“La vita consacrata non potrà mai mancare né morire nella Chiesa: fu voluta da Gesù stesso come porzione irremovibile della sua Chiesa.”
Carissimi confratelli Ispettori dell’Europa,
Ho voluto incominciare questo mio discorso di apertura dell’Incontro degli Ispettori di Europa con le parole che il Santo Padre, Benedetto XVI, ha rivolto venerdì 5 novembre ai Vescovi della Conferenza Episcopale - Regione Sud 2 - del Brasile, in visita “ad limina”.
Quella del Papa è una voce rassicurante che suona inconfutabile: il calo delle vocazioni, l’invecchiamento degli Istituti non sono il segno di un declino che porterà prima o poi all’estinzione della vita religiosa nella Chiesa. Semplicemente, essa non potrà scomparire perché “ha avuto origine con il Signore stesso che scelse per sé questa forma di vita verginale, povera e obbediente”.
Con questo mio intervento, che voglio sia tanto spontaneo come chiaro, desidero non solo fare il punto sul cammino di riflessione che stiamo portando avanti insieme con il “Progetto Europa”, ma soprattutto aiutarvi a centrare il lavoro da fare in questi giorni identificando le sfide concrete che affrontiamo e segnalando le opzioni di governo da attivare. Lo faccio servendomi della riflessione che i Superiori Generali hanno compiuto sul tema Europa; così il mio contributo si presenta più autorevole e ci libera della paura di essere i soli ad affrontare questa situazione critica.
Dapprima mi riferirò ai fatti della crisi culturale e morale che nell’Europa incidono maggiormente sulla Vita Consacrata (VC), in genere, e sulla nostra vita salesiana. Poi, segnalerò le sfide che questa situazione presenta alla VC e gli spazi che si aprono ad essa. Per finire, elencherò le scelte strategiche di governo, che dovremmo studiare ed assumere per farle criterio della nostra animazione nelle Ispettorie.
La situazione attuale della VC in Europa non è da viversi in senso soltanto o soprattutto negativo: può diventare addirittura un’opportunità, un passaggio in cui quello che muore deve morire perché nasca qualcosa di nuovo.
Nel nostro caso, una VC magari più povera e debole, meno visibile, ma più profetica e più centrata sul suo essenziale che è la gloria di Dio e non la propria sopravvivenza, che è rappresentare Dio e non difendere le proprie opere; una VC meno clericale ma più evangelica, più ‘leggera’ e vicina alla gente, più capace di leggere i bisogni del nostro tempo e di intercettarne le domande e di dare, con la testimonianza della vita gioiosamente e liberamente donata, risposte con un linguaggio che tutti possano capire.
Riconoscere la debolezza e fragilità della VC può essere realmente un’esperienza di grazia e di rinascita della fede: dopo i “giorni dell’onnipotenza” e dell’onnipresenza (i numeri, il potere, le forze e le strutture degli anni ’60, con cui spesso, anche inconsapevolmente, facciamo il paragone) non vengono necessariamente i giorni dell’impotenza e della scomparsa, ma i giorni del rinascimento più lucido della potenza di Dio che “apre strade nuove al suo popolo nel deserto”, perché, come dice San Paolo “quando sono debole, è allora che sono forte”.
La crisi è un momento di purificazione, di chiamata alla conversione personale e istituzionale: ci sta aiutando a riflettere e ad andare all’essenziale delle nostre vite; guardata così, è un tempo gravido di speranza.
La nostra rilettura e comprensione del tempo che stiamo vivendo e delle sue difficoltà chiede di avere sempre come sfondo una visione teologica che poggia sulla convinzione che Dio salva nella storia, il che ci permette di stare con gioia dentro il tempo che Dio ci ha dato e di amarlo, perché Dio lo ama e ci ama.
Nello stesso tempo possiamo, dobbiamo, accettare la realtà ed essere trasparenti fra noi: i dati oggettivi ci dicono che stiamo invecchiando e diminuendo. E questi fatti sono storia di salvezza.
Gli aspetti della crisi culturale e morale che maggiormente toccano anche il nostro mondo possono essere così evidenziati:
La cultura individualista e il cosiddetto “diritto a stare bene” sono entrati nel ritmo vitale di molti religiosi; alcuni dei nostri fratelli vivono un ben assunto e indiscusso ‘ateismo pratico’: talvolta, le nostre case e il nostro stile di vita ci allontanano dai poveri e dagli esclusi e ci sintonizzano piuttosto con quei ceti sociali che godono di un buon livello di benessere. Tutto ciò ha un impatto negativo nella spiritualità del religioso e nella dinamica delle nostre comunità.
In sostanza, il problema della VC è vivere la sua identità “profetica”, ritornando ad essere significativa, valorizzando come un dono anche la “minorità”, la perdita di rilevanza sociale o di significatività, “l’invisibilità”: difatti nell’Europa odierna siamo poco conosciuti, meno apprezzati, non ritenuti ‘necessari’, … ma non importa. Importa essere fino in fondo ciò che siamo chiamati ad essere nella chiesa e nel mondo, importa come ci vede Dio e non come ci riceve il mondo: una provocazione evangelica, una fratellanza possibile dei diversi, una testimonianza credibile, una speranza per i più poveri.
Non conta in fondo essere tanti o pochi, conta essere pienamente e gioiosamente se stessi: trasmettere ai fratelli l’esperienza quotidiana che facciamo di Gesù Cristo, nostro unico Bene. Tornare a Gesù e alla sequela radicale di Lui: questo è per noi l’essenziale! E, nondimeno, essergli grati per il dono della VC e testimoniarlo con fierezza.
Con tutto ciò la VC è chiamata a fare uno sforzo per recuperare una sua voce dentro la società europea, non tanto o non solo per ricuperare lo spazio sociale ma per rimanere fedele alla sua vocazione. Non è questione di fascino bensì di fedeltà.
Tutto questo esige un’analisi profonda dei fenomeni che caratterizzano questa società e una grande chiarezza riguardo alle prospettive nelle quali la VC vive e si situa con i suoi pronunciamenti.
Il problema sta anche nel far giungere il messaggio a chi non è interessato ad ascoltarlo: per poter raggiungere le persone dell’Europa di oggi, la VC dovrà assumere una vera attitudine di dialogo con la cultura e una reale sintonia con la vita della gente.
Le sfide che abbiamo davanti ci indicano pure degli spazi nuovi e propri che si aprono alla VC nell’Europa di oggi, pur nell’avvertita consapevolezza della nostra fragilità. Sembrerebbe paradossalmente che quanto più bisogno ha della VC questa Europa, tanto meno pronta essa sia per questa missione.
1. La sfida più grande che la VC deve affrontare è se stessa, ricominciando ad avere piena fiducia che il Signore, come al Mar Rosso, apre sicuramente una strada per superare le difficoltà.
2. Vi è poi la sfida del linguaggio, della capacità di far comprendere la VC. Molto spesso ci rendiamo conto che la gente ha una conoscenza limitata e distorta dei religiosi. Occorre individuare modalità nuove per far percepire quello che siamo e viviamo. Non è solo questione di “abito”, ma della capacità di farci percepire come persone che vivono insieme per un ideale, che esprimono un’autentica fraternità, che operano, non per volontà di potenza, ma per rendersi samaritani verso i poveri.
3. Altra sfida è di riaffermare valori che ci contraddistinguono e che forse non vengono più capiti: la definitività di una scelta di consacrazione, la castità, l’obbedienza, ecc.: la difficoltà a far comprendere il valore di queste scelte non ci esime dal testimoniarle con gioia e dal continuare a proporle ai giovani, che, pur confusi e frammentati, sono ancora affascinati da scelte radicali e da figure veramente profetiche ed alternative.
4. Un’ulteriore sfida è la testimonianza della comunione a tutti i livelli (anche fra Istituti e fra carismi differenti): trovarci insieme, riflettere insieme, lavorare insieme in una società che si divide, che si chiude nel privato e nell’individualismo.
5. C’è una grande sfida che riguarda la posizione della vita consacrata nella Chiesa: sembra necessario “declericalizzare” la VC, in una Chiesa che si presenta spesso molto clericale; in alcune Congregazioni, infatti, il modo di esercitare il ministero sacerdotale sembra aver annullato alcuni aspetti più caratteristici della VC.
6. Siamo oggi sfidati nel vivere il voto di povertà, come stile di vita (potremmo chiederci, per esempio, quanto ci tocca o ci ha toccato la crisi economica mondiale), ma anche come capacità di situarci sulla frontiera dell’emarginazione. Lasciare che i poveri siano i nostri maestri. Povertà vissuta anche come libertà di fronte alle strutture: a volte sembriamo come soffocati nella gestione di strutture che non hanno futuro. Forse ci sono strutture che non rispondono più ai bisogni odierni… E già sappiamo – come dice Gesù – che gli otri vecchi non possono contenere il vino nuovo! Bisogna forse pensare la nostra vita in un altro modo, sbarazzandoci coraggiosamente di molte cose che ci impediscono di essere con quelli cui dovremmo essere vicini. Questo modo di vivere la povertà è fedeltà allo Spirito ed è una testimonianza cui la società odierna è molto sensibile.
7. Una sfida importante oggi - anche nella formazione - è l’uso adeguato delle nuove tecnologie, in modo che ci aiutino ad incrementare il nostro servizio, anziché essere un ostacolo. Di certo esse incidono nella nostra vita comunitaria, nella nostra vita personale: occorre discernimento.
8. La situazione “generazionale” della VC in Europa (tanti anziani e pochi giovani) è una doppia sfida: anzitutto la sfida a valorizzare gli anziani che sono fra noi, a non farli sentire un peso nelle nostre comunità, ma piuttosto a valorizzarli come una risorsa di esperienza, di fedeltà e di saggezza; e, nel contempo, ad educare ed educarci a invecchiare bene, per poter continuare a dare il proprio positivo contributo nella comunità e nella missione. Allo stesso tempo, c’è la sfida di un’adeguata integrazione dei religiosi più giovani, poiché spesso manca una generazione intermedia che faciliti questa integrazione; c’è da porsi il problema di come dare maggior protagonismo ai giovani: a volte, sono superprotetti, perché sono pochi o forse non gli si dà responsabilità; a volte però, sono sovraccarichi di lavoro e hanno la responsabilità di portare avanti opere oltre misura.
9. In generale, ci viene richiesta un’attenzione speciale alla situazione dei giovani. Bisogna imparare a dialogare con loro, usando i loro linguaggi ed educare noi stessi a sintonizzarci con le loro aspirazioni e le loro preoccupazioni. Spesso i giovani non comprendono il nostro linguaggio, né incontrano, con frequenza, nelle nostre comunità chi li accompagna nei loro itinerari spirituali e quelle esperienze di fraternità che vanno cercando. Nei processi formativi bisognerà essere disposti ad accompagnare e a lasciare che siano gli stessi giovani che trovano le nuove espressioni del carisma che poi si traducano in risposte valide per le sfide del mondo odierno.
Come accogliere i giovani d’oggi? C’è una sfida di visibilità, ma ricordiamoci che il vero segno di visibilità è l’amore che noi abbiamo gli uni per gli altri, anzitutto nella nostra vita comunitaria che deve essere nutrita dal rispetto per l’altro nella sua originalità, dall’apertura nell’accoglienza. Essa deve poter essere guardata dai giovani come affascinante e piena di senso. Nelle periferie caratterizzate da una forte presenza di stranieri, la natura internazionale ed interculturale delle nostre comunità può essere una testimonianza profetica che si può vivere bene insieme, anche se si è differenti.
Sembra, in generale, che ci manchi la capacità di approfondire le domande fino a trovare le risposte che stiamo cercando. Si enumerano le sfide e si danno i nomi ai problemi. Si cominciano processi di ricerca delle risposte, ma si abbandonano troppo facilmente, senza averle trovate.
Dobbiamo imparare a rileggere la storia e anche a saper identificare quelle risposte che sono state inadeguate, perché cadiamo con troppa frequenza negli stessi errori del passato. Per altra parte, bisogna saper guardare al futuro senza lasciarsi bloccare dai problemi di ogni giorno: avere una “visione” è una condizione indispensabile per avanzare dinamicamente verso il futuro e promuovere i cambiamenti necessari.
La grande sfida è sempre di saper “celebrare” la nostra vita, cioè viverla e proporla con semplicità e con gioia e recuperare la dimensione della gratuità, così necessaria in un mondo come il nostro che si fonda principalmente sull’efficienza e sul guadagno.
Dalle sfide scaturiscono i percorsi e gli impegni per noi:
Gli impegni per noi sono:
Dobbiamo, e possiamo, guardare al futuro con speranza.
3. STRATEGIE DI GOVERNO
Nell’Europa è nata la VC e anche la vita salesiana, e nell’Europa c’è il rischio che possa sparire, almeno nelle forme finora conosciute. La sua scomparsa metterebbe a rischio non soltanto tanti carismi, ma anche l’evangelizzazione. Resta nostra responsabilità davanti a Dio e ai giovani fare tutto il possibile per assicurare il futuro alla VC e alla vita salesiana in Europa.
Fare, se non tutto, il nostro meglio implica la conversione personale e comunitaria, il ritorno alle radice della VC: Cristo, unico fondamento di essa. Il futuro della VC non dipende tanto da una sua riorganizzazione, pur necessaria, anche se profonda e dolorosa, da una migliore utilizzazione delle risorse, personali e finanziarie, da una ricollocazione delle presenze, ma, primariamente e per sé, da una sincera e radicale ricerca di Dio, da una conversione totale a Cristo.
Nelle comunità, adulti e giovani sono mutuamente attori imprescindibili del processo. Gli anziani hanno un ruolo fondamentale: hanno impegnato la vita nelle opere esistenti a favore della missione salesiana e portano con sé la memoria storica e il vissuto reale del carisma salesiano in loco. Ma i giovani, su cui sarà caricato il peso del cambio e la responsabilità di realizzarlo, devono essere non solo ascoltati ma soprattutto coinvolti in tutto il processo.
5. Il Progetto Europa è, innanzitutto, endogeno. Prima di pensare a ricevere aiuto e risorse da altrove, le Ispettorie devono programmare la loro ‘rinascita’ in un piano organico, elaborato, discusso e accettato in Assemblea ispettoriale, consapevoli che si tratta di una rinascita spirituale del carisma in ciascuno dei confratelli, di una necessaria ristrutturazione delle presenze salesiane, di un’apertura incondizionata ai nuovi missionari.
Don Pascual Chávez V., SDB
Salesianum, 26 Novembre 2010