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P.F.Frisoli: Ridisegnare le presenze salesiane nelle Ispettorie d'Europa

MESSAGI - PROGETTO EUROPA

 

Ridisegnare le presenze salesiane nelle Ispettorie d’Europa

“Significatività, ridimensionamento, ricollocazione”
Roma, 27 novembre 2010

INTRODUZIONE. PERCHÉ RIDISEGNARE?

                        Aprendo i lavori della seconda convocazione degli ispettori d’Europa, il 28 novembre 2008, il Rettor Maggiore richiamava l’indicazione del Capitolo generale 26° sulle nuove frontiere della Congregazione:

“Per affrontare le esigenze della chiamata e le sfide provenienti dalla situazione e per realizzare le linee di azione conseguenti, è necessario convertire mentalità e modificare strutture” (CG 26, 104);

e così commentava: “I due obiettivi della conversione personale e della trasformazione della presenza salesiana dovranno essere realizzati al contempo, ma in quest’ordine”. Ecco il punto di partenza di questa relazione.
                        Perché ridisegnare? Come ridisegnare? Cosa significa ridisegnare? Se è da persone  sagge domandarsi sempre il perché ed i significati delle cose, lo è ancor più quando tali domande non sono accademiche, ma preludono a decisioni importanti, gravide di conseguenze per la vita dei confratelli, il permanere delle comunità locali, la situazione dei giovani e, addirittura possono toccare il futuro di un’istituzione mondiale.
                        Dopo il CG 20° si iniziò a parlare della necessità di ridimensionare le opere, poi di rinnovare l’esistente e inventare il nuovo, quindi di ricollocare, e poi di risignificare. Il titolo della relazione invita a ridisegnare le presenze. Sinonimi? Termini intercambiabili a piacimento? Direi di no. Perché ciascuno di essi introduce sfumature e significati diversi. Nelle Costituzioni e nei Regolamenti generali non compaiono esattamente  questi termini, eppure – come vedremo – essi vengono richiamati in modo evidente.
                        Perché ridisegnare?  Come avvio della riflessione, segnalo alcune ragioni. Anzitutto ragioni interne.  L’invecchiamento e la contrazione del personale ci pongono dei problemi non rinviabili: “Da dove ritirarci?”. Ma anche l’eventuale esuberanza di personale ci fa porre interrogativi: “Dove collocarci?”
                        Individuo poi delle ragioni sociali, quali ad esempio la situazione giovanile mutevole, i cambi delle leggi civili, la nascita nel medesimo territorio di nuove opere educative, lo spopolamento di quartieri, l’arrivo di immigrati, ecc.
                        Infine, possiamo pensare a ragioni ecclesiali e carismatiche: il Magistero della Chiesa universale e particolare, gli orientamenti della Congregazione, le lettere del Rettor Maggiore, comprese quelle specifiche alle singole ispettorie dopo una vista straordinaria.
                        Al fondo di qualsiasi argomentazione potremmo porre, infine,  il dato antropologico della storicità dell’essere umano ed il dato teologico dell’incessante azione dello Spirito Santo che “rinnova la faccia della terra”, come affermiamo ogni mattina introducendo la meditazione in comune.
                        Questo discorso generale diventa urgente e pressante se guardiamo all’Europa. Il CG 26 ha descritto con lucidità la situazione:

“Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un progressivo indebolimento delle presenze salesiane in alcune nazioni d’Europa. Il preoccupante calo delle vocazioni ha impegnato i confratelli a mantenere il più possibile le presenze coinvolgendo i laici, a ridefinire i confini delle ispettorie, a costruire progetti comuni per meglio rispondere alle sfide dell’educazione e della evangelizzazione. Si percepisce la non sostenibilità di tale sforzo senza un progetto coraggioso da parte di tutta la Congregazione (CG 26, 102).

                        Parole che non lasciano spazio ad equivoci circa l’urgenza di un lavoro che riguarda, dunque, non  tanto il se, ma il come ridisegnare. 

1. IL SIGNIFICATO DI PRESENZA

                        Mentre le Costituzioni ed i Regolamenti parlano più spesso (22 volte) di opere , il termine presenza, come sinonimo di attività od opera, ricorre solo 2 volte, entrambe nei Regolamenti generali . Sono essi sinonimi? In che senso parliamo di presenza? Quali le relazioni tra la presenza e le opere?
                        La presenza fa riferimento a qualcos’altro che si rende presente. E cos’è quest’ altro? E’ il carisma specifico di un Istituto. Esso per avere continuità e stabilità nel tempo, per avere visibilità ed espressione, deve incarnarsi in un’ opera, in opere concrete, visibili, riconoscibili. Le intuizioni del fondatore non durano senza una successiva fase di istituzionalizzazione, di regolamentazione, di stabilizzazione in opere.
                        Se questo è vero, non è scontato però che un’opera religiosa per il fatto stesso di esistere, renda presente il carisma, né che la vitalità del carisma si misuri dal permanere delle opere. Le opere possono continuare a procedere con un moto inerziale, perdendo progressivamente  capacità propositiva e significatività; possono brillare di gloria passata come stelle la cui luce è ancora visibile, ma che da tempo hanno esaurito la loro energia; possono avere una grande storia da raccontare, ma non avere più una parola da dire nello scenario sociale ed ecclesiale di oggi.
                        La dialettica tra presenza del carisma ed opera è bene espressa dalla lettera-sogno  scritta da Roma nel maggio 1884. A Valdocco c’era certamente un’opera, conosciuta e stimata da tutti a Torino, fiorente, con centinaia di ragazzi e decine di salesiani, ma in quel tempo languiva la presenza del carisma nei suoi elementi fondamentali. Al contrario, molti anni prima, nell’atrio del cimitero di San Pietro in Vincoli od ai Mulini della Dora o sui prati di Valdocco non vi era ancora un’opera, ma c’era certamente una “presenza” di vita, di energia carismatica. Pensiamo con commozione alle presenze salesiane nascoste ed eroiche dei confratelli dell’Est Europa, quando non era possibile esprimersi in opere.
                        Il titolo, quindi, fa riferimento alla necessità di ridisegnare le presenze, e quindi la presenza del carisma salesiano, piuttosto che al tentativo di far “sopravvivere” ad ogni costo delle opere.
                        Quali sono gli elementi che caratterizzano una presenza? In essa si dovrebbero condensare tutti gli aspetti fondamentali della vita consacrata, anzitutto le persone dei singoli consacrati, “il tono della loro vita, quello in cui credono e per cui si giocano, le loro scelte di fronte alle alternative che presenta la nostra cultura, quello che si propongono di essere e quello che riescono a comunicare. Attorno al fondatore spiccarono sempre persone singole, capaci di sequela e creatività. Ciò va rilevato per scongiurare il rischio di pensare le presenze, nel momento di ridisegnarle, soltanto in termini di istituzioni, opere e strutture” .
                        In secondo luogo, “la presenza comprende la vita della comunità: il suo stile di rapporti, la sua capacità di accoglienza, partecipazione e coinvolgimento nel contesto, la sua vicinanza alla gente, le manifestazioni della sua scelta di Dio interpretabili dal popolo. La comunità infatti si pone come segno della fraternità, della comunione ecclesiale, della presenza di Dio nella Famiglia umana” .
                        In terzo luogo, l’immagine che la presenza dà, “dipende dal tipo di servizio che si intende offrire, dalla mentalità con cui lo si presta, dalla collocazione in un contesto culturale e sociale, dai mezzi” .
                        Ma la singola presenza non è una monade, essa è collegate con altre presenze del medesimo carisma e dunque, “collegandosi, danno insieme un’immagine, diventano come l’espressione di una forma di vita consacrata. Viviamo in ampi spazi intercomunicanti. Immagini e messaggi si diffondono, si confrontano, si sommano. Le iniziative si completano a vicenda e si integrano. Per incidere si consigliano le sinergie, il lavoro ‘in rete’. E’ dunque oggi indispensabile considerare anche la presenza ‘a raggio ampio’ di una provincia sul suo territorio, quella dell’Istituto medesimo in ambito più largo e forse della vita consacrata presa nella sua totalità almeno per quanto riguarda alcune prese di posizione. Ciò apre prospettive particolari” .

 

2. CRITERI COMUNI DI DISCERNIMENTO SULLE PRESENZE

2. 1 Le Costituzioni ed i Regolamenti generali

                        Il punto di partenza per ogni nostra riflessione non possono che essere le Costituzioni ed i Regolamenti generali. Prima di entrare nel tema specifico, credo utile richiamare l’art. 19 delle Costituzioni. Esso indica nella creatività e nella flessibilità dei tratti caratteristici dello spirito salesiano. Essi sono due pre-requisiti spirituali e mentali, prima ancora che operativi, e fanno da sfondo al nostro discorso:

“Il salesiano è chiamato ad avere il senso del concreto ed è attento ai segni dei tempi, convinto che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze del momento e dei luoghi.
Di qui il suo spirito di iniziativa: ‘Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità’.
La risposta tempestiva a queste necessità lo induce a seguire il movimento della storia e ad assumerlo con la creatività e l’equilibrio del Fondatore, verificando periodicamente la propria azione”

                        Nella breve sezione Criteri di azione salesiana che comprende 4 articoli (dal 40 al 43) sono indicati i criteri che devono ispirare l’attuazione concreta della nostra missione nelle diverse attività ed opere. L’esperienza di Valdocco che fu allo stesso tempo casa, parrocchia, scuola e cortile resta il “criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera” (art 40), quello che fa di ciascuna di esse presenza autentica del carisma.
                        Per dare alle nostre attività e opere la fisionomia impressa da Don Bosco, l’articolo 41 segnala i 3 criteri fondamentali. Il titolo è esplicito: Criteri ispiratori per le nostre attività ed opere. Essi sono facilmente individuabili nelle tre sezioni dell’articolo.

L’attenzione alle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo
“La nostra azione apostolica si realizza con pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo”.

 

La finalità educativa pastorale
“Attuiamo la carità salvifica di Cristo, organizzando attività ed opere a scopo educativo pastorale, attenti ai bisogni dell’ambiente e della Chiesa. Sensibili ai segni dei tempi, con spirito di iniziativa e costante duttilità le verifichiamo e rinnoviamo e ne creiamo di nuove”.

La possibilità di contatto diretto con i giovani, specie i più poveri
“L’educazione e l’evangelizzazione di molti giovani, soprattutto fra i più poveri, ci muovono a raggiungerli nel loro ambiente e a incontrarli nel loro stile di vita con adeguate forme di servizio”.

                        L’articolo è ricco di spunti. Esso suggerisce con evidenza che attività e opere hanno un valore strumentale. Esse non sono il fine, al cui mantenimento sacrificare uomini e risorse. Esse sono un mezzo per rispondere alle concrete esigenze di coloro a cui ci dedichiamo.  Perciò “le attività e le opere sono da pensare e ripensare costantemente in rapporto ai destinatari e in relazione ai loro bisogni. Nessun opera ha in se stessa un valore assoluto” .
                        L’esigenza di un’identità chiara è espressa con forza nel secondo paragrafo. Il Commento alle Costituzioni cita letteralmente il CGS: “Il principale criterio perché un’opera rimanga aperta o chiusa è la possibilità o meno in essa di autentica azione pastorale” (CG 20, 398).
Tale identità è richiesta dalla natura della nostra missione che partecipa della missione salvifica della Chiesa, si svolge all’interno della Chiesa, in comunione con altri carismi e in risposta a specifici bisogni delle Chiese particolari.
                        Nel medesimo paragrafo troviamo preziose indicazioni per la nostra ricerca. Se le opere possono avere una pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo e non hanno valore assoluto, le verifichiamo e rinnoviamo e ne creiamo di nuove: è appunto quanto siamo chiamati a fare mediante la verifica della significatività, il ridimensionamento, la ricollocazione. Questo richiede sensibilità ai segni dei tempi, spirito di iniziativa e costante duttilità: atteggiamenti tipici dello spirito salesiano, come abbiamo visto (cfr. Cost. 19).
                        Nell’ultimo paragrafo, infine, troviamo espresso con chiarezza un terzo criterio fondamentale: la possibilità di contatto diretto con i giovani, di prossimità fisica (ci muovono a raggiungerli nel loro ambiente) e di vicinanza mentale (e a incontrarli nel loro stile di vita con adeguate forme di servizio). Se un’opera nel suo complesso non  consente di attuare questo contatto diretto o se il peso della gestione di essa  tiene, di fatto, lontani dai destinatari, quell’opera ha perso la sua significatività salesiana.
                        Le “adeguate forme di servizio”,  citate in conclusione richiamano l’incipit dell’articolo (“pluralità di forme”), a significare che le nostre opere sono a servizio dei giovani e delle loro esigenze, e non viceversa.

                        La sezione si conclude con due articoli (Cost. 42 e 43) in cui viene esemplificata tale pluralità di forme. Essa comprende sia strutture fisicamente riconoscibili e circoscrivibili (oratori, scuole, convitti, parrocchie, residenze missionarie, ecc.), sia quella vasta opera, priva di mura, che è la comunicazione sociale, le moderne agorà dove circolano una pluralità di messaggi e nelle quali i giovani sempre più si incontrano e comunicano.
                        Tale elenco di attività e opere, pur ampio, non è esaustivo, perché ci dedichiamo ad ogni altra opera che abbia di mira la salvezza della gioventù. Questa bellissima “chiusa” che riecheggia la testimonianza di Don Rua su Don Bosco (Cost. 21), sta ad indicare che le attività ed opere, in definitiva, dovrebbero essere presenze, presenze multiformi e vive di Don Bosco e della sua passione apostolica.
                        Che le opere non siano una realtà fissa ed immutabile nel tempo si evince chiaramente anche da altri articoli più “tecnici”. Li riporto brevemente.

C 77,3 “La scelta delle attività e l’ubicazione delle opere rispondano alle necessità dei                             bisognosi”.
C  165   “E’ necessario che l’ispettore abbia il consenso del suo Consiglio nei seguenti casi:
              §5 la richiesta al Rettor Maggiore e al suo Consiglio dell’autorizzazione ad aprire e chiudere
              case, a modificare lo scopo delle opere  esistenti e ad intraprendere opere straordinarie”.
C  181,2 “Il direttore deve avere il consenso del suo Consiglio per :
               §2 - proporre all’ispettore nuove sperimentazioni e cambiamenti sostanziali                                 nell’indirizzo dell’opera.
R 167, 3  Oltre quanto previsto nell’articolo 171 delle Costituzioni, spetta al Capitolo ispettoriale:
               §3 suggerire linee e criteri di progettazione e riorganizzazione delle opere dell’ispettoria;

2.2 I Capitoli Generali 24, 25, 26

                        Gli ultimi 3 Capitoli generali hanno toccato il tema delle presenze salesiane, a partire ciascuno da una prospettiva diversa: quella della comunione e condivisione nel carisma e nella missione tra salesiani e laici, quello della comunità salesiana, quello della missione evangelizzatrice.

                        Il CG 24° dà un apporto fondamentale al tema sul come e perché ridisegnare le presenze. La risposta è chiara. Perché è radicalmente cambiato lo scenario e sono cambiati i soggetti. Esso riconosce che la missione non è realizzata solo  dalla comunità salesiana, ma è partecipata da un vasto movimento di persone. Citando la relazione del Vicario del Rettor Maggiore fatta in apertura dei lavori, il CG 24 descrive con estrema chiarezza tale nuova situazione:

“Il modello operativo condiviso un po’ dappertutto riconosciuto valido e come l’unico praticabile nelle condizioni attuali, è il seguente: ‘Salesiani come nucleo animatore, il coinvolgimento e la corresponsabilità dei laici,  l’elaborazione di un progetto possibile, adeguato ai destinatari, alle forze e al contesto.
Il ruolo effettivo dei Salesiani in tale modello è però differenziato. In non poche opere essi riescono a costituire il nucleo suddetto; in altre ormai vanno diventando una presenza di accompagnamento e di garanzia; e in altre  un appoggio e un orientamento a distanza’”. (CG 24, 39).
                                                                                                                                                        
               Per ridisegnare le presenze nell’ Ispettoria, od avviare operazioni di ridimensionamento o di ricollocazione delle opere sono operazioni da compiere tenendo conto di questo nuovo modello di gestione delle opere che prevede – come condizione essenziale - il coinvolgimento, la corresponsabilità, la comunicazione, la formazione dei laici.
               Senza l’assunzione sistematica di questi impegni, c’è il rischio concreto che i salesiani non siano più gli ispiratori e gli animatori di un progetto condiviso, ma i proprietari degli immobili ed i datori di lavoro di imprese a sfondo educativo. In tal caso non vi sarebbe più una vera comunione e  condivisione tra salesiani e laici nello spirito e nella missione, ma semplicemente un avvicendamento dei laici ai salesiani ed una progressiva emarginazione di questi verso compiti ininfluenti ed insignificanti.
                        Il CG 24, poi, nella parte terza e sotto il titolo Situazioni particolari di novità, affronta la situazione, possibile ed in crescita, di attività ed opere interamente gestite da laici all’interno del Progetto ispettoriale salesiano. Indica i criteri in base ai quali tali opere possono essere considerate appartenenti al progetto ispettoriale (criterio di identità, di comunione e di significatività) e segnala in modo preciso le responsabilità, rispettivamente, dell’Ispettoria e dei laici nella conduzione di tali opere. Si tratta di operazioni delicate e per questo il Capitolo richiama la necessità di considerare anche gli aspetti legali di tali operazioni, quali l’attenzione agli Statuti e le convenzioni per regolare i reciproci rapporti (CG 24, 180-182).

                        Il CG 25° guarda alle presenze dalla prospettiva della comunità salesiana. Se è vero che “la missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto” (Cost. 3), essa non assorbe in sé gli altri due “elementi inseparabili della nostra consacrazione”, cioè “la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici” (ibid). La comunità non è un elemento secondario, funzionale, organizzativo, o addirittura riconducibile solo al luogo di residenza di singoli operatori pastorali. Il CG 25 ha fatto rilevare con chiarezza che non è ininfluente ai fini della fecondità della missione la qualità della vita fraterna della comunità, la sua testimonianza evangelica, la sua capacità di accogliere e di essere presente tra i giovani, la possibilità di autoformazione. Nell’ultimo orientamento operativo, il CG 25 dà un contributo esplicito sul tema della significatività che riprenderò integralmente più avanti.
 
                        Il CG 26°, nel capitolo V sulle Nuove Frontiere, affronta in modo esplicito il tema dei Nuovi modelli di gestione delle opere. Nella parte dedicata alla chiamata di Dio esso segnala che

“i nuovi bisogni dei giovani domandano il distacco personale da ruoli, situazioni e legami che minacciano la reale disponibilità al cambio, come pure il coraggio apostolico che dispone a ripensare iniziative ed opere per meglio rispondere alle loro domande” (n. 100)

                        Si fa riferimento ad un nuovo modello di gestione delle opere e se ne enumerano le condizioni che lo rendono possibile:

“che sia garantita la consistenza quantitativa e qualitativa della comunità; la corresponsabilità reale dei confratelli e dei laici; la disponibilità del direttore per il suo compito primario; la promozione di nuove forme di presenza più flessibili; la programmazione comune con la Famiglia salesiana e il lavoro in rete con altre organizzazioni e agenzie educative, in sinergia con la Chiesa locale e la società” (ibid.).

A tali condizioni sarà possibile

“dar vita a ‘nuove presenze’, ossia a progetti inediti in risposta ai bisogni emergenti, o di rinnovare le opere e le proposte già esistenti, così da renderle ‘presenze nuove’, ossia più efficacemente orientate alla missione” (ibid.).

                        L’analisi della situazione riconosce che “in alcune ispettorie si sono ottenuti buoni risultati formando, coinvolgendo e corresponsabilizzando i laici”, ma tale attenzione non è stata ancora adeguatamente assunta in tutte le nostre presenze:

“Talvolta si riscontra un modello organizzativo che non ha saputo rinnovarsi secondo le esigenze dei tempi; permane una mentalità ereditata dallo stile tradizionale di conduzione delle case. Ciò si manifesta, per esempio, nella impostazione rigida delle attività, nella insufficiente attenzione ai ritmi di vita dei giovani, nella lentezza a ricollocare e riqualificare presenze ed opere, nella difficoltà a corresponsabilizzare i laici nei ruoli decisionali (n. 103).

L’ampliamento progressivo di alcune opere le ha portate

“a dimensioni difficili da gestire e non più in grado di rispondere alle nuove povertà con l’agilità e l’urgenza che queste richiedono” (ibid.).

                        Come  è facile notare, l’analisi è precisa e molto aderente alla realtà. Ne scaturisce una linea di azione specifica: “Rivedere il modello di gestione delle opere per una presenza educativa ed evangelizzatrice più efficace” (n. 112).
                        Con queste parole, si riconosce con evidenza che l’efficacia della missione è influenzata non solo dalla qualità delle persone, o dalla metodologia pastorale, ma anche dalle condizioni “strutturali” dell’opera. Esse possono favorire od ostacolare la missione. Ne scaturiscono degli impegni tutti rivolti alla ispettoria. Essa:

  1. rafforzi la consistenza quantitativa e qualitativa della comunità salesiana e la aiuti a discernere quale è la sua responsabilità principale nella animazione dell’opera;
  2. individui gli interventi necessari per avviare “nuove presenze” o per rinnovare quelle esistenti in modo che siano meglio orientate alla missione;
  3. ripensi la distribuzione delle responsabilità nelle singole comunità, verifichi il funzionamento dei consigli ai vari livelli perché il direttore possa svolgere il suo compito primario;
  4. rifletta sulla complessità delle opere ed individui nel piano organico ispettoriale forme più agili di presenza;
  5. solleciti e valorizzi l’apporto della Famiglia salesiana in vista di una progettazione comune della presenza sul territorio;
  6. favorisca il lavoro in rete con soggetti della Famiglia salesiana, della Chiesa e della società” (n. 113).

                        Il quadro degli interventi proposti è chiaro ed organico. Anche in attuazione ad un’altra linea di azione la 15^ (Operare scelte coraggiose a favore dei giovani poveri e a rischio) si invitava l’ispettoria a prendere con coraggio

“dove è necessario, la decisione di ricollocare e ridimensionare le sue opere perché siano a servizio dei giovani poveri e dei ceti popolari” (n. 107).

                        Infine, una deliberazione del CG 26 riguarda esplicitamente il rapporto tra comunità ed opera. In base ad essa,

“è data facoltà all’Ispettore, avuto i consenso del suo Consiglio ed all’interno del Progetto organico ispettoriale, di:

  1. individuare quali opere o settori di opere, pur rimanendo il riferimento ad una comunità locale, possono essere affidate alla gestione di laici,
  2. definire le loro responsabilità, i criteri di nomina, la durata delle cariche, i processi decisionali e gli organi di governo; le competenze del Direttore e del Consiglio locale, le competenze dell’ispettore e del Consiglio ispettoriale” (n. 120).

Sono interessanti le motivazioni che precedono la deliberazione:

“Il Capitolo Generale 26 riconosce anzitutto la pluralità di modelli di gestione delle opere, attualmente in atto in Congregazione:

  1. opere gestite da una comunità salesiana che è nucleo animatore di una più ampia comunità educativa pastorale;
  2. attività ed opere interamente affidate dai Salesiani ai laici, o create dai laici, e riconosciute nel Progetto ispettoriale secondo i criteri indicati dal CG 26, nn. 180-182;
  3. modalità di gestione diversificate non riconducibili ad un unico modello, nelle quali permane il rapporto tra una comunità locale e l’opera (o più opere), ma queste (o settori di essa) sono gestite da laici” (ibid.).

                        In questo scenario pluriforme occorre però tenere ferma e considerare irrinunciabile una condizione:

“la necessità di assicurare la consistenza qualitativa e quantitativa  delle comunità, per garantire il ‘vivere e lavorare insieme’ che ‘è per noi salesiani una  esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione’ (Cost. 49)” (ibid.).

3. CRITERI SPECIFICI DI DISCERNIMENTO SULLE PRESENZE

                        Dopo questa lungo confronto con i testi costituzionali ed il magistero della Congregazione degli ultimi anni, abbiamo tutti gli elementi per operare una sintesi. 

3.1 Criteri operativi per la significatività: rendere nuove le presenze.

                        I termini significativosignificatività derivano da signum  facere, cioè lasciare una traccia, incidere. Una presenza salesiana è significativa, se non passa indifferente nell’ambiente circostante, se incide efficacemente, se ha una identità che la distingue, una visibilità che la rende individuabile ed accessibile, una credibilità che la rende efficace.
                        Ma da quali fattori può dipendere tale qualità? Su quali leve agire per rendere nuove presenze già esistenti?
                        Il CG 25°, nell’ultimo orientamento dà una risposta articolata. Esso enumera sette criteri:
“Nell’elaborazione e revisione del Progetto Organico Ispettoriale, l’Ispettore e il suo Consiglio, coadiuvato da un’équipe operativa, valutano la significatività della missione delle singole opere e presenze sulla base dei seguenti criteri:

  1. la consistenza qualitativa e quantitativa della comunità salesiana;
  2. la possibilità di una vita religiosa fraterna secondo lo stile salesiano, leggibile e significativa per i giovani e per i laici collaboratori;
  3. la presenza tra i giovani, specialmente i più poveri e bisognosi, vivendo intensamente il Sistema Preventivo;
  4. la capacità di offrire risposte di qualità educativa ed evangelizzatrice alle sfide che provengono dal mondo giovanile e dal contesto sociale;
  5. la capacità di aggregare altre forze (laici, giovani, Famiglia Salesiana, altre ispettorie ed organizzazioni) e di suscitare vocazioni ecclesiali, con attenzione particolare per la Famiglia Salesiana;
  6. la promozione di presenze agili e leggere, che permettano un dinamico adeguamento al cambiamento delle realtà;
  7. la capacità di collaborare e di incidere in modo efficace e profetico nella trasformazione evangelica del territorio” (GC25 n.84).

                        Riprendo brevemente ciascuno di tali elementi. Il primo è indubbiamente la persona del salesiano. Chi fa la differenza è un salesiano di qualità, sereno, preparato, motivato, equilibrato. Impegni sproporzionati o prematuri per coprire ad ogni costo un ruolo si pagano talvolta a caro prezzo.  La diminuzione delle forze disponibili o l’aumento non controllato delle opere o della loro complessità possono creare delle urgenze o un clima di perenne emergenza che schiaccia le persone e rompe quel delicato equilibrio tra la missione apostolica, la comunità fraterna, la pratica dei consigli evangelici (cfr. Cost. 3) in cui consiste la nostra consacrazione:. La vita interiore richiede tempo e attenzione. Il lavoro deve lasciare spazio alla crescita della persona, alla sua vita spirituale, allo studio e aggiornamento, alla vita fraterna.
                        Il secondo tratto è appunto la qualità della vita fraterna. Un numero sufficiente di confratelli, impegni apostolici commisurati alle forze realmente disponibili,  modalità organizzative intelligenti che promuovono la corresponsabilità dei laici, orari coerenti con gli impegni fondamentali della nostra vita consacrata, un progetto di vita comunitario condiviso, la reale disponibilità di confratelli adatti a compiti direttivi sono alcune “variabili” che influenzano significativamente la vita fraterna e fanno di una comunità una “casa” accogliente per ciascun confratello e per quanti entrano in contatto con essa.
                        Il terzo elemento è dato dalla possibilità di contatto diretto con i giovani, specie i più poveri. La presenza, per essere salesiana, deve avere una chiara connotazione giovanile, deve strutturalmente consentire l’incontro dei giovani con i salesiani. Inoltre, la vicinanza e l’aiuto ai più poveri sono oggi segni eloquenti che parlano direttamente del vangelo, ci rendono più credibili e autentici nel vivere la nostra vocazione e realizzare la nostra missione, affascinano tante persone e le smuovono a operare in solidarietà.
                        Il quarto è la qualità educativa e pastorale che riusciamo - di fatto - a garantire nelle nostre opere; non solo quella auspicata, dichiarata o programmata, ma quella effettivamente percepita e verificata. E’ facile a questo punto scambiare le buone intenzioni con l’ efficacia delle realizzazioni. Essa fa riferimento al core business della nostra missione (il “commercio” non di denari, ma di anime chiaramente compreso da Domenico Savio), cioè alla capacità di attuare quella “pedagogia della fede” (in senso soggettivo ed oggettivo) che è il sistema preventivo. 
                        Questo quarto elemento, dunque, lega la significatività salesiana di una presenza non solo alla sua ubicazione o inserzione, non solo al clima gradevole che si respira tra confratelli e con i laici, ma alla profondità della sua incidenza educativa ed evangelizzatrice in un territorio, alla consistenza ed efficacia di quei percorsi educativi e di fede che essa ha consapevolmente ordinato.
                        In altre parole, invita a verificare se la comunità sa leggere, accogliere e rielaborare con sguardo evangelico i bisogni profondi dei giovani che la frequentano e del contesto sociale circostante. Essa può continuare indefinitamente ad erogare servizi (anche di carattere educativo e pastorale), illudendosi di essere efficace, (perché non viene numericamente meno la richiesta di tali servizi), ma di fatto incidere poco o nulla in ciò che è il suo proprium che è il di più evangelico.
                        Osservava acutamente Don Vecchi: “E’ importante non solo ciò che si fa materialmente, ma quello che si suscita o sveglia, quello a cui si accenna per sollevare interrogativi, quello che si fa balenare, quello che si addita, le sfide che si lanciano. Si è detto che la vita consacrata deve non solo rispondere alle sfide, ma lanciarne delle nuove essa stessa: alla visione ‘chiusa’, al desiderio di possesso, alla ricerca del piacere immediato. E’ interessante leggere i segni dei tempi, ma occorre scriverne dei nuovi. Si deve entrare in dialogo con la mentalità corrente, ma pure immettere in essa elementi che non stanno nella sua logica” .
                        Un quinto fattore che può contribuire a “rendere nuova” una comunità è il recupero della sua intrinseca fecondità vocazionale. Non mi riferisco immediatamente alla prolificità, ma ad una fisiologia sana che mantiene in equilibrio nella comunità gli elementi vitali: la preghiera comune e la dedizione apostolica, la fraternità  e la capacità di accogliere i giovani a condividere  alcuni momenti, la testimonianza di una vita obbediente povera e casta e la vicinanza ai problemi della gente. Questo, credo, convinca, attiri, pro-vochi e renda credibile una proposta esplicita.
                        Il sesto criterio riguarda la capacità di aggregare altre forze per le quali la comunità salesiana può diventare centro di comunione e di partecipazione. Si è significativi quando chi vuole impegnarsi trova nella nostra comunità riferimento, appoggio e accoglienza. In tal senso la comunità salesiana può davvero diventare nucleo animatore di una più vasta comunità educativa pastorale. In tale ottica va ben compresa la sua consistenza quantitativa in ordine alla missione, che va coniugata sempre con il dato qualitativo. Confratelli pur ridotti di numero, ma con forte capacità di coinvolgimento e di animazione, certamente risulteranno più efficaci e propositivi di una comunità numerosa, ma chiusa in se stessa e priva di slancio apostolico, che limita il proprio campo di azione solamente alle forze e alle capacità interne.
                        L’ultimo elemento di signficatività indicato dal CG 25 riguarda l’impatto e l’inserimento della nostra presenza nel territorio sociale ed ecclesiale. Alcune comunità sono diventate punto di riferimento per iniziative sul versante sociale, culturale e religioso. Da loro partono messaggi. Sono in dialogo con la realtà circostante, con le istituzioni educative, con la chiesa locale, promuovono o partecipano a reti educative e pastorali.

3.2 Criteri operativi per il ridimensionamento: ridurre o semplificare le presenze.

                        Ridimensionare è stata la parola d’ordine da almeno  39 anni, da quando cioè il Capitolo Generale Speciale, lo pose come compito:

“I Capitoli Ispettoriali e i Consigli Ispettoriali e locali studino la realtà attuale dei loro servizi alla Chiesa e ai giovani, per realizzare quanto prima un coraggioso e sereno ridimensionamento delle opere, sia riguardo al loro numero e complessità, sia riguardo alla loro finalità specifica e alla loro ubicazione”. (CG 20, 398).

                        Don Ricceri toccò l’argomento in diverse lettere del suo magistero, arrivando a definire il ridimensionamento, già nel 1966,  “questione di vita o di morte per la Congregazione”:

“E’ chiaro che prima di spingere per aumentare in numero e in dimensioni le opere già esistenti, dobbiamo sentire tutti e struggente, la preoccupazione per l’uomo, per il religioso, per il Salesiano, il prezioso protagonista di questa vertiginosa attività. Se così non fosse daremmo vita a delle costruzioni anche impressionanti per chi guarda dal di fuori, ma finiremmo per soffocare l’uomo, il religioso, il Salesiano. (…)
Non ci sentiamo di addossare maggior lavoro a tanti Confratelli che sentono disseccarsi dentro se stessi le sorgenti fresche e pure del loro sacerdozio, della loro consacrazione religiosa. L’apostolato è una delicata operazione di anime. Non si può compierla con anime esauste” .

                        Da allora è stato fatto molto, per scelta e per necessità. L’impulso più forte è venuto certamente dalla contrazione numerica dei confratelli, e dal loro progressivo invecchiamento; ma anche dal mutamento delle condizioni  del territorio, a seguito – per esempio – dello spopolamento o dell’invecchiamento del quartiere o dalla nascita di nuovi servizi sociali ed assistenziali.  In altri casi è cambiata la situazione ecclesiale con il venir meno delle ragioni originarie della nostra presenza in una Diocesi. Altrove sono state le leggi civili o l’insostenibilità economica ad imporci di operare delle scelte. Credo che non vi sia stata Ispettoria d’Europa in questi ultimi decenni che non abbia visto mutare significativamente il proprio volto.
                        I criteri indicati per la significatività di una presenza sono validi anche per decidere dove rimanere e da dove andare via, qualora non fosse più possibile garantire decorosamente la qualità salesiana della nostra presenza.
                        Questa delicata operazione va ben compresa e ben gestita. Indico alcune attenzioni.

a) Ridisegnare, perciò ridimensionare
                        Il ridimensionamento pur necessario non è, da solo, la soluzione dei problemi. Anzi, se non ben condotto, può aggravare i problemi, inducendo nei confratelli e nei laici corresponsabili la sindrome della vedova di Zarepta, il senso di sfiducia, la sensazione che si stia avvicinando in modo inesorabile la fine.
                        L’insistenza unilaterale sulla necessità di ridimensionare, senza la contemporanea e precedente proiezione di un progetto, carico di fiducia e di speranza nel futuro, di rilancio del carisma nell’ispettoria, induce effetti depressivi nell’intera comunità ispettoriale. La chiusura di un’opera è un evento doloroso per tanti, anzitutto per quei confratelli che hanno speso in essa le loro energie ed hanno contribuito alla sua crescita. Senza un orizzonte futuro verso cui incamminarsi con fiducia, senza una “terra promessa”, senza un “pro-getto” ispettoriale che indichi chiaramente come i sacrifici e le chiusure sono necessari per concentrare le forze, per rilanciare il carisma e rendere vivibile e significativa la vita salesiana, il ridimensionamento non sortisce l’effetto di rendere disponibili energie nuove. Renderà, al contrario, disponibili dei confratelli delusi ed ormai disincantati.
                        In alcuni casi, addirittura il ridimensionamento, invocato ed auspicato come “la” soluzione, può legittimare una mentalità “minimalista” della vita consacrata, propria di chi ha perso slancio, generosità, passione ed invoca la riduzione del fronte. E’ la “ricerca delle comodità e delle agiatezze” denunciato da Don Bosco come segnale inquietante ed inequivocabile del tramonto della Congregazione. In alcuni casi è onesto ammettere che non è venuta meno la significatività dell’opera, ma la disponibilità ai sacrifici necessari per mantenerla significativa.
                        In altri casi, poi, l’insistenza sul ridimensionamento potrebbe denotare la resistenza ad accettare il modello di gestione delle opere proposto dalla Congregazione  e, più ampiamente, la visione ecclesiologica conciliare e postconciliare. La Chiesa mistero di comunione, la dignità e responsabilità dei Christifideles Laici, la nuova visione della comunità salesiana come nucleo animatore della comunità educativa pastorale (CEP), segnano un significativo cambiamento nella individuazione dei soggetti della missione. Limitarla soltanto alle forze dei consacrati, in una visione neo-clericale, può far chiudere gli occhi sulle altre risorse presenti  dentro la comunità educativa pastorale (“giovani e adulti, genitori ed educatori” Cost. 47), e nel territorio. Sempre più si sta passando da una pastorale autarchica di Istituto, ad una pastorale integrata ecclesiale, con una pluralità di forze in comunione tra loro.
                        L’apertura ad un lavoro in reti territoriali molto più ampie, resa possibile mediante la comunicazione digitale, è poi una ulteriore  prospettive ricca di potenzialità, ma ancora quasi del tutto inesplorata. Dialogare, incontrarsi, condividere progetti, capitalizzare le esperienze, in tempo reale, tra confratelli e laici di diverse ispettorie, oggi è possibile.

b) Ridimensionare entro una visione complessiva dell’Ispettoria
                        Non si chiede che ciascuna opera esaurisca l’ampiezza della missione salesiana, ma che le opere dell’ispettoria, nel loro insieme, esprimano in modo coerente ed integrato la nostra vocazione di educatori ed evangelizzatori dei giovani, senza sbilanciamenti su un solo versante: opere per l’accoglienza di giovani in situazione di disagio (per deprivazione affettiva, familiare) o a rischio di esclusione sociale (immigrati, drop out) e casa di spiritualità giovanile, scuole e oratori/centri giovanili, parrocchie in quartieri popolari con forte presenza giovanile e centri di formazione professionale. E’ l’insieme che deve essere equilibrato ed eloquente.
                        La composizione di tale quadro d’insieme dell’Ispettoria non è facile, né indolore. Esso suscita comprensibili reazioni emotive da parte dei confratelli delle comunità destinate alla chiusura, delle istituzioni civili ed ecclesiastiche, e soprattutto della gente. Tali reazioni indicano certamente l’affetto di cui gode la comunità ed il “capitale” di stima accumulato nel tempo (spesso decenni) da generazioni di salesiani. Ma non può diventare l’elemento determinate le decisioni.

c) La condivisione comunitaria
                        Se il ridimensionamento è percepito dai confratelli come una “operazione di vertice”, dell’Ispettore e del suo Consiglio, è probabile che non sortisca effetti positivi. La condivisione dei criteri, prima ancora che l’individuazione delle opere da chiudere, può far maturare una maggiore disponibilità da parte dei confratelli. La corretta informazione sui fronti dell’ispettoria, (sia quelli su cui si intende concentrare le forze, sia quelli da cui si intende recedere), è un elemento insostituibile per la buona riuscita del progetto di ridimensionamento.
                        Il Consiglio ispettoriale, il notiziario e il sito web ispettoriale, le riunioni dei Direttori, le Assemblee ispettoriali e le assemblee delle comunità locali sono i luoghi naturali della ricerca, della comunicazione e della condivisione.  La conoscenza di dati oggettivi, la prefigurazione realistica di alcuni scenari futuri, le ipotesi concrete di potenziamento di alcuni fronti, il ventaglio  delle decisioni possibili e la valutazione di ciascuna di esse, la indicazione chiara e leale delle motivazioni che fanno pendere per l’una o l’altra soluzione, possono trasformare un’ “operazione di vertice” (decisa da pochi e accompagnata dal malumore di molti), in una grande “impresa collettiva” di rilancio e di rivitalizzazione del carisma.
                        Il segreto delle esperienze più riuscite in Congregazione, mi pare risieda nell’aver chiamato a definire gli obiettivi tutti coloro che avrebbero dovuto poi concorrere a realizzarli. Più ampia è la base della consultazione, della conoscenza e della condivisione, più ampio sarà il consenso.
                        Certamente molto dipende dallo spirito con cui l’Ispettore imposta tale impresa e dalla “tonalità” (“in maggiore” o “in minore”) con cui egli comunica i suoi messaggi. Né la mentalità dei nobili decaduti che si consolano al ricordo dei fasti del passato e  non si accorgono che il patrimonio va in rovina, né la sindrome del naufrago per cui tutto è ormai perduto,  sono atteggiamenti costruttivi.                   
                        Il ridimensionamento è anche chiusura, ma è anzitutto il ricondurre la missione a delle dimensioni accettabili, possibili, realistiche. E’ un’ operazione positiva, di rigenerazione della vita, che va accompagnata dalla fede nella presenza incessante dello Spirito Santo (“credo lo Spirito Santo che è Signore è dà la vita”), nell’intervento materno di Maria (cfr. Cost. 1), da un senso di  speranza per il futuro, dalla convinzione della necessità del carisma salesiano per il nostro tempo.

d) La sostenibilità nel tempo
                        Se, come abbiamo visto, il ridimensionamento non è un obiettivo, ma una conseguenza della volontà di concentrare le forze su alcuni fronti più significativi e fecondi, tale progetto positivo deve essere sostenibile nel tempo. Ipotesi irrealistiche, progetti troppo grandi e complessi o legati a variabili non dipendenti da noi o incerte (legislative o finanziarie, per esempio), presenze pur coraggiose e significative, ma legate alla competenza e alle capacità di un solo confratello non sono segno di coraggio e di intraprendenza, ma di avventatezza ed imprudenza.
                        In un mondo caratterizzato dalla ricerca della “qualità totale”, il saper fare alcune cose e saperle fare bene, coerenti con la propria identità e missione, anche se più ridotte numericamente, è più premiante di un genericismo ambizioso ed inconcludente che disperde le energie su un fronte troppo ampio e sproporzionato. La sostenibilità nel tempo comporta anche la stabilità nel tempo. Progetti avviati e non ben sostenuti, avvicendamenti frequenti di confratelli, cambi continui di obiettivi, determinano fragilità negli esiti e disorientamento nelle persone.

e) L’attenzione alle risorse umane
Il dato fa riferimento certamente al numero dei confratelli disponibili, ma non solo ad esso. Anzi, molto spesso l’insistenza sui dati quantitativi (età media, confratelli per fasce di età, ecc.) deprime e non aiuta a costruire.
                        Al contrario, alcuni dati qualitativi (condizioni di salute, freschezza spirituale e slancio apostolico nonostante l’età, preparazione, capacità consolidate, ecc.) sono altrettanto rilevanti, anzi decisivi. Il rilancio di un’ ispettoria è, dunque, legato non solo al ridimensionamento ed al rilancio delle opere, ma ancor più al rilancio delle motivazioni profonde e dell’entusiasmo dei confratelli. Ancora una volta, l’elemento decisivo è la qualità delle risorse umane, presenti e future.                    Agire sul fronte delle opere, trascurando le persone, è un errore. La corretta gestione delle risorse umane disponibili è invece l’elemento decisivo. La posizione (marginale o strategica) in cui si colloca il confratello all’interno di un’opera può fare la differenza. Non è ininfluente nemmeno la presenza o meno di un sistema di riconoscimento delle esperienze migliori, né la capacità di valorizzare il potenziale di ciascun confratello, con una attenzione particolare alla sua storia e alle sue attitudini.
                        Questo compito comporta una specifica attenzione formativa per avere uomini preparati al compito ed adeguati ai bisogni. L’articolo 10 dei Regolamenti generali lo richiede espressamente, proprio in riferimento alla missione:

“Per mantenere e sviluppare in modo organico le diverse presenze pastorali ed educative, ogni ispettoria programmi la preparazione e l’aggiornamento del personale, tenendo in conto le attitudini dei confratelli e le esigenze delle opere”

3.3 Criteri operativi per la ricollocazione. “Aprire nuove presenze, attività od opere”.

                        I criteri fondamentali sono stati già forniti ed in particolare i tre indicati dall’articolo 41 delle Costituzioni: l’attenzione alle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo specie ai più poveri, la possibilità di attuare la nostra missione nella sua integralità, la possibilità di contatto diretto con il mondo e la persona dei giovani.
                        Se questi sono i criteri, il Capitolo generale 26° ha indicato con chiarezza nella attenzione ai giovani poveri la principale priorità per la Congregazione per i prossimi anni. Ad essa dedica ben 3 linee di azione , precedute, ciascuna, da ampie riflessioni sulla chiamata di Dio e sulla situazione odierna . Una parte del discorso del Rettor Maggiore, a chiusura del  CG 26, è stata dedicata al tema delle nuove frontiere, definito “la terza chiave di lettura” del Capitolo stesso. Dopo un’appassionata rilettura della esperienza di Don Bosco, Don Chavez riconosce che

“già da anni, nella Congregazione sta crescendo la sensibilità e la preoccupazione, la riflessione e l’impegno per il mondo dell’emarginazione e del disagio dei giovani. (…)
Più conosco la Congregazione, estesa nei cinque continenti più mi rendo conto che come Salesiani abbiamo tentato di essere fedeli a questo criterio fondamentale di essere vicini e solidali coi più bisognosi, prendendo a cuore quelle realtà giovanili che la società non vuole vedere” .

                        E’ difficile non cogliere in tale insistenza dei confratelli capitolari e del Rettor Maggiore la voce dello Spirito. Riandare all’ ispirazione originaria di Don Bosco, vuol dire per ciascun salesiano attingere l’acqua pura della sorgente. Fare nostre le sue scelte prioritarie e la sua passione apostolica ci fa essere quello che dobbiamo essere: Salesiani di Don Bosco; ci dà una identità chiara e un volto riconoscibile, rende la nostra missione attesa e la proposta vocazionale coerente e percorribile. Il Testamento spirituale del nostro Padre è esplicito al riguardo: “Il mondo ci riceverà sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai selvaggi, ai fanciulli più poveri più pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che nessuno invidierà e niuno verrà a rapirci”.
                        L’attenzione agli ultimi, ai più disagiati può diventare per ciascun confratello una grande risorsa per riscoprire “l’amore del tempo della giovinezza” (cfr. Ger 2,2). Come per Don Bosco, i giovani possono diventare i padroni, i custodi, i rigeneratori del nostro cuore e restituirci ad una paternità matura e feconda.
                        Ma l’attenzione ai più poveri può rinnovare significativamente anche il volto di un’ispettoria, se diventa “una sensibilità istituzionale che a poco a poco coinvolge molte opere” e non solo “un settore particolare, identificato con qualche opera speciale o animato solo da qualche confratello particolarmente motivato” .
                        Credo che questa sia anche la migliore risposta per ridare credibilità alla vita consacrata in quei contesti in cui essa è stata pesantemente attaccata: tornare a far parlare i fatti, rispondere con la evidenza delle opere e la coerenza della vita. Anche nel nostro contesto europeo, in cui il sistema del welfare assicura la copertura di molti servizi sociali ed assistenziali, non mancano tanti giovani segnati da povertà antiche e nuove. Per questi il Salesiano ha sempre intatta una risorsa insostituibile, la gratuità del dono di se stesso.
                        In fase di riprogettazione delle presenze di un’ Ispettoria, credo – specie in Europa – non si possa non rivolgere una attenzione esplicita alla seconda priorità segnalata dal CG 26: la famiglia. Il richiamo ad essa come “il soggetto originario dell’educazione e il primo luogo dell’evangelizzazione” ci dice che il contributo più valido che oggi possiamo dare alla pastorale giovanile passa attraverso una esplicita pastorale familiare.
                        Infine tra le attività ed opere nuove a cui aprirsi vi è quell’ampio “cortile”  che è il mondo dei media e della comunicazione sociale; ignorarne l’esistenza, i linguaggi, le potenzialità educative e pastorali ci condanna ad essere tagliati fuori dal tempo, entro strutture ed opere, entrando nelle quali, sembra come se il tempo si fosse fermato.

CONCLUSIONE
                       
                        Nel film Des hommes et de Dieux, ciò che colpisce non è  tanto l’eroica morte dei monaci trappisti in Algeria, ma la loro eroica vita. Apparentemente ordinaria, eppure straordinaria. Vivono del lavoro delle proprie mani, coltivano l’orto e vendono il miele al mercato, curano i malati e aiutano chi ha qualche necessità, sono pienamente inseriti nella vita del piccolo villaggio di Thibirine, partecipano alle gioie ed ai lutti della gente, vivono poveramente come loro, sono celibi ma esprimono una profonda paternità, obbediscono al superiore ma condividono pazientemente le decisioni più importanti. Sono ciò che devono essere, uomini di Dio, dediti alla lode e alla preghiera di intercessione. Sono credibili, perché autentici.
                        Mentre si dibatte tra loro se andar via o restare, nella chiara previsione di divenire bersaglio del gruppo armato islamico, l’abate assieme ad un monaco ne parla in una famiglia del villaggio. Sono incerti, non sanno che fare: “Ci sentiamo – dice l’abate – come uccelli su un ramo”. “No - ribatte una donna presente in casa – noi siamo gli uccelli e voi siete il nostro ramo”.
                        Ecco ben descritto il nostro compito: ridisegnare le nostre presenze nelle ispettorie d’Europa, per essere rami saldi, che sono lì, nonostante i venti e le tempeste, per accogliere e dare sostegno  a chi si posa dopo la fatica del volo e cerca un orizzonte.  

 

Ipotesi di orientamento per ogni Ispettoria


Nel biennio 2011-2012 l’Ispettore con il suo Consiglio, all’interno del Progetto Organico Ispettoriale, farà un Piano per ridisegnare le presenze dell’Ispettoria, individuando quali presenze rendere significative e con quali interventi, scegliendo le presenze da ridimensionare o semplificare, trovando nuovi bisogni e nuove frontiere a cui rispondere con nuove presenze, attività o opere.

A tal fine sarà importante approfondire ed eventualmente adattare alle situazioni dell’Ispettoria i vari criteri specifici di significatività, ridimensionamento e ricollocazione. L’Ispettore individuerà i modi più adeguati per coinvolgere l’Ispettoria. Quando avrà pronto tale piano, lo farà pervenire al Rettor Maggiore e al Consigliere regionale.


Cost. 40, 41, 58, 77, 132, 165, 181, 187; Reg. 1, 3, 10, 59, 60, 148,167, 190, 198, 201.

Reg. 10, 22.

J.E.VECCHI, Ridisegnare le presenze: criteri, prospettive, ristrutturazione, in  USG, Per una fedeltà creativa. Rifondare, Atti 54° Conventus Semestralis, Roma, 1998, p.86.

ID., ibidem.

ID, ibidem.

ID, ibidem.

Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, Roma 1986, p. 351.

J.E.VECCHI, art. cit., pp.87-88.

L.RICCERI, Presentazione degli Atti del Capitolo Generale XIX, in Atti del Consiglio Superiore n. 244, Torino 1966.

CG 26, 13-18.90-93.105-107

CG 26, 2.5.80.83.98.107

CG 26, pp. 141-144

CG 26, pp.141.144

P:CHAVEZ VILLANUEVA, Discorso alla chiusura del CG 26, CG 26, pp. 142-142

CG 26, 99