CAPITOLO GENERALE XXVIII
SALESIANI DI DON BOSCO
“Quali salesiani
per i giovani di oggi?”
Riflessione postcapitolare
CG28
Roma, 16 agosto 2020
ACG N. 433
anno CII
settembre 2020
INDICE
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO AI MEMBRI DEL CG28
"QUALI SALESIANI PER I GIOVANI DI OGGI?"
ALLEGATI
ELENCO DEI PARTECIPANTI AL CG28
Miei cari Confratelli,
sono trascorsi quattro mesi dalla chiusura del Capitolo generale 28°, concluso in anticipo di tre settimane rispetto a quanto programmato a causa della pandemia, che ha reso impossibile la nostra permanenza a Valdocco. Oggi mi rivolgo a voi con questa presentazione, con un sentimento di profonda gioia per ciò che abbiamo vissuto a Valdocco e con la soddisfazione per quello che è stato – credo – un lavoro fruttuoso, svolto da tutti noi Capitolari e concluso in seguito all’interno del Consiglio generale. L’Assemblea capitolare, infatti, ha affidato al Rettor Maggiore e al suo Consiglio l’incarico di terminare ciò che al momento della chiusura anticipata era rimasto incompiuto.
Il documento, che giunge ora a tutti i confratelli attraverso questa pubblicazione, ha come sottotitolo “Riflessione postcapitolare” e non “Documenti capitolari”, come abitualmente avveniva in passato. Questo perché l’Assemblea capitolare non è arrivata all’approvazione finale del testo con una votazione. Solo alcune deliberazioni capitolari, specialmente quelle a carattere giuridico, hanno visto la luce nelle prime quattro settimane dei nostri lavori.
Come ho detto in altre occasioni, a causa delle circostanze che abbiamo dovuto vivere il CG28 è stato un Capitolo “speciale”. Tuttavia, non è stato un Capitolo privo di orientamenti e di linee programmatiche. Di fatto, il documento che vi presento contiene una prima parte che, sia io sia i confratelli del Consiglio generale, consideriamo molto importante per l’animazione, il governo e la vita della Congregazione nel prossimo sessennio.
Si tratta delle linee programmatiche che il Rettor Maggiore offre alla Congregazione per il sessennio 2020-2026. In questa ampia proposta trovate, cari Confratelli, la riflessione seguita al Capitolo generale, frutto dello stesso Capitolo e della sintesi del cammino percorso nella nostra Congregazione nei precedenti sei anni. Si tratta di una ricca ed ampia riflessione che raccoglie anzitutto lo spirito di quanto è contenuto nel Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato al Capitolo generale; raccoglie inoltre quegli elementi che il Papa ha indicato come essenziali e che erano già presenti nella riflessione sviluppata dall’Assemblea capitolare sui primi due nuclei tematici. Il terzo nucleo – come sapete – è stato elaborato dal Consiglio generale.
Queste linee programmatiche dovranno essere certamente motivo di studio, analisi e approfondimento sia da parte delle ispettorie sia da parte di ciascun confratello, specialmente da parte dei direttori per il loro servizio di animazione e governo delle comunità locali. Do per presupposto che essa sia oggetto di studio da parte dell’Ispettore e del suo Consiglio.
Ritengo che, pur con diverse velocità, legate alla particolarità di ciascuna ispettoria, tutta la Congregazione debba percorrere questo cammino, che è identitario, carismatico e offre linee-guida e linee di azione per il nostro presente.
Al testo programmatico del sessennio segue il Messaggio del Santo Padre, che senza dubbio raggiungerà il cuore di ogni salesiano, e sarà anzitutto motivo di meditazione, di studio, di approfondimento e di confronto personale.
I tre nuclei proposti come temi del lavoro capitolare hanno avuto un ampio sviluppo, anche se non hanno attraversato tutte le fasi di studio e di elaborazione pensate inizialmente. I testi offrono ricche riflessioni, precise e opportune proposte per la vita delle ispettorie e di tutte le nostre presenze nel mondo.
Infine, nel documento sono raccolte le deliberazioni capitolari e, come in tutti i capitoli generali, alcuni allegati con messaggi e discorsi.
Ritengo che il documento che ora avete tra le mani permetterà di approfondire le motivazioni ecclesiali, carismatiche e identitarie che ci aiuteranno a proseguire il cammino di fedeltà che, come Congregazione e in modo personale, desideriamo continuare. Oggi il nostro mondo, la Chiesa e i giovani insieme alle loro famiglie, hanno bisogno di noi come ieri, per continuare a vivere un cammino di fedeltà al Signore Gesù. Hanno bisogno di noi come persone significative e coraggiosamente profetiche. Che il Signore ci conceda questo dono. Con la mediocrità e le paure potremo offrire ai giovani poche cose, che non saranno in grado di trasformare la loro vita e riempirla di senso.
Sono oltremodo convinto che tutti desideriamo appartenere a una Congregazione che si sente molto viva e nella quale ciascun confratello rinnova la propria consegna di sé ogni giorno: non in qualunque modo, ma sentendo che ne vale la pena.
Desidero profondamente che questo “speciale” CG28 aiuti ciascun confratello a ravvivare la passione apostolica che caratterizzò il nostro Padre Don Bosco, per essere altri Don Bosco oggi, in ogni parte del mondo, in ogni cultura e in ogni situazione.
Aggiungo una richiesta. Mentre consegno questo documento, con uno sguardo di fede e con grande fiducia chiedo a ciascuno di voi, cari Confratelli, di farne motivo di preghiera, oggetto di studio paziente, di lettura attenta e meditata, affinché esso possa toccare il vostro cuore. Vi chiedo di interiorizzare la spiritualità che troverete in queste riflessioni capitolari, di entrare in dialogo con le proposte che vogliono essere significative e profetiche nel nostro modo di assumerle e tradurle nella vita. Penso che un significativo tempo di studio, di conoscenza e interiorizzazione e di dialogo, cuore a cuore, davanti al Signore, debba essere il compito principale affidato a ciascun confratello, a ciascuna ispettoria e visitatoria, a ciascuna regione e conferenza interispettoriale.
Miei carissimi Confratelli, la promulgazione di questa Riflessione postcapitolare avviene il 16 agosto 2020, a duecentocinque anni dalla nascita di Don Bosco e a centosessantadue anni dall’inizio della nostra Congregazione. Fino ad oggi, il cammino della nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana è stato bellissimo. Se la nostra risposta continuerà ad essere fedele al Signore, non c’è dubbio che sarà molto di più quello che si scriverà per il bene dei giovani mediante la consegna quotidiana di noi stessi, ovunque ci sarà un giovane che abbia bisogno di salesiani in grado di essere amici, fratelli e padri.
La nostra Madre Ausiliatrice ci accompagna in questo cammino e, come con Don Bosco, continuerà a fare tutto Lei. Da Lei impariamo cosa significhi ascoltare attentamente la voce dello Spirito Santo ed essere docili a Lui; impariamo a coltivare la profondità della vita in Dio e la dedizione semplice e convinta ogni giorno. Questo ci renderà sempre più autentici segni e portatori dell’Amore di Dio ai giovani.
Alla nostra Madre Ausiliatrice ci affidiamo «per essere, tra i giovani, testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio» (C. 8).
Don Ángel Fernández Artime
Rettor Maggiore
Roma, 16 agosto 2020
Anniversario della nascita di Don Bosco
Miei carissimi Confratelli salesiani di tutto il mondo,
mi rivolgo con molto piacere a tutti voi dopo il Capitolo generale e dopo la conclusione della prima sessione plenaria del nuovo Consiglio generale. Con questa lettera, che ho condiviso con tutto il Consiglio generale, intendo offrire a tutti voi, cari Confratelli, una vera “tabella di marcia” per il prossimo sessennio, dal momento che l’interruzione del Capitolo generale, nel bel mezzo del suo svolgimento, non ci ha permesso di avere i documenti capitolari, che sarebbero stati la norma e la guida per i prossimi sei anni.
Davanti alla dolorosa realtà della pandemia causata dal virus COVID-19, che ha colpito e che continua tuttora ad affliggere duramente il mondo, abbiamo sperimentato qualcosa di unico: l’interruzione di un Capitolo generale. È la prima volta che accade un fatto simile nella storia della nostra Congregazione – se si esclude il tragico evento della Prima guerra mondiale, che ha reso impossibile celebrare, durante il Rettorato di don Paolo Albera, il XII Capitolo generale; la celebrazione di quel Capitolo dovette attendere quasi dodici anni.
Nel nostro caso, tuttavia, l’interruzione dei lavori capitolari non vuol dire in alcun modo che il Capitolo generale 28° sia stato povero di significato e non abbia prodotto ricchezza di contenuti. Inoltre, tutti i capitolari sono rientrati nelle proprie ispettorie (alcuni dopo diversi mesi di attesa a Valdocco) arricchiti dall’esperienza accumulata e da un sentire salesiano nutrito e rafforzato alle “fonti di Valdocco”, le fonti della nostra nascita carismatica.
Nonostante la minaccia della pandemia e il rischio della sospensione dell’assemblea, durante l’ultima settimana il Capitolo generale ha potuto eleggere il Rettor Maggiore e tutti i membri del Consiglio generale, e affidare a noi il compito di continuare la riflessione su quei punti che non erano stati affrontati.
Questa mia lettera e tutto ciò che è contenuto nel volume intitolato “Riflessione postcapitolare” vuole essere una risposta fedele al mandato ricevuto dall’Assemblea capitolare.
A ciò va aggiunto il senso di profonda gratitudine al Signore per ciò che abbiamo vissuto; soprattutto per averlo vissuto a Valdocco. Il nostro CG28, infatti, è stato segnato in modo speciale dal fatto che si è svolto a Valdocco, culla del nostro carisma, luogo santo dove il nostro padre Don Bosco «rispondeva alla vita dei giovani con un volto e una storia»[1]. Ecco, abbiamo vissuto il nostro Capitolo generale a Valdocco con la chiara consapevolezza che questa è la casa di tutti.
È quanto ci ha ricordato il Santo Padre Francesco, che voleva fare a Don Bosco, nella persona dei suoi figli riuniti in assemblea capitolare, il bellissimo dono di venirci a trovare.
Il Papa mi aveva anticipato alcuni mesi prima il suo personale desiderio di venire a Valdocco. All’inizio del Capitolo generale i dialoghi avuti con i responsabili delle visite del Papa hanno confermato la visita prevista nei giorni del 6 e 7 marzo. Tutto era pronto. Lo aspettavamo venerdì 6 marzo a mezzogiorno. Sarebbe stato con noi a Valdocco fino al mattino del giorno 7 e poi avrebbe fatto visita alla sua famiglia. Purtroppo, la pandemia da coronavirus e le restrizioni imposte in tutto lo Stato italiano hanno reso impossibile questa visita – che sarebbe stata un evento unico nella nostra storia, almeno per la durata temporale della presenza del Santo Padre e la sua diretta partecipazione al Capitolo generale, come egli desiderava.
Per telefono il Papa ci ha lasciato un saluto che ho condiviso con tutta l’assemblea capitolare; e il giorno dopo abbiamo avuto tra le mani il Messaggio da lui indirizzato al CG28, che trovate all’interno di questa pubblicazione.
Fin dall’inizio del CG28 abbiamo vissuto con una forte consapevolezza, che ci ha condotto a metterci nella disposizione mediante la quale «lo Spirito fa rivivere il dono carismatico del [nostro] fondatore». Questo desiderava il Santo Padre, invitandoci a non chiudere le finestre al rumore e al vociare che saliva dal cortile di Valdocco, evocando il primo oratorio. Questo «rumore di sottofondo» deve accompagnarci, renderci inquieti e intrepidi nel nostro discernimento.
Di questo ci occuperemo nei prossimi sei anni, per il bene dei giovani del mondo. Giovani che hanno avuto un volto concreto e visibile nello splendido gruppo che ha vissuto il Capitolo generale con noi per alcuni giorni, che ci ha sfidato, che ci ha parlato con il cuore e con la mente e che ci ha commosso.
E poiché a Valdocco tutto ci parla di Don Bosco e dei suoi giovani, e perché i giovani di oggi ci chiamano, ci parlano e ci aspettano, ci proponiamo come Congregazione alcune mete che ci metteranno nella condizione di dare una risposta alla realtà di oggi, e che ci faranno uscire dalle nostre paure e dalle nostre “zone di conforto”, ovunque si trovino e quali che esse siano.
Queste linee, cari confratelli, hanno l’obiettivo di diventare un programma d’azione per il prossimo sessennio, in assoluta continuità con il cammino precedentemente percorso dalla Congregazione e che, anche per questo motivo, ci infonde forza e coraggio.
Sono varie le sfide che dobbiamo affrontare nei prossimi sei anni. Ve le presento come frutto della riflessione svolta durante il Capitolo generale e dopo di esso. Le propongo a tutta la Congregazione, avendo conosciuto in dettaglio nei sei anni passati la realtà che stiamo vivendo e, ultimamente, il cammino della Chiesa. Le offro a tutte le ispettorie, dopo averle condivise con i membri del Consiglio generale, perché queste sfide devono essere lo specchio davanti al quale ogni ispettoria del mondo è chiamata a confrontarsi e devono diventare i criteri per definire le finalità, gli obiettivi, i processi e le azioni concrete per il prossimo sessennio, in tutti i luoghi dove il carisma dei figli di Don Bosco ha messo radici.
Le sfide alle quali dare la nostra risposta e gli obiettivi da perseguire sono i seguenti:
1. SALESIANO DI DON BOSCO PER SEMPRE: «Frate o non frate, io resto con don Bosco» (Cagliero). UN SESSENNIO PER CRESCERE NELL’IDENTITÀ SALESIANA
«Il Signore ci ha donato don Bosco come padre e maestro. Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse l’invisibile”» (C. 21).
Nel mio ultimo intervento nell’aula capitolare, durante il discorso di chiusura del CG28, ho fatto riferimento a un dialogo avuto con un confratello il giorno prima. Egli chiese di parlare con me e mi disse: «Non lasciateci soli. Abbiamo bisogno di aiuto per essere veramente salesiani, per non perdere la nostra identità».
Ho sentito profondamente che in quel momento il Signore ci parlava anche attraverso questo nostro confratello. E ci faceva capire l’importanza e l’urgenza di crescere e consolidare l’identità carismatica nella nostra Congregazione.
Il punto di partenza essenziale e fondamentale è la nostra condizione di consacrati. Il futuro della vita consacrata, e la vita salesiana per noi consacrati, ha la sua ragion d’essere nel suo fondamento, che è Gesù Cristo. Come consacrati, la sequela di Cristo plasma la nostra identità integrando in essa la nostra formazione pastorale. Come consacrati, come salesiani di Don Bosco, Dio ci rende «memoria viva del modo di vivere e di agire di Gesù»[2]. E la sfida vocazionale, per tutta la vita consacrata e per noi in modo particolare come salesiani di Don Bosco, è quella di «tornare sempre a Gesù», rinunciando a tutto ciò che non è Lui o che ci allontana da Lui.
Con molta umiltà e chiarezza di visione dobbiamo riconoscere che la via d’uscita dalle crisi della vita religiosa, della vita salesiana, delle difficoltà di ogni Ispettoria, non si troverà nei nuovi progetti, né nei piani strategici, né in una “programmazione 3.0”. Il più delle volte, di fronte al disincanto, alla stanchezza esistenziale, alla mancanza di motivazione..., si tratta di tornare a Cristo, alla vita religiosa, alla vita consacrata salesiana. Perché possiamo vivere credendo erroneamente che nel fare le cose tutto abbia un senso. No, cari confratelli: senza Gesù Cristo al centro del nostro pensare, sentire, vivere, sognare, lavorare..., non c’è futuro, e non possiamo offrire nulla di significativo. Nelle parole di Papa Francesco: «Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente»[3].
Non dimentichiamo che la missione salesiana e la stessa Congregazione sono nate da Dio, suscitate dal suo Spirito: «Con sentimento di umile gratitudine crediamo che la Società di San Francesco di Sales non sia nata da un progetto umano, ma da un’iniziativa di Dio» (C.1); e che ognuno di noi, Salesiani di Don Bosco, è inviato ai giovani da Dio stesso che ci manda (C.15).
Dopo questo “speciale” Capitolo Generale 28, penso che ci si aspetti da noi Salesiani, 162 anni dopo l’inizio della nostra Congregazione, di essere pronti e agili nell’ascoltare il soffio dello Spirito di Dio, lo Spirito Santo, per continuare ad avere Gesù Cristo Signore come fondamento e centro della nostra vita, per rinnovare la profezia che deve caratterizzare la nostra vita, e per continuare a crescere in umanità, fino a diventare quegli “esperti in umanità” che sanno guardare e contemplare, fino a lasciarsi commuovere, il dolore e i bisogni dei nostri fratelli e sorelle (a cominciare da quelli delle nostre comunità), dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze e delle loro famiglie. Dobbiamo assumere con serietà il nostro servizio profetico. Il nostro contributo specifico è quello di essere icona dello stile di vita di Gesù, totalmente consacrato al Padre e al Suo progetto per l’umanità: il Regno. Perciò ci si aspetta da noi che siamo segni e testimoni della presenza paterna di Dio – che è una presenza dolce, capace di uno sguardo di tenerezza e con le braccia aperte, spalancate soprattutto ai più poveri, ai nostri giovani – , facendo diventare realtà la nostra fraternità, rendendola attraente, affascinante, e vivendo con semplicità e sobrietà.
Il Signore risorto invitava i suoi discepoli a tornare in Galilea per incontrarlo e rivederlo. Questo invito è per noi estremamente attuale e, esprimendomi in chiave salesiana, vorrei dire che la nostra Galilea per l’incontro con il Signore oggi, come salesiani di don Bosco, passa per Valdocco, gli inizi di Valdocco, anche fragili, ma con quella forza e passione della frase: «frate o non frate resto con don Bosco», che il giovane Giovanni Cagliero espresse con tanto ardore ed entusiasmo giovanile. Valdocco è, infatti, l’atmosfera spirituale e apostolica nella quale ciascuno di noi respira l’aria dello Spirito, dove alimentiamo e rafforziamo la nostra identità carismatica. È il luogo della “trasfigurazione” per ogni salesiano che, prendendosi cura di tutti gli elementi della nostra spiritualità, potrà contribuire a rendere ciascuna delle nostre case un’autentica Valdocco, dove sia possibile incontrare faccia a faccia, nella vita quotidiana, il nostro Signore Gesù Cristo.
Gesù passa, guarda con amore e ci chiama a seguirlo. E nel mistero di questa chiamata, nello sguardo che non ci giudica ma ci scruta dentro e ci guarda, nell’avventura di camminare sulle sue orme, ognuno può scoprire il progetto che Dio ha pensato per ciascuno di noi in forma originale. Oggi molti di coloro che decidono di abbandonare la Congregazione soffrono della stessa cosa: non essere venuti a contatto con il Signore Gesù e non aver avuto la stessa passione del giovane Cagliero di stare con Don Bosco per seguire Gesù. Ecco perché a volte qualsiasi altra offerta pastorale che abbia barlumi di autonomia, di autogestione, di indipendenza, di gestione di sé e delle proprie risorse economiche, esercita in alcuni fratelli un fascino sufficiente per spingerli a chiedere di andare altrove. Dobbiamo onestamente riconoscere che è così. A volte anche il dono del ministero presbiterale non è compreso pienamente e viene strumentalizzato e vissuto come “potere”. Questo fatto oscura l’alleanza che Dio ha stabilito con noi con il dono della consacrazione religiosa che è al centro della nostra vita personale e comunitaria.
PROPOSTA
Questo sessennio si dovrà distinguere per un profondo lavoro in Congregazione per crescere nella profondità carismatica, nell’identità salesiana, in tutte le fasi della vita, con un impegno serio in ogni ispettoria e in ogni comunità salesiana, per giungere a dire come Don Bosco: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo respiro, sarebbe stato per i miei poveri giovani»[4].
Per questa ragione:
2. In una Congregazione dove è URGENTE il “DA MIHI ANIMAS CETERA TOLLE”
«Con senso di umile gratitudine crediamo che la Società di san Francesco di Sales è nata non da solo progetto umano, ma per iniziativa de Dio. Per contribuire alla salvezza della gioventù, “questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società”, lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.
Formò in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani» (C.1)
Le testimonianze dei primi tempi della nostra storia congregazionale, e la riflessione che essa ha sviluppato nel corso degli anni, evidenziano un fatto molto significativo: l’espressione che meglio esprime lo zelo e la carità pastorale dei salesiani di Don Bosco è “Da mihi animas, coetera tolle”.
Quel ragazzo, Domenico Savio, che, alla presenza di quel giovane sacerdote di 34 anni che era Don Bosco, vide quella scritta all’ingresso del suo ufficio, la comprese perfettamente: «Ho capito; qui non havvi negozio di danaro, ma negozio di anime»[6]. Guardando Don Bosco, apprendiamo la sua profonda spiritualità e quelle speciali qualità di educatore che segnarono il suo modo di relazionarsi con gli adolescenti e i giovani. In Don Bosco e nella sua storia incontriamo la base della nostra azione educativo pastorale, che si caratterizza per una proposta di vita cristiana molto concreta; per l’attenzione nei confronti di ciascun giovane, con l’impegno di offrire risposte concrete alle loro esigenze; per la fiducia nella presenza di Dio.
Il nostro compito, soprattutto nell’accompagnamento dei giovani, si deve caratterizzare per la capacità pedagogica e spirituale creativa tipica del nostro padre Don Bosco, attraverso la quale possiamo superare le distanze nei confronti della sensibilità delle nuove generazioni, offrendo loro un ascolto amorevole e una comprensione compassionevole, suscitando i grandi interrogativi sul mistero della vita e aiutandoli a cercare il Signore e ad incontrarsi con Lui.
Il Capitolo generale 26° affrontava precisamente tutto questo riflettendo sul motto di Don Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle”. Ebbene, con la visione di oggi e con la conoscenza della nostra realtà, penso di poter dire che per noi è necessario e urgente che la nostra Congregazione viva, respiri e cammini cercando di fare del “Da mihi animas, cetera tolle” una realtà nell’annuncio del Vangelo, a favore dei nostri giovani e per il bene di noi stessi.
La nostra missione ci pone molto spesso sulla frontiera, dove entriamo abitualmente a contatto con cristiani di altre confessioni, con membri di altre religioni, con non credenti o credenti lontani: anche con loro e per loro vogliamo portare avanti la missione. Ogni tempo e ogni luogo sono adatti per il Vangelo.
Miei cari Confratelli, in quest’ora dopo il CG28
Senza questo, cari confratelli, altri titanici sforzi della Congregazione tenderanno alla bontà della promozione umana e all’assistenza sociale - che sono sempre molto necessari, e appartengono alla nostra identità carismatica - ma non ci porteranno alla prima ragione per cui lo Spirito Santo ha suscitato il carisma salesiano in Don Bosco: «Fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso, siamo evangelizzatori dei giovani» (C. 6). La prima finalità della nostra pastorale giovanile è la conversione delle persone al vangelo di Gesù Cristo.
Con tutte le sfumature della sensibilità storica, che vogliamo avere presenti, e la comprensione linguistica dell’epoca, che riteniamo necessaria, non possiamo prescindere dall’elemento essenziale e costitutivo che ha caratterizzato l’azione educativo-pastorale di Don Bosco, che il Rettor Maggiore Don Vecchi esprimeva così: «La pedagogia di Don Bosco è una pedagogia dell’anima, della grazia, del soprannaturale. Quando riusciamo ad attivare questa energia, inizia il lavoro più fecondo dell’educazione. L’altro, valido in sé, è proprio e concomitante a questo, che lo trascende»[7].
Il “cetera tolle” ci rende disponibili a lasciare tutto ciò che ci impedisce di andare incontro a chi ha più bisogno di noi. È l’ascesi che emana dall’opzione precedente, rinunciando a molto (gusti personali, preferenze, e persino azioni e servizi legittimi), a ciò che non ci permette di dedicare tutte le energie del cuore pastorale a ciò a cui abbiamo dato priorità.
PROPOSTA
Per questa ragione:
3. VIVERE IL “SACRAMENTO SALESIANO” DELLA PRESENZA
«La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani: “Basta che siate giovani, perché io vi ami assai”. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà significato a tutta la nostra vita.
Per il loro bene offriamo generosamente tempo, doti e salute: “Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita”» (C. 14)
Papa Francesco nel suo messaggio al Capitolo ci ha parlato de “l’opzione Valdocco e il carisma della presenza”, quel carisma che mi permetto liberamente di qualificare come “sacramento salesiano” della presenza. Il Papa scrive che «prima delle cose da fare, il salesiano è il ricordo vivente di una presenza dove disponibilità, ascolto, gioia e dedizione sono le note essenziali per risvegliare i processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivista e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e libera in mezzo ai giovani». Il nostro essere discepoli del Signore, il nostro modo autentico e profondo di essere apostoli dei giovani passa anzitutto attraverso il nostro stare in mezzo alla gente e, in modo speciale, in mezzo ai ragazzi e ai giovani.
Quanto è stato detto in modo colloquiale, non può essere espresso meglio. Si tratta, cari confratelli, di recuperare il primo amore vocazionale, quello che tutti noi abbiamo sperimentato quando abbiamo sentito che il Signore ci chiamava ad essere presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani. Mi azzardo a dire che non esiste un solo salesiano che, in un modo o nell’altro, non abbia sentito questo nel suo cuore.
Durante il CG28 abbiamo riflettuto su questo aspetto. Ci siamo resi conto che molti giovani vivono in una vera situazione di orfanezza anche se hanno i genitori. I giovani stessi ci hanno detto nel loro messaggio al CG28: «Siamo spaventati, confusi, frustrati, e sentiamo un grande bisogno di essere amati... sperimentiamo la difficoltà di fronte all’impegno... Crediamo che la nostra società sia individualista e troppo spesso diventiamo individualisti... Vogliamo poter tornare al primo amore che è Cristo, per essere suoi amici. C’è in noi un forte desiderio di realizzazione spirituale e personale. Vogliamo camminare verso la crescita spirituale e personale e vogliamo farlo con voi, Salesiani».[11]
Non dubitiamo di questa verità dei giovani stessi, che contemporaneamente abbiamo riconosciuto nell’aula capitolare: «Ci chiedono tempo e noi diamo loro spazio; ci chiedono relazione e noi forniamo loro servizi; ci chiedono vita fraterna e noi offriamo loro strutture; ci chiedono amicizia e noi facciamo per loro attività. Tutto ciò ci impegna a riscoprire le ricchezze e la potenzialità dello “spirito di famiglia”»[12].
Gli stessi giovani che ci hanno accompagnato durante il Capitolo generale ci hanno rivolto un forte appello ad essere per loro una presenza significativa. Ci hanno detto esplicitamente: «C’è in noi un forte desiderio di realizzazione spirituale e personale. Vogliamo camminare verso la crescita spirituale e personale, e vogliamo farlo con voi, salesiani... Vorremmo che foste voi a guidarci, dentro la nostra realtà, con amore... Salesiani, non dimenticatevi di noi, giovani, perché non abbiamo dimenticato voi e il carisma che ci avete insegnato! Vogliamo dirvelo a voce alta, con tutto il cuore. Essere qui, per noi, è stato un sogno che si è avverato: in questo luogo speciale che è Valdocco, dove è iniziata la missione salesiana, insieme, salesiani e giovani per la missione salesiana, con il nostro comune desiderio di essere santi insieme. Avete il nostro cuore nelle vostre mani. Prendetevi cura di questo prezioso tesoro. Vi preghiamo: non dimenticatevi mai di noi e continuate ad ascoltarci»[13].
Cari confratelli, è un gran privilegio sentire il battito di vita del cuore dei giovani! E non ho alcun dubbio che in tutta la Congregazione ci siano tanti confratelli che sono oggi per i giovani dei veri Don Bosco. Ma non mi accontento di questo. Dobbiamo esserlo tutti. Dobbiamo continuare sulla via della conversione. Questo impegno esige da noi un cambio di mentalità e di ritmi di vita, apertura di mente e di cuore, superamento di abitudini radicate e cristallizzate. I giovani dicono che ci vogliono bene, che hanno bisogno di noi, che ci aspettano. L’espressione di Don Bosco «studia di farti amare» è oggi pienamente attuale. La presenza non consiste unicamente nel passare del tempo con i giovani come gruppo, ma nell’incontrarli singolarmente, in modo personale, per stabilire una relazione che permetta di conoscere e ascoltare i loro desideri, le loro difficoltà e fatiche e, a volte, le loro paure e i loro timori. È una relazione che vuole andare oltre una conoscenza superficiale, offrendo un’amicizia caratterizzata dalla mutua confidenza e dalla reciproca condivisione. L’amorevolezza o la bontà è diventata così forma sostanziale della carità di Don Bosco. Egli ci chiede oggi, come nella lettera da Roma del 1884, la capacità di incontrarci, la disponibilità all’accoglienza, la familiarità. Come Don Bosco, dobbiamo coltivare ancora l’arte di fare il primo passo, eliminando distanze e barriere e facendo nascere la gioia e il desiderio di rivedersi, di essere amici. Quest’arte consiste anche nel creare, con pazienza e dedizione, un’atmosfera ricca di umanità, un clima familiare dove i ragazzi e i giovani si sentano molto liberi e capaci di esprimere ed essere se stessi, assimilando con gioia i valori che vengono loro proposti. Questa pedagogia dello spirito di famiglia è anche una scuola di fede per i giovani. Offriamo amore e accoglienza incondizionata, affinché possano scoprire, progressivamente e a partire da un’opzione di libertà personale, la fiducia e il dialogo, così come la celebrazione e l’esperienza comunitaria della fede.
E non dimentichiamo che la presenza salesiana è una presenza speciale, per cui il salesiano tratta i giovani con profondo rispetto, li incontra al loro livello di libertà, e li tratta come soggetti attivi e responsabili della comunità educativo-pastorale. Per questo, il salesiano impara uno stile di ascolto, dialogo e discernimento personale e comunitario. E questo vale non solo nella pastorale trai i giovani ma anche nelle nostre case di formazione, dove “si impara a essere salesiani”.
Ma questa modalità di presenza non è possibile se si è distanti dai giovani: lontani da loro fisicamente e lontani dalla loro psicologia e dal loro mondo culturale. Il pericolo è questo. La giusta alternativa è quella di vivere come salesiani, come figli di Don Bosco, la stessa esperienza di paternità che egli ha vissuto con i suoi ragazzi, che si traduce in un vero amore e nello stesso tempo in una reale “autorevolezza” nei confronti degli stessi ragazzi. A partire dal grande valore che ha per noi la presenza in mezzo ai giovani. Nel Messaggio del Papa al CG28 leggiamo: «La vostra consacrazione è, innanzitutto, segno di un amore gratuito del Signore e al Signore nei suoi giovani che non si definisce principalmente con un ministero, una funzione o un servizio particolare, ma attraverso una presenza. Prima ancora che di cose da fare, il salesiano è ricordo vivente di una presenza in cui la disponibilità, l’ascolto, la gioia e la dedizione sono le note essenziali per suscitare processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivistica e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani».
Mi permetto di ricordare che la presenza oggi tocca anche il mondo digitale, un nuovo vero areopago per noi, un habitat dei giovani di oggi. Anche qui dobbiamo essere presenti, con una chiara identità salesiana, con il desiderio di portare l’annuncio della buona novella, e semplicemente con la gioia e la semplicità dei discepoli del Signore[14].
PROPOSTA
Propongo per questo sessennio, come espressione della nostra CONVERSIONE, quanto già richiesto dal CG26, e cioè:
“Ogni salesiano trovi il tempo di essere tra i giovani come amico, educatore e testimone di Dio, qualunque sia il suo ruolo nella comunità”[15].
Nonostante appaia strano dover chiedere a un salesiano di trovare il tempo per stare con i giovani, lo ritengo oltremodo necessario.
Per questa ragione si propone di
4. LA FORMAZIONE PER ESSERE SALESIANI PASTORI OGGI
«Illuminato dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco, il salesiano si impegna in un processo formativo che dura tutta la vita e ne rispetta i ritmi di maturazione. Fa esperienza dei valori della vocazione salesiana nei diversi momenti della sua esistenza e accetta l’ascesi che tale cammino comporta.
Con l’aiuto di Maria, madre e maestra, tende a diventare educatore pastore dei giovani nella forma laicale o sacerdotale che gli è propria» (C. 98).
La formazione è veramente un regalo prezioso del Signore, che fa maturare in noi, come salesiani di Don Bosco, il dono inestimabile della chiamata del Padre alla vocazione cristiana e consacrata. Nonostante la realtà numerica delle vocazioni non sia omogenea in tutto il mondo, la Congregazione è benedetta ogni anno con l’ingresso di circa 450 novizi. Ringraziamo Dio perché, come dicono le nostre Costituzioni, ogni chiamata manifesta quanto il Signore ama la Chiesa e la nostra Congregazione (Cf. C. 22).
Tuttavia l’assemblea capitolare ha anche riconosciuto alcune nostre debolezze e le ha espresse così: «Notiamo infatti che talora l’identità consacrata salesiana pare debole e poco radicata: il primato di Dio nella vita personale e comunitaria non sempre emerge con chiarezza; forme di clericalismo e di secolarismo rischiano di far entrare in Congregazione la “mondanità spirituale”; la promozione del salesiano laico in alcune regioni rimane scarsa; la mancanza di personale preparato nell’ambito della salesianità, nonostante il molto materiale a disposizione, è segno di insufficiente attenzione all’approfondimento del carisma»[16]. Di fatto questa istanza è emersa in modo molto forte durante i lavori del nostro Capitolo generale 28°.
Oserei dire che se ciò avviene in tutte le congregazioni religiose e anche nella formazione dei seminari diocesani, la distanza abissale che si percepisce tra la formazione e la missione salesiana senza dubbio è per noi una grande sfida. Forse questa distanza è dovuta alla grande differenza che esiste tra la realtà delle case di formazione iniziale e la vita nelle comunità apostoliche (le comunità ordinarie di tutte le ispettorie); forse il fenomeno dipende anche dal fatto che la formazione non sempre riesce a raggiungere il cuore del giovane salesiano in formazione; forse nel curriculum formativo si trasmettono conoscenze e informazioni che non riescono a toccare la vita e la missione salesiana. La crescita è un processo lento di unificazione della persona, che mette in relazione esperienze di vita, bisogni esistenziali, conoscenze, missione, rapporti, vocazione, progetto di vita… In questo processo di unificazione ci formiamo per essere educatori e pastori in un mondo nuovo e in una missione rinnovata. Qualunque sia la ragione dei limiti formativi che constatiamo, ci troviamo di fronte a una grande sfida, che la Congregazione ha evidenziato e che dobbiamo affrontare con decisione nel sessennio.
D’altra parte, non possiamo negare che esiste una pericolosa convinzione: che la formazione termini dopo il completamento delle fasi iniziali; e, nel caso dei candidati al sacerdozio, sia compiuta con il loro accesso al ministero. Questa idea sbagliata ci fa molto male e ci porta a pagare prezzi elevati nel ministero pastorale. Si tratta, quindi, di comprendere la formazione come un processo di trasformazione personale che dura tutta la vita, anche se si caratterizza per una particolare intensità e con specifiche attenzioni nelle prime tappe. In definitiva la formazione è un cammino necessario per costruire e custodire la nostra vocazione.
Spesso non sappiamo trasformare la vita pastorale quotidiana in un’opportunità permanente per la nostra formazione e perciò «la comunità, sia religiosa che educativa pastorale, non riesce a diventare l’ambiente naturale in cui ci si forma»[17]. Siamo consapevoli di alcune possibili fragilità pastorali: superficialità, improvvisazione, attivismo. Non riveste minore importanza il pericolo dell’individualismo. Tutto ciò richiede umiltà, lucidità, autenticità e un nuovo impulso nella comprensione comunitaria della nostra vita e della nostra missione.
Come è stato detto al Capitolo generale, la formazione iniziale è una realtà poliedrica, positiva e promettente. Di fronte a tale situazione, la formazione dei formatori, cioè dei confratelli che accompagnano con una «vocazione particolare all’interno della propria vocazione» la formazione dei giovani salesiani, e la creazione di buone équipe di persone che possano accompagnare le tappe della formazione, sono una vera urgenza e una vera priorità, dal momento che la comunità è il primo luogo di formazione.
Dobbiamo forse parlare della necessità di assumere un nuovo stile di formazione? Nel suo messaggio al Capitolo generale, Papa Francesco ci dice a questo proposito: «pensare alla figura salesiana per i giovani di oggi significa accettare di essere immersi in un tempo di cambiamento»[18]. Occorre quindi rinnovare il nostro stile formativo, che deve essere pensato sempre più in forma personalizzante, olistica, relazionale, contestuale e interculturale[19]. Dovremo continuare a fare passi avanti per impostare e vivere realmente la formazione nell’orizzonte della vocazione e, quindi, ben lontano dall’essere intesa, come a volte si tende a fare, solo come un dovere che dura pochi anni e necessariamente viene superato per arrivare alla “vita reale”, alla vita concreta, a quella che si cercava. Che concetto formativo pericoloso quello che oppone la vita reale alla formazione del salesiano educatore e pastore!
La formazione, insomma, è un vero e proprio lavoro artigianale, sia da parte di chi accompagna i confratelli, sia da parte di ciascuno nel proprio processo formativo. In questo campo oggi non c’è spazio per la “produzione in serie”. L’artigianato parla di opere d’arte uniche, fatte a mano, una ad una. Parlando di questo lavoro artigianale, oggi non possiamo trascurare la figura della donna negli ambienti educativi salesiani. Infatti, «la presenza della donna in molte nostre opere è un dato di fatto, sia per quanto riguarda i destinatari che i corresponsabili dell’educazione»[20]. In questo senso Papa Francesco ci ha rivolto un forte appello nel suo Messaggio dicendo: «Che ne sarebbe di Valdocco senza la presenza di Mamma Margherita? Sarebbero state possibili le vostre case senza questa donna di fede? […] Senza una presenza reale, effettiva ed affettiva delle donne, le vostre opere mancherebbero del coraggio e della capacità di declinare la presenza come ospitalità, come casa. Di fronte al rigore che esclude, bisogna imparare a generare la nuova vita del Vangelo. Vi invito a portare avanti dinamiche in cui la voce della donna, il suo sguardo e il suo agire – apprezzato nella sua singolarità – trovino eco nel prendere le decisioni; come un attore non ausiliare ma costitutivo delle vostre presenze».
Un rinnovato stile e modello di formazione, anche con la forte sottolineatura che ci fa Papa Francesco, non sarà possibile dimenticando l’unico e più importante protagonista, che non è né il formatore né il formando, ma lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio verso il quale ciascuno di noi deve essere docile. Per questa ragione le nostre Costituzioni ricordano che «ogni salesiano si assume la responsabilità della propria formazione» (C. 99). Mi permetto di aggiungere che ciascun confratello deve fare in modo che lo Spirito Santo trasformi il suo cuore lungo il corso della vita e nei suoi diversi momenti.
Un cammino formativo vissuto così ci permetterà di consolidare nella Congregazione quanto ho affermato nelle pagine precedenti: il “Da mihi animas” deve essere il motore della passione educativa ed evangelizzatrice, e anche l’“energia” dell’intero processo formativo.
Di fatto, la natura apostolica del nostro carisma qualifica in modo determinante la nostra formazione. Come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio, «è importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo».
È evidente che abbiamo davanti a noi uno dei nuclei essenziali del cammino della Congregazione per i prossimi sei anni: curare la vocazione di ogni confratello in particolare, e dei giovani confratelli in formazione, in modo tale che tutti noi riusciamo ad essere i Salesiani di Don Bosco di cui oggi i nostri ragazzi, i giovani e le loro famiglie hanno bisogno.
PROPOSTA
Ci impegniamo a superare il divario tra formazione e missione favorendo nella Congregazione una rinnovata cultura della formazione nella missione per quest’oggi in tutto il mondo salesiano con misure e decisioni di grande significatività.
Per questa ragione:
5. PRIORITÀ ASSOLUTA PER I GIOVANI, I POVERI E I PIÙ ABBANDONATI E INDIFESI
«Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione.
Chiamati alla medesima missione, ne avvertiamo l’estrema importanza: i giovani vivono un’età in cui fanno scelte di vita fondamentali che preparano l’avvenire della società e della Chiesa.
Con Don Bosco riaffermiamo la preferenza per la “gioventù povera, abbandonata, pericolante”, che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata, e lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà» (C. 26)
Vorrei iniziare a sviluppare questa priorità a partire dalle poche frasi che ho potuto dedicare a questo tema nel mio ultimo intervento nell’Aula Capitolare, prima della conclusione anticipata del nostro CG28. Posso assicurarvi, cari Confratelli, che le parole erano poche ma la convinzione era forte e grande.
Ho detto: «Sogno che dire oggi e nei prossimi anni “Salesiani di Don Bosco” significhi, per le persone che ascoltano il nostro nome, che siamo consacrati un po’ “pazzi”, cioè “pazzi” perché amano i giovani, soprattutto i più poveri, con un vero cuore salesiano.
Cari confratelli, se ci allontanassimo dai più poveri, sarebbe la morte della Congregazione. Ce lo diceva don Bosco quando parlava della nostra povertà e del pericolo della ricchezza. Permettetemi di essere ancora più schietto: se un giorno dovessimo lasciare i ragazzi, i giovani e, tra questi, i più poveri, la nostra Congregazione inizierebbe a morire. Una Congregazione che oggi, grazie a Dio, è in buona salute, nonostante le nostre debolezze!
Prestiamo, dunque, attenzione a quella che considero un’autentica “deliberazione capitolare”, anche se non nel senso proprio dell’espressione, dal momento che il suo contenuto si trova già nelle nostre Costituzioni. Si tratta di chiedere a noi un’opzione radicale, preferenziale, personale, istituzionale e strutturale a favore dei giovani più bisognosi, poveri ed esclusi. Un’opzione che deve manifestarsi in modo speciale, nella difesa dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani sfruttati e vittime di qualsiasi tipo di abuso: dall’abuso sessuale a qualsiasi altro tipo di sfruttamento; dall’abuso causato da qualsiasi tipo di violenza; dall’abuso di ingiustizia manifesta ed evidente, a qualsiasi tipo di abuso di potere. Credo che questa sfida sia un bell’impegno che ogni salesiano deve portare nel cuore. Un periodo di sei anni guidato da questa luce ci darà molta vita».
Sono convinto che assumere questa prospettiva come irrinunciabile, sarà molto significativo in tutta la Congregazione e in tutti i contesti, culture e continenti. Oggi ci sono molte povertà giovanili che reclamano da parte dell’intera famiglia umana, e senza dubbio da noi Salesiani in modo particolare, un’attenzione urgente. In effetti, la storia della nostra Congregazione è caratterizzata da chiamate ad andare incontro ai giovani più poveri. «Come figli di Don Bosco, abbiamo assunto un impegno storico per servire i giovani poveri».[21]
Il nostro stesso padre Don Bosco ci ha già detto: «Tutti ci vedranno e ci accoglieranno con simpatia, purché le nostre preoccupazioni e le nostre richieste siano rivolte ai figli dei poveri, quelli più a rischio della società. Questa deve essere per noi la più grande soddisfazione che nessuno possa toglierci»[22].
Molti anni fa, il CGXIX dichiarava: «Oggi più che mai don Bosco e la Chiesa ci mandano a lavorare tra i poveri, i meno fortunati e il popolo»[23]. Il CGXX ha parlato anche della priorità assoluta dei “giovani” e tra di loro dei “poveri e abbandonati” quando ha chiesto chi fossero i destinatari concreti della nostra missione[24].
Noi stessi abbiamo detto nel nostro recente Capitolo che siamo consacrati a Dio per i giovani più poveri. Come Don Bosco, anche noi abbiamo promesso nella nostra professione religiosa di offrirci a Dio impegnando le nostre forze a servizio dei giovani, specialmente i più poveri, e che per questo dobbiamo «ascoltare insieme l’appello che Dio ci rivolge nelle povertà giovanili. Richiede poi anche profondità spirituale, per non cadere nell’attivismo o in una mentalità aziendale; preparazione culturale, per comprendere i fenomeni in cui siamo immersi e le nuove povertà giovanili; disponibilità a lavorare insieme, abbandonando ogni individualismo pastorale; flessibilità nel ripensare il nostro stile di vita e le nostre opere, soprattutto quando esse non esprimono più l’energia missionaria del carisma e rispondono prevalentemente a logiche di mantenimento»[25].
Insomma, l’appello che rivolgo a tutti è quello di guardare veramente i volti dei nostri ragazzi e dei nostri giovani fino a conoscere le loro storie di vita, che spesso sono attraversate da vere e proprie tragedie. Se questo avviene è perché amiamo veramente i giovani e ci causerà sofferenza e dolore per loro. Papa Francesco parlando dell’opzione Valdocco e del dono della gioventù ci dice qualcosa di prezioso, che non mi ha lasciato indifferente. Scrive: «L’Oratorio salesiano e tutto ciò che ne è uscito, come ci racconta la Biografia dell’Oratorio, è nato come risposta alla vita dei giovani con un volto e una storia che ha mobilitato quel giovane sacerdote che non poteva rimanere neutrale o immobile di fronte a quanto stava accadendo. È stato più di un gesto di buona volontà (...). Lo considero un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che “stanco di bussare” alle nostre porte, si aspetta che andiamo a cercarlo e lo troviamo, o che lo facciamo uscire, quando bussa dall’interno. Una conversione che ha coinvolto (e complicato) tutta la sua vita e quella di tutti coloro che lo circondano. Don Bosco non solo non ha scelto di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si è lasciato sfidare e ha scelto come e quale mondo abitare»[26].
PROPOSTA
Nel sessennio, la Congregazione in tutte le sue ispettorie fa l’opzione radicale, preferenziale, personale – cioè da parte di ogni salesiano – e istituzionale a favore dei più bisognosi, dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani poveri ed esclusi, con particolare attenzione alla difesa di coloro che sono sfruttati e vittime di qualsiasi abuso e violenza (“abuso di potere, economico, di coscienza, sessuale”[27]).
Per questa ragione:
6. INSIEME AI LAICI NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE
«Realizziamo nelle nostre opere la comunità educativa e pastorale. Essa coinvolge, in clima di famiglia, giovani e adulti, genitori ed educatori, fino a poter diventare un’esperienza di Chiesa, rivelatrice del disegno di Dio.
In questa comunità i laici, associati al nostro lavoro, portano il contributo originale della loro esperienza e del loro modello di vita.
Accogliamo e suscitiamo la loro collaborazione e offriamo la possibilità di conoscere e approfondire lo spirito salesiano e la pratica del Sistema Preventivo.
Favoriamo la crescita spirituale di ognuno e proponiamo, a chi vi sia chiamato, di condividere più strettamente la nostra missione nella Famiglia salesiana» (C.47).
Questo articolo delle nostre Costituzioni contiene gli elementi più essenziali della nostra missione condivisa con i laici. Con questa visione dobbiamo confrontarci e verificare fino a che punto il cammino della Congregazione, di ogni Ispettoria e di ogni confratello sta muovendosi in questa direzione, che esprime bene la nostra identità carismatica. Siamo impegnati nella formazione dei laici che condividono con noi la missione, sostenendo la loro crescita personale, il loro cammino di fede e la loro identificazione vitale con lo spirito salesiano. Inoltre, dobbiamo offrire i mezzi per consentire loro di svolgere i compiti loro affidati. «La (ri)scoperta della vocazione e della missione dei laici è una delle grandi frontiere del rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II e riflesso nel successivo Magistero»[28]. Il nostro CG24 è stato certamente una risposta carismatica all’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Sappiamo bene che Don Bosco, fin dall’inizio della sua missione a Valdocco, ha coinvolto tanti laici, amici e collaboratori in modo che fossero partecipi della sua missione tra i giovani. Da subito egli «suscita condivisione e corresponsabilità da parte di ecclesiastici, laici, uomini e donne»[29]. Si tratta dunque, nonostante le nostre resistenze, di un punto di non ritorno, perché, oltre a corrispondere all’agire di Don Bosco, il modello operativo della missione condivisa con i laici proposto dal CG24 è di fatto «l’unico praticabile nelle condizioni attuali»[30].
Ventiquattro anni dopo la celebrazione di quel Capitolo generale, dobbiamo riconoscere che l’accoglienza e l’attuazione di ciò che è stato deciso sono state molto diverse. In alcune regioni la presenza dei laici nella missione salesiana è diventata più evidente. In altre regioni della Congregazione il cammino è molto più lento. In altri casi l’esperienza di comunione è ancora agli inizi – come un cammino appena intrapreso – e talvolta incontriamo anche fenomeni di resistenza vera e propria.
Sicuramente in questi anni, anche nelle più diverse realtà culturali, si sono fatti progressi. Spesso i rapporti tra salesiani e laici sono caratterizzati da cordialità, apprezzamento reciproco, rispetto, collaborazione e, quando c’è una chiara identità, la realtà delle comunità educativo pastorali si presenta molto ricca – anche se non sempre si percepisce il valore della vocazione e della missione dei laici. Tendiamo, infatti, a riconoscere più facilmente ciò che fanno rispetto alla loro identità laicale.
È vero che tra i laici delle presenze salesiane nelle 134 nazioni in cui ci troviamo c’è una grande varietà: molti lavorano su base contrattuale e molti altri, soprattutto i più giovani, come volontari. Ci sono laici con una forte identità cristiana e carismatica, e altri che sono lontani da questa realtà. C’è chi è cattolico, ci sono cristiani di altre confessioni, o laici che professano altre religioni, e anche persone indifferenti al fatto religioso.
Similmente le modalità di relazione tra le comunità e le opere sono diverse a seconda della realtà esistente, dei contesti, ecc... Nella riflessione fatta nel Consiglio generale abbiamo preso coscienza di questa grande diversità, come si riflette nel nostro contributo al nucleo 3 del Capitolo, che non è stato sviluppato nell’Assemblea capitolare a causa del COVID-19[31].
Come dicevo precedentemente, «fin dall’inizio il nostro Fondatore si preoccupò di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo: da mamma Margherita ai datori di lavoro, dalla gente buona del popolo ai teologi, dai nobili ai politici dell’epoca. Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i laici, e loro con noi. Anzi, dobbiamo sottolineare l’importanza che i giovani hanno avuto nello sviluppo del carisma e della missione salesiana: Don Bosco trovò nei giovani i suoi primi collaboratori, che così sono diventati co-fondatori della Congregazione.
Tante volte io stesso – e certamente altri Rettori Maggiori – ho espresso con forte convinzione che la partecipazione dei laici al carisma salesiano e alla missione non è una concessione da parte nostra, una grazia che offriamo loro, e nemmeno una via di sopravvivenza – come molti confratelli hanno pensato tante volte. È un diritto legato alla loro vocazione specifica. Naturalmente qui appare evidente la differenza tra l’essere semplici lavoratori in una casa salesiana, e l’essere parte, nello stesso tempo, di un lavoro, di una missione e di una vocazione. È un rapporto radicalmente diverso. Ciò esige da noi in molti casi un deciso cambio di prospettiva. Come consacrati siamo un’incarnazione specifica del carisma salesiano, ma non ne siamo gli unici depositari.
Da qui discende una priorità assoluta: «La condivisione dello spirito salesiano e la crescita nella corresponsabilità che richiedono la condivisione di alcuni percorsi ed esperienze formative orientate alla missione, ovviamente senza trascurare percorsi formativi specifici ai salesiani consacrati e ai laici. La formazione congiunta nella missione condivisa è una priorità assoluta e va indirizzata soprattutto al nucleo animatore»[32].
I laici sono compagni di cammino, non sostituti o surrogati dei religiosi: loro e noi abbiamo identità e compiti specifici per la missione. Pertanto, i nostri collaboratori laici hanno bisogno di conoscere e sperimentare molto da vicino Don Bosco e ciò che si vive nelle case salesiane dove essi si trovano. Tale conoscenza e formazione non si ricevono solo attraverso corsi accademici, ma in un modo molto speciale, riflettendo, verificando e progettando ciò che si vive insieme in una presenza. È essenziale compiere ulteriori passi nella formazione comune e congiunta, specialmente in quegli aspetti che si riferiscono alla conoscenza e al vissuto del nostro carisma condiviso. Sappiamo, infatti, che «il primo e migliore modo per formarsi e per formare la condivisione e la corresponsabilità è il corretto funzionamento della comunità educativa pastorale»[33].
Mi resta da sottolineare in modo molto particolare e fermo che la missione condivisa con i laici ha il suo sviluppo più pieno e autentico quando essi sono membri di uno dei 32 gruppi della Famiglia Salesiana, dei quali, come è noto, dodici sono gruppi laicali. Nel caso dei membri appartenenti alla Famiglia Salesiana il grado di identità carismatica è spesso molto alto, e insieme viviamo una vera vocazione nel carisma. È una ragione in più per dare priorità alla presenza dei membri della Famiglia salesiana nelle nostre presenze, anche come lavoratori, quando la loro professionalità soddisfa le stesse condizioni degli altri.
Infine, non dobbiamo dimenticare che il futuro di questo elemento carismatico – la missione e la formazione condivisa con i laici – passa attraverso la formazione dei futuri salesiani. Non vi nascondo, cari Confratelli, che mi preoccupa la tendenza di una parte dei nostri giovani confratelli, che bramano, oserei quasi dire anche con veemenza, di terminare le tappe formative per vedersi con autorità, posizioni e responsabilità davanti ai laici. È una tendenza totalmente contraria al cammino che vogliamo intraprendere come Congregazione. Per questo motivo, «la formazione nella e per la missione condivisa deve toccare anche la formazione iniziale dei salesiani, non solo come oggetto di studio, ma anche attraverso esperienze pastorali settimanali e attive. L’esperienza di lavorare con e sotto la direzione di laici durante il mandato, così come la partecipazione al consiglio della comunità educativa pastorale, sono momenti preziosi di formazione, soprattutto se accompagnati dai membri del gruppo di animatori, sia salesiani che laici»[34].
PROPOSTA
Per questa ragione:
7. È TEMPO DI GENEROSITÀ NELLA CONGREGAZIONE. In una Congregazione sempre missionaria
«Ciascuno de noi è chiamato da Dio a far parte della Società salesiana. Per questo riceve da lui doni personali e, rispondendo fedelmente, trova la via della sua piena realizzazione in Cristo.
La Società lo riconosce nella sua vocazione e lo aiuta a svilupparla. Egli, come membro responsabile, mette se stesso e i propri doni al servizio della vita e dell’azione comune.
Ogni chiamata manifesta che il Signore ama la Congregazione, la vuole viva per il bene della sua Chiesa e non cessa di arricchirla di nuove energie apostoliche» (C.22)
Nella sessione conclusiva del CG28 ho detto che, a mio parere, questo «è tempo di generosità nella Congregazione». Non ho dubbi che abbiamo una storia di 162 anni caratterizzata da grande generosità, già iniziata con Don Bosco. Tuttavia, mi sembra che oggi questa generosità sia più che mai necessaria.
Cercherò di spiegarmi chiaramente.
Oggi, non meno che in passato, la realtà ci parla della necessità dell’evangelizzazione, dei bisogni pastorali e di promozione umana che veniamo a conoscere a contatto con diversi contesti. Ci vengono rivolti frequenti appelli, chiamate, interpellanze perché assumiamo questo o quel servizio in tante parti del mondo. Vediamo ragazzi, ragazze, giovani e famiglie in difficoltà in ogni continente.
La speranza di poter lavorare (e a volte anche studiare) più facilmente continua a provocare massicce migrazioni verso le grandi città (e anche verso altri paesi) con le naturali conseguenze del disadattamento e della marginalizzazione sociale. A questo si aggiunge l’agghiacciante realtà dei rifugiati e dei campi in cui vivono; in molti di essi i nostri confratelli condividono la vita con gli stessi rifugiati (Kakuma-Kenya, Juba-Sud Sudan, Palabek-Uganda).
Potrei ampliare l’elenco di questo insieme di situazioni.
Cari Confratelli, noi tutti apparteniamo a Dio e alla nostra unica Congregazione, di cui gioiosamente siamo membri. Siamo tutti salesiani di Don Bosco nel mondo. Il nostro affetto si rivolgerà sempre ai confratelli della nostra ispettoria di origine, nella quale siamo “vocazionalmente nati”; ma la nostra appartenenza più vera e più profonda è alla Congregazione, ed essa comincia con la nostra stessa professione religiosa.
Per tale ragione nei prossimi sei anni l’apertura di orizzonti deve diventare ancora più effettiva e reale, grazie alla disponibilità dei confratelli e alla generosa risposta delle ispettorie che hanno maggiori possibilità di offrire un aiuto agli altri confratelli. A volte con accordi tra gli stessi ispettori, altre volte con la mediazione del Rettor Maggiore e del suo Consiglio quando si tratta di nuove fondazioni, nuove sfide missionarie, nuove presenze in altre nazioni o in nuove frontiere missionarie.
Fortunatamente le ispettorie economicamente più povere sono le più ricche di vocazioni, e la formazione di tutti questi confratelli è resa possibile dalla generosità di tutta la Congregazione. Ancora una volta si dimostra che la generosità rende possibili tutti i sogni.
Viviamo in tempi in cui dobbiamo affrontare la realtà con una mentalità rinnovata, che ci permette di “superare le frontiere”. In un mondo in cui i confini sono sempre più “una difesa contro gli altri”, la profezia della nostra vita di Salesiani di Don Bosco consiste anche in questo: nel mostrare che per noi non ci sono confini. L’unica realtà alla quale rispondiamo è: Dio, il Vangelo e la missione che ci è stata affidata. Proprio per questo le nostre comunità internazionali e interculturali hanno oggi un grande valore profetico, senza nascondere il fatto che costruire la fraternità nella diversità, richiede visione di fede e impegno personale.
La realtà missionaria della nostra Congregazione continua a interpellarci e a presentarci delle belle sfide, le missioni ci spingono in avanti e ci fanno sognare bei sogni che diventano realtà.
Quando negli anni ’80 del secolo scorso continuavamo, anno dopo anno, a perdere confratelli in modo significativo, il Rettor Maggiore don Egidio Viganò ha lanciato in modo profetico il Progetto Africa, che oggi è una bellissima realtà. Quando nel 2000, di fronte al nuovo millennio, si constatava la dura realtà pastorale e la necessità di una nuova evangelizzazione per l’Europa, Don Pascual Chávez promosse con convinzione il Progetto Europa. Questi non sono tempi in cui preoccuparsi di sopravvivere, ma occasioni per essere più significativi.
Papa Francesco nel suo messaggio al CG28 ci invitava anche ad essere attenti alle paure che finiscono «col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore. Tale inerzia può manifestarsi anche in uno sguardo e un atteggiamento pessimistici di fronte a tutto ciò che ci circonda, e non solo rispetto alle trasformazioni che avvengono nella società, ma anche in rapporto alla propria Congregazione, ai fratelli e alla vita della Chiesa. Quell’atteggiamento che finisce per “boicottare” e impedire qualsiasi risposta o processo alternativo»[36].
PROPOSTA
Propongo a tutta la Congregazione di concretizzare quest’ora di generosità assumendo in modo naturale la disponibilità di confratelli di tutte le ispettorie (trasferimenti, scambio, aiuto temporaneo) per servizi internazionali, nuove fondazioni, nuove frontiere che vogliamo raggiungere.
Per questa ragione:
8. ACCOMPAGNANDO I GIOVANI VERSO UN FUTURO SOSTENIBILE
Riconosciamo che l’attenzione a un futuro sostenibile è una conversione culturale, non una moda, e come ogni conversione ha bisogno di esser richiamata con forza con il suo nome nuovo.
L’assemblea capitolare si è espressa con totale unanimità quando è stato proposto che una piccola commissione assumesse la sensibilità che c’è in noi di fronte a questa emergenza. La cura del creato non è una moda. È in gioco la vita dell’umanità, anche se molti funzionari pubblici, prigionieri di interessi economici, guardano dall’altra parte o negano ciò che è innegabile. Questa sensibilità si è concretizzata in una delibera del Capitolo approvata dall’Assemblea. Papa Francesco ha ribadito che dobbiamo evitare una «emergenza climatica» che rischia di «perpetrare un brutale atto di ingiustizia nei confronti dei poveri e delle generazioni future»[37].
Il nostro impegno per un’ecologia umana integrale nasce dalla convinzione di fede secondo la quale «tutto è collegato, e che la cura autentica della nostra vita e dei nostri rapporti con la natura è inseparabile dalla fratellanza, dalla giustizia e dalla fedeltà agli altri»[38]. All’interno della vita sociale degli esseri umani non possiamo separare la cura dell’ambiente. Pertanto, l’ecologia deve essere integrale, umana. E, di conseguenza, siamo invitati a una conversione ecologica che non riguarda solo l’economia e la politica, ma anche la vita sociale, le relazioni, l’affettività e la spiritualità.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ai disaccordi dei politici di varie nazioni di fronte a questa emergenza. L’ultimo incontro dei leader dei Paesi a Santiago del Cile (ma tenutosi a Madrid-Spagna) ha avuto come unico risultato l’accordo di incontrarsi di nuovo tra un anno. Nessun accordo operativo significativo.
Allo stesso tempo, milioni e milioni di persone, per lo più giovani, hanno innalzato un grido globale. Papa Francesco, sensibile a questa realtà, come ha ben dimostrato, ricorda che i giovani stessi chiedono un cambiamento radicale e che « si chiedono come si possa pretendere di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi»[39].
La proposta di deliberazione capitolare così si esprime: «Insieme a Papa Francesco riconosciamo l’evidenza data dalla scienza che l’accelerazione del cambiamento climatico derivante dall’attività umana è reale. L’inquinamento dell’aria, l’inquinamento dell’acqua, lo smaltimento improprio dei rifiuti, la perdita di biodiversità e altre questioni ambientali che hanno un impatto negativo sulla vita umana sono in aumento. La produzione e il consumo non sostenibili stanno spingendo il nostro mondo e i suoi ecosistemi oltre i loro limiti, minando la loro capacità di fornire risorse e azioni vitali per la vita, lo sviluppo e la loro rigenerazione»[40].
Nel momento in cui scrivo queste righe, il pianeta Terra e tutti i paesi del mondo sono stati colpiti, in misura maggiore o minore, dal virus COVID-19 che, ad oggi, ha causato la morte di 624.000 persone e ne ha infettate 15.300.000. Sappiamo bene che la vita di una singola persona è sacra, e c’è tanto dolore a causa di tante morti. Ma non è meno vero che il pianeta Terra sanguina da decenni, e che l’inquinamento ogni anno causa molte più vittime umane di quante non ne abbia provocate il COVID-19. Questo dato di fatto purtroppo non è preso così seriamente.
Non è meno vero che i più poveri, sempre i più poveri!, subiscono gli effetti disastrosi della deforestazione e dei cambiamenti climatici, della rovina dei loro poverissimi raccolti, loro unica risorsa per vivere. Anche questo non viene denunciato.
Potrei ancora fare un elenco di queste situazioni. Non è necessario. Basta sottolineare che come educatori e pastori non possiamo essere indifferenti a questa realtà. Dobbiamo fare qualcosa.
PROPOSTA
Ascoltando il grido che a livello mondiale sale da tanti giovani d’oggi, NOI SALESIANI CI IMPEGNIAMO AD ESSERE TESTIMONI CREDIBILI, personalmente e comunitariamente, di CONVERSIONE nella cura del Creato e nella Spiritualità Ecologica[41].
Per questa ragione:
CONCLUSIONE
Miei cari Confratelli: concludo queste linee programmatiche invitandovi ad accoglierle non come una semplice lettera, ma come un messaggio e un programma che vuole essere espressione del battito del cuore della Congregazione oggi in tutto il mondo.
E propongo due elementi importanti come atteggiamento con cui affrontare la bella opportunità dei prossimi sei anni:
A proposito della speranza, vorrei sottolineare che, come ben sappiamo, essa è una virtù che ha tanto a che fare con la nostra fede cristiana; è un modo diverso di guardare al futuro. La speranza cristiana è un modo di vivere, un modo di camminare, un modo di guardare.
La speranza è il frutto dell’incontro con il Signore Gesù ed è il frutto dell’accoglienza del suo Spirito in noi. La speranza non è il risultato di calcoli e previsioni. «Né pessimista né ottimista, il salesiano del secolo XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore, capace di fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva. Solo questo renderà feconda la nostra vita»[42].
Sulla necessità di lasciarci guidare molto di più dallo Spirito Santo di Dio, Lui che è il vero Maestro interiore, faccio mie le parole del Patriarca di Costantinopoli, Atenagora I, che incontrò Papa Paolo VI (oggi Santo) a Gerusalemme nel gennaio 1964. Il frutto di quell’incontro nello Spirito di Dio è stato l’abrogazione delle scomuniche reciproche che fino a quel momento erano esistite e che avevano profondamente ferito il cuore di Cristo nella sua Chiesa.
Questo è il pensiero:
«Senza lo Spirito Santo,
Dio è lontano,
Cristo rimane nel passato,
il Vangelo è una lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione,
l’autorità un potere,
la missione una propaganda,
il culto un ricordo,
e l’agire cristiano una morale di schiavi.
Ma nello Spirito Santo
il cosmo è mobilitato per la generazione del Regno,
il Cristo risorto si fa presente,
il Vangelo si fa potenza e vita,
la Chiesa realizza la comunione Trinitaria,
l’autorità si trasforma in servizio,
la liturgia è memoriale e anticipazione,
la condotta umana viene deificata»[43].
Accogliamo questo messaggio nella nostra preghiera.
Miei cari Confratelli salesiani, questo è ciò che sentivo di dover comunicare e chiedere a tutti voi. Vi invito ad accogliere queste sfide, questa tabella di marcia per il cammino del sessennio con tutto il cuore e con il profondo desiderio di renderla realtà nelle comunità e nelle ispettorie. Saranno certamente, con la grazia di Dio e la presenza materna della nostra Madre Ausiliatrice, anni di fedeltà da parte della Congregazione e di risposta coraggiosa e anche profetica ai segni dei tempi di oggi. Che la nostra Madre Ausiliatrice continui a prendersi cura della nostra Congregazione e a “fare tutto”, come con don Bosco.
La Sua mediazione e quella di tutta la santità salesiana della nostra Famiglia sia per noi una benedizione nell’unica cosa importante della nostra missione da parte di Dio: «Essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio per i giovani, specialmente i più poveri» (C. 2).
Vi accompagno, tutti e ciascuno, con il ricordo e la preghiera.
Ángel Fernández Artime, sdb
Rettor Maggiore
Roma, 16 agosto 2020
205° Anniversario della nascita di Don Bosco
[1] Francesco, Messaggio ai membri del CG28, Roma 4 marzo 2020. Approfitto di questa prima nota per dirvi che la mia lettera sarà arricchita da citazioni testuali del messaggio che Papa Francesco ha pensato per noi come Congregazione e come Assemblea capitolare e che ci ha inviato nel momento più opportuno delle nostre riflessioni e dei nostri lavori. Per l’importanza che hanno le parole del Santo Padre, ho deciso di non riportarle nelle note a fondo pagina, ma nel corpo del discorso. Basterà vedere il testo tra virgolette per riconoscervi la parola del Papa.
[2] Vita Consecrata, 22.
[3] Francesco, Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, Roma 19 marzo 2018, 1.
[4] MB XVIII, 258, citato anche nelle nostre Costituzioni all’art.1.
[5] Cf. Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, Roma 25 marzo 2019, 98. Nell’Esortazione è riportata questa citazione: «Il clericalismo è una tentazione permanente per i sacerdoti, che interpretano “il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che un servizio gratuito e generoso da offrire; e questo ci porta a credere di appartenere a un gruppo che ha tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare o di imparare nulla”», Francesco, Discorso alla prima Congregazione Generale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Roma 3 ottobre 2018.
[6] G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in ISS, Fonti Salesiane: I. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 1040.
[7] J.E. Vecchi, Indicazioni per un cammino di spiritualità salesiana, ACG 354, 1995, p. 26.
[8] CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani d’oggi. Primo nucleo, n. 4.
[9] Documento finale del Sinodo dei giovani, d’ora in avanti DF.
[10] Papa Francesco ci ha detto: «L’opzione Valdocco del vostro 28° Capitolo generale è una buona occasione per confrontarsi con le fonti e chiedere al Signore: “da mihi animas, coetera tolle”. Tolle soprattutto quello che, lungo il cammino, è stato incorporato e perpetuato, che, anche se in un altro tempo avrebbe potuto essere una risposta adeguata, oggi vi impedisce di configurare e plasmare la presenza salesiana in modo evangelicamente significativo nelle varie presenze missionarie. Questo ci invita a superare le paure e le apprensioni che possono sorgere dall’aver creduto che il carisma fosse ridotto o identificato con certe opere o strutture. Vivere fedelmente il carisma è qualcosa di più ricco e impegnativo che abbandonare, ritirarsi o riordinare case o attività; implica un cambiamento di mentalità rispetto alla missione da svolgere».
[11] Lettera dei giovani al CG28.
[12] CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi. Primo nucleo, n.5
[13] Lettera dei giovani al CG28.
[14] “La rivoluzione digitale ci chiede di comprendere le profonde trasformazioni che stanno avvenendo non solo nel campo della comunicazione, ma soprattutto nel modo di impostare e gestire le nostre relazioni umane” (Nucleo 1 elaborato dal CG28).
[15] CG26, “Da mihi animas, cetera tolle”, n.14.
[16] CG28, Profilo del salesiano oggi. Secondo nucleo, n. 1.
[17] Idem, n. 3.
[18] Idem, n. 5.
[19] Idem, n. 5.
[20] CG24, n. 166.
[21] CGXX, n. 580.
[22] MB XVII, 272; Cf. MB XVII, 207.
[23] CGXIX, ACS 244, p. 94.
[24] CGXX, n. 45.
[25] CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi. Primo nucleo, n. 8.
[26] Francesco, Messaggio al CG28.
[27] ChV, 98.
[28] CG28, Insieme ai laici nella missione en ella formazione, Nucleo 3, riconoscere, n. 1.
[29] CG24, n. 71.
[30] CG24, n. 39.
[31] Idem, nn. 12-17.
[32] Animazione e governo della comunità, 106 e 122.
[33] CG24, 43.
[34] CG28, Terzo Nucleo, Insieme ai laici nella missione en ella formazione, n. 43.
[35] CG27, Testimoni della radicalità evangelica. Documenti capitolari: Discorso del Rettor Maggiore alla chiusura del CG27, n. 3.7, Roma 2014.
[36] Francesco, Messaggio al CG28.
[37] Francesco, Discorso ai partecipanti all'incontro promosso dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale sul tema: Transizione energetica e cura della nostra casa comune, Roma 14 giugno 2019.
[38] Cf. Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, Roma 24 maggio 2015, nn. 137-162. D’ora in poi LS.
[39] LS 13.
[40] CG28, Proposta per la deliberazione sull’ecologia.
[41] LS, 217.
[42] Francesco, Messaggio al CG28, citando la sua Omelia nella Festa della Presentazione del Signore per la 21a Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 2 febbraio 2017.
[43] La frase è del Patriarca Atenagora I, anche se alcuni attribuiscono la citazione al patriarca Ignazio IV Hazim, nel 1968.
Documento POST-CAPITOLARE
approvato DAL RETTOR MAGGIORE
E dal consiglio generale
16 agosto 2020
Primo nucleo: Priorità della Missione Salesiana
Secondo nucleo: Profilo Salesiano del oggi
Terzo nucleo: Insieme ai Laici
PRIORITÀ DELLA MISSIONE SALESIANA
TRA I GIOVANI DI OGGI
Questo primo nucleo è stato presentato durante il CG 28 e sostanzialmente approvato dall’assemblea capitolare.
Nella sessione estiva 2020 del Consiglio Generale è stato solo rivisto alla luce delle osservazioni delle commissioni capitolari.
RICONOSCERE
Come membri del Capitolo Generale 28° siamo convinti che Dio, attraverso il suo Spirito, è presente nella vita di tutti i giovani del nostro tempo. Mediante il discernimento abbiamo prima di tutto cercato di riconoscere la sua azione, cercando di entrare nel ritmo di «una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28)
Fin dall’inizio questo ci ha spinto ad avere uno sguardo positivo, plasmato da umiltà, simpatia, coraggio, intelligenza, fede e speranza, nella certezza che proprio questo «è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani», che devono pertanto essere da noi considerati “terra sacra” (cfr. Christus vivit, n. 67).
Chiamati ad essere amici, padri e pastori dei giovani desideriamo fare nostro questo sguardo divino, nella consapevolezza di seguire così le orme del nostro amato padre don Bosco che proprio a Valdocco, guidato per mano dall’Ausiliatrice, ha realizzato la sua opera.
Chi sono i giovani di oggi? Qual è la loro condizione? Che cosa cercano? Che cosa ci domandano? Per rispondere a queste domande ci siamo prima di tutto messi in ascolto.
Abbiamo avuto il dono di avere tra noi alcuni giovani provenienti da tutto il mondo, che hanno rappresentato i tantissimi giovani che si sono resi presenti nei nostri Capitoli Ispettoriali durante la preparazione al CG 28. Abbiamo ascoltato la loro voce con attenzione e commozione. Ci hanno comunicato la loro inquietudine spirituale e la loro fame di Dio, il loro desiderio di essere protagonisti e artefici di un mondo migliore, la loro fatica di credere e di andare controcorrente rispetto alle logiche del nostro tempo. Ci hanno chiesto di essere meno “gestori” e più “pastori”, di stare in mezzo a loro e di avere tempo per accompagnarli.
Nei molti momenti di lavoro insieme abbiamo anche preso coscienza delle tante povertà dei giovani, che ci lasciano inorriditi allo stesso modo in cui don Bosco lo fu nella sua prima visita alle carceri di Torino. Il grido di tanti giovani tocca anche oggi il nostro cuore: povertà economica, sociale e culturale; povertà affettiva, relazionale e familiare; povertà morale e spirituale. In molti contesti la disoccupazione e l’impossibilità di studiare penalizzano larghe fasce di giovani.
In tanti modi i giovani si sono mostrati per noi dei profeti: attraverso la loro presenza il Signore ci fa continuamente conoscere le sue attese e i suoi appelli per il rinnovamento della nostra missione. Come don Bosco «non scoprì la sua missione davanti a uno specchio, ma nel dolore di vedere dei giovani che non avevano futuro, anche il salesiano del sec. XXI non scoprirà la propria identità se non è capace di patire con “la quantità di ragazzi, sani e robusti, di ingegno sveglio che stavano in carcere tormentati e del tutto privi di nutrimento spirituale e materiale… In loro era rappresentato l’obbrobrio della patria, il disonore della famiglia”; e noi potremmo aggiungere: della nostra stessa Chiesa» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca: oggi più che mai «nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). È quindi evidente che non è più possibile pensare la nostra missione nella forma del “si è sempre fatto così”. Questa situazione, se da una parte ci disorienta, dall’altra chiede di metterci in gioco con umiltà e coraggio, chiedendoci di recuperare quei dinamismi giovanili che erano così vivi in don Bosco. Siamo più che mai convinti di quanto ci ha detto Papa Francesco proprio qui a Valdocco, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, il 21 giugno 2015: «Il vostro carisma è di una attualità grandissima. Guardate le strade, guardate i ragazzi e fate decisioni rischiose. Non abbiate paura. Come ha fatto lui».
Insieme ad alcune sfide perenni che continuano ad interpellarci, il nostro tempo presenta alcune novità con cui è inevitabile confrontarci. La rivoluzione digitale ci chiede di comprendere le profonde trasformazioni che stanno avvenendo non solo nel campo della comunicazione, ma soprattutto nel modo di impostare e gestire le nostre relazioni umane. Il campo dell’affettività, con tutte le questioni legate al genere e all’identità sessuale, sfidano la nostra visione antropologica. La condizione della donna e il suo ruolo nella società e nella Chiesa ci chiedono una riflessione più attenta e approfondita. La sensibilità ecologica, che sta crescendo rapidamente nel mondo giovanile, ci chiede di essere profetici in questo campo attraverso scelte chiare e coerenti. Il contatto con i giovani migranti, i rifugiati e tanti altri giovani privati dei loro diritti fondamentali diventa per noi un pressante appello all’azione. Infine la dolorosa esperienza degli abusi, che tocca anche la nostra Congregazione, è una forte chiamata alla conversione.
Il rapido cambiamento in atto tocca i processi ordinari di trasmissione della fede. A questo proposito si riscontrano grandi differenze: se in alcuni contesti la vita di fede non pone alcun problema e i giovani vivono con naturalità la loro appartenenza alla Chiesa, in altri fortemente secolarizzati la fede cristiana è divenuta una questione che non ha più alcuna rilevanza personale e sociale. In alcuni territori dove siamo presenti c’è fondamentalismo, discriminazione e perfino persecuzione; in altri possiamo liberamente proporre il Vangelo. Lavoriamo anche in molti contesti multireligiosi in cui la maggioranza dei giovani che frequentano le nostre opere appartengono ad altre religioni o ad altre confessioni cristiane.
Di fronte alla crisi globale dell’autorità, della tradizione e della trasmissione siamo sfidati sugli stili, sui contenuti e sulle modalità di annunciare Gesù Cristo, in quanto ci sentiamo tutti chiamati ad essere “missionari dei giovani”. Convinti della necessità di arrivare al loro cuore, sentiamo l’urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (Christus vivit, n. 214).
I giovani sono portatori del fuoco vivo del carisma salesiano e ci aiutano a conoscere, approfondire e assumere meglio la missione a noi affidata. Fin dall’inizio «lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni», nella convinzione che «ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Sentiamo quindi come nostro dovere coinvolgere i giovani e riteniamo loro diritto essere coinvolti all’interno della comunità educativo pastorale, che è prima di tutto una famiglia dove si condivide tutto in un clima di amicizia, ascolto, rispetto e collaborazione. Riconosciamo che molti di loro «si trovano in una profonda situazione di orfanezza… alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso» (cfr. Christus vivit, n. 216). Proprio in questa direzione i recenti cammini sinodali ci hanno aiutato a riscoprire l’indole familiare della Chiesa, tanto che quest’ultima può essere pensata come «famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche» (Amoris laetitia, n. 87).
Siamo infine consapevoli che molte volte non riusciamo a intercettare questa vera e propria “nostalgia comunitaria” dei giovani e delle famiglie: ci chiedono tempo e noi diamo loro spazio; ci chiedono relazione e noi forniamo loro servizi; ci chiedono vita fraterna e noi offriamo loro strutture; ci chiedono amicizia e noi facciamo per loro attività. Tutto ciò ci impegna a riscoprire le ricchezze e le potenzialità dello “spirito di famiglia”.
INTERPRETARE
Per interpretare quanto abbiamo fin qui riconosciuto, vogliamo lasciarci guidare da uno dei passi più significativi della “Lettera da Roma” del 1884. Don Bosco vede che nell’Oratorio di Valdocco tra i salesiani e i giovani si è creata una barriera fisica e spirituale, che ostacola l’azione educativa e tradisce il carisma. Dialogando con uno dei giovani del sogno, egli cerca di interpretare la situazione per trovare il modo di risolverla: «Come dunque fare per rompere questa barriera?» La risposta che riceve è illuminante anche per noi: «Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità».
Questo testo illumina i tre nodi fondamentali intorno ai quali abbiamo raccolto l’interpretazione di questo nucleo: l’andare incontro ai giovani nel luogo in cui essi si trovano e si esprimono spontaneamente; la vicinanza che crea confidenza e rende possibile l’accompagnamento; la tonalità affettiva della relazione educativa che don Bosco chiama con un termine che deriva dall’esperienza famigliare. È in questa prospettiva di fede che vogliamo cercare le ragioni di ciò che viviamo, con le sue luci e le sue ombre, far emergere le sfide che ci attendono e identificare i criteri per affrontarle.
Comunità in uscita verso i giovani poveri
Troppe volte la povertà allontana i ragazzi e i giovani dall’opportunità di crescere in modo sereno, di avere un’educazione adeguata, di decidere del proprio futuro. Non di rado la povertà allontana anche dalla comunità cristiana e dalla possibilità di incontrare la gioia del Vangelo, che invece è destinata proprio agli ultimi: «Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). La povertà diventa così oggi una barriera escludente, che deve essere superata.
Il magistero profetico di Papa Francesco sta aiutando la Chiesa a prendere sempre più coscienza che la distanza dai poveri tradisce il Vangelo e genera numerose “malattie” nella comunità cristiana. Anche noi sentiamo il bisogno di andare in profondità nell’interpretazione del tempo che viviamo, fino a riconoscere che fenomeni sociali e sfide spirituali, appelli dei giovani e mozioni dello Spirito sono strettamente congiunti, senza alcuna possibilità di divaricazione. Questa è stata l’esperienza di don Bosco, che l’ha reso capace di rispondere ai bisogni più urgenti dei suoi ragazzi e di far sentire loro la tenerezza di Dio che scalda il cuore e infonde speranza. Dove questo avviene anche oggi, con impegno generoso e creatività pastorale, vediamo una vera fioritura del carisma. Dove invece le comunità perdono la “famigliarità” con i poveri, la vita religiosa si intiepidisce, rischiando di diventare sale che perde sapore, lampada messa sotto il moggio (cfr. Mt 5,13.15).
Uscire verso i giovani poveri e farlo come comunità di credenti è certamente una sfida sempre nuova, ma anche una prospettiva che ci riempie di entusiasmo. Come il nostro padre don Bosco, anche noi nel giorno della nostra professione religiosa abbiamo detto a Dio: «Mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai, specialmente ai giovani più poveri» (Costituzioni, art. 24).
Ciò richiede da noi anzitutto capacità di discernimento comunitario: non si tratta di affidare a qualche singolo confratello l’attivazione di nuovi progetti, ma di ascoltare insieme l’appello che Dio ci rivolge nelle povertà giovanili. Richiede poi anche profondità spirituale, per non cadere nell’attivismo o in una mentalità aziendale; preparazione culturale, per comprendere i fenomeni in cui siamo immersi e le nuove povertà giovanili; disponibilità a lavorare insieme, abbandonando ogni individualismo pastorale; flessibilità nel ripensare il nostro stile di vita e le nostre opere, soprattutto quando esse non esprimono più l’energia missionaria del carisma e rispondono prevalentemente a logiche di mantenimento.
Accompagnamento dei giovani in CHIAVE vocazionale
«Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza». Bastano queste parole di don Bosco a farci capire il valore che aveva per lui raggiungere il cuore del ragazzo, consentendogli un’apertura fiduciosa e una sincera confidenza. Don Bosco non usava la parola “accompagnamento”, ma tutto il suo agire mirava proprio a questo. Il suo impegno educativo, ricco di proposte e attento alle diverse dimensioni della crescita, tendeva ad accompagnare i giovani in modo semplice e concreto alla santità. Trascurare questa dimensione del sistema preventivo significa snaturarlo.
Mentre tutta la Chiesa, nel Sinodo per i giovani, ha riscoperto il valore dell’accompagnamento per il discernimento, anche noi siamo invitati a rileggere le ricchezze della nostra tradizione al riguardo. Essa ci consegna tre livelli di accompagnamento strettamente congiunti tra loro: di ambiente, di gruppo e personale. Il primo si realizza attraverso l’offerta di un clima accogliente, gioioso, ricco di proposte differenziate e capace di innescare cammini di crescita. Il secondo favorisce un maggiore impegno nella maturazione personale e nel cammino di fede, valorizza le attitudini di ciascuno, promuove la spiritualità del movimento giovanile salesiano e l’appartenenza ad esso. Il terzo conduce il giovane a discernere più in profondità il senso della propria esistenza davanti a Dio. In questo senso, il Sinodo sui giovani ha parlato di un accompagnamento “in chiave vocazionale” (Documento finale del Sinodo, nn. 138-143; Christus vivit, cap. VIII), aiutando a pensare la vita non come un progetto di autorealizzazione individuale, ma come un cammino per scoprire e rispondere alla chiamata divina. L’espressione di Papa Francesco “io sono una missione” (Christus vivit, n. 254) indica chiaramene la meta che l’accompagnamento ha di fronte a sé: aiutare ognuno a scoprire la propria unicità come dono per gli altri.
Poiché nasce dalla familiarità nel quotidiano, l’accompagnamento coinvolge una pluralità di soggetti e non è compito esclusivo di qualcuno. L’intera comunità educativo pastorale vi è coinvolta, anche se non tutti hanno la stessa attitudine e preparazione per guidare il discernimento personale. In ogni caso, il protagonista di ogni accompagnamento è lo Spirito del Signore, che ci colma di doni e carismi; noi siamo semplicemente servi e mediatori dell’opera di Dio.
È molto importante sottolineare che un buon accompagnamento non colloca il giovane in una posizione passiva o subalterna, ma al contrario promuove la sua partecipazione attiva alla vita della comunità e la corresponsabilità nel servizio dei più poveri. Si tratta dunque di un accompagnamento per il coinvolgimento, per la presenza attiva e responsabile nella società e nella Chiesa. Il protagonismo dei giovani nella fondazione della nostra Congregazione e l’impegno attivo delle Compagnie nell’Oratorio di Valdocco, in questo senso, hanno ancora molto da dirci.
Nella certezza che «coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28), siamo chiamati a promuovere un rinnovato impegno per l’accompagnamento, il quale richiede anzitutto di curare maggiormente la preparazione di confratelli e laici in questo ambito delicato e di vivere noi stessi l’esperienza di essere accompagnati. La prospettiva del coinvolgimento attivo dei giovani poi suppone una fiducia più grande nelle loro risorse: non dobbiamo avere paura della loro sana inquietudine, delle loro domande e della loro sensibilità per temi nuovi, che non sempre siamo pronti ad affrontare. Impariamo, dunque, ogni giorno ad ascoltare con empatia e ad offrire il nostro aiuto con umiltà. L’autentica autorità di un educatore non consiste nel potere di dirigere, ma nella forza di promuovere la libertà: questa è la paternità di don Bosco.
Cammino con le famiglie e educazione affettiva
Siamo consapevoli che la famiglia è la scuola dell’amore, in cui si apprende quella grammatica degli affetti attraverso cui Dio si fa conoscere e incontrare. I recenti sinodi sulla famiglia e l’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia hanno offerto molte indicazioni pastorali sull’accompagnamento delle famiglie e sull’educazione affettiva, che anche noi siamo chiamati ad accogliere ed assimilare.
Per noi salesiani l’interesse per la famiglia scaturisce spontaneamente dal cuore stesso del nostro carisma educativo. Sappiamo quanto don Bosco abbia imparato da mamma Margherita, tanto da volerla con sé a Valdocco come una presenza preziosa per fare dell’Oratorio una vera “casa”. Il ragazzo Giovanni Bosco, d’altra parte, non è cresciuto in una famiglia perfetta: ha sperimentato la sofferenza di essere orfano di padre, l’incomprensione del fratello Antonio, l’umiliazione della povertà, la necessità di andare via di casa in cerca di lavoro. Tutto questo ha contributo a maturare in lui un cuore di padre, ricco di misericordia e di accoglienza.
Anche noi oggi sentiamo l’esigenza di una grande prossimità con le famiglie, accogliendole con le loro fatiche, ma soprattutto promuovendole con le loro ricchezze. Attraverso le nostre opere incontriamo di fatto tantissime famiglie nelle situazioni più diverse: alcune si rivolgono a noi per le nostre proposte educative, altre condividono la scelta religiosa e l’ispirazione carismatica, altre ancora sono nei primi anni di matrimonio e chiedono accompagnamento. Non poche sono in situazioni di povertà, di disagio o sono famiglie ferite e frutto di seconde unioni. Vi sono poi giovani che sono cresciuti con noi e ci chiedono di accompagnarli al matrimonio, mentre si affacciano ai nostri ambienti anche persone che vivono entro nuove configurazioni relazionali.
Questa complessità costituisce indubbiamente una sfida e richiede una preparazione adeguata. La presenza di tante famiglie inserite nei gruppi della Famiglia Salesiana e di altre che collaborano con noi costituisce in ogni caso una grande risorsa, soprattutto se siamo capaci di ascoltare la loro esperienza e di valorizzare la loro testimonianza.
Il criterio fondamentale per il nostro lavoro con le famiglie va individuato nella natura educativa della nostra missione. Non vogliamo attivare una pastorale familiare parallela alla pastorale giovanile, ma piuttosto presentare la comunità educativo pastorale come il luogo e la forma del nostro cammino con le famiglie.
Da tale criterio deriva anche l’esigenza di assumere in maniera più coraggiosa la sfida dell’educazione affettiva e sessuale dei giovani. Essa è una richiesta che già il Concilio aveva indirizzato alle istituzioni educative della Chiesa (cfr. Gravissimum educationis, n.1) e su cui abbiamo camminato ancora troppo poco. Non si tratta semplicemente di dare informazioni, ma di accompagnare in un percorso di conoscenza di sé e di scoperta della chiamata all’amore. Conosciamo l’importanza che don Bosco attribuiva alla purezza nella crescita dei ragazzi e la delicatezza con cui ne parlava. In un contesto che non di rado banalizza la sessualità, siamo chiamati a presentare una visione serena, positiva ed equilibrata del tema affettivo, a illuminare sui linguaggi del corpo e sul senso della reciprocità tra uomo e donna in conformità alla Parola di Dio. La cura di ambienti propositivi e “preventivi”, un’animazione che sa coinvolgere i giovani in tutte le loro dimensioni (teatro, sport, arte, gioco, musica, …), un accompagnamento personale che si prende cura delle dinamiche profonde della persona sono gli strumenti che la nostra tradizione ci consegna e che siamo chiamati a ripensare nei nuovi contesti di oggi.
SCEGLIERE
Usciamo verso i giovani poveri superando una pastorale di mantenimento e rinnovando i nostri dinamismi comunitari.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento in prospettiva vocazionale, curando un’adeguata formazione di salesiani e laici in questo ambito.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Consolidiamo il cammino con le famiglie nella comunità educativo pastorale e proponiamo cammini più accurati di educazione affettiva.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
PROFILO DEL SALESIANO OGGI
Questo secondo nucleo è stato elaborato durante il CG 28 nella sua prima versione, ma non è stato possibile presentarlo all’assemblea capitolare.
Nella sessione estiva 2020 del Consiglio Generale è stato completato.
RICONOSCERE
Nel sogno dei nove anni la Vergine Maria, dopo aver indicato a Giovanni Bosco il campo in cui dovrà lavorare, lo invita a divenire “umile, forte e robusto”. Con tali parole, Ella gli propone un percorso esigente di formazione strettamente congiunto con la vocazione ricevuta e la missione affidata. Anche noi riconosciamo che la formazione è dono prezioso del Signore ed esigenza irrinunciabile del cammino vocazionale. Tale impegno formativo tocca tutte le dimensioni della nostra consacrazione apostolica: per questo il Capitolo Generale 27° ha coerentemente tracciato il profilo del salesiano come mistico nello Spirito, profeta di fraternità e servo dei giovani.
Esaminando le statistiche della Congregazione abbiamo appreso che nell’ultimo decennio abbiamo avuto una media annuale di circa 2600 giovani in formazione. Questo ci riempie di gioia e di speranza, perché mostra che il nostro carisma continua ad essere fecondo. Allo stesso tempo tale dato ci interpella e ci responsabilizza, chiedendo di verificare la qualità della nostra formazione iniziale e continua.
Notiamo infatti che talora l’identità consacrata salesiana pare debole e poco radicata: il primato di Dio nella vita personale e comunitaria non sempre emerge con chiarezza; forme di clericalismo e di secolarismo rischiano di far entrare in Congregazione la “mondanità spirituale”; la promozione del salesiano laico in alcune regioni rimane scarsa; la mancanza di personale preparato nell’ambito della salesianità, nonostante l’abbondante materiale a disposizione, è segno di un’insufficiente attenzione all’approfondimento del carisma.
Nella riflessione capitolare sul profilo del salesiano oggi è emersa con chiarezza una preoccupazione: la divaricazione tra il cammino formativo, nelle sue diverse fasi, e la realtà della missione educativa e pastorale ordinaria. Alcuni parlano di un divario tra formazione e missione, altri di una separazione tra la formazione iniziale e quella continua, altri ancora di una certa incoerenza tra ciò che la Congregazione propone nella formazione iniziale e ciò che si vive di fatto nelle comunità apostoliche.
La formazione attuale, con le sue strutture, stili e metodi appare talvolta più informativa che performativa, perché non sempre arriva a trasformare il cuore. La missione apostolica, d’altra parte, non sempre riesce ad attingere dalla realtà dei giovani e dalla concretezza della vita gli elementi per una formazione permanente: la “cattedra della realtà” stenta a farsi lettura credente della storia (lectio vitae), offrendo elementi per un rinnovamento continuo del nostro essere e del nostro operare.
Riconosciamo anche urgente l’approfondimento di alcuni temi che devono entrare a pieno titolo nel cammino formativo: l’abilitazione all’accompagnamento spirituale dei giovani, che richiede la maturazione di sensibilità specifiche; la chiara presa di coscienza che la nostra missione è condivisa con i laici e necessita per questo di nuove competenze relazionali; la crescente attenzione ai temi ecologici che comporta una specifica preparazione in questo ambito. Infine, il nuovo mondo digitalizzato impone un ripensamento del modo di impostare la nostra vita fraterna e la missione apostolica nel suo insieme, perché «il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Siamo riconoscenti per la presenza di un buon numero di salesiani che ravvivano continuamente il dono di Dio che hanno ricevuto (cfr. 2Tim 1,6), attraverso «un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Solo in questo modo si supera l’idea, purtroppo radicata, che la formazione termina con la conclusione delle tappe iniziali e con l’accesso al ministero.
Manca infatti in alcuni confratelli la convinzione che l’impegno per la propria formazione è stile preciso di assunzione della missione, tanto che risulta difficile accendere il desiderio e la passione per la formazione permanente. Riconosciamo che sia a livello centrale sia a livello ispettoriale c’è stato uno sforzo per offrire strumenti e percorsi di formazione, che però non sempre portano i frutti sperati. Risulta difficile, in particolare, trasformare la stessa esperienza pastorale quotidiana in occasione formativa, perché non siamo stati iniziati a discernere a partire dalla concretezza della realtà. Per questo la comunità, sia religiosa che educativo pastorale, non riesce a divenire l’ambiente naturale e ordinario in cui ci si forma.
Bisogna, però, anche riconoscere che c’è una certa confusione circa i soggetti responsabili e i percorsi della formazione continua: mancano spesso confratelli preparati per accompagnare questo cammino, mentre si nota una pluralità e debolezza di riferimenti formativi a livello ispettoriale e locale. Alcuni segnalano il rischio di ridurre la formazione permanente a qualche sporadico corso di aggiornamento o di affidarla alla consegna di qualche nuovo manuale. Esiste infine, in un mondo sempre più fluido, la sfida della “laboriosità culturale” in Congregazione, perché senza lo studio, la lettura e il continuo aggiornamento non si riuscirà ad uscire da una pastorale di mantenimento e di ripetizione.
Dai dati e dalle discussioni emerse al Capitolo riconosciamo che la formazione iniziale è nel suo insieme una realtà poliedrica, positiva e promettente. Si tratta di un grande mosaico di diverse situazioni, nel quale riconosciamo la presenza di dinamismi nuovi nella Congregazione.
Chi sono i giovani in formazione oggi? In forma sintetica possiamo affermare che la maggior parte di loro proviene dall’Asia e dall’Africa; nell’insieme sono “giovani adulti”, e non come in tempi passati “adolescenti”; sono giovani del nostro tempo, che quindi portano con sé tutte le potenzialità e le fragilità dei giovani di oggi; sono alla ricerca di una vita autentica e di una fraternità profetica, anche se talvolta le motivazioni che li portano alla vita salesiana necessitano di maturazione; essendo più vicini alla generazione giovanile, hanno una facilità di contatto e una comunanza naturale di linguaggio con il mondo giovanile. Tutto questo implica un approccio formativo del tutto diverso nelle nostre case di formazione e centri di studio.
A partire da questa metamorfosi epocale si comprende che la ricerca e la formazione dei formatori è una vera e propria urgenza che va affrontata nel migliore dei modi. Riconoscendo che essere formatore è una “vocazione nella vocazione”, sarà necessario passare dall’improvvisazione ad un autentico discernimento per la scelta qualificata dei formatori e dei docenti: non è questione di “reclutamento”, ma di vero dialogo vocazionale. Riconoscendo poi la comunità come primo spazio formativo, i capitolari hanno sottolineato quanto sia decisiva l’équipe dei formatori, che agiscono in sinergia e sotto la regia del Direttore, che più di tutti ha il compito di accompagnare e coordinare l’impegno di tutti.
Come ci dice Papa Francesco, «pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Occorre quindi rinnovare il nostro stile formativo, che ha bisogno di essere pensato sempre più in forma personalizzante, olistica, relazionale, contestuale e interculturale.
È necessario, soprattutto, uno stile capace di assumere dalla missione i suoi registri fondamentali, perché è la missione «che dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose» (Costituzioni, art. 3) e anche perché siamo tutti convinti che «quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e diventare una caricatura» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Questo nuovo stile formativo che sogniamo dovrebbe far risplendere l’unità della Congregazione nella pluralità delle sue espressioni: è molto importante, contro il «grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture», riconoscere che la presenza mondiale della nostra realtà carismatica «è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
INTERPRETARE
Per operare un sano discernimento sulla nostra formazione è utile riflettere sull’esperienza formativa vissuta da don Bosco. Lui stesso ne racconta i momenti principali nelle Memorie dell’Oratorio, con molte osservazioni che lasciano chiaramente intravedere la sua visione a questo riguardo. Ci soffermiamo qui in particolare su una delle tappe formative verso cui don Bosco ha mostrato maggiore apprezzamento, quella del Convitto Ecclesiastico. Di tale istituzione don Bosco dice: «Qui si impara ad essere prete» (G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane, 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, p. 1233).
La formazione del Convitto metteva insieme una solida proposta spirituale e culturale («Meditazione, lettura, due conferenze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di studiare …») e l’accompagnamento a incontrare dal vivo «la malizia e la miseria degli uomini» nei luoghi di maggiore povertà. Il punto di forza che guidava i giovani preti a fare sintesi tra preghiera e ministero, tra riflessione e pratica pastorale era un gruppo di formatori di altissimo profilo, tra cui spiccava don Cafasso. Don Bosco li incontrava in cattedra mentre facevano lezione, ma li vedeva anche impegnati in prima persona nelle forme più varie e difficili di ministero. Erano per lui e per i suoi compagni solidi maestri di dottrina, apostoli intraprendenti e veri modelli di vita. Noi oggi parleremmo di un’équipe esemplare e compatta che accompagna in modo integrale ad assumere la missione.
Gli anni del Convitto sono stati determinanti per la maturazione apostolica di don Bosco, ed è bello notare che sono stati una sua scelta, a cui non era tenuto da alcun obbligo. Egli ha assunto questo impegno quando era già prete e avrebbe potuto immergersi subito a tempo pieno nell’attività. Ma su consiglio del Cafasso ha percorso un’altra via, più esigente ma immensamente più fruttuosa. Il suo esempio ci insegna che la formazione non si chiude con il compimento degli studi, con la professione perpetua o con l’ordinazione sacerdotale, ma rimane un processo aperto da coltivare con cura per tutta la vita. Ci ricorda anche che il vero apostolo non matura bruciando le tappe e che l’investimento più fecondo per la missione è quello di una buona formazione.
Formazione e vocazione: un accompagnamento alla luce del carisma
Nella vita consacrata la formazione non si riduce solo a un insieme di tecniche e di metodologie, ma è un’esperienza di fede che affonda le sue radici nel mistero stesso della vocazione. Dio Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, continua ad operare in noi con la potenza del suo Spirito, per renderci sempre più conformi a Cristo. La meta del percorso formativo è, infatti, giungere ad avere in sé i sentimenti del Figlio, ossia sentire, pensare e agire in Lui (cfr. Fil 2,5).
Comprendere la formazione nell’orizzonte della vocazione ci aiuta a non vederla come un dovere imposto dall’esterno – dalle norme della Chiesa o della Congregazione – ma come un dono di grazia che ci aiuta a fare davvero nostra la “forma” della vita consacrata salesiana, evitando che essa rimanga una sorta di abito esteriore.
L’esistenza di fallimenti vocazionali ci ricorda quanto sia delicato questo processo e come l’accoglienza iniziale della chiamata non metta automaticamente al riparo dal rischio di perdere la strada o di volgersi indietro. Che cosa sono infatti il clericalismo, il secolarismo e l’individualismo se non deviazioni della energia vocazionale, che ne spengono la bellezza e ne mortificano la crescita per assenza di profondità, per mancanza di motivazioni o per poca generosità? La vocazione senza un’adeguata formazione viene allora confusa con una sorta di “volontariato a vita” in cui non si consegna davvero il cuore a Dio e ai giovani e non si accetta la conversione formativa che questo comporta.
Poiché la formazione è una pedagogia della grazia, essa non potrà mai essere prima di tutto una questione di regole e di norme. Senza dubbio queste sono necessarie, perché preservano da errori e indicano cammini consolidati, ma non bastano da sole a porre le condizioni per un’esperienza formativa autentica. Dobbiamo dunque stare attenti a non dare soluzioni principalmente normative a una sfida che è anzitutto carismatica e generativa. La formazione è artigianato quotidiano, sapienza pratica, qualità della testimonianza, capacità di leggere le situazioni e di toccare i cuori: tutte cose che nessuna legge può garantire e nessun manuale basta ad assicurare. Come ci ricorda il venerabile don Giuseppe Quadrio, modello straordinario di formatore e di docente, tali qualità sono prima di tutto frutto della docibilità interiore allo Spirito che suscita nella nostra famiglia carismatica veri maestri di vita.
Valgono dunque per la nostra proposta formativa tutte le indicazioni di sapienza pratica che don Bosco metteva in atto nell’educazione. Il Sistema Preventivo va sempre più riscoperto come il principio ispiratore e l’anima profonda del nostro sistema formativo. Ciò significa far valere il primato della carità teologale e della confidenza su ogni legalismo e formalismo; trasmettere i valori vocazionali attraverso un autentico spirito di famiglia; coinvolgere attivamente i confratelli più giovani e renderli corresponsabili delle scelte formative. La pedagogia del Sistema Preventivo è infatti una pedagogia della fiducia, che crede nelle risorse dei giovani e li provoca alla generosità dell’impegno, senza mai mortificarne le intuizioni o tarparne la creatività. È in questa logica che l’articolo 99 delle nostre Costituzioni afferma: «ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione». Attraverso la fedeltà a questa ispirazione la Congregazione si mostra madre verso ogni confratello e lo aiuta a maturare nel suo cammino vocazionale.
formazione e missione: un processo unitario
La natura apostolica del nostro carisma qualifica in modo determinante la nostra formazione. Come ci ricorda Papa Francesco, «è importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Queste parole indicano con molta chiarezza che formazione e missione sono strettamente intrecciate e non stanno in piedi l’una senza l’altra.
Comprendere la formazione nell’orizzonte della missione significa anzitutto dare risalto al Da mihi animas come energia profonda del processo formativo. Se questa energia viene spenta e non sprigiona più ardore per il bene dei ragazzi, la maturazione vocazionale è gravemente compromessa. Se invece la passione apostolica è viva, essa alimenta la crescita umana, l’impegno per lo studio, la cura della vita spirituale, la maturazione pastorale. Il Da mihi animas è, infatti, il modo in cui Dio ci rende partecipi del suo amore per il mondo.
Don Bosco, afferma ancora il Papa, «non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare». Assumere la missione come principio formativo richiede di sviluppare lo sguardo del pastore e il coraggio del profeta, che sa stare con i giovani poveri e sognare con loro e per loro un mondo diverso. Per questo «la missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Per superare il divario tra formazione e missione è necessario anzitutto uscire dalla mentalità di delega che non di rado tende a scaricare sulle comunità formatrici la responsabilità in questo delicato ambito. La trasmissione del carisma, infatti, non avviene anzitutto in comunità appositamente strutturate, ma nella freschezza della condivisione quotidiana del servizio ai giovani. La prima sorgente di formazione in Congregazione è nel tesoro della vita generosa dei confratelli. Dove le comunità sono vivaci nel servizio, solide nella spiritualità e capaci di riflessione, gli itinerari proposti dalle case di formazione sono più incisivi, perché introducono a un modo di vivere la salesianità che i giovani confratelli incontrano nella realtà ordinaria delle case. Ciò spiega l’importanza che la nostra tradizione ha sempre attribuito al tirocinio, che è una tappa formativa tipicamente salesiana. Dove invece la missione è confusa con il lavoro e la formazione permanente nelle comunità non è curata, tutto l’iter formativo viene impoverito.
Una maggiore integrazione richiede poi di «trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato», facendo delle nostre case un «“laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa». È quello che stiamo cercando di fare implementando il modello della comunità educativo pastorale. In che modo tale modello possa e debba incidere nella formazione iniziale è una domanda che non trova ancora riposte chiare. Il Sinodo dei giovani ha parlato, ad esempio, dell’importanza di formare équipe formative differenziate, che includano anche figure femminili, in cui interagiscano vocazioni diverse (cfr. Documento finale del Sinodo, n. 163). Il dialogo tra le comunità ispettoriali e le case di formazione può inoltre favorire una interazione più significativa con il cammino delle comunità educativo pastorali e consentire ai formatori una maggiore presenza a fianco dei giovani confratelli nelle esercitazioni pastorali. Più che un’unica soluzione strutturale, che non terrebbe conto della notevole diversità dei contesti, bisogna dunque lavorare per una rinnovata progettualità formativa in senso missionario, che cercherà in ogni ambiente la sua attuazione più adeguata.
formazione e strutture: un rinnovamento necessario
Uno dei rischi del nostro iter formativo, più volte denunciato in Congregazione, è una certa frammentazione tra le diverse tappe. Indubbiamente il passaggio da una fase all’altra della formazione iniziale offre la ricchezza di nuovi stimoli e contribuisce ad allargare gli orizzonti, ma porta con sé la fatica di dover riprendere più volte il cammino di accompagnamento. Tale fatica diviene più gravosa quando l’impostazione delle scelte formative e gli strumenti offerti per l’accompagnamento non sono adeguatamente coordinati.
Ciò rende evidente la necessità che in Congregazione si proceda a chiarire e, ove possibile, semplificare i riferimenti istituzionali e a determinare con maggiore precisione i compiti e le responsabilità delle strutture di coordinamento tra le diverse fasi e tra i diversi livelli della formazione. Troppo spesso, infatti, decisioni importanti per i cammini formativi vengono rallentate o restano inevase per incertezze di sistema.
Non mancano nella Ratio e nei suoi allegati indicazioni preziose per il lavoro formativo, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere e i criteri di ammissione. Più debole invece è l’aspetto della metodologia e degli strumenti. È importante dunque dare attuazione al percorso di revisione dell’accompagnamento formativo che è stato intrapreso in Congregazione e verificarne gli esiti. La chiarezza e la condivisione su questa tema sono la prima condizione per una formazione più solida e personalizzata.
Ogni processo di crescita richiede condizioni strutturali che lo facilitano. In questa logica, la volontà di promuovere un migliore accompagnamento deve tradursi in un generoso investimento della Congregazione nel reperimento e nella formazione adeguata di formatori, che sappiano lavorare in équipe, sotto la guida e la responsabilità del Direttore.
Non meno importante è il rinnovamento all’interno dei nostri centri di studio, chiamati ad assumere con determinazione le indicazioni della Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Essi prestano un indispensabile servizio non solo ai giovani confratelli che li frequentano, ma anche alla solidità culturale delle nostre ispettorie. Tra questi centri spicca in modo particolare l’Università Pontificia Salesiana, che costituisce la voce culturale più autorevole della Congregazione nella Chiesa. Il rinnovamento di cui ha bisogno richiede di ritrovare le ragioni che hanno portato ottant’anni fa alla sua fondazione.
I centri di formazione regionale offrono un servizio apprezzato alla formazione permanente dei confratelli e sono chiamati sempre più a farsi carico anche della formazione congiunta con i laici. Le Regioni che non ne sono ancora dotate dovranno individuare le forme più idonee per garantire questo tipo di servizio.
SCEGLIERE
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento formativo dei confratelli alla luce del carisma.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Ci impegniamo a superare il divario tra formazione e missione, favorendo una rinnovata cultura della formazione nella missione a tutti i livelli.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Investiamo energie nel reperimento e nella formazione dei formatori e affrontiamo con coraggio il ripensamento dei riferimenti istituzionali e delle strutture formative.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
INSIEME AI LAICI
NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE
Durante la sessione estiva 2020 il Consiglio Generale ha lavorato sul terzo nucleo del CG 28, in quanto esso non era stato preso in considerazione durante il Capitolo Generale per via della sua forzata interruzione dovuta alla pandemia.
Il Consiglio Generale, partendo dallo “Strumento di lavoro”, ha utilizzato la medesima metodologia del discernimento del CG 28 e ha lavorato con le stesse modalità delle commissioni capitolari. Nella redazione del testo si è cercato di mantenere la medesima forma del primo e del secondo nucleo così come sono stati elaborati dal CG 28.
RICONOSCERE
Riconosciamo che il CG 24 è per tutti “un punto di non ritorno” per il rinnovamento del nostro modo di vivere e lavorare insieme. Sta al centro del magistero salesiano post-conciliare, e allo stesso tempo segna un ritorno alle origini del carisma salesiano: Don Bosco, infatti, ha coinvolto fin dall’inizio tanti laici nella sua missione giovanile e popolare.
Riconosciamo che molti passi in avanti sono stati fatti in tutta la Congregazione, anche se con velocità e modalità differenti: il coinvolgimento di tutta la comunità educativo pastorale; la formazione spirituale, pedagogica e pastorale dei laici; l’inserimento dei giovani nelle équipe di animazione; l’affidamento di alcune opere ai laici. Questa percezione di crescente coinvolgimento reciproco, di ricchezza condivisa, di forza dell’aiuto congiunto e di fecondità del carisma si va gradualmente concretizzando, passando dalla prospettiva di coinvolgere i laici nell’attività educativo pastorale a quella di condividere con loro la nostra spiritualità.
Allo stesso tempo, prendiamo atto che rimangono ancora alcune fatiche, perché non sempre riusciamo a rendere i laici partecipi dello spirito e della missione salesiana: molte ispettorie devono ancora passare dal coinvolgimento utilitaristico dei laici alla strategia della corresponsabilità evangelica. Talvolta riscontriamo anche fenomeni di vera e propria resistenza: qualche religioso lamenta l’eccessivo protagonismo dei laici mentre alcuni laici mostrano motivazioni opportunistiche nella loro offerta di collaborazione. Per i laici più impegnati nell’attività educativo pastorale, poi, non è facile conciliare le esigenze della missione salesiana con la vita personale e familiare. Registriamo infine in alcune situazioni una tendenza al livellamento dei diversi stati di vita, tanto che alcuni pensano che i consacrati non siano più necessari per mantenere vivo il carisma.
Molto spesso le relazioni tra salesiani e laici sono ispirate a stima, rispetto, cordialità e collaborazione, soprattutto dove c’è una chiara identità vocazionale, una proposta organica di formazione e un cammino condiviso con i dovuti organismi e strumenti come il consiglio della comunità educativo pastorale e il progetto educativo pastorale salesiano.
Non sempre si accetta e apprezza il peculiare contributo dei laici, tenendo in considerazione la loro identità e la loro esperienza vocazionale: si conosce ciò che fanno, ma non si apprezza ciò che sono. Dove manca la chiarezza sulle rispettive identità, si assiste a una sorta di “clericalizzazione dei laici” e di “laicizzazione dei consacrati”. In questo caso, la collaborazione quotidiana, anziché far emergere la specificità di ciascuno, conduce a un appiattimento delle identità. Talvolta i laici sono semplicemente classificati e posizionati all’interno di un modello gerarchico e piramidale di “opera salesiana”.
Nei salesiani talora riscontriamo un certo disagio nella gestione di opere complesse che esigono capacità manageriali e una mancanza di preparazione per le sfide che emergono dal modello pastorale di condivisione con i laici. Riconosciamo che di fronte al cambiamento d’epoca non siamo davvero in grado di “discernere”, e quindi rischiamo di rimanere intrappolati in logiche di mantenimento pastorale che si adagiano sul “si è sempre fatto così”.
Notiamo che ci sono diverse tipologie di laici: dipendenti, volontari, giovani adulti, cristiani cattolici o di altre confessioni, praticanti o più distanti dalla Chiesa. Talora con la stessa parola “laici”, che nel linguaggio ecclesiale indica i battezzati (Christifideles laici), ci si riferisce anche a persone che lavorano nelle nostre opere ma sono di altre religioni. Per evitare confusioni o irrigidimenti è importante affrontare con serietà le questioni teologiche e pastorali sottese a tale complessità. Si potrà così illuminare meglio la forma che la comunità educativo pastorale è chiamata ad assumere in contesti plurireligiosi o secolarizzati.
In questi anni sono maturate buone iniziative di formazione congiunta di salesiani e laici. Per quanto riguarda i corsi di formazione, ci sono ottime proposte a livello locale, ispettoriale e regionale. Talvolta c’è una carenza di sistematicità nei percorsi formativi, che poi si manifesta nella debolezza di progettualità educativa e pastorale. Manca infatti una formazione più organica, che miri a integrare tutti gli aspetti del carisma salesiano (spirituale, pedagogico, pastorale e professionale). Rimane aperto il tema della formazione dei collaboratori di altre religioni e convinzioni.
Nella vita quotidiana la formazione congiunta si fa principalmente attraverso i cammini della comunità educativo pastorale, con i suoi organismi e i suoi processi di animazione, di discernimento e di governo. La vita della comunità educativo pastorale è uno degli spazi più efficaci per la formazione congiunta tra salesiani e laici ed è un ottimo esempio di “formazione nella missione”.
Si nota da parte di alcuni confratelli una certa resistenza a essere coinvolti nella formazione con i laici e la difficoltà a deporre un certo atteggiamento di presunta superiorità. Un’altra fonte di fatica alla formazione congiunta è la stanchezza, l’eccesso di attività e l’accumulo di compiti e di ruoli. In alcuni laici non c’è grande consapevolezza del loro compito nella Chiesa e quindi poca disponibilità ad assumere le responsabilità formative che ne derivano.
Nella Congregazione in questo momento esistono diverse forme di rapporto tra la comunità religiosa e l’opera salesiana: ci sono delle opere o settori di opere affidati congiuntamente alla comunità salesiana e ai laici; ci sono opere affidate a laici all’interno di un progetto ispettoriale; ci sono anche opere dove l’animazione pastorale, ma non la gestione, è affidata a una comunità salesiana vicina. Persistono opere dove il numero di confratelli consente di ricoprire tutti i ruoli di responsabilità: in questo caso ci sono tanti collaboratori laici con poche o nessuna responsabilità; qui le strutture di animazione della comunità educativo pastorale sono molto deboli o assenti.
Dove si tratta di un’opera affidata congiuntamente ai salesiani e ai laici, non sempre si è realizzato quello che afferma il CG 24 ai nn. 149-159. Quando si tratta di un’opera a gestione laicale sotto la direzione dell’Ispettoria, in molti casi le ispettorie hanno compiuto un grande sforzo di riflessione e di creatività per affrontare la sfida dell’accompagnamento.
Pur riconoscendo aspetti positivi, si registrano anche problemi di un certo peso: la difficoltà dei salesiani di garantire un accompagnamento sistematico; la fatica dei laici a comporre gli impegni richiesti da queste opere con le esigenze della vita familiare; le difficoltà legate al ricambio dei laici, l’assenza di criteri e di strumenti di controllo; la necessità di avviare pratiche di valutazione della gestione; il bisogno di trovare un quadro giuridico adeguato; l’esigenza di un cambiamento della cultura formativa da entrambe le parti per prepararsi meglio a gestire queste nuove realtà. Vi sono persino sono situazioni in cui il ruolo, le competenze e le funzioni dei salesiani e dei laici con responsabilità nelle case non sono chiari né ben definiti.
L’affidamento di un’opera o settore d’opera interamente ai laici rimane all’interno del progetto e della responsabilità dell’Ispettoria. Esistono situazioni in cui l’Ispettoria affida ad un ente giuridico (fondazione, associazione, cooperativa, società) un’attività, un’opera o settori di essa e l’utilizzo di immobili di sua proprietà. In questo caso non sempre viene stipulata una convenzione che regola i rapporti giuridici ed economici.
INTERPRETARE
Gli elementi fondamentali per approfondire la teoria e la pratica della comunione e della condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco sono riportati nel testo del CG 24, che rimane in questo campo un riferimento imprescindibile.
Dal punto di vista ispirativo alcuni preziosi paragrafi dimostrano che durante tutto il suo percorso esistenziale il nostro Fondatore si preoccupò di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo, dando origine «ad un vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù» (Costituzioni, art. 5): dai suoi amici intimi ai compagni di studio, da mamma Margherita ai datori di lavoro, dalla gente buona del popolo ai teologi, dai nobili ai politici dell’epoca (cfr. CG 24, 69-86).
Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i laici e loro con noi. In particolare, dobbiamo sottolineare l’importanza che i giovani hanno avuto nello sviluppo del carisma e della missione salesiana: don Bosco trovò nei giovani i suoi primi collaboratori, che così diventarono, in un certo senso, co-fondatori della Congregazione!
In questo costante dinamismo orientato alla ricerca della comunione, condivisione e corresponsabilità troviamo ancora oggi uno dei tratti qualificanti della nostra chiamata a lavorare per l’avvento del Regno di Dio nel mondo.
CHIESA SINODALE PER LA MISSIONE E SPECIFICITÀ DELLE VOCAZIONI
Molte delle resistenze alla seria presa in carico della condivisione dello spirito e della missione salesiana sono radicate nella debole recezione dei due grandi pilastri ecclesiologici del Concilio Vaticano II: la realtà della Chiesa come popolo Dio in cammino nella storia e la conseguente ecclesiologia di comunione, che esalta la reciprocità e complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa.
Partendo da questa prospettiva è evidente che la partecipazione dei laici al carisma e alla missione salesiana non è una generosa concessione che viene fatta loro da parte dei consacrati salesiani, e neanche una strategia per la sopravvivenza. San Paolo insegna con chiarezza che i carismi sono doni che lo Spirito distribuisce per l’utilità comune (1Cor 12); essi non sono una prerogativa di un certo stato di vita, ma arricchiscono la vita della Chiesa nella diversità e complementarità delle sue vocazioni.
Convinti che non c’è dignità più alta di quella che ci è stata conferita con il battesimo, così che «ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione» e che «sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, n. 120), ci sentiamo chiamati – salesiani, membri della Famiglia Salesiana, laici e giovani – a vivere, ognuno nella sua specificità, la propria vocazione in vista dell’edificazione reciproca. Dove questa impostazione ecclesiologica è accolta con gioia e sviluppata con convinzione i risultati sono ben visibili: la comunità educativo pastorale fiorisce e diventa un’esperienza di Chiesa che vive la comunione e la missione in forma attraente e feconda.
La riscoperta della forma sinodale della Chiesa è stato uno dei punti qualificanti del recente Sinodo sui giovani: «Il frutto di questo Sinodo, la scelta che lo Spirito ci ha ispirato attraverso l’ascolto e il discernimento è di camminare con i giovani andando verso tutti per testimoniare l’amore di Dio. Possiamo descrivere questo processo parlando di sinodalità per la missione, ovvero sinodalità missionaria» (Documento finale del Sinodo, n. 118). I giovani, più che chiederci di fare qualcosa per loro, ci hanno invitato a camminare con loro!
Papa Francesco è ancora più radicale quando dichiara che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del III millennio» (cfr. Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). In coerenza con queste affermazioni, la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi – tuttora in fase di preparazione e che si svolgerà nel mese di ottobre del 2022 – avrà proprio come tema la sinodalità: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”.
Tali parole non possono lasciare indifferenti i nostri ambienti salesiani. Esigono invece conversione del cuore e della mente, uniti ad una rinnovata disponibilità al cambiamento delle pratiche. Proprio la pastorale giovanile – la quale «non può che essere sinodale» (Christus vivit, n. 206) – dovrebbe avanzare senza indugio in questa direzione, aprendo nuove strade a beneficio di tutti. È sempre più chiaro che solo uomini e donne di comunione costruiranno lo spirito di famiglia e condivideranno la missione.
Una buona identificazione con la propria vocazione e una conoscenza adeguata della vocazione degli altri sono fondamentali per non ridurre la missione condivisa a collaborazione esecutiva. Salesiani che vivono con gioia e freschezza la loro specifica chiamata sono capaci di una presenza animatrice incisiva e fraterna e sanno offrire ai laici un sostegno affettivo ed effettivo nelle difficoltà che incontrano. I laici che assumono con convinzione la loro chiamata battesimale alla testimonianza del Vangelo sono liberi dal complesso di essere relegati a servizi pastorali di secondo grado. Insieme si diventa “laboratorio ecclesiale” e un segno profetico di comunione per la Chiesa e la società.
Talvolta i giovani recepiscono meglio la testimonianza dei laici, perché essa è meno scontata e si suppone che non parlino e agiscano per logica di appartenenza. La loro vocazione, ponendoli nel cuore del mondo, li rende talora più adeguati a rispondere alle nuove domande culturali dei giovani. In tal modo i laici parlano un linguaggio più adatto alle situazioni ordinarie della vita e spesso posseggono specificità professionali che li rendono preziosi nella missione.
Il mutamento del ruolo della comunità religiosa dipenderà da diversi fattori ma, tra questi, diventeranno sempre di più rilevanti: la disponibilità a rileggersi nei confronti dell’opzione carismatica di fondo; la disposizione a mettere in questione il ruolo di gestore e responsabile unico dell’opera di fronte alla corresponsabilità con i laici; la capacità di rileggere il significato della propria presenza all’interno del contesto in cui si trova.
GESTIONE DELL’OPERA, VITA DELLA COMUNITÀ E NUCLEO ANIMATORE
La Congregazione riconosce oggi solo due modalità di rapporto tra comunità salesiana e opera. La prima e più importante, che va considerata la norma di riferimento, è composta congiuntamente dalla comunità salesiana e dai laici; la seconda è riferita ad “attività e opere gestite da laici all’interno del progetto ispettoriale salesiano” (cfr. CG 24, n. 180-182).
Riteniamo che non esista più il modello – che prima del Concilio Vaticano II poteva essere ritenuto valido – che prevede l’animazione dell’opera da parte di soli salesiani. Ribadiamo con forza che la missione salesiana è strutturalmente comunitaria ed è affidata ad una comunità educativo pastorale e al suo nucleo animatore, il quale sarà composto di salesiani e laici in modalità e proporzione differenti e complementari: la missione che don Bosco ci ha consegnato non è mai un’azione individuale né autoreferenziale!
In ciascuno di questi due modelli è centrale il “nucleo animatore” o “consiglio della comunità educativo pastorale”, che è da considerarsi come il motore e il cuore di tutta la comunità educativo pastorale, perché dalla sua qualificazione e dal suo corretto funzionamento dipende il buon andamento dell’opera. Esso è un prezioso organo di animazione e la chiave per la vita dell’opera: si tratta di «un gruppo di persone che si identifica con la missione, il sistema educativo e la spiritualità salesiana e assume solidalmente il compito di convocare, motivare, coinvolgere tutti coloro che si interessano di un’opera, per formare con essi la comunità educativa e realizzare un progetto di evangelizzazione ed educazione dei giovani» (cfr. J.E. Vecchi in ACG 363, p. 8-9; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, V,1,3; Animazione e governo della comunità, n. 121-122).
Nelle opere affidate alla comunità religiosa e ai laici, la comunità è parte significativa del nucleo animatore e punto di riferimento carismatico: «Un tale livello di condivisione dello spirito e della missione di don Bosco con i laici segna una nuova fase nello sviluppo del nostro carisma. Da ciò deriva la necessità per la comunità religiosa salesiana di riconsiderare e assumere pienamente il suo ruolo, relativamente nuovo, all’interno della comunità educativo pastorale. […] Ciò comporta un cambiamento radicale da una struttura piramidale dell’autorità̀ a uno stile più partecipativo, in cui le relazioni e i processi personali sono della massima importanza» (Animazione e governo della comunità, n. 124).
La forma concreta della relazione della comunità religiosa con l’opera nel suo insieme non può essere ridotta a un unico modello (cfr. CG 26, n. 120). Per questo è necessario tener conto di alcuni fattori determinanti: i diversi livelli di appartenenza e condivisione dello spirito e della missione salesiana; i diversi gradi in cui si realizza la corresponsabilità; la tipologia di opera; la natura volontaria o contrattuale della presenza dei laici. È infine da ricordare che «la precisa relazione tra la comunità̀ salesiana e l’opera, come anche la modalità̀ con cui l’autorità̀ del direttore viene esercitata, va codificata nel progetto educativo pastorale salesiano ispettoriale e locale» (Animazione e governo della comunità, n. 125).
Il CG 24 poneva, 24 anni fa, questo secondo tipo di opera tra le “Situazioni particolari di novità” (cfr. CG 24, capitolo III). Oggi possiamo affermare che quelle novità sono entrate a far parte del patrimonio ordinario della Congregazione a livello mondiale, anche se con proporzioni, forme e modalità assai diverse tra le regioni e le ispettorie.
È importante riaffermare le due condizioni essenziali per l’affidamento di un’opera ai laici: prima di tutto vanno accertati criteri di identità, comunione e significatività salesiana; in secondo luogo va garantito l’accompagnamento costante e qualificato dell’ispettore e del suo consiglio (cfr. CG 24, nn. 180-182; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, VIII,2,2; Animazione e governo della comunità, 126).
Tali condizioni vanno vagliate attentamente in sede di discernimento e di affidamento dell’opera ai laici. Sono necessarie una scelta carismatica e una formazione adeguata specialmente per coloro che rivestono ruoli apicali, come anche una rimunerazione e condizioni di lavoro eque e giuste. Infine non è da dimenticare che questo cammino intrapreso con i laici, oltre ad essere accompagnato, va costantemente verificato.
FORMAZIONE CONGIUNTA PER LA MISSIONE
La condivisione dello spirito salesiano e la crescita nella corresponsabilità richiedono la condivisione di alcuni percorsi ed esperienze formative orientate alla spiritualità e alla missione, ovviamente senza trascurare percorsi formativi specifici per consacrati salesiani e laici. La formazione congiunta nella missione condivisa è una priorità assoluta e va indirizzata soprattutto ai membri del nucleo animatore (cfr. Animazione e governo della comunità, nn. 106.122). I nostri collaboratori laici hanno bisogno di sperimentare e conoscere da vicino don Bosco, e di riflettere su quanto si vive nelle nostre opere.
È compito dell’Ispettoria e della Regione offrire cammini formativi adeguati per salesiani e laici. L’Ispettoria è chiamata ad elaborare un progetto di formazione congiunta a livello ispettoriale e l’accompagnamento dei processi al livello locale, garantendo risorse adeguate di personale e mezzi. A livello locale uno dei primi obiettivi che il direttore salesiano persegue insieme al Consiglio della comunità salesiana e al nucleo animatore della comunità educativo pastorale è l’elaborazione di un progetto formativo, che assicura un’attenzione specifica al tema.
L’esperienza conferma che è molto positivo affidare ad équipe miste, composte da salesiani e laici, l’organizzazione delle diverse iniziative di formazione: i salesiani offrono la sapienza acquisita nella formazione, nell’assistenza e nella spiritualità; a loro volta i laici offrono, oltre alle loro competenze specifiche, i frutti del contatto con il mondo delle professioni, una maggiore attenzione alla vita familiare, uno stile di semplicità e di amicizia nel rapporto con le donne e il senso evangelico della vita quotidiana.
È bene infine ricordare che la formazione non avviene solo attraverso corsi accademici, ma soprattutto a partire dall’esperienza del vivere e lavorare insieme, perché «il primo e miglior modo di formarsi e formare alla condivisione e alla corresponsabilità è il corretto funzionamento della comunità educativo pastorale» (CG 24, n. 43).
«È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura». Queste forti affermazioni di Papa Francesco nel suo Messaggio al CG 28 ci dicono l’importanza di un radicale cambio di prospettiva nella formazione di tutti i confratelli, ed in particolare di coloro che vivono la formazione iniziale: dobbiamo imparare sempre di più a riflettere criticamente sull’esperienza pastorale che viviamo in mezzo ai giovani!
La formazione nella e per la missione condivisa deve toccare anche la formazione iniziale dei salesiani, non solo come tema di studio ma anche attraverso le esperienze pastorali settimanali e estive. L’esperienza di lavorare con e sotto la direzione di laici durante il tirocinio, come anche la partecipazione al consiglio della comunità educativo pastorale, sono preziosi momenti di formazione, specialmente se ben accompagnati dai membri del nucleo animatore, sia laici sia salesiani.
Nei contesti secolarizzati e multireligiosi il nostro impegno educativo è condiviso da persone di diverse religioni e convinzioni. Molte di loro sono anche inserite nel nucleo animatore della comunità educativo pastorale. La loro formazione è una sfida delicata, che richiede saggezza, coraggio e creatività. La dottrina della Chiesa insegna che la rivelazione di Dio in Cristo, pur superando in modo sorprendente la sapienza umana e l’esperienza di altre tradizioni religiose, porta a compimento i germi di verità che esse contengono e invita in molti modi a impegnarsi nel dialogo interreligioso. Per questo è possibile individuare dei valori comuni che pongano le basi per una formazione differenziata, inculturata e contestualizzata senza venire meno all’originalità della fede cristiana. Il CG 24 aveva già dedicato una ricca riflessione su questo tema (cfr. CG 24, n. 113,183-186), individuando due elementi fondamentali che costituiscono la base per collaborare con persone di altre tradizioni e convinzioni: prima di tutto la condivisione del Sistema Preventivo (nei suoi valori umani e laicali con chi non crede in Dio; nei valori religiosi con quelli che accettano Dio o il Trascendente; nel Vangelo di Cristo con cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali); in secondo luogo l’apertura alla ricerca di Dio, da parte di coloro che non professano una fede (cfr. CG24, n. 185.100). Poiché “la missione giovanile ci porta verso una educazione che è insieme evangelizzazione”, il CG 24 aveva anche riconosciuto che posizioni ostili alla Chiesa cattolica come si trovano in alcune ideologie, sette o movimenti, invece, sono incompatibili con la nostra missione (cfr. CG24, n. 185). Dopo l’esperienza di questi decenni sarebbe utile una verifica dell’attuazione di questi criteri e degli esiti concreti che ne conseguono in ordine alla educazione e alla evangelizzazione, in modo da mettere in risalto le buone pratiche da potenziare e i rischi da evitare. Certamente la condizione fondamentale è la presenza consistente di salesiani e, dove possibile, di laici cristiani che vivono la loro identità vocazionale con gioia e autenticità (CG 24, nn. 183-185; Animazione e governo della comunità, n. 135), senza nascondere ciò che costituisce il cuore e la motivazione di fondo della loro vita. Altrettanto importante è il clima di rispetto, pazienza, accoglienza e amicizia, che evita tanto l’imposizione di valori e convinzioni quanto la paura di toccare temi che qualificano la nostra identità. Siamo convinti di poter condividere con tutti gli uomini di buona volontà che desiderano partecipare alla missione salesiana la paterna amorevolezza di don Bosco, la ragionevolezza insita nel suo sistema educativo e la fiducia nelle risorse dei giovani, la scelta privilegiata dei più poveri e l’impegno per una cultura dell’accoglienza che non conosce limiti di razza, colore, nazione, cultura e religione.
SCEGLIERE
Assumiamo con decisione la missione condivisa tra salesiani e laici, valorizzando la reciprocità delle vocazioni.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Assicuriamo spazi e tempi di formazione congiunta e condivisione di vita tra salesiani e laici per un migliore servizio educativo pastorale ai giovani.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Modifiche delle Costituzioni
1. Elezione del Rettor Maggiore (Cost. 128)
Il Rettor Maggiore viene eletto dal Capitolo generale per un periodo di sei anni e può essere eletto soltanto per un secondo sessennio. Non può dimettersi dalla sua carica senza il consenso della Sede Apostolica.
2. Elezione Vicario del Rettor Maggiore e Consiglieri (Cost. 142 §1)
Il Vicario del Rettor Maggiore dura in carica sei anni e può essere eletto nel medesimo incarico soltanto per un secondo sessennio.
Al termine del primo sessennio, il Vicario del Rettor Maggiore può essere eletto Consigliere generale o Rettor Maggiore.
Al termine del secondo sessennio, egli può essere eletto soltanto Rettor Maggiore.
I Consiglieri generali durano in carica sei anni. Possono essere eletti nel medesimo incarico o ad altro incarico, come Consiglieri generali, soltanto per un secondo sessennio.
Al termine del primo o del secondo sessennio, i Consiglieri generali possono essere eletti Vicario del Rettor Maggiore o Rettor Maggiore.
Modifiche dei Regolamenti
3. Compiti del Consigliere regionale (Reg. 135)
I consiglieri regionali si mantengano in contatto con le singole ispettorie: devono visitarle periodicamente, riunendo i Consigli ispettoriali. D’accordo con gli ispettori, possono incontrare i direttori e altri gruppi di confratelli e laici per suggerire ciò che ritengono più opportuno per il bene della Congregazione e per un miglior servizio dell’ispettoria e della Chiesa particolare.
Essi abbiano almeno un incontro annuale con tutti gli ispettori della Regione e mantengano i collegamenti con gli organismi della Regione, le comunità formatrici e le Conferenze ispettoriali.
4. Uso del sistema informatico nelle votazioni elettive (Reg. 131)
"La procedura di elezione si realizza mediante il sistema elettronico informatico (intranet). Per essa è a disposizione di tutti i capitolari l’accesso alla scheda anagrafica dei singoli soci che possono essere eletti. I singoli votanti capitolari esprimono il proprio voto selezionando il cognome del socio per il quale intendono esprimere la preferenza,
Qualora si riscontrasse un malfunzionamento tecnico del sistema, si ricorre alla procedura di elezione mediante scheda cartacea.
Gli scrutatori verificheranno che il numero dei voti nel sistema elettronico corrisponde corrisponda a quello degli elettori. Se il numero dei voti supera quello degli elettori, la votazione è nulla; se invece vi corrisponde o è inferiore, se ne faccia lo scrutinio. I segretari scriveranno nel verbale i nomi. letti da uno scrutatore. che uno scrutatore andrà leggendo”.
Deliberazione
3. Modalità di svolgimento della visita straordinaria (Reg. 104)
"Il Rettor Maggiore ed il Consiglio generale, all'inizio del sessennio, prevedano i tempi e le modalità di svolgimento delle visite straordinarie in ciascuna regione, valorizzando le possibilità offerte dall'art. 104 dei Regolamenti generali, in modo da garantire, in ogni caso,