Piera Ruffinatto, fma
L’obiettivo del presente lavoro è la presentazione delle linee pedagogiche che orientano l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’applicazione del Sistema preventivo nel periodo che va dalla morte del Fondatore don Giovanni Bosco al 1950.[1]
Dato il carattere generale dello studio, attingendo in forma non esaustiva al ricco materiale archivistico e a stampa, cerco di evidenziare le linee di tendenza verso le quali convergono le fonti e che permettono di costatare gli sforzi interpretativi posti in atto dall’Istituto e confluiti nei documenti normativi e nel magistero dei superiori e delle superiore.
Il periodo che segue la morte di don Bosco (1888-1900) è caratterizzato dall’espansione dell’Istituto e dal consolidamento delle opere entro uno scenario socioculturale ed ecclesiale in veloce mutamento.
In questo periodo, punto di riferimento sicuro per la comprensione e l’applicazione del metodo salesiano è il Fondatore al quale – è convinzione indiscussa – si sarà tanto più fedeli quanto più le opere che si vanno moltiplicando – scuole, orfanotrofi, asili infantili, oratorii festivi, laboratori – risponderanno ai fini per cui egli le ha pensate.
Il Sistema preventivo non è rielaborato teoricamente bensì è identificato con l’azione stessa di don Bosco che va studiato e imitato. Per non perdere questo prezioso patrimonio pedagogico e per assicurarne l’applicazione anche nelle nuove fondazioni in Italia e all’estero, si opera uno sforzo di traduzione dei principi salesiani in regolamenti che possano orientare la prassi educativa dell’Istituto. Vengono pertanto emanati il Regolamento-Programma per gli Asili d’Infanzia; il Regolamento degli Oratori; il Regolamento per le Case di educazione. Di fondamentale importanza, infine, sono gli orientamenti pratici offerti dalla consigliera scolastica generale madre Emilia Mosca che organizza le prime scuole dell’Istituto dando ad esse la genuina impronta salesiana e del consigliere scolastico generale don Francesco Cerruti, che con la sua guida competente orienta le FMA ad equilibrare l’esigenza di fedeltà allo spirito del Fondatore con l’apertura alle sfide pedagogiche emergenti soprattutto per la scuola e gli asili infantili.
Nelle prime regole delle FMA l’oratorio figura tra le opere cui le religiose salesiane si dedicano con particolare sollecitudine essendo l’attività con cui i fondatori iniziarono la loro opera preventiva. Per il suo carattere popolare e flessibile, l’oratorio è, infatti, l’ambiente che offre le migliori possibilità di raggiungere le ragazze più povere e abbandonate.
Queste sono soprattutto le giovani emigrate nelle città e nei grossi borghi in cerca di lavoro, operaie abbandonate a se stesse e trascurate dalla famiglia. Proprio il loro stato di abbandono le rende più vulnerabili ed è appunto con esse che – secondo il successore di don Bosco, don Michele Rua - il metodo preventivo può esprimere al meglio le sue virtualità pedagogiche. Senza un aiuto, infatti, tali ragazze rischiano di perdersi, di “diventare cattive” ma solo perché “nessuno insegna loro ad essere buone”. Nella Circolare sugli Oratori festivi il superiore identifica tale opera come il luogo dove, da un lato si mettono al riparo le ragazze dai pericoli, dall’altro si avviano sul sentiero dell’onestà e si offre loro la formazione religiosa.
A svolgere tale attività educativa è necessario impegnare suore che abbiano “qualche attitudine a stare con le ragazze”, a esprimere, cioè, “maniere affabili e cordiali. […] Grande pazienza, carità e benevolenza verso tutte”. Infatti, è l’amore dimostrato e percepito che trasforma le persone, secondo l’intuizione che don Bosco ebbe nel sogno dei nove anni, perché innesca nelle giovani la risposta collaborativa e quindi la maturazione dall’interno. L’oratorio è appunto un ambiente privilegiato dove si può applicare con particolare efficacia il Sistema preventivo a beneficio delle ragazze più povere e bisognose.
Conoscere e vivere il Sistema preventivo di don Bosco significa anche saper giustificare il fondamento cristiano della prassi preventiva. La scuola è appunto il luogo dove in modo più sistematico si attua l’educazione cristiana delle giovani. Non ci si può, pertanto, affidare solo all’educazione intellettuale, come vorrebbero le emergenti teorie di matrice naturalistica, ma diviene centrale anche e soprattutto l’educazione morale e religiosa.
L’educazione che si svolge nella scuola, secondo gli orientamenti di don Francesco Cerruti, consiste in una seconda creazione, un’azione che “va svolgendo ciò che esiste sostanzialmente in noi e conducendolo al compimento”. In linea con questa visione è pure Emilia Mosca secondo la quale la scuola è come un tempio e l’educazione, in certo qual modo, la liturgia che in esso si celebra, in quanto azione ordinata a promuovere il processo di maturazione dell’immagine di figlie di Dio nelle alunne. Pertanto, tutto nella scuola - strutture, persone, contenuti, metodi, esperienze - è orientato alla crescita umana e cristiana delle giovani. Ciò richiede che le educatrici vigilino sul proprio operato perché esso risponda a tali criteri, sia cioè ordinato, sano, rispettoso delle regole, disciplinato secondo lo stile salesiano cioè non rigido ma amorevole, sereno e familiare, e garantisca al contempo di essere all’altezza degli Istituti statali.
Le FMA sono così esortate a migliorare le strategie didattiche da utilizzare nella pratica scolastica. Le nuove istanze pedagogiche emergenti dalle scuole nuove, infatti, sfidano il Sistema preventivo soprattutto in ordine alla conoscenza delle alunne, delle diverse modalità di apprendimento, del rispetto delle diverse fasi di sviluppo.
Nella prima parte del secolo XIX – caratterizzata dalla scoperta del bambino – molta attenzione è riservata all’apertura e qualifica degli asili o giardini d’infanzia. L’orientamento pedagogico ed educativo per la gestione degli asili viene offerto alle FMA attraverso il Regolamento-Programma per gli asili infantili pubblicato nel 1885.
Il metodo che le maestre giardiniere devono seguire orienta a ripartire l’educazione in due grandi aree: quella fisica e intellettuale e quella morale e religiosa. Si prende chiara distanza, almeno teorica, da ogni precocismo o scolasticismo ricordando la natura del bambino incapace di applicarsi per lungo tempo ad un compito e quindi si auspica che nella giornata si alternino le attività con gli esercizi ginnici, il canto e la preghiera prendendo le mosse dall’età e dalle capacità dei bambini i quali vanno rispettati nelle loro possibilità e promossi nelle loro risorse latenti.
Anche in questo regolamento, come in quello riguardante la maestra di scuola, spiccano le caratteristiche pedagogiche della maestra giardiniera. Con la sua azione educativa, la maestra coltiva “ad un tempo, ma con armonico accordo, tutte e tre le facoltà dei bambini, fisiche, intellettuali e morali” ricordando che più importante di tutte è la “formazione del cuore”. Concorrerà ad essa attraverso la “vigile assistenza ed affettuosa sorveglianza”, tutto utilizzando “dolcezza di modi, amorevolezza e pazienza”, intervenendo in “modo soave, sgombro da ogni violenza, senza ricercatezza alcuna e senza precipitazione”.
Dal Regolamento per gli asili infantili emergono linee pedagogiche degne di rilievo: la formazione della personalità integrale del bambino, il rispetto delle differenze individuali, l’importanza del dialogo, la dolcezza dei modi e la fermezza delle richieste. Inoltre, il raggiungimento degli obiettivi è condizionato dalla capacità di empatia della comunità, qualità imprescindibile anche per operare con efficacia pedagogica in altre istituzioni.
Nel primo ventennio del Novecento, una delle preoccupazioni più forti è quella di mantenere l’unità del metodo in un Istituto che continua ad espandersi e a moltiplicare opere. Il Sistema preventivo deve fare i conti con la progressiva collegializzazione che porta con sé il rischio di adottare interventi più rigidi rispetto allo stile educativo degli inizi, caratterizzato da flessibilità e familiarità nelle relazioni. Tutto questo in un orizzonte pedagogico contraddistinto dall’idea positivistica di progresso e sviluppo illimitato e permeato da una più moderna concezione dell’infanzia e della fanciullezza, da cui scaturiscono innovazioni in campo scolastico quali il graduale passaggio dalla logica dell’insegnamento a quella dell’apprendimento e la conseguente adozione di pratiche innovative come l’individualizzazione, l’organizzazione non rigida delle classi, il lavoro di gruppo, il metodo della ricerca, la valorizzazione dell’attività manuale e dell’esercizio fisico. Negli orientamenti dei superiori si coglie come l’istanza della conservazione delle caratteristiche essenziali del Sistema preventivo non sia in contrasto con l’esigenza di un suo opportuno adeguamento alle mutate condizioni dei tempi. Al contrario, per il suo radicamento nell’umanesimo pedagogico cristiano e per il suo carattere flessibile, il metodo salesiano facilita a mettersi in ascolto delle nuove esigenze per l’educazione della giovane donna alla quale si vanno progressivamente aprendo campi di impegno nella famiglia e nella società. Occorre però vigilare su alcuni possibili riduzionismi: quello antropologico e quello metodologico.
Pensare l’educazione come sviluppo naturale, così come vorrebbero le teorie naturaliste, è uno dei primi riduzionismi da combattere. Di qui, infatti, scaturisce un’idea di educazione come semplice processo di sviluppo delle risorse latenti nell’individuo, un evento naturale che non ha bisogno di interventi, ma che va semplicemente assecondato.
Gli interventi di superiori come don Filippo Rinaldi e madre Marina Coppa, Consigliera scolastica generale succeduta a madre Emilia Mosca, prendono le distanze dalle estremizzazioni ottimistiche di stampo rousseano a favore di una visione integrale di persona. È un’esigenza della più genuina azione preventiva, fa notare madre Coppa, il non trascurare di illuminare, insegnare, aiutare a riflettere, persuadere additando la bellezza dell’ideale cristiano e accompagnando la persona con paziente benevolenza nel cammino verso la meta della sua maturazione.
La proposta educativa delle FMA deve dunque mirare a rendere le giovani protagoniste dirette della loro formazione, a sapersi relazionare con correttezza e disinvoltura a partire dalla coscienza della loro identità, sia negli ambienti più familiari, sia a contatto con situazioni che richiedono coraggio e decisione nel difendere pubblicamente le proprie convinzioni cristiane nei laboratori, nelle officine, nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici.
L’applicazione del Sistema preventivo, in particolare nell’educazione collegiale, può favorire un riduzionismo di tipo metodologico. Si potrebbe infatti pensare al prevenire nella sua semplice accezione negativa – di vigilanza per evitare il male – riducendo il metodo a pure norme disciplinari anziché ad un corpo organico di principi e orientamenti che vanno compresi, giustificati, applicati. Tale interpretazione porta anche alla falsificazione del concetto di assistenza intesa come semplice sorveglianza.
Ma una pratica educativa più preoccupata dell’ordine esterno che di formare la coscienza nella libertà e responsabilità, oltre ad essere inefficace, è anche contraria alla visione dei fondatori. Essendo questa pratica basata più sul timore che sulle convinzioni, più sui comportamenti che sugli atteggiamenti e le motivazioni interne, il risultato che si ottiene è di avere alunne facili al conformismo e all’ipocrisia. A tali rischi si deve ovviare recuperando il vero significato dell’assistenza salesiana la quale suppone in chi educa la presenza di qualità umane e virtù cristiane. La maestra, infatti, deve dar prova di prudenza e pazienza, evitare i sotterfugi e le parzialità, le finzioni e i giudizi precipitosi, deve essere semplice e retta, amante del lavoro, equilibrata, forte e dolce nel trattare con le giovani, giusta e imparziale, capace di ascolto ed uguale di umore, amorevole e ragionevole per farsi amare e rispettare. In sintesi, la sua deve essere una presenza veramente educativa, fatta di sana autorevolezza, per armonizzare accondiscendenza ed esigenza, dolcezza e fortezza in un sereno spirito di famiglia.
L’efficacia del Sistema preventivo applicato nella sua integralità si concentra nella qualità di chi educa e nell’ambiente che questi sa creare. È nella persona di colei che educa, infatti, che si realizza il fine dell’educazione salesiana: che le ragazze divengano “buone cristiane”, “cristiane convinte”. Tale obiettivo polarizza tutte le energie della FMA in modo che sua massima cura sia di compiere con diligenza il proprio dovere di insegnante.
Madre Marina Coppa fa appello al senso di responsabilità di ogni educatrice chiamata non solo a confrontare la sua esperienza con quella delle colleghe accogliendone gli esempi positivi, ma ad impegnarsi a leggere, istruirsi, consigliarsi, dedicarsi alla “lettura quotidiana, seria, serena, spassionata di almeno uno degli articoli del Manuale che riguardano più direttamente la sua parte di educatrice”.
Una seconda area di impegno, che garantisce l’efficace applicazione del metodo preventivo è la cura della buona educazione, del buon tratto relazionale. Una persona impegnata nella sua crescita integrale non trascura la compostezza anche esterna, la delicatezza di tratto, di parole, di azioni, anzi la cura per affinare lo stile relazionale che dovrà essere un riflesso dell’interiorità della persona e della sua autenticità umana. Infine, si richiama la collaborazione di tutte le FMA, qualsiasi sia l’opera nella quale lavorano e qualunque sia il ruolo che svolgono. La sfida è quella di “far convergere in un solo punto di azione le forze di tutti”. Ciò significa vincere le divisioni, le competizioni, la suddivisione rigida dei compiti, l’antagonismo, l’incomprensione del valore del proprio compito.
Nell’arco di tempo che va dal 1920 al 1950 gli orientamenti delle consigliere scolastiche (madre Linda Lucotti e madre Angela Vespa) e di altre figure autorevoli (don Pietro Ricaldone) si concentrano su alcune problematiche pedagogiche emergenti: da un lato lo sviluppo delle teorie progressiste dell’attivismo, dall’altro l’idealismo, radicato nella cultura pedagogica italiana.
Madre Linda Lucotti, sulla scia di eventi importanti quali la beatificazione e la canonizzazione di don Bosco, orienta le educatrici a “farlo rivivere” riscoprendo il suo metodo educativo e stimolando le insegnanti a non adagiarsi su schemi ripetitivi, bensì ad operare perché le scuole non si attardino in forme superate. Don Pietro Ricaldone, esorta le superiore ad istituire case di formazione per neo-professe allo scopo di qualificare pedagogicamente e professionalmente le FMA anche approfondendo il metodo educativo di don Bosco.
Nel periodo in questione, sfidato dall’attivismo pedagogico, l’attenzione ai destinatari e alle loro esigenze formative, assume un significato peculiare. A questa sensibilità, caratteristica propria del Sistema preventivo, vengono schiusi nuovi orizzonti grazie all’apporto delle scienze psicologiche e sociologiche e per l’affermarsi di nuovi scenari educativi in favore della giovane donna. La congiuntura della fine della dittatura fascista, il riconoscimento di nuovi diritti civili, la possibilità di partecipazione attiva alla vita democratica sono alcuni degli eventi principali che attivano il mutamento del modello femminile tradizionale e aprono le giovani alla possibilità di affermarsi nella società in modo più libero e autonomo.
È soprattutto la consigliera scolastica madre Angela Vespa, con le competenze che le derivano dalla sua intuizione pedagogica, dallo studio e dall’esperienza, che sa abilmente coniugare le nuove istanze che si muovono nell’universo femminile con la pratica del Sistema preventivo in particolare nelle scuole delle FMA. In tale ambiente educativo, infatti, fortemente provocato dal rinnovamento didattico, è urgente che le insegnanti sappiano coniugare competenze tecniche e attenzione alle esigenze delle tappe evolutive. La sensibilità per le differenze individuali è ribadita e affrontata dalla consigliera in numerose Circolari.
Il metodo preventivo è sfidato sul terreno della comprensione, della fiducia e della reciprocità. Le giovani, infatti, anche e soprattutto quando si manifestano indipendenti e ribelli, volubili e avverse al dovere, vanno affrontate con volto sereno e allegria comunicativa facendo brillare davanti ai loro occhi e nel loro cuore la bellezza della conquista, aiutandole a superare ogni forma di immaturità.
Il principio salesiano del supporre il bene per farlo nascere, infatti, muove l’educatrice ad esaminare prima se stessa, a non condannare superficialmente le azioni delle ragazze pensandole dettate da malizia, a rendersi conto che, talvolta, queste resistono e chiudono il cuore perché si sentono condannate senza essere state comprese e interrogate, oppure perché desiderano la stima dell’insegnante e vogliono costatare, con l’atteggiamento e le parole, la benevolenza del suo giudizio.
Applicando il principio pedagogico dell’individualizzazione, l’insegnante riuscirà più facilmente a riconoscere questi meccanismi, meglio valorizzando le risorse di cui ciascuna alunna è ricca e, con differenziata adeguatezza, riuscirà a stimolare la sua curiosità con un metodo adatto.
Soprattutto è importante applicare questo metodo in ambito scolastico, dove l’autorità dell’insegnante si traduce in amorevolezza e la lezione in un servizio al risveglio di energie latenti. La funzione docente si esplica nella chiarezza dei fini, nell’adeguatezza dei metodi di apprendimento e nell’impegno di valorizzare tutte le allieve e non solo le migliori.
All’approssimarsi della canonizzazione di don Bosco uno degli obiettivi che si propongono i superiori è quello di imitare don Bosco dedicandosi all’opera a lui più cara, cioè l’oratorio. L’istanza del rinnovamento degli oratori festivi attraversa questo periodo ed è affrontata dai superiori attraverso l’offerta di orientamenti pedagogici focalizzati sulla qualità relazionale delle educatrici. Solo relazioni profonde e personali, infatti, possono garantire la continuità della frequenza che nell’oratorio non è legata ad altri vincoli se non a quello dell’interesse, dell’amicizia, dell’affetto, della gioia di stare insieme.
Un altro importante fronte di impegno per le FMA in questa prima parte del Novecento è l’incremento dei convitti per operaie, concepito come una nuova opportunità per meglio dedicarsi alla formazione delle donne dei ceti popolari. Impegnarsi nei confronti di questo tipo di destinatarie rivela la sensibilità presente nell’Istituto di fronte alle mutate sfide educative e una chiara intenzionalità preventiva. Si tratta, infatti, di giovani particolarmente bisognose che la progressiva richiesta di manodopera proveniente dalle fabbriche, da una parte, e l’alfabetizzazione femminile dall’altra, avevano spinto a lasciare la famiglia e ad intraprendere una vita non priva di rischi e pericoli. Il moltiplicarsi degli scioperi nelle industrie, d’altronde, faceva temere facili conquiste tra le ragazze sprovvedute d’istruzione, di esperienza, di compagnie fidate e bisognose di avere accanto educatrici che le aiutassero a valorizzare l’esperienza lavorativa in ordine alla crescita umana e cristiana.
Nel Regolamento per i convitti, edito nel 1913, si puntualizza che l’accettazione di queste opere deve essere subordinata all’effettiva possibilità di perseguire finalità educative e non solo assistenziali, e cioè la formazione religiosa e morale che consente di preparare – come recita il Regolamento – “ottime figlie di famiglia, oneste e coscienziose operaie, degne e onorate cittadine”.
Più che altrove, dunque, il livello formativo dell’ambiente è direttamente proporzionato alla qualità educativa delle FMA. Sono, infatti, richieste per il convitto, assistenti mature, sagge, aperte ai problemi della vita, capaci di comprendere le difficoltà inerenti al lavoro di fabbrica ed in grado di mediare i valori religiosi in un ambiente spesso ostile alla Chiesa. Il fare vita comune con le operaie si dimostra una scelta importante capace di avvicinare mentalità e sensibilità diverse e lontane tra loro. Anche in questo caso il modello relazionale a cui s’ispirano le FMA è quello dello spirito di famiglia. Le educatrici, si legge nel Regolamento, “con vigilanza assidua e materna, non disgiunta da caritatevole pazienza, concorrono a compiere, o a riformare, l’educazione morale, prima di tutto, e intellettuale per quanto è possibile, delle giovanette loro affidate”. In pratica esse applicano fedelmente il metodo salesiano analogamente alle altre istituzioni di più antica fondazione come la scuola e l’oratorio.
A lungo e con frutto si potrebbe continuare lo studio delle linee pedagogiche offerte alle FMA nel periodo in questione. Con il presente lavoro, mi sono limitata ad offrire alcune delle coordinate di comprensione e rilettura del Sistema preventivo che attraversano le fonti.
Di qui, l’emergere di un Istituto vivacemente attento, da una parte, alla cultura pedagogica del tempo e alle condizioni e bisogni formativi delle giovani in continuo mutamento, e dall’altra impegnato nella formazione dei suoi membri perché il Sistema preventivo non solo sia compreso e vissuto, ma anche reinterpretato nelle diverse opere e culture.
In questo processo, sicuro punto di riferimento è il Fondatore: la sua vita e la sua opera che si identificano nel suo metodo preventivo che possiede molte virtualità pedagogiche ancora da esplorare e valorizzare. È un sistema efficace se applicato nelle opere tradizionali, come la scuola e l’oratorio, ma anche nelle nuove frontiere per la formazione delle giovani donne come sono, per esempio, i convitti per operaie. Il metodo si fonda sulla visione cristiana dell’educazione che è essenzialmente preventiva. Dunque, il preventivo non è un momento preliminare al processo educativo, bensì ne costituisce il centro e la chiave di interpretazione. Pertanto, tutta la pratica salesiana è preventiva nel duplice senso di agire su quanto può influenzare negativamente le giovani, e di promuovere la loro apertura e l’adesione ai valori attraverso esperienze positive, adeguate alla loro età e condizione e per questo capaci di coinvolgerle. Ciò si dà all’interno di un ambiente educativo dove tuto mira alla convergenza degli interventi, in cui le educatrici sono impegnate a vivere in prima persona i valori che proclamano e attuano l’educazione attraverso un’intelligente opera di collaborazione e di mutua sussidiarietà.
Radicato sull’umanesimo pedagogico cristiano, il Sistema preventivo è quindi in grado di dialogare con le nuove prospettive pedagogiche emergenti e di correggerne possibili derive antropologiche e pedagogiche. È questo quanto gli orientamenti dell’Istituto mettono in evidenza nella prima metà del Novecento. Tale strategia, che ha contribuito a mantenere vivo il carisma educativo di don Bosco nella storia, è anche per noi oggi di stimolo ed esempio a vivere nel nostro tempo con passione educativa e intelligenza pedagogica, lasciandoci sfidare dalle nuove periferie esistenziali giovanili che invocano un nuovo Sistema preventivo e nuovi educatori ed educatrici capaci di portare loro il Vangelo della gioia.