Don Bosco

Atti del Primo Congresso Internazionale di Studi

DON BOSCO NELLA STORIA

Atti del Primo Congresso Internazionale di Studi su San Giovanni Bosco

(Pontificia Università Salesiana - Roma, 16-20 gennaio 1989)


Edizione in spagnolo diretta da
José Manuel PRELLEZO GARCÍA
LAS - ROMA
EDITORIALE CCS - MADRID


PRESENTAZIONE

Il volume contiene i documenti presentati al "Congresso Internazionale 1 Studi di San Giovanni Bosco il suo tenuto a Roma dal 16 al 20 gennaio 1989. Esso è pubblicato anche in italiano e in inglese.

Con queste linee non intendo fare un esame critico di tali collaborazioni, né presentare il tema, lo sviluppo e le realizzazioni del Congresso. La partecipazione di storici e studiosi noti pensiero di Don Bosco e la portata delle questioni di garanzia, già, l'interesse e l'importanza di questa pubblicazione ha affrontato. In effetti, il "Primo Congresso Internazionale di Studi su San Juan Bosco" distinto "dal netto miglioramento di tutti approccio agiografico e l'alto livello scientifico della maggior parte delle presentazioni e comunicazioni. ''
Queste righe vogliono semplicemente evidenziare le principali caratteristiche dell'edizione castigliana, al fine di facilitarne la lettura e la consultazione.

Il libro riproduce sostanzialmente i lavori presentati nelle sessioni generali. Gli autori, in un secondo momento, sono stati in grado di completare il testo delle loro collaborazioni e la documentazione necessaria. Solo in alcuni casi - che sono indicati una volta ogni tanto -, la nota bibliografica aggiunta è il lavoro del responsabile del montaggio (nde).

La struttura del volume, tuttavia, non rispetta rigorosamente l'ordine con cui i vari argomenti sono stati letti prima dei membri del Congresso. Tenendo conto delle caratteristiche specifiche delle collaborazioni, la Commissione scientifica ha preferito suddividere la pubblicazione in quattro blocchi tematici omogenei: I. Don Bosco nella storiografia; II. Don Bosco nella Chiesa e nella società; III. Don Bosco e educazione; TV. Don Bosco e cultura popolare.

Il libro completa le "conclusioni" del Congresso e alcune "comunicazioni libere", leggere nel gruppo di lingua spagnola. Per gli editori e le esigenze di spazio, non è stato possibile pubblicare tutte le osservazioni, orali o scritte, presentate in organizzati tre gruppi linguistici (spagnolo, italiano, inglese). Dopo un attento esame, i membri del comitato scientifico sono stati costretti a selezionare solo un piccolo campione di queste "comunicazioni libere" a seconda delle diverse zone linguistiche comprese in ciascuna delle varie edizioni. Il lettore interessato a conoscere le "comunicazioni libere" presentate nel gruppo di lingua italiana o inglese dovrebbe, quindi, consultare le rispettive edizioni.

'G. MARTINA, 111 Congresso Internazionale di Studi su San Giovanni Bosco, in "Journal di Storia della Chiesa in Italia" 43 (1989) 274. Cf. R. Aubert, Congrés in "Revue d'Histoire Écdésiastique" 84 (1989) 1, 275-276.

La presente edizione spagnola è stata preparata dai manoscritti originali, seguendo i criteri brevemente indicati di seguito.

Il testo preparato dai rispettivi autori è stato rigorosamente rispettato. Di questi è la responsabilità totale di ciò che scrivono. Gli interventi negli originali, da parte del responsabile dell'edizione, sono stati fondamentalmente di natura "tecnica": completare, quando possibile, i dati bibliografici; unificare la presentazione dell'apparato critico; correggere alcuni errori materiali, che gli autori, inavvertitamente, non hanno corretto. Quando una di queste correzioni avrebbe potuto significare un cambiamento di direzione o sfumatura di una certa entità, l'opinione dell'autore stesso è stata presa in considerazione.

Se consideriamo i diversi argomenti e, soprattutto, la diversità degli approcci e delle fonti documentarie utilizzate, è facile capire che non è sempre stato facile applicare criteri rigorosamente uniformi. La coerenza e la correttezza metodologica indispensabili sono state combinate con il rispetto delle preferenze degli autori e le caratteristiche dei diversi stili e contributi.

Nell'edizione castigliana ho cercato di non perdere di vista le esigenze dell'ambiente culturale spagnolo e latinoamericano.2 Per la traduzione, è stato possibile contare sulla preziosa collaborazione di Alberto García-Verdugo e Graciliano González. Anche i suggerimenti di Santiago Arribas, Jesús M. García e Rafael Vicent, che hanno letto diverse pagine del progetto, sono stati molto utili. Juan Manuel Espinosa e Nicolás Merino hanno corretto i test di stampa, correggendo le inavvertenze e introducendo miglioramenti formali stimabili. A tutti, miei cordiali ringraziamenti.

Roma, 24 giugno 1989
J. MPG

2 Nell'apparato critico, è stato preferito riprodurre le citazioni letterali nella lingua in cui l'autore della collaborazione lo ha fatto. Tranne nel caso dei santi di famiglia al lettore della lingua castigliana, l'espressione originale dei nomi propri degli autori e delle persone sopra menzionate è stata conservata ordinariamente. È stata mantenuta anche la denominazione di alcune istituzioni note (Mendicitá istruita, Mujo, Convitto ecclesiastico di Torino), che è citata più volte nel volume. Le opere che sono state scritte e lette in spagnolo nelle sessioni generali saranno indicate una volta alla volta. Il lavoro di É Poulat e le comunicazioni di F. Desramaut, G. Avanzini e J. Schepens sono stati presentati in francese. Gli altri, in italiano.

SOMMARIO

Acronimi e abbreviazioni delle opere citate 9
Organizzazione 11 Congresso
salutare il Congresso (E. Viganò) 13
Introduzione (R. Giannatelli) 15
Parte I : DON BOSCO nella storiografia
equilibrio di forme di conoscenza e gli studi don Bosco (P. Stella) * 21
come ha lavorato su "Memorie biografiche" (F. Desramaut) 37 autori
del epistolari come una fonte di conoscenza e di studio di Don Bosco. Progetto
edizione critica (F. Motto) 67
Lo stato e l'uso dell'Archivio Salesiano Centrale (R. Farina) 81
Parte Due : DON BOSCO Chiesa nella società YEN
Don Bosco e la Chiesa nel mondo del suo tempo (E. Poulat) * 93
L'esperienza e il senso della Chiesa nell'opera di Don Bosco (JM Laboa) * 109
Il conflitto tra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi (1871-1883)
(G. Tuninetti) 135
Chiesa e il mondo nella "Storia Ecclesiastica "Don Bosco (F. Molinari) 145
nelle radici della spiritualità di Don Bosco (M. Marcocchi) 159
Don Bosco e associazioni cattoliche in Spagna (R. Alberdi) 179
Don Bosco e Maria Domenica Mazzarello: storico e rapporto spirituale (A. Deleidi) 207 salesiane di Don Bosco in materia di Don Bosco (ME Posada) 219
Don Bosco e della società civile (G. Bracco) 231
Don Bosco e il mondo del lavoro (S. Tramontin) 237
Third parte: DON BOSCO E ISTRUZIONE
L'opzione per i giovani e l'approccio educativo di Don Bosco (L. Pazzaglia) * 259
La pedagogia di San Juan Bosco nel suo secolo (G. Avanzini) 291
Don Bosco e l'Oratorio (1841-1855) (G. Chiosso) 299
Don Bosco e la scuola umanista (B. Bellerate) 317
* L'asterisco indica i documenti del Congresso.

Don Bosco e le scuole professionali. Storico approccio (1870-1887) (JM Prellezo García) 333
Integrazione di scuola e attività extrascolastiche nella prospettiva di Don Bosco (C. Scurati) 357
Penitenza e dell'Eucaristia in materia di istruzione in base a Don Bosco (J. Schepens) 373
Don Bosco e la formazione delle vocazioni ecclesiastiche e religiose (F. Jimenez) 395
parte quarta: Don Bosco e la cultura popolare
Don Bosco nella storia della cultura popolare in Italia (F. Traniello) 413
Don Bosco e il teatro popolare (S. Pivato) 429
Don Bosco e la stampa (F. Malgeri) 441
Don Bosco e la musica (G. Sforza) 451
originalità Patagónicas missioni Don Bosco (J. Borrego) 457
Parte quinta: COMUNICAZIONI LIBERE
DEL GRUPPO DI LINGUA SPAGNOLA
L'origine della letteratura salesiana in Spagna vive a San Juan Bosco (MF Núñez Muñoz) 475
Don Bosco, educatore Joy (B. Delgado) 505
Un modello umanistico di educazione cristiana (A. Sopeña) 515
parte sesta: SESSIONE dI CHIUSURA
Presentazione (scheda AM Javierre Ortas.) 525
Don Bosco e la modernità (P. Scoppola) 527
prospettive e iniziative di ricerca su Don Bosco (P. Braido) 537
nomi Indice 547 persona
Indice 561
abbreviazioni dei più citato funziona
ACG Atti del Consiglio Generale della Congregazione Salesiana (dopo 1984)
ACS Atti del Capitolo (Consiglio) Superiore della Congregazione
Salesiana (prima del 1984)
AGFMA Archivio Generale delle FMA (Roma)
Annali E. CEIUA, Annali della Societa Salesiana, Torino, SEI 1941-1945.

ASC salesiano archivio centrale (Roma)
ASV Segreto Vaticano Archives
Bosco, Scritti sul G. Bosco, Scritti sul preventiva sistema nell'educazione della
sistema preventivo Gioventù, a cura di P. Braido, Brescia, La Scuola 1965
Bosco, Scritti G. Bosco, Scritti pedagogici e spirituali, a cura di J. Borrego, P.

pedagogici Braido, A. Ferreira, F. Motto, JM Prellezo, Roma, LAS 1987
BRAIDO, Don Bosco P. BRAMO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell'umanità.

Chiesa Studi e Nella testimonisnze, Roma, 1987, LA
Cronistoria CAPEM G. (ed.), Cronistoria dell'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, 5 vol., Roma, dell'Istituto delle FMA 1974-1978
E S. Giovanni Bosco Epistolario di, 4 vol., a cura di E. Ceda, Torino, SEI 1955-1959
FMA Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA)
ISS Istituto Storico salesiano (Istituto Storico salesiano) (Roma)
LC "Letture Cattoliche»
MB GB Lemoyne, Memorie biografiche Don Giovanni Bosco, ..,
vol. I-VI, San Benigno Canavese, Scuola Tipografica e Libreria Salesiana 1898-1907; GB LEMOYNE, Memoria biografiche del venerabile Don Giovanni Bosco, vol. VII, Torino, Biblioteca Salesiana Editrice 1909; (Vol VIII-IX: Torino, Tip SAE), "Buona Stampa" 1912-1917); GB LEMOYNE - A. AMADEI, Memoria biografiche di San Giovanni Bosco, vol. X, Torino, SEI 1939; E. CERIA, Memorie biografiche del Beato Don Bosco, vol. XI-XV, Torino, SEI 1930-1934; ID., Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco, vol. XVI-XIX, Torino, SEI 1935-1939
MO G. Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal
1815-1855, a cura di E. Yield, Torino 1946:
nota NDE responsabile per l'editing
OE G. Bosco, Opera edit. Prima serie: Libri e opuscoli, Roma, LAS
1976-1977
RSS «Ricerche Storiche Salesiane» Salesiani
salesiani di Don Bosco
SE G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole ..., Torino, Tip.

Speirani e Ferrero 1845
STELLA, Don Bosco P. STELLA, Don Bosco nella storia della Cattolica Religiosità, vol.I:
III DI Vita e opere, Roma, LAS 1979 (1a ed 1968); vol. II: Mentalitá
religiosa e spiritualitá, Roma, LAS 1981 (1a edizione 1969); vol. III: La canonizzazione (1888-1934), Roma, 1988
ORGANIZZAZIONE DEL CONGRESSO
sviluppatore Commissione
Giannatelli Roberto, Rettore della Pontificia Università Salesiana (Roma)
MI: 0AL 'Mario Tarcisio Bertone, Vicerrectores UPS
Pilca John Dean Facoltà di Teologia dell'UPS
PE-1E1 Michele, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione presso l'UPS
COLOMBO Antonia, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione "Au
xilium" (Roma)
Urlò Pietro, Direttore dell'Istituto Storico Salesiano (Roma)
Commissione Scientifica
Midali Mario, Vice Cancelliere dell'UPS (Presidente)
ALBERDI Ramon, Centro Salesiano per gli studi teologici (Barcelona)
BORREGO Gesù Istituto Storico Salesiano (Roma)
Deleidi Anita, Pontificia Facoltà "Auxilium "(Roma)
Desramaut Francesco, Università cattolica di Lione
FARINA Marcela, Pontificia Facoltà" Auxilium "(Roma)
Morro Francesco, Istituto Storico salesiano (Roma)
Prellezo GARCIA José Manuel, Facoltà di Scienze della Formazione dell'UPS
SCHEPENS Jacques," Centrum per Kerkerlijke Studies »(Leuven)
STELLA Pietro, Università« La Sapienza »(Roma)
Comitato organizzatore
BERTONE Tarcisio, Vice Cancelliere dell'UPS (Presidente)
Schepens Jacques, segretario del Congresso
ARDITO Sabino, Facoltà di Giurisprudenza UPS
Chenis Carlo, Facoltà di Filosofia dell'UPS
Coffele Gianfranco, Facoltà di Teologia dell'UPS
DAL COVOLO Enrico, Facoltà di Lettere Christian e classica UPS
Fizzotti Eugenio, Facoltà di Scienze della Formazione dell'UPS
Puthota Benjamin, amministratore UPS
Bisogni Silvana, Segretario del Rettore dell'UPS
presidenti della generale Sessions
Scoppola Pietro, Università "la Sapienza", Roma ( 16 gennaio)
AUBERT Roger, Catholic University, Louvain-La-Neuve (17 gennaio)
Carta POUPARD. Paul, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (18 gennaio)
MARTINA Giacomo, Pontificia Università Gregoriana, Roma (18 gennaio)
Traniello Francesco, Università di Torino (19 gennaio)
Galino Angeles, Universidad Complutense di Madrid (19 gennaio)
Javierre Ortas card. Antonio, Bibliotecario e Archivista di SIR (20 gennaio)
Partners
ALBERDI Ramon Centro Salesiano per Theological Studies (Barcelona)
AVANZJNI Guy, Università "Lumiere" (Lyon)
BELLERATE Bruno, Università "La Sapienza" (Roma)
BORREGO Gesù Istituto Storico SDB (Roma)
BRACCO Giuseppe, Torino Univesidad
gridò Pietro, dell'Istituto Storico salesiano e Università Pontificia Salesiana (Roma)
CHIOSSO Giorgio, Università di Lecce
Deleidi Anita, Pontificia Facoltà "Auxilium" (Roma)
DELGADO Buenaventura, Università di Barcellona
Desramaut Francesco dell'Università Cattolica di Lione
FARINA Raffaele, Università Pontificia Salesiana (Roma)
JIMENEZ Fausto, Centro Salesiano per gli studi teologici (Madrid)
Laboa Juan Maria, Universidad de Comillas (Madrid)
Malgeri Francesco, Università "La Sapienza" (Roma)
MARcocau Massimo, Università cattolica di Milano
MOLINARI Franco, Università cattolica di Milano
MOTTO Francesco, Istituto Storico salesiano (Roma)
NÚÑEZ Maria Fe, Università di la Laguna (Canarias)
PAZZAGLIA Luciano, Università Cattolica di Milano
P1VATO Stefano, Università di Trieste
Posana Mary Esther, Pontificia Facoltà "Auxilium" (Roma)
Poulat Émile, "Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales" (Parigi)
PREJ.F.70 José Manuel, Università Pontificia Salesiana (Roma)
Schepens Jacques, "Centrum voor Kerkelijke Studies" (Leuven)
Scoppola Pietro, Università "La Sapienza" (Roma)
SCURATI Cesare, Università cattolica di Milano
SFORZA Giulio, Università "La Sapienza" (Roma)
Sopena Andrés, Universidad Pontificia de Salamanca
STELLA Pietro, Università " La Sapienza "(Roma)
TRAMONTEN Silvio, Facoltà Teologica di Milano
Traniello Francesco, Università di Torino
TUNINETIT Giuseppe, Facoltà Teologica di Torino

 

SALUTO AL CONGRESSO

Eccellenze di Eminencias
Caro Rettore e Autorità accademiche.
Distinti membri del Congresso:
è mio piacere e onore rivolgere il mio più attento saluto e la mia gratitudine per la tua presenza, augurandomi un successo totale in questa speciale iniziativa universitaria.

Questo è il primo congresso internazionale di studi sulla poliedrica figura di San Giovanni Bosco: è un fatto singolare nella variegata serie di iniziative che hanno caratterizzato la celebrazione del centenario della sua morte.

Il Congresso, organizzato dalla Pontificia Università Salesiana, è aperto al mondo accademico internazionale. Ha lo scopo di approfondire, nell'ambito della ricerca storica con rigore scientifico, la personalità e il segno di Don Bosco nelle vicissitudini del secolo scorso.

Si propone di concentrarsi su studi e altre forme di conoscenza al riguardo, evidenziando, allo stesso tempo, le ragioni della rilevanza del suo messaggio per la società contemporanea.

L'importanza di questa iniziativa e del suo risultato è chiara per coloro che, come me, hanno il ministero di incoraggiare una grande Famiglia impegnata a prendersi cura e sviluppare il proprio patrimonio pedagogico-pastorale.

Sono stato in grado di prendere parte alla prima fila in molte celebrazioni di contenuti diversi e in tutto il mondo. Don Bosco ha superato non solo i confini del suo secolo, ma anche quelli della sua Famiglia apostolica. È stato per lungo tempo un santo della Chiesa universale, accettato come eminente insegnante di educazione cristiana e l'origine di una spiritualità peculiare, viva e attuale dopo oltre un secolo.

La sua figura e il suo lavoro hanno suscitato e continuano a suscitare grande interesse in vasti settori della vita sociale, dal mondo dell'istruzione e della scuola al lavoro e al tempo libero; dall'area della cultura popolare a quella di economia e politica. E, allo stesso modo, da un modo pratico di rileggere il Vangelo alla peculiare istituzione di forme di vita consacrata.

C'è un aspetto su cui la produzione scientifica, soprattutto teologica, è, fino ad oggi, ancora limitata: l'aspetto ecclesiale del suo ruolo di Fondatore. È un aspetto che, a mio parere, non entra direttamente negli obiettivi di questo Congresso.

È un aspetto delicato e complesso, sentito molto profondamente da me e nel quale mi trovo coinvolto in modo vitale.

Un ricercatore dell'argomento ha giustamente scritto: "Lo studio dei Fondatori non è facile, anche se abbiamo a disposizione vari metodi di ricerca scientifica, perché i fondatori resistono a qualsiasi spiegazione umanamente storica, sociologica e psicologica. Quando ci avviciniamo a loro, ci scontriamo con qualcosa che ci sfugge; E anche quando pensiamo di conoscerli bene, ogni volta che li studiamo, scopriamo qualcosa di nuovo. Come puoi spiegare questo mistero, questa ricchezza inesauribile? Semplicemente con il fatto che quando incontriamo un Fondatore, vediamo che è Dio che agisce attraverso di lui ».
Pertanto, rimane aperta una prospettiva importante che può anche influenzare il significato delle varie indagini, ma a cui le altre scienze possono contribuire con preziose luci.

È, quindi, molto importante, non solo per i suoi discepoli, ma anche per il vasto mondo della cultura, avere studi su Don Bosco e la sua opera fatta con rigorosi criteri scientifici, base indispensabile per una presentazione della sua statura storica e del suo messaggio camminava in modo solido in dati oggettivi, e libero, il più, il migliore, di ottica distorta, valutazioni parziali e descrizioni approssimative.

Spero fortemente che il Congresso possa offrire in questo senso preziosi contributi che si aggiungono ad altri studi che sono ora disponibili, in parte, ai ricercatori.

Grazie!
Egidio VIGANÓ
Gran Cancelliere
della Pontificia Università Salesiana
I T. GRZESZCZYK, 11 carisma dei fondatori, Colima «Sanctitas in caritate», Roma 1974, p. 11.

 

INTRODUZIONE

Come Rettore della Pontificia Università Salesiana, porgo i miei saluti ai partecipanti al Primo Congresso Internazionale di Studi su San Giovanni Bosco. E a nome della Commissione Promotrice, vorrei esprimere la nostra gratitudine a tutti coloro che, in modi diversi, hanno reso possibile per loro: relatori, organizzatori, sponsor e tutti voi, i Membri del Congresso, che hanno risposto al nostro invito.

La vasta e diversificata comunità universitaria del gruppo di continuità, con le sue cinque facoltà di Teologia, Scienze dell'Educazione, Filosofia, Diritto Canonico e lettere, i suoi mille studenti provenienti da 65 nazioni, 120 insegnanti e assistenti, vi accolgono con particolare interesse e sono felice di offrire la loro ospitalità che, anche se semplice e austero, vogliono essere franco e cordiale, secondo l'eredità ricevuta da Don Bosco, protettore e ispiratore della nostra Università, definito dal suo Rettore come "Università don Bosco per i giovani ».

La partecipazione dell'UPS all'evento centenario della morte di San Juan Bosco potrebbe sembrare un fatto scontato. E, infatti, dal novembre 1983, il Senato accademico si impegnò a definire il programma dell'università per il 1988. Nella seduta del 3 dicembre 1986, votò una risoluzione che fissava gli impegni della comunità universitaria in sette punti. Li ricordo brevemente:
1. Dedicare un numero speciale della rivista "Salesianum" alla commemorazione del Centenario. Questo numero della rivista è stato pubblicato nel gennaio 1988 con il titolo: Pensiero e prassi di Don Bosco nel 1 Centenario della morte (31
gennaio 1888-1988) 2. Convocazione di un congresso internazionale di studi su Juan Bosco nel gennaio 1989;
3. Promuovere corsi accademici su Don Bosco e Salesianità, anche con la formula del Visiting Professor;
4. Organizzare un concorso per stimolare e premiare la ricerca degli studenti su argomenti intorno a Don Bosco;
5. Pubblicare un volume che presenti i motivi per cui Don Bosco viene proposto come "Dottore della Chiesa per l'educazione cristiana";
6. Organizzare un pellegrinaggio della comunità UPS (insegnanti e studenti) ai luoghi di Don Bosco;
7. Proietta la nuova "Biblioteca Don Bosco" dell'Università e avvia la raccolta dei fondi necessari per la sua realizzazione. (Ringrazio il Gran Cancelliere che ha sempre sostenuto la nostra proposta e che benedirà la prima pietra della "Biblioteca Don Bosco" il 25 gennaio).

Tra le varie proposte del Centenario, quella del Congresso Internazionale è stata la più laboriosa nella sua genesi e definizione. In un primo momento è stata pensata una convenzione ampia e aggiornata sul tema "educatore di Don Bosco". A tal fine avevo lavorato, dalla primavera del 1985, in un gruppo misto di professori di UPS e della Facoltà di scienze dell'educazione "Auxilium" delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È stata avviata un'indagine che, partendo dalla domanda formativa delle nuove generazioni, è tornata alla memoria storica della "esperienza preventiva di Don Bosco" e, se possibile, alla tradizione dopo Don Bosco, per trovare motivi valido e attuale per l'educazione nel nostro tempo.

Questa ipotesi fu immediatamente abbandonata e si privilegiava l'idea di un Congresso scientifico che non fosse limitato all'aspetto pedagogico, ma capace di affrontare la ricca e complessa figura e opera di Don Bosco.

Lo studio di "Don Bosco educatore" sarebbe la Facoltà di Scienze della Formazione, con due iniziative di rilievo:
i Salesiani pedagoghi simposio "pastorale Prassi educativa e Scienze dell'educazione" (Roma, settembre 1987) .1
e seminario interideológico, promosso dalla rivista "pedagogici Orientamenti": "l'Esperienza di Don Bosco pedagogica: Eredita, Contesti, Risonanze, Sviluppi" (Venezia, "Fondazione Cini", 3-5 ottobre 1988) .2 in
aggiunta, la Facoltà di giurisprudenza Canon promuove un convegno sul tema "i diritti del Minore 'in base a tutte le azioni intraprese in questo campo dal Santo Educatore (30 novembre 2 ottobre 1988).

Era maggio 1987 quando il Senato Accademico del gruppo di continuità è venuto a chiarire definitivamente lo scopo e la natura del Congresso: Congresso, sarebbe la fine del centenario di Don Bosco, è stata indirizzata al mondo internazionale e dovrebbe proporre lo scopo di chiedere un più ampio da parte del mondo scientifico in considerazione la figura e l'opera di San Juan Bosco.

Congresso è stato caratterizzato da una duplice attenzione: a proporre come un equilibrio di cento anni di studi e le modalità di conoscenza di Don Bosco e aperto, se possibile, una nuova fase di studi sulla Sacra, più ricco nella sua struttura e più critico della sua metodologia.

Il Senato accademico ha anche proposto di condividere la responsabilità del Congresso con l'Istituto storico salesiano e la Facoltà di scienze dell'educazione "Auxilium" delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

JE VECCHI - JM PRELEZZ0 (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell'educazione, Roma, Editrice SDB 1988.

2 C. NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LAS 1989.

In questo Brevo entro diciotto mesi di preparazione, la Commissione Scientifica, i colloqui con gli altoparlanti che di base e la conferenza delle comunicazioni sono stati proposti, ha definito il Congresso congiunto
- il primo giorno è dedicato alla valutare l'equilibrio delle forme di la conoscenza e gli studi di Don Bosco, proposto dal prof. P. Stella e comprendente comunicazioni Desramaut F., E. F. Motto e Farina;
- La seconda giornata tratta del rapporto tra Don Bosco e la società civile, presentato dal prof. G. Bracco e S. Tramontin. Devo scusare l'assenza del prof. G. Miccoli che, per gravi motivi familiari, ha dovuto rinunciare a presentare la sua conferenza, anche se intende pubblicare a breve. Di fronte a questa situazione, emersa molto di recente, la commissione scientifica ha chiesto al prof. B. Bellerate e JM Prellezo per anticipare le loro comunicazioni su Don Bosco e la scuola umanistica e professionale;
- il terzo giorno del Congresso del rapporto tra Don Bosco e la comunità ecclesiale con due documenti sono studiati: una più caratterizzato da un tocco storico-sociologica, l'altro più vicino all'esperienza compresi educativo e pastorale (É Poulat.) promossa da Don Bosco nei circoli della Chiesa (JM Laboa). Vorrei a indicare che il prof comunicazione. G. Alberigo, che non possono partecipare, essere sostituito con il prof comunicazione. M. Marcocchi sul tema: "Le fonti della spiritualità di Don Bosco";
- Giorno 19, Giovedi, si concentrerà sul tema della "opzione per i giovani e la proposta educativa di Don Bosco" esposto dal prof. L. Pazzaglia e arricchita con numerosi aspetti comunicaciones.sobre particolari dell'esperienza educativo di Don Bosco;
- (. Presentati alla password conferenza F. Traniello prof) l'ultimo giorno, Venerdì 20, sarà dedicata a prendere in considerazione altri aspetti della personalità di Don Bosco, Don Bosco come educatore del popolo, le comunicazioni sociali (questa discussione comunicazione farà riferimento F. Malgeri), aperta al mondo e l'uomo sacerdote (J. Borrego illustrare l'originalità di missioni Don Bosco).

Le conclusioni del Congresso sono affidate al prof. P. Scoppola, dell'università "La Sapienza", a Roma, e P. Braido, direttore dell'Istituto storico salesiano.

Nell'ambito del Congresso la lezione di dottorato della carta avrà un significato speciale. Carlo Ma. Martini, arcivescovo di Milano, sul tema: "II Vangelo, Don Bosco, i giovani".

Siamo già nell'ondata di Don Bosco e della "storia degli effetti".

Per concludere, vorrei ricordarvi che la partecipazione dei membri del Congresso è pianificata nei seguenti modi:
- brevi interventi in classe con chiarimenti, contributi, anche in chiave di discussione;
- partecipazione alle sezioni per lingua (le parti interessate devono concordare con i tre animatori delle sezioni);
- consegna di comunicazioni scritte, per la pubblicazione nel verbale (gli originali devono essere consegnati al Presidente della Commissione Scientifica, Prof. Mario Midali).

Presentato, infine, alle persone con cui i membri del Congresso avranno un maggiore contatto in questi giorni del Congresso:
- il Presidente della Commissione scientifica, Vice Rettore, Mario Midali;
- il Presidente del Comitato Organizzatore, Vice Rettore, Tarcisio Bertone; - il Segretario del Congresso, Jacques Schepens;
- i capi della segreteria esecutiva, Enrico Dal Covolo e la signora Silvana Bisogni.

Ora do la presidenza di questa prima sessione del Congresso al prof. Pietro Scoppola.

Roberto GIANNATELLI

EQUILIBRIO DELLE FORME DI CONOSCENZA E STUDI SU DON BOSCO

Pietro TENUTE
"Il" caso Don Bosco "- ha recentemente scritto Francesco Traniello oggetto in passato spesso le immagini stereotipate e paradossali, sta diventando un campo significativo di applicazione o di verifica di nuove linee di indagine ''.
Autore di importanti studi su Antonio Rosmini e specialista della storia del movimento cattolico, Traniello è stata espressa in questi termini, perché presenta i problemi e la qualità degli studi pubblicati in volumi da lui guidata e dal titolo: Don Bosco nella storia della cultura popolare (1987). Gli autori dei vari test, la maggior parte non - Salesiano, si sono avvalse dei materiali e studi pubblicati negli ultimi decenni dagli stessi salesiani.

Ma con le impressioni ottimistiche e stimolanti Traniello, ci sono stati altri nel corso di quest'anno: più cauto, se non proprio contrario, fondata più o meno criticamente su ciò che è stato osservato nel quadro delle manifestazioni di celebrazione del centenario della morte di Don Bosco. "
Ci si chiede se non sia prematuro impegnarsi in previsioni più definitive, anche prima che sia finito l'anno del centenario e prima che l'alone emotivo che, dissipa volente o nolente, ha anche posato sul Congresso • Studi prepariamo avere Un certo numero di precauzioni del suggerisce, anzi e primo esame delle interconnessioni che si sta verificando tra forme di conoscenza, anche predominante e ben consolidata, e la produzione scientifica, in particolare Salesianos, sono stati in grado di contribuire dall'interno delle sue istituzioni.

1 F. Traniello, Don Bosco e il Problema della mordenite in: Don Bosco e si SFIDE della mordenite (Quaderni del Centro Studi "C. Trabucco', 11), Bacon, Stabilimento Poligrafico Editoriale" C. Fanton »1988, p. 41. Il titolo generale del libro evoca J. Remy, Le défi della modernité: la stratégie di hiérarchie catholique en Belgique au XIXe et XXe et l'idée de sikles chrétienté in "bussola sociale" 34 (1987) 151 -173. L'intero numero di «Compasso sociale» contiene vari contributi sotto il titolo comune: «Les églises et la modernité en Europe West».

2 Cfr Traniello F. (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, pancetta, SEI 1987 e recency realizzato miqmo L. Tamburini, in "Studi Piemontesi" 17 (1988) 1, 247-249.

1. La riflessione salesiana sul sistema educativo di Don Bosco è sufficiente nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale


Uno spazio di riflessione ha sempre coltivato nelle istituzioni salesiane del sistema educativo è implementato ed espressa in teoria dal santo fondatore. Dalle brevi e timide note di Don Francesco Cerruti sulle pedagogiche "idee" di Don Bosco (1883) 3 e da elaborazioni più o meno teorici, passati nel clima del processo di beatificazione (1890-1929), presentazioni che hanno messo l'accento sui principi pedagogici fondamentali esposti dallo stesso Don Bosco in una conferenza ha dato a Nizza nel 1877 ( "questo sistema è totalmente basata sulla religione, la ragione e, soprattutto, la gentilezza) 4 o è passato a discorsi e considerazioni che mettono l'accento sulla specificità religiosa del sistema educativo,

Tra le due guerre, con il regime fascista al potere, i salesiani e alcuni gruppi cattolici che Don Bosco ha ottenuto elencato tra i classici della pedagogia nei programmi dei collegi di formazione degli insegnanti. Agli occhi dei promotori dell'iniziativa e gli stessi discorsi di Pio XI Don Bosco apparso come un gigante che torreggiava sopra di educatori cattolici MCK secolo come promotore della più opposto, tanto più apprezzabile formazione completa a essi propongono una formazione sulla base di preparazione fisica e il mito della forza come mezzo di cose conquista che ha portato a prevedere il modo per un violento scontro di popoli e di un nuovo e immenso mundía1.6 conflagrazione
Nonostante l'opposizione e la critica, tra cui Don Bosco nel pantheon dei pedagoghi era possibile clima ambiguo poi di impegno politico e l'enfasi religiosa nel campo della cosiddetta civiltà che ha proclamato la retorica fascista. Alimentato con riserve critiche e avvelenato dalle critiche devastanti fatte da insegnanti laici di rilievo (Ernesto Codignola e altri), il dibattito sulla figura e il pensiero educativo di Don Bosco ha costretto i pedagoghi cattolici, e in particolare i Salesiani, per definire meglio in che senso si potrebbe considerare Don Bosco, educatore di tutto rispetto, un insegnante degno di questo nome.

• F. CERRUTI, Le idee di D. Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola. Lettere due, San Benigno Canavese, Tip. e Libreria Salesiana 1886.

• Inaugurazione del patronato S. Pietro in Nizza a Mare. Scopo del miglior marito dal sacer
dote Giovanni Bosco con appendice del sistema preventivo nella educazione della gioventú, Torino, Tip. e Libreria Salesiana 1877; cf. edizione critica di P. BRAIDO, in: Bosco, Scritti pedagogici, p. 125-230.

• Su indicazioni sulla dimensione spirituale e religiosa, cfr. JM Prellezo, Lo stu
diede Nella Congregazione della pedagogia salesiana: ALCUNI momenti rilevanti (1874-1941), in: JE Vecchi - Prellezo JM (eds.), Programmi educativi Prassi pastorale e Scienze dell'educazione, Roma, Editrice SDB 1988, pag. 61-71; ID., Studio e nflessione Nella pedagogica Congregazione Salesiana (1874-1941). Note per la storia, in RSS 7 (1988) 35-88.

6 Cf. P. STELLA, La canonizzazione di Don Bosco con il fascismo e l'universalismo, in: TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 359-382; ID., Don Bosco III.

Nell'ambito di tali studi, il lavoro più significativo può essere considerato Pietro Braido libro: Il preventiva del sistema di Don Bosco (1955) .7 Le idee e le istituzioni del sacerdote santo piemontese appaiono nel loro approccio; i flussi di analisi convincente concluso che le opere e le idee di Don Bosco possano essere adeguatamente definito come un "sistema", la cui peculiarità e originalità sono chiaramente visto attraverso il suo confronto con le opere e le idee di docenti e educatori con i quali lo stesso Don Bosco era in contatto diretto. Il volume di Braido, classico, è come la cima di un ciclo di studi, orientato, piuttosto che l'analisi dello sviluppo di iniziative e intuizioni di Don Bosco, l'esame della struttura logica e la definizione della sua validità pedagogica. Ma si può aggiungere che il libro di Braido può essere considerato come un atto di coraggio (eseguito e forse anche sofferto), e come atto di fiducia da parte dell'allora Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti. Il lavoro sul "sistema preventivo" è venuto un paio di anni dopo la morte di don Pietro Ricaldone (1870-1951), il superiore che, con grande capacità di governo aveva guidato la congregazione salesiana e ha focalizzato la propria crescita nel periodo non facile tra le due guerre. Don P. Braido stava già insegnando il sistema educativo di Don Bosco in quegli anni nell'Ateneo Pontificio Salesiano, nella Facoltà di Filosofia. Don P. Ricaldone ammirava la visione del futuro dimostrata durante la fondazione dell'Ateneo; ma il suo atteggiamento geloso era noto anche prima del ruolo supremo del magistero nella congregazione.

Nel frattempo, l'Ateneo è stato introdotto con un ruolo di primo piano nella rete delle case di formazione salesiana, che era resa necessaria per la fase di espansione che esisteva, ed eretto in varie parti del mondo, tra le altre ragioni, per l'incoraggiamento che ho ricevuto della, quindi, Sacra Congregazione degli Studi.

2. Dalla ricerca filologico-letteraria alla reinterpretazione globale


Proprio in studentati, in particolare in Piemonte, sono diventati più insistenti domande circa l'autorità di alcuni literatera agiografica Don Bosco e modi di conoscenza che deriva da loro. La preoccupazione delle generazioni più giovani tendeva a diventare sfiducia Memorie Biografiche di Don Bosco: la monumentale opera iniziata nella stesura Giambattista Don Bosco Lemoyne mentre vive e gradualmente pubblicati in volumi dieci nove dal 1898 al 1939. Don Eugenio Cenia, autore di nove volumi, è stata sollevata una serie di questioni che avevano riempito il problema del valore che dovrebbe essere attribuito alle memorie: "si dice - ha chiesto - Don GB Lemoyne non era uno storico, ma un romanziere di storia. Nelle memorie biografiche ci sono molti fatti che non resistono alle critiche. Gli stessi volumi scritti da Don E. Cenia non sono del tutto storici, ma lodevoli e lodevoli ".8
P. BRAMO, Il sistema preventivo di Don Bosco. Prefazione di E. Celia, Torino, PAS 1955 (2a ed. Zürich, PAS-Verlag 1964).

Essa ha sollevato in modo chiaro e con urgenza il problema non è la credibilità banale ha dovuto pagare a documenti e testimonianze che erano per la fondazione letteraria Congregazione Salesiana su cui i superiori maggiori ei capitoli generali (ma anche gli stessi patate nei suoi discorsi) supportati la struttura del suo insegnamento Per la cultura non salesiana, in particolare quella laica, erano forse problemi marginali; ma per i salesiani, d'altra parte, erano in gioco questioni, se non essenziali, almeno di grande importanza sul piano vitale della congregazione stessa.

Il primo tentativo di risposta scientifica venne dalla Francia. Don Francesco Desramaut, docente di Storia della Chiesa presso il Centro Salesiano di Studi Teologici di Lione, ha sviluppato e difeso come proprio tesi di dottorato presso la tesi teologica Facultés Lione studiare solo il primo volume di memorie biográficas.9 Il lavoro ha coinvolto un documentadísima ricostruzione della figura morale e intellettuale di Don GB Lemoyne, vista come base in un tipo di uso di fonti orali e scritte. Don F. Desramaut si dissipò, prima di tutto; infine, il commento che aveva distrutto Don Lemoyne trascurato o documentazione ingenuamente originale usato da lui a scrivere la prima bozza delle Memorie Biografiche: tutto il materiale esistito e continua ad esistere nella sua parte a pieno titolo presso l'Archivio Salesiano Centrale. Inoltre ha confermato la convinzione che Don Lemoyne era stato un interprete onesto e scrupoloso delle testimonianze di altri, trascrivere quasi sempre o utilizzandoli come parte del loro Lite- si occuperebbe di ordito. E 'stata una conclusione importante; ma il lavoro documentato di Don Desramaut era ancora solo un primo passo. Ha superato le possibilità concreta dello studioso francese in un'indagine meticolosa in Italia di altre fonti documentarie, al di fuori dell'ambito salesiano, per confrontarle con quelle usate da Don Lemoyne. Non importa come soddisfacente è stato quello che è stato scritto circa l'onestà di Lemoyne, rimase per indagare l'intero atteggiamento che lo aveva portato a intrecciare forme narrative di alcuni Welling soprannaturale come schemi che possano mettere medievale, nel primo e ancor più nei seguenti volumi delle Memorie biografiche. Nei piccoli Storia Salesiana cerchiare i pregi ei limiti del lavoro di Don Desramaut essere avvertito: il filologica letteraria puramente di ricerca adatto passaggio interpretazione ipotesi e modelli di ricerca storica che garantirebbe una rilettura completa di entrambe le fonti documentarie e la figura storica di Don Bosco. L'analisi di ogni pezzo montato nella redazione del movimento adatto Memorie Biografiche al rango mentalità e le fonti emergenti ha usato Don Lemoyne, dal Memorie dell'Oratorio, don Bosco aveva scritto in ritardo - non precisamente con criteri storici o cronisti e documentari -,

litografata 8 Lettera di 14 pagine con la data: "Torillo 9.11I.1953"; cf. per questo scopo: P. STELLA, Don Bosco Le Ricerche suo venticinquennio nel 1960-1985: la filatura, Problemi, pettive pro-in: Braldo P. (ed.), Don Bosco Nella Chiesa, p. 373-396.

9 Les Memorie I di Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un livre fondamental sur la jeunesse de saint Jean Bosco, Lione, Imprimérie de Louis-Jean de Gap 1962. Esiste la traduzione castigliana del MB (Madrid, Central Catechistic Salesiana 1981-1989). In questo volume è citata l'edizione italiana originale (nde).

Già nel 1965, quando ha pubblicato frammenti della dell'Oratorio Memorie in un'antologia di scritti di Don Bosco sul Sistema Preventivo, don Braido ha avvertito la necessità di procedere con cautela nella sua lettura, perché in lui, una narrazione selettivo, riempita enfasi, familiarmente allegro nei suoi episodi, cercando di affermare i Salesiani nella convinzione che la sua congregazione amato e protetto da Dio, possedeva un metodo educativo capace di attrarre simpatia e sostegno per centinaia e migliaia di jóvenes.m Don Braido suggerito in che affermava che le Memorie dell'Oratorio non ponevano piccoli problemi a coloro che cercavano altri messaggi in loro.

Nel clima precursore del Concilio Vaticano II discusso in Italia, ad esempio, se si non era appropriato per monopolizzare il Giovane ho provveduto, il libro di don Bosco che aveva servito per più di un secolo per inquadrare le pratiche di pietà nelle istituzioni salesiane. Era stato tradotto in francese e in spagnolo (Il giovane cristiano) su suggerimento di Don Bosco. Più tardi fu tradotto in alcune lingue dell'Asia. Ed era venuto a essere la regola libro della vita devozionale e liturgica degli oratori, scuole e anche gruppi di culto organizzato fin dai primi incontri con gli indiani Onas nel sud dell'Argentina o tribù Bororo nel cuore del Mato Grosso. "
I" Bosco, sistema preventivo Scritti sul, p. 3s.

"Cfr volutamente Desramaut F. (ed.), La vita di preghiera SDB religiosa, Lione 10-11 Settembre 1968 (Colloqui Salesiano sulla vita, 1), Leumann (tornio), Elle Di Ci 1969.

La posta in gioco era l'interpretazione che si era venuto a dare lo slogan lanciato da don Ricaldone in una delle sue lettere circolari classici l'anno della canonizzazione (Aguinaldo Rettor Maggiore per il 1935): Don Bosco santo.12 fedeltà Se-trattati in in effetti, a mettere in discussione in modo responsabile sui pericoli dell'inazione attaccati alla ripetizione del passato con il rischio di rompere con la società pluralista in cui francamente è entrato nel mondo dei giovani. Il motto del 1934-35 doveva essere completato secondo i bisogni di un aggiornamento: «fedeltà a don Bosco santo e ai suoi rischi». Ma non è stato difficile discutere a favore del rinnovo:

Contro l'immobilità e gesti cristallizzati e tale ripetizione che sembrava produrre quasi "ex opere operato" meravigliosi scopi educativi, alla luce del patrimonio storico-filologico e al di là della stessa analisi, ci sono stati due fatti importanti. Prima di tutto, era facile vedere che il mondo del pensiero del secolo XIX per l'impalcatura teologica che era stato anche Don Bosco, sono stati superabile fatto o sono state superate. Don Bosco stesso, negli anni della maturità e l'ulteriore espansione del suo lavoro (che ha propagato per chiedere aiuto a tutti), aveva emarginato senza supusiese per lui non è un problema, rigida e un po 'anni polemiche elementare antivaldense 50. I salesiani, a loro volta, e senza traumi,

Ma erano le realtà di un mondo che non era la nostra, come ad esempio l'organizzazione dei giovani in strutture verticali e paternalistici e la separazione sociale dei sessi. L'apertura del oratori giovanile salesiana, come sono venuti spontaneamente, ragazzi e ragazze, era una soluzione in modo intuitivo e praticità, dati i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice dei cristiani , proprio nella linea di intuizione e la praticità di loro fondatore ".
12 edizione ufficiale è: ACS (1936), 1-195, intitolato :. Strenna del 1935. fedeltà Don Bosco santo è stato stampato poco dopo in volume separato: Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedelta a Don Bosco santo, Torino, SEI 1936.

13 I requisiti di rinnovo contenuti nel volume di collaborazione (P. Braido, L. Calonghi e altri), Don Bosco educatore, Oggi, Roma, PAS 1960 (2a ed. Riveduta e ampliata, Zurigo, PAS-Verlag 1963).

In secondo luogo, era evidente e chiaramente dimostrabile in Don Bosco, piuttosto che l'immobilità, la sua capacità di adattarsi alle situazioni che cambiano: dagli inizi dell'Oratorio per i giovani chiamati poveri e abbandonati alla organizzazione delle scuole e delle spedizioni salesiani America Latina

l'insieme di sogni profetici, le previsioni di morte e miracoli sferraglianti (come la risurrezione qualche giovane "Carlo" nel 1849): Soprattutto un radicalmente rinnovata rilettura di alcuni più caratteristici e suggestivi della agiografia di elementi Don Bosco dedotto cioè di fatti e narrazioni che tessevano in modo notevole e spettacolare i Ricordi biografici come Don Lemoyne e Don Cenia stavano elaborando i loro scritti.

Queste e altre ipotesi interpretative sono stati il ​​filo conduttore di due volumi è apparso nel 1968 e 1969 con il titolo. Don Bosco nella storia della cattolica Religiosità "Quando il primo volume è stato alimentato per qualche tempo abbastanza acuto il problema del rapporto tra la ricerca scientifica e la tutela della sana tradizione di Don Bosco. in occasione della riunione dei superiori provinciali di Europa, Medio Oriente, Africa centrale, Stati Uniti e Australia, che si è tenuta a Como nel mese di aprile del 1968, i rappresentanti della zona tedesca espresso preoccupazione per la nuova ricerca "modernista e incauta" che si stava facendo su Don Bosco nell'Ateneo salesiano.15 Ma l'allora Rettor Maggiore, don Luigi Ricceri,e il suo consiglio ha permesso allo studio storico di continuare e in qualche modo ha contribuito alla riflessione e all'aggiornamento che era già stato richiesto nella fase di applicazione del Vaticano II.

In questo senso, i risultati positivi con la creazione nel 1973 di un "Centro Studi Don Bosco 'in Ateneo, che era stata riconosciuta dalla Santa Sede come" Università Pontificia Salesiana "è raggiunto. E più tardi, nel 1977, con la fondazione della "Istituto Storico Salesiano" a Roma presso la Casa Generalizia. Da allora, studiare i contributi di Don Bosco e le sue opere si sono moltiplicate risultati di buon livello scientifico, sia il gruppo di continuità e di altre parti del mondo salesiano.

Frutta, in parte aperto a certe tecniche di ricerca e di alcuni filoni storiografici orientate studio della presenza religiosa nel tessuto sociale, e in parte alle questioni sollevate nella Congregazione Salesiana l'impegno di povertà zone nel mondo, è stato Don Bosco di volume nella storia economica e sociale (1815-1870) (1980) .16 è situata Don Bosco - in transito e il benessere dei quadri privilegiati della Restaurazione alla società liberale - tra coloro che tendono a trovare forme di sostegno economico e l'accettazione collettiva nelle iniziative stessi, che non costituiscono in sostanza il reddito immobiliare paternalistico; si presenta a Don Bosco, in una parola, come imprenditore indipendente nel campo educativo e filantropico all'interno degli schemi dell'economia e della società liberale. Il volume mostra chiaramente una certa mancanza di padronanza delle tecniche statistiche e una concorrenza un po 'esitante nel campo della specifica storiografia dell'economia e delle dottrine economiche. Tuttavia, nel suo insieme, è il risultato di un'indagine di prima mano e apre interessanti indizi agli studi nel campo del mondo contadino e delle sue strategie.

"Don Bosco nella storia della Religiosità Cattolica Vol 1: Vita e gestire, Zurigo, PAS-Verlag 1968; Vol II :. Mentalità religiosa e SPIRITUALITA, Ibid 1969 Convegno .. (2a ed Roma, 1979-1981.).. ispettori degli salesiani. L'Europa, Medio Oriente, Africa Centrale, STATI UNIA Australia. Atti (Como 16-23 aprile 1968), Torino, Lett E. Gili 1968, pag. 20.

16 Roma, LAS 1980.

La cerchia degli studiosi salesiani, per la maggior parte della formazione umanistica, filosofica e teologica, è abbastanza impreparata e priva di questo tipo di ricerca. Per questo motivo, negli ultimi anni ci sono studi eccezionali che, per la maggior parte, si trovano più soddisfacentemente nel campo della ricerca filologica o in quello della storiografia etico-politica e pedagogica.

Ci vorrebbe gran lunga la relazione analitica e accurata di tutti coloro che hanno inviato i Salesiani di Don Bosco negli ultimi anni.

Ad esempio, tra molti contributi, meritano menzione quelli di Don Francesco Motto sul ruolo di Don Bosco nella nomina dei vescovi in ​​Italia dopo il 1865; e sulle misure adottate dopo la legge garantisce 1871 per la concessione di exequatur reale ai vescovi di beni temporali nelle loro diocesi. "Il risultato di una ricerca appassionata Archivio Segreto Vaticano e di altri archivi italiani pubblico o privato, questi studi Don Motto evidenziare la figura di Don Bosco in un dipinto a dire il vero un po 'enfatico, perché, a quanto pare, Don Bosco non è stato coinvolto in qualsiasi cosa o nulla nei colloqui per la nomina dei vescovi in luoghi che andavano dalla Lombardia e dal Veneto alle province napoletane e in Puglia.

Il coinvolgimento di Don Bosco nei procedimenti riguardanti i vescovi del Piemonte e della Liguria può essere considerato in particolare un fatto di grande importanza per lo sviluppo delle opere educative da lui promosse. Prima di allora, infatti, il nome di Don Bosco appare sporadicamente nelle pubblicazioni cattoliche non piemontesi tra i benefattori e i sacerdoti gelosi che lavoravano qua e là in Italia. Mentre venivano sviluppate le procedure per l'exequatur, il suo nome balzò sulla scena in modo inaspettato, come quello di un personaggio che aveva privilegiato l'ingresso negli ambienti governativi e davanti alla Santa Sede. Sembra che in quegli anni Don Bosco stesso abbia maturato la consapevolezza di una vocazione personale, non solo orientata verso il Piemonte, ma verso spazi più ampi nella società e nella Chiesa.

'7 F. Motto, La Mediazione di Don Bosco fra Santa Sede e la concessione per Governo degli exequatur per Vescovi d'Italia (1872-1874) (Piccola Biblioteca dell'Istituto Storico Salesiano, 7), Roma, LAS 1987.

Se si presta attenzione a ciò che ha di recente sottolineato Don Braido, si potrebbe dire che gli articoli e opuscoli che ha cominciato a comparire in Francia e in Italia negli anni '70 su Don Bosco e il suo sistema educativo miracolosa, sembra che portò Don Bosco provare uno schema di teorizzare che, a torto oa ragione, chiamato il "sistema preventivo nella educazione dei giovani 'con formule che lui ei suoi figli più accorti (e questa è una precisione di Don José M. Prellezo) hanno variato senza molte formalizzazioni e addirittura superato ".
Studi con Don F. motto e il contributo di Don P. Braido e Don JM Prellezo, evidenziare il fieno-nue la tesi di dottorato di Mr. Jacques Schepens sui sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia negli scritti di Don Bosco. ' Anche in questo caso è un'esplorazione molto approfondita delle fonti, modificate o meno, nel quadro del passaggio dal rigore al benignismo. Ciò che avrebbe potuto essere più desiderabile era, forse, una maggiore attenzione alle attività e all'ideologia religiosa di Don Bosco; cioè, una maggiore attenzione alla mentalità e al comportamento sia del mondo giovanile che delle più ampie collettività in cui il messaggio e l'opera di Don Bosco sono penetrati. In questo senso, sarebbe stato opportuno indagare su altre fonti, oltre a quelle usate.2 ° Il rito della confessione, ad esempio,

Ricerche come quelle di P. F. Mono e di P. J. Schepens approfondiscono o almeno ampliano la conoscenza di aspetti e momenti della vita di Don Bosco che si trovano nel suo tempo. Altre ricerche recenti scoprono il campo aperto allo sviluppo dell'opera salesiana dopo la morte del fondatore, più o meno in connessione con l'immagine che aveva coltivato. È interessante sotto questo aspetto, sia alcuni punti che Don Pietro Braido ha realizzato pubblicando l'edizione delle lettere di Don Lemoyne, sia i suggerimenti che Don José M. Prellezo ha avanzato indagando sull'atteggiamento dei primi salesiani prima della presentazione che ha fatto Bosco del suo sistema educativo.21

JM PRELLEZO, Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, in: C. NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica: ereditá, contesi, sviluppi, risonanze. Atti del 5 ° Seminario di «Orientationi Pedagogici» Venezia-Cini 3-5 ottobre 1988, Roma, LAS 1989, p. 40-61.

t9 J. SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco au sujet de la penitence et de l'eucharistie, in "Salesianum" 50 (1988) 9-50.

20 Sul significato della confessione e sul comportamento dei giovani, cfr, per esempio, la testimonianza di Giovanni Roda, chiamati a testimoniare "d'ufficio" nel processo apostolico per la beatificazione di Domenico Savio in Ottobre 1916 : Sacra Congregatio Rituum e.mo rev.mo ac domino Cardinali Vincentio Vannutelli Relatore. Asten. et Taurinen. Beatifikationis et canonizationis servi Dei Dominici Savio adolescentis laici alumni oratorii salesiani. Positio super virtutibus, Romae, Typ. Guerra et Mirri (1930): Summarium Super dubio: Un constet di virtutibus * theologalibus fide, spe et charitate ..., p. 5. Portare l'episodio più schematicamente M. Molineris, Nuova Vita di Domenico Savio, Cono Don Bosco, Ist. Salesiano 1974, p. 134. Gli si fa anche riferimento nello studio di A. CAVIGLIA, Savio Domenico e Don Bosco, in: Operare e scritti editi e inediti di Don Bosco, vol. IV, Torillo, SEI 1943, p. 146.

Don Lemoyne, che divenne un sacerdote salesiano ed essere tendeva - Don Braido nota - con particolare preferenza scegliere quello che sembrava essere prodigioso, miracoloso, manifestazione soprannaturale di un intervento divino; se da un lato la tendenza ad essere precisi cronista di movimenti e modi di dire che lo aveva conquistato come un figlio spirituale, dall'altra, Lemoyne era sempre attento a scrivere quello che Don Bosco esponeva, come i sogni e parla spesso fatte di notte alla numerosa collettività di Valdocco. Don Bosco gli disse una parabola o un sogno che aveva avuto la notte o di giorno, come sarebbe interpretare quel sentito, era per Don Lemoyne, senza l'esposizione fedele delle rivelazioni celesti.

Don Cerruti era anche moderatamente tra coloro che consideravano i sogni di Don Bosco come eventi soprannaturali. Ma la sua attenzione andava con preferenza all'organizzazione concreta ed efficace dell'educazione nell'Oratorio e nelle altre case salesiane. Tra i collaboratori più fedeli di Don Bosco è uno dei più insistono sul fatto che le fondamenta del sistema di istruzione si traducono verità nella ragionevolezza e razionalità tra gli educatori ei giovani, la religione equilibrato ed essenziale, la carità intesa infatti come la consegna giornaliera e intelligente per il ruolo degli educatori. Nelle dichiarazioni per i processi di beatificazione di Don Bosco e dopo il suo ex collega di studi Domingo Savio, Don Cerruti pone più enfasi sulle virtù dimostrate nella vita dei due servitori di Dio che nella spettacolarità di manifestazioni prodigiose intese come indice di doni soprannaturali. Don Bosco ha messo Don Cerruti tra i leader dell'opera salesiana: come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e poi come consigliere generale della scuola. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione . come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e successivamente come consigliere di scuola generale. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione . come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e successivamente come consigliere di scuola generale. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione .

Le tendenze spirituali di Don Lemoyne sono dovute alla prominenza acquisita nelle memorie biografiche di miracoli e sogni, questi ultimi delineati, ciascuno come rivelazioni celesti di cose nascoste, presenti o futuri. Egli è dovuto (anche se originariamente Don Bosco) Apocalyptic qualche tradizione orale e scritta millenaria che alla fine radicata nei Salesiani alla fine del XIX secolo in poi, l'idea, e che la sua espansione nel mondo, la sua stabilirsi in certi luoghi era il compimento di un futuro che Don Bosco aveva già visto nei suoi sogni; visto - ha scritto all'inizio di questo secolo cappuccino Cardinale Vives y Tuto, speaker entusiasta della causa di beatificazione - "come in un cinematografo» .22 Don Cerruti, tuttavia, mostra un basso profilo, ma non per questo meno entusiasta,

21 P. BRAIDO - R. ARENAL, Don Giovanni Battista Lemoyne con 20 lettere a Don Michele Rua, in RSS 7 (1988) 89-170; di JM PRELLF70 cf. gli articoli citati sopra nota 5.

Recenti studi storici dei salesiani sono diretti a una rilettura dell'esperienza di Don Bosco da fonti di prima mano, al di là del diaframma delle memorie biografiche; Non dimenticano, tuttavia, che i diciannove volumi monumentali delle Memorie costituiscono un termine di riferimento obbligatorio, data l'importanza che hanno avuto e hanno ancora nella trasmissione letteraria, visiva e orale dell'immagine di Don Bosco.

In aggiunta a quelli - - nella serie di aspetti che abbiamo presentato sommariamente e costretti lagune si trovano interessante lavoro di salesiani provenienti da tutto il mondo: Don Cayetano Bruno, Don Ramón Alberdi, don Jesús Guerra, Don Jesus Borrego, Don Natale Cerrato, il signor Reinhold Weinschenk, il signor Antonio Ferreira da Silva; e tra la FMA: Sr. Giselda Capetti, suor Cecilia Romero, suor Maria Esther Posada, suor Piera Cavaglià, suor Anita Deleidi. E altri e altri.

Più o meno in relazione agli studi storici, o almeno accanto, gli altri sono destinati a una più profonda lettura e qualcosa della personalità senza tempo di Don Bosco si trovano, da premesse filosofiche, psicologiche e psicoanalitiche; Tra questi possiamo distinguere: un ampio saggio di Don Sabino Palumbieri, articoli di Don Bruno Bellerate, di Don Pio Scilligo e di Don Xavier Thévenot.23
Se rileggiamo quello che abbiamo detto sulla produzione di studio dei salesiani e le forme di conoscenza in cui sono situati i salesiani, se vogliamo anche approfondire la loro analisi, penso che si concluda che le prove di studio fino ad oggi sono nel complesso la risposta alle domande che esistono tra i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice (cioè il nucleo più importante dell'area di culto e memoria di Don Bosco).

Le scoperte di Francesco Traniello, da cui siamo partiti, sono indubbiamente il risultato della sua sensibilità di studioso; ma direi che è necessario considerare generoso e ottimista, se l'implicazione, ancora debole, i Salesiani alle domande del mondo scientifico, più vasto di certo interessati o che potrebbero essere interessati dal "caso Don Bosco" è che serve come terreno utile per la verifica e l'analisi.

22 Cfr. BS 41 (1917) 182 e STELLA, Don Bosco. W., P. 146.

23 A proposito, cf. gli ultimi anni di «Salesianum», «Orientamenti Pedagogici», «Rivista di Scienze dell'Educazione», «Ricerche Storiche Salesiane» (RSS).

In qualche studioso salesiano si è trovato senza dubbio ha adottato modelli di tecniche di conoscenza e di ricerca ora normale (o, spesso, in discussione) usare: lo studio della mentalità e della religiosità come moduli comuni nella scuola il "annuale" o altro, ricorrere all'antropologia culturale, utilizzando metodi e propri modelli di storia economica e sociale. O anche, la psicoanalisi, premesse filosofiche e pedagogiche (lo studio, per esempio, il sistema di prevenzione dai modelli Lacan; personalità Don Bosco chiese in da personslistas filosofie o che svolgono le teorie di Freud o di Levi -Strauss).

Ma in questo momento dobbiamo chiederci se non si tratta solo di tentativi individuali e sporadici; e progetti di lavoro corale non ancora consolidati. Siamo tanto più cauti quanto più riflettiamo sulle difficoltà che ancora incontra l'Istituto Storico Salesiano per garantirsi un asilo nido per giovani reclute. Il "Centro Studi Don Bosco", a sua volta, nell'UPS, riesce a sviluppare in qualche modo il suo compito didattico; ma non arriva - ed è indice della sua fragilità - per completare la ristampa anastatica degli scritti di Don Bosco iniziata nel 1977-78 con la serie di libri e opuscoli. Ci sono certamente problemi tecnici; ma, soprattutto, chi riesce o si impegna a rifare la cintura di trasmissione tra i progettisti scientifici (che sono rimasti come generali senza un esercito) manca, esecutori tecnici ed editori. Nel frattempo, anche nel corso di quest'anno, la conoscenza affettiva continua a bere con entusiasmo nella leggenda dorata delle Memorie; ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica. ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica. ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica.

3. Recenti contributi di studio e forme di conoscenza in ambito non salesiano


In questo stato di cose, non ci si può aspettare dagli studiosi al di fuori della sfera salesiana niente più che saggi su certi punti, quadri generali, tentativi di approssimazione particolari o parziali. Tale, ad esempio, il test Francesco Traniello sulla Storia d'Italia scritta dal santo, Giacomo Dacquino sulla psicologia di Don Bosco, Stefano Pivato sul teatro popolare stampa _y, Maria Luisa Trebiliani su donna nella mentalità ed esperienza educativa di Don Bosco. O, allo stesso modo, le interessanti proposte di Piero Bairati sulla "cultura salesiana" e sulla società industriale tra l'800 e l'età fascista
Sergio Quinzio in un saggio del 1986 è tornato al tema del luogo di Don Bosco nella storia del Spiritualità cattolica e in quella del cattolicesimo socia1.25
Franco Bolgiani, nel suo discorso del 1987 in un congresso sul tema "I cristiani e la cultura a Torino", si è fermato sul "salesiano" nel quadro più ampio delle culture predominanti più profondamente radicate e caratteristiche. Soprattutto sarebbe quello che era legato all'affermazione dello stato sabaudo dalla metà del secolo fino all'unificazione nazionale, e che Bolgiani chiama, per capirci, "cultura militare". Lo ha sostituito, soprattutto dopo il decollo dell'industria automobilistica, come predominante e onnicomprensiva, la "cultura industriale", con la "Fiat", come tempio principale e come riferimento per un modo di pensare e vivere della comunità torinese. Tuttavia, la cultura secolare di alto e medio livello ha acquisito il proprio spazio e una propria e dignitosa autonomia, con un solido pilastro nel mondo universitario e con efficaci poli di diffusione in pubblicazioni d'avanguardia più attive e più prospere. La cultura cattolica era, secondo Bolgiani, nel suo complesso debole, ripetitiva e conformista dal periodo tridentino al «Risorgimento»; successivamente, indebolito e chiuso su se stesso, finì per passare al livello della sottocultura. Al suo interno, continua Bolgiani, si capisce come possa prosperare una sorta di cultura salesiana in ambito ecclesiastico e cattolico; cioè, una cultura che si è originata e sviluppata nel campo del gioco e dell'istruzione giovanile, del tempo libero e del tempo sacro degli strati sociali quasi sempre di origine rurale, senza pretese di solidità scientifica. Una cultura che oggi dovrebbe venire alla luce, ma ciò era in sintesi irrilevante agli occhi della cultura secolare della matrice positivista o idealista, liberale o sociale, gramsciana o neo-luministica; una cultura che è stata fatalmente esposta ad essere utilizzata per i propri fini dalla cultura industriale dominante. Il convegno "Cristiani e cultura a Torino" si è svolto nel centro salesiano di Caboto 27, sede della Facoltà di Teologia dell'UPS (sede di Torino). Tra coloro che ascoltavano Bolgiani c'erano, oltre ai professori e agli studenti dell'UPS, sacerdoti secolari e laici ex allievi di oratori e di collegi salesiani. Ci sono state reazioni molto energiche. Tra questi l'"onorevole" Armando Sabatini (nato nel 1908) ha preso la parola, Ero stato un membro del Comitato di Liberazione Nazionale diventare il "fiat" dopo l'8 settembre, 1943 e membro del Parlamento, già aderito l'Oratorio della strada Caboto - come il più giovane "onorevole" Carlo Donat Cattin (nato nel 1919) - prima e dopo la caduta del fascismo. Secondo Sabatini, il quadro disegnato da Bolgiani non era più inadeguato. Sia lui che altri alunni non sono stati riconosciuti nella "cultura" delineata dal relatore. L'Oratorio, in lui come negli altri, aveva nutrito la fede religiosa. Le discussioni sulle questioni filosofiche e sociali che hanno avuto due insegnanti della Ateneo Salesiano, come Don Gemmellaro e Don Mattai, erano stati, a suo avviso, solido e ricco, apprezzati per la loro filosofi struttura speculative e ideologiche ispirazione idealista e spiritualista come Augusto Guzzo . Ma le esperienze oratoriane ricordate da Sabatini erano episodi circoscritti. Oppure si dovrebbe prendere in considerazione come indice di una realtà culturale che il suo sviluppo è stato più complesso, più articolato e meno chiusa di quanto possa essere dedotto dalla presentazione necessariamente schematica e insegnante intenzionalmente provocatorio Bolgiani? 26 Bolgiani non ha parlato, ad esempio, , il salesiano don Paolo Ubaldi, che fu il primo professore di latino e letteratura cristiana antica greca presso un'università italiana ( "Cattolica" di Milano) 1924-1934, fondatore della "Corona Patrum Salesiana", pubblicato dal SEI (il publishing salesiano di Torino), eccellente insegnante, e come tale venerato da Michele Pellegrino, consiglio il cardinale e il periodo post-conciliare nell'Arcidiocesi di Turín.27 non si accorse Bolgiani Né è stata la SEI uno dei primi editori in Italia a pubblicare opere di Jacques Maritain.28 La sua pittura è indubbiamente esagerata, forse crudele e disegnata con una lente selettiva. Tuttavia, ci porta a riflettere sulle caratteristiche del quadro ecclesiastico e del mondo cattolico in cui i salesiani lavoravano, portati via dallo stile del loro carismatico e santo fondatore.

24 G. DACQUINO, Psicologia di Don Bosco, Torino, SEI 1988; gli altri saggi sono nel lavoro collaborativo diretto da TRANLELLO (vedi sopra, nota 2).

n. S. QUIN710, Domande sulla santitá. Don Bosco, Cafasso, Cottolengo, Torino, Gruppo Abele 1986.

Pietro Scoppola, nei termini che ha rovinato una particolarmente importante discorso celebrativo, come è stato consegnato a Torino in occasione del centenario, ha indossato la sua competenza come storico del mondo contemporaneo e risultati politici specialistici del modernismo in Italia per affrontare il Il tema "santo sociale" di Don Bosco nella relazione e più ampia di "Santo moderno" di Don Bosco. Nella trama della mostra Scoppola alcuni giudizi varie circa teologia e lo spirito di Don Bosco, loro apologeti e scritti spirituali sono apprezzati: tutti gli elementi che possono essere disposti, nel suo complesso, in aree di resistenza cattolica tradizionale conservativo, ma in cui non dobbiamo respingere o perdere di vista la coscienza, che Don Bosco dimostra di essere profondamente radicata, della realtà cristiana, percepito nella sua essenza e nella sua storia. La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29 La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29 La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29
26 F. BOLGIANI, Proposte di lettura del retroterra storico, in: Cristiani e cultura a Torino. Atti del convegno Toritio 3-5 aprile 1987, Milano, Franco Angeli 1988, p. 34-53.

M. PELLEGRINO, Un cinquantennio di studi patristici in Italia, in "La Scuola cattolica" 80 (1952) 424-452 (in particolare, pagine 430 e 450).

29 J. MAErrAIN, Introduzione generale alla filosofia, trad. di A. Cojazzi, Torino, SEI 1922 (edizioni successive: 1926, 1934, 1938, 1946).

Vengono in mente alcuni avvenimenti, apparentemente taglienti, Norberto Bobbio di "riformismo" e "moderna" sono due parole che devono essere bandita; in modo vago e ambiguo che sono già nel linguaggio di tutti i giorni, soprattutto nel gergo di políticos.3 ° Bobbio ha reagito ad un saggio storico di Giovanni Aliberti sulla modernizzazione del Mezzogiorno negli anni delle riforme napoleoniche. Aliberti ha risposto dichiarando che i termini "riforme" e "riformismo" non possono essere rimossi dalla lingua storica che, quindi si riferisce al XVIII secolo, hanno un significato specifico ben compreso che studia e scrive libri. Ancora meno può essere usato il termine "moderno", usato per definire le epoche storiche e le trasformazioni strutturali che si verificano in esse. Questo era in sostanza ciò che Bobbio intendeva precisamente: un uso appropriato, non oscillante e ambiguo, di strumenti di conoscenza e di linguaggio; anche un corretto uso di modelli interpretativi.

Per quanto riguarda Don Bosco, è proprio quello che si trova, per esempio, in una conferenza piena di ironia che un altro storico cattolico, Maurilio Guasco, ha consegnato a Firenze in questo centenario.32
nel senso che guidano, per situare realmente la modernità di Don Bosco nel suo sforzo nel mondo giovanile. Da qui segue l'opportunità e la necessità di esplorare questo mondo in modo più integrale, indagando i movimenti psichici e sociali di quel tempo.

29 Don SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, in: Don Bosco e le sfide della modernità, p. 7-20. Il tema della "modernità" di Don Bosco è toccato anche da P. Bairati nel suo saggio: Cultura salesiana e Società induslale, in: TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 351-355; ma è facile capire che queste sono letture discutibili. A tal fine, vengono in mente, oltre agli articoli di "Social Compass" 1987 già citati: W. RENHARD, Gegenreformation als Modernisierung. Prolegomena zu einer Theorie des Konfessionellen Zeitalter, in "Archiv für Reformationsgeschichte" 68 (1977) 226-252; J. HERF, II reazionario modernismo. Tecnologia, cultura e politica nella Germanio di Weimar e del Terzo Reich, Bologna, 11 Mulino 1988; JA SCHMIECHEN, I Vittoriani, lo storico e l'idea del modernismo,

3 ° Cfr. Il giornale di Torino «La Stampa» (8 febbraio 1987).

5 'G. AMERA Sistema sociopolitico ed organizzazione dello Stato nel Mezzogiorno napoleonico, in «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa» 17 (1988) 33, 25-43.

32 M. GUASCO, Don Bosco nella cicogna, tempo del suo tempo, in: Don Bosco e le sfide della modernità, p. 21-38.

Come ho avuto occasione di sottolineare (e, d'altra parte, chi coltiva la storia demografica e sociale), la gioventù, che appare come una classe a parte, è già un elemento di modernità nel XIX secolo e XX.34
Nel frattempo, Don Bosco può essere considerato un santo moderno, per essere uno dei pochi che ha avuto la fortuna, all'interno delle strutture religiose e politiche, di organizzare come propria un'offerta di opere e attività in accordo con i movimenti psichici, con le aspirazioni di inserimento nella vita, con le utopie che i giovani nutrivano in ambienti che prima erano impregnati di religiosità delle pratiche e che in seguito erano sempre più "moderni", nel senso che erano sempre più segnati dal segno di la mobilità geografica e sociale nelle strutture politiche non è più confessionale.

In una visione ampia su un ampio orizzonte che pretendeva di definire ampiamente la presenza cristiana nella storia dall'età di Costantino a ciò che alcuni tendono a chiamare neoconstantiniana, Don Bosco può essere inserito nel cattolicesimo che si impegna a progetto sociale ("fare buoni cristiani e onesti cittadini"), in un'epoca che va dalle iniziative dell'Amicizia Cattolica agli anni che preparano il Rerum novarum. In quel luogo si distingue per la consegna ai giovani delle classi popolari che stanno iniziando a comparire. La sua utopia finale era il sogno che l'educazione dei giovani, realizzata secondo il sistema che praticava, riempisse il mondo dei Salesiani Cooperatori, cioè di una gamma sempre più ampia di buoni cristiani e di cittadini onesti.

Questi sono alcuni piccoli frammenti di ipotesi che sicuramente possono essere analizzati in tutto il nostro Congresso con una riflessione che viene offerta più attentamente e orchestrata a più voci.

Cfr. In particolare i verbali del seminario di studio tenutosi a Venezia, dal 3 al 5 ottobre 1988, citato sopra, alla nota 18.

STELLA, La canonizzazione di Don Bosco con il fascismo e l'universalismo, p. 368ss; ID., Don Bosco, La, p. 278; la, Gli Studi Lo Studio e il suo Don Bosco e sul Suo pensiero formazione pedagogica: Problemi e Prospettive in: - (eds.) VECCHI PRELIE70, educativo Prassi pastorale Scienze dell'educazione, pag. 26.

COME FUNZIONANO GLI AUTORI DELLE "MEMORIE BIOGRAFICHE"



Francis DESRAMAUT

1. Memorie biografiche di Don Bosco

Diciannove volumi di Memorie Biografiche di Don Bosco, pubblicato più di 40 anni, precisamente tra il 1898 e il 1939, durante la prima metà del nostro secolo XX sono stati successivamente firmato tre sacerdoti salesiani: Giovanni Battista Lemoyne in volumi I -IX, Eugenio Cenia nei volumi XI-XIX e Angelo Amadei nella X.1 volume attento studio di un intero (circa sedici pagine mila), il titolo di questa comunicazione sembra annunciare, richiedono un numero imprecisato di volumi. Nel 1987, l'esame critico di un IX volume di storia con un totale di 80 linee, d'altro canto complesso, mi ha fatto scrivere un articolo di 24 pagine per la rivista "Ricerche Storiche Salesiane" 2 questa Bibbia salesiano può occupare generazioni di commentatori nei secoli futuri, se trovano piacere nel farlo. In effetti, i problemi posti sono talvolta ardui come quelli dei vangeli sinottici. Personalmente mi limiterò qui a fare alcune osservazioni generali sugli autori, i loro documenti e il loro uso.

2. I tre autori dei ricordi

Memorie erano in un primo momento, e in qualche modo sono rimasti fino alla fine, l'opera di Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916) .3 E 'stato con don Bosco a Torino nel 1864, dopo la sua ordinazione sacerdotale. Immediatamente fu attratto appassionatamente dal suo maestro e divenne il suo segretario privato a Valdocco (Torino) dal 1883 al 1888. Nel 1884 intraprese la scrittura e la composizione del documento che in seguito sarà il Memoriale Biografico. Nel 1885 questo documento documento titolato per Scrivere la storia di Giovanni Bosco D., S. Francesco di dell'Oratorio Di sali e della Congregazione Salesiana titolo generale di un insieme di record 45 contenenti la colonna incollato stampato e di cui tutta la vita di Bosco, anno dopo anno, dalla sua nascita nel 1815 fino alla sua morte nel 1888.

Il volume dell'Indice, opera di Don Ernesto Foglio, fu pubblicato nel 1948.

7 (1987) 81-104.

Uno studio molto interessante su questo personaggio è fatto nell'articolo di P. BRAIDO - R. ARENAL LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne con 20 lettere a Don Michele Rua, in RSS 7 (1988) 87-170.

Don Lemoyne era uno scrittore: era "biografo, agiografo, narratore, drammaturgo, poeta", se guardiamo un'enumerazione che può essere facilmente documentata; Era uno scrittore di coscienza, un narratore piacevole e divertente di "Letture Cattoliche" di quel tempo, un autore di drammi teatrali struggenti, un "poeta valente", secondo Don Bosco formula e lo riferisce un santo sacerdote ... Come alle sue capacità di storico, lo studio del suo metodo di lavoro nella stesura delle memorie biografiche ce lo rivelerà immediatamente. Dal 1898, i suoi primi sette volumi dei Memoirs usciranno rapidamente (1898-1909). La sua opera più importante è stata seguita da una buona biografia di Don Bosco in due volumi.5 Prima di morire ha potuto comporre solo altri due volumi delle Memorie e così raggiungere solo il 70 ° anno della vita di Don Bosco.

Alla morte di Don Lemoyne (1916), Angelo Amadei (1863-1945), che era stato direttore per otto anni del «Bollettino salesiano», fu incaricato di continuare e completare le Memorie biografiche. Don Amadei è stato molto fedele al suo confessionale nella Basilica di Maria Ausiliatrice, che ha attirato tutti i tipi di penitenti, un vero e proprio "Cacciatore d'anime ', come l'ha scritto, 6 si sentiva molto confortevole in celebrazioni zelante apostolo festoso e nella scrittura di articoli edificanti. È anche responsabile di un lavoro considerevole: una biografia di Don Bosco; in cui, nel 1929, ha cercato di parlare con i testimoni della sua vita 7 lavoro ampliato successivamente in due volúmenes.8 Si tratta di una biografia completa di Don Rua, primo successore di Don Bosco, dal titolo: II Servo di Dio Michele Rua .9 Tuttavia, Il signor Amadei non è stato il successore di don Lemoyne e questo per diversi più o meno identificabili motivi: la sua lentezza e completezza nel lavoro, secondo alcuni (l'autore di questo articolo intitolato Amadei Angelo a biografico Dizionario dei Salesiani); la molteplicità dei suoi impegni, secondo una sua lettera, letta da colui che scrive negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ... letto da chi scrive questo negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ... letto da chi scrive questo negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ...

4 Cfr. Ibid., P. 100.

5 Vita Venerabile Giovanni Bosco Servo di Dio Fondatore della Societa Pia salesiano dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori Salesiani, 2 vol., Torino, Libreria Editrice Internazionale 1911-1913.

6 Cfr. E. VALENTINI, Amadei Angelo, in: Dizionario biografico dei salesiani, Torino, Ufficio Stampa Salesiano 1969, p. 17.

7 Cfr. A. AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato, Torino, SEI 1929.

8 Cfr. A. AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato, 2 vol., Torino, SEI 1940.

9 Cfr. A. AMADEI, 11 Servo di Dio Michele Rua, 3 vol., Torino, SEI 1931-1934.

L'anno della beatificazione di Don Bosco (1929), il pubblico constataba salesiano, sorpreso e escandali7ado, la grande storia del nuovo beato non aveva lasciato la situazione di attesa in cui si trovava dopo la morte di Don Lemoyne. Il Beato Don Bosco era stato mutilato in 18 anni di vita. Le lamentele erano generali. Solo l'allora Rettor Maggiore, don Rinaldi, rimase in silenzio, come mi disse una volta don Cenia. Finalmente, nell'estate del 1929, don Rinaldi mandò da Roma a Torino don Eugenio Cenia, uno scrittore veterano, che rimediò alla situazione ». Don Eugenio Cenia (1870-1957) era un professore di lettere classiche. Ed era stato direttore del «Gymnasium», un giornale didattico per le scuole secondarie. Nel corso della sua lunga carriera, ha pubblicato per lo più commenti di autori greci e latini: Lisia e Senofonte da un lato, Cicerone, San Girolamo, Cesare, Virgilio e Livio, dall'altro. All'età di 60 anni, questo illustre letterato, una persona calma e fine, iniziò una seconda vita. Tra il 1930 e la sua morte nel 1957, si dedicò esclusivamente alla storia salesiana. I volumi XI al XIX delle Memorie biografiche, che si riferiscono alle ariani 1875-1888 Don Bosco, con un supplemento che copre la sua glorificazione, è uscito con velocità lodevole tra il 1930 e il 1939. Questo operaio ammirevole, una volta che lo ha portato come Don Bosco, ha scritto poi diverse biografie dei discepoli del santo (Maria Mazzarello, don Rua, Don Beltrami, Don Rinaldi), così come le notizie preziose sui "capitolari salesiani" e sul coadiutore salesiano, un libro ben fatto su i cooperatori salesiani e, infine, quattro grossi volumi di Annali della Societa Salesiana (per gli anni 18411921) e Epistolario di Don Bosco, il cui volume pubblicato lo scorso non poteva vedere perché è venuta la morte. Negli anni della canonizzazione, mentre continuava la pubblicazione delle memorie, aveva anche scritto una biografia di don Bosco in un volume di lusso, "forse è la vita migliore per la divulgazione di Don Bosco scritto in questo secolo. Don Cenia era un umanista base nel vero senso della parola. il suo culto della misura. pertanto, le loro frasi, ciceroniano ritmo, erano limpido e fluido. il suo gusto per le cose semplici e belle e descritto a parole mai ingannevole Non era affatto un servitore dell'erudizione, e la forma letteraria che aveva dato ai volumi XI-XIX delle memorie biografiche li ha modificati positivamente.

1 ° su don Ceria, cf. E. VALENTINI, don Eugenio Ceda, Torino, SEI 1957; Ceria Eugenio, in: Dizionario biografico dei salesiani, p. 79-81.

"San Giovanni Bosco nella vita e nelle opere, illustrato da GB Gallizzi, Torino, SEI 1938.

3. Il titolo generale del lavoro

Il titolo del primo volume di memorie (destinato a diventare più tardi nel lavoro completo, con le sole variazioni introdotte per promuovere la causa di canonizzazione di Don Bosco) è la seguente: Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, Raccolte dal sac. Il salesiano Giovanni Battista Lemoyne, vol. 1.12 manifestato un certo modestia.'3 Come Don Bosco aveva composto, non è una vera e propria storia del suo lavoro, ma le dell'Oratorio Memorie di S. Francesco di Sales, vale a dire l'Memorie per ser-Vire alla dell'Oratorio storia di S. Francesco di Sales, don Lemoyne, se si considera solo il titolo del primo volume ha cominciato a scrivere sul fondatore dei Salesiani, non è una biografia nel senso tecnico del termine, ma un Memorie biografiche, cioè, Memorie per servire alla biografia del santo di Torino. Ma lasciamo la facciata per entrare nel monumento. La vera intenzione del suo autore e il genere della sua opera appaiono nelle prime frasi della prefazione. L'autore scrive di loro: "Coll'affetto di amatissimo Fratello Cari Salesiani vi presento la biografia di Padre in Venerato Nostro Gesù Cristo Don Giovanni Bosco" "Siamo stati bene informati meglio Con il suo grosso volume sulla gioventù di Juan Bosco, ha voluto offrire. ai Salesiani le premesse di una biografia di Don Bosco.

4. La predominanza di Don Lemoyne sull'intero

La velocità con cui Don Cenia ha terminato le Memorie tra il 1930 e il 1939 viene spiegata solo se si presta attenzione all'immenso lavoro preparatorio di Don Lemoyne e alla fiducia senza riserve che Don Cenia ha avuto in lui. GB Lemoyne diede alle Memorie le sue fonti, la sua architettura generale e, anche per i dieci volumi che non riuscì a scrivere, la forma della storia, almeno in una certa misura. In questo saggio sul metodo di lavoro dei tre autori delle Memorie biografiche, mi soffermerò preferibilmente su Lemoyne, anche se è autore solo dei primi nove volumi della raccolta.

5. La ricerca e la sistematizzazione dei documenti

La ricerca, la comprensione e, infine, l'uso dei documenti, sono le tre fasi di un'opera in cui lo storico di Don Bosco rivelerà la sua qualità professionale. Don Lemoyne voleva raccogliere tutti i documenti adatti ad arricchire, per quanto piccola, la sua storia di Don Bosco e della sua opera. Benché ampio, non era nient'altro, nella mente del compilatore, che una "storia" su Don Bosco. Ha preso in considerazione, quindi, solo (o un po 'meno) gli elementi narrativi. I piani di costruzione, le fotografie, i libri contabili, i registri scolastici ..., che richiedevano un trattamento speciale, venivano quasi sempre ignorati. Le sue preferenze erano sempre verso testi già scritti da testimonianze immediate e, prima di tutto, da Don Bosco.

. Edic. extra-commerciale: San Benigno Canavese, Scuola Tipografica, Libreria Salesiana 1898.

"Si può vedere, su questa questione, il mio libro: Les Memorie 1 Giovanni Battista Lemoyne fondamental d'un ouvrage Étude sur la Jeunesse de Saint Jean Bosco, Lione, Maison d'études SaintJean-Bosco 1962, pag 84-86 .. .

"MB I p.VIL
Come direttore della scuola di Lanzo (1865-1877), Don Lemoyne aveva raccolto con la massima cura la "Buona notte", le plaziosità e le lettere di Don Bosco ai suoi giovani. Quando divenne suo segretario a Torino nel mese di dicembre del 1883, aiutato da un altro appassionato di Don Bosco, che era anche un archivista deciso, Don Gioachino Berto (1847-1914), raccolti tutto quello che poteva trovarlo. Ha chiesto e setacciato attraverso i testimoni della sua vita passata. Le storie sulla madre di Don Bosco, Margarita Occhiena, di cui ha pubblicato la vita nel 1886, lo interessavano molto. Doveva chiarire il contenuto di agende, quaderni, quaderni non sufficientemente leggibili. E spesso, dopo un'elaborazione progettata per rendere la storia facile da seguire, ha iniziato a classificare i suoi materiali, con frammenti quasi sempre tagliati secondo la cronologia di Don Bosco, e ordinarli nei registri dei Documenti per scrivere, che divenne così un'immensa cava per l'uso dello storico del grande uomo. La realizzazione di questi documenti iniziò nel 1885, in un momento in cui la raccolta di documenti era solo agli inizi. In altre parole, l'euristica e il lavoro di redazione - anzi, i Documenti costituivano una prima redazione - erano allo stesso ritmo per Don Lemoyne. Quando arrivarono alla sua conoscenza, incluse i nuovi pezzi nei suoi dischi. Tuttavia, dal processo di Don Bosco, si è deciso di passare a una nuova fase: testimonianze, frammentarie come la cronaca, sono diventati parte dei file preparati più direttamente in vista della stesura dei vari volumi delle Memorie biografiche. Don Lemoyne, in effetti, ha chiesto con la massima diligenza possibile sulla base delle prove prodotte nel processo di rendicontazione di canonizzazione tenutasi a Torino nella 90 Contrariamente a quanto avrebbe capito una nota nella sua introduzione generale, ha usato deposizioni che processo già nel primo volume delle sue Memorie, apparso nel 1898 e che si riferiva agli anni della gioventù del nostro santo.

Ogni giorno ci rendiamo conto meglio di quanto i ricordi biografici siano una immensa collezione di mosaici di documenti biografici, tagliati in pezzi e introdotti in una rete di articoli distribuiti in capitoli e in libri più o meno omogenei. La sua storia dovrebbe quindi supporre l'analisi della massa di documenti accumulata poi su Don Bosco, in particolare da Don Lemoyne. In questo momento dello studio, non posso fare altro che elencare i pezzi principali e aggiungere qualche parola sulla loro interpretazione.

Furono scritti da Don Bosco stesso: le Memorie dell'Oratorio che si riferiscono agli anni 1815-1855, al testamento spirituale, alle lettere circolari o personali; le biografie pubblicate su Comollo, Savio, Magone, Besucco, Cafasso; il manoscritto o i resoconti stampati della vita del suo lavoro; i registri, il viaggio a Roma nel 1858, la consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, le «meraviglie» o «grazie» attribuite a Maria venerata in Valdocco ...; i regolamenti e le costituzioni della sua opera locale (di Torino) e presto in tutto il mondo (la congregazione salesiana, l'unione dei Salesiani Cooperatori ...).

Le note minori o gli schemi interessavano Don Berto, che li passò a Don Lemoyne.

Dopo Don Bosco arrivarono quelli che lo avevano ascoltato o almeno i suoi contemporanei, che avevano scritto cose viste o ascoltate. Probabilmente è conveniente iniziare questa serie con la Storia dell'Oratorio, quella di Giovanni. Bonetti (1838-1891) pubblicato a puntate nel "Bollettino salesiano" durante la vita di Don Bosco e che in seguito divenne un grosso volume intitolato: Cinque lustri dell'Oratorio salesiano fondato dal Sac. Don Giovanni Bosco.'6 Alla Storia verranno aggiunte le consegne del "Bollettino" degli ultimi anni di Don Bosco sulla Passeggiata autunnale. I verbali delle riunioni dei direttori salesiani, del "capitolo superiore" e dei capitoli generali dal 1877 al 1886 erano anche inclusi nella documentazione raccolta dal signor Lemoyne. Ma ho dato maggiore importanza alle agende o notebook ricordi e commenti dalle seguenti testimonianze: Domenico Ruffino (1840-1865), Giovanni Bonetti (l'appena citato), Antonio Sala (1836-1895), Gioachino Berto (cit prima), Giulio Barberis (1847-1927), Francesco Cerruti (1844-1917), Giovanni Garino (1845-1908), Giuseppe Lazzero (1837-1910), Francesco Provera (1836-1874), Carlo Maria Viglietti (1864-1915 ), Pietro Enria (1841-1898), Giovanni Battista Francesia (1838-1930), Secondo Marchisio (1857-1914) ... questa lista dovrebbe anche mettere Don Lemoyne che, a fronte di una leggenda tenace, non annullata a tutti sistematicamente dalle tue note personali. Don Rua aveva scritto un bel libro dell 'Esperienza un Necrology ... e ha anche scritto note frequenti su piccoli pezzi di carta.

5 Cf. Memorie dal 1841 al 1884-5-6, che F. Motto ha pubblicato in RSS 4 (1985) 73-130.

16 Cfr. G. BoNETA Cinque lustri dell'Oratorio salesiano fondato dal Sac. Don Giovanni Bosco, Torino, Tip. Salesiano 1892. Va notato che Don Lemoyne raccolse nei Documenti le colonne del "Bollettino salesiano" e non le pagine dei Cinque lustri, che, a quanto pare, non erano usate, come tali, nella composizione del MB.
è chiaramente non è il caso dare giudizi generosi e valido per tutti questi testimoni, e ancor meno per ciascuno degli episodi contati per loro e per tutte le frasi di Don Bosco da essi trasmessi, come se la sua vicinanza con l'eroe della storia ha avuto quello di garantire in modo assoluto l'obiettività, la lucidità, l'accuratezza ... delle tue note. Devi "capire" questi documenti. Il genere letterario delle cronache dovrebbe interessare il commentatore. Il rapporto immediato sarà distinto, dalla memoria più o meno lontana; il record, della successiva testimonianza; testimonianza diretta, testimonianza indiretta; il sogno, della parabola del sogno; la stessa testimonianza, del suo commento, autorizzato o meno, e anche la formulazione originale, della formulazione elaborata. Qui gli esempi si accumulano a centinaia, forse migliaia. è stato, ma d'altra parte, molto più tardi la testimonianza diretta fatti di cui sopra e, quindi, esposto a tutte le fantastiche ricostruzioni di ricordi. Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose ​​che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21 Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose ​​che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21 Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose ​​che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21
"Le Castagne '; .. 22" Moltiplicazione delle ostie '' Sono aneddoti, vero o no, sono stati pubblicati solo molto tempo dopo essere stato registered'd meglio non dare loro più credito di quello che meritano le storie che si raccontano per evitare pregiudizi o ideologie dominanti nei vari gruppi umani.

"Cfr. MB V, 9.

In effetti, Don Lemoyne non lo teneva presente quando compose i suoi Documenti *, quindi
fino al 1891; e la critica interna supporta datazioni così tardive. "Cfr. MB IV, 156.

20 Cfr. MB lIL 495.

21 Cfr. MB IV, 416.

22 Cfr. MB 111, 576.

23 Cfr. MB III, 441.

Simile si può fare per quanto riguarda le deposizioni raccolte durante il processo di canonizzazione di Bosco e andò a osservazioni Memorie Biografiche. Nel complesso è stato molto bello e molto interessante. Hanno sfilato per Torino sacerdoti diocesani, sacerdoti salesiani, fratelli salesiani e laici: Giovanni Bertagna, Gioachino Berto, Secondo Marchisio, Giovanni Giacomelli, Felice Reviglio, Giacomo Manolino, Giuseppe Turco, Giovanni Filippello, Giorgio Moglia, Giacinto Ballesio, Angelo Savio, Francesco Dalmazzo, Giovanni Branda, Pietro Enria, Leonardo Murialdo, Giovanni Cagliero, Francesco Cerruti, Giovanni Battista Pianoforte, Giuseppe Rossi, Giovanni Villa, Giovanni Battista Francesia, Luigi Piscetta, Giulio Barberis, Giovanni Battista Lemoyne, Giovanni Bisio, Michele Rua, Giovanni Turchi, Ascanio Savio , Giovanni Battista Anfossi, Domenico Bongioanni, Giuseppe Corno, Antonio Berrone e tredici altre persone, uomini e donne, appositamente chiamati a chiarire i problemi riguardanti i miracoli. Don Pietro Stella ha cercato di classificare questi testimoni per iniziare a soppesare le loro testimonianze. Da un punto di vista ideale, sarebbe necessario seguire i meandri di ciascun elemento di queste deposizioni, risalendo alle loro fonti di informazione e alla stessa mentalità delle persone interessate. Si deve sapere che le affermazioni più assolute sull'ascesi di Don Bosco vengono da noi - tranne che per una migliore informazione - da don Berto, che era un uomo scrupoloso e più o meno ossessionato. Lo stesso Berto e suo fratello in religione Giulio Barberis fece lunghe dichiarazioni nel processo dai Documenti di Don Lemoyne, Potrebbero consultare e copiare a piacere in Valdocco. A volte li usavano in modo servile. Ecco perché gli approcci, anche gli errori delle loro fonti, sono riapparsi, più aumentati che corretti, nelle loro deposizioni. Lo hanno fatto indubbiamente con la migliore buona fede nel mondo. Ma sarà accettato che diverse testimonianze del processo di Don Bosco possano avere alle spalle una storia già lunga, la cui conoscenza è indispensabile per coloro che vogliono capirle. Un altro avvertimento piuttosto di natura generale: la cosiddetta forma "definitiva" delle cronache e dei verbali, fatta dall'autore delle Memorie, non è sempre, o spesso, quella che è uscita dalla mano dello scrittore. Per quanto riguarda le cronache, Il caso più interessante mi sembra quello di Carlo Maria Viglietti nel suo resoconto degli ultimi anni di Don Bosco (1884-1888). Distribuito in diversi quaderni, rivisto e copiato più volte, questa storia presenta al commentatore molti problemi particolari. Si scopre che la cronologia primitiva è la più sicura. Tuttavia, ci sono passaggi aggiunti in seguito che non sono privi di interesse per la conoscenza di Don Bosco. Per quanto riguarda i minuti: di solito il segretario designato prende nota di ciò che ascolta o capisce mentre la sessione si svolge. Ma poi deve scrivere un testo ufficialmente accettabile. Aggiunte aggiunte, modifiche, cancellazioni. Fai questo lavoro di solito da solo, a volte in consiglio. Le forme prese dai verbali della prima sessione del Capitolo generale dei Salesiani del 1877, essi affidati a Don Giulio Barberis, sono - a mio parere - ricco insegnamento per lo storico e, quindi, per la biografia di don Bosco. In effetti, la versione originale è pieno di frasi cancellato e ha aggiunto, che dovrebbe essere letto attentamente perché forniscono comprensione del dibattito sullo sviluppo. E 'vero che può essere cercato di preferenza diverse caratteristiche della mentalità dei correttori (Don Bosco e la prima di tutto): in questo caso, ritocchi, che non sono puramente formali, meritano, anche loro, un attento esame.

6. La comprensione e l'uso dei documenti

Queste riflessioni non sono state fatte da Don Lemoyne, compilatore, né dai suoi successori Don Amadei e Don Cenia. Per Don Lemoyne era sufficiente che il testimone fosse "onesto", una qualità che valeva secondo criteri morali. Prelevati sua versione nella sua forma finita, il lucidato, rivestimento ogni dettaglio nello stesso piano, dividendo, unendo passi paralleli, tutte le informazioni non ancora noto e distribuito secondo un tessuto generale del lavoro, che era rigorosamente e, per quanto possibile, cronologico. Don Lemoyne - e qui ricordare che Documenti redatto in base a questo principio di copertura l'intera vita del santo e influenzano anche i volumi di Don Amadei e Don Cenia - la migliore storia di Don Bosco sarebbe quello di raccogliere il maggior numero di informazioni di Don Bosco attestato dai testimoni. Nulla gli sembrava disponibile, anche se era solo una frase o una parola. Questo culto della quantità mi sembra che denuncia in convinzioni "sostanzialista", che, insieme ad altri, sono un segno di mentalità "pre-scientifica" della nostra historiador.24 "Per una tendenza quasi naturale - Gaston Bachelard scrive nel capitolo del Ostacolo substantialiste lo spirito pre-scientifico accumula su un oggetto tutta la conoscenza in cui quell'oggetto gioca un ruolo, senza occuparsi della gerarchia dei ruoli empirici. Collega qualità diverse direttamente alla sostanza, sia qualità superficiale che qualità profonda, qualità manifesta come qualità nascosta ". Si preoccupa di "ovvia esperienza esterna, ma fugge dalle critiche nel profondo del suo cuore". "
Forse alcuni esempi non sono inutili. Quando racconta la sua giovinezza, Don Bosco, per ragioni che per noi sono oscure, non ha mai fatto allusione al suo estare et l'ordonnance de la matière ".

24 Prendo, su questo argomento, le idee e la terminologia di G. BACHELARD, La formazione de l'esprit scientifique. Contributo a una psicoanalisi dell'obiettivo del congressuale, 13 "ed. (1" editto 1938), Paris 1986, p. 131-133.

2 Ibid., P. 99.

"Vedere Les Memorie I Giovanni Battista Lemoyne, p. 213-266, il capitolo sulla" lectancia come operaio a Moncucco Moglia fattoria dove egli deve aver speso circa 18 mesi (1828-1829), quando aveva 13 anni a 14 anni. Ora il salesiano Secondo Marchisio durante l'estate del 1888 e poi gli avvocati del processo di rendicontazione del 90 ha chiesto alla gente agricola, a partire da Dorotea Moglia, Giovanni Moglia, Giorgio Moglia a coloro che erano stati . lì e parlato abbondantemente una caratteristica di adolescente Bosco aveva impressionato questi connazionali loro. Juan si era rifiutata di restare solo con una ragazza di Moglia, e questo nonostante gli ordini da Dorotea di raccontare questo episodio, Don Lemoyne era a. meno prima di sette pericopi, senza contare altri due che generalizzavano il rifiuto? Considerò che, in quel caso, uno dei testimoni ha dato al rifiuto una forma diversa dalle altre e, quindi, separato da loro.28 La risposta è stata quindi spiegata nelle Memorie biografiche. Il ragazzo disse a Dorotea, secondo la maggior parte delle testimonianze: "Datemi dei ragazzi, e ne go-yerno fin che chelete, ma bambine non debbo governarne"; e secondo la particolare testimonianza: "Io non sono destinato a questo! rispondeva pacatamente Giovanni ».29 Questo meccanismo di inclusione raddoppiò anche il colloquio di Juanito con don Calosso nel novembre 1829 lungo la strada che da Buttigliera portava alla fattoria dei Becchi. L'episodio è noto. Don Calosso, meravigliato dalla disinvoltura di un ragazzo che ancora non conosceva, gli chiese di ripetere l'omelia del predicatore giubilare. Juan ha fatto. Don Lemoyne aveva tre fonti in questo senso: un frammento delle Memorie dell'Oratorio di Don Bosco, un frammento di una cronaca di Domenico Ruffino e un frammento degli Annali di Giovanni Bonetti, parallelo, invece, a quello di Ruffino. Ognuna di queste storie conosceva una singola conversazione ripetuta dal bambino. Ma le loro espressioni non coincidono perfettamente l'una con l'altra: quella di Ruffino-Bonetti aveva una sua forma che non era quella dell'Oratorio dei ricordi. Inoltre, nelle Memorie il ragazzo parlava "per più di mezz'ora", mentre Ruffino gli faceva ripetere il sermone solo per dieci minuti. Di fronte a questo problema, il "sostanzialista", avaro anche dei più piccoli servizi, credendo che con esso serva la verità, non dubita: conserva tutto. Don Lemoyne dubbio che don Bosco era stato in grado di ripetere 12 anni di distanza (nel 1861 per Bonetti-Ruffino e nel 1873 per dell'Oratorio Memorie), con una formula diversa sermone della sua infanzia, che aveva appena ricordato stato l'ultimo Egli ha parlato, quindi, "per pin di mezz'ora" su uno dei sermoni e poi per dieci minuti su un altro, con un totale di circa tre quarti d'ora? °
27 Rossi ha testimoniato: "Le Madri di famiglia affídarono Gli Dei Loro Bambini custodia e ilgiovane Faceva muffa Bosco delle volentieri ad eccezione bambine" (G. Rossi, ordinario Processo di Tormo della Curia, 2511 c.). C'erano così tante "madri di famiglia" nella Moglia?
28 Questa affermazione fatta, credo, da Giorgio Moglia, fu pubblicata da Don Lemoyne in Documenti XLIII, p. 3.

29 Cf. MB I, 199.

30 Cf. MB I, 177-178.

I due uguali curacionestan di donna paralitica in occasione della consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino nel 1868 sono nati nello stesso modo nella storia salesiana. La prima derivata da un conto di Don Bosco Don Lemoyne nel 1884; 31 secondi, tre pagine dopo nelle memorie IX come una raccolta stampata dell'anno suceso.32 Altri doppietti, meno facile da scoprire, sono comunque quasi altrettanto certo: l'episodio dei ragazzi che sono stati imbevuti durante un'escursione e sono stati accolti dal "Cavaliere Gonella" di cui nel volume VI del MB, secondo la biografia di Magone scritto da Don Bosco, e ripetono in volumi VII dei MB in un altro anno - secondo un aneddoto raccolto nel 1884;

7. Indifferenza nella comprensione dei documenti

Su questo punto sembra che lo storico di Don Bosco abbia confuso due piani: quello della vita o quello della storia vissuta e quello della storia della vita o della storia e anche del documento che testimonia quella storia. Si basa sull'ipotesi della sua coincidenza normale: un piano riflette l'altro. Si presume che le mediazioni dei documenti siano trasparenti e che i loro messaggi siano ovvi. La comprensione del documento, nella sua peculiare formalità, non pone mai (o quasi mai) problemi. Ora, "non è così facile capire un documento, sapere cosa è, cosa dice, cosa significa" 35. L'agiografo di Don Bosco dimentica che l'esposizione storica (cioè i suoi documenti) forma un corpo con persone o persone. gruppi di persone che hanno parlato o scritto in un dato momento, hanno scelto le proprie prospettive, i dettagli trascurati, hanno forgiato gli altri per farsi capire (per comunicare, diremmo oggi), al momento hanno immaginato in buona fede, hanno colorato il tutto con i loro sentimenti e desideri. Colui che ha un po 'di familiarità con la storia, intravede le conseguenze di un metodo che economizza sulla "comprensione" sistematica dei testi usati. In effetti, il testo è un prodotto. Ha il peso di un oggetto fabbricato. Non può mai essere usato come un vetro trasparente, che "guarda" al reale o alla storia che conta. Applicato alla Bibbia, questo metodo "naif" confonde frammenti didattici e storie storiche, leggende e realtà, aneddoti popolari e lettere ufficiali, ecc. Per quanto ci riguarda, scegliamo un esempio casuale: la storia del barbiere del villaggio di Castelnuovo. Don Bosco ha rifiutato un giorno di lasciarsi radere da una donna, almeno sembra così. Episodio, commentatori divertenti oggi la sua vita è una storia che introduce Giovanni Bonetti questo modo in uno dei suoi quaderni: "Otto giorni Sono o - sono in febbraio 1862 - a causa Suo del paese, D. Savio e il Suddiacono Cagliero il mio raccontarono questo del signor D. Bosco. Un giorno D. Bosco fu venuto a Castelnuovo. Avendo bisogno di farsi fare la barba [...]. E 'Tio visto tosto se sollevato, Prese Il Suo Cappello e salutando le Disse: che non permetteró giammai uno Dorna venire prendermi naso pel" .36 Si tratta di un cartone animato divertente, come la gente del posto aveva. Per quanto riguarda la scena in sé ed effettivamente pronunciato le parole ..., si dovrebbe pensare due volte - o più - prima di decidere se la risposta di Don Bosco, la cui formulazione abbiamo sempre fuggire, era un segno della sua "castità selvaggia ' ... L'autore delle Memorie ci fa credere in una specie di recente relazione: "D. Angelo Savio e Mons. Cagliero Egli ci raccontarono mangiare, una volta giunto e Avendo Castelnuovo di Bisogno farsi radere la barba, nei pressi di Bottega di una ... "etc. In questo modo, economizza in realtà nella "comprensione" corretta del documento e quindi nel suo significato.

3 'Vedi il quaderno di GB LEMOYNE, Ricordi di gabinetto, 22 febbraio 1884; raccolti in: MB IX, 257.

32 Cfr. G. Bosco, Rimembranze di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice, Torino 1868,
p. 49-50; Raccolta in: MB IX, 260-261.

33 MB VI, 54, secondo GB LEMOYNE, Ricordi di gabinetto, 22 febbraio 1884. Il duplicato
qui è molto sicuro, sebbene non assolutamente vero.

34 Riguarda la guarigione del figlio di Bouillé, raccontata da Anden Magistrat in: Docu
menti XXV, p. 127; narrazione approvata da Charlotte Bethford, contenuta in: MB XVI, 131-133. Riguarda la guarigione di un ragazzo, il cui nome non è menzionato, in una mostra di María Ortega a Don Rabagliati, Documenti XLIV, p. 460, da dove passò a MB XVI, 224-225. H.-I. MARROU, De la Connaissance Historique, Parigi, Editions du Seuil 1954, p. 101.

Le conseguenze di questa omissione possono essere serie. Don Lemoyne (e dopo di lui don Ceria) avrebbe dovuto impegnarsi a "comprendere" a fondo i due racconti di "bilocazione" di Don Bosco, i primi nel 1878 e poi nel 1883. Mentre a quel tempo era a Torino, i Ricordi lo fanno apparire in carne ed ossa il 14 ottobre 1878 a Saint-Rambert d'Albon, in Francia; secondo una lettera datata 13 aprile 1891, dalla signora Ada Clément; e nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1886 a Sarrià, vicino a Barcellona, ​​seguendo il sacerdote salesiano Giovanni Branda.37 La prima testimonianza è una supposizione senza fondamento serio. Per quanto riguarda il secondo, è solo un segno di una "visione", non di una "bilocazione" propriamente detta. Nell'esercizio della sua missione, il giudice sa che ogni testimonianza deve essere soppesata. Purtroppo, l'agiografo dell'era pre-scientifica, attaccato alla tradizione, ha fatto attenzione a non farlo, soprattutto se la reputazione del suo santo rischiava di essere offuscata in qualche modo. L'agiografo che ha familiarizzato con le scienze umane e con il metodo "scientifico" è obbligato a valutare criticamente le testimonianze e, più in generale, a "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali". più in generale, per "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali". più in generale, per "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali".

"G. BONETA Annali, quaderno II, pp. 36s Il tratto riappare in: MB V, 161-162.

37 Il fatto di Saint-Rarnbert, secondo Documenti XLIII, p. 335-336, corroborato da una lettera della figlia della signora Clément, Lione, 18 aprile 1932, in: MB XVI, 680-684; il fatto di Sarriá, secondo Documenti XXXI, p. 86-89, in: MB XVIII, 35-39.

non è il caso scuse per questo modo imperfetto e riprovevole di procedere degli autori di memorie degli autori, e prima di tutto Don Lemoyne. Non è vero dire che "erano uomini del suo tempo". Anche parlando solo di agiografia - e non la storia in generale, che ha fatto passi da gigante in tempi moderni - Bollandisti aveva lavorato 250 anni prima che Don Lemoyne pubblicò il suo primo volume delle Memorie biografiche. Studiavano i documenti agiografici secondo metodi sempre più raffinati dalla critica storica. Nei secoli XVII e XVIII, gli storici di Port-Royal avevano contribuito a trasformare l'agiografia nella storia vera. Le Nain Tillemont, per esporre i santi nelle sue Memoires versare Servir à l'Histoire des premiers sei Siècles ecclésiastique, 38 l'aveva fatto come storico. Memoires versare servir la vie ... di vari personaggi di quel periodo - i cui titoli annunciato, inoltre, curiosamente Don Lemoyne che ha scelto di celebrare il Don Bosco - erano di buona qualità. Il livello generale bassa scientifica si trova in pie biografie comunemente usati nel XVIII secolo, e ancora di più nel XIX secolo, la cui preoccupazione per la costruzione di sovrapposizione di dire e spiegare la verità è incontestabile. Ma, perbacco, ruotare la rigorosa l'agiografia ha coinciso con la fine del secolo scorso, e quindi la nascita di Ricordi, un momento in cui Louis Duchesne (1843-1922) e Hippolyte Delehaye (1859- 1941) ha attaccato violentemente nella "Bulletin Critique" e nelle loro opere specializzate le "leggende agiografiche". Bollandist eccellente iniziazione Charles De Smedt, Principes de la critique historique, era stato pubblicato nel 1883. Altri, con questi, costruita su quella linea. Nel 1895, gli autori della collezione Les Saints, pubblicati a Parigi sotto la direzione di Henry Joly, erano convinti che i loro opuscoli dovessero essere rigorosamente storici. In molti casi erano opere veramente compiute. Lo stesso Delehaye pubblicato in esso la sua Saint Jean Berchmans.39 Tuttavia, nel nostro caso, questo "scientifico" corrente che, tra l'altro, era tutt'altro che dominante nel nostro tempo e nella stessa, come gli ambienti francesi attuali, dico, non ha raggiunto il clero italiano. E l'antimodernismo del primo Novecento ne dubitava persino l'ortodossia. Don Lemoyne si era formato a Genova intorno al 1860. Ora,
vente stranieri, cultura della cultura ecclesiastica nell'ambiente dí tale secolo é assai mediocre. Ricerche più recenti hanno precisato senza smentire le impressioni d'insieme [...]. Il livello degli studi, in cui gravi insuffidenze erano state denunciate da Rosmini nelle antiche piaghe della santa Chiesa,
nonostante qualche progresso, assai basso; i professori non sono, nell'insieme, selezionati secondo le paro competenceze. Tranne Eccezioni ALCUNE, Sono Gli Studi Positivi trascurati ...'. Studi positivi 4 ° sono stati trascurati, ed i nostri storici salesiani hanno partecipato nello spirito 'pre-scientifica' dell'ambiente culturale della loro nazione, alla ricerca di alcuni dati, non impone lo sforzo di valutare e contrastare le sue "esperienze". È necessario, quindi, superare uno stadio ed entrare nell'era "scientifica" una volta per tutte.4 Quindi, sono stati compiuti progressi in fisica e in biologia; ma anche nella storia. In effetti, lo storico è, a suo modo, un uomo di sperimentazione. Ha la sua collezione di concetti. Solleva domande. Crea ipotesi, le contrappone, le verifica e le definisce dalla documentazione. I concetti sono i suoi strumenti; i documenti, il luogo delle sue «esperienze», in cui e con cui si interroga sul passato degli uomini.42
"Cfr. LE NAIN DE TILLEMONT, Mémoires pour serve ..., Paris, Robustel 1693-1712.

33 Cfr H. Delehaye, Saint Jean Berchmans, Paris, 1921. See Lecoffre articolo di P. Pourrat, Biografie Spirituelles in: Dictionnaire de spiritualité, vol. Io, Parigi 1937, coll. 1715-1719, il paragrafo su "L'évolution de la biographie spirituelle à l'époque moderne"; e R. AIGRAIN, L'hagiographie. Ses fonti, ses méthodes, sono histoire, Paris, Bloud et Gay 1953, passim.

Don Lemoyne riteneva di aver gettato le basi di un'opera totalmente "razionale". "Non la fantasia, ma il cuore, guidato dalla fredda ragione, dopo lunghe disquisizioni, corrispondenze, confronti dettó queste pagine. Le Narrazioni, i Dialoghi, OGNI Che cosa ho creduto Degna di memoria, non Che Sono la fedele ESPOSIZIONE letterale di Quanto i testi esposero ».43 Purtroppo, scambiò la perfezione "razionale" e l'accumulo 'sostanziale', cioè l'accumulo di prove documentari o elementi espressivi - non analizzati e sistematicamente compresi - della storia passata. Il suo lavoro correva il rischio di essere un'enorme testimonianza della storia o dell'agiografia "pre-scientifica".

8. L'uso della documentazione

Si dirà giustamente che ciò che importava a questi autori della prima generazione era raccogliere documenti e renderli leggibili. I nostri tre biografi l'hanno ottenuto almeno apparentemente, dal momento che hanno composto 19 volumi che il pubblico era destinato a leggere senza stancarsi dopo la pubblicazione. Sono stati tradotti in tre lingue (inglese, olandese, spagnolo). Il suo volume è, per lo meno, un indice di abbondanza di documenti oggetto di dumping in questo tipo di storico salesiano enciclopedia primitiva ... è imposto aspetti retributivi a don Lemoyne, editore di lettere private e circolari, articoli di giornale collettore o di piccoli stampati nei suoi Documenti per scrivere ... Ha reso un servizio senza prezzo alla storia di Don Bosco. A sua volta, come è frequente dopo Don Lemoyne, Don Amadei e Don Cenia hanno pubblicato nei volumi X-XIX un notevole numero di pezzi originali. Gli allegati che contengono documenti stampati di piccolo carattere nei volumi di Don Cenia, sempre più abbondanti come la vita di Don Bosco si riversa dalla sua penna, sono già di grande aiuto per coloro che hanno consultato. (Una specie molto rara, è vero, tra coloro che rivelano e commentano Don Bosco, che preferiscono la storia fluida). I "documenti" riprodotti con cura (ho potuto verificarlo) nei Documenti di Don Lemoyne e negli allegati di Don Amadei e Don Cenia rispondono alle aspettative degli storici di Don Bosco. Così, per la storia del lungo viaggio di Don Bosco in Francia nella primavera del 1883, ci sono informazioni di prima mano e, quindi,

4 ° P. SCOPPOLA, Italie. Période contemporaine, in: Dictionnaire de spiritualité, vol. VII, 2 ° partito, Parigi 1971, coll. 2296-2297.

4 Questa osservazione, come molte altre qui riprodotte, è tratta da G. BACHELARD, La formazione de l'esprit scientifique, citata alla nota 24.

42 Cfr. L'eccellente libro, già citato, da MARROU, De la Connaissance historique, p. 146-168, il paragrafo su "l'uso del concetto".

43 MB I, p. IX.

Ma rimane il resto, di ciò che il meglio è inestricabilmente mescolato con il meno buono o respingibile, con l'applicazione di procedure redazionali che forse cominciano a intravedere. I nostri autori hanno aderito a una concezione della storia storica prodotta, che anch'io ho definito pre-scientifica. Secondo questa concezione, i documenti non erano altro che il tracciamento di una storia vissuta e la sua forma specifica era indifferente. È stato sufficiente organizzarli e presentarli in modo coerente. Solo l'originalità (la singolarità) del dettaglio interessava l'agiografo. Senza dubbio, avrei scritto - così pensavo - la migliore storia con il massimo di pezzi allineati, disposti e inseriti in una storia che, grazie a loro, sarebbe estremamente ricca. Ritroviamo il "sostanzialismo" avaro dello spirito pre-scientifico.

L'abbandono della forma peculiare, frequente nei confronti del genere e sempre verso il "significato" del documento, riappare nella stessa composizione del testo delle Memorie che, come si ricorderà, è iniziato con i Documenti. Per illuminare il lettore, probabilmente vale la pena notare che questa opera di "compilation" è iniziata, in termini di pezzi come i "sogni" di Don Bosco, anche prima dei Documenti ... per l'interesse di Don Lemoyne (e anche, penso, di Don Berto). La cosa importante, quando componeva la storia, era di riflettere la "realtà" emersa dall'insieme dei dettagli dei fatti, come si credeva, ma erroneamente. (L'alta precisione, specialmente dei numeri, è, secondo Gaston Bachelard, altre caratteristiche della mentalità pre-scientifica). L'uomo dotato di uno spirito scientifico ha la modestia del probabile e del approssimativo, soprattutto in campo storico ...). Pertanto testimone debitamente attribuiti ad una persona designata dal nome può essere arricchito con informazioni parallele; un discorso pronunciato come una notte può essere corretto e interpolato con l'aiuto non solo di ricordi complementari di discorsi, ma dispone anche di relative a fatti (a volte oníricos) presentato a coloro, e assumere le forme di proporzioni straordinarie, Avrebbero attonito la gente non avvertita. O, se il tipo di testimonianza è di relativa poca importanza, un conto sarà costruito in prima persona e, se necessario, sarà sulle labbra o penna di Don Bosco a colori o drammatizzare un capitolo o un paragrafo. Dal momento che i dettagli sono esatti e che sono tutti, la scelta di un sottogenere letterario (citazione dal testo, testimonianza personale, "parole" dal testimone citato, discorso in forma ...) conta molto poco. È solo una questione di estetica, pensa il nostro biografo.

Per sedurre il tuo lettore, parlerà volentieri al suo eroe in prima persona. Per questo motivo, di solito sarà sufficiente riprodurre i testi o discorsi di Don Bosco presi dai suoi discepoli. Don Lemoyne non si accontentava di "appuntamenti" che, in breve, chiameremmo "autentici" (e che non erano sempre). Ai suoi scritti e alle sue storie omogenee aggiunse, senza preavviso, interventi diretti o indiretti di Don Bosco e che apparteneva ad altri momenti della sua vita, così come ad altre persone. Così riuscì, senza volerlo, a fare assumere a Don Bosco una lingua assolutamente strana sulle labbra e nella penna, di un uomo semplice e diretto. Nelle Memorie biografiche, la storia della prima Messa di Don Bosco, domenica 6 giugno 1841, nella chiesa di San Francesco d'Assisi a Torino, viene raccontata in modo inequivocabile: "Nel Suo noto manoscritto D. Bosco Scrive Ancora Quanto segue ...» .44 Don Lemoyne si riferiva senza dubbio per dell'Oratorio Memorie, che diceva:" ... ed ho mio cugino celebrato la messa Nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, colomba era capo dí confessore D. Cafasso. Ero ansiosamente aspettato nella mia patria, colomba da molti anni non si piú celebrata messa nuova; Ho preferito celebrarlo a Torillo, Senza Rumore, e Queso Posia Chiamarlo il phi bel giorno della mia vita. Nel Di quella Memento Messa note ho procurato di tariffa Divota Menzione di Tutti i miei professori, Benefattori spirituali e Temporali, e segnatamente di compianto D. Calosso, Che ho sempre ri concordato zona grande ed benefattore distinta. ".45 Questa piccola storia di un giorno tra gli anziani nella storia di un santo appare meschino e, in ogni caso, insufficiente per Don Lemoyne, che aveva più cose da dire apposta. A nove linee della Memorie dell'Oratorio corrispondono citazioni, più di 20 righe nel Proceedings biográfkas.46 Dopo seguenti otto righe del manoscritto di possedere, con poche varianti, in aggiunta (aggiunte nome di don Cafasso. ..), i nostri ricordi si allontanano improvvisamente, per tornare dopo sei altre righe e, infine, per tornare di nuovo e infine alla fine del soggetto. Don Lemoyne ricostruendo in questo modo:" ... il mio cugino l'ho Celebrata Nella Messa di S. Francesco d'Assisi, Chiesa, dove è stato capo di Giuseppe Cafasso Conferenza D., mio ​​illustre benefattore e Direttore. Ero ansiosamente aspettato nella mia patria, ove da vari anni non se si celebrava Messa nuova; Preferisco celebrarlo a Torillo senza rumore, all'altare del S. Angelo Custode, posto in questa chiesa dal lato del Vangelo. In questo giorno la Chiesa universale celebra la festa della SS. Trinità, l'archidiocesi di Torino quella del miracolo del SS. Sacramento, Chiesa S. Francesco d'Assisi Festa della Madonna delle Grazie, Quivi Onorata dà antichissimo tempo, e Quello Posso chiamarlo il Più bel giorno della mia vita. Nel memento dato Quella di memorandum Messa procurato ho di tariffa Tutti dedicato Menzione i miei professori, Benefattori spirituali e Temporali, e segnatamente del compianto D. Calosso, Che ho sempre ricordato mangiare grandi distinto benefattore ed. E 'pia credenza Che il Signore infallibilmente concessione flauto Grazia, il Che Il Nuovo gil Priest Domanda tenendo la cruda Messa; io chiesi ardentemente l'efficacia della parola, per poter fare del del ha anime. Mio padre che signore abbia ascoltato la mia umile preghiera ».

44 MB I, 519. MO 115. 46 MB I, 519.

Il frammento autografo è espanso in due principali prima volta in Documenti e quindi Memorie Biografiche del 1898. Si è allungata dalla Documenti II, cioè nel 1885. Il testo del dell'Oratorio Memorie". .. e ho messa celebrato premium mia "si gioca lì fino a quando la frase riferendosi a don Calosso, vale a dire come tutta la storia di quel giorno. La pericope sulla grazia dell'efficacia della parola - che non è privo di interesse per la conoscenza della psicologia di Don Bosco - entra poi in gioco. Si legge:" ... e celebrato ho messa Nella premio Mia Chiesa di S. Francesco d'Assisi dove è stato Capo di Conferenza D. Cafasso. E 'stato con entusiasmo [...] del compianto D. Calosso Che ho sempre ricordato mangiare grandi famoso benefattore ed. É pia credenza che fi signore concede infallibilmente quella grazia che il nuovo prete gli domanda celebra la prima messa. Io chiesi ardentemente l'efficacia della parola. Mio padre che signore abbia ascoltato mia umile preghiera. Lunedl ... "47 Questa aggiunta, probabilmente derivata da una testimonianza scritta, che potrebbe apparire un giorno, cominciò a distorcere la storia originale di Don Bosco. L'alterazione peggiorò dopo la morte di quest'ultimo. Don Lemoyne inserì nelle prime linee pulite dei Documenti alcune formule tratte dalla memoria manoscritta che chiamiamo Testamento spirituale de Don Bosco. Deve la svolta: «La mia prima messa in scena», così come, per designare Don Cafasso, le parole: «Giuseppe» e «mio insigne benefattore e direttore». 48 Ha anche preso la deposizione compiuti nel processo di Don Ascanio Savio clausola circostanziali: "fare Poter per bene alle anime" clausola come commento perché la preghiera per l'efficacia di palabra.49 Infine, sulle varie parti del 6 giugno 1841, ha messo nel testo di Don Bosco riporta un liturgista aveva dato al 11 dicembre 1891, per conto del rettore della chiesa di San Francesco d'Assisi, Torino, Don Luigi Dadesso: "Ho solfato Ricerche Che le desiderava la Ill.ma SV nei Registri of this Trovato Che ho Chiesa ed il Giovanni Bosco MRD SUA terrà appunto la cruda messa I16 giugno 1841 e la tenuta all'altare di San Angelo Custode posto in this dal lato chiesa del vangelo ». Seguì Lorenzo Romano, apparentemente come la sua stessa cosa: «E in questo giorno la Chiesa universale celebra la festa dei SS. Sacramento, la Chiesa di S. Francesco d'Assisi la festa della Madonna delle Grazie Onorata nel delta Chiesa da antichissimo tempo ... '5 ° Questa è l'origine dei seguenti linee eruditi dei nostri ricordi." ... tutto' altare del S. Angelo Custode, posto in questa chiesa dal lato del Vangelo. In questo giorno la Chiesa universale celebra la festa della SS. Trinità, l'archidiocesi di Torino quena del Miracolo del SS. Sacramento, la Chiesa di S. Francesco d'Assisi la festa della Madonna delle Grazie, quivi Onorata da antichissimo tempo. " La sua presenza sorprende in una lettera di Don Bosco. Il metodo di lavoro di Don Lemoyne lo spiega. Indifferente alla natura (o "forma") di documentari mediazioni lettere, testimonianze, prove indirette, scritto, "parole" di cui, discorsi scritti, discorsi sentito o "rinvii", ecc, senza alcun rigore ha scelto le particolari forme di esposizione. I dettagli della sostanza - l'unica cosa importante ai suoi occhi - potrebbero essere inclusi in un commento, in un discorso o tra virgolette. La citazione presunta 'avviso manoscritto "Don Bosco per la sua prima Messa a San Francesco d'Assisi è un amalgama di frammenti eterocliti (anche se di buona qualità), istruendo il fatto, ma ingannare circa l'eroe, circa il suo stile, la sua ricordi e le loro sensazioni esatte ... non dobbiamo immaginare un manoscritto perduto o sconosciuto di Don Bosco nel periodo, come fa quasi istintivamente quasi tutti i lettori del memorie biografiche. Questo testo impudentemente attribuito alla mano di Don Bosco era in realtà una composizione di Don Lemoyne 5 volte sono fedeli e non sono mai al sicuro. Poiché il fatto in questione è apparso in diversi conti paralleli, il documento "quotato" era stato ritoccato e interpolato.

47 Documenti II, p. 6.

48 Cfr. La già citata edizione di Mono, Memorie da11841, p. 20; e MB I, 519.

Ha applicato questa procedura a dozzine o, forse, centinaia di volte nel set delle sue Memorie biografiche. Gli appuntamenti, anche quelli di Don Bosco, .solo rara
"L'aggiunta è certamente a causa di Ascanio Savio, ad 13um, che è anche responsabile per l'altra parte del testo, non citato, l'MB I, 519. Si legge:" Posso solo attestare, Che Egli, mangiare Disse, in Occasione della SUA ordinazione Tra le grazie AVEVA domandato della Parola per il dono far bene alle anime. un mio Giudizio Egli ottenne abbondantemente la grazia" ... (Ascanio Savio, Processo ordinario della curia di Torino, ad 13um, 4552).

5ª Lettera di Lorenzo Romano a GB Lemoyne, Torino, 11 dicembre 1891, trascritto in: Documento: * XLIII, p. 9.

51 L'ultimo biografo che è stato portato via da questa citazione apocrifa è prudente CASELLE S. Giovanni Bosco, Chieri, 1831-1841 ... Torino, Acclaim 1988, pag. 208 E
'necessario per sottolineare questo aspetto del lavoro di Don Lemoyne e carambola, gli altri due autori di memorie, che potrebbero essere sul documento già sviluppate. I tuoi appuntamenti sono più o meno inutilizzabili in quanto tali. Il commentatore dovrà fermarsi su coloro che potrebbero offrire una particolare (e falsa) idea dei personaggi messi in scena. La storia della Sagra di S. Michele raccontata da Don Bosco ai suoi ragazzi escursioni con estrema precisione, inaspettati come tanto quanto dotati di un buon narratore me-morire, è un altro caso dimostrativo difficile, perché esso è molto facile per identificare il testo originale.

Leggiamo nel volume IV delle Memorie, nel racconto di una passeggiata del 1850, queste linee si posano sulle labbra di Bosco che parla ai suoi ragazzi:
"Disse percio Loro: This Santuario di S. Michele delle Chiuse comunemente said La Sagra di S. Michele, Perché consacrato ad onore di quest'Arcangelo, é una delle piu dei Benedettini CELEBRI Abbazie in Piemonte. Da semplice Che l'Anno Romitaggio è stato versetto 990, Fabbricato di S. Michele ISPIRAZIONE annuncio dà Certo Giovanni da Ravenna, uomo ritirato di vita della Santa, il Che è stato versò, fu Mutato Pochi anni DOPO da said Ugone di Montboisier lo Scucito, Gentiluomo dell 'Alvernia, nella maestosa Chiesa di gotico stile con un grande anneso Convento dei Monaci per l'abitazione ...'. La storia continua per più di una pagina: i lavori di costruzione Hugo de Montboisier affidata a "Atverto o Av-yerto" Lusathe Abate in Francia. Quando i lavori furono completati, portò monaci benedettini nel nuovo monastero; hanno scelto Atverto come abate. Nell'abbazia divennero ben presto ben 300 monaci. Nel 1383, svogliati disciplina primitiva, è diventato un commendatario dell'abbazia sotto la sovranità dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno nel corso Re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui. Abbazia divenne commendatario sotto il protettorato dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno sul re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui. Abbazia divenne commendatario sotto il protettorato dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno sul re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui.

Nel 1880, il "Bollettino Salesiano" è stato detto in un opuscolo della Storia dell'Oratorio, che era, come sappiamo, una delle buone fonti di ricordi. Il testo sopra esaminato appare nel capitolo XXVIII di quella cicogna, pubblicato nel numero di aprile 1881 del "Bollettino". Nell'articolo si legge: alleati Visita Sagra di S. Michele e nota a pagina 15, una lunga rassegna storica, probabilmente copiata da parte dell'autore, Giovanni Bonetti, un'enciclopedia. Basterà rileggere le prime battute per comprendere il meccanismo che ha dato origine alla vicenda attribuita a Don Bosco nelle Memorie biografiche. "Di S. Michele II santuario della Chiusa, comunemente Detto La Sagra di S. Michele, Perché consecrata ad onore di quest'Arcangelo una delle piú celebri Abbazie dei Benedettini in Piemonte. Da semplice Che Romitaggio Verso l'anno era 990, Fabbricato ad ISPIRAZIONE di S. Michele dà Certo Giovanni da Ravenna, Vita Che uomo di Santa S'Era ritirato coda ... "etc. Non mancano anche l'episodio dello stratagemma di Carlo Magno in Val di Susa per battere Longobardi "Per quanto riguarda Bosco, una cosa è certa .. Durante il tour, ha chiacchierato con calore con i suoi ragazzi don Lemoyne preso episodio presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana. solo una cosa è certa: durante l'escursione, ha chiacchierato con i suoi ragazzi con piacere. Don Lemoyne ha approfittato dell'episodio per presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana. solo una cosa è certa: durante l'escursione, ha chiacchierato con i suoi ragazzi con piacere. Don Lemoyne ha approfittato dell'episodio per presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana.

32 MB IV, 118-119.

E 'noto che non ha avuto scrupolo a chiamare "testamento" Don Bosco ai suoi collaboratori ad una composizione trovato - ha detto - tra le carte del santo subito dopo la sua morte, ha informato per iscritto: "Da aprirsi Bulldog la morte mia." Ha messo una copia stampata nei suoi documenti accompagnata dalla presentazione: "Ecco il prezioso documento". Don Ceria, molto fedele ai suoi principi, seguito purtroppo il suo fratello nel Memorie Biografiche: 55 libero, tuttavia, riconoscere un giorno la vera storia di tale presunta lettera scritta a mano, che è stato, tuttavia, un saggio di Giovanni Bonetti .56
Don Lemoyne raccolto i frammenti, giustapposte, interpolati in a vicenda per conto di quello che pensava era rispondere alla verità e tutto questo ha portato in alcuni casi - rari, ma infinitamente esigenti - una falsa caratterizzazione. Il mosaico è poi uscito in una forma completamente nuova a causa del trattamento a cui il compilatore aveva sottoposto i documenti primitivi, dei quali, se del caso, riproduceva i riferimenti. Il pericope sulla prima messa nella chiesa di San Francesco d'Assisi è un caso. Un amalgama tra i più fuorviante è indicato pienamente conto del pubblico immaginario concessa da Pio IX Don Bosco il 12 febbraio 1870. Ognuna delle sue parti è quasi "sostanzialmente" genuino, ma la ricostruzione del tutto è completamente gratuito. È un pubblico fantasmagorico. " Il "fedele ragionamento" Don Lemoyne potrebbe quindi svolgere le stesse parole di Don Bosco e di riflettere lo spirito del fondatore dei Salesiani. E 'stato, quindi, un impegno laboriosa l'organizzazione dei ricordi, la selezione orientate, le piccole aggiunte, da un universo simbolico in cui il nostro narratore, come ogni narratore, era radicata.

53 Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, in BS (1881) 1, 15.

54 Documento: * XL, p. 324-332.

"MB XVIII, 621-623, con l'introduzione:" Don Bosco diceva ... "56 Cfr E IV, 393 nota.

"Cfr. F. DESRAMAUT, Le récit de Paudience lo pontificò il 12 febbraio 1870 nelle Memorie biografiche di Don Bosco, in RSS 6 (1987) 81-104.

9. La spiegazione "carismatica" di Don Bosco di Don Lemoyne

Secondo il suo intento generale, pensò Don Lemoyne solo per descrivere, con l'aiuto di una nuvola di testimoni, la straordinaria vita di un uomo che era stato Don Bosco. Ma, incoraggiato dalla ammirazione e, allo stesso tempo da un movimento naturale di conoscenza, anche ha cercato di capire che la vita nella sua delicatezza e le sue infinite sfumature, e penetrare la verità e dei suoi meccanismi alla profondità di un'anima messo nelle mani di Dio . La sua descrizione divenne così una spiegazione. Dalle parole e dai fatti salì alle loro cause. Così, come tutta la vera storia, quella di Don Bosco divenne "intelligibile". Per questo motivo, ha fatto ricorso a strumenti concettuali, sui quali sarà necessario riflettere attentamente su uno studio rigoroso dei nostri agiografi salesiani. Anzi, il preside dei tre ha posto Don Bosco un'immagine ideale: quello che Don Lemoyne aveva dentro di sé. Armato di quella concezione, di cui non era necessariamente cosciente e che certamente non tentava di criticare - in tal modo gli sembrava imposto - iniziò a spiegare la vita del suo eroe. Penso che un capitolo lungo possa essere scritto su questo Idealtypus di Don Lemoyne. Gli storici della mentalità salesiana potrebbero essere interessati a riflettere su di esso, perché, attraverso le Memorie, ha impregnato quella mentalità ad un punto difficile da calibrare, ma senza dubbio molto rilevante.

Mi riferisco solo a una caratteristica importante che potremmo chiamare globalizzazione. Per Don Lemoyne, Don Bosco era un uomo carismatico nel senso weberiano del termine. Dal suo primo incontro con lui (l'esperienza di Lerma) gli aveva attribuito quel potere. Questa visione in seguito influenzò l'interpretazione che diede alla vita del santo. Come ha recentemente scritto Xavier Thévenot proprio circa il nostro Don Bosco ", il potere carismatico è visto come straordinario e quando si avverte un credente, come soprannaturale, che è Dio-dato. Chi la possiede dice di sentirsi investito di una missione che, in qualche modo, lo costringe internamente e lo rafforza nella sua legittimità. [...] Da un punto di vista psicoanalitico si dirà che il leader carismatico si stabilisce o vive come un presunto soggetto dotato di conoscenza e potere. Superidealizzato dai suoi discepoli, viene presentato dotato di perfezione e capace di successo dove gli altri falliscono. Si conclude attribuendo una certa reputazione per l'infallibilità e di onnipotenza, così come, molto spesso, una capacità unica di controllo sui loro desideri aggressivi e sessuali: riconoscere, infatti, che il leader è guidato da desideri di questo genere sarebbe infliggere mentite particolarmente al desiderio di onnipotenza infantile su cui sorge il processo di idealizzazione ". 58
58 X. Thevenot, Don Bosco éducateur et le système préventif (Colloque Universitaire de Lyon) 1988. traduzione italiana del discorso in "Orientamenti pedagogici» 25 (1988) 701-730.

Cuando leía su propia vida, don Bosco sentía, sin duda, la sensación de que Dios y María le habían conducido, iluminado y sostenido en sus laboriosos intentos, coronados al final por el éxito. Si la «superdeterminación» es, para el psicólogo, el «carácter de una conducta determinada por varias motivaciones concurrentes», entonces pensaba que también él había sido «super-determinado» por el cielo. Afirmó, por ejemplo, haber visto en sueños a la Virgen María, que le indicó, al comienzo de su vida sacerdotal, un terreno de Valdocco (sobre el que, de hecho, se levantó el santuario que conocemos) y le dijo: «Hic domus mea... ». Pero se guardó muy bien de ir más allá. Nunca pretendió haber recibido desde el comienzo una especie de programación divina, con una «vocación» de tal modo clara que le habría bastado con comprenderla y seguirla a lo largo de su existencia. Tal lectura «superdeterminada» (y característica, también ella, según Gaston Bachelard, de un espíritu precientífico), que iba más allá de las «causas segundas»; no podía dejar de frenar y aun reducir a la nada las explicaciones «naturales» y, por tanto, la inteligencia propiamente histórica de la vida del santo. Y es precisamente lo que se dio con don Lemoyne en sus Memorias. No tenía nada del historiador escéptico, que rechaza a priori descubrir un sentido en su historia. Pero ese sentido lo daba prematuramente en función de una primera experiencia nunca verificada seriamente. El buen hombre caía así en el defecto opuesto, también grave, que se llama fantasía. Y don Lemoyne llegó a imponer su óptica «fantástica» con procedimientos muy discutibles.

Efectivamente, la trasposición de fórmulas generales a fórmulas personalizadas atribuidas a don Bosco es especialmente molesta, cuando se trata de comentarios interpretativos del biógrafo, que adquieren de ese modo una autoridad inmerecida. El reciente artículo de las «Ricerche Storiche Salesiane» sobre don Lemoyne como historiador de don Bosco reproduce pasajes de su prefacio a un librito publicado por él en 1889 a propósito del papel de María en la vida de don Bosco. He aquí uno entre varios: «In un sol motto diciamo tutto.

Ogni volta che D. Bosco si accingeva ad un'impresa, parlava come se vedesse chiaramente tutto lo svolgimento piú o meno fortunoso di cíascuna [...] come un capitano di una nave [...] conosce tuna la sua strada prima ancora di partire dal porto. Oh quanto é buona la Madonna!».59 Cuatro años antes, don Lemoyne había manifestado poco más o menos lo mismo en los Documentirn a propósito del ario 1847 cuando, según su texto, había ido don Bosco de Turín a Stresa al lado de Antonio Rosmini, del que deseaba ser discípulo. Descubrimos en medio de un período: «Da parte sua era disposto ad essere obedientissimo a chiunque gli avesse comandato, a nzi avrebbe preferito poter condurre avanti il suo piano sotto la condotta altrui, cioé guidato dall'obbedienza di un superiore. Ma la Vergine Maria avevagli indicato in visione ii campo nel quale doveva lavorare. Esso aveva un piano falto, premeditato, dal quale non poteva e non voleva assolutamente staccarsi. Esso era in modo assoluto responsabile della riuscita. Vedeva chiaramente le file che doveva tendere, i mezzi che doveva adoperare per riuscire nell'impresa, quindi non poteva mandare a vuoto ll suo dísegno con esporlo in baila di altri. In questo auno volle solo osservare se lo poteva eseguire in qualche istituto giá esistente, ma non tardava ad avvedersi che no... ».60 En las Memorias biográficas la fuerza persuasiva de esta reflexión está acentuada al atribuirse al mismo don Bosco. Esta atribución puede, al menos en parte, tener un fundamento. Por lo menos, un paso de las llamadas Cronichette de Barberis, referido a los primeros días de enero de 1876, contenía, en efecto, en primera persona la casi totalidad de las expresiones, y las ponía en los labios de don Bosco. Pero el santo mismo no hacía intervenir a María. El plano le pertenecía a él. Sólo después de las explicaciones de don Bosco, el redactor de la crónica había escrito: «A me pare schíetto e netto che volesse dire cosi: — Maria Vergine mi aveva indicato ín visione iI campo in cuí io doveva lavorare. Mí fece vedere i mezzi da adoperarvi per riuscirvi...» etc. Don Lemoyne en sus Memorias siguió o imitó a este cronista. Tomó su texto de los Documenti y comenzó: «Ma la Vergine Maria, ci narrava piú tardi D. Bosco, mi aveva indicato in visione il campo nel quale io doveva lavorare. Possedeva dunque il disegno di un piano...» etc.61 El «plan» muy humano del fundador se convertía así en una especie de revelación.

39 G.B. LEMOYNE, La Madonna di Don Bosco ossia Relazione di dame grazie concesse da Maria Ausiliatrice ai suoi devoti, Torino, Tip. Salesiana 1889, p. 17s.; BRAMO - ARENAL LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne, p. 113.

Haría falta encontrar, a lo largo de los volúmenes de las Memorias, las frases con las que don Lemoyne atribuye de este modo, sin el menor matiz, a Dios y a María los planes que su discípulo Giovanni Bosco realizó en su vida. Este atajo en la vocación juvenil de don Bosco ha seducido mucho a sus biógrafos. A propósito de la vigilia de su ordenación sacerdotal en 1841 se lee: «A questo punto non possiamo far a meno di fissare lo sguardo sul progressivo e razionale succedersi dei sorprendenti sogni. Al 9 anni Giovanni Bosco viene a conoscere la grandiosa missione, che a luí sará affidata; ai 16 ode la promessa dei mezzi materiali, indispensabili per albergare e nutrire innumerevoli giovani; ai 19 un imperioso comando gli fa íntendere non esser libero di rifiutare la missione affidatagli; ai 21 palesata la classe de' giovani, della quale dovrá specialmente curare il bene spirituale; ai 22, gli é additata una grande cittá, Torino, nella quale dovrá dar principio alle sue apostoliche fatiche e alle sue fondazioni. E qui, come vedremo, non si arresteranno queste misteriose indicazioni, ma continueranno ad intervalli fino che sia compiúta l'opera di Dio. Si dovran dir forse questi mere combinazioni di fantasía? ».62 Pues, sí, querido don Lemoyne: son exactamente «combinazioni di fantasía». Pero son tuyas y no de don Bosco. Efectivamente, tal vez tú lo has olvidado cuando escribías esta conclusión sobre el «progressivo e razionale succedersi dei varü sorprendenti sogni» de juventud; pero si estos relatos de «sogni» fechados por ti a los 16, 19 y 21 años de don Bosco eran, en las páginas anteriores de tu volumen, versiones probables o ciertas del único sueño de los 9 años distribuidas a lo largo de la juventud de Juan Bosco a partir de una información cronológica sumamente débil.°
60 Documenti III, p. 151.

61 MB III, 247. El trozo de la Cronichetta (ASC Barberis, cuaderno 3° sin paginación), todavía
inédita, ha sido reproducido en las microfichas del FdB 796 E 8-10.

62 MB I, 426.

Con estas interpretaciones «superdeterminadas» más o menos gratuitas, la paleta biográfica adquirió tonos maravillosos. Pero la «comprensión» de la historia de don Bosco perdió en las mismas proporciones. Y la aconsejable continuidad entre significante y significado se rompió. En efecto, el hombre que se siente predestinado y que conoce su camino, ve y avanza con paso seguro. Su búsqueda, sus dudas, sus empresas, sus errores, sus descubrimientos y sus retrocesos provisionales, hasta su triunfo, reflejan una especie de teatro de sombras. El papel, el verdadero papel, se declama en otro sitio. ¿Es posible una existencia así sobre la tierra? En todo caso, don Bosco no se expresó nunca sobre su destino (ni sobre su superdeterminación) con la firmeza que don Lemoyne imprudentemente le atribuyó. La gracia de Dios y la intercesión de María son indudables para el creyente, como en el caso de don Bosco. Pero el tipo de superdeterminación que don Lemoyne cree leer en ello daña una correcta reflexión histórica sobre la vida de don Bosco. Un prejuicio inicial la desvía. ¿En qué se convierte, en este caso, el hombre que busca y se adapta constantemente, como fue el verdadero don Bosco?
El Idealtypus de santo, utilizado por don Lemoyne para «comprender» la vida de don Bosco, implicaba otros aspectos, sobre todo de virtudes: la humildad, la dulzura, la bondad..., inducidos, por otra parte, por el carisma de leader. Su influjo más o menos consciente en el espíritu del biógrafo resonó hasta en la reproducción de las palabras y de las frases escritas de su héroe. Su agresividad se vio sistemáticamente debilitada. Por ejemplo, don Lemoyne no admitía que don Bosco se hubiese enfadado [n. del t.: en italiano arrabbiato] (la palabra rabbia se sustituye sistemáticamente con sdegno) o hubiese agredido violentamente a un alumno, ni siquiera soñando... Este fue uno de los graves limites de un trabajo por otra parte colosal.

10. El método de don Celia

Los procedimientos de construcción y de composición de don Amadei, para el X volumen de las Memorias, estuvieron muy próximos a los de don Lemoyne para los tomos precedentes. El clima del relato es casi el mismo. Después, a partir del volumen XI, cambia el tono. La serie de los nueve volúmenes de don Cenia es homogénea. Estos libros están bien escritos y resultan interesantes. Pero esas cualidades no satisfacen las exigencias que tenemos hoy. Nos gustaría saber si, con don Cenia, la historiografía de don Bosco pasa algo o mucho de un estadio «precientífico», en el que se quedó don Lemoyne, a una era más de acuerdo con nuestras doctas (y legítimas) preocupaciones...

63 Traté ampliamente este tema en: Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne, p. 250-256.

Como se ha dicho varias veces, para llegar a confeccionar la historia de los años que van desde 1875 a 1888 de la vida de don Bosco en un tiempo record, a razón de un volumen por año, a pesar del cúmulo enorme de documentación que había que dominar, don Cenia siguió paso a paso los Documenti ordenados año por año en unos treinta registros (el registro XV se refería a 1875) y referidos al período que debía describir. Hizo algunas investigaciones complementarias, pero en total poco numerosas. Cuando modificó los Documenti, que eran ya, como sabemos, una historia más o menos bien construida sobre don Bosco, no criticó ni «sopesó» nunca, por decirlo de algún modo, las construcciones especiales de su predecesor. No trató de identificar las fuentes que aquel había tenido a disposición. Un ejemplo entre cien. Para el volumen XVIII copió sin referencias, diálogo y comentario incluidos, el relato de la curiosa visita a don Bosco, el 3 de febrero de 1886, de un abogado francés que le preguntó de forma poco discreta sobre los Borbones." El final sonaba así: «Qualcuno dubitó che fosse un agente esploratore della polizia francese, mandato a esplorare le idee politiche di Don Bosco» — especialmente sobre la posibilidad de una restauración monárquica en el país —. «In ogni modo le rísposte del Santo non potevano • destare sospetti né offiire appiglio ad accuse. Era sato semp- re suo sistema di non entrare mai in politica». Ahora bien, ese final existía casi idéntico en los Documenti.

Sin embargo, no se empeñó, como don Lemoyne, en incluir los detalles más nimios en su relato sobre don Bosco. Inmediatamente se permitió resumir párrafos o extraer períodos significativos, libertad redaccional que don Lemoyne nunca se había concedido.

Pero los principios de lectura y de interpretación de nuestros dos hagiógrafos se parecían mucho. Don Cenia, como don Lemoyne, creía que todo testimonio es un reflejo de la vida y, tomado tal cual, permite reconstruirla. No se impuso, por tanto, analizar su recorrido por el mundo, en el espíritu y, si hacía falta, en la pluma del testigo. Este, en efecto, podía haber dejado versiones sucesivas de su testimonio y la última (era el caso de Viglietti) no era necesariamente la mejor. Sin embargo, la experiencia adquirida con la literatura grecolatina lo llevó, creo, a desconfiar a veces de los diálogos y del estilo directo, que pasó, por consiguiente, a relato lineal. Confrontando las Memorias con sus fuentes, los Documenti, nos convencemos del hecho de que insistió menos que sus redactores más frecuentes (no sólo don Lemoyne, sino también don Berto), sobre las predicciones y las profecías, como tales, de don Bosco. Reprodujo, en el mismo relato, los documentos originales, sin permitirse retocarlos. Sus lecturas inexactas, a veces molestas, eran involuntarias.65 Mucho más moderno que don Lemoyne, que se acercó con gusto a Jacques de Voragíne, no cedió sistemáticamente al aspecto maravilloso. Desde nuestro punto de vista, hubo, pues, progreso de una generación a otra. Sin embargo, a este nivel de lectura de la documentación, don Cenia, aunque más prudente o más suspicaz que don Lemoyne, no superó verdaderamente el género literario, calificado como «precientífico», de su predecesor.

64 La fuente documental en: Documenti XXXI, p. 44s., retomada en: MB XVIII, 28-29.

La misma composición del texto de las Memorias demuestra la habilidad de don Ceria al escribir. En sus volúmenes, la materia de los años de vida de don Bosco está siempre organizada, no simplemente yuxtapuesta de modo aleatorio en beneficio de la cronología. Cada capítulo tuvo un título propio que corresponde más o menos a su contenido. El relato es límpido. La historia discurre ágilmente. Para apreciar la obra literaria de don Cenia basta interrumpir la lectura de uno de sus volúmenes y tomar 50 páginas de don Amadei: os parecerá pasar de un jardín con paseos rectos y bien rastrillados a un bosque de arbustos en los que se pierde uno. Al lector del conjunto de las Memorias, los dos 1871-1874 de la vida de don Bosco (narrados por don Amadei) se le presentan enigmáticos. Conserva, en cambio, recuerdos característicos de cada
uno de los años que van de 1875 a 1888 (narrados por don Ceria), con la partida de los primeros misioneros, las fundaciones logradas o fallidas en Francia, los esfuerzos de don Bosco en Roma bajo mons. Gastaldi, el asunto de la Concordia impuesto por León XIII, el gran viaje a París en 1885, el viaje a España 1886, los últimos meses dolorosos de don Bosco. Los debe a la narración clara y grata de don Cenia.

A pesar de todo, las opciones de don Cenia como redactor de las Memorias eran a veces discutibles. Atemperó los episodios duros, dulcificó las propuestas y, a veces, suprimió algunos rasgos desagradables de sus personajes. ¡Comportamiento diplomático las más de las veces! Por otra parte, don Celia mismo me contó una vez en Turín (exactamente el 12 de agosto de 1952) que un canónigo de la curia local le había negado, en 1930, el imprimatur para el volumen XI de las Memorias (el primero firmado por él), porque en él aparecía bajo luz turbia el arzobispo Gastaldi; había hablado del tema con el P. Rosa s.j., de la «Civiltá Cattolica»; este último le había aconsejado presentar su obra como pro-manuscripto, artificio jurídico que le dispensaba del visto bueno de la curia turinesa. Así se pudo publicar el libro. Pero estoy convencido de que don Cenia aprendió la lección del incidente, por ejemplo en el sentido de que debía evitar los personajes eclesiásticos. Así se explican varios silencios y
diversas tachaduras.` Los relatos de don Cenia son siempre moderados: evita señalar los lamentos y los suspiros de don Bosco, como los de todos los presentes en la iglesia de María Auxiliadora cuando partieron los misioneros para Quito;67 dulcifica las propuestas de don Bosco referidas a los inquilini de Valdocco en una reunión del Capítulo superior;" los «molti salesiani hanno nulla di spirito salesiano» de una intervención suya a su Capítulo el 5 de noviembre de 1885 se convierte en las Memorias de don Cenia en: «certi Salesiani hanno nulla di spirito salesiano»...69 Los trazos no tienen, pues, el vigor que desearíamos hoy.

6' Don Ceria hace decir a don Bosco, con ocasión del Capítulo general de 1883, que el «Bollettino Salesiano» debía ser «come un periodico pubblico» (cf. MB XVI, 412), mientras las actas de Marenco, (ASC 046, CG 1883, fol. 6) afirmaban exactamente lo contrarío: ...«non promuoverlo come un periodico».

El problema de la comprensión de la vida de don Bosco por don Cenia merecería muchas lineas basadas en ejemplos y contrastes ponderados. Pero me es difícil hacerlo aquí de modo conveniente. Creo que puedo adelantar esta observación: en su interpretación ordinaria de la vida de don Bosco, don Ceria, a pesar de su sumisión habitual a los relatos y comentarios de sus documentos, evitó los excesos y las sistematizaciones de don Lemoyne;7° pero se esforzó poco por salir de las explicaciones religiosas y maravillosas hacia las que se inclinaba con predilección. Siguió con frecuencia sus fuentes y explicó (sumariamente) a don Bosco como lo habían hecho estas últimas.

11. Observaciones finales

Para concluir ésta muy breve serie de observaciones sobre el método de trabajo de los tres autores de las Memorias biográficas de don Bosco, conviene, creo, pensar en dos categorías de personas cuyas intenciones no son ni mucho menos las mismas. Los que buscan nutrirse espiritualmente con la lectura se
.. Me contó el mismo día un percance semejante, que tuvo mayores consecuencias. En 1883,
un revisor — un cardenal, me dijo, si no le entendí mal — le había obligado a suprimir todo el capítulo sobre mons. Gastaldi en las galeradas de su bonito libro, San Giovanni Bosco nella vita e nelle
opere. Acató la orden, pero no sin tristeza. Se encuentra así escrito en las últimas líneas del capítulo XXXEV sobre la iglesia de San Juan Evangelista (p. 283): «Fu uno di tanti dolorosi episodi innestati nella storia di una tribolazione che per la sua natura, per la sua durata e per i suoi effetti fu certamente la piú grave sofferta dal Santo», frase que constituía probablemente el punto de enlace con el capítulo censurado. El texto continúa simplemente: «Ma considerazioni di ordine superiore consigliano di rimettere a tempo e a luogo piú opportuno la narrazione di quelle vicende».

67 Cf. Documenti XXXVI, p. 77 y MB XVIII, 430.

68 Cf. Documenti XXX, p. 521-523 y MB XVII, 581.

69 Cf. Documenti XXX, p. 571 y MB XVII, 586.

" Salta, por ejemplo, en los Documenti, la inverosímil asimilación de las relaciones epistolares de don Bosco con la marquesa parisina de Cessac, a las de san Francesco di Sales y la Chantal.

Cf. Documenti XLIV, p. 461: «Enano una riproduzione di quelle di S. Francesco di Sales alla Chantal», y MB XVI, 231:... «sembra che abbia ricevuto da lui molte lettere di direzione spirituale. Cosi si dice; ma noi finora non ne conosciamo neppure una». Se debe entender: «Si dice nei Documenti...», que tenía delante mientras escribía.

guida de las Memorias biográficas, que son para ellos un libro de devoción. Y los que recorren estos gruesos volúmenes para extraer elementos de estudio (histórico, psicológico, teológico...). Para éstos, son una cómoda colección de documentos sobre don Bosco.

Los primeros disponen, en las Memorias, de una «historia» de don Bosco, que es «verdadera», ni más ni menos que cualquier otra historia en el sentido popular de la palabra, pintoresca, edificante, colorista (salvo el volumen X), rica de hechos y frases aptos para enriquecer el espíritu. Los beneficios de una lectura corrida de las Memorias, controlada por una experiencia que está cerca de convertirse en centenaria, parece por algunos aspectos, evidente. No se pierde el tiempo al dedicarse a ella; al contrario. Aun admitiendo que, también en este nivel, puede haber quien prefiera, justamente, lecturas de don Bosco más «verdaderas» y documentadas.

Sin embargo, esta comunicación va destinada sobre todo a una segunda categoría de lectores, los que se dedican, poco o mucho, a studi sobre don Bosco. El consejo debe ser otro. Partiría de una reflexión, entre las más autorizadas, que me hizo don Cenia, como a varios otros, al final de su vida. «A coloro — me decía más menos con sus palabras — a coloro che intendono scrívere tesi su don Bosco, consiglio sempre di cambiare soggetto. Pin tardi, forse, guando le lettere di don Bosco saranno pubblicate... ». Reconocía que sus Memorias, en las que muchos habían encontrado la fuente única y definitiva de estudios sobre don Bosco, no podían servir de base para estudios rigurosos sobre el mismo. Si se ponen aparte los Documenti publicados como tales por él y por don Amadei al final de sus volúmenes, tenía cien veces razón. En efecto, si los gruesos volúmenes de don Lemoyne y los de sus dos sucesores, ya que dependen de él, fueron construidos según los criterios «precientíficos» de composición e interpretación que he tratado de poner en claro, la autenticidad de elementos que se espigan allí con preferencia, es decir, las propuestas del santo y las observaciones de los testigos más inmediatos de su vida (los cronistas...), no está nunca garantizada. Más aún: no faltan las lecturas repetidas, los apócrifos frecuentes y las historias convertidas en leyendas con la amalgama de diferentes trazos de perspectiva. Sí tienen que hacer una investigación, háganla preferentemente sobre las fuentes mismas de la historia de don Bosco. Las Opere edite solas han consentido a Jacques Schepens redactar su voluminosa e interesante tesis: Pénitence et eucharistie dans la méthode éducative et pastorale de don Bosco. Étude á partir de ses écrits imprimés.7' Que estos investigadores recurran a los escritos autógrafos, a los escritos publicados, a las cartas enviadas o recibidas por don Bosco, a las crónicas o actas, editadas o no, como ha hecho el profesor Luciano Pazzaglia en su excelente estudio sobre Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886).72
Roma, Universitá Pontificia Salesiana, 1986, 2 vol.

n Cf. F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 13-80.

Evitarán así las desventuras en las que han incurrido otros que se han servido de las Memorias biográficas. Citaré uno sóló, del que en mi calidad de miembro del Capítulo general salesiano de 1984, que ha dado origen al texto oficial de las Constituciones, me siento, al menos materialmente, culpable. En el primer artículo de sus Constituciones, renovadas ese año, los salesianos abusaron de una fórmula atribuida a don Bosco por las Memorias biográficas, citada con precisión en nota : «... Formó in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: "Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i míei poveri giovani" » (MB XVIII, 258). De hecho, la crónica de Carlo Viglietti, fuente del logion reproducido en el lugar citado de las Memorias biográficas, hacía decir a don Bosco que había prometido a Dios que «fin l'ultimo mio respiro» sería, no ya, como en el texto transcrito, por sus «poveri giovani», sino por sus «poveri orfanelli», es decir, por los jóvenes abandonados de los que se había convertido en padre. ¡Hay una buena diferencia entre «vivere per i giovani» y «vivere per i giovani abbandonati»!

EL EPISTOLARIO COMO FUENTE DE CONOCIMIENTO Y DE ESTUDIO SOBRE DON BOSCO

Proyecto de edición crítica
Francesco MOTTO
Entre los escritos de don Bosco de especial valor, de los que sólo existen ediciones inadecuadas o incompletas, se sitúan, sin sombra de duda, sus cartas. Precisamente a partir de esa consideración, el Instituto Histórico Salesiano, desde sus comienzos, programó, entre los trabajos a los que había que dedicar una atención prioritaria, la edición crítica e íntegra del epistolario del santo." Hace cuatro años se me confió la tarea que se anuncia como una empresa de importancia cultural que supeta cualquier intento celebrativo o ritual, aunque venga a coincidir con el despertarse del interés sobre la figura y la obra del educador piamontés con ocasión del centenario de su muerte.

Este Congreso me ofrece la oportunidad de anticipar ni nuce y extra operam el valor de tal epistolario, el proceso archivista-filológico seguido y la perspectiva hermenéutica dentro de la que se quiere encuadrar el trabajo de recomposición del corpus epistolar.

O. Observaciones preliminares

Empiezo por decir que si los italianos, según un tópico conocido, no leen epistolnrios,2 el de don Bosco no debería estimular la conocida inapetencia de hacer notar enseguida que se toma el término «epistolario», simplemente, en el sentido de «colección de todas las cartas». Es decir, no se hace distinción entre cartas escritas con una finalidad particular, en circunstancias concretas, y efectivamente mandadas a un destinatario (cuyo colación, obra de un estudioso, se debería llamar propiamente «colección de cartas») y cartas reunidas con finalidad artística por el mismo autor y, frecuentemente, dirigidas a un lector ficticio (habitualmente definidas por los estudiosos con el término «epistolario»).

Cf. Proposte per un piano di lavoro unitario e comune, en RSS 1 (1982) 95. Conviene 2 En cambio, en otros países, las publicaciones de cartas de literatos, pintores, músicos, poli-ticos y de otros personajes ilustres encuentran creciente favor entre los lectores comunes. Los estudios sobre el fenómeno epistolar y sobre la naturaleza y función de la carta están en todas partes de actualidad. En Francia, desde hace tiempo, se organizan «coloquios» acerca del tema y se han creado centros de documentación e investigación de correspondencia epistolar moderna y conmis compatriotas, al menos por cuatro razones que expongo brevemente:
1) Ante todo, la nueva edición que se proyecta no promete en absoluto satisfacer el discutible gusto por el sensacionalismo ni desvelar vidas secretas inéditas del escritor. Don Bosco en sus cartas, que se sitúan también entre los escritos de franqueza inmediata y con la más alta tasa de sinceridad, tiende (y con frecuencia lo logra) a no revelar su profunda vida interior, sus dramas de conciencia, su íntimo sentimiento de cada momento. Aparte el hecho de que en «su armario es totalmente inútil buscar esqueletos».

2) Idéntica desilusión tendría el que, considerando que se trata del copiosísimo epistolario de un sacerdote santo, de un educador no común, de un fundador genial, de un instrumento social de actividad increíblemente vasta, esperase amplios y exhaustivos tratados de carácter espiritual, ascético, pedagógico. No; sólo acá y allá, perdidas entre expresiones dictadas por las innumerables preocupaciones del vivir diario, se pueden encontrar perlas brillantes de doctrina y de sabiduría, fruto de santidad de vida, de audacia pastoral, de acertada pedagogía.

3) No tendría mejor fortuna la posible espera de descubrimientos sensacionales de naturaleza política, social, religiosa. Cierto que don Bosco, por vivir y trabajar en aquel período fuertemente atormentado y que se conoce con el nombre de «Risorgimento», habla explícitamente o alude a hechos o personajes históricos de primerísima línea, da juicios sobre hechos políticos, sociales y religiosos de su tiempo; pero la política, en sentido estricto, el análisis de la sociedad civil y religiosa en cuanto tal entran en su radio de interés sólo en la medida en que vienen a incidir en el tejido ordinario de su vida, ritmada por sus responsabilidades de padre, educador, emprendedor, superior, amigo, administrador de sumas muchas veces ingentes.

4) Por fin, también sería una decepción para el que esperase de las cartas de don Bosco una obra de arte, un modelo epistolográfico al que atribuir la dignidad de «género literario». Don Bosco no redactó sus cartas como ejercicio retórico o. instrumento para pasar a la gloria literaria, costumbre, por otra parte, tan querida en su siglo. En el plano de la revisión formal no sometió sus cartas a especiales intervenciones estilísticas o de léxico. Escriba al papa o al ministro o se dirija al humilde pueblerino o al joven colegial, su estilo es sustancialmente el mismo: lleno de sencillez, de franqueza, de familiaridad, de astucia, no exento de dudas en la escritura y en la ortografía, salpicado de piamontesismos y galicismos, nutrido con frecuencia de irregularidades gramaticales y sintácticas, por otra parte no importantes, ya que iba destinado a quedar en el ambiente reservado de los destinatarios.'
temporánea. En Italia sólo recientemente se ha notado un fuerte incremento cuantitativo y cualitativo de «expertos». Reuniones de este tipo se han tenido en Bressanone (1983), en Urbino (1984) y aún más recientemente en Génova. En 1986 surgió la editorial «Rosellina Archinto» que publica sólo epistolarios. Apreciables artículos de divulgación, publicados en revistas y periódicos, vienen a subrayar, de cuando en cuando, el notable interés que la correspondencia privada puede tener como fuente histórica y linguistica.

La correspondencia de don Bosco es una correspondencia de «asuntos», de «administración normal», diríamos hoy, o sea, redactada con la máxima rapidez y sólo para comunicar un mensaje utilizable para quien lo recibe: frases concisas y sin énfasis, comunicaciones directas, breves, a veces lapidarias, medidas en apertura e intimidad por el uso de los mismos patterns, propios de quien escribe bajo la presión de muchas ocupaciones y corre el riesgo de sentirse a cada momento envuelto por ellas.4 Si hubiese tenido a su disposición el teléfono, le habría ahorrado cientos de horas de trabajo y nosotros, los compiladores tendríamos en las manos, en vez de un rico tesoro, un botín decepcionante. Escribió porque estaba obligado por las inderogables exigencias de su misión sacerdotal y educativa, por la dura necesidad de proveer de pan a los millares de muchachos acogidos en sus obras, por el deber de ayudar, dirigir, sostener a los que le abrían el corazón: cartas de felicitación y de anuncio, de congratulación y de agradecimiento, de invitación y de excusa, de justificación y de despedida, de súplica y de consejo, de reprensión y de recomendación, de presentación y de ánimo, de pocas lineas y de varias páginas, burocráticas y circulares. Con fundamento se puede decir que cada categoría epistolar está representada por algún ejemplar.

a No creo que se haga una profanación o revelación del secreto epistolar cuando se ofrece al público cuánto don Bosco cubrió con el velo de la intimidad. Las cartas escritas hace más de un siglo han dejado ya de ser confidenciales y entrado a formar parte de la historia. Entre otras consideraciones, hay que decir que don Bosco mismo no excluyó una eventual publicación, aunque con algunas cautelas. En efecto, escribió en su «testamento espiritual»: «Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande attenzione nel senso e nella domina, perché la maggior parte furono scritte precipitosamente e quindi con pericolo di molte inesattezze. Le lettere francesi poi si possono bruriare; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che siano lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua francese, affinché le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla o il disprezzo sulla religione a favore di cui furono scritte» (Bosco, Scritti pedagogici, p. 336-337).

4 En las MB se subraya muchas veces la prisa con la cual don Bosco redactaba sus cartas: «Era anche ammirabile la sua attitudine nello scrivere con grande celeritá. Pió volte in valí anni Ch. Durando accompagnó D. Bosco al Convitto di S. Francesco per aiutarlo nella speclizione delle lettere. Ed ecco che cosa accadeva. D. Bosco, scritta una lettera, la porgeva a Durando il quale h piegava, la suggellava e vi scriveva sopra l'indirizzo. Ma prima che il chierico avesse compita h suddetta operazione, ecco dinanzi a lui una seconda lettera finita. II chierico si affrettava, ma nor ne aveva ancor finito l'indirizzo, che sopraggiungeva un terzo foglio, e cosí vía via per ore ed ore Quando finalmente veniva il momento di ritornare all'Oratorio, D. Bosco, ringraziato il Signore esclamava sorridendo, sen7a mostrarsi stanco: — Ecco il modo di sbrigar moltí affari! — E certa mente il numero di lettere ch'egli scriveva sembrerebbe ftavoloso se non vi fossero molti testimon di questa meraviglia» (MB V, 609-610). Parece que, en los últimos años de su vida, don Boscc confesó a don Barberis: «Oggi, come quasí tutti i giorni, alle due e un quarto dopo pranzo, erc gil al tavolino a lavorare; non mi sono mosso fino alle otto: eppure non ho potuto sbrigarmí d tuno. Ho ancora il tavolo coperto di lettere, che aspettano risposta. E non si puó dice che io val adagio nello scrivere. Ne fo passare del lavoro sotto le mie dita! Mi accorgo che a forza di pratid e dell'incalzarsi di una cosa sull'altra, ho acquistato una celeritá, che non so se possa darsi mag giore» (MB XII, 38-39).

Puestas estas premisas, parece más que legítimo preguntarse qué sentido tiene entonces afrontar la comprometida atención a un epistolario de este género.

1. La razón constitutiva del epistolario y de su edición crítica

¿Para qué, pues, tomarse tanta molestia? Porque cuando un hombre ha jugado un papel no indiferente en la «Historia» de su país, cuando su influencia ha alcanzado, viviendo todavía, a varias naciones y en el siglo siguiente prácticamente a todo el mundo, cuando las múltiples facetas de su personalidad han sido y siguen siendo todavía objeto de reflexión (y de esto este Congreso es una prueba clarísima) es importante poder disponer de instrumentos de análisis lo más completos y serios posible.

Ahora bien, para el conocimiento de don Bosco, de su figura moral, de las vicisitudes de su vida, de sus métodos de acción, ¿qué hay más seguro y completo que los miles de cartas que escribió a lo largo de más de 40 años? Tanto más que estamos ante un personaje que hizo del compromiso epistolar una de las ocupaciones principales de sus jornadas?

1.1. Un servido insustituible para el biógrafo y el historiador


El biógrafo y el historiador que van avanzando en su tarea se dan cuenta de que no se puede contar una vida sin la ayuda de materiales documentales, y el primero de todos, la correspondencia. Es verdad que cualquiera sabe que de las cartas no se puede esperar una historia exacta, sino más bien reflexiones fragmentarias, que necesitan integraciones y profundización. Un epistolario debe cribarse con el rigor crítico que se aplica comúnmente a cualquier otra fuente: así, por ejemplo, no se pueden minusvalorar los puntos flacos intrínsecos en toda correspondencia: el carácter personal, subjetivo, singular del testimonio, la transparencia inevitable del yo que podría inducir a engaño, la ausencia de elementos de contexto, etc.6 Pero esto no quita que cualquier intento serio de indagar con escrúpulo histórico la persona y la obra de un personaje nos exija un análisis atento de sus cartas, que es muchas veces el único modo de llegar a hechos u opiniones de valor decisivo.

Aunque se deben acoger con algunas legítimas reservas, he aquí algunos testimonios de los autores de las MB y de don Bosco mismo: «Le lettere da lui ricevute o spedite son incalcolabili. Tra la giornata e la notte ne scriveva e postillava fino a 250. Sbalordisce la moltitudine e la varietá delle materie sulle quali era obbligato a rispondere o a tratare [...]. Ne ricevette da ogni parte del mondo, e siamo persuasi che non vi ha quasi cittá in Europa nella quale non siano pervenute, qua poche, lá moltissime, delle sue lettere» (MB IV, 540-541). En la carta del 4 de julio 1881, don Bosco se dirigía al Cav. Carlo Faya en estos términos: «Scrivere a Lei mi é di moho sollievo in mezzo alle mie 500 lettere, cui vado in questo momento a cominciare la risposta». Ya viejo, confiaba melancólicamente a los suyos: «Certi giorni scrivevo anche piú di cento lettere» (MB XVII, 459). Cf. también nota precedente.

El epistolario de don Bosco, como es obvio, no escapa a esta regla. Considerado atentamente, mirado con múltiples métodos de investigación, convenientemente descodificado, constituye una fuente segura en la que se obtiene seguridad sobre hechos y circunstancias, razones de sus opciones y, con frecuencia,-la plena expresión de sus convicciones y de su espíritu. Cartas escritas currenti calamo en el paréntesis de un descanso sereno o en el ímpetu de una amargura cruel, en el impulso de un corazón alegre o bajo la opresión de un peligro inminente, casi permiten violar su privacy, de entrar en su habitación, de verlo sentado a la mesa de trabajo, fotografiarlo inmerso en problemas, dificultades, esperanzas, ideales. Puestas, como pretendo hacer, en estricto orden cronológico y, por tanto, en el aparente desorden de cartas de asuntos o de felicitación, de sugerencias espirituales o de petición de ayuda material, expresan al mismo tiempo la vida y el comentario de quien las ha escrito. Si pensamos que para el período más intenso de su actividad de educador habrá una media de una carta cada 3-4 días,' es fácil deducir que los biógrafos e historiadores podrán y deberán convertirse en asiduos estudiosos de un epistolario como éste.

He usado a propósito el tiempo futuro «podrán y deberán», porque, a pesar de la vastísima literatura publicada sobre don Bosco en estos cien arios que nos separan de su muerte, la historiografía sufre todavía la carencia de datos seguros, exhaustivos y definitivos (naturalmente en el sentido que asumen estos términos en las cuestiones históricas). La larga vida de don Bosco, la amplísima gama de sus actividades, la complicada serie de hechos en los que fue protagonista o en los que se vio implicado, esperan todavía hoy un no sencillo trabajo de verificación. Los mismos hechos que se refieren en las voluminosísimas Memorias biográficas exigen una comprobación sistemática, y las limitadas pero prometedoras investigaciones actuales en esa dirección han estimulado sólo la sed de ulteriores búsquedas.8 Una vez sabido de verdad «cómo han ido las cosas», para expresarnos con la áurea fórmula de Ranke, una vez precisados con cuidado los hechos, se podrá avanzar en la crítica histórica proponiéndose interrogantes historiográficos sustanciales y corrigiendo valoraciones, juicios y prejuicios debidos a aparente evidencia de causas y efectos, a subfondos documentales inseguros, cuando no falsos o ideológicos.9 Además, la riqueza de detalles ilumina por sí misma una serie de cuestiones muy delicadas y facilita una fuente de temas críticos y de observaciones que tal vez no puede decirse hoy que hayan sido enteramente utilizadas y agotadas.

6 «La correspondance est un matériau d'un maniement délicat, un témoignage trompeur malgré les apparences et qui reste nécessairement lacunaire, par défaut de conservation des envois et des réponses, par volonté expresse ou negllgence de l'auteur, á cause de diverses formes de censure, par le fait que rarissimes sont le lettres "sincéres". etc. Les correspondaces étant presque toujours tout sauf ce qu'on voudrait qu'elles fussent: un matériau fiable, á valeur documentaire, au premier degré...» (Préface di G. Ulysse a La correspondance 2 Actes du Colloque International, Aix-en-Provence. Université de Provence 1985, p. VI). De todas formas, es cierto que situaciones, sentimientos, emociones de la vida cotidiana y personal de don Bosco se pueden localizar mejor en sus cartas que en otros escritos, gracias a la disminución de aquella atenta vigilancia sobre los elementos de contenido y forma, a que normalmente don Bosco sometía los textos destinados a la imprenta.

7 Del decenio 1830-1840, se conserva sólo una minuta de carta escrita en un cuaderno durante el ario escolar 1835-1836. Del primer quinquenio de los años cuarenta quedan prácticamente pocas cartas, redactadas al final de 1845. El último texto ológrafo es del mes de diciembre de 1887. Resulta difícil hacer cálculos, aun aproximados, acerca de cuántas cartas haya podido escribir don Bosco durante su vida. Don Cenia afirmaba en 1933: «Le lettere di don Bosco pubblica te sono assai meno numerose di quelle che o andarono perdute o giacciono nell'oblio» (ME XIV, 556).

De modo que el motivo principal de interés ofrecido por el epistolario de don Bosco es precisamente el de darnos una notable documentación para ponerla en la base de la futura reconstrucción histórica, de modo que haga menos precisa o, si queremos, para completar la valoración de su compleja personalidad: y esto a través de la voz viva de su protagonista, grabada de un modo inmediato y vivo.

No creo que de la maciza aportación documental del epistolario en cantera, tuviera que salir una imagen radicalmente «otra» de la ya conocida en el círculo de sus mejores estudiosos, pero es indudable que el don Bosco que surge de las cartas se aparta más de lo que pudiera creerse del que presenta cierta literatura aún reciente. Una cosa es el don Bosco de los sueños, el don Bosco de los milagros y los prodigios, el don Bosco de lo «numinoso» y otra es el don Bosco «ferial» del carteo epistolar, que se presenta en clave de vida concreta y llena de problemas, de contradicciones e incertidumbres, en una longitud de onda muy de esta tierra. En sus cartas, don Bosco brilla, por decirlo así, con la luz de lo diario, sin ningún ropaje enigmático, que, aun sin quererlo, daría lugar a una rara atmósfera tejida de ambigua imprecisión.

1.2. Instrumento de trabajo para muchos estudiosos

Otro elemento no despreciable que ofrece la correspondencia en cuestión es el hecho de que la extraordinaria riqueza de relaciones sociales que vivió
8 Abrió los estudios, en esta perspectiva, el artículo de J. KLEIN - E. VALENTINI, Una rettiftcazione cronologica delle Memorie di san Giovanni Bosco, en «Salesianum» 17 (1955) 581-610. Recientemente se han publicado ensayos análogos en varios números de RSS. Puede verse, a este propósito, la comunicación de Desramaut en este mismo congreso.

9 Presenta un ejemplo de «revisión» de pasadas interpretaciones (necesitadas de correcciones) la comunicación de Tuninetti en este mismo Congreso sobre la larga y dolorosa controversia que tuvo don Bosco con mons. Lorenzo Gastaldi.

don Bosco, nos ofrece un panorama de la vida social, política, cultural, económica, eclesial de aquella segunda mitad del siglo pasado tan violentamente sacudida por contrastes de toda clase. La carta, todos lo saben, es un instrumento social y por tanto presenta la figura del que la escribe y de sus corresponsales en una situación determinada, frente a contingencias precisas, tanto personales como colectivas; por consiguiente, en su conjunto, puede darnos de algún modo el sabor de una época y elementos para tener un perfil más exacto de los personajes que se movieron en ella.

Sin que queramos asumir aquí el inútil cometido de apologista del epistolario, lanzado contra sus posibles detractores y como prueba de lo dicho hasta ahora, basta advertir la enorme variedad de sus destinatarios: autoridades civiles, como jefes de estado y de gobierno (Vittorio Emanuele II, Cavour, Rattazzi, Ricasoli, Minghetti, Lanza, Emperador de Austria...), personalidades eclesiásticas como papas, cardenales, obispos, superiores de institutos religiosos (Pío IX, León MI, card. Antonelli, Rosmini...), escritores y hombres de cultura (Tommaseo, Balbo, Pellico, Vallauri, padres de la «Civiltá Cattolica») aristócratas y exponentes de la nobleza piamontesa, florentina, romana, de Niza, París, Marsella, Barcelona, sudamericana, humildísimos bienhechores, clero diocesano, religiosos y religiosas, adultos y jóvenes de baja extracción social, etc. Ahora bien, aunque la correspondencia con esas personas se sitúa con mucha frecuencia en un ámbito estrictamente pecuniario, sin embargo permite distinguir a veces algunos aspectos de su personalidad y de su ambiente, pone de relieve la relación que entablan con don Bosco y deja captar su situación moral y espiritual.

Si nos preguntamos qué nos pueden decir las cartas de don Bosco, la respuesta podrá ser «muchísimo» o, al menos, muchas más cosas de lo que podríamos conocer sin ellas. El epistolario de don Bosco, en la forma crítica en la que va a editarse, nos da signos, no sólo de la dirección de la biografía y de la historia, sino también de la psicología y del psicoanálisis, de la economía y de la sociología, de la teología y de la espiritualidad, de la literatura y de la lengua,. de la historia local y de la política, de la genealogía y de la pedagogía.1° Podemos acercarnos a él según criterios de integración pluridisciplinar y convertir de ese modo en un lugar revelador de coordenadas epistemológicas de cultura y de civilización, al utilizarlo sincrónica y diacrónicamente, por caminos analíticos o sintéticos. Y, más aún, el epistolario de don Bosco podría facilitarnos apoyos documentales útiles y a veces indispensables para el salto de calidad en el conocimiento que se desea de don Bosco desde diversas vertientes y no sólo desde hoy.

" Los diversos significados y aspectos de un epistolario han sido objeto de discusión en diversos contextos. Por ejemplo en varios «quaderni di retorica e poetica», dirigidos por G. Folena, son recogidos recentísimos modelos: cf. La Lettere familiare I, Padova, Liviana Editrice 1985; para el área francesa, véase el citado coloquio internacional de Aix-en-Provence (La correspondance). Sobre algunas posibles lecturas de los escritos de don Bosco, y, por tanto, también de sus cartas, son útiles las sugerencias de R. FARINA, Leggere don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente interpella gli istituti religiosi, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1976, p. 349-404.

En esta óptica, hasta los titubeos en la escritura, los errores de ortografía y de sintaxis, las frases tachadas pero aún descifrables, la frecuencia de formas idiomáticas, una vez decubiertas, en vez de estorbar, pueden servir para dar idea del nivel de aprendizaje de la lengua por parte del escritor, su capacidad de expresarse por escrito, pero en clave de «hablado», la forma literaria propia de una época, un ambiente, un personaje.

2. Los problemas fundamentales de método

Afirmada así la utilidad de la edición crítica en el taller, los problemas de método que se me han planteado son los comunes a todos los editores de epistolarios de amplio contenido. Se han dado muchos pasos en la ciencia y en el arte de editar cartas, pero aún hoy no se han fijado los principios editoriales (y tal vez no se fijen nunca) con absoluta certeza, dada la peculiaridad de cada epistolario." De todos modos, son tres las cuestiones: la recogida de textos, su transcripción, las diversas notas críticas e históricas.

Sin embargo, antes de exponer brevemente el modo con que ha sido resuelto cada uno de estos tres problemas en la edición que estamos preparando, creo que debo responder a una pregunta: ¿para quién se han recogido y se van a publicar estas cartas? Y esto, porque definir el público a quien se dirige significa adoptar un método en vez de otro. Si, en efecto, uno se propone agradar a los especialistas, hará falta darles minuciosa información y detalles, que el lector común no encuentra de ningún interés y que seguramente definirá como «pedantería» o «idolatría documental». Pero si se quitan esos
" Se siente el problema en todas las naciones. En el ámbito italiano, los títulos bibliográficos sobre el tema no son muy numerosos. De todos modos, se pueden consultar con provecho: M. MARTI, L'epistolario come «genere» e un problema editoriale, en: Studi e problemi di critica testuale. Convegno di Studi di Filologia Italiana, Bologna 1961, p. 203-208; entre las más útiles introducciones a colecciones de cartas, citamos la de E. Garin a: A. LABRIOLA, Epistolario 18611890, a cura di D. Dugini e R. Martinelli, Roma, Editori Riuniti 1983. En ámbito francés: PUBLICATIONS DE LA SOCIETÉ D'HISTOIRE LITIERAIRE DE LA FRANCE, Les éditions de corrispondances. Colloque 20 avril 1968, Paris, Librairie Armand Colin 1969; Écrire Publier Lire les correspondances. Actes du colloque international: «Les correspondances». Colloque 20 avril 1968, Paris, Librairie Armand Colin 1969; Écrire publier Tire les correspondances. Actes du colloque international: «Les correspondances». Publications de l'Université di Nantes 1983. En lengua inglesa: F. Bowas, Some principies for scholarly editions of nineteenth-century american authors, en «Studies in Bibliography» (1964) 223-228; G.T. TRANSELLE, Some principies for editorial apparatus, en «Studies in Bibliography» (1972) 41-88. Para autores de lengua alemana: S. SCHEIBE, Some notes on Letter editions: With special reference to german writers, en «Studies in Bibliography» (1986) 36-148. Recordamos que en Toronto (Canadá) tienen lugar, desde hace años, «simposios» de «editing texts», cuyas actas son publicadas regularmente.

elementos, el erudito podrá considerarlo como un intento de «popularización» y de «divulgación» que, por tanto, escapa totalmente a sus intereses.

A questa domanda ho già risposto in parte prima: il ruolo editoriale che ho adottato è quello di offrire uno strumento di lavoro completo e utile, per quanto possibile, a ricercatori e studiosi delle varie discipline. Si dirà: ma chi ha bisogno di tutte le annotazioni o spiegazioni che precedono o seguono il testo della lettera? Chi richiede quella estrema scrupolosità al testo che, forse, impedisce una lettura fluida? La risposta è: «nessuno». Ma il testo non è modificato per una singola persona. E 'pubblicato per un gran numero di persone, compresi coloro che non sono specialisti in qualsiasi disciplina, coloro che conoscono poco o non sanno nulla circa la storia di Don Bosco e le origini della Congregazione salesiana, che non sanno molto della situazione sociale, politica, culturale, religiosa d'Italia nel diciannovesimo secolo.

In altre parole, cercherò di offrire un'edizione critica, accademica, scientifica, ma che non offudi l'accesso del pubblico in generale, la lettura seguita dal lettore onesto, che non è necessariamente uno studioso o un topo di biblioteca. E poiché è sempre difficile resistere alla tentazione di dire tutto, è ugualmente possibile scrivere poco per alcuni e troppo per gli altri. Come criterio generale per la scrittura di note descrittive ed esplicative, si ricorrerà, più che alle regole astratte, all'esperienza degli altri, al confronto, al senso di misurazione che nasce dal proposito di mantenere anche tipograficamente in primo piano il documento del dono Bosco e limita la sua illustrazione a ciò che può essere usato per capirlo.

Ma torniamo ai principi editoriali di cui abbiamo parlato.

2.1. La recensione ecdotic

Inutile sottolineare che le condizioni ideali di lavoro, cioè tutte le lettere autografe di Don Bosco, tutte le risposte che ha ricevuto e i documenti che consentono di comprendere bene le lettere scritte e ricevute, non sono state fornite al corrispondente in questione. Anche se non abbiamo il diritto di criticare coloro che si sono avventurati a pubblicare le lettere di Don Bosco prima di noi, c'è un dato di fatto: che sia i compilatori delle Biographical Memoirs che Don Cenia nell'Epistolary da lui pubblicati hanno cercato di garantire il contenuto delle lettere (e questo è stato rivelato, da
12 I 19 volumi degli MB si riuniscono in ordine, non sempre cronologico, a circa 2360 lettere. Entrambi questi sono serviti G. Luzi (SG Bosco, Lettere Scelte, Torino, Paravia 1945) come octogenario E. Yield, per la modifica dei quattro volumi di S. Giovanni Bosco Epistolario di (Torino, 1955-1959 SET), in cui sono raccolti 2845 testi. Sfortunatamente, Don Cena, nonostante avesse in mano temporaneamente gli originali di molte lettere per concessione dei legittimi proprietari, non indicava in alcun caso il luogo in cui erano stati trovati gli originali. Ecco perché il responsabile dell'edizione critica, in molte delle lettere, dovrà riprodurre il
un'altra parte, non sempre filologicamente impeccabile) senza considerare il problema del continente, cioè il supporto archivistico che è l'unico a garantirne l'autenticità e il valore.

Per questo motivo ho iniziato con la regola che non credo che la legittimità possa essere messa in dubbio, vale a dire vedere personalmente gli autografi o, almeno, le loro fotocopie. Ricerca e la raccolta sono stati offerti finora l'abbondante raccolto di oltre 3.000 ", tra cui un paio di righe, a cui vanno aggiunte alcune centinaia di testi a stampa non supportate dalla riunione del manoscritto, ma garantito degni testimoni della fede.

Non è questo il luogo per anticipare la storia d'archivio o la storia della tradizione scritta a mano o stampata delle lettere. Basti dire che il laborioso compito di inventariazione, classificazioni fastidiosi, di successo o indagini deludenti sono state fatte, finora principalmente in Italia, dalle indicazioni di repertori, iniziative personali fortunati, indagini preliminari, in centinaia di archivi e biblioteche pubbliche e private , civile ed ecclesiastico, in famiglie che sono state raggiunte grazie ai social media. Ovviamente, non è stato trascurato di ricorrere all'annuncio di questa continua ricerca su riviste specializzate e alla consapevolezza di tutte le comunità salesiane del mondo ".
anche smesso di contare episodi gustosi o sconcertanti, di cui sono stati testimoni, commentando gli atti di generosità e avidità, per sottolineare la distruzione degli originali per negligenza degli eredi o eccessiva devozione a insinuare un pizzico di diplomazia per avere meno copia di manoscritti custoditi da collezionisti particolarmente gelosi prima dell'editore ufficiale. Non ci sono parole di spesa per illuminare un aspetto non secondario della ricerca: il commercio, aggravata dal fatto che molti testi sono passati i confini originali e incoraggiato la gara centenario e il prezzo di autografi da antiquari. Un nome per tutti: la famosa casa d'aste londinese Sothebys, messa in catalogo qualche anno fa e venduta due lettere originali di Don Bosco, probabilmente di non molto notevole importanza.

texto de su predecesor, sin poder verificar la completa fiabilidad del mismo. Además, de algunas cartas se conserva sólo un resumen (debido a una tradición parcial) o bien una simple noticia de su existencia. Fueron igualmente tomadas del epistolario de don Cenia las docenas de cartas publicadas en: G. Bosco, Scritti spfiltuali, 2 vol., a cura di J. Aubry, Roma, Cittá Nuova 1976 (recientemene reeditados en un solo volumen).

13 Con la convinzione che le lettere che dovrebbero essere pubblicate nel primo volume (relative agli anni 1835-1864) difficilmente possono essere trovate in paesi stranieri (che, d'altra parte, sono numerosi, e non solo in Europa), la ricerca sistematica è stata fatta, fino ad ora, solo in territorio italiano. Praticamente non c'è stato un giornale o una rivista di ampia diffusione, che non abbia ricevuto l'invito a pubblicare le notizie della ricerca in corso. Anche le celebrazioni del centenario della morte di Don Bosco hanno contribuito a diffondere questa notizia.

SW

"Gli originali o le fotocopie delle lettere inedite, conservate nell'ASC al momento più di mille, un certo numero delle quali sono di valore storico rilevante.

Il censimento ancora provvisorio ha dimostrato, in ogni caso, grandi lacune cronologiche, distruzione o perdita permanente di corrispondenza scritta a mano importante, 15 la gravità del danno che possono essere causati al materiale epistolare e l'edizione critica completa di una raccolta di lettere da file privati ​​di inventario preciso.

Le più grandi collezioni di originali sono nel file salesiano centrale nel file Segreto Vaticano negli archivi comunali di Torino nell'Archivio di Stato centrale a Roma, in alcuni archivi diocesani, soprattutto il regno che era Saboya.16
Il i documenti sono arrivati fornire un quadro qualitativo di straordinaria varietà diplomatica: si va da alcuni minuti a olografico originali, apocrifi con firma autografa in copie autentiche di diversa forma, semplici trascrizioni di testi a stampa, non irreprensibile purtroppo, manca l'originale, e che dovrà essere accettato per questo.

2.2. L'edizione del testo

L'obiettivo di un'edizione critica è di dare al lettore un testo autentico e attento, in modo che chiunque ne abbia interesse possa utilizzarlo. Se così non fosse, anche l'apparato editoriale più completo e completo sarebbe privo di valore.

Pensa alla quasi totale mancanza di corrispondenza con mons. Fransoni, sotto la cui giurisdizione Don Bosco lavorò per quasi vent'anni. Allo stesso modo, non è stato possibile consultare, fino ad ora, l'archivio di Casa Saboya; che dovrebbe tenere scritti di grande interesse Le lettere alle autorità del governo centrale sono state perse a causa di una serie di circostanze. Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e da Firenze a Roma era una di quelle circostanze, e non proprio la più insignificante. Società sarebbe un tentativo quasi disperato di recuperare il manoscritto originale delle decine di lettere inviate alla famiglia Callori (fortunatamente già pubblicato, in gran parte).

16 Riguardo alla ricerca della corrispondenza di Don Bosco con il papa e la curia romana, solo nell'archivio segreto del Vaticano si dovrebbero consultare centinaia di fascicoli sparsi in una serie di fonti: Segreteria di Stato, Epistulae latinae, Epistole e principi, Spogli Cardinali, Nunziatura di Torino, Brevi, ecc. Dobbiamo anche aggiungere gli archivi delle Congregazioni romane, i cui fondi non sono stati riuniti in questo archivio segreto: Congregazione dei Vescovi e Regolari, Propaganda Fide, Indice ecc. Tenendo presente l'ampiezza e l'organizzazione dei fondi dell'archivio segreto vaticano, è possibile comprendere la complessità di un'indagine approfondita. Ne ho già dato un po '. passo in questa direzione; e alcuni risultati sono stati pubblicati sulla rivista "Istituto Storico Salesiano" e in L ' Mediatrice Azione di Don Bosco Nella Questione delle Sedi vescovili Vacanti in Italia 1858 dal high morte di Pio IX (1878), volume: urlò, Don Bosco Nella Chiesa, p. 251-328. L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno, L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno, L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno,
Archivio Storico della Città di Torino 1989.

Come riprodurre le lettere di Don Bosco? Esattamente come è, senza modifiche o arbitraria interventi Editor: cioè gli stessi criteri filologici che qualsiasi altro scritto da un autore sarebbero stati pubblicati. Se qualche errore dovesse essere corretto dal punto di vista storiografico, sarebbe necessario ricorrere alle "note" della nota a piè di pagina. La lettera dell'educatore piemontese, come molti sanno, è una lettura problema: ma per i quali ha già come qualcosa di familiare, i dubbi sono ridotti quasi solo la scelta tra maiuscole e minuscole decifrare una lettera o una sillaba che sembra (o forse lo è) uno, ma che non può essere più di un altro, interpretare una parola che non sembra buona. Un'altra cosa è il problema, ovviamente,

En todo caso, nuestra edición, que no será de carácter diplomático (pero con las técnicas fotográficas modernas y para textos del siglo XIX, ¿tiene todavía sentido una transcripción diplomática?), reproducirá el texto de las cartas más filológicamente atendible, aunque «corregido» con los mínimos e indispensables retoques de puntuación y ortográficos, con el uso de cursiva para los títulos de las obras o para expresiones en otras lenguas, con la inclusión de evidentes lapsus calami (indicados siempre, por otra parte), y con diversa división en párrafos respecto al original.

2.3. Notas del editor

La articulación de las notas será la siguiente:
1) El texto de la carta irá precedido por notas descriptivas. En ellas se darán todas las informaciones relativas al manuscrito (o texto impreso) que se edita: posición de archivo, dimensiones, posible color del papel y de la tinta, condiciones de conservación, señas especiales, timbres postales, tipología diplomática, ediciones anteriores aparecidas en las Memorias biográficas o en el Epistolario editado por don Cenia, breve resumen de la carta. Naturalmente, queda siempre la posibilidad de que don Bosco no haya enviado la carta.

2) El aparato de las variantes se situará inmediatamente después del texto de la carta y de la dirección correspondiente. En los casos en que se tenga la minuta de la carta, se la cotejará con el autógrafo original o el hológrafo, y por tanto el aparato crítico presentará todas las variantes. La honradez exige que digamos enseguida que en casi todo los casos, más que de interesantes desarrollos de ideas o de nuevas aportaciones sustanciales, se trata de añadidos o supresiones de interés limitado, o bien de correcciones formales de evidente poco valor literario. Deseamos que un conjunto de variantes de este género no constituya un solitario monumento a la pedante obsesión del editor, sino que pueda convertirse en un posible instrumento de análisis lingüístico y de mejor conocimiento del personaje don Bosco.

3) Finalmente, seguirán las anotaciones históricas que, dada la naturaleza del epistolario en cuestión, se colocarán sobre todo en la línea:
— de la biografía, en relación con los numerosísimos corresponsales o personajes citados, desconocidos con frecuencia no sólo en los repertorios nacionales, sino hasta en los regionales o locales;
— de los archivos, por las respuestas a cada carta o para otros documentos a los que se alude. Ayudará notar aquí que quien no se sienta interesado podrá pasar por alto determinadas alusiones, expresiones o modos de hablar que, en cambio, interesarán a quien esté más al tanto de las «cosas secretas» de los que pertenecen a la familia espiritual de don Bosco;
— de las crónicas o historiografía local, por los acontecimientos en marcha, sus antecedentes y consecuencias.

Después del cotejo de textos, el mayor problema lo constituye su ilustración oportuna y precisa. El peligro al que se aludía está en aplastar bajo el peso de anotaciones excesivas el texto de la carta, que es el moven de una edición. Subordinando, como es justo, mi cometido al del escritor, querría llegar a dar sistemáticamente todas las aclaraciones indispensables y nada más. Está claro que, en relación con esa indispensabilidad, las opiniones son diversas. Con todo, como mucho, las notas históricas o de explicación servirán para identificar al destinatario, a los personajes y los lugares que se citan, para justificar posibles propuestas de fechas, para explicar palabras o expresiones de difícil comprensión a un lector corriente de nuestros días, para informar sobre algunos lugares, ambientes, situaciones que resultarían incomprensibles a un público no únicamente italiano o que ofrezcan su difícil localización por parte de los mismos estudiosos.

Se dejarán para quien esté dotado de especial competencia los análisis lingüísticos y estéticos, las interpretaciones históricas, los juicios de valor, la biografía crítica de don Bosco. En cambio, nos aprovecharemos de esas notas para dar in extenso, en extractos o en síntesis, las cartas a don Bosco, en el caso en que pudiesen servir para comprender mejor las de don Bosco. Del mismo modo se hará con muchos de los documentos de cierto valor, como promemorias, billetes, escritos de diversa naturaleza que, aun sin ser cartas propiamente dichas,'' parezca importante publicarlas con el epistolario. En el caso de excesiva extensión, podrá servir para este fin un apéndice documental.

'7 Por «carta» entendemos una comunicación escrita de un individuo a otro, con una fecha y un lugar de proveniencia, un lugar de destino, un característico comienzo (incipit) y un saludo condusivo, seguido de la firma.

3. Conclusión

Desde hace tiempo me planteo una cuestión de relieve no pequeño acerca del plan metodológico: ¿debo esperar a recoger todas las cartas antes de comenzar a publicar el epistolario? Aparte del hecho de que ninguna publicación de este género podrá decirse que está completa nunca, porque las investigaciones nunca serán suficientemente extensas, me inclino a responder a la pregunta negativamente por el hecho de que si espero a tener todas las cartas, probablemente no las publicaré jamás. La dificil situación actual en decenas de bibliotecas y archivos, por no decir la imposibilidad de identificar a los herederos o descendientes de los destinatarios de cientos de manuscritos, son la demostración más tangible de que podrán aparecer cartas de don Bosco del modo y en el lugar menos pensados."
De todos modos, el hecho no debería crear problema: será siempre posible añadir suplementos y, gracias a los índices, situar cada carta en la misma secuencia cronológica seguida en los textos que estaban disponibles en el momento de la edición de cada uno de los volúmenes. Por lo demás, no creo que se dé mejor publicidad que la misma publicación.

El editor del epistolario es perfectamente consciente de su falta de adecuación para este cometido, no fácil, que se le ha encomendado y de su temeridad al aceptarlo. La única cualificación especial que puede ostentar es la de la edad, que le debería permitir, Deo volente, llevar a término la obra en la que se ha embarcado, y que desea que se convierta en una aportación preciosa para una interpretación bien cimentada del significado histórico, en la Iglesia y en la sociedad, de la personalidad y la obra de un hombre que se llamó don Bosco.

18 Una prueba de ello es que nos han llegado ya cartas de ambientes y Es en los que era difícil sospechar la presencia de autógrafos de don Bosco: Madagascar, Canadáe,tados Unidos de América, Guatemala, Checoslovaquia etc. No siempre el destinatario de tales cartas residía en aquellas localidades; a veces los originales fueron llevados allí por misioneros que, de modos diversos, habían llegado a hacerse con ellos.

LA SITUACIÓN Y LA UTILIZACIÓN DEL ARCHIVO SALESIANO CENTRAL


Raffaele FARINA


1. Breves noticias históricas sobre el Archivo desde sus comienzos hasta 1972'


Entre los primeros escritos de don Bosco encontramos un Regolamento per gli oratori festivi, compuesto entre 1847 y 1852, del que se conserva el manuscrito. Todo el capítulo IX está dedicado al Archivero o Escribano.' Este tenía, según se lee en él, el cometido de guardar los libros de registro, tener bajo llave la música del Oratorio, cuidar la pequeña biblioteca de libros escogidos para la juventud, anotar nombre y domicilio del que llevaba en préstamo algún libro y vigilar para que no se perdiese ninguna cosa de propiedad del Oratorio. Se trata en sustancia de una serie de disposiciones tomadas de otros reglamentos y que quedaron en los oratorios de don Bosco, según parece, en letra muerta. Los archivos de las obras salesianas surgieron, sin embargo, de un modo empírico y con documentación abundante. Don Bosco solía conservar lo que consideraba importante para la gestión y el recuerdo de los hechos: sus cartapacios escolares, listas de jóvenes, relación de confirmados, de misas, finiquitos con impresores; el teólogo Giovanni Borel, su primer colaborador ya en 1846, llevaba y guardaba la contabilidad. Después don Vittorio Alasonatti empezó a recoger listas de aceptación, de gaátos e ingresos, de rendimiento escolar.

No se trata todavía del Archivo de la Congregación, pero se insinúa ya. A los papeles que se producían por la actividad oficial y social se añadían testimonios diversos sobre las actividades del Fundador. Ya en los años 1860-61, los jóvenes miembros de la naciente Congregación religiosa (entre ellos, Ruffino, Bonetti, Francesia, Rua y otros) se sintieron obligados a formar una comisión para apuntar los hechos que parecían extraordinarios y las palabras de
Debo la redacción de este trabajo a la generosa y fiel colaboración de don Vendel Fenyó.

Cf. P. STELLA, Archivio Centrale Salesiano, en: L. PASZTOR, Guida alíe fonti per la stork dell'America Latina negli archivi della Santa Sede e negli archivi ecclesiastici d'Italia, Cittá del Vaticano 1970, 521; V. FENYÓ, L'Archivio Salesiano Centrale, en RSS 4 (1985) 149-151.

Véase la edición de 1877 en: OE XXIX, 49-50; cf. también: MB III, 104.

su superior y padre, para que «nulla di quello che appartiene a Don Bosco cadesse im oblio».4
El Archivo sigue las vicisitudes y el desarrollo de la joven Congregación y de la Casa Madre de Turín-Valdocco. Se le destinó un local a propósito, no siempre suficientemente espacioso, pero bueno. El responsable fue desde el comienzo el Secretario general de la Congregación. No se tienen rastros de algún reglamento u opúsculo que nos ilustre sobre aquél. El cuarto sucesor de San Juan Bosco, don Pietro Ricaldone, dedica un número de las «Atti del Capitolo Superiore» a los archivos. En él se extiende hablando de los archivos de las casas salesianas. Se detiene en los archivos inspectoriales y se limita a nombrar sólo el «Archivio Generale della Congregazione».5
En la etapa posterior a la última guerra maduró la idea de una reordenación completa del Archivo (fue ocasión de que se cambiase el nombre en «Archivio Centrale Salesiano»). Se le dotó de estanterías metálicas y sobre todo de un nuevo titulario, inspirado en el sistema decimal. El alma de la empresa fue don Tomás Bordas. El preparó el nuevo plan de clasificación, que tenía que servir indistintamente a las bibliotecas y a los archivos.6 Tal vez en vista de su utilización eri las bibliotecas, se incluyeron en el nuevo plan muchos temas, preparados con meticuloso cuidado, que comprometieron, al menos parcialmente, el ordenamiento esencialmente archivero, según la naturaleza de los contenidos: muchos materiales, en efecto, se sacaron del encartamiento en el que debían haber figurado y fueron colocados en posiciones extrañas (expedientes de cada superior, papeles diversos enviados por los diferentes dicasterios a la Secretaría general de Consejo superior, etc.). Así, desde el principio, se trastocó el criterio de archivo de proveniencia y hasta de cronología del material de papeles, que se depositaba a veces semanalmente en el Archivo. Este fue absorbiendo lentamente y confundiendo en uno solo el Archivo de «diario» y el histórico de una Congregación que ya tenía dimensiones mundiales.

Durante su vida más que secular, el Archivo ha tenido diversas denominaciones. Al principio se usaba indistintamente el término «Archivio della Congregazione» o «Archivio Salesiano».. Desde los primeros decenios de este siglo se habla del «Archivio del Capitolo Superiore», expresión que se encuentra en la mayor parte de los papeles conservados hasta 1972. De 1951 a 1985 ha llevado el nombre de «Archivio Centrale Salesíano»7 y al entrar en vigor el Rego
• mB VI, 861-863; VII, 129.

• ACS (1943) n. 120, 279.

6 Cf. T. BORDAS, La clasificación decimal aplicada a la Congregación Salesiana para sus bibliotecas y archivos, en «Boletín de la Dirección General de Archivos y Bibliotecas» 2 (1953) 14, 13-16.

• A decir verdad, el volumen de don Torras (cf. nota 13) lleva ya la denominación «Archivio Salesiano Centrale». Sin embargo, parece que el cambio (que se ha introducido con el fin de evitar la confusión con la misma sigla usada por la publicación periódica «Atti del Capitolo Superiore» [ACS]) llegó a ser oficial sólo en 1985.

lamento, el de «Archivio Salesiano Centrale».8
Bajo la dependencia del Secretario general del Consejo superior (hoy «Consejo general») se han sucedido, desde el tiempo de don Bosco hasta hoy, los siguientes archiveros en la dirección del Archivo Salesiano Central: 9
1. Don Gioacchino Berto (1847-1914): Secretario de don Bosco hasta 1882. Le ayudaban en su trabajo de archivero don Michele Rua, don Angelo Lago, don Giuseppe Lazzero, don Francesco Dalmazzo y otros. También don Carlo Viglietti (1864-1915), que le sucedió en 1882 como secretario de don Bosco, fue colaborador suyo en la recogida y ordenamiento cuidadoso de los escritos que se referían a la Congregación Salesiana.

2. Don Giovanni Schlápfer (1884-1946): siendo clérigo estudiante ayudaba a don Berto y, apenas ordenado sacerdote el 20 de julio de 1913, a las órdenes de don Calogero Gusmano, secretario del Consejo superior (1912-1935), sucedió a don Berto como archivero. Catalogó el Archivo con la ayuda del señor Giuseppe Balestra (1868-1942), secretario particular de don Rua. Don Schlápfer, aun con criterios empíricos, elaboró un cuidadoso ordenamiento del Archivo, alterado después por su sucesor. Fue responsable del Archivo hasta
1946.

3. Don Tomás Bordas (1889-1968): trabajó en el Archivo desde 1926 y tomó la dirección en 1946, cuando murió don Schlápfer. Le ayudaron en el Archivo don Johann Birkenbiehl y don Luigi Tavano. Se le recuerda por la primera redacción sistemática de un titulario del Archivo, inspirado en la clasificación decimal de Dewey y por haber colaborado en el traslado de la parte más importante del Archivo a los subterráneos de la basílica de María Auxiliadora de Turín, para sustraerla a la posibilidad de destrucción en los bombardeos aéreos de la ciudad durante la segunda guerra mundial.

4. Don Pietro Stella, apreciado estudioso de don Bosco, estuvo con don Bordas en 1961 y dirigió el Archivo hasta 1965. Se dedicó especialmente a la organización y clasificación del «Fondo Don Bosco», de cuyo conocimiento cuidadoso proceden sus conocidos trabajos históricos sobre don Bosco.

5. Actualmente, aunque con el grado de vicedirector desde 1985, dirige desde 1965 el Archivo don Vendel Fenyó, con la ayuda, desde hace algunos años, de don Tarcisio Valsecchi y, recientemente, de don Jaroslav Polácek y de don Ambrogio Park. Debernos recordar también aquí la dirección durante dos años (1980-1981), breve, pero eficaz de don Ugo Santucci.i°
8 ACG 66 (1985) n. 314, 48-56.

9 A. MART/N, Jaén en los archivos de Roma: Instituciones giennenses en el Archivo Central Sa
lesiano, en «Boletín del Instituto de Estudios Giennenses» 90 (1976) 6-7.

" Cf. Elenco Salesiani Don Bosco 1980/1981, vol. I, p. 11-12 (Sectores y actividades de la
Casa generalicia).

2. La problemática que se plantea después del traslado a Roma (1972)

En 1972 la «Direzione Generale Opere Don Bosco» pasa de Turín a Roma, en una nueva sede (via della Pisana, 1111, contigua al «Grande Raccordo Anulare»), llevando consigo también el Archivo. El traslado y la nueva sistematización tuvieron lugar, sin inconvenientes, en pocos meses. La mayor parte de los documentos se colocó en estanterías metálicas, en contenedores «Resisto», en un local, al menos por ahora, suficientemente amplio, climatizado con una temperatura de 20° y humedad de 50°.

La falta de espacio obligó enseguida a una opción que, al fin y al cabo, se demostró de utilidad, como fue la de sacar del Archivo la llamada «Biblioteca storica» de Turín-Valdocco, que encontró, también ella, con la creación del «Istituto Storico Salesiano» en 1982, y en 1985, con la sistematización de la biblioteca de la «Casa Generalizia», su ubicación definitiva. No hay que silenciar aquí el hecho deplorable de que, en esta separación, hecha sin un debido control, se han perdido algunos ejemplares de obras que formaban parte de la llamada «Biblioteca di Don Bosco», es decir, la biblioteca que usó el santo durante su vida. A esto debe añadirse el hecho de que buena parte de esta llamada «Biblioteca di Don Bosco» quedó todavía en Turín-Valdocco, separada de la otra parte trasladada a Roma.

Este ha sido uno de los problemas que el responsable del Archivo, al llegar a Roma, en los años de la gran crisis, debió afrontar. La problemática fue hecha presente repetidamente por don Fenyii, sobre todo en 1973, aun con su discreción característica, en un memorándum y apuntes, que conocen los que en los últimos veinte años han tenido relación con el Archivo o se han ocupado de algún modo en estudios sobre nuestro Fundador y sobre la Congregación salesiana.° He aquí sintéticamente algunos de los problemas planteados:
1. La clasificación decimal, realizada en 1951, tuvo el mérito de facilitar la búsqueda del material por argumentos y personas, pero sin salvaguardar suficiente y adecuadamente el principio en archivos, de la procedencia del material. Por ello no reflejaba la historia, como habría debido, ni las estructuras y competencias del tema del que recogía y ordenaba el material documenta1.12
2. El plan de clasificación, redactado con estos criterios de división decimal, no tenía en cuenta la división que se usaba en los Archivos de las casas
" Cf. por ejemplo: V. FENYÓ, L'Archivio Centrale: difficoltá nella consultazione (15 aprile 1973); ID., I problemi del titolario nell'Archivio Centrale Salesiano (2 maggio 1973). Cf. también:
J. HOMOLA, La funzione della Segreteria generale di una Casa generalizia in rapporto coll'Archivio, in modo particolare con quello corrente (Lavoro di studio presentato nella Scuola di Archivistica dell'Archivio Segreto Vaticano 1973). Este trabajo, redactado por un salesiano, se refiere a la situación del Archivo de la Casa generalicia salesiana.

Leyendo el trabajo citado en la nota 6, se ve claramente que el criterio adoptado por don Bordas en la recogida y ordenación del material fue el de una «Oficina de Prensa» bien equipada.

Merece la pena recordar que, cuando asumió el cargo de archivero, don Bordas procedía precisamente de ese tipo de oficina.

generalicias, es decir, la división en los tres núcleos tradicionales de generalia, provincialia, personalia, aunque éstos se podían deducir sin gran dificultad del conjunto de voces.

3. La consulta era difícil por falta de instrumentos de descripción y búsqueda. El único instrumento era el titulario, de cuyos defectos ya hemos hablado antes.

4. El material del archivo no estaba dividido con criterio único. Mucho material del mismo tipo se encontraba en diversas secciones.

5. El fichado del material estaba y está a medias. En algunas partes o secciones, está bien hecho. En otras, menos. Por estos motivos y por los apuntados en el n. 3, la consulta exige que el archivero dedique mucho tiempo a la búsqueda para el servicio del investigador-estudioso o que permita al estudioso la búsqueda directa del material, lo que es inadmisible.

6. Faltaba el reglamento del Archivo y esto creaba problemas a los que apenas hemos hecho referencia; y otros, como el ingreso de material de los despachos en el Archivo y el de la clasificación de ese material.

7. Algunos de los problemas del Archivo eran fruto de la insuficiente organización de los despachos, que producen documentos destinados después al Archivo.

3. La reproducción del «Fondo Don Bosco» sobre microfichas (1979-1980)

La sección del Archivo que se refiere al Fundador, continuamente consultada hoy, como lo fue desde el principio de la Congregación, requiere la máxima atención. Por eso se pensó conservar su integridad recurriendo al microfilme. El trabajo lo realizó entre junio de 1979 y jimio de 1980 el sacerdote salesiano español don Alfonso Torras. Se trata de 2.322 microfichas (150 x 104 mm.), cada una de las cuales contiene 60 fotogramas. Lo que quiere decir 139.151 páginas de documentos reproducidos.

Para una adecuada utilización de este Fondo microfilmado se procedió a la numeración de los papeles uno por uno, para su colocación vertical y horizontal sobre la microficha: 5 filas de 12 fotogramas por fiCha. Después se impuso hacer el índice o catálogo para identificar cada documento situado en la ficha. Este último paciente trabajo de don Torras se publicó después impreso en 629 páginas.° La consulta de este Fondo raicrofilmado es posible, no sólo en el Archivo Salesiano Central, sino también en muchas instituciones salesianas del mundo que adquirieron copias."
13 ARCHIVIO SALESIANO CENTRALE, Fondo don Bosco. Microschedatura e descrizione, a cura di A. Torras, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco 1980.

" A. Torras, a petición de algunas Inspectorías salesianas, realizó, entre. 1980 y 1982, una segunda serie de microfichas (149.090 fotogramas) de las que, desgraciadamente, no ha publicado la guía.

La realización de tal empresa, aun con defectos debidos a la organización no completa del Archivo, merece un sincero agradecimiento. No sólo ha logrado el fin que se propuso de salvaguardar para la posteridad un tesoro precioso de los avatares del tiempo (guerras, incendios, terremotos, etc.) y del uso diario para su consulta, sino que lo ha puesto prácticamente a disposición de los estudiosos de todo el mundo, que no siempre tienen la posibilidad de poder consultar en Roma los originales.

Precisamente un uso más fácil de este Fondo microfilmado hace pensar en su segunda edición, cuando se haga la programación en ordenador del «Fondo Don Bosco». Se podrá entonces hacer aparecer sobre cada ficha la signatura propia de cada documento y facilitar una guía para la consulta más accesible intuitivamente."


4. La sistematización reciente del Archivo (1984-1988)


La iniciativa de la reproducción del «Fondo Don Bosco» sobre microfichas es un ejemplo que muestra un nuevo clima.

Los Capítulos generales, a partir del Especial de 1970-1971, habían hecho una invitación a la renovación y dado un estímulo al estudio del espíritu del Fundador y de los orígenes y, por consiguiente, a la valoración de todo lo que se recibió por escrito. Se pueden recordar, como más salientes, la refundación, en 1972, en la Universidad Pontificia Salesiana, del «Centro Studi Don Bosco», que fue consecuencia del Capítulo General Especial (cf. Actas n. 186),16 y la fundación, en 1982, en la Casa generalicia del «Istituto Storico Salesiano», de acuerdo con la deliberación del Capítulo general 21° de 1977-78 (Actas n. 105ss.)."
La exigencia de búsqueda y de estudio del Instituto Histórico Salesiano, apenas nacido, dieron el impulso definitivo a la reciente sistematización del Archivo, en cuya preparación y puesta en marcha he participado de manera activa y directa. Esto se hizo en tres etapas: la preparación y promulgación del Reglamento, la preparación de su «informatización», la misma «informatización».

15 Se pueden ver algunas indicaciones sobre la organización del «Fondo don Bosco» en: P. STELLA, Gli scritti a stampa di S. Giovanni Bosco, Roma, LAS 1977, p. 15-16.

16 Cf. Atti del Capitolo Generale Speciale XX, 457; R. FARINA, Leggere don Bosco oggi: note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente interpella gli istituti religiosi, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1976, p. 356.

17 Cf. el primer número de RSS 1 (1982).

4.1. El Reglamento del Archivo Salesiano Central (24 de Mayo de 1985) 18


Promulgado con carta del Rector Mayor, dirigida al Secretario general,' el Reglamento del Archivo contiene su programa de reestructuración, que se está llevando a efecto desde hace tres años y que se puede decir que está sustancialmente acabado, si se prescinde del hecho de que la inclusión en ordenador de todo el material del Archivo llevará un buen número no determinado de años.

Me parece oportuno destacar aquí algunos de los contenidos más importantes:
1. La constitución de un grupo de archiveros, debidamente preparados, guiados por un director y un vicedirector, que se ocupan de la ordenación, clasificación e inventario, codificación e «informatización», además de la conservación de la documentación contenida en el Archivo (art. 4-14). Hasta este momento, toda -la responsabilidad y el trabajo gravaban, casi exclusivamente, sobre las espaldas de una sola persona.

2. La división del material documental, hecha por razones de tipo práctico, en cuatro secciones: Archivo histórico, Archivo de depósito, Archivo corriente y Archivo de procesos reservados (art. 15-16).

3. La reglamentación detallada de la consulta del Archivo (art. 17-27). En la carta de promulgación, el Rector Mayor determina la apertura del Archivo a la consulta de todos los estudiosos que lo soliciten, ateniéndose a las normas del Reglamento, hasta 1931, año de la muerte del tercer sucesor de don Bosco.

4. El programa de organización de la documentacion contenida en el Archivo, que contempla, sobre todo: 1) censo de todos los documentos (registro y sellado); 2) recogida de cada documento en cajas numeradas y asignación de un código de clasificación, que hace referencia al plan de clasificación del Archivo, y de un número de colocación, que determina la identidad de cada documento; 3) la entrada de cada documento en el Archivo; 4) la clasificación.

" Cf. ACG (1985) 48-49. El Reglamento está a continuación de la carta (p. 50-56). Al hacerse alusión a este Reglamento en el manual para el Inspector (L'Ispettore Salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunta ispettoriale, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco 1987), el Apéndice 13 (p. 547-558) confirma y pone al día las indicaciones para los archivos inspectoriales y locales dadas por don Ricaldone en 1943 (cf. nota 5).

" Sin embargo, como no ha sido completamente resuelto todavía el problema del «protocolo» único para todos los sectores de de la Casa generalicia (ni existe, por otra parte, un Reglamento que prescriba, entre otras cosas, un modo más o menos uniforme de entregar los expedientes cerrados), el Archivo Central continúa teniendo, en un lugar contiguo, un archivo que es, al mismo tiempo, depósito y archivo corriente (Reg., art. 15, par. 3-4).

4.2. La preparación para el ordenador


Este importante trabajo procedió, con todas las cautelas debidas al ser de los primeros en este campo, en tres frentes al mismo tiempo. Ante todo, se tuvo que preparar el Archivo como tal a tan importante empresa. Se trataba de resolver el antiguo problema de la separación del Archivo histórico del Archivo corriente. Esto se hizo: 1) reduciendo las entradas de los despachos al Archivo a los establecidos en el Reglamento (Re g. art. 36) cada seis o doce años y, en todo caso, cuando los procesos están concluidos y, por tanto, no sacarlos de nuevo del Archivo ni «hincharlos»;20 2) extrayendo, con un trabajo que ha durado en total unos dos años, todas las carpetas y la documentación de los hermanos salesianos vivos, para formar un Archivo corriente a propósito, del todo nuevo, situado en un local contiguo y dependiente de la Secretaría general y, de todos modos, del todo independiente y fuera del Archivo Salesiano Central; 3) numerando todas las cajas que contienen los documentos,2' de modo que se le pueda asignar a cada uno de ellos un número propio individual que hace referencia a la caja y a la «camisa» o sobre en la que se encuentra.

La asignación de una sigla alfanumérica individual exclusiva de colocación a cada documento distingue a este último de cualquier otro y es el medio para encontrarlo en la masa de documentos conservados (cerca de 2.500.000). La búsqueda deberá hacerse no ya como hasta ahora, haciendo referencia local a la clasificación, sino a través del ordenador, haciendo referencia a la colocación. Por lo que las diligencias que han entrado no se desmembrarán poniendo los documentos en cajas distintas según la clasificación recibida, sino que quedarán íntegras como fueron depositadas y recibirán la sigla de colocación por medio de la cual se podrán encontrar. Así será posible consultar, según las normas habituales y con las ventajas de que cada historiador conoce la documentación exactamente como entró en el Archivo.

Mientras tanto se había elaborado un sistema, único para el Archivo y para la Secretaría general, mediante la asignación de un código alfanumérico (con no más de seis letras o cifras) tanto a las casas como a los hermanos salesianos desde el comienzo de la Congregación hasta hoy. Era el primer paso para la redacción del plan de clasificación de los documentos. Éste recibió su última
20 Esto ha exigido un largo trabajo de compulsación y revisión de los nombres de los hermanos, vivos y difuntos, cada uno de los cuales — para evitar todo tipo de confusiones y de equívocos futuros — está contraseñado con un propio y exclusivo «codice alfanumerico» (no más de 6 cifras o letras). El «codice» (por ej. 78A001) comienza con dos cifras y una letra que se refieren al año de entrada en la Congregación (78A = 1878; 78B = 2078 etc.); siguen tres cifras, con las cuales son señalados progresivamente, de uno en adelante (001, 002, 003 etc.), los hermanos que en tal año entraron en la Congregación.

21 La numeración de las cajas va de A000 a A999 en el primer millar; de Z000 a Z999 en el 25° millar. En la numeración del 26° al 50° millar se pasa la letra al final: 000A-999A, 000Z-999Z.

redacción el 31 de mayo de 1988 y constituye el punto de referencia para el fichado a través del ordenador del Archivo Salesiano Central.

Mientras que en el plan anterior los títulos eran diez, ahora se han convertido en veintitrés. Empiezan con una letra del alfabeto, excepto los que se refieren a los hermanos, que empiezan, en cambio, por una cifra.

4.3. El proceso por ordenador


Sí el Archivo hubiese tenido las vicisitudes y dificultades normales en cualquier otro Archivo, si se hubiese podido disponer de un fichado suficiente del mismo, tal vez no nos habríamos embarcado en la aventura del proceso del mismo por ordenador. Es tal que, al principio, descorazona a cualquiera. Pero no nos hemos arrepentido, aunque el camino que hay que recorrer es largo. Lo sería más todavía si quisiésemos usar los medios tradicionales para la gestión de un Archivo así.

Preparado el plan y fijada la colocación y numeración de los documentos, después de algunos meses de rodaje, se comenzó la memorización (input) para cada documento (que puede ser un simple folio de apuntes o un conjunto de hojas o páginas), de los siguientes datos: Colocación, Clasificación, Tipo de documento, Fecha, Lugar de origen, Autor/ es, Destinatario/ s, Título/Resumen, Soporte, N. de hojas/páginas, Presentación, Autenticidad (Originales/Autógrafos), Publicación (Si/No), Claves de búsqueda (hacen referencia al plan de clasificación: 32 posibilidades).

El número de los documentos, calculados sobre la base de 6.700 cajas existentes en el Archivo, cada una de las cuales contiene una media de 400 documentos, es aproximadaMente de 2.500.000. Calculando el número de las voces por cada documento y la amplitud de algunas de ellas (por ej.; Título/Resumen, claves de búsqueda...) se puede uno hacer idea del trabajo y vastedad de la tarea emprendida. Se ha dado comienzo a la memorización del «Fondo Don Bosco»: se trata de casi 30.000 documentos y se acabará sólo dentro de cinco años.

Las ventajas de este sistema son los que presenta cualquier fichado (censo,
ordenación, colocación, clasificación) y con ahorro de personal, rapidez, exactitud y posibilidad de un tipo de búsqueda (unívoca o cruzada con dos o más voces o campos) impensable con los sistemas tradicionales. Se garantiza además la seguridad de encontrar cualquier documento memorizado en un 99%.

Mientras se avanza en esta tarea, el Archivo permanece abierto a la consulta de los estudiosos, y los archiveros, aun con este grave compromiso, se prestan generosamente a ayudarles a encontrar la documentación que precisan y, con frecuencia, en su lectura e interpretación. Y mientras tanto, me es grato reiterar desde este prestigiosa tribuna esa disponiblidad, y pido comprensión para posibles descuidos y, sobre todo, retrasos.

DON BOSCO
EN LA IGLESIA Y EN LA SOCIEDAD
DON BOSCO Y LA IGLESIA EN EL MUNDO DE SU TIEMPO

Émile POULAT
La Iglesia vive y ha vivido en el presente. Pero no está presa en él: el presente no es su limite ni su horizonte; es más bien su condición. Según la fórmula del Vaticano II, la Iglesia se sitúa «en el mundo de este tiempo», el nuestro contemporáneo, que camina al paso de los hombres que lo modelan.

Decir don Bosco es decir el siglo pasado, su tiempo, difícil para la Iglesia, y en ese aspecto muy parecido al nuestro y, sin embargo, muy diverso. Otro mundo, del que no podemos darnos idea de verdad. Un mundo desaparecido bajo el embate de dos guerras mundiales y de presionantes transformaciones técnicas.

Don Bosco y la Iglesia en el mundo de su tiempo: no querría ponerme a repetir aquí lo que los historiadores conocen hasta demasiado bien, quiero decir, las peripecias del gran conflicto entre la Iglesia romana y la sociedad moderna, el sentimiento de incompatibilidad que las pone una contra la otra con la misma intransigencia, sin conciliación o reconciliación imaginables. La inteligencia y la generosidad que una situación como ésa suscita entre los católicos para no dejarse abatir, para reconquistar el terreno perdido y volver a poner en su sitio las cosas en lo que sea posible.

Pretendo trazar alguna pista de reflexión y de investigación en niveles más modestos, sobre los que la investigación se ha aventurado todavía demasiado poco.

1. El contexto

La historia política y la religiosa se han mostrado sensibles a las fuerzas que venían enfrentándose y a los conflictos internos y exteriores que resultaban de esa oposición. Menos atención se ha prestado, en cambio, a los intereses y a todo lo que constituía la puesta en juego de esa lucha, excepto en sus traducciones ideológicas. Puede servirnos de ayuda una categoría, un término que no es nuevo, que es, al contrario, una categoría corriente y clásica: la de cultura, civilización.

Hoy estamos ya bastante sensibilizados ante el pluralismo de las culturas y la historia de las civilizaciones. La curiosidad antropológica y la evolución internacional nos han ayudado en este sentido.

Recordamos que hubo una era de cristiandad y un sueño de civilización cristiana, reactualizados de Lamennais a Maritain, si podemos decirlo así. El encuentro del cristianismo y estas civilizaciones lo miramos según el modo de aculturación o inculturación; pensamos en la cristiandad como un encuentro logrado dentro de sus límites y pensamos en la civilización cristiana como un ideal cada día más problemático. Deploramos el choque de las culturas que acompaña, con sus efectos destructores, a la difusión en el mundo de los modelos occidentales. La cristiandad no es, en cambio, ciertamente — o no lo es ya — la imagen que nos deja la historia interna de nuestros países europeos desde hace dos siglos hasta hoy.

Y, sin embargo, aquel fue precisamente el tiempo de un fragoroso choque de culturas, como un topetazo frontal entre dos continentes: un Kulturkampf Fue la irrupción que vino a hacer una nueva civilización, cimentada en la razón, en la ciencia, el progreso y la democracia en la tierra de antigua civilización católica o, más generalmente, cristiana.

Este conflicto lo fraccionamos nosotros, o bien lo interpretamos. Evocamos un clima de hostilidad anticlerical, un doble proceso de secularización y descristianización ante el que el catolicismo reacciona con un proyecto de restauración de un orden social cristiano: una Iglesia, en una palabra, con una mirada en el pasado y otra en el futuro, pero, en todo caso, extraña y refractaria al presente.

Nuestra visión ha ido cambiando a medida que la situación evolucionaba y que la figura del tiempo, la relación entre las fuerzas, las formas de lucha iban modificándose. Pero este realismo necesario ha actuado en nuestro recuerdo y nuestra comprensión del pasado. Y no es sólo una noche de recuerdos la que viene a echarse encima, sino que es el veredicto de un juicio. Y severo. Pedimos a la inteligencia que tenemos ahora del presente y del mundo circunstante la clave para entender lo que nos ha precedido. En un juego así se llega a perder muy pronto la propia alma y la propia identidad. Se convierte uno en color de pasado. Y sucede que también esto nos preocupa y llega entonces el momento de aceptar una lucidez difícil.

He tenido experiencia de ello con ocasión del centenario de la muerte del P. Emmanuel d'Alzon (1810-1880), fundador de los asuncionistas, en el coloquio que tuve que moderar en aquella ocasión. Un coloquio restringido, en el que un centenar de religiosos y religiosas de la Asunción se encontraban con unos quince historiadores. Una pregunta esencial — «¿Cómo es posible ser hoy descendencia espiritual de un fundador como él, cómo se puede ser fiel a su espíritu, a su mensaje?» — chocaba contra el muro del saber universitario. ¿Y que congregación fundada el siglo pasado no ha tenido que resolver por • cuenta propia ese interrogante?
En aquella época se razonaba por medio de oposiciones macizas: Italia Negra e Italia Blanca, las dos «Francias» (la de Voltaire y de M. Homais y la de San Luis, de Juana de Arco y de los cruzados). Más profundamente, perduraba una interpretación agustiniana de la historia, elevada sobre las dos ciuda des, interpretación de la que la Ilustración mantenía una controversia secular. El siglo XIX fue más anticatólico, y hasta antirromano, que verdaderamente irreligioso. Nunca se había visto una proliferación semejante de nuevos cristianismos, de profetas, de mesías, de fundadores de religiones la mayor de las ve-ces efímeras; su inspiración común era siempre la búsqueda de una religión de la humanidad, que a los seguidores del cristianismo histórico no podía aparecer sino como blasfemia, aberración y contradicción en sus términos.

En el seno de la Iglesia católica, la respuesta fue generalmente ambivalente. Por una parte, se sentía todavía en posición dominante, en razón del puesto que ocupaba en las instituciones y en el número de fieles que contaba. Por otra, sin embargo, había atravesado una revolución por la que tuvo que pagar un alto precio. La Iglesia se sintió amenazada por un enemigo proteiforme y omnipresente, que con paciencia iba minando y corroyendo su influencia; un enemigo que actuaba al descubierto, pero que también tramaba en la sombra de sectas y de sociedades secretas. ¿Cómo se podía pensar en im compromiso, en una componenda, en una conciliación? La cínica regla posible era la intransigencia, con la disciplina y la concentración que la suelen acompañar. Sólo la intransigencia permitía prever que llegaría al final la transformación de una situación mortal y la restauración de una sociedad de acuerdo con las leyes cristianas y penetrada por el espíritu cristiano.

Una intransigencia así se funda también en varías ambigüedades. La primera pone al descubierto una relación de incertidumbre. La Iglesia se siente todavía en posición mayoritaria, expuesta al riesgo permanente de perder un día — ¿próximo o lejano? — esa posición para despertarse en minoría; pero al mismo tiempo se siente ya aquí y allí minoritaria. La segunda es una cuestión de valoración. ¿Cómo se puede pertenecer al propio tiempo, a lin tiempo que parte de puntos inaceptables, rechazando toda nostalgia por lo que ya ha pasado definitivamente? ¿Y cómo tener en cuenta los hechos pasados sin legitimar al mismo tiempo el juego de la violencia y el derecho del más fuerte en la historia, sin sacrificar un pasado que fue grande y que sigue siendo respetable; sin, en una palabra, renegar de sí mismos?
De aquí las incertidumbres, las perplejidades, las divisiones y las contradicciones entre los católicos. En los extremos se encontrarán, por una parte, una intransigencia blanda, modulada — los católicos liberales que invocan la hipótesis oficial sin renegar de la tesis en marcha — y, por otra, una intransigencia paroxística, activada — los católicos «apocalípticos», que ponen la tesis común dentro de una hipótesis sobrenatural, más segura a sus ojos que la liberal: venganza divina, penitencia y arrepentimiento, profecías y visiones, grandes y pequeñas maniobras satánicas, catástrofes sangrientas y terribles.'
! Por ejemplo, la profecía de Prémol, que tanto se ha divulgado: «Quels sont ces bruits de guerre et d'épouvante qu'apportent les quatre vents? Le dragon s'est jeté sur tous les Etats et y porte la plus effroyable confusion. Les hommes et les peuples sont levés les uns contre les autres. Guerre! Guerre! Guerres civiles, guerres étrangéres. Quels chocs effroyables! ». Por «dragón» hay
Los segundos elevaban la voz, alzaban el tono, cargaban las dosis. Un clima de este género hacía cada vez menos posible la linea de los católicos liberales, reforzando la oposición católica a la modernidad, endureciendo la identidad católica, facilitando el cierre de filas y la movilización de las fuerzas católicas. En una palabra, hizo neta la división de los campos. Hizo sentir su peso en la relación de fuerzas, sin hacer avanzar la solución de los problemas y empujando al campo contrario a los católicos — numerosos — que veían de otro modo la sociedad moderna y lo que en ella podía ser una vida religiosa.

Hago aquí alusión a los secuaces del que he llamado catolicismo burgués, distinto del catolicismo liberal en el hecho de que no admitían su tesis intransigente. Para él, la fe y la vida cristianas son, ante todo, hechos de conciencia, cuestión de orden privado y familiar. Sólo el influjo del individuo tiene derecho a actuar en la sociedad. Se constituían así, en el siglo XIX, dos tipos de catolicismo, recíprocamente irreducibles, de los que la Iglesia romana reconocía a uno sólo, mientras que el segundo tenía que quedar por eso desconocido para historiadores y sociólogos, ante la inicial imposibilidad de identificarlo. Lo que se logró conocer de ello casualmente está muy lejos de hacer entender su importancia real.'
En los antípodas de una religión testimonial y de un apostolado conquistador, este cristianismo interior, seco y reservado, más que definir una categoría, señala un temperamento.3
Hasta podía llegar a una vida mística, de lo que poseemos numerosos testique entender la «revolución». Cf. también la investigación iniciada por P.G. CAmmiaz, 11 diavolo, Roma e la rivoluzione, en «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 3 (1972) 485-516.

2 ¿Es necesario repetir que ese «catolicismo burgués» no es la religión de toda la burguesía, y tampoco de la sola burguesía, sino que es la concepción del papel y del lugar de la religión que apareció con el espíritu burgués y fue desarrollada por éste, en íntima simbiosis con su actividad económica? Max Weber había asociado esta última con la ética protestante: en este sentido, el catolicismo burgués es un auténtico protestantismo de dentro. El rigorismo católico que sobrepasó al jansenismo, fue una expresión y un vehículo del mismo, más allá de su lugar de origen. El alfonsianismo y el salesianismo fueron un antídoto tardío de aquél en el ambiente mismo de su origen. Solamente una investigación positiva y biográfica nos podrá hacer salir de afirmaciones genéricas y dar al modelo un equivalente histórico y espiritual. B. Groethuysen trató de hacerlo para el siglo XVIII, pero en negativo, es decir, a partir de las recriminaciones eclesiásticas.

3 «Au plus profond et au plus pur de nos coeurs fidéles, nous tendons tous á une religion sans église, sans sculpture et sans peinture»: la observación es del dominico P.A. Couturier, precursor de la renovación del arte religioso. Cf. La vérité blessée, Paris, Plon 1984, p. 311. De tales exterioridades entre dos culturas podríamos buscar un testimonio en un reciente best-seller de un párroco rural de Normandía: B. ALEXANDRE, Le horsain, Paris, Plon 1988 (en la colección «Terne Humaine» dirigida por J. Malaurie). Ha pasado su vida en Pays de Caux, observando a su gusto las costumbres y las tradiciones de sus habitantes; pero permaneciendo para ellos siempre el «extranjero»: una tradición que no ha cambiado gran cosa por mucho que se pueda uno remontar en el tiempo, un catolicismo que, por otra parte, ha cambiado mucho desde la última generación, y campesinos que parece que no tienen vida interior. Evidentemente, el autor no ha leído Maupassant, que presenta una imagen completamente diversa de esos campesinos; pero que sesentía, entre ellos, como en su casa.

raoníos. Más frecuentemente, fue una religión de convicciones silenciosas y de prácticas jalonadas entre la cuna y la tumba, en las que, sin embargo, «no entra el cura»; al, cura no se le pedía más que «que hiciese su papel». Y, sin embargo, es esta fe, compartida, a pesar de un fondo de divergencias sobre el lugar que debe dársele, la que explica la larga persistencia de una moral común a los «dos campos». Y es precisamente la aceptación de esta moral lo que permite en Francia a Jules Ferry, en 1882, hacer laicos los programas de la enseñanza primaria pública. Está convencido de que es posible suprimir los fundamentos religiosos de la moral sin perjudicar su fuerza imperativa y su evidencia social. El maestro, después igual que antes, seguirá enseñando «la buena antigua moral de nuestros padres, la nuestra, la vuestra, porque nosotros no tenemos más que una...».

¿Una sola moral idéntica? Haría falta empezar ya a distinguir entre una moral venida de la Ilustración, no muy difundida todavía, privilegio de un grupo social selecto, y la moral del Decálogo, fundada en la tradición judeocristiana, sobre la que se encontraron de acuerdo Le Play y Ferry, adversarios en lo demás: «Sé obediente, no digas mentiras, no robes, no mates». Sin embargo, también aquí podían distinguirse bien la moral católica y la moral laica (el Parlamento francés hará pronto la experiencia al votar en 1884 las leyes que introducían el divorcio). La primera, aun abandonando el rigorismo anterior, no se hacía ciertamente menos estricta y exigente, hasta el punto de alejar a los fieles del confesonario. Quería ser severa y austera, lo que le autorizaba a juzgar a la otra más fácil y acomodaticia. Este es, no obstante, un punto de vista unilateral, que una investigación sobre la moral laica — cenicienta de nuestros estudios — tendrá que rectificar. Esta última, en efecto, tenía también sus puntos sensibles, sobre los que no estaba dispuesta a ceder y en los que podía encontrar acentos pascalianos para fustigar el laxismo católico. Cada una de las dos tiene, en fin, su perfil particular. ¿Qué más podemos decir?
Sobre estos temas, la carencia parece general. Conocemos bien los diversos sistemas de filosofía moral formados a lo largo de todo el siglo pasado. La historia de las costumbres, entre modos de actuar y mentalidad, parece atraer vocaciones y comienza a desplegar su curiosidad. Pero el espacio intermedio queda por llenar totalmente. Fuera de toda teorización, ¿qué energías éticas mueven a esos grupos sociales que chocan entre sí a veces tan duramente sobre ideas e intereses? ¿En qué se sienten deudoras ante la fe y la moral de la Iglesia católica? ¿Descienden todas de una sola e idéntica comprensión del cristianismo?
Durante mucho tiempo la divergencia pareció sutil: se sabía que se difería sobre las creencias, pero se sentían participar de la misma moral. Etnólogos y sociólogos no arañarán esta convicción muy extendida: muestra, es verdad, que nuestra moral no es universal, que hace falta relativizarla a través de la historia de las culturas y de las civilizaciones, pero sigue en pie que les ha enseñado el camino por el que no hace sino precederlas. De hecho, la divergencia se irá consolidando a medida que esta universalidad vaya cediendo, a medida que situaciones nuevas hagan saltar los esquemas tradicionales y que problemas inéditos vengan a provocar respuestas conflictivas, por ejemplo, entre la moral de la Iglesia y la legislación de los Estados.

Inmoralidad y amoralidad (dos términos recientes: 1845 y 1907 para el francés) figuran como perversiones o singularidades. Cada hombre, su moralidad, en función del modo que tiene de ver el mundo, la sociedad, a los otros; un modo más o menos capaz de análisis, más o menos interiorizado. Esta moralidad no se podrá reducir, desde arriba, a la ideología de la que, por otra parte, es inseparable. Muy en concreto, es una deontología, un saber recibido sobre lo que se debe hacer según los momentos y las circunstancias para comportarse en sociedad según las leyes del común vivir. Pertenece al patrimonio de esta comunidad, a su cultura; en este sentido, existe verdaderamente una cultura moral que estructura la personalidad de sus miembros.

Como la Iglesia romana, los Estados modernos han acariciado el sueño de unificar los particularismos de todo orden existentes en su seno. Ni aquélla ni éstos lo han logrado perfectamente: han tenido que llegar a pactos, encauzar esta diversidad interior. Pero aquélla y éstos han tenido, además, que afrontar un problema imprevisto: las disensiones internas políticas, sociales y religiosas aparecidas después de la gran tormenta revolucionaria que durante cuarenta años (1775-1815) sacudió los cimientos de la vieja cristiandad, desde las Américas hasta Rusia. Francia no fue más que el epicentro más dramático. La Restauración no logró restablecer el pasado, y el tratado de Viena fue el acta de los hechos vividos. Todo había cambiado, pero no se había resuelto nada, y la actualidad no dejaba de recordarlo, mientras dos nuevos actores colectivos los pueblos y el proletariado — hacían su aparición y contribuían a modificar las reglas del juego.

En este juego, la Iglesia estaba implicada por dos títulos: como Iglesia, con su poder espiritual, y como Papado, por el poder temporal sobre sus propios Estados. La Revolución, situada ya en lo más íntimo y en el origen de la sociedad moderna, se le presentaba al mismo tiempo como el mal radical y como el enemigo absoluto. Como escribirá Donoso Cortés, la Revolución arrastra a la ciega humanidad titubeante a un laberinto del que ninguno conoce la entrada ni el trazado. Y Newman: «No medium between Catholicity and Atheism». El ateísmo más grave y más preocupante no es entonces el de los individuos que profesan la negación de Dios; es, en cambio, el «ateísmo social», el de los Estados y los Gobiernos que rehúsan reconocer los derechos de Dios sobre la sociedad, el reino social de Jesucristo y el lugar público sin iguales de su Iglesia; en otras palabras, que practican el indiferentismo en cuestión de religión, protegiendo todas las confesiones sin practicar ninguna.

Da questo momento, la storia costringe a un'opzione decisiva. Mette tutti davanti a un immenso e inevitabile «o ... o ...». O Cristo e la sua Chiesa, o la Rivoluzione con due varianti letterarie: o Cristo o la pistola, o Cristo o nulla. La rivoluzione finisce nell'anarchia e nel nichilismo. Ha avuto inizio nel liberalismo e questi hanno dato origine al socialismo; il "o ... o ..." è accompagnato da un "ni ... ni ..." radicale: né il liberalismo, né il socialismo. Il primo è l'errore-padre, che potrebbe trascinare l'inganno al meglio, ma oggi, schiacciato e sommerso nel secondo, non ha futuro. La grande sfida, la battaglia decisiva è ora annunciata tra socialismo e cattolicesimo.

Nel 1866, il vescovo Dupanloup, vescovo di Orléans, liberale di fama, aveva pubblicato una lettera pastorale sui mali e sui segni dei tempi. Pio IX la ringraziò con un breve complimento:
Nella tua lettera hai descritto e deplorato con forza che corrisponde al motivo le innumerevoli mali, degno di tutti i nostri lacrime, che in questi tempi calamitosi affligge e il turbante di un pietoso modalità .ya società umana Chiesa cattolica. È illustrare, reprobándola vigorosamente la guerra odiosa non credenti di tutti i luoghi Dio, la Chiesa e la santa dottrina dichiarato. Così hanno le sette condannate e i creatori di rivoluzioni. Con dolore che si elencano e estigmatizáis manovre colpevoli e innumerevoli, opinioni pericolose, gli errori, le dottrine del male che questi nemici di Dio e l'umanità, l'esercizio audace di ogni verità e tutta la giustizia, vorrebbero - se potessero - rovina Cattolicesimo, scuotere le fondamenta della società civile, corrompere gli spiriti,

Un'immagine fedele di uno stato d'animo e una percezione della situazione molto estesa allora. Quattro anni dopo, la presa di Roma, la fine del potere temporale, avverrà e il Papa sarà "prigioniero" in Vaticano. L'anno seguente, il comune di Parigi. La coscienza cattolica sarà fortemente segnata da questi due eventi drammatici "inaugurano anche una nuova fase di secolarizzazione della society.4 Mons. Dupanloup è sulle tracce di una vera e propria retractatio, e raggiunge Donoso Cortés superare nella sua critica ai nuovi liberali, come attestato da una seconda lettera pastorale, lo stesso anno 1866, sull'ateismo e il pericolo sociale:
Conosco te, tu e le tue aspirazioni morali. Se il domani diventa il tuo vantaggio, sarà il principio che trionfa; se domani ti volesse contro, saranno i nemici: gettiamoli su senza pietà!
È accusato di chaquetero, di aver bruciato ciò che aveva adorato. Eppure, non è così: non nega le sue speranze. Confessa la sua delusione e spiega le ragioni che ha per questo, evidenziando l'incomprensione sulla società moderna. Non è per tutti ciò che ha sempre significato per lui: "uguaglianza civile e giusta libertà, potenza rispettata, pace europea e
È la reazione di mons. Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXBIE, allora nunzio a Sofia, in una lettera alla sorella, 24 febbraio 1929, dopo la Patti Lateranensi, e la conciliazione che si è conclusa la spinosa questione romana: "Le Seigneur soit Béni! Tout ce que la francmagonnerie, c'est-à-dire le Diable, ont entrepris soixante ans depuis l'Eglise et contre le pape en Italie a été réduit a néant "(Lettres à ma famille, Paris, Ed. Du Cerf 1969 p 195).

lavoro fecondo, il miglioramento morale e condizione materiale dei lavoratori, dei contadini e dei poveri, la dignità dei costumi, l'approccio degli spiriti e dei cuori nella civiltà cristiana ". Un liberalismo cattolico è chiaramente temperata da un principio intransigente rimane intatto e che le dure lezioni di esperienza rimessi in primo piano:
No, io non attacco la società moderna, tremo piuttosto dalla società futura. .. Avevamo tutti avuto un bel sogno. Tutti, qualunque fosse la nostra origine, qualunque fossero le nostre inclinazioni, ci sembrava di navigare insieme verso una terra meravigliosa, promessa ai nostri sforzi e che chiamavamo la società moderna del diciannovesimo secolo ...

E lo accuso anche io! Chiedo ai potenti ciò che hanno fatto riguardo alla libertà; Chiedo ai sofisti come lo interpretano. Chiedo agli arricchiti cosa hanno fatto con il prestito; Chiedo ai giovani opulenti e a quelli favoriti dalla fortuna ciò che hanno fatto alla dignità delle dogane. Chiedo alla stampa corruttrice cosa è successo alla parola, se è stata data a pervertire o illuminare. Chiedo a quanti credono di essere rappresentanti della società moderna, perché lo rendono solidale con le loro chimere e le loro empietà ...

E grido, e ti accuso, coloro che hanno trasformato il mio sogno in un incubo terribile ...

En este espacio público que se llama sociedad viene a diseñarse de este modo un espacio propiamente católico que deja de identificarse con ella a medida que el principio de la confesionalidad nacional — cuius regio eius et religi o — venía cediendo frente al imperativo de las libertades modernas, la de conciencia y la religiosa en primer lugar. Este espacio católico está estructurado por una doble polaridad: una positiva y una negativa; un polo débil con débil atracción y un polo fuerte con fuerte repulsión. Entre ellos, una tensión permanente y un movimiento oscilante de vaivén. El Syllabus, de 1864, simbolizará el acmé del non possumus de la Iglesia a la modernidad, y constituirá la gran referencia — la Magna charta — del movimiento social católico que se desarrollará bajo León XIII. No hará falta siquiera medio siglo para que el juego de la polarización llegue a una fase crítica, en la que el modernismo y el integrismo se conviertan en los términos en liza, una disputa encendida siempre desde entonces...

En sus grandes líneas, este proceso histórico está ahora bien documentado; y muchas monografías, de todo tipo, han venido a ilustrarlo. Lo que sigue oscuro es lo que sucede a lo largo de este continuo movimiento de atracción-repulsión que se autoconserva sin pararse nunca; las transformaciones que se dan en este gran cuerpo católico sin que sufra su estructura interna, ni su posición relativa, ni su orientación doctrinal. Este tiempo, inmóvil en superficie, ha motivado durante muchos años la sensación equívoca de una Iglesia inmóvil, vulnerable en su plataforma terrena, pero inaccesible en su sustancia a los accidentes de la historia. Igual que ha disimulado el incesante movimiento elemental de acción y reacción que anima a su modo a cada uno de sus miembros y ue la atormenta en su propio cuerpo, distrayéndonos de las modificaciones en
P
rofundidad que, antes o después, tenían que aparecer. Lo que viene modificándose en la Iglesia poco a poco es el estado de su cultura: vigilada, encuadrada, protegida todo lo que se quiera por las autoridades católicas, pero expuesta también a todas las influencias que empapan al pueblo cristiano. El espacio católico no es un recinto cerrado en sí mismo. Ningún compartimento estanco logra aislarlo. El carácter negativo del juicio que da la Iglesia a los principios que rigen la sociedad civil y política, no logra atraerla hacia una fuga mundi ni interrumpir los intercambios recíprocos con el mundo exterior a ella. La Iglesia da y recibe. No podría vivir en este mundo sin ese intercambio porque, ante todo, traicionaría su misión, su razón de ser aquí abajo.

De este intercambio bastará recordar sólo lo que deriva de la iniciativa y de la generosidad católica o, al contrario, los fracasos y las crisis que ponen al aíre una insuficiencia inmnnitaria, un atractivo exagerado por las compañías peligrosas; un intercambio que — auténtica communicatio in cultura — necesita ser estudiado en sí mismo. Esta comunicación supone un par en oposición: por una parte, una cultura común que permite la comunicación; por otra, en esa base, dos culturas que se enfrentan, separadas por su propio carácter. A lo largo de todo el siglo XIX, si por una parte la cultura católica logra mantenerse, hay toda una nueva cultura que logra también constituirse, fuera y contra aquélla, la llamada liberal, laica o moderna, según los casos, a la espera de que venga a desarrollarse otra tercera, la socialista, especialmente obrera, pero también rural.5


2. Don Bosco y los salesianos en Francia


Todos los caminos llevan a don Bosco, y éste en especial: lo sabía desde que lo emprendí, sin sospechar que se iba a presentar tan largo. Lo escogí pensando en todo lo que la radiante personalidad y la gran obra de don Bosco podían hacernos olvidar: no tanto las íncomprensiones y las resistencias que tuvo que soportar, como sus causas profundas, esta cultura emancipada del cristianismo, que era su tierra de cultivo. Nos encontramos frente a un fenómeno importante, muy descuidado, minusvalorado y mal estudiado. Tomaré un ejemplo tardío, pero sugestivo: el delito de congregación, en Francia, al comienzo de este siglo, en el clima de anticlericalismo que en 1905 desembocó en la separación de la Iglesia y el Estado.

La tradición franco-galicana en esta materia se remonta al Ancien Régime:
Remito a mi obra Modernistica cap. 111: «Le Catholicisme comete culture», y cap. IV: «Catholicisme et modernité», Paris, Nouvelles Éditions Latines 1982.

toda congregación religiosa tenía que estar autorizada. La Revolución prolube los votos y suprime las congregaciones. Éstas empiezan a reaparecer en el Imperio y, después, en la Restauración. Pero sigue la regla: las congregaciones tienen que ser autorizadas. Cinco congregaciones recibieron enseguida la aprobación: lasalianos (hermanos de las Escuelas Cristianas), espíritanos, paúles, sulpicianos y misiones extranjeras de París. Hasta hoy siguen siendo los únicos autorizados. Las otras siguieron siendo congregaciones de hecho, toleradas por los gobiernos sucesivos.

A partir de 1880, con la llegada de una mayoría republicana anticlerical, al compromiso tácito siguió la guerra abierta: las «leyes laicas» se suceden, las congregaciones saltan al primer plano. Dos decretos del gobierno (1901 y 1902) obligan a las congregaciones a regularizar su situación con una petición de autorización sobre la que debería decidir una de las dos Cámaras. Aquéllas se deciden sobre la conducta que deben adoptar: entre las masculinas, 61 aceptan y 68 lo rechazan. El primer ministro, Emile Combes, forma dos grupos: 54 peticiones se envían a los diputados, que las rechazan en bloque sin examinarlas; 6 van a los senadores que emprenden una encuesta minuciosa.6
En el clima entonces reinante, estar en el Senado para ser oído por los senadores era un privilegio y casi un testimonio de benevolencia. Del privilegio gozaban dos congregaciones misioneras (entre ellas, la de los Padres Blancos), dos congregaciones contemplativas (los cistercienses de Citeaux y de Lerins), una congregación hospitalaria (los hermanos de San Juan de Dios) y, por fin, los salesianos. El presidente de la comisión era Clémenceau. Antes de seguir las orientaciones del gobierno, la comisión expurgó, verificó, hizo registros domiciliarios, discutió. Un sí modulado a las cinco primeras, un no global a los salesianos: 10 votos contra 4 en la comisión, 158 contra 98 en sesión plenaria.

Los salesianos estaban en Francia desde los años 75, y habían abierto unas veinte casas (de ellas dos en Argelia). Habían secularizado prudentemente ocho; pidieron, por tanto, doce autorizaciones. Como aparecían con la fuerza de casi 250 obras en Europa y América del Sur, el gobierno las vio como «una de las más poderosas congregaciones de todo el mundo», y «su espíritu de expansión, que algunos califican de invasión y acaparamiento», inspirado por un «cosmopolitismo extraño al alma francesa» suponía preocupación.

Los historiadores no se extrañarán de este «chauvinisme» rancio frente a la inmigración italiana (el racismo ha tomado su lugar y perpetúa su tradición), sino porque este hecho a nivel estatal no es cosa de todos los días. Pero no es sino un rasgo de la hostilidad hacia los salesianos:
Sin duda nosotros estamos entre los que creen que, como la ciencia, la caridad no tiene patria y no pondríamos ningún obstáculo al desarrollo de una obra humanitaria
6 La 61' congregación — una pequeña congregación de provincia dedicada al cuidado de los enfermos — tuvo un destino inesperado: su documentación fue unida a la de la homóloga congregación femenina.

sólo porque nos viene de un país extranjero. Pero se debería tratar de una auténtica obra de beneficencia; carácter que la obra de los salesianos no parece tener.

Mucho ruido y pocas nueces: éste es el secreto de sus pseudoorfanatos.

Cada uno de ellos está en un edificio que, como todo lo demás, proviene de la caridad pública: se mantiene, ante todo con las pensiones, tanto las pagadas por la familia, como por personas caritativas (lao gratuidad es de tal modo excepcional, que se puede decir que no existe siquiera) y p el producto del trabajo de los muchachos y, mente, de limosnas y suscripciones.

El niño está explotado: se exige de 'é1 — y en condiciones deplorables de higiene y salubridad — una superproducción; además, está especializado de modo que, al salir, no tiene, en la práctica, ningún oficio. Añádase que no cuesta casi nada, porque su pensión la pagan terceras personas; y, por tanto, es pura fuente de rentas. Gracias a la gratuidad de la mano de obra, a la cantidad de trabajo producido en razón de una especialización exagerada, a las ventajas fiscales que se obtienen por su condición de asociación caritativa, es fácil comprender las quejas que se producen en todas las zonas en que funcionan estas obras. Según la ocasión, tipógrafos, editores ( ¡y qué dase de editores! Todas sus publicaciones van dirigidas contra nuestras instituciones), comerciantes de vino, licores, productos farmacéuticos, su actividad económica es nefasta; su acción política no lo es menos y, entre todas las congregaciones, es tal vez la que nos hace sentir una mayor y persistente combatividad.

Afectada por la gravedad de estas afirmaciones, la comisión senatorial se sintió obligada a constatarlas. Los religiosos que fueron escuchados no lograron ser suficientemente persuasivos. El Tesoro reclamó las tasas debidas y no pagadas. Los prefectos emitieron parecer desfavorable o se abstuvieron. Diez concejos municipales se pronunciaron a favor, pero sin discusión y sin aducir razones. En la visita, las obras ofrecieron situación desigual: buena en París y deplorable en tres casos.

Dos quejas principales resumen la situación, una de orden económico y la otra de orden político. «La apariencia caritativa» disimula «una empresa comercial e industrial», fomentando al mismo tiempo una áspera incitación a la guerra civil. «Mucha gente buena y entre los menos hostiles a los congreganístas en general» se reunieron «para restituir a los salesianos de Don Bosco su verdadera fisonomía de monjes que esconden y nutren sus apetitos y sus instintos comerciales bajo el manto de la religión y del desinterés caritativo»:
No hay que tener miedo en afirmarlo, porque ésta es la pura verdad. Sí, los salesianos de don Bosco han abierto talleres, obras de Oratorio donde, bajo la hábil dirección de expertos maestros, enseñan a los jóvenes confiados a ellos un oficio. Es verdad que logran hacer de estos jóvenes excelentes obreros. No es esto lo que rechazamos. Pero podemos afirmar también con seguridad que al final de dos o tres años de aprendizaje o de práctica, estos aprendices se convierten en obreros capaces no sólo de hacer recuperar a la congregación los gastos que la enseñanza le ha supuesto, sino de ofrecerle además ventajas económicas con los trabajos que hacen por cuenta propia en los años sucesivos.

¿Salvadores de la infancia perdida? ¿Educadores de la juventud? Vistos de cerca, su aureola se disipa. Queda su aspecto banal, ordinario, de industriales que buscan el beneficio de los amos sobre los asalariados. Con muchas ventajas respecto a los industriales laicos: los regalos de las almas piadosas, un régimen de vida comunitaria con exigencias materiales reducidas, los bajos salarios, amplia exoneración fiscal. « ¡Que no se hagan ilusiones los salesianos! Esta situación de combate, de lucha, que han adoptado contra la industria laica, en el mundo del trabajo, ha contribuido no poco a alejarles las simpatías que, en cambio, les podrían hoy acompañar».

En el plano político no le quedaría ninguna duda al que se ponga a leer una colección de «Lectures Catholiques», opúsculos mensuales editados por la Librería Salesiana, y en Italia, desde cerca de cincuenta años antes. Un ejemplo, de agosto de 1899, después de la absolución de Fratel Flamidien, en cárcel durante cinco meses, bajo acusación calumniosa, y sometido a «torturas morales que superan la crueldad refinada y los suplicios físicos de los antiguos Nerones»:
¿Llegó por fin la hora de Dios? La Francmasonería sale derrotada de la guerra emprendida contra la enseñanza de las congregaciones. ¡ ¡El Gran Oriente cae abatido por el Gran Occidente!! Aullad si queréis, chacales: vuestra derrota no va a ser por eso menos completa!
[...] Los francmasones han sufrido la desgracia en su salida contra el hisopo; ¿serán menos afortunados en su lucha contra la espada? No han logrado arrancar la condena para Fratel Flamidien. ¿Lograrán ahora arrebatar una absolución para Dreyfus? ¡Ah, qué asunto tan deplorable! Y ¡qué hábilmente han logrado los hebreos tejer su tramal...

De este modo de escribir se puede deducir el modo con que los salesianos fueron defendidos por sus amigos. Un estilo combativo que llamaba a Combes «Tartufo», «cura traidor», que veía en su proyecto de ley nada menos que un libelo difamatorio, que había que acoger a puntapiés, cubrir de ignominia por su perfidia... Si Dom Chautard, abad de Sept-Fonds, había logrado convencer a Clémenceau y ganarse su estima, eso no fue ciertamente denigrando a sus enemigos, sino exaltando la obra secular de los trapenses en favor del país, en las situaciones más ingratas. En estas condiciones, llega el veredicto. Los grandes éxitos obtenidos por los salesianos en las exposiciones no impide que su obra sea «simplemente por afán de lucro», sin merecer ni agradecimiento ni favor, dado que «cualquiera» y «fuera de cualquier congregación» podría hacer lo mismo. Supone «una competencia desleal a la industria y al comercio de nuestro país», y al mismo tiempo una «desagradable injerencia extranjera en el dominio político de Francia».'
Hay que reconocer a los senadores la seriedad y la lealtad con que hicieron esa declaración. Nada permite dudar de ello. Empezar descalificándolos como sectarios y pérfidos es impedirnos radicalmente comprender lo que sucedió; es sustituir nuestra buena conciencia — la convicción de estar en la verdad y de hacer el bien — por la atención al mundo y a la sociedad que nos rodea; es cerrarnos a todo posible y necesario análisis; es concedernos facilidades indebidas y, al fin y al cabo, onerosas.

Cf. Journal Projets de lois, propositions et rapports. Sénat. Séance du 22 juin 1903, p. 468-471 (anexo n'. 192).

Y sin embargo, en esta investigación, este debate y sus conclusiones surgen interrogantes. En el fondo faltan elementos de valoración. No hay cifras: ni de limosnas, ni de salarios, ni de gastos, ni de presuntos beneficios. Haya habido o no un control de la contabilidad de las obras, ignoramos totalmente cómo se llevaba esa contabilidad. Al menos, la expansión rápida de los salesianos y la evidente calidad de sus instalaciones pueden interpretarse como signos exteriores de su prosperidad.

La injerencia política no es más que un agravante. Los «congreganistas» tienen sólida fama de opositores de la República. La acusación de explotación patronal de la juventud abandonada deriva menos de un interés real por la misma que de sus consecuencias inmediatas: una competencia económica que falsea las leyes de mercado, penalizando así a industriales y comerciantes que no gozan de esa ventaja. La investigación no ha descubierto ninguna otra acusación: ni por parte de las familias, ní por parte de los aprendices, ni por parte de los maestros de taller. Si estamos a lo que aparece, los salesianos responden a necesidades y logran darles satisfacción. Si en ello no todos están de acuerdo, es por el hecho de que chocan con intereses. Se les habría podido perdonar el hecho de que se portasen como amos ante sus asalariados si los verdaderos amos no hubiesen tenido que sufrir sus efectos desleales. La moral de los salesianos ignora y lesiona la deontología de los empresarios.

Iglesia y burguesía: nuevo episodio de un contencioso nunca resuelto, de una historia periódicamente agitada, de un antagonismo a veces tumultuoso.8
Ideología contra ideología, principios contra principios, está claro; pero también cultura contra cultura. Cultura política, con toda evidencia; pero más aún la cultura general, de género un poco social, que no se aprende en la escuela, una cultura que, en cambio, es el modo concreto de vivir las vicisitudes cotidianas de la existencia y que hay que plasmar día a día. En nuestro caso, para los salesianos, la experiencia y el horizonte de un ambiente popular empapado de tradición y de espíritu católico, en los antípodas de los ideales republicanos laicos que vivía una burguesía iluminada y progresista.

La investigación reveló, fuera de París, «condiciones de higiene y de salubridad deplorables». Es posible; más aún, probable. Pero ¿según qué criterios? No se dice una sola palabra. ¿En contraste, tal vez, con las instituciones públicas, que aquí ni siquiera se mencionan? ¿O se trata sólo de un reflejo propio de señores que están acostumbrados a un medio de vida mejor? ¿Qué podían pensar los jóvenes acogidos allí, a partir de la experiencia que podían tener acerca de ello en sus casas? ¿Y quién se ocupaba de ellos y quién se ocupaba mejor?
8 Debo remitir en este punto a mi libro: Église contre Bourgeoisie, Paris, Casterman 1977.

Son preguntas muy concretas que nuestra documentación sugiere y a las que no sabemos dar respuesta. Nuestra atención se centra en los problemas y en los conflictos que se generan y sigue su desarrollo. Pero, ¿cómo se gestan estos grandes choques en las profundidades del cuerpo social? Esta misteriosa alquimia que se opera en las relaciones humanas ordinarias exige curiosidades aún no suficientemente despiertas.

Queda una última pregunta: la hostilidad que se manifiesta aquí hacia los salesianos, ¿es un hecho típicamente francés? ¿Se da en Italia y en otras partes? ¿Se funda en los mismos motivos? Y sí no ha sucedido en otros países, ¿cuál es la razón? Parece que las reacciones fueron en todas partes complejas y no se puede resumir todo en Turín, Fiat y Agnelli. Los mismos ambientes católicos no son tampoco unánimes.

«Hemos superado un cierto triunfalismo, de otros tiempos», declaró recientemente el vicario de los salesianos de Lyon, autor de una historia de los salesianos.9 Sin duda; era necesario. Pero, atención al riesgo concomitante de perder su comprensión, de juzgar anacrónicamente o paradójicamente, como los senadores, sin llegar con ello a comprenderlos mejor.

Dos mentalidades de una época chocaban, convencida cada una de su propio derecho. Nuestra época está lejos de una y otra, y nos damos cuenta de que es mejor así. ¿Pero no sería aún mejor si supiésemos asumir ese pasado sin complejos, sin exclusiones, sin descalificaciones, e integrarlo en nuestro presente?
Hoy las pasiones parecen ya aplacadas, a juzgar por el homenaje unánime que se ha rendido al fundador de los salesianos en este año 1988. Sería muy bonito. Digamos más bien que se han desplazado...

«San Juan Bosco: una vida llena de muchachos» que es un «inmenso grito del corazón inspirado en el Evangelio». Así titulaba, el 25 de marzo de 1988, «Pélerin Magazine», un semanal católico francés más que centenario, del que don Bosco pudo ser testigo de los primeros pasos en los últimos arios de su vida. Un ejemplo siempre vivo y contagioso al servicio de la juventud, como atestigua en todo el mundo su familia religiosa. Realizaciones numerosas, impresionantes, eficientes...

¿Qué voz desafinada se atrevería a malograr esta concierto de elogios? Y, sin embargo, ¡qué infinita distancia nos separa de lo que don Braido describió como el progetto operativo di don Bosco e l'utopia della societa cristiana (1982)! Utopía, precisamente, como la de León XIII, como todas las perspectivas de «nueva cristiandad» cuyo ideal histórico estaba aún floreciente. Y además, utopía escatológica por naturaleza.
9 Cf. M. Wirth en «L'Actualité Religieuse dans le Monde», febrero 1988, p. 36.

La utopía de don Bosco, con su optimismo conquistador, cortaba tajante el catastrofismo del que se nutría entonces toda una postura apocalíptica católica. Se distinguía también del modelo construido por el movimiento católico a partir de los años '70. Sin duda, todo esto se debía a la opción personal que tuvo que hacer interiormente entre el rigorismo de su formación clerical y el salesianismo de su vocación personal.

De aquí el espíritu nuevo que él infunde en el corazón del mundo católico, al que pertenece con todas sus fibras. De su «intransigentismo» como de su modernidad — falsos debates, perspectivas pioneras, distinciones necesarias — lo han dicho todo ya, y bien dicho, F. Traniello, M. Guasco, P. Scoppola, P. Bairati. Y yo no voy a volver sobre ello. Pero es precisamente el espíritu nuevo de este salesianismo el que nunca acabaremos de escrutar, en sus secretos, en sus virtudes: un rostro nuevo, abierto y atrayente, de la tradicional intransigencia católica.

LA EXPERIENCIA Y EL SENTIDO DE IGLESIA EN LA OBRA DE DON BOSCO*


Juan María LABOA


1. Don Bosco en el contexto de la Restauración


Don Bosco era un uomo che rifletteva chiaramente le caratteristiche e le peculiarità della restaurazione, dell'anti-giansenismo e dell'anti-calicismo. Sufficiente, probabilmente, questo giudizio superficiale, ripetuto da alcuni dei suoi migliori studiosi per adattarsi alla figura e al suo pensiero edesiologico; ma che cosa esso significa, in realtà, non è solo troppo generale, ma particolarmente sensibili dichiarazione delle qualifiche e delle interpretazioni di vario calibro?
Ci sono diversi fattori che hanno contribuito a focalizzare la questione dell'autorità sulla discussione dei problemi acuti posti alla Chiesa dai postulati dell'Illuminismo e dalle devastazioni causate dalla Rivoluzione nelle varie Chiese. Indicherò due che mi sembrano fondamentali:
1 °. La consapevolezza che la Rivoluzione ha lasciato dietro di sé molte rovine e la convinzione che il caos abbia prodotto è stata una conseguenza soprattutto del rifiuto del principio di autorità o, perlomeno, di averlo gettato nel dimenticatoio.

2 °. Di fronte al disordine politico, sociale e religioso, l'uomo del diciannovesimo secolo desiderava ottenere nuove garanzie di sicurezza nel campo culturale e religioso. Da questo approccio è stato facile concludere con la convinzione del bisogno di sottomissione all'autorità della Chiesa e con rinnovato interesse per una centralizzazione dell'edificazione che avrebbe annientato i movimenti centrifughi. Vorrei ricordare qui due illustri rappresentanti di questa posizione.

José de Maistre ha presentato l'autorità papale come un postulato imprescindibile della restaurazione europea. La sua concezione ecclesiologica può essere sintetizzata in queste due tesi: in primo luogo, la Chiesa deve essere intesa in totale analogia con la società politica, e, in secondo luogo, la Chiesa trova la sua piena concentrazione e realizzazione nel Papa, e questa infallibile.

* Questo documento è stato scritto e letto in spagnolo dall'autore (nde).

Don Bosco cita questo passo nel suo Simla d'Italia e fa fuori : "Nelle sovrania l'teniporali in
" Non ci può essere nessuna società umana senza governo, nessun governo senza sovranità, e la sovranità senza infallibilità ''. Probabilmente, il suo approccio era molto più politico che teologico, e il suo interesse nel sottolineare l'autorità pontificia aveva chiari antecedenti nel suo rifiuto della sovranità popolare, come ricordato, ma la sua influenza sulla ecclesiologia ultramontana è stato decisivo.

Voglio ricordare due delle sue affermazioni che, in un modo o nell'altro, dovevano essere ripetute frequentemente per tutto il secolo: "Pour faire court, voici mon sentiment: aux conciles le moins possible, aux papes le plus possible" .2 E questo altro: «Plus of Pape plus de souveraineté, plus of souveraineté, plus de foi» .3
Lamennais, da parte sua, considerava che, tra le altre società umane, il cristianesimo era l'unica società perfetta, con la sua autorità suprema, i suoi dogmi e le sue leggi. La negazione di questa suprema autorità ha portato necessariamente a rigettare la Chiesa e con essa Dio stesso. Per lui era assurdo parlare di una Chiesa infallibile se non si ammette allo stesso tempo l'infallibilità del papa, poiché solo lui, attraverso un Papa, deve essere infallibile. Qui Lamennais ha approvato la famosa frase di San Francesco di Sales: "Le Pape et l'Ég, lise c'est tout un".

Potremmo dire che ha riassunto la sua dottrina di quel primo periodo con la frase ripetuta così spesso in seguito: "Point de Pape, point d'Église; point d'Église, point de christianisme; point de christianisme, punto di religione, au moins pour tout peuple qui fut chrétien, et coppia conseguente point de societé ».4
Ovviamente, potremmo andare avanti, ma penso abbastanza nel mio tentativo di delineare un punto di riferimento della formazione ecclesiologico di Don Bosco e nel suo tempo che ha studiato nella maggior parte dei seminari italiani. E 'stato il tradizionalismo del restauro, ha cercato e compenetrazione tra la società e la religione, la religione e la Chiesa, Chiesa e Papato desiderato. È un'ecclesiologia che presenta l'immagine della Chiesa, paradigma di una società organizzata, governata dalla gerarchia. Don Bosco scrive: "Chiesa e Società dei Pastori credenti governata Dai propri, sotto la Direzione di Sommo Pontefice" parallelo al catechismo diocesano di Torino 1844 definizione; e in un'altra occasione riassume il suo pensiero in un'idea che apparirà in mille modi diversi nel suo lavoro:

fallibilitá umanamente supposta e, E Nella spirituale di Papà e promessa divinamente "(G. Bosco, Opere e Scritti editi e inediti, vol. Ifi, Torino, SEI, 1935, p. 435).

2 Citato da C. LASTREILLE, Joseph de Maistre et la Papauté, Parigi 1906, p. 170.

3 J. DE MAISTRE, Lettres et opuscules inédites, vol. II, Lione, A. Vaton 1851, p. 296. FR LAMENNAIS, Oeuvres complétes VII, Paris, Pagnerre 1844, p. 122. 132. 141.

Don Bosco acostumbraba recitar la siguiente oración: «Padre nostro, che sei ne' cíeli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, si dilati e trionfi la chiesa cattolica, la sola vera chiesa di Gesú Cristo, tutte le nazioni riconoscano i suoí diritti e quelli del suo Capo e dei suoi vescovi, tutti gli intelletti a lei docente aderiscano come l'unica depositaria delle veritá rivelate, testimone divina della autenticitá ed autoritá dei libra sacri, maestra infallibile degli uomini, giudice supremo inappellabile nelle questioni dottrinali. A lei tutte le volontá obbediscano nell'osservanza delle sue leggi morali e disciplinari, anché Jopo le vittorie sulla terra entri a trionfare eternamente nei cieli, colle moltitudini delle anime salvate».5
Según era común en la teología de la época, que ignoraba el significado escatológico de la predicación de Jesús, se da por sentado que la Iglesia terrestre se identifica con el Reino de Dios. De dicha identificación nace el espíritu de triunfo que proclama constantemente la victoria de la Iglesia sobre sus adversarios. Surge asimismo la visión de una Iglesia sin pecado, ni errores ni fallos históricos.

Para don Bosco la institución edesial es absolutamente sólida y sin fisuras, caracterizada por su normatividad. Su tutela se extiende no sólo a la vida religiosa, sino también a la vida social y ello tanto en d ámbito diocesano como en el de cada parroquia.

La Iglesia se presenta como un grupo monolítico que propone la verdad inmutable, sin variaciones históricas, transmitida en forma pura e incontaminada a lo largo de los siglos. Los demás hombres y grupos se encuentran en el error y, por tanto, no tienen los derechos de que goza la verdad. El mismo Pío IX, en una frase que puede desconcertar, pero cine expresaba esta mentalidad dominante afirmaba que él quería la libertad de cultos allí donde el catolicismo era minoría, pero que no podía admitirla allí donde constituía la mayoría.6
Se trataba de la edesiología de la societas perfecta, dominada por la centra-. lización doctrinal y disciplinar de la Curia Romana y cerrada a cualquier apertura o integración con las corrientes modernas que entonces eran representadas por Rosmini,7 Dupanloup, Manzoni, Newman, Sailer, Montalembert o Scheeben. Intransigente en materia política, religiosa y ecuménica, con una fuerte piedad generalmente de tipo devocional y con la teología de las escuelas romanas como única intérprete reconocida del pensíamento católico. En conjunto parece tratarse de lo que podríamos denominar catolicismo popular, que, por un lado desarrolla las expresiones devocionales de la fe más dirigidas a la fantasía que a la razón, y, por otro, alimenta las formas práctico-sociales de pertenencia eclesiástica de tipo educativo y asistencial. Esta pastoral fomenta y favorece el «mundo católico», es decir, una especie de civilización católica distinta y bastante rígidamente separada de la civilización dominante y circundante.

• MB II, 272.

• «El Papa quiere la libertad de conciencia en Rusia, pero no como principio general» (G. MARTINA, La Iglesia de Lutero a nuestros días, vol. III, Madrid 1974; ID., Pio IX (1851-1866) Roma, Universitá Gregoriana 1986, p. 329.

' «D. Bosco, che venerava riel Rosmini la santitá del sacerdote, non condivideva neppure ir mínima parte questo entusiasmo per il suo sistema filosofico» (MB XIII, 20).

Por esta razón, don Bosco era tajante en el tema de la pertenencia a la Iglesia, desarrollando en su explicación las analogías de camino, casa, madre, nave, rebaño, cuerpo.8 Es decir, un grupo compacto, bien organizado, piramidal, jerárquico. Y en esta misma dirección, nos puede ayudar en la comprensión de esta concepción si nos fijamos en las imágenes que utiliza para describir la Iglesia: reino, monarquía, familia.8 Bellarmino utilizaba también este planteamiento: «ecclesia quasi status», y su influjo ha perdurado de alguna manera casi hasta nuestros días. Pocos años antes de morir escribía don Bosco: «Siccome nei regni della terra vi ha un ordine, per cuí si parte dal Sovrano e si discende a grado a grado sino all'ultimo dei sudditi, cosi nella Chiesa Cattolica esiste un ordine, detto gerarchía ecclesiastica, per cuí secondo questa gerarchia noi partiamo da Dio, che della Chiesa é Capo invisibile, veniamo al Romano Pontefice, di Lui Vicario e Capo visibile in terra, índi passiamo al Vescovi ed agli altri sacri ministri, da cuí i divini voleri sono comunicad a tutti i rimanenti fedeli sparsi nelle varíe parti del mondo ».1°
Esta Iglesia católica costituye la «unica arca di salvezza», el único lugar donde se mantiene íntegramente la doctrina de Jesús," el lugar en el que con carácter absoluto y exclusivo se puede hallar la salvación, el único espacio donde es posible la virtud y la santidad.

A las tendencias del racionalismo, liberalismo y panteísmo, que exaltaban el valor del individuo, y a los varios postulados individualistas del panteísmo opone la Iglesia «como única arca de salvación», y como representante de Dios y dotada de autoridad divina. «No, fuera de esta Iglesia nadie puede salvarse; así como aquellos que no estuvieron en el arca de Noé perecieron en el diluvio, así, dice San Jerónimo, perece inevitablemente el que se obstina en vivir y morir separado de la Iglesia Católica, Apostólica, Romana, única Iglesia de Jesucristo, sola depositaria de la verdadera religión»."

Cf. STELLA, Don Bosco II, p. 125.

9 «P. Supponete una famiglia che debba durare sino alla fine del mondo, come potra conservarsi? F. Questa famiglia conserverassi guando abbia sempre un buon capo che la governi. P. Comprendete ora chi sia questa famiglia e chi ne sia il Capo? F. Basta, basta; abbiamo ottimamente capito. Questa grande famiglia é la Chiesa, questo capo é fi Romano Pontefice»
(G. Bosco, II cattolico nel secolo. Trattenimenti famigliari..., Torillo, Tip. e Libreria Salesiana 1883, p. 138).

Ibid., p. 163 ss.

" «Voi dite che credete a Cristo ed al Vangelo, ma non é yero perché non credete a tutto quello che c'insegna Gesú Cristo nel suo Vangelo, non credete alla sua Chiesa, non credete al Pontefice Romano stato da Gest' Cristo stesso stabilito per governare la Chiesa. Inoltre permettendo voi ad ognuno la libera interpretazione del Vangelo di Gest' Cristo, aprite con ció una larga vía all'errore, nel quale é quasi inevitabile fi cadere guidato solo dal proprio Jume. Perció voi, o Protestanti, siete come membri d'un corpo sena Capo, come pecorelle sena pastore, come discepoli sena maestro, separati dalla fonte della vita che é G. Cristo» ([G. Bosco], La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana é la sola vera Chiesa di Gesú Cristo, Torillo, Tipografia Speirani e Ferrero 1850, p. 17-18.

Don Bosco escribió mucho sobre la Iglesia: dedicó veintidós libros y opúsculos a este tema, además de los veinticuatro escritos de historia en los cuales el argumento edesial ocupa un lugar importante,'' pero creo que nos equivocaríamos si nos plantáramos en la música de la letra sin ir más allá. Su insistencia manifiesta la importancia concedida a una religión-institución-jerarquíaRoma, que es la Iglesia católica, pero su vida gota a gota indica la centralidad concedida a la gracia, a Cristo, a María, a los sacramentos. No existe confusión, pero tal vez especialización: los escritos subrayan un aspecto y la actividad pastoral otro.

Esta Iglesia santa y divina es la única que puede conducir a los hombres a Dios. Este convencimiento explica su lucha contra los valdenses y contra los protestantes en general. En sus escritos leemos que «una sola é la vera Religione», que «le Chiese degli Eretici non hanno i caratteri della Divinitá.», que «nena Chiesa degli. Eretici non c'é la Chiesa di Gesú Cristo».14 Por estas y otras razones concluye que «chi é imito al Papa, é imito con Gesú Cristo, e chi rompe questo legame fa naufragio nel mace burrascoso dell'errore e si pende miseramente»," o, en otro lugar, «pronti a patine qualunque male, fosse anche la morte, anziché dire o fare alcuna cosa contraría alla Cattolica ReliIone, vera e sola Religione di Gest). Cristo, fuori di cuí niuno puó salvarsi»."


3. Una sociedad piramidal y autoritaria


Poco antes del Vaticano I, Turín se había convertido en un centro vivo de opinión conciliar y antiinfalibilista. En 1869 se traduce el libro de Dóllinger, 11 papa e il concilio; Pasaglia escribía y actuaba en Turín, y en la Facultad de Teología eran bien conocidos y utilizados los autores más críticos con el ultra-montanismo y la infalibilidad pontificia.

Sin embargo y a pesar de este ambiente, uno de los aspectos más conocidos, significativos y comentados de don Bosco es su ilimitada devoción al pontificado y su incansable defensa, de modo que, en cierto sentido, podríamos resumir y sintetizar su eclesiología con este rasgo.'' Todos los autores, desde los primeros años, han puesto de relieve esta característica.18
u J. Bosco, Fundamentos de la religión católica, en: R. FIERRO TORRES, Biografía y escritos de
San Juan Bosco, Madrid, BAC 1955, p. 535.

" Cf. E. VALENTINI, Don Bosco e la Chiesa, en: In Ecclesia, Roma, LAS 1977, p. 215-234.

" [G. Bosco], Avvisi al cattolici, Torillo, Tip. Dir. da P. De-Agostini 1853, p. 17.

12 G. Bosco, Ii Centenario di S. Pietro Apostolo, Torillo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco
di Sales 1867, p. IV.

16 [Bosco], La Chiesa Cattolica, p. 6.

En su lecho de muerte confiaba al arzobispo de Turín: «Tempi difficili. Eminenza! Ho passato tempi diffícili... Ma l'autoritá del Papa... L'autoritá del Papa... L'ho detto qui a monsignor Cagliero che lo dica al Santo Padre che i Salesiani sono per la difesa dell'autoritá del Papa, dovunque lavorino — dovunque si trovino»,19 y el cardenal Alimonda recordaba poco después en el funeral que «su vida entera, privada y pública, conocida es de todo el mundo como un testamento papal».

Juan XXIII resumía este aspecto con una bella frase: «Per chi sa leggere a fondo nella vita di D. Bosco, Egli appare insieme il sacerdote della giovinezza e il sacerdote del Papa», y don Bosco, a menudo, en sus pláticas y escritos unía ambos aspectos: «Pertanto, figliuoli miei, nella vostra vita non dimenticate mai che il Papa vi ama, e quindi dalla vostra bocca non esca mai parola che possa essere a lui d'insulto, le vostre orecchie non ascoltino mai con indifferenza ingiurie e calunnie contro la Sacra sua persona, i vostri occhi non leggano mai giornali o libri, che osino vilipendere l'altissima dignitá del Vicario di Gesú Cristo ».2°
Para él el inspirar amor por el Papa constituía un medio y remedio infalible contra las actividades de las sectas y de los disidentes, y por esta razón creemos que se puede afirmar que su tema preferido como escritor fue, sin duda, el Papa, hasta el punto que sus numerosas vidas de los diferentes papas constituyeron una ocasión y un modo de mantener vivo el amor al papado y de rebatir los errores y animosidades entonces tan extendidas. De hecho, él pensó en escribir una historia de los papas al comprobar que «certi autori pare che abbiano rossore di parlare dei Romani Pontefici e dei fatti piú luminosi che direttamente alla S. Chiesa riguardano».21 Pero no sólo se trataba de un planteamiento doctrinal y teórico, sino también de una actitud práctica y de gobierno ya que consideraba que la devoción al Papa constituía una condición necesaria para ser superior, y para considerarse auténtico católico.

" Ya en 1845 pidió a Gregorio XVI la indulgencia plenaria in articulo monis para él y su familia. Más tarde explicaba que «non le sole indulgente gli stavano a cuore, ma che non vedeva I'ora di mettersi in relazione diretta con la Santa Sede e con le Congregazioni romane» (E I, 11).

18 Existe toda clase de testimonios. Elijo el siguiente de Ballesio: «In D. Bosco l'amore al Papa era il pió bel frutto della virtó della fede. "Sacerdote schietamente cattolico di fede e di opere, D. Bosco aveva l'amore, direi istintivo dei Santi, per la Chiesa e per il Papa"» (L. TERRONE, Lo spirito di San Giovanni Bosco, Torino, SEI 1934, p. 64).

19 MB XVIII 491.

20 MB VIII, 720.

21 F. MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 204. Recordemos también su testimonio: «Pió volte ho tra me pensato al modo di calmare l'odio e l'avversione che in questi tristi tempi taluno manifesta contro al Papi e contro la loro autoritá. Mezzo molto efficace mi sembró la conosc>nza dei fatti che riguardano la vita di quei supremi pastori stabiliti a fare le veci di G. C. sopra la terra e a guidare le nostre anime per la via del Cielo» (G. Bosco, Vita di San Pietro..., Torino, Tip. di G.B. Paravia e Comp. 1856, p. 3).

Evidentemente, este planteamiento iba más allá de la mera devoción a la persona del Pontífice ya que, en realidad, planteaba su concepción de Iglesia y su idea de la organización eclesiástica, tan deudora de la teología entonces predominante.

Lemoyne resumía así su pensamiento: «Don Bosco sosteneva che il perno di, una storia ecdesiastica, attorno a cui essa doveva aggirarsi, era il Papa, e quindi una vera storia della Chiesa dover essere essenzialmente una Storia dei Papi. Il Papa non é egli il Capo, il Príncipe, il Supremo Pastore? diceva D. Bosco. [...] Non é forse necessario che si sappia doversi tutto al Papi, onore, gloria, obbedienza come a centro d'unitá, senza del quale la Chiesa non é piú Chiesa? E' un grande errore scrivere della Chiesa e lasciar trascorrere lunghi periodi senza far menzione del suo Capo».23
No podríamos, ciertamente, atacar a don Bosco por su concepción de la historia, ya que era la entonces dominante y, en gran parte, la actual. A los historiadores nos resulta más fácil hablar de papas y de sus relaciones con los Estados que de la vida interna, de la presencia de la gracia divina en la comunidad edesial. ¿Podríamos imaginarnos, dada su sensibilidad, una historia de la Iglesia escrita por don Bosco y centrada en la santidad presente en la congregación de los fieles cristianos? Pero, en realidad, en él, más allá de un enfoque entonces dominante, se daba, como vemos, un decidido planteamiento eclesial centrado en el Romano Pontífice.

. En el tratamiento de la figura del Papa no se permite ningún ejercicio de discernimiento ni hermenéutica de sus prescripciones. Hay que defenderlo en todo. Más aún, la voluntad de identificarse con el Papa debe llevar a pensar, sentir, hablar como él quiere. La razón de tan grave exigencia está en que el Papa es el Vicario de Cristo; quien está con el Papa, está con Cristo y con Dios. En una ocasión confiaba a Pío IX: «Santo Padre, i miei figli Vi arcano! Ví hanno nel cuore! Il vostro nome lo portano intrecciato con quello, di Dio! »...

Y, en realidad, la figura del Papa que se deduce de sus escritos es la de un superhombre alrededor del cual gira absolutamente todo en la Iglesia: «Come al tempo della vita mortale del Salvatore gli Apostoli raccoglievansi attorno a Gesú come a centro sicuro, e maestro infallibíle: cosi noi tutti dobbiamo schierarci intorno al degno sucessore di Pietro, intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesú Cristo, al forte, all'incomparabile Pio IX. In ogni dubbio, in ogní pericolo, ricorriamo a luí, come ad ancora di salvezza, come ad oracolo infallibile. Né mai alcuno dimentichi che in questo portentoso Pontefice sta il fondamento, il centro d'ogni veritá, la salvezza del mondo. Chiunque raccoglie con lui, edifica fino al Cielo; chi non edifica con lui, disperde e distrugge fino all'abisso. Qui mecum non colligit disperdit».24
n «Non si puó essere buoni Cattolici se non si presta anche in questo obbedienza pratica al Papa. Chiunque se la piglia col Papa é perduto. [...] Se ti parlo del potere temporale del Papa non lo fo che sotto il punto di vista della religione e della coscien7a, che invano si vorrebbe restringere alle cose invisibili» (MB VI, 481). 23 MB V, 575.

De algunas afirmaciones podría deducirse que la existencia del clero en sus diferentes niveles sólo es debida a la imposibilidad de que el Papa pueda hacer él solo todo y llegar a todos: «Ma questo Capo, ossía il Romano Pontefice, non potendo da sé solo attendere ai bisogni particolari di ciascun fedele, é necessario che vi siano altri ministri inferiori, dal Papa dipendenti, i quali colla predicazione della parola divina, e coll'amministrazione dei Santi, Sacramentí promuovano la domina e la santitá negli uomini».25 La actuación real de don Bosco y la consideración otorgada al sacerdocio redimensionará esta primera impresión.

Los concilios ecuménicos son considerados por don Bosco como actos supremos del Papado. Esta afirmación, en sí, non significa mucho o, al menos, no se aparta del sentir general. Pero da la impresión de que los concilios constituyen simplemente un marco más solemne de lo ordinario de la actuación pontificia habitual. De hecho, aunque resultan útiles, no le parecen necesarios: «perché il Papa supremo pastore di tutti i cristiani puó fare da sé solo tutto quello che puó fare un concilio anche generale», ya que en su opinión «é sol-tanto il Papa che colla sua conferma comunica al Concilio nelle cose di fede e di morale l'infallibilitá e gli fa godere nella Chiesa una autoritá suprema».26
En realidad, hoy podríamos decir que don Bosco considera a la Iglesia como una única inmensa diócesis cuyo obispo efectivo es el Papa, imagen reforzada en buena parte de los católicos después del Vaticano I. No resultaría atrevido afirmar que las iglesias particulares son consideradas simplemente como partes o porciones de la Iglesia universal, gobernada por el Papa.27 En este sentido, a veces, se manifiesta con afirmaciones que hoy nos resultan sorprendentes: «I vescovi accolgono le suppliche, sentono i bisogni dei popoli e li fanno pervenire fino alla persona del supremo Gerarca della Chiesa. fi Papa, poi, secondo il bisogno, comunica i suoi ordini ai vescovi di tutto il mondo ed i vescovi li partecipano ai semplici fedeli cristiani».28 ¿Y a qué quedan reducidos los obispos en esta perspectiva? A útiles y necesarios intermediarios. En este mismo sentido, P. Stella considera que «facilmente é portato a vedere i vescovi in funzione, non solo subordinata, ma quasi sussidiaria a quella del Papa: come suoi rappresentanti e portavoce prenso i fedeli che per moltissime ragioni non possono direttamente comunicare con il padre comune».29 En este sentido don Bosco escribía: «I nostri pastori, e specialmente i vescovi, ci uniscono col Papa, il Papa cí uniste a Dio».3° Evidentemente esto no quería decir che don Bosco no respetase plenamente la figura de los obispos e, incluso, de los párrocos: «Perciocché io non sarei giammai per mandare alcuno dei nostri preti o maestri in qualche diocesí, senza il pieno gradimento dell'ordinario da cui intendo ora e sempre ognuno debba dipendere, siccome appunto le nostre regole prescrivono»;31 aunque ésta, naturalmente, tenía sus límites: «Ecco in breve il motivo per cui cono andato a Roma e in generale ció che ho fano coa. Abbiamo ottenuto esenzioni e privilegi, ma noi saremo sempre obbedientissimi ai Vescovi ed ai parroci, e non ci serviremo delle nostre facoltá, se non esaurití tutti gli altri mezzi anche di umile deferenza».32
24 MB XII, 641.

" G. Bosco, II Cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti..., Torino, Tip. Dir. da P. De-Agostini 1853, p. 4.

26 G.M. MEDICA, I Concili generali della Chiesa cattolica nel pensiero di D. Bosco, en «Riviita di Pedagogia e Scienze religiose» 1 (1963) 2, 22.

27 Cf. P. RIFA, L'argomentazione delle «note» della Chiesa nell'apologetica popolare di San Giovanni Bosco, Colle Don Bosco, Ist. Sal. Art. Grafiche 1971, p. 33.

28 F. DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirttuale, Torino, LDC 1967, p. 93.

Passaglia y otros teólogos con él, insistían en que los obispos no eran meros delegados del Papa. Este era centro de unidad en la Iglesia, pero sólo a Cristo correspondía ser fuente de potestad en su cuerpo místico. Para ellos, entre el primado y el episcopado se da una relación de complemento recíproco que deja intactos los derechos de cada uno. Don Bosco, en realidad, no realiza una reflexión estrictamente teológica ni sobre el pontificado ni sobre el episcopado, pero su posición antigalicana le lleva a acentuar la subordinación de los obispos al Papa, sujeto de la autoridad suprema sobre la Iglesia universal, así también como maestro y juez supremo en materias de fe.33
Frente a la permanente insistencia sobre el papel de Pedro, salta a la vista la casi total ausencia de la correspondiente corresponsabilidad de los obispos. Don Bosco concede espacio e importancia a las asambleas conciliares no por sensibilidad al principio de colegíalidad sino porque los concilios, gracias a la aprobación pontificia, que los hace infalibles, pulverizan las herejías y determinan la verdad.

No se trata, evidentemente, de falta de respeto a los obispos, ni de que no considerara o valorara su puesto en la Iglesia, sino del hecho de que la centralidad del papado era concebida de tal manera que automáticamente la razón de ser de los obispos quedaba devaluada. Escribía el 13 de febrero de 1863 a Pío IX: «La morte, l'esilio di non pochi Vescovi ha messo in diffidenza i meno fervorosi e fece si che il clero si strinse vie piú tra sé, portando esclusivamente e clirettamente il pensiero al centro della veritá, al Vicario di Gesú Cristo [...]. Dirá cosa strana ma che credo vera. In questo momento sembra che i Vescovi facciano maggior bene dal loro esilio o dalle loro carceri, che forse non farebbero nella loro sede; giacché col fano pubblicano, difendono il principio dell'autoritá divina nel suo capo visibile, che é la base di nostra santa cattolica religione».34

29 STELLA, Don Bosco II, p. 133. De hecho, en las propuestas que hizo a Pío IX para nombramientos episcopales eligió siempre candidatos dóciles al Pontífice y de clara tendencia infalibilista, incapaces de crear dificultades al Papa en el gobierno eclesiástico.

" STELLA, Don Bosco 11, p. 122.

" MB XIII, 456. En el volumen X, 931, Amadei escribe: «Gli premeva soprattutto che i salesiani si prestassero in aiuto del parroco del luogo ove esisteva la casa». Y en 1861 escribía: «Del resto Ella sa che da vent'anni ho sempre lavorato e tuttora lavoro e spero consumare la mia vita lavorando per la nostra diocesi ed ho sempre riconosciuto la vote di Dio in quella del Superiore ecclesiastico».

32 MB IX, 565-567.

33 La Santa Sede «é una Suprema Autoritá che concede e limita i poteri e regola l'esercizio dei medesimi» (E IV, 59).

34 E L 258.

Parece duro que la centralización de la Iglesia ha adquirido a lo largo de la historia ritmos más rápidos a medida que las dificultades doctrinales o las persecuciones políticas exigían un respaldo más consistente de Roma, generalmente más fuerte y con más capacidad de apoyo, a los obispos individual o colectivamente considerados, generalmente más débiles y más fácilmente dominados o chantajeados por el poder civil. A esto se refiere indirectamente don Bosco en el citado párrafo, pero también se puede deducir de su lectura esa división típica del siglo pasado entre obispos dóciles a Roma y, por tanto, buenos, y obispos más autónomos y, consiguientemente, dignos de reforma y conversión.

El autor de las Memorias biográficas responde a esta mentalidad simplista cuando señala que «in Francia i giornali cattolici liberali si schierano decisamente coi gallicani, coi Giansenisti, contro la definizione dell'infallibilitá. Le sciagurate stampe del Janus, del Gratry, di Mons. Maret, o del Dupanloup facevano il resto».35 El motivo del juicio y de la división entre buenos y malos no era tanto el de la ortodoxia doctrinal sino el de la defensa más o menos entusiasta del ultramontanismo. Así se explica esa amalgama sorprendente e injusta de nombres no equiparables. Para los ultramontanos convencidos y decididos un Maret, un Dupanloup o un Gratry eran tan peligrosos como Dóllinger.

En esta organización eclesiástica, ¿qué parte y qué papel cumplían los laicos? Evidentemente, más bien poca. Es verdad que Rosminí en su obra Las cinco llagas de la Santa Madre Iglesia encuentra uno de sus pilares fundamentales en el descubrimiento del laicado y de su participación activa en la comunión edesial. Rosmini pedía mayor colaboración entre clero y pueblo, reivindicaba el sacerdocio de los fieles y asignaba al laicado una participación activa en el nombramiento de los obispos.36 Rl había recogido las instancias más aceptables de los grupos reformistas, algunos de ellos bastante radicalizados, que, ciertamente, no eran escuchados ni tenidos en cuenta por la Curia Romana ni por la mayoría del los obispos. De hecho, no cabe duda de que la condena de las Cinco llagas el 30 de mayo de 1849 resume y significa la victoria de una eclesiología hostil a la nueva apertura.

35 MB IX, 777.

36G MARTINA, L'atteggiamento della gerarchia di fronte alle prime iniziative organizzate di apostolato dei laici alla metá dell'Ottocento in Italia, en: Spiritualitá e azione del laicato cattolico italiano, Padova, Ed. Antenore 1969, p. 317.

El P. Curci, fundador de la «Civiltá Cattolica», por su parte, defendió una participación más activa en la vida de la Iglesia, recordando los primeros siglos, cuando «La multitudo fidelium ed i viri fratres vi avevano una parte notevole e maggiore che argomentandolo dal sistema prevalso modernamente»,37 pero esta postura la mantuvo en su época más conflictiva, fuera ya de la Compañía de Jesús.

Resultaba más común la actitud del cardenal Antonelli cuando recordaba que el Papa consideraba «soramamente doloroso [...] essere l'Italia ridotta a sostener la religione cattolica coi mezzi proposti», es decir, con la acción organizada de los laicos católicos. Y el mismo Pío IX declaraba con energía que «al Papa ed all'Episcopato [...] spetta unicamente la tutela della Religione»,38 y es el mismo Papa quien subraya el adverbio, que excluye cualquier pretensión de los laicos en este campo.

¿Cuál era el pensamiento de don Bosco?
A primera vista, cuando uno lee su abundante epistolario, en gran parte dirigido a laicos, llega a la conclusión de que fundamentalmente le interesaban sus bolsillos, es decir, su dinero, tan necesario para las obras que llevaba entre manos. Por otra parte, su insistencia y casi obsesión por el sacerdocio, por el papel y la necesidad de sacerdotes, puede dar a entender que los laicos erano meros sujetos pasivos de la acción edesial. ¿Cuál era la función de los laicos en la Iglesia? En realidad, habría que preguntarse sobre cuál es la función, la razón de ser de los sacerdotes. Era la de santificar a los laicos, dirigirlos hacia la salvación. Los laicos estaban en la Iglesia para ser santificados por la acción del clero y para obedecer.39 «Sismo adunque docili alle voci dei sacri minístri, come le pecore lo debbono essere alla voce del loro pastore. Dio ce li ha .dati per nostri maestri nella scienza della religione; dunque andiamo da essi ad impararla e non dai maestri mondani. Dio ce li ha dati per guida nel cammino del cielo, dunque seguitiamoli ne' loro ammaestramenti».46
Evidentemente, el tema es complejo y no conviene simplificarlo. Desramaut, con su habitual talante equilibrado, considera que «é interessante rilevare che pensó al crístiani, al modo di esistenza che loro conveniva, al loro compito missionario nella chiesa e alla loro santificazione nella vita corrente e nell'apostolato diretto»,41 pero parece evidente que también en este tema don Bosco se encontraba más cerca de Pío IX que de Newman,42 y de quienes propugnaban una eclesiología más renovada y menos clerical.

37 G. Mucci, Il primo direttore della «Civiltá Cattolica». Carlo Curci tra la cultura dell'immobilismo e la cultura della storicitá, Roma, Ed. La Civiltá Cattolica 1986, p. 193.

38 MARTINA, L'atteggiamento della gerarchia, p. 345.

39 «Nella Chiesa devonsi considerare due classi di persone, quelle cioé che insegnano e comandano, e queste sono nella Gerarchia, e la forman; e quelle che obbediscono e queste sono sotto la Gerarchia. E questi ultimi sono tutti i semplici fedeli, ricchi e poveri, re e principi» (G. Bosco, La Chiesa cattolica e la sua gerarchia, Toririo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1869, p. 67). Recordemos a este respecto el conocido párrafo de la encíclica Vehementer de Pío DI: «Sólo en el cuerpo pastoral reside el derecho y la autoridad necesaria para mover y dirigir todos los miembros hacia el fin de la sociedad. En cuanto a la multitud, no tiene otro derecho que el de dejarse conducir y, dócil grey, seguir a sus pastores».

40 G. Bosco, Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo, Torino, Tip. G.B. Paravia e Compagnia 1858, p. 46.

Este planteamiento profundamente piramidal, jerárquico y centralizador, era, como ya he afirmado, propio de una eclesiología y de una mentalidad que es bien conocida y ha sido suficientemente estudiada." En don Bosco encuentro, además, algunos argumentos propios de su carácter y peculiaridad, que refuerzan la argumentación anterior, pero con un talante menos doctrinal y más existencial.

Don Bosco está convencidísimo de que la estructura ha sido querida por Cristo y que servía para la salvación de las almas, pero creo que, de manera más o menos explícita, considera la Iglesia a modo de una gran familia donde la autoridad resulta necesaria sobre todo en cuanto es útil y beneficiosa para conseguir sus objetivos:14 Se trata de una imagen cercana y substancial en su concepción pedagógica,45 en su planteamiento de la nueva congregación religiosa,46 y, ciertamente en la imagen que vive y transmite de la comunidad eclesial.47
En la manera como concibe y gobierna su congregación religiosa se encuentra «la tendenza a sentirsi un padre que godeva tutta la confidenza e la fiducia dei figli associati in tutto alla sua opera», de forma que las primeras redacciones de las Reglas resultaban extremadamente centralizadas y autocráticas.48 De hecho, por ejemplo, el cuarto Capítulo o Congregación general, tras
41 DESRAMAUT, Don Bosco e la bita spirituale, p. 209.

42 MARTINA, Pio IX, p. 176.

" Cf. A. ANTÓN, El misterio de la Iglesia II, Madrid, BAC 1987.

44 «Ora questo Padre é il Papa, e i suoi figli sono i cristiani, fi regno é la Chiesa, il Re supremo ed invisibile é Gesú Cristo, il Re visibile n'é Il suo Vicario, i1 Romano Pontefice» (Bosco, cattolico nel secolo, p. 173).

45 «El alumno tendrá siempre gran respeto a su educador, recordará complacido la dirección de él recibida y considerará en todo tiempo a sus maestros y superiores como padres y hermanos suyos» (El sistema preventivo en la educación de la juventud, en: Sj. Bosco, Obras fundamentales, Madrid, BAC 1979, p. 565); cf. Carta sobre el espíritu de familia, en: Ibid., p. 612-620.

46 Cf. MB IX, 572-573; cf. G. BOSCO, Scritti spirituali, vol. II, a cura di J. Aubry, Roma, Cittá Nuova 1976, p. 128. 159.285-286.

47 «Ora io considero tutto il clero del mondo come un vasto seminario rispetto al Papa. [...] Del resto noto ancora come al Papa, anche come Dottore privato, si debba avere molta deferenza e che sia conveniente conformarsi al suo modo di pensare. Cosi i buoni figliuoli usano di portarsi verso il loro padre» (MB XIII, 21). P. Stella subraya también este aspecto: «Come formato nel primo quarantennio dell'Ottocento agisce in forza di una religiositá, la cui ossatura di base é familiale e paternale, che tende a vedere nel rapporto Padre-figli; di comando, di obbedienza (o consacrazione: darsi a Dio) e di esecuzione» (STELLA, Don Bosco I, p. 253). Estas expresiones se repiten con frecuencia en sus obras: «Questa gran famiglia é la Chiesa, questo Capo é il Romano Pontefice» (Bosco, II cattolico istruito, p. 41-42). El, «a guisa di padre universale, regola e governa tutta la cattolica famiglia» ([Bosco], La Chiesa Cattolica, p. 22).

48 Cf. STELLA, Don Bosco I, p. 159.

trabajar, reflexionar y medir, después de determinar y dictaminar..., decidió que don Bosco podía cambiar y modificar todo lo que quisiera.49 Esta característica que se encuentra también en otros Institutos del tiempo responde a una eclesiología que desembocará en el Vaticano I.

En esta familia, como en todo organismo, la autoridad era necesaria y, en este caso, resultaba imprescindible para encauzar la salvación. A veces, probablemente, a causa de su estricto planteamiento teológico, da la impresión de que su defensa de la autoridad es fundamentalmente utilitaria en el sentido de que considera que únicamente una Iglesia homogénea, compacta, bajo un solo jefe es capaz de responder con eficacia a las dificultades existentes. En este sentido, su insistencia en la definición de la infalibilidad aparece, a menudo, motivada por los continuos ataques infligidos a la Iglesia, por el convencimiento de la necesidad de una guía centralizada «como un ejército en guerra», y por el deseo de que no se repitiesen males pasados: «la definizione dommatica avrebbe posto termine agli errori del Gollicanesimo in Francia e del Febronianismo in Germania: mentre era necessaria per le missioni e qua-lora il Sommo Pontefice venisse a trovarsi nene dolorose strettezze di Pio VPI»?° De subrayar, sin duda, el motivo de un trabajo más eficaz en las misiones como exigencia de la definición. Y este deseo de eficacia le hacía pedir, tembién, un catecismo único, universal, obligatorio, compuesto y promulgado por la Sede Romana." Esta motivación no teológica sino de conveniencia se extiende a la esfera civil: (La definición de la infalibilidad) «es de gran utilidad a los soberanos y a toda la sociedad, pues, haciéndose oír a los pueblos con más autoridad la voz infalible del Soberano Pontífice para inculcarles el deber de sumisión a los príncipes, llega a ser por esto el sostén más poderoso de su trono y también la mejor garantía de la tranquilidad pública» 52


4. Mentalità pratica e utilitaristica


Penso che sia importante sottolineare ed evidenziare la mentalità utilitaristica, la pratica di Don Bosco. P. Stella, come una felice descrizione, che riassume ciò che intendo: è la teologia del contadino che diventa una cura, dell'uomo pratico che è molto chiaro sul suo obiettivo e che usa tutti i mezzi onesti a portata di mano per raggiungerlo . Questo atteggiamento, infatti, relativizza, in larga misura, la sua difesa del centralismo ecclesiale. Don Bosco nella sua pratica quotidiana relativizza la teologia assoluta.

49 "La mia scriveva un salesiano solo ieri: il mio basta una cosa sia disposta dai Superiori, alzo il mio posto e non vado a cercarne il perché. Io vorrei che tutto tutti poteste dire cosi »(MB XIII, 91). Lemoyne confermerà che Don Bosco "conosce molto la sua autoritá, né tollerava impunita la resistenza" (MB VII, 118); cf. DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirituale, p. 91.

50 MB IX, 779.

51 MB IX, 827. Il tema del catechismo unico sollevato in Vaticano I le varie direzioni ecclesiologiche. Infatti, spesso chi si opponeva a questo progetto apparteneva in genere alla minoranza conciliare (vedi L. NORDERA, Ii catechism di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia [1896-1916], Roma, LAS 1988, p. . 45).

Bosco, Fondamenti della religione cattolica, in: FIERRO TORRES, Biografia e scritti, p. 541.

Nell'ecclesiologia di alcuni teologi italiani e tedeschi il popolo di Dio in cui è inserita la gerarchia ha avuto un ruolo decisivo. In Don Bosco è la gerarchia che ha ed esercita questo ruolo. Tuttavia, nella vita pratica, dà l'impressione che sia il bene del popolo cristiano che ottiene la prevalenza, anche a costo di semi-inganni o sotterfugi.

Nelle memorie biografiche trovo un delizioso punto che potrebbe essere giudicato da alcuni di essere cinico, ma in spagnolo può essere sintetizzato con l'espressione classica: preghiera a Dio e il martello "Don Bosco AVEVA riflettuto sull'importanza eziandio di potersi giovare in Certe Occasioni dell'influenza Che l'Abate Rosmini esercitava a Torino Sugli Nuovi Uomini rivestiti di AUTORITÀ, e quindi di uccelli Amico la Convenienza e Protettore. Sistema Suo era premunirsi diligentemente con OGNI Umano Mezzo, con fiduciosa rassegnazione lascíando poi, il Che Divina Provvidenza guidasse cuce una PIACERE Suo >>. 53
"E 'figlio docile, figlio rispettoso, ma anche di business," afferma P. Stella, "Egli sa SCEGLIERE i momenti, i Morfi e Anche le PERSONE un Parlare cui. Ha il seno della Gerarchia, mache queche del carisma singolare donato a luì e alle sue opere. Ardisce presentarsi talora mangiare Portavoce del Signore "54 Tenete a mente che questa capacità si sviluppa anche la gerarchia e la Curia Romana, ed è in questo senso che io insisto. Belardinelli arriva a dire che «D. Bosco non MANCO di collegare l'impegno "infallibilista" per Sostegno delle Sue operare: nell'udienza 12 febbraio presentati a Pio IX collezione delle "Letture Cattoliche" e della "Biblioteca" ottenendo ile Papale plauso, e con un potente Stesso tio avallo per la diffusione, anche un dispetto delle diffi denze di molte curte piemontesi,

53 MB III, 248. In questo senso «furbo», di abilità, trovo incomparabile la sua difesa dei gesuiti usando parole e giudizi di Gioberti (MB III, 310).

54 STELLA, Don Bosco II, p. 138.

55 M. BELARDINELLI, Don Bosco e il Concilio Vaticano I, in: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa,
p. 249.

56 Scrisse a don G. Cagliero: "Mi scriverai per la visita che farai coll'Arcivescovo a Carmen o Patagones; dirai al medesimo che il Santo Padre desidera così tanti nuovi esperimenti pei selvaggi ed applaude al nostro caso per studiare i loro confirú »(E III, 95).

Preguntado por qué favoreció el nombramiento de Gastaldi como arzobispo de Turín, contestaba: «Oltre a questo io aveva tutte le ragioni di credere che egli ci sarebbe stato sempre largo del suo favore. Che vuoi? Appena divenne Arcivescovo di Torino, cambió registro ».58 Éste, por su parte, se quejaba amargamente de Don Bosco: «Diminuisce assai Pautoritá dell'arcivescovo di Toríno, e introduce lo scisma nel clero [...] ma io sono costretto a invocare la protezione della Santa Sede contro gli attentati di questo ecclesiastico, il quale ha la mente plena e la riempie a' suoi dello spirito di autonomía e di indipendenza»." No olvidemos que también su antecesor, mons. Riccardí había tenido fuertes y prolongados contrastes con don Bosco por su deseo de conseguir plena autonomía para su Instituto.60
Por su parte, don Bosco invocó sucesivamente diversas protecciones en función de las diversas circunstancias. En el proceso de aprobación de las constituciones, utilizó todas las artes para que fueran aceptadas tal cual él las había redactado. A Pío IX le habló de una inminente fundación en Hong-Kong, que, naturalmente, exigiría una pronta aprobación; al Secretario de la Congregación le habló del Prefecto y a éste del Papa. En relación con esta aprobación se dio cuenta de que el camino de los obispos podía resultar complicado, por lo que se apoyó decididamente en Roma. «Al Santo Padre D. Bosco aveva mandato 11 libro con un intento speciale: desiderava che Sua Santitá vedesse con quale alacritá i salesiani lavorassero e quanto fosse il loro attaccamento alla Cattedra di Pietro e che sforzi facessero per istillare negli altri l'ossequio e l'amore verso il Vicario di Gesó Cristo. Gli paree dí ayer ottenuto il suo scopo e santamente se ne compiacque».61
Claro que esta absoluta y sincera aceptación del significado de la Curia Romana no le impidió no aceptar sin más las correcciones de la Regla realizadas por la Congregación Romana correspondiente. Don Bosco dijo a sus hijos que estuviesen tranquilos porque su Congregación había sido aprobada por la autoridad infalible, pero acto seguido intentó «manipular» o cambiar algunos artículos de esas constituciones aprobadas que a él no acababan de satisfacer.62

57 Carta a don M. Rua en: E III, 305-306.

58 MB 23.

59 MB XIII, 336. Naturalmente la realidad era mucho más compleja y estas difíciles relaciones manifestaron no sólo dos maneras de ser y de actuar, sino también, la objetiva dificultad existente en el acomodamiento de la autoridad episcopal con la exención de los religiosos. Como contrapunto a la opinión del arzobispo podríamos recordar las siguientes frases de don Bosco: «Tuttavia, sebbene io sia persuaso di non ayer ecceduto la fattami concessione nel falto accennato, per l'avvenire me ne asterró assolutamente, poiché tale cosa é di gradimento al superiore ecdesiastico» (E II, 405); y Lemoyne estaba convencido de que «questi fascicoli delle vite dei Papi, prima esposte da Don Bosco sal palpito, ispiravano nel suo giovane uditorio un grande rispetto e sottornissione alle prescrizioni non solo del Pontefice, ma di tutti i vescovi e specialmente a quelle dell'Arcivescovo di Tocino» (MB VI, 52).

60 Cf. G.G. FRANCO, Appunti storici sopra il Concilio Vaticano, a cura di G. Martina, Roma, Universitá Gregoriana 1972, p. 104.

61 MB XIII 517.

Yo no sé si puedo traer a colación el siguiente texto como explicación de su manera de ser y de actuar en esta materia. Hablando con Pío IX sobre la actuación del papa Honorio — actuación largamente utilizada por los antünfaliMistas como argumento demostrativo de la existencia de errores dogmáticos le decía: «Io peró ritengo che se cunctavit, se temporeggió, egli l'abbia fatto per prudenza, e siccome si puó temporeggiare sena mancare, cosi peno che Papa Onorio non abbia commesso neppure peccato veniale».63
En cualquier caso, conviene recordar también su pretensión de conseguir una total autonomía económica no sólo con relación a la autoridad diocesano, sino también en relación a la Santa Sede."
P. Stella parece relacionar el rechazo romano de estas pretensiones con las condenaciones posteriores del liberalismo católico o de la Democracia de Murri. No cabe duda de que se trata de un filón histórico interesante, pero a mí me resulta más sugestivo en esta panorámica preguntarme si esta pretensión no revelaba un redimensionamiento de la autoridad romana. De hecho, en nuestros días se ha dado algún caso semejante en relación con alguna institución eclesial más reciente.

Por otra parte, este hombre supo manejarse e instrumentalizar las diversas autoridades en función de sus necesidades. Se apoyó en Roma para conseguir la aprobación de los salesianos, pero, cuando encontró dificultades en la Congregación de Obispos y Regulares en el tema de la Hijas de María Auxiliadora, no dudó en apoyarse en el obispo de Acqui y en otros ordinarios diocesanos que las aprobaron según sus deseos.

No se trataba tanto de maquiavelismo o de sorprendente capacidad de manipulazión cuanto de un sentido innato del compromiso con el fin de conseguir su objetivo principal. Por ejemplo, en otro orden de cosas, en aquellos mismos años el P. Curci, en Il moderno dissidio della Chiesa e ¡'Italia defendía la necesidad de un acuerdo, mientras que Manning, en The independece of the Holy See, demostraba absurda cualquier probabilidad de acuerdo. Por su parte don Bosco deseaba el acuerdo, «ma in modo tale che innanzituno si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime». Frente a dos mentalidades doctrinales, una práctica que le ayudó a permanecer en buenas relaciones con ambas orillas del Tíber, en un momento en que esto parecía imposible.65
62 MB XIV, 229. Sobre este tema resulta imprescindible consultar: P. BRAMO, Don Bosco per i giovani: L' «Oratorio». Una «Congregazione degli Oratori. Documenti, Roma, LAS 1988. También: P. STELLA, Le Costituzioni salesiane fino al 1888, en: J. AUBRY - M. MIDALI (eds.), Fedelti e rinnovamento. Studi sulle Costituzioni salesiane, Roma, LAS 1974, p. 52.

63 Mg IX, 817.

64 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1879), Roma, LAS 1980,
p. 399. Ver también: E W, 505-508.540-544.

65 Escribía a G. Lanza, presidente del Gobierno, el 11 de febrero de 1872: «Io scrivo con confidenza e l'assicuro che mentre mi professo sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della Cattolica Religione, mi sono pur sempre mostrato affezionatissimo al Governo, per i sudditi del quale ho costantemente dedicate le deboli mie sostanze e le forze e la vita» (E II, 195).

66 BRAIDO, Don Bosco per i giovani, p. 10.

67 MB I, 89.
68 E I, 88-89.

69 Ver, por ejemplo, el caso del conde Gays (E 111, 352-354.364).

70 STELLA, Don Bosco I, p. 155-156.

En relación con los obispos, aparece evidente su síncera voluntad de colaborar con ellos en la pastoral diocesana, pero también su deseo de llevar adelante su obra según su talante e inspiración, y, por consiguiente, con la autonomía necesaria. De hecho, a propósito de la ordenación de Cagliero parece evidente que con un tono respetuoso y sumiso, don Bosco mantiene íntegro su planteamiento de autonomía.67 En 1854 Rosmini le pide que informe al Vicario general acerca de los proyectos comunes sobre una tipografía, proyecto que se encontraba ya bastante adelantado. Don Bosco le contesta: «In quanto al parlare al nostro sig. Vicario generale giudicherei bene differire ancora: e forse sará meglio cogliere Poccasione che qualcheduno dell'Istituto passi a Lione per parlare verbalmente all'arcivescovo medesimo; ma il parlare di ció al nostro Vicario (che é un sant'uomo; ma pochissimo pratico delle cose del mondo) forse sarebbe suscitare difficoltá dove io credo non ci siano».68 Evidentemente, se trata sólo de una anécdota sin importancia, pero probablemente constituya también un indicio de cómo actuaba sorteando aquellas autoridades que consideraba problemáticas para apoyarse en las que le eran afectas en el caso concreto. Creo que se puede afirmar que don Bosco siempre pensó que el cuidado de las almas debía prevalecer sobre la organización y la administración.

En cuanto a los lazos y complicaciones jurídicas eclesiásticas, no estoy seguro de que don Bosco les concediese la importancia que se les daba habitualmente.69 Los estudiantes que dejaban la Congregación parece que podían permanecer como externos. ¿Podría esto indicar que de hecho no atribuía tanta transcendencia a los lazos jurídicos? P. Stella se pregunta: «Che cosa era dunque il noviziato secondo Don Bosco? Una casa di studio? Un semenzaio di vocazioni per i Salesiani e per qualsiasi altro istituto nella Chiesa? Un modo per far prendere contatto con l'Opera salesiana, con lo stato ecclesiastico e quello religioso? [...] Leggendo necrologie di salesiani vien da chiedersi se piú d'uno sapesse esattamente a quale titolo si trovava in casa di D. Bosco».7° Manifiesta la misma libertad de espíritu con relación a los religiosos de vida contemplativa. Convencido como estaba de que lo más importante era la salus animarum, no dudaba en afirmar que estos religiosos debían extender su celo a otros ámbitos explicando el catecismo a los niños, instruyendo religiosamente a los adultos y escuchando sus confesiones. Para él, las reglas y las costumbres no estaban por encima del bien de las almas sino a su servicio. En este sentido resulta significativa la siguiente narración: «A porporati che gli movevano difficoltá per il conseguimento di favori necessarí a rendere stabile e operosa la Congregazione, soleva dire: Io ho bisogno che mi aiutino a superare le difficoltá e non a farne. Vorrei che si considerasse non tanto la persona diD. Bosco, ma il tiene e il vantaggio della religione e delle anime: perché io lavoro per la Chiesa»." Obviamente, también los cardenales trabajaban para la Iglesia, pero consideraban que había que cumplir las disposiciones legales existentes, disposiciones que en este caso para don Bosco se reducían a trabas y dificultades que había que superar.

Non cabe duda de que conocía a la perfección la situación de la Curia Romana y los diversos partidos e influjos en ella existentes, conocimiento que le proporcionó motivos y ocasiones para bandearse con éxito en el difícil y complicado mundo romano. A propósito de la cuasi condenación de su obra Centenario di S. Pietro, escribía a un amigo: «... di questo ne fui minacciato in Roma ed anche Jopo la mia partenza, ed una persona moho a mica ne diede la ragione principale: perché in Roma ho avuto di preferenza molta familiaritá coi Gesuiti. Qui peró prudenza somma e silenzio».72 Sin duda ésta es una regla de oro de actuación, pero denota, en todo caso, su capacidad de navegación y movimiento en las aguas procelosas del mundo romano y su distinción de los diversos niveles existentes en toda autoridad."
Es decir, y terminando este apartado, creo que se puede subrayar el sentido empírico, práctico de la eclesiología de don Bosco. Curia Romana, Obispos, Párrocos son más cultivados o marginados en función de la ayuda que dispensan a la obra de los jóvenes. Don Bosco estaba totalmente convencido de que esta obra era de Dios, y en función de este convencimiento y de esta realidad instrumentAlizaba a la jerarquía con el fin de que su obra saliese adelante. Nos encontramos ante un hombre, un santo, que en la práctica relativiza la teología absoluta. En este sentido, deberíamos afirmar que don Bosco se acerca a los reformistas en la acción práctica, en cuanto redimensiona la autoridad de la jerarquía en su actuación, en la vida de cada día, en sus relaciones y determinaciones inmediatas.

5. Don Bosco y Pío IX


7' MB XIII, 504. n E I, 461.

73 Apenas elegido León XIII, le envió un escrito que «giudicava venire dal Signore» en el que, entre otras cosas, le aconsejaba: «Queste novelle istituzioni hanno bisogno di essere giovate, sostenute, favorite da coloro che lo Spirito Santo pose a reggere e governare la Chiesa di Dio» (E DI 304).

Sobre las relaciones de estos dos personajes tan sugestivos y sugerentes existe numeroso material y creo que se ha escrito suficientemente. Yo quisiera simplemente apuntar un interrogante. Dada la benevolencia y simpatía manifiesta del pontífice por el fundador, ¿por qué encontró tantas dificultades en la aprobación de la Regla? ¿No parece darse una cierta contradicción entre las conversaciones de ambos, entre la insistencia de don Bosco en que su mana constituía casi una iniciativa de Pío IX, por una parte," y las reticencias fiestas de la Curia Romana, por otra? Cuando escribía al Papa: «Societas Salesiana quam Tu, Beatissime Pater, opere et consilio fundasti, direxisti, consolidasti, nova beneficia a Magna dementia Tua postulat», ¿consideraba que la protección pontificia sería suficiente para superar las dificultades existentes? ¿Por este motivo infravalorará las animadversiones que le mandaron de Roma?
¿Eran reales las promesas y concesiones del Papa? Así lo creía, al menos su biógrafo: «... piú di una volta noi abbíamo avuto occasione di recordare come per il governo interno della societá Pio IX l'avesse munito oralmente di facoltá amplíssime, tanto Egli si fidava della sua prudenza».75 De hecho, don Bosco afirmó en más de una ocasión haber recibido «vivae vocis oraculo» dispensas de Pío IX 76
Yo concuerdo plenamente con el juicio de P. Braido: «Lascia, semmai, perplessi il fano che la conclamata benevolenza verso don Bosco non li abbia indotti a un tempestivo discorso chiaro e perentorio; a meno che non ne siano stati dissuasi dalle adamantina persuasioni del Fondatore torinese, convinto tanto della bontá della causa quanto delle proprie capacitó di manovra e delle potenti amicizie».77 Uno puede preguntarse, seguramente, si Pío IX prometió tanto como imaginaba don Bosco o si éste interpretaba con demasiado optimismo las palabras del pontífice. Probablemente Pío IX actuaba con el santo turinés como actuaba en política: se entusiasmaba con lo que el Santo le contaba y le prometía el oro y el moro, pero más tarde tenía que echar marcha atrás. Tal vez así puede explicarse el que, por una parte, el Papa prometía a don Bosco (o, al menos éste lo entendía así) mientras que por otra parte, el Cardenal y Secretario de la Congregación correspondiente actúen más restrictivamente sin que aquél diga o haga nada.78
No cabe duda de que tenían muchos puntos en común, y por eso sus encuentros eran gozosos y convergentes." Para ellos el demonio estaba muy presente en sus actividades y en la vida de la Iglesia,8° defendieron una infalibilidad personal amplia,81 confiaron el uno en el otro.

74 «In seguito a quena udienza (e altra o altre) don Bosco tenderá ad accentuare soprattutto un aspetto: la parte avuta da Pio IX, rievocato come colui che traccia quasi ad un quanto mai improbabile ignaro fi profilo di una "nuova" Congregazione religiosa, che d'altra parte coincide punto per punto a quello che don Bosco continuerá a difendere anche in contrasto con il diritto dei religiosi piú comunemente accettato» (BRAmo, Don Bosco per i giovani, p. 96).

75 MB XIII, 237.

76 E II, 126; III, 347. 361.

77 P. BRAMO, L'idea della Societa Salesiana nel «Cenno istorico» di don Bosco del 1873/74, en
RSS 6 (1987) 304.

78 Hay que tener en cuenta también que no era infrecuente que Pío IX cayese en contradicciones (cf. MARTINA, Pio IX, p. 605).

79 Don Bosco escribió el mismo día de la muerte de Pío IX: «Entro brevissimo tempo sará certamente sugli altari» (E lit, 294).

En cuanto al tema de la infalibilidad por el que tanto luchó y se movió, don Bosco utiliza un argumento curioso: «Il Signore ha dato rinfallibilitá alla sua Chiesa: resta solo a vedere dove questa risieda. Ogni vescovo (da solo) é per certo fallibíle, quindi non nei singoli si ha da cercare questo dono; e se ciascuno é fallibile anche radunati tutti insieme i Vescovi non potranno divenire infallibili per il solo fatto di essersi radunati. Che cosa li rende adunque e dá loro ció che non hanno? É l'essere collegati col Papa».82
Por el mismo tiempo escribía Newman que, tras el Concilio de Nicea, la gran mayoría de los obispos había caído en el error, pero que la recta doctrina se había mantenido gracias a los laicos. Evidentemente, también en este punto la sensibilidad de Pío IX era mucho más cercana a la de don Bosco que a la del clérigo inglés.

6. Una Iglesia santa y santificante


Todos los que conocen más y mejor a don Bosco insisten en que resulta necesario leer y comprender sus escritos como parte inseparable de una experiencia.83 A menudo, en la pura teoría, no resulta original, copia con desparpajo, repite lo que ha estudiado y le resulta apropiado. Su genialidad y su verdadera personalidad aparece en su vida, en su actuación continuada, en su experiencia hecha vida.

En el tema de la santidad, punto clave y determinante en su concepción de Iglesia, encontramos igualmente este planteamiento dual. En su concepción estrictamente doctrinal, la confesión de la santidad de la Iglesia, públicamente pronunciada en el Símbolo de los Apóstoles, es entendida de una forma que conduce no sólo a negar que la comunidad cristiana sea sujeto colectivo de pecados comunes, infidelidades y ofensas al Evangelio, sino incluso a rechazar los fallos y errores históricos, o sencillamente el que la Iglesia hubiera llegado tarde a responder a determinados problemas o necesidades humanas.

En este planteamiento se distinguía los pecados de los católicos y la actitud de la Iglesia. Con esta distinción se introducía una consideración ideológica que pretendía salvar a la Iglesia, es decir, a la institución o a la jerarquía, de sus fallos y responsabilidades históricas. Pero se hace a costa de un desdoblamiento por el cual determinados cristianos, solos o agrupados, que cometen errores e infidelidades al Evangelio, no parecen ser Iglesia. Es decir, por una parte, se da una identificación subliminar entre Iglesia y Jerarquía: y por otra se desconoce que los pecados de los creyentes hacen a la Iglesia menos apta para ser signo eficaz de salvación en cada momento de la historia.

8° G. CANATAN1, II diavolo, Roma e la rivoluzione, en «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 8 (1972) 485-516; MB V, 694; Bosco, Scritti pedagogici, p. 301.

81 Como cuando declara que todos deberían aceptar la opinión del Papa incluso en los temas de libre opinión, como doctor privado (cf. MB VIII, 277-278).

82 BELARDINELLI, Don Bosco e il concilio Vaticano I, p. 246.

" «Il veto Don Bosco é quello che risulta da una considerazione globale, unitaria e vitale, di tutti i suoi scritti, di tutte le sue realizzazioni e scelte operative e di tutta la sua vita» (R. FARINA, Leggere don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente inteipella gli istituti religiosi, Leumann [Tormo], Elle Di Ci 1976, p. 351).

En don Bosco esta actitud generalizada quedaba probablemente mediatizada y complementada por el hecho de no utilizar la analogía del cuerpo místico sino el de familia y madre," es decir, una vez más, por su concepción eclesiológica vertical y no horizontal y, sobre todo, por su amplio y complejo concepto de Iglesia.

En efecto, don Bosco identificaba Iglesia con Religión,85 y ésta con santidad. La santidad en don Bosco es la más teológica de las cuatro notas de la Iglesia. Desde el punto de vista apologético se manifiesta por medio de la presencia de medios eficaces de santificación, de los numerosos casos de santidad y de los extraordinarios milagros en ella presentes.86 Me parece que su concepto fundamental, el criterio que inspira sus acciones pero, de hecho, también sus teorías y formulaciones, es el de la santidad de los cristianos. A esta santidad subordina todo y en función suya concibe, más o menos explícitamente, la organización eclesiástica en sus diversas vertientes. La Iglesia fue fundada por Cristo, escribe nuestro santo, «mentre viveva su questa terca, e perché da lui formata dentro al suo sacratissimo costato, consacrata e santificata col suo sangue. Essa é da luí ripiena del suo Santo Spirito, che esso le mandó perché rimanga con lei e le insegni ogni veritá sino al termine dei secoli».87
«Ció che stava a cuore di D. Bosco — dice el autor de las Memorias biográficas —: salvare anime» o, en otro lugar: «La salute delle anime unico scopo della sua vita», o, también en otra página: «Le anime sono un tesoro affidato al sacerdote» 88 Por esta razón, como indicaré enseguida, el sacerdocio constituyó una de las obsesiones de su vida.

En la dimensión histórico-salvífica, la Iglesia es, según Newman, el pueblo de Dios.
«11 fatto poi che nella Chiesa vi siano peccatori non suscita nei suoí scritti gravi problemi dottrinali. Don Bosco infatti, piú che alla analogia del Corpo Mistico, allorché discorre del peccato e dei peccatori, si rifá a quena di famiglia e di madre. La Madre Chiesa é santa, sen7a macchia e sena ruga. Tale rimane, anche se molti suoi figli siano peccatori, anche se suoi figli la combattano e la rinneglun' o» (STELLA, Don Bosco II, p. 140).

85 «Pueblos católicos, abrid los ojos; se os tienden gravísimas asechanzas cuando intentan alejaros de la única santa religión que es la Iglesia de Jesucristo» (Bosco, Fundamentos de la religión católica, en: FIERRO TORRES, Biografía y escritos, p. 545).

86 RIPA, L'argomentazione delle «note», p. 36.

87 MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, p. 221-222.

88 Escribe don Bosco en sus memorias: «il prete non va solo al cielo, non va solo all'inferno. Se fa tiene andrà al cielo con le anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se a scan-dalo andrà alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo» (Bosco, Scritti pedagogici, p. 314).

Naturalmente, el pueblo de Cristo tiene también una organización social, pero en todo momento reconoce la prioridad de su realidad espiritual. La igualdad fundamental de todos los miembros de este pueblo en virtud de la fe y de los demás bienes sobrenaturales de la existencia cristiana tiene prioridad sobre la distinción entre las diversas categorías de personas en razón de las funciones específicas que están llamadas a ejercer en el seno de este pueblo. Para Newman — dice Congar — «la Iglesia no era primariamente un sistema de doctrina, ni tampoco una institución. Ella estaba constituida fundamentalmente por el don de la gracia que Dios ofrece a los hombres, y éstos, aceptándola, se unen entre sí y forman un solo Cuerpo».89
Tengo la impresión de que don Bosco, a pesar de que nunca haya escrito algo parecido, ha actuado a lo largo de su vida en esta misma longitud de onda, aunque no cabe duda de que en sus escritos acentúa y desarrolla fundamentalmente y casi exclusivamente el carácter individual de la salvación: «Ogni parola del prete deve essere sale di vita eterna e ció in ogni luogo e con qualsivoglia persona. Chiunque avvicina un sacerdote deve riportare sempre qualche veritá che gli rechi vantaggi all'anima».9° Salvación que permanece, también, relacionada con la figura del Papa: «Fortunati que' popoli che sono uniti a Pietro nella persona de' Papi suoi successori. Essí camminano per la strada della salute; mentre tutti quelli che si troyano fuori di questa strada e non appartengono all'unione di Pietro non hanno speranza alcuna di salvezza; perché Gesú Cristo ci assicura che la santitá e la salvezza non possono trovarsi se non nell'unione con Pietro sopra cui poggia l'immobile fondamento della sua Chiesa».91
En su Storia ecdesiastica la santidad aparece como un objetivo de la vida y, sobre todo, como un distintivo de la Iglesia. De hecho, no.resulta difícil advertir el predominio de la vida y la acción de los santos en su historia que acaba de transformarse en un reclamo implícito de la característica eclesial de la santidad. En las otras Iglesias, dirá, no existen santos,92 llegando a afirmar que inmoralidad y herejía van unidas." «Dai Valdesi giunto Don Bosco nel corso della sua Storia alle luride, empie e sanguinarie figure di Lutero, di Calvino e di Arrigo VIII, loro contrapponeva la celeste visione dei figli della Chiesa Cattolica che vissero ad essi contemporanei: San Gaetano da Thiene [...] e cento altri. La santitá é una sola cosa con la veritá».94 Siguiendo esta argumentación relacionará enseñanza y prácticas religiosas con moralidad 95
89 Citado por ANTÓN, El misterio de la Iglesia, p. 275.
90 11113 VI, 381.

91 Bosco, Vita di San Pietro, p. 164-165.

92 «Egli é proprio della sola Religione Cattolica ayer dei Santi e degli uomini segnalati in (MB XIV, 229).

93 E II, 23.

" MB W, 307. En otras ocasiones relacionará protestantes con inmoralidad: ... «sí sono purtroppo stabiliti i Protestanti che in mille modi fiaudulenti minacciano il costume e la credenza degli adulti e dell'incauta gioventá» (E III, 30).

95 «Le povere ragazze [...] non avendo né luogo né comoditá di frequentare la scuola, nemmeno di intervenire alle funzioni religiose, versano in grave pericolo per la moralitá» (E III, 30).

«O Religione Cattolica, religione santa, religione divina! Quanto sono grandi í beni che tu procuri a chi ti pratica, a chi in te spera e in te confida! Quanto sono fortunati quelli che si troyano nel tuo seno e ne praticano i precetti».96 Don Bosco estaba tan seguro de esto que dedicó su vida y fundó una congregación con el fin de que los jóvenes y, en general, todas las personas fueran capaces de conseguir estos bienes. Este convencimiento espoleó su interés y su preocupación constante por las misiones. «Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioní, catechismi, si faccía 1-llevare la bellezza, la grandezza, la santitá di questa religione che propone dei mezzí cosi facili, cosi 'mili alla civile societá, alla tranquillitá del cuore, alla salvezza dell'uomo, come appunto sono i santi sacramenti».97
Tan convencido estaba de esta realidad que se atrevió a escribir a Pío IX: «Vostra Santitá secondi l'alto pensiero che Iddio Le ispira nel cuore proclamando ovunque possa la venerazione al SS. Sacramento e la divozione, alla Beata Vergine, che sono le due ancore dí salute per la mísera umanitá».98
Toda su vida estará centrada en este deseo: que todos vivan la religión, permanezcan en la Iglesia, es decir, en la verdad, se santifiquen con los sacramentos, sean devotos de María. Para que esto sea posible resultan imprescindibles los sacerdotes, y a la tarea de conseguir y formar sacerdotes dedicará permanentemente su esfuerzo: «Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa guando noi procuriamo una buona vocazione: che questa vocazione o che questo prete vada in Diocesi, nelle Missioni, o in una casa religiosa non importa. E sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesú Cristo».99 Toda su vida consistió en una manifestación palpable de su concepción del sacerdocio, de la grandeza del sacerdocio, de la total dedicación que debe caracterizar al sacerdote."
96 STELLA, Don Bosco II, p. 139. Este autor afirma que «la sua riflessione sulla santitá della Chiesa e dei fedeli s'inserisce consapevolmente in una mentalitá accentuatamente cristologica e soteriologica» (Ibid., p. 140).

" P. BRAMO, Il progetto operativo di don Bosco e ¡'utopia della societá cristiana, Roma, LAS 1982, p. 16-17. Resulta llamativo y digno de notarse su devoción y su insistencia en la indulgencia plenaria in articulo mortis.

98 EI, 259. "Racconta quanto vuoi dei vari sistemi di educazione; ma non trovo una base sicura se non nella frequenza della confessione e della comunione; e penso che non è esagerato dire che senza questi due elementi, la morale è da escludere "(BOSCO, opere chiave, p. 306). Dobbiamo ricordare l'influenza di S. Alfonso de 'Liguori in G. Bosco, G. Cafasso, L. Guanella attraverso "ecdesiastico Convitto" di Torino. S. Alfonso era il santo di missioni poprolares, eucaristica e la devozione mariana, la devozione al Romano Pontefice (cfr G. Angelini realta escatologia religiosa e storia tra nel: Coscienza civile ed Esperienza moderna nell'Europa religiosa, Brescia, Morcelliana 1983, pagina 379).

99 MB XVII, 262.

100 dicono Don Bosco a B. Ricasoli: "Eccellenza, Sappia Don Bosco Che é all'altare Prete, Prete in confessionale, é Prete in mezzo al Giovani e venire a Torino Prete E, E COSI Prete Firenze, casa Nella Prete povero, prete nel palazzo del re e dei ministri »(MB VIII, 534).

Si potrebbe dire, in qualche modo, la cosa più importante per Don Bosco sono sacerdoti perché sono dedicati direttamente all'evangelizzazione, la santificazione del popolo. I vescovi, in generale, non sono stati i leader di evangelizzazione perché, di fatto, il loro compito era più amministrativo, maggiore sicurezza giuridica. In questo senso, con tutta la vaghezza del significato, forse si potrebbe dire che per i sacerdoti Don Bosco sono stati, infatti, più importante della gerarchia e struttura nel compito di santificare, evangelizzare e edificare il popolo di Dio.

7. L'esperienza della Chiesa


Nel complesso l'attività di Don Bosco, nel suo apostolato multipla nella sua totale dedizione alla santificazione delle anime possiamo trovare una più complessa senso di Chiesa, più libera e più dinamica che appare nelle sue formulazioni teoriche. E 'in questo campo di esperienza e di azione che hanno superato strutture ecclesiali esistenti avviando nuovi modi. "
Don Bosco sapeva e voleva a impegnarsi a tutti i edesiales problemi del suo tempo nella sua attività un catechista e confessore. Nella loro azione educativa quotidiana giovanile e popolare, nei loro progetti, i comportamenti e gli atteggiamenti, nei loro scritti teologici, storici e didattici, ha espresso il suo sacerdote personalità visibilmente impegnata ai problemi della Chiesa locale e tiníversal".
Il motivo per il dono totale della sua vita si trova nella sua esperienza di Chiesa: "Tutti i Suoi pensieri, Tutte le Sue operare miravano essenzialmente alla esaltazione della Chiesa e godeva dele citare in giudizio Gioie e delle querelare Glorie, e soffriva dei Suoi Sentimenti e delle persecuzioni che l'angustiavano. E 'percio se adoperava con ardore ad accrescere contentezze e le sue denunciarlo conquistare, per lenire i dolori Suoi ripagherà bis Le citare in giudizio Perdite, cavolo ricondurre numero Suo grande ventre di pecorelle smarrite, cosi la SUA famiglia accrescendo di Nuovi Figli. [...] perciò non lasciavasi sfuggire un'occasione Consiglio di osare un buon di Ascoltare una confessione sacramentale, ho dato predicare, di ammonire, di sua volta un annuncio parte preghiera si Tutte QUESTE riguardando Quali Azioni di suprema Importanza operare ", afferma nei ricordi biografici.

101 Cf. E. ALBEIUCH, resperienza UE entro salesiano nell'educazione della Chiesa, in: R. Giannatelli (ed.), L'educazione Progettare Oggi con Don Bosco, Roma, 1981, p. 258-278.

102 P. BRAIDO, Pedagogia ecclesiale di Don Bosco, in: Ch. Cim - A. MARTINELLI (a cura di), Con i giovani raccogliamo la profezia del Concilio. Atti della XIII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, Roma, Dicastero per la Famiglia Salesiana 1987, p. 24.

Ha scritto a don Fagnano: "Ricordati che i tuoi sforzi sono sempre indirizzati ai bisogni crescenti di tua madre. Sed Mater tua est Ecclesia Dei, dice S. Girolamo »(E IV, 334).
In questo non era tradizionale e riparatrice. Era consapevole che non tutti di quanto sopra era stata buona e ha rifiutato di tornare alla stato di cose d'altri tempi che difendono la libertà della Chiesa, nonostante sia stato conquistato da tante difficoltà, era stato un successo extrordinario.

Don Bosco certamente non ha vissuto un'epoca più tranquilla o più luminoso nella storia della Chiesa, ma il suo ottimismo e la fiducia nel futuro manifestato tempo per gran parte ferma. Né protestanti o in muratura, o l'attività costante prevalere Diavolo "In OGNI tempo Chiesa fu sempre al ferro- o cogli scritti combattuta, ed ha sempre TRIONFO. Ha veduto i Regni, Le Repubbliche, e Gli imperi sapere d'Intorno crollare e affatto rovinar; essa sola é rimasta ferina ed immobile. Esegue il XIX Secolo yl dacché fu fon-data, e se tutto Mostra giorno Nella piú florida eta. Dopo di Noi Altri verranno, e vedranno sempre fiorente, e Retta Dalla supererá Tutte gloriosa mano divina lui Vicende umane, vincerà i Suoi Nemici, e se avanzerá con piede fermo Traverso dei SECOLI e dei rivolgimenti ma il finir dei Tempi, nn turbina, nn uragano, coprono il nostro orizzonte; ma saranno di breve durata. Dopo confronterò una sola che parí non risplendette da San Pietro a Pio IX ».107 nn turbina, nn uragano, coprono il nostro orizzonte; ma saranno di breve durata. Dopo confronterò una sola che parí non risplendette da San Pietro a Pio IX ».107
Per molti teologi di quel tempo, e forse dei nostri, credere nella Chiesa significava accettare la sua autorità più del suo mistero. Insiste anche Don Bosco, come abbiamo visto quasi esclusivamente nell'autorità e nell'istituzione ecclesiastica. Desramaut stati che insistevano di più sulla loro terreni aspetto, sociale e organico nella sua essenza mistica: "Se costaterá Che, DOPO tutto, nell'universo spirituale di Don Bosco, Gli Esseri concreti occupano un posto Notevole, MENTRE invece di Dio lo Profondità , l'Ami 'na della Chiesa e per-multa Spirito Santo ha visto quello che compaiono ben poco" .108 parlare Tuttavia permanente di quello che in realtà sono i misteri della grazia, e dedicò la sua vita a ravvivare questo vita di grazia nell'anima dei fedeli, cioè la presenza dello Spirito Santo nei credenti.

Tenemos que concluir afirmando que su praxis educativa lleva de mil maneras distintas a inculcar el sentido de Iglesia a través de una fuerte experiencia de Iglesia, frente a una praxis común que identificaba más o menos conscientemente Iglesia con estructura. Experiencia de Iglesia que es vida, sacramentos, santidad y relación con la Trinidad.109 Pedagogía eclesial que se condensa en escuelas, oratorios, iglesias, hospicios, institutos profesionales, asociaciones, obras para las vocaciones adultas, prensa, editoriales, librerías, colegios. Don Braido piensa que «l'iniziazione al sensus eclesiae, con radicale accentuazione papale, diventa spontanea forma quotidiana del suo essere educatore»,"° y recuerda una recomandación que puede convenirse en emblemática: «Continuate ad amare la religione nei suoi ministri, continuate a praticare questa santa cattolica religione, che possa renderci felici su questa terra, sola che valga a renderci eternamente beati in cielo». Se trataba de una concepción universal, capaz de superar capillismos y sectarismos: «Fra cattolici non vi sono né opere nostre né opera di ahí. Siamo tutti figli di Dio e della Chiesa, figji del Papa»,111 incluso en situaciones en las que un sentimiento espontáneo podía haberle movido en otra dirección. Por ejemplo, cuando desechó y destruyó los libelos escritos contra mons. Gastaldi.

" «Non vi pare — decía a los jesuitas de Piacenza — un yero trionfo della Chiesa l'essersi potuta svincolare dei trattati con i Governi, che pretendevano di eleggere non solo i vescovi per le varie diocesi, ma anche i parroci per le singole parrocchie? Adesso é piú libera di prima. Si son rotti i concordad che ne inceppavano la liberta specialmente nelle elezioni dei vescovi» (MB X, 464).

" SE, 388.

" MB IX, 920. 107 E II, 118-119.

'" DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirituale, p. 95.

Parece claro che lo más importante en su vida y en sus obras fue la pureza de la religión — de ahí su constante oposición a los protestantes — y la santidad del pueblo. Estos dos objetivos, que pueden identificarse en el sentido explicado en estas páginas, con la religión y la Iglesia, constituyeron la razón de ser de su vida. Él no fue un teólogo en el sentido técnico de la palabra y menos un eclesiólogo, aunque manifestó y representó una corriente dominante en aquel momento. De hecho, tal como afirma P. Braido, su visión teológica de la Iglesia había sido modelada en los catecismos diocesanos y en la modesta literatura teológica e histórica entonces dominante en el sector ultramontano. Vivió y sintió la comunidad eclesial, comprendió en qué consistía el nervio vital de la vida de la Iglesia y actuó en consecuencia. Tal vez hubieramos preferido que su eclesiología correspondiera más con su praxis, que, a veces, no parecen concordar del todo, ya que la primera es legal, jurídica, institucional, mientras que la segunda es existencial y vivencial. En realidad, don Bosco está convencido de que sólo en la Iglesia católica pueden encontrarse y producirse los sacramentos y la santidad.

Don Bosco en este tema eclesiológico representa nítidamente un ejemplo paradigmático de lo que pensaba y escribía la mayoría del clero italiano de aquel tiempo, y en este sentido no resulta original ni siquiera en su universalidad y exageración ultramontana, pero, al mismo tiempo, manifestó con su vida y su actuación la urgente necesidad de adaptación y evolución, si se quería que el mensaje evangélico llegase a más gente, sobre todo, a los más alejados y marginados.

109 Define en la edición de 1870 de su Stork ecclesiastica: «La Chiesa é manifestamente la figlia di Dio Padre, la sposa di Gesú Cristo e il tempio vivo dello Spirito Santo», y más adelante afirma: «La Chiesa non ha nulla a temere, e se anche tutti congiurassero per gettarla a terra, vi é sempre lo Spirito Santo per sostenerla».

110 BRAIDO, Pedagogia ecclesiale di don Bosco, p. 24.

BS 6 (1882) 81.

EL CONFLICTO ENTRE DON BOSCO
y EL ARZOBISPO DE TURÍN LORENZO GASTALDI (1871-1883)


Giuseppe TUNINEM


1. Elementos para la explicación de un conocido contraste


El título de esta comunicación no pretende en absoluto poner énfasis, de forma periodística, a un hecho especial: refleja las relaciones reales que se dieron entre don Bosco y el arzobispo de Turín, Lorenzo Gastaldi, en los años 1871-1883.1
Es verdad que la historia de la Iglesia está surcada por frecuentes conflictos entre los llamados carismas y la autoridad eclesiástica, tanto la del Papa, como la de los obispos. Pero no sólo eso.

Sín embargo, sería banal recurrir a esa constante histórica o a ilustres precedentes históricos para intentar explicar de modo satisfactorio, o, peor aún, desmontar el conflicto que se dio entre don Bosco y el arzobispo Gastaldi.

Pertenece, sin duda, al género de los conflictos entre autoridad episcopal y carisma religioso, pero tiene una especificidad incontrovertible, que constituye una de las claves de lectura de la rica y compleja personalidad, así como de la actividad, de los dos protagonistas.

Frente a la gravedad y a la continuidad del conflicto se siente un inevitable estupor que se hace mayor si se piensa que, al menos durante veinticinco años — es decir, hasta la primavera de 1872 — los dos protagonistas habían estado en relaciones de óptima amistad, de estima y colaboración.

Si recurrimos a la geometría, las vidas de los dos personajes se pueden imaginar como dos rectas que, partiendo del mismo año de nacimiento — 1815 — se mantuvieron paralelas durante treinta años. Desde 1844 a 1872 se aproximaron en estrecha colaboración, para contraponerse de repente y literalmente en los años 1872-1883. Era diversa su extracción social: campesino pobre Giovanni Bosco, burgués acomodado Lorenzo Gastaldi. No menos diferente su formación cultural y eclesiástica: después de estudios primarios no regulares, don Bosco había asistido a los cursos de filosofía y de teología en el seminario diocesano de Chieri; mons. Gastaldi, en cambio, había recibido una instrucción regular y de buen nivel, dados los tiempos, primero, en el Collegio dei Nobili (o del Carmen) dirigido por los jesuitas, después en la Universidad de Turín, donde, como clérigo externo, había estudiado filosofía y se había doctorado en teología.

Todo lo expuesto en esta comunicación ha sido presentado ampliamente en mi monografía sobre Gastaldi, a la que remito también para las fuentes, bibliografía y citas documentales: G. Tu. ~ni, Lorenzo Gastaldi 1815-1883, vol. I: Teologo, pubblicista, rosminiano, vescovo di Saluzzo: 1815-1871, Roma - Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1983 (especialmente las p. 132-135); vol. II: Arcivescovo di Torino: 1871-1883, Roma - Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1988 (especialmente las p. 259-290: «Il conflitto con don Bosco»).

Ordenado sacerdote en 1841, don Bosco había completado su formación pastoral en el Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi, la escuela de don Luigi Guala y de don Giuseppe Cafasso, echando a andar al mismo tiempo la actividad entre la juventud abandonada; don Gastaldi, sacerdote en 1837, había sido agregado en 1838 al Collegio dei Teologi de la. Universidad, dedicándose, por tanto, a la actividad académica, al estudio y a la publicación de obras de teología moral, introduciéndose en el debate cultural, especialmente en la cuestión rosminiana.

El hecho de que don Bosco perteneciese al clero del Convitto di S. Francesco y don Gastaldi al de formación universitaria significaba que pertenecían a dos escuelas sacerdotales diversas y en muchos aspectos alternativas: alfonsiana y ultramontana la primera, con tendencias rigoristas y moderadamente filogalicanas la segunda, con todas las implicaciones eclesiológicas correspondientes, espirituales y pastorales.

Esta diversa formación tendrá su peso en el conflicto en cuestión; pero en un primer momento no condicionó el encuentro, la comprensión y la colaboración en la actividad que se llevaba en el Oratorio de Valdocco, ya a partir de 1844 o poco después.

El canónigo Gastaldi prestaba su ayuda a don Bosco en la catequesis y la predicación, mientras que su madre, una hermana y después una sobrina ayudaban a mamá Margarita.

Admirador del cura de Valdocco, el canónigo Gastaldi, el 7 de abril de 1849, escribió en las columnas del «Conciliatore Torinese», del que era director, un verdadero panegírico de Valdocco y de su director, exaltado como el «nuovo Filippo Neri».

Y cuando en 1853 partió para Inglaterra como misionero rosminiano, en su testamento secreto legó a don Bosco y a su Oratorio una notable suma de dinero. Desde Inglaterra mantuvo relación epistolar e inició la colaboración en la colección de las «Letture Cattoliche».

Hecho obispo de Saluzzo, también gracias a don Bosco, escribió las más entusiastas y elogiosas cartas comendaticías para obtener de Roma la aprobación de la Sociedad de San Francisco de Sales. Por último, su traslado a Turín en 1871, además del aprecio de Pío IX por el apoyo abierto que dio a la causa de la infalibilidad en el Vaticano I, se debe atribuir también a los consejos de don Bosco al mismo Papa.

2. Las causas


Evidentemente, don Bosco, después de las graves dificultades que había tenido con monseñor Riccardi di Netro para la aprobación de su congregación, había cogido al vuelo la posibilidad de tener en la sede de san Máximo a un obispo amigo. Y con Lorenzo Gastaldi parecía darse la perspectiva más halagüeña.

Los cálculos resultaron errados. Además, no sólo faltó la ayuda soñada, sino que llegó enseguida la oposición.

¿Cuáles fueron las causas?
Mientras tanto, había cambiado el papel de Gastaldi: no era ya el obispo amigo, sino el superior eclesiástico directo, comprometido, por tanto, en primera persona en los problemas de la congregación salesiana, que tenía su cuna y su máxima presencia en Turín.

Sin añadir que precisamente el papel de obispo podía hacer aparecer los contrastes de sus diversas mentalidades, maduradas en procesos formativos notablemente diferentes. Además, el obispo tenía que tener en cuenta la actitud del clero diocesano en relación con la congregación salesiana, recientemente reconocida por Roma.

En efecto, el conflicto de don Bosco con el arzobispo de Turín no nació con Gastaldi, sino que se había dado ya con su predecesor, Alessandro Riccardi di Netro, trasladado de Savona a Turín en 1867. Es decir, Gastaldi se encontró con la herencia de una situación de contraste ya existente.

El conflicto verdadero y propio con la curia turinesa había surgido con la llegada de Riccardi di Netro. Y la razón es bastante simple. La diócesis turinesa, desde 1850 a 1867, había estado de hecho vacante: desde 1850 a 1862, a causa del forzado destierro de monseñor Fransoni en Lyon, la diócesis había estado gobernada por carta a través del vicario general; de 1862 a 1867 había tenido la guía del vicario capitular Giuseppe Zappata. Y todo esto en un período borrascoso para las relaciones entre Estado e Iglesia, sobre todo en Turín.

El nuevo arzobispo tuvo que enfrentarse con una situación no fácil, también en la disciplina eclesiástica, aun siendo el clero turinés un buen clero en su conjunto.

En aquel largo período también don Bosco se había acostumbrado a una cierta libertad de iniciativa, favorecida por otros dos factores: la indiscutida confianza del arzobispo Fransoni y el papel de suplencia vivido en el Oratorio de Valdocco después de la clausura del seminario teológico de Turín en 1848 por las conocidas manifestaciones de los seminaristas.

Con la llegada de Riccardi di Netro en 1867, se cerró un largo período de excepción. Tratando de poner orden en las cosas de la diócesis, el arzobispo se encontró frente al oratorio de Valdocco por la presencia de los seminaristas de la diócesis en él.

El 11 de septiembre de 1867, el arzobispo ordenó a los seminaristas diocesanos que estaban en Valdocco que volviesen al seminario para seguir con regularidad los cursos, si querían recibir las órdenes sagradas.

La orden suscitaba no pocas dificultades para don Bosco, porque se veía privado de un personal precioso para su Oratorio. Más grave aún era el juicio negativo expresado por el arzobispo sobre las constituciones de las que don Bosco pedía la aprobación a Roma. Además de las reservas que expresaba sobre ello, monseñor no era partidario de la transformación de la Sociedad de San Francisco de Sales en congregación religiosa. Si no estrictamente diocesana, la deseaba al menos muy incrustada en la pastoral de la diócesis para los fines para los que había nacido.

La Santa Sede el 1 de marzo de 1869 no concedió la aprobación de las constituciones, sino sólo el reconocimiento como congregación de votos sim. ples a la Sociedad de San Francisco de Sales. Sin embargo, don Bosco obtuvo del Papa el privilegio por diez años de conceder las cartas dimisorias a los seminaristas que habían entrado en sus colegios u oratorios antes de los catorce años; y más adelante obtuvo dársela también a los que habían entrado después de esa edad.

Resulta evidente que a partir de este momento, viendo don Bosco que no obtenía de los arzobispos lo que creía útil para sus fines, el recurso a los privilegios se convirtió en una constante en su comportamiento.

Por tanto, cuando Gastaldi llegó a Turín en 1871, el contencioso entre el arzobispo y don Bosco estaba ya sobre el tapete: la formación de los seminaristas salesianos y sus ordenaciones sagradas, los privilegios obtenidos de Roma (especialmente las dimisorias), la aprobación de las constituciones, en proceso de examen en Roma. Estaba en juego, no sólo la jurisdicción episcopal, sino la misma futura fisonomía de la congregación salesiana.

3. Dos tipos de formación y dos concepciones eclesiológicas


En' este contexto de relaciones ya más bien tensas se metió con toda la fuerza de su personalidad y su aguda conciencia de obispo, formada en la facultad teológica turinesa y madurada en la escuela de Rosmini, el arzobispo Lorenzo Gastaldi.

El comienzo claro del conflicto se dio con la carta del 24 de octubre de 1872, en la que el arzobispo, de acuerdo con el derecho canónico, establecía que los seminaristas salesianos se le presentasen cuarenta días al menos antes de la ordenación, con una declaración de don Bosco sobre el currículum de vida, de formación y de estudio; además, cada vez, los clérigos tenían que sufrir, en la curia, el examen sobre dos tratados de teología. Por el momento, el arzobispo se abstenía de exigir — como era su derecho-deber — que se asistiese a las clases del seminario.

Frente a las comprensibles resistencias de don Bosco, el arzobispo no sólo no atenuó las exigencias, sino que añadió que, sin un noviciado serio, no se teildtía una buenas ormación para la vida religiosa y el arzobispo no apoyaría la aprobación de las constituciones. Por último, precisaba que creía oportunas cierras exenciones, pero no más allá de ciertos límites, como era el examen sobre la idoneidad de los ordenandos.

Era el contencioso ya conocido, pero agravado por la aprobación de la esiana, ya obtenida, y los privilegidos conseguidos por don congregación sal Bosco, que el arzobispo trataba de vaciar apelando al derecho comúnxenta. y al hecho de que la congregación era de votos simples y, por tanto, no e Esta incertidumbre jurídica, llena de incomprensiones, se superará sólo en 1884, después de la muerte de Gastaldi, con la concesión de la exención.

La incomprensión nacía también del diverso modo de concebir la congregación religiosa y, por tanto, el noviciado. El arzobispo pensaba en ella al modo tradicional, considerando el noviciado de los jesu coitas el modelo en el que había que inspirarse. Don Bosco, que, entre otras osas, no tenía formación jurídica, por lo que parece no quería fundar una congregación religiosa tradicional, sino algo más elástico y más adaptado a lostitut amo lo hacía necebientes juvenilsaes.- Esto le ponía ante el siguiente dilema: la novedad del inseriamente más dependiente de los obispos (cosa que, dada la situación, no quería); la autonomía respecto de los obispos era sólo posible si obtenía privilegios de Roma; pero el camino de los privilegios era el de la congregación religiosa tradicional.

Para salir del impasse, don Bosco se adentró con mayor decisión porestimaba el camino de los privilegios; y los obtenía con facilidad de Pío IX, que lo mucho y lo prefería al arzobispo de Turín.

Por su parte, el arzobispo, sintiéndose desbancado por don Bosco y escribía dose cuenta de que Pío IX tenía predilección por don Bosco — y lo esc abiertamente en las cartas a las congregaciones romanas — más de una vez amenazó con negar las dimisorias como obligando, con la amenaza de un gesto llamativo, al Papa, para que tuviese con el arzobispo de Turín la debida consideración. Y como sentía cierta obsesión por el tema de los privileg osi, en su conducta con don Bosco y su congregación, recurría siempre, gracias a su preparación jurídica, al derecho canónico encontrando con frecueendían a seguir si ng simpatía, sí sintonía jurídica en las congregaciones romanas, que tendían el derecho común. A este propósito fue significativo el iter de aprobación de las constituciones, cerrado con el decreto del 3 de abril de 1874.

El arzobispo había enviado su carta comendaticia el 10 de febrero de 1873, pero planteando seis condiciones precisas sobre los puntos ya señalados y pidiendo también que el subdiaconado se confiriese después de los votos perpetuos.

Don Bosco, por su parte, pedía al Papa el 1 de marzo «la aprobación definitiva de las constituciones y plena facultad para conceder las dimisorias».

Ambas partes presionaban a la Santa Sede para que se aceptasen los propios puntos de vista.

Entre otras cosas, el arzobispo, en carta al prefecto de la Congregación del Concilio, se declaraba convencido de que la congregación salesiana no sobreviviría a la muerte de su fundador si no se tenían en cuenta las precauciones que él proponía. Efectivamente, el consultor de la Congregación de Obispos y Regulares acogió sustancialmente las observaciones de Gastaldi sobre el noviciado, los estudios de los clérigos y la colación del subdiaconado después de los votos perpetuos.

Mientras tanto — mostrando cuál era su preocupación fundamental — Gastaldi, el 26 de julio, proponía todavía a la Congregación de Obispos y Regulares la cuestión sobre la exención o no de la congregación salesiana. La respuesta del 18 de agosto revelaba de modo claro que en Roma había dos líneas a propósito de la aprobación de las constituciones: la de la Congregación de Obispos y Regulares y la de Pío IX. Efectivamente, en la respuesta se afirmaba que, por ser la congregación salesiana una congregación de votos simples, no se la podía considerar exenta de la jurisdicción episcopal, «salvo las Constituciones cuando han sido aprobadas por la Santa Sede y los privilegios particulares obtenidos por la misma». A este propósito puntualizaba que si las constituciones estaban todavía sometidas a examen, no se podía ignorar «que más de un privilegio particular ha obtenido el Sacerdote Bosco de Su Santidad sobre las dimisorias que hay que conceder a un cierto número de alumnos; y últimamente en la Audiencia del 8 del actual ha obtenido otro parecido por seis arios».

Y la política de la doble vía se verificó en la aprobación de las constituciones. Aprobadas por la Congregación de Obispos y Regulares con decreto de 3 de abril de 1874, acogieron en la sustancia las observaciones de Gastaldi sobre los puntos cruciales que tanto le preocupaban. Pero se concedía por vía de privilegio lo que se excluía en la normativa de las constituciones: con un rescrito del mismo día se concedía a don Bosco por diez años la facultad de conceder las dimisorias a los salesianos que debían ordenarse. Además, el 8 de abril, don Bosco obtenía de Pío IX, vivae vocis oraculo, la exención del tipo de noviciado sancionado por las constituciones.

A Gastaldi le resultó claro que Roma, de hecho, con el peso de Pío IX, estaba con don Bosco. Pero la ambigüedad objetiva de la solución — constituciones por un lado y privilegios por otro — se la hacía aún más humillante. Todo se habría arreglado, con no demasiada dificultad, si el arzobispo la hubiese aceptado sin pestañear. Pero este tipo de resignación no le iba bien a su carácter, sobre todo porque estaba convencido de sus legítimas razones. ¿Tozudez? ¿Lúcida conciencia de los derechos-deberes de un obispo?
El hecho está en que todo lo que sucedió después — cuando todo se hizo más difícil en las relaciones entre el arzobispo y don Bosco — ha de achacarse también a la ambigüedad romana, oscilante entre las disposiciones legislativas y los privilegios personales.

4. El período más crítico


El período más crítico de las relaciones entre el arzobispo y don Bosco fue el de los años 1878-1879, cuando se publicaron cinco libelos anónimos contra el arzobispo, en los que ocupaba un espacio notable el conflicto del que tratamos. Fueron años verdaderamente de fuego para el arzobispo, porque la publicación de los libelos coincidió con el momento más delicado de la polémica andrrosminiana, en la que el arzobispo, cada vez más solo frente a Roma, era el blanco de las contumelias de los intransigentes.

El primer opúsculo salió al final de 1877 y tenía como título: Lettera sull'arcivescovo di Torino e sulla Congregazione di S. Francesco di Sales. Un po' di luce, en el que se vertían pesadas acusaciones al arzobispo por el trato que daba a don Bosco.

El hecho de que el autor se declarase «Cooperatore salesiano», orientó las sospechas en una dirección: el arzobispo estaba convencido de la paternidad salesiana. En efecto, en la relatio ad limina del 18 de marzo de 1878 acusaba a los salesianos de haber publicado el opúsculo y de haberlo difundido por todas partes. El autor, como se supo más tarde, era el canónigo Giovanni Battista Anfossi, que había sido salesiano y fue después sacerdote diocesano y que tenía estrechas relaciones con los salesianos. No se había apagado todavía el eco del primer libelo, cuando, en mayo de 1878, apareció el segundo, igualmente anónimo (el autor era, según confesó él mismo, don Giovanni Turchi, exalumno salesiano, amigo de don Anfossi y también él en relación próxima con los salesianos). Tenía como título: Strenna pel clero ossia rivista sul calendario liturgico dell'archidiocesi di Torino per l'anno 1878 scritto da un Cappellano. El libelo era un pretendido proceso sumarlo contra el arzobispo, al que se acusaba de ser: perseguidor del clero, en especial de don Bosco; liberal; culpable de haber hecho morir de disgustos a Pío IX; paranoide e indigno del oficio episcopal.

El escrito era de hecho también una incitación a la rebelión dirigida al clero turinés. Y en una parte del clero — tal vez notable — no faltaba el descontento: el arzobispo era severo y exigente, a veces autoritario y fácil en procedimientos represivos.

De la misma sociedad anónima, formada por Turchi y Anfossi, con la colaboración de los jesuitas Ballerini (desde 1841 adversario de Gastaldi en la cuestión rosminiana) y Rostagno, se publicaron los otros tres libelos anónimos: Piccolo saggio sulle dottrine di monsignor Gastaldi arcivescovo di Torino; La questione rosminiana e l'arcivescovo di Torino. Strenna pel Clero compilata dal Cappellano (no se olvide que se estaba en plena bagarre antirrosminíana, en la que estaba implicado en primera persona el arzobispo); y, por último: L'arcivescovo di Torino, don Bosco e don Oddenino, ossia fatti buffi, seri e dolorosi raccontati da un chierico, nacido en el contexto de una violenta polémica local
en torno al oratorio salesiano de Santa Teresa de Chieri.

La penosa avalancha de libelos anónimos, que tuvo amplio eco entre el clero y la prensa laica y anticlerical, no sólo dañó la imagen y el prestigio pastoral del arzobispo, sino que tampoco prestó un buen servicio a don Bosco. Los libelos comprometieron definitivamente, aun en el plano personal, sus relaciones con el arzobispo, que quedó convencido de que estaba implicado en la difamación orquestada contra él.

En aquel momento, al faltar la confianza recíproca, las .cosas no podían sino empeorar; el arzobispo cada vez más convencido de tenérselas que ver con un cura desobediente, todo menos santo; y don Bosco convencido de que tenía un arzobispo perseguidor.

De varias partes se intentaba que se llégase a la conciliación. Esta llegó, en efecto, por obra de León XIII con el acto de la concordia el 16 de junio de 1882. Un compromiso que se deseaba y oportuno, pero que fue más formal que real, tanto se había enredado la madeja de las ideas y de los sentimientos.

La muerte imprevista del arzobispo, la mañana de Pascua de 1883, el 25 de marzo, fue lo que puso fin al conflicto, con el desgarro e interrogantes todavía abiertos.

5. En síntesis


¿Qué valoración se puede expresar sobre el conflicto?
Sin pretender una imposible sentencia salomónica, que estaría fuera de lugar, creo oportuno sugerir, sin pretensiones de decirlo de modo completo, algunos motivos.

En primer lugar, los motivos temperamentales: ambos, caracteres fuertes y seguros de sus propias razones, no exentos de una cierta tozudez, más impulsiva (pero a veces también autoritaria) la del arzobispo, más tenaz (como en un buen campesino) la de don Bosco. De hecho, ni uno ni otro hicieron nunca una concesión sustancial con vistas a un bien pastoral superior, más allá de lo que hubiera de propia razón, verdadera o presunta.

En segundo lugar, los motivos de la mentalidad. La formación ultramontana recibida en el Convitto di S. Francesco por don Bosco (capaz también, sin embargo, de comportamientos pragmáticos y elásticos en determinadas circunstancias de dirección opuesta) le llevaba a una visión edesiológica verticalista, en que la verdadera autoridad era la del Papa, de quien los obispos eran sobre todo los portavoces. Esto explica su tendencia a pasar por encima de la autoridad diocesana de un modo sistemático. La formación moderadamente episcopalista de Gastaldi, enriquecida por las lecciones patrísticas de Rosmin. i, que ponía de relieve la centralidad del obispo en la diócesis, no había sido absorbida por su adhesión a la infalibilidad pontificia, sostenida personalmente en el Concilio Vaticano. Su actuación demuestra que él conservó siempre la convicción de una legítima autonomía de la autoridad episcopal frente a la del Papa.

En tercer lugar, los motivos inherentes a los colaboradores y al entourage, que inevitablemente influyen sobre quien tiene responsabilidadades de gobierno. Tuvieron óptimos colaboradores, pero no faltaron tampoco personas poco iluminadas, pastoralmente miopes y moralmente poco límpidas (algunas fácilmente identificables, otras menos, pero indudablemente presentes), que complicaron, queriendo o no, las ya difíciles relaciones.

Por último, ¿cómo no atribuir un peso no indiferente a la ya recordada ambigüedad romana al producir en la diócesis de Turín incertidumbres de conducta de consecuencias dolorosas?
De todo este asunto, no precisamente luminoso, vale la pena subrayar, como final, su importancia histórica, que supera a sus protagonistas: al día siguiente del Vaticano I, que había definido el primado y la infalibilidad papal, dejando en la sombra el oficio episcopal, la conducta del arzobispo Gastaldi y la de don Bosco aparecen tambíén como un síntoma de cierta desazón edesíológica frente a una edesiología dominante, la ultramontana, que tendía a ignorar, diríamos que con excesiva desenvoltura, la autoridad episcopal.

IGLESIA Y MUNDO
EN LA «STORIA. ECCLESIASTICA» DE DON BOSCO


Franco MOLINARI


1. Introducción


La dialéctica Iglesia-mundo en el curso de los siglos ha tenido vicisitudes alternas y contradictorias.

En la época de los mártires, el Evangelio ejerce una carga revulsiva y revolucionaria. En la llamada edad constantiníana, se llega a la confusión de los poderes y a la identificación de las dos esferas (Ecclesiam et Imperium esse "unum).

Después de la fractura del siglo XVI, emprende su marcha en los siglos XVII y XVIII el proceso de secularización, que se acentúa con ocasión del Iluminismo, de la Revolución francesa, del Risorgimento.

La edad moderna y contemporánea se plantean una línea de tendencia hostil a la Revelación: la Ilustración lanza el ataque contra la divinidad de Cristo y contra la Iglesia, porque se la considera como maestra de intolerancia. El siglo XIX ostenta el movimiento ascendente de la incredulidad hasta el ateísmo, que se convertirá en ateísmo social. En esta última fase, el catolicismo se considera como una ciudad asediada por fuerzas hostiles, como arca de Noé, la única que ofrece salvación. A la contraposición frontal le sucede la competencia de la Iglesia con el mundo a través de las estructuras católicas, hasta que el Concilio Vaticano II lanza el diálogo y el servicio.

Los documentos pontificios (desde las encíclicas romanas hasta las pastorales diocesanas) trazan con ardor y polémica el itinerario de la civilización moderna. Lutero se rebela contra el Papa, la Ilustración rechaza la Revelación sobrenatural, hasta que explota el ateísmo, que inicialmente es un fenómeno burgués y después se trasmite a la clase obrera.

En el campo de la ideas, el Maritain de los tres reformadores une y sitúa. en el mismo plano descendente el libre examen de Lutero, la duda metódica de Descartes y la libre educación de Rousseau; y es significativo que hasta el joven Montini traduzca al italiano en 1928 los Tres reformadores,' con el mérito de
1 J. MARITAJN, Tre riformatori, Brescia, Morcelliana 1938 (2° ed. 1964). Maritain considera a contribuir a la desprovincialización de la cultura italiana y con el acierto de un prefacio abierto al diálogo, pero con el grave inconveniente de contradecir el cliché lanzado, entre otros, por Cornoldi, que afirmaba hacia 1870 que la historia del pensamiento moderno no es más que la patología de la razón ha. mana.2
¿Cuál es la lectura que hace el joven don. Bosco de esa cuestión en la stork ecclesiastica? Téngase presente que publica esta notable obra juvenil a la edad de treinta arios, con el deseo, no de ponerse en la línea de la historio científica a
científica todavía inmadura en el campo católico,3 sino de contribuir a la formación de los jóvenes en la total y entusiasta fidelidad a la Sante Sede. El leitmotiv del volumen, que se modela sobre Loriquet, Soave, Bercastel, está bien precisado en el final apologético sobre los triunfos de la Iglesia descritos en la parte que cierra la Storia ecclesiastica.

Y, sin embargo, algún estudioso sitúa a don Bosco junto al P. Curci, entre los famosos conciliadores aplastados y reducidos al silencio por la supremacía de los combativos intransigentes; y el motivo es que tenía muchos amigos entre los políticos influyentes y actuó con frecuencia como intermediario entre el gobierno y la Santa Sede.4
Esta tesis del inglés Seton Watson tiene un núcleo de verdad, es decir, que don Bosco actuó de mediador5 en el nombramiento de los obispos para las innumerables diócesis vacantes y para el exequatur (ver los estudios ejemplares y documentados de Francesco Mono). Pero haber hecho de puente entre el gobierno de Vittorio Emanuele II y la Santa Sede no significa en absoluto que se
Lutero, Descartes y Rousseau como a tres grandes de la civilización moderna, iniciada en el Renacimiento, llegada al ápice con la Ilustración y con la Revolución francesa. Maritain concede demasiado al género apologético, matizado de maniqueísmo, que separa con corte neto el bien y el mal, y emite una sentencia de condena global del pensamiento moderno, el cual ha tenido, sin embargo, el gran mérito de defender la dignidad de la persona humana, brutalmente pisoteada en el Anden Régime.

2 C.M. CORNOLDI, Lezioni di filosofta ordinate alio studio delle altre scienze, Firenze 1872, p. XXIII. Tal descalificación global de la mentalidad moderna no es algo propio de Cornoldi, sino un lugar común de la cultura católica, y aparece como componente programático de la «Civiltá Cattolica». Cf. C.M. CURCI, II giornalismo moderno e il estro programma, en «Civiltá Cattolica» 1 (1850) 5-24 (aquí habla el Curci intransigente y temporalista).

F. TRANIELLO, Cultura ecclesiastica e cultura cattolka, en: Chiesa e religiositá in Italia dopo l'Unitá (1861-1878), Relazioni II, Milano, Vita e Pensiero 1973, p. 3-28; también Cursi en la segunda fase de su pensamiento denuncia la pobreza y el atraso científico de los estudios edesiá.16- cos: C.M. CURCI, La nuova Italia e i vecchi zelanti, Firenze 1881; G.D. MUCCT, Carlo Maria Cura fondatore della «Civilta Cattolica», Roma, Studium 1988; ID., II primo direttore della «Civiltá
Cattolica». Carlo Maria Curd tra la cultura dell'immobilismo e la cultura della storicitá, Roma, Ed. Civiltá Cattolica 1986.

SE, 387-388. (Esta sigla se refiere, como se indica en las «Siglas y abreviaturas», a la edición de 1845. Las ediciones siguientes se citarán indicando, después de la sigla SE, el año de edición y la página correspondientes). Acerca de los católicos conciliadores y las varias corrientes: F. TRANIELLO, Cattolkesimo conciliatorista, Milano, Marzorati 1970.

5 C. SETON WATSON, Stork d'Italia dal 1870 al 1925, Bari, Laterza 1967, p. 73. 813.

mitad de camino entre Rattazzi y Pío IX y menos aún que trabajase situase a por la reconciliación entre la Iglesia y el mundo moderno; en efecto, por una parte era un fiel ardoroso del pontificado romano6 y un convencido asertor del de era temporal, del Syllabus, de la intransigencia papal; por otra, gozaba de la poder de los liberales por su desinteresada acción filantrópica a favor de la confianza dispersa, socialmente peligrosa y por su vertiginoso dinamismo y el espíritu de sacrificio manifestado en las negociaciones. Y es precisamente su total entrega a la causa papal lo que le consintió superar obstáculos formidables como la hostilidad final del arzobispo Gastaldi y arrancar a las cumbres vaticanas la aprobación de una obra revolucionaria como la creación de los salesianos:7 revolucionaria por la atmósfera que desataba, por el ambiente que pretendía alcanzar, por la nueva figura de sacerdote metido en la masa caótica y ruidosa de jóvenes que jugaban y gritaban en un patio; una figura tan diferente del sacerdote tridentino, concebido como hombre de lo sagrado, separado del pueblo hasta en la misa (y los muros de separación eran la lengua latina, la balaustrada, la casa cural, la nula familiaridad y la separación total de los laicos, tan calurosamente inculcada por San Carlos en las Acta ecclesiae mediolanensis). Precisamente por ese carácter atrevidamente innovador, don Bosco se verá obligado a modificar repetidamente su regla, antes de que quedase aceptable para las exigencias oficiales, preocupadas por contener las nuevas iniciativas en fórmulas aprobadas en los tiempos pasados.8 Veamos ahora si ese equilibrio que hace del sacerdote turinés el hombre de confianza de las dos orillas opuestas, está o no presente en la Storia ecclesiastica.

• F. Morro, L'azione mediatrice di don Bosco nella questione delle sedi vescovili vacanti in Italia dal 1858 alla morse di Pio IX, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 251-328. Motto, que actualmente está preparando la edición crítica del epistolario de don Bosco, opina que se puede llegar a encontrar algún manuscrito inédito.

• M. BELARDINELLI, Don Bosco e íl Concilio Vaticano I, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 239-250; entre otras cosas, se sabe que don Bosco fue uno de los que convencieron a Gastaldi para que votara incondicionalmente la infalibilidad pontificia en el Vaticano I; y que el Santo había conocido al futuro obispo Scalabrini cuando era rector del Seminario de Como.

• R. AUBERT, La Chiesa Cattolica dalla crisi del 1848 alla prima guerra mondiale, en: Nuova Storia della Chiesa, 5/1, Torino, Marietti 1977, p. 156: acerca de la novedad, en cierto sentido revolucionaria, de la imagen del sacerdote salesiano, cf. el cidostilado: P. STELLA, II prete piemontese dell'800 tra la rivoluzione francesa e la rivoluzione industriale, Torino 1972 («Centro di Studi sulla Storia e la Sociologia Religiosa del Piemonte»).

9 Se pueden encontrar noticias más amplias en: F. MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 203-238; muy interesante el volumen: M. MIELE, Tommaso Michele Salzano (1807-1890), separata de «Campania Sacra» 1986.

Se publicó este libro en 1845 y pertenece a la fase juvenil con todos los méritos y todos los defectos de la edad.9 Entre los aspectos positivos de la obra está la claridad inmediata y comunicativa, facilitada por la forma catequística de preguntas y respuestas (con San Agustín, don Bosco pensaba: prefiero que me corrijan los doctos a que no me entiendan los rudos). El libro recogió aplausos y tuvo varias reedicíones, no sólo por el estilo popular y luminoso y por una lcugua bencina y apropiada, libre de arcaísmos y piamontesismos chalectales, sino también por su uso escolar, especialmente entre los hermanos de las Escuelas Cristianas.w Estas reediciones no agradaron al autor, porque esta. ban plagadas de errores tipográficos. Sí se vio reflejado, en cambio, en la de 1871, que se presenta como cuarta edición mejorada. La revisión es sin duda positiva: se liman las virulentas polémicas de la primera edición y se distribuye la materia de modo más orgánico. Discutible y opinable, en cambio, es el abandono de la forma catequística de preguntas y respuestas y la transformación en texto puramente narrativo por obra de don Giovanni Bonetti, que eran un fiel colaborador de don Bosco. Sería interesante conocer los motivos de estas dos metamorfosis. Desde luego es curioso y singular el hecho de que, mientras sube y se exaspera la polémica católica hacia 1870, la nueva edición de don Bosco, aun a través de la intervención de Bonetti, modera los tonos anteriores, por ejemplo, sobre la «Divina vendetta» contra los herejes. Pero no mucho más.

2. Iglesia y mundo


Hay que señalar un hecho. Escribe la esquemática Storia ecclesiastica en los años 1844-45, bajo el poritificado de Gregorio XVI, un hombre tan abierto en el aspecto misionero como cerrado y conservador ante la civilización moderna (dijo «no» al ferrocarril y a la iluminación en el Estado Pontificio, por el temor de que sirviesen para la circulación y las reuniones nocturnas de los liberales). Por eso se comprende por qué el bajo continuo es el De Triumphis Ecclesiae publicado por Cappellari en 1799 y cuyo eco parece oírse en estos párrafos: «En todo tiempo fue combatida con el hierro y con la espada, y triunfó. Ella ha visto derrumbarse y arruinarse completamente en torno a sí los reinos, las repúblicas y los imperios; ella sola permanece firme e inmóvil. Corre el siglo decimonono desde que fue fundada, y se muestra hoy día en la más florida edad»."
Entre todos los grandes de la historia, Napoleón fue el personaje simbólico cuya historia, llena de alternativas, enseña la fuerza inquebrantable de la Iglesia perseguida, la inutilidad de descender a compromisos con el mundo (véase la ingratitud de Napoleón hacia el papa, que le había coronado emperador en París), la pena del tropiezo que Dios aplica contra los réprobos.
I° La obra está dedicada al H. Hervé de la Croix, provincial de los Hermanos de las Escuelas Cristianas, amigo de don Bosco.

" SE, 387-388; es menos polémica la fórmula usada en 1871, en la que se enuncia: «Finalmente comunque vedismo la Chiesa perseguitata, nulladimeno dobbiano rimanere fermi nella fede; tenendo per ceno che la guerra finirá col trionfo della Chiesa e del suo supremo Pastore» (SE 1871, 371). Como se ve, fue tachado el párrafo sobre la caída de los reinos, repúblicas e imperios, quizás porque el año anterior había desaparecido el Estado Pontificio.

Cuando murió PIO VI, los revolucionarios de Francia declararon: «Ha muerto el último pa-«Pero es Dios quien fundó y gobierna la Iglesia, por eso resultan vanos todos los esfuerzos de sus enemigos»
Napoleón hace esperar un gobierno más dulce y menos sanguinario." Por eso Pío VIL que había sido elegido en Venecia a pesar de los augurios de desgracias, estipulaa con él el Concordato, que él se apresura a violar. El papa acepta ir a París para coronado emperador, pero éste «recompensó la condescendencia del papa con la más monstruosa ingratitud, dejándose llevar de excesos contra él, de los que hasta entonces no se tenían ejemplos»." Napoleón se rio y burló de las sanciones papales, exclamando: «¿Cree, quizás, el papa que sus excomuniones harán caer las armas de las manos de mis soldados? ».16 Pero tuvo que experimentar que favorecer a la Iglesia es principio de grandeza, y perseguirla principio de ruina.'
El insolente emperador «es tomado por la fuerza y hecho prisionero, viene conducido a Fontainebleau, en aquel mismo palacio en el que tuvo en cadenas al Santo Padre, y riega con las lágrimas de su desesperación aquellos mismos lugares, donde hizo correr las lágrimas del Vicario de Jesucristo ».18
El mundo, para don Bosco, como para San Agustín y San Alfonso, está sucio. Los buenos y los malos están divididos por murallas altísimas, como el pobre Lázaro en el seno de Abraham y el rico Epulón en el fuego del infierno. Pero, mientras el autor del De civitate Dei encuentra «en el potentísímo e ilustre imperio romano la preciosidad de las virtudes civiles, aunque sin el sello de la verdadera religión»," don Bosco no halla fuera del perímetro católico ningún alma de verdad, o razón seminal, como afirma la línea abierta por el filósofo Justino que, aunque perseguido y martirizado por el paganismo, tuvo una profunda comprensión hacia los valores cristianos que estaban también en el paganismo como semillas esparcidas de la Verdad plena.

En esta psicología de rechazo, don Bosco sigue la escuela de la corriente contrarrevolucionaria y romántica (De Maistre, Chateaubriand, Donoso Cortés, etc.), desde San Alfonso de Lígorio, los papas de la Restauración. No falta alguna expresión o matiz nuevos.

Los bienpensantes, como el masón católico Joseph De Maistre, consideran los acontecimientos revolucionarios y jacobinos como «desorden, locura, impiedad, ruina de todos los principios y de todos los sostenes políticos y mora. les de toda convivencia civil».

'2 SE, 371; en la edición de 1871 (p. 330) la frase es omitida y sustituida con una expresión que se limita a narrar los hechos.

" SE, 359. " SE, 360.

15 SE, 361.

16 SE, 366.

" Ibid.

" SE, 367: idéntica la redacción de 1871 (p. 335).

" Patrologia latina, 33, 533. Agustín prosigue: «para que se comprendiese que con la añadidura de la misma [la verdadera religión] los hombres se hacen ciudadanos de otra ciudad, en la que el rey soberano es la verdad, la ley es la caridad y la medida de la vida es la eternidad».

La apologética católica denuncia las muertes, la anarquía, el asalto a la propiedad, la persecución de la Iglesia en el clero no jurado y en el papa. También los inmortales principios «libertad, igualdad, fraternidad», hundidos en tierra de Evangelio, se rechazan en bloque que aun, porque violan los derechos de la autoridad de origen divino, favorecen la indiferencia religiosa, deforman la libertad y la transforman en licencia 20
Don Bosco, falto de perspectiva histórica y de solidez cultural, no comparte la postura de Rosmini que piensa que empobrecer a la Iglesia significa salvarla. La Iglesia sale de la revolución empobrecida y despojada del poder político. ¿Pero era eso un daño grave?
Rosmini compara las riquezas de la Iglesia con la armadura de Saúl que le hacía a David impotente, y exclamaba: «¿En qué parte encontraremos un clero inmensamente rico, que tenga la valentía de hacerse pobre? ¿O que tenga al menos la luz de la inteligencia no empañada para darse cuenta de que ha sonado la hora, en la que empobrecer a la Iglesia es salvarla?»." Aunque alineado en la intransigencia contrarrevolucionaria y en el moralismo tradicional, don Bosco, tal vez en nombre de la experiencia práctica y del contacto con la realidad, atenúa ciertas posturas de San Alfonso, que había escrito: «Non sei nato né per vivere, né per godere, per farti ricco, per mangiare come bruti». El fundador de los salesianos suaviza esa concepción rigorista y añade: «Non sei al mondo solamente per godere, per farti ricco, per mangiare».22 Reproduce en el Giovane provveduto la canción alfonsiana «mondo piú non sei per me», entendiendo por mundo, no la creación que salió de la manos de Dios buena, ni la colaboración del trabajo humano con Dios, sino el mundo arrastrado por el pecado original y poseído por Satanás. Pero dulcifica a San Alfonso con el espíritu de San Felipe Neri, que recomendaba a sus educandos: «Estad alegres: no quiero escrúpulos, ni melancolías; me basta que no cometáis pecados».23 Aquí está el origen histórico del dicho salesiano: Servite Domino in laetitia.

20 G. MARTINA, La Chiesa nell'eta del liberalismo, Brescia, Morcelliana 1979, p. 8; por lo que se refiere a la mentalidad contrarrevolucionaria que respiró el joven Bosco, se puede ver: C. BONA, Le Amicizie Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torio, Societá Subalpina 1962; L. MEZZADRI, La Chiesa e la rivoluzionefrancese, Milano, Edizioni Paoline 1989.

21 A. ROSMINI, Le cinque piaghe della Chiesa, a cura di C. Riva, Brescia, Morcelliana 1966, p. 163; la mentalidad opuesta, es decir, aquella que detecta en toda confiscación del patrimonio eclesiástico un atentado a la fe, emerge con fuerza en las revistas eclesiásticas de la Restauración: Enciclopedia ecclesiastica (Napoli 1821-1823), Memorie di religione, morale e letteratura (Modera 1822-1823), Amico d'Italia (Tocino 1822-1830).

STELLA, Don Bosco II, p. 41; los diferentes matices, quizás, no se explican tanto por enfoques teológicos diversos (don Bosco sigue la línea benignista de San Alfonso) como por las épocas y los contextos diversos, en los que ambos operan: Alfonso se dirige al hombre del 700, don Bosco está en contacto con jóvenes del 800.

23 Ibid., p. 56-57 (don Bosco usa también varios recursos como la gimnasia, la música, la declamación, el «teatrino», los paseos, como, por otra parte, había hecho desde la infancia).

En cuanto a los papas de la Restauración, su presencia en don Bosco está atestiguada por el juicio duramente negativo que hace de la Revolución francesa, de la Masonería y las sociedades secretas, a las que se atribuye el objetivo constante de querer demoler al mismo tiempo el trono y el altar,24 de la sociedad liberal y socialista, que opone toda clase de obstáculos a la escuela católica y a la exposición social de la religión, mientras que abre los diques a la prensa blasfema y obscena, a los espectáculos antieducativos, a la moda pagana.

El itinerario de la descristianización moderna en los documentos pontificios igual que en la Storia Ecclesiastica procede a través de algunasetapas fundamentales, que son: Lutero, masones, enciclopedistas (Voltaire, Rousseau), jacobinos (Robespierre). Estos personajes no son más que disfraces de Satanás. La identificación del diablo con la Revolución será un leit-motiv deel d Pío IX después de 1849 y se encuentra ya en nuestro autor, que afirma que emonio «bajo el manto de las sociedades secretas, de la moderna filosofía, excita rebeliones, suscita sangrientas persecuciones». En homenaje al libre examen, los protestantes deben decir: «Haced la que queráis: robad, desobedeced, matad al rey»."
Después de Lutero y Calvin°, cuya vida «monstruosa» fue castigada por la «Divina vendetta» con una muerte horrenda,26 la otra bestia negra es la Máso
24 F. MOLINARI, La Massoneria nei documenta pontifici dell'Ottocento (en prensa); J.A. FERRER-BENIMELI - G. CAPRILE, Massoneria e Chiesa cattolica ieri oggi domani, Roma, Edizioni Paoline 1979, p. 17 (los documentos antimasónicos son muy repetitivos: la constitución Providas de Benedicto XIV reproduce prácticamente la constitución In eminenti de Benedicto XIII y define el objetivo de las asociaciones masónicas con la fórmula, después repetida siempre por los papas del Ochocientos: maquinar contra la religión, el Estado, las leyes; la Revolución francesa, como conjura masónica, forma parte como topos del patrimonio católico decimonónico; pero queda «redimensionada» por la convergencia de muchos datos: la Masonería es progresista y predica la monarquía constitucional, pero no el terror jacobino; apoya el trinomio programático «libertad, igualdad, fraternidad», pero camina en la dirección de las reformas, no de la revolución; entre los guillotinados de la Revolución muchos eran masones, entre los cuales el sacerdote Jean Marie Galot (1747-1794), beatificado por Pío XII. Se puede ver su perfil en: Liberi muratori di ieri e di oggi, Roma, Camelo Editore 1986, p. 219; en cambio, Napoleón estaba muy cercano a la Masonería, y probablemente él mismo era masón (cf. F. COLLAVERI, Napoleone imperatore e massone, Firen7e, Narclini 1986). En Italia el historiador mejor informado es: A. MOLA, Storia della Massoneria italiana dall'Unita alía Repubblica, Milano, Bompinni 1976; la tesis del complot masónico es atribuida a A. Barruel, quien, sin embargo, distingue unos masones come lotistas de otros; por tanto, tampoco Barruel acepta la tesis del complot masónico, que fue enfatizada después de él.

2' SE, 278s; la frase se repite idénticamente en: SE 1871, 267; la en «Ri mentalidad di de Pío IX se ilustra con vigor en: P.G. CAMMANI, diavolo, Roma e la rivoluzione, vista Storia e Letteratura Religiosa» 8 (1972) 485-516; idénticos temas resuenan en el artículo del mismo autor en: Chiesa e religiosita in Italia dogo ?Unita (1861-1878), Relazioni II, Milano, Vita e Pensiero 1973, p. 65-128; muy bien informado está: C. BRE221, Orientamenti della Massonetia intorno al 1870, en: Ibid., Comunicazioni II, p. 307-340 (Brezzi analiza a través del microscopio el anticlericalismo masón); téngase presente que en la edición de 1871 la SE de don Bosco amplia enormemente la presencia de la Masonería en Italia; el Santo recibió, probablemente, el influjo del clima que se formó después de la «Breccia di Porta Pia».

26 SE, 301.306; en SE 1871, 285, la desaparición de Lutero se describe de modo idéntico;
nería que, según él, fue la que desencadenó la Revolución francesa.

La responsabilidad de la Masonería sobre la apostasía del mundo modernc llega a tal punto de simplificación y de violencia que el mismo papa Benedicto (1740-1758), de quien se conoce bien la apertura hacia la cultura y la correspondencia con Voltaire, es para don Bosco casi sólo el paladín de la lucha antimasónica: «empleó las dieciocho años de pontificado combatiendo a los herejes, reprimiendo las tramas que los masones y los filósofos tendían a la religión».27
Nuestro autor dice que los masones reciben sus doctrinas de Manes y que provocaron todos los males que derivaron de la Revolución francesa «conspirar con implacable odio contra los reyes, los Papas y los sacerdotes, y contra el Dios de los cristianos, destruir a Dios y la religión, y con esta misma religión se obligan bajo juramento ante aquel Dios que se pretende destruir; los masones recibieron después también el nombre de jacobinos del templo dedicado a S. Jacobo, donde se habían reunido».28
Los francmasones, los filósofos ilustrados, los jacobinos son hermanos gemelos, unidos por el mismo pensamiento que los masones cultivaban en secreto, los filósofos dieron a conocer y los jacobinos transformaron en matanzas despiadadas. Escribe don Bosco: «Las sociedades secretas, algunos fanáticos llamados iluminados, unidos a los filósofos, con la pretensión de querer reformar el mundo, produciendo en todos la igualdad y la libertad, suscitaron una revolución, que habiendo comenzado en 1790 duró 10 años y fue causa del derramamiento de mucha sangre».29
Resistencia y supervivencia de la Iglesia como piedra, contra la que se quebraron los esfuerzos de los impíos, muerte infame de estos impíos: esas son las constantes de la historia, en la que las puertas del Infierno no prevalecen. Voltaire, aun habiéndose confesado, murió desesperado; Rousseau tomó veneno y después se mató con una pistola; Robespierre, monstruo antropófago (en el sentido literal del término) «para evitar el bochorno de una muerte pública cual otro Nerón, se dispara un golpe de pistola en la boca, se destroza la mandíbula superior y no muere. Se le deja agonizar largo tiempo en medio de los pero se omite la frase de la edición anterior que decía «cessó di vivere qui per andar nell'inferno a parir co' demoni, i quali aveva pió volte implorato in suo aiuto» (además se corrigió el error de la fecha, que hacía morir a Lutero en 1545 en vez de en 1546); en la edición de 1871, fue quitada «Divina vendetta» que, en la primera edición, hacía espirar a Calvin entre atroces torturas.

27 SE, 334; SE 1871, 314-318 (el antimasonismo es una constante, que se mantiene, es más, se acentúa en la segunda edición, que repite y subraya la inexactitud de la primera, por ejemplo, que la doctrina masónica es la de Manes y que las leyes masónicas son escuelas de ateísmo).

28 SE, 335-336; SE 1871, 321-322 (también en esta edición se repite la consabida tesis de la Revolución francesa complot masónico y de la Masonería atea y materialista: basta leer la Constitución de Anderson [1723], para darse cuenta de que el ateo no es admitido en la Masonería, cuya finalidad última es la de construir la «Familia universal de los amorosos hermanos» y no la de dejarse llevar por el maniqueísmo o por el «fraccionismo» clásico.

29 SE, 343.

insultos punzantes de la plebe, y ya muy cercano a abandonar esta vida, es conducido sobre el palco y le cortan la cabeza en 1794»
lustrado, del socialista
La muerte atroz del hereje, del perseguidor, del i saint-Simon,3' que corresponde al canon clásico De mortibus persecutorum de Lactando, no revela desde luego al Dios-Amor, cuius proprium est misereri semper et parcere, sino más bien al Dios Justiciero que manifiesta la «Divina vendetta», no sólo con el infierno, sino también con la desesperación en la tierra. Non est pax impiis es la contraposición del servite Domino in laetitia. En la otra orilla de este rincón infernal con todo mal sin ningún bien, que es el mundo pecaminoso, se contrapone la comunidad católica sede de todo bien sin ningún mal. Se podría hablar de monofisismo historiográfico, en el sentido de que don Bosco pone entre paréntesis y calla lo material humano sólo das l la Iglesia y las inevitables debilidades de las criaturas, para subrayar uces, que son las obras de la caridad y la ola de tantos santos.

La estrategia apologético-polémica, unida a la finalidad de mantener a los jóvenes lejos de los valdenses del Piamonte y de la corrupción de la civilización moderna hace que en la interpretación de las grandes fracturas eclesiales del siglo XI y del XVI y hasta de los abusos del colonialismo, la responsabilidad se atribuya exclusivamente a las «ramas secas» y nunca a los católicos. A propósito de la Iglesia de Oriente, el comentario amargo lo liga con la caída de Constantinopla (1453), durante la cual los soldados de Mohamed II devastaron iglesias, profanaron conventos, martirizaron al pueblo: «Aquella Grecia-- comenta el historiador intransigente — que dio a la Iglesia grandes santos e insignes doctores, ahora yace envilecida en medio del vicio y de la ignorancia. No ha querido reconocer la autoridad del sucesor de Pedro ataron que la como trataba como un padre, ha caído bajo el yugo de los infieles, que la truna esclava ».32
La página oscura de los conquistadores españoles y portugueses queda sotica más débil era siempre la del paraíso); el historiador Delumeau, católico ferviente, cuenta que la raíz de sus investigaciones sobre el miedo en Occidente se encuentra en el efecto traumático de las letanías de la buena muerte, recitadas en el colegio salesiano de Niza Marítima, al que fue llevado, a los trece años, después de la muerte de su padre (cf. J. DELUIvIEAU, La peur, en Occident [XIV-XVIII], Une cité assiégée, Paris, Fayard 1978, p. 25-27).

" SE, 338-339.345-346; SE 1871, 317-318.323 (idéntica la versión de la muerte de Voltaire, Rousseau y Robespierre; a propósito de la de este último, se repite la «Divina vendetta», con abundante distorsión de hechos reales). .

33 SE, 375s (en la edición de 1871 se omite la vida y la muerte atroz de Saint-Simon); la pedagogía del miedo, que está implícita en toda la SE y emerge, sobre todo, del motivo «de mortibus persecutorum» resuena en toda la educación católica del Ochocientos, que en los ejercicios espirituales incluye siempre la descripción de la muerte, juicio, infierno, purgatorio, paraíso p

" SE, 275; SE 1871, 258-259. La absoluta falta de espíritu ecuménico es un signo de los tiempos más que una característica de don Bosco; la hegemonía de la recíproca y agria polémica sobre el diálogo fraterno en las relaciones católicos-valdenses emerge en el librito de: M.L. STEANIERO, Don Bosco e i valdesi, Torio, Claudiana 1988. Se trata de un librito pobre desde el punto de vista científico, pero interesante como espejo de mentalidades.

brevolada y casi eliminada por la benemerencia de los misioneros. Escribe
nuestro autor: «Y a pesar de que los viajeros, que por la sola sed de ero
fueron allá, hayan llevado a cabo muchas crueldades, no en menor medidadin los maestros del Evangelio, movidos por el solo deseo de ganar almas para Dios,
hicieron muchas conversiones».33
En la etiología de las causas, no hay sombra de duda crítica. Si el papa Adriano VI en las instituciones al Nuncio Chieregati había reconocido con valiente humildad que la crisis eclesial se debía a los pecados de los hombres y en especial a los de los sacerdotes y prelados, don Bosco, en cambio, instituye un proceso de dirección única: demonización de los «otros», que son los malos, exaltación hagiográfica de los santos, como si el catolicismo fuese una asociación de ángeles y no una comunidad de pecadores salvados por la pura y la gratuita misericordia de Dios. Los «otros» pueden ser Lutero, Calvino, Enrique VIII, que con su conducta disoluta o con su doctrina perversa han conducido a muchedumbres al infierno, o bien los filósofos ilustrados y socialistas, que mueren desesperados o hasta suicidados, como para significar la autodestrucción de la civilización moderna.

La dolorosa fractura del siglo XVI no se debe, según don Bosco, más que a la soberbia, a la ambición, la petulancia, la impudicia y todos los vicios de Lutero que «formó una doctrina que contamina todas las cosas sagradas, conculca los sacramentos, destruye la libertad del hombre, diciendo que son inútiles las obras buenas, despierta la licencia de pecar, pone en Dios la causa de todos los males, rechaza en suma toda ley y reduce al hombre al estado de los brutos».34
A su vez, Calvino quiso vengarse de los católicos, porque no había recibido un beneficio y huyó para no pagar la pena por un delito que don Bosco define como nefando, enseñó la arbitraria predestinación de la mayor parte de los hombres al infierno, actuó como un verdadero tirano y condenó a la pena del fuego a Miguel Servet.33 El rey de Inglaterra, Enrique VIII, se rebeló contra el papa, porque era un vicioso y deseaba repudiar a su legítima esposa, Catalina, para casarse con otras mujeres, a todas las cuales abandonó después o llegó a hacer matar.36
Aún más horrendo es el final de los corifeos del mundo contemporáneo, como se ha visto.

Frente a esta hecatombe de la ira en el castigo, con el fondo oscuro de la Revolución encarnación de Satanás, brilla, como contraste, la epopeya de los santos y de los mártires. Don Bosco acentúa la presencia de la santidad a la que atribuye cuatro papeles: 1) es la prueba del nueve de la solidez monolítica de la verdadera Iglesia; 2) infusión del Espíritu Santo; 3) expresión del amor fraterno inculcado por Cristo; 4) respuesta adecuada a las exigencias de la época y a la hostilidad de los enemigos.37 Me detendré brevemente en los dos últimos aspectos. La santidad como expresión de amor fraterno tiene, ante todo, un valor autobiográfico, desde el momento en que don Bosco es el santo de la caridad puesta en obra, del mismo modo que a Cafasso se le puede defiot nir como el santo de la caridad silenciosa (y todos los santos se le Cottolengo, Cafasso, Murialdo, se encuentran en la línea de la solidaridad evangélica).

33 SE, 282; SE 1871, 262 (la versión es casi literalmente idéntica).

34 SE, 290; SE 1871, 269.

35 SE, 291-293; SE 1871, 271.

36 SE, 294-295 (en la p. 296 aparece un pequeño lapsus: se hace morir a Tomás Moro en 1534, en vez de en 1535; el mismo pequeño error se repite en SE 1871, 273).

Todos los héroes de Cristo son genios de la caridad: Pier Damiani atiende todos los días a una muchedumbre de pobres; Domingo está animado por espíritu de caridad solamente; Francisco de Asís se impone la norma de no rechazar la limosna de nadie; Brígida de Suecia funda un hospital junto a su palacio; Francisco de Paula realiza prodigios estrepitosos en favor de los pobres; Amadeo de Saboya va en persona a realizar los más bajos servicios en bien de los enfermos; Juan de Dios crea la orden holpitalaria; Luis Gonzaga es mártir de la caridad heroica hacia los apestados; Felipe Neri pone su risueña alegría al servicio de los pobres y de los enfermos; Vicente de Paul, es, por excelencia, el santo de los pobres.

Al poner el acento sobre el principio del amor, don Bosco mata varios pájaros de un tiro: presenta a los jóvenes el ideal de la oblatividad, arroja licatorayos de luz sobre los reflejos beneficios sociales del Evangelio, presenta el cismo bajo una luz simpática, corrigiendo el efecto negativo del Dios enfadado e indignado, como aparece con la «Divina vendetta».

La santidad, en la óptica de don Bosco, representa también la divina respuesta a las crisis del mundo totus positus in maligno. Cito dos casos. El siglo de hierro dio la «pornocracia» de Marocia y Teodora: «Pero no hay otro siglo que haya dado un número tan conspicuo de santos a la Iglesia Universal». Lástima que de ese número tan conspicuo sólo cite dos nombres: San Bernón y San Romualdo.'s
Así, frente al diluvio del protestantismo, la verdadera reforma católica fue el siglo de los santos: «Fue especial disposición y Providencia de Dios que en un tiempo en el que los herejes trataban de arruinar la Iglesia, surgieran escuadras de religiosos, de santos doctores, que con muchos acontecimientos glorio" Sobre estos aspectos, véase: F. MOLINARI, I santi nella Storia Ecclesiastica di don Bosco, en: «Credere oggi» 8 (1988) 5, 45-46; sobre la psicología del Santo: G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, Torino, SEI 1988 (el volumen, válido desde el punto de vista psicológico, tiene el defecto de basarse en documentos críticamente discutibles, como las Memorie biografiche, que son actualmente objeto de un análisis atento desde el punto de vista filológico: F. DESRAMAUT, Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un livre fondamental sur la jeunesse de Jean Bosco, Lyon, Maison d'études Saint-Jean-Bosco 1962.

38 SE, 197; SE 1871, 205-206 (la exposición del siglo de hierro es más positiva que en la edi1ción anterior).

sos hicieran florecer para la Iglesia en todas las partes del mundo una numero, sísima falange de santos».39
Sigue la lista, que comienza con Cayetano Thiene y se cierra con Carlos Borromeo.

Don Bosco habla y escribe del catolicismo como patria de los Santos con énfasis hagiográfico de igual fuerza que su severidad polémica cuando estigmatiza al mundo. Muy distinta es la actitud de otros eminentes católicos, a los que Traniello llama «conciliatoristi», como Manzoni, Rosmini, Curci, Newman.

Manzoni expresa la relación dialógica con esta célebre observación: «Cuando el mundo ha reconocido una idea verdadera, magnánima, os contrastársela, es necesario reivindicarla al Evangelio. [...] Lo que l le j a religión puede condenar en aquellas ideas es todo lo que no es bastante razonable, ni bastante universal, ni bastante desinteresado». Y precisa que no sólo se da en el Cristianismo la fuente de la verdadera libertad, porque impone al hombre el respeto a los demás y el dominio de sí, asegurando la libertad interior y la superación del despotismo.40
Manzoni estaba unido en íntima amistad con Rosmini, cuya actividad tenía un objetivo preciso, la reconciliación del Evangelio con los ideales modernos a través de una renovación de la Iglesia y de la sociedad, como lo augura en las dos obritas Delle tinque piaghe della Santa Chiesa y La costituzione secondo la giustizia sociale (1848). La viva y activa participación de los laicos en la comunidad se vive a través del voto, aunque sea censatario; y en la comunidad eclesial, a través de la participación laical en la elección de los obispos. Esto hace de Rosmini, como de Newman, aunque por títulos diferentes, dos pioneros de la teología del laicado."
El más activo y audaz, sin embargo, sigue siendo Carlo Maria Curci (18091891), que en 1849 había fundado la «Civiltá Cattolica» con un programa de intransigencia temporalista; pero después no tuvo miedo del «terribile sonaglio», es decir, del catolicismo liberal que, como demuestra Gían Domenico Mucci, abrazó con reformismo audaz. Y en el que salva la autoridad infalible del Papa y toda la doctrina católica, pero sostiene que la renovación de la cristiandad es la premisa para la renovación politica de los Estados. Y en tal reforma interna de la Iglesia entran la participación de los laicos en la vida ecclesial, comprendida la elección de los párrocos, la aceptación de la brecha de porta Pía como purificación providencial de la Iglesia, la espiritualización a Curia Romana, demasiado politizada, el paso de la Iglesia de sinagoga cerrada e inmovilista a la fase del diálogo; el diálogo pastoral con el mundo, cuyos valores positivos hay que apreciar; es la nueva vida de la evangelización que hay que realizar a través de los laicos y que produce la verdadera naturaleza de la Iglesia, que es la encarnación del amor divino en la tierra.42
39 SE, 297; SE 1871, 274-284 (una característica feliz de la edición de 1871 es la división en capítulos, en los que aparecen más subrayados, en los títulos y en los contenidos, los valores positivos del catolicismo a través de los santos y de las órdenes religiosas.

4° U. COLOMBO, Alessandro Manzoni, Roma, Edizioni Paoline 1985, p. 263-280; A. MANZONI, Osservazioni sulla Morale Cattolica a cura di U. Colombo, Roma, Edizioni Paoline 1965, p. 319-354 (el capítulo se titula: «Degli odi religiosi»).

41 Sobre Rosmini, cf. Delle cinque piaghe, ya citado, y sobre Newman: H.F. DAVIS, Le róle et l'apostolat de la hiérarchie et do larcat dans la théologie de l'Eglise chez Newman, en: L'ecclésiologie au XIX siécle, Paris, Ed. du Cerf 1960, p. 329-350.

3, Consideraciones finales

La Storia ecclesiastica de don Bosco se sitúa en el extremo opuesto de estos católicos del diálogo. Pero su mentalidad intransigente se enlaza con una extraordinaria ductilidad práctica, que lo hace amigo sincero de los obispos «transigentes» Scalabrini y Bonomelli,43 además de co ibrario, nfidente de muchos anticlericales como Rattazzi, Lanza, Vigliani, Ricasoli, C.Crispi." Por eso no causa extrañeza que en 185 nuestro autor puo obtener la participación del príncipe Anadeo en la co6locación de la primdera piedra del santuario de María Auxiliadora. Eran los arios en los que Vittorio Emanuele II trataba de limar las asperezas con el Vaticano. Si para Pío IX don Bosco era un sacerdote fidelísimo, prudente y activo, para los medios anticlericales era un cura celoso que, a pesar de sus ideas trasnochadas contribuía a la educación del pueblo.49
Una última diferencia señala la distancia del santo turinés respecto del integrisnio: el contacto con lo concreto de la historia cotidiana que le facilitaba no tanto el estudio del pasado como la capacidad de leer el presente (por ejemplo, su atención hacia los jóvenes «objeto», explotados por la naciente civilización industrial, la sensiilidad hacia la escuela profesional la oportuna percepción del problema dela prensa). Su amor hacia la historia no fue inferior a su pasión p la Iglesia y al deseo de la propia santificaión resonal.

42 MUCCÍ, II primo direttore della «Civiltá cattolica»; ID., Carlo Maria Curci il fondatore della «Civiltá Cattolica»; C. PiccuuLL0, Le idee nuove del p. Curci sulla questione r ore omana, p. en: Cbiesa e
Stato nell'Ottocento Miscellanea in onore di Pietro Pirri, Padova, Ed. Anten 1962, 607-658.

" Sobre Bonomelli e Scalabrini, cf. G. GALLINA, II problema religioso nel Risorgimento e il pensiero di Geremia Bonomelli, Roma, Ed. Universitá Gregoriana 1974; C. MARCO (ed.), Carteggio Scalabrini-Bonomelli (1868-1905), Roma, Studium 1983; sobre la emigración, son fundamentales los estudios de Rosoli. En nuestro caso es especialmente útil: G.F. ROSOLI, Impegno missionario e assistenza religiosa agli emigranti nella visione e nell'opera di don Bosco e dei 28 salesia 293.ni, en: TRAMELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 9- Debe tenerse presente que en las páginas de la SE aparece frecuentemente el tema de la emigración, sobre todo en relación a las misiones. STELLA, Don Bosco II, p. 90-95.

4sMuchos jóvenes eran confiados a don Bosco por la misma autoridad civil, que obviamente se consideraba ligada y agradecida a él.

Como base dore toda la Storia ecclesiastica de don Bosco,c pehay un concepto doctrinal que subyace en el relato, condiciona la elección de los hechos y aparece como referencia en la interpretación de los documentos.

La idea-madre es la idea del mundo,46 como un polo totalmente negativo en contraposición a la Iglesia como polo totalmente positivo y se expresa en el lema Extra Ecclesiam nulla salus. El mundo está totus positus in maligno: es el concepto típico de la intransigencia, en dialéctica con la doctrina del catolicismo conciliador y dialogante, que, fuera del círculo cerrado de la Iglesia, sabe encontrar el alma de la verdad, los gérmenes de lo positivo, las semillas del logos.

El mundo como realidad antidivina, nido de víboras hostiles a Dios, sabe a cuarto evangelio, a tradición de Plotino con vetas manqueas, a mentalidad contrarrevolucionaria, típica de la Restauración, cuando se soñaba con una época en la que la Iglesia se pronunciaba, no sólo sobre materias de fe, sino también sobre normas y costumbres, en la que promulgaba leyes disciplinares, establecía jerarquías y las destituía, corregía a los fieles y alejaba de su seno a los miembros corrompidos.47
" R. GUARDINI Mondo e persona, Milano 1964; F. GOGARTEN, L'uomo tra Dio e il mondo,
Bologna 1967; H.U. Von BALTHASAR, Liturgia cosmica, Roma 1976; J.B. METZ, Sulla teología del mondo, Brescia 1969.

47 B. PLONGERON, Archetipo e ripetizioni di una Cristianita, en: «Concilium» 7 (1971) 1366.

EN LAS RAÍCES DE LA ESPIRITUALIDAD DE DON BOSCO mass o MARCOCCHI


Estas páginas pretenden dar algo de luz acerca del clima histórico en el que vivió y actuó don Bosco, acerca de las esencias de las que se nutren don sus directrices espirituales y su acción educativa. Creo que, para entender a Bosco, es necesario confrontarse con su tiempo, aun a sabiendas de que él tiene una personalidad sobresaliente y unos rasgos muy originales.

1. El clima histórico en el que vivió y actuó don Bosco

Don Bosco se formó en el clima de la Restauración. Aunque este término asume habitualmente una acepción político-social. (evoca el Congreso de Viena y la Santa Alianza, la política represiva de los gobiernos, la situación posrevolucionaria), tiene también relevancia en el cuadro de la cultura y de la vida religiosa. Típica de la época de la Restauración es la obra dirigida a reconstruir el tejido cristiano de la sociedad, desgarrado por la Revolución francesa (el «diluvio», según el cardenal Consalvi, «la desolación del universo», según Brunone Lanteri). Existía el convencimiento de que estaba en acto una grandiosa operación diabólica orientada a destruir los designios de Dios, de los que la Iglesia es guardiana, y de que era necesario contener los asaltos del maligno y reconquistar la sociedad para Dios y para la Iglesia.

La Compañía de Jesús, restablecida por Pío VII en 1814, se convierte en el Piamonte en el centro propulsor del movimiento de renacimiento religioso. Cuenta con hombres de gran prestigio, como el padre Roothaan, rector del colegio de San Francisco de Paula de Turín, más tarde prepósito general de la Orden, como Francesco Pellico y Antonio Bresciani.'
P. PIRRL P. Giovanni Roothaan XXI Generale della Compagnia di Gessi (1785-1853), Isola del Liri 1930; I. RINIERI, Il padre Francesco Pellico e i suoi tempi, vol. I: La Restaurazione e l'opera
della Compagnia di Gesti, Pavia 1934.

1.1. Las «Amistades» y los oblatos de María Virgen

Nacen nuevas órdenes religiosas, como los oblatos de María Virgen de Brunone Lanteri y el Instituto de la Caridad de Antonio Rosraini. Son introducidas las monjas de la Caridad de Antída Thouret. Surgen nuevas asociaciones laicales. Entre éstas sobresale la «Amicizia cristiana», expresión de ambientes aristocráticos y altoburgueses de orientación filojesuita, que se propone la formación espiritual de los asociados y la lucha contra el espíritu de los enciclopedistas a través de la difusión sistemática de obras de inspiración católica («los buenos libros»), llevada a cabo mediante préstamos o con distribuciones gratuitas.' El motivo central de la «Amistad» está constituido por la devoción al Corazón de Jesús, según la orientación sostenida por los jesuitas, por la comunión frecuente y por la meditación diaria: La Amistad cristiana amplia muy pronto su actividad originaria y se dedica a la promoción de los ejercicios espirituales, a la organización de las misiones, a la elección de confesores según las directrices de Alfonso de Ligorio.

Desaparecida en la época napoleónica, la Amistad cristiana vuelve a surgir en 1817 con el nombre de «Amicizia- cattolica» por iniciativa de Brunone Lanteri. Algunos de sus miembros (Cesare Taparelli d'Azeglio, Rodolfo y Giuseppe de Maistre, Luígi Provana di Collegno, Pietro Pallavicino, Renato d'Agliano, Giovanni Carlo Brignole) ocupan puestos de relevancia en la política y en la administración del Estado saboyano. También la Amistad católica se preocupó de la difusión gratuita de la «buena prensa». Dado que domina la inspiración legitimista, ultramontana, demaistriana, los libros difundidos defienden la alianza entre trono y altar, profesan una devoción incondicional a la Santa Sede, defienden la infalibilidad personal del papa, refutan los «errores modernos», favorecen las tendencias teológicas y espirituales animadas por los jesuitas, predican una orientación moral modelada en el probabilismo benigno. Fue precisamente la Amistad católica la que promovió en 1825 la edición de las obras de Alfonso de Ligorio en la editorial de Giacinto Marietti de Turín.3. En 1828 la Amistad católica fue suprimida por el gobierno piamontés
2 El primer círculo de la «Amicizia» se constituyó en Turín en los años 1779-1780 por iniciativa de un ex jesuita, Nicolaus Joseph von Diessbach (1732-1798). Surgieron después cenáculos en Milán, Viena, Florencia, Roma, París. Los miembros se comprometían al secreto, según el gusto del tiempo y también para no exponerse al sarcasmo de los «espíritus fuertes» y a las molestias de la policía. A la «Amicizia cristiana», seglar, se añadió en 1782 una «Amicizia sacerdotale», antijansenística y alfonsiana, que promueve los ejercicios espirituales según el método de San Ignacio y los retiros, la práctica de la oración mental y del examen de conciencia. Cf. C. BONA, Le «Amicizie». Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torillo 1962. Véanse las recensiones de esta obra hechas por P. Stella en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 17 (1963) 329-338, y por R. Aubert en «Revue d'Histoire Ecclésiastique» 59 (1964) 593-598.

Cf. C. BONA, Le «Amicizie», p. 361-371. Se difundieron obras de Lamennais, De Ronald, Von Haller, Bossuet, Gerdil. Entre los autores espirituales figuran el jesuita Pinamonti, el barna-bita Quadrupani y sobre todo Alfonso de Ligorio. También don Bosco comprendió las posibilida a causa de su filojesuitismo. Algunos de sus miembros (por ejemplo, Provana di Collegno y Renato d'Agliano) se adhirieron a las conferencias de San Vicente de Paul, fundadas en Francia por Federico Ozanam e introducidas en Turín en 1850.4
Muchos de los fines de la Amistad fueron asumidos por el instituto de los oblatos de María Virgen de Lanteri (1759-1830), que siendo clérigo había formado parte de la Amistad cristiana y había fundado, como hemos dicho, la Amistad católica. Los oblatos promueven la predicación de los ejercicios espirituales según el método de San Ignacio, desarrollando las misiones entre el pueblo, preparan a los nuevos sacerdotes para la cura de almas, difunden la «buena prensa». La actividad pastoral de Lanteri y de sus oblatos está inspirada en la doctrina y la espiritualidad de Alfonso de Ligorio. Jean Guerber hace remontar el inicio de la penetración de la teología alfonsiana en Francia a 1823, cuando aparecen en Lyon las Réflexions sur la sainteté et la doctrine du bienheureux A. De Ligouri de Lanteri.5 1.2. El «Convitto» eclesiástico
Por iniciativa de Lanteri y de uno de sus discípulos, Luigi Guala, «amigo cristiano», surge en Turín en 1817 el Convitto ecdesiastico para la preparación pastoral de sacerdotes noveles. El Convitto fue uno de los crisoles en los que se plasmó el estilo eclesiástico y religioso que se impuso en la segunda mitad del siglo XIX. En el Convitto se formaron algunas figuras eminentes de sacerdotes: Cocchi, Borel, Cafasso, Bosco, Murialdo, Bertagna, Allamano. Don Bosco, que tras su ordenación sacerdotal (1841) pasó allí tres arios (1841 1844), define el Convitto como «maravilloso semillero, del cual proviene mucho bien a la Iglesia, especialmente para erradicar algunas raíces de jansedes de la «buona stampa» para la evangelización de las clases populares, y promovió numerosas iniciativas editoriales (cf. la comunicación de Malgeri en este mismo volumen).

4 F. MOLINARI, Le conferenze di San Vincenzo in Italia, en: Spiritualitá e azione del laicato italiano, vol. I, Padova 1969, p. 67.

Las Reglas de los «Oblati di Maria Vergine» fueron redactadas por Lanteri en 1816. Suprimidos en 1819 por el arzobispo de Turín, Colombo Chiaverotti, se reconstituyeron en Pinerolo en 1825 bajo la protección del obispo Rey. R. Romeo recuerda que el marqués Michele di Cavour, padre de Camillo di Cavour, estuvo varias veces en Santa Chiara di Pinerolo a hacer los ejercicios espirituales bajo la dirección de Lanteri (cf. R. ROMEO, Cavour e il suo tempo, vol. I, Bari 1971, p. 94-95). Sobre Lanteri, cf. P. CALLIARI, Pio Brunone Lanteri (1759-1830) e la controrivoluzione, Totino 1976, pero sobre todo: P. CAIDAR1 (ed.), Carteggio del venerabile padre Pio Brunone Lanteri (1759-1839) fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, 5 vol., Torillo 19751976. Sobre las Réflexions de Lanteri y la penetración de la moral alfonsiana en Francia, cf. J. GuERBER, Le ralliement du clergé franqais á la morale liguorienne. L'Abbé Gousset et ses précurseurs (1785-1832), Roma 1973. Sobre Lanteri y la espiritualidad de San Francisco de Sales, cf. T. LUDO, Il ven. Pio Brunone Lanteri e la spiritualitá salesiana nel Piemonte del primo Ottocento. Aspetti storico-ascetici, en « Palestra del Clero» 61 (1982) 1236-1247.1308-1320.1366-1373.

nismo que todavía se conservaban entre nosotros», y en el cual «se aprendía a ser sacerdotes ».6
El Convitto eclesiástico difundió la doctrina y la espiritualidad de Alfonso de Ligorio, considerado por Guala y Cafasso como el autor capaz de mediar entre las corrientes rigoristas y una cierta superficialidad benignista,7 pero fue también centro de irradiación de la espiritualidad salesiana y filipina. El Convitto se presentó como contraaltar del seminario diocesano y de la Facultad de Teología de la Universidad de Turín, que se caracterizaban por la adhesión a la moral rigorista y por una eclesiología crítica con respecto a la infalibilidad y al primado de jurisdicción del papa. El Convitto quiso, en suma, desarraigar las tendencias galicanas jansenistas o, en sentido lato, rigoristas. que todavía serpenteaban entre el clero piamontés.

Un hilo rojo une, pues, las Amistades, los oblatos de María Virgen y el Convitto eclesiástico, pero con una diferencia digna de ser subrayada. Si las Amistades habían sido aristocráticas y elitistas y habían desempeñado un papel limitado, los oblatos de María Virgen y el Convitto ensanchan el radio de acción con un rico abanico de iniciativas promovidas entre el clero y el pueblo.8
No carece de significado dentro de este cuadro, y lo ha hecho notar finamente Francesco Traniello, el hecho de que el primer tratado espiritual, las Massime di pelfezione, en las cuales, según el propio Rosmini, estaba condensado el espíritu del Instituto de la Caridad, tuviera una edición turinesa en la Marietti en 1832. Las Massime di peocezione se fundaban en el abandono en la Providencia («el principio de pasividad») y eran, por ello, idóneas para atemperar el régimen típico de la espiritualidad piamontesa.9
6 Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 80.

P. BRAMO (ed.), Esperienze di pedagogía cristiana nella storia, vol. II, Roma, LAS 1981, p. 305s.

8 Sobre el Convitto eclesiástico de Turín, cf. G. USSEGLIO, Il teologo Guala e il Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1948; G. TUNINETII, Lorenzo Gastaldi (1815-1883), Casale Monferrato, Piemme 1983, p. 179ss. Las corrientes ultramontanas no se limitaron a fundar el Convitto ecclesiastico, sino que trataron también de influir en la misma Facultad teológica de la Universidad de Turín. Obtuvieron un triunfo con la destitución, en 1829, de Giovanni Maria Dettori y su sustitución con Luigi Massara, repetidor en el colegio jesuítico de San Francesco di Paola. Dettori, que ocupaba desde 1814 la cátedra de teología moral, profesaba ideas antiprobabilistas y antialfonsianas. Cf. F. TRANIELLO, Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, p. 25-27; P. STELLA, Giurisdizionalismo e giansenismo all'Universitit di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958. Luigi Guala estaba influido por la tradición espiritual jesuítica. Es significativa la correspondencia epistolar que, entre 1831 y 1847, mantiene con el prepósito general de los jesuitas, padre Roothaan, sobre el modo de hacer los ejercicios. Guala, ayudado por Lanteri, había restaurado el santuario de San Ignacio en la montaña de Lanzo, y en 1808 había establecido allí la «Opera degli Esercizi spirituali» para sacerdotes y seglares.

9 TRANIELLO, Cattolicesimo conciliarista, p. 30.

Se ha hablado de doctrina moral alfonsiana, de actitudes rigoristas, de jansenismo. La cuestión es importante y exige algunas precisiones. Es necesario ante todo evitar un uso excesivo del término jansenismo: Quien es antimolinista no es necesariamente jansenista, quien es antijesuita no es necesariamente jansenista, quien sostiene posiciones jurisdiccionalistas en campo político-eclesiástico no es necesariamente jansenista. Quien es rigorista en moral no es necesariamente jansenista. El jansenismo en sentido estricto puede considerarse en declive en las primeras décadas del Ochocientos; no se puede decir lo mismo del rigorismo que, por el contrario, aparece difundido en la praxis pastoral. Es sabido que los círculos jansenistas o jansenizantes cultivan un ideal severo de vida cristiana. Recomendaban la conversión del corazón, luchaban contra el cristianismo rutinario hecho de devociones exteriores, de entusiasmos pasajeros, de tradiciones acarameladas; reprobaban en la oración el abuso de fórmulas repetidas mecánicamente. El ideal es una religiosidad pura, libre de incrustaciones, ajena a las acomodaciones, nutrida en las fuentes bíblicas y patrísticas, que huye del contacto con el mundo envuelto en el pecado. La dilación o el rechazo de la absolución a los penitentes de cuya perseverancia no se tuviese suficiente certeza y en todo caso a quien no hubiese cumplido la penitencia impuesta, eran considerados como medios normales para provocar el shoc psicológico y de este modo favorecer una conversión verdadera y duradera. La gracia del sacramento de la penitencia es concebida como un premio, más que como una ayuda saludable y confortante en la lucha contra el mal. Se puede recibir solamente si el alma ha llegado a un grado convincente de purificación. Para Alasia, autor de un tratado de teología moral muy difundido entre el clero piamontés y muy conocido por don Bosco en el seminario de Chieri, diferir la absolución era un remedio medicinal que el confesor podía adoptar cuando lo considerase oportuno.'
También el alejamiento de la comunidad por un cierto período era considerado una práctica de penitencia que se imponía a aquellos que recaían fácilmente en el pecado (los llamados «reincidentes»). Se partía del presupuesto de que la Eucaristía no era una medicina para los débiles, sino un premio para los santos, y que el fiel tenía por eso que adquirir antes de comulgar una fuerza interior que lo hiciera apto para recibir a Cristo Señor.

" Cf. P. STELLA, Giurisdizionalismo e giansenismo; ID., Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, Torillo 1959; ID., Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, Torino 1964. Aun sobre las condiciones para la validez del sacramento de la penitencia hervía un encendido debate: ¿Basta la atrición, que es el dolor de haber ofendido a Dios por las penas que se han merecido, o es necesaria la contrición, es decir, el dolor de los propios pecados, porque Dios, sumo bien, es digno de ser amado sobre todas las cosas? Para los rigoristas, era insuficiente la atrición para obtener el perdón de los pecados. En efecto, el dolor de las culpas, inspirado sólo por el temor de las penas infernales, pertenece a la lógica del egoísmo.

Faltan adecuadas investigaciones fundamentales sobre la praxis sacramental en Piamonte en los siglos XVIII y XIX, pero parece que se puede afirm con suficiente seguridad que la pastoral sacramental, en auge en las parroquiasar y en los seminarios, estaba, en general, marcada con trazos rigoristas. Giuseppe Cafasso escribe, y su testimonio es significativo, que según los pastores de la época era «difícil observar los mandamientos, difícil recibir bien la santa comunión, difícil, incluso, oír una misa con devoción, difícil rezar como se debe, difícil, sobre todo, llegar a salvarse, y que eran muy pocos los que se salvaban»."


1.4. La figura y la doctrina de San Alfonso


La exaltación de la figura y de la doctrina de San Alfonso, a quien daban prestigio tanto la beatificación, que tuvo lugar en 1816, y la puesta en marcha del proceso de canonización que se concluyó en 1839, como la edición de las obras iniciada en Turín en 1825, es característica no sólo de las diversas corrientes del movimiento ultramontano piamontés que se agrupaba en torno a Roothaan, a Lanteri, a Guala, a Cafasso, a Bosco, sino, en general, de la actividad de los misioneros comprometidos en el mundo rural y del clero en cura de almas. Alfonso de Ligorio y la congregación por él fundada ejercieron una influencia decisiva sobre las orientaciones de la teología moral, favoreciendo el abandono de actitudes rigoristas en la praxis sacramental. San Alfonso, en la primera fase de su sacerdocio, fue rigorista porque se había formado en manuales rigoristas (por ejemplo, en el de Frangois Genet). La conversión tuvo lugar, según su misma confesión, cuando se dedicó a las misiones entre el pueblo, es decir, cuando se enfrentó con la realidad del hombre envuelto en la miseria y con una vida cristiana superficial. San Alfonso comprendió que el sur de Italia no se podría conquistar con una pastoral hosca y oprimente, centrada más en un Dios-juez que en un Dios-padre, más en el pecado que en el perdón, más en el infierno que en el paraíso. El enraizamiento en la realidad popular convirtió a San Alfonso a una teología más humana, marcada por la referencia a la bondad y a la misericordia de Dios, a la confianza en él, a la esperanza.' 2
11 Citado por F. ACCORNERO, La dottrina spirituale di S. Giuseppe Cafasso, Torillo 1958, p. 110. Sobre esta problemática, cf. P. STELLA, L'Eucaristia nella spiritualita italiana da meta Seicento al prodromi del movimento liturgico, en: Eucaristia, memoriale del Signore e sacramento permanente, Torillo 1967, p. 157-159; J. SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco au sujet de la pénitence et de l'Eucharistie, en «Salesianum» 50 (1988) 9-50.

Th. REY-MER/vIET, II santo del secolo dei lumi. Alfonso de Liguori (1696-1787), trad. it., Roma 1983 / ed. francese, Paris 1982; G. DE ROSA, S. Alfonso e il secolo dei lumi, en «Rassegna di Teologia» 28 (1987) 13-31; G. ORLANDI, S. Alfonso de' Liguori e l'evangelizzazione del Cilento nel Settecento, en: La societa religiosa nell'eta moderna. Atti del convegno di studi di storía sociale e religiosa, Napoli 1973, p. 845-851; G. CACCIATORE, S. Alfonso de' Liguori e it giansenismo, Firenze 1942.

Los misioneros, que predicaban entre las poblaciones rurales, las más abundantes, mientras las ciudades estaban abastecidas de clero, secular y regude predicadores y de catequistas, seguían a San Alfonso en el deseo delar, adecuar la propia acción pastoral a las situacíones concretas de vida de la pobre gente. Los redentoristas de Alfonso de Ligorío, los sacerdotes de la Preciosísima Sangre de Gaspare del Bufalo, los sacerdotes de la Misión de Vicente de paul, los pasionistas de Pablo de la Cruz, los oblatos de Rho de Giorgío M. Martinelli, los jesuitas, eran conscientes de que en relación al penitente no era suficiente la aplicación de las normas, sino que era necesario valorar, además de las disposiciones interiores, también la situación en la que se encontraba.13 También los sacerdotes con cura de almas o comprometidos en la dirección (pensemos en el cenáculo animado en Verona por Gaspare Bertoni,
edsepsirdeituf802, en Pietro Leonardi, en Vincenzo Pallotti, en Luigi Biraghi, en Giuseppe Frassinetti) se mueven en la misma línea antírrigorista." El éxito de la doctrina moral alfonsiana con tendencia hacia la disponibilidad y la comprensión marcha paralelamente asen creciente interés de la Iglesia por las poblaciones rurales y con la creciente sibilidad hacia las condiciones de vida de los fieles.'5
La comparación con Vicente de Paul salta a la vista del historiador, que
descubre en la Italia del sur la atmósfera de la Francia del Seiscientos. Vicente de Paul, Eudes, Olier, se habían opuesto al jansenismo por motivos pastorales y espirituales. Ellos, al contacto con los campesinos de los campos franceses,
" San Alfonso y los redentoristas, a partir de los años 30 del Setecientos, trabajan entre las masas rurales de Italia meridional y de Sicilia. Sobre las misiones de los redentoristas, cf. G. ORLANDI, Missioni popolari e drammatica popolare, en «Spicilegium Hist. Congr. SS. Redemptoris» 22 (1974) 313-348; S. GiAmmusso, Le missioni dei redentoristi in Sicilia dalle origini al 1860, en Ibid., 10 (1962) 51-176; 0. GREGORIO, Contributo delle missioni redentoriste alfa storia socio-religiosa dell'Italia meridionale, en Ibid., 21 (1973) 259-283. Sobre la concepción antijansenista y antirrigorista de los redentoristas, cf. G. ORLANDI (ed.), Direttorio apostolico ossia metodo di missione, Roma 1982; G. DE ROSA, Linguaggio e vita religiosa attraverso le missioni popolari del Mezzogiorno nell'etá moderna, en «Orientamenti Sociali» 36 (1981) 24.

"A proposito di Gaspare del Bufalo (1786-1837) e dei Missionari del sangue, cfr Libero G., S. Gaspare delBufalo, Romano, 1954; A. REY, Gaspare delBufalo, 2 vol, Albano Laziale 1987. 3 ed. il Passionisti ZOFFOLI cf. E., S. Paolo della Croce. Storia critica, 3 vol., Roma, 1963-1968. A proposito di Oblato Rho, cfr G. Barbieri, Un prete lombardo Settecento. Padre Martinelli Fondatore degli OBLATI di Rho, Milano 1982. R. RUSCONI (Predicatori e predicazione (SECOLI IX-XVIII], in:. Storia d'Italia, Annali, vol 4 :. Intellettuali e potere, Tornio 1981, pag 10.061.018) osserva che ottocento missioni vengono inseriti nel canale delle missioni del XVIII secolo, ma con alcuni nuovi aspetti, come l'importanza data all'istruzione catechetica e l'attenzione dedicata a un profondo rinnovamento del popolo.(A questo punto, si riferisce all'edizione italiana, per avere riferimenti bibliografici più ampi su figure di predicatori e missionari in varie regioni d'Italia [nde]).

15 G. VERUCCI, Chiese e società nell'Italia della restaurazione, in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia" 30 (1976) 25-72; G. MICCOLI, Vescovo e re del suo popolo, in: G. CPATTOLINI G. MICCOLI (a cura di), Storia d'Italia, Annali, vol. 9: La Chiesa e il potere politico dal medioevo all'etá contemporanea, Torino 1986, p. 919-922.

oppressi dalla fame e dalla guerra, brutalizzato dalla disperazione impotente al potente, si rendono conto che non possono predicare, le persone che soffrono, la dottrina di un Dio unico, il "munches Dannata" sceglie un gruppo privilegiato . I giansenisti messaggio, in modo urgente e radicale, come elitario e aristocratico borghese potrebbe essere adatto per i devoti, non per le popolazioni rurali povere. Francese sega spirituale nel jansenismo un ostacolo al consolidamento della riforma nelle classi popolari. "Alfonso de Liguori, Gaspare del Bufalo, Vincenzo Pallotti ha scoperto, come Vincenzo de 'Paoli, la stessa realtà e ha optato per la stessa soluzione.

1.5. Influenza Alfonsiana nella pietà

L'influenza di questi orientamenti pastorali si riflette anche nel campo della pietà. Prevale, infatti, nel XIX secolo un ambiente caldo, umano, la pietà popolare tende verso la fiducia verso l'affettività, nella fantasia, per gustare così meraviglioso, che i valori, a volte a scapito della profondità, palpabile sensibile, elementi carnali, che si basa su una più frequente dei sacramenti, che si basa su un numero consistente di pratiche devozionali di frequente. devozione mariana, che è una delle più significative espressioni di pietà XIX secolo, sviluppato fiorente con processioni e pellegrinaggi, con una vasta letteratura sul mese di maggio sul rosario sulle prerogative di Maria, Vergine e Madre, e cadono, a volte, in toni dolci, affettati e teneri. "
Anche le devozioni alla passione di Cristo, al Sacro Cuore, al Preziosissimo Sangue, alle cinque ferite, alle tre ore di agonia con la loro ispirazione riparatrice ed espiatoria hanno stimolato i motivi affettivi e sensibili. Alfonso de Ligorio conosceva i mistici (ad esempio, Santa Teresa e San Juan de la Cruz), ma li valorizza in una prospettiva spirituale che è destinata a essere disponibile per tutti. Sant'Alfonso interpretò le esigenze delle anime semplici meglio di qualsiasi altro scrittore spirituale italiano. Le sue opere piene di affetto, hanno risposto bene alla sensibilità del tempo. Qui sta la ragione del suo immenso successo. Va anche notato che non sono estranei a
un tale orientamento della pietà romantica del clima con il loro gusto per la fantasia.
Sì, l'affettività, l'enfasi sentimentale, le ragioni del cuore. La Chiesa,
quindi, in reazione al l' austera, esigente, carattere elitario della spiritualità giansenista, impregnata di raffinatezza spirituale e come una reazione al l' freddo razionalismo del XVIII secolo, ha favorito un ambiente caldo, accogliente, popolare, pietà accessibili, in particolare il masse. Questo orientamento spirituale ha i suoi lati deboli
16 L. MEZZADRI, Fra giansenisti e antigiansenisti. Vincent Depaul e la Congregazione della Missione (1624-1737), Firenze 1977.

"R AUBERT, Il pontifiCato di Pio IX (1846-1878), Torillo 1964, pp. 694-707.

nell'insistenza sulla molteplicità degli esercizi devozionali, sull'eccessiva enfasi data alla prassi delle indulgenze, sulla proliferazione delle devozioni discutibili e secondarie, sulla condiscendenza al sentimentalismo. La proliferazione di esercizi pio accrebbe il distanziamento della Bibbia e della
Liturgia, portando a una scarsa religiosità nei contenuti teologici.18
Don Bosco promosse alcune pratiche in piedi nell'Oratorio
padre (la visita al del Santissimo Sacramento, la Via Crucis, la devozione alla Vergine e Angelo Custodio, l'esercizio mensile della Buona Morte, la novena in onore di San Luis Gonzaga e San Francisco di Sales), ma non ha dato a la tipica esaltazione devozionale del cattolicesimo del diciannovesimo secolo per paura di giovani irritanti o stancanti. Devozioni, per esempio, il Sacro Cuore e del Preziosissimo Sangue, che ha giocato un ruolo importante, insieme con la devozione a Maria nella spiritualità cattolica del XIX, sembra che avevano per Don Bosco, che importanza hanno avuto, invece, a altri ecclesiastici, come Gaspare Bertoni, Gaspare del Bufalo, Vincenzo
Maria Strambi. "

1.6. Il successo di San Francisco de Sales

En este cuadro se comprende el éxito de San Francisco de Sales y dé San Felipe Neri. En Piamonte, por razones históricas y geográficas, el ambiente estaba-impregnado de esencias salesianas. Vehículos eficaces de la difusión del salesianismo habían sido la casa de la Visitación de Turín, fundada en 1638 por Juana de Chantal, la amplia circulación de las obras de Francisco de Sales, que habían tenido numerosas ediciones durante el siglo XVIII, y la vida del santo, escrita por el sacerdote piamontés Pier Giacinto Gallizia (1662-1737), editada en Venecia en 1720 y reeditada muchas veces." Circulaban, además, en Pia
la Según G. Lanza, su mejor biógrafo, la marquesa Barolo tenía una devoción esperislísima a la Santísima Trinidad, al Sagrado Corazón, al Santísimo Sacramento, a las Tres horas de la Agonía, a la Virgen consolada y dolorosa, a los Angeles custodios, alas Almas del purgatorio, a San José, Santa Teresa, Santa Julia, Santa Ana, Santa María Magdalena, Santos Cosme y Damián (La marchesa Giulia Fallen:. di Barolo, nata Colbert, Torino 1892, p. 178s). P. Stella anota que «non doveva essere un caso singolare quello della marchesa Barolo» (Don Bosco I, p. 89).

" En el Giovane provveduto (segunda parte), aparecen entre los ejercicios particulares de piedad cristiana la «corona del S. Cuore di Gesú» y la «Orazione al sacratissimo Cuor di Maria». Está ausente, en cambio, la devoción al «Preziosissimo Sangue», que tuvo su máxima difusión en Roma y en la región de Lombardía-Venecia.

20 Tampoco en Piamonte faltan ediciones de las obras de San Francisco de Sales. Se debe señalar una Introduzione olla vita devota..., Torillo, Guibert e Orgeas 1779. Circulan también: Massime ricavate dalle opere di S. Francesco di Sales..., Torillo, Marietti 1837; Massime distribuite U3, cavate dalle opere di S. Francesco di Sales, Torillo, Paravia 1838; Breve dizionario delle massime di S. Francesco di Sales..., Torillo, Paravia 1838. Cf. V. BRASIER - E. MORGANTI - M. DURICA, Bibliografía salesiana, Torillo 1956. La Vita de Francisco de Sales escrita por Gallizia (16624737), que había sido capellán del monasterio de la Visitación de Turín, es obra de orientación ultramontana monte pequeñas obras impregnadas de espíritu salesiano como L'istruzione della gioventi nella pietá cristiana del sacerdote francés Charles Gobinet (1655) y la Guida angelica, ossia pratiche istruzioni per la gioventii de un anónimo sacerdote milanés (Turín, 1767), de la que don Bosco se valió ampliamente en la composición del Giovane provveduto.21
El éxito de Francisco de Sales es más ciudadano que rural, toca más a la Introducción a la vida devota que al Tratado del Amor de Dios.22 En efecto, el Francisco de Sales recibido en Piamonte es aquel que afectuosamente adoctrina acerca del modo de vivir cristianamente en el mundo, para lo cual la «devoción», que consiste en el amor a Dios y al prójimo, no es una condición privilegiada, prerrogativa de religiosos y claustrales, sino un objetivo capaz de ser alcanzado por todos los cristianos con el cumplimiento de los deberes del propio estado.

Francisco de Sales había afirmado, contra el pesimismo calvinista, la continuidad de naturaleza y gracia, el equilibrio de las relaciones entre Dios y hombre, y había sugerido una perspectiva espiritual caracterizada por una gran concreción rica de sabiduría psicológica, libre de preocupaciones, alimentada de sentido de la medida, fundada en el diálogo confiado con Dios, que quiere la salvación de todos, y para ello ha enviado un Redentor, y que ha garantizado una redención universal.

Brunone Lanteri, Guala, Cafasso, Cottolengo, Bosco,- la biografía de Pier Giacinto Gallizia, los panegíricos, difunden una imagen del obispo de Annecy hecha de dulzura y caridad. Si a lo largo del siglo XVII Antonio Arnauld y Étienne Le Camus, obispo de Grenoble, habían llevado a cabo una lectura rigorista (more jansenístico) de Francisco de Sales, presentado como un pastor severo, lectura que se había difundido también en Piamonte, los espirituales piamonteses hacen en la primera midad del XIX una lectura de Francisco de Sales en clave antirrigorista, que descubre su dulzura y su piedad razonable y sin excesos."
y benignista. En 1839 el editor Marietti publicaba el Compendio delle vite di S. Francesco di Sales e di Giovanna Francesca Frémiot di Chantal scritto da un barnabita, Torillo 1839. Se trata del barnabita Alessandro. Gavazzi. Circulaba también la obra de C.A. SACCARELLI, Vita della S. Madre Giovanna Francesca Frémiot fondatrice dell'ordine della Visitazione di Santa Maria, Roma, Komarek 1734, reimpresión: Venezia, Simone Cocchi 1785.

2' P. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco, Roma 1960.

22 P. STELLA, Don Bosco e Francesco di Sales: incontro fortuito o identitá spirituale?, en: J. PICCA - J. S'FRUg (eds.), San Francesco di Sales e i salesiani di don Bosco, Roma, LAS 1986, p. 139
159. Es necesario subrayar que el Trattato dell'amore di Dio, a causa de su densidad especulativa y
mística, es menos asequible que la Introduzione alía vita devota. El mismo don Bosco prefirió esta
última. "
23 STELLA, Don Bosco e Francesco di Sales, p. 144-146.

1.7. La tradición espiritual filipina

Con el filón salesiano se entrelaza la tradición espiritual filipina, mantenida en Piamonte por el Oratorio de Turín y por la extraordinaria figura de viva enValfré (t 1710),24 por la biografía del santo escrita en el siglo XVII por Bacci" y por una serie de Ricordi ai giovinetti, que don Bosco conocía bien.26
La ósmosis entre el filón salesiano y el filón filipino no debe extrañar. En la relación armoniosa entre naturaleza y gracia se funda también, en efecto, el programa espiritual de San Felipe Nerí, que se nutre de confianza en la naturaleza humana y de amor al arte (el oratorio musical nace en el ámbito de los encuentros promovidos por Felipe Neri), rehuye los tonos hoscos y tristes, se ilumina de espíritu festivo y de alegría. Alfonso de Ligorío, aunque abierto a las sugestiones de Teresa de Ávila, es hijo espiritual de Felipe Neri y Francisco de Sales. Madura, en efecto, su espiritualidad bajo la guía del oratoriano Tommaso Pagano, después pasa bajo la dirección de mons. Falcoia, embebido de salesianismo.' Francisco de Sales era uno de los autores más leídos en el ámbito del Oratorio.' El joven Rosmini se sintió atraído por las lecturas salesianas gracias a las influencias oratorianas.29 Cottolengo respira el aire de la espiritualidad de Felipe Neri (su director espiritual era el filipino Michele Fontana) y de Francisco de Sales, aunque descubre su vocación leyendo la vida de San Vicente de Paul. Para don Bosco, Francisco de Sales y Felipe Neri son los modelos en los que personalmente se inspira.

24 Cf. SE, en: OE I, 489.

" G. BACO, Vita di S. Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, Roma 1622. Tuvo numerosas ediciones italianas y en otras lenguas.

26 P. Stella ha puesto de relieve que los Ricordi ai giovinetti de San Felipe Neri se encuentran en la obra anónima, que don Bosco conocía bien, titulada: Un mazzolino di ftori ai fanciulli e alíe famiglie..., Torillo 1836 (cf. STELLA, Valori spirituali, p. 41s.). I ricordi generali di san Filippo Neri alta gioventit fueron editados por G. Bosco, Porta teco cristiano (1858), en: OE XI, 34-36.

27 G. CACCIATORE, Fonti storico-letterarie dell'insegnamento ascetico di S. Alfonso M. De' Liguori, en: A.M. DE' LIGUORI, Opere Ascetiche, Introduzione generale, Roma 1960, p. 127.

28 El influjo salesiano es muy fuerte en Antonio Cesan (1760-1828) de la congregación veronesa del Oratorio, y se presenta mezclado con motivos ignacianos y vicentinos, además de filipinos. Este entramado está especialmente presente en: Lezioni storico-morali sopra la Sacra Scrittura, Milano 1815-1817 (cf. A. VECCHI, La dottrina spirituale di A. Cesad, en: Chiesa e spiritualitá nell'Ottocento italiano, Verona 1971, p. 173s.).

29 VECCHI, La dottrina spirituale, en: Ibid., p. 185; A. VALLE, Momenti e valori della spiritua
litá Roma 1978, p. 43s. Un retrato entusiasta de San Felipe Neri fue esbozado por
Rosmini, cuando tenía poco más de veinte años: Delle lodi di S. Filippo Neri, Venezia, G. Battaggia 1821.

El caso de Cottolengo revela la amplia atracción ejercida también en Turín por la tradición vicentina, mantenida despierta por los religiosos de la congre.. gación de la Misión, que en 1827 contaba en Piamonte con seis casas, por la congregación de las Hijas de la Caridad y por las fundaciones que, aunque desgajadas del tronco de las Hijas de la Caridad, conservan su espíritu y adoptan su Regla?' Si los paules promueven las misiones populares en los pueblos del_Piamonte, las Hijas de la Caridad se dedican al cuidado de los pobres, los enfermos, los soldados ingresados en los hospitales militares?'
Este entrelazarse de corrientes espirituales anima la extraordinaria época con iniciativas orientadas a las necesidades espirituales y materiales de los pobres, de los enfermos, de los encarcelados, de las mujeres en peligro y descarriadas, que caracteriza las primeras décadas del siglo XIX en Piamonte. La pequeña Casa _de la Divina Providencia surge en 1832 bajo los auspicios de Vicente de Paul y acoge a los enfermos rechazados en otros hospitales a causa de sus deformidades. La espiritualidad del Cottolengo se caracteriza por el abandono total en la divina Providencia y por la dedicación a los hermanos más pobres. Charitas Christi urget nos es el lema que Cottolengo deja a su «Piccola Casa».32
Giulia Barolo, penitente de Lanteri, de Guala y más tarde de Cafasso, promovió obras para la asistencia de las encarceladas, para la rehabilitación de las mujeres descarriadas, para el cuidado de jóvenes enfermas.33 Don Cafasso se dedica a la asistencia de los deshollinadores venidos a Turín desde el valle de
3° Animador de las obras vicentinas en Piamonte fue el padre Marcantonio Durando, amigo y consejero de Cafasso, Cottolengo, Bosco, Murialdo, Allamano. Superior de la casa de Turín (1831), introdujo en 1833 las Hijas de la Caridad y fundó en 1836 la asociación de las Damas de la Caridad, de extracción nobiliaria, dedicada a la asistencia de los pobres y de los-enfermos. Cf. L. CHIEROTTI, II p. Marcantonio Durando (1801-1880), Sarzana 1971. En 1842 las Hijas de la Caridad contaban en Piamonte veinte casas y en 1848, cuarenta (cf. CHIERarn, II p. Marcantonio Durando, p. 112). Entre las fundaciones que, a pesar de haberse separado de las Hijas de la Caridad, conservan su espíritu y adoptan ,su regla, hay que recordar las Hijas de la Caridad de Antida Thouret y las «Suore di Caritá dell'Immacolata Concezione», fundadas en 1828 en Rivarolo Cana
vese (Turín) por Antonia Vema (cf. F. 'TROCHO, Santa Giovanna Antida Thouret, fondatrice delle Suore della carita, Milano 1961; A. PIERot n, La vita e ¡'opera della serva di Dio Madre Antonia
Maria Venza, fondatrice delle Suore di Carita dell'Immacolata Concezione d'Ivrea (1773-1838), Firenze 1938).

" La iniciativa de asistir a los soldados enfermos causó desconcierto en el mundo eclesiástico turinés. Un influyente representante del mismo declaró, en efecto, que si el padre Durando fuera a confesarse con él, no tendría el valor de darle la absolución, por esta su osadía (cf. CHIEROTH, Il p. Marcantonio Durando, p. 276).

32 V. DI MEO, La spiritualitá di san Giuseppe Cottolengo studiata nei suoi scritti e nei processi canonici, Pinerolo 1959.

33 R.M. BORSARELLI, La marchesa Giulia di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte nel Risorgimento, Torillo 1933. En el mes de octubre de 1844, don Bosco llega a ser capellán en uno de los institutos de la marquesa Barolo, «l'ospedaletto di Santa Filomena» para muchachas enfermas.

Aosta, consuela a los encarcelados, acompaña a la horca a los condenados a muerte, implicando en esta experiencia al joven Bosco, sacerdote de 26 años, que quedó fuertemente impresionado 34 La barriada pobre de Valdocco se convirtió en el corazón de esta caridad operativa, acogiendo la Pequeña Casa de Cottolengo, las obras de la marquesa Barolo y en 1846 el Oratorio estable de don Bosco.

Del cuadro que he tratado de delinear, emerge un dato significativo. En el piamonte de la Restauración se forma un milieu espiritual en el que confluyen elementos diversos, pero cuyo denominador común está constituido por la dimensión humanista. Usando una expresión grata a Bremond, podemos decir que la espiritualidad piamontesa se mueve en la línea del humanismo devoto.

El humanismo devoto realiza en el campo de la espiritualidad el principio de la teología católica, según el cual la gracia no suprime la naturaleza, sino que la sana, la eleva, la perfecciona. La intuición de fondo es que la naturaleza, a pesar de haber sido herida por el pecado, permanece fundamentalmente orientada hacia Dios, la gracia actúa sobre tal disposición de la naturaleza. Si los jansenistas habían reivindicado la primacía de la gracia sobre la naturaleza, de la acción de Dios sobre la acción del hombre y habían instaurado una dicotomía entre el hombre pecador y el Dios de la gracia, el humanismo devoto afirma la continuidad entre naturaleza y gracia, la relación armoniosa entre naturaleza y sobrenaturaleza. El humanismo devoto le ha quitado al cristianismo aquellas características que podían hacerlo sombrío y extraño a la vida y le ha devuelto un rostro amable.

Es significativo que falten en Piamonte ecos de la espiritualidad francesa de orientación agustiniana (piénsese en Bérulle y los berullianos) con su temática de la vida cristiana como adhesión a Cristo en su muerte en la Cruz, como «anulación» (anéantissement), es decir, abnegación, muerte interior, mortificación de la naturaleza contaminada por el pecado (Bérulle), como oblación, sacrificio, inmolación, por lo que la criatura rinde honor al Creador no a través de la adoración, que es el reconocimiento de su nada, sino a través del sacrificio, que es la destrucción de sí mismo a manera de víctima inmolada (Condren, María de la Encarnación, Bemiéres, Mectilde del SS. Sacramento). El mismo Murialdo, que se vio influenciado por la espiritualidad francesa y en particular por Olier, pues vivió en Saint-Sulpice, atenúa la austeridad de la espiritualidad francesa con la dulzura de Francisco de Sales y con la afectividad de Alfonso de Ligorio.35
" En las MO don Bosco usa el verbo «inorridire» (cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 81). En este cuadro de caridad activa, hay que señalar una institución laica de beneficencia, denominada «Mendicitá Istruita», regia obra pía turinesa, creada en 1771, que ejercitó durante .el período de la Restauración un renovado compromiso en el sector de la instrucción y de la educación de la juventud pobre. Sus escuelas fueron confiadas, en la sección masculina, a los hermanos de las Escuelas Cristianas; en la sección femenina, a las llamadas «suore di San Giuseppe».

" Huellas de la tradición oratoriana francesa se encuentran en Lombardía y en la región vé
2. Actitud y mentalidad de Don Bosco
Don Bosco ahonda sus raíces dentro de este humus espiritual, del ldioma las esencias y la linfa,36 pero, sobre todo, una inspiración cua, una actitud, una mentalidad. Sacerdote de la clase rural siente con viva sensibilidad la realidad nueva de los jóvenes que, salidos de la cárcel o emigrados del campo a Turín en busca de trabajo, se habían integrado mal en la ciudad en los co. mienzos de la industrialización. Don Bosco fundamenta su acción educativa respecto a los jóvenes «pobres y abandonados» en la «amabilidad» (amorevolezza) y en la «caridad», adapta con relación a ellos la misma metodología pastoral, caracterizada por la dulzura, que había guiado la predicación de los misioneros de Alfonso de Ligorio, de Vicente de Paul, de Gaspare del Bufalo en medio de las poblaciones rurales?' Los jóvenes serían conducidos a Dios no con el rigor, sino con la dulzura. En una carta, que se remonta al 31 de agosto de 1846, pocos meses después de haberse establecido el Oratorio en Valdocco, y por tanto en los comienzos de su experiencia educativa, don Bosco recomienda que «el aceite condimente todo alimento en nuestro Oratorio».38
2.1. Formación sacerdotal en clima rigorista
Tratemos en este sentido de precisar algunos puntos. Es necesario, ante todo, señalar que don Bosco había adquirido su formación filosófica y teológica en el seminario de Chieri (1835-1841), dentro de un clima de gran austeridad. El joven clérigo se había acercado a las tesis favorables al rigorismo a través del estudio del tratado de teología moral de Afasia, que era el texto usado en el seminario. Don Bosco recuerda que las relaciones entre clérigos y superiores se caracterizaban más por el temor que por la familiaridad." El lima() con tales orientaciones rigoristas indujo a Juan Bosco a recorrer el ca-aúno emprendido con un fuerte empeño ascético, llevado hasta el ejercicio de abstinencias y ayunos. Don Bosco reprochaba, además, a la formación esee minario su enfoque abstracto, el gusto por el silogismo capcioso, la pobreza de dimensión histórica.4°

neta. Cf. P. STELLA, Giansenismo e Restaurazione in. Lombardia. Problemi storiografici in marginé de lettere di mons. Pagani vescovo di Lodi (f 1835) a mons. Tosí vescovo di Pavia (t 1845), en: Chiesa e spiritualita nell'Ottocento italiano, p. 335s. Motivos berullianos atraviesan la Vita di Gesit Cristo del oratoriano Antonio Cesari (cf. VECCILL La dottrina spirituale di Antonio Cesan*, en: Chiesa e spiritualitá nell'Ottocento italiano, p. 195-198). Sobre Murialdo puede verse: A. CASTEL, LANI, Leonardo Murialdo, vol. Tappe della formazione. Prime attivitá apostoliche (1828-1866),
Roma 1966; D. BARSOTTI, San Murialdo e la vita di fede, en: D. BARSOITI, Nella comunione dei santi, Milano 1970, p. 373-394 (en particular, p. 377s.).

36 P. Stella ha mostrado, mediante puntuales cotejos, que San Alfonso de Ligorio es el autor en el que don Bosco más se inspiró. En la elaboración del Giovane provveduto y del Mese di maggio, don Bosco valorizó las Massime eterne y L'apparecchio alla morse. Las Glorie di Maria alimentaron la piedad mariana de don Bosco. Las Visite al SS. Sacramento, La pratica di amare Gesù Cristo, eran obras recomendadas por don Bosco: cf. P. STELLA, 1 tempi e gli scritti che prepararono il «Mese di maggio» di don Bosco, en «Salesianum» 20 (1958) 648-694.

37 No se olvide que la idea del Oratorio nació, según el testimonio de don Bosco, de la visita a las cárceles de Turín (cf. G. BOSCO, Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesco di Sales [1862], en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 60s).

" E I, 18.

influencia determinante de don Cafasso
2.2. La Tras la ordenación sacerdotal (5 de jimio de 1841), don Bosco entra en el Convitto eclesiástico de Turín y recibe en él una impronta decisiva. Respira el clima alfonsiano, pero, sobre todo, encuentra a don Cafasso, repetidor de teología moral, hombre sereno y sensible, que se convierte en su confesor. Don Bosco ve en don Cafasso la imagen del sacerdote solicito y fervoroso que trabaja para la gloria de Dios y la salvación de las almas con una dulzura que atrae y conquista. A la idea de un Dios solitario y severo don Cafasso contrapone la imagen de Im Dios padre misericordioso. Para Cafasso la perfección consiste en hacer perfectamente la voluntad de Dios, pero la voluntad de Dios debe buscarse en las acciones de la vida común. La santidad no consiste en el cumplimiento de gestos excepcionales, sino en la fidelidad a los deberes del propio estado. Don Cafasso, y en esto fue extraordinario, practicó con fidelidad las virtudes ordinarias. Cafasso condena las formas de mortificación austera, que son frecuentemente una tentación del demonio. Las verdaderas mortificaciones se manifiestan en el sacrificio que exige la fidelidad a los deberes.'
Don Cafasso está en la raíz de las opciones fundamentales hechas por don
Bosco: Ordenado sacerdote, debería haber sido enviado a alguna parroquia de la diócesis, pero por consejo de don Cafasso entró en el Convitto eclesiástico." En 1844 al término de su perfeccionamiento pastoral, fue inducido por don Cafasso a ocuparse de los jóvenes abandonados, que frecuentemente terminaban en la cárcel o en la horca.43 En el Convitto, la imagen de Dios Juez (airado y severo), que don Bosco había concebido én el seminario de Chieri, se dulcificó. En el Convitto don Bosco se persuadió de que no con el rigor, sino
n Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 59.

40 El mismo Stella, a pesar de la escasez de documentación, ha reconstruido el itinerario intelectual y espiritual de Giovanni Bosco en el seminario de Chieri (cf. STELLA, Don Bosco I,p. 51-83).

' G. CAFASSO, Meditazioni e istruzioni per esercizi spirituali al clero, 2 vol., Torino 1892
1893; F. ACCORNERO, La dottrina spirituale di S. Giuseppe Cafasso, Torino 1958; A. PEDRINI, San Giuseppe Cafasso nella scia della dottrina del Salesio, en «Palestra del Clero» 62 (1983) 625-637,
718-736.

42 Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 79.

Ibid., p. 88s.

con la bondad llevaría las almas a Dios. Es significativo que tres años después de haber dejado el Convitto don Bosco compusiera para la marquesa Barolo, entonces penitente de don Cafasso, el Esercizi() di divozione alla misericordia di Dio (1847). El libro revela la actitud fundamental de don Bosco: La confianza en un Dios Padre misericordioso que «ha creado a todos para el Paraíso». Don Bosco habla del amor con el que Dios acoge al pecador y usa por primera vez la palabra «amorevolezza» que le iba a ser tan querida y que iba a llegar a ser tan salesiana." Dios es un «padre tan amoroso» que perdona los pecados más graves y fortifica al hombre débil y pecador con su cuerpo y con su sangre, preservándolo de este modo de los asaltos del demonio." Llama la atención en esta obra juvenil de don Bosco la importancia que da a la confesión y a la comunión, «las columnas» de su «edificio educativo».46
2.3. La importancia central atribuida a San Francisco de Sales
Don Bosco atribuyó una importancia central a San Francisco de Sales eligiéndolo como modelo y apropiándose de alguna de sus características importantes. El interés por San Francisco de Sales germina en el seminario de Chieri, ya que en los apuntes redactados la vigilia de la ordenación sacerdotal, en mayo de 1841, don Bosco escribe: «La caridad y la dulzura de S. Francisco de Sales me guíen en todas las-cosas»." El binomio caridad-dulzura resulta familiar a Juan Bosco en virtud de aquella robusta y consolidada tradición hagiográfica a la cual me he referido. Pero el interés por Francisco de Sales concebido en Chieri, se desarrolla en el Convitto eclesiástico y en el ámbito de las obras de la marquesa Barolo." La elección de Francisco como ejemplar no es casual. Francisco de Sales encarna en sí la tradición tridentina en los años en los que se efectúa en Piamonte una creciente influencia valdense, pero, sobre todo, encarna la «amabilidad», la «caridad», el equilibrio, la discreción, el optimismo." Don Bosco aconseja la lectura de la Introduzione alla vita devota,
44 L'Esercizio di divozione alla misericordia di Dio, en: OE II, 71-181. Los términos «morevole», «amorosamente», «amorevolezza» son usados con tanta frecuencia que llegan a convertise en palabras claves.

" Cf. Ibid., p. 170.175.

46 Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 295; SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco, p. 9-50.

4' Bosco, Scritti pedagogici, p. 315.

" La marquesa Barolo — recuerda don Bosco en MO — había hecho pintar la imagen de San Francisco de Sales en la entrada de los locales destinados a los sacerdotes que trabajaban en la «Opera Pia del Rifugio», pues «aveva in animo di fondare una congregazione di preti sotto questo
titolo». En este lugar comenzó don Bosco el Oratorio que tituló de «San Francesco di Sales» (Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 93s.).

49 Para carecterizar la actitud de San Francisco de Sales, don Bosco usa un abanico de expresiones: «amabilitá», «calma», «mitezza», «buone maniere», «mansuetudine», «dolcezza», «amorevolezza», «carita». En la Storia ecclesiastica, compuesta en 1845, un año después de haber deporque es un libro que enseña a servir a Dios con familiaridad y confianza liales 50
Se podría objetar que don Bosco hace una lectura restringida del santo sa
boyano, cuya espiritualidad no se agota en la dimensión de la dulzura, pero don Bosco valoriza de los autores aquello que está de acuerdo con su perspectiva educativa. Francisco de Sales, de modelo de pastores de almas, se convierte en modelo de educadores, la amabilidad se convierte en estilo educativo y, más en general, en estilo de vida cristiana. La amabilidad tiene su fund fa-mento en la virtud teologal de la caridad, que «es benigna y paciente, lo sure todo, pero lo espera todo y lo soporta todo». Don Bosco reconoce en el himno a la caridad de la primera carta de San Pablo a los corintios el fundamento de su método educativo?'
2.4. La referencia a San Felipe Neri
Don Bosco vive la propia presencia entre los jóvenes como misión religiosa orientada primariamente a la salvación de sus almas, pero entiende que a los jóvenes se llega sólo a través de la comprensión, la confianza, la amistad, la amabilidad, haciendo hincapié sobre la alegría, la creatividad, la valorización de las realidades humanas: el trabajo, el estudio, la música, el teatro, el canto, los juegos, la gimnasia, los paseos. Para don Bosco la alegría no es un elemento exterior, sino un valor teológico, porque es expresión de la alegría interior, que es fruto de la gracia. En una carta del 25 de julio de 1860 exhorta a un alumno del Oratorio a la alegría «auténtica», «como aquella de una conciencia limpia de pecado»?2 Viceversa, la melancolía, la pereza, la tibieza, la languífado el Convino ecclesiastico, don Bosco traza un breve perfil de San Francisco de Sales, resaltando su dulzura y caridad (cf. OE I, 479s). En el más antiguo reglamento del Oratorio que conocemos, de los años 1851-1852, el Oratorio es puesto «sotto la protezione di s. Francesco di Sales, perché coloro che intendono dedicarsi a questo genere di occupazione devono proporsi questo Santo per modelo nella carita, nelle buone maniere, che sono le fonti da cui derivano i frutti che si sperano dall'Opera deg,li Oratorii» (cf. STELLA, Don Bosco I, p. 108). Las mismas palabras que aparecen en el Regolamento de 1877 (cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 363s.). En el escrito Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883), se define a San Francisco de Sales «II nostro caro e mansueto Francesco», il «mite e sapiente educatore di cuori» (Ibid., p. 311). En las cartas a sus hijos espirituales invita insistentemente a la caridad, a la dulzura y a la paciencia de San Francisco de Sales (cf. por ejemplo, las cartas a don Fenoglio, a don Dalmazzo y a don Lasagna: E IV,153.186.340).

" La Introduzione alla vita devota fue calurosamente recomendada en las publicaciones de
Valdocco, y valorizada por don Bosco en el Giovane provveduto, en el Mese di maggio y en otras obras. Sobre las relaciones entre don Bosco y San Francisco de Sales, cf. PICCA - STRUS (eds.), San Francesco di Sales e i salesiani; E. VALENTINI, Saint Francois de Sales et don Bosco, en: Mémoires et documents publiés par l'Académie Salésienne, Annecy 1955; ID., Spiritualitá e umanesimo nella pedagogia di don Bosco, en «Salesianum 20 (1958) 416-426. " Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 294.

'7 E I, 194.

dez, que hacen al alma árida, opaca, sin brío, insensible a Dios y a las cosas buenas, arraigan en el corazón no iluminado por la gracia."
La figura de San Felipe Neri, definido como «el gran amigo de la juven. tud» es para don Bosco, en este sentido, ejemplar. Existen buenas razones para pensar que ya en el Convitto don Bosco había tenido la posibilidad de acercarse a la figura de Felipe Neri, puesto que ya en 1845 traza de él en la Storia ecclesiastka un breve, pero intenso perfil» En el panegírico de San Felipe Neri, pronunciado en Alba en mayo de 1868, don Bosco presenta al apóstol romano como aquel que «ha imitado la dulzura y la mansedumbre del Salvador», que ha difundido el «gran fuego de la divina caridad» traída por Cristo a la tierra, que ha practicado «el celo por la salvación de las almas, que tiene su raíz en el celo mismo de Cristo»." Al hablar de San Felipe Neri, don Bosco está hablando, de sí mismo y del ideal salesiano. Siguiendo la vida escrita por Bacci y los Ricordi di S. Filippo Neri alía gioventú, don Bosco valoriza y difunde algunos dichos característicos de San Felipe Neri: «Hijitos, estad alegres: No quiero escrúpulos ni melancolía, me basta que no cometáis pecados»; «Haced todo lo que queráis, a mí me basta que no cometáis pecados»; «Escrúpulos y melancolía fuera de la casa mía»; «No os carguéis con demasiadas devociones, pero sed perseverantes en aquellas que habéis empezado».

2.5. Los ecos de San Vicente de Paul
Por los mismos motivos, don Bosco se siente impresionado por la figura de Vicente de Paul, en el cual se encarnan el espíritu de caridad, el estilo de dulzura y de mansedumbre, el celo por la salvación de las almas. En la Storia ecclesiastica de 1845 le dedica un apasionado retrato: «Animado del verdadero espíritu de caridad, no hubo género de calamidad que él no socorriera; fieles oprimidos por la esclavitud de los turcos, niños huérfanos, jóvenes disolutos, solteras en peligro, religiosas abandonadas, mujeres caídas, galeotes, peregrinos, deficientes mentales, mendigos, todos probaron los efectos de la paterna caridad de Vicente».56
Don Bosco desaconsejaba las mortificaciones corporales severas, como «la austeridad en la comida»,57 recomendaba el «precioso don de la salud», un conveniente reposo nocturno, un trabajo proporcionado a las fuerzas de cada
'3 Cf. OE II, 185s.; XI, 236s.

54 Cf. OE I, 473. Sobre la hipótesis de que don Bosco conociera a San Felipe Neri ya durante
los años de seminario, cf. BRAmo (ed.), Esperienze di pedagogía cristiana II, p. 306. " MB IX, 214-221.

56 OE I, 486; In, 217. Conviene hacer notar que don Bosco hizo, en la casa de la Misión de
Turín, los ejercidos espirituales en preparación al subdiaconado (septiembre 1840) y a la ordenación sacerdotal (26 mayo - 4 junio 1841).

5' G. Bosco, Ricordi confidenziali ai Direttori, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 79.

uno 58 Sus preferencias iban hacia las mortificaciones interiores, que se cum.- .

pien en el ejercicio del propio estado y en el soportar las molestias de los demás."
Temía igualmente la multiplicación de las prácticas de piedad que pueden asustar o cansar a los jóvenes. En el perfil biográfico del jovencito Magone de 1861 escribe: «Yo aconsejaría ardientemente vigilar para que se practiquen cosas fáciles que no asusten, y tampoco cansen al fiel cristiano, especialmente a los jóvenes. Los ayunos, las oraciones largas y otras duras austeridades acaban por omitirse en su mayor parte o se hacen de mal humor y con negligencia» 60 De estos datos se deduce también el carácter sereno, equilibrado, humano de la espiritualidad salesiana.

2-.6. Don Bosco maestro de una espiritualidad original
Don Bosco estaba convencido, siguiendo las huellas de San Francisco de Sales, de que la perfección puede ser alcanzada por todos, no con gestos excepcionales y extraordinarios, sino a través del ejercicio de las virtudes ordinarias. Al admirar en Comollo, el clérigo conocido en el seminario de Chieri y muerto prematuramente, «no extraordinarias, sino virtudes cumplidas», don Bosco expresa ya en 1844, en su primera obra, el convencimiento de que en ellas consiste «la santidad de los jóvenes».61
" «Abbiatevi cura della santa, lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportan» (G. Bosco, Ricordi ai missionari del 1875, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 123). «In ciascuna notte
farai sette ore di riposo» (p. 79).

56 «Le tue mortificazioni siano nena diligenza a' tuoi doveri e nel sopportare le molestie al
trui» (Bosco, Ricordi cónfidenziali ai direttori, p. 79).

6° G. Bosco, Cenno biografico sul giovinetto Magone Michele, Torino 1861, p. 46. En el Regolamento per le case della Societá di S. Francesco di Sales de 1877, don Bosco recomienda a sus hijos: «Non abbracciate mai alcuna nuova divozione, se non con licen7a del vostro confessore, e ricordatevi di quanto diceva S. Filippo Neri a' suoi figli: "Non vi caricate di troppe devozioni, ma siate perseveranti in quelle che avete preso"» (Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 433). También don Luigi Guanella recomienda que «gli esercizi di divozione non impediscano gli affari, non siano cosi lunghi e stracchino lo spirito e diano fastidio alle persone colle quali si vive» (L. GUA
NELLA, Un saluto al nuovo auno 1889, Como 1889, p. 55).

61 G. Bosco, Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morro nel seminario di Chieri, Torino 1844, en: OE I, 27. En la segunda edición de esta obrita (Torino 1884) don Bosco escribe que la conducta de Comollo era «un complesso di virtú piccole, ma compiute in guisa che lo facevano universalmente ammirare quale specchio di singolari virtú» (OE XXXV, 29). Don Bosco, presentando la vida edificante de un clérigo que había conocido en Chieri, sin darse cuenta, se retrata a sí mismo, o revela cuáles eran los sentimientos de piedad, estudio y disciplina de los que estaba penetrado. Es interesante poner de relieve que la expresión «piccole virtú» aparece frecuentemente en la obra Trattatello sopra le virtú piccole del gesuita Giambattista Roberti (17191786) empapado de humores salesianos. Las «pequeñas virtudes» son, para Roberti, «la trattabilita, la condisc<n7a, la semplicitá, la mansuetudine, la soavitá ne' guardi, negli atti, ne' modi, nene parole». «Le virtú piccole — continúa Roberti — sono virtú sicure. La loro sicurezza nasce dalla loro stessa piccolezza. Esse non sono pompose, perché versano sopra oggetti leggeri: esse si eser
Al joven Emanuele Fassati don Bosco le recomienda «la obediencia a los padres y superiores» y la puntualidad en el cumplimiento de los deberes, especialmente los escolares.62 Sega!' don Bosco, la santidad puede ser alcanzada por los jóvenes. Un joven es an santo)
cuando observa con «perseverante escrupulosidad los deberes de su esta. do».63 Los perfiles biográficos de Domingo Savio (1859), de Magone (1861),
de Besucco (1864) tienden precisamente a demostrar que también los jóvenes pueden alcanzar altos grados de perfección.

Don Bosco no sólo sostiene que la santidad puede ser alcanzada en cualquier estado de vida, sino que es fácil llegar a ser santos. La única condición es querer serlo: «¿De cuántas cosas, pues, tenemos necesidad para ser santos? De una sola cosa: es necesario querer serlo. Sí, con tal que lo queráis podéis ser santo. No os falta más que quererlo. Los ejemplos de los santos, cuya vida nos aprestamos a poner ante vuestros ojos, son de personas de baja condición, que han vivido en medio de las dificultades de una vida activa: obreros, agri. cultores, artesanos, mercaderes, siervos y jóvenes. Cada uno se ha santificado en su propio estado. Y ¿cómo se han santificado? Haciendo bien todo lo que tenían que hacer»." El camino hacia la santidad, pues, está indicado no tanto por virtudes excepcionales y por hechos extraordinarios, cuanto por la fuerte
voluntad y por la denodada perseverancia en cumplir los deberes del propio estado.

Don Bosco meditó y amó desde los tiempos del seminario de Chieri, la Imitación de Cristo, pero no estuvo marcado por la espiritualidad de la huida del mundo. Cultivó, sí, el desapego de las cosas, la abnegación interior, la compunción del corazón, pero sin complacencias intimistas, en vistas a la actividad apotólica, no a la oración mística o a la inmersión en Dios. Don Bosco no ha elaborado una espiritualidad original.

Bebió en fuentes ignacianas, salesíanas, alfonsianas, filipinas y las canalizó, con gran libertad y habilidad, hacia la acción educadora. Lo nuevo de la espiritualidad de don Bosco está en el hecho de traducirla en un apostolado creativo, diligente, audaz, volitivo, en el don de sí mismo a los demás. En este sentido, don Bosco fue un maestro de vida espiritual (no tanto un escritor espiritual) y no se comprendería su labor educativa, si prescindiéramos de las fuentes que la inspiraron y alimentaron.

citano quasi senza la reputazione di essere virtuosi. [...] Le virtú piccole sono virtú usnali, doé di un uso frequente e cotidiano, comuni a tutte le stagioni ed a tutte le condizioni della vita. [...] Le virtú piccole sono virtú sublimi e divine. Sento ora come penitenza di averíe chiamate piccole, ma la frase é tolta dallo stile di S. Francesco di Sales. E poi esse sono piccole solamente perché ver-sano sopra soggetti piccoli, una parola, un gesto, un'occhiata, una creanza; per altro, se il principio si esamini da cui partono, edil fine, a cui tendono, sono preciare affatto: sono piccole virtú, che formano i grandi virtuosi» (G.B. ROBERT', Raccolta di varíe operette, vol. III, Bologna 1782, p. 33-75).

62 Al joven noble Emanuele Fassati (8 septiembre 1861) en: E I, 209.

62 S'ELLA, Valori spirituali, p. 95. El Giovane provveduto de don Bosco no es simplemente un manual de devoción, es un «modo di vita cristiana» propuesto a los jóvenes (Ibid., p. 80).

6' G. Bosco, Vita di santa Zita serva e di sant'Isidoro contadino, en LC (1853) 6.

DON BOSCO Y LAS ASOCIACIONES CATÓLICAS EN ESPAÑA gamón ALBERDI


o. Introducción

Basta ojear las Meniorias biográficas de San Juan Bosco,' para darse cuenta de los contactos que éste tenía con diversas asociaciones católicas de su
tiempo. Y no sólo en la ciudad de Turín, sino también fuera'
Efectivamente, durante los viajes por Italia, Francia y España, encontraba
muchaofrecerles etas asociaciones, que le salían al paso para presentle sus res
petos, su ayuda y recibir, en cambio, una buena palabra osuna bendición.

En todos estos encuentros, ambas partes — las asociaciones y don Bosco se sentían muy a gustó, como envueltas en un mismo clima de mutua atracción y .:Inpatía. De tal forma que, de los mismos, podían surgir relaciones más o menos estables de amistad y ayuda.

Prueba de ello son, por ejemplo, la decisión de algunas sociedades de nombrar a don Bosco su miembro de honor,3 el hecho de que militaran en las mismas, en un grado o en otro, muchos cooperadores salesianos de primera hora — como el conde Carlo Cays di Giletta,4 el conde De Maistre,5 el conde de Villeneuve,6 doña Dorotea Chopitea de Serra' — y, en fin, la intervención de
* Esta comunicación fue redactada y leída por el autor en castellano (n.d.e.).

' Aunque ya está muy adelantada la publicación de la traducción castellana (CCS, Madrid 1981 ss.), en el presente trabajo las citas de las MB se aducen de acuerdo con el original italiano.

2 Se pueden compulsar, por medio del Indice analitico de las citadas Memorie, algunos términos, tales como Associazione, Circolo, Congress°, Patronage, Societa, Unione.

3 Lo fue de las Conferencias de San Vicente de Paul de Turín desde 1850, de la Unión Católica Obrera de Nizza Monferrato desde 1883, de la Asociación de Católicos de Barcelona desde 1884. Cf. respectivamente MB IV, 66-70; XVI, 288; XVIII, 84.

• Fue primero presidente del Consejo Particular de las Conferencias de San Vicente de Paul en Turín (1853) y luego presidente también del Consejo Superior de las mismas en el Piamonte (1856). Acabó siendo salesiano y sacerdote (1. 1882). Cf. L. TERRoNE, II conte Cays, sacerdote salesiano, Colle Don Bosco (Asti), LDC 1947, p. 142.

• De las mencionadas Conferencias en Nizza, según MB X, 1337.

• Presidente de las sociedades agrícolas del sur de Francia, según MB XVIII, 150-151. 7 Entre-otras asociaciones, había pertenecido a la Junta de Damas de las Salas de Asilo y al Apostolado de la Oración. Cf. A. BURDÉUS, Una dama barcelonesa del ochocientos. La sierva dedichas asociaciones en algunas fundaciones salesianas, concretamenté en marassi (Génova 1871),8 Sampierdarena-Génova (1872),9 Niza (1875),10B Buenos Aires (1877-1878)" y Marsella (1878).0
Indudablemente, el movimiento católico social del siglo pasado demo tener una fina sensibilidad ante el carisma salesiano, al que quiso tener cercastró y abrirle los caminos de la vida, aunque no siempre consiguiera una presencia activa de los salesianos, como le ocurríó, por ejemplo, en 1880, a la Sociedad Obrera de Florencia13 o, al año siguiente, a la Asociación de Católicos de Valencia (España)11---o, en 1884, al Consejo general de las Conferencias de San Vi. cente de Paul de Londres.'5
«Giá piú volte in questo e in altri volumi — escribe don Eugenio Cenia en el XVIII — ci é avvenuto di narrare come Societá Operaie Cattoliche volgessero lo sguardo a don Bosco, reputandolo grande antesignano nell'attivitá a favore della classe lavoratrice. Questa opinione faceva si che, dove ci fossero case salesiane, le medesime Associazioni le considerassero come luoghi per esse di naturale ritrovo».16
Pero, entre las asociaciones que conectaron con don Bosco y sus salesianos, había también las formadas por la burguesía católica que, de acuerdo con la mentalidad propia del catolicismo social de la época, se dedicaban, entre otras cosas, a la acción benéfica en favor del proletariado y del mundo de la marginación. En esta línea sobresalía la Sociedad de San Vicente de Paul, fundada en París por Federico Ozanam en 1833. Su exponente más cualificado estaba, y sigue estando, en las Conferencias de San Vicente de Paul.

Éstas entraron en Italia en 1844, a través de la pequeña ciudad de Níza, entonces perteneciente al reino de Cerdeña, y, pasando por Génova (1846), llegaron a Turín en 1850. Desde el primer momento, don Bosco se convirtió en promotor de las mismas." Tanto que, a los pocos años, con la ayuda del conde Cays, fundó unas llamadas Conferencias Anejas en sus tres oratorios de Dios doña Dorotea de Chopitea, viuda de Serra, Barcelona, Librería Salesiana 1962, p. 128.326.

8 Cf. MB X, 145.182.184-185.190-191230.

9 Cf. MB X, 364; S. SCIACCALUGA, Don Bosco a Genova, Genova-Sampierdarena, Salesiana editrice 1946.

'° Cf. MB X, 1337; XI, 421-426; XII, 114-116.120-122.124.407-408; XIII, 106-112; XV, 506
507. F. DESRAMAUT, Don Boscoa Nice. La vie d'une école professionnelle catholique entre 1875 et 1919, Paris, Apostolat des éditions 1980, p. 21-41.

" Cf. MB MI, 264-266; XIII, 180-181. 784-786. 1005-1007.

Cf. MB XLII, 95ss. 526-528. 531. 542. 727. 998. Ver en el Indice analitico (indice dei nomi propri) de las MB el término Beaujour.

" Cf. MB XV, 328-334.

" Ver la carta que le dirigen a don Juan Cagliero (23-III-1881) en A. MARTÍN, Los salesianos de Utrera en España, Inspectoría Salesiana de Sevilla 1981, p. 183.

15 Cf. MB XVIII, 447-448.

16 MB XVIII, 168.

" Cf. MB IV, 66-70; V, 468.

urín18 y se interesó por su difusión en Roma.19 En general, las relaciones de don Bosco con la Sociedad de San Vicente de Paul fueron profundas y permanentes."
Los aquí datosic aducidos son más que sufícíentes para despertar nuestro interés científo y orientarlo a un campo que todavía no tenemos bien estudiado: ¿cómo eran — en su constitución, mentalidad y actividades — esas asociaciones católicas, de las que tantas veces se veía rodeado don Bosco y cuya amistad y apoyo buscaba? ¿Dónde radicaba la razón de aquella sintonía? ¿Qué resultados se derivaron de la misma?
Tales son el objetivo y el contenido del presente trabajo, que se centra tan sólo en aquella ciudad de Barcelona que don Bosco visitó y conoció en abril-mayo de 1886 y a la que, desde entonces, amó sinceramente. Cuando falleció dos años después y, el día 2 de ferero, por la tarde se organizó el solemne entierro por las calles de Turín, «la caja caja mortuoria iba, cubierta con paño negro — se lee en el «Boletín Salesiano» —; encima llevaba las insignias sacerdotales y las medallas de oro de la Asociación de Católicos de Barcelona y de la Sociedad Geográfica de Lyon».2' ¡Es curioso! Los salesianos de hace un siglo, a la hora de adornar lo mejor posible el féretro de su padre y fundador, no encontraron otros símbolos más significativos y más cercanos al corazón que las insignias sacerdotales y unas medallas de oro de dos asociaciones extranjeras... ¿Podían expresar mejor la conciencia que tenían de que, efectivamente, don Bosco era ya patrimonio de todo el mundo católico?
El autor de este modesto trabajo desearía que otros participantes en este Congreso Internacional tomaran en consideración el tema aquí insinuado y que lo desarrollaran en relación a las tierras de Italia y Francia. De esta manera, a nuestro juicio, conseguiríamos descubrir mejor la dimensión históricoeclesial de don Bosco y haríamos avanzar, siquiera lin poquito, la historiografía relativa al mismo.

1. Don Bosco en España y las asociaciones católicas

La literatura salesiana de todos los tiempos ha acostumbrado presentar el viaje de don Bosco a España con colores luminosos y atrayantes. Según el historiador Cenia, aquellos días de la estancia del Fundador en Barcelona y en Sarriá — pueblecito éste de los alrededores de la capital de Cataluña, en donde
18 Cf. MB V, 468-477.782-783; VI, 491; VII, 12-15; IX, 941.

'9 Cf. G. BONETTI, Cinque lustri di storia dell'Oratorio Salesiano, Tocino, Tipografia salesiana
1892, p. 532; MB V, 871.

20 Ver en d Indice analitico (indice dei nomi propri) de las MB los términos Conferenza di
S. Vincenzo de' Paoli, Conferenze annesse.

21 Marzo 1888, 34.

radicaba la casa salesiana —, desde el 8 de abril al 6 de mayo de 1886, fueron unas jornadas «triunfales ».22
Efectivamente, tanto las fuentes salesianas23 como las barcelonesas24 avalan este enfoque de cosas. La misma actitud de burla de la prensa anticlerical no hace más que confirmarlo.25 Don Bosco se vio constantemente rodeado de la multitud y agasajado por la burguesía católica barcelonesa. Objetivamente hablando, aquello constituyó para él un éxito indiscutible. Pero ¿a qué, o a quién, se debía toda esa brillantez, festiva y multitudinaria, en torno a un personaje que, al fin y al cabo, no era conocido para la inmensa mayoría de la población local? A la hora de responder a esta pregunta, hay que tener en cuenta diversos factores. Entre ellos, sin duda, la fama de santidad de don Bosco y de los milagros que se le atribuían. Así y todo, ¿quién hacía socialmente válida y operativa toda esa fama? A nuestro entender, en una medida importante, las organizaciones del societarismo católico. Basta compulsar la documentación para cerciorarse de ello.

Ya desde el mismo momento de poner el pie en el suelo de Barcelona, en la estación llamada «de Francia», la mañana del jueves 8 de abril, don Bosco se encontró con el asociacionismo católico de la Ciudad. El joven cronista Viglietti quedó admirado: «La stazione presentava un magnifico spettacolo: tutte in bell'ordine erano schierate varíe societá [...]: vi era il Direttore della societá dei cosi detti cattolici, il Direttore dell'Universitá di Barcelona, il Presidente della Societá di S. Vincenzo de' Paoli».26
A los periódicos de la tarde no se les escapó el detalle. Según el «Correo Catalán», a don Bosco le esperaban en la estación del ferrocarril «numerosas comisiones [...] de todas las asociaciones católicas de esta capital, prensa católica y numerosísimo concurso de individuos de las mismas ».27
El anciano Fundador se emocionó ante aquel espectáculo. Como declaraba unos días más tarde, «me han dispensado una acogida que no olvidaré nunca».2a Desde aquella mañana, las asociaciones católicas no le abandonaron y le prepararon las jornadas más brillantes de su estancia en la Ciudad Condal.

22 MB XVIII, 117.

23 La más importante es la Cronaca de don Carlo Maria Viglietti. En este trabajo se usa el ejemplar que el mismo cronista regaló a la familia Martí-Codolar. En la primera tapa de la lujosa encuadernación se lee: Don Bosco — I quattro ultimi anni di sua vita — Omaggio di riconoscenza alía famiglia Martí-Codolar — Cronaca scritta dal segretario Carlo M. Viglietti —1888 (= Cronaca).

24 Entre la prensa periódica que más se interesó de don Bosco hay que recordar: «Diario de Barcelona» (fundado en 1792), «Correo Catalán» (diario fundado en 1878), «12.vista Popular» (semanario fundado en 1871), «La Hormiga de Oro» (semanario fundado en 1884).

25 Se refirieron especialmente a don Bosco «La Campana de Grácia» (semanario fundado en 1870), «L'Esquella de la Torratxa» (semanario fundado en 1872). «El Diluvio» (diario fundado en 1879). Para una visión general, cf. R. ALBERDI, Una ciudad para un santo, Barcelona, Ediciones Tibidabo 1966; ID., Don Bosco en Barcelona. Itinerario, Barcelona, Edebé 1986.

26 Cronaca, 8 Aprile 1886. Barcellona.

27 «Correo Catalán», jueves 8 de abril de 1886, P. 1. Edición de la tarde. Cf. también «Diario de Barcelona», jueves 8 de abril de 1886, p. 4105. Edición de la tarde.

28 Ver el texto de la invitación a la conferencia salesiana, Sarriá 27 de abril de 1886, en MB
XVIII, 648.

El jueves 15 de abril, tuvo lugar la solemne velada en que la Asociación de Católicos impuso a don Bosco la medalla de miembro de honor y mérito. Fascinado, Carlo Maria Viglietti dejó consignados en la crónica algunos detalles: «Alle 4 giunse il presidente con alcuni membri della associazione cattolica per accompagnare don Bosco alla radunan7a straordinaria espressamente convocata per onorare lui. Codesti signori erano elegantemente vestid e decorad delle insegne della societá. Tre vetture di gran lusso ne attendevano [...]. Le vetture andavano a passo lento, e attiravano gli sguardi della moltitudine accorsa per vedere don Bosco [...]. I socí cola accorsi [en el nuevo local que la Asociación inauguraba entonces] erano quanti ne potevano contenere i tre saloni. Era tutto il flore della nobiltá di Barcellona».29
La sesión resultó un éxito,3° tanto para don Bosco y los salesianos como para la misma Asociación de Católicos que, de esta manera, se dio a conocer también ante los representantes de otras asociaciones. El señor presidente, doctor Bartolomé Feliú y Pérez, al evaluar el desarrollo de la velada expresaba — según consta en el libro de actas de dicha entidad — «lo satisfecha que quedaba la Junta directiva por las muchas muestras de aprecio recibidas en aquel día por [parte de] todos los individuos de la Asociación y por [parte de] las corporaciones que a la fiesta asistieron».3'
A los quince días, el viernes de la semana de Pascua, 30 de abril, se celebró la llamada conferencia salesiana, convocada por don Bosco a favor de los Talleres Salesianos32 de Sarriá, «a fin de que aumente — decía — en grandes proporciones el número de niños que se puedan admitir en los mismos, para darles, a la par que una sólida educación cristiana, la enseñanza de un arte u oficio que les procure, a su tiempo, una honrosa subsistencia».33
Por medio de los amigos y cooperadores de la casa salesiana, este comunicado se transmitió a las sociedades en las que ellos estaban inscritos. Al igual que la Asociación de Católicos — que, como se lee en el libro de actas, recibió «con agrado [...] el oficio de invitación de don Bosco»34 —, también las demás
29 Cronaca, 15 Aprile 1886. Barcelona.

38 Cfr verbale della riunione solenne svoltasi il 15 aprile 1886 dall'Associazione dei cattolici
a Barcellona per imporre all'insegna della Corporation per l' anziano illustre e venerabile signor Juan
Bosco, fondatore dei Salesiani Workshops, Barcellona, Tipografia Cattolico, 1886

31 ASSOCIAZIONE DEI CATTOLICI DI BARCYI ONA, Atti 1886-1896. È il record corrispondente alla
sessione del Consiglio di amministrazione del 19-IV-1886. Sia questo volume che un altro precedente (1871-1872 [1886]) si trovano nell'Arxiu Diocesá di Barcellona. Entità ecclesiastiche Antigues.

Associazione dei cattolici di Barcellona. Leg. 2. Vedi nota 47.

"Sono stati nominati durante i primi anni di attività delle scuole di arti e uffici
che i salesiani avevano tenuto a Sarriá dal 1884.

"Testo dell'invito alla Conferenza salesiana, Sarriá, 27 aprile 1886, in MB
XVIII, 648.

34 ASSOCIAZIONE DEI CATTOLICI DI BARCELLONA, Atti 1886-1896 (= Atti II). Sessione straordinaria del 30 aprile 1886.

i raggruppamenti hanno risposto positivamente. I loro rappresentanti hanno occupato un posto distinto nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Betlemme, dove la conferenza si ha, il cui parroco, il reverendo don Giovanni Masferrer, era il cappellano del consiglio dell'associazione di condimento cattolica. Secondo la descrizione del cronista, "dal lato dell'Epistola stavano governative lui AUTORITÀ e militad. con vari Direttori di Societá e di Giornali. I Comitati dei Signori e Signore delle occupavano cooperatrici in chiesa i posti a priori, ed i Signori portavano petto decorazioni sul Secondo le le Societa di appartenevano cui ».35
Al termine della conferenza, insieme a collaboratori hanno contribuito a rendere la collezione "I Giovani della Società Cattolica" .36 E 'del tutto possibile che questa espressione Don Carlo Maria Viglietti vorrebbe fare riferimento alla associazione denominata' Accademia di Gioventù Cattolica di Barcellona, che è diventato come la sezione giovanile dell'Associazione dei cattolici.

Il terzo grande giorno - mercoledì 5 maggio - era centrato sulla basilica di Nostra Signora della Misericordia. Lì, in un atto "commovente Insieme e solenne" 37 proprietari della cima del Monte Tibidabo fatto a Don Bosco donazione della stessa, 38 'in modo che si servirà per sollevarla - aveva scritto su incarico pergamena - A eremo, consacrato al il Sacro Cuore di Gesù, fermare il braccio della giustizia divina e di attrarre il
Divine Misericordie della nostra amata città e l' intera Spagna cattolica" .39
Gli undici firmatari erano proprietari, o eredi o rappresentanti dei primi proprietari. E, come spiegato più avanti, questi erano, o erano stati, membri dell'Associazione dei cattolici o delle Conferenze di San Vincenzo de 'Paoli o entrambe le entità contemporaneamente. Il primo dei firmatari e che gli alti e bassi che seguirono questa donazione è stata la rappresentazione di altri chiamato Dolphin Artos e Mornau, apparteneva alla Associazione Cattolica dal 1881 e, dal 1884, hanno esercitato le posizioni del presidente particolare consiglio delle Conferenze di Barcellona e del Consiglio centrale dello stesso in Catalogna. "
Certamente, sia l'acquisizione delle proprietà situate al vertice del
Tibidabo, come la decisione di offrirli a Don Bosco, fu forgiato tra i militanti dell'Associazione Cattolica della Ciudad Condal.

35 Cronaca, 30 aprile 1886. Barcellona.

36 Ibid.

37 Ibid., 5 Maggio 1886. Barcellona.

38 Cfr. ALBERDI, Una città, p. 176-190.

39 La pergamena della donazione, con il testo firmato dai proprietari o dai loro rappresentanti, è in ASC, 38 Barcellona: Tibidabo 1 °. I nomi dei donatori portati in MB XVIII, 653 non sono sempre correttamente trascritti.

4 ° Intorno a quest'ultimo anno è diventato membro onorario del Board of the Worker, in cui durante i primi anni ha ricoperto il ruolo di presidente effettivo.

Oltre a questi incontri più significativi, ci sono stati altri momenti di convivenza tra le associazioni e Don Bosco.

Así, según hace constar don Viglietri, el sábado 10 de abril, por la tarde, don Bosco recibió en audiencia especial al Presidente de la Asociación de Católicos, que acudió a la casa salesiana de Sarriá «con gran numero dei piú illustri socii».4' Cuatro días más tarde, éstos mismos asistieron a la misa que celebró don Bosco en la capilla de aquella casa: «II Presidente col Segretario —precísa el cronista — servirono la Santa Messa a don Bosco»." Y, por la tarde de ese día (14 de abril), volvieron a la residencia salesiana. Allí estaba «tutta la societá cattolica, a cui — asegura el cronista Viglietti — don Bosco tenue una specie di conferenza nel teatro ».43
En ídéntíca forma, el miércoles 21 de abril, por la tarde, tuvo lugar en Sarriá el encuentro de don Bosco con las Conferencias de San Vicente de Paul. «Era un'imponente dimostrazione di ben 250 Signori della Societá di San Vincenzo de' Paoli» — explica Viglietti —. Y prosigue: «Don Bosco entró subito nella sala del teatro e parló a tutta quella moltitudine ringraziandola di una cosi bella prova di fede e di religione. Si fece quindi da queí buoni signorí una colletta che fu assai generosa» 44
Las asociaciones católicas de Barcelona sólo dejaron a don Bosco el día de la partida de éste, el 6 de mayo de 1886. Le dieron el último adiós en la estación del ferrocarril. Según la «Revista Popular», allí estaban presentes las «Comisiones de las Corporaciones religiosas de esta ciudad, como la Asociación de Católicos, el Fomento [Católico de Barcelona], la [Academia de la] Juventud Católica, las Conferencias de San Vicente de Paul, etc.» 43
Como se ve, las agrupaciones que se acaban de mencionar jugaron un papel importante junto a don Bosco, al que acompañaron y auparon en sus días barceloneses. ¿Cuál era su origen en la capital de Cataluña, qué objetivos perseguían, qué espíritu les animaba para sintonizar tan perfectamente con el Fundador de los salesianos? Las páginas que siguen quisieran responder a estos interrogantes. Como hay que respetar los límites señalados a una comunicación, sólo se mencionan las organizaciones más importantes, de las cuales se ponen de relieve aquellos aspectos que ofrecen mayor relación con don Bosco y su obra.

" Cronaca, 10 Aprile 1886. Barcelona.

Ibid., 14 Aprile 1886. Barcellona. Ver también Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona en la Junta General de Reglamento celebrada el día 20 de marzo de 1887. Barcelona 1887, p. 13.

Ibid.

44 Ibid., 21 Aprile 1886. Barcelona.

" «Revista Popular», 805 (1886) 297.

2. La Asociación de Católicos de Barcelona

De cuanto se ha expuesto hasta ahora se desprende que esta organi2aeió es la que estuvo en mayor contacto con don Bosco a raíz de su visita a Barcen lona en 1886. Las relaciones de amistad comenzaron en 1884, cuando dcha tuvieron supo de la existencia de los salesíanos y de su Fundador y se mantuvieron vivas aun después de haber recibido la noticia de la última enfermedad y muerte del mismo, en enero de 1888.46

2.1. Origen y desarrollo

La Asociación de Católicos de Barcelona47 se constituyó el 19 de marzo de 1871. «Queríase — escribía más tarde el abogado José María Vergés, buen conocedor de la misma — que, a favor del entusiasmo, de la esplendidez y de la buena organización, se hiciera el catolicismo de moda, si es licito usar tal expresión, y que viniera a convertirse en título de gloria ante el muno, dejando de ser estigma con que el enemigo señala a sus odiados rivales a l da saña de sus adeptos, la cualidad insigne de católicos e hijos de la Iglesia que con júbilo ostentan cuantos forman parte de nuestra agrupación».48
Tal era la meta a que aspiraban aquellos hombres que en la iglesia parroquial de San Jaime, con la solemne celebración eucarística y la comunión general de la fiesta de San José de 1871,49 ponían en marcha la nueva entidad. Sólo buscaban ser católicos a secas, para poder dar así un nuevo prestigio a la religión que ellos veían criticada por todas partes a raíz de la Revolución de Septiembre de 1868." Aun después de varios años, la Asociación era consciente de la «azarosa época» en que había sido fundada?'
El iniciador principal de la misma fue don José Coll y Vehí 1876),52 ca
48 Cf. R. ALBERO', Resonancia de la muerte de Don Bosco en Barcelona, en «Salesiantun» 50 (1988) 191-214.

47 En buena parte al menos, hoy es posible reconstruir la historia de esta entidad gracias a la documentación que se halla en el antiguo Archivo de la Diputación Provincial de Barcelona (para la cuestión de las escuelas) y, sobre todo, en el Archivo Diocesano de Barcelona. Aquí (Arxiu Diocesá de Barcelona = ADB) se pueden consultar diversos materiales impresos y no impresos (Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona). Particularmente interesante es el Libro de Actas, en sus dos cuadernos: el primero (= Actas I) se extiende de abril de 1871 a marzo de 1886; el segundo (= Actas II), desde marzo de 1886 a junio de 1896. Ver notas 31 y 34. 48 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 11 (1881) 170.

48 Unos meses antes (diciembre de 1870) el Papa Pío IX había proclamado al Santo Patriarca como Patrono de la Iglesia Universal. Por su parte, la Asociación de Católicos de Barcelona se había puesto oficialmente bajo la protección de este santo (Estatutos, art. 11.

" Cf. La Iglesia en la España contemporánea (1808-1975), en: R. GARCÍA VILLOSLADA (ed.) Historia de la Iglesia en España, V, Madrid, RnicA 1979, p. 227-256.

5' «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 22.

52 Ver este nombre en el Dkcionari BiográfiC, I, Barcelona, Alberti editor, 1966, p. 591.

tecirático de la Universidad de Barcelona, escritor y crítico literario. Había sido Ais 'pulo de Manuel Milá y Fontanals (t 1884) y se relacionó mucho con Juan --pá-acrilé y Flaquer (t 1901) y con Manuel Durán y Bas (t 1907). Se le ha considerado como uno de los representantes del conservadurismo catalán. Dentro de la Asociación gozó de un prestigio inmenso. "
Entre otros, le ayudaron en la fundación de la sociedad el mencionado José ajaría Vergés y el reverendo José Morgades y Gil (t 1901) que a la sazón era canónigo penitenciario de la catedral de Barcelona. Doctorado en Teología y Derecho Canónico Y profesor en el seminario conciliar, ya se había dado a conocer como propulsor de la cultura y de las obras benéficosociales.54
La junta interina, presidída por Coll y Vehí, terminó sus funciones el 30 de abril de 1871 y fue sustituida por una junta directiva propiamente dicha. Entraba en ésta,55 como presidente, el citado señor Coll y, como vicepresidente, el también citado José Morgades. Este, según el «Diario de Barcelona», llegó a ser «decidido protector del Instituto Salesíano» de Sarriá.56
En la misma junta directiva ejercía el cargo de secretario primero el señor Narciso María Pascual de Bofarull (t 1902), abogado de profesión y cuñado de Luis Martí-Codolar (t 1915) y que, por estar casado con María Jesús Serra y Chopitea (desde 1844), era yerno de José María Serra y Muñoz (t 1882) y de Dorotea Chopitea y Villota (t 1891). La futura «mamá» de los salesianos de Barcelona (desde 1884) ya había iniciado para entonces (1871) la fundación y organización de obras asistenciales y tenía en el señor Pascual un colaborador inteligente, generoso y fiel.

La aparición de las asociaciones de católicos no fue un hecho exclusivo de Barcelona, sino que, ya antes, se había dado en otras ciudades españolas, comenzando por Madrid. Los fundadores — todos ellos seglares y adscritos al conservadurismo políticoreligioso — aprovecharon precisamente la libertad de asociación que acababa de proclamar la Revolución de Septiembre de 1868, para crear un gran frente común que fuera capaz de oponerse al espíritu laicista y anticlerical de dicha Revolución, promover una cultura inspirada en la fe católica — íntegramente profesada, según decían — y, en fin, defender la unidad católica de España." Este movimiento se ponía en marcha io antes de terminar el año de la Revolución (1868) y, desde el siguiente, se v completado y 52 «Modesto, sabio, virtuoso e infatigable defensor de la verdad», según se le describe en la Memoria y discurso leídos por el vocal secretario Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans en la Junta General de socios celebrada el 24 de mano de 1878. Barcelona 1878, P. 12.

34Ver este nombre en la Gran Enciclopédia Catalana, vol. 10, Barcelona 1977, p. 314-315. 58 Cf. Actas I, en la fecha indicada.

" Miércoles 21 de abril de 1886, p. 4626. Edición de la mañana. En 1882 había sido nombrado obispo de Vic (Barcelona) y, a los cuatro años, tuvo ocasión de saludar personalmente a don Bosco en la incipiente casita salesiana de Sarriá. Cf. Cronaca, 20 Aprile 1886. Barcellona.

57 Cf. Iglesia en la España contemporánea, p. 242-247; J. ANDRÉS GALLEGO, La política religiosa en España 1889-1913, Madrid, Editora Nacional 1975, p. 9-15.

animado por las agrupaciones juveniles correspondientes, tales como la Academia de la Juventud Católica de Barcelona, que ya tenía redactado un primer reglamento en noviembre de 1869.58
Pero los años del Sex.enio Revolucionario — Revolución (1868), Gobierno Provisional (1868-1870), Monarquía de Amadeo I de Saboya (1870-1873), Primera República (1873-1874), Régimen Interino (1874) — no resultaban nada favorables para el desarrollo normal del asociacionismo católico. Éste, ante una situación permanente de anarquía y de anticlericalismo (tanto de signo gubernamental como popular), ante los brotes de la primera Internacional obrera y ante un nuevo choque de las guerras carlistas, se vio obligado a reducir, camuflar o suprimir sus actividades."
La Asociación de Católicos de Barcelona pronto fue objeto de sospechas y malentendidos por parte del Gobierno civil.," que, a pesar de las explicaciones que le daba aquélla, terminó por interceptar todas sus actuaciones. En consecuencia, al mes siguiente de la proclamación de la Primera República (febrero de 1873), las puertas de su local social — calle del Rigomir, n° 11 — quedaroncerradas, y se abrió seguidamente un paréntesis que duró hasta septiembre de 1877.61
Sobre los 260 socios inscritos vinieron «la desorganización y el espanto» según recordaba en 1878 el secretario Juan Federico Muntadas y Vilardell.82 La «mayor parte» de ellos, según el mismo testigo, tuvieron que buscar «más allá de las fronteras la tranquilidad de que se carecía en nuestro suelo»,63 ya que, durante aquellos años (1868-1874), «la revolución [...] quedaba árbitra y señora de la antigua Ciudad de los Condes, cuna de esclarecidos santos. Los templos y los claustros, profanados; destruidas las imágenes; los misterios de nuestra sacrosanta Religión, escarnecidos; perseguidos los ministros del altar; señalados los católicos todos al público oprobio»."
Es probable que este lenguaje del letrado Muntadas — que ya era secretario de la Asociación antes del advenimiento de la república — sea un tanto exagerado, porque, hablando en general, Barcelona y Cataluña consiguieron mantenerse dentro del orden. Con todo, es verdad que, dado el odio anticlerical de los republicanos — perfectamente explicable hasta un cierto punto —, la violencia se cebó en las iglesias de la capital catalana, las cuales, si bien se libraron de las llamas, estuvieron cerradas al culto e incluso algunas fueron profanadas 8s En tal estado de cosas, a muchos sacerdotes sólo les quedó un camino de salvación: huir al extranjero."

" Cf. Reglamento de la sociedad Juventud Católica de Barcelona 1870, p. 14.

'9 Cf. J. MANUEL CASTELLS, Las asociaciones religiosas en la España contemporánea (17671965). Un estudio jurídico-administrativo, Madrid, Ed. Taurus 1973, p. 224-242.

6° Ver la circular que la Asociación de Católicos cursó a los socios, con fecha 4 julio 1872. (Ejemplares de éste y otros impresos, en: ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues, Leg. 7).

61 Cf. Memoria y discurso... 1878, p. 11-12.

62 Ibid. p. 11. 67 Ibid.

" Ibid.

La crisis revolucionaria y republicana — con sus crueles medidas desamortizadoras y secularizadoras — entró en proceso de desintegración a comienzos del año 1874 (Golpe del capitán general de Madrid, Pavía) y terminó a finales del mismo año, cuando el general Martínez Campos proclamó en Sagunto a Alfonso XII como rey de España (29 de diciembre de 1874).

A pesar de la llegada de la Restauración de 1875, la Asociación de Católicos de Barcelona no acertó a reaccionar en seguida. A la antigua junta directiva, que había sido nombrada en marzo de 1872, le costó preparar la reanu- • dación de las actividades, hasta que finalmente, en septiembre de 1877, consiguió una nueva autorización por parte del Gobierno civil de Barcelona."

2.2. Los socios

La Asociación de Católicos mantuvo sin cambios el status social de sus miembros. Estos procedían generalmente de la burguesía.

2.2.1. Antes de la supresión de 1873

Los grupos más significativos eran — para entendernos — el de la burguesía intelectual — abogados, catedráticos, médicos y farmacéuticos — y el de la burguesía dineraria — banqueros, industriales, fabricantes, comerciantes, propietarios y administrativos —. También tenía su importancia el sector de los clérigos adscritos a la vida pastoral (sin ser profesores ni dignidades eclesiásticas). En fin, no faltaban algunos títulos nobiliarios.

a) Los futuros Cooperadores salesianos
De la lista de socios de primero de marzo de 1872 — la segunda que se publicó y la más antigua que hasta ahora hemos podido hallar" — se desprende que los futuros cooperadores salesianos de Barcelona militaban en las filas de la Asociación ya desde los tiempos que pueden llamarse fundacionales.

65 Cf. F. SOLDEVILA (ed.), Un segle de vida catalana 1814-1930, I, Barcelona, Ed. Alcides
1961, p. 385.

66 Cf. J. BoNET I BALTA, L'Església catalana, de la Illustració a la Renaixenla, Barcelona, Publicacions de l'Abadia de Montserrat 1984, p. 644-645.

67 El Reglamento de la Asociación de Católicos de Barcelona fue revalidado con fecha 7-IX 1877.

68 Asociación de Católicos de Barcelona. N° 2. Contiene los Estatutos (p. 1-4) y una Lista general de los señores asociados (p. 5-27).

Efectivamente, allí estaban las tres familias más importantes: la de Serra Chopitea, la de Martí-Codolar y la de Pascual de Bofarull. Interesa recordar algunos nombres.

— De la primera, José María Serra y Muñoz (t 1882), banquero y comerciante, marido de Dorotea Chopitea y Villota (calle Barra de Ferro 8,1°. hfilmero de inscripción 100).

— De la segunda, Luis Martí [Codolar] y Gelabert (t 1915), comerciante y financiero, esposo de Consuelo Pascual de Bofarull y jefe de la familia Martí Codolar,69 el cual el día 3 de mayo de 1886 acogió a don Bosco en su finca de Horta-Barcelona y fue su gran amigo y cooperador (calle Dormitorio de San Francisco 27,1°. Número de inscripción 60)."
— De la tercera: Sebastián Antón Pascual e Inglada (t 1872), abogado y político, banquero y empresario, casado con María Asunción de Bofarull y de Plandolit, y padre de Consuelo Pascual de Bofarull — esposa de Luis MartíCodolar — y de sus hermanos Narciso María, Oscar, Manuel María, Sebastián y Policarpo (calle Xuclá 19,1°. Número de inscripción 52).71
Narciso María (t 1902), abogado y activista de primer orden en la Asociación de Católicos. Por ser hermano de Consuelo Pascual de Bofarull, señora de Martí-Codolar, y estar casado con una de las hijas (María Jesús) Serra-Chopitea, constituía el anillo de unión de las tres familias: los Pascual, los MartíCodolar y los Serra-Chopitea, la plataforma más sólida y prestigiosa de los Cooperadores salesianos de los primeros tiempos. Él organizó en Barcelona la Unión de Cooperadores y fue, hasta la muerte, «su celosísimo presidente» (calle Nueva de San Francisco 2,2°. Número de inscripción 32).72
Oscar (t 1904), banquero y comerciante, casado con Antonia Puig y Benítez — la «Donna Antonietta» que nombra Viglietti en su crónica — (calle Nueva de San Francisco 2,3°. Número de inscripción 33)."
Manuel María (t 1911), abogado, verdadero modelo de apóstol seglar,74 que llegó a ser presidente de la Asociación de Católicos en marzo de 1888," y lo fue también, después del fallecimiento de su hermano Narciso María, de los
69 Luis Martí Gelabert, hijo de Joaquín Martí y Codolar y de María Angeles Gelabert Jordá, al objeto de evitar confusiones con su primer apellido — muy difundido en Cataluña — en 1886 obtuvo de la corona española el privilegio de usar como único apellido los dos primeros de su padre, separados por un guión (= Martí-Codolar).

'° Ver el apellido Martí-Codolar en el índice de nombres de las MB.

n Cf. V. GEBHARDT, Necrología del Ilustrísimo Sr. Doctor D. Sebastián Antón Pascual, Barce
lona, 1873. En 1872 el autor pertenecía también a la Asociación de Católicos (Número de inscripción 63).

72 BS 26 (1911) 61.

73 Cronaca, 30 Aprile 1886. Barcellona.

74 Cf. E. MORÉU LAC.RUZ, Noticia biográfica de D. Manuel M' Pascual y de Bofarull, Marqués de Pascual, Barcelona [1920]; BS 26 (1911) 230-232.

75 Cf. Actas II, Junta general de socios del 25 marzo 1888.

Cooperadores salesianos de Barcelona (calle Xudá 19,1°. Número de inscripción 38).76 1913) y Policarpo (t 1935), presentados por sus hermanos Sebastián (t Manuel María, ingresaron en la Asociación de Católicos en Narciso María y M enero de 1872."
El primero era licenciado en derecho administrativo y, al casarse con Isidra Pons y Serra, nieta de José María Sena y Dorotea Chopitea, en él quedaron entroncadas de nuevo las tres familias, los Pascual de Bofarull, los Martí-Codolar y los Serra-Chopitea (calle Xudá 19,1°. Número de inscripción 165).

El segundo, el más joven de los hermanos Pascual, era propietario e ingeniero, un entusiasta promotor de la escuela cristiana. Fue también presidente de la Junta de Cooperadores salesianos de Barcelona (calle Xuclá 19,1°. Número de inscripción 155).78
Los hermanos Pascual — cuñados de Luis Martí-Codolar — fueron todos amigos de don Bosco — «tra le famiglie a lui piú affezionate vi erano quelle dei fratelli Pascual», dejó escrito don Eugenio Ceria79 — y los cinco se encuentran junto al Fundador en la famosa fotografía que se le obtuvo en la finca MartíCodolar el día 3 de mayo de 1886.80 Espontáneamente se convirtieron en grandes Cooperadores salesianos."
Todavía hay que añadir que, junto a ellos, y desde primera hora (noviembre de 1871),82 había ingresado en la Asociación de Católicos un tío suyo, hermano de su madre, llamado Policarpo de Bofarull y de Plandolit. Propietario y aficionado a la poesía, dedicó a don Bosco un soneto en abril de 1886 (calle Cambios Nuevos 1,1°. Número de inscripción 147).83 b) Los futuros donantes de la cumbre del monte Tibidabo
Al menos algunos de los que, en enero de 1876, adquirieron la cumbre del Tibidabo y se lo regalaron a don Bosco en mayo de 1886 (personalmente o por delegación) ya militaban en la Asociación de Católicos. Efectivamente, Delfín Artós y Mornau (propietario, con domicilio en la calle Gignás 42,1°) tenía en 1872 el número 71 de inscripción; Jaime Moré y Bosch (comerciante, con domicilio en la calle Mercaders 32,1°), el número 106; Manuel María Pascual de Bofarull (abogado, calle Xudá 19,1°), el número 38; Santiago Manuel
76 Cf. BS 26 (1911) 62.

n Cf. Actas I, sesión de la Junta directiva del 12 enero 1872.

78 Cf. BS 50 (1935) 351-352.

" MB XVIII, 154.

Cf. ALBERDI, Don Bosco en Barcelona. Itinerario, p. 130-131.

" Ver el apellido Pascual en el índice de nombres de las MB.

ffi Cf. Actas I, sesión de la Junta directiva del 24 noviembre 1871. Fue presentado por su sobrino Narciso María Pascual y el mismo José Con y Vehí.

83 Cf. MB XVIII, 647-648.

Calafell y Calafell (comerciante, calle de la Boquería 9,1°), el número 101Antonio Camps y Fabrés (fabricante, calle Pou de San Pedro 7, tiend el 'a , e número 23.84
c) Los futuros fundadores de la casa salesiana de Gerona
Tanto Juan María de Oliveras y de Estañol, marqués de la Quadra (proietarjo, Rambla de Santa Mónica 27,2°) como dos de sus albaceas y herederosp de confianza, Carlos de Fontcuberta (propietario, Rambla de los Estudios 4 1°1 Trinidad de Fontcuberta (propietario, calle de Montcada 20,1°) habían entrado en la Asociación de Católicos en enero de 1872, con los números de insci. pción 149, 178 y 159 respectivamente.

El Marqués de la Quadra había sido presentado en la Asociación mencionado Sebastián Antón Pascual Ingl Antonio Escolano, por el y por Antoni E nistrador del Banco de Barcelona y gran colaborador de doña Dorotea Chopi. tea en sus obras de beneficencia.85 En 1891, los albaceas testamentarios regalaron a los salesianos una finca situada cerca de la ciudad de Gerona, al objeto de convertirla en escuela agrícola bajo la advocación de San Isidro Labrador.

d) Otras menciones
Para tener completo el cuadro del personal que aqiú nos interesa, conviene añadir todavía dos nombres.

En primer lugar, Luis María de Llauder (t 1904), abogado, que ingresó en la Asociación de Católicos el 25 de febrero de 1872 y promovió constantemente la causa de las escuelas que mantenía la misma. Fue propietario y director del diario el «Correo Catalán» (desde 1878) y fundador de la revista «La Hormiga de Oro» (1884). Ambas publicaciones, en las que colaboraban las mejores plumas del tradicionalismo catalán — como Salvador Casarlas, Félix Sardá. y Salvany, Jaime Minera, Joaquín de Font y de Boter, Cayetano Barraquer, Víctor Gebhardt, Eduardo Vilarrasa, a todos los cuales se les nombra en este trabajo —, hablaron de don Bosco y sus instituciones con amor y responsabilidad informativa. Luis María de Llauder visitó personalmente a don Bosco en Sarriá el 11 de abril de 1886.86
En segundo lugar, Leandro de Mella que ya se había retirado de la armada cuando, en noviembre de 1871, quedó admitido en la Asociación de Católi9° Cf. Asociación de Católicos de Barcelona. N° 2. Félix Vives y Amat entró en la Asociación más tarde, en 1878.

a' Y, naturalmente, colaboró también en favor de los salesianos de Sarriá. Según el director, &ti Juan Branda, doña Dorotea «dio impulso al. Sr. Don Antonio Escolano y a otros que hoy día ayudan la Casa de una manera especial». Carta a don Juan Cagliero, Sarriá 23 junio 1884 (ASC 9 Dorotea corrispondenza).

8° Cf. Cronaca, 11 Aprile 1886. Barcellona.cos.

Fue admirable en su entrega en favor de las escuelas populares que sostenía dicha Asociación. Llego a ser cooperador salesíano."


222.Después de la reanudación de las actividades en 1877-1878


Cuando, a finales de 1877 y comienzos de 1878, después de unos cuatro años y medio de suspensión de las actividades (1873-1877), se reanudaron éstas, ya no volvieron a las filas de la Asociación todos los miembros «antiguos». Pero, a la llamada de los más fervorosos, comenzaron a llegar los nuevos. No faltaron entre unos y otros algunas excisiones — ya sea por los enfrentamientos habituales en el integrismo español,' ya sea por cuestiones referentes a la marcha de las escuelas" — ni momentos de desaliento, apatía y dejadez. En 1886, los socios no llegaban ciertamente a doscientos." a) Los Cooperadores salesianos
Lo mismo que en el período anterior, la captación de los socios se hacía a través de las relaciones personales. Por lo cual, la Asociación de Católicos siguió adscrita a la burguesía. Allí continuaron encontrando su sitio propietarios, abogados, médicos e intelectuales. En general, residían y trabajaban en las calles más importantes del casco antiguo de la ciudad, pero también en las Ramblas e, incluso, en puntos claves del nuevo Ensanche barcelonés. (Lo que es necesario tener en cuenta para entender el itinerario que don Bosco solía recorrer en sus desplazamientos de Sarriá a la ciudad de Barcelona).

En este momento se han de citar al menos dos personas que jugaron un papel importante en relación con don Bosco y los salesianos.

Ante todo, Bartolomé Feliú y Pérez (1843-1918). «Tengo el gusto de proponer para socio de la Asociación de Católicos al señor don Bartolomé Feliú y Pérez, catedrático de la universidad literaria, que tiene-su domicilio en la calle de Ausias March, número 2, piso 4°, 2° puerta». Con estas palabras rituales, en fecha 14 de noviembre de 1885, lo presentaba otro hombre de ciencia — catedrático de Farmacia en la Universidad barcelonesa — y miembro de dicha Asociación y de las Conferencias de San Vicente de Paul, llamado Fructuoso Plans y Pujol."

87 Cf. R. AInRRDI, I primi Cooperatori salesiani a Barcellona (1882-1901), en: La famiglia salesiana, Leumann (Tocino), Elle Di Ci 1974, 81.

88 Cf. Actas I, sesiones de la Junta directiva de los días 11 y 22 de febrero de 1883. Para esclarecer este punto, ver C. MARTÍ (presentació i transcripció), Intervenció de Salvador Casañas, bisbe d'Urgell en el conflicte entre la «Joventut Católica» de Barcelona i el bisbe Urquinaona (1883), en: Arman' 1987 de la Societa d'estudis d'História Eclesiástica, Moderna i Contemporania de Catalunya, p. 191-194.

89 Cf. Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona en la Junta General de Reglamento celebrada el día 20 de marzo de 1887, Barcelona 1887, p. 27.

90 El presidente, señor Feliú y Pérez, al evaluar el funcionamieto de la Asociación durante el año 1886-1887, hubo de lamentar «la apatía» de muchos socios «en la acción común» y el hecho de que no se dispusiera de otras entradas económicas más que «los reducidos ingresos de poco más de 160 asociados» (Ibid.).

A los pocos días (25 de noviembre)," el doctor Feliú fue aceptado en la Asociación de Católicos. Desde la misma conocería, admiraría y proclamaría la Obra de don Bosco.

Hijo de un confitero, Bartolomé había nacido el 24 de agosto de 1843 en Peralta (provincia de Navarra y diócesis de Pamplona) y, ese mismo día, recibió el bautismo. Siendo joven todavía se doctoró en ciencias físicas y, en 1880, llegó a Barcelona para hacerse cargo en su universidad de la cátedra correspondiente. A los cinco años, como se ha dicho, por mediación del doctor Plans, ingresó en la citada Asociación. Ambos catedráticos pertenecían ya con anterioridad a las Conferencias de San Vicente de Paul y querían realizar en sus vidas el ideal del sabio cristiano, demostrando que era posible servir a la ciencia moderna y vivir, al propio tiempo, los valores del Evangelio."
Feliú llegó a la Asociación de Católicos en un momento en que ésta necesitaba imperiosamente nuevas fuerzas. Por eso, a los cuatro meses (28 de marzo de 1886), fue elegido presidente. «Nos ha venido como llovido del cielo por sus excepcionales cualidades» — decía el presidente anterior, José Oriol Dodero, en la Junta general de socios."
Como estuvo al frente de la Asociación durante el bienio reglamentario 1886-1888, él fue el responsable de preparar tanto la velada de homenaje a don Bosco — imposición de la medalla de socio de honor y mérito (15 de abril de 1886)" — como la sesión necrológica en su memoria (5 de marzo de 1888).96 En ambas ocasiones pudo demostrar brillantemente su total adhesión a don Bosco y sus instituciones
91 Ver ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 8, carpeta que dice Papeletas de Presentación. Para conocer la personalidad del presentador, ver
J. DE FONT Y DE BOTER, Bosquejo biográfico del Dr. D. Fructuoso Plans y Pujol. Leído en la sesión pública que la Sociedad Médico-farmacéutica de los Santos Cosme y Damián celebró el día 26 de junio de 1890. Barcelona 1890.

92 Cf. Actas I, sesiones de la Junta directiva de los días 14y 25 de noviembre de 1885.

93 Pocos meses antes de su entrada en la Asociación de Católicos, Feliú había evocado en la Academia de la Juventud Católica de Barcelona la figura del que había sido consiliario de la misma, Jaime Arbós y Tor, el cual había trabajado como qiíímico, industrial y empresario y, una vez viudo, había recibido la ordenación sacerdotal. Para él, Arbós y Tor venía a ser la plasmación de un ideal soñado, síntesis de ciencia y fe, de creatividad profesional y sentido religioso de la vida. Cf. Biografía del Sr. D. Jaime Arbós y Tor, Barcelona 1885.

94 Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona, en la Junta General de Reglamento celebrada en 28 de marzo de 1886, Barcelona 1886, p.21.

95 Cf. Acta de la sesión solemne celebrada en 15 de abril de 1886 por la Asociación de Católicos de Barcelona... El discurso del doctor Feliú, en p. 6-18.

96 Cf. Recuerdo de la solemne sesión necrológica celebrada por la Asociación de Católicos de
. Desde el punto de vista salesiano, fue un cooperador eminente; desde el profesional, un sabio y un pedagogo cuyos libros universitarios alcanzaron una gran difusión; políticamente, militó siempre en el partido tradicionalista, ostentando incluso algunos cargos. Por encima de todo, fue un católico de acción. Murió en Zaragoza, el 16 de noviembre de 1918."
Desde marzo de 1886, secretario suyo en la Junta directiva de la Asociación de Católicos fue el doctor Joaquín de Font y de Boter, que ya pertenecía a la misma desde tres años antes. Era farmacéutico, escritor y traductor, con domicilio en la Ronda de San Pedro, n° 140. En 1886 trató personalmente a don Bosco, tanto en Barcelona como en Turín." Lo visitó en su última enfermedad, en enero de 1888.99 Y, cuando murió éste, se convirtió en el portavoz más cualificado del salesianismo barcelonés. Los artículos publicados por él en el «Correo Catalán» 100 y el discurso que pronunció en la sesión necrológica citada arribara llaman aún hoy la atención por la riqueza informativa y el amor entusiasta de que hacía gala el autor. b) El grupo de los clérigos
Tuvo siempre un relieve destacado en la Asociación de Católicos. Estaba formado por los párrocos de las iglesias de antigua tradición; por los profesores del seminario conciliar y por algunas dignidades de la iglesia catedral. Y es que, de hecho, la corriente de renovación intelectual y pastoral que animaba a varios clérigos encontraba su punto de referencia en esta Asociación de Católicos. En ella habían dado su nombre, además de José Morgades, por ejemplo, Jaime Almera, Cayetano Barraquer, Valentín Basart, Salvador Casañas (nombrado obispo de Seo de Urgel en 1879, creado cardenal en 1895, trasladado a la sede episcopal de Barcelona en 1901),102 Domingo Cortés, Ildefonso Gatell, Barcelona, en memoria de su esclarecido miembro de honor y mérito, el Rmo. P. D. Juan Bosco fundador de la Congregación Salesiana, Barcelona-Sarriá 1888. La intervención del doctor Feliú en p. 33-37.

97 Nota necrológica, en BS 34 (1919) 31-32.

98 Cf. MB XVIII, 150-152. 675. Ver también Actas II, sesión del 7 julio 1886.

" «Pocos días han transcurrido — escribía el 2 de febrero de 1888 — desde que tuvimos la dicha de hablarle por última vez. En humilde celda y en pobrísimo lecho descansaba en plácida calma, a pesar de los agudísimos dolores...» («Correo Catalán», n° 3900, 2.2.1888)
" Cf. Dom Bosco, en «Correo Catalán», n° 3900 (jueves 2 de febrero de 1888) 8-10. Turín ante el cadáver de Dom Bosco, en: «Correo Catalán», n° 3908 (viernes 10 de febrero de 1888) 7-9. Edición de la mañana.

mi Cf. Recuerdo de la solemne sesión necrológica..., 7-26. El también debió de redactar la invitación a la velada en honor de Don Bosco del 15 abril 1886. Cf. MB XVIII, 647.

1°2 Al tener que abandonar la ciudad de Barcelona para trasladarse a su primera sede episcopal, fue nombrado «socio de honor» de la Asociación. Cf. «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 19. Casañas y Pagés profesó una admiración ilimitada hacia doña Dorotea Chopitea de Serra y todo lo que significaba su obra asistencial. Por eso, no es nada extraño que para las instituciones salesianas abrigara un «profundo cariño» (BS 24 [1909] 27).

Francisco de Asís Renau, José Torras y Bages (nombrado obispo de Vic en 1899),103 Felipe Vergés, Eduardo Vilarrasa.

Juan Masferrer era ya párroco de la iglesia de Nuestra Señora de Belén cuando dio su nombre en la Asociación de Católicos desde los primeros tietn_pos.1" Fue él quien, el día 1 de mayo de 1886, refiriéndose a don Bosco que había acudido a la citada iglesia para celebrar la Misa, dijo: «Abbiamo qui fra noi un Santo».105 Tenía entoces el cargo de consiliario en la Asociación.

Jacinto Verdaguer (f 1901), el gran poeta catalán, ingresó en la Asociación de Católicos en marzo de 1878 y fue considerado como «uno de los socios más distinguidos».106 En 1882 la junta directiva le nombró «socio de honor y mérito».1°7 Es lástima que no se encontrara con don Bosco en abril-mayo de 1886, por hallarse en peregrinación en Tierra Santa. Murió siendo Cooperador salesiano.108
Félix Sarda y Salvany 1916), que en julio de 1884 escribió tres valiosos artículos con el título de La obra salesiana en Cataluña109 y visitó personalmente a don Bosco en los Talleres Salesianos de Sarriá el día 13 de abril de 1886,"° había sido nombrado «socio de honor y mérito» en la mencionada Asociación de Católicos."' Los salesianos tuvieron siempre al doctor Sardá y Salvany como «uno de sus más asiduos cooperadores».112
Finalmente, consignemos que el cura-párroco de la iglesia de los Ángeles y profesor del seminario conciliar, José Juliá, que, el día 30 de abril de 1886 y en la iglesia de Nuestra Señora de Belén, pronunció ante don Bosco la conferencia salesiana,'" entró en la Asociación de Católicos al año siguiente, 1887.114
Los nombres que se acaban de traer son de un gran prestigio en el clero barcelonés de la segunda mitad del siglo pasado, y su presencia en la Asociación de Católicos ayuda a descubrir uno de los aspectos más interesantes de
103 Había entrado en la Asociación de Católicos en febrero de 1872. Según aseguraba el «Boletín Salesiano», «para los salesianos tuvo siempre estimación profunda y cariño paterno» (BS 31 [1916] 55).

1°4 En la lista de socios publicada con fecha 1 marzo 1872, aparecía inscrito con el número 30.

I°5 Y añade Carlo Maria Viglietti: «Come una fiamma quena parola divampó nel cuore dei presentí che si gettarono verso Don Bosco, ed a stento potemmo salvarci dall'onda che irrompeva nel presbiterio» (Cronaca, 1° Maggio 1886. Barcelona).

106 Como tal lo tenía la Junta directiva, según consta en Actas I, sesión del 31 mayo 1882. Ibid.

108 Cf. BS 17 (1902) 336.

1°9 Cf. «Revista Popular», 27 (1884) 10-11; 27 (1884) 20-21; 27 (1884) 36-37. 130 Cf. Cronaca, 13 Aprile 1886. Barcelona.

'" «En prueba de la consideración que le merecen sus muchos y buenos servicios a la causa de Dios, como infatigable publicista católico, escritor muy distinguido y virtuoso sacerdote» (Actas 1, acuerdo de la Junta directiva en 4 abril 1883).

"2 Nota necrológica en BS 31 (1916) 55.

113 Cf. Cronaca, 30 Aprile 1886. Barcelona.

'" En 1888 fue elegido vocal eclesiástico y como tal actuó desde la Junta directiva.

los orígenes de la obra salesiana en Barcelona, tanto en la vida del Fundador como en los años inmediatos a su muerte.

2.3. Objetivos, medios, mentalidad

Siempre que la Asociación de Católicos sentía la necesidad de clarificar su identidad y tomar conciencia de sí misma, recordaba las palabras del artículo tercero de sus Estatutos, que decía: «El fin de esta Asociación es la propagación de la doctrina católica en todas las esferas del saber». El término propagación/propaganda constituía para los asociados el objetivo al cual debían tender todas sus actuaciones.

El sentido y el alcance de dicho artículo los explicó el presidente Coll y Vehí cuando, el 24 de marzo de 1872, después de un año de rodaje de la Asociación, pronunció estas palabras: «Confesar la fe de Cristo; creer, amar y defender las verdades propuestas por nuestra santa madre la Iglesia católica, apostólica y romana; detestar y combatir los errores que la Iglesia condena; manifestar explícita y resueltamente nuestra completa adhesión a la Sede apostólica, he aquí nuestro objeto. Non enim erubesco Evangelium, he aquí nuestro lema ».1"
En la misma ocasión, al explicar las condiciones que se exigían para ingresar en la, sociedad, declaraba: «Ni las ideas ni los actos públicos, con excepción de los contrarios a las declaraciones de la Iglesia, han cerrado ni han de cerrar jamás a nadie las puertas de esta casa. Profesión de la fe católica, práctica de la religión católica, adhesión completa a la Cabeza visible de la Iglesia: no pedimos más, ni nos contentamos con menos»."6
En estos dos párrafos del discurso del fundador, los socios creyeron siempre que estaba perfectamente enunciado el espíritu que debía animar toda su vida. Muy en concreto los trajeron a la memoria a la hora de relanzar sus actividades después del paréntesis de suspensión (1873-1877)."7
¿Con qué medios intentaban los socios realizar este programa? «Únicamente» — según precisaba el artículo cuarto de los Estatutos — de esta manera: «1°. La formación de una buena biblioteca de autores católicos para instrucción de los socios. 2°. La celebración de sesiones académicas. 3°. La fundación de escuelas, dando preferencia a las de primeras letras para los artesanos en’ Discurso que en la Junta General celebrada en 24 de marzo de 1872 por la disuelta Asociación de Católicos de Barcelona pronunció su primer presidente, el Sr. D. José Coll y Vehí (Q.E.P.D.).

Barcelona 1877 , 4.

116 Ibid., p. 8.

117 Ver la circular impresa que, con fecha 4 enero 1878 y las firmas del presidente José de
Sans y el secretario Juan Federico Muntadas y Vila rdell, se envió a los socios. Un ejemplar, en ADB, Entitats Eclesiastiques Antiguas. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 7. Carpeta 3. Año1878.

hijos de artesanos. 4°. La fundación de bibliotecas populares y la publicación carien de hojas, folletos o libros»."8
Como se ve, la Asociación de Católicos, tanto en sus objetivos como en sus medios, presentaba un talante intelectual, propagandístico y educativo, y entendía moverse dentro de un campo de acción más bien amplio: «Las asocia ciones católicas — opinaba — necesitan extender su círculo de acción y comprender todos los terrenos, desde el especulativo, religioso y científico, hasta el social, económico e Industrial, pues en todos es necesario introducir e iratrar el elemento católico».119
De acuerdo con esto, y después de varios intentos y consultas, la Asociación de Católicos de Barcelona se organizó en 1881 según las secciones siguientes: la literaria y artística, la industrial y mercantil, la de propaganda, la científica y la de escuelas. De todas ellas, las que funcionaron de verdad desde antes del mencionado año, fueron la sección artístico-literaria y la sección de escuelas.

A este respecto hay que recordar que, entre los meses de marzo y abril de 1880 y siguiendo una tradición que venía desde años atrás, la Asociación había puesto en funcionamiento una escuela de primera enseñanza (diurna y 'nocturna). Estaba situada en la calle Ferlandina número 45 y en ella se hacían cargo de la enseñanza los hermanos de las Escuelas Cristianas."' Seis años después, la Asociación se sintió con fuerzas para abrir otra y decidió instalarla en el llamado Palau Fivaller, ubicado en la calle Lladó números 4 y 6, dentro del casco antiguo de la ciudad."' F.I local destinado a la nueva escuela se inauguró precisamente el 15 de abril de 1886, con la velada en honor de don Bosco.122 Al año siguiente, vino a parar también a este edificio la sede de la Asociación, que ya en 1880 se había transferido desde la calle del Regontir número 11 a la de Riera de San Juan número 22. Por tanto, la sesión necrológica en memoria de don Bosco (5 de marzo de 1888) tuvo lugar en esta casa de la calle Lladó número 4, que todavía existe.123
Por cuanto se acaba de exponer y por los datos que se han ido aduciendo
18 El articulado de los Estatutos no sufrió cambio alguno en las diversas ediciones que se hicieron durante el siglo XIX (1871, 1877, 1888, 1891).

'" Ver el artículo titulado Nuestro programa y firmado por M.R. y S., en el «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 6 (1880) 84.

120 Cf. Reseña y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Luis María de Llauder y el presidente D. Francisco Romaní y Puigdengolas en la Junta General de Socios celebrada el 20 de marzo
de 1880. Barcelona 1880, 2-7. «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 1 (1880) 11-15.

"1 Cf. AJUNTAMENT DE BARCFr ONA, Catáleg del Patrimoni Arquitectónic Histónko-Artístk de la Ciutat de Barcelona, Barcelona [1987], p. 243-244.

"-u Cf. Cronaca, 15 Aprile 1886. Barcellona. MB XVIII, 647.

"8 Tarjeta de invitación para la velada necrológica y programa que se desarrolló en la misma, en ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 7. Carpeta 13. Año 1888.

anteriormente, resulta fácil captar los rasgos más significativos de la Asociación de Católicos de Barcelona. En su mentalidad y formas de comportamiento incidió de lleno el espíritu de la Iglesia que le tocó vivir; es lio Vaticano decir, I la(1869- Iglesia 1870). de la Restauración, de Pío IX (1846-1878) y del Conci influyó también la dura experiencia del Sexenio Revolucionario (1868-1874), con idos los forcejeos y desajustes que comportó en lo político, intelectual, social dh yes religioso.

al papa y defensa del sacerdocio
Para aquellos católicos barceloneses, el Pontificado constituía un valor supremo. Pío IX era un Papa «santo y mártir»; León XIII seguía siendo «PapaRey>>.124 Suspiraron constantemente por la «libertad e independencia del Augusto Prisionero»I25 y, para apoyarle, organizaron colectas y participaron en las peregrinaciones a Roma. (Así se entiende el que se complacieran en monstrar en público a don Bosco como amigo y confidente del Papa).

Junto a esto, la Asociación de Católicos profesaba una gran veneración por los sacerdotes y religiosos, a los cuales había visto criticados y vilipendiados durante el período revolucionario. (Por eso, se esforzó en presentar a don Bosco como una gloria del clero católico. Por otra parte, el hecho de que, en la conocida fotografía del 5 de mayo de 1886, aparezca a la derecha de don Bosco, entre sus amigos y cooperadores, un abad cisterciense de la Gran-Trapa — el valenciano Cándido Albalat y Puigcerver — no puede tomarse como una pura casualidad).

a) Catolicismo y patria
Los de la Asociación de Católicos valoraban la religión como fundamento de la unidad de la Patria. «Nuestros padres [...] fueron los que nos transmitieron el don precioso de la unidad católica como principio nacional» — afirmaba el abogado y presidente Francisco Romaní y Puigdengolas en el discurso final del año (1878-1879).' Por ello, para evitar la disolución de la sociedad española, había que defender la unidad religiosa. De lo contrario los españoles corrían el peligro de perder su patria — «como perdieron la suya los judíos», concluía el citado señor Romaní."
124 Memoria y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans... 1878, p. 14-15.

125 Ver la circular, fechada el 16 diciembre 1882 y firmada por el presidente José María Rodríguez-Carballo. ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues, Leg. 7. Carpeta 7. Año 1882.

128 Reseña y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Luis María de Llauder y el presidente D.F. Romaní y Puigdengolas en la Junta General de socios celebrada el 22 de marzo de 1879, Barcelona 1879, p. 21.

Ibid.

(Según las Memorias biográficas, Delfín Artós, al hacer a Don Bosco ofrenda de los terrenos situados en la cumbre del Tibidabo, le pedía levantar allí un santuario al Sagrado Corazón de Jesús, «per mantenere ferma e incrollabile quella religione [...] che é nobile retaggio dei padri nostri»).128
c) Profesión pública de la fe cristiana
Era otra exigencia insoslayable para aquellos católicos que se empeñaban en demostrar que la religión no estaba muerta, sino viva y operante. Desde 1881 adoptaron como lema el que el Papa León XIII había dado a la «Revista Católica de Barcelona» que, entonces servía de órgano oficial de la Asociación: Nihil timendum nisi a Deo. Si algo temían y rechazaban era precisamente el indiferentismo y la cobardía de los que se hacían pasar por católicos. Como escribían en su Boletín, ellos no podían resignarse «con el triste papel de católicos vergonzantes ».129
Aquí radicaba la causa de todo ese atuendo, solemne y espectacular, con que procuraban enaltecer todas las manifestaciones religiosas: comuniones generales, procesiones, romerías, velas de adoración ante el Santísimo Sacramento, oficios litúrgicos de la Semana Santa, fiestas marianas, ejercicios espirituales. Con esta misma mentalidad, asumían con verdadero espíritu de sacrificio el peso enorme de representar, en los actos sociales y culturales, las fuerzas del catolicismo militante. (Todo esto se ha de tener en cuenta para explicarse el porqué se esforzaron tanto para dar una proyección pública a la presencia de don Bosco en Barcelona, desde el primer acto basto el último; es decir, desde la recepción que le dispensaron a la llegada a la ciudad hasta la despedida).

d) Antiprotestantismo y antiliberalismo
Era una actitud visceral de los católicos barceloneses, que arremetían también contra Inglaterra y Norteamérica, contra Francia y Rusia, tierras que ellos consideraban como la cuna de tantas doctrinas disolventes del catolicismo. Por supuesto, tampoco estaban de acuerdo con los llamados católico-liberales. «El Syllabus es nuestra bandera — decía el presidente José de Sans, un hombre bueno por los cuatro costados,u° en la Junta general de marzo de 1878 —; es nuestro programa religioso, social y político. El Syllabus sin distingos ni tergiversaciones. [...] La guerra entre la luz y las tinieblas es a muerte; toda transacción es imposible ».131

128 MB XVIII, 113.

229 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 20.

u° Era presidente de la Asociación de Católicos (desde marzo de 1872) cuando ésta hubo de suspender sus trabajos por disposición gubernamental. Después de la crisis (1873-1877), a él le tocó la dura empresa de organizar de nuevo la Asociación y relanzar las actividades. Con abnegación y profundo sentido cristiano, se entregó constantemente al progreso de las escuelas de la misma. Murió en 1884.

Frente a cualquier intento de desviación o de desmantelamiento del catolicismo, José de Sans y los suyos no dudaban en proclamar: «Nosotros constituimos una asociación que, teniendo por objeto inmediato la propagación de la doctrina católica en todas las esferas del saber, se propone en último resultado la restauración de la soberanía social de Jesucristo».132
El pensador más influyente en la mentalidad del asociacionismo católico barcelonés fue sin duda el sacerdote, ya nombrado, Félix Sardá y Salvany, el conocido autor del libro El liberalismo es pecado (1884) y que, como miembro de honor y mérito de la Asociación de Católicos, ejerció en la misma un magisterio indiscutido.133
e) Unión de fuerzas para la lucha
La visión que tenían de la Iglesia estos militantes era francamente sombría. La contemplaban «empobrecida» por la política desamortizadora del gobierno español, con un clero «desprestigiado» por la propaganda anticlerical, con las Órdenes religiosas «disueltas» o «cohibidas» después de los decretos de supresión, invadida por el error y el espíritu del mal...134 «En este momento — seguía comentando por su parte el señor Sans — la lucha es viva cual nunca y general en toda la línea de combate». Y como solución sólo encontraba ésta: «Unámonos, pues, que la unión es la fuerza».135
f) Promoción cultural y escolar del pueblo
Todas las asociaciones católicas coincidían en admitir que tanto la propaganda católica como la beneficencia asistencial a los pobres comenzaba por la escuela. Todas ellas tuvieron sus escuelas populares, lo mismo para los niños como para los obreros adultos. Tal actividad tenía una orientación deliberadamente propagandística. «El protestantismo — se lee en el órgano oficial de la Asociación — ha circunscrito su propaganda a la niñez para lograr, por medio de la escuela, la difusión de sus máximas [...]. Oponer a sus escuelas las católicas, gratuitas, con uná perfecta enseñanza primaria elemental y superior [...],
131 Memoria y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans... 1878, p. 32.

132 Ibid.

133 En la Asociación sé le tenía por «el infatigable adalid de la Propaganda católica, el profundo y popular teólogo, el virtuosísimo y fervoroso sacerdote... »: Memoria y discurso respectivamente leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de esta ciudad, en la Junta General de Reglamento celebrada en 29 de marzo de 1885. Barcelona 1885, p. 7.

U4 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 19-20.

13' Memoria y discurso... 1878, p. 34.

he aquí una de las más provechosas e interesantes tareas a la que consagramos, con incansable afán, nuestra actividación de Católicos produciría la escuela salesiana, cuyo volumen y excelencias ensalzaron continuamente).

Toda esta mentalidad era ampliamente compartida por otras agrupaciones del societarismo católico barcelonés. Su conocimiento es imprescindible para comprender cuanto, en la capital de Cataluña, se hizo, se dijo y se escribió en torno al Fundador de los salesianos, tanto a raíz de su visita a la ciudad en 1886, como con motivo de su fallecimiento año y medio después (1888).

3. Otras asociaciones católicas

Junto a la Asociación de Católicos hubo también otras que entraron en algún contacto con don Bosco y su obra de una forma u otra. Se ha visto suficientemente en el punto primero de este estudio. Y es que, entre las diversas agrupaciones, no sólo se daba una afinidad de pensamiento, sino también una colaboración en orden a iniciativas y actividades. Más aún: hay que tener en cuenta que muchos católicos pertenecían simultáneamente a varios grupos (según la rama masculina -o femenina). Todos ellos formaban en rigor un único entramado sociorreligioso y benéfico. Era el catolicismo, visible y operante.

En la imposibilidad de tratar aquí ni siquiera de las entidades más relevantes, lo más práctico será ofrecer un cuadro general, acentuando, si es el caso, algún elemento del mismo."'
Siempre en referencia a las asociaciones que establecieron mayor contacto con don Bosco y los salesianos, había unas a las que les animaba un propósito prevalentemente propagandístico y educativo, como la «Asociación de Católicos» y la «Academia de la Juventud Católica». De la primera se acaba de hacer el oportuno estudio. La segunda, en el artículo segundo del Reglamento, declaraba que «el objetivo de la Sociedad» era: «1°. Instruir a los Socios por medio de la lectura de obras religioso-sociales, y de los trabajos presentados por aquéllos. 2°. Fomentar la instrucción principalmente moral y religiosa del pueblo, por la enseñanza ya pública, ya privada, y 3°. Publicar hojas sueltas, encaminadas a destruir toda clase de errores, y hacer cundir las máximas del Catolicismo». 138
"6 M.R. y S., Nuestro programa, en «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 34.

137 Con frecuencia resulta muy difícil el acceso a la documentación, porque muchas de las antiguas agrupaciones ya no existen y porque, durante la guerra civil española de los años 19361939, los archivos constituían un peligro serio para la vida de los asociados. Basta recordar, por ejemplo, que en aquella triste coyuntura fueron asesinados más de setecientos socios de las Conferencias de San Vicente de Paul...

1;8 Reglamento de la sociedad Juventud Católica de Barcelona 1870, Barcelona 1870. En el de Junto a ellas, había otras cuyo fin era preferentemente benéficoasistencial, como la «Sociedad», o «Conferencias» de San Vicente de Paul — cuya actividad genuina era la visita semanal domiciliaria a pobres y necesitados — y la sociedad denominada, en sus orígenes, Amigos de los Pobres y, más tarde, Patronato del Obrero, que, en conformidad con el artículo segundo del Reglamento, quería «mejorar en lo posible la suerte de los obreros que la misma patrocine»."9
En un segundo plano — pero siempre en conexión con la mencionada Asociación de Católicos — conviene citar la Academia Barcelonesa Filosófico-Científica de Santo Tomás de Aquino — formada por clérigos e intelectuales seglares — y la Sociedad Médico-Farmacéutica de los Santos Cosme y Damián, integrada por profesionales católicos, cuyo propósito deja entrever suficientemente el título que habían puesto a su revista: El sentido católico de las ciencias médicas.'4° Como se ve, ambas agrupaciones se acercan a los ideales de la Asociación de Católicos y de la Academia de la Juventud Católica. Lo cual demuestra bien la existencia de un movimiento de la intelectualidad católica barcelonesa, que no se puede ignorar en modo alguno. Ese movimiento se encontrará, por supuesto, con don Bosco, los salesianos y sus instituciones.

Al lado de las asociaciones de tendencias intelectual-educativa y benéfico-asistencial, se daban otras de signo preferentemente devoto y piadoso, aglutinadas, en buena parte, por la devoción al Sagrado Corazón de Jesús — cuyo máximo promotor fue el mencionado José Morgades y Gili —.141
Dentro de esta línea devota, citamos la Pía Unión de san Miguel Arcángel y, sobre todo, el Apostolado de la Oración y la Venerable Orden Tercera Franciscana. La Asociación de Católicos siempre promovió el Apostolado de la Oración — donde se fraguaba concretamente la devoción al Corazón de Jesús y muchos de sus miembros. eran piadosísimos terciarios franciscanos.142 (Sólo dentro de este ambiente espiritual se comprende el hecho de que regalaran a don Bosco la cumbre del monte Tibidabo, para que allí levantara, precisamente, un santuario dedicado al Sagrado Corazón de Jesús).

En este asunto — importante, entre otras cosas, porque dicho santuario sigue siendo hoy en Barcelona una espléndida realidad — conviene recordar la intervención de algunos miembros de las Conferencias de San Vicente de Paul.

1881 (artículo 3°) se decía textualmente: «El objeto de esta Sociedad es la edificación e instrucción religiosa de los socios y la propaganda del Catolicismo».

139 Reglamento de la sociedad titulada Patronato del Obrero, Barcelona-Sarriá, Tipografía y Librería Salesiana 1891.

140 Alrededor de los años ochenta el lazo de unión más sólido entre la Sociedad de los Santos Cosme y Damián y la Asociación de Católicos era el mencionado Joaquín de Font y de Boter (1857-1916).

"' Cf. J. BONET I BALTÁ, L'Església catalana, p. 641-658.

Incluso hacían la correspondiente profesión en la iglesia parroquial de San Francisco de Paula, de Barcelona. Otro tanto hay que decir de un buen número de socios de la Academia de la Juventud Católica.

Éstas llegaron a Madrid en 1849 y pronto tuvieron una notable difusión por la Península. A los siete años (1856), ya se pudo constituir en Barcelona un Consejo Particular. Pero, tal como se ha señalado anteriormente, todo este proceso de crecimiento quedó cortado por un decreto ministerial del 19 de octubre de 1868, que ordenaba la supresión de la entidad y la confiscación de sus bienes. Sólo el advenimiento de la Restauración (1875) permitió la vuelta a la normalidad. El decenio siguiente (1875-1885) fue de franca recuperación. En 1886, por ejemplo, ya funcionaba en Barcelona el Consejo Central de Cataluña.143 Por tanto, cuando, en este año, llegó don Bosco a la Ciudad Condal, las Conferencias se hallaban en pleno despliegue. El Consejo Particular articulaba las actividades de veinte Conferencias.

En el seno de aquellos círculos piadosos y caritativos templaron su espíritu cristiano hombres como el mencionado Bartolomé Feliú."4 Y también si no todos, sí al menos parte de los que, en enero de 1876, adquirieron la cumbre del Tibidabo: Delfín Artós, Manuel María Pascual de Bofarull, Alvaro Catnín. Decidieron efectuar la compra por un imperativo de moral social, tal como indica el secretario Viglietti, recogiendo con toda probabilidad el testimonio de Manuel María Pascual."' Y por un motivo religioso también regalaron los terrenos a don Bosco diez años más tarde (1886), según queda referido en el presente trabajo. Ya que, cuando se realizó la compra (1876), la Asociación de Católicos no había superado aún la crisis de la suspensión gubernamental, parece que hay que concluir que los mencionados compradores eran unas personas que, si bien habían pertenecido a dicha Asociación, en aquel momento se movían preferentemente en el ámbito de las Conferencias de San Vicente de Pau1.146
"3 Cf. SOCIÉTÉ DE SAINT VINCENT DE PAUL, Livre du centenaire, I, Paris 1933, p. 196-206.

1" «Donde [en las Conferencias de San Vicente de Paul, de Barcelona] hemos tenido ocasión de conocer y cobrar cariño a esa obra [de las Conferencias] y donde tantos y tan preciosos ejemplos hemos podido contemplar por dicha nuestra», recordaba el propio doctor Feliú (A. LOTH,
San Vicente de Paul y su misión social... Obra traducida y anotada por B. Feliú y Pérez... Barcelona, 1887, p. 597).

145 «Questa sommitá — escribía Viglietti en 1886 — era, or son pochi anni, in possesso di malvage persone, che volevano fas di quel luogo un'albergo di cattivi ritrovi, od edificarvi un tempio protestante. Sette buoni signori convennero tra loro, e ne fecero acquisto...» (Cronaca, 3 Maggio 1886. Barcellona). Los compradores no fueron siete, sino doce. Pero la motivación indicada parece que corresponda a la realidad.

146 Para clarificar muchos detalles pertinentes a la historia de la transmisión de la propiedad de la cima del Tibidabo, puede verse Copia auténtica de la escritura de venta otorgada por Don Dein Artós y Mornau, apoderado de los señores D. Jaime Moré, D. Félix Vives, D. Manuel María Pascual y otros, ante el que fue notario de esta ciudad, D. Miguel Martín y Beya, con fecha 18 de agosto de 1888. Este y otros documentos oficiales se hallan en el archivo de la Casa salesiana del Tibidabo (Barcelona).

Conclusiones
Tal vez resulte útil cerrar el estudio subrayando algunos valores que han ido apareciendo a lo largo del mismo y que posiblemente ayudan a comprender mejor no sólo la personalidad del Fundador de los salesianos, sino también el contexto sociorreligioso en .que tuvo que actuar, concretamente durante sus años de madurez.

Con referencia a la presencia de don Bosco en Barcelona y a los orígenes de su obra en la capital catalana emergen, por ejemplo, las siguientes conclusiones.

r. Los Cooperadores salesianos. Las páginas que anteceden han dejado bien en daro la procedencia de los primeros Cooperadores barceloneses. Al inicio, no fueron ellos los que nutrieron y engrosaron las filas de las asociaciones católicas, sino que, más bien, habían forjado previamente en éstas su espíritu de piedad y apostolado. Los futuros Cooperadores, una vez que conocieron la personalidad del Fundador de los salesianos y comprendieron cuál era su misión y los medios de que se valía, consideraron la cooperación salesiana como una prolongación de las actividades benéfico-asistenciales que ya ejercían en sus asociaciones. La mentalidad social y religiosa que cultivaban en éstas les llevó enseguida a sintonizar con las obras de Don Bosco.

2'. La inserción en la iglesia local. Las sociedades católicas y Juan Bosco se necesitaban mutuamente. A éste le apremiaba el apoyo moral y material de aquéllas para abrir nuevos cauces a sus instituciones; las primeras no querían privarse del prestigio y de la ayuda que les podían dar la amistad y cercanía de un hombre tan cualificado como iba siendo el Fundador de los salesianos. Cuando, en la junta general de la Asociación de Católicos, habida el 11 de mayo de 1884, el presidente recién elegido, José Oriol Dodero, propuso «nombrar socio de honor a don Bosco» y se aceptó por unanimidad tal propuesta, el presidente saliente, José María Rodríguez-Carballo, añadió una nueva: «que luego que [don Bosco] hubiere aceptado, se publicara en los periódicos de esta Capital». Esta segunda proposición fue igualmente aproba' Y es que la Asociación de Católicos sentía la necesidad de proclamar a los cuatro vientos que se había apropiado del Fundador de los Talleres Salesianos. Era una conquista y una ganancia...

Esta mutua interrelación entre las asociaciones y don Bosco sirvió, entre otras cosas, para dar a la obra salesiana naciente una prueba de aceptación y de inserción en el tejido vivo de la Iglesia local. Al fin y al cabo, al frente de las organizaciones católicas estaba generalmente el obispo de la diócesis.

3'. La primera imagen pública de don Bosco. Las asociaciones asumieron
147 Actas I, sesión correspondiente a la Junta General de socios del 11 mayo 1884.

también otra función de extraordinaria importancia: la de interpretar a don Bosco y elaborar y difundir su imagen pública. Tal operación se llevó a término en el seno de las asociaciones y utilizando los medios de comunicación que éstas tenían a mano.'"
Los que en Barcelona hablaron y escribieron mejor de don Bosco fueron un clérigo (Félix Sardá y Salvany), un catedrático de Universidad, doctor en fi-. sica (Bartolomé Feliú y Pérez), un farmacéutico (Joaquín de Font y de Boter) y dos abogados (los hermanos Narciso María y Manuel María Pascual de Bofarull). Todos ellos, según se ha podido comprobar en las páginas del presente estudio, pertenecientes, en un grado o en otro, al asociacionismo católico de Barcelona.

148 Naturalmente los folletos señalados en las notas 95 y 96 se distribuyeron entre los socios. Ambos pertenecen a la literatura más antigua que se produjo en Barcelona tratando de don Bosco y de la obra salesiana. Por otra parte, ya se ha visto que las publicaciones a las que las asociaciones mencionadas tenían acceso eran especialmente el diario «Correo Catalán» y los semanarios «La Hormiga de Oro» y «Revista Popular», dirigidas las dos primeras por Luis de Llauder y la tercera por Félix Sardá y Salvany. Las tres en la línea católico-integrista.

DON BOSCO HY MARÍA DOMINGA MAZZARELLO: RELACIÓN ISTÓRICO-ESPIRITUAL
Anita DELEIDI


O. Premisa


En la extraordinaria proliferación de nuevos institutos de vida religiosa surgidos en el siglo XIX, se sitúa la fundación del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora, que tuvo a don Bosco y a María Mazzarello como fundadores.'
En el contexto de la reflexión sobre la figura histórica y la obra de don Bosco promovida por este Congreso, me ha parecido oportuno ofrecer esta comunicación como intento de profundización en una relación que en la historiografía salesiana se interpreta según líneas de diversa orientación.

Para captar correctamente la modalidad de la relación que se estableció entre los dos santos se ha hecho necesaria una puntualización histórica, una reconstrucción cronológica de los encuentros directos e indirectos y la individuación de mediaciones significativas de esa relación, para poder llegar después a centrar el contenido y la incidencia de las diversas intervenciones del Fundador en la vida de María Mazzarello y su actitud de respuesta y asimilación.

María Domínga Mazzarello (nacida en Mornese-Alessandria en 1837 y muerta en Nizza Monferrato en 1881, un corto trayecto de vida fecunda en caridad apostólica),2 conoce a don Bosco a los veintisiete años cuando posee una cierta formación y madurez espiritual. Don Bosco, que ya había fundado
El Instituto fue fundado en Mornese, provincia de Alessandria, diócesis de Acqui, el 5 de agosto de 1872. Es conocida la figura del fundador, don Bosco; María Dominga Mazzarello, reconocida como cofundadora, no es muy conocida en ámbitos no salesianos. Su figura se coloca en un contexto ambiental más limitado que el del Santo; su vida fue breve (1837-1881), pero su específica misión edesial ha sido recordada repetidas veces en los procesos de beatificación y canonización.

2 Cf. la biografía fundamental: F. MACCONO, Santa Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice 2 vol., Torillo, Istituto FMA 1960. Presenta una bibliografía completa de la Santa: A. COSTA, Rassegna bibliografica su S. Maria Domenica Mazzarello, en: M.E. POSADA (ed.), Attuale parché vera. Contributi su S. Maria Domenica
Mazzarello, Roma, LAS 1987, p. 227-262.

la congregación salesiana y trabajaba activamente en la consolidación de si obra en Valdocco, establece progresivamente una relación de conocimiento mediato y después personal con esta mujer sobre la que ejercerá un influjo de terminante.

1. Interpretaciones de la relación histórica entre don Bosco y María Mazzo. reno en el ámbito salesiano


De un examen de las publicaciones (aun diversas por finalidad, ámbito, método y valor documental) relativas a las figuras de los dos santos (biografías, estudios, memorias...) se aprecia enseguida que la presentación de su relación ofrece una variedad de planteamientos y de interpretaciones: desde una absoluta dependencia de la Madre — como se la llamaba habitualmente — con respecto a don Bosco, hasta una acentuación de su papel de cofundadora como valor preeminente y autónomo.3
Las primeras y conocidas biografías del santo subrayan su papel preponderante y la dependencia y sumisión de la joven María Dominga, «atraída» por su persona, aunque en «providencial» convergencia de ideales y de modalidades educativas y apostólicas: «siempre tuvo la mirada clavada en él, como una hija en el Padre, como una humilde discípula en el Maestro, atenta a cada gesto, devota, fidelísima», afirma Amadei.'
El décimo volumen de las Memorias biográficas de San Juan Bosco exalta, en efecto, a la beata María Mazzarello como «quien no tuvo otro anhelo que el de seguir e inculcar el programa trazado por el Fundador».3 Amadei expresa una convicción muy arraigada, tanto en las Hijas de María Auxiliadora como en los salesianos: que María Mazzarello debía aparecer sólo como discípula de don Bosco y colaboradora suya, y no podía presentarse como cofundadora de pleno derecho. La intención explícita y declarada del autor es, efectivamente, aclarar «los caminos del Señor, es decir, las disposiciones de la providencia al guiar cada paso de su Siervo fiel». Y María Mazzarello es sólo el instrumento preparado por Dios para que el Santo pueda fundar su segunda familia.

Es interesante ver, en cambio, que los primeros escritos que se refieren a María Mazzarello de Bonetti en la «Tinitá Cattolica»6 y de Lemoyne en el «Bollettino Salesiano» (1881),7 aunque en tono laudatorio, toman con mayor acento a la Madre en su papel de superiora llena de entrega al echar las bases del nuevo Instituto, hasta el punto de que despierta la admiración y la aprobación de don Bosco. Al exponer la misión de María Mazzarello, los dos autores se refieren al Fundador del Instituto, pero no explicitan la dependencia de la primera superiora con respecto a él.

3 Cf. P. CAVAGLIA, Il rapporto stabilitosi tra S. Maria Domenica Mazzarello e S. Giovanni Bosco. S'uds.° critico di alcune intetpretazioni, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 69-98.

A. AMADEI, La Serva di Dio Madre Maria Mazzarello, en BS 47 (1923) 2, 30. MB X, IV.

6 Cf. G. BONETE, La Superiora Generale delle Suore di Maria Ausiliatrice, en: «L'Unitá Cattolica» (21 maggio 1881), n. 120.

Cf. G.B. LEMOYNE, Suor Maria Mazzarello, en BS 5 (1881) 9, 11-13.

Francesia y Maccono, al poner el acento en las afinidades biográficas y espirituales, intentan de nuevo probar que la Providencia preparó a don Bosco el instrumento apto para la realización de sus obras.8 El Santo encuentra correspondencia a su proyecto en la docilidad y solicitud diligente de la Madre, que lo ejecuta en humilde obediencia, con actitud de discípula fiel.

Cuando más tarde, la Congregación de Ritos atribuye a María Mazzarello el título de cofundadora, los autores tratan de ahondar en el significado y el valor del papel de la Madre como colaboradora, como «auxiliadora» de don Bosco.9
Cenia, por ejemplo, tiene preciosas intuiciones sobre la aportación personal e insustituible de María Mazzarello en la fundación del Instituto, aunque en dependencia de don Bosco?'
Caviglia afirma que don Bosco, al encontrar en María Dominga los rasgos esenciales de la espiritualidad salesíana, los asume para construir sobre ellos algo nuevo y poderoso: no ya dependencia fiel de don Bosco, sino creación de una nueva tradición espiritual." Aunque la interpretación de Caviglia no se basa todavía en una reconstrucción histórica exacta de los encuentros que tuvieron lugar entre los dos santos y sobre sus dependencias recíprocas, tiene el valor de definir la identidad de la relación, pero ya no en términos estáticos de dependencia.

Ahora los estudios más recientes relativos a María Mazzarello (Colli, Fiora, Posada, Midali...) 12 discurren por una hermenéutica más correcta de las fuentes, acuñando los términos de «fidelidad creativa» o «creatividad fiel» de la Madre ante don Bosco.

8 Cf. G.B. FRANCESIA, Suor Maria Mazzarello ed i prim i due lustri delle Figlíe di Maria Ausiliatrice. Memorie raccolte e pubblicate, S. Benigno Canavese, Libreria Salesiana 1906; F. MACCONO, Suor Maria Mazzarello, prima Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrici, fondate dal Venerabile D. Giovanni Bosco, Torino, S.A.I.D. 1913.

9 Cf. la evolución en las mismas biografías escritas por Maccono: de la primera de 1913 a la publicada en 1934.

1° Cf. E. CERIA, Santa Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Torino, SEI 1952.

" A. CAVIGLIA, Santa Maria Mazzarello, Torino, Istituto FMA 1957.

12 C. COLLI, Contributo di don Bosco e di madre Mazzarello al carisma di fondazione dell'Istituto delle F.M.A., Roma, Istituto FMA 1978; L. ÑORA, Stork del titolo di «Confondatrice» conferito dalla Chiesa a S. Maria Domenica Mazzarello, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 37-51; M.E. POSADA, Significato della «validissima cooperatio» di S. Maria Domenica Mazzarello alfa fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 5367; M. MIDALI, Madre Mazzarello. II significato del titolo di Confondatrice, Roma, LAS 1982.

Además, las interpretaciones de marcado acento teológico subrayan el papel de cofundadora como valor preeminente y autónomo." En cambio, la publicaciones sobre don Bosco no se plantean, parece, el problema del tipo de relación entre los santos y siguen en la línea de dependencia y acentúan para. lelismos y semejanzas de vida.

Pero me parece que de una atenta lectura de las fuentes que tenemos a disposición, es necesario plantearse un serio estudio que no reduzca a dependencia absoluta o sitúe en paridad de papel la relación entre los santos: hay, en efecto, una evolución progresiva, gradual, desde una intuición inicial recíproca hasta una auténtica y fecunda colaboración.

2. Línea histórica de la relación

La reconstrucción histórica de los encuentros que tuvieron lugar entre don Bosco y María Mazzarello, hecha a partir de las fuentes más atendibles, tiene como fin identificar el carácter de la relación que se estableció entre los dos santos.

Los documentos y la historiografía salesiana consultada no han facilitado mucho el trabajo: he debido hacer una revisión crítica de las fuentes como, por ejemplo, de la Cronistoria dell'Istituto delle Figlie di María Ausiliatrice (fuente narrativa que reconstruye los orígenes del Instituto a partir de diverso material documental) y de algunas memorias y testimonios fundamentales, pero tardíos."
Siguiendo un criterio cronológico, he dividido la exposición de la investigación en dos períodos delimitados por el hecho de la fundación del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora (5 de agosto de 1872), porque pone de re, lieve el carácter, el contenido espiritual de las intervenciones de don Bosco en la vida de María Mazzarello antes y después de la fundación del Instituto.

No entro, sin embargo, en la problemática del proceso de decisión y fundación del Instituto, tema que oiremos en la comunicación siguiente de Sor Posada.

" Cf. MIDALI, Madre Mazzarello.

14 Cronistoria. Se trata de la publicación completa de la «cronistoria» mecanografiada compuesta por la madre Clelia Genghini durante los años 1922-1942. Se presenta como una rica elaboración historiográfica. La autora usa un material abundante y válido, pero no siempre indica las fuentes; a veces, las integra o sintetiza. No obstante, la documentación recogida se conserva en: AGFMA. Dicho material está constituido por fuentes narrativas (testimonios de hermanas que vivieron en Mornese, laicos y sacerdotes paisanos de Madre Mazzarello) y de fuentes documentales, en los anexos al texto (deliberaciones capitulares, actas notariales, documentos históricos, textos de las Constituciones, correspondencia, documentos referentes al status jurídico del Instituto). Además de este material, la Cronistoria toma datos de la biografía de Maccono y de Francesia, de las MB y del BS. Por esto, mi investigación ha exigido la consulta de las fuentes inéditas, para confrontarlas con el texto impreso. Cuando coinciden, cito el ejemplar impreso de la Cronistoria, para facilitar la consulta.

2,1. Antes de la fundación del Instituto (1862-1872)

El contexto histórico-ambiental en que se sitúa el conocimiento inicial de los dos santos es el típico del siglo XIX piamontés-ligur que gira alrededor de las figuras de don Bosco, del teólogo Frassinetti de Génova, de don Pestarino, sacerdote de Mornese, pueblo del Monferrato en el que vive María Mazzarello y en el que tendrá lugar la fundación del Instituto. También este pueblo siente y vive con modalidades y resonancias propias el típico clima de la Restauración del siglo XIX y los problemas religiosos conectados con ella." En el movimiento de renovación espiritual tiene un papel preponderante propio don Pestarino, discípulo y amigo del teólogo Frassinetti, que promueve una espiritualidad esencialmente cristocéntrica, mariana y apostólica.'6
Aunque del examen atento de las fuentes no se logra establecer con exactitud las fechas de los primeros encuentros entre don Pestarino y don Bosco (y hasta su inscripción en la Pía Sociedad Salesiana), aparece, sin embargo, indudable el papel de mediación ejercido por el sacerdote para el conocimiento inicial de María Mazzarello (1862).'7
Los mensajes escritos y orales que don Bosco envía a María Dominga y a Petronila Mazzarello, jóvenes pertenecientes a la asociación local de Hijas de María Inmaculada, comprometidas y formadas ya en una modalidad especial de apostolado educativo, los dirige sin conocerlas personalmente, pero parece que los expresa más bien como una respuesta benévola a lo que el mismo Pestarino expone.'8
Tampoco en el primer encuentro histórico (octubre de 1864, en Mornese, durante una de las clásicas excursiones de otoño de los muchachos de Valdocco) se puede hablar de un interés específico del Santo por María Mazzarello, considerada en el «grupo» de las Hijas de María Inmaculada, aunque presentado explícita e intencionadamente al Santo."
" Cf. M.E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello. Rapporto storico-spirituale, Roma, LAS 1986, p. 37-41.

Una carta inédita de Angela Domenico Pestarino, nacido en Mornese en 1817, hizo sus estudios eclesiásticos en el Seminario de Génova, donde fue ordenado sacerdote en 1839. A consecuencia de algunas tensiones que se originaron en el ambiente eclesiástico genovés, volvió a Mornese en 1847, en donde permaneció hasta la muerte (1874) realizando un vasto apostolado y desempeñando importantes funciones en la vida pública local, como consejero del ayuntamiento y ecónomo de la parroquia. Después de conocer a don Bosco, en 1862, se hizo salesiano; pero permaneció en Mornese como Director del naciente Instituto de las Hijas de María Auxiliadora. Cf. F. MACCONO, L'apostolo di Mornese. Sac. Domenico Pestarino, Torino, SEI 1926; cf. también la documentación relativa a don Pestarino en: ASC 275 Pestarino.

En una Memoria del cardinale Giovanni Cagliero, del 15 febrero 1922, se lee que don Pestarino había conocido a don Bosco en Génova, en la casa del teólogo Frassinetti, encontrándose después con él varias veces entre 1860 y 1864 (en: AGFMA). La Cronistoria y la biografía de Maccono recogen, en cambio, un testimonio de don Giuseppe Campi, sacerdote mornesino, que afirma que el primer encuentro ocurrió en un viaje, en el tren de Acqui a Turín en 1862.

" Cf. Cronistoria I, p. 117-118.

19 Cf. Ibid., p. 148-150.

Maccagno a Frassinetti expone el modo y el contenido, más bien exhortativo, para el compromiso en la Pía Unión.20
En cambio, es diferente la resonancia interior y profunda de la figura, de la palabra y la acción de don Bosco en la joven María Dominga que precisamente en esa circunstancia aprende a hacer más esenciales sus intervenciones educativas y más educativa su presencia entre las jóvenes. Los testimonios concuerdan en subrayar la intuición de la santidad de don Bosco y la insólita audacia al proclamarlo abiertamente 21
En la historiografía salesiana se habla del sucesivo y continuo interés indirecto de don Bosco por el grupo de Mornese, pero sólo en 1867 se tiene una carta explícita del santo a don Pestarino para anunciar una visita a Mornese,22 y por la crónica del mismo don Pestarino se sabe que don Bosco dio de nuevo una breve conferencia a las Hijas de María Inmaculada 23
Y en marzo de 1869 tiene lugar otra visita de don Bosco a Mornese, un nuevo encuentro con las Hijas, esta vez más específico: hasta se habla de una especie de horario y de reglamento para las que hacían vida común, pero por desgracia ese documento no aparece.24 El testimonio transmitido por Petronila Mazzarello, pone ya, sin embargo, de relieve elementos fundamentales de la espiritualidad salesiana que van modelando al pequeño grupo del que ahora es cabeza María Mazzarello.25
¿Un interés ya orientado con vistas a la fundación de la obra salesiana femenina? Hasta 1871 no tenemos la primera declaración oficial de don Bosco sobre esa intención; don Pestarino sigue al grupo y lo forma y continúa encontrándose con don Bosco, que sigue con estima y observación atenta y cierta actitud de expectación.26
Paso por encima la sucesión de hechos que llevaron a la fundación del Instituto (es interesante a propósito la memoria del mismo don Pestarino,27 el proceso de la redacción de la Regla, los pasos dados por don Bosco). En cambio, querría más bien poner de relieve la obra de mediación de don Pestarino con María Dominga y sus compañeras: es él quien presenta la propuesta de don Bosco, la misma Regla, orienta la decisión y prácticamente da comienzo a la obra.28

20 Cf. una carta de Angela Maccagno (1830-1890), maestra de Mornese, fundadora del grupo de las «Figlie di, S. Maria Immacolata», al prior, Giuseppe Frassinetti, fechada el 4 diciembre
1864. El manuscrito autógrafo se conserva en el «Archivio della Postulazione Generale dei Figli di Santa Maria Immacolata» (Roma).

21 Cf. Cronistoria I, p. 150.

21 Carta de don Bosco a don Pestarino, 3 de diciembre 1867, en: ASC 131.01.

23 Recogida en: Cronistoria I, p. 204.

24 Cf. Ibid., p. 222-224.

2' Cf. testimonio de Petronilla Mazzarello en: SACRA CONGREGATIO RITUUM, Aquen. Beatifil cationis et canonizationis Servae Dei Mariae Dominicae Mazzarello, Confundatricis F.B.V.M.A. Transsumptum, 133-134.

26 Cf. Cronistoria I, p. 239.241.243.245.

27 Cf. Memoria di don Pestarino, manuscrito autógrafo en: AGFMA.

Don Bosco no está presente (casi obligado) hasta la profesión de las primeras once Hijas de María Auxiliadora el 5 de agosto de 1872. Don Pestarino es de hecho mediación activa y actuante. Y, sin embargo, la fuerte adhesión de María Mazzarello a don Bosco está subrayada por el testimonio que en este momento da Giuseppe Campi (salesiano, natural de Mornese, muy próximo a don Pestarino). «Si por un imposible don Pestarino dejase a don Bosco, yo me quedaría con don Bosco».29
No hubo, pues, por cuanto consta de los testimonios, encuentros directos individuales entre don Bosco y María Mazzarello. Pero no parece que por ello la relación con don Bosco no sea determinante en la vida de María Mazzarello: antes de encontrarse habían madurado ya un ideal parecido y al encontrarse se dan cuenta de la convergencia y de la complementariedad. La relación tiene el carácter de conocimiento inicial recíproco y de aceptación: sin embargo, la postura de María Mazzarello no es de dependencia absoluta y pasiva; acepta libremente vivir la propuesta de don Bosco y según la modalidad salesiana, que ya practicaba inicial y originalmente antes de conocerle.

Don Bosco aparece en la historiografía salesiana que trata de este período como el Fundador y María Mazzarello como el instrumento para la actuación de un designio providencial. En realidad, a mi parecer, la aceptación libre, responsable y hasta original en el modo sencillo de suceder las cosas; hace que el «instrumento» sea activo y dotado de autodeterminación personal.

2.2. Después de la fundación del Instituto (1872-1881)

El período que va de 1872 a 1876, año de la aprobación diocesana de las Constituciones, es el de la formación estructural y espiritual del Instituto: y la relación que se establece entre don Bosco y la Madre Mazzarello ayuda a la constitución definitiva del Instituto. Se pueden encontrar, en efecto, lazos estrechos entre las intervenciones de don Bosco, el papel de la Madre Mazzarello y la formación de las primeras hermanas.

La actitud del Fundador que interviene — unas veces directamente y otras, también, indirectamente — hacia la nueva superiora general y hacia la primera comunidad provoca una respuesta rápida en la Madre y en las hermanas. Pero por otra parte también las características de su modo de ser y de su obra influyen en la modalidad, en la frecuencia y en el contenido de las intervenciones del Fundador.

Una vez más, los días 4 y 5 de agosto de 1872, la atención y la palabra de don Bosco se vuelcan sobre la comunidad para que se forme en una vida de sencillez, pobreza y mortificación." No es posible — como se nos atestigua siquiera un encuentro personal, tan deseado, entre don Bosco y la Vicaria(es éste el título que toma) ni siquiera cuando se la presenta en su nuevo cargo Me parece que la preocupación de don Bosco es clara por la formación de la comunidad (enviando a las religiosas de Santa Ana, aceptando personalmente a las que desean ingresar, yendo personalmente a Mornese);3' pero al mismo tiempo muestra atención y confianza hacía aquella mujer, campesina, sí, pero verdadera educadora.

28 Cf. Cronistoria I, p. 250-252.

29 Testimonio de Giuseppe Campi en: AGFMA.

30 Cf. Cronistoria I, p. 223.

En las visitas que están documentadas (como en 1873, 1874, 1875),32 las intervenciones de don Bosco van dirigidas a delinear y consolidar la fisonomía del nuevo Instituto. A la aprobación de las Constituciones de los salesianos (1874) le sigue a poca distancia la inserción del Instituto en la Pía Sociedad Salesiana: don Bosco se convierte de derecho en el Superior Mayor de las Hijas de María Auxiliadora. Sin embargo, conserva el modo de relación, estima y confianza hacia María Mazzarello, de la que va conociendo gradualmente el sentido de responsabilidad y la progresiva capacidad de gobierno. La Madre no se dirige a él — como vemos en la documentación de las cartas33 — por motivos personales, a los que puede y sabe renunciar; sino que se dirige al Fundador en su papel de superiora de la comunidad para la selección de personas que desean entrar en el Instituto, para pedir consejo sobre la marcha de la casa.

La relación con don Bosco se basa en la verdad y la confianza. Hay obediencia y escucha; pero hay también capacidad de propuestas maduras y de opciones oportunas. Don Bosco, en su actitud de interés, de guía siempre discreta (y realizada por medio de don Pestarino, primero, y después de don Cagliero) precisa normas y provoca una cooperación eficaz y esencial.

Con la aprobación diocesana de las Constituciones de las Hijas de María Auxiliadora (1876), el Instituto comienza su expansión, no sólo en Piamonte, sino también en Liguria, Francia y América. Para la Madre Mazzarello es un período intenso de obras, de iniciativas, de viajes, de correspondencia epistolar.

Los encuentros con don Bosco son más prolongados y más frecuentes. Es ella la que siente la necesidad de recurrir al Fundador para pedirle consejo o para darle cuenta de la marcha del Instituto. En la apertura de nuevas casas es ella la que escoge el personal, es ella la que forma con verdadera sensibilidad educativa. Le caracteriza el don de un discernimiento auténtico.34

31 Cf. Ibid. II, p. 24.28-31.40; cf. también: Annali e cronache Istituto Suore di Sant'Anna, vol.

I, 1873, p. 103-104, en: Archivio «Suore di Sant'Anna della Provvidenza» (Roma).

32 Cf. los testimonios recogidos en: Cronistoria II, p. 40.88.146. 148.

" Cf. carta de la Madre Mazzarello a don Bosco, 22 de junio 1874, publicada en: E. POSADA, Lettere di S. Maria Domenica Mazzarello, Roma, Istituto FMA 1980, p. 51; carta del 17 junio
1878, en: Ibid., p. 83; del 22 diciembre 1879, en: Ibid., p. 128; del 30 octubre 1880, en: Ibid.,p. 167.

Después de las visitas que hace a las cosas acude a don Bosco para referirle lo que ha visto. No nos queda documentación de esas relaciones. Sin embargo las idas a Valdocco son numerosas."
Don Bosco interviene personalmente más tarde en el traslado de la casa madre a Nizza Monferrato: y la actitud de confianza de don Bosco hacia la Madre asume, en ese período, un tono de mayor intensidad, estimulando su colaboración, reduciendo sus intervenciones, apelando con mayor frecuencia a su capacidad de Superiora general efectiva.36
Por su parte, María Mazzarello madura en sí misma el sentido de pertenencia y de responsabilidad hacia el Instituto, cuyo espíritu es el de don Bosco. Las intervenciones de don Bosco, que ahora se hacen menos frecuentes y numerosas, se dirigen a reforzar la unidad en la familia religiosa."
Los últimos encuentros de 1880 y de comienzos de 1881 tienen lugar en Sampierdarena, Marsella, S. Cyr.38 La Madre está enferma y es don Bosco el que le hace entender la verdad del momento. Hace su ofrecimiento. En la última conferencia a las hermanas la Madre habla de la obediencia hacia don Bosco, mediador de la voluntad del Padre."
Pero don Bosco no está presente cuando muere María Mazzarello. Faltan documentaciones explicitas que justifiquen su ausencia. El 14 de mayo de 1881 don Bosco se encontraba en Florencia con «cosas muy graves entre manos», como escribía a don Berto.4° Le sustituye Cagliero.

Este último período de la vida de la Madre Mazzarello se caracteriza, pues, por la presencia de colaboración, de confianza plena por parte de don Bosco. El 'Santo interviene, sí, con sus precisiones, normas ascéticas, consejos, aprobaciones, pero da plena libertad a esta mujer sencilla y excepcional, cuya auténtica maternidad culmina en el ofrecimiento total de su vida por el Instituto.

La exposición lineal de esta relación histórica, como se ha expuesto, ha exigido sin embargo una búsqueda atenta en la documentación accesible.

A través de la reconstrucción de los hechos, a través de los testimonios, la correspondencia epistolar, como también la consideración de los encuentros indirectos, se ve cómo entre don Bosco y María Mazzarello se dio una comunicación progresiva y variada. Los encuentros, ni frecuentes ni largos, pero fe. curdos en consecuencias, hacen entrever que entre don Bosco y María Mazzarello hubo de hecho un influjo recíproco.

34 Cf. los testimonios del proceso de canonización: SACRA CONGREGATIO RrniUm, Aquen. Beatificationis et canonizationis Servae Dei Mariae Dominicae Mazzarello Primae Antistitae Instituti
Filiarum Mariae Auxiliatricis Summarium super dubio, 408-422.

33 Recogidas en: Cronistoria II, p. 182.202269.323.341.

36 Cf. Ibid., p. 350.385.

37 Recogidas en: Ibid., p. 32.58.66.70.139.172.178.229232.

38 Cf. Ibid., p. 340.343.346.354.

39 Recogida en: Ibid., p. 367-368.

4° Carta de don Bosco a don Berto, 8 de abril 1881, en: E IV, 42-43.

El carácter de los encuentros es también significativo para el conocimiento del estilo de las intervenciones propias de don Bosco. Es típico de él, en efecto, la intervención breve, oportuna, siempre estimulante para el crecimiento interior, realizada con una actitud de respeto y confianza. Así son exactamente las intervenciones de don Bosco en el Instituto de las Hijas de María Auxiliadora y en la vida de María Mazzarello.

3. Mediaciones significativas

Una alusión especial, dado el límite de una comunicación, se impone para identificar y nombrar al menos algunas de las mediaciones significativas de la relación que se estableció entre don Bosco y María Mazzarello.

Ya se ha aludido al papel preponderante de mediador del conocimiento primero y del espíritu, después, de don Bosco, jugado por don Domenico Pestarino (1817-1874), precioso educador de la vida espiritual de María Mazzarello. Primer director del Instituto, desempeñó su papel con una presencia discreta y eficaz, refiriéndose, como es natural, a don Bosco, pero utilizando también su sólida formación doctrinal desde los años de seminario de Génova, madurada con una intensa vida parroquial.

Don Giovanni Cagliero (1838-1926) director general aun antes de la muerte de don Pestarino, se presenta como mediación privilegiada de la solicitud de don Bosco por el naciente Instituto. Colaborador entregado y ligado por el afecto a don Bosco, está autorizadamente presente en la vida del Instituto y su palabra es acogida como si fuera la de don Bosco, del que es portavoz oficial. Con frecuencia es don Bosco mismo quien confía a su sagacidad y experiencia cosas que se refieren al Instituto. La relación de cordial y filial apertura es especial y se manifiesta con singular confianza, delicado e intenso afecto por parte de la Madre hacia él. Las cartas son un testimonio explícito de ello.°
Don Giacomo Costamagna (1846-1921), tercer director local, conocido por su particular «exuberancia» al querer formar a las Hermanas, tiene el mérito de haber llevado a Momese el estilo de vida y las tradiciones de Valdocco. El equilibrio de la Madre Mazzarello hizo que en la estima recíproca, en la caridad, se lograse mantener un clima de alegre serenidad salesiana, aun dentro de la tensión ascética impuesta por él.42
41 Cf. las cartas de Madre Mazzarello a don Giovanni Cagliero: 29 diciembre 1875, en: Po. SADA, Lettere, p. 53; 5 abril 1876, en: Ibid., p. 58; 8 julio 1876, en: Ibid., p. 64; 27 diciembre
1876, en: Ibid., p. 73; 27 septiembre 1878, en: Ibid., p. 85. Sobre la figura del Card. Cagliero, cf. G. CASSANO, Il Cardinale Giovanni Cagliero, 2 vol., Torino, SEI 1935.

42 Cf., por ejemplo, las cartas de don Costamagna a Madre Mazzarello del 19 de febrero 1877 y del 20 de noviembre 1878, en: AGFMA.

Don Giovanni B. Lemoyne (1839-1916) provenía de una experiencia salesiana rica y «gratificante». No le resulta fácil integrarse en Mornese, pero su permanencia allí y en Nizza Monferrato da una preciosa aportación típicamente salesiana a la vida de comunidad, con discreción y oportunidad. Sus intervenciones formativas orientan también la acción educativa. Con la Madre establece una relación afectiva, sencilla, familiar.43
Estas conocidas figuras de la historia salesiana contribuyeron a reavivar la relación entre don Bosco y María Mazzarello y el estudio de su mediación sigue siendo un campo por explorar. La documentación relativa a los arios de la permanencia en Mornese es escasa, es verdad, pero el significado de su mediación es tal, que debe estudiarse.

4. Significado de la relación en perspectiva de espiritualidad

La reconstrucción de la línea cronológica de la relación de don Bosco con María Mazzarello lleva, por último, a poner en evidencia la relación espiritual que se dio entre los dos santos.

Dotada de especial receptividad y unificada por la búsqueda de la verdad, María Mazzarello se revela dotada también por una viva capacidad de asimilación de la propuesta espiritual de don Bosco, también porque se hace abierta por la presencia de elementos que preparan a la espiritualidad salesiana y que están ya en su formación.

La espiritualidad cristocéntrica, mariana, apostólica, fundamentada sobre una sólida ascesis, virginal propia del grupo de las Hijas de la Inmaculada, guiada por don Pestarino en la escuela del teólogo Frassinetti, encuentra convergencia en las propuestas de don Bosco." A esta sólida base se añade además la atención vigilante por conocer el espíritu de don Bosco, para vivirlo en fidelidad a sus intenciones y a los ejemplos de su santidad.

Dalla lettura dei "fatti" si nota che la crescente richiesta della Madre di conformarsi alla spiritualità salesiana non è una ricerca di sostegno o di sicurezza, ma piuttosto sottolinea che la Madre insiste nel penetrare nello spirito di Don Bosco per innestarlo e rinnovarlo nell'ambiente educativo di Mornese. I contenuti che Don Bosco ha proposto direttamente o indirettamente sono stati assunti dalla Madre, ma vissuti nel loro personale, con un carattere di austerità, semplicità e consegna continua.

. Cfr. Le lettere di Madre Mazzarello a Don Lemoyne: 14 dicembre 1877, in: POSADA, Lettere, p. 78; 17 marzo 1879, in: Ibid., P. 95; 9 aprile 1879, in: Ibid., P. 97; Dicembre 1879, in:
Ibid., P. 134.

44 Cfr. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello, p. 131-132.

Ritornando alla presentazione iniziale sulla considerazione della relazione tra i santi considerati negli autori salesiani, si può concludere che tale relazione non ha il carattere di dipendenza assoluta o di imitazione passiva. Don Bosco trova una donna con la quale, in atteggiamento di rispetto, fiducia e libertà, può realizzare un progetto di vita e di azione che non è indifferente a quel tempo. È una relazione di collaborazione responsabile, realizzata attraverso l'assimilazione creativa della spiritualità salesiana.

5. Osservazioni conclusive

Il limite di una comunicazione mi ha costretto a procedere forse schivando. Ma il campo di indagine si è rivelato vasto e ancora aperto. Viene imposta la necessità di una corretta ermeneutica delle fonti e la mia intenzione è ancora in una prospettiva molto ampia. Il percorso di ricerca dovrebbe essere approfondito e lo studio di una relazione dell'importanza di quella di Don Bosco e Maria Mazzarello, anche nel suo contenuto essenziale, sarà fruttuosa per il futuro delle due congregazioni che lavorano nella Chiesa.

L'ISTITUTO DELLE FIGLIE DI MARIA AUXILIADORA. IN RELAZIONE A DON BOSCO *

María Esther POSADA
L'argomento di questa comunicazione è presto ampio e complesso. Si richiede, infatti, la spiegazione del rapporto tra lo storico e 'la realtà ecclesiale che è Salesiane di Don Bosco (HNLA) e il suo fondatore, San Giovanni Bosco. L'esplicitazione della relazione che l'Istituto ha maturato durante i suoi 116 anni di storia richiederebbe, non solo uno studio più profondo di questo, ma anche uno spazio meno limitato di quello di una comunicazione.

Tema-e lo spazio mi portano a fare una scelta di carattere storico, riducendo l'argomento entro i limiti delle origini dell'Istituto e, in quel periodo, i primi sedici anni della sua esistenza, che, come spero di mostrare In questo studio si stabilisce una relazione con il Fondatore il cui risultato appare paradigmatico per l'Istituto nelle diverse fasi della sua storia?
Avendo dichiarato la mia scelta e ancor prima di presentare la struttura della materia, penso sia necessario indicare almeno alcune osservazioni preliminari richieste dal suo contesto.

1) Il contesto storico-ecclesiale in cui appare l'Instituto de lilasda H1VLA è un momento di sofferenza e crescita, crisi e vitalità religiosa. Giacomo Martina afferma che la situazione degli istituti religiosi in Italia intorno agli anni '70 rivela una doppia antinomia: persistente crisi interna negli istituti e fiorenti iniziative e nuove fondazioni.3
La traduzione castigliana del dispositivo tecnico appartiene all'autore della comunicazione (nde). L'Istituto, fondato a Mornese (provincia di Alessandria, diocesi di Acqui), riconosce come cofondatore Santa Maria Dominga Mazzarello (1837-1881). Ha come scopo l'educazione della gioventù femminile di ambienti popithres, attraverso diverse opere e attività; tra cui: scuole e collegi, catechesi, oratori o centri giovanili. L'Istituto è di diritto pontificio dal 7 dicembre 1911. Attualmente (1988), ha 17.167 suore, distribuite in 72 province e 5 visite, presenti in 1.495 case di 72 nazioni.

2) FJ nuevo florecimiento de los institutos religiosos estimula un proceso jurídico a veces inexistente o bien inadecuado y de lenta elaboración, especialmente en Italia y en particular para los institutos femeninos.4 Por otra parte, la evolución de la legislación promueve la expansión de la vida religiosa femenina.5
A mi parecer, esta situación incide sobre la actitud de don Bosco en orden a la fundación de un nuevo Instituto de Hermanas; si por una parte se siente estimulado por la gradual aceptación de la mujer en el campo de la acción social y de la educación, por otra comprende la exigencia del proceso hacia el que se ven abocados los nuevos institutos. Él, en efecto, se mostrará inicialmente reticente a fundar y, más todavía, a hacer aprobar por la Santa Sede el Instituto ya fundado.6
3) La tercera observación se refiere a la diversidad del grupo inicial de las HMA en relación con el de los salesianos. Estos provenían en su mayor parte del ambiente de Valdocco, es decir, fueron muchachos educados directamente por don Bosco;' las primeras, en cambio, surgen de un grupo ya formado, con «Uno sguardo anche superficiale alla situazione degli Istituti religiosi in Italia intorno al 1870 rivela una duplice antinomia, difficile a spiegare almeno a prima vista: una persistente crisi degli istituti nel loro complesso, molto anteriore alle leggi eversive, una fioritura di ini7iative costruttive e una rapida esuberante espansione» (G. MARTINA, La situazione degli Istituti religiosi in Italia intorno al 1870, en: Chiesa e religiositá in Italia dogo l'Unitá [1861-1878],PW1, Milano, Vita e Pensiero 1972, p. 194).

4 «Il continuo ricorso di queste fondazioni [femminili] a Roma [...] coopera [...] ad accrescere sia la loro importanza [...] sia quena dell'autoritá della Chiesa negli Statí in cui si trova ad
agite. Se alcuni elementi sono accolti facilmente [nella procedura] altri avevano bisogno di ripensamento» (G. ROCC.A, Le nuove fondazioni religiose femminili in Italia dal 1800 al 1860, en: ASSO
CIAZIONE ITALIANA DEI PROFESSORI DI STORIA DELLA CHIESA, Problemi di noria della Chiesa. Dalla Restaurazione all'Unitá. Atti del VI Convegno di aggiornamento [Pescara 6-10 settembre 1982], Napoli, Edizioni Dehoniane 1985, p. 171-172).

Nos encontramos en realidad con situaciones antitéticas: «Da un lato é riconosciuto gradualmente alla dona un maggior spazio nella vita attiva, particolarmente nell'assistenza e nell'istruzione elementare. Dall'altro la legislazione écclesiastica dell'Ottocento comincia ad evolversi, a riconoscere a questi istituti, finora non considerad ufficialmente come "religíos in, gli attributi essetwinli della vita religiosa vera e propria» (MARTINA, La situazione, p. 200).

6 «Un falto che puó sembrare un'anomalia nella vita di Don Bosco é ch'egli non chiese e non si decise mai a chiedere a Roma l'approvazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tanto piú ció é sconcertante, quanto pió si bada al contesto in cui si colloca, nella comice di una mentalitá che è portata a dare gran rilievo alla persona del Papa e alle prerogative che la religiositá cattolica del tempo afferma ed esalta. [...] Mentre da una parte, per salvaguardare alla Societá Salesiana la fisionomía che aveva sognata si sottrae alle pressioni vescovili di Torino [...], dall'altra, quasi nello stesso tempo, per un moto affettivo analogo rífugge dal sottoporsi a Roma per quanto riguarda l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice» (STELLA, Don Bosco I, p. 203-204).

' MB IV, 429.

espiritualidad y estructuras propias: «Figlie di Santa Maria Immacolata» de Mornese.8
4) La última observación es de carácter documental. Tengo que declarar que no existen estudios de carácter histórico-crítico sobre este tema.9 La historiografía salesiana al respecto, aunque intenta reconstrucciones lo más atendibles posible, se sitúa en una línea de relato edificante más que en una vertiente científica.m Hacía falta, pues, trabajar sobre documentos de primera mano, que son escasos, pero importantes!' La búsqueda, ya encauzada, el tamizado crítico de las fuentes, la publicación de ediciones críticas sobre el material existente se hace indispensable para una hermenéutica correcta en el ámbito de la historia de las TIMA.

Una vez hecha esta referencia al contexto y a las fuentes históricas, dedico mi atención a la dinámica que se da entre los dos polos de la relación de la que estamos hablando: el primer núcleo de las HMA, grupo en transformación y realmente modificado por la intervención de don Bosco, y el mismo don
Se trata de una pía unión que surge hacia 1851 en la parroquia de Mornese, por iniciativa de Angela Maccagno (1832-1891). Don Domenico Pestarino dio un fuerte impulso al grupo como guía espiritual inmediato. El teólogo genovés Giuseppe Frassinetti compiló una Regla en respuesta al deseo de don Pestarino y en base a un esbozo de Angela Maccagno. La pía unión tomó el nombre de «Nuove Orsoline Figlie di Santa Maria Immacolata», bajo la protección de Santa Úrsula y Santa Ángela Merici (cf. G. FRASSINE111, Opere edite ed Medite. Opere Ascetiche, vol. II, Roma, Postulazione Generale dei Figli di S. Maria Immacolata 1909, p. 108ss.; M.E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria Domenica Mazzarello. Rapporto storico-spirituale, Roma, LAS 1986).

9 El capítulo dedicado a las Hijas de María Auxiliadora en laobra crítica de P. StelIa antes citada es un estudio documentado y estimulante, aunque sintético, que debe considerarse como el primero sobre el argumento. Se debe tener también en cuenta la edición crítica de las Constituciones primitivas de las HMA, preparada por Cecilia Romero. Es un estudio serio que, de modo indirecto pero documentado, investiga sobre los orígenes del texto y sobre su colocación histórica
(cf. G. Bosco, Scritti editi e inediti, vol. Costituzioni per l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice [1872-18851, Testi critica a cura di Sr. Cecilia Romero FMA, Roma, LAS 1983).

Un estudio sobre la génesis de la fundación fue publicada por mí con ocasión del centenario de la muerte de don Bosco (cf. M.E. POSADA, Alle origini di una scelta. Don Bosco, Fondatore di un Istituto religioso femminile, en: R. GIANNATELLI [ed.], Pensiero e prassi di don Bosco, Roma,LAS 1988).

'° Así en las MB; cf. también: Cronistoria. Tampoco son estudios críticos, aunque sean fundamentales para la historia de la Sociedad salesiana y del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora: Annali; G. CAPETTI, II cammino dell'Istituto nel corso di un secolo, 3 vol., Roma, Istituto delle FMA 1972-1976. En estas fuentes y estudios se funda, en general, la historiografía del Instituto.

" Documentos existentes en el AGFMA y en el ASC, especialmente en el «Fondo Don Bosco» (ASC 131-175). Me parece conveniente precisar que las primeras crónicas del Instituto de las HMA son tardías e incompletas. La más antigua parece ser de 1887. Estos y otros documentos posteriores como los Schiarimenti sugli inizi dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice se presentan como escritos sintéticos o resúmenes. Se necesita, por lo tanto, un minucioso análisis de las noticias y documentos, más bien fragmentarios. Nos encontramos, a mi parecer, en el momento heurístico de un proceso de reconstrucción histórica. En este sentido se puede afirmar que todos los documentos, aunque incompletos, resultan importantes.

Bosco, en el momento de la búsqueda, de la elección y de la fundación del Istituto, implicado él también en una dinámica de transformación, de continuidad y, al mismo tiempo, de rotura con esquemas anteriores, de novedad de vida y de obras.

Estudiando atentamente esta dinámica dentro de los límites que he fijado, he podido identificar tres momentos, de desigual duración, que expresan las diversas modalidades de una única relación. La estructura de este tema refleja precisamente estos tres momentos sucesivos:
1) una nueva orientación espiritual dentro del grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada (1860-1870);
2) una verdadera opción histórica: el momento de la fundación (1871- 1872);
3) una progresiva conciencia de pertenencia madurada en el grupo y en la misma relación que se establece con don Bosco (1872-1876).

1. Una nueva orientación espiritual (1860-1870)

El grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada (HSMJ), comprometido en un intenso ritmo de vida cristiana y entregado a diversas actividades parroquiales,' estaba dirigido habitual e inmediatamente por don Pestarino," y giraba en la órbita espiritual del teólogo genovés, Giuseppe Frassinetti." Entró por primera vez en contacto con el sacerdote Giovanni Bosco a través de la mediación personal del mismo don Pestarino.

Las fuentes documentales no coinciden en la fecha de este encuentro," niu Las Hijas de Santa María Inmaculada tenían como fin «procurare la propria santificazione e coadiuvare alla salute dei prossimi [esercitandosi] nelle opere di misericordia corporale [...] assistendo specialmente le povere inferme del luogo» (Regula della Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, I, 1; HL 37).

13 Don Domenico Pestarino (1817-1874). Originario de Mornese, hizo sus estudios en el seminario de Génova, del que fue más tarde prefecto. Regresó a Mornese en 1847 y trabajó intensamente en la renovación espiritual de la parroquia. Director espiritual de Santa María Domenica Mazzarello, durante 27 años, director del grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada y, más tarde, primer director local y espiritual de la primera comunidad de las Hijas de María Auxiliadora. La correspondencia de don Pestarino, conservada en el ASC está clasificada con este título: Pestarino don Domenico, sac. fondatore dell'opere salesiane di Mornese [ASC 275, 1, 3] (cf. F. MACCONO, L'apostolo di Mornese. Sac. Domenico Pestarino, Torino, SEI 1926).

Giuseppe Frassinetti (1804-1868). Prior de la iglesia de Santa Sabina (Génova). Moralista, escritor de obras ascéticas, pastor y director espiritual. Por deseo de don Pestarino, preparó y publicó la Regla de la pía unión de las Hijas de Santa María Inmaculada, y fue animador espiritual del grupo (cf. G. FRASSINETIT, Opere Ascetiche. Introduzione e note di P. Giordano Renzi FSMI,
2 vol., Roma, Postulazione Generale dei Figli di S. Maria Immacolata 1978; POSADA, Giuseppe Frasinetti).

En una memoria del card. Giovanni ,Cagliero, depositada en el AGFMA, se lee que «questo incontro e visite successive avveruiero nel 1860, 61, 62 e 64» (Memoria del Cardinale Giovanni Cagliero, 15 febbraio 1922 in AGFMA). La Cronistoria y el biógrafo de Santa María Mazzarello, don Ferdinando Maccono, citan un testimonio de don Giuseppe Campi, sacerdote de Mor-nese. El encuentro habría tenido lugar «verso il 1862» (Testimonianza di D. Giuseppe Campi en: AGFMA; cf. Cronistoria I, p. 111; F. MACCONO, S. Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, vol. I, Torino, Istituto FMA 1960, p. 100). La autora de la Cronistoria, la M. Clelia Genghini, que fue secretaria general del Instituto de las HMA, basándose en varias investigaciones hechas por ella misma, sugiere como posibles fechas los meses de agosto, septiembre u octubre de 1862 (cf. Cronistoria I, p. 111-114).

en el lugar donde ocurrió,l6 y ni siquiera en el contenido, del cual existen versiones no unívocas. Todas estas versiones indican dos elementos importantes: el entusiasmo de don Pestarino hacia la persona y la obra de don Bosco' y el interés de don Bosco hacia el grupo de las HSMI dirigido por don Pestarino.18 Sin embargo, las mismas fuentes no coinciden en el modo con el cual el ropo entra en la órbita de don Bosco. Algunas versiones presentan a don Pestarino como el que «ofrece» a don Bosco el grupo de la Inmaculada sin una previa petición;" en otras, es don Bosco mismo quien, oyendo hablar a don Pestarino, se «mueve», empujado por su interés hacia el grupo." Algunos testimonios dejan entrever la preexistencia de la inquietud de don Bosco por fundar un Instituto femenino,2' otros ponen de relieve que el encuentro, considerado «providencial», suscita en don Bosco la idea de fundar.22
16 En la citada memoria del card. Cagliero se lee: «Ricordo che Don Pestarino mi disse di aver conosciuto Don Bosco in Genova, in casa del Parroco Frassinetti di S. Sabina». Don Campi afirma que el encuentro tuvo lugar en un viaje en d tren que conducía a don Bosco y a don Pestarino desde Acqui a Alessandria. Este testimonio es recogido por la Cronistoria y por Maccono.

«[Don Pestarino] preso da venerazione per le sue virtit [di don Bosco] s'invoglió di venire
a Torno» (G. CAGLIERO, Memoria, en: AGFMA).

i8La Cronistoria, junto con el interés de don Pestarino por la obra de don Bosco, pone en evidencia el interés de éste por el grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada, que don Pestatino dirigía, y reconstruye, de modo hipotético e imaginario, el diálogo entre los dos sacerdotes, del que, en realidad, se conservan solamente algunos detalles (cf. Cronistoria, I, p. 114-116).

19 Es significativo un testimonio de don Rua, sucesor de don Bosco, en el proceso ordinario para la canonización del mismo don Bosco: « [Don Pestarino] con calde istanze ottenne pare che l'adottasse [la Pia Unione] come sua spirituale famiglia. D. Bosco vedendo il buono spirito, la pietá e la vicendevole carita, che cola regnava, lascib il Sacerdote D. Pestarino alla direzione dele medesime [Figlie di S. Maria Immacolata e poi FMA] finché il Signore lo conservó in vita (1872) [sic] » (M. RUA, Deposizione en: SACRA RITUUM CONGREGATIONE, Taurinen. Beatificationis et canonizationis Servi Dei Joannis Bosco Sacerdotis Fundatoris Piae Societatis Salesianae, Positio super Introductione Causae, Summarium super dubio, p. 323). Citaré: Summ.

20 Es la tesis más afirmada en los documentos del Instituto (cf. Schiarimenti, p. 3-4), donde se da énfasis a la pertenencia de don Pestarino a la Sociedad salesiana. El documento más interesante a este respecto es, a mi parecer, la Memoria autografa de don Pestarino, donde él pone en evidencia la intervención de don Bosco respecto a la idea de hacer una fundación. El documento no hace mención del primer encuentro. Parte de 1871: «Nel orille ottocento settant'uno il benemerito Sacerdote D. Bosco esponeva a D. Pestarino Domenico [...] il suo desiderio per l'educazione cristiana dele povere fanciulle e dichiarava che Mornese sarebbe stato fi luogo che conosceva pió adatto [...] essendovi giá da varii and iniziata la Congregazione dele zitelle sotto nome dell'Immacolata e dele nuove Orsoline...» (D. PESTARIN0, Memoria autografa, manoscritto A, en:AGFMA).

21 Así afirman los Schiarimenti.

22 «[Don Bosco] non venne nella decisione [di fondare] sino a guando la Provvidenza gli
A mi parecer, en el encuentro, ocurrido probablemente en el verano de 1862, don Bosco halla el camino definitivo para la actuación de uh proyeco que estaba madurando desde hacía mucho tiempo.23
Desde aquel momento, los hechos nos han llegado con mayor credibilidad y claridad y la implicación del grupo, movido siempre por don Pestarino, aparece más evidente y efectiva. La relación con don Bosco se va perfilando en tres direcciones:
a) en orden a su persona, que suscita en el grupo admiración, respeto, veneración por su personalidad y fama de santidad;24
b) en orden a su obra educativa, que interesa a toda la población de Mor-nese, especialmente en la primera visita del Santo al pueblo en 1864:25 las HSMI se vieron especialmente afectadas en la preparación de esta visita; y después de la propuesta de don Bosco a toda la población de fundar en Mornese un colegio para muchachos, se comprometen ellas en primer lugar en el trabajo de construcción del edificio;26
c) en orden a un proyecto insólito que don Bosco va manifestando lentamente en sus visitas a Mornese en años sucesivos"' y que culmina en un «pnigrama» de vida espiritual propuesto a todo el grupo hacia 1869.28
La implicación mediata más efectiva del grupo de las HSMI en la órbita de aperse essa stessa evidentemente la vía. Un pio sacerdote, D. Domeníco Pestarino ecc.» (M. RIJA, Deposizione, en: Summ., p. 323).

" Cf. POSADA, Alle origini, p. 162-169.

24 Cf. Cronistoria I, p. 148-150. Me parece interesante, a este respecto, una carta de don Pestarino a don Rua, con ocasión de la enfermedad de don Bosco en Varazze, a finales de 1871. Las Hijas de la Inmaculada habían rezado y hasta ofrecido la vida por la salud del Santo: «Ebbi la consolazione, nella tristezza, di sentirrni chiedere da una che, se le permettevo, faceva l'olocausto della sua vita per ottenere la salute e la vita di don Bosco, il che mí ripeterono altre, pronte a morire [...] e faranno l'olocausto alla santa comunione» PESTARNO, Lettera a don Michele Rua,Mornese, 17 dicembre 1871, manoscritto originale, en: ASC 275, 1, 2 [2] Pestarino).

25 «Nell'ottobre di quest'anno [1864] passó da Momese il Rev.mo e celebre D. Bosco di Tocino con 60 e pió de' suoi giovani, con banda musicale ecc... col quale da qualche tempo, per grazia di Dio, io aveva fato relazione ed eravamo intesi in molti punti; con lui avevo esternato tutto fi mio povero spirito e i miel progetti. Giunto qui ed accolto dalla popolazione nel miglior modo possibile, si fermó 4 giorni, nei quali si fece bellissima funzione in Chiesa, accademia a Borgoalto; ed io intanto gli esternai il mio desiderio di fabbricare in tal Mogo...» (Racconto - Memoria della fabbrica di Borgoalto. Copia allografa di un racconto attribuito a Don Pestarino, en: ASC 409, 1, 5, f. 4).

26 Cf. Ibid. 2ss; Cronistoria I, p. 147-154.

n Don Bosco hizo diversas visitas a Mornese (cf. Cronistoria I, p. 204-239). Documentos importantes para reconstruir la relación entre don Bosco y don Pestarino y las visitas del Santo a Mornese son las cartas autógrafas de don Bosco al mismo don Pestarino (cf. ASC 13101). 28 La Cronistoria habla de un «Horario-Programa» de vida, escrito por el mismo don Bosco en abril de 1869 (cf. I, p. 222-224). C. Romero en el estudio ya citado sobre las Constituciones de las HMA se expresa así: «Sena voler entrare nella questione dell'esistenza e datazione di questo regolamento d sembra di poter affermare che non si tratta dí un testo normativo riguardante la vita religiosa di una comunitá» (C. ROMERO, Alle origini delle Costituzioni dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, en: Bosco, Scritti editi, p. 32).

San Juan Bosco, tal como aparece en este decenio de transformación, es de carácter estrictamente espiritual, es decir, revela una actitud común interior que se expresa, por parte del grupo, en la admiración por la persona y la obra de don Bosco y en la primera apertura a sus orientaciones directas. Don Bosco manifiesta interés, pero al mismo tiempo ponderación realista de una opción a través de encuentros mediatos e inmediatos con un grupo del que llega a conocer bien la espiritualidad y la actividad.

2. Una verdadera opción histórica: el «momento» de la fundación (18711872)

Desde el punto de vista histórico, la génesis de un instituto religioso no puede reducirse a la fecha de su fundación. La génesis es un proceso de duración diversa según las vicisitudes históricas que atraviesa el instituto. El 5 de agosto de 1872 es la fecha que el Instituto de las HMA reconoce como el de su fundación y corresponde, efectivamente, a la celebración de las primeras profesiones.

Documentos atendibles referentes a la génesis del Instituto nos permiten verificar modificaciones de importancia en el tiempo que va desde 1871 a 1872. Consideramos este tiempo como el «momento» cumbre de la fundación. Son modificaciones que se refieren a la relación ya estable entre don Bosco y las HSMI.

Una carta autógrafa de don Bosco a Madre Enrichetta Dominici, superiora general de las «Suore di Sant'Anna della Provvidenza»,29 nos pone ya frente a una decisión de don Bosco y a un proyecto de fundación. Pide a la Madre Dominici que le ayude en la redacción de un esbozo de Reglamento para «fondare un Istituto le cui figlie in faccia alla Chiesa siano vere religiose, ma in faccia alla civile societá siano altrettanto libere cittadine».3° Esta decisión la manifestaría a su Capítulo (Consejo) superior.31
29 Madre Enrichetta Dominici (1829-1894). Nació en Borgo Salasio, Carmagnola (Turín). Entró en el Instituto fundado por la marquesa Barolo en Turín, las Hermanas de Santa Ana de la Providencia, dedicadas a la educación popular. Fue Superiora general por 32 años. La personalidad de la Madre Dominici debió de dar seguridad a don Bosco, por su sabiduría y don de gobierno (cf. Vigilia eroica. Pagine autobiografiche di suor M. Enrichetta Dominici delle Suore di S. Anna della Provvidenza. Introduzione e note di Morazzetti S.P., Tivoli 1951). La Madre Dominici fue prodamada Beata en 1978.

" Lettera di don Bosco a madre Enrichetta Dominici, Torino, 24 aprile 1871, original autógrafo en: ASSA.

" Fuentes y estudios indican que el 24 de abril de 1871 es la fecha en que don Bosco se comprometió oficialmente ante su Capítulo superior respecto a la fundación de un Instituto femenino. Para avalar esta afirmación se citan las actas de este día (cf. STELLA, Don Bosco I, p. 188; MB X, 594; Cronistoria I, p. 241). En el ASC no existen las actas de ese año (cf. ASC 0592) y la noticia no se encuentra en las actas sucesivas ni en otras fuentes. Sólo un testimonio de don Paolo Albera, pedido por don Rua, relata el hecho atribuyéndolo al año 1870 (cf. Verbali del 25 dicembre 1907, en: ASC 0592; cf. Summ. lI. Substantialia causae, 68 ss.).

La carta contiene, en efecto, elementos preciosos para identificar, no sólo las fuentes del primer código de vida de las HMA, sino también para conocer la identidad jurídico-eclesial del nuevo Instituto. Aparece, además, significativo que don Bosco se dirija a una mujer para la elaboración del texto-base de la Regla y que escoja a la superiora de un Instituto religioso dedicado a la educación de muchachas del ambiente popular.

Pero también por parte del grupo de las HSMI se verifica una verdadera opción. El grupo, que ha entrado ya en relación directa con don Bosco, se síente llamado a decidir sobre un nuevo compromiso de vida y sobre una pertenencia más estrecha al proyecto del Santo turinés.32 Una parte del grupo de las «Nuove Orsoline» (HSMI) rechaza abiertamente la propuesta de hacerse «religiosas» demostrando conciencia del cambio radical en su condición de vida. Otras se adhieren rápidamente, dando prueba de saber que realizan una opción ya ponderada. Otras se adhieren más tarde, demostrando también ellas que tenían la «sensación» del cambio.33
La Memoria autógrafa de don Pestarino sintetiza así la primera reunión que se tuvo el 29 de Enero de 1872 para la elección de un Capítulo (Consejo) superior:
«[...] il bel giorno di S. Francesco di Sales, ed esposto quanto D. Bosco li aveva consigliato (a don Pestarino), detto il Veni Creator Spiritus col Crocifisso esposto sopra un tavolino con due candelieri accesi, si passó alla votazione, essendo in numero di 27, facendo poi leggere i voti ricevuti da D. Pestarino, dalla Angela Maccagno Maestra del Paese, e fino aflora Superiora di quelle che vivono in loro famiglia. Risultó dallo scrutinio 21 voti a Maria Mazzarello di Giuseppe delta dí Valponasca [...] si passó alla votazione della seconda Assístente che riusci Petronilla con voti 19; si ritirarono queste due e nominaron per Maestra delle Novizie Felicina [Mazzarello], ed Economa Giovanna [Ferrettino] e per Vicaria o Vicesuperiora per quelle del paese, la Maestra Maccagno. Si pubblicarono e si fina col Laudate Dominum l'adunanra che Jopo fu sciolta».34
Siete meses más tarde tuvieron lugar las primeras profesiones. Las que se adhirieron al proyecto de don Bosco se trasladaron al colegio hecho construir por don Pestarino en el lugar llamado Borgoalto y en un primer momento destinado, en la intención de don Bosco, para escuela de los muchachos de Mornese. Ahora se convertía en la Casa-Madre del Instituto de las HMA. El «sello» histórico-eclesial de tal transformación del grupo de simple «Pia Unione» parroquial en instituto religioso lo puso la presencia del obispo de Acqui, mons. Giuseppe Maria Sciandra, durante la función de las profesiones; el «sello» histórico-salesiano lo aportó la presencia del Fundador que, por invitación del mismo obispo, dirigió la palabra a las nuevas profesas, precisamente como Fundador."
32 Cf. PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA.

33 Cf. Cronistoria I, p. 272-274.

34 PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA. " Loc. cit.

Leyendo superficialmente las pocas noticias que se poseen de este hecho Parecería que don Bosco no demuestra una conciencia «histórica» del hecho que se estaba realizando el 5 de agosto. Efectivamente, no había previsto estar presente en las profesiones,36 aparece como forzado a ir,37 y sale inmediatamente de Mornese sin que su firma aparezca en el Acta de fundación.38 Sin embargo, su presencia, la invitación del obispo a dirigir la palabra a las nuevas profesas, la aceptación que él hace del Instituto en presencia del mismo obispo, revelan la calidad de la relación histórica que se establece ahora con las FMA ante la Iglesia y la historia.

De una implicación simple, aunque profunda, en lo espiritual, la relación de las FMA en orden a la persona y a la misión edesial de don Bosco se transforma en una relación de carácter histórico que supone una dependencia real del Fundador y se abre a la aceptación de un nuevo vínculo, el jurídico, con la aceptación del nuevo Código de pertenencia. Éste, desde las primeras e imperfectas fases de su planteamiento, lleva ya la marca del pensamiento y del espíritu de San Juan Bosco.39

3. Una progresiva conciencia de pertenencia jurídica (1872-1876)


De la observación atenta del modus vivendi de las primeras HIVIA como aparece en las Reglas y de las noticias que las crónicas nos dan, se deduce un estilo simple, pobre, sereno y austero, centrado totalmente en la configuración de la primera comunidad y en el compromiso apostólico entre las muchachas, especialmente las internas.

Sin embargo, algunos hechos casi inmediatamente posteriores a la fundación demuestran una progresiva maduración en la conciencia y en la estructuración jurídica del Instituto, conciencia que incide en la relación que se había establecido entre la comunidad primitiva y su Fundador.

En 1874 y aún en vida de don Pestarino, don Bosco procede a dos medidas jurídicas de importancia: la elección de un Director general del Instituto," en la persona de uno de sus mejores salesianos, don Cagliero,41 y el nombramiento de una superiora general en la persona de Sor María Do/11in, Mazzarello que hasta entonces había presidido la comunidad con el título la, Vicaria."

" Cf. Cronistoria I, p. 297.

" Cf. Ibid., p. 307.

78 Verbale relativo alla fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice eretto in Mornese Diocesi di Acqui, Mornese, 8 agosto 1872, copia auténtica, en: ACVA Registri, 15, 520-522.

39 Cf. ROMERO, Alle origini, en: Bosco, Scritti editi, p. 34-49.

40 Solamente a partir del Manoscritto F de las Constituciones HMA aparece la figura del Director general del Instituto. En los manuscritos precedentes se dice que el Instituto está bajo la dirección inmediata del Superior general de la Sociedad de San Francisco de Sales (cf. Manoscritti
A-E y F, en: Bosco, Scritti editi, p. 209-252).

' Giovanni Cagliero (1838-1926). En 1874 fue nombrado primer Director general de las Hijas de María Auxiliadora. En 1875 partió como responsable de la primera expedición misionera a Argentina. En 1884 León XIII lo nombró obispo titular de Magida y le confió el vicariato apos tólico de la Patagonia. En 1904, Pío X le confió la visita apostólica en las diócesis de Tortona, Piacenza, Albenga y Savona, enviándolo luego como Ministro plenipotenciario y Delegado apostólico de Centro América. En 1915, Benedicto XV lo nombró cardenal y miembro de las congregaciones de Religiosos, de Propaganda Fide y de Ritos. En 1920, obispo de Frascati. Murió en Roma en 1926 (cf. G. CASSANO, Il cardinale Giovanni Cagliero, 2 vol., Torillo, SEI 1955).

El porqué del nombramiento de don Cagliero está justificado por la un' posibilidad, por parte de don Bosco, de seguir directamente al Instituto y de su visión previsora sobre la expansión del mismo." El nombramiento de la superiora general obedece tal vez al deseo de asegurar una figura jurídica entonces controvertida, pero necesaria según los usos del tiempo.44
En el mes de marzo del mismo año 1874, don Bosco había presentado a la Congregación de los Obispos y Regulares un «Riassunto» de la «Pia Societá Salesiana», en orden a la aprobación de las Constituciones. En este «Rías. sunto» hacía alusión a la fundación de Mornese en términos muy sucintos."
Sín detenerse, pues, en clarificaciones sobre la estructura jurídica del Instituto, don Bosco se orienta en cambio hacia la aprobación diocesana del mismo y de las Constituciones procediendo a la revisión de éstas46 con el deseo de presentarlas al obispo de Acqui, el mismo mons. Sciandra que presidió las primeras profesiones.

42 En la primera elección del Capítulo superior del Instituto, el 29 de enero de 1871, fue elegida como Superiora (21 sobre 27 votos) Sor María Dominga Mazzarello. Ella «suggeri le pareva lasciar nelle mani di D. Bosco la scelta della prinia Superiora» (PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA). Efectivamente, don Bosco la nombró Superiora general, con el título de Vicaria en 1874, cuando se hizo la elección de Superiora general. De hecho en el Manoscritto D, cuya fecha se coloca entre 1874 y 1875, aparece por primera vez la figura de la Superiora general (cf. Bosco, Scritti editi, p. 85-95).

43 En él año del nombramiento del Director general del Instituto existía solamente la Casa central o Casa madre de Mornese.

44 Es interesante notar que en Italia, antes de 1839, no se plantea el problema del nombramiento de la Superiora general. Algunas dificultades eran de orden eclesiástico, otras relativas a la condición femenina como, por ejemplo, las dificultades de viajar, cosa que entonces no parecía «né conforme alla prudenza né cosa decente che done religiose, di cui la ritiratezza dovrebbe essere un distintivo carattere viaggino con tanta frequenza» (RoccA, Le nuove, p. 155).

45 «Come appendice e dipendentemente dalla Congregazione Salesiana é la Casa di Maria Ausiliatrice fondata con approvazione dell'autoritá Ecclesiastica in Mornese diocesi d'Acqui. Lo scopo si é di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fano per i ragazzi. Le religiose sono giá in numero di quaranta ed hanno cura di 200 fanciulle» (Riassunto della Pia Societá Salesiana di S. Francesco di Sales nel 1874, en: CONGREGAZIONE PARTICOLARE DEI VESCOVI E REGOLARI [...] Torinese, Sopra l'approvazione delle Costituzioni della Societá Salesiana [?] marzo 1874, en: ASC 0231).

46 Cf. Manoscritti E, F de las Constituciones primitivas en: BOSCO, Scritti editi, p. 99-123.

La petición para la aprobación es un documento sumamente significativo por lo que se refiere al origen del Instituto, su fundación, sus finalidades, su desarrollo.' El manuscrito está firmado por don Bosco, por don Costamagna, entonces director local de la casa de Mornese y por Sor María Mazzarello. Es interesante observar, a la luz del contexto histórico del momento, cómo, junto a la firma de la Madre Mazzarello, don Bosco añadió, de su puño, la abreviatura: sup., que demuestra la existencia real de una Superiora efectiva en el Instituto."
Las cartas de Santa María Dominga Mazzarello, dirigidas en estos años a don Bosco, demuestran su dependencia personal y la del Instituto del Superior Mayor, don Bosco. Escribe la Santa:
«Permetta, Rev.mo Superiore Maggiore ch'io mi raccomandi alle sue efficaci preghiere acció possa adempiere con esattezza tutti i doveri che la mía carica m'impone e possa corrispondere al tanti benefizi datimi dal Signore ed alle aspettazioni della S.V.; dica una di quelle efficaci parole a Maria SS. perché voglia aiutarmi a praticare ció che debbo insegnare alle altre e possano cosi ricevere tutte da me quegli esempi che il mio grado m'obbliga dí dar loro >>.49
Surgida en un terreno de implicación espiritual, espontánea pero profunda, consolidada a través de una efectiva opción de significado histórico, la relación entre las HMA y San Juan Bosco se afirma como pertenencia jurídica real al tronco salesiano. Esa pertenencia supone un singular y estrecho vínculo con el Fundador, quien, al pedir la aprobación oficial del Instituto y de las primeras Constituciones, asume in proprio ante la Iglesia la paternidad real del Instituto.

4. Observaciones finales

Ho detto all'inizio di queste riflessioni che la relazione stabilita tra il primo AMF e Don Bosco è paradigmatica nella storia dell'Istituto. Mi sembra, infatti, che possiamo affermare, in conclusione, che gli elementi spirituali, storici e giuridici che costituiscono una relazione unica, agiscano tra loro in una dinamica di "circolarità" attraverso i diversi momenti della vita dell'Istituto.

Questi elementi o dimensioni sono accentuati in modo speciale nelle varie fasi attraverso le quali l'Istituto continua ad approfondire il suo rapporto con il Fondatore.

. "Cf. Domanda vescovo Giuseppe Maria dello Sciandra Istituto per l'approvazione e delle Costituzioni di Maria Ausiliatrice delle Figlie [SD] Originale Manoscritto, Cartella Mornese; autenticata copia (Acqui 26 gennaio 1876 [?]) In ACVA,. Registri 17

48 Cfr. Loc. Cit.

"Maria Domenica S. MAZZARELLO, Lettera Don Bosco, Mornese, 22 giugno 1874, in: (ed.) ME POSADA, S. Maria Domenica Mazzarello di Lettere, Confondatrice dell'Istituto di Maria Ausiliatrice delle Figlie, Roma, Istituto FMA 1980 , pp. 51-52.

Nel difficile momento della separazione legale dell'Istituto della Società Salesiana, tenuto in forza del secundum Normae Quas emesso dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari nel 1901 e in vigore presso l'Istituto dalle Costituzioni del 1906 5 ° l'Istituto approfondisce le sue relazioni con il fondatore e anche l'acquisizione di autonomia giuridica, nel legame spirituale con la Società Salesiana nella persona del pro tempore Rettor Maggiore, il punto con lo spirito delle origini.

Dal 1907 al 1920, e proprio attraverso chiarimenti successivi causati nel processo di beatificazione e canonizzazione di Don Bosco, 5 'Chiesa, della Società Salesiana e le Figlie di Maria Ausiliatrice sono in grado di dimostrare in modo incontrovertibile la fondamento storico della paternità di Don Bosco per quanto riguarda l'Istituto femminile ha fondato e scomparendo ogni ipotesi di un singolo genitorialità adottiva, come il vero ruolo di Don Pestarino per la fondazione della FMA è chiarita.

forze revivalisti Vaticano II spinge gli istituti religiosi alla memoria della sua origine e al lo stesso tempo per la profezia del futuro, ha anche chiesto la dinamica della "circolarità" portare l'Istituto ad approfondire il carisma delle origini. Il testo delle Costituzioni rinnovate appare in questo senso come una sintesi di memoria e profecía.52
Questo riflette sulla storia e la spiritualità dell'Istituto è apparso più definito presenta la figura di Santa Maria Domenica Mazzarello. Don Bosco, fondatore dell'Istituto in modo inequivocabile, non è l'unico e solo fondatore. Efficace ed essenziale la collaborazione di Madre Mazzarello ha incoraggiato la Chiesa di conferire il titolo di Co - fondatore nel vero e proprio senso.

L'ultima osservazione è a livello metodologico. Di continuo, progressivo e circolare è tra l'Istituto ei suoi fondatori è imposto continua e progressiva ricerca del documento dinamico al fine di correggere l'ermeneutica in diversi settori: storico, teologico, giuridico, educativo, pastorale, sociale. Secondo me, l'Istituto è nei pródromos del momento euristico, forse il più delicato, ma anche il più fertile.

L'euristica, l'esegesi e l'ermeneutica sono anche dimensioni di una circolarità che conduce, in forma spirale, a un continuo e direi un'inesauribile indagine sul passato per il vero progresso della storia.

"Cfr Normae secundum quas S. Congr. Episcoporum et Regularium procedere Solet in approbandis Novis institutis Votorum simplicium, Typis SC di Propaganda, 1901 (cfr IsTrruro Figlie di Maria Ausiliatrice, Costituzioni Maria delle Figlie di Ausillatrice fondate dà Don Bosco, Torino , Tip, Salesiana 1906).

51 Per uno studio dei processi di beatificazione di Don Bosco, cfr. P. STELLA, Don Bosco III. Riguardo alla fondazione dell'Istituto, nell'area dei processi di Don Bosco e di Madre Mazzarello, cfr. M. Mumil, Madre Mazzarello. I1 significato del titolo di Confondatrice, Roma, LAS 1982.

"Cfr. ISTITUTO FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE, Costituzioni e Regolamenti, Roma, Istituto FMA 1982.

DON BOSCO E LA
SOCIETÀ CIVILE, Giuseppe BRACCO


La ocasión del Centenario ha estimulado, sin duda, la atención de los estudiosos sobre la historia de don Bosco. Pero, según la propia especialización (en mi caso, la economía), seguir tras la figura de don Bosco ha significado también tratar de entender cuál era el contexto en el que se fue desarrollando su obra. Mi residencia en Turín ha supuesto para mí una ocasión afortunada para ir a las fuentes originales de la documentación que queda de aquel período.

En esta ocasión me gustaría exponer a los presentes algunas consideraciones, más que un discurso completo, que requeriría otro momento muy diverso, para intentar presentar los estímulos, con sus nuevas indicaciones, que se derivan de las investigaciones realizadas. Trataría también de dar una nueva clave de lectura (si se me permite hablar así) de los estudios conocidos desde hace tiempo y que han contribuido a formar una imagen, consolidada ya, de lo que sucedió en aquellas décadas, sumamente representativas para Turín, comprendidas entre 1840 y 1880.

Se han visto nuevos documentos, pero sobre todo se ha visto que hoy se aborda la historia económica de la Italia del siglo XIX de manera totalmente nueva, que se hace muy interesante también para entender a don Bosco.

Hace unos treinta años se pusieron de moda en Italia los estudios de historia económica, por desgracia con una corriente ideológica predominante, que veía en la aplicación del materialismo histórico una verdad sólidamente erigida a la que muchos acudieron, aunque sólo fuese para aceptar los resultados que aquellos estudios dieron a conocer. Digo esto, porque la visión que se da a veces del Turín del siglo XIX como de una ciudad que vive el período preliminar al despegue del desarrollo industrial, parece hoy universalmente forzada. No se puede ya decir o escribir, como se ha hecho, que el Turín del siglo XIX recuerda el Londres de la fase preindustrial o, peor aún, el Londres de
los primeros años de la revolución industrial. Desde luego que no: basta considerar que la revolución industrial turinesa e italiana se sitúa claramente en la década a caballo entre los dos siglos, el XIX y el )

Para una información más amplia sobre el tema tratado en esta comunicación, se puede ver: G. BRACCO (ed.), Torino e don Bosco, vol. I, Torino, Archivio Storico della dttá di Torino 1989 (n.d.e.).

Tratando de construir un cuadro, lo más objetivo posible, de aquella reajidad, estudiosos italianos, estudiosos franceses, estudiosos ingleses, en una .

labra, estudiosos europeos convienen en que la situación económica y social d pae la Italia y también del Turín de aquel período tuvo características propias, pe.. culiares, que no se encuentran en otras partes. Para decirlo en términos económicos, se ha entendido ya claramente que el lento desarrollo italiano fue tal que consintió garantizar una oferta de bienesy servicios, que había en realdad, capaz de responder a la demanda de bienes y servicios que hacía la sociedad italiana. Con esta premisa, se hace más fácil entender el cuadro social y civil del Turín en el que trabaja don Bosco.

Era una ciudad que tenía un tejido muy abierto, muy desmenuzado en actividades productivas, no ciertamente industriales, sino de tipo artesanal, aunque a veces las técnicas usadas eran las de las innovaciones que se conocían en el resto de Europa.

El papel de capital, por otra parte, presentaba todavía a Turín con características diversas, porque, a pesar de todo, Turín era ciudad de servicios más que ciudad de producción. Turín se convertirá en ciudad de producción sobre todo al final del siglo.

Entonces esta ciudad de servicios exigía una masa de hombres, mujeres y campesinos, que venían con un espíritu que recordaba todavía la costumbre de la edad moderna, cuando los pobres del campo, en los momentos de dificultad acudían a las grandes ciudades, porque allí era más probable encontrar recursos para la propia vida, que nacían de la aplicación del viejo dicho católico de la caridad como instrumento real para la redistribución de la renta. Por tanto venían a Turín muchos pobres, hoy diríamos marginados, no tanto porque se encontrase en vías de transformación económico-productiva, sino porque Turín era en todo caso el centro en el que era posible aprovechar la oportunidad de sobrevivir.

Hace falta también tener presente que Turín era la capital de un reino amplio, tal vez el mayor en términos territoriales del contexto italiano (lo formaban Saboya, Piamonte, Liguria, la zona de la actual Costa Azul, la parte marítima y Cerdeña) y por tanto en condiciones de ejercer un reclamo sobre la población pobre de un vasto territorio.

El don Bosco que llega a Turín es portador de los valores que se dan en la ciudad, que se dan en Piamonte. Y estos valores suyos en relación con la sociedad civil los explicita todos en el curso de su acción. Estar presente en esta ciudad con los valores antiguos significaba tener que enfrentarse con un Municipio que derivaba de los antiguos valores de los Ayuntamientos libres y, por tanto, con una autoridad ciudadana que afectaba a toda la ciudad; significaba enfrentarse con el Gobierno del Estado, con la monarquía por tanto, el rey, los ministros y también con una determinada Iglesia. No me compete, desde luego, a mí hacer aquí la historia de aquella Iglesia, pero es una Iglesia que aparece muy en consonancia con una tradición que es del Estado, que tiene un cierto modo de situarse, en los siglos anteriores y también en el XIX, en las entre Iglesia y Estado, lin Estado, Piamonte, que representa también npoecquliue cufiar.

Un contradecirme, parece que los primeros actos, los mstouy primeros pasos que dio don Bosco en Turín están de acuerdo con el plan que -tiene toda la Iglesia de Turín. Un dato que me ha chocado enseguida, apenas me he puesto a leer entre los documentos de don Bosco que están en los archivos comunales, es que don Bosco no está nunca solo. Don Bosco actúa con un grupo de sacerdotes, que parecen todos orientados hacia un mismo objetivo, la intervención en el sector de la marginación y del malestar social, según esquemas que son también antiguos.

Son los personajes que vienen hoy al recuerdo como una riqueza de la Iglesia del siglo XIX, de don Borel a Cafasso, Murialdo y tantos otros. Si se leen con este punto de vista las Memorias biográficas y se anotan sólo los nombres de todos los sacerdotes que pasaron por Valdocco trabajando con don Bosco, nos damos cuenta del fenómeno: don Bosco no está nunca solo; trabaja, permítaseme el término, con una multitud de sacerdotes que trabajan en la ciudad, según un plan que parece común. Que el plan esté trazado antes o que resulte sólo a posteriori como consecuencia de las actuaciones posteriores es hoy de difícil interpretación.

Una carta que hemos encontrado — era desconocida, pero hoy ha circulado ya — de marzo del 46, dirigida por don Bosco a Michele di Cavour, en la que pide permiso para llevar su obra a Valdocco, pone en cuatro puntos fundamentales — autógrafos, en el sentido de que están firmados por don Bosco los principios según los cuales se moverá después don Bosco siempre en la sociedad civil.

El primer punto — escribe — es el amor al trabajo; el segundo, la frecuencia de los santos Sacramentos; el tercero, importantísimo desde nuestro punto de vista actual, el respeto a toda superioridad; el cuarto, la fuga de los compañeros malos, cosa ésta que se puede leer también en términos de simple sociedad civil.

En una ciudad en la que hay mucho malestar; donde hay autoridades muy presentes, hay una Iglesia que trabaja, la relación con las instituciones, con la sociedad civil, se convierte en un instrumento ineludible, debe darse.

Es casi posible (he usado el término) seguir los pasos de don Bosco en sus movimientos por la ciudad. No hay prácticamente ningún acto fundamental, ninguna opción, que don Bosco no haya sometido a la atención de la sociedad civil. Cualquier construcción, desde la más sencilla pared hasta el edificio más grande, desde la pequeña Capilla Pinardi hasta la gran Basílica de María Auxiliadora, se realiza siempre después de haber obtenido el permiso de la autoridad civil. También la intervención en las obras, desde las grandes escuelas hasta la intervención con cada persona, se hace siempre teniendo en cuenta a la sociedad civil. Precisamente la intervención con cada muchacho, por ejemplo, nos presenta un modo de afrontar el problema tan moderno, tan como se haría hoy, que a mí me ha parecido excepcional.

Cuando el Ayuntamiento, la Prefectura, la Jefatura de policía del Gobierno, debían afrontar el caso de un muchacho, diríamos, en peligro o abandonado, como no tenía entonces el Estado saboyano prevista ninguna estructura para intervenir en ese sector y como sólo existían las instituciones que hoy definimos nosotros como IPAB, pedían a don Bosco que interviniese.

En el curso de las investigaciones emprendidas para la preparación de un estudio, promovido por la Administración comunal de Turín, he tenido lá suerte de encontrar cartas que considero muy hermosas, en un fondo del Archivo del Estado de Roma, en las que don Bosco respondía a las peticiones para. que se interesase por los muchachos. Estas cartas son pequeños proyectos para una actuación en la que se examina al muchacho en sus cosas esenciales, se comunica a la autoridad civil, porque parece que don Bosco quería que su modo de actuar fuese, más que aceptado, reconocido por la autoridad civil. Resulta entonces que si el muchacho es demasiado joven, don Bosco dirá: «Mirad que debemos enviarlo primero a ese otro sitio; cuando tenga la edad apropiada, lo aceptaré». Examina a otro muchacho y escribe: «No tiene todavía instrucción. Lo enviamos a la escuela, después le orientaremos al trabajo, pero viendo e intentando comprender cuál es su inclinación personal». O bien viene un muchacho que tiene problemas porque el padre ha tenido -que ver con la justicia, o hasta ha sido ajusticiado, y don Bosco: «Atención, que poner a un muchacho de este tipo con otros muchachos, le puede suponer molestias ulteriores, porque los muchachos, en su malicia involuntaria, pueden perseguirlo tomándole el pelo, y por tanto no obtenemos el resultado de suprimir el malestar, sino de empeorarlo».

Esta referencia continua resulta un elemento importante. Si además, de estos episodios que se refieren a personas y, por tanto, en cierta medida reservados, ampliamos el examen a los hechos más generales que afectan a las comunidades de personas, encontramos comportamientos que son igualmente precisos al buscar su diálogo con la sociedad civil.

Me ha asombrado siempre, al leer la hagiografía tradicional de don Bosco, que para él todas las cosas eran difíciles. ¿Es posible? Y parece que casi todas las veces, para lograr hacer algo, tenía que suceder un hecho extemporáneo, por no decir de tipo casi ultraterreno. Hay siempre alguna intervención que se lo ayuda a resolver. Cuando quiere hacer la Basílica de María Auxiliadora, los malvados del Aytmtamiehto no quieren que se dedique a María Auxiliadora; cuando quiere ir a Valdocco, Michele Cavour grita y así por el estilo. Es decir, cada cosa que hace don Bosco, parece que la tradición la presenta como sumamente difícil. Después llega allí el toque, el deus ex machina que resuelve el problema.

Me he convencido de una cosa: don Bosco usa como método educativo, pedagógico, pero también como método concreto para construir la presencia de su obra en la sociedad civil, un instrumento que puede parecer feo, pero que tiene, en cambio, connotaciones hermosas por las consecuencias que supone. En la comunidad en que vive hay un proyecto, él quiere interesar a dos, él se pasa la vida interesando a personas. Entonces dice: «Tenemos que todos,
esto,-pero es una cosa difícil y hace falta sudar para lograrla». Todos los de la comunidad tienen que participar en ello. El que pueda hacer algo, debe hacerlo. Y en el caso limite de que alguno no pueda trabajar debe también (y perdóneseme el sólo) rezar. Pero tiene que interesarse, tiene que sudar. Esónloeste punto, con el interés de todos, salta el otro mecanismo, que es el de la solidaridad: todos juntos, uno para el otro, porque se tiene algo que alcanzar que está en consonancia con un fin. Este mecanismo construye una comunidad que vive unida, que se beneficia de ello y que encuentra elementos de impulso en los momentos en que después se obtiene el resultado.

Sí leemos las cartas de ese modo, vemos que hasta hay momentos en los que don Bosco ya tiene el permiso en el bolsillo para algunas cosas, ya ha obtenido el permiso de quien tiene que darlo, pero no lo dice enseguida.

Nada. Hay que conquistar cada cosa.

Desde ese punto de vista, he estudiado, tal vez rozando la paranoia, los diversos actos de las loterías de don Bosco. Todos recuerdan las loterías como un instrumento para obtener medios financieros, para construir, para hacer, para actuar. Leyendo esas cosas, he encontrado aspectos muy diferentes. Las loterías son uno de los instrumentos mayores para interesar a la sociedad civil en la obra de don Bosco. Don Bosco, cuando lanza una lotería, presenta una idea. Después comienza a actuar para interesar a todos, que es una obra enorme, para recoger los regalos. El momento de la venta de papeletas es, sí, un momento de compromiso, pero sin duda menor que el compromiso que se ha suscitado antes para formar la Comisión promotora, reunir a los sostenedores y a los donantes: son miles de personas. Y después, muy bien, habrá que hacer seguir el acto de la venta de papeletas, de la realización de la tómbola y el sorteo, con ideas estupendas, como la lotería con premio único: se sortea; ¿quién tiene el número?; nadie lo tiene; lo tenía don Bosco y la cosa queda en casa.

Si se me permite (no querría robar más tiempo del debido), la relación con la sociedad civil la concretaría de este modo: la frase del joven sacerdote que va a Valdocco — «amor al trabajo y respeto a toda superioridad» — se convierte en un modelo que seguir para toda la vida.

La relación con las instituciones es propia de un personaje que forma parte de la comunidad regida por esas instituciones, pero que se pone frente a ellas con igual dignidad.

Él sabe que desempeña un cometido que las instituciones no son capaces de desempeñar y que él, en cambio, garantiza. Entonces esa igual dignidad se hace grande, pero hace falta descender después de las instituciones a toda la sociedad civil y el único instrumento, el verdadero instrumento es el de interesar, interés que implica solidaridad y que al final lleva a la construcción de la comunidad, que yo veo de todos modos, y de la que hablaba con algunos aini. gos esta mañana, en la gran Familia salesiana de hoy.

La rapidez con que los proyectos salesianos llegan al conocimiento de toda la Familia salesiana, por ejemplo, parece un instrumento inventado por don Bosco. Esta mañana citaba el «correo salesiano», como un instrumento para interesar, que parece contrastar a veces con las reglas de la sociedad civil, pero que interesa porque así se está al servicio recíproco, según un plan que es global, para alcanzar resultados que son comunes.

Para terminar, digo que yo leo las Memorias biográficas ya casi exclusivamente más como un monumento a un método pedagógico que como un verdadero documento de historia crítica y, probablemente, hará falta seguir ese camino de la búsqueda de documentos fuera de las instituciones salesianas, porque son muchos y consienten cotejar los comportamientos. En las Memorias biográficas tenemos el instrumento que sirvió para el compromiso; fuera tenemos, en cambio, los documentos que nos permiten captar realmente la grandeza de las cosas que se hicieron.

Muchas gracias por su atención.

DON BOSCO Y EL MUNDO DEL TRABAJO
Silvio TRAMONTIN


1. Un contexto complejo

Gian Mario Bravo en un rico volumen, a pesar de todo, sobre Torino operaia. Mondo del lavoro e idee sociali nell'etá di Carlo Alberto,' mientras aporta con amplitud ideas y actividades de conservadores y moderados sociales, de radicales y reformadores sociales, del primer movimiento obrero y de las sociedad de ayuda mutua, liquida en una paginita la obra de Giuseppe Conolengo y de Giovanni Bosco, escribiendo que «la caridad cristiana y el paternalismo piamontés se unían estrechamente dando lugar a realizaciones también eminentes que, tanto en su concepción como en su ejecución, quedaron limitadas a grupos restringidos de individuos y no llegaron a generalizarse a toda la sociedad». Y prosigue: « [Sus] actividades estaban viciadas por la idea fundamental que movía a ambos, por la que todo quedaba abandonado en las manos piadosas de una providencia divina». Y añade «que hubiera podido, según se le ocurriese, aliviar los males o también agravarlos», por lo que «la única posibilidad de ayuda para los pobres era que los ricos y los nobles de buen corazón se interesasen por ellos dándoles un lecho, una sopa, un local en que reunirse. De ese modo — concluye — seguían extraños a los movimientos reales de las masas y de sus necesidades y, apoyados por las clases dominantes, únicamente podían caminar hacia un subproletariado, aún más miserable y oprimido que los trabajadores normales, pero también con problemas menores que estos últimos y preocupados sólo por procurarse algo con que alimentarse»? «No queremos negar el bien que hicieron estos dos sacerdotes y las instituciones que promovieron; pero observamos que la teorización de sus ideas, intentada más por sus seguidores que por ellos mismos, suponían un impedimento al progreso social e intelectual de las masas y de la misma sociedad piamontesa, al considerar a esta última inmóvil en el tiempo, como si estuviese
Cf. G.M. BRAVO, Torino operaia. Mondo del lavoro e idee sociali nell'eta di Carlo Alberto,
Torino 1968.

2 Ibid., p. 152.

cautiva y enferma por constitución y sólo pudiese mejorar en algunas partes marginales: de ahí procedía su interés por el pueblo y sus males ».3
Ahora bien, aparte la distinción que habría que hacer entre la acción de Cottolengo, orientada a aliviar y proteger los estratos más marginados de la sociedad, y la de don Bosco que si en sus comienzos intentaba acoger y ayudar con caridad cristiana a los jóvenes campesinos que venían a buscar trabajo a la ciudad y se encontraban abandonados (el primer esbozo de constituciones sobre la finalidad de la obra salesiana indicaba los giovani «poverelli», convertidos después sólo en «giovani»), en un segundo momento amplió su obra de la preparación a la colocación y a la asistencia, tal vez sin plantearse el problema de las clases en transformación (como advierte Guasco y con él muchos hístoriadores)4 y, mucho menos, el de una organización de lucha de clases, difícilmente aceptada entonces hasta por los laicos. Por eso hace falta subrayar con Scoppola que si hay que situarle en la linea de los santos sociales que, a partir de Cafasso y Cottolengo y a través de él llega a Murialdo, representando un aspecto original de la sociedad piamontesa, los espacios de su acción fueron amplios, llegando no sólo al campo de la asistencia, sino a muchos problemas conectados con los procesos de modernización del país al día siguiente de la Unidad? Nos parece entonces que no se puede ni siquiera afirmar que «sus instituciones pertenecen a la patética prehistoria paleocapitalista»6 y no han incidido en lo más mínimo en el gran curso de la historia sucesiva. Al contrarío, la Institución salesiana — como escribe un historiador laico, Bairati — se convierte en lugar de paso y de inculturación para los jóvenes que «van del campo a la ciudad, de una sociedad que empieza a ser industrial y se orienta hacia la modernidad, de un modelo de vida y de cultura que se basa en ritmos de comportamiento ligados al trabajo agrícola o paleoartesanal a un modelo de vida y de cultura unido a ritmos y comportamientos más ordenados y estructurados»;' por lo que el modelo cultural salesiano, «aun presentando algunas connotaciones que lo contraponen tajantemente a los tiempos en que nació y anche alla Tocino liberale di Cavour e Gobetti, e alla Torino operaia di Gramsci, alla Torino del lavoro, della imprenditoria, della cultura».

3 Ibid., p. 152.

4 Cf. M. GUASCO, Don Bosco nella storia religiosa del suo tempo, en: Don Bosco e le sfide della modernitá (Quaderno del Centro Studi «C. Trabucco», 11), Torino, Stabilimento Poli9rafico Editoriale «C. Fanton» 1988, p. 4. El juicio está tomado de L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione
degli artigiani a Valdocco (1846-1886), en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987.

5 Cf. P. SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, en: Don Bosco e le sfide, p. 20. A este propósito, recuérdese lo que dice el mismo Scoppola, en la conclusión de su conferencia: «Don Bosco appartiene a pieno titolo alla storia civile del nostro paese e di questo nostro travagliato mondo contemporaneo. Appartiene perció a tutta Tocino: alla Torino cristiana e cattolica, ma
6 Cf. S. QUINZIO. Domande sulla santitá. Don Bosco, Cafasso, Cottolengo, Torino, Gruppo Abele 1986, p. 88.

7 Cf. P. BAIRATI, Cultura salesiana e societá industriale, en: TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 338.

se desarrolló, encuentra después en otros niveles una relación propia unida estrechamente con la historia de la sociedad».8 Se hace así moderno, no en el te- rreno de las doctrinas sino en el de la organización, caracterizado por una j fuerte autonomía económica, por una notable capacidad expansiva, y por una especial capacidad de estimular y madurar a los individuos en el trabajo y en la conquista de un papel social, por lo que el mismo Bairati lo pudo definir como «un extraordinario organizador tayloriano del amor cristiano ».9


2. Concepción del trabajo en don Bosco


En este contexto — complejo si queremos, como a juicio de muchos es el personaje de don Bosco — hay que situar su concepción del trabajo y su acción en el mundo del trabajo. Su concepción primera y fundamental del trabajo no podía ser más que la bíblica, en su acepción más inmediata y primaria: in sudore vultus tui vesceris pave." El trabajo como medio para ganar con qué vivir, la fatiga del trabajo como consecuencia del pecado. Y también el largo sueño de más de seis horas tenido en la noche entre el 1 y el 2 de mayo de 1861 (cuando un misterioso personaje le mostró los muchos jóvenes que se perdían y le indicó el camino de salvación para sus muchachos con tres palabras: labor, sudor, fervor, explicándole después: «Labor in assiduis operibus, sudor in poenitentiis continuis, fervor in orationibus ferventibus et perseverantibus», es decir, fatiga en el trabajo cotidiano, sudor en las penitencias continuas, fervor en las oraciones perseverantes) puede confirmar esta concepción,u así como aquello que prometía a quien quería entrar en su congregación: «pan, trabajo y paraíso».13 Comenzando por su trabajo: el de su infancia como necesidad para sobrevivir, primero en su casa y después al servicio de otros campesinos.

Y cuando tuvo que interrumpir los estudios para acoplarse a las pretensiones de su hermanastro, volvió a las duras fatigas del campo. Peón en la granja Moglia, se levantaba al amanecer y trabajaba hasta la noche. Reemprendidos los estudios en Castelnuovo y en Chieri, se ganaba la pensión y las matrículas trabajando de criado y de preceptor, de camarero, sastre, mozo de cuadra. Trabajaba también durante las vacaciones, como él mismo escribió más tarde: «Hacía husos, canillas, trompos, bochas o bolas en el torno, cosía zapatos; Izabajaba en hierro, en madera. Aún hoy hay en mi casa de Morialdo un escritorio, una mesa de comedor con algunas sillas que me recuerdan los muebles de aquellas vacaciones mías. Me dedicaba también a segar la hierba en los prados, a cosechar el trigo en el campo; a despampanar, a despabilar, a vendimiar, a hacer vino, a trasvasar el vino y cosas por el estilo»."

8 Cf. Ibid., p. 333.

9 Cf. Ibid., p. 355.

'O Sobre la complejidad del «personaje» don Bosco, cf. G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, Tocino, SEI 1988.

" Gen 3,19, al que se podría añadir el v.17: in laboribus comedes ex ea (la tierra) diebus vitae tuae. Cf. también lo que don Bosco escribe en la Storia sacra (nueva edición corregida: Tocino 1855), p. 9-10. Y en el Primo piano di regolamento per la casa annessa all' Oratorio di S. Francesco di Sales, cap. «Del lavoro», se lee: «1°) L'uomo, miei cari, é nato per lavorare. Adamo fu collocato nel paradiso terrestre affinché lo coltivasse. S. Paolo dice: é indegno di mangiare chi non vuol lavorare. 2°) Per lavoro s'intende l'adempimento dei doveri del proprio stato sia di studio che di arte o mestiere. 3°) Ma ricordatevi che mediante il lavoro potete rendervi benemeriti della so-cica, della religione e far del bese all'anima vostra, specialmente se offrite a Dio le vostre occupazioni [...]. 7°) Chi é obbligato a lavorare e non lavora fa un furto» (MB IV, 748s.).

u Cf. MB VI, 904. " Cf. MB XII, 598.

Ahora bien, aun teniendo en cuenta la abundancia de la prosa del Santo y un poco también su protagonismo, deberíamos decir que nunca dejó el trabajo. No sólo en aquel primer período de su vida, sino también después. Su trabajo podía ser ahora dar vueltas por Turín en busca de muchachos abandonados, encontrar bienhechores, educar a sus hijos espirituales, pero nunca desder.% el trabajo manual: poner un remiendo a un traje, arreglar una puerta, encuadernar un libro, ayudar a los albañiles a poner ladrillos en la iglesia de María Auxiliadora.

El concebía el trabajo manual (y trataba de que lo fuese también para sus muchachos) como fuente de ingresos para sostenerse en la vida, como palestra de formación del espíritu y, por último, como maduración para las futuras responsabilidades y salvaguardia de la moralidad." Pero no más.

Se ha exagerado tal vez al hablar de la laicidad en la concepción que tenía don Bosco del trabajo." Habría sido más justo subrayar la valoración positiva del trabajo, como hizo Veneruso," valoración positiva que ve en la no distinción de calidad en sus especificaciones y variedades de desarrollo, en la asociación del trabajo a la oración para la salvación del alma," a la convicción de que el trabajo contribuye a la ascesis personal más que las mismas penitencias. «No os recomiendo penitencias ni ayunos, sino trabajo, trabajo, trabajo», repetía frecuentemente a sus jóvenes." Ciertamente si se entiende por laicidad (como la entendió el Superior mayor en su discurso de Milán) la importancia
" MO 95s.

M. PERRINI, Politice e imprenditorialita di don Bosco, en «Studium» (1988) 269-274, habla de una cultura salesiana del trabajo, sintetizada en la expresión de don Bosco «chi non sa lavorare non é salesiano», y nota también en don Bosco «una vivacissima disposizione al confronto col moderno in campi come il sistema di produzione industriale, le innovazioni scientifiche e tecnologiche, la ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro per la classe operaia».

16 Cf. SCOPPOLA, Don Bosco nella storia titile, p. 11, en donde afirma que don Bosco anticipó, en los hechos y en la praxis, muchos elementos de aquella visión de la «laicidad» que el concilio Vaticano II ha hecho propia.

" Cf. D. VENERUSO, II metodo educativo di San Giovanni Bosco alía prova. Dai laboratori agli istituti professionali, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 134.

18 Cf. MB X12, 598.

19 Cf. 1V18 IV, 216.

dada al orden temporal, la apertura al progreso de las ciencias, la competencia organizativa, se puede estar de acuerdo en hablar también de concepto «laico» del trabajo en don Bosco. Pero menos, me parece, cuando el mismo don View?) afirma: «Don Bosco, en su modo concreto de actuar, demostró siempre -una sensibilidad especial hacia los muchos aspectos positivos de la laicidad peculiar del mundo del trabajo, que está en reconocer la bondad y el orden propios de la creación y el testimonio de la realeza que ejerce el hombre sobre lo creado a través de su actividad».2° Aquí don Bosco aparece casi como un anticipador de la teología de las realidades terrenas. Y en esta línea parece estar también Scoppola cuando escribe: «Sí laico es aquel para quien las cosas son, es decir, tienen un valor propio, según una bella definición del teólogo Congar, entonces tenemos que decir que don Bosco anticipó con los hechos y la praxis muchos elementos del aprecio de la laicidad que el Concilio Vaticano II hizo propios» 21 Y menos aún nos parece que se pueda aceptar la valoración de Pietro Prini de que el método de don Bosco anticipó las intuiciones del humanismo personalista de nuestro siglo.' Para que nuestras valoraciones sobre el concepto del trabajo que don Bosco y sus mismas ideas resulten mejor, nos agrada compararlas con un discurso del 21 de mayo de 1862 de un sacerdote liberalizante, Giacomo Zanella, con ocasión de la cesión de una iglesia a una sociedad de ayuda mutua de obreros. «La condición natural del hombre afirma - es ganarse el pan con el trabajo». Pero inmediatamente añade que ese trabajo está ennoblecido por el trabajo manual de Jesús y ve en el trabajo la continuación de la creación. «Trabajar es nuestra misión en la tierra. Cuando Dios creó el mundo y lo acomodó a nuestras necesidades, se reservó la parte principal de la tarea, pero confió el resto a la acción del hombre: como noble artista que, una vez realizado un diseño con su mano, deja que los alumnos le pongan los colores [...]. Del mismo modo que sin Dios el mundo no subsiste, no subsiste tampoco la vida sin el hombre: hace falta que cada día Dios y el Hombre colaboren juntos para que la vida se mantenga; el primero suministra la materia y las fuerzas; el segundo pone su trabajo y adapta a sus necesidades la una y el otro. Dios empieza y el hombre continúa [...]. El obrero es el verdadero conquistador del mundo; él es quien somete al yugo de su carro a las fuerzas salvajes de la naturaleza»23
20 El discurso del Rector mayor, don E.Viganó, ha sido publicado en el número especial, dedicado a la figura de don Bosco en «Rassegna CNOS» 4 (1988) 5-13, de forma algo diversa respecto al ciclostilado en que apareció por primera vez.

21 SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, p. 11. Y continúa: «11 cosiddetto "metodo preventivo" — ma l'espressione oggi pul) prestará ad equivoci — tende appunto a valorizzare tutto quanto di laicamente positivo la gioventú esprime». Pero todo esto nos parece demasiado poco para poder hablar de «laicidad» en don Bosco.

22 Cf. P. PIUNI, en la presentazione del ensayo de S. PALUMBIERI, Don Bosco e l'uomo, Torino, Gribaudi 1987.

' G. ZANELLA, Religione e lavoro, en: Le auspicatissime nozze Scola-Patella, Vicenza 1863, p. 32-33. Cf. también el reciente ensayo de P. MARANGON, Cristianesimo sociale e questione operaia
No hace falta ver en don Bosco anticipaciones filosóficas o teológicas para considerarlo grande. Es suficiente lo que pensaba en realidad, según los juicios de su tiempo, con un cierto pragmatismo que sabía adaptarse al presente y prepararse a esperar el futuro. Es suficiente advertir que tenía un concepto y estima del trabajo en el sentido de una entrega personal y una actividad cargada sí de espíritu de sacrificio, pero también de inventiva. Lo ha observado bien un psicólogo, Gíacomo Dacquíno, haciendo ver que don Bosco animaba a sus colaboradores a la versatilidad en el trabajo: «Tenemos que estar dispuestos a subir al púlpito o a ir a la iglesia; a dar clase o a barrer; a dar cate- quesis o a rezar en la iglesia o asistir en el patio; a estudiar tranquilamente en la habitación o a ir con los jóvenes de excursión; a mandar o a obedecer».24 Era la noche del 20 de enero y él lo hacía desde que había empezado. El, que había sido prestidigitador, acróbata, sastre, carpintero, músico, escritor, encuadernador, sacerdote. Y así hacían también los coadjutores, los clérigos, los sacerdotes de Valdocco.

Y ese trabajo se entendía no sólo como necesidad existencial, sino también como valor mediante el cual se construye, se realiza, se expresa la propia personalidad. Hay diferencia entre trabajar para producir y trabajar por amor, entre un trabajo que acaba en la sociedad de consumo (y, por tanto, fin en sí mismo) y un trabajo al servicio del hombre y, por consiguiente, expresión de caridad. «La primera caridad», diría don Cusmano, el don Bosco siciliano.25
Otro de los subrayados que nos parece que hay que hacer a propósito del concepto que tenía don Bosco del trabajo es el aprecio que tenía del trabajo manual y del trabajo intelectual; por lo que en sus casas acogía, en los comienzos también físicamente juntos, a estudiantes y artesanos. No tenía que haber diferencia esencial de valor y de dignidad por tanto, sino, si acaso, de complementariedad: en efecto, estaba convencido de que el trabajo manual y el intelectual eran recíprocamente correlativos para la formación de una personalidad completa; por lo que hace falta dar una cultura, aunque sea sencilla, a los artesanos y habituar a los estudiantes también al trabajo material. Y ésta sí que nos parece una verdadera anticipación.

nel pensiero di Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro, en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» (1988) 111-130. Nótese también lo que afirma Zanella en la p. 58: «L'uomo ha fi diritto al lavoro perché sen7a lavoro non avrebbe la vita di ogni giorno. Per conseguenza ogni ostacolo che venga posto all'esercizio di questo diritto é grave ingiuria che piú o mero direttamente vien falta alla vita medesima». Pero nos parece que esta cita y las precedentes no superen la pura concepción del «paternalismo social» que Marangon atribuye a Zanella.

24 MB VII, 47.

25 Cf. G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 155. «11 lavoro é la prima carita» solía repetir el beato Giacomo Cusmano, el don Bosco siciliano, y pensamos que la misma idea podría ser compartida por el mismo don Bosco (aunque, quizás, no fue nunca pronunciada), teniendo en cuenta sus iniciativas y escritos. Acerca de Cusmano y de su obra social, cf. M.T. FALZONE, Giacomo Cusmano. Poveri, Chiesa e societá nella Sicilia dell'ottocento (1834-1871), Palermo 1986. Acerca de análogas iniciativas palermitanas: M.T. FALZONE, Carita e assistenza nella Chiesa palermitana dell'Ottocento en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» (1988) 70-110.

3. Tipos de trabajo


Por lo que se refiere al tipo de trabajo conviene observar que al principio los estudiantes prevalecieron sobre los artesanos. Efectivamente, en 1855 en el centenar de jóvenes hospedados en Valdocco, los estudiantes representaban un 49,40%, los artesanos un 37,34%; mientras que en 1891, tres años después de la muerte de don Bosco, se alojan entre Valdocco, Porta Nuova y Valsalice 800 artesanos, 200 empleados en la imprenta y 400 estudiantes.26 Habían sido las exigencias de los tiempos las que le habían llevado a una mayor atención hacia el trabajo manual, así como el regreso de los seminaristas diocesanos a sus respectivos seminarios.

Pienso, sin embargo, que se debería valorar el concepto de don Bosco sobre el trabajo y su desarrollo en el tiempo a partir del Oratorio. Es una observación que juzgo fundamental y que no siempre veo respetada. El Oratorio es, en efecto, el punto de partida y seguirá siendo en adelante el punto de encuentro, de coordinación, de nuevas actividades. Es el mismo don Bosco quien nos lo indica. En un folleto impreso en 1862, Invito ad una lotteria d'oggetti in Torino a favore degli Oratori, observaba lo siguiente: «En Turín, desde hace varios años, se abrieron tres oratorios para muchachos en los barrios principales de la ciudad,27 en los que se acoge al mayor número posible de jovencitos en peligro. Se les entretiene allí con honesto y agradable recreo después de haber cumplido el precepto festivo, se les estimula con premios, con un poco de gimnasia y con clases. Un notable número de atentos señores acuden en respuesta solícita a nuestro ruego a prestar su servicio dando catequesis, vigilando el cumplimiento de su deber en los distintos talleres, y buscándoles trabajo, si están en paro., con honrados patrones. En el Oratorio de San Luis y de San Francisco de Sales hay clases diarias para los jóvenes que, por la pobreza de sus vestidos o por su indisciplina, no serían admitidos en las escuelas públicas. Además de instrucción religiosa, reciben clase de lectura, escritura, principios de aritmética, del sistema métrico, de gramática italiana y otras materias. Pero entre estos jóvenes se encuentrn algunos tan pobres y abandonados, que no podrían dedicarse a ningún oficio si no se les da cobijo, alimento y vestidos. A estas necesidades atiende la casa aneja al Oratorio de San Francisco de Sales. Allí se dan también clases nocturnas, además de trabajo en talleres y conocimientos elementales a los artesanos, así como canto gregoriano, música vocal e instrumental. Estas clases son tanto para externos como para internos. Además, como la divina Providencia dota a muchos jóvenes de ingenio no común, al estar sin medios materiales para progresar en los estudios, se les abrió un acceso a esa casa, tanto si pueden pagar toda la pensión como si pagan parte o no pagan nada, con tal de que tengan capacidad y buena conducta. Estos, en su mayor parte, se convierten en maestros de escuela, otros se dedican al comercio y los que tienen vocación se orientan al estado eclesiástico».28'

26 Los datos están tomados de P. STELLA, Don Bosco nella storia economice sociale (18151870), Roma, LAS 1980, p. 180.612.

27 Se trata de los de San Luis en Porta Nuova, de San Francisco de Sales en Valdocco, del Angel Custodio en Vanchiglia.

Cuando don Bosco redacta esta invitación, en 1862, la organización está casi completa (se ha echado a andar también la imprenta) y nos encontramos en las etapas finales, pero — como se puede ver — siguen siendo los tres oratoHos el centro de todo.

4. Iniciativas para el mundo del trabajo

Desde allí comenzó el Santo su acción. Desde 1840 a 1850, en efecto, los tres oratorios regidos ya por don Bosco (el de Vanchiglia, abandonado en 1849 por don Cocchi, el de Valdocco, alquilado en 1847 igual que el de Porta Nuova) seguían siendo sustancialmente los oratorios tradicionales, con la excepción de los diez jóvenes hospedados en la casa Pinardi. Los otros seis o setecientos solían ir al Oratorio por la tarde (y para ellos había una escuela nocturna en la que aprendían los primeros elementos de lectura, escritura, cuentas, un poco de dibujo, canto y música) y el domingo con la escuela festiva, las prácticas de piedad y un honesto recreo.

4.1. Las primeras iniciativas

En este período la preocupación principal de don Bosco es la de colocar en el trabajo con algún honrado patrón a sus muchachos, estipular por ellos un justo contrato, ir a visitarlos en los talleres, en los establecimientos de trabajo, en los andamios de las casas en construcción, suscitando a lo mejor perplejidad por parte de algún representante del clero de entonces, que no consideraba una actividad apostólica aquel mezclarse en el mundo del trabajo como hacía don Bosco.

Colocarlos con patronos h¿nrados y cristianos, donde el ambiente no los indujese a la inmoralidad o quizá a la cárcel (y sus experiencias de las visitas a los presos le confirmaba en esa necesidad) y estipular contratos que impidiesen la explotación tan frecuente entonces, especialmente con los aprendices, fueron en aquel período su objetivo principal.

En el archivo de la Congregación se conservan dos contratos de «aprendizaje», respectivamente de noviembre de 1851 y de febrero de 1852, firmadOs por el patrón, por el joven aprendiz, por su padre y por don Bosco.
28 Elenco degli oggetti graziosamente donati a beneficio degli oratori di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia, Torino 1862, p. 1-3, tomado de BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 29-30.

En ellos, el patrón se obliga a enseñar al joven el arte, a darle las instrucciones necesarias y las mejores reglas, a corregirlo amablemente y no con golpes en caso de alguna falta, a excluir cualquier servicio extraño a la profesión, a dejarle libre por entero todos los días festivos del año, a darle una paga semanal conveniente, con aumentos semestrales, a tratarlo como padre y no como amo. Por su parte, el joven aprendiz se obliga a ser siempre atento, puntual y asiduo, dócil, respetuoso y obediente, a reparar los daños que tal vez ocasionase. La duración del contrato se fija en dos o tres años.29
Don Bosco — observa Dacquino — se empeñaba en lo que hoy se llamaría normativa, pero sin carnés de sindicato y sin una base a las espaldas que le consintiese hacer huelga. Y aunque no fuese el inventor de los contratos de trabajo (parece que ya los hacía la «Opera della Mendicitá Istruita»)," sin embargo, se puede también afirmar — con Dacquino — que don Bosco fue el primer sindicalista italiano verdadero, como defensor de los trabajadores y del trabajo." Se trata probablemente de otra de esas afirmaciones exageradas que han brotado en esta época de celebraciones, pero ciertamente la de don Bosco es una época en la que el joven aprendiz estaba indefenso, a merced del amo, bajo la continua amenaza del despido, explotado según las leyes de la libre demanda. Llegar a la estipulación de contratos que garantizasen a los muchachos sus derechos era, sin más, una conquista. Además, en julio de 1850 fundó una Societá di mutuo soccorso, en la que reunió a los jóvenes obreros que iban al Oratorio. Cada socio pagaba un soldo cada domingo. y recibía, seis meses después de la inscripción, una ayuda de 50 céntimos al día en caso de enfermedad o de paro. La caja se alimentaba también con libres aportaciones de bienhechores, uso común en las sociedades de mutua ayuda de entonces, pero las cuotas de los socios les habituaban al ahorro y les educaban en la solidaridad."
29 El contrato de aprendizaje del oficio de carpintero, estipulado, el 8 de febrero 1852, entre el patrono, Giuseppe Bertolino, el joven aprendiz, Giuseppe Odasso, el padre de éste y don Bosco aparece reproducido también en el apéndice del discurso de don Viganó (no el impreso, sino el fotocopiado).

'° Acerca de la «Opera della Mendicitá Istruita» (en la que Guala y Cafasso invitaban a trabajar a los jóvenes sacerdotes del «Convitto ecdesiatico»), iniciada hacia 1770, de clara inspiración jesuítica, y en la que también don Bosco se inspiró al poner en marcha sus iniciativas (asistencia a los muchachos abandonados, clases de catecismo, escuelas diarias y nocturnas, hospicios...), cf.

STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 61-66.

n Cf. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 194. Hemos creído necesario utilizar esta obra, a pesar de las reservas que hay que hacer sobre el enfoque general y sobre algunos puntos particulares de la misma.

" Cf. Societá di mutuo soccorso di alcuni individui della congregazione di San Luigi eretta nell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino 1850. «II primo Giugno cominció la Societá di mutuo soccorso di cui veggansi gli statuti nel libro stampato» se dice, en el año 1850, en el Principio dell'attuale oratorio di Valdocco e suo ingrandimento fino al presente (BRAM, Don Bosco nella Chiesa, p. 57). En realidad — como advierte el mismo Braido — aquélla había comenzado algunos meses antes.

Tambien aquí debemos ver en don Bosco a un precursor social, que intuyó las largas líneas de la historia hasta el punto de que anticipó las mutualidades, la indemnización por infortunio, y hasta la caja de compensación33 ¿O, más bien, un hombre atento a las iniciativas que estaban apareciendo34 y dispuesto a aplicarlas en beneficio de sus muchachos?


4.2. Segunda fase


Esto, en la primera fase de su inserción, aún exterior en un cierto sentido, en el mundo del trabajo. Pero después, a partir de 1850, comienza una segunda fase. De una asistencia genérica y de la colocación, se pasa a la institución de los talleres. He aquí cómo cuenta el hecho con sencillez Pietro Enria, que iba a ser después uno de los primeros coadjutores salesianos: «D. Bosco, al ver el peligro que tenían sus jóvenes continuamente en los talleres de Turín, fue fraguando poco a poco la idea de establecer talleres en su-misma casa y comenzó con el de sastrería y zapatería, después el de carpintería y a continuación con todos los talleres que existen todavía; y esto lo hizo únicamente para sustraer del peligro a sus queridos jóvenes, a los que quería más que a sí mismo ».35
Así, en 1853, habían surgido en casa los talleres de zapatería y sastrería; en 1854 el de encuadernación; en 1855 el de carpintería; en 1861 la tipografía; en 1862 el de herrería. Como resulta del testimonio citado, los primeros talleres tenían el objetivo principal de sustraer a los jóvenes de los talleres en que se oían conversaciones inmorales, anticlericales y blasfemias. Su estructura era todavía la preindustrial: jefes de taller, obreros y aprendices juntos. Se piensa en ellos no como propias y verdaderas escuelas de artesanía, capaces de producir objetos terminados y rentables, sino destinados sobre todo a las necesidades de los mismos internos, aunque también a la venta.

Había una gran diferencia y era que, mientras que en los talleres artesanales las ganancias eran de los amos, en los del Oratorio iban en beneficio de los mismos artesanos, cuando no tenían necesidad de ser atendidos con las rentas de los estudiantes.36
33 Estas afirmacione son de DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 192.

34 Acerca del nacimiento y del desarrollo de la «Societá di mutuo soccorso», cf. F. FRANCON', Le prime lotte operaie nell'Italia unita, en: L'economia italiana dal 1861 al 1961. Studi nel 1° centenario dell'Unitá d'Italia, Milano 1961; E.R. PAPA, Origini delle societa operaie, Milano 1967; A. CHERUBINI, Dottrine e metodi assistenziali dal 1789 al 1848: Italia - Francia - Inghilterra, Milano 1958; A. CHERUBINI, Stork della previdenza sociale in Italia (1860-1960), Roma 1977, p. 3670; Stato e Chiesa di fronte al problema dell'assistenza, Roma 1982.

39 La narración está recogida en: STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 505. Se transcriben las 24 paginitas del Promemoria de Enria.

36 Cf. F. RIZZINI, Don Bosco e la formazione professionale. Dall'esperienza alfa codificazione, en el número especial de mayo 1988 del CNOS: Don Bosco e la formazione professionale, p. 15-56.

Su proyecto no reviste, pues, todavía las dimensiones y los requisitos de una verdadera y cabal escuela profesional y sigue inspirándose en la idea de un aprendizaje. Pero aun así se tiene un desarrollo y una transformación de la realidad tradicional del Oratorio. Éste se convierte en algo nuevo, se inserta, a su modo, en el mundo del trabajo y de la producción, evitando el peligro de la despersonalización y de la explotación. Los oratorios no son, de este modo, almacén de trabajo, talleres artesanos o algo parecido a la industria naciente, sino una unión de trabajadores en beneficio propio, aunque esto aumenta las dificultades por la crisis de competencia en el mercado del trabajo, con la consiguiente dificultad de colocar los productos y de hacerlo a precios competitivos.

Pero esta segunda fase de inserción en el mundo del trabajo pedía que don Bosco concibiese nuevas figuras. Los jefes de taller, en efecto, no siempre eran seguros, a veces dejaban su tarea sin previo aviso. Era preferible entonces que los más instruidos entre los aprendices enseñasen a los otros, aunque esto suponía perjuicio para realizar los trabajos pedidos. Fue entonces cuando maduró en don Bosco la idea del coadjutor. También en este caso al principio como ha observado Stella37 — se designaba con este nombre a partir de 1854 (año en el que uno de 39 ingresados se clasificaba como tal) a los seglares jóvenes o menos jóvenes que coadyuvaban en casa en los trabajos domésticos o en los de los talleres. Eran, por tanto, personas empleadas en arreglos de la casa, barrían, servían en las comidas o ayudaban a los maestros de taller en los mejores casos. Más adelante, no obstante, se diferenciarían los coadjutores salesianos, con votos o sin votos, que se convertirían en maestros de taller, no sólo con una continuidad de dirección, muy deseable, sino garantizando una asistencia mayor y preparando el camino para la constitución de auténticas escuelas profesionales.38 Aun así, a pesar de la forma en que se concibieron los talleres inicialmente y, en cierto sentido, forzosamente, fueron una gran ayuda. Libraban a los muchachos de los peligros morales del aprendizaje junto a patronos indiferentes en moralidad, les ayudaban moral y materialmente, creaban amistades y colaboraciones y orientaban a algunos de ellos a la vida religiosa como coadjutores.39
39 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 180 y el ensayo de F. Rrzzím, II salesiano coadiutore e la formazione professionale, en el número cit. del CNOS, 87-97.

" CE P. STELLA, Cattolicesimo in Italia e laicato nelle congregazioni religiose. Il caso dei coadiutori salesiani (1854-1974), en «Salesianum» (1975) 411-445.

39 Acerca del desarrollo de los primeros talleres, cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 123-199. Sobre las analogías con los patronatos venecianos, que se quedaron, sin em
• bargo, en este primer período, cf. S. TRAMONTIN, Gli Oratori di don Bosco e i Patronati veneziani, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 117-132.

4.3. Hacia la escuela profesional

Sólo más adelante (y Veneruso sitúa este giro hacia 1876, viéndolo por primera vez en el instituto de Sampierdarena,4° pero puede ser que sea por un cierto orgullo de patria chica, porque transformaciones análogas se verifican en aquellos años en otros institutos salesianos incluido el de Valdocco), los talleres artesanales se orientaron, en cierta medida, hacia verdaderas escuelas de formación profesional. La fórmula del taller, que había durado a lo largo de tantos años, no era ya plenamente satisfactoria ante las exigencias de los tiempos, que pedían más especialización y una formación más completa. El mercado había pedido hasta entonces el mismo tipo de vestido, de zapatos, de impresos: productos siempre iguales a sí mismos que no exigían del artesano ni mucho empeño ni mucho tiempo ni puesta al día. Ahora bien, la justificación nueva del producto artesanal no estaba en la inmobilidad, sino en el cambio. Al cambio en el modo de producir debía corresponder un cambio en el modo de aprender el oficio. Hacía falta un empeño metódico de años, en el que el estudio se uniese al trabajo y el proyecto y la capacidad de ponerse al día caminasen al mismo ritmo que la adquisición y perfeccionamiento de la habilidad manual. Hacía falta, pues, pasar de la fórmula del taller a la del instituto profesional. Don Bosco entendió todo esto y las deliberaciones del tercero y cuarto capítulo general't y el Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane42 fueron la norma fundamental de las futuras escuelas profesionales; que sus sucesores organizaron y multiplicaron. También en este caso, pues, hay que rectificar el juicio de Quinzio, según el cual «las escuelas profesionales y los «artigianelli» pertenecen a la patética prehistoria neocapitalista».43 Si esto es verdad, en efecto, para el primer período de puesta en marcha y de funcionamiento de las primeras escuelas artesanales, no lo es ya después de 1880 cuando se formaron auténticas escuelas profesionales, destinadas a ofrecer, entre otros destinos, centenares de obreros a la Lane Rossi de Schio y a la FIAT de Turín. Es el mismo Alessandro Rossi quien promueve la ida de los salesianos a Schio (1901); aquel Alessandro Rossi que había tenido ocasión de encontrarse con don Bosco en Turín, que había tenido también la oportunidad de intercambiar ideas con el senador Giovanni Agnelli.44 Este último, en 1929, con ocasión de las manifestaciones por la beatificación de don Bosco en Turín, dirá al recibir .a las autoridades religiosas y civiles en la FIAT: «Los discípulos, los seguidores del Beato don Bosco, de este gran piamontés al que venera hoy especialmente y festeja Turín, sentirán que aquí late un ritmo de vida que no habría desagradado al Beato, que fue un héroe sublime de la caridad cristiana y, al mismo tiempo, un ardoroso apóstol del trabajo humano, un creador excepcional de empresas y talleres >>.45 Y habría que observar también que la proliferación de talleres y la institución de las escuelas profesionales se realizó al mismo tiempo que el aumento de los cooperadores salesianos, al aumentar la necesidad de ayudas económicas, morales y personales 46

40 Cf. D. VENERUSO, II metodo educativo, p. 138-140.

41 Cf. Deliberazioni del terzo e quarto capitolo generale della Pia Societá salesiana, S. Benigno Canavese 1887, p. 18-22.

42 L'indirizzo da darsi se recuerda en: VENERUSO, II metodo educativo, p. 141. Cf. además: MB XVIII, 700-702. Es también significativo — como ha observado Pazzaglia — que, muy probablemente, don Bosco haya hablado de «scuola professionale» sólo en una carta de 1880 (cf. PAZZAGUA, Apprendistato, p. 43). Por otra parte, todavía el 7 de octubre 1879, el ministro de agricultura, industria y comercio, Benedetto Cairoli, pedía a las autoridades periféricas que favorecieran la creación de escuelas de artes y oficios, centrándose en las escuelas dominicales y nocturnas que presentaban la ventaja de horarios cómodos, y no las escudas diurnas, que servían para formar obreros preparados y responsables de otros obreros.

47 QUINZIO, Domande sulla santitá, p. 88.

Don Bosco no fue sólo, sin embargo, un sacerdote que acogía a muchachos abandonados para encaminarlos hacia el trabajo, un fundador de talleres artesanales primero y después de verdaderas escuelas profesionales. Entró más directamente en el campo del trabajo en calidad de empresario con el establecimiento y, sobre todo, el notable desarrollo de la tipografía.

4.4. Iniciativas editoriales


El santo piamontés había entendido, como sus contemporáneos más sagaces en el clima de la Restauración, la importancia de la prensa. Recuérdese, por otra parte, que uno de los objetivos principales de las «Amicizie Cattoliche» surgidas en 1811 por iniciativa de don Pio Brunone Lanteri, que aceptó la herencia de las «Amicizie Cristiane» del padre Diessbach, fue la difusión gratuita de buenos libros.47
El primer libro de don Bosco, publicado por los tipógrafos Speirani y Ferrero en 1844, fue Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo, del que se imprimieron 3.000 ejemplares (cifra notable entonces), vendido al módico precio de 30 céntimos para facilitar su difusión. Fue el primero de una larga serie de publicaciones, de libros de devoción (11 Giovane provveduto, que será un clásico entre los libros de devoción y que tuvo varias reimpresiones con una primera tirada [1847] de 10.000 ejemplares), de libros escolares (entre ellos la Storia ecclesiastica y la Storia sacra, tal vez una de las más conocidas, a las que se añadió la Storia d'Italia), de periódicos como «L'amico della Gioventú», iniciado en 1846, impreso por Marietti, pero que duró muy poco, las «Letture
44 «Dare questo benvenuto mi é tanto caro — dirá il senatore Agnelli — in quanto ricordo di ayer conosciuto personalmente don Bosco e la sua immagine illuminante parla sempre al mio spirito».

El discurso es citado por BAIRATI, Cultura salesiana, p. 347.

" Acerca de los cooperadores salesianos, cf. Cooperatori salesiani, ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile societá, Sampierdarena 1877; Don Bosco e le sue opere. La casa di Sampierdarena, Sampierdarena 1923, p. 21-22.

" Cf. C. BONA, Le Amicizie. Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torino 1962.

Cattoliche», que comenzaron en 1853 con periodicidad mensual con teernvaas. «religiosos» o «amenos», cuyos primeros fascículos hubieron de reimprimi— se, dada la favorable acogida que tuvieron.

Para todas estas múltiples iniciativas editoriales, don Bosco se valió d nos impresores turineses, entre los que estaban Paravia, Marietti, De Agostini. Pero ya entre 1853 y 1855, con Rosmini, había ideado fundar una tipografía propia, también para actuar con mayor libertad y obtener mayores ganancias. El 26 de octubre de 1861 se dirigió al gobernador de la provincia de Turín, conde Giuseppe Pasolini, para poder abrir en la casa del Oratorio una tipografía, que se abrió efectivamente en 1862. Las «Letture Cattoliche», afianzadas ya, podían asegurar trabajo. En el aspecto legal, rescindido el contrato con Paravia,48 don Bosco se convirtió así en el dueño de una tipografía; y en el social, en un empresario que invertía el propio capital con fines filantrópicos.

La tipografía se convirtió muy pronto en el centro propulsor de los talleres de Valdocco y el más conocido de todos. Don Bosco invirtió un capital notable para mejorar la maquinaria, montar una encuadernación, comprar una fábrica de papel, abrir una librería (en esta actividad estaban ocupados, en 1891, 200 obreros, la mayor parte jóvenes del Oratorio y esto nos puede dar idea del desarrollo tomado por la iniciativa), estar en la vanguardia del progreso, como él mismo decía, despertando envidias y celos en los otros tipógrafos de la ciudad y superando crisis difíciles y demostrando con todo ello que era un hombre de temperamento emprendedor.°
Pero a este propósito hay que repetir una observación de Pietro Stella: «Entre el modo antiguo de establecer relaciones de trabajo entre el patrón y los aprendices y el nuevo modelo de escuela técnica prevista en la ley orgánica sobre la instrucción, don Bosco prefirió ir por su tercera vía: es decir, la de los grandes talleres de su propiedad, cuyo ciclo de producción, de nivel popular y escolar, era también un útil ejercicio para los jóvenes aprendices»." Aunque después, como hemos visto, no descartará la de las verdaderas escuelas profesionales.

Alma de todo seguía siendo, sin embargo, el amor hacia sus jóvenes y por este amor cristiano se convirtió, en todas las formas que hemos reseñado, en un extraordinario organizador taylorista."
48 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 366-368.

49 Sobre el funcionamiento de la tipografía, cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 351-369, y el ensayo de F. RIZZINI, Don Bosco tipografo ed editore, en el citado número especial del CNOS, p. 57-85.

50 STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 248.

51 La expresión es de BAIRATI, Cultura salesiana, p. 355. Nos parecen importantes los juicios del mismo autor, que escribe: «Il modelo culturale salesiano é particolarmente interessante sotto profilo dei rapporti tra religione e societá, tra cultura ed economia. Nel caso dei salesiani tali rapporti non si configurano affatto come compromessi ideologici inevitabilmente effimeri, come ardite ma sterili mediazioni dottrinali, come spregiudicati ma labili patteggiamenti politici. L'intransigenza salesiana é totale. La socialitá di don Bosco e dei salesiani non é il frutto di un inquiy descanso arece que deben tratarse otros dos aspectos, no marginales, cuando demuestran que el centro de la vida salesiana seguía siendo el Oratorio, es decir, la relación trabajo-descanso (o mejor, recreo) y la otra de trabajo-oración. Ahora bien: aparte el descanso festivo, no sólo, evidentemente, respetado en sus talleres, en la tipografía y en las escuelas profesionales, sino exigido también en tratos de colocación en el trabajo estipulados por él a favor de sus muchachó" y los numerosos testimonios a propósito, querían que todos tuviesen una sana diversión. Don Felice Reviglio, en el proceso en Turín de su beatificación, afirmó: «En un patio bastante amplio que rodeaba la pequeña capilla se reunían los días de fiesta cerca de quinientos jóvenes. El había preparado varios juegos e instrumentos de gimnasia para entretenerlos alegrde e-mente, como petancas, tejos, zancos, muletas, paralelas, potros y en la fiesta San Luís y de San Francisco de Sales, carreras de sacos, rotura de ollas, rompecuellos (se llamaba así este juego porque consistía en un plano inclinado untado con mucho jabón, pero que no suponía peligro de ninguna clase, y daba un premio al que llegaba a la cima) ».53 En las horas de recreo era el mismo don Bosco el que animaba a los chicos a jugar porque había intuido que la dimensión lúdica del ser humano es muy importante en el equilibrio psíquico y en la vida de relación.54 Utilizó el juego para encontrarse con los muchachos, no sólo porque había entendido que «el patio atrae más la que la iglesia», síno también porque la actividad lúdica sublima la agresividad, ya que implica aceptación y el respeto a normas, compromete a portarse bien con los demás, a salir del propio egoísmo. «Nosotros, en vez de castigos, tenemos la asistencia y el juego», respondió una vez don Bosco a un periodista que había advertido el clima sereno que reinaba en el Oratorio." Excluía los juegos sedentarios «por la razón de que nunca responden a la necesidad que tiene el muchacho de movimiento y de desahogo. Por eso no quiso nunca que en los patios de renamento progressista o populista della dottrina cattolica (e non dimentichiamo — vorremmo aggiungere — che una domina sociale cristiana non era ancor nata o almeno ufficializzata). La modernitá non é un dato ideologico od un opportunts' tico rimaneggiamento devoto al valori laici. Il modelo culturale salesiano riesce ad essere sociale e moderno non sul terreno della domina, come giustamente sottolinea Burzio, ma in quanto coincide con un'organizzazione, un assetto tradizionale di tipo nuovo, caratterizzato da una forte autoritá economica, da una notevole capacitó espansiva, da una spiccata capacitó di stimolare e maturare gil individui al lavoro e alfa conquista di un ruolo sociale» (Ibid., p. 354).

51:No lamrabsaios an de don Bosco y del mundo del trabajo, entre otras cosas porque nos
52 El Santo había dedicado también al tema del reposo festivo el número de julio de 1861 de las «Letture Cattoliche».

53 Cf. Taurinensis. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Ioannis Bosco sacerdotis fundatoris Piae Societatis Salesianae. Positio super introductione causae, Roma, p. 147. " Cf. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 151. " Cf. MB XVI, 168.

creo de sus centros hubiese bancos o asientos de cualquier tipo para evitar dar ocasión a esos juegos» 56 Le gustaba acompañarlos en los largos paseos por las colinas de Monferrato y por eso decía a sus muchachos en 1876: «El movimiento es lo que más favorece la salud. Soy del parecer de que una causa no indiferente de la disminución de la salud en nuestros días viene de que no se hace tanto ejercicio como antes. La comodidad del ómnibus, del coche, del tren elimina muchísimas ocasiones de dar paseos, aun breves, mientras que hace cincuenta años parecía un paseo ir a pie de Turín a Lanzo. Me parece que el movimiento del tren y del coche no es suficiente al hombre para estar bien».57
Los paseos servían también para despertar en sus muchachos el sentimiento de admiración por la naturaleza y lo bello. El sentido estético se desarrollaba también por medio del canto, de la música (un Oratorio sin música es un cuerpo sin alma, solía decir),58 el teatro de marionetas al principio y después la presentación de sainetes y farsas (las bandas y las comedias salesianas fueron y siguen siendo célebres). También quiso que se introdujese la gimnasia para ayudar al desarrollo del cuerpo de sus muchachos y establecer una sana armonía con el trabajo y el estudio. Recomendaba además, especialmente a los estudiantes, un buen empleo del tiempo libre, conociendo bien (y solía repetirlo con frecuencia) que el ocio es el padre de todos los vicios: «Os recomiendo — les decía — que os divirtáis mucho. Jugad a la petanca, a la pelota, al balón. Cada uno en su familia tendrá diversiones especiales; juegue también a las cartas, a las damas, a los «tarocchi», al ajedrez y con todos los medios que encontréis para distraeros. Sobre todo os recomiendo que hagáis bonitas excursiones muy largas ».59
Esto lo quería para los estudiantes, mientras que los que trabajaban en el taller tenían que contentarse con breves recreos, si vivían en los talleres salesianos, o con la diversión de la tarde y de los domingos en el Oratorio. ¡Podría parecer extraño también que por todas estas manifestaciones, a nadie se le haya ocurrido hacer de don Bosco un precursor de la ecología! 60
56 P. RICALDONE, Don Bosco educatore, vol. II, Colle Don Bosco (Asti), Libreria Dottrina Cristiana 1952, p. 49.

57 MB XII, 343.

5° MB V, 347. En cuanto a la música, enseñaba piano, acordeón, armonium, órgano y todos los instrumentos musicales de madera, metal y de cuerda (Riassunto della Pia Societá di San Francesco di Sales nel 23 febbraio 1874, en: OE XXV, 381).

59 MB XIII 431s.

60 Es verdad que una alusión la ha hecho C. SEmEtAR0, Don Bosco, il santo dell'aria aperta, en «Rivista del CAI del Piemonte» (setiembre 1988). Para un examen comparativo, se debe señalar la revalorización de la fiesta (contra la supervaloración de la actividad, del esfuerzo, de dolor y de la función social activa) hecha por I. Pieper, de la universidad de Munich, en un reciente artículo de «Settimana». En dicho artículo se revaloriza el ocio en el sentido aristotélico, y se concluye: «Fare festa, cioé dare Jode a Dio, perché il mondo é godibile».

El trinomio programático de la pedagogía de don Bosco comprendía, además de la alegría y el trabajo, la piedad." Se tratab, pues, de unir el trabajo con el descanso y la diversión, pero también con la piedad.

6. Trabajo y piedad

Piedad que tenía que cimentarse en la instrucción religiosa. Ya en 1850, cuando pedía ayudas a la «Opera Pia della Mendicitá Istruita», don Bosco presentaba una breve referencia histórica en la que se decía: «Por medio de agradable recreo animado con algunas diversiones, con catequesis, clases y canto, algunos (jóvenes aprendices) se hicieron moderados en su vida, amantes del trabajo y de la religión»," y un poco más adelante, añadía: «Un número notable de atentos señores acude a prestar su servicio dando catequesis» 63 Y sigue diciendo en 1862: «Un notable número de atentos señores viene a prestár la colaboración que se les pide dando catequesis, vigilando para que cumplan sus deberes en los respectivos talleres y colocando en empresas de honrados patronos a los que no tienen trabajo »."
Y en d Cenno storico dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, recientemente publicado por don Braido, el Santo indica que su obra empieza precisamente con la actividad catequística: «Este Oratorio — escribe — es decir, reunión de jóvenes los días de fiesta, empezó en la iglesia de San Francisco de Asís. Don Cafasso, desde hacía bastante tiempo, en el verano, venía dando catequesis los domingos a jóvenes albañiles en una habitación contigua a la sacristía de la mencionada iglesia. La importancia de las ocupaciones de este sacerdote le hicieron interrumpir esta tarea tan grata para él. Yo la reemprendí al terminar 1841 y comencé reuniendo en el mismo lugar a dos jóvenes mayorcitos, muy necesitados de instrucción religiosa. A éstos se les unieron otros y a lo largo de 1842 el número creció hasta veinte y a veces veinticinco. Estos comienzos me hicieron comprender dos verdades importantísimas: que en general la juventud no es mala por sí misma; pero que se hace así generalmente por el contacto con los malos, y que los mismos malos, separados unos de otros, pueden experimentar grandes cambios morales (serán después estas dos verdades las que hagan que despegue el sistema preventivo). El año 1843 siguió la catequesis del mismo modo y el número subió a cincuenta, los que cabían en el lugar que se me había asignado».65
Esta exigencia de cultura religiosa lo impulsó también a hacer imprimir en 1847, además de los acostumbrados pequeños catecismos," la Storia sacra
61 Cf. DAcQuiNo, Psicologia di don Bosco, p. 38s.

62 La memoria fue leída el 20 de febrero a los administradores de la «Opera della Mendicitá Istruita», citado en E I, 29ss.

63 Catalogo degli oggetti 1. El opúsculo es de 1857.

64 Invito ad una lotteria 1.

65 Cf. BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38s.

66 El más usado (adquirido y reimpreso por él) era el Breve catechistno pe' fanciulli alíe pre
(Speiraní y Ferrero, impresores editores), una vez que vio que entre las que circulaban no había una adecuada para sus jóvenes que (hace falta recordarlo) estaban casi totalmente ayunos de religión. «Falta de estilo popular, hechos inoportunos, temas largos o fuera de tiempo eran defectos comunes — anota en sus Memorie —. Además, se exponían muchos hechos de modo que ponían en peligro la moralidad de los jóvenes. Se preocupaban muy poco por subrayar los puntos que debían servir como fundamento a las verdades de la fe. Dígase lo mismo de los hechos que se refieren al culto externo, al purgatorio, la confesión, eucaristía y otros parecidos ».67
Se da aquí un salto cualitativo, o al menos un intento de darlo, porque sí su Storia sacra supera muchos de los defectos denunciados en las otras, sin embargo, no logró que fuese ese «fundamento de la verdades de la fe» que se había propuesto, aunque suponía un paso en esa dirección. Y la dirección que indicaba era la exacta y contribuirá al salto de cualidad.

Don Bosco reunía también a sus muchachos para la oración. Triduos, novenas, preparación a las fiestas principales constituían su trama. Basta, también aquí, recorrer la lista de sus publicaciones. Le sei domeniche e la novena di San Luigi Gonzaga (1846), II divoto dell'Angelo custode (1845), La giornata del cristiano (1852), La chiave del paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri del buon cristiano (1856), y los diversos títulos de las «Letture Cattoliche». Pero lo mejor que produjo — por decirlo así — en esto campo fue la impresión en la casa Paravia en 1847 de Il Giovane provveduto. Era un libro de devoción de 352 páginas y la primera tirada fue de 10.000 ejemplares. Contenía las oraciones de la mañana y de la noche, tomadas del catecismo de mons. Casati,68 el «oficio parvo» de la Virgen, las vísperas del domingo, el Vía crucis y muchos cantos religiosos populares y de éxito.

El centro de la piedad en la que don Bosco educaba a sus jóvenes estaba, sin embargo, constituido por la participación en la santa misa, celebrada en el Oratorio, y la frecuencia de los sacramentos de la confesión y la comunión.

ghiere della mattina e della sera ad uso delle scuole cristiane della cittá e diocesi di Tormno, editado anteriormente muchas veces por Marietti.

67 MO 184s. Pero el mismo Stella (Don Bosco nella storia economica, p. 33) las juzga justamente excesivas y no referibles a escritos de catequesis bíblica como los de Aporti o Rayneri.

68 El llamado catecismo de Casati fue, en realidad, compuesto por el canónigo Giuseppe Maria Giaccone en 1765, por encargo del obispo de Mondovl, mons. Michele Casati. Dicho catecismo se coloca en el surco de tradiciones exquisitamente oratorianas: una de las fuentes es sin duda el Piccolo compendio della doctrina cristiana, impreso en Turín en 1710, con la efigie de San Felipe Neri en la anteportada. El autor tuvo presente igualmente el Catecismo romano, el de Bellarmino (como se dice claramente en la carta pastoral de Casad, presentándolo a sus sacerdotes), y también el de Bossuet, del que aparece transcrita literalmente la parte referente a las fiestas litúrgicas, puesta al final del mismo catecismo. Fue adoptado, en 1896, como texto único por los obispos de Piamonte y de Lombardía, hecho que constituye una confirmación de la acertada elección hecha por don Bosco. Cf. S. TRAMONTIN, Dal catechista di Tombolo al papa catechista, en: ID. (ed.), Le radici venete di San Pio X. Saggi e ricerche, Brescia 1987, p. 72-104; L. NORDERA, 11 cate-chismo di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia (1896-1916), Roma, LAS 1988.

Enría nos cuenta cosas de las misas celebradas por el Santo y oídas por sus muchachos en la fría iglesia,69 de las muchas horas pasadas en el confesonario y, más todavía, de las confesiones en una sala. Una de las más bellas fotografías es, en efecto, la que nos lo muestra mientras está confesando a un muchacho que le habla al oído, mientras otros jóvenes esperan su turno alrededor. Atribuía al diálogo en la confesión una importancia decisiva: además de guía espiritual, se sentía amigo y padre del penitente. La confesión — ha subrayado acertadamente Dacquino7° — en el ambiente de vida familiar del Oratorio se convierte en un momento de confidencia filial y, por tanto, tenía una función de apoyo del aspecto afectivo, además del espiritual.

Y también por lo que se refiere a la comunión, aunque una cierta mentalidad jansenista lo retenía de animar a todos sus muchachos a la comunión frecuente, sin embargo, por lo que se refiere a los mejores, los empujaba para que se alimentasen con frecuencia del pan eucarístico para un contacto más intenso con Jesús» La oración y los sacramentos debían, por tanto, alimentar junto a la instrucción religiosa, la vida de sus muchachos externos e internos, estudiantes y artesanos. Para estos últimos, además, serían un buen apoyo para que soportasen la fatiga física del trabajo, de lo que se podía advertir el efecto espiritual en el cumplimiento de la voluntad de Dios y hacerlo, por tanto, precioso ante él.

Aun durante el trabajo quería que sus jóvenes orasen, además de ofrecerlo al Señor. «Comenzad siempre el trabajo con el Ave María», decía el n. 8 del Primo Piano citado; y el n° 9: «Por la mañana, a mediodía y por la tarde, recitad el Angelus y por la noche añadíd el De Profundis».72
También Zanella en la conferencia recordada había afirmado: «Religión y trabajo se han dado de nuevo la mano (en la formación de sociedades de ayuda mutua de inspiración cristiana) y de su unión no puede salir más que el mayor bien para una y otro. ¿No ha sido acaso la religión la que ha dado dignidad al trabajo? ¿No responde, por otra parte, el trabajo a los fines augustos de la religión?» Y había invitado a promover fiestas religiosas como en los antiguos gremios para «alegrar el alma maniatada por los mecanismos del oficio
" Cf. el «promemoria» de Enria reproducido por STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 494-506. Se habla también en él de las confesiones y de las comuniones de los muchachos del Oratorio.

DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 259.

" Es interesante la descripción de un domingo en el Oratorio como viene narrada en el segundo documento inédito presentado por Braido: «Le funzioni religiose ne' giorni festivi sono come segue: al mattino comodita per chi vuole confessarsi; messa cui segue un racconto di storia sacra od ecdesiastica o l'esposizione del Vangelo della giornata; quindi ricreazione. Dopo mezzol catechismo in dasse, vespri, breve istruzione dal palpito, benedizione col venerabile, cui tiene dietro la solita ricreazione. Terminate le funzioni religiose ognuno é libero dí rimanere per trastullarsi o di recarsi a casa. Sul fare della notte si mandarlo tutti a casa e si chiude l'Oratorio» (BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 68).

72 Cf. Primo piano, cit. en nota 11.

y sacudirla y consolarla con el augusto espectáculo de los misterios de la fe». y la compara «a esas hornacinas que se encuentran por los caminos de los Alpes, que despiertan un piadoso pensamiento en el corazón del caminante y le ofrecen al mismo tiempo un asiento donde descansar»." La fiesta debía, pues, servir para el descanso y la oración: como para Zanella también para don Bosco.

7. En síntesis

Ésta era la actitud de don Bosco frente al mundo del trabajo, con sus ideas y-sus iniciativas. Su preocupación fundamental era y seguía siendo para él la salvación de las almas, pero si tuviésemos que buscar en él una «cultura del trabajo» no podríamos hacerlo mejor de lo que indicaba don Viganó en su discurso de Milán, es decir:
— primacía del hombre sobre el trabajo;
— primacía del trabajo subjetivo sobre el objetivo; — primacía de la conciencia sobre la técnica;
— primacía de la solidaridad sobre los intereses individualistas y de grupo.74
Conceptos todos subrayados en la Laborem exercens de Juan Pablo 11 75 y repetidos en sus numerosos discursos en la reciente visita de septiembre a Turín y a los lugares queridos por don Bosco.76 F1 discurso sobre el hombre, sobre su trabajo, sobre su dignidad — como ha señalado algún comentarista -- fue el motivo dominante de aquellas jornadas." E invitó, más que a ver en don Bosco a un precursor, a «sentir su presencia en nuestro hoy y nuestro mañana ».78
" Cf. ZANELLA, Religione e lavoro, p. 40. En este discurso, el autor ve la previsión y el ahorro, indicados también por don Bosco, como útiles para conservar los sentimientos religiosos, e invita a mit, a las prácticas religiosas, la lectura de algún buen libro. Los dos se encuentran de acuerdo en este punto como en el ver en todo esto una «educazione a sentire questa dignitá vostra».

74 Cf. el cit. discurso de don Viganó (fotocopiado).

" Para la Laborem exercens, cf. Le encidiche sociali dalla Rerum novarum alfa Laborem exercens, Roma 1984, p. 471-564.

76 Véanse los números 206. 207. 208. 209. 210 de «L'Osservatore Romano», en los que se recogen los discursos completos o el resumen de los mismos con algún comentario. Cf. también el BS (octubre 1988), en donde son comentadas las jornadas turinesas del papa.

77 Cf. P. Ama, Seguire la via indicara da don Bosco per restituire a Torino la sua vera anima, en «L'Osservatore Romano» 5-6 setiembre 1988, 7.

78 De la homilía pronunciada en la plaza «Maria Ausiliatrice» de Turín.

LA OPCIÓN POR LOS JÓVENES
Y LA PROPUESTA EDUCATIVA DE DON BOSCO


Luciano PAZZAGLIA
Al preguntarle, en 1886, qué método prefería para conducir las almas a Dios, el de San Francisco de Sales o el de San Vicente de Paul, don Bosco salió del paso diciendo: «Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppur io. Sono sempre andato avanti come il Signore m'ispirava e le circostanze esigevano».'
La respuesta no puede tomarse en sentido literal, como si el sacerdote piamontés hubiera querido verdaderamente sostener que había actuado exclusivamente empujado por lás circunstancias externas. La respuesta parecería, más bien, un expediente para no tener que pronunciarse entre dos autores a los que estaba igualmente ligado.2 Los estudiosos comparten ampliamente la convicción de que don Bosco fue más un educador que un «pedagogo», en sentido riguroso. Con todo, el preeminente carácter práctico de su empeño no debe hacer pensar que don Bosco careciese de un diseño teórico o que fuese adelante de forma casual. Hay que decir, a lo sumo, que resulta difícil organizar los múltiples aspectos de su obra en una visión de conjunto. Tal dificultad es debida, más que a la cantidad de documentación disponible, a la linea seguida por don Bosco en su itinerario. De hecho, llegó muy pronto a elaborar los principios fundamentales a los que iba a permanecer fiel durante toda su vida; pero, al mismo tiempo, trató de obrar de acuerdo con las necesidades del momento y de adaptar aquellos principios a las diversas circunstancias históricas. No hay, pues, que maravillarse de que su pensamiento, aun conservando algunas coordenadas estables, presente contornos algo sinuosos y se escape al intento de quien quisiera situarlo en el cuadro de un proyecto rígidamente unitario. Recientemente alguien se ha preguntado si, en vez del «sistema preventivo» de don Bosco — según una fórmula ya codificada —, no convendría más bien hablar de «sistemas», en plural?
La pregunta había sido formulada por M. Dupuy, rector del seminario de Montpellier, en una carta enviada a don Bosco, el 2 de julio de 1886, para agradecerle la visita hecha a dicho seminario, al regresar de su viaje a Barcelona. La carta de Dupuy y la frase de don Bosco se encuentran en: MB XVIII, 126-127 y 655-657.

2 P. BRAIDO, II progetto operativo di don Bosco e l'utopia della societiz cristiana, Roma, LAS 1982, p. 6.

Con la presente colaboración quisiéramos verificar, aunque sea de forma muy general, en qué forma el sacerdote piamontés decidió dedicarse a la educación de los jóvenes, y, sobre todo, de qué modo esta opción se concretó en las diversas fases de su rica y compleja biografía. La empresa no es fácil, porque se trata, precisamente, de seguir la obra educativa de don Bosco, considerando las más amplias perspectivas sociales y religiosas, en las que fue colocándola. Preciso, de entrada, que al realizar este ensayo, me he servido especialmente de la propuesta interpretativa de P. Braido, según el cual, don Bosco pasó de posiciones basadas en la idea de recuperar, para la sociedad, a los jóvenes en peligro («pericolanti»), a posiciones comprometidas en la defensa de la juventud frente a una realidad social que él, poco a poco, debía considerar cada vez más densa de peligros para las nuevas generaciones."


1. Las primeras experiencias entre la juventud «pobre y abandonada»


La versión dada por don Bosco, en sus Memorie dell'Oratorio, acerca de los comienzos del Oratorio, es generalmente conocida.5 En ese escrito, redactado en los primeros años 70, cuenta que empezó su obra en favor de los jóvenes abandonados el 8 de diciembre — día de la Inmaculada — de 1841, cuando, recién llegado a Turín para frecuentar el Convitto ecclesiastico dirigido por Cafasso y Guala, encontró casualmente a un joven, llamado Garelli, y, con su consentimiento, se puso a enseñarle algunas nociones de catecismo. La reciente publicación de algunos escritos inéditos de don Bosco autoriza, sin embargo, a. pensar que el Oratorio surgió de forma menos azarosa de lo que dichas Memorie querrían hacer creer.6 En el Cenno storico dell'Oratorio, de 1854,, el sacerdote piamontés escribió que había dado comienzo a su trabajo, reanudando, a finales del año 1841, una iniciativa catequística dominical veraniega para aprendices de albañil, iniciada años antes por Cafasso, pero que éste había abandonado después.' En los Cenni intorno all'Oratorio, de 1862, don Bosco afirmaba, en cambio, que había iniciado su obra para salir expresamente al paso de los problemas de los jóvenes presos, que, puestos en libertad, tenían necesidad de alguien en quien apoyarse. Las versiones dadas por los dos escritos — que, como se ve, no hacen ninguna alusión al episodio relativo al joven Garelli —, no son necesariamente contrastantes. En efecto, puede darse que don Bosco, aconsejado por don Cafasso, reactivase la experiencia catequística que éste no había tenido la posibilidad de proseguir: esto explicaría, entre otras cosas, la rapidez con la cual el novel sacerdote promovió los encuentros dominicales, desde sus primeras semanas en Turín. Pero no se puede excluir que, habiendo comenzado mientras tanto a visitar a los presos acompañando a don Cafasso —, se le hubiese ocurrido utilizar aquel servicio para ayudar también a los jóvenes salidos de la prisión. Fuese cual fuese la verdadera intención con la cual don Bosco emprendió su obra, queda claro que ésta, bastante. pronto, se iba a dirigir, no a una categoría específica, como era la de los ex presos, sino más en general a los muchachos «pobres y abandonados» de la ciudad o que llegaban a Turín desde los pueblos cercanos: jóvenes sin residencia fija, desocupados o empleados en trabajos eventuales, habituados a vivir precariamente, y expuestos a todos los riesgos de la calle.'

' P. BRAMO, L'esperienza pedagogica di don Bosco nel sao «divenire», ponencia presentada cc el seminario de estudio: «Don Bosco e la sua esperienza pedagogica: ereditá, contesti, sviluppi, ri soflame» (Venecia, 3-5 octubre 1988), cuyas actas fueron publicadas en «Orientamenti Pedago• gici» 31 (1989) 3-241, y en: C. NANNI (ed.), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LA1 1989 (la ponencia de Braido: p. 11-39).

En este sentido se ha pronunciado Braido en: P. BRAIDO (ed.), Esperienze di pedagogía cris• tiana nella storia, vol. II: sec. XVII-XIX, Roma, LAS 1981, p. 322s.; BRAMO, Il progetto operativo di don Bosco, p. 19-20; y, últimamente, BRAIDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 20-21.

5 MO 124-125.

6 Los escritos inéditos a los que nos referimos fueron publicados por: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 13-81. En realidad los escritos presentados por Braido son tres: una Introduzione (que había ya dado a conocer en: G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 360-362), el Cennc storico dell'Oratorio di S. Francesco di Sales y los Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesa di Sales. L'Introduzione y el Cenno storico fueron redactados según Braido en 1854; según lo: Cenni storici, en 1862.

La historiografía ha discutido ampliamente sobre las fuentes culturales de don Bosco. Por de pronto, hay que observar que la decisión de reunir, los domingos, a grupos de jóvenes para entretenerlos con algunos juegos e instruirlos en las verdades del cristianismo, no constituía una novedad. El título de verdadero iniciador de aquel tipo de actividades en Turín correspondería, en todo caso, a don Cocchi, el cual había abierto, el año 1841, el «Oratorio dell'Angelo Custode» en el barrio del Moschino.9 En otras ocasiones, teniendo presentes las indicaciones dadas por algunos estudiosos, además de los testimonios provenientes del ambiente de don Bosco, he sostenido que el Oratorio de este último se fue caracterizando, respecto al de don Cocchi, por un más organizado empeño educativo.10 Tal afirmación habría, quizás, que matizarla un poco, pues, en realidad, el Oratorio del Angel Custodio no dejó de promover, a lo largo del camino, iniciativas que, más allá de la preocupación de entretener a los muchachos con juegos y ejercicios físicos, se proponían atender a la formación moral, religiosa y cívica. Es singularmente interesante, a este respecto, el proyecto de escuelas dominicales y nocturnas que don Cocchi, con la ayuda del teólogo R. Murialdo, perfeccionó en 1847:" un proyecto que, por lo menos en el papel, no tenía nada que envidiar a las líneas educativas que, en los últimos años 40, había madurado Bosco.

7 Escribe don Bosco: «Quest'Oratorio, ovvero adunanza di giovani ne' giorni festivi comindó nella chiesa di S. Francesco di Assisi. II Sig. D. Caffasso giá da parecchi anni in tempo estivo faceva ogni Domenica un catechismo a' garzoni muratori in una stanzetta annessa alla sacrestia di delta chiesa. La gravezza delle occupazioni di questo Sacerdote gil fecero interrompere questo esercizio a lui tanto gradito. Io lo ripigliai sul Emite del 1841, e cominciai col radunare nel medesimo luogo due giovani adulti, gravemente bisognosi di religiosa istruzione» (BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38-39). Diversos estudiosos han atribuido a la iniciativa de Cafasso el comienzo de los oratorios en el Convitto de Turín. Incluso P. Stella, el más informado estudioso de don Bosco, en su obra: Don Bosco 1, p. 95. P. Braido, sin embargo, recuerda que en la tradición salesiana esta atribución ha sido impugnada por algunos: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38.

8 El texto del 62 afirma perentoriamente: «L'idea degli Oratori nacque dalla frequenza delle carceri di questa dttá» (BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 60).

9 Puede verse sobre don Cocchi: E. REFFO, Don Cocchi e i suoi artigianelli, Torino, Tipografia S. Giuseppe degli Artigianelli 1896; se encuentran referencias en el estudio dedicado por el mismo Reffo a la Vita del T. Leonardo Murialdo, Torino, Tipografía S. Giuseppe degli Artigianelli 1905; se halla también amplia información acerca de don Cocchi y, más en general, acerca de los oratorios turineses en: A. CASTELLANI, II beato Leonardo Murialdo, 2 vol., Roma, Tipografía S. Pio X 1966-1968.

No debe sorprender que la nueva generación de sacerdotes — como don Bosco y don Cocchi, profundamente animados del deseo de socorrer los sectores sociales más míseros — vinculase el crecimiento de los jóvenes pobres y abandonados a una mejor educación de los mismos, también desde el punto de vista cívico. Téngase presente que, desde hacía algún tiempo, la cultura de la prevención, superando la visión defensivo-punitiva de los siglos precedentes, estaba subrayando la urgencia de ayudar a los jóvenes marginados, dándoles los instrumentos indispensables para integrarse en la sociedad. Los exponentes de tal cultura — muy preocupados por las repercusiones sociales del pauperismo, de la mendicidad, del vagabundeo — recomendaban contener los fenómenos de la marginalidad con una serie de medidas indirectas. Entre éstas, en primer lugar, la instrucción y educación de los niños y adolescentes necesitados.' Para evitar falsas interpretaciones, es oportuno añadir que, aunque colocándose en una posición mucho más abierta respecto a la represiva de la tradición, la nueva concepción preventiva seguía considerando a la sociedad existente como una estructura intrínsecamente buena, y seguía considerando a las personas colocadas en los márgenes del consorcio civil como a sujetos «peligrosos», a los que había que ayudar, desde una perspectiva esencialmente paternalista. No podemos decir si don Bosco siguió y profundizó las publicaciones de estudiosos como Morichini, Petitti o De Gérando." Pero, desde los comienzos de su actividad, conoció la acción realizada en Turín por instituciones como el Albergo di Virtú o la Opera della Mendicitá Istruita, que, activas ya desde hacía tiempo, habían renovado recientemente su ayuda en favor de los jóvenes en peligro («perícolanti»)."

i. L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886), en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 16-17; respecto a la hipótesis de que el Oratorio de don Bosco tenía un enfoque pedagógico más sólido y completo que el de don Cocchi, cf. G. CHIOSSO, L'Oratorio di don Bosco e il rinnovamento educativo nel Piemonte carloalbertino, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 98ss.

" Oratorio dell'Angelo custode, en «L'Educatore. Giornale d'Educazione ed Istruzione» 3 (1847) 762-765.

<2 Acerca de los debates que, en la primera mitad del Ochocientos, se entablaron en torno al tema de la prevención socio-asistencial, cf. G. MILANESI, Sistema preventivo e prevenzione in don Bosco, comunicación presentada en el citado seminario de Venecia: «Don Bosco e la sua esperienza pedagogica» (p. 148-165).

" C.L. MORICHINI, Degl'Istituti di pubblica carita e d'istruzione primaria in Roma, Roma,
Estas breves alusiones permiten precisar el contexto en el que don Bosco empezó a trabajar. Su opción de ponerse al servicio de la juventud pobre y abandonada arrancaba, ciertamente, de forma directa y prevalente, de las razones propias de la caridad cristiana; pero, aun así, no se puede dudar de que, inicialmente, las modalidades de tal opción se tiñeron de las orientaciones de la cultura preventiva de la época. Es decir, muy pronto, don Bosco comprendió la necesidad de contrarrestar la marginación de la juventud por medio de un generoso y fuerte empeño asistencial-educativo; pero en términos no-muy lejanos de los típicos de la cultura entonces generalizada, comenzó su trabajo considerando que todo el problema consistía en volver a ganar a los jóvenes para la vida social. Esta perspectiva se alimentaba, principalmente, de la convicción de que, siguiendo la inspiración de los principios de la tradición cristiano-católica, la sociedad era capaz de «garantire ordine, sanitá morale, pace religiosa»." Para darse cuenta de la confianza con la cual don Bosco miraba el orden social — al que el viento revolucionario había asestado un duro golpe, y que la Restauración trataba de volver a poner en pie —, es suficiente hojear la Storia ecclesiastica, redactada por él en 1845, y considerar el juicio negativo emitido sobre los movimientos revolucionarios que, a su entender, tenían como objetivo la desestabilización de los equilibrios conseguidos con la alianza entre el trono y el altar.16 No se puede, sin embargo, excluir que hayan pesado además sobre don Bosco el concepto algo pesimista de la naturaleza del hombre y el sentido agudo del pecado original adquiridos en el seminario en la clase de teología rigorista que allí se enseñaba, y por cuyas sugestiones él mismo había sido inducido a dudar hasta de la propia capacidad de salvarse." Los escritos de este período — piénsese en los Cenni storici della vita del chierico Luigi Comollo" o en el testimonio acerca de su compañero de seminario G. Burzío19— dan la impresión de que en aquel momento don Bosco tenía un concepto de los jóvenes matizado de severidad. Son sintomáticas las valoraciones hechas entonces de sus ex compañeros seminaristas. Uno se sentiría inclinado a decir que no logró descubrir en ellos más que seres vacíos y superficiales, aunque sea con la excepción de algunos «veramente buoni»; pero estos últimos — anotaba — «son pocos, y precisamente por esto se debe usar la más atenta cautela, y, encontrados algunos, tratarlos con frecuencia, y establecer aquella familiaridad espiritual de la cual se recaba tanto provecho».2° En la perspectiva de una visión que parecía dar poco crédito a la juventud en general, era natural que, al entrar en contacto con la categoría de los muchachos más extraviados, don Bosco pensara que el único camino a seguir fuese el de reintegrarlos en el contexto social en el que, en virtud de las costumbres inspiradas en los principios religiosos, tales jóvenes podrían mantenerse en el recto sendero.

Stamperia dell'Ospizio apostolico presso P. Aurelj 1835; C.I. PErn II DI RORETO, Saggio sul buon governo della mendicita, degli istituti di beneficenza e delle carceri, Torino, Bocca 1837; J.M. DE GÉRANDO, Della pubblica beneficenza, 7 vol., Firen7e, C. Torri 1842-1846.

" Sobre el «Albergo di Virtil», cf. G. PONZO, Stato e pauperismo in Italia: L'Albergo di virtú di Torino (1580-1836), Roma, la Cultura 1974. Sobre la «Opera della Mendidtá Istruita», cf. las amplias referencias de P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980, p. 61ss.

BRAIDO, L'esperienza pedagógica di don Bosco, p. 20.

16 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole utile per ogni ceto di persone, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1845, ahora en: OE I, 161-556.

" Respecto a la formación recibida por el joven Giovanni Bosco en el seminario de Chieri, además de los recuerdos del mismo don Bosco (MO 89ss), se puede ver la paciente reconstrucción de STELLA, Don Bosco I, p. 51ss.

18 [G. Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di
Pero ya en los primeros arios de la estancia en Turín, don Bosco puso premisas significativas para una ampliación de sus perspectivas. Mientras tanto, el perfeccionamiento pastoral en el Convino, realizado bajo la prudente guía de Cafasso (que continuaría siendo el director espiritual de don Bosco hasta 1860), le permitió superar el rigorismo teológico del seminario con concepciones espirituales caracterizadas por un sentido de mayor equilibrio.21 En la escuela de Guala y Cafasso, don Bosco encontró y conoció mejor a autores como San Alfonso de Ligorio, San Felipe Neri, San Francisco de Sales. Reflexionando sobre ellos, pudo abrirse al sentido de la esperanza cristiana y del abandono confiado en la misericordia de Dios. El Convitto resultó muy eficaz altres categorías: «cattivi», «non cattivi, ma non moho buoni», «veramente buoni» (OE I, 63-64).

Chieri ammirato da,tutti per le sue singolari virtú scritti da un suo collega, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1844, ahora en: OE I, 1-83.

19 La «notificazione» hecha por don Bosco apareció en: F. GIORDANO, Cenni istruttivi di perfezione proposti a' giovani desiderosi della medesima nella vita edificante di Giuseppe Burzio, Tocino, Stamperia degli Artisti tipografi 1846, p. 96ss., ahora en: OE II, 6ss.

2° El juicio, en realidad, era el que don Bosco decía haber escuchado de labios de su compañero Comollo, y formaba parte de la división con que éste había clasificado a los clérigos, según
Es fácil suponer que ésta fuera también la apreciación de don Bosco. De las Memorie dell' Oratorio parecería desprenderse que a esa clasificación de los jóvenes según las tres categorías recordadas, don Bosco había llegado, por su cuenta, al valorar a sus compañeros de latinidad, durante los años de los estudios secundarios en Chieti (cf. MO 50-51). Sobre el juicio bastante crítico que, en los primeros años 40, emitía sobre el seminario y sobre sus moradores, se puede ver también el testimonio acerca de su compañero G. Burzio, en el que sostiene que un buen seminarista debería tener, con los ojos de la paloma, la sagacidad de la serpiente, si desea salir inmune «da' scogli nascosti a flor d'acqua, che nel porto medesinio potrebbero delle volte presentare il naufragio e la morte» (OE II, 8-9). Entre estos «scogli», don Bosco ponía en primer lugar el de los malos compañeros.

21 Sobre los años pasados por don Bosco en el Convitto, cf. STELLA, Don Bosco I, p. 85ss.

22 Sobre las relaciones de don Bosco con San Alfonso, cf. STELLA, Don Bosco I, p. 87ss.;
M. MARCOCCITE, Alle radici della spilitualitá di don Bosco, en este mismo volumen. Sobre los contactos de don Bosco con el pensamiento de San Felipe Neri y de San Francisco de Sales, cf. BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 306-307.

ayudarle a fijar las lineas fundamentales de su apostolado. Impulsado a salir de las abstractas diatribas doctrinales para confrontarse con las exigencias de la concreta cura de almas, don Bosco comprendió que, en vista de la gloria de Dios, lo que contaba no era la adopción de una doctrina teológica en lugar de otra, sino más bien la ayuda efectiva que, como sacerdote, era capaz de dar a las personas.

En octubre de 1841, terminada su práctica pastoral en el Convitto, llegó a ser capellán de la «Opera Pia del Rifugio» de la marquesa Barolo, y tuvo la posibilidad de dar a sus encuentros dominicales con los jóvenes una organización más estable: fue precisamente durante el período del Refugio cuando don Bosco comenzó a designar su obra con el nombre de «Oratorio di San Francesco di Sales». La actividad que fue desarrollando (de acuerdo con una fórmula que unía siempre a la explicación del catecismo pasatiempos alegres y entretenidos, además de momentos de verdadera y propia instrucción), debía confirmarlo en la persuasión de que sólo viviendo con los muchachos y cuidándose de ellos era posible conducirlos a pensar en las cosas del cielo 23 Es decir, don Bosco se daba cuenta de que un punto esencial de su acción era hacer comprender a sus jóvenes que habían encontrado un «amigo», una persona de quien se podían fiar y a la que era posible abrir el propio corazón. En aquel momento, cuando los muchachos se sintiesen circundados de profundo afecto y sincera solidadaridad humana, el problema de su recuperación resultaría menos difícil: «Fue entonces — diría más tarde refiriéndose a aquellas primeras experiencias — cuando yo palpé con la mano que los jóvenes salidos del lugar de castigo, si encuentran una mano benévola, que cuide de ellos, los asista en los días festivos, trate de colocarlos a trabajar con algún honesto patrón, yéndolos a visitar alguna vez a lo largo de la semana, estos jóvenes comenzaban una vida honrada, olvidando el pasado, llegaban a ser buenos y honestos ciudadanos ».24
Los historiadores se han preguntado si don Bosco adquirió esta idea de prevención en un sentido más marcadamente promocional impulsado por alguna fuente precisa. Se puede decir, sin más, que la profundización del apostolado de un San Felipe Neri o de un San Francisco de Sales no podía dejarlo indiferente, sobre todo, por las orientaciones que daban sobre aspectos como la alegría, puesta por San Felipe Neri en el centro de su propia visión educativa, o como la dulzura y caridad, que San Francisco de Sales tanto recomendaba a los que se preparaban a comenzar su trabajo en la cura de almas.23
23 Por lo que se refiere a la instrucción propiamente dicha, don Bosco comenzó organizando los domingos un breve encuentro instructivo encaminado a impartir a los muchachos los primeros rudimentos de la lectura y escritura: en los Cenni storici se lee que la «scuola domenicale» se inició en el 1845, pero Braido opina que esta fecha habría que retrasarla un año (cf. BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 68).

24 MO 127.

" Don Bosco hacía, en su Storia ecclesiastica, algunas alusiones a san Felipe Neri y a San Junto a estos maestros de la espiritualidad, don Bosco tuvo también seguramente presentes algunos autores de la literatura ascético-pedagógica menor, de la cual la Iglesia se servía (y no sólo desde entonces), para difundir en medio del pueblo el culto de las verdades y de las virtudes cristianas. P. Stella ha verificado que, entre las fuentes del Giovane provveduto — redactado por don Bosco en 1847 para ayudar a sus muchachos a vivir como cristianos" —, hay que poner una obrita de Gobinet, autor de diversos escritos devocionales profundamente empapados del espíritu de San Francisco de Sales." Pero en la base de la reflexión y de la praxis de don Bosco, ocupado en consolidar su Oratorio, se pueden encontrar también analogías y coincidencias con obras de autores y ambientes contemporáneos. Piénsese, por ejemplo, en la propuesta pedagógica de los hermanos de las Escuelas Cristianas, a la enseñanza de Aporti, a las temáticas de los educadores y de los pedagogos que se agrupaban en torno a la revista «L'Educatore Primario». Podríamos decir que se trata de todo un movimiento que, aun sin llevar adelante una acción programática-mente coordenada, estaba poniendo de relieve la importancia de la educación popular y subrayando la urgencia de una obra de formación que, antes de castigar y reprimir, debería evitar que los muchachos cometiesen el error.28 Sin embargo, P. Braido ha mostrado que, aparte algunas relevantes coincidencias, no existe una documentación que permita hablar de una directa dependencia entre don Bosco y aquellos autores o grupos, con algunos de los cuales man
Francisco de Sales, así como a otros apóstoles surgidos después del concilio de Trento (OE I). Son significativos los rasgos con que fueron caracterizados los dos santos: «Correva per le piazze, per le contrade raccogliendo specialmente i ragazzi i piú abbandonati, i quali radunava in qualche luogo, dove con lepidezze ed innocenti divertimenti li teneva lontani dalla corruzione del secolo, e li istruiva nelle veritá della fede» (Ibid., p. 473); de San Francisco de Sales: «Spinto dalla voce di Dío che lo chiamava a cose grandi; colle sole armi della dolcezza e carita si parte per Chiablese. Alla vista delle chiese abbattute, dei monasteri distrutti, delle croci rovesciate, tutto s'accende di zelo e comincia il suo apostolato» (Ibid., p. 479-480). En las Memorie dell'Oratorio, indicando las razones por que había decidido designar su obra con el nombre de San Francisco de Sales, precisaba que lo había hecho, entre otras cosas, para que este santo «ci ottenesse da Dio la grazia di - poterlo imitare nella sua straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle anime» (MO 141).

26 G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli esercizi di cristiana pietá per la recita dell'Uffizio della Beata Vergine e de' principal:* vespri dell'anno coll'aggiunta di una scelta di laudi sacre ecc., Torino, Paravia 1847, ahora en: OE II, 183-532.

27 La obra en cuestión de Gobinet es Instruction de la jeunesse en la piété chrétienne..., publicada por primera vez en 1655, y destinada a convenirse, muy pronto, en un libro de espiritualidad juvenil muy difundido. De las varias traducciones italianas recordamos: P. GOBINET, Istruzione della Gioventú nella pietá cristiana, Tocino, Associazione prenso i librai Maspero e Sena 1831 (que constituía el vol. 23 de la «Scelta biblioteca economica d'opere di religione»). Sobre las relaciones entre el Giovane provveduto y el escrito de Gobinet, cf. P. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco, Roma, Scuola Grafica Borgo Ragazzi Don Bosco 1960.

28 Cf. a este propósito: P. BRAMO, Stili di educazione popolare cristiana alíe soglie del 1848, en: Pedagogia fra tradizione e innovazione, Milano, Vita e pensiero, 1979, p. 383-404; BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 310-313; G. CHIOSSO, L'Oratorio di don Bosco, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 83-116.

tuvo relaciones." Obviamente, de este hecho no es licito concluir que él haya elaborado sus convicciones educativas a partir de su sola experiencia, alimentada a lo sumo con las tradiciones espirituales y ascéticas aludidas más arriba. Las analogías recordadas indican que don Bosco participaba, por lo menos, de un mismo clima cultural.

De todos modos, es cierto que, al final de los arios 40, el sacerdote piamontés se acercaba a una visión más serena.cle la juventud, aunque sin caer en cierto optimismo rousseauniano; acerca del cual, por el contrario, continuó manteniendo con firmeza sus reservas. Es fácil poner de relieve en Ii giovane provveduto que don Bosco estaba madurando aquella visión más serena, en estrecha relación con la perspectiva teológica fundada sobre un Dios que — en modo diverso del conocido a través de las doctrinas rigoristas del seminario —, asumía cada vez más la imagen de un padre bueno, deseoso de ayudar a los hijos a lograr la propia salvación. En el cuadro de tal concepción, don Bosco afirmaba así: «Convencidos, queridos hijitos, de que todos hemos sido creados para el paraíso, debemos dirigir todas nuestras acciones a este fin. A esto os debe mover especialmente el gran amor que Dios os tiene. Aunque Él ame a todos los hombres, como obra de sus manos, tiene, sin embargo, un amor especial para los jovencitos, en los cuales encuentra sus delicias: Delíciae meae esse cum filiis hominum. Por lo tanto sois la delicia y el amor de aquel Dios que os creó. Él os ama porque estáis todavía a tiempo para hacer muchas obras buenas; os ama porque estáis en una edad sencilla, humilde, inocente, y, en general, no habéis sido todavía presa infeliz del enemigo infernal»."
La base sobre la que don Bosco habría edificado su concepción preventiva estaba ya puesta. Si la juventud se presentaba no sólo como la parte de humanidad más amada por. Dios, sino también como el tiempo más precioso para ganarse el paraíso, los adultos tenían la delicada tarea de acercarse con caridad paterna y con razonable solicitud a los jóvenes para sostenerlos en su fragilidad y, con la ayuda de la gracia, hacer crecer en sus corazones el amor de la virtud y de la vida cristiana. Con otras palabras, la propuesta hacia la que don Bosco se estaba encaminando era una propuesta educativa que, aun sin desconocer la importancia del sostén de las estructruras sociales, buscaba, ante todo, consolidar las energías interiores de cada muchacho, de modo que fuese puesto, gradualmente, en la condición de discernir y querer el bien.

29 Éste no comparte, por tanto, la posición de quien, como A. Caviglia, ha llegado a sostener que don Bosco vendría a depender de las perspectivas pedagógicas de los hermanos de las Escuelas Cristianas y de los pedagogos que se agrupaban en torno a «L'Educatore Primario» (cf. BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 310).

30 OE IL 190-191.

2. En el clima de las tensiones políticas y de la propaganda antirreligiosa


Mientras tanto, en el año 1846, el Oratorio había encontrado su lugar definitivo en Valdocco, zona periférica de la ciudad de Turín, y podía por tanto enriquecerse con nuevas actividades. En el invierno de dicho año, dándose cuenta de que los primeros rudimentos de lectura y escritura, que se impartían a los muchachos los días de fiesta, eran excesivamente irregulares y no podían producir frutos duraderos, don Bosco decidió organizar las escuelas nocturnas, con la enseñanza de la lectura y escritura, y, más tarde, de la aritmética y del dibujo.3' Al principio, el momento instructivo nació claramente en apoyo de la formación religiosa propiamente dicha; pero bastante pronto se cargó de un valor humano propio, porque permitía a los muchachos una mejor integración no sólo con la religión sino con la sociedad. Que el crecimiento espiritual debía concebirse enramado en el crecimiento de todo el hombre era, por otra parte, una convicción del mismo don Bosco, quien, desde el 47, había afirmado que, siguiendo el método que les había propuesto, los jóvenes, antes que «afortunados moradores del cielo», llegarían a ser «el consuelo de los [...] parientes, el honor de la patria, buenos ciudadanos en la tierra».32
Desde esta óptica se explica también la preocupación con la que él trataba de procurar a cada uno de sus muchachos un trabajo, de modo que, arrancados del ocio, tuviesen la posibilidad de llenar dignamente la vida y sentirse miembros activos de la sociedad civil. Don Bosco avanzaba, cada día más, hacia una concepción que conjugaba una intensa inspiración religiosa fundamental con una fuerte atención a los valores humanos. Es posible, sin duda, decir que, desde los comienzos, su proyecto tendía a dar a sus jóvenes todo lo que necesitasen: ante todo, los instrumentos para desarrrollar su vida de fe; pero, al mismo tiempo, ayuda material, trabajo, amistad, cuidado de su salud, consejos, momentos de diversión y de alegría.33 Naturalmente este «programma globale d'intervento» llegó a ser relativamente más realizable, cuando pudo contar con una morada que, si bien al principio era muy modesta, tenía de todos modos la ventaja de ofrecer un apoyo estable y seguro. Con la primavera de 1847, aprovechando la disponibilidad de la casa, don Bosco dio también alojamiento a algunos muchachos. Desde aquel momento Valdocco, junto al oratorio festivo y las escuelas nocturnas, disponía de un hospicio que permitiría a un cierto número de jóvenes ir durante el día a la ciudad, para trabajar en diversos talleres o para estudiar en casa de algunos profesores privados, y volver por la tarde al Oratorio, donde, gracias también a la activa y amable presencia de la madre de don Bosco, encontraban el calor de una verdadera familia.

31 Sobre la fecha (1846), indicada como el comienzo de las escuelas nocturnas, cf. el testimonio del mismo don Bosco en Cenni storici, en: BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 72; pero, en las Memorie dell'Oratorio, había hablado del invierno de 1845-1846 (y Ceda había llegado hasta a adelantar la fecha del comienzo al año 1844) (cf. MO 150-151). Según Braido, las escuelas nocturnas de don Bosco comenzaron, muy probablemente, en el invierno de 1846-47 (Don Bosco nella Chiesa, p. 72).

" OE II, 187.

" Braido, al resaltar esta labor de sostén integral, habla de «programma globale d'intervento» (BRAmo, II progetto operativo, p. 9).

Para comprender la importancia que en la estrategia del sacerdote piamontés iba a adquirir progresivamente la fórmula del hospicio — y del colegio, como veremos —, es necesario no olvidar las vicisitudes políticas de los últimos años 40. P. Stella no excluye que, en los primeros meses de 1848, don Bosco se dejara tentar por cierta simpatía neogüelfa, en un momento en que «la mayoría del clero (y también de prelados que después se separaron de la causa nacional y se mostraron intransigentes) se adhirió al neogüelfismo y aplaudió la guerra de la independencia».34 Para apoyar esta no abstracta hipótesis, se pueden aducir no sólo el adjetivo «grande» atribuido por don Bosco a Gioberti en la nueva edición de su Storia ecclesiastica publicada en 1848,35 sino también algunas ideas que se pueden encontrar en el primer número del «Amico della Gioventá», un periódico político-religioso que el sacerdote piamontés comenzó a publicar a partir del mes de octubre de 1848.36En un artículo titulado Religione e liberta — que apareció anónimo, pero que, si no de don Bosco, fue publicado verosímilmente con su aprobación37 —, se sostenía la tesis, según la cual, la Iglesia, diversamente a lo que los adversarios querían hacer creer, no odiaba ni el progreso ni el sentimiento nacional: «En suma, cada día aparece más claro que catolicismo, progreso y nacionalidad son reconciliables entre sí más de lo que parece a primera vista; que los dos últimos encontraron ventajas en el primero, y que a él deben dirigirse todavía si quieren obtener su triun fo».38 Pero si nutrió alguna simpatía neogüelfa, la abandonó bien pronto, y comenzó a temer que la abolición de la censura (30 octubre 1847), la concesión del Estatuto (4 marzo 1848) y, sobre todo, la equiparación de los valdenses (17 febrero 1848) y de los hebreos (29 marzo 1848) a los demás ciudadanos en gozar de los derechos civiles39 fueran las señales premonitoras de algunas transformaciones políticas gravemente dañosas para la religión católica. Don Bosco tuvo la impresión de que, bajo el influjo de los enemigos del catolicismo, el Estado se estuviese alejando de la línea con la que hasta entonces había tate- lado premurosamente a la Iglesia, recibiendo en cambio de ella el más leal apoyo. La introducción de otra serie de reformas, a partir de la abolición en 1850 del foro eclesiástico, y la adopción de algunas medidas, como la expulSión en el mismo año 1850 de mons. Fransoni, arzobispo de Turín, debía transformar aquella impresión en amarga convicción.4° Desde aquel momento, don Bosco, más allá de sus declaraciones de ser ajeno a la política, vivió con la nostalgia de la organización político-social del Anden Régime: una nostalgia no sin consecuencias, si se tiene presente que don Bosco quedaría ligado tanto a la idea de una estrecha integración entre trono y altar, como a la visión de una sociedad organizada jerárquicamente.

" STELLA, Don Bosco II, p. 78.

" Al introducir un elogio de Pío IX, don Bosco escribía: «I sovrani impararono da lui [da Pio IX] il yero modo di governare i popoli. La sola sua presenza forma la meraviglia di chi lo pub vedere. II gran Gioberti chisma il giorno che lo vide il piii bello di sua vita» (G. Bosco, Storia ecclesiastica per uso delle scuole utile ad ogni stato di persone, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1848, p. 182). En la edición siguiente, publicada por don Bosco en 1870, la referencia a Gioberti ya no apareció.

36 El periódico no tuvo mucho éxito y en el mes de mayo de 1849, después del fascículo
LXI, se fundió con «L'Istruttore del Popolo» (STELLA, Don Bosco II, p. 78-79).

37 El artículo se puede consultar en el último volumen de las Opere edite, publicado recientemente: OE XXXVIII, 291-292.

" OE XXXVIII, 292. En el artículo se emitía, entre otros, un juicio lisonjero sobre la juventud: «In simile stato di cose, dedicad al bene della gioventú, abbiamo ideato di rivolgersi a questa bella eta delle speranze, invitandola a voler usare pienamente di sua liberta» (Ibid.). El juicio reflejaba lo que la Dirección de «L'Amico della Gioventú» escribía en el editorial del mismo número, titulado «Programma» (se puede ver en: OE XXXVIII, 289-290). Al hacer una llamada a los lectores, para que colaborasen en la obra que iba a emprender, la Dirección observaba en efecto: «[La gioventú] é la porzione piú favorita del genere umano, sopra cui si fondano le speranze della patria, il sostegno delle famiglie, l'onore della Religione e dello Stato» (Ibid.). En modo análogo se expresaba don Bosco en un Avviso sacro difundido por él en aquellos mismos meses: «La porzione dell'umana societá, su cui sono fondate le speranze del presente e dell'avvenire, la porzione degna dei piú attenti riguardi é, dubbio, la gioventù» (MB 111, 605).

Pero el motivo por el cual más se angustió, después del 48-49, fue la activa propaganda con la cual los valdenses, aprovechando los nuevos espacios de libertad, trataban de ampliar la propia presencia en medio de la gente. Piénsese en lo que don Bosco debió probar en 1851 cuando en el barrio de Porta Nuova, donde había dado vida a otro Oratorio titulado de «San Luigi», vio surgir el templo valdense. Los escritos compuestos por él en este período — de los Avvisi az' cattolici a Il cattolico istruito41 — reflejan la viva preocupación con la que el autor seguía el proselitismo actuado entonces por los valdenses
" Los valdenses obtuvieron su emancipación en virtud de las «Regie lettere patenti» del 17 de febrero 1828; los judíos en virtud del regio decreto del 29 de marzo 1848. Pero la equiparación de los ciudadanos no católicos iba a tener, no mucho más tarde, una ulterior y más solemne confirmación. En efecto, el 19 de junio de 1848 era emanada una ley cuyo artículo único establecía que la diferencia de culto ya no constituiría «eccezione al godimento dei cifrad civil e politici e all'ammissibilitá alle caniche civili e militad». Sobre la emancipación de los valdenses y de los judíos, cf. G. SPINI, Risorgimento e protestanti, Napoli 1956; S. FoA, Gli ebrei nel Risorgimento, Roma/Assisi 1978.

4' Para conocer el pensamiento de don Bosco sobre el 48, cf. lo que él iba escribir más tarde en: G. Bosco, La storia d'Italia raccontata alla gioventú da' suoi primi abitatori sino ai nostri giorni, Torino, Paravia 1855, ahora en: OE VII, 1-558 y en: MO 204ss.; sobre la reconstrucción de aquellos acontecimientos hecha por don Bosco, sobre todo en las páginas de la Storia d'Italia,
cf. F. TRANIELLO, Don Bosco e l'educazione giovanile: la «Storia d'Italia», en: TRANDELL0 (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 81-111.

" G. Bosco, La Chiesa cattolica-apostolica-romana é la sola vera Chiesa di Gesti Cristo. Avvisi ai cattolici, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1850, ahora en: OE IV, 121-143; G. Bosco, II cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo, Torino, De Agostini 1853, ahora en: OE IV, 195-646.

en Piamonte. Don Bosco juzgaba al protestantismo no sólo como una herejía religiosa — que, según la apologética del Setecientos, consideraba más como fruto de inmoralidad, de las costumbres que de apostasía de la razón42 —, sino también como un fenómeno político que tendía a desquiciar toda legítima autoridad. Es sintomática, a este propósito, la presentación que él hacía de las consecuencias que, a su entender, producía el principio del libre examen: «El decir: haceos una religión a voluntad, es como decir: haced lo que queráis; robad, desobedeced, matad a vuestro rey, a los ministros, y a todo el que aparezca culpable a vuestros ojos, vosotros obraréis ciertamente bien, con tal de que creáis hacer buenas acciones».43 En el curso dé su campaña contra las «sectas», don Bosco tendía, por tanto, a identificar el protestantismo con la «revolución» y a presentar, por el contrario, el catolicismo como la religión que concurriría a instaurar la pacífica convivencia de todos."
En este contexto cobra nueva luz la importancia que en la praxis pedagógica del educador piamontés adquiría su hospicio. Este debería servir para contener los influjos negativos que, durante el día, habrían podido alcanzar a los jóvenes a través de las personas con que se encontraban, de las conversaciones que oían, de la prensa que corrían el peligro de tener entre manos. No carece de significado el que entonces don Bosco decidiese dirigir a los huéspedes un «brevísimo sermoncito por las noches después de las oraciones con el fin de exponer o confirmar alguna verdad que por ventura hubiese sido contradicha en el curso de la jornada»." Entre los años 1851 y 1853, Valdocco se enriquecía con la iglesia de San Francisco de Sales y con un nuevo edificio destinado a habitaciones: en 1853 los huéspedes de la casa eran cerca de unos veinte y comprendían, además de los artesanos y estudiantes, diversos clérigos que, al ser cerrado el seminario diocesano por la guerrra de independencia, don Bosco muy gustosamente había acogido en su casa, poniendo en marcha una nueva experiencia educativa." Como es fácil advertir, el Oratorio de don Bosco era ya una cosa bien diversa del simple encuentro dominical de los primeros años 40. Pero detrás de la evolución de las estructuras, había un cambio más profundo. Solicitado por el empuje de los acontecimientos de 1848, don Bosco empezó a revisar la concepción con la que, hasta entonces, había pensado que debía salvar para la sociedad a los muchachos abandonados de los que se venía ocupando. Es decir, tomaba cuerpo en él la idea de que eran los jóvenes — los jóvenes en general y no sólo los pobres y abandonados — los que tenían que ser puestos al abrigo de los influjos negativos de la realidad social. En esta óptica, el hospicio era solamente una etapa.

42 STELLA, Don Bosco II, p. 47ss. 45 OE 590.

" STELLA, Don Bosco II, p. 81ss. 45 MO 205.

46 Don Bosco se complacía diciendo que, después de 1848, el Oratorio se convirtió por casi veinte años en el seminario diocesano (MO 212).

En efecto, en 1853, pudiendo contar con un mayor número de locales, don Bosco creaba en Valdocco los primeros talleres (de zapateros y sastres) — a los que, a lo largo de unos diez años se habrían de añadir otros cuatro (de encuadernadores, carpinteros, tipógrafos y forjadores) —, y en 1855 instituía la tercera clase gimnasia! — que a la vuelta de cuatro años estaría integrada por las clases restantes hasta completar un curso gimnasia! completo. Después de estas medidas, el hospicio se transformaba en verdadero internado, en el que los muchachos tenían la posibilidad de dormir, comer y trabajar o estudiar. La progresiva transformación de Valdocco — que conservó de todos modos el Oratorio festivo —, se actuó también para dar una respuesta a algunas exigencias muy concretas como, por ejemplo, la necesidad de proporcionar a los huéspedes del Oratorio vestidos y calzado, o la oportunidad de acompañar el trabajo de escritor y de editor de don Bosco con un taller de encuadernación y con una tipografía.47 Pero en la base de esta evolución estaba, ante todo, la intención de proteger a los jóvenes de los peligros de una sociedad cuya obra, a los ojos de don Bosco, se hacía cada vez más perniciosa para la integridad de la vida moral y religiosa, en particular de aquellos en quienes no habían madurado todavía la fuerza de carácter y la solidez de convicciones.

Hacia la mitad de los años 50, don Bosco había esbozado ya las estructuras de las que se serviría definitivamente en su estrategia educativa. Y sería interesante estudiar detenidamente los documentos y reflexiones que elaboró en aquel período para encuadrar la praxis cotidiana. Pensamos, por ejemplo, en-el conjunto de reglamentos redactados a partir de 1852, en la Introduzione y el Cenno storico ya recordados, en la conversación con U. Rattazzi de 1854; aunque, en realidad, el contenido de tal conversación fuera publicado en el «Bollettino Salesiano» del 1882 y se le pudieran, por tanto, añadir valoraciones y juicios posteriores.48 Para los fines de nuestro discurso pueden bastar, quizás, algunas simples alusiones.

De estos y de otros documentos resulta confirmada, por de pronto, la idea positiva que mientras tanto don Bosco se había formado acerca de la juventud: «porción la más delicada y la más preciosa»,48 «no mala de por sí»,5° que se podía estropear «por inconsideración [...] no por malicia consumada»." En la citada Introduzione el sacerdote piamontés llegaba, por tanto, a sostener que, quitados algunos obstáculos — como «la negligencia de los padres» [o bien la falta de afecto, el abandono], «el ocio» y los «malos compañeros» sería «facilísima cosa» educar a los jóvenes e «insinuar en sus tiernos corazones los principios del orden, de las buenas costumbres, del respeto, de la religión.».52

47 Sobre las razones que indujeron a don Bosco a implantar, en Valdocco, los diversos talleres me permito remitir a: PAZZAGLIA, Apprendistato, p. 20ss.

48 El texto ha sido publicado recientemente por: A. FERREIRA DA SILVA, Conversazione con
Urbano Rattazzi, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 55-69.

49 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 34.

50 BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 39.

51 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 35.

52 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 34-35.

La rapida definizione che Don Bosco, nel contesto del suo ottimismo pedagogico, diede all'educazione, merita di essere indicata e confrontata con ciò che egli stesso osservò nel 1854, nel corso della conversazione con Rattazzi. In questa circostanza, opponendosi ai metodi "repressivo" e "preventivo" secondo una terminologia che, tuttavia, non poteva ancora utilizzare al momento del suo incontro con il politico - Don Bosco ha spiegato quale era l'azione preventiva: "Prima di tutto qui si cerca di infondere nei cuori dei giovani un santo timore di Dio; Sono ispirati dall'amore per la virtù e l'orrore del vizio, con l'insegnamento del catechismo e con appropriate istruzioni morali; si stabiliscono e si sostengono nella via del bene con opportuni e benevoli ammonimenti, e specialmente con le pratiche di pietà e religione ». 53 Certamente questa deficienza di educazione era più precisa di quella che abbiamo osservato nell'Introduzione; ma sia l'uno che l'altro sono ispirati dallo stesso principio. Don Bosco ha iniziato dalla convinzione che, se fosse davvero importante trovare luoghi in cui "si riuniscono" il giovane, il più positivo e costruttivo di una parte prevenire è stato fatto da semina - "insinuare", "infondere" - nella mente dei giovani i principi naturali e soprannaturali. In questa prospettiva, si riesce anche a dare una più precisa a tale contesto di ampia libertà che, come si legge nella storico Cenno contorno, egli ha sostenuto che aveva fatto all'Oratorio anche se, soprattutto all'inizio, le cose non hanno fatto non era riuscito a procurare, da circoli conservatori, l'accusa di istruire i giovani con "massime sospettose":


3. L'oratorio festivo e la scuola: due sistemi educativi


Potremmo dire che, verso la metà degli anni '50, Don Bosco era venuto a definire non solo i "luoghi", ma anche i principi chiave di ciò che il suo sforzo educativo dovrebbe essere. Naturalmente, per sapere meglio in che modo ha partecipato alla realizzazione di tale sforzo, sarebbe necessario iniziare un'attenta analisi del suo lavoro, tanto più che, secondo lui, una corretta strategia educativa dovrebbe adattarsi alle esigenze specifiche di ogni situazione. Infatti, procedendo con la realizzazione del suo progetto, Don Bosco seguì due sistemi: quello dell'Oratorio festivo, che per quanto riguarda i primi incontri improvvisati domenicali aveva acquisito una maggiore continuità, diventando, di fatto, quotidiano; e il sistema scolastico, la nuova istituzione che, sebbene fosse operativa dal 1853 con i primi due seminari, è stato delineato in modo chiaro e preciso solo dopo l'inizio del ciclo completo di ginnastica. Ma per avere un quadro più completo, sarebbe opportuno per noi tenere conto di un'ulteriore divisione all'interno del sistema scolastico, poiché Don Bosco, nonostante aderisse agli stessi principi, adottò linee diverse, a seconda che fossero artigiani, studenti o chierici. gli studenti; Soprattutto, quando sono state istituite tutte e cinque le classi di ginnastica, è stato necessario lasciare il clima di semplicità seguito fino ad allora e introdurre una regolamentazione più esigente e puntuale di ciascuna delle sezioni. Essendo impossibile, in questo momento, fare un esame dettagliato dei vari itinerari educativi attraversati da Don Bosco,

53 Bosco, Scritti pedagogici, p. 65. E Rattazzi continuando ad illustrare il carattere del lavoro educativo ispirato al criterio di prevenzione vera e propria, Don Bosco ha aggiunto: "Oltre a zio, se circondano [i ragazzi], per Quanto é possibile, di Assistenza in un'amorevole ricreazione, nella scuola, sul lavoro; s'incoraggiano con parole di benevolpn? a, e non Appena vederlo di dimenticare i proprii Doveri, pappagallo se Ricordano Bel se la modalità richiamano e Sani Consigli. In una Parola se ci si sintonizza Usano industrie, Che suggerisce Christian Carità, affinche Facciano Il Bene e fuggano principio maschile per il dato un illuminata Coscienza e Dalla sorretta Religione "(Ibid., Pag 65-66).

54 BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 45.

Per quanto riguarda la concezione che nel bel mezzo della sua attività, aveva maturato nel corso l'Oratorio di festa, vale la pena di esaminare il primo Regolamento dell'Oratorio, seguendo il modello di alcuni regolamenti oratori milanesi, Don Bosco ha iniziato a sviluppare intorno al 1852, con appunto l'intenzione di ordinare l'afflusso di giovani che frequentavano Valdocco la domenica e nei giorni feriali nel pomeriggio. Questi giovani, dopo l'introduzione del collegio, sarebbe chiamato "esterno" .55 Il regolamento ha dichiarato che lo scopo del Oratorio era "intrattenere i giovani durante le vacanze con la ricreazione gentile e onesto dopo aver frequentato le funzioni sacre la chiesa ».56 Mettendo in guardia contro un'interpretazione seduttiva di tale concezione, P. Braido ha scritto che Don Bosco aveva in mente non un semplice "Ricreatorio" o "ritrovo giovanile", ma una "Scuola d'Istruzione, Pratica di ISPIRAZIONE religiosa e cristiana di Alla Vita" 57 La scuola termine dovrebbero prendere, ovviamente, in nessun senso letterale, perché se è vero che alcuni scolastici stessi momenti sono stati anticipati, la formazione di coloro che frequentavano l'Oratorio doveva avvenire in modo informale e in linea con quanto sempre è stato suggerito dalle circostanze e dalla creatività degli educatori . In breve, ciò che pensava don Bosco era un "ambiente" allegra e serena insegnando che, per rendere fruttuose le varie opportunità - scuola, gioco, teatro, escursioni a piedi -, sapeva offrire ragazzi un solido sostegno per il loro morale, crescita spirituale e religiosa. La struttura che dovrebbe favorire il raggiungimento di questo obiettivo è stata, piuttosto, articolata. Infatti, accanto al regista ("il superiore principale, che è responsabile di tutto ciò che accade nell'oratorio"), il regolamento mette un gruppo di collaboratori più diretti - dal prefetto al direttore spirituale - che, per le sue delicate responsabilità potevano essere solo sacerdoti, e un altro gruppo di assistenti - assistenti, sacrestani, osservatori, catechisti, bibliotecari - alcuni dei quali sarebbero stati scelti tra i giovani più capaci ed esemplari.

55, questo Regolamento è stato pubblicato da Lemoyne in: MB III, 91-92.98-108. Secondo il biografo salesiano, la stesura della scrittura sarebbe già stata fatta, in gran parte, nel 1847; ma è molto probabile che, come sostiene P. Braido, tale redazione sia stata fatta intorno all'anno 1852 (vedi BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p.36). Il testo finale del Regolamento per gli esterni fu pubblicato nel 1877: Regolamento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per esterni, Torino, Tipografia salesiana 1877, ora in: OE XXEX, 3 1-92.

56 MB DI, 91.

57 P. BRAMO, II sistema preventivo di Don Bosco, Zurigo, PAS Verlag 1964, p. 322. Nell'oratorio festivo, vedi cosa è stato scritto da BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 160ss.

Don Bosco era convinto che per entrare in all'Oratorio di festa dovrebbe o esercitare un mestiere o di avere almeno l'intenzione di esercitarla: "Chi erano lasciato libero e il lavoro malattia può andare al Protettori, e saranno aiutati da loro" 58 Non sorprende che l'attività lavorativa fosse così importante agli occhi del prete piemontese. Questo, fedele a un'idea che era molto cara, indicato nel regolamento di esterno che per il tempo libero e la disoccupazione genererebbe tutti i vizi e ogni sorta di inutile sarebbe religiosa.59 istruzione è chiaro, tuttavia, che con le nuove disposizioni l'Oratorio tendeva ad essere caratterizzato con caratteristiche diverse rispetto a quello delle origini. Infatti, mentre all'inizio era stato concepito - come si è visto - per aiutare, principalmente ma non esclusivamente, ai ragazzi lasciati in prigione e abbandonati a se stessi, l'Oratorio divenne ora un servizio aperto a tutti i giovani che, impegnati in qualche attività, desiderano utilizzare il loro tempo libero in modo positivo. La trasformazione non era una cosa secondaria. Molto probabilmente tale trasformazione è dovuta al fatto che, quando Don Bosco propose la diretta integrazione dei suoi ragazzi nella vita lavorativa, l'oratorio era diventato sempre più frequentato da giovani artigiani; ma non è da escludere che la nuova apertura nascono anche dalle riflessioni praticati che, di fronte al mutato contesto culturale, il sacerdote piemontese considerato non più offrire sostegno urgente una particolare porzione di giovani, ma i giovani in generale, sono stati studenti o apprendisti.6 Sarà necessario, tuttavia, aggiungere che,

58 MB 111, 92.

"MB 111, 92. Sul contrasto stabilito da don Bosco tra lavoro e vita
di inattività, ho avuto l' opportunità di impegnarsi nel citato seminario di studio di Venezia, una comunicazione: Il lavoro pedagogica nell'esperienza tema, pubblicato in: NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, pp. 113-131.

60 Nello stesso Regolamento affermava di essere particolarmente presenti «i giovanetti,
Concepito già in funzione dei settori giovanili sempre più ampi l'oratorio festivo, di fronte ai suoi ospiti, avrebbe adottato uno spirito di grande comprensione. Il regolamento ha dichiarato che le porte erano aperte anche ai più irritabile, se non scandalo diesen e confermare che si potrà osservare una condotta mejor.6 'è la tolleranza dichiarata non deve credere che don Bosco avrebbe fatto l'ipotesi di una proposta educativa flaccido e im .. preciso. L'elemento attorno al quale ruoterebbe il lavoro dell'Oratorio era quello religioso. Nel delineare la figura del direttore, il regolamento ha dichiarato: "Questo dovrebbe essere come un padre tra i suoi figli, e mettere a punto tutti i modi possibili per insinuare nei giovani cuori l'amore di Dio, il rispetto per le cose sacre, la frequenza dei Sacramenti, filiale devozione a Maria" .62 Gli sforzi educativi della regista dovrebbe essere considerata, ovviamente, finalizzato alla Oratorio nel suo complesso: tutto dovrebbe partecipare non solo per promuovere la conoscenza delle verità cristiane, ma anche per promuovere la loro applicazione in vita di tutti i giorni Per capire fino a che punto si è radicata nella preoccupazione di Don Bosco per vedere i loro ragazzi a possedere quelle verità, è sufficiente rivedere la narrazione, da lui pubblicato nel 1855, La forza della buona educazione; anche se la prima parte era traduzione in realtà quasi letterale di un francesa.63 obrita Don Bosco è stato lieto di notare che il giovane protagonista, Pietro, che nella storia è stato presentato proprio come allievo dell'Oratorio di Valdocco, ha avuto stato operai, io quali nei giorni festeggiamo un grandi pericoli morali e corporali "; ma non escludono "gli studenti, nei giorni festivi o nei giorni di vacan? a vi volessi intervenire" (MB la, 91). D'altra parte, gli studenti erano venuti a Valdocco da molto tempo, anche se con uno scopo speciale. E 'noto che fin dall'inizio, don Bosco aveva invitato "Giovani di buona condotta È già istruiti" (MO 128), che, oltre a mantenere l'ordine, aiutarlo a leggere e cantare canti sacri.

61 MB III, 92.

62 MB Hl, 98.

63 G. Bosco, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo, Torino, Paravia 1855, ahora en: OE VI, 275-386. En la presentación, don Bosco declaraba que había utilizado un escrito francés titulado: Un mari comme il y en a beaucoup, une femme comme il y en a peu. De esta obrita, publicada anónima, pero nacida, quizás, en los ambientes de los hermanos de las Escuelas Cristianas, P. Stella ha encontrado una edición de 1869 (Caen, Chénel Librairie 1869, 7' ed.), puesta, amablemente, a mi disposición. La comparación de Un mari con La forza della buona educazione permite establecer que los seis primeros capítulos de la segunda constituyen la traducción de toda la obrita francesa. Es probable que los capítulos restantes (aquellos en que se acompaña a Pietro, el joven protagonista, desde el día de la primera comunión hasta el servicio militar) sea obra de don Bosco. Hay que decir además que también en la parte simplemente traducida, se pueden encontrar algunas añadiduras o variantes, a veces no sólo marginales. Por ejemplo, a lo largo del dialogo en que la madre recomienda a Pietro referirle, todas las tardes, las conversaciones tenidas con los compañeros de trabajo, don Bosco añade una nota típica de su visión pedagógica: «Cosí — decía precisamente la madre al hijo — io potró sempre darti buoni consigli intorno a ció che devi fare e intorno a ció che devi fuggire» (OE VI, 282).

ejemplo de virtud cristiana asistiendo a la misa no sólo en los días de fiesta, ino también en los día laborables, acercándose regularmente a los sacramende la confesión y comunión, haciendo cotidianamente lectura espiritual (I/ tos giovane provveduto), evitando las malas compañías y huyendo del ocio.

Pero en la visión de don Bosco, el Oratorio debía hacer que los jóvenes, profundizando en la vida cristiana, llegasen a ser al mismo tiempo, hombres honestos: «Entrando un joven en este Oratorio — subrayaba el Reglamento debe convencerse de que éste es un lugar de religión, en el que se desea formar buenos cristianos y honestos ciudadanos».64 Esto significaba que se habría tratado de promover virtudes tales como el altruismo, la honradez, el sentido del deber, el respeto a las autoridades constituidas. Es significativo, también aquí, el modelo de joven que don Bosco ilustraba a través de las páginas de La forza della buona educazione: Pietro había honrado al padre y a la madre aceptando los sacrificios que le habían pedido; se había comportando en el trabajo de forma encomiable, conquistando tanto la estima del patrón — que había apreciado «la fidelidad, la puntualidad, la actividad» — como la simpatía de los compañeros, «que no podían tener asistente más paciente, más caritativo»; pero no menos leal y generoso se había mostrado para con la patria, que le había llamado al servicio militar.63
Si es bastante fácil delinear el perfil del Oratorio festivo que don Bosco acariciaba en los años 50, resulta mucho más difícil establecer si tal ideal logró ser traducido, y en qué medida, en la realidad de todos los días. Algunos testimonios de proveniencia salesiana no han dudado en reconocer que el Reglamento para los externos no fue nunca practicado integralmente, ni siquiera en Turín.66 Por desgracia no existe hasta hoy un estudio serio y riguroso que precise la situación del Oratorio festivo de Valdocco, durante la vida de don Bosco. Las actas de las reuniones o conferencias del personal de la casa turinesa no ofrecen elementos dignos de relieve, al menos para el período del que son disponibles.67 Sería simplista deducir de esta ausencia de referencias (aun
ILI, 92. Véase además la definición del Oratorio que daba don Bosco el 20 de diciembre de 1851, al presentar una gran lotería promovida por él: «una casa di domenicale adunanza, in cui potessero gli uni e gli altri ayer tutto l'agio di soddisfare al religiosi doveri, e ricevere ad un tempo una istruzione, un indirizzo, un consiglio per governare cristianamente e onestamente la vita» (E I, 49).

Pietro se había expresado en estos términos ante el padre que se angustiaba al ver al hijo marchar al servicio militar: «Non affannatevi, padre, siamo cittadini, dobbiamo servire la patria»
(OE VI, 343).

66 Cf. la comisión de estudio establecida para preparar el XI Capítulo general (cf. Annali IV, P. 7).

67 Sobre estas conferencias, cf. las correspondientes actas conservadas en: ASC: 0592 Deliberazioni del Capitolo dal 1866-1877; 38 Torino Oratorio S. Francesco di Sales Adunanze del capitolo della casa Ottobre 1877 - Genn. 1884. Como es fácil intuir, estas actas constituyen una documentación de primaria importancia, para la vida de la casa de Valdocco, y, más en general, para la historia de la Sociedad salesiana. Sobre estos documentos está trabajando, desde hace algún tiempo, José Manuel Prellezo. Entre sus trabajos, cf. J.M. PRELLF70, Fonti letterarie della circolare «Dei que sea en el ámbito de un órgano ciertamente importante como eran aquellas conferencias) la conclusión de que el Oratorio se estuviese, por así decir, agotando. Por los documentos examinados, hemos sacado la impresión de que, en efecto, después de los años 40-50, se había impuesto como institución educativa de relieve, el Oratorio festivo presentaba algunos síntomas de crisis-.68 A este propósito, hay que observar que, después de informar a Pío IX en 1853 de la intención de fundar una sociedad religiosa que garantizase continuidad a su trabajo, don Bosco comenzó a viajar frecuentemente, encontrándose así en la necesidad de confiar las responsabilidades cotidianas de su obra a los colaboradores más vecinos, como don Rua o don Francesia: elementos, ciertamente de valor, pero jóvenes — al comienzo coetáneos de los mismos jóvenes de quienes tenían que ocuparse —, sin el carisma del fundador, replegados sobre los problemas de la casa hasta el punto de no darse completamente cuenta de las profundas transformaciones socioculturales de Turín y, en general, del país. Es, pues, comprensible que el Oratorio festivo de Valdocco, la institución más ligada a las dotes de «conquistador» de jóvenes, cual era don Bosco, entrase en una fase de desaceleración. Una fase que estaba destinada, en realidad, a durar mucho tiempo y de la que saldría sólo en los primeros años 80, después de que — en 1883 — el tercer Capítulo general de la Socieda salesiana inició una reflexión sobre los oratorios festivos,69 y después de que castighi da infliggersi nelle case salesiane», en «Orientamenti Pedagogici» 37 (1988) 625-642; la., Studio e riflessione pedagogica nella congregazione salesiana 1874-1941. Note per la storia, en RSS 7 (1988) 35-88.

68 Esta impresión la comparte también P. Stella, el cual refieriéndose, en realidad, más a los oratorios festivos en general que al de Valdocco en particular, escribe: «Gli oratori festivi, la stampa, i pensionati, le scuole agricole non mancano e sono presentí nell'opera legislativa dei Capitoli generali, ma in pratica soprattutto g,li oratori festivi pare attraversino negli ultimi decenni del secolo una fase di compressione e di deperimento» (STELLA, Don Bosco I, p. 124).

69 El tercer Capítulo general, celebrado en Valsalice del 2 al 7 de septiembre 1883, trató de los oratorios festivos en el punto VII: «Impianto e sviluppo degli Oratori festivi prenso le case salesiane». En vista de las deliberaciones a tomar sobre el tema, los directores de las casas fueron invitados a enviar toda clase de sugerencias útiles: ASC 04 Capitolo generale III 1883 («Convocazione Proposte»). Sobre la base de las propuestas enviadas, el Capítulo discutió el problema en la sesión del 5 septiembre. En las actas de estas sesiones hay una nota que confirma que, en los comienzos, el Oratorio de Valdocco descansaba completamente sobre los hombros de don Bosco: «dapprincipio don Bosco doveva fare di tutto: bisogna cercare o chierici o giov[an]etti fra' pié adatti e buoni che disimpegnino gli ufficii secondari. E perció fissarsi bese sul Regolamento spedale». Don Bosco formula un canon en estos términos: «II Direttore della Casa particolare sceglierà d'accordo coll'Ispettore un sacerdote che abbia cura speciale dell'Oratorio festivo» (ASC 046, Capitolo generale III - 1883 Verbal:). Terminada la discusión, el Capítulo emanó varias directrices generales para los oratorios festivos; pero, no habiéndose podido estudiar exhaustivamente todos los puntos del orden del día, los trabajos del tercer Capítulo general iban a ser completados por los del Capítulo sucesivo (1886), y las deliberaciones sobre los oratorios festivos aparecieron, por tanto, en: Deliberazioni del Terzo e Quarto capitolo Generale della Pia Societa Salesiana tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tipografia Salesiana 1887, ahora en: OE XXXVI (el nuevo Regolamento de los oratorios festivos se encuentra en las p. 274-276). en 1884 — don Bosco decidió llamar a la dirección del Oratorio de Valdocco un inteligente y activo educador como don Pavia."
Es conveniente, por otra parte, no olvidar que, a partir de los años 60, don Bosco y sus colaboradores estuvieron ocupados prevalentemente en el intento de potenciar el colegio. Varios elementos pesaron sobre la particular atención dedicada entonces por el sacerdote piamontés a la segunda de sus instituciones. Hemos recordado que, hacia mitad de los años 50, maduró en don Bosco la idea de un instituto religioso compuesto de personas entregadas a la educación de la juventud: en 1859, sostenido por el estímulo de Pío IX, pidió a algunos clérigos, que compartían ya el proyecto, que diesen su adhesión formal a la Sociedad salesiana. En este contexto el colegio de Valdocco venía a tener una función especialmente importante: serviría, precisamente, para favorecer el reclutamiento de personas dispuestas a abrazar el especial apostolado educativo de don Bosco. Su servicio resultaba tanto más precioso en cuanto que el internado, disponiendo de la sección de estudiantes y de artesanos, habría consentido alimentar, con la primera, las vocaciones sacerdotales y, con la segunda, las de los salesianos laicos." Naturalmente, cuando la Sociedad salesiana echó sólidas raíces y — confortada por el reconocimiento pontificio en 1869 — se difundió con la rapidez y con la amplitud que conocemos, el colegio de Valdocco ya no pudo cumplir de forma adecuada la función de vivero vocacional y, en aquel punto, fue necesario replantearse el problema en su globalidad y activar estructuras de formación específica.

Debió también de afianzarse en don Bosco la idea de la propuesta educativa de los colegios debido a la constatación de que el Estado persistía en reducir los espacios de libertad de que, hasta entonces, había gozado la Iglesia. Baste recordar que en 1855 — el año en que, no por casual coincidencia, don Bosco concebía su Sociedad salesiana — el gobierno había decretado la supresión de todas las congregaciones religiosas, a excepción de las que perseguían fines educativos y asistenciales?' Al final de los arios 50, se pusieron también dificultades y problemas a la Iglesia en el campo de la escuela. La ley Casati de 1859 consentía a los privados abrir escuelas propias en el sector de la instrucción secundaria, pero con la condición de que las personas encargadas de la enseñanza cumpliesen los mismos requisitos que se exigían para enseñar en una escuela secundaria pública." Esta disposición iba a suministrar las razones jurídicas de la acción vejatoria con que, por motivos frecuentemente ideológicos, la administración escolar comenzó a enfrentarse con las escuelas católicas mediante controles e inspecciones para verificar la conformidad de éstas con la ley. El gimnasio de Valdocco y el colegio fundado por don Bosco en 1863 en Mirabello Monferrato no escaparon a estas vejaciones. Si, además de esto, se considera que en 1861 el nuevo Parlamento proclamaba no sólo el Reino de Italia, sino también — aunque simbólicamente — Roma capital, con el conteracioso que la propuesta abrió inmediatamente; y si se tiene en cuenta que, sobre el telón de fondo de las tensiones entre el Estado y la Iglesia, las sectas intensificaron sus ataques contra la religión católica, no causa maravilla que don Bosco encontrase nuevas razones para preocuparse de la evolución socio-política y se convenciese de la extrema urgencia de dar vida a una red de colegios como estructuras educativas privilegiadas para salvaguardar a la juventud de los efectos disgregantes del cada vez más marcado ateísmo social.

70 Sobre don Giuseppe Pavia (1852-1915), cf. Un apostolo degli oratori festivi, Torino, Tipografia Salesiana 1919.

71 Como es sabido, la Sociedad querida por don Bosco estaba compuesta de sacerdotes, clérigos y coadjutores laicos. Para una visión de conjunto de la historia del coadjutor salesiano, cf. la documentción recogida por P. BRAMO, Religiosi nuovi per il mondo del lavoro, Roma, PAS 1961. Sobre las dificultades que don Bosco tuvo que superar en relación con la situación creada por la ley del 29 mayo 1855, cf. la minuciosa reconstrucción de los hechos en: STELLA, Don BoscI, p. 129ss.

72 Como la historiografía ha subrayado ampliamente, la ley Casati se atenía, pues, al criterio de una libertad vigilada. Entre las razones que movieron al legislador a seguir este camino, se pue
Don Bosco creía que «preservazione» e «immnnizzazione» eran ya las condiciones indispensables para una seria formación moral y religiosa de las nuevas generaciones." A esta luz se comprende el régimen de minuciosas reglas que, en los primeros años 60, introdujo en el colegio de Valdocco, tanto más que, como se ha observado, dicho colegio habría debido funcionar como pequeño seminario. Así como el oratorio festivo era una estructura «abierta» donde los muchachos entrarían y permanecerían con la sola condición de que tuviesen un trabajo y compartiesen los valores humanos y religiosos del ambiente, en la misma medida el colegio asumía el perfil de una institución «cerrada» respecto al mundo externo y controlada por precisas reglas referentes a la administración y a la permanencia. En el primer Regolamento del parlatorio, redactado en 1860 para Valdocco, se podían leer disposiciones como ésta: «1. No se permite a los jóvenes del Oratorio hablar con toda clase de personas sin el permiso explícito de los Superiores, o del Encargado. No pueden ser llamados al locutorio más de dos veces al mes, y solamente desde media hora antes de las dos de todos los días, excepto los festivos. 2. No se permiten nunca salidas especiales, ni con los parientes ni con otros [...] 7. No está permitido a los parientes entrar en los dormitorios de los jóvenes»." Pero igualmente rigurosa era la recomendación que don Bosco dirigía en 1863 a don Rua en una carta, destinada a convertirse (con el título de. Ricordi confidenziali ai direttorz) enden recordar: 1) la preocupación de evitar que un sistema de total autonomía pudiese ser usado, instrumentalmente, contra el Estado; 2) el deseo de que las escuelas creadas por libre iniciativa impartiesen una instrucción, al menos, digna. Sobre la ley Casaca y las reacciones provocadas por la misma, sobre todo en campo católico, me ocupé hace tiempo en: L. PAZZAGLIA, Educazione e scuola nel programma dell'Opera dei Congressi (1874-1904), en: Cultura e socktá in Italia nell'eta umbertina, Milano, Vita e Pensiero 1981 (especialmente p. 423ss).

74 Sobre el ideal de colegio acariciado por don Bosco, cf. las acotaciones de BRAMO, /I sistema preventivo, p. 330ss. (recogidas después en: L'esperienza pedagogica preventiva, p. 389ss.) y de STELLA, Don Bosco I, p. 121ss.

75 MB VI, 597-598.

uno de los textos clásicos de la tradición pedagógica salesiana: «No aceptarás nunca alumnos expulsados de otros colegios, o que sepas que son de malas costumbres. Si, a pesar de la debida cautela, ocurriese que se acepta alguno de este género, señálale enseguida un compañero seguro que le asista y no le pierda nunca de vista. Si cometiese faltas obscenas, avísesele una vez, y si recae, sea enviado inmediatamente a su casa»." También el Regolamento per le case de 1877, que don Bosco y sus colaboradores fueron preparando a través de diversas redacciones," llamaría la atención sobre la necesidad de una atenta prudencia en las aceptaciones.

Pero no se debe pensar que en Valdocco y en los otros institutos que se iban fundando, el rigor sustituyese a la alegría con una visión sombría de las cosas. Don Bosco estaba convencido de que la. alegría era «una forma di vita» congénita no sólo a la índole de los muchachos, sino también al cristianismo que, en cuanto anuncio de verdad, no podía sino producir gozo interior." A su entender, los jóvenes internos deberían, por tanto, gozar no sólo de adecuados entretenirnientos recreativos, sino, más,Olfundamente, de un clima general de confiado optimismo. Don A. Caviglia escribió que «el servite Domino in laetitia podría llamarse el undécimo mandamiento de la casa de don Bosco»." Y no se crea que, al caracterizarse el colegio por el orden y la disciplina, el sacerdote piamontés tuviese la intención de renunciar al espíritu de familia que tanto le interesaba y que él ponía en estrecha relación con la amorosa paternidad que el director debería usar con cada uno de sus jóvenes. En la citada carta a don Rua — al que también recomendaba que no transigiese mínimamente en lo que se refería a la rectitud de vida de sus huéspedes —, advertía: «Procura más bien hacerte amar que hacerte temer. La caridad y la paciencia te acompañen constantemente al mandar, al corregir, y obra de tal suerte que todos saquen por tus hechos y palabras que lo que buscas es el bien de las almas. Cuando se trate de impedir el pecado, toléralo todo»." Es sabido que, según don Bosco, si se quiere ayudar a los muchachos a desarrollar las riquezas interiores puestas en ellos por la gracia de Dios, es necesario rodearlos de una caridad sensible, por la cual cada uno de ellos se sienta valorizado. Desde esta óptica, juzgaba que el colegio, lejos de irritar a los jóvenes con ejercicios militarescos mortificantes, debía crear en torno a los alumnos un ambiente de serena familiaridad: las relaciones de bondad y de confianza recíproca suavizan las inevitables tensiones entre superiores y discípulos, y permiten a estos últimos crecer plenamente.

76 Los Ricordi confidenziali ai direttori han sido publicados por F. Motto en: Bosco, Scritti
pedagogici, p. 71-86 (el pasaje citado se halla en la p. 82).

Regolamento per le case della Societá di San Francesco di Sales, Torino, Tip. Salesiana 1877, ahora en: OE XXIX, 97-196; en el capítulo relativo a los criterios a seguir en la admisión de los muchachos, el Regolamento precisaba: «Parimenti si baderá a non ammettere dei giovani od altri individua, che per la loro cattiva condotta e massime perverse potessero riusdre d'inciampo a' propri compagni, pera si esigerá da ciascuno un certificato di condona dal proprio parroco» (p. 156-157).

78 BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 370.

79 A. CAVIGLIA, II Magone Michele (vol. V de las Opere e scritti editi ed inediti di don Bosco), Todito, SEI 1965, p. 149.

88 Bosco, Ricordi confidenziali, p. 79.

Casi no es necesario subrayar que, para don Bosco, la validez de un colegio se medía por la capacidad que tenía de promover, ante todo, la formación moral y religiosa. Ciertamente él evitaba cuidadosamente el mortificar las actividades referidas a la formación propiamente humana y profesional. Es más, don Bosco, animado por una visión cristiana profundamente empapada de humanismo, consideraba esencial, por ejemplo, que sus pobres artesanos adquiriesen la práctica de un oficio, pues de lo contrario, sin poder proveer digna.. mente a su vida, no podrían tampoco elevarse hacia los valores espirituales y religiosos. Aun así, la convicción de que el problema último era el de llegar a ser «fortunati abitatori del cielo» lo llevaba a considerar que la principal razón de ser del colegio consistía en inculcar a los jóvenes el temor de Dios y en colaborar con la gracia. Naturalmente, en el caso del colegio de estudiantes destinados por don Bosco para seminario, el fundamento religioso llegaba a ser más radical y la espiritualidad propuesta no se alejaba mucho de una normal preparación para el sacerdocio. A tal propósito basta leer las biografías que don Bosco dedicó a D. Savio (1859), a M. Magone (1861) y a F. Besucco (1864), tres jóvenes de relevantes cualidades morales y religiosas, que habían pasado aquellos años por Valdocco.81 Sus vidas hacían ver que la piedad fundamental de la que ellos se habían alimentado — de la oración a la frecuencia de los sacramentos, del cumplimiento de los deberes del propio estado a la devoción a María — era la de un internado de orientación seminarística.

Para comprender la idea que tenía don Bosco de un colegio católico, puede ser quizás útil la narración Valentino o la vocazione impedita, publicada por él en 1866." En el escrito se comparaban los dos colegios que el joven Valentino había conocido, frecuentando, en primer lugar, un instituto católico al que había sido mandado por el padre, descontento de la precedente experiencia, y donde el muchacho había descubierto que tenía vocación religiosa. Son sintomáticas las diferencias con las que don Bosco contraponía las dos casas. Éstas se distinguían en primer lugar por el enfoque fundamental: el instituto laico reservaba a las prácticas religiosas un puesto completamente marginal
8' G. BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino, Paravia 1859 (ahora en: OE XI, 151-292); G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino, Paravia, 1861 (en: OE XIII, 155-250); G. BOSCO, Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, Torino, Paravia 1864 (en: OE XV, 243-434).

12 G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita, Torino, Tip. dell'Oratorio di San Francesco di Sales 1866 (ahora en: OE XVII, 179-242). Cf. G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita. Introduzione e testo critico a cura di M. Pulingathil, Roma, LAS 1987 (las citas que siguen han sido tomadas de esta edición).

(«no se hacía ni meditación, ni lectura espiritual; y las oraciones se recitaban en común, pero una- sola vez al día, estando de pie y muy deprisa»); el católico, en cambio, asumía la religión como propio principio inspirador («la religión [es] enseñada, recomendada y practicada de forma excepcional»). Pero, como el responsable de la edición crítica de la novela ha subrayado, los dos colegios se diferenciaban también desde el punto de vista metodológico.83 En efecto, mientras el primero parecía que se fundaba exclusivamente en la disciplina — al menos por los rasgos con que se describía al director —, el segundo se orientaba según una concepción pedagógica abierta — alegría, estudio, piedad — y podía, además, contar con la presencia discreta pero continua de un director constantemente preocupado del progreso moral y espiritual de sus muchachos-hijos."
4. Entre las exigencias de reglamentación y nuevos problemas educativos
Después que en 1869 la Sociedad salesiana tuvo el reconocimiento pontificio, don Bosco estuvo muy absorbido por preocupaciones de tipo jurídico-organizativo, porque debía redactar y hacer aprobar las Constituciones (18721874) y porque comenzando la Sociedad en 1875 a implantarse fuera de Italia y hasta a lanzarse en la empresa misionera, era necesario seguir su desarrollo, evitando que el rápido y amplio crecimiento resultara en menoscabo de una imprescindible unidad de orientación. De esta forma fue inducido a reflexionar sobre el sentido de su obra y sobre la especificidad característica." Las Memorie dell'Oratorio, redactadas por don Bosco en los primeros años 70, nacieron precisamente en el cuadro de tales reflexiones, y fueron elaboradas por el autor con el claro intento de dejar a sus propios colaboradores una especie de memoria viva de sus orígenes. En este contexto, el sacerdote piamontés hizo también la redacción definitiva de los Reglamentos para el Oratorio festivo y para las casas, que, como ya hemos recordado, fueron publicados en 1877.

83 Bosco, Valentino, p. 42-43.

84 A propósito del primero de los dos directores, se decía: « [Valentino] aveva un direttore affabile si, ma deciso nel comandare, severo nel pretendere, rigoroso in ogni ramo di disciplina» (Valentino, p. 58). El sacerdote que dirigía el colegio católico era presentado, por el contrario, como persona afectuosa, aunque no melosa, capaz de adentrarse en las heridas más secretas de los jóvenes interlocutores, inteligentemente preocupada del destino de las almas: «Da quel giorno la vita di lui [Valentino] fu di vera soddisfazione al suo direttore che non perdette piti di vista il figliuolo spirituale che aveva acquistato» (Ibid. p. 71).

a' Sobre la especial atención con la que don Bosco y sus colaboradores fueron inducidos, en aquellos años, a profundizar el sentido de su propuesta pedagógica, cf. PRELLEZO, Studio e riflessione pedagogica, p. Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, en «Orientamenti Pedagogici» 36 (1989) 40-61.

De forma totalmente ocasional tuvo origen, en cambio, Il sistema preventivo. En este momento nosotros no seguiremos su génesis, ni haremos un examen pormenorizado de sus contenidos, porque, en último término, tendríamos que repetir cosas que P. Stella y P. Braido han dicho ya eficazmente, resaltando — entre otras cosas — asonancias, convergencias y conexiones de la obrita con los escritos de autores como el hermano Agathon, el abate Blanchard, el canónigo Auclisio, el lazarista Monaci, el barnabita Teppa, mons. Dupanloup." Pero es útil subrayar que, a pesar de haber nacido como simple desarrollo de la conferencia dada por don Bosco el 12 de marzo de 1877 en Niza con ocasión de la inauguración del Patronage Saint Pierre, el pequeño tratado adquirió muy pronto, dentro y fuera de la Sociedad salesiana, una relevancia que ni siquiera el autor había imaginado.87 El hecho tiene su explicación: téngase presente que don Bosco, reordenando durante aquellos meses — junto con sus colaboradores — los Reglamentos, decidió introducir la conferencia de Niza en el Regolamento per le case (1877). De este modo, la obrita asumió, a los ojos de los salesianos, el significado de «ley fundamental», y bastante rápidamente fue utilizada como metro de juicio para valorar la conformidad de las varias casas — en actividad o en vías de institución — con los principios y el espíritu de la Sociedad salesiana.88 Es necesario añadir, sin embargo, que Il sistema preventivo tenía el valor objetivo de ilustrar de forma sumaria pero eficaz algunos de los criterios inspiradores de una experiencia de más de treinta años. En efecto, los tres principios — razón, religión, amabilidad —, sobre los que, más allá de la terminología represivo-preventiva completamente nueva en don Bosco, se llamaba la atención, constituían los contenidos y la metodología en la que se había inspirado, al realizar una obra que de la recuperación de los muchachos abandonados le había llevado, progresivamente, a ocuparse de la formación de los estudiantes y hasta de futuros sacerdotes. No hay, pues, que extrañarse de que, dentro de la Sociedad salesiana, el breve escrito se revistiese de tanta importancia y que don Bosco y sus colaboradores no sólo se persuadiesen de tener en las manos un sistema educativo propio, sino que comenzasen a considerarlo susceptible de ser aplicado más allá de sus ambientes educativos.89
La distancia con la cual hoy es posible examinar el opúsculo, permite ver mejor también su límites. P. Stella ha subrayado ya que dicho opúsculo tendía a supervalorar la antítesis preventivo-represivo con la consecuencia de descuidar una parte no indiferente de la problemática educativa; corría el riesgo de método de don Bosco comenzó a recibir, precisamente entonces, de estudios dedicados específicamente a él (cf. BRALDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 32ss.).

De STELLA, véase Don Bosco II, p. 441-474; de BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 313-319, y sobre todo las amplias notas a G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventü, Introduzione e testi critici a cura di P. Braido, Roma, LAS 1985.

87 OE XXIX, 99-109.

88 BRAIDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 28ss.

89 Fueron reforzados en esta persuasión, además, por los juicios favorables que el hacer creer que todo el problema consistía en evitar que los muchachos cometiesen errores; estaba demasiado condicionado por la fórmula del colegio y por la situación que llevaba consigo como, por ejemplo, la asistencia «visible» y «continua» de los jóvenes por parte de los educadores9° Con palabras un poco expeditivas, se podría decir que, más allá de sus indiscutibles méritos, Il sistema preventivo no reflejaba el abanico completo de las varias estructuras y actividades a las que el sacerdote piamontés había dado vida, ni la riqueza de motivaciones religiosas y pedagógicas implicadas. Lo que ocurre es que las formulaciones teóricas de don Bosco no lograban expresar justamente el concreto proyecto histórico, que con grande dinamismo y sentido de la realidad, él actuó gradualmente, tratando de adaptar sus ideales de sacerdote y educador a las diversas categorías de jóvenes que encontró a lo largo del camino.

Poi. lo demás, en el curso de la última década de su vida, don Bosco debía mostrar que se movía en un horizonte más amplio respecto al cuadro de referencia de la obrita de 1877. Sus inquietudes por las condiciones de la juventud continuaban creciendo. Sobre su estado de ánimo actuaban como de costumbre las vicisitudes políticas y especialmente el recrudecerse de la tensión en las relaciones entre Estado e Iglesia, las cuales con la conquista de Roma habían entrado en una fase crítica. Don Bosco temía que iba a deshilacharse el mismo tejido social, en gran medida por efecto de la acción disgregadora de la enseñanza pública. Precisamente poco después de la brecha de Porta Pia, el 29 de septiembre 1870, el ministro de Instrucción pública, C. Correnti, había hecho pública una circular con la que, alterando las disposiciones de la ley Casati, establecía que en las escuelas elementales la instrucción religiosa debía ser garantizada no a todos, sino a los que la hubiesen pedído.91 En las Memorie dell'Oratorio, don Bosco ponía un acento nostálgico en la situación que él había conocido como estudiante gimnasial en Chieri, que es difícil no poner en relación con el disgusto que le causaba el ver a los gobiernos del Estado italiano ensañándose con la presencia de la religión en la escuela: «Está bien que os recuerde aquí que en aquellos tiempos la religión formaba parte fundamental de la educación. Un profesor que, aun bromeando, hubiese pronunciado una palabra obscena o irreligiosa, era inmediatamente depuesto del cargo. Si se hacía así con los profesores, ¡imaginad qué severidad se usaba con los alumnos indisciplinados o escandalosos! ».92
" STELLA, Don Bosco II, p. 462ss.

U La disposición fue confirmada por la Circular del 12 de julio de 1871, la cual precisaba que era competencia de los ayuntamientos el hacer impartir la instrucción religiosa por los maestros o por otras personas declaradas idóneas para ello. Sobre las dos circulares de Correnti y, más en general, sobre la política perseguida por Correnti como responsable de la Instrucción Pública, cf. B. PISA, Cesare Correnti e il dibattito sulla laicitá dell'insegnamento, en «Rassegna Storica del Risorgimento» 62 (1975) 212-229, y las referencias en mi trabajo, Educazione e scuola nel programma dell'Opera dei Congressi, p. 426-427.

MO 54.

Pero mucho más profundas debieron de ser las preocupaciones de don Bosco en 1877 cuando, poco después de la llamada revolución parlamentaria, el gobierno de la Izquierda guiado por Depretis promulgaba, por iniciativa del ministro de Instrucción pública, Coppino, dos leyes que daban un ulterior empujón a la secularización de la escuela: la ley del 23 de junio, que disponía la abolición de los directores espirituales en los gimnasios, en los bachilleratos y en los institutos técnicos, y la ley del 15 de julio que no reconocía la religión entre las materias constitutivas de la instrucción elemental, avalando de esta manera el régimen introducido por Corren-ti." Don Bosco se confirmaba, una vez más, en la idea de que no sólo estaba en peligro el joven pobre y abandonado, sino todo muchacho que, junto a la fragilidad de la edad, debía ahora pagar un fuerte escote a una sociedad que iba marginando los valores religiosos.

Los viajes, que desde hacía algún tiempo llevaba a cabo en Europa visitando las casas salesianas, le hacían ver que la condición de los jóvenes en difi.. cultad, en el sentido precisado aquí, era una condición muy difundida, pues los problemas de los muchachos de Turín, Génova y Roma se presentaban no muy diversos de aquellos de sus coetáneos que vivían en París, Marsella o Barcelona. Don Bosco tenía la impresión de que la sociedad de los varios países europeos estaba, aunque fuera por motivos e itinerarios diversos, alejándose rápidamente de la religión como elemento unificador de la vida personal y colectiva, y pensaba que todos los muchachos — sobre todo los de las grandes aglomeraciones urbanas donde los tradicionales controles sociales desaparecían más fácilmente que en los ambientes rurales — estaban, aunque en forma diversa, igualmente expuestos al riesgo de crecer no sólo fuera de las verdades cristianas, sino también alejados de todo sano criterio moral. En este momento, para el sacerdote píamontés, el problema educativo comenzó a unirse cada vez más al de la regeneración de la sociedad y, en el caso de las misiones, al de la civilización de los pueblos. Don Bosco, en la medida en que tomaba conciencia de las graves dificultades con que se encontraba la juventud, en esa misma medida se convencía de que, una vez socorridos y ayudados los jóvenes en el plano religioso además del humano, se habrían puesto también las premisas para una renovación de la misma sociedad. A este propósito, es sugerente la experiencia misionera salesiana sobre la que el fundador llamaba la atención en la carta dirigida al card. Franchi el 13 diciembre 1877." Llegados a América latina, los misioneros salesianos habían creído oportuno no situarse en medio de los llamados «salvajes», sino en los confines de los pueblos civilizados, fundando allí iglesias, escuelas, hospicios para instruir a «aquellos indios que la religión o la necesidad hubiesen movido a buscar asilo entre los cristianos».
93 Sobre las iniciativas legislativas de Coppino y, más en general, sobre la política escolar de la Izquierda, cf. A. TALAMANC.A, Liberta della scuola e liberta nella scuola, Padova, Cedam 1975, p. 202ss.; M. BENDISCIOLI, La Sinistra storica e la scuola, en «Studium» 73 (1977) 447-466; PAZZA GLIA, Educazione e scuola nel programma dell'Opera dei Congressi, p. 438ss.

" EJE, 256-261.

" La razón de esta opción era la de hacer que los indios, integrados de este modo en la civilización cristiana, llegasen a ser, a su vez, educadores y evangelizadores de sus tribus: «contraer relaciones con los padres por medio de los hijos, con el fin de que los salvajes llegaran a ser evangelizadores de los mismos salvajes ».96
Se podría decir que don Bosco creía que se debía pensar en un criterio análogo para proceder a la regeneración de la sociedad. El camino que permitiría volver a colocar en el centro de la vida colectiva los valores morales y religiosos consistía en volver a acercar a tales valores a las nuevas generaciones. Pero entonces cobra un sentido más preciso la misma línea con la cual don Bosco, poco después de las vicisitudes del 48, y también en la última década de su vida, declaró que quería estar alejado de la política. En realidad (como él mismo tendría, al fin, que admitir), su empeño, sobre todo en esa última fase de la vida, se cargó de inflexiones civiles y latamente políticas, al menos allí donde trataba de hacer hincapié en la educación como instrumento fundamental de transformación social. El 31 de mayo de 1883 escribía a los Cooperadores de la ciudad de Turín: «¿Queréis que os sugiera un trabajo relativamente fácil, muy ventajoso y fecundo de los más amplios resultados? Pues bien, trabajad en torno a la buena educación de la juventud, especialmente de aquella más pobre y abandonada, que es la más numerosa, y vosotros lograréis razonablemente dar gloria a Dios, procurar el bien de la Religión, salvar muchas almas y cooperar eficazmente a la reforma, al bienestar de la sociedad civil; pues la razón, la Religión, la historia y la experiencia demuestran que la sociedad religiosa y civil será buena o mala, sergún sea buena o mala la juventud que ahora nos rodea»." El discurso mostraba lo que don Bosco tenía en su mente para la transformación social: una obra que, precisamente a través de la educación, debía poner a todos los jóvenes, especialmente a los pobres y abandonados, en condiciones de atender dignamente a su vida; pero cuyo objetivo último era el de promover la máxima difusión de los valores ético-religiosos, respetando a las autoridades públicas y las estructuras sociopolíticas constituidas.

Naturalmente con vistas a esta obra dirigida, en perspectiva misionera, a llevar «la parola della vita eterna» a pueblos enteros; y, en la perspectiva de la regeneración de las sociedades tradicionalemente cristianas, era necesario poder contar con energías e instrumentos adecuados para reproducir y para consolidar los valores ético-religiosos perdidos o debilitados. La conciencia de la amplitud del empeño llevaba a don Bosco a fundar una organización de Cooperadores con el fin de que, colaborando con las finalidades de la Sociedad salesiana, recogiesen a los muchachos de la calle y tratasen de transformarlos en buenos cristianos y honestos ciudadanos. Don Bosco, sin embargo, no se pararía aquí y, en vista de la realización de su proyecto, habría de buscar la ayuda de círculos de personas cada vez más amplios. Consideraciones de oportunidad y de conciencia de la insuficiencia de su obra, hacían comprender a don Bosco que, lejos de encerrarse en las propias instituciones, convenía dirigir sus pasos hacia un esfuerzo unido de iniciativas que, más allá de sus características especificas, estuviesen coligadas por la misma preocupación cari. tativo — educativa: «no entendemos — precisaba en un manifiesto de 1877 a los Cooperadores — que éste sea el único medio de hacer el bien en medio de la sociedad civil; al contrario, nosotros aprobamos y ensalzamos altamente a todas las instituciones, uniones, asociaciones públicas o privadas que tienden a beneficiar a la humanidad» 98 Pero, a cierto punto, su ansia educativa le llevó a cultivar la idea de un movimiento de Cooperadores en el cual hasta tendría que reconocerse la cristiandad entera.99

9, E III, 257. E III, 257.

" BS 7 (1883) 7, 104.

Por lo que se refiere a los instrumentos, en esta última fase, don Bosco hacía ver que ya no estaba ligado de forma prevalente, y mucho menos exclusiva, a la experiencia del colegio. Daba la impresión de querer hacer fructificar todas las oportunidades formativas que, gradualmente, había proyectado y actuado. La cosa se explica, ciertamente, con el hecho de que, encontrándose la Sociedad salesiana empeñada en varios frentes para responder a múltiples necesidades educativas, no existía una fórmula que, por principio, debiera prevalecer sobre las otras: en ciertos casos podía estar bien el colegio; en otros, el oratorio o la escuela nocturna. Pero a uno se le ocurre pensar que, durante estos últimos años, don Bosco tendía a revisar también algunas perspectivas, más generales, como, por ejemplo, la visión con la cual — coincidiendo con el momento de la «colegialización» — había terminado por concebir la relación educativa sobre la falsilla de una asistencia físicamente cercana y continua, y que, debiendo mantener con los mismos jóvenes dirigidos por él relaciones más bien discontinuas — a causa de los numerosos viajes fuera de Turín —, valorizase también, ahora, un tipo de «presencia amorosa y preventiva» más matizada, aunque igualmente partícipe.m)
Pero, sobre todo, se hacía cada vez más profunda la persuasión de que la tarea educativa consistía en hacer de cada muchacho un hombre maduro P. Braido diría un «uomo tradizionale rinnovato »—, de modo que, de «destinatario del proyecto» llegase a ser, al fin, el «protagonista-operador» de la reconstrucción de la sociedad cristiana.'" Respecto a este tema, son interesantes las múltiples conferencias que don Bosco fue dando a los Cooperadores y que el «Bollettino Salesiano» registraba puntualmente: «La limosna — decía en un encuentro de 1881 — se extiende al cuerpo y al alma, a la sociedad y a la religión, al tiempo y a la eternidad. [...] Se extiende a la sociedad doméstica y porque los citados muchachos, si son aptos para un taller, con el tiempo, se harán capaces para proveer un honesto sustento a su propia familia, y con su industria y actividad proporcionarán un no pequeño beneficio a la sociedad; si además se dedican al estudio de las ciencias y de las letras, se harán útiles a la sociedad con las obras del ingenio, o con este o aquel empleo civil. y después, tanto los unos como los otros, estando no sólo instruidos, sino — lo que es más importante —, sabiamente educados, serán siempre una garantía de moralidad y de buen orden entre el pueblo».'" La insistencia con la cual don Bosco daba tanto relieve a la limosna nacía, ciertamente, de la preocupación de subrayar la amplia gama de efectos benéficos que la caridad tiene ya sobre la tierra antes que en el cielo; pero, al mismo tiempo, hacía transparentar la intención profunda con la que él se ocupaba de la obra que sus benefactores le permitían realizar: aquella obra servía para promover el crecimiento humano-religioso, no sólo de cada persona particular, sino también de la sociedad en todas sus expresiones.

98 BS 3 (1877) 8, 2.

" BRAIDO, Il progetto operativo di don Bosco, p. 33-34.

m° Podría ser útil, quizás, leer desde esta óptica toda la producción literaria (libros, discursos, cartas) del último don Bosco.

BitAIDO, Il progetto operativo di don Bosco, p. 24; MILANESI, Sistema preventivo, p. 163-164.

102 BS 5 (1881) 12, 5.

LA PEDAGOGÍA DE SAN JUAN BOSCO EN SU SIGLO Guy AVANZINI -


Todo acontece como si San Juan Bosco fuese .el objeto de una representación paradójica: por una parte, en efecto, se le conoce y celebra por todas partes como un gran educador, es decir, un profesional de calidad excepcional, cuyo ejemplo se presenta suficientemente fecundo como para dinamizar e inspirar aún hoy a los institutos religiosos y a la familia espiritual que proceden de él.

Por otra parte, sin embargo, se duda en reconocerlo como un verdadero «pedagogo», en otorgarle un concepto de educación que le haga merecedor de situarse con todo derecho entre los de su siglo. Se le pinta y se le mira demasiado exclusivamente como sujeto de un carisma propio, que deriva de la gracia y de su santidad. No se atiende al modo con que, más allá de su persona, sus ideas se sitúan en la historia de las ideas y su problemática en las de su tiempo, valorando mal la novedad que él aporta.

Es esta imagen contrapuesta y, sin duda poco acertada, la que interesa intentar corregir. Después de haber precisado las razones y las condiciones de este intento, nos esforzaremos en determinar bien lo que, en relación con las corrientes dominantes de su época, especifica tanto la función que él asigna a la educación y los atributos que exige para que se dé, como el conocimiento del que esta actividad constituye el objeto.'


1. Las razones de una exclusión


Si, a pesar de algunos progresos recientes, se da en Francia una gran pobreza en la investigación sobre la historia de la pedagogía, en el caso de San Juan Bosco se trata de una verdadera exclusión. Todas las obras clásicas coinciden en que no dicen nada de él.

No es erróneo imputar este silencio al laicismo dominante que, en muchas publicaciones francesas, oculta parcialmente y a veces ampliamente, la visión de la historia de la pedagogía. Pero, a pesar de que sea parcialmente inevitable, esta interpretación no es del todo completa. De hecho, si muchos salesianos italianos se han dedicado a ello minuciosamente, los mismos salesianos franceses, excepción hecha de don Desramaut, parece que han estado menos atentos a este aspecto de la obra del Fundador, o bien han adoptado un estilo más hagiográfico y edificante que histórico y científico.

Para una presentación más amplia de este argumento, cf. G. AVANZJNI (ed.), Education et pédagogie chez don Bosco. Colloque interuniversitAire, Lyon 4-7 april 1988, Paris, Fleurus 1989, p.55-93:
Esta abstención depende también, no hay duda, del hecho de que su pensamiento es de difícil acceso y no se puede identificar con facilidad. No se presenta a la manera clásica. Su formulación fragmentaria y la ausencia de una obra de síntesis no ayudan a percibir su unidad. No alcanza a situarse a la altura de las corrientes universitarias o de los discursos políticos de su tiempo sobre la educación. Sus historiadores se preguntan, por consiguiente, sobre la misma legitimidad de una formalización demasiado rígida y sobre el carácter que hay que dar, en este campo, a sus textos: curiosamente don Anffray se pregunta si se trata de verdad de un «sistema» — término usado por el mismo don Bosco —, de una «doctrina», de un «método». ¿Sería entonces un «gran educador», dado que no es un «pedagogo»?
Todo esto exige el esfuerzo de caracterizar mejor la aportación de don Bosco a su siglo, de comprender si su especificidad logra explicar la marginación de que es víctima, las divergencias que se advierten entre sus intérpretes y el retraso que caracteriza su estudio por los prejuicios apuntados.

2. Una opción educativa


La primera pregunta que hay que hacerse se refiere a las razones que movieron a este sacerdote italiano del siglo XIX a educar y a querer educar, en vez de a otras actividades pastorales. ¿Cómo justifica esta opción? En otros términos, ¿qué función atribuye a la educación? ¿Qué espera obtener como finalidad?
Su percepción, limitada pero intensa, de las consecuencias que la situación social en los Estados Sardos, en Piamonte, en Liguria, tiene sobre la juventud de su tiempo y de las medidas que exige, podría conducirlo a dos estrategias divergentes: en la primera, la renovación y el desarrollo de la educación suponen el mejor, si no el único, medio; todo progreso duradero de la sociedad pasa por el progreso de las personas y de él depende. Caldeada por numerosos filósofos, esta estrategia estuvo ya en el origen de la fundación de varias órdenes o congregaciones dedicadas a los jóvenes, en el surco de la tradición tridentina. En la segunda, un cambio en la educación no puede ser el primer medio, porque es el poder político el que impone a la educación sus objetivos y no viceversa. El poder político confisca la educación y la mueve según sus propios fines. De aquí la inutilidad de los intentos de autorrenovación de la educación. Precisamente este último concepto es el que domina en el siglo XIX, sobre todo en su segunda mitad. Anima a los que militan para instaurar la democracia: de ella, piensan, depende la adopción de una legislación escolar progresista, capaz, a su vez, de reforzar su posición. Y así, en Italia, los liberales no esperan un desarrollo de la instrucción sin una previa evolución política y hasta constitucional, como no esperan inducir ésta a partir de aquélla.

Podríamos suponer a un don Bosco partidario de intervenciones de orden político, tanto más que, bajo el reinado de Carlo Alberto, éstas se presentan posibles. Y, en cambio, no es así. No sólo no las aconseja, sino que las desaconseja firmemente, condena repetidamente las actividades que se inspiran en ellas, prohíbe a sus religiosos tomar parte en ellas, y en varias ocasiones manifiesta que estas prohibiciones deberían figurar en las Constituciones de su Instituto. No admite más que las iniciativas de orden social y educativo.

Este rechazo es plenamente coherente con el conjunto de su pensamiento. Es más, parece que su pensamiento lo exige. Éste no depende, como podría parecer a simple vista, del factor coyuntural que es la cuestión romana. Está motivado por la reserva que le produce la mentalidad de los militantes políticos. Mientras recomendaba vivamente reformas sociales, don Bosco tiene horror al espíritu de protesta y de polémica. Teme que las ideas democráticas, a pesar de su confianza inicial en algún movimiento cristiano respecto de ellas, lleven a consecuencias nocivas y alcancen, con efecto perverso, a favorecer más bien el liberalismo, el socialismo y el anticlericalismo. Sin embargo, y más todavía, la valoración de lo político supone a sus ojos el peligro de una supervaloración de lo temporal; lo esencial no es este mundo, sino el otro. En este sentido, un énfasis abusivo sobre la felicidad terrena y el planteamiento material de la vida serían un error, porque actuarían en detrimento del único fin verdaderamente válido, la conquista de la eternidad. La alienación verdadera es de orden espiritual y no económico. La supervaloración de lo político podría inducir a situar el fin último aquí abajo, mientras que consiste en ganarse
el cielo.

Excluida de este modo la militancia política, don Bosco se adhiere fervorosamente a la corriente que privilegia la educación: sólo ésta permite hacer conocer, amar e interiorizar las ideas que lo merecen, según una sana jerarquía de valores. Por consiguiente, asigna a la educación una doble finalidad, de las que la primera es de orden rigurosamente espiritual: enseñar la Verdad en materia de Fe y Moral, para ayudar al hombre a construir su salvación, mientras que la segunda es la de «formare onesti cittadini», dotados de una cualificación profesional que, sobre todo tratándose de cualificación artesanal, permite su inserción social. Un sujeto que posee una profesión está, en efecto, menos expuesto que uno en paro a las tentaciones y a desviaciones.

Una doctrina así le aleja de la pedagogía de su tiempo, aun la católica. También esta última quiere que la educación tienda a -la salvación, pero de hecho hay una divergencia acerca del papel que se atribuye al planteamiento de la vida terrena, y por tanto a la acción temporal y, a fortiori, a los compromisos o medias medidas que algunos, supervalorando los objetivos demasiado humanos, parecen admitir. Don Bosco teme que el compromiso que se aplica en la edificación de la ciudad terrena atenúe, relativice y hasta margine el compromiso que sólo merece la ciudad de Dios.

Esta voluntad sería, con todo, todavía vana si el sujeto mismo no estuviese en condiciones de beneficiarse de ella. Se la debe acompañar, pues, implícita o explícitamente, con el postulado de que es educable, es decir, maleable y perfectible. En la idea de don Bosco, el sujeto goza de una fuerza extraordinaria, que contrasta vigorosamente con las imágenes corrientes de su época. Y tanto más exige que se le explicite cuanto más aparece a primera vista paradójico, quimérico: los que él quiere elevar y salvar son marginados, desadaptados, delincuentes, corrompidos, a veces pervertidos, es decir, los que la sociología y la psicología de la época consideran como «irrecuperables», incurables. A despecho de todo eso, pues, que le tenía que haber disuadido de creer en su recuperación, don Bosco se obstina en afirmarlo posible y rechaza todo fatalismo, sobre cualquier doctrina, opinión o experiencia que pretenda justificarlo.

Esta confianza en el otro no es más que un aspecto de la confianza en el Dios que confía a cada uno, aunque de manera diferenciada, talentos. Los talentos que cada uno debe aprender a descubrir para que pueda usarlos y de los que necesita que le ayuden a hacerlo. Una confianza que no tiene nada de rousseauniano. No es confianza en la bondad de la «naturaleza», idea de la que desconfía fuertemente, sino en la del Creador, del que las criaturas son imágenes auténticas. Por consiguiente, su «espiritualidad», como la ha analizado muy bien don Desramaut, no es sólo un aspecto singular o local de su pensamiento, sino el centro fundador de su doctrina sobre la educabilidad. Él rechaza, pues, las representaciones fixistas o fatalistas alimentadas por la imaginación común en su tiempo y por las teorizaciones anteriores a la psicología dinámica, dispuestas a afirmar la intangibilidad del capital intelectual como justificativo de la igualdad de las posibilidades, el estatuto «natural» de las cualidades y sobre todo de los defectos de cada uno y, hasta el carácter «constitucional» de las perversiones de algunos y la situación hereditaria de sus «taras» para justificar, con estos estereotipos, rigor y represión.

3. Originalidad de la opción educativa


Para conseguir estos fines don Bosco no se fía ni enseguida ni incondicionalmente de la escuela. Aunque todavía hay que realizar una exploración sistemática de su postura sobre este punto, en el estado actual de la investigación podemos considerarla fundamentalmente ambivalente. Convencido de que el progreso del conocimiento lleva consigo el de la conducta, desea que todos puedan frecuentar la escuela y recibir una formación general y, al mismo tiempo profesional, pedida tanto por su estructuración intelectual como por la evolución social. Por eso funda instituciones, colegios de modo especial, traza el perfil de una verdadera y real enseñanza técnica, piensa en la alfabetización de los adolescentes analfabetos, escribe un manual de aritmética y, más ampliamente, mantiene una actividad editorial muy intensa y gestiona la distribución de numerosas publicaciones.

Debe, sin embargo, constatar que la escolarización no está todavía generalizada, pero que, en todo caso, la dejan a las puertas de la adolescencia muchos que se han beneficiado de ella, exponiéndose a los peligros que se derivan de la falta de algún elemento protector. Entre la infancia y la edad adulta, el momento del matrimonio, hay que proveerles de uno, para que superen con éxito esa laguna peligrosa. Además, admitiendo que se generalice y se prolongue y en la medida en que esto suceda, ¿no se debería temer que, por una dinámica imparable, la escuela vaya siendo cada vez menos un lugar en que se enseñe la fe y la moral cristiana? ¿No se le pedirá cada vez más fines temporales, que sirva a intereses individualistas y a promover el espíritu de crítica cuando no hasta el laicismo? ¿No da demasiada importancia al estudio de la civilización greco-latina, vehículo de una ideología pagana del hombre?
Él disocia, pues, fe en la educación y confianza en la escuela. Si comparte con muchos otros el deseo de difundir la cultura, no piensa en los mismos destinatarios y es sensible a la insuficiencia coyuntural y a la ambigüedad esencial de esa exigencia. Esquematizando un poco más de lo que nos es permitido, podríamos decir que su proyecto es educar adolescentes desadaptados del ambiente urbano, mientras que las pedagogías dominantes se preocupan más bien de instruir a muchachos «normales» del ambiente rural y de las cases medias.

Si sente quindi chiamato a far emergere nuove istituzioni, in grado di tener conto sia del suo concetto dei fini che dell'immagine dei suoi soggetti. Per quello ha lavorato così tanto durante la sua vita: fondare quelle istituzioni. E poiché l'impresa intrapresa supera le possibilità di una singola persona, tanto più che il servizio che desidera deve essere esteso dopo di lui, è anche necessario dare alla persona che assume uno statuto capace di garantire continuità e stabilità. Da qui il desiderio di associare i Cooperatori salesiani e, se possibile, di più: fondare un Istituto.

Queste iniziative sembrano richiedere osservazioni contraddittorie tra loro. In primo luogo, queste iniziative appaiono radicalmente originali, nella misura in cui a quel tempo gli interessi e le passioni sono interamente concentrati sulla scuola primaria. Uno sguardo più attento potrebbe anche vedere un'altra manifestazione dell'interesse che molti sacerdoti e religiosi dell'epoca hanno sul fenomeno dell'urbanizzazione e sulla proletarizzazione e miseria morale degli adolescenti che sono disadattati o sulla strada per diventarlo. Tutte queste iniziative sono ancora tristemente poco conosciute. Rimangono da integrare nella storia dell'educazione e da studiare in base ai problemi educativi. Ma sono numerosi. È necessario, tuttavia, sottolineare l'originalità del metodo: in questo Don Bosco è fondamentalmente innovativo. Senza dubbio è molto attento a non presentarsi come un "inventore" del "sistema preventivo" che contrasta con il "sistema repressivo". Sia per la modestia che per disarmare la sfiducia ostile che una affermazione troppo brutale della sua originalità potrebbe provocare. Nella sua «prudenza», cerca mecenati: San Alfonso de Ligorio, San Felipe Neri, San Francisco de Sales, mons. Dupanloup, ecc. Ma in realtà, ecco la sua originalità è totale e al di là dei dettagli, dipende dalla valutazione di affetto "comprensibilmente espresso" senza paura, l'affetto sincero, simulato o colpite, ma un senso. San Alfonso de Ligorio, San Felipe Neri, San Francisco de Sales, mons. Dupanloup, ecc. Ma in realtà, ecco la sua originalità è totale e al di là dei dettagli, dipende dalla valutazione di affetto "comprensibilmente espresso" senza paura, l'affetto sincero, simulato o colpite, ma un senso. San Alfonso de Ligorio, San Felipe Neri, San Francisco de Sales, mons. Dupanloup, ecc. Ma in realtà, ecco la sua originalità è totale e al di là dei dettagli, dipende dalla valutazione di affetto "comprensibilmente espresso" senza paura, l'affetto sincero, simulato o colpite, ma un senso.

Don Bosco introduce una vera pausa qui; non ha paura dell'amicizia; si assume i suoi rischi; vuole che sia dimostrato e non simulato; non lo consiglia solo a coloro che hanno, raramente, un carisma speciale, per un adulto selezionato; scopri un modello difficile, per le possibili deviazioni che possono apparire, ma bene, ancora di più, l'unico veramente buono, e con fermezza e fermezza raccomanda il suo religioso.

Molti di coloro che riconoscono il ruolo preventivo dell'educazione fanno dipendere da regolamenti punitivi e questo corrisponde a una forte corrente all'interno della pedagogia cristiana. Altri non ricorrono ad esso, ma solo perché non credono nella seduzione del male o addirittura sacralizzano tutte le inclinazioni del bambino; è la tentazione di un certo ottimismo naturalista di tipo rousseauiano. Da parte sua, Don Bosco vuole unire la funzione preventiva dell'educazione e un metodo altrettanto preventivo. Don Vecchi lo dice in modo eccellente: "Parlare di educazione come prevenzione viene prima di parlare di prevenzione nell'educazione".

4. Don Bosco «pedagogo»


Dobbiamo andare ancora oltre, riconoscendo a Don Bosco un nuovo concetto del tipo di conoscenza di cui l'educazione può essere o diventare oggetto. Ci sembra che abbia davvero proposto una "pedagogia", cioè una riflessione organizzata sull'educazione; è, quindi, un "pedagogo" nel senso più pieno e impegnativo del termine, e non solo un "educatore".

Prima di tutto, è necessario riconoscere in esso una "teoria" o, almeno, un approccio teorico: quando si distingue tra sistema repressivo e sistema preventivo, significa esporre - in un modo universalmente valido nei suoi limiti forme di regolazione dei requisiti educativi a attraverso il tempo e lo spazio. Disegna uno schema esplicativo attorno al quale si potrebbe costruire un'interpretazione globale della storia.

Tuttavia, non è contento di descrivere; questa non è la tua principale preoccupazione. Vuole prescrivere: scopi, norme, principi, un ideale. Vuole giustificare l'uso del sistema preventivo rivelando le sue ragioni. Ci troviamo, se non prima di una dottrina, sì prima di un approccio di ordine dottrinale.

In funzione di queste norme, e di conseguenza, organizza un metodo, enunciando, non senza dettagli, la procedura di applicazione. Non indica solo perché, ma anche come usarlo; si assicura che sia veramente seguito nelle case della sua Congregazione, richiama fermamente l'attenzione sulla sua opportunità e mette in guardia coloro che lo dimenticano. Non lo presenta come empirico, ma lo collega esplicitamente con i suoi principi.

Por último, al deliberar sobre dos parámetros del acto educativo (finalidad y figura del sujeto), al inventar las instituciones y los métodos que le parecen exigir éstas, al hacer surgir de entre todas estas variables de naturaleza heterogénea una coherencia interior; una solidaridad intercondicionada e interagente, crea un «sistema». Y la acepción moderna que ha recibido esta acepción gracias a la aproximación sistemática no pone en absoluto en tela de juicio, al contrario, confirma la legitimidad de esta denominación que él mismo le dio.

Es verdad que su esquema es radicalmente diferente del que estaba en vigencia y trataba de prevalecer en su tiempo. No podemos reconocer en él ni un vocabulario normalizado, ni un tratamiento universitario, ní anotaciones de orden metodológico sobre el procedimiento seguido, ni consideraciones de orden epistemológico sobre la validez del conocimiento adquirido. Extraño por eso mismo a la tradición académica, a sus expectativas y sus exigencias, su esquema no se presta a un crédito de este tipo. Además, valorando la relación interpersonal, percibida como condición de toda eficacia, no participa del deseo, creciente entonces entre los «pedagogos», de elaborar métodos intrínsecamente buenos, es decir, una didáctica válida por sí misma, y cuya eficacia sería, en paralelo con competencia técnica, independiente de la calidad relacional de los que la utilizan. Queda así, pues, extraño al vasto movimiento que, bajo el influjo conjunto de la extensión de las ciencias de la naturaleza y de la filosofía de Comte, surge a lo largo del siglo XIX y crece incesantemente en la perspectiva de establecer aquella «ciencia de la educación» que en Francia y en Italia se convierte en objeto de enseñanzas universitarias específicas. Sin mencionarla, pero no sin conocerla, queda insensible ante la visión objetivista y hasta científica y ante la concepción experimentalista de la ciencia que se van imponiendo poco a poco en aquel tiempo. No alimenta el propósito muy bien ilustrado, por ejemplo, por la epistemología de Alfred Binet — de extender a la pedagogía la utilización de los procesos que Claude Bernard había aplicado con éxito a la biología. Sin asociarse, pues, a la construcción de la nueva disciplina soñada por sus contemporáneos y posibles interlocutores, extraña a sus problemas y a la dinámica de sus trabajos, corría el peligro de no ser reconocido por ellos. Todo esto explica suficientemente el desconocimiento que tuvieron de él y que sus sucesores siguieron teniendo y tienen todavía.

Sin embargo, el método que hasta ayer provocó su desconocimiento bien podría ser hoy la razón de su modernidad. Podrá sorprender, pero lo que lo alejó de los teóricos de su tiempo es precisamente lo que lo hace aparecer a los del nuestro. ¿No es, en efecto, posible y obligado, aun forzando un poco los términos, descubrir en su esquema pedagógico los mismos rasgos que para H. Desroche definen la «investigación-acción» ?¿No es tal vez licito descubrir un esbozo de ello en el deseo de hacer pasar la acción a objeto de estudio para iluminar su sentido, hacer crecer su eficacia y transformarla en material para una ciencia? ¿No adoptó, qni7á, don Bosco, a su modo, la «metodología de la distanciación», es decir y en resumen, el procedimiento hoy más ensalzado — y tal vez el más oportuno — de la investigación pedagógica? Según nuestro parecer, todo esto sitúa y confirma su actualidad y debe otorgarle en pedagogía un puesto eminente.

Ch. Delorme distingue entre «modelos generalizables» y «modelos comunicables», es decir, «suficientemente teorizados como para que se puedan proponer en otros lugares de formación, adaptados a su contexto particular, pero también intercambiados y confrontados con otras propuestas también ellas modelizadas». Don Bosco es un autor típico de un modelo «comunicable». Es fácil verlo: Don Bosco se diferencia de su siglo en puntos decisivos. Se aleja, sobre todo, por el papel que atribuye a la educación y por las finalidades a las que quiere llegar a través de ella, como también por su percepción de la educabilidad. Difiere, pues, por su ambivalencia a propósito de la escuela y por su voluntad de promover otro tipo de institución que, por consiguiente, considera más apta para el trabajo social que hay que hacer con adolescentes en peligro y, en sentido más amplio, con los jóvenes en su conjunto. Se distingue, sobre todo, por un método que, por la opción refleja de la que es objeto en función deliberada de los objetivos que deben alcanzarse, autoriza a hablar de «sistema» preventivo. Se distancia, por último, al dar implícitamente al nuevo saber que produce sobre la educación un estatuto irreducible tanto a un empirismo improvisador como a una cienriflcidad objetivista.

Esta especificidad multidireccional explica, sin duda, la marginación que ha debido sufrir, pero no constituye ni el índice de un retraso, ni la señal de una debilidad, ni el efecto de una laguna. Deriva de la lucidez anticipadora de miras a la que se debe la acogida hoy ya mundial que la fidelidad inventiva de su familia espiritual le ha sabido adquirir. Fidelidad que don Desramaut muestra en marcha, sobre todo en el Oratorio Saint Fierre en Niza o en el orfanato Jesús Adolescente de Nazaret. Son precisamente estas miradas las que justifican y exigen que este educador, incomprendido y desconocido por el siglo XIX, introducido por fin en el campo de la investigación universitaria, sea, junto a los más grandes, descubierto y reconocido como un pedagogo del siglo XX.

DON BOSCO Y EL ORATORIO (1841-1855) Giorgio CHIOSSO


El Oratorio es la primera obra educativa que promueve don Bosco, primero en colaboración con otros sacerdotes y, después, como principal animador en Turín, en los años 40, como respuesta práctica a exigencias religiosas y educativas inmediatas y concretas. El objetivo primario del Oratorio fue cuidarse de los jóvenes, sobre todo de los «abandonados y en peligro», con el fin de salvar sus almas y hacerlos crecer como ciudadanos honrados. El Oratorio es, con su característico y polivalente entretejido de actividades, el resultado de una progresiva sedimentación de experiencias y de intentos y, no menos, el éxito de la asimilación personal por parte de don Bosco de iniciativas ya llevadas a efecto, y al mismo tiempo que él, y de actividades educativo-populares vivas en muchos ambientes turineses de aquellos años. Esta aportación pretende ofrecer algún punto de estudio en orden a la fase de constitución del Oratorio entendido como «reunión festiva» para los jóvenes, que se puede considerar ya superada al comenzar el decenio 1850-1860.

1. Oratorios y educación popular en Turín


Los comienzos del Oratorio, antes de su establecimiento oficial en diciembre de 1844 en el Rifugio de la marquesa de Barolo (donde había comenzado don Bosco a colaborar con el teólogo Borel) fueron sumamente sencillos y austeros: no mucho más que una instrucción religiosa esencial, acompañada por las prácticas del buen cristiano y algún complemento recreativo, todo ello animado por la disponibilidad de don Bosco para establecer con los jóvenes que se le acercaban una relación educativa amistosa.1 Las catequesis a los jóvenes que por diversas razones no iban a las escuelas de doctrina en las parroquias, eran desde hacía tiempo una de las actividades pastorales a las que se orientaba a los jóvenes sacerdotes del Convitto que dirigía el teólogo Guala con don Cafasso. Esta costumbre, unida a la impresión que le causó a don Bosco la gran ciudad, supuso una experiencia notable en su vida de joven sacerdote, comprometido en una respuesta personal a la vocación religiosa. Cuando, una vez completados los estudios, se trasladó al Rzfugio, llevó consigo al grupo de jóvenes que giraban a su alrededor, señal de que su experiencia se había consolidado ya superando la práctica normal del Convitto.

«Per venire a qualche prova cominciarono a farsi appositi catechismi nelle carceri di questa capitale e poco dopo nella sacrestia della atiesa di S. Francesco d'Assisi; e quindi si diede principio alle radunanze festive. Ivi erano invitati quelli che uscivano dalle carceri e quelli che luogo la settimana si andavano qua e lá sulle piazze, nelle vie e anche nelle officine raccogliendo. Racconti morali e religiosi, canti di laude sacre, piccoli regali, alcuni trastulli erano gil amminicoli che si usavano per trattenerli ne' giorni festivi» (G. Bosco, Cenni storici, en: P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani: l'«Oratorio». Una «Congregazione degli Oratori». Documenti, Roma, LAS 1988, p. 58). Cf. también: G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 84-86.

La hospitalidad de la marquesa de Barolo supuso tal vez la primera ocasión para dar al Oratorio naciente un mínimo de organización y ampliar sus actividades. Es probable que, por ejemplo, don Bosco y el teólogo Borel enriqueciesen con juegos y multiplicasen las iniciativas para atraer a los jóvenes, pero los hechos difíciles que se dieron entre el verano de 1845 y la primavera de 1846 no favorecieron una continuidad sistemática.

Sin la ayuda del arsenal memorial salesiano (en amplia medida dependiente de los recuerdos de don Bosco y comprensiblemente orientado a describir en términos románticos aquellos acontecimientos lejanos) es difícil verificar a partir de los pocos documentos disponibles la consistencia real y la organización del. primer Oratorio, especialmente entre 1844 y 1846. La misma carta, también importante, enviada en marzo de 1846 al marqués Michele Benso di Cavour, vicario de la ciudad de Turín, por don Bosco, para informarle del establecimiento de las actividades en fecha próxima, animadas y guiadas por él junto al teólogo Borel en la casa Pinardi, ofrece escasa ayuda. En el escrito, don Bosco, al tanto de experiencias anteriores,' acentuaba evidentemente la perspectiva catequística de las reuniones de los jóvenes,' sin omitir (y tal vez ampliando un poco) los resultados positivos alcanzados hasta entonces.'
Alguna precisión ulterior nos viene de un breve artículo aparecido algunas
2 Se trata de las protestas que, en el otoño 1845, después de la primera autorización, impidieron al Oratorio «itinerante» el uso de la iglesia de «S. Martino dei Molazzi». Acerca de este episodio y de las vicisitudes de la primavera y verano de aquel año, cf. la reconstrucción de F. Morro, L'«oratorio» di don Bosco presso il cimitero di S. Pietro, en RSS 7 (1986) 199-220.

3 «Lo scopo di questo Catechismo si é di raccogliere nei giorni festivi quei giovani che abbandonati a se stessi non intervengono ad alcuna Chiesa per l'istruzione, il che si fa prendendoli alle buone con parole, promesse, regali e simili. L'insegnamento si riduce precisamente a questo: 1° Amore al lavoro; 2°) Frequenza dei santi sacramenti; 3°) Rispetto ad ogni superioritá; 4°) Fuga dei cattivi compagni» (Una lettera "storica" del 1846 selle origini dell'Oratorio [Don Bosco al Marqués Benso di Cavour, vicario di Cittá a Torino], en: BRAIDO, Don Bosco per i giovani, p. 169170).

«Nello spazio di tre anni pió di venti abbracriarono lo stato religioso, sei studiano il latino per intraprendere la carriera ecdesiastica, molti altri ridotti al buoni sentimenti frequentano le rispettive parrocchie. 11 che é molto considerevole attesa la qualitá dei giovani i quali comunemente sono all'etá da dieci a sedici anni, sena principii di religione e di educazione, la maggior parte in preda al vizi e in procinto di dar motivo di pubbliche lagnanze o di essere posti nei luoghi di punizione» (Bosco, Lettera del 1846, p. 170).

semanas más tarde (junio 1846), en las «Letture di Famiglia», un periódico educativo-popular dirigido por Lorenzo Valerio. La nota dedicada a las «clases y diversiones para los jóvenes los domingos» citaba como ejemplos encoiniables (aun sin- nombrarlos expresamente) el caso de los oratorios de don Cocchi y de don Bosco. «También en nuestro Turín — escribían las "Letture" — muchos muchachitos andrajosos reciben cobijo e instrucción [...] gracias a una pequeña sociedad de jóvenes sacerdotes. Tomaron en alquiler dos pequeñas casas con jardín contiguo; una de ellas está cerca del Rzfugio de la marquesa de Barolo, más allá de Porta Palazzo, y la otra está situada hacia el Po y, si no me equivoco, en el nuevo barrio llamado de Vanchiglia. A estas dos casas acuden en gran cantidad los días de fiesta los verdaderos pobres, los verdaderos pillos de Turín y produce estupor el amor y la alegría con que lo hacen». El articulista anónimo no dejaba de decir quiénes eran los «veri birichini» de Turín: vendedores de cerillas, de billetes de lotería, aprendices, peones, criados, «en una palabra, de toda clase de oficios y de industria»5 y de explicar las diversas actividades que se realizaban eh los dos oratorios: «En primer lugar algunos fervorosos sacerdotes les dan una breve instrucción religiosa, se cantan salmos o cantos devotos, después se les da clase de educación, de moral y por último se les facilitan medios de diversión (en la del Po hay también ejercicio de gimnasia) y a veces se les da también algo de merienda».6
El breve escrito de las «Letture di Famiglia» — especialmente si se tiene en cuenta el contexto en el que salía publicado — constituye un documento interesante en la historia de los oratorios turineses, porque nos consiente establecer que hacia la mitad de 1846 tanto el oratorio de don Cocchi (que había dirigido el llamado del Ángel Custodio desde 1840) como el de don Bosco y el teólogo Borel (que en abril se había establecido en Valdocco) aparecían ante la opinión pública más atenta a los problemas de los ambientes populares, no sólo como simples lugares de instrucción religiosa, sino como estructuras más complejas de educación popular.

Don Bosco recuerda que el Oratorio de los primeros tiempos «era composto da scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori e di altri che venivano di lontani paesi» (MO 86). Se pueden consultar las observaciones que, sobre estas categorías de trabajadores, hace P. STELLA, Don Bosco I, p. 104.

6 Scuole e sollazzi domen:kali pei poveri, en «Letture di Famiglia» 25 (1846) 196. Para colocar en la justa perspectiva la publicación de la breve alusión a los oratorios, es necesario precisar que la revista «Letture» había publicado en un número precedente un artículo sobre las «raggedschools» de Londres (Scuole di cenciosi in Londra 21 [1846] 161-162), lamentando que no se hubiera puesto en marcha, en Turín, ninguna iniciativa análoga. El artículo, debido al director de la revista, Lorenzo Valerio, se preguntaba, en efecto, si «la dasse dei fanciulli cui sono destinate le "ragged-schools° é ella nelle capitali italiane, avuto riguardo alfa popolazione, pió o mero, che non in Londra, numerosa? Noi nol sappiamo: certo non manca, e chi frequentó le sale di ricovero che la pietá torinese apriva nel rigidissimo inverno del 1845, ha potuto scorgere i volti squallidi, selvaggi e talora feroci, dei giovani e dei fanciulli cenciosi farsi a poco a poco pió mansueti [...]. Se non che, chiuse le sale dei soccorsi invernali, quei fanciulli tornavano alle abitudini, agli errori di prima [...]. Se l'opera dei soccorsi invernali non fosse cessata, se scuole simili a quelle sovradescritte esistessero a Torino, forse quei fanciulli non sarebbero ora clamad a una vita d'infamia».

Era sintomático que fuese precisamente el periódico dirigido por el dinámico director de la industria de seda de Aglié la que se ocupase de los oratorios. No sólo aquellos meses y aquellos años, sino desde tiempos de las «Letture Popolari», se había hecho portavoz de las más variadas iniciativas de educación popular. Pero algún tiempo antes había dado acogida a un amplio ensayo de Caí() Ignazio Giulio en el que, bajo el pseudónimo de Luca Ligorio, había sostenido la tesis de que para intervenir de modo eficaz en favor de los «niños abandonados por las calles», para sustraerlos a la «suciedad del cuerpo» y a la «más repugnante del alma» no bastaba la escuela, sino que hacía falta actuar también por medio de los «entretenimientos populares». Giulio pasaba lista a un buen número y los presentaba como «instrumentos validísimos para enderezar las tendencias feas»: el juego, la gimnasia, la enseñanza de la música vocal, el ejercicio del dibujo, el teatro de marionetas, los museos de historia natural y la exposición de máquinas industriales se presentaban así como tantas otras ocasiones capaces de animar con buenos sentimientos las clases populares y, sobre todo, a los muchachos dejados demasiado frecuentemente a su aire.'
El interés de don Cocchi, de don Bosco y de los otros sacerdotes que con ellos compartían el propósito de dedicarse a la juventud y sobre todo la novedad de su acercamiento, al menos por lo que se refería a la realidad de la capital, aparecía a los ojos de los filántropos liberales de las «Letture» como un episodio que merecía ser subrayado aunque la inspiración fundamental que animaba a los jóvenes sacerdotes entraba en la categoría de la caridad y la beneficencia. Tanto los unos como los otros, con diversos grados de conciencia, pertenecían al fervor general educativo-popular que animaba al Píamonte carlosalbertino a comienzos del decenio 1840-50, consecuencia igualmente, como se sabe, del complejo progreso de la vida económica que se tradujo, por un lado, en un creciente desarrollo de la vida ciudadana y, por otro, en una mejora general de la vida, pero con un no pequeño costo humano pagado por los estratos más débiles de la sociedad de aquel tiempo.

El acentuado interés de la sociedad piamontesa hacia los problemas de la educación del pueblo reflejaba preocupaciones y exigencias que entraban en todo ello, aunque el cuadro conceptual en que se daba era, en su conjunto, el de «instruir al pueblo» y «hacer pasar a las mentes del pueblo las ideas justas de las cosas», y no «tomar del pueblo sus mismas ideas, pocas, simples, indefinidas, exclusivas, imperfectas», según lo que escribía precisamente en aquellas semanas Rosmini en las páginas de «L'Educatore Primario ».8 En los ambientes
7 L. LIGORIO GIULI0], Dei trattenimenti popolari, en «Letture di Famiglia» 2 (1843)
9-11.

8 A. ROSMINI, Della vera popolaritá, en «L'Educatore Primario» 10 (1846) 148-150.

de la burguesía y de la nobleza liberalizante la «popularidad» iba unida a exigencias de orden social, primera e importante manifestación de la conciencia que se venía difundiendo en los ambientes más elevados respecto a las nuevas relaciones entre las clases, y la promoción de la escuela se entretejía con el deseo de una nueva cultura y de nuevos hábitos capaces de dar a los grupos que empezaban a aparecer caracteres que los reforzasen como potenciales clases dirigentes.

La tradición caritativa de los Cottolengo, de los Barolo y de las numerosas iniciativas sostenidas por el celo cristiano se proponían en primer lugar de modo tangible el valor de la caridad y del amor por el prójimo, uniéndolos en el plano educativo con el propósito de eliminar los procesos de descristiani7ación que se advertían como el paso previo al desorden moral y la revolución política. En los jóvenes sacerdotes, nacidos entre 1810 y 1820 y formados casi todos en la escuela del Convitto, que se comprometieron con los oratorios, la idea de pueblo iba estrechamente unida a la de «conversión» en el sentido que esta expresión había adquirido durante la Restauración, es decir, como respuesta religiosa explícita a los esfuerzos de los ilustrados y revolucionarios por crear un mundo sin Dios. El objetivo más urgente era el de acercar a las masas populares a las prácticas de los sacramentos y a las grandes devociones. Su modelo sacerdotal iba poco a poco alejándose del de cura-juez, atento principalmente a lo que bastaba para absolver de modo válido, al de cura-padre y pastor, capaz de incrementar en los fieles la vida de gracía: un sacerdote, - pues, cercano a la mentalidad, a las exigencias del pueblo que, aun sin indulgencias, era capaz de entenderlo y de hablar su propio lenguaje.

Los oratorios de don Cocchi y de don Bosco se desarrollaron precisamente en el cruce entre exigencias pastorales (la conversión del pueblo a través de esa nueva figura de sacerdote) y las necesidades educativo-populares (ayudar a la juventud sola, abandonada y sin guía y, por tanto, potencialmente en peligro y peligrosa a que mejorase para sí misma y para la sociedad). Educar religiosa y socialmente a los jóvenes significaba crear algunas premisas importantes para el desarrollo gradual y ordenado de la sociedad piamontesa. Como sabemos, la primera preocupación fue la de la catequesis y las prácticas religiosas. Don Cocchi se aventuró en el barrio de mala fama del Moschino, primera sede del oratorio del Ángel Custodio, con el fin de impartir instrucción religiosa a una categoría de muchachos que evitaba cumplir con este deber9 y no muy diferente, según hemos visto, del itinerario que emprendió don Bosco. Pero la atención religiosa se encontró muy pronto con necesidades humanas y educativas más complejas, de las que la primera e inmediata era evitar que los jóvenes se encontrasen solos los días festivos, fuente de «muchos vicios»: muchos jóvenes «que eran buenos, se hacían muy pronto peligrosos para sí y peligrosos

9 «Vi era nella parrocchia della SS. AnnunziAta una regione, ora scomparsa del tutto, detta il Moschino, scaglionata sulla riva sínistra del Po, dove in luridi abituri si annidava guamo vi era aflora in Torino di pió mí5erabile e pericoloso Era la nostra gentile popolazione. Colá, nel bel mezzo di quella gente, il Cocchi portó le sue tende, e fin dal 1840 aprl per quei ragazzi un Oratorio, che intitoló all'Angelo Custode [-I di la l'anno seguente, nel 1841, l'Oratorio venne trasportato in Vanchiglia pió verso fi centro, sotto una tettoia dell'orto dell'avvocato Bronsino, nel cui rustico cortile si eresse una cappella e si impiantó Il teatrino e la ginnastica, che era aflora per Tocino un'istituzione del unto nuova. Cola egli ricoverava tutti i ragazzi, che nei giorni festivi inter para los demás».10
Las responsabilidades de los sacerdotes se multiplicaron por ello y si don Cocchi recurrió a la gimnasia para entretener e interesar a los jóvenes, orientando según intentos educativos la fuerza física y el amor al desafío, don Bosco y el teólogo Borel se arreglaron con diversos tipos de juegos, con excursiones, con la lectura y un poco de instrucción. El estímulo de Cafasso, la benevolencia del arzobispo, la reflexión personal ayudaron a don Bosco a superar numerosas dificultades y también algunas incomprensiones de algunos ambientes. Sobre todo le permitieron llegar a algunas convicciones importantes, las experiencias que poco a poco iba teniendo y madurando en su estrecho contacto con los jóvenes: por ejemplo, el valor pedagógico del juego y de la fiesta, tan radicados en la mentalidad popular y en el gusto de los jóvenes. El juego y la fiesta eran momentos privilegiados para crear sentido de unión, familiaridad, amistad, y para facilitar la comunicación de valores humanos y religiosos. Igualmente importante fue el recurso (como ya hacía don Cocchí en Vanchiglia) a la colaboración de jóvenes bien formados y en condiciones de presentar, más allá de la importante ayuda prestada en la catequesis y en la animación del tiempo libre, un modelo pedagógico significativo para muchachos acostumbrados a ambientes y modos de vida muy diferentes!'
Otras dos importantes intuiciones se pueden considerar adquiridas ya por don Bosco en el momento en que el Oratorio se establece por fin en Valdocco. La primera se refiere a la estructura flexible con la que plantea el oratorio: ni parroquial (como en el fondo era la experiencia de don Cocchi), ni interparroqnial; sino obra de mediación entre Iglesia, sociedad urbana y estratos populares juveniles. La segunda se refiere a la interacción dinámica entre formación religiosa y desarrollo humano, entre catequesis y educación.

venivano al catechismo in quena parrocchia, e dopo aver falto adempiere loro i doveri di nostra santa Religione procurava ad essi i mezzi di ricrearsi onestamente» (E. REFFO, Don Cocchi e i suoi
artigianelli, Torillo, Tip. S. Giuseppe degli Artigianelli 1896, p. 9-10; cito de la reimpresión de 1957).

«Frequentando le carceri di Torillo ho voluto scorgere che gli sgraziati che trovansi condotti in quel luogo di punizione, per la maggior parte sono poveri giovani che vengano di lontano in cittá o pel bisogno di cercarsi lavoro o alienad da qualche discolo. I quali soprattutto ne' giorni festivi abbandonati a se stessi spendono in giuochi o ghiottonerie i pochi soldi guadagnati nella settimana. Il che é sorgente di molti vizi; e que' giovani che etano buoni, diventano ben tosto pericolanti per sé e pericolosi per gli altri. Né le carceri producono sopra costoro alcen miglioramento perciocché cola dimorando apprendono phi raffinate maniere per far male, e perciò uscendo diventano peggiori» (Bosco, Cenno storico, en: BRAMO, Don Bosco per i giovani, p. 35-36). " MO 85.

El plan de don Bosco se configura así ya delineado en lo esencial, aunque en el plano operativo se den seguidamente muchos cambios: la religión puesta como «fundarnentum» de la educación, la importancia dada a la relación personal educador-educando, el relieve atribuido al desarrollo de las facultades humanas para un pleno y autosrificiente ingreso en la vida adulta (instrucción, trabajo, respeto a las leyes), y, por último, el reconocimiento del ambiente como ámbito inmediato de educación y, especialmente, el ambiente popular con sus recursos potencialmente educativos.

2. El Oratorio en Valdocco: 1846-1850


Con el traslado a la casa Pinardi, el Oratorio de don Bosco pasa de la fase, por decirlo así, experimental a una organización cada día más compleja, en la que él asume una responsabilidad cada vez mayor. Sostenido por el apoyo de mons. Fransoni, en noviembre de 1846 don Bosco se trasladó con su madre a Valdocco, como para sellar la estrecha relación que pretendía establecer entre su vida y sus obras. En los meses anteriores, el Oratorio había pasado por un período, de asentamiento con algunas dificultades (complicadas también por una seria enfermedad de don Bosco), resueltas con la ayuda de Cafasso, de Borel y gracias a la disponibilidad de un grupo de sacerdotes, como el teólogo Vola, el teólogo Carp ano y don Trivero. Esta colaboración entre sacerdotes jóvenes (algunos de los cuales ayudaba también a don Cocchi) era el signo de una nueva sensibilidad pastoral y de una percepción concreta de los problemas sociales por parte del clero más dispuesto a aceptar los cambios que se daban en la sociedad subalpina.

La estabilidad del Oratorio en Valdocco consintió un planteamiento más amplio y, sobre todo, una participación sistemática de jóvenes (que enseguida llegaron, seguramente, a unos doscientos o trescientos),12 lo que supuso un cierto cambio en la fisonomía de los que acudían. Según los datos recogidos sobre este particular, se ha podido precisar que hasta 1850 (el contenido de
Éstas son las cifras de los jóvenes que frecuentaban las reuniones festivas de San Francisco de Asís y después las del Oratorio de San Francisco de Sales: unos 20 en 1842 (cifra en la que coinciden tanto el Cenno storico como las Memorie dell' Oratorio); cerca de 80, al terminar la experiencia en la iglesia de San Francisco de Asís (Cenno storico, Memorie dell'Oratorio y carta a la «Mendicitá Istruita» del 1850). Pero las coincidencias terminan aquí. A propósito del período, otoño 1845 («San Martino al Molazzi») y primavera 1846 (prado Filippi), se va de un mínimo de 250 (número indicado en la carta del 1846 a Benso de Cavour) a los 300 sugeridos por el Cenno storico y a los 300-400 de las Memorie dell'Oratorio. Para los primeros tiempos de Valdocco, se pasa de los «trecento e pié ragazzi» de las Memorie biografiche (III, 133) a los 600-700 de la carta a la «Mendidtá Istruita» ya citada. Teniendo en cuenta la notable flexibilidad del Oratorio, sujeto a obvios altibajos, y faltando cualquier tipo de indicación del criterio con el cual se anotaban las presencias, resulta difícil cuantificar la real consistencia de la población oratoriana en los primerísimos tiempos.

Valdocco empezó a variar algo de nuevo cuando aumentó el internado desde la mitad del decenio 1850-1860 en adelante) la población oratoriana estaba distribuida en tres categorías principales de jóvenes, cuya edad estaba en general comprendida entre los 10-12 años y los 18-20: peones temporeros, muchachos de la «clase baja del pueblo» y estudiantes que don Bosco y los demás sacerdotes conocían durante las actividades religiosas escolares. Después había un cierto número de seglares, jóvenes o adultos, que seguían ayudando como en los primeros tiempos."
El aumento del número de los muchachos y el carácter más variado de la población del Oratorio respecto a la que se reunía en el Convitto o en el Rifugio tuvieron consecuencias importantes. Don Bosco se encontró frente a la exigencia, percibida más en términos de experiencia que como conclusión de una reflexión teórica, de poner a punto un método educativo y organizativo, no sólo capaz de aglutinar en justo equilibrio participación y disciplina, espontaneidad y orden, sino sobre todo en disposición de poner en juego todas las energías y las iniciativas útiles para suscitar el interés de los jóvenes y para responder a necesidades objetivas de los cetos populares a los que pertenecían los jóvenes oratorianos en su mayor parte. En el esfuerzo de dar una respuesta eficaz a este conjunto de problemas, el Oratorio de Valdocco entre 1846 y 1850 se consolida en el aspecto de las estructuras," adquiere prestigio progresivo en la opinión pública y entre la gente" y adquiere en sus rasgos fundamentales su fisonomía característica. Los años, pues, de las esperanzas neogüelfas y del Estatuto, de la primera guerra de la independencia y de la amarga desilusión de 1849, del entusiasmo de Pío IX y del giro anticlerical que se siguió discurren junto al gradual pero constante fortalecimiento de la primera obra de don Bosco.

13 «Definid i principali uf:fui colle speciali loro attribuzioni, D. Bosco li affidó a quelli tra giovani, che per buona condotta ed assennatezza gli parvero piel abili a disimpegnarli, creandoli, per cosi dice, suoi uffiziali o aiutanti di campo. Siccome egli soleva lasciarli responsabili dell'impiego loro affidato, limitando l'opera sua ad invigilare che ciascuno facesse il proprio dovere, cosi ognuno si dava grande sollecitudine per conoscere ed eseguire la parte sua nel miglior modo che dato gli fosse [...]. Il Direttore poi soleva ogni settimana raccogliere a sé d'intorno i suoi uffiziali, e da esperto generale li animava con fervorose parole a rimanere fedeli e saldi al loro posto, suggerendo le cose da farsi o da fuggirsi per lavorare con buona riuscita. Talora dava loro qualche premiuzzo, una divota immagine, un libretto e simili, terminando sempre coll'additare loro la bella corona, che li attendeva in Cielo» (G. BoNErn, Cinque lustri di storia dell'Oratorio salesiano fondato dal sac. Giovanni Bosco, Torino, 1892, p. 129).

" Cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1879), Roma, LAS 1980, p. 75-77.

Sobre el eco que tuvo el Oratorio en la prensa turinesa de 1848-49, pueden verse los apuntes de G. TUNINETTI, L'immagine di don Bosco nella stampa torinese (e italiana) del suo tempo, en: F. TRANIELL0 (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 210-212. Don Bosco pone en relación el ulterior incremento del Oratorio con la apertura de las escuelas: «Quanto piel era grande la sollecitudine a promuovere l'istruzione scolasdca, tanto piel cresceva il numero degli allievi» (MO 135, y casi con las mismas palabras en: BONETTI, Cinque lustri, p. 152). Sobre la fecha precisa de la introducción de las escuelas nocturnas en el Oratorio falta una indicación precisa. Braido ha expresado recientemente la convicción que «sia realistico e probabile» pensar que tal introducción tuvo lugar en el primer invierno pasado en Valdocco, es decir, en el de 1846-47 (BRAIDO, Don Bosco per i giovani 68). La insistencia con la cual don Bosco recuerda las escuelas nocturnas de la casa Moretta (invierno 1845-1846) podría significar que, antes de la introducción de verdaderas y propias escuelas, fueran impartidas lecciones a individuos y a grupos deseosos de adquirir el dominio de la lectura, escritura y cálculo.

El problema de la puesta a punto de un Reglamento le preocupó durante mucho tiempo por la urgencia de regular la tumultuosa vida del Oratorio, llegando, por fin, a una primera redacción16 a partir de experiencias y modelos ya contrastados," pero sobre todo llevó a maduración una serie de intuiciones anteriores como el funcionamiento, cada día más ordenado y regular, de las clases nocturnas y festivas, la valoración de la música (canto y banda), del teatro y de la declamación, concebidas como instrumentos de educación humana y religiosa, el perfeccionamiento de la función pedagógica del patio. Enriquecido así el Oratorio — aunque primariamente se tomaba como «agradable y honesta diversión, después de haber asistido a las funciones sagradas de iglesia» — manifestaba ricas posibilidades, favorecidas sin duda por el asentamiento estable de que ya se podía gozar en Valdocco.

Don Bosco empezó, por tanto, a pensar cada vez más en el Oratorio como en un lugar y una forma educativa útil para la juventud en general y, sobre todo, para la de los ambientes populares. El criterio de la «juventud pobre y abandonada» que le había conducido en la primera fase de su iniciativa fue sometido por ello a una primera revisión. A pesar del uso frecuente de esta fórmula para calificar al Oratorio, don Bosco empezó a dirigirse, no sólo a algunos individuos o categorías de individuos colectivamente «en peligro», sino más globalmente a aquellos amplios estratos de población juvenil de proveniencia popular que, en contacto precoz con la dureza de los puestos de trabajo y la brutalidad de las diversiones de aquel tiempo, se encontraban expuestos (aunque no estuviesen solos ni abandonados) a peligros de orden físico y moral.

La mayor circulación de ideas y de opiniones, favorecida además por la libertad de prensa después de la concesión del Estatuto, que difundió en Turín una cierta mentalidad anticlerical, sobre todo después de 1848, y el activismo de los protestantes fueron probablemente algunas de las razones que impulsaron a don Bosco a multiplicar los esfuerzos para hacer del Oratorio un lugar de educación popular y de asociacionismo cristiano, extendiendo sus actividades también a Porta Nuova (Oratorio de San Luis abierto en 1847) y después al del Ángel Custodio (1849). Este proyecto de expansión se apoyaba en la convicción de que el Oratorio era la respuesta más eficaz para la pastoral juvenil de aquel tiempo, en una fase histórica en la que la libre circulación de nuevos modelos educativos subrayaba cada vez más nítidamente los límites de la iniciativa parroquial.

16 «Lo scopo dell'oratorio festivo é di trattenere la gioventer ne' giorni di festa con piacevole e onesta ricreazione dopo dí ayer assistito alle sacre funzioni della Chiesa» (MB IN, 91).

«Erasi falto spedire molti regolamenti di Oratoril festivi piel o mero antichi, fondati da uomini zeland nella gloria di Dio, i quali fiorirono in varie cittá d'Italia. Voleva esaminare de) che abrí aveva giá imparato dall'esperienza. Noi fra le sue cante trovammo ancora: Le regole dell'Oratorio di S. Luigi eretto in Milano nel 1842 nella contrada di S. Cristina e Le regole per i figliuoli dell'Oratorio sotto il patronato della Sacra Famiglia» (MB IQ, 87). Sobre las relaciones de don Bosco con los oratorio milaneses y lombardos, cf. P. BRAIDO, Il sistema preventivo di don Bosco, Torno, PAS 1955, 87-92. Sobre la génesis y función de los reglamentos en las comunidades de don Bosco, véase cuanto observa el mismo P. Braido en: Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 355-359.

Respondiendo a problemas y exigencias que se presentaban de día en día, el Oratorio tomó los caracteres de escuela abierta a todos sin plazos fijos, orientada a implicar de modo útil y moralmente honesto las horas que se habrían podido perder en el ocio de los días festivos, lugar de instrucción y práctica religiosa y de recreo, de estudio y de distensión. Una sencilla pedagogía popular, basada en la necesidad de crear el clima de la familia, en la acogida, en el despliegue y la valoración de las habilidades de cada uno, en el valor educativo de la fiesta y de la alegría (todo ello sostenido a su vez por el supremo principio cristiano de la caridad), consolidó al Oratorio naciente, haciéndolo salir de la categoría de la asistencia.

Los contemporáneos que nos hablan de don Bosco hacia 1850, lo ven no sólo como al sacerdote que se ocupa de los jóvenes, sino como un educador del pueblo. Casimiro Danna, en el «Giornale della Societá d'Istruzione e d'Educazione», mientras lo define «padre y hermano, maestro y predicador» atendiendo a los aspectos religiosos de su actividad, indica con vigor la polivalencia educativa del Oratorio en el que se enseñan, además de la historia sagrada y eclesiástica y el catecismo, «los principios fundamentales de aritmética, el sistema métrico decimal y a los que no saben, también leer y escribir. Todo esto para su educación moral y civil».'s Casalis, por su parte, menos entusiasta de don Bosco, subraya «el provecho que obtienen los jóvenes que frecuentan (los) oratorios» como la «educación de sus costumbres», el «cultivo de la inteligencia y del corazón», de modo que «en poco tiempo adquieren un carácter afectuoso y civilizado y se entregan al trabajo y se hacen buenos cristianos y óptimos ciudadanos».19
Por su carácter de respuesta pragmática a las necesidades de los jóvenes, el Oratorio supuso para don Bosco un estímulo para ulteriores iniciativas y experiencias. Muy pronto se presentó, también en Valdocco, la necesidad de ofrecer acogida a muchachos solos y sin recursos: igual que había comenzado a hacer ya don Cocchi, don Bosco dio vida a una pequeña comunidad juvenil (el «ospizio»). Casi como una consecuencia natural del interés demostrado a los que eran más pobres (de afecto y de bienes materiales), don Bosco empezó
18 C. DANNA, Cronichetta, en «Giornale della Societá d'Istruzione e d'Educazione» 1 (1850) 459.

19 G. CASALIS, Dizionario geografico-storico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, vol. XIX, Torino 1851, p. 718.

también a preocuparse por encontrar una ocupación a sus muchachos y especialmente a los que había recogido en su hospicio." Según la práctica en marcha en la Mendicitá Istruita (institución asistencial y educativa con la que don Bosco tenía relaciones frecuentes), empezó a confiar a artesanos capaces y honrados a los jóvenes oratorianos, firmando contratos de aprendizaje, como garante en lugar de los padres.

Reconociendo, por último, la importancia de las escuelas, abrió en Valdocco y en el Oratorio de Porta Nuova una escuela elemental diurna, siguió atendiendo las clases nocturnas, pero sobre todo comenzó a admitir como internos a muchachos (de ordinario de familias modestas) que; dotados de buenas cualidades y moralmente sanos, dieran garantías de éxito en los estudios. Como se sabe, de este modo don Bosco extendía el área de las intervenciones educativas del Oratorio tradicionalmente entendido, orientándose hacia la creación de un verdadero colegio en Valdocco. El grupo de los estudiantes creció poco a poco junto al de los artesanos, primero asistiendo a las escuelas de la ciudad y después a clases preparadas a propósito en Valdocco (segunda mitad de los años 50). También los jóvenes artesanos tuvieron cabida al pasar de los años en los talleres del Oratorio, el primero de los cuales se abrió en noviembre de 1853.21
No es éste el lugar para indagar las razones que indujeron a don Bosco a transformar Valdocco en colegio, pero esta decisión, junto a algunas otras iniciativas (la construcción de la iglesia de San Francisco de Sales, la renovación de los edificios, la edición de las «Letture Cattoliche», los primeros pasos concretos hacia la Sociedad salesiana) fueron otras tantas piezas del mosaico de amplio contorno de las que el Oratorio propiamente dicho fue sólo una de esas piezas.

3. Los oratorios salesianos después de 1850


«Fra i giovani che frequentano questi oratori se ne trovaron di quelli talmente poveri e abbandonati che per loro riusciva quasi inutile ogni sollecitudine senza un sito dove possano essere provveduti di alloggio, vitto e vestito. A questo bisogno si studió di provvedere colla casa annessa e delta anche Oratorio di S. Francesco di Sales. Ivi in principio si prese a pigione una piccola casa nel 1847 e si cominciarono a raccogliere alcuni de' piú poveri. In quel tempo essi anda-vano a lavorare per la cittá restituendosi alla casa dell'Oratorio per mangiare e dormire» (Bosco, Cenni storici, p. 79-71). «La quotidiana esperienza faceva toccare con mano a D. Bosco che per giovare stabilmente ad alcuni giovinetti non bastavano -le scuole e le radunanze festive, ma era d'uopo di un caritatevole Ospizio» (BONETA, Cinque lustri, p. 143-144).

21 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 175-199; L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco, en: TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 20-39.

La leadership de don Bosco en el campo de los oratorios fue oficialmente reconocida por el arzobispo Fransoni con un decreto del, 31 de marzo de 1852, en el que le nombraba «director-jefe espiritual» del Oratorio de San Francisco de Sales y superior del de San Luis Gonzaga y del Ángel Custodio, Entre los dos animadores de los oratorios de Turín, don Cocchi y don Bosco, la elección recayó, pues, en el fundador de Valdocco. Fi primero se había situado en la práctica «fuera de juego» por sus abiertas simpatías liberales y por la imprudencia con que había llevado a un grupo de jóvenes hacia Novara con ocasión del choque fatal del 23 de marzo de 1849, aunque su generosa actividad se puso de nuevo al servicio de los jóvenes huérfanos y abandonados en octubre de aquel mismo año de 1849, con la propuesta de una asociación de sacerdotes y seglares, cuya primera realización fue el «Collegio degli Afligía. nelli».

Los sucesos políticos de 1848-49 habían acentuado las dos «almas» del movimiento de los oratorios y un grupo de personalidades con autoridad en-el clero turinés (el mismo Cafasso, el padre Durando, el canónigo Gastaldi y él abate Peyron) elaboró un plan para unificar las fuerzas e imprimir una orien- - tación unitaria a las diversas iniciativas. Como bien se sabe, se proyectó la creación de una federación, que debería asumir cometidos de dirección y de vigilancia sobre las actividades ya en marcha y sobre las que se pudiesen emprender en el futuro. Don Bosco reaccionó con mucha energía ante esta propuesta, oponiéndose al proyecto y negando su adhesión. Aducía como motivo principal la diversidad de las orientaciones educativas de Valdocco y el Ángel Custodio: según su criterio, en Vanchiglia se hacía mucha política, era insuficiente la instrucción religiosa y las diversiones se tomaban demasiado alegremente como fines en sí mismas 22
Nos falta, por desgracia, sobre las divergencias reales entre los oratorios de don Bosco y el de don Cocchi, el testimonio directo del grupo de este último y por eso es difícil establecer, sólo a través de fuentes salesianas, si el planteamiento educativo de Vanchiglia tenía verdaderamente, y hasta qué punto, los límites que le achacaba don Bosco. El análisis de la única síntesis disponible, la biografía de don Cocchi redactada por don Reffo,23 confirma la existencia de dos estilos educativos, aun con la existencia de algunos rasgos comunes, como el planteamiento familiar del intento educativo, la aceptación de la importancia educativa del recreo, lo esencial de la dimensión religiosa, la menuda filosofía del «sapersi accontentare». Don Cocchi atribuía, por ejemplo, gran importancia «a reforzar el temple de sus alumnos y darles una educación varonil y robusta para el cuerpo», trataba «de captar con oportunidad las ocasiones para insinuarse en el corazón de los jóvenes, descubrir sus pasiones y corregir sus costumbres torcidas», pero «su reserva era tan grande, que nunca quiso ser confesor de sus alumnos»; manifestaba un interés menos intenso por la instrucción y al tener que encontrar un método aceptable para llevar la colonia agrícola de Moncucco (abierta en 1853), no dudó en recurrir al del pastor protestante Fellenberg que había visto directamente aplicado durante un viaje a Suiza. Además, era casi proverbial su tolerancia educativa, en un corazón bueno y generoso que, sin embargo, no parecía estuviese sostenida por una visión pedagógica que animaba el principio educativo de la amabilidad de don Bosco.

22 Cf. MB 111, 453-454.

23 Cf. REFFO, Don Cocchi e i suoi artigianelli.

Sin minusvalorar las diferencias de carácter político que situaron en posturas distintas a don Cocchi y don Bosco (que, a su vez, reflejaban tendencias moduladas diversamente en el clero piamontés), hay elementos que justifican en términos educativos la presencia de dos estilos, tal vez más diferentes que antagónicos, a los que hay que referirse en última instancia cuando hablamos de las diversas experiencias de Vanchiglia y Valdocco. Si además se tiene en cuenta que don Bosco, después de 1850, acentuó los aspectos «protectores» de su pedagogía, se podrán comprender las razones de desconfianzas persistentes también después, cuando, por ejemplo, seguirán distinguiéndose muy bien los oratorios don Bosco y el de «San Martino» promovido por el infatigable don Cocchi en 1851, dirigido durante muchos años por don Ponte (que había estado antes con don Bosco) y animado por un grupo de sacerdotes y laicos ligados a la obra de los «Artigianelli».

Después de 1850, los horizontes de don Bosco van mucho más allá de las experiencias de los primeros oratorios: el decenio 1850-1860 es la etapa en la que se pone en marcha o se realiza la mayor parte de sus iniciativas y consolida la fama de hombre extraordinario. Es el decenio de Savio, Magone y Besucco y del encuentro con los primeros colaboradores válidos y estables. Es el período más feliz de sus actividades como escritor y polemista. La fase de constitución de su Oratorio se puede considerar ya cerrada y el interés primordial se dirige cada vez más frecuentemente y más intensamente a los jóvenes del internado, aunque en las numerosas peticiones de ayuda, la presentación de los oratorios en funcionamento en la capital resulta insistente.' La razón se explica rápidamente: los oratorios eran, ante los ojos de todos, iniciativas bien consolidadas, de modo que suponían una garantía para el empleo de otros posibles subsidios. A don Bosco le gustaba, además, seguir apareciendo como el sacerdote y el educador de los jóvenes pobres y abandonados, lo que era verdad, aunque en términos y modos diferentes respecto de los del pasado.

Véanse, por ejemplo, la carta a la «Mendidtá Istruita» de 1850 y las cartas circulares para las loterías de 1857 y de 1862, en las cuales la solicitud de ayuda o la invitación a participar a una lotería benéfica están precedidas de la descripción de los oratorios festivos y de los resultados logrados por ellos en favor de la juventud «povera e abbandonata». Quizás la descripción más sobria es la de 1850: «Col mezzo di piacevole ricreazione allettata da alcuni divertimenti, con catechismi, istruzioni e canto parecchi divennero morigerati, amanti del lavoro e della religione. Ci sono anche le scuole di canto tutte le sere e le scuole domenicali per qu

La expresión «Oratorio» asume cada vez más aquellos «varios sentidos» que don Bosco mismo precisará pocos años más tarde, cuando hable de F. Besucco y de su llegada a Valdocco: «Si se considera como reunión festiva se entiende un lugar destinado a recreo con entretenimientos agradables para los jóvenes, una vez satisfechos sus deberes religiosos. [...] Se llaman también oratorios diarios a las escuelas de día y de noche que se hacen a lo largo de la semana para los jóvenes que, por falta de medios o porque van mal vestidos, no pueden frecuentar las escuelas de la ciudad. Tomada, por fin, la palabra Oratorio en sentido más extenso, se entiende la casa de Valdocco de Turín conocida bajo el nombre de oratorio de San Francisco de Sales. Los jóvenes pueden ingresar en ella como artesanos o como estudiantes».25
Circunscribiendo nuestro análisis al significado inicial de Oratorio, es decir, como «oratorio festivo», no se puede dejar de señalar que don Bosco, precisamente en el momento en que esa actividad no constituye ya su principal preocupación, nos deja el documento tal vez más interesante sobre su función educativo-popular. Se trata, como todos saben, de la novelita La forza della buona educazione, publicada en 1855. El protagonista es, en efecto, un joven oratoriano, Pietro, tomado como modelo por todos los jóvenes que llenaban en su tiempo libre los patios de Valdocco y del Ángel Custodio e iban a las clases de catequesis: un caso, pues, diferente de lo que serán M. Magone y F. Besucco, que pertenecen ya a la historia de Valdocco como internado 26 El relato se sitúa en la periferia de Turín, en una de las muchas familias que vivían en las casitas baratas de Borgo Dora o de Vanchiglia. Y Pietro es el hijo mayor de un carpintero y de una buena madre de familia. Precisamente es la madre la que le hace crecer como buen cristiano y cuida de él aunque después, un poco precozmente, tiene que dedicarse al trabajo.

Pietro encuentra en el Oratorio y en las diversas actividades que se hacen en él, un importante punto de apoyo para su vida de fe y de buen muchacho. En el Oratorio asiste a la catequesis y se prepara a la primera comunión. Con su buen comportamiento se atrae la simpatía de sus superiores, logra alejar a su padre de sus visitas demasiado frecuentes a la taberna y a dar buen ejemplo a sus amigos, evitando que caigan en pecado. Llamado al servicio militar, cumple con este deber como honrado ciudadano y, destinado al cuerpo expedicionario que va a Crimea, no se aparta, aun estando tan apartado de su casa y del Oratorio, de las reglas de buena educación recibidas: amar al Señor, huir de las ocasiones de pecado, rezar, cumplir los deberes de su estado. La novela acaba con el ascenso de Pietro a sargento y el previsible regreso a casa.27
25 G. Bosco, II pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco, Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1864, p. 70-71.

26 Junto a D. Savio, M. Magone y F. Besucco se encuentran entre los más célebres alumnos de don Bosco (cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 175).

27 G. Bosco, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo, Torino, Tip. Paravia 1855.

A través de esa floja trama, don Bosco se propone de modo evidente, delinear los caracteres del buen oratoriano externo: Pietro vive, en efecto, una experiencia juvenil normal en familia (dentro de la cual se subraya el papel fundamental de la madre), de trabajo y de tiempo libre, pero sabiendo y queriendo interiorizar las buenas enseñanzas (la fuerza de la buena educación), vive de modo alegre la propia vida cristiana aun cuando está lejos de la familia y de las circunstancias habituales. De la novela brotan algunas indicaciones interesantes: el lazo familia-oratorio como premisa para una buena educación, el contagio del bien y del buen ejemplo (Pietro es, en efecto, el motivo del arrepentimiento del padre y ayuda y apoyo para que los amigos cumplan con su deber), un modelo de santidad «sencilla» que se basa en cumplir los deberes cotidianos, en la obediencia, en la oración, en la caridad que crece mediante el ejercicio del bien, en la mortificación (no extraordinaria, sino la que se da en la vida ordinaria) y la castidad.

El escrito de 1855 constituye, en cierto sentido, la coronación de la reflexión de don Bosco sobre el Oratorio en su dimensión original de «reunión festiva» abierta a todos, aunque en los otros treinta años, el fundador de Valdocco iba a volver muchas veces sobre el tema. Pero los primeros años de los 50 señalan, sin duda, un giro significativo en la historia del Oratorio, pasando de incunable y de primera y central realización de la experiencia religioso-educativa de don Bosco a un aspecto especial dentro de una estrategia más compleja de desarrollo y de reforzamiento de la obra salesiana. Sobre la marcha de los oratorios se reflejan opciones y prioridades diferentes que apuntan, al menos, en una primera fase, a la asunción de responsabilidades que van en dirección diversa de la valoración del patrimonio de ideas y experiencias maduradas en este sector. Así, al menos hasta el decenio 1870-1880 (como ha sido documentado autorizadamente),28 el Oratorio vive una fase de estabilidad inicial: el esfuerzo de los salesianos se multiplica en la provincia, en la que faltan las condiciones para la apertura de obras del tipo de los oratorios juveniles turineses y responden, en cambio, preferentemente, a las necesidades de tipo escolar, especialmente como consecuencia de la entrada en vigor de la ley Casati de 1859.

Es, además, sintomático, en otra situación, el estancamiento de los oratorios en Turín mismo. En 1860 eran seis, uno más solamente de los que funcionaban al principio del decenio: los tres de don Bosco, el de San Martino, el Oratorio femenino de Borgo San Donato, fundado en 1850 por el teólogo Gaspare Saccarelli y el Oratorio de San José en «Borgo San Salvario» abierto en 1859 por algunos seglares y después regido por los salesianos en 1863. Este número siguió sustancialmente igual aun en el decenio siguiente, a pesar de un cierto crecimiento de la población juvenil estable en la capital después de 1850. Las dificultades se acentuaron más tarde, entre 1860 y 1870. Después de la unidad, se dieron algunos hechos concomitantes que podrían explicar esa falta de crecimiento: la disminución de la migración estacional, la existencia de otras ofertas de asociación para los jóvenes más adultos, como, por ejemplo, las sociedades obreras, el englobamiento de los oratorios de Vanchiglia (que pasó en 1867 a la nueva parroquia de «Santa Giulia») y de Porta Nova al centro de barrios residenciales con su final como oratorio de periferia. En 1869 Baricco daba algunos datos sobre la población de los oratorios, referida al año anterior, indicando una cifra ligeramente superior a los dos mil." Es difícil compararla con los datos muy dispares entre sí, dados vez por vez por don Bosco,3° pero parece razonable la tesis según la cual la asistencia a los oratorios se estabilizó entre los años 50 y 70, sufriendo, tal vez, también alguna disminución como consecuencia de las crisis que azotaron a Turín, como el traslado de la capital en 1864.3'
Sobre el desarrollo de las iniciativas salesianas entre 1860 y 1870, cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 123-157.

Después de esa fecha, y especialmente durante los años últimos de la vida de don Bosco, los oratorios registraron una cierta recuperación, a la que aludimos al final de esta nota. En 1875 don Bosco se quejaba de que no hubiese oratorios más que en Turín y en Sampierdarena32 y en aquella ocasión pronunció la conocidísima frase de que «si se quiere hacer un bien radical a la población de una ciudad hay que abrir un oratorio». Efectivamente, hacia los arios 80 se manifiesta un nuevo interés y mayor atención hacia los oratorios, que
29 P. BARICCO, Torino descritta, vol. II, Tocino 1869, p. 719. Según los datos de Baricco, la población oratoriana turinesa estaba constituida de 800 jóvenes en Valdocco, 450 en San Luigi,
400 en San Giuseppe (San Salvario), 100 en Santa Giulia y 300 en San Martino (chicos y chicas en patios distintos).

'° Como hemos visto, hablando de los primeros tiempos del Oratorio, las cifras indicadas por don Bosco se deben tomar siempre con gran prudencia. Entre 1850 y 1862, los oratorios habrían pasado de un millar de participantes, en los tres oratorios juntos, a varios millares, en cada uno de ellos: una escalation poco convincente y, de otra parte, poco compatible con las estructuras de que disponía don Bosco. Indico algunos datos, tomados en parte de P. STELLA (Don Bosco nella storia economica, p. 173), y en parte de algunas invitaciones para las loterías, recogidos por BRALDO (Don Bosco per i giovani, p. 24-26): 1850, 1000 jóvenes en los tres oratorios; 1852, más de 2.000 en Valdocco; 1855, entre 1.500 y 2.000 en el conjunto de los tres oratorios; 1857, más de 3.000; 1862, «talvolta ascendono a piú migliaia in uno solo di questi oratori».

31 Stella concluye así el examen de las cifras: «In conclusione, ammesso il fluttuare dei giovani nei mesi estivi e in quelli piú rigidi dell'inverno, ammesso il diradarsi in círcostanze straordinarie come ll colera del 1854, é da ritenere che nel ventennio 1850-1870 sia avvenuta una certa stabíli7zazione numerica dei giovani negli oratori diretti da don Bosco» (Don Bosco nella storia economica, p. 174). La población de Turín había pasado en aquellos veinte años de los 136.849 habitantes de 1848 a los 194.480 del 1868 y a los 212.644 del 1871 (cf. la elaboración de C. BERMOND, Torino da capitate politica a centro manufatturiero, Tocino 1983, p. 122-138).

32 Los salesianos se establecieron en Sampierdarena en 1872, después de una breve permanencia en Marassi: la casa se convirtió pronto en «l'opera salesiana piú emblematica della Liguría»: el oratorio para los jóvenes del barrio y el hospicio para la juventud pobre reprodujeron «le esperienze primordiali di don Bosco», representando «le finalitá essenziali preferite» (STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 153).

vuelven a adquirir un carácter prioritario en las opciones de los salesianos junto a una orientación hacia la periferia urbana, que se fue acentuando en el último cuarto del siglo. En los nuevos barrios populares que surgían junto a instalaciones industriales, se daban condiciones de vida y exigencias educativo-sociales que evocaban el contexto en el que se habían desarrollado Valdocco y los demás oratorios subalpinos.

Mientras tanto, en 1877, se publicó el documento más explícito sobre los oratorios, es decir, el Regolamento, aunque ya se había elaborado y aplicado años antes. Díez arios más tarde se decidió que en toda casa salesiana hubiese un Oratorio festivo: «Todo Director debe procurar con solicitud la aperturadarle pujanza si ya está fundado». Se trataba de la clara voluntad de que el Oratorio se plantease de nuevo como momento sustancial en la ya compleja iniciativa religioso-educativa de los salesianos, primer paso del florecimiento subsiguiente de oratorios que se daría en Italia (no sólo gracias a los salesianos, pero sí con su aportación significativa) entre el último decenio del siglo XIX y el primero del nuevo siglo en el cuadro de una presencia social y educativa renovada en los católicos italianos.33
" P. STELLA, I salesiani e il movimento cattolico in Italia fino alfa prima guerra mondiale, en RSS 2 (1983) 223-251.

DON BOSCO Y LA ESCUELA HUMANISTA Bruno BELLERATE


He escrito ya en otra circunstancial que, según mi parecer, el tema de la escuela en don Bosco no se había estudiado todavía a fondo. Tampoco yo tengo la pretensión de hacerlo con esta comunicación que, unida a otras de este mismo Congreso, o publicadas mientras tanto, espero que pueda ofrecer alguna aportación al menos a nivel de sugerencia. Hay que decir igualmente que no es fácil encontrar materiales útiles a este propósito ni siquiera en el Archivo Salesíano Central. Como consuelo, en parte, si no como justificación, vale también el principio de que «la historia se hace con documentos, pero los documentos no son la historia»?
Los estudios en esta temática pueden ser de diversos tipos, pero los que existen se podrían catalogar en dos grupos fundamentales: uno con preocupación pedagógico-educativa y otro con preocupación histórico-pedagógica. Como ejemplo, recuerdo, entre los primeros, las páginas de don Pietro Ricaldone, cuarto sucesor de don Bosco, a quien le interesaba la orientación práctica de la Congregación salesiana.3 Y entre los segundos, en cuyo cauce querría situarme, los estudios de Pietro Braido y de Pietro Stella: aquél, con más valor pedagógico, y éste, con más valor histórico.4 Con todo, sigue siendo verdadero el problema de la escuela en don Bosco en general. Y en su tiempo se concedió poca atención entre los salesianos a este tema respecto a otros argumentos, y esto porque no suponía un punto especialmente significativo ni de su actividad ni, menos todavía, de su pensamiento.

B. BELLERATE, Don Bosco e la scuola educativa salesiana, en «Salesianum» 50 (1988) 75.

2 Se puede ver, a este propósito, la literatura sobre la metodología histórica, en particular: H.I. MARROU, De la connaissance historique, Paris, Éditions du Seuil 1954 (sobre todo, los capítulos 3. 4 y la conclusión).

Cf. P. RICALDONE, Don Bosco educatore, Colle Don Bosco (Asti), Libreria Dottrina Cristiana 1952, vol. 1, p. 504-609, vol. 2, p. 109-188.

Sus publicaciones, en este campo, son más bien numerosas; pero, por lo que se refiere al tema específico de la escuela, se pueden señalar, sobre todo: P. BRAmo, Il sistema preventivo di Don Bosco, 2. ed., Zürich, PAS-Verlag (ahora: Roma, LAS) 1964, p. 360-376; P.BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva nel sec. XIX - Don Bosco, en: ID. (ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. II: Sec. XVII-XIX, Roma, LAS 1981, p. 389-399; STELLA, Don Bosco I, p. 121- 127; ID., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980, p. 123-157.231243.278-284.

Limitarsi a considerare la scuola umanistica, cioè la scuola secondaria superiore (e, secondo il mio criterio, sotto il profilo prioritario del contenuto e della metodologia), porta a ulteriori domande e acuisce le difficoltà, sia per la scarsità di materiali (più abbondante, d'altra parte, per l'aspetto giuridico-istituzionale) come per l'identificazione di un significato che può essere ragionevolmente attribuito a Don Bosco stesso.

1. Considerazioni storico-contestuali


Un primo elemento, non determinante ma probabilmente influente, si riferisce alla storia personale del Santo, centrata, da un lato, sulla convinzione della chiamata divina al sacerdozio, con tutte le condizioni e le richieste che ciò implicava; e, d'altra parte, nelle difficoltà economiche che in linea di principio potrebbero impedirgli di realizzare il suo "sogno". Infatti, con l'aiuto dei suoi benefattori, "Giovannino" diventa Don Bosco e, lungo la strada, deve dedicarsi agli studi umanistici e classici, nei quali trova anche soddisfazione, al punto che Don Rua , il suo successore, scriverà: "Don Bosco non disprezzava i classici profani; li aveva studiati, conosceva a memoria lunghi paragrafi e li commentava magistralmente. Quando parlava con buoni maestri talvolta dimostrava tanta erudizione, erano stupiti e si sentì costretto a dire che non hanno mai pensato che Don Bosco aveva una profonda conoscenza della letteratura latina "? Era quindi un'esperienza che non si dimentica e potuto apprezzare il suo tempo, proprio quando il liceo inizia presso l'Oratorio, di primo livello solo "ginnasio" o meno "Latinidad" (1855-1856), con lezioni di grammatica e poi anche superiore (1859-1860).

La situazione educativo-educativa in Piemonte fino alla legge Casati non è meno significativa. Due punti meritano un'attenzione speciale da parte nostra.

Da un lato, il riconoscimento della scuola un forte impegno educativo, orientata principalmente verso l'istruzione e la pratica religiosa come garanzia di umanità e, in parallelo, la sottomissione all'autorità costituita, secondo i canoni del tempo, cementato nell'alleanza tra trono e altare. In questo senso la legge del savoiardo Settecento rimase ancora in vigore, con un paio di modifiche di P. Taparelli d'Azeglio nel 1822, sotto il regno di Carlo Felice. Con loro non erano stati correttamente le innovazioni introdotte nelle linee guida, ben radicata all'interno del monarchico poi e uno spirito moralista-pietista quasi inquisitorio, ma le regole piuttosto dettagliate, sostenendo che connotazione della scuola (che, d'altra parte, ne godevano pochi), accentuavano il loro monopolio o, almeno,
'Lettere circolari di don Michele Rua al salesiani, Tocino, Tip. SAID «Buona Stampa» 1910, p. 37 (lettera n.4 del 27.12.1889).

Nel 1848, ha stabilito il Ministero della Pubblica Istruzione, il suo primo proprietario, Carlo Boncompagni, ha stabilito una nuova legge che ha rotto in pieno vantaggio dello stato nello spirito dei movimenti rivoluzionari di quel tempo, collaterali tradizionale e quindi hanno provocato forti ma reazioni comprensibili nella sfera ecclesiastica. Tuttavia, non ha prestato molta attenzione ai contenuti educativi lasciando alla religione tutto il suo peso, ma agli aspetti dell'organizzazione e dell'ispezione. Ha revocato, tuttavia, i privilegi, ad esempio, la Chiesa goduto propri diritti e ha avuto la possibilità di intervenire, riducendo, tra le altre cose, la possibilità di creare nuove scuole, senza approvazioni governative appropriate e le qualifiche per l'insegnamento debitamente richiesto, anche quando si trattava di discipline ecclesiastiche. Liceo sono state riorganizzate in tre cicli di "grammatica" (corrispondente inferiore latinidad prima), due di "retorica" ​​(con la riduzione di un anno rispetto a quelli di "grammatica", "umane" e "retorica" ​​sopra ) e due di filosofia (come prima). È stata introdotta la sperimentazione di scuole e istituti tecnici. "
Inoltre, con la seguente legge (1857/06/22) ministro Lanza (art. 7) e poi la Casati (1859/11/13, l'arte 246-247.) Legge, il monopolio di Stato era rotto, con un ulteriore riesame di tutta la materia scolastica. sia la famiglia e le autorità municipali sono stati riconosciuti in loro, infatti, i diritti e gli spazi specifici, con maggiori possibilità di intervento anche per l'iniziativa privada.8 la scuola è stata completamente riorganizzata e, per quanto il nostro tema, l'orientamento classico-umanistica è stata ristrutturata nei cinque anni di totale 'ginnasio', e il "liceo" con altri tre anni, uno in più rispetto alla legge Boncompagni. Inoltre è stato unito, definitivamente, alle istruzioni tecniche.

Questa nuova situazione, che manifesterà gradualmente crescente necessità per l'istruzione, le istituzioni favorite sono stati moltiplicati
, sia la scuola laica, voluta dai comuni che li credevano di acquisire maggior prestigio come religiosi, a causa della proliferazione di congregazioni di uomini e donne, in particolare dedicate alla formazione di juventud.9 Tuttavia, le condizioni cambiate in modo significativo e peggio soprattutto con l'arrivo del governo di sinistra (1877), come si vede nelle discussioni e deliberazioni del secondo Capitolo Generale dei Salesiani (1880).

6 Cf. V. SINISTRERO, La legge Boncompagni del 4 ottobre 1848 e la liberta della scuola,
SEI 1948, p. 6-7, y A. GAMBARO, La pedagogia del Risorgimento, in Nuove questioni di Stork della pedagogia, vol. Da Comenio al Risorgimento italiano, Brescia, La Scuola 1977, p. 590-591.

7 Cf. el citado ensayo de SINISTRERO, La legge Boncompagni, en el que se recogen las principales críticas hechas al documento, sobre todo por parte de los católicos, además del texto de la ley misma; y el trabajo de GAMBARO (599-603), que subraya los cambios institucionales.

La literatura sobre la ley Casati, o a partir de la misma, es más bien amplia. Aquí recuerdo sólo: G. CANESTRI - G. RICUPERATI, La scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, «Documenti della storia», 18, Tocino, Loescher 1976; el ensayo de GAMBARO, La pedagogia 608-612 y de G. TA-LAMO, La scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, Milano, Giuffré 1960; pero también el interesante opúsculo de G. ALLIEVO, La legge Casati e Pinsegnamento privato secondario, Torino, Tipografia Salesiana 1879.

Éste es el ambiente y el terreno en el que se encuentra don Bosco en relación con la apertura y difusión de la escuela humanística en sus «casas», como prefería llamarlas.

2. Motivaciones y principios generales


La primera obra y la más típica del Santo fue el Oratorio, al que se unió después el internado (1847), impuesto por las condiciones de vida en que se encontraban los jóvenes que buscaban trabajo o lo realizaban ya. Después de 1848, especialmente tras la clausura de los seminarios de Turín y de Chieri en 1849, don Bosco, que quiere por una parte acoger a los seminaristas de la diócesis y por otra, tener colaboradores para su actividad catequístico-educativa, abrió su casa también a los estudiantes, que iban, no obstante, a escuelas privadas externas.' El 7 de abril de 1880, en su relación al Ministerio de Instrucción pública, el Provveditore de estudios de Turín reconoce que Valdocco era un «vivero, del que el sacerdote Bosco, fundador de una orden religiosa, obtiene sus seguidores», pero, al mismo tiempo añade que «dos tercios al menos de los alumnos [..1 vuelven a la sociedad»." A aquellos mismos años se refiere Tina importante declaración de don Rua: «Don Bosco, desde los primeros tiempos del Oratorio, mostró siempre vivo deseo de que se estudiasen también los clásicos cristianos». Y un poco más adelante insiste: «Desde 1850, durante varios años, él mismo, en vacaciones, nos explicaba varios pasajes de estos Autores de la Iglesia, especialmente las cartas de San Jerónimo, y manifestaba siempre un vivo deseo de que se estudiasen».'5
Algún año más tarde, el Santo, que escribió sobre ello también bastante después, se dio cuenta del hecho de que: «Había, sin embargo, una gran dificultad. Como no teníamos todavía en casa los talleres, nuestros alumnos tenían que ir a trabajar y a clase a Turín, con gran menoscabo de la moralidad, porque los compañeros que encontraban, las conversaciones que oían y lo que veían, hacían inútil lo que se hacía con ellos y se les decía en el Oratorio. [...] Lo que sucedía con los artesanos había que lamentarlo igualmente de los estudiantes. [...] Eran escuelas óptimas, pero el ir y volver suponían muchos peligros. El año 1856 fueron definitivamente establecidas escuelas y talleres en la casa del Oratorio con lógica ventaja» (MO, 205-206). Fue el comienzo de nuevos compromisos que, por otra parte, completaron el abanico de stn, intereses educativos en Italia, fuera, naturalmente, de sus posteriores establecimientos en el extranjero.

Cf. el ya citado vol. II de BRAIDO (ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia.

1° Sobre estas vicisitudes, cf. especialmente: MO 199ss, MB y también: Annali I,p. llss.

" MB XIV, 756.

12 Lettere circolari, p. 36-37.

Para justificar la decisión de abrirse, primero, a los estudiantes y, después, de crear escuelas propias, no disponemos de una documentación amplia. Las pocas afirmaciones al respecto, como la que hemos reproducido antes.' pueden despertar muchas dudas sobre todo si se advierte la difusión de lo. colegios salesianos, a partir de los años 60, que respondían a otras necesidades muy diferentes.

Hay que buscar las motivaciones que indujeron a don Bosco a dedicarse progresivamente a los estudiantes, con una bajada de atención paralela hacia los artesanos, (impulsada un poco más tarde)," más que en declaraciones explícitas, en su personalidad y en las situaciones históricas. Su personalidad, por un lado, era muy sensible a las «necesidades de los tiempos», a las exigencias que se iban manifestando en el ambiente y que implicaban a los jóvene,;. Especialmente, al requerimiento de mayor instrucción, con la que parecía que se podían obtener mejores condiciones de vida en el futuro. Y la educación, a su parecer, tenía que mirar con atención ese futuro. Por otra parte, el impulso hacia la acción casi incoercible del Santo, desde luego dirigido a la «salvación de las almas» y a una obediencia confiada a los designios divinos, aun respetando necesidades y prioridades, no le consentía quedarse mirando frente al florecimiento de nuevas instituciones. De hecho, como él mismo hace notar varias veces, el dato de que muchos chicos, intelectualmente bien dotados, no pudiesen ejercitar esa capacidad que Díos les había dado, no le dejaba tranquilo.1-9 Además, esa misma expectativa de mejor instrucción iba cundiendo en las familias y en la sociedad, en la que daba sus primeros pasos la industrialización. Más aún: como se ha dicho, se habían ido multiplicando las posibilidades de inserción con la gestión de escuelas propias, apoyándose en los obispos, que tenían necesidad de ayuda para la reorganización de sus seminarios, y de los ayuntamientos, que no disponían con frecuencia de personas en condición de dirigirlas.

Don Bosco siguió ambas pistas, abriendo pequeños seminarios: como tal se podía considerar el internado para estudiantes del Oratorio de Turín y así fue la obra de Mirabello (1863), después de la experiencia de Giaveno (1860); y verdaderos colegios, como los de Lanzo (1864), Alassio y Cherasco (1869).

' E I, 377-378; III, 471 y 486.

14 En las actas de la 8' conferencia del II Capítulo general del 7.9.1880, se lee: «Si ripete in-tanto ció che giá tante altre volte si disse in altre circostanze e doé ció che ci tiene su e deve essere nostro scopo speciale dover essere i collegi od ospizi di artigianelli, gli Oratori festivi e riguardo a scuole solo [después tachado] quelle del popolo e per poveri giovani abbandonati» (ASC 046 Capitolo Generale fi 1880 [micr. 1.858 B10]).

Véanse: Regolamento per le case della Societá di S. Francesco di Sales, P. II, c. 2. a. 7; E
248.

Esta «colegialización» obedecía, a mi parecer, más que al movimiento europeo de revaloración de los internados, en sintonía con el proceso de restauración, a la emergencia política italiana, que veía a los «católicos» a la caza de espacios autonómicos ante el Estado, en los limites que consentían las leyes, y de la libertad de enseñanza y de educación.16 El Santo estaba especialmente atento a defender el planteamiento propio de la educación, de modo que no dejó escaparse la ocasión que le ofrecían los tiempos y cuando se le bloqueó el camino de las escuelas de «ginnasio» (1879), se batió con todas sus fuerzas para defenderlas.

En realidad, don Bosco había utilizado la actividad escolar como un instrumento ulterior y eficaz de educación y, por tanto, en su perspectiva, de cristianización, aunque al principio tuviese un motivo importante su necesidad de colaboradores y, a partir de los años 60, frente a los obispos y a los mismos salesianos, diese mucho relieve al cuidado de las vocaciones.''
Bajo esta luz, pues, también la escuela humanística entraba en su planteamiento educativo, obedeciendo a los mismos principios escolares fundamentales, como ya ha hecho notar P. Braido,18 calificándola, ante todo, como «escuela cristiana». En ella debía tener un lugar privilegiado la instrucción religiosa y la educación moral, como «preparación a la vida»; pero es que, además, se debía actuar a la luz del «temor de Dios», en la fidelidad a los propios deberes y, por tanto, al «trabajo», de modo que se incidiese sobre la marcha de la misma vida civil, como «honrados ciudadanos», además de «buenos cristianos» como don Bosco solía remachar. El Regolamento per le case della Societá di S. Francesco di Sales, elaborado en varias etapas desde los años 50, subraya esos mismos principios.

Es convicción común hoy entre los estudiosos de la «pedagogía» de don Bosco, que el sistema preventivo, nacido más de la práctica que de lecturas o reflexiones de carácter teórico e impuesto como estilo educativo específico, tuvo que sufrir notables modificaciones precisamente con la «colegialización»," que había exigido estructuras y relaciones diferentes de las que regían en el Oratorio de Valdocco.

16 Cf., sobre este punto, las densas páginas de S'TELLA, Don Bosco I, p. 121-127; pero que evoca también un probable influjo europeo.

17 Puede verse, especialmente, el ya citado pasaje del Epistolario I 248; además: el art. 5 del
c. I de las Costituzioni della Pia Societá di S. Francesco di Sales: «Mezzi per coltivare le vocazioni alío Stato Ecclesiastico», introducido en las Deliberazioni del secondo Capitolo generale della Pia Societá Salesiana, tenuto in Lanzo Torinese nel setiembre 1880, Torillo, Tipografía Salesiana 1882, Distinz. III, c. 4, pp. 56-59; MB XII, 27; XVII, 616.

" BRAIDO, II sistema preventivo, p. 360-366; y para las repercusiones sobre la sociedad: ID., II progetto operativo di Don Bosco e l'utopia della societá cristiana, «Quaderni di "Salesianum"», 6, Roma, LAS 1982.

19 Cf. BRAIDO, II progetto operativo, p. 5 y p. 15-21; STELLA, Don Bosco II, p. 462-466.

Esto se deduce, no tanto del opúsculo con aquel título, preparado y publicado en 1877, cuanto del análisis de la actividad y de las enseñanzas de don Bosco. A pesar de esto, algunos rasgos típicos del «sistema» se encuentran también en el terreno de la escuela, tanto en la práctica como en las orienta-dones que sobre ella se dan. Entre los más significativos, hay que señalar, en clave más bien metodológíco-educativa, la centralidad del ambiente, cuyo eje es la familiaridad, orientado a la promoción de una moralidad y religiosidad auténticas, genuinas; 2° la corresponsabilidad que, por una parte, quería tener en cuenta las diferencias de carácter y de edad y, por otro, jugaba con la implicación de los mismos muchachos; por último, la atención a cada uno, que en el plano didáctico se expresa como individualización. A este respecto, creo significativo señalar que, con los años, se intensificó la indicación de atender a los muchachos en dificultad, a los últimos, sin que esto supusiese desatender a los demás: «De ordinario los maestros tienden a complacerse con los alumnos que sobresalen por estudio e inteligencia y explican atendiendo sólo a esos [...]. Yo, en cambio, soy de parecer totalmente contrario. Creo que todo maestro debe atender a los más torpes de la clase; preguntarles con más frecuencia que a los demás, detenerse más por ellos en las explicaciones y repetir, repetir, hasta que entiendan, acoplar los deberes y lecciones a su capacidad. Si el maestro tiene un método contrario a esto, no da clase a los alumnos, sino a alguno de los alumnos. Para ocupar convenientemente a los alumnos de inteligencia más despierta, dénseles deberes y lecciones extraordinarios, premiándolos con puntos de aplicación. Más que descuidar a los más retrasados, dispénseseles de cosas accesorías; pero las materias principales adáptense totalmente a ellos»?'
Análogas afirmaciones, repetidas varias veces por don Bosco, se encontraban también en los pedagogos más perspicaces de la época y no sólo extranjeros aunque es siempre difícil decir si y hasta qué punto se puede demostrar su posible influencia, teniendo en cuenta que el Santo tenía la experiencia personal y repetida de trabajar con muchachos con dificultades en la escuela.'
20 A este propósito, se puede consultar: BELLERATE, Don Bosco e la scuola, p. 88-93. Pero no hay que olvidar el hecho de que, ya en 1880, don Bosco se da cuenta de que son las escuelas las que más fácilmente caen en el frente de la «cantó e dolcezza», especialmente con los últimos. En la 2' conferencia del II Capítulo general decía: «Un'altra cosa che bisognerá studiamo insieme di promuovere si é lo spirito di cantó e di dolcezza di S. Francesco di Sales. Esso va diminuendo specialmente nelle scuole. Alcuni giovani non sono ben visti e non ben trattati dai maestri: altri sono abbandonati nella scuola, non curad, lasciati per tempo e tempo senza essere interrogati, senza che loro si correggano lavori ecc.: altri poi sono mandad fuori dalla scuola [...]» (ASC 04 Capitolo generale H 1880 [micr. 1857 C9].

21 MB XI, 218. En este sentido existían en Valdocco los «ripetitori», de quienes don Durando ha transmitido los nombres, para los años 1869-1872, en su agenda personal (ASC, 272. Durando).

Cf. por ejemplo: MO 51.78.94.101. En cuanto a los pedagogos, J.F. Herbart había hecho ya propuestas análogas, y, por ejemplo, en «L'Educatore primario», que don Bosco conocía, se pueden, probablemente, encontrar exhortaciones del mismo tipo.

3. Problemas escolares específicos


Indicados los objetivos fundamentales que don Bosco se proponía alcanzar con la escuela y las modalidades educativas a las que debía obedecer, resulta muy lejos de su pensamiento la idea de una posible «neutralidad» de aquella institución, no por su función instrumental, sino por su uso, que tenía que orientarse necesariamente a un tipo cualificado de formación humana. Por eso, la «escuela cristiana» se ha ido delineando, a sus ojos, como el remedio principal para la «única causa verdadera» de la «aberración» que estaba extendiéndose al difundirse la obligación y la frecuencia escolar: la «educación pagana que se da generalmente en las escuelas».23
La puesta en marcha de la actividad escolar en el Oratorio había respondido, sin embargo, a otras motivaciones, como se ha visto. Y sólo más tarde tomó cuerpo la convicción que absorbió progresivamente la atención y el empeño del Santo. Efectivamente, aquella iniciativa suponía inevitablemente una serie de complicaciones burocráticas: desde la obtención de los permisos necesarios, condicionados por la situación legal de los maestros y la practicidad de los locales; el planteamiento educativo, al que se ha hecho alusión y que más tarde entrará en crisis hasta en el Oratorio (1882-1884);24 los destinatarios, que poco a poco se fueron diversificando; hasta los subsidios didácticos que, a su vez, no se podían considerar neutrales.

El problema más grave que debió afrontar don Bosco, desde el principio, fue el de los maestros. Empezó, en 1855-56, con el clérigo G.B. Francesia, de 17 arios, que había sido antes interno en el Oratorio y al que él mismo había impuesto el hábito. Después, con G. Ramello y F. Blanch, «patentato» y que se había ofrecido a trabajar gratuitamente. Y, poco a poco, con otros colaboradores suyos que, sin embargo, carecían, las más de las veces, del título exigido o «patente» de enseñanza. De aquí la preocupación y la densa correspondencia del Santo con las autoridades competentes, a partir del 4 de diciembre de 1862, para obtener excepciones y reconocimientos, y que duró toda la década de los años 60 y volvió después de la clausura del «ginnasio» de Valsalice, con tonos, acentos y promesas de diverso género, que ponen en evidencia la astucia y sabiduría de quien, sabiéndose en situación deficiente, juega todas las cartas que tiene para conseguir sus objetivos, sin desanimarse por las dificultades, las amenazas y los abusos a los que se vio sometido. Basta recordar las frecuentes y a veces fastidiosas inspecciones de que fue objeto la escuela del Oratorio.25
" Cf. F. CERRUTI, Le idee di D. Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola - Lettere due, San Benigno Canavese, Tipografía e Libreria Salesiana 1886, p. 88: se - transcribe un coloquio del Santo con el abogado Michel.

24 Véase: J.M. PRELLFZO, Studio e rillessione pedagogica nella Congregazione Salesiana 18741941 - Note per la storia, en RSS 7 (1988) 36-47.

" Cf. E I, especialmente, de la carta 219 a la 685, passim; MB v-VII y XVI; Annali I, passim.

Presionado por esa urgencia, don Bosco no dudó en enviar a sus clérigos a la Universidad, primero en calidad de oyentes y después, cuando se le exigía por el Ministerio regularizar situaciones, como matriculados normales, llegando, aunque con retraso, a disponer de maestros titulados en número suficiente. Sin embargo, las dificultades volvían a aparecer enseguida, impidiéndole con frecuencia aceptar invitaciones para nuevas fundaciones. Es más, uno de los motivos de volver a cierta preferencia por los «artigianelli», según don Bosco, fue precisamente el hecho de que «al mismo tiempo se pueden sostener con menos personal y, esto es lo mejor, que por ahora el personal no necesita titulación y a nosotros nos faltan tanto títulos de diplomados como de licenciados».

Y añade: «En estos hospicios, además, con los artesanos podemos, poco a poco, poner también escuelas y entonces no hay tanto peligro de que las autoridades escolares vean lo que se hace y si los maestros están titulados o no».26
En cambio, no había tenido dificultad en aceptar desde el principio los programas propuestos por el Estado, aun sin renunciar a introducir alguna exigencia especial, como el estudio de los autores clásicos cristianos, a los que quiso que se dedicase una hora de dase a la semana.' Después, mientras insistirá en aceptar los programas y la autoridad del gobierno, decidirá reservar los estudios universitarios a los sacerdotes q «al menos» a los iniciados en las órdenes sagradas.28
En cuanto a los destinatarios, inicialmente eran muchachos con esperanza, al menos, de vocación eclesiástica, si no salesiana. Tanto es así que, mientras antes había enviado a sus estudiantes también a las clases del canónigo Anfossi, del vecino Cottolengo, en un segundo momento recibió él mismo a los aspirantes del canónigo en Valdocco. Sólo más tarde se abrió esta escuela a otros externos, pero privilegiando siempre a posibles candidatos al sacerdocio. En cambio, en otros centros, el Santo fue reduciendo poco a poco las mallas de su red, para recoger toda clase de «peces», con tal de hacerles alcanzar la meta de la salvación. La «colegialización» ensancha de este modo el horizonte, desde la juventud «pobre y abandonada» a «cualquier otra clase de personas», aunque la «Congregación» «prefiere ocuparse de la clase media y de la clase pobre como quienes tienen mayor necesidad de ayuda y de asistencia».29 Un caso especial fue la aceptación del colegio de Valsalice (1872) destinado a los retoños de «familias patricias y pudientes» de la clase alta de Turín, por indicación y presión de la curia y del arzobispo, y aceptando tatobién «a algunos (aunque pocos) jovencitos pobres».

26 Verbali del Capitolo generale II (micr. 1.858B11): muy probablemente esta postura refleja la disquisición jurídica en curso, en orden a la abrogación del decreto de clausura del colegio («ginnasio») de Valdocco.

27 Cf. Regolamento per le Case, P. I., c. VI, a. 14. Pero, curiosamente, en los únicos Programmi d'insegnamento per le scuole elementari, ginnasiali e liceali que he logrado encontrar (ASC 35) para el «Armo Scolastico 1888-1889» (Torino, Tipografía Salesiana 1888); no aparece tal hora, sino sólo «S. Girolamo (De viris illustribus)» en el tercer curso gimnasia'.

Cf. Verbali del I Capítulo general de 1877, respectivamente, 4' conf., p. 128 de la edición crítica (preparada por M. VERHULST, I verbali del I Capitolo Generale Salesiano [1877], Universitá Pontificia Salesiana 1980) y p. 292s. sobre el respeto de los programas y de la autoridad; y el 7° art. sobre los «Studi tra i confratelli Salesiani» del mismo Capítulo: Verbali, p. 99 y además p. 109- 110 (edición crítica).

La apertura de las escuelas a muchachos de la «clase media» hizo reaparecer, también por la escasez de vocaciones eclesiásticas, la preocupación por ellas a partir de los años 60, como se ha dicho; don Bosco vuelve a insistir para que se cuide y se prefiera a los que dan esperanza de vocación, codificando en las Constituciones de la Sociedad salesiana este compromiso." Naturalmente, dentro del problema de las vocaciones, ocupaban un puesto privilegiado los que podían llegar a ser salesianos. En un primer momento, en Valdocco, no estaban separados de los otros estudiantes en los cursos del «girinosio», mientras que para los cursos de liceo y filosofía frecuentaban como externos, las clases del seminario, colaborando también a satisfacer las exigencias de asistencia y de enseñanza en el mismo Oratorio. Sólo mucho más tarde, en los últimos años de la vida del Santo, se pensó en llevarles después del Noviciado a una institución a propósito, San Benigno Canavese, primero, y a los «estudiantados» después, como decidió el segundo Capítulo general?'
Por lo que se refiere a los salesianos, no hay que olvidar, de modo especial, las exigencias especificas de carácter pedagógico orientadas a su preparación en el plano educativo, además de formación eclesiástica: se insiste en ello tanto en los reglamentos como en los Capítulos generales.32
4. La instrumentación didáctico-educativa
Subrayada la finalidad religiosa fundamental, siempre presente en el pensamiento y en la acción del Santo, señalo aún tres elementos especialmente significativos del escenario escolar-formativo promovido por él: el recurso a modelos, válidos, según él, para todo tipo de intervención pedagógica, la coloquialidad y la preparación de textos y manuales adaptados, en este caso, a la escuela humanística. Terminaré este punto con iina palabra sobre el latín.

29 Ibidem c.I, a. único.

30 Cf. BRAIDO, Il sistema preventivo, p. 353-359. Véase también RICALDONE, Don Bosco educatore II 452-493, teniendo en cuenta el diverso enfoque e interés de este escrito. Además: Costituzioni della c. I, a. 5; y las páginas ya citadas de las Deliberazioni del secondo Capitolo.

31 Cf. STELLA, Don Bosco I, p. 150-160. Además los ya citados volúmenes de los Annali y, sobre todo, de las MB. Véase además: Deliberazioni del secondo Capitolo, p. 69-71. Se tenga presente que el principal motivo aducido para cerrar el gimnasio de Valdocco era que enseñaban maestros sin título, en lugar de los maestros titulados que habían sido comunicados a la autoridad civil.

32 CE especialmente el trabajo ya citado de PRELLEZO, Studio e nflessione pedagogica, páginas recordadas. Me parece importante recordar también los consejos dados a don Bertello, profesor de filosofía, respondiendo a sus quejas sobre el poco empeño en el estudio de los clérigos salesianos; en tales consejos se repiten indicaciones dadas a todos los enseñantes (E II, 471).

El tema de los modelos, o con el significado práctico actual de esquemas estructurales los que hay que atenerse en las propias intervenciones, sino el sentido o de figuras emblemáticas que reproducir, o que no hay que imitar y que han caracterizado durante siglos a la educación cristiana (así como el papel tradicionalmente atribuido al «ejemplo»), o también sólo en el sentido de ideales a cuyo logro se ha invitado, está muy presente en los escritos y en las normas dadas por don Bosco. Para ello no sólo recordaba la ocasión de celebraciones esperiRles (fiesta de la Inmaculada Concepción, de San José, de San Luis...) que había que aprovechar en las clases con breves referencias, sino que se había comprometido, con una laudable sensibilidad pedagógica, en proponer a sus jóvenes modelos de entre sus compañeros desaparecidos poco antes, aunque lejanos de ser canonizados. Así, Domingo Savio, ahora santo, Francisco Besucco, Miguel Magone.33
Por coloquialidad, en este contexto, entiendo una doble exigencia subrayada por el Santo ante sus maestros. Ante todo, la insistencia en que explicasen y lo hiciesen de un modo fácil, comprensible para todos, de acuerdo con aquella atención a los últimos de la que ya se ha hablado. Este tipo de enseñanza no tiene en cuenta el brillo del maestro, que se debe poner al nivel de los alumnos, como en cualquier diálogo humano, pero de modo que interpele al alumno. En la misma línea está su insistencia sobre las preguntas en clase, aunque vistas principalmente como verificación: «Y soy también del parecer de que se pregunte mucho, mucho y, si es posible, no se deje pasar ningún día sin preguntar a todos. De esto se sacarían ventajas incalculables. Oigo, en cambio, que algún profesor entra en clase, pregunta a uno o dos y, después, sin más, explica su lección.-Este método no lo querría ni siquiera en la Universidad. Preguntar, preguntar mucho, preguntar muchísimo: cuanto más se haga hablar a los alumnos tanto más aumentará el provecho».34 No se trata, de todos modos, de una fiscalización, sino que ese modo de actuar tiene que situarse en el horizonte de la amorevolezza, típica de su planteamiento educativo. Gracias a ella uno se hace «pequeño con los pequeños», de modo que, como hace escribir desde Roma en 1884, los muchachos «si son amados en lo que les gusta participando "en sus aficiones infantiles, aprendan a ver el amor en las cosas que naturalmente les gustan poco: como la disciplina, el estudio, la mortificación de sí mismos; y aprendan a hacer estas cosas con amor»."
Indicaciones más detalladas sobre la metodología didáctica y, todavía más, sobre los objetivos que se deben obtener, se leen en las dos cartas de don Cerruti a don Rua cuyo título es: Le idee di D. Bosco sull'educazione e sull'inse
" Véanse las respectivas biografías, preparadas por él mismo. Además: MB VI, 244-245 y 390; Regolamento per le case, P. I, c. VI, a. 13.

34 MB XI, 218. Cf. también: Regolamento per le case, P. I, c. VI, a. 5. Sobre este tipo de indicaciones, se insiste de vez en cuando en las conferencias a los salesianos de Valdocco (por ejemplo en la 4° del 82.1881: ASC 38).

33 Bosco, Scritti pedagogici, p. 294. Cf. MB V, 917; VI, 320-321; VIII, 750; IX, 69-70.

gnamento, ya citadas. Su valor estriba en que fueron escritas cuando todavía vivía el Santo que, muy probablemente, al menos fue informado de ellas, y porque don Rua las recibe como tales explícitamente,36 de modo que se apoya en ellas en su circular, aunque, a su vez, llame la atención sobre otras sugerencias didácticas, y porque el autor había sido alumno y maestro en el Oratorio de Valdocco. La insistencia mayor, no obstante,--se-....claáquí también sobre la «cristianita» de la escuela y la elección de los escritores latir so que dan a aquélla una buena aportación.

Por último, en lo que se refiere a los manuales, don Bosco, descontada una selección cuidadosa previa, exigía, en primer lugar, el respeto: «Querría, además, que las explicaciones se ajustasen al texto, explicando bien sus palabras. Irse por regiones elevadas parece dar palos al aire [...]. Y que no se critiquen los textos. Hace falta poco para desacreditarlos ante los jóvenes; cuando éstos hayan perdido su estima, no los estudian ya. Se puede añadir lo que falta, dictándolo; pero críticas, no, nunca».37 Sin embargo, se sentía el problema, y en los dos primeros Capítulos generales se dieron normas, más bien detalladas, con pequeños reajustes en el segundo de ellos: «1. Por regla general, los libros de texto deben estar escritos o revisados por nuestros socios o por personas conocidas por su honestidad y religión. 2. Cuando las autoridades escolares mandasen algún libro, puede introducirse sin dificultad en nuestras escuelas; pero si en ese libro hubiese máximas contrarias a la religión o a la moral, no se ponga nunca en manos de los alumnos. En ese caso, provéase dictando en clase o haciendo imprimir o multicopiar dicho libro, omitiendo o rectificando las partes, los períodos y las expresiones que se juzgasen peligrosas o sin más inoportunas. Esto es cometido del Consejero escolar del Capítulo superior».38
Hoy, indudablemente, estas indicaciones pueden sonar a excesiva prudencia, pero no lo eran en aquellos tiempos, sea porque era costumbre común, al menos entre los religiosos, «purgar» a los clásicos, según la práctica de San Carlos Borromeo para sus seminaristas;39 sea porque no existían otras fuentes fáciles de encontrar libres de «contaminación» moral, como se atribuía a dichos autores; o, por último, porque los textos tenían precios no muy asequibles. En aquel clima, que el Santo había respirado desde hacia tiempo y que había fomentado, tanto con sus publicaciones como con sus intervenciones, se puede comprender mejor y valorar el tardío desahogo con el abogado Michel de Marsella en 1885: «He combatido toda mi vida contra esa perversa educación (pagana), que arruina la mente y el corazón de la juventud en sus años más bellos; fue siempre mi ideal reformarla sobre bases sinceramente cristianas.

36 Lettere Circolari 38: «In quello voi troverete le precise idee di Don Bosco su questo argumento; io le volli rileggere ultimarnente con attenzione, e dovetti constatare che realmente vi erano con tutta fedeltá esposte quelle idee, che phi e pl.' volte aveva io stesso udite ripetere e inculcare dal labbro del nostro caro padre». Véase, en la p. 43, otros consejos didácticos.

MB XI, 218: MB XIV, 838.

38 Deliberazioni del secondo Capitolo, c. IV, p. 73. Cf. Deliberazioni del Capitolo Generale della Pia Societa Salesiana, tenuto in Lanzo-Torinese nel settembre 1877, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana 1878, c. Da, p. 18.

" Lo afirma don Cerruti en su opúsculo (p. 9).

Con este fin he acometido la impresión revisada y corregida de los clásicos latinos profanos más frecuentes en las escuelas; con este fin empecé la publicación de los clásicos latinos cristianos, que deberían, con la santidad de su doctrina y de sus ejemplos, hacerla más bella con una forma al mismo tiempo elegante y robusta, completar lo que falta a los primeros, que son el producto de sólo la razón, hacer vanos en lo posible los efectos destructores del naturalismo pagano y volver a dar el antiguo honor debido a cuanto en las letras produjo de grande el Cristianismo. Este es, en una palabra, el objeto que he buscado siempre en todos los intentos educativos y didácticos, que di de palabra y por escrito a: directores, maestros y asistentes de la Pía Sociedad salesiana. Y ahora, viejo y caduco, muero con el dolor, resignado, pero dolor al fin, de que no me han comprendido bien, de no ver plenamente en marcha la obra de reforma de la educación y la enseñanza a la que he consagrado todas mis fuerzas y sin la que no podremos jamás, lo repito, tener una juventud estudiosa sincera y enteramente católica»."
Esta larga, pero muy significativa cita, por la que pido excusa, aunque puede suscitar alguna perplejidad desde un punto de vista estrictamente histórico, no deja dudas sobre las intenciones y preocupaciones de don Bosco en relación con la escuela humanista, en la que no se podía tolerar nada que supusiese daño para la formación cristiana. Don Cerruti, que se alarga en el tema, insinúa también las posibles fuentes, pasadas y contemporáneas del Santo, con una referencia especial a la polémica que se había desencadenado en Francia entre Dupanloup y Gaume, cerrada con una decidida intervención de Pío IX con la encíclica Inter mirifica.s del 21 de marzo de 1853. En ella se defendía el uso de los clásicos cristianos junto a los profanos «a quavis labe purgati». En la misma línea se había situado también León MIL Y esto habría sido suficiente para decidir la actitud y las opciones de don Bosco:' En esta misma perspectiva se entiende también la exclusión de muchos autores y obras literarias italianas, como Ariosto, Machiavelli, Metastasio, Giusti, D'Azeglio y hasta Manzoni (y como «lo que puede hacer mal a los nuestros puede hacer mal a los demás: no se pueden poner a la venta»), como todos los textos «en que hay enarnoramientos».42 De todos modos, don Bosco «estudió los clásicos italianos y en los últimos arios de su vida recordaba todavía y declamaba de memoria con mucho gusto cantos enteros de Dante y poesías de otros autores. Sintió la necesidad de estudiarlos, como algo necesario para aprender bien la lengua y hacerse con un buen estilo. Y promovió su estudio.

40 CERRUTI, Le idee di D. Bosco, p. 89.

Cf. CERRUTI, Le idee di D. Bosco, p. 11-14. Se dan, explícitamente, las razones por las que se deben preferir los autores cristianos (p. 15), y se transcribe una significativa exclamación de don Bosco: «Aihmé quanti giovani di belle speranze ha rovinato la mitologia!» (p. 40).

Cf. Verbali del Capitolo generale II (micr. 1.857D7).

Pero vio los peligros que iban a encontrar en este estudio los jovencitos, sobre todo porque muchos de ellos están prohibidos por la Iglesia o la ley natural». Pero no hay que olvidar, a propósito de ello una observación de don Cerruti, a la que atribuye valor didáctico: «Yo recuerdo, querido don Rua, con cierta emoción, aquellos bellos arios en que él, nuestro amadísimo padre, nos contaba con aquella rara ingenuidad suya, el cuidado ardiente que había puesto durante sus años de estudios juveniles por adquirir una forma de hablar especialmente florida, rotundidad en los períodos, belleza de dicción y cosas parecidas, y cuántos esfuerzos debió hacer después, cuántas luchas sostuvo contra sí mismo para librarse de ello y adquirir, en cambio, aquella otra llana, sencilla, cándida y siempre correcta que hace amables tanto sus palabras como sus escritos». La retórica, especialmente en los trabajos escolares, se presenta de ese modo negativamente.43
Por último, una referencia también sobre el latín. El Santo que, como se ha visto, lo había estudiado diligentemente, se convirtió en paladín de su estudio, antes de nada, entre sus clérigos colaboradores y, después, entre los estudiantes, hasta el punto de hacer representar, con éxito comedias clásicas en su texto original.44 El motivo principal de esta actitud suya, que tenía también raíces muy lejanas y profundas en la tradición escolar piamontesa, derivaba del hecho de que el latín era la lengua de la Iglesia y de los Padres, por los que nutría una gran veneración, aun bajo el aspecto literario, como ya se ha dicho. No se puede, por otra parte, excluir una consciente funcionalidad con vistas a la promoción de las vocacione eclesiásticas. Sin embargo, con la expansión de la Congregación en el «nuevo mundo», sólo se menciona el latín en relación con los clérigos y no ya con los colegiales, como aparece en las Deliberazioni del secondo Capitolo generale, y después.

5. Reflexiones finales


Al final de este recorrido histórico por los arios de la madurez y vejez de don Bosco con el fin de captar las motivaciones y opciones que le llevaron a asumir el peso que suponía abrir una escuela humanista, querría presentar algunas consideraciones, en clave «positiva» y, tal vez, personal, que estimulen, según creo (y no sólo a los salesianos), aunque vayan de forma esquemática, y espero que no moralista.

Ante todo, sobre la función de la escuela. Aunque hoy se puede pensar en la escuela como una institución dirigida fundamentalmente, si no exclusiva mente, a la instrucción y hasta la profesionalización, me parece que, a la luz de la postura del Santo, no se puede (ni debe) dejar en la sombra su cometido educativo y, por tanto, dirigido en primer lugar a una promoción humana; y, eventualmente, a un éxito profesional en todo caso no necesario.

" Cf. CEJuwrI, Le idee di D. Bosco, p. 44-45y p. 46-47.

" Cf. MB VI, 884 y 958; VII, 666; VIII, 419 y 782-783. Por lo que se refiere a su admiración por los Padres y a la defensa del latín de los miqmos, además de los pasajes citados, cf. MB IV, 634-636.

Por eso resulta indispensable unir, a la preparación disciplinar de los maestros, una preparación igualmente comprometida de corte pedagógico; don Bosco lo pedía a sus religiosos, teniendo en cuenta, naturalmente, los progresos de las ciencias de la educación.

Lo que no contradice, según mi parecer, la exigencia y la práctica del Santo de unir al estudio y a la información (entonces no siempre adecuada) una experiencia directa y probada: el «tirocinio». Tal vez el mismo don Bosco exageró el papel determinante de la práctica, pero por necesidad más que por convicción, dado el aprecio que demostró en general por los estudios. Hoy, con frecuencia, el riesgo es el contrario: nos contentamos con la teoría, académica o no, y ni siquiera porque se la estime más de lo debido.

Algo todavía. El Santo, aun después de haber abierto a la «clase media» las escuelas, insistió mucho para que no se descuidase a los muchachos con dificultades en el aprendizaje. Se diría que defendía una escuela no selectiva, pidiendo a sus maestros un empeño mayor y diferenciado, no resignado en absoluto. Hoy, a nivel teórico, se difunden tesis paralelas (desde la de una individualización más tradicional en la enseñanza hasta el mastery learning), pero se está muy lejos en la práctica, en la que vuelven a aparecer con vigor posturas discriminatorias.

El principio de la corresponsabilidad o de la coloquialidad, como lo he denominado aquí, invita a pensar de nuevo en el valor del sujeto humano y la densidad del respeto que le es debido. Don Bosco sin duda estuvo condicionado por su pensamiento teológico y religioso, más que por el antropológico-psicológico en esta implicación buscada de los alumnos. Pero crear espacios para los otros y compartirlos como iguales, la utilización (como piden, entre otras cosas, la amorevolezza y la familiaridad) es una exigencia que, pedagógicamente y tal vez también psicológicamente, tiene un significado liberador. Como cuando se trata con niños, se mira mucho de arriba abajo. J. Korczak tendría mucho que decir en este campo y precisamente en ese sentido he relanzado un concepto más amplio de coeducación, como con-tributo continuo y recíproco, aunque no siempre consciente, a la promoción humana.

Por último, la aceptación por parte del Santo de los programas oficiales, aun tomándose la libertad que consideraba irrenunciable de adaptarlos, es índice de una notable capacidad de adaptación que, si no se puede llevar hasta las fronteras de un pluralismo impensable para aquella época, manifiesta una cualidad fundamental para una gestión inteligente de las relaciones humanas: discernir lo esencial de lo accidental, lo sustancial de lo accesorio. En educación es objetivo indiscutible la promoción del sujeto, su crecimiento humano; las modalidades, los medios y hasta las metas intermedias pueden variar o desaparecer; en una educación cristiana, igualmente no hay que confundir lo que garantiza la fe con lo que otros aconsejan o exigen.

Se trata de sugerencias para la reflexión, si no para la revisión, que se encuentran en buena sintonía con las actitudes y las opciones de don Bosco que, aun referidas a un tema no medular de sus intereses y de su pensamiento, brotan con notable evidencia y, aparte la diversidad de los tiempos, de las situaciones y de los condicionamientos, se pueden volver a proponer, aún hoy, a todos.

DON BOSCO Y LAS ESCUELAS PROFESIONALES


Aproximación histórica (1870-1887) *
José Manuel PRELEZZ0 GARCÍA
El historiador salesiano Eugenio Cenia ha escrito con cierto énfasis: «Para medir el alcance de las escuelas profesionales de don Bosco, es necesario esperar a que tenga lugar el maravilloso desarrollo de las mismas, en el antiguo y en el nuevo Continente, bajo los sucesores del Santo; éste, sin embargo, les dio la dirección y el primer impulso, que consintió avanzar hacia los progresos ulteriores».1
O. Precisiones preliminares
En realidad, la misma denominación «escuelas profesionales» entró en el lenguaje corriente y en los escritos salesianos después de la muerte de don Bosco. Éste y sus colaboradores preferían hablar, como sus contemporáneos, de «artisti» y de «artigíani», de «officine», de «laboratori», y, más tarde, de «ospizi per arti e mestieri» o de «case di artigiani». En el ámbito cultural de lengua castellana tuvo fortuna la expresión «talleres salesianos».

El documento más importante sobre el asunto, elaborado en el Capítulo general- de 1883 y de 1886, presentaba, en la primera redacción manuscrita, como título: «Indirizzo da darsi alla classe operaia nelle Case Salesiane e mezzi onde svilupparne e coltivarne le voca7ioni».2 El máximo órgano legislativo de la Sociedad salesiana fue presidido todavía por don Bosco.

El texto de la redacción definitiva, unido a otro documento sobre los salesianos laicos, vio la luz, en las Deliberaciones oficiales de 1887, bajo el epígrafe: «Dello spirito religioso e delle vocazioni fra i coadiutori e gli artigiani».3
Es ésta precisamente la publicación que el citado don Cenia definió con una expresión que ha encontrado buena acogida entre los estudiosos: como una «parva chanta» de las escuelas profesionales salesianas.

* Esta comunicación fue redactada y leída por el autor en castellano (n.d.e.).

' Annali1, p. 649.

2 Capitolo generale III 1883. Deliberazioni del temo e quarto capitolo generale della Pia Societa Salesiana tenuti a Valsalice nel settembre 1883-86, San Benigno Canavese, Tip. Salesiana 1887, p. 16-22.

La publicación constituye, sin duda, un punto de referencia importante y autorizado, para acercarse a la fase más madura de la propuesta hecha a las casas salesianas de artes y oficios, durante la vida de don Bosco.

En mi comunicación, dedicaré una atención especial a las diversas redacciones del documento, con el fin de destacar el significado y alcance de los temas más centrales, y con el intento de precisar también los límites de la presencia de don Bosco y de sus colaboradores en la elabóración de los mismos.

Para alcanzar plenamente estos objetivos, sería necesario hacer, al menos> una previa aproximación a la «realidad viva» de las instituciones en las que don Bosco y los primeros colaboradores realizaron su labor en beneficio de los jóvenes aprendices.

Mi aportación queda intencionada y necesariamente limitada al ámbito de una institución: el Oratorio de San Francisco de Sales de Valdocco (Turín), y en el arco de tiempo señalado: 1870-1887.

La elección de Valdocco no es arbitraria. Se trata de la primera y de la única institución dirigida directamente por don Bosco. En ella abrió sus primeros talleres. Por lo que se refiere a los límites cronológicos, basta una breve acotación: el límite final (1887) resulta obvio, si se tiene en cuenta la fecha de las citadas deliberaciones capitulares que vieron la luz pocos meses antes de la muerte de don Bosco. Más problemático, en cambio, aparece el punto de arranque. Con todo, los materiales que se conservan en el Archivo Salesiano Central (diarios y apuntes de los primeros salesianos, actas de reuniones del consejo de la casa...) permiten afirmar, al menos como hipótesis de trabajo, que, a. partir de la fecha indicada, se advierte, en determindos aspectos de la vida de Valdocco, cierto cambio de perspectiva. Precisamente en 1870, se decidió introducir una neta separación entre artesanos y estudiantes. Así lo dice don Michele Rua en las actas de las llamadas Conferencias capitulares. Don Rua era, a la sazón, prefecto de la Sociedad salesiana e íntimo colaborador del Fundador.

Como me referiré muchas veces a éstos y a otros documentos similares, conviene advertir:
a) Hablaré de «Conferencias capitulares», para referirme a esas actas, en las que el citado don Rua recoge (al menos desde 1866 a 1877) las deliberaciones de las reuniones celebradas por el capítulo (hoy, consejo) de la casa. En dichas reuniones intervenían también los miembros del Capítulo superior (hoy, Consejo general).4
b) Con la expresión «Conferencias mensuales», indicaré las actas (redactadas por don Giuseppe Lazzero, viceclirector y, más tarde, director) de las reuniones del personal de Valdocco (1871-1884).

ASC 9.132 Rua Capitolo Deliberazioni. En la primera página de algunos cuadernos, don Rua escribe: Conferenze capitolari dell'Oratorio di S. Francesco di Sales...; cf. ASC 110 Barberis Cronachette (23.1.1878).

Intervenían, frecuentemente, en estas reuniones todos los salesianos de la casa. Desde 1871, se tenían también conferencias mensuales en las que tomaban parte únicamente los responsables de la asistencia de los artesanos del Oratorio de San Francisco de Sales.5
c) Con el nombre de «Conferencias generales», se entienden las actas (escritas por diversas manos) de las reuniones del Capítulo superior y de los directores de las casas celebradas con ocasión de la fiesta de San Francisco de Sales. Eran presididas por don Bosco.6
Esquema del trabajo:
1. Los talleres de don Bosco: notas introductorias.

2. Progresiva separación entre artesanos y estudiantes, y «gran progreso de los artesanos» (1870-1878).

3. La «sección de artesanos»: propuestas de organización (1879-1882).

4. Líneas para un plan de formación en las «casas de artesanos» (1883 1887).

5. Presencia de don Bosco y presencia de los colaboradores: un tema a profundizar.

1. Los talleres de don Bosco: notas introductorias


Para recorrer con una cierta seguridad las etapas que serán objeto de nuestro estudio, puede ser útil acercarse un momento a los orígenes. Esquemática, mente, se podría sintetizar así el devenir de la obra de don Bosco, con relación al tema: 1° encuentro con jóvenes aprendices que él entretiene e instruye los días de fiesta (1841-1843); 2° acogida de pobres muchachos inmigrados, desocupados, a los que busca un trabajo en el taller de algún honesto patrón, estipulando regulares contratos de trabajo (1844-1852); 3° y, finalmente, apertura de talleres internos propios, con una clara intención preventiva (evitar los graves peligros morales de los talleres de la ciudad) y con explícita finalidad práctica: zapatería (1853), sastrería (1853), encuadernación (1854), carpintería (1856), tipografía (1861), forja (1862).7
En este punto, el educador piamontés no siguió los modelos escolares pú
ASC 110 Conferenze del Personale e del Capitolo dell'Oratorio; ASC 38 Oratorio S. Fr. di Sales Adunanze del Capitolo della Casa Ottobre 1877 - Genn. 1884.

6 ASC 04 Conferenze generali.

7 Cf. Annali I, p. 649-659; MB VII, 114-120; P. STELLA, Don Bosco nella simia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980, 243-258; R. ALBERDL Impegno dei salesiani nel mondo del lavoro e in particolare nella formazione professionale dei giovani, en: Salesiani nel mondo del lavoro. Atti del convegno europeo sul tema «Salesiani e pastorale per il mondo del lavoro» (Roma 9-15 maggio 1982), Roma, Editrice SDB 1982, p. 9-63
blicos: «Entre el antiguo modo de establecer relaciones de trabajo entre el maestro de arte, dueño de taller, y los aprendices, y el nuevo modelo dela escuela técnica prevista por la ley orgánica de instrucción pública, don Bosco prefirió recorrer una tercera vía propia: la de los grandes talleres de su propiedad, cuyo ciclo de producción, de nivel popular y escolar, constituía también un útil entrenamiento para los jóvenes aprendices».8
Este hecho ha sido interpretado desde perspectivas diversas. En este momento, basta recordar que las experiencias de Valdocco habían comenzado algunos años antes de que entrara en vigor dicha ley orgánica de instrucción pública, la llamada «legge Casati» de 1859. Es decir, habían comenzado cuando el legislador italiano (y no sólo éste) seguía sin dedicar una seria atención a la instrucción profesional de los jóvenes aprendices.

La escuela técnica, establecida en el marco de la enseñanza secundaria, por la citada ley Casati, estaba destinada, más bien, a la pequeña burguesía de los negocios y del comercio.9 A finales de siglo, se seguía aún discutiendo polémicamente sobre la incapacidad de las escuelas técnicas de preparar para un oficio («dare un mestiere») a los alumnos (no muy numerosos) que las frecuentaban.i°
El imperativo de «dare un mestiere» a sus muchachos, para que pudieran ganarse honradamente el pan, se encontró, desde el principio, en el centro de los intereses de don Bosco. La obra iniciada a favor de jóvenes desocupados y, en su mayor parte analfabetos, se insertaba sin esfuerzo entre las iniciativas «privadas», nacidas en un clima de nueva sensibilidad por la instrucción de las clases populares y por la creación de talleres destinados a los jóvenes aprendices.

En los años que precedieron a la apertura de los primeros talleres de don Bosco, diversas publicaciones periódicas («L'Educatore Primario», «Letture di Famiglia», «Giornale della Societá d'Istruzione e d'Educazione») insistían en la importancia de la formación de artesanos instruidos; y presentaban a sus lectores las experiencias italianas («istituti di arti e mestieri di Biella») y extranjeras («Ecoles royales d'Arts et Métiers de Chálons-sur-Marne»). Don Bosco pudo, ya entonces, tener en sus manos «L'Educatore Primario», pues el primer número de la revista aparece citado en la presentación de su obra Storia sacra (1847). Y, ciertamente, mantuvo contactos con institutos
8 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 248.

9 A. Torirw, L'istruzione tecnica e professionale di Stato nelle strutture e nei programmi da Casati al nostri giorni, Milano, Ginffré 1964, p. 13; cf. S. SOLDAN', L'istruzione tecnica nell'Italia liberale, en «Studi Storici» 22 (1981) 1, 110. En la ley Boncompagni del 1848, se hablaba de «scuole speciali»: «quelle che, continuando l'istruzione elementare, preparano all'esercizio delle professioni per le quali non é destinato alcuno speciale insegnamento nelle universitá» (tit. I, art. 4).

SOLDAN', L'istruzione tecnica, p. 110.

en los que funcionaban talleres para los jóvenes alumnos, como «La Generala» o el «Regio Albergo di Virtú» de Turín."
Resulta relativamente fácil colocar los orígenes de la obra de don Bosco en el contexto contemporáneo. Existen además publicaciones serias que se ocupan del tema, situado en el marco de la historia económica y social durante el período 1815-1870, En cambio, «la falta de documentación — ha observado P. Stella — no permite esbozar, sino en línea hipotética, las vicisitudes de las comunidades juveniles de los tres oratorios de don Bosco después del 48 hasta el 70».m
Esta afirmación habría que hacerla, sobre todo, al referirnos a los talleres de Valdocco y al período posterior al 1870, del que nos vamos a ocupar aquí. Pero habría que añadir también que, a pesar de que los documentos disponibles son fragmentarios e incompletos, se encuentran en ellos datos y elementos que permiten determinar, al menos «en línea hipotética», algunos rasgos que contribuyen a caracterizar la laboriosa andadura de la obra de don Bosco y de sus primeros colaboradores en favor de los jóvenes aprendices.

2. Progresiva separación entre artesanos y estudiantes, y «gran progreso de los artesanos» (1870-1878)


En la Conferencia general de 1871, don Bosco, después de haber escuchado la relación de los directores de las casas salesianas, quiso expresar su punto de vista sobre el Oratorio de San Francisco de Sales, la «casa central» de la Congregación: Veo que «se va regulando el orden en todas las cosas. Estoy contento también por el gran progreso de los artesanos, los cuales en años anteriores eran un verdadero flagelo para la casa. No es que todos sean harina para hacer hostias; pero un progreso ha tenido lugar, y hay algunos que piden poder entrar en la Congregación»
" En este último, hacia 1842, eran acogidos unos 150 muchachos, que se ejercitaban, durante 5 ó 6 años, en el aprendizaje de un oficio o arte manual, con el objeto de llegar a ser «abili a campare onestamente la vita» (F. GARGANO, Educazione e tecnologia, in «Letture di Famiglia» 1 [1842] 35, 274). Cf. Frammenti d'un viaggio pedagogico, en «Guida dell'Educatore» 3 (1838) 281307; Istruzione tecnica, en «L'Educatore Primario» 1 (1845) 18, 294-296.; Ordinamento dell'Istruzione in Piemonte, en «Giornale della Societá d'Istruzione e d'Educazione» 1 (1850) 1, 289-294; P. BARICCO, L'istruzione popolare in Torillo, Torillo, Tip. Botta 1865, p. 140-141; R. AUDISIO, La «Generala» di Torillo. Esposti, discoli, minori corrigendi (1785-1850), Santena, Fondazione Cavour 1987, p. 154-158. Don Bosco pudo leer el «Avviso-invito» lanzado por don Cocchi, el 15 octubre 1849, para la fundación de una «Societá di buone persone, e principalmente di Sacerdoti, e di Giovani secolari, i quali si prendessero a cuore l'incarico di provvedere al bisogni dei tanti raga7.71, orfani principalmente, abbandonati che bullicano per Torillo, e fano ii disordine della Societá Civile, e dell'umanitá - dar loro una qualche educazione, provvederli dei mezzi onde avviarli a qualche professione, a qualche mestiere».

STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 171.

" ASC 04 Conferenze generali (30.1.1871). Cf. J.M. PRELLEZO, Valdocco 1866-1888. Problemi
De las crónicas y testimonios del tiempo, se desprende claramente que, en efecto, no todos los artesanos eran «harina para hacer hostias». En 1876, don Ginlio Barberis (íntimo colaborador de don Bosco), en una de sus «cronachette», anota la decisión tomada en las Conferencias capitulares de expulsar a algunos de los más hábiles jóvenes artesanos «por razones de inmoralidad».14
Entre esas dos fechas — 1871 y 1876 —, al menos media docena de veces, se trató en dichas Conferencias capitulares acerca del tema de la mejora y progreso («miglioramento») de los artesanos. Precisamente en este contexto se recuerda insistentemente la medida tomada en 1870, que he recordado al principio: separar artesanos y estudiantes en los diversos ambientes de la casa. Y me parece que la insistencia en este punto no respondía, o no sólo respondía, al deseo de evitar encuentros u ocasiones peligrosas. Respondía, ciertamente, a preocupaciones de mayor alcance.

Sabemos que después de los años 60, por influjo de la tendencia general postunitaria hacia la enseñanza clásica, la sección de estudiantes se convirtió en la categoría propulsora («trainante») de Valdocco y de otras casas salesianas, como Lanzo, Alassio, San Pier d'Arena.'
Probablemente, sería exagerado hablar ahora de una clara inversión de tendencia. en Valdocco. Con todo, en los años 70, se advierte más de una señal respecto a una progresiva y mayor atención hacia los jóvenes aprendices. A pesar de algunas ligeras flexiones, se puede decir que el número de alumnos artesanos que entran en los talleres sigue un ritmo creciente.

organizzativi e tensioni ideali nelle «conferenze» dei primi salesiani, en RSS 8 (1989) 289-328.

" ASC 110 Barberis Cronachette (23.1.1876). Dos meses más tarde (31.3.1876), recoge un «discorsetto», «falto dopo le orazioni sgli artigiani», en el que don Bosco, aludiendo a «lo sciolamento e la ricostruzione del corpo musicale», dijo: «Vi sará giá stata delta la ragione di questo. E proprio da dirsi che la ragione precipua, anzi unica si fu perché, da molti non si faceva la parte del musicante che é di tenere allegri gil animi degli uomini e farli giá partecipare della musica che andremo poi a sentire in paradiso; ma si faceva la parte del cattivo, di chi vuol fare stare allegro il demonio».

STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 378.

TABLA 1: Número de nuevos alumnos artesanos y de otros empleados que entraron anualmente en los talleres de Valdocco (1870-1879)
año alumnos otros total
1870 76 54 130
1871 43 81 124
1872 45 44 89
1873 58 56 114
1874 53 69 122
1875 71 56 127
1876 67 80 147
1877 80 90 170
1878 77 41 118
1879 75 38 113
(Fuente: elaboración de ASC Torino Valdocco Anagrafe giovani 1869-1901).

Es éste el período en el que se asiste a un notable incremento en el número de Coadjutores, es decir, de los salesianos laicos que iban a desempeñar, por deseo de don Bosco, un papel importante en la dirección de los talleres. En el 1870, los Coadjutores eran 23; en 1880, 182.16
No faltaron estímulos en el ambiente cultural contemporáneo. En el bienio 1870-1871, el movimiento obrero católico echaba a andar en Turín, con la fundación de la «Unione Operaia Cattolica» por iniciativa de Leonardo Murialdo. Éste, según asegura su biógrafo, «accese della sua fiamma anche D. Bosco. Ne sollecitava la presenta e la parola nelle inaugurazioni delle nuove sezioni, nell'intento pare di convogliare nelle societá operaie cattoliche i giovani operai dei suoi Oratori, ed anche per stabilire armonía di relazioni tra i dirigenti delle opere giovanili, quelle delle Unioni ed i Parroci».17
Erano gli anni in cui, per opera dello stesso Murialdo, il "Collegio degli Artigianelli" è stato organizzato meglio, ed è venuto a Piemonte eco delle iniziative francesi Léon Harmel e Timon-David nel campo della formazione dei giovani lavoratori. A Madrid, nel 1871, fu creata la prima «Scuola di arti e mestieri» (decreto legge 5.5.1871).

16 P. STELLA, I coadiutori salesiani (1854-1974). Appunti per un profilo storico socio-professionale, in: Atti del Convegno Mondiale Salesiano Coadiutore, Roma, Esse Gi Esse 1976, p. 5. Cfr. P. BRAMO, Religiosi nuovi per il mondo del lavoro. Documentazione per profilo del salesiano salesiano, Roma, PAS 1961.

17 A. CASTELLANI, Il Beato Leonardo Murialdo pioniere e l'apostolo dell'azione sociale cristiana e dell'azione cattolica (1867-1900), Roma, Tip. S. Pio X 1967, p. 409. Il teologo L. Murialdo (1828-1900) era stato collaboratore di Don Bosco: direttore dell'Oratorio "San Luigi" (1857-1865).

La favorevole situazione economica del 1872 permise a Don Bosco di dare nuovo slancio alla sua "Letture Cattoliche" e ai laboratori di legatoria e tipografica. Superando i momenti di contrasto con i tipografi torinesi, la tipografia di Valdocco ebbe, negli anni seguenti, un notevole sviluppo e raggiunse ampi riconoscimenti. «Di questi giorni - scrive Don Barberis in una delle sue" cronachette "del 1878 - All'Oratorío avvennero vari altre cose che credo degne di menzione. E prima di tutto: se fecero venire dalla Germania tre nuove macchine dà la tipografia E veramente ne abbisognava.

Quasi tutti gli inverni bisognava lavorare di notte. Pregate con le macchine grazie del lavoro se ne fa gil! "È noto, invece, la partecipazione di Don Bosco all'esposizione generale di Torino nell'anno 1884.19
Quando l'Oratorio di San Francisco de Sales ha cercato di migliorare la condizione degli artigiani, sono stati considerati aspetti religiosi e morali. Ma no solo in questi. Ci sono testimonianze esplicite che parlano di serietà nel lavoro, di miglioramenti nell'organizzazione dei workshop. A questo proposito, possiamo citare una notizia: nel 1873 anche una "bottega del modista" ("laboratorio la cappellai") stava operando a Valdocco, che stava attraversando un momento critico a causa della mancanza di personale. Don Bosco informato della situazione, era favorevole alla chiusura del workshop.20
La preoccupazione del progresso degli artigiani diventa forse più intensa alla fine del decennio degli anni 70. E coloro che partecipano ai capi delle Conferenze.

ASC 110 Barberis Cronachette (11.5.1878).

19 Cfr E IV, 299-301. Nella riunione del 16.1.1884, i membri del Capitolo Superiore alludevano a problemi interni: «4. Esposizione di Torillo copre parte dell'oratorio della macchina per la fabbrica della carta e la nostra libreria di libri legati. D. Stanza presenti come necessità necessarie per quanto riguarda gli oggetti all'esposizione. Quindi o chiamare due novizi legatori da S. Benigno, pagate a pagamento giovani antichi dell'oratorioesteri. Fra 1 giovani oratorio non vi sono più lavoranti capad perché gli uni unici via gil altri mandati. [...] D. Bosco Che é Necessario condude se Facciano Venire i legatori novizii Torino [d] per Benigno S., Che chiamare lavoranti Esteri Piuttosto "(ASC 0592 verbali delle Riunioni capitolarz).

20 ASC 9.132 Rua Capitolo (9.2.1873). Nel 1878 fu aperto un laboratorio chimico-fotografico con scarso sviluppo. Il coadiutore Barale Pietro, direttore della Biblioteca e la "Stabilimento Fotografico" in una mostra richiesto da Don Rua nel 1884, ha dichiarato che 'se il nell'Oratorio fotografia IMPIANTO tio se FECE Dietro Le Calde ISTANZE il sig. Carlo Ferrero e sarà larghe speranze Che Dava di Grandi Guadagni, i Quali Peró in Realtà se è cambiata in non inclifferenti Danni [...] 1 per l'inesattezza Nella consegna dei Lavori; 2 ° per la grande imperfezione dei medesimi »(ASC 123 Relazione del Direttore dello Stabilimento fotografico [14.6.1884]). CA Ferrero (1877 'Wannabe divenire salesiano religioso ") aveva presentato la sua attività in una luce più positiva (cfr ASC 123 Relazione Rendiconto Triennale dell'

Gli studenti scoprono una stretta correlazione tra il miglioramento dei giovani e l'istruzione scolastica insegnata durante il corso? "
L'argomento dell'istruzione scolastica non era nuovo. Già nel 1867 si parla di "scuole serali per gli artigiani". Il 6 novembre 1870, fu deciso di tenere una lezione per gli insegnanti, per dettare norme e linee guida sul modo di insegnare. Don Rua poi aggiunto nelle sue note che la conferenza stabilita aveva preso posto e aveva iniziato "assai bene Scuola serale" .22 Da questo momento, è di solito parla di "le scuole serali per Gli artigiani 'o più semplicemente, di «le scuole per gli artigiani»; e i nomi degli insegnanti designati per le classi notturne degli artigiani sono registrati nel verbale delle Conferenze Capitolari. Con i dati disponibili è possibile elaborare la seguente tabella.

TABLA 2: Maestros para las clases nocturnas de los artesanos
años 1871 1872 1873 1874 1875
Bases
Inf. Remotti Boido Becchio Berno Bernasconi
Sup. Borio Davico Bini Ghione Ghione
Elem. Delgrosso Albano Mazzarello Beauvoir Pavia
3'Elem. Rocca Farina G. Piacentino. Piacentino Piacentino
Francés Martin Borio Rocca Chiesa G.B. D. Paglia
Dibujo Enriú Rocca Enriú Enriú Enriú
Música instrum. — — Devecchi
D. Cipriano
(Fuente: elaboración de ASC 9. 132 Rua Capitolo).

Las deliberaciones tomadas no quedaron en el papel. He recordado el testimonio de don Rua; y se puede documentar que, a partir de 1871, tuvo lugar anualmente el reparto de premios a los artesanos, con función religiosa en la iglesia; y, fuera de ella, con música vocal e instrumental, diálogos y sencillas piezas teatrales.

21 «Si passó quindi a cercare spedienti per migliorare i nostri artigiani, e per ora si proposero ed approvarono tre cose: la prima é di continuar loro la scuola tutto l'anno, cominciando per quest'anno a farla nell'estate pei meno istruiti. Finita la scuola serale, si penserebbe di farla loro al mattino dopo la messa» (reunión del 21.2.1875).

ASC 9.132 Rua Capitolo (6.11.1870).

No es posible precisar el programa escolar desarrollado en las escuelas nocturnas de artesanos. De los datos señalados y de otras indicaciones dadas por don Bosco en diversos escritos, se desprende que los contenidos quedaban, en este momento, limitados dentro del ámbito de una instrucción elemental: lectura, escritura; nociones de aritmética y de lengua italiana, catecismo e historia sagrada. Sabemos también que en Valdocco se impartían lecciones de urbanidad, y se insistía sobre la necesidad de la limpieza personal y de los ambientes. Frecuentemente se advertía que, en este punto, las cosas dejaban bastante que desear. Don Bosco hizo, en 1874, esta singular puntualización: «Per ottenere la pulitezza della testa nei giovani piú piccoli si puó stabilire un pettinatore o una pettinatrice attempata che ogni giorno occupi qualche tempo in tale ufficio».23
Aparte algunos elementos, sin duda interesantes, como la música vocal e instrumental y el «teatrino», que debía siempre «divertir e instruir», la propuesta cultural hecha a los artesanos era, más bien, modesta. Pero Valdocco no constituía una excepción. No habían desaparecido completamente viejos prejuicios y reservas de cara a la generalización de la instrucción popular.24
Estas últimas anotaciones no se proponen encubrir límites reales; los cuales, por otra parte, no oscurecen totalmente el significado de la existencia en Valdocco, durante los años 70, de clases destinadas exclusivamente a los artesanos. Y hay otro hecho que conviene todavía apuntar. Se empezó a comprobar que no bastaba promover iniciativas y propuestas aisladas. En 1876, tratándose, una vez más, de los medios de mejorar la condición de los artesanos, prevaleció el parecer de quienes querían que se estableciera un «catequista» (director espiritual), que pudiera ocuparse habitualmente del sector. La petición fue aprobada por don Bosco. En el Reglamento para las casas salesianas, publicado en 1877, además de las figuras clásicas del «maestro de arte» y del «asistente de los talleres», aparece ya el «catequista de los artesanos», con la misión de atender a su formación religiosa y moral.

En la vida real quedaban todavía pendientes cuestiones importantes.

2 ASC 04 Conferenze generali (1876).

- 24 En 1841 (el año en que comenzó don Bosco su obra), el arzobispo de Turín, mons. Fransoni, manifestaba en una carta pastoral su preocupación por «rodiemo impegno di volere in tutti eccitare la smania di leggere [...] gravemente dannosa anche riguardo all'ordine pubblico» (cit. por R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1810-1842) I, Bari, Laterza 1969, p. 791). Solaro della Margherita, ministro y primer secretario de Estado, escribía en 1853: «Se 1' istruzione é .necessaria, non é necessario, anzi pregiudizievole che sia uguale per tutti indistintamente. [...] D'uopo é che ciascheduno conosca ció che pub giovargli nell'esercizio della professione cui si dedica; é superfluo e nocivo porre l'intelletto in cose maggiori. A che servono la geografia, l'astronomia, la storia, e simili sciPrize al calzolaio, al falegname, al sarto?» (Avvedimenti politici, Torino, Dai TipografiLibrai Speirani e Tortone 1853, p. 136). Cf. también: G. MIALARET - J. VIAL, Histoire mondiale de l'éducation BI: De 1815 á 1945, Paris, PUF 1981, p. 291-318.

3. La «sección de artesanos»: propuestas de organización (1879-1882)


El tema de la mejora y del progreso de los artesanos se inscribía en el cuadro de la organización general de Valdocco, que presentaba aspectos problemáticos. Personas razonables hablaban, en 1879, de «inconvenienti», de «disordini», y hasta de falta de una «vera ed assoluta amministrazione». Don G. Barberís, después de consignar este severo juicio en las actas del Capítulo superior, añadía textualmente: «Le cose vanno avanti "alla buona". Ma in una questione grande dire "si va avanti alla buona" suona quanto dire "si va avantimate" ».25
En el mes de mayo del citado año 1879, el asunto fue objeto de prolongado
estudio por parte de don Bosco y de sus colaboradores. Don Barberis sintetizó el parecer común en estos términos: «A primera vista pareció que la fuente principal de todos los desórdenes es la falta de un centro activo en torno al cual giren todos los centros secundarios. Don Bosco no puede estar, como lo estaba en otros tiempos, a la cabeza de todo el movimiento, pues está demasiado abrumado por otros cuidados gravísimos».

Nombrada una comisión, para que formulara una propuesta, se llegó, no sin alguna «vivace discussione», a tomar las siguientes medidas: la El Capítulo superior dejaría de intervenir, en adelante, en la dirección del Oratorio. 2" El director de Valdocco, aun actuando en las cosas de mayor importancia de acuerdo con don Bosco, según deseo de éste, gozaría de la misma autoridad que los demás directores de las casas. 3' Un administrador central o prefecto sería el responsable de toda la «azienda artigiana, economica, industriale, commerciale».26
Las lineas de organización propuestas respondían a necesidades reales y estaban llamadas a tener repercusión en la administración de los talleres.27 Se ponía, en ellas, un acento especial sobre la unidad y coordinación de los diversos sectores de la «casa madre». Quizás, se tenían menos en cuenta las características específicas de cada uno de tales sectores.

Fue ésta, precisamente, la exigencia que los responsables de la «sezione artigiani» hicieron presente al 2° Capítulo general de 1880. El título de uno de los documentos conservados en el ASC es de por sí elocuente: Progetto d'una ben regolata amministrazione secondo le esigenze attuali dell'Oratorio di S. Francesco di Sales nella sezione artigiani.28
No está firmado, pero los redactores (¿redactor?) advierten que se basan en cuatro años de experiencia y en múltiples pareceres de jefes de taller y de responsables de administración.

25 ASC 0592 Verbali del Capitolo superiore (8.5.1879).

26 ASC 0592 Verbali del Capitolo superiore (16.5.1879). 2 Cf. ASC 110 Lanero Diario dell'Oratorio (16.5.1879). 28 ASC 04 Capitolo generale II 1880.

La expresión «sezione artigiani», encontrada quizás por primera vez en estos escritos, y usada varias veces en ellos, merece atención. En efecto, las consideraciones que se hacen arrancan de una constatación: «El Oratorio, en la actualidad, se compone de dos categorías: una de estudiantes y otra de artesanos».

Colocándose fuera de los muros de Valdocco, los autores del Progetto encuentran en el contexto contemporáneo (es decir, en las nuevas exigencias de las artes y en el desarrollo del comercio), algunos de los factores que, en su opinión, explican el aumento continuo de la segunda categoría en los últimos años. Y esto, en tal medida, que los artesanos, habiendo alcanzado ya la cifra de 317, son ya casi tan numerosos como los estudiantes.

Este hecho y las características específicas de la sección de artesanos exigían, lógicamente, una organización más autónoma. Es la conclusión a la que se llega en el escrito dirigido al Capítulo general de 1880, haciendo una propuesta, que recoge, según ellos, un punto de vista ampliamente compartido. En síntesis: 1° Que don Bosco, personalmente o a través de su vicario, vuelva a hacerse cargo de la administración general. 2° Que, a diferencia del pasado, divida toda la administración en dos secciones: de estudiantes y artesanos. 3°
Cada una de las administraciones tenga un reglamento propio y un responsable propio.

Los colaboradores de don Bosco, en aquel momento, no sólo se mostraban atentos a los aspectos económicos o administrativos. Entre los materiales del Capítulo general hay otro escrito («Diverse esigenze degli artigiani da proporre nel Cap. Sup. Gen.»), que pone el acento sobre el «bisogno d'una scuola per gli artigiani». No está tampoco. firmado, pero se advierte que las propuestas formuladas son compartidas por todos los responsables de los artesanos («da tutti gli applicati alla direzione degli artigiani»).29
Además de las clases ya recordadas (de la la a la 3a elemental, francés y dibujo), se pide en el «progetto» que sean provistos maestros y locales para una 4a clase elemental y profesional y comercial. Para los artesanos analfabetos, se solicita otra hora diaria de clase, además de la habitual.

Hablar, en 1880, de que en Valdocco se siente la necesidad de una «scuola per gli artigiani» puede parecer sorprendente. Y hasta podría dar pie para suponer que, hasta aquel momento, los artesanos asistieran a las escuelas nocturnas comunes del Oratorio?' Precisamente por eso, al hablar del período anterior, me he detenido un poco, insistiendo en que, al menos desde 1870, se puede hablar de «scuole per artigiani» en Valdocco. Y es un hecho que, ya en sí, tiene su importancia.

Otro problema muy diverso es su funcionamiento: el tema de fondo de la petición de 1880. Los responsables de la sección de artesanos proponen introducir nuevos contenidos en el programa, dedicar más tiempo a la enseñanza de los mismos y un cambio de horario escolar: que se tengan las clases por la mañana, en lugar de por la noche.

" ASC 04 Capitolo generale 11 1880.

" Cf. L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco, en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 44.

Motivan, justamente, su petición, diciendo que los jóvenes, fatigados después de una «giornata intiera di lavoro», están poco dispuestos al estudio y a la actividad intelectual.

A este propósito, hay un dato que nos puede acercar al clima cultural en el que fue redactado el documento. Los autores consideran necesario dedicar un amplio párrafo (31 líneas de las 86 que comprende el documento) a justificar que, de la propuesta de cambio de horario de las clases, no se derivarían graves perjuicios en el trabajo; es decir, el cambio no supondría una disminución de las horas dedicadas al mismo.

Probablemente, al aducir estas justificaciones, se asumía o se tenía presente un modelo de aprendizaje artesanal, concebido como preparación para un arte u oficio manuales a través de concretas y prolongadas prácticas de taller.3'
Las clases para los artesanos siguieron teniéndose por la noche. Aunque Valdócco no constituía tampoco en este caso una excepción 'en su tiempo, como veremos más adelante. Ahora conviene añadir que, por aquellas mismas fechas, don Bosco, en una exposición al Prefecto de Turín, decía que a los jóvenes, inclinados por naturaleza a la práctica de artes u oficios más nobles y elevados, como la tipografía, se les daba cierta instrucción en latín, griego, francés, geografía y aritmética?'
Pero no es fácil documentar que, de hecho, estas materias hayan entrado a formar parte del programa de los tipógrafos de Valdocco. En perspectiva más general, me parece que reflejan mejor la «mens» de don Bosco y la realidad concreta de los hechos las palabras dichas por él mismo, pocos meses después, en 1881, a sus antiguos alumnos: «Yo no quiero que mis hijos sean enciclopédicos; no quiero que mis carpinteros, mecánicos, zapateros sean abogados; ni que los tipógrafos, los encuadernadores y los libreros se pongan a dárselas de filósofos y de teólogos. Me basta que cada uno sepa bien lo que le corresponde; y cuando un artesano posee los conocimientos útiles y oportunos para
" Y se debe tener en cuenta también la circunstancia concreta de Valdocco. El 15 de noviembre de 1878, escribe Barberis en su «Cronichetta»: «La tipografia é cosi soppraffatta di lavoro che se vi fosse doppio numero di operai e di macchine non disimpegnerebbe ancora tutto. [-J. D. Bosco si rivolge a D. Lazzero dicendo che provveda: si cerchi qualche mezzo ma si faccia quanto occorre fare: é un yero inconveniente lasciare i lavori cosi iñcompiuti. Si cerchino degli operai si lavori anche tutta la norte: almeno quelli che vi sono veglino tardi alla sera, oppure si raddoppino in modo per esempio che alcuni comincino a lavorare alle 4 del mattino e vadano verso le 10; alle 10 comincino altri e non cessino che cifra le 4 [...]. Ció che avviene dei tipografi avviene degli altri laboratorii Dai sarti é un finimondo: vi sono da riparare gli abiti agli artigiani generalmente, vi sono grandi lavori per i missionari [...]. Non parlo dei falegnami che lavo-rano anche di notte ed é necessario faz eseguire moho lavoro fuori di casa»... (ASC 110 Barberis Cronachette [15.11.1878]).

" E II, 598.

ejercer su arte, sabe cuanto es necesario para hacerse benemérito de la sociedad ».33
Mientras tanto, se había celebrado el 2° Capítulo general. De las actas de las reuniones, se desprende que el tema de los artesanos no recibió una atención especial. Hay, sin embargo, algún punto que no carece de interés. En la conferencia 8', al tratarse de la fundación de un «convitto» en Cremona, los capitulares subrayaron este criterio de carácter general: «Si ripeté intanto ció che giá tante altre volte si disse in altre circostanze che cioé ció che ci tiene su e deve essere nostro scopo speciale dover essere i collegi od ospizi di artigianel gli Oratori e riguardo a scuole quelle pel popolo e per poveri giovani abbandonati. Queste case sono piú secondo il nostro scopo».34
En las Deliberaciones finales, publicadas en 1882, encontramos además una norma que merece atención: se determina que un miembro del Capítulo superior, el Ecónomo, de acuerdo con los Inspectores, fuese el responsable del buen funcionamiento y progreso de las casas profesionales.35
Sin forzar demasiado los términos, me parece que se puede descubrir en tal determinación un nuevo paso hacía una organización más especifica y autónoma de la sección de artesanos.

En el ambiente italiano, y europeo, las cosas estaban también cambiando. La instrucción profesional, bajo el control del Ministerio de la Agricultura, tuvo en la ley del 30 de mayo de 1878 su fecha de nacimiento, dando, en el bienio siguiente, sus primeros y tímidos pasos de la mano del ministro Caíroli.

Questo, in diversi circolare, ha proposto la creazione di "scuole serali e d'Domenicali Arti & Mestieri" 36
La legge del 11 Dicembre 1880 di regolazione, in Francia, il "écoles d'apprentissage manuelles." Sotto di essa, sono stati creati diversi 'Ecoles Nationales Professionnelles' Vierzon (1881), Armentieres (1882), Voiron (1882).

Nuovi stimoli e richieste provenivano dal mondo del lavoro. In linea con il primo sviluppo industriale, la sezione di Milano del "Partito operaio" incluso, nel 1882, nel suo programma sostiene "avrebbe" Scuole Professionali di Arti & Mestieri, integrali, Laiche e obbligatorie "" 37
Nonostante l'evidente limiti impostati, non senza un nuovo interesse, alla luce di questi fatti, la richiesta dagli artigiani Organo competente nel 1880.

AnnaliI, p. 658.

ASC 04 Capitolo generale 11 1880. Nelle precedenti conferenze il noviziato era stato pronunciato per i coadiutori.

33 Cfr. Deliberazioni del secondo Capitolo generale della Pia Società Salesiana tenuto a Lanzo Torinese nel settembre 1880, Torino, Tip. Salesiana 1882, p. 13.

36 G. CANESTRI - G. RICUPERATI, La scuola in Italia dalla legge Casati ad oggi, Torino, Loescher 1976, p. 97.

37 Cit. CG LACAITA, Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859-1914, Firenze, GiuntiBarbera 1973, p. 84.

Ed è di interesse, inoltre, che, insistendo su una migliore organizzazione delle ore di scuola, si noti che la modifica richiesta era già stata introdotta in altre case salesiane artigiani: San Pier d'Arena, Nizza e Marsiglia. Le esperienze iniziate fuori Torino cominciarono ad avere una potenziale influenza su Valdocco.

4. Linee per un piano di formazione nelle "case artigiane" (1883-1887)


In queste due coordinate: le tensioni interne provenienti dai Salesiani che vivono a diretto contatto con le sezioni di artigiani e stimoli esterni della politica scolastica e ambiente sociale, il terzo Capitolo Generale, tenutosi a Valsalice nel 1883 è inserito . Tra gli argomenti di studio, abbiamo trovato il seguente: "Indirizzo da darsi maiuscolo operaia Nelle Salesiane e Mezzi di sviluppare si Vocazioni Artigiani dei Giovani". Era la prima volta che il supremo organo legislativo della Società Salesiana prendeva sul serio la questione.

Prima dell'inizio dei lavori, erano giunte a Torino osservazioni e "proposte" su ciascuna delle materie da trattare, rispondendo alla richiesta fatta, mesi prima, in una circolare firmata da Don Bosco.

Nelle loro risposte, le persone più esperte hanno visto francamente che la situazione di "Operaia parte" nelle case salesiane era di caratteri urgenza: "E 'osserviamo - tipo coadiutore Giuseppe Buzzetti causa Terzi dei Giovani Che terminano Papprendisaggio andare via Incapaci di guadagnarsi la vita ».38
Il problema non era solo di Valdocco. Don Belmonte, regista di 'casa artigiani San Pier d'Arena e il futuro Prefetto Generale, ha delineato la sua diagnosi con inchiostri scuri "I Giovani non Fanno artigiani progressi qui tra noi Nella virtù e nell'arte 1 per mancanza di saggi e prudenti assistenti; 2 ° per mancanza di capi, non dico relig. iosi, ma onesti cristiani; 3 ° per mancanza di lavoro importante, nel quale esercitarsi e divenire buoni artísti; 4 ° in fine per mancanza d'istruzíone. ALCUNI Giovanetti escono dall'Ospizio e sano bulldog 4 anni Ancora non Scrivere. Sono demoralizzati dai cattivi esempi dei Capi. Scoraggiati dal Nessun profitto nell'arte, dal irritati modalità cui vengono Trattati Dagli assistenti, e per conseguenza qual'amore possono Mettere mai alla casa? Muovi la cosa e spostala in modo diverso ".39
Il capitolo del 1883 studiò l'argomento. Ma non c'era abbastanza tempo per completarlo. Nel prossimo Capitolo Generale del 1886, il problema fu esaminato di nuovo "brevemente" e fu redatto il documento finale, cui rimasi all'inizio.40

"ASC 04 Capitolo generale III 1883 (" Proposte dei confratelli ").

39 ASC 04 Capitolo generale III 1883 (lettera al regolatore del Capitolo, don Bonetti, datata 11.8.1883).

I verbali degli incontri, eccessivamente schematici, non consentono di ricostruire con totale garanzia lo stato di avanzamento della discussione. Alcuni errori e successive imprecisioni, commessi nell'indicazione della data e nella firma archivistica dei materiali conservati, rendono ancora più difficile l'approccio allo sviluppo delle opere.

Ciertamente, no es éste el lugar para hacer un detallado análisis comparativo de tales materiales. Baste decir que, en el Archivo Salesiano Central, existen tres documentos importantes que constituyen, con toda probabilidad, sucesivas redacciones de la publicación que vio la luz en 1887, es decir, la que se ha llamado casi una «parva chanta» de las escuelas profesionales salesianas.41
Desde la óptica elegida, y en línea con las consideraciones precedentes, subrayo sólo algunos puntos centrales:
a) Una primera anotación: los términos utilizados. En los títulos de las di, versas redacciones se habla de «classe operaia» y de «parte operaia»; en cambio, en el cuerpo de la exposición se usa reiteradamente la expresión: «case di artigiani». Es un elemento más para apoyar una hipótesis de «perioclización», que se podría esquematizar así: 1° renovado interés por el progreso de los artesanos (1870 a 1878); 2° una conciencia más clara, por parte de los responsables directos, de la necesidad de organizar con más autonomía la sección de artesanos (1879 a 1882); 3° elaboración de las grandes líneas de una propuesta de formación para las casas de artesanos (1883 a 1886).

Es más, en 1886 se habló «seriamente» de la conveniencia de que las casas de artesanos estuvieran separadas de las casas de estudiantes. Además, se había hecho ya bastante general la convicción de que no bastaba la figura y el cargo de catequista de artesanos, codificados en. el Reglamento de 1877. Era necesario establecer los de prefecto y director.42
4° De las actas del Capítulo superior se desprende que don Bosco hubiera deseado que las decisiones de 1883 se publicaran antes de 1886. En efecto, en la reunión de 24 de octubre de 1884, «D. Bosco invita il Capitolo a far coordinare le ultime decisioni del Capitolo generale del 1883 perché si possano stampare. Osservo che questo lavoro fu troppo trasandato perché le troppe occupazioni siano scusa sufficiente. Bisogna peró non lasciarsi sorprendere dal Capitolo generale che avrá luogo del 1886. Il Capitolo disegna D. Barberis e D. Bonetti ad ordinare la relazione e le conclusioni del Capitolo generale 1883. Questo lavoro si faccia a S. Benigno. Sia steso questo lavoro da D. Bonetti» (ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari [24.10.18841).

4' Cf. Annali I, p. 649-658; PAZZAGLIA, Apprendistato, p. 46-60. La publicación de la edición crítica de estos documentos capitulares permitirá hacer un examen más detenido y puntual de los diversos temas, de las variantes introducidas en las sucesivas ediciones y de los autores de las mismas.

42 En 1876, en una reunión del Capítulo superior, se estableció «chismare all'Oratorio D. Branda prefetto di Valsalice per metterlo poco alla volta direttore dogli artigiani» (ASC Verbali del Capitolo superiore [27.1.1876]). Pero todavía en 1884, «D. Cagliero insiste essere necessario nominare due direttori distinti, indipendente un dall'altro ciascuno responsabile per la sua parte,
Desde 1883 se empezó a hablar también de la necesidad de crear un consejero profesional, tanto en las casas particulares, como en el Capítulo superior. Aunque tal cargo fue definitivamente aprobado después de la muerte de don Bosco, el Catálogo de la Sociedad salesiana de 1887, presentaba ya a don Gíuseppe Lazzero como «Consigliere Professionale generale». Su misión se extendía a todo lo concerniente a la enseñanza de las artes y oficios.43
Se completaba, de esta manera, en sus líneas generales un cuadro organizativo que iba a durar hasta mitad de los años 60 de este siglo.

b) El esfuerzo organizativo y el lugar más céntrico del compromiso salesiano en el sector encontraba, quizás, la contrapartida en una mayor conciencia de la importancia que el mundo del trabajo estaba conquistando en las últimas décadas del Ochocientos. La primera redacción de los documentos capitulares se abre con esta declaración: «La parte obrera está teniendo actualmente tal influencia en la sociedad civil, que preocupa seriamente; pues de la buena o mala orientación de aquélla depende la buena o mala marcha de ésta ».44
De tales premisas se desprende una conclusión: «Por tanto, la dirección que se debe dar a la parte obrera en nuestras casas debe ser apta para obtener el fin que nuestra Sociedad se propone al asumir la educación de dicha clase de ciudadanos, que es el de formar al joven artesano de tal manera que, al salir de nuestras Casas después del aprendizaje, conozca bien su oficio para poder ganarse el pan, y tenga además suficiente instrucción religiosa y científica según su estado».

La referencia a la influencia de la «parte operaia» desapareció en las redacciones siguientes, más esquemáticas y sin alusiones a situaciones concretas: Pero en su lugar, en 1886 fue introducido un texto significativo: en él no sólo se afirma la relación estrecha que debe existir entre las finalidades educativas y el cuidado de los jóvenes trabajadores, sino que se recalca que el acoger a los muchachos pobres y abandonados, facilitándoles el aprendizaje de un arte u oficio, se coloca entre las «principali opere di carita che esercita la nostra pia Societá ».45
uno per gli studenti e Palco per gli artigiani» (ASC 0592 Verbali della riunioni capitolari [4.9.1884]). En la misma reunión capitular, don Durando «osserva che d vorrebbe La divisione in tutto fra studenti ed artigiani: divisione di casa, di chiesa etc.». Días más tarde, se habla ya de «D. Lazzero direttore degli anigiani». En 1875, don Barberis había escrito en una de sus crónicas: «Ma la cosa priñcipale che distinse questa festa di S. Giuseppe da tutte le altre fu un'accademia religiosa che fecero gli artigiani in onore del loro patrono e per festeggiare D. Lazzero Gius. V. direttore dell'Oratorio e negli anni scorsi direttore dogli artigiani» (ASC 110 Barberis Cronachette 1875).

" En la reunión capitular del 4.9.1884, don Rua había propuesto «nominare D. Lazzero attuale Direttore dell'Oratorio al nuovo ufficio di Consigliere professionale ufficio stato creato dal Capitolo [generale] nell'anno passato» (ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolarz).

44 ASC 04 Capitolo generale IV 1886 («Proposte»).

" Deliberazioni del terno e quarto capitolo generale della Pia Societá Salesiana tenuti a Valsalice
Por aquellas mismas fechas, en su visita a España, don Bosco pronunciaba unas palabras sugerentes: «Come cittá industriale Barcelona ha piú interesse d'ogni altra a proteggere i Talleres salesiani. Da simili case escono ananá.. mente molti giovani utili alla societá, i quali vanno nene officine e nei laboratori a diffondere le buone massime; cosi stanno lontano dalle carceri e dalle galere e sí cambiano in esempí viventi di salutari principi. Il giovane che cresce per le vostre strade, vi chiederá da prima una elemosina, poi la pretenderá ed infine se la fará dare con la rivoltella in pugno».46
Hay todavía un punto en las primeras redacciones que merece atención: se habla de preparar al joven obrero para superar las dificultades de la sociedad moderna sin «venir meno né alla giustizia né alla carita». Por otra parte, en la redacción definitiva fue introducida una variante de cierto interés: no sólo se expresa la conveniencia de que los jóvenes aprendices se inscriban, al terminar el aprendizaje, entre los cooperadores salesianos, sino que es necesario que aquéllos se pongan en contacto con alguna sociedad obrera católica. Precisamente algunos meses antes (24.6.1886), la «Unione Cattolica Operaria» de Turín había nombrado a don Bosco presidente honorario:9
c) Basándonos en estos elementos, sería ingenuo querer ampliar mucho los contornos de la conciencia que don Bosco y sus primeros colaboradores pudieran tener de la dimensión social de su obra y de las orientaciones con que la realizaban. En cambio, está bien documentado su interés por la educación. El deseo de mejorar la conducta de los jóvenes aprendices, teñido de una cierta preocupación moralizante, durante los años 70, se hace explícita propuesta educativa en los años 80. En todas las redacciones de los documentos capitulares se remacha que «ttiplice pare dovere essere l'indirizzo da darsi all'educazione dell'artigiano: morale, intellettuale e professionale». En torno a este trinomio se organiza la exposición de las metas y de las indicaciones metodológicas para alcanzarlas.

En un segundo momento no se habla sólo de «indirizzo morale», sino de «indírizzo morale-religioso». Pero la mayor explicitación de la dimensión religiosa y, especialmente, de ciertos matices devocionales, no llevó consigo una menor atención al «indirizzo intellettuale» o al «indirizzo professionale».

Entre las normas y orientaciones sugeridas, cabe destacar algunas: garantizar la presencia de hábiles maestros de taller; procurar que, en la elección de un arte u oficio, el muchacho pueda seguir su inclinación natural; clasificar a los alumnos en secciones sucesivas según el nivel de instrucción; organizar el trabajo y el período de aprendizaje en forma gradual y progresiva...

d) Los estudiosos salesianos que se han ocupado del tema destacan con nel setiembre 1883-86, San Benigno Canavese, Tip. Salesiana 1887, p. 18. 46 Cit. por don Cenia en: Annali I, p. 659. " Cf. BS 10 (1886) 7, 74-76.

gusto el valor de estas orientaciones.48 Entre los investigadores no salesianos, se advierten posiciones diferenciadas. Redí Sante di Pol, después de referirse a las ennm«i«importantes normas» del 86, escribe textualmente: «I primitivi laboratori vero trasformati in vere e proprie scuole professionali strutturate in modo daoffrire al giovani una formazione completa che permettesse di farra dei buoni cristiani, dei cittadini coscienti e dei lavoratori qualificati». Y añade que la introducción de algunos de estos elementos, a lo largo de la última década del siglo XIX, «le posero all'avanguardia fra le analoghe scuole religiose e non».49 Luciano Pazzaglia, en su reciente y documentado estudio, hace, por el contrario, afirmaciones más matizadas. Reconoce que los principios recordados son «elementi di non poco conto»; pero es también del parecer que «il progetto messo a punto, nel '86, da don Bosco e dai suoi collaboratori non aveva ancora moho della scuola, ma continuava a ispirarsi all'idea di un apprendistato che, sia puye nel rispetto dei gusti e delle attitudini personali, doveva impegnare ogni giovane a integrarsi, immediatamente, con una ben precisa e determinata attivitá lavorativa».5°
Ciertamente, el tiempo fijado para el trabajo intelectual era escaso: una hora de clase diaria, después de terminada la jornada de trabajo en el taller; y, para los más atrasados, otra por la mañana después de la misa. Se trata, desde luego, de un paso más respecto a la situación de 1880; pero un paso tímido. Y creo que los mismos Capitulares se dieron cuenta de ello, pues añadieron un inciso, no insignificante: «Dove poi le leggi richiedessero di piú converrá adattarsi a quanto é prescritto».

Es más, los que tomaron parte en la primera redacción del documento capitular habían manifestado con fuerza la necesiad de superar una situación negativa: «Para la educación intelectual, hay ya en casi todas nuestras casas de artesanos escuelas nocturnas para ellos. Pero se observa generalmente que habiendo sido dejada, hasta ahora, tal enseñanza al criterio y arbitrio de cada maestro, los pobres jóvenes, después de 6 ó 7 meses de clases nocturnas, poco ningún provecho sacan de ellas; y esto, por la inoportunidad de las materias por el tiempo excesivamente breve»."
El diagnóstico se podía aplicar también a no pocas instituciones educativas contemporáneas?' Pero la seriedad del mismo no debió de pasar inadvertida en Valsalice.

48 Cf. ALBSIDI, Impegno dei salesiani, p. 9-63; L. PÁNFILO, Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all'attivita di formazione professionale (1860-1915). Il ruolo dei salesiani, Milano, LES/Libreria Editrice Salesiana 1976; F. Rrimm, Don Bosco e la formazione professionale. Dall'esperienza alla codificazione, en «Rassegna Cnos» 4 (1988) 2, 15-56.

" R.S. DI POL, L'istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializzazione, en: Scuole, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell'istruzione, Torino, Centro di Studi Carlo Trabucco 1984, p. 81; cf. V. MARCHIS, La formazione professionale: l'opera di don Bosco vello scenario di Torino, citta di nuove industrie, en: G. BRACCO (ed.), Torino e don Bosco, vol. I, Torino, Archivio Storico della Cittá di Torino 1989, p. 217-238.

" PAZZAGLIA, Apprendistato, p. 63.

" ASC 04 Capitolo generale IV 1886 («Proposte»).

" Cf. G. Bitig, Opere complete, vol. IV: Riformatori per giovani, Milano, Hoepli 1902.

Aunque las medidas tomadas entonces nos parezcan hoy excesivamente «suaves», es justo reconocer que en el «progetto del '86» hay elementos que iban a demostrarse fecundos. En concreto, se afirma sin reservas que los artesanos deben adquirir un «corredo di cognizioni letterarie, artistiche e scientifiche». Sobre todo, la decisión de elaborar un programa escolástico que se debería seguir en todas las casas de artesanos tuvo reflejos positivos en el desarrollo sucesivo del sector profesional salesiano.

Dicho programa fue compilado muchos años después de la muerte de don Bosco. Entre los papeles del 86, se conserva sólo un esbozo limitado todavía dentro de las coordenadas de una instrucción elemental. Se recalca, repetidas veces, la exigencia de que los jóvenes artesanos «abbiano le cognizioni opportune al loro stato», pero se recibe la impresión de que se está pensando en una indispensable cultura general. No llegaron a madurar, por el momento, algunas instancias fecundas ya presentes en documentos anteriores. En 1883, don Giovanni Branda había sugerido que los jóvenes aprendices no sólo debían ser bien instruidos en religión y en letras, sino que se les tenía que explicar la teoría del arte u oficio que cada uno deseaba aprender." Don Louis Cartier había propuesto, por su parte en 1886, que, superados ciertos defectos y lagunas, se establecieran en las casas salesianas «escuelas profesionales».

Es la primera vez que se encuentra, en los escritos salesianos consultados, la expresión escuelas profesionales («écoles professionnelles»). Años antes, en 1880, escribiendo a Francia, al salesiano G. Ronchail, don Bosco había dicho: «Se mantenga firme que nosotros nos dedicamos a la agricultura y a las artes y oficios. Si a alguno de nuestros alumnos se da formación profesional o también clase de latín, es para formar asistentes, maestros elementales, jefes de taller y especialmente tipógrafos, calcógrafos y fundidores de caracteres».54
Estas anotaciones nos llevan a tocar un último punto.

5. Presencia de don Bosco y presencia de los colaboradores: un tema a profundizar


Al examinar las diversas redacciones de los documentos capitulares de 1883 y de 1886, se advierte un hecho que podría sorprender: ninguna de las numerosas correcciones y añadiduras introducidas en aquéllos son atribuibles a la mano de don Bosco. Por otro lado, en las actas de las reuniones, se registran pocas intervenciones suyas sobre el tema específico de los artesanos. En 1883, encontramos una: «Para que no ocurra que algunos talleres permanezcan vacíos y otros rebosen, don Bosco recomienda que el encargado de las
" ASC 04 Capitolo generale III 1883 («Proposte dei confratelli»). El coadjutor Pietro Barale proponía: «Si dia alla scuola, accademia, teatro indirizzo operaio». 54 E IlI, .553.

admisiones tenga en cuenta los talleres que carecen de personal y admita a los nuevos alumnos con la condición de que se les dé ocupación, a toda costa, en esos talleres» s5
La recomendación no se halla en perfecta consonancia con la norma redactada poco tiempo después: «Lasciare anzítutto i giovani liben di scegliersi quel mestiere, cui da natura si sentono piú richiamati». No parece, pues, aventurado suponer que haya podido tener su peso en la redacción definitiva más matizada: «Secondare possibilmente dei giovani nella scelta dell'arte o mestiere».56 (El adverbio «possibilmente» fue introducido, entre lineas, por el secretario del Capítulo general, don Marenco, en la última redacción).

Don Bosco había hablado desde una preocupación práctica. A este propósito, puede ser útil aducir otra intervención del mismo período, aunque en sede diversa. En 1885, ante los miembros del Capítulo superior, evocó en estos términos los orígenes y el significado de su obra: «All'Oratorio, gli interni primi furono gli studenti e poi gli artigiani in soccorso degli studenti. Quindi prima calzolaí poi sarti. Ci fu bísogno di libri, quindi legatori. Primo legatore Redino sopranominato Governo; vennero quindi le fabbriche ed ecco falegnami e fabbri ferrai. 11 lavoro agli artigiani lo danno gli studenti»."
Hoy nos puede parecer que la cuestión quedara enfocada desde una perspectiva demasiado estrecha. Pero la exigencia práctica de responder a necesidades concretas constituye una constante de la que no se puede prescindir si se quiere entender la obra de don Bosco. El cual, por otra parte, tuvo siempre en el centro de su atención el que los jóvenes artesanos aprendieran un arte o oficio con el que ganarse honradamente la vida. Dos aspectos de una misma preocupación que iluminan afirmaciones y experiencias.

Sin olvidar estos hechos, y esquematizando bastante, se podrían suponer algunas modalidades de la presencia de don Bosco en el tema que nos ocupa. Sus intervenciones en el período 1870-1878 (publicación del Reglamento, compra de máquinas para los talleres, propuesta de supresión de alguno de ellos...) se hacen mucho más esporádicas después de 1879, año en que se dio mayor autonomía al director de Valdocco. La participación de los colaboradores, relevante ya a partir de 1870, se hace cada vez más consistente en el período 1883 a 1887.

No me refiero sólo a los redactores de los documentos capitulares. La participación tuvo una base más amplia. Don Bosco mismo había pedido a los miembros de las comisiones capitulares que, en el estudio de las cuestiones, se atuvieran rigurosamente a las Reglas de la Sociedad, a las Deliberaciones precedentes y a las «propuestas» enviadas por los socios desde las casas.

" ASC 04 Capitolo generale III 1883 (6.9.1883). En la misma ocasión se había tocado el tema del noviciado de coadjutores: «Entra in questione se sia necessario aprire un noviziato apposito per gli ascritti artigiani. D. Bosco opina di migliorare la loro posizione separandoli dal resto degli artig[iani]. Quasi tutti opinano di fondarlo separatamente. Resta sospesa questa speciale deliberazione. Peró si cercherá di stabilire qualche cosa a S. Benigno».

56 Deliberazioni del terzo e quarto capitolo, p. 21.

" ASC 0592 Vergali delle riunioni capitolari (14.12.1885). Cf. Annali I, p. 650.

El tema: «Don Bosco y las escuelas profesionales» se enlaza, pues, necesariamente con otro más vasto: «Los colaboradores de don Bosco y las escuelas profesionales». Y éste se enlazaría, a su vez, con la exigencia de aproximarse a la «vida real» de instituciones, situadas en diversos contextos culturales, como sugiere el mismo carácter internacional de la comisión que se ocupó del «indirizzo da darsi alla parte operaia» en 1886: don Luigi Nai (prefecto del noviciado de coadjutores de San Benigno y ponente del tema), don Giuseppe Lazzero (consejero profesional general), don Giovanni Branda (director de los «Talleres salesianos» de Sarriá-Barcelona), don Pierre Perrot (director de la colonia agrícola de la Navarre), don Domenico Belmonte (director de San Pier d'Arena) y el coadjutor Giuseppe Rossi."
Naturalmente, no es el momento de abrir un nuevo capítulo; sino que es hora de concluir la apresurada reseña hecha hasta ahora con algunas consideraciones finales.

Prescindiendo de la puesta en marcha y del impulso dado a los primeros talleres, la obra de don Bosco en este campo, durante el período considerado, habría que situarla en un marco de referencia más general.

Ante todo, su experiencia pedagógica. En ella ocupan un capítulo importante las orientaciones dadas en las «buenas noches», en las cartas, en las charlas a estudiantes y artesanos sobre puntos sencillos y centrales: amor al trabajo, cumplimiento del deber, frecuencia de los sacramentos... El presente Congreso se ocupará, en perspectivas y en momentos diversos, de estas materias. En este momento, quisiera aludir sólo a un punto. En las «propuestas» y en la discusión del tema de los artesanos en 1886, se founularon quejas acerca de determinadas medidas disciplinares severas, y acerca del abandono en que se dejaba, a veces, a los jóvenes aprendices. Antes de despedirse de los capitulares, don Bosco hizo una calurosa llamada para que se evitasen los «métodos rigurosos», y se insistiera «importune ed opportune» en la práctica del Sistema preventivo. Una añadidura introducida por la pluma de su vicario, don Rua, en la redacción del documento del 86 es ilustrativa: «Usar ogni cura perché sappiano di essere amati e stimati dai Superiori, e questo si ottiene trattandoli con quello spirito di vera carita che solo puó renderli buoni». (En la conocida carta del 84, hay una expresión muy parecida).

El incremento del número de alumnos en la sección de artesanos de Valdocco siguió manteniendo un ritmo constante.

58 La comisión del 1883 estaba formada por los citados don Lazzero y don Perrot y por don A. Sala (ecónomo general), don C. Ghivarello (director de Mathi), don G. Ronchail (director de Niza), don P. Albera (inspector de Francia y director de Marsella), don G. Bologna (vicedirector de Marsella).

TABLA 3: Número de nuevos alumnos artesanos y de otros empleados que entraron en los talleres de Valdocco (1880-1887)
año alumnos otros total
1880 90 61 151
1881 73 64 137
1882 96 81 177
1883 150 58 208
1884 116 50 166
1885 126 69 195
1886 144 51 195
1887 195 74 269
(Fuente: elaboración de ASC Torino Valdocco Anagrafe giovani 1869-1901).

En un momento de depresión económica y de no suficiente atención pública a la instrucción profesional, los talleres salesianos ofrecían a muchos hijos de familias campesinas o del ambiente popular un medio de promoción social. La demanda no era sólo piamontesa ni sólo italiana. Durante los últimos años de la vida de don Bosco, se habían abierto escuelas salesianas de artes y oficios en Francia (Nice, Marseille), Argentina (Almagro, Buenos Aires), España (Barcelona-Sarriá), Brasil (Niterói, Rio de Janeiro, Sáo Paulo).

La introducción realista y flexible de las Deliberaciones del 1887 permitió superar, en la práctica, límites reales, asumiendo instancias y orientaciones fecundas. En 1895, don Rua sentía la necesidad de recordar a los salesianos que el verdadero nombre de nuestros talleres era el de «escuelas profesionales»?
Ciertamente, no se trataba sólo de una cuestión de términos; y, ciertamente, en el camino recorrido ya por la obra de don Bosco había servido de orientación y estímulo la recomendación que él hiciera en el Capítulo general de 1883: «Di conoscere e adattarci al nostri tempi».6°
58 Lettere circolari di don Michele Rua al salesiani. Torino, SAID «Buona Stampa» 1910,p. 126.

88 ASC 04 Capita° generale III 1883 (acta del «7 settembre sera. Ultima conferenza», ms. De don Marenco).

INTEGRACIÓN DE LA ESCUELA
Y DE LAS ACTIVIDADES PARAESCOLARES EN LA PERSPECTIVA DE DON BOSCO


Cesare SCURATI
El análisis del tema puede comenzar útilmente (creemos) con la consideración de que la relación de que se habla en el título se presenta, en la experiencia actual, como empresa no precisamente fácil y, en todo caso, como perspectiva de pasos y éxitos no garantizados.' Es hasta demasiado evidente que estamos frente a uno de los problemas más abiertos y controvertidos de los que nos toca resolver hoy.

Brota entonces de un modo espontáneo preguntarse, al relacionar la cuestión con el fondo general de la obra de don Bosco y la realidad histórica y práctica de la pedagogía salesiana, si también en estas esferas no sé ha tratado tal vez de un aspecto de algún modo complejo y no exento de vericuetos que pueden suscitar todavía algún interés y algún eco. ¿Es una conjunción fácil o difícil, entonces, la que se da entre escuela y actividades paraescolares en la pedagogía de don Bosco y en la salesiana?
Comencemos, pues, a devanar el interrogante.

1. Más allá de las síntesis


Digamos enseguida — al menos para exponer inmediatamente nuestra hipótesis de trabajo — que el problema del que nos estamos ocupando ha constituido un punto de fatigoso trabajo, tanto en la pedagogía salesiana como en la interpretación y valoración por parte de la crítica, con mérito para volverlo a estudiar, sobre el que creemos poder decir que nos encontramos frente a una «mediación» nada sencilla, cuyos resultados escapan, al menos en parte, a la extrema capacidad de síntesis absoluta de opuestos y contrastes, en la que muchos han hecho consistir (y lo hacen todavía) el rasgo más típico e irrepetible-. mente original de la personalidad y la acción de don Bosco.

Para tener una visión de conjunto de esta problemática, cf. C. ScURATT (ed.), L'educazione extrascolastica. Problemi e prospettive, Brescia, La Scuola 1986.

Ahora bien, la cualificación del testimonio y de la obra del «fantasioso e ostinato contadino dei Becchi»,2 como realización de significados de orden sintético absoluto (que hay que colocar en diversos planos: psicológico, antes de nada, y después y sucesivamente, cultural, social, histórico-político, pastoral, pedagógico-educativo) debe acogerse indudablemente como un resultado casi indiscutible de los análisis que, sobre todo en los últimos años, se le han dedicado y a los que no es inútil dedicar una mirada aunque sea rápida.

Hay quien ha hablado de la coexistencia en él de «dos personalidades [...] marcadamente distintas: por un lado, el organizador hábil y decidido, el emprendedor de lo sagrado, el realizador previsor y constante de proyectos de ancha mirada con un sentido terreno de lo palpable y lo concreto; por otra, el espíritu atormentado por angustias y visiones infernales, en una constante oposición con fuerzas oscuras y poderosas que se le opusieron mucho tiempo». Y sigue: «Por una parte [...] el maestro de las cosas; por otra, el alumno de los sueños», de modo que «en el misterioso equilibrio entre estas dos opuestas y aparentemente inconciliables opciones está el secreto de la fuerte, inolvidable y animosa personalidad de este Santo, de su deslumbradora aventura terrena»,3 cuya característica más sorprendente puede haber estado, por último, en la «extraordinaria capacidad [...] de convivir con lo sobrenatural en una diaria simbiosis de aparente normalidad, y advirtiendo, sin embargo, dramáticamente el peso».4 Para otros es evidente «una estructura compleja de personalidad, de temple activo y cóntemplativo: emprendedor y místico, realista y poeta, ágil y prudente, maleable y tenaz», en el que «se armonizan polos antinómícos en la riqueza interior: sinceridad y respeto, precisión y libertad de espíritu, tradición y modernidad, humildad y magnanimidad, alegría y austeridad, intuición en el proyecto y prudencia en la ejecución, audacia hasta la temeridad y cálculo de circunspección, diplomacia atenta e hipocresía rechazada» hasta unir la «tenacidad voluntariosa» con la «flexibilidad ante situaciones cambiantes» el «optimismo desafiante» con el «realismo calculado», la «astucia de la serpiente»
con la «candidez de la paloma»; y a diseñar la imagen de un «honbre ciudadano del cielo con los pies bien asentados en la tierra»5 en un «vivo equilibrio entre memoria y profecía, libertad y obediencia, humildad y magnanimidad, dinamismo y sosiego, ideal y práctica, fe e historia»,6 consolidado en las formas peculiarmente típicas de «una santidad que se acopla a los pliegues de lo cotidiano».'
Moviéndonos ahora en otro plano, encontramos la alusión al «tejido inextricable, en términos racionales, de tradicionalismo y de innovación»,8 que se

2 M.L. STRANIERO, Don Bosco rivelato, Milano 1987, p. 25. Ibid., p. 30.

Ibid., p. 33.

5 S. PALUMBIERI, Don Bosco e l'uomo, Tormo, Gribaudi 1987, p. 31.

6 Ibid., p. 73.

7 Ibid., p. 123.

F. TRANIELLO, Don Bosco e il problema della modernita, en: Don Bosco e le sfide della modernita (Quaderni del Centro Studi «C. Trabucco», 11), Torino, Stabilimento Poligrafico Editoriale «C. Fanton» 1988, p. 43.

explicita en la constatación de una inquebrantable fidelidad a la tradición, capaz de desembocar en la más apreciable contribución al devenir mismo de la modernidad, en la que «un propósito religioso se enlaza con un propósito y un resultado civil».9 Llegando, por último, al terreno que nos corresponde más propiamente, podemos referirnos a las indicaciones de la coexistencia de la inspiración de lo alto» con la «plena docilidad a lo real verificado a través de la experiencia»," a la que se une la actitud de «recibir las enseñanzas y las costumbres tradicionales y al mismo tiempo renovarlas, infundiendo en ellas un estilo y una vida nueva, medidos con un profundo sentido de humildad, con el afecto por los jóvenes y por el compromiso por su educación integral»."
No se pone fuera de juego, por ningún motivo especial y para concluir, aquella «síntesis vital [...] de vocación religiosa, de pasión y auténtica benevolencia, de caridad, de gracia, no desprovista de inteligencia y de excepcionales capacidades organizativas y de agregación»" que se puede tomar como representación crítica e interpretativamente más adecuada de la pedagogía de don Bosco, que viene a configurarse, en este sentido, como una gran costrucción educativa sinérgicamente propositiva, capaz de armonizar en un solo y único hálito formativo lo material (hospedaje, alimento, vestido, protección) con lo espiritual (la oración, la instrucción, la catequesis, la vida sacramental) con lo individual (la acogida, el diálogo personalizado, la confesión, la guía espiritual), lo expresivo (el teatro, la banda, las excursiones, el patio, la alegría, la fiesta) con la organización (los reglamentos, la disciplina, las tareas, el estudio).

Es también cierto que don Bosco mismo indicaba que en esta vitalidad orgánica de síntesis, continuamente verificada en los hechos, se encuentra lo específico de su Sistema preventivo. Él, pues, fue ciertamente hombre y santo de síntesis «imposibles», pero, precisamente por eso, demostradas con los hechos. Fuera de toda duda, como sucede siempre en estos casos, fue un educador excepcional.

Nuestro intento, pues, no puede consistir en pretender (cosa imposible de proponer en absoluto) falsificar desde la raíz esa imagen, cuya aceptación plena y convencida de salida no excluye, sin embargo, que — al menos por lo que se refiere al tema que tratamos — se pueda emprender algún recorrido analítico ulterior.

9 P. SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, en: Ibid., p. 17.

'° C. COLLI, Pedagogia spirituale di Don Bosco e spirito salesiano, Roma, LAS 1982, p. 18.

" E. ALBERICH - U. GIANETTO, Don Bosco maestro di educazione religiosa, en «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 188.

'2 P. BRAMO (ed.), Don Bosco per i giovani: L'«Oratorio». Una congregazione degli oratori.

Docurizenti, Roma, LAS 1988, p. 27.

2. Un nudo crítico


Que la cuestión que estamos planteando no es sólo una ocasión para el pretexto de hacer un comentario lo puede sugerir, si bien se mira, la misma crítica de don Bosco, que no ha dejado de permitir entrever la existencia de líneas de valoración muy diversas en relación con el problema de la mezcla, máso menos equilibrada, en la reflexión y la acción del Santo, de un inspiración «extraescolar» y de otra «escolar».

Creemos, por tanto, que es necesario en el desarrollo de nuestras argumentaciones, pararnos convenientemente en ese punto, que no dejará de permitirnos entrever con claridad al menos dos orientaciones suficientemente distintas entre sí respecto a dos focos de interés, constituidos respectivamente por la referencia a las inspiraciones originales y por la atención a los acentos y las aportaciones más preciosamente características de la herencia de don Bosco.

El primero de ellos — del que examinaremos enseguida articuladamente los motivos y los aspectos centrales — tiende a subrayar, pues, que su gran aportación original debe mantenerse en el área de la educación extraescolar, ya que es en esta dirección en la que van sus intenciones y se consolidan sus metas.

M. Casotti, después de haber acreditado la pedagogía salesiana por su «plena correspondencia a las necesidades más vitales de la pedagogía moderna y de la pedagogía cristiana conjuntamente»," no deja de notar que «don Bosco [...] al menos en principio, miraba no tanto a la escuela como al .oratorio»," dado que su «problema pedagógico dominante era la disciplina, entendida en sentido amplio: no la instrucción o la escuela verdadera y propía»,15 para identificar después, como característica distintiva (y anticipadora de la nueva civilización pedagógica del auténtico y verdadero activismo), la capacidad de «unir estudio y recreo de modo que uno adquiera la espontaneidad alegre y voluntaria del otro, y el segundo tenga de algún modo la compostura y seriedad del primero ». 16
Los puntos puestos de relieve son, pues, dos:
— don Bosco no empezó por la escuela sino por el recreo;
— la síntesis armónica de estudio y recreo fue su punto de llegada.

Consideraciones sustancialmente iguales las desarrolló P. Braido, según el cual la actitud de don Bosco hacia la escuela y la enseñanza puede definirse como de naturaleza táctico-instrumental — es decir, se trata de un paso ineludible con vistas a la «moralización y santificación del joven» y de su «preparación para la vida»9 —, por lo que su didáctica y sus criterios organizativos pre
" M CASOTTI, La pedagogia di S. Giovanni Bosco, en: Il metodo preventivo, Brescia, La Scuola 1958, p. 7.

" Ibid., p. 62. " Ibid., p. 68. " Ibid., p. 61.

17 P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco, Torillo, PAS 1955, p. 387s. Este enfoque essentan, en general, «escasa originalidad respecto de la escuela humanística tradicional»,'8 en la que él mismo se había formado, porque no se deben silenciar la existencia de una « clara voluntad de no fosilizar nunca la enseñanza con procedimientos anticuados y pesados »19 ni la conciencia de la «relatividad de toda técnica cuando presionan y urgen problemas humanos más altos y preocupantes», como de su «bondad [...] y su aceptabilidad» si pueden «convertirse en instrumento eficaz de una educación viva y encarnada»."
Completamos estas referencias con algunos rápidos apuntes: B. Bellerate subraya la «prioridad del hacer sobre el enseñar»;21 para L. Cian «no se puede decir que el problema escolar, en sus variadas complicaciones, fue lo que más preocupó a don Bosco»;22 según G. Dacquino «el de don Bosco no era [...] un método didáctico de actuación preferentemente intelectual, y que, por tanto, se podía resolver en los bancos de la escuela, sino un método educativo que se basaba .esencialmente en la relación afectiva prolongada a todo lo largo de la jornada» .23
Esta última observación nos introduce directamente en una de las aportaciones cruciales a las que hay que ir, es decir, al reciente ensayo en clave psicoanalítico. de X. Thévenot," en el que se hace remontar la tesis del primado irreversible de lo extraescolar sobre lo escolar al punto focal inicial mismo de la vocación sacerdotal-pedagógica de don Bosco, es decir, el sueño de los nueve años.25 Es precisamente en el sueño — dice Thévenot — donde él identifica el «eje central de toda la acción educativa salesiana: el amor de Dios», reconoce «la dulzura y la caridad como virtudes centrales del educador» y recibe — aquí está exactamente lo que nos interesa — «el criterio decisivo de calidad de la presencia educativa», es decir, «no, antes de nada, Ja pertenencia de la enseñanza impartida a los jóvenes en la escuela, sino los valores de la relación entre educador y jóvenes en el momento de los juegos en el patio de recreo ».26
seguido también por G. CHIOSSO (L'Oratorio di Don Bosco e il rinnovamento educativo nel Pie-monte carloalbertino, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 83-116), el cual afirma: «L'interesse per la scuola non oltrepassó [...] il semplice dato suggerito dal pratico buonsenso e doé che un po' di istruzione poteva consentire a sconfiggere la miseria» (p. 111). Muy diversa es la opinión de G. COSTA: «Don Bosco sentí [...] la necessitá di liberare la scuola dall'aspetto formalistico e instaurare invece una pió accentuata coscienza formativa ed educativa. Da questo derivano le notevoli aperture verso tecniche didattiche nuove, pió efficad e interessanti, fondate sul metodo intuitivo e inductivo, sul metodo sdentifico della scoperta e della ricerca, sull'uso di sussidi didattici
per rendere meno astratto l'insegnamento» (Don Bosco e la letteratura giovanile dell'Ottocento, en:
Ibid., p. 349).

18 Ibid., p. 108.

" Ibid., p. 396. Ibid., p. 403.

2' B. BELLERATE, Ii significato storico del sistema educativo di Don Bosco nel sec. XIX e in prospettiva futura, en: Il sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, Leumann (Torillo), Elle Di Ci 1974, p. 35.

22 L. CLAN, Cosa dice Don Bosco alla scuola d'oggi, en: «Ji Maestro» (maggio 1988) 9. Otros trabajos significativos: Il "sistema preventivo" di Don Bosco e i iineamenti caratteristici del suo stile, Leumann (Torillo), Elle Di Ci 1985; Educhiamo i giovani d'oggi come Don Bosco, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1988.

" G. DACQUINO, Psicologia di Don Bosco, Torillo, SEI 1988, p. 135. La idea central es que
«il metodo educativo di don Bosco tendeva, con la forza della persuasione e del cuore, a sublimare e integrare le pulsioni istintive» (Ibid., p. 142).

24 X. THÉVENOT, Don Bosco educatore e il "sistema preventivo". Un esame condotto a partire dall'antropologia psicoanalitica, en «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 701-730. Ibid., p. 708-712.

El tema de la escuela sería, pues, absolutamente añadido y secundario-accidental, justificable sólo en orden a consideraciones preferentemente exteriores, como las exigencias histórico-sociales y las presiones prácticas, pero fundamentalmente extraño a la savia más íntimamente constitutiva de la vocación salesiana.

Para no cerrar en este punto nuestra reflexión, sin posibilidad de réplica, hace falta mirar hacía la segunda de las orientaciones a las que hemos aludido, que tiende en todo caso, pero en medida indudablemente menor, a modificar sensiblemente las líneas recordadas hasta aquí.

Ya había afirmado V. Cimatti,27 en el intento por presentar a don Bosco como educador plenamente aceptable en todo ambiente y toda situación educativos, que, en su sistema, la escuela constituye, junto a la familia y a la Iglesia, uno de los factores educativos centrales (hay que decir, sin embargo, que este planteamiento acababá poniendo excesivamente en la sombra la gran tradición del recreo y del patio, indudablemente sometida a exigencias demasiado abiertamente escolares). Más acertadamente, J. Aubry volvió sobre esta sugerencia hasta formularla de im modo que nos parece sustancialmente más adecuado e incisivo: «El patio era [...] un punto estratégico tan importante como la capilla y el aula de clase»28 en las manos del santo educador, por lo que la tríada pedagógica identificada así (patio — escuela — capilla) debe entenderse en el sentido de un único ambiente formativo articulado, en el que los tres elementos constitutivos tienen lin peso y una importancia igualmente determinantes.

Pero la intervención más decisivamente comprometida, que se puede interpretar como un verdadero y real «contrapaso» del ensayo de Thévenot, pertenece a Pellerey, que enfoca — según nuestro parecer, acertadamente — la mirada sobre el «camino de la razón»29 como elemento totalmente indispensable para acercarse a él y considerarlo detenidamente en la pedagogía de don Bosco.

26 Ibid., p. 710.

27 Cf. V. CIMATTI, Don Bosco educatore, Torino, SEI 1925.

24 AUBRY, II santo educatore di un adolescente santo: Don Bosco e Domenico Savio, en: R. GIANNATELLI (ed.), Don Bosco. Attualitá di un magistero pedagogico, Roma, LAS 1988, 160. Cf. también J. AUBRY, Lo spirito salesiano. Lineamenti, Roma, Ed. Cooperatori Salesiani 1972.

29 Cf. M. PELLEREY, La via della ragione. Rileggendo le parole e le azioni di Don Bosco, en «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 383-396.

La razón — recuerda Pellerey — es en él medio educativo explícitamente admitido y recomendado, además de rasgo esencial de su personalidad operativa y, por tanto, elemento consustancial propio de su sistema pedagógico, en el que la aceptación y la valoración de la naturaleza cultural de la persona humana no pueden subestimarse de ningún modo," a costa de alterar o, de todos modos, debilitar más de la cuenta un rasgo básico de su visión antropológica. Nace de aquí, además, la importancia de la instrucción y de la escuela como expresión con la que se realiza de modo concreto la «voluntad de concurrir a la elevación moral y material de las masas populares a través de la acción educativa dirigida a cada uno»," en una consonancia plena de aspiración pastoral y de misión social."
Podemos tomar, por tanto, un primer punto. Se trata de deshacer, en realidad, el nudo que hemos venido describiendo en sus componentes fundamentales, hasta responder de manera satisfactoria a la pregunta de la que hemos partido.

Y es precisamente lo que trataremos de hacer inmediatamente. 3. Una solución
Proponemos, con este fin, una especie de vuelta a Valdocco, es decir, un viaje hacia atrás a los lugares de la experiencia directa de don Bosco para tratar de encontrar en los testimonios originales del sistema preventivo algunos posibles elementos de salida del problema sobre el que estamos trabajando.

'° Sobre la concepción antropológica de don Bosco, se puede ver: PALUMBIERI, Don Bosco e l'uomo, p. 61ss. Según este autor, don Bosco, ajeno a una visión que atribuye un primado a lo «spirituale dísincamato», proclama «la centralita del riferimento al valori e al fondamento divino e personale di essi nel progetto di riforma integrale della persona e della sodetá, con quena che potremmo oggí chiamare rivoluzione culturale, funzionale ad un'autentica cíviltá innovativa, biofila e creativa, libera e solidale, nella quale l'uomo, con la sua integralitá di corpo-cuore-anima, reticolato di rapporti, strutture e progettí, possa esser oggetto e termine di ini7iative di segno umano» (p. 68-69). En este cuadro, el «privilegiamento dell'anima» puede ir acompañada de una «visione U-7 positiva della corporeitá», el «cuore» puede hacerse «elemento culminante» y «punto di sintesi della ricchezza della persona umana» (p. 64), sin dejar, por esto, fuera de juego la racionalidad entendida como «ragionevolezza» (p. 113).

31 PELLEREY, La via della ragione, p. 386.

32 No se puede apartar a don Bosco del clima de creciente interés por la instrucción popular que caracteriza al Piamonte de su tiempo, del que sin duda compartió el acercamiento a ella no como «un male da esorri77are, ma una risorsa da valorizzare per provvedere alla completa formazione umana e cristiana dei giovani» (CHtosso, L'Oratorio di don Bosco, p. 109). Y esto hasta llegar él mismo a convertirse en uno de los más celebrados promotores de dicha instrucción popular. El tema de lo «escolar» circula también significativamente a propósito de la formación profesionaL Se puede ver, a este propósito: D. VENERUSO, Il metodo educativo di San Giovanni Bosco alla prova. Dai laboratori agli istitutí professionali, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 133-142; L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco, en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella stork della cultura popolare, Tocino, SEI 1987, p. 13-80; P. BAIRATI, Cultura salesiana
e societa industriale, en: Ibid., p. 331-357.

Como es fácil intuir, se trata de un viaje que tiene una meta bien precisa, es decir, una hipótesis conductiva que conviene exponer enseguida en sus términos constitutivos: .

a) la escuela representa una categoría inicial de la preocupación pedagógica
de don Bosco, tanto como el recreo (en otras palabras: es original como el Oratorio);
b) el desarrollo de la escolarización de forma institucional-colegial introduce elementos de desequilibrio y dificultades en la «totalidad educativa» imaginada y vivida por el Santo, de los que él mismo se dio cuenta totalmente al final.

Comencemos, pues, a desarrollar la primera parte de la hipótesis, recogiendo en sus diversos puntos los aspectos evidentes a favor que nos parecen los fundamentales 33
a) Maestro siempre: — Una lectura escrupulosamente atenta, pero que acepte al mismo tiempo lo suficiente para el caso, de las Memorie dell'Oratorio, revela fácilmente que don Bosco, desde los momentos «míticos» y «fabulosos» de su vida (se trata del pastorcillo de los Becchi, del campesino y del muchacho de campo y en las diversas casas en las que trabaja, del estudiante y después del seminarista de Chieri), piensa en la escuela y asiste a ella, percibe con un sentido unitariamente global la vocación sacerdotal y la de maestro (a don Calosso, que le pregunta, le dice que quiere estudiar «para abrazar el estado eclesiástico» y esto, a su vez, para poder acercarse, «hablar, instruir en la religión a tantos compañeros míos»), une siempre la instrucción al recreo, quiere ser maestro: es saltimbanqui y predicador, prestidigitador y lector, organizador de juegos y maestro, hasta el punto de que identifica su misión con ser al mismo tiempo sacerdote y educador.

b) Escuela enseguida: —Las actividades del Oratorio implican casi inmediatamente, desde sus comienzos y a partir de los momentos precarios y nómadas, tiempos y espacios para la escuela que aparece, en algunos casos, una preocupación hasta dominante.

Ya en la fase de la capilla aneja al edificio del «Ospedaletto di S. Filomena», hay un «local destinado a capilla, a escuela o a recreo de los jóvenes»; en el período de San Francisco es él mismo el que afirma que ha «conocido la necesidad de alguna escuela»; en el Rifugio y en Casa Moretta echa a andar la' «escuela dominical estable» y se echan los cimientos de aquellas «clases nocturnas» que encontrarán más tarde su desarrollo definitivo una vez trasladadas a Valdocco. Empieza «la enseñanza gratuita de italiano, latín, francés, aritmética» para los jóvenes a los que pedía que le ayudasen en el catecismo y en las clases, cuyo desarrollo florece de tal modo que se decide a poner en marcha la redacción de las primeras obras de divulgación (la Storia Sacra, el Sistema metrico decimale) y edificantes (II Giovane provveduto); a la clase de instrucción escolar normal se unen muy pronto las de canto y música, y no tardarán los cursos del «ginnasio» y del «liceo» y después los talleres y, por fin, las escuelas profesionales.

" De ahora en adelante, a no ser que se diga otra cosa, los textos de don Bosco serán tomados de: Bosco, Scritti sul Sistema preventivo.

Para resumir todo en una imagen, dirá que en el Oratorio se tiene «recreo, canto y clase hasta la noche».

c) Leer y escribir: — La intensísima actividad de redacción, editorial y de publicación que tuvo don Bosco personalmente y, más aún, provocó y estimuló incansablemente, sobre cuya importancia la crítica actual ha volcado su atención,34 no tendría ninguna explicación si no formase parte de una actitud radicalmente positiva en relación con la instrucción y con una conciencia plena de sus funciones no sólo utilitarias, sino también morales.

No es casualidad que don Bosco se presente como «acompañado siempre por el pensamiento de progresar en los estudios» y describa cuidadosamente su pasos de lector ávido y estudiante eficacísimo.

d) Estudio y santidad juvenil: — Una indicación indirecta, pero preciosa sin duda alguna, nos puede venir de las cuatro conocidísimas biografías edificantes dedicadas a L. Comollo, D. Savio, M. Magone y F. Besucco (si es verdad como afirma con agudeza P. Braido — que «la pedagogía de don Bosco tomó su rostro de miles de jóvenes educados por él»).35
El análisis de estas biografías demuestra ampliamente que el deseo de aprender, la diligencia en el estudio, la disciplina escolar y la aplicación se entienden como características esencialmente definidoras de la perfección juvenil, y nunca sucede que a don Bosco se le escape alguna expresión a la que se le pueda atribuir un sentido contrario o falto de interés por el trabajo intelectual. Al contrario, la preocupación cultural se mantiene intensa y continuamente despierta en cada período y situación de su obra.

Por eso, entonces, Magone se transforma de pequeño cabecilla de la calle en «joven marcado por el estudio y la atención» y Besucco, de pobre pastorcillo analfabeto en estudiante modelo («Cuando oía la señal para ir al estudio, iba inmediatamente sin esperar un instante» y «era bonito verle siempre recogido, estudiando, escribiendo con la avidez de quien hace algo que le gusta»).

Añadamos además que es precisamente en el ambiente de esta biografía donde don Bosco acuña aquella frase que, entre tantas tríadas enunciadas por él, puede considerarse aún la más explicitamente representativa, precisamente porque está empapada de «cosas» y no de conceptos, de todo su trabajo:
«Alegría, estudio, piedad».

" Cf. los recientes e iluminadores estudios de F. TRANIELLO, Don Bosco e l'educazione giovanile: la «Storia d'Italia», en: ID., Don Bosco nella storia, p. 81-111; S. PIVATO, Don Bosco e la «cultura popolare», en: Ibid., p. 253-288; F. MOLINARI, La «Storia Ecclesiastica» di Don. Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 203-237; G. COSTA, Don Bosco e la letteratura giovanile dell'Ottocento, en: Ibid., p. 329-353.

35 Bosco, Scritti sul Sistema preventivo, p. 175.

Nos parece posible afirmar, entonces, sin temor, que el complejo instruc. ción-cultura-escuela tiene que verse como un elemento totalmente intrínsecc (por tanto, no sólo accidental-exterior-añadido) de ese proceso e itinerario de humanización-espiritualización-salvación en el que don Bosco entendía que estaba el deber auténtico y verdadero de la educación popular y cristiana. En 1875, cuando escribe a los alumnos y a los salesianos del colegio de Lanzo, anima a «buscar, estudiar, conservar y promover los tres grandes tesoros: salud, estudio y moralidad», ofreciéndonos, con ello, la mejor y más definitiva definición de todo lo que hemos buscado presentar hasta este momento.

4. Un problema


Pero hemos dicho que el tema, que acabamos de plantear y desarrollar (y deseamos que de modo suficientemente decisivo) sólo en lo que se refiere a la primera mitad de nuestra hipótesis, deja por ver precisamente el aspecto críticamente más relevante, es decir, el de la integración real de los dos planos, el de la escuela y el de la extraescuela, en su vivencia y realización en la marcha de las instituciones salesianas.

No nos detenemos en consideraciones que pudieran referirse a la acción escolar de don Bosco en cuanto tal, sino para notar que se pueden encontrar en ella, junto a los motivos de un conservadurismo obstinado en cuanto a los contenidos apoyado en una visión de trazos moralizantes duros,36 sugerencias de gran frescura e inventiva didáctica en el campo de la enseñanza catequística (uso de las imágenes, recurso al diálogo),37 de la enseñanza de los clásicos (las dramatizaciones)," de la primera alfabetización,39 de la enseñanza artística y expresiva (canto, música, teatro)," de la actividad motora (abandono del paradigma militarista por una recuperación plena del principio del juego y una orientación a la práctica y a la mentalidad deportiva).'

36 Para don Bosco, en su «opera di divulgazione e di lettura destinata al giovani adolescenti», la precedencia de los valores contenutísticos en sentido «ideológico» (TRANIELLO, Don Bosco e Pedurazione giovanile) y «la subordinazione dei valori umani a quelli relig. iosi e morali» estaban absolutamente fuera de discusión, lo mismo que la «ricerca sistematica, continua, di una lingua semplice, chiara, precisa, che potesse trasmettere con immediatezza il pensiero» (P. ZOLLI, San Giovanni Bosco e la lingua italiana, en: Ibid., p. 113-141).

37 ALBERICH - GIANETTO (Don Bosco maestro di educazione religiosa) declaran: la instrucción catequística se coloca en un «contesto umano ed educativo globale» (p. 190), que impide toda «separazione fra catechesi, formazione religiosa ed educazione» (p. 189).

38 Según G. PROVERBIO (La scuola di don Bosco e l'insegnamento del latino, en: TRANIELLO [ed.], Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 143-185), en la enseñanza secundaria se seguían «metodi e schemi piuttosto tradizionali». (Se puede hallar una confirmación de este hecho en las memorias de don Nespoli transcritas por P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e so-dale (1815-1870], Roma, LAS 1980, p. 481-493; don Nespoli habla de impaciencia frente al «me-todo meccanico» practicado en las clases). Proverbio habla también de la presencia de rasgos innovadores, como la lectura de autores que se hacía en el primer curso, el acento puesto sobre el carácter instrumental de la gramática y, especialmente, las «accademie», con declamación de tes-tos en latín, y las representaciones teatrales. De todas formas, el dato más relevante es, una vez más, de carácter contenutístico, con la aproximación de los autores cristianos a los latino-paganos.

39 Don Bosco afirma que su método de enseñanza utilizado en las escuelas dominicales (estu
El punto que nos interesa directa y específicamente aquí tiene que ver con la problemática de la disciplina y, más todavía en general, de la relaciones, ya que es respecto a ellas donde se sitúa el fulcro de nuestro examen, en el que se tratará precisamente de ver si la armonización, la síntesis y la composición de la vida del Oratorio (o bien — y da lo mismo — de la pedagogía del recreo) con la de las escuelas y los colegios (o también — si se quiere — con la pedagogía de la enseñanza) se pueden considerar logradas del todo o, si en cambio, no existe lugar para alguna diferencia.

Para analizar la cuestión, dividimos nuestro período de observación en dos momentos muy distintos entre sí: en el primero, la convivencia y simultaneidad de la vida de escuela y de la vida de Oratorio aparece resuelta en un único y unitario contexto y ambiente de experiencia y de realización educativa, por lo que la diferencia entre ser alumno y ser muchacho del Oratorio — para remontarnos a los mismos recuerdos de don Bosco y a la copiosísima memoria al respecto — es prácticamente inapreciable, en cuanto el uno y el otro son igualmente modos de ser «hijos» de don Bosco. En el segundo, en cambio — caracterizado por la institución de los colegios, por el desarrollo de las escuelas clásicas y profesionales, por la difusión nacional, europea y, por último, mundial de las casas salesianas —, surgen las condiciones de una creciente separación, como si las dos realidades tendiesen cada vez más a situarse en caminos progresivamente paralelos y poco a poco menos comunicantes entre sí.

Veamos ahora si tomamos más detenidamente estas sugerencias que resumen nuestro problema.

En los Reglamentos, y más todavía en las cartas a los directores y a los responsables de las instituciones salesianas, se puede advertir fácilmente, además y más allá de la preocupación por los hechos menudos de orden práctico y administrativo, casi el ansia de no perder los caracteres más intrínsecamente propios del Sistema preventivo, como el de hacerse «amar antes que temer», el prestar la máxima atención a los más débiles y a los menos afortunados, el dio del alfabeto y del silabeo con inmediata aplicación a las preguntas del catecismo) era tan eficazque consentía que en sólo «otto giorni festiví [...] taluni giungessero a leggere e a studiare da sé delle intere pagine di catechismo».

" Cf. M. SODI (ed.), Liturgia e musica nella formazione salesiana, Roma, Edizioni SDB 1984;
M. RIGOLDI, Don Bosco e la musica, Carugate 1987; S. STAGNOLI, Don Bosco e il teatro educativo salesiano, Milano 1967-1968; PIVATO, Don Bosco e la cultura popolare, p. 276-279; ID., Don Bosco e il teatro, en: C. NANNI (ed.), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LAS 1989, p. 100 112.

41 PIVATO, Don Bosco e la cultura popolare, p. 280-282: en los «ingenui e spiritosi esercizi ginnici» ideados por don Bosco «nulla fascia intravvedere», sino que se coloca exactamente «alle origini dello sport cattolico», en el cual, el deporte es «consigliato come sussidio alla formazione religiosa e come strumento formativo di una piú intensa vita di pietá».

hablar «con frecuencia», el pasar con los jóvenes «todo el tiempo posible», el prestar nuestro servicio «a favor de la parroquia», el utilizar «siempre modos y palabras de caridad y mansedumbre», el no hacer nunca «donde sea posible [...] uso de los castigos» (Ricordi confidenziali a los directores; II Sistema preventivo nella educazione della gioventú).

Sobre todo, se repite con insistencia el tema de los castigos y de las penas, a propósito de los que se insiste casi continuamente en el precepto de que «no hay que usar nunca medios coercitivos, sino siempre y sólo los de la persuasión y la caridad»; se exige que se recurra (si es estrictamente necesario) a formas de «corrección paterna» y sólo en privado, avisando para «dar tiempo a la reflexión», eliminando la precipitación y la alteración emotiva; se exhorta a «evitar la angustia y el temor inspirado por la corrección», para «decir una palabra de aliento» que deje la puerta abierta a la «esperanza» que nace de «sentirse de nuevo situado por su (= del educador) mano caritativa en el camino de la virtud». En un primerísimo lugar, por último, debe quedar la exclusión de cualquier forma de «áspera violencia», porque «no se educa [...] la voluntad cargando sobre ella un yugo excesivo», sino respetando siempre el primado de la amabilidad y de la religiosidad en el contacto interpersonal, ya que la educación es «cosa del corazón» del que «sólo Dios [...] es el dueño» (Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane).42
Nos parece poder ver, en nuestra interpretación, el peso creciente del paso de una fase típicamente (y — podríamos decir — gloriosamente «carismática», en el sentido de unitiva y afectivamente inmediata, sin reservas),43 a otra «empresarial», en la que el éxito y la consolidación van mezclados desgraciadamente con la articulación organizativa, pero disgregadora, con la lejanía desalentadora de lo inmediato, con la necesidad de hacerse entender por medio de prescripciones y conceptos más que con la comunión directa y cálida de vida y acción con la constricción a tener que dejarse en las manos (y en las meaciones, no siempre apreciables) de los demás, sín poder estar presente persdionalmente.

42 Se debe atribuir a CASOTTI (La pedagogía, passim) el mérito de haber puesto perfectamente de relieve el carácter intrínsecamente humano y no violento de la educación según el sistema preventivo sobre la base del primado de la acción. El optimismo pedagógico cristiano de don Bosco no se debe confundir, sin embargo, con ningún tipo de ingenuo angelismo; por eso nos parece sorprendentemente fuera de lugat: atribuirle, como hace DACQUINO (Psicologia di don Bosco), convicciones tales como la «fede piú assoluta nefia bontá della natura umana» (p. 159).

43 Tomamos de THÉVENOT (Don Bosco educatore, p. 704 sgg.) la indicación de las características fundamentales del carisma educativo, identificables en el «grande seno dell'assoluto», tendencia a las «scelte radican» y en los «segni d'una certa seduzione o fascino». Es importante también advertir que todo esto está acompañado de un realista «seno delle lentezze e dei limiti», con todos los debidos controles ético-racionales del caso. Es útil, por tanto, afirmar que el carisma educativo de don Bosco, fuera de toda connotación falsamente y, por tanto, peligrosamente « seduttiva», se sirve (acepto, esta vez, las observaciones de DACQUINO, Psicologia di Don Bosco) de rasgos como una «oblativitá apena e dinamica» (p. 10), dotes de «lottatore tenace, capo rassicuunte e trascinatore e soprattutto dotato di spirito di sacrificio, di costanza e di umiltá» (p. 174), el sentido de «autostima» y de «sicurezza» unido a la «consapevolezza delle proprie quanta». En definitiva, se perfila la «personalitá estroversa» y «versatile» (p. 23) de un «prete simpatico, atletico e giocoliere» dotado de una extraordinaria «capacita naturale di sintonizzarsi con i giovani» (p. 96).

El punto crítico de nuestro análisis se coloca, por tanto, en el paso de las dimensiones restringidas y directas de la «aldea pedagógica» de Valdocco (lugar de la paternidad: modelo de la familia) a las cada vez más amplias, formalizadas, estructuradas, reglamentadas y afectivamente.lejanas de la escuela y el colegio como instituciones complejas (lugares de la profesionalidad: modelo de la empresa), ya que es a partir de este paso donde el mismo don Bosco empieza a vivir hasta el fondo la experiencia. «difícil» (como expresión de una exigencia destinada a quedar insatisfecha en buena medida) de mantener abierto y constante el contacto entre los dos estratos de su obra, de modo que se logre llevar — es éste el sentido último de la observación — el Oratorio a la escuela. Si nos atenemos a la reconstrucción de P. Stella, la salida de Valdocco hacia nuevas empresas costó adaptaciones y resistencias y, en último análisis, la aceptación de cometidos que no coincidían del todo con las intenciones originales.

Efectivamente — hace notar — «la enseñanza privada [...] no era un camino del gusto de don Bosco, cuya obra del Oratorio se cimentaba en la reunión de muchos con la utilización máxima de pocos animadores»,44 y que había transmitido a sus primeros colaboradores la convicción firme y llena de orgullo de la bondad de este planteamiento, por lo que, con cierto esfuerzo, después «tuvo que aclarar que aceptar Valsalice correspondía a una orden insistente del nuevo arzobispo, Lorenzo Gastaldi; sólo de ese modo le fue posible obtener el consentimiento del Capítulo superior de la congregación», aunque apareciese claro que '«el camino de los colegios había llevado hacia la clase media, mientras que, en cambio, en su conciencia y en la opinión pública ellos estaban especialmente para la juventud pobre y abandonada».45
Se abría de ese modo el dificilísimo problema de mantener, bajo la misma inspiración educativa «preventiva» y bajo la misma concepción pedagógica salesiana, las partes de una empresa en la que se iba delineando ya una multiplicidad sorprendente de intenciones, finalidades, destinos y contextos diversos, ante los que el modelo del Oratorio iba poco a poco quedándose descolgado y cada día más lejano.

Al tema de la desarticulación empresarial se le puede unir, para seguir la misma línea de reflexión, el de la lejanía, conectado con la difusión de la actividad misionera que, junto a grandes consuelos, no dejó de plantear a don Bosco más de un motivo de reflexión e intervención para hacer que también ellos entraran en el cuadro de la conciencia crítica a la que, en los últimos
" STELLA, Don Bosco nena stork economica, p. 124. 45 Ibid., p. 143s.

años de su vida, llegó el Santo, «consciente de que de lo que tenía necesidad la congregación sobre todo, tanto en Italia donde ya estaba desde hacía tiempo, como en América Latina, a donde acababa de trasplantarse, no era sólo la unidad y la estabilidad de estructuras. La garantía de futuro, y de un futuro salesiano, estaba en las manos de los hermanos y de los colaboradores, con tal de que permaneciesen fieles al espíritu de los orígenes, es decir, al método y al estilo educativo que había caracterizado la vida del Oratorio de Valdocco».46
Tres cartas de agosto de 1885 — la primera a mons. Cagliero, la segunda a don Costamagna y la tercera a don Tomatís — expresan con acentuada claridad el sentido de estas observaciones: una presenta una llamada cordial a la «caridad, paciencia, dulzura» y prosigue, aún más explícitamente, afirmando que no se hagan «nunca reprensiones humillantes, nunca castigos», sino siempre «hacer el bien a quien se pueda, mal a ninguno». La otra enuncia sin medias tintas el desagrado por la lejanía y la intermediación («querría tener yo mismo un sermón o, mejor, una conferencia sobre el espíritu salesiano que debe animar y guiar nuestras acciones y cada palabra nuestra») y pasa después a resumir en pocas y enérgicas lineas lo que, evidentemente, quería hacer bien presente: «El sistema preventivo debe ser nuestra característica. Nunca castigos penosos, nunca palabras humillantes, nunca reprensiones en presencia de otros; sino que en las clases debe resonar la palabra dulzura, caridad y paciencia. Nunca palabras mordaces, nunca una bofetada fuerte o ligera. Hágase uso de los castigos negativos, y siempre de modo que los que reciben un aviso se conviertan en amigos más próximos que antes y nunca se alejen de nosotros envilecidos». En la última, finalmente, resuena la seca llamada a la coherencia: «No basta saber las cosas, sino que hace falta practicarlas ».47
Llegamos de este modo a la ya justamente célebre Lettera da Roma del 10 de mayo de 1884 que, en línea de la parábola «autocrítica» que estamos tratando de recorrer, puede considerarse como el documento central en interés e importancia.

Don Bosco toma el tema a partir de un sueño imaginario (es un verdadero «contrasueño» respecto al de los nueve años: una especie de « contrautopía» negativa, frente a la «utopía» positiva de los primeros tiempos ya lejanos) para desarrollar, en realidad, la más enternecedora descripción de la pérdida del verdadero espíritu salesiano, que se enclava con gran eficacia, precisamente en la disociación entre escuela y recreo.

«El maestro al que sólo se ve en la cátedra, es maestro y nada más; pero si va al recreo con los jóvenes, se convierte en un hermano»: hace falta volver a la conciencia activa de este punto fundamental, mezclándose todavía en las diversiones de los muchachos, animando sus recreos, vigilando desde cerca, llamando la atención sin amenazar, aceptando la fatiga que haga falta para amar lo que les gusta a los jóvenes, encontrando las expresiones naturales del amor a través de la familiaridad («ahora se considera a los Superiores como Superiores y no como padres, hermanos y amigos; por tanto se les teme y se les ama poco»).

46 F. Morro, Introduzione a Tre lettere a salesiani in America, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 357.

47 La «coherencia en todo momento» expresa, de la manera más incisiva, la esencia del testimonio de los santos piamonteses contemporáneos a don Bosco. Cf. F. PERADOITO, La «scuola dei santi» in TorMo, en «Vita e Pensiero» 81 (1988) 735-744.

Parece, pues, que las condiciones que habían hecho del «pequeño mundo» de Valdocco un mundo completamente realizado de la educación según el módulo salesiano han desaparecido en gran parte, por lo que no queda más que el espacio para el lamento y la nostalgia esperanzada («que vuelvan los días felices del Oratorio primitivo. Los días del afecto y de la confianza cristiana... los días del espíritu de condescendencia y de tolerancia por amor de Jesucristo... los días de los corazones abiertos con toda la sencillez y el candor, los días de la caridad y de la verdadera alegría para todos»). Pero el sentido final es precisamente el de un sueño en gran medida desvanecido e iluso. La gran obra unitaria se ha fragmentado y dividido de algún modo.

5. Lecciones
Hemos recorrido — para llegar a alguna nota y reflexión final — un itinerario que nos ha llevado de lin momento de unidad carismático-educativa inicial a la identificación de una posibilidad de reunificación que se puede proponer y actuar, en lo concreto de la situación que nos ha permitido experimentar, por el camino de la conciencia pastoral, cultural, metodológica y estructural, en la que los tiempos y los modos de la «razón» pueden aún unirse con los tiempos y los modos de la «religión» en un espíritu de persistente «amorevolezza». Pero no es una meta inmediata ni asegurada sin fatiga.

En este cuadro, es indudable que lo paraescolar, si se identifica con la figura de la pedagogía del Oratorio, ejerce un evidente primado orientador, pero, al mismo tiempo, la escuela no puede quedar excluida de ese horizonte.

La primera lección que hay que sacar, entonces, es la conciencia tanto de ese primado como de la necesidad de que no se puede sustraer a la conciliación de escuela y extraescuela en un intento común educativo, con el fin, sobre todo, de llevar a la instrucción (y a la escuela) aquellos rasgos de humanidad, riqueza de relaciones, vitalidad, alegría y significatividad que muy frecuentemente le faltan. Pero la escuela (también la de don Bosco y la de los salesianos) revela que siempre tiene más de una rémora para saber habitar con plenitud de vida donde circula el hálito más profundo de la educación en su hacerse y producirse original.

Lo que fue difícil hasta para don Bosco no puede ser, desde luego, fácil para nosotros: y esto debe hacernos reflexionar, en un compromiso que no debemos descuidar, para evitar ingenuas y peligrosas ilusiones.

LA PENITENZA E L'EUCARISTIA
IN EDUCAZIONE SECONDO DON BOSCO


Jacques SCHEPENS


O. Introduzione


Quando si tratta del tema dei sacramenti in Don Bosco, non dobbiamo perdere di vista il nucleo senza il quale tutto il suo midollo sarebbe tradito, cioè l'aspetto educativo e la sua specificità dell'educazione con amore. Amorevolezza significa "amore dimostrato", il trattamento mediante il quale si manifesta il proprio affetto, comprensione e compassione, la partecipazione alla vita di un altro.

Don Bosco amore e gentilezza amorevole hanno quasi come sinonimo del termine carità, la carità cristiana di St. Paul tesseva l'inno e Don Bosco (riferendosi a 1 Cor 13,4-7) evoca pagine del Sistema Preventivo formalizzata: «Charitas benigna est, patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet ». ' Questa è la carità che lo spinge a lavorare attivamente per la salvezza integrale, temporanea ed eterna dei giovani e che si manifesta con amore, che è vicino ai giovani.

Nella mente di Don Bosco, l'affetto per i giovani ha trovato la sua radice più profonda nella loro spiritualità. Nelle colline di Castelnuovo, Juanito Bosco aveva cercato invano che un prete si avvicinasse a lui. Nella sua coscienza, quegli eventi lontani avevano preso il valore degli eventi organizzati dalla Provvidenza che ha adottato non solo un metodo sia a terra in armonia psicologica, ma la vita specifica, fondata in grazia e in questo arnorevolezza che era per il suo comunicazione e dimostrazione '.
Ha sottolineato, tra molti altri testimoni, il canonico Giacinto Ballesio,
'G. Bosco, Inaugurazione del consiglio di amministrazione a Nizza S. Pietro a Mare con appendice sul preventiva sistema Nella educazione della Gioventu [= Sistema Preventivo], San Pier d'Arena-TorinoNizza Marittima 1877, p. 52 = OE XXVIII 430; per l'ed. crít., Cfr. P. BRAIDO [ed.], Il sistema preventivo nella educazione della gioventir. Introduzione e testi critici, in RSS 4 (1985) 171-321; anche: Bosco, Scritti pedagogici, p. 125-200.

2 Cfr P. STELLA, Don Bosco e la volontà Trasformazioni Sociali e Religiose tempo Suo in: M. Midali - Brocardo P. (eds.), Salesiano sulla SUA famiglia si riflette Vocazione Nella Chiesa Oggi, Leumann (Torino) Elle Di Ci 1973, p. 162-170.

Pastore dell'Oratorio, nell'elogio funebre in occasione della morte di Don Bosco: "Ma noi l'abbiamo visto, abbiamo ascoltato Don Bosco. Poi il suo lavoro, ridotto a questo Oratorio, ha reso la sua efficacia più intensa. Lui, ancora pieno di energia, con la sua arguzia, con il suo grande affetto, era tutto per noi, sempre con noi. Guardalo di buon mattino con i tuoi figli. Li confessa, dice la messa, dà loro la comunione. Non è mai solo, non ha un momento per se stesso; o i giovani, o il pubblico dei molti che lo assediavano continuamente nella sacrestia, sotto i portici, nel patio, nella sala da pranzo, vicino alle scale, nella sua stanza. Quindi al mattino, durante il giorno e la notte. Oggi, domani e sempre »? «Chi era Don Bosco in mezzo a noi? Era il nostro insegnante e la nostra guida per amare i giovani e portarli al bene. E da esso scaturisce lo spirito degli oratori festivi, che si moltiplicano ogni giorno con grande beneficio per il popolo. Don Bosco è stato per noi un esempio di vero amore cristiano e nel dirigerci ha evitato il formalismo artificiale, il rigorismo che approfondisce un abisso tra colui che comanda e colui che ubbidisce ". 4
Nella esperienza personale e istituzionale di Don Bosco, il tradizionale 'sistema preventivo' si esprime con uno stile inconfondibile. L'istruzione è fatto con la gentilezza amorevole in cura ed educativi opere, nata oltre venti anni (1844-1863) a favore dei "giovani poveri e abbandonati", che costituiscono quasi il contorno di base della posta e delle imprese di beneficenza Educatore Torino. Tutti loro hanno sede nell'Oratorio di San Francisco de Sales di Torino-Valdocco, luogo in cui all'inizio (1844) è polarizzato quasi spontaneamente i giovani migranti che vivono in uno stato di precarietà umana e sociale, e che si era affezionato a don Bosco dalla catechesi. L'esperienza dell'Oratorio, "progettato per distrarre posto con piacevoli diversivi per i giovani, dopo aver adempiuto ai loro doveri di religione '' si riflette in altre iniziative promosse da lui a beneficio delle classi lavoratrici: da per gli apprendisti e gli studenti (1847), la "Casa Annessa 'imbarco hospice workshop collegio per gli artigiani e le classi "ginnasio" (1853-1863) per espandere porte di Torino (1863), fuori d'Italia (1875) in missioni all'estero (1875); dalla fondazione della Società di San Francesco di Sales al Tnstituto delle FMA e la fondazione della Unione dei Cooperatori Salesiani. lo stage con laboratori per artigiani e classi "ginnasio" (1853-1863) fino all'espansione fuori Torino (1863), fuori dall'Italia (1875) in missioni estere (1875); dalla fondazione della Società di San Francesco di Sales al Tnstituto delle FMA e la fondazione della Unione dei Cooperatori Salesiani. lo stage con laboratori per artigiani e classi "ginnasio" (1853-1863) fino all'espansione fuori Torino (1863), fuori dall'Italia (1875) in missioni estere (1875); dalla fondazione della Società di San Francesco di Sales al Tnstituto delle FMA e la fondazione della Unione dei Cooperatori Salesiani.

Questa specificità deve essere presa in considerazione quando si studiano i temi importanti dell'azione di Don Bosco. Si trova soprattutto in due aspetti della sua ampia e varia attività: negli scritti e nella sua pratica educativa.
Cfr. G. BALLESIO, Vita intima di D. Bosco nel suo cugino Oratorio di Torino. Elogio funebre, Tip. Salesiano 1888, p. 9-10. Ballesio (1842-1917) entrò nell'Oratorio nel 1857.

Ib p.21.

5 Per una definizione, cfr. G. Bosco, II pastorello delle Alpi. Ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, 1864 [= Besucco] = LC 12 (1864) n. 5-6, p. 70 = OE XV, 312.

Trataremos de seguir esa doble vía en el tema que se nos ha confiado: el papel de los sacramentos de la penitencia y de la eucaristía en el sistema educativo de don Bosco, sin olvidar, sin embargo, que toda sistematización resulta insuficiente para expresar su experiencia vivida en su concreción y aun en su problematismo.

1. La doctrina de los sacramentos


Don Bosco produjo una mole de textos, en buena parte ya a disposición de los lectores por medio de la reimpresión anastática de las Opere edite.6 Existe la lista completa de los escritos editados por él en vida, incluidos los anónimos, dudosos, los atribuidos a él o atribuibles. Y nos informa de cada una de sus ediciones, transformaciones, traducciones, etc.7 La primera serie de las Opere edite (Libri e opuscoli) contiene en buena parte divulgaciones devocionales, hagiográficas, catequísticas y didácticas y también «vidas» de adultos (Cafasso) y jóvenes (Comollo, Savio, Magone, Besucco...), con frecuencia en forma narrativa y con tendencia a construir «modelos» ideales de comportamiento para imitar por sus jóvenes alumnos. Con su vasta actividad editorial, don Bosco no intentaba ofrecer de ningún modo a sus lectores trabajos doctos o científicos; se dirigía con su estilo sencillo, edificante o apologético al corazón de todos, del pueblo, de los jóvenes que encontraba en la calle o que educaba en sus instituciones. Los escritos informan, aunque con frecuencia de forma esquemática y ocasional y sin justificación teórica convincente, sobre las doctrinas y a veces también sobre la práctica de don Bosco en el campo de la educación sacramental. Las doctrinas son, en términos esenciales, las de la teología común y oficial de la Contrarreforma, las de la catequesis típica del clima de la Restauración, en la que, por otra parte, se desarrolló toda la formación de Juan Bosco, en la familia, en la escuela, en el seminario y en el Convitto ecclesiastico.8
Los aspectos doctrinales o teóricos de los sacramentos, formulados generalmente en términos catequísticos y casi siempre simplificados en función del pueblo y de la juventud, se encuentran sobre todo en las páginas apologéticas del mismo santo o en los autores cuyas obras él publicó con más frecuencia en la colección de las «Letture Cattoliche».9 Pero siguen también en el fondo de
6 Cf. 0E.

Cf. P. STELLA, Gli scritti a stampa di san Giovanni Bosco, Roma, LAS 1977.

8 Hemos analizado la actividad literaria de don Bosco, en el campo de los sacramentos, en:
J. SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco au sujet de la pénitence et de l'eucharistie, in «Salesianum» 50 (1988) 9-50; el mismo texto se halla también en: R. GIANNATELLI (ed.), Pensiero e prassi
di don Bosco nel 1° centenario della monte (31 gennaio 1888-1988), Roma, LAS 1988; J. SCHEPENS, Beichte und Eucharistie in der erzieherisch-pastoralen Praxis don Boscos = Folge der Schriftenreihe
zur Pflege Salesianischer Spiritualitát 19-20, Kóln-München-Wien 1988.

9 Colección fundada por don Bosco con el apoyo de mons. Moreno, obispo de Ivrea y de los escritos no directamente polémicos, sobre todo en los que tienen un fin catequístico o didáctico, en las vidas edificantes y en las páginas hagiográficas o devocionales del Giovane provveduto y de textos familiares con este manual de oración y meditación para los jóvenes. Efectivamente, después de los cambios radicales en el campo social, político y religioso habidos entre 1847 y 1850 (la plena emancipación de los hebreos y de las confesiones protestantes, el proselitismo valdense, la proliferación de periódicos y publicaciones laicas o anticlericales) y después durante los años de la supresión de las corporaciones religiosas y de la unidad de Italia, don Bosco se siente llamado a reaccionar con una decidida pedagogía preventiva y con frecuencia defensiva tanto contra la herejía como contra la impiedad. A partir de aquel tiempo, sus escritos, aun manteniendo su carácter catequístico y educativo, adquieren un tono más explícitamente defensivo o apologético contra el proselitismo protestante y la progresiva laicización de la sociedad. Esta afirmación vale sobre todo para los textos que se refieren a los sacramentos de la confesión y la eucaristía. La apología de los sacramentos, considerados desde siempre como fundamento indispensable de la vida, de la felicidad, de la moralidad y de la educación, obliga a don Bosco a explicitar ciertas verdades histórico-dogmáticas de la doctrina católica en relación con otras religiones y confesiones.

1.1. La confesión


En el campo de la confesión, don Bosco debe afrontar, entre el 50 y el 60, los ataques del apóstata Luigi Desanctis, considerado, junto a A. Bert y J.P: Meille, al menos durante algún tiempo, como uno de los personajes más grandes de la historia de los Valdenses en Piamonte.1° Él reacciona vivamente, publicando las Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della confessione» El opúsculo, todo él dedicado a la defensa de la confesión «auricular», le ofrece ocasión para especificar la doctrina católica de la confesión y subrayar su importancia, indispensable para la educación y las costumbres, contra sus adversarios que la calificaban como una fábula o una invención de los curas.

Los ataques de Desanctis no se limitaban a formular «a medida del pueblo» las objeciones ya conocidas de origen protestante. Eran también eco de los recelos lanzados por el llamado «descreimiento», del siglo XVIII o más reciente, de los «espíritus fuertes» («los filósofos») y que cada vez iban penetrando más en el mundo de los jóvenes y de los obreros.

mons. Ghilardi, obispo de Mondovl, sobre todo, para la difusión de buenos libros contra la propaganda valdense y las ideas laicas y anticlericales; el primer número apareció en 1853.

'° Acerca de los motivos de la ruptura entre Desanctis y la Iglesia valdense, cf. V. VINAY,
Luigi Desanctis e il movimento evangelico fra gli italiani durante il Risorgimento, Torino, Claudiana 1965, p. 59-62.

" Torino, Tip. Paravia e comp. 1855 = LC 3 (1855-56) n. 7-8 = OE VI 145-272 [=-- Conversazionz].

La existencia, la necesidad y la utilidad de la confesión misma se ponían en cuestión»
Los escritos de don Bosco o los textos de los autores que citaba en la colección de las «Letture Cattoliche» deb3 ían mostrar ante todo la única doctrina verdadera de la confesión sacramenta1.1
Tomando una por una las objeciones de sus adversarios, en un tono no de desprecio, pero sí humorístico, don Bosco refuta sus argumentos refiriéndose a la práctica continua de la confesión auricular y sacramental en la Iglesia." El contenido y el estilo de su argumentación, adaptados siempre a su público potencial de poca o mínima cultura, se distinguen por su tono popular de las páginas de otros autores que reaccionaban contra Desanctis.'
Para don Bosco se trata de demostrar ante todo que la confesión se remonta a Cristo mismo y que fue establecida de modo constante, durante todos los siglos de la historia cristiana. Añade además que los mismos hebreos, los paganos, los protestantes más inteligentes veneraron siempre este sacramento. Y hasta incrédulos como Voltaire y Rousseau subrayaron su valor.16
En las páginas menos directamente apologéticas, los «modelos» presentados (Comollo, Savio, Magone, Besucco, Cafasso...) concretan los principios ideales seguidos en la práctica educativa y muestran las condiciones que se consideran necesarias para acercarse con devoción, utilidad y saludablemente a la confesión, la misa y la comunión. A este fin, don Bosco clarifica la naturaleza y los efectos de la confesión por medio de fórmulas y expresiones con frecuencia tradicionales. Es misericordia de Dios, remedio, .alimento, bálsamo,
12 Conversazioni [1855], p. 13-15 = OE VI, 157-159.

13 Cf. los escritos de don Bosco: Fatti contemporanei esposti in 25 forma di dialogo [= -7 74 Fat5; Torino, Tip. dir. da P. De Agostini 1853 = LC 1 (1853-54) n. 10-11, p.Il galantuomo. Almanaccó nazionale pel 1855, coll'aggiunta di varíe utili aniositaGalantuomo], Torino, Tip. dir. da P. De Agostini 1854, p. 101-103 = OE VI, 15-17; Novella amena di un vecchio soldato di Napoleone 1, esposta dal sacerdote Bosco Giovanni [= Novella amena], Tocino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1862 = LC 10 (1862-63) n. 10, p. 18 = OE XIV, 242. De otros autores: [FAVRE]-CARLO FILIPPO DA POIRINO, 1l cielo aperto mediante la confessione sinceMANNINra, Torino, Tip. Paravia e comp. 1860; Torino, Tip. e Libreria salesiana, 1885 [4' ed. ]); H. La confessione ossia l'amore di Gesic pei penitenti. Traduzione dai francese di Concettina Basile, Tip. e Libreria salesiana .1886; La confessione della regina ossia il glorioso martirio di S. Giovanni Nepomuceno. Storia del secolo XIV, versión libre del alemán, 2 fasc.; J. PASSAVANTI, Lo specchio di vera penitenza annotato ad uso de' giovinetti da Gaetano Deho, 2vol., Torino, ).Tip. e Libreria salesiana 1874 = Biblioteca della Gioventú Italiana [= BGI] 6 (1874) giugno (n. 66
" Conversazioni [1855], P. 23-26.34.36.38-40.42.47 = OE VI, 167-170.178.180.182-184.191.

L' Para otras reacciones contra Desanctis, cf. A. BFLT T, Sulla dottrina e disciplina della Chiesa romana intorno al sacramento della confessione. Discorso [...J contro il saggio dommatíco-storico di L. Desanctis, Firenze 1851; B. NEGRI, Errori di Luigi Desanctis sul domma della confessione, Tocino 1862; G. CASACCIA, Il trionfo della confessione sacramentale sul saggio domrnatico-storico di L. Desanctis, confutato per se stesso, preceduto da una risposta alía prefazione in replica alle confutazioni 25-26; Conversazioni [1855], p. del monaco Belli, Tocino, Tip. G.A. Reviglio 1854. -26; IV = OE VI, 148.16 Fatti [1853], P. medio necesario para restablecer los lazos de amistad entre el hombre y
Contra los recelos sembrados en un momento en que el espíritu de «descristianización» parecía difundirse en los estratos populares, don Bosco describe con términos clásicos los frutos de una confesión bien hecha: el perdón de los pecados y la reconciliación con Dios, la tranquilidad del corazón y del espíritu y la fuerza para hacer progresos en el camino de las virtudes." Partiendo de la convicción de que el sacramento de la penitencia constituye el mejor apoyo para los jóvenes, cuya naturaleza humana se siente vulnerable y débil, les enseña a aprender a confesarse, no sólo frecuentemente, sino también bien, según las disposiciones que son necesarias. Sus exhortaciones insisten en los cinco elementos que, según dice J.C1. Dhótel, se habían hecho comunes desde Belarmino con el fin de multiplicar los actos del penitente: el examen de conciencia, la contrición, el propósito, la confeáión y la penitencia." Sus formularios para el examen de conciencia se distinguen por su carácter breve.2° El dolor (o la contrición) debe ser «interno, sobrenatural, sumo y universal»,21 y «unido a un propósito firme» cuya autenticidad se manifiesta en los frutos de la confesión, en el alejamiento de las «ocasiones que nos pueden llevar al pecado mortal»22 El que recae con frecuencia en los mismos defectos, que haga más bien propósitos firmes que confesiones frecuentes. En el espíritu
" G. BOSCO, Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo [= Maggio], Torillo, Tip. Paravia e comp. 1858 = LC 6 (1858-59) 124 = OE X, 418; Conversazioni [1855]
75-77 = OE VI, 219-221; G. BOSCO, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo [= Pietro] = LC 3 (1855) n. 17-18, p. 43 = OE VI, 317; Besucco [1864] 38 = OE XV, 280.

18 Cf. por ejemplo: G. BOSCO, Nove giorni consacrati all'augusta madre del Salvatore sotto il titolo di Maria Ausiliatrice [= Nove giorni], Torillo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1870 = LC 18 [1870] n. 5, p. 34-35.37-38 = OE XXII, 286-287. 289-290.

" J.C1. DHÓTEL, Les origines du catéchisme moderne d'aprés les premiers manuels imprimés en France, Paris 1967, p. 340.

20 Ilgiovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli esercizi di cristiana pietá per la recita dell'uffizio della beata Vergine e de' principali vespri dell'anno coll'aggiunta di una scelta di laudi sacre ecc. [= Giovane provveduto], Torillo, Tip. Paravia e comp. 1847, 94 = OE II, 274; La chiave del paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri di buon cristiano [= Chiave], Torillo, Tip. Paravia e comp. 1856, p. 65-66 = OE VIII, 65-66; cf. los formularios más desarrollados y largos de [ERASMO DA VALENZA], Il contadino instrutto con dieci dialoghetti sopra il sacramento della penitenza tra un padre missionario ed un contadino, Saluzzo 1847, p. 99-130, y CARLO FILIPPO DA POIRINO, Il cielo aperto mediante la confessione sincera, Torillo, Tip. Paravia e comp. 1861 = LC (186061) n. 8, 55-67.

21 Cf. Chiave [1856], p. 61-62 = OE VIII, 61-62; Giovane provveduto [1863), p. 117; [1875), p. 103 = 0E, XXVI 103; G. Bosco, La figlia cristiana provveduta per la pratica de' suoi doveri negli esercizi di cristiana pieté per la recita dell'uffizio della B.V. de' vespri di tutto l'anno e dell'uffizio dei morti coll'aggiunta di una scelta di laudi sacre [= Figlia cristiana], Torino, Tip. e Libreria salesiana 1878; citamos de Figlia cristiana [1883], p. 102 = OE XXXIII, 280.

zz Chiave [1856], p. 62 = OE VIII, 62; Giovane provveduto [1863], p. 118; [1875], p. 103 = OE XXVI, 103; Figlia cristiana [1883], p. 102 = OE XXXIII, 280.

del Catecismo diocesano, don Bosco recomendaba también: «Confesemos los pecados ciertos como ciertos y los dudosos como,,dudosos».23


1.2. La eucaristía


A diferencia de la confesión, los Valdenses consideraban la eucaristía como sacramento. Quedaba, sin embargo, la problemática plurisecular de la presencia real, de la consagración y de la transubstanciación y del carácter sacrificial de la misa. En el Cattolico istruito (y más tarde en el Cattolico nel secolo), don Bosco cita los ataques de un cierto Trivier, sacerdote apóstata, como Desancti, s24
y hace publicar por la tipografía del Oratorio un libro de G. Casaccia, párroco de Verrone Biellese, para defender el punto de vista católico como reacción contra otro libro de L. Desanctis, y que trata el tema de la misa25 En el espíritu de la teología y de la catequesis de la Reforma católica, reafirma el dogma de la presencia real, tomando como mira sobre todo a sus adversarios valdenses y basándose en el relato de la institución del sacramento en el Evangelio, en la historia de la Iglesia y los milagros que se produjeron durante toda la historia humana en favor de la presencia real de Cristo en la eucaristía. En 1853, en el momento del enfrentamiento con las herejías eucarísticas y con ocasión del cuarto centenario del milagro de Turín, hace publicar el opúsculo Notizie storiche intorno al miracolo del SS. Sacramento avvenuto in Torillo 6 giugno 14532"
En 1854 publica un opúsculo de Carlo Filippo da Poirino en el que el autor describe la naturaleza del sacrificio y de su institución contra «las doctrinas erróneas de los protestantes y de los impíos».27
Chiave [1856], p. 70 = OE XIII, 70; Giovane provveduto [1863], p. 126; [1875), p. 109 = OE XXVI, 109; Figlia cristiana [1883], p. 108 = OE =CM 286; cf. también: Maggio [1858], p. 127 = OE X, 421; Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino. Catechismo ad uso degli ammessi alla comunione e degli adulti, Torillo 1822, p. 139-140.

24 Ch.L. TIUvTER, Esposto dei principali motivi che mi hanno indotto ad uscire dalla Chiesa romana, Ginevra 1852, obra traducida del francés por Salvatore Ferretti; cf. V. VINAY, Evangelici italiani esuli a Londra, Torillo 1961, p. 145; cf. también: Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo, epilogad dal sac. Bosco Giovanni [= Cattolico istruito], Torno, Tip. dir. da P. De Agostini 1853, pt. 2, tr. 37, p. 275.277.278 = OE IV, 581.583.584; publicada de nuevo con el título: G. Bosco, Il cattolico nel secolo. Trattenimenti di un padre coi suoi figliuoli intorno alla religione [= Cattolico nel secolo], Torino, Tip. e Libreria salesiana 1883, pt. 3, u. 10, p. 389.390 = OE XXXIV, 389.390.

' L. DESANCTIS, La messa. Saggio dommatico-storico, Torillo 1862; Roma-Firenze 1872; contra Desanctis: G. CASACCIA, La santa messa, yero sacrifizio e sacramento della nuova legge contro il saggio dommatico-storico di L. Desanctis, Torillo 1865.

26Torillo,Tip. dir. da P. De Agostini 1853 = LC 1 (1853-54) n. 6; inspirado en: Ricerche critiche sul miracolo del SS. Sacramento avvenuto in Torillo il 6 giugno 1453, Torillo 1852.

22 [CARLO FILIPPO DA POIRINO), Trattenimenti intorno al sacrifizio della S. Messa = LC 2 (1854-55) n. 11-12.

Mientras que las páginas devocionales, catequísticas, didácticas y hagiográficas tratan temas como prolongación y en el espíritu de esta catequesis de carácter apologético, orientan también la atención sobre otros aspectos importantes de la vida sacramental ligados con frecuencia más directamente a la práctica educativa. El educador de Turín vive en tiempos en los que se había producido mentalmente un cierto grado de separación entre misa y comunión. Por este motivo presenta la eucaristía bajo una doble luz: la comunión, verdadero alimento espiritual, y la misa, sacrificio del altar. El lazo entre estos dos aspectos es la presencia real en el santísimo sacramento.28
Para don Bosco la misa es «la acción más grande que se puede realizar en este mundo; es el acto más sublime y excelente en sí mismo [...]; es la continuación y la renovación del que Jesucristo hizo en la última cena [...]; es también la continuación y la renovación del sacrificio de la cruz».29 Sus páginas ofrecen ademáslestimonios esporádicos de la evolución de sus convicciones (y de su práctica) en el campo de la comunión frecuente por parte de los jóvenes. Confía a sus escritos sus motivaciones, toma en consideración posibles objeciones que vienen del ambiente, precisa las condiciones y las disposiciones necesarias para una comunión frecuente y diaria bien hecha. El texto de Nove giorni puede considerarse como punto de referencia de una evolución." Mientras que en la primera edición del Giovane provveduto, don Bosco se limita a decir que «aquel hijo que después de haber pecado no quiere enmendarse, es decir, quiere ofender de nuevo al Señor, no es digno de acercarse a la mesa del Salvador»,3' sus sugerencias se hacen mucho más precisas en la Chiave y en los textos que, hasta un cierto punto, se sitúan cerca o dependen de ella.32 Se convierte en promotor de la comunión frecuente y entonces parece haber tenido que precisar también la purificación interior requerida para la comunión con el fin de evitar que algunos creyesen ingenuamente en los efectos producidos por el sacramento. Con la ayuda de sus colaboradores, redacta los textos de las Pratiche divote y del Cattolico provveduto. En las Pratiche adopta el párrafo titulado «Invitación a la comunión frecuente» en el que ofrece los argumentos a favor de la frecuencia ya expuestos en el Mese di maggio,33 pero diluye el tema diciendo que «no basta acercarse con frecuencia, porque hace falta además acercarse dignamente».34
28 Cf. Chiave [1856], p. 43-57.73-84 = OE VIII, 43-57.73-84; Giovane provveduto [1863], p. 105-114.128-135; [1875], p. 90-99.111-120 = OE XXVI, 90-99.111-120; Figlia cristiana [1883], p. 87-98.110-119 = OE XXXIII, 265-276.288-297; cf. también Maggio [1858], p. 134-138.139-144 = OE X, 428-432.433-438; Nove giorni [1870], p. 44-62.63-70.70-82 = OE XXII, 296-314.315 325.326-334.

29 Nove giorni [1870], p. 63 = OE XXII, 315.

30Nove giorni [1870], p. 44-45 = OE XXII, 296-297; textos análogos en: Chiave [1856], p. 73-74 = OE VIII, 73-74; Giovane provveduto [1863], p.128-129; [1875], p.111-112 = OE XXVI 111-112; Figlia cristiana [1883], p. 110-111 = OE XXXIII, 288-289. Giovane provveduto [1847], p. 98 = OE II, 278.

32 Cf. Chiave [1856], p. 74 = OE VIII, 74; Giovane provveduto [1863], p. 129; [1875], p. 111112 = OE XXVI, 111-112; Figlia cristiana [1883], p. 110-111 = OE XXXIII, 288-289.

33 Pratiche divote per l'adorazione del SS. Sacramento, Torillo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1866, p. 12-21 = OE XVII, 264-273; cf. Maggio [1858], p. 139-143 = OE X, 433 443; véase también: Il cattolico provveduto per le pratiche di pietá con analoghe istruzioni sécondo il bisogno dei tempi, Torro o, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1868, p. 443-455 = OE XIX, 451-463.

Los escritos presentan además a los jóvenes modelos de la comunión frecuente y cotidiana: Comollo, Savio, Luis Gonzaga...,35 mientras que las páginas devocionales o catequísticas ofrecen «actos» sencillos de preparación y de acción de gracias.36


2. La praxis de don Bosco


La praxis sacramental de don Bosco parece que se dirige a suministrar a los jóvenes una experiencia positiva e intensa ante la idea, compartida con otros pastores y autores de la época, de que «la salvación de un joven depende ordinariamente de sus años de juventud»37 y que el joven tiene que «entregarse a Dios a tiempo»: «el camino que el cristiano tiene en la juventud se mantiene en la vejez y hasta la muerte. Adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non recedet ab ea. [...] Si empezamos una vida buena ahora que somos jóvenes, seremos buenos cuando avancen los años, y buena nuestra muerte y principio de la felicidad eterna. Al contrario, si los vicios se apoderan de nosotros en la juventud, generalmente continuarán en todas las edades hasta la muerte».38 Esta ocupación central de la vida de don Bosco, subrayada desde los primeros tiempos de su actividad educativa, está íntimamente ligada a la otra convicción del educador de Turín que se expresa más claramente ante el clima de apatía religiosa: que sin la base de la religión cristiana católica, los valores humanos como la felicidad, la moralidad, la educación... no pueden triunfar. «Sólo la religión es capaz de empezar a poner en marcha la gran obra de una verdadera educación».39 En este contexto, se entiende la importancia
34 Pratiche [1866], p. 16-21 = OE XVII, 268-273.

Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo, morto nel seminario di Chieri ammirato
da tutti per le sue singolari virtú, scritti da un suo collega [= Comollo], Torillo, Tip. Speirani e Ferrero 1844, p. 51-52 = OE XXXV, 51-52; Savio [1859], p. 70 = OE XI, 220; Giovane provveduto[1847], p. 65-66 = OE II, 245-246 [Luigi Gonzaga].

36 Giovane provveduto [1847], p. 99-101 = OE 279-281; Chiave [1856], p. 76-79 = OE VIIL 76-79; Giovane provveduto [1863], p. 131-132; [1875], p. 115-117 = OE XXVI, 115-117;
Figlia cristiana [1883], p. 112-114 = OE XXXIII, 292-295.

37 Cf. Giovane provveduto [1847], p. 12 = OE II, 192; don Bosco se inspira en las páginas de la Guida angelica, o siano pratiche instruzioni per la gioventú. Opera utilissima a ciascun giovanetto data ella luce da un sacerdote secolare milanese, Torillo 1767, p. 5-6, y de Ch. GOBINET, Instruction de la jeunesse en la piété chrétienne, tirée de l'Écriture sainte et des saints Péres, Paris 1733 (trad.it.: Istruzione della gioventú pietá cristiana, Torillo 1831), pt. 1, cap. 4.

38 Giovane provveduto, p. 6-7 = OE II, 186-187; don Bosco se inspira en la Guida angelica,p. 5-6.

" Esercizi spirituali alla Gioventú. Avviso sacro, Torillo 1849. Texto impreso con ocasión de
que da a la oración, a las prácticas de piedad, a los sacramentos: «Está demostrado por la experiencia que los soportes más fuertes de la juventud son los sacramentos de la confesión y de la comunión. Dadme un joven que frecuente estos sacramentos y lo veréis crecer en la edad juvenil, llegar a la maturez y alcanzar, si Dios quiere, la más avanzada vejez con una conducta que será el ejemplo de todos los que le conozcan».4° La praxis educativa de don Bosco, que tenía que promover esta experiencia positiva en el campo de los sacramentos, está documentada desde los primeros tiempos del Oratorio festivo. Don Bosco presenta la santidad a los jóvenes como un ideal atrayente «muy fácil», que todos pueden alcanzar. La combinación original de la dinámica de la vida juvenil con los elementos de la piedad y de práctica religiosa en un clima de sentido del deber, de alegría y de espontaneidad, favorecida por la típica presencia de don Bosco, hace comprender la sagacidad del sacerdote piamontés. En el nivel del ideal, las «vidas» de los primeros jóvenes o salesianos, redactadas o controladas por don Bosco o escritas por otros salesianos, o las descripciones de la primera vida oratoriana (de don Bosco y de otros salesianos) presentan las pruebas. Los reglamentos, por otra parte, dejan intuir con frecuencia otros aspectos de la «realidad» de la praxis de los sacramentos.'"
Confesión, misa y comunión parecen haber sido elementos indispensables de la vida del Oratorio. Don Bosco debió de haber hablado a los jóvenes de la vida ejemplar de su amigo y compañero Luis Comollo,42 de las virtudes de san Luis Gonzaga.'" La praxis sacramental, bajo la influencia innegable de la enselos ejercicios espirituales para jóvenes, cf. MB III 605; en este sentido son especialmente interesantes los siguientes escritos: La forza della buona educazione (= Pietro) y Valentino o la vocazione impedita, episodio contemporaneo (= Valentino), Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1866 = LC 14 [1866] n. 12 = OE XVII 179-242.

4° Savio [1859], p. 67-68 = OE XI, 217-218; Besucco [1864], P. 100 = OE XV, 342; Sistema preventivo [1877] cap. 2, 4, p. 54-55.56-57 = OE XXVIII, 432-433.434-435.

" A modo de exemplo citamos un párrafo del Regolamento de 1877: «Contegno in chiesa [...] 3. Durante le sacre funzioni astenetevi, per quanto potete, di sbadigliare, dormire, volgervi qua e lá, chiacchierare ed uscire di Chiesa. Questi difetti mostrano poco desiderio delle cose di Dio, e per lo pis danno grave disturbo ed anche scandalo al compagni. 4. Andando al vostro posto abbiate cura di non smuovere i banchi o le sedie né farle scricchiolare movendovi ad ogni tratto. Non sputate mai sul pavimento, perché tal cosa é sconvenevole e mette in pericolo d'imbrattarsi chi prenso voi s'inginocchia' sse [...] 6. Nel dire le orazioni non alzate troppo la voce, ma nemanco ditele tanto piano da non essere uditi. Le orazioni si recitino posatamente e non con precipitazione, né vi sia chi voglia fare piú in frena, terminando mentre altri é ancora a metá...»
(Regolamento per le case della Societá di S. Francesco di Sales, Torino, Tip. e Libreria salesiana, 1877, p. 65-66 = OE XXIX, 161-162).

42 Comollo [1844] = OE I, 1-84; mientras la 1' ed. (1844) estaba dedicada a los seminaristas, la 2' (1854) se dirige a todos los jóvenes; fue publicado en la colección de las LC 1 (1853-54), n. 20-21.

" Cf. Le sei domeniche e la novena di san Luigi Gonzaga con un cenno sulla vita del santo [= Sei domeniche], Torino, Tip. Botta 1846; publicado después en el Giovane provveduto [1847], p. 55-75 = OE II, 235-255; don Bosco usó el texto de [I>. DE MArrEi], II giovine angelico S. Luigi Gonzaga proposto in esemplare di ben vivere in alcune considerazioni, preghiere, pratiche di virtú ed Unza y la vida del seminario de Chieri y las lecturas espirituales que allí realizó, fue para don Bosco, como para tantos otros de su tiempo, el signo de una piedad radicada en la personalidad.44 En el estadio inicial, la preocupación de don Bosco parece inclinarse sobre todo hacia una «manera de asistir con fruto a la santa misa».45 Denuncia ya el poco respeto por parte de los jóvenes: «Pero ver a tantos jóvenes con deseo deliberado de distraerse, estar irreverentemente sin modestia, sin atención, sin respeto, de pie, mirando a todas partes, ¡ah! éstos renuevan muchas veces los dolores del Calvario con grave escándalo de los compañeros y deshonra de la religión».46 Los invita a entrar «con disposición de verdaderos cristianos en el espíritu de Jesucristo».." Al hablar de la comunión, subraya la necesidad de las «debidas disposiciones»48 y precisa que el que «no quiere corregirse no es digno de acercarse a la mesa del Salvador».49 La confesión tiene su centro de gravedad en el «gran dolor» que debe llevar al «propósito [...] de no querer ofender más a Dios en el futuro »."
Desde este momento, el educador turinés pone en guardia a los jóvenes contra las confesiones sacrílegas que cometen si callan por vergüenza u otro motivo los pecados." Insiste también en la confianza entre penitente y confesor: «No tengáis ningún temor respecto del confesor; él se alegra oyendo que le confiáis lo que habéis hecho [...] y no puede decir a nadie las cosas de que os confesáis y no puede servirse de ellas aunque le sirvieran para evitar la muerte».52 Esta cita ofrece la ocasión de advertir ciertas antinomias no superadas por don Bosco. Se da una tensión entre un cierto conformísmo antiguo, en el que la obligatoriedad de las observancias es el núcleo fundamental y que explica ciertos elementos que algunos consideran «terroríficos» por una parte, y su sentido de espontaneidad, de libertad, de agilidad y de responsabilidad, de confianza, de intuición y de adaptación por otra. La idea de la salvación eterna del alma del joven, única cosa necesaria al final de todo, crea en él con frecuencia una tensión a veces preocupada y ansiosa que no renuncia completamente a hacer valer también ciertos mecanismos de una pastoral del «miedo», a pesar de que la conciencia de la «misericordia de Dios» nunca se borró de su mente." En el espíritu de Guala, Cafasso o del Convitto ecclesiastico, don Bosco subraya desde el comienzo de su actividad: «Ved, fieles, con qué facilidad podemos estar seguros del perdón de nuestras culpas mediante el sacramento de la penitencia. ¡Qué gran beneficio [...I nos hizo y qué gran misericordia nos demostró Dios al instituir un sacramento tan útil y necesario! ».54

esempi a celebrar con frutto le sei domeniche, e la novena in onore dell'istesso santo: opúsculo muy difundido en Italia. •
44 Cf. P. STELLA, Don Bosco II, p. 196.223.

Giovane provveduto [1847], p. 84 = OE II, 264.

46 Ibid., p. 85 = OE II, 265. Ibid., p. 85 = OE II, 265.

48 Ibid., p. 98 = OE II, 278.

49 Ibid., p. 98 = OE II, 278.

5° Ibid., p. 95-96 = OE II, 275-276.

lbid., p. 96 = OE II, 276. " Ibid., p. 96 = OE II, 276.

" Cf. el minucioso opúsculo Esercizio di divozione alfa misericordia di Dio, Torno, Tip. Botta [1847] = OE II, 71-181.

La ambivalencia de don Bosco ansioso y vigilante, inclinado a ciertas formas de cerrazón, y el otro, dulce y «amable», que apela al sentido moral de los jóvenes y al lazo personal entre educador y educando, no parece que se haya resuelto nunca completamente, al menos a nivel especulativo. Existe un Juan Bosco, que propone meditaciones diarias sobre los novísimos, el ejercicio mensual de la buena muerte con su examen de conciencia y sus letanías o los ejercicios espirituales anuales, preocupado sobre todo por volver a proponer el mecanismo de la conversión, del arrepentimiento y del propósito de no pecar más. Don Bosco y sus jóvenes entran en la dinámica de los novísimos declarándose semanalmente, mensualmente y anualmente pecadores arrepentidos." Cuando se trata de la salvación del alma y de la suerte eterna, desea que no haya riesgos, y no cede a la idea de no hacer una cierta presión sobre las conciencias de los jóvenes, que difícilmente se aceptaría hoy.56 Este don Bosco subraya sobre todo la necesidad del sacramento de la confesión por la naturaleza «débil» del joven, que le inclina fácilmente al pecado y que le deja siempre expuesto al peligro de las confesiones mal hechas. Estos jóvenes, a su parecer, deben recibir de sus educadores la convicción de lo que se afirma en la vida de Comollo y de Besucco, es decir, que los sacramentos de la confesión y de la comunión son los pilares más seguros de su juventud o que la confesión frecuente es el «apoyo de la inestable edad juvenil»." Este don Bosco subraya
54 Esercizio [1847], p. 93-94 = OE II, 163-164; don Bosco se inspira en N.S. BERGIER, Tableau de la miséricorde divine tiré de l'Écriture sainte ou motifs de confiance en Dieu pour la consolation des ames timides, Besangon 1821, p. 310-311.

35 STELLA. Don Bosco II, p. 108.

'6 A modo de ejemplo, transcribimos un texto de G.B. Francesia (1838-1930) traducido de su descripción de las «passeggiate autunnali»: «11 nostro D. Bosco, prima di lasciarci andare a letto, secondo la pia consuetudine, ci disse due parole. [...] Qui con un colpo di scena cambió tono di voce ed aspetto, che in noi produsse un'impressione straordinaria. "Noi, disse, siamo qui a divertirci, a fare le vacanze, che in grazia di buoni signori, passiamo tra l'allegria e le feste; eppure dobbiamo pensare alla morte. Stanotte uno dei nostri amici sara chiamato alreternitl. Fortunato lui che vi é preparato da lungo tempo, e che poté ricevere i SS. Sacramenti, e cosi assicurarsi un posto in paradiso. Miei cari figlioli, si muore. Prima perció di separarci, recitiamo una preghiera per lui, e raccomandiamo l'anima sua alla carita del S. Cuore di Maria!" Non disse di pió, e non ne avevamo bisogno, perché la nostra commozione non avrebbe potuto reggere. Ci guardammo l'un l'altro in fronte, quasi per indovinare chi era si vicino a scomparire. [...] Poi datoci il buon ti-poso, volle che anche in quella sera si pregasse per colui che all'Oratorio in quella notte medesima doveva morire, non senza moho affetto e pietá. Dopo si ancló a letto, e pió d'uno ebbe qualche difficoltá per prendere sonno, e guando lo prese continuava a pregare» (G.B. FRANCESIA, Don Bosco e le sue ultime passeggiate, Torino, Libreria salesiana di S. Giovanni Evangelista 1897, p. 131132).

Comollo [1854], P. 4; la cita falta en la edición de 1844; Besucco [1864], P. 103 = OE XV, 345.

lo necesario que es para los jóvenes aprender a confesarse bien desde niños, con las debidas disposiciones." Se declara seguro de la capacidad que tienen los niños, ya a los siete años, de cometer pecados graves o de callarlos en la confesión, de hacer confesiones sacrílegas, poniendo así en peligro su salvación eterna." En la línea de otros educadores, moralistas y escritores (Gobinet, San Alfonso, Humbert, Arvisenet...) parece a veces obsesionado por el temor de que los muchachos callen o mientan respecto de los pecados (de impureza e inmodestia) y que, con la gracia, pierdan todo, también la verdadera felicidad y la salvación eterna: «autores célebres en moral y en ascética y de gran experiencia y especialmente una persona autorizada que tiene todas las garantías de la verdad, concuerdan en decir que la mayor parte de las confesiones de los jovencitos, si no son nulas, al menos son defectuosas por falta de instrucción, o por omisión voluntaria de cosas que deben confesarse».6° A los miembros del primer Capítulo general de los salesianos les declara, el 4 de febrero de 1877, que una larga experiencia le ha convencido de que hace falta que los jóvenes hagan confesión general cuando vienen a los colegios salesianos." A los mismos jóvenes les recomienda que no se dejen nunca «engañar por el demonio callando por vergüenza algún pecado en la confesión» y habla del «gran número de cristianos que van a la perdición eterna sólo por haber callado o no haber expuesto sinceramente ciertos pecados en la confesíón».62
Según P. Stella la peculiaridad de la confesión en Valdocco está en el hecho de que don Bosco tendía a irradiar en la confesión la misma confianza paterna y filial que le distinguía ya en los otros momentos de la vida. Padre, amigo, guía con dotes extraordinarias, don Bosco favorecía una cohesión espiritual singularísima que era para él uno de los fines para conseguir el objetivo de la educación cristiana y por ello la garantía de que conducía a los muchachos al camino de la salvación y de la santidad:63 «Amante y expansivo, ejercía la autoridad inspirando respeto, confianza y amor. Y nuestras almas se le abrían con abandono íntimo, alegre y total. Todos queríamos confesarnos con él, que dedicaba a esta santa, y al mismo tiempo dura tarea, de diez y seis a diez y ocho horas cada semana [..J. Sistema más bien único que raro entre Superior y Subordinados; sistema de los Santos, que permite conocer la índole, plegarla sabiamente y liberar sus energías recónditas»." Estas palabras son de G. Ballesio.

" Giovane provveduto [1847], p. 93 = OE II, 273; Maggio [1858], p. 124 = OE X, 418.

" Chiave [1856], p. 57 = OE VIII, 57; desde 1863, las ediciones del Giovane provveduto recogen el mismo texto; Magone [1861], p. 28 = OE XIII, 182, cf. también: STELLA, Don Bosco II,p. 312. Magone [1861], p. 29 = OE XIII, 182; cf. anche: Chiave [1856], p. 58 = OE VIII, 58; Giovane provveduto [1863], p. 106; Maggio [1858], p. 126-127 = OE X, 420-421; Nove giorni[1870], p. 40 = OE XXII, 92.

61 MB XII, 91; otros testimonios en: S. STRANO, Don Bosco, confessore dei giovani. Aspetti particolari, Acireale, Arti Grafiche della Cittá del Fanciullo 1960, p. 1-44.

bz Magone [1861], p. 24.25-26 = OE XIII, 178.179-180; también: Giovane provveduto [1847], p. 96 = OE II, 276; Pietro [1855], P. 19.20-21 = OE VI, 293294-295. 61 STELLA, Don Bosco II, p. 3 10-3 11.

La función educativa de la confesión depende para don Bosco más del modo con que se realiza la relación confesor-penitente que de motivaciones teológicas inherentes a la función medicinal de la gracia aneja al sacramento.°
La confianza que don Bosco irradiaba, el espacio real que daba a la espontaneidad, la autonomía y la libertad que intentaba promover las energías interiores del joven orientado hacia una discreta autonomía que apoye y desarrolle la responsabilidad personal, tal vez explican también el motivo por el que don Bosco animaba insistentemente al confesor «estable» y «ordinario» y a la fidelidad que hay que tenerle. El sentido pleno del sacramento de la confesión parece realizarse en la relación cualitativa que establece el joven con el confesor, su guía segura. Los escritos de don Bosco, sobre todo las «vidas», demuestran claramente la introducción gradual del tema del confesor estable.66 La insistencia sobre el sigilo sacramental, sobre todo en los años 60-70, tiende también al mismo fin: « [Los confesores] no dejen nunca de recordar y con mucha frecuencia el gran secreto de la confesión. Digan explícitamente que el confesor está atado por un secreto Natural, Eclesiástico, Divino y Civil».61 Las palabras de don Bosco se explican por la alta estima de su misión sacerdotal, por su pedagogía de sencillez y de afecto, pero también por la angustia ante las confesiones defectuosas de los jóvenes. Quedando en pie el principio general, puede haber motivos suficientes para cambiar de confesor, sobre todo cuando el sacerdote no logra establecer lazos de confianza con su penitente. En ese caso, busca el camino más seguro: «Cuando hayáis elegido ya un confesor que se adapte a las necesidades de vuestra alma, no lo cambiéis sin necesidad. Mientras no tengáis un confesor estable, en el que pongáis toda vuestra confianza, os faltará siempre el amigo del alma. [...] Pero podéis cambiarlo sin escrúpulo cuando vosotros o el confesor cambiéis de residencia u os resultase muy molesto ir hasta donde él vive, o estuviese enfermo, o en ocasión de solemnidades en las que se viera muy solicitado. Y lo mismo si tuvieseis algo en vuestra conciencia que no os atrevéis a manifestar al confesor ordinario: antes de hacer un sacrilegio, cambiad, no una vez, sino mil veces de confesor».68
Don Bosco suponía también probablemente que no todos los jóvenes pasarían dé la confesión en el Oratorio a la de la parroquia; o de la del colegio a la de las asociaciones confesionales («le unioni dei buoni»). Por eso anima al confesor «estable» u «ordinario».

BALLESIO, Vita intima, p. 21.

5 G. GROPPO, Vita sacramentale, catechesi, formazione .spirituale come elementi del sistema preventivo, en: II sistema educativo di don Bosco tra pedagogía antica e nuova. Atti del convegno europeo sul sistema educativo di don Bosco, Leumann (Torillo), Elle Di Ci 1974, p. 62.

66 Cf., por ejemplo, la evolución del texto en: Como//o [1844], p. 26 = OE I, 26; [1854], p. 32-34; [1884], p. 41 = OE XXXV, 41.

Besucco [1864], p. 104 = OE XV, 346
68 Magone [1861], p. 26-2756-57 = OE XIII, 180-181.210-211; Besucco [1864], p. 103-104 = OE XV, 345-346; Savio [1866], p. 60-61.

Con el mismo espíritu, anima también a participar en la misa dominical y en la comunión frecuente. Al principio, encontramos que en su praxis se tiene en cuenta la costumbre general. Don Bosco había adoptado lo que era costumbre local o ley. La ley solía determinar ciertas prácticas, la costumbre había adoptado prácticas sugeridas por el catecismo diocesano o por manuales de devoción." El desarrollo de las prácticas en Valdocco y en otros lugares se vio condicionado sin duda por el modo adoptado en general en Turín y Piamonte. Pero inmediatamente sufrió el influjo de otros elementos específicos, como la distinción entre internado y externado, entre estudiantes y artesanos, entre clérigos y jóvenes, entre educadores y educandos, entre adultos y jóvenes, entre recién llegados y veteranos en la casa. En lineas generales, la vida religiosa que promovía don Bosco se articulaba en un sistema de prácticas comunes, costumbres espontáneas de grupos (las diversas compañías: de San Luis, del Santísimo, de la Inmaculada, de San José) y de cada uno.

En el primer lustro del internado, las oraciones de la mañana precedían a la asistencia a la misa, que se hacía como en las congregaciones de los estudiantes y según el modo que sugerían los catecismos, las instrucciones o las normas impuestas a los estudiantes piamonteses: en silencio, siguiendo los momentos más importantes con ayuda de las meditaciones propuestas por el Giovane provveduto, tal vez introduciendo algún canto. G.B. Francesia recuerda que, en aquellos años (1850-58?), sucedía que varios jóvenes se presentaban en la sacristía antes de la misa para que don Bosco los confesase. En la iglesia se esperaba rezando o en silencio hasta que don Bosco se presentaba en el altar." Según P. Stella, notas *de don Bosco e indicaciones de jóvenes y clérigos hacen creer que, en aquellos tiempos no había control de la participación de los jóvenes y de los clérigos a la misa." El aumento con los años del número de los habitantes de Valdocco debió suscitar lógicamente una cierta disciplina. El consejo de la misa cotidiana, obligatoria teóricamente en los Estados sardos para los estudiantes todos los días de clase, se transformó en Valdocco, una vez convertido en internado, en norma general. Y las oraciones de la mañana con el rezo del rosario se incluyeron en la misa comunitaria.' En Turín, en los «Tommasini», en el colegio de los «Artigianelli» y en centros educativos de monjas sucedía lo mismo. La educación para la oración mental se deja para momentos y ejercicios escogidos libremente por el joven, en las circunstancias previstas y según los reglamentos y las costumbres."

69 STELLA, Don Bosco II, p. 284-285.

70 G.B. FRANCESIA, D. Giovanni Bonetti sacerdote salesiano. Cenni biografici, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana 1894, p. 29ss.

7' STELLA, Don Bosco II, p. 306-307.

Desde 1863 don Bosco refuerza el ejemplo de San Isidro, escribiendo: «Vi raccomando di avece grande premura per andare ad udire la santa Messa ogni giorno...» (Giovane provveduto) [1863], p. 106 (el subrayado es nuestro); cf. también: Magone [1858], p. 138 = OE X, 432.

La misa nos lleva al núcleo más íntimo de la espiritualidad católica. Llena de ejercicios piadosos (entre ellos, el rosario) y de cantos populares, evocaba en los jóvenes de Valdocco los mismos sentimientos que suscitaba en el pueblo, del que provenían y al que, después, en general, se volvían a integrar como adultos.74 El apóstol de los jóvenes busca, además, promover los modos de asistencia a la misa que le parecen más oportunos para la psicología de los jóvenes, mirada sobre todo bajo el ángulo de la llamada «mobilita giovanile». Los ejercicios piadosos, sobre todo el rosario y no la oración mental, se integran también por su carácter vocal comunitario." Don Bosco quiere de verdad que los jóvenes le tomen gusto a la piedad y por eso acepta y promueve prácticas religiosas que surgen por iniciativa de los grupos. Enseña y hace enseñar, también por amor a la Iglesia, el canto gregoriano, pero fomenta también el canto popular. Publica en el apéndice del Giovane provveduto, y aparte, una serie de Laudi sacre;76 promueve la música de G. Cagliero,77 del maestro De Vecchi, de don Costamagna (1846-1921), del coadjutor G. Dogliani (18691934) y de otros. Sobre todo después de la construcción del santuario de María Auxiliadora, muchos iban a escuchar los coros polifónicos. El orden de la iglesia, especialmente de la de María Auxiliadora, el clero infantil, la participación masiva... todos estos elementos contribuyen a la belleza de las ceremonias.

Para don Bosco el deseo de la eucaristía constituye la clave en que es posible descubrir la radicación de la fe y de la caridad, el gusto por las cosas del cielo y el grado de perfección cristiana. Comollo, Savio, Magone y Besucco dan un testimonio claro de un gran amor a Jesús. Viendo el impulso que da a la piedad eucarística o a la comunión frecuente y cotidiana, a la publicación en las «Letture Cattoliche» de opúsculos sobre la eucaristía, sobre la misa o sobre la comunión, se debe tener presente el clima, sobre todo de la segunda parte del siglo, la mentalidad y la indiferencia hacia las prácticas de piedad."
" STELLA, Don Bosco II, p. 309. Ibid., p. 330.

" Ibid., p. 308.

76 Cf. P. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco, Roma, Tip. Pio XI 1960, p. 6-14; ID., Don Bosco II, p. 322, n. 160.

77 Acerca de Giovanni Cagliero (1838-1926) se lee: «In seguito il giovane Cagliero fu posto a studiare la musica: D. Bosco non intendeva [...] di formare un'artista per l'arte aristocratica e difficile. Gli occorreva una musica facile, briosa, adatta a' suoi giovani, di facile apprendimento e di pió facile esecuzione. [...] Cagliero gettó canti siffati con una feconditá strabiliante, infaticabile...» (S. RASTELLO, In memoria di S.Em. il cardinale Giovanni Cagliero, primo missionario salesiano, Milano 1926, p. 5-6).

78 Los títulos más importantes son: [CARLO] FILIPPO DA POIRINO, Trattenimenti intorno al sacrifizio della S. Messa = LC 2 (1854-55) n. 11-12; ID., Trattenimenti intorno al ss. sacramento dell'eucaristia = LC 3 (1855-56) n. 19-20; ID., Trattenimenti morali intorno az' riti ed alle ceremonie
Como educador, don Bosco desarrolla una pastoral eucarística basada también en la convicción de que, sin religión y sacramentos, toda la vida humana está condenada al fracaso. Además tiende progresivamente a tener en cuenta una mentalidad que se considera comúnmente como fuente de frialdad en la piedad.

En este contexto, don Bosco anima también a la comunión frecuente, organizando además grupos que estimulen a su imitación. Orienta a sus jóvenes hacia la comunión frecuente, partiendo de convicciones que están ya en su formación, pero que van madurando a la luz de las nuevas situaciones. Con otros pastores de su tiempo, no descuida los bienes de la comunión «digna, fervorosa y frecuente», hecha con las disposiciones necesarias.79 Para don Bosco, sin embargo, la comunión se hace poco a poco alimento indispensable para el joven, que tiene que vivir tiempos no fáciles del todo. Sobre todo en la segunda parte del siglo, parece que su pensamiento se sitúa cada vez más en sintonía con teólogos y pastores de almas que se sentían inclinados a adoptar actitudes menos restrictivas en el tema de la frecuencia de la comunión eucarística. Mientras su formación juvenil en el seminario de Chieri se había desarrollado en una línea pastoral restrictiva, que prevalecía en la enseñanza teológica y en la praxis sacramental en el Piamonte durante el siglo XVIII y en el tiempo de la Restauración,9° él se fue haciendo cada vez más sensible a una
della s. messa coll'aggiunta di un metodo per udirla con frutto = LC 4 (1856-57) n. 8-9; ID., Il délo aperto mediante la comunione frequente = LC 7 (1859-60) n. 8; 1865; 1878; LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, Il tesoro nascosto °uvero pregi ed eccellenze della s. messa con un metodo pratico e divoto
per ascoltarla con frutto = LC 8 (1860-61) n. 12; 1881; HUGUET [et L'esistenza reale di G. Cristo nel ss. Sacramento = LC 11 (1863-64) n. 7; G. FRASSINETTI, Due gioie nascoste = LC 12 (1864) n. 10; G. DE SEGUR, La santissima comunione = LC 20 (1872) n. 7; 1875; ID., Ogni Otto giorni = LC 26 (1878) n. 7; ID., Venite tutti a me = LC 27 (1879) n. 6; A. DE LIGUORI, Visita al SS. Sacramento ed a Maria SS. per ciascun giorno del mese [...] preceduta dall'atto eroico e da preghiere in onore dei sette dolori e delle sette allegrezze del patriarca S. Giuseppe = LC 15 (1867) n.10-11.

79 Otros autores de su ambiente subrayan, sobre todo, las disposiciones, cf. F. CECCA, Le veglie de' contadini cristiani. Dialoghi familiari-istruttivi-morali sovra le quattro partí della dottrina cristiana, ad uso, e vantaggio de' contadini, e di altre persone che vogliono approfittarne, Torino 1806, p. 278-280; Ch.-F. LHOMOND, Doctrine chrétienne en forme de lectures de piété, oit l'on expose les preuves de la religión, les dogmes de la foz; les régles de la morale, ce qui concerne les sacremens [sic] et la priére, Lyon 1808, lec. 89 (p. 417-421); trad. it.: Dottrina cristiana in forma di lezioni di pietá in cui si espongono le prove della religione, i dogmi della fede, le regole della morale, quel che riguarda i sacramenti e la preghiera ad uso delle case di educazione e delle famiglie cristiane, 3 'Vol., Milano 1831; A. Guild-01s, Explication historique, dogmatique, morale, liturgique et canonique du catéchisme avec la réponse aux obiections tirées des sciences contre la religion, Paris 1870, III, p. 135-138; trad. it.: Spiegazione storica, dogmatica, morale, liturgica e canonica del cate-chismo colle risposte alle obiezioni attinte dalla scienza per oppugnare la religione, 4 vol., Prato 1863, 1865, 1882; P. COLLE'T, Lo scolaro cristiano ossia trattato dei doveri di un giovine che brama santificare i suoi studi, Milano 1844, p. 186-195; Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Torino 1822, p. 120.

80 Cf. G. PENCO, Simia della Chiesa in Italia, II. Dal concilio di Trento az' nostri giorni, Milano 1978, p. 290; P. STELLA, Giurisdizionalismo e Giansenismo all'universitá di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958, p. 45.70-71.90; ID., Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, en «Salesianum» 21 (1959) 66-67.

línea pastoral más indulgente en el campo de la comunión. Inspirándose en la corriente pastoral más-indulgente, corriente que nunca había estado ausente del todo de la historia (cf. C.E. Pallavicini, B. Lanteri, Th. Gousset...), algunos pastores y teólogos (como G. Frassinetti, G. De Segur, S. Franco, J.J. Gaume, J.M.J. Huguet...), situados hacia la mitad del siglo en confrontación con los resultados probablemente poco prometedores de la situación religiosa, empezaban a echar las culpas al jansenismo o a la pastoral rigorista (el probabiliorismo) de hacer surgir la languidez y la crisis de la fe, del indiferentismo religioso y del enfriamiento del pueblo hacia las prácticas de piedad: a los fieles se les había privado del pan eucarístico, el «alimento de los fuertes», el alimento indispensable para poder afrontar los «tiempos difíciles» y la lucha para vencer las dificultades en el plano personal y social. Don Bosco, que en la escuela de Guala y Cafasso había conocido ya esta pastoral benigna, entra probablemente en la campaña a favor de la comunión frecuente y hasta diaria, que en el contexto político-social se convierte también en una afirmación pública de fe. Se hace uno de los promotores de la comunión frecuente de los niños, con la convicción, madurada gradualmente, de que la ligereza juvenil, raíz de faltas, necesita la fuerza espiritual de la comunión, sobre todo para la lucha contra las tentaciones que deben afrontar en el contexto de nuevos retos que proceden de una mentalidad que ha cambiado. Por el mismo motivo, don Bosco se hace también promotor de la comunión dada a los niños lo antes posible.

Hace falta prevenir a tiempo, robusteciendo a los niños y a los jóvenes contra los asaltos del demonio.

3. Profundizaciones ulteriores


«Dígase lo que se quiera sobre los diversos sistemas de educación, yo no encuentro ninguna base segura más que en la frecuencia de la confesión y la comunión; y creo que no digo demasiado si afirmo que, eliminados estos dos elementos, la moralidad queda descartada».8i Nos preguntamos si esta concepción de la educación o ciertos modos de hablar de don Bosco no hacen de los sacramentos, y de toda la religión, «instrumentos» o «medios subordinados» para obtener moralidad, felicidad, efectos educativos. Al ministro de la Reina de Inglaterra que se asombraba en su visita a Valdocco del «perfecto silencio» y de la disciplina de los jóvenes, se le dijo que «la frecuente confesión y comunión y la misa diaria bien oída» son los «poderosos medios de educación» que tienen los católicos: «si no se usan esos elementos de religión, hace falta recurrir a las amenazas o al palo. [...] O religión o palo... ».82
. Besucco [1864], p. 100 = OE XV, 342; análogas expresiones en: Pietro [1855], P. 41.46.48 = OE VI, 317.320.322; Savio [1859], p. 67-68 = OE XI, 217-218; Va/entino [1866], p. 12-13.17 = OE XVII, 190-191; Sistema preventivo [1877] cap. 2, 4, p. 54-55 = OE XXVIII, 432-433.

12 Sistema preventivo [1877], p. 56 = OE XXVIII, 434.

Una afirmación como ésta puede extrañar a los lectores modernos acostumbrados, aun en un contexto cristiano, a distinguir necesariamente entre el orden de la creación y el de la redención, entre autonomía (aun relativa) de las realidades humanas (entre las que está la educación) y la actitud de fe en Dios. Se han propuesto varías hipótesis para explicar más o menos adecuadamente estas afirmaciones del santo educador. Determinadas expresiones suyas, en efecto, podrían dar la impresión de una manipulación de contenidos esenciales de fe (sacramentos), que son fin en sí mismos, para alcanzar objetivos meramente humanos o educativos.

Se ha intentado comprender las afirmaciones de don Bosco refiriéndose al papel benéfico de los sacramentos en la psicología del joven. Contra esta interpretación, reductiva según su parecer, reaccionaba A. Caviglía.83 Subraya la importancia del motivo primario de la pedagogía de don Bosco: la idea que él tiene de la gracia de Dios en el alma y del trabajo que en ella realiza. Es una concepción exquisitamente teológica, genuitea teología cristiana y católica, traducida en concepción educativa. En este sentido, según la idea fundamental de la doctrina sobre la gracia santificante, todo el trabajo educativo, como don Bosco lo ve y lo quiere, se concentra en conservar o volver a adquirir la gracia de Dios en el alma. Para don Bosco, la presencia de la gracia de Dios lo es todo." P. Braido habla de la religión (o, en términos equivalentes, del temor de Dios, vida divina comunicada y en desarrollo, vida de caridad y de gracia, oración, frecuencia a la santa misa, uso de los sacramentos de la confesión y la comunión...) como de «supremo medio educativo, al que los demás resortes técnicos "humanos" y "humanísticos" están rigurosamente subordinados».85 Los medios o procedimientos sobrenaturales no parecen sólo necesarios para
- la construcción de la personalidad cristiana, sino que tienen una eficacia real en el proceso educativo y humano (felicidad, moralidad, alegría...), ex opere operato o por influjo de Dios mediante las gracias actuales que se merecen con la oración.86 Según Braido, no se trata de un apoyo puramente psicológico, sino sobrenaturalmente eficaz [...] enriquecimiento real de la gracia y de la vida divina, crecimiento en la dimensión sobrenatural, un paso adelante hacia la madurez personal, natural y sobrenatural del joven.87
A nosotros, la tesis de don Bosco nos parece ligada sobre todo a su manera típica de ver al hombre, especialmente al joven que está educando.
83 «Ma non sarebbe esatto il pensarla soltanto nel suo aspetto pratico e funzionale di un agente psicologico atto a muovere e dirigere la volontá, o di una sensazione del conforto e dell'incoraggiamento che viene dalla pratica eucarística, col suo riflesso del confermare i buoni propositi» (A. CAVIGLIA, Opere e scritti edíti e Medid di «Don Bosco» nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originan e manoscritti superstiti. IV. La vita di Savio Domenico, Torino, SEI 1943, p. 344).

" Ibid., p. 345.

85 P. BRAIDO II sistema preventivo di don Bosco, Zürich, PAS-Verlag 1964, p. 250.

86Ibid., p. 252.

87 Ibid., p. 254.

El punto de vista del educador de los jóvenes, apenas tratado por él y teóricamente casi silenciado, parte de una antropología en la que el hombre, por la fuerza de su
ser, aparece radicalmente considerado como «ser-para-Dios». Sólo en el encuentro definitivo con Dios encuentra la plenitud de su ser, su destino humano y cristiano. Para don Bosco, el hombre sin Dios (sin religión, sin gracia divina) no es sólo un condenado eterno, sino que hasta sus empresas terrenas (como la integración y la construcción humanista, cultural y pedagógica) corren el peligro de vaciarse totalmente de sentido. En don Bosco, la identificación del hombre con la dimensión específicamente religiosa y con su destino eterno es algo fundamental sin que, sin embargo, desvíe su atención de los valores del mundo, de la educación, del «honrado ciudadano y buen cristiano». Estos valores «humanos» conservan para él un carácter rigurosamente subordinado. La promoción, aun humana, del joven por el camino de la educación, se vacía cuando el educador descuida el aspecto fundamental (la relación con Dios, la vida de gracia, la salvación eterna).

Para don Bosco, la realización del hombre no podía ser un fin aislado o un valor relativamente autónomo. No desprecia la realidad humana, pero la percibe siempre ligada al destino último del hombre. El hecho educativo debe considerarse siempre a la luz de su lazo indisoluble con la realidad divina, expresada en los diversos temas de religión y de fe, de la gracia y de la vida divina, de la oración y de los sacramentos. Educar, para don Bosco, significa: ayudar a los jóvenes a salvarse y a santificarse. A esta convicción se une su idea de la naturaleza debilitada de los jóvenes después del pecado original: «Como una tierna planta, aunque puesta en una buena tierra de un jardín y, por decirlo así, guiada hasta cierto grado de desarrollo, así vosotros, mis queridos hijitos, os inclinaréis sin duda al mal si no os dejáis guiar por quien tiene el cuidado de orientaros»." El punto de vista de don Bosco sigue siendo más bien suave: «La razón mayor es la ligereza juvenil, que en un momento olvida las reglas de disciplina y los castigos que aquéllas llevan consigo: por eso, con frecuencia, un niño se hace culpable y merecedor de un castigo en el que no ha pensado, que no recordaba en absoluto cuando cometió la falta y que sin duda habría evitado si una voz amiga le hubiese avisado >>.89
Partiendo de estas coordenadas, nos damos cuenta de que la acción santificarte y los sacramentos son necesarios como base de la vida humana y de la educación de los jóvenes. Esta perspectiva nos permite también entender la importancia que don Bosco da al papel de los dos sacramentos, subrayado sobre todo en las «vidas» y en los opúsculos de instrucción religiosa: la confesión y la comunión son los dos «pilares más fuertes para la juventud»."
88 Giovane provveduto [1847], p. 13-14 = OE II, 193-194.

" Sistema preventivo [1877] I, 2, p. 48 = OE XXVIII, 426.

90 «Lo esort6 a fare la sua prima comunione, ed a comunicarsi di poi moho sovente, assicurandolo che la confessione e la comunione erano i due sostegni piú forti per la gioventii» (Sei domeniche [1854], p. 12); cf. anche Comollo [1844], p. 63 = OE I, 63.

Al vivir en una época anterior al movimiento litúrgico,91 don Bosco sitúa la vida sacramental en el cuadro de una piedad cristiana preferentemente nutrida con prácticas piadosas (oración de la mañana y de la noche, meditación, ejercicio mensual de la buena muerte, ejercicios espirituales anuales...), según la costumbre de su ambiente. Ansioso por la salvación eterna y temporal del joven, en la línea de la teología de su tiempo y a pesar de su discreción sobre el papel de la gracia, considera a los sacramentos como canales o signos de la gracia, como fuentes o medíos de salvación: «Estos sacramentos son otros tantos signos sensibles que Dios ha establecido para que nos salvemos, que es lo mismo que decir que los siete sacramentos son como siete canales por los que se nos comunican los favores celestiales desde la divinidad a la humanidad. He aquí, oh cristianos, brevemente expuestos los grandes medios que Jesucristo ha instituido para nuestra salvación».92
Esta definición no se distingue de la que usan generalmente los catecismos y los libros de instrucción religiosa de su época y que parece típica de la teología escolástica y post-tridentina.93
Para Juan Bosco, los sacramentos son los pilares más seguros y eficaces de la fe. A través de ellos, la Iglesia católica ofrece a todos los que quieren recibirlos la certeza de que poseerán un día la vida eterna.94 Pero como sacerdote-educador, preocupado especialmente con el destino de los jóvenes, presenta los sacramentos en su significado para ellos: «Recordad, mis queridos jóvenes, que los dos pilares más fuertes para sosteneros a caminar por la senda del Cielo son los Sacramentos de la Confesión y de la Comunión».95 Como Savio, Magone, Besucco o la joven valdense, también ellos encontrarán en los sacramentos la paz interior y la tranquilidad del alma, que constituyen la base de una vida virtuosa y del logro de la felicidad humana.96
Omitiendo expresiones teológicas, parece que don Bosco atribuye gradualmente, sobre todo en el tema de la comunión, un valor creciente a la eficacia ex opere operato. Los sacramentos son eficaces, no sólo por la fe que suscitan y exigen, sino también a través del deseo que Dios manifiesta en ellos de conceder su gracia, aunque su eficacia no produce beneficios sin las disposiciones para aceptarla. ¿Reduce la pedagogía de don Bosco los sacramentos a simples instrumentos o medios subordinados al proceso educativo? A nuestro parecer, ciertas expresiones suyas, como también el sentido que atribuye al aspecto milagroso, pueden dar ocasión para que se piense en una cierta forma de instrumentalismo sacramental
" Cf. O. ROUSSEAU, Histoire du mouvement liturgique. Esquisse historique depuis le début du XIX siécle jusqu'au pontificat de Pie X, Paris, Éditions du Cerf 1945, p. 149; cf. también: S. MARSILI, Storia del movimento liturgico italiano dalle origini all'Enciclica «Mediator Dei», en: O. RoUSSEAU, Storia del movimento liturgico, Roma, Ed. Paoline 1961, p. 363-369.

Maggio [1858], p. 55-56.58 = OE X, 349-350.352.

" Cf. L.M. CHAUVET, Du symbolique au symbole. Essai sur les sacrements, Paris 1979,
p. 188-190.

" Tema especialmente desarrollado en los escritos apologéticos.

" Regolamento esterni [1877], p. 36 = OE XXIX, 66.

96 Savio [1859], p. 69-70 = OE XI, 219-220; Magone [1861], p. 1723 = OE XIII, 171.177.

Pero una reducción del sacramento a su valor externo, funcional o instrumental nos parece en discordancia con su mentalidad profunda. Para don Bosco los sacramentos son, sin duda, los medios o los instrumentos de la gracia. Pero sobre todo figuran en su idea de que es absolutamente necesario cimentar toda la obra de la educación en el único movimiento que orienta al joven hacía el ideal de la santidad, hacia su destino eterno. Más que simples instrumentos, los sacramentos parecen constituir la conditio sine qua non para que toda intervención educativa llegue a su éxito en sentido pleno. Tienen, pues, su lugar en el cuadro de un movimiento que incluye momentos de educación, pastoral y espiritualidad en una correlación entre naturaleza y gracia, entre humanismo y fe, que tiene su sentido último en el misterio de la soteriología cristiana y católica.92
STELLA, Don Bosco II, p. 470.

ECLE DON BOSCOSTICAS Y RELI Y LA FORMA GIOSASCIÓN DE LAS VOCACIONES SIÁ*


Fausto JIMÉNEZ
Una de las facetas más acusadas de don Bosco es su preocupación por proporcionar vocaciones a la Iglesia. Esta actividad lo retrata como hombre de Iglesia, celosísimo del engrandecimiento del Reino, director espiritual acertado. Bastaría para colocarlo entre los sacerdotes beneméritos en la Historia de la Iglesia.

1. Introducción: experiencia personal de don Bosco


La experiencia vivida por don Bosco durante los años de formación y aprendizaje le proporcionan una serie de valores, cultivables y exigibles en toda vocación sacerdotal o religiosa, que luego aconseja y exige.

En noviembre de 1835 entró en el seminario de Chieri. Los seminaristas provenían prevalentemente de zonas rurales.' Existía la persuasión de que el estado que se había de escoger estaba predispuesto por Dios, y de que de ello dependían la salvación o condenación eterna. La oración, la vida inmaculada, la práctica sacramental, las mediaciones de Jesucristo, de la Virgen y de los santos posibilitaban su consecución? En Chieri se deseaba crear un ambiente que sustrajera a los clérigos del mundo turinés, considerado no apto para la formación. Se temía el profesionalismo, el abrazar la carrera eclesiástica para asegurarse un porvenir; por eso don Bosco prefirió «encerrarse» en el seminario en lugar de seguir en pensión como otros comparieros.3
Nosotros podemos inducir unos rasgos de esta experiencia. El primer rasgo es la seguridad de sentirse llamado por Dios desde pequeño;4 por eso insistirá luego en que hay que certificar la voluntad de Dios sobre nosotros respecto a la vocación.

Esta comunicación fue redactada y leída en castellano por el autor (n.d.e.).

1 Cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980,p. 40.

2 Cf. STELLA, Don Bosco I, p. 46 (ed. 1968).

Cf. STELLA, Don Bosco I, p. 54-55.75-76; F. DERAMAUT, Don Bosco et la vie spirituelle, Paris, Beauchesne 1967, p. 23-27. ' Cf. MO 29-30.35.44.89.

El segundo rasgo es el descubrimiento de los beneficios de la dirección espiritual: así ve en don Cafasso la manifestación de la voluntad de Dios;' insistirá luego en que se sigan los consejos del confesor o de los superiores. El tercer rasgo es el aprendizaje de la superación de obstáculos: le ayudaron los sueños y los araigos;6 insistirá luego en que las dudas sobre la vocación y los peligros pueden y deben ser superados. El cuarto rasgo es la formación intelectual;' insistirá luego en la necesidad del estudio.

2. Contexto: situación del clero en el siglo XIX


Hay diversos períodos. Hasta mediados del siglo muchos religiosos viven sin preocupaciones apostólicas, recluidos en sus conventos. Los jesuitas eran detestados por sus relaciones con el partido austrófilo y por su antiliberslismo crudo. Sólo las congregaciones venidas de Francia realizaban un. trabajo más fecundo.

En el clero secular había más de 60.000 sacerdotes para 25 millones de habitantes: un cura por cada 400 habitantes. En Italia había 225 diócesis: sólo algunos obispos sobresalían por su celo, como mons. Moreno, obispo de Ivrea, cuyas circulares eran muy leídas por el clero. Este clero era poco celoso en su ministerio: administraban su patrimonio familiar, servían de preceptores o capellanes a alguna familia rica o noble.8 Otros gozaban de libertad casi absoluta respecto a sus obispos; hasta para los seminaristas no era obligatorio residir en el seminario. Su ciencia era rudimentaria (cf. Rosmini y las plagas de la Iglesia): así no pudieron aconsejar a la burguesía en sus crisis de conciencia. Otros son nacionalistas,9 o fanáticos conservadores, o están contaminados secularmente (deshonestidad, rebelión, círculos masónicos). Esto es válido en línea de máxima, pues hay que distinguir entre diócesis: las del Norte, al
menos Piamonte, ofrecen mejor estarapa.i° También había curas ejemplares: don Bosco, Borel, Cafasso, Pallotti..."
A mediados del siglo se dan leyes muy perjudiciales para la Iglesia: supresión del fuero e inmunidades eclesiásticas y diezmo (1850-1851), Ley de los conventos (1855), que suponía la supresión de 721 conventos y la desaparición de 12.000 religiosos.

Cf. MO 133.

6 Cf: MB I, 123-126.243-244.305-306.424-425; II, 243-244.298-300; MO 51-53.58.

7 Cf. MO 110-111.121.123.

8 Cf. E I, 287.

9 Cf. MO 219-220; por ejemplo don Cocchi: MO 214-215. I° Cf. E L 258.

" Cf. R. AUBERT, Pío IX y su época, Valencia, Edicep 1974, p. 85-86.

El clero había disminuido: en casi todas las diócesis el número de sacerdotes muertos superaba al número de ordenandos;" cosa parecida sucedía en la diócesis de Turín, como comprueba mons. Gastaldi en una carta pastoral de enero de 1873. Entre 1871 y 1901 disminuyen los sacerdotes en más del 25%. Muchos sacerdotes estaban arrestados, muchos obispos exiliados," otros no habían sido reconocidos por el Gobierno: así en 1864 había 108 sedes vacantes." Había cambiado la mentalidad: desaparecen muchos curas sin función parroquial; aparece un nuevo tipo de pastor de mejor conducta moral, más
cercano al pueblo, pero poco preparado intelectualmente.°
Las causas de este fenómeno que se apuntan son: la corrupción había penetrado en las mismas familias. En las escuelas públicas la enseñanza estaba en manos de maestros descreídos. Faltaban recursos económicos, por las desamortizaciones. Había aumentado la separación entre ricos y pobres: éstos no podían sostener a sus hijos en el seminario.

Los remedios tienden a contrarrestar las causas. Puesto que se trataba de un languidecimiento general de la fe en las familias, debía promoverse una re-cristianización con misiones populares, con la fe en las familias, con la instrucción de chicos y chicas en materia religiosa. Había que favorecer la creación de escuelas, asilos, colegios, lugares de esparcimiento. Como habían disminuido las vocaciones eclesiásticas de la nobleza y del ámbito burgués, había que buscar las vocaciones en la población rural, exponiéndose al peligro de rebajar el nivel cultural del clero y su eficacia evangelizadora. Al no estar los seminarios menores reservados a los que aspiraban al sacerdocio, era necesario establecer casas exclusivamente para seminaristas menores. Este problema-se sintió en Valdocco y Mirabello: don Bosco llama hurto al estudio realizado a expensas de don Bosco para volver luego al mundo o marchar a la diócesis;16 pero no tuvo dificultad en cuanto al origen campesino de las vocaciones: él mismo era
uno de ellos.

A finales de siglo existían buenas esperanzas; pero el clero diocesano apenas logra igualar vocaciones y decesos. Las congregaciones religiosas crecieron, especialmente jesuitas, Hijas de la Caridad, salesianos, salesianas.'
Así lo afirman autores contemporáneos, como Frassinetti en 1867 y Liborio Rossi en 1876.

Cf. MB VIII, 62.72.

" Cf. MB VIII, 62; X, 427-429.

'5 Cf. R. AUBERT, L'Eglise dans le monde moderne, Paris, Ed. du Seuil 1975, p. 91-96.

16 Cf. MB XII, 448.

17 Un tratamiento más amplio en: STELLA, Don Bosco II, p. 359-367. Véase también el sueño
de don Bosco titulado «Trabajo, trabajo, trabajo», tenido la noche del 29 al 30 de septiembre de 1885 (MB XVII, 383-384).

3. Realizaciones de don Bosco


Don Bosco conoce esta situación; pero no se detiene en lamentos, sino que pasa a las realizaciones inmediatamente.

3.1. De los eclesiásticos a los laicos


Se dirige en primer lugar a sus colegas sacerdotes, jóvenes o no, con tal de que sean celosos. Acabarán abandonándolo, como contempla en el sueño de la pérgola de 1847.18 Desde 1850 disminuye el recurso a los sacerdotes diocesa
nos, y aumenta el empleo de clérigos y sacerdotes «de don Bosco», es decir, residentes con él en el Oratorio."
Entonces busca apoyo en los laicos, e incluso en los jóvenes. Comenzó con ocho o diez maestrillos; luego aumenta el número." Posteriormente inserta a
los laicos en la Sociedad salesiana;21 rechazado esto, propone a los Cooperadores la misma mies de la Congregación.22


3.2. Vocaciones religiosas de varones


Su preocupación por las vocaciones religiosas en general fue constante en toda su vida. Preparando una audiencia papal en abril de 1860, aboga por el establecimiento de los respectivos noviciados y por la inserción de los religio
sos de vida contemplativa en la catequesis de los niños, en la instrucción religiosa a los jóvenes y en la pastoral sacramental."
Aparte los salesianos, tuvo contacto con familias religiosas concretas: rosminianos, barnabitas, filipinos, Cottolengo. Incluso aconseja sobre la fundación de una congregación de hermanos laicos a un sacerdote alemán en 1887.24
" Cf. MO 161.163-164.218-221.

" Cf. E I, 29-30; STELLA, Don Bosco II, p. 172.

20 MO 183-184.206-207.

21 Cf. MB VII, 885: Reglas de 1864, capítulo 16 «De externis»; MB X, 889: Reglas de 1873, Apéndice.

" MB XI, 542. Continuará valiéndose de los laicos (E I, 144) y favoreciendo sus asociaciones (E II, 372).

23 Cf. E III, 562.

24 Puede verse la correspondencia con los rosminianos en E I, 12.15.23.24.26.31.32.47.105. El sacerdote alemán Domingo Ríngeisen (1835-1904) había abierto en 1884 en Ursberg (Suabia) un hospicio para deficientes. Para ello fundó una Congregación de Hermanas, y dudaba sobre la fundación de otra Congregación de Hermanos: don Bosco le contesta el 25 de junio de 1887 recordándole que él tiene a los salesianos coadjutores (E IV, 379).

3.3. Vocaciones religiosas de mujeres


Se preocupó de chicas con posible vocación religiosa, como es fácil documentar a través de sus cartas." Aparte las Hijas de María Auxiliadora, tuvo relaciones efectivas con diversas familias de religiosas: Compañeras Fieles de Jesús, Nobles Oblatas, Dominicas, Hijas de la Visitación, Hermanas de la Misericordia, Damas del Sagrado Corazón, Carmelitas de París. Excepto con las Dominicas y Carmelitas, la relación con las otras Familias fue duradera.26
Las condiciones para una vocación de religiosa puedan ser deducidas de las no muy numerosas cartas dirigidas a jóvenes religiosas. Sintetizando el contenido, éstas serían las condiciones: salud, buenas costumbres, buena índole, motivación sobrenatural. Negativamente, no valen para salesíanas las superficiales, las viciadas, las insinceras, según el sueño-apólogo del 31 de diciembre de 81. Y los mdios serían: oración y meditación, confianza en las superioras y en 18 el confesor,e observancia de las Reglas, obediencia y humildad, recuerdo
del premio eterno que nos espera."


3.4. Vocaciones para el estado eclesiástico en Valdocco


Las diócesis que tuvieron seminaristas en Valdocco fueron, al menos, Acquí, Asti, Casale, Chieri, Saluzzo, Turín, Vercelli, Vigévano, con cuyos obispos o Vicarios hay relación epistolar abundante, tratando de sus residentes
respectivos.28
También se preocupó de seculares que pudieran prepararse para las misio
nes. Escribe a don Dionisio Halinan, irlandés, que busque a jóvenes de lengua nativa inglesa con vocación para misioneros, y que se los mande a Turín para enviarlos luego a las misiones bajo dominio de la Gran Bretaña. Estuvo en tratos con mons. Quinn, obispo en Australia, para recibir gratuitamente a jóvenes de allí, educarlos, y devolverlos luego o sacerdotes seculares o salesianos.29
25 E I, 339.355; II, 209.

26 Con las Fieles Compañeras de Jesús: E I, 372518; II, 20.165. Con las Nobles Oblatas:
E I, 430.439.491; II, 281291; IV, 42. Con las Dominicas: E I, 436. Con las Hijas de la Visitación: E II, 55; IV; 281. Con las Hermanas de la Misericordia: E III, 584. Con las Damas del Sagrado Corazón: E IV, 166.185. Con las Carmelitas de París: E IV, 413. Con las Hijas de María Auxiliadora el trato es más abundante: sobre la fundación, cf. Cronistoria I, passim; sobre Momese, cf. E I, 323.336.435; sobre el Oratorio femenino de HMA en Turín, cf. E II, 446.487; In, 30.

27 Su doctrina sobre la vocación religiosa femenina se halla dispersa en estas cartas: E I, 311.419; II, 491-492; III, 633.634; IV, 290. Cf. también MB XV, 364-366, y el Testamento espiri
tual, en: Bosco, Saint pedagogici, p. 347.

Sobre Acqui: E II, 205.477-478. Sobre Asti: E I, 211.265-266.268 y MB VI, 740; VII, 410
411. Sobre Casale: E I, 287; II, 79.81. Sobre Chieri: E I, 21.23-24. Sobre Saltim: E I, 242.281. Para los casos de administración ordinaria en relación con la diócesis de Turín: E I, 112.171.278
279283.357. Sobre Vigévano: E III, 389. Sobre Vercelli: E I, 219. 29 Sobre las misiones: E II, 340.387-388.404.456.

Don Bosco alude varias veces al número de clérigos hospedados." El 26 de junio de 1866 dice que son 50 entre Turín y Lanzo. El 21 de octubre de 1876 habla de 50 clérigos que visten todavía de paisano por imposibilidad de comprarles hábitos eclesiásticos. El 31 de julio de 1878 habla de 300 clérigos al canónigo Clemente Guiol, de Marsella. Esta cifra redonda la repite en 1879, 1880, 1881. Tales cifras parecen propagandísticas, aun cuando se refieran a todas las casas de don Bosco.

P. Stella hace unas precisiones referidas a los años 1847-1870: el número de clérigos nunca fue preponderante ni extremadamente vistoso en el Oratorio. Entre 1847 y 1853 sí hubo hospedados algunos sacerdotes que ayudaban a don Bosco, según el «Repertorio doméstico», autógrafo de don Bosco, pero muy pocos clérigos del seminario: más bien fueron acogidos en la comunidad de los oratorianos de San Felipe Neri. Existe también el «Anágrafe» o «Censo de 1847 a 1869»; pero no se puede esperar de él un número completo de clérigos. Sí parece válida esta estadística para 1868: de 804 residentes en el Oratorio, había 35 estudiantes de teología y 24 estudiantes de filosofía; es decir, el número de clérigos era el 7,34% del total de residentes en Valdocco. No obstante, era el grupo más influyente?'
En cuanto a la edad de los clérigos residentes, los sacerdotes, siempre en número muy restringido, presentan fuertes oscilaciones en la media de edad. Entre los clérigos existen las vocaciones tardías, cuya edad se acerca a los 30 años. Pero la mayor parte son estudiantes de filosofía y teología, cuya edad oscila entre los 16 y los 24 años: su media de edad está entre los 17 y los 19 años.

Económicamente, el sostenimiento de esta masa de jóvenes y clérigos representó para don Bosco una fuente de preocupaciones constantes respecto a su mantenimiento, alojamiento y vestido. Desde 1854 las pensiones mensuales de los clérigos se estabilizaron durante algunos años entre las 40/45 liras. Pero las pensiones se reducían en Valdocco y Mirabello; no en los colegios, en los que se suponía que las familias podían pagar. Ahora bien, las pensiones eran insuficientes para los gastos; por eso don Bosco recurre en muchas ocasiones a la curia de Turín, a párrocos, a bienhechores, a Instituciones oficiales y al mismo rey en demanda de ayuda.32 Otra fuente de preocupaciones económicas fueron el patrimonio eclesiástico y la leva del servicio militar de los clérigos, para los que también pide ayuda a todo tipo de personas.33
3° E I, 406; 111, 69.106.371.463.625.638-639; IV, 77.90.

31 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 182-183.196.

32 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 373-377. Pueden verse las cartas dirigidas al canónigo Vogliotti desde 1855 a 1866 sobre pensiones de seminaristas concretos: E I, 117.172173.188.212.325.337.602; o al párroco de Beinasco: E I, 210; o a Paolo Boselli: E II, 310; o a la condesa Carlotta Callori: E I, 356; o al rey Víctor Manue111: E I, 212-213.223.

33 Para el patrimonio eclesiástico: E I, 243.407-408.411.501-502; II, 6. Para la exención del servicio militar: E I, 392; II, 113.117-118.125.168.172.210.229.309.414.417 .485.

Las dificultades económicas no fueron las únicas. Dificultades jurídicas le provienen de la autoridad civil, que le acusa de que los estudios de los clérigos no están en armonía con las directrices gubernativas, y que le exige presentar el Decreto de aprobación de la Congregación salesiana para el Exequatur regio .34 A pesar de todo, las dificultades más dolorosas y largas le provienen de la autoridad eclesiástica de Turín ante la pretendida autonomía para su Institución. Con la autoridad civil logra capear el temporal; con la autoridad eclesiástica no tiene más remedio que buscar la aprobación de la Congregación directamente por la Santa Sede."


3.5. Seminarios menores


La ocasión le viene ofrecida por la Ley Casati de 1859, que pedía a las Administraciones municipales la instrucción primaria y secundaria. Se presentaba la posibilidad de insertarse en el juego de los ayuntamientos, que buscaban salidas para promover las escuelas públicas sin demasiadas cargas financieras. Don Bosco se mostró sensible a las nuevas perspectivas, ofreciéndose en primer lugar a los obispos para la dirección de seminarios diocesanos; y prefiriendo después el camino de los colegios-internados municipales. Así, después de 1860, amplió las finalidades de la Congregación, añadiendo un artículo sobre el cultivo de las vocaciones eclesiásticas, pero exigiendo el permiso de la Santa Sede para encargarse de seminarios, caso por caso.

La primera experiencia de este tipo fue realizada en Giaveno (1860-1862). Allí existía un seminario menor, floreciente hacia` 1840, pero decaído posteriormente. El Ayuntamiento quería comprar los locales para poner un colegio municipal. Presentada la propuesta a mons. Fransoni, replicó que estaba dispuesto a confiar su renacimiento a don. Bosco. Los tratos comenzaron en mayo de 1859 entre don Bosco y el alcalde. El canónigo Vogliotti y don Bosco fueron a Giaveno el 27 de julio de 1860; pero no llegaron a un acuerdo, porque el Municipio no quiso elevar su cuota de ayuda. Por eso se determinó convertirlo en Seminario menor simplemente.

La curia de Turín nombró director a don Juan Grassino. Don Bosco mandó al sacerdote Juan Rocchietti como director espiritual, y a varios clérigos, que se encargaron de la economía, la disciplina y la asistencia, y a un grupo escogido de jóvenes de Valdocco. Los alumnos subieron desde 110 en 1860 a unos 240 en 1861. Pero surgieron discrepancias entre la línea educativa
" Cf. E I, 270.273.

" Las dificultades con la Curia diocesana de Turín acompañaron al nacimiento de los salesianos: E I, 169-170.291.292.321.510.572-574.590-593.596-597.599. Continuaron tras la aprobación de la Congregación salesiana el 1 de marzo de 1869: E II, 32-33.34.64.240.244.277-278.281282.299-300. Y perduraron tras la aprobación de las Constituciones el 3 de abril de 1874. Puede consultarse STELLA, Don Bosco I, p. 150-1.56.

del rector y la de don Bosco. La curia, por otra parte, no quería que se considerase una sola cosa a Valdocco y a Giaveno, como afirmaba don Bosco. Fransoni murió el 26 de mayo de 1862. Con el nuevo Vícario'Capitular, mons. Zappata, se siguió una línea media: se cambió al rector, pero se rompió el contrato con el Oratorio. Algunos de los salesianos pasaron al clero diocesano; Bongiovanni y Boggero volvieron al Oratorio, recorriendo a pie el camino desde Giaveno a Turín: ni para el viaje recibieron dinero.36
Otra experiencia, con éxito, tuvo lugar en Mirabello (1863-1869). La diócesis de Casale Monferrato no tenía seminario menor, por haber sido nacionalizados los locales. El obispo, mons. Calabiana, se puso de acuerdo con don Bosco. Gracias a la cesión de terrenos por Vicente Provera, padre del clérigo salesiano Francisco Provera, y con la supervisión de Buzzetti, se ultimaron los trabajos en el otoño de 1862. La obra costó 100.000 francos?'
El 13 de octubre de 1863 llegaron los salesianos: don Rua como director, cuatro clérigos y cuatro jóvenes como enseñantes, todos de pocos años.38 Internamente había una dificultad: muchos estudiantes acudían sin intención de seguir la carrera sacerdotal. Don Bosco se mostró inflexible en esto en algunas cartas dirigidas a don Rua.39 Con esta exigencia, el seminario mayor de Casale pasó en pocos años de tener 20 clérigos de filosofía-teología a tener 120, gracias a los provenientes de Mirabello.

Otra dificultad fue estatal: Occimiano, del que dependía Mirabello, lo consideraba un colegio privado y, por tanto, sujeto a impuestos. Don Bosco recurrió directamente al ministro de Finanzas, Urbano Rattazzi, que le concedió la exención tributaria. La otra dificultad fue escolástica: el inspector de enseñanza de Alessandria lo calificó de colegio ilegal por no tener la autorización escolar; mons. Calabiana lo reconoció como colegio menor diocesano." Pero a la postre resultó pequeño y alejado de las vías de comunicación; por eso fue, trasladado a Borgo San Martino, abandonando el título de seminario menor y manteniendo el de colegio de San Carlos.°
Otra experiencia tuvo lugar en Magliano Sahino, diócesis suburbicaria de Roma. A instancias de su obispo, cardenal Bilio, asumió don Bosco en 1878 la dirección de estudios y la administración del seminario. Aquí don Bosco no quiso la mezcla de aspirantes y no aspirantes al sacerdocio, formando un cole
36 La correspondencia sobre Giaveno es: E I, 188.192.193.208-209. Cf. también MB VI, 720.731.1043; VII, 137-145.147-149. Buen resumen en: STELLA, Don Bosco nella stork economica, p. 128-130.

37 Cf. MB VII, 409.

38 Cf. MB VII, 522.

39 Cf. E I, 284.347.

4° Cf. E I, 472-473.491-492. Buen resumen en: STELLA, Don Bosco nella stork economica, p. 130-133.

4 E II, 98.103.

gio distinto en una parte alquilada del vasto edificio, quedando don Bosco muy contento. Director era don José Daghero.42
En 1874 falló la fundación de otro colegio en Ceccano (Lado); y algo pare
cido sucedió en Florencia:"
Como nota curiosa para ver esta ayuda de don Bosco a los seminarios, está
el hecho de que, en base a una convención regular, don Bosco mandó a las salesianas a prestar asistencia en cocina y ropería para obras masculinas no a una casa salesiana, sino al seminario episcopal de Biella, en septiembre de 1876; sólo después las envió para el mismo oficio al colegio salesiano de Alassio.

3.6. Vocaciones de adultos


El origen de obras específicas en favor de las vocaciones tardías parece fruto de la maduración de una idea sostenida durante años. Adultos, como as
pirantes y novicios, había ya antes. Incluso parece que la «Obra de María Auxiliadora» en favor de las vocaciones tardías no cambió sensiblemente la proporción de adultos. La tensión con mons. Gastaldi pudo favorecer la maduración de la idea. El sueño tenido a principios de 1875 pudo suponer el espaldarazo, ya que para don Bosco manifestó el «querer divino», y gracias a él comprobó la proporción mayor de perseverancia entre los adultos."
Efectivamente, el 9 de diciembre de 1875 reunió en Sampierdarena estas vocaciones. Allí llega a reunir entre cien y 130 con este fin especifico, y se suscita un gran entusiamso por ir a las misiones.° Simultáneamente continúa en Turín una clase de vocaciones adultas, bajo la guía de don Luis Guanella." En 1876 don Bosco anduvo en tratos para establecer otra casa semejante en Roma, pero no cuajó.47 Desde Sampierdarena fueron trasladados a Mathi Torinese en 1883; y en 1884 volvieron a Turín, pero a San Juan Evangelista."
Don Bosco expuso muchas veces cuál era la naturaleza y finalidad de esta obra: recoger jóvenes adultos, con cualidades para el estudio, y con voluntad de abrazar el estado eclesiástico. Reciben unos cursos específicos acelerados para ellos. Acabados estos estudios, y certificada la vocación, los alumnos quedan libres de volver a la diócesis con sus respectivos obispos, de abrazar el estado religioso, o de dedicarse a las misiones extranjeras. En 1884, hablando a
E m, 177-178.183.297.

43 E II, 370; IV, 86-87.

44 Cf. E II, 96.237-238; MB XI, 32-33. 43 E II, 524.526.530; III, 18.36.95.

46 E III, 39-40.42.104.

47 E 130-131.137.

48 Cf. E IV, 499. Sobre las vicisitudes de la «Obra de María Auxiliadora para las vocaciones
tardías» tras la muerte de don Bosco, cf. E. VALENTINI, Don Bosco e le vocazioni tardive, en «Salesianum» 20 (1960) 462-466. Esta «Obra» fue siempre muy querida y recomendada por don Bosco: cf. Bosco, Scrittí pedagogici, p. 330-331.

los Salesianos, afirma don Bosco: «Los Hijos de María están para la acción, mientras que los pequeños que vienen a nuestras casas estarán para la cien
cia».49 Y extiende luego un reglamento en el que detalla los programas de estudio, las pensiones, la edad (entre 16/30 años).50
Las dificultades no estuvieron tampoco ausentes de esta obra: unas provinieron del exterior y otras del interior. Obtenidas la bendición e indulgencias de la Santa Sede," don Bosco extendió el programa definitivo, y mandó todo al obispado de Turín para el «Nihil obstat» para su publicación. Comienza aquí un litigio entre don Bosco y Gastaldi, al que apoyaba mons. Moreno, obispo de Ivrea.52 Es éste un litigio más amplio, pero que también involucra a esta obra. En total, don Bosco se entiende con mons. Manacorda e imprime todo en Fossano.53 En la polémica, don Bosco se queja de que no se ha comprendido su idea, y aclara: «Esta obra se dirige al bien general de la Iglesia, y
no parece que pueda ligarse a un Ordinario»,54 que era lo que pretendía Gastaldi.

En Valdocco tampoco comprendían todos la presencia de vocaciones adultas; y se formaron dos bandos: el vicedirector del Oratorio, cediendo a una facción, suprimió esta «escuela de fuego», como se la llamaba allí. Don Guanella había sido nombrado director de Trinidad, don Bosco estaba ausente. Los adultos fueron distribuidos entre otras clases o mandados a Sampierda
rena. Don Bosco, enterado, lamentó esta decisión, y la hizo resurgir como clase especial en 1877-1878."
El resultado fundamental es la mayor perseverancia de éstos que han entrado adultos: perseveran 90 sobre cien que comienzan; mientras que de los que empiezan de jovencitos llegan seis u ocho sobre cien." En el curso 18741875 había recogidos unos 100 jóvenes adultos: de los 35 que acabaron los estudios literarios, ocho fueron a misiones, seis al estado religioso, 21 a las respectivas diócesis." En años posteriores aumentó el número. Entre los primeros
salesianos hay casos muy conocidos de vocaciones tardías: Lago, Rinaldi, Ghivarello, Fagnano...

" MB XVII, 546.

5° E II, 529; III, 23.130-131.561-562. El Reglamento puede verse en MB XI, 532-533. Don
Bosco dio a conocer esta obra por medio de la imprenta: Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni ello stato ecclesiastico (texto en: OE XVIII, 1-7, que tuvo varias ediciones (cf. P. STELLA, Gli
scritti a stampa di san Giovanni Bosco, Roma LAS, 1977, p. 56.60.111.113.116.133.143). A este opúsculo alude don Bosco en sus cartas: EDI, 187.197.431.443.

51 Cf. E II, 473.

52 Cf. E II, 491.

53 E II, 493-494.495.500.502-503.511. Se prohibió la publicación de toda noticia sobre esta
Obra en el periódico «L'Unitá Cattolica »: puede verse al respecto E II, 529; II, 95-96.97.98.100-101.

54 E II, 292.

55 E DI, 110; IV, 115. Su actitud ante estas dificultades puede verse en MB XI, 52.54.77. Y un tratado sintético en MB XI, 31-70.

56 Cf. E III, 130.

" Cf. E III, 131-132.

Vale anche la pena ricordare che Don Bosco era pronta ad accogliere i sacerdoti Oratorio in pensione e vari sacerdoti in situazione irregolare, di alcune dita che anche assunto come un insegnante. "
Ci si può chiedere quale sia lo scopo o il significato ultimo di queste rappresentazioni di Don Bosco. E ' sentire una piccola parte di un grande movimento di vocazionale, come mostrato dai suoi rapporti con Giuseppe Frassinetti "o Almerigo war.6 ° e ha sempre un senso di Chiesa, che in modo esplicito nel suo" testamento spirituale ":" ricordati che danno voi un tesoro alla Chiesa quando cerchiamo una buona vocazione: che questa vocazione o questo prete vadano in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa, non importa. È sempre un grande tesoro che viene donato alla Chiesa di Gesù Cristo »6 '


4. La pastorale vocazionale secondo Don Bosco


F.1 luogo di germinazione delle vocazioni era famiglia e scuola. Ora la corruzione ha invaso la famiglia; la scuola è nelle mani di insegnanti increduli. Dopo la Rivoluzione francese e le varie confische, le vocazioni delle classi superiori sono scarse: diventa un bisogno e una tendenza comuni a rivolgersi alle classi popolari. Don Bosco, nella sua predicazione dalle parrocchie della gente, cercano di bambini con possibile vocazione; 62 cercare di prendere le vocazioni dei lavoratori zappa e martello, e finiscono per raccoglierli in un ambiente creato appositamente per questo scopo, affermando che la Congregazione Salesiana è emersa "per promuovere le vocazioni ecclesiastiche tra i giovani poveri e basso status" 63 in effetti, i religiosi si sono riuniti a Valdocco, ei Salesiani entrare in quasi la loro
tutte le aree rurali. "
Già in casa tua, la tua prima preoccupazione è creare un ambiente, dove la proposta professionale possa essere accolta e matura: per la Coope
.

"Cfr E II, 155 (Bodrato); II, 231.236; III, 295-296 (Lago); II, 262.357.368-369 (Pavesio); 345.351 (Chiala); (. Vescovo Negrotto) II, 455; Hl , 146 (Benvenuto), III, 283 (Confortola); III, 372 (Garelli); IV, 295-296.297-298.431-435 (Czartoryski) ... A proposito di pensione: III, 294; IV, 232-233 Chi sacerdoti. in uno stato irregolare: EI, 232-233.283287.370.597; III, 512.

59 Cfr. EI, 440.

6 ° Cfr. E II, 31.

61 Testamento spirituale, in: Bosco, Scritti pedagogici, 330.352. Può anche essere visto E III, 157.384; IV, 328.333.336. Questo stesso senso edesiale appare nelle Costituzioni dei Salesiani del 1874: «I. Fine della società », e nella terza parte del regolamento dei Cooperatori: i testi possono essere visti in: BAC, 667 e 735 rispettivamente. Anche nell'incoscienza del sogno questo senso della Chiesa agisce nel sogno del 15 marzo 1875 (MB XI, 34).

62 Cfr. MB V, 392-393.

63 Testamento spirituale, in Bosco, Scritti pedagogici, p. 329-330.

"Cfr. STELLA, Don Bosco nella simia economice, pp. 186-187.306; DESRAMAUT, Don Bosco,
pp. 31-32.

radores es la parroquin;63 para salesianos y salesianas, el Oratorio y las casas salesianas. Don Bosco es el primer encargado. Exige a sus colaboradores clima de familia, profunda religiosidad interior, visión religiosa del mundo, cooperación a la salvación de chicos y chicas. Así la respuesta de los jóvenes puede surgir espontánea, por la confianza reinante («hacerse amar»).

Este empeño es más personalizado e intenso si se trata de jóvenes llamados al sacerdocio o a la vida religiosa: los ayuda a desplazar gradualmente el acento desde la propia persona a las de los demás. Así la motivación acabará en entusiasmo y celo por la gloria de Díos y la salvación de las almas.66 Las motivaciones están refrendadas por el testimonio, por el compromiso con que se vive la propia vocación en lo concreto de la vida, proponiéndose como modelo de comportamiento." Uno se convierte en propuesta para los jóvenes que tienen las dotes oportunas. La corroboración de cualquier motivación es don de Dios; por ello, es necesario el recurso a la oración, los sacramentos, la piedad mariana, la dirección espiritual.

Dentro del ambiente hay que promover las asociaciones juveniles («Compañías» en términos de don Bosco), que son, entre otras cosas, el «sostenimiento de las vocaciones eclesiásticas y religiosas».68 Aplica esto también a los artesanos: «Procure cada hermano, con el buen ejemplo y la caridad, inspirar en los alumnos el deseo de formar parte de nuestra Sociedad»." Del mal ambiente reinante proviene el «que muchos no corresponden a su vocación»."
La vocación es una llamada de Dios, a la que el hombre responde. «Dios, en sus eternos designios, destina a cada uno a un género de vida y le da las gracias necesarias a ese estado», dice en El joven cristiano!' Por eso el prerrequisito esencial es moverse por motivos sobrenaturales" y certificar previamente la voluntad de Dios sobre la elección de estado. Lo repite muchas veces a jóvenes y clérigos."
Las condiciones para la vocación están indicadas en muchos lugares; baste recordar las enumeradas en Valentino o la vocazione impedita (1866): honestidad de costumbres, ciencia, espíritu eclesiástico, amor preferencial al sacerdocio por encima de cualquier profesión." El trinomio salud-estudio-piedad es
63 Cf. Reglamento, cap. 5.

66 Puede comprobarse en los consejos que da en las cartas E I, 131.162.298.372; IV, 10.13.

67 Cf. II, 52.

68 Cf. E III, 7-8.164.

69 MB XVIII, 700-701.

78 Cf. Carta desde Roma (1884), en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 293.

7' La primera edición de El joven cristiano es de 1847. Aquí seguimos la edición 121*, de 1891, que es la última revisada por Don Bosco, en la parte primera, letra D. Repite este pensa
miento en la Introducción a las Constituciones de los salesianos de 1874. Las Reglas primitivas
presentadas por don Bosco a Pío IX se hallan en MB V, 931-940. Los textos latinos de las de 1874, en MB X, 956-993.

7° Cf. E I, 371.

73 Puede comprobarse en E I, 150.411.589; II, 200; TIT, 476; IV, 89.142. " Cf. E I, 194.198.

indispensable." Una vez certificada la voluntad de Dios, y poseídas estas condiciones, hay que poner algunos medios para conservar esta llamada, como el temor de Dios," la práctica de algunas virtudes, como la alegría, la humildad, la caridad, la castidad. Hay que huir de los malos compañeros y del ocio, frecuentar los sacramentos y tener devoción a María. En términos generales, éstas son también las condiciones para ser admitidos como salesianos."
En el período de formación inicial pueden surgir dudas acerca de la vocación: han de ser rechazadas como tentaciones del demonio." Para sostener la vocación hay que emplear los medios naturales (salud, estudio)" y sobrenaturales (oración, meditación, sacramentos, cumplimiento de las Reglas, práctica de algunas virtudes: obediencia, castidad), llegando de esta manera a adquirir un porte eclesiástico en andar, vestir... Y hay que evitar los peligros: vacaciones, periódicos y libros malos, compañeros y conversaciones obscenas, ocio.8°
En el período de la formación permanente sólo enumera medios sobrenaturales: devota preparación y acción de gracias de la misa, meditación, visita al Santísimo Sacramento y lectura espiritual diarias, confesión frecuente, ejercicio
mensual de la Buena Muerte.81
En síntesis,82 podríamos afirmar: el proceso educativo culmina en la elección de estado. E1 proceso vocacional gira en torno e dos polos: un conjunto de elementos psicológicos, especialmente afectivos, que ligan al joven con don Bosco y a sus actividades: sobre esta atracción personal hay muchos testimonios.83 El segundo polo es el conjunto de elementos religiosos y transcendentes. El entregarse a Dios, atraídos por don Bosco, se convierte en atracción hacia el estado eclesiástico y religioso, eligiendo un estado de vida, que es correspondencia a la llamada de Dios, y del que depende el resto de la propia
vida terrena y ultraterrena. 7° Cf. E I, 543.580; EDI, 347.

76 Cf. E I, 194.198.

7° Cf. E I, 195-198.298.299.332; II, 293. Ver MB XI, 573-574; XVI, 264.

78 Así dice en la Introducción a las Constituciones de los salesianos. Texto en: BAC, 663
664. Cf E I, 275; II, 198.442; 111, 28; IV, 179.

7° Cf. Testamento espiritual, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 334; E I, 170.195-197; II,
318.422.

a° Santidad en general: E I, 379; II, 341. Oración, sacramentos: E I, 516; II, 84; III,
381.390.303.394; IV, 10. Cumplimiento de las Reglas: E I, 372; II, 106.120.365.446; IV, 299. Obediencia: E II, 115.238; III, 343. Castidad: E I, 118.127.132.146; Testamento espiritual, en:
Bosco, Scritti pedagogici, p. 330. Porte eclesiástico: E I, 194. En El joven cristiano y en la Introducción a las Constituciones de los salesianos y en los Recuerdos a los misioneros trata sintética
mente de los medios para conservar la vocación (textos en: BAC, 543-544 y 646-647 y en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 123). Peligros: Bosco, Scritti pedagogici, p. 330.

81 E II, 90; DI, 57.

87 Un resumen excelente y suficientemente amplio sobre ambiente, medios, peligros y fases en
la formación de las vocaciones es ofrecido por el mismo don Bosco en su Testamento espiritual:
Bosco, Scritti pedagogici, p. 317.331-334.

83 Cf. E I, 119-120.122-123 y MB V, 375-376; E I, 130-131.151.158.159-160.196.276; II,
57.58.62-63.311; DI, 247.579-580; IV, 10.164.

Podemos preguntarnos: ¿Hasta qué punto el joven se siente libre de don Bosco? Bastaría leer la carta del clérigo José Cagliero al arzobispo de Turín para descubrir los múltiples lazos que lo unen a don Bosco; per allí mismo afirma explícitamente: «Don Bosco me ha dejado siempre libre».84 (Pero fue don Bosco mismo quien redactó la carta, que se conserva autógrafa). Parece compatible atracción y libertad; baste un ejemplo. Escribe don Bosco al padre del joven Teodoro Harmel: «Yo querría que se quedase (su hijo); pero él insiste, y yo no puedo hacerle quedar por la fuerza».85


5. Perseverancia


Don Bosco era consciente de este problema; ante él adoptó una actitud de serena prudencia. Baste recordar esta recomendación a don Rua: «No te
extrañes de las deserciones de algunos hermanos. Es una cosa natural en el gran número ».86
¿Es posible individuar los tantos por ciento de perseverancia entre las vocaciones promovidas por don Bosco? A principios de 1875, en una conferenda al Consejo general, don Bosco dice que el 15%, dos sobre diez, llegan a vestir el hábito eclesiástico; pero que entre los que entran ya adultos ocho sobre diez toman el hábito eclesiástico." Hay otros datos del mismo don Bosco sobre perseverancia, pero parecen propagandísticos.88 Estadísticamente, y referidos a los salesianos, entre 1870-1875, de 471 novicios profesaron 170 = 36%, y abandonarían definitivamente la Congregación 124 = 26,6%." Se conocen bastantes casos concretos de abandono de salesianos, como los hermanos Cuffia, don Pirro, Berra, don José Betti, don Augusto Biancardi."
Y como curiosidad, podemos preguntarnos: ¿Cuántos sacerdotes salieron de los cuidados de don Bosco? El 29 de enero de 1878 escribe don Bosco a don Rua: «Di a Barale que los sacerdotes salidos del Oratorio son más de dos mil quinientos, entre el Oratorio y las casas anejas».91 Y el 14 de febrero del mismo año escribe a don Juan Bonetti: «Has indicado seiscientos sacerdotes salidos de nuestras casas, mientras que debías poner cuatro veces más ».92
84 Cf. E II, 58.

87 E IV, 162-163.

" Cf. E I, 424-425; MB XII, 387-388; XLII, 811-812.

87 Cf. MB XI, 33.

88 Por ejemplo, los comunicados a mons. Gastaldi en carta del 23 de noviembre de 1872 (E
II, 239-240 = MB X, 686-687), o los referidos en MB V, 408-412, o los enviados al canónigo de Marsella Clemente Guiol (E 111, 371= MB XIII, 735).

89 Más ampliamente en: STELLA, Don Bosco 111, p. 394; ID, Don Bosco nella storia económica, p. 319.321.

Cf. E I, 422; II, 394.407-408; III, 61; IV, 24.32.197.252. Es curioso el caso de don Guanella: E II, 423; III, 351.362-363.369.

81 E III, 284.

n E III, 296. Alude aquí explícitamente a un artículo vivaz de don Bonetti, aparecido en el


6. Afirmaciones conclusivas


1. Los consejos que da y el programa que propone coinciden con la tradición de la doctrina ascética tradicional aplicada a clérigos y religiosos.

2. Da la impresión de que don Bosco se cuida más de la cantidad que de la calidad; es decir, sacerdotes capaces de realizar las exigencias pastorales de sa
cramentalización y catequesis fundamentales.

3. Sería necesario un estudio pormenorizado de la educación impartida en
los seminarios diocesanos, que consintiera un juício sobre la originalidad de
don Bosco, si la hubiere.

4. La formación de sacerdotes y religiosos parece una de las obsesiones de
don Bosco; y es una herencia explícita dejada a toda su Familia: salesianos, sa
lesianas, cooperadores, misioneros.

5. De todos modos, es admirable que un hombre sin bases económicas fa
miliares, proveniente de un ambiente rural, sin contactos influyentes anteriores, haya sido capaz de mover tal masa de riquezas, obras y personas jóvenes o adultas en favor del estado eclesiástico y religioso. En términos religiosos esto
suele llamarse celo apostólico.

6. El tanto por ciento de perseverancia en tiempos de don Bosco no es
muy distinto del que arrojan las estadísticas actuales. La diferencia está entre las magnitudes o números de que parte, o de los que se ven impulsados por él
a iniciar el estado eclesiástico o religioso.

7. El problema de la atracción-libertad existió ciertamente, porque el imán
no puede perder su naturaleza; y la excelencia, como el bien, es difusiva. Es decir: don Bosco mismo resultaba la mejor propaganda vocacional.

«Bollettino Salesiano» de febrero de 1878, p. 4, titulado: «La Congregazione salesiana e le vaca
- zioni ecdesiastiche».

DON BOSCO
Y LA CULTURA POPULAR
DON BOSCO
EN LA HISTORIA DE LA CULTURA POPULAR EN ITALIA


Francesco TRANTELLO


1. Cultura popular y ámbito semántico


Hace algunos decenios, Luigi Russo, trazando un perfil de la cultura popular en Italia, observaba con pena que los mazzinianos no habían podido contraponer una cultura popular propia a la de sus adversarios, de modo que «el artificio de la cultura popular católica fue pasando a las venas de cada italiano»? Tomaba una vez más, polémicamente, según su estilo, el tema de la persistencia de este filón subterráneo de la cultura nacional, que se había manifestado en condiciones de resistir, como un zueco consistente, las numerosas transformaciones de la sociedad italiana y dotado de una autonomía propia sustancial respecto de las culturas de los grupos selectos. Un problema análogo había atraído la atención de otros muchos que se habían detenido en la historia de la cultura nacional bajo una óptica civil y política y que habían constatado la deforme polaridad permanente entre cultura popular y cultura de selectos. La cuestión, que se enlaza naturalmente con la de la influencia del catolicismo en Italia, va ininterrumpidamente desde Francesco De Sanctis hasta Antonio Gramsci, que le dedicará análisis precisos en el cuadro de su reflexión sobre los problemas del folklore, del «sentido común» y de la hegemonía.2 Adquiere más fuerza después de la guerra, casi siempre en la ola de las sugerencias de Gramsci, pero en el cuadro más general de los problemas planteados por las interpretaciones del fascismo y del predomonio político conseguido
por fuerzas católicas. Por último, ve un florecimiento reciente, conectado
con la proliferación de estudios antropológicos y del nuevo interés por la historia de las mentalidades o de las «culturas subalternas»?
1 L. Russo, Breve storia della cultura popolare, en «Belfagor» (1952) 708.

2 Sobre De Sanctis cf. especialmente: C. MUSCETTA - G. CANDELORO (eds.), La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a Napoli, Torino 1953, p. 231-245; para las notas de Gramsci, cf. V. GERRA'FANA (ed.), Quaderni del carcere, Torino 1975, vol. IV: índice de argumentos: «cultura popolare», «folklore», «letteratura popolare», «senso comune».

Cf. E. DE MARTINO, Intorno. a una storia del mondo popolare subalterno, en «Societá» (1949) 411-445; ID., Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, en «Societá» (1953)
Es preciso aclarar enseguida que el mismo ámbito semántico de la expresión «cultura popular» resulta afectado por oscilaciones y variaciones considerables, hasta el punto de que la historia del término podría ser no poco- instructiva y reveladora.4 Para el período de que nos ocupamos, es decir, en el contexto de la cultura del siglo XIX, la acepción generalmente aceptada de «cultura popular» aparece sustancialmente distinta de la que prevalece en la antropología cultural y en la etnología de nuestro siglo, como se diferencia igualmente de las más recientes definiciones de «cultura de masas». En todo caso, el sentido predominante de «cultura popular» a lo largo de buena parte del siglo XIX es el que consiente emparejarlo con otras expresiones análogas, con «educación popular», «instrucción popular», «literatura popular», y hasta, con una extensión que abre un abanico de otras cuestiones, «religión popular». Siguiendo este uso, que es, por otra parte, precisamente el que hizo don Bosco, hablaremos de «cultura popular» en el sentido preferente de cultura para el pueblo, de la que el pueblo es el destinatario principal. Lo que no excluye que podamos preguntarnos acerca de los 'efectos de las posibles interacciones entre «aquel» tipo de cultura popular y la persistencia de una cultura popular en sentido antropológico; y tampoco excluir cualquier enlace o continuidad entre «aquel» modo de entender la cultura popular y algunos aspectos de la cultura de masas de una etapa posterior.

2. Cultura popular y proceso de alfabetización


El modo con que se planteó en el siglo XIX la cuestión de la cultura popular está directa y naturalmente conectado con el imponente fenómeno de alfabetización y de escolarización generalizado, aunque todavía parcial, es decir, con el acceso a la lectura y a la escritura de una parte cada vez más amplia de los estratos populares? La palabra escrita y la palabra impresa fueron el principal, aunque no exclusivo, vehículo mediante el que se proyectó entre el pueblo una cultura, es decir, un conjunto de conocimientos y valores que no era en su origen «popular», ya que provenía de categorías sociales y de instituciones formativas «especializadas» y dedicadas a objetivos colectivos. El primero y más evidente de ellos fue la construcción de la nación (nation-building) desde
318ss.; B. BOTTA - F. CASTELLI - B. MANTELLI (eds.), La cultura delle classi subalterne fra tradizione e innovarione. Atti del convegno di studi di Alessandria del marzo 1985, Alessandria 1988. Cf. A. PORTELLI, Culture popolari e cultura di massa, en: G. DE LUNA - P. ORTOLEVA M. REVELLI - N. TRANFAGLIA (eds.), Il mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca,vol. HL Fi
ren7e 1983, p. 1470-1490; A. NESTI, Culture popolari e complessitá sociale, en: La cultura delle classi subalterne, p. 65-84.

5 D. BERTONI jOVNE, Storia della scuola popolare in Italia, Torino 1954; L. DALLE NOGARE (ed.), Quando il popolo cominció a leggere. Mostra dell'alfabetizzazione e diffusione della lettura in Lombardia, Monza 1973; C.G. LACAITA, Istruzione e sviluppo industriale in Italia (1859-1914), Monza 1973; E. DE FORT, Storia della scuola elementare in Italia, vol. I, Milano 1979.

un punto de vista cultural: que, sin embargo, por la especial situación histórica italiana, no se identificó con la construcción del Estado. Además, muchas investigaciones, hechas sobre todo en estos últimos años, han llamado la atención sobre otras dimensiones, no menos significativas, que adquirió la idea misma de cultura popular, como momento relevante del proceso de desarrollo y de modernización sociocultural posterior y consiguiente a la unificación na
cional.6
Estas sencillas constataciones permiten poner de relieve la naturaleza exce
sivamente compleja y los efectos, en algunos aspectos contradictorios, en el proceso de «elevación» cultural de las clases populares, que fue al mismo tiempo factor de liberación y de promoción social y factor de homologación, de disciplina y,si se quiere, de adoctrinamiento, en cuanto orientado a la difusión de sistemas éticos y de visión del mundo, además de conocimientos y de habilidades, guiados desde arriba. Desde este punto de vista, la difusión de la cultura popular en el siglo XIX tuvo lugar también (y no podía ser de otro modo), a costa de un profundo trastorno y a veces de una verdadera destrucción de culturas populares originales, de la que resultó el forzado y parcial injerto de la lengua nacional en los dialectos locales. Es sólo uno de los ejemplos
posibles.

Todo esto hay que tenerlo presente, al menos por tres razones. La primera, más general, es que hasta entonces ciertos lazos profundos, aunque no
unívocos, habían unido la religión católica con las culturas antropológicas que
estaban empapadas por la nueva cultura popular llevada desde la escuela y la prensa. La segunda razón es que los instrumentos y las instituciones que pre
sentaban al pueblo la divulgación de la cultura contenían un impulso modernizados, aun independientemente de los «contenidos» de los mensajes que difundían: producían con su mera existencia procesos de transformación cultural que tocaban de modo directo la transmisión y la preservación de las culturas tradicionales. La tercera, más decisiva, es que el terreno de la cultura popular iba siendo un campo potencialmente abierto a la convergencia y al conflicto de principios éticos y de sistemas de ideas y de imágenes del mundo, que venían a amenazar por primera vez, de modo global, la influencia y el control que en él ejercía la Iglesia y su estructura institucional capilar.

La percepción precoz de la naturaleza radical del reto inherente a las instituciones, a los instrumentos y a los contenidos de la cultura popular explica mejor que otras consideraciones el delinearse del conflicto, sentido como conflicto «religioso», entre la Iglesia y las modernas ideologías: el liberalismo, visto como ideología de un Estado que entraba en competencia con la Iglesia
6 Cf. G. ARE, Il problema dello sviluppo industriale nell'etá della Destra, Pisa 1965, p. 253ss; S. LANARO, Nazione e lavoro. Saggio salla cultura borghese in Italia (1848-1876). Anticlericalismo, libero pensiero e ateísmo nena societá italiana, Bari 1981; S. PrvATo, Movimento operaio e istruzione popolare nell'Italia liberale, Milano 1985; C. OSSOLA, Introduzione a: C. CANTO, Portafoglio
di un operaio, Milano 1984.

en el plano educativo-cultural, y el socialismo, como cultura estructuralmente conectada con la vida de las clases subalternas y sentida, precisamente por esta razón, como una amenaza, llevada al catolicismo en su propio terreno, de asedio y radicalismo sobre el pueblo.

Las reacciones de los que vieron, durante la Restauración, y ante todo en ella, un atentado contra el orden tradicional son sintomáticas del carácter problemático que la cuestión de la cultura popular suponía para los principios del catolicismo italiano.

Fue la fase de los rechazos con marca reaccionaria a la idea misma de que la instrucción se extendiese a las clases populares.'
Pero la contraposición entre religión tradicional y «nueva» cultura popular no podía sostenerse frente al impulso de los tiempos y a la acción generalizada de difusión de la instrucción, realizada, con frecuencia, por miembros eminentes del clero y de especificas órdenes y congregaciones religiosas. El terreno de la contienda se fue desplazando, hasta perfilarse de manera más precisa, en el cuarto y quinto decenio del siglo, sobre los contenidos, los instrumentos y los perfiles institucionales de los movimientos orientados hacia la educación popular y a la divulgación de la cultura entre el pueblo.

Los primeros signos de la contienda, que duró con muchas formas todo el siglo XIX, se ven con claridad en términos esenciales en el ambiente en el que se sitúan la formación y las primeras actividades de don Bosco: el Piamonte moderadamente reformador de la época de Carlo Alberto, como muestran, por ejemplo, las diferentes orientaciones que, en materia de educación y de cultura popular, se fueron asumiendo en el grupo reunido alrededor de las «Letture di Famiglia» de Lorenzo Valerio, ligado a la «Guida dell'Educatore» de Raffaello Lambruschini y Giampiero Vieusseux, y el del «Educatore Primario», del estilo de Aporti y Rosmini.8 Pero se trataba sólo de los primeros avisos de un hecho de carácter conflictivo más marcado en orientaciones y objetivos, que iría acompañado y teñido en profundidad por los avances de la laicización del Estado de Saboya en la época de Cavour, el nacimiento del Estado unitario y liberal, el siguiente primer paso, parcial y discutido, de un desarrollo en sentido moderno de la sociedad italiana. En este hecho la figura de don Bosco merece alguna atención aun como promotora de cultura popular, por las razones que intentaremos aclarar.

7 Cf. G. TALAMO, Questione scolastica e Risorgimento, en: G. CFnosso (ed.), Scuola e stampa nel Risorgimento. Giornali e riviste per l'educazione prima dell'Unita, Milano 1988, p. 13ss; un cuadro más general en: G. VERUCCI, Per una stork del cattolicesimo intransigente in Italia dal 1815 al 1848, en: I cattolici e il liberalismo dalle «Amicizie Cristiane» al modernismo, Padova 1968.

8 G. CHIOSSO, L'educazione del popolo nei giornali pienzontesi per la scuola, en: Scuola e stampa, p. 34s; ID., L'Oratorio di don Bosco e il rinnovamento educativo nel Piemonte carloalbertino, en: BRAIDO (ed.), Don Bosco nella Chiesa, p. 83-116. Cf. también: L. BULFERETIT, Socialismo risorgimentale, Torino 1975; D. BERTONI JOVINE, I periodici popolari del Risorgimento, vol. I, Milano 1959; G.M. BRAVO, Torino operaia. Mondo del lavoro e idee sociali nell'etá di Carlo Alberto, Torino 1968.

3. Dos figuras: Cantil y Bresciani


En la historia de la cultura popular de clave católica, asumieron un significado casi simbólico dos figuras, sobre todo por la atención que les dedicaron los dos grandes intelectuales políticos ya recordados. Son Cesare Cantil, considerado por Francesco De Sanctis como el iniciador de una corriente de literatura popular situada en la línea de «descomposición» de la escuela de Manzoni y la católico-liberal,9 y el padre Antonio Bresciani, tomado por Antonio Gramsci como modelo de una tradición de literatura popular católica destinada a hacer brotar en pleno siglo muchos secuaces.1° Pero la historiografía reciente ha desplazado en parte la óptica que aplica al mirar el conjunto de la producción del siglo XIX destinada al pueblo, poniendo en el centro de los propios intereses no ya sólo las obras que pertenecen al género literario, sino el acervo de publicaciones, comprendidas las de literatura, dirigidas a la promoción de la cultura popular en los diversos aspectos. Nos preguntamos en especial sobre el sentido y el grado de los cambios en la ética colectiva perseguidos más o menos conscientemente por las diversas tendencias de esa multiforme producción destinada al pueblo. De esa revisión ha salido afianzada y en cierto sentido consolidada la importancia de la obra de Cantil, recorrida con ojos especialmente atentos por los rasgos que la insertan en el filón franldiniano o del self-help y la conectan, al menos en parte, con una «nuova committenza» industrial bien representada por la figura de Alessandro Rossi.n Por lo demás, el caso Candi parece que se presta eficazmente al relieve de la función mediadora determinante entre una ética tradicional levantada sobre la religión, y las nuevas exigencias de aculturación popular, que fue llevada adelante por hombres y grupos católico-moderados.n En este cuadro, la figura de Cantil se viene a encontrar situada en una pléyade de autores parecidos a él, aunque dotados de fama notablemente inferior.0 Por consiguiente, la reflexión historiográfica ha ido tomando cada vez en mayor consideración, más que a cada autor, el aspecto de la producción editorial, de su difusión y de su público,
9 F. DE SANCTIS, La scuola cattolico-liberale, p. 202ss; sobre sus huellas, B. Croce (Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Bari 1947, vol. I, p. 197ss) colocó también a Cantil entre los
«sviati della scuola cattolico-liberale».

A. GRAMSCI, Quaderni del carcere IV, p. 2195ss. Cf. también: L. BEDESCHI, Letteratura popolare e murrismo, en «Humanitas» (1972) 846-862; A. FERRARI, Bresciani A., en: Dizionario del movimento cattolico in Italia (1860-1980), Casale M. 1984, vol. M/1, p. 130s (Abreviatura:
DSMC).

OSSOLA, Introduzione, p. 20ss.

G. GINZBURG, Folklore, magia, religione, en: Storia Einaudi, vol. I: I caratteri origi
nan Torino 1972, p. 666-668; LANARO, Nazione e lavoro, p. 98s. Para un cuadro más general, G. BAGLIONI, L'ideologia della borghesia industriale nell'Italia liberale, Torino 1974, p. 309-365;
G.. BOLLATI, II carattere nazionale come storia e come invenzione, Torino 1983.

13 OSSOLA, Introduzione, p. 38ss.

abriendo además interrogantes sobre el «mercado» real y sobre la real penetración de ese género de obras en el pueblo."
La apertura de tales horizontes historiográficos ha tocado de momento sólo marginalmente la obra y las iniciativas de don Bosco en el campo de la cultura popular." Esto, a mi modo de ver, por dos razones principales: la dificultad de situar al personaje dentro de referencias historiográficas bien delineadas y la relativa «extrañeidad» del filón salesiano en el cuadro de la historia religiosa y civil nacional.

4. Características de la experiencia de don Bosco


El relieve no precisamente episódico de la obra de don Bosco en el campo de la difusión de la cultura popular, se refiere tanto a los contenidos y los objetivos educativos en los que se inspiró preferentemente aquella obra, como a la elección de métodos, de instrumentos y, sobre todo, de estructuras a que recurrió.

Para el primer aspecto, puede ser útil hojear la obra de don Bosco a la luz de las observaciones críticas de Francesco De Sanctis a propósito de Canta: «Se ha creído que para hablar al pueblo bastaba presentar parábolas, ejemplos, relatos, anécdotas, novelas, es decir, la parte sensible de lo cognoscible, y no otras cosas. Y que no era necesaria la lógica al escribir». Lo que De Sanctis criticaba en la literatura popular de su tiempo, en Taverna, Parravicini, en el mismo Cantil, era el amontonamiento de «conocimientos útiles», de noticias enciclopédica y desordenadamente hacinadas, de exhortaciones morales confiadas a sugerencias flojas, y, en cambio, la falta de un diseño, de «una idea madre dominante»." Don Bosco parece sensible al mismo problema. En su obra resulta acentuada la búsqueda de un eje, o de varios, que sirva de referencia y que sea capaz de imprimir al conjunto un cierto signo de unidad, un carácter más acentuado de mensaje organizado.

He tratado de demostrar en otro lugar que esta idea-madre existe, por ejemplo, en su Storia d'Italia. No se trataba, desde luego, de una idea nueva, porque reproducía una lectura de la historia nacional en la que se veían claramente las raíces de la cultura católica de la Restauración. Era una representación de la historia de Italia, radicalmente conexa con la presencia del papado y de la Iglesia, según una visión clásicamente güelfa y pontificia y sostenida por
" Está atento a estos aspectos: G. VERUCCI, L'Italia laica, p. 116-178.

" Se encuentran muchos datos sobre el tema en: P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980, y en: L. GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche» di don Bosco esempio di «stampa cattolica» nel secolo XIX, Roma 1980; más específico: S. PIVATO, Don Bosco e la «cultura popolare», en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella stork della cultura popolare, Toríno, SEI 1987, p. 253-287.

16 DE SANCTIS, La scuola cattolico-liberale, p. 235.

una apologética católica de tipo específicamente social y civil: la verdadera religión sirve en grado máximo a una vida terrena feliz para los individuos y un desarrollo ordenado de la comunidad.

Lo que don Bosco añadía como suyo era la construcción de un continuum entre la historia «alta» de las instituciones y las autoridades y la historia de los humildes, en la que las reglas sencillas y estables de la moral y del sentido común, puesta de manifiesto mediante los exempla y tos episodios edificantes o aterradores, se conectaban orgánicamente con los aspectos centrales del dogma, de la ascética, de la piedad católica y con una eclesiología centrada sobre el primado de la autoridad pontificia.'' En don Bosco se daba el intento de unir el fondo moralizante del sentido común con una visión de la religión católica, momento básico de la vida asociada, organizada alrededor de algunos símbolos centrales, y por eso más eficaz también como «ideología difusa». Todo esto configuraba, como se ha hecho notar," un intento de responder, partiendo de los datos elementales y tradicionales del ethos católico-nacional, a la reducción institucional y cultural del espacio religioso-edesial realizado por el Estado laico y la proliferación de las opiniones y diversas formas de fe.

El punto crítico de la obra de don Bosco hacia la cultura popular era su insistente lejanía de la dimensión política, que reflejaba una aplicación marcadamente tradicionalista del principio de autoridad de tipo providencial-naturalista, sobre el modelo paterno, y tendía a proyectar todo el mundo del poder en una esfera inalcanzable y extraña a los intereses de las clases populares, en una óptica de sumisión escrupulosa. Esto permitía a don Bosco predicar la adaptación «a cualquier clase de leyes y de Gobiemo»," y, por tanto, una lealtad fundamental, lejana, por ejemplo, de los extremos subversivos de los católicos intransigentes; al mismo tiempo, le permitía dar una aplicación a larga escala al principio de la identificación inmediata y natural entre un buen católico y un buen ciudadano, en donde el radio de la «buena ciudadanía» se entendía delimitado por los comportamientos que se levantaban sobre las buenas costumbres de la persona y sobre las virtudes predicadas por la moral católica.

Ciò ha provocato un atteggiamento piuttosto singolare, ma sintomatico, nei confronti del quadro istituzionale che rappresentava lo stato unitario liberale. Qui, gli aspetti di adattamento e il rispetto delle sue regole erano accanto alla coltivazione di un complesso articolato imperativi e doveri presi dal cattolicesimo, proposto come un sistema etico alternativo di liberale morale o socio
"Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, pp. 81-111.

18 PIVATO, Don Bosco e la "cultura popolare", p. 256s.

"P. urlò, L'Esperienza pedagogica di Don Bosco, Roma, 1988, p 79. Cfr anche G. COSTA, Don Bosco e la giovanile letteratura dell'Ottocento in:. Tuonò (ed.), Don Bosco nella Chiesa, p 341;. P. Scoppola, Don Bosco nella storia civile in Don Bosco e si SFIDE della modernità (Quaderni del Centro Studi "C. Trabucco', 11), Torino, Stabilimento Poligrafico Editoriale" C. Fanton' 1988, p. 14s.

elenco, ma non mi mancano i cambiamenti di mentalità e valori di una società nella fase di trasformazione capitalista e nazionalizzazione delle masse. Nel caso di Don Bosco, ci troviamo, quindi, di fronte a un momento
significativo della storia di etica cattolica. A questo proposito, meritano attenzione almeno due punti: il cui aspetto è stato definito etica del lavoro produttivo e l'insistenza su un modello di santità per tutti intrinsecamente legata al rispetto delle funzioni inerenti lo stato e si condizione sociale

Sul tema del lavoro in Don Bosco è stato scritto molto, soprattutto in
periodo recente, 2 'e non saprei come aggiungere nulla alle osservazioni corrette fatte da altri. Sintetizzare queste note dicendo che il lavoro tende a Don Bosco a prendere un nuovo valore educativo, in particolare perché l'immagine gli offrì in parte diverso da quello presentato come condanna o della pena, ad acquisire un senso più pieno di creatività e auto-promozione personale e un senso più accentuato di utilità e dovere sociale. Inoltre, nel sistema educativo di Don Bosco, il lavoro svolto con diligenza e precisione, rende "lieve affaticamento" introdotto in una percezione ordinata del tempo, l'interiorizzazione delle regole di precisione, la disciplina, la collaborazione, tendono sviluppare in senso produttivo e socializzante, in una schietta accettazione dell'economia di mercato, ma con il
, Rectives of Solidarity and Mutualist Associationism 22
L'etica del lavoro era inoltre connessa direttamente all'istituzione
educativo-popolare di Don Bosco, con la pretesa di uno speciale insieme di nuovi modelli di santità in molti aspetti. Il profilo dell'universo agiografico di Don Bosco non è solo il favore che è stato dato alle componenti, per così dire, attivisti dei grandi santi nella storia della Chiesa, 23 ma
anche il disegno di un obiettivo di santità personale che tutti dovrebbero e
possono accedere senza l'esercizio di particolari virtù di una forte volontà e una tenace perseveranza nel compimento dei doveri inerenti viene richiesto di possedere estado.24 Nel biografico Cenno sul Giovanetto Michele Magone, Don Bosco raccomandava "monitorare con grande interesse sono praticate cose facili, che non spaventano e non affaticano il fedele cristiano, specialmente il giovane [... J. Let 's bastone alle cose facili, ma fatevi a perseverare
20 P. Bairati, salesiano e Cultura societ, i Industriale di: Traniello, Don Bosco nella storia della cultura Popolare, pag. 322ss; F. TRANIELLO, Don Bosco e il problema della modernità, in: Don Bosco e le sfide, p. 39-46.

21 BAIRATI, Cultura salesiana, in: TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 337ss .; L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886), in: Ibid., P. 29s; D. VENERUSO, IZ metodo educativo di san Giovanni Bosco alia prova. Dai laboratori agli istituti professionali, in: BRAMO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa, p. 133-142.

BAIRATI, Cultura salesiana, p. 339s.

23 F. MOLINARI, La "Storia Ecclesiastica" di Don Bosco, in: BRAIDO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa, p. 216S.

24 Su tutti questi aspetti ci sono dati importanti in: STELLA, Don Bosco II, p. 205ss.

cia». -En la Vita di Santa Zita serva e di Sant'Isidoro contadino, publicación anónima de las «Letture Cattoliche» (sobre las que volveremos), se encuentra
escrito, de modo aún más explícito: «¿De cuántas cosas, pues, tenemos necesi
dad para hacernos santos? De una sola cosa: hace falta quererlo. Sí; con tal de que lo queráis, podéis ser santos: no os falta más que querer. Los ejemplos de
los Santos, cuya vida nos disponemos a poner ante vuestros ojos, son de per
sonas de baja condición que han vivido entre las tareas de una vida activa. Obreros, agricultores, artesanos, mercaderes, criados, jóvenes, se han santifi
cado cada uno en su propio estado. ¿Y cómo se han santificado? Haciendo bien todo lo que tenían que hacer. [...] En la vida de los Santos, que la Iglesia nos propone como modelo, veremos a veces hechos extraordinarios y acciones asombrosas: pero debemos tener presente que no son esos hechos ni esas acciones los que los han hecho santos, sino su fidelidad en el servicio de Dios y en el cumplimiento de los deberes de su estado»."
Me parece que se puede estar de acuerdo con que en esta imagen de la santidad estaba como escondido un germen anticipador y al mismo tiempo una interpretación unida a la tradición moral católica, del «sistema del precepto» divulgado después también en Italia desde la literatura smilesiana del «querer es poder».26
Será hasta fácil encontrar el componente conservador en el plano social de la llamada de don Bosco a la resignación y la aceptación del propio estado que figuraba en la idea de una ascesis confiada al respeto riguroso de los deberes inherentes a la propia condición, en oposición radical a cualquier impulso de «envidia social». Pero tampoco se pueden despreciar los dit' iamismos potenciales implícitos de aquel modelo de autopromoción voluntarista a la santidad por lo que contenía de llamada a la responsabilidad personal y a la dignidad casi sagrada del propio quehacer en el mundo, especialmente en el plano de la actividad del trabajo. El modelo de santidad según don Bosco, si por una parte aparecía funcional con una imagen de orden social rigurosamente jerarquizado y orgánico,27 exigía, sin embargo, la adquisición de la conciencia de la importancia del bien obrar según reglas «profesionales», cuyos efectos entraban a la larga en colisión con la imagen de un orden estático, fijado providencialmente para todos y para siempre. El envoltorio conservador de la ética de don Bosco contenía siempre los impulsos de una ascesis intramundana destinada a proyectarse en el plano histórico y social.

25 Cf. GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 96.

26 Era el título de la obra de M. Lessona editada en Turín (1869), precedida, hacía poco
tiempo, por la traducción de S. SMILES, Self-Help, realizada por G. Strafforello, y publicada con el
título: Chi si aiuta Dio l'aiuta (cf. VERUCCI, laica 119ss.), y seguida por Chi dura la vince de
P. Lioy, en 1871. En el caso de don Bosco, se podría también hablar de un «orientamento pre
ventivo» a la santidad entendida como impulso a la elevación social implícita en la moral laica y
liberal del «éxito personal»; con todo, quedan elementos específicos de semejanza entre las dos
ascéticas voluntaristas.

G.F. VENÉ, Letteratura e capitalismo in Italia dal Settecento ad oggi, Milano 1963, p. 276ss.

El tema de las relaciones entre don Bosco y la cultura popular comprende necesariamente todos los problemas relativos a su sistema educativo, a la metodología y a las instituciones formativas realizadas por él. No tocaré estos puntos, que se tratan en otra parte de este congreso, sino para señalar el relieve que asume en la obra de don Bosco la integración de formas educativas plurales, y donde la cultura se entiende también como socialización: pienso en
el papel de la música canlicoratdel teatro (en el que hay que ver una
aplicación «popular» de una tradición marcadamente jesuítica) o en el papel de la educación fisica y, sobre todo, de la gimnasia.28
Querría, en cambio, detenerme sobre otro aspecto que considero central y que definiría en estos términos: la circularidad entre instrumentos de difusión de la cultura popular y plataformas institucionales del «mundo salesiano».

Bajo este perfil, la obra de don Bosco no parecería distinguirse ni por la fundación de una congregación especialmente entregada a la instrucción popular, porque ejemplos del mismo género no faltaban a su alrededor, ni por las intervenciones de amplio radio realizadas en el campo de la difusión de la «buena prensa» y de la producción editorial, campo en el que el mundo cató
I líco del siglo presentaba una vitalidad propia.29
Fi proyecto que se va delineando en don Bosco, como consecuencia de la evolución de su experiencia educativa, fue más ambicioso: no sólo por el hecho de que la prensa como vehículo de cultura popular fue ideada como parte de una instrumentación pedagógica con muchos registros, sino sobre todo por su inserción en un plan institucional que le dotaba de los objetivos y los principales canales de difusión y que, en términos concretos, era la comunidad y el mundo salesiano.

Don Bosco intuyó que la producción de prensa para el pueblo tenía que contar con la inexistencia sustancial de un mercado en condiciones de absor
berla, como demostraban, por ejemplo, en el ámbito piamontés, la difusión limitada de las «Letture» de Valerio o del «Amico della Gioventú».39 La pro
28 PrvAro, Don Bosco e la «cultura popolare», en: TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 280-282, y también: ID., Letteratura popolare e teatro educativo, en: DSMC 1/1, 296-303. Pivato pone de relieve que la preferencia dada a la gimnasia indicaba una concepción de la educación física más centrada en la disciplina de grupo que en la competición individual. Yo notaría, por otra parte, que, aun en este caso, se trataba de un «primado» ampliamente aprobado por las corrientes pedagógicas laicas (cf. VERUCCI, L'Italia laica, p. 126), y añadido después como materia obligatoria en la escuela. Por lo que se refiere a la importancia de las asociaciones y de las actividades gimnásticas en el marco de la nacionalización de las masas, se debe consultar: G.L. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di masca in Germania (1812-1933), Bologna 1975, p. 146ss.

29 E. VALENTINI, Don Bosco e l'apostolato della stampa, Torino, SEI 1957; F. MALGERI, La stampa quotidiana e periodica e l'editoria, en: DSMC 1/1, 273 ss; GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 71ss.

30 Se encuentran datos abundantes acerca del «Amico della Gioventú», del que don Bosco
ducción de una prensa popular es para don Bosco una actividad que debe integrarse y sostenerse por un cuadro organizativo adecuado y que no puede pretender ser remunerativa desde el principio. Las primeras experiencias de don Bosco en el campo editorial son fundamentalmente de tipo escolar, aun presentándose con caracteres de «utilidad» para «toda clase de personas», como lo demuestran los ejemplos de la Storia sacra, de la Storia ecclesiastica y, después, de la Storia d'Italia, además del diálogo sobre el sistema métrico decimal; o bien incluidas en el círculo de la literatura de piedad y de devoción, especialmente dedicada a los jóvenes.” Al producir libros destinados en su mayor parte a la escuela, don Bosco captaba una exigencia real y muy sentida también a nivel politico y que había sido descuidada mucho tiempo?' Pero es el cambio de clima político y cultural que sigue a 1848, la libertad de prensa, la gradual laicización del Estado, la difusión de la propaganda protestante, lo que motiva el ingreso de don Bosco en el campo de las ediciones populares,
con un radio de difusión notablemente más vasto que el de las escolares.33
ejemplo más próximo en el que podía fijarse don Bosco, a propósito, era el de la «Conexione di buoni libri a favore della religione cattolica», editada desde septiembre de 1849 por los «Eredi Botta», en entregas quincenales, pero a un precio aún demasiado alto de 6 liras anuales.34 El estímulo más directo para
descender al campo, lo recibió del episcopado piamontés, y especialmente del obispo Moreno, con el que don Bosco proyectaba hacia 1851-1852 una «Pic
cola Biblioteca popolare» de la que tomó la puesta en marcha en 1853 la em
presa de las «Letture Cattoliche».35
fue «gerente responsabile», en: STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 345s.

" Ibid., p. 331ss. Sobre la importancia editorial de la literatura devocional en la Lombardía de la Restauración, cf. M. BERENGO, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino
1980.

32 Un modo muy frecuente de difundir los libros consistía en introducirlos en la escuela como
textos de lectura y para premios: un camino que recorrió don Bosco, el cual, sin embargo, no consideraba su Storia d'Italia un libro propiamente escolar (cf. Peruzzi, mayo 1863, en: E I, 269- 271 y MB V, 503). Cf. sobre el grave problema de los libros de texto escolares: VERUCCI, L'Italia laica, p. 173; D. BERTONI JOVINE, Storia della didattica dalla legge Casati ad oggi, Roma 1976, vol. I., p. 173-191 y vol. II, p. 621-641; G. CANESTRI - G. RICUPERATI, La scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Torino, Loescher 1976, p. 66ss; I. PORaANI, Il libro di testo come oggetto di ricerca i manuali scolastici nell'Italia post-unitaria, en: Storia della scuola e storia d'Italia dall'Unita a¿
oggi, Bari 1982, p. 237-271.

" Sobre el incremento de la actividad editorial y tipográfica en el Turín de la época cavou
liana, cf. F. TRANIELLO, Torino: la metamorfosi di una capitale, en: Le capitali pre-unitarie, Atti de LIII Congresso di Storia del Risorgimento (Cagliari 10-14 ottobre 1986), Roma 1988, p. 65-112 Un indicio de las nuevas posibilidades de la imprenta lo dio el éxito de la «Gazzetta del popolo» que, según los datos presentados por B. GARIGLIO (Stampa e opinione pubblica nel Risorgimento La «Gazzetta del popolo» (1848-1861), Milano 1987, p. 11), alcanzó, antes de la Unidad, 14.00(
suscriptores.

STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 348; GIOVANNINI, Le «Letture cattoliche»
p. 76s.

33 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 351s.

La iniciativa lanzada con la reedición de los Avvisi al Cattolici, ya publicados en 1850, y después con II Cattolico istruito nella sua religione, aun perteneciendo a un filón ya histórico de buena prensa que se remontaba al menos a las «Amicizie cattoliche», se distinguía, sin embargo, por algunos aspectos especiales. Los fascículos quincenales (y después mensuales), de formato de bol-sino, tenían un precio muy bajo, entre 10 y 15 céntimos, con una suscripción semestral que costaba 90 céntimos, sin gastos de correos, y una lira treinta con esos gastos, y con fuertes descuentos para las suscripciones numerosas.36 De la colección formaba también parte un almanaque anual, Il Galantuomo. Era una gran preocupación para don Bosco que el estilo y el lenguaje fuesen muy sencillos.37 La intención era ofrecer un vehículo de instrucción religiosa, pero entendida en un sentido muy amplio y casi omnicomprensivo, que iba desde los aspectos dogmáticos, sacramentales, doctrinales a los escriturísticos, de historia de la Iglesia, de hagiografía, de devoción, culto y liturgia, relatos edificantes, especialmente de conversiones, apologética y polémica antiprotestante (especialmente en el primer decenio),38 la ilustración de temas y sucesos contemporáneos que se referían a la vida de la Iglesia: los bienes eclesiásticos, el poder temporal, el matrimonio civil, el dogma de la Inmaculada, el concilio Vaticano, etc. Los géneros literarios usados eran de lo más variado: catequístico, parenético, dialógico, novelístico, dramático, tratados bajo la forma de breves «entretenimientos».

El fin del empeño era evidentemente afianzar, pero tal vez también suplir la formación religiosa muy deficiente que daba el clero con cura de almas, mediante un instrumento dotado de continuidad periódica y de fácil uso también en estratos sociales sin conocimientos de literatura y hasta analfabetos, mediante una lectura hecha por otros. Aunque la colección, en su conjunto, dé la impresión de no abarcar campos y métodos especialmente escogidos, se presentaba con el deseo de adaptar y orientar el mensaje a los diversos estados y condiciones de vida, con atención especial a las figuras de mujeres (la madre de familia, la esposa, la viuda, la criada) o juveniles (el huérfano, el peón, el pastorcillo, el joven que entra en el mundo) y a las realidades rurales o artesanales (el campesino, el pastor, el zapatero, el ebanista);" pero no sin intención
36 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 358. Es posible hacer una comparación con el precio de los fascículos mensuales editados por la «Libreria propaganda», cercana a los ambientes anticlericales de la «Gazzetta del popolo»; para suscribirse era preciso pagar 0,50 liras mensuales ó 6 liras anuales (cf. GARIGLIO, Stampa e opinione pubblica, p. 152).

37 GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 87.

" Ibid. 92ss; M. STRANLERO, Don Bosco e i Valdesi. Documenti di una polemica trentennale (1853-1883), Tocino, Claudiana 1988.

" STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 355s, donde se subraya que las «Letture Cattoliche» estaban orientadas a los jóvenes «dei ceti popolari e in particolare quelli delle aree rurali in rapport() migratorio periodico con la metropoli». Parece que se puede advertir, sin embargo, cierta evolución, a medida que aumentan, entre los suscriptores, los individuos provenientes de Lombardía y Venecia.

de ofrecer reglas a todo el universo cristiano-popular visto en su conjunto,
como en el caso del Porta teco cristiano, «o avisos importantes en torno a los deberes del cristiano, para que cada uno pueda conseguir la propia salvación
en el estado en que se encuentra».4° Del acervo correspondiente de temas, de estilos, de autores, se delinea un diseño, la imagen de una vida según la religión católica, cuyo impacto en la historia de las ideas fue muy amplio a la larga, y que hay que poner en relación con la continua expansión de las estructuras y la influencia salesiana, aunque sin encerrarla dentro de sus limites.

Un paso significativo en la creación de un sistema integrado, en el que el ciclo de la redacción, de la producción y de la difusión tendía a cerrarse, es
tuvo constituido por la transición de la impresión confiada a tipografías exter
nas, especialmente Paravia y De Agostini, a la imprenta del Oratorio: paso que tuvo lugar en 1862.4' Más significativa aún es la atención intensa que don
Bosco ponía en los problemas de la circulación. Estudios recientes han consentido llevar a cifras más realistas y más precisas, respecto a las que se tenían, la entidad de las tiradas de las «Letture Cattoliche» y de los libros de don Bosco; pero han confirmado también la sustancia de una difusión mucho más
amplia que la de publicaciones católicas, para el pueblo, análogas. Se sabe que los casi 3.000 ejemplares de la tirada inicial de las «Letture Cattoliche» fueron
insuficientes para satisfacer la demanda con la necesidad de reimprimir varios
fascículos.42 Pietro Stella ha hecho notar que, después de una cierta disminución debida también a la crisis económica de Piamonte en 1854-1855, se veri
ficó un constante incremento de tiradas de las «Letture Cattoliche», de los casi 5.500 ejemplares de media después de 1857 a más de 8.000 en 1860 y 15.000 en los años siguientes a la unificación.'"
Pero II Galantuomo tenía siempre una tirada próxima al doble de la media; y las producciones de mayor éxito, excluyendo también las obras utili
zadas en las escuelas, tuvieron frecuentes reimpresiones y reediciones: la Chiave del Paradiso, librito impreso en 1856 con 6.000 copias iniciales, tuvo más de cien ediciones en diversas lenguas con un total, según parece, de
800.000 ejemplares.44
En cambio, tenemos informaciones todavía relativamente escasas sobre el
área .y los ambientes de difusión de las «Letture Cattoliche» y, en general, de la producción salesiana. Los datos de que disponemos indican, al menos hasta los años 70, un área más bien limitada a los territorios de los antiguos Estados
40 GiovANham, Le «Letture cattoliche», p. 149s.

41 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 366s.

42 Ibid., p. 358-361.

43 Ibid., p. 361-365; ofrece cifras un poco elevadas, sobre todo para los primeros arios: GIO VANNINI, Le «Letture Cattoliche» p. 197-200. Sin embargo, en la época cavouriana, eran más nu» merosos los fascículos de la recordada asociación «Libreria propaganda», que alcanzaban, comc
media, 20.000 ejemplares (CARTGLio, Stampa e opinione pubblica, p. 154).

44 GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 201.

sardos, que correspondía a la zona en que estaba entonces establecida la congregación. Las cosas cambiaron en los años 80. Hay que notar que, al menos
al comienzo, las mayores dificultades de penetración se tuvieron precisamente en la diócesis de Turín.45 Parece que, en general, prevalecieron como centros de difusión las localidades urbanas menores.46 A la relativa limitación del área geográfica inicial correspondía, en cambio, un notable grado de difusión.

Don Bosco fue de los primeros que entendieron que la estructura de la Iglesia podía ofrecer una óptima red de distribución, y por ello se dirigió a obispos, vicarios y párrocos para que se asociasen, recomendasen y procurasen suscripciones para las «Letture Cattoliche». Es típica la llamada de 1863 enviada a 10 cardenales, 85 obispos, 60 vicarios de zona.47 Además, siempre procuró utilizar los mismos fascículos de las «Letture Cattoliche» para una acción de autopromoción. Una gran ayuda le vino por el autorizado apoyo de hojas y periódicos católicos, como «L'Armonia» y «La Civiltá Cattolica». Igualmente importante fue el recurso a personajes y familias de la nobleza católica (pero también no católica) a los que se dirigía para poner en marcha campañas de suscripciones y adquisiciones en bloque, con la función de distribuidores.48 No descuidó, evidentemente, las escuelas, de la Iglesia y públicas. Pero vio, sobre todo, que una actividad editorial de aquel género y con aquellos destinatarios, con una total carencia de centros de venta, tenía que organizarse también con la distribución en formas de asociación y de voluntariado. Desde 1859 había lanzado una «Societá per la diffusione delle Letture cattoliche ed aüri libri cattolici», que tenía entre sus fines, también, la distribución gratuita o al menor precio posible de libros buenos, y confiaba a cada socio el cometido de «impedir la lectura de libros malos a sus dependientes» y el de escoger un lugar o un grupo de personas «entre las que debía difundir buenas lecturas».49 En general, todo el movimiento asociativo de carácter salesiano tuvo entre sus fines el de la difusión de la prensa, comprendida la`intención de asegurar cauces a las iniciativas de nuevas colecciones de libros, especializadas según las catego
rías sociales."
Poco a poco fue haciéndose más estrecho el lazo entre el sistema institucional y asociativo salesiano con la producción editorial y su difusión. En esta dirección, un papel de importancia, todavía no suficientemente estudiado por lo que yo conozco, debió de tener desde el momento de su nacimiento, en
45 Carta de 20 deciembre 1855 de don Bosco al can. Filippo Ravina, en: E I, 121.

46 Cf. las listas de los «Benemeriti Raccoglitori», citados por Giov~, Le «Letture Cattoliche», p. 201s; otros datos en: STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 363s.

47 Citado por Giov~, Le «Letture Cattoliche», p. 218. Sobre las intervenciones episco
pales (y papales) a favor de las «Letture Cattoliche», cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 362s.

49 STELLA, Don Bosco nella stork economica, p. 365s. 49 GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 207.

" Brumo, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 74.

1877, el «Bollettino Salesiano», enviado individualmente «a quien lo quiere y a quien no lo quiere»," canal de unión y de identificación de un mundo que giraba alrededor de don Bosco. En la misma óptica habría que estudiar la labor desplegada por los cooperadores salesianos. Su estructura funcional elástica, su dependencia orgánica de la figura carismática del fundador, la falta de rigidez en sentido confesional,'" la acentuada «neutralidad» política parecían configurar para la Unione dei cooperatori un movimiento paralelo, pero difícilmente identificable con el movimiento católico intransigente, susceptible de notable expansión «ya que estaba apoyado por los salesianos y dependía del mismo centro»."
6. Observaciones conclusivas
Podemos en este momento sacar ya alguna conclusión. La primera es ésta: si la obra de don Bosco para la difusión de la cultura popular de base religiosa no se puede separar del conjunto de las instituciones educativas que levantó, tiende, sin embargo, a superar estos limites, aun por la naturaleza más fluida y difusiva de los medios de comunicación utilizados. Si es correcto, pues, dar importancia al conjunto educativo de don Bosco, poniendo atención especial en el aspecto de la formación y la instrucción juvenil, no parece, no obstante, que se pueda despreciar el efecto de irradiación de mayor alcance ejercido por el «sistema» salesíano al plasmar o replantear sectores sólidos, aunque difícilmente cuantificables, de los modos de pensar y de los modelos de comportamiento
del pueblo cristiano.

Una segunda observación se refiere a la percepción por parte de don Bosco de nuevas dimensiones y nuevos instrumentos de la obra educativa, llamados a integrarse entre los medios tradicionales de la evangelización. Don Bosco se sitúa en primera fila a la hora de comprender que en la época de la alfabetización intensa, no basta con imprimir «buenos libros», sino que hace falta tambíén difundirlos, inventando canales idóneos; que la educación escolar no( podía desinteresarse de la educación permanente; que la escuela tenía necesidad de libros, igual que los libros tenían necesidad de escuelas que estuviesen' a sus espaldas.

Una tercera y última observación se refiere a la intuición precoz dedon Bosco de que la actividad dirigida a la educación popular requería un cierto grado de, especialización, formas organizadas mejor orientadas hacia su objetivo. De ahí nacía la conciencia animosa de la función estimulante de la congregación salesiana y del archipiélago asociativo conectado con ella, un «sis
" STELLA, Don Bosco I, p. 219s. Ibid., p. 216s. " Ibid., p. 225.

tema», como ya he dicho, centrado en la figura carismática de su fundador. De ello derivan una sensación de eficacia, pero también algunas dificultades notables de relación con la estructura eclesiástica de nivel diocesano que marcó en Italia la historia salesiana.54_
En don Bosco se cruzan muchos de los problemas relacionados con la di
, fusión de instrumentos de comunicación cultural y de formación religiosa que se superponen y, en cierta medida, sustituyen a los tradicionales. Por eso el puesto de don Bosco en la historia de la cultura popular es también el que ocupa en la historia de las transformaciones de la mentalidad religiosa.


54 Sobre las dificultades con mons. Gastaldi, cf. G. TUNINETIT, Lorenzo Gastaldi (18151883), vol. II: Arcivescovo di Torillo (1871-1883), Torillo, Piemme 1988, p. 259s. No parece completamente fuera de lugar establecer algunas analogías con las vicisitudes referentes a las difíciles relaciones entre el asociacionismo intransigente (especialmente los comités de la «Opera dei Congressi») y algunos obispos septentrionales, más o menos por las mismas fechas: Bonomelli de Cremona, Scalabrini de Piacenza y Nazari di Calabiana de Milán.

DON BOSCO Y EL TEATRO POPULAR Stefano PIVATO


1. Teatro y educación popular


En octubre de 1882, uno de los órganos más batalladores del anticlericalismo turinés comentaba en estos términos la figura y la obra de don Bosco:
«No es ya el evangelio el inspirador del Santo de Valdocco. Es el sillabo de Roma [...] por él se difunden libros, periódicos para la propaganda clerical; se organizan círculos y comités. [...] Por él se inventan historias de jóvenes que se han hecho santos, como la de Domingo Savio; de jovencitas que han llegado a beatas, como las hermanas
Rigolotti».'
Hace falta precisar, además, que en aquellos años no eran sólo las voces del anticlericalismo más desbordado las que criticaban la obra de don Bosco. En términos aún más claros, e indirectamente dirigidos contra don Bosco, considerado como un abanderado de la literatura popular católica, se expresó
así Francesco De Sanctis:
«Si presentáis ahora como modelos a San Luis Gonzaga, a San Carlos Borromeo, a San Alejo y aquellas virtudes como remedio de todo, y enseñáis que no hay que sentir las ofensas, las necesidades, la misma hambre, forjáis tal ideal que cuando los jóvenes entren en la vida real, menos los predestinados a la santidad y al heroísmo, que son un número muy pequeño, darán con el peor de los males que pueda sufrir un pueblo: distinguir la escuela de la vida, lo que han aprendido en abstracto de lo que se hace de
veras; se harán hipócritas».2
Ni hay que creer, por último, que en ciertas ocasiones el juicio de parte de algunos católicos haya sido más indulgente. Ésta es, en efecto, una de las acusaciones de contenido teológico en el proceso para la canonización de don
Bosco:
«Don Bosco compuso la Vida de Domingo Savio sirviéndose de recuerdos persona
' Don Giovanni Bosco, en «Gesii Cristo, Grido popolare antidericale», 22-29 ottobre 1882.

2 F. DE SANCTIS, Cesare Cantü e la letteratura popolare, en: La letteratura italiana nel secolo XIX, vol. U: La scuola liberale e la scuola democratica, Bari 1954, p. 251-257
«curiosos» o «extravagantes», sino para reconstruir de un modo más completo el intento de educar la mentalidad popular, el modo de proceder educativo, el
sentido común, en definitiva.

A ese espacio, pues, hay que referir el nacimiento y el desarrollo del teatro
popular católico, definido de varios modos en su larga parábola de existencia como «teatrino» (término usado con frecuencia por don Bosco), «teatro educativo», «teatro filodramático» y, con un término dirigido a subrayar más tarde la pertenencia católica, «nuestro teatro». Los orígenes del fenómeno, al menos para los tiempos recientes, hay que atribuirlos a don Bosco; y los éxitos sucesivos los obtuvo una larga fila de autores que, parafraseando una frase muy conocida de Gramsci, no dudaría en definir como los «nietecitos de don Bosco». Y esto también porque las Regole per il teatrino que don Bosco re
dactó en 1858 constituirán un cañamazo rescindible e ideal para toda la
larga y afortunada trayectoria de los grupos de aficionados católicos.'


2. La idea inspiradora


Vale la pena, por tanto, detenerse en la idea inspiradora de la iniciativa que se atribuye unánimemente a don Bosco. Pero a este propósito conviene poner
en claro que la pedagogía teatral de don Bosco estaba lejos e cualquier pre-
ta
tensión artística en sentido tradicional, y se entregaba más biedn a una espon neidad creadora sostenida por una constate preocu stpación de carácter moral. No es casualidad que una de las sugerencians más insientes de don Bosco haya sido subrayar el carácter didáctico que debía tener el teatro en sus casas. En este sentido, los pequeños proscenios ocupados por aficionados se consideraban escuelas, medios de enseñanza de los principios católicos a través de la
declamación de diálogos y encuentros en los escenarios.

El mismo don Bosco se aventuró en la redacción de algunos textos, como la Disputa col pastore protestante o los Dialoghi popolari su alcuni errori di religione, convirtiéndose en cabeza de uno de los géneros de mayor éxito en el «teatrino»: la afirmación de la supremacía del catolicismo sobre los «enemigos
de la Iglesia».8
Sin embargo, más explicíto todavía sobre los fines de los escenarios aficio
nados es el mismo «manifesto» del teatro educativo, que d Bosco redactó en 1858 con el fin de dar cierta disciplina a una actividad que él, no sólo animaba, sino que promovía organizando representaciones en el comedor del Oratorio de Valdocco. En los 20 párrafás en los que se subdividen las «re
Para un análisis más detenido del «teatrino» y de las cuestiones tocadas en esta comunicación, cfr. S. PIVATO, Il teatro di parrocchia. Mondo cattolico e organizzazione del consenso durante
il fascismo, Roma, FIAD 1979.

Sobre la producción teatral de don Bosco, cf. M. BONGIOANNI, Giochiamo al teatro. Dalla
invenzione drammatica al teatro espressivo, Leumann (T orino), Elle Di Ci 1977.

glas», subrayaba ante todo el carácter educativo, instructivo y recreativo del «teatrino ».

Y para responder a esta primera regla fundamental, don Bosco recomendaba que «los textos sean amenos y aptos para recrear y divertir, pero siempre instructivos, morales y breves. La excesiva duración, además de mayor molestia en los ensayos, cansa generalmente a los espectadores y hace perder el mérito de la representación y produce cansancio aun en las cosas de estima». Además — proseguía don Bosco — «Evítense los textos que presenten hechos atroces. Se puede tolerar alguna escena un poco seria, pero suprímanse las
expresiones poco cristianas y las palabras que, dichas en otros lugares, se considerarían poco educadas o demasiado plebeyas».

Pero don Bosco no sólo prestaba atención a los aspectos éticos o de contenido, sino que daba normas de comportamiento que debían observar los grupos. El «teatrino» no era, pues, sólo lugar de enseñanza para los espectadores, sino también «escuela de vida para los actores». A este fin, don Bosco recomendaba que: «Entre los jóvenes a los que se destina a actuar, escójanse los mejores en conducta». Pero advertía también que «no se den premios o señales de estima o elogio a los que Dios dota de aptitudes especiales para decla
mar, cantar o tocar. Ya tienen premio en el tiempo que se les deja libre y en las lecciones que se les facilita».

Éstos son los puntos fundamentales de las Regole, que se entretenían también detenidamente en aspectos técnicos (preparación de escenarios o diálo
gos, acompañamiento musical de las obras, preparación de una biblioteca de textos de teatro y otras cosas).9
Con estas Regole el teatro iba convirtiéndose en uno de los elementos privilegiados del sistema educativo salesiano. Es más, se convertía en parte integrante de aquel método preventivo en el que la actividad lúdica — recuerdo que en las Regole don Bosco insiste en que el teatro debe sobre todo «alegrar, ser recreo, divertir» —, según algunos estudiosos, «se pone tan en alto y se valora tanto, que de ella se hace depender no sólo el buen funcionamiento de la escuela, sino hasta la vida religiosa del muchacho».'°


3. Difusión de la experiencia


La primera representación teatral de la que se tiene noticia en las Memorias biográficas se remonta al 29 de junio de 1847." Las Regole pel teatrino son de once años más tarde: lo que si hace suponer que don Bosco se sintió movido a escribirlas con la intención de reglamentar una actividad recreativa que
9 Regole pel teatrino, en: MB VI, 106-108.

lo G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventú, Torino 1877, p. 42. " MB III, 592.

poco a poco iba afirmándose en los colegios y en los oratorios salesianos, hace pensar aún con más realismo que intuía el desarrollo que alcanzaría el teatro en los años sucesivos. Por lo demás, los catálogos de las editoriales populares católicas nos ofrecen diversos indicios sobre la expansión del fenómeno. En efecto: si en la colección de las «Letture Cattoliche», inaugurada, como se sabe, en 1853,12 empiezan a aparecer episódicamente pequeños volúmenes de comedias," es en 1885. cuando los salesianos empiezan a publicar sistemáticamente obras de teatro para esta actividad educativa.

Nel 1885, con Le Pistrine, un testo sul paganesimo romano, è stata inaugurata presso il salesiano Tipografia San Benigno Canavese una raccolta di periodici, "Letture drammatiche", che può essere considerato come la prima iniziativa editoriale di alto - campo di volo del teatro amatoriale. Ci sono più di cento titoli che compaiono nel catalogo della "Letture draramatiche" alla fine dell'anno. Ma ci sono altre case editrici che pubblicano libri di testo per i gruppi di tifosi cattolici: tra cui il Majocchi Serafino Milano, Libreria Editrice Salesiana di Roma e la dell'Immaco Tipografia
può Concezione Modena.

Ma che tipo di commedie contenevano i testi per i gruppi amatoriali
? Quali generi sono stati maggiormente diffusi?
Una rapida lettura dei titoli della «Letture drammatiche» pubblicata
tra il 1885 e il 1889 ci consente una prima risposta alla domanda. Di cinquanta commedie, venti sono di carattere sacro, dodici di carattere storico e il resto del catalogo appartiene al teatro aneddotico-morale, spesso con
commedie di contenuto sociale e familiare.

E l'analisi di altri cataloghi conferma il vantaggio di questi tre generi.

Pertanto, rappresentazioni sacre, immagini edificanti, disegni a fumetti, il cui intento pedagogico era, soprattutto, quello di "moralizzare" gli spettatori. Lo scopo è anche catturato nei titoli divisione commedie "solo uomini" o "solo donne", secondo ad un concetto teatrale che solo in casi
eccezionali ammesso la promiscuità scenica. "
In effetti, come rilevato infallibilmente Gabriele De Rosa , "questi co
calze hanno poco a che fare con la storia del teatro ha avuto uno scopo pratico pedagogico. edifica l'azione cattolica militante, confutare la propaganda avversa, respingere i modelli proposti dal teatro positivista e miniburgués, esaltando famiglia cattolica le loro tradizioni, la loro fede e le loro
virtù ».
Il teatro educativo Fi esprimeva moduli e contenuti che non derivano in assoluto
soluto dalla cultura teatrale contemporanea e precedente e la sua retroguardia era quella del
'2 Sulla «Letture Cattoliche», cfr. L. GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche» di Don Bosco.

u Ibid., p. 157-175.

"F. TOMA, Moralita avanti tutto!, In" Il Carro di Tespi "1 (1908) 1, 3-4.

15 G. DE ROSA, Risposte agli interventi, in: II movimento cattolico nella società italiana in cento anni di storia, p. 88.

Pedagogia cattolica assolutamente autonoma e inaccessibile alle ideologie e ai movimenti culturali del suo tempo. Esattamente come ha scritto uno dei promotori del teatro educativo, commedie erano "opere di autori cattolici di rappresentare in ambienti cattolici, cattolici attori
contro la pubblica cattolica e anche sono stati raccomandati e pubblicati da editori cattolici lavorano e riviste cattoliche ""
Tuttavia, penso che l'importanza del teatro come strumento educativo non sarebbe pienamente compresa se non guardassimo al successivo sviluppo dell'opera di Don Bosco e dei Salesiani di Torino. In realtà, il teatro accompagna l'espansione del movimento cattolico nella società italiana. Inoltre, diventa uno degli strumenti che i vescovi, l'Azione cattolica e gli educatori raccomandano costantemente. Inoltre, pochi dati sono sufficienti per capire che in pochi decenni il teatro si trasforma in un vasto movimento
con strutture complesse e organizzazione dal lavoro di Don Bosco, iniziale e artigianale.

Nacen al comienzo de este siglo las primeras revistas dirigidas a los grupos de teatro aficionado: Su la scena (1903), II carro di Tespi (1908), Teatro, musica e sport (1912). Y se fundaban, además, varias asociaciones de autores, como la
«Societá degli autori del teatro cattolico» (1905) y la «Societá Italiana tra gli autori del teatro cattolico» (S.I.A.T.E.), aparecida en Roma en 1911."
Sin embargo, en el aspecto organizativo, fue determinante el nacimiento de la «Federazione Associazioni Teatrali Educative» (F.A.T.E.) en 1912. Ésta,
que comenzaba en 1913 la publicación de II Teatro nostro, alcanzaba en 1914 a contar cerca de trescientos círculos federados.

Las dimensiones de fenómeno de masas del «teatrino» se captan mejor si se examinan los catálogos de las editoriales católicas. En 1916, la casa editora vicentina Giovanni Galia presentaba al público un muestrario de casi 5.000
trabajos teatrales para «seminarios, colegios, institutos, sociedades, círculos y asociaciones de recreo católicos»."
A lo largo de los años 30, hasta cinco casas editoras imprimían exclusivamente textos para el teatro educativo.' Una producción total que, mediados los años 30, se calculaba alrededor de ochenta nuevos trabajos editados cada año, con el lanzamiento al mercado de doscientos mil volúmenes de comedias
16 E. ANSELMETTI, Determinismo e libero arbitrio en «Scene e Controscene» (1933) 8-9, 7. 12 PIVATO, Il teatro di parrocchia.

" Catalogo di 5.000 lavori teatral:: Commedie. Drammi. Tragedie. Farse. Scherzi. Monologhi per seminari, collegi, istituti, societá, circoli e ricreatori cattolici, Vicenza, Libreria Giovanni Galia
1916. Véase también: Il teatro cattolico, Vademecum indispensabile per i direttori di scena dei teatrini cattolici maschili e femminili, San Benigno Canavese, Libreria Salesiana 1906.

19 Estas eran: Serafino Majocchi de Milán, Paolo Viano de Turín, Libreria Editrice del Ricreatorio de Bagnacavallo, Libreria Editrice Salesiana de Florencia, Libreria Editrice Salesiana de
Roma. Cf. Case editrici cattoliche, en: Il ragguaglio dell'attivitá culturale letteraria ed artistica dei cattolici in Italia, Milano, Istituto di Propaganda Libraría 1941, p. 469-471.

para el teatro de aficionados.2° Fue notable, además, el número de pequeños teatros, que algunas estadísticas elevaban, al comienzo de los años 30, a diez mil. Cifra sin duda aceptable, aunque estadísticamente no se pueda comprobar, dada la facilidad con que se podían eludir los derechos fiscales en las salas que no tenían carácter propiamente industrial o en los colegios en los que se puede suponer que se continuase la costumbre — como se lee en las Memorias
de don Bosco — de montar el escenario en el comedor vez por vez."
Es también amplia la lista de autores. Y no pocos de ellos eran personajes
de relieve, ligados a la marcha del movimiento católico italiano, tanto político como religioso. Fue el caso de Luigi Sturzo,22 Saverio Fino23 o Luigi Corazzin,' escritores de comedias o promotores de numerosas iniciativas en el campo del teatro. O bien obispos como Fortunato De Santa," autor de dramas sacros. Pero también de personajes menos conocidos en el mundo nacional y, sin embargo, protagonistas con frecuencia en cada una de las realidades locales de la vida católica. Entre ellos, Carlo Trabucco, sin duda alguna artífice principal del teatro educativo en el período entre ambas guerras, autor prolí
fico y presidente de la Juventud Católica de Turín a partir de 1927.

Pero como prueba del peso de la herencia de don Bosco en este mundo tea
tral, hay que subrayar que no pocos autores provienen del mundo salesíano: comenzando por Angelo Pietro Berton, al que pertenece una de las obras clásicas de los escenarios católicos, II piccolo parigino. Para seguir con Augusto
20 C. REPOSSI, Teatro cattolico. 11 teatro delle nostre associazioni, en «11 Ragguaglio» 8 (1937) 97-103.

21 MB III, 105-106.

22 Véase selección de algunos textos teatrales de Sturzo en: L. STURZO, Scritti inediti, vol. I:
1890-1924, a cura di F. Piva, Roma, Cinque Lune 1974, p. 53-103 y p. 108-186. Algunas indicaciones sobre esta actividad, en: F. PIVA - F. MALGERI, Vita di Luigi Sturzo, p. 121-123. De Rosa
observa: «Le sue commedie erano costruite a sostegno della lotta che conduceva nelle cam
pagne, contro i gabellotti, le cosche o anche per denunciare mentalitá e costumi dell'odiata borghesia laicista. Insomma commedie, per col dire, meridionalistiche, e del meridionalismo di un cattolico intransigente, come era Sturzo negli anni giovanili» (G. DE ROSA, Luigi Sturzo, Torillo,
UTET 1977, p. 121).

" Saverio Fino (1874-1937). Diputato del Partido popular en dos legislaturas de 1919 a
1924. Fue uno de los promotores del teatro educativo. En 1931 fundó la revita «I Quademi del Teatro Cristiano», con la intención de llevar el drama sacro a los escenarios del «teatrino». Entre sus trabajos más famosos para las filodramáticas católicas: Qui si bestemmia, La Madonna del sorriso, La camera rossa, II prete della forra. Cf. la bibliografía completa de sus escritos en «Boccascena» 2 (1937) 3, 28-29. Firmó algunos de sus trabajos con el pseudónimo: «Di Mario Valli». Sobre su figura, véase también el perfil biográfico de E. WALTER CRIVELLIN, Saverio Fino tra popolarismo e fascismo. Spunti per una biografía, Torillo, Centro Studi C. Trabucco 1987, p. 23-43.

24 Luigi Corazzin (1888-1946), diputado del P.P.I., fue autor de dramas religiosos para el «teatrino». Entre otros: Frate Tupo, Trecento, La grande vigilia, Il fabbricatore d'oro, Vita. Este úl
timo sobre la persecución religiosa en Rusia.

25 Fortunato De Santa (1862-1939), sacerdote de Udine y obispo de Sessa Aurunca (1914) y
autor, en 1901, de una Passione di Cristo. Cf. Un Vescovo autore drammatico, en «fi Teatro Nostro» 4 (1914) 7, 100.

Micheletti (La madre, Uno che s'incammina) y Amilcare Marescalchi (La vittoria di don Bosco).

La Societá Editrice Internazionale y la Libreria Editrice Salesiana de Roma siguieron, además, en los años siguientes, publicando a algunos de los autores
más aceptados: entre ellos, y sólo por citar alguno, a Virginio Prinzivalli, Giuseppe Fancitillr, Onorato Castellino.26
En las recientes celebraciones sobre el Centenario, varias intervenciones han acentuado la capacidad de don Bosco y de los salesianos para estructurar
la comunicación de la pastoral en diversos niveles: desde el escrito al hablado y, en un tiempo más reciente, al cine.

Se conoce también que, en la pastoral salesiana, la prensa ostenta una cierta primogenitura respecto del teatro. Pero también es verdad que hacia la mitad del siglo XIX el medio escrito, la prensa, aun redactada en forma «sim
ple y llana», padecía un evidente límite de difusión frente a los elevados índices de analfabetismo de los estratos populares.

Téngase presente, además, que aun en 1871, en Piamonte, el área de mayor difusión de las «Letture Cattoliche», el analfabetismo alcanzaba todavía el 58% de la población." Pero este tanto por ciento, de por sí ya elevado, no
permite hacer pensar automáticamente en el resto como un área potencial de lectores.

En realidad, como se ha hecho notar agudamente, entre el que sabe leer y el analfabeto, se sitúa la masa gris y numerosa de los semianalfabetos. Se dan.., los que saben leer, pero no saben escribir... Y hay quienes saben leer y
escribir, pero que difícilmente entienden lo que leen y a duras penas escriben algo que vaya más allá de su firma.'
Según los cálculos hechos por De Mauro, en 1861 los «italohlantes», es decir, los que podían hablar y entender la lengua italiana, sumaban apenas el 2,5% de la población total de Italia." Esto nos hace entender que hacia finales del siglo XIX el mercado de las ediciones populares podía contar con un público muy restringido con capacidad de leer y «entender». 3° Precisamente estas observaciones vienen bien sobre la «lengua popular» de don Bosco, que hay que entender no tanto como un medio literario original, sino más bien
26 Cf. PIVATO, Il teatro di parrocchia.

21 Sobre el analfabetismo en Piamonte a finales del 800, cf. G. VIGO, Istruzione e sviluppo economico in Italia alla fine del secolo XIX, Torino, ILTE 1971.

28 Cf. C.M. CIPOLLA, Istruzione e sviluppo. Ii declino dell'analfabetismo nel mondo occidentale, Torino, ILTE 1971, p. 44.

29 T. DE MAURO, Storia linguistica dell'Italia Unita, vol. I, Bari, Laterza 1979, p. 43.

3° Finalmente, es muy significativo lo que escribe el redactor de la monografía para la encuesta Jacini relativa a Piamonte, a propósito de la instrucción impartida en las escuelas elementales: «L'istruzione consiste nel saper leggere qualche po' e scrivere scorrettamente. Tenuissimo ne riesce il profitto tantoché dogo pochi anni di codesti allievi non cono piú in grado di capire una
scrittura e di scrivere intelligibilmente forse neanche il proprio nome!» (Asti della Giunta per l'Inchiesta Agraria, C.M. CWOLLA, Istruzione e sviluppo).

como norma, como criterio para hacerse entender por un público apenas alfa
betizado.

El mismo don Bosco había precisado, por otra parte, que en la redacción
de una obrita popular eran preferibles «las impropiedades [...] y la ausencia de
elegancia en el estilo al riesgo de que el pueblo no entendiese» 3i
Se podría, pues, concluir resumiendo que, en una escala hipotética de los
instrumentos de la cultura popular salesiana, el teatro fue el «escalón más bajo»; es, en definitiva, el instrumento educativo más inmediato, que permite hacer llegar también a un público analfabeto, al público que no es capaz de
acceder a la prensa, los mensajes de la pastoral católica.

Esta observación nos viene bien para enfrentarnos con uno de los temas mas controvertidos de la experiencia de don Bosco: el que se refiere a su pre
sunta modernidad.

4. Modernidad de don Bosco

Desde luego que si nos pusiésemos a leer los textos del teatro de don Bosco, no haríamos más que confirmar el juicio de quien ha escrito que «su modernidad no supone análisis y opciones ideológicas».32 Don Bosco sigue, en efecto, profundamente anclado en un «catolicismo de marcadas tendencias ultramontanas, devocionales y moralistas», que muestra, en definitiva, «la insti
tución tradicionalista en la que se movía».33
En realidad, la modernidad de don Bosco no hay que tomarla a través de puntos de referencia ideológicos y doctrinales, sino, en todo caso, en un plano más pragmático y concreto. Precisamente en aquel sector de la «cultura popular» que hoy, con un término más actual, definiríamos como mass-media.

Y su modernidad consiste precisamente en su contemporaneidad por lo
que se refiere los instrumentos de la comunicación. Es decir, en haber sabido propagar un lenguaje tradicional, el de la pastoral católica, a través de un nuevo instrumento — el teatro — que tenía presente, sobre todo, por parte del
público al que se dirigía, la capacidad de recepción.

Pero la modernidad de don Bosco resalta más si se considera el teatro, no sólo como medio de comunicación, sino también como instrumento de socialización. Es cierto que sí se lleva aquel teatro a un campo de investigación totalmente nueva conio el de la historia de la sociabilidad,34 no puede negársele el
31 E IV, 321.

32 M. GUASCO, Don Bosco nella storia religiosa del seo tempo, en: Don Bosco e le sfide della
modernitá (Quaderni del Centro Studi «C. Trabucco», 11), Torino, Stabilimento Poligrafico Edi
toriale «C. Fanton» 1988, p. 29.

33 F. TRANIELLO, Don Bosco e il problema della modernitá, en: ibid., p. 43.

34 Sobre el concepto de «sociabilia», cf. G. GEMELLI - A. MALATESTA, Forme di sociabilitá nella storiografta francese contemporanea, Milano, Feltrinelli 1982.

papel que tuvo en una sociedad que, a partir del final del siglo XIX, veía tambalearse los ritmos y los modelos sociales, que antes plasmó y vivió la sociedad rural. Por lo demás, todo el sector de la cultura popular, pero especialmente el teatro, puede constituir un campo de estudio entre los que recientemente se señalan como los más prolíficos para la historia asociativa del mundo católico, donde se subrayaba que «en la mayor parte de los casos, la historiografía sobre el catolicismo contemporáneo ha acabado olvidando precisamente los dinamismos interiores del asociacionismo religioso».33
En realidad, los estudios sobre el movimiento católico no han dado todavía el justo valor a los nuevos lugares de la socialización popular que el mundo católico ofrece, frente a la disgregación de la sociedad rural. Y ciertamente en una historia de la sociabilidad del mundo católico en la edad industrial, hay que considerar a don Bosco como un significativo incipit.

Piénsese, sólo para fijarnos en un ejemplo, en uno de los lugares y momentos más significativos de la sociabilidad de la edad industrial: el deporte.36 Es más, se trata de un sector que, tal vez, demuestra más que la prensa y el teatro, que don Bosco percibía con mucha anticipación, no sólo respecto a las oligarquías liberales, sino también al movimiento obrero, la capacidad educativa y de asociación del deporte. Y a este propósito viene oportuna la observación de Piero Bairati en una intervención discutida, en la que escribió que don Bosco percibe, precisamente porque vive metido en una realidad como la de Turín, los cambios que la revolución industrial introduce, no sólo en los ritmos de producción, sino también en los sociales.37
Y el deporte, que en 1902 recibiría el saludo profético del barnabita Giovanni Semeria como «la afirmación popular de la sociedad industrial de maña
na»,38 pone en evidencia la clase de modernidad pragmática de don Bosco o, aún mejor, la intuición de la pedagogía salesiana para comprender la utilidad de ciertos instrumentos educativos y asociativos sobre los que se iba modelando la naciente realidad urbana e industrial.

«Dése amplia libertad para saltar, correr, gritar a placer. La gimnasia, la música, la declamación, el teatro, las excursiones son medios eficacísimos para obtener disciplina, facilitar la moralidad y la santidad», había escrito don Bosco.39
Y en este aspecto particular de la actividad deportiva resalta más tarde el tipo especial de modernidad de don Bosco. La red de las actividades deporti
35 R. MORO, Movimento cattolico e associazionismo: un problema storiografico, en «Quaderni di Azione Sociale» (1988) 19-39.

36 Cf. S. PIVATO, Sia lodato Bartali. Ideologia cultura e miti dello sport cattolico 1936-1948, Roma, Edizioni Lavoro 1985.

39 P. BABATI, Cultura salesiana e societá industriale, en: TRAME .LO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 331-357.

" G. SEMERIA, Giovane Romagna (sport cristiano), Castrocaro, Tip. Moderna 1902, p. 8. 39 G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventú, p. 39.

vas salesíanas tiene ya un increíble desarrollo a comienzos del siglo XX: se promueven reuniones gimnásticas, se organizan torneos deportivos, se acostumbra a los muchachos de los oratorios al movimiento, al juego.

Y todo esto cuando — estamos en los comienzos del presente siglo — el movimiento socialista se opone profundamente a la actividad deportiva: más aún, la considera una actividad «burguesa», hasta el punto de que en más de una ocasión la ve como lícita sólo para los «burgueses» y los «vagos», y, por tanto, incompatible con los fines del socialismo. Hubo de llegarse hasta 1924 para que Filippo Turati hiciese autocrítica a esa afirmación, comprendiendo con mucho retraso la capacidad de asociación y educativa del deporte.'
Y no cabe duda de que el éxito que encontró el deporte en las filas del movimiento católico a partir de los comienzos de este siglo, recibió también la enseñanza de don Bosco. Él, como encontramos testimoniado en las Memo
rias:
«Muchísimas veces, y especialmente en el año 1859-60, ponía en fila a cientos de jóvenes en el patio, y se ponía delante después de haber dicho: — Seguidme siempre, poniendo cada uno el pie en la huella del que va delante. Daba palmadas a ritmo, imitado por los que le seguían y torcía hacia la izquierda, iba derecho, seguía en diagonal y, al volverse, hacía un ángulo agudo o uno recto o un círculo. De repente decía: ¡Alto! — Los jóvenes que le habían seguido en todas estas vueltas caprichosas quedaban formados, uno junto al otro, en grupos raros de los que cualquier observador no habría captado el porqué. Pero otros jóvenes, que habían entendido por estos movimientos la intención de don Bosco, iban corriendo al balcón y descubrían que cada grupo formaba una letra cubital y con ellas leían claramente las palabras: Viva Pío Nono. Como no era prudente gritar esas palabras mientras el Pontífice estaba amenazado y asaltado, él lo escribía con las cabezas de sus lújos».41
Una práctica «moderna» como la deportiva, le servía a don Bosco para reafirmar principios e ideas tradicionalistas. Precisamente, como se ha dicho, ideología pasada y modernidad pragmatista.

4° Sobre estos temas, cf. F. FABRIa10, Storia dello sport in Italia. Dalle sodetá ginnastiche
all'associazionismo di massa, Firenze, Guaraldi 1977. 41 MB VI, 343.

DON BOSCO Y LA PRENSA Francesco MALGERI


1. Nuevo interés por el tema


L'argomento di questa comunicazione non è certo nuovo per gli studiosi di Don Bosco. Gli sforzi editoriali e notevoli qualità manifestate da Don Bosco per la preparazione e la diffusione di una serie variegata di testi, opuscoli e periodici non hanno cessato di attirare l'attenzione dei ricercatori, soprattutto negli ultimi anni. Gli studi del fenomeno salesiano hanno lasciato un po 'di "oleografia" per entrare, dedicidamente, attraverso l'approccio scientifico più essere qualificati, grazie soprattutto al lavoro di Pietro Stella, 'Pietro Braido2 e molti altri studiosi presente in questo Congresso.

Una delle prime opere dedicate al nostro argomento è stato rilasciato nel 1957. In questa data, Eugenio Valen-denim, ha pubblicato un saggio intitolato Don Bosco e l'Apostolato della Stampa, 3 che è stata seguita, nel 1961, un nuovo test della stessa autore di la Scuola grafica prime salesiana.4 Ma è stato necessario attendere venti anni, e, soprattutto, attendere che il volume su Don Bosco Pietro Stella nella storia sociale e Economica (1815-1870) è stato pubblicato, per vedere finalmente affrontato , nel capitolo XV, il tema delle "imprese editoriali" di Don Bosco. In questo capitolo la materia viene studiata sulla base di una ricca documentazione di prima mano, con un'attenzione particolare per evidenziare sia gli aspetti commerciali che il significato pedagogico e apostolico che ha caratterizzato tali iniziative.
Nel 1984, Luigi Giovannini ha pubblicato il più ampio lavoro sulla più significativa iniziativa editoriale: i "Letture Cattoliche" (di cui vi
Cf. soprattutto: P. STELLA, Gli Scritti di Don Bosco di stampa, Roma, LAS 1977 ID ., Don Bosco nella storia economica e rocale (1815-1870), Roma, LAS 1980.

2 Cfr. P. BRAIDO, The Preventive System di Don Bosco, Zurigo, Pas-Verlag 1964; lo., L'esperienza pedagogica di don Bosco, Roma, LAS 1988; G. Bosco, il sistema preventivo nella educazione della gioventú. Introduzione e testi critici, sacerdote di P. Braido, Roma, LAS 1985.

E. VALENTINI, Don Bosco e l'apostolato della stampa, Torino, SEI 1957.

E. VALENTINT, La prima scuola grafica salesiana 1861-1961, Torino, SEI 1961.

STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 327-400.

insignificanti iniziative sociali, pedagogiche, assistenziali e ricreative, il peso non insignificante che supponeva (dal punto di vista economico e dal punto di vista personale) la stampa di numerosi e numerosi periodici.

La risposta a questa domanda può venire da due motivi. Il primo motivo si può trovare in una sorta di passione non dissimulata di Don Bosco per la stampa, per il libro, per l'attività editoriale, per l'opera tipografica; quasi una febbre che lo porta a moltiplicare le sue iniziative in questo campo, a realizzare progetti di edizioni, di collezioni, di pubblicazioni periodiche, anche quando le risorse sono scarse e le forze limitate; e questo lo porta a creare caratteri chiamati a crescere e moltiplicarsi miracolosamente. Ma è chiaro che questa passione, questa febbre è anche il riflesso di un problema che Don Bosco individua chiaramente nella realtà sociale, politica e culturale di quegli anni. Cioè, la richiesta che il mondo cattolico di quegli anni - dal primo decennio degli anni '80 in poi - aveva manifestato,

Eta un vecchio tema già trovato nel l' inizio secolo in Piemonte, all'interno dell'associazione di "Amicizie Cattoliche", diretto da Cesare d'Azeglio, il cui scopo principale era la diffusione di buoni libri. "Un'associazione, come è noto, fu caratterizzato dalla sua oggettiva visione legittimista della vita del palato-prin- tico, che aveva una struttura aristocratica, e propose, in forma di
cifrario, la diffusione di «buoni libri».
Gli eventi psterires, dai movimenti del 1821 in poi; l'affermazione delle correnti liberali e di una politica ecclesiastica dei governi sardi volta a limitare la portata del movimento della Chiesa; lo scoppio di una stampa violentemente anticlericale, che mise in discussione gli antichi valori della Chiesa e della religione; lo spazio era la propaganda protestante, in particolare i Valdesi, sono tutti elementi che contribuiscono a preoccuparsi il mondo cattolico, che si sente assediato libri, riviste, giornali insinuano distante e in contrasto con i valori delle idee fede cattolica.

Se trata de una preocupación que llega hasta la jerarquía eclesiástica piamontesa. En el mes de julio de 1849, se reúnen en Víllanovetta, diócesis de Saluzzo, los obispos del Piamonte, para solicitar la «difusión de buenos libros», con el fin de oponer a las «armas de la irreligiosidad y de la inmoralidad el antídoto de las buenas lecturas».' Los obispos piamonteses, entre los que se distinguió mons. Moreno, obispo de Ivrea, encontraron sin duda en don Bosco una valioso ejecutor de las directrices emanadas por ellos. Es más, don Bosco había anticipado muchas de las indicaciones del episcopado piamontés.

" Cf. G. DE ROSA, Storia del movimento cattolico in Italia, vol. I: Dalla restaurazione all'etá
giolittiana, Bari, Laterza 1966, p. 1 3 -38.

12 Cf. GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 71s.

3. Las «Letture Cattoliche»


1
La experiencia poco positiva de don Bosco con «L'Amico della Gio- ventii», que dejó también tras sí problemas de carácter financiero y judicial, fi debió de convencerlo, seguramente, de que la fórmula del periódico tradicio- I nal no respondía plenamente a sus exigencias de mediación cultural y relí-
losa.Mediación que había ya, en parte, logrado con los pequeños volúmenes / publicados en los años precedentes. Con otras palabras, la solución adoptada por don Bosco daba mayores garantías de responder a los objetivos que él se \ ,,,1); proponía alcanzar: ofrecer un producto en grado de ser, al mismo tiempo, - medio de inculturación, de guía espiritual y de entretenimiento. Este objetivo era más fácilmente alcanzable a través de la publicación periódica, pero no de , un periódico, sino de un pequeño libro de bolsillo, que no tenía el carácter I efímero, transitorio y ligado a la actualidad del periódico tradicional. Al con- t nado, los libritos ofrecidos mensualmente por don Bosco - mediante la feliz fórmula de las «Letture Cattoliche» - no perdían con el tiempo su frescura; y constituían la base para una bibliotequita que ofrecía conocimientos de historia sagrada y de historia civil, noticias sobre la vida de los santos, lecturas amenas, narraciones divertidas o edificantes, noticias prácticas y útiles. No faltaban ejemplos de publicaciones de este tipo en la prensa católica del Ocho- , cientos."
Las «Lecturas Católicas» fueron una fórmula muy feliz, que don Bosco logró realizar en 1853. Con ella venía a secundar, por una parte, las directrices de los obispos piamonteses (encontrando en m ons. More libno un el apoyo no des-
éxito deñable), y, por otra, venía a cubrir un campo dejado re por escaso obtenido por la «Collezione di buoni libri a favore della religione cattolica», publicada por el editor Botta, que no había tenido tampoco mucha aceptación de parte del episcopado piamontés, a causa de un cierto enfoque filoaustríaco de la misma, por la escasa capacidad de traducir en un lenguaje comprensible conceptos y problemas de carácter religioso, y por la falta de contenidos más ., ligeros o amenos, capaces de suscitar la atención y el interés de los ambientes populares.'
Ciertamente no es posible analizar, en este momento, con la atención que merecerían los centenares de pequeños volúmenes que forman la colección de las «Lecturas Católicas». Se puede decir que éstas respondieron constantemente al enfoque sugerido e indicado por don Bosco al lanzar la iniciativa en el «Piano dell'Associazione delle Letture Cattoliche». En dicho plan habla de libros «de estilo simple y lenguaje popular», dedicados a «materias que se refieren exclusivamente a la Religión católica»." Si se quisiera cuantificar, aun. Cf. GIOVANNINI, Le «Letture Cattoliche», p. 70-88
24 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 348-350.

" Cf. VALENTINI, Don Bosco e l'apostolato della stampa, p. 13.

que fuera en modo aproximado, los géneros propuestos durante el período
comprendido entre el comienzo de la publicación y la muerte de don Bosco, se
podría afirmar que cerca de la mitad de los volúmenes se referían a argumentos de instrucción dogmática y moral; la parte más consistente de la otra mitad estaba dedicada a las vidas de santos y a la historia religiosa; mientras que la parte restante estaba compuesta de historias amenas y lecturas entretenidas. De todas formas hay que precisar que, más allá del género elegido, prevalece siempre, de un lado, la preocupación educativa y religiosa, y, de otro, el esfuerzo de ofrecer textos muy claros_ycomprensibles. Se usa frecuentemente el diálogo entre diversos personajes, para hacer más viva la narración y para poner mejor de relieve los diversos aspectos de una cuestión.

En el prefacio a la Vita di San Pietro, publicada en el número de enero de 1857, don Bosco precisaba: «Yo escribo para el pueblo y, por tanto, evitando todo amaneramiento de estilo, toda duda y toda discusión inútil, trataré de reducir el estilo y la materia a aquella sencillez que exige la exactitud de la historia unida con la teología y con las reglas de nuestra lengua italiana».26 No se debe olvidar tampoco las frecuentes referencias a los problemas conexos con los diversos oficios, a las relaciones que existían entre pobres y ricos frente a la vida y frente a los comportamientos religiosos, a la práctica y a las exigencias de la fe.

De los 432 fascículos publicados desde 1853 a 1888, don Bosco escribió personalmente cerca de 70, sirviéndose, para los demás, de la colaboración del prior de Santa Sabina (Génova), Giuseppe Frassinetti, del padre Francesco Martinengo, del padre Carlo Filippo da Poirino, del canónigo Lorenzo Gastaldi, más tarde arzobispo de Turín, y de otros. De la escuela de don Bosco provenían varios escritores de las «Lecturas Católicas», como Giovanni Battista Lemoyne, Giovanni Bonetti, Giulio Barberis, Giovanni Battista Francesia y Stefano Trione.

Hay que recordar, junto al problema de los contenidos y de los autores, el tema de la difusión de estas publicaciones, sobre el que se ha detenido ya Francesco Traniello en su ponencia, dando importantes indicaciones. Aunque no siempre las cifras coinciden, ha sido subrayado por numerosos estudiosos que, desde los primerísimos años, don Bosco logró difundir muchos miles de ejemplares de las «Lecturas Católicas». Las cifras relativas a los años sucesivos son todavía más consistentes. Las suscripciones alcanzaron cifras significativas (de 12 a 14.000 cada año); pero, sobre todo, algunos de los fascículos más afortunados tuvieron numerosísimas reimpresiones.27 Según un cálculo aproximado, en los primeros cincuenta años, el total de los volúmenes impresos superó 1.200.000 ejemplares. Indudablemente favoreció no poco la difusión de
26 G. Bosco, Vita di San Pietro..., Tocino, Tip. Paravia 1856.

27 No todos los estudiosos de don Bosco concuerdan en la evaluación de las cifras relativas a la difusión real de las «Lecturas Católicas». Nos parecen atendibles y documentadas la cifras que indica STELLA, Don Bosco nella simia economica, p. 357-366.

las «Lecturas Católicas» su precio extremadamente reducido, fijado en L. 1,80 anuales en 1853, y que sufrió mínimas variaciones en el curso de los años si
guientes.
En 1888, a la muerte de don Bosco, el precio era de L. 2,25 anuales. Pero el problema de la difusión y del precio se relaciona íntimamente con el problema de la distribución, un antiguo problema para todos los editores, que '1 don Bosco logró resolver con notables intuiciones organizativas. Utilizó, por una parte, sobre todo las estructuras eclesiásticas, en particular el clero y los párrocos, con su capacidad de convencimiento y de penetración en el tejido socia1.28 Por otra parte, la utilización de correspondientes, encargados de recoger las suscripciones se demostró un sistema muy eficaz para mantener contactos con los pueblos o regiones más lejanas.

Las «Lecturas Católicas» constituyen, en último término, el núcleo central / y más importante de la actividad editorial de don Bosco por lo que se refiere a las publicaciones periódicas. No hay que descuidar, sin embargo, la iniciativa emprendida por don Bosco de dar vida en primer lugar, en 1877 al «Bollettino Salesiano», cuya función era muy diversa respecto a las «Lecturas Católicas». El «Boletín Salesiano» se convertía, como ha subrayado E. Valentini, en «un vínculo», que debía unir estrechamente entre sí y al mismo tiempo con el centro los cooperadores salesianos desparramados por todo el mundo.29
28 Al parecer, don Bosco había manifestado, en 1876, la intención de reimprimir los Bolandistas. A los que le hablaban del coste insostenible de la iniciativa, replicaba: «Io sostengo che con 12 coila lire di fondo mi sentirei di intraprendere la stampa, sicuro che si verrebbe a guadagnare
assai. [...] Andrei a Roma per ottenere la benedizione pontificia ed un Breve che mi autorizzasse ed incoraggiasse a ció; si manderebbero manifesti a tutti i Vescovi della Cristiana; ci metteremmo in relazione con tutti i librai d'Italia ed i principali d'Europa; manderemmo intorno alcuni viaggiatori che trattassero personalmente coi nostri corrispondenti. Si farebbe un'associazione avvertendo che chi s'associa all'opera di principio, la otterrá a mea prezzo di quello che costerebbe guando fosse compíuta; e cosi con l'acquisto che molti farebbero del primo volume, potremmo far fronte alle spese del secondo. Condizione d'associazione sarebbe non pagare tutta l'opera da principio, ma volume per volume in ragione di tanto per foglio, ed ogni armo uscirebbe un volume. Io credo che con queste precauzioni si arriverebbe a stampare, con un vantaggio inmenso per l'Italia e per l'Europa, la pió grande delle opere che si possegga. Ora costa circa due coila lire o almeno mille cinquecento; ed io mi sentirei di darla a seicento lire, prelevando ancora il mio guadagno netto di sirca la mea» (MB XI, 438s.).

29 Cf. VALENTINI, Don Bosco e l'apostolato della stampa, p. 24. En la conocida circular del 19 marzo 1885 don Bosco hacía este balance de sus numerosas iniciativas editoriales, dirigidas sobre todo a los jóvenes: «Colle Letture cattoliche mentre desiderava istruire tuno il popolo, aveva di mira di entrar nelle case, far conoscere lo spirito dominante nei nostri collegi e trarre alla virtó i giovanetti, specialmente colle biografie di Savio, di Besucco e simili. Col Giovane provveduto ebbi in mira di condurli in Chiesa, loro istillare lo spirito di pietá e innamorarli della frequenza dei sacramenti. Colla collezione dei dassici italiani e latini emendati e colla Storia d'italia e con altri libri storici o letterari volli assidermi al loro flanco nella scuola e preservarli da tanti errori e da tante passioni che loro riuscirebbero fatali pel tempo e per l'eternitá. Bramava come una volta essere loro compagno nelle ore della ricreazione, e ho meditato di ordinare una serie di libri amen che spero non tarderá a venire alla luce. Finalmente col Bollettino salesiano, fra i molti miei fini ebbi anche questo: di tener vivo nei giovanetti ritornati nelle loro famiglie l'onore dello spirito di San Francesco di Sales e alle sue massime e di loro stessi fare i salvatori di altri giovanetti» (circu
.

4. La prensa de don Bosco en el cuadro de la prensa católica


Encaminándonos hacia a la conclusión, es oportuno preguntarse de qué modo viene a colocarse la prensa de don Bosco en el más amplio cuadro de la prensa católica de aquellos años de la segunda mitad del Ochocientos. Es conocido el desarrollo de esta prensa, especialmente en su componente intransigente, en todas las regiones italianas. Es una prensa que se mueve en el ámbito de la tenaz oposición al Estado liberal y en la denodada defensa de los derechos «imprescriptibles» de la Santa Sede. Estos aspectos están ausentes de los escritos de don Bosco, a pesar de que en el Almanaque anual de las «Lecturas Católicas», titulado «Il Galantuomo», junto a noticias varias, datos, informaciones útiles, no faltaban frecuentemente algunos escritos de actualidad que se referían claramente a los problemas de la realidad social italiana y recordaban tonos familiares a la intransigencia católica. Se leía en el primer fascículo del «Galantuomo»: « ¡Pobre de mí! Yo oigo hablar todos los días de libertad e igualdad; y, mientras tanto, veo continuamente a señores que viajan en bellos carruajes, habitan en suntuosos palacios, se sientan a opíparas mesas; y yo — si por lo menos me encontrara solo, pero desgraciadamente somos muchos—, yo camino a pie, obligado a hacer servir la piel de mis calcañales como tacones de zapatos; todos los meses tengo que cambiar de casa, porque no puedo pagar el alquiler, y apenas logro disponer de un poco de polenta para dar de comer a mis cuatro hijos, cuya camisa les sirve de casaca, de camiseta y hasta de pantalón ».3°
Pero, más allá de estas realistas imágenes de un país marcado por profundos desequilibrios sociales, no hay en don Bosco ni en sus publicaciones aquel muestrario muy del gusto de la intransigencia católica. Don Bosco no lanza sus dardos contra el estado liberal y la monarquía de la casa de Saboya, no reivindica los violados derechos del Papa prisionero en el Vaticano. La mayor parte de los estudiosos de don Bosco subrayan que su posición es ajena a la política. Con todo, es indudable que no aparece completamente extraño al área de la intransigencia católica, a pesar de que estaba lejos de ciertas acentuaciones an
! tünstitudonales, y frecuentemente se mostraba propenso a la colaboración con las autoridades civiles. Pero su acción estaba también encaminada a conservar en torno a la Iglesia y a la parroquia a aquel mundo rural, que parecía marginado respecto a los problemas de la unidad nacional. En el fondo, don Bosco dirige sus publicaciones y se mueve dentro de la misma área del devocionalismo y de la piedad popular, es decir, en aquel contexto sociorreligioso en el cual operó el catolicismo intransigente. Hay que recordar que el movimiento católico decimonónico fue sólo parcialmente un fenómeno político. El catoli
lar reproducida en: Don Bosco a carattere di stampa, Roma, SDB 1985, p. 9-12; cf. también, en la misma obra, los dos ensayos de E. Frzzarn, Perché quella lettera circolare y Produzione editoriale di don Bosco).

'° [G. Bosco], Ai miei lettori, en «Ji Galantuomo». Almanacco nazionale pel 1854, p. 37.

císmo militante, en muchos aspectos, se encontró comprometido en un abanico de intereses y de actividades que, en realidad, no están muy lejos de los seguidos por don Bosco. No era una casualidad que, entre las múltiples actvidades de la Obra de los Congresos, no estuviera ausente el tema de la difusión de la «buena prensa».

De todos modos, se trata de una hipótesis aún por estudiar y verificar. Se trata, con otras palabras, de releer las vicisitudes del movimiento católico, teniendo presente esta excepcional presencia salesiana en la historia de la Italia católica del siglo XIX. Los estudios sobre el movimiento católico, los estudios sobre la historia social y religiosa de nuestro país, los estudios sobre la prensa católica en el Ochocientos — yo trato de resarcir daños — han olvidado hasta ahora la rica y estimulante presencia de don Bosco y de sus iniciativas, que marcan profundamente, no sólo la historia religiosa, sino también la historia de nuestra sociedad civil, la historia de nuestro país.3'
" Sobre este problema, se pueden leer las lúcidas observaciones de P. STELLA, Le ricerche su don Bosco nel venticinquennio 1960-1985, en: BRAMO (ed.), Don Bosco nella Chiesa, p. 373-377.

DON BOSCO Y LA MÚSICA Giulio SFORZA


La musique creuse le riel.

La musique souvent me prend comme une mer.

Que no parezca irreverente este estremecimiento de Baudelaire. A lo largo de mi breve intervención se justificará. No he venido aquí a contaros lo que todos vosotros sabéis mejor que yo acerca de la disposición natural de don Bosco hacia la música, su formación en ese sentido, la obra de promoción que hizo de ella y su andadura. Estoy aquí para comunicaron las reflexiones y comparaciones que esa pasión musical me ha sugerido. Reflexiones y comparaciones que podrán parecer parciales, orientadas a llevar el agua de la concepción de don Bosco al molino de mi filosofía de la música; pero que, lo juro, han surgido de buena fe con el deseo de identificar los principios y conceptos que puedan servir de fundamento a la pasión de la que he hablado y el papel insustituible reservado por don Bosco a la música en la formación del hombre.

He leído en algún lugar que la música es uno de los siete (sic) secretos educativos de don Bosco. En realidad, a mí me parece que él la consideraba algo más y que tenía de ella aquella concepción totalizante que tuvo la filosofía romántica.

Si fuese así, no habría que asombrarse. Don Bosco vive en el corazón del siglo romántico, y no hay que excluir que los aún prohibidos Alpes llevasen hasta él un poco del clima y de la atmósfera que la grandiosa música alemana y no alemana y la reflexión que de ella hicieron los Hegel, Wackenroder, Hoffmann, Heine, Schelling, Schopenhauer, Schumann, Beethoven en los Cuadernos de conversación y por último, Wagner, crearon en Europa y en el mundo. Para aquella reflexión, la música es algo más que un puro ébranlement nerveux (Marcel): principio supremo de conocimiento, más aún, fuente de salvación, razón participativa que de algún modo consiente la experiencia del Absoluto y de la Totalidad, que por definición se prohibe a la razón objetivante. Antes que a Marcel hay que darle a ella «una universalidad que no pertenece al orden conceptual y esta universalidad es el secreto de la idea musical».

Así pues: Don Bosco es del siglo XIX, el siglo de la gran música y de la gran reflexión sobre ella (produce placer por una vez subrayar el deslumbra
miento en el Hegel de la Estética: parece exactamente que el pájaro de Minerva no esperó el crepúsculo para elevar su vuelo). Él respira la música con el... tiempo. Cuando nace don Bosco, Ludwig está en la plenitud de la madurez creadora; y aquel Richard ve la luz que las premisas beethovenianas arrastrarán hasta allá, más de lo que no será posible osar; y aquel Verdi nace para discutir al Lipsiense durante mucho tiempo el primado. No se puede imaginar que no le llegue a Bosco ningún temblor de aquel fervor creativo: de atmósfera, dije, a la que es imposible sustraerse. Prejuicios filosóficos y teológicos no podrán permitirle, parece obvio, hacer de la experiencia musical la experiencia, aquella a la que se revela la esencia; hacer de la música el templo de la Isis oculta, a cuya denudación de la verdad y descubrimiento del misterio sólo a sus sacerdotes les es dado asistir. Pero no le impedirán tenerla como primera entre las siervas, si bien sierva de la fe, razón participativa también ella: y ¡pocos secretos de la señora quedan ocultos para la sierva!
«Ne impedias musicam». Don Bosco parece convencido de que, como educación y vida coinciden, son igualmente inseparables educación, música y vida. De la música teme, sin duda, el poder demoníaco, y el episodio del violín hecho añicos lo demuestra. Pero más que a la música, parece temer su uso impropio: ella es fin y no medio, elevación del alma y no caricia de pasiones inferiores. Al contrario, si es música, es exaltación y purificación de pasión. Y si es grande, ¿para qué noche del alma podrá creer Tolstoj que es pecaminosa La Sonata a Kreutzer, una de las más puras criaturas de Beethoven?
«Ne impedias musicam», pues. Porque «un oratorio sin música es como un cuerpo sin alma».

Pietro Braido entiende de tal modo la fundamentalidad y el poder de la afirmación, casi como temiéndola y sintiéndose en la obligación de situarla en un contexto que la explica.

Yo he ido a ese contexto y me parece que, gracias a Dios, no explica nada. Toda la obra de Juan Bosco, en el testimonio general de sus biógrafos, informa de una fe suya en la música, no como simple instrumento entre los instrumentos, sino como atmósfera, estilo, ambiente en los que sólo es posible una acción positiva y una positiva reacción educativa. Lo que afirma el don Cenia de los Annali: que se debe buscar la razón principal de aquella afirmación «en la saludable eficacia que le [a la música] atribuía sobre el corazón y la imaginacion de los jóvenes con el fin de ennoblecerlos, elevarlos y hacerlos mejores», no es en realidad suficiente para justificarla. Don Bosco dice más. Dice que la música es el alma del Oratorio, y el Oratorio es la totalidad de la educación, y, por tanto, la música es, si me lo permitís, la entelecheia e prote del soma educativo, la forma primera, el primer principio vital. Sín música, a la educación le falta la respiración, el proceso de crecimiento es asfictico, los fines que se propone una educación auténtica «desvelar», ante todo, «el reino de lo prodigioso y de lo inconmensurable y el deseo nostálgico de lo infinito» (los caracteres, según Hofmann de la música beethoveniana) no se pueden alcanzar.

La altísima consideración en que don Bosco tiene a la música explica tam
bién la seriedad con que él pretende que se enseñe. La aproximación, tan común en ciertas esferas religiosas, no le agrada. Música recreativa no significa para él música de mal gusto. Sabe muy bien que ninguna música es recreativa sí no es creativa y que, por tanto, sólo la gran música recrea. Y el Oratorio, el lugar del aprender gozoso y lúdico, del aprender, lo diré, músico y musical, es también el lugar que sabe producir complejos vocales en condiciones de proponerles los Cherubini, los Haydn, los Gounod, los Palestina, el lugar en que se enseña el gregoriano según la gran escuela solesmiana de los Poithier y de los Mocquereau, que visitan el Oratorio y no desdeñan enseñar en él, el lugar en el que surge un conjunto de música instrumental de alto nivel dispuesto a colaborar, hasta la prohibición del arzobispo, en las funciones religiosas, como para consagrar aquel encuentro de instrumentalidad y vocalidad, aquel místico connubio entre palabra y sonido que, en la Fantasia per Coro pianoforte e orchestra op. 80, se llama hacerse la luz:
Wenn der Tóne Zauber walten und des Wortes W eihe spricht mufa sich Ehrliches gestalten Nacht und Sturme werden Licht.

Es el lugar que genera maestros como Cagliero, Costamagna, Dogliani, que no sólo ofrecen una producción propia óptima, sino que abren la puerta a los Donizetti, los Verdi, los Rossini. Es el lugar cuyas veladas son una ocasión de grandiosa elevación de aquel arte «che a Dio par figlia e non quasi nepote» (el endecasílabo es involuntario; no querría se creyese que es la primitiva versión de Dante). Y si no es hija, seguro que sí es embajadora: cada vez que envía misioneros, los embajadores de Dios, don Bosco se preocupa de que entre ellos haya también un buen músico.

Escribe don Cenia: «Quien no haya oído al menos a alguno de los que vivieron en aquel tiempo en el Oratorio, no puede hacerse una idea de la pasión que allí reinaba para todo lo que era música». El subrayado es mío, y vale la pena. Aquí don Cena abandona toda prudencia. Pasión dominante, dice. Y esto es grandioso. Grandioso y terrible. Y me asombra que el promotor de la fe no lo señalase y que la pasión dominante oratoriana y de don Bosco no figurase entre las animadversiones del proceso de beatificación...

Fuera de toda broma, la realidad es que don Bosco se hizo santo también gracias a la música (como también mediante la música se encaminó hacia la santidad el jovencito destinado a ser el patrono de los Pueri Cantores). Había afirmado: «La música es un medio eficacísimo para sostener la moralidad y la santidad». Como el Goethe del testimonio de Mazzini, confía a la música el mismo papel que tiene la santidad: «el descubrimiento, y la vida va en ello, de un mundo que los sentidos no lograrán nunca expresar». La misma piedad, la misma humildad, la misma disponibilidad, que constituyen la base del proceso de ascesis se exigen a quien pretenda orientar sus pasos hacia la música. Fija
en el Regolamento: se excluye de la formación musical a aquellos «que fuesen negligentes en las funciones religiosas del Oratorio o que tuviesen notoria mala conducta». Aquí, si parece que hay, y tal vez haya, una contradicción de fondo (ano sirve, entonces, la música para dulcificar las conductas?), es evidentísima una vez más la alta estima de don Bosco por la música, realidad tan pura y tan grande que la insensibilidad religiosa y la grosería moral prohiben que se practique y se comprenda.

Es que en la visión de don Bosco música es oración: no un leibniciano raptus animae se nescientis, ¡ay!, numerare, y mucho más que un schopenhaueriano exercitium methaphysices occultum nescientis se philosophari animi: sino que es raptus animae se scientis orare.

También para don Bosco cantar es propio del que ama. El enamorado de Dios es el cantor de Dios: él lo alaba, lo admira, exalta y participa en su misterio. Y como lo sagrado es el lugar del misterio participado, el canto sagrado es la más alta expresión de la música que es también siempre y toda, en sus cumbres, sagrada. Entre los géneros musicales, el género sagrado es el propio de los «que se maravillan sonriendo y gozan de corazón del hecho de que Dios sea mucho más grande que ellos» (Wackenroder). Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. No es casualidad que las pocas composiciones de don Bosco de que se tiene noticia se inspiren en el principio de la alabanza, de la maravilla, de la admiración: Ah si canti in suon di giubilo, Lodato sempre sia, Gloria, Magníficat. Y que su cuidado mayor se dirija al gregoriano y a la polifonía de Palestrina, los monumentos insuperables de un sentimiento de la sacralidad que se exalta en forma de canto. Se lee: Animaba (soy yo el que subraya) las clases con lecciones sobre el canto gregoriano y después hacía aprender a los internos el canto firme E...] y no permitía que entrasen a formar parte de la escuela de música si no conocían antes el canto gregoriano» (ano pidió tal vez a Pío IX una indulgencia especial para los maestros y cantores del mismo?). Y las ejecuciones polifónicas de Palestrina cuidadas por él o sus colaboradores eran tales que se pudo escribir: «Ejecuciones musicales y cantos religiosos tales no se oyen más que en Roma en el más grande de los templos del mundo. Después de Roma, sólo don Bosco es capaz de ejecutar en sus iglesias obras musicales de esa altura, hacerlas gustar al pueblo cristiano y embellecer el culto católico» («L'Unitá Cattolica»).

«Pensad que con el canto divino alabáis a Dios y que los ángeles del cielo hacen eco a vuestra voz. [...] Un cantor no debería tener otro fin más que alabar a Dios y unir su voz a la de los ángeles».

Cantar es orar, y orar es asombrarse. Don Bosco lo entendió con aquel «al que Dios había cerrado el oído para que no hubiese más sonidos que los suyos» y que «coronó el mundo con una cúpula de música» (Rilke); aquel para el cual «Zum erstaunen sind wir da». Estamos aquí para admirar.

NOTA BIBLIOGRÁFICA: P. BRAMO, L'esperienza pedagogica di Don Bosco, Roma, LAS 1988; G.F. HEGEL, Esthétique, Paris 1984; R. COLOMBO, La musica, mezzo educativo in Don Bosco (Tesi di Magistero in Canto gregoriano), Roma 1982; E.T.A. HOFFMANN, Kreisleriana, Roma, Bibl. Unív. Rom. 1984; L. MAGNANI, Beethoven nei suoi quaderni di conversazione, Torino, Einaudi 1977; M. RIGOLDI, Don Bosco e la musica, Carugate 1988; A. SCHOPENHAUER, Scritti sulla musica e suite arti, Milano, Discanto 1981; G. SFORZA, Studi Variazioni Divagazioni, Pavia, La Goliardica 1978; W.H. WACKENRODER, Fantasie sulla musica, Milano, Discanto 1981; RM. RILKE, Quaderni di Malte Laurids Brigge, Milano, Garzanti 1974.

ORIGINALIDAD DE LAS MISIONES PATAGÓNICAS EN DON EOSCO*
Jesús BORREGO
Esta última comunicación oral del Congreso se refiere al quehacer misionero de don Bosco. Se ha escrito que intencionalmente su vocación — y hasta su estrategia — misioneras nacieron con él, con su vocación de apóstol de la juventud, pero temporalmente constituyó la etapa final de su proyecto «oratoHan°. »,' hecho realidad precisamente en las misiones de la Patagonia, la única experiencia gestada y vivida por don. Bosco — en sus hijos, se entiende — en tierras de misión propiamente dicha. Y la vivió, e hizo vivir, con tan entusiasmante entrega que, al medio año de llegar los salesianos a Argentina, aseguraba ya al prefecto de Propaganda Fide que, «expuesto el humilde proyecto [sobre la evangelización de la Patagonia], deseo consagrar los restantes días de mi vida a esta única misión», que es «el objetivo prioritario de la misión salesiana», «la empresa más grande de nuestra Congregación»?
Así pues, el objetivo prioritario de la misión salesiana, esculpido en su Testamento espiritual — «el mundo nos recibirá con complacencia mientras nuestra solicitud vaya dirigida a los salvajes, a los muchachos más pobres y en mayor peligro de la sociedad» — encuentra en las zonas misioneras «un lugar privilegiado donde logra su plena realización».3 Siendo la obra de don Bosco, en su origen y en la realidad, una institución esencialmente educativa, toda su con
* Esta comunicación fue redactada y leída en castellano por el autor (n.d.e.).

Annali, p. 245: Summarium... beatificationis et canonizationis, Servi Dei Joannis Bosco... Po-sitio super introductione causae..., p. 254.306.319.401.527...; MB II, 20; R. CASTILLO LARA, Il piccolo seme é diventato albero gigante, en: Centenario delle Missioni Salesiane 1875-1975 - Discorsi commemorativi, Roma, LAS 1980, p. 83; A. FAVALE, 11 progetto missionario di don Bosco, Roma, LAS 1976, p. 4-10.

2 E III, 61 (carta al card. Franchi, 10.5.1876); III, 34 (Súplica de don Bosco a Pío IX en favor de don P. Ceccarelli, párroco de San Nicolás de los Arroyos, 9.4.1876); IV, 14 (carta a don Fagnano, director de Carmen de Patágones, 31.1.1881).

3 Memorie dal 1841 al 1884-5-6 pel Sac. Gio. Bosco a' suoi figli salesiani [Testamento spirituale], en RSS 4 (1985) 127: MB XVII, 273; L. RICCERI, Le missioni, strada al rinnovamento, en ACS 267 (1962) 20. Respecto al término «salvaje» E. Cenia puntualiza: «Selvaggi sotto la peana di Don Bosco é termine comprensivo, indicando tutti gli abitatori del territorio patagonico, non piú tutti Irsdi alio stato selvaggio, il che spiega come si potesse sperare di trovar figli di Irsdi suscettivi di essere preparati al sacerdozio» (E III, 95).

cepción misionológica — advertía Alberto Caviglia — «asume su carácter y, sir más, su valor en el hecho de ser desarrollo y dilatación de la idea germinal, d( la que ha dimanado toda su multiforme actividad apostólica»: la idea de salvas la sociedad, también la infiel, «ante todo mediante la educación de la juventud y mediante el estilo y los medios concebidos para ella en el pensamiento pedagógico de don Bosco».4 Ello será su aportación específica, bajo la forma de «proyecto operativo», o «estrategia misionera ».5

1. Patagonia, ¿proyecto original?


Desde los albores de la aventura misionera — siempre como fondo la Patagonia — habla pomposamente de «nuevo proyecto», de «serie de proyectos que parecen fábulas o cosa de locos a los ojos del mundo, pero [...] Dios los bendice»; con lo que manifiesta que no se trata de un proyecto definitivamente estructurado, sino que, como siempre sucede en don Bosco, la elaboración y ejecución progresiva de iniciativas y proyectos se amplia y se enriquece ininterrumpidamente con su experiencia vital y con la de cuantos actúan con él en unidad de espíritu y de métodos.'
El llamado proyecto patagónico — ideado entre 1876-1879 basándose en sus conocimientos juveniles, estudios, «en el amaestramiento de la historia que tiene en cuenta cuanto otros han dicho o hecho», y hasta en la iluminación sobrenatural' — estaba definido con claridad sólo en su doble objetivo: evangelización' con la plantatio Ecclesiae en las Pampas y Patagonia, precedida de la ayuda, sobre todo espiritual, a los emigrados italianos. Este segundo objetivo, además de servir de trampolín natural para la penetración misionera en la Patagonia, significaría el medio más apto para radicarse los salesianos en el pueblo argentino, como luego en el uruguayo, brasileño, egipcio, iraní... Entremezclado el elemento nativo con el inmigrado, se escribirá uno de los capítulos más fecundos de la actividad salesiana."
A. CAVIGLIA, La concezione missionaria di don Bosco e le sue attuazioni salesiane, en «Omnis Terra adoret Te» 24 (Roma 1932) 5.

• 5 STELLA, Don Bosco 1, p. 174; P. PAESA, Planes y métodos en la evangelización de la Patagonia después de 1879, en: La expedición al desierto y los salesianos, 1879 (de J. BELZA - R. EN'TRAIGAS - C. BRUNO - P. PAESA), Buenos Aires, Ediciones Don Bosco Argentina 1979, p. 206-240; P. BRAIDO, Ilprogetto operativo di Don Bosco e l'utopia della societá cristiana, Roma, LAS 1982, p. 24
28; J. BORREGO, Estrategia misionera de don Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 143202.

6 E LIÉ, 52.72 (cartas a don G. Cagliero, 27.4 y 3.7.1876); BRAMO, 11 progetto operativo...,
13.- 5.

' E 111, 257 (Memorandum al card. Franchi, 31.12.1877); FAVALE Il progetto, p. 4-14; MB I, 328.415; STELLA, Don Bosco I, p. 168-169.

G. ROSOLI, Impegno missionario e assistenza religiosa agli emigrati nella visione e nell'opera di don Bosco e dei salesiani, en: F. TRANTELLO, Don Bosco nella storia della cultura popolare, To
La originalidad del proyecto ideal se verá condicionada por su escasa experiencia misionera; se sirvió de la ajena. Durante el concilio Vaticano I
confiesa él mismo — varios obispos le pidieron «con insistencia la apertura de
una casa en Asia, Africa y América» y otros lo visitaron en Turín, como los de Santiago y Concepción — «la diócesis más meridional de la República Chilena», precisa —, a quien en julio de 1876 ya escribía pidiendo licencia para «intentar un experimento de anunciar el Evangelio entre los patagones y los
pampas» .5 Tuvo contactos personales y epistolares con grandes misioneros — Massaia, Lavigerie — y, particularmente con Comboni, quien visitó varias veces el Oratorio de Turín, le remitió su Moción en favor de los negros de Africa Central, presentada al concilio Vaticano I y le había dado a conocer su escrito fundamental — Plan para la regeneración de Africa, — que se reducía a crear en torno al continente africano un cinturón de institutos de educación para ambos sexos, donde pudieran vivir y trabajar los misioneros, tanto europeos como autóctonos. De tales institutos, formados jóvenes de raza negra, partirían hacia el interior grupos de personal masculino — religiosos, catequistas, maestros (artesanos, agricultores) — y de personal femenino — religiosas, catequistas, maestras, — grupos destinados a penetrar gradualmente en las regiones de Africa central y crear centros — familias, «misiones-colonias», comunidades que irradiasen la presencia del cristianismo y de la civilización.'" Don Bosco hace suyo el Plan comboniano, no ocultando, ya en agosto de 1876, que el método adoptado por él en la evangelización de la Patagonia «es idéntico al que intenta poner en práctica mons. Comboni en el centro de Africa».'1
Helo aquí hilvanado con pespuntes de textos complementarios, que muestran a simple vista, que la identidad con el plan comboniano pasa por su experiencia personal e institucional dé estilo inconfundible:
rino, SEI 1987, p. 289-329. La actividad salesiana, a la muerte de don Bosco registraba, aparte los centros misioneros de la Patagonia, diecinueve casas en Argentina, Uruguay, Brasil, Chile y Ecuador: parroquias, oratorios, escuelas para estudiantes y artesanos, internados, imprentas, librerías
(cf. STELLA, Don Bosco 1, p. 182-183).

9 La imprevista suspensión del concilio Vaticano I° impidió llevar a término la publicación del decreto sobre las misiones — Schema Constitutionis super missionibus apostolicis (MANSI col. 45-53) —, y las numerosas propuestas presentadas por los padres conciliares, en las que emergían las de la escuela, bajo formas diversas: necesidad de multiplicar las escuelas, los seminarios, las casas de formación para el clero nativo; urgencia del apostolado educativo en las zonas geográficas comprendidas entre Austria e India, entre las costas argelinas y Abisinia; exhortación al concilio de aprobar y recomendar al mundo católico la difusión de la Obra de las Escuelas cristianas de Oriente (MANSI DIE, col. 152-153.349.571-574). Peticiones de fundación: MB IX, 891-892; X, 546.626.658.732.739.769-771.1270-1272.1358-1375; E In, 79-80 (carta de don Bosco al obispo de Concepción, mons. José Hipólito Salas, 29.7.1876).

l ° Con la carta. Lavigerie: MB IX, 472. 734. 769-771. 940; MB IX, 888-889, lettera, scritta da Roma, il 30 luglio 1870, e in cui Don Comboni annuncia l'invio del suo Postulatum (MANSI LIE, col 633-634). Cfr. P. CinocaLETra, Daniele Comboni: "Carte per l'Evangelizzazione dell'Africa, Bologna, EMI 1978, pp. 215-233 (Pianoforte ...), pp. 235-247 (Postulatum ...).

"ASC 110 (1-Quaderno 8) Cronichetta-Barberis, p.87.

"Che noi adottato 111 metodo ABBIAMO [...] caso piantar a Confini e cercare di allevarsi un aborigeno clero [...]. Fra 7 anni avremo come per certo missionari indigeni giá preti [...]. Noi POSSIAMO [...] credere che sì andra avanti nel QUESTE Missioni, Perché cí alla povera attacchiamo gioventu [...] attaccarsi coll'educazione alla massa del Popolo
della Gioventu povera" .12
"L'unico mezzo Che lama atto a Mettersi in Esecuzione SEMBRA SIA Il sistema di Colonizzazione, impiantando van paeselli e Piccoli confini sui Forti, e qui cominciare ad APRIRE collegi, caso d'educazione, ricoveri, ospizi ed orfanotrofi per fanciulli dei selvaggi, che siano Abbandonati affatto, e poi per mezzo tentare al Loro il sistema tempo di evangelizzare i Patagoni coi Patagoni Stessi; Poiche attirati I giovani, se puledra coll'educazione dei Figli Farsi a diffondere la religione Cristiana Anche fra i genitori" .13
Proprio i Salesiani arrivarono in Patagonia ", ha sollecitudini Furono Dirette Prime alla Loro Di Chiese erezione, di case di abitazione, di scuole pei fandrilli e per le ragazze. MENTRE ALCUNI se occupano cosi annuncio Insegnare arti, mestieri e l'agricoltura alle colonie costituite, Altri continueNo ad avanzarsi Tra i selvaggi per catechizzarli, e, possibile, fondare colonie REGIONI nene piú interne del deserto è é. [...] Punti dà farsi [...]: 1 A Prefettura o Vicariato [...]; 3 ° ora fare una Proposta con cui, accettando Le Buone Disposizioni di Govemo Argentino [aprile 1880], se assicuri Lo Stato religioso e civile degji Irsdi vengono Che alla fede ""
progetto Tatticamente ingegnoso, simile a quella sulla sua lunga esperienza come educatore e leader di opere educative ha trovato efficace, anche se nel suo
Insieme il progetto è un'utopia squisita, fornisce le caratteristiche determinanti della sua strategia missionaria.

2. Argentina-Patagonia, terra di promessa


Mi sembra la prima caratteristica determinante. Il comportamento di Don Bosco è palpabile - avverte Pietro Stella - l'Euntes in mundum universum docete omnes gentes' non è solo un oggetto di conoscenza e di fede [mandato apostolico], ma un mandato missione legale, richiesto ed ottenuto
viene preso di una lunga conversazione con Don Barberis, il 12.8.1876 e in essa lasciò la meole
della strategia missionaria. ASC 110 (1-Quad. 8), Cronichetta-Barberis, p. 75-76,87. Riassunto in MB XII, 279-280.

"G. Barberis, La Repubblica Argentina e Patagonia," Letture Cattoliche "nn. 291-292 (1877) 93-94. Esso è un riflesso di ciò che è stato detto da Don Bosco Salesiani su 1876/06/06 (MB XII, 221.223) , la carta. Franchi 1876/10/05 (e III, 58-60) e 31/12/1877 (e III, 257.261) e scritto in BS
2 (1878) 11, 1-2. ricordò di Don Barberis, Resoconto delle Missioni Salesiane. tenutosi Atti del Convegno prima Intemazionale dei Cooperatori Salesiani a Bologna per 23-25 Aprile 1895, Torino, Tip. Salesiana 1895, pag. 196-197.

14 E III, 569.573-574: Memoirle intorno alle missioni salesiane, a Leone XIII, 13.4.1881. Alla fine di marzo del 1882 inviò un altro Memorandum "All'Opera della Propagazione della Fede a
Lione" - "Relazione completa salle missioni patagoniche" - e spiegò la sua strategia (E IV, 123-127).

del Papa, padre di tutta la famiglia dei credenti ", e che diventa" una motivazione per il suo trapianto in America ", convinto che con l'inserimento della sua Società nel movimento missionario, ha acquisito una" realtà molto più vasta " , proporzionato al campo dell'apostolato missionario offerto
dalla Chiesa all'attività salesiana "" in Argentina.

Prima delle offerte dei vescovi conciliari e delle istanze africane di
Comboni, ha pesato le forze - suggerisce don Bosco - l'Argentina è stata preferita "soprattutto perché la nostra Congregazione è agli inizi". Che cosa significasse per lui: la vicinanza a "costumi, cultura, lingua" - senza dimenticare la religione - e "il fatto che la sua famiglia non sarebbe isolata lì, ma tra amici, tra innumerevoli compatrioti con cui potrebbe essere creato un clima analogo. a quella della lontana patria. "" In altre parole, fattori di vicinato, di contadini e di sostegno emotivo sono stati uniti da ragioni più profonde di evangelizzazione del
prossimo a causa della prossimità culturale e del dovere di solidarietà.

Inoltre, nel sud dell'Argentina, i "selvaggi", i pampa e i
tagocchi marocchini sembravano scoprire - dopo anni di studio "seri e diligenti", presagi e informazioni - quelli visti nel sogno tra il 1870 e il 1870- 1872, a cui, come se ciò non bastasse, dal lontano 1848, considerava i "più abbandonati" 17 della terra, poiché, anche alla fine del 1875, non aveva "penetrato la religione di Gesù Cristo, né la civiltà, né commercio; dove nessun piede europeo è riuscito a lasciare traccia fino ad oggi "e" dove il
governo, se ce n'è uno, conta poco ".
Narrato il sogno in piena euforia patagonica (luglio-agosto 1876), poi
Non sa retorica eufemismo confessione di Don Bosco Don Barberis: "Ho vissuto 60 anni senza aver sentito solo il nome della Patagonia e che stava andando a dire che avrei dovuto studiare oggi, palmo a palmo , in tutte le circostanze! "Nel mese di maggio .'9 Propaganda Fide ha esposto il suo progetto patagónico, che comprende" la creazione di una Prefettura Apostolica 'e propaganda, che aveva' molto vaga conoscenza di questi luoghi "20 richiede una relazione completa su questo settore. Il rapporto - dal titolo
1-5 MB XII, 14; STELLA, Don Bosco I, p. 169-170; FAVALE, Il progetto, p. 21-29.

16 MB XI, 384; BARBERIS, La Repubblica Argentina, p. 182; STELLA, Don Bosco I, p. 171.

17 En el sueño le pareció encontrarse en una región completamente desconocida — luego con su estudio «serio», e informaciones, sabría que se trataba de Patagonia: MB X, 1267-1273 — en la que salvajes crueles mataban a misioneros de diversas Ordenes religiosas, los descuartizaban, clavando los trozos de carne en sus lanzas; luego aparecieron los misioneros salesianos que se acercaron a «los salvajes con rostros alegres y precedidos de una falanje de jovencitos», con el rosario en mano, acogidos benévolamente y escuchados (MB X, 53-55). En cuanto a ser «los más abandonados» (MB III, 363), cf. J. BORREGO, Primer proyecto patagónico de don Bosco, en RSS 5 (1986)
43-47.

" MB XI, 385-386 (plática de despedida a la 1' expedición).

ASC 110 (1-Quad. 7) Cronichetta-Barberis, 17.5.1876, p. 55-56.

20 EDI, 58-60 (Memorandum al card. Franchi, 10.5.1876). Barberis el 15.5.1876 anota en su Cronichetta: «Secondo le spiegazioni che mi diede dopo a voce questo lavoro é per mandarsi a
La Patagonia e le terne australi del Continente Americano, descubierto en 1983 — está basado, según propia confesión, «en los autores más serios qué han tratado este tema». Cita a D'Orbigny, Lacroix, Guinnard, Daily, V. Quesada, Ferrado, junto con las «Lettere Edificanti», la revista «Museo delle Missioni Cattoliche» y «particularidades de cartas escritas por nuestros misioneros ya desde su campo de trabajo». Tras una información minuciosa de la Patagonia física, histórica, antropológica y religiosa y de sus escasos experimentos evangelizadores, como conclusión ofrece su «estado presente» — con noticias atendibles sobre la lamentable situación sociorreligiosa — y su «Nuevo Proyecto» para realizar una experiencia evangelizadora en la Patagonia?' Es el documento más extenso del pensamiento misionero de don Bosco, que refleja, sin duda, la Patagonia tal como era conocida en Europa en 1876.

Estas ansias de saber patagónico no se apagarían jamás. Son patentes en sus informes a la S. Sede o Propaganda, en su correspondencia y en artículos del Bollettino Salesiano, donde desde 1881 al 1884 aparecerán actualizadas las tres primeras partes del Informe, recogiendo las aportaciones de los recientes exploradores: Luis Piedra Bueno (1859), Ernesto Rouquaud (1872), Francisco Moreno (1878) y Giacomo Boye (1883).23 Lo reflejó en la conferencia dada el 14 de abril de 1883 a la Sociedad Geográfica de Lyon, que le otorgaba «la medalla de plata por sus benemerencias en el campo de la ciencia geográfica tal como se entiende en nuestro tiempo, es decir, como contribución al estudio y al progreso de los hombres y de las cosas en países extranjeros». Algunos geógrafos y científicos han considerado toda esta labor patagónica de don
Roma alfa Congregazione di Propaganda poiché il Sto Padre affidó al Sig. D. Bosco doé al Salesiani la cura spirituale di quelle regioni, non phi ancor corse da alcuna missione. La Congregazione di Propaganda non ha nessuna cognizione — [«nozioni assai vaghe», atenúa en E IIL 58] di quei luoghi; ed ora si lavora per erigerla in Prefettura Apostolica». ASC 110 (1-Quad. 7), p. 49.

21 G. Bosco, La Patagonia e le Terne Austral' del Continente Americano, Torino 1876. Manuscrito de 164 páginas, con fecha y firma autógrafos de don Bosco. Ha sido descubierto en 1983, en la biblioteca de la Pontificia Universidad Urbaniana de Roma, por el salesiano p. Ernesto Szanto, que lo ha publicado en facsimil con traducción castellana: E. SZANTO, La Patagonia y las Tierras Australes del Continente Americano. Presentación, traducción y notas del «Proyecto Patagonia Don Bosco». Bahía Blanca, Archivo Histórico Salesiano de la Patagonia Norte 1986. Edición crítica por J. BORREGO, en RSS 7 (1988) 255-418.

22 E III, 58-60 (Memorandum a Propaganda Fide, 10.5.1876), 275 (Otro del 31.12.1877), 569574 (Relazione... a Leone XIII, 13.4.1881). Significativas las cartas escritas, en agosto-septiembre 1885: E IV, 313, 328 (a mons. Cagliero, 102. y 6.8.1885), 333 (a don Costamagna, 10.8.1885), 334 (a don Fagnano, 10.8.1885), 336 (a don Tomatis, 14.8.1885), 339s (a don G.B. Allavena, 24.9.1885), 341 (a don L. Lasagna, 30.9.1885).

23 BS 4 (1880: nn. 2.4.5.6.9.11); 5 (1881: nn. 4.7.10); 6 (1882: n. 4); 7 (1883: mi. 2.4.9.); 8 (1884: nn. 1.4.7.10). Sobre G. Boye, MB XVII, 454. 644. Cf. J. BORREGO, Primer proyecto patagónico, p. 32-35. Para todo esto: J. BEI.ZA, Sueños patagónicos, Buenos Aires, Instituto de Investigación Histórica Tierra del Fuego 1982.

Bosco la primera aportación «científico»-geográfica de las misiones salesianas.24


3. «No había misiones salesianas en el Sur [argentino y rbileno] sino colegios, granjas, iglesias... »25


Es uno de los dos reproches fundamentales, que se hacen, apenas muerto don Bosco, a su estrategia misionera, cuando, por el contrario, plasma su rasgo más original.

«El rasgo original de la fisonomía salesiana — recordaba el card. Baggio es la opción de clase, una opción constante, coherente, indeclinable que se mueve entre las dos paralelas de los pobres y de los jóvenes [...]. En los lugares de misión esto es de una claridad meridiana»; opción mantenida por don Bosco desde el quinto consejo a los primeros misioneros hasta su Testamento espiritual: «A su debido tiempo tendremos misiones en China [...] mas no olvidéis que vamos para los muchachos pobres y abandonados», prioritaria-mente, y «con ellos para un pueblo entero». Sobre el terreno comprobarían que no existía otro camino para preparar una plebs christiana.26
La evangelización y plantatio Ecclesiae, fines específicos de toda animación misionera, lo fueron también para don Bosco. La evangelización propia y directa se hace dominante fin salvífico-religioso en sus discursos de despedida a las expediciones misioneras y en su correspondencia epistolar. Sus salesianos sacerdotes, coadjutores y hermanas — son «enviados» a «anunciar la palabra
de Dios», a «propagar la fe», a «llevar», «promulgar», «dilatar el Evangelio entre los pampas y patagones». Sufrirán al no poder ofrecer en su plenitud el
24 MB XVI, 69; XVIII, 31-32.637. Considerado «científico» por Alberto De AGOSTINI, Don Bosco geógrafo, BS 84 (1960) 6-8; D. GRIBAUDI, en «Bollettino della Sodetá Geografica Italiana» (1961) 312; P. SCOTTI, Missioni Salesiane: contributi geografici, en: Missioni salesiane 1875-1975. Studi in occasione del centenario, Roma, LAS 1977, p. 267. Sin olvidar los discursos en ocasión de la fundación de la ciudad de Brasilia («Agen7ia Missionaria Salesiana» 1960/1) y su «XXV Anniversario» 12-14 dicembre 1985 a Roma.

26 Las misiones salesianas de la Patagonia. Su labor durante los primeros cincuenta años. Bahía Blanca 1930, p. 54-56; G.B. FRANCESIA, Francesco Ramello, chierico salesiano, missionario nell'America del Sud, S. Benigno Canavese, Tip. e Lib. Salesiana 1888, 117: «Alcuni osservano che D. Bosco, che le sue missioni in America non consistino ormai che in aprir Collegi e far Ospizi...». Entre ellos el escalabriniano p. Pietro Colbachini, quien escribía a un sacerdote de Vicenza el 28.2.1887: «I Salesiani di Rio, di S. Paolo, dí Montevideo, Buenos Aires, e tutti i Salesiani del mondo non si occupano di missione, eccetto pochi della Patagonia [...]. Essi vengono a fare da maestri e da prefetti dei collegi di arti e mestieri che tengono in queste partí: 1 una grande missione, ma é in tutto diversa da quello che dai piú si persa...» (M. FRANCESCONI, Inizi della Congregazione scalabriniana L1886-1888i, Roma, CSE 1969, p. 104).

26 MB XI, 381; XVII 273; Annali I, p. 243; S. BAGGIO, La formula missionaria salesiana, en: Centenario delle missioni salesiane..., p. 43; L. RICCERI, Il progetto missionario di Don Bosco, en: Ibid., p. 14.

mensaje evangélico, debiendo «atenerse a las cosas más esenciales del catecismo».27
Supuesto esto, «el fulcro de la acción y el principio vital de la misionología salesiana es — en sentir de Alberto Caviglia — la redención de los infieles por medio del ministerio educativo entre la juventud y la niñez [...]. Donde la miá:5n es salesiana al lado y junto al ministerio sacerdotal [anuncio directo del mensaje evangélico] ha de existir el ministerio y magisterio de la escuela Todas las casas salesianas — [parroquias, oratorios, de enseñanza, técnica, profesional, agrícola, de orientación laboral] — son una escuela [...] un instrumento especifico de penetración cristiana».28
De acuerdo que la escuela, más o menos valorada, nunca permaneció ajena a la actividad misionera. Don Bosco mismo hará escibir en las «Letture Cattoliche» que la obra evangelizadora de los misioneros en Latinoamérica cotizó mucho el «educar a la juventud — [aunque sabemos que no a toda] — y abrir cuantas escuelas pudieran para instruirla»; y procurará recalcar que «en cada reducción [jesuita] había dos escuelas: una para los rudimentos básicos de letras, la otra para la gimnasia y la música» 29 Pero en don Bosco sabe a novedad la escuela porque no constituye un elemento más o menos utilizable, sino que la función educativa «forma parte de la organización y de la estructura de la actividad misional»: «Tniciada una misión extranjera — precisa en su "Testamento espiritual" — esfuércense en crear escuelas»,3° con el acompañamiento consabido: iglesias, viviendas, internados, residencias, hospicios de beneficencia, facilitando simultáneamente «entre los indios el conocimiento y la práctica de las artes, de las profesiones, de la agricultura» y «el comercio», «de la ciencia, la moralidad y la civilización».

La referencia, sin embargo, a módulos clásicos no resulta mera repetición mucho menos en las zonas misioneras, — al insertarlas en la perspectiva global, fundamentalmente humanístico-cristiana, que caracteriza todo su proyecto operativo. Y, en efecto, para don Bosco la garantía máxima de conseguir una Patagonia cristiana y civilizada está en formar, entre la juventud — como en Europa — «buenos cristianos y honrados ciudadanos». Se lo revela a los exaluimos del Oratorio en el encuentro anual de 1884:
«Quando [...] le migliaia di fanciulli saranno raccolti nei nostri collegi, i loro prin
27 MB XI, 390. Baste pensar a las pláticas a la primera (MB XI, 383.387) y tercera expedición (MB XIII, 375); a su correspondencia (E III, 261.331.572-574.606 con nota 22); a los artículos en
BS 4 (1880) 11; 5 (1881) 6; 7 (1883) 7; 10 (1886) 7 e 8; 12 (1888) 1; L. CARBAJAL, Patagonia -Studi generale! ' - Quarta series ..., vol. IV, S. Benigno Canavese, Scuola Tip. Salesiana 1900, p. 150.151.

28 CAVIGLIA, La concezione missionaria, p. 8-10.12.20.24-26.

29 GB LEMOYNE, Fernando Cortez e Nuova Spagna, in «Letture Cattoliche» nn. 279-280 (1876) 37-44; C. CHULA, Da Torino alla Repubblica Argentina. Lettere dei missionari salesiani, in «Letture Cattoliche» nn. 286-287 (1876) 208.

30 MB XVII, 273; CAVIGLIA, La concezione missionaria, p. 8.

cipii saranno quelli stessi che voi avete imparati nell'Oratorio. In un secolo di Religione cosi poco curante, Essi Puye Faran VEDERE Al Mondo venire si amano Possa Nello Stesso Iddio ed Essere tempo onestamente Allegri: Nello Stesso e Cristiani Essere onesti e laboriosi cittarlini tempo "3 '
Questo classico abbinamento di Don Bosco - "onesti cittadini e buoni cristiani" - si traduce, in missione individuale e sociale prospettiva, non di meno ripetuto negli anni '80: "l'evangelizzazione e la civiltà", "bene dell'umanità e della religione", " religione e vera civiltà ». Ovviamente, per lui è "civiltà cristiana", convinto "che non c'è civiltà al di fuori del cattolicesimo, l'unica vera religione", che "santifica, unifica e popoli civili." Mette quindi evidente il concetto, allora in voga, la società civile cristiana - nel caso della Patagonia: una società civile evangelizzò - come definito tale in vigore assimilazione della cultura dei popoli civili e in concreto, della civiltà dell'Europa occidentale, forma storica del cristianesimo.32
Per realizzare questa impresa missionaria, Don Bosco ha sempre fatto affidamento su tutte le forze viventi della sua famiglia religiosa. fronte esterno di uomini e donne, il vecchio e il nuovo continente - - il, qualificati da "co-apostoli della Patagonia" collaboratori sono il morale, spirituale e persino material33 di sostegno un grande business, che - proclama - "tutti, tutti - sacerdoti, studenti, artigiani e operai insieme - possono essere operai apostolici" 34 Dalla prima spedizione, in qualsiasi mancare l'appuntamento salesiani coadiutori - Don Bosco chiamato significativamente "catechisti" - e tra gli otto pionieri Patagonia (nel gennaio 1880) - quattro Salesiani e quattro Figlie di Maria Ausiliatrice - era un coadiutore, senza la cui presenza aumenta immediatamente, così come il lavoro di catechesi ed educativo,
31 Festa di Famiglia, in BS 8 (1884) 8, 113; 5 (1881) 10; 7 (1883) 5; 8 (1884) 4; 9 (1885) 1, 11; 11 (1887) 2; E DI, 572.577.606.615; IV, 129.238-239.289; L. CARBAJAL, Le missioni salesiane nella Patagonia e regioni magellaniche - Studio storico-statistico, S. Benigno Canavese, Scuola Tip.Salesiana 1900, p. 53-54.71-72.166.

32 E III, 331 (Udienza con Leone XIII, 23.3.1878), 576-577 (lettera a P. Bodratto, Ispettore dell'America, 15.4.1880); IV, 364 (lettera a un cooperatore, 1.11.1886); BS 3 (1881) 2, 3; (Conf. Ai Cooperatori di Torino, 20.1.1881); R. ENTRAIGAS, The Salesians in Argentina, vol. III, Buenos Aires, Editoriale Plus Ultra 1969, p. 84-85; BRAIDO, Il progetto operativo, p. 24-26.

33 Fonte molto ricca il suo Epistolario sintetizzato in IV IV 360-363, arcolare ai Cooperatori Salesiani, Bacino 15 ottobre 1886; BS 10 (1886) 3, 32 (Tre pensieri di Don Bosco ai Cooperatori, 21.1.1886); 4 (1880) 1; 10 (1886) 10. La pratica è seguita in America: "La Missione di Mons Cagliero in Concezione [del Cile] era terminata AVEVA Fondato giá il Laboratorio di San Giuseppe, AVEVA formato giá quel gruppo di Cooperatori, il Che é quasi. uno per ogni Necessità oGNI casa salesiana, Perché Abbia Vita e riceva aumento ... "(monsignor Cagliero Chili nel BS-11 (1887) 9 111).

34 MB XII, 141.626 (Conf. Ai Salesiani di Valdocco, 19.3.1876).

"CHULA, Da Torino, pp. 28.30.36-37:" Don Bosco diede loro il titolo uffidale di catechisti ";
caratterizzando la strategia missionaria di elemento di Don Bosco è precoce e grande presenza di Figlia religiosa di Maria Auxiliadora, - allora non è usuale nella Chiesa - provocando stupore nell'opinione pubblica Buenos Aires "è la prima volta [. ..] che le suore in quelle terre del sud a distanza "sono, e rimangono, poco, la presenza qualificata di" vera provvidenza "perché senza la sua performance" non avrebbe potuto fare bene fatto per le donne e le ragazze Patagonia. Entra, quindi, nel loro progetto sistematico l'esortazione di fuoco (come nel 1885): "Tutte le richieste per i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice sono dirette a promuovere le vocazioni ecclesiastiche o religiose, entrambe le sorelle come salesiani 36 in zone missionarie.

Ecco una delle sue intuizioni fondamentali. "In un momento in cui le missioni, non solo quelle cattoliche, erano spesso l'avanzata del colonialismo europeo - ha qualificato il prof. Scoppola - Don Bosco intuisce che l'opera di evangelizzazione della Chiesa non prenderà radici profonde nelle terre di missione se non si formerà un clero indigeno stabile ».

Ha insegnato con la sua lunga esperienza educatore cristiano, Don Bosco è convinto che anche nei Paesi di missione dei giovani ha ricevuto "una formazione scientifica e cristiana" costituiscono "lo strumento più adatto per attirare gli adulti alla fede e dare la società della Patagonia il suo nuovo volto cristiano e civile "e" i Patagoni evangelizzare gli stessi Patagones "3" dal 1876 si è avventurato a prevedere che "il progetto di formare missionari indigeni sembra essere benedetto dal Signore", così " tana
BS 9 (1885) 11, 165; CARBAJAL, Le missioni salesiane, p. 39-40. In vista della Patagonia, in effetti, Don Bosco promette all'arcivescovo di Buenos Aires "che, appena possibile, ogni villaggio su entrambe le sponde del fiume Negro avrà il suo sacerdote e maestro; che in Carmen de Patagones sarà istituito un manicomio per gli indiani e un altro per il cinese [sic], responsabile delle nostre sorelle, Figlie di Maria Ausiliatrice; e, in seguito salpare per fratelli coadiutori Patagones insegnare agricoltura arti e mestieri più comuni "(lettera a mons Aneiros, 1879/09/13. cf Entraigas, 111 Salesiani, 85). Fino alla morte di Don Bosco, 19 "laici salesiani o coadiutori" lavoravano in Patagonia (vedi CARBAJAL, Le missioni salesiane, pagina 41.61.71-72).

36 "Ancora all'inizio del secolo XIX era quasi inconcepibile pensare di associare su sutro dopo sette anni avremo certamente missionari indigeni".

missionari; Inserimento ft pappagallo ha quasi di prodigioso Le prime Suore Italiane Furono si Francescane Missionarie d'Egitto nel 1859 "(M. LUDOVICI, II missionario movimento nel Secolo XIX in Italia, Milano 1952, p. 315-334). «I missionari salesiani si sono uniti questa volta anche alle meritevoli figlie di Don Bosco, le sorelle della carità dell'istituto di Maria Ausiliatrice [...]. E 'la prima volta che le sorelle saranno [...] in quelle regioni remote, e modi dolci, la loro carità proverbiale indubbiamente contribuiscono notevolmente alla conversione degli indiani alla religione cattolica, gli unici veri "(I veri eroi del deserto , nel giornale di Buenos Aires «La América del Sur», 4 (1880) 1152). Cfr. C. BRUNO, I Salesiani e le Figlie dell'Ausiliatrice in Argentina, vol. I, Buenos Aires, Istituto Salesiano di Arti Grafiche 1981, p. 201s; BS 3 (1879) 11; 7 (1883) 2; 8 (1884) 4; MB XVII, 305; E IV, 333. Alla morte di Don Bosco circa 6000 ragazze hanno ricevuto istruzioni religiose: cf. CARBAJAL, Le missioni salesiane, p. 63-64.

" MB XII, 659; XVII, 299-305; E III, 59.90.257.320.456.569; IV, 124; BS 9 (1885) 1, 3; P. SCOPPOLA, Commemorazione civile di Don Giovanni Bosco nel centenario della sua morte, Torino 30 gennaio 1988, Roma, Tip. don Bosco 1988, p. 22.

Transcurrido dicho período su correspondencia sigue siendo paterna insistencia, plasmada en su Testamento espiritual: «Abierta una casa en el extranjero [...] esmérense constantemente en despertar vocaciones al estado eclesiástico, o Hermanas entre las niñas». Don Bosco no vio en vida realizado su sueño de contar con indígenas entre sus filas, pero «el que lo contemple — repetía ilusionado — podrá asegurar que este punto hace época, y una gran época, en la historia de las misiones »?8
4. Los salesianos «no formaron verdaderas "reducciones" al estilo de las jesuíticas del Paraguay»
Segundo reproche recriminatorio de su estrategia patagónica. Sin embargo no fue por no soñarlo, idear. lo y, en cierto sentido, intentarlo. En la aculturación de los pampas y patagones don Bosco se mostraba entusiasta del método evangelizador practicado por los jesuitas en Paraguay, familiar a la colonización y evangelización hispana en América. Ésta rememoraba — siempre en sentir de don Bosco — «el método de los misioneros del medievo, que, al convertir a los pueblos germanos, identificó la conversión de aquellos pueblos salvajes con la formación política y con el desarrollo del mismo país — [es decir, la antigua idea de "reductio ad Ecclesiam et ad politicam et humanam vitam"; así los jesuitas, en Paraguay], estableciendo poco a poco reducciones o parroquias cristianas, organizaron una especie de estado independiente, al que por su índole tan peculiar se dio el nombre de República Cristiana».39
Adaptado al enclave argentino, don Bosco lo transforma en el sugestivo proyecto patagónico, presentándolo en abril de 1876 al ministro de Asuntos Exteriores de Italia, para implantar, en una zona de la costa atlántica entre el río Negro y el estrecho de Magallanes, una colonia totalmente italiana — con «lengua, costumbres, gobierno italianos», — basado en el convencimiento, adquirido por «errónea información», de que allá no existía «ni vivienda, ni puerto, ni gobierno con derecho alguno».

36 E 111, 90 (Appello per la 2' spedizione missionaria, 25.8.1876), 95 (carta a don Cagliero, 12.9.1876); ASC 110 (1-Quad. 8); Cronichetta-Barberis, 12.8.1876, 75; MB XVII, 273; nota 22. Don Bosco no vió relizado el sueño, si bien, en 1900, en el aspirantado de Bernal (Buenos Aires) había «doce jovencitos de las zonas de Río Negro [...] dos de los cuales hijos de padres indios»; y las salesianas contaban en Viedma y Patagones con «varias jovencitas Indias profesas [.J. Algunas de las Patagonas eran maestras y misioneras en otros lugares, distantes de los que las vieron nacer» (cf. CARBAJAL, Le missioni salesiane, p. 63-64.104). Sin olvidar que está introducida la causa de beatificación del hijo menor, Ceferino, del cacique Manuel Namuncurá. R ENTRAIGAS, El mancebo de la Tierra. Ceferino Namuncurá, Buenos Aires, Instituto Salesiano de Artes Gráficas1974.

» CHIALA, Da Torino, p. 207. Descripción de las reducciones del Paraguay, que concluye: «II Muratori dipinse con una sola parola questa Repubblica cristiana intitolandola [...]. 11 cristianesimo felice [...]. O malizia dell'umana specie! Perché non lasciar vivere in pace chi a quest'ora avrebbe resa felice tutta la parte meridionale d'America» (p. 215).

Al mes siguiente propone al prefecto de Propaganda Fide «establecer allá una Prefectura Apostólica, que en caso de necesidad ejerza la autoridad eclesiástica sobre los pampas y los patagones», y motiva la propuesta también en el hecho de que «en aquella vastísima región [...] ninguna autoridad, civil o eclesiástica, pudo extender su influjo o dominio [...] no perteneciendo por ahora a ningún Ordinario diocesano ni a régimen alguno de gobierno civil»."
Pese a recibir de sus hijos «americanos» la advertencia de que se trataba de un proyecto «bueno pero aquí inoportuno e imposible» por lo que la prudencia recomendaba «diferirlo para tiempos mejores», don Bosco — aun reconocido el error — continuará opinando que «el sistema de colonias» era «el medio más adecuado para reducir [la Patagonia] a pueblo cristiano y civilizado», y jamás perderá de vista la erección regular de uno o varios Vicariatos, por juzgarlo imprescindible para «consolidar, de modo estable, la difusión del Evangelio» con la culminación de la plantatio Ecclesiae, y para «dar aún mayor solidez a la obra civilizadora entre aquellos pueblos, siendo [el Vicariato Apostólico] centro de las colonias presentes »41 y futuras.

Con la erección del Vicariato de la Patagonia septentrional y central (1883) y de la Prefectura Apostólica de la Patagonia meridional (islas Malvinas y Tierra del Fuego), don Bosco ve, por fin, que se delinea realmente su ideado proyecto de ofrecer «a Dios, a la Iglesia, a la Sociedad la Patagonia cristiana y civilizada», organizada socialmente: — partiendo de la reducción de los indios a comunidades básicas, aldeas y colonias; — con personal propio y autóctono «gran número de sacerdotes, de catequistas y de hermanas» — y con suficientes medios materiales indispensables para la vida social y el culto divino»; — y contando con abundantes «estaciones», «residencias fijas de misioneros», sin las cuales «es casi imposible la plena evangelización y civilización de aquellas tribus dispersas ».42
4° E III, 44-45 (Memorandum a Melegari, 16.4.1876), 60 (Memorandum al card. Franchi, 10.5.1876); BORREGO, Primer proyecto patagónico, p. 24-39.

41 ASC 126.2, cartas a don Bosco de don Fagnano, 2.3.1876; de don Cagjiero, 5-6.3.1876, y de Malvano, secretario de Melegarí, 18.8.1876: «Rispetto al progetti di colonizzazione in Patagonia il Ministro si riserva di pensarci ancora [...]. Esacerbata in questi ultimi tempi l'antica controversia tra il Chil.i e l'Argentina per lo spartimento del rispettivo dominio in quelle regioni, parrebbe quindi cosa prudente di differire ogni disegno fino a tempi migliori».

42 BS 10 (1886) 10, 113; 8 (1884) 7, 94; 11 (1887) 2, 15; 12 (1888) 10, 123. Expresa claramente las condiciones requeridas para constituir en el mundo indígena convertido un estable «pueblo cristiano» al anunciar la ida de mons. Cagliero: «Mons. Cagliero in Patagonia non troverá nulla di quanto abbisogna all'eserciz' io del pastorale ministero e alla formazione di una cristianitá [...]. Dovrá pertanto fabbricare, se non delle chiese, almeno delle cappelle in varii punti del suo Vicariato e fornirle di sacri arredi; dovrá nei luoghi piú popolati e centrali erigere ospizi per ricoverare giovanetti, onde poterli pin facilmente ammaestrare ed incivilire, e per mezzo loro gettare solide fondamenta di una popolazione cristiana, e ridurre alla fede i padri coll'aiuto dei figli; dovrá crearsi almeno un seminario, per formarsi dei sacerdoti indigeni, che a suo tempo
«Con una buena dosis de imaginación — observa P. Braido — se hubiera deseado encontrar de nuevo en don Bosco la ansiada utopía de una "sociedad cristiana", que coincidiera con la nación patagona evangelizada, versión más creible que "la sociedad cristiana", ideada en 1876, trasplantada de Italia. Pura fantasía. Al norte y sur del Trópico de Capricornio existían presupuestos históricos, políticos y culturales, y de una y otra parte del Océano tales esquemas mentales hacían simplemente absurda semejante concepción».43
Baste pensar que por las mismas fechas, en las que, sin darlo a conocer al Gobierno argentino, se erigía el Vicariato (1883) y hacía su ingreso en el el Vicario Apostólico (1885), el 1 de enero de 1885 se producía el total sometimiento indígena del sur argentino. Desde entonces los grupos indígenas subsistentes — menguados notoriamente por falta de lo indispensable, por la emigración forzada y voluntaria (su congénito nomadismo), por las enfermedades — cesaron de ser fuerza militar, motivo de molestias, obstáculo a la colonización, que sería forjada por elementos de dispares nacionalidades — con americanos convivieron italianos, españoles, alemanes, rusos, franceses —, a los que ya el presidente Sarmiento invitaba a sentirse «no extranjeros», sino «habitantes» del país. Los salesianos, encarnados en la realidad establecida, ejercieron benéfico influjo entre inmigrados y aborígenes.

Es cierto que el presidente Roca prometía a don Bosco protección ininterrumpida para las misiones patagonas, que «ocuparían siempre el puesto de las empresas civilizadoras»; pero la nueva política colonialista, seguida con los grupos aborígenes por todos los Estados latinoamericanos, se esforzará por «civilizarlos» e «integrarlos» a la cultura nacional, por lo que «jamás [...] Roca ni las Cámaras — delataba don Milanesío, misionero salesiano in situ — habrían consentido [...] ni, una vez planteado, favorecido [...] el sistema de los reverendos padres jesuitas en el Paraguay, a manera de reducciones independientes y bajo completo gobierno de los misioneros»."
En dos únicos casos — con los grupos onas de la isla de Dawson (misión de San Rafael) y de Río Grande (misión de la Candelaria), ambos en la Tierra del Fuego — los salesianos pudieron aplicar, en parte, el «sistema de reducción». Para los demás — insiste don Milanesio, — «si se quiere hacer algo positivo por su educación [...] no pudiendo reducir a los indios con el sistema de reducciones ni establecer escuelas entre ellos, tuvieron que limitarse a visitarlos en sus chozas y grupos donde se hallaban» (intensificando las "misiones volantes"), aprendano la direzione delle nuove parrocchie [...]; dovrá insomma ordinare il suo Vicariato in modo che [...] si salvino le anime»: BS 9 (1885) 1, 3-4.

" BRAMO, Il progetto operativo, p. 27-28.

44 E III, 572.634 (carta del presidente Roca a don Bosco, 10.12.1880); IV, 238-239 (carta a Roca de don Bosco, 31.10.1885); MB XVI, 379; D. MILANESIO, Notas históricas, t. XII (arch. Bahía Blanca, R. 1 [12] M, p. 11-13): cf. BRUNO, Los Salesianos I, p. 191-192; CARBAJAL, Le missioni salesiane, p. 16ss; R. ROJAS, El profeta de la Pampa. Vida de Sarmiento, Buenos Aires, Editorial Losada 21948, p. 637-638.

ampliar las residencias fijas, a abrir casas en las colonias y centros de población, adonde acudían los aborígenes. Y así en el caso de Patagonia la plantatio Ecclesiae por la acción de los salesianos, históricamente no se limitó al sólo hecho edesial, sino que resultó parte fundamental de su historia civil, de su desarrollo cultural y estabilización socia1.45
5. Perspectivas de futuro
A la muerte de don Bosco su obra en Latinoamérica se asentaba ya en Argentina, Uruguay, Brasil, Chile, Ecuador. Su proyecto operativo misionero, utópico en su concepción global, se reconocía válido en algunos elementos que la historia salesiana se ha encargado de reivindicar. Se indican como pistas de investigación:
1) La Congregación salesiana, desde siempre, consideró y considera tan dentro de su misión juvenil y popular la actividad misionera que «le missioni estere» aparecían (hasta 1966) en el artículo 7 de las Reglas, como una de las obras apostólicas «en pro de la juventud, especialmente pobre y abandonada». Las Constituciones renovadas (1972) vuelven a subrayar (art. 24), en la actividad misionera, «la formación de los jóvenes»; señala el Capítulo General Especial, como característica peculiar de dicha acción, «la educación liberadora de la juventud», que el art. 30 de las actuales constituciones (1984) transforma en la obra — «rasgo esencial de la Congregación» — que «moviliza todos los recursos educativos y pastorales típicos de su carisma».46
2) La aplicación, «en toda su amplitud, del sistema educativo en las misiones — recomendado encarecidamente por Pío XI a don F. Rinaldi, Rector Mayor, — a saber, de sus planes, medios y espíritu», harían de la institución de don Bosco — en sentir del jesuita, J. Grisar — «un estimable factor en la gran obra de las Misiones católicas».47 Y, reseñados los contenidos y modalidades de la acción salesiana misionera, reflejan— con una carga mayor de connatural promoción humana — los que don Bosco realizó proporcionalmente en todas sus obras educativo-pastorales en régimen de «civilización cristiana» europea, pues para él «la cristiana Europa es la gran maestra de civilización y de Catolicismo». Si bien su intuición tenaz de contar con clero indígena, garante de una plantatio Ecclesiae estable — sostieñe el prof. 'Scoppola, — «contribuirá a un cambio de mentalidad en la obra misionera, que, en los decenios más próximos a nosotros, dará una aportación importante al mismo proceso de descolonización y un comportamiento nuevo de la cultura europea frente a las culturas del Tercer Mundo ».48

45 Annali I, p. 415; BS 11 (1887) 1, 3s; P. PAESA, Planes y métodos, p. 214-236; BRUNO, Los Salesianos I, p. 488-493; E. SzANTo, Solidaridad de la Iglesia con los indígenas - Documentario patagónico 1, Bahía Blanca, Archivo Histórico de la Patagonia Norte 1988, p. 30-44.

46 Atti del Capitolo generale 20 (1971-1972), nn. 472-476.

ACS 19 (1923) 77; J. G1USAR, Die Missionen der Salesianer Don Boscos í.tl, Wien, Verlag der Salesianer Don Boscos 1924; cf. BS 49 (1925) 300-301.

3) Es obvio que en la estrategia misionera de don Bosco faltaron en su visual los problemas más imp.ortantes y arduos inherentes a las relaciones entre evangelización, aculturación e inculturación. En su proyecto la dimensión propiamente misional implica extender el reino de Dios «en las regiones de los Pampas y de la Patagonia, donde un pueblo inmenso espera [...] con la civilización la salvación eterna». Mas las exigencias impuestas por la supremacía de la cultura y de la política colonial en don Bosco se ven atenuadas por los conceptos mitigados de civilización y sociedad cristiana, de cultura y «estado salvaje», que jamás aceptarían la fórmula propuesta por el poder Ejecutivo argentino al Congreso en su mensaje anual de 1876: realizar «una cruzada contra la barbarie hasta conseguir que los moradores del desierto acepten, por el rigor o la templanza, los beneficios que les brinda la civilización».49
Pese a tener que esperar a muy entrado el siglo veinte para hablar de «encarnación» del Evangelio en las culturas étnicas, los salesianos, desde su primer encuentro con los indios — o, en general, con otros pueblos o culturas dieron pruebas de «saber desarrollar insospechadas dotes de percepción y adaptación», de hacer esfuerzos de inculturación y de poseer — «salvo siempre excepciones fruto de iniciativas individuales y arbitrarias — aqüella humanidad y respeto al modo de vivir de los otros que está en la base del sistema educativo salesiano», cimentado en la razón, religión y amabilidad: «Conviene, por tanto, — sugería don Bosco en 1885 — tratar [a los aborígenes] con dulzura, tomarse a pecho su bienestar y, en particular, ocuparse con solicitud de sus hijos»... «Con la dulzura de San Francisco de Sales los salesianos llevarán a Jesucristo las poblaciones de América»."
4) Es obvio también que mentalidad diversa, vicisitudes ligadas a la contemporánea conquista militar de algunas regiones — todavía en vida de don Bosco — obligasen a los misioneros, «por amor o por fuerza», a soportar situaciones, que hoy no aceptaríamos." Pero nunca les faltaron la humanidad y el respeto, fundamento de toda pretendida cultura y ciencia. Por supuesto, en los inicios la actividad cultural del misionero salesiano «no es el estudio sino la transformación de los indios y de la región que habitaban, el aprendizaje de sus lenguas y, con frecuencia, la exploración de tierras desconocidas, la descripción de sus usos y costumbres». Luego llegarían también — en caudal apreciable — las «aportaciones científicas de las misiones salesianas».52

" MB XVI, 385; SCOPPOLA, Commemorazione civile, p. 22.

" BS 1 (1877) 4, 1; BRAMO, II progetto operativo p. 24-26; A. PADILLA, Presidencia Avellaneda - Vicepresidencia Mariano Acosta (1874-1880), en: R. LIVILLIER, Historia Argentina IV, Buenos Aires, Plaza y Janés de Argentina 1968, p. 2957.

" MB XVI, 394; BS 8 (1884) 1, 17; 8 (1884) 7, 101; STELLA, Don Bosco I, p. 185.

" ASC 273, cartas de don Costamagna a don Bosco, 27.4.1879; de don Fagnano a don Lasagna, 3.3.1887; BS 3 (1879) 5, 5; 5 (1881) 10, 8; 6 (1882) 4, 67; 8 (1884) 1, 8; Missionari salesiani in partenza: «Nelle spedizioni falte dai governi, eziandio per fine di civilizzazione, si preparano fucili, spade, cannoni, torpedini, ma nelle spedizioni religiose non vedete un'arma sola che rechi la morte, ma quella che porta la vita! Ed é la croce che conquista le nazioni a Dio e alla civiltá» (BS 9 [1885] 3, 36).

5) Es cierto, en fin, que se hablará de salvar almas o personas más que de salvar pueblos con su historia, su cultura, su derecho a un espacio vital. Hoy, por el contrario, desde el «proyecto Africa» hasta la confederación shuar, la metodología misionera salesiana — teniendo en cuenta cada pueblo y su entorno cultural, — puede verse radiografiada en el proyecto educativo pastoral - a actuar entre los yanomamis, — que «pretende entablar un diálogo entre la cultura yanomami y otras culturas [por supuesto, la cristiana] para que realicen una síntesis [...], puedan ser protagonistas de su propia historia»."
La credibilidad de don Bosco fue tan absoluta, que no dudó en vaticinar (1876) al método un futuro halagüeño: «Con el tiempo será adoptado también en las demás misiones. ¿Cómo hacer diversamente en Africa y Oceanía?». Y los salesianos e Hijas de María Auxiliadora que hoy trabajan en América, Asia, Africa y Oceanía — como los de ayer y hoy hicieron y hacen en Europa — se esfuerzan por ofrecer a la Iglesia, «sobre todo mediante la educación de las nuevas generaciones y el interés por los problemas juveniles [...], junto con el mensaje evangélico, el espíritu, la misión, el método educativo y las opciones preferentes de la Congregación ».54
R FARINA, Contributi scientifici delle missioni salesiane, en: Centenario ¿elle missioni salesiane... Discorsi, p. 97-141. Se trata de una magnífica síntesis, con abundante bibliografía, hasta 1979.

" Pastoral Amazónica — Semana de estudos missionarios, Campo Grande 5-10 Sept. 1988, Roma, Dicastero per le Missioni Salesiane 1988; Veinte años con los yanomamis (Entrevista a sor Isabel Equillor, HMA), BS (español) 101 (1988) 6, 28.

" ASC 110 (1-Quad. 8) Cronicbetta-Barberis, 12.8.1876, p. 87; MB XII, 280. El Proyecto de vida de los Salesianos de Don Bosco. Guía de lectura de las Constituciones salesianas, Madrid, Editorial CCS 1987, p. 337-338.

EL ORIGEN DE LA LIIERATURA SALESIANA EN ESPAÑA EN VIDA DE SAN JUAN BOSCO


María Fe NÚÑEZ MUÑOZ
Los sondeos de investigación realizados hasta el presente, en torno a los orígenes de la literatura salesiana en España habían quedado fijados, después de la publicación del libro de Ramón Alberdi, Una ciudad para un Santo,' en las noticias que sobre la obra salesiana difundieron, de forma más o menos sistemática, la «Revista Popular» de Barcelona, dirigida por el P. Félix Sardá y Salvany, y el opúsculo' del entonces obispo de Milo y auxiliar de Sevilla, Marcelo Spínola y Maestre, titulado Don Bosco y su obra, publicado también en Barcelona en 1884.2 Quedaban, no obstante, algunos puntos por esclarecer, ya que en las Memorias biográficas se hacía constar la existencia, en España, de otro centro de difusión de noticias salesíanas, aún en vida de don Bosco, distinto del de Barcelona, centro que encarnaba el arzobispo de Sevilla mons. Lluch y Garriga.3 La procedencia de esta información, su naturaleza y contenido reclamaban, sin duda, una investigación aún no realizada, que concretara fechas y higares así como también personas, a las que atribuir la originalidad de las fuentes y los motivos de la difusión.

El vacío de información indicado estimuló mí interés, eligiéndolo como tema de participación en este Congreso, a fin de contribuir, aunque sólo sea con el esclarecimiento científico de un aspecto apenas relevante, a la elaboración de esa Historia que desde la figura gigante de don Bosco se puede hacer o se está haciendo, del entorno y del mundo que le fueron contemporáneos.

Los limites de espacio y tiempo del estudio se perfilaban claros, de acuerdo con los objetivos establecidos previamente: La archidiócesis de Sevilla, sede del cardenal Lluch y Garriga y los años de su estancia en ella: 1877-1882. Pos¬teriormente amplié los límites cronológicos de la investigación hasta 1888, año en el que, con el fallecimiento de don Bosco, quedaban acotados los objetivos del estudio, ya que la literatura salesiana posterior correspondería a la difusión del espíritu y de la obra que el Santo dejaba tras de sí.

1 R. ALBERDI, Una dudad para un Santo. Los orígenes de la obra salesiana en Barcelona, Barcelona, Ediciones Tibidabo 1966, p. 69-81.

2 Don Marcelo Spínola y Maestre, obispo de Milo y auxiliar de Sevilla en 1881, de Coña en 1884, de Málaga en 1886 y, finalmente, arzobispo de Sevilla en 1895 y cardenal en 1905, publicó su libro sobre Don Bosco y su obra en Barcelona en 1884. La edición que he consultado es la tercera, publicada en Sevilla en 1947, en las Escuelas Profesionales Salesianas de Artes Gráficas. Sobre don Marcelo Spínola, puede consultarse el libro de J.M.* JAVIERRE, Don Marcelo de Sevilla, Barcelona 1963.

3' MB XV, 321.

1. El establecimiento de los salesianos en España: El arzobispo Lluch y Ga. tila y la fundación de la casa de Utrera


La archidiócesis de Sevilla durante la segunda mitad del siglo XIX se honró con prelados de gran talla, entre los que cabe destacar durante los años de 1877 a 1882, de acuerdo con los objetivos de nuestro estudio, a mons. Joa¬quín Lluch y Garriga, a cuyo intenso celo pastoral debe la Congregación sale¬siana su carta de naturaleza en suelo español.4
La Sevilla eclesiástica de la Restauración, sin embargo, adolecía aún de la carga de conservadurismo que la edad y la formación de los prelados que ha¬bían ocupado su sede le habían imprimido, habiéndose convertido de algún modo, ya desde la segunda mitad del siglo, en bastión del tradicionalismo, cuya defensa mantuvieron incansablemente, entre otros, el canónigo sevillano Francisco Mateos Gago y el catedrático y publicista católico, León Carbonero - y Sol, fundador y director de la revista confesional «La Cruz», órgano oficioso de la jerarquía y de una iglesia española que intensificaba su proceso de roma¬nización y que encontró en Sevilla el lugar idóneo para su nacimiento y despe¬gue.5
Los aires de bonanza en las relaciones Iglesia-Estado que corrieron en los primeros años de la Restauración borbónica,6 permitieron a mons. Lluch cuando ocupó la sede híspalense desarrollar una eficaz labor de acogida y pro¬tección de las órdenes y congregaciones religiosas que, o bien surgían como
4 Mons. Joaquín Lluch y Garriga nació en Manresa (Barcelona), el 22 de febrero de 1816 y falleció en Umbrete (Sevilla), el 23 septiembre de 1882. Ingresó en la Orden carmelitana, en el convento de Barcelona, en 1830. Exiliado poco después de España, a causa de la política religiosa de los gobiernos de la Regencia de María Cristina, pasó al convento de Lucca (Italia), donde estu¬dió Teología y desempeñó diversos cargos dentro de la Orden. Reanudadas las relaciones diplo¬máticas entre España y el Vaticano, regresó a Barcelona, donde permaneció realizando una im¬portante labor pastoral hasta que fue preconizado para Canarias en 1858. Trasladado diez años después al obispado de Salamanca y nombrado en 1874 obispo de Barcelona, fue promovido al arzobispado de Sevilla en 1877, donde falleció tras ser nombrado cardenal, en 1882. Cf. J.M. GA¬RULA, Biografía del excmo. e Ilmo Sr. D. Fr. Joaquín Lluch, Madrid 1880; G. WESSELS, Specimen Supplementi, Roma 1927; M.F. NÚÑEZ MUÑOZ, La Iglesia y la Restauración (1875-1881), Santa Cruz de Tenerife 1976, p. 95, nota 64.

5 M. CARBONERO Y SOL, Don León Carbonero y Sol, director de La Cruz, reseña biográfica: «La Cruz» 1 (1902) 276-345; J.M. TEJEDOR, Carbonero y Sol, León, en: Diccionario de historia eclesiástica de España, 1, Madrid, CSIC 1975, p. 344-346.

6 Cf. M.F. NÚÑEZ MUÑOZ, La Iglesia y la Restauración, p. 361.

respuestas de la Iglesia a las nuevas demandas o necesidades de los tiempos y an
de la sociedad, o bien trataban de regresar a Epaña, as en la amplia
interpretación que, al respecto, se empezó a darla la legalidad concordada.' En este sentido, se consignaba en el «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla», con motivo de la apertura de un convento de carmelitas en Jerez de la Frontera: «Fija la idea de nuestro venerable Prelado en la erección de estos centros de santidad y de saber, procuró por todos los medios posibles, apenas tomó posesión de la Silla híspalense, ver realizados sus trascendentales pensamientos».8
En consonancia con esta actitud de acogida y de entrega pastoral, tan pronto como mons. Lluch tomó posesión de su diócesis, empezó la visita de la misma, como lo refleja el «Boletín Oficial del Arzobispado», a fin de conocer y poner remedio a las necesidades eclesiásticas y religiosas más urgentes. La ciudad de Utrera, sede posteriormente del primer colegio salesiano de España, recibía la Visita pastoral del prelado del 13 al 23 de enero de 1879,9 conociendo durante la misma la deteriorada situación socio-política y religiosa del pueblo, por lo que trató seguidamente, en lo que estaba de su parte, de ponerle remedio mediante fundaciones religioso-docentes, que atendieran a la educación de los niños y jóvenes más pobres y necesitados. A este fin se orientaron el establecimiento en Utrera de las Hermanitas de la Cruz y las gestiones realizadas por el marqués de Casa-Ulloa con los misioneros Hijos del Inmaculado Corazón de María, para que también éstos fundaran un colegio en dicha ciudad.'°
Las dificultades, sin duda provindenciales, encontradas por el prócer utrerano para cumplir su objetivo, permitieron al arzobispo Lluch orientar la elección del marqués de Ulloa hacia la Congregación fundada por don Bosco 879, , in-al que el propio prelado se dirigió con fecha 7 de junio vitándolo a enviar salesianos a Utrera, de acuero con las condiciones que ofrecía el citado marqués en unas propuestas queda djuntaba."'
Aunque no ha quedado constancia documental de la solución del Consejo general salesiano sobre la consulta que don Bosco le hizo al respecto, así como tampoco de la respuesta delegada de don Cagliero al arzobispo Lluch, es evidente que hubo cierta diligencia por parte de don Bosco en esta primera actuación, ya que apenas transcurrió un mes entre la petice ro ió el dn formulada por el prelado a don Bosco y la carta que Lluch dirigió a Ca tia 3 e julio, agradeciéndole las esperanzas que se le habían dado de atender sus deseos, y el anuncio de la visita que el mismo don Cagliero prometía realizar a Sevilla en el siguiente mes de octubre.

7 Ibid.

8 «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla» 1.083 (1880) 241. En adelante, lo citare: BOAS. La primera cifra se refiere al número correspondiente.

9 BOAS 1.018 (1879) 41-43.

10 M. MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera en España. Una Institución al servicio del Pueblo, Sevilla 1981, p. 55-62.

11 Sobre la carta de mons. Lluch y las p ro es'c'ores presentadas al prelado hispalense por el marqués de Casa-Ulloa, cf. MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 63-66.

El arzobispo expresaba también su alegría al pensar que su amada diócesis sería, en breve, «la primera en España en poseer a los salesianos».L2
La visita de don Juan Cagliero, acompañado del coadjutor Rossi se efectuó en enero de 1880, no sin antes haber puesto a prueba la paciencia y el interés de mons. Lluch, que reiteró a don Bosco la petición del establecimiento de los salesianos en su diócesis, por cuantos medios directos e indirectos estuvieron a su alcance, con tal de conseguir su objetivo.D
Cerradas el 30 de enero las negociaciones de la primera fundación salesiana de España, esta fecha debió significar para el prelado hispalense, «el gran padre de los salesianos» como lo denominaba Cagliero," la consecución de una meta muy deseada, que sólo quedaría consolidada cuando, establecidos en Utrera, los hijos de don Bosco pusiesen en práctica, en bien de los jóvenes más pobres y necesitados, el sistema pedagógico del Fundador.

Don- Bosco ratificó lo pactado en Sevilla por don Cagliero, mediante una carta dirigida al arzobispo Lluch y otra al marqués de Casa-Ulloa, fechadas ambas el 26 de febrero siguiente, en las que prometía enviar a sus hijos a Utrera para octubre del mismo ario 1880.15 La preparación de una expedición misionera para América del Sur, de la que tuvo que ocuparse Cagliero, retrasó unos meses la fecha prometida para la llegada de los salesianos a Sevilla, ya que debieron partir por mar, juntamente con los misioneros, en enero de 1881, desembarcando en Gibraltar la noche del 11 de febrero los seis religiosos que debían quedarse en España, a los que acompañó hasta su instalación el propio don Cagliero.

Las dificultades para la entrada en la colonia inglesa, así como el conocimiento que allí se tenía de la obra salesiana, y la hospitalidad dispensada por el vicario capitular de Gibraltar, mons. Narciso Pallarés, hasta que pudieron embarcar de nuevo para Cádiz tres días después, están recogidas tanto en las Memorias biográficas como en la carta que Cagliero dirigió a don Rua con los pormenores del viaje.

12 ASC 38 Utrera. Atti per la fondazione. Lettera dell'arcivescovo di Siviglia a don Cagliero del 3-VII-1879, citada por MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 66-67, cf. nota 10.

13 Mons. Lluch, cuando vio que estaba para terminar el mes de octubre sin recibir noticias de la anunciada visita de don Cagliero, se dirigió de nuevo a don Bosco con fecha 24 del mismo mes
de octubre, solicitándole una explicación del silencio y la demora. Es posible que, simultáneamente, escribiese a Lucca, a la marquesa de Citadella, a fin de que rogara a don Bosco, cuya estancia en Lucca conocía por la prensa, que tuviera en cuenta la petición que le había hecho, de que los salesianos se estableciesen en su archidiócesis. Cf. MARTÍN GONZALEZ, Los salesianos de Utrera, p. 68-69.

14 Cf. MARTÍN GONZALEZ, Los salesianos de Utrera, p. 97.

IS Ibid., P. 101-102. La respuesta de Luch a Don Bosco, fechada el 10 de marzo de 1880, agradeciéndole su carta y su promesa, se mantiene en: ASC 126 Lluch: Carta del arzobispo de Sevilla, mons. Lluch y Garriga, a Don Bosco, del 10-1111 al 1880.

' Finalmente, la tarde del 16 de febrero de 1881, Utrera recibía con inmenso júbilo a los primeros salesianos que se instalaban en España, ofreciéndose de este modo la tierra andaluza como campo abonado para que fructificara la obra de don Bosco, y se convirtiera en la espléndida realidad, que es hoy, la consigna que el Santo les diera de forma profética al despedirlos en Marsella: Propagad la devoción a María Auxiliadora»


2. Orígenes de la literatura salesiana en Andalucía


El establecimiento de los salesianos en la archidiócesis hispalense no podía reducirse únicamente a unas negociaciones concertadas entre el arzobispo Lluch y un noble católico sevillano por una parte, y don Bosco .y su delegado don Cagliero por la otra, sin que la archidiócesis y el pueblo concreto de Utrera, para el que se reclamaba la presencia de los salesianos, tuvieran una información adecuada y suficiente sobre la Congregación a la que pertenecían los religiosos, su carisma e, incluso, sobre la fama de santidad que aun en vida rodeaba a su Fundador.

Consciente mons. Lluch de la necesidad de activar este importante aspecto antes de la llegada de los salesianos a Sevilla, se convirtió, según afirman las Memorias biográficas, «en gran propagandista de la fama de don Bosco, publicando en la "Revista diocesana" una historia del Oratorio, documentada en el "Boletín Salesiano", en el que don Juan Bonetti comunicaba a los lectores, desde enero de 1879, con pinceladas magistrales, noticias sobre el Oratorio de don Bosco, que fueron después recopiladas en un volumen, con el título de Cinco lustros de historia del Oratorio de San Francisco de Sales».'s
El hecho de la propaganda del arzobispo, que aparece evidente según las Memorias, plantea, al menos, dos interrogantes: En primer lugar ¿cómo había conocido mons. Lluch a don Bosco? ¿por qué medios le había llegado la fama de su obra hasta el punto de desear tan ardientemente que los salesianos se establecieran en su diócesis? En segundo lugar, y una vez convertido en propagandista de la fama de don Bosco ¿a qué «Revista diocesana» se alude en las Memorias biográficas? ¿cuál era el contenido de la información que trasmitía? y, finalmente, ¿qué criterios de selección existía para la publicación de tales noticias?
Trataré de responder a los interrogantes planteados con los resultados dela investigación que he realizado, los cuales, desde ahora quiero adelantar, son de muy distinta naturaleza e importancia, ya que las respuestas sobre las fuentes, cauces o medios de información que pudo tener el arzobispo Lluch se sustentan más en publicaciones ya existentes o en hipótesis de difícil comprobación, que en datos inéditos.

" MB XV, 321-322.

" MARTÍ GONZALEZ, Los salesianos de Utrera, p. 155.

18 MB XV, 321-322.

Por el contrario, las aportaciones que ofrezco como respuestas al segundo bloque de interrogantes, considero que constituyen el aspecto fundamental de este estudio, ya que, pese a lo reducido de su campo temático, esclarecen una ambigüedad y deshacen un error desde la verificación documental.

2.1. Fuentes o cauces de información


Los interrogantes antes formulados, que constituyen el contenido de este primer apartado, me llevaron a plantearme el origen del conocimiento que mons. Lluch tenía de don Bosco, y cuáles habrían sido los medios, las fuentes o los cauces por los que la fama de don Bosco había llegado al prelado hispalense, hasta el punto de hacer que su admiración por él se tradujera en conseguir ser el primero en establecer una casa salesiana en su diócesis y, con ello, en España.

Las respuestas a estas dos preguntas están íntimamente unidas, ya que no es seguro que mons. Lluch conociera personalmente a don Bosco, como parece deducirse de la correspondencia que medió entre ambos. En la carta enviada por Lluch a don Bosco desde Sevilla, con fecha 10 de marzo de 1880, agradeciéndole la aprobación de la fundación de Utrera negociada por don Cagliero, escribe textualmente: «Mis achaques de salud continúan impidiéndome el reposo. Cuando pueda emprender mi anhelado viaje a Roma le avisaré a Vd. con tiempo y fijaremos con antelación cuanto se refiere a nuestro encuentro en Turín».'9 Es sabido que el encuentro no llegó a efectuarse porque la salud del prelado continuó empeorando, hasta el punto de no poder efectuar ni el viaje a Roma para recibir el capelo, al ser promovido al cardenalato en 1882.

Si descartamos el conocimiento personal, cuanto Lluch supo de don Bosco tuvo que ser necesariamente, a través de los ecos de su obra y de su fama de santidad, por lo que cabría preguntamos únicamente quién trasmitió esos ecos y qué cauces le llevaron su fama.

Es probable que el arzobispo hispalense conociera la obra salesiana a través de la correspondencia con la marquesa de Citadella, residente en la ciudad italiana de Lucca, donde Lluch estuvo exiliado tras su salida de España como religioso, a causa de la politica liberal durante la regencia de Doña María Cristina,' y donde los salesianos estaban establecidos desde junio de 1878.21 Avala esta hipótesis la afirmación que don Cagliero hacía en la carta que envió a don Bosco desde Utrera, en enero de 1880, cuando se encontraba en dicha ciudad con motivo de su viaje a Sevilla para preparar la fundación: «Nos conoció [Cagliero se refiere a Lluch] por medio de los periódicos de Lucca, y por la correspondencia con la Marquesa de Citadella de aquella ciudad» 22

19 Mons. Lluch y Garriga a don Juan Bosco, Sevilla, 10 de marzo de 1880, ASC 126, 1 Lluch: Lettera dell'Arcivescovo di Siviglia, mons. Lluch y Gamga, a don Bosco, del 10-17I-1880 da Siviglia, en: MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 101-102.

20 Doña María Cristina de Nápoles ocupó la Regencia del trono de España durante la minoría de edad de su hija doña Isabel II, desde 1833 a 1840, después del fallecimiento de su esposo, don Fernando VII.

Prueba de esta correspondencia y envío de periódicos desde Lucca es también la carta escrita a don Cagliero por don Marenco, director del colegio salesiano de dicha ciudad, interesándose por la fundación de Utrera a requerimiento de la citada marquesa de Citadella, a quien, a su vez mons. Lluch había escrito para rogarle que, con motivo de la estancia de don Bosco en Lucca, que conocía por la prensa italiana, explorara directamente el ánimo del Fundador respecto a la petición que le tenía hecha de establecer a los salesianos en su diócesis para, en caso de que estuviera propicio, dirigirse de nuevo directamente a él.23
El cauce de información de Lucca, con ser importante no debió, sin duda, ser el único ya que, aún dentro del terreno de la hipótesis, es probable que en años anteriores, durante los viajes realizados por Lluch a Roma en función de sus deberes apostólicos, tales como la visita ad limina en 1863, siendo obispo de Canarias, o la participación en el Vaticano I como obispo de Salamanca, hubiera tenido ocasión de conocer más de cerca noticias sobre don Bosco y su obra, muy extendidas ya en esas fechas por Italia, e incluso, conocerlo personalmente.24
La prensa francesa, aunque de forma esporádica, también debió servir al prelado de medio de información, ya que en alguna carta del arzobispo Lluch y del marqués de Casa Ulloa dirigidas a don Bosco y a don Cagliero, existen alusiones a noticias que la prensa francesa insertaba sobre la obra salesiana. Así en la carta que desde Sevilla envió Lluch a don Bosco en marzo de 1880, el prelado escribe: «agradezco los periódicos que me han mandado desde Marsella que ya he recibido»,25 y en la dirigida por el marqués de Ulloa a Cagliero, aquél afirma: «Como todo lo que se refiere hoy a la Congregación de San Francisco de Sales nos es de tanto interés, hemos tenido mucho gusto en leer la relación que da el Diario de Marsella que Ud. me envió, de la reunión de los Cooperadores de aquella ciudad, y con el mismo veremos todo cuanto se refiera a Vds. y pueda comunicarnos ».26

21 MB XI, 411; MIL 678.

22 Cagliero a don Bosco, Utrera 28 enero 1880. Citada por MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 89-90. Cf. nota 10.

" La carta de Marenco a Cagliero, sin fecha, cabe datarla hacia octubre de 1879, en relación con la carta que también mons. Lluch dirigió a don Bosco el 24 del mismo mes, inquieto por la falta de noticias acerca del prometido viaje de los salesianos a Sevilla, en el mes de octubre. Cf. MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 68-70.

24 A. MARTÍN afirma, en su libro, que Lluch tuvo ocasión de oír directamente en el aula conciliar, durante las sesiones del Vaticano I, el panegírico que sobre don Bosco y sus salesianos hizo Mons. Comboni. Cf. MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 117.

" ASC. 126,1. Lluch: Lettera dell'Arcivescovo di Siviglia, mons. Lluch y Garriga, a don Bosco, de110-111-1880 da Siviglia (citada en: MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera).

Otras publicaciones francesas, de carácter no periódico, como expondré en el siguiente apartado, fueron utilizadas en Sevilla no sólo como fuentes de información sino también como medios de difusión en España de la obra salesiana y de la fama de santidad de su Fundador.

No obstante lo expuesto, el medio informativo por excelencia que sobre don Bosco tuvo el prelado hispalense debió ser el «Boletín Salesiano», que se enviaba desde Turín a partir de enero de 1879 a todos los Cooperadores. La noticia del primer número del mismo que llegó a manos de mons. Lluch aparece en la carta que el arzobispo dirigió a don Bosco desde Sevilla, en octubre de 1879: «Hoy me ha llegado el n° 7 del Boletín Salesiano, que es el único que he recibido. ¿Se habrán perdido los otros números?»
Constituido por don Cagliero el primer núcleo de Cooperadores en Utrera, con motivo de la fiesta de San Francisco de Sales de 1880,28 es de suponer que, a través del «Boletín salesiano», el conocimiento de la obra del Oratorio de Turín y de su prodigiosa expansión llegara también a los utreranos, preparando el camino para la llegada a la archidiócesis andaluza de los hijos de don Bosco.

A partir del establecimiento de la comunidad salesiana de Utrera, el arzobispo Lluch y todos cuantos de algún modo tuvieran relación con los religiosos contaron además con un medio excepcional de información sobre la obra de don Bosco: la comunicación oral que los salesianos harían de forma espontánea, con la fuerza convincente de la propia experiencia.

2.2. Órganos o medios de difusión


El segundo bloque de interrogantes al que trata de responder este estudio se orienta al conocimiento de los órganos o medios de difusión que utilizó el arzobispo de Sevilla, mons. Lluch y Garriga, para dar a conocer a sus fieles el carisma de la recién fundada Congregación salesiana y, en consecuencia, los motivos que lo habían impulsado a ofrecerle un campo de trabajo en su diócesis.

Es obvio que esta difusión tuvo que empezarla Lluch a partir del momento en que concibió la idea de establecer a los salesianos en Andalucía y pudo tener casi la certeza de su realización. La petición del arzobispo a don Bosco el 7 de junio de 1879, y la respuesta esperanzadora recibida antes de transcurrido un mes desde Turín,29 fijaron el límite cronológico del comienzo de mi trabajo: el año 1879 a partir de su segunda mitad.

26 ASC 38 Utrera. Atti per la Fondazione, p. 131-132; cfr. nota 2.

27 Ibid., p. 68.

" MARTiN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 96.

Asimismo, la indicación de las Memorias biográficas acerca del órgano utilizado por mons. Lluch para su labor de propaganda, orientó mi investigación hacia el conocimiento de la «Revista diocesana» que en ellas se cita,3° encontrando que esta denominación podía corresponder a dos publicaciones distintas: el «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla» y «La Revista Católica» de la misma capital. El análisis del contenido de ambas publicaciones periódicas, en lo que a noticias salesianas se refiere, constituye el objeto de este apartado.

2.2.1. El Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla


El Boletín eclesiástico hispalense debe su fundación e impulso inicial al arzobispo de Sevilla, Judas José Romo,' quien confió su dirección al prestigioso catedrático y publicista católico, León Carbonero y Sol, durante sus primeros años.32 La periodicidad de la publicación, que en sus comienzos fue quincenal y posteriormente mensual, la encontré que era semanal durante los años que había acotado para mi estudio. Estos años, que había limitado en principio al período de preparación y establecimiento de los salesianos en la diócesis de Sevilla (1879-1881), los amplié después hasta 1888 por considerar que era precisamente la noticia del fallecimiento de don Bosco, la que debía marcar el final de mí trabajo; aunque realizado el análisis del Boletín he podido comprobar que el número de noticias salesianas publicadas hasta 1881 es mayor que todas las que aparecen en los restantes años hasta 1888.

El estudio del «Boletín del Arzobispado de Sevilla» como medio utilizado por mons. Lluch para propagar el conocimiento de la obra salesiana me llevó a la búsqueda de sus fuentes, encontrando que el carácter específico de la publicación era el de Boletín informativo de la vida de la diócesis, a través de su sección principal, la Crónica diocesana, siendo muy contadas las otras secciones del mismo que publicaban noticias ajenas a su finalidad.

Con relación a la obra de don Bosco, las noticias que aparecen en el «Boletín diocesano» están tomadas en su mayoría de las actividades desarrolladas por los salesianos en la casa de Utrera, cuando dichas actividades eran novedosas o muy brillantes, como fiestas, ampliaciones o proyectos del propio colegio. Aquellas otras noticias que se pudieran considerar de propaganda o conocimiento de la Congregación y de sus actividades fuera de la diócesis se publicaron sólo esporádicamente, teniendo su fuente en el «Boletín Salesiano» y ni por su número ni por su calidad responden a lo consignado en las Memorias biográficas de que en la «Revista diocesana» de Sevilla se publicaba una historia del Oratorio, tomada del Boletín de Valdocco,33 como se puede constatar en el análisis, que presento a continuación, de los contenidos del Boletín del arzobispado híspalense con relación a la obra salesiana, en los años acotados para este estudio.

29 Ibid., P. 63-67.

"MB XVI, 321-322.

"Giuda José Romo, nato a Cañizar (Guadalajara) il 7 gennaio 1773, è morto a Umbrete (Sevilla) 11 gennaio 1855. Ha tenuto la sede dal 1847 hispalense al 1855. E 'stato creato Cardinale nel 1850.

32 Cfr. JM TEJEDOR, Carbonero y Sol, León, in: Dizionario della storia ecclesiastica della Spagna I, p. 344-346.

Controllare Salesianas quasi totale assenza di notizie nel corso del biennio 1879-1880 non era per me non è una sorpresa, dal momento che gli sforzi per la fondazione della casa di Utrera non ha cominciato fino a giugno 1879, e solo nel gennaio 1880, dopo Durante il viaggio a Siviglia di Cagliero e Rossi, l'arcivescovo Lluch poteva avere la certezza che i salesiani sarebbero stati stabiliti nella diocesi. Pubblicare prima di qualsiasi notizia a riguardo era indubbiamente rischioso. Bollettino 1880 manca Salesianas notizie, se non che inserisce nel mese di novembre, nella Cronaca diocesana, che nel giro di un punto di riferimento globale per le attività del presule, si dice solo: "Loro sono attesi anche a Utrera i Salesiani , per il lavoro dei laboratori cattolici »34
Il maggior numero di notizie riferite all'opera di Don Bosco pubblicate nel Bollettino di Siviglia sono, come ho già indicato, nelle cronache diocesane del 1881, che comprendono le pietre miliari principali dell'istituzione dei Salesiani a Utrera. Le prime notizie della fondazione appaiono a marzo, appena un mese dopo l'arrivo dei salesiani. Sottolinea, dopo una breve allusione alla spedizione missionaria con cui hanno lasciato Torino, presa senza dubbio dal "Bollettino Salesiano" o dal proprio racconto verbale dei religiosi, le ragioni che hanno spinto l'arcivescovo Lluch a chiamare i salesiani e gli obiettivi del suo insediamento nella diocesi:
"Tre sacerdoti e tre fratelli di quella spedizione sbarcati a Gibilterra, per affrontare questa provincia ed esercitare il loro ministero qui sotto la direzione del nostro più amato prelato, che le notizie del bene che questi lavoratori degni evangelici realizzati in varie regioni del mondo, chiamato fa più di due anni, per lo assistono nella coltivazione di questa parte interessante del campo vangelo che il Signore ha affidato alla vostra richiesta" .35
la natura giuridica dei Salesiani e il campo specifico di questa missione e la sua successiva espansione, erano anche definito nelle notizie:
"I Salesiani sono cittadini davanti alla legge e agli ecclesiastici davanti al Prelato. Il nostro Arcivescovo ha affidato loro il servizio della Chiesa di Nostra Signora del Monte Carmelo nella città di Utrera, dove la popolazione è scarsa e grande. Il signor M. Marqués de Ulloa dà loro ospitalità nobile nella propria casa, quasi adiacente al santuario di cui sopra.

"MB XV, 321.

34 BOAS 1.113 (1880) 581.

35 BOAS 1.129 (1881) 146-147.

Queste belle sacerdoti impegnati lì a cercare lo splendore del culto, per promuovere la pietà tra i fedeli e l'insegnamento della dottrina cristiana ai bambini poveri consegnati alla pigrizia e la dissipazione, raggruppandoli nel suo oratorio giorni festivi, che sono il più pericolo per la gioventù indifesa. Poi si hanno le risorse, sarà utilizzato per migliorare la condizione delle classi denominate diseredati, che stabilisce workshop e tirocinanti di cura arti e mestieri "36
Il lavoro di Utrera, sostenuta dall'iniziativa e l'affetto l'arcivescovo Lluch e protetto dalla munificenza Utrerain, senza dubbio, aveva davanti a sé uno splendido futuro se i religiosi, come effettivamente accaduto, riempivano le speranze che si erano depositate in loro e si occupavano della popolazione giovanile più povera e bisognosa.

La fondazione salesiana di Utrera ha fornito due nuove notizie quest'anno al Bollettino dell'Arcidiocesi, riferendosi al viaggio fatto il 14 giugno da mons. Lluch a Utrera con l'oggetto primario, e così ha dichiarato Cronaca di "visitare i Salesiani, che grazie alla sua carità rialzato e insaziabili hanno fondato in questa città una delle loro case, dove sono a casa, istruire, educare e dare commercio ai poveri e indifesi "37 bambini l'impressione che il prelato ha attirato la sua visita appare anche nella Cronaca:" sua Eccellenza è stato molto soddisfatto della nuova fondazione che, nonostante dando a partire da oggi promette risultati prospera e felice per la causa di Fede e Moralità "38
La seconda storia, anche corrispondenti allo stesso mese di giugno, è inserita in un messaggio inviato dalla città di Utrera il prelato, ringraziandolo per la visita e molti pastorale che ha avuto con la popolazione Utrera da quando è arrivato nell'arcidiocesi. Il riferimento alla casa salesiana - "appena installato, promosso dal suo zelo, la prima congregazione in Spagna sacerdoti secolari di San Francisco de Sales, dedicato alla formazione e l'educazione del bambino '' - tra cui il parere della diocesi sulla stesso: "Santa Congregazione, santissima, perché l'azione corretta dell'insegnamento cristiano è quella di convertire i bambini in figli di Gesù Cristo, e questo è santo".
L'attività ha cominciato a sviluppare i Salesiani a Utrera ha avuto un profondo impatto sul clero e il popolo, che si riflette nella dichiarazione per l'arcivescovo, che ha inserito il bollettino chiesa nel mese di luglio, dando conti del lavoro apostolico che ha portato alla fuori nella città i Figli di San Francisco de Sales, come li chiamavano. La gratitudine, il dovere morale, come era stato affermato, aveva bisogno di esprimere la trasformazione sperimentata nelle sette religiose:
36 Ibid.

"BOAS 1.145 (1881) 330.

"Ibid.

39 BOAS 1.144 (1881) 342-343.

40 Ibid., P. 343.

"La chiesa di Nuestra Señora del Carmen prima deserta, ora è così frequentata dai fedeli, che spendono centinaia di comunioni settimanali e grande folla che frequentano quotidianamente il Santo Sacrificio della Messa e il devoto Rosario, manifestazioni che si svolgono nelle ore più appropriato per questa città essenzialmente agricola ».4 '
La descrizione della novena e della festa della Vergine del Carmen, titolare della chiesa affidata ai Salesiani, costituisce un canto di lode all'attività e allo zelo apostolico che essi hanno mostrato. L'atteggiamento di benevolenza e di affetto che sia il popolo e il clero diocesano mostrato era Salesiani, si riflette nel paragrafo trascritto qui sotto, che mette in evidenza come i fedeli ha accolto favorevolmente la predicazione dei figli di Don Bosco, nonostante le difficoltà che hanno avuto nell'esprimersi in castigliano: «ma devo menzionare in modo speciale i tre colloqui a carico dei salesiani, che ci hanno lasciato un'impressione così piacevole; la difficoltà della lingua per il poco tempo che hanno ancora in Spagna, fu sopraffatta dallo zelo e dall'entusiasmo che le loro anime erano possedute,
Le ultime notizie sull'opera salesiana pubblicate dal Bollettino dell'Arcidiocesi nel 1881 corrispondono al mese di dicembre ed è l'unica tratta dal «Bollettino Salesiano»; Si riferiva alla celebrazione del quarantesimo anniversario della fondazione dell'Oratorio, che si è compiuto nel giorno dell'Immacolata Concezione dello stesso anno. La notizia è stata comunicata ai Cooperatori nel "Bollettino Salesiano" del mese di novembre, con la pubblicazione dell'incontro di Don Bosco con Bartolomé Garelli nella chiesa di San Francisco de Asís. La stessa storia inserito anche nella "Gazzetta Ufficiale del Arcivescovo di Siviglia" come tributo al lavoro di Don Bosco, è stata la notizia che i riferimenti sono stati chiusi ai Salesiani nel ariana 1.881,43
Negli anni seguenti, fino al 1888, le notizie sul lavoro di Don Bosco nella newsletter di Siviglia sono molto scarse. Di questi includono le cronache delle novene e feste di San Francisco de Sales, in particolare quella del 1884, a cui hanno partecipato il nuovo Arcivescovo di Siviglia, Fray Zeferino González Tuñón e Diaz ", che si è rivelata in modo deferenza dai Salesiani degnarsi nemmeno sedia Cooperatori conferenza tenuta. questo atto, come indicato nella Cronaca, era notevole per due motivi, uno è il primo incontro di questo tipo per essere avuto in Spagna, e l'altro, per aver presieduto la Mons. il canone hispalense García Sarmiento, che ha accompagnato in questa occasione il presule, realizzato per conto del l'elogio della Congregazione salesiana, chiamato da lui "per giocare nel mondo moderno la magnifica mia
4 'BOAS 1.148 (1881) 390.

Ibid., P. 391.

"BOAS 1.168 (1881) 612-613.

44 Il cardinale Lludi y Garriga morì nel 1882, essendo stato nominato, per succedergli, il vescovo di Córdoba, Fray Zeferino González e Díaz-Tuñón.

Sion compiuto dal clero secolare e dal clero regolare nella società del passato ".45
En los años siguientes no aparece en el Boletín del Arzobispado de Sevilla noticia alguna sobre los salesianos ni sobre el colegio de Utrera, debido sin duda a la etapa de crisis y dificultades que pasó contemporáneamente a la fundación de Barcelona." Sólo en el Boletín eclesiástico de agosto de 1886 aparece la propaganda del recién creado colegio de internos, en la misma casa de Utrera. Se pedía en ella a los párrocos que informasen a los padres de familia que en el colegio salesiano encontrarían una educación esmerada y cristiana en la que, sin desatender las necesidades de la enseñanza científica y literaria, se daría preferente lugar a la religiosa.' Superada la crisis del establecimiento, los salesianos continuaron trabajando en favor de la juventud utrerana, aunque su incansable apostolado no ofreciera motivos lo suficientemente novedosos como para insertarlos en el Boletín del arzobispado.

Una noticia triste y universal llegó finalmente en febrero de 1888. El fallecimiento de don Bosco fue recogido en una sentida Nota necrológica en el «Boletín Hispalense».

«Ha fallecido en Turín, rodeado de sus hijos los Religiosos Salesianos, y llorado de millones de niños huérfanos y abandonados, el Rvdo. P. Don Bosco, llamado el san Vicente de Paul de Italia. Los prodigios que ha obrado este apóstol de los niños en los cincuenta años empleados en fundar el Instituto Salesiano y extenderlo por todo el mundo son tantos que no se pueden contar, como las casas establecidas, los hospicios y talleres abiertos, donde se da albergue a millones de niños que al par que reciben los cuidados corporales necesarios, se les da educación sólidamente cristiana y un oficio manual, que los haga obreros temerosos de Dios, observadores de su divina ley, laboriosos e inteligentes»."
La intuición de que había muerto un santo quedaba también recogida en la Necrología:
«El Padre Don Bosco ha muerto, pero su obra vivirá como obra de Dios, como viven las obras de los Santos. Los millones de niños asilados que hoy lloran al Padre más solicito y más cariñoso, los Sacerdotes, misioneros y cuantos conocen y siguen con amor el Instituto Salesiano, elevan hoy al Cielo sus oraciones en sufragio de su virtuoso Fundador, si es que sus grandes méritos no le han asegurado ya la mansión de los santos ».49
El análisis realizado del contenido del «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla» en relación con las noticias salesianas, considero que deja fuera de
" BOAS 9 (1884) 330.

46 Cf. MARTÍN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, nota 10. " BOAS 79 (1886) 119-120; 80 (1886) 151452.

48 BOAS 122 (1888) 143-144.

49 Ibid., p. 144.

dudas la falta de correspondencia entre la afirmación que contienen las Memorias biográficas sobre la publicación de una historia del Oratorio en la «Revista diocesana» de Sevilla y las noticias realmente publicadas en el mismo." No cabía para ello otra explicación que la existencia de un error de interpretación con relación al título de «Revista diocesana» como sinónimo de Boletín de la archidiócesis 51 Esta deducción orientó mi búsqueda hacia otra publicación que el propio Boletín diocesano me había revelado: «La Revista Católica» de Sevilla, que se me presentó como una nueva, interesante y desconocida fuente para mi investigación.

2.2.2. «La Revista Católica»


«La Revista Católica», fundada en diciembre de 1877, contaba como responsable de su edición al propio arzobispado de Sevilla, y llegó a presentarse como Semanario de Ciencias Eclesiásticas y Literatura Religiosa, dedicado a Su Santidad el Papa León XIII. Esta era la Revista diocesana por excelencia, como lo evidencian la dignidad de su presentación y la importancia de sus colaboradores.52 Organo oficioso de la archidiócesis, contribuía a la defensa y difusión de sus intereses y a la consecución de sus objetivos, uno de los cuales era reforzar los lazos de unión con la Santa Sede mediante la publicación de los documentos pontificios y decretos de las Congregaciones vaticanas, junto con las cartas pastorales y principales documentos del arzobispado hispalense.

Con relación a la información que sobre la Congregación salesiana proporcionaba «La Revista Católica» durante los años que interesan al presente estudio, he podido constatar que presentaba una clara tendencia de adhesión y simpatía hacia la misma, publicando numerosas noticias de diversa índole y .extensión, tomadas algunas del «Boletín Salesiano» que fueron apareciendo de acuerdo con los intereses de la diócesis y la cadencia de los acontecimientos.

El arzobispo de Sevilla, Lluch y Garriga, — afirman las Memorias biográficas — «se había convertido en gran propagandista de la fama de don Bosco a través de la Revista diocesana»." No cabe duda que, para mons. Lluch, esta labor de propaganda tenía un objetivo: preparar la diócesis para acoger a los hijos de don Bosco, a quienes con tanta insistencia había mandado llamar. Pero ¿cuándo y cómo empezó esta preparación? Trataré de responder analizando el ritmo seguido por la propia Revista.

5° Cf. MB XV, 321-322.

" Cf. MARTIN GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 297.

" «La Revista Católica» fue continuación de la «Semana Católica», editada también con el mismo carácter, por el arzobispado hispalense, la cual había dejado de publicarse en el mes de junio anterior. La dirección de «La Revista Católica» fue confiada inicialmente a don Ventura Camacho Carbajo, pero en los años correspondientes a nuestro estudio, su dirección la tenía don Cayetano Fernández, dignidad de Chantre de la catedral de Sevilla, miembro de número de la Real Academia española, y Vice-director de la Academia hispalense de Santo Tomás de Aquino.

53 MB XV, 321.

Las noticias sobre la obra salesiana en «La Revista Católica» tuvieron un majestuoso prólogo con la publicación, en mayo de 1879, de la carta dirigida por León XII( a los salesianos de Argentina el año anterior, carta que había sido ya publicada en «L'Unitá Cattolica» de Turín. La Revista hispalense transcribía, junto con el texto pontificio, el comentario que el periódico «La América del Sur» de Buenos Aires hacía al respecto:
«La humildad de los Padres Salesianos residentes en esta capital, les ha hecho guardar silencio sobre la carta que les ha dirigido el Sumo Pontífice León XIII. [...] El celo que los Padres Salesianos despliegan en favor de todas las clases de nuestra sociedad, ya con el asiduo ejercicio del sagrado ministerio, ya con la cristiana instrucción de la juventud, tanto pudiente como menesterosa, les hace dignos de este honor del nuevo Papa».54
Ciertamente que con la anterior noticia la semilla de la propaganda estaba echada, y el interés y la fraterna acogida a la Congregación salesiana no tardarían en florecer en las cálidas tierras andaluzas.

Las reiteradas gestiones realizadas por el arzobispo Lluch para el establecimiento de los salesianos en su diócesis habían tenido como resultado las seguridades dadas por don Bosco tras el viaje de Cagliero a Sevilla, de que los salesianos estarían en Utrera para octubre de 1880. Urgía por tanto dar a conocer, de forma concreta, la obra salesiana al clero y fieles de la archidiócesis. Y a este fin fue dirigida la publicación, durante siete semanas — de junio a agosto de 1880 —, del opúsculo de L. Mendre, presbítero de Marsella, titulado Don Bosco, presbítero, fundador de la Congregación de los salesianos. Noticia de su obra, el Oratorio de San León en Marsella y de los oratorios salesianos fundados en Francia.55 Los artículos, que en su conjunto tienen una extensión aproximada de 25 páginas, aparecieron siempre en portada, siendo evidente el propósito de dar a conocer su contenido.

El primer artículo está precedido de una especie de prólogo o presentación, titulado Una obra grande de caridad, firmado por el traductor del opúsculo, el académico hispalense Cayetano Fernández, uno de los eclesiásticos sevillanos más ilustres de las últimas décadas del pasado siglo. Unido a los elogios que el citado eclesiástico dedicaba en su prólogo a la Congregación salesiana y a su misión específica, aparecía el anuncio de la próxima fundación en la archidiócesis:
«España ha abierto ya sus puertas a los Sacerdotes Salesianos y con ellos a la obra de Don Bosco, cien veces bendita con las bendiciones del Cielo.

Utrera es la ciudad afortunada que, merced a las inspiraciones de nuestro prelado
54 «La Revista Católica» 79 (1879) 310.

" Los artículos corresponden a los siguientes números de «La Revista Católica»: 135 (1880)
401-406; 136 (1880) 417-419; 137 (1880) 433-435; 138 (1880) 449-451; 139 (1880) 469-472; 140
(1880) 485-488; 141 (1880) 501-505.

celosísimo, verá la primera en su suelo la obra de Don Bosco; todo está dispuesto para la inmediata fundación» 56
También el objetivo de la publicación estaba expresado abiertamente:
«Siendo empero, todavía la santa obra no muy conocida de todos, se está precisamente en el caso de (como ahora se dice) formarle atmósfera, para que conociéndola se la ame, y amándola se le ayude, y ayudándola se ponga en práctica sin tardanza. Y es puntualmente lo que me propongo con la traducción y publicación de las siguientes páginas, escritas en francés con cierta amenidad y buenos datos, por L. Mendre, Presbítero de Marsella».57
Prescindiendo del análisis del contenido del opúsculo, que no interesa al objetivo del presente trabajo, y que no es más que una síntesis de los momentos y aspectos más relevantes de la obra realizada hasta entonces por don Bosco, desde el encuentro con Bartolomé Garelli en diciembre de 1841, hasta la expansión alcanzada por la Congregación en América y en Francia, cuyas casas se analizan con mayor detención, quiero sí destacar el epílogo que el mismo Cayetano Fernández puso a la obrita de L. Mendre al concluir su publicación un mes y medio después. El traductor, ante todo, ratifica su objetivo: «He terminado, a Dios gracias, mi tarea de dar a conocer por menudo en España a Don Bosco y su admirable instituto Los TALLERES CRISTIANOS, con la traducción del opúsculo de L. Mendre, presbítero de Marsella»;58 y a continuación exhorta a sus conciudadanos a emular el apoyo que americanos y franceses prestaban a la obra de Do'n Bosco, convencidos de la misión providencial que estaba llamada a desempeñar en favor de los jóvenes y de una sociedad en cambio:
«Mas ahora lo que urge por todo extremo entre nosotros es venir a la práctica, traducir en hechos las convicciones que hemos podido adquirir, viendo y observando lo que los italianos principalmente y luego los franceses y americanos han hecho y continúan haciendo con Don Bosco, sus Talleres y sus Salesianos [...]; nadie que tenga ojos puede dejar de ver que las masas no serían de la revolución si, como Don Bosco hace, se santificasen las almas y se protegiese y santificase el trabajo de las clases pobres».59
Con una retórica apelación a los poderosos, ricos, clases acomodadas y católicos todos, Cayetano Fernández terminaba su epílogo pidiendo apoyo económico para una obra y una Congregación que, desde la humildad de su origen y la dulzura de su método, contribuirían a la paz social:
«Aportad recursos, edificad, organizad TALLERES CATÓLICOS, abrid las puertas a
26 «La Revista Católica» 135 (1880) 402.

'7 C. FERNÁNDEZ, Una obra grande de caridad, en «La Revista Católica» 135 (1880) 402.

" C. FERNÁNDEZ, «La Revista Católica» 141 (1880) 503. s9 Ibid., p. 504.

los Sacerdotes Salesianos, que ellos harán de los hijos de los pobres los amigos que más necesitáis en este mundo y para la eternidad».60
El retraso de la fundación de Utrera, prevista para octubre de 1880, provocó, junto con la incertidumbre de la llegada, un silencio informativo que sólo se rompió con el anuncio del viaje inminente. De inmediato, «La Revista Católica», fiel a su objetivo, comenzó de nuevo a crear ambiente a la causa salesiana, publicando el encargo, hecho a don Bosco por el Pontífice, de continuar en Roma la erección de la nueva iglesia al Sagrado Corazón de Jesús, a la que se uniría un colegio salesíano. Tras esta preparación, se insertaba la noticia de la fundación salesiana de Utrera:
«Según noticias fidedignas, pronto la diócesis de Sevilla se verá favorecida por los salesianos discípulos de Don Bosco, llamados a dirigir en Utrera la obra de los Talleres cristianos» 61
La llegada de los religiosos y los comienzos de la fundación quedaron en silencio hasta que, transcurridos los primeros meses, el «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla» publicó un cálido elogio de la actividad desarrollada por los salesianos con motivo de la fiesta del Carmen, que «Revista Católica» reprodujo íntegramente del Boletín.' También en enero de 1882 la Revista tomó del Boletín la síntesis de las actividades pastorales que el arzobispo Lluch había realizado el año anterior, entre las que se incluía el establecimiento de los salesianos en Utrera.63
A comienzos del año 1882, «La Revista Católica» dio a conocer el celo desplegado por los salesianos de Utrera, con motivo de la novena y fiesta de Navidad pasadas:
«Dios bendiga los esfuerzos de tan humildes Sacerdotes, que con incansable actividad procuran la salvación de las almas y en especial de la juventud sobre la cual estriba el porvenir de nuestra sociedad», para terminar exhortando a todos los católicos a hacerse cooperadores de tan benemérita obra:
«Desearíamos que todos los verdaderos católicos procurasen realizar los fines de esta Congregación religiosa, haciéndose sus Cooperadores, cuyo objeto fundamental es la propia santificación y el ejercicio de la caridad hacia el prójimo y particularmente hacia la juventud que a tantos peligros se halla expuesta en nuestros días».65
La invitación a cooperar en la obra salesiana fue un tema constante en «La
60 Ibid.

61 «La Revista Católica» 165 (1881) 63.

62 BOAS 1.148 (1881) 390-392; «La Revista Católica» 195 (1881) 539-540.

63 «La Revista Católica» 218 (1882) 70.

64 «La Revista Católica» 214 (1882) 11. Ibid.

Revista Católica», que publicó algún que otro artículo exponiendo, incluso, las industrias espirituales propuestas al católico Cooperador para su santificación personal;66 pero, sobre todo, se esforzó por dar a conocer cómo pontífices, prelados y otras dignidades eclesiásticas se honraban con el título de Cooperador:
«La Asociación de los Cooperadores fundóla el gran Pontífice Pío IX, quien la aprobó y enriqueció con muchas indulgencias. El Papa actual, León XLII, es el primero de los Cooperadores »,67
los cuales competían en generosidad y entusiasmo con la población y las autoridades civiles, en apoyar a los salesianos en su benemérita labor e incansable sacrificio, que ya reclamaban para si, en España, otras ciudades andaluzas.68
En función de la labor preestablecida, de apoyo y difusión de la obra salesiana y dentro de la corriente de simpatía que hacia la misma mostraba la propia dirección de la Revista, se insertan las noticias que aparecieron en los años siguientes, alusivas unas a las celebraciones litúrgicas de las fiestas de San Francisco de Sales y de la Virgen del Carmen, titular del colegio de Utrera, y otras a los frutos espirituales que dichas fiestas reportaban a pequeños y mayores.69 Las noticias relativas a la actividad docente del mismo colegio y su posterior desarrollo fueron publicándose al ritmo de sus éxitos o necesidades, y así en 1882 la Revista dio a conocer la creación de las escuelas nocturnas, para proporcionar enseñanza a quienes no podían asistir a las diurnas y deseaban que se estableciesen clases en horario compatible con sus ocupaciones: «a cuyo efecto, despreciando estos incansables operarios el doblado sacrificio que el nuevo trabajo les imponía, abrieron hace cerca de tres meses escuelas de noche para niños y adultos, en las que ingresó desde luego un número de jóvenes mayor aún que los que cómodamente permite el local de la casa que habitan, con grande satisfacción de aquellas almas generosas que ven correspondida su solicitud verdaderamente paternal por el mucho celo e interés con que esos nuevos discípulos acuden a oir sus enseñanzas ».7°
66 Industrias espirituales propuestas a los Cooperadores salesianos, en «La Revista Católica» 264 (1882) 803-804.

67 Objeto de la obra de Don Bosco, en «La Revista Católica» 398 (1885) 442.

68 UN COOPERADOR SALESIANO, Novena y función religiosa en honor de San Francisco de Sales en Utrera, en «La Revista Católica» 220 (1882) 103-104; UN COOPERADOR SALESIANO, Los padres salesianos en España, en «La Revista Católica» 250 (1882) 573-576.

69 Los artículos publicados en «La Revista Católica» sobre los cultos salesianos en Utrera son los siguientes: Solemne novena en honor de San Francisco de Sales en Utrera, 219 (1882) 87-88;
Novena y función religiosa en honor de San Francisco de Sales en Utrera, 220 (1882) 103-104; Noticias: Los padres salesianos establecidos en Utrera, 271 (1883) 79; Solemnes cultos celebrados en la vecina ciudad de Utrera por la Congregación salesiana, 324 (1884) 88-89; La fiesta del Carmen en Utrera, 452 (1886) 473-474; Solemnes cultos a San Francisco de Sales en la inmediata ciudad de Utrera, 480 (1887) 91.

70 Escuelas nocturnas de los padres salesianos en Utrera, en «La Revista Católica» 231 (1882)
La creación del colegio de internos en la misma casa de Utrera también fue dada a conocer en las páginas de «La Revista Católica», con la explicación de su objetivo:
«El fin es de proporcionar así a los niños de las familias que no pueden pagar una mensualidad crecida, como lo exigen la mayor parte de los colegios particulares, como a los de la clase más menesterosa, una instrucción y educación religiosa y científica».71
Dentro de la línea de difusión de la obra salesiana, que había adoptado «La Revista Católica», cabe citar la publicación de otro tipo de artículos que, sin duda, tenían su fuente de información en el «Boletín Salesiano» y mediante los cuales, aunque considerados en su conjunto no pueda afirmarse que constituyen una historia del Oratorio, sí es cierto que cualquier lector asiduo de la Revista podía llegar a tener un conocimiento suficiente de la misión salesiana, de la santidad de su Fundador y de la prodigiosa expansión de sus casas por Europa y América.72 Incluso la Memoria redactada por don Bosco sobre el estado de su Instituto, titulada La Congregación salesiana en 1882, fue también publicada íntegramente en «La Revista Católica», proporcionando con ello al lector andaluz y al español en general, dada la amplia área de difusión de la Revista, un conocimiento bastante completo de la Congregación, tanto de sus éxitos y expansión como de sus necesidades, contribuyendo de este modo al objetivo que don Bosco se había propuesto con su escrito, según lo expresan sus propias palabras:
«Prestadme, pues, generosamente el apoyo de vuestra caridad en todas esas obras de religión y de verdadera civilización, yo por mi parte os prometo en retorno las más dulces bendiciones del Señor».73
El respaldo que a la Congregación salesiana daban las noticias que publicaba «La Revista Católica» acerca de las deferencias y la confianza que León XIII tenía con don Bosco, permitía a la misma Revista apelar, por cuenta propia, a la cooperación espontánea de la población católica para el sostenimiento de las obras salesianas: «ayuden los católicos a este hombre providencial y a esta ilustre "personalidad" del siglo presente; cada buen ciudadano se gloríe de concurrir con él a dar a la sociedad hombres morigerados y probos».74

n Nuestra Señora del Carmen en Utrera (Sevilla). Colegio de Primera y Segunda Enseñanza, en «La Revista Católica» 465 (1886) 536-537.

72 Los artículos que publicó «La Revista Católica» de Sevilla sobre la obra salesiana fuera de España, además de la traducción del folleto de L. Mendre, fueron los siguientes: Carta de Su Santidad a los misioneros de la Congregación salesiana de Buenos Aires, 77 (1879) 310-311; Los padres salesianos, 250 (1882) 573-576; Los salesianos llamados al Pará, 251 (1882) 589-591; Los salesianos en América, 257 (1882) 695-696; Las oraciones de don Bosco, 297 (1883) 491-492; B.F.D. ivoraE, El padre don Bosco y su obra, por Albert du Boys, 369 (1884) 804-807; Objeto de la obra de don Bosco, 398 (1885) 441:442; Misiones de la Patagonia, 575 (1888) 783.

" SACERDOTE JUAN BOSCO, La Congregación salesiana en 1882. Memoria del P. Bosco, en «La Revista Católica» 283 (1883) 262-266.

La visita de don Bosco a Barcelona en 1886 fue recogida por «La Revista Católica» a través de la «Revista Popular» de aquella capital, de la que reprodujo las noticias relativas a la llegada y despedida, así como la carta de agradecimiento enviada a Barcelona desde Turín por don Viglietti en nombre de don Bosco."
Transcurridos dos años, «La Revista Católica» vestía de luto sus propias páginas publicando en portada la dolorosa noticia: Don Bosco ha muerto. La sentida nota necrológica — firmada por el mismo ilustre eclesiástico, Cayetano Fernández, que ocho años antes diera a conocer en España la obra salesiana, mediante la traducción y publicación del opúsculo de L. Mendre76 — se abría con una reflexión profunda, densa en elogios:
«Todos los días estamos viendo a la muerte haciendo sin oposición sus víctimas a millares; y, sin embargo, nada nos sorprende tanto como ver a esta implacable enemiga del humano linaje, arrebatar en un momento a uno de esos hombres que, o por sus virtudes o por sus talentos o por sus obras, han merecido que con razón se les denomine grandes. [...] Don Bosco había edificado las almas con el aroma de sus virtudes; había morigerado la juventud con la enseñanza católica, santificado el trabajo con la invención de los Talleres Cristianos, esparcido por todo el mundo la buena doctrina en excelentes libros con la pasmosa fecundidad de sus prensas salesianas, enviado a los cuatro vientos sus operarios evangélicos, los cuales han penetrado ya hasta en los paises más apartados e incultos, en la Patagonia! y, en fin, para que sus obras no fuesen pasajero meteoro de luz que se apagase con su existencia, logrado había asimismo infundir su espíritu, comunicar su celo, repetirse por decirlo así, en cada uno de sus hijos, fundando el ya célebre Instituto, que el inmortal Pío IX puso bajo el patronato y advocación del Santo de los obreros, San Francisco de Sales. Y no obstante todo eso — doloroso es repetirlo — el Sacerdote ilustre Don Juan Bosco ha muerto! ».77
A continuación, el editorialista confiesa abiertamente la línea seguida por la Revista en relación con la obra salesiana y su predilección por la misma, de la que se había convertido en promotor de su causa y pionero de su conocimiento y difusión en España:
74 León XIII y don Bosco. Promoviendo la fundación de una iglesia y de un hospicio en Roma, en «La Revista Católica» 345 (1884) 419-421.

" Sobre el viaje de don Bosco a Barcelona, «La Revista Católica» publicó los artículos siguientes: El padre dom Juan Bosco en Barcelona, 439 (1886) 268-269; Despedida de Dom Bosco, 443 (1886) 330; Carta de Dom Bosco después de su viaje a Barcelona, 446 (1886) 481.

76 C. FERNÁNDEZ, Una obra grande de caridad, en «La Revista Católica» 135 (1880) 401-406; 141 (1880) 501-505. Cf. nota 55.

77 C. FERNÁNDEZ, Don Bosco ha muerto, en «La Revista Católica» 533 (1888) 97.
«Nosotros que desde esta misma Revista fuimos hace pocos arios los primeros en dar a conocer en España a Don Bosco y su inspirada obra, y que desde entonces, hemos profesado admiración sin límites al primero y predilección muy especial a la segunda, no podemos ver hoy con ojos serenos, la incalculable pérdida que la Iglesia y la sociedad acaban de sufrir con la muerte de este Justo, ni dejar de ofrecerle, como lo hacemos, nuestro humilde, luctuoso homenaje, en estas lineas necrológicas».78
La intuición de que había fallecido un santo quedaba también patente en la Nota: «Es piadoso y noble creer que desde la altura de los Cielos, Don Bosco será ahora más que nunca, el amantísimo Padre de sus hijos»,79 aunque con ello no se pretendiera, como se advertía expresamente, anticiparse al juicio de la Iglesia.

La carta de don Rua comunicando a la Familia salesiana la dolorosa pérdida, en la que también brillaba un gran párrafo de esperanza — «Don Bosco dijo que su obra no se menoscabaría con su muerte, porque estaba confiada a la bondad de Dios, protegida por la poderosa intercesión de María Auxiliadora y sostenida por la generosa caridad de los Cooperadores y Cooperadoras, que continuarán siempre favoreciéndola»g° —, fue publicada también como un nuevo homenaje que la prestigiosa Revista ofrecía a don Bosco y a su obra, a la que, como creo ha quedado demostrado, dio a conocer en España y allanó el camino de su primera andadura, creándole una cálida atmósfera, que Andalucía supo transformar en adhesión y cariño imperecederos.

2.2.3. La prensa andaluza


La investigación realizada en los periódicos andaluces, y más concretamente en los de Sevilla, por ser ésta la única diócesis que contó con una casa salesiana al comienzo de los años ochenta del pasado siglo, ha resultado casi totalmente infructuosa.

La noticia de la fundación del colegio salesiano de Utrera no aparece en ninguno de los diarios que he podido consultar, así como tampoco aparece, años después, la visita de don Bosco a Barcelona. Sin duda, las circunstancias políticas de la nación, tendentes a la consolidación de un liberalismo cada vez más radical, que hacía temer a la Iglesia de España la reanudación de pasadas hostilidades, no permitían a los redactores de la prensa oficial o de opinión ofrecer noticias que ni por su carácter ni por su procedencia podían resultar gratas en la España de la Restauración. Unicamente el fallecimiento de una personalidad como la de don Bosco pudo romper el silencio informativo que caía sobre las noticias religiosas que no resultaban polémicas, siendo recogida por el diario político de Sevilla «El Español», que publicó escuetamente:
Ibid., p. 98.

" Ibid.

8° Carta del padre Miguel Rúa a los Salesianos, Hijas de María Auxiliadora, Cooperadores y
Cooperadoras Salesianos, en «La Revista Católica» 533 (1888) 107.

«Ha fallecido en Turín el conocido sacerdote Don Bosco al cual se deben las fundaciones de un sinnúmero de Colegios, dirigidos por los salesianos»."
Tras la brevedad de la noticia se podía intuir el conocimiento que la población tenía de los hijos de don Bosco, a los que no hacía falta presentar.

El carácter de periódico católico político, con que se definía el «Diario de Sevilla», le permitió una amplitud mayor en la Nota necrológica que dedicó, en primera página, a la noticia del fallecimiento de don Bosco:
«La muerte del ilustre fundador de la Congregación Salesiana ha cubierto de luto al mundo entero, que le conocía por sus obras y por sus fastos, y que manifiesta en estos momentos su dolor por medio de la prensa de todos los paises».82
A este concierto universal de dolor y de preludios de gloria se sumaba Sevilla, con parquedad informativa ciertamente, pero con explosión vital de amor y de simpatía hacia una obra que, en los aún cortos años de su existencia en el sur peninsular, había echado ya raíces profundas.

3. Difusión de la literatura salesiana en España


Sin pretender hacer en este apartado un estudio de los cauces de difusión, de las noticias impresas sobre la obra de don Bosco en España, desde la llegada de los primeros salesianos a Sevilla, sí deseo exponer en el mismo que, mientras no aparezcan nuevas fuentes para la investigación de este tema, cabe afirmar que fue a partir del conocimiento que de la Congregación salesiana se tuvo en Andalucía, con motivo de la fundación de la casa de Utrera y de la información que sobre don Bosco la precedió, cuando se difundieron por España las noticias salesianas, multiplicándose en periódicos y revistas por todo el área peninsular, como lo demuestran los testimonios que expongo a continuación.

Las Memorias biográficas son las que proporcionan la primera información en este sentido. Al referirse al desembarco en Gibraltar de los primeros salesianos destinados a Utrera, se afirma:
«Por la Península Ibérica se habían difundido las noticias de los salesianos. Los viajeros pudieron constatarlo muy pronto en Gibraltar. Perdido el barco que zarpaba todos los viernes con rumbo a Cádiz, se vieron obligados a esperar hasta el martes siguiente. [...] El Vicario Capitular y sus diez sacerdotes demostraron estar muy informados sobre Don Bosco y sus vicisitudes, de modo que aceptaron con agrado la invitación de inscribirse entre los Cooperadores salesianos».83
" «El Español», 2 febrero 1888, 2.

82 «Diario de Sevilla», 14 febrero 1888, 1.

83 MB XV, 321-322.

Esta información se completa con la enviada por Cagliero a don Rua en la carta que le escribió desde el mismo Gibraltar, con fecha 14 de enero de 1881:
«Mons. Narciso Pallarés es un viejecito simpático que hace ahora de Vicario Capitular. Apenas supo que éramos salesianos nos dio un fraternal abrazo. Por medio de La Revista Popular está informado acerca de Don Bosco y de las obras salesianas tanto como nosotros mismos» .84
La fuente de conocimiento sobre la Congregación de don Bosco, como ya se ha indicado anteriormente, partía del arzobispo de Sevilla mons. Lluch y Garriga de quien también se afirma en las Memorias biográficas:
«El arzobispo de Sevilla se había convertido en gran propagandista de la fama de Don Bosco, publicando en la Revista diocesana una historia del Oratorio documentada en el Boletín Salesiano».85
Pero la información sobre la obra salesiana que se publicaba en «La Revista Católica» de Sevilla, que era el título de la «Revista diocesana» a la que se alude en las Memorias biográficas, como también se ha demostrado en el apartado anterior, servía a su vez de fuente para otras publicaciones peninsulares. Un primer testimonio se encuentra en las propias Memorias al referirse a las publicaciones fomentadas por el arzobispo Lluch:
«A su vez, la Revista Popular de Barcelona y periódicos de Madrid y de otras provincias, reproducían los artículos de Sevilla, dando gran nombradía por toda España a las gestas del hombre de Dios».86
Esta información de las Memorias biográficas está ratificada también por otra carta de Cagliero a don Bosco, fechada en Sevilla en febrero de 1881, en la que escribía:
«Las cosas salesianas son aquí tan conocidas ya como en Italia y en Francia, porque el Sr. Arzobispo publica en la Revista diocesana de Sevilla la historia del Oratorio, la cual es reproducida por la Revista Popular de Barcelona y por otros periódicos de Madrid. Y así somos conocidos perfectamente por montes y mares de esta Península Ibérica»."
" Juan Cagliero a Miguel Rúa, Gibraltar 14 de enero de 1881, ASC 603 Missioni, 2, Pacco 40 (G.XV-40). Viaggio di D.G. Cagliero in Utrera (Espana) 1879-1881. El hecho que de esta carta se conserve sólo una copia sin fecha plantea la duda si Cagliero escribió «Revista Diocesana» o «Revista Católica» en lugar de «Revista Popular», dado que existe menor distancia de Gibraltar a Sevilla que a Barcelona, y mayor comunicación marítima y terrestre.

8' MB XV, 322.

Ibid.

87 Juan Cagliero a don Bosco, Sevilla, 23 de febrero de 1881. Cf. MARTIN GONZALEZ, Los salesianos de Utrera, p. 191.

Avalan los anteriores testimonios salesianos, los que proporciona la propia
«Revista Católica» de Sevilla, que se propuso, meses antes de la fundación de la casa de Utrera, crear un clima favorable de acogida a los nuevos religiosos, en el pueblo y clero de la diócesis:
«Siendo empero, todavía la santa obra no muy conocida de todos, se está precisamente en el caso de (como ahora se dice) formarle atmósfera».88
Posteriormente, el eclesiástico sevillano Cayetano Fernández escribía con ocasión de la muerte de don Bosco:
«Nosotros [...] desde esta misma Revista fuimos, hace pocos años, los primeros en dar a conocer en España a Don Bosco y su inspirada obra».89
El medio que escogió «La Revista Católica» para dar a conocer la obra salesiana fue la tradución y publicación del opúsculo de L. Mendre titulado Don Bosco presbítero, fundador de la Congregación de los salesianos, editado en Marsella en 1879."
El primer artículo, de los siete en los que se distribuyó la traducción de la citada obrita, apareció en el n° 135 de «La Revista Católica», de 27 de junio de 1880, terminándose su publicación en el n° 141, correspondiente al 8 de agosto del mismo año. En la reflexión con la que, a modo de epílogo, cierra la serie de artículos su traductor y editor, Cayetano Fernández, escribe:
«He terminado, a Dios gracias, mi tarea de dar a conocer por menudo en España a Don Bosco y su admirable Instituto Los Talleres Cristianos con la traducción del opusculito de L. Mendre, presbítero de Marsella. Y desde luego me felicito por la buena acogida de mi humilde trabajo, que he visto reproduCido y con recomendación en revistas y periódicos de la Península».91
Entre las revistas y periódicos de la Península a los .que se alude que reprodujeron el opúsculo de L. Mendre cabe destacar la «Revista Popular» de Barcelona que empezó a publicarlo literalmente, a partir del 4 de noviembre del mismo año 1880, con el título Don Bosco y los talleres cristianos, aunque sin consignar su fuente de información, y poniendo sólo las iniciales del traductor: C.F.

No cabe duda de que la reproducción que hizo la «Revista Popular» de Barcelona no fue la primera, porque como he indicado, el propio traductor Cayetano Fernández es quien aludía a la existencia de reproducciones en el n°141 de «La Revista Católica», correspondiente al 8 de agosto del 1880, y la «Revista Popular» no comenzó la publicación de la obrita hasta primeros de noviembre del mismo año. Es pues un aspecto por investigar aún, qué revistas o periódicos se anticiparon a la misma, lo que no afecta para nada a la tesis que trato de demostrar, ya que todas las reproducciones que se híceron, bebieron de la fuente sevillana.

C. FERNÁNDEZ, Una obra grande de caridad, en «La Revista Católica» 135 (1880) 402. 9° C. FERNÁNDEZ, Don Bosco ha muerto, en «La Revista Católica» 533 (1888) 98. 9° Cf. notas 55 y 57.

9° C. FERNÁNDEZ, Don Bosco presbítero, fundador de la Congregación de los salesianos. Noticia de su obra, del Oratorio de san León de Marsella, y de los Oratorios salesianos fundados en Francia, en «La Revista Católica» 141 (1880) 503.

La prestigiosa revista madrileña «La Cruz», dirigida por el publicista católico León Carbonero y So1,92 difundió también en sus páginas noticias salesianas, aunque con mucha menor profusión que las ya citadas. Como órgano oficioso de la jerarquía, dedicaba una especial atención a los intereses de la Santa Sede, por lo que no es extraño encontrar en ella un amplio artículo, publicado en 1881, sobre el encargo hecho por León XIII a don Bosco, de erigir en Roma un templo al Sagrado Corazón de Jesús.93 Otras noticias, sin embargo, tales como el establecimiento de los salesianos en Utrera o en Sarriá, son brevísimamente consignadas." En cambio, el viaje de Don Bosco a Barcelona en 1886 fue recogido por «La Cruz» con brevedad y respeto:
«El 8 de Abril llegó a Barcelona, siendo entusiastamente obsequiado, el venerable religioso Don Bosco, fundador de la Congregación de Padres salesianos, apóstol de los niños y cuya fama por sus virtudes es bien conocida en España, existiendo en Sarriá una fundación de su congregación»,95
aunque fue únicamente, para el período que estudiamos, la noticia del fallecí- liento de don Bosco la que mereció, por parte de la prestigiosa revista, una amplia nota en la que se hacía una apretada síntesis de la vida y obra del santo fundador, se reconocían sus virtudes y lamentaba su pérdida:
«El verdadero amigo de los pobres, el apóstol del siglo XIX, el fundador y caritativo Rdo. P. D. Juan Bosco acaba de morir»."
Con los datos hasta ahora aportados considero que se pueden completar las respuestas que R. Alberdi da a las preguntas que él mismo planteaba en su libro Una ciudad para un Santo:97 Antes de 1884, año de la fundación de los Talleres de Sarriá, « ¿quién supo entre nosotros del Fundador de la Congregación Salesiana? ¿quién asumió la tarea de hablarnos de él? >>.98
" Cf. nota 5.

" Templo al Sagrado Corazón de Jesús, con hospicio anexo, en el monte Esquilino en Roma, en «La Cruz» 3 (1881) 567-570.

9° Cf. «La Cruz» 2 (1880) 650; 2 (1884) 115.

9° Cf. «La Cruz» 1 (1886) 597.

" Don Bosco. Datos biográficos. Sus obras, su muerte y funerales, en «La Cruz» 1 (1888) 205-206.

" ALBERDI, Una ciudad para un Santo, p. 229. 98
Ibid. p. 70.

A los órganos de difusión que como respuesta a sus interrogantes R. Alberdi analiza en su libro, a saber, la «Revista Popular» de Barcelona y el folleto del entonces obispo de Milo Marcelo Spínola y Maestre, Don Bosco y su obra,99 creo que hay que añadir el «Boletín Oficial del Arzobispado de Sevilla», que desde la sencillez de la noticia cotidiana de la vida de la diócesis, recoge en sus páginas los primeros pasos de la Congregación salesiana en tierras andaluzas y, sobre todo, «La Revista Católica» de Sevilla, primera en dar a conocer en España la obra de don Bosco y su fama de santidad.

La respuesta que ofrezco podría ampliarse aún, si se añade a lo ya expuesto una fuente oral de excepcional importancia, me refiero a la primera comunidad salesiana de Utrera y más concretamente a su primer director, don Juan Branda,m que se había formado en contacto directo con el Fundador y vivido las extraordinarias experiencias del Oratorio de Turín. Esta fuente oral debió ser, sin duda, el principal medio de información que pudo tener don Marcelo Spínola para escribir su librito sobre Don Bosco y su obra. Es cierto que como Cooperador, Spínola recibiría desde los primeros momentos el «Boletín Salesiano», en el que don Bonetti comunicaba a sus lectores noticias sobre el Oratorio de Valdocco, pues es el propio don Marcelo quien alude en su obra a fuentes escritas: «No es posible leer sin conmoverse [escribe] las escenas de que era teatro el pequeño Asilo de Don Bosco el año 1848».101 Pero es también cierto que tanto «La Revista Católica» de Sevilla como el «Boletín Oficial del Arzobispado» proporcionan pruebas abundantes de la amistad y el afecto que el futuro cardenal hispalense profesaba a los salesianos, cuyo trato frecuentaba, y de cuyas conversaciones, que girarían constantemente en torno a don Bosco, su carisma e inquietudes apostólicas, no es aventurado deducir que Spínola recibiría la información que luego reflejó en su obra.

Entre las ocasiones del trato de don Marcelo Spínola con los salesianos, destaca su participación activa en las fiestas de San Francisco de Sales en el colegio de Utrera. Hasta su traslado en 1884 a la sede de Coria, era éste un hecho habitual, y así lo reflejan las crónicas diocesanas. Refiriéndose a la fiesta de 1882, la primera celebrada por los salesianos en tierras de España, escribe un Cooperador:
«Ha cooperado el Ilmo. Sr. Obispo de Milo, prestándose gustoso a honrar con su asistencia desde la víspera del día del Santo hasta la mañana del siguiente, estos cultos, tomando en el de la fiesta la principalísima parte de pontificar en ella, sin tener en cuenta las molestias que a su delicado estado había de proporcionar lo extraordinario de la hora, y no contento con esto, dando también una respetable limosna al mismo objeto».102
" M. SPINOLA Y MAESTRE, cf. nota 2.

" Don Juan Branda fue director de la casa de Utrera desde 1881 a 1883. Le sucedió don Ernesto Oberti durante los años de 1883 a 1889. Cf. MARTINI GONZÁLEZ, Los salesianos de Utrera, p. 187-197.

'I CARDENAL. SPINOLA, Don Bosco y su obra, 3' edición, Editorial María Auxiliadora, Sevilla 1947, p. 80.

102 UN COOPERADOR SALESIANO, Novena y función religiosa en honor de San Francisco de Sales en Utrera, en «La Revista Católica» 220 (1882) 103.

Queda asimismo constancia del deseo del obispo de convivir fraternalmente con los salesianos durante su estancia en Utrera, lo que sin duda posibilitaría el diálogo, desde los primeros encuentros:
«[...] el Sr. Obispo como el Sr. Magistral de Málaga no quisieron otro alojamiento que la modesta casa de los Padres salesianos, lo cual proporcionó a aquellos ilustrísimos señores reiteradas pruebas de consideración y afecto de este vecindario, siendo muchas las familias que a porfía proveyeron con caridad, cuanto los Padres salesianos necesitaban para atender y obsequiar dignamente a sus esclarecidos huéspedes».103
La fiesta de 1883 contó también con la presencia de don Marcelo Spínola:
«En la mañana del domingo 28, fue recibido en la estación de Utrera el Ilmo. Sr. Obispo de Milo por los Salesianos y el clero todo; su Ilustrísima asistió a los ejercicios de la tarde. El número de comuniones en la mañana del 29 fue muy considerable; a las once ofició de Pontifical el Ilmo. Sr. Obispo de Milo [...]; por la noche ocupó la Sagrada Cátedra el mismo Sr. Obispo. [...] El día 30 se celebró una Misa solemne de Requiera por el eterno descanso de los Cooperadores difuntos».104
Finalmente en la fiesta de 1884, a la que dio especial realce la presencia del nuevo arzobispo hispalense, Fray Zeferino González, la actuación de Spínola, como era habitual, ocupó un lugar destacado:
«Corona y remate de este memorable día fue la función nocturna. Rezado el santo Rosario y los actos del último día de la novena, subió al púlpito el Ilmo. Sr. don Marcelo Spínola, Obispo titular de Milo. [...] El pueblo de Utrera estuvo como extático por más de una hora, pendiente de los labios del orador».'°'
La óptima impresión que el arzobispo sacó de la fiesta, la refleja la Crónica:
«Creemos que los Padres salesianos estarán satisfechos pues nos consta que el Excmo. y Rvdmo. Sr. Arzobispo salió complacidísimo de Utrera, habiéndose afirmado y aún acrecentado en su alma, tan amante de todo lo bueno y todo lo grande, después de haber visto las Escuelas fundadas por los hijos de Don Bosco y asistido a la comida de los alumnos, la estima que ya tenía de la hermosa Institución del humilde sacerdote de Turín».'°6
La satisfacción del arzobispo se concretó en una sustanciosa aportación material, a la que unió la suya acostumbrada don Marcelo Spínola: «Su Excma. Rvdma. el Sr. Arzobispo dejó a la Congregación 200 pesetas para los gastos de las escuelas y el Ilmo. Sr. Obispo, su acostumbrada crecida limosna para los gastos del culto».

103 Ibid., p. 104.

" «La Revista Católica» 271 (1883) 79.

105 Solemnes cultos celebrados en la vecina ciudad de Utrera por la Congregación salesiana, en
«La Revista Católica» 324 (1884) 89; BOAS 9 (1884) 330. 1°6 Ibid.

De todo lo expuesto estimo que se puede concluir que la participación frecuente y activa en las fiestas salesianas, por parte de mons. Spínola así como su habitual limosna, que aparece constantemente en las citas, denotan por una parte el indudable aprecio que don Marcelo tuvo a los salesianos desde su establecimiento en la diócesis y, por otra, prueban indirectamente que el conocimiento profundo, al par que concreto y puntual, que de la obra salesiana y de su Fundador demostró tener en su libro iba más allá del que pudo recabar de las escasas publiCaciones hasta entonces existentes,108 o de las noticias que publicaba el «Boletín Salesiano» y que más bien fue fruto del diálogo, de la conversación cálida, de la información oral y directa de los hijos de don Bosco establecidos en Utrera.

4. A modo de conclusión


Los objetivos del presente trabajo, orientados en principio a estudiar los contenidos y las formas de la propaganda salesiana que realizaba mons. Lluch y Garriga, desde su archidiócesis hispalense a comienzos de los años ochenta del pasado siglo, según se hace constar en las Memorias biográficas, se han visto superados por los resultados del mismo, ya que la investigación ha conducido al conocimiento del Origen de la literatura salesiana en España, que se identifica con la de Andalucía.

Mons. Lluch, en su intento de crear un clima favorable al establecimiento de los salesianos en su diócesis, propició el conocimiento de la obra de don Bosco a través de los principales medios de difusión de que disponía, que eran el «Boletín Oficial del Arzobispado» y «La Revista Católica». Ambas publicaciones cumplieron su cometido, dentro de la peculiaridad de su respectivo carácter, más allá de los deseos del prelado y de los años de su existencia, almenos hasta el fallecimiento de don Bosco, límite cronológico del presente estudio.

El carácter específico de cada una de estas publicaciones hace que sea «La Revista Católica» la que contenga el material de mayor interés para este trabajo, ya que el «Boletín Oficial del Arzobispado», por el carácter informativo que le era peculiar, contiene sólo noticias de las actividades desarrolladas por los salesianos tras su establecimiento en la diócesis hispalense.

«La Revista Católica» por el contrario, autodefinida como Semanario de
107 Ibid.

" La bibliografía que sobre don Bosco se conocía en España hasta 1884, además del opúsculo de L. Mendre, eran el libro de Ch. D'ESPINEY, Dom Bosco, Nice 1881, y el de A. Du BOYS, El padre don Bosco y su obra, sobre el que publicó «La Revista Católica» una amplia recensión, firmada por B.F.D. IvontE, en 369 (1884) 804-807.

Ciencias Eclesiásticas y Literatura Religiosa, tenía capacidad suficiente para insertar en sus páginas las noticias del mundo salesiano, que ya en aquellos años era intercontinental. La simpatía y el interés por la obra de don Bosco fueron una constante de su línea informativa, consciente de la cooperación que con ello le aportaba, reputando como timbre de gloria, y así lo publicaba en un editorial, haber sido «los primeros en dar a conocer en España a Don Bosco y su inspirada obra».'°9
La identificación de «La Revista Católica» con «La Revista diocesana» de Sevilla, de que hablan las Memorias Biográficas, deshace el error de considerar dicha expresión — «Revista diocesana» — como sinónima de «Boletín Oficial del Arzobispado».

La difusión por España, a partir de las publicaciones de Se,. fila, del conocimiento de la obra de don Bosco, a través de prestigiosas revistas de Barcelona y Madrid, como la «Revista Popular» y «La Cruz» respectivamente, no dejan lugar a dudas de la prioridad que en este tema corresponde a Andalucía, como cuna también en la nación, de la propia obra salesiana.

Con relación a los cauces de información que se presentan, el «Boletín Salesiano » aparece como el de mayor importancia, ya que era el medio escogido por el mismo don Bosco para dar a conocer su obra, sus objetivos, sus necesidades, y para recabar por medio de él, las ayudas que necesitaba. El «Boletín Salesiano», como se demuestra, llegaba a los Cooperadores de España, cumpliendo de esta forma la finalidad de su publicación.

Los otros dos medios elencados: Prensa y Correspondencia, aunque aparecen como seguros y verificables, presentan un débil matiz informativo que sólo investigaciones posteriores podrán reforzar.

Por último, en el terreno de los cauces de información se incluyen las fuentes orales, que sí bien adolecen de una mayor carga de hipótesis que de verificación, no se las debe descartar, por lo evidente aunque no comprobable de los argumentos en que están basadas. El viaje de don Cagliero a Sevilla, y sus conversaciones con el arzobispo Lluch, así como las de éste con el director y la primera comunidad de Utrera, debieron proporcionar al prelado, sin duda alguna, una información tan amplia y cálida, como para hacer de él el «gran Propagandista de la fama de Don Bosco», como afirman las Memorias."°
También mons. Marcelo Spínola tuvo que beber, necesariamente, de la fuente oral que le proporcionaba su frecuente relación con los salesianos de Utrera, desde el establecimiento de la comunidad hasta 1884, año del traslado del obispo de Sevilla a Coria, y año también de la publicación de su folleto sobre Don Bosco y su obra, fruto del conocimiento que sobre el mismo había adquirido.

709 Cf. nota 89. 10 MB XV, 321.

Fuentes o cauces de información, órganos y medios de difusión, quedaron fuertemente enlazados en la tarea providente de conocer y difundir en España la obra de don Bosco como obra de Dios, en favor de la juventud y la niñez más pobre y necesitada. Cupo a Sevilla el protagonismo del conocimiento, de la acción y de la difusión. Desde ella partíeron a todo el ámbito peninsular las noticias salesianas y los hijos de don Bosco. Andalucía, siempre fecunda en el dar, se presenta en nuestro estudio con la riqueza de su fundación y de sus revistas, que parece ofrecer con premura a otras regiones y a otros hombres, que debían contribuir a cimentar y a difundir también la obra de don Bosco en todo el suelo español.

DON BOSCO, PEDAGOGO DE LA ALEGRÍA
Buenaventura DELGADO


Constataba Max Scheler que, en el espíritu moderno y sobre todo en el espíritu alemán del XIX, se había producido una «traición a la alegría», como consecuencia de un «falso heroísmo» o de una inhumana «idea del deber», propugnada por el pensamiento «burgués» y «prusiano».'
Scheler se refería a la alegría como fuente y necesario movimiento concomitante de la vida moral; para él la alegría no es un fin en sí mismo sino una necesaria consecuencia de la acción moral.

Si hojeamos cualquier historia de la educación, podremos comprobar fácilmente que la alegría ni ha acompañado ni ha brotado espontáneamente del quehacer pedagógico; antes, por el contrario, ha estado muy lejos y en abierta oposición al mismo.

No parece sino que la escuela haya sido ideada como lugar de dolor, puesto que sus paredes han sido mudos testigos de las incontables lágrimas y horas de angustia de sus infelices moradores. La escuela más antigua de la que tenemos noticia, la eduba sumeria, de hace cuatro milenios probablemente, basaba toda su pedagogía en el terror:
«El que está encargado de dibujar (dice): ¿Por qué cuando yo no estaba aquí te levantabas? Y me pegó. El que está encargado de la puerta (dice): ¿Por qué cuando yo no estaba te marchaste? Y me pegó. El que está encargado de ... (dice): ¿Por qué cuando yo no estaba cogiste el ... ? Y me pegó. El que está encargado de los Sumerios (dice): Tú hablas ... Y me pegó».2
Y me pegó ha sido el estribillo de una pedagogía triste e inhumana, que ha estado vigente durante milenios hasta época muy reciente. «La oreja del joven está en sus espaldas. No escucha más que a quien le golpea», decía un viejo pensamiento egipcio.

El Antiguo Testamento — tan influido de los libros sapienciales egipcios y sumerios — apoya una pedagogía tan poco gratificante como la de sus modelos:
M. SCRELER, Amor y conocimiento, Buenos Aires, Sur 1960, p. 103.

2 S.N. KRAMER, Schooldays: A sumeriam composition relating to the education of a scribe, en «Journal of the American Oriental Society» 69 (1949) 199-215.

«Odia a su hijo el que da paz a la vara; el que le ama se apresura a corregirle» (Prov 13,24).

«La necedad se esconde en el corazón del niño, la vara de la corrección la hace salir de él» (Prov 22,15).

«La vara y el castigo da la sabiduría» (Prov 29,15).

«¿Tienes hijos? Instrúyelos, doblega desde la juventud su cuello» (Si 7,25).

«¿Tienes hijas? Vela por su honra y no les muestres un rostro demasiado jovial» (Si 26,13).

«El que ama a su hijo tiene siempre dispuesto el azote para que al fin pueda complacerse en él» (Si 30,1).

Esta pedagogía del temor y del castigo penetró con fuerza en el cristianismo y ha estado vigente hasta nuestros días. ¿Qué otro sentido tiene el dicho de la sabiduría popular castellana de «quien bien te quiere te hará llorar»? ¿Cómo justificar, de acuerdo con nuestro punto de vista y sensibilidad modernos, que el amor ha de ser doloroso?
Es sabido que el cristianismo no se ha nutrido únicamente de los veneros culturales judíos, sino también de otras fuentes como el helenismo. Judaísmo y helenismo coinciden en su visión optimista del hombre y de la naturaleza, aunque generen pedagogías distintas. Para el judaísmo la naturaleza es buena, como creada por Dios. El origen del mal no está en la materia creada por Dios sino en el ser; no existe dualismo cuerpo y alma, sino «carne», es decir, hombre, como principio único. La filosofía y la cultura judías giran en torno al axioma de la pertenencia al pueblo escogido y segregado entre los demás pueblos, guiado y conducido personalmente por Dios y por sus enviados. El centro de gravedad del pueblo hebreo está en Díos, mientras que para el pueblo helénico está en el hombre, concebido como la medida de todas las cosas. Este antropocentrismo, que impregna toda la vida del hombre griego como ciudadano, pensador y religioso y que se manifiesta en todas las manifestaciones culturales como son la arquitectura, la escultura, la poesía, el teatro y la música, se resume en una palabra que es el calmen de las aspiraciones del hombre bien educado: la kalokagathia, la belleza corporal y espiritual.

Antes de Sócrates, los griegos se habían inclinado más hacia la belleza física. Platón descubrió que, para llegar a la armonía entre el cuerpo y el espíritu, había que supeditar la paideia a la paidia, es decir, la educación al gozo, por lo que era preciso aprender jugando, divirtiéndose, bromeando.

«Quien no haya pasado por la escuela del gozo en los movimientos rítmicos y en la armonía de las canciones corales, es un hombre inculto. El hombre cultivado es el que posee el sentido de las bellas danzas»?
Obsesionado por la trascendencia del juego, Platón desarrolló una pedagogía lúdica inimaginada hasta entonces y redescubierta recientemente por los movimientos contemporáneos de vanguardia.

W. JAEGER, Paideia. Los ideales de la cultura griega, México, F.C.E. 1957, p. 1035.

En su opinión el niño adquiría con el juego el sentido del orden, del ritmo y del equilibrio, con el que era posible adquirir en una edad temprana un ethos adecuado. Tan convencido estaba de su descubrimiento que en el libro VII de Las Leyes estableció la ley de que había que aprender deleitándose, dejando plena libertad a los niños, para que ejercitasen su inventiva mediante los juegos, entre los tres y seis años. Terminada esta etapa infantil, no por ello terminaba la actividad lúdica sino que el juego se convertía en agente educativo, de la mano de los educadores expertos.

Desgraciadamente para el niño, estas sorprendentes ideas fueron sepultadas por el polvo de la historia. Los historiadores de la educación occidental querríamos hallar un puer luden, algún lugar donde haya existido una pedagogía gozosa y alegre, unas escuelas acogedoras, unos maestros optimistas y entusiasmados con su profesión, unos pueblos orgullosos de su sistema educativo así como unos muchachos satisfechos de sus esfuerzos y del resultado de sus afanes escolares.

Querríamos ignorar que la pedagogía del temor y del látigo magistral han destrozado ingenios y han hecho aborrecer el estudio, antes de que los niños fuesen capaces de saber lo que era. En vano aconsejó Quintiliano evitar en los primeros años al magister aridus, non minus teneris adhuc plantis siccum et sine umore ullo solum,4 dado que la amargura del primer aprendizaje podría extenderse más allá de la edad de la ignorancia.5
La realidad ha sido que el mejor y único recurso del maestro ha sido el látigo. Manum ferulae subducere era una perífrasis con la que se designaba la actividad del estudio. El orbilianismo fustigado por Horacio, el magister anidas denostado por Quintiliano y el doctor amaras de Aurelio Prudencio6 han sido los tipos de maestros de todas o de la mayoría de las escuelas del occidente europeo con muy pocas excepciones como las de Clemente de Alejandría, Ramón Llnll, Vittorino da Feltre, Erasmo, Vives..., defensores en vano de una pedagogía humana y alegre, que apenas si pasó del umbral de la escuela. Si bene non scribis — se decía en la Edad media — scribam tua dorsa flagellis, tua dura rumpantur dorsa flagellis.

I cambiamenti introdotti dall'umanesimo rinascimentale non furono in grado di cambiare la scuola. Erasmo descriveva la scuola del suo tempo come una scuola di terrore e di frusta; Più che le scuole, sembravano dunum e dungeon. Lo stesso è stato scritto da Rabelais, Palmireno, Boldacio e molti altri.

La Ratio studiorum dei gesuiti non dispensa da mezzi coercitivi.

Ha anticipato un correttore incaricato dell'amministrazione dei flagelli ottenuti durante l'apprendistato. La Salle, da parte sua, raccomandava nella sua guida l'asta e la palmetta.

MF QUINTILIANI, Institvtionis oratoriae libri dvodecim, 2.4, 8-9, Oxonii, Oxford Classical Texts 1950.

Ibid., 1.20.

A. PRUDENCIO, Passio sancti Cassiani Forocorneliensis, in: Inni ai martiri. Edizione, studio preliminare e note di MJ Bayo, Madrid, CSIC 1946, pp. 140-144. .

Lancaster, propagatore del sistema che porta il suo nome, ha flagellato i suoi studenti legati alla colonna, o li ha appesi in un cestino. Aveva ragione Comenio quando ha scritto quanto segue:
"Educare i giovani ha generalmente seguito un metodo così dura, che le scuole sono stati comunemente tenuto da ragazzi terrore e distruzione dei mulini, e la maggior parte dei discepoli, prendendo orrore di lettere e libri, si affrettò ad andare alle botteghe degli artigiani oa prendere qualsiasi altro tipo di vita ».

Nel corso dei secoli, l'apprendimento scolastico è stato atroce. In Inghilterra la punizione nazionale è stata la frusta, considerata con carattere aristocratico e non come qualcosa di infame. La Germania ha utilizzato tradizionalmente schlague, la "bacchetta Junco", il cui lavoro è stato regolato nelle scuole con rigore tedesco, specificando il luogo dove avrebbe potuto colpire, il numero di colpi e liturgica cerimoniale sua applicazione chiusa e in assenza degli studenti, a differenza di punizioni simili insegnate nel mondo anglosassone.

Uno studioso di punizioni corporali scolastiche nel nostro secolo è venuto a rendere conto di 34 diversi tipi di punizione, molti dei quali hanno sofferto la generazione a cui appartengo.

Questo triste pedagogia ha, tuttavia, le loro staffe e momenti piacevoli, come lo erano feste scolastiche, soprattutto l'obispillo, scuola di teatro, feste tipicamente tori ispanici e più recentemente le competizioni sportive.

Il ragazzo Vescovo, episcopellus episcopus o puerorum era popolare, dal XIII secolo in Inghilterra, Francia e Spagna. Il 6 dicembre, giorno di San Nicola, patrono degli studenti, un obispillo è stato scelto tra gli scolari nelle scuole della cattedrale e ha esercitato il suo mandato fino al 28 dicembre, Giornata degli Innocenti, a tornare per ristabilire lo stato di Erode .

Più importante ha acquisito teatro della scuola, farse scolastici e giochi medievali provocazione, rappresentato in feste alle autorità, anche se erano spesso oggetto di scherno da commedia improvvisata.

Col tempo, i responsabili degli studi hanno scoperto il potenziale didattico di questi festival scolastici e hanno deciso di guidarli dal punto di vista educativo. A Salamanca il professore di grammatica era obbligato a rappresentare con i suoi studenti due commedie di Terencio o Plauto, attorno al festival di San Juan.

L'aumento del teatro a Salamanca fine del XVI era così considerevole che alcuni daustrales alzò la voce di allarme, raggiungendo il divieto in qualsiasi momento dell'anno, né comico né Farandulera rappresentano le commedie o tragedie, dal momento che erano "molto grande occasione turbare e disturbare gli studi dei giovani di questa Università e le spoglie e disturbare e non studiar "7
inutilmente tale divieto, dal momento che l'amore del teatro, sia a Salamanca e in altre città universitarie, seguito con forza straordinaria . Le commedie erano rappresentate in un recinto pubblico, nei college universitari, nelle case degli alunni e nelle case private. Gli attori erano gli studenti e le compagnie professionali.

Los jesuitas comprendieron la virtualidad del teatro y lo incorporaron a su sistema educativo. Multiplicaron el número de representaciones, desarrollaron un mayor fasto y complicaron los recursos escénicos, hasta llegar a un exagerado barroquismo. No hubo género dramático que los jesuitas dejaran de cultivar: obras clásicas, alegóricas, teológicas, bíblicas y populares, con fines educativos y a la vez de propaganda fueron representadas en los colegios de jesuitas de España, Italia, Francia, Países Bajos y América ante la presencia de las autoridades locales.' Los escolapios prosiguieron la tradición jesuítica sin renunciar al teatro. San Juan Bosco no tuvo que empezar de cero, sino aprovechar los recursos y experiencias acumulados durante siglos en la tradición pedagógica católica, adaptándolos a las necesidades de cada momento. Pudo escoger entre una pedagogía autoritaria de fuerza, que era la que en su tiempo estaba mayoritariamente en vigor, y una pedagogía de la dulzura y de la alegría, que para muchos equivalía a un fracaso.

En la Historia de la Educación, don Bosco sobresale por su talante jovial, alegre y optimista, entendiendo por «talante» el hábito emocional de carácter entitatívo, el modo personal que determina o condiciona el modo de enfrentarse a la realidad, como piensa J.L. Aranguren. Bien es cierto que don Bosco no procede de un análisis previo, que le lleve a elaborar conscientemente un método, sino que va improvisando según Dios le da a entender en cada circunstancia, según él mismo confiesa.'
Este talante jovial y alegre aparece en la vida de don Bosco de modo permanente. En el seminario de Chieri funda con un grupo de amigos la «Sociedad de la Alegría», cuya obligación primordial era «suscitar conversaciones y pasatiempos que pudieran contribuir a estar alegres», prohibiendo «todo lo que ocasionara tristeza».

Libros de Claustros de la Universidad de Salamanca 57, 32 v.-33. Cf. L.E. RODRÍGUEZ-SAN PEDRO, La Universidad Salmantina del Barroco período 1598-1625, Salamanca, Publicaciones de la
Universidad de Salamanca,111, 1986, p. 426.

Cf. N. GRIFFIN, Jesuit school drama. A checklist of critical literature, London/Valencia,
Grand-Culter Ltd., 1976; F. SEGURA, El teatro en los colegios de los jesuitas, en «Miscelánea Comillensis» 43 (1985) 299-327; J.M. VALENTIN, Le Théatre des jesuites dans les pays de Langue Allemande (1554-1680), Frankfurt, 1978, 3 vols. y Répertoire bibliographique (1555-1773), Stutgart,1982, 2 vols.

9 «ll mio metodo si vuole che io esponga: ma se nemmeno io lo so! Sono sempre andato
avanti come il Signore mi ispirava e le circostanze esigevano» (cit. por P. BRAMO, Il sistema preventivo di Don Bosco, Zürich, PAS-Verlag 1964, p. 25).

'° Obras fundamentales de San Juan Bosco. Edición de J. Canals Pujol y A. Martínez Azcona,
Es significativo que sus oratorios fuesen festivos y que en ellos su creador asumiese el papel de animador sociocultural, tan de moda en la novísima pedagogía social. «Tengo la impresión de encontrarme en un paraíso terrenal escribió Domenico Ruffino — porque todos están alegres, con una alegría verdaderamente de cielo, y sobre todo cuando don Bosco se encuentra en medio de nosotros »."
La alegría es el secreto de la pedagogía de don Bosco. Comprendió a la perfección que, si existe alegría en el quehacer pedagógico, no es preciso imponer la disciplina, porque brota espontáneamente y es aceptada de buen grado, no como algo que viene del más fuerte, sino como una necesidad del trabajo pedagógico. Esta alegría que es preciso buscar y practicar es aconsejada por don Bosco como fórmula de vida:
«Si quieres hacerte bueno practica sólo tres cosas, y todo irá bien.

— ¿Y cuáles son esas cosas?
— Helas aquí: alegría, estudio, piedad. Este es el gran programa, y si lo pones en práctica, podrás vivir feliz y hacer mucho bien a tu alma».12
Alegría, estudio y piedad vienen a ser el carácter distintivo de la pedagogía bosquiana. El estudio y la piedad son consustanciales con la historia de la educación cristiana de todos los tiempos; durante el Renacimiento se insistió con especial énfasis en la pietas litterata como el programa pedagógico de la época, pero no se prestó atención a la alegría, lógica consecuencia de una piedad estudiosa o de un estudio piadoso. Tampoco era costumbre en algunas familias tratar con dulzura a los hijos, por considerarlo como negativo para la educación. Es preciso recordar el comentario de Vives respecto a su madre, de la que dice que casi nunca le sonrió ni le demostró indulgencia ninguna, a pesar de que quería a su hijo con la mayor ternura." Don Bosco posee la originalidad de presentar la alegría como el máximo exponente y como el fruto más sazonado de una vida de piedad y de estudio. A su discípulo Domingo Savio le aconseja como algo primordial «una constante y moderada alegría»," como santa Teresa pedía a sus monjas. 15 Alaba reiteradamente la constante jovialidad «hiciese bueno o mal tiempo»,'6 incluso a las puertas de la muerte.

Madrid, B.A.C. 1978, p. 368-369.

" Carta a un amigo (1857), en: Ibid., p. 156.

Obras fundamentales, p. 302. Algo semejante escribió en la biografía de Miguel Magone: «El pulso indicaba que estaba a las puertas de la muerte y, sin embargo, su aire sereno, su jovialidad y el perfecto estado de su razón eran de una persona en completa salud» (Ibid., p. 261).

13 L. VivEs, Formación de la mujer cristiana, Lib. II, cap. XL en: Obras completas, vol. I. Traducción de L. Riber, Madrid, Aguilar 1947, p. 1144.

" Obras fundamentales, p. 508.

" El aviso 24 dice lo siguiente: «Cuando estuvieres alegre, no sea con risas demasiadas, sino con alegría humilde, modesta, afable y edificativa». En la carta 267 enviada a las carmelitas descalzas de Sevilla les dice: «Procuren estar alegres y considerar que — bien mirado — todo es poco lo que se padece por tan buen Dios».

San Paolo aveva insistentemente consigliato ai cristiani di Filippi di essere sempre felici nel Signore: Gaudete in Domino semper; medico iterum: gaudete; e Don Bosco usa la formula davidiana del Servite Domino in laetitia, consigliandola ai giovani e ai religiosi. Non è vero che i giovani devono condurre una "vita malinconica e priva di ogni divertimento e piacere" - ha scritto ne I giovani cristiani - né che le suore debbano vivere nella loro pensione rattristate e tristi. Non solo consiglia loro di rimanere "felici, sani e santi", 1 ° ma richiede anche loro statutariamente di essere sempre allegri e di buon umore: «La TIMA sarà sempre felice con le sorelle, rideranno, scherzeranno, ecc. "19
La giustificazione della gioia non è sostenuta da un cristiano in ragione di una natura filosofica, che può spingere piuttosto verso la disperazione e il pessimismo, ma in ragioni religiose. Solo la fede giustifica l'ottimismo, perché solo esso garantisce la vita oltre la vita biologica. San Giovanni Bosco ha scritto che solo "la pratica costante della religione può renderci felici nel tempo e nell'eternità" 20, un'affermazione che ogni cristiano accetta, perché la fede fornisce la sicurezza che l'uomo manca, conoscendosi e sentendosi insicuro. ontical. Il cuore irrequieto dell'uomo recupera solo la pace e con essa la gioia di sapere che è il figlio di Dio. Solo da questa credenza sorge, come da un fiume traboccante, la gioia; senza di esso l'uomo è inesorabilmente spinto all'edonismo, all'agnosticismo,

Don Bosco era ossessionato nei suoi oratori, nelle loro scuole e nelle loro gioia comunità regno ed esternamente manifesta come il miglior pretesa educativa per gli osservatori. Sì, c'è gioia, se i ragazzi stanno avendo divertimento e allegro, nessuna garanzia che tutto è bene e che lo spirito del male è lontano:
"Se ampia Facoltà di Saltare giorno, Correre, schiamazzare a piacimento. Il girmastica, musica, dedamazione, teatrino Il Sono le passeggiate efficacissimi Mezzi per ottenere la disciplina, giovare ndr Alla Alla moralita santa "? '
«La gioia - aggiunge Pietro Braido - é per forma Don Bosco di vita, ch'egli deriva un'intintiva valutazione psicologica del giovane e dallo spirito di famiglia. Don Bosco, in un tempo generalmente austero per l'educazione familiare, comprende che il ragazzo é ragazzo e accetta e vuole che sia; la sua esigenza più profonda è la gioia, la libertà, il gioco, la "Società dell'allegria".
" 22 " Opere fondamentali, pag. 508.

"Parla del 23 agosto 1885, in: Ibid., P.699.

19 Art. 114 delle Regole o Costituzioni dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

20 opere fondamentali, p. 339.

21 Bosco, Scritti pedagogici, p. 168.

22 P. BRAMO, Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. II: Sec. XVII-XIX, Roma, LAS
1981, p. 370.

Nel corso degli anni gli oratori festivi, a quanto pare, finirono col perdere la freschezza e la spontaneità dei loro primi giorni, inevitabilmente influenzando la gioia. È così che il fondatore lo vide alla fine della sua vita. Una notte, quando pregando le preghiere che bambino sua madre gli aveva insegnato, ricorda lo spirito dei primi oratori festivi e li confronta con quelli di allora disciplinato, ma poco spontanea:
«Mi pareva di essere nell'antico oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Cosa succede se mi sono arrossito alla rana, la tiara rotta, ed al pallone. In un luogo c'era un crocchio di giovani che pendeva del labbro di prete il quale narrava a storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino yola e al mestieri. Se canta, se cavalca, parteciperà all'evento, e si inietterà ad essi giovani che schiamazzano allegramente. Se vedeva che fra giovani e Superiori regnava la piú grande cordialitá ».23
Don Bosco ha chiesto educatori che non sono solo i docenti universitari o predicatori pulpito, ma amici dei ragazzi, compagni di scuola dei loro giochi, in grado di guadagnare la loro amicizia e fiducia "regnerà nell'Oratorio Aflora il ritmo e l'antica Allegrezza " .24
Sono convinto che questo messaggio di Don Bosco conservi tutta la sua freschezza oggi. I pedagoghi e gli educatori del nostro tempo si sforzano di raggiungere l'efficacia delle loro azioni pianificando al millimetro, sgretolando il curriculum, inventando nuovi sistemi cibernetici e sforzandosi di applicare le tecnologie più innovative all'istruzione. Tutto questo è lodevole e consigliabile; non puoi chiudere gli occhi al mondo che ci circonda, né ha senso praticare una pedagogia obsoleta e anacronistica. È il desiderio di trovare metodi infallibili che insegnino ai ragazzi impassibili; che riducono al minimo, o fanno sparire, l'allarmante e crescente fallimento scolastico e che giustificano dinanzi alla società il crescente investimento dei bilanci dello Stato in un sistema educativo che rende le acque ovunque.

Sin embargo a toda la moderna barahúnda pedagógica le falta algo esencial que don Bosco practicó y predicó: la alegría, la simpatía, el amor al educando. Comprendió muy bien que una pedagogía triste es una triste pedagogía.

Desde nuestro punto de vista actual cabe preguntarse a qué se debe que la alegría esté tan alejada de los centros educativos y por qué no ha sido capaz de arrasar prejuicios, rutinas, prácticas y métodos que impiden la comunicación cálida y humana entre el educando y el educador. ¿Por qué los centros llamados educativos siguen ocupados mayoritariamente por maestros áridos, malhumorados y descontentos con su profesión?
23 Bosco, Scritti pedagogici, p. 286.

24 Bosco, Scritti pedagogici, p. 297.

Es indudable que son múltiples y variadas las causas que provocan la frialdad educativa. Es cierto también que el viejo proverbio de «la letra con sangre entra» no tiene hoy más valor que el de una frase incluida en una colección de expresiones en desuso. Es cierto que ha desaparecido la coacción física, pero sigue en pleno vigor otro tipo de coacción más sutil quizás, que se manifiesta en la sobrecarga de los deberes escolares, en el sistema de las evaluaciones, en las relaciones nada cordiales y en la función docente ejercida sin entusiasmo y sin alegría. Las escuelas modernas no son ya muladares ni calabozos, pero tampoco son centros en los que la alegría tenga su sede.

Un siglo después de don Bosco los educadores seguimos sin resolver satisfactoriamente el reto de ofrecer una pedagogía amable, atractiva y gozosa de la que brote espontáneamente una alegría profunda y duradera.

UN MODELO HUMANISTA DE EDUCACIÓN CRISTIANA
Andrés SOPEÑA


Este estudio es una reflexión sobre la Carta de Roma, del 10 de mayo de 1884, enviada por don Bosco a Turín. Sigo el texto de la edición española recogida en las Constituciones y Reglamentos de los Salesianos de Don Bosco (1985).

Parto del supuesto de que, en la Carta, se recoge lo esencial de la concepción educativa de don Bosco. Hablo de modelo, y lo considero como síntesis lógica y dinámica de la realidad viva reflejada en la Carta. Su lectura me ha sugerido un Modelo de organización educativa estructurado en tres niveles, con una distribución de nueve elementos, o fases programáticas del proyecto educativo.'


1. El modelo educativo de don Bosco


Es el conjunto, sistema, de elementos ideales y experienciales de que se trata. Toda organización se concibe como sistema; sistema se refiere a la unidad esencial y funcional de la realidad organizativa compleja, en su constitución y en su funcionamiento. El contenido de este modelo educativo se refiere a Dios y al hombre, por eso hablo de «Modelo Humanista de Educación Cristiana».

Me refiero a términos o conceptos de la Carta, y señalo con un número la línea en que éstos aparecen en la edición española citada. De P. BRAIDO, La lettere di don Bosco da Roma 10 maggio 1884 (Roma, LAS 1984), tengo en cuenta el manuscrito K (pp. 41-62) de la edición crítica, como contraste de fidelidad en la edición española. Esta redacción, muy reducida, a los efectos de la publicación, puede sugerir un modelo de lectura de la Carta de Roma, que es la que directamente ofrece su mensaje educativo, con Plenitud de sentido y con fuerza de evidente convicción de principios.

2. La sistematización del modelo


En referencia a la organización, hablo de tres niveles, entre los que se distribuyen los nueve elementos:
I. Definición configuradora (elementos 1, 2, 3);
II. Activación productora (elementos 4, 5, 6, 7);
III. Logro de producto (elementos 8, 9).

3. Contenido esencial de los elementos del modelo
3.1. El funcionamiento óptimo (I-1)


Se subraya la esencia permanente de un espíritu educativo, apelando al pasado, sistema (230), personas (314).

a) Se contraponen dos funcionamientos antitéticos.

b) Se establecen los principios de identidad, unidad y acción, de caridad y obediencia (53), de unidad en caridad (356).

c) Se definen los fines que dan razón de la existencia de la organización, fines: de fiesta eterna (275), anticipada en el tiempo (2), compartida en convivencia (341), vivificada por la Gracia (278).

3.2. La struttura dell'organizzazione (I-2)


Garantisce un funzionamento ottimale, secondo standard e funzioni.

a) Non è freddo, facilita la cordialità nella comunicazione dei cuori: "Non si può sostituire l'amore alla freddezza di un regolamento" (220).

b) Non è rigido, stimola la spontaneità e la gioia (33, 61, 167). Devono regnare vita, movimento, gioia (37).

c) Non è repressivo: è una lettera di pace nella famiglia di Dio dal volto umano. Familiarità (184), felicità (230), fiducia (246): tutto conduce agevolmente e liberamente attraverso la "via del Signore" (367).

3.3. Le risorse di modellizzazione (I-3)


L'organizzazione lavora con un «modello» di apprendimento orientato verso un ideale con spirito, azioni ed effetti concreti, previsti.

a) La modellizzazione deriva dalle dinamiche della pedagogia di Dio. L'educazione è situata sull'orizzonte della salvezza (105), nella presenza salvifica di Dio, che agisce nel rapporto della pratica cristiana (19, 52, 86).

Gesù appare con una forza di modello esemplare e attiva e positiva (346); è anche un modello per educatori (201). Viene dispiegata una strategia di grazia promossa e difesa (235, 239, 241, 309).

b) La modellazione corrisponde anche alla dinamica della pedagogia dell'uomo. Umanità, per l'essenza umana dell'amore e l'espressione umanizzata e umanizzante dell'amore (142). Pedagogia del volto umano, annaffiato con sangue di lavoro e sacrificio (112), efficace nella risposta che viene provocata: "Prendono tutto dai giovani" (197). L'individuo è seguito, parlato all'orecchio (195).

c) La modellazione efficace è data dall'appartenenza a una famiglia vivente, che è il nucleo stimolante dell'apprendimento sociale. Nella familiarità, tutti i fattori educativi convergono come causa ed effetto (49); lei è il nucleo dello stile invocato, garanzia di successo (49, 183). È l'espressione autentica dell'amore che esiste davvero (116). Don_Bosco, centro di una "famiglia", è il modello dei suoi seguaci (160). Non manca, in questa famiglia, la Madre, la Beata Vergine (354).

3.4. Le dinamiche della comunicazione (II-4)


La comunicazione garantisce la vitalità dell'organizzazione.

a) C'è una comunicazione di cuori identificata in un'unità di intenzioni: "L'amore ha regolato tutto" (151). L'amore è efficace, risveglia l'armonia (196). Comunicazione ideale, in cui regna "la più grande cordialità e fiducia" (46). Bisogna "formare un cuore e un'anima" (176). Comunicazione di un amore che si ha e si esprime (185), per il bene dei giovani (231).

b) Comunicazione di vite, di convivenza partecipativa in reciprocità di interesse e azione. La motivazione positiva è fondamentale: i giovani saranno soddisfatti di ciò che è piacevole e saranno disposti a fare ciò che è difficile (123). Gli educatori si sacrificano (270) e provano una gioia indelebile (33). La motivazione intrinseca è stabilita nei giovani di conseguenza, questa è la ricompensa per gli educatori. Qui è stato stabilito un principio di partecipazione con dinamiche motivanti. Comunicazione della vita, "sempre con i giovani" (149).

c) Esiste un'intera comunicazione di beni, al servizio del dialogo guida, dell'orientamento alla modellazione. L'amore ha una comunicazione in ascolto (232); nell'ascolto vengono scoperti e quindi possono essere risolti, nel clima di fiducia, i bisogni (198), di ogni tipo, spirituale e temporale (234).


3.5. L'iniziativa della familiarità (11-5)


La familiarità definisce l'essenza del clima funzionale dell'organizzazione. L'amore definisce il tipo di interazione educativa, il tipo di questa forma di organizzazione. L'amore è necessario e "senza affetto, l'affetto non è dimostrato" (184). I giovani hanno bisogno di sentirsi amati e gli educatori sono responsabili dell'iniziativa delle prove di amore gratuito (200, 222).

a) Riguarda la familiarità con l'essenza e la presenza di "umanesimo umano" per la ragione e l'amore. L'intera Carta è un progetto ben concepito e ben orientato. Il sistema del buon senso non manca, il che non è un piccolo motivo; Non manca la logica. Abbonda di implicazioni psicosociologiche, molto alla portata dell'esperienza e della scienza, sia religiosamente che umanamente. Non è il momento di addurre la corrispondenza di frasi e concetti con le teorie umanistiche e esistenzialiste delle attuali scienze comportamentali. Le convinzioni, e i risultati dell'applicazione, presuppongono in Don Bosco l'intima associazione tra amore e intelligenza nell'esistenza umana, nel funzionamento educativo, nella comunicazione essenzialmente umana.

Las alusiones concretas se refieren a la formación intelectual de los educadores (270) y a los bienes intelectuales de los jóvenes (90). Estos bienes van a lograrse, dentro de una formación integral, en la dinámica de un amor ofrecido, sentido y correspondido (98). El amor aparece como principio estimulante, como motivación intrínseca del proceso de aprendizaje (125, 96). La Carta resulta una argumentación fundamentada y una fundamentación en el amor.

b) La familiaridad es comunicación que se expresa en confianza, cordialidad y afecto. Así se consigue todo (197, 84, 229). Las pruebas de afecto sitúan a los jóvenes en experiencia grata de humanidad, y a ella responden familiarmente (116, 123). La imitación de Jesucristo, «maestro de familiaridad» (225, 250), da peso a esta carga de humanidad. La observancia exacta (247) y la necesaria obediencia (160, 179) dan paso al sentido del orden en la familia sobre la base del amor: no se debe «substituir el amor por la frialdad de un reglamento» (220). La familiaridad indica que es el amor el que hace inteligentes las estructuras y las convierte en fácil escala de ascensión educativa.

c) La familiaridad se anima con espíritu de religión, que también permite tener a la Auxiliadora como Madre: se trata de una familia de Dios con encarnación y rostro muy humanos. En la organización, Dios está presente como fuente de paz (279), en el tiempo y para la eternidad (375). Dios es Padre providente (235), de cuya paternidad Jesucristo es expresión de humana familiaridad, en la que Él es también modelo de educadores (225). La Virgen Santísima Auxiliadora es la Señora de su «casa» (354), que alienta y protege en la tierra y espera en la casa del Padre (375).

3.6. La confirmación por la reciprocidad (II-6)


La reciprocidad ofrece criterios de información sobre el control del funcionamiento en la organización educativa, el sistema, el Oratorio.

a) La reciprocidad se da en las muestras de aceptación de un amor que despierta amor: «El que quiere ser amado, es menester que demuestre que ama» (185). Este principio tiene su traducción concreta: «Amen (los educadores) lo que agrada a los jóvenes, y los jóvenes amarán lo que agrada a los superiores» (167). Es así como «se establece como una corriente eléctrica entre jóvenes y superiores» (198). Así es como se garantiza la eficacia educativa. Los educadores, porque aman, son amados; y así «lo consiguen todo, especialmente de los jóvenes» (197).

b) La reciprocidad se muestra en un amor sin condiciones que despierta confianza: «Sin la familiaridad no se puede demostrar afecto, y sin esta demostración no puede haber confianza» (184). La iniciativa les corresponde a los educadores (183), que sólo así podrán derribar «la barrera fatal de la desconfianza» (175). La confianza que se da es aceptación de la persona en quien se confía; la confianza engendra confianza, como el amor, como la familiaridad: «La familiaridad engendra afecto y el afecto confianza» (49).

c) La reciprocidad supone comprensión desde la autenticidad que despierta sinceridad y compromiso. Las experiencias de amor y confianza suponen transparencia y tienen un alcance directo de autenticidad. La situación facilitadora es la de la espontaneidad (33, 61). No hay temores ni inhibiciones, se da la sinceridad (50); ahí se da la familiaridad (49), como la cordialidad y la confianza (45), que son componentes esenciales de la autenticidad. Ahí se descubre, en el educador, a un hermano (188), en el predicador, a un amigo (191), y se da la conversión hacia el mejor yo (194). Se trataría de un aprendizaje social por y hacia la autenticidad, en el compromiso.

3.7. La significación de la alegría (11-7)


La alegría es una expresión de paz en un ambiente de familia.

a) Es marca de identidad y prueba de buen funcionamiento, en la aproximación a los ideales (37). La situación ideal es «de vida, de movimiento, de alegría» (37). La alegría es reflejo y estímulo de apertura, en sinceridad, en docilidad estimulada por amor y por amor ejercida (50). La alegría está fundada en la paz (278), y como la paz es interior y social, elemento dinámico en el ambiente de aprendizaje social, en el que se modelan las individualidades en la medida en que individualmente se alcanzan y se expresan. Se da en la espontaneidad (37), acompaña a la reciprocidad del amor, de la confianza, de la interacción agradable (123).

b) La alegría es símbolo de unidad en la comunicación de los espíritus y en la participación de la vida. El nervio de la unidad recorre la esencia y el funcionamiento de la organización en el sistema, por el principio unitivo y operativo del amor, y por el estado de paz personal y social que de él se deriva (279, 180): la dinámica paz-alegría es de unión. La alegría auténtica resulta del compartir y dispone a compartir.

c) Es estímulo de eficacia de la acción de cara a fines de ideal ilusionado. La alegría no es sólo un buen postre que da fin a un buen banquete: la alegría es «el mejor plato en una buena comida» (249). La alegría dispone a la acción con características de disposición y de prontitud, da impulso al peso del querer. La alegría salta del corazón feliz a la expresión bulliciosa (45), su llama se mantiene con el éxito y facilita el éxito en la acción. Es impulsora y contagiosa. Es rostro del amor, participa de la eficacia del amor.

3.8. El estado de paz (III-8)


El estado de paz certifica la pertenencia viva de cada uno a la organización, al tiempo que es indicio de un buen «tranquilo» funcionamiento.

a) La pace viene prima data a Dio, comunicazione con il primo motore dell'organizzazione (278). Pace che viene mantenuta e recuperata dai sacramenti, nella vita di pietà (86, 294). È la pace che richiede una ferma intimità, fermi propositi (296, 303). È la pace che ritorna nei rapporti sociali, ma è anche facilitata dalla familiarità esperta (52). È, quindi, il fondamento del benessere prevalente nel sistema (282).

b) Pace con se stessi, nell'intimità di se stessi, trovo trasparente con me stesso, incontro di esperienza di autorealizzazione, senso dell'esistenza. Si esprime in «vivacità, gioia, espansione» (96), in «felice disprezzo» (67). È dato personalmente, psicologicamente e con possibili riferimenti alla pace con Dio (278), e con le sue derivazioni della pace sociale (238, 72, 68).

c) La pace con gli altri appare in fondo nobilitata da se stessa, fondamento trasparente della comunicazione umana da parte del cuore. È vero che la pace con Dio assicura la pace con gli altri (278); ma la pace con gli altri, nella misura in cui raggiunge un'altra persona e passa attraverso la carità (196), diventa uno stimolo per la pace. Dio è pace per la sua grazia (278): nel Dio pacifico è presente, e da loro Dio fa appello al bisogno di pace degli insoddisfatti. La forza modellante dell'organizzazione raggiunge lì.

3.9. Un modello per un piano di salvezza (III-9)


La salvezza consumata in paradiso costituisce il vertice della piramide gerarchica dei valori.

a) La salvezza appare come fondamento e corona di un'educazione integrale. Il lavoro è fatto per la terra e il cielo (2); vengono forniti pane, riparo e formazione, ma soprattutto si cerca la salvezza delle anime (102). Puoi indovinare le linee di ciò che chiameremmo socializzazione, professionalizzazione, personalizzazione, umanizzazione, cristianizzazione. Cittadini felici nel tempo, cristiani destinati all'eterna festa del paradiso (376).

b) La religione è energia vitale nel funzionamento umano-divino dell'organismo soprannaturale radicato in Gesù Cristo. Il soprannaturale è innato nel modello. L'eternità felice è l'obiettivo (2); il processo educativo si conclude con la festa eterna (376). La "Santa grazia di Dio" (279) sta dando significato e profondità a tutto e in ogni cosa si cerca la migliore realizzazione. La comunicazione integrale, la formazione integrale è animata nella carità che si basa su Gesù Cristo e stimola al massimo delle prestazioni. La pratica religiosa anima l'intero processo di autorealizzazione nel modello.

c) La pedagogia di Dio è la pedagogia della salvezza, in un'organizzazione "evangelica", centrata su Gesù Cristo e sulla presenza della Beata Vergine. È una pedagogia della felicità che incoraggia il funzionamento del modello nel programma delle beatitudini. Gesù è il Maestro (225), il modello dell'umanità cristiana, che ha vissuto il bene e tutto ciò che ha fatto bene.

4. Conclusione


Dio è amore. Nel modello di Don Bosco, la carità, come sistema di funzionamento umano, diventa la pedagogia della comunicazione. Questa comunicazione funziona su questi due livelli umani e divini. La gioia umana è un preannuncio della celebrazione eterna, che si ottiene lavorando in questo mondo in pace e per la pace, con amore. Tutti i termini, fondamentalmente gli elementi del modello, sono aspetti della stessa realtà: hanno significato e valore in ciascuno dei tre livelli dell'organizzazione. Sono nella definizione degli obiettivi, sono la forza motrice della realizzazione e sono raggiunti come un risultato di realizzazione personale, sociale e religiosa.


Scheda di PRESENTAZIONE . Antonio María JAVEERRE ORTAS


1. Sono molto grato per l'invito che sono stato invitato a prendere parte alla chiusura di questo terzo congresso internazionale di studi su San Giovanni Bosco.

Confesso di non provare simpatia per un certo esercizio delle chiavi: "aprire o chiudere" un congresso, senza aver partecipato al loro lavoro e senza conoscere a fondo i risultati dei loro studi.

Fortunatamente, questo non è il caso. Ma anche senza le differenze, la qualità dei relatori questo pomeriggio dà un valore sostanziale alla chiusura. Per non parlare delle relazioni intime che mi legano a un Congresso alto e ben realizzato.

2. Non parlo da quello che ho sentito, grazie alla possibilità di partecipazione, che in questo caso mi sembrava vincolata. Ma c'è stata anche una presenza di un altro tipo, che ora mi piace far conoscere.

Più di un partecipante mi ha chiesto con una certa preoccupazione: "Non ti molestaréis voi, i salesiani, se noi, in segno di rispetto per la storia, diamo l'impressione di voler sopprimere alcuni piedistalli un po 'superfluo o incoerente?".

La prima reazione, istintiva, per coloro che si ritrovano dal desiderio del Papa di occuparsi della Biblioteca e dell'Archivio, è stata quella di riferirsi al pensiero di Leone XIII, quando ha messo a disposizione degli studiosi di tutto il mondo i documenti precedentemente segreti: "Il primo la legge della storia non ha il coraggio di dire qualcosa di falso; e poi, per non far tacere nulla di vero ». F.1 Il latino sembra ancora più forte: "Primam esse historiae legem ne quid falsi dicere udeat; deinde ne quid veri non udeat ».

Come studiosi, i salesiani che trascorrono le loro vite, per obbedienza, nel mondo universitario, sanno anche di essere sempre al servizio incondizionato della verità; che - prosegue il Papa - "obscurari aliquanto potest, extingui non potest" ». I figli di Don Bosco sanno che il loro Padre è un'opera d'arte; e quella realtà non subisce alcun ritocco, anche se fatto con buone intenzioni. Voglio vederlo così com'è, non come qualcuno vorrebbe che fosse.

LEO XIII, numero di Saepe, 18 agosto 1883, in ASS 3 (1884) 268.

3. Con il tuo permesso, vorrei fare a meno di seguire la norma che stabilisce che, prima di dare la parola agli oratori, il preside dice che non hanno bisogno di una presentazione, per poi presentarli, magari con un lungo discorso . I nostri non hanno bisogno di ricordare i loro titoli e pubblicazioni, perché tutti li conoscono. Bene, risparmia il tempo di una presentazione superflua e offrila agli oratori.

Il professor Scoppola ha molto da dire su un binomio suggestivo: "Don Bosco" e "modernità". Siamo tutti molto interessati ad ascoltare, su un concetto così denso e controverso, l'opinione di uno specialista nella storia moderna. I membri della Famiglia Salesiana ricordano l'apertura del centenario a Torino e sono felici di sapere che sarà lo stesso professor Scoppola a specificare il rapporto di Don Bosco con l'altro termine del binomio.

Don Braido (un nome già legato indissolubilmente al "Sistema Preventivo") svilupperà quindi il tema "Prospettive e iniziative della ricerca
su Don Bosco". Molti di noi sono molto consapevoli del lucido equilibrio pubblicato in occasione del Centenario di "La Civiltá Cattolica". Articolo concluso dal invitando a preservare la tradizione ricevuta da Don Bosco, per raccogliere il suo contributo originale e superare, infine, l'orizzonte del secolo scorso, ma alla luce di una metodologia non trasnochada. Siamo curiosi di conoscere i modi concreti che Don Braido ci suggerirà in base alle sue riflessioni e ai contributi del Congresso, che è già alla sua conclusione.

Tornando alla Biblioteca e Archivi del Vaticano, credo di poter dire con un certo orgoglio - anche sul gruppo di continuità è in vigore lo standard dato a archivisti da Paolo VI. Vale a dire, che i nostri storici professano anche "il massimo rispetto per i monumenti" e per i documenti. Perché si sentono anche loro hanno che i documenti di culto è, "riflette, hanno il culto di Cristo, per dare un senso di Chiesa, per dare noi, dare coloro che vengono, la storia del passaggio di questa fase di transitus Domini a E, come ha detto in un'occasione simile, è affascinante rievocare la storia della Chiesa da dati sicuri. Perché "anche il più modesto dei documenti, conservato in questo spirito, diventa un segno della sua presenza nel mondo, in argomento della sua missione,

E a lei appartiene Don Bosco, i cui tratti fisionomici cercano di specificare con rigore, dai documenti, i due illustri specialisti.

2 PAUL VI, serie 26. 1963, Insegnamentil, 1963, p. 614.

DON BOSCO E MODERNITÀ
Pietro SCOPPOLA


La canzone "Don Bosco e modernità" può forse fornire un punto di vista interessante per una valutazione complessiva del ruolo di Don Bosco nella vita della Chiesa e nella storia italiana. Il problema non è nuovo: un contributo significativo in questa direzione ha offerto il prezioso volume di guidato da Francesco Traniello, pubblicato dal SEI di recente ha dato più di un Don Bosco nella storia della cultura Popolare, e in essa, in particolare, lo studio di Piero Bairati; 1 e anche un saggio dello stesso Traniello su Don Bosco e il problema della modernità.


1. Don Bosco è moderno?


I motivi che hanno spinto, nel caso di Don Bosco, a parlare di modernità sono molteplici, di ordine diverso e già noti: Don Bosco è moderno con un metodo educativo che valorizza la libera espressione del giovane, le sue risorse più intime e personali, invece sottoporlo a modelli pre-costituiti. Ma vedremo subito quanto sia complesso e controverso il significato della parola "modernità". Pietro Prini, nell'introduzione al volume di Palumbieri, ha visto in Don Bosco un'anticipazione di alcune intuizioni dell'umanesimo personalista del nostro secolo. Don Bosco è moderno perché usa un vecchio strumento di formazione giovanile come "Oratorio", trasformandolo, nondimeno, in un efficace mezzo di inserimento e presenza della Chiesa nella nuova realtà urbana. È moderno per la tua attenzione, e direi predilezione,
1 P. BAIRATI, cultura salesiana e società industriale, in: F. TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torillo, SEI 1987, p. 331-356.

2 F. TRANIELLO, Don Bosco e il problema della modernità, in: Don Bosco e le Sfide della modernità (Quaderni del Centro Studi "C. Trabucco", 11), Torillo, Stabilimento Poligrafico Editoriale «C. Fanton »1988, p. 39-46.

Nella presentazione del volume di S. PALUMBIERI, Don Bosco e Nom ° nell'orizzonte del personalismo, Torillo, Gribaudi 1987.

E 'moderno per essere stato in grado di fare un saggio equilibrio, come rivelato Luciano Pazzaglia, 4 tra scuola, formazione professionale e lavoro nel giro di pochi anni in cui il problema era completamente assente dalla legislazione italiana. E ancora di più: questo sacerdote, nato in un piccolo villaggio agricolo, mostrato in grado di trovare e seguire un modo originale all'interno della realtà del nascente capitalismo italiano, per creare una spiritualità cristiana, che alimenta gli atteggiamenti e le virtù di iniziativa, di responsabilità e di solidarietà; infatti contribuisce in qualche modo, a dare un'anima alla nuova economia, meritando, come è noto, la stima dei grandi capitani d'industria. Questi aspetti del lavoro di Don Bosco sono stati discussi e approfonditi in questo Congresso. Certamente il Tramontin ha ragione quando nella sua comunicazione invita a non cedere alla tentazione di vedere in Don Bosco "anticipazioni filosofiche o teologiche". Il giudizio sulle anticipazioni è sempre pericoloso in campo storico perché può far perdere il senso del contesto in cui una figura e un lavoro devono essere localizzati. Ma anche con questa osservazione, il problema, come cercherò di spiegare, rimane totalmente aperto, perché Don Bosco supera il suo tempo nel senso che supera, di fatto e in più direzioni, i suoi limiti, sia in termini di mentalità che nei lavori intrapresi. Il giudizio delle anticipazioni è sempre pericoloso in campo storico, perché può farti perdere il senso del contesto in cui si trovano una figura e un lavoro. Ma anche con questa osservazione, il problema, come cerco di spiegare, ancora del tutto aperta, perché Don Bosco sorpassa il suo tempo, nel senso che supera, in fatto e in varie direzioni, limiti, sia in termini di mentalità, come nei lavori intrapresi. Il giudizio sulle anticipazioni è sempre pericoloso in campo storico perché può far perdere il senso del contesto in cui una figura e un lavoro devono essere localizzati. Ma anche con questa osservazione, il problema, come cerco di spiegare, ancora del tutto aperta, perché Don Bosco sorpassa il suo tempo, nel senso che supera, in fatto e in varie direzioni, limiti, sia in termini di mentalità, come nei lavori intrapresi.

Tuttavia, l'intenzione del mio intervento non vuole essere di riassumere queste cose, che, peraltro, avuto occasione di attirare l'attenzione di un anno fa, per ricordare la figura di Don Bosco a Torino in occasione della celebrazione del centenario della sua morte.5 Forse per chiarire meglio qualche dichiarazione, il mio scopo oggi sarebbe quella di mettere questa riflessione sulla modernità di don Bosco nel più ampio contesto di una discussione aperta in questi ultimi anni sul tema dei rapporti tra Chiesa e modernità; Per verificare sì, e fino a che punto, il caso di Don Bosco può aiutarci a guidarci in una questione molto complicata.

2. "Modernità": un concetto complesso


Cos'è la modernità? Il concetto, come è noto, è uno dei più complessi ed è stato a lungo legato al modello e alle categorie occidentali. Ma Habermas in un "discorso filosofico" sulla modernidad6 ha dissociato in qualche modo il concetto di modernità dei legami che lo legavano alle categorie della razionalità occidentale: non v'è alcun unico percorso verso la modernità; i processi di modernizzazione devono essere considerati e valorizzati all'interno delle diverse realtà storiche. Questa riflessione, che è menzionato anche nel saggio Traniello summenzionato,
4 L. Pazzaglia, apprendistato e Istruzione degli artigiani Valdocco in: Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 13-80.

Ora puoi vedere il quaderno: Don Bosco e le sfide della modernità (vedi nota 2).

6 Cfr. J. HABERMAS, Il discorso filosofico della modernità, Bari, Laterza 1987.

rende più problematico, e oserei dire più apertamente, la domanda sui rapporti tra modernità e valori.

La modernità non è necessariamente un criterio di valore. Se è, non può essere assunto nel senso ordinario di adattamento al reale processo storico, l'accettazione del nuovo, deve coinvolgere un significato più profondo e più diffusa nel piano umano. Altrimenti, ciò che verrà dopo dovrebbe necessariamente valere più di prima, incluso il nazismo rispetto alla Repubblica di Weimar! Uno studioso inglese, Tim Mason, ha sottolineato tutte le ambiguità inerenti l'uso ideologico dei termini moderni, la modernità, la modernizzazione di concludere "che tutti concetto valido che comprende se stessa nota della modernità o ammodernamento deve essere ispirato da studi di valore e, quindi, in un impegno morale del futuro. [... ] Dire che la modernizzazione significa dire qualcosa su ciò che vogliamo, su ciò che resta da realizzare ». È conveniente, quindi, distinguere tra una modernità intesa come valore, come progresso umano, e una modernità intesa semplicemente come una nuova realtà che si manifesta nel processo storico.

Ulteriori chiarimenti sono stati realizzati da Gino Germani, 8 per i quali la modernizzazione non è solo un giudizio di valore, ma che non è ancora riconducibile al concetto generico di novità o modernità: si tratta di un preciso riferimento a quei processi che caratterizzano la società L'Europa nel nuovo secolo e che la prima guerra mondiale ha accelerato fortemente e che hanno contribuito alla creazione della società di massa nell'attuale senso del termine.

A mio avviso, lo storico dovrebbe non caricare la modernità del contenuto etico, ma semplicemente per registrarlo come un fatto del reale processo storico, definizione e ne precisa il contenuto in relazione alle circostanze di tempo e l'ambiente (in questo senso può essere utile concetto specifico di modernizzazione). Quindi, quando una concezione o un'azione è definita moderna o antimoderna, un giudizio non è necessariamente formulato.

Questa considerazione vale molto di più quando si tratta della Chiesa. La modernità non può essere assunta come criterio di giudizio in relazione agli atteggiamenti della Chiesa. Quando uno studioso, dall'altra parte acuta e sempre stimolante come Ernesto Galli della Loggia, denuncia la 'avversione assoluta della tradizione cattolica agli sviluppi sociali del mondo moderno 'e' la stessa inadeguatezza dei cattolici al secondo e controllo da un punto di ideologicamente e culturalmente, la crescita moderna del paese "9 realtà storica non solo violenta, ma anche implicitamente utilizza un criterio di valore che non può essere dato per scontato.

'T. MASON, Moderno, modernità, modernizzazione: un montaggio, in «Movimento Operaio e Socialista» 10 (1987) 1-2, dedicato al tema: «Storia contemporanea oggi. Per una discussione ».

8 G. GERMANI, Sociologia della modernizzazione. L'esperienza dell'America Latina, Bari, Laterza 1971.

9 E. GALLI DELLA LOGGIA, Ideologie, classi e costume, in: V. CASTRONOVO (a cura di), Italia contemporanea 1945-1975, Torino 1976.

Gabriele De Rosa ha ripetutamente ed equamente richiamato l'attenzione sui rischi che possono derivare dall'applicazione di categorie prese dalla storia politica e sociale - tra le quali certamente anche la modernità - alla storia della Chiesa, ai suoi uomini, a i movimenti, che solo al suo interno hanno le loro radici. "Non possiamo ignorare - ha osservato - la struttura della Chiesa, che è laico, la consapevolezza che ha della sua missione, il suo linguaggio, che trae la propria scienza dell'alimentazione, la teologia, ignari del mondo secolare ''. °
È evidente che osservazioni metodologiche di questo tipo devono essere prese in considerazione prima di una figura come quella di Don Bosco. È necessario superare la semplice osservazione della loro capacità di anticipare in così tante intuizioni e iniziative, orientamenti educativi o forme di comportamento che solo negli anni successivi saranno normalmente presenti nella società italiana e nel mondo cattolico; ed è necessario, d'altra parte, interrogarsi sulla connessione tra questa apertura al nuovo e il mondo dei suoi valori, il modo di essere cattolico, il suo essere un prete nella Chiesa del suo tempo. Tutte le sue opere a favore del mondo della gioventù, ad esempio, con gli elementi di modernità a cui è stato fatto riferimento, È incomprensibile se non torniamo alla preoccupazione religiosa e spirituale - intesa nei termini più antichi e tradizionali di "salvezza delle anime" - che costantemente la incoraggiava. In che modo, allora, l'apertura al mondo moderno nel processo educativo convive con i presupposti più tradizionali della sua attività di sacerdote tra i giovani?


3. Chiesa e modernità


Profondità dei rapporti tra la Chiesa e la modernità di analisi è stata effettuata da un giovane e prezioso erudito, Renato Moro, in un saggio apparso di recente, che fa esplicito riferimento al periodo fascista, ma il cui interesse sul piano storiografico, andando molto più dell'obiettivo per cui è stato concepito. "L'autore è particolarmente interessato all'effetto indotto dai processi di modernizzazione, nel significato specifico proposto da Germani, a cui è stato fatto riferimento, nel mondo cattolico; è interessato alle trasformazioni che tali processi hanno determinato nella mentalità cattolica e nella struttura stessa della presenza cattolica nel periodo fascista. È evidente che questa parte dell'analisi non è utilizzabile per il nostro
Cito intervento G. De Rosa sulla carta di A. MONUCONE, Religiosità Popolare Coscienza Civile e da Pio XII Giovanni XXIII, in "Ingegneria» (1984) 115.

Cfr. R. MORO, II modernismo buono. La "modernizzazione" cattolica tra fascismo e postfascismo come problema storiografico, in "Storia Contemporanea" (agosto 1988).

tema. Molto utile per il nostro argomento è, invece, la riflessione che l'autore sviluppa sulle varie interpretazioni che sono state proposte sui rapporti tra il moderno e l'anti-moderno nella vita della Chiesa.

Nella storiografia sono sorte due ipotesi fondamentali in relazione a queste relazioni nella vita della Chiesa. Da un lato questi rapporti sono stati compresi nel senso di una dicotomia instabile, come sembra suggerire Giorgio Campanini, quando indica il conflitto tra 'tradizione' e 'modernità' 'una discriminante fondamentale nello sviluppo globale del movimento cattolico.' '2 d'altra parte, però, questo rapporto definito in termini di un con-presenza e una dialettica tra due elementi, come suggerito, per esempio, Emile Poulat nella sua prova Eglise contre bourgeoisie.0
In realtà, le due posizioni coesistono per qualche tempo, ma nel suo complesso storicamente accadere: dopo aver superato il tradizionalismo più costantemente antimoderno demestriano posizioni, alcuni moderni dialettica / anti-moderno caratterizza tutta la storia del movimento cattolico. Anche le posizioni più attente e più aperte alle esigenze della modernità - che si tratti del cattolicesimo liberale nei primi ottocento, o della democrazia cristiana alla fine del secolo - esprimono sempre una riserva critica, non possono essere ridotte a un « arrendersi »davanti al moderno. De Rosa, nell'intervento cui ho appena fatto riferimento, insiste sulle ragioni irrevocabili di riserva e di opposizione della Chiesa alla società derivanti dai processi di industrializzazione del XIX secolo.

Ovviamente, non si tratta di accettare questa idea del modem dialettico / anti-modem come una formula astratta e comoda in cui tutti i contrasti scompaiono e tutto è giustificato. È, al contrario, verificare come questa relazione si esprima nelle varie figure del movimento cattolico e della storia della Chiesa nell'età contemporanea.

Come è noto, è possibile specificare non solo per determinati gruppi o iniziative private, ma per la Chiesa nel suo insieme, un momento che segna il passaggio del rifiuto puro e semplice del principio della modernità in una posizione più complessa e strutturata: questo momento coincide con la successione di Leone Xffl a Pio IX. Il pontificato di Pio IX era stata dominata, dopo una prima fase, la "psicologia della assedio" dalla posizione difensiva, da atteggiamenti negativi verso la modernità senza condizioni, gli storici hanno concordemente sottolineato, anche all'interno di un immagine di varie valutazioni. Viene tuttavia delineata una sintesi coerente e significativa tra l'obiettivo della restaurazione cattolica e la consapevolezza della nuova realtà emersa dalla rivoluzione liberale

. G. CAMPANINI, II movimento cattolico fra tradizione e modernità, in "Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria" 14 (1984) 44-45.

"E. POULAT, Église contre bourgeoisie, Introduzione al devenir du catholicisme actuel, Tournai, Casterman 1977.

È da quel pontificato che i movimenti cattolici organizzati assumeranno, almeno a livello strumentale, le connotazioni moderne che caratterizzano la loro storia successiva; è da di quel pontificato quando si può parlare - come ha fatto Antonio Acerbi - di un "progetto storico" che guida l'azione della Chiesa. "
Perciò, per il movimento che è ispirato da una fedeltà incondizionata al Papa - diverso è naturalmente il questione per il cattolicesimo liberale - il momento del passaggio da una posizione di semplice opposizione a quella più strutturata, che non esclude un'apertura, anche se solo strumentale, alla modernità, è nell'ultimo quarto di secolo.

4. Apertura di Don Bosco al moderno


Ora, ciò che colpisce nel considerare l'opera di Don Bosco è che, anche se è stato eseguito per la maggior parte nel pontificato di Pio IX e ancora partendo da una posizione di fedeltà senza compromessi al Papa e ignorando le distinzioni della cultura e mentalità cattolico-liberale, specialmente in materia di potere temporale, va ben oltre il movimento intransigente in termini di attenzione, comprensione e uso più aperto - si potrebbe anche dire di più senza pregiudizi - , di alcuni nuovi dati offerti dalla realtà del tuo tempo. Vale a dire, Don Bosco non può essere inquadrato in una visione dicotomica tra il moderno e l'anti-moderno.

Ma l'apertura di Don Bosco al moderno - e questo è un punto sul quale vorrei richiamare l'attenzione - non è assimilabile o una matrice liberale o neogüelfa cattolica, o la linea del nuovo progetto delinea dal pontificato leonino, in cui la restaurazione cattolica è affidata alla partecipazione del popolo cristiano con gli strumenti, quindi, della democrazia. Don Bosco, come è noto, ha condiviso per un momento le neogüelfas speranze, ma quando sono stati liquidati dallo stesso Pio IX con il discorso di aprile 48, ha chiaramente preso le distanze dai successivi sviluppi del movimento: mentre la maggior parte del neo-guelfo hanno diretto le loro speranze patriottiche verso il Piemonte e la Casa di Savoia, Don Bosco è rimasto un temporeggiatore.

Indubbiamente, anche il temporalismo aveva un valore tattico per Don Bosco: la sua fedeltà al Papa era una condizione essenziale per l'efficacia del suo lavoro; era una garanzia e una copertura per un compito, che, di fatto, portava a uno scontro costante, e spesso alla collaborazione, con uomini e con istituzioni dello stato liberale.
"Saggio Cf. A. Acerbi La Chiesa nel tempo. Sguardi sui progetti di relazioni pubbliche di tra Chiesa e Società civile NEGLI Ultimi Anni Cento, Milano, Vita e Pensiero 1979.

Ma il temporalismo non ha portato Don Bosco nei ranghi del movimento dei cattolici intransigenti, vale a dire le fila di un volo di linea contro l'opposizione dello stato, che, pur motivata da motivi religiosi senza dubbio aveva un valore ideologico e politico antiliberale forte. Don Bosco era un temporeggiatore, ma rimase lontano dalla politica intransigente; in un modo più generale, ha escluso la politica del suo lavoro.

Il rifiuto della politica, tuttavia, non esclude, come è noto, una serie di valori civili: il proclamato e praticato all'autorità costituita e alle leggi del rispetto dello Stato e un impegno coerente e costante alla formazione di virtù civiche i suoi studenti e discepoli Ecco perché il suo lavoro influisce anche sul livello della politica. La raccomandazione fatta da Don Bosco alla loro repect agli studenti di legge statali e può essere fatta risalire ai vecchi canoni della alleanza tra trono e altare, piuttosto che vedere in esso il germe di un senso moderno dello Stato. Ma rimane il fatto di una posizione originale e diversa rispetto a quella intransigenza, con la quale, per altri aspetti, Don Bosco è imparentato. Non è possibile, quindi, mettere Don Bosco nelle file del conciliarismo, ma non ci è permesso di aggiungere all'intransigenza, che si sviluppa vigorosamente a partire dalla metà degli anni Sessanta. I suoi rapporti con la modernità sembrano estranei al progetto di riconquista cattolica con gli strumenti offerti dallo Stato liberale e la nascente democrazia, che prenderà forma in Italia dopo il pontificato di Pio IX. La figura e l'opera di Don Bosco non si inseriscono in una visione dicotomica dei rapporti tra tradizione e modernità, ma non si prestano a un'interpretazione dialettica del rapporto tra i due elementi. che prenderà forma in Italia dopo il pontificato di Pio IX. La figura e l'opera di Don Bosco non si inseriscono in una visione dicotomica dei rapporti tra tradizione e modernità, ma non si prestano a un'interpretazione dialettica del rapporto tra i due elementi. che prenderà forma in Italia dopo il pontificato di Pio IX. La figura e l'opera di Don Bosco non si inseriscono in una visione dicotomica dei rapporti tra tradizione e modernità, ma non si prestano a un'interpretazione dialettica del rapporto tra i due elementi.

È stato insistito, e precisamente, sul pragmatismo di Don Bosco. Stefano Privato, il volto di molto acutamente la questione del teatro popolare, chiarisce la sintesi ideologica tra conservatorismo e modernità pragmatica in Don Bosco. Giuseppe Tuninetti, provando ancora una volta nella sua comunicazione, la questione del conflitto tra Don Bosco e Gastaldi vescovo, che ha dedicato una notevole ricerca ", sottolinea il comportamento, francamente sfacciato, Don Bosco, che per primo ha favorito la nomina di Vescovo spero di avere lui come un amico e poi è andato a Roma per salvare le resistenze del vescovo se stesso sulla questione dell'ordinazione del nascente Congregazione salesiana.

5. Le radici della modernità di Don Bosco


Ma un pragmatismo che va così lontano, che compromette anche i rapporti con l'autorità ecclesiastica, non diventa, a sua volta, una categoria mentale?
"Cfr. G. TUNINE I, Lorenzo Gastaldi 1815-1883, 2 vol., Roma / Casale Monferrato, Piemme
1983-1988.

Non tocca i fini dell'azione? In breve, mangiare nel campo morale v'è un rapporto tra mezzi e fini, in modo che i media si qualificano per molto di più di quanto giustificato da essa, come è possibile immaginare la presenza contemporanea di un conservatorismo intransigente e da una media moderni indipendenti senza mettere in discussione un'interazione tra i due elementi?
Ma quali sono dunque le radici della modernità di Don Bosco, della sua originale e personalissima sintesi tra fedeltà cattolica e papale e la sua apertura ai nuovi tempi della società italiana? Don Bosco sembra resistere, da ogni parte, a qualsiasi tentativo di essere inserito in una delle tante categorie in cui il movimento cattolico e l'opera stessa della Chiesa sono stati storicamente studiati e inquadrati. Si può vedere in questo semplicemente una conferma della fragilità e dell'inadeguatezza delle categorie storiche, alle quali, tuttavia, siamo costretti a ricorrere, se non altro, per rendere comprensibile il processo storico, per esprimerci e discutere gli argomenti della nostra ricerca. Ma forse c'è qualcos'altro.

L'era dei progetti storici, nel senso proposto da Antonio Acerbi, legata proprio all'ipotesi della restaurazione del cristianesimo con gli strumenti forniti dalla nuova realtà, ha un inizio, come si è detto, ma ha anche un momento di crisi e, forse, una fine. Più esattamente dobbiamo dire che è continuamente in crisi sin dalla sua prima espressione nel periodo leonino, perché l'uso strumentale della modernità dà luogo a tensioni che ci costringono a ripensare ai valori stessi della tradizione; perché, volendo esprimersi in termini filosofici, la relazione tradizione-modernità piuttosto che dialettica, nel senso di dare origine a una sintesi, è semplicemente conflittuale nel senso di mettere successivamente in crisi uno dei due elementi: tradizione o modernità.

Il tempo dei progetti sembra finire quando si apre il pontificato
di Giovanni XXIII per una diversa intuizione religiosa e spirituale, da parte del nuovo Papa, del ruolo e del servizio papale. Angelo Roncalli - come hanno dimostrato le recenti indagini 16 - è rimasto sostanzialmente strano, dagli anni della sua formazione, alla cultura del progetto storico, e proprio a causa di questo estraniamento, è stato, in un certo senso, non danneggiato dal moderno binomio dialettico / anti-moderno che caratterizza e divide profondamente la vita della Chiesa nell'era contemporanea.

16 Cfr. L'opera diretta da G. ALBERIGO (a cura di), Papa Giovanni, Bari, Laterza 1987; potete vedere, per un chiarimento dell'interpretazione a cui mi riferisco nel testo, la mia recensione: Intorno a Giovanni XXIII, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 24 (1988) 1.

Nelle ricerche recenti, le radici della loro religiosità come cristiani e come pastori appaiono in una zona più profonda e stabile, meno esposta alle polemiche culturali e alle lacerazioni che portano con sé. Appaiono collocati nella Bibbia, nei Padri e nella grande tradizione del pensiero cristiano. Egli, come è noto, fu in grado di attraversare la crisi modernista senza lacerazioni e tormenti interiori: non era modernista, ma non era antimodernista; Comprese l'importanza della storia e il suo metodo critico come strumento per raggiungere la ricchezza della tradizione cristiana.

Credo che Don Bosco deve procedere nella stessa direzione e con lo stesso metodo: dobbiamo tornare alla loro formazione religiosa, come hanno fatto nelle loro comunicazioni Marcocchi e Pazzaglia, l'influenza esercitata su di lui da don Cafasso, l'esempio di un piegarsi amorevolmente alla Chiesa, in alcune delle sue grandi figure, davanti alla condizione umana debole, sofferente e peccatrice. La formazione religiosa di Don Bosco, come quella di Papa Giovanni, è tenuta lontana dalle grandi controversie ideologiche dell'epoca; Roncalli è profondamente segnato dalla spiritualità della fuga dal mondo e ha un grande amore per l'imitazione di Cristo; ma come Roncalli, - ha acutamente sottolineato Maurilio Guasco di stabilire un'analogia tra Don Bosco e Papa Giovanni "- sostituisce il binomio" salvezza-paura 'da' la salvezza-gioia ", e,

La sua modernità, per sé la modernità si parla, non v'è quindi radici ideologiche, non riconducibili a qualsiasi progetto culturale o politica. Ha le sue radici in una spiritualità fresca e spontanea che alimenta un atteggiamento di libertà di tutti e per tutti. Come giustamente sottolineato Francesco Traniello, la stessa ispirazione religiosa che dà origine a "devotionals tendenze ultraterrene o moralistica ... lavoro anche come fattore di propellente e motore di innovazione alimentando donbosquiana specifica sensibilità verso i problemi più acuti e particolari della società moderna" .

Pertanto modernità Don Bosco non viene messo in un rapporto dialettico con la tradizione, ma ha le stesse radici interne del richiamo alla tradizione e coesiste con tradizione in un equilibrio interiorizzata, che non può essere ridotta ad una formula ideologiche , ma è un fatto di spiritualità e vita interiore. Don Bosco è certamente un personaggio scomodo per gli studenti di storia non è facilmente si inserisce nelle loro categorie, strumenti di analisi sono limitate quando si tratta di raggiungere la vita interiore segreta.

Ciò aiuta anche a capire la fecondità del suo lavoro: proprio perché non è racchiuso in una formula intenzionale o in uno schema ideologico, è stato in grado di svilupparsi con la storia della società contemporanea - e della Chiesa nella società contemporanea - ed è rimasto aperto alle nuove sfide della modernità.

"Cfr. M. GUACO, Don Bosco nella storia religiosa del suo tempo, in: Don Bosco e le sfide della modernità, pp. 21-37.

Sotto questo aspetto, vorrei dire - lasciatemi fare una piccola digressione fuori dai limiti dell'esposizione storica - che la parola definitiva sulla modernità di Don Bosco non possa essere raccontata dai suoi successori con le sue decisioni e il suo lavoro quotidiano. Una parola importante è stata detta in questo Congresso con la libertà di spirito con cui hanno aperto questa riflessione storico-critica sul loro Fondatore. E, a mio parere, non c'è da temere che Don Bosco, uscendo da critiche storiche, tanto care a don Pietro Stella, sia in contrasto con il Don Bosco che i suoi discepoli hanno interiorizzato come fonte d'ispirazione per la sua azione. Se le osservazioni che ho sviluppato hanno qualche fondamento, dobbiamo credere piuttosto che don Bosco che esce dalla critica storica, liberata da tanti inutili particolari di un'immagine,

PROSPETTIVE E INIZIATIVE
DELLA RICERCA SU DON BOSCO


Pietro BRAMO
Non è compito dell'ultimo intervento del Congresso presentare bilanci o trarre "conclusioni". Risulterà benefico se potrà contribuire a prolungare l'intensa collaborazione di questi giorni con l'invito a impegni concreti di studio e ricerca. Sarebbe auspicabile che si sentisse impegnato il maggior numero possibile di "operatori": studiosi e ricercatori, soli o organizzati come una squadra, titolari di attività didattiche e scientifiche nelle istituzioni universitarie, nei centri di studio, negli istituti storici. E altri interessati alla sfera di una divulgazione e animazione seria e dignitosa, a chi la usa.

Le riflessioni su "prospettive e iniziative" sono raggruppate attorno a quattro nuclei.

1. Utilizzare, controllato in modo critico, la letteratura trasmessa
1.1. Oltre l'«idola»: vigilanza e senso della misurazione critici


Dovrebbe essere considerato un requisito prioritario per la verifica e l'ascolto ponderato le testimonianze antiche, provenienti da anni '60 del secolo scorso dal "talento grande e luminoso" e gli "eventi straordinari" di Don Bosco, tra cui delle Memorie biografiche degli autori :) autori di "cronica" e "memorie", usato o seguita da testimoni dopo il processo canonico per la beatificazione e canonizzazione, biografi e apologeti intorno alle grandi celebrazioni date salesiani (1907, 1915, 1929, 1934, 1950, 1954, 1975, 1988), 'nuove' biografi, interpreti della pedagogia, spiritualità, pastorale, l'azione sociale, la psicologia, etc. Le sessioni del Congresso, in particolare attraverso lezioni tenute dignità scientifica di alto livello,

È stato osservato che, poiché le attività comPnzar "Istituto Storico Salesiano": "L'Aspetto di" meraviglioso "inciderá e Nella Nella Selezione Materiale e Raccolta del documentario, probabilmente, nell'intera storiografia di Don Bosco, ponendo Soluzioni Che Problemi esigono non avventate né semplicistiche. Il resto Stesso Don Bosco ha contribuito ad accentuare Aspetto della SUA storia this [...]. In this Scia se si snoda Tutta un'agiografia e una storiografia, il Che ha inizio ben presto, vivente Ancora Don Bosco di emozionale Spesso Ricca pathos, pur preoccupata storica dell'obiettività, singolarmente sensibile al fascino del protagonista, alle citare in giudizio Eccezionali Capacità realizzatrici, alio straordinario e veloce irraggiamento sociale. Non vi se sottraggono Nemmeno delle tre COMPILATORI MB [...]. È desiderata una ricerca bibliografica, che racconti letteratura col caratteristiche e criteri economici,. con la progressiva evoluzione verso forme ed espressioni scientificamente vigilate »(in RSS 1 [1982] 20-22).

1.2. Importanza storiografica della tradizione


Tuttavia, nessuna operazione neo-luministica sembra giustificata. Oltre alla ricchezza di documentazione, di valore inestimabile, raccolte e trasmesse dai "memorialisti" diligenti e cronisti, e gli stessi compilatori di memorie biografiche, dovrebbe essere apprezzato altamente e seriamente proiettato il "specificità" della sua singolare testimonianza. Anche questa letteratura 'fa la storia' di Don Bosco, la tradizione salesiana di "mentalità" (il protagonista dei discepoli di seguaci da tutto il mondo che li circonda). Anche su questo argomento che sono apparsi al Congresso, fin dall'inizio, la lettura di criteri e di valutazione: nessuno ha fatto "antihagiografía." Hanno piuttosto spuntati indicazioni utili per un giudizio equilibrato, frutta, mentre il rigore storiografico e saggezza.

1.3. Problemi e valore degli scritti di Don Bosco, curati e non pubblicati


Molto è già stato scritto sulla connessione inscindibile - per una corretta comprensione e interpretazione - tra gli scritti di Don Bosco e la sua personalità di uomo d'azione, il contesto, i destinatari, i fini (Siena, Farina, Braido ...). 2 Da qui la richiesta di un uso «interattivo», «interrelazionale».

Si possono aggiungere altri due problemi metodologicamente importanti, che dovrebbero essere considerati da chiunque osi studiare la personalità di Don Bosco e il suo pensiero:
1) la misura del coinvolgimento di Don Bosco in ciascuno di essi ( per esempio
2 Cfr P. Braido, Significato e Limiti della Presenza sistema educativo di Don Bosco Nei Suoi scritti in SG Bosco, Scritti sul preventiva sistema nell'educazione della gioventù, Brescia, La Scuola 1965, p. XL-LVII; ID, scritto sull'esperienza educativa di Don Bosco in. SJ BOSCO, opere chiave, diretto da J. Canals edizione Pujol e A. Martinez Azcona, Madrid, BAC 1978, pag. 1-32. R. Farina dice: "11 Yero Don Bosco é Quello che risulta dà una globale, considerazione unitaria e Vitale, di Tutti i Suoi Scritti, di Tutte le querelare Scelte realinazioni e operativa e Tutta la vita di SUA" (Leggere Don Bosco Oggi, in: P. Brocardo [Ed.], La Formazione permanente interpella Gli istituti Religiosi, Leumann [Torino], Elle di Ci, 1976, pag 351) ..

pio, La forza della buona educazione è in gran parte semplice traduzione di un libretto popolare francese): da qui l'urgenza di una storia letteraria che imposta l'autenticità di ciascuno, la sua origine, la sua dipendenza;
2) il grado di "oggettività" della testimonianza, scritta e orale, di Don Bosco eventi connessi con la sua persona e la sua opera: conferenze, dibattiti, numerose "note storiche", le "memorie", il «Mostre» e «notizie»; Essi possono essere indeboliti nel loro valore "storico" in sé, anche se ricca di altri significati, il quadro e la sovrapposizione di altri intenzioni e gli obiettivi: i collaboratori di animazione, costruzione, realizzazione di autorizzazioni civili ed ecclesiastiche, hanno sottolineato teologica annuncio reclami, gli strumenti" captandam benevolentiam »e per
ottenere aiuto. '


2. Per la disponibilità di documenti scientificamente validi


- Dalla fondazione (23 dicembre 1981, in vigore dal 31 gennaio 1982), l'Istituto Storico Salesiano ha elaborato un vasto programma di lavoro, a partire dall'edizione genetica-critica delle fonti ritenute indispensabili per qualsiasi tipo di indagine Offre ampie opportunità di collaborazione, in parte già in corso, a studiosi e istituti scientifici.

2.1. Scritti non pubblicati di Don Bosco

L'edizione degli scritti "minori" è già stata fatta in termini di volume, ma fondamentale per la conoscenza della dottrina pedagogica e spirituale. Non dimenticare le complesse edizioni delle Costituzioni SDB e HMA, a cura di F. Motto e C. Romero (1982, 1983). Aspettano sermoni, conferenze, ecc.

2.2. Scritti modificati


Si prevede di pubblicare gli scritti che hanno stampato, specialmente se ci sono saggi autografi di Don Bosco o diverse edizioni significative.

Meritano un'attenzione prioritaria la Regolamenti (oratorio, case e altre attività per gli individui), alto rilievo educativo e normativo e per i quali v'è una ricca manoscritto autografo di Don Bosco e suoi più stretti collaboratori eredità.

Un esempio: in diversi documenti "storici", scritti in tempi diversi e per scopi diversi, Don Bosco indica date che non sono identiche all'origine reale (ideale?) Della Società Salesiana: cfr. P. BRAMO, L'idea della sociétés salesiana nel "Cenno istorico" di Don Bosco del 1873/1874, in RSS 6 (1987) 256-260.

2.3. Le «Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales»


Sono degni di particolare attenzione da parte l'eccezionale importanza attribuita loro da Don Bosco, che - come si è detto, in sostanza, sulla pagina di introduzione - non intesa principalmente come autobiografia, o come "storia", ma soprattutto, come rievocazione "teologica" di le origini ei primi passi dell '«Oratorio» secondo il progetto e la norma.

2.4. La corrispondenza (vedi comunicazione Motto)

2.5. Documenti della congregazione con il sigillo di Don Bosco


Don Bosco, fondatore, superiore ed educatore, ha un ruolo decisivo nella vita della Società salesiana. Si deve pertanto essere riservato il privilegio di modificare importanti documenti relativi al governo del luogo Congregazione salesiana in cui vengono percepiti abituali e interventi densi di Don Bosco: gli Atti e le cronache della Conferenza Generale di Amministrazione case, verbali delle riunioni di alto capitolo (ora Consiglio Generale) e, dal 1877, gli atti ei documenti dei capitoli generali (1877, 1880, 1883, 1886).

2.6. Testimonianze contemporanee: cronache, ricordi, annali


Sono fonti ampiamente utilizzate dai compilatori delle Memorie biografiche. Ma c'è una mancanza di una visione unitaria e critica del materiale vasto ed eterogeneo e una valutazione adeguata in relazione alla personalità dei vari editori, con il contesto, con la loro credibilità.

2.7. I processi canonici per la beatificazione e la canonizzazione di Don Bosco L'opportunità "storiografica" della sua edizione critica è allo studio.

 

2.8. Cronache e lettere dei salesiani che avevano relazioni speciali con Don Bosco


Soprattutto nell'ultima fase della vita di Don Bosco, appaiono cifre significative che hanno lavorato nel Vecchio e Nuovo Continente (Rua, Bodrato, Cagliero, Costamagna, Cerruti, Barberis ...), che ha condiviso con Don Bosco
importanti responsabilità . Spesso, alcuni di loro sono in possesso delle conoscenze e delle interpretazioni di problemi e non sempre uguali a quelli di Don Bosco che è di gran lunga i progetti: questo vale in particolare per la definizione della posizione reale dei problemi del viso Don Bosco gli emigranti e le missioni. modifica del documento e epistolarios (già iniziato la modifica della Cronaca di L. Lasagna di A. Ferreira da Silva, e F. Epistolario Bodrato da J. Borrego) possono illuminare le aree ancora inesplorate della storia di Don Bosco e di loro.

Il programma delineato presenta una vasta area di ricerca, che, ovviamente, non vuole essere un monopolio della ISS, ma è aperta a tutti gli studiosi e ai centri di studio che desiderano farlo. È in corso un primo coordinamento delle iniziative. Per il resto, il "Centro Studi Don Bosco" e le Facoltà della Pontificia Università Salesiana hanno già lavorato per l'anno passato.

3. Un problema capitale: una "storia" di Don Bosco


Il lavoro sulle fonti e altra documentazione non attenua in attesa di una "nuova" note biografiche complete sul Don Bosco, una "storia" che traccia con rigore le linee della sua vita e le sue opere, le sue idee e progetti, il loro significato e la sua influenza per tutto il XIX secolo e oltre.

Essi sono, senza dubbio, i contributi monografici utili e desiderabili con diverse ottiche: Biografia, l'agiografia, la pedagogia, la spiritualità, la psicologia, la sociologia, la cultura, l'apologetica, la teologia, ma per ecc.4-validità non può fare a meno di loro un buona base storica Non è sufficiente scrivere "nuovi" libri su Don Bosco se non si partecipa in un modo migliore e migliore di "fare la storia"?
In occasione del Centenario sono apparsi saggi stimolanti, sebbene di valore ineguale; per esempio: S. QUINZIO, Domande sulla santitl. Don Bosco, Cafasso, Cottolengo, Torino, Gruppo Abele 1986; F. TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nena storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987; S. PALUMBLERI, Don Bosco e l'uomo nell'orizzonte del personalismo, Torino, Gribaudi 1987; G. DACQUINO, Psicologia di Don Bosco, Torino, SEI 1988; P. BRAIDO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa, Roma, LAS 1988; M. GUASCO - P. SCOPPOLA - F. TRANIELLO, Don Bosco e le sfide della modernità, Torino, Centro Studi «C. Trabucco »1988; R. GIANNATELLI (a cura di), Pensiero e prassi di don Bosco, Roma, LAS 1988; C. NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LAS1989.

Cfr. BRAIDO, in RSS 7 (1988) 465; C. NANNI, Conclusioni, in: Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, p. 236-239.

3.1. Una biografia con una visione totale


In questa prospettiva, come già notato, 6 appaiono come esemplari - in relazione ad altri tempi e con mentalità diverse - nelle intenzioni e per la loro progettazione totale, sebbene non sempre per metodo ed esecuzione, i biografi classici del dono Bosco - Lemoyne, Amadei, Cenia - con opere di sintesi, che hanno accompagnato e completato il lavoro svolto intorno ai ricordi biografici. I tre hanno cercato di affrontare "il potenziale intera immagine '' dalla Vita scritta da Lemoyne (1911-1914), il Don .Bosco E Il Suo Apostolato di A. Amadei (1929, 1940) e Don Bosco Nella Vita e nelle opere (1938) di E. Cenia. Con un senso denso dell'essenziale, segue e supera P. Stella con il primo volume (Vita e opere) dell'opera fondamentale Don Bosco nella storia della religiosità cattolica.

E sembra essenziale per essere a conoscenza di almeno due linee guida preliminari fondamentali:
1) no "sectionalism" Don Bosco (o santo o manager o educatore o insegnante di spiritualità o un editor o una sognatrice o apologista, ecc), ma di riferimento costante in qualsiasi specialista di studio , alla realtà unitaria della sua figura: quella del sacerdote-educatore del XIX secolo con una mentalità determinata e cultura, con meriti e limiti; 8
2) appena chiamato costante alla sua individualità concreta, singolare (e originale), che è necessario per mettere in evidenza l'impossibilità di ridurre "schemi" e sottolineare le linee tipiche di realismo, opportunità, la vitalità, la disponibilità agli eventi, etc. .

3.2. Il futuro di Don Bosco


Sembra logico tenere a mente la necessità di guardare al dinamismo di Don Bosco e all'evoluzione della sua vita e delle sue opere, anche nell'identità di base e nella tenace fedeltà ai principi. In questa linea hanno fatto preziosi suggerimenti, in particolare nella conferenza Pazzaglia e comunicazione Schepens, come pure vista interessante sulla "modernità" offerto da Traniello, Scoppola, Stella. È un tipo di ricerca che sor
6 Cfr. BRAmo, Presentazione del vol. Don Bosco nella Chiesa, p. 6-9.

7 Ibid., P. 7.

Cfr P. STELLA, Don Bosco Le Ricerche suo venticinquennio 1960-1985 nel in: (ed.) Urlò, Don Bosco Nella Chiesa, p. 387-388, e lo studio di suo figlio Bosco e sul suo pensiero pedagogico-educativo. Problemi e prospettive, in: J. Vecchi - PRELT EZO JM (eds.), Formazione e Scienze dell'educazione Prassi pastorale, Roma, Editrice SDB 1988, pag. 32-33.

Girare positivamente su chi è abituato a vedere Don Bosco di grandi dimensioni e programmato fin dall'infanzia, puro esecutore di un piano già prestabilito altrove (confondendo la teologia con la storia, la causalità trascendente e "cause secondarie").

3.3. Un divenire nel contesto


In questa evoluzione venire come elementi integranti, impulsi, collaborazioni, resistenze, provenienti sia dal mondo "interno" (di Valdocco, soprattutto) e 'esterna' significa lo stesso ambiente fisico (povertà e ristrettezza) la "cultura" che circonda i giovani, i collaboratori, i benefattori, gli ammiratori e i detrattori, le autorità civili, politiche e religiose. contributi ottimale in questa linea offerto studi P. Stella, Don Bosco soprattutto economizzare e sociale Nella 1815-1870 (Roma 1980) storia, e nel corso del Congresso, la Conferenza di JM Prellezo (ma anche prima le loro indagini la Lettera sui castighi da infliggersi nelle ' case salesiane del 1883 e sulla lettura del sistema preventivo fatto dai primi collaboratori di Don Bosco) e la comunicazione di Bracco. Una ricerca biografica di don Bosco difficilmente può fare a meno lo studio delle figure come Borel, Cafasso, Rua, Cagliero, Durando, Bonetti, Cerruti, Lazzero, etc.

Di tutte le considerazioni che precedono, sembra inevitabile pensare, per una "storia" una tale riferimenti complessi, fonti e metodi "per distinguere per unire", "che compongono piuttosto che opporsi."

4. Alcuni esempi di problemi che si presentano


Da una visione globale delle vicissitudini biografiche di Don Bosco e dei contributi apportati a questo Congresso, sembra che possano essere indicati alcuni punti "critici" o "particolarmente rilevanti", che meritano un'attenzione particolare da parte di studiosi e ricercatori.

4.1. Gli "inizi" di Don Bosco


Uno dei punti principali, che sembra essere condizionato dalla comprensione generale della personalità di Don Bosco, è la conoscenza e l'apprezzamento di ciò che lui stesso spesso evoca come "inizio": della propria vita, degli studi, dell'Oratorio. È decisivo ricostruirlo al di là delle "proiezioni" dopo gli eventi e, a volte, molto lontano da loro. Diversi tipi di considerazioni sono misti, favoriti da lui stesso, spesso solo testimoni: cronici, teologici, funzionali, pratici-operativi, che il ricercatore deve attentamente e criticamente equilibrare.

4.2. Don Bosco nella Chiesa, locale e universale


La complessità del problema è stata giustamente sottolineata, derivante da Un mix difficile di ecclesiologia teoretica e vivacità ecclesiale (Lecture di Laboa). Don Bosco è un "prete cattolico", agisce "totalmente" nella Chiesa. Non è possibile "fare la storia" di lui se non parte da quella situazione esistenziale primaria. Da qui nasce l'esigenza di approfondire le relazioni con le varie autorità ecclesiastica: papi, vescovi (soprattutto Fransoni, Riccardi di Netro, Gastaldi, Moreno, Ghilardi, Ferre, Aneiros ...) Curia Romana (cardinali, prelati, consulenti ...); tenendo presente la consapevolezza che si forgia della propria "missione" a favore della gioventù, delle responsabilità del "fondatore" e, quindi, della conseguente rete di libertà,

In una prospettiva simile, può essere un soggetto utile d'indagine in quanto assegna Don Bosco i laici nella Chiesa e nel campo dei "collaboratori, benefattori, movimento salesiano'" cooperatori "senza le lunghe file di sostenitori e oppositori .

4.3. Relazioni con la società civile e "altra cultura"


Le carte di Poulat, Traniello e Scoppola hanno suggerito riflessioni sostanziali su questo punto, con la possibilità di verificare (come riferimento al tema della Chiesa) l'ipotesi di una composizione-opposizione tra una relativa rigidità "culturale" di parte e una prassi estremamente flessibile e anticipatoria per un'altra.

4.4. Don Bosco e "cultura popolare"


Il lavoro di Traniello e la comunicazione di Malgeri hanno indicato percorsi fertili per la ricerca. Tra le altre cose è in gioco lo stesso carattere "popolare" di tutta l'impresa religiosa, educativa e sociale di Don Bosco e la possibilità di irradiare radicalmente il "sistema salesiano" (Traniello).

Potrebbe essere proposto come campo di ricerca significativo l'impegno di Don Bosco "scrittore ed editore per il popolo".

45. Don Bosco e i problemi degli emigrati e delle missioni


P. Stella ha offerto in proposito una prima sintesi - nel primo volume dell'opera Don Bosco nella storia della religiosità cattolica (Le missioni d'America, pp. 167-186). J. Borrego, basato su un'ampia ricerca precedente, ha presentato ai membri del Congresso le caratteristiche essenziali del "progetto missionario" di Don Bosco.

Ora e in futuro, avendo accesso a nuove fonti (a cura di J. Borrego stesso, l'edizione critica dell'Epistolario del primo ispettore salesiano in America, F. Bodrato, è apparsa di recente, ed è in preparazione, come opera di A. Ferreira. da Silva, quella di L. Lasagna), è diventato possibile un approfondimento più realistico dei vari problemi: prima di tutto, come fondamentale, la coincidenza o disparità tra la coscienza che Don Bosco ha avuto da lontano dalla realtà e dai progetti e l'esperienza diretta delle situazioni e delle reali possibilità che avevano coloro che lavoravano nel posto.

4.6. Don Bosco, fondatore dei Salesiani


Non è solo una questione di "storia familiare" se Don Bosco ha influenzato i salesiani in qualche modo nella storia della Chiesa e della società.

Hanno già affrontato progressi significativi (Stella, Desramaut, Motto, Braido), molti problemi legati allo sviluppo, ai tempi di approvazione, al tipo di società religiosa. È, tuttavia, quasi interamente per studiare - in aggiunta alle "origini" - il problema di strutturazione e di "fondazione" efficace dal di dentro: nella sostanza, il reale contributo di Don Bosco per catturare la Congregazione come realtà "religioso" e "Educativo", modellando il suo volto caratteristico e il suo "spirito"; e, di conseguenza, gli sforzi per organizzare la formazione, curriculum iniziale e permanente, il clero e laici membri in tre dimensioni dello professionalmente competenti educatori "religiose".

4.7. Fondatore di Don Bosco - "co-fondatore" dell'Istituto dell'AMF


I primi risultati di rilievo della ricerca condotta da Suor Deleidi e suor Posada hanno rivelato la possibilità di continuare il prezioso lavoro che è in corso per approfondire il livello storica concreta, piuttosto che giuridico-formale, la "relatio confundatorum »su cui il Promotore della Fede ha insistito nel corso del Processo per la beatificazione di Santa Maria Dominga Mazzarello. Tra le due illuminanti comunicazioni al Congresso, ha sottolineato la convenienza di una collaborazione interdisciplinare, alla quale gli studiosi di Don Bosco dovrebbero contribuire con la loro specifica cooperazione.

4.8. Lo "straordinario" in Don Bosco "sognatore" e "taumaturgo"


Oltre divulgazione acritico e letteratura sul tema sono un buon contributo di P. Stella (Don Bosco nella storia della Religiosità Cattolica, vol. II, p. 507-569) e Sor C. Romero (I sogni di don Bosco, edizione critica di dieci sogni importanti di cui ci sono manoscritti autografi di Don Bosco). Ma il problema nel suo insieme è ancora da esplorare: modificare e criticare le fonti, studiare, approfondire.

In conclusione: è un vasto programma, che prevede piani di esecuzione dettagliati; ma richiede, soprattutto, la massima gamma di collaborazioni, finalizzate ad un unico obiettivo: conoscere meglio e meglio Don Bosco, che opera nella Chiesa e nella società, soprattutto da parte di coloro che oggi si danno al lavoro nella stessa Chiesa, anche se sono coinvolti in diverse società e culture.

INDICE DEI NOMI DI
SECONDA PERSONA F. 164 (n.11), 173 (n.41).

ACERBI A., 532 (e n. 14), 534.

ADIUANO VI, 154.

AGATHON Fr., 284.

AGNELLI G., 106, 249 (e n.44).

AousrIN (s.), 147, 149.

AIGRAIN R., 49 (n 39).

ALARA GA, 163, 172.

ALASONATFI V., 81

ALBALAT E PUIGCERVER C., 199.

ALBANO S., 341.

ALBERA P., 225 (n. 31), 354 (n. 58), 335 (n. 7),
351 (n. 48).

ALBERDI R, 11, 12, 31, 179, 182 (n.25), 184 (n.

38), 186 (n.46), 191 (n.80), 193 (n.87), 335
(n.7), 351 (n.48), 475 (e n.1), 499 (e n) .

97).

ALBEIUCH E., 132 (n.101), 359 (n.11), 366 (n.

37).

ALBEIUGO G., 17, 534 (n. 16).

ALEXANDRE B., 96 (n. 3).

ALFONSO DE LIGORIO (s.), 131, 149, 150 (e n.

22), 160 (e n. 3), 161, 164, 165 (e n. 13),
166, 169 (e n. 27), 171, 172 (e n. 36), 264,
296, 385, 389 .

ALLBERTI G., 35 (e n. 31).

AuvRERA J., 1922 195.

ALZON E. d ', 94.

ALLAMANo G., 161, 170 (n. 30).

ALLAVENA GB, 462 (n.22).

ALLIEVO G., 319 (n.8).

AMADEI A .. 37, 38 (e nn 7, 8, 9), 45, 51, 60, 62,
117 (n. 31), 200 (n. 4), 542.

AMADEO DE SABOYA (S.), 155

AMADEO IDE SABOYA, 157, 188.

Atvua P., 256 (n. 77).

ANDRÉS GALLEGO J., 187 (n. 57).

ANEIROS LF, 544.

ANFOSSI GB, 44, 141, 325.

ANGELINI G., 131 (n. 98).

ANSELMETIT E., 434 (n. 16).

ANTÓN A., 120 (n.43), 130.

BARICCO P., 314 (e n. 29), 337 (n. 11).

BAROLO FALFITI G. ni, 167 (n.18), 170 (n.33),
174 (e n.48), 225 (n.29).

BARRAQUER C., 192, 195.

BARRUEL A., 151 (n. 24).

BAasorn D., 172 (n. 35).

BASILE V., 195.

BAUDELAIRE, 451

BAYO MJ, 507, 540, 541.

BEAUVOIR, 341

BECCHIO C., 341.

BEDESCIII L. van, 417 (n. 10), 430 (n. 6).

BEEMOVEN L., 451, 452.

BELARDINELLI M., 122 (e n.55), 128 (n.82), 147
( n.7 ).

BELAEmEsio R. (s.), 254 (n. 68).

BELMONTE D., 347, 354.

BELTRAMI A., 39.

BELZA J., 458 (n.5), 462 (n. 23), 458 (n.5).

BELLERArE B., 12, 17, 31, 317 (e n.1), 323 (n.

20), 361 (e n.21).

BELLI A., 377 (n. 15).

BENDISCIOLI M., 286 (n. 93).

BENEDETTO XII 151 (n. 24).

BENEDETTO XIV, 141 (N. 24), 152.

BENEDETTO XV, 228 (n. 41).

BERCASTEL A.-H., 146.

BERENGO M., 423 (n. 31).

BERGIER NS, 384 (n. 54).

BERNARD C., 297.

BERNASCONI A., 341.

BERN P., 341.

BERNÓN (s.), 155

BERRONE A., 44.

BERT A., 376.

BERTAGNA G., 44, 161.

BERTELLO G., 326 (n. 32).

BERTH G., 41, 42, 44, 51, 62, 83, 215 (n. 40).

BERTOLINO G., 245 (n. 29).

BERTON AP, 435

BERTONE T., 11, 18.

BERTONI G., 165, 167.

BERTONI JOVINE D., 414 (numero 5), 416 (numero 8), 423
(numero 32).

BÉRULLE P., 171.

BESUCO F., 42, 178.

BESUCCO F., 178, 282 (e n. 81), 311, 312 (e nn.

25, 26), 327, 365, 374 (n. 5), 375, 376, 378
(n. 17), 384 (e n. 57), 386 (nn. 67, 68), 388,
390 (n. 81), 394, 430, 447 (n. 29).

& num) Ch., 47 (n.34).

BErn G., 409.

BIANCARDI A., 409.

BIFFI G., 352 (n.52).

Bulo L., 403.

BINEr A., ​​297.

BINI P., 341.

BIRAGHI L., 165

BILUCENBIEHL J., 83.

Bisio GB, 44

BISOGNI S., 11, 18.

BLANCA F., 324.

Bosaio N., 35

BODRATO F., 405 (n. 58), 465 (n. 32), 540, 545.

BOFARULL E DE PLANDOLIT P., 191.

BOFARULL E DE PLANDour M 'A. de, 190.

Bomo G., 341.

BOLGIANI F., 33, 34 (e n.26).

BOLOGNA G., 354 (n. 58).

BOLLATI G., 417 (n. 12).

BONA C., 160 (nn 2, 3), 249 (n 47).

BONALD VGA, 160 (n. 3).

BONCOMPAGNI C., 319 (e nn 6, 7).

BONET I BALTÁ J., 189 (n.66), 203 (n.141).

BONETTI G., 42 (e n. 16), 43, 46, 48 (e n. 36),
55, 56, 81, 132, 148, 180 (n. 19), 208 (n. 6),
306 ( nn 13, 15), 309 (n 20), 348 (n 40),
408 (n 92), 446, 500, 543.

BONGIOANNI D., 44.

BONGIOANNI M., 431 (n.8).

BONGIOVANNI G., 402.

BONOMELLI G., 157 (e n.43), 428 (n.54).

BORDAS T., 82 (e n. 6), 83, 84 (n. 12).

BOREL G., 81, 161, 233, 300, 304, 396, 543.

BORIO E., 341.

BORREGO J., 11, 12, 17, 31, 457, 458 (n.5), 462
(nn.21, 23), 468 (n.40), 541, 544, 545.

BORRONEO C., (s.), 147, 156, 328, 429.

BORSARELLI RM, 170 (n.33).

BOSELLI P., 400 (n. 32).

BossuEr I.-B., 160 (n.3), 254 (n.68).

BOTT B., 414 (n. 3), 445.

Boura £, 47 (n.34).

BoyE G., 462 (e n. 23).

BGWERS E., 74 (n.11).

BRACCO G., 12, 17, 77 (numero 16), 231 (e numero 1), 351
(numero 49), 543.

BRAMO P., 11, 12, 17, 22 (n.4), 23 (e n.7), 24
(n.8), 25, 26 (n.13), 29, 30 (e n.21) 37 (n.

3), 58 (n. 59), 77 (n. 16), 106, 114 (n. 21),
122 (n. 55), 124 (n. 62), 125 (n. 66), 127 (y
nn 74, 77), 131 (n 97), 132 (n 102), 134 (y
n 110), 147 (n 6, 7, 9), 162 (n 7), 172 n .

37), 240 (n.17), 244 (n.28), 245 (n.32), 247
(n.39), 253 (n.65), 255 (n.71), 259 (n.2) ),
260 (e il mio 3, 4, 6), 261 (mi 7, 8), 262 (n.
10), 263 (n. 15), 265 (nn. 22, 23), 266 (n. 28), 267 (n. 29), 268 (mi. 31, 33), 272 (mi. 49-51), 273 (mi. 52, 54), 274 (y nn. 55, 57), 279 (n. 71), 280 (n. 74), 281 (n. 78), 284 (y nn. 86, 88, 89), 288 (mi. 99, 101), 299 (n. 1), 300 (n. 3), 304 (n. 10), 306 (n. 15), 307 (n. 17), 314 (n. 30), 317 (y n. 4), 320 (n. 9), 322 (y nn. 18, 19), 326 (n. 30), 339 (n. 16), 359 (n. 12), 360 (y n. 17), 361 (n. 17), 365 (y n. 34), 373 (n. 1), 391 (y n. 85), 392 (y nn. 86, 87), 416 (n. 8), 419 (n. 19), 420 (nn. 21, 23), 426 (n. 50), 441 (y n. 2), 449 (n. 31), 455, 458 (nn. 5, 6), 465 (n. 32), 469 (y n. 43), 471 (n. 49), 509 (n. 9), 511 (y n. 22), 515 (n. 1), 526, 538 (y n. 2) 539 (n. 3), 541 (mi. 4, 5), 542 (nn. 6-8), 545.

BRANDA G., 44, 48, 192 (n. 85), 354, 500 (y n. 100).

BRASIER V., 168 (n. 20).

BRAVO G.M., 237 (y n. 1), 416 (n. 8).

BRESCIANI A., 159, 417 (e n.10).

BRE = C., 151 (n.25).

BRIGNOLE GC, 160

BROC.ARDO P., 73 (numero 10), 86 (numero 16), 128 (numero 83), 373 (numero 2), 538 (numero 2).

BRONSINO, 303 (n. 9).

BRUNO C., 31, 458 (n. 5), 466 (n. 36), 470 (n. 45).

BULFERETIT L., 416 (n.8).

BURDÉUS A, 179 (n.7).

BURZIO G., 264 (e il mio 19, 20).

BUZZETIT G., 347, 402.

CACCIATORE G., 164 (n.12), 169 (n. 27).

CAFASSO G. (s.), 33 (n.25), 42, 52-54, 131 (n.98), 136, 155, 161, 162, 164 (e n.11), 168, 170 (n. 30), 173 (e n.41), 174, 233, 238, 245 (n.30), 260, 261 (e n.7), 264, 300, 304, 305, 310, 375, 376, 383, 390, 396, 541, 543.

CAGLIERO Giov., 44, '48, 122 (n. 56), 180 (n. 14), 192 (n. 85), 211 (n. 17), 216 (e n. 41), 222 (mi 15 , 16), 223 (nn 16, 17), 228 (e n.41), 348 (n.42), 388 (e n.77), 408, 453, 462 (n.22), 465 (n 33), 468 (nn 41, 42), 478481 (e mi 22, 23), 484, 489, 497 (e mi 84, 87), 503, 540, 543.

GAGUEA () Gius., 408.

CAIROLI B., 248 (n. 42).

CALABIANA L., 402.

CALAFELL E CALAFELL SM, 192

CALONGHI L., 26 (n.13).

CALOSSO G., 46, 52, 53, 364.

CALvEsio, 131, 151, 152 (n. 26), 154.

CALmAiu P., 161 (n.5).

CALLOIU C., 400 (n. 32).

CAMACHO CARBAJO V., 488 (n.52).

CAMAIANI PG, 96 (n.1), 128 (n.80), 151 (n.

25).

CAMIN A., 204.

CAMPANINI G., 531 (e n. 12).

CAMPI G., 211 (n.17), 213 (e n.29), 223 (mi.

15, 16).

CAMPI E FABRES A., 192.

CANALI PUJOL J., 509 (n.10), 538 (n.2).

CANDELORO G., 413 (n. 2).

CANESTRI G., 319 (n.8), 346 (n.36), 423 (n.

32).

CArrni C., 415 (n. 6), 417 (e n. 9), 418.

CAPErn G., 31, 221 (n.10).

CAPPELLARI M., 148.

CAPR1LE C., 151 (n. 24).

CARBAJAL L., 464 (n. 27), 465 (n. 31), 466 (mi.

35, 36), 467 (n. 38), 469 (n.44).

CARBONERO E SOL L., 476 (e n.5), 483, 499.

CARLO ALBERTO, 237, 393, 416 (e n.8).

CARLO FELICE, 318

CARLOMAGNO, 55, 56

CARPANO G., 305.

CARTIER L., 352.

CASACCIA G., 377 (numero 15), 379 (e numero 25).

CASALIS G., 308 (e n. 19).

CASAÑAS S., 192, 193 (numero 88), 195 (e numero 102).

CASATI (min.), 279, 319 (e n.8), 336, 401.

CASATI M., 254 (e n. 68).

CASELLE S., 54 (n. 51).

CAsorn M., 360 (n. 13), 368 (n. 42).

CASSANO G., 216 (n.41), 228 (n.41).

CASTELLANI A., 172 (n.35), 261 (n.9), 339 (n.

17).

CASTELLI F., 414 (n ° 3).

CASTELLINO 0., 436.

CAsrais JM, 188 (n 59).

CASTELLO LARA R., 457 (n ° 1).

CASTRONOVO V., 529 (n. 9).

CAVAGLIA P., 31, 208 (n. 3).

CAVIGLIA A., 29 (n. 20), 209 (y n. 11), 267 (n.

29), 281 (y n. 79), 391 (y n. 83), 458 (y n.

4), 464 (y mi. 28, 30).

CAVOUR C., 73, 161(n. 5), 238 (n. 5).

CAVOUR G., 73.

CAVOUR M., 161 (n. 5), 233, 234, 300 (y n. 3).

CAYETANO DE THIENE (s.), 156.

CAYS C., 125 (n. 69), 179 (y n. 4).

CECCA F., 389 (n. 79).

CECCARELLI P., 457 (n. 2).

CERIA E., 23 (n. 7), 24, 27, 37, 39 (y n. 10), 40,
45, 48, 51, 56, 60, 61, 62 (y n. 65), 63, 64, 71
(n. 7), 75 (y n. 12), 76, 78, 191, 209 (n. 10),
333, 350 (n. 46), 452, 453, 457 (n. 3), 542.

CERRATO N., 31.

CERRUTI F., 22 (y n. 3), 31, 42, 44, 324 (n. 23),
327, 328 (n. 39), 329 (y mi. 40, 41), 330 (y
n. 43), 540, 543.

CÉSAR J., 39.

CESAR' A., 169 (n. 28), 172 (n. 35).

CESSAC M. de, 63 (n. 70).

CLAN L., 361 (y n. 22).

CIBRAMO L., 157.

CICERONE M.T., 39.

CimArri V., 362 (y n. 27).

CINI Ch., 132 (n. 102).

CIPOLLA C., 436 (nn. 28, 30).

CIPRIANO D., 341.

CLÉMENCEAU, 102, 104.

Q.P.marr A., 48 (y n. 37).

CLEMENTE DE ALEJANDRÍA, 507.

Coccm G., 161, 244, 261 (y rt. 9), 262 (y n.

10), 301-305, 310, 311, 337 (u. 11), 396 (n.

9).

CODIGNOLA E., 23.

COFFELE G., 11.

CTA.= A., 34 (n. 28).

COLBACHINI P., 463 (n. 25).

CoLomso A., 11.

CoLomso R., 455.

CoLomPo U., 156 (n. 40).

COLL Y VEHI J., 191 (n. 82), 197 (y n. 115).

COLLAVERI F., 151 (n. 24). .

CoLLET P., 389 (n. 79).

Coal C., 209 (y n. 12), 359 (n. 10).

COMBES E., 102, 104.

COMBONI D., 459 (y n. 10).

COMENIO A., 508.

Como= L., 42, 177 (y n. 61), 249, 263 (y n.

18), 264 (n. 20), 365, 375, 376, 380 (y n.

35), 382 (y ti. 42), 384 (y n. 57), 386 (n. 66),
388, 430, 444 (y n. 13).

CONDREN Ch. de, 171, 172 (n. 35).

CONFORTOLA F., 405 (n. 58).

CONGAR Y.M., 130.

CONSALVI E., 159.

CONSTANTINO (Imp.), 36.

CORAZZIN L., 435 (y n. 24).

CORNO G., 44.

CORNOLDI C.M., 146 (y n. 2).

CORRENTI C., 285 (y n. 91), 286.

CORTÉS D., 90, 98, 99, 149, 195.

COSTA A., 207 (n. 2).

COSTA G., 361 (n. 17), 365 (n. 34), 419 (n. 19).

COSTAMAGNA G., 216 (y n. 42), 229, 388, 453,
462 (n. 22), 471 (n. 51), 540.

COTTOLENGO G., (s.), 33 (n. 25), 155, 160, 170
(y n. 32), 237, 238 (y n. 6), 398, 541 (n. 4).

Comuna P.A., 96 (n. 3).

CIUSPI F., 157.

CRISPOLTI F., 25.

CRIvELLIN E.W., 435 (n. 23).

CROCE B., 417 (n. 9).

CUFFIA (hnos.), 409.

CURCI C.M'., 119, 124, 146 (y nn. 2, 3), 156,
157 (n. 42).

CUSMANO G., 242 (y n. 25).

CZARTORYSKI A., 405 (n. 58).

CHATEAUBIUAND F.-R., 149.

CHAUTARD J.-B., 104.

CHAuvEr L.M., 393 (n. 93).

CHENIS C., 11.

CHERUBINI A., 246 (n. 34).

CHERUBINI L., 453.

CHULA C., 464 (n. 29), 465 (n. 35), 467 (n. 39),
405 (n. 58).

CHIAVEROTTI C., 161 (n. 5).

CHIEREGATI F., 154.

CIEROTTI L., 170 (nn. 30, 31).

CHIESA G.B., 341.

ClitOCCHEITA P., 458 (n. 10).

Cmosso G., 12, 262 (n. 10), 266 (n. 28), 299,
361 (n. 17), 363 (n. 32), 416 (mi. 7, 8).

CarrroLimi G., 165 (n. 15).

CHOPITEA DE SERRA D., 179, 187, 190, 191, 192
(y n. 85), 195 (n. 102).

D'AGUAN° R., 160, 161.

D'ALzom E., 94.

D'ORstomv A., 462.

D'AZEGLIO C., 329, 443.

DA FELTRE V., 507.

DA POIRINO C.F., 377 (n. 13), 378 (n. 20), 379,
380 (n. 27), 388 (n. 78), 446.

DA VAI.ENZA E., 378 (n. 20).

DACQUINO G., 32 (y n. 24) 155 (n. 37), 239 (n.

10), 242 (n.25), 245 (y n.31), 246 (n.33),
251 (n.54), 253 (n.61), 255, 361 (e n.23),
368 (n.42), 369 (n.43), 541 (n.49).

DAGHERO G., 403.

DAL CovoLo E., 11, 18.

DALmAzzo F., 44, 83, 175 (n 49).

DALLE NOGARE L., 414 (n.

DALLY, 462

DANNA C., 308 (e n. 18).

DANTE A., 453.

DAVICO M., 341.

DAVIS HF, 156 (n.41).

DE AGOSTINI A., 250, 463 (n. 24).

DE FORT E., 414 (n. 5).

DE LUNA G., 414 (n. 4), 430 (n. 4).

DE MARTINO E .; 413 (n.3).

DI 1VIArro P., 382 (n.43).

DE MAURO T., 436 (e n. 29).

DA ROSA G., 164 (n.12), 165 (n.13), 433 (e n.

15), 435 (n.22), 443 (n.11), 530 (e n.10).

DE SANcrts F., 413 (e n. 2), 417 (e n. 9), 418 (e
n. 16), 429 (e n. 2).

DE SANTA F., 435 (n.25).

DA BUFFALO G. (s.), 165 (e n. 14), 167.

DELEHAYE H., 49

DELEIDI A., 11, 12, 31, 207.

DELGADO B., 12, 505.

DELGROSSO G., 341.

DELUMEAU J., 153 (No. 31).

DELLA PERLITA F., 430 (n. 5).

DESANCTIS L., 376 (e n. 10), 377 (n. 15), 379 (e
n. 25).

DESCARTES R., 145.

DEsPAmAur F., 12, 17, 24, 25 (e n.11), 57 (n.

57), 72 (n.8), 116 (n.28), 119, 120 (n.41),
121 (n.49), 133 (e n.108), 155 (n.37), 180
( n. 10), 292, 294, 395 (n. 3), 405 (n. 64),
542, 545.

DROP H., 297.

GM Drom, 162 (n.8).

DEVECCHI G., 341, 388.

DHOTEL J.C1., 378 (e n. 19).

DI LIBERO G., 165 (n.14).

DI MEO V., 170 (No. 32).

Di Pot, RS., 351 (e n. 49).

DIESSBACH NJ de, 160 (n.2), 249.

DCILLINGER L von, 118.

DOGLIANI, 388, 453.

Domihrta E., 225 (e nn. 29, 30).

Dom-PÉ E., 42.

DONAT CArrIN C., 33.

DONTZETIT G., 453.

DOUCHESNE L., 49

Du Boys A., 502 (n. 108).

DUGINI D., 74 (n.11).

DUPANLOUP F., 99, 111, 118, 284, 296, 329.

DUPUY M., 259 (n.1).

DURÁN E BAS M., 187.

DURANTE C., 69 (numero 4), 323 (numero 21), 349 (numero 42).

DURANDO F., 543.

DURANDO M., 170 (30, 31), 310.

DURICA M., 168 (n. 20).

ENIUA P., 42, 44, 246 (e n.35), 255.

ENRIQUE VIII, 154.

ENRIÚ, 341

EtsiTRAtoRs R., 458 (n.5), 465 (n.32), 466 (n.

35), 467 (n. 38).

ERASM, 507.

SCUOLA A., 192 (n. 85).

ESPINEY Ch. D ', 502 (n 108).

ESPINOSA JM, 6

FABRITIO F., 439 (n. 40).

G. FAGNANO, 132 (n. 103), 404, 457 (n. 2), 462
(n. 22), 468 (n. 41), 471 (n. 51).

FALZONE MT, 242 (n.25).

FAututu G., 436.

FARINA G., 341.

FARINA M., 11 anni

FARINA R, 12, 17, 73 (n. 10), 81, 128 (n. 83), 86
(n. 16), 472 (n. 52), 538 (n. 2).

FARREL VINAY G., 444 (n.22).

FASSATI E., 177, 178 (n. 62).

FAYA C., 70 (n.5).

FAVALE A., 457 (numero 1), 458 (numero 7), 461 (numero 15).

FELIPE NERI (s.), 150, 155, 167, 169 (y nn. 26,
29), 175, 176 (y n. 54), 177 (n. 60), 254 (n.

68), 264 (y n. 22), 265 (y n. 25), 296, 400.

FELIÚ Y PÉREZ B., 183, 193 (y n. 90), 194 (n.

93), 204, 206.

FENYCI V., 81 (n. 1), 83, 84 (y n. 11).

FERNÁNDEZ C., 488 (n. 52), 489, 490 (y mi. 57,
58), 491, 494 (mi. 76, 77), 498 (y nn. 88, 89,
91), 499.

FERNANDO VII, 481 (n. 20).

FERRARI A., 417 (n. 10).

FERRARI° G., 462.

FERRÉ A., 544.

FERREIRA DA SILVA A., 31, 272 (n. 48), 541, 545.

FERRER BENEVIELI J.A., 151 (n. 24).

FERRERO C.A., 254, 340 (n. 20).

FERREITINO G., 226.

FERRY J., 97.

FIERRO TORRES R., 25, 113 (n. 12), 129 (n. 85).

Fu RPFT T o G., 44.

Fimo S., 435 (n. 23).

FLORA L., 209 (y n. 12).

Fmarri E., 11, 448 (n. 29).

FLAMIDIEN F., 104.

FoA S., 270 (n. 39).

FOGAZZARO A., 242 (n. 23), 248 (n. 42).

FOGLIO E., 37 (n. 1).

FOLENA G., 73 (n. 10).

Fusa Y DE BOTER J. de, 192, 194 (n. 91), 195, 203 (n. 140), 206.

FONTANA M., 169.

FONTCUBERTA C. de, 192.

FONTCUBERTA T. de, 192.

FRANCESCONI M., 463 (n. 25).

FRANCESIA G.B., 42, 44, 81, 209 (y n. 8), 210 (n.

14), 278, 324, 463 (n. 25), 384 (n. 56), 387 (y n. 70), 446, 463 (n. 25).

FRANCISCO DE Asís (s.), 52, 155, 251.

FRANCISCO DE SALES (s.), 63 (n. 70), 110, 167 (y n. 20), 168 (y nn. 20, 22, 23), 169, 171, 173 (n. 41), 174 (y nn. 48, 49), 175 (y n. 49), 177, 259, 264 (y n. 22), 265, 266 (y n. 25), 271, 296, 471, 447 (n. 29), 492, 494, 500, 535.

FRANCO G.G., 123 (n. 60).

FRANCO S., 390.

FRANCHE (card.), 287, 461 (n. 20), 468 (n. 40). FRANCHINI F., 246 (n. 34).

FRANSONI L., 77 (n. 15), 137, 305, 342, 400, 544.

FRASSINETTI G., 165, 211 (y n. 17), 212 (y n. ' 20), 217, 221 (n. 8), 222 (y n. 14), 223 (n.

16), 389 (n. 78), 405, 446.

FRÉMIOT DE CHANTAL J.F. (s.), 63 (n. 70), 168 (n. 20).

FREUD S., 32.

GALINO A., 12.

GALOT J.M°., 151 (n. 24).

GAIII DELLA LOGGIA E., 529 (y n. 9).

GALLINA G., 157 (n. 43).

GALUZIA P.G., 167, 168 (y n. 20).

GALLTZ2I G.B., 39 (n. 11).

GAMBARO A., 319 (nn. 6, 8).

GARCIA J.M., 6.

GARCÍA SARMIENTO (can.), 486.

GARCÍA VERDUGO A., 6.

GARCÍA VILLOSLADA R, 186 (n. 50).

GARELLI B., 260, 261, 490.

GARGANO F., 337 (n. 11).

GAIUGLIO B., 423 (n. 33), 424 (n. 36), 425 (n.

43).

GAIUN E., 74 (n. 11).

GARTNO G., 42.

GaRuta J.M., 476 (n. 4).

GASTALDI L., 62, 63 (y n. 66), 72 (n. 9), 135 (y
n. 1), 136-143, 147 (y n. 7), 162 (n. 8), 310,
369, 397, 403, 408 (n. 88), 428 (n. 54), 446,
533 (y n. 15), 544.

GATELL I., 196.

GAUME J.J., 329, 390.

GEBHARDT V., 190 (n. 71), 192.

GELABERT JORDA. M*.A., 190 (n. 69).

GEMELLI G., 437 (n. 34).

GEmmEnalto G., 34.

GENET F., 164.

GENGHINI C., 210 (n.14), 233 (ñ.15).

GÉRANDO JM de, 263 (n.13).

Gomma, 160 (n. 3).

GERMAN 'G., 529 (e n.8).

GERRATANA V., 413 (n. 2).

GBIGuorro F., 42.

GUILARDI (mons.), 376.

GHILARDI GT, 341, 544.

GHIONE A., 341.

GHIVARELLO C., 354 (n. 58), 404.

GIACCONE GM *., 254 (n. 68).

GIACOMILII G., 44.

GIAMMUSSO S., 165 (n.13).

GiaNErro U., 359 (numero 11), 366 (numero 37).

GIANNATELLI R., 11, 18, 131 (n. 101), 221 (n.

9), 362 (n.28), 375, 541 (n.4).

GINZBURG G., 417 (n. 12).

GIOBERTI V., 122 (n.53), 269 (e n.35).

GIORDANO F., 264 (n. 19).

GIOVANNINI L., 418 (n.15), 421 (n.25), 422 (n.

29), 423 (n. 34), 424 (n. 37), 425 (nn. 40
44), 426 (nn. 46, 47, 49), 430 (n. 3), 433 (n.

12), 441, 442 (n.6), 443 (n.12), 445 (n.

23).

Grullo CI, 302 (e n.7), 329.

GOBETTI, 238 (n. 5).

GOBINET Ch., 168, 381 (n. 37), 266 (n. 27), 331
(n. 37).

GOETHE JW von, 453

GOGARTEN F., 158 (n. 46).

GONELLA M. (cav.), 47.

GONZALEZ G., 6

GONZÁLEZ E DÍAZ TUÑÓN Z., 486 (e n.44), 501.

GOUNOD Ch., 453.

GOUSSET Th., 161 (n.5), 390.

GRAMSCI A., 238 (n.5), 413 (e n.2), 417 (e n.

10).

GRASSIO G., 401.

GRATTINO A., 118.

GREGORIO 0., 165 (n.13).

GREGORY XVI, 114 (No. 17), 148.

GRESINO G., 42

GRIBAUDI D., 463 (n. 24).

GRIFFIN, 509 (n.8).

Giusaa J., 470 (e n. 47).

GROETHUYSEN B., 96 (n.2).

GROPPO G., 386 (n. 65).

GRZESZCZYK T., 14 (n.1).

GUALA L., 136, 137, 161, 162 (e n.8), 164, 168,
170, 245 (n ° 30), 260, 264, 300, 383, 390.

GUANELLA L. (s.), 131 (n.98), 177 (n.60), 403,
404, 409 (n.90).

GUARDINI R., 158 (n. 46).

GUASCO M., 35 (y n. 32), 107, 238 (y n. 4), 437
(n. 32), 535 (y n. 17), 541(n. 4).

GUERBER J., 161 (y n. 5).

GUERRA A., 405.

GUERRA J., 31.

Gurnots A., 389 (n. 79).

GUINNARD A., 462.

GutoL C., 400.

GUSMANO C., 83.

Guzzo A., 34.

HABER/sus J., 528 (n. 6).

HALINAN D., 399.

Hamo. L., 340.

HARMEL T., 408.

HAYDN Fj., 453.

HEGEL G.F., 451, 452, 455.

HEINE H., 451.

HERBART J.F., 323 (n. 22).

HERVÉ DE LA CROIX Fr., 148 (n. 10).

HOFFMANN E.T.A., 451, 455.

HOMAIS H., 94.

HOMOLA J., 84 (n. 11).

HORACIO, 507.

HuGurr J.M.J., 389 (n. 78), 390.

HUMBERT H., 385.

HUYSMANS J.K., 25.

ISIDRO LABRADOR (S.), 421.

IvomE B.F.D., 493 (n. 72), 502 (n. 108).

JAEGER W., 506 (n. 3).

Jarrus, 118.

JavnEaRE J.W., 475 (n. 2).

JAVIERRE ORTAS A., 12, 525.

JENOFONTE, 39.

JERONIMO (s.), 39. 132 (n. 103).

JIMÉNEZ F., 12, 395.

JOERGENSEN J., 25.

Jou H., 49.

JUAN B. DE LA SALLE (S.), 508.

JUAN DE DIOS (S.), 155.

JUAN DE LA CRUZ (S.), 166.

JUAN EUDES (s.), 166.

JUAN PABLO II, 256.

PAN XXIII, 99 (y n. 4), 114, 530 (n. 10), 534 (
n. 16), 535.

JUANA DE ARCO (S.), 94.
1mA J., 196.

KLEIN J., 72 (n. 8). KORCZAK J., 331.

KRAMER S.N., 505 (n. 2).

Lima J.M°., 12, 17, 109, 544.

LABIUOLA A., 74 (n. 11).

LACATTA C.G., 346 (n. 37), 414 (n. 5).

LACAN J., 32.

LACROIX F., 462.

LacrANcto L.C.F., 153.

LAGO A., 404, 405 (n. 58).

LAMBRUSCIHNI R., 416.

LAMENNAIS F.R, 94, 110 (y n. 3), 160 (n. 3).

LANARO S., 415 (n. 6), 417 (n. 12).

LANTERI B., 159, 160, 161 (y n. 5), 162 (n. 8),
164, 168, 170, 249, 390.

LANZA G. (ministro), 73, 125 (n. 65), 157, 319.

LANZA G., 167 (n. 18).

LASAGNA L., 175 (n. 49), 462 (n. 22), 471 (n.

51), 541, 545.

LASTREILLE C., 110 (n. 2).

LAZZERO G., 42, 83, 335, 343 (n. 27), 345 (n.

31), 349 (e nn 42, 43), 354 (e n 58), 543.

LE CAMUS É., 168.

LE NAIN DE Tape / tour, 49 (e n. 38).

LE PLAY F., 97.

LEMOYNE GB, 24 (e n. 9), 25, 27, 30 (e n. 21),
37 (e n. 3), 38-40 (e n. 13), 41, 42 (e n. 16) ,
43 (e n. 18), 44-46 (e n. 26), 47 (e n. 31,
33), 49, 50-54 (e n. 50), 55-58 (e n. 59) , 59,
60 (e n.63), 61-64, 115, 121 (n.49), 123 (11.

59), 133, 155 (n. 37), 208 (n.7), 217 (e n.

43), 446, 464 (n. 29), 542.

LEON XIII, 73, 106, 142, 199, 200, 462 (n.22),
488, 489, 492, 499, 525 (e n.1), 531, 532.

LEONARDI P., 165

LEONARDO DE PUERTO MAURICIO (s.), 389 (n.

78).

T.pssoNa M., 421 (n. 26).

LEVI-STRAUSS C., 32.

LHOMOND Ch.-F., 389 (No. 79).

LIGORIO L., 302 (e n. 7).

LIOY P., 421 (n. 26).

LISIAS, 39

LivilDER R., 471 (n. 49).

LORIQUET J.-N., 146.

LOTH A., 204 (n. 144).

LUCATELLO E., 44 (n.22).

Lunovic M., 466 (n.36).

Luis DE FRANCE (s.), 94.

Luis GONZAGA (s.), 155, 167, 251, 254, 381 (e n.35), 383 (e n.43), 387, 429, 444.

LUPO T., 161 (n.5).

LUTERO M., 111 (n. 6), 131, 145, 151, 152 (e n. 26), 154.

Luce [G., 75 (n.12).

LLAUDER L.1W de, 192, 198 (n.120), 199 (n.112).

LLUCH E GARRIGA J., 475, 476 (e n. 4), 477, 478 (e n. 15), 479, 480 (e n. 19), 481 (e n. 23, 25), 482-486 ( No. 44), 488, 489, 491, 497, 502, 503.

Li.m. R, 507.

MACCAGNO A., 212 (e n. 20), 221 (n. 8), 226.

MACCONO F., 207 (n.2), 209 (e nn.8, 9), 210
( n.14 ), 211 (nn.16, 17), 222 (n.13), 223
(nn.15, 16).

MACHIAVEIII N., 329.

MAGNANI L., 455.

MAGONE M., 42, 47, 178, 281 (n. 79), 282 (e n.

81), 311, 312 (e n.26), 327, 394, 420, 430,
375, 376, 385 (nn 59, 60, 62), 386 (n.68),
388, 394 (e n. 96), 510 (n.12).

MAISTRE J. de, 109 (e n. 3), 149, 160, 179.

MALATESTA A., 436 (n.34).

MALAURIE J., 96 (n.3).

MALGERI F., 12, 17, 161 (n.3), 422 (n.29), 441,
435 (n: 22).

MANNING HE, 124, 377 (n. 13).

MANOLINO G., 44

1VIANTEin B., 414 (n.3).

MANZONI A., 111, 156 (e n. 40).

MAFIÉ E FLAQUIBt J., 187.

MARANGON P., 241 (n. 23).

MARCEL G., 451.

MARCHIS V., 351 (n. 49).

MARCHISIO S., 42, 44, 46.

MARCOCCEII M., 12, 17, 159, 264 (n.22).

MARCORA C., 157 (n.43).

MARENCO G., 62 (n.65), 355 (n.60), 481 (e n.

23).

MARFSC.ALCHI A., 436.

MARET (mons.), 118

MARGOTTI G., 444 (e n.22).

MARTA CRISTINA (regina), 480 (e n. 20).

~ ni G., 160, 250.

Marrriffisi J., 34 (e n. 28), 145 (e n. 1).

MARROU H.-I., 47 (n.35), 50 (n.242), 317 (n.

2).

MARSIII S., 393 (No. 91).

MARTÍ C., 193 (n 88).

MARTÍ GELABERT L., 190 (n. 69).

MARTÍ M., 74 (n.11).

MARTÍ E CODOLAR J., 190 (n. 69).

MARTÍ-CODOLAR L., 187, 190, 191.

MARTÍN A., 83, 180 (n.14), 341, 477 (n.10,
11), 478 (mi.12-14), 479 (n.17), 480 (n.

19), 481 (n.22-25), 482 (n.28), 487 (n.46),
488 (n.51), 497 (n.87), 500 (n.100).

MARTÍN E BEYA M., 204 (n. 146).

MARTINA G., 5, 12, 111 (n. 6), 118 (n. 36), 119
(n. 38), 120 (n. 42), 123 (n. 60), 127 (n. 78),
150 (n.20), 220 (e nn.3.5).

MARTmEin A., 132 (n. 102).

MARTINELLI GM, 165

1V1ARTINELLI R., 74 (n.11).

MARTDIENGO F., 446.

MARTÍNEZ AZCONA A., 509 (numero 10), 538 (numero 2).

MARTINI CM °., 17.

MASFERRF.R J., 196.

MASON T., 529 (e n. 7).

MASSARA L., 162 (n.8).

~ OS GAGO F., 476.

MATrAi G., 34.

MAUPASSANT G. de, 96 (n. 3).

MAzzARELLo A., 341.

MAzzARELLo F., 226 .

~REID M*.D. (s.), 207-218, 219-230, 341,
545.

MAZZARELLO P., 211, 212 (y n. 25), 226.

MAzzARELLO DI GIUSEPPE M*., 226.

MAZZINI G., 453.

MEDICA G., 116 (n. 26).

MEILLE J.P., 376.

MELLA L. de, 192.

MENDRE L. , 489, 490, 493 (n. 72), 494, 498,
502 (n. 108).

METASTASIO, 329.

METz J.B., 158 (n. 46).

MEZZADRI L., 150 (n. 20), 166 (n. 16).

MIALARET G., 342 (n. 24).

MICCOLI G., 165 (n. 15).

MiainErii A., 436.

MmAn M., 11, 17, 124 (n. 62), 209 (y n. 12),
210 (n. 13), 230 (n. 51), 373 (n. 2).

MIELE M., 147 (n. 9).

11112s. Y FONTANAIS M., 187.

MHANESI G., 262 (n. 12), 288 (n. 101).

MILANESIO D., 469 (n. 44).

MINGHETTI M., 73.

MOCQUEREAU, 453.

MOGLIA D., 46.

MOGLIA Gior., 44, 46 (y n. 28).

MOGLIA Giov., 46.

MOHANIED II, 153.

MOLA A., 151 (n. 24).

MOLINARI F., 12, 114 (n. 21), 129 (n. 87), 145,
147 (n.9), 151 (n. 24), 155 (n. 37), 161 (n.

4), 420 (n. 23).

MOIINEIUS M., 29 (n. 20).

MONTALE B., 442 (n.22).

MONTALEMBERT Ch., 111.

MONTBOISIER H., 55

MOI'mcoNE A., 530 (n.10).

MORAZZETTI SP, 225 (n.29).

MORENO (mons.), 375 (n.9), 423, 443, 445,
462, 544.

MORÉ e Boscs J., 204 (n. 146), 191.

MORÉU LACRUZ E., 190 (n. 74).

MORGADES E Gni J., 187, 195, 203.

MORGANTI E., 168 (n. 20).

MoRicHim CL, 262 (e n.13).

MORO R, 438 (n.35), 530 (n.11).

MORO T. (s.), 154 (n.36).

MossE GL, 422 (n.28).

Morro F., 11, 12, 17, 28 (e n.17), 29, 42 (n.

15), 53 (n.48), 146, 147 (e n.6), 67, 281 (n.

76), 300 (n.2), 370 (n.46), 539, 540, 545.

MUCCI G., 119 (n.37), 146 (n.3), 157 (n.42).

MONTADAS E VILARDELL JF, 187 (n.53), 197 (n.

117), 199 (n.124), 201 (n.131).

Munaloo L., 44, 155, 161, 170 (n.30), 171,
172 (n. 35 ), 233, 238, 261 (n.9), 339 (e n.

17).

MUIUALDO R., 262.

MescEnA C., 413 (n.2).

NAI L., 354.

NAMUNCURA C., 467 (n. 38).

Namuncura. M., 467 (n. 38).

NANNI C., 16 (numero 2), 29 (numero 18), 260 (numero 3), 275
(numero 59), 367 (numero 40), 541 (numero 4, 5).

NAPOLEÓN, 148, 149.

NAZARI CALABIANA (mons.), 428 (n. 54).

NEGRI B., 377 (n.15).

NESTI A., 414 (n. 4).

NEWMAN E., 98, 111, 120, 130, 156 (e n. 41).

NORDERA L., 121 (n. 51), 254 (n. 68).

NÚÑEZ M`.F., 12, 475, 476 (mi 4, 6).

OBERTI E., 500 (n. 100).

OCCHIENA M., 41

ODASSO G., 245 (n. 29).

OLIER JJ, 171.

° UVERAS E DE ESRAÑOL JM °. di, 192.

ORBIGNY A. d ', 462.

ORIOL DODERO J., 194.
ORLANDI G., 164 (n.12), 165 (n. 13). ORTEGA M °., 47 (e n.34).

ORTOLEVA P., 414 (n. 4), 430 (n. 4). OssOLA C., 415 (n. 6), 417 (nn. 11, 13). OZANAM F., 161, 180.

PABLO VI, 145, 626 (n. 2).

PABLO DE LA CRUZ (S.), 165 (y n. 14).

PADILLA A., 471 (n. 49).

PAESA P., 458 (n. 5), 470 (n. 45).

PAGANI G.B., 172 (n. 35).

PAGANO T., 169.

PAGLIA F., 341.

PALESTRINA G.P.L., 453.

PALUMBIERI S., 31, 241 (n. 22), 358 (n. 5), 363
(n. 30), 527 (n. 3), 541 (n. 4).

PALLARÉs N., 478, 497.

PALLAVIcINI C.E., 390.

PALLAVICINO P., 160.

PALLarri V., 165 (y n. 14), 166, 396.

PANFILO L., 351(n. 48).

PAPA E.R, 246 (n. 34).

PARK A., 83.

PARRAVICINI L.A., 418.

PASCUAL DE BOFARULL C., 190.

PASCUAL DE BOFARULL M.M*, 190 (n. 74), 204.

PASCUAL DE BOFARULL N.M'., 187, 190 (y n. 74),
206, 284 (n. 146).

PASCUAL DE BOFARULL 0., 190.

PASCUAL DE BOFARULL P., 190.

PASCUAL DE BOFARULL S., 190.

PASCUAL E INGLADA S.A., 190 (y n. 71), 192.

PASOLINI G., 250.

PASSAGIIA C., 117.

PASSAVANTI J., 377 (n. 13).

PASZTOR L., 81 (n. 2).

PAVERIO 405 (y n. 58).

PAVIA (gen.), 189.

PAVIA G., 279 (n. 70), 341.

PAZZAGLIA L., 12, 17, 64, 238 (n. 4), 259, 262
(n. 10), 272 (n. 47), 280 (n. 73), 286 (n. 93),
309 (n. 21), 344 (n. 30), 348 (n. 41), 351 (n.

50), 363 (n. 32), 420 (n. 21), 528 (y n. 4).

PEDRINI A., 172 (n. 41).

PELLEGIUNO M., 34 (y n. 27).

PELLEREY M., 11, 362 (y n. 29), 363 (y n. 31).

PELLICO F., 73, 159.

PELOSO C., 43.

PENCO G., 389 (n. 80).

PERADOTTO F., 370 (n. 47).

PERRINI M., 240 (n. 15).

PERROT P., 354 (y n. 58).

PESTARINO D., 211 (nn. 16, 17), 212 (y n. 27),
213, 216 , 217, 221 (n. 8), 222 (y n. 13), 224 (n. 22), 223 (nn. 15-20), 224 (nn. 24, 25,
27), 226 ( y nn. 32, 34), 227, 228 (n. 42).

PEI MI DI RORETO CI, 262, 263 (n.13).

PEYRON A., 310.

Pucarrnsio G., 341

Pro GB, 44

PILCA J., 11, 168 (n.22), 175 (n.50).

Picattn..Lo C., 157 (n 42).

PIEDRA BUENO L., 462.

PIEPER I., 252 (n. 60).

PrE, Rarri A., 170 (n ° 30).

PINAMONIT GP, 160 (n.3).

Pio IX, 73, 77, 99, 111 (e n.6), 115, 117 (II.

29), 119 (e n 39), 120 (n 42), 121 (n 51),
123, 127 (e nn 74-79), 131, 133, 136, 139
141, 147 (e n 6), 151 (e n.25), 157, 166,
186 (n 49), 199, 278, 279, 307, 396, 406,
439, 470, 492, 494, 531, 532, 533.

Pio VI, 149.

Pio VII, 149, 159.

P10 X, 228 (n.41), 254 (n.68), 393 (n. 91).

Pio XII, 151 (n. 24), 530 (n. 10).

Pum P., 159 (n.1).

PIRRO D., 409.

PISA B., 285 (No. 91).

PLSCETTA L., 44.

PIVA F., 435 (n.22).

PIVATO S., 12, 32, 365 (n. 34), 367 (n. 40, 41),
415 (n. 6), 418 (n. 15), 419 (n. 19), 422 (n.

28) 429, 431 (numero 7), 434 (numero 17), 436 (numero 26),
438 (numero 36), 442 (e numero 9).

PIANI E PUJOL F., 194 (No. 91).

PLATON, 506.

PLONGERON B., 158 (n.47).

POLACEK J., 83.

PONS E SERRA I., 191.

PONTE P., 311.

PORCIANI I., 423 (No. 32).

PORTEI.LI A., 414 (No. 4), 430 (n. 4).

POSADA ME, 12, 31, 207, 208 (n.3), 209 (n.

12), 210, 211 (n.15), 214 (n.33), 216 (n.

41), 217 (nn 43, 44), 219, 221 (nn 8, 9),
222 (n. 14), 224 (n. 23), 229 (n. 49).

POULAT É., 17, 93, 531 (n. 13), 544.

POUPARD P., 12.

POURRAT P., 49

PRELLEZO GARCÍA JM, 6, 11, 12, 16 (n.1), 17,
22 ( n.5 ), 29 (y n.18), 30 (e n.21), 36 (n.

34), 277 (n. 67), 283 (n. 85), 324 (n. 24), 326
(n. 32), 333, 337 (n. 13), 542 (n. 8), 543.

PRINI P., 241 (y n. 22), 527.

PRINZIVALII V., 436.

PROVANA DI COLI FGNO L., 160, 161.

PROVENA F., 42, 402. PROVERBIO G., 366 (n. 38). PRUDENCIO C., 507 (n. 6). PUIG Y BENTTEZ A., 190. PULINGATHIL M., 282 (n. 82). PUTHOTA B., 11.

QUADRUPANI C.G., 160 (n. 3).

QUESADA V., 462.

QUINTIIIANO M.F., 507 (y n. 4).

QUINZIO S., 33 (y n. 25) 238 (n. 6), 248 ( y n
43), 541(n. 4).

RABAGLIATI E., 47 (y n. 34).

RAMELLO G., 324.

RASTELLO S., 388 (n. 77).

RATrAzzi U., 147, 157, 272, 273 (y n. 53), 402.

RAVENNA G., 55, 56.

RAVINA F., 426 (n. 45).

RAYNEIU A., 254 (n. 67).

REFFO E., 261 (n. 9), 304 (n. 9), 310 (y n. 23).

REINHARD W., 35 (n. 29).

REMOM T., 341.

RÉmY J., 21 (n.1).

RENAU F. de A., 196.

RENZI G., 22 (n. 14).

REPOSSI C., 435 (n. 20).

REVELLI M., 414 (n. 4), 430 (n. 4).

REVIGLIO F., 44, 251.

REY A., 165 (n. 14).

REY-MERmEr Th., 164 (n. 12).

RIBER L., 510 (n. 13).

RICALDONE P., 23, 26, 252 (n. 56), 317 (y nn. 2,
3), 326 (n. 30).

RICASOLI B., 73, 132 (n. 100), 157.

RiccAitni DI NErRo A., 137, 544.

RICCERI L., 27, 457 (n. 3), 463 (n. 26).

RICUPERATI G., 319 (n. 8), 346 (n. 36), 423 (n.

32).

RiGoLni M., 367 (n. 40), 455.

RILKE R.M., 455.

RINALDI F., 39, 404, 470.

RINGEISEN D., 398 (n. 24).

RimER11., 159 (n. 1).

RIPA P., 116 (n. 27), 129 (n. 86).

RIvA C., 150 (c. 21).

RIZZINI F., 246 (n. 36), 247 (n. 37), 250 (n. 49).

RosEwri G.B., 177 (n. 61), 178 (n. 61).

ROBESPIERRE M. de, 151, 152, 153 (n. 30).

RocA (presidente), 469.

RoccA G., 220 (n. 4), 228 (n. 44), 341.

ROCCIIMITI G., 401.

RODA G., 29.

RODRIGUEZ SAN PEDRO L.E., 509 (n. 7).

RODRIGUEZ-CARBALLO J.M's., 205.

ROJAS R., 469 (n. 44).

ROMANÍ E PUIGDENGOLAS F., 198 (n.120), 199
( n.112 ), 200.

ROMANO L., 54 (e n. 50).

ROMEO R., 161 (n.5), 342 (n. 24).

ROMERO C., 31, 221 (numero 9), 227 (numero 39), 539,
545.

Romo JJ, 483 (e n.31).

ROMUALDO (s.), 155

RONCHAR. GB, 352, 354 (n. 58).

ROOTHAAN G., 159 (e n. 1), 162 (n. 8), 164.

ROSA E., 63

Rogara A., 21, 58, 73, 111 (e n. 7), 118, 125,
150 (e n. 21), 156 (e n. 41), 160, 162, 169 (e
n. 29), 250, 302 (e n.8), 396, 416.

Rosas GF, 157 (n.43), 450 (n.8).

Rossi A., 248, 354.

Rossi G., 44, 46 (n. 277), 478, 484.

Rossim G., 453. ROSTAGNO, 141. ROUQUAUD E., 462.

ROUSSEAU 145, 151, 153 (n ° 30), 377.

ROUSSEAU 0., 393 (n. 91).

RUA M., 30 (n. 21), 37 (n. 3), 38, 39, 42-44, 81, 83, 123 (n. 57), 223 (n. 19), 224 (n. 22, 24), 226 (n.31), 278, 318 (n.5), 327, 330, 334 (e n.4), 340 (n.20), 341, 355 (n.59), 402, 408 , 479, 495 (e n.80), 497 (e n.84), 510, 540, 543.

RUFFINO D., 42, 43, 46, 81.

RuscoNI R., 165 (n. 14).

Rimo L., 413 (e n. 1).

SABAITNI A., 33.

SACCARELLI CA, 168 (n. 20).

SACCARELLI G., 314.

SAINT-SIMON Cl.H., 153 (e n. 31).

SALA A., 42, 340 (n. 19), 354 (n. 58).

CAMERE JH, 459 (n. 9).

SALOM C., 25 anni

SALZANO TM, 147 (n. 9).

SANS J. de, 197, 199 (n.124), 200, 201 (n.
131).

SANTUCCI U., 83.

SARDA E SALVANIA F., 192, 196, 201, 206 (e
148), 475.

SARmtErrro (presidente), 469.

SALVATORE Ang., 44, 48.

SAVIO Asc., 44, 53 (e n.49).
SAVIO D. (s.), 42, 178, 282 (e n. 81), 311, 312 (n. 26), 327, 365, 375, 376, 380 (e n. 35), 388, 391 (n 83), 394 (e n.96), 430, 447 (n. 29).

SCALABRINI GB, 147 (n.7), 157 (e n.43). SCIANDRA G.11 *., 226.

Scir Lic, o P., 31.

SCOPPOLA P., 12, 17, 34, 35 (n. 29), 49, 50 (n. 40), 107, 238 (e n. 5), 240 (n. 16), 241 (e n.

21), 359 (n. 9), 419 (n. 19), 442 (e n. 7), 466
(e n. 37), 470, 471 (n. 48), 541 (n. 4), 542 ,
544.

Sconi P "463 (n.24).

Scuitim C., 12, 357 (e n.1).

SCEIEEBEN MJ., 111

SCHEIBE S., 74 (n.11).

Scherel M., 505 (e n. 1).

ScHauNG FWA, 451.

SCHEPENS J., 11, 12, 18, 29 (e n.19), 64, 164 (n.

11), 174 (n.46), 375 (n.8).

ScHLAPFER G., 83.

SCIIMIECHEN JA, 35 (n. 29).

SCHOPENHAUER A., 455.

SCHUMANN, 451

SEATON WATSON C., 146 (n. 5).

SEGUR G. de, 389 (No. 78), 390.

SICURO, 509 (n.8).

SEERARo C., 252 (n 60).

SEME1UA G., 438 (n.38).

SERRA JIM., 191.

SERRA E CHOPITEA 11/1 ° J., 187.

SERRA E MuÑoz JW, 187, 190.

SERVET M., 154.

SFORZA G., 12, 451, 455.

SINISTRERO V., 319 (nn 6, 7).

SMEDT Ch. De, 49

SMILES S., 421 (n. 26).

SOAVE F., 146.

SOCRATE, 506

Sono "M., 367 (n. 40).

SOLDAN 'S., 336 (numeri 9, 10).

SOLDEVITA F., 189 (n. 65).

SOPEÑA A., 12, 515.

SPINI G., 270 (n 39).

SPINOLA E MAESTRE M., 499, 500 (e il mio 99, 101),
501-503, 475 (e n. 2).

STAGNOLI S., 367 (n. 40).

STELLA P., 11, 12, 17, 22 (n.6), 24 (n.8), 31 (n.

22), 36 (n.34), 44, 81 (n.2), 83, 86 (n.15), 112 (n.8), 116, 117 (nn.29, 30), 120 (mi. 47, 48), 121, 122 (e n 54), 124 (e mi 62, 64), 125 (n. 70), 129 (n. 84), 131 (n. 96), 147 (n. 8), 150 (n.22), 157 (n.44), 160 (n.2),
162 (n. 8), 163 (n. 10), 164 (n. 11), 168 (nn. 21-23), 169 (n. 26), 172 (nn. 35, 36), 173 (n. 40), 175 (n. 49), 178 (n. 63), 220 (n. 6), 225 (n. 31), 230 (n. 51), 243 (n. 26), 245 (n. 30), 246 (n. 35), 247 (nn. 37-39), 250 (y nn. 4850), 254 (n. 67), 255 (n. 69), 263 (nn. 14, 17), 264 (nn. 21, 22), 266 (y n. 27), 269 (y nn. 34, 36), 271 (nn. 42, 44), 276 (n. 63), 278 (n. 68), 279 (n. 72), 280 (n. 74), 284 (Y n. 86), 285 (n. 90), 301 (n. 5), 306 (n. 14), 309 (n. 21), 313 (n. 28), 314 (nn. 30, 31, 32), 315 (n. 33), 317 (y n. 4), 322 (nn. 16, 19), 326 (n. 31), 335 (n. 7), 336 (n. 8), 337 (n. 12), 338 (n. 15), 339 (n. 16), 366 (n. 38), 369 (y n. 44), 373 (n. 2), 375 (n. 7), 383 (n. 44), 384 (n. 55), 385 (y nn. 59, 63), 387 (y nn. 69, 71), 388 (nn. 73-76), 389 (n. 80), 394 (n. 97), 395 (nn. 1, 2, 3), 397 (n. 17), 398 (n. 19), 400 (nn. 31, 32), 401 (n. 35);402 (nn. 36, 40), 404 (n. 50), 405 (n. 64), 408 (n. 89), 418 (u. 15), 420 (n. 24), 423 (nn. 30, 34, 35), 424 (nn. 36, 39), 425 (y nn. 41-43), 426 (nn. 46, 47, 48), 427 (nn. 51-53), 441 (y nn. 1, 5), 444 (y n. 21), 445 (n. 24), 446 (n. 27), 449 (n. 31), 458 (nn. 5, 7), 459 (n. 8), 461 (nn. 15, 16), 471 (u. 50), 538, 542 (y n. 8), 543, 544, 545.

STRAFFORELLO G., 421 (n. 26).

Sum 'VM, 167.

STRANIERO ML, 153 (n.32), 358 (nn.2-4), 424 (n.38).

STRANO S., 385 (n. 61).

STEuS J., 168 (n.22), 174 (n.50).

STURZO L., 435 (e n.22).

SZANTO E., 462 (n. 21), 470 (n. 45).

TALAMANCA A., 286 (n 93).

TALAMO G., 319 (n.8), 416 (u.7).

TAIIBURINI L., 21 (n.2).

TAPARELLI D'AZEGLIO C., 160.

TAPPARELLI D'AZEGLIO P., 318.

TAVANO L., 83.

TAVERNA, 418.

WEAVING JM, 476 (numero 5), 483 (numero 32).

TERESA DE JESÚS (S.), 166.

TERRONE L., 179.

TmIVENOT X., 31, 57 (e n 58), 361 (e n.24),
368 (n.43).

THOURET A., 160, 170 (n. 30).

TmoN-DAvro J., 340.

Trio Livio, 39 anni

Tow F., 433 (n. 14).

TOMA'FIS D., 462 (n.22).
TOMMASEO N., 73.

TONELLI A., 336 (n. 9).

Tom A., 82 (n.7), 85 (n. 14).

TORRAS E Bages J., 196.

Cough ', 172 (U 35).

TRABUCCO C., 435.

TRAMONTIN S., 12, 18, 237, 247 (n.39), 254 (n.

68), 528.

TRANFAGI1A N., 414 (n. 4), 430 (n. 4).

TRANIELLO F., 12, 17, 21 (e nn.1, 2), 22 (n.6),
31-33 (n.24), 35 (n.29), 64 (n.72), 107, 146
(nn.3, 4), 157 (n.43), 162 (nn.8, 9), 238
(nn.4, 7), 262 (n.10), 270 (n.40), 306 (n. n.

15), 309 (numero 21), 358 (numero 8), 361 (numero 32), 365
(numero 34), 366 (numero 36, 38), 418 (numero 15), 419 (numero .

17), 420 (nn.20, 21), 422 (n.28), 423 (n.

33), 437 (n.33), 438 (n.37), 442 (e nn.8,
10), 446, 458 (n.8), 527 (e n.2), 528 (e n.

4), 535, 541 (n.4), 542, 544.

TRANSFT F GT, 74 (n.11).

TREBILIANI M ° .L., 32.

TRIONE S., 446.

TRIVERO G., 305.

TarYTER Ch.L., 379 (e n. 24).

TROCHU F., 170 (U. 30).

TUNINETIT G., 12, 72 (n. 9), 135 (y n. 1), 162
(n. 8), 306 (n. 15), 428 (n. 54), 533 (n. 15),
544.

TURATI F., 439.

TURCHI G., 44, 141.

TURCO G., 44.

UBALDI P., 34.

ULYSSE G., 71 (n. 6).

ULLOA (marqués de), 477, 478, 481, 484. USSEGLIO G., 162 (n. 8).

VALENTIN J.M., 509 (n. 8).

VALENTINI E., 37 (n. 6), 39 (n. 10), 72 (n. 8),
113 (n. 13), 175 (n. 50), 403 (n. 48), 422 (n.

29), 441 (n. 3), 445 (n. 25), 447 (y n. 29).

VALEIU0 L., 301 (y n. 6), 416, 423.

VALFRÉ S., 169.

JAISECCHI T., 83.

JALLAITIU T., 73.

TALLE A., 169 (n. 29).

TECCHI A., 169 (nn. 28, 29), 172, 542 (u. 8).

/ECCE" J.E., 16 (n. 1), 22 (n. 5), 36 (n. 34),
296.

TENÉ G.F., 421 (n. 27).

TENERUSO D., 240 (n. 17), 248 (y nn. 40, 42),
420 (n. 21).

TERCESI 25.
VERDAGUER J., 196.

VERDI G., 452, 453.

VERGÉS F., 196.

VERGÉs JM *., 186, 187.

VERHULST M., 325 (n.28).

VERNA AM, 170 (n. 30).

VERONESI M., 42

Volum G., 165 (numero 15), 416 (numero 7), 418 (numero 14),
421 (numero 26), 422 (numero 28), 423 (numero 32).

VIAL J., 342 (n. 20).

VICENTE R., 6

VICENTE DE PAUL (S.), 155, 165, 166, 169, 170,
176, 259, 487.

VmussEnc G., 416.

VIGANÓ E., 14, 42-44, 157, 241 (e n.20), 245
( n.29 ), 256 (u.74).

VIGLIETIT CM °., 42, 44, 65, 182 (n. 23), 181,
184, 185, 196 (n.105), 204 (n.145).

VIGNOLO GB, 42

VIGO G., 436 (n. 27).

VILARRASA E., 192, 196.

VILLA G., 44

VILLENEUVE (conteggio), 179.

VINAY V., 376 (n.10), 379 (n. 24).

VIRGILIO PM, 39.
Vrrromo EmANUELE II, 73, 146, 157, 400 (n.

32).

VIVES F., 204 (n. 146).

VIVES L., 507, 510 (n.13).

VIVES E AMAT F., 192.

VIVES e Tino JC, 31.

VoLA GI, 305

VOLTAIRE F.-A. di, 94, 151, 152, 153 (u.30),
377.

VON BALTHASAR U., 158 (n. 46).

VON HALLER, 160 (n. 3).

VoRAGNE J. de, 62

WACICENRODER WH, 451, 454, 455.

WAST H., 25 anni

WEINSCHENK R., 31

WESSEtS G., 476 (n. 4).

111TARTH M., 106 (n. 106).

ZANELLA G. 241 (e n.23), 242 (n.23), 256 (yn
73).

ZAPPATA G., 137, 402.

ZIGGIOTTI R., 23

ZOFFOLI E., 165 (n. 14).

Zow P., 366 (n. 36).

INDICE GENERALE
Introduzione 5
Presentazione 7
Acronimi delle opere più citate 9
Organizzazione Congresso 11
salutare il Congresso (E. Viganò) 13
Introduzione (R. Giannatelli) 15
Prima parte: Don Bosco STORIOGRAFIA
Balance forme di conoscenza e studi di Don Bosco (Pietro
Stella) 21
1. la riflessione salesiano sul sistema educativo di Don Bosco sul palco
dopo la seconda guerra mondiale 22
2. dalla ricerca filologica-letterario alla rilettura globale 23
3. recenti contributi di studio e forme di conoscenza in ambito non
salesiano 32
Come ha lavorato su "Memorie Biografiche" (Francis Desramaut) 37 autori
1. Memorie Biografiche di Don Bosco 37
2. I tre autori del procedimento 37
3. Il titolo generale del lavoro 40
4. La predominanza di Don Lemoyne su complesso 40
5. ricerca e sistematizzazione dei documenti 40
6. comprensione e all'uso dei documenti 45
7. indifferenza nella comprensione dei documenti 47
8. utilizzando la documentazione 50
9. spiegazione "carismatici" don Bosco fatta da don Lemoyne 57
10. procedimento don Cenia 60
11. 63 osservazioni conclusive
L'epistolario come una fonte di conoscenza e studio di don Bosco.

Progetto di edizione critica (Francesco Motto) 67
0. Osservazioni preliminari 67
1. La ragione costitutiva dell'epistolario e la sua edizione critica 70
1.1. Un servizio insostituibile per il biografo e lo storico 70
1.2. Strumento di lavoro per molti studiosi 72
2. I problemi fondamentali del metodo 74
2.1. La recessione ecdotica 75
2.2. L'edizione del testo 77
2.3. Note dell'Editore 78
3. Conclusione 80
La situazione e l'uso dell'Archivio Salesiano Centrale (Raffaele Farina) 81
1. Brevi notizie storiche sull'Archivio dagli inizi fino al 1972. 81
2. I problemi che sorgono dopo il trasferimento a Roma (1972) 84
3. Riproduzione del "Fondo Don Bosco" su microfiches (1979-1980) 85
4. La recente sistematizzazione dell'Archivio (1984-1988) 86
4.1. Il Regolamento dell'Archivio Salesiano Centrale (24 maggio 1985) 87
4.2. La preparazione per il computer 88
4.3. Il computer di processo 89
Part Two : DON BOSCO IN QUESTO IGT E SOCIETÀ
Don Bosco e la Chiesa nel mondo del suo tempo (Émile Poulat) 93
1. Contesto 93
2. Don Bosco ei Salesiani in Francia 101
Il esperienza e senso della Chiesa nell'opera di Don Bosco (Juan María Laboa) 109
1. Don Bosco nel contesto della Restaurazione 109
2. Immagini della Chiesa 111
3. Una società piramidale e autoritaria 113
4. Mentalità pratico e utilitaristico 121
5. Don Bosco e Pio IX, 126
6. Santa Chiesa e santificare 128
7. 132 Church esperienza
Conflitto tra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi (1871
1883) (Giuseppe Tuninetti) 135
1. Elementi per la spiegazione di un contrasto conosciuto 135
2. Le cause 137
3. Due tipi di formazione e due concezioni ecclesiologiche 138
4. Il periodo più critico 141
5. In sintesi 142
Chiesa e mondo nella «Storia Ecclesiastica» de Don Bosco (Franco Molinari) 145
1. Introduzione 145
2. Chiesa e mondo 148
3. Considerazioni finali 157
Alla radice della spiritualità di Don Bosco (Massimo Marcocchi) 159
1. Il clima storico in cui Don Bosco visse e operò 159
1.1. Le "Amicizie" e gli Oblati di Maria Vergine 160
1.2. Il "Convitto" ecclesiastico 161
1.3. Rigorismo, probabilismo, morale alfonsiana 163
1.4. La figura e la dottrina di S. Alfonso 164
1.5. Influenza alfonsiana nella pietà 166
1.6. Il successo di San Francisco de Sales 167
1.7. La tradizione spirituale filippina 169
1.8. La tradizione vincenziana 170
2. Atteggiamento e mentalità di Don Bosco 172
2.1. Formazione sacerdotale in un clima rigorista 172
2.2. L'influenza determinante di Don Cafasso 173
2.3. L'importanza centrale attribuita a San Francisco de Sales 174
2.4. Il riferimento a San Felipe Neri 175
2.5. Gli echi di San Vicente de Paul 176
2.6. Don Bosco maestro di una spiritualità originale 177
Don Bosco e associazioni cattoliche in Spagna (Ramón Alberdi) 179
0. Introduzione 179
1. Don Bosco in Spagna e associazioni cattoliche 181
2. L'Associazione cattolica di Barcellona 186 '
2.1. Origine e sviluppo 186
2.2. I partner 189
2.2.1. Prima della repressione del 1873 189
a) I futuri cooperatori salesiani 189
b) I futuri donatori del vertice del Tibidabo 191
c) I futuri fondatori della casa salesiana di Gerona 192
d) Altre menzioni 192
2.2.2. Dopo la ripresa delle attività nel 1877-1878 193
a) I Cooperatori salesiani 193
b) Il gruppo dei chierici 195
2.3. Obiettivi, mezzi, mentalità 197
a) adesione al il Papa e la difesa del sacerdozio 199
b) il cattolicesimo e la patria 199
c) la professione pubblica della fede cristiana 200
d) di anti - protestantesimo e antiliberalismo 200
e) Unire le forze per combattere 201
e promozione culturale e scuola del villaggio 201
3. Altre associazioni cattoliche 202
4. Conclusioni 205
don Bosco e Maria Domenica Mazzarello: storico e rapporto spirituale (Anita
Deleidi) 207
0 207 Premessa
1. Interpretazione del rapporto storico tra Don Bosco e Maria Mazzarello
nel campo Salesiano 208
2. Linea storica di relazione 210
2.1. Prima della fondazione dell'Istituto (1862-1872) 211
2.2. Dopo la fondazione dell'Istituto (1872-1881) 213
3. significativi Mediations 216
4. Significato del rapporto in prospettiva della spiritualità 217
5. Osservazioni conclusive 218
Le Figlie di Maria Ausiliatrice Don Bosco in materia (Maria
Esther Posada 219
1. Un nuovo orientamento spirituale (1860-1870) 222
2. Una vera opzione storica: il "momento" della fondazione (1871-1872) 225
3. Una progressiva consapevolezza di appartenenza legale (1872-1876) 227
4. Osservazioni conclusive 229
Don Bosco e la società civile (Giuseppe Bracco) 231
Don Bosco e il mondo del lavoro (Silvio Tramontin) 237
1. Un contesto complesso 237
2. Concezione del lavoro in Don Bosco 239
3. Tipi di lavoro 243
4. Iniziative per il mondo del lavoro 244
4.1. Le prime iniziative 244
4.2. Seconda fase 246
4.3. Verso la scuola professionale 248
4.4. 249 iniziative editoriali
5. lavoro e di riposo 251
6. Il lavoro e la pietà 253
7. In sintesi 256
Parte terza: DON BOSCO E FDUCACIÓN
L'opzione per i giovani e l'approccio educativo di Don Bosco (Luciano Paz
Zaglia) 259
1. Il primo esperienze tra giovani "poveri e abbandonati" 260
2. Nel clima di tensioni politiche e propaganda antireligiosa 268
3. L'oratorio festivo e la scuola: due sistemi educativi 273
4. Tra i requisiti normativi e nuovi problemi educativi 283
La pedagogia di San Giovanni Bosco nel suo secolo (Guy Avanzini) 291
1. I motivi di esclusione 291
2. A 292 educativo opzione
3. Originalità di scelta educativa 294
4. Don Bosco 'pedagogo' 296
Don Bosco e l'Oratorio (1841-1855) (Giorgio Chiosso) 299
1. oratori e l'educazione popolare a Torino 299
2. dell'Oratorio di Valdocco: 1846-1850 305
3. oratori salesiani 1850 dopo 309
Don Bosco e la scuola umanistica (Bruno Bellerate) 317
1. storici e considerazioni contestuali 318
2. motivazioni e principi generali 320
3. Problemi scolastici specifici 324
4. Strumentazione didattico-didattica 326
5. Riflessioni finali 330
Don Bosco e scuole professionali. Storico approccio (1870-1887)
(José Manuel Prellezo García) 333
0 333 Precisazioni preliminari
1. Don Bosco Workshop: note introduttive 335
2. progressiva separazione tra artigiani e studenti e "grandi progressi di
artigiani (1870- 1878) 337
3. La "Sezione Artigiani": proposte organizzative (1879-1882) 343
• 4. Linee per un piano di formazione in "Case degli artigiani" (1883-1887) 347
5. Presenza di Don Bosco e presenza dei collaboratori: un argomento da approfondire 352
Integrazione delle attività scolastiche e scolastiche nella prospettiva di Don Bosco (Cesare Scurati) 357
1. Oltre la sintesi 357
2. Un nodo critico 360
3. Una soluzione 363
4. Un problema 366
5. Lezioni 371
Penitenza e l'eucaristia nell'educazione secondo Don Bosco (Jacques Sche penne) 373
0. Introduzione 373
1. La dottrina dei sacramenti 375
1.1. La confessione 376
1.2. L'Eucaristia 379
2. La prassi di Don Bosco 381
3. 390 Approfondimenti ulteriori
Don Bosco e la formazione delle vocazioni ecclesiastiche e religiose (Fausto Jimenez) 395
1. Introduzione: esperienza personale di Don Bosco 395
2. Contesto: situazione del clero nel diciannovesimo secolo 396
3. I risultati di Don Bosco 398
3.1. Da ecclesiastici a laici 398
3.2. Vocazioni religiose dei maschi 398
3.3. Vocazioni religiose femminili 399
3.4. Vocazioni per lo stato ecclesiastico in Valdocco 399
3.5. Seminari minori 401
3.6. 403 vocazioni adulte
4. vocazione secondo a Don Bosco 405
5. Perseverance 408
6. Dichiarazioni conclusive 409
Parte Quattro: Don Bosco e CULTURA POPOLARE
Don Bosco nella storia della cultura popolare in Italia (Francesco Traniello) 413
1. Cultura Popolare e dominio semantico 413
2. Cultura popolare e processo di alfabetizzazione 414
3. Due cifre: Cantil e Bresciani 417
4. Le caratteristiche di esperienza Don Bosco 418
5. Broadcast Center e aspetti istituzionali 422
6. Considerazioni conclusive 427
Don Bosco e populare teatro (Stefano Pivato) 429
1. Teatro e Educazione Popolare 429
2. L'idea ispiratrice 431
3. Disseminazione dell'esperienza 432
4. La modernità di Don Bosco 437
Don Bosco e la stampa (Francesco Malgeri) 441
1. Nuovo interesse per l'argomento 441
2. Le ragioni che hanno spinto Don Bosco 442
3 La "Letture Cattoliche" 445
4. La stampa di Don Bosco nella cartella della stampa cattolica 448
Don Bosco e musica (Giulio Sforza) 451
Originalità delle missioni della Patagonia in Don Bosco (Jesús Borrego) 457
1. Patagonia, progetto originale? 458
2. Argentina-Patagonia, terra promessa 460
3. "Non c'era missioni salesiane nel sud [Argentina e Cile], ma le scuole, le
fattorie, chiese ..." 463
4. I Salesiani non ha potuto formare 'riduzioni' reali jesuíti stile
cas di 467 Paraguay'
5. prospettive future 470
parte quinta: COMUNICAZIONI LIBERE
nel gruppo T CASTELLANA INGUA
l'origine della letteratura salesiana in Spagna durante la vita di San Giovanni Bosco (María
Fe Núñez Muñoz) 475
1. La fondazione dei salesiani in Spagna: l'arcivescovo Lluch y Garriga
e la fondazione della casa di Utrera 476
2. Origini della letteratura salesiana in Andalusia 479
2.1. Fonti o canali di informazione 480
2.2. Organismi o mezzi di diffusione 482
2.2.1. Il Bollettino ufficiale dell'Arcivescovado di Siviglia 483
2.2.2. «The Catholic Magazine» 488
2.2.3. stampa andalusa 495
3. diffusione della letteratura salesiana in Spagna 496
4. Per concludere 502
Don Bosco, educatore Joy (Buenaventura Delgado) 505
Un modello umanistico di educazione cristiana (Andrés Sopeña) 515
1. Il modello educativo Don Bosco 515
2. La sistematizzazione del modello 516
3. Contenuto essenziale degli elementi del modello 516
3.1. Funzionamento ottimale (I-1) 516
3.2. La struttura dell'organizzazione (I-2) 516
33. Risorse di modellizzazione (I-3) 516
3.4. Le dinamiche della comunicazione (II-4) 518
3.5. L'iniziativa di familiarità (11-5) 519
3.6. La conferma per reciprocità (11-6) 520
3.7. Il significato della gioia (II-7) 520
3.8. Lo stato di pace (LII-8) 521
3.9. Un modello per un piano di salvezza (III-9) 522
4. Conclusione 522
Parte sesta: SESSIONE DI CHIUSURA
Presentazione (Cardinale Antonio Maria Javierre Ortas.) 525
Don Bosco e la modernità (Pietro Scoppola) 527
1. Don Bosco fa moderna ? 527
2. "Modernità": un concetto complesso 528
3. Chiesa e modernità 530
4. Apertura di Don Bosco alla moderna 532
5. Le radici della modernità di Don Bosco 533
Prospettive e iniziative di ricerca su Don Bosco (Pietro Brai do) 537
1. Uso critico della letteratura trasmessa 537
1.1. Oltre l'idóla: vigilanza e senso critico della misura 537
1.2. Importanza storiografica della tradizione 538
1.3. Problemi e valore degli scritti di Don Bosco, pubblicati e non pubblicati 538
2. Per la disponibilità di documenti scientificamente validi 539
2.1. Scritti non pubblicati di Don Bosco 539
2.2. Modifiche scritte 539
2.3. Le "Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales" 540
2.4. La corrispondenza (vedi comunicazione Motto) 540
2.5. Documenti della congregazione con il sigillo di Don Bosco 540
2.6. Testimonianze contemporanee: cronache, memorie, annali 540
2.7. I processi canonici per la beatificazione e la canonizzazione di Don Bosco 540
2.8. Cronache e corrispondenza di salesiani con rapporti speciali con Don Bosco 540
3. Un problema capitale: una "storia" di Don Bosco 541
3.1. Una biografia con visione totale 542
3.2. Il futuro di Don Bosco 542
3.3. Un divenire nel contesto 543
4. Alcuni esempi di problemi che si presentano 543
4.1. Gli "inizi" di Don Bosco 543
4.2. Don Bosco nella Chiesa, locale e universale 544
4.3. Relazioni con la società civile e "altra cultura" 544
4.4. Don Bosco e "cultura popolare" 544
4.5. Don Bosco e i problemi degli emigrati e delle missioni 544
4.6. Don Bosco, fondatore dei Salesiani 545
4.7. Fondatore di Don Bosco - "co-fondatore" dell'HMA Institute 545
4.8. Lo "straordinario" in Don Bosco "sognatore" e "thaumaturge" 545
Indice dei nomi delle persone 547