Jack Finnegan, sdb
La mia parola non è forse come un fuoco? (Ger. 23:29)
Testi spirituali associati al nome di don Bosco, come molti testi di teologia mistica e spirituale sono normalmente descrittivi, esperienziali e performativi. Sono prima di tutto testi di riflessione e di meditazione dove la retorica non centra. Gli scrittori mistici e spirituali tendono a girare intorno ad immagini sensibili e ricorrenti, tornando ad esse frequentemente per esprimere una visione, un valore, un intuizione che si capisce meglio dimorando meditativamente su immagini piuttosto che analizzando testi o facendo dimostrazioni logiche.
I testi spirituali invitano alla meditazione piuttosto che all’analisi strutturale o alla decostruzione. La preoccupazione riguarda la teologia spirituale intesa come saggezza per la vita. Lo scopo degli scritti spirituali associati a figure come don Bosco è di produrre santi cristiani piuttosto che studiosi eruditi. I suoi scritti spirituali tendono a rivelare delle motivazioni pastorali e pedagogiche. Siamo confrontati con la realtà della teologia applicata piuttosto che con quella del pensiero speculativo.
Lo studio critico dei testi spirituali ed educativi di don Bosco richiede un metodo adeguato. L’approccio preferito qui si basa sulla nozione di “visione dell’aspetto” di Wittgenstein, nel contesto della Weltbild, un immagine, o concetto, o visione del mondo. Il metodo è utile per almeno due ragioni. Primo descrive un modo di vedere, un orizzonte di interpretazione rispettoso dei ritmi dei cambiamenti di aspetto, un modo di vedere che facilita “il passaggio dal dire, al mostrare, al fare”[1], che è la qualità caratteristica dell’approccio complessivo di don Bosco.
In secondo luogo, l’attenzione alla natura dinamica della crescita spirituale, del movimento in trasformazione, giustifica gli sforzi per esplorare gli scritti di un mistico impegnato nella pastorale come Don Bosco, non per ultimo perché il metodo è essenzialmente esperienziale e performativo, qualcosa di incarnato e vissuto piuttosto che comunicato in modo teoretico. Don Bosco ha scritto, ma ha vissuto e incarnato quello che ha scritto. Come educatore pastorale è meno interessato alla filosofia che alla realtà vissuta. Al centro del suo pensiero c’è una relazione con Dio che sgorga dal cuore e suscita una conoscenza piena di amore.
Il metodo evoca Efesini 3:17b-19, che influenzò l’approccio di San Bonaventura:
Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
In contesti postmoderni, un tale metodo mette in risalto I sensi allegorici e simbolici dei testi spirituali e mistici, approccio legato alla visione patristica e medievale dell’ermeneutica che risale ad Origene e ai suoi sensi somatici, psichici e pneumatici: quello letterale, quello morale e quello spirituale. Sotto l’influenza di Gregorio Magno, i tre sensi di Origene sono diventati quattro, riassunti nel celebre verso composto dal domenicano Agostino di Dacia che morì nel 1282: [2]
Littera gesta docet, quid credas allegoria. Moralia quid agas, quo tendas anagogia.
La lettera insegna i fatti, l'allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l'anagogia dove tendere.
La descrizione di Dante dei Quattro sensi, in una lettera che descrive come di debba leggere la sua commedia ha influenzato l’uso dei metodi simbolici negli approcci postmoderni della letteratura spirituale. Dante basa la sua descrizione del metodo sul salmo 114: 1-2.[3]
Infatti, se guardiamo solo alla lettera, ci viene significata l’uscita dei figli di Israele dall’Egitto, al tempo di Mosè. Se guardiamo all’allegoria, ci viene significata la redenzione compiuta ad opera di Cristo; se guardiamo al senso morale, ci viene significata la conversione dell’anima dal lutto e dalla miseria del peccato allo stato di grazia; se guardiamo al senso anagogico, ci viene significata l’uscita dell’anima santa dalla servitù di questa corruzione verso la libertà della gloria eterna. E sebbene questi sensi mistici si chiamino con vari nomi, possono essere chiamati tutti generalmente “allegorici”, essendo diversi da quello letterale o storico.[4]
Applicando il quadruplice modello alle immagini del fuoco, delle fiamme e della fornace come compaiono negli scritti di Don Bosco, specialmente quando le capiamo come qualità del cuore umano, scopriamo una serie di cambiamenti di aspetto nel simbolismo che suggeriscono potenziali performativi ed esperienziali sempre più profondi, le qualità stesse che Don Bosco cercò di dischiudere dalle vite dei giovani e dei suoi salesiani. La comprensione letterale o storica ci pone di fronte al fuoco come un evento e una forza naturale affascinante. La comprensione morale o tropologica suggerisce la natura trasformante del fuoco, un ecologia di virtù dinamiche costellate dalla forza della carità e dell’amore; Ha anche una forza pedagogica perché il fuoco getta luce su ogni azione e comportamento. Ci sono sempre nuove lezioni spirituali da apprendere, e l’appropriazione personale di tali lezioni rimane una sfida spirituale per tutta la vita.
L’interpretazione allegorica o tipologica del fuoco e della fiamma suggerisce la luce irraggiante e il calore dell’incontro personale con il Cristo vivente; a livello di fede, il fuoco allude a una pedagogia nella crescita e nello sviluppo della fede. L’anagogia, o ascesa, rappresenta il mondo del senso mistico, o della spiritualità auto trascendente. Porta fuoco al più alto livello dell’esperienza unitiva, il livello di un desiderio appassionato per Dio e di unione con Lui in tutti gli aspetti della vita[5]. Il movimento tra i diversi livelli è piuttosto fluido, specialmente se ci interessiamo al simbolismo dell’amore e del cuore, con la passione pastorale e spirituale che caratterizzò in modo speciale lo stesso Don Bosco. In una tale luce non è difficile discernere la chiarezza della trasfigurazione, l’incontro purificante, creativo e rinnovante con il calore dell’amore divino/umano nel cuore di Cristo: la fornace della vita spirituale.
All’interno della tradizione salesiana altre immagini sono suggestive: il cuore di Cristo dove due fuochi si incontrano, o la passione trasformante del se impegnato nella contemplazione. Si pone anche una relazione tra il se, l’apprendimento, la comunità, il rituale, il sacramento e il simbolo, e qualsiasi altra cosa sia oggetto di esperienza nello spazio e nel tempo. L’amore e la conoscenza vanno mano nella mano lungo il cammino verso Dio.[6] I migliori testi spirituali ci portano al di là di noi stessi. Indicando il cammino verso l’altro/l’Altro, ci portano verso posti di fuoco. Per questi testi, l’incontro vivo con Dio non è affare di deduzione da principi primi, o frutto di sintesi logica e analisi filosofica. Tendono ad essere pratici, induttivi, diacronici e descrittivi di esperienze di Dio. Rivelano il tocco divino nella coscienza e nella consapevolezza umana.
Tali immagini e metafore non sono proprie a Don Bosco che le apprese dalla tradizione spirituale e le ereditò attraverso Don Cafasso, che scrive: “procuriamo che il nostro cuore sia come una fornace di amore, allora ci sarà facile con parole, con sospiri, con preghiere infuocate, infiammare anche gli altri. Con fuoco alla mano si può dar fiamma anche a una selva la più frondosa e verde, così se il nostro cuore, se la nostra lingua manderà fiamme di fuoco e di amore vinceremo, e daremo fuoco, per così dire, ai più ostinati e fermi.” (Esercizi spirituali al clero. I: Meditazioni, 641-642). Una lettura degli scritti di Don Cafasso ci mette di fronte al paradosso del fuoco: un fuoco che libera lo spirito umano e un fuoco che imprigiona il cuore umano. Insegnò ancora che il cuore del sacerdote deve essere una fornace di amore divino, vivendo di amore e esalando amore di Dio, non una cisterna di acqua inquinata (Ibid. 639-640). Don Bosco ha imparato bene la lezione.
Usi simili sono centrali negli scritti di San Francesco di Sales. Lo spirito salesiano celebra un cuore infiammato dall’amore di Dio (Vedi Oeuvres, XIV, 81-82; lettera CDLXXXVIII). Atti di carità e amore, di vero servizio degli altri, sono il legno the nutre il fuoco del sacro amore (Lettera DCXXII). Nella spiritualità salesiana il cuore riempie diverse funzioni. E’ un mezzo per descrivere e comprendere la vita di Dio, di guardare al cuore di Dio come alla sorgente e al sostegno della vita. La riflessione di Francesco di Sales sul cuore di Cristo apre due immagini: è il seno della nascita spirituale e il mezzo di accesso al cuore di Dio, un accesso pieno di grazia di unità e di possibilità unitiva. Questo è il fuoco che Cristo getta sulla terra (Lc 12:49).
Si possono sentire echi di Don Cafasso e Francesco di Sales nelle parole di Don Bosco quando scrive: “Finalmente dal cuor di un Levita, dove annidi l'ecclesiastico spirito, esser non può, che come da ardente fornace, non erumpano fuori scintille di zelo, a procurar la gloria di Dio, e la salvezza delle anime. Fu questo il segno, che agli altri appose il suggello”. (Cenni istruttivi di perfezione, 21). Qui di seguito troviamo altri esempi: “incendio d'amore” “fiamma d'amore” “infiammandole il cuore di un amore ardentissimo”, (Cenni storici intorno alla vita della B. Caterina De-Mattei, 22); “uno splendore di viva fiamma” (ibid, 33); “mi pare aver dentro di me una fornace ardente” (ibid, 40);“infiammata Carità” (Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo, 17); “carità infiammata” (ibid, 9), “infiamma la carità” (ibid,17); “con una torcia accesa in mano (simbolo della fede, di cui doveva infiammarsi il suo cuore)” (Conversione di una Valdese, 26).
Ciò di cui stiamo parlando con l’immagine interattiva del fuoco, delle fiamme e della fornace, è una metafora mitopoietica, senza la quale saremmo incapaci di capire e creare delle visioni della realtà[7]. C’è nel simbolismo del fuoco un desiderio per la compiutezza spirituale, per la rigenerazione, per il rinnovamento, per la partecipazione condivisa[8] nel divino, e per la liberazione da tutte le forze che diminuiscono la vita, che bloccano ed ostacolano il tocco dell’amore trasformante di Dio. Infatti, Edward Hussey identifica un affascinante ciclo di associazioni di significato ai processi di dispiegamento spirituale: saggezza-Dio-fuoco-anima-saggezza.[9] Il fuoco fa da ponte. Suggerisce anche il più alto destino dell’anima.[10] Il fuoco è spirituale a causa del suo legame con la luce, questo antico mezzo di comunicazione e presenza divina.[11]
La fornace, dall’altra parte, è un simbolo di gestazione spirituale, una metafora con delle implicazioni di processi, di trasformazione e di ascensione. Ma rappresenta anche il fuoco dell’anima toccata dalla grazia.[12] In questa luce, è possibile vedere la fornax amoris come una metafora che dota i mondi interiori intimi di proporzioni sacre e cosmiche, e non dovrebbe costituire una sorpresa scoprire che, per Aristotele, il cuore stesso sia una fornace. Il cuore-fornace indica la santità del cuore e il suo potenziale per l’illuminazione spirituale, per la liberazione dall’ignoranza unitiva e dal rifiuto dei cammini che illuminano e toccano la vita degli altri. Sicuramente come lo usa Don Bosco, il cuore umano come fornax amoris mantiene conseguenze educativo pastorali e spirituali chiare. Il cuore fornace è il motore che guida i progetti spirituali.
Per Don Bosco, come anche solo la lettura più superficiale dei suoi scritti mette in luce, il cuore è un simbolo complesso, operando su diversi livelli, a volte spirituale, a volte pedagogico, a volte pastorale ma sempre centrale. Nella spiritualità di Don Bosco, il cuore rappresenta un valore relazionale centrale. E’ allo stesso tempo centro di calore affettivo, di tenerezza, di fiducia, di gentilezza, di saggezza, di compassione, di confidenza, di vigore, di unità e di vicinanza; ed è la sorgenza di tutte le migliori qualità di carattere, specialmente quando sono toccate dalla luce diffusiva della santità e dalla grazia della divina presenza. E’ come se, nella mente creativa di Don Bosco, il Salesiano stesse simultaneamente di fronte a Dio e di fronte al giovane con il cuore fornace in mano, cosicché nel cuore e con il cuore infiammato, i motivi e le intenzioni sono rese chiare.
L’uso che Don Bosco fa della metafora è creativo ed intuitivo, rivelante le basi della sua visione spirituale ed educativa-pastorale. Le sue immagini preferite, le sue metafore e i suoi simboli, specialmente il suo intessere cuore, fuoco e fornace ci permette di ritrovare le relazioni e connessioni che percepiva come all’opera nello spirito umano, usando un’immagine del mondo reale per fare la mappa di realtà spirituali. Cosi una comprensione intuitiva permette alla metafora di dispiegarsi in rappresentazioni olistiche della nascita e della crescita spirituale. Come educatore e pastore apprezzava chiaramente il lato creativo delle sue metafore e il potente impatto della loro logica pittorica.
Nelle sue varie espressioni, il fuoco è la metafora di forze potenti: amore, energia, passione, trasformazione, purificazione, luce ed illuminazione. Secondo una storia del Talmud ebraico, il Pentateuco stesso era stato scritto in due tipi di fuoco: un fuoco nero e un fuoco bianco. Di più, il Pentateuco è sigillato col fuoco e immerso in lingue di fuoco. Un modo di capire questa descrizione paradossale, questa meravigliosa metafora di parole e pagine scritte ed avvolte nel fuoco, è di immaginare lettere nere scritte su sfondo bianco nel quale il nero delle parole e il bianco delle pagine sono entrambi ardenti come significato e possibilità divine; e gli spazi bianchi tra le parole sono anch’essi fiamme lucenti. C’è qui qualcosa del mistero della santità divina, come Fuoco Divorante che emerge tra le parole e dietro esse. C’è qualcosa che indica sotto toni potenti, una musica sottile che parla attraverso silenzi e spazi, come spazi tra i respiri, gravida con il potenziale creativo del santo fuoco e i ritmi costruttori di amina di appassionata intensità.
Il silenzio di Dio è altrettanto significativo quanto le sue parole. Il fuoco appassionato di Dio trasforma e rinnova attraverso parole e silenzi che sono ugualmente infinitamente eloquenti, infinitamente fluenti; pieni di grazia e di doni di larga trasformazione. Senza il silenzio e il fuoco bianco, nulla può essere udito, nulla può essere letto, nulla può essere visto, nulla compreso. Il fuoco bianco rende visibile il fuoco nero, lo carico di significato, e rende possibile un significato. Cosa ci dice Dio attraverso il linguaggio invisibile del fuoco bianco, nel bisbiglio inaudito dell’eternità sacra, nella musica fatta di lingue di fuoco e di effusione dello Spirito Santo che gioca con i suoni e le regole del linguaggio? Parte almeno, della risposta, è che lo Spirito cerca sempre di aprire nuove strade alla pace e all’amore. Il problema è: abbiamo noi occhi per vedere, e orecchie per udire la musica del fuoco divino?
Cosa viene detto dagli emarginati ai più numerosi, contenti di se? Cosa dice lo spirito femminile allo spirito maschile? Cosa dice il sorriso di un bambino nella magica tranquillità di un momento che si estende verso l’eternità? Cosa dicono gli amanti nel silenzio luminoso del tramonto? E’ scritto tutto quello che c’è di sensato? Tutto quello che c’è di significante può essere pronunciato? Sono possibili i toni maggiori senza i toni minori? Sono possibili i primi piani, senza i secondi piani? Come viene espressa la parola di Dio all’universo? Il linguaggio cosmico è un linguaggio di luce e di fuoco? Lo spirito è un dominio di fuoco? Chi parla il fuoco bianco, rende il suo potenziale visibile oggi? Quelli che sono appassionati diranno quello che la trasformazione del mondo richiede, quelli appassionati del mondo, appassionati del loro Dio.
Chi è pronto a abbracciare il fuoco spirituale, il fuoco bianco, il fuoco nero? Chi è pronto ad abbracciare lo splendore assoluto dell’amore trascendente? Il fuoco è il regno dove il cosmo e l’umanità trovano uno spazio comune? Gesù il risorto, liberato dalla prigione del Golgota, rivelato come portatore di fuoco, è il datore della trasformazione? Cosa succede quando il fuoco, il mistero, la passione sono assenti dal nostro modo di essere nel mondo, addirittura rifiutati? Cosa succede quando dimentichiamo di fare spazio alla luce e al fuoco, al mistero e alla passione nella nostra vita, a causa della pressione interna del fallimento, del fiele amaro del rifiuto e del dolore?
E dove viene messo in scena il mistero del fuoco se non nel cuore umano? Nel mistero del fuoco della parola di Dio, il mistero del fuoco del cuore umano viene dispiegato come fuoco dell’anima, passione per Gesù, la passione che donò forma, informò il cuore pastorale di Don Bosco. Si dispiega nella luce del viaggio verso il Golgota e oltre, il viaggio attraverso il dolore del mondo, il deserto del mondo, la perdita e l’abbandono apparente del mondo. Come può esserci una crescita dell’anima senza fuoco dell’anima, un fuoco acceso nella quiete dal fuoco divino? Ma il fuoco divino rappresenta un dominio pericoloso, un dominio dove non abbiamo più il controllo, dove non siamo più ancorati nella sicurezza apparente delle zone di comfort familiari e di modelli collusivi. E qui sta l’ostacolo.
Il fuoco è qualcosa di numinoso, qualcosa di potentemente trasformante, ma anche qualcosa di distruttivo e devastante. E’ numinoso, simbolo della presenza vibrante di Dio: Dio è un fuoco consumante (Deuteronomy 4:24; 2 Chronicles 7:1; Hebrews 12:29); e Mosè incontra Dio nella fiamma di un roveto che non è consumato (Exodus 3:2). La parola di Dio è un fuoco (Jeremiah 23:29). I simboli dell’alleanza con Abramo sono un vaso fumigante e una torcia ardente (Genesis 15: 17-21) e le creature viventi nella visione inaugurale di Ezechiele sono come carboni ardenti, torce accese (Ezekiel 1: 13). Ma il fuoco è anche distruttivo. Grandine, tempesta e lampi cadono sugli egiziani (Exodus 9: 22-26). C’è il fuoco della Geenna, e il fuoco che cade su Moab e le fortezze di Kerioth (Amos 2:2) e altri posti simili. C’è la prova del fuoco del raffinatore (Malachi 3:2) necessario affinché le scorie siano rimosse e l’argentiere produca qualcosa di bello, veramente integro (Proverbs 25:4). C’è la fornace dell’Egitto e la fornace di Babilonia.
Il fuoco è anche benedizione trasformante. Questo è espresso chiaramente nella profezia del Battista sul battesimo in spirito e fuoco (Luke 3:16; Matthew 3:11) e nell’immagine incoraggiante del salmista: Dio fa dei venti i suoi messaggeri, di una fiamma ardente il suo ministro (Psalm 104:4). Il vento e il fuoco vengono insieme a Pentecoste quando gli apostoli furono trasformati e divennero pienamente messaggeri e ministri di vita (Acts 2:1-15). E’ veramente una sorpresa se Giovanni della Croce usa l’immagine della fiamma e del fuoco dell’amore? E’ veramente una sorpresa se parla di una fiamma che trasforma l’anima in se stessa, fino al punto che “l’anima si comporti come un immenso mare di fuoco”?[13]
Trasformata dall’amore, l’anima prende fuoco, anelando a Dio, e la passione per Dio diventa una fiamma interiore. Non è difficile vedere in tutti questi esempi di fuoco suggerimenti potenti del Santo Spirito di Dio. E non è difficile immaginare l’impatto infuocato dello Spirito nella vita e nella missione di Don Bosco. Come può qualcuno diventare profetico senza il fuoco trasformante? Come può diventare servo? Come viene formato il mistico cristiano se non entrando nella fornace dell’amore? Soltanto diventando, come Don Bosco una fornace di amore. Siamo pronti ad abbracciare il suo potere ?
Come ci aiuta l’immagine del fuoco a parlare al vuoto spiritual del nostro tempo?
Come ci aiuta a parlare al consumerismo e al materialismo che ha ingolfato le vite di tante persone, nelle culture postmoderne e post secolari, lasciandole insoddisfatte spiritualmente?
Senza il tocco del fuoco come possiamo, come educatori pastorali, parlare al nucleo non processato della psiche umana dove la ricerca infinita per un senso e un significato va avanti, e dove la passione per il trascendente è nata?
(Traduzione dal inglese di Antoine Rabe, sdb)
[1] Peter Tyler, The Return to the Mystical: Ludwig Wittgenstein, Teresa of Avila and the Christian Mystical Tradition (London, New York: Continuum International Publishing Group, 2011) x.
[2] Quoted in Ewert Cousins, “The Fourfold Sense of Scripture in Christian Mysticism” in Steven T. Katz, editor, Mysticism and Sacred Scripture (Oxford: Oxford University Press, 2000) 118-137, 123.
[3] Ibid.
[4] Dante Alighieri, "The Letter to Can Grande," in Literary Criticism of Dante Alighieri, translated and edited by Robert S. Haller (Lincoln, NE: University of Nebraska Press, 1973) 99.
[5] See Ewert Cousins, “The Fourfold Sense of Scripture in Christian Mysticism”, 124.
[7] See Charles H. Kahn, The Art and Thought of Heraclitus: An Edition of the Fragments with Translation and Commentary (Cambridge: Cambridge University Press, 1979) 279.
[8] On the participatory significance of fire in early thought see Geoffrey Noel Berry, Under the Dominion of Light: an Ecocritical Mythography (Thesis submitted for the degree of Doctor of Philosophy, Centre for Comparative Literature and Cultural Studies, Monash University, 2009) 68, 69.
[9] Edward Hussey, The Presocratics (London: Duckworth, 1972) 58.
[10] Berry, Under the Dominion of Light, 71.
[11] See Sergius Kodera, Disreputable Bodies: Magic, Medicine, and Gender in Renaissance Natural Philosophy (Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2010) 146-147.
[12] See Hussey, The Presocratics, 56.
[13] Living Flame, 10, 11.