione.
Tutti i Direttori poi evitino il lusso degli abiti e della mensa perchè ciò non favorisce le vocazioni; promuovano la frequente confessione e comunione, le varie Compagnie fondate dal Venerabile, specie quelle del SS. Sacramento e del Piccolo Clero; e facciano in modo che nella casa tutto parli di Dio e richiami alla mente le verità eterne, servendosi anche all'uopo d'iscrizioni o cartelli appesi alle pareti dello studio, della scuola e di altri luoghi ove sembri conveniente con massime e detti scritturali.
Esigano continuamente dai loro subalterni meno materialità di disciplina, ma più amore e più vita di famiglia.
Parlino sovente ai giovani di D. Bosco, della bellezza della vita dell'Oratorio nei primi tempi, quando vi fioriva un Domenico Savio, un Michele Magone, un Besucco, un Gavio, un Fassio, tutto un giardino meraviglioso di santità giovanile. ,Parlino delle nostre Missioni e degli eroici missionari che hanno consacrato ad esse tutta la loro vita; della vocazione, spiegando bene quale ne sia il concetto, e come non sia necessario sentirla ma basti che sia riconosciuta come tale da coloro che hanno da Dio la grazia e l'ufficio di giudicarne. Di simili argomenti bisogna parlare in tutte le nostre Case e a tutti i nostri giovani, anche a quelli dei corsi superiori, ma con speciale frequenza negli Ospizi.
Alcuni Direttori mantengono giovani in altre Case: ciò non basta, bisogna coltivare le vocazioni nella Casa propria, altrimenti verrà a soffrirne anche il buono spirito di essa. Si scelgano convenientemente i libri da leggere in chiesa, in dormitorio, in refettorio o altrove, le rappresentazioni teatrali e cinematografiche, seguendo scrupolosamente e sempre in questa scelta le norme che ci ha lasciato D. Bosco. Al termine delle scuole primarie si suggerisca ai giovanetti di entrare nel ginnasio anzichè nelle scuole tecniche, enumerandone i maggiori vantaggi, qualunque abbia ad essere la professione che più tardi vorranno scegliere.
Ancora: i Direttori non si limitino a curare le vocazioni solo tra gli studenti, ma tengano in gran conto e coltivino con amore quei giovani artigiani, agricoltori od anche famigli della loro casa, i quali aspirano a farsi salesiani: pensino alla loro coltura, usino in loro favore la beneficenza, chè allora vi sarà maggiore speranza di 'Vocazione; li aiutino in ogni modo a vincere le loro difficoltà, e poi propongano pel noviziato quelli che dànno affidamento di buona riuscita.
E quando questi coadiutori, già confratelli, vanno a lavorare in una Casa, non creda il Direttore di essa che la loro educazione sia già del tutto compiuta; anzi, allora più che mai bisogna con pazienza e zelo star loro attorno, perchè è specialmente all'inizio della vita d'azione salesiana che devono essere ben curati, affinchè vi prendano un buon avviamento, e perseverino poi sino alla fine ( Cfr. Lett. Ed. di Don Rua, N° 3).
I Figli di Maria che non riescono nello studio, si procuri di avviarli a farsi coadiutori. Sí accettino in prova i famigli con facilità e larghezza: omnes probate! Si usi con loro carità e pazienza, e si assistano con amorosa sollecitudine nelle loro pratiche di pietà: anche di qui possono uscire molte vocazioni.
Per ultimo non tralascino i Direttori di coltivare e far coltivare le vocazioni anche negli Oratori festivi, i ,quali anzi devono esseré considerati come un vivaio dei più cospicui e feraci. « Sì, — esclamava il venerando D. Rua nel 1906 — anche negli Oratori festivi conviene coltivare le vocazioni. Ricordiamo che il nostro buon Padre raccolse nell'Oratorio festivo le sue prime reclute; e così in altre nostre Ispettorie le prime e buone reclute per la nostra Pia Società si ebbero dagli Oratori festivi. In generale si lavora a coltivare le vocazioni nei Collegi; ma negli Oratorii festivi talora quasi non si pensa a questa parte così importante della nostra missione ».
Si seguano in ciò le norme date sopra, adattandole alle particolari circostanze di ogni singolo Oratorio. Mezzo sovrano però è quello che praticò D. Bosco per avere le sue prime vocazioni, cioè gli Esercizi spirituali per tutti gli Oratoriani, e poi un corso speciale in luogo appartato per quelli che sembrano aver doti e qualità per una buona vocazione. Gli Oratorii festivi che hanno usato questo mezzo diedero già ottime vocazioni, e continuano a darne ancora, quasi per tradizione. Aggiungerò che le vocazioni uscite dagli Oratorii festivi possiedono in generale più spiccata la vera caratteristica dei figli di D. Bosco, che è, direi, la passione per l'Oratorio festivo, nel quale riescono a meraviglia. Ora, poichè l'Oratorio festivo è la palestra principale del nostro apostolato, non è chi non veda la necessità e l'importanza di tali vocazioni.
Ma i Superiori del Capitolo, gl'Ispettori e i Direttori per poter attuare il vasto programma da me qui brevemente delineato, abbisognano dell'attiva cooperazione del personale di ogni singola Casa. Ecco perchè ho voluto indirizzare questa lettera a tutti voi, o miei carissimi confratelli e figliuoli; ed ho buona speranza ch'essa vi sia d'incitamento a zelare questo grande apostolato, dal quale dipende la vita della nostra Pia Società.
Ciascuno, mi pare, può trovare in essa le cose principali da farsi a tal fine. Da tutti la nostra Pia Società aspetta vocazioni: dai Prefetti come dagli Economi, dai Catechisti come dai Consiglieri scolastici e professionali, dagl'insegnanti e dai capi d'arte come dagli assistenti, nelle case più grandi come nelle più piccole.
Nessuno deve credersi dispensato dal far la sua parte, ma tutti andar a gara perchè il numero delle vocazioni vada di anno in anno aumentando. Neb 1920 abbiamo avuto nei nostri Noviziati un totale di 487 ascritti: in media uno all'incirca per ogni nostra Casa, poichè le Case sono attualmente 433. Che sia così difficile raggiungere una media di due vocazioni per casa? Se tutti ci metteremo di buona voglia, non credo. E quale passo avanti non potrebbe fare la nostra Congregazione, se ogni anno potessimo avere ottocento novizi in luogo di quattrocento!
Permettetemi ora di ripetere qui, a conclusione di questa mia, alcuni pensieri che vi esposi già altra volta, e che, parrai, non saranno mai abbastanza meditati.
Nei fanciulli che la Provvidenza manda ai nostri Oratori, Ospizi e Collegi, gl'insegnanti, i capi d'arte e gli assistenti devono anzitutto sopprimere quei difetti che costituiscono il principale ostacolo al germogliare delle vocazioni religiose e sacerdotali cioè, per nominarne alcuni: la corruzione precoce, l'indebolimento dello spirito cristiano, il rammollimento del carattere e la mondanità; cose tutte che possiamo togliere facilmente ed insensibilmente con l'applicazione costante del sistema preventivo, su cui Don Bosco volle fondata l'educazione salesiana.
Ma questo lavoro di eliminazione è puramente negativo, e per sè non gioverà affatto al fine desiderato, se contemporaneamente non cercheremo di sviluppare nei nostri alunni tutti i lati, tutte le tendenze, tutti i gusti soprannaturali, od anche solo naturali, che possono eccitarli o attirarli alla vita religiosa e sacerdotale.
Il Signore poi si servirà di questa e di quell'attrattiva, fatta brillare da noi a quei giovani cuori, per invitarli al suo servizio. Quando un giovanetto dirà di aver sentito la divina chiamata, se si cercherà di sapere da lui in qual modo o per qual via l'abbia sentita, si toccherà con mano che la vocazione gli è entrata precisamente per una delle porte che gli furono aperte sviluppando le migliori inclinazioni dell'animo suo.
L'uno, natura elevata, non saprà dir altro se non,che è cosa bella e grande l'esser religioso salesiano e prete. Un altro invece, pieno di caritatevole compassione, dirà: « Perchè voglio farmi Salesiano, prete? Perchè i Salesiani, i preti fanno del bene ai poveri giovani, ed io voglio fare altrettanto! ». Un terzo, anima pia, amante di Gesù, considererà sotto altra forma i suoi desiderii, manifestando la veemenza dell'affetto che lo spinge a unirsi sempre più al suo Signore: e questo sarà il caso più frequente.
Un santo educatore interrogava un giorno un fanciullo dodicenne intorno al modo che teneva nell'ascoltare la S. Messa. Giunto coll'esame alla Consacrazione, gli chiese che cosa facesse in quell'istante. Il fanciullo si chinò verso il padre dell'anima sua, e timido, commosso, ma deciso di profittare di quell'occasione per rivelare una santa ambizione che accarezzava da qualche tempo in fondo al cuore, senz'aver mai osato di manifestarla: « Arrivato a questo punto — rispose — quando vedo il Sacerdote tener Gesù nelle sue mani, io prego Gesù che mi conceda un giorno la stessa felicità! » Quale deliziosa rivelazione in questa semplice risposta!
32. « Se nella mia fanciullezza... ».
A tranquillità poi di ogni coscienza, San Tommaso d'Aquino dichiara espressamente che quelli i quali eccitano gli altri ad entrare in religione, non solo non peccano, ma meritano una grande ricompensa (Summa Theol., 2a 2ae, Quaest. 189 art. 9), purchè non usino nè violenza, nè simonia, nè frode. « Buona cosa è indurre uno al bene », scrive il dottissimo Suarez. E più innanzi: « Bisogna aiutare chi ha ricevuto una prima mozione dello Spirito Santo, sia perchè resti nella sua risoluzione, sia perchè almeno non resista allo Spirito Santo, ma piuttosto con preghiera e buone opere si ponga in istato di ricevere dallo stesso Spirito mozioni più efficaci... È poi sempre cosa ottima eccitare e muover al timor di Dio, alla fuga delle occasioni del peccato, e nello stesso tempo proporre i vantaggi e l'eccellenza dello stato religioso ».
« Uno dei più grandi servizi che si possono rendere ai giovani — dice a sua volta il P. Surin — si è di aiutarli nella scelta che devono fare di uno stato di vita. Siccome d'ordinario è a questa età che Dio fa conoscere la sua volontà circa i diversi stati che possono abbracciare, e siccome la maggior parte non sanno ciò che sia la professione religiosa, importa assai far loro conoscere i vantaggi e la sicurezza che vi si trovano, affinchè, se a Dio piacerà chiamarli, abbiano di che difendersi contro l'amore del mondo, dei piaceri e delle grandezze della terra, che impediscono ad un'infinità di persone di seguire la vocazione di Dio ».
Suscitare in un'anima il desiderio del sacerdozio e della vita religiosa è dunque ottima cosa, purchè questo desiderio sia rivestito di tutte le qualità più sopra enumerate. La maggior parte dei ragazzi non sospettano neppure di aver lè doti per la vocazione allo stato di perfezione: la dissipazione, l'irriflessione, fors'anche le mancanze, impediscono loro di vederle...
In moltissime circostanze quindi gl'insegnanti, i capi d'arte e gli assistenti devono prevenire queste anime, richiamando con grudenza discreta la loro attenzione sulla possibilità ch'essi hanno, con le loro qualità, di fare un giorno un gran bene, se si daranno all'apostolato con l'elezione di una vita superiore e migliore sotto ogni aspetto... Quanti, divenuti adulti, ebbero già a dire: « Se nella fanciullezza mi fosse offerto il destro di aprire l'anima mia, mi si fosse parlato di vocazione, ben di cuore mi sarei fatto religioso e prete! ».
Si usi dunque tutta la delicatezza e la serietà che merita una tal materia, ma si eviti anche l'eccesso opposto di lasciar perdere per una soverchia e inopportuna prudenza, eccellenti vocazioni.
Orsù dunque (finirò con le parole di D. Rua ), lavoriamo, sì, lavoriamo tutti indefessamente per moltiplicare gli operai evangelici, e così si estenderà sempre più la sfera di nostra pia azione a favore della Chiesa e della società. Ed intanto procuriamo noi stessi di corrispondere sempre meglio alla grazia della nostra vocazione, col far sì che, mentre cerchiamo, secondo le nostre forze, di salvare il prossimo, ci studiamo di evitare ogni minima colpa deliberata in noi stessi. Facciamo nostro l'avviso dello Spirito Santo: recupera proximum secundum virtutem tuam, et attende tibi ne incidas (Eccl., 27, 29).
E mentre io esorto voi, miei buoni figliuoli, ad una santa emulazione di sempre nuovi progressi nella perfezione, vi prego di non dimenticarvi di me nelle vostre preghiere: di me che sento sempre più la necessità della divina grazia e del vostro concorso perchè mi sia meno grave il peso del posto in cui Dio mi volle mettere.
Da parte mia non cesserò d'invocare su ciascuno di voi le divine benedizioni, mentre con cuore di Padre mi ríaffermo
Vostro aft.mo in C. J. Sac. PAOLO ALBERA.
A complemento e illustrazione di questa mia, credo opportuno e conveniente aggiungere qui alcuni pensieri sulla vocazione tratti dai nostri Padri.
I. Dagli scritti del Venerabile Don Bosco.
1. Se avessi avuto una guida!
2. Che devo fare, finito il ginnasio?.
3. Requisiti per la elezione dello stato.
4. Mezzi per accertarsi della vocazione.
5. Testimonianza del confessore.
6. Accrescere il personale.
7. Opera « Figli di Maria ».
8. Vocazioni ecclesiastiche anche secolari.
9. Cura delle vocazioni ecclesiastiche.
« Oh! se allora avessi avuto una guida, che si fosse presa cura della mia vocazione, sarebbe stato per me un gran tesoro. Ma questo tesoro mi mancava. Avevo un ottimo confessore che pensava a farmi buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare. Consigliandomi con me stesso, dopo aver letto qualche libro che trattava della scelta dello stato mi son deciso di entrare nell'Ordine Francescano. — Se io rimango chierico nel secolo, diceva tra me, la mia vocazione corre gran pericolo di naufragio. Abbraccerò lo stato ecclesiastico, rinuncerò al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla meditazione, e nella solitudine potrò combattere le passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore aveva messe profonde radici ». (Dal Manoscritto di Don Bosco: — Memorie dell'Oratorio dal 1835 al 1855. — Lemoyne, Mem. Biogr., vol. 1, 268).
« Colla ritiratezza e colla frequente Comunione si perfeziona e si conserva la vocazione e si forma un vero ecclesiastico ». (Parole del Teol. Borel al chierico Bosco nel 1839. Mem. Biog., 1, 460).
Merita di essere meditato il colloquio che un giovane ebbe verso il 1857 con Don Bosco intorno alla vocazione, e che questi ci lasciò scritto. Il giovane gli aveva più volte domandato a qual genere di vita lo consigliasse di appigliarsi, dopo compiuto il ginnasio.
— Sta buono, gli rispondeva Don Bosco, studia, prega, e a suo tempo Dio ti farà conoscere ciò che sarà meglio per te.
— Che cosa debbo praticare affmchè Dio mi faccia conoscere la mia vocazione?
— San Pietro dice che colle buone opere noi possiamo renderci certi della vocazione e della elezione dello stato.
— Quali sono i segni che manifestano essere o non essere un giovane chiamato allo stato ecclesiastico?
— La probità dei costumi, la scienza, lo spirito ecclesiastico.
— Come conoscere se vi sia la probità dei costumi?
— La probità dei costumi si conosce specialmente dalla vittoria sui vizi contrari al sesto comandamento, e di ciò bisogna rimettersi al parere del confessore.
— Il confessore già mi disse che per questo canto posso andar avanti nello stato ecclesiastico con tutta tranquillità. Ma e per la scienza?
— Per la scienza tu devi rimetterti al giudizio dei Superiori che ti daranno gli opportuni esami.
— Che cosa s'intende per spirito ecclesiastico?
— Per spirito ecclesiastico s'intende la tendenza e il piacere che si prova nel prendere parte a quelle funzioni di chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni.
— Niente altro?
- Vi è una parte dello spirito ecclesiastico che è più d'ogni altra importante. Essa consiste in una propensione a questo stato, per cui uno è desideroso di abbracciarlo a preferenza di qualunque altro stato, anche più vantaggioso e più glorioso.
— Tutte queste cose trovansi in me. Una volta desideravo ardentemente di farmi prete. Ne fui avverso per due anni, per quei due anni che lei sa; ma al presente non mi sento a nessuna altra cosa inclinato. Incontrerò alcune difficoltà da parte di mio padre, che mi vorrebbe in una carriera civile, ma spero che Dio m'aiuterà a superare ogni ostacolo. — Don Bosco gli fece ancor osservare che il farsi prete significava rinunciare ai piaceri terreni; rinunciare alle ricchezze, agli onori del mondo; non aver di mira cariche luminose; esser pronti a sostenere qualunque disprezzo da parte dei maligni, e disposti a fare tutto, a tutto soffrire per promuovere la gloria di Dio, guadagnargli anime, e per prima salvare la propria.
— Appunto queste osservazioni, ripigliò il giovane, mi spingono ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Imperocchè negli altri stati havvi un mare di pericoli, che trovansi di gran lunga inferiori nello stato di cui parliamo ». (Mem. Biogr., V, 704 e seg. ).
Al medesimo giovane, quando venne il padre a ritirarlo dall'Oratorio per non lasciargli abbracciare lo stato ecclesiastico, Don Bosco nel congedarlo diede questi consigli: « Mio buon figliuolo, una gran battaglia ti aspetta. Guàrdati dai cattivi compagni e dalle cattive letture. Abbi sempre la Madonna per tua madre e ricorri spesso a lei. Fammi presto sapere delle tue notizie ». (Mem. Biogr., V, 706).
Son poche parole, ma valgono un trattato!
« ... Questo giovane è veramente deliberato di proseguire la carriera degli studi per la via ecclesiastica. La sua buona condotta, la sua ritiratezza, la sua frequenza alle pratiche religiose, la sua attitudine agli studi lasciano niente a desiderare per una buona riuscita. Ma egli è povero: per questi tre anni fu a mie spese; aprirà la Provvidenza qualche strada. La mia speranza e quella del giovane Fusero sono rivolte a lei. Da quanto V. S. mi scriverà dipende il presentarsi all'esame dell'abito chiericale o differire ancora ».
In questo brano di una lettera di Don Bosco al Teol.. Appendine, Arciprete di Caramagna, in data 8 giugno 1855 (Mem. Biogr., V, 390) sono enumerati chiaramente, come nel colloquio già citato, i requisiti secondo lui necessari per divenir prete o religioso. A suo avviso la divina chiamata doveva riconoscersi dalle doti e qualità personali. Precisamente la dottrina genuina della S. Chiesa, dottrina tanto travisata e contorta in certi libri ed opuscoli dei suoi e dei nostri tempi intorno alla vocazione!
« ... L'elezione dello stato qui nella casa è pienamente libera, e senza tutti i necessari requisiti, per esempio, nessuno è ammesso a vestire l'abito clericale. Chi fu vestito di questo ha segno di vocazione; ma chi non è chiamato a questo stato, nei tempi miserabili in cui viviamo, io giudico assai meglio che lavori la terra... ». (Mem. Biogr., VII, 182 ).
« ... Molti di voi saranno preti, moltissimi resteranno secolari. Ma non bisogna che voi, perchè dite: mi farò prete, vi crediate di riuscire preti; e voi perchè dite: io prete non mi voglio fare, crediate dover essere secolari. No e poi no. Molte volte Dio chiama ad esser preti certi giovani che neppure se lo sognavano; e molte volte giovani che si credevano chiamati al sacerdozio, anzi chierici che avevano già presa la veste, cambiarono strada. Dunque finchè abbiam tempo preghiamo il Signore che c'insegni la strada per la quale dobbiamo camminare.
» E primo mezzo per fare certa la nostra vocazione, è quello che ci suggerisce San Pietio: Fratres, satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis. Condurre una vita piena di buone opere, una vita col santo timor di Dio. Tutto quello che facciamo, farlo alla maggior gloria del Signore, e allora il Signore ci darà quello che vuole da noi, per che strada dobbiamo incamminarci, qual carriera abbiamo da scegliere...
» Il secondo mezzo è quello del quale San Paolo parla così: Opertet autem illum et testimonium habere bonum ab iis qui foris sunt. Chi sono costoro che essendo fuori di noi debbono renderci testimonianza? Sono il padre, la madre, il parroco, i compaesani, il direttore e i Superiori del collegio o casa di educazione nella quale ci troviamo. I giovani ben presto colla loro condotta dimostrano dove Dio li chiami, e secondo questa condotta coloro che foris sunt proferiscono la loro sentenza. Vedendo certi giovani che sono raccolti in chiesa, riserbati nel tratto, affabili con tutti, sentite che si va dicendo di loro: — Che buon prete sarà costui! — Di quell'altro si dice: — Che buon avvocato diventerà! — Di un terzo: — Un valoroso soldato sarà! ecc... Bisogna star attenti a far tutto con diligenza, eziandio i doveri più piccoli, se vogliamo che il Signore ci faccia conoscere la strada per la quale egli intende che noi camminiamo. Vi sarà un giovane, al paese del 'quale si sa da tutti che ha intenzione di farsi prete, ma in quanto a studiare studia poco, in chiesa va meno che può e vi sta con poca divozione, giuoca volentieri, frequenta certi compagni, si lascia sfuggire certe parolacce. La popolazione parla di lui e dà la sua testimonianza: — Che cattivo prete ha da riuscire costui!
» Ah! miei cari, diportatevi bene, acciocchè i Superiori possano dirvi francamente il loro parere sulla vocazione. State attenti a quello che vi dico adesso, perchè sono cose che nei libri non si trovano, oppure si trovano in libri che voi nel vostro stato presente non potete procurarvi. Abbiate confidenza nei vostri Superiori, venite a consultarli, perchè è nostro piacere giovarvi in tutto quello che possiamo. Vi sono giovani che in tutto l'anno non s'accostano mai ai Superiori e non si curano menomamente di pensare alla loro vocazione...
» Ora parlerò del testimonio interno della nostra vocazione, che solo può giudicare le cose interne dell'anima nostra, e questo è il confessore. A lui perciò dobbiamo aprire schiettamente la nostra coscienza, ed egli saprà dire dove il Signore ci vuole. Scelto che abbiamo un confessore, dobbiamo con assiduità andare dallo stesso, perchè altrimenti che giudizio potrà dare della nostra vocazione, se non ci conosce perfettamente? Quindi non bisogna che voi abbiate due confessori, uno per i giorni feriali e l'altro per i giorni di festa; che quando avete sulla coscienza qualche cosa che sia più grave del solito, o almeno che vi sembri più grave, andiate a confessarvi da un altro, lasciando il solito. A questo modo accadrà che il vostro confessore si crederà di avere un angioletto e invece avrà un diavoletto, e darà un giudizio oh! quanto diverso dal vero! Voi quindi vi incamminerete per uno stato per il quale il Signore non vi voleva. Peggio se faceste come certi giovanetti che tutte le volte che si confessano cambiano confessore... Tuttavia con ciò non voglio dire che chi muta confessore faccia peccato. Questo no. Anzi faccio notare che se qualcuno di voi avesse per disgrazia qualche peccato grave nell'anima e non avesse il coraggio di confessarlo al proprio confessore ordinario, è molto meglio, piuttosto che fare una confessione sacrilega, che vada da un altro confessore: cambi anche tutte le volte. È meglio che sia incerto del proprio stato, che commettere un sacrilegio, tacendo un peccato in confessione. Ma costui prima di decidere sulla vocazione, alla fin dell'anno faccia una buona confessione generale. Il confessore lo ascolterà con carità, lo aiuterà a dire ciò che ha vergogna di dire e gli mostrerà qual sia la sua vocazione. Ricordatevi dunque che il primo giudice della vostra vocazione si è il confessore. Se i vostri parenti, se il parroco, se i vostri Superiori vi dicessero di farvi prete; se aveste anche voi una certa inclinazione di farlo, ma il confessore vi dicesse: — Figlio mio, questo stato non è per te! a nulla valgono tutte le altre testimonianze, è questa sola che voi potete seguire.
» Nello stato secolare poi vi sono anche molte gradazioni di mestiere, di professione, di grado sociale. Anche in ciò è meglio che stiate a ciò che dirà colui il quale conosce bene il vostro interno. Vi potrà dire p. es.: — il fare il maestro non è per te; il fare l'avvocato, o il medico, o il militare, non è per te. Prendi invece questa o quest'altra arte o professione. — Il confessore, uomo di esperienza, ne sa più di voi. Esso vi può anche suggerire i mezzi per fare la vostra carriera. Naturalmente se voleste farvi per es., avvocati e non ne aveste i mezzi, egli non potrà somministrarveli, ma almeno tante volte potrà additarvi il modo col quale conseguire il vostro fine » (Mem. Biogr., VII, 828, 831-33 ).
« ... Ed ora pensiamo ad accrescere il nostro personale; ma per averlo bisogna che tutti ci facciamo un impegno di guadagn-are qualche nuovo confratello. Ciò dipende principalmente daí Direttori delle case. Bisogna che essi procurino di guadagnarsi e di mantenere la confidenza di quei giovanetti, che vedono chiaramente poter essi fare in avvenire un gran bene. E questo per l'unico fine di trarli nella Pia Società. Io ve lo dico per esperienza: posso assicurarvi che se v'è un giovane che facendo i suoi studi abbia sempre avuto illimitata confidenza col suo Superiore e Direttore, facilmente si riuscirà a guadagnarlo. Vedendo nel suo Direttore non il superiore, ma il padre, verserà il suo cuore nel cuore di lui, e farà quanto questi gli consiglia di fare. Così porrà affezione alla casa, senza conoscere ancora la Società ne praticherà le Regole, e, conosciutala appena, l'abbraccerà per non lasciarla mai, tolto il caso che perdesse la confidenza. Al contrario vi sono giovani che vengono qui, fanno tutti i loro studi, non si ha niente a dire sulla loro condotta, saranno buoni, meriteranno buoni voti; ma se non hanno questa confidenza, non si potranno avere che due decimi di speranza che egjino siano per entrare o per restare con noi. La ragione sta in questo, che riguardarono il loro Direttore, non come un padre, ma come un superiore, che invigila sulla lor condotta esterna e non di più. Da ciò si prenda norma per giudicare la necessità di ispirare affetto per conoscere le propensioni degli allievi e degli altri dipendenti ». (Memorie Biogr., IX, 69-70).
« ... La nostra Pia Società è una delle ultime Congregazioni religiose, ma come le altre fu suscitata dalla bontà di Maria SS., che di tutte si può dire la fondatrice e la madre, dal Cenacolo fino ai nostri giorni. Essa non ha altro scopo che di preparare buoni ecclesiastici e buoni laici per compiere la missione che le venne affidata. Dobbiamo pertanto procurare primieramente la santificazione dell'anima propria e quindi quella degli altri » (Mem. Biogr., IX, 347).
« ... Noi abbiamo scelto a questo mondo la cosa migliore: salvar le anime. È vero che non siamo in numero sufficiente alla necessità, perchè son tanti quelli che hanno bisogno di aiuto per salvarsi. Ma facciamo quel che possiamo. Il campo è aperto. Dall'Impero Birmano, dall'Africa, dall'America, da Genova, da Roma, ci scrivono invocando la nostra opera. Pregate il Signore che mandi degli operai... Messis multa... operarii autem pauci. Rogate ergo Dominum messis ut mittat operarios in messem suam (Luc., X, 2 ). Coraggio! il salvar le anime, fra le cose divine, .è la più divina! Dicano gli uomini del mondo che è passato il tempo dei religiosi, che i conventi rovinano ovunque: noi, a qualunque costo, vogliamo cooperare col Signore alla salute delle anime... » (Mem. Biogr., IX, 714).
« Dio chiamò la povera Congregazione Salesiana a pro, muovere le vocazioni ecclesiastiche fra la gioventù povera e di bassa condizione. Le famiglie agiate, in generale, sono mischiate troppo dello spirito del mondo, da cui disgraziatamente restano assai spesso imbevuti i loro figliuoli, cui fanno perdere così il principio di vocazione, che Dio ha posto nel loro cuore. Se questo spirito si coltiva e sarà sviluppato, viene a maturazione e fa copiosi frutti. Al contrario non solo il germe di vocazione, ma spesso la medesima vocazione già nata e cominciata sotto buoni auspici, si soffoca o s'indebolisce e si perde.
» I giornali, i libri cattivi, i compagni, i discorsi non riservati in famiglia, sono spesso cagione funesta della perdita delle vocazioni, e non di rado sono sventuratamente il guasto e il traviamento di coloro stessi, che hanno già fatta la scelta dello stato.
» Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una buona vocazione; che questa vocazione o questo prete vada in Diocesi, nelle Missioni, o in una casa religiosa, non importa. È sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesù Cristo.
» Ma non si dia questo consiglio ad un giovinetto, che non è sicuro di conservare l'angelica virtù, nel grado che è stabilito dalla sana teologia. Si transiga sopra la mediocrità dell'ingegno, ma non mai sulla mancanza della virtù di cui parliamo.
» Quando un giovinetto manifesta segni di vocazione, procurate di rendervelo amico. È indispensabile allontanarlo dalle ture cattive e dai compagni che fanno discorsi osceni. Colla frequente confessione e comunione, conserverete al vostro allievo la regina delle virtù, la purezza dei costumi ».
« Coltivate l'Opera di Maria Ausiliatrice secondo il programma che già conoscete; per mancanza di mezzi non cessate mai di ricevere un giovane che dia buone speranze di vocazione. Spendete tutto quello che avete; se fa mestieri, andate a questuare; e se dopo ciò voi vi trovate nel bisogno, non affannatevi, che la Vergine in qualche modo, anche prodigiosamente, verrà in aiuto ».
« Il lavoro, la buona e severa condotta dei nostri confratelli guadagnano e, per così dire, trascinano i loro allievi a seguirne gli esempi. Si facciano sacrifizi pecuniari e personali, ma si pratichi il sistéma preventivo, ed avremo delle vocazioni in abbondanza. Se non si possono annullare, almeno si procuri di diminuire i giorni delle vacanze, quanto sarà possibile. — La pazienza e la dolcezza, le cristiane relazioni dei maestri cogli allievi guadagneranno molte vocazioni tra loro; però anche qui si usi grande attenzione non mai accettare alcuno tra i soci, tanto meno per lo stato ecclesiastico, se non vi è la morale certezza che sia conservata l'angelica virtù.
» Quando il Direttore di qualche nostra Casa ravvisa un allievo dí costumi semplici, di carattere buono, procuri di renderselo amico. Gl'indirizzi sovente qualche buona parola, l'ascolti volentieri, si raccomandi alle preghiere di lui, l'assicuri che prega per lui nella S. Messa; lo inviti per es. a far la S. Comunione in onore della B. V. e in suffragio delle anime del purgatorio, per i suoi parenti, per i suoi studi e simili. In fine del ginnasio lo persuada a scegliere quella vocazione, quel luogo ch'egli giudica più vantaggioso per l'anima sua e che lo consolerà di più in punto di morte.
» Ma studii d'impedire la carriera ecclesiastica ip coloro che volessero abbracciarla per aiutare la propria famiglia, per motivo che fosse povera. In questi casi diasi consiglio di abbracciare altro stato, altra professione: un'arte, un mestiere: ma non mai lo stato ecclesiastico ».
« Studia e fa progetti, non badare a spese, purchè ottenga qualche prete alla Chiesa, specialmente per le Missioni » (Da una lettera di D. Bosco a D. Luigi Lasagna, 30 - 9 - 1885).
« Per coltivare le vocazioni ecclesiastiche, insinuate: 1° Amore alla castità; 2° Orrore al vizio opposto; 3° Separazione dai discoli; 4° Comunione frequente; 5° Usate con loro carità, amorevolezza e benevolenza speciale ». (Dai Ricordi dati ai primi Missionari, 1875 ).
Inoltre non dimentichiamo mai di leggere e rileggere i cinque mezzi suggeritici dal Ven. Padre nella sua Lettera Circolare del 12 gennaio 1876, che qui riporto nella loro integrità:
« ... Nel desiderio di venire a cose valevoli a coltivare le vocazioni religiose, ed efficaci per conservare lo spirito di pietà tra i Salesiani-e tra i giovanetti a noi affidati, io mi fo a raccomandarvi alcune cose che l'esperienza mi ha fatto ravvisare sommamente necessarie.
» 1) In ogni Casa, e specialmente nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ciascuno diasi la massima sollecitudine di promuovere le piccole Associazioni, come sarebbe il Piccolo Clero, la Compagnia del SS. Sacramento, di S. Luigi, di Maria Ausiliatrice e dell'Immacolata Concezione. Niuno abbia timore di parlarne, raccomandarle, favorirle, e di esporne lo scopo, l'origine, le indulgenze ed altri vantaggi che da queste si possono conseguire. Io credó che tali Associazioni si possano chiamare Chiave della pietà, Conserbatorio della morale, Sostegno delle vocazioni ecclesiastiche e religiose.
» 2) Guardarvi bene dalle relazioni, amicizie o conversazioni geniali o particolari sia per iscritto, sia per colloquio, sia per mezzo di libri ò di regali di qualunque genere. Quindi le strette di mano, le carezze sulla faccia, i baci, il camminare a braccetto o passeggiare colle braccia l'uno in collo dell'altro sono cose rigorosamente proibite, non dico solo tra di voi, o tra di voi e gli allievi, ma eziandio tra gli allievi stessi. Teniamo altamente fisse in mente nostra le parole di San Girolamo che dice: Affezione per nessuno, o affezione egualmente per tutti.
» 3) Fuga del secolo e delle. sue massime. Radici di dispiaceri e di disordini sono le relazioni con quel mondo che noi abbiamo abbandonato, e che vorrebbe di nuovo trarci a lui. Molti finchè vissero in Casa Religiosa apparivano modelli di virtù; recatisi altrove, presso i parenti o presso gli amici, perdettero in breve tempo il buon volere, e ritornati in religione non poterono più riaversi, e taluni giunsero a perdere affatto la medesima vocazione. Pertanto non recatevi mai in famiglia se non per gravi motivi; e per questi gravi motivi non ci andate mai senza il dovuto permesso, e per quanto è possibile, accompagnati da qualche Confratello scelto dal Superiore.
» L'assumervi commissioni, raccomandazioni, trattare affari, comperare o vendere per altrui sono cose da fuggirsi costantemente, perchè trovate rovinose per le vocazioni e per la moralità.
» 4) La sera dopo le orazioni ciascuno vada subito a riposo. Il fermarsi a passeggiare, chiacchierare o ultimare qualche lavoro, sono cose dannose alla sanità spirituale e anche corporale. So che in certi siti, grazie a Dio non nelle nostre Case, si dovettero.deplorare dolorosi disordini, e l'origine si trovò nelle conversazioni iniziate e continuate nelle ore cui noi accenniamo.
» 5) La puntualità nel recarsi a riposo è collegata colla esattezza nella levata del mattino, che con pari insistenza intendo di inculcare. Credetelo, miei cari, l'esperienza ha fatto fatalmente conoscere che il protrarre l'ora del riposo al mattino senza necessità fu sempre trovata cosa assai pericolosa. Al contrario l'esattezza nella levata, oltre di essere il principio di una buona giornata, si può eziandìo chiamare un buon esempio permanente'per tutti. A questo proposito non posso omettere una calda raccomandazione ai Superiori di fare in modo che tutti, nominatamente i Coadiutori e le persone di servizio, abbiano tempo di assistere ogni mattina alla S. Messa, comodità di ricevere con frequenza la Santa Comunione e accostarsi regolarmente al Sacramento della Penitenza, secondo le nostre costituzioni » (L. Circ. di Don Bosco, 10-12 ).
Questa raccolta di pensieri e sentimenti del Venerabile intorno alle vocazioni è complemento e illustrazione di quanto son venuto esponendovi nella mia lettera. Meditando le parole del Padre, vi sarà facile comprendere la larghezza delle sue vedute sull'importantissima questione delle vocazioni, e convincervi come praticando i suoi consigli possiamo farne sorgere molte e molte intorno a noí. Terminerò con queste parole della lettera latina da lui indirizzata ai Direttori e Superiori d'ogni Casa, in data 8 dicembre 1880:
« Filii nei in Christo carissimi, maneamus in vocatione, qua vocavit nos Dominus, et satagamus, ut per bona opera vocationem et electionem nostrana certiorem faciamus. Nam, quod Deus avertat, si nos posuerimus manum ad aratrum et respexerimus retro, opti non erimus regno Dei ».
1. Curare la perseveranza delle vocazioni.
2. Confratelli coadiutori per le vocazioni tra gli alunni artigiani.
3. Chiave maestra pel bene delle case e delle vocazioni.
4. Zelo speciale di D. Bosco per le vocazioni.
5. Esortaiione.
« ... Ciascun Direttore, d'accordo cogli altri superiori della propria Casa, si dia la massima sollecitudine per non lasciar fallire le vocazioni ecclesiastiche o religiose che il Signore avessegli affidate a coltivare. A tal fine sarà molto utile leggere attentamente quanto prescrivono le Deliberazioni alla Distinzione III, Cap. IV (Usanze religiose) e metterne in pratica le norme come meglio sarà possibile. Facciamo in modo che non si abbia a render conto a Dio delle vocazioni che Egli avesse suscitate a servizio della Chiesa e della nostra Pia Società, e che fossero andate perdute per nostra negligenza ». (L. Circ. 1893, pag. 33 e seg.).
« Il poco amore agli studi sacri o precede o segue l'indebolimento e talvolta la perdita della vocazione ». (L. Circ., 100).
( Ai Direttori d'America) « ... Noi cominciammo il grande lavoro della formazione dei vostri Confratelli, a voi (Direttori) tocca compierlo specialmente riguardo ai più giovani: a voi tocca coltivarli nello spirito e vegliare perchè nessuno abbia a perdere la vocazione, che è la grazia più grande che Iddio conceda dopo quella del Battesimo. E qui bisogna pur che vi sveli un pensiero che tutta sconvolge la mia mente, mi strappa abbondanti lacrime dagli occhi ed è una pungentissima spina al mio cuore. Vani Confratelli traversarono l'Oceano, vennero volenterosi in codeste regioni per guadagnare delle anime a Gesù: ed invece forse perdettero se stessi. Infatti invano io cerco il loro nome sul catalogo, più non si fa parola dí loro nelle vostre interessantissime relazioni: essi non sono più figli di Don Bosco! A loro certamente sono da imputarsi tali defezioni, ed io son ben lontano dal gettarne ad altri la colpa. Tuttavia voi mi scuserete se nel mio profondissimo dolore io ho pensato che forse si sarebbero salvati, se nei loro Direttori avessero trovato un padre dello stampo di Don Bosco, il quale colla carità e colla dolcezza salesiana avesse trovato la via per discendere in quei cuori che stavano per chiudersi alla grazia e cedere alle tentazioni. Faccia Iddio che il passato ci serva di lezione per l'avvenire! » (L. Circ. 1894, 114 e seg.).
(Raccomandando l'economia): « ... Forse con quella moneta che voi economizzate, ci verrà fatto di fornir il pane ad un povero giovane di più, che sarà accolto nelle nostre Case di beneficenza: facendo il sacrifizio di qualche cosa non necessaria contribuirete a dare alla Chiesa un ministro di più, alle nostre Missioni un buon operaio, un salvatore a tante anime in pericolo di perdersi ». (L. Circ. 1897, 155 ).
« Pel carattere che è proprio della nostra Pia Società, non solo è riserbata abbondantissima mèsse agli ecclesiastici, ma i nostri carissimi Confratelli coadiutori sono essi pure chiamati ad esercitare un vero apostolato in favore della gioventù in tutte le nostre Case, e specialmente poi nelle nostre scuole professionali; perciò fa duopo che siano coltivate le vocazioni religiose anche frammezzo i nostri giovani artigiani e famigli... È di assoluta necessità osservare quali giovani artigiani mostrino qualche segno di vocazione, coltivarli come aspiranti, farli partecipare agli esercizi spirituali durante le vacanze, ricevere e facilmente esaudire le domande di quelli che desiderano di essere ascritti quando hanno raggiunto l'età di 16 o 17 anni. Allora conviene, per quanto è possibile, mandarli prontamente alla Casa di Noviziato, dove si possano raccogliere frequentemente a conferenze per loro spiegare la Santa Regola, istruirli intorno a quelle virtù che un buon religioso deve praticare, e intorno a quei difetti che deve evitare » (L. Circ. 1897, 158 e seg.).
« In questo momento pare che si faccia più che mai sentire la necessità di formare Confratelli artigiani e coadiutori di soda e provata virtù. Qual vasto campo al loro zelo si apre in tutte le nostre Case, ma specialmente nelle Missioni! Mostrerebbero perciò di meglio comprendere i veri interessi della nostra cara Congregazione quelli che nel lavorare fra i nostri giovani artigiani avessero in mira di suscitare e sviluppare delle vocazioni alla vita salesiana » ( L. Circ. 1898, 165 ).
« ... Chi è privo dello spirito di sacrifizio non avrà la forza di praticare la povertà, si esporrà al pericolo di far naufragio nella castità, e farà molto dubitare della sua perseveranza nella vocazione ». (L. Circ. 1899, 204).
« Se il Signore ci pone tanta mèsse tra mano, èí segno :che ci prepara e vuol darceli gli operai; ma questo importa che noi coltiviamo di più le vocazioni. Egli vuol dare i frutti della campagna; ma è al tutto necessario che il contadino la lavori, semini, l'accudisca. Don Bosco ci assicurava che il Signore manda sempre nei nostri collegi molti i quali hanno il germe della vocazione; e se questi germi non fruttificano, è segno che non vengono coltivati come si deve. Vi assicuro che è una pena al mio cuore udire alcuni, anche Direttori, blaterare quasi contro i Superiori dicendo: Si aprono troppe éase, si vuol far troppo; e intanto questi son quelli che non coltivano le vocazioni, che trascurano di prendere i mezzi per coltivare i giovani, che cioè non sostengono le Compagnie, non raccomandano la frequenza dei Sacramenti, non stabiliscono mezzi seri per conservare l'illibatezza nei giovani; e così dai loro collegi non escono mai dei chierici e dei coadiutori... Se i vostri Salesiani sono buoni, diligenti, esemplari, eserciteranno una benefica influenza sui vostri allievi, e coll'esempio li trarranno al bene, aiutandovi potentemente nella coltura delle vocazioni » ( L. Circ. 1901, 264 e seg. ).
« Una cosa Don Bosco considerava come la chiave maestra per far procedere bene le Case e nello stesso tempo curare la vocazione nei Confratelli: ed è che non si tralascino mai dai Direttori le due Conferenze mensili e mai non si tralasci di ricevere i rendiconti dai Confratelli... » ( L. Circ. 1902, ,296 ).
« Vorrei che tutti i Salesiani, ma specialmente i Sacerdoti, sentissero il bisogno di suscitare tra i loro alunni degli eredi della loro sublime missione. Non so spiegarmi come non si veda da tutti la necessità di riempire quei vuoti ché la morte e la perdita di vocazione hanno fatto tra le file dei nostri soci. Si direbbe che molti non si rendono conto della grande penuria di personale in cui versano le nostre Opere, di cui alcune già si dovettero sopprimere ed altre ormai non possono più continuare. Eppure parecchi, i quali forse sono più esigenti nel chiedere personale, non pensano per nulla a suscitare o sviluppare e a conservare le vocazioni alla vita salesiana. E dire che nello scorso anno vi\furono iutiere Ispettorie che non diedero neppure un novizio! Quanta pena ne provo io, che fui testimonio per tanti anni dei sacrifizi phe s'imponeva il Venerabile Don Bosco per formarsi qualche collaboratore! Mi consola la speranza che questo mio lamento non rimarrà senza effetto... » (L. Circ. 1908, 394).
« Il nostro amatissimo Padre Don Bosco fu consultato un giorno da una gran signora sul modo di riparare tante bestemmie, tante profanazioni e tante empietà che si deplorano ai nostri giorni. Ella proponeva varii mezzi, offrendo a tale scopo ingenti somme. Don Bosco le fece toccar con mano che coll'aiutare un giovane a divenir sacerdote si farebbe molto più e meglio che con qualsiasi opera buona, ripetendo così le parole di S. Vincenzo de' Paoli, con cui egli aveva tanti tratti di somiglianza, che nessun'opera è così bella e così buona come l'aiutare a fare un prete. E infatti tra tutte le sue opere non ha egli dato a questa la sua preferenza? Quali non furono le sante industrie da lui adoperate fin dal principio dell'Oratorio per formare degli alunni del Santuario? Chi non ammira la costanza di Don Bosco vedendolo più volte ricominciare quando riuscivano vani i suoi tentativi, vedendolo solerte nel coltivare un giovanetto in cui avesse riconosciuti i segni d'una vera vocazione, vedendolo infine sì coraggioso nell'affrontare i sacrifizi e le spese che chiede la formazione d'un sacerdote? Don Bosco conobbe per esperienza che molti sono fortunatamente i giovani che hanno i germi della vocazione ecclesiastica e religiosa, così disponendo Iddio pel bene della sua Chiesa, e trovò che i mezzi più, efficaci per conservarli e svilupparli sono la pietà e i buoni costumi. Ho fiducia che non solo i Direttori, ma ancora i maestri, gli assistenti e tutti i Confratelli, ciascuno nella sua sfera, si sforzeranno con santa emulazione per favorire le vocazioni... ». (L. Circ. 1894, 437 e seg.).
« ... Vi esorto di tenere in gran conto e di occuparvi molto di quei giovani artigiani, agricoltori e dei famigli nelle vostre Case, i quali aspirano a farsi Salesiani; pensate alla loro coltura, aiutateli in ogni modo a vincere le difficoltà che incontrano per la loro vocazione, e poi proponete pel Noviziato quelli che dànno speranza di buona riuscita... » (L. Circ. 1896, 450).
« ... S. Paolo scrisse che il Sacerdote deve vivere dell'altare; così pure il contadino del frutto del suo campo, il pastore del latte delle sue pecore. Egualmente una comunità religiosa deve vivere delle opere che va facendo, e con ciò intendo dire che il suo lavoro• non solamente deve procurarle il sostentamento, ma ancora deve fornirle gli operai. Coltivando le vocazioni si riempiono di nuovo, le file .dei soldati che la morte e (purtroppo) le defezioni hanno diradato, si ringiovanisce la Pia Società] se ne estende la sfera d'azione, si rallegrano i vecchi che vedono continuamente la loro. spirituale posterità ». (L. Circ. 1905, 496).
« Don Bosco nel compilare il programma dei Figli di Maria Ausiliatrice, citò le seguenti parole di S. Vincenzo de' Paoli:" non v'è opera di carità più bella che formare un sacerdote. Mano dunque all'opera; nulla si risparmii; sí lavori, si vegli, si preghi perchè in ogni nostra Casa germogli qualche fiore da offrire a Maria Ausiliatrice ». (L. Circ. 1905, 497 ).
Convocazione del Capitolo Generale XII - La revisione
delle Costituzioni - Il terzo Centenario della morte di
S. Francesco di Sales
1. Dodici anni senza Capitolo Generale! — 2. — Convocazione e'preghiere. — 3. Revisione e nuova approvazione delle Costituzioni. — 4. Il Centenario del nostro Patrono. — 5. L'apostolato del Salesio e di D. Bosco. 6. I nostri festeggiamenti. — 7. « Il Figlio del S. Cuore di Gesù ».
Torino, 21 settembre 1921.
Carissimi,
Ogni qualvolta prendo la penna in mano per comunicarvi qualche notizia, oppure per esortarvi a tendere con crescente slancio alla vostra religiosa perfezione, lavorando indefessamente in mezzo alla gioventù povera e abbandonata — la porzione più preziosa dell'eredità paterna — lo faccio sempre con molto piacere, perchè l'esperienza m'assicura che non solo i miei poveri scritti vi riescono graditi, ma che fate del vostro meglio per mettere in pratica quanto vi vado suggerendo, sia per il vostro bene individuale come per l'incremento dell'amata nostra Congregazione.
Egual buona accoglienza spero quindi che farete a quanto sto per dirvi adesso, trattandosi di cose per noi importanti.
L'anno prossimo si compiranno dodici anni dacchè l'amabile Provvidenza del Signore, che suole scegliere i deboli e gl'inetti per il compimento delle sue opere, mi chiamò a succedere al venerando indimenticabile D. Rua nel governo della Congregazione; perciò, a norma delle nostre Costituzioni, dovrà adunarsi il Capitolo Generale per l'elezione del nuovo Rettor Maggiore.
Ricordo come fosse ora la memoranda mattina del 16 agosto 1910, quando mi vidi, indegno qual ero, inalzato a sì sublime ufficio, a sì grave responsabilità. Ricordo la commozione, anzi la costernazione allora provata; le ansie, i timori, le lagrime sparse quel giorno sulla tomba di D. Bosco, le preghiere ardenti che rivolsi a questo nostro buon Padre perchè mi venisse in aiuto; e come alfine m'indussi ad accettare la carica, benchè con somma ripugnanza, e solo per non contraddire alle divine disposizioni... Poi mí sfilano dinanzi alla memoria tutte le meraviglie che Dio si compiacque di operare in questi anni, servendosi della mia povera persona; e allora, col cuore tutto commosso e con gli occhi pieni di lagrime, vado ripetendo: — A Domino factum est! A Domino! Misericordias Domini in aeternum cantabo! Sia benedetto in eterno il Signore! Grazie all'efficace intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, del Ven. Don Bosco, ed anche — perchè non dirlo? — del nostra secondo padre Don Rua, l'Opera Salesiana ha continuato a crescere e a propagarsi in modo mirabile, ad onta della pochezza di chi n'era a capo.
Voi ben sapete, o miei carissimi, che se la pace non fosse stata turbata dalla guerra mondiale, noi nel 1915, ricorrendo il centenario dell'istituzione della festa di Maria Ausiliatrice, nostra benigna Patrona, e quello della nascita di Don Bosco;,, avremmo potuto assistere ad un grande trionfo dell'Opera da loro fondata. Inoltre si sarebbe tenuto allora per anticipazione il XII Capitolo Generale, poichè i membri del Capitolo Superiore, prevedendo che in quella duplice fausta ricorrenza sarebbero qui convenuti gl'Ispettori e molti Confratelli, avevano all'unanimità rinunziato ad un anno del loro mandato, che scadeva solo il 16 agosto 1916; e ciò per ragioni di economia facili a comprendersi. Da quel trionfo, e insieme dalla cara presenza e dai saggi ed illuminati consigli degli Ispettori e dei Delegati, io sarei stato non poco riconfortato nel sostenere il grave peso del mio ufficio. E con apposita Circolare in data 5 agosto 1914 vi comunicavo tale deliberazione, che il Papa Pio X di s. m. si era benignamente degnato di approvare.
Ma purtroppo scoppiò la tremenda guerra; si dovettero sospendere i grandiosi festeggiamenti progettati, e mancò il motivo di anticipare il Capitolo Generale. Si sperò ancora di poterlo convocare nel 1916, anno in cui avrebbe dovuto regolarmente tenersi; e il Rev.mo Regolatore Teol. Luigi Piscetta il 26 gennaio di quell'anno diramava i temi da trattarsi e le norme per l'elezione dei Delegati. Ben presto però si vide che molte e gravi difficoltà vi si opponevano, e un buon numero d'Ispettori coi relativi Delegati non avrebbero assolutamente potuto intervenirvi; cosicchè, per consiglio anche di parecchi Em.mi Cardinali di Curia, e' incoraggiato dall'esempio di altre Corporazioni religiose, domandai ed ottenni dalla Santa Sede la facoltà di differire la convocazione del Capitolo Generale fino a tempi migliori, e di mantenere in carica i sei membri del Capitolo Superiore fino a quando quello si fosse potuto radunare.
Ora mi è grato annunciarvi che, a Dio piacendo, il XII Capitolo Generale si terrà nella nostra casa di Valsalice ( Torino) il 16 agosto 1922, giorno anniversario della nascita di D. Bosco. Ne sarà scopo precipuo l'elezione del Rettor Maggiore e di tutti i membri del Capitolo Superiore. Confermo nella carica di Regolatore il Rev.mo Teol. Luigi Piscetta, al quale perciò si devono far pervenire al più presto quelle osservazioni o proposte che si credessero opportune per la maggior gloria di Dio, per il bene delle anime e per la prosperità della Congregazione.
Come potrete vedere dai temi proposti essi mirano principalmente alla ricerca dei mezzi più efficaci per mettere meglio in pratica quel che fu già stabilito in precedenza, con qualche accenno suggerito dai tempi nuovi e dalle circostanze in cui viene a trovarsi la nostra Pia Società.
Ma poichè nulla di bene si può fare senza il divino aiuto, v'invito ad implorarlo fin d'ora con ferventi preghiere, come del resto prescrivono di fare le Costituzioni all'art. 50. Pensate alla grandissima importanza delle future elezioni e deliberazioni, e vi sentirete a ciò stimolati. A questo proposito faccio mie le belle parole della Circolare dell'indimenticabile Sig. D. Rua per la convocazione dell'XI Capitolo Generale: « Non prescrivo alcuna pratica particolare di pietà, ma vi esorto tutti quanti siete figli di D. Bosco a indirizzare ogni orazione, tutte le opere di carità, e più ancora i sacrifizi propri della vita religiosa, ad ottenere un esito felice a questa riunione » (Circolari, pag. 421 ). Solo, perchè ogni giorno sia richiamata alla memoria di tutti quest'intenzione, desidero che al Pater, Ave e Gloria a S. Francesco di Sales che recitiamo dopo la lettura spirituale si premettano queste parole: A S. Francesco di Sales per il felice esito del prossimo Capitolo Generale. E sempre sull'esempio di Don Rua (Circ., pag. 420), si è deciso che dall'8 al 14 agosto p. v. cioè nella settimana che precederà il Capitolo Generale, tutti coloro che dovranno esserne membri si riuniscano per un corso di Esercizi spirituali a Valsalice, presso le tombe dei nostri Padri, per meglio prepararsi a fare ogni cosa colla più grande purità e rettitudine d'intenzione.
Un'altra cosa ancora debbo comunicarvi, e riguarda le nostre Costituzioni e le annesse deliberazioni del X Capitolo Generale. D'ora innanzi esse debbono essere a noi tutti doppiamente care e preziose, perchè furono diligentemente rivedute a norma del nuovo Codice di Diritto Canonico e della Circolare della S. Congregazione dei Religiosi in data 26 giugno 1918 e testè approvate nella loro nuova forma dalla S. Sede, Spero di potervene far avere copia qualche mese prima che si raduni il Capitolo Generale, affinchè possiate prendere visione anche delle variazioni, e studiare i modi migliori per poterle praticamente osservare con esattezza. Non pensate però, miei cari, che vi siano introdotti dei cambiamenti sostanziali: tuttavia alcuni ritocchi resi necessari da questa revisione non sono privi di notevole importanza, come quelli che riguardano il rendiconto, le modalità per l'ammissione in Congregazione, agli Ordini Sacri e l'Amministrazione, meritevoli quindi del vostro studio, e destinati a rendere più fattivo l'organismo della nostra Pia Società.
Un altro argomento, di cui mi sta molto a cuore d'intrattenervi, è quello del terzo Centenario della morte di San Francesco di Sales, che ricorrerà il 28 dicembre dell'anno prossimo. Noi, che da lui dobbiamo non solo prendere il nome, ma altresì lo spirito, abbiamo il dovere di precedere tutti gli altri nel celebrarlo degnamente.
La Provvidenza ebbe certo un fine speciale nel disporre che la nostra Congregazione si nominasse da lui anzichè dal suo Fondatore; anzi possiamo pensare che dietro qualche illustrazione celeste D. Bosco abbia scelto come Patrono dell'Opera sua questo Santo, e dato ai suoi figli il nome di Salesiani; benchè egli non ne abbia mai fatto parola nei suoi discorsi, e neppure nelle sue Memorie.
Certe deliberazioni ed avvenimenti umani, considerati in se stessi, sembrano senza importanza speciale; ma se li guardiamo alla luce della Divina Provvidenza, « ... che tutto move — per l'universo, penetra e risplende — in una parte più e meno altrove », ci appaiono bellamente e sapientemente coordinati al compimento dei disegni di Dio nel governo dell'umanità. Don Bosco, non sappiamo se per suggerimento altrui o per altre circostanze occasionali, scelse S. Francesco di Sales a Patrono dell'Opera sua; e la sera del 26 gennaio 1854 radunò quattro de' suoi giovani ( a ciò preparati già da lungo tempo ), perchè insieme con lui facessero, coll'aiuto di Dio e di San Francesco di Sales, una prova di esercizio pratico della carità del prossimo, per venire poi ad una promessa, e quindi, se fosse stato possibile e conveniente, farne voto al Signore;
imponendo il nome di Salesiani a coloro che si sarebbero proposto un tale esercizio. A tutta prima queste cose, al pari di tante altre che sono registrate quasi a caso nella vita di D. Bosco, non offrono nulla di straordinario; ma considerandole nella luce della Provvidenza, ci fanno apparire la missione di D. Bosco ai nostri giorni come un riflesso, o meglio una continuazione di quella iniziata più di tre secoli or sono dal Salesio.
Per questo, miei cari figli, il terzo Centenario della morte del nostro Patrono deve primieramente eccitarci ad uno studio più intimo e profondo della sua vita e de' suoi scritti in correlazione coll'Opera nostra, divenuta oramai l'Opera Salesiana per antonomasia, e perciò stesso destinata a diffondere e popolarizzare, con tutti i mezzi di cui dispone, il suo spirito e la sua dottrina, già perfettamente assimilati da Don Bosco e da lui genialmente trasfusi nel suo sistema educativo.
San Francesco di Sales, coll'esempio, coll'apostolato e con gli scritti, fu un educatore singolare di perfezione e di santità in mezzo a' suoi contemporanei, i quali, attratti dalla sua incantevole amabilità e dolcezza, concepivano un grande orrore per il male e un vivo desiderio di acquistare delle buone abitudini, come la pazienza, la generosità, l'obbedienza, la rettitudine, la cordialità, la familiarità, la compassione e il rispetto verso i poveri, la riverenza filiale e l'amore sommo verso Dio.
Leggendo con pia devozione le biografie che ne scrissero i suoi contemporanei ed anche i moderni, le sentiamo come pervase da una pedagogia affatto soprannaturale, mentre il nostro pensiero corre spontaneo ad un'altra vita che in massima parte si svolse sotto i nostri occhi, e che quasi vivemmo noi stessi prima che venisse scritta e divulgata.
I principii educativi sono i medesimi: la carità, la dolcezza, la familiarità, il santo timor di Dio infuso nei cuori; prevenire, impedire il male, per non essere costretti a punirlo. Ma diversi sono e l'ambiente e gli educandi. Ai tempi di San Francesco di Sales, nel grande rilassamento morale prodotto dal paganesimo rinascente, vivevano ancora nella maggior parte delle famiglie dei forti germogli di virtù patriarcali ed evangeliche, i quali non abbisognavano se non di essere coltivati con curai Allora la pianta celeste del cristiano (pianta caelestis, come la chiamò un S. Padre) era ancor tanto rigogliosa da produrre, se ben coltivata, frutti abbondanti di ogni più eletta virtù. San Francesco, cultore meraviglioso, unico, applicando i detti principii pedagogici a queste piante celesti, a poco a poco, adagio, soavemente, come fanno gli angeli, con movimenti graziosi e senza violenza, cioè con un mirabile insieme di bontà, di dolcezza, di amabilità e senza sforzo alcuno, fece rifiorire per ogni dove la pietà, restituendole tutta la bellezza delle sue forme: e i suoi educandi furono Filotea e Teotimo.
Due secoli appresso, D. Bosco, di fronte allo spaventoso inaridire della vita cristiana nelle famiglie, causato dal crescente predominio dell'empietà, comprese che la salvezza non poteva più sperarsi dalla cultura di piante già formate, poichè queste eran prive del succo vitale: e che occorreva invece cercare numerosi vivai per i giovani germogli ancor suscettibili di rigenerazione. E cosi fece, nella sua operosa carità: creò i vivai, vi raccolse i germogli, anche se un po' guasti e avvizziti; poi a poco a poco, adagio, soavemente, li andò coltivando con gli stessi principii educativi già usati dal Salesio. I suoi educandi furono i poveri e derelitti figli del popolo, i suoi birichini, com'egli amava chiamarli. E con le sue cure amorose seppe trarne fiori olezzanti di virtù, seppe trarne buoni e zelanti collaboratori per la sua opera.
Sia perciò in ognuno di voi, miei cari figli, un sacro ardore di ben approfondire gli scritti del nostro celeste Patrono, specie la Filotea, il Teotimo e le Lettere spirituali: è questo il primo e più pratico modo di celebrare il glorioso suo centenario.
Tale studio poi susciterà nei nostri cuori una divozione più viva e salutare verso di Lui, e in pari tempo ci suggerirà i modi più efficaci per onorarlo degnamente nella solenne ricorrenza di cui parliamo.
I Superiori Maggiori hanno già pensato di far celebrare questa data memoranda con un ciclo di festeggiamenti pubblici e, direi, ufficiali della Congregazione, dal 28 dicembre prossimo a tutto l'anno 1922; e al più presto ne sarà diramato il programma particolareggiato. Intanto però comincio a far appello a ciascuno di voi, miei carissimi, e in modo speciale agl'Ispettori e Direttori, perchè si dispongano fin d'ora a parteciparvi efficacemente e splendidamente, cioè non limitandosi ad una esecuzione quasi passiva del programma suddetto, ma svolgendolo con genialità, e integrandolo con altre forme di festeggiamenti che sembrino far meglio raggiungere lo scopo.
I Direttori poi procurino di far leggere in refettorio la Vita di S. Francesco di Sales, e gli scritti a lui relativi che verranno pubblicati nel corso dell'anno centenario; parlino sovente di lui nelle conferenze, nelle istruzioni e nel sermoncino della buona notte; esortino professori e maestri a cogliere nella scuola ogni propizia occasione per ricordare qualche fatto o detto di questo gran Santo, facendo rilevare principalmente la sua intemerata e pia giovinezza, il suo coraggio, la sua bontà generosa con tutti.
Approfondiamo di preferenza questo periodo della sua vita, per poter presentare ai nostri giovani un modello adatto alla loro età, e così incitarli salutarmente ad amare come lui la purezza, la nobiltà di carattere, le aspirazioni elevate, la perfezione, e a seguire generosamente la propria vocazione, quando ne sia il tempo.
I predicatori degli esercizi spirituali durante l'anno, tpecie quelli dalle istruzioni, lo prendano per tema preferito. Fortunati i giovani che si sentiranno attratti dagli stessi ideali del nostro Patrono!
Ma più fortunati noi, educatori salesiani, se ci sarà dato poter rivolgere ai nostri alunni, al termine dei loro studi, l'elogio che il celebre Pancirolo da Padova fece al Salesio nel fregiarlo, ventiquattrenne, delle insegne dottorali: « ... Le vostre virtù eguagliano la vostra scienza; il vostro cuore è puro quanto chiaro e nobile è il vostro ingegno. Non si può amare la virtù senza amare voi, umano, caritatevole e compassionevole... L'orrore spontaneo per tutto ciò che è male, la pratica costante di tutto ciò che è bene, si congiungono in voi coi sentimenti più nobili e generosi, massime colla più solida pietà... ».
Ecco il fine a cui devono tendere i nostri festeggiamenti.
Dispongano poi gl'Ispettori e Direttori perch'essi vengano inaugurati con ogni solennità religiosa e civile il 28 dicembre p. v., e perchè sopratutto si celebri con particolare splendore la festa del Santo.
A questa si faccia precedere una divota novena predicata, o per lo meno un triduo, in cui si parli unicamente di San Francesco di Sales e delle sue virtù; e serva ad essa di corona un'appropriata accademia musico-letteraria, che dev'essere il più possibile, opera di giovani.
Procurino i Direttori che da questo centenario gli alunni abbiano a ritrarre un gran frutto; e gli Ispettori dal canto loro preparino possibilmente speciali adunanze giovanili a modo di piccoli congressi, ove siano largamente rappresentate tutte le case dell'Ispettoria, e ove si tratti appunto dei modi e mezzi pratici con cui i giovani possono conservarsi pii, morigerati, virtuosi e forti nel tempo degli studi e fino al conseguimento della propria vocazione.
In questi convegni San Francesco di Sales sia studiato e presentato principalmente come modello del perfetto cavaliere cristiano, che sa vivere puro ed illibato anche in mezzo ai pericoli del mondo, appunto come là fontana Aretusa, che mescola, senza ritrarne l'amarezza, le sue colle acque del mare, com'ebbe a dire il Pancirolo nell'elogio già citato. Tali adunanze, se ben preparate e dirette, produrranno frutti meravigliosi, e serviranno a far amare da tutti la vera pietà. E bisogna interessare a prendervi parte attiva anche e sopratutto gli ex-allievi, nonchè i Cooperatori, e tutti i membri della grande famiglia salesiana.
Ho detto che questi nostri festeggiamenti centenari debbono trarre la loro efficacia dallo studio della vita e degli scritti del nostro Santo Patrono, ed avere intima e pratica connessione d'intenti coll'opera nostra. Ora, o miei carissimi, nella vita e negli scritti di S. Francesco di Sales noi possiamo chiaramente conoscere. la sorgente a cui egli attinse la soavissima dolcezza del suo carattere e gli ardori della sua carità: cioè il Cuore di Gesù; e ciò mi porge motivo a rivolgervi una speciale esortazione.
Di S. Francesco di Sales scrisse l'angelico Pio IX: « È una meraviglia il considerare specialmente come... egli abbia gettati i germi della divozione al S. Cuore di Gesù... ». S. Giovanna Francesca di Chantal, che lo conobbe intimamente, lo proclamava il figlio del S. Cuore di Gesù; tanto era simile per umiltà e mansuetudine a questo Cuore divino quello del Fondatore della Famiglia religiosa che un secolo dopo avrebbe dato S. Margherita Alacoque. E questa stessa, in seguito a speciale rivelazione, lasciò scritto di lui: « Mentre egli viveva su questa terra, faceva continua dimora nel Cuore di Gesù, nè riusciva a distrarlo da ciò alcuna altra occupazione; la familiarità del Divino Amante elevò San Francesco di Sales alla perfezione delle due virtù del S. Cuore: la dolcezza e l'umiltà ».
Scorrendo poi gli scritti del Santo, è vero che essi non trattano ex professo del S. Cuore di Gesù; ma come si manifestano chiaramente i suoi sentimenti verso di Esso! Egli invita le anime da lui dirette ad abitare sempre nel costato aperto del Salvatore; le vede nel Cuore di Gesù; nell'orazione vede questo Cuore attorniato da tutti i cuori che l'amano; e prega il Cuore reale del .alvatore per il nostro. « ... Se voi mirate questo Cuore, è impossibile che non vi piaccia, perch'esso è dolce, soave, benigno e amoroso verso le povere creature che riconoscono le proprie miserie; è pietoso coi miserabili e buono coi peccatori pentiti. E chi non amerebbe questo Cuore reale, così paternamente materno verso di noi?... Non siamo noi figli destinati ad adorare e servire l'amoroso e paterno Cuore del nostro Salvatore? Non è questa la base su cui dobbiamo fondare le nostre speranze? Egli è nostro maestro, nostro re, nostro padre, nostro tutto. Pensiamo a servirlo come si conviene, ed Egli penserà a dispensarci i suoi favori... Per mezzo di una santa sottomissione unite i vostri cuori al Cuore di Gesù: questo Cuore innestato sopra la Divinità è la radice dell'albero, e voi siatene i rami ».
Possiamo adunque dire che S. Francesco di Sales, oltrechè profeta e precursore della divozione al Sacro Cuore di Gesù, ne fu un apostolo ardente ed operoso!
Orbene, miei carissimi, se il nostro celeste Patrono San Francesco di Sales si chiama ed è il Figlio del Cuore di Gesù, per la straordinaria imitazione delle virtù di quel Cuore e per la singolare divozione verso di Esso, prima ancora che questa fosse introdotta e riconosciuta dalla Chiesa, non vi parrà fuor di proposito che nelle feste centenarie di S. Francesco di Sales, io vi esorti vivamente a rinnovarvi tutti in essa, studiandola praticamente e diffondendola in ogni modo. Sarà anzi questo uno dei migliori e più graditi omaggi che potremo fare al nostro S. Patrono, quantunque non si riferisca direttamente alla persona di Lui.
Sono poi certissimo che se noi, durante questo anno giubilare, alle solenni onoranze commemorative di S. Francesco di Sales uniremo quale omaggio indiretto questo novello fervore nella divozione pratica al S. Cuore di Gesù, otterremo altresì, a così dire, la più larga approvazione del Ven. Don Bosco nostro Fondatore e quella dell'indimenticabile Don Rua. Poichè non è d'uopo qui ricordare di qual tempra fosse la divozione al S. Cuore di Gesù che essi praticarono in vita e vollero dai loro figli: mentre, per tacere d'altro, ne sono prove più che eloquenti, per il primo la Basilica del Sacro Cuore da lui eretta in Roma, e per il secondo la solenne consacrazione di tutta la Pia Società al S. Cuore nell'aprirsi del secolo ventesimo.
Nel chiudere questa mia vi invito, o miei figli carissimi, a rallegrarvi con me che il XII Capitolo Generale si tenga nel terzo centenario del nostro Santo Patrono: è una felice coincidenza, dalla quale possiamo trarre i migliori pronostici per l'esito di quella importante riunione. San Francesco di Sales, da noi onorato quest'anno in modo speciale, vorrà certo dal Cielo presiederla, e ottenere dal Sacro Cuore di Gesù, reso a noi propizio dalla nostra più fervente divozione, copiose grazie e lumi a tutti i Capitolari, affinchè le loro discussioni e deliberazioni sian per tornare di maggior gloria al Signore e di vera utilità alla. nostra amata Famiglia Salesiana.
Con questa fiducia tutti paternamente vi benedico nel nome della Vergine Santissima Ausiliatrice, alla quale di continuo vi raccomando. Pregate voi pure per il vostro
aff.mo in C. J.
SaC. PAOLO ALBERA.
Pag• Presentazione 5
I. L'XI Capitolo Generale
- Elezione del nuovo Rettor Maggiore
- In udienza dal Papa Pio X
- Programma da lui
tracciato - Notizie varie 7
... Come fratello ed amico, 7
La memoria di D. Rua, 8
Stima e riconoscenza al Prefetto Generale, 9
L'undecimo Capitolo Generale, 10
... Sotto il peso della responsabilità, 13
Ai piedi del Santo Padre Pio X..., 15
... e il programma. da Lui tracciato, 16
Le scuole professionali e la morte di D.-Bertello, '17
La persecuzione nel Portogallo, 18
«Tene quod habes... »..., 19
Conclusioni pratiche, 21
«...Ecco il ricordo del Padre morente! », 23
Sullo spirito di pietà 26
Le lettere circolari, 26
L'attività nostra e i suoi pericoli, 28
Le pratiche religiose e lo spirito di pietà, 29
Necessità dello spirito di pietà, 31
Senza spirito di pietà..., 32
Nell'ora della prova, 34
La perseveranza finale, 34
Il fondamento del sistema preventivo, 35
La nota caratteristica di D. Bosco, 36
Esattezza nelle pratiche di pietà, 38
Santificare le azioni quotidiane, 39
La malattia dell'agitazione, 40
« Spiritu ferventes... », 41
Il nuovo Consigliere Professionale, 43
Deliberazioni Capitolari per il corso tecnico, per i Con
vitti-pensionati e per le vacanze durante l'anno scolastico 44
Per il corso tecnico, 45 •
Per i Convitti-pensionati, 45 Per le vacanze dei giovani, 45 Appendice
Norme per l'apertura, 46 Eccezione alla Regola, 47
IV. Disposizioni della S. Sede vietanti la lettura dei giornali
ai Chierici studenti 48
Raccomandazioni di D. Bosco e di D. Rua, 51
V. Contro l'abuso delle vacanze presso i parenti ed amici 53
«... Omnium malorum afficina », 53 « Viribus unitis », 54 Due abusi da evitare, 55
VI. Sulla disciplina religiosa 57
Motivi di conforto, 57
Alla scuola di D. Bosco, 58
La disciplina secondo D. Bosco, 60
I due cardini della disciplina, 61 La Casa religiosa disciplinata, 61 Il rovescio della medaglia, 63
Vantaggi della disciplina per l'individuo, 64
Per la nostra Pia Società, 65
Senza la disciplina tutto crolla, 66
Osservanza delle leggi canoniche, 67
Osservanza delle Costituzioni, 68
I regolamenti e le prescrizioni dei Superiori, 70
Il solerte custode della disciplina, 71
Stare in guardia contro lo spirito d'indipendenza, 73
Stare in guardia dallo zelo temerario, 74
Hoc fac et vives..., 75
Appendice
Attribuzioni dell'Ispettore, 76
Formazione del personale, 77
Conservazione del personale, 77
Formazione del personale direttivo, 79
Noviziato, 79
Studentato Filosofico, 80
Studentato Teologico, 80
Studi superiori e universitari, 81
Sostenimento delle Case di Formazione, 81
Direttori, 82
Misure spiacevoli ma necessarie, 83
VII. Alcune importanti comunicazioni 85
Le vacanze non siàno troppo lunghe, 85 Nulla si stampi senza permesso, 86 Come parlare della patria, 87 Amore al Vicario di Gesù Cristo, 87
VIII. Sulla vita di fede 89
IX. Necessità della vita di fede, 90
Le tre vite del cristiano, 90
I germi della vita di fede, 91
I benefizi della fede, 92 I gradi della fede, 93 I frutti della fede, 95
Il valore delle opere nostre, 101
La fede e le pratiche di pietà, 102
La fede e la vocazione, 104
La fede del nostro Venerabile Padre, 105
Ricordi personali, 106
Ravviviamo in noi la fede, 107
Appendice
Sacra Liturgia, 109 Sommo Pontefice, 112 Giornali, 114
IX. Per il Monumento al Venerabile D. Bosco 117
Iniziativa degli ex-Allievi per un monumento, 117 Colletta da indire tra gli allievi delle nostre case, 119
X. Gli Oratori festivi - Le Missioni - Le vocazioni 121
Nella cameretta del Padre, 122
La pietra angolare dell'Opera nostra, 122
L'Oratorio festivo di D. Bosco è per tutti, 123
Per formare degni abitatori del cielo, 124
L'Oratorio è l'anima della nostra Pia Società, 124
Sempre avanti verso la mèta, 125
Le energie vitali dell'Oratorio, 127
Il segreto per farlo agire, 128
«... L'Oratorio festivo è in te... », 129
La vera vita dell'Oratorio, 130
Sempre avanti, 131
Le nostre Missioni nella mente paterna, 132
- La prima Missione Salesiana, 133
Il diploma dell'Apostolato, 134
Siate tutti Missionari!..., 135
La questione vitale per noi, 136
Mirabile fioritura di vocazioni..., 137
Vocazioni perdute per mancanza di coltura, 139
Bisogna coltivare le vocazioni, 139
Le attrattive divine, 140
Parlare della vita religiosa..., 141
Ispirarne il desiderio..., 142
I mezzi più efficaci..., 144
Il più bel monumento a D. Bosco, 145
XI. Sull'ubbidienza 147
L'attualé spirito di indipendenza, 148
Il voto d'ubbidienza, 149
« Factus obediens usque ad mortem », 149
Le tre unioni, 151
« Qui vos audit, me audit... », 152
... Due misteri, 153
« Subditi estote... propter conscientiam », 154
I figli dell'ubbidienza, 154
Il voto più eccellente, 155
... Con gaudio e non fra gemiti e sospiri, 157
L'esempio del nostro Ven. Padre, 159
I disubbidienti, 160
Sacrifizio della volontà, 161
Sacrifizio dell'intelletto, 162
Pretesti per non assoggettarsi, 163
Prontezza nell'ubbidire, 164
« Non ex tristitia et necessitate », 165 •
_-« Nulla domandare, nulla rifiutare », 166
Speranze e voti, 167
XII. Anticipazione del XII Capitolo Generale per i due Cen
tenari di Maria Ausiliatrice e di D. Bosco 168
XIII. Motivi di conforto nelle attuali tristezze 17 L
Lo spirito di paternità e di figliuolanza, 171 •
Le conseguenze della guerra, 173
Povertà, economia ed unione di preghiere, 174 Un'ora con Papa Benedetto XV, 176
Patrono dei figli e modello degli educatori, 178 Il più bel fiore dell'Oratorio, 179
Salutare risveglio negli Oratori festivi, 181 Uno sguardo alle nostre Missioni, 183 Per le vittime del terremoto abruzzese, 186
XIV. Disposizioni varie per i chiamati sotto le armi 188
Esortazione del Papa a pregare per la pace, 188 Corrispondenza con i confratelli ,militari, 189 Pratiche per l'assegnamento al servizio di sanità, 189 Anno scolastico e locali requisibili, 189 Militari chierici in sacris, 190
Titoli per la dispensa dal servizio militare, 190
XV. Facilitazioni governative per gli esami - Eccitamento ad
usufruirne 192
Convenienza di acquisire titoli legali, 193
Evitare vacanze in famiglia, 193
Corrispondenza frequente degli Ispettori coi Direttori, 194 Esercizi spirituali, 194
XVI. Effetti e ammaestramenti della guerra - Il primo Car
dinale Salesiano - II XII Capitolo Generale 195
L'avveramento di un voto di D. Rua, 196
I nostri festeggiamenti pel 1915..., 196 ... furono sospesi a motivo della guerra, 198 Le dolorose conseguenze della guerra, 199 Dalla pietà il coraggio, 200
Dall'esempio paterno lo spirito di sacrificio, 201 Motivi di conforto, 202
I Salesiani negli eserciti, 203
Ammaestramenti della guerra, 204 Il primo Cardinale Salesiano, 204 Il XII Capitolo Generale, 206
XVII. Sulle cure da aversi per i Salesiani sotto le armi 209
Cura dei Direttori per i confratelli militari di loro dipendenza, 210 Cura dei Direttori per i confratelli militari che stazionano nella loro prossimità, 210
XVIII. Sulla castità 212
Il titolo più onorifico per noi, 212
Ostie viventi, pure e accette a Dio, 213
Come gli Angeli di Dio, 214
Tutti i beni ci vengono da lei, 215
La predilezione divina, 216
La purità e la scienza, 217
« Nec nominetur in vobis... », 219
La realtà d'una leggenda, 220
Per non cadere appigliamoci ai mezzi, 221
Preghiamo, 222
Confessiamoci, 222
Comunichiamoci, 223
Siamo divoti della Madonna, 223
Mortifichiamoci, 224
Fuggiamo l'orgoglio, 225
L'ozio, 226
Le cattive letture e relazioni, 226
Le amicizie particolari, 227
... Per l'innocenza del fanciullo, 228
I due diamanti, 229
XIX. « Facciamo di tutto per tener aperte le nostre Case anche nel
nuovo anno scolastico » 230
Buona riuscita dello scorso anno scolastico, 230 Provvidenza per il nuovo anno, 231 Esercizi spirituali, 232
XX. Consigli ed avvisi per conservare lo spirito di D. Bosco
in tutte le Case 234
Modelli e maestri, 235 •
Spirito di pietà, 237 Costituzioni, 238 Povertà, 239
Castità, 242
Ubbidienza, 244
Correzione, 245
Paternità, 247
Umiltà, 248
Zelo, 250
XXI. Contro una riprovevole « legalità » 253
Basta l'osservanza dello stretto dovere?, 254 La generosità di Dio verso il religioso, 255 « Si non places, non placas », 257
« Qui stat, videat ne cadat », 259
« sufficit, periisti », 260
«... Duc in altura! », 261 •
Due consolanti notizie, 263
XXII. Per i profughi delle regioni devastate dalla guerra 265
Nostra cooperazione specialmente per la gioventù, 265 Relazione ai Superiori sull'opera prestata, 266
. XXIII. Un mazzetto di notizie care 267
Tristi memorie..., 268
... Augurio e conforto soavissimo..., 268
Il voto più ardente dei nostri cuori, 269
« La più pura e splendida gloria nostra », 270
... Sempre di D. Bosco e con D. Bosco, 271
... Le dolci sembianze paterne..., 272
Un'altra gloria preclarissima, 273
Un vescovo Presidente di Stato, 275
Preziosi frutti del nostro campo..., 276
... I Salesiani nella milizia, 277
... Prodigio della pedagogia moderna, 279
XXIV. Sul Cinquantenario della Consacrazione del Santuario
di Maria Ausiliatrice in Valdocco 282
Feste di pietà e di raccoglimento, 282 La Madonna e D. Bosco, 283
Lo scettro d'oro e la nostra consacrazione all'Ausiliatrice, 287
« Ad Jesum per Mariam », 290
L'inno della gratitudine, 293
Siamo Apostoli dell'Ausiliatrice, 294
Amiamola, imitando le sue virtù, 295
Formula per la consacrazione dell'Opera di Don Bosco a Maria
Ausiliatrice, 298
XXV. Per la Cronistoria della Congregazione 300
Commissione al Segretario del Capitolo Superiore, 301 Relazioni al Segretario dalle Cronache delle singole case, 301
XXVI. Per i Confratelli reduci dal servizio militare 304
Disposizioni del Capitolo Superiore nei loro riguardi, 304
XXVII. Sulla dolcezza 306
Sempre uguale a se stesso!, 307 Nei panni dei nostri soggetti-, 308 Non è zelo lodevole..., 310
Gli angeli custodi visibili..., 311 Lezioni divine, 314
Il nostro modello, 315
Siate padri più che superiori..., 318 Dolcezza e fermezza..., 319
XXVIII. Proroga del XII Capitolo Generale fino al 1922 321
Eminenti consigli di ulteriore attesa, 322
XXIX. Appello agli Ispettori d'Europa per le Missioni Salesiane 324
Le visioni paterne intorno alle Missioni, 324 « Son pochi gli operai! », 326
« Preparate molti e buoni Missionari », 327 «.È un vostro dovere urgente! », 328
L'opera dei Figli di Maria Ausiliatrice, 329
Norme per la scelta dei Missionari, 329
Una tremenda responsabilità, 331
XXX. Invito all'inaugurazione del Monumento a D. Bosco 333
Susseguenti esercizi spirituali, 333 Nominativi di confratelli usciti, 334
)00(1. Per l'inaugurazione del Monumento al Venerabile
D. Bosco 335
Origine ed esecuzione del Monumento degli ex-allievi, 336
Il nostro monumento, 338
Bisogna saper amare i giovani, 339
Famigliarità e confidenza, 340
... Dolorose previsioni, 342
... E saranno nostri anche adulti, 343
« Viribus unitis », 344
•
=I. Annunzio della pubblicazione degli « Atti del Capitolo
Superiore » '346
Sue caratteristiche, 347
=CITI. Il Monumento simbolo d'amore e sintesi dell'opera
nostra 348
Il simbolo dell'amore alle anime..., 349
Il fascino potente dello spirito di D. Bosco, 350 Siamo degni del Padre..., 351
I nostri ex-allievi, 352
La lettera del Papa ai Cooperatori, 353
XXXIV. Disimpegno diligente dei propri doveri 356
Attribuzioni dei membri del Capitolo Superiore e del Segretario, 357
XXXV. Don Bosco nostro modello nell'acquisto della perfezione religiosa, nell'educare e santificare la gioventù, nel trattare
col prossimo e nel far del bene a tutti 360
« Exemplum dedi vobis », 361
Soavi ricordi personali, 362
La genesi della nostra Regola, 363
Apostolato santificatore, 364
Come D. Bosco cresciamo ogni dì nella perfezione, 365
L'atto più perfetto di D. Bosco, 367
Gettiamoci anche noi fra le braccia di Dio, 368
I dieci diamanti, 370
Il fondamento dell'apostolato, 371
Il dono della predilezione verso i giovani, 372
Bisogna amare i giovani, 372
... Come ci amava D. Bosco, 373
La carità e il timor di Dio, 374
Anime' e Paradiso!, 376
Mettere i giovani nell'impossibilità di offendere Dio, 376
Missione educativa soprannaturale, 378
Scuola di belle maniere, 378
Come dobbiamo trattare col prossimo, 379
« Dobbiamo far del bene a tutti », 381
La politica di D. Bosco sia la nostra, 381.
XXXVI. Norme per la visita delle Case 384
Dalle vacanze all'inizio del nuovo anno, 384
Importanza somma della visita ispettoriale, 385
Cura del Direttore per i Confratell!. 386
Come curare gli studi ecclesiastici, 388
Cura dei Sacerdoti novelli, 389
Il caso mensile e gli esami annuali, 389
Vigilanza sui Confessori, 391
Come esercitare questa vigilanza, 392
Per la comunicazione delle Facoltà della S. Penitenzieria, 394
)(XXVII. Le strenne per l'anno 1921 396
La nomina del Cardinal Cagliero alla sede di Frascati, 397
XXXVIII. Memorabile udienza pontificia e notizie care 399
Il mio maggior conforto, 399
« Oh se fossero qui tutti! », 401
... Il Papa e D. Bosco, 402
« Senza pretendere di migliorare le Costituzioni », 403
Il nostro Cardinale, 403
L'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, 404
La « Vita di D. Bosco », 405
La nostra riconoscenza, 405
Nuove indulgenze alla preghiera a Maria Ausiliatrice, 406
Per il patrono della Chiesa Cattolica, 406
XXXIX. Norme per la Direzione spirituale dell'Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice 409
Il loro delegato apostolico, 409
Parte dispositiva del Decreto Apostolico, 410
Direzione paterna, 412
Campo per l'esercizio di questa paternità, 413
Estensione di questo campo, 414
L'imitazione di D. Bosco e di Madre Mazzarello, 416
Per il progresso scientifico, 417
Per l'amministrazione ed economia, 418
Norme pratiche, 419
Appendice
XL. D. Bosco modello del Sacerdote Salesiano - 424
Il prete salesiano dev'essere un altro D. Bosco, 425
L'eccelsa dignità sacerdotale, 426 Sempre prete in ogni istante!, 427 Dobbiamo studiare continuamente, 428
I vari fini dello studio, 430
Il nostro studio principale, 430
Approfondire lo studio della teologia, 432
Storia e liturgia, 434
Per dare un'impronta propria alle nostre scuole, 435
Letture di giornali e libri di proprio uso, 437
Per la nostra vita morale e religiosa, 438
Verso una perfezione sempre più alta, 440
Costituzioni e tradizione salesiana, 441
Come dev'essere la nostra orazione, 442
Metodo per far bene l'orazione, 443
La recita dell'Ufficio Divino, 445
La celebrazione della S. Messa, 448
Durante e dopo la S. Messa, 449
Il Sacramento della Confessione, 451
Perchè la Confessione frequente è poco fruttuosa, 453
Il giorno della Confessione, 454
Necessità della direzione spirituale, 456
Il còmpito del direttore spirituale, 458
L'esame quotidiano è indispensabile, 460
Sopratutto l'esame particolare, 462
Le nostre divozioni, 465
... Per l'esercizio delle virtù, 466
. Lo spirito di mortificazione, 469
Santifichiamoci!, 470
XLI. Preghiere per gli ex-allievi - Divozione a Maria SS. Ausi
liatrice 473
Dagli ex-allievi domanda di particolare « Ave Maria » nelle preghiere dei nostri alunni, 474 '
Testo della proposta, 475
Occasione di maggiore pietà Múiana per l'incipiente Mese di Maggio, 477
XLII. Sulle vocazioni 479
La preghiera e l'opera nostra per le vocazioni, 481
La genesi della vocazione, 482
« Si vis perfectus esse...! », 483
La vocazione è divina, ma libera, 484
La chiamata del Vescovo e l'accettazione del Superiore..., 485
Una risposta del Catechismo, 486
Le vocazioni salesiane dipendono da noi!, 488
La vocazione secondo il Ven. D. Bosco, 489
... Nella visione paterna, 491
Il segreto per avere molte vocazioni, 493
Un pescatore meraviglioso, 494
« Come fa il giardiniere delle piante... », 496
Siamo cercatori di vocazioni!, 497
La caratteristica dello spirito salesiano, 498
Il terreno più propizio per le vocazioni, 499
I veri apostoli delle vocazioni, 500
L'attrattiva per la purezza..., 502.
Coltiviamo la purezza nei nostri giovani, 503
La missione del coadiutore salesiano, 504
Ad maiora natus sum!, 506
Il bisogno di darsi e di sacrificarsi, 508
Lo spirito soprannaturale, 509
•
Le virtù soprannaturali, 510
Seminiamo le vocazioni, 511
... Con la preghiera e le mortificazioni, 512 ... Con la santità personale, 514
Deliberazioni del Capitolo Superiore, 516 Ciò che devono fare gli Ispettori, 518 È indispensabile l'opera del Direttore, 521 La cooperazione di tutti, 527
«Se nella mia fanciullezza... », 528
Appendice
1) Dagli scritti del Ven. D. Bosco, 531 Che devo fare, finito il ginnasio?, 531 Requisiti per la elezione dello stato, 533 Mezzi per accertarsi della vocazione, 534 Testimonianza del confessore, 535
Accrescere il personale, 537
Opera « Figli di Maria », 539
Vocazioni ecclesiastiche anche secolari, 539 Cura delle vocazioni ecclesiastiche, 540
2) Dagli scritti del venerando D. Rua, 543
Confratelli coadiutori per le vocazioni tra gli alunni artigiani, 544
Chiave maestra pel bene delle case e delle vocazioni, 545
Zelo speciale di D. Bosco per le vocazioni, 546
Esortazione, 547
XLIII. Convocazione del Capitolo Generale XII - La revi
sione delle Costituzioni - Il terzo Centenario della morte
di S. Francesco di Sales 548
Dodici anni senza Capitolo Generale!, 548
Convocazione e preghiere, 550
Revisione e nuova approvazione delle Costituzioni, 551 Il Centenario del nostro Patrono, 552
L'apostolato del Salesio e di D. Bosco, 553
I nostri festeggiamenti, 555
« Il Figlio del S. Cuore di Gesù », 557