CONGRESSO SULLA VITA CONSAGRATA |
“Passione per Cristo, Passione per l’Umanità” è stato il tema del Congresso. Nasce dalla contemplazione delle due icone: quella della Samaritana al pozzo di Sicar, e quella del Sama-ritano sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico. Con questo testo finale vogliamo offrire alla vita consacrata la base di riflessione e discernimento che ci ha occupati in quei giorni. Fare “quello che lo Spirito dice” oggi alla vita consacrata è la prospettiva che abbiamo scelto per questa dichiarazione finale. Ci ha spinti a questo la Parola di Dio, proclamata e celebrata in quei giorni: l’Apocalisse e il dicorso escatologico di Gesù ci hanno messo di fronte alla gravità del momento presente e all’orizzonte di una speranza appassionata. Il Congresso ha dato la priorità all’aspetto esperienziale della vita consacrata nei diversi con-testi socioculturali ed ecclesiali. Ha utilizzato una metodologia nella quale, fin dall’inizio, tut-ti eravamo implicati nella riflessione e nel discernimento. Era stato elaborato in precedenza un Instrumentum Laboris preparato con gli apporti provenienti dalla base e studiato a livello mondiale. Esso ha dato vita a un dialogo e a uno scambio fecondi. Durante il Congresso le relazioni hanno avuto una funzione di stimolo per suscitare reazioni e discussioni nei gruppi, e le loro conclusioni soono state condivise poi nelle sessioni plenarie. In tal modo, si manife-stava quello che lo Spirito sta facendo sorgere nella vita consacrata e nel mondo pluralistico nel quale viviamo. Le sfide dei segni dei tempi e dei luoghi prendevano corpo per interpellar-ci e spingerci all’azione. Apparve così la necessità di inserirci nella realtà del nostro tempo con “una nuova immaginazione della carità (Novo Millennio Ineunte, 50), dentro la vita e la missione del popolo di Dio. I. SETE E ACQUA, FERITE E GUARIGIONI (LA NOSTRA SITUAZIONE) “So dove vivi… conosco la tua tribolazione Le due icone: del Samaritano (Lc 10, 25-37) e della Samaritana (Gv 4, 4-43), sono come uno specchio nel quale vediamo riflessa la nostra situazione di ferite e di sete, di guarigio-ne di acqua viva. a) Nell’umanità Ci troviamo in un cambiamento di epoca, marcato da: Questo criterio ci fa scoprire le ambiguità, i limiti, la precarietà, l’influsso del male nel no-stro mondo e in noi. Però ci fa vedere anche che passione e compassione sono energie del-lo Spirito: esse danno senso alla nostra missione, animano la nostra spiritualità e danno qualità alla nostra vita comunitaria. b) Nella Chiesa Ci dicono che siamo un dono per tutta la Chiesa (VC, 1): Ci comprendiamo come “vita consacrata” più in là
delle frontiere dei nostri istituti, della nostra confessione cattolica,
della nostra fede cristiana. Perciò, 2. “Nascere di nuovo” Da qualche tempo, qualcosa di nuovo sta nascendo fra di noi, mentre
contemporaneamente altre realtà muoiono (tradizioni e stili obsoleti,
istituzioni moribonde). Ci colpisce l’agonia di quello che muore
e ci dà fiducia quello che nasce. II. SULLE ORME DELLA SAMARITANA E DEL SAMARITANO: “Se conoscessi il dono di Dio” (Gv 4,10) Il desiderio di rispondere ai segni dei tempi e dei luoghi ci ha portati a descrivere la vita consacrata come “passione”: passione per Cristo, passione per l’umanità. Questo stadio spirituale è più un punto di arrivo che un semplice sentimento iniziale. È, soprattutto, un cammino di passione crescente. “Io sono la Via” (Gv 14,6) ci dice Gesù: Nella via della sequela il Maestro Nella scuola della sequela, III. “FA’ LO STESSO E VIVRAI”: VERSO UNA NUOVA PRASSI 2. CONVINZIONI: PER DECIDERSI A CAMMINARE I temi dei gruppi di studio spaziavano su 15 argomenti, che costituiscono, nel loro insie-me, un “monitoraggio” dei segni di vitalità o, al contrario, dei blocchi che la vita consacra-ta sperimenta oggi. Dalle sintesi presentate in assemblea, e consegnate ai partecipanti, e-mergono segni di vitalità, ostacoli, convinzioni e linee di azione, anche se è impossibile racchiudere in poche righe la ricchezza del dibattito e degli apporti dei gruppi. Ne offria-mo alcune. 1. Occorre una trasformazione strutturale della nostra vita e delle nostre opere, adotta-re strutture più leggere e semplici, comunità aperte e accoglienti per globalizzare una solidarietà “compassionevole” e creare una rete di giustizia, a servizio di una cultura di pace, perché i poveri possano essere ascoltati. 2. Il dialogo con le culture appartiene alla missione più profonda della vita consacra-tata. Ci sono molti segni di vitalità della vita consacratata nel mondo, attraverso i qua-li essa continua ad avere un senso: la crescita di congregazioni multiculturali, interna-zionali; anche la formazione iniziale mette maggiormente l’accento sulla cultura di o-rigine; il Congresso stesso rappresenta un segno di apertura, di condivisione. Esistono tuttavia ostacoli all’inculturazione, tra i quali la difficoltà di esprimere l’elemento af-fettivo nel culto e nelle varie espressioni della fede. 3. Poveri, culture e religioni sono l’oggetto di un triplice dialogo che la vita consacra-tata deve portare avanti. In molti contesti il cristianesimo è percepito come estraneo, come una religione di importazione. La fragilità stessa della nostra fede, le nostre feri-te, lo spirito di dominazione sono ostacoli al dialogo; così pure il fondamentalismo diffuso in tante aree culturali e religiose. Il dialogo deve diventare una scelta, uno stile di vita. Le nostre comunità devono essere luoghi di riconciliazione e di perdono. 4. L’arte e la bellezza sono icone per tutte le culture; gli artisti aiuteranno le comunità di vita consacratata a contrastare la mentalità consumistica, a creare spazi belli per la preghiera, a trovare simboli nuovi, a raccontare storie nuove al cuore degli uomini e delle donne che ascoltano. Questa comunicazione della bellezza farà nascere la gioia e la vita in mezzo alla violenza e alla morte. 5. Abbiamo bisogno di cambiare la nostra mentalità nei confronti
della comunicazio-ne, e saper rischiare: sia all’interno della
Chiesa, dove spesso siamo divisi o censurati o troppo clericali, sia
all’esterno, nei confronti del mondo e dei media. Dobbiamo formare
religiosi e religiose specialisti in questo campo, incoraggiare chi
vi opera, collaborare tra noi per provvedere risorse e lavorare a stretto
contatto con laici compe-tenti. Occorre interagire con i mass media
in modo creativo, pronti a rispondere e non a fuggire. Dobbiamo avere
il coraggio di mostrarci come siamo realmente, con i nostri valori e
le nostre debolezze, e parlare una lingua che la gente di oggi possa
compren-dere. 7. Il celibato consacrato conduce a un rapporto più profondo con Cristo e a condivi-dere l’amore degli altri. Il celibato per noi è una scelta libera, è la nostra chiamata, è per noi un modo sano ed equilibrato di vivere la nostra sessualità. Oggi ci sentiamo più a nostro agio con il nostro corpo, con i nostri sentimenti, con le nostre emozioni. Noi crediamo, come diceva Gesù al vecchio Nicodemo, che siamo nati di nuovo (Gv 3, 4-8). La scelta della nostra castità risplende maggiormente quando rendiamo visibi-le che il nostro è un cammino verso il regno di Dio. 8. Dobbiamo fare della Bibbia la nostra compagna di vita e incarnarla nel nostro mini-stero. Per arrivare ad un autentico discernimento comunitario è necessario fondare il nostro cammino sulla Parola, facendole più spazio nel nostro quotidiano; l’esercizio della lectio divina deve diventare l’elemento di trasformazione del nostro stile di vita. 9. Parlando della sete di Dio ci rendiamo conto di toccare un argomento affascinante. La nostra esperienza di Dio è quella di un Dio incarnato. Per far emergere questa e-sperienza è necessario modificare le nostre strutture interne e ripartire dall’amore sponsale, radicale per Cristo. È necessaria una formazione umana, personalizzata, uno stile critico di pensiero, una formazione al dialogo, che conduce alla trasformazione personale, a guardare il mondo e la vita, con uno sguardo di fede. Occorre anche im-parare a condividere l’esperienza della fede. 10. Formazione permanente vuole dire soprattutto la disposizione attiva e intelligente della persona spirituale, a imparare dalla vita, per tutta la vita. La formazione perma-nente comporta diversi livelli: il singolo, l’istituzione e così via, interventi ordinari e straordinari. La formazione permanente va organizzata attorno al modello dell’integrazione, e ha come suo processo di riferimento il mistero pasquale. Occorro-no formatori e comunità capaci di accompagnare le persone nei momenti di crisi. 11. Siamo testimoni di un crescente pluralismo, che è un processo irreversibile. È ne-cessario che le nostre strutture siano portatrici di valori, rendendoci disponibili per la missione. L’aggiornamento e l’adattamento delle strutture va concepito come un pro-cesso di trasformazione continua. Dobbiamo promuovere una spiritualità di comunio-ne, intensificare gli sforzi di collaborazione intercongregazionale. Occorre chiedere, inoltre, modifiche al Diritto canonico, per una effettiva uguaglianza all’interno degli istituti tra membri clericali e no. 12. I giovani, in modo particolare, hanno sete della vita comunitaria, come espressio-ne della missione, luogo della condivisione della fede e di relazioni profonde. Alcuni religiosi oggi, invece, vivono in comunità come in un hotel. Le nostre attuali strutture di governo riflettono un tempo in cui il numero dei membri delle comunità era eleva-to, e non sono adeguate alle esigenze dell’oggi. Ogni istituto deve continuare a svi-luppare la formazione permanente perché si arrivi a una vita comunitaria più umana e significativa. La comunità deve essere aperta e ospitale. 13. I laici fanno scoprire che i nostri carismi sono doni per tutti i cristiani, per la Chie-sa e per il mondo. Al di là delle nostre debolezze e del nostro invecchiamento, lo Spi-rito suscita nuova fecondità. Occorre sviluppare l’ecclesiologia di comunione e la fondazione teologica dei rapporti tra religiosi e laici; favorire la missione condivisa e il legame con la Chiesa locale, assumere strutture flessibili, condividere le esperienze tra le congregazioni. 14. L’unità delle nostre congregazioni viene senza dubbio da una visione comune, ma è sostenuta da una rete di relazioni che creano unità e abbattono barriere. C’è ancora molta strada da fare perché le donne assumano realmente il loro ruolo nella società e nella Chiesa. Condurre un gruppo a una decisione comune è un’arte difficile: i supe-riori devono essere testimoni di entusiasmo, se vogliono sostenere la passione dei membri. Se amore e creatività si daranno la mano, il nostro cammino sarà stimolante. 15. La vita consacratata dona cattolicità alla chiesa locale e l’apre all’universalità; noi con-tribuiamo ad aprire gli orizzonti della Chiesa. A 25 anni dal “Mutuae relationes”, dobbiamo continuare il dialogo a tutti i livelli nella Chiesa; compiere un maggiore sforzo per armonizza-re piani congregazionali e piani pastorali diocesani; è importante formarci al dialogo tra laici, religiosi, religiose, chierici; la VC deve essere esperta di comunione. Ciò presuppone una for-te chiamata alla vita comunitaria. 3. AZIONI Durante il Congresso abbiamo riflettuto ampiamente sulla situazione della vita consacrata nelle diverse aree del mondo. I gruppi hanno segnalato linee d’azione per far fronte alla sfide del momento presente. Ci rifacciamo alle Relazioni che essi hanno redatto e presen-tato. Lì appaiono le diverse proposte in tutta la loro ricchezza e particolari. È senza precedenti il fatto che donne e uomini della vita consacrata di tutto il mondo, di diversa cultura e lingua, abbiano potuto dialogare, dibattere insieme, far progetti per il presente e per il futuro della nostra vita e della nostra missione. Perciò le prospettive offer-te e le azioni proposte, hanno un valore del tutto speciale. Desideriamo che l’evento di questo Congresso, non solo nel suo discernimento, ma anche nel suo metodo e nella sua proposta, venga visto come un nuovo punto di partenza per la bella avventura della sequela di Gesù nel nostro tempo. IV. DOVE LO SPIRITO CI CONDUCE “Chi ha sete si avvicini A conclusione del Congreso possiamo proclamare che lo Spirito ci ha confortati e ci ha aperto nuovi orizzonti. Benché Egli sia imprevedibile come il vento e non sappiamo da dove viene e dove vada, abbiamo ascoltato il mormorio della sua voce nella voce dei segni dei tempi e dei luoghi, che abbiamo cercato di discernere con una comune fede orante. Come Maria e il suo sposo Giuseppe, abbiamo capito che per seguire Gesù bisogna vivere aperti a Dio e vicini alle necessità del prossimo, sempre disponibili verso il Dio delle sor-prese, le cui vie e pensieri non sono i nostri (Is 55, 8-9). La celebrazione del Congresso è terminata, ma non sono finite le sue implicazioni e le sue esigenze. Esse hanno inizio ora. È responsabilità di tutti – UISG, USG. Conferenze Na-zionali di Religiose e Religiosi, Comunità e persone consacrate – il tradurle in atteggia-menti, iniziative, decisioni, e progetti. Un modo di intendere e di vivere la vita consacrata che ha dato frutti abbondanti nel passato, sta cedendo il passo a un altro modo più in sin-tonia con quel che ora ci chiede lo Spirito. “Non abbiamo soltanto una storia gloriosa da ricordare e da raccontare, ma abbiamo una grande storia da costruire! Volgiamo lo sguar-do verso il futuro, nel quale lo Spirito ci proietta per fare ancora grandi cose! (cfr VC, 110). Forse nella nostra epoca sperimentiamo le nostre povertà e i nostri limiti. In mezzo ad essi risuona la voce del Signore: non temere, io sono con te! Questa certezza ravviva la nostra speranza che si basa sulla bontà e fedeltà del “Dio della speranza che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiamo in essa con la forza dello Spirito” (cfr. Rom 15, 13). Egli è la nostra speranza “la speranza che non delude” (Rom 5,5) |