Don Bosco

La risposta salesiana ai processi mondiali sociali, culturali, economici e religiosi

La risposta salesiana ai processi mondiali
sociali, culturali, economici e religiosi

Bruno Bordignon, sdb

Premessa

Il titolo di questa relazione va considerato all’interno del tema del Congresso, che è lo «sviluppo del carisma di don Bosco». Pertanto devo supporre sia la ricostruzione storica dei processi mondiali sociali, culturali, economici e religiosi, affidata al prof. Belardinelli, che la trattazione storica della risposta salesiana ai processi mondiali sociali, culturali, economici e religiosi: intendo trattare come in questa risposta sia avvenuto uno sviluppo del carisma di don Bosco e limitandomi al punto di vista del governo centrale della Congregazione. Lo studio storico dello sviluppo della risposta salesiana ai processi mondiali indicati è iniziato in forma sistematica quale apertura di «una nuova fase della storiografia salesiana», nel 1991, da parte dell’Istituto Storico Salesiano.
Dato lo spazio che mi è concesso e la complessità dell’argomento, non potrò avanzare una trattazione sulle varie problematiche che sono emerse al riguardo. Mi limiterò a svilupparne tre, volutamente scelte, perché coprono in maniera diversa il periodo di studio di questo Congresso. Evidentemente non entro nelle tematiche pedagogiche o relative alla spiritualità, che sono riservate alle due giornate successive.
Pertanto, ho scelto la questione sociale, l’azione cattolica (AC) e il movimento liturgico.
Il tre argomenti scelti mi permettono di concentrarmi su periodi diversi: la questione sociale soprattutto fino alla prima guerra mondiale; AC e compagnie specialmente tra la prima e seconda guerra mondiale; il movimento liturgico percorre l’intero periodo considerato.

Lo sviluppo del carisma di don Bosco

Intendiamo carisma nel significato offerto dalla Lumen Gentium, quale grazia speciale permanente con la quale i fedeli si rendono adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento e allo sviluppo della Chiesa.
Del carisma di don Bosco vorrei focalizzare queste dimensioni, particolarmente attinenti alle problematiche che tratterò e che mi permettono di documentare quale sviluppo ne sia avvenuto:

  • relazione educativa e imprenditorialità;
  • riuscita dell’azione come dimostrazione della validità di ogni proposta e di ogni teoria;
  • l’astensione da ogni schieramento partitico.
1. Relazione educativa e imprenditorialità

La domanda che mi pongo è la seguente: dal punto di vista del carisma di don Bosco, da dove è partito questo sviluppo, del quale trattiamo, e come è stato realizzato?
Don Bosco non è partito con un progetto definito già scritto o presente nella mente, che successivamente ha realizzato. Mi riferisco a come egli è andato incontro ai giovani ed a quale relazione educativa ha vissuto con essi, dimostrando un’imprenditorialità eccezionale nell’impegno e nell’attività svolta per portarli, nella loro realizzazione, a sviluppare i propri talenti.

Ѐ fondamentale considerare, insieme con la sua importante capacità imprenditoriale dal punto di vista economico, le progressive realizzazioni che manifestano la sua capacità di lettura della vita e del bisogno di realizzazione dei giovani e la sua imprenditorialità, dal punto di vista educativo, di venire progressivamente incontro ai loro bisogni ed alle loro attese, fino a trovarne alcuni che si fermeranno con lui per aiutarlo nella sua opera. Questa imprenditorialità è maturata nella relazione educativa sia dal punto di vista religioso che civile: aiutare i ragazzi significa accoglierli nella situazione nella quale si trovano e portarli alla loro realizzazione.
Come spiega don Filippo Rinaldi, don Bosco non intende imporre i suoi schemi mentali alla crescita dei giovani, ma di aiutarli a realizzarsi secondo le loro aspirazioni.

2. Riuscita dell’azione e validità di una proposta

L’originalità indicata di don Bosco comporta l’attenzione fondamentale all’agire, non alla pura teoria. A differenza di vari pedagogisti del suo tempo, che hanno espresse varie idee simili alle sue, don Bosco non si è fermato alla pedagogia ma è stato con i giovani ed ha proposto ciò che egli realizzava con essi. Lo dice chiaramente fin dal primo Regolamento dell’Oratorio che egli ha terminato di scrivere nell’ottobre del 1854: senza la riuscita nell’azione non avremmo avuto né don Bosco né i salesiani.

3. Fuori da ogni schieramento partitico

Don Bosco è convinto di svolgere un’opera fortemente e grandemente sociale con la sua attività, mossa proprio dalla sua fede. Quanto egli sta facendo è nelle finalità di qualunque governo, che intende concorrere al bene delle persone, al loro sviluppo, ad una convivenza civile fondata sulla convinzione personale e garantita dalle leggi. Egli non cerca di destreggiarsi, ma di chiedere ad ogni governo, indipendentemente dai diversi schieramenti politici, di sostenerlo perché sta perseguendo l’interesse di tutti e rafforzando la convivenza civile e lo sviluppo della società. Si tratta, pertanto, di un’azione che ha una dimensione sociale di vasta portata, che tutti dovrebbero sostenere, e che deve esser aperta all’evoluzione dei tempi e della domanda.
Don Bosco non intende sfruttare la politica ai propri fini, e, mentre rispetta l’autorità civile, egli non vuole entrare in politica o fare scelte partitiche, e lo svolgimento della sua attività gli permette di dare un apporto molto forte alla convivenza civile ed alla ricostruzione della società. Spinto dalla carità evangelica e dalla missione della Chiesa offrì un apporto eccezionale a quanto la politica medesima doveva mirare. Vi era in lui un autentico convincimento interiore, non un gioco per i propri interessi, benché onesti e salutari.

Un punto di partenza

La nostra domanda fondamentale è la seguente: in che modo i Salesiani hanno sviluppato il carisma di don Bosco nel periodo che va dalla fine dell’800 alla prima metà del secolo scorso?
La domanda viene concretata, pertanto, in queste altre tre:

  • Come i Salesiani hanno sviluppato l’imprenditorialità nella relazione educativa con i giovani?
  • Si sono impegnati a realizzare oppure solamente ad avanzare proposte o a scrivere documenti?
  • Sono rimasti fuori da ogni schieramento politico?

Per rispondervi è necessario aprirsi a due constatazioni, che ci introducono alle modalità di relazione dei Salesiani tra di loro e con i Superiori, fondamentali nella visione e nella prassi di don Bosco:

  • i Salesiani progressivamente non si conoscono più tutti tra di loro;
  • i Salesiani non conoscono don Bosco (don Albera nel 1920). 

Proposta di problematiche

Vengo ora alle tre problematiche scelte.

1. La questione sociale

Il governo della Congregazione è intervenuto presto: «Dopo la pubblicazione della Rerum novarum sulla condizione degli operai il 15 maggio 1891, il sesto Capitolo generale del 1892 iscrisse nei temi da trattare lo studio della prima enciclica sociale […] Le deliberazioni uscite da questo Capitolo registrano di fatto, per la prima volta in un testo ufficiale della Congregazione, alcuni temi nuovi direttamente ispirati all’enciclica. Si chiedeva di tenere conferenze sopra i grandi problemi della società, quali il capitale, il lavoro, la merce, il riposo festivo, gli scioperi, il risparmio, la proprietà, evitando però di entrare in politica; di promuovere casse di risparmio, e di mettere i giovani a contatto con le società operaie e cattoliche». Però è importante l’intervento di don Rua su quest’ultimo punto: egli «aveva ritenuto utile intervenire, perché temeva che l’adesione a queste società esterne potesse nuocere alla direzione dei giovani interni. L’educazione nelle scuole professionali salesiane, per esempio attraverso la Compagnia di S. Giuseppe degli artigiani, doveva essere per i giovani soltanto un “preparazione” a tali società» (Morand Wirth). Propongo tre realizzazioni: le scuole, le scuole professionali e le scuole agricole.
Don Cerruti ha pubblicato nel 1898 Nozioni Elementari di Morale e d’Economia Politica: si tratta di un testo per la scuola, nel quale egli si augura che «possa riuscire di qualche utilità sì agli aspiranti all’Esame di Licenza Normale, pe’ quali in modo particolare fu fatta, come in generale a quanti sentono i loro doveri d’individui e di cittadini nella convivenza civile, politica e sociale». La trattazione che don Cerruti propone è molto aperta: critica fortemente il socialismo, in accordo pieno con Leone XIII sul diritto di proprietà, ma è aperto al discorso del lavoro dello scambio e del capitale e molto critico sull’intervento dello Stato.
Sarebbe importante riuscire a documentare quale ne sia stato l’apporto effettivo nelle scuole salesiane. Ma nei programmi d’insegnamento per le scuole salesiane, reperiti nell’ASC, non ho trovato nulla sull’argomento.
Tuttavia ne abbiamo una documentazione per le scuole professionali e per gli oratori. A riguardo di questi ultimi esistono nell’ASC due libretti: un Libretto di risparmio del Ricreatorio maschile Ven Don Bosco di Mirabello Monferrato (1914) ed   uno anteriore (1909) dell’Oratorio di Valdocco. Ed è fondamentale per il nostro argomento quanto è spiegato in quest’ultimo nella prefazione Agli amanti della gioventù: «L’Oratorio, nel concetto di D. Bosco, fu, è e deve essere l’opera permanente dei tempi; deve quindi camminare con questi studiandone le aspirazioni per bene incanalarle e i bisogni per porvi efficace rimedio. Se in passato in molti Oratori festivi, si mirava quasi esclusivamente all’istruzione religiosa, e ai divertimenti come attrattiva a quella (cose, del resto, affatto necessarie e che possono ancor oggi bastare pei giovanetti dagli 8 ai 12-14 anni), se in seguito si vennero introducendo pei più grandicelli Scuole ricreative e sportive e ultimamente anche Circoli di coltura e di studio, ora questi mezzi non bastano più. Nuove istituzioni omai s’impongono, se vuolsi far opera efficace e duratura; istituzioni che possono interessare non una o più classi di giovani, ma tutti indistintamente e a tutti tornar utili e vantaggiose. Egli è per questo, che nell’Oratorio festivo San Francesco di Sales in Torino – il primo fondato dal Ven. D. Bosco, - si è, con felice pensiero speriamo, messo mano a diverse opere d’indole economico-sociale; opere in parte nuove e in parte quivi trapiantate».
Per le scuole professionali dal 1898 è Consigliere del Capitolo superiore don Giuseppe Bertello: dopo l’inattività di don Giuseppe Lazzero, egli, seguendo le indicazioni del Capitolo Superiore e dei Capitoli generali, portò ad uno splendido sviluppo le scuole professionali salesiane e ne divulgò l’attività con le mostre internazionali.

Sottolineo tre cose: l’imprenditorialità salesiana: il continuo rinnovamento del macchinario, l’esigenza di produzione da parte dei laboratori e la formazione dei giovani all’imprenditorialità.
Tale imprenditorialità è testimoniata sia dai documenti (don Bertello), sia dalle mostre che dalla costante attenzione allo sviluppo industriale.
L’esigenza di produzione da parte dei laboratori emerge pure dal confronto con la legge del 1902; la formazione dei giovani all’imprenditorialità sia dalla costante esigenze che i giovani avessero sia un’istruzione corrispondente allo sviluppo del loro mestiere che un apprendistato efficiente.
Ѐ interessante sull’argomento quanto scrive Giorgio Rossi sull’Opera Salesiana Sacro Cuore di Roma: «Un secondo aspetto da far risaltare era la retribuzione settimanale in denaro degli allievi, in uso presso i salesiani e altre istituzioni. […] I laboratori, entro le norme governative, come quelle sul lavoro minorile, erano anche produttivi. Il guadagno dell'artigiano dipendeva da tre coefficienti: dal valore dei lavori eseguiti, dall'abilità e destrezza nell'eseguirli, dall'applicazione e diligenza messa dal ragazzo nel lavoro. Tutto era regolato da precise “norme per la rimunerazione settimanale degli alunni artigiani”. Dal libretto di ‘massa e deposito’ l'allievo poteva prelevare dal deposito solo una parte limitata di denaro, compresa la mancia settimanale dai 5 ai 15 centesimi. Un artigiano, al termine degli anni del corso professionale, raggiungeva nel 1910 una somma che oscillava intorno alle 200 lire, cioè l'equivalente di un anno di pensione. Questa usanza, se presente anche in altre istituzioni, all'Ospizio S. Cuore è stata precisata e strutturata sembra meglio di altre».
Un’evoluzione importante è documentabile nei Salesiani a riguardo degli istituti tecnici, che, accolti nel primo dopoguerra, si distinguono per la preparazione al lavoro (Istituto Pio XI di Roma, 1931).
Uno sviluppo speciale hanno avuto le scuole agricole salesiane. «Per i cattolici, si sa, si trattava di una categoria al centro dell’attenzione dei protagonisti dell’azione sociale come avevano dimostrato le molte iniziative assunte sul terreno della cooperazione specialmente di credito, anche se va detto che alcuni temi molto importanti per il lavoro dipendente, furono analizzati in modo sorprendentemente profondo» (Alberto Cova).
L’attività del salesiano don Carlo M. Baratta è stata importante dal punto di vista sia della realizzazioni da lui compiute che di un approfondimento delle questioni in prospettiva economica ed imprenditoriale. Ѐ stato eccezionale sia nella relazione educativa che nell’imprenditorialità, che non solo ha approfondito con pubblicazioni sulla Rerum Novarum, ma, con l’attivazione della scuola agricola di Parma, ha favorito la «svolta agraria» nella Congregazione proposta da don Rua nel 1992, la quale ha portato alla diffusione delle scuole agricole salesiane in vari parti del mondo.
In sintesi, i Salesiani hanno dimostrato anzitutto un’imprenditorialità educativa e sociale in risposta ai bisogni ed alle attese dei giovani, così come li hanno conosciuti nelle varie parti del mondo. La forza dello sviluppo sta nell’esperienza e nelle realizzazioni pregresse, che hanno ottenuto «quei frutti meravigliosi di rigenerazione spirituale» (don Albera).
Tuttavia don Rinaldi nel 1914 fa presente dei limiti nella qualità della nostra attività, a cominciare dalla relazione educativa, che non è sempre aperta e imprenditoriale come voleva don Bosco. Insieme con questo limite, ricordo quello della formazione dei Salesiani negli studentati, con l’introduzione del tirocinio pratico, del quale si è trattato nei Capitoli generali del 1898 (IX). Ѐ da approfondire come l’istituzionalizzazione dell’offerta ai giovani possa aver limitato l’imprenditorialità educativa dei Salesiani insieme con gli studentati che hanno progressivamente sopravvalutato la dimensione teorica della formazione. 

2. Azione cattolica e fascismo

La svolta impressa dallo Statuto Piemontese del 1848 con le leggi attuative conseguenti hanno portato all’assenza della Chiesa dal punto di vista giuridico nella società e allo strapotere dello Stato, che non ha certo sviluppato una politica liberale, ma spesso anticlericale.

Dal punto di vista giuridico, anche il clero ed i religiosi sono sul medesimo piano di ogni cittadino. Questa nuova impostazione costituzionale ha fatto sorgere il bisogno della presenza dei laici nella società e nel settembre 1867 aveva origine la Società della gioventù cattolica (Sgc) per l’incontro e l’azione di due giovani: Mario Fani di Viterbo e Giovanni Acquaderni.
Ma don Bosco aveva intuito questo impegno sociale come fondamentale nell’educazione della gioventù; la sua intuizione geniale l’ha portato a sviluppare la sua attività quale azione sociale nel rispetto delle leggi civili, senza entrare in alcun modo in politica. Tra l’altro definirà i suoi salesiani cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa. E con lo sviluppo dell’Associazione dei Cooperatori immetterà pure il laicato impegnato nella società civile.
Questa scelta ci fa comprendere il comportamento di don Bosco e dei Salesiani nello sviluppo dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia fino al 1904, quando si attenuerà il non expedit (tolto nel 1908), ma verrà soppressa l’Opera dei Congressi e si aprirà lo spazio all’inserimento politico dei cattolici sia nei tentativi di fondare un partito che nella associazioni sindacali (sindacato bianco).
Data la documentazione esistente relativa a Salesiani ed Azione Cattolica, ritengo importante approfondire la posizione dei Salesiani in un periodo estremamente difficile nello svolgimento della loro missione educativa, cioè durante il fascismo.
Come si può constatare, siamo di fronte ad una vera e progressiva sovrapposizione, sostenuta dall’affermazione di Pio XI: «Le quattro Compagnie dei Collegi e degli Oratori continueranno a svolgere le loro tradizionali attività e saranno “le più preziose ausiliarie dell’Azione Cattolica” con l’aggiunta: «e il vivaio dei suoi migliori elementi».
Il governo della Congregazione salesiana ha sempre sostenuto che le compagnie sono associazioni dei giovani per collaborare alla realizzazione dei propri compagni all’interno dell’ambiente salesiano: la collaborazione dei giovani al buon andamento dell’ambiente educativo salesiano ed all’educazione dei propri compagni è una caratteristica del carisma salesiano e fonte delle vocazioni.
Ѐ interessante notare come l’Azione Cattolica abbia favorito una teologia del laicato, che ha trovato espressione nel Concilio Vaticano II. Ed è da tener presente che don Bosco con i religiosi laici e con i Cooperatori ha dato un forte impulso all’impegno dei laici nell’azione della Chiesa.
Con il fascismo e le dittature la dimensione sociale dell’impegno civile della Chiesa viene soffocata.
Pio XI si impegna a salvare la dimensione educativa dell’azione della Chiesa, mettendo avanti don Bosco. L’impegno di Pio XI per l’educazione è salvaguardato attraverso l’Azione Cattolica. I Salesiani, mentre da una parte ubbidiscono al Papa, dall’altra non intendono assolutamente cedere sulle Compagnie, perché fanno parte della loro identità e del carisma di don Bosco. Le Compagnie hanno un legame diretto con lo sviluppo della pietà e la nascita e la crescita delle vocazioni nella Casa salesiana: impegnavano i giovani ad essere educatori dei loro compagni ed ad concorrere allo sviluppo positivo dell’ambiente educativo salesiano.
Nel 1947 con Pio XII siamo giunti fino al punto di una vera e propria sovrapposizione tra le Compagnie e l’Associazione della Gioventù Salesiana di Azione Cattolica. Sarebbe interessante avere il tempo di documentare tutto il processo dei rapporti tra Santa Sede e Congregazione Salesiana su questo argomento.
Concludo con le parole che don Ricaldone rivolse al XV Capitolo generale (1938): «Nei documenti pontifici troviamo saggie disposizioni. Attenti quindi a non pensare che l’A.C. debba distruggere il bene passato operato ad es. dalle Compagnie e Associazioni già esistenti: il Papa le ha definite le migliori forze ausiliarie dell’A.C. Non distruggerle, quindi; ma perfezionarle».

Negli anni ’60 del secolo scorso le compagnie sono scomparse ed è svanita una dimensione carismatica dell’educazione salesiana: la collaborazione associativa dei giovani per la realizzazione dell’ambiente educativo di una casa salesiana.

3. Il movimento liturgico

Inizio con le affermazioni di due Rettori Maggiori. Don Ricaldone scriveva nel 1939 sul Movimento liturgico: «Ѐ necessario pertanto, sia per ossequio ai desideri dei Sommi Pontefici, sia per la necessità di fatto, che le nostre case e i nostri istituti figurino in prima fila anche in questo movimento». Don Egidio Viganò nel 1983: «Nel campo liturgico, che dovrebbe essere per noi come il momento di sintesi della nostra pedagogia popolare, è mancata una ispirata genialità capace di valorizzare, a favore dei ragazzi e del popolo, la ricchezza dei segni sacri. La musica, la banda, il canto non hanno, nella vita della Congregazione, l’importanza di altri tempi».
Sembra difficilmente accettabile l’affermazione di Stephen Kuncherakatt, riproposta in forma un po’ attenuata da Desramaut, che con il 1916 inizia il soffocamento del movimento liturgico nella Congregazione salesiana, se consideriamo che don Ricaldone propone nel 1939, come punto specifico nella visita alla case il Movimento liturgico:
«1. Ѐ bene che il Visitatore dia importanza speciale a questo punto. Infatti è noto quanto questo movimento sia stato propugnato ed inculcato da Pio X, da Benedetto XV e da S.S. Pio XI.
2. Esso è ormai largamente diffuso dappertutto, e sebbene non sia ancora penetrato nelle masse del popolo quanto è necessario e quanto i Sommi Pontefici hanno mostrato di desiderare e di volere, tuttavia è su larga scala attuato e seguito non solo nei Seminari ed Istituti, ma anche nelle file delle Associazioni di Azione Cattolica».
Ѐ interessante notare come la ricostruzione degli apporti di don Bosco proposta da don Ricaldone sia concorde con quanto affermano Stella, Desramaut, Valentini e José Aldazàbal.
Eugenio Valentini scriveva nel 1977: «Don Giovanni Battista Grosso […] rimane indiscutibilmente tra i grandi pionieri del “Movimento Liturgico Italiano”, e il fondatore e l’ideatore di tale “Movimento” in seno alla Congregazione Salesiana». E di Don Eusebio Vismara: «non fu solo un pioniere del “movimento liturgico”, ma fu anche un profeta della riforma liturgica, attuata dal Vaticano II». Manlio Sodi chiarisce che il Congresso liturgico di Lombriasco, realizzato da don Grosso nel 1905, «può, anzi deve essere considerato come “la prima manifestazione del Movimento liturgico italiano” e sicuramente “l’inizio del Movimento liturgico in seno alla Congregazione Salesiana”».
L’appoggio dei Superiori è stato costante. «In Italia all’inizio del secolo pochi comprendevano la riforma gregoriana, e molti osteggiavano apertamente l’interpretazione di Solesmes. Solo il Beato don Rua capì don Grosso e lo appoggiò in questo compito» (Valentini). Ugualmente don Rinaldi, sia come Prefetto generale della Congregazione al tempo del rettorato di don Paolo Albera, sia come Rettor maggiore.
Attraverso l’attività e gli scritti di don Grosso e don Vismara il movimento ceciliano (Josip Gregur ha trattato Don Bosco und das Movimento Ceciliano) ed il movimento liturgico nacquero e si svilupparono in Italia iniziando prima dalla Francia. In Italia la loro attività dalla Francia si svolge in Piemonte e soprattutto a Torino, ma attraverso la formazione del personale salesiano si è propagata progressivamente nel mondo salesiano. Dopo la loro morte ancora nel Capitolo Generale XVI del 1947 se ne approfondiscono il discorso e li impegni.
Resta da spiegare quanto afferma Eugenio Valentini sull’involuzione del movimento liturgico in Congregazione con l’inizio degli anni quaranta. Probabilmente ciò è dovuto alla morte di don Grosso (21 novembre 1944) e di don Vismara (3 gennaio 1945): non vi sono stati continuatori a quel livello.

Forse dobbiamo riscoprire don Bosco: aveva messo il rosario durante la S. Messa perché, venendo celebrata in lingua latina, i giovani non erano in grado di comprendere i testi sia delle scritture che del messale? Infatti egli voleva che i giovani fossero sempre attivi. Tuttavia egli li faceva istruire sul valore ed il significato delle azioni liturgiche affinché vi partecipassero attivamente, fino ad apprendere in parte il latino della S. Messa. Certamente voleva la partecipazione attiva dei giovani e, con la liturgia in lingua parlata avrebbe potuto sviluppare con forza la partecipazione dei giovani, come ha voluto il Concilio. Ѐ questa una dimensione della relazione educativa realizzata da don Bosco.

Conclusione

Le prospettive descritte presentate permettono di documentare come la Congregazione Salesiana, dal punto di vista del governo centrale, ha cercato di rispondere alle problematiche che emergevano dai tempi dalla fine del secolo XIX alla metà del secolo scorso.
L’impegno sociale tocca una dimensione fondamentale della Congregazione, impegnata a formare onesti cittadini. Il rapporto con l’Azione Cattolica documenta l’impegno di salvaguardare l’identità dell’ambiente educativo salesiano, nel quale i giovani sono impegnati a crescere nella loro vocazione aperta al Trascendente, impegnandosi ad aiutare nella crescita pure i propri compagni ed a collaborare, associandosi, ad un miglioramento continuo dell’ambiente educativo medesimo. Purtroppo le compagnie sono sparite. L’impegno della pietà e della vocazioni, spesso sottolineato dai Salesiani a riguardo delle compagnie, sottintende che queste era un apporto fondamentale proprio nel sollecitare la vocazione all’educazione dei giovani iniziando dai propri compagni.

Il movimento liturgico arriva all’educazione cristiana a livello profondo, portando i giovani a comprendere ed a vivere, partecipando, all’azione liturgica. Il problema della lingua sarà superato soprattutto con il Vaticano II, ma vedere già don Bosco impegnato a far vivere, con una comprensione autentica, la liturgia, è un dato fondamentale.
Il problema dell’imprenditorialità educativa di don Bosco e di primi tanti primi Salesiani risulta aperto su tutti e tre i fronti.

L’istituzionalizzazione ha soffocato l’originalità, la creatività e l’imprenditorialità salesiana delle origini, passando evidentemente attraverso tempi difficili. Ma non posiamo dire che i tempi di don Bosco siano stati facili. Ritengo che sia importante per noi sviluppare la creatività e l’imprenditorialità educativa di don Bosco e di molti Salesiani dei primi tempi, ritornando in mezzo ai giovani, dialogando continuamente con loro per comprenderli, scoprire le loro attitudini ed aspirazione ed aiutarli a realizzarle in un progetto di vita aperto alla chiamata trascendente in un ambiente educativo che sia effettivamente una casa, dalla quale vengono i giovani per stare con don Bosco.