Omelia nel 50mo anniversario di Professione Religiosa Salesiana
Cari fratelli in Cristo Signore,
sono lieto di celebrare questa eucaristia in occasione dei 50 anni di Professione Religiosa Salesiana. La data esatta, 16 Agosto, coinciderà con l’inizio del Giubileo del Bicentenario della nascita di Don Bosco e in parte con l’Anno della Vita Consacrata.
Tutto ciò mi offre l’opportunità di ringraziare il Signore che nella sua bontà e misericordia ha voluto guardarmi con predilezione, scegliermi e chiamarmi a seguirlo ed imitarlo dietro le orme di Don Bosco. Oggi sto qui, insieme a voi, per dirGli il mio grazie per la sua fedeltà e per tutti quanti sono stati suoi efficaci mediatori.
Ho voluto scegliere come brani biblici la vocazione di Geremia e la parabola della Vite e i tralci, che è diventata icona nel CG27 per una vita salesiana fortemente radicata in Cristo sì da diventare altri Cristo, vangeli viventi.
La vocazione di Geremia richiama la dimensione carismatica e profetica della Vita Consacrata, cui non può rinunciare se vuole essere davvero una ‘riserva di umanità’ che fa crescere la fede, rinnova la Chiesa e trasforma la Società. Il brano di Giovanni traccia assai bene i tre elementi che di forma sostanziale caratterizzano la nostra vita di discepoli missionari di Cristo: essere radicati in Cristo, dunque persone con forti radici evangeliche; rimanere uniti a Lui, dunque persone che partecipano della sua linfa vitale e fanno propria la sua consacrazione a Dio, la sua comunione con Lui e la partecipazione alla sua missione; collaborare nella sua missione, dunque persone con passione per il Regno, generose, feconde e felici.
Sia la celebrazione del Bicentenario della nascita di Don Bosco sia l’Anno della Vita Consacrata dovranno giovare il nostro rinnovamento personale e istituzionale per rispondere meglio alle attese di Dio e di giovani su di noi e ai bisogni della Chiesa e del mondo.
Parlare di Vita Religiosa e Profezia è in certo modo una tautologia, nel senso che per sua natura la Vita Religiosa è Profezia, anche se questa non si riduce a quella, perché è anzitutto carismatica. E non mi riferisco alle forme con cui la Vita Religiosa ha contribuito al rinnovamento della Chiesa in diversi momenti della storia, né al servizio solidale all’umanità, bensì alla sua caratteristica di impegno, con un voto esplicito, di seguire ed imitare la passione di Cristo per il Regno, la sua docilità allo Spirito e il suo stile di vita obbediente, povero e casto. Il frutto di ciò è stato il paradosso del Vangelo o la “scientia crucis” che, rovesciando la mentalità mondana e i criteri di successo umano, hanno fatto dal cristianesimo un lievito culturale e, in non pochi casi, un vero movimento contro-culturale.
Ebbene, oggi più che mai la Chiesa e il mondo hanno bisogno di noi, cultori di una vita consacrata profetica che, davanti ai grandi problemi dell’umanità e a disegni precisi di organizzare il tessuto sociale e politico prescindendo da Dio, annuncia il disegno meraviglioso di Dio, denuncia tutto ciò che attenta contro di esso, sia per quel che riguarda il creato sia per quel che si riferisce alla persona umana, e lo incarna nella propria vita.
Come Elia, siamo chiamati a sfidare tutti i falsi profeti ed a rendere palese l’unicità di Dio; come Amos e Michea, la nostra missione è quella di aiutare a superare il divorzio tra fede e vita e a fare dei poveri, specie quelli sfruttati, una scelta preferenziale; come Osea, la nostra vocazione è quella di lavorare per la fedeltà della Chiesa, mentre incarniamo la tenerezza di Dio e il suo costante impegno per l’uomo; come Isaia, da noi si attende la visibilità della santità di Dio; come Geremia, ci si chiede di lottare contro ogni forma di false sicurezze, per poter edificare sulla roccia e non sulla sabbia; come Ezechiele, dobbiamo ridare speranza a un popolo che sente l’abbandono e il silenzio di Dio, e sognare e disegnare la sua risurrezione; come il Deutero Isaia, anche noi dobbiamo annunciare e guidare un nuovo esodo; come Aggeo e Zaccaria, abbiamo il compito di scuotere il torpore e la tiepidezza del popolo che, deluso della salvezza di Dio, ha cominciato a vivere dimentico di Lui, votato ai propri interessi. Come Pietro, anche noi siamo chiamati a dire a questa umanità: «non abbiamo oro né argento, ma nel nome di Gesù alzati e cammina»; e, infine, come Paolo, la nostra vocazione è difendere “la verità del Vangelo” e diventare apostoli instancabili fino a che Cristo, e questo Crocifisso, sia annunciato ovunque.
La nostra profezia non deve essere qualcosa di esterno a noi, come può accadere con i profeti di sventure, che non fanno altro che annunciare sciagure e castighi, o con i profeti di corte, che non fanno altro che accarezzare gli orecchi degli ascoltatori, o con i profeti della rivendicazione sociale, che anatematizzano un sistema politico o economico e ne canonizzano un altro, senza vedere il bisogno che c’è di redimere ogni realtà umana. La nostra profezia nasce dalla compassione di un Dio appassionato per la salvezza dell’uomo. Se il profeta è l’uomo che conosce e patisce la passione di Dio per il suo popolo, da essa e per essa egli vive (Abraham Heschel). La vita consacrata sarà profetica, se saprà rendere testimonianza di quest’amore appassionato di Dio.
La profezia della vita consacrata è quella di Gesù, il profeta di Dio, che, come nuovo Mosè, «ha parlato con Dio faccia a faccia…, così da poter comunicare la volontà e la parola di Dio di prima mano, senza falsificarle. Ed è questo che salva, questo che la Chiesa e l’umanità stanno aspettando»[1]. La profezia della vita consacrata è quella di Gesù, che non è venuto per essere servito ma per servire, che è venuto non a fare la propria volontà bensì quella del suo Padre, che non è venuto a portarci altro che Dio. Questa e non altra è la profezia che siamo chiamati a incarnare nel mondo d’oggi.
Maria, che attraverso il canto del Magnificat ha espresso la sua spiritualità piena di profezia e ci ha fatto vedere la rivoluzione che ha significato per Lei l’elezione di Dio, continui ad accompagnare la Vita Consacrata, in genere, e la nostra vita salesiana in particolare perché sia ricolma di passione per Dio e di passione per l’umanità. Allo stesso tempo, trovandomi a celebrare questo giubileo a Roma, non posso non riaffermare il nostro “sensus Ecclesiae”, al cui servizio e per la cui santità lo Spirito Santo ha suscitato la Vita Religiosa e la nostra amata Congregazione. Forse la profezia più grande ed eloquente che oggi siamo chiamati ad offrire al mondo è proprio quella della nostra santità, che altro non è che la totale consacrazione a Dio e la completa dedizione ai giovani, specialmente i più poveri, i più bisognosi ed esclusi, come ha fatto splendidamente Don Bosco.
Don Pascual Chávez V,, SDB