Gennaio-Febbraio 1947 N. 139
IL RETTOR MAGGIORE:
I. Giornata di preghiere, adesioni, omaggi per il Papa. - 2. Centenario del Giovane Provveduto. - 3. Cinquantenario della morte del Servo di Dio Don Andrea Beltrami. - 4. Appello per l´aumento di personale nelle nostre Missioni.
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
Il Rettor Maggiore.
Torino, 24 febbraio 1947.
Figliuoli carissimi in G. C., 1. - Ricordando l´amore filiale del nostro Padre, S. Giovanni Bosco, verso il Papa, tutti voi, Figliuoli carissimi, avrete provato profonda tristezza dinanzi agli attacchi scatenati dai nemici della Chiesa in questi ultimi tempi per svalutare, non solo la provvidenziale opera di carità svolta dal Santo Padre durante e dopo la tremenda guerra, ma per intaccarne, anzi calunniarne le purissime intenzioni, le sapienti direttive e persino quella carità illimitata e ardente riconosciutagli dal mondo intero.
Non bastano però i sentimenti di pena e deplorazione, ma è doveroso che tutti senza eccezione, animati da ardente amor filiale, accorriamo a versare balsamo di conforto sul cuore del Padre manifestandogli con pratiche attuazioni quanto ci stia a cuore che il Vicario di Gesù Cristo sia apprezzato nella grandezza ineffabile delle sue prerogative, e generosamente corrisposto l´immenso suo zelo nell´illuminare le anime di celeste dottrina e nell´attirarle al Cuore dolcissimo di Gesù, ove solo esse troveranno conforto, pace, inizio di eterni gaudii.
A tal fine rivolgo a tutti i Figli di S. Giovanni Bosco sparsi nel mondo l´invito di spiegare, a mezzo di predicazioni, conferenze, congressini, accademie, scritti, foglietti, proiezioni, le benemerenze dei Papi nel corso dei secoli e, in particolare, l´opera sapiente, caritatevole, paterna svolta verso tutti e dappertutto dal Santo Padre Pio XII, durante e dopo il tremendo flagello della guerra. Allo scopo poi di dare al nostro omaggio carattere pratico e concreto stabilisco che in tutte le Case e Oratori Salesiani, quanto prima, in una domenica a scelta, vi sia una giornata di preghiere secondo l´intenzione del Papa con predica appropriata. Nel pomeriggio, in una tornata alla quale verranno invitati Cooperatori, Ex-allievi, Amici e possibilmente Autorità, si mettano in luce - le provvidenziali attuazioni del grande Pontefice felicemente regnante.
Inoltre a conforto del suo cuore di Padre gli si mandi, o dVrettamente o indirettamente a mezzo del Nunzio o Delegato Apostolico, un breve e filiale messaggio con le firme dei Salesiani, Giovani, Ex-allievi, Cooperatori, o almeno con l´indicazione, nel messaggio stesso, del numero di colorò che gli offrono quell´omaggio di devozione e amore.
Non dimentichiamo mai, Figliuoli carissimi, le tradizioni del nostro Santo Fondatore e ci stiano ben fisse in mente le ultime parole pronunciate dal suo letto di morte alla presenza dell´Arcivescovo di Torino, Cardinale Alimonda: « L´ho detto a Monsignor Cagliero che lo dica al S. Padre, che i Salesiani sono per la difesa dell´autorità del Papa, dovunque lavorino, dovunque si trovino ». Sono certo che tutti ci sforzeremo di dimostrarci in questa occasione e sempre, quando si tratti del Papa, degni in tutto del nostro grande Padre.
2. - Quest´anno ricorre il primo centenario della stampa del Giovane Provveduto. Già nel 1903 il Biografo di Don Bosco scriveva che di quel provvidenziale Manuale di Pietà, destinato specialmente ai giovani, se n´erano stampate oltre centoventidue edizioni di circa cinquantamila copie, e che, aggiungendovi le edizioni in spagnolo, francese e in altre lingue, si era oltrepassata la cifra di sei milioni di copie. A quanti milioni si giungerebbe oggi, se si calcolassero le moltissime edizioni fatte in questi ultimi quarant´anni, nelle principali lingue del mondo? Che dire poi degli elogi tributati al Giovane Provveduto e della stima in cui fu sempre tenuto? Non poche volte affezionati Ex-allievi parlando, nei loro annuali convegni, di quel libro provvidenziale, che tanto aveva contribuito a formarli e conservarli buoni cristiani, si commossero e commossero gli uditori fino alle lacrime.
Alcuni anni or sono, fui invitato dal Conte di Collegno a celebrare la S. Messa nella cappella ove altre volte aveva celebrato S. Giovanni Bosco. Il distinto patrizio, parlandomi dei suoi rapporti con il nostro Padre, mi mostrava, tra i più cari e preziosi ricordi di famiglia, una copia del Giovane Provveduto, elegantemente rilegata, che lo stesso nostro Fondatore gli aveva regalato nel giorno della sua Prima Comunione. « Ho sempre usato e conservato religiosamente questo libro, — mi diceva commosso, — anzi quando mio figlio fece la sua Prima Comunione, pensai che non avrei potuto fargli omaggio più gradito che regalandogli il Giovane Provveduto avuto in dono da Don Bosco ».
Quell´atto di devozione profonda pel manuale di pietà scritto dal nostro Padre è destinato forse a diventare presso gli ´illustri Conti una tradizione di famiglia. Seppi infatti che anche il figlio del Conte di Collegno regalò alla sua volta il prezioso cimelio al suo primogenito nel giorno della Prima Comunione.
Impariamo anche noi e insegnano ai nostri alunni a tenere nella massima stima il Giovane Provveduto. /n questi anni di universale rincaro di tutti i generi e mercanzie, qualcuno potrebbe obiettare che il prezzo del Giovane Provveduto è elevato assai. Ciò è vero, dovuto anche alla nuova decorosa veste tipografica che lo adorna. Ma non avvenga che si parli di prezzi elevati solo quando si tratta del Giovane Provveduto, del Catechismo, del testo di Religione o di qualche altro libro di devozione; mentre non si fiata davanti ai prezzi ben più alti, in generale, dei testi scolastici, di racconti e novelle illustrate, di romanzi e simili. Abbiamo già detto altre volte che è cosa disdicevole l´invilire i libri di pietà pretendendoli in edizioni abiette e spregievoli.
Non voglio chiudere quest´argomento senza un rilievo che pormi interessante. Il Biografo di Don Bosco, prima di parlare del Giovane Provveduto, parla dello spirito di pietà del nostro Padre, il quale « fondava l´educazione cristiana dei giovanetti sulla preghiera, ch´egli praticò sempre con sommo fervore, facendosi continuo e salutare esempio a innumerevoli anime ».
« Pel succedersi incalzante delle sue occupazioni — aggiunge D. Lemoyne, — non gli era dato di ´poter impiegarvi lunghe ore nel giorno; ma quanto faceva si può dire che raggiungeva la perfezione ». E, dopo aver enumerate le sue pratiche di pietà e il fervore con cui le praticava, così conchiude: « Ricco di questo spirito di orazione, Don Bosco ideò un nuovo manuale divoto, facile e breve, a uso dei giovanetti ».
Il Giovane Provveduto pertanto è come la sintesi o, meglio, la pratica dimostrazione, la prova indiscutibile del grande spirito di pietà del nostro Padre: da essa ebbe origine e compimento.
Questo pensiero dev´esserci particolarmente caro, e dobbiamo averlo costantemente presente nello svolgere il nostro lavoro educativo: oggi soprattutto, quando la religione è combattuta e si pretenderebbe plasmare le nuove generazioni nell´ambiente della cosiddetta neutralità, che troppe volte significa, non solo indifferenza e ateismo, ma financo odio alla Religione e a Dio.
3. - E poichè parliamo di date memorande, credo utile ricordarvi che quest´anno ricorre anche il cinquantesimo della morte del Servo di Dio Don Andrea Beltrami.
Siamo ancora molti i Salesiani che lo abbiamo avuto o compagno o maestro, e tutti siamo sempre più intimamente convinti della sua grande santità. Egli fu veramente specchio di ogni virtù, ed era così splendente la luce di buon esempio e il fascino di santità che si sprigionava da tutta la sua vita, che anche oggi il solo ricordo della sua persona ci è motivo e stimolo di edificazione.
Sarà bene prendere argomento dalla data cinquantenaria per ricordare ai- confratelli e ai giovani questa fulgida gloria della nostra Società, onde accrescere in tutti la fiducia nella sua intercessione. Preghiamo e facciamo pregare, perchè il Signore si degni esaltare questo suo Servo con miracoli che servano ad accelerarne l´elevazione all´onore degli altari.
Prima che termini quest´anno 1947 sarà facile trovare occasione propizia per commemorare in qualche speciale riunione le esimie virtù di questo grande Figlio di S. Giovanni Bosco.
4. - Nel N. 136 degli Atti del Capitolo vi annunziava quasi di sfuggita l´andata dei Salesiani a Pechino. Assai cordiale fu l´accoglienza fatta ai nostri Confratelli dalle Autorità e Famiglie religiose, mentre tanti poveri giovanetti e garzoncelli hanno subito intuito l´affetto e l´interessamento dei nuovi venuti per il loro vero bene. Ciò che fa presagire grandi cose per l´avvenire di quella fondazione è l´assoluta povertà in cui si trovano quei nostri cari Figliuoli, ospiti tuttora dei Padri delle Missioni Estere di Parma.
Particolarmente significativo è l´episodio di una veneranda matrona che, visitata dai nostri e saputo che venivano da Macau, disse: « Io prego da tanti anni perchè i Salesiani vengano a Pechino ». « Ma noi siamo appunto Salesiani, interloquì l´Ispettore, e siamo venuti per rimanere ». La veneranda signora alzò gli occhi e le mani al cielo, dicendo: « Grazie, Signore! ». Quindi con affetto di mamma contò come da tanti anni un suo confessore l´aveva invitata a pregare per la venuta dei Salesiani. Disse che conosceva qualcosa della vita di Don Bosco e, pur ignorandone i particolari, pregava per la venuta dei suoi Figli, a salvezza di tanti giovanetti poveri, che non hanno chi si prenda cura di loro. Si gettò quindi ai piedi dell´Ispettore per averne la benedizione di Maria Ausiliatrice, e assicurò che, non solo avrebbe continuato a pregare per i Salesiani, ma che avrebbe aiutato la fondazione con i suoi risparmi.
L´andata a Pechino, come già la inaugurazione dell´Opera nostra a Boston, ci fa ricordare con commozione alcuni mirabili sogni di S. Giovanni Bosco sulla espansione dell´Opera Salesiana: al tempo stesso però questi avvenimenti ci richiamano alla ´mente la necessità estrema di vocazioni missionarie.
Permettete, Figliuoli carissimi, che alla vigilia del XVI Capitolo Generale, in cui tanti e tanti Ispettori verranno a Torino in cerca di aiuto di personale, io rivolga a tutti un accorato appello in favore delle Missioni e di tante Ispettorie lontane, ove le opere nostre o non possono sorgere, o minacciano di perire se non si corre in loro soccorso. Forse potreste obiettare che anche in Europa la guerra, mentre da una parte ha creato tanti vuoti, dall´altra ha moltiplicató i bisogni. Ciò è vero, ma è anche vero che il modo più efficace per attirare le benedizioni celesti sulle opere che ci stanno a cuore è sempre quello di mostrarci generosi con il Signore.
Per questo dico ai nostri cari Ispettori: Date, date generosamente e toccherete con mano quanto sia cara a Dio la vostra misericordia per le anime e con quale infinita larghezza egli gremii i sacrifizi fatti per amor suo.
Fede adunque, grande e illimitata fede, se vogliamo raccoglierne la divina mercede! Invito pertanto tutti coloro che sentono ardere in cuore la fiamma missionaria a inviare, come in passato, la loro domanda al Rettor Maggiore, affinchè si possano compiere in tempo opportuno le pratiche necessarie, oggi quanto mai complicate per le anormali condizioni in cui si vive.
Invocando su tutti le più copiose benedizioni mi professo
vostro aff.mo in G. e M.
Sac. PIETRO RICALDONE
L´Economo Generale.
RIDUZIONI FERROVIARIE.
- CONCESSIONE SPECIALE VI.
In occasione di viaggi colla riduzione ferroviaria a noi concessa in Italia (Concessione speciale VI), si sono ancora rinnovati diversi spiacevoli incidenti, che furono causa di richiami e di multe da parte delle varie Sezioni Commerciali e del Traffico. Sento perciò il dovere di richiamare nuovamente alla vostra attenzione le seguenti norme: Le richieste si devono rilasciare solo ai Confratelli. Sono esclusi i Novizi. È severamente proibito far viaggiare con le nostre Richieste persone estranee alla Famiglia Salesiana.
Nell´uso delle Richieste di viaggio della Concessione speciale VI, di cui godiamo, non si deve solo dichiarare che si è membri effettivi del Sodalizio, ma è pure necessaria l´indicazione generica della qualità di detti membri. Perciò nella compilazione del modulo si deve aggiungere sempre per i preti il titolo di sacerdote, pei chierici quello di assistente o insegnante; pei coadiutori quello relativo alla loro occupazione precisando l´attribuzione con termini ammessi dalle ferrovie e cioè: assistente, infermiere, maestro, istitutore, insegnante, tralasciando assolutamente le altre diciture di cuoco, capo d´arte, portinaio, sarto, tipografo e simili.
Non si rilascino mai Richieste in bianco, perchè troppo spesso non vengono poi debitamente completate. Parecchie di esse infatti, mancanti nel retro del nominativo, ci furono rimandate dall´Ufficio Centrale di Controllo di Firenze, con richiamo a maggior regolarità.
È data facoltà ai Controllori di interrogare il viaggia‑ tore, che usufruisce di detta riduzione speciale, sui motivi del viaggio. Non si dimentichi che bisogna rispondere che siviaggia per ragioni d´ufficio o per interessi dell´Istituto. Il dire invece che si, va in famiglia, in vacanza, ai bagni, in luogo di cura, ecc., non è una ragione riconosciuta valevole per usufruire della Concessione VI.
Si tenga pure presente che la Richiesta debitamente compilata è valevole per due mesi; che una parte di essa, quella restituita, debitamente bollata dal bigliettario, serve come tessera di riconoscimento. Sarà sempre bene però che i nostri Coadiutori viaggino provvisti anche della carta d´identità o di altro documento equipollente.
È conveniente informare di tutto ciò non solo i Prefetti delle Case, che sono ordinariamente incaricati di rilasciare le Richieste pei viaggi, ma anche tutti gli altri Confratelli.
Il Consigliere Scolastico.
TESI PER GLI ESAMI DEL QUINQUENNIO TEOLOGICO AVVERTENZE:
Nel primo anno del quinquennio alle Tesi elencate si aggiunga l´esame di predicazione, come fu prescritto in « Programmi e Norme », art. 360.
Nel secondo anno tutto lo studio verte sulla Morale, in preparazione all´esaMe di confessione e le tesi sono un aiuto indicatore dei punti più importanti.
e) Per i Sacerdoti del 30, 40, 50 anno del quinquennio il programma d´esame corrisponde a´ quello svolto nel corso teologico di quest´anno 1946-47.
(Cfr. Programmi e Norme, art. 363).
I ANNO A) THEOLOGIA FUNDAMENTALIS.
I. - De Revelatione.
Revelatio divina, quae possibilis immo moraliter necessaria est, ope criteriologiae supernaturalis, qua divina, invitte cognosei potest.
Christus apertissime testatus est se esse legatum divinum a prophetis praedictum, suamque legationem divinam multis miraculis comprobavit.
Mirabilis diffusio Christianismi necnon invitta Martyrum constantia summopere confirmant divinam originem Relí - gionis Christianae.
II. - De Ecclesia Christi.
Regnum Dei quod Claristus annuntiavit est veri nominis societas, quae perfetta indefectibilitate et invisibilitate craudet.
Constitutio Ecclesiastica est, iure divino, hierarchicomonarchica, minime vero democratica aut charismatica.
Romanus Pontifex est successor Beati Petri in prirnatu.
III. - De inspiratione.
Sunt libri sacri, qui Spiritu Sancto inspirante conscripti, Deum habent auctorem.
B) SACRA SCRIPTURA.
- San Matteo: capi V, VI, VII (il Discorso della Montagna): Struttura - esposizione del contenuto - esegesi - raffronto con, la redazione di S. Luca VI, 17-49.
- San Luca: da capo IX, 51 a capo XIX, 28 (il gran viaggio): Struttura - esposizione del contenuto - esegesi.
- San Giovanni: capo VI: Struttura - esposizione del contenuto - diverse interpretazioni.
C) HISTORIA ECCLESIASTICA.
- Fondazione e diffusione della Chiesa dall´età apostolica ai secolo III: Gerusalemme - Antiochia - Roma - L´opera di S. Pietro e S. Paolo, dei Santi Giacomo Maggiore e Minore, di S. Giovanni Evangelista - Diffusione del Cristianesimo nell´Impero Romano.
- La Chiesa e l´Inipero Romano: Le persecuzioni e il loro fondamento giuridico da Nerone a Diocleziano - Numero dei Martiri - Atti autentici - gli Apologisti greci e romani Fonti per la Storia della Chiesa.- Chiesa e Impero da Costantino al 476.
- Le eresie e gli scrittori, ecclesiastici: Le eresie e gli scrittori cattolici fino al Concilio di Nicea - Le eresie Cristologiche e gli scrittori postniceni.
D) INSTITUTIONES JURIS CANONICI.
- Legge e consuetudine (cann. 8-30).
- Rescritti (cann. 36-62).
- Privilegi e dispense (cann. 63-86).
E) ESAME DI PREDICAZIONE. (Cfr. Programmi e Norme, art. 360).
II ANNO ESAME DI CONFESSIONE. DE UNIVERSA THEOLOGIA MORALI.
I. - DE ACTIBUS HUMANIS.
De volontario et involuntario - De libero - De actuum humanorum eorumque effectuum imputatione.
De voluntarii impedimentis directis (violentia, metus, concupiscentia, ignorantia) et indirectis (habitus et animi morbi).
De moralitate, bonitate acque malitia generatim - De bonitate vel malitia obiettiva - De bonitate vel malitia cirmst arti arum - De actuum humanorum in di fferent i a.
II. - DE CONSCIENTIA.
Conscientiae notio - Conscientiae verae et certae, ertone ae , dubiae, perplexae, scrupulosae vis.
Probabilitatis systemata: Quot sint - Quodnam segui lieeat - De tutiorismo, aequiprobabilismo, compensationismo De probabilismi consectariis et scholiis.
De quibusdam principiis quae ad probabilismi usum spectant.
III. - DE LEGIBUS.
Notio legis - De promulgatione legis - De diversis legis speciebus et praesertim de consuetudine.
De obligatione legis diretta et indiretta - De cessatione: a) obligationis legis ab intrinseco vel ab extrinseco; b) ipsivs legis ab intrinseco vel ab extrinseco.
Quae obligatio exsurgat ex lege humana generatim sumpta; nempe ex lege: a) iniusta; b) falsa praesumptione fatti innixa; e) praesumptione, quam vocant, periculi innixa - Quae obligatio exsurgat ex lege: a) poenali; b) irritante; e) permittenie; d) de rebus praeceptive disponente; e) mere civili.
IV. - DE PECCATIS.
Peccati notio et requisita ad peccati existentiam Peccati mortalis natura - Requisita ad mortale constituendum.
De distinctione specifica atque numerica peccatorum.
De peccatis in specie; seu: a) de peccatis internis (de desiderio - de delectatione morosa) - de vitiis capitalibus - de peccatis ultionem coram Deo poscentibus - de peccatis in Spiritum Sanctum.
V. - DE VIRTUTIBUS THEOLOGICIS.
De obligatione eredendi ex necessitate medii et prae‑ cepti - De obligatione confitendi fidem affirmativa et negativa - De prohibitione et censura ]ibrorum.
Spei theologicae notio atque obiectum. De actus spei necessitate medii et praecepti - De peccatis desperationis et praesumptionis.
Charitatis theologicae notio atque obiectum - De obli gatione charitatis erga Deum, erga nos ipsos - Charitas erga proximum iubet et inimicos diligere, eius necessitatibus temporalibus (praesertim per eleemosynam) et spiritualibus (praesertim per correptionem et monitionem) subvenire - Charitas erga proximum vetat odisse proximum, scandalo esse, peccatis alienis cooperaci.
VI. - DE VIRTUTE RELIGIONIS.
De oratione: Notio - intentio et attentio -.subiectum et obiectum - Effectus orationis - Conditiones praerequisitae ad infallibilem effectum orationis.
De voto: Notioi- honestas - obligatio - cessatio: a) ab intrinseco; b) ab extrinseco per irritationern, dispensationem, com mut ad one m .
De quibusdam peccatis religioni oppositis: a) per excessum (de superstitione, de hypnotismo, de spiritismo); b) per defectum (de sacrilegio, de simonia).
VII. - DE PRUDENTIA, FORTITUDINE ET TEMPERANTIA.
De prudentia: Notio - partes integrales, subiectae, potentiales - peccata prudentiae opposita: a) per defectum; b) per excessum.
De fortitudine: Notio - partes integrales, subiectae, potentiales (praesertim de magnanimitate et de magnificentia).
De temperantia: Notio - partes integrales, subiectae, potentiales - De lege ecclesiastica ieiunii et abstinentiae.
VIII. - DE OBLIGATIONIBUS PECULIARIBUS.
De societate domestica, herili, civili.
De divino officio.
De obligatione religiosorum quod ad vota paupertatis, castitatis, obedientiae.
- IX. - DE IUSTITIA ET .IURE.
Notio iustitiae eiusque obiectum materiale et formale - partes integrales, subiectae, potentiales.
De dominio: Notio et divisio - obiectum et subiectum - iura quae dominium coercent (ususfructus, emphyteusia, usus et habitatio, servitus, hypothecae et privilegia) - possessio eiusque commoda.
3) Modus aeguirendi amittendive dominii: de- oceupatione - de accessione - de praescriptione.
X. - DE INIURITS ET RESTITUTIONE.
De iniuriis quibus laeditur corpus (homicidium, feticidium, duellum), vel borea fortunae (furtum et rapina), vel honor et fama (contumelia, detractio, secreti revelatio).
De obligatione restituendi: a) ex rei acceptione (requisita - eooperatores positivi et negativi); b) ex re accepta (possessor bonae fidei, malae fidei, dubiae De obligatione reparandi damna: a) ex homicidio, mutilatione; b) ex contumelia, detractione; e) ex violatione sesti praecepti Decalogi.
XI. - DE CONTRACTIBUS ET SUCCESSIONE HEREDITARIA.
Notio contractus - persona ad Contrahendum idonea materia eontractus - consensus requisitus - obligatio ex contractu exsurgens - obligationis extinctio.
De contractibus gratuitis (praesertim de donatione, mutuo et mandato). De contractibus onerosis (pretium - evietio„ - emptio venditio). De contractibus aleatoriis (praesertim de ludo et adsicuratione).
De successione hereditaria: de acceptatione et repudiatione hereditatis - de collatione et computatione - de successione legitima - de successione testamentaria.
XII. - DE SACRAMENTIS IN GENERE.
Notio - effectus (gratia et character) - Materia et forma.
Minister Sacramentorum: Requisita in ministro ad Sacramenta administranda: a) valide (intentio); b) licite (status gratiae, licentia, observantia rituum, attentio).
Subiectum Sacramentorum: Requisita ad. Sacramenta recipienda: a) valide; b) licite. - De reviviscentia Sacrament orum.
XIII. - DE BAPTISMO.
Natura et effectus Baptismi: notio - materia (remota et proxima) - forma - effectus.
Minister Baptismi: a) Ordinarius; b) extraordinarius.- Subiectum Baptismi: Baptismus parvulorum - Baptismus adultorum - iteratio conditionata Baptismi.
XIV. - DE EUCHARISTIA.
Natura et efiectus Sacrificii Eucharistici: Notio - essentia - materia - forma - de unione formae cum materia - effectus.
Minister Sacrificii: Requisita ad Sacrificium licite perficiendum (dispositiones animae et corporis) - De obligatione celebrandi - De Missis fundatis, manualibus, ad instar manua‑ lium - De applicatione Missae.
De Sacraviento Eucharistiae: De Ministro - De subiecto (dispositiones animati et corporis ad Eucharistiam licite sumendam requisitati) - De obligatione recipiendi Eucharistiam. - De Communione frequenti et quotidiana - De admissione puerorum ad primam Communionem .
XV. - DE POENITENTIA.
Natura et effectus Poenitentiae: Notio - materia remota et proxima - forma - effectus.
Minister Sacramenti Poenitentiae: De iurisdictione in personal religiosas - De limitatione iurisdictionis (praesertim de absolutione complicis) - De sigillo sacramentali.
Subiectum Sacramenti Poenitentiae: De eontritione (perfecta et imperfetta) - De satisfactione - De confessione (dotes et obligatio confitendi) - De obligatione denunciandi confes‑ sarium sollicitantem ad turpi a.
XVI. - DE ORDINE.
Natura et effectus: Notio - materia - forma - effectus.
Minister Sacramenti Ordinis: Ordinarius et extraordinarius - Qui sit validae Ordinationis Minister - qui sit licitati Ordinationis Minister. ´ Subiectum Sacramenti Ordinis: Requisita ad licite reci‑ piendos Ordines - De immunitate ab impedimentis (notio - irregularitates ex defectu et ex delicto - impedimenta temporanea - impedimentorum cessatio).
XVII. - DE ATRIMo IO.
De consensu matrimoniali: Requisita ad validum consensum praestandum - De consensu conditionato De consensu per errorem, vel per vim aut metu dato.
Impedimenta matrimonialia: Notio - Impedimenta impedientia (votum - mixta religio - cognatio legalis) - Impedimenta dirimentia (aetas - impotentia - ligamen - cultus disparitas - Ordo Sacer - professio religioSa - raptus - crimen - consanguinitas - affinitas - publica honestas cognatio spiritualis).
De celebratione et convalidatione Matrimonii: Sponsalia, examen sponsorum, publicationes. - Requisita ad valide contrahendum - Requisita ad licite contrahendum - Convalidatio simplex et sanatio in radice.
XVIII. - DE PECCATIS CASTITATI OPPOSITIS. III, IV, V ANNO A) THE OLO G IA DOGMATICA.
I. - De Sacramentis.
Sacramenta Novae Legis continent gratiam, eamque instrumentaliter causant ex opere operato non ponentibus obicem.
In Ministro, dum Sacramenta conficit, requiritur intentio saltem faciendi quod facit Ecclesia. Haec autem intentio debet esse interna.
Novae Legis Sacramenta proprie dieta sunt septem. Omnia fuerunt a Christo Domino immediate instituta; ideoque ea immutare Ecclesia nequit, visi salva eorum substantia.
Salvator Dominus Sacramentum Baptismi in aqua instituit , omnibus ad salutem necessarium necessitate medii; cuius effectus est hominis divina regeneratio per insertionem corpus Christi mysticum operata.
Confirmatio est vere et proprie Sacramentum a Baptismo distinctum et a Christo institutum, quo spirituale robur confertur regenerato ad fidem perficiendam firmiterque eonfitendam.
Vera et substantialis Christi realis in Eucharistia praesentia docetur clan Scripturae et unanimi Traditionis testimonio.
Christus in Eucharistia praesens fit transsubstantiadone panis et vini in Corpus et Sanguinem suum vivum, manentibus solis speciebus.
In Missae celebratione offertur Deo verum et proprium Sacrificium, in quo una eademque est hostia ac in Cruois sacrificio, sola offerendi ratione diversa.
Ex Christi institutione adest in Ecclesia potestas peccata remittendi per modum iudicii: modus quidem hanc, potestatem ´exercendi determinationes suecessivas aecepit, sed elementa sacramento essentialia semper adfuerunt.
Ad remissionem mortalium per Ecclesiam obtinendam iure divino requiritur confessio aliqua externa, et quidem singulorum peccatorum manifestativi, quae secreta esse solei. Confessio venialium tardius apparuit, sed a Christi mente aliena dici nequit.
Sacra Ordinatio est Sacramentum quo traditur potestas eonficiendi et ministrandi Sacramenta, quodque ex ipsius Christi institutione gradus admittit.
Contractus matrimonialis a Christo Domino ad dignitatem Sacramenti evectus est, et, si etiam consummatione , perfect us , ad pristinam indi s s olubilit at e m revocat us .
Matrimonium infidelium, etiam consummatum, solvi potest quoad vineulum, quando altero coniuge manente in infidelitate alter ad fidem convertitur.
Matrimonium ratum non consummatum per professionem religiosam solemnem alterutrius coniugis solvitur; et etiam ex anis iustis causis auctoritate Summi Pontifieis solvi potest.
II. - De novissimis.
Statim post mortem anima iudicatur, eiusque arterna sors determinatur sententia immutabili.
Existit purgatorium, i. e. status intermedius, in quo animae iustorum mortuorum a peccatorum poenis nondum deletis purgantur, priusquam caelum ingredi possint.
Homines in statu peccati mortalis morientes aeternis suppliciis puniuntur.
B) SACRA SCRIPTURA (San Paolo).
- Vita dagli Atti e dalle Lettere.
- Il tema della Lettera ai Romani: come sviluppato e dimostrato.
- La Lettera agli Efesini e´ ai Colossesi.
C) HISTORIA ECCLESIASTICA.
- Decadimento dell´influsso ecclesiastico: Guerre dì religione in Europa fino alla pace di Westfalia - La Chiesa e gli Stati assoluti - Eresie dei secoli XVII e XVIII - Baio e Gian‑ senio - L´Illuminismo e le riforme - Controversia della Grazia - Alcuni Papi dei secoli XVII e XVIII.
- La Chiesa e la Rivoluzione dalla Costituzione civile a Gregorio XVI: la Chiesa e l´Ancien Régime - Pio VI e la Rivoluzione - Pio VII e Napoleone - Le riforme del Card. Con-salvi - Gregorio XVI e il liberalismo.
- La Chiesa nel secolo XIX: fine del Potere temporale - la Chiesa e il Risorgimento italiano - la Questione Romana e il non expedit: giudizio - Leone XIII e Pio X: la Chiesa e la questione sociale - Il Cattolicesimo in Francia, Germania ed Italia all´alba del sec. XX.
D) INSTITUTIONES JURIS CANONICI (1. IV-V).
- Alcuni processi speciali: Parroci inamovibili, arnovibili, ecc. (cann. 2142-2194).
- Delitti e pene: nozioni generali (cann. 2195-2240).
- Censure: Scomunica, interdetto, sospensione (canoni 2241-2285).
Il Consigliere Professionale.
Nei mesi trascorsi dalla fine del conflitto mondiale, sono pervenute a questa Direzione Generale alcune pubblicazioni di argomento professionale, scritte da bravi confratelli Capi d´Arte. Eccone Dall´Oratorio di S. Francesco ´di Sales: S. FRASCESETTI: Modelli di calzature (formato grande). Metodo di taglio. La tecnica della calzatura. Manuale di confezione (fermato 8° gr.). C. GAMBA: Tecnologia del legno. (Elementi peri allievi del 1° anno); a mano litografato.
A. SAN.DRE: Lezioni di taglio per abiti classici femminili a tipo maschile. A. SAN´DRE: Eleganze. Serie di figurini delle stagioni Autunno-Inverno 1946 - Primavera-Estate 1947.
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Dall´Argentina (S.
F. BERRA: EI ajuste meeónico. In-8°. ler Mio.
F. SERRA: Metalurgia y Soldaduras. In-8°. 2° ano.
F. BERRA: Tratamientos térmicos y fundicién. In-8°. 3er ano.
Dalla Spagna (Barcellona - Sarri(i): E. P. S.: Manual del Carpintero-Ebanista. In-8°. Vol. I. E. P. S.: Manual del Carpintero-Ebanista. In-80. Vol. II.
Dal Brasile (Recite - Niteroi): J. MENEGAZZI: Manual do Aprendiz encadernador. In-50• GUTEMBERG: 5 Cadernos teorico-praticos para jovens tipografos.
Portiamo volentieri a conoscenza dei nostri cari Confratelli tali pubblicazioni, non solo perchè possano essere utilizzate nell´insegnamento dell´arte o mestiere a cui si riferiscono; ma anche per tributare una giusta lode ai loro autori i quali, oltre al lavoro quotidiano e alla responsabilità di un Laboratorio, si sono sobbarcati a quello, non lieve, di compilare tali libri, il che suppone letture, studio, riflessione e quindi volontà e costanza. Anche il nostro Santo Fondatore trovò tempo e volontà di scrivere, e molto, nonostante le mille cose che quotidianamente lo assillavano.
Naturalmente il compilare e lo scrivere libri didattici non è sempre facile nè alla portata di tutti gli istruttori; bisogna premettervi amore e studio costante della propria arte. Prendiamo occasione da questi esempi, per abilitarci sempre più nel compito nobile di formare giovani operai cristiani, capaci e coscienti delle proprie responsabilità, in una Società in cui il settore operaio va prendendo ogni giorno maggiore importanza ed influenza.
A questo proposito, rinnoviamo la più viva raccomandazione ai nostri cari Direttori perchè non manchi in nessuna Casa un luogo ove i nostri confr. Coadiutori possano raccogliersi, nelle ore di libertà dalle proprie mansioni, ed ove abbiano a loro disposizione una buona bibliotechina con opere é riviste di cultura religiosa, generale, sociale, tecnica (per i vari mestieri), ecc. Il Direttore stesso, si faccia loro consigliere e loro guida, nella scelta dei libri da leggere e da studiare.
Raccomandazione importante ai Sig.ri Ispettori.
Desiderando aggiornare i dati statistici di questo Ufficio, dopo i sei anni di quasi totale isolamento trascorsi, il Cons. Professionale prega i Sig.ri Ispettori di voler portare con sè, venendo al Capitolo Generale, quanto segue: 1) Una brevissima monografia di ogni Scuola Professionale ed Agraria della propria Ispettoria. Indicare in modo speciale: Titolo, Data apertura laboratori, Circostanze interessanti a questo riguardo (p. es. nome del Benefattore o Fondatore principale, ecc.), Elenco dei Laboratori, e, per ciascuno: N.° Allievi interni, esterni, semi-convittori; N.° Capi, Vice-capi o confratelli Salesiani;
e) N.° Capi, operai, impiegati non salesiani; durata dei Corsi, e quali diplomi si conferiscono; se l´Istituto Professionale o Agricolo è pareggiato, o sede di esami; quante ore settimanali sono dedicate alla Cultura generale, alla pratica del lavoro, alla teoria, al disegno; ecc.
2) Un riassunto, ovvero un esemplare della Legge, o delle Disposizioni che regolano nella propria Nazione l´istruzione tecnica e professionale; così pure, informazioni circa le questioni operaie e sindacali, i corsi privati, ecc.; in una parola, quanto può interessare questo Ufficio Centrale sull´argomento operaio professionale di ogni Nazione. (NB. - Per evitare doppioni di queste informazioni, sia inteso che nei Paesi ove vi sono parecchie Ispettorie, tale impegno riguarda l´Ispettore che risiede nella Capitale).
A nessuno sfuggirà la necessità di avere nella Direzione Centrale di un´Opera, oramai mondiale, tutti questi dati, affine di essere in grado di rispondere a tante domande di informazioni, di statistiche che ci pervengono da Autorità Ecclesiastiche e Civili e da Enti Nazionali ed Internazionali che si interessano• dei problemi professionali.
Il Consigliere Generale.
Rileva che malgrado le enormi difficoltà prodotte dalla guerra, giungono consolanti notizie di vitalità e di vigorosa ripresa dell´organizzazione degli Ex-allievi sia in Italia come all´Estero, grazie allo´ zelo, alla comprensione ed al non lieve sacrificio dei Confratelli incaricati.
un´opera nettamente salesiana, della quale è Superiore e Padre il Veneratissimo Rett or Maggiore. In pratica, il Presidente Internazionale è nominato dallo stesso Rettor Maggiore. I Presidenti Regionali sono designati dagli Ispettori, e le Presidenze locali sono elette, dai Membri tesserati, da liste presentate od approvate dal Direttore della Casa.
La Federazione non rappresenta soltanto i tesserati, ma tutti coloro che in qualsiasi modo sono stati allievi di qualche Istituto od Oratorio salesiano e quindi anche di quelli che ancora sono vincolati a noi col solo filo della riconoscenza, che non dobbiamo permettere si spezzi: forse sarà un giorno il richiamo del ritorno a Dio. A tutti si mandi possibilmente la rivista Voci Fraterne. Si ricordi che si tratta di una organizzazione sui generis, continuazione della vita di collegio, che non deve confondersi con la Pia Unione dei Cooperatoli, nè con altre pur buone e sante. Ognuno degli Ex-allievi ha il compito preciso, tracciato da Don Bosco, di dimostrare al mondo che si può essere onesti cittadini e buoni cattolici. Ognuno individualmente può aderire a quelle forme di apostolato e di devozione che più garbino; ma non si deve ipotecare le volontà dei singoli con accostamenti collettivi, con adesioni più o meno palesi a movimenti che esulino dal nostro campo educativo, come non lo si fa con i nostri allievi nè eon le loro famiglie.
Conclude con le parole di D. Bosco rivolte agli Ex-allievi nel Convegno del 1885: « Dio sia benedetto, in voi, da voi, in mezzo a voi. La mia vita volge al termine... Se io vi precederò nell´eternità vi assicuro che non mi dimenticherò di voi. Se il mio vivere sulla terra dovesse ancora prolungarsi per qualche anno, state sicuri che continuerò ad amarvi e ad aiutarvi in tutto quel poco che potrò. Intanto voi, ovunque andiate e siate, rammentatevi sempre che siete i figli di Don Bosco. Siate veri cattolici coi sani principi e con le opere buone. Praticate fedelmente quella religione, che è l´unica vera e servirà a raccoglierci tutti un giorno nella beata eternità´. Felici voi se non dimenticherete mai quelle verità che ho cercato di scolpire nei vostri cuori quando eravate giovanetti ».
Marzo-Aprile 1947 N. 140
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
Torino, 24 aprile 1947.
IL RETTOR MAGGIORE: La prossima canonizzazione del Sac. Giuseppe Cafasso e alcuni insegnamenti del novello Santo.
2° Pei giovanetti.
3° Pei chierici e coadiutori.
4° Pei sacerdoti.
5° Pei Salesiani.
6° P.el personale dirigente e insegnante degli Studentati.
7° Pei maestri di Morale.
8° Per la Crociata Catechistica.
9° Per tutti i componenti della Famiglia Salesiana.
10° S. Giuseppe Cafasso e l´Esercizio della Buona Morte.
11° Conclusione.
Figliuoli carissimi in G. C., 1. Motivo di particolare giubilo per noi Salesiani è la prossima canonizzazione del sacerdote Giuseppe Cafasso, il confessore, l´amico, il benefattore del nostro S. Fondatore e Padre Don Bosco.
Di lui che, morto il 23 giugno 1860 all´età di soli 49 anni, verrà ascritto nell´Albo dei Santi il 22 del prossimo giugno, sento il bisogno d´intrattenermi, sia pur brevemente, con voi.
Diciassette giorni dopo il suo transito, Don Bosco volle dargli un pubblico segno di gratitudine col far celebrare all´Oratorio un funerale molto solenne, pronunciando egli stesso, prima delle esequie, il discorso funebre di colui che gli era stato « così raro e prezioso amico », nonchè «insigne benefattore dell´Oratorio di S. Francesco di Sales ».
Certamente fu quello il primo panegirico, tenuto da un Santo, in onore del prossimo Santo Giuseppe Cafasso. E a esso intendo richiamarmi ora, a comune nostra edificazione.
Con profonda cognizione di cose Don Bosco potè allora esclamare: « Abbiamo ferma fiducia d´aver acquistato un protettore presso Dio in Cielo. Difatto se noi diamo un´occhiata sopra la vita del sacerdote Cafasso, sopra l´innocenza de´ suoi costumi, sopra lo zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime, sopra la sua fede, speranza, carità, umiltà e penitenza; noi dobbiamo conchiudere che a tante virtù sia stato compartito un gran premio, e che egli morendo non abbia fatto altro che abbandonare questa vita mortale piena di miserie, per volare al possesso della beata eternità ».
Sono certo, e a tal fine rivolgo a tutti urta calda esortazione, che in tutte le nostre Case il nuovo Santo sarà oggetto di particolare devozione e, ciò che più importa, di fedele imitazione.
I nostri giovanetti potranno specchiarsi nella « sua ritiratezza congiunta ad una Propensione quasi irresistibile a fare del bene al prossimo ». Questo infatti, al dire di Don Bosco, fu la caratteristica di. Giuseppe Cafasso fin dai più teneri anni. Per tal modo i giovani da noi educati impareranno a vincere gli ostacoli sempre più formidabili che il mondo oppone alla loro innocenza e si abitueranno a essere apostoli nell´ambiente ove vivono, studiano e lavorano.
I nostri chierici e coadiutori potranno far proprie le parole del eh. Cafasso al dodicenne Giovanni Bosco: « Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico (e noi aggiungiamo: religioso), si vende al Signore; e di quanto avvi nel mondo, nulla deve più stargli a cuore se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime ». Fortunate le novelle generazioni Salesiane, se si faranno un dovere di imitare le virtù di quel giovane chierico, così sintetizzate da Don Bosco: « Dico solo che la carità verso i compagni, la sommessione ai superiori, la pazienza nel sopportare i difetti degli altri, la cautela di non mai offendere alcuno, la piacevolezza nell´accondiscendere, consigliare, favorire i suoi compagni, l´indifferenza negli apprestamenti di tavola, la rassegnazione nelle vicende delle stagioni, la prontezza nel fare catechismo ai ragazzi, il contegno ovunque edificante, la sollecitudine nello studio e nelle cose di pietà sono le doti che adornarono la vita clericale di Don Cafasso; doti che praticate in grado eroico fecero diventar familiare a´ suoi compagni ed amici il dire, che il chierico Cafasso non era stato affetto dal peccato originale ».
Noi sacerdoti, ne son certo, ci sforzeremo di imitare il suo zelo, la sua chiarezza e semplicità nell´esporre la parola di Dio; il suo coraggio nel farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo; la sua sollecitudine pei poveri giovanetti; la sua carità industriosa nel praticare ogni opera di misericordia spirituale´ e corporale a beneficio del prossimo, specialmente poi nel predicare, consolare, consigliare, catechizzare e ascoltare le confessioni; la sua serenità di volto, l´affabilità:nel tratto, senza mai lasciare trasparir una parola, un atto, che desse alcun segno d´impazienza, tanto da far dire a una persona assai stimata: «Egli aveva niente per l´umanità, ma tutto per la carità ».
Tutti poi, sacerdoti e chierici e coadiutori, dobbiamo sforzarci d´imitare la vita mortificata di Don Cafasso. Soppesiamo attentamente queste parole di Don Bosco: «Parte della vita privata di Don Cafasso è la segreta ma continua mortificazione di se stesso. Qui si scorge un´arte grande usata da lui per farsi santo ». E il nostro Padre, soffermandosi su piccoli atti che taluno potrebbe chiamare insignificanti, passa a dire che Don Cafasso « comunque stanco non si appoggiava mai nè col gomito nè altrimenti´ per riposare. Non accavallava mai un ginocchio sull´altro; a mensa non diceva mai: questo mi piace più o meno; tutto era di suo gusto ». Inoltre, «fosse intirizzito dal freddo, soffocato dal caldo, oppresso dal sudore, non mai ne cercava conforto, neppure si udiva ´proferire voce di lamento o di pena ». E Don Bosco continua: «Era alieno da ogni specie di divertimenti. In trentadue anni che lo conobbi non lo vidi mai a prender parte a giuoco di carte, tarocchi, scacchi, biliardo od altro trastullo. Invitato qualche volta ad. uno di questi divertimenti: — Ho ben altro a divertirmi — rispose. — Quando io non abbia più alcuna cosa di premura andrò a divertirmi. Quando sarà questo tempo? – Quando saremo in Paradiso ». E il nostro Padre nota ancora: « Oltre il mortificare costantemente i sentimenti del corpo, era nimicissimo di ogni abitudine anche la più indifferente. Dobbiamo abituarci a fare del bene e non altro, soleva dire. Il nostro corpo è insaziabile. Più gliene diamo, più ne dimanda, meno gliene si dà, meno egli dimanda. Quindi non si è mai voluto abituare al tabacco, nè a commestibili dolci, nè a bibite particolari ad eccezione di quelle ordinate dal medico. Nel corso de´ suoi studi, in collegio, in seminario, non volle far uso nè di caffè, nè di frutta a colazione ed a merenda ».
Non vi pare, Figliuoli carissimi, di trovare in queste parole, pronunciate dal nostro Padre nel 1860, quasi un commento anticipato all´articolo 188, 10 delle Costituzioni: « Ognuno stia attento a non lasciarsi legare da abitudini di nessun genere, neanche di cose indifferenti » e all´articolo 189: « Ciascuno sia pronto a sopportare, quando occorra, il caldo, il freddo, la sete, la fame, le fatiche »? 6. Un motivo tutto particolare d´imitare il nuovo Santo lo hanno i maestri e formatori di sacerdoti nei nostri Studentati Filosofici e Teologici. Nessun Salesiano ignora quanto abbia fatto la nostra Società, specialmente in questi ultimi anni, per procurare alla Chiesa e alle ´anime santi sacerdoti. Ma ognun sa che il miglior fattore di educazione sarà sempre l´esemplarità di vita del personale dirigente e insegnante. Rifletta adunque, questo personale, sulle seguenti parole del nostro S. Fondatore: «Ninna cosa è tanto maravigliosa nella vita privata di D. Cafasso, quanto l´esattezza nell´osservanza delle regole del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco. Come superiore da più cose avrebbesi potuto dispensare, sia a motivo della sua cagionevole sanità, sia per la gravità e moltitudine delle occupazioni che in certo modo lo opprimevano. Ma egli aveva fisso nella mente che il più efficace comando di un superiore è il buon esempio, è il precedere i sudditi nell´adempimento dei rispettivi doveri. Perciò nelle più piccole cose, nelle pratiche di pietà, nel trovarsi per le conferenze, alle ore della meditazione, della mensa, egli era come una macchina, che il suono del campanello portava quasi istantaneamente all´adempimento di quel determinato dovere ». Persino la ricreazione « era il tempo della maravigliosa scuola di D. Cafasso. Qui i suoi alunni succhiavano come latte la bella maniera di vivere in società; di trat tare col mondo senza farsi schiavi del mondo; di diventr veri sacerdoti forniti delle necessarie virtù per formare ministri capaci di dare a Cesare quello che è di Cesare, a Dio- quello che è di Dio ».
7. A noi Salesiani tocca poi in modo speciale ricordare Don Cafasso quale Maestro di Morale nel Convitto Ecclesiastico, fondato dal virtuoso e dotto teologo Guala presso la Chiesa di S. Francesco d´Assisi in Torino. Alla scuola di Don Cafasso, continuata poi da Mons. Bertagna e da altri ecclesiastici insigni, attinsero largamente Don Bosco, Don Rua, Don Cagliero più tardi Don Piscetta e tanti altri nostri insegnanth di discipline ecclesiastiche, i quali custodirono e tramandarono, quasi sacro deposito, quella mirabile e pratica tradizione, corroborata da sicure e confortanti nozioni teologiche, circa il modo di ricevere le confessioni sacramentali. I figli di S. Gio, vanni Bosco, spargendosi pel mondo, portarono seco la sapiente tradizione delle confessioni brevi, incoraggianti, efficaci, frequenti: e del loro ministero si giovarono con frutto, non soltanto giovinetti, ma anche adulti, persone religiose e particolarmente anime sacerdotali. Si direbbe che Don Cafasso — dopo aver sconsigliato Don Bosco di scrivere un manuale sulle confessioni dei giovanetti perchè urgeva allora per essi una Storia d´Italia — abbia voluto ricompensare il nostro S. Fondatore ottenendo da Dio a lui e alla sua famiglia religiosa mia pratica di confessione, rispondente ai criteri .apostolici con cui lo stesso Don Cafasso, insigne Maestro di Morale, aveva formato dotti e santi confessori.
Sono convinto che i nostri Studentati Teologici, e soprattutto il Pontificio Ateneo Salesiano, non permetteranno che venga a oscurarsi la gloria di questa tradizione giunta a noi attraverso il più affezionato Discepolo del sapiente Maestro S. Giuseppe Cafasso, il quale, come scrive Mons. Grazioli, « apparve ai suoi contemporanei un secondo S. Alfonso de´ Liguori ». (La pratica dei Confessori, Pref., L. D. C., Colle D. Bosco).
8. Ancora un rilievo di attualità. Alla Società Salesiana„ impegnata pur durante questi anni di guerre e prove inaudite a fomentare la provvidenziale Crociata Catechistica, il novello Santo Cafasso apparisice come modello e protettore nell´impartire ai giovani e ai fedeli l´istruzione religiosa. «Il primo cate‑ chista di questo nostro Oratorio fu Don Cafasso », affermò solennemente Don Bosco intessendone il discorso funebre. E siccome noi Salesiani — giusta le Costituzioni — dobbiamo anche cercare « con le parole e con gli scritti di porre un argine all´empietà e all´eresia, che tenta tutti i modi per insinuarsi tra i rozzi e gl´ignoranti » (Cost., 8 ), è necessario che a una solida scienza religiosa uniamo una somma semplicità di espressione, sull´esempio del nostro S. Fondatore. Ma a chi deve in primo luogo Don Bosco l´aver imparato a diyentare facile ´h popolare nelle sue prediche e istruzioni, contro l´andazzo del suo tempo? Proprio a Don Cafasso, il cui biografo Nicolis de Robilant ha in proposito osservazioni assai significative, riferite dal nostro Cardinale Protettore, Em.mo Carlo Salotti, nel suo magnifico lavoro: « La Perla del Clero Italiano. - Il Beato Giuseppe Cafasso » (S. E. I., Torino).
« Gesù, sapienza infinita — suggeriva un giorno il Cafasso a Don Bosco — usò parole ed espressioni comuni alle turbe a cui parlava; così dovete fare anche voi ». Forse non è fuor di luogo rilevare che il nuovo Santo, come ognun vede, era deciso fautore del Metodo Catechistico del Vangelo.
Continua Nicolis de Robilant a dire che fu Don Cafasso a consigliare Don Bosco di comporre le sue istruzioni in modo che fossero intese da sua madre, e che il docile alunno seguì letteralmente il consiglio del Maestro e leggeva alla mamma le sue prediche per averne l´approvazione., Ed « oh! quante volte egli raccontava più tardi essa mi rispondeva di non intendere! Io allora a rassettarle, ed essa a ripetermi: — Non capisco nulla, proprio nulla. — Ed io a tradurgliele in dialetto, e anche allora sentirmi dire: — Povero Don Bosco! non par vero! con tanti studi non esser buono a far conoscere la volontà di Nostro Signore; — oppure: — Ah! Don Bosco, se sai solo predicare così, puoi recarti a far la tua predica alle capre, chè t´intenderanno al pari di me ». E il buon sacerdote, sempre più umiliandosi, raccoglieva le parole della madre e tornava a scrivere, cer cando con grande fatica voci e frasi italiane brévi e incisive, simili a quelle dialettali da lei suggeritegli. E sol quando questa gli diceva: — Ah! così mi sembra di capire — si decideva di presentare il suo scritto a Don Cafasso ».
Figliuoli carissimi, sull´esempio e dietro i suggerimenti dei nostri Santi, facciamo ogni sforzo perchè la massima chiarezza e semplicità rifulgano nelle parole e negli scritti, con cui vogliamo cooperare a far conoscere e praticare le verità della Dottrina Cristiana, soprattutto fra la gioventù e le masse operaie.
9. E qui devo notare che, non soltanto confratelli e giovani, ma anche gli ex-allievi, i cooperatori e amici nostri, tutti í componenti insomma della famiglia Salesiana, devono ricordare che Don Cafasso, giusta la frase di Don Bosco, «fu maestro di ben vivere e modello a tutti quelli che desiderano di fare una santa morte ». Ecco come il nostro Padre parla del di lui sereno transito: « Molte cose dovrei raccontarvi dell´ammirabile sua pazienza nel tollerare il male, delle parole indirizzate a´ suoi amici, della benedizione data a molti, e specialmente a´ suoi cari convittori; intorno al modo edificante con cui ricevette gli ultimi sacramenti; ma queste cose mi cagionano troppo grande commozione, e non potrei forse reggerne il racconto. Vi dirò soltanto che confrontando la malattia e la morte del sacerdote Cafasso con quella di S. Carlo Borromeo, di San Francesco di Sales, di S. Filippo Neri e di altri grandi santi, parmi di poter con franchezza asserire essere egualmente preziosa agli occhi di Dio. E come poteva essere altrimenti? Se fu egualmente santa la sua vita, perchè non doveva esserne del pari santa la morte? ».
E D. Bosco continua: « Egli fu gran divoto di Maria, e fu costantemente promotore della divozione verso di questa Ma‑ dre celeste. Ogni giorno, e si può dire ogni momento, faceva qualche pratica o qualche giaculatoria in onore di Lei. Il sa‑ bato era giorno tutto di Maria. Lo passava in rigoroso digiuno: ogni cosa chiestagli in quel giorno era con prontezza conceduta.
E molte volte aveva esternato il desiderio di morire in giorno di sabato. Spesso in vita andava dicendo e lo lasciò pure scritto: — Che bella morte morire per amor di Maria. Morire nominando Maria. Morire in un giorno dedicato a Maria. Morire nel momento più glorioso per Maria. Spirare tra le braccia di Maria. Partire pel Paradiso con Maria. Godere in eterno vicino a Maria. — O anima fortunata! i tuoi desideri sono appagati; tu sei al decimoterzo giorno di tua malattia; è giorno di sabato, giorno di Maria; tu hai ricevuto da poche ore il Sacratissimo Corpo di Gesù. Or bene, Gesù ti chiama e vuole darti quel Paradiso che tanto desideri, per cui hai impiegata tutta la tua vita. Maria tua Madre, di cui fosti cotanto divoto in vita, ora ti assiste e ti vuole Ella stessa condurre al cielo. Ed ecco il nostro D. Cafasso fare un sorriso... Egli manda l´ultimo respiro... L´anima sua con Gesù e con Maria vola a godere la beata eternità ».
10. In appendice alla Rimembranza storico-funebre il nostro S. Fondatore, sempre curante della praticità a bene delle anime, colloca alcuni esercizi di pietà composti e usati da D. Cafasso. Ricorderò, a comune edificazione, l´Esercizio della Buona Morte da praticarsi ogni mese. In esso è stabilita la confessione, come se fosse l´ultima della vita, e la Comunione, come per viatico. Poi D. Cafasso aggiunge: «Mi figurerò di essere sul punto di spirare stringendo e baciando per l´ultima volta il Crocifisso. Sullo spirare mi figurerò che la Vergine mi ottenga un mese di vita, onde mi disponga meglio alla morte. Passerò il mese con questo pensiero, che sia l´ultimo, e che dal Cielo mi stia osservando come io ne approfitti ».
Figliuoli carissimi, quanto sarebbe fortunata la Famiglia Salesiana, se, come uno dei frutti pratici della prossima canonizzazione di Don Cafasso, tutti i membri di essa, confratelli, giovani interni ed esterni, oratoriani, ex-allievi, cooperatori, amici e benefattori, prendessero il proposito di fare ogni mese, di fare sempre ogni mese, di fare sempre bene ogni mese, l´Esercizio della Buona Morte! E qui è opportuno notare che alcuni vorrebbero dargli un altro nome, ad esempio quello di Ritiro mensile.
Stiamo attenti che, agli occhi nostri o almeno delle anime alle nostre cure affidate, le nuove denominazioni non svuotino le pratiche di pietà del loro genuino contenuto. Così, alcuni mostrano quasi un senso di paura nel nominare il Confessore, che vorrebbero chiamare Padre spirituale o Direttore spirituale, come se noi andassimo a confessarci soltanto perchè afflitti e scoraggiati, o ignoranti e dubbiosi, e non soprattutto perchè siamo peccatori. A Esercizi Spirituali alcuni preferiscono Ritiro annuale, che quasi non richiama l´idea fdndamentale di Novissimi e di perfetta conversione a Dio, come tradizionalmente invece ricorda la primiera denominazione.
Ora l´espressione Ritiro mensile, se può richiamare a noi la prima parte dell´articolo 156 delle Costituzioni: « Ognuno, liberandosi per quanto gli sarà possibile dalle cure temporali, si raccoglierà in se stesso », è affatto insufficiente a inculcarci la seconda parte, ben più importante e indispensabile: «e farà l´esercizio della buona morte, disponendo le cose spirituali e temporali come se fosse per lasciare il mondo e partire per l´eternità ».
Il novello Santo Giuseppe Cafasso ottenga a tutti i membri della Famiglia Salesiana la grazia di compiere con fedeltà ed esattezza l´Esercizio mensile della Buona Morte, in modo da potere, sul suo esempio e mediante la sua intercessione, vivere una santa vita, cui tenga dietro una santa morte. Con lui potremo allora esclamare: « Non già morte, ma dolce sonno sarà per te, o anima mia, se morendo t´assiste Gesù, se spirando t´abbraccia Maria ».
11. Servano, Figliuoli carissimi, le parole del nostro S. Fondatore ricordate in questa lettera edificante, a tener sempre viva in mezzo a noi la memoria del grande Amico e Benefattore di S. Giovanni Bosco e più ancora a stimolarci alla pratica delle su» virtù e alla divulgazione della sua dottrina, tanto consona a qu3lla di S. Francesco di Sales e del nostro grande Padre.
Sono certo che, così operando, noi daremo cosa assai gradità a S. Giovanni Bosco, mentre ne deriveranno grandi vantaggi alla nostra perfezione e alle anime a noi affidate.
hvocando su di voi, sulle vostre Case ed Opere, e particolarmente sul prossimo Capitolo Generale, le benedizioni di Dio, per intercessione del nuovo Santo Giuseppe Cafasso,
mi raccomando alle vostre preghiere e. mi professo
vostro aff.mo in G. e M.
SAC. PIETRO RICALDONE
Maggio-Giugno 1947 N. 141
IL RETTOR MAGGIORE:
1° Esortazione ´a far bene i prossimi Esercizi Spirituali.
2° I Ricordi degli Esercizi Spirituali.
3° Appello ai Confratelli ammalati.
4° Mons. Van Heusden e Mons. Alterio.
5° Le prossime vacanze dei nostri allievi.
6° Circolare sul Rendiconto.
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
Torino, 24 maggio 1947..
Figliuoli carissimi in G. C., 1. Si avvicina l´epoca degli Esercizi Spirituali e vi esorto a prepararvi diligentemente a questa pratica tanto importante, dalla quale ben possiamo dire dipenda poi in gran parte il buon andamento del nuovo anno scolastico.
Vi sono due motivi che devono stimolarci a farli con particolare impegno.
Ricorre quest´anno il centenario dei primi Esercizi Spirituali fatti dai giovanetti di Don Bosco nell´Oratorio. Non si legge senza profonda commozione quanto il nostro S. Fondatore fece in quella circostanza per superare difficoltà, che noi forse avremmo creduto insormontabili, pur di procurare a quel primo gruppo di giovani il benefizio di quei giorni di ritiro, che tanto bene avrebbero arrecato alle loro anime. Nè valsero a distoglierlo la mancanza di locali, di mobilio e persino delle più elementari stoviglie. Furono così abbondanti i frutti di quei primi Esercizi, che Don Bosco volle si ripetessero in seguito ogni anno a costo di qualunque sacrificio.
Il secondo motivo è la celebrazione del prossimo XVI Capitolo, Generale. Sentiamo tutti il bisogno che sulla importante Assemblea scendano più copiose che mai le benedizioni celesti: ora i giorni degli Esercizi Spirituali sono particolarmente destinati e adatti alla preghiera nel raccoglimento e nell´unione con Dio.
E poichè trattiamo di Esercizi Spirituali, passo senz´altro a darvi i tradizionali Ricordi.
Assistiamo con pena al dilagare del nuovo paganesimo, che vorrebbe travolgere il costume cristiano e rendere l´uomo incapace di sollevare lo sguardo alle cose celesti e di acquistarne il possesso con la purezza della vita. Per combattere le intemperanze che fomentano le ribellioni del senso, e quelle altre forme di culto del corpo, mediante le quali il demonio tenta di travolgere l´anima nel fango, sentiamo il bisogno di praticare la speciale virtù, direttamente destinata a tale nobile scopo, cioè a dire la temperanza.
Ecco pertanto il ricordo che vi dò a suggello degli Esercizi Spirituali: Pratichiamo la virtù della temperanza nell´uso dei sensi e nelle cure del corpo.
Sempre a proposito degli Esercizi Spirituali e del prossimo Capitolo Generale rivolgo uno speciale appello ai Salesiani, che costituiscono il gruppo più caro al cuore della Congregazione nostra Madre, vale a dire agli ammalati. Di questi cari figliuoli ne abbiamo forse in tutte le nostre Case. Alcuni gruppi poi vivono in appositi convalescenziari, onde poter usufruire di clima e di cure meglio adatte alle loro condizioni.
Talvolta qualche nostro ammalato si affligge pensando che non è in grado di offrire alla Congregazione il frutto delle sue attività. Ora io vorrei ripetere a codesti carissimi figliuoli che non v´è attività di sorta che possa oltrepassare il merito della sofferenza e del dolore. Appunto perchè sono convinto che l´offerta delle loro preghiere e soprattutto delle loro sofferenze attirerà sull´amata nostra Congregazione e sui prossimo Capitolo Generale benedizioni del tutto straordinarie, rivolgo loro questo fervido appello.
Sono lieto di comunicarvi che a succedere al compianto Mons. Giuseppe Sak, Vicario Apostolico del Congo Belga, è. stato eletto Mons. Renato Van Heusden, che da molti anni. lavora con zelo infaticabile in quella Missione. Così pure, quale successore del compianto Mons. Enrico De Ferrari, è stato eletto il nuovo Prefetto Apostolico dell´Alto Orinoco (Venezuela), Mons. Cosimo Alterio. Raccomando l´uno e l´altro alle vostre preghiere per ottenere da Dio che il loro apostolato sia lungo e fecondo.
Si avvicina per le Case dell´emisfero settentrionale il termine dell´anno scolastico. I Direttori e i Salesiani tutti si adoperino per preparare i nostri cari giovanetti contro i pericoli che li attendono e diano loro, come è tradizione nostra, quei Ricordi che servano a preservarli laboriosi, puri e pii.
Con questo stesso numero degli « Atti del Capitolo » era mio vivo desiderio inviarvi una Circolare, che da tempo sto preparando. Essa tratta l´importante argomento del Rendiconto. Il lavoro assillante di questi mesi non mi permise di condurla a termine. Se, come spero, mi verrà dato di ultimarla, vi sarà spedita prima del Capitolo Generale.
Invocando su tinti le più copiose benedizioni, celesti, mi raccomando alle vostre preghiere e mi professo
vostro aff.mo in G. e M.
SAC. PIETRO RICALDONE
Luglio-Agosto 1947 N. 142
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
IL RENDICONTO
Torino, 24 luglio 1947.
Figliuoli carissimi in Gesù Cristo,
1. - INTRODUZIONE Fra tutte le Circolari che ebbi la gioia di scrivere dal giorno che mi fu addossata la croce del Rettorato, penso che questa sia delle più importanti per mantenere in fiore lo spirito e le opere della nostra amata Società.
Intendo parlarvi del Rendiconto.
Nell´accingermi a trattare un così vitale argomento pregai il Signore di volere, per intercessione di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni Bosco, illuminare la, mia mente: ed ora Lo supplico di disporre i vostri cuori ad accogliere le mie povere parole in modo da tradurle in consolanti frutti di perfezione religiosa e di apostolato salesiano.
La trattazione, stando a quanto dicono le Costituzioni a riguardo del nostro tema, avrà due parti.
Invero, fin dal Noviziato ci si fa notare chiaramente che, mentre all´articolo 480, le Costituzioni obbligano a render conto circa determinati punti di vita esteriore, all´articolo 470 dichiarano esser conveniente che ciascheduno, benchè non vi sia tenuto, esponga schiettamente al Superiore quanto riguarda il profitto nelle virtù, i dubbi e le ansietà di coscienza.
Vi è adunque´ un Rendiconto d´obbligo, a cui nessun Salesiano può sottrarsi, in quanto membro di una Società approvata e dipendente dalla Chiesa; e vi è una manifestazione di consiglio, che il Salesiano può liberamente fare, quale membro di una Società che ha per fine primario la perfezione dei soci.
Tratteremo prima del Rendiconto della propria vita esteriore, allo scopo di facilitare a tutti i confratelli una pratica voluta dalla Regola. Faremo quindi alcune considerazioni sulla manifestazione di cose riguardanti la propria vita interiore.
2. - I RESOCONTI D´UFFICIO Ogni Salesiano, dicevamo, è in primo luogo membro di una Società approvata e dipendente dalla Chiesa.
Noi sappiamo quanto sia costato al nostro S. Fondatore lo studio e la compilazione delle Costituzioni della nostra Società: in esse sono contenute le regole riguardanti lo scopo di essa, i suoi organi direttivi, i doveri e i diritti sia dei Superiori che dei singoli soci.
Tali Costituzioni furono a suo tempo presentate alla Santa Sede, la quale, per mezzo dei Dicasteri competenti, le sottopose ad accurato esame, suggerì correzioni e aggiunte, e, infine, dopo matura considerazione, le approvò il 3 aprile 1874. Una nuova approvazione e conferma definitiva esse ricevettero il 19 giugno 1923, dopo che furono conformate alle prescrizioni del Codice di Diritto Canonico.
La nostra Società, con le sue Costituzioni così approvate, rimane alle dipendenze dirette della Santa Sede. L´articolo 490 delle Costituzioni stesse infatti ricorda con il canone 499 § 1 che «i soci avranno per arbitro e per Supremo Superiore il Sommo Pontefice, cui saranno in ogni luogo, in ogni tempo, e in ogni sua disposizione, umilmente e riverentemente sottomessi, anche in forza del voto d´obbedienza ».
Va da sè che la Santa Sede, dopo aver approvato una Società religiosa, ha diritto di accertarsi del suo retto funzionamento; e perciò esige che periodicamente essa renda conto del suo operato. Il canone 510 stabilisce appunto che i Moderatori Supremi o Superiori Generali di qualsiasi religione di diritto pontificio, ogni cinque anni, o anche più spesso se così stabiliscono le Costituzioni, mandino alla Santa Sede una relazione documentata della loro religione: relazione che, per maggior garanzia, dev´essere firmata dal Superiore Generale e dai suoi Consiglieri.
Non altrimenti è stabilito per la nostra Società, secondo l´articolo 510 delle Costituzioni: « Ogni cinque anni, nel tempo stabilito, il Rettor Maggiore trasmetterà alla Sacra Congregazione dei Religiosi una relazione sullo stato della Società, a norma dell´Istruzione della Congregazione stessa ».
È evidente che il Superiore Generale non potrebbe render conto alla Santa Sede di tutto ciò che riguarda lo stato sanitario, intellettuale, morale, economico della Società, se non avesse prima avuto una conoscenza esatta dei singoli soci, sia pure per mezzo dei Superiori subalterni.
E qui si avverta che nessuno è eccettuato dal render conto. Infatti, prima ancora del Rendiconto propriamente inteso della propria vita esteriore, vi sono Resoconti o Relazioni d´Ufficio, che è bene ricordare, sia pure sommariamente.
Incominciamo dai Membri del Capitolo Superiore. L´articolo 680 delle Costituzioni vuole che essi «informino il Rettor Maggiore di quanto riguarda il loro ufficio ».
Per quanto spetta in particolare a quei beni che non sono di una determinata Ispettoria o Casa, ma di tutta la Società, siccome è ufficio dell´Economo Generale di amministrarli, sotto la direzione del Superiore Generale, così è stabilito che « di tale amministrazione egli renderà conto almeno una volta all´anno al Rettor Maggiore e al suo Capitolo; e non dovrà intervenire alle sedute in cui tale resoconto sarà preso in esame » (Cost., 76).
Così pare è chiaro che debba render abitualmente conto al Rettor Maggiore e al suo Capitolo chi occupi un ufficio che le Costituzioni mettono alle stabili dipendenze del Superiore Generale col Capitolo Superiore. Di questa specie, secondo l´articolo 810, è l´ufficio del Segretario del medesimo Capitolo Superiore, il quale « viene eletto dal Rettor Maggiore col Capitolo Superiore e rimane ad nutum ». Similmente l´articolo 830 parla del Procuratore Generale: « Per trattare gli affari presso la Santa Sede la Società tiene in Roma un Procuratore Generale, che viene eletto dal Rettor Maggiore col Capitolo Superiore e rimane ad nutum, ma non si può rimuovere senza interrogare in proposito la Santa Sede ».
Altrettanto deve intendersi di quei Visitatori Straordinari che in caso di necessità il Rettor Maggiore stabilisce col consenso del Capitolo Superiore e che fanno «le veci del Rettor Maggiore stesso quanto alle Case e agli affari che son loro affidati » (Cost., 83).
Veniamo agl´Ispettori. Ogni Ispettore deve render conto della sua gestione al Rettor Maggiore «in via ordinaria una volta all´anno, e in via straordinaria ogniqualvolta ne sarà richiesto » (Cost., 88). I medesimi Ispettori spediranno al Direttore Spirituale della Società «in epoche stabilite un rendiconto sul progresso morale e spirituale » delle loro Ispettorie (Cost., 71) e sottoporranno all´Economo Generale, pel controllo prescritto dall´articolo 770 delle Costituzioni, « l´amministrazione delle Ispettorie e delle Case ».
L´Ispettore ancora « visiterà ciascuna Casa almeno una volta all´anno, per esaminare diligentemente se vi si compiano i doveri imposti dalle Costituzioni della Società, e per vedere nello stesso tempo se l´amministrazione delle cose spirituali e temporali tenda realmente allo scopo proposto, a promuovere cioè la gloria di Dio e la salvezza delle anime » (Cost., 120).
Il Direttore a sua volta « deve ogni anno render conto per iscritto dell´amministrazione temporale della sua Casa all´Ispettore. Deve inoltre riferirgli su quanto s´appartiene al governo della Casa ogni volta che ne sia da lui richiesto » (Cost., 115). E l´articolo 113° precisa il senso di tale governo, quando dice che « è ufficio del Direttore governare la Casa tanto nelle cose spirituali che nelle scolastiche e materiali ».
Siccome poi il Prefetto « fa le veci del Direttore », opportunamente l´articolo 116° ricorda che « deve essere preparato a render conto della sua gestione al Direttore, ogniqualvolta ne sia da lui richiesto ».
Al dovere del Rendiconto sono parimenti tenuti i nostri Parroci, giacchè, salve le specialissime eccezioni in cui per qualche tempo essi, col permesso dei Superiori, reggessero parrocchie non conferite alla Congregazione, le parrocchie, come prescrivono i sacri canoni e ci ricordano espressamente le nostre Costituzioni, sono conferite « non ai singoli soci, ma alla Società » (Cost., 10), fermo, s´intende, anche per i primi l´obbligo di render conto al Direttore e all´Ispettore dei loro doveri come religiosi.
Come ognuno vede, chiunque occupi in Congregazione determinati uffici di superiorità, non può sottrarsi al dovere di renderne conto.
Persino i Confratelli chiamati dalla Santa Sede a reggere Vicariati e Prefetture Apostoliche od anche Diocesi e Prelature in territorio di missione, affidate alla nostra Società, pur inviando direttamente relazione alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide dello stato della loro missione, sono tenuti a tenerne informato il Rettor Maggiore, non solo perchè egli in base a tali informazioni sappia regolarsi nell´invio di nuovi missionari e nella distribuzione dei soccorsi economici, ma perchè non essi soli, bensì l´intera Società Salesiana è responsabile di fronte alla Santa Sede delle missioni che le sono state affidate.
Lo stesso avviene per quegli uffici di direzione, amministrazione, magistero e simili, che la Santa Sede affida a Salesiani attraverso la nostra Società rendendola responsabile dell´operato di tali Confratelli.
Conchiuderemo il fin qui detto, a proposito di questi Resoconti d´Ufficio, o meglio dell´obbligo da parte di determinati soci di render conto del loro operato al Superiore, con due riflessioni.
La prima è che l´obbligo di render conto al Superiore suppone da parte del Superiore stesso il dovere e il diritto di un serio, coscienzioso e sempre paterno controllo, sia immediato quand´è possibile, sia mediante altri Superiori subalterni.
La seconda riflessione è questa. L´obbligo di render conto al Superiore suppone evidentemente che il suddito sia oggetto del controllo or ora indicato, da cui perciò nessuno deve sottrarsi, dicendo, ad esempio: — Ma il Parroco sono io... Ma il Consigliere o Catechista sono io... Ma il Preside sono io... Ma il Maestro o l´Assistente sono io...
In queste affermazioni potrebbe celarsi a volte questo infondato sospetto o pregiudizio, che però può amareggiare un cuore, se non addirittura scuotere una vocazione: Dunque, i Superiori non hanno fiducia in me? Chi fosse in preda a questa tentazione dell´amor proprio, ricordi che fu proprio la fiducia dei Superiori nelle sue doti e abilità che lo ha collocato in tale o tal altro posto di responsabilità; ma costui ricordi pure che al Superiore incombe ancora l´obbligo di render conto, in alto, dei frutti di tali doti e abilità del proprio dipendente, e che perciò persiste nel Superiore il diritto di esaminare persone e cose e di esigere informazioni esatte e sicure.
E qui il nostro pensiero corre anche ai nostri Coadiutori, perchè per essi è forse più facile la tentazione di considerare tale ingerenza o come cosa affatto inutile, — anche perchè il Superiore non ha la sufficiente perizia in certe faccende materiali e ancor meno in procedimenti tecnici, — o come cosa offensiva, quasicchè il Superiore commettesse un atto di sfiducia verso il Coadiutore.
È vero — e nessuno lo mette in dubbio — che la capacità, la laboriosità, le cure assidue e premurose dei nostri Coadiutori, addetti a un laboratorio, a determinate sezioni agricole, ad altre mansioni domestiche, fanno sì che ogni cosa prosperi e produca giusta le norme stabilite: come d´altronde avviene nella scuola, nell´assistenza, nel ministero, nella missione, per l´opera dei Sacerdoti e degli Assistenti. Ma sbaglierebbero quei Coadiutori, che pensassero di non dover render conto al Prefetto, al Direttore, all´Ispettore, o pretendessero. che il Superiore firmi senz´altro relazioni, bilanci, contratti, addossando magari alla Casa o all´Ispettoria oneri e responsabilità, la cui portata sfugge a volte al pur volenteroso e ben intenzionato Capo-laboratorio, Capo-campagna, Provveditore, Cuoco, e via dicendo.
Nessuno pertanto, sia Sacerdote, sia Chierico, sia Coadiutore, ceda alla tentazione di giudicare che, quando il Superiore esige chiaro conto di uffici e ministeri esercitati, di viaggi compiuti, di affari commerciali, impegni professionali o agricoli, di lezioni o assistenze, o altri incarichi di qualsiasi genere, operi così per mancanza di fiducia verso del confratello interpellato.
No, in questi casi il Superiore adempie un suo preciso dovere a norma delle Costituzioni, e, per non venir meno alla sua responsabilità, esercita un imprescindibile atto di consapevole governo della Casa o dell´Ispettoria o dell´intera Società: egli insomma si mette così nella condizione di poter preparare un fedele Resoconto o Relazione da rimettere a suo tempo a Chi di ragione, secondo le esigenze della obbedienza religiosa.
Nè si deve dimenticare che, potendo venir sorpresi dalla morte nel momento meno pensato, è soprattutto per mezzo di Resoconti precisi e ben dettagliati che il Superiore potrà instradare nel posto resosi vacante il successore del confratello defunto.
Sarebbe anzi bene che, oltre ai Resoconti prescritti dalle nostre Costituzioni o dai Regolamenti, ogni confratello che ricopre una qualsiasi carica tenesse pronto una specie di promemoria con le indicazioni più importanti per provvedere a un facile trapasso, anche quando la morte improvvisa togliesse la possibilità delle consuete informazioni verbali. Quanta serenità del confratello di fronte a Dio! Quante difficoltà evitate alla Congregazione!
3. - IL RENDICONTO DELLA PROPRIA VITA ESTERIORE Ma è tempo che, tralasciando di parlare delle Relazioni o Resoconti che si devono fare ai Superiori in certe epoche o circostanze, da determinati soci occupanti speciali cariche, passiamo a trattare del Rendiconto propriamente inteso.
a) Il Rendiconto nell´ambiente di filiale confidenza.
Noi Salesiani abbiamo la fortuna di appartenere a una Congregazione tutta permeata dallo spirito di famiglia: ogni nostra Comunità deve costituire una vera famiglia, nella quale, come dicono le Costituzioni, ‹x tutti i soci conducono vita comune, stretti solamente dal vincolo della carità fraterna e dei voti semplici » (Cost., 12). Le Costituzioni vogliono pure che « ognuno obbedisca al proprio Superiore, considerandolo in ogni cosa qual padre amantissimo » (Cost., 44), e assicurano che il Superiore, davanti alla rispettosa esposizione di quanto fosse nocivo o necessario, « si darà massima cura di provvedere » (Cost., 46).
A che tende questa sollecitudine della S. Regola di far apparire il Superiore come un padre? Tende precisamente a inculcare, subito dopo, che « ognuno abbia somma confidenza nel Superiore » (Cost., 47).
E, quasi a indicare il frutto specifico di tale confidenza, l´articolo 470 continua: « Sarà perciò di giovamento ai soci il render conto di tratto in tratto della propria vita esteriore ai Superiori ».
Di questo render conto esamineremo, più avanti, sempre alla stregua delle Costituzioni, l´attuazione concreta.
Per ora ci basti rilevare questi punti fissi: secondo lo spirito di Don Bosco, manifestato dalla S. Regola, il Superiore è padre; l´ubbidienza dei sudditi è compenetrata di confidenza; nella pratica del Rendiconto filiale si manifesta nel modo più genuino, sia la paternità dei Superiori, sia la confidente ubbidienza dei Confratelli.
b) Il Rendiconto alla luce soprannaturale.
Tutta la vita religiosa dev´essere considerata sotto questa luce: se qualche Salesiano sentisse a volte affievolirsi l´amore verso la Congregazione e lo spirito del nostro S. Fondatore, cercandone la causa vedrebbe forse che ciò è dovuto ad affievolimento della vita soprannaturale. Infatti a misura che questa s´indebolisce, va impossessandosi dell´anima nostra quello spirito mondano che, alimentandosi di superbia, accresce l´egoismo e ci allontana dal divino Modello, ch´è umiltà rivestita di mitezza. Forse si pensa troppo poco all´invito rivoltoci dal Divin. Redentore che, spronandoci a seguirlo per le vie dell´umiltà, si umilia fino alla morte di croce. Non sempre, forse, tutti i suoi discepoli prediletti, vale a dire i religiosi, ebbero il coraggio di seguirlo pei sentieri della umiliazione: eppure non v´è altra via che conduca alle redenzioni e al possesso dei beni eterni.
Abbiamo udito paragonare le tante volte il religioso che vive e prospera nel clima dell´umiltà, a una statua da rifinirsi o, se meglio piace, a un ammalato da guarirsi, non però a proprio capriccio, ma sotto l´altrui discernimento e volontà. Udimmo pure che efficace coefficiente di vita soprannaturale e di umiltà è l´umiliazione; ma non sempre si è disposti ad accettarla per renderei sempre più degni del divino Maestro.
Il nostro Padre S. Giovanni Bosco, nelle Costituzioni, per noi Salesiani non volle fissare pratiche austere e umilianti, quali si leggono nelle Regole di certe famiglie religiese. Un atto però di vita soprannaturale e di umiliazione si direbbe che gli stesse a cuore, tanto da inserirlo nelle Costituzioni, affidandolo tuttavia alla spontaneità dei soci: ed è l´accusa delle mancanze esteriori contro la S. Regola.
Tuttavia, mentre presso certi Ordini tale atto di spirituale edificazione e di umiltà viene fatto ancor oggi davanti a tutta la Comunità riunita in Conferenza o nella cosiddetta Sala delle Colpe, è stato per noi riservato da Don Bosco all´ambiente intimo del Rendiconto filiale.
Udiamo in proposito la voce stessa del nostro amato Padre: « Ognuno abbia somma confidenza nel Superiore; sarà perciò di giovamento ai soci il render conto di tratto in tratto della propria vita esteriore ai Superiori. Ciascheduno pertanto manifesti con semplicità e spontaneamente ai propri Superiori le infedeltà e trasgressioni esteriori commesse contro le Costituzioni » (Cost., 47).
È chiaro che tale atto, — il quale in verità, più che di umiliazione è di filiale confidenza, — nella sua semplicità e spontaneità tende a riparare l´esteriore inosservanza della S. Regola. Al tempo stesso però attira su chi lo compie quelle particolari grazie che il Signore elargisce a chi si umilia, grazie che, unite alle parole di consiglio e d´incoraggiamento del Superiore, aiuteranno a non ricadere più per l´avvenire.
E qui è forse bene mettere in particolare rilievo la prudenza racchiusa nella spontanea manifestazione di certe infedeltà contro la S. Regola.
Più che non si pensi, le inosservanze esteriori di un socio, quali ad esempio l´abuso di mezzi disciplinari, manchevolezze o grossolanità che possono persino intaccare il buon costume, talune imprudenze nel giudicare opere e persone collocate in dignità, possono venir conosciute e commentate sfavorevolmente in Casa, non solo tra i Confratelli, ma anche tra i giovani e i famigli. Se poi si tratta di uscite é di visite, allora non di rado diventano materia di critica anche da parte di persone esterne e perfino oggetto di ricorso al Superiore, affinchè provveda a togliere ciò che, passando di bocca in bocca, finisce per essere chiamato un disordine, uno sconcio, uno scandalo.
Il povero Direttore, messo sull´avviso da echi di conversazioni o da lettere di persone amiche, pensa al suo dovere di udire l´altra campana prima di emettere il suo giudizio; ira talvolta non riesce subito a trovare la via buona per avvisare il confratello incriminato, di cui non vorrebbe ledere la suscettibilità, nè sminuire la fiducia nel Superiore. In simili casi egli si sentirà sollevato da un vero incubo, se potrà dire alla propria coscienza: — Ecco che questo figliuolo è venuto egli stesso ad accusarsi spontaneamente della sua inosservanza, e, insieme, abbiamo cercato e stabilito come rimediare e provvedere.
Dal fin qui detto emerge che la filiale confidenza nel Direttore e l´umiltà religiosa del confratello da una parte, e, come vedremo più sotto, la bontà paterna del Direttore dall´altra, costituiscono l´ambiente più propizio al Rendiconto: ambiente d´intimità familiare lasciatoci in preziosa eredità dal nostro S. Fondatore.
Dobbiamo però aggiungere che l´obbligo del Rendiconto della propria vita esteriore poggia su di una base ancor più solida e inoppugnabile, ossia su di un chiaro e preciso articolo delle Costituzioni, che passiamo senz´altro a considerare.
4. - L´ARTICOLO 480 DELLE COSTITUZIONI L´articolo 480 delle Costituzioni dice testualmente così: « Perciò almeno una volta al mese il socio renda conto della sua vita esteriore al Direttore o a chi fu delegato per tale ufficio.
Questo rendiconto si aggirerà intorno ai punti seguenti: I) sanità; TI) studio e lavoro; se si possono compiere i propri doveri, e quale diligenza vi si metta; se si abbia comodità di compiere le pratiche religiose, e quale sollecitudine si ponga in esse; con quale frequenza si vada ai Sacramenti della Penitenza e dell´Eucaristia; se si osservino le Costituzioni, e se s´incontri qualche difficoltà nell´osservanza religiosa; se si pratichino bene i doveri esteriori della carità fraterna; se si conosca in casa qualche disordine a cui si debba porre rimedio, principalmente quando si tratti d´impedire il peccato ».
È bene soppesare le parole usate dal Legislatore, tanto più se pensiamo che esse furono scritte, più che da un Legislatore, dal cuore stesso del nostro grande Padre.
La congiunzione perciò indica che la pratica del Rendiconto è una conseguenza del principio stabilito nell´articolo precedente con queste parole, già sopra ricordate: « Ognuno abbia somma confidenza nel Superiore; sarà perciò di giovamento ai soci il render conto di tratto in tratto della propria vita esteriore ai Superiori ».
È detto almeno una volta al mese per fissare la frequenza con cui deve farsi il Rendiconto di cui stiamo trattando. L´almeno esprime sufficientemente il senso di rammarico che prova chiunque debba determinare a un figlio ogni quanto tempo debba parlare al proprio padre, e lascia intravedere il desiderio che tali colloqui abbiano luogo anche più spesso, ogniqualvolta cioè lo richieda il bene dei singoli e della Società.
Dicendo il socio s´intende ogni membro della Comunità. Il giovane e l´anziano, il chierico e il laico, chi esercita il sacro ministero e chi fa scuola, chi lavora in laboratorio o in campagna e chi disimpegna altri uffici particolari, tutti senza eccezione cadono sotto questa prescrizione.
Renda conto: non si tratta qui di consiglio, ma di esplicito comando. Chi non fa il Rendiconto, disubbidisce apertamente alla S. Regola.
Della sua vita esteriore. Con queste parole il Fondatore intende dire che solo le cose di coscienza non sono comprese sotto l´obbligo di cui egli qui parla: tutto il resto, sì. Infatti il Salesiano, emettendo il voto di ubbidienza, ha sottoposto ogni sua attività esteriore alla vigilanza del Superiore, il quale, in virtù della speciale potestà dominativa che gli è conferita dalla Chiesa, esercita su di lui a un tempo i diritti di superiore ecclesiastico e anche di padre, cui compete ordinariamente il diritto di padronanza sulla famiglia. Pertanto sono soggette alla cura e sorveglianza del Direttore tutte le attività esteriori dei soci, senza eccettuare quelle che, pur essendo occulte, non cessano di essere esterne e perciò, potendo divenire note da un momento all´altro, soggiaciono al controllo del Superiore.
Al Direttore o a chi fu delegato per tale ufficio. Qui si ricorda al Direttore un suo espresso dovere, ch´egli dev´essere disposto a compiere a costo di qualsiasi sacrificio. Qualora poi il Direttore fosse nella impossibilità non passeggera di ricevere i Rendiconti, ad esempio per lunga assenza o per grave e diuturna malattia, allora verrà stabilito chi li debba ricevere in sua vece: e naturalmente la designazione verrà da colui medesimo che nomina i Direttori, ossia u dal Rettor Maggiore col Capitolo Superiore, udito l´Ispettore » (Cost., 108).
Se invece si trattasse di assenze o malattie passeggere, che non oltrepassino i tre mesi, in tal caso l´Ispettore o va egli stesso a ricevere i rendiconti di quei Confratelli oppure designa uno speciale incaricato.
Noi sappiamo che il nostro S. Fondatore, vedendo che, per circostanze speciali, il Direttore della Casa Madre- non poteva ricevere tutti i Rendiconti, egli stesso, per non privare i confratelli di un aiuto così, efficace, stabilì, d´accordo con il Direttore, che un altro sacerdote fosse pure autorizzato a riceverli. Ma sappiamo altresì che, appena Don Bosco si persuase che quel provvedimento non giovava all´unità d´indirizzo della Casa, si affrettò a revocare l´autorizzazione.
Forse qualche altra concessione fu, fatta per motivi gravissimi, sempre però con la previa autorizzazione del Rettor Maggiore; ma, per gravi ragioni, si ritornò tosto alla pratica tradizionale del Rendiconto fatto al Direttore. In qualche caso si preferì sdoppiare la casa e farne due, canonicamente erette, benchè nello stesso recinto e con una sola cucina e guardaroba, piuttosto che incorrere nei gravi e molteplici inconvenienti di avere nella stessa casa due incaricati di ricevere i Rendiconti.
Si osservi pertanto questa nostra tradizione: i Rendiconti li riceve il Direttore. Per casi veramente eccezionali si ricorra sempre al Rettor Maggiore, e nulla si innovi circa questo punto vitale della nostra vita religiosa senza un suo permesso, dato per iscritto e in conformità a quanto dicono le Costituzioni.
Ed ora, proseguendo il nostro commento all´articolo 480, passiamo a esaminare uno per uno gli otto punti, intorno ai quali deve aggirarsi il, Rendiconto. Essi ci faranno passare in rassegna cose riguardanti bensì la sola vita esteriore, ma che già di per se stesse costituiscono veri tesori di vantaggio fisico,´ intellettuale, morale, per la nostra Società.
5. - GLI OTTO PUNTI Nell´accingerci a prendere in esame ciascuno degli otto punti del Rendiconto della propria vita esteriore, dobbiamo prevenire una difficoltà, meglio, un timore: ed è che la nostra trattazione possa far supporre che, d´ora innanzi, i confratelli saranno obbligati ad allungare soverchiamente il loro Rendiconto.
Pensiamo che non debba succedere così. Anzitutto, perchè ogni confratello deve render conto soltanto della parte che lo riguarda, mentre qui, per essere completi, dovremo estendere le nostre considerazioni pressochè a tutta quanta la vita esteriore salesiana.
In secondo luogo, si sa che, quanto più si è conosciuti dal proprio Direttore, meno parole occorrono per spiegare i casi propri.
Infine, e soprattutto, a misura che uno avanza nella vita salesiana e nelle vie della perfezione, sempre meglio comprende e mette in pratica le norme del proprio ufficio: cosicchè incorrerà in meno manchevolezze esteriori, di cui debba umiliarsi, e troverà meno punti oscuri che abbisognino di dilucidazioni per un più esatto compimento dei propri doveri. In una parola, il Rendiconto diventa più breve, ma non meno esatto e fedele.
D´altra parte però, se taluno temesse di non avere nulla o quasi nulla da dire in Rendiconto, da quanto verremo dicendo verrà aiutato a fare un proficuo esame della sua vita esteriore.
Nessuna meraviglia poi che possano talvolta riuscire alquanto più lunghi i Rendiconti di Confratelli che debbono venir istradati in nuove mansioni, oppure versano in tali particolari condizioni di attività e apostolato da esigere un colloquio nè breve nè di sfuggita, pel bene loro o della Casa o di tutta la Società.
Veniamo adunque al primo punto.
I. - LA SANITÀ.
Il primo punto tratta della sanità. Nelle società di natura economica e finanziaria si deve render esatto conto dei capitali di cui la società dispone, onde trarne le conclusioni relative al bilancio. Ben possiamo dire che nelle società religiose, dopo i tesori spirituali, il primo tra gli altri valori sia la salute dei soci. Ove essa faccia difetto, non è possibile, secondochè rilevano le nostre Costituzioni nel trattare della sanità dei postulanti, « osservare tutte le Costituzioni della Società senza eccezione » (Cosi., 176). In ciò è compresa pure l´impossibilità di compiere quelle opere di carità, che costituiscono lo scopo della Società Salesiana.
È giusto pertanto che almeno una volta al mese il Superiore sia messo in grado di conoscere il vero stato sanitario dei Confratelli, o per alleggerire il peso delle loro occupazioni ove fosse eccessivo, e prevenire così eventuali esaurimenti, o per provvedere tempestivamente, qualora la salute di qualche socio fosse comechessia intaccata e scossa. Basta a volte una breve cura preventiva o qualche giorno di riposo per iscongiurare malattie anche gravi e talora irrimediabili.
Il Direttore però sarà messo in grado di provvedere efficacemente solo quando conosca il vero stato di salute dei Confratelli: ora ciò avviene d´ordinario attraverso il colloquio del Rendiconto. Purtroppo qualche socio, ignaro di malattie, può a volte trascurare un malessere incipiente, il quale riesce anche a sfuggire all´occhio paterno del Superiore e a quelli benevoli dei confratelli della Casa. In tali casi il cordiale colloquio che si svolge mensilmente tra Superiore e suddito può, attraverso qualche espressione del confratello o qualche interrogazione del Direttore, mettere in luce il malessere incipiente e dar modo al Direttore di apportarvi pronto rimedio.
Su questo punto è bene che i soci esprimano chiaramente le cose al loro Superiore, anche per evitare penose conseguenze e danni considerevoli alla nostra Società. È vero, taluno può anche cadere in esagerazioni riguardo alla salute e rendersi tormentosa la vita pensando costantemente a malesseri, che si trovano forse soltanto nella propria fantasia. Anche questa però è una specie di malattia, e purtroppo non delle meno gravi, la quale perciò ha bisogno dell´interessamento del Superiore per chiarire le idee e trovare quelle soluzioni, che possano ridare al confratello serenità e pace.
Sotto pretesto di curare la propria salute, può darsi che qualche abuso venga introducendosi nella regolare vita di Comunità. Ricordiamone due, i quali saranno agevolmente tolti dal Rendiconto della propria vita esteriore, se fatto con tutta schiettezza e umiltà.
Il primo va contro l´articolo 330 delle Costituzioni, il quale, dopo aver raccomandato una vita in tutto comune, esige che non si ritenga per sè nulla in proprio senza particolare permesso del Superiore. Ora il fatto di essere ammalato non autorizza a sottrarsi alla dipendenza del Direttore e dell´Incaricato dell´Infermeria e ad agire senza il dovuto permesso per scegliersi e consultare medici di propria fiducia, per procacciarsi particolari rimedi e medicamenti, per conservare in camera vini, liquori, cibarie e simili. E va da sè che tutto questo riguarda il Rendiconto della propria vita esteriore.
Il secondo abuso consisterebbe nel lasciarsi legare, sotto pretesto della salute, da abitudini in contrasto con la nostra povertà e la nostra ubbidienza religiosa. Deve stare a cuore di tutti, come dice l´articolo 188° delle Costituzioni, e perciò anche dei nostri ammalati, il « non lasciarsi legare da abitudini di nessun genere, neanche di cose indifferenti ». Si stia alle prescrizioni del medico. Da parte sua « la Società, appoggiata alla Divina Provvidenza, che mai non vien meno a chi spera in Lei, provvederà a ciascuno tutto il necessario, sia in tempo di sanità come in caso di malattia » (Cost., 187).
Orbene, un´abitudine particolarmente dannosa, che forse taluno vorrebbe coonestare sotto pretesto della salute, è certamente quella del fumare. Già nel Commento a Fedeltà a Don Bosco Santo abbiamo parlato della proibizione di essa per noi Salesiani, secondo l´articolo 120 dei Regolamenti; e qui non è il caso di insistervi. Fortunatamente la maggior parte dei nostri Novizi proviene in giovane età dai nostri Istituti, ove,, come dice Don Bosco nel Regolamento per gli Alunni (Capo XVI: Cose con rigore proibite nella Casa, N. 3), « il fumare e masticar tabacco è vietato in ogni tempo, e sotto qualsiasi pretesto » e perciò non ha motivo di portare in Noviziato tale abitudine. Gli stessi adulti, sacerdoti o laici, che chiedono di poter farsi Salesiani, fin dal loro Aspirantato non possono nutrir dubbi circa il dovere di smettere una eventuale loro abitudine di fumare, se vogliono essere accettati in Congregazione. Malgrado tutto ciò, può darsi che qualche confratello durante il servizio militare, o nell´infausto periodo della guerra, o in qualche altra disgraziata circostanza, abbia ceduto, o per debolezza o per rispetto umano, senza forse misurare le tristi conseguenze del fumare per chi è Salesiano.
Checchè ne sia dell´origine di questo, che per la nostra Società è gravissimo abuso, occorre che esso sia assolutamente sradicato, affinchè nessun confratello, per incuria del proprio Direttore, abbia a comparire davanti al tribunale di Dio con il fumo in bocca. Fu già detto altrove esser preferibile pel confratello che si fosse lasciato sopraffare da abitudine sì infausta, — che intacca direttamente la povertà, l´ubbidienza, la vita comune e l´opera educatrice dei Salesiani, — e non facesse nulla per correggersi, lasciare la Congregazione e ritornare al secolo, anzichè vivere in aperta contraddizione con i propri doveri mediante continui infingimenti, raggiri, scandali, che, turbandogli la coscienza, non gli permetteranno di vivere in pace.
Ora, se un confratello manifestasse in Rendiconto che non può smettere di fumare a motivo della propria salute, avendo già troppo intaccato dalla nicotina e dalla propensione al fumo il proprio organismo, il Direttore potrà ancora tentare una cura disintossicante, affidando il confratello a un esperto medico, che irrobustisca la di lui volontà e renda a questa più docile l´organismo per mezzo di appropriato intervento della scienza medica.
È cosa nota, infine, che purtroppo a cagione delle guerre e della vita agitata di certe epoche si moltiplicano le sofferenze e le malattie; ma è anche vero che la Divina Provvidenza ha moltiplicato i rimedi. E noi siamo certi che il cuore paterno del Superiore saprà far sì che i soci sofferenti trovino sempre in lui il padre affettuoso e, per mezzo suo e dei Confratelli, specialmente poi dell´infermiere, l´aiuto efficace.
Se poi piacesse al Signore che qualche Salesiano lo serva nel dolore, allora, mentre raccomandiamo al socio di accettare con generosità questa sublime missione di apostolato, esortiamo pure il Superiore di dimostrare a tali ammalati un affetto più che paterno.
II. - STUDIO E LAVORO.
Il secondo punto del Rendiconto riguarda lo studio e il lavoro, ricordandoci che, giusta l´articolo 20 delle Costituzioni, i soci «attenderanno a perfezionare se stessi... mediante lo studio; si adopreranno quindi con zelo in aiuto del prossimo ».
Noi siamo ogni dì più persuasi dell´importanza dello studio e del lavoro nella nostra Società. Lo studio ci mette in grado di compiere con decoro e con risultati´ salutari la nostra missione; mentre il lavoro, sia intellettuale che materiale, è sorgente inesauribile di meriti per il Cielo.
È vero che il nostro S. Fondatore vuole che nelle Scuole Professionali e Agricole dirette dai suoi Figli si cerchi anche di ottenere quella produzione che l´indole delle Scuole consente (CM., 5); ma ciò passa in certo modo in seconda linea di fronte ai meriti che il lavoro, vale a dire l´esplicazione delle nostre attività in qualsiasi campo, ci procura a vantaggio delle anime e a gloria di Dio.
Venendo ai particolari, lo studio riguarda anzitutto il personale in formazione.
È bene che i chierici, filosofi o teologi, nel loro Rendiconto manifestino al Superiore se hanno modo di compiere dovutamente i loro studi, o se per il contrario ne siano impediti dalla mancanza di mezzi, d´insegnanti, di libri e sussidi didattici. Naturalmente il Direttore ha poi da parte sua il dovere di accertarsi se il tempo sia da essi convenientemente impiegato nelle modalità e circostanze che i rispettivi Regolamenti richiedono,•e non in studi o letture geniali, o in occupazioni estranee all´indole dello Studentato. E questo vale non solo per il tempo di studio, ma anche per quello della ricreazione.
Anche i chierici del triennio pratico e i sacerdoti novelli durante il quinquennio teologico devono sentire il dovere di attenersi ai programmi di studio per essi tracciati e di renderne conto al proprio Direttore.
Gli alunni delle Università dovrebbero essere seguiti giorno per giorno, perchè purtroppo ogni giorno, ogni uscita di casa, ogni lezione potrebbe costituire grave pericolo per la loro vita regolare. Ove sia possibile, per ciò che riguarda soprattutto le cose lette o udite, si dia loro .comodità di consultare qualche sacerdote della Casa che abbia già frequentato quei corsi e sia in grado di dissipare dubbi e incertezze, le cui conseguenze a volte potrebbero essere funeste.
I Coadiutori che frequentano i Corsi di Magistero saranno felici di poter render conto del modo con cui approfittano dell´insegnamento teorico e pratico ricevuto in detti Corsi. Ma anche tutti gli altri Coadiutori sentiranno il bisogno di perfezionare le loro cognizioni e accrescere la loro capacità, sia per poter insegnare con maggior frutto nelle Scuole Professionali e Agricole, sia per disimpegnare sempre meglio le proprie mansioni: per tutto questo troveranno certamente un aiuto nel Rendiconto al Direttore.
I Sacerdoti tutti, ben sapendo che lo studio li deve accompagnare durante la vita intera, avranno nel Rendiconto l´occasione propizia per parlare del proprio aggiornamento nella Teologia Morale e in altre particolari discipline ecclesiastiche; per trattare del modo con cui ampliare le proprie cognizioni allo scopo di prepararsi meglio a fare scuola; per farsi provvedere dal Direttore di quei sussidi intellettuali, che li perfezioneranno ogni giorno più in ordine alla predicazione, al campo catechistico, all´apostolato della buona stampa.
Dopo aver detto a quali studi sta attendendo per il proprio perfezionamento, il socio passerà a render conto del proprio lavoro. Qui taluno potrebbe osservare: — Ma il mio Direttore sa già in che cosa mi occupo; e allora, perchè dovrei ripeterglielo ogni mese? Rispondiamo che l´affermazione è vera: effettivamente il Direttore sa già qual è la mansione di ciascun confratello. Ma può anche darsi che, nel corso del mese, altre occupazioni siansi eventualmente aggiunte a quelle della vita quotidiana.
Le Costituzioni, all´articolo lo, parlano di « ogni opera di carità spirituale e corporale verso i giovani, specialmente i più poveri » e, dopo aver elencato le particolari opere di carità a cui si applicheranno i Soci, stabiliscono all´articolo 110 che « in casi eccezionali, si eserciteranno anche altre opere di carità e di beneficenza ». Ora qualche confratello, pensando che lo spirito di Don Bosco è fatto di grande carità e di grande iniziativa, potrebbe accumulare lavori e impegni al margine delle proprie mansioni, non soltanto dimenticando, sotto colore di carità, la norma di Don Bosco: « Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano » (Regolam., 69, N. ll), ma soprattutto mettendo in non cale, sotto pretesto d´iniziativa personale, la disposizione della S. Regola: « (Ciascuno) senza il loro consenso (ossia, dei Superiori) non assuma incarichi di sorta » (Cot., 43).
Opportunamente perciò il secondo punto del Rendiconto obbliga il confratello a riflettere se realmente impiega tempo e vita conforme alla sua professione religiosa e sacerdotale, ossia se dà tutto se stesso a Dio e alle anime, non col seguire proprie iniziative, ma in pieno accordo con l´umile ubbidienza promessa in voto a Dio nella professione religiosa e solennemente assicurata al Vescovo ordinante nel rito dell´Ordinazione sacerdotale.
Forse taluno, rendendo conto della sua vita esteriore su questo punto, dovrà manifestare di aver assunto — senza il consenso, almeno presunto, del Direttore — oneri di ministero, di scuole, di ripetizioni, di collaborazione a giornali e riviste; di essersi occupato a suo talento, per la propria famiglia o per persone esterne, in eseguire lavori straordinari di studio o di laboratorio, o in prendere impegni di prodotti delle sezioni agricole e zootecniche, o in manipolare riserve di dispensa: e altrettanto dicasi di altre attività non autorizzate dal Superiore.
Siccome poi in determinati periodi il lavoro di ministero o di insegnamento esterno potrebbe provocare l´aumento o la frequenza delle chiamate in parlatorio, il confratello interessato farà bene a riferire al Direttore lo scopo di tali visite, che lo assorbiscono in modo inconsueto. In tal modo il Direttore, mentre prende le doverose informazioni sull´attività anche straordinaria del confratello, potrà prevenire eventuali pericoli o interpretazioni infondate.
Solo da un Rendiconto esatto e fedele il Superiore potrà farsi un´idea giusta delle disponibilità di lavoro dei Confratelli e per conseguenza, ben impiegando le energie di tutti e bandendo ogni ozio, procurare efficacemente la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.
III. I PROPRI DOVERI.
Il terzo punto del Rendiconto riguarda i propri doveri-, ossia le proprie occupazioni. Le Costituzioni vogliono che si manifesti al Superiore se si possono compiere i propri doveri e quale diligenza vi si metta.
Altri punti del Rendiconto tratteranno dei particolari doveri di pietà, di osservanza delle Costituzioni, di carità fraterna.
Qui è bene ricordare anzitutto che nei Regolamenti noi troviamo un elenco completo delle nostre occupazioni e inoltre preziosi precetti riguardanti il modo di compierle secondo lo spirito del nostro S. Fondatore.
Un modo pratico e fruttuoso di fare il Rendiconto è pertanto quello di riferirci ai Regolamenti che ci riguardano. Ivi si trovano infatti le disposizioni circa la vita comune e le varie categorie di sacerdoti, chierici, coadiutori, missionari, confratelli fuori della propria Casa o trasferiti, confratelli in servizio militare. Ivi sono compendiate le direttive circa il Sistema Preventivo nella educazione della gioventù e circa il modo di applicarlo, con particolare riguardo all´educazione morale e religiosa, alla educazione intellettuale e professionale, all´educazione fisica, all´igiene. I-vi sono esposte le norme per gli uffici particolari: Direttore e suo Capitolo, Prefetto, Catechista, Consigliere o Scolastico o Professionale ó Agricolo, Capo-ufficio della Direzione dei laboratori, Maestro di scuola o Capo-laboratorio, Assistente, Dispensiere, Commissioniere, Cuoco, Guardarobiere, Portinaio, Sagrestano, Capo-teatrino, Personale addetto all´infermeria, Famigli. Ivi sono raccolte le regole suggerite dai Capitoli Generali per le Parrocchie, per gli Oratori Festivi, per la Pia Unione dei Cooperatori. Ivi sono messi gli ordinamenti per le Case di Noviziato e di Studentato.
Chi esamini attentamente i Regolamenti e poi anche gli ordini dei Superiori sarà in grado di riferire esattamente al Direttore se può compiere i propri doveri.
Ma la possibilità è una cosa, e la diligenza è un´altra: e anche di quest´ultima le Costituzioni vogliono che il Salesiano renda conto al Superiore.
E si avverta che per diligenza non s´intende qui una cosa interna, vale a dire la buona disposizione dell´animo con la quale compiamo le nostre azioni, ma quella manifestazione esterna, che può essere notata da coloro coi quali conviviamo. Dal compiere i propri doveri con diligenza proviene il fiorire della disciplina religiosa, il bene della Casa e il vantaggio delle anime a noi affidate.
Tutti comprendiamo che l´assistente che vigilasse i giovani con svogliatezza, il maestro che facesse la scuola negligentemente, il capo che permettesse disordini e sprechi nel laboratorio o in una data sezione agricola, tutti costoro non potrebbero dire di aver soddisfatto al proprio dovere con diligenza.
Ed è giusto che chi abbia comechessia compromesso gl´interessi della Casa, che in sostanza sono sempre quelli del nostro apostolato, senta il bisogno di dire, nell´intimità del Rendiconto, una parola che significhi rammarico da una parte e, dall´altra, vivo desiderio di far meglio in avvenire, domandando a tale scopo consigli e direttive.
Che se fosse questione, non di negligenza, ma di vera impossibilità, il Direttore, venendo a conoscere la reale situazione delle cose nelle singole mansioni, potrà suggerire i mezzi opportuni e pratici per adempiere sempre meglio i propri doveri. In tal modo la possibilità e la diligenza di tutti contribuiranno a rendere la- Casa sempre più degna del nostro S. Fondatore.
IV. - PRATICHE DI PIETÀ.
- Il quarto punto del Rendiconto invita a manifestare se si abbia comodità di compiere le pratiche religiose, e quale sollecitudine si ponga in esse.
Nel Proemio alle Costituzioni S. Giovanni Bosco ci scongiura a darci la massima sollecitudine di non mai trascurare le pratiche di pietà, « se amiamo la gloria della nostra Congregazione, se desideriamo che si propaghi, e si conservi fiorente a vantaggio delle anime nostre e dei nostri fratelli ».
Noi sappiamo pure quale importanza abbia la pietà nel nostro sistema educativo, al punto da costituirne la base e l´atmosfera. Nessuna meraviglia pertanto che in una Società preferibilmente dedicata all´educazione, qual è la nostra, i Superiori, direttamente responsabili del buon andamento di essa, abbiano, più che il diritto, il bisogno di conoscere in che modo procedono le cose circa questo punto fondamentale.
Chi non ha non può dare. Guai, se nel cuore degli educatori salesiani venisse a illanguidirsi la pietà, o se alcuni di essi giungessero a persuadersi che al postutto i risultati del loro lavoro educativo dipendono specialmente dalle loro doti e conoscenze didattiche e pedagogiche! Sarebbe in verità da temere che l´educazione impartita con siffatti intendimenti divenisse man mano laica, senz´anima, fino a costituire, malgrado la più bella apparenza, un vero fallimento.
Precisamente per evitare tale iattura S. Giovanni Bosco vuole che i suoi figli, allorchè rendono conto della loro vita esteriore, diano grande importanza a questo punto, manifestando se abbiano anzitutto comodità di compiere le loro pratiche religiose, perchè, senza di esse, neppure sarebbe possibile la perseveranza nella vocazione religiosa e lo svolgersi della loro opera educatrice. Nessuno si stupisca perciò, se, quando tralascia di rendere il dovuto conto circa questo importante argomento, il Direttore sente il dovere e il bisogno d´interrogarlo a proposito delle pratiche di pietà quotidiane, settimanali, mensili, annuali.
Alcune pratiche religiose sono determinate dalle Costituzioni, dai Regolamenti — che rimandano al Manuale Pratiche di pietà in uso nelle Case Salesiane, edito per ordine del Rettor Maggiore, al quale solamente è riservata ogni modificazione in proposito (Regolam., 16) — e in genere dai doveri generali del cristiano (cfr. Cost., 150): altre poi sono prescritte dalla vocazione sacerdotale. Le prime riguardano d´ordinario tutti i Salesiani; le seconde, i Sacerdoti o coloro che tendono al sacerdozio.
Al mattino il primo invito che ci viene dalla campana o dallo svegliatore è quello di benedire il Signore: e a questo invito noi rispondiamo ringraziando Iddio, che ci concede d´iniziare un nuovo giorno. Poi, fatto divotamente il Segno della Croce, facciamo l´offerta di noi stessi con questa giaculatoria: « Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il cuore e l´anima mia ». Si scende quindi in cappella per la meditazione, per la recita delle preghiere del mattino e del santo Rosario, e per l´assistenza alla santa Messa.
Dopo questo inizio, pervaso da fervore di preghiera, è tutto un susseguirsi, durante il giorno, di piccole pratiche e invocazioni religiose: prima e dopo lo studio, la scuola, il lavoro, le refezioni e ogni altra azione, che si apre e chiude sempre con qualche manifestazione di pietà.
Nel pomeriggio vengono poi la Visita a Gesù Sacramentato, la Lettura Spirituale, infine le preghiere della sera col sermon‑ ciao della Buona Notte: e si chiude di bel nuovo la giornata con un pensiero divoto a Gesù, alla Vergine Maria, a S. Giuseppe, e con il Segno glorioso della nostra Redenzione.
I Sacerdoti hanno in più l´immensa gioia e l´alto onore di celebrare il santo Sacrificio della Messa e d´innalzare a Dio, in nome della Chiesa, le preghiere del santo Breviario.
Ma, come ci avverte S. Giovanni Bosco nel Proemio alle Costituzioni, «la parte fondamentale delle pratiche di pietà, quella che in certo modo tutte le abbraccia, consiste in fare ogni anno gli Esercizi Spirituali, ed ogni mese l´Esercizio della Buona Morte ».
Nessun confratello deve rimaner privo di questi sussidi potentissimi di vita spirituale. Secondo l´articolo 1580 delle Costituzioni, « chi per le sue occupazioni non potesse fare l´Esercizio della Buona Morte in comune, nè compiere tutte le sovraccennate pratiche di pietà, col permesso del Direttore faccia quelle che sono compatibili col suo ufficio, rimandando le altre a un giorno più comodo ». Le pratiche di pietà, di cui ivi si parla, sono un´altra mezz´ora di meditazione o conferenza d´argomento morale; mezz´ora di esame circa il progresso o regresso nella virtù durante il mese precedente, soprattutto quanto ai proponimenti fatti negli Esercizi Spirituali e all´osservanza delle Regole; la confessione sacramentale più accurata, quasi fosse l´ultima della vita, e la S. Comunione come per Viatico; le preghiere della Buona Morte; la lettura delle Costituzioni e, come raccomanda il nostro Padre, la scelta di un Santo per protettore del mese che s´incomincia.
Ora, se ognuna di queste pratiche, nel pensiero e nello spirito di S. Giovanni Bosco, costituisce un mezzo di non comune efficacia per aiutarci a ben compiere l´alta nostra missione educatrice, rendendoci religiosi esemplari, Salesiani ferventi ed educatori in tutto degni delle loro gloriose tradizioni, non si riuscirebbe in verità a capire come non si debba render conto del modo con cui abbiamo saputo servirci, per lo scopo indicato, di cose di tanto valore ed efficacia. È evidente perciò che la Chiesa e la nostra Società abbiano il diritto di sapere anzitutto se a ciascuno di noi viene data comodità di poter usufruire di tali mezzi, avendo ogni Salesiano il diritto di disporre di quella comodità di cui parlano le Costituzioni per compiere dette pratiche. Ed è pure evidente che ognuno deve, nel Rendiconto, poter eventualmente manifestare al Superiore le difficoltà e gli ostacoli esteriori, che lo privano dell´anzidetta comodità.
Saranno a volte le eccessive occupazioni, l´incomodità dell´orario, distrazioni dipendenti dal luogo e dalle persone, o difficoltà d´altro genere. Quante cose possono essere manifestate e chiarite nel Rendiconto circa una materia tanto abbondante! Quanti impedimenti rimossi! Quanti consigli e aiuti offerti al Salesiano! Le Costituzioni però vogliono che ognuno nel Rendiconto manifesti inoltre con semplicità al Direttore « quale sollecitudine ponga » nel compiere dette pratiche religiose. La ragione è ovvia: se da quelle dipende in gran parte il fiorire dell´osservanza religiosa e il perfetto adempimento della nostra missione educatrice, è logico che il Superiore conosca se, di tali mezzi, il socio faccia retto uso. E si avverta che neppur qui si tratta affatto di penetrare nell´intimo della coscienza, ma sempre e solo di manifestazioni esteriori. La sollecitudine infatti muove a fare le azioni prontamente e accuratamente: ora la prontezza e l´accuratezza son cose che cadono sotto i nostri sensi esterni. La prontezza nell´intervenire alle pratiche religiose può essere constatata da tutti i Confratelli che vi prendono parte: e chiunque può rendersi conto di coloro che, o non siano presenti, o vi giungano in ritardo. L´accuratezza poi, che nel suo complesso è cura amorevole, assidua, esatta, riguarda qui, non lo stato d´animo, ma l´esteriorità dell´opera, come ad esempio l´atteggiamento della persona, la pronuncia delle preghiere, la partecipazione ai sacri riti.
Devesi ancora aggiungere che la trascuratezza, la poca puntualità, la svogliatezza, la mancanza di diligenza, non soltanto son cose esterne e perciò visibili, ma purtroppo il più delle volte offron motivo di scandalo, e perciò intaccano direttamente il buon andamento delle pratiche religiose, recando nocumento alla vita stessa della comunità.
Non dovremmo mai dimenticare che per noi Salesiani il buon esempio deve supplire alla scarsezza di pratiche di pietà in comune, e che tale buon esempio deve anzitutto brillare nelle pratiche religiose. Così infatti è stabilito nelle Costituzioni: « La vita attiva a cui tende principalmente la Società, fa sì che i soci non possano far molte pratiche di pietà in comune. A ciò pertanto suppliscano essi col vicendevole buon esempio, col perfetto adempimento dei doveri generali del cristiano. La compostezza della persona, la pronunzia chiara, devota e distinta delle parole nei divini uffizi... siano tali nei nostri soci che li distinguano da tutti gli altri » (Cosi., 150-1).
Ringraziamo pertanto il nostro buon Padre Don Bosco che, per giovare al bene della nostra Società e dei soci, abbia stabilito che da tutti si renda conto al Superiore circa un punto tanto importante.
V. - SS. SACRAMENTI.
Il quinto punto del Rendiconto dice così: « Con quale frequenza si vada ai Sacramenti della Penitenza e della Eucaristia ».
Abbiamo già rilevato come l´importanza delle pratiche religiose nella nostra Società non riguardi solo il bene dei soci in particolare, e neppure il solo prosperare dell´osservanza religiosa nella Comunità, ma anche e decisamente i risultati del lavoro educativo che si compie in essa. S. Giovanni Bosco ritornò insistentemente su questo concetto, del quale d´altronde ciascuno di noi per propria esperienza ha potuto rendersi esatto conto, cioè che il buon andamento delle nostre Case dipende in massima parte dai buon andamento della pietà eucaristica. Abbiamo letto e udito le tante volte che il nostro Padre, quando visitava i suoi istituti, si preoccupava anzitutto di conoscere se in essi fosse fiorente la pietà e in modo particolare la frequenza alla sacra Mensa. Assicurato su questo punto, si persuadeva facilmente che tutto il resto era ben avviato: perchè — pensava il buon Padre — quando Gesù regna nei cuori, regna pure e trionfa nello studio, nel lavoro, nell´adempimento dei propri doveri, soprattutto nella vita angelica dei Confratelli e dei giovani. « Le nostre sollecitudini — Egli scrive nel Proemio alle Costituzioni sian poi costantemente e con diligenza speciale dirette all´osservanza esatta delle pratiche di pietà, che sono il fondamento e il sostegno di tutti gl´Istituti religiosi, e noi vivremo casti e come Angeli ».
Ciò spiega perchè il nostro Fondatore, dopo aver stabilito che tutti i suoi Figli rendano conto al Superiore circa le pratiche religiose in generale, voglia ora, in questo successivo punto del Rendiconto, che essi si soffermino in particolare a far conoscere la loro frequenza ai Sacramenti della Penitenza e dell´Eucaristia.
Non è questo il luogo di mettere in evidenza gl´immensi vantaggi che noi religiosi e Salesiani possiamo ricavare dalla frequente Confessione. Ma non v´è dubbio che precisamente in vista di tali vantaggi noi dobbiamo accostarci con frequenza a questo Sacramento, il quale soavemente ci obbliga a rientrare in noi stessi, a pentirci del male commesso, a prendere serie risoluzioni di vita sempre migliore e a rendere sempre più degne della nostra vocazione le azioni tutte di ogni giorno. Ecco perchè S. Giovanni Bosco vuole che di questa frequenza si renda conto al Superiore. Anzi, quasi a spiegare la motivazione di questo nostro obbligo, nell´articolo 390 delle Costituzioni, là ove parla dei mezzi per custodire con la massima diligenza la virtù della castità, il nostro Padre enumera in prim.o luogo l´accostarsi santamente e con frequenza al Sacramento della Confessione. Infatti dal diligente esame delle nostre azioni, delle occasioni in cui ci siamo trovati, della negligenza nell´acquisto delle virtù e della trascuratezza nello sradicare i nostri difetti, da questa ginnastica spirituale insomma, sostenuta e corroborata dalla grazia di Dio, noi riusciremo ad attingere la forza per raggiungere quella perfezione, alla quale dobbiamo tendere.
Nè, contento di ciò, all´articolo 152° delle Costituzioni, il nostro. S. Fondatore passa a determinare altre modalità che devono servire a rendere più fruttuose le nostre Confessioni.
Egli vuole infatti che i soci si accostino ogni settimana al Sacramento della Penitenza, ciò che d´altronde ora troviamo prescritto dal canone 595, § 1, n. 3, per tutti i religiosi, notando che della osservanza di tale prescrizione si rende espressamente responsabile il legittimo Superiore religioso: Curent Superiores, creando conseguentemente nel medesimo Superiore il doveré d´interrogare il suddito in merito a tale frequenza.
Per rendere sicura e proficua l´osservanza di questo dovere il nostro buon Padre, più ancora che con le parole, ci esorta con il suo stesso esempio a scegliere un giorno fisso per confessarci, volendo in tal modo renderci familiare l´abitudine della puntualità nell´adempimento di questo importante obbligo. Chi non ricorda che il nostro Fondatore si vedeva tutti i lunedì ai piedi del suo confessore Don Giacomelli? Le Costituzioni inoltre vogliono che i soci si confessino « da Confessori che siano autorizzati dal Rettor Maggiore o dall´Ispettore ad esercitare questo ministero verso di essi » (Cost., 152): prescrizione anche questa, la quale non fa che riprodurre il disposto del canone 518, § 1; naturalmente, salvo il canone 519, circa la liceità della Confessione fatta in determinati casi presso un Sacerdote estraneo, approvato dall´Ordinario del luogo.
Ognuno vede quanta sia l´importanza di quest´ultima prescrizione. Infatti ciascun Istituto religioso, pur nel grande quadro dello spirito cristiano, ha un atteggiamento spirituale del tutto peculiare, che, per lo scopo del proprio apostolato e per i mezzi atti a raggiungerlo, si distingue dallo spirito delle altre famiglie religiose. È quindi evidente che per un religioso, e nel caso nostro per un Salesiano, il confessore più indicato, sia per valutare le mancanze contrarie ai propri obblighi e impegni, sia per suggerire consigli più adeguati all´emendamento, sia ancora per imporre la corrispondente penitenza sacramentale, sarà colui che meglio conosca le Costituzioni, i Regolamenti, le Tradizioni, nonchè le virtù, le opere, lo spirito del S. Fondatore.
La Chiesa infatti con il già citato canone 519, mentre intende e provvede di fatto a salvaguardare la libertà di coscienza in circostanze speciali, soprattutto di turbamento e inquietudine, al tempo stesso però vuole — e lo afferma nello stesso canone 519 — che restino salve le Costituzioni per quanto riguarda il tempo della Confessione e il confessore prescritto. È a tutti noto che, presso di noi Salesiani, i confessori nostri, debitamente autorizzati, sono quelli indicati nell´Elenco o Catalogo, che annualmente viene pubblicato sotto il controllo del Rettor Maggiore.
Questa pratica è d´altronde motivo di grande edificazione, poichè si prova un senso di vera intimità familiare allorchè nelle nostre chiese e cappelle si vedono i Salesiani presentarsi puntualmente, in tale o tal altro giorno della settimana, ai confessori autorizzati, con reciproco buon esempio. E così, se un socio venisse disgraziatamente colpito da repentino malore che lo portasse in fin di vita, si sa subito quale sia il suo confessore per invitarlo a prodigare al sofferente l´assistenza spirituale in quelle ore decisi-4.
Come ognuno vede, pur trattandosi anche qui di cose esteriori, esse sono così intimamente legate ai nostri più alti interessi spirituali, che dobbiamo ringraziare il Signore di averci obbligati a renderne conto ai nostri Superiori pel bene nostro e delle anime.
Altrettanto dicasi del Sacramento dell´Eucaristia. Il già citato articolo 152° delle Costituzioni dice che i Sacerdoti celebreranno ogni giorno la santa Messa: è evidente che essi debbono render conto dell´adempimento di questo loro importantissimo dovere. Potrebbe anche darsi che qualcuno trovasse nel compierlo speciali difficoltà di luogo, di tempo, di altre circostanze, soprattutto se dovesse recarsi a celebrare fuori di Casa. In tali casi una parola, un consiglio, una disposizione del Superiore può scongiurare anche eventuali pericoli. Va da sè che il Sacerdote dovrà render conto sia di aver celebrato la sua Messa, sia di aver consegnato l´elemosina (cfr. Cost., 19), qualora fosse stata rimessa direttamente a lui.
Sempre a riguardo della celebrazione del santo Sacrificio, il Sacerdote può anche avere il vantaggio di poter ricevere dal Superiore paterni avvisi circa qualche eventuale difetto di cerimonie, di esagerata fretta o lentezza, o anche circa quel raccoglimento esteriore, che S. Giovanni Bosco voleva distinguesse ogni suo figliuolo all´Altare.
Anche i Chierici e i Coadiutori, a norma delle Costituzioni (Cost., 152) e dei sacri canoni (can. 595, § 1, n. 2), devono assistere quotidianamente alla santa Messa, e naturalmente il loro comportamento esteriore in chiesa durante le preghiere e, nel partecipare ai divini uffici dev´essere quello che si addice a persona consacrata a Dio.
Le Costituzioni vogliono inoltre che essi, convenientemente disposti, si accostino con frequenza, anzi, se è possibile, ogni giorno secondo il consiglio del confessore, a ricevere la SS. Eucaristia. Anche qui notiamo che la prescrizione della S. Regola altro non è che l´applicazione del già citato canone 595, § 2, nel quale si rende responsabile il Superiore di curare convenientemente l´osservanza di questi doveri dei religiosi.
Da quanto veniamo dicendo, e considerando l´importanza di queste manifestazioni di pietà per il buon andamento dei nostri Istituti, nessuno si può meravigliare che le Costituzioni ci obblighino a renderne conto. Quale forza infatti avrebbero le raccomandazioni del Direttore ai giovani di accostarsi frequentemente e bene alla S. Comunione, se essi vedessero i loro assistenti, maestri e capi, svogliati, distratti, lontani anche per lunghi periodi dalla Mensa Eucaristica? Cosa esterna è pure la Confessione mensile da farsi nel giorno dell´Esercizio della Buona Morte e la S. Comunione da riceversi in tale circostanza: e altrettanto dicasi della Confessione annuale da farsi al termine degli Esercizi Spirituali. Soffermarci a parlare di osservanze tanto importanti con il Superiore è senza dubbio di grande giovamento al bene. nostro e della nostra Società.
VI. - OSSERVANZA RELIGIOSA.
Il sesto punto del Rendiconto dice così: « Se si osservano le Costituzioni e se si incontra qualche difficoltà nell´osservanza religiosa ».
Qui il campo si allarga e abbraccia in certo modo tutto l´insieme della vita religiosa e salesiana; ma poichè in altri punti si è già trattato dei doveri particolari dei soci, delle pratiche religiose, della frequenza ai SS. Sacramenti, sempre secondo le prescrizioni delle Costituzioni, ci limiteremo ora a fare qualche considerazione sulla vita comune e sulla osservanza esteriore dei santi Voti.
La vita comune è, ben possiamo dire, l´ambiente, l´atmosfera quasi, nella quale si svolge la vita dei soci: ove essa è fiorente, ivi è ordine, pace, attività proficua. Guai, però, se la vita comune venisse turbata! Tutta l´osservanza religiosa ne rimarrebbe allora sconvolta. È questo il motivo per cui le Costituzioni nel capo secondo, ove si parla della forma della Società Salesiana, affermano che tutti i soci, ecclesiastici e laici, « conducono vita comune » (Cost., 12) e, appunto per favorirla, « è stabilito che in tutte le Case della Società si osservi uniformità nella direzione, amministrazione e contabilità » (Cost., 13). In particolare il nostro S. Fondatore vuole che « l´orario di ciascuna Casa sia distribuito in modo che riesca agevole ai soci prender parte in comune alle pratiche di pietà, alla mensa e al riposo » (Cost., 13). L´uniformità della direzione, amministrazione e contabilità è particolarmente determinata dai Regolamenti.
Ognuno vede quanto sia importante una buona amministrazione: ed è logico che coloro che ne sono direttamente incaricati rendano conto del loro operato, indicando se le registrazioni vengono fatte giusta quanto è stabilito, se il danaro è consegnato al Direttore, se effettivamente è mantenuta la cassa unica e se gli amministratori seguono perfettamente quanto i Regolamenti stabiliscono e il Manuale del Prefetto specifica in proposito.
A questo punto deve ricollegarsi tutto ciò che riguarda l´amministrazione delle Scuole Professionali e Agricole, nonchè i doveri del Capo-ufficio. Qualora le disposizioni regolamentari non fossero debitamente osservate, si può essere certi che l´amministrazione andrebbe incontro a serie conseguenze e che i nostri Capi e Provveditori potrebbero venire a trovarsi in gravi pericoli per lo spirito di povertà e conseguentemente per la loro vocazione.
Le Costituzioni parlano di orario. Esso è come l´orologio della vita comune: se offrisse difficoltà, o qualche confratello si trovasse in condizioni tali da non poterlo osservare, è indispensabile che di ciò si renda conto al Superiore, affinchè questi possa togliere di mezzo quegli ostacoli che in qualsiasi modo turbano la vita della comunità.
Il nostro Padre accenna in particolare anche al riposo. Egli vuole infatti che tutti si trovino nelle volute condizioni di poter recarsi a riposo all´ora stabilita, anche perchè gli sta somma‑ mente a cuore — e lo dice espressamente all´articolo 150 delle Costituzioni — che la sera, dopo le preghiere in comune, non abbiano luogo privati colloqui e ognuno in silenzio si ritiri nella propria camera. Noi sappiamo che il nostro Padre mette in diretta relazione il silenzio cosiddetto sacro dopo le preghiere della sera con l´osservanza del voto di castità. È necessario perciò che detto silenzio non venga assolutamente turbato. I Direttori stessi evitino di trattare affari dopo le preghiere della sera e non s´intrattengano coi Confratelli, neppure per ascoltarne il Rendiconto. Su questi punti, ai quali vien data dalle Costituzioni tanta importanza, è evidente che si deve render conto, dipendendo anche da essi, e non in piccola parte, il buon andamento della nostra Società.
Riguardo ai Voti è bene ricordare ciò che Don Bosco dice nel Proemio alle Costituzioni. Secondo il suo pensiero, i Voti e le Regole di una comunità religiosa sono come piccoli forti avanzati, mentre i precetti di Dio e della Chiesa costituiscono le mura, ´i bastioni della religione. Il demonio per demolire questi ultimi, ossia per far trasgredire la Legge di Dio, mette in opera ogni industria e inganno; ma per riuscirvi procura prima di abbattere i parapetti e i forti avanzati, vale a dire le Regole o Costituzioni del proprio Istituto. Nel campo militare i fortini sono destinati a sviluppare un´opera di grande importanza, dipendendo dalla loro conservazione la difesa della fortezza. Per questo motivo gli addetti alla difesa dei fortini si mantengono in contatto costante con il comandante della fortezza e lo informano di qualsiasi cosa che possa minacciare l´esistenza e la conservazione del fortino stesso..
Ognuno di noi sa per propria esperienza che nella vita religiosa i Voti, anche solo nelle loro manifestazioni esteriori, sono destinati a spiegare una notevole attività per la difesa dei precetti di Dio e della Chiesa, vale a dire per evitare il peccato. Nessuno pertanto deve stupirsi che le Costituzioni affermino esser necessario render conto dell´osservanza dei santi Voti in tutte le loro manifestazioni esteriori e indicare se in detta osservanza s´incontrano difficoltà. Anzi, data l´importanza dell´argomento, pensiamo sia cosa utile passare sia pure in brevis sima rassegna quelle´ prescrizioni delle Costituzioni, che regolano nella vita esteriore l´osservanza dei Voti.
Abbiamo udito nel tempo del Noviziato, e in seguito negli anni di vita religiosa, raccomandarci con una insistenza che a volte poteva parere persino eccessiva, l´osservanza del Voto di Povertà. Ce ne fu anche ripetutamente spiegato il motivo: tutti i Fondatori di famiglie religiose e i maestri di spirito sono concordi nel vedere nelle trasgressioni di detto Voto uno dei più gravi pericoli, che trascina man mano alla rilassatezza e alla perdita della vocazione. Perciò, specialmente nell´Esercizio della Buona Morte, anzichè indugiarci a fare considerazioni generali circa detto Voto, proponiamoci di essere generosamente chiari e aperti coi nostri Superiori, manifestando loro nel Rendiconto quelle trasgressioni esteriori, che possono intaccarlo.
Se ad esempio qualcuno non fosse in regola col suo testamento; se un altro si fosse appropriato di qualche cosa ´e la ritenesse ancora presso di sè senza permesso; se avesse disposto di cose della comunità per imprestarle o farne regali senza la dovuta autorizzazione, siano libri o altre cose; se si fosse immischiato in affari o, amministrazioni di beni, propri o´ altrui, firmando o avallando imprudentemente cambiali o altri effetti bancari; se per colpa sua avesse lasciato perdere, deteriorarsi, rovinarsi cose appartenenti alla Casa o alla Società; se non avesse osservato quanto prescrivono le Costituzioni circa i manoscritti e la pubblicazione di libri, articoli, drammi, musiche: e se in tutte queste cose avesse abusato di presunte licenze, il confratello ha il dovere di renderne conto al Superiore.
L´articolo 320 delle Costituzioni vuole che ciascuno terga la propria stanza nella massima semplicità: ed è bene che ci esaminiamo su questo punto per vedere se sventuratamente, anzichè adornare il cuore di virtù come vuole il nostro S. Fondatore, avessimo sciupato tempo, fatica e danaro per ornare le pareti della nostra camera o del nostro ufficio con gingilli, quadri, gabbie di uccelli, vasi di fiori, mobili che disdicono a quella Povertà che abbiamo professata. E perchè non dovremmo esaminarci se, cedendo alla gola, ci siamo permessi di conservare presso di noi cibi, vini, liquori o altro che intacchi la vita comune e quella virtù della temperanza nel mangiare nel bere, tanto raccomandata da S. Giovanni Bosco ai suoi figli? E anche, se nella nostra persona e nella cura del corpo, della capigliatura, degli abiti, risplenda effettivamente la povertà l´impegno di « fuggire — come vogliono le Costituzioni — le novità proprie dei secolari »? (Cost., 199).
Nè si dimentichi che la povertà dev´essere praticata nei viaggi, in eventuali visite alla propria famiglia, nel fare cure speciali e nei periodi di malattia. Ora, circa tutte queste cose esteriori che riguardano la povertà e l´economia, è evidente che il Superiore ha diritto di sapere come noi ci siamo regolati: noi abbiamo il dovere di rendergliene conto.
Non meno importante è il punto che riguarda la castità: per noi educatori poi, esso è questione di vita o di morte. E precisamente di quelle azioni esteriori, che possono manifestare che la castità corre pericolo, noi dobbiamo pel bene nostro e della Società, render conto al Superiore. Le Costituzioni dicono chiaramente che le parole e gli sguardi anche indifferenti sono talvolta male interpretati dai giovani che furono già vittime delle umane passioni, e che perciò si deve usare la massima cautela nel discorrere e trattare con essi, qualunque sia la loro età e condizione. Vogliono inoltre le Costituzioni che si fuggano le conversazioni coi secolari, dove questa virtù possa correre pericolo, e soprattutto con persone di altro sesso. Infine esse stabiliscono che nessuno si rechi a casa di conoscenti e amici senza il consenso del Superiore, il quale, ogniqualvolta sarà possibile, assegnerà al socio un compagno (Cost., 36-8).
È evidente perciò che dobbiamo evitare nelle nostre conversazioni e persino nelle predicazioni certe libertà, che possono ferire l´udito di anime pudiche, e che ciò dev´essere ancor più osservato nei teatri, nel cinematografo e nella radio. Il nostro Padre non avrebbe certamente tollerato talune riprovevoli nudità in uso nelle squadre sportive, nei campeggi, sulle spiagge, in montagna o altrove. Forse taluni non hanno ancor capito che il nudismo è un´arma letale di cui si servono il demonio e i suoi satelliti per intaccare e distruggere, se fosse possibile, oltre la morale, i costumi e lo spirito cristiano, la stessa Chiesa di Gesù Cristo.
Sappiamo tutti quanto stesse a cuore al nostro Padre che fosse sommamente riservato e casto l´atteggiamento nostro nel trattare coi giovani, perfino nel modo di confessarli, e come gli premesse che fossero assolutamente eliminate le cosiddette amicizie particolari.
Certamente egli non avrebbe mai permesso che entrassero nelle nostre Case e fossero letti, talvolta anche da soggetti immaturi, certi libri morbosi che trattano della cosiddetta educazione della castità, la quale, noi sappiamo, era da lui intesa e praticata come l´inculcò poi solennemente il Sommo Pontefice Pio XI nell´Enciclica sulla cristiana educazione della gioventù, alla quale fecero seguito sapienti norme date dal Sant´Ufficio. Neppure egli avrebbe approvato che i Confratelli raccontassero episodi e fattacci divulgati dai giornali, oppure che i Sacerdoti riferissero inopportunamente esperienze di ministero, anche in presenza di non preti.
Non è fuor di luogo il ricordare qui che gl´incaricati di far le visite ai parrocchiani per lo stato d´anime e agli ammalati sono tenuti a render conto se nel compiere questo loro delicato ministero si trovano in qualche pericolo di trasgredire quanto stabiliscono le Costituzioni in ordine al Voto di castità.
E perchè non si dovrà render conto se ci siamo debitamente serviti dei mezzi — parliamo sempre di mezzi esterni — che le Costituzioni all´articolo 390 ci suggeriscono per custodire con la massima diligenza la bella virtù´? Esaminando tutte queste cose con amore di figli verso la Congregazione nostra Madre, ci persuaderemo sempre più dell´utilità del Rendiconto per tutelare gl´intéressi dei soci e della Società Salesiana.
Non meno vasto nè meno importante è il campo dell´ubbidienza. L´articolo 430 delle Costituzioni riassume tutto ciò che ci lega a questa virtù con le seguenti parole: « Essa esige che ognuno adempia con zelo i propri doveri, osservando fedelmente i precetti delle Costituzioni, i Regolamenti dell´ufficio affidatogli e gli ordini dei Superiori ».
Dei propri doveri abbiamo già parlato.
I precetti delle Costituzioni li abbiamo studiati e ci furono esaurientemente dilucidati nel tempo del Noviziato e dello Studentato. Qui però il nostro buon Padre vuole che mensilmente ritorniamo a esaminarci su quei precetti e che rendiamo conto al Superiore della loro osservanza esteriore. A tal fine siamo invitati della S. Regola a rileggere, nel giorno dell´Esercizio della Buona Morte, tutte o almeno in parte le Costituzioni della Società, e due volte, nel corso dell´anno, completamente (Così., 23).
Precisamente rileggendo le Costituzioni noi troviamo abbondante materia pel Rendiconto. Ivi ci si ricorda che dobbiamo occuparci della gioventù povera e abbandonata; favorire le vocazioni allo stato sacerdotale e religioso; dedicarci con zelo alle missioni estere; confermare nella pietà coloro che, mossi dal desiderio di una vita più virtuosa, fanno alcuni giorni di ritiro; diffondere buoni libri; porre un argine all´empietà ed eresia con le parole, gli scritti, la predicazione; favorire i sodalizi religiosi là ove sorgono le nostre Case; promuovere l´Arciconfraternita dei Devoti di Maria Ausiliatrice e la Pia Unione dei Cooperatori e quella degli Ex allievi. Ognuno vede che il promuovere ciascuna di queste cose è argomento di grande importanza, e non dobbiamo stupirci se siamo invitati a render conto di avere o non avere svolto, potendo, queste attività a vantaggio delle anime.
Talvolta qualcuno, mosso da zelo inconsulto, vorrebbe intraprendere chissà quali iniziative per fare del bene, sconfinando magari nel campo delle attività di altre famiglie religiose o tentando di copiare certe novità, della cui ortodossia e riuscita si hanno anche fondati motivi di dubitare. A costoro, nel Rendiconto, il Superiore potrebbe precisamente additare tutta la vasta serie delle attività nostre, capaci di assorbire anche lo zelo più ardente, mentre ci mantengono nel campo delle opere intonate al nostro spirito. Ancora: il Superiore potrebbe in certi casi indicare nel Rendiconto ad alcuni dei nostri soci, bramosi di novità nel loro apostolato, che opererebbero più saggiamente rileggendo gli articoli delle Costituzioni e dei Regolamenti riguardanti le proprie mansioni per rendersi conto se li mettono in pratica, e nel modo voluto.
Anzi, come abbiamo già detto riguardo al terzo punto, se ciascuno, mensilmente, prima di recarsi dal Superiore pel Rendiconto, riflettesse seriamente su tutto ciò che riguarda i propri doveri generali e particolari, si persuaderebbe facilmente che, senza sconfinare dalla cerchia delle attività assegnategli dall´Ubbidienza, ha modo di compiere un grande bene. Tutti infatti, più di una volta, udendo rileggere i capitoli delle Costituzioni e dei Regolamenti che trattano dei nostri doveri generali e speciali, abbiamo sperimentato, non senza dolorosa sorpresa, che non pochi punti riguardanti la nostra vita esteriore purtroppo erano stati da noi trascurati, e sentimmo il dovere di render conto di quelle trascuratezze al Direttore per il bene nostro e delle anime a noi affidate.
Vi sono ancora altre cose, e tutte esteriori, come l´osservare gli ordini precisi dei Superiori e il non assumere incarichi senza il loro consenso, le quali formano parte di quella disciplina religiosa, senza di cui la nostra Società non potrebbe sussistere: anche di tutto questo v´è il dovere di render conto al Superiore.
Le Costituzioni infine vogliono che nel Rendiconto si espongano al Superiore le eventuali difficoltà incontrate nell´osservanza religiosa, e ciò allo scopo di essere aiutati a rimuoverle per poter così vivere nell´atmosfera di una fedeltà veramente esemplare.
Oh, come dobbiamo ringraziare il Signore, soprattutto di questa provvidenziale prescrizione delle nostre Regole, la quale ci colloca ogni mese nella fortunata condizione, non solo di fare un esame accurato della nostra vita esteriore, ma di poter inoltre ricevere aiuti, consigli, incoraggiamenti per renderci migliori! Tutto ciò mette sempre più in evidenza l´utilità del Rendiconto, poichè, se anche fuori di esso noi potremmo avere la fortuna di ricevere ammonimenti, correzioni, consigli, nel Rendiconto, oltre a tutto ciò, abbiamo il pratico vantaggio di ricevere dal Superiore direttive concrete e aiuti immediati per rimuovere ostacoli e vincere difficoltà esteriori. È questo in verità uno dei mezzi più efficaci per aiutarci a raggiungere la perfezione. Un confratello, un amico, il confessore stesso, il più delle volte devono limitarsi a consolarci e consigliarci: il Direttore invece ha l´immenso vantaggio di potere in più porre rimedio, a volte anche immediato, alle nostre difficoltà e a delicate situazioni in cui potessimo incontrarci.
VII. - DOVERI ESTERIORI DI CARITÀ NUATERNA.
Il settimo punto del Rendiconto dice così: « Se si praticano bene i doveri esteriori della carità fraterna ».
Le Costituzioni, oltre a voler che rendiamo conto dei nostri doveri in generale, insistono perchè ci indugiamo a considerare i doveri esteriori che riguardano la carità fraterna. Il motivo è evidente: la carità; oltre a essere la regina delle virtù, è altresì l´anima della vita cristiana e religiosa. Essa poi è condizione insostituibile per la vita di comunità. Guai, se in una famiglia religiosa non fosse in fiore la carità! Andrebbe, presto o tardi, a sicura rovina. E poichè la carità, soprattutto quando si tratta del prossimo, si manifesta evidentemente in attuazioni pratiche ed esteriori, per questo vogliono le Costituzioni che noi, facendo il Rendiconto, diciamo se pratichiamo bene i doveri della carità fraterna.
Il nostro Padre con l´aggiunta dell´avverbio bene viene qui a dirci che non si accontenta dei doveri esteriori di carità compiuti comecchessia, ma li vuole praticati, per quanto è possibile, sempre alla perfezione. Ed è giusto che sia così. Abbiamo udito ripetere le tante volte che là ove regna la carità fraterna, si gode .come di un paradiso anticipato: non meravigliamoci perciò se al nostro Padre stia tanto a cuore che il godimento della felicità di questo paradiso in terra non venga in alcun modo turbato. A ciò possiamo e dobbiamo contribuire tutti, rafforzando, per quanto da noi dipende, questa virtù celeste.
D´altronde si cullerebbe in una vana illusione chi pensasse di avere la carità verso, Dio nel suo cuore, se in esso sventuratamente non regnasse sovrana la carità verso il prossimo: la sua sarebbe carità senza opere, e perciò morta.
N´S E quali sono i nostri doveri esteriori di carità fraterna? Volendoli presentare in sintesi, potremmo racchiuderli nella triplice raccomandazione fatta da S. Giovanni Bosco ai primi Missionari partenti per l´America: Amatevi, consigliatevi, correggetevi (Regolam., 69, n. 13).
Amarsi vuol dire trattarsi con affabilità e cortesia, come soleva dire lo stesso nostro Padre. Vuol dire in più non limitare l´amore alle parole e alla lingua, ma tradurlo in opere. Vuol dire infine accondiscendere alle oneste richieste e prestare generosamente la nostra cooperazione ai Confratelli ogni qual volta ci sarà possibile.
Consigliare è opera squisita di misericordia, la quale può essere da noi praticata in non poche occasioni con manifestazioni esteriori verso i giovani, verso le anime affidate al nostro zelo e verso i confratelli con i quali viviamo. Un buon consiglio dato opportunamente, senza pretese e con vero amore fraterno, ci meriterà, oltre la gratitudine di chi lo riceve, le benedizioni di Dio.
Anche la correzione è opera esteriore di misericordia: e del modo di praticarla fu già detto, sia parlando della Fedeltà a Don Bosco Santo, sia trattando della Carità verso il Prossimo (Cfr. Collana « Formazione Salesiana »).
Ora chi potrà essere tanto cieco da non vedere nè riconoscere quale grande utilità sia per noi, per la Casa, per la Società, il render conto mensilmente al Superiore circa questi punti, che ben possiamo chiamare fondamentali per la vita cristiana, religiosa e salesiana? Vi sono poi cose che il nostro S. Fondatore dichiara essere apertamente in contrasto con la carità, come il parlare di politica, di partiti, di nazionalismi, argomenti che conducono inevitabilmente a divisioni e diverbi. Vuole di più il nostro Padre: egli ci ammonisce che al mantenimento e al rafforzamento della carità contribuisce pure il limitare e regolare la lettura dei giornali. Questi infatti con i loro articoli, troppe volte animati da spirito di parte, soffiano nel fuoco della discordia.
Possono inoltre esservi manifestazioni esteriori contrarie alla carità fraterna a causa dell´invidia, della maldicenza, della mormorazione: e qui si avverta che sventuratamente le conseguenze di tali mancanze possono anche dar luogo a scandali
e a scissioni funeste. Per questo non sarà mai sufficientemente raccomandato il buon uso della lingua, e l´astenersi da certe critiche iniziali, che conducono poi a manifestazioni peggiori. Quanto sarebbe deplorevole in verità che un figlio di quel S. Giovanni Bosco, il cui amore per la Chiesa e la cui devozione verso il Papa, i Vescovi, il Clero e le Congregazioni religiose fu sempre così edificante, si permettesse di giudicare, con imperdonabile leggerezza, l´opera del Vicario di Gesù Cristo, le direttive dei Prelati, le decisioni dei Superiori Maggiori, le disposizioni dell´Ispettore, gli ordini del Direttore! Aggiungiamo ancora che le nostre manifestazioni esteriori riguardanti la carità devono essere assai cautelose e prudenti arche quando si tratta delle autorità civili e politiche.
Nulla poi diciamo´ circa i nostri obblighi esteriori di carità verso i giovani e le anime affidate alle nostre cure, essendo già compresi in ciò che indicammo precedentemente´in ordine ai nostri doveri.
Ora, tutti questi argomenti che abbiamo appena sfiorati, se, in occasione dell´Esercizio di Buona Morte, li sapremo approfondire, ci offriranno materia abbondante per il Rendiconto che in detta occasione si fa al Superiore. E d´altronde è logico che il Superiore, sul quale ricade la responsabilità dell´andamento della Casa e • dei soci, sia ragguagliato circa le suddette manifestazioni esteriori della carità, acciò egli possa, in determinate circostanze, evitare conseguenze anche penose per imprudenze e deplorevoli sventatezze, punibili talvolta persino con sanzioni penali.
VIII. - EVENTUALI DISORDINI NELLA CASA.
L´ultimo punto del Rendiconto è così determinato dalle Costituzioni: « Se si conosca in Casa qualche disordine a cui si debba porre rimedio, principalmente quando si tratta di impedire il peccato ».
Ben possiamo dire che questo punto, più ancora che i precedenti, riguarda in modo del tutto speciale lo spirito di famiglia, il quale, non consiste solo nei vincoli di affetto da cui sono uniti i membri, ma nel fattivo interesse che ognuno di essi deve avere per il bene e la prosperità della famiglia stessa. Non si riesce infatti neppur a comprendere che possa esservi un figlio talmente egoista e noncurante, il quale venuto a conoscenza di gravi disordini che intaccano i beni e l´onore della propria famiglia, invece di affrettarsi a ragguagliarne il padre, la madre, i fratelli maggiori, perchè possano correre ai ripari, si chiuda in un colpevole mutismo e permetta che le sventure e il disordine giungano alle più deplorevoli conseguenze. S. Giovanni Bosco, tanto sensibile all´intimità della vita familiare, volle che tutto ciò che si riferisce al Rendiconto fosse come suggellato da questo punto che, nel suo pensiero, deve stringere così fortemente i Salesiani tutti senza eccezione da indurli a formulare il proposito di voler a ogni costo allontanare dalla nostra´ Società tutto ciò che in qualche modo possa recarle danno.
Ecco perchè egli ci vuole disposti a manifestare effettivamente al. Superiore qualsiasi disordine, affinchè questi possa prontamente porvi rimedio, specialmente se si trattasse d´impedire il peccato. Chi di noi non ricorda quanto egli abbia fatto durante la sua lunga esistenza per impedire l´offesa di Dio? Per tale altissimo scopo egli era sempre disposto ad affrontare qualsiasi pericolo, anche la morte. Non cito, perchè ognuno di noi li ricorda, i fatti e i detti del nostro Padre, che lo resero così magnanimo in siffatta lotta. Si può anzi affermare senz´altro che per questo appunto egli abbia fondato la nostra Società, e cioè per procurarsi numerosi collaboratori per le sante battaglie contro il peccato.
Scendendo a brevi considerazioni p-articolari, è bene accennare che i disordini tanto temuti dal nostro S. Fondatore talora possono riguardare un socio che per le sue imprudenti relazioni con persone esterne, con qualche confratello o alunno, sia motivo di sospetti, di dicerie, di scandali. Altre volte il disordine consisterà forse in uscite o visite senza il dovuto permesso, nel disporre abusivamente di danaro, nell´introdurre in Casa e dar modo a che, possano esser letti libri, giornali, romanzi pericolosi. Può darsi ancora che persone, le quali frequentano le nostre chiese, trovino argomento di disordine in confessioni troppo frequenti e prolungate, in ciò che succede nelle sacrestie o negli uffici, ove certe conversazioni destano stupore e dànno luogo a commenti poco benevoli per la loro prolissità, diametralmente opposta alla pratica Salesiana, o per altre circostanze, che possono anche lasciar supporre familiarità o relazioni da stroncarsi senza indugio. Può anche darsi che il disordine provenga da imprudenze di qualche Coadiutore, che, nella portineria, nella infermeria, nella guardaroba, dimentichi le prescrizioni dei Regolamenti compromettendosi gravemente; od anche da parte di qualche capo o commissioniere, che nelle uscite e nelle relazioni coi clienti o provveditori si permetta certe libertà, accetti danaro a titolo di mancia, oppure si lasci trascinare a divertimenti mondani, a entrare in caffè, bar, osterie, o a trattare affari senza il dovuto permesso, esponendosi a compromettere gravemente l´Istituto. È vero che i Regolamenti su tutto ciò parlano chiaro; ma purtroppo chi si sia messo sulla china di certe libertà e abusi, può anche precipitare fino al fondo dell´abisso.
Ora, com´è possibile che un confratello il quale sia venuto a conoscenza di simili disordini, che recano grave nocumento alla nostra Società o a qualche membro di essa, soprattutto quando si tratta di peccati e disordini che possono anche condurre alla perdita di qualche vocazione, com´è possibile che chi li conosce non senta il dovere di manifestarli al Superiore nel Rendiconto? e si limiti a ripetere, come dice appunto S. Giovanni Bosco di tali poveretti, la frase di Caino: Son io forse il guardiano di mio fratello? Abbiamo voluto trattare quest´argomento prospettandolo immediatamente nella caratteristica dello spirito di famiglia che deve contraddistinguere la nostra Società; ma non sarà forse inopportuno che notiamo, almeno di sfuggita, come il riferire al Superiore in merito agli eventuali disordini che si fossero osservati in Casa, sia un obbligo stretto che deriva dalla condizione di religiosi e quindi di appartenenti a una Società approvata dalla Chiesa.
Bisogna infatti ricordare che è nella natura di qualunque società il tendere con sforzo comune al medesimo fine. Conseguentemente, ogni cristiano, professando in un determinato Ordine o Congregazione, s´impegna ad aiutare i suoi Confratelli a raggiungere la perfezione. È una responsabilità che si contrae con la religione e con ogni singolo socio: responsabilità che, al dire delle nostre Costituzioni, ci obbliga a tendere alla perfezione formando (Cost., 12). Perciò chi conoscendo dei disordini si astenesse dal trattarne in Rendiconto, ripetendo fors´anche l´insulsa frase del mondo « Ognuno badi ai fatti suoi », manca verso la nostra Società e verso il Confratello che è fuori del retto sentiero, anche se questi avesse dichiarato di non chiedere altro che di essere lasciato in pace. Almeno in punto di morte questo povero infelice punterà il dito contro il Confratello traditore, nè più nè meno di quello che farebbe col Superiore che l´avesse abbandonato a se stesso.
Ah, ne siamo certi, i figli di Don Bosco, i quali amano la nostra Società come tenera Madre e ne vogliono la prosperità e la grandezza, non dimenticheranno mai nel loro Rendiconto questo punto tanto importante, dalla cui osservanza ben possiamo dire dipenda la vita stessa della nostra Società.
Abbiamo così passato in rassegna tutti e singoli gli otto punti di vita esteriore, stabiliti dall´articolo 480 delle Costituzioni. Essi stanno a ricordarci che il Rendiconto non consiste nel trovar solo da ridire su tutto e su tutti, e neppure nel sollecitare dal Direttore favori, permessi, dispense, ma nel procurare efficacemente il bene nostro e quello dei Soci e della Società.
Ora dobbiamo rilevare che, nell´ambiente della filiale con, fidenza e alla luce soprannaturale, il confratello potrà aggiungere tutto quello che crederà opportuno, anche all´infuori degli otto punti suddetti..
Ed ecco che qui viene forse spontaneo il chiederci come mai la Chiesa e la Congregazione limitino, nei punti esaminati, il dovere del Rendiconto alla sola vita esteriore. Forsecchè le Costituzioni si accontentano di raccomandare ai soci solo ciò che è esteriorità, senza preoccuparsi di ciò che è vita interiore? Forsecchè alla Chiesa e alla Congregazione non importa nulla di quanto riguarda l´intimità della coscienza dei loro sudditi? Questi quesiti sono di somma importanza, ed è bene che passiamo a rispondervi con la dovuta ampiezza.
6. - L´IMPORTANZA DELLA VITA INTERIORE
Abbiamo detto fin dall´inizio che il Salesiano, oltre a essere membro di una Società approvata dalla Chiesa, cui perciò si deve render conto di tutto ciò che riguarda lo stato fisico, intellettuale e morale dei membri di essa e delle opere ch´essa svolge, appartiene al tempo stesso a una Società, i cui membri hanno lo stretto obbligo di tendere alla perfezione.
È questo il motivo per cui, dopo di aver trattato del Rendiconto della propria vita esteriore, e prima ancora di esaminare quale sia la posizione dei Superiori nei riguardi della vita interiore dei sudditi, crediamo opportuno dire brevi parole circa la vita interiore stessa, senza della quale è impossibile ogni perfezione sia degrindividui che della Congregazione.
a) Il segreto dell´espansione della Società Salesiana.
Incominciamo col ripetere ciò che fu già messo in chiara luce altre volte, e cioè che, quando si trattò di pronunziare un giudizio circa il nostro grande Padre, non pochi s´ingannarono, perchè fermandosi alle apparenze di una vita movimentata e tanto operosa da parere a volte financo soverchiamente distratta, non penetrarono sufficientemente il segreto di tale operosità, vale a dire l´unione intima di Don Bosco con Dio.
La stessa cosa può succedere a chi giudichi la Società Salesiana. Non di rado si sente dire che i figli di Don Bosco sono operosi e spiegano un´attività non ordinaria, coronata da successi. Anche qui molti si fermano alle esteriorità, volendo trovare della espansione nostra, che pur ammirano, una spiegazione, quasi un segreto puramente umano.
Ora noi sappiamo che un segreto c´è, ma tutto divino, affermato e ripetuto da S. Giovanni Bosco nelle Costituzioni con queste e consimili espressioni: secondo Iddio, nel Signore, dinanzi al Signore, a maggior gloria di Dio. Queste parole, che infiorano le pagine delle nostre Regole, sono il talismano celeste che spiega e regola lo sviluppo della Società Salesiana e il fiorire del suo apostolato.
Non dispiaccia a nessuno che mettiamo in rilievo e onoriamo con rispettoso ricordo questo ineffabile tesoro di fede cristiana e di ascetica salesiana. Fortunati i religiosi, che nelle Costituzioni non hanno solo l´insieme del loro Diritto Particolare, ma un fecondo compendio di formazione e perfezione spirituale! Fin da principio, trattandosi di chi aspira a entrare nella Società Salesiana, ogni umano riguardo deve svanire alla presenza di Dio. Dicono infatti le Costituzioni: « Nel tempo della prima prova i Superiori locali devono osservare attentamente se l´aspirante sia atto alla Società, riferendo e manifestando all´Ispettore tutto quello che dinanzi al Signore giudicheranno bene » (Cost., 173). E il novizio è considerato dalla S. Regola come colui che « desidera di consacrare interamente la sua vita a Dio e alla salute delle anime » (Cost., 72). Non ci si fa adunque Salesiani per procurare alla Congregazione splendore, agi, ricchezze, titoli, ma per servire Iddio e il prossimo.
L´aprire una nuova Casa è attribuito dalla Costituzioni a « favore particolare della Divina Provvidenza » (Cost., 103). Nè l´Oratorio Salesiano è semplice ricreatorio, nè la Casa Salesiana è soltanto accademia scientifica o azienda produttiva: perciò la Regola vuole che l´Ispettore visiti almeno una volta all´ann.o ciascuna Casa anche « per vedere se l´amministrazione delle cose spirituali e temporali tenda realmente allo scopo proposto, a promuovere cioè la gloria di Dio e la salvezza delle anime » (Cost., 120). Guai alla Casa Salesiana, il giorno in cui perdesse di vista il suo scopo divino! Malgrado ogni più bella apparenza, sarebbe prossima alla sua rovina.
La Società Salesiana, in favore dei giovanetti poveri e abbandonati, apre Case, nelle quali somministra loro ricovera, vitto e vestito « con l´aiuto della Divina Provvidenza » (Cost., 5). Così pure s´impegna a provvedere ai professi, temporanei o perpetui, tutto il necessario, sia in tempo di sanità come in caso di malattia: e questo fa « appoggiata alla Divina Provvidenza, che mai non vien meno a chi spera in Lei » (Cost., 187).
Ecco un contratto di assicurazione che è inconcepibile, assurdo, destinato a completo fallimento, per coloro che giudicano le cose dai tetti in giù, secondo lo spirito del mondo.
Dalla nomina e dal trasferimento dei Direttori, e così pure degl´Ispettori, debbono esulare i riguardi puramente umani e mondani. Il Direttore « anche durante il triennio può essere trasferito in un´altra Casa, o destinato ad altro ufficio, qualora il Rettor Maggiore, udito l´Ispettore e d´accordo col Capitolo Superiore, giudicasse tornare ciò a maggior gloria di Dio » (Cost., 109).
Quando un membro del Capitolo Superiore, per morte o per altra causa qualsiasi, cessa dal proprio ufficio prima che sia terminato il suo sessennio, «il Rettor Maggiore affiderà il disimpegno di quell´ufficio a colui che nel Signore giudicherà più adatto » (Cost., 67). Come si vede, ogni proposta di bene, ogni iniziativa, anche la più ardita, deve maturare al calore della carità divina.
E in ciò il Rettor Maggiore è stato solennemente impegnato dal nostro Santo Fondatore, il quale afferma nella sua Lettera‑ testamento ai Salesiani: «Il -vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza ». E ancor più esplicitamente: « Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore, Gesù Cristo, non morrà ».
Nessuno dovrà adunque meravigliarsi della vitalità della Società Salesiana, se considererà attentamente quale vero Superiore essa abbia, secondo l´affermazione del santo Fondatore. Veniamo, infine, all´avvenimento più solenne della nostra Società, ossia al Capitolo Generale. Esso viene caratterizzato dalle elezioni e dalle proposte.
Orbene, « prima che il Capitolo Generale proceda alle elezioni, ciascuno degli elettori presterà il giuramento di eleggere quei Superiori che secondo Iddio giudicherà doversi eleggere: — Invoco Dio a testimone che, messa da parte ogni umana affezione, eleggerò quei Superiori che secondo Iddio stimerò doversi eleggere —» (Cost., 139). Anche quando, morto il Rettor Maggiore, viene convocato il Capitolo Generale per l´elezione del successore, il Prefetto Generale ammonisce « tutti chiaramente e distintamente del loro stretto obbligo di dare il voto a colui che, secondo Iddio, stimeranno doversi eleggere » (Cost., 61).
Già in preparazione al futuro Capitolo Generale viene notificato ai singoli Ispettori e Direttori il nome del Regolatore, affinchè essi «a lui facciano pervenire per iscritto quelle proposte che giudicheranno tornare alla maggior gloria di Dio e a vantaggio della Società » (Cost., 134).
È infine da notare che al Capitolo Generale, sia per le elezioni che per le proposte, «a parità di voti, chi presiede può aggiungerne uno secondo che giudicherà meglio nel Signore » (Cost., 148).
Dal fin qui detto apparisce adunque chiaramente che la linfa segreta che deve far prosperare la nostra Congregazione è quel mettersi sotto lo sguardo di Dio ogni qual -volta si trattano i più gravi interessi della medesima. In una parola, alla Società Salesiana ogni consistenza e ogni espansione viene dalla sua vitalità interiore. - Se così è per il corpo tutto intero, nessuna meraviglia che debba dirsi altrettanto per le singole membra.
b) Il segreto della operosità feconda e salutare dei Salesiani.
Se noi consideriamo attentamente le nostre Costituzioni, vedremo in esse come una costante preoccupazione che l´apostolato proprio della nostra Società sia radicato in una intensa vita interiore e da questa vada in ogni tempo accompagnato e sostenuto.
L´Imitazione di Cristo (1. 2, c. VI, n. 4) dà la definizione classica di vita interiore, quando dice che essa consiste nel « camminare con Dio internamente, senza che esteriormente ci ritenga affezione alcuna ».
Tale vita incomincia con la conversione sincera a Dio; si sviluppa nel raccoglimento; progredisce mediante la correzione dei vizi e l´acquisto delle virtù: si rafforza attraverso le prove, esteriori e interiori; ordinarie e straordinarie, che purificano l´anima da ogni attacco sregolato; si perfeziona con la fedele imitazione di Gesù Cristo fino a raggiungere una intima unione e familiarità con Dio.
Orbene, tutta questa interiore vitalità e perfezione è precisamente quello che esigono dal Salesiano le sue Costituzioni.
Gli adulti che vogliono iniziare l´Aspirantato devono fare gli Esercizi Spirituali (Cost., 172). Prima del Noviziato, e prima della Professione ciascuno deve fare dieci giorni di Esercizi Spirituali e purificare l´anima sua con la confessione generale (Cost., 159). E così viene assicurato il mezzo e data la garanzia di una seria conversione dell´anima a Dio.
Perchè una conversione duri e dia frutti di santità, è necessario il raccoglimento interno, coadiuvato da quello esterno: ed a ciò provvede anzitutto un anno intero di raccoglimento nel noviziato. A tal fine è stabilito che « nel tempo della seconda prova, ossia nell´anno di noviziato, i novizi non si occupino assolutamente di alcuna delle opere che sono proprie del nostro Istituto » (Cost., 196), cosicchè il loro lavoro spirituale non venga turbato da preoccupazioni estranee nè da contatti esterni.
Gli anni di Studentato, nei quali i confratelli « devono attendere seriamente » (Cost., 164) ai loro studi, esigono pure un conveniente raccoglimento, sia interno che esterno. A tal fine le Costituzioni stabiliscono che « finchè i soci attendono agli studi, si eviti accuratamente d´imporre loro uffici che li distolgano dai medesimi, o in qualunque modo li impediscano dal frequentare la scuola » (Cost., 169).
Anche ai confratelli che lavorano nelle Case e nelle Missioni, le Costituzioni chiedono quel maggior raccoglimento possibile, anche esteriore, che è consentito dalla «vita attiva a cui tende principalmente la Società » (Cost., 150). A esso contribuisce il «limitare convenientemente la lettura dei giornali: quali si possano leggere e da chi, dipende dal solo Ispettore il determinarlo » (Cost., 14); il « fuggire le novità proprie dei secolari » (Cost., 199); la proibizione di recarsi «a casa di conoscenti od amici senza il consenso del Superiore » (Cost., 38); la raccomandazione di fuggire le conversazioni coi secolari, dove la virtù della castità possa correre pericolo, e soprattutto con persone dell´altro sesso (Cost., 37); la disposizione che « senza un motivo riconosciuto come grave dall´Ispettore, non.si accettino estranei a convivere in comunità, siano essi sacerdoti o laici » (Cost., 16).
Ogni anno poi il Salesiano deve fare « circa dieci od almeno sei giorni di ritiro, per attendere unicamente a esercizi di pietà » (Cost., 158). Ciascun mese « ognuno, liberandosi per quanto gli sarà possibile dalle cure temporali, si raccoglierà in se stesso, e farà l´esercizio della buona morte » (Cost., 156). Ogni settimana deve accostarsi al Sacramento della Penitenza (Cost., 152), impegnandosi a « praticare fedelmente i consigli del Confessore » (Cost., 39). Tutte queste pratiche di pietà, che si ripetono a tempi fissi, conciliano, anzi rafforzano periodicamente il raccoglimento interiore.
« Ogni giorno ciascuno, oltre che alle orazioni vocali, attenderà per non meno di mezz´ora all´orazione mentale » (Cost., 153) e « per un po´ di tempo alla lettura spirituale » (Cost., 154). In tal modo la giornata si apre alla presenza di Dio, la quale ritorna poi durante il giorno, opportunamente, agli occhi dell´anima nostra nel santo raccoglimento dele pratiche di pietà, nel « fare frequenti visite a Gesù Sacramentato » (Con., 39), nel « rivolgere spesso giaculatorie » (Cost., 39) a Maria Santissima e ai Santi Patroni e Protettori.
E perchè non, dovremmo anche rilevare che la giornata si chiude alla presenza di Dio? Infatti le Costituzioni stabiliscono: « La sera dopo le preghiere in comune sono proibiti i privati colloqui; perciò ognuno in silenzio si ritiri nella propria camera » (Cost., 15). Ed ecco che per il Salesiano, che è stato assillato durante il giorno da mille faccende é preoccupazioni, il ritirarsi nella propria stanza — la quale, tra l´altro, dev´essere tenuta « nella massima semplicità » (Cost., 3 2) — viene ad acquistare il sapore di un fervoroso ritiro sacro, che precede il riposo notturno e lo santifica con il ricordo della Passione di Gesù Cristo e della presenza di Dio, secondo che dicono le nostre Pratiche di Pietà: « E mentre ci spogliamo, immaginiamoci di vedere i carnefici a levare con violenza le vesti di dosso a Gesù Cristo per flagellarlo... Pensando quindi che siamo alla presenza di Dio, con le mani giunte dinanzi al petto prenderemo riposo ».
Nel clima del raccoglimento si attua più facilmente la correzione dei propri vizi e difetti, per la quale sono mezzi indispensabili la preghiera e la mortificazione. Anche di questi mezzi parlano le nostre Costituzioni.
« La vita attiva a cui tende principalmente la Società, fa sì che i soci non possano far molte pratiche di pietà in comune » (Cost., 150). Tuttavia essi devono aver imparato fin dal noviziato a « compiere e praticare in modo al tutto esemplare gli esercizi di pietà prescritti nella Società » (Cost., 195) e, mentre sanno di dover distinguersi da tutti gli altri per «la pronunzia chiara, devota e distinta delle parole nei divini uffizi » (Cost., 151), non sfugge loro l´importanza di quanto afferma S. Giovanni Bosco nel Proemio alle Costituzioni: « Sebbene ciascuna di queste pratiche separatamente non sembri di grande necessità, tuttavia contribuisce efficacemente all´alto edilizio della nostra perfezione e della nostra salvezza ».
Viene poi la mortificazione. Le Costituzioni vogliono che il Maestro dei Novizi si studi di «raccomandare con insistenza e distillare con dolcezza nell´animo dei novizi la mortificazione interna ed esterna, e soprattutto la sobrietà » (Cost., 195), e altrettanto devono fare i Direttori delle Case nei riguardi dei nuovi soci durante il periodo dei voti temporanei (Cost., 184). Va da sè che tale mortificazione deve passare, per così dire, in succo e sangue: altrimenti il Salesiano non potrà praticare fedelmente la S. Regola. Infatti, soltanto con la mortificazione, egli potrà frenare e moderare tutti i sensi del corpo (Cost., 39); vigilare sulle parole e sugli sguardi anche indifferenti, usando la massima cautela nel discorrere o trattare con giovani, qualunque sia la loro età e condizione (Cost., 36); conservare la compostezza della persona e la modestia nel parlare, nel guardare, nel camminare in casa e fuori (Cost., 151); avere il cuore staccato da ogni cosa terrena con una vita in tutto comune, e quanto al mangiare e quanto al vestire, e col non ritenere per sè nulla in proprio senza particolare permesso del Superiore (Cost., 33); non darsi ansietà di chiedere nè di ricusare cosa alcuna (Cost., 46); non lasciarsi legare da abitudini di nessun genere, neanche di cose indifferenti (Cost., 188, 10); evitare con ogni impegno l´affettazione e l´ambizione (Costituzioni, 188, 20); sopportare, quando occorra, il caldo, il freddo, la sete, la fame, le fatiche ed il disprezzo ogniqualvolta queste cose servano alla maggior gloria di Dio, allo spirituale profitto del prossimo e alla salvezza dell´anima propria » (Cost., 189).
È ovvio che con il raccoglimento, la preghiera e la mortificazione, si progredisce nella vita interiore e al serpeggiare dei vizi e difetti succede il fiorire delle virtù. Ricordiamo quanto le nostre Costituzioni insistono sulla necessità che il Salesiano coltivi le virtù.
Nell´anno di noviziato i novizi non devono assolutamente occuparsi di alcuna delle opere che sono proprie del nostro Istituto, affinchè attendano unicamente al progresso nella virtù (Cost., 196). I soci devono acquistare le virtù interne e perfezionare se stessi anche nella pratica di quelle esterne (Cost., 2); devono servire Iddio con le virtù della povertà, della castità e dell´obbedienza (Cost., 12); devono studiarsi somma-. mente di ornare il cuore di virtù, e non le pareti della Casa (Cost., 32); devono fare tutti gli sforzi per arricchirsi d´ogni virtù (Cost., 34); devono ogni mese, nell´Esercizio della Buona Morte, pensare almeno per una mezz´ora al progresso o regresso fatto nella virtù durante il mese precedente (Cost., 157, II).
Parallela al prosperare delle virtù è quella esemplarità di vita, che le Costituzioni esigono dal Salesiano.
Il novizio, per essere ammesso alla terza prova, dev´essersi mostrato esemplare nelle pratiche di pietà e nell´esercizio delle buone opere (Cost., 180). I soci devono supplire alle non molte pratiche di pietà fatte in comune, anche col vicendevole buon esempio (Cost., 150); il che ci fa ricordare quelle parole del Servo di Dio D. Michele Rua: «Mi faceva più impressione osservare Don Bosco nelle sue azioni, anche più minute, che leggere e meditare qualsiasi libro divoto ». Le Costituzioni affermano pure solennemente che « niente meglio adorna Un religioso, che la santità della vita, per cui in tutto sia d´esempio agli altri » (Cost., 188, 20).
Ma la santità, poggia senza dubbio sull´umiltà. E questa virtù è a noi ricordata in modo perentorio, là ove la S. Regola parla di obbedienza. Sì, il Salesiano deve ubbidire « con umiltà » (Cost., 44): sia al proprio Direttore, cui compete nella Casa il governo delle cose spirituali, scolastiche e materiali (Cost., 113); sia al proprio Ispettore, che esercita su tutte le Case e tutti i soci dell´Ispettoria la potestà ordinaria in foro interno ed esterno, giusta i Sacri Canoni e le Costituzioni della Società (Cost., 86); sia al Rettor Maggiore che, non solo ha potestà su tutte le Ispettorie, le Case e i Soci quanto alle cose spirituali temporali (Cost., 55), ma può anche interpretare le Costituzioni per la direzione pratica della nostra Società (Cost., 201); sia e soprattutto al Sommo Pontefice, nostro Arbitro e Supremo Superiore, cui dobbiamo essere «in ogni luogo, in ogni tempo e in ogni sua disposizione umilmente e riverentemente sottomessi, anche in forza del voto d´obbedienza » (Cost., 49).
L´umile ubbidienza è al tempo stesso l´arma migliore contro le tentazioni, le aridità, le pene di spirito e di corpo, gl´insuccessi quelle altre dolorose purificazioni con cui il Signore prova le anime generose per distaccarle sempre più dalle creature e dall´amor proprio, unirle più intimamente a Sè e condurle al fastigio della perfezione nella vita interiore.
Chi dice perfezione dice amor di Dio. Le nostre Costituzioni parlano appunto di fervore d´affetto (Cost., 153) con cui dobbiamo operare alla presenza di Dio. Ma il nostro S. Fondatore Padre, nella sua eminente semplicità e praticità, ci ricorda che santità è imitazione di Gesù Cristo e che noi dobbiamo imitare il nostro divino Modello soprattutto nella perfetta ubbidienza: « Il nostro Salvatore — dice Don Bosco — cì assicurò di essere venuto sulla terra per fare non la volontà propria, ma la volontà del Padre suo che è nei cieli. Il voto di obbedienza è appunto diretto ad assicurarci che noi facciamo la santa volontà di Dio » (Cost., 40). E più avanti ci ammonisce c´incoraggia: « Nessuno obbedisca resistendo con parole, o con atti, o col cuore, per non perdere il merito della virtù dell´obbedienza. Quanto più una cosa è ripugnante a chi la fa, tanto maggior merito egli avrà dinanzi a Dio eseguendola » (Cost., 45). Similmente nel Proemio alle Costituzioni intona un enfatico inno all´ubbidienza, ricordando coi Padri della Chiesa che in essa sta il complesso delle virtù, tutta la perfezione religiosa, il segreto della vittoria, il possesso e la conservazione di tutte le virtù. « Questa ubbidienza però — ammonisce ivi S. Giovanni Bosco — deve essere secondo l´esempio del Salvatore, che la praticò anche nelle cose più difficili, fino alla morte di croce; e, qualora tanto volesse la gloria di Dio, dobbiamo noi pure ubbidire fino a dare la vita ».
Per tal modo il Salesiano, svuotandosi di tutto ciò che non è Dio, mette al posto della propria volontà, debole e inferma, la:Volontà santissima e onnipotente di Dio, dalla quale nascono le redenzioni, i miracoli, gli eroismi per la salvezza sua e dei suoi Confratelli. Egli, « persuaso che nella cosa comandata gli è manifestata la stessa volontà di Dio » (Cost., 44), si accinge con slancio a quell´apostolato esteriore, che noi abbiamo già considerato nei primi capitoli di questa Circolare, dimostrando così il suo amore a Dio con l´amore al prossimo.
Un ultimo rilievo. Le nostre Costituzioni, mentre incominciano col ricordarci lo sforzo « di acquistare la perfezione cristiana » (Cost., 1) e col proporci l´esempio di Gesù Cristo, il quale « cominciò a fare e a insegnare » (Cost., 2), terminano col rammentarci la presenza di Dio. E lo fanno proprio là, ove ammoniscono che il. Salesiano, trasgredendo le proprie Costituzioni, può essere « reo dinanzi a Dio » (Cost., 201), e ciò non pel solo motivo della inosservanza presa in se stessa, ma per le circostanze che possono accompagnare la trasgressione.
Come ognun vede, la presenza di Dio Onnipotente e Sempiterno (Cost., 186), ricordata nella formula della professione religiosa, deve accompagnare sempre e dovunque i figli di S. Giovanni Bosco e contribuire così « al progresso nella virtù e alla perfezione del loro spirito, secondo la vocazione per la quale furono chiamati da Dio » (Cost., 196).
Le Costituzioni adunque ci hanno chiaramente ricordato che, non solo per la Società Salesiana in complesso, ma anche per i singoli membri di essa, il segreto della esteriore espansione e benefica operosità è proprio la vita interiore.
Passiamo ora a considerare qual è la posizione del Superiore nei riguardi della´ vita interiore dei soci.
7. - IL SUPERIORE E LA NOSTRA VITA DI PERFEZIONE INTERIORE
Tra gl´innumerevoli benefizi che la Chiesa elargisce a noi religiosi, due devono essere qui messi in particolare rilievo: essi sono virtualmente contenuti nel, canone 530, e ben possiamo dire che costituiscono due diritti, concessi ai membri di tutte le famiglie religiose in ordine alla loro vita interiore. Il primo è diretto a salvaguardare la loro libertà di coscienza; j1 secondo è stabilito per aiutarli a progredire nella perfezione cristiana. Ne parleremo in due distinti paragrafi.
a) La Chiesa sempre tenera Madre.
La prima parte del citato canone 530 dice letteralmente così: « È severamente proibito a tutti i Superiori religiosi di indurre in qualsiasi modo i sudditi a far loro manifestazioni di coscienza ».
Con questa chiara prescrizione la Chiesa si preoccupa, con cuore materno, di salvaguardare la libertà di coscienza dei religiosi riconoscendo loro a tal fine un diritto, che deriva dalla proibizione fatta dal Codice ai Superiori di indurre i sudditi in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, a manifestar loro cose di coscienza.
Le parole del Codice sono così chiare e il precetto talmente esplicito, che pensiamo non vi sia bisogno di lunghi commenti al dovere dei Superiori di non provocare in nessun modo, nè diretto nè indiretto, le suindicate manifestazioni.
Occorre solo notare che il Superiore, per un malinteso timore di poter intaccare anche lontanamente il diritto del suddito alla propria libertà di coscienza, non deve disinteressarsi dei propri doveri verso i Confratelli affidati alle sue cure, nè allentare la disciplina con scapito della osservanza esteriore delle Costituzioni, dei Regolamenti, degli ordini dei Superiori, e con nocumento della stessa vita interiore dei soci.
È anche bene precisare che altro è cosa interna, sottratta al controllo del Superiore, ed altro è cosa occulta, pur sempre soggetta a detto controllo. Ci spiegheremo con qualche esempio.
Il canone 611 si limita a fissare i casi eccezionali in cui il religioso può inviare o ricevere lettere senza il controllo del Superiore. Poichè il Codice di Diritto Canonico ritiene pacifica la prassi della vita religiosa che riconosce ai Superiori il diritto il dovere di controllare la corrispondenza epistolare, e inoltre, perchè questo diritto e questo dovere sono implicitamente dichiarati nel canone 501, § 1, in cui si stabilisce che «i Superiori i Capitoli, a norma delle Costituzioni e del Diritto Comune, esercitano la potestà dominativi sui loro sudditi », conseguentemente non si ritiene necessaria altra esplicita dichiarazione. Per noi Salesiani tale materia è regolata dagli articoli 520 e 530 delle Costituzioni, e non èlecito, neppure sotto pretesto di proprio perfezionamento spirituale o di apostolato, sottrarre la propria corrispondenza al controllo del Superiore con spedizione o recezione occulta e clandestina.
Connesso con il punto della corrispondenza è quello delle visite. Sonvi degli Istituti nei quali è tassativamente prescritto che i soci non possono recarsi in parlatorio senza averne ottenuto il permesso dal Superiore: anzi in alcuni di essi, specialmente se di clausura, si esige ordinariamente che un confratello una consorella sia presente alla conversazione con la persona estranea. Va da sè però che, senza bisogno di nessuna prescrizione particolare delle Costituzioni, in qualsiasi ordine o congregazione il Superiore potrà sempre esigere dal suddito di essere informato sulle visite ricevute o fatte, anche occultamente, sia pure a scopo puramente spirituale.
Quando fu emanato il Codice di Diritto Canonico, non era ancora tanto diffuso cime lo è presentemente, l´uso del telefono sia urbano che nazionale e internazionale, e perciò non dobbiamo stupirci che non sia stata pubblicata nessuna norma in proposito. Ma, con lo stesso diritto e dovere con cui il Superiore può deve controllare la corrispondenza in arrivo e in partenza, potrà investigare sulle telefonate. Perciò, se un giorno la Chiesa emanasse qualche norma a riguardo del telefono, e aggiungiamo anche della radio; non verrebbe a creare un nuovo rapporto di dipendenza del religioso con il suo Superiore, ma semplicemente a disciplinare un dovere già preesistente, dovere sorto per il solo fatto della professione religiosa.
Così ancora va ricordato che, se l´indole delle Case di certe famiglie religiose come la nostra, di fatto molto aperte al pubblico, sia per la presenza di giovani, sia per quella dei parenti e dei famigli, porta a tener chiuse a chiave anche le camere private, questo non toglie però al Superiore la facoltà di entrarvi per osservare se in esse tutto è conforme alla disciplina religiosa, secondo le nostre Costituzioni. Anche qui non è necessario che le Regole parlino espressamente in proposito: è nella natura dell´ubbidienza che il Superiore abbia il diritto e il dovere di conoscere tutto ciò che è osservabile: unica limitazione è quella offerta dai segreti di coscienza.
Ma oltre a queste cose, non interne, benchè talvolta occulte, che potremmo considerare d´indole materiale, altre ve ne sono che, pur essendo d´indole spirituale, non entrano in materia specificatamente di coscienza. Anche in molte cose spirituali infatti vi può essere, e vi è di fatto, una parte esterna che rimane soggetta alla vigilanza del Superiore.
Così ad esempio il Superiore potrà sempre interrogare il suddito circa la fedeltà a intervenire alla meditazione, alla lettura spirituale, alle preghiere in comune, perchè è evidente che, se anche il suddito non parlasse, tali cose potrebbero in ogni tempo essere notate direttamente o indirettamente dal Superiore stesso.
Altrettanto dicasi della frequenza ai SS. Sacramenti prescritta dalle Costituzioni, benchè pei religiosi le comunioni a giorni fissi abbiano solo forza direttiva (can. 595, § 4). Infatti, secondo il canone 595, § 3, se un religioso dopo l´ultima confessione fu di grave scandalo alla comunità o commise colpa grave ed esterna, il Superiore può proibirgli di fare la S. Comunione fino a che non si sia nuovamente confessato.
Nè si può dire che sia spinta a cose di coscienza la domanda del Superiore´che chiedesse a un socio se ha modo di far bene la meditazione, con lo scopo di togliere eventuali impedimenti esterni che potessero renderla meno efficace, come ad esempio un luogo troppo disturbato, l´ora incomoda, un lettore meno atto, un libro adoperato da troppi anni, o altri simili inconvenienti.
Quando, per ordine di Leone XIII fu emanato dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari il decreto Quemadmodum (17 dicembre 1890) circa la manifestazione di coscienza negl´istituti e nelle comunità di donne e in quelli di uomini meramente laici, la Superiora di una comunità religiosa ricorse all´illustre Padre Secondo Franco per la soluzione di un dubbio. « Se io essa scriveva al dotto e prudente Gesuita -- vedendo una mia figliuola da più giorni turbata, mi facessi a chiederle con carità che cosa abbia che la disturba, incorrerei il caso di dover essere denunziata come quella che con allettamenti indaga la sua coscienza? ». « Mai no — le rispondeva il sullodato P. Franco. Una turbazione può venire da mali fisici, da cose d´ufficio, da qualche disgusto avuto in casa e da cento ragioni che non hanno nulla a che fare colla coscienza; perché dunque una madre non potrà provvedere? Se invece provenisse da agitazione di cbscienza, anche in questo potrebbe aiutarla senz´alcun bisogno di entrare nella sua coscienza, coll´offrirle di chiamare un sacerdote che sia di sua fiducia, che la senta e la consoli. Non vi ha alcun decreto che proibisca la carità » (Il Monitore Ecclesiastico, 1900, XII, p. 512, nota 1).
È chiaro adunque che il Superiore non può e non deve disinteressarsi del bene dei suoi sudditi pel solo timore che le sue parole possano essere interpretate come se egli avesse il desiderio di penetrare nell´intimo della loro coscienza. Naturalmente ci vuole da parte del Superiore molta prudenza nel rivolgere le sue domande; ma il suddito alla sua volta non ha il diritto di presumere senz´altro che le parole del Superiore tendano a violare una legge ecclesiastica inducendolo a manifestargli cose di coscienza. Egli perciò deve rispondere in conformità alla intenzione della legge e del Superiore, vale a dire come se si trattasse solo di cose esteriori. Se poi il suddito in qualche circostanza non riuscisse a capir bene il senso della doinanda, o pensasse che questa fosse diretta a cose di coscienza, ha modo, volendo, di evaderla con bel garbo. Insomma, mentre il Superiore si sforzerà di´ rivestirsi della maggior prudenza possibile, il suddito per parte sua non voglia pretendere di suggerire al Superiore le frasi che gli dovranno esser rivolte per non correre il rischio di offendere la sua suscettibilità.
Il Superiore però, appunto perchè è e deve manifestarsi soprattutto padre, non può restar indifferente davanti a un confratello che appaia esternamente triste e sconvolto; anzi, egli ha il dovere di avvicinarlo, di chiedergli se lo può aiutare in qualche modo, direttamente oppure indirettamente per mezzo di qualche persona che possa ispirargli fiducia, facendo capire al confratello che, non solo non si risente, ma che sarà felice di potergli opportunamente facilitare il modo d´incontrarsi con chi possa procurare al suo animo turbato tranquillità e incitamento a progredire nella vita interiore.
b) L´aiuto del Direttore.
La seconda parte del canone 530 dice che, mentre non è proibito ai sudditi di aprire liberamente e spontaneamente il loro animo ai Superiori, è anzi conveniente ed utile avvicinare con filiale confidenza i Superiori e manifestar loro, se sono sacerdoti, anche i propri dubbi e ansietà di coscienza.
In queste parole è contenuto il secondo diritto, o meglio beneficio, concesso ai religiosi, quello cioè di poter aprire il loro animo con la più ampia libertà al proprio Superiore sacerdote.
E qui è da rilevare che il canone citato dichiara espressamente essere nell´interesse dei sudditi l´avvicinare con filiale confidenza i Superiori, anche per esporre loro, se sacerdoti, i propri dubbi e ansietà di coscienza: imo expedit. Si avverta inoltre che al diritto dei sudditi corrisponde il dovere del Superiore di prestarsi a ricevere nelle volute condizioni i Confratelli che volessero venir aiutati da lui injtali dubbi e ansietà.
Ma soprattutto si abbia presente che questo dovere del Superiore non è quel dovere generale che hanno tutti i Superiori d´impartire ai confratelli loro affidati l´istruzione spirituale adatta alla loro condizione di religiosi e di salesiani. In questo caso si tratta invece di un dovere speciale, quello cioè che ogni Direttore e Superiore Salesiano ha d´indirizzare spiritualmente quei soci -- e potrebbero essere anche tutti — che ricorressero a lui per chiarire dubbi, liberarsi da ansietà di coscienza, ricevere istruzioni e consigli personali per rafforzarsi nella vita interiore e progredire nelle vie della santità.
Questo secondo diritto dei sudditi religiosi si appoggia primieramente, come il primo, sulla espressa volontà della Chiesa, chiaramente manifestata, e lo abbiamo visto, nella seconda parte del canone 530. La Chiesa infatti, con cuore di Madre, per mezzo della citata prescrizione intende mettere in rilievo una volta di più il suo grande interesse pel bene spirituale dei suoi figli prediletti, i religiosi.
Esso ha poi un secondo fondamento o conferma nelle nostre Costituzioni. Infatti l´articolo 470, dopo aver detto che ciascun socio « manifesti con semplicità e spontaneamente ai propri Superiori le infedeltà e trasgressioni esteriori commesse contro le Costituzioni », aggiunge: « Conviene anzi, benchè non vi sia tenuto, che esponga loro chiaramente il suo profitto nelle virtù, i suoi dubbi e le ansietà di coscienza per ricevere da loro consigli, conforti e, se fa d´uopo, anche le convenienti ammonizioni ».
Da queste autorevoli dichiarazioni del Codice di Diritto Canonico e delle Costituzioni emerge sempre più chiaramente il dovere del Superiore di mettersi nelle condizioni volute per soddisfare al diritto dei confratelli affidati alle. sue´ cure: diritto tanto più forte, in quanto che riguarda gl´interessi delle loro anime e il progresso nella perfezione. E si avverta che nessun Direttore potrà scusarsi dall´adempimento di questo dovere e dalla conveniente preparazione per compierlo dovutamente, adducendo come pretesto che i soci sono liberi di valersi o no del loro diritto. Se effettivamente i soci sono liberi di esercitare un diritto, non è però libero il Superiore di sottrarsi comechessia al dovere di trovarsi sempre nelle condizioni di poter soddisfare a un preciso diritto dei suoi confratelli.
8. - I « DUBBI E ANSIETÀ DI COSCIENZA »
Per meglio capire l´ampiezza e i vantaggi del beneficio concesso dal Codice di Diritto Canonico ai religiosi di poter avvicinare i Superiori per manifestar loro, se sacerdoti, dubbi e ansietà di coscienza, è bene dire qualcosa circa la natura di tali dubbi e ansietà, che interessano direttamente il progredire nella vita interiore e che, pur riguardando la coscienza, sono affatto distinti dai peccati, che si manifestano in Confessione per ottenerne l´assoluzione.
I dubbi possono riguardare anzitutto la vocazione religiosa, circa la quale il demonio si compiace a volte di suscitare incertezze e perplessità per affievolirne la consistenza e, se fosse possibile, abbatterla. Altri dubbi possono riferirsi alla via da seguire in determinate circostanze, nel trattare sia con i confratelli della Casa, sia con persone esterne, sia con giovani, allo scopo di evitare il peccato o adempiere un obbligo di coscienza. Talvolta i dubbi si aggireranno circa i mezzi pratici da scegliersi per l´adempimento dei propri doveri. Dubbi di coscienza potrà avere il Prefetto, il Catechista, il Consigliere, il Maestro, l´Assistente, circa cose riguardanti le proprie mansioni: e così pure il Capo d´arte o Capo-campagna, il Portinaio, il Provveditore nelle relazioni con persone esterne e l´Infermiere nella sua delicata mansione.
A questo proposito è da rilevare che, malgrado la chiarezza con cui sono determinati i nostri doveri nelle Costituzioni e nei Regolamenti, tuttavia per le particolari condizioni in cui viene talvolta a trovarsi la nostra coscienza, possono sorgere dubbi tali da richiedersi una parola chiarificatrice che li dissipi.
Le ansietà possono avere una portata più vasta e profonda. La cosiddetta ansia ha qualcosa di corporeo; invece l´ansietà denota un turbamento tutto interno, fatto più di timore che di desiderio, un malessere più continuo, insistente e forte. Vi sono ansietà che riguardano personali e intime difficoltà nell´osservanza dei Voti, nel vincere certe tentazioni, nel tenere a freno le passioni, nello sradicare determinati difetti e specialmente la passione dominante, nel superare difficoltà e pericoli che, in casa o fuori, minacciano la nostra vita spirituale.
È da avvertire ancora che, mentre il Codice parla di dubbi e ansietà di coscienza, le nostre Costituzioni, approvate dalla Chiesa in conformità al Codice stesso, trattando questo argomento, parlano altresì del profitto nelle virtù (Cost., 47). Ciò, come ognuno vede, apre al suddito che lo voglia, un vastissimo campo a un Rendiconto di vita interiore. Infatti, oltre a chiedere consigli e direttive per dissipare i suoi dubbi e calmare le sue ansietà, il Salesiano, giusta le Costituzioni, può nei colloqui col Superiore rivolgere particolare attenzione al modo di acquistare con fervore illuminato e progressivo quelle virtù che gli sono necessarie per raggiungere la speciale perfezione alla quale è chiamato.
Ecco una delle tante manifestazioni dello spirito eminentemente pratico del nostro S. Fondatore, il quale, anzichè presentarci ideali evanescenti e atti a lusingare una certa vanità spirituale, si limita con semplicità evangelica a parlare di virtù, intendendo naturalmente che le stesse virtù religiose che ci addita, siano basate sul solidissimo fondamento delle virtù cristiane, ossia, come dicono le Costituzioni, sul « perfetto adempimento dei doveri generali del cristiano » (Cost., 150).
L´articolo 470 delle Costituzioni parla adunque di profitto nelle virtù. Ora, ognuno sa per propria esperienza quanto possa essere poco sicuro e fors´anche ingannevole il proprio giudizio, quando si tratta di soppesare il nostro profitto spirituale. Perciò apprezziamo la bontà materna della Chiesa nostra Madre che, per mezzo del Codice e delle Costituzioni, ci consiglia di aprire il nostro cuore a chi possa dirci una parola spassionata e paterna circa il nostro avanzamento nella via della perfezione.
È poi evidente che possono esser turbati da dubbi, afflitti da ansietà e da incertezze circa il profitto nelle virtù, non solo i confratelli giovani, chierici e coadiutori, ma anche i sacerdoti e coloro stessi che già sono avanti negli anni e forse disimpegnarono uffici e ministeri importanti nella Chiesa e nella nostra Società. Si direbbe anzi che, a misura che si avanza in età e si vede più vicino il termine della vita, sia da tutti maggiormente sentito il bisogno di una parola illuminata e prudente che dissipi dubbi e sollevi da ansietà di coscienza. Che più? Lo stesso progredire nella vita spirituale viene di solito accompagnato da intime purificazioni e da prove assai penose, che l´anima difficilmente potrebbe sostenere senza la comprensione e l´incoraggiamento di una guida amica e illuminata. Ecco perchè la Chiesa concede a tutti i religiosi senza eccezione questo diritto di poter avvicinare i propri Superiori per esporre loro, se sacerdoti, dubbi e ansietà di coscienza, per ricevere luce di consiglio, balsamo di conforto, in una parola, guida e direzione spirituale sicura.
Abbiamo detto direzione spirituale, perchè la soluzione dei dubbi e delle ansietà di coscienza, come pure tutto ciò che si riferisce al profitto nelle virtù, di cui stiamo trattando, costituiscono appunto — secondo il Suàrez (De Rel., tr. X,1. X, c. VI) — la base e l´essenza della cosiddetta manifestazione o rendiconto di coscienza. Ecco le parole dell´illustre teologo: « La manifestazione di coscienza consiste nell´aprire il suddito lo stato dell´anima sua al Superiore, manifestandogli i difetti, le virtù, le passioni, le tentazioni, i pericoli, affinchè il direttore spirituale la conosca bene e la possa più sicuramente condurre alla perfezione ».
Queste parole debbono essere motivo di conforto per il religioso che apre liberamente l´animo suo al Superiore. Confidando i suoi dubbi, le sue ansietà, il suo profitto nelle virtù, egli sarà meglio conosciuto e perciò più sicuramente condotto alla perfezione, poichè potrà usufruire non soltanto delle istruzioni fatte dal Direttore a tutta la Comunità, ma anche di avvisi e ammonizioni personali a riguardo della sua propria vita interiore. La Bontà Divina premia subito il suo atto spontaneo e libero di confidenza nel Superiore con una direzione più intima e sicura, la quale non è solo a vantaggio del socio, ma dell´intera Società, al cui bene ridondano le virtù, le doti e le particolari attitudini dei singoli suoi membri. Fiorendo infatti la vita interiore dei soci, non può non prosperare la vita esteriore di tutta la Società Salesiana.
9. - IL DIRETTORE DELLA CASA È ANCHE DIRETTORE SPIRITUALE
A questo punto taluno potrebbe chiedere: — Dunque, il Direttore della Casa è anche Direttore Spirituale dei Confratelli? Per dare un´adeguata risposta a questo importantissimo quesito occorre chiarire prima che cosa noi dobbiamo intendere in, questo caso per Direttore Spirituale, potendo la direzione spirituale essere intesa in senso più largo e in senso più stretto. Generalmente essa- può riguardare tre cose: il governo di cose spirituali, l´insegnamento autorevole di dottrine spirituali, e infine la guida intima delle anime nel loro progresso di vita spirituale.
10 Le nostre Costituzioni mettono in risalto che vi è un governo di cose spirituali, come di quelle scolastiche e materiali´ (Cost., 113): è bene spiegare la portata di questa espressione.
Le Regole infatti, parlando del Rettor Maggiore, dicono che egli ha potestà su tutte le Ispettorie, le Case e i soci anzitutto « quanto alle cose spirituali » (Cost., 55). Ne risulta che, quando egli esercita detta potestà « per la direzione pratica » della Congregazione (Cost., 200), è veramente Direttore Spirituale della Congregazione stessa, sia pure inteso in senso ampio.
Tra i Consiglieri del Rettor Maggiore ve n´è uno, il Catechista Generale, cui « spetta la cura di ciò che riguarda il profitto morale e spirituale della Società e dei suoi membri » (Cost., 71). Egli porta per l´appunto il nome di Direttore Spirituale (Cost., 50).
L´Ispettore esercita su tutte le Case e tutti i sod dell´Ispettoria la potestà ordinaria anche « in foro interno, giusta i Sacri Canoni e le Costituzioni della Società » (Cost., 86). Anch´egli pertanto, nell´esercitare tale potestà ordinaria, è Direttore Spirituale dell´Ispettoria, nel senso ampio suindicato.
L´articolo 113° delle Costituzioni, dice che « è ufficio del Direttore governare la Casa tanto nelle cose spirituali che nelle scolastiche e materiali ». Possiamo dire perciò che il Direttore, quando compie il suo ufficio di governare la Casa nelle cose spirituali, è veramente Direttore Spirituale della Casa stessa. E qui si aggiunga che in tale governo il Direttore è coadiuvato da un membro del Capitolo della Casa, ossia dal Catechista, il quale ha « cura di tutte le cose spirituali della Casa, sia riguardo ai soci, sia riguardo agli altri » (Cost., 117). Avvenne in qualche collegio ,che, per analogia al Catechista Generale, chiamato dalle Costituzioni Direttore Spirituale della Società, il Catechista della Casa fu chiamato Direttore Spirituale dell´Istituto. È bene che tale denominazione, non autorizzata dalle Costituzioni, non venga mai usata, perciò potrebbe dare luogo a malintesi.
Resta però il fatto che il Direttore, come tutti gli altri Superiori testè nominati, è proprio Direttore Spirituale, nel senso cioè ch´egli è colui che cura e governa le cose spirituali: e dal suo governo esteriore in tale materia nessun suddito può sottrarsi.
2° Connesso col governo di cose spirituali, vi è pure un insegnamento autorevole o magistero di vita spirituale. Questo insegnamento o magistero si esplica e viene impartito nella nostra Società per mezzo di prediche, istruzioni, conferenze, circolari, sermoncini della sera, avvisi pubblici e privati.
Dobbiamo subito aggiungere che detto insegnamento o magistero non si limita soltanto a cose morali o spirituali esterne, ina può e deve riguardare anche quelle interne, poichè la vita esteriore dev´essere animata da quella interiore, soprattutto presso i figli di S. Giovanni Bosco, la cui caratteristica — al dire dei Regolamenti — dev´essere la « operosità instancabile santificata dalla preghiera e dall´unione con Dio » (Regolam., 291, 40).
Cosicchè il Direttore della Casa è Direttore Spirituale dei confratelli, non soltanto come colui che governa le cose spirituali, ma anche come colui che insegna autorevolmente i punti di dottrina spirituale che riguardano la vita dei soci. Dal solo fatto però d´impartire un insegnamento di cose morali e spirituali, anche riguardanti la vita interiore, non ne segue il diritto d´intromissione nella coscienza di chi deve sottomettersi a tale magistero, neppure sotto lo specioso pretesto di sapere che cosa convenga di più insegnare oppure di conoscere quale sia il frutto intimo dell´insegnamento impartito.
E qui è bene fare un rilievo. I più bisognosi di tale direzione o: magistero spirituale sono senza dubbio i giovani professi temporanei. Ed ecco che le Costituzioni se ne preoccupano, mettendo tra i doveri dell´Ispettore quello « d´invigilare sulla formazione religiosa dei giovani soci » (Cost., 87) e stabilendo che « nel periodo dei voti temporanei il Direttore della Casa avrà cura del nuovo socio come Maestro di noviziato » (Cost., Per parte sua, il Codice di Diritto Canonico al canone 588 vuole che nelle religioni clericali gli studenti siano affidati alla cura speciale di un Prefetto o Maestro di spirito con le qualità del Maestro dei novizi; anzi, specifica i mezzi di tale cura spirituale: opportunis monitis, instruetionibus atque , exhortationibus, vale a dire opportuni ammonimenti, istruzioni ed esortazioni. Anche qui adunque si tratta di un insegnamento autorevole, da cui esula il diritto a penetrazioni nella coscienza dei religiosi studenti.
Siccome, come abbiamo testè ricordato, la cura dei giovani soci è già affidata dalle Costituzioni al Direttore della Casa (Cost., 184), spetta proprio ai Direttori dei nostri Studentati di esercitare verso gli studenti l´ufficio di autorevole Maestro di spirito, mediante opportuni ammonimenti, istruzioni ed esortazioni, pubbliche e private. Ed in tal senso si pronunciò anche il Capitolo Generale XV (Regolamenti ad experimentum: Stud. Filos., 8; Stud. Teol., 10).
Resta inteso pertanto che il Direttore Salesiano è Direttore Spirituale sia nel primo che nel secondo senso, vale a dire quale incaricato e del governo delle cose spirituali nella Casa e del magistero spirituale dei confratelli.
3°, Infine questa denominazione di Direttore Spirituale viene presa e usata in un terzo senso,,ch´è anche il più proprio, e cioè di guida intima delle anime. Partendo da questo concetto, l´autorevole risposta al nostro quesito noi la troveremo implicitamente nel Codice di Diritto Canonico e nelle Costituzioni.
Secondo il canone 530 è conveniente che i sudditi manifestino ai Superiori, se sacerdoti, anche le proprie ansietà di coscienza. Secondo l´articolo 470 delle Costituzioni è conveniente che i soci salesiani espongano schiettamente ai propri Superiori il profitto nelle virtù, i propri dubbi e ansietà di coscienza.
Orbene, se conviene che i sudditi chiedano ai Superiori anche una direzione intima di coscienza, ossia che considerino i Superiori — e nel caso nostro il Direttore come veri e
propri Direttori Spirituali dell´anima loro, va da sè che il Direttore della Casa ha anche la missione di essere Direttore Spirituale nel senso di guida intima delle anime.
L´unica differenza tra i primi due sensi e il terzo è questa, che il confratello, allorquando si assoggetta all´esteriore governo o all´insegnamento spirituale del suo Direttore, lo fa perchè non deve agire altrimenti in forza della sua professione religiosa; mentre, quando prega il Direttore di fargli da guida intima dell´anima, agisce così per seguire liberamente un consiglio della Chiesa e della Congregazione.
10. - L´EXPEDIT: CONVIENE DEL CANONE 530 E DELL´ARTICOLO 47 DELLE COSTITUZIONI
Non sarebbe completa questa trattazione, se non ci fermassimo a considerare la parola expedit: conviene, usata rispettivamente dal Codice di Diritto Canonico e dalle nostre Costituzioni a riguardo della libera manifestazione di coscienza da parte dei sudditi ai propri Superiori sacerdoti.
Questo punto è indubbiamente assai delicato. Si deve da una parte evitare qualsiasi esagerazione, che volesse fare della convenienza un obbligo morale; ma d´altronde non si deve tralasciar di dire ciò che la Chiesa e la nostra Società ci presentano come utile e conveniente, pel solo timore di essere male interpretati. Chi liberamente scegliesse di non manifestare i suoi dubbi e ansietà di coscienza al Superiore, darebbe prova di poco senno se volesse poi imporre silenzio circa quanto, non già i Superiori stessi, ma, come si disse, la Chiesa e la nostra Società affermano della volontaria manifestazione di coscienza fatta ai propri Superiori sacerdoti: expedit, conviene.
Per nostra fortuna non´abbiamo bisogno di spendere troppe parole: basta ricordare quanto scrive in proposito S. Giovanni Bosco nel Proemio alle Costituzioni.
Il nostro S. Fondatore anzitutto afferma esplicitamente: « Ma si noti bene che il rendiconto si raggira solamente in cose esterne e non di Confessione ».
Poi, a proposito di schiettezza e confidenza coi Superiori, fa parlare il nostro santo Patrono per mezzo di una magnifica citazione, la quale in base alle parole testè menzionate di Don Bosco, ed ora soprattutto in forza della volontà della Chiesa e della nostra Società, ha valore esortativo e non impe‑ rativo. Raccomanda adunque S. Francesco di Sales, testualmente citato dal nostro grande´ Padre: « Ogni mese ognuno aprirà il suo cuore sommariamente e brevemente al Superiore, e con ogni semplicità e fedele confidenza gli aprirà tutti i segreti, colla medesima sincerità e candore con cui un figliuolo mostrerebbe a sua madre le graffiature, i livori e le punture, che le vespe gli avessero fatto; ed in questo modo ciascuno darà conto non tanto dell´acquisto e progresso suo, quanto delle perdite e mancamenti negli esercizi dell´orazione, della virtù e della vita spirituale; manifestando parimenti le tentazioni e pene interiori, non solo per consolarsi ma anche per umiliarsi. Felici saranno quelli, che praticheranno ingenuamente e divotamente questo articolo, il quale in sè ha una parte della sacra infanzia spirituale, tanto raccomandata da Nostro Signore, dalla quale proviene ed è conservata la vera tranquillità dello spirito ».
Ora, a proposito della libertà di coscienza così ben rispettata dall´expedit: conviene, rileviamo che, come tutti riconoscono, la confidenza non s´impone ma si acquista: e questo è appunto quello di cui Chiesa e Congregazione tengono conto nel caso che stiamo trattando.
Può darsi che qualcuno abbia anche potuto pensare a uno speciale Direttore Spirituale, stabilito ufficialmente nella Casa per le manifestazioni di coscienza. Ma forse non ha riflettuto che con simile provvedimento la confidenza verrebbe in certo modo imposta. Noi sappiamo invece che l´unica manifestazione di coscienza strettamente necessaria, e dalla quale non si può prescindere se si vuole la remissione di colpe mortali, è quella che si fa al confessore nel Sacramento della Penitenza: ma del confessore parleremo tra poco.
Non sarà forse mancato chi abbia creduto di trovare un´altra soluzione teoricamente possibile, lasciando che ciascuno si scelga liberamente un proprio Direttore Spirituale fra i Capitolari o altri Sacerdoti della Casa. È vero, non è proibito a un confratello il fare le sue confidenze a chi vuole, purchè sempre nei limiti imposti ´dalla cristiana prudenza e carità, nonchè dalla disciplina religiosa. Qui però è facile rilevare che il moltiplicarsi di Direttori Spirituali in una comunità religiosa non potrebbe non portare con sè un riflesso anche sull´andamento esteriore, di essa, e darebbe facile adito a protezionismi, favoritismi, partiti, soprattutto là ove abbondi il personale giovane e inesperto, con evidente pericolo di venir meno allo spirito delle nostre Costituzioni, le quali vogliono che noi formiamo (Cost., 12).
Invece Chiesa e Congregazione si limitano ad additarci il Superiore sacerdote come colui al quale ci conviene aprire la nostra coscienza, sempre però nell´ambiente della massima libertà e solo mossi dal desiderio di servirci di un mezzo assai acconcio al raggiungimento della perfezione.
In armonia con lo spirito di famiglia che deve regnare nella nostra Società, noi abbiamo già un Rendiconto mensile di vita esteriore, la cui caratteristica è la filiale confidenza. Ora, una volta collocati nel sereno e caldo ambiente della confidenza, è facile, come lo dimostra una consolante esperienza, passare dagli otto punti dell´articolo 480 alla manifestazione del profitto nelle virtù e degli eventuali dubbi e ansietà di coscienza. In tal modo il confratello viene a intrattenersi liberamente con il Direttore anche sul suo comportamento nelle orazioni e meditazioni, sul frutto che ricava dai SS. Sacramenti specialmente per vincere la passione dominante, sulla interiore osservanza dei santi Voti, su eventuali dubbi in fatto di vocazione e su possibili perturbazioni interne.
Inoltre, avendo presente lo spirito proprio della santità salesiana, che è spirito di operosità santificata dalla unione con Dio e spirito di carità immolantesi fra le fiamme dello zelo, è facile a chi lo vuol fare, dopo aver reso conto della propria attività esteriore, passar a dire se e in qual modo essa sia santificata dalla vita interiore, nonchè aggiungere al resoconto delle proprie opere di carità e di zelo la manifestazione di difetti e di difficoltà interne con cui tali opere vennero compiute.
Ora, per chiarire sempre meglio la portata della convenienza proclamata dalla Chiesa e dalla Congregazione di avvicinare il Superiore sacerdote e di esporgli dubbi e ansietà di coscienza, faremo un breve confronto tra l´opera del Confessore e quella del Direttore, e poi un particolare accenno ai dubbi e ansietà di coscienza circa la propria vocazione.
a) Riguardo alla direzione spirituale non sacramentale.
Il buon confessore, anche nel mondo, dà senza dubbio al penitente una direzione spirituale indirizzata soprattutto a illuminare e rafforzare quel determinato proposito, destinato a sostenere il penitente e ad aiutarlo a non ricadere nei peccati, nelle offese e negligenze volontarie, che formarono la materia di accusa e di assoluzione: materia non necessaria, ma soltanto libera, se si tratta di mere venialità.
Il vantaggio poi di avere un confessore stabile, tanto inculcato dal nostro S. Fondatore, è appunto quello di poter sradicare vizi e difetti, oltrecch.è per la grazia di Dio, anche mediante seri e pratici propositi, suggeriti opportunamente dal confessore medesimo.
Potrà anche succedere che, aperta la propria coscienza per quanto riguarda le offese fatte a Dio, il confratello passi a volte a trattare con lui anche del profitto fatto nelle virtù e così pure dei dubbi e ansietà intime, chiedendo al confessore di volergli dare, oltre la direzione spirituale propria dei penitenti, anche quell´altra che conviene ad anime che aspirano alla perfezione.
Ma a questo punto è bene dire al confratello che se, dopo aver ricevuto dal confessore la sola direzione relativa al fermo proposito di non ricadere nei peccati e di svuotarsi sempre più di tutto ciò che ripugna alla santità infinita di. Dio, egli volesse riservare al Direttore della Casa la direzione spirituale circa le ulteriori mete da raggiungere nelle virtù cristiane, religiose e salesiane, nonchè circa eventuali dubbi e ansietà di coscienza, farebbe cosa non solo lecita, ma consigliata dalla Chiesa stessa e dalla Congregazione, e dichiarata conveniente e conforme ai nostri interessi spirituali.
Riguardo infatti, al profitto nelle virtù, il confessore dovrebbe limitarsi a ciò che il penitente gli riferisce di se stesso; mentre invece il Direttore ha la possibilità, nel dirigere il suddito che lo volesse, di usufruire anche della propria esteriore vigilanza su di esso e perciò di richiamarlo più efficacemente, semmai, da propositi forse troppo spinti o da ideali chissà troppo evanescenti di fronte alla realtà della vita quotidianamente vissuta, a una pratica esemplare delle Costituzioni, dei Regolamenti e delle Tradizioni, nonchè al genuino spirito del nostro S. Fondatore e Padre D. Bosco.
Davanti all´odierno moltiplicarsi delle cosiddette spiritualità, le quali possono venir talvolta proposte in forma smagliante alla nostra intelligenza, è bene considerare che esse non potrebbero venir abbracciate dalla nostra volontà senza far nascere nell´animo nostro mi senso di apatia per gli ideali della nostra vita attiva e generare conseguentemente un raffreddamento nella nostra santa vocazione: le Costituzioni, si noti, raccomandano ai Salésiani di attendere «al progresso nella virtù e alla perfezione del loro spirito, secondo la vocazione per la quale furono chiamati da Dio » (Cost., 196).
In questi casi il Direttore della Casa, appunto perchè è in grado di trovarsi in possesso di informazioni e dati più copiosi, potrà aiutare i Confratelli assai più facilmente del confessore: poichè, dovendo già dirigere le cose spirituali esterne della Casa, ed essendo pure il maestro autorizzato di cose spirituali anche interne, gli sarà più agevole che non al confessore darsi conto e mettere in guardia i Confratelli circa iniziative e ideali in contrasto forse con lo spirito della nostra Società, aiutandoli così a evitare scosse assai pericolose sia per la loro santificazione che per il loro apostolato a vantaggio delle anime.
Lo stesso deve dirsi a proposito dei dubbi e ansietà di coscienza. Il confessore deve limitarsi a dare aiuto di consiglio, mentre il Direttore può offrire la sua opera di Superiore, sia pure con la dovuta prudenza e riservatezza, in svariate maniere, influendo esternamente sulle occupazioni, sul riposo, sulla salute fisica, sul conforto morale del confratello dubbioso, angosciato, assillato da dubbi e pene intime.
Certe tribolazioni interiori straordinarie, inviate o permesse da Dio per i suoi occulti disegni, bisogna limitarsi ad accoglierle con piena sottomissione, finchè piaccia al Signore diradare le tenebre con un raggio della sua luce ineffabile. In questo caso il Direttore può, come il confessore, consigliare di adorare gl´imperscrutabili disegni di Dio .e di prepararsi con la pazienza e generosità alle future consolazioni divine; ma, oltre a ciò, può dare al confratello il conforto della sua comprensione paterna e l´aiuto prezioso delle preghiere della comunità.
Non è poi un segreto per nessuno che, per altre prove interiori ordinarie, basta a volte un semplice aiuto esteriore, ad esempio una medicina, un consulto medico, 1111 cambio di ambiente, una parentesi nel lavoro, un rivedere luoghi o persone che già cooperarono al fervore del proprio spirito, e simili, per addolcire o Ur scomparire quanto angustia intimamente lo spirito. In questi casi, siccome per tali aiuti entrano in gioco i permessi voluti dalla povertà e dall´ubbidienza religiosa, il Direttore può svolgere opera assai più immediata che non il confessore, poichè questi, dando un simile consiglio, dovrà pur aggiungere: — Occorre però il permesso del Superiore. — Come ognuno vede, chi in tali casi manifesta il suo interno al Direttore, ha abbreviato la strada per ottenere un aiuto efficace.
Tra le ansietà di coscienza non sono le meno opprimenti quelle che riguardano la propria vocazione. S. Giovanni Bosco a esse riserva uno speciale capitolo nel Proemio delle Costituzioni: e noi, sul suo esempio, dedicheremo una particolare parola, che serva come di compendio a quanto abbiamo detto circa la libera manifestazione di cose riguardanti la vita interiore, fatta al Direttore della Casa.
b) Riguardo ai dubbi circa la vocazione.
Prima di parlare di dubbi, che in genere sono più facilmente spiegabili ove non ci sia stata la sufficiente ponderazione innanzi di prendere una decisione, conviene che ricordiamo brevemente con quale prudenza, e vorremmo dire rigore, a norma delle nostre Costituzioni, si proceda nell´accogliere le nuove vocazioni e nell´aviarle man mano verso le tappe definitive, così da far, giustamente ritenere che i cosiddetti dubbi siano piuttosto, nella maggior parte dei casi, vere tentazioni, che sotto diversi aspetti cercano di distruggere ciò che era stato prudentemente vagliato, e non da una sola persona.
Il nostro S. Fondatore ferma alla porta della Società i novizi con. queste parole: « Non entrate in Congregazione, se non dopo esservi consigliati con persona prudente, che vi giudichi tali da poter conservare questa virtù (della castità) ». E nell´articolo 350 delle Costituzioni: « Chi non ha fondata speranza di poter conservare, col divino aiuto, la virtù della castità, nelle parole, nelle opere e nei pensieri, non professi in questa Società; perchè sovente si troverebbe in pericolo ».
Non minor rigore troviamo nella S. Regola in fatto di ammissione nella nostra Società.
Ricordiamo l´articolo 1710, per l´accettazione al Noviziato: « Generalmente la prima prova sarà tenuta per sufficiente quando il postulante abbia passato qualche tempo in una Casa della Società, oppure abbia frequentato le scuole della medesima, e in tal tempo — notiamo bene le parole che seguono — si sia visto risplendere per virtù ed ingegno ».
Per l´ammissione ai voti triennali l´articolo 180° è molto impegnativo: « Trascorso l´anno di noviziato, se il novizio avrà rivelato d´avere di mira in tutte le cose la maggior gloria di Dio e d´essere imbevuto dello spirito della Società, e si sarà mostrato esemplare nelle pratiche di pietà e nell´esercizio delle buone opere, si potrà ritenere compiuto per lui l´anno della seconda prova, e il Capitolo della Casa di noviziato tratterà dell´ammissione del novizio alla professione ».
Così pure si ponderi l´articolo 185°: « Trascorso il tempo della prima professione, l´Ispettore, avuto il parere del Capitolo della Casa e del Consiglio Ispettoriale, darà facoltà a chi avrà giudicato idoneo, di rinnovare i voti per un altro triennio, o per un periodo più breve, ovvero di farli perpetui ». Dicendo darà facoltà a chi avrà giudicato idoneo, la Regola esclude esplicitamente ogni coercizione: cosicchè, se qualche disgraziato che venisse meno alle sue promesse, volesse poi sostenere di essere stato obbligato a rimanere suo malgrado nella Società Salesiana, troverebbe in dette parole delle. Costituzioni la condanna della sua malizia o della sua balordaggine.
Orbene, tanto rigore nell´accettazione, come abbiamo già osservato, porta come logica conseguenza, sia nel confratello, sia nei Superiori, il dovere di vigilare con tutti i mezzi che la vocazione non vada perduta. Infatti non impunemente si disprezza un dono così eccelso di Dio, cui la Chiesa offre stabilità teologica e giuridica nello stato religioso. La Chiesa stessa, mentre ordina a tutti i fedeli di averlo in onore (can. 487), evidentemente raccomanda anzitutto a chi ne fu favorito di custodirlo; e ai Superiori, i. quali nel giorno della Professione si sono a ciò impegnati in suo nome (can. 488, 10 e 1308 § 1), Crdina di assistere il professo nella perseveranza di quell´offerta di sè, che, nella intenzione del vovente, è intesa come definitiva, anche se giuridicamente impegnativa solo per un tempo determinato.
Perciò, sia pure di passaggio, non è possibile non segnalare con quale insipienza e grave iattura, per le anime possa predicarsi da taluno in fatto di vocazione già abbracciata, controllata e consacrata da successive professioni, quella stessa libertà, che senza dubbio deve presiedere la scelta della vocazione.
Per parte nostra non dimentichiamo la solenne dichiarazione fatta già nella nostra prima Professione, quando asserimmo di avere la « ferma volontà di passare tutta la vita in questa Società ».
Ricordiamo pure che nella Lettera - testamento del nostro grande Padre ai suoi cari e amati figli Salesiani non manca una esplicita, accorata raccomandazione alla perseveranza nella vocazione: « Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimaner saldi nella vocazione sino alla morte. Vegliate e fate che nè l´amor del mondo, nè l´affetto ai parenti, nè il desiderio di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito di profanare i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con cui ci siamo consacrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiam dato a Dio ».
Anche le Costituzioni, all´articolo 210, esortano pressantemente: « Ciascuno perseveri fino al termine della vita nella vocazione, a cui fu chiamato. Tutti i giorni si richiamino alla mente quelle gravissime parole del Divin Salvatore: Niuno che dopo aver messa la mano all´aratro volga indietro lo sguardo, è buono per il regno di Dio ».
Tuttavia, nonostante tanta cura nell´accettazione e in opposizione a cos). autorevoli richiami alla perseveranza, c´è da aspettarsi che anche contro la vocazione già scelta e abbracciata sorgano tentazioni dal mondo, dal demonio e dalla carne. Difficoltà anche gravi potrebbero pure derivare da parte di uomini e di cose, nonchè dai propri nervi scossi e dal proprio fisico indebolito forse da sforzi disordinati ed eccessivi. Perciò, checchè ne sia della causa, è certo che possono nascere nei Confratelli dubbi e ansietà di coscienza, circa la perseveranza nella vocazione.
In questi casi dovrà intervenire solo il confessore? Se disgraziatamente fosse questione di peccato, di abitudine contraria alla legge di Dior di grave inosservanza contro la disciplina religiosa, va da sè che l´opera più di tutte necessaria e urgente sarebbe quella del confessore, allo scopo di ridare alla povera anima la grazia di Dio.
Quando però si tratti, non di peccato, ma soltanto di grave prova interiore, l´opera del Direttore, interessato dal confratello, può riuscire ancor più efficace che non il semplice consiglio del confessore, soprattutto quando la prova interiore ha un fondamento, o almeno può avere un rimedio, in circostanze esteriori, sulle quali il Direttore ha facilità di poter influire in senso favorevole alla pace del cuore e alla perseveranza del confratello stesso: il che riuscirebbe difficile, per non dire impossibile, al confessore.
E quando, per un complesso di gravi motivi, ponderati alla presenza di Dio e ripensando ai Novissimi, il confratello non volesse o non dovesse più rimanere nella Società, ecco che il Superiore, messo a parte dì tutto l´intimo travaglio del suddito, potrebbe ancora prepararlo paternamente a una sistemazione fuori della Società Salesiana, ma sempre in armonia con lo spirito cristiano e salesiano.
A queste considerazioni riguardanti la vocazione religiosa è da aggiungere una parola circa la vocazione sacerdotale.
I nostri Ascritti, prima di entrare in Noviziato, dichiarano esplicitamente se vogliono o no abbracciare lo stato ecclesiastico. Le Costituzioni, all´articolo 1770, ammoniscono in proposito: « Per ammettere novizi che abbiano qualche irregolarità e che vogliono abbracciare lo stato ecclesiastico, si richiede la dispensa dell´Apostolica Sede ». Inoltre, la nostra prassi di ammettere anche ai soli Ordini Minori soltanto i soci professi perpetui, costituisce un´ottima preparazione agli Ordini Sacri: basti rilevare l´importanza del voto perpetuo di Castità di fronte al Suddiaconato. E questo lo facciamo notare per due motivi: per mettere in guardia contro certe assimilazioni spinte fra i nostri chierici con voti perpetui e quelli dei Seminari, i quali ultimi in tutto e per tutto conservano ancora giuridicamente intatta la loro libertà prima del Suddiaconato; e poi per saper meglio valutare le scuse di qualche infelice che, non trovando altra via per tentar di farsi liberare dagli obblighi - assunti cogli Ordini Maggiori, osa affermare di esservi stato indotto contro sua voglia.
Detto ciò, bisogna pur riconoscere che con l´andar degli anni possono sorgere dubbi e ansietà di coscienza, sia in coadiutori circa l´eventualità di diventar sacerdoti, sia in chierici circa una possibile interruzione della carriera sacerdotale.
Anzitutto, il confessore potrà, anzi dovrà intervenire in fatto di costumi, di retta intenzione, di conformità o infedeltà alle sante leggi di Dio e della Chiesa.
Il confratello però che volesse esporre i suoi dubbi e ansietà di coscienza circa la vocazione al proprio Superiore, potrebbe riceverne senza dubbio un aiuto praticamente più efficace che non la parola stessa del confessore.
Infatti il confessore deve limitarsi a quanto il confratello gli comunica, mentre il Superiore, conoscendo tante altre circostanze d´indole e di opera, ha maggiori possibilità di troncare dubbi e ansietà con una parola assai meglio fondata e più rispondente alla situazione di chi con lui si confida. Nella ormai non breve esistenza della nostra Società si videro Confratelli che, per non essersi confidati coi propri Superiori o per non aver voluto seguirne il consiglio in fatto di vocazione anche solo ecclesiastica, finirono con lasciare il bene che facevano senza poter raggiungere il meglio o l´ottimo che sognavano. Nè valse loro l´aver seguito il parere di persone ben intenzionate, perchè risultò che queste si erano fondate su elementi troppo scarsi e per di più, benchè involontariamente, svisati dagli individui proponenti e personalmente interessati.
Riguardo infine alla manifestazione dell´intimo progresso nella virtù, non si dovrà forse temere una cosa? e cioè che taluno del personale in formazione venga, come suol dirsi, fermato negli scrutini relativi alle professioni o alle ordinazioni, dal Superiore con cui si confidasse circa particolari difficoltà interiori o circa un regresso intimo nella virtù? Rispondiamo che i Superiori conoscono molto bene su quali elementi esterni fondare il giudizio circa l´ammissione dei candidati ai Voti o agli Ordini Sacri: essi inoltre non ignorano i particolari obblighi che loro impone il segreto di eventuali intime manifestazioni. Che se, nell´ambiente della confidenza, verranno liberamente interpellati dal suddito circa cose di coscienza, essi, senza uscire da detto ambiente, avranno modo di ricordare all´interessato ciò che in tali condizioni esigono da lui la Chiesa e la ´nostra Società e quanto devè dettargli la coscienza del proprio dovere ormai chiaramente conosciuto: e potranno pure suggerire la soluzione praticamente più conforme agl´interessi di Dio e dell´anima sua, e magari concertare di comune accordo il modo concreto con cui il Superiore aiuterà il confratello a effettuare la soluzione ritenuta buona o almeno conveniente.
A conclusione di questo vitale argomento ricorderemo le auree parole scritte dal nostro S. Fondatore nel Proemio alle Costituzioni circa i dubbi del Salesiano intorno alla vocazione: «In questi casi io vi consiglio di presentarvi ai vostri Superiori, aprire loro sinceramente il vostro cuore, e seguirne fedelmente gli avvisi. Qualunque cosa siano essi per suggerirvi, fatela, e non la sbaglierete certamente; poichè nei consigli dei Superiori è impegnata la parola del Salvatore, il quale ci assicura che le loro risposte sono come date da Lui medesimo, dicendo: Chi ascolta voi, ascolta me ».
11. - BREVI CENNI CIRCA L´EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA RIGUARDANTE LE CONFESSIONI E IL RENDICONTO
A questo, punto della nostra trattazione conviene che apriamo una specie di parentesi per considerare come sia maturata l´attuale disciplina canonica per ciò che concerne il compito del Superiore e del Confessore nei riguardi della vita spirituale dei religiosi; onde meglio appaiano le parti affidate dalla Chiesa all´uno e all´altro e la loro armonica attuazione.
È noto che, come in altri settori della disciplina ecclesiastica, così anche in quello delle confessioni e del rendiconto si andò determinando, nel corso dei secoli, uno stato di cose che contribuì a modificarne almeno´in parte la pratica.
Le cause determinanti più degne di menzione del fatto testè indicato le possiamo, per ragione di brevità, ridurre alle seguenti.
La prima fu il notevole evolversi delle condizioni di vita sociale, specialmente per ciò che riguarda la facilità di comunicazioni negli antichi e nuovi continenti.
La seconda, che ben può dirsi conseguenza della prima, fu il crescente sviluppo organizzativo della vita delle famiglie religiose, specialmente per ciò che riguarda le loro attività esteriori. Infatti dalla vita contemplativa si era passati ai più svariati ministeri a favore delle anime e dal classico ambiente chiuso del monastero benedettino, in cui il professo promette la stabilità del luogo, si giunse man mano alle organizzazioni o famiglie religiose, non solo in varie diocesi, ma in diverse nazioni e a volte in tutti i continenti, sempre però facenti capo a uno stesso Superiore, e ciò, oltrecchè nelle comunità maschili, anche in quelle femminili.
Una terza causa del fatto suindicato la si può individuare nella differenza di trattamento fatto dalla disciplina ecclesiastica alle religioni chiericati in confronto di quelle laicali.
Oltre a queste cause però, e alle conseguenti evoluzioni, è necessario richiamarci a un´altra, che riguarda in modo particolare le confessioni.
Si direbbe infatti che la Chiesa, edotta da lunga esperienza e guidata da lungimirante prudenza, abbia avuto in questi ultimi tempi la crescente preoccupazione di far capire a tutti, con tassative disposizioni legislative, quanto le stia a cuore il più grande rispetto alla libertà di coscienza. Naturalmente non occorre indugiarci a dimostrare che, nei riguardi dei religiosi, la sua preoccupazione doveva essere necessariamente duplice, dovendo essa conciliare il rispetto alla libertà di coscienza con il dovere di evitare a ogni costo la rilassatezza. Infatti, se da una parte le doveva star a cuore di allontanare anche il più remoto pericolo di profanazione del Sacramento della Penitenza coi sacrilegi, dall´altra era anche dover suo procurare che non venisse a soffrire trascuratezza o affievolimento nelle singole religioni la necessaria unità d´indirizzo spirituale.
È questo il motivo per cui, mentre. ´cessava per i semplici fedeli l´obbligo di confessarsi dal proprio Parroco in occasione della Pasqua, potendo essi rivolgersi con piena libertà sempre e dovunque a qualsiasi sacerdote, con identico intendimento veniva concesso dal canone 519 ai religiosi, per loro tranquillità di coscienza, di potersi rivolgere eccezionalmente a qualunque sacerdote approvato per le confessioni.
La Chiesa però, pel motivo già accennato di conservare alle famiglie religiose la necessaria unità d´indirizzo spirituale, stabilì pure che ai religiosi e alle religiose venissero assegnati confessori fissi con prudente misura rispondente alle esigenze e al numero dei soci nella comunità.
Anche le nostre Costituzioni, all´articolo 1520, dicono che i soci « si accosteranno ogni settimana al Sacramento della Penitenza da confessori che siano autorizzati dal Rettor Maggiore dall´Ispettore a esercitare questo ministero verso di essi, salvo il canone 519 », che noi abbiamo già citato e che si riferisce precisamente alla libertà dei soci.
Risulta pertanto che la Chiesa, mentre concede la dovuta libertà, non esclude un certo ordine, che ha lo scopo di salvaguardare il bene comune mediante la già sullodata uniformità d´indirizzo spirituale. Perciò essa vuole che, come norma generale, vi sia per tutti il confessore ordinario, e così pure quello straordinario per le religiose e i novizi: invece il confessore scelto dal religioso, sia pure per i più giusti motivi, all´infuori dei confessori autorizzati dai Superiori Maggiori, è sempre e solo una eccezione.
La Chiesa però, sempre mossa dalla ferma volontà di voler rispettata al massimo la libertà di coscienza, andò più oltre.
Ecco difatti che, mentre con il canone 518 ordinava, come già si disse, che in tutte le Case appartenenti a famiglie religiose chiericati vi fosse un numero di confessori legittimamente approvati e proporzionato al numero dei soci, emanava prescrizioni speciali per i Superiori religiosi. In virtù di tali prescrizioni, contenute nello stesso canone 518, §§ 1 e 2, ai suddetti Superiori religiosi era bensì concesso di udire le confessioni di quei sudditi che liberamente e spontaneamente di ciò li richiedessero, ma si proibiva loro di fare ciò abitualmente e senza causa grave. In più s´ingiungeva ad essi di evitare d´indurre i sudditi a confessarsi da loro servendosi all´uopo della forza, del timore, d´importune insistenze o di qualsiasi altro espediente.
Queste prescrizioni furono da noi fedelmente praticate. Il loro ricordo però ci aiuta a capire meglio le disposizioni emanate man mano dalla Chiesa circa il Rendiconto. Fu infatti lo stesso vivo desiderio della Chiesa di salvaguardare, anche nelle famiglie religiose, la libertà di coscienza, che diede origine alle nuove prescrizioni che riguardano il Rendiconto.
Abbiamo già indicato che l´evolversi e il meraviglioso propagarsi delle famiglie religiose, anche laicali e femminili, fece sì che le singole religiose, le quali non potevano più dipendere direttamente come le antiche monache dal Superiore Regolare del Primo Ordine o direttamente dal Vescovo Diocesano, si rivolgesseró alla Superiora Generale e anche alle altre Superiore locali, spingendosi, nel loro desiderio di perfezione, a manifestare nei loro Rendiconti anche cose di coscienza.
La Chiesa dinanzi a questo nuovo stato di cose intervenne, essendo evidente che per risolvere dubbi, ansietà e situazioni complicate di coscienza, ci vuole una conveniente preparazione teologica e ascetica, che non viene impartita alle Suore.
E poichè queste ragioni valgono anche per gli Istituti laicali, così la Chiesa con il già citato Decreto Quemadmodum vietava ai Superiori e alle Superiore degli Istituti laicali d´indurre in qualsiasi modo i sudditi a manifestar loro cose di coscienza. Nello stesso Decreto però si dichiarava che quella proibizione non impediva che i sudditi liberamente e spontaneamente aprissero il loro animo al Superiore o alla Superiora per avvalersi della loro prudenza e ricevere consigli e indirizzo nei dubbi e ansietà, onde tendere all´acquisto delle virtù. Circa trent´anni dopo il Codice di Diritto Canonico con il canone 530 estese la proibizione a tutte le religioni, vietando ai Superiori d´indurre in qualsiasi modo i propri sudditi a manifestar loro il proprio stato di coscienza. Ma, mentre il Decreto Quemadmodum si limitava a permettere ai sudditi di poter liberamente e spontaneamente manifestare al proprio Superiore laico o alla Superiora il loro animo, all´incontro il canone 530, § 2, ne fa una espressa raccomandazione, dicendo: conviene (expedit) che i sudditi con filiale fiducia avvicinino i loro Superiori e, se questi sono sacerdoti, espongano loro i dubbi e le ansietà di coscienza.
Risulta pertanto che la Chiesa, mentre da una parte proibisce ai Superiori d´indurre i sudditi a far loro manifestazioni di coscienza, dall´altra mette in chiara luce la convenienza della spontaneità e confidenza filiale. In tal modo essa, dopo aver assicurato al religioso come suddito la sua piena libertà di coscienza, si affretta a ricordargli come a figlio l´ideale di perfezione a cui si è votato e lo incoraggia a seguirlo con cuore aperto e generoso, valendosi a tal fine liberamente dell´apertura di coscienza coi Superiori sacerdoti.
E qui è bene fare un rilievo importante.
Abbiamo visto che lo stesso canone 530, § 1, proibisce ai Superiori religiosi d´indurre i sudditi ad aprir loro la propria coscienza, e poi, al paragrafo 2, dichiara essere conveniente che i sudditi avvicinino con filiale fiducia i loro Superiori e, se questi sono sacerdoti, manifestino loro anche dubbi e ansietà di coscienza.
Invece nel canone 518, § 2, è stabilito che i Superiori religiosi aventi la potestà di ascoltare le confessioni possano bensì confessare i loro sudditi, se questi di loro libera e completa iniziativa li richiedano di ciò; ma i suddetti Superiori sono ammoniti di non farlo abitualmente se non per grave causa.
Mettendo di fronte queste due prescrizioni, se ne deduce che, mentre da una parte la Chiesa dichiara essere conveniente che un religioso apra anche abitualmente il proprio animo al Superiore, manifestando persino dubbi e ansietà di coscienza quando il Superiore è sacerdote, dall´altra parte invece la Chiesa stessa stabilisce che soltanto per grave causa il Superiore possa divenire confessore abituale del proprio suddito. Ne consegue che un religioso il quale abbia un suo confessore ordinario, può contemporaneamente servirsi dell´abituale direzione spirituale del proprio Superiore. Con questo si conferma che la direzione spirituale non presuppone necessariamente la confessione e che non è affatto vero che solo il confessore abituale sia in grado di essere il direttore spirituale.
Ammettiamo che per le persone del mondo, e così pure poi religiosi di religionibicali e per le religiose, in molti casi il confessore faccia anche da Direttore Spirituale; ma non è men vero che anche queste persone possono trovarsi nella circostanza di dover distinguere tra Direttore Spirituale — ad esempio temporaneamente lontano — e confessore anche abituale. Ed è pure evidente che qualsiasi confessore abituale, a misura che meglio conosce un penitente, ordina in un modo piuttosto che in un altro i suoi avvisi e consigli, anche senza esserne il Direttore Spirituale. D´altronde ordinariamente nessun confessore pensa a costituirsi Direttore Spirituale di un penitente, sia pure abituale.
Taluno potrà dire che, distinguendo il confessore dal Direttore Spirituale, si rischia di avere due direzioni con danno di chi è diretto. Questo pericolo è facilmente evitato, se il confessore si limita a fare il confessore, lasciando che il Direttore Spirituale faccia, la propria parte.
A questo proposito è bene rilevare che non son poche le persone, che preferiscono non avere come Direttore Spirituale il proprio confessore. È un fatto psicologico frequente questo di penitenti che scelgono, invece del confessore, un altro sacerdote per esporre a lui, dubbi e ansietà di coscienza per averne luce e consiglio.
Anzi, in simili casi, il Direttore Spirituale commetterebbe una vera indiscrezione, se esigesse da chi gli chiede direzione spirituale una confessione generale oppure di essere scelto come confessore abituale. In non poche circostanze il Direttore Spirituale non confessore si trova in condizione di maggior libertà e padronanza di movimenti per dare al suo diretto norme e consigli, che non potranno essere interpretati come conseguenze di cose udite in confessione.
Ammiriamo pertanto una volta di più la sapienza della Chiesa nostra Madre, la quale vietando che il Direttore della Casa sia confessore ordinario dei suoi sudditi, con questa norma salvaguarda, oltrecchè la loro libertà di coscienza, anche quella del Superiore religioso, il quale effettivamente potrebbe talora trovarsi impacciato nelle sue disposizioni e in determinati provvedimenti, o meglio circa la interpretazione che potrebbe essere data ai medesimi, se egli fosse legato dal sigillo sacramentale.
Quanto veniamo dipendo apparisce ancor più evidente, se consideriamo le disposizioni canoniche che riguardano il Maestro dei Novizie il suo Socio. La Chiesa, per bocca di Clemente VIII, con la Costituzione Cum ad regularem del 19 marzo 1603, aveva ordinato per il bene dei Novizi che essi dovessero confessarsi ordinariamente dal loro Maestro; ma più tardi, considerando la cosa sotto un altro punto di vista, quello cioè di allontanare sia pur remotamente il pericolo anche di un solo sacrilegio, fissò nel canone 891 per il Maestro dei Novizi e per il suo Socio una regola ancor più severa di quella fissata per i Superiori religiosi, stabilendo cioè che essi possano confessare i novizi a richiesta di questi, ma solo in casi speciali e per grave ed urgente causa.
Eppure se il Novizio non si apre col Maestro, per avere da lui una soda direzione spirituale, non si sa davvero com´egli possa essere diretto nella sua nuova vita, specialmente per decidere definitivamente della sua vocazione. Qui è evidente che per l´assoluzione dei peccati v´è il confessore, per la direzione spirituale il Maestro. E si avverta che il Codice non stabilisce esplicitamente che il novizio debba aprire il suo animo al Maestro, ma lo suppone. Infatti dicendo nel canone 559, § 1, che il Maestro presiede alla formazione dei novizi, dice quanto basta. A che scopo infatti sarebbe entrato il novizio nel Noviziato, se non per aprire filial mente il suo animo al Maestro per averne consigli e direttive in vista della importantissima decisione della scelta dello stato? Qui pertanto abbiamo una nuova prova dell´asserzione fatta, e cioè che si può avere la direzione spirituale anche da chi non sia confessore abituale.
Nella nostra Società, come abbiamo visto, il legittimo Superiore è anche Direttore Spirituale dei Confratelli: e a questo proposito è bene aggiungere ancora qualche considerazione riassuntiva di tutto ciò che riguarda la libera manifestazione di cose concernenti la vita di perfezione interiore, fatta dai Confratelli al Direttore.
10 Nelle religioni chiericali, qual è la nostra, il Superiore è al tempo stesso maestro di vita cristiana e religiosa; anzi, la stessa preparazione alla vita chiericale è a lui affidata, dovendo egli rendersene garante davanti alla Chiesa. È la Chiesa che affida il religioso al Superiore sacerdote, perchè ne faccia un buon cristiano, un buon religioso, un buon sacerdote, secondo lo spirito della famiglia religiosa a cui appartiene.
20 Quando la Chiesa dice in modo esplicito essere´conveniente che il religioso si affidi con filiale fiducia al suo Superiore, giungendo anche, se questi è sacerdote, alla manifestazione di dubbi e ansietà di coscienza, vuole pure che si osservino due cose, e cioè che questa direzione non vada congiunta ordinariamente con la confessione e che si lasci al religioso, in tutto ciò che riguarda detta direzione, la massima libertà e spontaneità. Stando così le cose è evidente che, per il solo fatto che qualcuno non assecondi l´invito della Chiesa (che, appunto perchè invito, non è obbligo) non si deve capovolgere una situazione tanto chiara e affermare che presso la Società Salesiana la direzione spirituale dovrebbe ufficialmente nella Casa venir affidata a un altro che non sia il Superiore, oppure al confessore.
30 L´arbitraria affermazione, or ora indicata, non può assolutamente sostenersi di fronte a quanto è in modo esplicito contenuto nel canone 530, § 2. Essa suonerebbe aperta e abusiva negazione dell´expedit: conviene, fissato dal Legislatore in detto canone: giacchè si pretenderebbe di stabilire arbitrariamente che il religióso in -via normale e ordinaria si affidi per la direzione spirituale al proprio confessore, ed invece in via eccezionale al proprio Superiore. Le parole del canore sono chiarissime e non possono venir deformate, perchè si prestino a interpretazioni contrarie al significato delle parole stesse e alla chiara volontà del Legislatore.
Conchiudiamo pertanto ammirando sempre più la materna bontà e saggezza della Chiesa, che ci fa trovare nell´amata nostra Società i mezzi proprio adatti a noi e al:nostro spirito per raggiungere la perfezione alla quale Dio ci chiama e a cui noi volon‑ tariamente ci siamo votati.
12. - MODALITÀ DEL RENDICONTO
A complemento di quanto fu detto crediamo opportuno soffermarci ora brevemente sulle modalità di tempo e di luogo, e su altre circostanze del Rendiconto. a) ..11 tempo.
Il tempo riguarda sia il. Direttore che i confratelli: l´uno e gli altri devono poter disporre del tempo necessario per ricevere o fare, rispettivamente, il Rendiconto.
Parliamo anzitutto del tempo che deve trovare il Direttore per accogliere i Confratelli, senza lasciarsi assorbire da occupazioni estranee al suo ufficio.
Orbene, a deviare il Direttore dal suo compito principale, tra l´altro potè influire´ la interpretazione meno ponderata delle successive trasformazioni di alcune disposizioni della disciplina ecclesiastica circa la confessione e la manifestazione di coscienza, di cui abbiamo parlato.
Quando infatti la Chiesa dispose che il Direttore non fosse più il confessore abituale dei Confratelli, taluno potè forse pensare: — Se il Direttore non può più confessare nè esigere manifestazioni di coscienza, viene praticamente a trovarsi senza lavoro coi Confratelli: sarà bene, perciò, che si occupi in altre mansioni.
E così potè succedere che effettivamente qualche Direttore si assumesse l´onere di una scuola regolare, che lo occupava più ore giornaliere; oppure che dedicasse le sue attività alla prefettura, alla direzione delle scuole, alle mansioni del Catechista; o che infine si desse, non solo a quel po´ di ministero tanto utile e raccomandato, -- soprattutto quando i Direttori di Case non troppo lontane possono scambiarsi, ad esempio, per la conferenza e le confessioni dell´Esercizio della Buona Morte, — a un ministero intenso e in particolare alla predicazione con frequenti e anche lunghe assenze dalla Casa.
Basta la semplice enunciazione di simili deviazioni per misurarne i gravissimi danni per i Soci e per la Società.
Il Direttore-Prefetto, dedicandosi alle cose materiali, purtroppo correva il più delle volte rischio di dimenticare quelle spirituali con, il pericolo in più di alienarsi l´animo dei Confratelli, intervenendo direttamente in tante piccole disposizioni di carattere odioso.
Il. Direttore, assorbito dalla direzione e responsabilità diretta degli studi, oltrecchè l´animo dei Confratelli, poteva facilmente alienarsi anche quello dei giovani.
Il Direttore-Catechista, il minor male che poteva provocare era quello di recar disgusto e imbarazzo al vero Catechista, intralciandone le funzioni con l´inevitabile risultato che le cose fatte da due praticamente riescono fatte male oppure da nessuno.
Infine il. Direttore assorbito da intenso ministero e specialmente da predicazioni ripetute e prolungate, doveva per forza di cose essere assente dalla Casa o anche solo da quell´assistenza doverosa che, mentre è manifestazione di sentita responsabilità, è pure controllo della disciplina.
Noi vogliamo supporre che il suindicato malinteso si sia avverato in pochi casi. Siamo convinti però che, se sventuratamente esso avesse a diffondersi, non sarebbe facile misurare, i disordini e le sventure che accumulerebbe sull´amata nostra Società.
Uno degli scopi principali di questa trattazione è appunto quello di metterci in guardia contro i detti disordini e di sradiparli là ove si fossero malauguratamente infiltrati.
Dobbiamo riconoscere che le mansioni del Direttore sono tali, tante e così delicate da impegnare tutta la sua giornata anche nelle Case ove i Confratelli siano meno numerosi.
Altrove abbiamo fatto voti perchè scompaiano le Case piccole, quelle cioè ove l´Opera nostra non abbia almeno tale possibilità di sviluppo da far sì che il numero dei Confratelli aumenti fino a costituire una Casa fòrmata. In generale però gl´Istituti nostri occupano almeno una decina di Confratelli, e taluni venti, trenta anche cento e più.
Ora, un Direttore che debba fare ogni mese due o più conferenze, ogni domenica una istruzione religiosa, ogni settimana la lezione di Testamentino ai chierici, mensilmente debba radunare il Capitolo della Casa, preparare e presiedere la riunione per il Caso di Morale, ricevere tutti i Confratelli per il Rendiconto, essere anzi a loro disposizione ogniqualvolta desiderino presentarsi a lui, seguire, sia pure nelle linee generali, la direzione delle cose materiali, intellettuali, morali, scolastiche, professionali od agricole, ricevere le inevitabili visite di persone esterne, mantenere le dovute relazioni con le Autorità ecclesiastiche, civili e scolastiche, visitare quotidianamente la Casa, aver cura della corrispondenza, rispondere alle Circolari dei Superiori Maggiori dell´Ispettore, preparare il sermoncino della Buona Notte soprattutto aggiornarsi e procurarsi un conveniente corredo ascetico e salesiano pei Confratelli che liberamente lo richiedessero di direzione spirituale: tutto questo cumulo di occupazioni e preoccupazioni è, lo ripetiamo, più che sufficiente per assorbire le attività di un Direttore che abbia ben presenti i suoi doveri e s´impegni per praticarli.
Abbiamo detto che la Chiesa concede ai Confratelli il diritto di essere spiritualmente diretti dal Direttore. Ne consegue ch´egli ha il dovere di essere sempre pronto a ogni loro richiesta e quello altresì di attrezzarsi sempre meglio all´uopo. Ora, se teniamo conto di tutto ciò, ben possiamo conchiudere che il Direttore di una Casa salesiana non può e non deve essere d´ordinario professore o maestro, nè fare il Prefetto, il Consigliere Scolastico, Professionale od Agricolo, e meno ancora dedicarsi a intenso ministero e alla predicazione esponendosi ad assenze, che sarebbero di grave danno al buon andamento della Casa.
Il Direttore farà molto e bene, se saprà fare il Direttore, senza immischiarsi in occupazioni che lo distolgano dai suoi importanti doveri e specialmente da quello di ricevere i Rendiconti.
Egli pel primo deve disporre del tempo necessario per ricevere i Confratelli, poichè per essi soprattutto è Direttore. D´altronde è certo che quando i Confratelli sono ben diretti, i benefizi di questa buona direzione si riverseranno sui giovani e sulle opere tutte della Casa.
Neppure sarà permesso al Direttore darsi a studi o iniziative geniali, che lo distraggano dai suoi doveri. Non si avveri nelle nostre Case la nota leggenda del Prelato che rimandava coloro che volevano avvicinarlo per esporgli le cose loro, col solito ritornello ripetuto dal domestico: — Il Prelato studia. — I fedeli, stanchi di udir ripetere sempre la stessa scusa, finirono col dire: Quand´è che avremo un Prelato, che abbia già studiato? Voglia il Cielo che non debba mai dirsi dei nostri Direttori che non sono accessibili, o perchè assenti, o perchè occupati nella lettura dei giornali, nel suonare qualche strumento o in altre cose di loro gusto, privando così i Confratelli del loro diritto di essere ricevuti dal Direttore.
_ Il tempo del Direttore è anzitutto peri confratelli e in particolare per coloro che a lui si rivolgono per il Rendiconto:- soltanto dopo questo egli potrà dedicarsi ad altre cose.
Naturalmente, può darsi che effettivamente qualche affare urgente lo obblighi ad assentarsi, che una visita non possa essere troncata, che eventuali occupazioni reclamino momentaneamente la sua presenza altrove; ma i Confratelli queste cose le sapranno comprendere appieno, senza farne ingiusto addebito al Direttore. Si vuole solo insistere sulla necessità che il Direttore sappia liberarsi da occupazioni estranee, riservando tutto se stesso in primo luogo al bene dei Confratelli.
Non sarebbe adunque da approvarsi il modo di agire di quel Direttore, che volesse dedicarsi direttamente ai giovani. S. Giovanni Bosco ripetè molte volte che soprattutto i Direttori devolo saper far fare, svolgere cioè la loro azione direttamente sui Confratelli e solo indirettamente sui giovani.
Taluno vorrà forse sapere di quale tempo della giornata il Direttore dovrà disporre pei Confratelli. Questa domanda ci istrada a parlare del tempo di cui devono poter dispone i Confratelli stessi pel Rendiconto.
Per i Confratelli non dev´esserci limitazione di tempo: essi perciò possono recarsi dal Direttore ogni volta che lo desiderano, e parlare con lui quanto è loro necessario. Naturalmente è da escludersi il tempo delle pratiche di pietà, come pure quello dopo le preghiere della sera.
Non è stabilito che il Rendiconto duri dieci minuti, un quarto d´ora, una mezz´ora: durerà quanto, sia necessario. Siccome però i confratelli hanno le loro occupazioni e a volte non è facile trovare chi li sostituisca in esse, così in alcune Case il Direttore, in pieno accordo coi Confratelli, può fissare a ciascuno un giorno o un tempo determinato in linea di massima, pensando egli stesso a chi debba eventualmente sostituirli. Se è possibile, si segua l´ordine alfabetico per allontanare anche l´ombra di qualsiasi preferenza.
Sempre riguardo al tempo è bene dar agio ai Confratelli di fare il loro Rendiconto possibilmente nei giorni che seguono l´Esercizio della Buona Morte. Si direbbe che in tale occasione l´animo sia meglio disposto a trattare di tutto ciò che possa giovare al bene nostro spirituale.
L´esperienza dimostra essere assolutamente necessario che si, lasci ai Confratelli la massima libertà, specialmente riguardo alla durata del Rendiconto. Ricorderemo a questo proposito un fatto assai significativo, della cui veridicità possiamo dare le più ampie garanzie.
Un Superiore ascoltò in Rendiconto con somma benevolenza un confratello per oltre un´ora e mezzo. Il colloquio si svolse in un´atmosfera di comprensione e cordiale intimità. Il Superiore rimase assai soddisfatto e ringraziava il Signore per la buona riuscita di quel Rendiconto. Purtroppo però venne a sapere non molto tempo dopo che quel confratello si era lamentato, perchè il Superiore non gli aveva concesso il tempo necessario. Quale potè essere il motivo di una simile lagnanza? Il Superiore, dopo un´ora e mezzo di colloquio, quasi senza rendersene conto, aveva estratto l´orologio per vedervi l´ora: e il confratello interpretò quel gesto come se il Superiore gli dicesse di troncare e di andarsene. Il fatto dimostra con quale prudente accortezza convenga procedere in materia tanto delicata.
È infine evidente che, quanto è raccomandato ai Direttori, è, con maggior ragione, ancor più inculcato agl´Ispettori, ai Visitatori e ad altri Superiori che ricevano i Rendiconti dei confratelli.
Il luogo.
Dove dovrà il Direttore ricevere i Rendiconti dei Confratelli? Il Servo di Dio Don Michele Rua diceva che il Direttore deve ricevere i Rendiconti nel suo ufficio. In cortile, durante una passeggiata, o trovandoci in altro ambiente, si potrà fare una conversazione amichevole o trattare d´affari, ma non fare il Rendiconto.
Il Direttore deve mostrare praticamente ai Confratelli tutta l´importanza ch´egli annette al Rendiconto, ricevendoli a tal fine nel suo ufficio, sgombro il tavolo da lettere, libri o giornali, tutto e totalmente a loro disposizione.
D´altronde ciò è richiesto dall´indole stessa del Rendiconto, nel quale possono venir trattate cose anche intime, che a volte possono commuovere chi parla e chi ascolta; è doveroso che eventuali sfoghi rimangano nell´intimità, nascosti 2, occhio od orecchi, .che potrebbero anche esser meno discreti.
Altre avvertenze.
Il Direttore si prepari al Rendiconto, con la preghiera e la riflessione: altrettanto si consiglia ai Soci. Quest´atto di religiosità serve a preparare gli animi e a far sì che dal Rendiconto tragga gran profitto la perfezione spirituale del socio e ne avvantaggi il buon andamento della Casa.
Con tali disposizioni il Rendiconto non sarà mai un giudizio, ma la fusione di due cuori, quello del padre e quello del figlio.
Così pure, come fu già inculcato altrove, il Rendiconto non deve convertirsi in una schermaglia dialéttica, quasicchè si trattasse di addurre argomenti in pro o in contro di una tesi: qui è pieno l´accordo sulla necessità di compiere bene i doveri religiosi, di rendere più facile l´esteriore osservanza delle Costituzioni, più sicura la via della perfezione, più pratico il modo di sradicare vizi e di acquistare le virtù.
Neppure, il Rendiconto, è l´ambiente per sgridare o inveire contro chi si fosse reso colpevole: basterebbe una sfuriata per chiudere per sempre il cuore di un confratello. Invece una paterna correzione, pervasa di bontà, può essere balsamo e rimedio efficace. Certe correzioni è preferibile non farle durante il Rendiconto, ma rimandarle ad altro tempo. Dobbiamo considerare l´atmosfera del Rendiconto come cosa sacra, che non dev´essere sconvolta da qualsiasi possibile soffio di passione: tutto ciò che possa turbarne il carattere d´intimità familiare deve evitarsi a ogni costo.
Non è bene perciò avere sul tavolo un registro o quaderno con relativa penna o matita, quasicchè si dovesse prender nota delle cose dette per stenderne mi verbale o tramandarne la memoria. Il Direttore, se crederà di dover scrivere qualche appunto, potrà farlo dopo che sia uscito il confratello; ma questi non deve aver l´impressione di trovarsi davanti a chi lo scruta o giudica, ma bensì in intimo colloquio con un padre.
Per lo stesso motivo, mentre il confratello espone le cose sue, il Direttore presti grande attenzione senza distrarsi col leggere, scrivere o far altro. Per il bene dei Soci e dell´intiera Società il Rendiconto ha un´importanza veramente vitale, ed è bene che l´atteggiamento di chi riceve comunicazioni di tale indole faccia capire al confratello che chi lo ascolta sente tutto il peso e anche la dignità delle sue responsabilità di fronte a Dio, alla Congregazione, alle anime.
Neppure conviene, ordinariamente, interrompere il confratello e meno opprimerlo con lunghe argomentazioni e troppo insistenti esortazioni. Nella maggior parte dei casi il confratello, più che altro, ha bisogno di uno sfogo, e quando trova aperto il cuore del padre per riversarvi le sue pene, egli generalmente si sente così confortato da non aver più bisogno di prolissi discorsi, ma semplicemente di un pensiero che lo richiami alla sublimità della sua vocazione, a Dio, a Maria Ausiliatrice, a S. Giovanni Bosco, al Paradiso.
Il Direttore poi eviti a ogni costo di fare qualsiasi anche lontana insinuazione che possa intaccare la fama di altri Confratelli, manifestandone difetti o cose ;udite. Anzi, anche quando un confratello parlasse male di un altro, il Direttore si guardi dal dare il suo assenso e meno dal rincarare, come suol dirsi, la dose. Se lo giudicasse prudente e vedesse l´animo ben disposto, ne approfitti per scusare le intenzioni di chi avesse mancato, e ciò faccia con viscere paterne.
Potrebbe anche avvenire che fossero riferite al Direttore cose meno esatte o addirittura false da un confratello forse male informato o turbato dalla passione. In questi casi; e mentre l´animo del confratello sia esasperato, è preferibile che il Direttore non si pronunzi: dica piuttosto che vi penserà su e farà le necessarie indagini. Dopo qualche tempo potrà avvicinare il confratello e in modo paterno chiarire le cose.
Insomma, il Direttore deve sforzarsi di rendere l´ambiente del Rendiconto così pervaso di carità e benevolenza da farlo desiderare. È superfluo insinuare che il Direttore con il confratello che filialmente manifestasse qualche manchevolezza scorta in lui, si mostri Particolarmente benevolo.
Diremo fra breve della scienza, della prudenza, della bontà di cui deve sforzarsi di rivestirsi il Direttore per esser sempre meglio preparato a ricevere i Rendiconti dei Confratelli.
Ma, dopo le cose or ora indicate, noi che ebbimo la grazia grande di aver conosciuto il nostro grande Padre e di esser vissuti lunghi anni in intimo contatto con i suoi tre primi Successori, pensiamo di non venir meno al suo spirito aggiungendo che, qualora un Direttore non si sentisse di praticare le raccomandazioni fatte nè di adoprarsi con ogni sforzo per rendersi sempre più atto alla sua importante ,missione, in tal caso è preferibile ch´egli chieda ai Superiori di venir esonerato dalla sua grave responsabilità per evitare il pericolo di condurre sè, i soci e la Casa alla rovina. La S. Scrittura parla del giudizio durissimo riservato a coloro che sono preposti al governo degli altri, e. certi Santi non si peritarono di affermare che a. volte il Superiore, se non è condannato per i peccati suoi personali, può esserlo pei peccati dei suoi sudditi, che doveva e non seppe far evitare.
Al tempo stesso però è doveroso aggiungere, a conforto di chi porta la croce della superiorità, che sarà ampia assai la mercede del Direttore che abbia sostenuto e guidato i suoi figliuoli nella religiosa osservanza, per le vie della perfezione, al porto della salvezza.
13. - DOTI RICHIESTE IN CHI RICEVE. I. RENDICONTI
Più ancora che le modalità destinate a rendere più facile e santamente redditizio il Rendiconto, è da raccomandare al Direttore che metta in opera ogni suo sforzo per coltivare alcune doti, le quali serviranno a rivestirló di quel prestigio che si richiede in chi deve compiere una missione tanto delicata.
Esamineremo adunque di quanta scienza, di quanta prudenza, di quanta bontà il Direttore Salesiano debba cercare di arricchire il proprio cuore.
Queste tre doti, non soltanto renderanno più facili e fruttuosi i Rendiconti obbligatori circa la vita esteriore, ma serviranno ad aiutare in modo veramente efficace anche quei Confratelli, che vorranno versare i loro dubbi e ansietà, di coscienza nell´animo del Direttore per averne aiuto di consiglio, balsamo di conforto e luce di direzione spirituale.
a) La scienza del Direttore.
La prima e vera scienza consiste, al dire dei Santi, nella pura e santa coscienza. Questa definizione, in sulle prime, potrà sembrare meno appropriata; ma approfondendone il concetto se ne ammirerà tutta la- giustezza e praticità.
Vi è infatti — e merita la più alta stima — quella scienza che consiste nella conoscenza di noi stessi alla luce delle perfezioni divine e dell´adempimento dei nostri doveri; scienza che, innalzandoci alla contemplazione di Dio, si trasforma in sapienza, mentre mettendoci di fronte ai suoi voleri, che costituiscono quaggiù l´insieme dei nostri doveri, ci colloca nell´ambiente più adatto al conseguimento della perfezione.
È questa la prima scienza che deve sforzarsi di acquistare il Direttore, appunto perchè chiamato a essere il padre dei suoi Confratelli, il custode delle Regole e dell´osservanza, il maestro che addita a tutti le vie della perfezione salesiana. Questa, la luce celeste che deve illuminare ogni sua azione; questo, il suo insegnamento più efficace.
Di Gesù Cristo è scritto -- e ce lo ricorda l´articolo 20 delle Costituzioni — che incominciò a fare e a insegnare: volle essere cioè prima modello che maestro di santità. Guai, se di un Direttore si dovesse dire che non se ne possono seguire gli esempi: a nulla servirebbero i suoi insegnamenti. Il Direttore per con‑ durre gli altri alla santità, deve averne pel primo percorso i sentieri, anche se irti e scabrosi: ed è mestieri che ciò apparisca in tutta la sua vita.
Nella comunità religiosa il primo in autorità non dovrebbe essere a nessuno secondo nell´osservanza e nella santità. I religiosi poi, i quali tutti per vocazione si occupano di virtù e di perfezione, sanno d´ordinario ben distinguere le virtù vere e solide da quelle apparenti e false, la perfezione superficiale da quella reale e profonda. L´opera del Direttore rimarrebbe frustrata dal momento in cui si scorgessero in lui manchevolezze e deviazioni in fatto di santità di vita. Collocato in alto, gli occhi di tutti sono rivolti a luì per scrutarne ogni azione, se fosse possibile. Nè si pensi che lo si osservi e scruti solo per criticarlo: devesi riconoscere invece che vi è nei più un vivo desiderio di imitazione. È inevitabile però che di colui che è collocato sul candelabro sia possibile vedere non solo le virtù, ma anche i difetti.
È canone universalmente ammesso che i religiosi progrediscono o indietreggiano nella perfezione e che in una comunità regna l´osservanza o l´inosservanza, fioriscono le virtù o si moltiplicano le manchevolezze, a seconda del modo di agire del. Superiore, il quale non sarà mai solo nella perfezione o nella imperfezione, trascinandosi dietro i subalterni con la forza del silo operare. I religiosi infatti hanno meno bisogno di esortazioni che di esempi, credono meno ai ragionamenti che ai fatti, perchè, come abbiamo detto, il perfezionaménto è opera più d´imitazione che d´istruzione: e appunto perchè il più delle volte l´esempio del Superiore è legge, questi dovrebbe essere la regola vivente. In lui può diventar colpa nei riguardi dei suoi subalterni lo stesso non progredire nella virtù, il non ascendere ulteriormente alla perfezione. Anche delle regole più minute egli deve dimostrare di avere praticamente la più alta stima, giacchè sono proprio le piccole linee quelle che dànno alla fisonomia spirituale la vera caratteristica.
E poichè nulla s´impara tanto facilmente quanto il male, non sarà mai raccomandato a sufficienza al Direttore di vigilare del continuo su di se stesso, per evitare debolezze o trascuraggini che potrebbero facilmente degenerare in abusi, sempre difficili poi a sradicarsi. D´altronde come oserebbe il Direttore insorgere contro quelle negligenze, che pel primo tollera in se stesso ? Ma poichè noi qui stiamo trattando della prima e più importante scienza di cui dev´essere rivestito il Direttore, quella cioè della santità/di vita, che irradia buon esempio, concilia la stima e conquista i cuori dei Confratelli per condurli alla perfezione, pensiamo che, anzichè continuare a collocarlo davanti a eventuali difetti, sia più giovevole indicare a lui e a tutti in generale il modo di praticare le virtù in grado eminente.
Delle virtù abbiamo già detto ampiamente nei volumi della Collana «Formazione Salesiana », e se ne parlò pure nelle Circolari riguardanti la Formazione del Personale. Sarà bene che il Direttore rilegga anche per conto suo quelle pagine, e così altri scritti che giovino a rendere sempre più chiare e profonde le- sue conoscenze circa una materia tanto importante.
Infatti egli deve ricordare che non può condurre i Confratelli affidati alle sue cure fino alla vetta della perfezione, senza una scienza ascetica completa e profonda; ma poichè, a norma del canone 593 ha l´obbligo di zelare l´osservanza religiosa secondo le regole e lo spirito della propria Società, deve studiare preferibilmente tutto ciò che possa essere giovevole ai Salesiani come tali: appunto la perfezione cristiana secondo lo spirito salesiano i Direttori debbono insegnare e i sudditi raggiungere.
Un sacerdote secolare potrebbe guidarci per le vie della santità ordinaria; un sacerdote di altra famiglia religiosa rischierebbe di dirigerci, anche senz´avvedersene, secondo lo spirito del suo Istituto, creando nella mente e nel cuore del Salesiano un ibridismo pericoloso. Solo il Direttore salesiano potrà dare al Salesiano che è sotto la sua direzione quella formazione specifica e caratteristica, che deve informare e distinguere da ogni altro religioso il figlio di S. Giovanni Bosco. D´altronde proprio di questa formazione specifica la nostra Società abbisogna per stringere e agglutinare ognor più nello spirito del nostro grande Padre tutti i suoi figli, istradandoli in quella identità di pratiche, che costituiscono e rafforzano la vita comune.
Pertanto il Direttore salesiano metta ogni impegno nel completare la sua istruzione, soprattutto circa le Costituzioni, i Regolamenti, le Tradizioni, le Circolari dei Superiori, le Deliberazioni Capitolari della nostra Società, come pure circa le virtù e la vita del nostro S. Fondatore, dei suoi Successori, dei Confratelli morti in concetto di santità, nonchè circa gli Annali della nostra Società, perchè specialmente da questa conoscenza e dottrina potrà attingere materiale abbondante per la formazione dei Soci che gli sono affidati.
Questa cultura poi gli sarà utilissima, non solo per la formazione spirituale collettiva dei Soci attraverso le conferenze prescritte, ma più ancora per la direzione spirituale individuale di coloro che ricorrano a lui per la soluzione- di dubbi e ansietà di coscienza.
Oltre però alla scienza generale circa le virtù e a quella particolare dello spirito salesiano, il Direttore deve possedere un´altra scienza, quella cioè della pratica conoscenza dei caratteri, delle tendenze, degli umori, delle passioni delle anime a lui affidate. È questa certamente di tutte le scienze la più difficile: essa, più che sui libri, s´impara mediante lo studio delle persone e l´esperienza. Qui appariranno maggiormente le doti di governo, la ponderatezza, la discrezione, l´equilibrio, l´orientamento pratico del Direttore. Egli infatti, specialmente nell´intimità del Rendiconto, oltre che maestro, è anche medico. I dubbi e le, ansietà dei Soci sono da considerarsi come vere infermità dello spirito, alle quali il Direttore deve saper propinare rimedi appropriati. Nè basta ch´egli abbia una specie di ricettario morale con un insieme di formule stereotipate da prescrivere indistintamente a tutti e in tutti i casi. Al modo stesso che un individuo ha una sua fisonomia facciale e struttura corporea, così ha pure un suo atteggiamento spirituale, un suo carattere o temperamento: perciò, in caso di malattia, o quando si tratti di compiere qualche ardita ascensione verso le vette della perfezione, è assolutamente necessario che il Direttore sappia fornire opportunamente al confratello un rimedio, un tonico, un regime dietetico corrispondente ai particolari bisogni. In tal modo egli potrà dare un suggerimento al sacerdote, un altro al chierico, un altro ancora al coadiutore, prescrivere un rimedio al giovane e un altro a chi è già maturo e inoltrato negli anni.
La vetta della perfezione, pur essendo unica, — poichè si tratta in ogni caso di imitare il Padre Celeste attraverso il suo Divin Figliuolo Incarnato, — si raggiunge per vie e sentieri diversi, alcuni più lunghi, altri più brevi, gli uni più ripidi e scoscesi, gli altri più agevoli e praticabili. La guida che conduce le anime alla conquista delle cime deve avere, oltrecchè ´una conoscenza esatta dei sentieri e delle scorciatoie da percorrere, un´idea altrettanto precisa delle forze di coloro che si accingono ad affrontarle.
Neppure deve il Direttore misurare gli altri da se stesso, nè pretendere che tutti calchino le sue orme e seguano la sua via. Qui non si tratta della perfezione del Direttore, ma bensì di quella del Padre Celeste, e per raggiungere questa — sulle orme di Gesù Cristo e dietro gli esempi del nostro S. Fondatore — è da Dio assegnata a ciascuno una via adatta e proporzionata alle forze di cui dispone: per questa, e non per altra, il Direttore deve guidare ciascun confratello.
Per questo motivo si rende indispensabile uno studio acca-rato dei singoli individui, come appunto praticava il nostro grande Padre, seguendo con materna sollecitudine i suoi figli in tutte le loro manifestazioni, senza però avere la pretesa di conoscerne di botto attitudini, virtù, difetti, passioni. All´incontro egli stesso ci volle prevenire contro le possibili, anzi facili, disillusioni e abbagli di uno studio affrettato, ricordandoci che in questo campo così delicato si richiede calma, serenità, costanza, pazienza e, più che tutto, preghiera.
Nè si dimentichi che al modo stesso che la grazia s´innesta sulla natura, così la perfezione deve innestarsi sui diversi temperamenti. La fretta, quando si tratta di distruggere difetti, domare passioni e arricchire l´anima di virtù, non solo è noci-va, ma diviene vana e orgogliosa pretesa. Come nelle arti e nelle scienze occorre tempo, fatica e costanza per percorrerne le vie, scandagliarne le profondità e acquistarne chiara e piena conoscenza, così anche quando si tratti dello spirituale progresso. Il nostro santo Patrono ci ammonisce che la virtù di un giorno può anche durare un solo giorno.
Ond´è che il Direttore, nel compiere il suo lavoro di cooperazione alla santificazione dei Confratelli che a lui ricorrono, deve rivestirsi di grande comprensione, di longanimità, di compatimento, ed essere disposto a ricominciare, ove occorra, incoraggiando, aiutando sempre, come fece Gesù con gli Apostoli come vedemmo praticare S. Giovanni Bosco con i suoi figli. Il nostro Padre non si stupiva dei difetti che rispuntavano, degli arenamenti e indietreggiamenti, e neppure delle stesse cadute e ricadute. Anche l´agricoltore sparge le sue fatiche e i suoi sudori sempre sotto la minaccia che una brinata inattesa una grandine ruinosa distrugga a un tratto quella messe e quei frutti sui quali poggiavano le sue speranze. È sempre Iddio che dà l´incremento: è Lui che sa quando e come devono giungere a maturità i raccolti.
Infine, Gesù benedetto volle anche, a nostro ammaestramento, metterci dinanzi la ficaia sterile e infruttifera da molti anni, per indicarci che forse con cure speciali si potrà risparmiare a volte uno sradicamento e una fine funesta. Il buon Direttore non deve disperare mai, deve perseverare e lottare fino all´ultimo, pensando che quanto non ottiene oggi, lo potrà ottenere domani. Il nostro Padre voleva che i maestri di lettere scienze non trascurassero nessuno ´dei loro alunni, nè si limitassero a coltivare "gl´ingegni più eletti e gli scolari più assidui e migliori. Anzi, l´abilità del buon maestro consiste appunto nel condurre innanzi i più tardi, i pigri, gl´ignavi.
Abbiamo detto che il Direttore è medico e che perciò deve saper somministrare i rimedi a seconda delle costituzioni e delle infermità. Per ciò stesso egli non può essere un superficiale che s´indugi e perda in cure accessorie e secondarie, quando invece urge andare alla radice del male per sradicarlo. Neppure deve limitarsi a medicine blande e insufficienti, quando sono richiesti rimedi forti o anche tagli recisi. È vero che la soavità dello spirito evangelico, tutto pervaso di carità, ha sempre un´efficacia del tutto speciale; ma talvolta il buon chirurgo, mosso dal desiderio di guarire effettivamente il male, ricorre anche al bisturi, ai bottoni di fuoco, alla pietra infernale.
Soprattutto poi è necessario procurare il rimedio a tempo, senza dimenticare che la medicina data fuor di tempo, o continuata a chi è già guarito, può esser causa di nuovi mali e di morte.
b) La prudenza del Direttore.
Della prudenza abbiamo parlato trattando della Formazione del Personale, e della Fedeltà a Don Bosco Santo. Qui diremo di essa in quanto riguarda l´atteggiamento del, Direttore nell´intimità del Rendiconto.
Essa ha la sua sede nell´intelletto, avendo appunto il compito d´insegnare a sceverare il bene dal male e in particolare a individuare i mezzi per raggiungere il fine. Da tutti è riconosciuta e apprezzata come la moderatrice delle virtù, a tal punto che virtù non sarebbe là ove essa facesse difetto. Inoltre di tutte le virtù di cui dev´essere adorno il Superiore, la prudenza è la principale: a lui servirebbero ben poco la scienza e la stessa bontà, se fosse sprovvisto di prudenza. I maestri di spirito affermano essere preferibile nel Superiore una prudenza eminente a una santità ordinaria, anzichè una santità eminente e una minor prudenza. Naturalmente è da augurarsi che tutti i Superiori siano dotati dell´una e dell´altra in grado notevole, dovendo nell´esercizio della loro delicata missione ricordare il passato, conoscere bene il presente e avere l´occhio previdente volto attentamente al futuro.
Il Superiore nel compiere l´ufficio delicatissimo di ricevere i Rendiconti deve avere un discernimento non ordinario per conoscere le vie dei cuori ed essere in grado di dire poi a ognuno la parola opportuna; poichè a questi gioverà la lode, a quegli invece il biasimo sia pure pervaso di carità; all´uno l´incoraggiamento, mentre all´altro sarà necessario il freno: tutto sempre in quell´atmosfera tradizionale di semplicità, di serenità, di bontà effusiva, che forma e mantiene lo spirito di famiglia tanto inculcatoci da S. Giovanni Bosco.
Lungi perciò dal Superiore anche l´ombra di finzione, di artificio o doppiezza. Chi governa in nome di Don Bosco, anzi nel nome stesso di Dio, deve servirsi del suo spirito, che è spirito di carità e giustizia, nè mai rendersi schiavo delle cosiddette arti del mondo, tutto posto nel maligno. La prudenza rifugge sempre dalla dissimulazione, che troppo facilmente può degenerare in falsità. Al nostro S. Francesco di Sales, trattandosi del governo delle anime, incuteva paura anche il solo nome di politica. Rifuggiva quasi istintivamente dall´ombra stessa delle finzioni, preferendo all´incontro procedere alla buona, cuore a cuore. « Odio la doppiezza come la morte », ebbe a dire. Ed era tale la ripugnanza che ne sentiva, da affermare con tutta schiettezza che, pur avendo in grande stima la prudenza, tuttavia preferiva una colombella a cento serpenti.
L´esperienza c´insegna che le vie storte conducono, presto tardi, all´abisso. La doppiezza poi finisce praticamente per degenerare in indecisioni, smarrimenti, sfiducia di sè, mentre la fa nascere nei cuori altrui. È questo il motivo per cui ben difficilmente si troverà chi perdoni al Superiore l´artificio e la mancanza di semplicità.
Ecco perchè è tanto inculcato ai Superiori di studiare se stessi, di esaminarsi a fondo per non essere vittime della vanità dell´egoismo. Infatti il più delle volte la doppiezza e l´artificio altro non sono che, una manifestazione di orgoglio, volendo chi è doppio far sempre bella figura e meritare con fine albagia le lodi di tutti, anche a costo di tenere, come suol dirsi, il piede in due staffe.
Chi rientri frequentemente nel suo interno non durerà fatica a capire quanti motivi abbia per umiliarsi e non pretenderà vane esaltazioni o lodi a base del suo agire artificioso.
Collocato di fronte al suo passato, dovrà riconoscerne e confessarne le non poche debolezze, che io rendono spregevole a Dio e agli uomini; considerando il presente, si vedrà dinanzi la sua pochezza, le mille deficienze, le continue fluttuazioni e incertezze; nel futuro, ammaestrato dal passato e dal presente, scorgerà non pochi pericoli, che vedrà forse accresciuti dalle sue manchevolezze. Gli sarà facile, in questo costante controllo di se stesso, soppesare le scarse sue capacità, la meschinità delle sue idee, i pericoli delle sue infauste prevenzioni e dei pullulanti pregiudizi. Che se poi saprà capire l´astuzia, la forza, l´impetuosità a volte delle proprie passioni, troverà in questo esame e valutazione di se stesso tanti motivi di umiliazione, i quali lo condurranno man mano ad avere quello sguardo coraggioso che sa fissarsi nella verità: poichè è dessa appunto che lo salverà da, tutto ciò che possa anche solo appannarla, con parole artificiose, formule dissimulatrici, ambiguità pericolose.
Chi abbia raggiunto l´umiltà, che è il coraggio della verità, sentirà diminuire man mano la fiducia in se stesso e accrescersi quella in Dio. Egli non sarà precipitato nell´agire, ma sentirà invece il bisogno di raccogliersi per studiare, riflettere, ascoltare. Capirà che fa presto non chi fa in fretta, ma chi fa bene, e che d´ordinario, come insegna il proverbio, le gatte frettolose fanno i mirini ciechi, o meglio, che quanto frettolosamente si fa, in fretta finisce. Per ultimo chi è umile sa riconoscere e confessare i suoi sbagli, non comprerà mai lodi al prezzo di sacrificare la dirittura di coscienza, esponendosi peraltro al pericolo di veder presto o tardi conosciuti i suoi raggiri e sma‑ scherata la doppiezza.
Fortunatamente nella nostra Società è tradizionale la semplicità familiare: e noi speriamo che giammai si abbiano a lamentare le cose suindicate. A tal fine preghiamo perchè il Signore conceda a tutti i nostri Superiori la pienezza dello spirito di S. Giovanni Bosco.
La, prudenza del Direttore deve risplendere in ogni sua azione. Come nel parlare, altrettanto guardingo egli dev´essere nell´agire. Infatti al modo stesso che sugli abiti che indossiamo si va depositando incessantemente e senza che ce ne rendiamo conto la polvere della strada o dell´ambiente in cui ci troviamo, così insensibilmente possono incrostarsi nelle pieghe dell´animo nostro prevenzioni, preconcetti, pregiudizi a danno dei nostri Confratelli. Basterà a volte una insinuazione, il poco caritatevole atteggiamento di un socio, una frase infelice di un altro, perchè si vada formando nella mente un concetto meno benevolo, del quale a volte non gli sarà tanto facile svestirsi e liberarsi. Ecco perchè non si raccomanderà mai sufficientemente al Superiore di non esser facile a giudicare, di ascoltare sempre le due campane e soprattutto di studiare seriamente gli uomini, di lasciarli parlare ed esporre liberamente e pacatamente le loro cose, nonchè di fare, quando sia necessario, e con somma carità e prudenza, indagini accurate, chiedendo informazioni in modo da poter completare dovutamente il suo giudizio, il quale anche una volta formulato non si dev´essere facili a farlo conoscere, e meno a chiunque.
Dalle opere si conoscono gli uomini e dalle opere appunto deve effondersi quella luce di prudenza, che concilii al Superiore la fiducia e l´affetto dei suoi subalterni. Da lui è giustamente richiesto quel senso di discrezione, che consiste particolarmente nel saper scegliere il giusto mezzo soppesando vantaggi e svantaggi, nel conciliare caratteri contrastanti e opposte tendenze, nel temperare la disciplina e a volte la severità con la bontà e l´indulgenza, nell´adoperare in determinate circostanze l´amorevolezza in luogo del rigore, nel rivestire ogni determinazione di semplicità spogliandola anche dell´ombra di ogni diffidenza, nel sapere infine, dopo prudente valutazione di tutte le circostanze favorevoli e contrarie, approvare o rigettare le iniziative.
Soprattutto poi il Superiore deve per santa e perseverante consuetudine essersi convinto che nella preghiera, e cioè a contatto e nell´unione con Dio, troverà consiglio sapiente, fermezza irresistibile, criterio giusto nel dirigere le anime alla perfezione. La preghiera ci dà quella padronanza di noi stessi che non teme difficoltà, che sa affrontare ostacoli, guardare in faccia ai pericoli e assicura, mediante l´illimitata fiducia in Dio, il successo per Lui e per la sua causa. Basterà a volte uno sguardo al Crocifisso per riceverne luce irradiatrice di consiglio. Fortunate le Case dirette da uomini di preghiera, che conoscono la via della Cappella o della Chiesa, che sanno inginocchiarsi frequentemente nel silenzio della cameretta, che hanno familiari le Comunioni Spirituali, le giaculatorie, gli affetti al Cuore di Gesù, alla Vergine Santissima, a S. Giovanni Bosco, ai nostri santi Protettori, che sgranano con divozione profonda meditazione il santo Rosario, che nelle pratiche di pietà sanno unirsi sempre più intimamente a Dio: tali Case ricevono su di sè e sui fortunati loro abitatori sempre più copiose benedizioni celesti. Soprattutto la preghiera alimenta conserva viva quella fiamma di carità, senza di cui non si scorgono le vie del cielo nè si nutrono di spirituale alimento i cuori. Ma chi ha la missione di nutrire le anime altrui deve anzitutto alimentare la propria: chi non ha, non può dare.
E se ogni virtù si abbella quando sia adorna di umiltà, di questa particolarmente la preghiera abbisogna, perchè solo la supplica che esca da un cuore umile riuscirà a penetrare i cieli per ridiscendere in terra arricchita dei tesori che Iddio ha preparato a chi confida in Lui e non nelle proprie forze. Quando il Superiore si sarà praticamente convinto che solo con l´aiuto della preghiera, vale a dire di Dio, egli potrà esercitare un´azione, efficace sulle intelligenze per liberarle da prevenzioni ed errori, rendersi padrone dei cuori per farli sempre più degni di Dio, allora potrà sperare più facilmente di rimuovere quegli ostacoli che si oppongono alla sua opera di perfezionare le anime affidate alle sue cure.
Ma, ripetiamolo, nessuna prudenza, neanche la più raffinata, può offrire al Direttore il benchè minimo aiuto nel suo governo, se egli pel primo non si lascia governare e possedere appieno da Dio. Anche chi abbia la mente più equilibrata e il giudizio più retto; anche chi sappia a suo tempo riflettere, scandagliare, dubitare, chiedere consiglio; anche il Superiore più prudente insomma non potrebbe compiere missione realmente efficace, se non fosse uomo di Dio, se a Dio non vivesse unito nella preghiera, se sventuratamente nelle sue occupazioni e preoccupazioni, e in particolare quando si addensano le tempeste, si trovasse solo. Chi è strumento e rappresentante di Gesù Cristo dev´essere sempre con Lui anche sulla croce: su di questa noi troveremo luce di speranza e redenzione di salute. Le previsioni e le combinazioni umane, anche le più pensate ed elucubrate, non riusciranno ad aprirci la via, se Iddio non sarà con noi. In troppi casi chi non sia uomo di preghiera corre rischio nel governo delle anime di seguire le proprie vedute illudendosi che siano quelle di Dio. Chi all´incontro si mette fiducioso nelle mani di Dio per essere da Lui diretto, può esser certo di non sbagliare in un´opera tanto delicata e importante.
Uno dei punti pel quale è richiesta prudenza del tutto straordinaria da parte del Direttore è la conservazione dei segreti affidati alla sua discrezione. Se i Confratelli venissero a conoscenza di qualche sua debolezza a questo riguardo, la loro stima per lui si affievolirebbe inevitabilmente o sparirebbe del tutto con grave perdita di prestigio nel suo governo. Solo chi sa tacere e ha pieno controllo di se stesso si renderà meritevole di stima e sarà ritenuto capace di condurre a felice mèta imprese e anime a lui affidate. All´incontro il loquace e colui che, come si suol dire volgarmente, è debole di stomaco e incapace perciò di ritenere in cuore ciò che la confidenza vi ha deposto, sarà ritenuto come uomo leggero e soprattutto qualificato di indiscreto, perchè la virtù della discrezione è appunto indicata a onorare chi sa conservare e difendere l’inviolabilità del segreto. Anche tra la gente di mondo la violazione del segreto è considerata cosa turpe ed esecrabile.
Vigili pertanto il Direttore e prenda l´abitudine di non mai manifestare ad altri, direttamente o indirettamente, le cose udite in Rendiconto. Potrà a volte accadere che un indiscreto gli ronzi attorno per strappargli con astute insinuazioni qualche frase, che sia come il primo passo .e l´inizio di una indelicatezza del Direttore circa un segreto ricevuto: sarà quello il momento di far capire che nessun raggiro e nessuna astuzia riusciranno a farlo venir meno a un dovere tanto sacro e delicato. L´esperienza insegna che quando i Confratelli si sono praticamente persuasi della prudenza del Direttore nel conservare i segreti, allora gli apriranno il loro cuore con illimitata confidenza e con immenso vantaggio loro e della Casa.
c) La bontà del Direttore.
La bontà ha particolare efficacia nel disporre gli animi a rendere e considerare gradita la convivenza degli uomini nelle diverse società e associazioni. Ma se a tutti la bontà è necessaria, essa è più che mai indispensabile ai Superiori, i quali delle Società e Comunità religiose devono essere come il glutine forte e tenace. La bontà si manifesta nell´affabilità, benignità, mitezza, graziosa e santa affettuosità. Le stesse altre virtù, private del celeste sorriso della bontà, perdono non poco della loro forza irradiatrice e conquistatrice.
Essa fu la virtù dei Santi: con la bontà essi si resero padroni anche dei cuori più riottosi e induriti. Quando gli effluvii della bontà si sprigionino dal cuore paterno del Direttore, allora la confidenza e l´apertura di cuore dei Confratelli diviene facile e spontanea. Il Direttore rivestito di bontà converte la sua comunità in un vero cenacolo, perchè chi ama è irresistibilmente amato. Un volto sereno, un atteggiamento mite, una parola dolce travolgono ogni ostacolo.
L´arte di governare è tutta materiata di prudenza e di bontà: ma se la prima modera e indirizza le virtù, è sempre la seconda che s´impossessa dei cuori.
E qui è bene rilevare, come già fece S. Giovanni Bosco, che non basta che il Direttore sia padre, anzi più che padre, ma è necessario altresì che come tale sia riconosciuto e ritenuto dai sudditi. Fin dai primi tempi della Chiesa i Padri e Dottori parlando dei sudditi che la Sacra Scrittura paragona ai pargoli, affermarono che appunto per questo essi devono essere in certo modo portati e nutriti dal Superiore nel suo seno. Il motivo della loro insistenza su di un punto tanto delicato è ovvio e manifesto. Solo chi abbia viscere paterne potrà riuscire, attraverso le immolazioni di un cuore santo e sincero, a collocare sul tenero collo dei figli il giogo della disciplina. S. Paolo sapeva piegarsi e abbassarsi a esortare, scongiurare, e pregare i figliuoletti suoi in nome della misericordia di Dio, anziclaè rivestirsi di maestà o armarsi di potere. Anche S. Giovanni Bosco preferiva rivolgere ai suoi figli una preghiera, chiedere loro un favore, piuttosto che imporre senz´altro un comando:, con questa chiave di celeste amore riuscì sempre ad aprire i cuori. La tradizione da lui lasciataci è tutta di mansuetudine e di amore. Egli era convinto che solo chi sia adorno di bontà paterna potrà sperimentare la tenerezza dei cuori dei figli, perchè è inevitabile che chi si senta veramente amato senta subito accendersi in cuore gli ardori della pietà filiale.
Il nostro Padre talvolta, trattandosi di cose di poco rilievo, faceva mostra di non capire o di non avvedersi: preferiva cedere qualcosa dei suoi diritti di Superiore pur di guadagnare un´anima. D´altronde egli aveva sperimentato che, nell´opera educatrice, nulla è tanto efficace quanto la mansuetudine: infatti non col fuoco si spengono gl´incendi, 11è con le escandescenze della passione si trionfa sulle passioni. Egli visse sempre in mezzo ai suoi figliuoli non come chi tiene in mano lo scettro del comando, ma come servo di tutti: non fu.il Superiore dal volto arcigno e dalla parola autoritaria, ma bramava essere considerato l´ultimo ed era effettivamente il più servizievole della Casa. E ciò gli riusciva sommamente facile: la sua fede profonda lo aveva persuaso ch´egli, occupandosi dei suoi cari figliuoli, non era al servizio degli uomini, ma di Dio stesso, e che qualsiasi manifestazione di carità prodigata ai Confratelli era da Dio considerata come fatta al suo Divin Figliuolo.
Ecco perchè egli si faceva uno studio di renderli contenti nell´esercizio del loro apostolato, non affidando mai a nessuno, per quanto era possibile, cariche od occupazioni per le quali incontrassero gravi difficoltà o sentissero quasi invincibile ripugnanza: sapeva il buon Padre che chi lavora forzatamente lascia dietro di sè una scia di malcontento e a volte di disordini non facilmente riparabili. La prudenza del. Direttore deve appunto saper misurare le forze di ognuno, affidare gl´incarichi con bontà, ascoltare benevolmente eventuali ragioni e non escluderle se non dopo matura riflessione.
Taluno potrebbe pensare che non conviene abbassarsi soverchiamente per non recar nocumento al prestigio dell´autorità. Eppure è fuor di dubbio che allora soprattutto la bontà si sublima, quando, guidata dalla carità e mossa dal desiderio del bene dei figli, scende a occuparsi anche delle cose più umili: la vera carità nulla disdegna e porta con sè anche agli strati più bassi luce e profumo di benevolenza. Anzi, proprio verso i più deboli e difettosi non deve aver limiti la carità del Direttore: non le pecore sane, ma quelle comechessia inferme hanno bisogno di essere portate dal pastore.
Inoltre, dopo qualche eventuale manchevolezza di un confratello, il Direttore faccia capire praticamente che non conserva memoria di colpe passate, specialmente poi se queste riguardassero la sua persona. Il Superiore, appunto perchè esposto agli strali di tutti, deve rivestirsi di tale virtù, che lo renda come uomo che nè ode nè sente, ma addolorato solo dell´offesa di Dio e anche, anzi allora soprattutto, padre amantissimo, che si sforza di vincere il Male con la sovrabbondanza del bene.
Il Direttore eviti le critiche, le frasi canzonatorie, e tutto ciò che possa in qualsiasi modo lasciar capire ch´egli abbia poca stima di alcuno.
Specialmente verso i Confratelli più anziani manifesti in ogni occasione deferenza, delicatezza, venerazione. Si tratterà di Salesiani che occuparono cariche anche elevate e che spesero la loro vita in missione e nell´apostolato, e perciò farà ottima impressione ogni riguardo loro usato dal Direttore interpellandoli, chiedendo consiglio, facendo capire insomma a essi e a tutti la sua stima. Se poi il Direttore, assillato dalle preoccupazioni e immerso in difficoltà e angustie, si rendesse conto di avere in qualche circostanza mancato sia pure involontariamente di riguardo verso qualcuno, specialmente se anziano, non abbia timore di avvicinarlo, di chiedergli scusa, di fargli capire il suo rammarico: simili manifestazioni, fatte con naturalezza e spontaneità, servono ad accrescere in tutti la stima pel Direttore. Ma oltre a queste cose che il Direttore deve praticare, altre ve ne sono ch´egli deve sforzarsi di evitare.
Ciò che un Direttore deve maggiormente temere è proprio di essere temuto: eviti perciò qualsiasi esteriorità o posa di comando. Chi comanda in nome di Dio comanda con umiltà e dolcezza, mai con agitazione, imperiosità o passione. La parola dolce moltiplica gli amici e soavemente soggioga eventuali nemici. Certi scatti poi non si possono scusare, anche se fatti con apparenza di zelo, di giustizia, di osservanza: la vera giustizia è piena di compassione, e l´osservanza di carità. Solo la giustizia egoistica e altèra ostenta sdegno.
Il Direttore, con vigile controllo su di sè, eviti agitazioni e turbamenti: l´animo turbato perturba pure la carità e, da un cuore in tempesta, non usciranno che parole di corruccio, spoglie di quella soavità, che sola può farle penetrare nei cuori. Persino esortando sono da evitare atteggiamenti o frasi che non siano l´espressione della più soave bontà. Anche l´esortazione, se appassionata, può contristare e ferire: ciò che si dice con animo sconvolto è piuttosto pungolo conficcato nelle carni che non mano amica che sollevi e indirizzi.
L´atteggiamento di bontà che deve risplendere nel Direttore potrebbe tra l´altro essere intaccato da manifestazioni di grettezza. Non vi è cosa che tanto alieni l´animo dei Confratelli quanto una economia taccagna, specialmente con gli ammalati; una simile taccia potrebbe chiudere al Direttore i cuori di una intera comunità. I Confratelli, animati da buono spirito, sanno distinguere la ben intesa economia dalla tirchieria o sordidezza.
Altro difetto da evitare, per non chiudere i cuori alla confidenza, è l´ostinatezza, che può anche degenuare in cocciutaggine, nel mantenere le proprie opinioni. Il Direttore deve quindi mostrare tutta la sta gioia di poter mutare di opinione allorchè si tratti di un difetto di un confratello, dopo aver udite le chiarificazioni addotte; e non solo dev´essere lieto di ricredersi, ma deve pure dichiarare e manifestare praticamente che è lieto di dimenticare ciò che meno esattamente gli era stato riferito.
Non è bene che il Direttore si esponga a perdere la confidenza dei Confratelli mostrandosi esagerato nell´insistere su certe piccole cose: l´avviso dato con opportunità e amorevolezza avrà maggior efficacia di una importuna e meno affettuosa insistenza.
La parola di chi non sia stimato, difficilmente troverà aperte le vie dei cuori, anche se essa esprime cose giuste e mirabili: ecco perchè non si raccomanderà mai sufficientemente ai Superiori di amare e di farsi amare. A essi pure, come a Pietro, Iddio, carità infinita, domanda anzitutto e ripetutamente amore, perchè nella carità è l´essenza e l´anima di ogni superiorità.
Il Direttore salesiano pertanto ami, ami sempre, ami tutti i suoi Confratelli: e a tutti sappia dire, specialmente nel soave ambiente del Rendiconto, la parola buona, serena, incoraggiante, costruttiva, feconda di santi propositi. Se egli saprà essere sempre padre, avrà la gioia di veder regnare sovrano nella sua Casa quello spirito di famiglia, che, essendo suggello della carità, mantiene l´unione delle menti e fomenta la carità dei cuori.
14. - CONCLUSIONE
La conclusione più cara e incoraggiante di ogni nostra trattazione suol essere uno sguardo dato al nostro santo Fondatore e Padre Don Bosco. Potremo fare lo stesso a proposito del Rendiconto ? Non v´ha dubbio, anche se S. Giovanni Bosco, vissuto anteriormente alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico, usò, nell´educare e santificare i suoi giovanetti, nel fondare e consolidare la sua Società, di due mezzi, sui quali ai suoi tempi la disciplina ecclesiastica non aveva fatto modificazioni sostanziali.
evidente che, se vivesse oggi, Don Bosco accetterebbe filialmente e pienamente le materne disposizioni della Chiesa, sia separando dalla carica di Superiore l´ufficio di confessore ordinario nella stessa Casa, sia ottemperando alle prescrizioni del canone 530, sulle quali ci siamo indugiati per renderne esatta ed esemplare l´osservanza.
Siamo però ugualmente certi che il nostro grande Padre, mentre ci esorterebbe alla piena e costante osservanza anche delle più minute leggi canoniche, ci spronerebbe al tempo stesso a praticare quelli ch´egli giudicò sempre come mezzi veramenti sostanziali per il bene della nostra Società e dei suoi figli, e cioè il Rendiconto obbligatorio della propria vita esteriore al Superiore e la spontanea manifestazione al medesimo di cose riguardanti la propria vita- di perfezione, manifestazione giudicata dalla Chiesa stessa come conveniente e perciò vantaggiosa al nostro profitto spirituale.
Anzi, al nostro cuore di figli torna particolarmente gradito il constatare che, già tanti anni prima del Codice di Diritto Canonico, il nostro santo Fondatore scriveva nel Proemio alle Costituzioni le seguenti parole, da noi ricordate a suo luogo: «Ma si noti bene che il rendiconto si raggira solamente in cose esterne e non di Confessione ».
Pertanto, mentre ammiriamo i frutti di santità che il nostro santo Fondatore ottenne ai suoi tempi, sia come Superiore, sia come confessore ordinario della Casa, nonchè con doni e carismi straordinari che gli permettevano di leggere con piena sicurezza nelle coscienze dei suoi figliuoli e di avviare sulle cose viste conversazioni intime con gl´interessati, nessuno di noi deve lascarsi prendere dallo scoraggiamento, quasi che la Chiesa ci avesse privato dei due più volte menzionati mezzi di santificazione e di apostolato. No, i due mezzi sostanziali, — il Rendiconto obbligatorio e la spontanea manifestazione di coscienza, — restano. Noi li abbiamo considerati nel corso di questa circolare, ed ora, prima di conchiudere, li riassumiamo in breve.
Diciamo adunque che da quando lo stato religioso entrò nella fase della vita in comune, la cosiddetta traditio in manus Superioris, ossia la volontaria consegna di sè al legittimo Superiore, è diventata l´elemento giuridico centrale della vita religiosa stessa. Ora è logico che il sottrarsi ai Resoconti d´Ufficio e al Rendiconto della propria vita esteriore sia uno sfuggire dalle mani del Superiore: e noi promettiamo a S. Giovanni Bosco di tener lontana dalla Società Salesiana e dai suoi membri tale iattura.
Ma, come abbiamo più volte ricordato, la nostra Società riceve dallo spirito di famiglia una caratteristica, di cui non potrebbe mai spogliarsi senza venir meno, non solo agli intenti del santo Fondatore, ma anche all´aspettazione della Chiesa, che è gelosissima custode del genuino spirito delle varie famiglie religiose. Com´è evidente, anche da questo punto di vista deriva che non ci sia mezzo migliore per conservare tale caratteristica che dare al Rendiconto il tono di una filiale apertura di cuore al proprio Superiore: ed è quello che noi cercheremo sempre di fare, fedeli allo spirito dell´amatissimo nostro Padre.
Inoltre, siccome in ogni famiglia religiosa si deve necessariamente tendere alla perfezione, e l´apertura d´animo anche per quanto riguarda la direzione spirituale strettamente intesa, al Superiore sacerdote, è mezzo attissimo di perfezione, ecco che la Chiesa, pur non imponendola, vietando anzi al Superiore di esigerla, non potè far a meno di raccomandarla. E anche riguardo a questa raccomandazione noi Salesiani abbiamo una norma sicura nelle Costituzioni, le quali, non solo esprimono il genuino spirito del nostro santo Fondatore, ma sono la precisazione di quanto la Chiesa raccomanda in genere ai membri delle religioni chiericali.
Il Signore dia sempre alla nostra Società Direttori zelanti che, coltivando in se stessi le doti da noi ricordate, siano sempre più somiglianti a S. Giovanni Bosco. Così sarà facile ai Confratelli avere in essi piena fiducia e aprire loro con tutta libertà il cuore per averne quella direzione che li aiuti a progredire a grandi passi per la via della perfezione cristiana, religiosa, salesiana.
Maria Ausiliatrice ci conceda la grazia di usare sempre bene del Rendiconto, a vantaggio nostro, delle anime e dell´amata nostra Società.
Pregate pel vostro aff.mo in G. e M.
SAC. PIETRO RICALDONE
INDICE
1. Introduzione ...................................................... pag. 1
2. I Resoconti d´Ufficio ................................................ » 2
3. Il Rendiconto della propria vita, esteriore »......... 7
Il Rendiconto nell´ambiente di filiale confidenza.... » 7
Il Rendiconto alla luce soprannaturale . . . . ............ » 8
4. L´articolo 480 delle Costituzioni ........................ » 10
5. Gli otto punti ........................................................ » 13
La sanità ................................................................... » 14
Studio e lavoro ........................................................ » 17
I propri doveri ........................................................... » 20
Pratiche di pietà ...................................................... » 22
SS. Sacramenti ....................................................... » 26
Osservanza religiosa ............................................. » 30
Doveri esteriori di carità fraterna........................... » 38
Eventuali disordini nella Casa ............................. » 40
6. L´importanza della vita interiore ....................... » 44
Il segreto dell´espansione della Società Salesiana . . . » 44
Il segreto della operosità feconda e salutare dei Salesiani » 47
7. Il Superiore e la nostra vita di perfezione interiore . . . » 54
La Chiesa sempre tenera Madre .......................... » 54
L´aiuto del Direttore ................................................ » 58
8. I « dubbi e ansietà di coscienza » ................... » 59
9. Il Direttore della Casa è anche Direttore. Spirituale . . . » 62
10. L´expedit: conviene del canone 530 e dell´articolo 470 delle Costituzioni » 66
Riguardo alla direzione spirituale non sacramentale . . » 69
Riguardo ai dubbi circa la vocazione ........................................................................ » 71
11. Brevi cenni circa l´evoluzione della disciplina ecclesiastica riguardante le Confessioni e il Rendiconto ................................................................ pag. 77
12. Modalità del Rendiconto.................................. » 84
Il tempo ..................................................................... » 84
Il luogo ...................................................................... » 89
e) Altre avvertenze .................................................. » 89
13. Doti richieste in chi riceve i Rendiconti ........ » 92
La scienza del Direttore ......................................... » 92
La prudenza del Direttore ...................................... » 98
e) La bontà del Direttore ...................................... » 104
14. Conclusione ................................................... » 108