Documento POST-CAPITOLARE
approvato DAL RETTOR MAGGIORE
E dal consiglio generale
16 agosto 2020
Primo nucleo: Priorità della Missione Salesiana
Secondo nucleo: Profilo Salesiano del oggi
Terzo nucleo: Insieme ai Laici
PRIORITÀ DELLA MISSIONE SALESIANA
TRA I GIOVANI DI OGGI
Questo primo nucleo è stato presentato durante il CG 28 e sostanzialmente approvato dall’assemblea capitolare.
Nella sessione estiva 2020 del Consiglio Generale è stato solo rivisto alla luce delle osservazioni delle commissioni capitolari.
RICONOSCERE
Come membri del Capitolo Generale 28° siamo convinti che Dio, attraverso il suo Spirito, è presente nella vita di tutti i giovani del nostro tempo. Mediante il discernimento abbiamo prima di tutto cercato di riconoscere la sua azione, cercando di entrare nel ritmo di «una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28)
Fin dall’inizio questo ci ha spinto ad avere uno sguardo positivo, plasmato da umiltà, simpatia, coraggio, intelligenza, fede e speranza, nella certezza che proprio questo «è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani», che devono pertanto essere da noi considerati “terra sacra” (cfr. Christus vivit, n. 67).
Chiamati ad essere amici, padri e pastori dei giovani desideriamo fare nostro questo sguardo divino, nella consapevolezza di seguire così le orme del nostro amato padre don Bosco che proprio a Valdocco, guidato per mano dall’Ausiliatrice, ha realizzato la sua opera.
Chi sono i giovani di oggi? Qual è la loro condizione? Che cosa cercano? Che cosa ci domandano? Per rispondere a queste domande ci siamo prima di tutto messi in ascolto.
Abbiamo avuto il dono di avere tra noi alcuni giovani provenienti da tutto il mondo, che hanno rappresentato i tantissimi giovani che si sono resi presenti nei nostri Capitoli Ispettoriali durante la preparazione al CG 28. Abbiamo ascoltato la loro voce con attenzione e commozione. Ci hanno comunicato la loro inquietudine spirituale e la loro fame di Dio, il loro desiderio di essere protagonisti e artefici di un mondo migliore, la loro fatica di credere e di andare controcorrente rispetto alle logiche del nostro tempo. Ci hanno chiesto di essere meno “gestori” e più “pastori”, di stare in mezzo a loro e di avere tempo per accompagnarli.
Nei molti momenti di lavoro insieme abbiamo anche preso coscienza delle tante povertà dei giovani, che ci lasciano inorriditi allo stesso modo in cui don Bosco lo fu nella sua prima visita alle carceri di Torino. Il grido di tanti giovani tocca anche oggi il nostro cuore: povertà economica, sociale e culturale; povertà affettiva, relazionale e familiare; povertà morale e spirituale. In molti contesti la disoccupazione e l’impossibilità di studiare penalizzano larghe fasce di giovani.
In tanti modi i giovani si sono mostrati per noi dei profeti: attraverso la loro presenza il Signore ci fa continuamente conoscere le sue attese e i suoi appelli per il rinnovamento della nostra missione. Come don Bosco «non scoprì la sua missione davanti a uno specchio, ma nel dolore di vedere dei giovani che non avevano futuro, anche il salesiano del sec. XXI non scoprirà la propria identità se non è capace di patire con “la quantità di ragazzi, sani e robusti, di ingegno sveglio che stavano in carcere tormentati e del tutto privi di nutrimento spirituale e materiale… In loro era rappresentato l’obbrobrio della patria, il disonore della famiglia”; e noi potremmo aggiungere: della nostra stessa Chiesa» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca: oggi più che mai «nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). È quindi evidente che non è più possibile pensare la nostra missione nella forma del “si è sempre fatto così”. Questa situazione, se da una parte ci disorienta, dall’altra chiede di metterci in gioco con umiltà e coraggio, chiedendoci di recuperare quei dinamismi giovanili che erano così vivi in don Bosco. Siamo più che mai convinti di quanto ci ha detto Papa Francesco proprio qui a Valdocco, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, il 21 giugno 2015: «Il vostro carisma è di una attualità grandissima. Guardate le strade, guardate i ragazzi e fate decisioni rischiose. Non abbiate paura. Come ha fatto lui».
Insieme ad alcune sfide perenni che continuano ad interpellarci, il nostro tempo presenta alcune novità con cui è inevitabile confrontarci. La rivoluzione digitale ci chiede di comprendere le profonde trasformazioni che stanno avvenendo non solo nel campo della comunicazione, ma soprattutto nel modo di impostare e gestire le nostre relazioni umane. Il campo dell’affettività, con tutte le questioni legate al genere e all’identità sessuale, sfidano la nostra visione antropologica. La condizione della donna e il suo ruolo nella società e nella Chiesa ci chiedono una riflessione più attenta e approfondita. La sensibilità ecologica, che sta crescendo rapidamente nel mondo giovanile, ci chiede di essere profetici in questo campo attraverso scelte chiare e coerenti. Il contatto con i giovani migranti, i rifugiati e tanti altri giovani privati dei loro diritti fondamentali diventa per noi un pressante appello all’azione. Infine la dolorosa esperienza degli abusi, che tocca anche la nostra Congregazione, è una forte chiamata alla conversione.
Il rapido cambiamento in atto tocca i processi ordinari di trasmissione della fede. A questo proposito si riscontrano grandi differenze: se in alcuni contesti la vita di fede non pone alcun problema e i giovani vivono con naturalità la loro appartenenza alla Chiesa, in altri fortemente secolarizzati la fede cristiana è divenuta una questione che non ha più alcuna rilevanza personale e sociale. In alcuni territori dove siamo presenti c’è fondamentalismo, discriminazione e perfino persecuzione; in altri possiamo liberamente proporre il Vangelo. Lavoriamo anche in molti contesti multireligiosi in cui la maggioranza dei giovani che frequentano le nostre opere appartengono ad altre religioni o ad altre confessioni cristiane.
Di fronte alla crisi globale dell’autorità, della tradizione e della trasmissione siamo sfidati sugli stili, sui contenuti e sulle modalità di annunciare Gesù Cristo, in quanto ci sentiamo tutti chiamati ad essere “missionari dei giovani”. Convinti della necessità di arrivare al loro cuore, sentiamo l’urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (Christus vivit, n. 214).
I giovani sono portatori del fuoco vivo del carisma salesiano e ci aiutano a conoscere, approfondire e assumere meglio la missione a noi affidata. Fin dall’inizio «lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni», nella convinzione che «ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Sentiamo quindi come nostro dovere coinvolgere i giovani e riteniamo loro diritto essere coinvolti all’interno della comunità educativo pastorale, che è prima di tutto una famiglia dove si condivide tutto in un clima di amicizia, ascolto, rispetto e collaborazione. Riconosciamo che molti di loro «si trovano in una profonda situazione di orfanezza… alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso» (cfr. Christus vivit, n. 216). Proprio in questa direzione i recenti cammini sinodali ci hanno aiutato a riscoprire l’indole familiare della Chiesa, tanto che quest’ultima può essere pensata come «famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche» (Amoris laetitia, n. 87).
Siamo infine consapevoli che molte volte non riusciamo a intercettare questa vera e propria “nostalgia comunitaria” dei giovani e delle famiglie: ci chiedono tempo e noi diamo loro spazio; ci chiedono relazione e noi forniamo loro servizi; ci chiedono vita fraterna e noi offriamo loro strutture; ci chiedono amicizia e noi facciamo per loro attività. Tutto ciò ci impegna a riscoprire le ricchezze e le potenzialità dello “spirito di famiglia”.
INTERPRETARE
Per interpretare quanto abbiamo fin qui riconosciuto, vogliamo lasciarci guidare da uno dei passi più significativi della “Lettera da Roma” del 1884. Don Bosco vede che nell’Oratorio di Valdocco tra i salesiani e i giovani si è creata una barriera fisica e spirituale, che ostacola l’azione educativa e tradisce il carisma. Dialogando con uno dei giovani del sogno, egli cerca di interpretare la situazione per trovare il modo di risolverla: «Come dunque fare per rompere questa barriera?» La risposta che riceve è illuminante anche per noi: «Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità».
Questo testo illumina i tre nodi fondamentali intorno ai quali abbiamo raccolto l’interpretazione di questo nucleo: l’andare incontro ai giovani nel luogo in cui essi si trovano e si esprimono spontaneamente; la vicinanza che crea confidenza e rende possibile l’accompagnamento; la tonalità affettiva della relazione educativa che don Bosco chiama con un termine che deriva dall’esperienza famigliare. È in questa prospettiva di fede che vogliamo cercare le ragioni di ciò che viviamo, con le sue luci e le sue ombre, far emergere le sfide che ci attendono e identificare i criteri per affrontarle.
Comunità in uscita verso i giovani poveri
Troppe volte la povertà allontana i ragazzi e i giovani dall’opportunità di crescere in modo sereno, di avere un’educazione adeguata, di decidere del proprio futuro. Non di rado la povertà allontana anche dalla comunità cristiana e dalla possibilità di incontrare la gioia del Vangelo, che invece è destinata proprio agli ultimi: «Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). La povertà diventa così oggi una barriera escludente, che deve essere superata.
Il magistero profetico di Papa Francesco sta aiutando la Chiesa a prendere sempre più coscienza che la distanza dai poveri tradisce il Vangelo e genera numerose “malattie” nella comunità cristiana. Anche noi sentiamo il bisogno di andare in profondità nell’interpretazione del tempo che viviamo, fino a riconoscere che fenomeni sociali e sfide spirituali, appelli dei giovani e mozioni dello Spirito sono strettamente congiunti, senza alcuna possibilità di divaricazione. Questa è stata l’esperienza di don Bosco, che l’ha reso capace di rispondere ai bisogni più urgenti dei suoi ragazzi e di far sentire loro la tenerezza di Dio che scalda il cuore e infonde speranza. Dove questo avviene anche oggi, con impegno generoso e creatività pastorale, vediamo una vera fioritura del carisma. Dove invece le comunità perdono la “famigliarità” con i poveri, la vita religiosa si intiepidisce, rischiando di diventare sale che perde sapore, lampada messa sotto il moggio (cfr. Mt 5,13.15).
Uscire verso i giovani poveri e farlo come comunità di credenti è certamente una sfida sempre nuova, ma anche una prospettiva che ci riempie di entusiasmo. Come il nostro padre don Bosco, anche noi nel giorno della nostra professione religiosa abbiamo detto a Dio: «Mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai, specialmente ai giovani più poveri» (Costituzioni, art. 24).
Ciò richiede da noi anzitutto capacità di discernimento comunitario: non si tratta di affidare a qualche singolo confratello l’attivazione di nuovi progetti, ma di ascoltare insieme l’appello che Dio ci rivolge nelle povertà giovanili. Richiede poi anche profondità spirituale, per non cadere nell’attivismo o in una mentalità aziendale; preparazione culturale, per comprendere i fenomeni in cui siamo immersi e le nuove povertà giovanili; disponibilità a lavorare insieme, abbandonando ogni individualismo pastorale; flessibilità nel ripensare il nostro stile di vita e le nostre opere, soprattutto quando esse non esprimono più l’energia missionaria del carisma e rispondono prevalentemente a logiche di mantenimento.
Accompagnamento dei giovani in CHIAVE vocazionale
«Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza». Bastano queste parole di don Bosco a farci capire il valore che aveva per lui raggiungere il cuore del ragazzo, consentendogli un’apertura fiduciosa e una sincera confidenza. Don Bosco non usava la parola “accompagnamento”, ma tutto il suo agire mirava proprio a questo. Il suo impegno educativo, ricco di proposte e attento alle diverse dimensioni della crescita, tendeva ad accompagnare i giovani in modo semplice e concreto alla santità. Trascurare questa dimensione del sistema preventivo significa snaturarlo.
Mentre tutta la Chiesa, nel Sinodo per i giovani, ha riscoperto il valore dell’accompagnamento per il discernimento, anche noi siamo invitati a rileggere le ricchezze della nostra tradizione al riguardo. Essa ci consegna tre livelli di accompagnamento strettamente congiunti tra loro: di ambiente, di gruppo e personale. Il primo si realizza attraverso l’offerta di un clima accogliente, gioioso, ricco di proposte differenziate e capace di innescare cammini di crescita. Il secondo favorisce un maggiore impegno nella maturazione personale e nel cammino di fede, valorizza le attitudini di ciascuno, promuove la spiritualità del movimento giovanile salesiano e l’appartenenza ad esso. Il terzo conduce il giovane a discernere più in profondità il senso della propria esistenza davanti a Dio. In questo senso, il Sinodo sui giovani ha parlato di un accompagnamento “in chiave vocazionale” (Documento finale del Sinodo, nn. 138-143; Christus vivit, cap. VIII), aiutando a pensare la vita non come un progetto di autorealizzazione individuale, ma come un cammino per scoprire e rispondere alla chiamata divina. L’espressione di Papa Francesco “io sono una missione” (Christus vivit, n. 254) indica chiaramene la meta che l’accompagnamento ha di fronte a sé: aiutare ognuno a scoprire la propria unicità come dono per gli altri.
Poiché nasce dalla familiarità nel quotidiano, l’accompagnamento coinvolge una pluralità di soggetti e non è compito esclusivo di qualcuno. L’intera comunità educativo pastorale vi è coinvolta, anche se non tutti hanno la stessa attitudine e preparazione per guidare il discernimento personale. In ogni caso, il protagonista di ogni accompagnamento è lo Spirito del Signore, che ci colma di doni e carismi; noi siamo semplicemente servi e mediatori dell’opera di Dio.
È molto importante sottolineare che un buon accompagnamento non colloca il giovane in una posizione passiva o subalterna, ma al contrario promuove la sua partecipazione attiva alla vita della comunità e la corresponsabilità nel servizio dei più poveri. Si tratta dunque di un accompagnamento per il coinvolgimento, per la presenza attiva e responsabile nella società e nella Chiesa. Il protagonismo dei giovani nella fondazione della nostra Congregazione e l’impegno attivo delle Compagnie nell’Oratorio di Valdocco, in questo senso, hanno ancora molto da dirci.
Nella certezza che «coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28), siamo chiamati a promuovere un rinnovato impegno per l’accompagnamento, il quale richiede anzitutto di curare maggiormente la preparazione di confratelli e laici in questo ambito delicato e di vivere noi stessi l’esperienza di essere accompagnati. La prospettiva del coinvolgimento attivo dei giovani poi suppone una fiducia più grande nelle loro risorse: non dobbiamo avere paura della loro sana inquietudine, delle loro domande e della loro sensibilità per temi nuovi, che non sempre siamo pronti ad affrontare. Impariamo, dunque, ogni giorno ad ascoltare con empatia e ad offrire il nostro aiuto con umiltà. L’autentica autorità di un educatore non consiste nel potere di dirigere, ma nella forza di promuovere la libertà: questa è la paternità di don Bosco.
Cammino con le famiglie e educazione affettiva
Siamo consapevoli che la famiglia è la scuola dell’amore, in cui si apprende quella grammatica degli affetti attraverso cui Dio si fa conoscere e incontrare. I recenti sinodi sulla famiglia e l’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia hanno offerto molte indicazioni pastorali sull’accompagnamento delle famiglie e sull’educazione affettiva, che anche noi siamo chiamati ad accogliere ed assimilare.
Per noi salesiani l’interesse per la famiglia scaturisce spontaneamente dal cuore stesso del nostro carisma educativo. Sappiamo quanto don Bosco abbia imparato da mamma Margherita, tanto da volerla con sé a Valdocco come una presenza preziosa per fare dell’Oratorio una vera “casa”. Il ragazzo Giovanni Bosco, d’altra parte, non è cresciuto in una famiglia perfetta: ha sperimentato la sofferenza di essere orfano di padre, l’incomprensione del fratello Antonio, l’umiliazione della povertà, la necessità di andare via di casa in cerca di lavoro. Tutto questo ha contributo a maturare in lui un cuore di padre, ricco di misericordia e di accoglienza.
Anche noi oggi sentiamo l’esigenza di una grande prossimità con le famiglie, accogliendole con le loro fatiche, ma soprattutto promuovendole con le loro ricchezze. Attraverso le nostre opere incontriamo di fatto tantissime famiglie nelle situazioni più diverse: alcune si rivolgono a noi per le nostre proposte educative, altre condividono la scelta religiosa e l’ispirazione carismatica, altre ancora sono nei primi anni di matrimonio e chiedono accompagnamento. Non poche sono in situazioni di povertà, di disagio o sono famiglie ferite e frutto di seconde unioni. Vi sono poi giovani che sono cresciuti con noi e ci chiedono di accompagnarli al matrimonio, mentre si affacciano ai nostri ambienti anche persone che vivono entro nuove configurazioni relazionali.
Questa complessità costituisce indubbiamente una sfida e richiede una preparazione adeguata. La presenza di tante famiglie inserite nei gruppi della Famiglia Salesiana e di altre che collaborano con noi costituisce in ogni caso una grande risorsa, soprattutto se siamo capaci di ascoltare la loro esperienza e di valorizzare la loro testimonianza.
Il criterio fondamentale per il nostro lavoro con le famiglie va individuato nella natura educativa della nostra missione. Non vogliamo attivare una pastorale familiare parallela alla pastorale giovanile, ma piuttosto presentare la comunità educativo pastorale come il luogo e la forma del nostro cammino con le famiglie.
Da tale criterio deriva anche l’esigenza di assumere in maniera più coraggiosa la sfida dell’educazione affettiva e sessuale dei giovani. Essa è una richiesta che già il Concilio aveva indirizzato alle istituzioni educative della Chiesa (cfr. Gravissimum educationis, n.1) e su cui abbiamo camminato ancora troppo poco. Non si tratta semplicemente di dare informazioni, ma di accompagnare in un percorso di conoscenza di sé e di scoperta della chiamata all’amore. Conosciamo l’importanza che don Bosco attribuiva alla purezza nella crescita dei ragazzi e la delicatezza con cui ne parlava. In un contesto che non di rado banalizza la sessualità, siamo chiamati a presentare una visione serena, positiva ed equilibrata del tema affettivo, a illuminare sui linguaggi del corpo e sul senso della reciprocità tra uomo e donna in conformità alla Parola di Dio. La cura di ambienti propositivi e “preventivi”, un’animazione che sa coinvolgere i giovani in tutte le loro dimensioni (teatro, sport, arte, gioco, musica, …), un accompagnamento personale che si prende cura delle dinamiche profonde della persona sono gli strumenti che la nostra tradizione ci consegna e che siamo chiamati a ripensare nei nuovi contesti di oggi.
SCEGLIERE
Usciamo verso i giovani poveri superando una pastorale di mantenimento e rinnovando i nostri dinamismi comunitari.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento in prospettiva vocazionale, curando un’adeguata formazione di salesiani e laici in questo ambito.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Consolidiamo il cammino con le famiglie nella comunità educativo pastorale e proponiamo cammini più accurati di educazione affettiva.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
PROFILO DEL SALESIANO OGGI
Questo secondo nucleo è stato elaborato durante il CG 28 nella sua prima versione, ma non è stato possibile presentarlo all’assemblea capitolare.
Nella sessione estiva 2020 del Consiglio Generale è stato completato.
RICONOSCERE
Nel sogno dei nove anni la Vergine Maria, dopo aver indicato a Giovanni Bosco il campo in cui dovrà lavorare, lo invita a divenire “umile, forte e robusto”. Con tali parole, Ella gli propone un percorso esigente di formazione strettamente congiunto con la vocazione ricevuta e la missione affidata. Anche noi riconosciamo che la formazione è dono prezioso del Signore ed esigenza irrinunciabile del cammino vocazionale. Tale impegno formativo tocca tutte le dimensioni della nostra consacrazione apostolica: per questo il Capitolo Generale 27° ha coerentemente tracciato il profilo del salesiano come mistico nello Spirito, profeta di fraternità e servo dei giovani.
Esaminando le statistiche della Congregazione abbiamo appreso che nell’ultimo decennio abbiamo avuto una media annuale di circa 2600 giovani in formazione. Questo ci riempie di gioia e di speranza, perché mostra che il nostro carisma continua ad essere fecondo. Allo stesso tempo tale dato ci interpella e ci responsabilizza, chiedendo di verificare la qualità della nostra formazione iniziale e continua.
Notiamo infatti che talora l’identità consacrata salesiana pare debole e poco radicata: il primato di Dio nella vita personale e comunitaria non sempre emerge con chiarezza; forme di clericalismo e di secolarismo rischiano di far entrare in Congregazione la “mondanità spirituale”; la promozione del salesiano laico in alcune regioni rimane scarsa; la mancanza di personale preparato nell’ambito della salesianità, nonostante l’abbondante materiale a disposizione, è segno di un’insufficiente attenzione all’approfondimento del carisma.
Nella riflessione capitolare sul profilo del salesiano oggi è emersa con chiarezza una preoccupazione: la divaricazione tra il cammino formativo, nelle sue diverse fasi, e la realtà della missione educativa e pastorale ordinaria. Alcuni parlano di un divario tra formazione e missione, altri di una separazione tra la formazione iniziale e quella continua, altri ancora di una certa incoerenza tra ciò che la Congregazione propone nella formazione iniziale e ciò che si vive di fatto nelle comunità apostoliche.
La formazione attuale, con le sue strutture, stili e metodi appare talvolta più informativa che performativa, perché non sempre arriva a trasformare il cuore. La missione apostolica, d’altra parte, non sempre riesce ad attingere dalla realtà dei giovani e dalla concretezza della vita gli elementi per una formazione permanente: la “cattedra della realtà” stenta a farsi lettura credente della storia (lectio vitae), offrendo elementi per un rinnovamento continuo del nostro essere e del nostro operare.
Riconosciamo anche urgente l’approfondimento di alcuni temi che devono entrare a pieno titolo nel cammino formativo: l’abilitazione all’accompagnamento spirituale dei giovani, che richiede la maturazione di sensibilità specifiche; la chiara presa di coscienza che la nostra missione è condivisa con i laici e necessita per questo di nuove competenze relazionali; la crescente attenzione ai temi ecologici che comporta una specifica preparazione in questo ambito. Infine, il nuovo mondo digitalizzato impone un ripensamento del modo di impostare la nostra vita fraterna e la missione apostolica nel suo insieme, perché «il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Siamo riconoscenti per la presenza di un buon numero di salesiani che ravvivano continuamente il dono di Dio che hanno ricevuto (cfr. 2Tim 1,6), attraverso «un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Solo in questo modo si supera l’idea, purtroppo radicata, che la formazione termina con la conclusione delle tappe iniziali e con l’accesso al ministero.
Manca infatti in alcuni confratelli la convinzione che l’impegno per la propria formazione è stile preciso di assunzione della missione, tanto che risulta difficile accendere il desiderio e la passione per la formazione permanente. Riconosciamo che sia a livello centrale sia a livello ispettoriale c’è stato uno sforzo per offrire strumenti e percorsi di formazione, che però non sempre portano i frutti sperati. Risulta difficile, in particolare, trasformare la stessa esperienza pastorale quotidiana in occasione formativa, perché non siamo stati iniziati a discernere a partire dalla concretezza della realtà. Per questo la comunità, sia religiosa che educativo pastorale, non riesce a divenire l’ambiente naturale e ordinario in cui ci si forma.
Bisogna, però, anche riconoscere che c’è una certa confusione circa i soggetti responsabili e i percorsi della formazione continua: mancano spesso confratelli preparati per accompagnare questo cammino, mentre si nota una pluralità e debolezza di riferimenti formativi a livello ispettoriale e locale. Alcuni segnalano il rischio di ridurre la formazione permanente a qualche sporadico corso di aggiornamento o di affidarla alla consegna di qualche nuovo manuale. Esiste infine, in un mondo sempre più fluido, la sfida della “laboriosità culturale” in Congregazione, perché senza lo studio, la lettura e il continuo aggiornamento non si riuscirà ad uscire da una pastorale di mantenimento e di ripetizione.
Dai dati e dalle discussioni emerse al Capitolo riconosciamo che la formazione iniziale è nel suo insieme una realtà poliedrica, positiva e promettente. Si tratta di un grande mosaico di diverse situazioni, nel quale riconosciamo la presenza di dinamismi nuovi nella Congregazione.
Chi sono i giovani in formazione oggi? In forma sintetica possiamo affermare che la maggior parte di loro proviene dall’Asia e dall’Africa; nell’insieme sono “giovani adulti”, e non come in tempi passati “adolescenti”; sono giovani del nostro tempo, che quindi portano con sé tutte le potenzialità e le fragilità dei giovani di oggi; sono alla ricerca di una vita autentica e di una fraternità profetica, anche se talvolta le motivazioni che li portano alla vita salesiana necessitano di maturazione; essendo più vicini alla generazione giovanile, hanno una facilità di contatto e una comunanza naturale di linguaggio con il mondo giovanile. Tutto questo implica un approccio formativo del tutto diverso nelle nostre case di formazione e centri di studio.
A partire da questa metamorfosi epocale si comprende che la ricerca e la formazione dei formatori è una vera e propria urgenza che va affrontata nel migliore dei modi. Riconoscendo che essere formatore è una “vocazione nella vocazione”, sarà necessario passare dall’improvvisazione ad un autentico discernimento per la scelta qualificata dei formatori e dei docenti: non è questione di “reclutamento”, ma di vero dialogo vocazionale. Riconoscendo poi la comunità come primo spazio formativo, i capitolari hanno sottolineato quanto sia decisiva l’équipe dei formatori, che agiscono in sinergia e sotto la regia del Direttore, che più di tutti ha il compito di accompagnare e coordinare l’impegno di tutti.
Come ci dice Papa Francesco, «pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Occorre quindi rinnovare il nostro stile formativo, che ha bisogno di essere pensato sempre più in forma personalizzante, olistica, relazionale, contestuale e interculturale.
È necessario, soprattutto, uno stile capace di assumere dalla missione i suoi registri fondamentali, perché è la missione «che dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose» (Costituzioni, art. 3) e anche perché siamo tutti convinti che «quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e diventare una caricatura» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Questo nuovo stile formativo che sogniamo dovrebbe far risplendere l’unità della Congregazione nella pluralità delle sue espressioni: è molto importante, contro il «grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture», riconoscere che la presenza mondiale della nostra realtà carismatica «è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
INTERPRETARE
Per operare un sano discernimento sulla nostra formazione è utile riflettere sull’esperienza formativa vissuta da don Bosco. Lui stesso ne racconta i momenti principali nelle Memorie dell’Oratorio, con molte osservazioni che lasciano chiaramente intravedere la sua visione a questo riguardo. Ci soffermiamo qui in particolare su una delle tappe formative verso cui don Bosco ha mostrato maggiore apprezzamento, quella del Convitto Ecclesiastico. Di tale istituzione don Bosco dice: «Qui si impara ad essere prete» (G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane, 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, p. 1233).
La formazione del Convitto metteva insieme una solida proposta spirituale e culturale («Meditazione, lettura, due conferenze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di studiare …») e l’accompagnamento a incontrare dal vivo «la malizia e la miseria degli uomini» nei luoghi di maggiore povertà. Il punto di forza che guidava i giovani preti a fare sintesi tra preghiera e ministero, tra riflessione e pratica pastorale era un gruppo di formatori di altissimo profilo, tra cui spiccava don Cafasso. Don Bosco li incontrava in cattedra mentre facevano lezione, ma li vedeva anche impegnati in prima persona nelle forme più varie e difficili di ministero. Erano per lui e per i suoi compagni solidi maestri di dottrina, apostoli intraprendenti e veri modelli di vita. Noi oggi parleremmo di un’équipe esemplare e compatta che accompagna in modo integrale ad assumere la missione.
Gli anni del Convitto sono stati determinanti per la maturazione apostolica di don Bosco, ed è bello notare che sono stati una sua scelta, a cui non era tenuto da alcun obbligo. Egli ha assunto questo impegno quando era già prete e avrebbe potuto immergersi subito a tempo pieno nell’attività. Ma su consiglio del Cafasso ha percorso un’altra via, più esigente ma immensamente più fruttuosa. Il suo esempio ci insegna che la formazione non si chiude con il compimento degli studi, con la professione perpetua o con l’ordinazione sacerdotale, ma rimane un processo aperto da coltivare con cura per tutta la vita. Ci ricorda anche che il vero apostolo non matura bruciando le tappe e che l’investimento più fecondo per la missione è quello di una buona formazione.
Formazione e vocazione: un accompagnamento alla luce del carisma
Nella vita consacrata la formazione non si riduce solo a un insieme di tecniche e di metodologie, ma è un’esperienza di fede che affonda le sue radici nel mistero stesso della vocazione. Dio Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, continua ad operare in noi con la potenza del suo Spirito, per renderci sempre più conformi a Cristo. La meta del percorso formativo è, infatti, giungere ad avere in sé i sentimenti del Figlio, ossia sentire, pensare e agire in Lui (cfr. Fil 2,5).
Comprendere la formazione nell’orizzonte della vocazione ci aiuta a non vederla come un dovere imposto dall’esterno – dalle norme della Chiesa o della Congregazione – ma come un dono di grazia che ci aiuta a fare davvero nostra la “forma” della vita consacrata salesiana, evitando che essa rimanga una sorta di abito esteriore.
L’esistenza di fallimenti vocazionali ci ricorda quanto sia delicato questo processo e come l’accoglienza iniziale della chiamata non metta automaticamente al riparo dal rischio di perdere la strada o di volgersi indietro. Che cosa sono infatti il clericalismo, il secolarismo e l’individualismo se non deviazioni della energia vocazionale, che ne spengono la bellezza e ne mortificano la crescita per assenza di profondità, per mancanza di motivazioni o per poca generosità? La vocazione senza un’adeguata formazione viene allora confusa con una sorta di “volontariato a vita” in cui non si consegna davvero il cuore a Dio e ai giovani e non si accetta la conversione formativa che questo comporta.
Poiché la formazione è una pedagogia della grazia, essa non potrà mai essere prima di tutto una questione di regole e di norme. Senza dubbio queste sono necessarie, perché preservano da errori e indicano cammini consolidati, ma non bastano da sole a porre le condizioni per un’esperienza formativa autentica. Dobbiamo dunque stare attenti a non dare soluzioni principalmente normative a una sfida che è anzitutto carismatica e generativa. La formazione è artigianato quotidiano, sapienza pratica, qualità della testimonianza, capacità di leggere le situazioni e di toccare i cuori: tutte cose che nessuna legge può garantire e nessun manuale basta ad assicurare. Come ci ricorda il venerabile don Giuseppe Quadrio, modello straordinario di formatore e di docente, tali qualità sono prima di tutto frutto della docibilità interiore allo Spirito che suscita nella nostra famiglia carismatica veri maestri di vita.
Valgono dunque per la nostra proposta formativa tutte le indicazioni di sapienza pratica che don Bosco metteva in atto nell’educazione. Il Sistema Preventivo va sempre più riscoperto come il principio ispiratore e l’anima profonda del nostro sistema formativo. Ciò significa far valere il primato della carità teologale e della confidenza su ogni legalismo e formalismo; trasmettere i valori vocazionali attraverso un autentico spirito di famiglia; coinvolgere attivamente i confratelli più giovani e renderli corresponsabili delle scelte formative. La pedagogia del Sistema Preventivo è infatti una pedagogia della fiducia, che crede nelle risorse dei giovani e li provoca alla generosità dell’impegno, senza mai mortificarne le intuizioni o tarparne la creatività. È in questa logica che l’articolo 99 delle nostre Costituzioni afferma: «ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione». Attraverso la fedeltà a questa ispirazione la Congregazione si mostra madre verso ogni confratello e lo aiuta a maturare nel suo cammino vocazionale.
formazione e missione: un processo unitario
La natura apostolica del nostro carisma qualifica in modo determinante la nostra formazione. Come ci ricorda Papa Francesco, «è importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Queste parole indicano con molta chiarezza che formazione e missione sono strettamente intrecciate e non stanno in piedi l’una senza l’altra.
Comprendere la formazione nell’orizzonte della missione significa anzitutto dare risalto al Da mihi animas come energia profonda del processo formativo. Se questa energia viene spenta e non sprigiona più ardore per il bene dei ragazzi, la maturazione vocazionale è gravemente compromessa. Se invece la passione apostolica è viva, essa alimenta la crescita umana, l’impegno per lo studio, la cura della vita spirituale, la maturazione pastorale. Il Da mihi animas è, infatti, il modo in cui Dio ci rende partecipi del suo amore per il mondo.
Don Bosco, afferma ancora il Papa, «non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare». Assumere la missione come principio formativo richiede di sviluppare lo sguardo del pastore e il coraggio del profeta, che sa stare con i giovani poveri e sognare con loro e per loro un mondo diverso. Per questo «la missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Per superare il divario tra formazione e missione è necessario anzitutto uscire dalla mentalità di delega che non di rado tende a scaricare sulle comunità formatrici la responsabilità in questo delicato ambito. La trasmissione del carisma, infatti, non avviene anzitutto in comunità appositamente strutturate, ma nella freschezza della condivisione quotidiana del servizio ai giovani. La prima sorgente di formazione in Congregazione è nel tesoro della vita generosa dei confratelli. Dove le comunità sono vivaci nel servizio, solide nella spiritualità e capaci di riflessione, gli itinerari proposti dalle case di formazione sono più incisivi, perché introducono a un modo di vivere la salesianità che i giovani confratelli incontrano nella realtà ordinaria delle case. Ciò spiega l’importanza che la nostra tradizione ha sempre attribuito al tirocinio, che è una tappa formativa tipicamente salesiana. Dove invece la missione è confusa con il lavoro e la formazione permanente nelle comunità non è curata, tutto l’iter formativo viene impoverito.
Una maggiore integrazione richiede poi di «trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato», facendo delle nostre case un «“laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa». È quello che stiamo cercando di fare implementando il modello della comunità educativo pastorale. In che modo tale modello possa e debba incidere nella formazione iniziale è una domanda che non trova ancora riposte chiare. Il Sinodo dei giovani ha parlato, ad esempio, dell’importanza di formare équipe formative differenziate, che includano anche figure femminili, in cui interagiscano vocazioni diverse (cfr. Documento finale del Sinodo, n. 163). Il dialogo tra le comunità ispettoriali e le case di formazione può inoltre favorire una interazione più significativa con il cammino delle comunità educativo pastorali e consentire ai formatori una maggiore presenza a fianco dei giovani confratelli nelle esercitazioni pastorali. Più che un’unica soluzione strutturale, che non terrebbe conto della notevole diversità dei contesti, bisogna dunque lavorare per una rinnovata progettualità formativa in senso missionario, che cercherà in ogni ambiente la sua attuazione più adeguata.
Formazione e strutture: un rinnovamento necessario
Uno dei rischi del nostro iter formativo, più volte denunciato in Congregazione, è una certa frammentazione tra le diverse tappe. Indubbiamente il passaggio da una fase all’altra della formazione iniziale offre la ricchezza di nuovi stimoli e contribuisce ad allargare gli orizzonti, ma porta con sé la fatica di dover riprendere più volte il cammino di accompagnamento. Tale fatica diviene più gravosa quando l’impostazione delle scelte formative e gli strumenti offerti per l’accompagnamento non sono adeguatamente coordinati.
Ciò rende evidente la necessità che in Congregazione si proceda a chiarire e, ove possibile, semplificare i riferimenti istituzionali e a determinare con maggiore precisione i compiti e le responsabilità delle strutture di coordinamento tra le diverse fasi e tra i diversi livelli della formazione. Troppo spesso, infatti, decisioni importanti per i cammini formativi vengono rallentate o restano inevase per incertezze di sistema.
Non mancano nella Ratio e nei suoi allegati indicazioni preziose per il lavoro formativo, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere e i criteri di ammissione. Più debole invece è l’aspetto della metodologia e degli strumenti. È importante dunque dare attuazione al percorso di revisione dell’accompagnamento formativo che è stato intrapreso in Congregazione e verificarne gli esiti. La chiarezza e la condivisione su questa tema sono la prima condizione per una formazione più solida e personalizzata.
Ogni processo di crescita richiede condizioni strutturali che lo facilitano. In questa logica, la volontà di promuovere un migliore accompagnamento deve tradursi in un generoso investimento della Congregazione nel reperimento e nella formazione adeguata di formatori, che sappiano lavorare in équipe, sotto la guida e la responsabilità del Direttore.
Non meno importante è il rinnovamento all’interno dei nostri centri di studio, chiamati ad assumere con determinazione le indicazioni della Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Essi prestano un indispensabile servizio non solo ai giovani confratelli che li frequentano, ma anche alla solidità culturale delle nostre ispettorie. Tra questi centri spicca in modo particolare l’Università Pontificia Salesiana, che costituisce la voce culturale più autorevole della Congregazione nella Chiesa. Il rinnovamento di cui ha bisogno richiede di ritrovare le ragioni che hanno portato ottant’anni fa alla sua fondazione.
I centri di formazione regionale offrono un servizio apprezzato alla formazione permanente dei confratelli e sono chiamati sempre più a farsi carico anche della formazione congiunta con i laici. Le Regioni che non ne sono ancora dotate dovranno individuare le forme più idonee per garantire questo tipo di servizio.
SCEGLIERE
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento formativo dei confratelli alla luce del carisma.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Ci impegniamo a superare il divario tra formazione e missione, favorendo una rinnovata cultura della formazione nella missione a tutti i livelli.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Investiamo energie nel reperimento e nella formazione dei formatori e affrontiamo con coraggio il ripensamento dei riferimenti istituzionali e delle strutture formative.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
INSIEME AI LAICI
NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE
Durante la sessione estiva 2020 il Consiglio Generale ha lavorato sul terzo nucleo del CG 28, in quanto esso non era stato preso in considerazione durante il Capitolo Generale per via della sua forzata interruzione dovuta alla pandemia.
Il Consiglio Generale, partendo dallo “Strumento di lavoro”, ha utilizzato la medesima metodologia del discernimento del CG 28 e ha lavorato con le stesse modalità delle commissioni capitolari. Nella redazione del testo si è cercato di mantenere la medesima forma del primo e del secondo nucleo così come sono stati elaborati dal CG 28.
RICONOSCERE
Riconosciamo che il CG 24 è per tutti “un punto di non ritorno” per il rinnovamento del nostro modo di vivere e lavorare insieme. Sta al centro del magistero salesiano post-conciliare, e allo stesso tempo segna un ritorno alle origini del carisma salesiano: Don Bosco, infatti, ha coinvolto fin dall’inizio tanti laici nella sua missione giovanile e popolare.
Riconosciamo che molti passi in avanti sono stati fatti in tutta la Congregazione, anche se con velocità e modalità differenti: il coinvolgimento di tutta la comunità educativo pastorale; la formazione spirituale, pedagogica e pastorale dei laici; l’inserimento dei giovani nelle équipe di animazione; l’affidamento di alcune opere ai laici. Questa percezione di crescente coinvolgimento reciproco, di ricchezza condivisa, di forza dell’aiuto congiunto e di fecondità del carisma si va gradualmente concretizzando, passando dalla prospettiva di coinvolgere i laici nell’attività educativo pastorale a quella di condividere con loro la nostra spiritualità.
Allo stesso tempo, prendiamo atto che rimangono ancora alcune fatiche, perché non sempre riusciamo a rendere i laici partecipi dello spirito e della missione salesiana: molte ispettorie devono ancora passare dal coinvolgimento utilitaristico dei laici alla strategia della corresponsabilità evangelica. Talvolta riscontriamo anche fenomeni di vera e propria resistenza: qualche religioso lamenta l’eccessivo protagonismo dei laici mentre alcuni laici mostrano motivazioni opportunistiche nella loro offerta di collaborazione. Per i laici più impegnati nell’attività educativo pastorale, poi, non è facile conciliare le esigenze della missione salesiana con la vita personale e familiare. Registriamo infine in alcune situazioni una tendenza al livellamento dei diversi stati di vita, tanto che alcuni pensano che i consacrati non siano più necessari per mantenere vivo il carisma.
Molto spesso le relazioni tra salesiani e laici sono ispirate a stima, rispetto, cordialità e collaborazione, soprattutto dove c’è una chiara identità vocazionale, una proposta organica di formazione e un cammino condiviso con i dovuti organismi e strumenti come il consiglio della comunità educativo pastorale e il progetto educativo pastorale salesiano.
Non sempre si accetta e apprezza il peculiare contributo dei laici, tenendo in considerazione la loro identità e la loro esperienza vocazionale: si conosce ciò che fanno, ma non si apprezza ciò che sono. Dove manca la chiarezza sulle rispettive identità, si assiste a una sorta di “clericalizzazione dei laici” e di “laicizzazione dei consacrati”. In questo caso, la collaborazione quotidiana, anziché far emergere la specificità di ciascuno, conduce a un appiattimento delle identità. Talvolta i laici sono semplicemente classificati e posizionati all’interno di un modello gerarchico e piramidale di “opera salesiana”.
Nei salesiani talora riscontriamo un certo disagio nella gestione di opere complesse che esigono capacità manageriali e una mancanza di preparazione per le sfide che emergono dal modello pastorale di condivisione con i laici. Riconosciamo che di fronte al cambiamento d’epoca non siamo davvero in grado di “discernere”, e quindi rischiamo di rimanere intrappolati in logiche di mantenimento pastorale che si adagiano sul “si è sempre fatto così”.
Notiamo che ci sono diverse tipologie di laici: dipendenti, volontari, giovani adulti, cristiani cattolici o di altre confessioni, praticanti o più distanti dalla Chiesa. Talora con la stessa parola “laici”, che nel linguaggio ecclesiale indica i battezzati (Christifideles laici), ci si riferisce anche a persone che lavorano nelle nostre opere ma sono di altre religioni. Per evitare confusioni o irrigidimenti è importante affrontare con serietà le questioni teologiche e pastorali sottese a tale complessità. Si potrà così illuminare meglio la forma che la comunità educativo pastorale è chiamata ad assumere in contesti plurireligiosi o secolarizzati.
In questi anni sono maturate buone iniziative di formazione congiunta di salesiani e laici. Per quanto riguarda i corsi di formazione, ci sono ottime proposte a livello locale, ispettoriale e regionale. Talvolta c’è una carenza di sistematicità nei percorsi formativi, che poi si manifesta nella debolezza di progettualità educativa e pastorale. Manca infatti una formazione più organica, che miri a integrare tutti gli aspetti del carisma salesiano (spirituale, pedagogico, pastorale e professionale). Rimane aperto il tema della formazione dei collaboratori di altre religioni e convinzioni.
Nella vita quotidiana la formazione congiunta si fa principalmente attraverso i cammini della comunità educativo pastorale, con i suoi organismi e i suoi processi di animazione, di discernimento e di governo. La vita della comunità educativo pastorale è uno degli spazi più efficaci per la formazione congiunta tra salesiani e laici ed è un ottimo esempio di “formazione nella missione”.
Si nota da parte di alcuni confratelli una certa resistenza a essere coinvolti nella formazione con i laici e la difficoltà a deporre un certo atteggiamento di presunta superiorità. Un’altra fonte di fatica alla formazione congiunta è la stanchezza, l’eccesso di attività e l’accumulo di compiti e di ruoli. In alcuni laici non c’è grande consapevolezza del loro compito nella Chiesa e quindi poca disponibilità ad assumere le responsabilità formative che ne derivano.
Nella Congregazione in questo momento esistono diverse forme di rapporto tra la comunità religiosa e l’opera salesiana: ci sono delle opere o settori di opere affidati congiuntamente alla comunità salesiana e ai laici; ci sono opere affidate a laici all’interno di un progetto ispettoriale; ci sono anche opere dove l’animazione pastorale, ma non la gestione, è affidata a una comunità salesiana vicina. Persistono opere dove il numero di confratelli consente di ricoprire tutti i ruoli di responsabilità: in questo caso ci sono tanti collaboratori laici con poche o nessuna responsabilità; qui le strutture di animazione della comunità educativo pastorale sono molto deboli o assenti.
Dove si tratta di un’opera affidata congiuntamente ai salesiani e ai laici, non sempre si è realizzato quello che afferma il CG 24 ai nn. 149-159. Quando si tratta di un’opera a gestione laicale sotto la direzione dell’Ispettoria, in molti casi le ispettorie hanno compiuto un grande sforzo di riflessione e di creatività per affrontare la sfida dell’accompagnamento.
Pur riconoscendo aspetti positivi, si registrano anche problemi di un certo peso: la difficoltà dei salesiani di garantire un accompagnamento sistematico; la fatica dei laici a comporre gli impegni richiesti da queste opere con le esigenze della vita familiare; le difficoltà legate al ricambio dei laici, l’assenza di criteri e di strumenti di controllo; la necessità di avviare pratiche di valutazione della gestione; il bisogno di trovare un quadro giuridico adeguato; l’esigenza di un cambiamento della cultura formativa da entrambe le parti per prepararsi meglio a gestire queste nuove realtà. Vi sono persino sono situazioni in cui il ruolo, le competenze e le funzioni dei salesiani e dei laici con responsabilità nelle case non sono chiari né ben definiti.
L’affidamento di un’opera o settore d’opera interamente ai laici rimane all’interno del progetto e della responsabilità dell’Ispettoria. Esistono situazioni in cui l’Ispettoria affida ad un ente giuridico (fondazione, associazione, cooperativa, società) un’attività, un’opera o settori di essa e l’utilizzo di immobili di sua proprietà. In questo caso non sempre viene stipulata una convenzione che regola i rapporti giuridici ed economici.
INTERPRETARE
Gli elementi fondamentali per approfondire la teoria e la pratica della comunione e della condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco sono riportati nel testo del CG 24, che rimane in questo campo un riferimento imprescindibile.
Dal punto di vista ispirativo alcuni preziosi paragrafi dimostrano che durante tutto il suo percorso esistenziale il nostro Fondatore si preoccupò di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo, dando origine «ad un vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù» (Costituzioni, art. 5): dai suoi amici intimi ai compagni di studio, da mamma Margherita ai datori di lavoro, dalla gente buona del popolo ai teologi, dai nobili ai politici dell’epoca (cfr. CG 24, 69-86).
Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i laici e loro con noi. In particolare, dobbiamo sottolineare l’importanza che i giovani hanno avuto nello sviluppo del carisma e della missione salesiana: don Bosco trovò nei giovani i suoi primi collaboratori, che così diventarono, in un certo senso, co-fondatori della Congregazione!
In questo costante dinamismo orientato alla ricerca della comunione, condivisione e corresponsabilità troviamo ancora oggi uno dei tratti qualificanti della nostra chiamata a lavorare per l’avvento del Regno di Dio nel mondo.
CHIESA SINODALE PER LA MISSIONE E SPECIFICITÀ DELLE VOCAZIONI
Molte delle resistenze alla seria presa in carico della condivisione dello spirito e della missione salesiana sono radicate nella debole recezione dei due grandi pilastri ecclesiologici del Concilio Vaticano II: la realtà della Chiesa come popolo Dio in cammino nella storia e la conseguente ecclesiologia di comunione, che esalta la reciprocità e complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa.
Partendo da questa prospettiva è evidente che la partecipazione dei laici al carisma e alla missione salesiana non è una generosa concessione che viene fatta loro da parte dei consacrati salesiani, e neanche una strategia per la sopravvivenza. San Paolo insegna con chiarezza che i carismi sono doni che lo Spirito distribuisce per l’utilità comune (1Cor 12); essi non sono una prerogativa di un certo stato di vita, ma arricchiscono la vita della Chiesa nella diversità e complementarità delle sue vocazioni.
Convinti che non c’è dignità più alta di quella che ci è stata conferita con il battesimo, così che «ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione» e che «sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, n. 120), ci sentiamo chiamati – salesiani, membri della Famiglia Salesiana, laici e giovani – a vivere, ognuno nella sua specificità, la propria vocazione in vista dell’edificazione reciproca. Dove questa impostazione ecclesiologica è accolta con gioia e sviluppata con convinzione i risultati sono ben visibili: la comunità educativo pastorale fiorisce e diventa un’esperienza di Chiesa che vive la comunione e la missione in forma attraente e feconda.
La riscoperta della forma sinodale della Chiesa è stato uno dei punti qualificanti del recente Sinodo sui giovani: «Il frutto di questo Sinodo, la scelta che lo Spirito ci ha ispirato attraverso l’ascolto e il discernimento è di camminare con i giovani andando verso tutti per testimoniare l’amore di Dio. Possiamo descrivere questo processo parlando di sinodalità per la missione, ovvero sinodalità missionaria» (Documento finale del Sinodo, n. 118). I giovani, più che chiederci di fare qualcosa per loro, ci hanno invitato a camminare con loro!
Papa Francesco è ancora più radicale quando dichiara che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del III millennio» (cfr. Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). In coerenza con queste affermazioni, la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi – tuttora in fase di preparazione e che si svolgerà nel mese di ottobre del 2022 – avrà proprio come tema la sinodalità: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”.
Tali parole non possono lasciare indifferenti i nostri ambienti salesiani. Esigono invece conversione del cuore e della mente, uniti ad una rinnovata disponibilità al cambiamento delle pratiche. Proprio la pastorale giovanile – la quale «non può che essere sinodale» (Christus vivit, n. 206) – dovrebbe avanzare senza indugio in questa direzione, aprendo nuove strade a beneficio di tutti. È sempre più chiaro che solo uomini e donne di comunione costruiranno lo spirito di famiglia e condivideranno la missione.
Una buona identificazione con la propria vocazione e una conoscenza adeguata della vocazione degli altri sono fondamentali per non ridurre la missione condivisa a collaborazione esecutiva. Salesiani che vivono con gioia e freschezza la loro specifica chiamata sono capaci di una presenza animatrice incisiva e fraterna e sanno offrire ai laici un sostegno affettivo ed effettivo nelle difficoltà che incontrano. I laici che assumono con convinzione la loro chiamata battesimale alla testimonianza del Vangelo sono liberi dal complesso di essere relegati a servizi pastorali di secondo grado. Insieme si diventa “laboratorio ecclesiale” e un segno profetico di comunione per la Chiesa e la società.
Talvolta i giovani recepiscono meglio la testimonianza dei laici, perché essa è meno scontata e si suppone che non parlino e agiscano per logica di appartenenza. La loro vocazione, ponendoli nel cuore del mondo, li rende talora più adeguati a rispondere alle nuove domande culturali dei giovani. In tal modo i laici parlano un linguaggio più adatto alle situazioni ordinarie della vita e spesso posseggono specificità professionali che li rendono preziosi nella missione.
Il mutamento del ruolo della comunità religiosa dipenderà da diversi fattori ma, tra questi, diventeranno sempre di più rilevanti: la disponibilità a rileggersi nei confronti dell’opzione carismatica di fondo; la disposizione a mettere in questione il ruolo di gestore e responsabile unico dell’opera di fronte alla corresponsabilità con i laici; la capacità di rileggere il significato della propria presenza all’interno del contesto in cui si trova.
GESTIONE DELL’OPERA, VITA DELLA COMUNITÀ E NUCLEO ANIMATORE
La Congregazione riconosce oggi solo due modalità di rapporto tra comunità salesiana e opera. La prima e più importante, che va considerata la norma di riferimento, è composta congiuntamente dalla comunità salesiana e dai laici; la seconda è riferita ad “attività e opere gestite da laici all’interno del progetto ispettoriale salesiano” (cfr. CG 24, n. 180-182).
Riteniamo che non esista più il modello – che prima del Concilio Vaticano II poteva essere ritenuto valido – che prevede l’animazione dell’opera da parte di soli salesiani. Ribadiamo con forza che la missione salesiana è strutturalmente comunitaria ed è affidata ad una comunità educativo pastorale e al suo nucleo animatore, il quale sarà composto di salesiani e laici in modalità e proporzione differenti e complementari: la missione che don Bosco ci ha consegnato non è mai un’azione individuale né autoreferenziale!
In ciascuno di questi due modelli è centrale il “nucleo animatore” o “consiglio della comunità educativo pastorale”, che è da considerarsi come il motore e il cuore di tutta la comunità educativo pastorale, perché dalla sua qualificazione e dal suo corretto funzionamento dipende il buon andamento dell’opera. Esso è un prezioso organo di animazione e la chiave per la vita dell’opera: si tratta di «un gruppo di persone che si identifica con la missione, il sistema educativo e la spiritualità salesiana e assume solidalmente il compito di convocare, motivare, coinvolgere tutti coloro che si interessano di un’opera, per formare con essi la comunità educativa e realizzare un progetto di evangelizzazione ed educazione dei giovani» (cfr. J.E. Vecchi in ACG 363, p. 8-9; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, V,1,3; Animazione e governo della comunità, n. 121-122).
Nelle opere affidate alla comunità religiosa e ai laici, la comunità è parte significativa del nucleo animatore e punto di riferimento carismatico: «Un tale livello di condivisione dello spirito e della missione di don Bosco con i laici segna una nuova fase nello sviluppo del nostro carisma. Da ciò deriva la necessità per la comunità religiosa salesiana di riconsiderare e assumere pienamente il suo ruolo, relativamente nuovo, all’interno della comunità educativo pastorale. […] Ciò comporta un cambiamento radicale da una struttura piramidale dell’autorità̀ a uno stile più partecipativo, in cui le relazioni e i processi personali sono della massima importanza» (Animazione e governo della comunità, n. 124).
La forma concreta della relazione della comunità religiosa con l’opera nel suo insieme non può essere ridotta a un unico modello (cfr. CG 26, n. 120). Per questo è necessario tener conto di alcuni fattori determinanti: i diversi livelli di appartenenza e condivisione dello spirito e della missione salesiana; i diversi gradi in cui si realizza la corresponsabilità; la tipologia di opera; la natura volontaria o contrattuale della presenza dei laici. È infine da ricordare che «la precisa relazione tra la comunità̀ salesiana e l’opera, come anche la modalità̀ con cui l’autorità̀ del direttore viene esercitata, va codificata nel progetto educativo pastorale salesiano ispettoriale e locale» (Animazione e governo della comunità, n. 125).
Il CG 24 poneva, 24 anni fa, questo secondo tipo di opera tra le “Situazioni particolari di novità” (cfr. CG 24, capitolo III). Oggi possiamo affermare che quelle novità sono entrate a far parte del patrimonio ordinario della Congregazione a livello mondiale, anche se con proporzioni, forme e modalità assai diverse tra le regioni e le ispettorie.
È importante riaffermare le due condizioni essenziali per l’affidamento di un’opera ai laici: prima di tutto vanno accertati criteri di identità, comunione e significatività salesiana; in secondo luogo va garantito l’accompagnamento costante e qualificato dell’ispettore e del suo consiglio (cfr. CG 24, nn. 180-182; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, VIII,2,2; Animazione e governo della comunità, 126).
Tali condizioni vanno vagliate attentamente in sede di discernimento e di affidamento dell’opera ai laici. Sono necessarie una scelta carismatica e una formazione adeguata specialmente per coloro che rivestono ruoli apicali, come anche una rimunerazione e condizioni di lavoro eque e giuste. Infine non è da dimenticare che questo cammino intrapreso con i laici, oltre ad essere accompagnato, va costantemente verificato.
FORMAZIONE CONGIUNTA PER LA MISSIONE
La condivisione dello spirito salesiano e la crescita nella corresponsabilità richiedono la condivisione di alcuni percorsi ed esperienze formative orientate alla spiritualità e alla missione, ovviamente senza trascurare percorsi formativi specifici per consacrati salesiani e laici. La formazione congiunta nella missione condivisa è una priorità assoluta e va indirizzata soprattutto ai membri del nucleo animatore (cfr. Animazione e governo della comunità, nn. 106.122). I nostri collaboratori laici hanno bisogno di sperimentare e conoscere da vicino don Bosco, e di riflettere su quanto si vive nelle nostre opere.
È compito dell’Ispettoria e della Regione offrire cammini formativi adeguati per salesiani e laici. L’Ispettoria è chiamata ad elaborare un progetto di formazione congiunta a livello ispettoriale e l’accompagnamento dei processi al livello locale, garantendo risorse adeguate di personale e mezzi. A livello locale uno dei primi obiettivi che il direttore salesiano persegue insieme al Consiglio della comunità salesiana e al nucleo animatore della comunità educativo pastorale è l’elaborazione di un progetto formativo, che assicura un’attenzione specifica al tema.
L’esperienza conferma che è molto positivo affidare ad équipe miste, composte da salesiani e laici, l’organizzazione delle diverse iniziative di formazione: i salesiani offrono la sapienza acquisita nella formazione, nell’assistenza e nella spiritualità; a loro volta i laici offrono, oltre alle loro competenze specifiche, i frutti del contatto con il mondo delle professioni, una maggiore attenzione alla vita familiare, uno stile di semplicità e di amicizia nel rapporto con le donne e il senso evangelico della vita quotidiana.
È bene infine ricordare che la formazione non avviene solo attraverso corsi accademici, ma soprattutto a partire dall’esperienza del vivere e lavorare insieme, perché «il primo e miglior modo di formarsi e formare alla condivisione e alla corresponsabilità è il corretto funzionamento della comunità educativo pastorale» (CG 24, n. 43).
«È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura». Queste forti affermazioni di Papa Francesco nel suo Messaggio al CG 28 ci dicono l’importanza di un radicale cambio di prospettiva nella formazione di tutti i confratelli, ed in particolare di coloro che vivono la formazione iniziale: dobbiamo imparare sempre di più a riflettere criticamente sull’esperienza pastorale che viviamo in mezzo ai giovani!
La formazione nella e per la missione condivisa deve toccare anche la formazione iniziale dei salesiani, non solo come tema di studio ma anche attraverso le esperienze pastorali settimanali e estive. L’esperienza di lavorare con e sotto la direzione di laici durante il tirocinio, come anche la partecipazione al consiglio della comunità educativo pastorale, sono preziosi momenti di formazione, specialmente se ben accompagnati dai membri del nucleo animatore, sia laici sia salesiani.
Nei contesti secolarizzati e multireligiosi il nostro impegno educativo è condiviso da persone di diverse religioni e convinzioni. Molte di loro sono anche inserite nel nucleo animatore della comunità educativo pastorale. La loro formazione è una sfida delicata, che richiede saggezza, coraggio e creatività. La dottrina della Chiesa insegna che la rivelazione di Dio in Cristo, pur superando in modo sorprendente la sapienza umana e l’esperienza di altre tradizioni religiose, porta a compimento i germi di verità che esse contengono e invita in molti modi a impegnarsi nel dialogo interreligioso. Per questo è possibile individuare dei valori comuni che pongano le basi per una formazione differenziata, inculturata e contestualizzata senza venire meno all’originalità della fede cristiana. Il CG 24 aveva già dedicato una ricca riflessione su questo tema (cfr. CG 24, n. 113,183-186), individuando due elementi fondamentali che costituiscono la base per collaborare con persone di altre tradizioni e convinzioni: prima di tutto la condivisione del Sistema Preventivo (nei suoi valori umani e laicali con chi non crede in Dio; nei valori religiosi con quelli che accettano Dio o il Trascendente; nel Vangelo di Cristo con cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali); in secondo luogo l’apertura alla ricerca di Dio, da parte di coloro che non professano una fede (cfr. CG24, n. 185.100). Poiché “la missione giovanile ci porta verso una educazione che è insieme evangelizzazione”, il CG 24 aveva anche riconosciuto che posizioni ostili alla Chiesa cattolica come si trovano in alcune ideologie, sette o movimenti, invece, sono incompatibili con la nostra missione (cfr. CG24, n. 185). Dopo l’esperienza di questi decenni sarebbe utile una verifica dell’attuazione di questi criteri e degli esiti concreti che ne conseguono in ordine alla educazione e alla evangelizzazione, in modo da mettere in risalto le buone pratiche da potenziare e i rischi da evitare. Certamente la condizione fondamentale è la presenza consistente di salesiani e, dove possibile, di laici cristiani che vivono la loro identità vocazionale con gioia e autenticità (CG 24, nn. 183-185; Animazione e governo della comunità, n. 135), senza nascondere ciò che costituisce il cuore e la motivazione di fondo della loro vita. Altrettanto importante è il clima di rispetto, pazienza, accoglienza e amicizia, che evita tanto l’imposizione di valori e convinzioni quanto la paura di toccare temi che qualificano la nostra identità. Siamo convinti di poter condividere con tutti gli uomini di buona volontà che desiderano partecipare alla missione salesiana la paterna amorevolezza di don Bosco, la ragionevolezza insita nel suo sistema educativo e la fiducia nelle risorse dei giovani, la scelta privilegiata dei più poveri e l’impegno per una cultura dell’accoglienza che non conosce limiti di razza, colore, nazione, cultura e religione.
SCEGLIERE
Assumiamo con decisione la missione condivisa tra salesiani e laici, valorizzando la reciprocità delle vocazioni.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire
Assicuriamo spazi e tempi di formazione congiunta e condivisione di vita tra salesiani e laici per un migliore servizio educativo pastorale ai giovani.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Processi da attivare
Condizioni strutturali da garantire