SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES
casa generalizia salesiana
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Il Rettor Maggiore
Questa conferenza conclusiva ha un carattere molto diverso dalle precedenti. Come nella staffetta, io comincio dove gli altri hanno lasciato. Parlerò, infatti, delle grandi linee del Carisma Salesiano dopo ‘l’evento del secolo’ nella Chiesa Cattolica, quello del Concilio Vaticano II. Inoltre, non lo faccio da un punto di vista prevalentemente storico, ma piuttosto come una riflessione programmatica, ossia cercando di leggere a fondo, pur se brevemente, nel passato recente, per offrire alcune prospettive di futuro: in modo immediato, per la ricerca storica che più avanti si dovrà fare; ma soprattutto per continuare con lo sviluppo del Carisma nella nostra Famiglia Salesiana. Sottolineerò prima l’iter della Congregazione in questi decenni e dopo alcune prospettive per tutta la nostra Famiglia nel futuro prossimo.
Innegabilmente si può parlare di un ‘prima’ e un ‘dopo’ il Concilio; sarebbe però ingiusto e semplicistico prescindere da molti altri aspetti, sia positivi come negativi, che hanno marcato questi anni. Tra i molti elementi, troviamo la così detta “crisi vocazionale” degli anni seguenti, nella Chiesa e anche in molte aree della nostra Congregazione. Una crisi durante la qualle un gran numero di confratelli hanno ripensato la sua strada e ci hanno lasciato, e una crisi che ancora oggi si fa sentire pesante in alcune zone per la mancanza di nuove forze, accentuando il naturale invecchiamento delle Ispettorie e che ci sfida ancora e ci spinge a prestare più attenzione a questo fenomeno. Ma anche troviamo un altro elemento che io chiamerei di “crescita”: come dicevamo prima, è vero che il momento dell'espansione numerica ha lasciato passo alla diminuzione progressiva e qualche volta drammatica dei consacrati, ma anche alla crescita di coscienza sulla propria vocazione, la rivalorizzazione del significato della vita consacrata e non solo di quella presbiterale, il sorgere di nuove e numerose vocazioni laicali, ecc. E' stato un periodo, e ancora lo è, di diminuzione del personale religioso, ma di crescita delle opere e presenze in nuove zone e in nuovi paesi, cioè una espansione territoriale e di servizi, e questo, grazie anche al notevole aumento delle vocazioni laicali, che, come negli origini della nostra Famiglia, diventano sempre di più “corresponsabili” della missione e non soltanto “collaboratori”. In fatti, anche questa situazione ci ha fatto “tornare agli origini” per ripartire proprio da lì!
Ma tornando al Concilio, in una interpretazione più ampia e inclusiva, possiamo dire che il Concilio si colloca persino in quella che è stata chiamata ‘la fine della modernità’: una fine a cui ha condotto, paradossalmente, la sua massima spinta al limite; alle maggiori aspettative è seguita, dialetticamente, una grande disillusione.
In questa prospettiva si può dire che il Concilio è piuttosto un atteggiamento della Chiesa, animata dallo Spirito Santo, che vuole affrontare ‘i tempi nuovi’ con la propria identità evangelica. Indubbiamente sono state anche tensioni e ricerche, alcune volte giuste, altre no. E' un tempo di cambiamenti che, in quanto tale, lascia morire alcuni modelli e da vita ad altri, non sempre assolutamente nuovi, ma, al meno, rinnovati, qualche volta con successo e qualche volta non tanto. E' stato, e continua ad esserlo, un tempo di incrocio di orizzonti diversi, una opportunità che ancora, a mio giudizio, dobbiamo approfittare perché rimane moltissimo dello ‘spirito del Concilio’ da comprendere e da mettere in pratica.
Sappiamo che il documento normativo a questo riguardo, posteriore al Concilio, è il Motu Proprio del Papa Paolo VI, Ecclesiae Sanctae, del 6 agosto 1966. Al numero16, paragrafo 3, il Papa indica: “Per procurare il bene stesso della Chiesa, gli Istituti perseverino nello sforzo di conoscere esattamente il loro spirito d’origine, affinché, mantenendolo fedelmente negli adattamenti che dovranno fare, la loro vita religiosa sia purificata dagli elementi estranei e da quelli caduti in disuso”[1].
L’indicazione della Chiesa riguardo alla Vita Religiosa era, pertanto, ‘un ritorno alle fonti’ del Carisma, per poterlo precisare nel modo più esatto possibile. Alla base di questo compito si presuppone un elemento fondamentale, cioè: imparare a distinguere, con saggezza e spirito di fede, tra fedeltà e immobilità, compito che teoricamente risulta chiaro, ma che nella pratica è molto difficile e che, in fin dei conti, non si potrà mai realizzare una volta per sempre. Il Papa indica, in particolare, due elementi: purificare lo ‘spirito originale’ dagli elementi estranei e da quelli caduchi. Bisogna dire che la Congregazione Salesiana accettò pienamente questa sfida e questo compito. Per esprimerci con una immagine molto grafica: si trattava di passare da un ‘Valdocco’-piano di costruzione a un Valdocco-criterio di vita e missione.
Come dirà poi Don E.Viganò, “è da notare che una revisione così universale (che ha coinvolto tutti gli Istituti Religiosi), così globale (che si riferisce a tutti i contenuti) e così profonda (che tocca le radici) è affatto singolare negli ormai venti secoli di storia della Chiesa”[2].
Il Capitolo Generale 19°, celebrato durante il Concilio Vaticano II, cercò di sintonizzarsi al massimo con la Chiesa del Concilio, ma comprese che era impossibile cercare di ‘adattarlo’ in quel momento alla situazione della Congregazione: sarebbe stata una superficialità irresponsabile, al di là del fatto che vari dei documenti più importanti del Concilio erano ancora in discussione. Il Rettor Maggiore appena eletto, Don Luigi Ricceri, nell’immediato post-concilio presentò a tutta la Congregazione la missione da compiere, dando inizio in questo modo alla preparazione del Capitolo Generale Speciale, celebrato cinque anni dopo il Motu Proprio papale.
Nella sua prima Lettera circolare dopo la chiusura del Concilio, Don Ricceri scriveva a tutta la Congregazione:
“Durante i lavori capitolari si è avuta netta la sensazione che tutti i presenti guardavano ansiosamente al Concilio Ecumenico Vaticano II. L’atmosfera di Roma ha evidentemente alimentato questo clima di tensione primaverile, colma di promesse.
Siamo tutti d’accordo che la Congregazione è a una svolta [...] perché prima di noi la Chiesa ha operato la stessa svolta decisa e coraggiosa, pur rimanendo sul terreno fecondo della sua secolare tradizione divino-umana. Vengono qui opportune, e vanno ben soppesate, le parole rivolteci da Paolo VI: ‘Segna una tappa, fa il punto (come dicono i naviganti), conclude un periodo e ne inizia un altro la vostra Società’. Abbiamo fatto una generosa semina nell’humus della tradizione. Vi sarà quindi del nuovo innegabilmente; ma sempre innestato nel vigoroso ceppo di una tradizione che ha dato in passato abbondanti frutti e che non può quindi deluderci per il futuro. Guardiamo pertanto al futuro con ‘sagace aderenza ai bisogni dei tempi’ (Paolo VI ibid.)”[3]
Bisogna riconoscere che, innegabilmente, come in tutta la Chiesa e la società, anche nella Congregazione erano sorte grandi aspettative e speranze, a volte smisurate. Lo stesso Don Ricceri lo constatava, pochi mesi dopo la chiusura del Concilio, a proposito del ‘rinnovamento’:
“Questa volta mi propongo di esporvi qualche idea a proposito di una di quelle parole che si vanno ripetendo incessantemente a proposito del Concilio. In verità ne è una delle parole chiavi: ‘Rinnovamento’!
Debbo aggiungere che anche il Capitolo Generale – eco fedele dello stesso Concilio – più di una volta torna su questa parola e più ancora sul concetto che esso importa e contiene. Ma come tante altre parole che hanno fatto storia (libertà, democrazia, progresso, ecc.) anche questa subisce le interpretazioni e le applicazioni più diverse e – spesso – più opposte e arbitrarie, a servizio, direi, di mentalità del tutto personali e – perché tacerlo? – anche di deviazioni e di vere deformazioni del significato genuino della parola ‘Rinnovamento’”[4].
Bisognerebbe aggiungere che questa stessa effervescenza postconciliare nella Congregazione ha prodotto una partecipazione straordinaria da parte di tutte le Ispettorie e, si può anche dire, di tutti i confratelli. “Ci si è impegnati a prepararlo con una serietà veramente inedita attraverso la partecipazione di tutte le Province e di tutti i confratelli (…) Furono redatti con cura un insieme di ben 20 volumetti ad uso dei capitolari. Si pensava a una grave responsabilità quasi di ‘rifondazione’: ciò che Don Bosco aveva fatto ‘personalmente’ avrebbe dovuto essere ripensato e rielaborato, in un certo senso, ‘comunitariamente’, in rapporto alle esigenze del cambio epocale e in piena fedeltà alle origini”[5].
Anche se questa parola ha acquistato ‘carta di cittadinanza’ nell’ambito teologico e spirituale, è opportuno ricordare che il suo significato nell’attualità non sempre corrisponde al passato. Ma non entriamo adesso in queste distinzioni. Indubbiamente la sua connotazione fondamentale è quella di essere un ‘dono dello Spirito Santo alla Chiesa’.
Al riguardo, uno specialista del tema dice: “Corrisponde al Vaticano II la gloria di aver restituito al termine carisma il suo significato primitivo più pieno, non limitato unicamente a comprendere i fatti straordinari (…). In questo fecondo campo di riflessione nasce, poco dopo il Vaticano II, l’espressione carisma dei fondatori. Paolo VI è il primo che usa tale terminologia. (…) Ed è anche il primo che la inaugura in un documento ufficiale: nell’esortazione apostolica Evangelica Testificatio, 11 (1971). (…) La definizione più completa la offre Mutuae Relations 11: ‘Il carisma dei fondatori si rivela come una esperienza dello Spirito (ET 11), trasmessa ai propri discepoli per essere da loro vissuta, custodita, approfondita e sviluppata costantemente in sintonia con il Corpo di Cristo in crescita perenne. Per questo, la Chiesa difende e sostiene la indole propria dei diversi istituti religiosi”[6].
Don Egidio Viganò, citando il testo di MR, commenta: “L’elemento teologico che ha fatto maturare questa categoria teologica di ‘carisma’ è stato appunto il riconoscimento dell’iniziativa divina nella ‘consacrazione’ come azione specifica di Dio. Di fatto, è stato questo un vero capovolgimento conciliare che ha fatto ripensare il significato della professione e l’opera specifica del Fondatore. E’ servito anche a dare il nome di ‘vita consacrata’ agli Istituti che si solevano chiamare prima ‘stati di perfezione’”[7].
Nessun Capitolo Generale era stato preparato con tanto anticipo (la Lettera di Convocazione di D.Luigi Ricceri era datata 25 novembre 1968: quasi tre anni prima dell’apertura!) e con tanto coinvolgimento di tutti i Salesiani. E’ anche il Capitolo più lungo della storia della Congregazione: dal 10 giugno 1971 al 5 gennaio 1972. Questo Capitolo ha redatto il testo delle Costituzioni ‘ad experimentum’ per i 12 anni seguenti, in vista della redazione definitiva, nel 1984. Ma il tesoro più prezioso è il Documento Capitolare in sé, con più di cinquecento pagine, che rappresenta lo sforzo più grande della Congregazione per il ripensamento e la riformulazione del Carisma Salesiano. In particolare, sarebbe molto arricchente uno studio sul modo in cui quel Capitolo Generale assume e incorpora il Concilio Vaticano II. A volte, in una sola pagina vengono citati persino 7 documenti conciliari diversi!
In questi dodici anni, la Congregazione ha vissuto l’esperienza del come vivere nella fedeltà al Carisma di Don Bosco mettendo in pratica una Regola di Vita che, per la prima volta nella sua storia, non era il testo scritto dal Fondatore. Ciò ha suscitato, certamente, alcune resistenze, specialmente da parte di coloro che sentivano che si erano persi elementi importanti della Tradizione salesiana. Come dicevamo prima, non è sempre facile accettare la sfida di vivere la fedeltà in una situazione totalmente nuova rispetto a quella di Don Bosco. E tutto questo, nonostante che, come scrive Don Viganò, “nella rielaborazione delle Costituzioni si è cercato di rimandare il più possibile alla realtà spirituale del Fondatore, ai suoi scritti più carismatici, alla sua esperienza collaudata, quale ‘modello’ da cui deriva l’ottica genuina e la chiave indispensabile di rilettura fondazionale”[8].
Questi dodici anni, con un testo costituzionale ‘ad experimentum’, costituirono una preparazione, con crescente intensità, al CG22, il cui unico obiettivo (oltre, naturalmente, alla elezione del Rettor Maggiore e del Consiglio Generale) era la redazione definitiva delle Costituzioni. Con una modalità simile a quella del CGS, si cercò di coinvolgere tutti i Confratelli, tanto in forma personale, come soprattutto per mezzo di varie richieste. Le Ispettorie attraverso i Capitoli Ispettoriali, le diverse Commissioni in ognuna di esse, e specialmente la Commissione Pre-capitolare, che ricevette tutti i suggerimenti e, lavorando in modo esemplare, sotto la guida del Regolatore, D. Juan Edmundo Vecchi, li sintetizzò in due volumi, per un totale di quasi 1100 pagine.
In questo processo, che coinvolse tutta la Congregazione, è giusto evidenziare una figura decisiva: don Egidio Viganò. Alla luce della nostra fede, che ci invita a scoprire l’azione di Dio nella storia, risulta provvidenziale che la persona chiamata a guidare la Congregazione in una tappa così delicata come quella postconciliare, abbia potuto partecipare anche alle sessioni del Concilio, come perito teologo del Card. Raùl Silva, Arcivescovo di Santiago de Chile.
Durante il suo primo periodo da Rettor Maggiore, guidò la preparazione del CG22. Oltre a vari momenti di partecipazione durante il CG, il discorso di chiusura di questo Capitolo rappresenta una sintesi straordinaria di quel che costituisce, nella nuova redazione costituzionale, il Carisma Salesiano: è, praticamente, la sua ‘chiave di lettura’ più autorevole. Credo che si tratta di un testo di una grande ricchezza e attualità per la Congregazione, ancora adesso.
Infine, di D. Viganò menziono un altro documento molto significativo: la sua Lettera Circolare “Come rileggere oggi il Carisma del Fondatore” di 1995. Si tratta dell’ultima Lettera che scrisse alla Congregazione, prima di passare alla Casa del Padre, il 23 giugno. Possiamo considerarla come il suo ‘testamento spirituale’ e di fatto appaiono in essa moltissimi temi che si presentarono costantemente nella sua animazione e magistero, come il tema della consacrazione accentuando due elementi: è opera di Dio, non dell’uomo e, inoltre, non si riferisce a ‘un’ elemento settoriale (abitualmente contrapposto alla ‘missione’), ma che è inclusivo, abbraccia tutta la vita e l’attività della persona consacrata (cfr. per es., p.17). E' il tema della grazia di unità, che “rende (il salesiano) capace di una sintesi vitale tra la pienezza della consacrazione e l’autenticità dell’operosità apostolica” (p.16). Penso che con questa grazia di unità dobbiamo camminare verso il futuro.
Si può dire che la riformulazione del Carisma, quanto a espressione verbale, culmina nel Capitolo Generale XXII con l’approvazione, prima capitolare e poi da parte della Santa Sede, il 25 novembre 1984, delle attuali Costituzioni. L’approvazione della Santa Sede non si riduce semplicemente ad un requisito giuridico; infatti, il 1° articolo afferma: “La Chiesa ha riconosciuto in questo (la fondazione e la vita della nostra Società) l’azione di Dio, soprattutto approvando le Costituzioni e proclamando santo il Fondatore” (Cost SDB 1). Tale affermazione coincide, praticamente, con ciò che, dodici anni più tardi e in forma più universale, dirà Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica postsinodale Vita Consecrata, in un testo di straordinaria densità teologica: “Quando la Chiesa riconosce una forma di vita consacrata o un Istituto, garantisce che nel suo carisma spirituale e apostolico si trovano tutti i requisiti oggettivi per raggiungere la perfezione evangelica personale e comunitaria”(VC,93). Questa garanzia non solo deve riempirci di grande allegria e sicurezza nella nostra vocazione – naturalmente, dal punto di vista della fede – ma deve anche condurci a vivere più pienamente la nostra identità carismatica come cammino tipico di santità: “Nel compiere questa missione, troviamo la via della nostra santificazione” (Cost SDB 2). Quest’ultima affermazione coincide pienamente col primo articolo delle Costituzioni primitive di D. Bosco: “La Società Salesiana ha come fine che i soci, allo stesso tempo che procurano di acquistare la perfezione cristiana, compiano ogni opera di carità spirituale e corporale per il bene dei giovani, soprattutto dei più poveri”.
Vivere con fedeltà le nostre Costituzioni è per noi salesiani, il punto di partenza per vivere intensamente la nostra consacrazione apostolica insieme al vasto movimento che da Don Bosco trae origine. Infatti, come negli origini della nostra Congregazione, non possiamo essere veramente fedeli al nostro carisma se non vivendolo in modo condiviso con gli altri membri della Famiglia Salesiana e il “vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù” (C SDB, 5). Per ciò, non è possibile uno sguardo lungimirante al futuro se non è in condivisione e veramente insieme.
Arrivati a questo punto, questa parte mi sembra la meno inquadrata nell’ambito di un Congresso storico, e allo stesso tempo la più vivace e progettuale o programmatica dal presente al futuro, illuminati da tutto quello che abbiamo sentito, visto, vissuto e da tutto ciò fa parte del nostro patrimonio carismatico salesiano.
Credo veramente fratelli e sorelle che il futuro del Carisma di Don Bosco passa, in primo luogo, giustamente per l’unico modo possibile, la nostra fedeltà a Don Bosco e al carisma che ha incarnato, perché la fedeltà a Don Bosco è e sarà fedeltà allo Spirito Santo che lo ha suscitato per il bene dell’umanità e della Chiesa.
Tutti noi, tutta la nostra Famiglia Salesiana, questo grande albero che ha l’unico tronco comune nel quale la linfa del carisma di Don Bosco scorre, come si afferma nelle nostre Costituzioni, Progetto di Vita, Direttori ... (come chiamiamo i nostri documenti), che Don Bosco è il nostro Padre, il Padre della Famiglia Salesiana e un dono, da parte nostra, a tutta la Chiesa e al mondo.
È per questo che la fedeltà a Don Bosco, è dire la sua lettura della vita, della missione, dell’evangelizzazione e della salvezza dei giovani che è garanzia di futuro del carisma salesiano.
Necessitiamo per questo motivo, di continuare a seguire Don Bosco conoscendolo sempre più, per Amarlo sempre più (perché ciò che non si conosce non si ama), per poterlo imitare meglio in ciò che è essenziale e con tutta la novità e la profezia che dobbiamo avere in questi tempi moderni di ogni momento storico, di ogni epoca.
In questo senso mi risuona molto interpellante ciò che ha scritto nel 1920 Don ALBERA (“non sospetti” di niente come dice nel suo intervento Don Buccellato) e che dice: “Vi sono tanti, anche tra noi, che parlano di Don Bosco, solo per quel che ne sentono dire; donde la necessità vera e urgente che con grande amore se ne legga la vita, con vivo interesse se ne seguano gl'insegnamenti, con affetto filiale s'imitino i suoi esempi”.
Don Bosco è il nostro grande patrimonio, di tutti e di ciascuno dei membri della nostra Famiglia Salesiana (perché è patrimonio della Chiesa, come ho detto). E l’identità di tutta la nostra famiglia e di ciascuno dei suoi gruppi (e dei singoli membri) diventa più forte quanto più forte è il riconoscimento della PATERNITÀ di Don Bosco in tutti. Non abbiamo bisogno come gli adolescenti nella loro evoluzione personale di separarci, prendendo le distanze dai genitori per rafforzare la propria identità. La nostra identità è più grande, più chiara e più solida quanto più è chiara e manifesta la paternità spirituale di Don Bosco per tutti, per ciascuno e ciascuna.
E questo non ha nulla a che fare con il pericolo di autoreferenzialità di cui parla il Papa Francesco in EG28. Noi non siamo né saremo un ‘gruppo di eletti che guardano se stessi’, ma una Famiglia Religiosa che vuole vivere una forte sequela di Gesù (Discepolato), con un profondo senso di appartenenza e di comunione alla Chiesa universale e alle Chiese locali, sempre con una chiara identità carismatica, con la specificità del proprio carisma (come Dono dello Spirito Santo alla Chiesa).
Questa è la nostra seconda grande sicurezza nel futuro del carisma salesiano. I giovani, specialmente i più poveri, abbandonati ed esclusi.
La Missione Salesiana, in tutta la nostra Famiglia Salesiana, ha in un modo o nell’altro, in tutti i suoi rami la caratteristica di questa opzione preferenziale. Essi sono i destinatari della Missione. Ciò che conviene sottolineare, per essere fedeli al Carisma di Don Bosco, è che sono i destinatari che determinano il tipo di attività e di opere per mezzo delle quali si rende concreta ed efficace la nostra Missione (cfr. Csdb 1,2,14,21; Cfma 1,6,65; PVA 2,2b; ADMA,2; VDB 6; DS 17,c,d; CihscJM,23;).
La nostra fedeltà a Dio e ai giovani ci chiede di essere attenti alle necessità dell’ambiente e della Chiesa, sensibili ai segni dei tempi. E l’educazione e l’evangelizzazione di molti giovani, soprattutto fra i più poveri, ci muovono a raggiungerli nel loro ambiente e a incoraggiarli nel loro stile di vita servendoli nel modo migliore per il loro bene. Questa apertura ha dato origine, nella Congregazione, nell’Istituto delle FMA e negli altri gruppi, ad una infinità di attività e di opere straordinariamente varie ed ammirevoli. Siamo sicuri che per mezzo loro, i giovani e fra di loro i più poveri, Dio ci parla e ci attende in essi.
Come indicavo nel Discorso di Chiusura del CG27, “oso chiedere che con il ‘coraggio, maturità e molta preghiera’ che ci mandano ai giovani più esclusi, vediamo in ogni Ispettoria di rivedere dove dobbiamo rimanere, dove dobbiamo andare e da dove possiamo andarcene… Col loro clamore e il loro grido di dolore i giovani più bisognosi ci interpellano” (Discorso programmatico finale 3.5). In questo senso credo, sorelle e fratelli che il Signore ci invita tutti nella nostra famiglia salesiana a essere valenti, a non sentirci soddisfatti credendo che la missione presente sia quella di custodire quello che gli altri hanno costruito nel passato. La nostra fedeltà al Signore ed ai giovani oggi ci chiede audacia, lì dove è necessaria.
La predilezione per i giovani più poveri espressa precedentemente è totalmente insufficiente nella totalità del nostro carisma salesiano e nella nostra Famiglia se non diventa efficace mediante una educazione integrale che comprende, come elemento indispensabile, l’evangelizzazione: “Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell’uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto (cfr GS 41)”. “Come Don Bosco, siamo chiamati, tutti e in ogni occasione, a essere educatori alla fede” (Csdb 6,7,20 34; Cfma 5,26,66,75...; PVA 9.1;9.3; ADMA 2; VDB 6; DS 16; CihscJM 5).
Di fatto, a modo di illuminazione sulla preoccupazione che la dimensione evangelizzatrice ha nella nostra Famiglia e nella maggior parte dei suoi membri, posso offrire come mostra la preoccupazione della Congregazione Salesiana dedicando già nel CGXXIII dell’anno 1990 alla Educazione dei giovani alla Fede, o all’impegno delle nostre sorelle FMA anche nel loro ultimo CGXXIII per “Essere oggi con i giovani casa che evangelizza”, dall’ottica del discepolato che narra l’esperienza di Fede, ascoltando ciò che Dio dice oggi, aperti ai cambi necessari per rimettersi in cammino (con i giovani), fino al coraggio di osare insieme gesti profetici
Con questa sensibilità ricordavo alla fine del CG27, quali sdb siamo, innanzitutto, evangelizzatori dei giovani, compagni di cammino, coraggiosi nel proporre sfíde nella fede, ed è per questo che dobbiamo vivere e crescere in una vera predilezione pastorale per i giovani.
Sappiamo che uno degli elementi fondamentali del Concilio Vaticano II fu, e continua ad essere, il modello teologico della Chiesa come ‘Popolo di Dio’, valorizzando così la consacrazione battesimale, propria di ogni cristiano. Questo implica un aspetto di cui non sempre teniamo conto, e cioè che ogni ‘rinato in Cristo’ in quanto battezzato è chiamato alla perfezione dell’amore, ossia alla santità. (cfr. LG 42, citato in VC 30). A questa perfezione dell’amore appartiene inseparabilmente il lavoro comune nella costruzione del Regno di Dio. Questo diventa realtà, nella nostra Famiglia, per mezzo della ‘comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco’.
Questo spirito del Concilio noi lo viviamo in questa realtà che è la nostra Famiglia religiosa espressa come famiglia di cui all’articolo 1 della Carta della Famiglia Salesiana, "Con umile e gioiosa gratitudine riconosciamo che Don Bosco, per iniziativa di Dio e la materna mediazione di Maria, diede inizio nella Chiesa ad un’originale esperienza di vita evangelica.
Lo Spirito plasmò in lui un cuore abitato da un grande amore per Dio e per i fratelli, in particolare i piccoli e i poveri, e lo rese in tal modo Padre e Maestro di una moltitudine di giovani, nonché Fondatore di una vasta Famiglia spirituale ed apostolica”.
In questo senso penso che ciò che ci si aspetta da noi in questo momento e nei prossimi anni è la crescita come una famiglia in un vero senso di comunione, di comprensione, di conoscenza e anche di ricerca del bene dei giovani e dell’evangelizzazione. È andare oltre, con più forza, di quella che già abbiamo, che è di per sé preziosa, ma che a volte può stagnarsi in un tratto rispettoso, con non poca ignoranza degli altri membri della nostra famiglia.
Inoltre, dal momento che il Papa chiede a tutta la Chiesa, di essere Chiesa in uscita, questa sfida è per noi come famiglia. Siamo una grande forza religiosa nella Chiesa, e con semplicità ed umiltà, dobbiamo ricordarci che siamo veramente lievito nella pasta, dobbiamo dirci che accettiamo la sfida, come ho detto sopra, “Risvegliare il Mondo” (sfida che il Papa ha lanciata ai religiosi e religiose).
A questa realtà di famiglia aggiungo l’urgenza della missione condivisa con i laici. Naturalmente questo appello è inevitabile per noi (consacrati e consacrati e nella nostra famiglia). Come ho detto ai miei fratelli SDB alla fine del CG27 “la missione condivisa con i laici non è più opzionale -caso mai qualcuno lo pensasse ancora- ed è così perché la missione salesiana nel mondo attuale ce lo richiede insistentemente...., la riflessione su questa missione, il processo di conversione da parte nostra è irrinunciabile” (Discorso di chiusura del R.M.,3.7).
La dimensione missionaria è stata da sempre una priorità fin dall’inizio della Congregazione Salesiana e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Pur con la scarsità di personale e tra le difficoltà degli inizi, Don Bosco volle inviare i salesiani e le fma più idonei ‘all’altra estremità’ del mondo, in Patagonia.
Il Concilio Vaticano II, rinnovando l’impegno missionario della Chiesa, ne sottolineò, in primo luogo, il profondo significato teologico: “Inviata per mandato divino alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’, la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini” (AG 1). “La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine” (AG 2).
Lo sviluppo del grande albero della nostra Famiglia ha fatto sì che alcuni dei suoi rami più giovani hanno anche un forte carattere missionario ad gentes, in piena sintonia con il cuore di Don Bosco.
Nella nostra storia più recente come Congregazione Salesiana, e anche nelle nostre sorelle FMA, la dimensione missionaria nella tappa postconciliare si è concretizzata soprattutto in due situazioni, per molti aspetti completamente diverse: il Progetto Africa e il Progetto Europa. Il primo fu presentato dal Rettor Maggiore D. Egidio Viganò nel 1980 con queste parole: “Lasciatemi formulare un’affermazione solenne. Eccola: il Progetto Africa è oggi, per noi Salesiani, una grazia di Dio”[9].
Più avanti, facendo un breve resoconto dell’azione missionaria della Congregazione, scriveva: “Il carisma di Don Bosco è fatto appunto, come vi dicevo prima, per collaborare nelle Chiese locali ad evangelizzare la gioventù facendone degli ‘onesti cittadini e dei buoni cristiani’. Cento anni fa la vocazione salesiana prendeva la via dell’America Latina e vi si è stabilita robustamente: cinquant’anni dopo si è indirizzata verso l’Asia e vi si è già radicata con fecondità in vari Paesi; adesso si rivolge verso il Continente nero e si propone di inserirvisi umilmente con fedeltà a Don Bosco per divenire robustamente e genuinamente africana; il nostro progetto è stato posto sotto la speciale protezione dell’Ausiliatrice”[10].
Nel 2008, invece, il Capitolo Generale 26°, nel contesto delle ‘Nuove Frontiere’, afferma: “In forza dell’interdipendenza tra i popoli, il destino dell’Europa coinvolge il mondo intero e diventa preoccupazione della Chiesa universale. Si apre così una nuova frontiera rispetto al passato; per noi Salesiani è un invito a ‘rivolgere un’attenzione crescente all’educazione dei giovani alla fede’(Ecclesia in Europa, n.61)”[11].
Il Rettor Maggiore, D. Pascual Chávez, a questo proposito, nel discorso di chiusura del CG, ricordava le parole dirette al Santo Padre Benedetto XVI: “L’obiettivo è mirato a ridisegnare la presenza salesiana con maggiore incisività ed efficacia in questo continente. Cercare, cioè, una nuova proposta di evangelizzazione per rispondere ai bisogni spirituali e morali di questi giovani, che ci appaiono un po’ come pellegrini senza guide e senza meta”[12].
Due progetti, allo stesso tempo completamente distinti eppure identici in fondo, perché nascono dalla medesima identità carismatica: un bell’esempio nella nostra famiglia di fedeltà creativa a Don Bosco e al suo Carisma, ma la sfída per il futuro ci incalza.
Concludo esprimendo alla nostra famiglia Salesiana quello che, in questo momento qualifico come un’intuizione che risuona nel mio cuore, che va maturando ed entrando in dialogo con i dati, le realtà viste e conosciute, le informazioni ...
Ciò che chiamo intuizione, che in me è CONVINZIONE FORTE è questo: La nostra fedeltà a Don Bosco come Famiglia Salesiana in questo secolo XXI e negli anni successivi al suo Bicentenario, chiede a noi un servizio alla Chiesa, al popolo di Dio, ai giovani, specialmente i più poveri, e alle famiglie che si distingua e si caratterizza per il servizio nella semplicità, nella familiarità, nell’umiltà, di essere e di vivere per gli altri, dare e darsi ai giovani dalla realtà delle nostre presenze perché abbiamo accettato che questo è il nostro modo di vivere.
La nostra fedeltà è a rischio grave quando si vive nel potere e nella forza, dal momento che si ha e perché si dà o si prende, offre o nega ... E se questo potere e della forza è legata al denaro, allora il rischio si fa maggiore. Attenzione sorelle e fratelli a questa tentazione reale e molto pericolosa.
La nostra forza è di vivere una vera vita di comunione e di fraternità che sia più evangelica in modo da essere più interpellante, attraente di per sé, e la nostra comunione nel servizio, all’interno di ciascuna delle nostre istituzioni o gruppi, e nella nostra stessa Famiglia parlerà da sé stessa.
Volendo terminare con l’appello del Papa, credo che la sua chiamata alla conversione all’umiltà di essere una chiesa (e Famiglia Salesiana dico io) che accoglie sempre, che testimonia la misericordia e la tenerezza del Signore, che porta le la consolazione di Dio alle donne ed agli uomini, non ci lasci indifferenti, così come la chiamata ad essere Chiesa povera e dei poveri. E il suo invito a vivere nella gioia, con profonda gioia fino ad essere in grado di svegliare il mondo è una sfida meravigliosa che ci anima e ci lancia in avanti nella missione affidata.
E nelle parole scritte come titolo alla lettera d’indizione del bicentenario della nascita di Don Bosco, questa fedeltà carismatica è garantita se mettiamo le nostre energie e la nostra vita nell’ “Appartenere di più a Dio, di più ai fratelli e alle sorelle, di più ai giovani”.
[1] Ecclesiae Sanctae, in Enchiridion Vaticanum 2, Dehoniane, Bologna, 1996, p.747-748.
[2] VIGANO’ Egidio, Il testo rinnovato della nostra Regola di Vita, ACG 312 (1985), p.5
[3] RICCERI Luigi, Lettere Circolari ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, 1996, p.21-22 (la Lettera si trova in ACS 248, in data 30-IV-1967).
[4] RICCERI Luigi, Lettere Circolari ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, 1996, p.87. (la Lettera si trova in ACS 248, in data 30-IV-1967).
[5] VIGANO’ Egidio, Come rileggere oggi il Carisma del Fondatore, ACG 352 (1995),p.6.
[6] ROMERO Antonio, Carisma, in Diccionario Teologico de la Vida Consagrada, PP.Claretianas, Madrid, 1989, p.147.150-151.
[7] VIGANO’ Egidio, Come rileggere oggi il Carisma del Fondatore, ACG 352 (1995),p.18.
[8] Ibidem, p.10
[9] VIGANO’ Egidio, Lettera Il nostro impegno africano, in ACS 297 (1980),p.5.
[10] Ibidem, p.16-17.
[11] CAPITOLO GENERALE XXVI, “Da mihi animas, coetera tolle”, Roma, 2008, n.99 (p.70-71).
[12] Ibidem, p.147.