(Pontificia Università Salesiana - Roma, 16-20 gennaio 1989)
Edizione in spagnolo diretta da
José Manuel PRELLEZO GARCÍA
LAS - ROMA
EDITORIALE CCS - MADRID
Il volume contiene i documenti presentati al "Congresso Internazionale 1 Studi di San Giovanni Bosco il suo tenuto a Roma dal 16 al 20 gennaio 1989. Esso è pubblicato anche in italiano e in inglese.
Con queste linee non intendo fare un esame critico di tali collaborazioni, né presentare il tema, lo sviluppo e le realizzazioni del Congresso. La partecipazione di storici e studiosi noti pensiero di Don Bosco e la portata delle questioni di garanzia, già, l'interesse e l'importanza di questa pubblicazione ha affrontato. In effetti, il "Primo Congresso Internazionale di Studi su San Juan Bosco" distinto "dal netto miglioramento di tutti approccio agiografico e l'alto livello scientifico della maggior parte delle presentazioni e comunicazioni. ''
Queste righe vogliono semplicemente evidenziare le principali caratteristiche dell'edizione castigliana, al fine di facilitarne la lettura e la consultazione.
Il libro riproduce sostanzialmente i lavori presentati nelle sessioni generali. Gli autori, in un secondo momento, sono stati in grado di completare il testo delle loro collaborazioni e la documentazione necessaria. Solo in alcuni casi - che sono indicati una volta ogni tanto -, la nota bibliografica aggiunta è il lavoro del responsabile del montaggio (nde).
La struttura del volume, tuttavia, non rispetta rigorosamente l'ordine con cui i vari argomenti sono stati letti prima dei membri del Congresso. Tenendo conto delle caratteristiche specifiche delle collaborazioni, la Commissione scientifica ha preferito suddividere la pubblicazione in quattro blocchi tematici omogenei: I. Don Bosco nella storiografia; II. Don Bosco nella Chiesa e nella società; III. Don Bosco e educazione; TV. Don Bosco e cultura popolare.
Il libro completa le "conclusioni" del Congresso e alcune "comunicazioni libere", leggere nel gruppo di lingua spagnola. Per gli editori e le esigenze di spazio, non è stato possibile pubblicare tutte le osservazioni, orali o scritte, presentate in organizzati tre gruppi linguistici (spagnolo, italiano, inglese). Dopo un attento esame, i membri del comitato scientifico sono stati costretti a selezionare solo un piccolo campione di queste "comunicazioni libere" a seconda delle diverse zone linguistiche comprese in ciascuna delle varie edizioni. Il lettore interessato a conoscere le "comunicazioni libere" presentate nel gruppo di lingua italiana o inglese dovrebbe, quindi, consultare le rispettive edizioni.
'G. MARTINA, 111 Congresso Internazionale di Studi su San Giovanni Bosco, in "Journal di Storia della Chiesa in Italia" 43 (1989) 274. Cf. R. Aubert, Congrés in "Revue d'Histoire Écdésiastique" 84 (1989) 1, 275-276.
La presente edizione spagnola è stata preparata dai manoscritti originali, seguendo i criteri brevemente indicati di seguito.
Il testo preparato dai rispettivi autori è stato rigorosamente rispettato. Di questi è la responsabilità totale di ciò che scrivono. Gli interventi negli originali, da parte del responsabile dell'edizione, sono stati fondamentalmente di natura "tecnica": completare, quando possibile, i dati bibliografici; unificare la presentazione dell'apparato critico; correggere alcuni errori materiali, che gli autori, inavvertitamente, non hanno corretto. Quando una di queste correzioni avrebbe potuto significare un cambiamento di direzione o sfumatura di una certa entità, l'opinione dell'autore stesso è stata presa in considerazione.
Se consideriamo i diversi argomenti e, soprattutto, la diversità degli approcci e delle fonti documentarie utilizzate, è facile capire che non è sempre stato facile applicare criteri rigorosamente uniformi. La coerenza e la correttezza metodologica indispensabili sono state combinate con il rispetto delle preferenze degli autori e le caratteristiche dei diversi stili e contributi.
Nell'edizione castigliana ho cercato di non perdere di vista le esigenze dell'ambiente culturale spagnolo e latinoamericano.2 Per la traduzione, è stato possibile contare sulla preziosa collaborazione di Alberto García-Verdugo e Graciliano González. Anche i suggerimenti di Santiago Arribas, Jesús M. García e Rafael Vicent, che hanno letto diverse pagine del progetto, sono stati molto utili. Juan Manuel Espinosa e Nicolás Merino hanno corretto i test di stampa, correggendo le inavvertenze e introducendo miglioramenti formali stimabili. A tutti, miei cordiali ringraziamenti.
Roma, 24 giugno 1989
J. MPG
2 Nell'apparato critico, è stato preferito riprodurre le citazioni letterali nella lingua in cui l'autore della collaborazione lo ha fatto. Tranne nel caso dei santi di famiglia al lettore della lingua castigliana, l'espressione originale dei nomi propri degli autori e delle persone sopra menzionate è stata conservata ordinariamente. È stata mantenuta anche la denominazione di alcune istituzioni note (Mendicitá istruita, Mujo, Convitto ecclesiastico di Torino), che è citata più volte nel volume. Le opere che sono state scritte e lette in spagnolo nelle sessioni generali saranno indicate una volta alla volta. Il lavoro di É Poulat e le comunicazioni di F. Desramaut, G. Avanzini e J. Schepens sono stati presentati in francese. Gli altri, in italiano.
Acronimi e abbreviazioni delle opere citate 9
Organizzazione 11 Congresso
salutare il Congresso (E. Viganò) 13
Introduzione (R. Giannatelli) 15
Parte I : DON BOSCO nella storiografia
equilibrio di forme di conoscenza e gli studi don Bosco (P. Stella) * 21
come ha lavorato su "Memorie biografiche" (F. Desramaut) 37 autori
del epistolari come una fonte di conoscenza e di studio di Don Bosco. Progetto
edizione critica (F. Motto) 67
Lo stato e l'uso dell'Archivio Salesiano Centrale (R. Farina) 81
Parte Due : DON BOSCO Chiesa nella società YEN
Don Bosco e la Chiesa nel mondo del suo tempo (E. Poulat) * 93
L'esperienza e il senso della Chiesa nell'opera di Don Bosco (JM Laboa) * 109
Il conflitto tra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi (1871-1883)
(G. Tuninetti) 135
Chiesa e il mondo nella "Storia Ecclesiastica "Don Bosco (F. Molinari) 145
nelle radici della spiritualità di Don Bosco (M. Marcocchi) 159
Don Bosco e associazioni cattoliche in Spagna (R. Alberdi) 179
Don Bosco e Maria Domenica Mazzarello: storico e rapporto spirituale (A. Deleidi) 207 salesiane di Don Bosco in materia di Don Bosco (ME Posada) 219
Don Bosco e della società civile (G. Bracco) 231
Don Bosco e il mondo del lavoro (S. Tramontin) 237
Third parte: DON BOSCO E ISTRUZIONE
L'opzione per i giovani e l'approccio educativo di Don Bosco (L. Pazzaglia) * 259
La pedagogia di San Juan Bosco nel suo secolo (G. Avanzini) 291
Don Bosco e l'Oratorio (1841-1855) (G. Chiosso) 299
Don Bosco e la scuola umanista (B. Bellerate) 317
* L'asterisco indica i documenti del Congresso.
Don Bosco e le scuole professionali. Storico approccio (1870-1887) (JM Prellezo García) 333
Integrazione di scuola e attività extrascolastiche nella prospettiva di Don Bosco (C. Scurati) 357
Penitenza e dell'Eucaristia in materia di istruzione in base a Don Bosco (J. Schepens) 373
Don Bosco e la formazione delle vocazioni ecclesiastiche e religiose (F. Jimenez) 395
parte quarta: Don Bosco e la cultura popolare
Don Bosco nella storia della cultura popolare in Italia (F. Traniello) 413
Don Bosco e il teatro popolare (S. Pivato) 429
Don Bosco e la stampa (F. Malgeri) 441
Don Bosco e la musica (G. Sforza) 451
originalità Patagónicas missioni Don Bosco (J. Borrego) 457
Parte quinta: COMUNICAZIONI LIBERE
DEL GRUPPO DI LINGUA SPAGNOLA
L'origine della letteratura salesiana in Spagna vive a San Juan Bosco (MF Núñez Muñoz) 475
Don Bosco, educatore Joy (B. Delgado) 505
Un modello umanistico di educazione cristiana (A. Sopeña) 515
parte sesta: SESSIONE dI CHIUSURA
Presentazione (scheda AM Javierre Ortas.) 525
Don Bosco e la modernità (P. Scoppola) 527
prospettive e iniziative di ricerca su Don Bosco (P. Braido) 537
nomi Indice 547 persona
Indice 561
abbreviazioni dei più citato funziona
ACG Atti del Consiglio Generale della Congregazione Salesiana (dopo 1984)
ACS Atti del Capitolo (Consiglio) Superiore della Congregazione
Salesiana (prima del 1984)
AGFMA Archivio Generale delle FMA (Roma)
Annali E. CEIUA, Annali della Societa Salesiana, Torino, SEI 1941-1945.
ASC salesiano archivio centrale (Roma)
ASV Segreto Vaticano Archives
Bosco, Scritti sul G. Bosco, Scritti sul preventiva sistema nell'educazione della
sistema preventivo Gioventù, a cura di P. Braido, Brescia, La Scuola 1965
Bosco, Scritti G. Bosco, Scritti pedagogici e spirituali, a cura di J. Borrego, P.
pedagogici Braido, A. Ferreira, F. Motto, JM Prellezo, Roma, LAS 1987
BRAIDO, Don Bosco P. BRAMO (a cura di), Don Bosco nella Chiesa a servizio dell'umanità.
Chiesa Studi e Nella testimonisnze, Roma, 1987, LA
Cronistoria CAPEM G. (ed.), Cronistoria dell'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, 5 vol., Roma, dell'Istituto delle FMA 1974-1978
E S. Giovanni Bosco Epistolario di, 4 vol., a cura di E. Ceda, Torino, SEI 1955-1959
FMA Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA)
ISS Istituto Storico salesiano (Istituto Storico salesiano) (Roma)
LC "Letture Cattoliche»
MB GB Lemoyne, Memorie biografiche Don Giovanni Bosco, ..,
vol. I-VI, San Benigno Canavese, Scuola Tipografica e Libreria Salesiana 1898-1907; GB LEMOYNE, Memoria biografiche del venerabile Don Giovanni Bosco, vol. VII, Torino, Biblioteca Salesiana Editrice 1909; (Vol VIII-IX: Torino, Tip SAE), "Buona Stampa" 1912-1917); GB LEMOYNE - A. AMADEI, Memoria biografiche di San Giovanni Bosco, vol. X, Torino, SEI 1939; E. CERIA, Memorie biografiche del Beato Don Bosco, vol. XI-XV, Torino, SEI 1930-1934; ID., Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco, vol. XVI-XIX, Torino, SEI 1935-1939
MO G. Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal
1815-1855, a cura di E. Yield, Torino 1946:
nota NDE responsabile per l'editing
OE G. Bosco, Opera edit. Prima serie: Libri e opuscoli, Roma, LAS
1976-1977
RSS «Ricerche Storiche Salesiane» Salesiani
salesiani di Don Bosco
SE G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole ..., Torino, Tip.
Speirani e Ferrero 1845
STELLA, Don Bosco P. STELLA, Don Bosco nella storia della Cattolica Religiosità, vol.I:
III DI Vita e opere, Roma, LAS 1979 (1a ed 1968); vol. II: Mentalitá
religiosa e spiritualitá, Roma, LAS 1981 (1a edizione 1969); vol. III: La canonizzazione (1888-1934), Roma, 1988
ORGANIZZAZIONE DEL CONGRESSO
sviluppatore Commissione
Giannatelli Roberto, Rettore della Pontificia Università Salesiana (Roma)
MI: 0AL 'Mario Tarcisio Bertone, Vicerrectores UPS
Pilca John Dean Facoltà di Teologia dell'UPS
PE-1E1 Michele, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione presso l'UPS
COLOMBO Antonia, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione "Au
xilium" (Roma)
Urlò Pietro, Direttore dell'Istituto Storico Salesiano (Roma)
Commissione Scientifica
Midali Mario, Vice Cancelliere dell'UPS (Presidente)
ALBERDI Ramon, Centro Salesiano per gli studi teologici (Barcelona)
BORREGO Gesù Istituto Storico Salesiano (Roma)
Deleidi Anita, Pontificia Facoltà "Auxilium "(Roma)
Desramaut Francesco, Università cattolica di Lione
FARINA Marcela, Pontificia Facoltà" Auxilium "(Roma)
Morro Francesco, Istituto Storico salesiano (Roma)
Prellezo GARCIA José Manuel, Facoltà di Scienze della Formazione dell'UPS
SCHEPENS Jacques," Centrum per Kerkerlijke Studies »(Leuven)
STELLA Pietro, Università« La Sapienza »(Roma)
Comitato organizzatore
BERTONE Tarcisio, Vice Cancelliere dell'UPS (Presidente)
Schepens Jacques, segretario del Congresso
ARDITO Sabino, Facoltà di Giurisprudenza UPS
Chenis Carlo, Facoltà di Filosofia dell'UPS
Coffele Gianfranco, Facoltà di Teologia dell'UPS
DAL COVOLO Enrico, Facoltà di Lettere Christian e classica UPS
Fizzotti Eugenio, Facoltà di Scienze della Formazione dell'UPS
Puthota Benjamin, amministratore UPS
Bisogni Silvana, Segretario del Rettore dell'UPS
presidenti della generale Sessions
Scoppola Pietro, Università "la Sapienza", Roma ( 16 gennaio)
AUBERT Roger, Catholic University, Louvain-La-Neuve (17 gennaio)
Carta POUPARD. Paul, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (18 gennaio)
MARTINA Giacomo, Pontificia Università Gregoriana, Roma (18 gennaio)
Traniello Francesco, Università di Torino (19 gennaio)
Galino Angeles, Universidad Complutense di Madrid (19 gennaio)
Javierre Ortas card. Antonio, Bibliotecario e Archivista di SIR (20 gennaio)
Partners
ALBERDI Ramon Centro Salesiano per Theological Studies (Barcelona)
AVANZJNI Guy, Università "Lumiere" (Lyon)
BELLERATE Bruno, Università "La Sapienza" (Roma)
BORREGO Gesù Istituto Storico SDB (Roma)
BRACCO Giuseppe, Torino Univesidad
gridò Pietro, dell'Istituto Storico salesiano e Università Pontificia Salesiana (Roma)
CHIOSSO Giorgio, Università di Lecce
Deleidi Anita, Pontificia Facoltà "Auxilium" (Roma)
DELGADO Buenaventura, Università di Barcellona
Desramaut Francesco dell'Università Cattolica di Lione
FARINA Raffaele, Università Pontificia Salesiana (Roma)
JIMENEZ Fausto, Centro Salesiano per gli studi teologici (Madrid)
Laboa Juan Maria, Universidad de Comillas (Madrid)
Malgeri Francesco, Università "La Sapienza" (Roma)
MARcocau Massimo, Università cattolica di Milano
MOLINARI Franco, Università cattolica di Milano
MOTTO Francesco, Istituto Storico salesiano (Roma)
NÚÑEZ Maria Fe, Università di la Laguna (Canarias)
PAZZAGLIA Luciano, Università Cattolica di Milano
P1VATO Stefano, Università di Trieste
Posana Mary Esther, Pontificia Facoltà "Auxilium" (Roma)
Poulat Émile, "Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales" (Parigi)
PREJ.F.70 José Manuel, Università Pontificia Salesiana (Roma)
Schepens Jacques, "Centrum voor Kerkelijke Studies" (Leuven)
Scoppola Pietro, Università "La Sapienza" (Roma)
SCURATI Cesare, Università cattolica di Milano
SFORZA Giulio, Università "La Sapienza" (Roma)
Sopena Andrés, Universidad Pontificia de Salamanca
STELLA Pietro, Università " La Sapienza "(Roma)
TRAMONTEN Silvio, Facoltà Teologica di Milano
Traniello Francesco, Università di Torino
TUNINETIT Giuseppe, Facoltà Teologica di Torino
Eccellenze di Eminencias
Caro Rettore e Autorità accademiche.
Distinti membri del Congresso:
è mio piacere e onore rivolgere il mio più attento saluto e la mia gratitudine per la tua presenza, augurandomi un successo totale in questa speciale iniziativa universitaria.
Questo è il primo congresso internazionale di studi sulla poliedrica figura di San Giovanni Bosco: è un fatto singolare nella variegata serie di iniziative che hanno caratterizzato la celebrazione del centenario della sua morte.
Il Congresso, organizzato dalla Pontificia Università Salesiana, è aperto al mondo accademico internazionale. Ha lo scopo di approfondire, nell'ambito della ricerca storica con rigore scientifico, la personalità e il segno di Don Bosco nelle vicissitudini del secolo scorso.
Si propone di concentrarsi su studi e altre forme di conoscenza al riguardo, evidenziando, allo stesso tempo, le ragioni della rilevanza del suo messaggio per la società contemporanea.
L'importanza di questa iniziativa e del suo risultato è chiara per coloro che, come me, hanno il ministero di incoraggiare una grande Famiglia impegnata a prendersi cura e sviluppare il proprio patrimonio pedagogico-pastorale.
Sono stato in grado di prendere parte alla prima fila in molte celebrazioni di contenuti diversi e in tutto il mondo. Don Bosco ha superato non solo i confini del suo secolo, ma anche quelli della sua Famiglia apostolica. È stato per lungo tempo un santo della Chiesa universale, accettato come eminente insegnante di educazione cristiana e l'origine di una spiritualità peculiare, viva e attuale dopo oltre un secolo.
La sua figura e il suo lavoro hanno suscitato e continuano a suscitare grande interesse in vasti settori della vita sociale, dal mondo dell'istruzione e della scuola al lavoro e al tempo libero; dall'area della cultura popolare a quella di economia e politica. E, allo stesso modo, da un modo pratico di rileggere il Vangelo alla peculiare istituzione di forme di vita consacrata.
C'è un aspetto su cui la produzione scientifica, soprattutto teologica, è, fino ad oggi, ancora limitata: l'aspetto ecclesiale del suo ruolo di Fondatore. È un aspetto che, a mio parere, non entra direttamente negli obiettivi di questo Congresso.
È un aspetto delicato e complesso, sentito molto profondamente da me e nel quale mi trovo coinvolto in modo vitale.
Un ricercatore dell'argomento ha giustamente scritto: "Lo studio dei Fondatori non è facile, anche se abbiamo a disposizione vari metodi di ricerca scientifica, perché i fondatori resistono a qualsiasi spiegazione umanamente storica, sociologica e psicologica. Quando ci avviciniamo a loro, ci scontriamo con qualcosa che ci sfugge; E anche quando pensiamo di conoscerli bene, ogni volta che li studiamo, scopriamo qualcosa di nuovo. Come puoi spiegare questo mistero, questa ricchezza inesauribile? Semplicemente con il fatto che quando incontriamo un Fondatore, vediamo che è Dio che agisce attraverso di lui ».
Pertanto, rimane aperta una prospettiva importante che può anche influenzare il significato delle varie indagini, ma a cui le altre scienze possono contribuire con preziose luci.
È, quindi, molto importante, non solo per i suoi discepoli, ma anche per il vasto mondo della cultura, avere studi su Don Bosco e la sua opera fatta con rigorosi criteri scientifici, base indispensabile per una presentazione della sua statura storica e del suo messaggio camminava in modo solido in dati oggettivi, e libero, il più, il migliore, di ottica distorta, valutazioni parziali e descrizioni approssimative.
Spero fortemente che il Congresso possa offrire in questo senso preziosi contributi che si aggiungono ad altri studi che sono ora disponibili, in parte, ai ricercatori.
Grazie!
Egidio VIGANÓ
Gran Cancelliere
della Pontificia Università Salesiana
I T. GRZESZCZYK, 11 carisma dei fondatori, Colima «Sanctitas in caritate», Roma 1974, p. 11.
Come Rettore della Pontificia Università Salesiana, porgo i miei saluti ai partecipanti al Primo Congresso Internazionale di Studi su San Giovanni Bosco. E a nome della Commissione Promotrice, vorrei esprimere la nostra gratitudine a tutti coloro che, in modi diversi, hanno reso possibile per loro: relatori, organizzatori, sponsor e tutti voi, i Membri del Congresso, che hanno risposto al nostro invito.
La vasta e diversificata comunità universitaria del gruppo di continuità, con le sue cinque facoltà di Teologia, Scienze dell'Educazione, Filosofia, Diritto Canonico e lettere, i suoi mille studenti provenienti da 65 nazioni, 120 insegnanti e assistenti, vi accolgono con particolare interesse e sono felice di offrire la loro ospitalità che, anche se semplice e austero, vogliono essere franco e cordiale, secondo l'eredità ricevuta da Don Bosco, protettore e ispiratore della nostra Università, definito dal suo Rettore come "Università don Bosco per i giovani ».
La partecipazione dell'UPS all'evento centenario della morte di San Juan Bosco potrebbe sembrare un fatto scontato. E, infatti, dal novembre 1983, il Senato accademico si impegnò a definire il programma dell'università per il 1988. Nella seduta del 3 dicembre 1986, votò una risoluzione che fissava gli impegni della comunità universitaria in sette punti. Li ricordo brevemente:
1. Dedicare un numero speciale della rivista "Salesianum" alla commemorazione del Centenario. Questo numero della rivista è stato pubblicato nel gennaio 1988 con il titolo: Pensiero e prassi di Don Bosco nel 1 Centenario della morte (31
gennaio 1888-1988) 2. Convocazione di un congresso internazionale di studi su Juan Bosco nel gennaio 1989;
3. Promuovere corsi accademici su Don Bosco e Salesianità, anche con la formula del Visiting Professor;
4. Organizzare un concorso per stimolare e premiare la ricerca degli studenti su argomenti intorno a Don Bosco;
5. Pubblicare un volume che presenti i motivi per cui Don Bosco viene proposto come "Dottore della Chiesa per l'educazione cristiana";
6. Organizzare un pellegrinaggio della comunità UPS (insegnanti e studenti) ai luoghi di Don Bosco;
7. Proietta la nuova "Biblioteca Don Bosco" dell'Università e avvia la raccolta dei fondi necessari per la sua realizzazione. (Ringrazio il Gran Cancelliere che ha sempre sostenuto la nostra proposta e che benedirà la prima pietra della "Biblioteca Don Bosco" il 25 gennaio).
Tra le varie proposte del Centenario, quella del Congresso Internazionale è stata la più laboriosa nella sua genesi e definizione. In un primo momento è stata pensata una convenzione ampia e aggiornata sul tema "educatore di Don Bosco". A tal fine avevo lavorato, dalla primavera del 1985, in un gruppo misto di professori di UPS e della Facoltà di scienze dell'educazione "Auxilium" delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È stata avviata un'indagine che, partendo dalla domanda formativa delle nuove generazioni, è tornata alla memoria storica della "esperienza preventiva di Don Bosco" e, se possibile, alla tradizione dopo Don Bosco, per trovare motivi valido e attuale per l'educazione nel nostro tempo.
Questa ipotesi fu immediatamente abbandonata e si privilegiava l'idea di un Congresso scientifico che non fosse limitato all'aspetto pedagogico, ma capace di affrontare la ricca e complessa figura e opera di Don Bosco.
Lo studio di "Don Bosco educatore" sarebbe la Facoltà di Scienze della Formazione, con due iniziative di rilievo:
i Salesiani pedagoghi simposio "pastorale Prassi educativa e Scienze dell'educazione" (Roma, settembre 1987) .1
e seminario interideológico, promosso dalla rivista "pedagogici Orientamenti": "l'Esperienza di Don Bosco pedagogica: Eredita, Contesti, Risonanze, Sviluppi" (Venezia, "Fondazione Cini", 3-5 ottobre 1988) .2 in
aggiunta, la Facoltà di giurisprudenza Canon promuove un convegno sul tema "i diritti del Minore 'in base a tutte le azioni intraprese in questo campo dal Santo Educatore (30 novembre 2 ottobre 1988).
Era maggio 1987 quando il Senato Accademico del gruppo di continuità è venuto a chiarire definitivamente lo scopo e la natura del Congresso: Congresso, sarebbe la fine del centenario di Don Bosco, è stata indirizzata al mondo internazionale e dovrebbe proporre lo scopo di chiedere un più ampio da parte del mondo scientifico in considerazione la figura e l'opera di San Juan Bosco.
Congresso è stato caratterizzato da una duplice attenzione: a proporre come un equilibrio di cento anni di studi e le modalità di conoscenza di Don Bosco e aperto, se possibile, una nuova fase di studi sulla Sacra, più ricco nella sua struttura e più critico della sua metodologia.
Il Senato accademico ha anche proposto di condividere la responsabilità del Congresso con l'Istituto storico salesiano e la Facoltà di scienze dell'educazione "Auxilium" delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
JE VECCHI - JM PRELEZZ0 (eds.), Prassi educativa pastorale e scienze dell'educazione, Roma, Editrice SDB 1988.
2 C. NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LAS 1989.
In questo Brevo entro diciotto mesi di preparazione, la Commissione Scientifica, i colloqui con gli altoparlanti che di base e la conferenza delle comunicazioni sono stati proposti, ha definito il Congresso congiunto
- il primo giorno è dedicato alla valutare l'equilibrio delle forme di la conoscenza e gli studi di Don Bosco, proposto dal prof. P. Stella e comprendente comunicazioni Desramaut F., E. F. Motto e Farina;
- La seconda giornata tratta del rapporto tra Don Bosco e la società civile, presentato dal prof. G. Bracco e S. Tramontin. Devo scusare l'assenza del prof. G. Miccoli che, per gravi motivi familiari, ha dovuto rinunciare a presentare la sua conferenza, anche se intende pubblicare a breve. Di fronte a questa situazione, emersa molto di recente, la commissione scientifica ha chiesto al prof. B. Bellerate e JM Prellezo per anticipare le loro comunicazioni su Don Bosco e la scuola umanistica e professionale;
- il terzo giorno del Congresso del rapporto tra Don Bosco e la comunità ecclesiale con due documenti sono studiati: una più caratterizzato da un tocco storico-sociologica, l'altro più vicino all'esperienza compresi educativo e pastorale (É Poulat.) promossa da Don Bosco nei circoli della Chiesa (JM Laboa). Vorrei a indicare che il prof comunicazione. G. Alberigo, che non possono partecipare, essere sostituito con il prof comunicazione. M. Marcocchi sul tema: "Le fonti della spiritualità di Don Bosco";
- Giorno 19, Giovedi, si concentrerà sul tema della "opzione per i giovani e la proposta educativa di Don Bosco" esposto dal prof. L. Pazzaglia e arricchita con numerosi aspetti comunicaciones.sobre particolari dell'esperienza educativo di Don Bosco;
- (. Presentati alla password conferenza F. Traniello prof) l'ultimo giorno, Venerdì 20, sarà dedicata a prendere in considerazione altri aspetti della personalità di Don Bosco, Don Bosco come educatore del popolo, le comunicazioni sociali (questa discussione comunicazione farà riferimento F. Malgeri), aperta al mondo e l'uomo sacerdote (J. Borrego illustrare l'originalità di missioni Don Bosco).
Le conclusioni del Congresso sono affidate al prof. P. Scoppola, dell'università "La Sapienza", a Roma, e P. Braido, direttore dell'Istituto storico salesiano.
Nell'ambito del Congresso la lezione di dottorato della carta avrà un significato speciale. Carlo Ma. Martini, arcivescovo di Milano, sul tema: "II Vangelo, Don Bosco, i giovani".
Siamo già nell'ondata di Don Bosco e della "storia degli effetti".
Per concludere, vorrei ricordarvi che la partecipazione dei membri del Congresso è pianificata nei seguenti modi:
- brevi interventi in classe con chiarimenti, contributi, anche in chiave di discussione;
- partecipazione alle sezioni per lingua (le parti interessate devono concordare con i tre animatori delle sezioni);
- consegna di comunicazioni scritte, per la pubblicazione nel verbale (gli originali devono essere consegnati al Presidente della Commissione Scientifica, Prof. Mario Midali).
Presentato, infine, alle persone con cui i membri del Congresso avranno un maggiore contatto in questi giorni del Congresso:
- il Presidente della Commissione scientifica, Vice Rettore, Mario Midali;
- il Presidente del Comitato Organizzatore, Vice Rettore, Tarcisio Bertone; - il Segretario del Congresso, Jacques Schepens;
- i capi della segreteria esecutiva, Enrico Dal Covolo e la signora Silvana Bisogni.
Ora do la presidenza di questa prima sessione del Congresso al prof. Pietro Scoppola.
Roberto GIANNATELLI
Pietro TENUTE
"Il" caso Don Bosco "- ha recentemente scritto Francesco Traniello oggetto in passato spesso le immagini stereotipate e paradossali, sta diventando un campo significativo di applicazione o di verifica di nuove linee di indagine ''.
Autore di importanti studi su Antonio Rosmini e specialista della storia del movimento cattolico, Traniello è stata espressa in questi termini, perché presenta i problemi e la qualità degli studi pubblicati in volumi da lui guidata e dal titolo: Don Bosco nella storia della cultura popolare (1987). Gli autori dei vari test, la maggior parte non - Salesiano, si sono avvalse dei materiali e studi pubblicati negli ultimi decenni dagli stessi salesiani.
Ma con le impressioni ottimistiche e stimolanti Traniello, ci sono stati altri nel corso di quest'anno: più cauto, se non proprio contrario, fondata più o meno criticamente su ciò che è stato osservato nel quadro delle manifestazioni di celebrazione del centenario della morte di Don Bosco. "
Ci si chiede se non sia prematuro impegnarsi in previsioni più definitive, anche prima che sia finito l'anno del centenario e prima che l'alone emotivo che, dissipa volente o nolente, ha anche posato sul Congresso • Studi prepariamo avere Un certo numero di precauzioni del suggerisce, anzi e primo esame delle interconnessioni che si sta verificando tra forme di conoscenza, anche predominante e ben consolidata, e la produzione scientifica, in particolare Salesianos, sono stati in grado di contribuire dall'interno delle sue istituzioni.
1 F. Traniello, Don Bosco e il Problema della mordenite in: Don Bosco e si SFIDE della mordenite (Quaderni del Centro Studi "C. Trabucco', 11), Bacon, Stabilimento Poligrafico Editoriale" C. Fanton »1988, p. 41. Il titolo generale del libro evoca J. Remy, Le défi della modernité: la stratégie di hiérarchie catholique en Belgique au XIXe et XXe et l'idée de sikles chrétienté in "bussola sociale" 34 (1987) 151 -173. L'intero numero di «Compasso sociale» contiene vari contributi sotto il titolo comune: «Les églises et la modernité en Europe West».
2 Cfr Traniello F. (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, pancetta, SEI 1987 e recency realizzato miqmo L. Tamburini, in "Studi Piemontesi" 17 (1988) 1, 247-249.
Uno spazio di riflessione ha sempre coltivato nelle istituzioni salesiane del sistema educativo è implementato ed espressa in teoria dal santo fondatore. Dalle brevi e timide note di Don Francesco Cerruti sulle pedagogiche "idee" di Don Bosco (1883) 3 e da elaborazioni più o meno teorici, passati nel clima del processo di beatificazione (1890-1929), presentazioni che hanno messo l'accento sui principi pedagogici fondamentali esposti dallo stesso Don Bosco in una conferenza ha dato a Nizza nel 1877 ( "questo sistema è totalmente basata sulla religione, la ragione e, soprattutto, la gentilezza) 4 o è passato a discorsi e considerazioni che mettono l'accento sulla specificità religiosa del sistema educativo,
Tra le due guerre, con il regime fascista al potere, i salesiani e alcuni gruppi cattolici che Don Bosco ha ottenuto elencato tra i classici della pedagogia nei programmi dei collegi di formazione degli insegnanti. Agli occhi dei promotori dell'iniziativa e gli stessi discorsi di Pio XI Don Bosco apparso come un gigante che torreggiava sopra di educatori cattolici MCK secolo come promotore della più opposto, tanto più apprezzabile formazione completa a essi propongono una formazione sulla base di preparazione fisica e il mito della forza come mezzo di cose conquista che ha portato a prevedere il modo per un violento scontro di popoli e di un nuovo e immenso mundía1.6 conflagrazione
Nonostante l'opposizione e la critica, tra cui Don Bosco nel pantheon dei pedagoghi era possibile clima ambiguo poi di impegno politico e l'enfasi religiosa nel campo della cosiddetta civiltà che ha proclamato la retorica fascista. Alimentato con riserve critiche e avvelenato dalle critiche devastanti fatte da insegnanti laici di rilievo (Ernesto Codignola e altri), il dibattito sulla figura e il pensiero educativo di Don Bosco ha costretto i pedagoghi cattolici, e in particolare i Salesiani, per definire meglio in che senso si potrebbe considerare Don Bosco, educatore di tutto rispetto, un insegnante degno di questo nome.
• F. CERRUTI, Le idee di D. Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola. Lettere due, San Benigno Canavese, Tip. e Libreria Salesiana 1886.
• Inaugurazione del patronato S. Pietro in Nizza a Mare. Scopo del miglior marito dal sacer
dote Giovanni Bosco con appendice del sistema preventivo nella educazione della gioventú, Torino, Tip. e Libreria Salesiana 1877; cf. edizione critica di P. BRAIDO, in: Bosco, Scritti pedagogici, p. 125-230.
• Su indicazioni sulla dimensione spirituale e religiosa, cfr. JM Prellezo, Lo stu
diede Nella Congregazione della pedagogia salesiana: ALCUNI momenti rilevanti (1874-1941), in: JE Vecchi - Prellezo JM (eds.), Programmi educativi Prassi pastorale e Scienze dell'educazione, Roma, Editrice SDB 1988, pag. 61-71; ID., Studio e nflessione Nella pedagogica Congregazione Salesiana (1874-1941). Note per la storia, in RSS 7 (1988) 35-88.
6 Cf. P. STELLA, La canonizzazione di Don Bosco con il fascismo e l'universalismo, in: TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 359-382; ID., Don Bosco III.
Nell'ambito di tali studi, il lavoro più significativo può essere considerato Pietro Braido libro: Il preventiva del sistema di Don Bosco (1955) .7 Le idee e le istituzioni del sacerdote santo piemontese appaiono nel loro approccio; i flussi di analisi convincente concluso che le opere e le idee di Don Bosco possano essere adeguatamente definito come un "sistema", la cui peculiarità e originalità sono chiaramente visto attraverso il suo confronto con le opere e le idee di docenti e educatori con i quali lo stesso Don Bosco era in contatto diretto. Il volume di Braido, classico, è come la cima di un ciclo di studi, orientato, piuttosto che l'analisi dello sviluppo di iniziative e intuizioni di Don Bosco, l'esame della struttura logica e la definizione della sua validità pedagogica. Ma si può aggiungere che il libro di Braido può essere considerato come un atto di coraggio (eseguito e forse anche sofferto), e come atto di fiducia da parte dell'allora Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti. Il lavoro sul "sistema preventivo" è venuto un paio di anni dopo la morte di don Pietro Ricaldone (1870-1951), il superiore che, con grande capacità di governo aveva guidato la congregazione salesiana e ha focalizzato la propria crescita nel periodo non facile tra le due guerre. Don P. Braido stava già insegnando il sistema educativo di Don Bosco in quegli anni nell'Ateneo Pontificio Salesiano, nella Facoltà di Filosofia. Don P. Ricaldone ammirava la visione del futuro dimostrata durante la fondazione dell'Ateneo; ma il suo atteggiamento geloso era noto anche prima del ruolo supremo del magistero nella congregazione.
Nel frattempo, l'Ateneo è stato introdotto con un ruolo di primo piano nella rete delle case di formazione salesiana, che era resa necessaria per la fase di espansione che esisteva, ed eretto in varie parti del mondo, tra le altre ragioni, per l'incoraggiamento che ho ricevuto della, quindi, Sacra Congregazione degli Studi.
Proprio in studentati, in particolare in Piemonte, sono diventati più insistenti domande circa l'autorità di alcuni literatera agiografica Don Bosco e modi di conoscenza che deriva da loro. La preoccupazione delle generazioni più giovani tendeva a diventare sfiducia Memorie Biografiche di Don Bosco: la monumentale opera iniziata nella stesura Giambattista Don Bosco Lemoyne mentre vive e gradualmente pubblicati in volumi dieci nove dal 1898 al 1939. Don Eugenio Cenia, autore di nove volumi, è stata sollevata una serie di questioni che avevano riempito il problema del valore che dovrebbe essere attribuito alle memorie: "si dice - ha chiesto - Don GB Lemoyne non era uno storico, ma un romanziere di storia. Nelle memorie biografiche ci sono molti fatti che non resistono alle critiche. Gli stessi volumi scritti da Don E. Cenia non sono del tutto storici, ma lodevoli e lodevoli ".8
P. BRAMO, Il sistema preventivo di Don Bosco. Prefazione di E. Celia, Torino, PAS 1955 (2a ed. Zürich, PAS-Verlag 1964).
Essa ha sollevato in modo chiaro e con urgenza il problema non è la credibilità banale ha dovuto pagare a documenti e testimonianze che erano per la fondazione letteraria Congregazione Salesiana su cui i superiori maggiori ei capitoli generali (ma anche gli stessi patate nei suoi discorsi) supportati la struttura del suo insegnamento Per la cultura non salesiana, in particolare quella laica, erano forse problemi marginali; ma per i salesiani, d'altra parte, erano in gioco questioni, se non essenziali, almeno di grande importanza sul piano vitale della congregazione stessa.
Il primo tentativo di risposta scientifica venne dalla Francia. Don Francesco Desramaut, docente di Storia della Chiesa presso il Centro Salesiano di Studi Teologici di Lione, ha sviluppato e difeso come proprio tesi di dottorato presso la tesi teologica Facultés Lione studiare solo il primo volume di memorie biográficas.9 Il lavoro ha coinvolto un documentadísima ricostruzione della figura morale e intellettuale di Don GB Lemoyne, vista come base in un tipo di uso di fonti orali e scritte. Don F. Desramaut si dissipò, prima di tutto; infine, il commento che aveva distrutto Don Lemoyne trascurato o documentazione ingenuamente originale usato da lui a scrivere la prima bozza delle Memorie Biografiche: tutto il materiale esistito e continua ad esistere nella sua parte a pieno titolo presso l'Archivio Salesiano Centrale. Inoltre ha confermato la convinzione che Don Lemoyne era stato un interprete onesto e scrupoloso delle testimonianze di altri, trascrivere quasi sempre o utilizzandoli come parte del loro Lite- si occuperebbe di ordito. E 'stata una conclusione importante; ma il lavoro documentato di Don Desramaut era ancora solo un primo passo. Ha superato le possibilità concreta dello studioso francese in un'indagine meticolosa in Italia di altre fonti documentarie, al di fuori dell'ambito salesiano, per confrontarle con quelle usate da Don Lemoyne. Non importa come soddisfacente è stato quello che è stato scritto circa l'onestà di Lemoyne, rimase per indagare l'intero atteggiamento che lo aveva portato a intrecciare forme narrative di alcuni Welling soprannaturale come schemi che possano mettere medievale, nel primo e ancor più nei seguenti volumi delle Memorie biografiche. Nei piccoli Storia Salesiana cerchiare i pregi ei limiti del lavoro di Don Desramaut essere avvertito: il filologica letteraria puramente di ricerca adatto passaggio interpretazione ipotesi e modelli di ricerca storica che garantirebbe una rilettura completa di entrambe le fonti documentarie e la figura storica di Don Bosco. L'analisi di ogni pezzo montato nella redazione del movimento adatto Memorie Biografiche al rango mentalità e le fonti emergenti ha usato Don Lemoyne, dal Memorie dell'Oratorio, don Bosco aveva scritto in ritardo - non precisamente con criteri storici o cronisti e documentari -,
litografata 8 Lettera di 14 pagine con la data: "Torillo 9.11I.1953"; cf. per questo scopo: P. STELLA, Don Bosco Le Ricerche suo venticinquennio nel 1960-1985: la filatura, Problemi, pettive pro-in: Braldo P. (ed.), Don Bosco Nella Chiesa, p. 373-396.
9 Les Memorie I di Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un livre fondamental sur la jeunesse de saint Jean Bosco, Lione, Imprimérie de Louis-Jean de Gap 1962. Esiste la traduzione castigliana del MB (Madrid, Central Catechistic Salesiana 1981-1989). In questo volume è citata l'edizione italiana originale (nde).
Già nel 1965, quando ha pubblicato frammenti della dell'Oratorio Memorie in un'antologia di scritti di Don Bosco sul Sistema Preventivo, don Braido ha avvertito la necessità di procedere con cautela nella sua lettura, perché in lui, una narrazione selettivo, riempita enfasi, familiarmente allegro nei suoi episodi, cercando di affermare i Salesiani nella convinzione che la sua congregazione amato e protetto da Dio, possedeva un metodo educativo capace di attrarre simpatia e sostegno per centinaia e migliaia di jóvenes.m Don Braido suggerito in che affermava che le Memorie dell'Oratorio non ponevano piccoli problemi a coloro che cercavano altri messaggi in loro.
Nel clima precursore del Concilio Vaticano II discusso in Italia, ad esempio, se si non era appropriato per monopolizzare il Giovane ho provveduto, il libro di don Bosco che aveva servito per più di un secolo per inquadrare le pratiche di pietà nelle istituzioni salesiane. Era stato tradotto in francese e in spagnolo (Il giovane cristiano) su suggerimento di Don Bosco. Più tardi fu tradotto in alcune lingue dell'Asia. Ed era venuto a essere la regola libro della vita devozionale e liturgica degli oratori, scuole e anche gruppi di culto organizzato fin dai primi incontri con gli indiani Onas nel sud dell'Argentina o tribù Bororo nel cuore del Mato Grosso. "
I" Bosco, sistema preventivo Scritti sul, p. 3s.
"Cfr volutamente Desramaut F. (ed.), La vita di preghiera SDB religiosa, Lione 10-11 Settembre 1968 (Colloqui Salesiano sulla vita, 1), Leumann (tornio), Elle Di Ci 1969.
La posta in gioco era l'interpretazione che si era venuto a dare lo slogan lanciato da don Ricaldone in una delle sue lettere circolari classici l'anno della canonizzazione (Aguinaldo Rettor Maggiore per il 1935): Don Bosco santo.12 fedeltà Se-trattati in in effetti, a mettere in discussione in modo responsabile sui pericoli dell'inazione attaccati alla ripetizione del passato con il rischio di rompere con la società pluralista in cui francamente è entrato nel mondo dei giovani. Il motto del 1934-35 doveva essere completato secondo i bisogni di un aggiornamento: «fedeltà a don Bosco santo e ai suoi rischi». Ma non è stato difficile discutere a favore del rinnovo:
Contro l'immobilità e gesti cristallizzati e tale ripetizione che sembrava produrre quasi "ex opere operato" meravigliosi scopi educativi, alla luce del patrimonio storico-filologico e al di là della stessa analisi, ci sono stati due fatti importanti. Prima di tutto, era facile vedere che il mondo del pensiero del secolo XIX per l'impalcatura teologica che era stato anche Don Bosco, sono stati superabile fatto o sono state superate. Don Bosco stesso, negli anni della maturità e l'ulteriore espansione del suo lavoro (che ha propagato per chiedere aiuto a tutti), aveva emarginato senza supusiese per lui non è un problema, rigida e un po 'anni polemiche elementare antivaldense 50. I salesiani, a loro volta, e senza traumi,
Ma erano le realtà di un mondo che non era la nostra, come ad esempio l'organizzazione dei giovani in strutture verticali e paternalistici e la separazione sociale dei sessi. L'apertura del oratori giovanile salesiana, come sono venuti spontaneamente, ragazzi e ragazze, era una soluzione in modo intuitivo e praticità, dati i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice dei cristiani , proprio nella linea di intuizione e la praticità di loro fondatore ".
12 edizione ufficiale è: ACS (1936), 1-195, intitolato :. Strenna del 1935. fedeltà Don Bosco santo è stato stampato poco dopo in volume separato: Strenna del Rettor Maggiore per il 1935. Fedelta a Don Bosco santo, Torino, SEI 1936.
13 I requisiti di rinnovo contenuti nel volume di collaborazione (P. Braido, L. Calonghi e altri), Don Bosco educatore, Oggi, Roma, PAS 1960 (2a ed. Riveduta e ampliata, Zurigo, PAS-Verlag 1963).
In secondo luogo, era evidente e chiaramente dimostrabile in Don Bosco, piuttosto che l'immobilità, la sua capacità di adattarsi alle situazioni che cambiano: dagli inizi dell'Oratorio per i giovani chiamati poveri e abbandonati alla organizzazione delle scuole e delle spedizioni salesiani America Latina
l'insieme di sogni profetici, le previsioni di morte e miracoli sferraglianti (come la risurrezione qualche giovane "Carlo" nel 1849): Soprattutto un radicalmente rinnovata rilettura di alcuni più caratteristici e suggestivi della agiografia di elementi Don Bosco dedotto cioè di fatti e narrazioni che tessevano in modo notevole e spettacolare i Ricordi biografici come Don Lemoyne e Don Cenia stavano elaborando i loro scritti.
Queste e altre ipotesi interpretative sono stati il filo conduttore di due volumi è apparso nel 1968 e 1969 con il titolo. Don Bosco nella storia della cattolica Religiosità "Quando il primo volume è stato alimentato per qualche tempo abbastanza acuto il problema del rapporto tra la ricerca scientifica e la tutela della sana tradizione di Don Bosco. in occasione della riunione dei superiori provinciali di Europa, Medio Oriente, Africa centrale, Stati Uniti e Australia, che si è tenuta a Como nel mese di aprile del 1968, i rappresentanti della zona tedesca espresso preoccupazione per la nuova ricerca "modernista e incauta" che si stava facendo su Don Bosco nell'Ateneo salesiano.15 Ma l'allora Rettor Maggiore, don Luigi Ricceri,e il suo consiglio ha permesso allo studio storico di continuare e in qualche modo ha contribuito alla riflessione e all'aggiornamento che era già stato richiesto nella fase di applicazione del Vaticano II.
In questo senso, i risultati positivi con la creazione nel 1973 di un "Centro Studi Don Bosco 'in Ateneo, che era stata riconosciuta dalla Santa Sede come" Università Pontificia Salesiana "è raggiunto. E più tardi, nel 1977, con la fondazione della "Istituto Storico Salesiano" a Roma presso la Casa Generalizia. Da allora, studiare i contributi di Don Bosco e le sue opere si sono moltiplicate risultati di buon livello scientifico, sia il gruppo di continuità e di altre parti del mondo salesiano.
Frutta, in parte aperto a certe tecniche di ricerca e di alcuni filoni storiografici orientate studio della presenza religiosa nel tessuto sociale, e in parte alle questioni sollevate nella Congregazione Salesiana l'impegno di povertà zone nel mondo, è stato Don Bosco di volume nella storia economica e sociale (1815-1870) (1980) .16 è situata Don Bosco - in transito e il benessere dei quadri privilegiati della Restaurazione alla società liberale - tra coloro che tendono a trovare forme di sostegno economico e l'accettazione collettiva nelle iniziative stessi, che non costituiscono in sostanza il reddito immobiliare paternalistico; si presenta a Don Bosco, in una parola, come imprenditore indipendente nel campo educativo e filantropico all'interno degli schemi dell'economia e della società liberale. Il volume mostra chiaramente una certa mancanza di padronanza delle tecniche statistiche e una concorrenza un po 'esitante nel campo della specifica storiografia dell'economia e delle dottrine economiche. Tuttavia, nel suo insieme, è il risultato di un'indagine di prima mano e apre interessanti indizi agli studi nel campo del mondo contadino e delle sue strategie.
"Don Bosco nella storia della Religiosità Cattolica Vol 1: Vita e gestire, Zurigo, PAS-Verlag 1968; Vol II :. Mentalità religiosa e SPIRITUALITA, Ibid 1969 Convegno .. (2a ed Roma, 1979-1981.).. ispettori degli salesiani. L'Europa, Medio Oriente, Africa Centrale, STATI UNIA Australia. Atti (Como 16-23 aprile 1968), Torino, Lett E. Gili 1968, pag. 20.
16 Roma, LAS 1980.
La cerchia degli studiosi salesiani, per la maggior parte della formazione umanistica, filosofica e teologica, è abbastanza impreparata e priva di questo tipo di ricerca. Per questo motivo, negli ultimi anni ci sono studi eccezionali che, per la maggior parte, si trovano più soddisfacentemente nel campo della ricerca filologica o in quello della storiografia etico-politica e pedagogica.
Ci vorrebbe gran lunga la relazione analitica e accurata di tutti coloro che hanno inviato i Salesiani di Don Bosco negli ultimi anni.
Ad esempio, tra molti contributi, meritano menzione quelli di Don Francesco Motto sul ruolo di Don Bosco nella nomina dei vescovi in Italia dopo il 1865; e sulle misure adottate dopo la legge garantisce 1871 per la concessione di exequatur reale ai vescovi di beni temporali nelle loro diocesi. "Il risultato di una ricerca appassionata Archivio Segreto Vaticano e di altri archivi italiani pubblico o privato, questi studi Don Motto evidenziare la figura di Don Bosco in un dipinto a dire il vero un po 'enfatico, perché, a quanto pare, Don Bosco non è stato coinvolto in qualsiasi cosa o nulla nei colloqui per la nomina dei vescovi in luoghi che andavano dalla Lombardia e dal Veneto alle province napoletane e in Puglia.
Il coinvolgimento di Don Bosco nei procedimenti riguardanti i vescovi del Piemonte e della Liguria può essere considerato in particolare un fatto di grande importanza per lo sviluppo delle opere educative da lui promosse. Prima di allora, infatti, il nome di Don Bosco appare sporadicamente nelle pubblicazioni cattoliche non piemontesi tra i benefattori e i sacerdoti gelosi che lavoravano qua e là in Italia. Mentre venivano sviluppate le procedure per l'exequatur, il suo nome balzò sulla scena in modo inaspettato, come quello di un personaggio che aveva privilegiato l'ingresso negli ambienti governativi e davanti alla Santa Sede. Sembra che in quegli anni Don Bosco stesso abbia maturato la consapevolezza di una vocazione personale, non solo orientata verso il Piemonte, ma verso spazi più ampi nella società e nella Chiesa.
'7 F. Motto, La Mediazione di Don Bosco fra Santa Sede e la concessione per Governo degli exequatur per Vescovi d'Italia (1872-1874) (Piccola Biblioteca dell'Istituto Storico Salesiano, 7), Roma, LAS 1987.
Se si presta attenzione a ciò che ha di recente sottolineato Don Braido, si potrebbe dire che gli articoli e opuscoli che ha cominciato a comparire in Francia e in Italia negli anni '70 su Don Bosco e il suo sistema educativo miracolosa, sembra che portò Don Bosco provare uno schema di teorizzare che, a torto oa ragione, chiamato il "sistema preventivo nella educazione dei giovani 'con formule che lui ei suoi figli più accorti (e questa è una precisione di Don José M. Prellezo) hanno variato senza molte formalizzazioni e addirittura superato ".
Studi con Don F. motto e il contributo di Don P. Braido e Don JM Prellezo, evidenziare il fieno-nue la tesi di dottorato di Mr. Jacques Schepens sui sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia negli scritti di Don Bosco. ' Anche in questo caso è un'esplorazione molto approfondita delle fonti, modificate o meno, nel quadro del passaggio dal rigore al benignismo. Ciò che avrebbe potuto essere più desiderabile era, forse, una maggiore attenzione alle attività e all'ideologia religiosa di Don Bosco; cioè, una maggiore attenzione alla mentalità e al comportamento sia del mondo giovanile che delle più ampie collettività in cui il messaggio e l'opera di Don Bosco sono penetrati. In questo senso, sarebbe stato opportuno indagare su altre fonti, oltre a quelle usate.2 ° Il rito della confessione, ad esempio,
Ricerche come quelle di P. F. Mono e di P. J. Schepens approfondiscono o almeno ampliano la conoscenza di aspetti e momenti della vita di Don Bosco che si trovano nel suo tempo. Altre ricerche recenti scoprono il campo aperto allo sviluppo dell'opera salesiana dopo la morte del fondatore, più o meno in connessione con l'immagine che aveva coltivato. È interessante sotto questo aspetto, sia alcuni punti che Don Pietro Braido ha realizzato pubblicando l'edizione delle lettere di Don Lemoyne, sia i suggerimenti che Don José M. Prellezo ha avanzato indagando sull'atteggiamento dei primi salesiani prima della presentazione che ha fatto Bosco del suo sistema educativo.21
JM PRELLEZO, Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, in: C. NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica: ereditá, contesi, sviluppi, risonanze. Atti del 5 ° Seminario di «Orientationi Pedagogici» Venezia-Cini 3-5 ottobre 1988, Roma, LAS 1989, p. 40-61.
t9 J. SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco au sujet de la penitence et de l'eucharistie, in "Salesianum" 50 (1988) 9-50.
20 Sul significato della confessione e sul comportamento dei giovani, cfr, per esempio, la testimonianza di Giovanni Roda, chiamati a testimoniare "d'ufficio" nel processo apostolico per la beatificazione di Domenico Savio in Ottobre 1916 : Sacra Congregatio Rituum e.mo rev.mo ac domino Cardinali Vincentio Vannutelli Relatore. Asten. et Taurinen. Beatifikationis et canonizationis servi Dei Dominici Savio adolescentis laici alumni oratorii salesiani. Positio super virtutibus, Romae, Typ. Guerra et Mirri (1930): Summarium Super dubio: Un constet di virtutibus * theologalibus fide, spe et charitate ..., p. 5. Portare l'episodio più schematicamente M. Molineris, Nuova Vita di Domenico Savio, Cono Don Bosco, Ist. Salesiano 1974, p. 134. Gli si fa anche riferimento nello studio di A. CAVIGLIA, Savio Domenico e Don Bosco, in: Operare e scritti editi e inediti di Don Bosco, vol. IV, Torillo, SEI 1943, p. 146.
Don Lemoyne, che divenne un sacerdote salesiano ed essere tendeva - Don Braido nota - con particolare preferenza scegliere quello che sembrava essere prodigioso, miracoloso, manifestazione soprannaturale di un intervento divino; se da un lato la tendenza ad essere precisi cronista di movimenti e modi di dire che lo aveva conquistato come un figlio spirituale, dall'altra, Lemoyne era sempre attento a scrivere quello che Don Bosco esponeva, come i sogni e parla spesso fatte di notte alla numerosa collettività di Valdocco. Don Bosco gli disse una parabola o un sogno che aveva avuto la notte o di giorno, come sarebbe interpretare quel sentito, era per Don Lemoyne, senza l'esposizione fedele delle rivelazioni celesti.
Don Cerruti era anche moderatamente tra coloro che consideravano i sogni di Don Bosco come eventi soprannaturali. Ma la sua attenzione andava con preferenza all'organizzazione concreta ed efficace dell'educazione nell'Oratorio e nelle altre case salesiane. Tra i collaboratori più fedeli di Don Bosco è uno dei più insistono sul fatto che le fondamenta del sistema di istruzione si traducono verità nella ragionevolezza e razionalità tra gli educatori ei giovani, la religione equilibrato ed essenziale, la carità intesa infatti come la consegna giornaliera e intelligente per il ruolo degli educatori. Nelle dichiarazioni per i processi di beatificazione di Don Bosco e dopo il suo ex collega di studi Domingo Savio, Don Cerruti pone più enfasi sulle virtù dimostrate nella vita dei due servitori di Dio che nella spettacolarità di manifestazioni prodigiose intese come indice di doni soprannaturali. Don Bosco ha messo Don Cerruti tra i leader dell'opera salesiana: come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e poi come consigliere generale della scuola. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione . come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e successivamente come consigliere di scuola generale. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione . come direttore della scuola comunale di Alassio, superiore della provincia ligure e successivamente come consigliere di scuola generale. Don Lemoyne, dopo incarichi manageriali, finì per essere il più coerente con la sua personalità di segretario del capitolo superiore, con ampio tempo per scrivere opere teatrali o nella "Letture Cattoliche", poesia occasionale e storia della congregazione .
Le tendenze spirituali di Don Lemoyne sono dovute alla prominenza acquisita nelle memorie biografiche di miracoli e sogni, questi ultimi delineati, ciascuno come rivelazioni celesti di cose nascoste, presenti o futuri. Egli è dovuto (anche se originariamente Don Bosco) Apocalyptic qualche tradizione orale e scritta millenaria che alla fine radicata nei Salesiani alla fine del XIX secolo in poi, l'idea, e che la sua espansione nel mondo, la sua stabilirsi in certi luoghi era il compimento di un futuro che Don Bosco aveva già visto nei suoi sogni; visto - ha scritto all'inizio di questo secolo cappuccino Cardinale Vives y Tuto, speaker entusiasta della causa di beatificazione - "come in un cinematografo» .22 Don Cerruti, tuttavia, mostra un basso profilo, ma non per questo meno entusiasta,
21 P. BRAIDO - R. ARENAL, Don Giovanni Battista Lemoyne con 20 lettere a Don Michele Rua, in RSS 7 (1988) 89-170; di JM PRELLF70 cf. gli articoli citati sopra nota 5.
Recenti studi storici dei salesiani sono diretti a una rilettura dell'esperienza di Don Bosco da fonti di prima mano, al di là del diaframma delle memorie biografiche; Non dimenticano, tuttavia, che i diciannove volumi monumentali delle Memorie costituiscono un termine di riferimento obbligatorio, data l'importanza che hanno avuto e hanno ancora nella trasmissione letteraria, visiva e orale dell'immagine di Don Bosco.
In aggiunta a quelli - - nella serie di aspetti che abbiamo presentato sommariamente e costretti lagune si trovano interessante lavoro di salesiani provenienti da tutto il mondo: Don Cayetano Bruno, Don Ramón Alberdi, don Jesús Guerra, Don Jesus Borrego, Don Natale Cerrato, il signor Reinhold Weinschenk, il signor Antonio Ferreira da Silva; e tra la FMA: Sr. Giselda Capetti, suor Cecilia Romero, suor Maria Esther Posada, suor Piera Cavaglià, suor Anita Deleidi. E altri e altri.
Più o meno in relazione agli studi storici, o almeno accanto, gli altri sono destinati a una più profonda lettura e qualcosa della personalità senza tempo di Don Bosco si trovano, da premesse filosofiche, psicologiche e psicoanalitiche; Tra questi possiamo distinguere: un ampio saggio di Don Sabino Palumbieri, articoli di Don Bruno Bellerate, di Don Pio Scilligo e di Don Xavier Thévenot.23
Se rileggiamo quello che abbiamo detto sulla produzione di studio dei salesiani e le forme di conoscenza in cui sono situati i salesiani, se vogliamo anche approfondire la loro analisi, penso che si concluda che le prove di studio fino ad oggi sono nel complesso la risposta alle domande che esistono tra i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice (cioè il nucleo più importante dell'area di culto e memoria di Don Bosco).
Le scoperte di Francesco Traniello, da cui siamo partiti, sono indubbiamente il risultato della sua sensibilità di studioso; ma direi che è necessario considerare generoso e ottimista, se l'implicazione, ancora debole, i Salesiani alle domande del mondo scientifico, più vasto di certo interessati o che potrebbero essere interessati dal "caso Don Bosco" è che serve come terreno utile per la verifica e l'analisi.
22 Cfr. BS 41 (1917) 182 e STELLA, Don Bosco. W., P. 146.
23 A proposito, cf. gli ultimi anni di «Salesianum», «Orientamenti Pedagogici», «Rivista di Scienze dell'Educazione», «Ricerche Storiche Salesiane» (RSS).
In qualche studioso salesiano si è trovato senza dubbio ha adottato modelli di tecniche di conoscenza e di ricerca ora normale (o, spesso, in discussione) usare: lo studio della mentalità e della religiosità come moduli comuni nella scuola il "annuale" o altro, ricorrere all'antropologia culturale, utilizzando metodi e propri modelli di storia economica e sociale. O anche, la psicoanalisi, premesse filosofiche e pedagogiche (lo studio, per esempio, il sistema di prevenzione dai modelli Lacan; personalità Don Bosco chiese in da personslistas filosofie o che svolgono le teorie di Freud o di Levi -Strauss).
Ma in questo momento dobbiamo chiederci se non si tratta solo di tentativi individuali e sporadici; e progetti di lavoro corale non ancora consolidati. Siamo tanto più cauti quanto più riflettiamo sulle difficoltà che ancora incontra l'Istituto Storico Salesiano per garantirsi un asilo nido per giovani reclute. Il "Centro Studi Don Bosco", a sua volta, nell'UPS, riesce a sviluppare in qualche modo il suo compito didattico; ma non arriva - ed è indice della sua fragilità - per completare la ristampa anastatica degli scritti di Don Bosco iniziata nel 1977-78 con la serie di libri e opuscoli. Ci sono certamente problemi tecnici; ma, soprattutto, chi riesce o si impegna a rifare la cintura di trasmissione tra i progettisti scientifici (che sono rimasti come generali senza un esercito) manca, esecutori tecnici ed editori. Nel frattempo, anche nel corso di quest'anno, la conoscenza affettiva continua a bere con entusiasmo nella leggenda dorata delle Memorie; ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica. ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica. ritorna frequentemente (nel film apparsi di recente, nei libri, conferenze e esortazioni) stampato leggenda agiografica nella mente di tutti. Sopraffatta, come un'imponente ondata di schiuma, le poche masse rocciose che la ricerca storica è riuscita a collocare qua e là in questi ultimi trenta anni. Insuperabile esprime la distanza tra salesiano cultura molto popolare - consumata come in passato, essendo il divario tra i giovani - e la ricerca scientifica.
In questo stato di cose, non ci si può aspettare dagli studiosi al di fuori della sfera salesiana niente più che saggi su certi punti, quadri generali, tentativi di approssimazione particolari o parziali. Tale, ad esempio, il test Francesco Traniello sulla Storia d'Italia scritta dal santo, Giacomo Dacquino sulla psicologia di Don Bosco, Stefano Pivato sul teatro popolare stampa _y, Maria Luisa Trebiliani su donna nella mentalità ed esperienza educativa di Don Bosco. O, allo stesso modo, le interessanti proposte di Piero Bairati sulla "cultura salesiana" e sulla società industriale tra l'800 e l'età fascista
Sergio Quinzio in un saggio del 1986 è tornato al tema del luogo di Don Bosco nella storia del Spiritualità cattolica e in quella del cattolicesimo socia1.25
Franco Bolgiani, nel suo discorso del 1987 in un congresso sul tema "I cristiani e la cultura a Torino", si è fermato sul "salesiano" nel quadro più ampio delle culture predominanti più profondamente radicate e caratteristiche. Soprattutto sarebbe quello che era legato all'affermazione dello stato sabaudo dalla metà del secolo fino all'unificazione nazionale, e che Bolgiani chiama, per capirci, "cultura militare". Lo ha sostituito, soprattutto dopo il decollo dell'industria automobilistica, come predominante e onnicomprensiva, la "cultura industriale", con la "Fiat", come tempio principale e come riferimento per un modo di pensare e vivere della comunità torinese. Tuttavia, la cultura secolare di alto e medio livello ha acquisito il proprio spazio e una propria e dignitosa autonomia, con un solido pilastro nel mondo universitario e con efficaci poli di diffusione in pubblicazioni d'avanguardia più attive e più prospere. La cultura cattolica era, secondo Bolgiani, nel suo complesso debole, ripetitiva e conformista dal periodo tridentino al «Risorgimento»; successivamente, indebolito e chiuso su se stesso, finì per passare al livello della sottocultura. Al suo interno, continua Bolgiani, si capisce come possa prosperare una sorta di cultura salesiana in ambito ecclesiastico e cattolico; cioè, una cultura che si è originata e sviluppata nel campo del gioco e dell'istruzione giovanile, del tempo libero e del tempo sacro degli strati sociali quasi sempre di origine rurale, senza pretese di solidità scientifica. Una cultura che oggi dovrebbe venire alla luce, ma ciò era in sintesi irrilevante agli occhi della cultura secolare della matrice positivista o idealista, liberale o sociale, gramsciana o neo-luministica; una cultura che è stata fatalmente esposta ad essere utilizzata per i propri fini dalla cultura industriale dominante. Il convegno "Cristiani e cultura a Torino" si è svolto nel centro salesiano di Caboto 27, sede della Facoltà di Teologia dell'UPS (sede di Torino). Tra coloro che ascoltavano Bolgiani c'erano, oltre ai professori e agli studenti dell'UPS, sacerdoti secolari e laici ex allievi di oratori e di collegi salesiani. Ci sono state reazioni molto energiche. Tra questi l'"onorevole" Armando Sabatini (nato nel 1908) ha preso la parola, Ero stato un membro del Comitato di Liberazione Nazionale diventare il "fiat" dopo l'8 settembre, 1943 e membro del Parlamento, già aderito l'Oratorio della strada Caboto - come il più giovane "onorevole" Carlo Donat Cattin (nato nel 1919) - prima e dopo la caduta del fascismo. Secondo Sabatini, il quadro disegnato da Bolgiani non era più inadeguato. Sia lui che altri alunni non sono stati riconosciuti nella "cultura" delineata dal relatore. L'Oratorio, in lui come negli altri, aveva nutrito la fede religiosa. Le discussioni sulle questioni filosofiche e sociali che hanno avuto due insegnanti della Ateneo Salesiano, come Don Gemmellaro e Don Mattai, erano stati, a suo avviso, solido e ricco, apprezzati per la loro filosofi struttura speculative e ideologiche ispirazione idealista e spiritualista come Augusto Guzzo . Ma le esperienze oratoriane ricordate da Sabatini erano episodi circoscritti. Oppure si dovrebbe prendere in considerazione come indice di una realtà culturale che il suo sviluppo è stato più complesso, più articolato e meno chiusa di quanto possa essere dedotto dalla presentazione necessariamente schematica e insegnante intenzionalmente provocatorio Bolgiani? 26 Bolgiani non ha parlato, ad esempio, , il salesiano don Paolo Ubaldi, che fu il primo professore di latino e letteratura cristiana antica greca presso un'università italiana ( "Cattolica" di Milano) 1924-1934, fondatore della "Corona Patrum Salesiana", pubblicato dal SEI (il publishing salesiano di Torino), eccellente insegnante, e come tale venerato da Michele Pellegrino, consiglio il cardinale e il periodo post-conciliare nell'Arcidiocesi di Turín.27 non si accorse Bolgiani Né è stata la SEI uno dei primi editori in Italia a pubblicare opere di Jacques Maritain.28 La sua pittura è indubbiamente esagerata, forse crudele e disegnata con una lente selettiva. Tuttavia, ci porta a riflettere sulle caratteristiche del quadro ecclesiastico e del mondo cattolico in cui i salesiani lavoravano, portati via dallo stile del loro carismatico e santo fondatore.
24 G. DACQUINO, Psicologia di Don Bosco, Torino, SEI 1988; gli altri saggi sono nel lavoro collaborativo diretto da TRANLELLO (vedi sopra, nota 2).
n. S. QUIN710, Domande sulla santitá. Don Bosco, Cafasso, Cottolengo, Torino, Gruppo Abele 1986.
Pietro Scoppola, nei termini che ha rovinato una particolarmente importante discorso celebrativo, come è stato consegnato a Torino in occasione del centenario, ha indossato la sua competenza come storico del mondo contemporaneo e risultati politici specialistici del modernismo in Italia per affrontare il Il tema "santo sociale" di Don Bosco nella relazione e più ampia di "Santo moderno" di Don Bosco. Nella trama della mostra Scoppola alcuni giudizi varie circa teologia e lo spirito di Don Bosco, loro apologeti e scritti spirituali sono apprezzati: tutti gli elementi che possono essere disposti, nel suo complesso, in aree di resistenza cattolica tradizionale conservativo, ma in cui non dobbiamo respingere o perdere di vista la coscienza, che Don Bosco dimostra di essere profondamente radicata, della realtà cristiana, percepito nella sua essenza e nella sua storia. La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29 La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29 La consapevolezza che il santo aveva e ha espresso in modi che è stato il debug e la relativizzazione negli anni più maturi e sotto profondamente diverse esperienze dei suoi primi esperimenti sacerdotali ed educativi a Torino. Così si potrebbe dire paradossalmente (ma questo può essere discusso, senza dubbio) che la modernità di Don Bosco va ricercata nel collegamento tra questo essenziale il cristianesimo, e quasi solo il livello catechetico relativizzata altro (e, tuttavia, è sempre espresso in formule non "moderne") e le opzioni organizzative che ha adottato nel mondo della gioventù e della tecnologia.29
26 F. BOLGIANI, Proposte di lettura del retroterra storico, in: Cristiani e cultura a Torino. Atti del convegno Toritio 3-5 aprile 1987, Milano, Franco Angeli 1988, p. 34-53.
M. PELLEGRINO, Un cinquantennio di studi patristici in Italia, in "La Scuola cattolica" 80 (1952) 424-452 (in particolare, pagine 430 e 450).
29 J. MAErrAIN, Introduzione generale alla filosofia, trad. di A. Cojazzi, Torino, SEI 1922 (edizioni successive: 1926, 1934, 1938, 1946).
Vengono in mente alcuni avvenimenti, apparentemente taglienti, Norberto Bobbio di "riformismo" e "moderna" sono due parole che devono essere bandita; in modo vago e ambiguo che sono già nel linguaggio di tutti i giorni, soprattutto nel gergo di políticos.3 ° Bobbio ha reagito ad un saggio storico di Giovanni Aliberti sulla modernizzazione del Mezzogiorno negli anni delle riforme napoleoniche. Aliberti ha risposto dichiarando che i termini "riforme" e "riformismo" non possono essere rimossi dalla lingua storica che, quindi si riferisce al XVIII secolo, hanno un significato specifico ben compreso che studia e scrive libri. Ancora meno può essere usato il termine "moderno", usato per definire le epoche storiche e le trasformazioni strutturali che si verificano in esse. Questo era in sostanza ciò che Bobbio intendeva precisamente: un uso appropriato, non oscillante e ambiguo, di strumenti di conoscenza e di linguaggio; anche un corretto uso di modelli interpretativi.
Per quanto riguarda Don Bosco, è proprio quello che si trova, per esempio, in una conferenza piena di ironia che un altro storico cattolico, Maurilio Guasco, ha consegnato a Firenze in questo centenario.32
nel senso che guidano, per situare realmente la modernità di Don Bosco nel suo sforzo nel mondo giovanile. Da qui segue l'opportunità e la necessità di esplorare questo mondo in modo più integrale, indagando i movimenti psichici e sociali di quel tempo.
29 Don SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, in: Don Bosco e le sfide della modernità, p. 7-20. Il tema della "modernità" di Don Bosco è toccato anche da P. Bairati nel suo saggio: Cultura salesiana e Società induslale, in: TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 351-355; ma è facile capire che queste sono letture discutibili. A tal fine, vengono in mente, oltre agli articoli di "Social Compass" 1987 già citati: W. RENHARD, Gegenreformation als Modernisierung. Prolegomena zu einer Theorie des Konfessionellen Zeitalter, in "Archiv für Reformationsgeschichte" 68 (1977) 226-252; J. HERF, II reazionario modernismo. Tecnologia, cultura e politica nella Germanio di Weimar e del Terzo Reich, Bologna, 11 Mulino 1988; JA SCHMIECHEN, I Vittoriani, lo storico e l'idea del modernismo,
3 ° Cfr. Il giornale di Torino «La Stampa» (8 febbraio 1987).
5 'G. AMERA Sistema sociopolitico ed organizzazione dello Stato nel Mezzogiorno napoleonico, in «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa» 17 (1988) 33, 25-43.
32 M. GUASCO, Don Bosco nella cicogna, tempo del suo tempo, in: Don Bosco e le sfide della modernità, p. 21-38.
Come ho avuto occasione di sottolineare (e, d'altra parte, chi coltiva la storia demografica e sociale), la gioventù, che appare come una classe a parte, è già un elemento di modernità nel XIX secolo e XX.34
Nel frattempo, Don Bosco può essere considerato un santo moderno, per essere uno dei pochi che ha avuto la fortuna, all'interno delle strutture religiose e politiche, di organizzare come propria un'offerta di opere e attività in accordo con i movimenti psichici, con le aspirazioni di inserimento nella vita, con le utopie che i giovani nutrivano in ambienti che prima erano impregnati di religiosità delle pratiche e che in seguito erano sempre più "moderni", nel senso che erano sempre più segnati dal segno di la mobilità geografica e sociale nelle strutture politiche non è più confessionale.
In una visione ampia su un ampio orizzonte che pretendeva di definire ampiamente la presenza cristiana nella storia dall'età di Costantino a ciò che alcuni tendono a chiamare neoconstantiniana, Don Bosco può essere inserito nel cattolicesimo che si impegna a progetto sociale ("fare buoni cristiani e onesti cittadini"), in un'epoca che va dalle iniziative dell'Amicizia Cattolica agli anni che preparano il Rerum novarum. In quel luogo si distingue per la consegna ai giovani delle classi popolari che stanno iniziando a comparire. La sua utopia finale era il sogno che l'educazione dei giovani, realizzata secondo il sistema che praticava, riempisse il mondo dei Salesiani Cooperatori, cioè di una gamma sempre più ampia di buoni cristiani e di cittadini onesti.
Questi sono alcuni piccoli frammenti di ipotesi che sicuramente possono essere analizzati in tutto il nostro Congresso con una riflessione che viene offerta più attentamente e orchestrata a più voci.
Cfr. In particolare i verbali del seminario di studio tenutosi a Venezia, dal 3 al 5 ottobre 1988, citato sopra, alla nota 18.
STELLA, La canonizzazione di Don Bosco con il fascismo e l'universalismo, p. 368ss; ID., Don Bosco, La, p. 278; la, Gli Studi Lo Studio e il suo Don Bosco e sul Suo pensiero formazione pedagogica: Problemi e Prospettive in: - (eds.) VECCHI PRELIE70, educativo Prassi pastorale Scienze dell'educazione, pag. 26.
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Francis DESRAMAUT
Diciannove volumi di Memorie Biografiche di Don Bosco, pubblicato più di 40 anni, precisamente tra il 1898 e il 1939, durante la prima metà del nostro secolo XX sono stati successivamente firmato tre sacerdoti salesiani: Giovanni Battista Lemoyne in volumi I -IX, Eugenio Cenia nei volumi XI-XIX e Angelo Amadei nella X.1 volume attento studio di un intero (circa sedici pagine mila), il titolo di questa comunicazione sembra annunciare, richiedono un numero imprecisato di volumi. Nel 1987, l'esame critico di un IX volume di storia con un totale di 80 linee, d'altro canto complesso, mi ha fatto scrivere un articolo di 24 pagine per la rivista "Ricerche Storiche Salesiane" 2 questa Bibbia salesiano può occupare generazioni di commentatori nei secoli futuri, se trovano piacere nel farlo. In effetti, i problemi posti sono talvolta ardui come quelli dei vangeli sinottici. Personalmente mi limiterò qui a fare alcune osservazioni generali sugli autori, i loro documenti e il loro uso.
Memorie erano in un primo momento, e in qualche modo sono rimasti fino alla fine, l'opera di Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916) .3 E 'stato con don Bosco a Torino nel 1864, dopo la sua ordinazione sacerdotale. Immediatamente fu attratto appassionatamente dal suo maestro e divenne il suo segretario privato a Valdocco (Torino) dal 1883 al 1888. Nel 1884 intraprese la scrittura e la composizione del documento che in seguito sarà il Memoriale Biografico. Nel 1885 questo documento documento titolato per Scrivere la storia di Giovanni Bosco D., S. Francesco di dell'Oratorio Di sali e della Congregazione Salesiana titolo generale di un insieme di record 45 contenenti la colonna incollato stampato e di cui tutta la vita di Bosco, anno dopo anno, dalla sua nascita nel 1815 fino alla sua morte nel 1888.
Il volume dell'Indice, opera di Don Ernesto Foglio, fu pubblicato nel 1948.
7 (1987) 81-104.
Uno studio molto interessante su questo personaggio è fatto nell'articolo di P. BRAIDO - R. ARENAL LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne con 20 lettere a Don Michele Rua, in RSS 7 (1988) 87-170.
Don Lemoyne era uno scrittore: era "biografo, agiografo, narratore, drammaturgo, poeta", se guardiamo un'enumerazione che può essere facilmente documentata; Era uno scrittore di coscienza, un narratore piacevole e divertente di "Letture Cattoliche" di quel tempo, un autore di drammi teatrali struggenti, un "poeta valente", secondo Don Bosco formula e lo riferisce un santo sacerdote ... Come alle sue capacità di storico, lo studio del suo metodo di lavoro nella stesura delle memorie biografiche ce lo rivelerà immediatamente. Dal 1898, i suoi primi sette volumi dei Memoirs usciranno rapidamente (1898-1909). La sua opera più importante è stata seguita da una buona biografia di Don Bosco in due volumi.5 Prima di morire ha potuto comporre solo altri due volumi delle Memorie e così raggiungere solo il 70 ° anno della vita di Don Bosco.
Alla morte di Don Lemoyne (1916), Angelo Amadei (1863-1945), che era stato direttore per otto anni del «Bollettino salesiano», fu incaricato di continuare e completare le Memorie biografiche. Don Amadei è stato molto fedele al suo confessionale nella Basilica di Maria Ausiliatrice, che ha attirato tutti i tipi di penitenti, un vero e proprio "Cacciatore d'anime ', come l'ha scritto, 6 si sentiva molto confortevole in celebrazioni zelante apostolo festoso e nella scrittura di articoli edificanti. È anche responsabile di un lavoro considerevole: una biografia di Don Bosco; in cui, nel 1929, ha cercato di parlare con i testimoni della sua vita 7 lavoro ampliato successivamente in due volúmenes.8 Si tratta di una biografia completa di Don Rua, primo successore di Don Bosco, dal titolo: II Servo di Dio Michele Rua .9 Tuttavia, Il signor Amadei non è stato il successore di don Lemoyne e questo per diversi più o meno identificabili motivi: la sua lentezza e completezza nel lavoro, secondo alcuni (l'autore di questo articolo intitolato Amadei Angelo a biografico Dizionario dei Salesiani); la molteplicità dei suoi impegni, secondo una sua lettera, letta da colui che scrive negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ... letto da chi scrive questo negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ... letto da chi scrive questo negli archivi salesiani di Torino; le polemiche sulla santità di Don Bosco nei temi di cui doveva parlare dal 1871, se ci atteniamo a ciò che dice l'introduzione del Volume X delle Memorie, che uscì lo scorso 1939 ...
4 Cfr. Ibid., P. 100.
5 Vita Venerabile Giovanni Bosco Servo di Dio Fondatore della Societa Pia salesiano dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori Salesiani, 2 vol., Torino, Libreria Editrice Internazionale 1911-1913.
6 Cfr. E. VALENTINI, Amadei Angelo, in: Dizionario biografico dei salesiani, Torino, Ufficio Stampa Salesiano 1969, p. 17.
7 Cfr. A. AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato, Torino, SEI 1929.
8 Cfr. A. AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato, 2 vol., Torino, SEI 1940.
9 Cfr. A. AMADEI, 11 Servo di Dio Michele Rua, 3 vol., Torino, SEI 1931-1934.
L'anno della beatificazione di Don Bosco (1929), il pubblico constataba salesiano, sorpreso e escandali7ado, la grande storia del nuovo beato non aveva lasciato la situazione di attesa in cui si trovava dopo la morte di Don Lemoyne. Il Beato Don Bosco era stato mutilato in 18 anni di vita. Le lamentele erano generali. Solo l'allora Rettor Maggiore, don Rinaldi, rimase in silenzio, come mi disse una volta don Cenia. Finalmente, nell'estate del 1929, don Rinaldi mandò da Roma a Torino don Eugenio Cenia, uno scrittore veterano, che rimediò alla situazione ». Don Eugenio Cenia (1870-1957) era un professore di lettere classiche. Ed era stato direttore del «Gymnasium», un giornale didattico per le scuole secondarie. Nel corso della sua lunga carriera, ha pubblicato per lo più commenti di autori greci e latini: Lisia e Senofonte da un lato, Cicerone, San Girolamo, Cesare, Virgilio e Livio, dall'altro. All'età di 60 anni, questo illustre letterato, una persona calma e fine, iniziò una seconda vita. Tra il 1930 e la sua morte nel 1957, si dedicò esclusivamente alla storia salesiana. I volumi XI al XIX delle Memorie biografiche, che si riferiscono alle ariani 1875-1888 Don Bosco, con un supplemento che copre la sua glorificazione, è uscito con velocità lodevole tra il 1930 e il 1939. Questo operaio ammirevole, una volta che lo ha portato come Don Bosco, ha scritto poi diverse biografie dei discepoli del santo (Maria Mazzarello, don Rua, Don Beltrami, Don Rinaldi), così come le notizie preziose sui "capitolari salesiani" e sul coadiutore salesiano, un libro ben fatto su i cooperatori salesiani e, infine, quattro grossi volumi di Annali della Societa Salesiana (per gli anni 18411921) e Epistolario di Don Bosco, il cui volume pubblicato lo scorso non poteva vedere perché è venuta la morte. Negli anni della canonizzazione, mentre continuava la pubblicazione delle memorie, aveva anche scritto una biografia di don Bosco in un volume di lusso, "forse è la vita migliore per la divulgazione di Don Bosco scritto in questo secolo. Don Cenia era un umanista base nel vero senso della parola. il suo culto della misura. pertanto, le loro frasi, ciceroniano ritmo, erano limpido e fluido. il suo gusto per le cose semplici e belle e descritto a parole mai ingannevole Non era affatto un servitore dell'erudizione, e la forma letteraria che aveva dato ai volumi XI-XIX delle memorie biografiche li ha modificati positivamente.
1 ° su don Ceria, cf. E. VALENTINI, don Eugenio Ceda, Torino, SEI 1957; Ceria Eugenio, in: Dizionario biografico dei salesiani, p. 79-81.
"San Giovanni Bosco nella vita e nelle opere, illustrato da GB Gallizzi, Torino, SEI 1938.
Il titolo del primo volume di memorie (destinato a diventare più tardi nel lavoro completo, con le sole variazioni introdotte per promuovere la causa di canonizzazione di Don Bosco) è la seguente: Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, Raccolte dal sac. Il salesiano Giovanni Battista Lemoyne, vol. 1.12 manifestato un certo modestia.'3 Come Don Bosco aveva composto, non è una vera e propria storia del suo lavoro, ma le dell'Oratorio Memorie di S. Francesco di Sales, vale a dire l'Memorie per ser-Vire alla dell'Oratorio storia di S. Francesco di Sales, don Lemoyne, se si considera solo il titolo del primo volume ha cominciato a scrivere sul fondatore dei Salesiani, non è una biografia nel senso tecnico del termine, ma un Memorie biografiche, cioè, Memorie per servire alla biografia del santo di Torino. Ma lasciamo la facciata per entrare nel monumento. La vera intenzione del suo autore e il genere della sua opera appaiono nelle prime frasi della prefazione. L'autore scrive di loro: "Coll'affetto di amatissimo Fratello Cari Salesiani vi presento la biografia di Padre in Venerato Nostro Gesù Cristo Don Giovanni Bosco" "Siamo stati bene informati meglio Con il suo grosso volume sulla gioventù di Juan Bosco, ha voluto offrire. ai Salesiani le premesse di una biografia di Don Bosco.
La velocità con cui Don Cenia ha terminato le Memorie tra il 1930 e il 1939 viene spiegata solo se si presta attenzione all'immenso lavoro preparatorio di Don Lemoyne e alla fiducia senza riserve che Don Cenia ha avuto in lui. GB Lemoyne diede alle Memorie le sue fonti, la sua architettura generale e, anche per i dieci volumi che non riuscì a scrivere, la forma della storia, almeno in una certa misura. In questo saggio sul metodo di lavoro dei tre autori delle Memorie biografiche, mi soffermerò preferibilmente su Lemoyne, anche se è autore solo dei primi nove volumi della raccolta.
La ricerca, la comprensione e, infine, l'uso dei documenti, sono le tre fasi di un'opera in cui lo storico di Don Bosco rivelerà la sua qualità professionale. Don Lemoyne voleva raccogliere tutti i documenti adatti ad arricchire, per quanto piccola, la sua storia di Don Bosco e della sua opera. Benché ampio, non era nient'altro, nella mente del compilatore, che una "storia" su Don Bosco. Ha preso in considerazione, quindi, solo (o un po 'meno) gli elementi narrativi. I piani di costruzione, le fotografie, i libri contabili, i registri scolastici ..., che richiedevano un trattamento speciale, venivano quasi sempre ignorati. Le sue preferenze erano sempre verso testi già scritti da testimonianze immediate e, prima di tutto, da Don Bosco.
. Edic. extra-commerciale: San Benigno Canavese, Scuola Tipografica, Libreria Salesiana 1898.
"Si può vedere, su questa questione, il mio libro: Les Memorie 1 Giovanni Battista Lemoyne fondamental d'un ouvrage Étude sur la Jeunesse de Saint Jean Bosco, Lione, Maison d'études SaintJean-Bosco 1962, pag 84-86 .. .
"MB I p.VIL
Come direttore della scuola di Lanzo (1865-1877), Don Lemoyne aveva raccolto con la massima cura la "Buona notte", le plaziosità e le lettere di Don Bosco ai suoi giovani. Quando divenne suo segretario a Torino nel mese di dicembre del 1883, aiutato da un altro appassionato di Don Bosco, che era anche un archivista deciso, Don Gioachino Berto (1847-1914), raccolti tutto quello che poteva trovarlo. Ha chiesto e setacciato attraverso i testimoni della sua vita passata. Le storie sulla madre di Don Bosco, Margarita Occhiena, di cui ha pubblicato la vita nel 1886, lo interessavano molto. Doveva chiarire il contenuto di agende, quaderni, quaderni non sufficientemente leggibili. E spesso, dopo un'elaborazione progettata per rendere la storia facile da seguire, ha iniziato a classificare i suoi materiali, con frammenti quasi sempre tagliati secondo la cronologia di Don Bosco, e ordinarli nei registri dei Documenti per scrivere, che divenne così un'immensa cava per l'uso dello storico del grande uomo. La realizzazione di questi documenti iniziò nel 1885, in un momento in cui la raccolta di documenti era solo agli inizi. In altre parole, l'euristica e il lavoro di redazione - anzi, i Documenti costituivano una prima redazione - erano allo stesso ritmo per Don Lemoyne. Quando arrivarono alla sua conoscenza, incluse i nuovi pezzi nei suoi dischi. Tuttavia, dal processo di Don Bosco, si è deciso di passare a una nuova fase: testimonianze, frammentarie come la cronaca, sono diventati parte dei file preparati più direttamente in vista della stesura dei vari volumi delle Memorie biografiche. Don Lemoyne, in effetti, ha chiesto con la massima diligenza possibile sulla base delle prove prodotte nel processo di rendicontazione di canonizzazione tenutasi a Torino nella 90 Contrariamente a quanto avrebbe capito una nota nella sua introduzione generale, ha usato deposizioni che processo già nel primo volume delle sue Memorie, apparso nel 1898 e che si riferiva agli anni della gioventù del nostro santo.
Ogni giorno ci rendiamo conto meglio di quanto i ricordi biografici siano una immensa collezione di mosaici di documenti biografici, tagliati in pezzi e introdotti in una rete di articoli distribuiti in capitoli e in libri più o meno omogenei. La sua storia dovrebbe quindi supporre l'analisi della massa di documenti accumulata poi su Don Bosco, in particolare da Don Lemoyne. In questo momento dello studio, non posso fare altro che elencare i pezzi principali e aggiungere qualche parola sulla loro interpretazione.
Furono scritti da Don Bosco stesso: le Memorie dell'Oratorio che si riferiscono agli anni 1815-1855, al testamento spirituale, alle lettere circolari o personali; le biografie pubblicate su Comollo, Savio, Magone, Besucco, Cafasso; il manoscritto o i resoconti stampati della vita del suo lavoro; i registri, il viaggio a Roma nel 1858, la consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice, le «meraviglie» o «grazie» attribuite a Maria venerata in Valdocco ...; i regolamenti e le costituzioni della sua opera locale (di Torino) e presto in tutto il mondo (la congregazione salesiana, l'unione dei Salesiani Cooperatori ...).
Le note minori o gli schemi interessavano Don Berto, che li passò a Don Lemoyne.
Dopo Don Bosco arrivarono quelli che lo avevano ascoltato o almeno i suoi contemporanei, che avevano scritto cose viste o ascoltate. Probabilmente è conveniente iniziare questa serie con la Storia dell'Oratorio, quella di Giovanni. Bonetti (1838-1891) pubblicato a puntate nel "Bollettino salesiano" durante la vita di Don Bosco e che in seguito divenne un grosso volume intitolato: Cinque lustri dell'Oratorio salesiano fondato dal Sac. Don Giovanni Bosco.'6 Alla Storia verranno aggiunte le consegne del "Bollettino" degli ultimi anni di Don Bosco sulla Passeggiata autunnale. I verbali delle riunioni dei direttori salesiani, del "capitolo superiore" e dei capitoli generali dal 1877 al 1886 erano anche inclusi nella documentazione raccolta dal signor Lemoyne. Ma ho dato maggiore importanza alle agende o notebook ricordi e commenti dalle seguenti testimonianze: Domenico Ruffino (1840-1865), Giovanni Bonetti (l'appena citato), Antonio Sala (1836-1895), Gioachino Berto (cit prima), Giulio Barberis (1847-1927), Francesco Cerruti (1844-1917), Giovanni Garino (1845-1908), Giuseppe Lazzero (1837-1910), Francesco Provera (1836-1874), Carlo Maria Viglietti (1864-1915 ), Pietro Enria (1841-1898), Giovanni Battista Francesia (1838-1930), Secondo Marchisio (1857-1914) ... questa lista dovrebbe anche mettere Don Lemoyne che, a fronte di una leggenda tenace, non annullata a tutti sistematicamente dalle tue note personali. Don Rua aveva scritto un bel libro dell 'Esperienza un Necrology ... e ha anche scritto note frequenti su piccoli pezzi di carta.
5 Cf. Memorie dal 1841 al 1884-5-6, che F. Motto ha pubblicato in RSS 4 (1985) 73-130.
16 Cfr. G. BoNETA Cinque lustri dell'Oratorio salesiano fondato dal Sac. Don Giovanni Bosco, Torino, Tip. Salesiano 1892. Va notato che Don Lemoyne raccolse nei Documenti le colonne del "Bollettino salesiano" e non le pagine dei Cinque lustri, che, a quanto pare, non erano usate, come tali, nella composizione del MB.
è chiaramente non è il caso dare giudizi generosi e valido per tutti questi testimoni, e ancor meno per ciascuno degli episodi contati per loro e per tutte le frasi di Don Bosco da essi trasmessi, come se la sua vicinanza con l'eroe della storia ha avuto quello di garantire in modo assoluto l'obiettività, la lucidità, l'accuratezza ... delle tue note. Devi "capire" questi documenti. Il genere letterario delle cronache dovrebbe interessare il commentatore. Il rapporto immediato sarà distinto, dalla memoria più o meno lontana; il record, della successiva testimonianza; testimonianza diretta, testimonianza indiretta; il sogno, della parabola del sogno; la stessa testimonianza, del suo commento, autorizzato o meno, e anche la formulazione originale, della formulazione elaborata. Qui gli esempi si accumulano a centinaia, forse migliaia. è stato, ma d'altra parte, molto più tardi la testimonianza diretta fatti di cui sopra e, quindi, esposto a tutte le fantastiche ricostruzioni di ricordi. Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21 Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21 Ma gli stessi testimoni potevano anche scrivere storie che circolavano nell'ambiente, che altri avrebbero potuto smentire se fossero venuti a conoscerle. Era "cose che si raccontano", come scriveva Ruffino all'inizio di alcuni aneddoti su Don Bosco. Un quaderno di Giovanni Bonetti (20 fogli, di cui ci sono scritti solo 10) contiene sei episodi incredibili, tutti di origine sconosciuta "Mirabile conversione di un ateo", 19 "II risvegliato giovanotto da morte"; "« canna 11 grigio »; 21
"Le Castagne '; .. 22" Moltiplicazione delle ostie '' Sono aneddoti, vero o no, sono stati pubblicati solo molto tempo dopo essere stato registered'd meglio non dare loro più credito di quello che meritano le storie che si raccontano per evitare pregiudizi o ideologie dominanti nei vari gruppi umani.
"Cfr. MB V, 9.
In effetti, Don Lemoyne non lo teneva presente quando compose i suoi Documenti *, quindi
fino al 1891; e la critica interna supporta datazioni così tardive. "Cfr. MB IV, 156.
20 Cfr. MB lIL 495.
21 Cfr. MB IV, 416.
22 Cfr. MB 111, 576.
23 Cfr. MB III, 441.
Simile si può fare per quanto riguarda le deposizioni raccolte durante il processo di canonizzazione di Bosco e andò a osservazioni Memorie Biografiche. Nel complesso è stato molto bello e molto interessante. Hanno sfilato per Torino sacerdoti diocesani, sacerdoti salesiani, fratelli salesiani e laici: Giovanni Bertagna, Gioachino Berto, Secondo Marchisio, Giovanni Giacomelli, Felice Reviglio, Giacomo Manolino, Giuseppe Turco, Giovanni Filippello, Giorgio Moglia, Giacinto Ballesio, Angelo Savio, Francesco Dalmazzo, Giovanni Branda, Pietro Enria, Leonardo Murialdo, Giovanni Cagliero, Francesco Cerruti, Giovanni Battista Pianoforte, Giuseppe Rossi, Giovanni Villa, Giovanni Battista Francesia, Luigi Piscetta, Giulio Barberis, Giovanni Battista Lemoyne, Giovanni Bisio, Michele Rua, Giovanni Turchi, Ascanio Savio , Giovanni Battista Anfossi, Domenico Bongioanni, Giuseppe Corno, Antonio Berrone e tredici altre persone, uomini e donne, appositamente chiamati a chiarire i problemi riguardanti i miracoli. Don Pietro Stella ha cercato di classificare questi testimoni per iniziare a soppesare le loro testimonianze. Da un punto di vista ideale, sarebbe necessario seguire i meandri di ciascun elemento di queste deposizioni, risalendo alle loro fonti di informazione e alla stessa mentalità delle persone interessate. Si deve sapere che le affermazioni più assolute sull'ascesi di Don Bosco vengono da noi - tranne che per una migliore informazione - da don Berto, che era un uomo scrupoloso e più o meno ossessionato. Lo stesso Berto e suo fratello in religione Giulio Barberis fece lunghe dichiarazioni nel processo dai Documenti di Don Lemoyne, Potrebbero consultare e copiare a piacere in Valdocco. A volte li usavano in modo servile. Ecco perché gli approcci, anche gli errori delle loro fonti, sono riapparsi, più aumentati che corretti, nelle loro deposizioni. Lo hanno fatto indubbiamente con la migliore buona fede nel mondo. Ma sarà accettato che diverse testimonianze del processo di Don Bosco possano avere alle spalle una storia già lunga, la cui conoscenza è indispensabile per coloro che vogliono capirle. Un altro avvertimento piuttosto di natura generale: la cosiddetta forma "definitiva" delle cronache e dei verbali, fatta dall'autore delle Memorie, non è sempre, o spesso, quella che è uscita dalla mano dello scrittore. Per quanto riguarda le cronache, Il caso più interessante mi sembra quello di Carlo Maria Viglietti nel suo resoconto degli ultimi anni di Don Bosco (1884-1888). Distribuito in diversi quaderni, rivisto e copiato più volte, questa storia presenta al commentatore molti problemi particolari. Si scopre che la cronologia primitiva è la più sicura. Tuttavia, ci sono passaggi aggiunti in seguito che non sono privi di interesse per la conoscenza di Don Bosco. Per quanto riguarda i minuti: di solito il segretario designato prende nota di ciò che ascolta o capisce mentre la sessione si svolge. Ma poi deve scrivere un testo ufficialmente accettabile. Aggiunte aggiunte, modifiche, cancellazioni. Fai questo lavoro di solito da solo, a volte in consiglio. Le forme prese dai verbali della prima sessione del Capitolo generale dei Salesiani del 1877, essi affidati a Don Giulio Barberis, sono - a mio parere - ricco insegnamento per lo storico e, quindi, per la biografia di don Bosco. In effetti, la versione originale è pieno di frasi cancellato e ha aggiunto, che dovrebbe essere letto attentamente perché forniscono comprensione del dibattito sullo sviluppo. E 'vero che può essere cercato di preferenza diverse caratteristiche della mentalità dei correttori (Don Bosco e la prima di tutto): in questo caso, ritocchi, che non sono puramente formali, meritano, anche loro, un attento esame.
Queste riflessioni non sono state fatte da Don Lemoyne, compilatore, né dai suoi successori Don Amadei e Don Cenia. Per Don Lemoyne era sufficiente che il testimone fosse "onesto", una qualità che valeva secondo criteri morali. Prelevati sua versione nella sua forma finita, il lucidato, rivestimento ogni dettaglio nello stesso piano, dividendo, unendo passi paralleli, tutte le informazioni non ancora noto e distribuito secondo un tessuto generale del lavoro, che era rigorosamente e, per quanto possibile, cronologico. Don Lemoyne - e qui ricordare che Documenti redatto in base a questo principio di copertura l'intera vita del santo e influenzano anche i volumi di Don Amadei e Don Cenia - la migliore storia di Don Bosco sarebbe quello di raccogliere il maggior numero di informazioni di Don Bosco attestato dai testimoni. Nulla gli sembrava disponibile, anche se era solo una frase o una parola. Questo culto della quantità mi sembra che denuncia in convinzioni "sostanzialista", che, insieme ad altri, sono un segno di mentalità "pre-scientifica" della nostra historiador.24 "Per una tendenza quasi naturale - Gaston Bachelard scrive nel capitolo del Ostacolo substantialiste lo spirito pre-scientifico accumula su un oggetto tutta la conoscenza in cui quell'oggetto gioca un ruolo, senza occuparsi della gerarchia dei ruoli empirici. Collega qualità diverse direttamente alla sostanza, sia qualità superficiale che qualità profonda, qualità manifesta come qualità nascosta ". Si preoccupa di "ovvia esperienza esterna, ma fugge dalle critiche nel profondo del suo cuore". "
Forse alcuni esempi non sono inutili. Quando racconta la sua giovinezza, Don Bosco, per ragioni che per noi sono oscure, non ha mai fatto allusione al suo estare et l'ordonnance de la matière ".
24 Prendo, su questo argomento, le idee e la terminologia di G. BACHELARD, La formazione de l'esprit scientifique. Contributo a una psicoanalisi dell'obiettivo del congressuale, 13 "ed. (1" editto 1938), Paris 1986, p. 131-133.
2 Ibid., P. 99.
"Vedere Les Memorie I Giovanni Battista Lemoyne, p. 213-266, il capitolo sulla" lectancia come operaio a Moncucco Moglia fattoria dove egli deve aver speso circa 18 mesi (1828-1829), quando aveva 13 anni a 14 anni. Ora il salesiano Secondo Marchisio durante l'estate del 1888 e poi gli avvocati del processo di rendicontazione del 90 ha chiesto alla gente agricola, a partire da Dorotea Moglia, Giovanni Moglia, Giorgio Moglia a coloro che erano stati . lì e parlato abbondantemente una caratteristica di adolescente Bosco aveva impressionato questi connazionali loro. Juan si era rifiutata di restare solo con una ragazza di Moglia, e questo nonostante gli ordini da Dorotea di raccontare questo episodio, Don Lemoyne era a. meno prima di sette pericopi, senza contare altri due che generalizzavano il rifiuto? Considerò che, in quel caso, uno dei testimoni ha dato al rifiuto una forma diversa dalle altre e, quindi, separato da loro.28 La risposta è stata quindi spiegata nelle Memorie biografiche. Il ragazzo disse a Dorotea, secondo la maggior parte delle testimonianze: "Datemi dei ragazzi, e ne go-yerno fin che chelete, ma bambine non debbo governarne"; e secondo la particolare testimonianza: "Io non sono destinato a questo! rispondeva pacatamente Giovanni ».29 Questo meccanismo di inclusione raddoppiò anche il colloquio di Juanito con don Calosso nel novembre 1829 lungo la strada che da Buttigliera portava alla fattoria dei Becchi. L'episodio è noto. Don Calosso, meravigliato dalla disinvoltura di un ragazzo che ancora non conosceva, gli chiese di ripetere l'omelia del predicatore giubilare. Juan ha fatto. Don Lemoyne aveva tre fonti in questo senso: un frammento delle Memorie dell'Oratorio di Don Bosco, un frammento di una cronaca di Domenico Ruffino e un frammento degli Annali di Giovanni Bonetti, parallelo, invece, a quello di Ruffino. Ognuna di queste storie conosceva una singola conversazione ripetuta dal bambino. Ma le loro espressioni non coincidono perfettamente l'una con l'altra: quella di Ruffino-Bonetti aveva una sua forma che non era quella dell'Oratorio dei ricordi. Inoltre, nelle Memorie il ragazzo parlava "per più di mezz'ora", mentre Ruffino gli faceva ripetere il sermone solo per dieci minuti. Di fronte a questo problema, il "sostanzialista", avaro anche dei più piccoli servizi, credendo che con esso serva la verità, non dubita: conserva tutto. Don Lemoyne dubbio che don Bosco era stato in grado di ripetere 12 anni di distanza (nel 1861 per Bonetti-Ruffino e nel 1873 per dell'Oratorio Memorie), con una formula diversa sermone della sua infanzia, che aveva appena ricordato stato l'ultimo Egli ha parlato, quindi, "per pin di mezz'ora" su uno dei sermoni e poi per dieci minuti su un altro, con un totale di circa tre quarti d'ora? °
27 Rossi ha testimoniato: "Le Madri di famiglia affídarono Gli Dei Loro Bambini custodia e ilgiovane Faceva muffa Bosco delle volentieri ad eccezione bambine" (G. Rossi, ordinario Processo di Tormo della Curia, 2511 c.). C'erano così tante "madri di famiglia" nella Moglia?
28 Questa affermazione fatta, credo, da Giorgio Moglia, fu pubblicata da Don Lemoyne in Documenti XLIII, p. 3.
29 Cf. MB I, 199.
30 Cf. MB I, 177-178.
I due uguali curacionestan di donna paralitica in occasione della consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino nel 1868 sono nati nello stesso modo nella storia salesiana. La prima derivata da un conto di Don Bosco Don Lemoyne nel 1884; 31 secondi, tre pagine dopo nelle memorie IX come una raccolta stampata dell'anno suceso.32 Altri doppietti, meno facile da scoprire, sono comunque quasi altrettanto certo: l'episodio dei ragazzi che sono stati imbevuti durante un'escursione e sono stati accolti dal "Cavaliere Gonella" di cui nel volume VI del MB, secondo la biografia di Magone scritto da Don Bosco, e ripetono in volumi VII dei MB in un altro anno - secondo un aneddoto raccolto nel 1884;
Su questo punto sembra che lo storico di Don Bosco abbia confuso due piani: quello della vita o quello della storia vissuta e quello della storia della vita o della storia e anche del documento che testimonia quella storia. Si basa sull'ipotesi della sua coincidenza normale: un piano riflette l'altro. Si presume che le mediazioni dei documenti siano trasparenti e che i loro messaggi siano ovvi. La comprensione del documento, nella sua peculiare formalità, non pone mai (o quasi mai) problemi. Ora, "non è così facile capire un documento, sapere cosa è, cosa dice, cosa significa" 35. L'agiografo di Don Bosco dimentica che l'esposizione storica (cioè i suoi documenti) forma un corpo con persone o persone. gruppi di persone che hanno parlato o scritto in un dato momento, hanno scelto le proprie prospettive, i dettagli trascurati, hanno forgiato gli altri per farsi capire (per comunicare, diremmo oggi), al momento hanno immaginato in buona fede, hanno colorato il tutto con i loro sentimenti e desideri. Colui che ha un po 'di familiarità con la storia, intravede le conseguenze di un metodo che economizza sulla "comprensione" sistematica dei testi usati. In effetti, il testo è un prodotto. Ha il peso di un oggetto fabbricato. Non può mai essere usato come un vetro trasparente, che "guarda" al reale o alla storia che conta. Applicato alla Bibbia, questo metodo "naif" confonde frammenti didattici e storie storiche, leggende e realtà, aneddoti popolari e lettere ufficiali, ecc. Per quanto ci riguarda, scegliamo un esempio casuale: la storia del barbiere del villaggio di Castelnuovo. Don Bosco ha rifiutato un giorno di lasciarsi radere da una donna, almeno sembra così. Episodio, commentatori divertenti oggi la sua vita è una storia che introduce Giovanni Bonetti questo modo in uno dei suoi quaderni: "Otto giorni Sono o - sono in febbraio 1862 - a causa Suo del paese, D. Savio e il Suddiacono Cagliero il mio raccontarono questo del signor D. Bosco. Un giorno D. Bosco fu venuto a Castelnuovo. Avendo bisogno di farsi fare la barba [...]. E 'Tio visto tosto se sollevato, Prese Il Suo Cappello e salutando le Disse: che non permetteró giammai uno Dorna venire prendermi naso pel" .36 Si tratta di un cartone animato divertente, come la gente del posto aveva. Per quanto riguarda la scena in sé ed effettivamente pronunciato le parole ..., si dovrebbe pensare due volte - o più - prima di decidere se la risposta di Don Bosco, la cui formulazione abbiamo sempre fuggire, era un segno della sua "castità selvaggia ' ... L'autore delle Memorie ci fa credere in una specie di recente relazione: "D. Angelo Savio e Mons. Cagliero Egli ci raccontarono mangiare, una volta giunto e Avendo Castelnuovo di Bisogno farsi radere la barba, nei pressi di Bottega di una ... "etc. In questo modo, economizza in realtà nella "comprensione" corretta del documento e quindi nel suo significato.
3 'Vedi il quaderno di GB LEMOYNE, Ricordi di gabinetto, 22 febbraio 1884; raccolti in: MB IX, 257.
32 Cfr. G. Bosco, Rimembranze di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice, Torino 1868,
p. 49-50; Raccolta in: MB IX, 260-261.
33 MB VI, 54, secondo GB LEMOYNE, Ricordi di gabinetto, 22 febbraio 1884. Il duplicato
qui è molto sicuro, sebbene non assolutamente vero.
34 Riguarda la guarigione del figlio di Bouillé, raccontata da Anden Magistrat in: Docu
menti XXV, p. 127; narrazione approvata da Charlotte Bethford, contenuta in: MB XVI, 131-133. Riguarda la guarigione di un ragazzo, il cui nome non è menzionato, in una mostra di María Ortega a Don Rabagliati, Documenti XLIV, p. 460, da dove passò a MB XVI, 224-225. H.-I. MARROU, De la Connaissance Historique, Parigi, Editions du Seuil 1954, p. 101.
Le conseguenze di questa omissione possono essere serie. Don Lemoyne (e dopo di lui don Ceria) avrebbe dovuto impegnarsi a "comprendere" a fondo i due racconti di "bilocazione" di Don Bosco, i primi nel 1878 e poi nel 1883. Mentre a quel tempo era a Torino, i Ricordi lo fanno apparire in carne ed ossa il 14 ottobre 1878 a Saint-Rambert d'Albon, in Francia; secondo una lettera datata 13 aprile 1891, dalla signora Ada Clément; e nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1886 a Sarrià, vicino a Barcellona, seguendo il sacerdote salesiano Giovanni Branda.37 La prima testimonianza è una supposizione senza fondamento serio. Per quanto riguarda il secondo, è solo un segno di una "visione", non di una "bilocazione" propriamente detta. Nell'esercizio della sua missione, il giudice sa che ogni testimonianza deve essere soppesata. Purtroppo, l'agiografo dell'era pre-scientifica, attaccato alla tradizione, ha fatto attenzione a non farlo, soprattutto se la reputazione del suo santo rischiava di essere offuscata in qualche modo. L'agiografo che ha familiarizzato con le scienze umane e con il metodo "scientifico" è obbligato a valutare criticamente le testimonianze e, più in generale, a "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali". più in generale, per "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali". più in generale, per "capire" i documenti. Altrimenti, alcuni attacchi con la bacchetta magica sono facilmente esposti al rischio di far apparire nell'aria "meravigliosi castelli spirituali".
"G. BONETA Annali, quaderno II, pp. 36s Il tratto riappare in: MB V, 161-162.
37 Il fatto di Saint-Rarnbert, secondo Documenti XLIII, p. 335-336, corroborato da una lettera della figlia della signora Clément, Lione, 18 aprile 1932, in: MB XVI, 680-684; il fatto di Sarriá, secondo Documenti XXXI, p. 86-89, in: MB XVIII, 35-39.
non è il caso scuse per questo modo imperfetto e riprovevole di procedere degli autori di memorie degli autori, e prima di tutto Don Lemoyne. Non è vero dire che "erano uomini del suo tempo". Anche parlando solo di agiografia - e non la storia in generale, che ha fatto passi da gigante in tempi moderni - Bollandisti aveva lavorato 250 anni prima che Don Lemoyne pubblicò il suo primo volume delle Memorie biografiche. Studiavano i documenti agiografici secondo metodi sempre più raffinati dalla critica storica. Nei secoli XVII e XVIII, gli storici di Port-Royal avevano contribuito a trasformare l'agiografia nella storia vera. Le Nain Tillemont, per esporre i santi nelle sue Memoires versare Servir à l'Histoire des premiers sei Siècles ecclésiastique, 38 l'aveva fatto come storico. Memoires versare servir la vie ... di vari personaggi di quel periodo - i cui titoli annunciato, inoltre, curiosamente Don Lemoyne che ha scelto di celebrare il Don Bosco - erano di buona qualità. Il livello generale bassa scientifica si trova in pie biografie comunemente usati nel XVIII secolo, e ancora di più nel XIX secolo, la cui preoccupazione per la costruzione di sovrapposizione di dire e spiegare la verità è incontestabile. Ma, perbacco, ruotare la rigorosa l'agiografia ha coinciso con la fine del secolo scorso, e quindi la nascita di Ricordi, un momento in cui Louis Duchesne (1843-1922) e Hippolyte Delehaye (1859- 1941) ha attaccato violentemente nella "Bulletin Critique" e nelle loro opere specializzate le "leggende agiografiche". Bollandist eccellente iniziazione Charles De Smedt, Principes de la critique historique, era stato pubblicato nel 1883. Altri, con questi, costruita su quella linea. Nel 1895, gli autori della collezione Les Saints, pubblicati a Parigi sotto la direzione di Henry Joly, erano convinti che i loro opuscoli dovessero essere rigorosamente storici. In molti casi erano opere veramente compiute. Lo stesso Delehaye pubblicato in esso la sua Saint Jean Berchmans.39 Tuttavia, nel nostro caso, questo "scientifico" corrente che, tra l'altro, era tutt'altro che dominante nel nostro tempo e nella stessa, come gli ambienti francesi attuali, dico, non ha raggiunto il clero italiano. E l'antimodernismo del primo Novecento ne dubitava persino l'ortodossia. Don Lemoyne si era formato a Genova intorno al 1860. Ora,
vente stranieri, cultura della cultura ecclesiastica nell'ambiente dí tale secolo é assai mediocre. Ricerche più recenti hanno precisato senza smentire le impressioni d'insieme [...]. Il livello degli studi, in cui gravi insuffidenze erano state denunciate da Rosmini nelle antiche piaghe della santa Chiesa,
nonostante qualche progresso, assai basso; i professori non sono, nell'insieme, selezionati secondo le paro competenceze. Tranne Eccezioni ALCUNE, Sono Gli Studi Positivi trascurati ...'. Studi positivi 4 ° sono stati trascurati, ed i nostri storici salesiani hanno partecipato nello spirito 'pre-scientifica' dell'ambiente culturale della loro nazione, alla ricerca di alcuni dati, non impone lo sforzo di valutare e contrastare le sue "esperienze". È necessario, quindi, superare uno stadio ed entrare nell'era "scientifica" una volta per tutte.4 Quindi, sono stati compiuti progressi in fisica e in biologia; ma anche nella storia. In effetti, lo storico è, a suo modo, un uomo di sperimentazione. Ha la sua collezione di concetti. Solleva domande. Crea ipotesi, le contrappone, le verifica e le definisce dalla documentazione. I concetti sono i suoi strumenti; i documenti, il luogo delle sue «esperienze», in cui e con cui si interroga sul passato degli uomini.42
"Cfr. LE NAIN DE TILLEMONT, Mémoires pour serve ..., Paris, Robustel 1693-1712.
33 Cfr H. Delehaye, Saint Jean Berchmans, Paris, 1921. See Lecoffre articolo di P. Pourrat, Biografie Spirituelles in: Dictionnaire de spiritualité, vol. Io, Parigi 1937, coll. 1715-1719, il paragrafo su "L'évolution de la biographie spirituelle à l'époque moderne"; e R. AIGRAIN, L'hagiographie. Ses fonti, ses méthodes, sono histoire, Paris, Bloud et Gay 1953, passim.
Don Lemoyne riteneva di aver gettato le basi di un'opera totalmente "razionale". "Non la fantasia, ma il cuore, guidato dalla fredda ragione, dopo lunghe disquisizioni, corrispondenze, confronti dettó queste pagine. Le Narrazioni, i Dialoghi, OGNI Che cosa ho creduto Degna di memoria, non Che Sono la fedele ESPOSIZIONE letterale di Quanto i testi esposero ».43 Purtroppo, scambiò la perfezione "razionale" e l'accumulo 'sostanziale', cioè l'accumulo di prove documentari o elementi espressivi - non analizzati e sistematicamente compresi - della storia passata. Il suo lavoro correva il rischio di essere un'enorme testimonianza della storia o dell'agiografia "pre-scientifica".
Si dirà giustamente che ciò che importava a questi autori della prima generazione era raccogliere documenti e renderli leggibili. I nostri tre biografi l'hanno ottenuto almeno apparentemente, dal momento che hanno composto 19 volumi che il pubblico era destinato a leggere senza stancarsi dopo la pubblicazione. Sono stati tradotti in tre lingue (inglese, olandese, spagnolo). Il suo volume è, per lo meno, un indice di abbondanza di documenti oggetto di dumping in questo tipo di storico salesiano enciclopedia primitiva ... è imposto aspetti retributivi a don Lemoyne, editore di lettere private e circolari, articoli di giornale collettore o di piccoli stampati nei suoi Documenti per scrivere ... Ha reso un servizio senza prezzo alla storia di Don Bosco. A sua volta, come è frequente dopo Don Lemoyne, Don Amadei e Don Cenia hanno pubblicato nei volumi X-XIX un notevole numero di pezzi originali. Gli allegati che contengono documenti stampati di piccolo carattere nei volumi di Don Cenia, sempre più abbondanti come la vita di Don Bosco si riversa dalla sua penna, sono già di grande aiuto per coloro che hanno consultato. (Una specie molto rara, è vero, tra coloro che rivelano e commentano Don Bosco, che preferiscono la storia fluida). I "documenti" riprodotti con cura (ho potuto verificarlo) nei Documenti di Don Lemoyne e negli allegati di Don Amadei e Don Cenia rispondono alle aspettative degli storici di Don Bosco. Così, per la storia del lungo viaggio di Don Bosco in Francia nella primavera del 1883, ci sono informazioni di prima mano e, quindi,
4 ° P. SCOPPOLA, Italie. Période contemporaine, in: Dictionnaire de spiritualité, vol. VII, 2 ° partito, Parigi 1971, coll. 2296-2297.
4 Questa osservazione, come molte altre qui riprodotte, è tratta da G. BACHELARD, La formazione de l'esprit scientifique, citata alla nota 24.
42 Cfr. L'eccellente libro, già citato, da MARROU, De la Connaissance historique, p. 146-168, il paragrafo su "l'uso del concetto".
43 MB I, p. IX.
Ma rimane il resto, di ciò che il meglio è inestricabilmente mescolato con il meno buono o respingibile, con l'applicazione di procedure redazionali che forse cominciano a intravedere. I nostri autori hanno aderito a una concezione della storia storica prodotta, che anch'io ho definito pre-scientifica. Secondo questa concezione, i documenti non erano altro che il tracciamento di una storia vissuta e la sua forma specifica era indifferente. È stato sufficiente organizzarli e presentarli in modo coerente. Solo l'originalità (la singolarità) del dettaglio interessava l'agiografo. Senza dubbio, avrei scritto - così pensavo - la migliore storia con il massimo di pezzi allineati, disposti e inseriti in una storia che, grazie a loro, sarebbe estremamente ricca. Ritroviamo il "sostanzialismo" avaro dello spirito pre-scientifico.
L'abbandono della forma peculiare, frequente nei confronti del genere e sempre verso il "significato" del documento, riappare nella stessa composizione del testo delle Memorie che, come si ricorderà, è iniziato con i Documenti. Per illuminare il lettore, probabilmente vale la pena notare che questa opera di "compilation" è iniziata, in termini di pezzi come i "sogni" di Don Bosco, anche prima dei Documenti ... per l'interesse di Don Lemoyne (e anche, penso, di Don Berto). La cosa importante, quando componeva la storia, era di riflettere la "realtà" emersa dall'insieme dei dettagli dei fatti, come si credeva, ma erroneamente. (L'alta precisione, specialmente dei numeri, è, secondo Gaston Bachelard, altre caratteristiche della mentalità pre-scientifica). L'uomo dotato di uno spirito scientifico ha la modestia del probabile e del approssimativo, soprattutto in campo storico ...). Pertanto testimone debitamente attribuiti ad una persona designata dal nome può essere arricchito con informazioni parallele; un discorso pronunciato come una notte può essere corretto e interpolato con l'aiuto non solo di ricordi complementari di discorsi, ma dispone anche di relative a fatti (a volte oníricos) presentato a coloro, e assumere le forme di proporzioni straordinarie, Avrebbero attonito la gente non avvertita. O, se il tipo di testimonianza è di relativa poca importanza, un conto sarà costruito in prima persona e, se necessario, sarà sulle labbra o penna di Don Bosco a colori o drammatizzare un capitolo o un paragrafo. Dal momento che i dettagli sono esatti e che sono tutti, la scelta di un sottogenere letterario (citazione dal testo, testimonianza personale, "parole" dal testimone citato, discorso in forma ...) conta molto poco. È solo una questione di estetica, pensa il nostro biografo.
Per sedurre il tuo lettore, parlerà volentieri al suo eroe in prima persona. Per questo motivo, di solito sarà sufficiente riprodurre i testi o discorsi di Don Bosco presi dai suoi discepoli. Don Lemoyne non si accontentava di "appuntamenti" che, in breve, chiameremmo "autentici" (e che non erano sempre). Ai suoi scritti e alle sue storie omogenee aggiunse, senza preavviso, interventi diretti o indiretti di Don Bosco e che apparteneva ad altri momenti della sua vita, così come ad altre persone. Così riuscì, senza volerlo, a fare assumere a Don Bosco una lingua assolutamente strana sulle labbra e nella penna, di un uomo semplice e diretto. Nelle Memorie biografiche, la storia della prima Messa di Don Bosco, domenica 6 giugno 1841, nella chiesa di San Francesco d'Assisi a Torino, viene raccontata in modo inequivocabile: "Nel Suo noto manoscritto D. Bosco Scrive Ancora Quanto segue ...» .44 Don Lemoyne si riferiva senza dubbio per dell'Oratorio Memorie, che diceva:" ... ed ho mio cugino celebrato la messa Nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, colomba era capo dí confessore D. Cafasso. Ero ansiosamente aspettato nella mia patria, colomba da molti anni non si piú celebrata messa nuova; Ho preferito celebrarlo a Torillo, Senza Rumore, e Queso Posia Chiamarlo il phi bel giorno della mia vita. Nel Di quella Memento Messa note ho procurato di tariffa Divota Menzione di Tutti i miei professori, Benefattori spirituali e Temporali, e segnatamente di compianto D. Calosso, Che ho sempre ri concordato zona grande ed benefattore distinta. ".45 Questa piccola storia di un giorno tra gli anziani nella storia di un santo appare meschino e, in ogni caso, insufficiente per Don Lemoyne, che aveva più cose da dire apposta. A nove linee della Memorie dell'Oratorio corrispondono citazioni, più di 20 righe nel Proceedings biográfkas.46 Dopo seguenti otto righe del manoscritto di possedere, con poche varianti, in aggiunta (aggiunte nome di don Cafasso. ..), i nostri ricordi si allontanano improvvisamente, per tornare dopo sei altre righe e, infine, per tornare di nuovo e infine alla fine del soggetto. Don Lemoyne ricostruendo in questo modo:" ... il mio cugino l'ho Celebrata Nella Messa di S. Francesco d'Assisi, Chiesa, dove è stato capo di Giuseppe Cafasso Conferenza D., mio illustre benefattore e Direttore. Ero ansiosamente aspettato nella mia patria, ove da vari anni non se si celebrava Messa nuova; Preferisco celebrarlo a Torillo senza rumore, all'altare del S. Angelo Custode, posto in questa chiesa dal lato del Vangelo. In questo giorno la Chiesa universale celebra la festa della SS. Trinità, l'archidiocesi di Torino quella del miracolo del SS. Sacramento, Chiesa S. Francesco d'Assisi Festa della Madonna delle Grazie, Quivi Onorata dà antichissimo tempo, e Quello Posso chiamarlo il Più bel giorno della mia vita. Nel memento dato Quella di memorandum Messa procurato ho di tariffa Tutti dedicato Menzione i miei professori, Benefattori spirituali e Temporali, e segnatamente del compianto D. Calosso, Che ho sempre ricordato mangiare grandi distinto benefattore ed. E 'pia credenza Che il Signore infallibilmente concessione flauto Grazia, il Che Il Nuovo gil Priest Domanda tenendo la cruda Messa; io chiesi ardentemente l'efficacia della parola, per poter fare del del ha anime. Mio padre che signore abbia ascoltato la mia umile preghiera ».
44 MB I, 519. MO 115. 46 MB I, 519.
Il frammento autografo è espanso in due principali prima volta in Documenti e quindi Memorie Biografiche del 1898. Si è allungata dalla Documenti II, cioè nel 1885. Il testo del dell'Oratorio Memorie". .. e ho messa celebrato premium mia "si gioca lì fino a quando la frase riferendosi a don Calosso, vale a dire come tutta la storia di quel giorno. La pericope sulla grazia dell'efficacia della parola - che non è privo di interesse per la conoscenza della psicologia di Don Bosco - entra poi in gioco. Si legge:" ... e celebrato ho messa Nella premio Mia Chiesa di S. Francesco d'Assisi dove è stato Capo di Conferenza D. Cafasso. E 'stato con entusiasmo [...] del compianto D. Calosso Che ho sempre ricordato mangiare grandi famoso benefattore ed. É pia credenza che fi signore concede infallibilmente quella grazia che il nuovo prete gli domanda celebra la prima messa. Io chiesi ardentemente l'efficacia della parola. Mio padre che signore abbia ascoltato mia umile preghiera. Lunedl ... "47 Questa aggiunta, probabilmente derivata da una testimonianza scritta, che potrebbe apparire un giorno, cominciò a distorcere la storia originale di Don Bosco. L'alterazione peggiorò dopo la morte di quest'ultimo. Don Lemoyne inserì nelle prime linee pulite dei Documenti alcune formule tratte dalla memoria manoscritta che chiamiamo Testamento spirituale de Don Bosco. Deve la svolta: «La mia prima messa in scena», così come, per designare Don Cafasso, le parole: «Giuseppe» e «mio insigne benefattore e direttore». 48 Ha anche preso la deposizione compiuti nel processo di Don Ascanio Savio clausola circostanziali: "fare Poter per bene alle anime" clausola come commento perché la preghiera per l'efficacia di palabra.49 Infine, sulle varie parti del 6 giugno 1841, ha messo nel testo di Don Bosco riporta un liturgista aveva dato al 11 dicembre 1891, per conto del rettore della chiesa di San Francesco d'Assisi, Torino, Don Luigi Dadesso: "Ho solfato Ricerche Che le desiderava la Ill.ma SV nei Registri of this Trovato Che ho Chiesa ed il Giovanni Bosco MRD SUA terrà appunto la cruda messa I16 giugno 1841 e la tenuta all'altare di San Angelo Custode posto in this dal lato chiesa del vangelo ». Seguì Lorenzo Romano, apparentemente come la sua stessa cosa: «E in questo giorno la Chiesa universale celebra la festa dei SS. Sacramento, la Chiesa di S. Francesco d'Assisi la festa della Madonna delle Grazie Onorata nel delta Chiesa da antichissimo tempo ... '5 ° Questa è l'origine dei seguenti linee eruditi dei nostri ricordi." ... tutto' altare del S. Angelo Custode, posto in questa chiesa dal lato del Vangelo. In questo giorno la Chiesa universale celebra la festa della SS. Trinità, l'archidiocesi di Torino quena del Miracolo del SS. Sacramento, la Chiesa di S. Francesco d'Assisi la festa della Madonna delle Grazie, quivi Onorata da antichissimo tempo. " La sua presenza sorprende in una lettera di Don Bosco. Il metodo di lavoro di Don Lemoyne lo spiega. Indifferente alla natura (o "forma") di documentari mediazioni lettere, testimonianze, prove indirette, scritto, "parole" di cui, discorsi scritti, discorsi sentito o "rinvii", ecc, senza alcun rigore ha scelto le particolari forme di esposizione. I dettagli della sostanza - l'unica cosa importante ai suoi occhi - potrebbero essere inclusi in un commento, in un discorso o tra virgolette. La citazione presunta 'avviso manoscritto "Don Bosco per la sua prima Messa a San Francesco d'Assisi è un amalgama di frammenti eterocliti (anche se di buona qualità), istruendo il fatto, ma ingannare circa l'eroe, circa il suo stile, la sua ricordi e le loro sensazioni esatte ... non dobbiamo immaginare un manoscritto perduto o sconosciuto di Don Bosco nel periodo, come fa quasi istintivamente quasi tutti i lettori del memorie biografiche. Questo testo impudentemente attribuito alla mano di Don Bosco era in realtà una composizione di Don Lemoyne 5 volte sono fedeli e non sono mai al sicuro. Poiché il fatto in questione è apparso in diversi conti paralleli, il documento "quotato" era stato ritoccato e interpolato.
47 Documenti II, p. 6.
48 Cfr. La già citata edizione di Mono, Memorie da11841, p. 20; e MB I, 519.
Ha applicato questa procedura a dozzine o, forse, centinaia di volte nel set delle sue Memorie biografiche. Gli appuntamenti, anche quelli di Don Bosco, .solo rara
"L'aggiunta è certamente a causa di Ascanio Savio, ad 13um, che è anche responsabile per l'altra parte del testo, non citato, l'MB I, 519. Si legge:" Posso solo attestare, Che Egli, mangiare Disse, in Occasione della SUA ordinazione Tra le grazie AVEVA domandato della Parola per il dono far bene alle anime. un mio Giudizio Egli ottenne abbondantemente la grazia" ... (Ascanio Savio, Processo ordinario della curia di Torino, ad 13um, 4552).
5ª Lettera di Lorenzo Romano a GB Lemoyne, Torino, 11 dicembre 1891, trascritto in: Documento: * XLIII, p. 9.
51 L'ultimo biografo che è stato portato via da questa citazione apocrifa è prudente CASELLE S. Giovanni Bosco, Chieri, 1831-1841 ... Torino, Acclaim 1988, pag. 208 E
'necessario per sottolineare questo aspetto del lavoro di Don Lemoyne e carambola, gli altri due autori di memorie, che potrebbero essere sul documento già sviluppate. I tuoi appuntamenti sono più o meno inutilizzabili in quanto tali. Il commentatore dovrà fermarsi su coloro che potrebbero offrire una particolare (e falsa) idea dei personaggi messi in scena. La storia della Sagra di S. Michele raccontata da Don Bosco ai suoi ragazzi escursioni con estrema precisione, inaspettati come tanto quanto dotati di un buon narratore me-morire, è un altro caso dimostrativo difficile, perché esso è molto facile per identificare il testo originale.
Leggiamo nel volume IV delle Memorie, nel racconto di una passeggiata del 1850, queste linee si posano sulle labbra di Bosco che parla ai suoi ragazzi:
"Disse percio Loro: This Santuario di S. Michele delle Chiuse comunemente said La Sagra di S. Michele, Perché consacrato ad onore di quest'Arcangelo, é una delle piu dei Benedettini CELEBRI Abbazie in Piemonte. Da semplice Che l'Anno Romitaggio è stato versetto 990, Fabbricato di S. Michele ISPIRAZIONE annuncio dà Certo Giovanni da Ravenna, uomo ritirato di vita della Santa, il Che è stato versò, fu Mutato Pochi anni DOPO da said Ugone di Montboisier lo Scucito, Gentiluomo dell 'Alvernia, nella maestosa Chiesa di gotico stile con un grande anneso Convento dei Monaci per l'abitazione ...'. La storia continua per più di una pagina: i lavori di costruzione Hugo de Montboisier affidata a "Atverto o Av-yerto" Lusathe Abate in Francia. Quando i lavori furono completati, portò monaci benedettini nel nuovo monastero; hanno scelto Atverto come abate. Nell'abbazia divennero ben presto ben 300 monaci. Nel 1383, svogliati disciplina primitiva, è diventato un commendatario dell'abbazia sotto la sovranità dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno nel corso Re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui. Abbazia divenne commendatario sotto il protettorato dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno sul re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui. Abbazia divenne commendatario sotto il protettorato dei conti di Savoia fino all'invasione francese dei primi anni del secolo, Il narratore conclude la sua esposizione erudita con la storia della Valle di Susa e la vittoria di Carlo Magno sul re dei Longobardi ... 52 E qui le virgolette sono chiuse. Diversi lettori e commentatori, anche veterani, erano estasiati dall'erudizione di Don Bosco! Caddero nella trappola del nostro biografo, che pensava di poter applicare le sue procedure drammatiche qui.
Nel 1880, il "Bollettino Salesiano" è stato detto in un opuscolo della Storia dell'Oratorio, che era, come sappiamo, una delle buone fonti di ricordi. Il testo sopra esaminato appare nel capitolo XXVIII di quella cicogna, pubblicato nel numero di aprile 1881 del "Bollettino". Nell'articolo si legge: alleati Visita Sagra di S. Michele e nota a pagina 15, una lunga rassegna storica, probabilmente copiata da parte dell'autore, Giovanni Bonetti, un'enciclopedia. Basterà rileggere le prime battute per comprendere il meccanismo che ha dato origine alla vicenda attribuita a Don Bosco nelle Memorie biografiche. "Di S. Michele II santuario della Chiusa, comunemente Detto La Sagra di S. Michele, Perché consecrata ad onore di quest'Arcangelo una delle piú celebri Abbazie dei Benedettini in Piemonte. Da semplice Che Romitaggio Verso l'anno era 990, Fabbricato ad ISPIRAZIONE di S. Michele dà Certo Giovanni da Ravenna, Vita Che uomo di Santa S'Era ritirato coda ... "etc. Non mancano anche l'episodio dello stratagemma di Carlo Magno in Val di Susa per battere Longobardi "Per quanto riguarda Bosco, una cosa è certa .. Durante il tour, ha chiacchierato con calore con i suoi ragazzi don Lemoyne preso episodio presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana. solo una cosa è certa: durante l'escursione, ha chiacchierato con i suoi ragazzi con piacere. Don Lemoyne ha approfittato dell'episodio per presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana. solo una cosa è certa: durante l'escursione, ha chiacchierato con i suoi ragazzi con piacere. Don Lemoyne ha approfittato dell'episodio per presentare ai suoi lettori la Sacra di S. Michele, un monumento che ha interessato - molto lontano, di fatto - la storia salesiana.
32 MB IV, 118-119.
E 'noto che non ha avuto scrupolo a chiamare "testamento" Don Bosco ai suoi collaboratori ad una composizione trovato - ha detto - tra le carte del santo subito dopo la sua morte, ha informato per iscritto: "Da aprirsi Bulldog la morte mia." Ha messo una copia stampata nei suoi documenti accompagnata dalla presentazione: "Ecco il prezioso documento". Don Ceria, molto fedele ai suoi principi, seguito purtroppo il suo fratello nel Memorie Biografiche: 55 libero, tuttavia, riconoscere un giorno la vera storia di tale presunta lettera scritta a mano, che è stato, tuttavia, un saggio di Giovanni Bonetti .56
Don Lemoyne raccolto i frammenti, giustapposte, interpolati in a vicenda per conto di quello che pensava era rispondere alla verità e tutto questo ha portato in alcuni casi - rari, ma infinitamente esigenti - una falsa caratterizzazione. Il mosaico è poi uscito in una forma completamente nuova a causa del trattamento a cui il compilatore aveva sottoposto i documenti primitivi, dei quali, se del caso, riproduceva i riferimenti. Il pericope sulla prima messa nella chiesa di San Francesco d'Assisi è un caso. Un amalgama tra i più fuorviante è indicato pienamente conto del pubblico immaginario concessa da Pio IX Don Bosco il 12 febbraio 1870. Ognuna delle sue parti è quasi "sostanzialmente" genuino, ma la ricostruzione del tutto è completamente gratuito. È un pubblico fantasmagorico. " Il "fedele ragionamento" Don Lemoyne potrebbe quindi svolgere le stesse parole di Don Bosco e di riflettere lo spirito del fondatore dei Salesiani. E 'stato, quindi, un impegno laboriosa l'organizzazione dei ricordi, la selezione orientate, le piccole aggiunte, da un universo simbolico in cui il nostro narratore, come ogni narratore, era radicata.
53 Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, in BS (1881) 1, 15.
54 Documento: * XL, p. 324-332.
"MB XVIII, 621-623, con l'introduzione:" Don Bosco diceva ... "56 Cfr E IV, 393 nota.
"Cfr. F. DESRAMAUT, Le récit de Paudience lo pontificò il 12 febbraio 1870 nelle Memorie biografiche di Don Bosco, in RSS 6 (1987) 81-104.
Secondo il suo intento generale, pensò Don Lemoyne solo per descrivere, con l'aiuto di una nuvola di testimoni, la straordinaria vita di un uomo che era stato Don Bosco. Ma, incoraggiato dalla ammirazione e, allo stesso tempo da un movimento naturale di conoscenza, anche ha cercato di capire che la vita nella sua delicatezza e le sue infinite sfumature, e penetrare la verità e dei suoi meccanismi alla profondità di un'anima messo nelle mani di Dio . La sua descrizione divenne così una spiegazione. Dalle parole e dai fatti salì alle loro cause. Così, come tutta la vera storia, quella di Don Bosco divenne "intelligibile". Per questo motivo, ha fatto ricorso a strumenti concettuali, sui quali sarà necessario riflettere attentamente su uno studio rigoroso dei nostri agiografi salesiani. Anzi, il preside dei tre ha posto Don Bosco un'immagine ideale: quello che Don Lemoyne aveva dentro di sé. Armato di quella concezione, di cui non era necessariamente cosciente e che certamente non tentava di criticare - in tal modo gli sembrava imposto - iniziò a spiegare la vita del suo eroe. Penso che un capitolo lungo possa essere scritto su questo Idealtypus di Don Lemoyne. Gli storici della mentalità salesiana potrebbero essere interessati a riflettere su di esso, perché, attraverso le Memorie, ha impregnato quella mentalità ad un punto difficile da calibrare, ma senza dubbio molto rilevante.
Mi riferisco solo a una caratteristica importante che potremmo chiamare globalizzazione. Per Don Lemoyne, Don Bosco era un uomo carismatico nel senso weberiano del termine. Dal suo primo incontro con lui (l'esperienza di Lerma) gli aveva attribuito quel potere. Questa visione in seguito influenzò l'interpretazione che diede alla vita del santo. Come ha recentemente scritto Xavier Thévenot proprio circa il nostro Don Bosco ", il potere carismatico è visto come straordinario e quando si avverte un credente, come soprannaturale, che è Dio-dato. Chi la possiede dice di sentirsi investito di una missione che, in qualche modo, lo costringe internamente e lo rafforza nella sua legittimità. [...] Da un punto di vista psicoanalitico si dirà che il leader carismatico si stabilisce o vive come un presunto soggetto dotato di conoscenza e potere. Superidealizzato dai suoi discepoli, viene presentato dotato di perfezione e capace di successo dove gli altri falliscono. Si conclude attribuendo una certa reputazione per l'infallibilità e di onnipotenza, così come, molto spesso, una capacità unica di controllo sui loro desideri aggressivi e sessuali: riconoscere, infatti, che il leader è guidato da desideri di questo genere sarebbe infliggere mentite particolarmente al desiderio di onnipotenza infantile su cui sorge il processo di idealizzazione ". 58
58 X. Thevenot, Don Bosco éducateur et le système préventif (Colloque Universitaire de Lyon) 1988. traduzione italiana del discorso in "Orientamenti pedagogici» 25 (1988) 701-730.
Cuando leía su propia vida, don Bosco sentía, sin duda, la sensación de que Dios y María le habían conducido, iluminado y sostenido en sus laboriosos intentos, coronados al final por el éxito. Si la «superdeterminación» es, para el psicólogo, el «carácter de una conducta determinada por varias motivaciones concurrentes», entonces pensaba que también él había sido «super-determinado» por el cielo. Afirmó, por ejemplo, haber visto en sueños a la Virgen María, que le indicó, al comienzo de su vida sacerdotal, un terreno de Valdocco (sobre el que, de hecho, se levantó el santuario que conocemos) y le dijo: «Hic domus mea... ». Pero se guardó muy bien de ir más allá. Nunca pretendió haber recibido desde el comienzo una especie de programación divina, con una «vocación» de tal modo clara que le habría bastado con comprenderla y seguirla a lo largo de su existencia. Tal lectura «superdeterminada» (y característica, también ella, según Gaston Bachelard, de un espíritu precientífico), que iba más allá de las «causas segundas»; no podía dejar de frenar y aun reducir a la nada las explicaciones «naturales» y, por tanto, la inteligencia propiamente histórica de la vida del santo. Y es precisamente lo que se dio con don Lemoyne en sus Memorias. No tenía nada del historiador escéptico, que rechaza a priori descubrir un sentido en su historia. Pero ese sentido lo daba prematuramente en función de una primera experiencia nunca verificada seriamente. El buen hombre caía así en el defecto opuesto, también grave, que se llama fantasía. Y don Lemoyne llegó a imponer su óptica «fantástica» con procedimientos muy discutibles.
Efectivamente, la trasposición de fórmulas generales a fórmulas personalizadas atribuidas a don Bosco es especialmente molesta, cuando se trata de comentarios interpretativos del biógrafo, que adquieren de ese modo una autoridad inmerecida. El reciente artículo de las «Ricerche Storiche Salesiane» sobre don Lemoyne como historiador de don Bosco reproduce pasajes de su prefacio a un librito publicado por él en 1889 a propósito del papel de María en la vida de don Bosco. He aquí uno entre varios: «In un sol motto diciamo tutto.
Ogni volta che D. Bosco si accingeva ad un'impresa, parlava come se vedesse chiaramente tutto lo svolgimento piú o meno fortunoso di cíascuna [...] come un capitano di una nave [...] conosce tuna la sua strada prima ancora di partire dal porto. Oh quanto é buona la Madonna!».59 Cuatro años antes, don Lemoyne había manifestado poco más o menos lo mismo en los Documentirn a propósito del ario 1847 cuando, según su texto, había ido don Bosco de Turín a Stresa al lado de Antonio Rosmini, del que deseaba ser discípulo. Descubrimos en medio de un período: «Da parte sua era disposto ad essere obedientissimo a chiunque gli avesse comandato, a nzi avrebbe preferito poter condurre avanti il suo piano sotto la condotta altrui, cioé guidato dall'obbedienza di un superiore. Ma la Vergine Maria avevagli indicato in visione ii campo nel quale doveva lavorare. Esso aveva un piano falto, premeditato, dal quale non poteva e non voleva assolutamente staccarsi. Esso era in modo assoluto responsabile della riuscita. Vedeva chiaramente le file che doveva tendere, i mezzi che doveva adoperare per riuscire nell'impresa, quindi non poteva mandare a vuoto ll suo dísegno con esporlo in baila di altri. In questo auno volle solo osservare se lo poteva eseguire in qualche istituto giá esistente, ma non tardava ad avvedersi che no... ».60 En las Memorias biográficas la fuerza persuasiva de esta reflexión está acentuada al atribuirse al mismo don Bosco. Esta atribución puede, al menos en parte, tener un fundamento. Por lo menos, un paso de las llamadas Cronichette de Barberis, referido a los primeros días de enero de 1876, contenía, en efecto, en primera persona la casi totalidad de las expresiones, y las ponía en los labios de don Bosco. Pero el santo mismo no hacía intervenir a María. El plano le pertenecía a él. Sólo después de las explicaciones de don Bosco, el redactor de la crónica había escrito: «A me pare schíetto e netto che volesse dire cosi: — Maria Vergine mi aveva indicato ín visione iI campo in cuí io doveva lavorare. Mí fece vedere i mezzi da adoperarvi per riuscirvi...» etc. Don Lemoyne en sus Memorias siguió o imitó a este cronista. Tomó su texto de los Documenti y comenzó: «Ma la Vergine Maria, ci narrava piú tardi D. Bosco, mi aveva indicato in visione il campo nel quale io doveva lavorare. Possedeva dunque il disegno di un piano...» etc.61 El «plan» muy humano del fundador se convertía así en una especie de revelación.
39 G.B. LEMOYNE, La Madonna di Don Bosco ossia Relazione di dame grazie concesse da Maria Ausiliatrice ai suoi devoti, Torino, Tip. Salesiana 1889, p. 17s.; BRAMO - ARENAL LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne, p. 113.
Haría falta encontrar, a lo largo de los volúmenes de las Memorias, las frases con las que don Lemoyne atribuye de este modo, sin el menor matiz, a Dios y a María los planes que su discípulo Giovanni Bosco realizó en su vida. Este atajo en la vocación juvenil de don Bosco ha seducido mucho a sus biógrafos. A propósito de la vigilia de su ordenación sacerdotal en 1841 se lee: «A questo punto non possiamo far a meno di fissare lo sguardo sul progressivo e razionale succedersi dei sorprendenti sogni. Al 9 anni Giovanni Bosco viene a conoscere la grandiosa missione, che a luí sará affidata; ai 16 ode la promessa dei mezzi materiali, indispensabili per albergare e nutrire innumerevoli giovani; ai 19 un imperioso comando gli fa íntendere non esser libero di rifiutare la missione affidatagli; ai 21 palesata la classe de' giovani, della quale dovrá specialmente curare il bene spirituale; ai 22, gli é additata una grande cittá, Torino, nella quale dovrá dar principio alle sue apostoliche fatiche e alle sue fondazioni. E qui, come vedremo, non si arresteranno queste misteriose indicazioni, ma continueranno ad intervalli fino che sia compiúta l'opera di Dio. Si dovran dir forse questi mere combinazioni di fantasía? ».62 Pues, sí, querido don Lemoyne: son exactamente «combinazioni di fantasía». Pero son tuyas y no de don Bosco. Efectivamente, tal vez tú lo has olvidado cuando escribías esta conclusión sobre el «progressivo e razionale succedersi dei varü sorprendenti sogni» de juventud; pero si estos relatos de «sogni» fechados por ti a los 16, 19 y 21 años de don Bosco eran, en las páginas anteriores de tu volumen, versiones probables o ciertas del único sueño de los 9 años distribuidas a lo largo de la juventud de Juan Bosco a partir de una información cronológica sumamente débil.°
60 Documenti III, p. 151.
61 MB III, 247. El trozo de la Cronichetta (ASC Barberis, cuaderno 3° sin paginación), todavía
inédita, ha sido reproducido en las microfichas del FdB 796 E 8-10.
62 MB I, 426.
Con estas interpretaciones «superdeterminadas» más o menos gratuitas, la paleta biográfica adquirió tonos maravillosos. Pero la «comprensión» de la historia de don Bosco perdió en las mismas proporciones. Y la aconsejable continuidad entre significante y significado se rompió. En efecto, el hombre que se siente predestinado y que conoce su camino, ve y avanza con paso seguro. Su búsqueda, sus dudas, sus empresas, sus errores, sus descubrimientos y sus retrocesos provisionales, hasta su triunfo, reflejan una especie de teatro de sombras. El papel, el verdadero papel, se declama en otro sitio. ¿Es posible una existencia así sobre la tierra? En todo caso, don Bosco no se expresó nunca sobre su destino (ni sobre su superdeterminación) con la firmeza que don Lemoyne imprudentemente le atribuyó. La gracia de Dios y la intercesión de María son indudables para el creyente, como en el caso de don Bosco. Pero el tipo de superdeterminación que don Lemoyne cree leer en ello daña una correcta reflexión histórica sobre la vida de don Bosco. Un prejuicio inicial la desvía. ¿En qué se convierte, en este caso, el hombre que busca y se adapta constantemente, como fue el verdadero don Bosco?
El Idealtypus de santo, utilizado por don Lemoyne para «comprender» la vida de don Bosco, implicaba otros aspectos, sobre todo de virtudes: la humildad, la dulzura, la bondad..., inducidos, por otra parte, por el carisma de leader. Su influjo más o menos consciente en el espíritu del biógrafo resonó hasta en la reproducción de las palabras y de las frases escritas de su héroe. Su agresividad se vio sistemáticamente debilitada. Por ejemplo, don Lemoyne no admitía que don Bosco se hubiese enfadado [n. del t.: en italiano arrabbiato] (la palabra rabbia se sustituye sistemáticamente con sdegno) o hubiese agredido violentamente a un alumno, ni siquiera soñando... Este fue uno de los graves limites de un trabajo por otra parte colosal.
Los procedimientos de construcción y de composición de don Amadei, para el X volumen de las Memorias, estuvieron muy próximos a los de don Lemoyne para los tomos precedentes. El clima del relato es casi el mismo. Después, a partir del volumen XI, cambia el tono. La serie de los nueve volúmenes de don Cenia es homogénea. Estos libros están bien escritos y resultan interesantes. Pero esas cualidades no satisfacen las exigencias que tenemos hoy. Nos gustaría saber si, con don Cenia, la historiografía de don Bosco pasa algo o mucho de un estadio «precientífico», en el que se quedó don Lemoyne, a una era más de acuerdo con nuestras doctas (y legítimas) preocupaciones...
63 Traté ampliamente este tema en: Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne, p. 250-256.
Como se ha dicho varias veces, para llegar a confeccionar la historia de los años que van desde 1875 a 1888 de la vida de don Bosco en un tiempo record, a razón de un volumen por año, a pesar del cúmulo enorme de documentación que había que dominar, don Cenia siguió paso a paso los Documenti ordenados año por año en unos treinta registros (el registro XV se refería a 1875) y referidos al período que debía describir. Hizo algunas investigaciones complementarias, pero en total poco numerosas. Cuando modificó los Documenti, que eran ya, como sabemos, una historia más o menos bien construida sobre don Bosco, no criticó ni «sopesó» nunca, por decirlo de algún modo, las construcciones especiales de su predecesor. No trató de identificar las fuentes que aquel había tenido a disposición. Un ejemplo entre cien. Para el volumen XVIII copió sin referencias, diálogo y comentario incluidos, el relato de la curiosa visita a don Bosco, el 3 de febrero de 1886, de un abogado francés que le preguntó de forma poco discreta sobre los Borbones." El final sonaba así: «Qualcuno dubitó che fosse un agente esploratore della polizia francese, mandato a esplorare le idee politiche di Don Bosco» — especialmente sobre la posibilidad de una restauración monárquica en el país —. «In ogni modo le rísposte del Santo non potevano • destare sospetti né offiire appiglio ad accuse. Era sato semp- re suo sistema di non entrare mai in politica». Ahora bien, ese final existía casi idéntico en los Documenti.
Sin embargo, no se empeñó, como don Lemoyne, en incluir los detalles más nimios en su relato sobre don Bosco. Inmediatamente se permitió resumir párrafos o extraer períodos significativos, libertad redaccional que don Lemoyne nunca se había concedido.
Pero los principios de lectura y de interpretación de nuestros dos hagiógrafos se parecían mucho. Don Cenia, como don Lemoyne, creía que todo testimonio es un reflejo de la vida y, tomado tal cual, permite reconstruirla. No se impuso, por tanto, analizar su recorrido por el mundo, en el espíritu y, si hacía falta, en la pluma del testigo. Este, en efecto, podía haber dejado versiones sucesivas de su testimonio y la última (era el caso de Viglietti) no era necesariamente la mejor. Sin embargo, la experiencia adquirida con la literatura grecolatina lo llevó, creo, a desconfiar a veces de los diálogos y del estilo directo, que pasó, por consiguiente, a relato lineal. Confrontando las Memorias con sus fuentes, los Documenti, nos convencemos del hecho de que insistió menos que sus redactores más frecuentes (no sólo don Lemoyne, sino también don Berto), sobre las predicciones y las profecías, como tales, de don Bosco. Reprodujo, en el mismo relato, los documentos originales, sin permitirse retocarlos. Sus lecturas inexactas, a veces molestas, eran involuntarias.65 Mucho más moderno que don Lemoyne, que se acercó con gusto a Jacques de Voragíne, no cedió sistemáticamente al aspecto maravilloso. Desde nuestro punto de vista, hubo, pues, progreso de una generación a otra. Sin embargo, a este nivel de lectura de la documentación, don Cenia, aunque más prudente o más suspicaz que don Lemoyne, no superó verdaderamente el género literario, calificado como «precientífico», de su predecesor.
64 La fuente documental en: Documenti XXXI, p. 44s., retomada en: MB XVIII, 28-29.
La misma composición del texto de las Memorias demuestra la habilidad de don Ceria al escribir. En sus volúmenes, la materia de los años de vida de don Bosco está siempre organizada, no simplemente yuxtapuesta de modo aleatorio en beneficio de la cronología. Cada capítulo tuvo un título propio que corresponde más o menos a su contenido. El relato es límpido. La historia discurre ágilmente. Para apreciar la obra literaria de don Cenia basta interrumpir la lectura de uno de sus volúmenes y tomar 50 páginas de don Amadei: os parecerá pasar de un jardín con paseos rectos y bien rastrillados a un bosque de arbustos en los que se pierde uno. Al lector del conjunto de las Memorias, los dos 1871-1874 de la vida de don Bosco (narrados por don Amadei) se le presentan enigmáticos. Conserva, en cambio, recuerdos característicos de cada
uno de los años que van de 1875 a 1888 (narrados por don Ceria), con la partida de los primeros misioneros, las fundaciones logradas o fallidas en Francia, los esfuerzos de don Bosco en Roma bajo mons. Gastaldi, el asunto de la Concordia impuesto por León XIII, el gran viaje a París en 1885, el viaje a España 1886, los últimos meses dolorosos de don Bosco. Los debe a la narración clara y grata de don Cenia.
A pesar de todo, las opciones de don Cenia como redactor de las Memorias eran a veces discutibles. Atemperó los episodios duros, dulcificó las propuestas y, a veces, suprimió algunos rasgos desagradables de sus personajes. ¡Comportamiento diplomático las más de las veces! Por otra parte, don Celia mismo me contó una vez en Turín (exactamente el 12 de agosto de 1952) que un canónigo de la curia local le había negado, en 1930, el imprimatur para el volumen XI de las Memorias (el primero firmado por él), porque en él aparecía bajo luz turbia el arzobispo Gastaldi; había hablado del tema con el P. Rosa s.j., de la «Civiltá Cattolica»; este último le había aconsejado presentar su obra como pro-manuscripto, artificio jurídico que le dispensaba del visto bueno de la curia turinesa. Así se pudo publicar el libro. Pero estoy convencido de que don Cenia aprendió la lección del incidente, por ejemplo en el sentido de que debía evitar los personajes eclesiásticos. Así se explican varios silencios y
diversas tachaduras.` Los relatos de don Cenia son siempre moderados: evita señalar los lamentos y los suspiros de don Bosco, como los de todos los presentes en la iglesia de María Auxiliadora cuando partieron los misioneros para Quito;67 dulcifica las propuestas de don Bosco referidas a los inquilini de Valdocco en una reunión del Capítulo superior;" los «molti salesiani hanno nulla di spirito salesiano» de una intervención suya a su Capítulo el 5 de noviembre de 1885 se convierte en las Memorias de don Cenia en: «certi Salesiani hanno nulla di spirito salesiano»...69 Los trazos no tienen, pues, el vigor que desearíamos hoy.
6' Don Ceria hace decir a don Bosco, con ocasión del Capítulo general de 1883, que el «Bollettino Salesiano» debía ser «come un periodico pubblico» (cf. MB XVI, 412), mientras las actas de Marenco, (ASC 046, CG 1883, fol. 6) afirmaban exactamente lo contrarío: ...«non promuoverlo come un periodico».
El problema de la comprensión de la vida de don Bosco por don Cenia merecería muchas lineas basadas en ejemplos y contrastes ponderados. Pero me es difícil hacerlo aquí de modo conveniente. Creo que puedo adelantar esta observación: en su interpretación ordinaria de la vida de don Bosco, don Ceria, a pesar de su sumisión habitual a los relatos y comentarios de sus documentos, evitó los excesos y las sistematizaciones de don Lemoyne;7° pero se esforzó poco por salir de las explicaciones religiosas y maravillosas hacia las que se inclinaba con predilección. Siguió con frecuencia sus fuentes y explicó (sumariamente) a don Bosco como lo habían hecho estas últimas.
Para concluir ésta muy breve serie de observaciones sobre el método de trabajo de los tres autores de las Memorias biográficas de don Bosco, conviene, creo, pensar en dos categorías de personas cuyas intenciones no son ni mucho menos las mismas. Los que buscan nutrirse espiritualmente con la lectura se
.. Me contó el mismo día un percance semejante, que tuvo mayores consecuencias. En 1883,
un revisor — un cardenal, me dijo, si no le entendí mal — le había obligado a suprimir todo el capítulo sobre mons. Gastaldi en las galeradas de su bonito libro, San Giovanni Bosco nella vita e nelle
opere. Acató la orden, pero no sin tristeza. Se encuentra así escrito en las últimas líneas del capítulo XXXEV sobre la iglesia de San Juan Evangelista (p. 283): «Fu uno di tanti dolorosi episodi innestati nella storia di una tribolazione che per la sua natura, per la sua durata e per i suoi effetti fu certamente la piú grave sofferta dal Santo», frase que constituía probablemente el punto de enlace con el capítulo censurado. El texto continúa simplemente: «Ma considerazioni di ordine superiore consigliano di rimettere a tempo e a luogo piú opportuno la narrazione di quelle vicende».
67 Cf. Documenti XXXVI, p. 77 y MB XVIII, 430.
68 Cf. Documenti XXX, p. 521-523 y MB XVII, 581.
69 Cf. Documenti XXX, p. 571 y MB XVII, 586.
" Salta, por ejemplo, en los Documenti, la inverosímil asimilación de las relaciones epistolares de don Bosco con la marquesa parisina de Cessac, a las de san Francesco di Sales y la Chantal.
Cf. Documenti XLIV, p. 461: «Enano una riproduzione di quelle di S. Francesco di Sales alla Chantal», y MB XVI, 231:... «sembra che abbia ricevuto da lui molte lettere di direzione spirituale. Cosi si dice; ma noi finora non ne conosciamo neppure una». Se debe entender: «Si dice nei Documenti...», que tenía delante mientras escribía.
guida de las Memorias biográficas, que son para ellos un libro de devoción. Y los que recorren estos gruesos volúmenes para extraer elementos de estudio (histórico, psicológico, teológico...). Para éstos, son una cómoda colección de documentos sobre don Bosco.
Los primeros disponen, en las Memorias, de una «historia» de don Bosco, que es «verdadera», ni más ni menos que cualquier otra historia en el sentido popular de la palabra, pintoresca, edificante, colorista (salvo el volumen X), rica de hechos y frases aptos para enriquecer el espíritu. Los beneficios de una lectura corrida de las Memorias, controlada por una experiencia que está cerca de convertirse en centenaria, parece por algunos aspectos, evidente. No se pierde el tiempo al dedicarse a ella; al contrario. Aun admitiendo que, también en este nivel, puede haber quien prefiera, justamente, lecturas de don Bosco más «verdaderas» y documentadas.
Sin embargo, esta comunicación va destinada sobre todo a una segunda categoría de lectores, los que se dedican, poco o mucho, a studi sobre don Bosco. El consejo debe ser otro. Partiría de una reflexión, entre las más autorizadas, que me hizo don Cenia, como a varios otros, al final de su vida. «A coloro — me decía más menos con sus palabras — a coloro che intendono scrívere tesi su don Bosco, consiglio sempre di cambiare soggetto. Pin tardi, forse, guando le lettere di don Bosco saranno pubblicate... ». Reconocía que sus Memorias, en las que muchos habían encontrado la fuente única y definitiva de estudios sobre don Bosco, no podían servir de base para estudios rigurosos sobre el mismo. Si se ponen aparte los Documenti publicados como tales por él y por don Amadei al final de sus volúmenes, tenía cien veces razón. En efecto, si los gruesos volúmenes de don Lemoyne y los de sus dos sucesores, ya que dependen de él, fueron construidos según los criterios «precientíficos» de composición e interpretación que he tratado de poner en claro, la autenticidad de elementos que se espigan allí con preferencia, es decir, las propuestas del santo y las observaciones de los testigos más inmediatos de su vida (los cronistas...), no está nunca garantizada. Más aún: no faltan las lecturas repetidas, los apócrifos frecuentes y las historias convertidas en leyendas con la amalgama de diferentes trazos de perspectiva. Sí tienen que hacer una investigación, háganla preferentemente sobre las fuentes mismas de la historia de don Bosco. Las Opere edite solas han consentido a Jacques Schepens redactar su voluminosa e interesante tesis: Pénitence et eucharistie dans la méthode éducative et pastorale de don Bosco. Étude á partir de ses écrits imprimés.7' Que estos investigadores recurran a los escritos autógrafos, a los escritos publicados, a las cartas enviadas o recibidas por don Bosco, a las crónicas o actas, editadas o no, como ha hecho el profesor Luciano Pazzaglia en su excelente estudio sobre Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886).72
Roma, Universitá Pontificia Salesiana, 1986, 2 vol.
n Cf. F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 13-80.
Evitarán así las desventuras en las que han incurrido otros que se han servido de las Memorias biográficas. Citaré uno sóló, del que en mi calidad de miembro del Capítulo general salesiano de 1984, que ha dado origen al texto oficial de las Constituciones, me siento, al menos materialmente, culpable. En el primer artículo de sus Constituciones, renovadas ese año, los salesianos abusaron de una fórmula atribuida a don Bosco por las Memorias biográficas, citada con precisión en nota : «... Formó in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: "Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i míei poveri giovani" » (MB XVIII, 258). De hecho, la crónica de Carlo Viglietti, fuente del logion reproducido en el lugar citado de las Memorias biográficas, hacía decir a don Bosco que había prometido a Dios que «fin l'ultimo mio respiro» sería, no ya, como en el texto transcrito, por sus «poveri giovani», sino por sus «poveri orfanelli», es decir, por los jóvenes abandonados de los que se había convertido en padre. ¡Hay una buena diferencia entre «vivere per i giovani» y «vivere per i giovani abbandonati»!
Proyecto de edición crítica
Francesco MOTTO
Entre los escritos de don Bosco de especial valor, de los que sólo existen ediciones inadecuadas o incompletas, se sitúan, sin sombra de duda, sus cartas. Precisamente a partir de esa consideración, el Instituto Histórico Salesiano, desde sus comienzos, programó, entre los trabajos a los que había que dedicar una atención prioritaria, la edición crítica e íntegra del epistolario del santo." Hace cuatro años se me confió la tarea que se anuncia como una empresa de importancia cultural que supeta cualquier intento celebrativo o ritual, aunque venga a coincidir con el despertarse del interés sobre la figura y la obra del educador piamontés con ocasión del centenario de su muerte.
Este Congreso me ofrece la oportunidad de anticipar ni nuce y extra operam el valor de tal epistolario, el proceso archivista-filológico seguido y la perspectiva hermenéutica dentro de la que se quiere encuadrar el trabajo de recomposición del corpus epistolar.
Empiezo por decir que si los italianos, según un tópico conocido, no leen epistolnrios,2 el de don Bosco no debería estimular la conocida inapetencia de hacer notar enseguida que se toma el término «epistolario», simplemente, en el sentido de «colección de todas las cartas». Es decir, no se hace distinción entre cartas escritas con una finalidad particular, en circunstancias concretas, y efectivamente mandadas a un destinatario (cuyo colación, obra de un estudioso, se debería llamar propiamente «colección de cartas») y cartas reunidas con finalidad artística por el mismo autor y, frecuentemente, dirigidas a un lector ficticio (habitualmente definidas por los estudiosos con el término «epistolario»).
Cf. Proposte per un piano di lavoro unitario e comune, en RSS 1 (1982) 95. Conviene 2 En cambio, en otros países, las publicaciones de cartas de literatos, pintores, músicos, poli-ticos y de otros personajes ilustres encuentran creciente favor entre los lectores comunes. Los estudios sobre el fenómeno epistolar y sobre la naturaleza y función de la carta están en todas partes de actualidad. En Francia, desde hace tiempo, se organizan «coloquios» acerca del tema y se han creado centros de documentación e investigación de correspondencia epistolar moderna y conmis compatriotas, al menos por cuatro razones que expongo brevemente:
1) Ante todo, la nueva edición que se proyecta no promete en absoluto satisfacer el discutible gusto por el sensacionalismo ni desvelar vidas secretas inéditas del escritor. Don Bosco en sus cartas, que se sitúan también entre los escritos de franqueza inmediata y con la más alta tasa de sinceridad, tiende (y con frecuencia lo logra) a no revelar su profunda vida interior, sus dramas de conciencia, su íntimo sentimiento de cada momento. Aparte el hecho de que en «su armario es totalmente inútil buscar esqueletos».
2) Idéntica desilusión tendría el que, considerando que se trata del copiosísimo epistolario de un sacerdote santo, de un educador no común, de un fundador genial, de un instrumento social de actividad increíblemente vasta, esperase amplios y exhaustivos tratados de carácter espiritual, ascético, pedagógico. No; sólo acá y allá, perdidas entre expresiones dictadas por las innumerables preocupaciones del vivir diario, se pueden encontrar perlas brillantes de doctrina y de sabiduría, fruto de santidad de vida, de audacia pastoral, de acertada pedagogía.
3) No tendría mejor fortuna la posible espera de descubrimientos sensacionales de naturaleza política, social, religiosa. Cierto que don Bosco, por vivir y trabajar en aquel período fuertemente atormentado y que se conoce con el nombre de «Risorgimento», habla explícitamente o alude a hechos o personajes históricos de primerísima línea, da juicios sobre hechos políticos, sociales y religiosos de su tiempo; pero la política, en sentido estricto, el análisis de la sociedad civil y religiosa en cuanto tal entran en su radio de interés sólo en la medida en que vienen a incidir en el tejido ordinario de su vida, ritmada por sus responsabilidades de padre, educador, emprendedor, superior, amigo, administrador de sumas muchas veces ingentes.
4) Por fin, también sería una decepción para el que esperase de las cartas de don Bosco una obra de arte, un modelo epistolográfico al que atribuir la dignidad de «género literario». Don Bosco no redactó sus cartas como ejercicio retórico o. instrumento para pasar a la gloria literaria, costumbre, por otra parte, tan querida en su siglo. En el plano de la revisión formal no sometió sus cartas a especiales intervenciones estilísticas o de léxico. Escriba al papa o al ministro o se dirija al humilde pueblerino o al joven colegial, su estilo es sustancialmente el mismo: lleno de sencillez, de franqueza, de familiaridad, de astucia, no exento de dudas en la escritura y en la ortografía, salpicado de piamontesismos y galicismos, nutrido con frecuencia de irregularidades gramaticales y sintácticas, por otra parte no importantes, ya que iba destinado a quedar en el ambiente reservado de los destinatarios.'
temporánea. En Italia sólo recientemente se ha notado un fuerte incremento cuantitativo y cualitativo de «expertos». Reuniones de este tipo se han tenido en Bressanone (1983), en Urbino (1984) y aún más recientemente en Génova. En 1986 surgió la editorial «Rosellina Archinto» que publica sólo epistolarios. Apreciables artículos de divulgación, publicados en revistas y periódicos, vienen a subrayar, de cuando en cuando, el notable interés que la correspondencia privada puede tener como fuente histórica y linguistica.
La correspondencia de don Bosco es una correspondencia de «asuntos», de «administración normal», diríamos hoy, o sea, redactada con la máxima rapidez y sólo para comunicar un mensaje utilizable para quien lo recibe: frases concisas y sin énfasis, comunicaciones directas, breves, a veces lapidarias, medidas en apertura e intimidad por el uso de los mismos patterns, propios de quien escribe bajo la presión de muchas ocupaciones y corre el riesgo de sentirse a cada momento envuelto por ellas.4 Si hubiese tenido a su disposición el teléfono, le habría ahorrado cientos de horas de trabajo y nosotros, los compiladores tendríamos en las manos, en vez de un rico tesoro, un botín decepcionante. Escribió porque estaba obligado por las inderogables exigencias de su misión sacerdotal y educativa, por la dura necesidad de proveer de pan a los millares de muchachos acogidos en sus obras, por el deber de ayudar, dirigir, sostener a los que le abrían el corazón: cartas de felicitación y de anuncio, de congratulación y de agradecimiento, de invitación y de excusa, de justificación y de despedida, de súplica y de consejo, de reprensión y de recomendación, de presentación y de ánimo, de pocas lineas y de varias páginas, burocráticas y circulares. Con fundamento se puede decir que cada categoría epistolar está representada por algún ejemplar.
a No creo que se haga una profanación o revelación del secreto epistolar cuando se ofrece al público cuánto don Bosco cubrió con el velo de la intimidad. Las cartas escritas hace más de un siglo han dejado ya de ser confidenciales y entrado a formar parte de la historia. Entre otras consideraciones, hay que decir que don Bosco mismo no excluyó una eventual publicación, aunque con algunas cautelas. En efecto, escribió en su «testamento espiritual»: «Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande attenzione nel senso e nella domina, perché la maggior parte furono scritte precipitosamente e quindi con pericolo di molte inesattezze. Le lettere francesi poi si possono bruriare; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che siano lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua francese, affinché le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla o il disprezzo sulla religione a favore di cui furono scritte» (Bosco, Scritti pedagogici, p. 336-337).
4 En las MB se subraya muchas veces la prisa con la cual don Bosco redactaba sus cartas: «Era anche ammirabile la sua attitudine nello scrivere con grande celeritá. Pió volte in valí anni Ch. Durando accompagnó D. Bosco al Convitto di S. Francesco per aiutarlo nella speclizione delle lettere. Ed ecco che cosa accadeva. D. Bosco, scritta una lettera, la porgeva a Durando il quale h piegava, la suggellava e vi scriveva sopra l'indirizzo. Ma prima che il chierico avesse compita h suddetta operazione, ecco dinanzi a lui una seconda lettera finita. II chierico si affrettava, ma nor ne aveva ancor finito l'indirizzo, che sopraggiungeva un terzo foglio, e cosí vía via per ore ed ore Quando finalmente veniva il momento di ritornare all'Oratorio, D. Bosco, ringraziato il Signore esclamava sorridendo, sen7a mostrarsi stanco: — Ecco il modo di sbrigar moltí affari! — E certa mente il numero di lettere ch'egli scriveva sembrerebbe ftavoloso se non vi fossero molti testimon di questa meraviglia» (MB V, 609-610). Parece que, en los últimos años de su vida, don Boscc confesó a don Barberis: «Oggi, come quasí tutti i giorni, alle due e un quarto dopo pranzo, erc gil al tavolino a lavorare; non mi sono mosso fino alle otto: eppure non ho potuto sbrigarmí d tuno. Ho ancora il tavolo coperto di lettere, che aspettano risposta. E non si puó dice che io val adagio nello scrivere. Ne fo passare del lavoro sotto le mie dita! Mi accorgo che a forza di pratid e dell'incalzarsi di una cosa sull'altra, ho acquistato una celeritá, che non so se possa darsi mag giore» (MB XII, 38-39).
Puestas estas premisas, parece más que legítimo preguntarse qué sentido tiene entonces afrontar la comprometida atención a un epistolario de este género.
¿Para qué, pues, tomarse tanta molestia? Porque cuando un hombre ha jugado un papel no indiferente en la «Historia» de su país, cuando su influencia ha alcanzado, viviendo todavía, a varias naciones y en el siglo siguiente prácticamente a todo el mundo, cuando las múltiples facetas de su personalidad han sido y siguen siendo todavía objeto de reflexión (y de esto este Congreso es una prueba clarísima) es importante poder disponer de instrumentos de análisis lo más completos y serios posible.
Ahora bien, para el conocimiento de don Bosco, de su figura moral, de las vicisitudes de su vida, de sus métodos de acción, ¿qué hay más seguro y completo que los miles de cartas que escribió a lo largo de más de 40 años? Tanto más que estamos ante un personaje que hizo del compromiso epistolar una de las ocupaciones principales de sus jornadas?
El biógrafo y el historiador que van avanzando en su tarea se dan cuenta de que no se puede contar una vida sin la ayuda de materiales documentales, y el primero de todos, la correspondencia. Es verdad que cualquiera sabe que de las cartas no se puede esperar una historia exacta, sino más bien reflexiones fragmentarias, que necesitan integraciones y profundización. Un epistolario debe cribarse con el rigor crítico que se aplica comúnmente a cualquier otra fuente: así, por ejemplo, no se pueden minusvalorar los puntos flacos intrínsecos en toda correspondencia: el carácter personal, subjetivo, singular del testimonio, la transparencia inevitable del yo que podría inducir a engaño, la ausencia de elementos de contexto, etc.6 Pero esto no quita que cualquier intento serio de indagar con escrúpulo histórico la persona y la obra de un personaje nos exija un análisis atento de sus cartas, que es muchas veces el único modo de llegar a hechos u opiniones de valor decisivo.
Aunque se deben acoger con algunas legítimas reservas, he aquí algunos testimonios de los autores de las MB y de don Bosco mismo: «Le lettere da lui ricevute o spedite son incalcolabili. Tra la giornata e la notte ne scriveva e postillava fino a 250. Sbalordisce la moltitudine e la varietá delle materie sulle quali era obbligato a rispondere o a tratare [...]. Ne ricevette da ogni parte del mondo, e siamo persuasi che non vi ha quasi cittá in Europa nella quale non siano pervenute, qua poche, lá moltissime, delle sue lettere» (MB IV, 540-541). En la carta del 4 de julio 1881, don Bosco se dirigía al Cav. Carlo Faya en estos términos: «Scrivere a Lei mi é di moho sollievo in mezzo alle mie 500 lettere, cui vado in questo momento a cominciare la risposta». Ya viejo, confiaba melancólicamente a los suyos: «Certi giorni scrivevo anche piú di cento lettere» (MB XVII, 459). Cf. también nota precedente.
El epistolario de don Bosco, como es obvio, no escapa a esta regla. Considerado atentamente, mirado con múltiples métodos de investigación, convenientemente descodificado, constituye una fuente segura en la que se obtiene seguridad sobre hechos y circunstancias, razones de sus opciones y, con frecuencia,-la plena expresión de sus convicciones y de su espíritu. Cartas escritas currenti calamo en el paréntesis de un descanso sereno o en el ímpetu de una amargura cruel, en el impulso de un corazón alegre o bajo la opresión de un peligro inminente, casi permiten violar su privacy, de entrar en su habitación, de verlo sentado a la mesa de trabajo, fotografiarlo inmerso en problemas, dificultades, esperanzas, ideales. Puestas, como pretendo hacer, en estricto orden cronológico y, por tanto, en el aparente desorden de cartas de asuntos o de felicitación, de sugerencias espirituales o de petición de ayuda material, expresan al mismo tiempo la vida y el comentario de quien las ha escrito. Si pensamos que para el período más intenso de su actividad de educador habrá una media de una carta cada 3-4 días,' es fácil deducir que los biógrafos e historiadores podrán y deberán convertirse en asiduos estudiosos de un epistolario como éste.
He usado a propósito el tiempo futuro «podrán y deberán», porque, a pesar de la vastísima literatura publicada sobre don Bosco en estos cien arios que nos separan de su muerte, la historiografía sufre todavía la carencia de datos seguros, exhaustivos y definitivos (naturalmente en el sentido que asumen estos términos en las cuestiones históricas). La larga vida de don Bosco, la amplísima gama de sus actividades, la complicada serie de hechos en los que fue protagonista o en los que se vio implicado, esperan todavía hoy un no sencillo trabajo de verificación. Los mismos hechos que se refieren en las voluminosísimas Memorias biográficas exigen una comprobación sistemática, y las limitadas pero prometedoras investigaciones actuales en esa dirección han estimulado sólo la sed de ulteriores búsquedas.8 Una vez sabido de verdad «cómo han ido las cosas», para expresarnos con la áurea fórmula de Ranke, una vez precisados con cuidado los hechos, se podrá avanzar en la crítica histórica proponiéndose interrogantes historiográficos sustanciales y corrigiendo valoraciones, juicios y prejuicios debidos a aparente evidencia de causas y efectos, a subfondos documentales inseguros, cuando no falsos o ideológicos.9 Además, la riqueza de detalles ilumina por sí misma una serie de cuestiones muy delicadas y facilita una fuente de temas críticos y de observaciones que tal vez no puede decirse hoy que hayan sido enteramente utilizadas y agotadas.
6 «La correspondance est un matériau d'un maniement délicat, un témoignage trompeur malgré les apparences et qui reste nécessairement lacunaire, par défaut de conservation des envois et des réponses, par volonté expresse ou negllgence de l'auteur, á cause de diverses formes de censure, par le fait que rarissimes sont le lettres "sincéres". etc. Les correspondaces étant presque toujours tout sauf ce qu'on voudrait qu'elles fussent: un matériau fiable, á valeur documentaire, au premier degré...» (Préface di G. Ulysse a La correspondance 2 Actes du Colloque International, Aix-en-Provence. Université de Provence 1985, p. VI). De todas formas, es cierto que situaciones, sentimientos, emociones de la vida cotidiana y personal de don Bosco se pueden localizar mejor en sus cartas que en otros escritos, gracias a la disminución de aquella atenta vigilancia sobre los elementos de contenido y forma, a que normalmente don Bosco sometía los textos destinados a la imprenta.
7 Del decenio 1830-1840, se conserva sólo una minuta de carta escrita en un cuaderno durante el ario escolar 1835-1836. Del primer quinquenio de los años cuarenta quedan prácticamente pocas cartas, redactadas al final de 1845. El último texto ológrafo es del mes de diciembre de 1887. Resulta difícil hacer cálculos, aun aproximados, acerca de cuántas cartas haya podido escribir don Bosco durante su vida. Don Cenia afirmaba en 1933: «Le lettere di don Bosco pubblica te sono assai meno numerose di quelle che o andarono perdute o giacciono nell'oblio» (ME XIV, 556).
De modo que el motivo principal de interés ofrecido por el epistolario de don Bosco es precisamente el de darnos una notable documentación para ponerla en la base de la futura reconstrucción histórica, de modo que haga menos precisa o, si queremos, para completar la valoración de su compleja personalidad: y esto a través de la voz viva de su protagonista, grabada de un modo inmediato y vivo.
No creo que de la maciza aportación documental del epistolario en cantera, tuviera que salir una imagen radicalmente «otra» de la ya conocida en el círculo de sus mejores estudiosos, pero es indudable que el don Bosco que surge de las cartas se aparta más de lo que pudiera creerse del que presenta cierta literatura aún reciente. Una cosa es el don Bosco de los sueños, el don Bosco de los milagros y los prodigios, el don Bosco de lo «numinoso» y otra es el don Bosco «ferial» del carteo epistolar, que se presenta en clave de vida concreta y llena de problemas, de contradicciones e incertidumbres, en una longitud de onda muy de esta tierra. En sus cartas, don Bosco brilla, por decirlo así, con la luz de lo diario, sin ningún ropaje enigmático, que, aun sin quererlo, daría lugar a una rara atmósfera tejida de ambigua imprecisión.
Otro elemento no despreciable que ofrece la correspondencia en cuestión es el hecho de que la extraordinaria riqueza de relaciones sociales que vivió
8 Abrió los estudios, en esta perspectiva, el artículo de J. KLEIN - E. VALENTINI, Una rettiftcazione cronologica delle Memorie di san Giovanni Bosco, en «Salesianum» 17 (1955) 581-610. Recientemente se han publicado ensayos análogos en varios números de RSS. Puede verse, a este propósito, la comunicación de Desramaut en este mismo congreso.
9 Presenta un ejemplo de «revisión» de pasadas interpretaciones (necesitadas de correcciones) la comunicación de Tuninetti en este mismo Congreso sobre la larga y dolorosa controversia que tuvo don Bosco con mons. Lorenzo Gastaldi.
don Bosco, nos ofrece un panorama de la vida social, política, cultural, económica, eclesial de aquella segunda mitad del siglo pasado tan violentamente sacudida por contrastes de toda clase. La carta, todos lo saben, es un instrumento social y por tanto presenta la figura del que la escribe y de sus corresponsales en una situación determinada, frente a contingencias precisas, tanto personales como colectivas; por consiguiente, en su conjunto, puede darnos de algún modo el sabor de una época y elementos para tener un perfil más exacto de los personajes que se movieron en ella.
Sin que queramos asumir aquí el inútil cometido de apologista del epistolario, lanzado contra sus posibles detractores y como prueba de lo dicho hasta ahora, basta advertir la enorme variedad de sus destinatarios: autoridades civiles, como jefes de estado y de gobierno (Vittorio Emanuele II, Cavour, Rattazzi, Ricasoli, Minghetti, Lanza, Emperador de Austria...), personalidades eclesiásticas como papas, cardenales, obispos, superiores de institutos religiosos (Pío IX, León MI, card. Antonelli, Rosmini...), escritores y hombres de cultura (Tommaseo, Balbo, Pellico, Vallauri, padres de la «Civiltá Cattolica») aristócratas y exponentes de la nobleza piamontesa, florentina, romana, de Niza, París, Marsella, Barcelona, sudamericana, humildísimos bienhechores, clero diocesano, religiosos y religiosas, adultos y jóvenes de baja extracción social, etc. Ahora bien, aunque la correspondencia con esas personas se sitúa con mucha frecuencia en un ámbito estrictamente pecuniario, sin embargo permite distinguir a veces algunos aspectos de su personalidad y de su ambiente, pone de relieve la relación que entablan con don Bosco y deja captar su situación moral y espiritual.
Si nos preguntamos qué nos pueden decir las cartas de don Bosco, la respuesta podrá ser «muchísimo» o, al menos, muchas más cosas de lo que podríamos conocer sin ellas. El epistolario de don Bosco, en la forma crítica en la que va a editarse, nos da signos, no sólo de la dirección de la biografía y de la historia, sino también de la psicología y del psicoanálisis, de la economía y de la sociología, de la teología y de la espiritualidad, de la literatura y de la lengua,. de la historia local y de la política, de la genealogía y de la pedagogía.1° Podemos acercarnos a él según criterios de integración pluridisciplinar y convertir de ese modo en un lugar revelador de coordenadas epistemológicas de cultura y de civilización, al utilizarlo sincrónica y diacrónicamente, por caminos analíticos o sintéticos. Y, más aún, el epistolario de don Bosco podría facilitarnos apoyos documentales útiles y a veces indispensables para el salto de calidad en el conocimiento que se desea de don Bosco desde diversas vertientes y no sólo desde hoy.
" Los diversos significados y aspectos de un epistolario han sido objeto de discusión en diversos contextos. Por ejemplo en varios «quaderni di retorica e poetica», dirigidos por G. Folena, son recogidos recentísimos modelos: cf. La Lettere familiare I, Padova, Liviana Editrice 1985; para el área francesa, véase el citado coloquio internacional de Aix-en-Provence (La correspondance). Sobre algunas posibles lecturas de los escritos de don Bosco, y, por tanto, también de sus cartas, son útiles las sugerencias de R. FARINA, Leggere don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente interpella gli istituti religiosi, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1976, p. 349-404.
En esta óptica, hasta los titubeos en la escritura, los errores de ortografía y de sintaxis, las frases tachadas pero aún descifrables, la frecuencia de formas idiomáticas, una vez decubiertas, en vez de estorbar, pueden servir para dar idea del nivel de aprendizaje de la lengua por parte del escritor, su capacidad de expresarse por escrito, pero en clave de «hablado», la forma literaria propia de una época, un ambiente, un personaje.
Afirmada así la utilidad de la edición crítica en el taller, los problemas de método que se me han planteado son los comunes a todos los editores de epistolarios de amplio contenido. Se han dado muchos pasos en la ciencia y en el arte de editar cartas, pero aún hoy no se han fijado los principios editoriales (y tal vez no se fijen nunca) con absoluta certeza, dada la peculiaridad de cada epistolario." De todos modos, son tres las cuestiones: la recogida de textos, su transcripción, las diversas notas críticas e históricas.
Sin embargo, antes de exponer brevemente el modo con que ha sido resuelto cada uno de estos tres problemas en la edición que estamos preparando, creo que debo responder a una pregunta: ¿para quién se han recogido y se van a publicar estas cartas? Y esto, porque definir el público a quien se dirige significa adoptar un método en vez de otro. Si, en efecto, uno se propone agradar a los especialistas, hará falta darles minuciosa información y detalles, que el lector común no encuentra de ningún interés y que seguramente definirá como «pedantería» o «idolatría documental». Pero si se quitan esos
" Se siente el problema en todas las naciones. En el ámbito italiano, los títulos bibliográficos sobre el tema no son muy numerosos. De todos modos, se pueden consultar con provecho: M. MARTI, L'epistolario come «genere» e un problema editoriale, en: Studi e problemi di critica testuale. Convegno di Studi di Filologia Italiana, Bologna 1961, p. 203-208; entre las más útiles introducciones a colecciones de cartas, citamos la de E. Garin a: A. LABRIOLA, Epistolario 18611890, a cura di D. Dugini e R. Martinelli, Roma, Editori Riuniti 1983. En ámbito francés: PUBLICATIONS DE LA SOCIETÉ D'HISTOIRE LITIERAIRE DE LA FRANCE, Les éditions de corrispondances. Colloque 20 avril 1968, Paris, Librairie Armand Colin 1969; Écrire Publier Lire les correspondances. Actes du colloque international: «Les correspondances». Colloque 20 avril 1968, Paris, Librairie Armand Colin 1969; Écrire publier Tire les correspondances. Actes du colloque international: «Les correspondances». Publications de l'Université di Nantes 1983. En lengua inglesa: F. Bowas, Some principies for scholarly editions of nineteenth-century american authors, en «Studies in Bibliography» (1964) 223-228; G.T. TRANSELLE, Some principies for editorial apparatus, en «Studies in Bibliography» (1972) 41-88. Para autores de lengua alemana: S. SCHEIBE, Some notes on Letter editions: With special reference to german writers, en «Studies in Bibliography» (1986) 36-148. Recordamos que en Toronto (Canadá) tienen lugar, desde hace años, «simposios» de «editing texts», cuyas actas son publicadas regularmente.
elementos, el erudito podrá considerarlo como un intento de «popularización» y de «divulgación» que, por tanto, escapa totalmente a sus intereses.
A questa domanda ho già risposto in parte prima: il ruolo editoriale che ho adottato è quello di offrire uno strumento di lavoro completo e utile, per quanto possibile, a ricercatori e studiosi delle varie discipline. Si dirà: ma chi ha bisogno di tutte le annotazioni o spiegazioni che precedono o seguono il testo della lettera? Chi richiede quella estrema scrupolosità al testo che, forse, impedisce una lettura fluida? La risposta è: «nessuno». Ma il testo non è modificato per una singola persona. E 'pubblicato per un gran numero di persone, compresi coloro che non sono specialisti in qualsiasi disciplina, coloro che conoscono poco o non sanno nulla circa la storia di Don Bosco e le origini della Congregazione salesiana, che non sanno molto della situazione sociale, politica, culturale, religiosa d'Italia nel diciannovesimo secolo.
In altre parole, cercherò di offrire un'edizione critica, accademica, scientifica, ma che non offudi l'accesso del pubblico in generale, la lettura seguita dal lettore onesto, che non è necessariamente uno studioso o un topo di biblioteca. E poiché è sempre difficile resistere alla tentazione di dire tutto, è ugualmente possibile scrivere poco per alcuni e troppo per gli altri. Come criterio generale per la scrittura di note descrittive ed esplicative, si ricorrerà, più che alle regole astratte, all'esperienza degli altri, al confronto, al senso di misurazione che nasce dal proposito di mantenere anche tipograficamente in primo piano il documento del dono Bosco e limita la sua illustrazione a ciò che può essere usato per capirlo.
Ma torniamo ai principi editoriali di cui abbiamo parlato.
Inutile sottolineare che le condizioni ideali di lavoro, cioè tutte le lettere autografe di Don Bosco, tutte le risposte che ha ricevuto e i documenti che consentono di comprendere bene le lettere scritte e ricevute, non sono state fornite al corrispondente in questione. Anche se non abbiamo il diritto di criticare coloro che si sono avventurati a pubblicare le lettere di Don Bosco prima di noi, c'è un dato di fatto: che sia i compilatori delle Biographical Memoirs che Don Cenia nell'Epistolary da lui pubblicati hanno cercato di garantire il contenuto delle lettere (e questo è stato rivelato, da
12 I 19 volumi degli MB si riuniscono in ordine, non sempre cronologico, a circa 2360 lettere. Entrambi questi sono serviti G. Luzi (SG Bosco, Lettere Scelte, Torino, Paravia 1945) come octogenario E. Yield, per la modifica dei quattro volumi di S. Giovanni Bosco Epistolario di (Torino, 1955-1959 SET), in cui sono raccolti 2845 testi. Sfortunatamente, Don Cena, nonostante avesse in mano temporaneamente gli originali di molte lettere per concessione dei legittimi proprietari, non indicava in alcun caso il luogo in cui erano stati trovati gli originali. Ecco perché il responsabile dell'edizione critica, in molte delle lettere, dovrà riprodurre il
un'altra parte, non sempre filologicamente impeccabile) senza considerare il problema del continente, cioè il supporto archivistico che è l'unico a garantirne l'autenticità e il valore.
Per questo motivo ho iniziato con la regola che non credo che la legittimità possa essere messa in dubbio, vale a dire vedere personalmente gli autografi o, almeno, le loro fotocopie. Ricerca e la raccolta sono stati offerti finora l'abbondante raccolto di oltre 3.000 ", tra cui un paio di righe, a cui vanno aggiunte alcune centinaia di testi a stampa non supportate dalla riunione del manoscritto, ma garantito degni testimoni della fede.
Non è questo il luogo per anticipare la storia d'archivio o la storia della tradizione scritta a mano o stampata delle lettere. Basti dire che il laborioso compito di inventariazione, classificazioni fastidiosi, di successo o indagini deludenti sono state fatte, finora principalmente in Italia, dalle indicazioni di repertori, iniziative personali fortunati, indagini preliminari, in centinaia di archivi e biblioteche pubbliche e private , civile ed ecclesiastico, in famiglie che sono state raggiunte grazie ai social media. Ovviamente, non è stato trascurato di ricorrere all'annuncio di questa continua ricerca su riviste specializzate e alla consapevolezza di tutte le comunità salesiane del mondo ".
anche smesso di contare episodi gustosi o sconcertanti, di cui sono stati testimoni, commentando gli atti di generosità e avidità, per sottolineare la distruzione degli originali per negligenza degli eredi o eccessiva devozione a insinuare un pizzico di diplomazia per avere meno copia di manoscritti custoditi da collezionisti particolarmente gelosi prima dell'editore ufficiale. Non ci sono parole di spesa per illuminare un aspetto non secondario della ricerca: il commercio, aggravata dal fatto che molti testi sono passati i confini originali e incoraggiato la gara centenario e il prezzo di autografi da antiquari. Un nome per tutti: la famosa casa d'aste londinese Sothebys, messa in catalogo qualche anno fa e venduta due lettere originali di Don Bosco, probabilmente di non molto notevole importanza.
texto de su predecesor, sin poder verificar la completa fiabilidad del mismo. Además, de algunas cartas se conserva sólo un resumen (debido a una tradición parcial) o bien una simple noticia de su existencia. Fueron igualmente tomadas del epistolario de don Cenia las docenas de cartas publicadas en: G. Bosco, Scritti spfiltuali, 2 vol., a cura di J. Aubry, Roma, Cittá Nuova 1976 (recientemene reeditados en un solo volumen).
13 Con la convinzione che le lettere che dovrebbero essere pubblicate nel primo volume (relative agli anni 1835-1864) difficilmente possono essere trovate in paesi stranieri (che, d'altra parte, sono numerosi, e non solo in Europa), la ricerca sistematica è stata fatta, fino ad ora, solo in territorio italiano. Praticamente non c'è stato un giornale o una rivista di ampia diffusione, che non abbia ricevuto l'invito a pubblicare le notizie della ricerca in corso. Anche le celebrazioni del centenario della morte di Don Bosco hanno contribuito a diffondere questa notizia.
SW
"Gli originali o le fotocopie delle lettere inedite, conservate nell'ASC al momento più di mille, un certo numero delle quali sono di valore storico rilevante.
Il censimento ancora provvisorio ha dimostrato, in ogni caso, grandi lacune cronologiche, distruzione o perdita permanente di corrispondenza scritta a mano importante, 15 la gravità del danno che possono essere causati al materiale epistolare e l'edizione critica completa di una raccolta di lettere da file privati di inventario preciso.
Le più grandi collezioni di originali sono nel file salesiano centrale nel file Segreto Vaticano negli archivi comunali di Torino nell'Archivio di Stato centrale a Roma, in alcuni archivi diocesani, soprattutto il regno che era Saboya.16
Il i documenti sono arrivati fornire un quadro qualitativo di straordinaria varietà diplomatica: si va da alcuni minuti a olografico originali, apocrifi con firma autografa in copie autentiche di diversa forma, semplici trascrizioni di testi a stampa, non irreprensibile purtroppo, manca l'originale, e che dovrà essere accettato per questo.
L'obiettivo di un'edizione critica è di dare al lettore un testo autentico e attento, in modo che chiunque ne abbia interesse possa utilizzarlo. Se così non fosse, anche l'apparato editoriale più completo e completo sarebbe privo di valore.
Pensa alla quasi totale mancanza di corrispondenza con mons. Fransoni, sotto la cui giurisdizione Don Bosco lavorò per quasi vent'anni. Allo stesso modo, non è stato possibile consultare, fino ad ora, l'archivio di Casa Saboya; che dovrebbe tenere scritti di grande interesse Le lettere alle autorità del governo centrale sono state perse a causa di una serie di circostanze. Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e da Firenze a Roma era una di quelle circostanze, e non proprio la più insignificante. Società sarebbe un tentativo quasi disperato di recuperare il manoscritto originale delle decine di lettere inviate alla famiglia Callori (fortunatamente già pubblicato, in gran parte).
16 Riguardo alla ricerca della corrispondenza di Don Bosco con il papa e la curia romana, solo nell'archivio segreto del Vaticano si dovrebbero consultare centinaia di fascicoli sparsi in una serie di fonti: Segreteria di Stato, Epistulae latinae, Epistole e principi, Spogli Cardinali, Nunziatura di Torino, Brevi, ecc. Dobbiamo anche aggiungere gli archivi delle Congregazioni romane, i cui fondi non sono stati riuniti in questo archivio segreto: Congregazione dei Vescovi e Regolari, Propaganda Fide, Indice ecc. Tenendo presente l'ampiezza e l'organizzazione dei fondi dell'archivio segreto vaticano, è possibile comprendere la complessità di un'indagine approfondita. Ne ho già dato un po '. passo in questa direzione; e alcuni risultati sono stati pubblicati sulla rivista "Istituto Storico Salesiano" e in L ' Mediatrice Azione di Don Bosco Nella Questione delle Sedi vescovili Vacanti in Italia 1858 dal high morte di Pio IX (1878), volume: urlò, Don Bosco Nella Chiesa, p. 251-328. L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno, L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno, L'ASC è anche in fase di riorganizzazione e non è esclusa la possibilità di scoprire nuove lettere o indicazioni su di essi. Per quanto riguarda gli archivi storici della Città di Torino, sono attesi particolari sorprese, come ha recentemente fatto qualche ricerca di una certa importanza in diversi fondi: cf. l'introduzione del recente studio (in tre parti): G. BRACCO (a cura di), Torino e don Bosco, Torno,
Archivio Storico della Città di Torino 1989.
Come riprodurre le lettere di Don Bosco? Esattamente come è, senza modifiche o arbitraria interventi Editor: cioè gli stessi criteri filologici che qualsiasi altro scritto da un autore sarebbero stati pubblicati. Se qualche errore dovesse essere corretto dal punto di vista storiografico, sarebbe necessario ricorrere alle "note" della nota a piè di pagina. La lettera dell'educatore piemontese, come molti sanno, è una lettura problema: ma per i quali ha già come qualcosa di familiare, i dubbi sono ridotti quasi solo la scelta tra maiuscole e minuscole decifrare una lettera o una sillaba che sembra (o forse lo è) uno, ma che non può essere più di un altro, interpretare una parola che non sembra buona. Un'altra cosa è il problema, ovviamente,
En todo caso, nuestra edición, que no será de carácter diplomático (pero con las técnicas fotográficas modernas y para textos del siglo XIX, ¿tiene todavía sentido una transcripción diplomática?), reproducirá el texto de las cartas más filológicamente atendible, aunque «corregido» con los mínimos e indispensables retoques de puntuación y ortográficos, con el uso de cursiva para los títulos de las obras o para expresiones en otras lenguas, con la inclusión de evidentes lapsus calami (indicados siempre, por otra parte), y con diversa división en párrafos respecto al original.
La articulación de las notas será la siguiente:
1) El texto de la carta irá precedido por notas descriptivas. En ellas se darán todas las informaciones relativas al manuscrito (o texto impreso) que se edita: posición de archivo, dimensiones, posible color del papel y de la tinta, condiciones de conservación, señas especiales, timbres postales, tipología diplomática, ediciones anteriores aparecidas en las Memorias biográficas o en el Epistolario editado por don Cenia, breve resumen de la carta. Naturalmente, queda siempre la posibilidad de que don Bosco no haya enviado la carta.
2) El aparato de las variantes se situará inmediatamente después del texto de la carta y de la dirección correspondiente. En los casos en que se tenga la minuta de la carta, se la cotejará con el autógrafo original o el hológrafo, y por tanto el aparato crítico presentará todas las variantes. La honradez exige que digamos enseguida que en casi todo los casos, más que de interesantes desarrollos de ideas o de nuevas aportaciones sustanciales, se trata de añadidos o supresiones de interés limitado, o bien de correcciones formales de evidente poco valor literario. Deseamos que un conjunto de variantes de este género no constituya un solitario monumento a la pedante obsesión del editor, sino que pueda convertirse en un posible instrumento de análisis lingüístico y de mejor conocimiento del personaje don Bosco.
3) Finalmente, seguirán las anotaciones históricas que, dada la naturaleza del epistolario en cuestión, se colocarán sobre todo en la línea:
— de la biografía, en relación con los numerosísimos corresponsales o personajes citados, desconocidos con frecuencia no sólo en los repertorios nacionales, sino hasta en los regionales o locales;
— de los archivos, por las respuestas a cada carta o para otros documentos a los que se alude. Ayudará notar aquí que quien no se sienta interesado podrá pasar por alto determinadas alusiones, expresiones o modos de hablar que, en cambio, interesarán a quien esté más al tanto de las «cosas secretas» de los que pertenecen a la familia espiritual de don Bosco;
— de las crónicas o historiografía local, por los acontecimientos en marcha, sus antecedentes y consecuencias.
Después del cotejo de textos, el mayor problema lo constituye su ilustración oportuna y precisa. El peligro al que se aludía está en aplastar bajo el peso de anotaciones excesivas el texto de la carta, que es el moven de una edición. Subordinando, como es justo, mi cometido al del escritor, querría llegar a dar sistemáticamente todas las aclaraciones indispensables y nada más. Está claro que, en relación con esa indispensabilidad, las opiniones son diversas. Con todo, como mucho, las notas históricas o de explicación servirán para identificar al destinatario, a los personajes y los lugares que se citan, para justificar posibles propuestas de fechas, para explicar palabras o expresiones de difícil comprensión a un lector corriente de nuestros días, para informar sobre algunos lugares, ambientes, situaciones que resultarían incomprensibles a un público no únicamente italiano o que ofrezcan su difícil localización por parte de los mismos estudiosos.
Se dejarán para quien esté dotado de especial competencia los análisis lingüísticos y estéticos, las interpretaciones históricas, los juicios de valor, la biografía crítica de don Bosco. En cambio, nos aprovecharemos de esas notas para dar in extenso, en extractos o en síntesis, las cartas a don Bosco, en el caso en que pudiesen servir para comprender mejor las de don Bosco. Del mismo modo se hará con muchos de los documentos de cierto valor, como promemorias, billetes, escritos de diversa naturaleza que, aun sin ser cartas propiamente dichas,'' parezca importante publicarlas con el epistolario. En el caso de excesiva extensión, podrá servir para este fin un apéndice documental.
'7 Por «carta» entendemos una comunicación escrita de un individuo a otro, con una fecha y un lugar de proveniencia, un lugar de destino, un característico comienzo (incipit) y un saludo condusivo, seguido de la firma.
Desde hace tiempo me planteo una cuestión de relieve no pequeño acerca del plan metodológico: ¿debo esperar a recoger todas las cartas antes de comenzar a publicar el epistolario? Aparte del hecho de que ninguna publicación de este género podrá decirse que está completa nunca, porque las investigaciones nunca serán suficientemente extensas, me inclino a responder a la pregunta negativamente por el hecho de que si espero a tener todas las cartas, probablemente no las publicaré jamás. La dificil situación actual en decenas de bibliotecas y archivos, por no decir la imposibilidad de identificar a los herederos o descendientes de los destinatarios de cientos de manuscritos, son la demostración más tangible de que podrán aparecer cartas de don Bosco del modo y en el lugar menos pensados."
De todos modos, el hecho no debería crear problema: será siempre posible añadir suplementos y, gracias a los índices, situar cada carta en la misma secuencia cronológica seguida en los textos que estaban disponibles en el momento de la edición de cada uno de los volúmenes. Por lo demás, no creo que se dé mejor publicidad que la misma publicación.
El editor del epistolario es perfectamente consciente de su falta de adecuación para este cometido, no fácil, que se le ha encomendado y de su temeridad al aceptarlo. La única cualificación especial que puede ostentar es la de la edad, que le debería permitir, Deo volente, llevar a término la obra en la que se ha embarcado, y que desea que se convierta en una aportación preciosa para una interpretación bien cimentada del significado histórico, en la Iglesia y en la sociedad, de la personalidad y la obra de un hombre que se llamó don Bosco.
18 Una prueba de ello es que nos han llegado ya cartas de ambientes y Es en los que era difícil sospechar la presencia de autógrafos de don Bosco: Madagascar, Canadáe,tados Unidos de América, Guatemala, Checoslovaquia etc. No siempre el destinatario de tales cartas residía en aquellas localidades; a veces los originales fueron llevados allí por misioneros que, de modos diversos, habían llegado a hacerse con ellos.
Raffaele FARINA
Entre los primeros escritos de don Bosco encontramos un Regolamento per gli oratori festivi, compuesto entre 1847 y 1852, del que se conserva el manuscrito. Todo el capítulo IX está dedicado al Archivero o Escribano.' Este tenía, según se lee en él, el cometido de guardar los libros de registro, tener bajo llave la música del Oratorio, cuidar la pequeña biblioteca de libros escogidos para la juventud, anotar nombre y domicilio del que llevaba en préstamo algún libro y vigilar para que no se perdiese ninguna cosa de propiedad del Oratorio. Se trata en sustancia de una serie de disposiciones tomadas de otros reglamentos y que quedaron en los oratorios de don Bosco, según parece, en letra muerta. Los archivos de las obras salesianas surgieron, sin embargo, de un modo empírico y con documentación abundante. Don Bosco solía conservar lo que consideraba importante para la gestión y el recuerdo de los hechos: sus cartapacios escolares, listas de jóvenes, relación de confirmados, de misas, finiquitos con impresores; el teólogo Giovanni Borel, su primer colaborador ya en 1846, llevaba y guardaba la contabilidad. Después don Vittorio Alasonatti empezó a recoger listas de aceptación, de gaátos e ingresos, de rendimiento escolar.
No se trata todavía del Archivo de la Congregación, pero se insinúa ya. A los papeles que se producían por la actividad oficial y social se añadían testimonios diversos sobre las actividades del Fundador. Ya en los años 1860-61, los jóvenes miembros de la naciente Congregación religiosa (entre ellos, Ruffino, Bonetti, Francesia, Rua y otros) se sintieron obligados a formar una comisión para apuntar los hechos que parecían extraordinarios y las palabras de
Debo la redacción de este trabajo a la generosa y fiel colaboración de don Vendel Fenyó.
Cf. P. STELLA, Archivio Centrale Salesiano, en: L. PASZTOR, Guida alíe fonti per la stork dell'America Latina negli archivi della Santa Sede e negli archivi ecclesiastici d'Italia, Cittá del Vaticano 1970, 521; V. FENYÓ, L'Archivio Salesiano Centrale, en RSS 4 (1985) 149-151.
Véase la edición de 1877 en: OE XXIX, 49-50; cf. también: MB III, 104.
su superior y padre, para que «nulla di quello che appartiene a Don Bosco cadesse im oblio».4
El Archivo sigue las vicisitudes y el desarrollo de la joven Congregación y de la Casa Madre de Turín-Valdocco. Se le destinó un local a propósito, no siempre suficientemente espacioso, pero bueno. El responsable fue desde el comienzo el Secretario general de la Congregación. No se tienen rastros de algún reglamento u opúsculo que nos ilustre sobre aquél. El cuarto sucesor de San Juan Bosco, don Pietro Ricaldone, dedica un número de las «Atti del Capitolo Superiore» a los archivos. En él se extiende hablando de los archivos de las casas salesianas. Se detiene en los archivos inspectoriales y se limita a nombrar sólo el «Archivio Generale della Congregazione».5
En la etapa posterior a la última guerra maduró la idea de una reordenación completa del Archivo (fue ocasión de que se cambiase el nombre en «Archivio Centrale Salesiano»). Se le dotó de estanterías metálicas y sobre todo de un nuevo titulario, inspirado en el sistema decimal. El alma de la empresa fue don Tomás Bordas. El preparó el nuevo plan de clasificación, que tenía que servir indistintamente a las bibliotecas y a los archivos.6 Tal vez en vista de su utilización eri las bibliotecas, se incluyeron en el nuevo plan muchos temas, preparados con meticuloso cuidado, que comprometieron, al menos parcialmente, el ordenamiento esencialmente archivero, según la naturaleza de los contenidos: muchos materiales, en efecto, se sacaron del encartamiento en el que debían haber figurado y fueron colocados en posiciones extrañas (expedientes de cada superior, papeles diversos enviados por los diferentes dicasterios a la Secretaría general de Consejo superior, etc.). Así, desde el principio, se trastocó el criterio de archivo de proveniencia y hasta de cronología del material de papeles, que se depositaba a veces semanalmente en el Archivo. Este fue absorbiendo lentamente y confundiendo en uno solo el Archivo de «diario» y el histórico de una Congregación que ya tenía dimensiones mundiales.
Durante su vida más que secular, el Archivo ha tenido diversas denominaciones. Al principio se usaba indistintamente el término «Archivio della Congregazione» o «Archivio Salesiano».. Desde los primeros decenios de este siglo se habla del «Archivio del Capitolo Superiore», expresión que se encuentra en la mayor parte de los papeles conservados hasta 1972. De 1951 a 1985 ha llevado el nombre de «Archivio Centrale Salesíano»7 y al entrar en vigor el Rego
• mB VI, 861-863; VII, 129.
• ACS (1943) n. 120, 279.
6 Cf. T. BORDAS, La clasificación decimal aplicada a la Congregación Salesiana para sus bibliotecas y archivos, en «Boletín de la Dirección General de Archivos y Bibliotecas» 2 (1953) 14, 13-16.
• A decir verdad, el volumen de don Torras (cf. nota 13) lleva ya la denominación «Archivio Salesiano Centrale». Sin embargo, parece que el cambio (que se ha introducido con el fin de evitar la confusión con la misma sigla usada por la publicación periódica «Atti del Capitolo Superiore» [ACS]) llegó a ser oficial sólo en 1985.
lamento, el de «Archivio Salesiano Centrale».8
Bajo la dependencia del Secretario general del Consejo superior (hoy «Consejo general») se han sucedido, desde el tiempo de don Bosco hasta hoy, los siguientes archiveros en la dirección del Archivo Salesiano Central: 9
1. Don Gioacchino Berto (1847-1914): Secretario de don Bosco hasta 1882. Le ayudaban en su trabajo de archivero don Michele Rua, don Angelo Lago, don Giuseppe Lazzero, don Francesco Dalmazzo y otros. También don Carlo Viglietti (1864-1915), que le sucedió en 1882 como secretario de don Bosco, fue colaborador suyo en la recogida y ordenamiento cuidadoso de los escritos que se referían a la Congregación Salesiana.
2. Don Giovanni Schlápfer (1884-1946): siendo clérigo estudiante ayudaba a don Berto y, apenas ordenado sacerdote el 20 de julio de 1913, a las órdenes de don Calogero Gusmano, secretario del Consejo superior (1912-1935), sucedió a don Berto como archivero. Catalogó el Archivo con la ayuda del señor Giuseppe Balestra (1868-1942), secretario particular de don Rua. Don Schlápfer, aun con criterios empíricos, elaboró un cuidadoso ordenamiento del Archivo, alterado después por su sucesor. Fue responsable del Archivo hasta
1946.
3. Don Tomás Bordas (1889-1968): trabajó en el Archivo desde 1926 y tomó la dirección en 1946, cuando murió don Schlápfer. Le ayudaron en el Archivo don Johann Birkenbiehl y don Luigi Tavano. Se le recuerda por la primera redacción sistemática de un titulario del Archivo, inspirado en la clasificación decimal de Dewey y por haber colaborado en el traslado de la parte más importante del Archivo a los subterráneos de la basílica de María Auxiliadora de Turín, para sustraerla a la posibilidad de destrucción en los bombardeos aéreos de la ciudad durante la segunda guerra mundial.
4. Don Pietro Stella, apreciado estudioso de don Bosco, estuvo con don Bordas en 1961 y dirigió el Archivo hasta 1965. Se dedicó especialmente a la organización y clasificación del «Fondo Don Bosco», de cuyo conocimiento cuidadoso proceden sus conocidos trabajos históricos sobre don Bosco.
5. Actualmente, aunque con el grado de vicedirector desde 1985, dirige desde 1965 el Archivo don Vendel Fenyó, con la ayuda, desde hace algunos años, de don Tarcisio Valsecchi y, recientemente, de don Jaroslav Polácek y de don Ambrogio Park. Debernos recordar también aquí la dirección durante dos años (1980-1981), breve, pero eficaz de don Ugo Santucci.i°
8 ACG 66 (1985) n. 314, 48-56.
9 A. MART/N, Jaén en los archivos de Roma: Instituciones giennenses en el Archivo Central Sa
lesiano, en «Boletín del Instituto de Estudios Giennenses» 90 (1976) 6-7.
" Cf. Elenco Salesiani Don Bosco 1980/1981, vol. I, p. 11-12 (Sectores y actividades de la
Casa generalicia).
En 1972 la «Direzione Generale Opere Don Bosco» pasa de Turín a Roma, en una nueva sede (via della Pisana, 1111, contigua al «Grande Raccordo Anulare»), llevando consigo también el Archivo. El traslado y la nueva sistematización tuvieron lugar, sin inconvenientes, en pocos meses. La mayor parte de los documentos se colocó en estanterías metálicas, en contenedores «Resisto», en un local, al menos por ahora, suficientemente amplio, climatizado con una temperatura de 20° y humedad de 50°.
La falta de espacio obligó enseguida a una opción que, al fin y al cabo, se demostró de utilidad, como fue la de sacar del Archivo la llamada «Biblioteca storica» de Turín-Valdocco, que encontró, también ella, con la creación del «Istituto Storico Salesiano» en 1982, y en 1985, con la sistematización de la biblioteca de la «Casa Generalizia», su ubicación definitiva. No hay que silenciar aquí el hecho deplorable de que, en esta separación, hecha sin un debido control, se han perdido algunos ejemplares de obras que formaban parte de la llamada «Biblioteca di Don Bosco», es decir, la biblioteca que usó el santo durante su vida. A esto debe añadirse el hecho de que buena parte de esta llamada «Biblioteca di Don Bosco» quedó todavía en Turín-Valdocco, separada de la otra parte trasladada a Roma.
Este ha sido uno de los problemas que el responsable del Archivo, al llegar a Roma, en los años de la gran crisis, debió afrontar. La problemática fue hecha presente repetidamente por don Fenyii, sobre todo en 1973, aun con su discreción característica, en un memorándum y apuntes, que conocen los que en los últimos veinte años han tenido relación con el Archivo o se han ocupado de algún modo en estudios sobre nuestro Fundador y sobre la Congregación salesiana.° He aquí sintéticamente algunos de los problemas planteados:
1. La clasificación decimal, realizada en 1951, tuvo el mérito de facilitar la búsqueda del material por argumentos y personas, pero sin salvaguardar suficiente y adecuadamente el principio en archivos, de la procedencia del material. Por ello no reflejaba la historia, como habría debido, ni las estructuras y competencias del tema del que recogía y ordenaba el material documenta1.12
2. El plan de clasificación, redactado con estos criterios de división decimal, no tenía en cuenta la división que se usaba en los Archivos de las casas
" Cf. por ejemplo: V. FENYÓ, L'Archivio Centrale: difficoltá nella consultazione (15 aprile 1973); ID., I problemi del titolario nell'Archivio Centrale Salesiano (2 maggio 1973). Cf. también:
J. HOMOLA, La funzione della Segreteria generale di una Casa generalizia in rapporto coll'Archivio, in modo particolare con quello corrente (Lavoro di studio presentato nella Scuola di Archivistica dell'Archivio Segreto Vaticano 1973). Este trabajo, redactado por un salesiano, se refiere a la situación del Archivo de la Casa generalicia salesiana.
Leyendo el trabajo citado en la nota 6, se ve claramente que el criterio adoptado por don Bordas en la recogida y ordenación del material fue el de una «Oficina de Prensa» bien equipada.
Merece la pena recordar que, cuando asumió el cargo de archivero, don Bordas procedía precisamente de ese tipo de oficina.
generalicias, es decir, la división en los tres núcleos tradicionales de generalia, provincialia, personalia, aunque éstos se podían deducir sin gran dificultad del conjunto de voces.
3. La consulta era difícil por falta de instrumentos de descripción y búsqueda. El único instrumento era el titulario, de cuyos defectos ya hemos hablado antes.
4. El material del archivo no estaba dividido con criterio único. Mucho material del mismo tipo se encontraba en diversas secciones.
5. El fichado del material estaba y está a medias. En algunas partes o secciones, está bien hecho. En otras, menos. Por estos motivos y por los apuntados en el n. 3, la consulta exige que el archivero dedique mucho tiempo a la búsqueda para el servicio del investigador-estudioso o que permita al estudioso la búsqueda directa del material, lo que es inadmisible.
6. Faltaba el reglamento del Archivo y esto creaba problemas a los que apenas hemos hecho referencia; y otros, como el ingreso de material de los despachos en el Archivo y el de la clasificación de ese material.
7. Algunos de los problemas del Archivo eran fruto de la insuficiente organización de los despachos, que producen documentos destinados después al Archivo.
La sección del Archivo que se refiere al Fundador, continuamente consultada hoy, como lo fue desde el principio de la Congregación, requiere la máxima atención. Por eso se pensó conservar su integridad recurriendo al microfilme. El trabajo lo realizó entre junio de 1979 y jimio de 1980 el sacerdote salesiano español don Alfonso Torras. Se trata de 2.322 microfichas (150 x 104 mm.), cada una de las cuales contiene 60 fotogramas. Lo que quiere decir 139.151 páginas de documentos reproducidos.
Para una adecuada utilización de este Fondo microfilmado se procedió a la numeración de los papeles uno por uno, para su colocación vertical y horizontal sobre la microficha: 5 filas de 12 fotogramas por fiCha. Después se impuso hacer el índice o catálogo para identificar cada documento situado en la ficha. Este último paciente trabajo de don Torras se publicó después impreso en 629 páginas.° La consulta de este Fondo raicrofilmado es posible, no sólo en el Archivo Salesiano Central, sino también en muchas instituciones salesianas del mundo que adquirieron copias."
13 ARCHIVIO SALESIANO CENTRALE, Fondo don Bosco. Microschedatura e descrizione, a cura di A. Torras, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco 1980.
" A. Torras, a petición de algunas Inspectorías salesianas, realizó, entre. 1980 y 1982, una segunda serie de microfichas (149.090 fotogramas) de las que, desgraciadamente, no ha publicado la guía.
La realización de tal empresa, aun con defectos debidos a la organización no completa del Archivo, merece un sincero agradecimiento. No sólo ha logrado el fin que se propuso de salvaguardar para la posteridad un tesoro precioso de los avatares del tiempo (guerras, incendios, terremotos, etc.) y del uso diario para su consulta, sino que lo ha puesto prácticamente a disposición de los estudiosos de todo el mundo, que no siempre tienen la posibilidad de poder consultar en Roma los originales.
Precisamente un uso más fácil de este Fondo microfilmado hace pensar en su segunda edición, cuando se haga la programación en ordenador del «Fondo Don Bosco». Se podrá entonces hacer aparecer sobre cada ficha la signatura propia de cada documento y facilitar una guía para la consulta más accesible intuitivamente."
La iniciativa de la reproducción del «Fondo Don Bosco» sobre microfichas es un ejemplo que muestra un nuevo clima.
Los Capítulos generales, a partir del Especial de 1970-1971, habían hecho una invitación a la renovación y dado un estímulo al estudio del espíritu del Fundador y de los orígenes y, por consiguiente, a la valoración de todo lo que se recibió por escrito. Se pueden recordar, como más salientes, la refundación, en 1972, en la Universidad Pontificia Salesiana, del «Centro Studi Don Bosco», que fue consecuencia del Capítulo General Especial (cf. Actas n. 186),16 y la fundación, en 1982, en la Casa generalicia del «Istituto Storico Salesiano», de acuerdo con la deliberación del Capítulo general 21° de 1977-78 (Actas n. 105ss.)."
La exigencia de búsqueda y de estudio del Instituto Histórico Salesiano, apenas nacido, dieron el impulso definitivo a la reciente sistematización del Archivo, en cuya preparación y puesta en marcha he participado de manera activa y directa. Esto se hizo en tres etapas: la preparación y promulgación del Reglamento, la preparación de su «informatización», la misma «informatización».
15 Se pueden ver algunas indicaciones sobre la organización del «Fondo don Bosco» en: P. STELLA, Gli scritti a stampa di S. Giovanni Bosco, Roma, LAS 1977, p. 15-16.
16 Cf. Atti del Capitolo Generale Speciale XX, 457; R. FARINA, Leggere don Bosco oggi: note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente interpella gli istituti religiosi, Leumann (Torino), Elle Di Ci 1976, p. 356.
17 Cf. el primer número de RSS 1 (1982).
Promulgado con carta del Rector Mayor, dirigida al Secretario general,' el Reglamento del Archivo contiene su programa de reestructuración, que se está llevando a efecto desde hace tres años y que se puede decir que está sustancialmente acabado, si se prescinde del hecho de que la inclusión en ordenador de todo el material del Archivo llevará un buen número no determinado de años.
Me parece oportuno destacar aquí algunos de los contenidos más importantes:
1. La constitución de un grupo de archiveros, debidamente preparados, guiados por un director y un vicedirector, que se ocupan de la ordenación, clasificación e inventario, codificación e «informatización», además de la conservación de la documentación contenida en el Archivo (art. 4-14). Hasta este momento, toda -la responsabilidad y el trabajo gravaban, casi exclusivamente, sobre las espaldas de una sola persona.
2. La división del material documental, hecha por razones de tipo práctico, en cuatro secciones: Archivo histórico, Archivo de depósito, Archivo corriente y Archivo de procesos reservados (art. 15-16).
3. La reglamentación detallada de la consulta del Archivo (art. 17-27). En la carta de promulgación, el Rector Mayor determina la apertura del Archivo a la consulta de todos los estudiosos que lo soliciten, ateniéndose a las normas del Reglamento, hasta 1931, año de la muerte del tercer sucesor de don Bosco.
4. El programa de organización de la documentacion contenida en el Archivo, que contempla, sobre todo: 1) censo de todos los documentos (registro y sellado); 2) recogida de cada documento en cajas numeradas y asignación de un código de clasificación, que hace referencia al plan de clasificación del Archivo, y de un número de colocación, que determina la identidad de cada documento; 3) la entrada de cada documento en el Archivo; 4) la clasificación.
" Cf. ACG (1985) 48-49. El Reglamento está a continuación de la carta (p. 50-56). Al hacerse alusión a este Reglamento en el manual para el Inspector (L'Ispettore Salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunta ispettoriale, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco 1987), el Apéndice 13 (p. 547-558) confirma y pone al día las indicaciones para los archivos inspectoriales y locales dadas por don Ricaldone en 1943 (cf. nota 5).
" Sin embargo, como no ha sido completamente resuelto todavía el problema del «protocolo» único para todos los sectores de de la Casa generalicia (ni existe, por otra parte, un Reglamento que prescriba, entre otras cosas, un modo más o menos uniforme de entregar los expedientes cerrados), el Archivo Central continúa teniendo, en un lugar contiguo, un archivo que es, al mismo tiempo, depósito y archivo corriente (Reg., art. 15, par. 3-4).
Este importante trabajo procedió, con todas las cautelas debidas al ser de los primeros en este campo, en tres frentes al mismo tiempo. Ante todo, se tuvo que preparar el Archivo como tal a tan importante empresa. Se trataba de resolver el antiguo problema de la separación del Archivo histórico del Archivo corriente. Esto se hizo: 1) reduciendo las entradas de los despachos al Archivo a los establecidos en el Reglamento (Re g. art. 36) cada seis o doce años y, en todo caso, cuando los procesos están concluidos y, por tanto, no sacarlos de nuevo del Archivo ni «hincharlos»;20 2) extrayendo, con un trabajo que ha durado en total unos dos años, todas las carpetas y la documentación de los hermanos salesianos vivos, para formar un Archivo corriente a propósito, del todo nuevo, situado en un local contiguo y dependiente de la Secretaría general y, de todos modos, del todo independiente y fuera del Archivo Salesiano Central; 3) numerando todas las cajas que contienen los documentos,2' de modo que se le pueda asignar a cada uno de ellos un número propio individual que hace referencia a la caja y a la «camisa» o sobre en la que se encuentra.
La asignación de una sigla alfanumérica individual exclusiva de colocación a cada documento distingue a este último de cualquier otro y es el medio para encontrarlo en la masa de documentos conservados (cerca de 2.500.000). La búsqueda deberá hacerse no ya como hasta ahora, haciendo referencia local a la clasificación, sino a través del ordenador, haciendo referencia a la colocación. Por lo que las diligencias que han entrado no se desmembrarán poniendo los documentos en cajas distintas según la clasificación recibida, sino que quedarán íntegras como fueron depositadas y recibirán la sigla de colocación por medio de la cual se podrán encontrar. Así será posible consultar, según las normas habituales y con las ventajas de que cada historiador conoce la documentación exactamente como entró en el Archivo.
Mientras tanto se había elaborado un sistema, único para el Archivo y para la Secretaría general, mediante la asignación de un código alfanumérico (con no más de seis letras o cifras) tanto a las casas como a los hermanos salesianos desde el comienzo de la Congregación hasta hoy. Era el primer paso para la redacción del plan de clasificación de los documentos. Éste recibió su última
20 Esto ha exigido un largo trabajo de compulsación y revisión de los nombres de los hermanos, vivos y difuntos, cada uno de los cuales — para evitar todo tipo de confusiones y de equívocos futuros — está contraseñado con un propio y exclusivo «codice alfanumerico» (no más de 6 cifras o letras). El «codice» (por ej. 78A001) comienza con dos cifras y una letra que se refieren al año de entrada en la Congregación (78A = 1878; 78B = 2078 etc.); siguen tres cifras, con las cuales son señalados progresivamente, de uno en adelante (001, 002, 003 etc.), los hermanos que en tal año entraron en la Congregación.
21 La numeración de las cajas va de A000 a A999 en el primer millar; de Z000 a Z999 en el 25° millar. En la numeración del 26° al 50° millar se pasa la letra al final: 000A-999A, 000Z-999Z.
redacción el 31 de mayo de 1988 y constituye el punto de referencia para el fichado a través del ordenador del Archivo Salesiano Central.
Mientras que en el plan anterior los títulos eran diez, ahora se han convertido en veintitrés. Empiezan con una letra del alfabeto, excepto los que se refieren a los hermanos, que empiezan, en cambio, por una cifra.
Sí el Archivo hubiese tenido las vicisitudes y dificultades normales en cualquier otro Archivo, si se hubiese podido disponer de un fichado suficiente del mismo, tal vez no nos habríamos embarcado en la aventura del proceso del mismo por ordenador. Es tal que, al principio, descorazona a cualquiera. Pero no nos hemos arrepentido, aunque el camino que hay que recorrer es largo. Lo sería más todavía si quisiésemos usar los medios tradicionales para la gestión de un Archivo así.
Preparado el plan y fijada la colocación y numeración de los documentos, después de algunos meses de rodaje, se comenzó la memorización (input) para cada documento (que puede ser un simple folio de apuntes o un conjunto de hojas o páginas), de los siguientes datos: Colocación, Clasificación, Tipo de documento, Fecha, Lugar de origen, Autor/ es, Destinatario/ s, Título/Resumen, Soporte, N. de hojas/páginas, Presentación, Autenticidad (Originales/Autógrafos), Publicación (Si/No), Claves de búsqueda (hacen referencia al plan de clasificación: 32 posibilidades).
El número de los documentos, calculados sobre la base de 6.700 cajas existentes en el Archivo, cada una de las cuales contiene una media de 400 documentos, es aproximadaMente de 2.500.000. Calculando el número de las voces por cada documento y la amplitud de algunas de ellas (por ej.; Título/Resumen, claves de búsqueda...) se puede uno hacer idea del trabajo y vastedad de la tarea emprendida. Se ha dado comienzo a la memorización del «Fondo Don Bosco»: se trata de casi 30.000 documentos y se acabará sólo dentro de cinco años.
Las ventajas de este sistema son los que presenta cualquier fichado (censo,
ordenación, colocación, clasificación) y con ahorro de personal, rapidez, exactitud y posibilidad de un tipo de búsqueda (unívoca o cruzada con dos o más voces o campos) impensable con los sistemas tradicionales. Se garantiza además la seguridad de encontrar cualquier documento memorizado en un 99%.
Mientras se avanza en esta tarea, el Archivo permanece abierto a la consulta de los estudiosos, y los archiveros, aun con este grave compromiso, se prestan generosamente a ayudarles a encontrar la documentación que precisan y, con frecuencia, en su lectura e interpretación. Y mientras tanto, me es grato reiterar desde este prestigiosa tribuna esa disponiblidad, y pido comprensión para posibles descuidos y, sobre todo, retrasos.
Émile POULAT
La Iglesia vive y ha vivido en el presente. Pero no está presa en él: el presente no es su limite ni su horizonte; es más bien su condición. Según la fórmula del Vaticano II, la Iglesia se sitúa «en el mundo de este tiempo», el nuestro contemporáneo, que camina al paso de los hombres que lo modelan.
Decir don Bosco es decir el siglo pasado, su tiempo, difícil para la Iglesia, y en ese aspecto muy parecido al nuestro y, sin embargo, muy diverso. Otro mundo, del que no podemos darnos idea de verdad. Un mundo desaparecido bajo el embate de dos guerras mundiales y de presionantes transformaciones técnicas.
Don Bosco y la Iglesia en el mundo de su tiempo: no querría ponerme a repetir aquí lo que los historiadores conocen hasta demasiado bien, quiero decir, las peripecias del gran conflicto entre la Iglesia romana y la sociedad moderna, el sentimiento de incompatibilidad que las pone una contra la otra con la misma intransigencia, sin conciliación o reconciliación imaginables. La inteligencia y la generosidad que una situación como ésa suscita entre los católicos para no dejarse abatir, para reconquistar el terreno perdido y volver a poner en su sitio las cosas en lo que sea posible.
Pretendo trazar alguna pista de reflexión y de investigación en niveles más modestos, sobre los que la investigación se ha aventurado todavía demasiado poco.
La historia política y la religiosa se han mostrado sensibles a las fuerzas que venían enfrentándose y a los conflictos internos y exteriores que resultaban de esa oposición. Menos atención se ha prestado, en cambio, a los intereses y a todo lo que constituía la puesta en juego de esa lucha, excepto en sus traducciones ideológicas. Puede servirnos de ayuda una categoría, un término que no es nuevo, que es, al contrario, una categoría corriente y clásica: la de cultura, civilización.
Hoy estamos ya bastante sensibilizados ante el pluralismo de las culturas y la historia de las civilizaciones. La curiosidad antropológica y la evolución internacional nos han ayudado en este sentido.
Recordamos que hubo una era de cristiandad y un sueño de civilización cristiana, reactualizados de Lamennais a Maritain, si podemos decirlo así. El encuentro del cristianismo y estas civilizaciones lo miramos según el modo de aculturación o inculturación; pensamos en la cristiandad como un encuentro logrado dentro de sus límites y pensamos en la civilización cristiana como un ideal cada día más problemático. Deploramos el choque de las culturas que acompaña, con sus efectos destructores, a la difusión en el mundo de los modelos occidentales. La cristiandad no es, en cambio, ciertamente — o no lo es ya — la imagen que nos deja la historia interna de nuestros países europeos desde hace dos siglos hasta hoy.
Y, sin embargo, aquel fue precisamente el tiempo de un fragoroso choque de culturas, como un topetazo frontal entre dos continentes: un Kulturkampf Fue la irrupción que vino a hacer una nueva civilización, cimentada en la razón, en la ciencia, el progreso y la democracia en la tierra de antigua civilización católica o, más generalmente, cristiana.
Este conflicto lo fraccionamos nosotros, o bien lo interpretamos. Evocamos un clima de hostilidad anticlerical, un doble proceso de secularización y descristianización ante el que el catolicismo reacciona con un proyecto de restauración de un orden social cristiano: una Iglesia, en una palabra, con una mirada en el pasado y otra en el futuro, pero, en todo caso, extraña y refractaria al presente.
Nuestra visión ha ido cambiando a medida que la situación evolucionaba y que la figura del tiempo, la relación entre las fuerzas, las formas de lucha iban modificándose. Pero este realismo necesario ha actuado en nuestro recuerdo y nuestra comprensión del pasado. Y no es sólo una noche de recuerdos la que viene a echarse encima, sino que es el veredicto de un juicio. Y severo. Pedimos a la inteligencia que tenemos ahora del presente y del mundo circunstante la clave para entender lo que nos ha precedido. En un juego así se llega a perder muy pronto la propia alma y la propia identidad. Se convierte uno en color de pasado. Y sucede que también esto nos preocupa y llega entonces el momento de aceptar una lucidez difícil.
He tenido experiencia de ello con ocasión del centenario de la muerte del P. Emmanuel d'Alzon (1810-1880), fundador de los asuncionistas, en el coloquio que tuve que moderar en aquella ocasión. Un coloquio restringido, en el que un centenar de religiosos y religiosas de la Asunción se encontraban con unos quince historiadores. Una pregunta esencial — «¿Cómo es posible ser hoy descendencia espiritual de un fundador como él, cómo se puede ser fiel a su espíritu, a su mensaje?» — chocaba contra el muro del saber universitario. ¿Y que congregación fundada el siglo pasado no ha tenido que resolver por • cuenta propia ese interrogante?
En aquella época se razonaba por medio de oposiciones macizas: Italia Negra e Italia Blanca, las dos «Francias» (la de Voltaire y de M. Homais y la de San Luis, de Juana de Arco y de los cruzados). Más profundamente, perduraba una interpretación agustiniana de la historia, elevada sobre las dos ciuda des, interpretación de la que la Ilustración mantenía una controversia secular. El siglo XIX fue más anticatólico, y hasta antirromano, que verdaderamente irreligioso. Nunca se había visto una proliferación semejante de nuevos cristianismos, de profetas, de mesías, de fundadores de religiones la mayor de las ve-ces efímeras; su inspiración común era siempre la búsqueda de una religión de la humanidad, que a los seguidores del cristianismo histórico no podía aparecer sino como blasfemia, aberración y contradicción en sus términos.
En el seno de la Iglesia católica, la respuesta fue generalmente ambivalente. Por una parte, se sentía todavía en posición dominante, en razón del puesto que ocupaba en las instituciones y en el número de fieles que contaba. Por otra, sin embargo, había atravesado una revolución por la que tuvo que pagar un alto precio. La Iglesia se sintió amenazada por un enemigo proteiforme y omnipresente, que con paciencia iba minando y corroyendo su influencia; un enemigo que actuaba al descubierto, pero que también tramaba en la sombra de sectas y de sociedades secretas. ¿Cómo se podía pensar en im compromiso, en una componenda, en una conciliación? La cínica regla posible era la intransigencia, con la disciplina y la concentración que la suelen acompañar. Sólo la intransigencia permitía prever que llegaría al final la transformación de una situación mortal y la restauración de una sociedad de acuerdo con las leyes cristianas y penetrada por el espíritu cristiano.
Una intransigencia así se funda también en varías ambigüedades. La primera pone al descubierto una relación de incertidumbre. La Iglesia se siente todavía en posición mayoritaria, expuesta al riesgo permanente de perder un día — ¿próximo o lejano? — esa posición para despertarse en minoría; pero al mismo tiempo se siente ya aquí y allí minoritaria. La segunda es una cuestión de valoración. ¿Cómo se puede pertenecer al propio tiempo, a lin tiempo que parte de puntos inaceptables, rechazando toda nostalgia por lo que ya ha pasado definitivamente? ¿Y cómo tener en cuenta los hechos pasados sin legitimar al mismo tiempo el juego de la violencia y el derecho del más fuerte en la historia, sin sacrificar un pasado que fue grande y que sigue siendo respetable; sin, en una palabra, renegar de sí mismos?
De aquí las incertidumbres, las perplejidades, las divisiones y las contradicciones entre los católicos. En los extremos se encontrarán, por una parte, una intransigencia blanda, modulada — los católicos liberales que invocan la hipótesis oficial sin renegar de la tesis en marcha — y, por otra, una intransigencia paroxística, activada — los católicos «apocalípticos», que ponen la tesis común dentro de una hipótesis sobrenatural, más segura a sus ojos que la liberal: venganza divina, penitencia y arrepentimiento, profecías y visiones, grandes y pequeñas maniobras satánicas, catástrofes sangrientas y terribles.'
! Por ejemplo, la profecía de Prémol, que tanto se ha divulgado: «Quels sont ces bruits de guerre et d'épouvante qu'apportent les quatre vents? Le dragon s'est jeté sur tous les Etats et y porte la plus effroyable confusion. Les hommes et les peuples sont levés les uns contre les autres. Guerre! Guerre! Guerres civiles, guerres étrangéres. Quels chocs effroyables! ». Por «dragón» hay
Los segundos elevaban la voz, alzaban el tono, cargaban las dosis. Un clima de este género hacía cada vez menos posible la linea de los católicos liberales, reforzando la oposición católica a la modernidad, endureciendo la identidad católica, facilitando el cierre de filas y la movilización de las fuerzas católicas. En una palabra, hizo neta la división de los campos. Hizo sentir su peso en la relación de fuerzas, sin hacer avanzar la solución de los problemas y empujando al campo contrario a los católicos — numerosos — que veían de otro modo la sociedad moderna y lo que en ella podía ser una vida religiosa.
Hago aquí alusión a los secuaces del que he llamado catolicismo burgués, distinto del catolicismo liberal en el hecho de que no admitían su tesis intransigente. Para él, la fe y la vida cristianas son, ante todo, hechos de conciencia, cuestión de orden privado y familiar. Sólo el influjo del individuo tiene derecho a actuar en la sociedad. Se constituían así, en el siglo XIX, dos tipos de catolicismo, recíprocamente irreducibles, de los que la Iglesia romana reconocía a uno sólo, mientras que el segundo tenía que quedar por eso desconocido para historiadores y sociólogos, ante la inicial imposibilidad de identificarlo. Lo que se logró conocer de ello casualmente está muy lejos de hacer entender su importancia real.'
En los antípodas de una religión testimonial y de un apostolado conquistador, este cristianismo interior, seco y reservado, más que definir una categoría, señala un temperamento.3
Hasta podía llegar a una vida mística, de lo que poseemos numerosos testique entender la «revolución». Cf. también la investigación iniciada por P.G. CAmmiaz, 11 diavolo, Roma e la rivoluzione, en «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 3 (1972) 485-516.
2 ¿Es necesario repetir que ese «catolicismo burgués» no es la religión de toda la burguesía, y tampoco de la sola burguesía, sino que es la concepción del papel y del lugar de la religión que apareció con el espíritu burgués y fue desarrollada por éste, en íntima simbiosis con su actividad económica? Max Weber había asociado esta última con la ética protestante: en este sentido, el catolicismo burgués es un auténtico protestantismo de dentro. El rigorismo católico que sobrepasó al jansenismo, fue una expresión y un vehículo del mismo, más allá de su lugar de origen. El alfonsianismo y el salesianismo fueron un antídoto tardío de aquél en el ambiente mismo de su origen. Solamente una investigación positiva y biográfica nos podrá hacer salir de afirmaciones genéricas y dar al modelo un equivalente histórico y espiritual. B. Groethuysen trató de hacerlo para el siglo XVIII, pero en negativo, es decir, a partir de las recriminaciones eclesiásticas.
3 «Au plus profond et au plus pur de nos coeurs fidéles, nous tendons tous á une religion sans église, sans sculpture et sans peinture»: la observación es del dominico P.A. Couturier, precursor de la renovación del arte religioso. Cf. La vérité blessée, Paris, Plon 1984, p. 311. De tales exterioridades entre dos culturas podríamos buscar un testimonio en un reciente best-seller de un párroco rural de Normandía: B. ALEXANDRE, Le horsain, Paris, Plon 1988 (en la colección «Terne Humaine» dirigida por J. Malaurie). Ha pasado su vida en Pays de Caux, observando a su gusto las costumbres y las tradiciones de sus habitantes; pero permaneciendo para ellos siempre el «extranjero»: una tradición que no ha cambiado gran cosa por mucho que se pueda uno remontar en el tiempo, un catolicismo que, por otra parte, ha cambiado mucho desde la última generación, y campesinos que parece que no tienen vida interior. Evidentemente, el autor no ha leído Maupassant, que presenta una imagen completamente diversa de esos campesinos; pero que sesentía, entre ellos, como en su casa.
raoníos. Más frecuentemente, fue una religión de convicciones silenciosas y de prácticas jalonadas entre la cuna y la tumba, en las que, sin embargo, «no entra el cura»; al, cura no se le pedía más que «que hiciese su papel». Y, sin embargo, es esta fe, compartida, a pesar de un fondo de divergencias sobre el lugar que debe dársele, la que explica la larga persistencia de una moral común a los «dos campos». Y es precisamente la aceptación de esta moral lo que permite en Francia a Jules Ferry, en 1882, hacer laicos los programas de la enseñanza primaria pública. Está convencido de que es posible suprimir los fundamentos religiosos de la moral sin perjudicar su fuerza imperativa y su evidencia social. El maestro, después igual que antes, seguirá enseñando «la buena antigua moral de nuestros padres, la nuestra, la vuestra, porque nosotros no tenemos más que una...».
¿Una sola moral idéntica? Haría falta empezar ya a distinguir entre una moral venida de la Ilustración, no muy difundida todavía, privilegio de un grupo social selecto, y la moral del Decálogo, fundada en la tradición judeocristiana, sobre la que se encontraron de acuerdo Le Play y Ferry, adversarios en lo demás: «Sé obediente, no digas mentiras, no robes, no mates». Sin embargo, también aquí podían distinguirse bien la moral católica y la moral laica (el Parlamento francés hará pronto la experiencia al votar en 1884 las leyes que introducían el divorcio). La primera, aun abandonando el rigorismo anterior, no se hacía ciertamente menos estricta y exigente, hasta el punto de alejar a los fieles del confesonario. Quería ser severa y austera, lo que le autorizaba a juzgar a la otra más fácil y acomodaticia. Este es, no obstante, un punto de vista unilateral, que una investigación sobre la moral laica — cenicienta de nuestros estudios — tendrá que rectificar. Esta última, en efecto, tenía también sus puntos sensibles, sobre los que no estaba dispuesta a ceder y en los que podía encontrar acentos pascalianos para fustigar el laxismo católico. Cada una de las dos tiene, en fin, su perfil particular. ¿Qué más podemos decir?
Sobre estos temas, la carencia parece general. Conocemos bien los diversos sistemas de filosofía moral formados a lo largo de todo el siglo pasado. La historia de las costumbres, entre modos de actuar y mentalidad, parece atraer vocaciones y comienza a desplegar su curiosidad. Pero el espacio intermedio queda por llenar totalmente. Fuera de toda teorización, ¿qué energías éticas mueven a esos grupos sociales que chocan entre sí a veces tan duramente sobre ideas e intereses? ¿En qué se sienten deudoras ante la fe y la moral de la Iglesia católica? ¿Descienden todas de una sola e idéntica comprensión del cristianismo?
Durante mucho tiempo la divergencia pareció sutil: se sabía que se difería sobre las creencias, pero se sentían participar de la misma moral. Etnólogos y sociólogos no arañarán esta convicción muy extendida: muestra, es verdad, que nuestra moral no es universal, que hace falta relativizarla a través de la historia de las culturas y de las civilizaciones, pero sigue en pie que les ha enseñado el camino por el que no hace sino precederlas. De hecho, la divergencia se irá consolidando a medida que esta universalidad vaya cediendo, a medida que situaciones nuevas hagan saltar los esquemas tradicionales y que problemas inéditos vengan a provocar respuestas conflictivas, por ejemplo, entre la moral de la Iglesia y la legislación de los Estados.
Inmoralidad y amoralidad (dos términos recientes: 1845 y 1907 para el francés) figuran como perversiones o singularidades. Cada hombre, su moralidad, en función del modo que tiene de ver el mundo, la sociedad, a los otros; un modo más o menos capaz de análisis, más o menos interiorizado. Esta moralidad no se podrá reducir, desde arriba, a la ideología de la que, por otra parte, es inseparable. Muy en concreto, es una deontología, un saber recibido sobre lo que se debe hacer según los momentos y las circunstancias para comportarse en sociedad según las leyes del común vivir. Pertenece al patrimonio de esta comunidad, a su cultura; en este sentido, existe verdaderamente una cultura moral que estructura la personalidad de sus miembros.
Como la Iglesia romana, los Estados modernos han acariciado el sueño de unificar los particularismos de todo orden existentes en su seno. Ni aquélla ni éstos lo han logrado perfectamente: han tenido que llegar a pactos, encauzar esta diversidad interior. Pero aquélla y éstos han tenido, además, que afrontar un problema imprevisto: las disensiones internas políticas, sociales y religiosas aparecidas después de la gran tormenta revolucionaria que durante cuarenta años (1775-1815) sacudió los cimientos de la vieja cristiandad, desde las Américas hasta Rusia. Francia no fue más que el epicentro más dramático. La Restauración no logró restablecer el pasado, y el tratado de Viena fue el acta de los hechos vividos. Todo había cambiado, pero no se había resuelto nada, y la actualidad no dejaba de recordarlo, mientras dos nuevos actores colectivos los pueblos y el proletariado — hacían su aparición y contribuían a modificar las reglas del juego.
En este juego, la Iglesia estaba implicada por dos títulos: como Iglesia, con su poder espiritual, y como Papado, por el poder temporal sobre sus propios Estados. La Revolución, situada ya en lo más íntimo y en el origen de la sociedad moderna, se le presentaba al mismo tiempo como el mal radical y como el enemigo absoluto. Como escribirá Donoso Cortés, la Revolución arrastra a la ciega humanidad titubeante a un laberinto del que ninguno conoce la entrada ni el trazado. Y Newman: «No medium between Catholicity and Atheism». El ateísmo más grave y más preocupante no es entonces el de los individuos que profesan la negación de Dios; es, en cambio, el «ateísmo social», el de los Estados y los Gobiernos que rehúsan reconocer los derechos de Dios sobre la sociedad, el reino social de Jesucristo y el lugar público sin iguales de su Iglesia; en otras palabras, que practican el indiferentismo en cuestión de religión, protegiendo todas las confesiones sin practicar ninguna.
Da questo momento, la storia costringe a un'opzione decisiva. Mette tutti davanti a un immenso e inevitabile «o ... o ...». O Cristo e la sua Chiesa, o la Rivoluzione con due varianti letterarie: o Cristo o la pistola, o Cristo o nulla. La rivoluzione finisce nell'anarchia e nel nichilismo. Ha avuto inizio nel liberalismo e questi hanno dato origine al socialismo; il "o ... o ..." è accompagnato da un "ni ... ni ..." radicale: né il liberalismo, né il socialismo. Il primo è l'errore-padre, che potrebbe trascinare l'inganno al meglio, ma oggi, schiacciato e sommerso nel secondo, non ha futuro. La grande sfida, la battaglia decisiva è ora annunciata tra socialismo e cattolicesimo.
Nel 1866, il vescovo Dupanloup, vescovo di Orléans, liberale di fama, aveva pubblicato una lettera pastorale sui mali e sui segni dei tempi. Pio IX la ringraziò con un breve complimento:
Nella tua lettera hai descritto e deplorato con forza che corrisponde al motivo le innumerevoli mali, degno di tutti i nostri lacrime, che in questi tempi calamitosi affligge e il turbante di un pietoso modalità .ya società umana Chiesa cattolica. È illustrare, reprobándola vigorosamente la guerra odiosa non credenti di tutti i luoghi Dio, la Chiesa e la santa dottrina dichiarato. Così hanno le sette condannate e i creatori di rivoluzioni. Con dolore che si elencano e estigmatizáis manovre colpevoli e innumerevoli, opinioni pericolose, gli errori, le dottrine del male che questi nemici di Dio e l'umanità, l'esercizio audace di ogni verità e tutta la giustizia, vorrebbero - se potessero - rovina Cattolicesimo, scuotere le fondamenta della società civile, corrompere gli spiriti,
Un'immagine fedele di uno stato d'animo e una percezione della situazione molto estesa allora. Quattro anni dopo, la presa di Roma, la fine del potere temporale, avverrà e il Papa sarà "prigioniero" in Vaticano. L'anno seguente, il comune di Parigi. La coscienza cattolica sarà fortemente segnata da questi due eventi drammatici "inaugurano anche una nuova fase di secolarizzazione della society.4 Mons. Dupanloup è sulle tracce di una vera e propria retractatio, e raggiunge Donoso Cortés superare nella sua critica ai nuovi liberali, come attestato da una seconda lettera pastorale, lo stesso anno 1866, sull'ateismo e il pericolo sociale:
Conosco te, tu e le tue aspirazioni morali. Se il domani diventa il tuo vantaggio, sarà il principio che trionfa; se domani ti volesse contro, saranno i nemici: gettiamoli su senza pietà!
È accusato di chaquetero, di aver bruciato ciò che aveva adorato. Eppure, non è così: non nega le sue speranze. Confessa la sua delusione e spiega le ragioni che ha per questo, evidenziando l'incomprensione sulla società moderna. Non è per tutti ciò che ha sempre significato per lui: "uguaglianza civile e giusta libertà, potenza rispettata, pace europea e
È la reazione di mons. Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXBIE, allora nunzio a Sofia, in una lettera alla sorella, 24 febbraio 1929, dopo la Patti Lateranensi, e la conciliazione che si è conclusa la spinosa questione romana: "Le Seigneur soit Béni! Tout ce que la francmagonnerie, c'est-à-dire le Diable, ont entrepris soixante ans depuis l'Eglise et contre le pape en Italie a été réduit a néant "(Lettres à ma famille, Paris, Ed. Du Cerf 1969 p 195).
lavoro fecondo, il miglioramento morale e condizione materiale dei lavoratori, dei contadini e dei poveri, la dignità dei costumi, l'approccio degli spiriti e dei cuori nella civiltà cristiana ". Un liberalismo cattolico è chiaramente temperata da un principio intransigente rimane intatto e che le dure lezioni di esperienza rimessi in primo piano:
No, io non attacco la società moderna, tremo piuttosto dalla società futura. .. Avevamo tutti avuto un bel sogno. Tutti, qualunque fosse la nostra origine, qualunque fossero le nostre inclinazioni, ci sembrava di navigare insieme verso una terra meravigliosa, promessa ai nostri sforzi e che chiamavamo la società moderna del diciannovesimo secolo ...
E lo accuso anche io! Chiedo ai potenti ciò che hanno fatto riguardo alla libertà; Chiedo ai sofisti come lo interpretano. Chiedo agli arricchiti cosa hanno fatto con il prestito; Chiedo ai giovani opulenti e a quelli favoriti dalla fortuna ciò che hanno fatto alla dignità delle dogane. Chiedo alla stampa corruttrice cosa è successo alla parola, se è stata data a pervertire o illuminare. Chiedo a quanti credono di essere rappresentanti della società moderna, perché lo rendono solidale con le loro chimere e le loro empietà ...
E grido, e ti accuso, coloro che hanno trasformato il mio sogno in un incubo terribile ...
En este espacio público que se llama sociedad viene a diseñarse de este modo un espacio propiamente católico que deja de identificarse con ella a medida que el principio de la confesionalidad nacional — cuius regio eius et religi o — venía cediendo frente al imperativo de las libertades modernas, la de conciencia y la religiosa en primer lugar. Este espacio católico está estructurado por una doble polaridad: una positiva y una negativa; un polo débil con débil atracción y un polo fuerte con fuerte repulsión. Entre ellos, una tensión permanente y un movimiento oscilante de vaivén. El Syllabus, de 1864, simbolizará el acmé del non possumus de la Iglesia a la modernidad, y constituirá la gran referencia — la Magna charta — del movimiento social católico que se desarrollará bajo León XIII. No hará falta siquiera medio siglo para que el juego de la polarización llegue a una fase crítica, en la que el modernismo y el integrismo se conviertan en los términos en liza, una disputa encendida siempre desde entonces...
En sus grandes líneas, este proceso histórico está ahora bien documentado; y muchas monografías, de todo tipo, han venido a ilustrarlo. Lo que sigue oscuro es lo que sucede a lo largo de este continuo movimiento de atracción-repulsión que se autoconserva sin pararse nunca; las transformaciones que se dan en este gran cuerpo católico sin que sufra su estructura interna, ni su posición relativa, ni su orientación doctrinal. Este tiempo, inmóvil en superficie, ha motivado durante muchos años la sensación equívoca de una Iglesia inmóvil, vulnerable en su plataforma terrena, pero inaccesible en su sustancia a los accidentes de la historia. Igual que ha disimulado el incesante movimiento elemental de acción y reacción que anima a su modo a cada uno de sus miembros y ue la atormenta en su propio cuerpo, distrayéndonos de las modificaciones en
P
rofundidad que, antes o después, tenían que aparecer. Lo que viene modificándose en la Iglesia poco a poco es el estado de su cultura: vigilada, encuadrada, protegida todo lo que se quiera por las autoridades católicas, pero expuesta también a todas las influencias que empapan al pueblo cristiano. El espacio católico no es un recinto cerrado en sí mismo. Ningún compartimento estanco logra aislarlo. El carácter negativo del juicio que da la Iglesia a los principios que rigen la sociedad civil y política, no logra atraerla hacia una fuga mundi ni interrumpir los intercambios recíprocos con el mundo exterior a ella. La Iglesia da y recibe. No podría vivir en este mundo sin ese intercambio porque, ante todo, traicionaría su misión, su razón de ser aquí abajo.
De este intercambio bastará recordar sólo lo que deriva de la iniciativa y de la generosidad católica o, al contrario, los fracasos y las crisis que ponen al aíre una insuficiencia inmnnitaria, un atractivo exagerado por las compañías peligrosas; un intercambio que — auténtica communicatio in cultura — necesita ser estudiado en sí mismo. Esta comunicación supone un par en oposición: por una parte, una cultura común que permite la comunicación; por otra, en esa base, dos culturas que se enfrentan, separadas por su propio carácter. A lo largo de todo el siglo XIX, si por una parte la cultura católica logra mantenerse, hay toda una nueva cultura que logra también constituirse, fuera y contra aquélla, la llamada liberal, laica o moderna, según los casos, a la espera de que venga a desarrollarse otra tercera, la socialista, especialmente obrera, pero también rural.5
Todos los caminos llevan a don Bosco, y éste en especial: lo sabía desde que lo emprendí, sin sospechar que se iba a presentar tan largo. Lo escogí pensando en todo lo que la radiante personalidad y la gran obra de don Bosco podían hacernos olvidar: no tanto las íncomprensiones y las resistencias que tuvo que soportar, como sus causas profundas, esta cultura emancipada del cristianismo, que era su tierra de cultivo. Nos encontramos frente a un fenómeno importante, muy descuidado, minusvalorado y mal estudiado. Tomaré un ejemplo tardío, pero sugestivo: el delito de congregación, en Francia, al comienzo de este siglo, en el clima de anticlericalismo que en 1905 desembocó en la separación de la Iglesia y el Estado.
La tradición franco-galicana en esta materia se remonta al Ancien Régime:
Remito a mi obra Modernistica cap. 111: «Le Catholicisme comete culture», y cap. IV: «Catholicisme et modernité», Paris, Nouvelles Éditions Latines 1982.
toda congregación religiosa tenía que estar autorizada. La Revolución prolube los votos y suprime las congregaciones. Éstas empiezan a reaparecer en el Imperio y, después, en la Restauración. Pero sigue la regla: las congregaciones tienen que ser autorizadas. Cinco congregaciones recibieron enseguida la aprobación: lasalianos (hermanos de las Escuelas Cristianas), espíritanos, paúles, sulpicianos y misiones extranjeras de París. Hasta hoy siguen siendo los únicos autorizados. Las otras siguieron siendo congregaciones de hecho, toleradas por los gobiernos sucesivos.
A partir de 1880, con la llegada de una mayoría republicana anticlerical, al compromiso tácito siguió la guerra abierta: las «leyes laicas» se suceden, las congregaciones saltan al primer plano. Dos decretos del gobierno (1901 y 1902) obligan a las congregaciones a regularizar su situación con una petición de autorización sobre la que debería decidir una de las dos Cámaras. Aquéllas se deciden sobre la conducta que deben adoptar: entre las masculinas, 61 aceptan y 68 lo rechazan. El primer ministro, Emile Combes, forma dos grupos: 54 peticiones se envían a los diputados, que las rechazan en bloque sin examinarlas; 6 van a los senadores que emprenden una encuesta minuciosa.6
En el clima entonces reinante, estar en el Senado para ser oído por los senadores era un privilegio y casi un testimonio de benevolencia. Del privilegio gozaban dos congregaciones misioneras (entre ellas, la de los Padres Blancos), dos congregaciones contemplativas (los cistercienses de Citeaux y de Lerins), una congregación hospitalaria (los hermanos de San Juan de Dios) y, por fin, los salesianos. El presidente de la comisión era Clémenceau. Antes de seguir las orientaciones del gobierno, la comisión expurgó, verificó, hizo registros domiciliarios, discutió. Un sí modulado a las cinco primeras, un no global a los salesianos: 10 votos contra 4 en la comisión, 158 contra 98 en sesión plenaria.
Los salesianos estaban en Francia desde los años 75, y habían abierto unas veinte casas (de ellas dos en Argelia). Habían secularizado prudentemente ocho; pidieron, por tanto, doce autorizaciones. Como aparecían con la fuerza de casi 250 obras en Europa y América del Sur, el gobierno las vio como «una de las más poderosas congregaciones de todo el mundo», y «su espíritu de expansión, que algunos califican de invasión y acaparamiento», inspirado por un «cosmopolitismo extraño al alma francesa» suponía preocupación.
Los historiadores no se extrañarán de este «chauvinisme» rancio frente a la inmigración italiana (el racismo ha tomado su lugar y perpetúa su tradición), sino porque este hecho a nivel estatal no es cosa de todos los días. Pero no es sino un rasgo de la hostilidad hacia los salesianos:
Sin duda nosotros estamos entre los que creen que, como la ciencia, la caridad no tiene patria y no pondríamos ningún obstáculo al desarrollo de una obra humanitaria
6 La 61' congregación — una pequeña congregación de provincia dedicada al cuidado de los enfermos — tuvo un destino inesperado: su documentación fue unida a la de la homóloga congregación femenina.
sólo porque nos viene de un país extranjero. Pero se debería tratar de una auténtica obra de beneficencia; carácter que la obra de los salesianos no parece tener.
Mucho ruido y pocas nueces: éste es el secreto de sus pseudoorfanatos.
Cada uno de ellos está en un edificio que, como todo lo demás, proviene de la caridad pública: se mantiene, ante todo con las pensiones, tanto las pagadas por la familia, como por personas caritativas (lao gratuidad es de tal modo excepcional, que se puede decir que no existe siquiera) y p el producto del trabajo de los muchachos y, mente, de limosnas y suscripciones.
El niño está explotado: se exige de 'é1 — y en condiciones deplorables de higiene y salubridad — una superproducción; además, está especializado de modo que, al salir, no tiene, en la práctica, ningún oficio. Añádase que no cuesta casi nada, porque su pensión la pagan terceras personas; y, por tanto, es pura fuente de rentas. Gracias a la gratuidad de la mano de obra, a la cantidad de trabajo producido en razón de una especialización exagerada, a las ventajas fiscales que se obtienen por su condición de asociación caritativa, es fácil comprender las quejas que se producen en todas las zonas en que funcionan estas obras. Según la ocasión, tipógrafos, editores ( ¡y qué dase de editores! Todas sus publicaciones van dirigidas contra nuestras instituciones), comerciantes de vino, licores, productos farmacéuticos, su actividad económica es nefasta; su acción política no lo es menos y, entre todas las congregaciones, es tal vez la que nos hace sentir una mayor y persistente combatividad.
Afectada por la gravedad de estas afirmaciones, la comisión senatorial se sintió obligada a constatarlas. Los religiosos que fueron escuchados no lograron ser suficientemente persuasivos. El Tesoro reclamó las tasas debidas y no pagadas. Los prefectos emitieron parecer desfavorable o se abstuvieron. Diez concejos municipales se pronunciaron a favor, pero sin discusión y sin aducir razones. En la visita, las obras ofrecieron situación desigual: buena en París y deplorable en tres casos.
Dos quejas principales resumen la situación, una de orden económico y la otra de orden político. «La apariencia caritativa» disimula «una empresa comercial e industrial», fomentando al mismo tiempo una áspera incitación a la guerra civil. «Mucha gente buena y entre los menos hostiles a los congreganístas en general» se reunieron «para restituir a los salesianos de Don Bosco su verdadera fisonomía de monjes que esconden y nutren sus apetitos y sus instintos comerciales bajo el manto de la religión y del desinterés caritativo»:
No hay que tener miedo en afirmarlo, porque ésta es la pura verdad. Sí, los salesianos de don Bosco han abierto talleres, obras de Oratorio donde, bajo la hábil dirección de expertos maestros, enseñan a los jóvenes confiados a ellos un oficio. Es verdad que logran hacer de estos jóvenes excelentes obreros. No es esto lo que rechazamos. Pero podemos afirmar también con seguridad que al final de dos o tres años de aprendizaje o de práctica, estos aprendices se convierten en obreros capaces no sólo de hacer recuperar a la congregación los gastos que la enseñanza le ha supuesto, sino de ofrecerle además ventajas económicas con los trabajos que hacen por cuenta propia en los años sucesivos.
¿Salvadores de la infancia perdida? ¿Educadores de la juventud? Vistos de cerca, su aureola se disipa. Queda su aspecto banal, ordinario, de industriales que buscan el beneficio de los amos sobre los asalariados. Con muchas ventajas respecto a los industriales laicos: los regalos de las almas piadosas, un régimen de vida comunitaria con exigencias materiales reducidas, los bajos salarios, amplia exoneración fiscal. « ¡Que no se hagan ilusiones los salesianos! Esta situación de combate, de lucha, que han adoptado contra la industria laica, en el mundo del trabajo, ha contribuido no poco a alejarles las simpatías que, en cambio, les podrían hoy acompañar».
En el plano político no le quedaría ninguna duda al que se ponga a leer una colección de «Lectures Catholiques», opúsculos mensuales editados por la Librería Salesiana, y en Italia, desde cerca de cincuenta años antes. Un ejemplo, de agosto de 1899, después de la absolución de Fratel Flamidien, en cárcel durante cinco meses, bajo acusación calumniosa, y sometido a «torturas morales que superan la crueldad refinada y los suplicios físicos de los antiguos Nerones»:
¿Llegó por fin la hora de Dios? La Francmasonería sale derrotada de la guerra emprendida contra la enseñanza de las congregaciones. ¡ ¡El Gran Oriente cae abatido por el Gran Occidente!! Aullad si queréis, chacales: vuestra derrota no va a ser por eso menos completa!
[...] Los francmasones han sufrido la desgracia en su salida contra el hisopo; ¿serán menos afortunados en su lucha contra la espada? No han logrado arrancar la condena para Fratel Flamidien. ¿Lograrán ahora arrebatar una absolución para Dreyfus? ¡Ah, qué asunto tan deplorable! Y ¡qué hábilmente han logrado los hebreos tejer su tramal...
De este modo de escribir se puede deducir el modo con que los salesianos fueron defendidos por sus amigos. Un estilo combativo que llamaba a Combes «Tartufo», «cura traidor», que veía en su proyecto de ley nada menos que un libelo difamatorio, que había que acoger a puntapiés, cubrir de ignominia por su perfidia... Si Dom Chautard, abad de Sept-Fonds, había logrado convencer a Clémenceau y ganarse su estima, eso no fue ciertamente denigrando a sus enemigos, sino exaltando la obra secular de los trapenses en favor del país, en las situaciones más ingratas. En estas condiciones, llega el veredicto. Los grandes éxitos obtenidos por los salesianos en las exposiciones no impide que su obra sea «simplemente por afán de lucro», sin merecer ni agradecimiento ni favor, dado que «cualquiera» y «fuera de cualquier congregación» podría hacer lo mismo. Supone «una competencia desleal a la industria y al comercio de nuestro país», y al mismo tiempo una «desagradable injerencia extranjera en el dominio político de Francia».'
Hay que reconocer a los senadores la seriedad y la lealtad con que hicieron esa declaración. Nada permite dudar de ello. Empezar descalificándolos como sectarios y pérfidos es impedirnos radicalmente comprender lo que sucedió; es sustituir nuestra buena conciencia — la convicción de estar en la verdad y de hacer el bien — por la atención al mundo y a la sociedad que nos rodea; es cerrarnos a todo posible y necesario análisis; es concedernos facilidades indebidas y, al fin y al cabo, onerosas.
Cf. Journal Projets de lois, propositions et rapports. Sénat. Séance du 22 juin 1903, p. 468-471 (anexo n'. 192).
Y sin embargo, en esta investigación, este debate y sus conclusiones surgen interrogantes. En el fondo faltan elementos de valoración. No hay cifras: ni de limosnas, ni de salarios, ni de gastos, ni de presuntos beneficios. Haya habido o no un control de la contabilidad de las obras, ignoramos totalmente cómo se llevaba esa contabilidad. Al menos, la expansión rápida de los salesianos y la evidente calidad de sus instalaciones pueden interpretarse como signos exteriores de su prosperidad.
La injerencia política no es más que un agravante. Los «congreganistas» tienen sólida fama de opositores de la República. La acusación de explotación patronal de la juventud abandonada deriva menos de un interés real por la misma que de sus consecuencias inmediatas: una competencia económica que falsea las leyes de mercado, penalizando así a industriales y comerciantes que no gozan de esa ventaja. La investigación no ha descubierto ninguna otra acusación: ni por parte de las familias, ní por parte de los aprendices, ni por parte de los maestros de taller. Si estamos a lo que aparece, los salesianos responden a necesidades y logran darles satisfacción. Si en ello no todos están de acuerdo, es por el hecho de que chocan con intereses. Se les habría podido perdonar el hecho de que se portasen como amos ante sus asalariados si los verdaderos amos no hubiesen tenido que sufrir sus efectos desleales. La moral de los salesianos ignora y lesiona la deontología de los empresarios.
Iglesia y burguesía: nuevo episodio de un contencioso nunca resuelto, de una historia periódicamente agitada, de un antagonismo a veces tumultuoso.8
Ideología contra ideología, principios contra principios, está claro; pero también cultura contra cultura. Cultura política, con toda evidencia; pero más aún la cultura general, de género un poco social, que no se aprende en la escuela, una cultura que, en cambio, es el modo concreto de vivir las vicisitudes cotidianas de la existencia y que hay que plasmar día a día. En nuestro caso, para los salesianos, la experiencia y el horizonte de un ambiente popular empapado de tradición y de espíritu católico, en los antípodas de los ideales republicanos laicos que vivía una burguesía iluminada y progresista.
La investigación reveló, fuera de París, «condiciones de higiene y de salubridad deplorables». Es posible; más aún, probable. Pero ¿según qué criterios? No se dice una sola palabra. ¿En contraste, tal vez, con las instituciones públicas, que aquí ni siquiera se mencionan? ¿O se trata sólo de un reflejo propio de señores que están acostumbrados a un medio de vida mejor? ¿Qué podían pensar los jóvenes acogidos allí, a partir de la experiencia que podían tener acerca de ello en sus casas? ¿Y quién se ocupaba de ellos y quién se ocupaba mejor?
8 Debo remitir en este punto a mi libro: Église contre Bourgeoisie, Paris, Casterman 1977.
Son preguntas muy concretas que nuestra documentación sugiere y a las que no sabemos dar respuesta. Nuestra atención se centra en los problemas y en los conflictos que se generan y sigue su desarrollo. Pero, ¿cómo se gestan estos grandes choques en las profundidades del cuerpo social? Esta misteriosa alquimia que se opera en las relaciones humanas ordinarias exige curiosidades aún no suficientemente despiertas.
Queda una última pregunta: la hostilidad que se manifiesta aquí hacia los salesianos, ¿es un hecho típicamente francés? ¿Se da en Italia y en otras partes? ¿Se funda en los mismos motivos? Y sí no ha sucedido en otros países, ¿cuál es la razón? Parece que las reacciones fueron en todas partes complejas y no se puede resumir todo en Turín, Fiat y Agnelli. Los mismos ambientes católicos no son tampoco unánimes.
«Hemos superado un cierto triunfalismo, de otros tiempos», declaró recientemente el vicario de los salesianos de Lyon, autor de una historia de los salesianos.9 Sin duda; era necesario. Pero, atención al riesgo concomitante de perder su comprensión, de juzgar anacrónicamente o paradójicamente, como los senadores, sin llegar con ello a comprenderlos mejor.
Dos mentalidades de una época chocaban, convencida cada una de su propio derecho. Nuestra época está lejos de una y otra, y nos damos cuenta de que es mejor así. ¿Pero no sería aún mejor si supiésemos asumir ese pasado sin complejos, sin exclusiones, sin descalificaciones, e integrarlo en nuestro presente?
Hoy las pasiones parecen ya aplacadas, a juzgar por el homenaje unánime que se ha rendido al fundador de los salesianos en este año 1988. Sería muy bonito. Digamos más bien que se han desplazado...
«San Juan Bosco: una vida llena de muchachos» que es un «inmenso grito del corazón inspirado en el Evangelio». Así titulaba, el 25 de marzo de 1988, «Pélerin Magazine», un semanal católico francés más que centenario, del que don Bosco pudo ser testigo de los primeros pasos en los últimos arios de su vida. Un ejemplo siempre vivo y contagioso al servicio de la juventud, como atestigua en todo el mundo su familia religiosa. Realizaciones numerosas, impresionantes, eficientes...
¿Qué voz desafinada se atrevería a malograr esta concierto de elogios? Y, sin embargo, ¡qué infinita distancia nos separa de lo que don Braido describió como el progetto operativo di don Bosco e l'utopia della societa cristiana (1982)! Utopía, precisamente, como la de León XIII, como todas las perspectivas de «nueva cristiandad» cuyo ideal histórico estaba aún floreciente. Y además, utopía escatológica por naturaleza.
9 Cf. M. Wirth en «L'Actualité Religieuse dans le Monde», febrero 1988, p. 36.
La utopía de don Bosco, con su optimismo conquistador, cortaba tajante el catastrofismo del que se nutría entonces toda una postura apocalíptica católica. Se distinguía también del modelo construido por el movimiento católico a partir de los años '70. Sin duda, todo esto se debía a la opción personal que tuvo que hacer interiormente entre el rigorismo de su formación clerical y el salesianismo de su vocación personal.
De aquí el espíritu nuevo que él infunde en el corazón del mundo católico, al que pertenece con todas sus fibras. De su «intransigentismo» como de su modernidad — falsos debates, perspectivas pioneras, distinciones necesarias — lo han dicho todo ya, y bien dicho, F. Traniello, M. Guasco, P. Scoppola, P. Bairati. Y yo no voy a volver sobre ello. Pero es precisamente el espíritu nuevo de este salesianismo el que nunca acabaremos de escrutar, en sus secretos, en sus virtudes: un rostro nuevo, abierto y atrayente, de la tradicional intransigencia católica.
Juan María LABOA
Don Bosco era un uomo che rifletteva chiaramente le caratteristiche e le peculiarità della restaurazione, dell'anti-giansenismo e dell'anti-calicismo. Sufficiente, probabilmente, questo giudizio superficiale, ripetuto da alcuni dei suoi migliori studiosi per adattarsi alla figura e al suo pensiero edesiologico; ma che cosa esso significa, in realtà, non è solo troppo generale, ma particolarmente sensibili dichiarazione delle qualifiche e delle interpretazioni di vario calibro?
Ci sono diversi fattori che hanno contribuito a focalizzare la questione dell'autorità sulla discussione dei problemi acuti posti alla Chiesa dai postulati dell'Illuminismo e dalle devastazioni causate dalla Rivoluzione nelle varie Chiese. Indicherò due che mi sembrano fondamentali:
1 °. La consapevolezza che la Rivoluzione ha lasciato dietro di sé molte rovine e la convinzione che il caos abbia prodotto è stata una conseguenza soprattutto del rifiuto del principio di autorità o, perlomeno, di averlo gettato nel dimenticatoio.
2 °. Di fronte al disordine politico, sociale e religioso, l'uomo del diciannovesimo secolo desiderava ottenere nuove garanzie di sicurezza nel campo culturale e religioso. Da questo approccio è stato facile concludere con la convinzione del bisogno di sottomissione all'autorità della Chiesa e con rinnovato interesse per una centralizzazione dell'edificazione che avrebbe annientato i movimenti centrifughi. Vorrei ricordare qui due illustri rappresentanti di questa posizione.
José de Maistre ha presentato l'autorità papale come un postulato imprescindibile della restaurazione europea. La sua concezione ecclesiologica può essere sintetizzata in queste due tesi: in primo luogo, la Chiesa deve essere intesa in totale analogia con la società politica, e, in secondo luogo, la Chiesa trova la sua piena concentrazione e realizzazione nel Papa, e questa infallibile.
* Questo documento è stato scritto e letto in spagnolo dall'autore (nde).
Don Bosco cita questo passo nel suo Simla d'Italia e fa fuori : "Nelle sovrania l'teniporali in
" Non ci può essere nessuna società umana senza governo, nessun governo senza sovranità, e la sovranità senza infallibilità ''. Probabilmente, il suo approccio era molto più politico che teologico, e il suo interesse nel sottolineare l'autorità pontificia aveva chiari antecedenti nel suo rifiuto della sovranità popolare, come ricordato, ma la sua influenza sulla ecclesiologia ultramontana è stato decisivo.
Voglio ricordare due delle sue affermazioni che, in un modo o nell'altro, dovevano essere ripetute frequentemente per tutto il secolo: "Pour faire court, voici mon sentiment: aux conciles le moins possible, aux papes le plus possible" .2 E questo altro: «Plus of Pape plus de souveraineté, plus of souveraineté, plus de foi» .3
Lamennais, da parte sua, considerava che, tra le altre società umane, il cristianesimo era l'unica società perfetta, con la sua autorità suprema, i suoi dogmi e le sue leggi. La negazione di questa suprema autorità ha portato necessariamente a rigettare la Chiesa e con essa Dio stesso. Per lui era assurdo parlare di una Chiesa infallibile se non si ammette allo stesso tempo l'infallibilità del papa, poiché solo lui, attraverso un Papa, deve essere infallibile. Qui Lamennais ha approvato la famosa frase di San Francesco di Sales: "Le Pape et l'Ég, lise c'est tout un".
Potremmo dire che ha riassunto la sua dottrina di quel primo periodo con la frase ripetuta così spesso in seguito: "Point de Pape, point d'Église; point d'Église, point de christianisme; point de christianisme, punto di religione, au moins pour tout peuple qui fut chrétien, et coppia conseguente point de societé ».4
Ovviamente, potremmo andare avanti, ma penso abbastanza nel mio tentativo di delineare un punto di riferimento della formazione ecclesiologico di Don Bosco e nel suo tempo che ha studiato nella maggior parte dei seminari italiani. E 'stato il tradizionalismo del restauro, ha cercato e compenetrazione tra la società e la religione, la religione e la Chiesa, Chiesa e Papato desiderato. È un'ecclesiologia che presenta l'immagine della Chiesa, paradigma di una società organizzata, governata dalla gerarchia. Don Bosco scrive: "Chiesa e Società dei Pastori credenti governata Dai propri, sotto la Direzione di Sommo Pontefice" parallelo al catechismo diocesano di Torino 1844 definizione; e in un'altra occasione riassume il suo pensiero in un'idea che apparirà in mille modi diversi nel suo lavoro:
fallibilitá umanamente supposta e, E Nella spirituale di Papà e promessa divinamente "(G. Bosco, Opere e Scritti editi e inediti, vol. Ifi, Torino, SEI, 1935, p. 435).
2 Citato da C. LASTREILLE, Joseph de Maistre et la Papauté, Parigi 1906, p. 170.
3 J. DE MAISTRE, Lettres et opuscules inédites, vol. II, Lione, A. Vaton 1851, p. 296. FR LAMENNAIS, Oeuvres complétes VII, Paris, Pagnerre 1844, p. 122. 132. 141.
Don Bosco acostumbraba recitar la siguiente oración: «Padre nostro, che sei ne' cíeli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, si dilati e trionfi la chiesa cattolica, la sola vera chiesa di Gesú Cristo, tutte le nazioni riconoscano i suoí diritti e quelli del suo Capo e dei suoi vescovi, tutti gli intelletti a lei docente aderiscano come l'unica depositaria delle veritá rivelate, testimone divina della autenticitá ed autoritá dei libra sacri, maestra infallibile degli uomini, giudice supremo inappellabile nelle questioni dottrinali. A lei tutte le volontá obbediscano nell'osservanza delle sue leggi morali e disciplinari, anché Jopo le vittorie sulla terra entri a trionfare eternamente nei cieli, colle moltitudini delle anime salvate».5
Según era común en la teología de la época, que ignoraba el significado escatológico de la predicación de Jesús, se da por sentado que la Iglesia terrestre se identifica con el Reino de Dios. De dicha identificación nace el espíritu de triunfo que proclama constantemente la victoria de la Iglesia sobre sus adversarios. Surge asimismo la visión de una Iglesia sin pecado, ni errores ni fallos históricos.
Para don Bosco la institución edesial es absolutamente sólida y sin fisuras, caracterizada por su normatividad. Su tutela se extiende no sólo a la vida religiosa, sino también a la vida social y ello tanto en d ámbito diocesano como en el de cada parroquia.
La Iglesia se presenta como un grupo monolítico que propone la verdad inmutable, sin variaciones históricas, transmitida en forma pura e incontaminada a lo largo de los siglos. Los demás hombres y grupos se encuentran en el error y, por tanto, no tienen los derechos de que goza la verdad. El mismo Pío IX, en una frase que puede desconcertar, pero cine expresaba esta mentalidad dominante afirmaba que él quería la libertad de cultos allí donde el catolicismo era minoría, pero que no podía admitirla allí donde constituía la mayoría.6
Se trataba de la edesiología de la societas perfecta, dominada por la centra-. lización doctrinal y disciplinar de la Curia Romana y cerrada a cualquier apertura o integración con las corrientes modernas que entonces eran representadas por Rosmini,7 Dupanloup, Manzoni, Newman, Sailer, Montalembert o Scheeben. Intransigente en materia política, religiosa y ecuménica, con una fuerte piedad generalmente de tipo devocional y con la teología de las escuelas romanas como única intérprete reconocida del pensíamento católico. En conjunto parece tratarse de lo que podríamos denominar catolicismo popular, que, por un lado desarrolla las expresiones devocionales de la fe más dirigidas a la fantasía que a la razón, y, por otro, alimenta las formas práctico-sociales de pertenencia eclesiástica de tipo educativo y asistencial. Esta pastoral fomenta y favorece el «mundo católico», es decir, una especie de civilización católica distinta y bastante rígidamente separada de la civilización dominante y circundante.
• MB II, 272.
• «El Papa quiere la libertad de conciencia en Rusia, pero no como principio general» (G. MARTINA, La Iglesia de Lutero a nuestros días, vol. III, Madrid 1974; ID., Pio IX (1851-1866) Roma, Universitá Gregoriana 1986, p. 329.
' «D. Bosco, che venerava riel Rosmini la santitá del sacerdote, non condivideva neppure ir mínima parte questo entusiasmo per il suo sistema filosofico» (MB XIII, 20).
Por esta razón, don Bosco era tajante en el tema de la pertenencia a la Iglesia, desarrollando en su explicación las analogías de camino, casa, madre, nave, rebaño, cuerpo.8 Es decir, un grupo compacto, bien organizado, piramidal, jerárquico. Y en esta misma dirección, nos puede ayudar en la comprensión de esta concepción si nos fijamos en las imágenes que utiliza para describir la Iglesia: reino, monarquía, familia.8 Bellarmino utilizaba también este planteamiento: «ecclesia quasi status», y su influjo ha perdurado de alguna manera casi hasta nuestros días. Pocos años antes de morir escribía don Bosco: «Siccome nei regni della terra vi ha un ordine, per cuí si parte dal Sovrano e si discende a grado a grado sino all'ultimo dei sudditi, cosi nella Chiesa Cattolica esiste un ordine, detto gerarchía ecclesiastica, per cuí secondo questa gerarchia noi partiamo da Dio, che della Chiesa é Capo invisibile, veniamo al Romano Pontefice, di Lui Vicario e Capo visibile in terra, índi passiamo al Vescovi ed agli altri sacri ministri, da cuí i divini voleri sono comunicad a tutti i rimanenti fedeli sparsi nelle varíe parti del mondo ».1°
Esta Iglesia católica costituye la «unica arca di salvezza», el único lugar donde se mantiene íntegramente la doctrina de Jesús," el lugar en el que con carácter absoluto y exclusivo se puede hallar la salvación, el único espacio donde es posible la virtud y la santidad.
A las tendencias del racionalismo, liberalismo y panteísmo, que exaltaban el valor del individuo, y a los varios postulados individualistas del panteísmo opone la Iglesia «como única arca de salvación», y como representante de Dios y dotada de autoridad divina. «No, fuera de esta Iglesia nadie puede salvarse; así como aquellos que no estuvieron en el arca de Noé perecieron en el diluvio, así, dice San Jerónimo, perece inevitablemente el que se obstina en vivir y morir separado de la Iglesia Católica, Apostólica, Romana, única Iglesia de Jesucristo, sola depositaria de la verdadera religión»."
Cf. STELLA, Don Bosco II, p. 125.
9 «P. Supponete una famiglia che debba durare sino alla fine del mondo, come potra conservarsi? F. Questa famiglia conserverassi guando abbia sempre un buon capo che la governi. P. Comprendete ora chi sia questa famiglia e chi ne sia il Capo? F. Basta, basta; abbiamo ottimamente capito. Questa grande famiglia é la Chiesa, questo capo é fi Romano Pontefice»
(G. Bosco, II cattolico nel secolo. Trattenimenti famigliari..., Torillo, Tip. e Libreria Salesiana 1883, p. 138).
Ibid., p. 163 ss.
" «Voi dite che credete a Cristo ed al Vangelo, ma non é yero perché non credete a tutto quello che c'insegna Gesú Cristo nel suo Vangelo, non credete alla sua Chiesa, non credete al Pontefice Romano stato da Gest' Cristo stesso stabilito per governare la Chiesa. Inoltre permettendo voi ad ognuno la libera interpretazione del Vangelo di Gest' Cristo, aprite con ció una larga vía all'errore, nel quale é quasi inevitabile fi cadere guidato solo dal proprio Jume. Perció voi, o Protestanti, siete come membri d'un corpo sena Capo, come pecorelle sena pastore, come discepoli sena maestro, separati dalla fonte della vita che é G. Cristo» ([G. Bosco], La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana é la sola vera Chiesa di Gesú Cristo, Torillo, Tipografia Speirani e Ferrero 1850, p. 17-18.
Don Bosco escribió mucho sobre la Iglesia: dedicó veintidós libros y opúsculos a este tema, además de los veinticuatro escritos de historia en los cuales el argumento edesial ocupa un lugar importante,'' pero creo que nos equivocaríamos si nos plantáramos en la música de la letra sin ir más allá. Su insistencia manifiesta la importancia concedida a una religión-institución-jerarquíaRoma, que es la Iglesia católica, pero su vida gota a gota indica la centralidad concedida a la gracia, a Cristo, a María, a los sacramentos. No existe confusión, pero tal vez especialización: los escritos subrayan un aspecto y la actividad pastoral otro.
Esta Iglesia santa y divina es la única que puede conducir a los hombres a Dios. Este convencimiento explica su lucha contra los valdenses y contra los protestantes en general. En sus escritos leemos que «una sola é la vera Religione», que «le Chiese degli Eretici non hanno i caratteri della Divinitá.», que «nena Chiesa degli. Eretici non c'é la Chiesa di Gesú Cristo».14 Por estas y otras razones concluye que «chi é imito al Papa, é imito con Gesú Cristo, e chi rompe questo legame fa naufragio nel mace burrascoso dell'errore e si pende miseramente»," o, en otro lugar, «pronti a patine qualunque male, fosse anche la morte, anziché dire o fare alcuna cosa contraría alla Cattolica ReliIone, vera e sola Religione di Gest). Cristo, fuori di cuí niuno puó salvarsi»."
Poco antes del Vaticano I, Turín se había convertido en un centro vivo de opinión conciliar y antiinfalibilista. En 1869 se traduce el libro de Dóllinger, 11 papa e il concilio; Pasaglia escribía y actuaba en Turín, y en la Facultad de Teología eran bien conocidos y utilizados los autores más críticos con el ultra-montanismo y la infalibilidad pontificia.
Sin embargo y a pesar de este ambiente, uno de los aspectos más conocidos, significativos y comentados de don Bosco es su ilimitada devoción al pontificado y su incansable defensa, de modo que, en cierto sentido, podríamos resumir y sintetizar su eclesiología con este rasgo.'' Todos los autores, desde los primeros años, han puesto de relieve esta característica.18
u J. Bosco, Fundamentos de la religión católica, en: R. FIERRO TORRES, Biografía y escritos de
San Juan Bosco, Madrid, BAC 1955, p. 535.
" Cf. E. VALENTINI, Don Bosco e la Chiesa, en: In Ecclesia, Roma, LAS 1977, p. 215-234.
" [G. Bosco], Avvisi al cattolici, Torillo, Tip. Dir. da P. De-Agostini 1853, p. 17.
12 G. Bosco, Ii Centenario di S. Pietro Apostolo, Torillo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco
di Sales 1867, p. IV.
16 [Bosco], La Chiesa Cattolica, p. 6.
En su lecho de muerte confiaba al arzobispo de Turín: «Tempi difficili. Eminenza! Ho passato tempi diffícili... Ma l'autoritá del Papa... L'autoritá del Papa... L'ho detto qui a monsignor Cagliero che lo dica al Santo Padre che i Salesiani sono per la difesa dell'autoritá del Papa, dovunque lavorino — dovunque si trovino»,19 y el cardenal Alimonda recordaba poco después en el funeral que «su vida entera, privada y pública, conocida es de todo el mundo como un testamento papal».
Juan XXIII resumía este aspecto con una bella frase: «Per chi sa leggere a fondo nella vita di D. Bosco, Egli appare insieme il sacerdote della giovinezza e il sacerdote del Papa», y don Bosco, a menudo, en sus pláticas y escritos unía ambos aspectos: «Pertanto, figliuoli miei, nella vostra vita non dimenticate mai che il Papa vi ama, e quindi dalla vostra bocca non esca mai parola che possa essere a lui d'insulto, le vostre orecchie non ascoltino mai con indifferenza ingiurie e calunnie contro la Sacra sua persona, i vostri occhi non leggano mai giornali o libri, che osino vilipendere l'altissima dignitá del Vicario di Gesú Cristo ».2°
Para él el inspirar amor por el Papa constituía un medio y remedio infalible contra las actividades de las sectas y de los disidentes, y por esta razón creemos que se puede afirmar que su tema preferido como escritor fue, sin duda, el Papa, hasta el punto que sus numerosas vidas de los diferentes papas constituyeron una ocasión y un modo de mantener vivo el amor al papado y de rebatir los errores y animosidades entonces tan extendidas. De hecho, él pensó en escribir una historia de los papas al comprobar que «certi autori pare che abbiano rossore di parlare dei Romani Pontefici e dei fatti piú luminosi che direttamente alla S. Chiesa riguardano».21 Pero no sólo se trataba de un planteamiento doctrinal y teórico, sino también de una actitud práctica y de gobierno ya que consideraba que la devoción al Papa constituía una condición necesaria para ser superior, y para considerarse auténtico católico.
" Ya en 1845 pidió a Gregorio XVI la indulgencia plenaria in articulo monis para él y su familia. Más tarde explicaba que «non le sole indulgente gli stavano a cuore, ma che non vedeva I'ora di mettersi in relazione diretta con la Santa Sede e con le Congregazioni romane» (E I, 11).
18 Existe toda clase de testimonios. Elijo el siguiente de Ballesio: «In D. Bosco l'amore al Papa era il pió bel frutto della virtó della fede. "Sacerdote schietamente cattolico di fede e di opere, D. Bosco aveva l'amore, direi istintivo dei Santi, per la Chiesa e per il Papa"» (L. TERRONE, Lo spirito di San Giovanni Bosco, Torino, SEI 1934, p. 64).
19 MB XVIII 491.
20 MB VIII, 720.
21 F. MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 204. Recordemos también su testimonio: «Pió volte ho tra me pensato al modo di calmare l'odio e l'avversione che in questi tristi tempi taluno manifesta contro al Papi e contro la loro autoritá. Mezzo molto efficace mi sembró la conosc>nza dei fatti che riguardano la vita di quei supremi pastori stabiliti a fare le veci di G. C. sopra la terra e a guidare le nostre anime per la via del Cielo» (G. Bosco, Vita di San Pietro..., Torino, Tip. di G.B. Paravia e Comp. 1856, p. 3).
Evidentemente, este planteamiento iba más allá de la mera devoción a la persona del Pontífice ya que, en realidad, planteaba su concepción de Iglesia y su idea de la organización eclesiástica, tan deudora de la teología entonces predominante.
Lemoyne resumía así su pensamiento: «Don Bosco sosteneva che il perno di, una storia ecdesiastica, attorno a cui essa doveva aggirarsi, era il Papa, e quindi una vera storia della Chiesa dover essere essenzialmente una Storia dei Papi. Il Papa non é egli il Capo, il Príncipe, il Supremo Pastore? diceva D. Bosco. [...] Non é forse necessario che si sappia doversi tutto al Papi, onore, gloria, obbedienza come a centro d'unitá, senza del quale la Chiesa non é piú Chiesa? E' un grande errore scrivere della Chiesa e lasciar trascorrere lunghi periodi senza far menzione del suo Capo».23
No podríamos, ciertamente, atacar a don Bosco por su concepción de la historia, ya que era la entonces dominante y, en gran parte, la actual. A los historiadores nos resulta más fácil hablar de papas y de sus relaciones con los Estados que de la vida interna, de la presencia de la gracia divina en la comunidad edesial. ¿Podríamos imaginarnos, dada su sensibilidad, una historia de la Iglesia escrita por don Bosco y centrada en la santidad presente en la congregación de los fieles cristianos? Pero, en realidad, en él, más allá de un enfoque entonces dominante, se daba, como vemos, un decidido planteamiento eclesial centrado en el Romano Pontífice.
. En el tratamiento de la figura del Papa no se permite ningún ejercicio de discernimiento ni hermenéutica de sus prescripciones. Hay que defenderlo en todo. Más aún, la voluntad de identificarse con el Papa debe llevar a pensar, sentir, hablar como él quiere. La razón de tan grave exigencia está en que el Papa es el Vicario de Cristo; quien está con el Papa, está con Cristo y con Dios. En una ocasión confiaba a Pío IX: «Santo Padre, i miei figli Vi arcano! Ví hanno nel cuore! Il vostro nome lo portano intrecciato con quello, di Dio! »...
Y, en realidad, la figura del Papa que se deduce de sus escritos es la de un superhombre alrededor del cual gira absolutamente todo en la Iglesia: «Come al tempo della vita mortale del Salvatore gli Apostoli raccoglievansi attorno a Gesú come a centro sicuro, e maestro infallibíle: cosi noi tutti dobbiamo schierarci intorno al degno sucessore di Pietro, intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesú Cristo, al forte, all'incomparabile Pio IX. In ogni dubbio, in ogní pericolo, ricorriamo a luí, come ad ancora di salvezza, come ad oracolo infallibile. Né mai alcuno dimentichi che in questo portentoso Pontefice sta il fondamento, il centro d'ogni veritá, la salvezza del mondo. Chiunque raccoglie con lui, edifica fino al Cielo; chi non edifica con lui, disperde e distrugge fino all'abisso. Qui mecum non colligit disperdit».24
n «Non si puó essere buoni Cattolici se non si presta anche in questo obbedienza pratica al Papa. Chiunque se la piglia col Papa é perduto. [...] Se ti parlo del potere temporale del Papa non lo fo che sotto il punto di vista della religione e della coscien7a, che invano si vorrebbe restringere alle cose invisibili» (MB VI, 481). 23 MB V, 575.
De algunas afirmaciones podría deducirse que la existencia del clero en sus diferentes niveles sólo es debida a la imposibilidad de que el Papa pueda hacer él solo todo y llegar a todos: «Ma questo Capo, ossía il Romano Pontefice, non potendo da sé solo attendere ai bisogni particolari di ciascun fedele, é necessario che vi siano altri ministri inferiori, dal Papa dipendenti, i quali colla predicazione della parola divina, e coll'amministrazione dei Santi, Sacramentí promuovano la domina e la santitá negli uomini».25 La actuación real de don Bosco y la consideración otorgada al sacerdocio redimensionará esta primera impresión.
Los concilios ecuménicos son considerados por don Bosco como actos supremos del Papado. Esta afirmación, en sí, non significa mucho o, al menos, no se aparta del sentir general. Pero da la impresión de que los concilios constituyen simplemente un marco más solemne de lo ordinario de la actuación pontificia habitual. De hecho, aunque resultan útiles, no le parecen necesarios: «perché il Papa supremo pastore di tutti i cristiani puó fare da sé solo tutto quello che puó fare un concilio anche generale», ya que en su opinión «é sol-tanto il Papa che colla sua conferma comunica al Concilio nelle cose di fede e di morale l'infallibilitá e gli fa godere nella Chiesa una autoritá suprema».26
En realidad, hoy podríamos decir que don Bosco considera a la Iglesia como una única inmensa diócesis cuyo obispo efectivo es el Papa, imagen reforzada en buena parte de los católicos después del Vaticano I. No resultaría atrevido afirmar que las iglesias particulares son consideradas simplemente como partes o porciones de la Iglesia universal, gobernada por el Papa.27 En este sentido, a veces, se manifiesta con afirmaciones que hoy nos resultan sorprendentes: «I vescovi accolgono le suppliche, sentono i bisogni dei popoli e li fanno pervenire fino alla persona del supremo Gerarca della Chiesa. fi Papa, poi, secondo il bisogno, comunica i suoi ordini ai vescovi di tutto il mondo ed i vescovi li partecipano ai semplici fedeli cristiani».28 ¿Y a qué quedan reducidos los obispos en esta perspectiva? A útiles y necesarios intermediarios. En este mismo sentido, P. Stella considera que «facilmente é portato a vedere i vescovi in funzione, non solo subordinata, ma quasi sussidiaria a quella del Papa: come suoi rappresentanti e portavoce prenso i fedeli che per moltissime ragioni non possono direttamente comunicare con il padre comune».29 En este sentido don Bosco escribía: «I nostri pastori, e specialmente i vescovi, ci uniscono col Papa, il Papa cí uniste a Dio».3° Evidentemente esto no quería decir che don Bosco no respetase plenamente la figura de los obispos e, incluso, de los párrocos: «Perciocché io non sarei giammai per mandare alcuno dei nostri preti o maestri in qualche diocesí, senza il pieno gradimento dell'ordinario da cui intendo ora e sempre ognuno debba dipendere, siccome appunto le nostre regole prescrivono»;31 aunque ésta, naturalmente, tenía sus límites: «Ecco in breve il motivo per cui cono andato a Roma e in generale ció che ho fano coa. Abbiamo ottenuto esenzioni e privilegi, ma noi saremo sempre obbedientissimi ai Vescovi ed ai parroci, e non ci serviremo delle nostre facoltá, se non esaurití tutti gli altri mezzi anche di umile deferenza».32
24 MB XII, 641.
" G. Bosco, II Cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti..., Torino, Tip. Dir. da P. De-Agostini 1853, p. 4.
26 G.M. MEDICA, I Concili generali della Chiesa cattolica nel pensiero di D. Bosco, en «Riviita di Pedagogia e Scienze religiose» 1 (1963) 2, 22.
27 Cf. P. RIFA, L'argomentazione delle «note» della Chiesa nell'apologetica popolare di San Giovanni Bosco, Colle Don Bosco, Ist. Sal. Art. Grafiche 1971, p. 33.
28 F. DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirttuale, Torino, LDC 1967, p. 93.
Passaglia y otros teólogos con él, insistían en que los obispos no eran meros delegados del Papa. Este era centro de unidad en la Iglesia, pero sólo a Cristo correspondía ser fuente de potestad en su cuerpo místico. Para ellos, entre el primado y el episcopado se da una relación de complemento recíproco que deja intactos los derechos de cada uno. Don Bosco, en realidad, no realiza una reflexión estrictamente teológica ni sobre el pontificado ni sobre el episcopado, pero su posición antigalicana le lleva a acentuar la subordinación de los obispos al Papa, sujeto de la autoridad suprema sobre la Iglesia universal, así también como maestro y juez supremo en materias de fe.33
Frente a la permanente insistencia sobre el papel de Pedro, salta a la vista la casi total ausencia de la correspondiente corresponsabilidad de los obispos. Don Bosco concede espacio e importancia a las asambleas conciliares no por sensibilidad al principio de colegíalidad sino porque los concilios, gracias a la aprobación pontificia, que los hace infalibles, pulverizan las herejías y determinan la verdad.
No se trata, evidentemente, de falta de respeto a los obispos, ni de que no considerara o valorara su puesto en la Iglesia, sino del hecho de que la centralidad del papado era concebida de tal manera que automáticamente la razón de ser de los obispos quedaba devaluada. Escribía el 13 de febrero de 1863 a Pío IX: «La morte, l'esilio di non pochi Vescovi ha messo in diffidenza i meno fervorosi e fece si che il clero si strinse vie piú tra sé, portando esclusivamente e clirettamente il pensiero al centro della veritá, al Vicario di Gesú Cristo [...]. Dirá cosa strana ma che credo vera. In questo momento sembra che i Vescovi facciano maggior bene dal loro esilio o dalle loro carceri, che forse non farebbero nella loro sede; giacché col fano pubblicano, difendono il principio dell'autoritá divina nel suo capo visibile, che é la base di nostra santa cattolica religione».34
29 STELLA, Don Bosco II, p. 133. De hecho, en las propuestas que hizo a Pío IX para nombramientos episcopales eligió siempre candidatos dóciles al Pontífice y de clara tendencia infalibilista, incapaces de crear dificultades al Papa en el gobierno eclesiástico.
" STELLA, Don Bosco 11, p. 122.
" MB XIII, 456. En el volumen X, 931, Amadei escribe: «Gli premeva soprattutto che i salesiani si prestassero in aiuto del parroco del luogo ove esisteva la casa». Y en 1861 escribía: «Del resto Ella sa che da vent'anni ho sempre lavorato e tuttora lavoro e spero consumare la mia vita lavorando per la nostra diocesi ed ho sempre riconosciuto la vote di Dio in quella del Superiore ecclesiastico».
32 MB IX, 565-567.
33 La Santa Sede «é una Suprema Autoritá che concede e limita i poteri e regola l'esercizio dei medesimi» (E IV, 59).
34 E L 258.
Parece duro que la centralización de la Iglesia ha adquirido a lo largo de la historia ritmos más rápidos a medida que las dificultades doctrinales o las persecuciones políticas exigían un respaldo más consistente de Roma, generalmente más fuerte y con más capacidad de apoyo, a los obispos individual o colectivamente considerados, generalmente más débiles y más fácilmente dominados o chantajeados por el poder civil. A esto se refiere indirectamente don Bosco en el citado párrafo, pero también se puede deducir de su lectura esa división típica del siglo pasado entre obispos dóciles a Roma y, por tanto, buenos, y obispos más autónomos y, consiguientemente, dignos de reforma y conversión.
El autor de las Memorias biográficas responde a esta mentalidad simplista cuando señala que «in Francia i giornali cattolici liberali si schierano decisamente coi gallicani, coi Giansenisti, contro la definizione dell'infallibilitá. Le sciagurate stampe del Janus, del Gratry, di Mons. Maret, o del Dupanloup facevano il resto».35 El motivo del juicio y de la división entre buenos y malos no era tanto el de la ortodoxia doctrinal sino el de la defensa más o menos entusiasta del ultramontanismo. Así se explica esa amalgama sorprendente e injusta de nombres no equiparables. Para los ultramontanos convencidos y decididos un Maret, un Dupanloup o un Gratry eran tan peligrosos como Dóllinger.
En esta organización eclesiástica, ¿qué parte y qué papel cumplían los laicos? Evidentemente, más bien poca. Es verdad que Rosminí en su obra Las cinco llagas de la Santa Madre Iglesia encuentra uno de sus pilares fundamentales en el descubrimiento del laicado y de su participación activa en la comunión edesial. Rosmini pedía mayor colaboración entre clero y pueblo, reivindicaba el sacerdocio de los fieles y asignaba al laicado una participación activa en el nombramiento de los obispos.36 Rl había recogido las instancias más aceptables de los grupos reformistas, algunos de ellos bastante radicalizados, que, ciertamente, no eran escuchados ni tenidos en cuenta por la Curia Romana ni por la mayoría del los obispos. De hecho, no cabe duda de que la condena de las Cinco llagas el 30 de mayo de 1849 resume y significa la victoria de una eclesiología hostil a la nueva apertura.
35 MB IX, 777.
36G MARTINA, L'atteggiamento della gerarchia di fronte alle prime iniziative organizzate di apostolato dei laici alla metá dell'Ottocento in Italia, en: Spiritualitá e azione del laicato cattolico italiano, Padova, Ed. Antenore 1969, p. 317.
El P. Curci, fundador de la «Civiltá Cattolica», por su parte, defendió una participación más activa en la vida de la Iglesia, recordando los primeros siglos, cuando «La multitudo fidelium ed i viri fratres vi avevano una parte notevole e maggiore che argomentandolo dal sistema prevalso modernamente»,37 pero esta postura la mantuvo en su época más conflictiva, fuera ya de la Compañía de Jesús.
Resultaba más común la actitud del cardenal Antonelli cuando recordaba que el Papa consideraba «soramamente doloroso [...] essere l'Italia ridotta a sostener la religione cattolica coi mezzi proposti», es decir, con la acción organizada de los laicos católicos. Y el mismo Pío IX declaraba con energía que «al Papa ed all'Episcopato [...] spetta unicamente la tutela della Religione»,38 y es el mismo Papa quien subraya el adverbio, que excluye cualquier pretensión de los laicos en este campo.
¿Cuál era el pensamiento de don Bosco?
A primera vista, cuando uno lee su abundante epistolario, en gran parte dirigido a laicos, llega a la conclusión de que fundamentalmente le interesaban sus bolsillos, es decir, su dinero, tan necesario para las obras que llevaba entre manos. Por otra parte, su insistencia y casi obsesión por el sacerdocio, por el papel y la necesidad de sacerdotes, puede dar a entender que los laicos erano meros sujetos pasivos de la acción edesial. ¿Cuál era la función de los laicos en la Iglesia? En realidad, habría que preguntarse sobre cuál es la función, la razón de ser de los sacerdotes. Era la de santificar a los laicos, dirigirlos hacia la salvación. Los laicos estaban en la Iglesia para ser santificados por la acción del clero y para obedecer.39 «Sismo adunque docili alle voci dei sacri minístri, come le pecore lo debbono essere alla voce del loro pastore. Dio ce li ha .dati per nostri maestri nella scienza della religione; dunque andiamo da essi ad impararla e non dai maestri mondani. Dio ce li ha dati per guida nel cammino del cielo, dunque seguitiamoli ne' loro ammaestramenti».46
Evidentemente, el tema es complejo y no conviene simplificarlo. Desramaut, con su habitual talante equilibrado, considera que «é interessante rilevare che pensó al crístiani, al modo di esistenza che loro conveniva, al loro compito missionario nella chiesa e alla loro santificazione nella vita corrente e nell'apostolato diretto»,41 pero parece evidente que también en este tema don Bosco se encontraba más cerca de Pío IX que de Newman,42 y de quienes propugnaban una eclesiología más renovada y menos clerical.
37 G. Mucci, Il primo direttore della «Civiltá Cattolica». Carlo Curci tra la cultura dell'immobilismo e la cultura della storicitá, Roma, Ed. La Civiltá Cattolica 1986, p. 193.
38 MARTINA, L'atteggiamento della gerarchia, p. 345.
39 «Nella Chiesa devonsi considerare due classi di persone, quelle cioé che insegnano e comandano, e queste sono nella Gerarchia, e la forman; e quelle che obbediscono e queste sono sotto la Gerarchia. E questi ultimi sono tutti i semplici fedeli, ricchi e poveri, re e principi» (G. Bosco, La Chiesa cattolica e la sua gerarchia, Toririo, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1869, p. 67). Recordemos a este respecto el conocido párrafo de la encíclica Vehementer de Pío DI: «Sólo en el cuerpo pastoral reside el derecho y la autoridad necesaria para mover y dirigir todos los miembros hacia el fin de la sociedad. En cuanto a la multitud, no tiene otro derecho que el de dejarse conducir y, dócil grey, seguir a sus pastores».
40 G. Bosco, Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo, Torino, Tip. G.B. Paravia e Compagnia 1858, p. 46.
Este planteamiento profundamente piramidal, jerárquico y centralizador, era, como ya he afirmado, propio de una eclesiología y de una mentalidad que es bien conocida y ha sido suficientemente estudiada." En don Bosco encuentro, además, algunos argumentos propios de su carácter y peculiaridad, que refuerzan la argumentación anterior, pero con un talante menos doctrinal y más existencial.
Don Bosco está convencidísimo de que la estructura ha sido querida por Cristo y que servía para la salvación de las almas, pero creo que, de manera más o menos explícita, considera la Iglesia a modo de una gran familia donde la autoridad resulta necesaria sobre todo en cuanto es útil y beneficiosa para conseguir sus objetivos:14 Se trata de una imagen cercana y substancial en su concepción pedagógica,45 en su planteamiento de la nueva congregación religiosa,46 y, ciertamente en la imagen que vive y transmite de la comunidad eclesial.47
En la manera como concibe y gobierna su congregación religiosa se encuentra «la tendenza a sentirsi un padre que godeva tutta la confidenza e la fiducia dei figli associati in tutto alla sua opera», de forma que las primeras redacciones de las Reglas resultaban extremadamente centralizadas y autocráticas.48 De hecho, por ejemplo, el cuarto Capítulo o Congregación general, tras
41 DESRAMAUT, Don Bosco e la bita spirituale, p. 209.
42 MARTINA, Pio IX, p. 176.
" Cf. A. ANTÓN, El misterio de la Iglesia II, Madrid, BAC 1987.
44 «Ora questo Padre é il Papa, e i suoi figli sono i cristiani, fi regno é la Chiesa, il Re supremo ed invisibile é Gesú Cristo, il Re visibile n'é Il suo Vicario, i1 Romano Pontefice» (Bosco, cattolico nel secolo, p. 173).
45 «El alumno tendrá siempre gran respeto a su educador, recordará complacido la dirección de él recibida y considerará en todo tiempo a sus maestros y superiores como padres y hermanos suyos» (El sistema preventivo en la educación de la juventud, en: Sj. Bosco, Obras fundamentales, Madrid, BAC 1979, p. 565); cf. Carta sobre el espíritu de familia, en: Ibid., p. 612-620.
46 Cf. MB IX, 572-573; cf. G. BOSCO, Scritti spirituali, vol. II, a cura di J. Aubry, Roma, Cittá Nuova 1976, p. 128. 159.285-286.
47 «Ora io considero tutto il clero del mondo come un vasto seminario rispetto al Papa. [...] Del resto noto ancora come al Papa, anche come Dottore privato, si debba avere molta deferenza e che sia conveniente conformarsi al suo modo di pensare. Cosi i buoni figliuoli usano di portarsi verso il loro padre» (MB XIII, 21). P. Stella subraya también este aspecto: «Come formato nel primo quarantennio dell'Ottocento agisce in forza di una religiositá, la cui ossatura di base é familiale e paternale, che tende a vedere nel rapporto Padre-figli; di comando, di obbedienza (o consacrazione: darsi a Dio) e di esecuzione» (STELLA, Don Bosco I, p. 253). Estas expresiones se repiten con frecuencia en sus obras: «Questa gran famiglia é la Chiesa, questo Capo é il Romano Pontefice» (Bosco, II cattolico istruito, p. 41-42). El, «a guisa di padre universale, regola e governa tutta la cattolica famiglia» ([Bosco], La Chiesa Cattolica, p. 22).
48 Cf. STELLA, Don Bosco I, p. 159.
trabajar, reflexionar y medir, después de determinar y dictaminar..., decidió que don Bosco podía cambiar y modificar todo lo que quisiera.49 Esta característica que se encuentra también en otros Institutos del tiempo responde a una eclesiología que desembocará en el Vaticano I.
En esta familia, como en todo organismo, la autoridad era necesaria y, en este caso, resultaba imprescindible para encauzar la salvación. A veces, probablemente, a causa de su estricto planteamiento teológico, da la impresión de que su defensa de la autoridad es fundamentalmente utilitaria en el sentido de que considera que únicamente una Iglesia homogénea, compacta, bajo un solo jefe es capaz de responder con eficacia a las dificultades existentes. En este sentido, su insistencia en la definición de la infalibilidad aparece, a menudo, motivada por los continuos ataques infligidos a la Iglesia, por el convencimiento de la necesidad de una guía centralizada «como un ejército en guerra», y por el deseo de que no se repitiesen males pasados: «la definizione dommatica avrebbe posto termine agli errori del Gollicanesimo in Francia e del Febronianismo in Germania: mentre era necessaria per le missioni e qua-lora il Sommo Pontefice venisse a trovarsi nene dolorose strettezze di Pio VPI»?° De subrayar, sin duda, el motivo de un trabajo más eficaz en las misiones como exigencia de la definición. Y este deseo de eficacia le hacía pedir, tembién, un catecismo único, universal, obligatorio, compuesto y promulgado por la Sede Romana." Esta motivación no teológica sino de conveniencia se extiende a la esfera civil: (La definición de la infalibilidad) «es de gran utilidad a los soberanos y a toda la sociedad, pues, haciéndose oír a los pueblos con más autoridad la voz infalible del Soberano Pontífice para inculcarles el deber de sumisión a los príncipes, llega a ser por esto el sostén más poderoso de su trono y también la mejor garantía de la tranquilidad pública» 52
Penso che sia importante sottolineare ed evidenziare la mentalità utilitaristica, la pratica di Don Bosco. P. Stella, come una felice descrizione, che riassume ciò che intendo: è la teologia del contadino che diventa una cura, dell'uomo pratico che è molto chiaro sul suo obiettivo e che usa tutti i mezzi onesti a portata di mano per raggiungerlo . Questo atteggiamento, infatti, relativizza, in larga misura, la sua difesa del centralismo ecclesiale. Don Bosco nella sua pratica quotidiana relativizza la teologia assoluta.
49 "La mia scriveva un salesiano solo ieri: il mio basta una cosa sia disposta dai Superiori, alzo il mio posto e non vado a cercarne il perché. Io vorrei che tutto tutti poteste dire cosi »(MB XIII, 91). Lemoyne confermerà che Don Bosco "conosce molto la sua autoritá, né tollerava impunita la resistenza" (MB VII, 118); cf. DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirituale, p. 91.
50 MB IX, 779.
51 MB IX, 827. Il tema del catechismo unico sollevato in Vaticano I le varie direzioni ecclesiologiche. Infatti, spesso chi si opponeva a questo progetto apparteneva in genere alla minoranza conciliare (vedi L. NORDERA, Ii catechism di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia [1896-1916], Roma, LAS 1988, p. . 45).
Bosco, Fondamenti della religione cattolica, in: FIERRO TORRES, Biografia e scritti, p. 541.
Nell'ecclesiologia di alcuni teologi italiani e tedeschi il popolo di Dio in cui è inserita la gerarchia ha avuto un ruolo decisivo. In Don Bosco è la gerarchia che ha ed esercita questo ruolo. Tuttavia, nella vita pratica, dà l'impressione che sia il bene del popolo cristiano che ottiene la prevalenza, anche a costo di semi-inganni o sotterfugi.
Nelle memorie biografiche trovo un delizioso punto che potrebbe essere giudicato da alcuni di essere cinico, ma in spagnolo può essere sintetizzato con l'espressione classica: preghiera a Dio e il martello "Don Bosco AVEVA riflettuto sull'importanza eziandio di potersi giovare in Certe Occasioni dell'influenza Che l'Abate Rosmini esercitava a Torino Sugli Nuovi Uomini rivestiti di AUTORITÀ, e quindi di uccelli Amico la Convenienza e Protettore. Sistema Suo era premunirsi diligentemente con OGNI Umano Mezzo, con fiduciosa rassegnazione lascíando poi, il Che Divina Provvidenza guidasse cuce una PIACERE Suo >>. 53
"E 'figlio docile, figlio rispettoso, ma anche di business," afferma P. Stella, "Egli sa SCEGLIERE i momenti, i Morfi e Anche le PERSONE un Parlare cui. Ha il seno della Gerarchia, mache queche del carisma singolare donato a luì e alle sue opere. Ardisce presentarsi talora mangiare Portavoce del Signore "54 Tenete a mente che questa capacità si sviluppa anche la gerarchia e la Curia Romana, ed è in questo senso che io insisto. Belardinelli arriva a dire che «D. Bosco non MANCO di collegare l'impegno "infallibilista" per Sostegno delle Sue operare: nell'udienza 12 febbraio presentati a Pio IX collezione delle "Letture Cattoliche" e della "Biblioteca" ottenendo ile Papale plauso, e con un potente Stesso tio avallo per la diffusione, anche un dispetto delle diffi denze di molte curte piemontesi,
53 MB III, 248. In questo senso «furbo», di abilità, trovo incomparabile la sua difesa dei gesuiti usando parole e giudizi di Gioberti (MB III, 310).
54 STELLA, Don Bosco II, p. 138.
55 M. BELARDINELLI, Don Bosco e il Concilio Vaticano I, in: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa,
p. 249.
56 Scrisse a don G. Cagliero: "Mi scriverai per la visita che farai coll'Arcivescovo a Carmen o Patagones; dirai al medesimo che il Santo Padre desidera così tanti nuovi esperimenti pei selvaggi ed applaude al nostro caso per studiare i loro confirú »(E III, 95).
Preguntado por qué favoreció el nombramiento de Gastaldi como arzobispo de Turín, contestaba: «Oltre a questo io aveva tutte le ragioni di credere che egli ci sarebbe stato sempre largo del suo favore. Che vuoi? Appena divenne Arcivescovo di Torino, cambió registro ».58 Éste, por su parte, se quejaba amargamente de Don Bosco: «Diminuisce assai Pautoritá dell'arcivescovo di Toríno, e introduce lo scisma nel clero [...] ma io sono costretto a invocare la protezione della Santa Sede contro gli attentati di questo ecclesiastico, il quale ha la mente plena e la riempie a' suoi dello spirito di autonomía e di indipendenza»." No olvidemos que también su antecesor, mons. Riccardí había tenido fuertes y prolongados contrastes con don Bosco por su deseo de conseguir plena autonomía para su Instituto.60
Por su parte, don Bosco invocó sucesivamente diversas protecciones en función de las diversas circunstancias. En el proceso de aprobación de las constituciones, utilizó todas las artes para que fueran aceptadas tal cual él las había redactado. A Pío IX le habló de una inminente fundación en Hong-Kong, que, naturalmente, exigiría una pronta aprobación; al Secretario de la Congregación le habló del Prefecto y a éste del Papa. En relación con esta aprobación se dio cuenta de que el camino de los obispos podía resultar complicado, por lo que se apoyó decididamente en Roma. «Al Santo Padre D. Bosco aveva mandato 11 libro con un intento speciale: desiderava che Sua Santitá vedesse con quale alacritá i salesiani lavorassero e quanto fosse il loro attaccamento alla Cattedra di Pietro e che sforzi facessero per istillare negli altri l'ossequio e l'amore verso il Vicario di Gesó Cristo. Gli paree dí ayer ottenuto il suo scopo e santamente se ne compiacque».61
Claro que esta absoluta y sincera aceptación del significado de la Curia Romana no le impidió no aceptar sin más las correcciones de la Regla realizadas por la Congregación Romana correspondiente. Don Bosco dijo a sus hijos que estuviesen tranquilos porque su Congregación había sido aprobada por la autoridad infalible, pero acto seguido intentó «manipular» o cambiar algunos artículos de esas constituciones aprobadas que a él no acababan de satisfacer.62
57 Carta a don M. Rua en: E III, 305-306.
58 MB 23.
59 MB XIII, 336. Naturalmente la realidad era mucho más compleja y estas difíciles relaciones manifestaron no sólo dos maneras de ser y de actuar, sino también, la objetiva dificultad existente en el acomodamiento de la autoridad episcopal con la exención de los religiosos. Como contrapunto a la opinión del arzobispo podríamos recordar las siguientes frases de don Bosco: «Tuttavia, sebbene io sia persuaso di non ayer ecceduto la fattami concessione nel falto accennato, per l'avvenire me ne asterró assolutamente, poiché tale cosa é di gradimento al superiore ecdesiastico» (E II, 405); y Lemoyne estaba convencido de que «questi fascicoli delle vite dei Papi, prima esposte da Don Bosco sal palpito, ispiravano nel suo giovane uditorio un grande rispetto e sottornissione alle prescrizioni non solo del Pontefice, ma di tutti i vescovi e specialmente a quelle dell'Arcivescovo di Tocino» (MB VI, 52).
60 Cf. G.G. FRANCO, Appunti storici sopra il Concilio Vaticano, a cura di G. Martina, Roma, Universitá Gregoriana 1972, p. 104.
61 MB XIII 517.
Yo no sé si puedo traer a colación el siguiente texto como explicación de su manera de ser y de actuar en esta materia. Hablando con Pío IX sobre la actuación del papa Honorio — actuación largamente utilizada por los antünfaliMistas como argumento demostrativo de la existencia de errores dogmáticos le decía: «Io peró ritengo che se cunctavit, se temporeggió, egli l'abbia fatto per prudenza, e siccome si puó temporeggiare sena mancare, cosi peno che Papa Onorio non abbia commesso neppure peccato veniale».63
En cualquier caso, conviene recordar también su pretensión de conseguir una total autonomía económica no sólo con relación a la autoridad diocesano, sino también en relación a la Santa Sede."
P. Stella parece relacionar el rechazo romano de estas pretensiones con las condenaciones posteriores del liberalismo católico o de la Democracia de Murri. No cabe duda de que se trata de un filón histórico interesante, pero a mí me resulta más sugestivo en esta panorámica preguntarme si esta pretensión no revelaba un redimensionamiento de la autoridad romana. De hecho, en nuestros días se ha dado algún caso semejante en relación con alguna institución eclesial más reciente.
Por otra parte, este hombre supo manejarse e instrumentalizar las diversas autoridades en función de sus necesidades. Se apoyó en Roma para conseguir la aprobación de los salesianos, pero, cuando encontró dificultades en la Congregación de Obispos y Regulares en el tema de la Hijas de María Auxiliadora, no dudó en apoyarse en el obispo de Acqui y en otros ordinarios diocesanos que las aprobaron según sus deseos.
No se trataba tanto de maquiavelismo o de sorprendente capacidad de manipulazión cuanto de un sentido innato del compromiso con el fin de conseguir su objetivo principal. Por ejemplo, en otro orden de cosas, en aquellos mismos años el P. Curci, en Il moderno dissidio della Chiesa e ¡'Italia defendía la necesidad de un acuerdo, mientras que Manning, en The independece of the Holy See, demostraba absurda cualquier probabilidad de acuerdo. Por su parte don Bosco deseaba el acuerdo, «ma in modo tale che innanzituno si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime». Frente a dos mentalidades doctrinales, una práctica que le ayudó a permanecer en buenas relaciones con ambas orillas del Tíber, en un momento en que esto parecía imposible.65
62 MB XIV, 229. Sobre este tema resulta imprescindible consultar: P. BRAMO, Don Bosco per i giovani: L' «Oratorio». Una «Congregazione degli Oratori. Documenti, Roma, LAS 1988. También: P. STELLA, Le Costituzioni salesiane fino al 1888, en: J. AUBRY - M. MIDALI (eds.), Fedelti e rinnovamento. Studi sulle Costituzioni salesiane, Roma, LAS 1974, p. 52.
63 Mg IX, 817.
64 P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1879), Roma, LAS 1980,
p. 399. Ver también: E W, 505-508.540-544.
65 Escribía a G. Lanza, presidente del Gobierno, el 11 de febrero de 1872: «Io scrivo con confidenza e l'assicuro che mentre mi professo sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della Cattolica Religione, mi sono pur sempre mostrato affezionatissimo al Governo, per i sudditi del quale ho costantemente dedicate le deboli mie sostanze e le forze e la vita» (E II, 195).
66 BRAIDO, Don Bosco per i giovani, p. 10.
67 MB I, 89.
68 E I, 88-89.
69 Ver, por ejemplo, el caso del conde Gays (E 111, 352-354.364).
70 STELLA, Don Bosco I, p. 155-156.
En relación con los obispos, aparece evidente su síncera voluntad de colaborar con ellos en la pastoral diocesana, pero también su deseo de llevar adelante su obra según su talante e inspiración, y, por consiguiente, con la autonomía necesaria. De hecho, a propósito de la ordenación de Cagliero parece evidente que con un tono respetuoso y sumiso, don Bosco mantiene íntegro su planteamiento de autonomía.67 En 1854 Rosmini le pide que informe al Vicario general acerca de los proyectos comunes sobre una tipografía, proyecto que se encontraba ya bastante adelantado. Don Bosco le contesta: «In quanto al parlare al nostro sig. Vicario generale giudicherei bene differire ancora: e forse sará meglio cogliere Poccasione che qualcheduno dell'Istituto passi a Lione per parlare verbalmente all'arcivescovo medesimo; ma il parlare di ció al nostro Vicario (che é un sant'uomo; ma pochissimo pratico delle cose del mondo) forse sarebbe suscitare difficoltá dove io credo non ci siano».68 Evidentemente, se trata sólo de una anécdota sin importancia, pero probablemente constituya también un indicio de cómo actuaba sorteando aquellas autoridades que consideraba problemáticas para apoyarse en las que le eran afectas en el caso concreto. Creo que se puede afirmar que don Bosco siempre pensó que el cuidado de las almas debía prevalecer sobre la organización y la administración.
En cuanto a los lazos y complicaciones jurídicas eclesiásticas, no estoy seguro de que don Bosco les concediese la importancia que se les daba habitualmente.69 Los estudiantes que dejaban la Congregación parece que podían permanecer como externos. ¿Podría esto indicar que de hecho no atribuía tanta transcendencia a los lazos jurídicos? P. Stella se pregunta: «Che cosa era dunque il noviziato secondo Don Bosco? Una casa di studio? Un semenzaio di vocazioni per i Salesiani e per qualsiasi altro istituto nella Chiesa? Un modo per far prendere contatto con l'Opera salesiana, con lo stato ecclesiastico e quello religioso? [...] Leggendo necrologie di salesiani vien da chiedersi se piú d'uno sapesse esattamente a quale titolo si trovava in casa di D. Bosco».7° Manifiesta la misma libertad de espíritu con relación a los religiosos de vida contemplativa. Convencido como estaba de que lo más importante era la salus animarum, no dudaba en afirmar que estos religiosos debían extender su celo a otros ámbitos explicando el catecismo a los niños, instruyendo religiosamente a los adultos y escuchando sus confesiones. Para él, las reglas y las costumbres no estaban por encima del bien de las almas sino a su servicio. En este sentido resulta significativa la siguiente narración: «A porporati che gli movevano difficoltá per il conseguimento di favori necessarí a rendere stabile e operosa la Congregazione, soleva dire: Io ho bisogno che mi aiutino a superare le difficoltá e non a farne. Vorrei che si considerasse non tanto la persona diD. Bosco, ma il tiene e il vantaggio della religione e delle anime: perché io lavoro per la Chiesa»." Obviamente, también los cardenales trabajaban para la Iglesia, pero consideraban que había que cumplir las disposiciones legales existentes, disposiciones que en este caso para don Bosco se reducían a trabas y dificultades que había que superar.
Non cabe duda de que conocía a la perfección la situación de la Curia Romana y los diversos partidos e influjos en ella existentes, conocimiento que le proporcionó motivos y ocasiones para bandearse con éxito en el difícil y complicado mundo romano. A propósito de la cuasi condenación de su obra Centenario di S. Pietro, escribía a un amigo: «... di questo ne fui minacciato in Roma ed anche Jopo la mia partenza, ed una persona moho a mica ne diede la ragione principale: perché in Roma ho avuto di preferenza molta familiaritá coi Gesuiti. Qui peró prudenza somma e silenzio».72 Sin duda ésta es una regla de oro de actuación, pero denota, en todo caso, su capacidad de navegación y movimiento en las aguas procelosas del mundo romano y su distinción de los diversos niveles existentes en toda autoridad."
Es decir, y terminando este apartado, creo que se puede subrayar el sentido empírico, práctico de la eclesiología de don Bosco. Curia Romana, Obispos, Párrocos son más cultivados o marginados en función de la ayuda que dispensan a la obra de los jóvenes. Don Bosco estaba totalmente convencido de que esta obra era de Dios, y en función de este convencimiento y de esta realidad instrumentAlizaba a la jerarquía con el fin de que su obra saliese adelante. Nos encontramos ante un hombre, un santo, que en la práctica relativiza la teología absoluta. En este sentido, deberíamos afirmar que don Bosco se acerca a los reformistas en la acción práctica, en cuanto redimensiona la autoridad de la jerarquía en su actuación, en la vida de cada día, en sus relaciones y determinaciones inmediatas.
7' MB XIII, 504. n E I, 461.
73 Apenas elegido León XIII, le envió un escrito que «giudicava venire dal Signore» en el que, entre otras cosas, le aconsejaba: «Queste novelle istituzioni hanno bisogno di essere giovate, sostenute, favorite da coloro che lo Spirito Santo pose a reggere e governare la Chiesa di Dio» (E DI 304).
Sobre las relaciones de estos dos personajes tan sugestivos y sugerentes existe numeroso material y creo que se ha escrito suficientemente. Yo quisiera simplemente apuntar un interrogante. Dada la benevolencia y simpatía manifiesta del pontífice por el fundador, ¿por qué encontró tantas dificultades en la aprobación de la Regla? ¿No parece darse una cierta contradicción entre las conversaciones de ambos, entre la insistencia de don Bosco en que su mana constituía casi una iniciativa de Pío IX, por una parte," y las reticencias fiestas de la Curia Romana, por otra? Cuando escribía al Papa: «Societas Salesiana quam Tu, Beatissime Pater, opere et consilio fundasti, direxisti, consolidasti, nova beneficia a Magna dementia Tua postulat», ¿consideraba que la protección pontificia sería suficiente para superar las dificultades existentes? ¿Por este motivo infravalorará las animadversiones que le mandaron de Roma?
¿Eran reales las promesas y concesiones del Papa? Así lo creía, al menos su biógrafo: «... piú di una volta noi abbíamo avuto occasione di recordare come per il governo interno della societá Pio IX l'avesse munito oralmente di facoltá amplíssime, tanto Egli si fidava della sua prudenza».75 De hecho, don Bosco afirmó en más de una ocasión haber recibido «vivae vocis oraculo» dispensas de Pío IX 76
Yo concuerdo plenamente con el juicio de P. Braido: «Lascia, semmai, perplessi il fano che la conclamata benevolenza verso don Bosco non li abbia indotti a un tempestivo discorso chiaro e perentorio; a meno che non ne siano stati dissuasi dalle adamantina persuasioni del Fondatore torinese, convinto tanto della bontá della causa quanto delle proprie capacitó di manovra e delle potenti amicizie».77 Uno puede preguntarse, seguramente, si Pío IX prometió tanto como imaginaba don Bosco o si éste interpretaba con demasiado optimismo las palabras del pontífice. Probablemente Pío IX actuaba con el santo turinés como actuaba en política: se entusiasmaba con lo que el Santo le contaba y le prometía el oro y el moro, pero más tarde tenía que echar marcha atrás. Tal vez así puede explicarse el que, por una parte, el Papa prometía a don Bosco (o, al menos éste lo entendía así) mientras que por otra parte, el Cardenal y Secretario de la Congregación correspondiente actúen más restrictivamente sin que aquél diga o haga nada.78
No cabe duda de que tenían muchos puntos en común, y por eso sus encuentros eran gozosos y convergentes." Para ellos el demonio estaba muy presente en sus actividades y en la vida de la Iglesia,8° defendieron una infalibilidad personal amplia,81 confiaron el uno en el otro.
74 «In seguito a quena udienza (e altra o altre) don Bosco tenderá ad accentuare soprattutto un aspetto: la parte avuta da Pio IX, rievocato come colui che traccia quasi ad un quanto mai improbabile ignaro fi profilo di una "nuova" Congregazione religiosa, che d'altra parte coincide punto per punto a quello che don Bosco continuerá a difendere anche in contrasto con il diritto dei religiosi piú comunemente accettato» (BRAmo, Don Bosco per i giovani, p. 96).
75 MB XIII, 237.
76 E II, 126; III, 347. 361.
77 P. BRAMO, L'idea della Societa Salesiana nel «Cenno istorico» di don Bosco del 1873/74, en
RSS 6 (1987) 304.
78 Hay que tener en cuenta también que no era infrecuente que Pío IX cayese en contradicciones (cf. MARTINA, Pio IX, p. 605).
79 Don Bosco escribió el mismo día de la muerte de Pío IX: «Entro brevissimo tempo sará certamente sugli altari» (E lit, 294).
En cuanto al tema de la infalibilidad por el que tanto luchó y se movió, don Bosco utiliza un argumento curioso: «Il Signore ha dato rinfallibilitá alla sua Chiesa: resta solo a vedere dove questa risieda. Ogni vescovo (da solo) é per certo fallibíle, quindi non nei singoli si ha da cercare questo dono; e se ciascuno é fallibile anche radunati tutti insieme i Vescovi non potranno divenire infallibili per il solo fatto di essersi radunati. Che cosa li rende adunque e dá loro ció che non hanno? É l'essere collegati col Papa».82
Por el mismo tiempo escribía Newman que, tras el Concilio de Nicea, la gran mayoría de los obispos había caído en el error, pero que la recta doctrina se había mantenido gracias a los laicos. Evidentemente, también en este punto la sensibilidad de Pío IX era mucho más cercana a la de don Bosco que a la del clérigo inglés.
Todos los que conocen más y mejor a don Bosco insisten en que resulta necesario leer y comprender sus escritos como parte inseparable de una experiencia.83 A menudo, en la pura teoría, no resulta original, copia con desparpajo, repite lo que ha estudiado y le resulta apropiado. Su genialidad y su verdadera personalidad aparece en su vida, en su actuación continuada, en su experiencia hecha vida.
En el tema de la santidad, punto clave y determinante en su concepción de Iglesia, encontramos igualmente este planteamiento dual. En su concepción estrictamente doctrinal, la confesión de la santidad de la Iglesia, públicamente pronunciada en el Símbolo de los Apóstoles, es entendida de una forma que conduce no sólo a negar que la comunidad cristiana sea sujeto colectivo de pecados comunes, infidelidades y ofensas al Evangelio, sino incluso a rechazar los fallos y errores históricos, o sencillamente el que la Iglesia hubiera llegado tarde a responder a determinados problemas o necesidades humanas.
En este planteamiento se distinguía los pecados de los católicos y la actitud de la Iglesia. Con esta distinción se introducía una consideración ideológica que pretendía salvar a la Iglesia, es decir, a la institución o a la jerarquía, de sus fallos y responsabilidades históricas. Pero se hace a costa de un desdoblamiento por el cual determinados cristianos, solos o agrupados, que cometen errores e infidelidades al Evangelio, no parecen ser Iglesia. Es decir, por una parte, se da una identificación subliminar entre Iglesia y Jerarquía: y por otra se desconoce que los pecados de los creyentes hacen a la Iglesia menos apta para ser signo eficaz de salvación en cada momento de la historia.
8° G. CANATAN1, II diavolo, Roma e la rivoluzione, en «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 8 (1972) 485-516; MB V, 694; Bosco, Scritti pedagogici, p. 301.
81 Como cuando declara que todos deberían aceptar la opinión del Papa incluso en los temas de libre opinión, como doctor privado (cf. MB VIII, 277-278).
82 BELARDINELLI, Don Bosco e il concilio Vaticano I, p. 246.
" «Il veto Don Bosco é quello che risulta da una considerazione globale, unitaria e vitale, di tutti i suoi scritti, di tutte le sue realizzazioni e scelte operative e di tutta la sua vita» (R. FARINA, Leggere don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, en: P. BROCARDO (ed.), La formazione permanente inteipella gli istituti religiosi, Leumann [Tormo], Elle Di Ci 1976, p. 351).
En don Bosco esta actitud generalizada quedaba probablemente mediatizada y complementada por el hecho de no utilizar la analogía del cuerpo místico sino el de familia y madre," es decir, una vez más, por su concepción eclesiológica vertical y no horizontal y, sobre todo, por su amplio y complejo concepto de Iglesia.
En efecto, don Bosco identificaba Iglesia con Religión,85 y ésta con santidad. La santidad en don Bosco es la más teológica de las cuatro notas de la Iglesia. Desde el punto de vista apologético se manifiesta por medio de la presencia de medios eficaces de santificación, de los numerosos casos de santidad y de los extraordinarios milagros en ella presentes.86 Me parece que su concepto fundamental, el criterio que inspira sus acciones pero, de hecho, también sus teorías y formulaciones, es el de la santidad de los cristianos. A esta santidad subordina todo y en función suya concibe, más o menos explícitamente, la organización eclesiástica en sus diversas vertientes. La Iglesia fue fundada por Cristo, escribe nuestro santo, «mentre viveva su questa terca, e perché da lui formata dentro al suo sacratissimo costato, consacrata e santificata col suo sangue. Essa é da luí ripiena del suo Santo Spirito, che esso le mandó perché rimanga con lei e le insegni ogni veritá sino al termine dei secoli».87
«Ció che stava a cuore di D. Bosco — dice el autor de las Memorias biográficas —: salvare anime» o, en otro lugar: «La salute delle anime unico scopo della sua vita», o, también en otra página: «Le anime sono un tesoro affidato al sacerdote» 88 Por esta razón, como indicaré enseguida, el sacerdocio constituyó una de las obsesiones de su vida.
En la dimensión histórico-salvífica, la Iglesia es, según Newman, el pueblo de Dios.
«11 fatto poi che nella Chiesa vi siano peccatori non suscita nei suoí scritti gravi problemi dottrinali. Don Bosco infatti, piú che alla analogia del Corpo Mistico, allorché discorre del peccato e dei peccatori, si rifá a quena di famiglia e di madre. La Madre Chiesa é santa, sen7a macchia e sena ruga. Tale rimane, anche se molti suoi figli siano peccatori, anche se suoi figli la combattano e la rinneglun' o» (STELLA, Don Bosco II, p. 140).
85 «Pueblos católicos, abrid los ojos; se os tienden gravísimas asechanzas cuando intentan alejaros de la única santa religión que es la Iglesia de Jesucristo» (Bosco, Fundamentos de la religión católica, en: FIERRO TORRES, Biografía y escritos, p. 545).
86 RIPA, L'argomentazione delle «note», p. 36.
87 MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, p. 221-222.
88 Escribe don Bosco en sus memorias: «il prete non va solo al cielo, non va solo all'inferno. Se fa tiene andrà al cielo con le anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se a scan-dalo andrà alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo» (Bosco, Scritti pedagogici, p. 314).
Naturalmente, el pueblo de Cristo tiene también una organización social, pero en todo momento reconoce la prioridad de su realidad espiritual. La igualdad fundamental de todos los miembros de este pueblo en virtud de la fe y de los demás bienes sobrenaturales de la existencia cristiana tiene prioridad sobre la distinción entre las diversas categorías de personas en razón de las funciones específicas que están llamadas a ejercer en el seno de este pueblo. Para Newman — dice Congar — «la Iglesia no era primariamente un sistema de doctrina, ni tampoco una institución. Ella estaba constituida fundamentalmente por el don de la gracia que Dios ofrece a los hombres, y éstos, aceptándola, se unen entre sí y forman un solo Cuerpo».89
Tengo la impresión de que don Bosco, a pesar de que nunca haya escrito algo parecido, ha actuado a lo largo de su vida en esta misma longitud de onda, aunque no cabe duda de que en sus escritos acentúa y desarrolla fundamentalmente y casi exclusivamente el carácter individual de la salvación: «Ogni parola del prete deve essere sale di vita eterna e ció in ogni luogo e con qualsivoglia persona. Chiunque avvicina un sacerdote deve riportare sempre qualche veritá che gli rechi vantaggi all'anima».9° Salvación que permanece, también, relacionada con la figura del Papa: «Fortunati que' popoli che sono uniti a Pietro nella persona de' Papi suoi successori. Essí camminano per la strada della salute; mentre tutti quelli che si troyano fuori di questa strada e non appartengono all'unione di Pietro non hanno speranza alcuna di salvezza; perché Gesú Cristo ci assicura che la santitá e la salvezza non possono trovarsi se non nell'unione con Pietro sopra cui poggia l'immobile fondamento della sua Chiesa».91
En su Storia ecdesiastica la santidad aparece como un objetivo de la vida y, sobre todo, como un distintivo de la Iglesia. De hecho, no.resulta difícil advertir el predominio de la vida y la acción de los santos en su historia que acaba de transformarse en un reclamo implícito de la característica eclesial de la santidad. En las otras Iglesias, dirá, no existen santos,92 llegando a afirmar que inmoralidad y herejía van unidas." «Dai Valdesi giunto Don Bosco nel corso della sua Storia alle luride, empie e sanguinarie figure di Lutero, di Calvino e di Arrigo VIII, loro contrapponeva la celeste visione dei figli della Chiesa Cattolica che vissero ad essi contemporanei: San Gaetano da Thiene [...] e cento altri. La santitá é una sola cosa con la veritá».94 Siguiendo esta argumentación relacionará enseñanza y prácticas religiosas con moralidad 95
89 Citado por ANTÓN, El misterio de la Iglesia, p. 275.
90 11113 VI, 381.
91 Bosco, Vita di San Pietro, p. 164-165.
92 «Egli é proprio della sola Religione Cattolica ayer dei Santi e degli uomini segnalati in (MB XIV, 229).
93 E II, 23.
" MB W, 307. En otras ocasiones relacionará protestantes con inmoralidad: ... «sí sono purtroppo stabiliti i Protestanti che in mille modi fiaudulenti minacciano il costume e la credenza degli adulti e dell'incauta gioventá» (E III, 30).
95 «Le povere ragazze [...] non avendo né luogo né comoditá di frequentare la scuola, nemmeno di intervenire alle funzioni religiose, versano in grave pericolo per la moralitá» (E III, 30).
«O Religione Cattolica, religione santa, religione divina! Quanto sono grandi í beni che tu procuri a chi ti pratica, a chi in te spera e in te confida! Quanto sono fortunati quelli che si troyano nel tuo seno e ne praticano i precetti».96 Don Bosco estaba tan seguro de esto que dedicó su vida y fundó una congregación con el fin de que los jóvenes y, en general, todas las personas fueran capaces de conseguir estos bienes. Este convencimiento espoleó su interés y su preocupación constante por las misiones. «Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioní, catechismi, si faccía 1-llevare la bellezza, la grandezza, la santitá di questa religione che propone dei mezzí cosi facili, cosi 'mili alla civile societá, alla tranquillitá del cuore, alla salvezza dell'uomo, come appunto sono i santi sacramenti».97
Tan convencido estaba de esta realidad que se atrevió a escribir a Pío IX: «Vostra Santitá secondi l'alto pensiero che Iddio Le ispira nel cuore proclamando ovunque possa la venerazione al SS. Sacramento e la divozione, alla Beata Vergine, che sono le due ancore dí salute per la mísera umanitá».98
Toda su vida estará centrada en este deseo: que todos vivan la religión, permanezcan en la Iglesia, es decir, en la verdad, se santifiquen con los sacramentos, sean devotos de María. Para que esto sea posible resultan imprescindibles los sacerdotes, y a la tarea de conseguir y formar sacerdotes dedicará permanentemente su esfuerzo: «Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa guando noi procuriamo una buona vocazione: che questa vocazione o che questo prete vada in Diocesi, nelle Missioni, o in una casa religiosa non importa. E sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesú Cristo».99 Toda su vida consistió en una manifestación palpable de su concepción del sacerdocio, de la grandeza del sacerdocio, de la total dedicación que debe caracterizar al sacerdote."
96 STELLA, Don Bosco II, p. 139. Este autor afirma que «la sua riflessione sulla santitá della Chiesa e dei fedeli s'inserisce consapevolmente in una mentalitá accentuatamente cristologica e soteriologica» (Ibid., p. 140).
" P. BRAMO, Il progetto operativo di don Bosco e ¡'utopia della societá cristiana, Roma, LAS 1982, p. 16-17. Resulta llamativo y digno de notarse su devoción y su insistencia en la indulgencia plenaria in articulo mortis.
98 EI, 259. "Racconta quanto vuoi dei vari sistemi di educazione; ma non trovo una base sicura se non nella frequenza della confessione e della comunione; e penso che non è esagerato dire che senza questi due elementi, la morale è da escludere "(BOSCO, opere chiave, p. 306). Dobbiamo ricordare l'influenza di S. Alfonso de 'Liguori in G. Bosco, G. Cafasso, L. Guanella attraverso "ecdesiastico Convitto" di Torino. S. Alfonso era il santo di missioni poprolares, eucaristica e la devozione mariana, la devozione al Romano Pontefice (cfr G. Angelini realta escatologia religiosa e storia tra nel: Coscienza civile ed Esperienza moderna nell'Europa religiosa, Brescia, Morcelliana 1983, pagina 379).
99 MB XVII, 262.
100 dicono Don Bosco a B. Ricasoli: "Eccellenza, Sappia Don Bosco Che é all'altare Prete, Prete in confessionale, é Prete in mezzo al Giovani e venire a Torino Prete E, E COSI Prete Firenze, casa Nella Prete povero, prete nel palazzo del re e dei ministri »(MB VIII, 534).
Si potrebbe dire, in qualche modo, la cosa più importante per Don Bosco sono sacerdoti perché sono dedicati direttamente all'evangelizzazione, la santificazione del popolo. I vescovi, in generale, non sono stati i leader di evangelizzazione perché, di fatto, il loro compito era più amministrativo, maggiore sicurezza giuridica. In questo senso, con tutta la vaghezza del significato, forse si potrebbe dire che per i sacerdoti Don Bosco sono stati, infatti, più importante della gerarchia e struttura nel compito di santificare, evangelizzare e edificare il popolo di Dio.
Nel complesso l'attività di Don Bosco, nel suo apostolato multipla nella sua totale dedizione alla santificazione delle anime possiamo trovare una più complessa senso di Chiesa, più libera e più dinamica che appare nelle sue formulazioni teoriche. E 'in questo campo di esperienza e di azione che hanno superato strutture ecclesiali esistenti avviando nuovi modi. "
Don Bosco sapeva e voleva a impegnarsi a tutti i edesiales problemi del suo tempo nella sua attività un catechista e confessore. Nella loro azione educativa quotidiana giovanile e popolare, nei loro progetti, i comportamenti e gli atteggiamenti, nei loro scritti teologici, storici e didattici, ha espresso il suo sacerdote personalità visibilmente impegnata ai problemi della Chiesa locale e tiníversal".
Il motivo per il dono totale della sua vita si trova nella sua esperienza di Chiesa: "Tutti i Suoi pensieri, Tutte le Sue operare miravano essenzialmente alla esaltazione della Chiesa e godeva dele citare in giudizio Gioie e delle querelare Glorie, e soffriva dei Suoi Sentimenti e delle persecuzioni che l'angustiavano. E 'percio se adoperava con ardore ad accrescere contentezze e le sue denunciarlo conquistare, per lenire i dolori Suoi ripagherà bis Le citare in giudizio Perdite, cavolo ricondurre numero Suo grande ventre di pecorelle smarrite, cosi la SUA famiglia accrescendo di Nuovi Figli. [...] perciò non lasciavasi sfuggire un'occasione Consiglio di osare un buon di Ascoltare una confessione sacramentale, ho dato predicare, di ammonire, di sua volta un annuncio parte preghiera si Tutte QUESTE riguardando Quali Azioni di suprema Importanza operare ", afferma nei ricordi biografici.
101 Cf. E. ALBEIUCH, resperienza UE entro salesiano nell'educazione della Chiesa, in: R. Giannatelli (ed.), L'educazione Progettare Oggi con Don Bosco, Roma, 1981, p. 258-278.
102 P. BRAIDO, Pedagogia ecclesiale di Don Bosco, in: Ch. Cim - A. MARTINELLI (a cura di), Con i giovani raccogliamo la profezia del Concilio. Atti della XIII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, Roma, Dicastero per la Famiglia Salesiana 1987, p. 24.
Ha scritto a don Fagnano: "Ricordati che i tuoi sforzi sono sempre indirizzati ai bisogni crescenti di tua madre. Sed Mater tua est Ecclesia Dei, dice S. Girolamo »(E IV, 334).
In questo non era tradizionale e riparatrice. Era consapevole che non tutti di quanto sopra era stata buona e ha rifiutato di tornare alla stato di cose d'altri tempi che difendono la libertà della Chiesa, nonostante sia stato conquistato da tante difficoltà, era stato un successo extrordinario.
Don Bosco certamente non ha vissuto un'epoca più tranquilla o più luminoso nella storia della Chiesa, ma il suo ottimismo e la fiducia nel futuro manifestato tempo per gran parte ferma. Né protestanti o in muratura, o l'attività costante prevalere Diavolo "In OGNI tempo Chiesa fu sempre al ferro- o cogli scritti combattuta, ed ha sempre TRIONFO. Ha veduto i Regni, Le Repubbliche, e Gli imperi sapere d'Intorno crollare e affatto rovinar; essa sola é rimasta ferina ed immobile. Esegue il XIX Secolo yl dacché fu fon-data, e se tutto Mostra giorno Nella piú florida eta. Dopo di Noi Altri verranno, e vedranno sempre fiorente, e Retta Dalla supererá Tutte gloriosa mano divina lui Vicende umane, vincerà i Suoi Nemici, e se avanzerá con piede fermo Traverso dei SECOLI e dei rivolgimenti ma il finir dei Tempi, nn turbina, nn uragano, coprono il nostro orizzonte; ma saranno di breve durata. Dopo confronterò una sola che parí non risplendette da San Pietro a Pio IX ».107 nn turbina, nn uragano, coprono il nostro orizzonte; ma saranno di breve durata. Dopo confronterò una sola che parí non risplendette da San Pietro a Pio IX ».107
Per molti teologi di quel tempo, e forse dei nostri, credere nella Chiesa significava accettare la sua autorità più del suo mistero. Insiste anche Don Bosco, come abbiamo visto quasi esclusivamente nell'autorità e nell'istituzione ecclesiastica. Desramaut stati che insistevano di più sulla loro terreni aspetto, sociale e organico nella sua essenza mistica: "Se costaterá Che, DOPO tutto, nell'universo spirituale di Don Bosco, Gli Esseri concreti occupano un posto Notevole, MENTRE invece di Dio lo Profondità , l'Ami 'na della Chiesa e per-multa Spirito Santo ha visto quello che compaiono ben poco" .108 parlare Tuttavia permanente di quello che in realtà sono i misteri della grazia, e dedicò la sua vita a ravvivare questo vita di grazia nell'anima dei fedeli, cioè la presenza dello Spirito Santo nei credenti.
Tenemos que concluir afirmando que su praxis educativa lleva de mil maneras distintas a inculcar el sentido de Iglesia a través de una fuerte experiencia de Iglesia, frente a una praxis común que identificaba más o menos conscientemente Iglesia con estructura. Experiencia de Iglesia que es vida, sacramentos, santidad y relación con la Trinidad.109 Pedagogía eclesial que se condensa en escuelas, oratorios, iglesias, hospicios, institutos profesionales, asociaciones, obras para las vocaciones adultas, prensa, editoriales, librerías, colegios. Don Braido piensa que «l'iniziazione al sensus eclesiae, con radicale accentuazione papale, diventa spontanea forma quotidiana del suo essere educatore»,"° y recuerda una recomandación que puede convenirse en emblemática: «Continuate ad amare la religione nei suoi ministri, continuate a praticare questa santa cattolica religione, che possa renderci felici su questa terra, sola che valga a renderci eternamente beati in cielo». Se trataba de una concepción universal, capaz de superar capillismos y sectarismos: «Fra cattolici non vi sono né opere nostre né opera di ahí. Siamo tutti figli di Dio e della Chiesa, figji del Papa»,111 incluso en situaciones en las que un sentimiento espontáneo podía haberle movido en otra dirección. Por ejemplo, cuando desechó y destruyó los libelos escritos contra mons. Gastaldi.
" «Non vi pare — decía a los jesuitas de Piacenza — un yero trionfo della Chiesa l'essersi potuta svincolare dei trattati con i Governi, che pretendevano di eleggere non solo i vescovi per le varie diocesi, ma anche i parroci per le singole parrocchie? Adesso é piú libera di prima. Si son rotti i concordad che ne inceppavano la liberta specialmente nelle elezioni dei vescovi» (MB X, 464).
" SE, 388.
" MB IX, 920. 107 E II, 118-119.
'" DESRAMAUT, Don Bosco e la vita spirituale, p. 95.
Parece claro che lo más importante en su vida y en sus obras fue la pureza de la religión — de ahí su constante oposición a los protestantes — y la santidad del pueblo. Estos dos objetivos, que pueden identificarse en el sentido explicado en estas páginas, con la religión y la Iglesia, constituyeron la razón de ser de su vida. Él no fue un teólogo en el sentido técnico de la palabra y menos un eclesiólogo, aunque manifestó y representó una corriente dominante en aquel momento. De hecho, tal como afirma P. Braido, su visión teológica de la Iglesia había sido modelada en los catecismos diocesanos y en la modesta literatura teológica e histórica entonces dominante en el sector ultramontano. Vivió y sintió la comunidad eclesial, comprendió en qué consistía el nervio vital de la vida de la Iglesia y actuó en consecuencia. Tal vez hubieramos preferido que su eclesiología correspondiera más con su praxis, que, a veces, no parecen concordar del todo, ya que la primera es legal, jurídica, institucional, mientras que la segunda es existencial y vivencial. En realidad, don Bosco está convencido de que sólo en la Iglesia católica pueden encontrarse y producirse los sacramentos y la santidad.
Don Bosco en este tema eclesiológico representa nítidamente un ejemplo paradigmático de lo que pensaba y escribía la mayoría del clero italiano de aquel tiempo, y en este sentido no resulta original ni siquiera en su universalidad y exageración ultramontana, pero, al mismo tiempo, manifestó con su vida y su actuación la urgente necesidad de adaptación y evolución, si se quería que el mensaje evangélico llegase a más gente, sobre todo, a los más alejados y marginados.
109 Define en la edición de 1870 de su Stork ecclesiastica: «La Chiesa é manifestamente la figlia di Dio Padre, la sposa di Gesú Cristo e il tempio vivo dello Spirito Santo», y más adelante afirma: «La Chiesa non ha nulla a temere, e se anche tutti congiurassero per gettarla a terra, vi é sempre lo Spirito Santo per sostenerla».
110 BRAIDO, Pedagogia ecclesiale di don Bosco, p. 24.
BS 6 (1882) 81.
Giuseppe TUNINEM
El título de esta comunicación no pretende en absoluto poner énfasis, de forma periodística, a un hecho especial: refleja las relaciones reales que se dieron entre don Bosco y el arzobispo de Turín, Lorenzo Gastaldi, en los años 1871-1883.1
Es verdad que la historia de la Iglesia está surcada por frecuentes conflictos entre los llamados carismas y la autoridad eclesiástica, tanto la del Papa, como la de los obispos. Pero no sólo eso.
Sín embargo, sería banal recurrir a esa constante histórica o a ilustres precedentes históricos para intentar explicar de modo satisfactorio, o, peor aún, desmontar el conflicto que se dio entre don Bosco y el arzobispo Gastaldi.
Pertenece, sin duda, al género de los conflictos entre autoridad episcopal y carisma religioso, pero tiene una especificidad incontrovertible, que constituye una de las claves de lectura de la rica y compleja personalidad, así como de la actividad, de los dos protagonistas.
Frente a la gravedad y a la continuidad del conflicto se siente un inevitable estupor que se hace mayor si se piensa que, al menos durante veinticinco años — es decir, hasta la primavera de 1872 — los dos protagonistas habían estado en relaciones de óptima amistad, de estima y colaboración.
Si recurrimos a la geometría, las vidas de los dos personajes se pueden imaginar como dos rectas que, partiendo del mismo año de nacimiento — 1815 — se mantuvieron paralelas durante treinta años. Desde 1844 a 1872 se aproximaron en estrecha colaboración, para contraponerse de repente y literalmente en los años 1872-1883. Era diversa su extracción social: campesino pobre Giovanni Bosco, burgués acomodado Lorenzo Gastaldi. No menos diferente su formación cultural y eclesiástica: después de estudios primarios no regulares, don Bosco había asistido a los cursos de filosofía y de teología en el seminario diocesano de Chieri; mons. Gastaldi, en cambio, había recibido una instrucción regular y de buen nivel, dados los tiempos, primero, en el Collegio dei Nobili (o del Carmen) dirigido por los jesuitas, después en la Universidad de Turín, donde, como clérigo externo, había estudiado filosofía y se había doctorado en teología.
Todo lo expuesto en esta comunicación ha sido presentado ampliamente en mi monografía sobre Gastaldi, a la que remito también para las fuentes, bibliografía y citas documentales: G. Tu. ~ni, Lorenzo Gastaldi 1815-1883, vol. I: Teologo, pubblicista, rosminiano, vescovo di Saluzzo: 1815-1871, Roma - Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1983 (especialmente las p. 132-135); vol. II: Arcivescovo di Torino: 1871-1883, Roma - Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1988 (especialmente las p. 259-290: «Il conflitto con don Bosco»).
Ordenado sacerdote en 1841, don Bosco había completado su formación pastoral en el Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi, la escuela de don Luigi Guala y de don Giuseppe Cafasso, echando a andar al mismo tiempo la actividad entre la juventud abandonada; don Gastaldi, sacerdote en 1837, había sido agregado en 1838 al Collegio dei Teologi de la. Universidad, dedicándose, por tanto, a la actividad académica, al estudio y a la publicación de obras de teología moral, introduciéndose en el debate cultural, especialmente en la cuestión rosminiana.
El hecho de que don Bosco perteneciese al clero del Convitto di S. Francesco y don Gastaldi al de formación universitaria significaba que pertenecían a dos escuelas sacerdotales diversas y en muchos aspectos alternativas: alfonsiana y ultramontana la primera, con tendencias rigoristas y moderadamente filogalicanas la segunda, con todas las implicaciones eclesiológicas correspondientes, espirituales y pastorales.
Esta diversa formación tendrá su peso en el conflicto en cuestión; pero en un primer momento no condicionó el encuentro, la comprensión y la colaboración en la actividad que se llevaba en el Oratorio de Valdocco, ya a partir de 1844 o poco después.
El canónigo Gastaldi prestaba su ayuda a don Bosco en la catequesis y la predicación, mientras que su madre, una hermana y después una sobrina ayudaban a mamá Margarita.
Admirador del cura de Valdocco, el canónigo Gastaldi, el 7 de abril de 1849, escribió en las columnas del «Conciliatore Torinese», del que era director, un verdadero panegírico de Valdocco y de su director, exaltado como el «nuovo Filippo Neri».
Y cuando en 1853 partió para Inglaterra como misionero rosminiano, en su testamento secreto legó a don Bosco y a su Oratorio una notable suma de dinero. Desde Inglaterra mantuvo relación epistolar e inició la colaboración en la colección de las «Letture Cattoliche».
Hecho obispo de Saluzzo, también gracias a don Bosco, escribió las más entusiastas y elogiosas cartas comendaticías para obtener de Roma la aprobación de la Sociedad de San Francisco de Sales. Por último, su traslado a Turín en 1871, además del aprecio de Pío IX por el apoyo abierto que dio a la causa de la infalibilidad en el Vaticano I, se debe atribuir también a los consejos de don Bosco al mismo Papa.
Evidentemente, don Bosco, después de las graves dificultades que había tenido con monseñor Riccardi di Netro para la aprobación de su congregación, había cogido al vuelo la posibilidad de tener en la sede de san Máximo a un obispo amigo. Y con Lorenzo Gastaldi parecía darse la perspectiva más halagüeña.
Los cálculos resultaron errados. Además, no sólo faltó la ayuda soñada, sino que llegó enseguida la oposición.
¿Cuáles fueron las causas?
Mientras tanto, había cambiado el papel de Gastaldi: no era ya el obispo amigo, sino el superior eclesiástico directo, comprometido, por tanto, en primera persona en los problemas de la congregación salesiana, que tenía su cuna y su máxima presencia en Turín.
Sin añadir que precisamente el papel de obispo podía hacer aparecer los contrastes de sus diversas mentalidades, maduradas en procesos formativos notablemente diferentes. Además, el obispo tenía que tener en cuenta la actitud del clero diocesano en relación con la congregación salesiana, recientemente reconocida por Roma.
En efecto, el conflicto de don Bosco con el arzobispo de Turín no nació con Gastaldi, sino que se había dado ya con su predecesor, Alessandro Riccardi di Netro, trasladado de Savona a Turín en 1867. Es decir, Gastaldi se encontró con la herencia de una situación de contraste ya existente.
El conflicto verdadero y propio con la curia turinesa había surgido con la llegada de Riccardi di Netro. Y la razón es bastante simple. La diócesis turinesa, desde 1850 a 1867, había estado de hecho vacante: desde 1850 a 1862, a causa del forzado destierro de monseñor Fransoni en Lyon, la diócesis había estado gobernada por carta a través del vicario general; de 1862 a 1867 había tenido la guía del vicario capitular Giuseppe Zappata. Y todo esto en un período borrascoso para las relaciones entre Estado e Iglesia, sobre todo en Turín.
El nuevo arzobispo tuvo que enfrentarse con una situación no fácil, también en la disciplina eclesiástica, aun siendo el clero turinés un buen clero en su conjunto.
En aquel largo período también don Bosco se había acostumbrado a una cierta libertad de iniciativa, favorecida por otros dos factores: la indiscutida confianza del arzobispo Fransoni y el papel de suplencia vivido en el Oratorio de Valdocco después de la clausura del seminario teológico de Turín en 1848 por las conocidas manifestaciones de los seminaristas.
Con la llegada de Riccardi di Netro en 1867, se cerró un largo período de excepción. Tratando de poner orden en las cosas de la diócesis, el arzobispo se encontró frente al oratorio de Valdocco por la presencia de los seminaristas de la diócesis en él.
El 11 de septiembre de 1867, el arzobispo ordenó a los seminaristas diocesanos que estaban en Valdocco que volviesen al seminario para seguir con regularidad los cursos, si querían recibir las órdenes sagradas.
La orden suscitaba no pocas dificultades para don Bosco, porque se veía privado de un personal precioso para su Oratorio. Más grave aún era el juicio negativo expresado por el arzobispo sobre las constituciones de las que don Bosco pedía la aprobación a Roma. Además de las reservas que expresaba sobre ello, monseñor no era partidario de la transformación de la Sociedad de San Francisco de Sales en congregación religiosa. Si no estrictamente diocesana, la deseaba al menos muy incrustada en la pastoral de la diócesis para los fines para los que había nacido.
La Santa Sede el 1 de marzo de 1869 no concedió la aprobación de las constituciones, sino sólo el reconocimiento como congregación de votos sim. ples a la Sociedad de San Francisco de Sales. Sin embargo, don Bosco obtuvo del Papa el privilegio por diez años de conceder las cartas dimisorias a los seminaristas que habían entrado en sus colegios u oratorios antes de los catorce años; y más adelante obtuvo dársela también a los que habían entrado después de esa edad.
Resulta evidente que a partir de este momento, viendo don Bosco que no obtenía de los arzobispos lo que creía útil para sus fines, el recurso a los privilegios se convirtió en una constante en su comportamiento.
Por tanto, cuando Gastaldi llegó a Turín en 1871, el contencioso entre el arzobispo y don Bosco estaba ya sobre el tapete: la formación de los seminaristas salesianos y sus ordenaciones sagradas, los privilegios obtenidos de Roma (especialmente las dimisorias), la aprobación de las constituciones, en proceso de examen en Roma. Estaba en juego, no sólo la jurisdicción episcopal, sino la misma futura fisonomía de la congregación salesiana.
En' este contexto de relaciones ya más bien tensas se metió con toda la fuerza de su personalidad y su aguda conciencia de obispo, formada en la facultad teológica turinesa y madurada en la escuela de Rosmini, el arzobispo Lorenzo Gastaldi.
El comienzo claro del conflicto se dio con la carta del 24 de octubre de 1872, en la que el arzobispo, de acuerdo con el derecho canónico, establecía que los seminaristas salesianos se le presentasen cuarenta días al menos antes de la ordenación, con una declaración de don Bosco sobre el currículum de vida, de formación y de estudio; además, cada vez, los clérigos tenían que sufrir, en la curia, el examen sobre dos tratados de teología. Por el momento, el arzobispo se abstenía de exigir — como era su derecho-deber — que se asistiese a las clases del seminario.
Frente a las comprensibles resistencias de don Bosco, el arzobispo no sólo no atenuó las exigencias, sino que añadió que, sin un noviciado serio, no se teildtía una buenas ormación para la vida religiosa y el arzobispo no apoyaría la aprobación de las constituciones. Por último, precisaba que creía oportunas cierras exenciones, pero no más allá de ciertos límites, como era el examen sobre la idoneidad de los ordenandos.
Era el contencioso ya conocido, pero agravado por la aprobación de la esiana, ya obtenida, y los privilegidos conseguidos por don congregación sal Bosco, que el arzobispo trataba de vaciar apelando al derecho comúnxenta. y al hecho de que la congregación era de votos simples y, por tanto, no e Esta incertidumbre jurídica, llena de incomprensiones, se superará sólo en 1884, después de la muerte de Gastaldi, con la concesión de la exención.
La incomprensión nacía también del diverso modo de concebir la congregación religiosa y, por tanto, el noviciado. El arzobispo pensaba en ella al modo tradicional, considerando el noviciado de los jesu coitas el modelo en el que había que inspirarse. Don Bosco, que, entre otras osas, no tenía formación jurídica, por lo que parece no quería fundar una congregación religiosa tradicional, sino algo más elástico y más adaptado a lostitut amo lo hacía necebientes juvenilsaes.- Esto le ponía ante el siguiente dilema: la novedad del inseriamente más dependiente de los obispos (cosa que, dada la situación, no quería); la autonomía respecto de los obispos era sólo posible si obtenía privilegios de Roma; pero el camino de los privilegios era el de la congregación religiosa tradicional.
Para salir del impasse, don Bosco se adentró con mayor decisión porestimaba el camino de los privilegios; y los obtenía con facilidad de Pío IX, que lo mucho y lo prefería al arzobispo de Turín.
Por su parte, el arzobispo, sintiéndose desbancado por don Bosco y escribía dose cuenta de que Pío IX tenía predilección por don Bosco — y lo esc abiertamente en las cartas a las congregaciones romanas — más de una vez amenazó con negar las dimisorias como obligando, con la amenaza de un gesto llamativo, al Papa, para que tuviese con el arzobispo de Turín la debida consideración. Y como sentía cierta obsesión por el tema de los privileg osi, en su conducta con don Bosco y su congregación, recurría siempre, gracias a su preparación jurídica, al derecho canónico encontrando con frecueendían a seguir si ng simpatía, sí sintonía jurídica en las congregaciones romanas, que tendían el derecho común. A este propósito fue significativo el iter de aprobación de las constituciones, cerrado con el decreto del 3 de abril de 1874.
El arzobispo había enviado su carta comendaticia el 10 de febrero de 1873, pero planteando seis condiciones precisas sobre los puntos ya señalados y pidiendo también que el subdiaconado se confiriese después de los votos perpetuos.
Don Bosco, por su parte, pedía al Papa el 1 de marzo «la aprobación definitiva de las constituciones y plena facultad para conceder las dimisorias».
Ambas partes presionaban a la Santa Sede para que se aceptasen los propios puntos de vista.
Entre otras cosas, el arzobispo, en carta al prefecto de la Congregación del Concilio, se declaraba convencido de que la congregación salesiana no sobreviviría a la muerte de su fundador si no se tenían en cuenta las precauciones que él proponía. Efectivamente, el consultor de la Congregación de Obispos y Regulares acogió sustancialmente las observaciones de Gastaldi sobre el noviciado, los estudios de los clérigos y la colación del subdiaconado después de los votos perpetuos.
Mientras tanto — mostrando cuál era su preocupación fundamental — Gastaldi, el 26 de julio, proponía todavía a la Congregación de Obispos y Regulares la cuestión sobre la exención o no de la congregación salesiana. La respuesta del 18 de agosto revelaba de modo claro que en Roma había dos líneas a propósito de la aprobación de las constituciones: la de la Congregación de Obispos y Regulares y la de Pío IX. Efectivamente, en la respuesta se afirmaba que, por ser la congregación salesiana una congregación de votos simples, no se la podía considerar exenta de la jurisdicción episcopal, «salvo las Constituciones cuando han sido aprobadas por la Santa Sede y los privilegios particulares obtenidos por la misma». A este propósito puntualizaba que si las constituciones estaban todavía sometidas a examen, no se podía ignorar «que más de un privilegio particular ha obtenido el Sacerdote Bosco de Su Santidad sobre las dimisorias que hay que conceder a un cierto número de alumnos; y últimamente en la Audiencia del 8 del actual ha obtenido otro parecido por seis arios».
Y la política de la doble vía se verificó en la aprobación de las constituciones. Aprobadas por la Congregación de Obispos y Regulares con decreto de 3 de abril de 1874, acogieron en la sustancia las observaciones de Gastaldi sobre los puntos cruciales que tanto le preocupaban. Pero se concedía por vía de privilegio lo que se excluía en la normativa de las constituciones: con un rescrito del mismo día se concedía a don Bosco por diez años la facultad de conceder las dimisorias a los salesianos que debían ordenarse. Además, el 8 de abril, don Bosco obtenía de Pío IX, vivae vocis oraculo, la exención del tipo de noviciado sancionado por las constituciones.
A Gastaldi le resultó claro que Roma, de hecho, con el peso de Pío IX, estaba con don Bosco. Pero la ambigüedad objetiva de la solución — constituciones por un lado y privilegios por otro — se la hacía aún más humillante. Todo se habría arreglado, con no demasiada dificultad, si el arzobispo la hubiese aceptado sin pestañear. Pero este tipo de resignación no le iba bien a su carácter, sobre todo porque estaba convencido de sus legítimas razones. ¿Tozudez? ¿Lúcida conciencia de los derechos-deberes de un obispo?
El hecho está en que todo lo que sucedió después — cuando todo se hizo más difícil en las relaciones entre el arzobispo y don Bosco — ha de achacarse también a la ambigüedad romana, oscilante entre las disposiciones legislativas y los privilegios personales.
El período más crítico de las relaciones entre el arzobispo y don Bosco fue el de los años 1878-1879, cuando se publicaron cinco libelos anónimos contra el arzobispo, en los que ocupaba un espacio notable el conflicto del que tratamos. Fueron años verdaderamente de fuego para el arzobispo, porque la publicación de los libelos coincidió con el momento más delicado de la polémica andrrosminiana, en la que el arzobispo, cada vez más solo frente a Roma, era el blanco de las contumelias de los intransigentes.
El primer opúsculo salió al final de 1877 y tenía como título: Lettera sull'arcivescovo di Torino e sulla Congregazione di S. Francesco di Sales. Un po' di luce, en el que se vertían pesadas acusaciones al arzobispo por el trato que daba a don Bosco.
El hecho de que el autor se declarase «Cooperatore salesiano», orientó las sospechas en una dirección: el arzobispo estaba convencido de la paternidad salesiana. En efecto, en la relatio ad limina del 18 de marzo de 1878 acusaba a los salesianos de haber publicado el opúsculo y de haberlo difundido por todas partes. El autor, como se supo más tarde, era el canónigo Giovanni Battista Anfossi, que había sido salesiano y fue después sacerdote diocesano y que tenía estrechas relaciones con los salesianos. No se había apagado todavía el eco del primer libelo, cuando, en mayo de 1878, apareció el segundo, igualmente anónimo (el autor era, según confesó él mismo, don Giovanni Turchi, exalumno salesiano, amigo de don Anfossi y también él en relación próxima con los salesianos). Tenía como título: Strenna pel clero ossia rivista sul calendario liturgico dell'archidiocesi di Torino per l'anno 1878 scritto da un Cappellano. El libelo era un pretendido proceso sumarlo contra el arzobispo, al que se acusaba de ser: perseguidor del clero, en especial de don Bosco; liberal; culpable de haber hecho morir de disgustos a Pío IX; paranoide e indigno del oficio episcopal.
El escrito era de hecho también una incitación a la rebelión dirigida al clero turinés. Y en una parte del clero — tal vez notable — no faltaba el descontento: el arzobispo era severo y exigente, a veces autoritario y fácil en procedimientos represivos.
De la misma sociedad anónima, formada por Turchi y Anfossi, con la colaboración de los jesuitas Ballerini (desde 1841 adversario de Gastaldi en la cuestión rosminiana) y Rostagno, se publicaron los otros tres libelos anónimos: Piccolo saggio sulle dottrine di monsignor Gastaldi arcivescovo di Torino; La questione rosminiana e l'arcivescovo di Torino. Strenna pel Clero compilata dal Cappellano (no se olvide que se estaba en plena bagarre antirrosminíana, en la que estaba implicado en primera persona el arzobispo); y, por último: L'arcivescovo di Torino, don Bosco e don Oddenino, ossia fatti buffi, seri e dolorosi raccontati da un chierico, nacido en el contexto de una violenta polémica local
en torno al oratorio salesiano de Santa Teresa de Chieri.
La penosa avalancha de libelos anónimos, que tuvo amplio eco entre el clero y la prensa laica y anticlerical, no sólo dañó la imagen y el prestigio pastoral del arzobispo, sino que tampoco prestó un buen servicio a don Bosco. Los libelos comprometieron definitivamente, aun en el plano personal, sus relaciones con el arzobispo, que quedó convencido de que estaba implicado en la difamación orquestada contra él.
En aquel momento, al faltar la confianza recíproca, las .cosas no podían sino empeorar; el arzobispo cada vez más convencido de tenérselas que ver con un cura desobediente, todo menos santo; y don Bosco convencido de que tenía un arzobispo perseguidor.
De varias partes se intentaba que se llégase a la conciliación. Esta llegó, en efecto, por obra de León XIII con el acto de la concordia el 16 de junio de 1882. Un compromiso que se deseaba y oportuno, pero que fue más formal que real, tanto se había enredado la madeja de las ideas y de los sentimientos.
La muerte imprevista del arzobispo, la mañana de Pascua de 1883, el 25 de marzo, fue lo que puso fin al conflicto, con el desgarro e interrogantes todavía abiertos.
¿Qué valoración se puede expresar sobre el conflicto?
Sin pretender una imposible sentencia salomónica, que estaría fuera de lugar, creo oportuno sugerir, sin pretensiones de decirlo de modo completo, algunos motivos.
En primer lugar, los motivos temperamentales: ambos, caracteres fuertes y seguros de sus propias razones, no exentos de una cierta tozudez, más impulsiva (pero a veces también autoritaria) la del arzobispo, más tenaz (como en un buen campesino) la de don Bosco. De hecho, ni uno ni otro hicieron nunca una concesión sustancial con vistas a un bien pastoral superior, más allá de lo que hubiera de propia razón, verdadera o presunta.
En segundo lugar, los motivos de la mentalidad. La formación ultramontana recibida en el Convitto di S. Francesco por don Bosco (capaz también, sin embargo, de comportamientos pragmáticos y elásticos en determinadas circunstancias de dirección opuesta) le llevaba a una visión edesiológica verticalista, en que la verdadera autoridad era la del Papa, de quien los obispos eran sobre todo los portavoces. Esto explica su tendencia a pasar por encima de la autoridad diocesana de un modo sistemático. La formación moderadamente episcopalista de Gastaldi, enriquecida por las lecciones patrísticas de Rosmin. i, que ponía de relieve la centralidad del obispo en la diócesis, no había sido absorbida por su adhesión a la infalibilidad pontificia, sostenida personalmente en el Concilio Vaticano. Su actuación demuestra que él conservó siempre la convicción de una legítima autonomía de la autoridad episcopal frente a la del Papa.
En tercer lugar, los motivos inherentes a los colaboradores y al entourage, que inevitablemente influyen sobre quien tiene responsabilidadades de gobierno. Tuvieron óptimos colaboradores, pero no faltaron tampoco personas poco iluminadas, pastoralmente miopes y moralmente poco límpidas (algunas fácilmente identificables, otras menos, pero indudablemente presentes), que complicaron, queriendo o no, las ya difíciles relaciones.
Por último, ¿cómo no atribuir un peso no indiferente a la ya recordada ambigüedad romana al producir en la diócesis de Turín incertidumbres de conducta de consecuencias dolorosas?
De todo este asunto, no precisamente luminoso, vale la pena subrayar, como final, su importancia histórica, que supera a sus protagonistas: al día siguiente del Vaticano I, que había definido el primado y la infalibilidad papal, dejando en la sombra el oficio episcopal, la conducta del arzobispo Gastaldi y la de don Bosco aparecen tambíén como un síntoma de cierta desazón edesíológica frente a una edesiología dominante, la ultramontana, que tendía a ignorar, diríamos que con excesiva desenvoltura, la autoridad episcopal.
Franco MOLINARI
La dialéctica Iglesia-mundo en el curso de los siglos ha tenido vicisitudes alternas y contradictorias.
En la época de los mártires, el Evangelio ejerce una carga revulsiva y revolucionaria. En la llamada edad constantiníana, se llega a la confusión de los poderes y a la identificación de las dos esferas (Ecclesiam et Imperium esse "unum).
Después de la fractura del siglo XVI, emprende su marcha en los siglos XVII y XVIII el proceso de secularización, que se acentúa con ocasión del Iluminismo, de la Revolución francesa, del Risorgimento.
La edad moderna y contemporánea se plantean una línea de tendencia hostil a la Revelación: la Ilustración lanza el ataque contra la divinidad de Cristo y contra la Iglesia, porque se la considera como maestra de intolerancia. El siglo XIX ostenta el movimiento ascendente de la incredulidad hasta el ateísmo, que se convertirá en ateísmo social. En esta última fase, el catolicismo se considera como una ciudad asediada por fuerzas hostiles, como arca de Noé, la única que ofrece salvación. A la contraposición frontal le sucede la competencia de la Iglesia con el mundo a través de las estructuras católicas, hasta que el Concilio Vaticano II lanza el diálogo y el servicio.
Los documentos pontificios (desde las encíclicas romanas hasta las pastorales diocesanas) trazan con ardor y polémica el itinerario de la civilización moderna. Lutero se rebela contra el Papa, la Ilustración rechaza la Revelación sobrenatural, hasta que explota el ateísmo, que inicialmente es un fenómeno burgués y después se trasmite a la clase obrera.
En el campo de la ideas, el Maritain de los tres reformadores une y sitúa. en el mismo plano descendente el libre examen de Lutero, la duda metódica de Descartes y la libre educación de Rousseau; y es significativo que hasta el joven Montini traduzca al italiano en 1928 los Tres reformadores,' con el mérito de
1 J. MARITAJN, Tre riformatori, Brescia, Morcelliana 1938 (2° ed. 1964). Maritain considera a contribuir a la desprovincialización de la cultura italiana y con el acierto de un prefacio abierto al diálogo, pero con el grave inconveniente de contradecir el cliché lanzado, entre otros, por Cornoldi, que afirmaba hacia 1870 que la historia del pensamiento moderno no es más que la patología de la razón ha. mana.2
¿Cuál es la lectura que hace el joven don. Bosco de esa cuestión en la stork ecclesiastica? Téngase presente que publica esta notable obra juvenil a la edad de treinta arios, con el deseo, no de ponerse en la línea de la historio científica a
científica todavía inmadura en el campo católico,3 sino de contribuir a la formación de los jóvenes en la total y entusiasta fidelidad a la Sante Sede. El leitmotiv del volumen, que se modela sobre Loriquet, Soave, Bercastel, está bien precisado en el final apologético sobre los triunfos de la Iglesia descritos en la parte que cierra la Storia ecclesiastica.
Y, sin embargo, algún estudioso sitúa a don Bosco junto al P. Curci, entre los famosos conciliadores aplastados y reducidos al silencio por la supremacía de los combativos intransigentes; y el motivo es que tenía muchos amigos entre los políticos influyentes y actuó con frecuencia como intermediario entre el gobierno y la Santa Sede.4
Esta tesis del inglés Seton Watson tiene un núcleo de verdad, es decir, que don Bosco actuó de mediador5 en el nombramiento de los obispos para las innumerables diócesis vacantes y para el exequatur (ver los estudios ejemplares y documentados de Francesco Mono). Pero haber hecho de puente entre el gobierno de Vittorio Emanuele II y la Santa Sede no significa en absoluto que se
Lutero, Descartes y Rousseau como a tres grandes de la civilización moderna, iniciada en el Renacimiento, llegada al ápice con la Ilustración y con la Revolución francesa. Maritain concede demasiado al género apologético, matizado de maniqueísmo, que separa con corte neto el bien y el mal, y emite una sentencia de condena global del pensamiento moderno, el cual ha tenido, sin embargo, el gran mérito de defender la dignidad de la persona humana, brutalmente pisoteada en el Anden Régime.
2 C.M. CORNOLDI, Lezioni di filosofta ordinate alio studio delle altre scienze, Firenze 1872, p. XXIII. Tal descalificación global de la mentalidad moderna no es algo propio de Cornoldi, sino un lugar común de la cultura católica, y aparece como componente programático de la «Civiltá Cattolica». Cf. C.M. CURCI, II giornalismo moderno e il estro programma, en «Civiltá Cattolica» 1 (1850) 5-24 (aquí habla el Curci intransigente y temporalista).
F. TRANIELLO, Cultura ecclesiastica e cultura cattolka, en: Chiesa e religiositá in Italia dopo l'Unitá (1861-1878), Relazioni II, Milano, Vita e Pensiero 1973, p. 3-28; también Cursi en la segunda fase de su pensamiento denuncia la pobreza y el atraso científico de los estudios edesiá.16- cos: C.M. CURCI, La nuova Italia e i vecchi zelanti, Firenze 1881; G.D. MUCCT, Carlo Maria Cura fondatore della «Civilta Cattolica», Roma, Studium 1988; ID., II primo direttore della «Civiltá
Cattolica». Carlo Maria Curd tra la cultura dell'immobilismo e la cultura della storicitá, Roma, Ed. Civiltá Cattolica 1986.
SE, 387-388. (Esta sigla se refiere, como se indica en las «Siglas y abreviaturas», a la edición de 1845. Las ediciones siguientes se citarán indicando, después de la sigla SE, el año de edición y la página correspondientes). Acerca de los católicos conciliadores y las varias corrientes: F. TRANIELLO, Cattolkesimo conciliatorista, Milano, Marzorati 1970.
5 C. SETON WATSON, Stork d'Italia dal 1870 al 1925, Bari, Laterza 1967, p. 73. 813.
mitad de camino entre Rattazzi y Pío IX y menos aún que trabajase situase a por la reconciliación entre la Iglesia y el mundo moderno; en efecto, por una parte era un fiel ardoroso del pontificado romano6 y un convencido asertor del de era temporal, del Syllabus, de la intransigencia papal; por otra, gozaba de la poder de los liberales por su desinteresada acción filantrópica a favor de la confianza dispersa, socialmente peligrosa y por su vertiginoso dinamismo y el espíritu de sacrificio manifestado en las negociaciones. Y es precisamente su total entrega a la causa papal lo que le consintió superar obstáculos formidables como la hostilidad final del arzobispo Gastaldi y arrancar a las cumbres vaticanas la aprobación de una obra revolucionaria como la creación de los salesianos:7 revolucionaria por la atmósfera que desataba, por el ambiente que pretendía alcanzar, por la nueva figura de sacerdote metido en la masa caótica y ruidosa de jóvenes que jugaban y gritaban en un patio; una figura tan diferente del sacerdote tridentino, concebido como hombre de lo sagrado, separado del pueblo hasta en la misa (y los muros de separación eran la lengua latina, la balaustrada, la casa cural, la nula familiaridad y la separación total de los laicos, tan calurosamente inculcada por San Carlos en las Acta ecclesiae mediolanensis). Precisamente por ese carácter atrevidamente innovador, don Bosco se verá obligado a modificar repetidamente su regla, antes de que quedase aceptable para las exigencias oficiales, preocupadas por contener las nuevas iniciativas en fórmulas aprobadas en los tiempos pasados.8 Veamos ahora si ese equilibrio que hace del sacerdote turinés el hombre de confianza de las dos orillas opuestas, está o no presente en la Storia ecclesiastica.
• F. Morro, L'azione mediatrice di don Bosco nella questione delle sedi vescovili vacanti in Italia dal 1858 alla morse di Pio IX, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 251-328. Motto, que actualmente está preparando la edición crítica del epistolario de don Bosco, opina que se puede llegar a encontrar algún manuscrito inédito.
• M. BELARDINELLI, Don Bosco e íl Concilio Vaticano I, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 239-250; entre otras cosas, se sabe que don Bosco fue uno de los que convencieron a Gastaldi para que votara incondicionalmente la infalibilidad pontificia en el Vaticano I; y que el Santo había conocido al futuro obispo Scalabrini cuando era rector del Seminario de Como.
• R. AUBERT, La Chiesa Cattolica dalla crisi del 1848 alla prima guerra mondiale, en: Nuova Storia della Chiesa, 5/1, Torino, Marietti 1977, p. 156: acerca de la novedad, en cierto sentido revolucionaria, de la imagen del sacerdote salesiano, cf. el cidostilado: P. STELLA, II prete piemontese dell'800 tra la rivoluzione francesa e la rivoluzione industriale, Torino 1972 («Centro di Studi sulla Storia e la Sociologia Religiosa del Piemonte»).
9 Se pueden encontrar noticias más amplias en: F. MOLINARI, La «Storia ecclesiastica» di don Bosco, en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 203-238; muy interesante el volumen: M. MIELE, Tommaso Michele Salzano (1807-1890), separata de «Campania Sacra» 1986.
Se publicó este libro en 1845 y pertenece a la fase juvenil con todos los méritos y todos los defectos de la edad.9 Entre los aspectos positivos de la obra está la claridad inmediata y comunicativa, facilitada por la forma catequística de preguntas y respuestas (con San Agustín, don Bosco pensaba: prefiero que me corrijan los doctos a que no me entiendan los rudos). El libro recogió aplausos y tuvo varias reedicíones, no sólo por el estilo popular y luminoso y por una lcugua bencina y apropiada, libre de arcaísmos y piamontesismos chalectales, sino también por su uso escolar, especialmente entre los hermanos de las Escuelas Cristianas.w Estas reediciones no agradaron al autor, porque esta. ban plagadas de errores tipográficos. Sí se vio reflejado, en cambio, en la de 1871, que se presenta como cuarta edición mejorada. La revisión es sin duda positiva: se liman las virulentas polémicas de la primera edición y se distribuye la materia de modo más orgánico. Discutible y opinable, en cambio, es el abandono de la forma catequística de preguntas y respuestas y la transformación en texto puramente narrativo por obra de don Giovanni Bonetti, que eran un fiel colaborador de don Bosco. Sería interesante conocer los motivos de estas dos metamorfosis. Desde luego es curioso y singular el hecho de que, mientras sube y se exaspera la polémica católica hacia 1870, la nueva edición de don Bosco, aun a través de la intervención de Bonetti, modera los tonos anteriores, por ejemplo, sobre la «Divina vendetta» contra los herejes. Pero no mucho más.
Hay que señalar un hecho. Escribe la esquemática Storia ecclesiastica en los años 1844-45, bajo el poritificado de Gregorio XVI, un hombre tan abierto en el aspecto misionero como cerrado y conservador ante la civilización moderna (dijo «no» al ferrocarril y a la iluminación en el Estado Pontificio, por el temor de que sirviesen para la circulación y las reuniones nocturnas de los liberales). Por eso se comprende por qué el bajo continuo es el De Triumphis Ecclesiae publicado por Cappellari en 1799 y cuyo eco parece oírse en estos párrafos: «En todo tiempo fue combatida con el hierro y con la espada, y triunfó. Ella ha visto derrumbarse y arruinarse completamente en torno a sí los reinos, las repúblicas y los imperios; ella sola permanece firme e inmóvil. Corre el siglo decimonono desde que fue fundada, y se muestra hoy día en la más florida edad»."
Entre todos los grandes de la historia, Napoleón fue el personaje simbólico cuya historia, llena de alternativas, enseña la fuerza inquebrantable de la Iglesia perseguida, la inutilidad de descender a compromisos con el mundo (véase la ingratitud de Napoleón hacia el papa, que le había coronado emperador en París), la pena del tropiezo que Dios aplica contra los réprobos.
I° La obra está dedicada al H. Hervé de la Croix, provincial de los Hermanos de las Escuelas Cristianas, amigo de don Bosco.
" SE, 387-388; es menos polémica la fórmula usada en 1871, en la que se enuncia: «Finalmente comunque vedismo la Chiesa perseguitata, nulladimeno dobbiano rimanere fermi nella fede; tenendo per ceno che la guerra finirá col trionfo della Chiesa e del suo supremo Pastore» (SE 1871, 371). Como se ve, fue tachado el párrafo sobre la caída de los reinos, repúblicas e imperios, quizás porque el año anterior había desaparecido el Estado Pontificio.
Cuando murió PIO VI, los revolucionarios de Francia declararon: «Ha muerto el último pa-«Pero es Dios quien fundó y gobierna la Iglesia, por eso resultan vanos todos los esfuerzos de sus enemigos»
Napoleón hace esperar un gobierno más dulce y menos sanguinario." Por eso Pío VIL que había sido elegido en Venecia a pesar de los augurios de desgracias, estipulaa con él el Concordato, que él se apresura a violar. El papa acepta ir a París para coronado emperador, pero éste «recompensó la condescendencia del papa con la más monstruosa ingratitud, dejándose llevar de excesos contra él, de los que hasta entonces no se tenían ejemplos»." Napoleón se rio y burló de las sanciones papales, exclamando: «¿Cree, quizás, el papa que sus excomuniones harán caer las armas de las manos de mis soldados? ».16 Pero tuvo que experimentar que favorecer a la Iglesia es principio de grandeza, y perseguirla principio de ruina.'
El insolente emperador «es tomado por la fuerza y hecho prisionero, viene conducido a Fontainebleau, en aquel mismo palacio en el que tuvo en cadenas al Santo Padre, y riega con las lágrimas de su desesperación aquellos mismos lugares, donde hizo correr las lágrimas del Vicario de Jesucristo ».18
El mundo, para don Bosco, como para San Agustín y San Alfonso, está sucio. Los buenos y los malos están divididos por murallas altísimas, como el pobre Lázaro en el seno de Abraham y el rico Epulón en el fuego del infierno. Pero, mientras el autor del De civitate Dei encuentra «en el potentísímo e ilustre imperio romano la preciosidad de las virtudes civiles, aunque sin el sello de la verdadera religión»," don Bosco no halla fuera del perímetro católico ningún alma de verdad, o razón seminal, como afirma la línea abierta por el filósofo Justino que, aunque perseguido y martirizado por el paganismo, tuvo una profunda comprensión hacia los valores cristianos que estaban también en el paganismo como semillas esparcidas de la Verdad plena.
En esta psicología de rechazo, don Bosco sigue la escuela de la corriente contrarrevolucionaria y romántica (De Maistre, Chateaubriand, Donoso Cortés, etc.), desde San Alfonso de Lígorio, los papas de la Restauración. No falta alguna expresión o matiz nuevos.
Los bienpensantes, como el masón católico Joseph De Maistre, consideran los acontecimientos revolucionarios y jacobinos como «desorden, locura, impiedad, ruina de todos los principios y de todos los sostenes políticos y mora. les de toda convivencia civil».
'2 SE, 371; en la edición de 1871 (p. 330) la frase es omitida y sustituida con una expresión que se limita a narrar los hechos.
" SE, 359. " SE, 360.
15 SE, 361.
16 SE, 366.
" Ibid.
" SE, 367: idéntica la redacción de 1871 (p. 335).
" Patrologia latina, 33, 533. Agustín prosigue: «para que se comprendiese que con la añadidura de la misma [la verdadera religión] los hombres se hacen ciudadanos de otra ciudad, en la que el rey soberano es la verdad, la ley es la caridad y la medida de la vida es la eternidad».
La apologética católica denuncia las muertes, la anarquía, el asalto a la propiedad, la persecución de la Iglesia en el clero no jurado y en el papa. También los inmortales principios «libertad, igualdad, fraternidad», hundidos en tierra de Evangelio, se rechazan en bloque que aun, porque violan los derechos de la autoridad de origen divino, favorecen la indiferencia religiosa, deforman la libertad y la transforman en licencia 20
Don Bosco, falto de perspectiva histórica y de solidez cultural, no comparte la postura de Rosmini que piensa que empobrecer a la Iglesia significa salvarla. La Iglesia sale de la revolución empobrecida y despojada del poder político. ¿Pero era eso un daño grave?
Rosmini compara las riquezas de la Iglesia con la armadura de Saúl que le hacía a David impotente, y exclamaba: «¿En qué parte encontraremos un clero inmensamente rico, que tenga la valentía de hacerse pobre? ¿O que tenga al menos la luz de la inteligencia no empañada para darse cuenta de que ha sonado la hora, en la que empobrecer a la Iglesia es salvarla?»." Aunque alineado en la intransigencia contrarrevolucionaria y en el moralismo tradicional, don Bosco, tal vez en nombre de la experiencia práctica y del contacto con la realidad, atenúa ciertas posturas de San Alfonso, que había escrito: «Non sei nato né per vivere, né per godere, per farti ricco, per mangiare come bruti». El fundador de los salesianos suaviza esa concepción rigorista y añade: «Non sei al mondo solamente per godere, per farti ricco, per mangiare».22 Reproduce en el Giovane provveduto la canción alfonsiana «mondo piú non sei per me», entendiendo por mundo, no la creación que salió de la manos de Dios buena, ni la colaboración del trabajo humano con Dios, sino el mundo arrastrado por el pecado original y poseído por Satanás. Pero dulcifica a San Alfonso con el espíritu de San Felipe Neri, que recomendaba a sus educandos: «Estad alegres: no quiero escrúpulos, ni melancolías; me basta que no cometáis pecados».23 Aquí está el origen histórico del dicho salesiano: Servite Domino in laetitia.
20 G. MARTINA, La Chiesa nell'eta del liberalismo, Brescia, Morcelliana 1979, p. 8; por lo que se refiere a la mentalidad contrarrevolucionaria que respiró el joven Bosco, se puede ver: C. BONA, Le Amicizie Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torio, Societá Subalpina 1962; L. MEZZADRI, La Chiesa e la rivoluzionefrancese, Milano, Edizioni Paoline 1989.
21 A. ROSMINI, Le cinque piaghe della Chiesa, a cura di C. Riva, Brescia, Morcelliana 1966, p. 163; la mentalidad opuesta, es decir, aquella que detecta en toda confiscación del patrimonio eclesiástico un atentado a la fe, emerge con fuerza en las revistas eclesiásticas de la Restauración: Enciclopedia ecclesiastica (Napoli 1821-1823), Memorie di religione, morale e letteratura (Modera 1822-1823), Amico d'Italia (Tocino 1822-1830).
STELLA, Don Bosco II, p. 41; los diferentes matices, quizás, no se explican tanto por enfoques teológicos diversos (don Bosco sigue la línea benignista de San Alfonso) como por las épocas y los contextos diversos, en los que ambos operan: Alfonso se dirige al hombre del 700, don Bosco está en contacto con jóvenes del 800.
23 Ibid., p. 56-57 (don Bosco usa también varios recursos como la gimnasia, la música, la declamación, el «teatrino», los paseos, como, por otra parte, había hecho desde la infancia).
En cuanto a los papas de la Restauración, su presencia en don Bosco está atestiguada por el juicio duramente negativo que hace de la Revolución francesa, de la Masonería y las sociedades secretas, a las que se atribuye el objetivo constante de querer demoler al mismo tiempo el trono y el altar,24 de la sociedad liberal y socialista, que opone toda clase de obstáculos a la escuela católica y a la exposición social de la religión, mientras que abre los diques a la prensa blasfema y obscena, a los espectáculos antieducativos, a la moda pagana.
El itinerario de la descristianización moderna en los documentos pontificios igual que en la Storia Ecclesiastica procede a través de algunasetapas fundamentales, que son: Lutero, masones, enciclopedistas (Voltaire, Rousseau), jacobinos (Robespierre). Estos personajes no son más que disfraces de Satanás. La identificación del diablo con la Revolución será un leit-motiv deel d Pío IX después de 1849 y se encuentra ya en nuestro autor, que afirma que emonio «bajo el manto de las sociedades secretas, de la moderna filosofía, excita rebeliones, suscita sangrientas persecuciones». En homenaje al libre examen, los protestantes deben decir: «Haced la que queráis: robad, desobedeced, matad al rey»."
Después de Lutero y Calvin°, cuya vida «monstruosa» fue castigada por la «Divina vendetta» con una muerte horrenda,26 la otra bestia negra es la Máso
24 F. MOLINARI, La Massoneria nei documenta pontifici dell'Ottocento (en prensa); J.A. FERRER-BENIMELI - G. CAPRILE, Massoneria e Chiesa cattolica ieri oggi domani, Roma, Edizioni Paoline 1979, p. 17 (los documentos antimasónicos son muy repetitivos: la constitución Providas de Benedicto XIV reproduce prácticamente la constitución In eminenti de Benedicto XIII y define el objetivo de las asociaciones masónicas con la fórmula, después repetida siempre por los papas del Ochocientos: maquinar contra la religión, el Estado, las leyes; la Revolución francesa, como conjura masónica, forma parte como topos del patrimonio católico decimonónico; pero queda «redimensionada» por la convergencia de muchos datos: la Masonería es progresista y predica la monarquía constitucional, pero no el terror jacobino; apoya el trinomio programático «libertad, igualdad, fraternidad», pero camina en la dirección de las reformas, no de la revolución; entre los guillotinados de la Revolución muchos eran masones, entre los cuales el sacerdote Jean Marie Galot (1747-1794), beatificado por Pío XII. Se puede ver su perfil en: Liberi muratori di ieri e di oggi, Roma, Camelo Editore 1986, p. 219; en cambio, Napoleón estaba muy cercano a la Masonería, y probablemente él mismo era masón (cf. F. COLLAVERI, Napoleone imperatore e massone, Firen7e, Narclini 1986). En Italia el historiador mejor informado es: A. MOLA, Storia della Massoneria italiana dall'Unita alía Repubblica, Milano, Bompinni 1976; la tesis del complot masónico es atribuida a A. Barruel, quien, sin embargo, distingue unos masones come lotistas de otros; por tanto, tampoco Barruel acepta la tesis del complot masónico, que fue enfatizada después de él.
2' SE, 278s; la frase se repite idénticamente en: SE 1871, 267; la en «Ri mentalidad di de Pío IX se ilustra con vigor en: P.G. CAMMANI, diavolo, Roma e la rivoluzione, vista Storia e Letteratura Religiosa» 8 (1972) 485-516; idénticos temas resuenan en el artículo del mismo autor en: Chiesa e religiosita in Italia dogo ?Unita (1861-1878), Relazioni II, Milano, Vita e Pensiero 1973, p. 65-128; muy bien informado está: C. BRE221, Orientamenti della Massonetia intorno al 1870, en: Ibid., Comunicazioni II, p. 307-340 (Brezzi analiza a través del microscopio el anticlericalismo masón); téngase presente que en la edición de 1871 la SE de don Bosco amplia enormemente la presencia de la Masonería en Italia; el Santo recibió, probablemente, el influjo del clima que se formó después de la «Breccia di Porta Pia».
26 SE, 301.306; en SE 1871, 285, la desaparición de Lutero se describe de modo idéntico;
nería que, según él, fue la que desencadenó la Revolución francesa.
La responsabilidad de la Masonería sobre la apostasía del mundo modernc llega a tal punto de simplificación y de violencia que el mismo papa Benedicto (1740-1758), de quien se conoce bien la apertura hacia la cultura y la correspondencia con Voltaire, es para don Bosco casi sólo el paladín de la lucha antimasónica: «empleó las dieciocho años de pontificado combatiendo a los herejes, reprimiendo las tramas que los masones y los filósofos tendían a la religión».27
Nuestro autor dice que los masones reciben sus doctrinas de Manes y que provocaron todos los males que derivaron de la Revolución francesa «conspirar con implacable odio contra los reyes, los Papas y los sacerdotes, y contra el Dios de los cristianos, destruir a Dios y la religión, y con esta misma religión se obligan bajo juramento ante aquel Dios que se pretende destruir; los masones recibieron después también el nombre de jacobinos del templo dedicado a S. Jacobo, donde se habían reunido».28
Los francmasones, los filósofos ilustrados, los jacobinos son hermanos gemelos, unidos por el mismo pensamiento que los masones cultivaban en secreto, los filósofos dieron a conocer y los jacobinos transformaron en matanzas despiadadas. Escribe don Bosco: «Las sociedades secretas, algunos fanáticos llamados iluminados, unidos a los filósofos, con la pretensión de querer reformar el mundo, produciendo en todos la igualdad y la libertad, suscitaron una revolución, que habiendo comenzado en 1790 duró 10 años y fue causa del derramamiento de mucha sangre».29
Resistencia y supervivencia de la Iglesia como piedra, contra la que se quebraron los esfuerzos de los impíos, muerte infame de estos impíos: esas son las constantes de la historia, en la que las puertas del Infierno no prevalecen. Voltaire, aun habiéndose confesado, murió desesperado; Rousseau tomó veneno y después se mató con una pistola; Robespierre, monstruo antropófago (en el sentido literal del término) «para evitar el bochorno de una muerte pública cual otro Nerón, se dispara un golpe de pistola en la boca, se destroza la mandíbula superior y no muere. Se le deja agonizar largo tiempo en medio de los pero se omite la frase de la edición anterior que decía «cessó di vivere qui per andar nell'inferno a parir co' demoni, i quali aveva pió volte implorato in suo aiuto» (además se corrigió el error de la fecha, que hacía morir a Lutero en 1545 en vez de en 1546); en la edición de 1871, fue quitada «Divina vendetta» que, en la primera edición, hacía espirar a Calvin entre atroces torturas.
27 SE, 334; SE 1871, 314-318 (el antimasonismo es una constante, que se mantiene, es más, se acentúa en la segunda edición, que repite y subraya la inexactitud de la primera, por ejemplo, que la doctrina masónica es la de Manes y que las leyes masónicas son escuelas de ateísmo).
28 SE, 335-336; SE 1871, 321-322 (también en esta edición se repite la consabida tesis de la Revolución francesa complot masónico y de la Masonería atea y materialista: basta leer la Constitución de Anderson [1723], para darse cuenta de que el ateo no es admitido en la Masonería, cuya finalidad última es la de construir la «Familia universal de los amorosos hermanos» y no la de dejarse llevar por el maniqueísmo o por el «fraccionismo» clásico.
29 SE, 343.
insultos punzantes de la plebe, y ya muy cercano a abandonar esta vida, es conducido sobre el palco y le cortan la cabeza en 1794»
lustrado, del socialista
La muerte atroz del hereje, del perseguidor, del i saint-Simon,3' que corresponde al canon clásico De mortibus persecutorum de Lactando, no revela desde luego al Dios-Amor, cuius proprium est misereri semper et parcere, sino más bien al Dios Justiciero que manifiesta la «Divina vendetta», no sólo con el infierno, sino también con la desesperación en la tierra. Non est pax impiis es la contraposición del servite Domino in laetitia. En la otra orilla de este rincón infernal con todo mal sin ningún bien, que es el mundo pecaminoso, se contrapone la comunidad católica sede de todo bien sin ningún mal. Se podría hablar de monofisismo historiográfico, en el sentido de que don Bosco pone entre paréntesis y calla lo material humano sólo das l la Iglesia y las inevitables debilidades de las criaturas, para subrayar uces, que son las obras de la caridad y la ola de tantos santos.
La estrategia apologético-polémica, unida a la finalidad de mantener a los jóvenes lejos de los valdenses del Piamonte y de la corrupción de la civilización moderna hace que en la interpretación de las grandes fracturas eclesiales del siglo XI y del XVI y hasta de los abusos del colonialismo, la responsabilidad se atribuya exclusivamente a las «ramas secas» y nunca a los católicos. A propósito de la Iglesia de Oriente, el comentario amargo lo liga con la caída de Constantinopla (1453), durante la cual los soldados de Mohamed II devastaron iglesias, profanaron conventos, martirizaron al pueblo: «Aquella Grecia-- comenta el historiador intransigente — que dio a la Iglesia grandes santos e insignes doctores, ahora yace envilecida en medio del vicio y de la ignorancia. No ha querido reconocer la autoridad del sucesor de Pedro ataron que la como trataba como un padre, ha caído bajo el yugo de los infieles, que la truna esclava ».32
La página oscura de los conquistadores españoles y portugueses queda sotica más débil era siempre la del paraíso); el historiador Delumeau, católico ferviente, cuenta que la raíz de sus investigaciones sobre el miedo en Occidente se encuentra en el efecto traumático de las letanías de la buena muerte, recitadas en el colegio salesiano de Niza Marítima, al que fue llevado, a los trece años, después de la muerte de su padre (cf. J. DELUIvIEAU, La peur, en Occident [XIV-XVIII], Une cité assiégée, Paris, Fayard 1978, p. 25-27).
" SE, 338-339.345-346; SE 1871, 317-318.323 (idéntica la versión de la muerte de Voltaire, Rousseau y Robespierre; a propósito de la de este último, se repite la «Divina vendetta», con abundante distorsión de hechos reales). .
33 SE, 375s (en la edición de 1871 se omite la vida y la muerte atroz de Saint-Simon); la pedagogía del miedo, que está implícita en toda la SE y emerge, sobre todo, del motivo «de mortibus persecutorum» resuena en toda la educación católica del Ochocientos, que en los ejercicios espirituales incluye siempre la descripción de la muerte, juicio, infierno, purgatorio, paraíso p
" SE, 275; SE 1871, 258-259. La absoluta falta de espíritu ecuménico es un signo de los tiempos más que una característica de don Bosco; la hegemonía de la recíproca y agria polémica sobre el diálogo fraterno en las relaciones católicos-valdenses emerge en el librito de: M.L. STEANIERO, Don Bosco e i valdesi, Torio, Claudiana 1988. Se trata de un librito pobre desde el punto de vista científico, pero interesante como espejo de mentalidades.
brevolada y casi eliminada por la benemerencia de los misioneros. Escribe
nuestro autor: «Y a pesar de que los viajeros, que por la sola sed de ero
fueron allá, hayan llevado a cabo muchas crueldades, no en menor medidadin los maestros del Evangelio, movidos por el solo deseo de ganar almas para Dios,
hicieron muchas conversiones».33
En la etiología de las causas, no hay sombra de duda crítica. Si el papa Adriano VI en las instituciones al Nuncio Chieregati había reconocido con valiente humildad que la crisis eclesial se debía a los pecados de los hombres y en especial a los de los sacerdotes y prelados, don Bosco, en cambio, instituye un proceso de dirección única: demonización de los «otros», que son los malos, exaltación hagiográfica de los santos, como si el catolicismo fuese una asociación de ángeles y no una comunidad de pecadores salvados por la pura y la gratuita misericordia de Dios. Los «otros» pueden ser Lutero, Calvino, Enrique VIII, que con su conducta disoluta o con su doctrina perversa han conducido a muchedumbres al infierno, o bien los filósofos ilustrados y socialistas, que mueren desesperados o hasta suicidados, como para significar la autodestrucción de la civilización moderna.
La dolorosa fractura del siglo XVI no se debe, según don Bosco, más que a la soberbia, a la ambición, la petulancia, la impudicia y todos los vicios de Lutero que «formó una doctrina que contamina todas las cosas sagradas, conculca los sacramentos, destruye la libertad del hombre, diciendo que son inútiles las obras buenas, despierta la licencia de pecar, pone en Dios la causa de todos los males, rechaza en suma toda ley y reduce al hombre al estado de los brutos».34
A su vez, Calvino quiso vengarse de los católicos, porque no había recibido un beneficio y huyó para no pagar la pena por un delito que don Bosco define como nefando, enseñó la arbitraria predestinación de la mayor parte de los hombres al infierno, actuó como un verdadero tirano y condenó a la pena del fuego a Miguel Servet.33 El rey de Inglaterra, Enrique VIII, se rebeló contra el papa, porque era un vicioso y deseaba repudiar a su legítima esposa, Catalina, para casarse con otras mujeres, a todas las cuales abandonó después o llegó a hacer matar.36
Aún más horrendo es el final de los corifeos del mundo contemporáneo, como se ha visto.
Frente a esta hecatombe de la ira en el castigo, con el fondo oscuro de la Revolución encarnación de Satanás, brilla, como contraste, la epopeya de los santos y de los mártires. Don Bosco acentúa la presencia de la santidad a la que atribuye cuatro papeles: 1) es la prueba del nueve de la solidez monolítica de la verdadera Iglesia; 2) infusión del Espíritu Santo; 3) expresión del amor fraterno inculcado por Cristo; 4) respuesta adecuada a las exigencias de la época y a la hostilidad de los enemigos.37 Me detendré brevemente en los dos últimos aspectos. La santidad como expresión de amor fraterno tiene, ante todo, un valor autobiográfico, desde el momento en que don Bosco es el santo de la caridad puesta en obra, del mismo modo que a Cafasso se le puede defiot nir como el santo de la caridad silenciosa (y todos los santos se le Cottolengo, Cafasso, Murialdo, se encuentran en la línea de la solidaridad evangélica).
33 SE, 282; SE 1871, 262 (la versión es casi literalmente idéntica).
34 SE, 290; SE 1871, 269.
35 SE, 291-293; SE 1871, 271.
36 SE, 294-295 (en la p. 296 aparece un pequeño lapsus: se hace morir a Tomás Moro en 1534, en vez de en 1535; el mismo pequeño error se repite en SE 1871, 273).
Todos los héroes de Cristo son genios de la caridad: Pier Damiani atiende todos los días a una muchedumbre de pobres; Domingo está animado por espíritu de caridad solamente; Francisco de Asís se impone la norma de no rechazar la limosna de nadie; Brígida de Suecia funda un hospital junto a su palacio; Francisco de Paula realiza prodigios estrepitosos en favor de los pobres; Amadeo de Saboya va en persona a realizar los más bajos servicios en bien de los enfermos; Juan de Dios crea la orden holpitalaria; Luis Gonzaga es mártir de la caridad heroica hacia los apestados; Felipe Neri pone su risueña alegría al servicio de los pobres y de los enfermos; Vicente de Paul, es, por excelencia, el santo de los pobres.
Al poner el acento sobre el principio del amor, don Bosco mata varios pájaros de un tiro: presenta a los jóvenes el ideal de la oblatividad, arroja licatorayos de luz sobre los reflejos beneficios sociales del Evangelio, presenta el cismo bajo una luz simpática, corrigiendo el efecto negativo del Dios enfadado e indignado, como aparece con la «Divina vendetta».
La santidad, en la óptica de don Bosco, representa también la divina respuesta a las crisis del mundo totus positus in maligno. Cito dos casos. El siglo de hierro dio la «pornocracia» de Marocia y Teodora: «Pero no hay otro siglo que haya dado un número tan conspicuo de santos a la Iglesia Universal». Lástima que de ese número tan conspicuo sólo cite dos nombres: San Bernón y San Romualdo.'s
Así, frente al diluvio del protestantismo, la verdadera reforma católica fue el siglo de los santos: «Fue especial disposición y Providencia de Dios que en un tiempo en el que los herejes trataban de arruinar la Iglesia, surgieran escuadras de religiosos, de santos doctores, que con muchos acontecimientos glorio" Sobre estos aspectos, véase: F. MOLINARI, I santi nella Storia Ecclesiastica di don Bosco, en: «Credere oggi» 8 (1988) 5, 45-46; sobre la psicología del Santo: G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, Torino, SEI 1988 (el volumen, válido desde el punto de vista psicológico, tiene el defecto de basarse en documentos críticamente discutibles, como las Memorie biografiche, que son actualmente objeto de un análisis atento desde el punto de vista filológico: F. DESRAMAUT, Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un livre fondamental sur la jeunesse de Jean Bosco, Lyon, Maison d'études Saint-Jean-Bosco 1962.
38 SE, 197; SE 1871, 205-206 (la exposición del siglo de hierro es más positiva que en la edi1ción anterior).
sos hicieran florecer para la Iglesia en todas las partes del mundo una numero, sísima falange de santos».39
Sigue la lista, que comienza con Cayetano Thiene y se cierra con Carlos Borromeo.
Don Bosco habla y escribe del catolicismo como patria de los Santos con énfasis hagiográfico de igual fuerza que su severidad polémica cuando estigmatiza al mundo. Muy distinta es la actitud de otros eminentes católicos, a los que Traniello llama «conciliatoristi», como Manzoni, Rosmini, Curci, Newman.
Manzoni expresa la relación dialógica con esta célebre observación: «Cuando el mundo ha reconocido una idea verdadera, magnánima, os contrastársela, es necesario reivindicarla al Evangelio. [...] Lo que l le j a religión puede condenar en aquellas ideas es todo lo que no es bastante razonable, ni bastante universal, ni bastante desinteresado». Y precisa que no sólo se da en el Cristianismo la fuente de la verdadera libertad, porque impone al hombre el respeto a los demás y el dominio de sí, asegurando la libertad interior y la superación del despotismo.40
Manzoni estaba unido en íntima amistad con Rosmini, cuya actividad tenía un objetivo preciso, la reconciliación del Evangelio con los ideales modernos a través de una renovación de la Iglesia y de la sociedad, como lo augura en las dos obritas Delle tinque piaghe della Santa Chiesa y La costituzione secondo la giustizia sociale (1848). La viva y activa participación de los laicos en la comunidad se vive a través del voto, aunque sea censatario; y en la comunidad eclesial, a través de la participación laical en la elección de los obispos. Esto hace de Rosmini, como de Newman, aunque por títulos diferentes, dos pioneros de la teología del laicado."
El más activo y audaz, sin embargo, sigue siendo Carlo Maria Curci (18091891), que en 1849 había fundado la «Civiltá Cattolica» con un programa de intransigencia temporalista; pero después no tuvo miedo del «terribile sonaglio», es decir, del catolicismo liberal que, como demuestra Gían Domenico Mucci, abrazó con reformismo audaz. Y en el que salva la autoridad infalible del Papa y toda la doctrina católica, pero sostiene que la renovación de la cristiandad es la premisa para la renovación politica de los Estados. Y en tal reforma interna de la Iglesia entran la participación de los laicos en la vida ecclesial, comprendida la elección de los párrocos, la aceptación de la brecha de porta Pía como purificación providencial de la Iglesia, la espiritualización a Curia Romana, demasiado politizada, el paso de la Iglesia de sinagoga cerrada e inmovilista a la fase del diálogo; el diálogo pastoral con el mundo, cuyos valores positivos hay que apreciar; es la nueva vida de la evangelización que hay que realizar a través de los laicos y que produce la verdadera naturaleza de la Iglesia, que es la encarnación del amor divino en la tierra.42
39 SE, 297; SE 1871, 274-284 (una característica feliz de la edición de 1871 es la división en capítulos, en los que aparecen más subrayados, en los títulos y en los contenidos, los valores positivos del catolicismo a través de los santos y de las órdenes religiosas.
4° U. COLOMBO, Alessandro Manzoni, Roma, Edizioni Paoline 1985, p. 263-280; A. MANZONI, Osservazioni sulla Morale Cattolica a cura di U. Colombo, Roma, Edizioni Paoline 1965, p. 319-354 (el capítulo se titula: «Degli odi religiosi»).
41 Sobre Rosmini, cf. Delle cinque piaghe, ya citado, y sobre Newman: H.F. DAVIS, Le róle et l'apostolat de la hiérarchie et do larcat dans la théologie de l'Eglise chez Newman, en: L'ecclésiologie au XIX siécle, Paris, Ed. du Cerf 1960, p. 329-350.
La Storia ecclesiastica de don Bosco se sitúa en el extremo opuesto de estos católicos del diálogo. Pero su mentalidad intransigente se enlaza con una extraordinaria ductilidad práctica, que lo hace amigo sincero de los obispos «transigentes» Scalabrini y Bonomelli,43 además de co ibrario, nfidente de muchos anticlericales como Rattazzi, Lanza, Vigliani, Ricasoli, C.Crispi." Por eso no causa extrañeza que en 185 nuestro autor puo obtener la participación del príncipe Anadeo en la co6locación de la primdera piedra del santuario de María Auxiliadora. Eran los arios en los que Vittorio Emanuele II trataba de limar las asperezas con el Vaticano. Si para Pío IX don Bosco era un sacerdote fidelísimo, prudente y activo, para los medios anticlericales era un cura celoso que, a pesar de sus ideas trasnochadas contribuía a la educación del pueblo.49
Una última diferencia señala la distancia del santo turinés respecto del integrisnio: el contacto con lo concreto de la historia cotidiana que le facilitaba no tanto el estudio del pasado como la capacidad de leer el presente (por ejemplo, su atención hacia los jóvenes «objeto», explotados por la naciente civilización industrial, la sensiilidad hacia la escuela profesional la oportuna percepción del problema dela prensa). Su amor hacia la historia no fue inferior a su pasión p la Iglesia y al deseo de la propia santificaión resonal.
42 MUCCÍ, II primo direttore della «Civiltá cattolica»; ID., Carlo Maria Curci il fondatore della «Civiltá Cattolica»; C. PiccuuLL0, Le idee nuove del p. Curci sulla questione r ore omana, p. en: Cbiesa e
Stato nell'Ottocento Miscellanea in onore di Pietro Pirri, Padova, Ed. Anten 1962, 607-658.
" Sobre Bonomelli e Scalabrini, cf. G. GALLINA, II problema religioso nel Risorgimento e il pensiero di Geremia Bonomelli, Roma, Ed. Universitá Gregoriana 1974; C. MARCO (ed.), Carteggio Scalabrini-Bonomelli (1868-1905), Roma, Studium 1983; sobre la emigración, son fundamentales los estudios de Rosoli. En nuestro caso es especialmente útil: G.F. ROSOLI, Impegno missionario e assistenza religiosa agli emigranti nella visione e nell'opera di don Bosco e dei 28 salesia 293.ni, en: TRAMELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 9- Debe tenerse presente que en las páginas de la SE aparece frecuentemente el tema de la emigración, sobre todo en relación a las misiones. STELLA, Don Bosco II, p. 90-95.
4sMuchos jóvenes eran confiados a don Bosco por la misma autoridad civil, que obviamente se consideraba ligada y agradecida a él.
Como base dore toda la Storia ecclesiastica de don Bosco,c pehay un concepto doctrinal que subyace en el relato, condiciona la elección de los hechos y aparece como referencia en la interpretación de los documentos.
La idea-madre es la idea del mundo,46 como un polo totalmente negativo en contraposición a la Iglesia como polo totalmente positivo y se expresa en el lema Extra Ecclesiam nulla salus. El mundo está totus positus in maligno: es el concepto típico de la intransigencia, en dialéctica con la doctrina del catolicismo conciliador y dialogante, que, fuera del círculo cerrado de la Iglesia, sabe encontrar el alma de la verdad, los gérmenes de lo positivo, las semillas del logos.
El mundo como realidad antidivina, nido de víboras hostiles a Dios, sabe a cuarto evangelio, a tradición de Plotino con vetas manqueas, a mentalidad contrarrevolucionaria, típica de la Restauración, cuando se soñaba con una época en la que la Iglesia se pronunciaba, no sólo sobre materias de fe, sino también sobre normas y costumbres, en la que promulgaba leyes disciplinares, establecía jerarquías y las destituía, corregía a los fieles y alejaba de su seno a los miembros corrompidos.47
" R. GUARDINI Mondo e persona, Milano 1964; F. GOGARTEN, L'uomo tra Dio e il mondo,
Bologna 1967; H.U. Von BALTHASAR, Liturgia cosmica, Roma 1976; J.B. METZ, Sulla teología del mondo, Brescia 1969.
47 B. PLONGERON, Archetipo e ripetizioni di una Cristianita, en: «Concilium» 7 (1971) 1366.
Estas páginas pretenden dar algo de luz acerca del clima histórico en el que vivió y actuó don Bosco, acerca de las esencias de las que se nutren don sus directrices espirituales y su acción educativa. Creo que, para entender a Bosco, es necesario confrontarse con su tiempo, aun a sabiendas de que él tiene una personalidad sobresaliente y unos rasgos muy originales.
Don Bosco se formó en el clima de la Restauración. Aunque este término asume habitualmente una acepción político-social. (evoca el Congreso de Viena y la Santa Alianza, la política represiva de los gobiernos, la situación posrevolucionaria), tiene también relevancia en el cuadro de la cultura y de la vida religiosa. Típica de la época de la Restauración es la obra dirigida a reconstruir el tejido cristiano de la sociedad, desgarrado por la Revolución francesa (el «diluvio», según el cardenal Consalvi, «la desolación del universo», según Brunone Lanteri). Existía el convencimiento de que estaba en acto una grandiosa operación diabólica orientada a destruir los designios de Dios, de los que la Iglesia es guardiana, y de que era necesario contener los asaltos del maligno y reconquistar la sociedad para Dios y para la Iglesia.
La Compañía de Jesús, restablecida por Pío VII en 1814, se convierte en el Piamonte en el centro propulsor del movimiento de renacimiento religioso. Cuenta con hombres de gran prestigio, como el padre Roothaan, rector del colegio de San Francisco de Paula de Turín, más tarde prepósito general de la Orden, como Francesco Pellico y Antonio Bresciani.'
P. PIRRL P. Giovanni Roothaan XXI Generale della Compagnia di Gessi (1785-1853), Isola del Liri 1930; I. RINIERI, Il padre Francesco Pellico e i suoi tempi, vol. I: La Restaurazione e l'opera
della Compagnia di Gesti, Pavia 1934.
Nacen nuevas órdenes religiosas, como los oblatos de María Virgen de Brunone Lanteri y el Instituto de la Caridad de Antonio Rosraini. Son introducidas las monjas de la Caridad de Antída Thouret. Surgen nuevas asociaciones laicales. Entre éstas sobresale la «Amicizia cristiana», expresión de ambientes aristocráticos y altoburgueses de orientación filojesuita, que se propone la formación espiritual de los asociados y la lucha contra el espíritu de los enciclopedistas a través de la difusión sistemática de obras de inspiración católica («los buenos libros»), llevada a cabo mediante préstamos o con distribuciones gratuitas.' El motivo central de la «Amistad» está constituido por la devoción al Corazón de Jesús, según la orientación sostenida por los jesuitas, por la comunión frecuente y por la meditación diaria: La Amistad cristiana amplia muy pronto su actividad originaria y se dedica a la promoción de los ejercicios espirituales, a la organización de las misiones, a la elección de confesores según las directrices de Alfonso de Ligorio.
Desaparecida en la época napoleónica, la Amistad cristiana vuelve a surgir en 1817 con el nombre de «Amicizia- cattolica» por iniciativa de Brunone Lanteri. Algunos de sus miembros (Cesare Taparelli d'Azeglio, Rodolfo y Giuseppe de Maistre, Luígi Provana di Collegno, Pietro Pallavicino, Renato d'Agliano, Giovanni Carlo Brignole) ocupan puestos de relevancia en la política y en la administración del Estado saboyano. También la Amistad católica se preocupó de la difusión gratuita de la «buena prensa». Dado que domina la inspiración legitimista, ultramontana, demaistriana, los libros difundidos defienden la alianza entre trono y altar, profesan una devoción incondicional a la Santa Sede, defienden la infalibilidad personal del papa, refutan los «errores modernos», favorecen las tendencias teológicas y espirituales animadas por los jesuitas, predican una orientación moral modelada en el probabilismo benigno. Fue precisamente la Amistad católica la que promovió en 1825 la edición de las obras de Alfonso de Ligorio en la editorial de Giacinto Marietti de Turín.3. En 1828 la Amistad católica fue suprimida por el gobierno piamontés
2 El primer círculo de la «Amicizia» se constituyó en Turín en los años 1779-1780 por iniciativa de un ex jesuita, Nicolaus Joseph von Diessbach (1732-1798). Surgieron después cenáculos en Milán, Viena, Florencia, Roma, París. Los miembros se comprometían al secreto, según el gusto del tiempo y también para no exponerse al sarcasmo de los «espíritus fuertes» y a las molestias de la policía. A la «Amicizia cristiana», seglar, se añadió en 1782 una «Amicizia sacerdotale», antijansenística y alfonsiana, que promueve los ejercicios espirituales según el método de San Ignacio y los retiros, la práctica de la oración mental y del examen de conciencia. Cf. C. BONA, Le «Amicizie». Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torillo 1962. Véanse las recensiones de esta obra hechas por P. Stella en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 17 (1963) 329-338, y por R. Aubert en «Revue d'Histoire Ecclésiastique» 59 (1964) 593-598.
Cf. C. BONA, Le «Amicizie», p. 361-371. Se difundieron obras de Lamennais, De Ronald, Von Haller, Bossuet, Gerdil. Entre los autores espirituales figuran el jesuita Pinamonti, el barna-bita Quadrupani y sobre todo Alfonso de Ligorio. También don Bosco comprendió las posibilida a causa de su filojesuitismo. Algunos de sus miembros (por ejemplo, Provana di Collegno y Renato d'Agliano) se adhirieron a las conferencias de San Vicente de Paul, fundadas en Francia por Federico Ozanam e introducidas en Turín en 1850.4
Muchos de los fines de la Amistad fueron asumidos por el instituto de los oblatos de María Virgen de Lanteri (1759-1830), que siendo clérigo había formado parte de la Amistad cristiana y había fundado, como hemos dicho, la Amistad católica. Los oblatos promueven la predicación de los ejercicios espirituales según el método de San Ignacio, desarrollando las misiones entre el pueblo, preparan a los nuevos sacerdotes para la cura de almas, difunden la «buena prensa». La actividad pastoral de Lanteri y de sus oblatos está inspirada en la doctrina y la espiritualidad de Alfonso de Ligorio. Jean Guerber hace remontar el inicio de la penetración de la teología alfonsiana en Francia a 1823, cuando aparecen en Lyon las Réflexions sur la sainteté et la doctrine du bienheureux A. De Ligouri de Lanteri.5 1.2. El «Convitto» eclesiástico
Por iniciativa de Lanteri y de uno de sus discípulos, Luigi Guala, «amigo cristiano», surge en Turín en 1817 el Convitto ecdesiastico para la preparación pastoral de sacerdotes noveles. El Convitto fue uno de los crisoles en los que se plasmó el estilo eclesiástico y religioso que se impuso en la segunda mitad del siglo XIX. En el Convitto se formaron algunas figuras eminentes de sacerdotes: Cocchi, Borel, Cafasso, Bosco, Murialdo, Bertagna, Allamano. Don Bosco, que tras su ordenación sacerdotal (1841) pasó allí tres arios (1841 1844), define el Convitto como «maravilloso semillero, del cual proviene mucho bien a la Iglesia, especialmente para erradicar algunas raíces de jansedes de la «buona stampa» para la evangelización de las clases populares, y promovió numerosas iniciativas editoriales (cf. la comunicación de Malgeri en este mismo volumen).
4 F. MOLINARI, Le conferenze di San Vincenzo in Italia, en: Spiritualitá e azione del laicato italiano, vol. I, Padova 1969, p. 67.
Las Reglas de los «Oblati di Maria Vergine» fueron redactadas por Lanteri en 1816. Suprimidos en 1819 por el arzobispo de Turín, Colombo Chiaverotti, se reconstituyeron en Pinerolo en 1825 bajo la protección del obispo Rey. R. Romeo recuerda que el marqués Michele di Cavour, padre de Camillo di Cavour, estuvo varias veces en Santa Chiara di Pinerolo a hacer los ejercicios espirituales bajo la dirección de Lanteri (cf. R. ROMEO, Cavour e il suo tempo, vol. I, Bari 1971, p. 94-95). Sobre Lanteri, cf. P. CALLIARI, Pio Brunone Lanteri (1759-1830) e la controrivoluzione, Totino 1976, pero sobre todo: P. CAIDAR1 (ed.), Carteggio del venerabile padre Pio Brunone Lanteri (1759-1839) fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, 5 vol., Torillo 19751976. Sobre las Réflexions de Lanteri y la penetración de la moral alfonsiana en Francia, cf. J. GuERBER, Le ralliement du clergé franqais á la morale liguorienne. L'Abbé Gousset et ses précurseurs (1785-1832), Roma 1973. Sobre Lanteri y la espiritualidad de San Francisco de Sales, cf. T. LUDO, Il ven. Pio Brunone Lanteri e la spiritualitá salesiana nel Piemonte del primo Ottocento. Aspetti storico-ascetici, en « Palestra del Clero» 61 (1982) 1236-1247.1308-1320.1366-1373.
nismo que todavía se conservaban entre nosotros», y en el cual «se aprendía a ser sacerdotes ».6
El Convitto eclesiástico difundió la doctrina y la espiritualidad de Alfonso de Ligorio, considerado por Guala y Cafasso como el autor capaz de mediar entre las corrientes rigoristas y una cierta superficialidad benignista,7 pero fue también centro de irradiación de la espiritualidad salesiana y filipina. El Convitto se presentó como contraaltar del seminario diocesano y de la Facultad de Teología de la Universidad de Turín, que se caracterizaban por la adhesión a la moral rigorista y por una eclesiología crítica con respecto a la infalibilidad y al primado de jurisdicción del papa. El Convitto quiso, en suma, desarraigar las tendencias galicanas jansenistas o, en sentido lato, rigoristas. que todavía serpenteaban entre el clero piamontés.
Un hilo rojo une, pues, las Amistades, los oblatos de María Virgen y el Convitto eclesiástico, pero con una diferencia digna de ser subrayada. Si las Amistades habían sido aristocráticas y elitistas y habían desempeñado un papel limitado, los oblatos de María Virgen y el Convitto ensanchan el radio de acción con un rico abanico de iniciativas promovidas entre el clero y el pueblo.8
No carece de significado dentro de este cuadro, y lo ha hecho notar finamente Francesco Traniello, el hecho de que el primer tratado espiritual, las Massime di pelfezione, en las cuales, según el propio Rosmini, estaba condensado el espíritu del Instituto de la Caridad, tuviera una edición turinesa en la Marietti en 1832. Las Massime di peocezione se fundaban en el abandono en la Providencia («el principio de pasividad») y eran, por ello, idóneas para atemperar el régimen típico de la espiritualidad piamontesa.9
6 Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 80.
P. BRAMO (ed.), Esperienze di pedagogía cristiana nella storia, vol. II, Roma, LAS 1981, p. 305s.
8 Sobre el Convitto eclesiástico de Turín, cf. G. USSEGLIO, Il teologo Guala e il Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1948; G. TUNINETII, Lorenzo Gastaldi (1815-1883), Casale Monferrato, Piemme 1983, p. 179ss. Las corrientes ultramontanas no se limitaron a fundar el Convitto ecclesiastico, sino que trataron también de influir en la misma Facultad teológica de la Universidad de Turín. Obtuvieron un triunfo con la destitución, en 1829, de Giovanni Maria Dettori y su sustitución con Luigi Massara, repetidor en el colegio jesuítico de San Francesco di Paola. Dettori, que ocupaba desde 1814 la cátedra de teología moral, profesaba ideas antiprobabilistas y antialfonsianas. Cf. F. TRANIELLO, Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, p. 25-27; P. STELLA, Giurisdizionalismo e giansenismo all'Universitit di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958. Luigi Guala estaba influido por la tradición espiritual jesuítica. Es significativa la correspondencia epistolar que, entre 1831 y 1847, mantiene con el prepósito general de los jesuitas, padre Roothaan, sobre el modo de hacer los ejercicios. Guala, ayudado por Lanteri, había restaurado el santuario de San Ignacio en la montaña de Lanzo, y en 1808 había establecido allí la «Opera degli Esercizi spirituali» para sacerdotes y seglares.
9 TRANIELLO, Cattolicesimo conciliarista, p. 30.
Se ha hablado de doctrina moral alfonsiana, de actitudes rigoristas, de jansenismo. La cuestión es importante y exige algunas precisiones. Es necesario ante todo evitar un uso excesivo del término jansenismo: Quien es antimolinista no es necesariamente jansenista, quien es antijesuita no es necesariamente jansenista, quien sostiene posiciones jurisdiccionalistas en campo político-eclesiástico no es necesariamente jansenista. Quien es rigorista en moral no es necesariamente jansenista. El jansenismo en sentido estricto puede considerarse en declive en las primeras décadas del Ochocientos; no se puede decir lo mismo del rigorismo que, por el contrario, aparece difundido en la praxis pastoral. Es sabido que los círculos jansenistas o jansenizantes cultivan un ideal severo de vida cristiana. Recomendaban la conversión del corazón, luchaban contra el cristianismo rutinario hecho de devociones exteriores, de entusiasmos pasajeros, de tradiciones acarameladas; reprobaban en la oración el abuso de fórmulas repetidas mecánicamente. El ideal es una religiosidad pura, libre de incrustaciones, ajena a las acomodaciones, nutrida en las fuentes bíblicas y patrísticas, que huye del contacto con el mundo envuelto en el pecado. La dilación o el rechazo de la absolución a los penitentes de cuya perseverancia no se tuviese suficiente certeza y en todo caso a quien no hubiese cumplido la penitencia impuesta, eran considerados como medios normales para provocar el shoc psicológico y de este modo favorecer una conversión verdadera y duradera. La gracia del sacramento de la penitencia es concebida como un premio, más que como una ayuda saludable y confortante en la lucha contra el mal. Se puede recibir solamente si el alma ha llegado a un grado convincente de purificación. Para Alasia, autor de un tratado de teología moral muy difundido entre el clero piamontés y muy conocido por don Bosco en el seminario de Chieri, diferir la absolución era un remedio medicinal que el confesor podía adoptar cuando lo considerase oportuno.'
También el alejamiento de la comunidad por un cierto período era considerado una práctica de penitencia que se imponía a aquellos que recaían fácilmente en el pecado (los llamados «reincidentes»). Se partía del presupuesto de que la Eucaristía no era una medicina para los débiles, sino un premio para los santos, y que el fiel tenía por eso que adquirir antes de comulgar una fuerza interior que lo hiciera apto para recibir a Cristo Señor.
" Cf. P. STELLA, Giurisdizionalismo e giansenismo; ID., Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, Torillo 1959; ID., Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, Torino 1964. Aun sobre las condiciones para la validez del sacramento de la penitencia hervía un encendido debate: ¿Basta la atrición, que es el dolor de haber ofendido a Dios por las penas que se han merecido, o es necesaria la contrición, es decir, el dolor de los propios pecados, porque Dios, sumo bien, es digno de ser amado sobre todas las cosas? Para los rigoristas, era insuficiente la atrición para obtener el perdón de los pecados. En efecto, el dolor de las culpas, inspirado sólo por el temor de las penas infernales, pertenece a la lógica del egoísmo.
Faltan adecuadas investigaciones fundamentales sobre la praxis sacramental en Piamonte en los siglos XVIII y XIX, pero parece que se puede afirm con suficiente seguridad que la pastoral sacramental, en auge en las parroquiasar y en los seminarios, estaba, en general, marcada con trazos rigoristas. Giuseppe Cafasso escribe, y su testimonio es significativo, que según los pastores de la época era «difícil observar los mandamientos, difícil recibir bien la santa comunión, difícil, incluso, oír una misa con devoción, difícil rezar como se debe, difícil, sobre todo, llegar a salvarse, y que eran muy pocos los que se salvaban»."
La exaltación de la figura y de la doctrina de San Alfonso, a quien daban prestigio tanto la beatificación, que tuvo lugar en 1816, y la puesta en marcha del proceso de canonización que se concluyó en 1839, como la edición de las obras iniciada en Turín en 1825, es característica no sólo de las diversas corrientes del movimiento ultramontano piamontés que se agrupaba en torno a Roothaan, a Lanteri, a Guala, a Cafasso, a Bosco, sino, en general, de la actividad de los misioneros comprometidos en el mundo rural y del clero en cura de almas. Alfonso de Ligorio y la congregación por él fundada ejercieron una influencia decisiva sobre las orientaciones de la teología moral, favoreciendo el abandono de actitudes rigoristas en la praxis sacramental. San Alfonso, en la primera fase de su sacerdocio, fue rigorista porque se había formado en manuales rigoristas (por ejemplo, en el de Frangois Genet). La conversión tuvo lugar, según su misma confesión, cuando se dedicó a las misiones entre el pueblo, es decir, cuando se enfrentó con la realidad del hombre envuelto en la miseria y con una vida cristiana superficial. San Alfonso comprendió que el sur de Italia no se podría conquistar con una pastoral hosca y oprimente, centrada más en un Dios-juez que en un Dios-padre, más en el pecado que en el perdón, más en el infierno que en el paraíso. El enraizamiento en la realidad popular convirtió a San Alfonso a una teología más humana, marcada por la referencia a la bondad y a la misericordia de Dios, a la confianza en él, a la esperanza.' 2
11 Citado por F. ACCORNERO, La dottrina spirituale di S. Giuseppe Cafasso, Torillo 1958, p. 110. Sobre esta problemática, cf. P. STELLA, L'Eucaristia nella spiritualita italiana da meta Seicento al prodromi del movimento liturgico, en: Eucaristia, memoriale del Signore e sacramento permanente, Torillo 1967, p. 157-159; J. SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco au sujet de la pénitence et de l'Eucharistie, en «Salesianum» 50 (1988) 9-50.
Th. REY-MER/vIET, II santo del secolo dei lumi. Alfonso de Liguori (1696-1787), trad. it., Roma 1983 / ed. francese, Paris 1982; G. DE ROSA, S. Alfonso e il secolo dei lumi, en «Rassegna di Teologia» 28 (1987) 13-31; G. ORLANDI, S. Alfonso de' Liguori e l'evangelizzazione del Cilento nel Settecento, en: La societa religiosa nell'eta moderna. Atti del convegno di studi di storía sociale e religiosa, Napoli 1973, p. 845-851; G. CACCIATORE, S. Alfonso de' Liguori e it giansenismo, Firenze 1942.
Los misioneros, que predicaban entre las poblaciones rurales, las más abundantes, mientras las ciudades estaban abastecidas de clero, secular y regude predicadores y de catequistas, seguían a San Alfonso en el deseo delar, adecuar la propia acción pastoral a las situacíones concretas de vida de la pobre gente. Los redentoristas de Alfonso de Ligorío, los sacerdotes de la Preciosísima Sangre de Gaspare del Bufalo, los sacerdotes de la Misión de Vicente de paul, los pasionistas de Pablo de la Cruz, los oblatos de Rho de Giorgío M. Martinelli, los jesuitas, eran conscientes de que en relación al penitente no era suficiente la aplicación de las normas, sino que era necesario valorar, además de las disposiciones interiores, también la situación en la que se encontraba.13 También los sacerdotes con cura de almas o comprometidos en la dirección (pensemos en el cenáculo animado en Verona por Gaspare Bertoni,
edsepsirdeituf802, en Pietro Leonardi, en Vincenzo Pallotti, en Luigi Biraghi, en Giuseppe Frassinetti) se mueven en la misma línea antírrigorista." El éxito de la doctrina moral alfonsiana con tendencia hacia la disponibilidad y la comprensión marcha paralelamente asen creciente interés de la Iglesia por las poblaciones rurales y con la creciente sibilidad hacia las condiciones de vida de los fieles.'5
La comparación con Vicente de Paul salta a la vista del historiador, que
descubre en la Italia del sur la atmósfera de la Francia del Seiscientos. Vicente de Paul, Eudes, Olier, se habían opuesto al jansenismo por motivos pastorales y espirituales. Ellos, al contacto con los campesinos de los campos franceses,
" San Alfonso y los redentoristas, a partir de los años 30 del Setecientos, trabajan entre las masas rurales de Italia meridional y de Sicilia. Sobre las misiones de los redentoristas, cf. G. ORLANDI, Missioni popolari e drammatica popolare, en «Spicilegium Hist. Congr. SS. Redemptoris» 22 (1974) 313-348; S. GiAmmusso, Le missioni dei redentoristi in Sicilia dalle origini al 1860, en Ibid., 10 (1962) 51-176; 0. GREGORIO, Contributo delle missioni redentoriste alfa storia socio-religiosa dell'Italia meridionale, en Ibid., 21 (1973) 259-283. Sobre la concepción antijansenista y antirrigorista de los redentoristas, cf. G. ORLANDI (ed.), Direttorio apostolico ossia metodo di missione, Roma 1982; G. DE ROSA, Linguaggio e vita religiosa attraverso le missioni popolari del Mezzogiorno nell'etá moderna, en «Orientamenti Sociali» 36 (1981) 24.
"A proposito di Gaspare del Bufalo (1786-1837) e dei Missionari del sangue, cfr Libero G., S. Gaspare delBufalo, Romano, 1954; A. REY, Gaspare delBufalo, 2 vol, Albano Laziale 1987. 3 ed. il Passionisti ZOFFOLI cf. E., S. Paolo della Croce. Storia critica, 3 vol., Roma, 1963-1968. A proposito di Oblato Rho, cfr G. Barbieri, Un prete lombardo Settecento. Padre Martinelli Fondatore degli OBLATI di Rho, Milano 1982. R. RUSCONI (Predicatori e predicazione (SECOLI IX-XVIII], in:. Storia d'Italia, Annali, vol 4 :. Intellettuali e potere, Tornio 1981, pag 10.061.018) osserva che ottocento missioni vengono inseriti nel canale delle missioni del XVIII secolo, ma con alcuni nuovi aspetti, come l'importanza data all'istruzione catechetica e l'attenzione dedicata a un profondo rinnovamento del popolo.(A questo punto, si riferisce all'edizione italiana, per avere riferimenti bibliografici più ampi su figure di predicatori e missionari in varie regioni d'Italia [nde]).
15 G. VERUCCI, Chiese e società nell'Italia della restaurazione, in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia" 30 (1976) 25-72; G. MICCOLI, Vescovo e re del suo popolo, in: G. CPATTOLINI G. MICCOLI (a cura di), Storia d'Italia, Annali, vol. 9: La Chiesa e il potere politico dal medioevo all'etá contemporanea, Torino 1986, p. 919-922.
oppressi dalla fame e dalla guerra, brutalizzato dalla disperazione impotente al potente, si rendono conto che non possono predicare, le persone che soffrono, la dottrina di un Dio unico, il "munches Dannata" sceglie un gruppo privilegiato . I giansenisti messaggio, in modo urgente e radicale, come elitario e aristocratico borghese potrebbe essere adatto per i devoti, non per le popolazioni rurali povere. Francese sega spirituale nel jansenismo un ostacolo al consolidamento della riforma nelle classi popolari. "Alfonso de Liguori, Gaspare del Bufalo, Vincenzo Pallotti ha scoperto, come Vincenzo de 'Paoli, la stessa realtà e ha optato per la stessa soluzione.
L'influenza di questi orientamenti pastorali si riflette anche nel campo della pietà. Prevale, infatti, nel XIX secolo un ambiente caldo, umano, la pietà popolare tende verso la fiducia verso l'affettività, nella fantasia, per gustare così meraviglioso, che i valori, a volte a scapito della profondità, palpabile sensibile, elementi carnali, che si basa su una più frequente dei sacramenti, che si basa su un numero consistente di pratiche devozionali di frequente. devozione mariana, che è una delle più significative espressioni di pietà XIX secolo, sviluppato fiorente con processioni e pellegrinaggi, con una vasta letteratura sul mese di maggio sul rosario sulle prerogative di Maria, Vergine e Madre, e cadono, a volte, in toni dolci, affettati e teneri. "
Anche le devozioni alla passione di Cristo, al Sacro Cuore, al Preziosissimo Sangue, alle cinque ferite, alle tre ore di agonia con la loro ispirazione riparatrice ed espiatoria hanno stimolato i motivi affettivi e sensibili. Alfonso de Ligorio conosceva i mistici (ad esempio, Santa Teresa e San Juan de la Cruz), ma li valorizza in una prospettiva spirituale che è destinata a essere disponibile per tutti. Sant'Alfonso interpretò le esigenze delle anime semplici meglio di qualsiasi altro scrittore spirituale italiano. Le sue opere piene di affetto, hanno risposto bene alla sensibilità del tempo. Qui sta la ragione del suo immenso successo. Va anche notato che non sono estranei a
un tale orientamento della pietà romantica del clima con il loro gusto per la fantasia.
Sì, l'affettività, l'enfasi sentimentale, le ragioni del cuore. La Chiesa,
quindi, in reazione al l' austera, esigente, carattere elitario della spiritualità giansenista, impregnata di raffinatezza spirituale e come una reazione al l' freddo razionalismo del XVIII secolo, ha favorito un ambiente caldo, accogliente, popolare, pietà accessibili, in particolare il masse. Questo orientamento spirituale ha i suoi lati deboli
16 L. MEZZADRI, Fra giansenisti e antigiansenisti. Vincent Depaul e la Congregazione della Missione (1624-1737), Firenze 1977.
"R AUBERT, Il pontifiCato di Pio IX (1846-1878), Torillo 1964, pp. 694-707.
nell'insistenza sulla molteplicità degli esercizi devozionali, sull'eccessiva enfasi data alla prassi delle indulgenze, sulla proliferazione delle devozioni discutibili e secondarie, sulla condiscendenza al sentimentalismo. La proliferazione di esercizi pio accrebbe il distanziamento della Bibbia e della
Liturgia, portando a una scarsa religiosità nei contenuti teologici.18
Don Bosco promosse alcune pratiche in piedi nell'Oratorio
padre (la visita al del Santissimo Sacramento, la Via Crucis, la devozione alla Vergine e Angelo Custodio, l'esercizio mensile della Buona Morte, la novena in onore di San Luis Gonzaga e San Francisco di Sales), ma non ha dato a la tipica esaltazione devozionale del cattolicesimo del diciannovesimo secolo per paura di giovani irritanti o stancanti. Devozioni, per esempio, il Sacro Cuore e del Preziosissimo Sangue, che ha giocato un ruolo importante, insieme con la devozione a Maria nella spiritualità cattolica del XIX, sembra che avevano per Don Bosco, che importanza hanno avuto, invece, a altri ecclesiastici, come Gaspare Bertoni, Gaspare del Bufalo, Vincenzo
Maria Strambi. "
En este cuadro se comprende el éxito de San Francisco de Sales y dé San Felipe Neri. En Piamonte, por razones históricas y geográficas, el ambiente estaba-impregnado de esencias salesianas. Vehículos eficaces de la difusión del salesianismo habían sido la casa de la Visitación de Turín, fundada en 1638 por Juana de Chantal, la amplia circulación de las obras de Francisco de Sales, que habían tenido numerosas ediciones durante el siglo XVIII, y la vida del santo, escrita por el sacerdote piamontés Pier Giacinto Gallizia (1662-1737), editada en Venecia en 1720 y reeditada muchas veces." Circulaban, además, en Pia
la Según G. Lanza, su mejor biógrafo, la marquesa Barolo tenía una devoción esperislísima a la Santísima Trinidad, al Sagrado Corazón, al Santísimo Sacramento, a las Tres horas de la Agonía, a la Virgen consolada y dolorosa, a los Angeles custodios, alas Almas del purgatorio, a San José, Santa Teresa, Santa Julia, Santa Ana, Santa María Magdalena, Santos Cosme y Damián (La marchesa Giulia Fallen:. di Barolo, nata Colbert, Torino 1892, p. 178s). P. Stella anota que «non doveva essere un caso singolare quello della marchesa Barolo» (Don Bosco I, p. 89).
" En el Giovane provveduto (segunda parte), aparecen entre los ejercicios particulares de piedad cristiana la «corona del S. Cuore di Gesú» y la «Orazione al sacratissimo Cuor di Maria». Está ausente, en cambio, la devoción al «Preziosissimo Sangue», que tuvo su máxima difusión en Roma y en la región de Lombardía-Venecia.
20 Tampoco en Piamonte faltan ediciones de las obras de San Francisco de Sales. Se debe señalar una Introduzione olla vita devota..., Torillo, Guibert e Orgeas 1779. Circulan también: Massime ricavate dalle opere di S. Francesco di Sales..., Torillo, Marietti 1837; Massime distribuite U3, cavate dalle opere di S. Francesco di Sales, Torillo, Paravia 1838; Breve dizionario delle massime di S. Francesco di Sales..., Torillo, Paravia 1838. Cf. V. BRASIER - E. MORGANTI - M. DURICA, Bibliografía salesiana, Torillo 1956. La Vita de Francisco de Sales escrita por Gallizia (16624737), que había sido capellán del monasterio de la Visitación de Turín, es obra de orientación ultramontana monte pequeñas obras impregnadas de espíritu salesiano como L'istruzione della gioventi nella pietá cristiana del sacerdote francés Charles Gobinet (1655) y la Guida angelica, ossia pratiche istruzioni per la gioventii de un anónimo sacerdote milanés (Turín, 1767), de la que don Bosco se valió ampliamente en la composición del Giovane provveduto.21
El éxito de Francisco de Sales es más ciudadano que rural, toca más a la Introducción a la vida devota que al Tratado del Amor de Dios.22 En efecto, el Francisco de Sales recibido en Piamonte es aquel que afectuosamente adoctrina acerca del modo de vivir cristianamente en el mundo, para lo cual la «devoción», que consiste en el amor a Dios y al prójimo, no es una condición privilegiada, prerrogativa de religiosos y claustrales, sino un objetivo capaz de ser alcanzado por todos los cristianos con el cumplimiento de los deberes del propio estado.
Francisco de Sales había afirmado, contra el pesimismo calvinista, la continuidad de naturaleza y gracia, el equilibrio de las relaciones entre Dios y hombre, y había sugerido una perspectiva espiritual caracterizada por una gran concreción rica de sabiduría psicológica, libre de preocupaciones, alimentada de sentido de la medida, fundada en el diálogo confiado con Dios, que quiere la salvación de todos, y para ello ha enviado un Redentor, y que ha garantizado una redención universal.
Brunone Lanteri, Guala, Cafasso, Cottolengo, Bosco,- la biografía de Pier Giacinto Gallizia, los panegíricos, difunden una imagen del obispo de Annecy hecha de dulzura y caridad. Si a lo largo del siglo XVII Antonio Arnauld y Étienne Le Camus, obispo de Grenoble, habían llevado a cabo una lectura rigorista (more jansenístico) de Francisco de Sales, presentado como un pastor severo, lectura que se había difundido también en Piamonte, los espirituales piamonteses hacen en la primera midad del XIX una lectura de Francisco de Sales en clave antirrigorista, que descubre su dulzura y su piedad razonable y sin excesos."
y benignista. En 1839 el editor Marietti publicaba el Compendio delle vite di S. Francesco di Sales e di Giovanna Francesca Frémiot di Chantal scritto da un barnabita, Torillo 1839. Se trata del barnabita Alessandro. Gavazzi. Circulaba también la obra de C.A. SACCARELLI, Vita della S. Madre Giovanna Francesca Frémiot fondatrice dell'ordine della Visitazione di Santa Maria, Roma, Komarek 1734, reimpresión: Venezia, Simone Cocchi 1785.
2' P. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco, Roma 1960.
22 P. STELLA, Don Bosco e Francesco di Sales: incontro fortuito o identitá spirituale?, en: J. PICCA - J. S'FRUg (eds.), San Francesco di Sales e i salesiani di don Bosco, Roma, LAS 1986, p. 139
159. Es necesario subrayar que el Trattato dell'amore di Dio, a causa de su densidad especulativa y
mística, es menos asequible que la Introduzione alía vita devota. El mismo don Bosco prefirió esta
última. "
23 STELLA, Don Bosco e Francesco di Sales, p. 144-146.
Con el filón salesiano se entrelaza la tradición espiritual filipina, mantenida en Piamonte por el Oratorio de Turín y por la extraordinaria figura de viva enValfré (t 1710),24 por la biografía del santo escrita en el siglo XVII por Bacci" y por una serie de Ricordi ai giovinetti, que don Bosco conocía bien.26
La ósmosis entre el filón salesiano y el filón filipino no debe extrañar. En la relación armoniosa entre naturaleza y gracia se funda también, en efecto, el programa espiritual de San Felipe Nerí, que se nutre de confianza en la naturaleza humana y de amor al arte (el oratorio musical nace en el ámbito de los encuentros promovidos por Felipe Neri), rehuye los tonos hoscos y tristes, se ilumina de espíritu festivo y de alegría. Alfonso de Ligorío, aunque abierto a las sugestiones de Teresa de Ávila, es hijo espiritual de Felipe Neri y Francisco de Sales. Madura, en efecto, su espiritualidad bajo la guía del oratoriano Tommaso Pagano, después pasa bajo la dirección de mons. Falcoia, embebido de salesianismo.' Francisco de Sales era uno de los autores más leídos en el ámbito del Oratorio.' El joven Rosmini se sintió atraído por las lecturas salesianas gracias a las influencias oratorianas.29 Cottolengo respira el aire de la espiritualidad de Felipe Neri (su director espiritual era el filipino Michele Fontana) y de Francisco de Sales, aunque descubre su vocación leyendo la vida de San Vicente de Paul. Para don Bosco, Francisco de Sales y Felipe Neri son los modelos en los que personalmente se inspira.
24 Cf. SE, en: OE I, 489.
" G. BACO, Vita di S. Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, Roma 1622. Tuvo numerosas ediciones italianas y en otras lenguas.
26 P. Stella ha puesto de relieve que los Ricordi ai giovinetti de San Felipe Neri se encuentran en la obra anónima, que don Bosco conocía bien, titulada: Un mazzolino di ftori ai fanciulli e alíe famiglie..., Torillo 1836 (cf. STELLA, Valori spirituali, p. 41s.). I ricordi generali di san Filippo Neri alta gioventit fueron editados por G. Bosco, Porta teco cristiano (1858), en: OE XI, 34-36.
27 G. CACCIATORE, Fonti storico-letterarie dell'insegnamento ascetico di S. Alfonso M. De' Liguori, en: A.M. DE' LIGUORI, Opere Ascetiche, Introduzione generale, Roma 1960, p. 127.
28 El influjo salesiano es muy fuerte en Antonio Cesan (1760-1828) de la congregación veronesa del Oratorio, y se presenta mezclado con motivos ignacianos y vicentinos, además de filipinos. Este entramado está especialmente presente en: Lezioni storico-morali sopra la Sacra Scrittura, Milano 1815-1817 (cf. A. VECCHI, La dottrina spirituale di A. Cesad, en: Chiesa e spiritualitá nell'Ottocento italiano, Verona 1971, p. 173s.).
29 VECCHI, La dottrina spirituale, en: Ibid., p. 185; A. VALLE, Momenti e valori della spiritua
litá Roma 1978, p. 43s. Un retrato entusiasta de San Felipe Neri fue esbozado por
Rosmini, cuando tenía poco más de veinte años: Delle lodi di S. Filippo Neri, Venezia, G. Battaggia 1821.
El caso de Cottolengo revela la amplia atracción ejercida también en Turín por la tradición vicentina, mantenida despierta por los religiosos de la congre.. gación de la Misión, que en 1827 contaba en Piamonte con seis casas, por la congregación de las Hijas de la Caridad y por las fundaciones que, aunque desgajadas del tronco de las Hijas de la Caridad, conservan su espíritu y adoptan su Regla?' Si los paules promueven las misiones populares en los pueblos del_Piamonte, las Hijas de la Caridad se dedican al cuidado de los pobres, los enfermos, los soldados ingresados en los hospitales militares?'
Este entrelazarse de corrientes espirituales anima la extraordinaria época con iniciativas orientadas a las necesidades espirituales y materiales de los pobres, de los enfermos, de los encarcelados, de las mujeres en peligro y descarriadas, que caracteriza las primeras décadas del siglo XIX en Piamonte. La pequeña Casa _de la Divina Providencia surge en 1832 bajo los auspicios de Vicente de Paul y acoge a los enfermos rechazados en otros hospitales a causa de sus deformidades. La espiritualidad del Cottolengo se caracteriza por el abandono total en la divina Providencia y por la dedicación a los hermanos más pobres. Charitas Christi urget nos es el lema que Cottolengo deja a su «Piccola Casa».32
Giulia Barolo, penitente de Lanteri, de Guala y más tarde de Cafasso, promovió obras para la asistencia de las encarceladas, para la rehabilitación de las mujeres descarriadas, para el cuidado de jóvenes enfermas.33 Don Cafasso se dedica a la asistencia de los deshollinadores venidos a Turín desde el valle de
3° Animador de las obras vicentinas en Piamonte fue el padre Marcantonio Durando, amigo y consejero de Cafasso, Cottolengo, Bosco, Murialdo, Allamano. Superior de la casa de Turín (1831), introdujo en 1833 las Hijas de la Caridad y fundó en 1836 la asociación de las Damas de la Caridad, de extracción nobiliaria, dedicada a la asistencia de los pobres y de los-enfermos. Cf. L. CHIEROTTI, II p. Marcantonio Durando (1801-1880), Sarzana 1971. En 1842 las Hijas de la Caridad contaban en Piamonte veinte casas y en 1848, cuarenta (cf. CHIERarn, II p. Marcantonio Durando, p. 112). Entre las fundaciones que, a pesar de haberse separado de las Hijas de la Caridad, conservan su espíritu y adoptan ,su regla, hay que recordar las Hijas de la Caridad de Antida Thouret y las «Suore di Caritá dell'Immacolata Concezione», fundadas en 1828 en Rivarolo Cana
vese (Turín) por Antonia Vema (cf. F. 'TROCHO, Santa Giovanna Antida Thouret, fondatrice delle Suore della carita, Milano 1961; A. PIERot n, La vita e ¡'opera della serva di Dio Madre Antonia
Maria Venza, fondatrice delle Suore di Carita dell'Immacolata Concezione d'Ivrea (1773-1838), Firenze 1938).
" La iniciativa de asistir a los soldados enfermos causó desconcierto en el mundo eclesiástico turinés. Un influyente representante del mismo declaró, en efecto, que si el padre Durando fuera a confesarse con él, no tendría el valor de darle la absolución, por esta su osadía (cf. CHIEROTH, Il p. Marcantonio Durando, p. 276).
32 V. DI MEO, La spiritualitá di san Giuseppe Cottolengo studiata nei suoi scritti e nei processi canonici, Pinerolo 1959.
33 R.M. BORSARELLI, La marchesa Giulia di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte nel Risorgimento, Torillo 1933. En el mes de octubre de 1844, don Bosco llega a ser capellán en uno de los institutos de la marquesa Barolo, «l'ospedaletto di Santa Filomena» para muchachas enfermas.
Aosta, consuela a los encarcelados, acompaña a la horca a los condenados a muerte, implicando en esta experiencia al joven Bosco, sacerdote de 26 años, que quedó fuertemente impresionado 34 La barriada pobre de Valdocco se convirtió en el corazón de esta caridad operativa, acogiendo la Pequeña Casa de Cottolengo, las obras de la marquesa Barolo y en 1846 el Oratorio estable de don Bosco.
Del cuadro que he tratado de delinear, emerge un dato significativo. En el piamonte de la Restauración se forma un milieu espiritual en el que confluyen elementos diversos, pero cuyo denominador común está constituido por la dimensión humanista. Usando una expresión grata a Bremond, podemos decir que la espiritualidad piamontesa se mueve en la línea del humanismo devoto.
El humanismo devoto realiza en el campo de la espiritualidad el principio de la teología católica, según el cual la gracia no suprime la naturaleza, sino que la sana, la eleva, la perfecciona. La intuición de fondo es que la naturaleza, a pesar de haber sido herida por el pecado, permanece fundamentalmente orientada hacia Dios, la gracia actúa sobre tal disposición de la naturaleza. Si los jansenistas habían reivindicado la primacía de la gracia sobre la naturaleza, de la acción de Dios sobre la acción del hombre y habían instaurado una dicotomía entre el hombre pecador y el Dios de la gracia, el humanismo devoto afirma la continuidad entre naturaleza y gracia, la relación armoniosa entre naturaleza y sobrenaturaleza. El humanismo devoto le ha quitado al cristianismo aquellas características que podían hacerlo sombrío y extraño a la vida y le ha devuelto un rostro amable.
Es significativo que falten en Piamonte ecos de la espiritualidad francesa de orientación agustiniana (piénsese en Bérulle y los berullianos) con su temática de la vida cristiana como adhesión a Cristo en su muerte en la Cruz, como «anulación» (anéantissement), es decir, abnegación, muerte interior, mortificación de la naturaleza contaminada por el pecado (Bérulle), como oblación, sacrificio, inmolación, por lo que la criatura rinde honor al Creador no a través de la adoración, que es el reconocimiento de su nada, sino a través del sacrificio, que es la destrucción de sí mismo a manera de víctima inmolada (Condren, María de la Encarnación, Bemiéres, Mectilde del SS. Sacramento). El mismo Murialdo, que se vio influenciado por la espiritualidad francesa y en particular por Olier, pues vivió en Saint-Sulpice, atenúa la austeridad de la espiritualidad francesa con la dulzura de Francisco de Sales y con la afectividad de Alfonso de Ligorio.35
" En las MO don Bosco usa el verbo «inorridire» (cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 81). En este cuadro de caridad activa, hay que señalar una institución laica de beneficencia, denominada «Mendicitá Istruita», regia obra pía turinesa, creada en 1771, que ejercitó durante .el período de la Restauración un renovado compromiso en el sector de la instrucción y de la educación de la juventud pobre. Sus escuelas fueron confiadas, en la sección masculina, a los hermanos de las Escuelas Cristianas; en la sección femenina, a las llamadas «suore di San Giuseppe».
" Huellas de la tradición oratoriana francesa se encuentran en Lombardía y en la región vé
2. Actitud y mentalidad de Don Bosco
Don Bosco ahonda sus raíces dentro de este humus espiritual, del ldioma las esencias y la linfa,36 pero, sobre todo, una inspiración cua, una actitud, una mentalidad. Sacerdote de la clase rural siente con viva sensibilidad la realidad nueva de los jóvenes que, salidos de la cárcel o emigrados del campo a Turín en busca de trabajo, se habían integrado mal en la ciudad en los co. mienzos de la industrialización. Don Bosco fundamenta su acción educativa respecto a los jóvenes «pobres y abandonados» en la «amabilidad» (amorevolezza) y en la «caridad», adapta con relación a ellos la misma metodología pastoral, caracterizada por la dulzura, que había guiado la predicación de los misioneros de Alfonso de Ligorio, de Vicente de Paul, de Gaspare del Bufalo en medio de las poblaciones rurales?' Los jóvenes serían conducidos a Dios no con el rigor, sino con la dulzura. En una carta, que se remonta al 31 de agosto de 1846, pocos meses después de haberse establecido el Oratorio en Valdocco, y por tanto en los comienzos de su experiencia educativa, don Bosco recomienda que «el aceite condimente todo alimento en nuestro Oratorio».38
2.1. Formación sacerdotal en clima rigorista
Tratemos en este sentido de precisar algunos puntos. Es necesario, ante todo, señalar que don Bosco había adquirido su formación filosófica y teológica en el seminario de Chieri (1835-1841), dentro de un clima de gran austeridad. El joven clérigo se había acercado a las tesis favorables al rigorismo a través del estudio del tratado de teología moral de Afasia, que era el texto usado en el seminario. Don Bosco recuerda que las relaciones entre clérigos y superiores se caracterizaban más por el temor que por la familiaridad." El lima() con tales orientaciones rigoristas indujo a Juan Bosco a recorrer el ca-aúno emprendido con un fuerte empeño ascético, llevado hasta el ejercicio de abstinencias y ayunos. Don Bosco reprochaba, además, a la formación esee minario su enfoque abstracto, el gusto por el silogismo capcioso, la pobreza de dimensión histórica.4°
neta. Cf. P. STELLA, Giansenismo e Restaurazione in. Lombardia. Problemi storiografici in marginé de lettere di mons. Pagani vescovo di Lodi (f 1835) a mons. Tosí vescovo di Pavia (t 1845), en: Chiesa e spiritualita nell'Ottocento italiano, p. 335s. Motivos berullianos atraviesan la Vita di Gesit Cristo del oratoriano Antonio Cesari (cf. VECCILL La dottrina spirituale di Antonio Cesan*, en: Chiesa e spiritualitá nell'Ottocento italiano, p. 195-198). Sobre Murialdo puede verse: A. CASTEL, LANI, Leonardo Murialdo, vol. Tappe della formazione. Prime attivitá apostoliche (1828-1866),
Roma 1966; D. BARSOTTI, San Murialdo e la vita di fede, en: D. BARSOITI, Nella comunione dei santi, Milano 1970, p. 373-394 (en particular, p. 377s.).
36 P. Stella ha mostrado, mediante puntuales cotejos, que San Alfonso de Ligorio es el autor en el que don Bosco más se inspiró. En la elaboración del Giovane provveduto y del Mese di maggio, don Bosco valorizó las Massime eterne y L'apparecchio alla morse. Las Glorie di Maria alimentaron la piedad mariana de don Bosco. Las Visite al SS. Sacramento, La pratica di amare Gesù Cristo, eran obras recomendadas por don Bosco: cf. P. STELLA, 1 tempi e gli scritti che prepararono il «Mese di maggio» di don Bosco, en «Salesianum» 20 (1958) 648-694.
37 No se olvide que la idea del Oratorio nació, según el testimonio de don Bosco, de la visita a las cárceles de Turín (cf. G. BOSCO, Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesco di Sales [1862], en: BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 60s).
" E I, 18.
influencia determinante de don Cafasso
2.2. La Tras la ordenación sacerdotal (5 de jimio de 1841), don Bosco entra en el Convitto eclesiástico de Turín y recibe en él una impronta decisiva. Respira el clima alfonsiano, pero, sobre todo, encuentra a don Cafasso, repetidor de teología moral, hombre sereno y sensible, que se convierte en su confesor. Don Bosco ve en don Cafasso la imagen del sacerdote solicito y fervoroso que trabaja para la gloria de Dios y la salvación de las almas con una dulzura que atrae y conquista. A la idea de un Dios solitario y severo don Cafasso contrapone la imagen de Im Dios padre misericordioso. Para Cafasso la perfección consiste en hacer perfectamente la voluntad de Dios, pero la voluntad de Dios debe buscarse en las acciones de la vida común. La santidad no consiste en el cumplimiento de gestos excepcionales, sino en la fidelidad a los deberes del propio estado. Don Cafasso, y en esto fue extraordinario, practicó con fidelidad las virtudes ordinarias. Cafasso condena las formas de mortificación austera, que son frecuentemente una tentación del demonio. Las verdaderas mortificaciones se manifiestan en el sacrificio que exige la fidelidad a los deberes.'
Don Cafasso está en la raíz de las opciones fundamentales hechas por don
Bosco: Ordenado sacerdote, debería haber sido enviado a alguna parroquia de la diócesis, pero por consejo de don Cafasso entró en el Convitto eclesiástico." En 1844 al término de su perfeccionamiento pastoral, fue inducido por don Cafasso a ocuparse de los jóvenes abandonados, que frecuentemente terminaban en la cárcel o en la horca.43 En el Convitto, la imagen de Dios Juez (airado y severo), que don Bosco había concebido én el seminario de Chieri, se dulcificó. En el Convitto don Bosco se persuadió de que no con el rigor, sino
n Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 59.
40 El mismo Stella, a pesar de la escasez de documentación, ha reconstruido el itinerario intelectual y espiritual de Giovanni Bosco en el seminario de Chieri (cf. STELLA, Don Bosco I,p. 51-83).
' G. CAFASSO, Meditazioni e istruzioni per esercizi spirituali al clero, 2 vol., Torino 1892
1893; F. ACCORNERO, La dottrina spirituale di S. Giuseppe Cafasso, Torino 1958; A. PEDRINI, San Giuseppe Cafasso nella scia della dottrina del Salesio, en «Palestra del Clero» 62 (1983) 625-637,
718-736.
42 Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 79.
Ibid., p. 88s.
con la bondad llevaría las almas a Dios. Es significativo que tres años después de haber dejado el Convitto don Bosco compusiera para la marquesa Barolo, entonces penitente de don Cafasso, el Esercizi() di divozione alla misericordia di Dio (1847). El libro revela la actitud fundamental de don Bosco: La confianza en un Dios Padre misericordioso que «ha creado a todos para el Paraíso». Don Bosco habla del amor con el que Dios acoge al pecador y usa por primera vez la palabra «amorevolezza» que le iba a ser tan querida y que iba a llegar a ser tan salesiana." Dios es un «padre tan amoroso» que perdona los pecados más graves y fortifica al hombre débil y pecador con su cuerpo y con su sangre, preservándolo de este modo de los asaltos del demonio." Llama la atención en esta obra juvenil de don Bosco la importancia que da a la confesión y a la comunión, «las columnas» de su «edificio educativo».46
2.3. La importancia central atribuida a San Francisco de Sales
Don Bosco atribuyó una importancia central a San Francisco de Sales eligiéndolo como modelo y apropiándose de alguna de sus características importantes. El interés por San Francisco de Sales germina en el seminario de Chieri, ya que en los apuntes redactados la vigilia de la ordenación sacerdotal, en mayo de 1841, don Bosco escribe: «La caridad y la dulzura de S. Francisco de Sales me guíen en todas las-cosas»." El binomio caridad-dulzura resulta familiar a Juan Bosco en virtud de aquella robusta y consolidada tradición hagiográfica a la cual me he referido. Pero el interés por Francisco de Sales concebido en Chieri, se desarrolla en el Convitto eclesiástico y en el ámbito de las obras de la marquesa Barolo." La elección de Francisco como ejemplar no es casual. Francisco de Sales encarna en sí la tradición tridentina en los años en los que se efectúa en Piamonte una creciente influencia valdense, pero, sobre todo, encarna la «amabilidad», la «caridad», el equilibrio, la discreción, el optimismo." Don Bosco aconseja la lectura de la Introduzione alla vita devota,
44 L'Esercizio di divozione alla misericordia di Dio, en: OE II, 71-181. Los términos «morevole», «amorosamente», «amorevolezza» son usados con tanta frecuencia que llegan a convertise en palabras claves.
" Cf. Ibid., p. 170.175.
46 Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 295; SCHEPENS, L'activité littéraire de don Bosco, p. 9-50.
4' Bosco, Scritti pedagogici, p. 315.
" La marquesa Barolo — recuerda don Bosco en MO — había hecho pintar la imagen de San Francisco de Sales en la entrada de los locales destinados a los sacerdotes que trabajaban en la «Opera Pia del Rifugio», pues «aveva in animo di fondare una congregazione di preti sotto questo
titolo». En este lugar comenzó don Bosco el Oratorio que tituló de «San Francesco di Sales» (Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 93s.).
49 Para carecterizar la actitud de San Francisco de Sales, don Bosco usa un abanico de expresiones: «amabilitá», «calma», «mitezza», «buone maniere», «mansuetudine», «dolcezza», «amorevolezza», «carita». En la Storia ecclesiastica, compuesta en 1845, un año después de haber deporque es un libro que enseña a servir a Dios con familiaridad y confianza liales 50
Se podría objetar que don Bosco hace una lectura restringida del santo sa
boyano, cuya espiritualidad no se agota en la dimensión de la dulzura, pero don Bosco valoriza de los autores aquello que está de acuerdo con su perspectiva educativa. Francisco de Sales, de modelo de pastores de almas, se convierte en modelo de educadores, la amabilidad se convierte en estilo educativo y, más en general, en estilo de vida cristiana. La amabilidad tiene su fund fa-mento en la virtud teologal de la caridad, que «es benigna y paciente, lo sure todo, pero lo espera todo y lo soporta todo». Don Bosco reconoce en el himno a la caridad de la primera carta de San Pablo a los corintios el fundamento de su método educativo?'
2.4. La referencia a San Felipe Neri
Don Bosco vive la propia presencia entre los jóvenes como misión religiosa orientada primariamente a la salvación de sus almas, pero entiende que a los jóvenes se llega sólo a través de la comprensión, la confianza, la amistad, la amabilidad, haciendo hincapié sobre la alegría, la creatividad, la valorización de las realidades humanas: el trabajo, el estudio, la música, el teatro, el canto, los juegos, la gimnasia, los paseos. Para don Bosco la alegría no es un elemento exterior, sino un valor teológico, porque es expresión de la alegría interior, que es fruto de la gracia. En una carta del 25 de julio de 1860 exhorta a un alumno del Oratorio a la alegría «auténtica», «como aquella de una conciencia limpia de pecado»?2 Viceversa, la melancolía, la pereza, la tibieza, la languífado el Convino ecclesiastico, don Bosco traza un breve perfil de San Francisco de Sales, resaltando su dulzura y caridad (cf. OE I, 479s). En el más antiguo reglamento del Oratorio que conocemos, de los años 1851-1852, el Oratorio es puesto «sotto la protezione di s. Francesco di Sales, perché coloro che intendono dedicarsi a questo genere di occupazione devono proporsi questo Santo per modelo nella carita, nelle buone maniere, che sono le fonti da cui derivano i frutti che si sperano dall'Opera deg,li Oratorii» (cf. STELLA, Don Bosco I, p. 108). Las mismas palabras que aparecen en el Regolamento de 1877 (cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 363s.). En el escrito Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883), se define a San Francisco de Sales «II nostro caro e mansueto Francesco», il «mite e sapiente educatore di cuori» (Ibid., p. 311). En las cartas a sus hijos espirituales invita insistentemente a la caridad, a la dulzura y a la paciencia de San Francisco de Sales (cf. por ejemplo, las cartas a don Fenoglio, a don Dalmazzo y a don Lasagna: E IV,153.186.340).
" La Introduzione alla vita devota fue calurosamente recomendada en las publicaciones de
Valdocco, y valorizada por don Bosco en el Giovane provveduto, en el Mese di maggio y en otras obras. Sobre las relaciones entre don Bosco y San Francisco de Sales, cf. PICCA - STRUS (eds.), San Francesco di Sales e i salesiani; E. VALENTINI, Saint Francois de Sales et don Bosco, en: Mémoires et documents publiés par l'Académie Salésienne, Annecy 1955; ID., Spiritualitá e umanesimo nella pedagogia di don Bosco, en «Salesianum 20 (1958) 416-426. " Cf. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 294.
'7 E I, 194.
dez, que hacen al alma árida, opaca, sin brío, insensible a Dios y a las cosas buenas, arraigan en el corazón no iluminado por la gracia."
La figura de San Felipe Neri, definido como «el gran amigo de la juven. tud» es para don Bosco, en este sentido, ejemplar. Existen buenas razones para pensar que ya en el Convitto don Bosco había tenido la posibilidad de acercarse a la figura de Felipe Neri, puesto que ya en 1845 traza de él en la Storia ecclesiastka un breve, pero intenso perfil» En el panegírico de San Felipe Neri, pronunciado en Alba en mayo de 1868, don Bosco presenta al apóstol romano como aquel que «ha imitado la dulzura y la mansedumbre del Salvador», que ha difundido el «gran fuego de la divina caridad» traída por Cristo a la tierra, que ha practicado «el celo por la salvación de las almas, que tiene su raíz en el celo mismo de Cristo»." Al hablar de San Felipe Neri, don Bosco está hablando, de sí mismo y del ideal salesiano. Siguiendo la vida escrita por Bacci y los Ricordi di S. Filippo Neri alía gioventú, don Bosco valoriza y difunde algunos dichos característicos de San Felipe Neri: «Hijitos, estad alegres: No quiero escrúpulos ni melancolía, me basta que no cometáis pecados»; «Haced todo lo que queráis, a mí me basta que no cometáis pecados»; «Escrúpulos y melancolía fuera de la casa mía»; «No os carguéis con demasiadas devociones, pero sed perseverantes en aquellas que habéis empezado».
2.5. Los ecos de San Vicente de Paul
Por los mismos motivos, don Bosco se siente impresionado por la figura de Vicente de Paul, en el cual se encarnan el espíritu de caridad, el estilo de dulzura y de mansedumbre, el celo por la salvación de las almas. En la Storia ecclesiastica de 1845 le dedica un apasionado retrato: «Animado del verdadero espíritu de caridad, no hubo género de calamidad que él no socorriera; fieles oprimidos por la esclavitud de los turcos, niños huérfanos, jóvenes disolutos, solteras en peligro, religiosas abandonadas, mujeres caídas, galeotes, peregrinos, deficientes mentales, mendigos, todos probaron los efectos de la paterna caridad de Vicente».56
Don Bosco desaconsejaba las mortificaciones corporales severas, como «la austeridad en la comida»,57 recomendaba el «precioso don de la salud», un conveniente reposo nocturno, un trabajo proporcionado a las fuerzas de cada
'3 Cf. OE II, 185s.; XI, 236s.
54 Cf. OE I, 473. Sobre la hipótesis de que don Bosco conociera a San Felipe Neri ya durante
los años de seminario, cf. BRAmo (ed.), Esperienze di pedagogía cristiana II, p. 306. " MB IX, 214-221.
56 OE I, 486; In, 217. Conviene hacer notar que don Bosco hizo, en la casa de la Misión de
Turín, los ejercidos espirituales en preparación al subdiaconado (septiembre 1840) y a la ordenación sacerdotal (26 mayo - 4 junio 1841).
5' G. Bosco, Ricordi confidenziali ai Direttori, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 79.
uno 58 Sus preferencias iban hacia las mortificaciones interiores, que se cum.- .
pien en el ejercicio del propio estado y en el soportar las molestias de los demás."
Temía igualmente la multiplicación de las prácticas de piedad que pueden asustar o cansar a los jóvenes. En el perfil biográfico del jovencito Magone de 1861 escribe: «Yo aconsejaría ardientemente vigilar para que se practiquen cosas fáciles que no asusten, y tampoco cansen al fiel cristiano, especialmente a los jóvenes. Los ayunos, las oraciones largas y otras duras austeridades acaban por omitirse en su mayor parte o se hacen de mal humor y con negligencia» 60 De estos datos se deduce también el carácter sereno, equilibrado, humano de la espiritualidad salesiana.
2-.6. Don Bosco maestro de una espiritualidad original
Don Bosco estaba convencido, siguiendo las huellas de San Francisco de Sales, de que la perfección puede ser alcanzada por todos, no con gestos excepcionales y extraordinarios, sino a través del ejercicio de las virtudes ordinarias. Al admirar en Comollo, el clérigo conocido en el seminario de Chieri y muerto prematuramente, «no extraordinarias, sino virtudes cumplidas», don Bosco expresa ya en 1844, en su primera obra, el convencimiento de que en ellas consiste «la santidad de los jóvenes».61
" «Abbiatevi cura della santa, lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportan» (G. Bosco, Ricordi ai missionari del 1875, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 123). «In ciascuna notte
farai sette ore di riposo» (p. 79).
56 «Le tue mortificazioni siano nena diligenza a' tuoi doveri e nel sopportare le molestie al
trui» (Bosco, Ricordi cónfidenziali ai direttori, p. 79).
6° G. Bosco, Cenno biografico sul giovinetto Magone Michele, Torino 1861, p. 46. En el Regolamento per le case della Societá di S. Francesco di Sales de 1877, don Bosco recomienda a sus hijos: «Non abbracciate mai alcuna nuova divozione, se non con licen7a del vostro confessore, e ricordatevi di quanto diceva S. Filippo Neri a' suoi figli: "Non vi caricate di troppe devozioni, ma siate perseveranti in quelle che avete preso"» (Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 433). También don Luigi Guanella recomienda que «gli esercizi di divozione non impediscano gli affari, non siano cosi lunghi e stracchino lo spirito e diano fastidio alle persone colle quali si vive» (L. GUA
NELLA, Un saluto al nuovo auno 1889, Como 1889, p. 55).
61 G. Bosco, Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morro nel seminario di Chieri, Torino 1844, en: OE I, 27. En la segunda edición de esta obrita (Torino 1884) don Bosco escribe que la conducta de Comollo era «un complesso di virtú piccole, ma compiute in guisa che lo facevano universalmente ammirare quale specchio di singolari virtú» (OE XXXV, 29). Don Bosco, presentando la vida edificante de un clérigo que había conocido en Chieri, sin darse cuenta, se retrata a sí mismo, o revela cuáles eran los sentimientos de piedad, estudio y disciplina de los que estaba penetrado. Es interesante poner de relieve que la expresión «piccole virtú» aparece frecuentemente en la obra Trattatello sopra le virtú piccole del gesuita Giambattista Roberti (17191786) empapado de humores salesianos. Las «pequeñas virtudes» son, para Roberti, «la trattabilita, la condisc<n7a, la semplicitá, la mansuetudine, la soavitá ne' guardi, negli atti, ne' modi, nene parole». «Le virtú piccole — continúa Roberti — sono virtú sicure. La loro sicurezza nasce dalla loro stessa piccolezza. Esse non sono pompose, perché versano sopra oggetti leggeri: esse si eser
Al joven Emanuele Fassati don Bosco le recomienda «la obediencia a los padres y superiores» y la puntualidad en el cumplimiento de los deberes, especialmente los escolares.62 Sega!' don Bosco, la santidad puede ser alcanzada por los jóvenes. Un joven es an santo)
cuando observa con «perseverante escrupulosidad los deberes de su esta. do».63 Los perfiles biográficos de Domingo Savio (1859), de Magone (1861),
de Besucco (1864) tienden precisamente a demostrar que también los jóvenes pueden alcanzar altos grados de perfección.
Don Bosco no sólo sostiene que la santidad puede ser alcanzada en cualquier estado de vida, sino que es fácil llegar a ser santos. La única condición es querer serlo: «¿De cuántas cosas, pues, tenemos necesidad para ser santos? De una sola cosa: es necesario querer serlo. Sí, con tal que lo queráis podéis ser santo. No os falta más que quererlo. Los ejemplos de los santos, cuya vida nos aprestamos a poner ante vuestros ojos, son de personas de baja condición, que han vivido en medio de las dificultades de una vida activa: obreros, agri. cultores, artesanos, mercaderes, siervos y jóvenes. Cada uno se ha santificado en su propio estado. Y ¿cómo se han santificado? Haciendo bien todo lo que tenían que hacer»." El camino hacia la santidad, pues, está indicado no tanto por virtudes excepcionales y por hechos extraordinarios, cuanto por la fuerte
voluntad y por la denodada perseverancia en cumplir los deberes del propio estado.
Don Bosco meditó y amó desde los tiempos del seminario de Chieri, la Imitación de Cristo, pero no estuvo marcado por la espiritualidad de la huida del mundo. Cultivó, sí, el desapego de las cosas, la abnegación interior, la compunción del corazón, pero sin complacencias intimistas, en vistas a la actividad apotólica, no a la oración mística o a la inmersión en Dios. Don Bosco no ha elaborado una espiritualidad original.
Bebió en fuentes ignacianas, salesíanas, alfonsianas, filipinas y las canalizó, con gran libertad y habilidad, hacia la acción educadora. Lo nuevo de la espiritualidad de don Bosco está en el hecho de traducirla en un apostolado creativo, diligente, audaz, volitivo, en el don de sí mismo a los demás. En este sentido, don Bosco fue un maestro de vida espiritual (no tanto un escritor espiritual) y no se comprendería su labor educativa, si prescindiéramos de las fuentes que la inspiraron y alimentaron.
citano quasi senza la reputazione di essere virtuosi. [...] Le virtú piccole sono virtú usnali, doé di un uso frequente e cotidiano, comuni a tutte le stagioni ed a tutte le condizioni della vita. [...] Le virtú piccole sono virtú sublimi e divine. Sento ora come penitenza di averíe chiamate piccole, ma la frase é tolta dallo stile di S. Francesco di Sales. E poi esse sono piccole solamente perché ver-sano sopra soggetti piccoli, una parola, un gesto, un'occhiata, una creanza; per altro, se il principio si esamini da cui partono, edil fine, a cui tendono, sono preciare affatto: sono piccole virtú, che formano i grandi virtuosi» (G.B. ROBERT', Raccolta di varíe operette, vol. III, Bologna 1782, p. 33-75).
62 Al joven noble Emanuele Fassati (8 septiembre 1861) en: E I, 209.
62 S'ELLA, Valori spirituali, p. 95. El Giovane provveduto de don Bosco no es simplemente un manual de devoción, es un «modo di vita cristiana» propuesto a los jóvenes (Ibid., p. 80).
6' G. Bosco, Vita di santa Zita serva e di sant'Isidoro contadino, en LC (1853) 6.
Basta ojear las Meniorias biográficas de San Juan Bosco,' para darse cuenta de los contactos que éste tenía con diversas asociaciones católicas de su
tiempo. Y no sólo en la ciudad de Turín, sino también fuera'
Efectivamente, durante los viajes por Italia, Francia y España, encontraba
muchaofrecerles etas asociaciones, que le salían al paso para presentle sus res
petos, su ayuda y recibir, en cambio, una buena palabra osuna bendición.
En todos estos encuentros, ambas partes — las asociaciones y don Bosco se sentían muy a gustó, como envueltas en un mismo clima de mutua atracción y .:Inpatía. De tal forma que, de los mismos, podían surgir relaciones más o menos estables de amistad y ayuda.
Prueba de ello son, por ejemplo, la decisión de algunas sociedades de nombrar a don Bosco su miembro de honor,3 el hecho de que militaran en las mismas, en un grado o en otro, muchos cooperadores salesianos de primera hora — como el conde Carlo Cays di Giletta,4 el conde De Maistre,5 el conde de Villeneuve,6 doña Dorotea Chopitea de Serra' — y, en fin, la intervención de
* Esta comunicación fue redactada y leída por el autor en castellano (n.d.e.).
' Aunque ya está muy adelantada la publicación de la traducción castellana (CCS, Madrid 1981 ss.), en el presente trabajo las citas de las MB se aducen de acuerdo con el original italiano.
2 Se pueden compulsar, por medio del Indice analitico de las citadas Memorie, algunos términos, tales como Associazione, Circolo, Congress°, Patronage, Societa, Unione.
3 Lo fue de las Conferencias de San Vicente de Paul de Turín desde 1850, de la Unión Católica Obrera de Nizza Monferrato desde 1883, de la Asociación de Católicos de Barcelona desde 1884. Cf. respectivamente MB IV, 66-70; XVI, 288; XVIII, 84.
• Fue primero presidente del Consejo Particular de las Conferencias de San Vicente de Paul en Turín (1853) y luego presidente también del Consejo Superior de las mismas en el Piamonte (1856). Acabó siendo salesiano y sacerdote (1. 1882). Cf. L. TERRoNE, II conte Cays, sacerdote salesiano, Colle Don Bosco (Asti), LDC 1947, p. 142.
• De las mencionadas Conferencias en Nizza, según MB X, 1337.
• Presidente de las sociedades agrícolas del sur de Francia, según MB XVIII, 150-151. 7 Entre-otras asociaciones, había pertenecido a la Junta de Damas de las Salas de Asilo y al Apostolado de la Oración. Cf. A. BURDÉUS, Una dama barcelonesa del ochocientos. La sierva dedichas asociaciones en algunas fundaciones salesianas, concretamenté en marassi (Génova 1871),8 Sampierdarena-Génova (1872),9 Niza (1875),10B Buenos Aires (1877-1878)" y Marsella (1878).0
Indudablemente, el movimiento católico social del siglo pasado demo tener una fina sensibilidad ante el carisma salesiano, al que quiso tener cercastró y abrirle los caminos de la vida, aunque no siempre consiguiera una presencia activa de los salesianos, como le ocurríó, por ejemplo, en 1880, a la Sociedad Obrera de Florencia13 o, al año siguiente, a la Asociación de Católicos de Valencia (España)11---o, en 1884, al Consejo general de las Conferencias de San Vi. cente de Paul de Londres.'5
«Giá piú volte in questo e in altri volumi — escribe don Eugenio Cenia en el XVIII — ci é avvenuto di narrare come Societá Operaie Cattoliche volgessero lo sguardo a don Bosco, reputandolo grande antesignano nell'attivitá a favore della classe lavoratrice. Questa opinione faceva si che, dove ci fossero case salesiane, le medesime Associazioni le considerassero come luoghi per esse di naturale ritrovo».16
Pero, entre las asociaciones que conectaron con don Bosco y sus salesianos, había también las formadas por la burguesía católica que, de acuerdo con la mentalidad propia del catolicismo social de la época, se dedicaban, entre otras cosas, a la acción benéfica en favor del proletariado y del mundo de la marginación. En esta línea sobresalía la Sociedad de San Vicente de Paul, fundada en París por Federico Ozanam en 1833. Su exponente más cualificado estaba, y sigue estando, en las Conferencias de San Vicente de Paul.
Éstas entraron en Italia en 1844, a través de la pequeña ciudad de Níza, entonces perteneciente al reino de Cerdeña, y, pasando por Génova (1846), llegaron a Turín en 1850. Desde el primer momento, don Bosco se convirtió en promotor de las mismas." Tanto que, a los pocos años, con la ayuda del conde Cays, fundó unas llamadas Conferencias Anejas en sus tres oratorios de Dios doña Dorotea de Chopitea, viuda de Serra, Barcelona, Librería Salesiana 1962, p. 128.326.
8 Cf. MB X, 145.182.184-185.190-191230.
9 Cf. MB X, 364; S. SCIACCALUGA, Don Bosco a Genova, Genova-Sampierdarena, Salesiana editrice 1946.
'° Cf. MB X, 1337; XI, 421-426; XII, 114-116.120-122.124.407-408; XIII, 106-112; XV, 506
507. F. DESRAMAUT, Don Boscoa Nice. La vie d'une école professionnelle catholique entre 1875 et 1919, Paris, Apostolat des éditions 1980, p. 21-41.
" Cf. MB MI, 264-266; XIII, 180-181. 784-786. 1005-1007.
Cf. MB XLII, 95ss. 526-528. 531. 542. 727. 998. Ver en el Indice analitico (indice dei nomi propri) de las MB el término Beaujour.
" Cf. MB XV, 328-334.
" Ver la carta que le dirigen a don Juan Cagliero (23-III-1881) en A. MARTÍN, Los salesianos de Utrera en España, Inspectoría Salesiana de Sevilla 1981, p. 183.
15 Cf. MB XVIII, 447-448.
16 MB XVIII, 168.
" Cf. MB IV, 66-70; V, 468.
urín18 y se interesó por su difusión en Roma.19 En general, las relaciones de don Bosco con la Sociedad de San Vicente de Paul fueron profundas y permanentes."
Los aquí datosic aducidos son más que sufícíentes para despertar nuestro interés científo y orientarlo a un campo que todavía no tenemos bien estudiado: ¿cómo eran — en su constitución, mentalidad y actividades — esas asociaciones católicas, de las que tantas veces se veía rodeado don Bosco y cuya amistad y apoyo buscaba? ¿Dónde radicaba la razón de aquella sintonía? ¿Qué resultados se derivaron de la misma?
Tales son el objetivo y el contenido del presente trabajo, que se centra tan sólo en aquella ciudad de Barcelona que don Bosco visitó y conoció en abril-mayo de 1886 y a la que, desde entonces, amó sinceramente. Cuando falleció dos años después y, el día 2 de ferero, por la tarde se organizó el solemne entierro por las calles de Turín, «la caja caja mortuoria iba, cubierta con paño negro — se lee en el «Boletín Salesiano» —; encima llevaba las insignias sacerdotales y las medallas de oro de la Asociación de Católicos de Barcelona y de la Sociedad Geográfica de Lyon».2' ¡Es curioso! Los salesianos de hace un siglo, a la hora de adornar lo mejor posible el féretro de su padre y fundador, no encontraron otros símbolos más significativos y más cercanos al corazón que las insignias sacerdotales y unas medallas de oro de dos asociaciones extranjeras... ¿Podían expresar mejor la conciencia que tenían de que, efectivamente, don Bosco era ya patrimonio de todo el mundo católico?
El autor de este modesto trabajo desearía que otros participantes en este Congreso Internacional tomaran en consideración el tema aquí insinuado y que lo desarrollaran en relación a las tierras de Italia y Francia. De esta manera, a nuestro juicio, conseguiríamos descubrir mejor la dimensión históricoeclesial de don Bosco y haríamos avanzar, siquiera lin poquito, la historiografía relativa al mismo.
La literatura salesiana de todos los tiempos ha acostumbrado presentar el viaje de don Bosco a España con colores luminosos y atrayantes. Según el historiador Cenia, aquellos días de la estancia del Fundador en Barcelona y en Sarriá — pueblecito éste de los alrededores de la capital de Cataluña, en donde
18 Cf. MB V, 468-477.782-783; VI, 491; VII, 12-15; IX, 941.
'9 Cf. G. BONETTI, Cinque lustri di storia dell'Oratorio Salesiano, Tocino, Tipografia salesiana
1892, p. 532; MB V, 871.
20 Ver en d Indice analitico (indice dei nomi propri) de las MB los términos Conferenza di
S. Vincenzo de' Paoli, Conferenze annesse.
21 Marzo 1888, 34.
radicaba la casa salesiana —, desde el 8 de abril al 6 de mayo de 1886, fueron unas jornadas «triunfales ».22
Efectivamente, tanto las fuentes salesianas23 como las barcelonesas24 avalan este enfoque de cosas. La misma actitud de burla de la prensa anticlerical no hace más que confirmarlo.25 Don Bosco se vio constantemente rodeado de la multitud y agasajado por la burguesía católica barcelonesa. Objetivamente hablando, aquello constituyó para él un éxito indiscutible. Pero ¿a qué, o a quién, se debía toda esa brillantez, festiva y multitudinaria, en torno a un personaje que, al fin y al cabo, no era conocido para la inmensa mayoría de la población local? A la hora de responder a esta pregunta, hay que tener en cuenta diversos factores. Entre ellos, sin duda, la fama de santidad de don Bosco y de los milagros que se le atribuían. Así y todo, ¿quién hacía socialmente válida y operativa toda esa fama? A nuestro entender, en una medida importante, las organizaciones del societarismo católico. Basta compulsar la documentación para cerciorarse de ello.
Ya desde el mismo momento de poner el pie en el suelo de Barcelona, en la estación llamada «de Francia», la mañana del jueves 8 de abril, don Bosco se encontró con el asociacionismo católico de la Ciudad. El joven cronista Viglietti quedó admirado: «La stazione presentava un magnifico spettacolo: tutte in bell'ordine erano schierate varíe societá [...]: vi era il Direttore della societá dei cosi detti cattolici, il Direttore dell'Universitá di Barcelona, il Presidente della Societá di S. Vincenzo de' Paoli».26
A los periódicos de la tarde no se les escapó el detalle. Según el «Correo Catalán», a don Bosco le esperaban en la estación del ferrocarril «numerosas comisiones [...] de todas las asociaciones católicas de esta capital, prensa católica y numerosísimo concurso de individuos de las mismas ».27
El anciano Fundador se emocionó ante aquel espectáculo. Como declaraba unos días más tarde, «me han dispensado una acogida que no olvidaré nunca».2a Desde aquella mañana, las asociaciones católicas no le abandonaron y le prepararon las jornadas más brillantes de su estancia en la Ciudad Condal.
22 MB XVIII, 117.
23 La más importante es la Cronaca de don Carlo Maria Viglietti. En este trabajo se usa el ejemplar que el mismo cronista regaló a la familia Martí-Codolar. En la primera tapa de la lujosa encuadernación se lee: Don Bosco — I quattro ultimi anni di sua vita — Omaggio di riconoscenza alía famiglia Martí-Codolar — Cronaca scritta dal segretario Carlo M. Viglietti —1888 (= Cronaca).
24 Entre la prensa periódica que más se interesó de don Bosco hay que recordar: «Diario de Barcelona» (fundado en 1792), «Correo Catalán» (diario fundado en 1878), «12.vista Popular» (semanario fundado en 1871), «La Hormiga de Oro» (semanario fundado en 1884).
25 Se refirieron especialmente a don Bosco «La Campana de Grácia» (semanario fundado en 1870), «L'Esquella de la Torratxa» (semanario fundado en 1872). «El Diluvio» (diario fundado en 1879). Para una visión general, cf. R. ALBERDI, Una ciudad para un santo, Barcelona, Ediciones Tibidabo 1966; ID., Don Bosco en Barcelona. Itinerario, Barcelona, Edebé 1986.
26 Cronaca, 8 Aprile 1886. Barcellona.
27 «Correo Catalán», jueves 8 de abril de 1886, P. 1. Edición de la tarde. Cf. también «Diario de Barcelona», jueves 8 de abril de 1886, p. 4105. Edición de la tarde.
28 Ver el texto de la invitación a la conferencia salesiana, Sarriá 27 de abril de 1886, en MB
XVIII, 648.
El jueves 15 de abril, tuvo lugar la solemne velada en que la Asociación de Católicos impuso a don Bosco la medalla de miembro de honor y mérito. Fascinado, Carlo Maria Viglietti dejó consignados en la crónica algunos detalles: «Alle 4 giunse il presidente con alcuni membri della associazione cattolica per accompagnare don Bosco alla radunan7a straordinaria espressamente convocata per onorare lui. Codesti signori erano elegantemente vestid e decorad delle insegne della societá. Tre vetture di gran lusso ne attendevano [...]. Le vetture andavano a passo lento, e attiravano gli sguardi della moltitudine accorsa per vedere don Bosco [...]. I socí cola accorsi [en el nuevo local que la Asociación inauguraba entonces] erano quanti ne potevano contenere i tre saloni. Era tutto il flore della nobiltá di Barcellona».29
La sesión resultó un éxito,3° tanto para don Bosco y los salesianos como para la misma Asociación de Católicos que, de esta manera, se dio a conocer también ante los representantes de otras asociaciones. El señor presidente, doctor Bartolomé Feliú y Pérez, al evaluar el desarrollo de la velada expresaba — según consta en el libro de actas de dicha entidad — «lo satisfecha que quedaba la Junta directiva por las muchas muestras de aprecio recibidas en aquel día por [parte de] todos los individuos de la Asociación y por [parte de] las corporaciones que a la fiesta asistieron».3'
A los quince días, el viernes de la semana de Pascua, 30 de abril, se celebró la llamada conferencia salesiana, convocada por don Bosco a favor de los Talleres Salesianos32 de Sarriá, «a fin de que aumente — decía — en grandes proporciones el número de niños que se puedan admitir en los mismos, para darles, a la par que una sólida educación cristiana, la enseñanza de un arte u oficio que les procure, a su tiempo, una honrosa subsistencia».33
Por medio de los amigos y cooperadores de la casa salesiana, este comunicado se transmitió a las sociedades en las que ellos estaban inscritos. Al igual que la Asociación de Católicos — que, como se lee en el libro de actas, recibió «con agrado [...] el oficio de invitación de don Bosco»34 —, también las demás
29 Cronaca, 15 Aprile 1886. Barcelona.
38 Cfr verbale della riunione solenne svoltasi il 15 aprile 1886 dall'Associazione dei cattolici
a Barcellona per imporre all'insegna della Corporation per l' anziano illustre e venerabile signor Juan
Bosco, fondatore dei Salesiani Workshops, Barcellona, Tipografia Cattolico, 1886
31 ASSOCIAZIONE DEI CATTOLICI DI BARCYI ONA, Atti 1886-1896. È il record corrispondente alla
sessione del Consiglio di amministrazione del 19-IV-1886. Sia questo volume che un altro precedente (1871-1872 [1886]) si trovano nell'Arxiu Diocesá di Barcellona. Entità ecclesiastiche Antigues.
Associazione dei cattolici di Barcellona. Leg. 2. Vedi nota 47.
"Sono stati nominati durante i primi anni di attività delle scuole di arti e uffici
che i salesiani avevano tenuto a Sarriá dal 1884.
"Testo dell'invito alla Conferenza salesiana, Sarriá, 27 aprile 1886, in MB
XVIII, 648.
34 ASSOCIAZIONE DEI CATTOLICI DI BARCELLONA, Atti 1886-1896 (= Atti II). Sessione straordinaria del 30 aprile 1886.
i raggruppamenti hanno risposto positivamente. I loro rappresentanti hanno occupato un posto distinto nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora di Betlemme, dove la conferenza si ha, il cui parroco, il reverendo don Giovanni Masferrer, era il cappellano del consiglio dell'associazione di condimento cattolica. Secondo la descrizione del cronista, "dal lato dell'Epistola stavano governative lui AUTORITÀ e militad. con vari Direttori di Societá e di Giornali. I Comitati dei Signori e Signore delle occupavano cooperatrici in chiesa i posti a priori, ed i Signori portavano petto decorazioni sul Secondo le le Societa di appartenevano cui ».35
Al termine della conferenza, insieme a collaboratori hanno contribuito a rendere la collezione "I Giovani della Società Cattolica" .36 E 'del tutto possibile che questa espressione Don Carlo Maria Viglietti vorrebbe fare riferimento alla associazione denominata' Accademia di Gioventù Cattolica di Barcellona, che è diventato come la sezione giovanile dell'Associazione dei cattolici.
Il terzo grande giorno - mercoledì 5 maggio - era centrato sulla basilica di Nostra Signora della Misericordia. Lì, in un atto "commovente Insieme e solenne" 37 proprietari della cima del Monte Tibidabo fatto a Don Bosco donazione della stessa, 38 'in modo che si servirà per sollevarla - aveva scritto su incarico pergamena - A eremo, consacrato al il Sacro Cuore di Gesù, fermare il braccio della giustizia divina e di attrarre il
Divine Misericordie della nostra amata città e l' intera Spagna cattolica" .39
Gli undici firmatari erano proprietari, o eredi o rappresentanti dei primi proprietari. E, come spiegato più avanti, questi erano, o erano stati, membri dell'Associazione dei cattolici o delle Conferenze di San Vincenzo de 'Paoli o entrambe le entità contemporaneamente. Il primo dei firmatari e che gli alti e bassi che seguirono questa donazione è stata la rappresentazione di altri chiamato Dolphin Artos e Mornau, apparteneva alla Associazione Cattolica dal 1881 e, dal 1884, hanno esercitato le posizioni del presidente particolare consiglio delle Conferenze di Barcellona e del Consiglio centrale dello stesso in Catalogna. "
Certamente, sia l'acquisizione delle proprietà situate al vertice del
Tibidabo, come la decisione di offrirli a Don Bosco, fu forgiato tra i militanti dell'Associazione Cattolica della Ciudad Condal.
35 Cronaca, 30 aprile 1886. Barcellona.
36 Ibid.
37 Ibid., 5 Maggio 1886. Barcellona.
38 Cfr. ALBERDI, Una città, p. 176-190.
39 La pergamena della donazione, con il testo firmato dai proprietari o dai loro rappresentanti, è in ASC, 38 Barcellona: Tibidabo 1 °. I nomi dei donatori portati in MB XVIII, 653 non sono sempre correttamente trascritti.
4 ° Intorno a quest'ultimo anno è diventato membro onorario del Board of the Worker, in cui durante i primi anni ha ricoperto il ruolo di presidente effettivo.
Oltre a questi incontri più significativi, ci sono stati altri momenti di convivenza tra le associazioni e Don Bosco.
Así, según hace constar don Viglietri, el sábado 10 de abril, por la tarde, don Bosco recibió en audiencia especial al Presidente de la Asociación de Católicos, que acudió a la casa salesiana de Sarriá «con gran numero dei piú illustri socii».4' Cuatro días más tarde, éstos mismos asistieron a la misa que celebró don Bosco en la capilla de aquella casa: «II Presidente col Segretario —precísa el cronista — servirono la Santa Messa a don Bosco»." Y, por la tarde de ese día (14 de abril), volvieron a la residencia salesiana. Allí estaba «tutta la societá cattolica, a cui — asegura el cronista Viglietti — don Bosco tenue una specie di conferenza nel teatro ».43
En ídéntíca forma, el miércoles 21 de abril, por la tarde, tuvo lugar en Sarriá el encuentro de don Bosco con las Conferencias de San Vicente de Paul. «Era un'imponente dimostrazione di ben 250 Signori della Societá di San Vincenzo de' Paoli» — explica Viglietti —. Y prosigue: «Don Bosco entró subito nella sala del teatro e parló a tutta quella moltitudine ringraziandola di una cosi bella prova di fede e di religione. Si fece quindi da queí buoni signorí una colletta che fu assai generosa» 44
Las asociaciones católicas de Barcelona sólo dejaron a don Bosco el día de la partida de éste, el 6 de mayo de 1886. Le dieron el último adiós en la estación del ferrocarril. Según la «Revista Popular», allí estaban presentes las «Comisiones de las Corporaciones religiosas de esta ciudad, como la Asociación de Católicos, el Fomento [Católico de Barcelona], la [Academia de la] Juventud Católica, las Conferencias de San Vicente de Paul, etc.» 43
Como se ve, las agrupaciones que se acaban de mencionar jugaron un papel importante junto a don Bosco, al que acompañaron y auparon en sus días barceloneses. ¿Cuál era su origen en la capital de Cataluña, qué objetivos perseguían, qué espíritu les animaba para sintonizar tan perfectamente con el Fundador de los salesianos? Las páginas que siguen quisieran responder a estos interrogantes. Como hay que respetar los límites señalados a una comunicación, sólo se mencionan las organizaciones más importantes, de las cuales se ponen de relieve aquellos aspectos que ofrecen mayor relación con don Bosco y su obra.
" Cronaca, 10 Aprile 1886. Barcelona.
Ibid., 14 Aprile 1886. Barcellona. Ver también Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona en la Junta General de Reglamento celebrada el día 20 de marzo de 1887. Barcelona 1887, p. 13.
Ibid.
44 Ibid., 21 Aprile 1886. Barcelona.
" «Revista Popular», 805 (1886) 297.
De cuanto se ha expuesto hasta ahora se desprende que esta organi2aeió es la que estuvo en mayor contacto con don Bosco a raíz de su visita a Barcen lona en 1886. Las relaciones de amistad comenzaron en 1884, cuando dcha tuvieron supo de la existencia de los salesíanos y de su Fundador y se mantuvieron vivas aun después de haber recibido la noticia de la última enfermedad y muerte del mismo, en enero de 1888.46
La Asociación de Católicos de Barcelona47 se constituyó el 19 de marzo de 1871. «Queríase — escribía más tarde el abogado José María Vergés, buen conocedor de la misma — que, a favor del entusiasmo, de la esplendidez y de la buena organización, se hiciera el catolicismo de moda, si es licito usar tal expresión, y que viniera a convertirse en título de gloria ante el muno, dejando de ser estigma con que el enemigo señala a sus odiados rivales a l da saña de sus adeptos, la cualidad insigne de católicos e hijos de la Iglesia que con júbilo ostentan cuantos forman parte de nuestra agrupación».48
Tal era la meta a que aspiraban aquellos hombres que en la iglesia parroquial de San Jaime, con la solemne celebración eucarística y la comunión general de la fiesta de San José de 1871,49 ponían en marcha la nueva entidad. Sólo buscaban ser católicos a secas, para poder dar así un nuevo prestigio a la religión que ellos veían criticada por todas partes a raíz de la Revolución de Septiembre de 1868." Aun después de varios años, la Asociación era consciente de la «azarosa época» en que había sido fundada?'
El iniciador principal de la misma fue don José Coll y Vehí 1876),52 ca
48 Cf. R. ALBERO', Resonancia de la muerte de Don Bosco en Barcelona, en «Salesiantun» 50 (1988) 191-214.
47 En buena parte al menos, hoy es posible reconstruir la historia de esta entidad gracias a la documentación que se halla en el antiguo Archivo de la Diputación Provincial de Barcelona (para la cuestión de las escuelas) y, sobre todo, en el Archivo Diocesano de Barcelona. Aquí (Arxiu Diocesá de Barcelona = ADB) se pueden consultar diversos materiales impresos y no impresos (Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona). Particularmente interesante es el Libro de Actas, en sus dos cuadernos: el primero (= Actas I) se extiende de abril de 1871 a marzo de 1886; el segundo (= Actas II), desde marzo de 1886 a junio de 1896. Ver notas 31 y 34. 48 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 11 (1881) 170.
48 Unos meses antes (diciembre de 1870) el Papa Pío IX había proclamado al Santo Patriarca como Patrono de la Iglesia Universal. Por su parte, la Asociación de Católicos de Barcelona se había puesto oficialmente bajo la protección de este santo (Estatutos, art. 11.
" Cf. La Iglesia en la España contemporánea (1808-1975), en: R. GARCÍA VILLOSLADA (ed.) Historia de la Iglesia en España, V, Madrid, RnicA 1979, p. 227-256.
5' «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 22.
52 Ver este nombre en el Dkcionari BiográfiC, I, Barcelona, Alberti editor, 1966, p. 591.
tecirático de la Universidad de Barcelona, escritor y crítico literario. Había sido Ais 'pulo de Manuel Milá y Fontanals (t 1884) y se relacionó mucho con Juan --pá-acrilé y Flaquer (t 1901) y con Manuel Durán y Bas (t 1907). Se le ha considerado como uno de los representantes del conservadurismo catalán. Dentro de la Asociación gozó de un prestigio inmenso. "
Entre otros, le ayudaron en la fundación de la sociedad el mencionado José ajaría Vergés y el reverendo José Morgades y Gil (t 1901) que a la sazón era canónigo penitenciario de la catedral de Barcelona. Doctorado en Teología y Derecho Canónico Y profesor en el seminario conciliar, ya se había dado a conocer como propulsor de la cultura y de las obras benéficosociales.54
La junta interina, presidída por Coll y Vehí, terminó sus funciones el 30 de abril de 1871 y fue sustituida por una junta directiva propiamente dicha. Entraba en ésta,55 como presidente, el citado señor Coll y, como vicepresidente, el también citado José Morgades. Este, según el «Diario de Barcelona», llegó a ser «decidido protector del Instituto Salesíano» de Sarriá.56
En la misma junta directiva ejercía el cargo de secretario primero el señor Narciso María Pascual de Bofarull (t 1902), abogado de profesión y cuñado de Luis Martí-Codolar (t 1915) y que, por estar casado con María Jesús Serra y Chopitea (desde 1844), era yerno de José María Serra y Muñoz (t 1882) y de Dorotea Chopitea y Villota (t 1891). La futura «mamá» de los salesianos de Barcelona (desde 1884) ya había iniciado para entonces (1871) la fundación y organización de obras asistenciales y tenía en el señor Pascual un colaborador inteligente, generoso y fiel.
La aparición de las asociaciones de católicos no fue un hecho exclusivo de Barcelona, sino que, ya antes, se había dado en otras ciudades españolas, comenzando por Madrid. Los fundadores — todos ellos seglares y adscritos al conservadurismo políticoreligioso — aprovecharon precisamente la libertad de asociación que acababa de proclamar la Revolución de Septiembre de 1868, para crear un gran frente común que fuera capaz de oponerse al espíritu laicista y anticlerical de dicha Revolución, promover una cultura inspirada en la fe católica — íntegramente profesada, según decían — y, en fin, defender la unidad católica de España." Este movimiento se ponía en marcha io antes de terminar el año de la Revolución (1868) y, desde el siguiente, se v completado y 52 «Modesto, sabio, virtuoso e infatigable defensor de la verdad», según se le describe en la Memoria y discurso leídos por el vocal secretario Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans en la Junta General de socios celebrada el 24 de mano de 1878. Barcelona 1878, P. 12.
34Ver este nombre en la Gran Enciclopédia Catalana, vol. 10, Barcelona 1977, p. 314-315. 58 Cf. Actas I, en la fecha indicada.
" Miércoles 21 de abril de 1886, p. 4626. Edición de la mañana. En 1882 había sido nombrado obispo de Vic (Barcelona) y, a los cuatro años, tuvo ocasión de saludar personalmente a don Bosco en la incipiente casita salesiana de Sarriá. Cf. Cronaca, 20 Aprile 1886. Barcellona.
57 Cf. Iglesia en la España contemporánea, p. 242-247; J. ANDRÉS GALLEGO, La política religiosa en España 1889-1913, Madrid, Editora Nacional 1975, p. 9-15.
animado por las agrupaciones juveniles correspondientes, tales como la Academia de la Juventud Católica de Barcelona, que ya tenía redactado un primer reglamento en noviembre de 1869.58
Pero los años del Sex.enio Revolucionario — Revolución (1868), Gobierno Provisional (1868-1870), Monarquía de Amadeo I de Saboya (1870-1873), Primera República (1873-1874), Régimen Interino (1874) — no resultaban nada favorables para el desarrollo normal del asociacionismo católico. Éste, ante una situación permanente de anarquía y de anticlericalismo (tanto de signo gubernamental como popular), ante los brotes de la primera Internacional obrera y ante un nuevo choque de las guerras carlistas, se vio obligado a reducir, camuflar o suprimir sus actividades."
La Asociación de Católicos de Barcelona pronto fue objeto de sospechas y malentendidos por parte del Gobierno civil.," que, a pesar de las explicaciones que le daba aquélla, terminó por interceptar todas sus actuaciones. En consecuencia, al mes siguiente de la proclamación de la Primera República (febrero de 1873), las puertas de su local social — calle del Rigomir, n° 11 — quedaroncerradas, y se abrió seguidamente un paréntesis que duró hasta septiembre de 1877.61
Sobre los 260 socios inscritos vinieron «la desorganización y el espanto» según recordaba en 1878 el secretario Juan Federico Muntadas y Vilardell.82 La «mayor parte» de ellos, según el mismo testigo, tuvieron que buscar «más allá de las fronteras la tranquilidad de que se carecía en nuestro suelo»,63 ya que, durante aquellos años (1868-1874), «la revolución [...] quedaba árbitra y señora de la antigua Ciudad de los Condes, cuna de esclarecidos santos. Los templos y los claustros, profanados; destruidas las imágenes; los misterios de nuestra sacrosanta Religión, escarnecidos; perseguidos los ministros del altar; señalados los católicos todos al público oprobio»."
Es probable que este lenguaje del letrado Muntadas — que ya era secretario de la Asociación antes del advenimiento de la república — sea un tanto exagerado, porque, hablando en general, Barcelona y Cataluña consiguieron mantenerse dentro del orden. Con todo, es verdad que, dado el odio anticlerical de los republicanos — perfectamente explicable hasta un cierto punto —, la violencia se cebó en las iglesias de la capital catalana, las cuales, si bien se libraron de las llamas, estuvieron cerradas al culto e incluso algunas fueron profanadas 8s En tal estado de cosas, a muchos sacerdotes sólo les quedó un camino de salvación: huir al extranjero."
" Cf. Reglamento de la sociedad Juventud Católica de Barcelona 1870, p. 14.
'9 Cf. J. MANUEL CASTELLS, Las asociaciones religiosas en la España contemporánea (17671965). Un estudio jurídico-administrativo, Madrid, Ed. Taurus 1973, p. 224-242.
6° Ver la circular que la Asociación de Católicos cursó a los socios, con fecha 4 julio 1872. (Ejemplares de éste y otros impresos, en: ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues, Leg. 7).
61 Cf. Memoria y discurso... 1878, p. 11-12.
62 Ibid. p. 11. 67 Ibid.
" Ibid.
La crisis revolucionaria y republicana — con sus crueles medidas desamortizadoras y secularizadoras — entró en proceso de desintegración a comienzos del año 1874 (Golpe del capitán general de Madrid, Pavía) y terminó a finales del mismo año, cuando el general Martínez Campos proclamó en Sagunto a Alfonso XII como rey de España (29 de diciembre de 1874).
A pesar de la llegada de la Restauración de 1875, la Asociación de Católicos de Barcelona no acertó a reaccionar en seguida. A la antigua junta directiva, que había sido nombrada en marzo de 1872, le costó preparar la reanu- • dación de las actividades, hasta que finalmente, en septiembre de 1877, consiguió una nueva autorización por parte del Gobierno civil de Barcelona."
La Asociación de Católicos mantuvo sin cambios el status social de sus miembros. Estos procedían generalmente de la burguesía.
2.2.1. Antes de la supresión de 1873
Los grupos más significativos eran — para entendernos — el de la burguesía intelectual — abogados, catedráticos, médicos y farmacéuticos — y el de la burguesía dineraria — banqueros, industriales, fabricantes, comerciantes, propietarios y administrativos —. También tenía su importancia el sector de los clérigos adscritos a la vida pastoral (sin ser profesores ni dignidades eclesiásticas). En fin, no faltaban algunos títulos nobiliarios.
a) Los futuros Cooperadores salesianos
De la lista de socios de primero de marzo de 1872 — la segunda que se publicó y la más antigua que hasta ahora hemos podido hallar" — se desprende que los futuros cooperadores salesianos de Barcelona militaban en las filas de la Asociación ya desde los tiempos que pueden llamarse fundacionales.
65 Cf. F. SOLDEVILA (ed.), Un segle de vida catalana 1814-1930, I, Barcelona, Ed. Alcides
1961, p. 385.
66 Cf. J. BoNET I BALTA, L'Església catalana, de la Illustració a la Renaixenla, Barcelona, Publicacions de l'Abadia de Montserrat 1984, p. 644-645.
67 El Reglamento de la Asociación de Católicos de Barcelona fue revalidado con fecha 7-IX 1877.
68 Asociación de Católicos de Barcelona. N° 2. Contiene los Estatutos (p. 1-4) y una Lista general de los señores asociados (p. 5-27).
Efectivamente, allí estaban las tres familias más importantes: la de Serra Chopitea, la de Martí-Codolar y la de Pascual de Bofarull. Interesa recordar algunos nombres.
— De la primera, José María Serra y Muñoz (t 1882), banquero y comerciante, marido de Dorotea Chopitea y Villota (calle Barra de Ferro 8,1°. hfilmero de inscripción 100).
— De la segunda, Luis Martí [Codolar] y Gelabert (t 1915), comerciante y financiero, esposo de Consuelo Pascual de Bofarull y jefe de la familia Martí Codolar,69 el cual el día 3 de mayo de 1886 acogió a don Bosco en su finca de Horta-Barcelona y fue su gran amigo y cooperador (calle Dormitorio de San Francisco 27,1°. Número de inscripción 60)."
— De la tercera: Sebastián Antón Pascual e Inglada (t 1872), abogado y político, banquero y empresario, casado con María Asunción de Bofarull y de Plandolit, y padre de Consuelo Pascual de Bofarull — esposa de Luis MartíCodolar — y de sus hermanos Narciso María, Oscar, Manuel María, Sebastián y Policarpo (calle Xuclá 19,1°. Número de inscripción 52).71
Narciso María (t 1902), abogado y activista de primer orden en la Asociación de Católicos. Por ser hermano de Consuelo Pascual de Bofarull, señora de Martí-Codolar, y estar casado con una de las hijas (María Jesús) Serra-Chopitea, constituía el anillo de unión de las tres familias: los Pascual, los MartíCodolar y los Serra-Chopitea, la plataforma más sólida y prestigiosa de los Cooperadores salesianos de los primeros tiempos. Él organizó en Barcelona la Unión de Cooperadores y fue, hasta la muerte, «su celosísimo presidente» (calle Nueva de San Francisco 2,2°. Número de inscripción 32).72
Oscar (t 1904), banquero y comerciante, casado con Antonia Puig y Benítez — la «Donna Antonietta» que nombra Viglietti en su crónica — (calle Nueva de San Francisco 2,3°. Número de inscripción 33)."
Manuel María (t 1911), abogado, verdadero modelo de apóstol seglar,74 que llegó a ser presidente de la Asociación de Católicos en marzo de 1888," y lo fue también, después del fallecimiento de su hermano Narciso María, de los
69 Luis Martí Gelabert, hijo de Joaquín Martí y Codolar y de María Angeles Gelabert Jordá, al objeto de evitar confusiones con su primer apellido — muy difundido en Cataluña — en 1886 obtuvo de la corona española el privilegio de usar como único apellido los dos primeros de su padre, separados por un guión (= Martí-Codolar).
'° Ver el apellido Martí-Codolar en el índice de nombres de las MB.
n Cf. V. GEBHARDT, Necrología del Ilustrísimo Sr. Doctor D. Sebastián Antón Pascual, Barce
lona, 1873. En 1872 el autor pertenecía también a la Asociación de Católicos (Número de inscripción 63).
72 BS 26 (1911) 61.
73 Cronaca, 30 Aprile 1886. Barcellona.
74 Cf. E. MORÉU LAC.RUZ, Noticia biográfica de D. Manuel M' Pascual y de Bofarull, Marqués de Pascual, Barcelona [1920]; BS 26 (1911) 230-232.
75 Cf. Actas II, Junta general de socios del 25 marzo 1888.
Cooperadores salesianos de Barcelona (calle Xudá 19,1°. Número de inscripción 38).76 1913) y Policarpo (t 1935), presentados por sus hermanos Sebastián (t Manuel María, ingresaron en la Asociación de Católicos en Narciso María y M enero de 1872."
El primero era licenciado en derecho administrativo y, al casarse con Isidra Pons y Serra, nieta de José María Sena y Dorotea Chopitea, en él quedaron entroncadas de nuevo las tres familias, los Pascual de Bofarull, los Martí-Codolar y los Serra-Chopitea (calle Xudá 19,1°. Número de inscripción 165).
El segundo, el más joven de los hermanos Pascual, era propietario e ingeniero, un entusiasta promotor de la escuela cristiana. Fue también presidente de la Junta de Cooperadores salesianos de Barcelona (calle Xuclá 19,1°. Número de inscripción 155).78
Los hermanos Pascual — cuñados de Luis Martí-Codolar — fueron todos amigos de don Bosco — «tra le famiglie a lui piú affezionate vi erano quelle dei fratelli Pascual», dejó escrito don Eugenio Ceria79 — y los cinco se encuentran junto al Fundador en la famosa fotografía que se le obtuvo en la finca MartíCodolar el día 3 de mayo de 1886.80 Espontáneamente se convirtieron en grandes Cooperadores salesianos."
Todavía hay que añadir que, junto a ellos, y desde primera hora (noviembre de 1871),82 había ingresado en la Asociación de Católicos un tío suyo, hermano de su madre, llamado Policarpo de Bofarull y de Plandolit. Propietario y aficionado a la poesía, dedicó a don Bosco un soneto en abril de 1886 (calle Cambios Nuevos 1,1°. Número de inscripción 147).83 b) Los futuros donantes de la cumbre del monte Tibidabo
Al menos algunos de los que, en enero de 1876, adquirieron la cumbre del Tibidabo y se lo regalaron a don Bosco en mayo de 1886 (personalmente o por delegación) ya militaban en la Asociación de Católicos. Efectivamente, Delfín Artós y Mornau (propietario, con domicilio en la calle Gignás 42,1°) tenía en 1872 el número 71 de inscripción; Jaime Moré y Bosch (comerciante, con domicilio en la calle Mercaders 32,1°), el número 106; Manuel María Pascual de Bofarull (abogado, calle Xudá 19,1°), el número 38; Santiago Manuel
76 Cf. BS 26 (1911) 62.
n Cf. Actas I, sesión de la Junta directiva del 12 enero 1872.
78 Cf. BS 50 (1935) 351-352.
" MB XVIII, 154.
Cf. ALBERDI, Don Bosco en Barcelona. Itinerario, p. 130-131.
" Ver el apellido Pascual en el índice de nombres de las MB.
ffi Cf. Actas I, sesión de la Junta directiva del 24 noviembre 1871. Fue presentado por su sobrino Narciso María Pascual y el mismo José Con y Vehí.
83 Cf. MB XVIII, 647-648.
Calafell y Calafell (comerciante, calle de la Boquería 9,1°), el número 101Antonio Camps y Fabrés (fabricante, calle Pou de San Pedro 7, tiend el 'a , e número 23.84
c) Los futuros fundadores de la casa salesiana de Gerona
Tanto Juan María de Oliveras y de Estañol, marqués de la Quadra (proietarjo, Rambla de Santa Mónica 27,2°) como dos de sus albaceas y herederosp de confianza, Carlos de Fontcuberta (propietario, Rambla de los Estudios 4 1°1 Trinidad de Fontcuberta (propietario, calle de Montcada 20,1°) habían entrado en la Asociación de Católicos en enero de 1872, con los números de insci. pción 149, 178 y 159 respectivamente.
El Marqués de la Quadra había sido presentado en la Asociación mencionado Sebastián Antón Pascual Ingl Antonio Escolano, por el y por Antoni E nistrador del Banco de Barcelona y gran colaborador de doña Dorotea Chopi. tea en sus obras de beneficencia.85 En 1891, los albaceas testamentarios regalaron a los salesianos una finca situada cerca de la ciudad de Gerona, al objeto de convertirla en escuela agrícola bajo la advocación de San Isidro Labrador.
d) Otras menciones
Para tener completo el cuadro del personal que aqiú nos interesa, conviene añadir todavía dos nombres.
En primer lugar, Luis María de Llauder (t 1904), abogado, que ingresó en la Asociación de Católicos el 25 de febrero de 1872 y promovió constantemente la causa de las escuelas que mantenía la misma. Fue propietario y director del diario el «Correo Catalán» (desde 1878) y fundador de la revista «La Hormiga de Oro» (1884). Ambas publicaciones, en las que colaboraban las mejores plumas del tradicionalismo catalán — como Salvador Casarlas, Félix Sardá. y Salvany, Jaime Minera, Joaquín de Font y de Boter, Cayetano Barraquer, Víctor Gebhardt, Eduardo Vilarrasa, a todos los cuales se les nombra en este trabajo —, hablaron de don Bosco y sus instituciones con amor y responsabilidad informativa. Luis María de Llauder visitó personalmente a don Bosco en Sarriá el 11 de abril de 1886.86
En segundo lugar, Leandro de Mella que ya se había retirado de la armada cuando, en noviembre de 1871, quedó admitido en la Asociación de Católi9° Cf. Asociación de Católicos de Barcelona. N° 2. Félix Vives y Amat entró en la Asociación más tarde, en 1878.
a' Y, naturalmente, colaboró también en favor de los salesianos de Sarriá. Según el director, &ti Juan Branda, doña Dorotea «dio impulso al. Sr. Don Antonio Escolano y a otros que hoy día ayudan la Casa de una manera especial». Carta a don Juan Cagliero, Sarriá 23 junio 1884 (ASC 9 Dorotea corrispondenza).
8° Cf. Cronaca, 11 Aprile 1886. Barcellona.cos.
Fue admirable en su entrega en favor de las escuelas populares que sostenía dicha Asociación. Llego a ser cooperador salesíano."
222.Después de la reanudación de las actividades en 1877-1878
Cuando, a finales de 1877 y comienzos de 1878, después de unos cuatro años y medio de suspensión de las actividades (1873-1877), se reanudaron éstas, ya no volvieron a las filas de la Asociación todos los miembros «antiguos». Pero, a la llamada de los más fervorosos, comenzaron a llegar los nuevos. No faltaron entre unos y otros algunas excisiones — ya sea por los enfrentamientos habituales en el integrismo español,' ya sea por cuestiones referentes a la marcha de las escuelas" — ni momentos de desaliento, apatía y dejadez. En 1886, los socios no llegaban ciertamente a doscientos." a) Los Cooperadores salesianos
Lo mismo que en el período anterior, la captación de los socios se hacía a través de las relaciones personales. Por lo cual, la Asociación de Católicos siguió adscrita a la burguesía. Allí continuaron encontrando su sitio propietarios, abogados, médicos e intelectuales. En general, residían y trabajaban en las calles más importantes del casco antiguo de la ciudad, pero también en las Ramblas e, incluso, en puntos claves del nuevo Ensanche barcelonés. (Lo que es necesario tener en cuenta para entender el itinerario que don Bosco solía recorrer en sus desplazamientos de Sarriá a la ciudad de Barcelona).
En este momento se han de citar al menos dos personas que jugaron un papel importante en relación con don Bosco y los salesianos.
Ante todo, Bartolomé Feliú y Pérez (1843-1918). «Tengo el gusto de proponer para socio de la Asociación de Católicos al señor don Bartolomé Feliú y Pérez, catedrático de la universidad literaria, que tiene-su domicilio en la calle de Ausias March, número 2, piso 4°, 2° puerta». Con estas palabras rituales, en fecha 14 de noviembre de 1885, lo presentaba otro hombre de ciencia — catedrático de Farmacia en la Universidad barcelonesa — y miembro de dicha Asociación y de las Conferencias de San Vicente de Paul, llamado Fructuoso Plans y Pujol."
87 Cf. R. AInRRDI, I primi Cooperatori salesiani a Barcellona (1882-1901), en: La famiglia salesiana, Leumann (Tocino), Elle Di Ci 1974, 81.
88 Cf. Actas I, sesiones de la Junta directiva de los días 11 y 22 de febrero de 1883. Para esclarecer este punto, ver C. MARTÍ (presentació i transcripció), Intervenció de Salvador Casañas, bisbe d'Urgell en el conflicte entre la «Joventut Católica» de Barcelona i el bisbe Urquinaona (1883), en: Arman' 1987 de la Societa d'estudis d'História Eclesiástica, Moderna i Contemporania de Catalunya, p. 191-194.
89 Cf. Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona en la Junta General de Reglamento celebrada el día 20 de marzo de 1887, Barcelona 1887, p. 27.
90 El presidente, señor Feliú y Pérez, al evaluar el funcionamieto de la Asociación durante el año 1886-1887, hubo de lamentar «la apatía» de muchos socios «en la acción común» y el hecho de que no se dispusiera de otras entradas económicas más que «los reducidos ingresos de poco más de 160 asociados» (Ibid.).
A los pocos días (25 de noviembre)," el doctor Feliú fue aceptado en la Asociación de Católicos. Desde la misma conocería, admiraría y proclamaría la Obra de don Bosco.
Hijo de un confitero, Bartolomé había nacido el 24 de agosto de 1843 en Peralta (provincia de Navarra y diócesis de Pamplona) y, ese mismo día, recibió el bautismo. Siendo joven todavía se doctoró en ciencias físicas y, en 1880, llegó a Barcelona para hacerse cargo en su universidad de la cátedra correspondiente. A los cinco años, como se ha dicho, por mediación del doctor Plans, ingresó en la citada Asociación. Ambos catedráticos pertenecían ya con anterioridad a las Conferencias de San Vicente de Paul y querían realizar en sus vidas el ideal del sabio cristiano, demostrando que era posible servir a la ciencia moderna y vivir, al propio tiempo, los valores del Evangelio."
Feliú llegó a la Asociación de Católicos en un momento en que ésta necesitaba imperiosamente nuevas fuerzas. Por eso, a los cuatro meses (28 de marzo de 1886), fue elegido presidente. «Nos ha venido como llovido del cielo por sus excepcionales cualidades» — decía el presidente anterior, José Oriol Dodero, en la Junta general de socios."
Como estuvo al frente de la Asociación durante el bienio reglamentario 1886-1888, él fue el responsable de preparar tanto la velada de homenaje a don Bosco — imposición de la medalla de socio de honor y mérito (15 de abril de 1886)" — como la sesión necrológica en su memoria (5 de marzo de 1888).96 En ambas ocasiones pudo demostrar brillantemente su total adhesión a don Bosco y sus instituciones
91 Ver ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 8, carpeta que dice Papeletas de Presentación. Para conocer la personalidad del presentador, ver
J. DE FONT Y DE BOTER, Bosquejo biográfico del Dr. D. Fructuoso Plans y Pujol. Leído en la sesión pública que la Sociedad Médico-farmacéutica de los Santos Cosme y Damián celebró el día 26 de junio de 1890. Barcelona 1890.
92 Cf. Actas I, sesiones de la Junta directiva de los días 14y 25 de noviembre de 1885.
93 Pocos meses antes de su entrada en la Asociación de Católicos, Feliú había evocado en la Academia de la Juventud Católica de Barcelona la figura del que había sido consiliario de la misma, Jaime Arbós y Tor, el cual había trabajado como qiíímico, industrial y empresario y, una vez viudo, había recibido la ordenación sacerdotal. Para él, Arbós y Tor venía a ser la plasmación de un ideal soñado, síntesis de ciencia y fe, de creatividad profesional y sentido religioso de la vida. Cf. Biografía del Sr. D. Jaime Arbós y Tor, Barcelona 1885.
94 Memoria y discurso leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de Barcelona, en la Junta General de Reglamento celebrada en 28 de marzo de 1886, Barcelona 1886, p.21.
95 Cf. Acta de la sesión solemne celebrada en 15 de abril de 1886 por la Asociación de Católicos de Barcelona... El discurso del doctor Feliú, en p. 6-18.
96 Cf. Recuerdo de la solemne sesión necrológica celebrada por la Asociación de Católicos de
. Desde el punto de vista salesiano, fue un cooperador eminente; desde el profesional, un sabio y un pedagogo cuyos libros universitarios alcanzaron una gran difusión; políticamente, militó siempre en el partido tradicionalista, ostentando incluso algunos cargos. Por encima de todo, fue un católico de acción. Murió en Zaragoza, el 16 de noviembre de 1918."
Desde marzo de 1886, secretario suyo en la Junta directiva de la Asociación de Católicos fue el doctor Joaquín de Font y de Boter, que ya pertenecía a la misma desde tres años antes. Era farmacéutico, escritor y traductor, con domicilio en la Ronda de San Pedro, n° 140. En 1886 trató personalmente a don Bosco, tanto en Barcelona como en Turín." Lo visitó en su última enfermedad, en enero de 1888.99 Y, cuando murió éste, se convirtió en el portavoz más cualificado del salesianismo barcelonés. Los artículos publicados por él en el «Correo Catalán» 100 y el discurso que pronunció en la sesión necrológica citada arribara llaman aún hoy la atención por la riqueza informativa y el amor entusiasta de que hacía gala el autor. b) El grupo de los clérigos
Tuvo siempre un relieve destacado en la Asociación de Católicos. Estaba formado por los párrocos de las iglesias de antigua tradición; por los profesores del seminario conciliar y por algunas dignidades de la iglesia catedral. Y es que, de hecho, la corriente de renovación intelectual y pastoral que animaba a varios clérigos encontraba su punto de referencia en esta Asociación de Católicos. En ella habían dado su nombre, además de José Morgades, por ejemplo, Jaime Almera, Cayetano Barraquer, Valentín Basart, Salvador Casañas (nombrado obispo de Seo de Urgel en 1879, creado cardenal en 1895, trasladado a la sede episcopal de Barcelona en 1901),102 Domingo Cortés, Ildefonso Gatell, Barcelona, en memoria de su esclarecido miembro de honor y mérito, el Rmo. P. D. Juan Bosco fundador de la Congregación Salesiana, Barcelona-Sarriá 1888. La intervención del doctor Feliú en p. 33-37.
97 Nota necrológica, en BS 34 (1919) 31-32.
98 Cf. MB XVIII, 150-152. 675. Ver también Actas II, sesión del 7 julio 1886.
" «Pocos días han transcurrido — escribía el 2 de febrero de 1888 — desde que tuvimos la dicha de hablarle por última vez. En humilde celda y en pobrísimo lecho descansaba en plácida calma, a pesar de los agudísimos dolores...» («Correo Catalán», n° 3900, 2.2.1888)
" Cf. Dom Bosco, en «Correo Catalán», n° 3900 (jueves 2 de febrero de 1888) 8-10. Turín ante el cadáver de Dom Bosco, en: «Correo Catalán», n° 3908 (viernes 10 de febrero de 1888) 7-9. Edición de la mañana.
mi Cf. Recuerdo de la solemne sesión necrológica..., 7-26. El también debió de redactar la invitación a la velada en honor de Don Bosco del 15 abril 1886. Cf. MB XVIII, 647.
1°2 Al tener que abandonar la ciudad de Barcelona para trasladarse a su primera sede episcopal, fue nombrado «socio de honor» de la Asociación. Cf. «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 19. Casañas y Pagés profesó una admiración ilimitada hacia doña Dorotea Chopitea de Serra y todo lo que significaba su obra asistencial. Por eso, no es nada extraño que para las instituciones salesianas abrigara un «profundo cariño» (BS 24 [1909] 27).
Francisco de Asís Renau, José Torras y Bages (nombrado obispo de Vic en 1899),103 Felipe Vergés, Eduardo Vilarrasa.
Juan Masferrer era ya párroco de la iglesia de Nuestra Señora de Belén cuando dio su nombre en la Asociación de Católicos desde los primeros tietn_pos.1" Fue él quien, el día 1 de mayo de 1886, refiriéndose a don Bosco que había acudido a la citada iglesia para celebrar la Misa, dijo: «Abbiamo qui fra noi un Santo».105 Tenía entoces el cargo de consiliario en la Asociación.
Jacinto Verdaguer (f 1901), el gran poeta catalán, ingresó en la Asociación de Católicos en marzo de 1878 y fue considerado como «uno de los socios más distinguidos».106 En 1882 la junta directiva le nombró «socio de honor y mérito».1°7 Es lástima que no se encontrara con don Bosco en abril-mayo de 1886, por hallarse en peregrinación en Tierra Santa. Murió siendo Cooperador salesiano.108
Félix Sarda y Salvany 1916), que en julio de 1884 escribió tres valiosos artículos con el título de La obra salesiana en Cataluña109 y visitó personalmente a don Bosco en los Talleres Salesianos de Sarriá el día 13 de abril de 1886,"° había sido nombrado «socio de honor y mérito» en la mencionada Asociación de Católicos."' Los salesianos tuvieron siempre al doctor Sardá y Salvany como «uno de sus más asiduos cooperadores».112
Finalmente, consignemos que el cura-párroco de la iglesia de los Ángeles y profesor del seminario conciliar, José Juliá, que, el día 30 de abril de 1886 y en la iglesia de Nuestra Señora de Belén, pronunció ante don Bosco la conferencia salesiana,'" entró en la Asociación de Católicos al año siguiente, 1887.114
Los nombres que se acaban de traer son de un gran prestigio en el clero barcelonés de la segunda mitad del siglo pasado, y su presencia en la Asociación de Católicos ayuda a descubrir uno de los aspectos más interesantes de
103 Había entrado en la Asociación de Católicos en febrero de 1872. Según aseguraba el «Boletín Salesiano», «para los salesianos tuvo siempre estimación profunda y cariño paterno» (BS 31 [1916] 55).
1°4 En la lista de socios publicada con fecha 1 marzo 1872, aparecía inscrito con el número 30.
I°5 Y añade Carlo Maria Viglietti: «Come una fiamma quena parola divampó nel cuore dei presentí che si gettarono verso Don Bosco, ed a stento potemmo salvarci dall'onda che irrompeva nel presbiterio» (Cronaca, 1° Maggio 1886. Barcelona).
106 Como tal lo tenía la Junta directiva, según consta en Actas I, sesión del 31 mayo 1882. Ibid.
108 Cf. BS 17 (1902) 336.
1°9 Cf. «Revista Popular», 27 (1884) 10-11; 27 (1884) 20-21; 27 (1884) 36-37. 130 Cf. Cronaca, 13 Aprile 1886. Barcelona.
'" «En prueba de la consideración que le merecen sus muchos y buenos servicios a la causa de Dios, como infatigable publicista católico, escritor muy distinguido y virtuoso sacerdote» (Actas 1, acuerdo de la Junta directiva en 4 abril 1883).
"2 Nota necrológica en BS 31 (1916) 55.
113 Cf. Cronaca, 30 Aprile 1886. Barcelona.
'" En 1888 fue elegido vocal eclesiástico y como tal actuó desde la Junta directiva.
los orígenes de la obra salesiana en Barcelona, tanto en la vida del Fundador como en los años inmediatos a su muerte.
Siempre que la Asociación de Católicos sentía la necesidad de clarificar su identidad y tomar conciencia de sí misma, recordaba las palabras del artículo tercero de sus Estatutos, que decía: «El fin de esta Asociación es la propagación de la doctrina católica en todas las esferas del saber». El término propagación/propaganda constituía para los asociados el objetivo al cual debían tender todas sus actuaciones.
El sentido y el alcance de dicho artículo los explicó el presidente Coll y Vehí cuando, el 24 de marzo de 1872, después de un año de rodaje de la Asociación, pronunció estas palabras: «Confesar la fe de Cristo; creer, amar y defender las verdades propuestas por nuestra santa madre la Iglesia católica, apostólica y romana; detestar y combatir los errores que la Iglesia condena; manifestar explícita y resueltamente nuestra completa adhesión a la Sede apostólica, he aquí nuestro objeto. Non enim erubesco Evangelium, he aquí nuestro lema ».1"
En la misma ocasión, al explicar las condiciones que se exigían para ingresar en la, sociedad, declaraba: «Ni las ideas ni los actos públicos, con excepción de los contrarios a las declaraciones de la Iglesia, han cerrado ni han de cerrar jamás a nadie las puertas de esta casa. Profesión de la fe católica, práctica de la religión católica, adhesión completa a la Cabeza visible de la Iglesia: no pedimos más, ni nos contentamos con menos»."6
En estos dos párrafos del discurso del fundador, los socios creyeron siempre que estaba perfectamente enunciado el espíritu que debía animar toda su vida. Muy en concreto los trajeron a la memoria a la hora de relanzar sus actividades después del paréntesis de suspensión (1873-1877)."7
¿Con qué medios intentaban los socios realizar este programa? «Únicamente» — según precisaba el artículo cuarto de los Estatutos — de esta manera: «1°. La formación de una buena biblioteca de autores católicos para instrucción de los socios. 2°. La celebración de sesiones académicas. 3°. La fundación de escuelas, dando preferencia a las de primeras letras para los artesanos en’ Discurso que en la Junta General celebrada en 24 de marzo de 1872 por la disuelta Asociación de Católicos de Barcelona pronunció su primer presidente, el Sr. D. José Coll y Vehí (Q.E.P.D.).
Barcelona 1877 , 4.
116 Ibid., p. 8.
117 Ver la circular impresa que, con fecha 4 enero 1878 y las firmas del presidente José de
Sans y el secretario Juan Federico Muntadas y Vila rdell, se envió a los socios. Un ejemplar, en ADB, Entitats Eclesiastiques Antiguas. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 7. Carpeta 3. Año1878.
hijos de artesanos. 4°. La fundación de bibliotecas populares y la publicación carien de hojas, folletos o libros»."8
Como se ve, la Asociación de Católicos, tanto en sus objetivos como en sus medios, presentaba un talante intelectual, propagandístico y educativo, y entendía moverse dentro de un campo de acción más bien amplio: «Las asocia ciones católicas — opinaba — necesitan extender su círculo de acción y comprender todos los terrenos, desde el especulativo, religioso y científico, hasta el social, económico e Industrial, pues en todos es necesario introducir e iratrar el elemento católico».119
De acuerdo con esto, y después de varios intentos y consultas, la Asociación de Católicos de Barcelona se organizó en 1881 según las secciones siguientes: la literaria y artística, la industrial y mercantil, la de propaganda, la científica y la de escuelas. De todas ellas, las que funcionaron de verdad desde antes del mencionado año, fueron la sección artístico-literaria y la sección de escuelas.
A este respecto hay que recordar que, entre los meses de marzo y abril de 1880 y siguiendo una tradición que venía desde años atrás, la Asociación había puesto en funcionamiento una escuela de primera enseñanza (diurna y 'nocturna). Estaba situada en la calle Ferlandina número 45 y en ella se hacían cargo de la enseñanza los hermanos de las Escuelas Cristianas."' Seis años después, la Asociación se sintió con fuerzas para abrir otra y decidió instalarla en el llamado Palau Fivaller, ubicado en la calle Lladó números 4 y 6, dentro del casco antiguo de la ciudad."' F.I local destinado a la nueva escuela se inauguró precisamente el 15 de abril de 1886, con la velada en honor de don Bosco.122 Al año siguiente, vino a parar también a este edificio la sede de la Asociación, que ya en 1880 se había transferido desde la calle del Regontir número 11 a la de Riera de San Juan número 22. Por tanto, la sesión necrológica en memoria de don Bosco (5 de marzo de 1888) tuvo lugar en esta casa de la calle Lladó número 4, que todavía existe.123
Por cuanto se acaba de exponer y por los datos que se han ido aduciendo
18 El articulado de los Estatutos no sufrió cambio alguno en las diversas ediciones que se hicieron durante el siglo XIX (1871, 1877, 1888, 1891).
'" Ver el artículo titulado Nuestro programa y firmado por M.R. y S., en el «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 6 (1880) 84.
120 Cf. Reseña y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Luis María de Llauder y el presidente D. Francisco Romaní y Puigdengolas en la Junta General de Socios celebrada el 20 de marzo
de 1880. Barcelona 1880, 2-7. «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 1 (1880) 11-15.
"1 Cf. AJUNTAMENT DE BARCFr ONA, Catáleg del Patrimoni Arquitectónic Histónko-Artístk de la Ciutat de Barcelona, Barcelona [1987], p. 243-244.
"-u Cf. Cronaca, 15 Aprile 1886. Barcellona. MB XVIII, 647.
"8 Tarjeta de invitación para la velada necrológica y programa que se desarrolló en la misma, en ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues. Asociación de Católicos de Barcelona. Leg. 7. Carpeta 13. Año 1888.
anteriormente, resulta fácil captar los rasgos más significativos de la Asociación de Católicos de Barcelona. En su mentalidad y formas de comportamiento incidió de lleno el espíritu de la Iglesia que le tocó vivir; es lio Vaticano decir, I la(1869- Iglesia 1870). de la Restauración, de Pío IX (1846-1878) y del Conci influyó también la dura experiencia del Sexenio Revolucionario (1868-1874), con idos los forcejeos y desajustes que comportó en lo político, intelectual, social dh yes religioso.
al papa y defensa del sacerdocio
Para aquellos católicos barceloneses, el Pontificado constituía un valor supremo. Pío IX era un Papa «santo y mártir»; León XIII seguía siendo «PapaRey>>.124 Suspiraron constantemente por la «libertad e independencia del Augusto Prisionero»I25 y, para apoyarle, organizaron colectas y participaron en las peregrinaciones a Roma. (Así se entiende el que se complacieran en monstrar en público a don Bosco como amigo y confidente del Papa).
Junto a esto, la Asociación de Católicos profesaba una gran veneración por los sacerdotes y religiosos, a los cuales había visto criticados y vilipendiados durante el período revolucionario. (Por eso, se esforzó en presentar a don Bosco como una gloria del clero católico. Por otra parte, el hecho de que, en la conocida fotografía del 5 de mayo de 1886, aparezca a la derecha de don Bosco, entre sus amigos y cooperadores, un abad cisterciense de la Gran-Trapa — el valenciano Cándido Albalat y Puigcerver — no puede tomarse como una pura casualidad).
a) Catolicismo y patria
Los de la Asociación de Católicos valoraban la religión como fundamento de la unidad de la Patria. «Nuestros padres [...] fueron los que nos transmitieron el don precioso de la unidad católica como principio nacional» — afirmaba el abogado y presidente Francisco Romaní y Puigdengolas en el discurso final del año (1878-1879).' Por ello, para evitar la disolución de la sociedad española, había que defender la unidad religiosa. De lo contrario los españoles corrían el peligro de perder su patria — «como perdieron la suya los judíos», concluía el citado señor Romaní."
124 Memoria y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans... 1878, p. 14-15.
125 Ver la circular, fechada el 16 diciembre 1882 y firmada por el presidente José María Rodríguez-Carballo. ADB, Entitats Eclesiástiques Antigues, Leg. 7. Carpeta 7. Año 1882.
128 Reseña y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Luis María de Llauder y el presidente D.F. Romaní y Puigdengolas en la Junta General de socios celebrada el 22 de marzo de 1879, Barcelona 1879, p. 21.
Ibid.
(Según las Memorias biográficas, Delfín Artós, al hacer a Don Bosco ofrenda de los terrenos situados en la cumbre del Tibidabo, le pedía levantar allí un santuario al Sagrado Corazón de Jesús, «per mantenere ferma e incrollabile quella religione [...] che é nobile retaggio dei padri nostri»).128
c) Profesión pública de la fe cristiana
Era otra exigencia insoslayable para aquellos católicos que se empeñaban en demostrar que la religión no estaba muerta, sino viva y operante. Desde 1881 adoptaron como lema el que el Papa León XIII había dado a la «Revista Católica de Barcelona» que, entonces servía de órgano oficial de la Asociación: Nihil timendum nisi a Deo. Si algo temían y rechazaban era precisamente el indiferentismo y la cobardía de los que se hacían pasar por católicos. Como escribían en su Boletín, ellos no podían resignarse «con el triste papel de católicos vergonzantes ».129
Aquí radicaba la causa de todo ese atuendo, solemne y espectacular, con que procuraban enaltecer todas las manifestaciones religiosas: comuniones generales, procesiones, romerías, velas de adoración ante el Santísimo Sacramento, oficios litúrgicos de la Semana Santa, fiestas marianas, ejercicios espirituales. Con esta misma mentalidad, asumían con verdadero espíritu de sacrificio el peso enorme de representar, en los actos sociales y culturales, las fuerzas del catolicismo militante. (Todo esto se ha de tener en cuenta para explicarse el porqué se esforzaron tanto para dar una proyección pública a la presencia de don Bosco en Barcelona, desde el primer acto basto el último; es decir, desde la recepción que le dispensaron a la llegada a la ciudad hasta la despedida).
d) Antiprotestantismo y antiliberalismo
Era una actitud visceral de los católicos barceloneses, que arremetían también contra Inglaterra y Norteamérica, contra Francia y Rusia, tierras que ellos consideraban como la cuna de tantas doctrinas disolventes del catolicismo. Por supuesto, tampoco estaban de acuerdo con los llamados católico-liberales. «El Syllabus es nuestra bandera — decía el presidente José de Sans, un hombre bueno por los cuatro costados,u° en la Junta general de marzo de 1878 —; es nuestro programa religioso, social y político. El Syllabus sin distingos ni tergiversaciones. [...] La guerra entre la luz y las tinieblas es a muerte; toda transacción es imposible ».131
128 MB XVIII, 113.
229 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 20.
u° Era presidente de la Asociación de Católicos (desde marzo de 1872) cuando ésta hubo de suspender sus trabajos por disposición gubernamental. Después de la crisis (1873-1877), a él le tocó la dura empresa de organizar de nuevo la Asociación y relanzar las actividades. Con abnegación y profundo sentido cristiano, se entregó constantemente al progreso de las escuelas de la misma. Murió en 1884.
Frente a cualquier intento de desviación o de desmantelamiento del catolicismo, José de Sans y los suyos no dudaban en proclamar: «Nosotros constituimos una asociación que, teniendo por objeto inmediato la propagación de la doctrina católica en todas las esferas del saber, se propone en último resultado la restauración de la soberanía social de Jesucristo».132
El pensador más influyente en la mentalidad del asociacionismo católico barcelonés fue sin duda el sacerdote, ya nombrado, Félix Sardá y Salvany, el conocido autor del libro El liberalismo es pecado (1884) y que, como miembro de honor y mérito de la Asociación de Católicos, ejerció en la misma un magisterio indiscutido.133
e) Unión de fuerzas para la lucha
La visión que tenían de la Iglesia estos militantes era francamente sombría. La contemplaban «empobrecida» por la política desamortizadora del gobierno español, con un clero «desprestigiado» por la propaganda anticlerical, con las Órdenes religiosas «disueltas» o «cohibidas» después de los decretos de supresión, invadida por el error y el espíritu del mal...134 «En este momento — seguía comentando por su parte el señor Sans — la lucha es viva cual nunca y general en toda la línea de combate». Y como solución sólo encontraba ésta: «Unámonos, pues, que la unión es la fuerza».135
f) Promoción cultural y escolar del pueblo
Todas las asociaciones católicas coincidían en admitir que tanto la propaganda católica como la beneficencia asistencial a los pobres comenzaba por la escuela. Todas ellas tuvieron sus escuelas populares, lo mismo para los niños como para los obreros adultos. Tal actividad tenía una orientación deliberadamente propagandística. «El protestantismo — se lee en el órgano oficial de la Asociación — ha circunscrito su propaganda a la niñez para lograr, por medio de la escuela, la difusión de sus máximas [...]. Oponer a sus escuelas las católicas, gratuitas, con uná perfecta enseñanza primaria elemental y superior [...],
131 Memoria y discurso leídos por el vocal secretario 1° D. Juan F. Muntadas y Vilardell y el presidente D. José de Sans... 1878, p. 32.
132 Ibid.
133 En la Asociación sé le tenía por «el infatigable adalid de la Propaganda católica, el profundo y popular teólogo, el virtuosísimo y fervoroso sacerdote... »: Memoria y discurso respectivamente leídos por el secretario y presidente de la Asociación de Católicos de esta ciudad, en la Junta General de Reglamento celebrada en 29 de marzo de 1885. Barcelona 1885, p. 7.
U4 «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 19-20.
13' Memoria y discurso... 1878, p. 34.
he aquí una de las más provechosas e interesantes tareas a la que consagramos, con incansable afán, nuestra actividación de Católicos produciría la escuela salesiana, cuyo volumen y excelencias ensalzaron continuamente).
Toda esta mentalidad era ampliamente compartida por otras agrupaciones del societarismo católico barcelonés. Su conocimiento es imprescindible para comprender cuanto, en la capital de Cataluña, se hizo, se dijo y se escribió en torno al Fundador de los salesianos, tanto a raíz de su visita a la ciudad en 1886, como con motivo de su fallecimiento año y medio después (1888).
Junto a la Asociación de Católicos hubo también otras que entraron en algún contacto con don Bosco y su obra de una forma u otra. Se ha visto suficientemente en el punto primero de este estudio. Y es que, entre las diversas agrupaciones, no sólo se daba una afinidad de pensamiento, sino también una colaboración en orden a iniciativas y actividades. Más aún: hay que tener en cuenta que muchos católicos pertenecían simultáneamente a varios grupos (según la rama masculina -o femenina). Todos ellos formaban en rigor un único entramado sociorreligioso y benéfico. Era el catolicismo, visible y operante.
En la imposibilidad de tratar aquí ni siquiera de las entidades más relevantes, lo más práctico será ofrecer un cuadro general, acentuando, si es el caso, algún elemento del mismo."'
Siempre en referencia a las asociaciones que establecieron mayor contacto con don Bosco y los salesianos, había unas a las que les animaba un propósito prevalentemente propagandístico y educativo, como la «Asociación de Católicos» y la «Academia de la Juventud Católica». De la primera se acaba de hacer el oportuno estudio. La segunda, en el artículo segundo del Reglamento, declaraba que «el objetivo de la Sociedad» era: «1°. Instruir a los Socios por medio de la lectura de obras religioso-sociales, y de los trabajos presentados por aquéllos. 2°. Fomentar la instrucción principalmente moral y religiosa del pueblo, por la enseñanza ya pública, ya privada, y 3°. Publicar hojas sueltas, encaminadas a destruir toda clase de errores, y hacer cundir las máximas del Catolicismo». 138
"6 M.R. y S., Nuestro programa, en «Boletín de la Asociación de Católicos de Barcelona» 2 (1880) 34.
137 Con frecuencia resulta muy difícil el acceso a la documentación, porque muchas de las antiguas agrupaciones ya no existen y porque, durante la guerra civil española de los años 19361939, los archivos constituían un peligro serio para la vida de los asociados. Basta recordar, por ejemplo, que en aquella triste coyuntura fueron asesinados más de setecientos socios de las Conferencias de San Vicente de Paul...
1;8 Reglamento de la sociedad Juventud Católica de Barcelona 1870, Barcelona 1870. En el de Junto a ellas, había otras cuyo fin era preferentemente benéficoasistencial, como la «Sociedad», o «Conferencias» de San Vicente de Paul — cuya actividad genuina era la visita semanal domiciliaria a pobres y necesitados — y la sociedad denominada, en sus orígenes, Amigos de los Pobres y, más tarde, Patronato del Obrero, que, en conformidad con el artículo segundo del Reglamento, quería «mejorar en lo posible la suerte de los obreros que la misma patrocine»."9
En un segundo plano — pero siempre en conexión con la mencionada Asociación de Católicos — conviene citar la Academia Barcelonesa Filosófico-Científica de Santo Tomás de Aquino — formada por clérigos e intelectuales seglares — y la Sociedad Médico-Farmacéutica de los Santos Cosme y Damián, integrada por profesionales católicos, cuyo propósito deja entrever suficientemente el título que habían puesto a su revista: El sentido católico de las ciencias médicas.'4° Como se ve, ambas agrupaciones se acercan a los ideales de la Asociación de Católicos y de la Academia de la Juventud Católica. Lo cual demuestra bien la existencia de un movimiento de la intelectualidad católica barcelonesa, que no se puede ignorar en modo alguno. Ese movimiento se encontrará, por supuesto, con don Bosco, los salesianos y sus instituciones.
Al lado de las asociaciones de tendencias intelectual-educativa y benéfico-asistencial, se daban otras de signo preferentemente devoto y piadoso, aglutinadas, en buena parte, por la devoción al Sagrado Corazón de Jesús — cuyo máximo promotor fue el mencionado José Morgades y Gili —.141
Dentro de esta línea devota, citamos la Pía Unión de san Miguel Arcángel y, sobre todo, el Apostolado de la Oración y la Venerable Orden Tercera Franciscana. La Asociación de Católicos siempre promovió el Apostolado de la Oración — donde se fraguaba concretamente la devoción al Corazón de Jesús y muchos de sus miembros. eran piadosísimos terciarios franciscanos.142 (Sólo dentro de este ambiente espiritual se comprende el hecho de que regalaran a don Bosco la cumbre del monte Tibidabo, para que allí levantara, precisamente, un santuario dedicado al Sagrado Corazón de Jesús).
En este asunto — importante, entre otras cosas, porque dicho santuario sigue siendo hoy en Barcelona una espléndida realidad — conviene recordar la intervención de algunos miembros de las Conferencias de San Vicente de Paul.
1881 (artículo 3°) se decía textualmente: «El objeto de esta Sociedad es la edificación e instrucción religiosa de los socios y la propaganda del Catolicismo».
139 Reglamento de la sociedad titulada Patronato del Obrero, Barcelona-Sarriá, Tipografía y Librería Salesiana 1891.
140 Alrededor de los años ochenta el lazo de unión más sólido entre la Sociedad de los Santos Cosme y Damián y la Asociación de Católicos era el mencionado Joaquín de Font y de Boter (1857-1916).
"' Cf. J. BONET I BALTÁ, L'Església catalana, p. 641-658.
Incluso hacían la correspondiente profesión en la iglesia parroquial de San Francisco de Paula, de Barcelona. Otro tanto hay que decir de un buen número de socios de la Academia de la Juventud Católica.
Éstas llegaron a Madrid en 1849 y pronto tuvieron una notable difusión por la Península. A los siete años (1856), ya se pudo constituir en Barcelona un Consejo Particular. Pero, tal como se ha señalado anteriormente, todo este proceso de crecimiento quedó cortado por un decreto ministerial del 19 de octubre de 1868, que ordenaba la supresión de la entidad y la confiscación de sus bienes. Sólo el advenimiento de la Restauración (1875) permitió la vuelta a la normalidad. El decenio siguiente (1875-1885) fue de franca recuperación. En 1886, por ejemplo, ya funcionaba en Barcelona el Consejo Central de Cataluña.143 Por tanto, cuando, en este año, llegó don Bosco a la Ciudad Condal, las Conferencias se hallaban en pleno despliegue. El Consejo Particular articulaba las actividades de veinte Conferencias.
En el seno de aquellos círculos piadosos y caritativos templaron su espíritu cristiano hombres como el mencionado Bartolomé Feliú."4 Y también si no todos, sí al menos parte de los que, en enero de 1876, adquirieron la cumbre del Tibidabo: Delfín Artós, Manuel María Pascual de Bofarull, Alvaro Catnín. Decidieron efectuar la compra por un imperativo de moral social, tal como indica el secretario Viglietti, recogiendo con toda probabilidad el testimonio de Manuel María Pascual."' Y por un motivo religioso también regalaron los terrenos a don Bosco diez años más tarde (1886), según queda referido en el presente trabajo. Ya que, cuando se realizó la compra (1876), la Asociación de Católicos no había superado aún la crisis de la suspensión gubernamental, parece que hay que concluir que los mencionados compradores eran unas personas que, si bien habían pertenecido a dicha Asociación, en aquel momento se movían preferentemente en el ámbito de las Conferencias de San Vicente de Pau1.146
"3 Cf. SOCIÉTÉ DE SAINT VINCENT DE PAUL, Livre du centenaire, I, Paris 1933, p. 196-206.
1" «Donde [en las Conferencias de San Vicente de Paul, de Barcelona] hemos tenido ocasión de conocer y cobrar cariño a esa obra [de las Conferencias] y donde tantos y tan preciosos ejemplos hemos podido contemplar por dicha nuestra», recordaba el propio doctor Feliú (A. LOTH,
San Vicente de Paul y su misión social... Obra traducida y anotada por B. Feliú y Pérez... Barcelona, 1887, p. 597).
145 «Questa sommitá — escribía Viglietti en 1886 — era, or son pochi anni, in possesso di malvage persone, che volevano fas di quel luogo un'albergo di cattivi ritrovi, od edificarvi un tempio protestante. Sette buoni signori convennero tra loro, e ne fecero acquisto...» (Cronaca, 3 Maggio 1886. Barcellona). Los compradores no fueron siete, sino doce. Pero la motivación indicada parece que corresponda a la realidad.
146 Para clarificar muchos detalles pertinentes a la historia de la transmisión de la propiedad de la cima del Tibidabo, puede verse Copia auténtica de la escritura de venta otorgada por Don Dein Artós y Mornau, apoderado de los señores D. Jaime Moré, D. Félix Vives, D. Manuel María Pascual y otros, ante el que fue notario de esta ciudad, D. Miguel Martín y Beya, con fecha 18 de agosto de 1888. Este y otros documentos oficiales se hallan en el archivo de la Casa salesiana del Tibidabo (Barcelona).
Conclusiones
Tal vez resulte útil cerrar el estudio subrayando algunos valores que han ido apareciendo a lo largo del mismo y que posiblemente ayudan a comprender mejor no sólo la personalidad del Fundador de los salesianos, sino también el contexto sociorreligioso en .que tuvo que actuar, concretamente durante sus años de madurez.
Con referencia a la presencia de don Bosco en Barcelona y a los orígenes de su obra en la capital catalana emergen, por ejemplo, las siguientes conclusiones.
r. Los Cooperadores salesianos. Las páginas que anteceden han dejado bien en daro la procedencia de los primeros Cooperadores barceloneses. Al inicio, no fueron ellos los que nutrieron y engrosaron las filas de las asociaciones católicas, sino que, más bien, habían forjado previamente en éstas su espíritu de piedad y apostolado. Los futuros Cooperadores, una vez que conocieron la personalidad del Fundador de los salesianos y comprendieron cuál era su misión y los medios de que se valía, consideraron la cooperación salesiana como una prolongación de las actividades benéfico-asistenciales que ya ejercían en sus asociaciones. La mentalidad social y religiosa que cultivaban en éstas les llevó enseguida a sintonizar con las obras de Don Bosco.
2'. La inserción en la iglesia local. Las sociedades católicas y Juan Bosco se necesitaban mutuamente. A éste le apremiaba el apoyo moral y material de aquéllas para abrir nuevos cauces a sus instituciones; las primeras no querían privarse del prestigio y de la ayuda que les podían dar la amistad y cercanía de un hombre tan cualificado como iba siendo el Fundador de los salesianos. Cuando, en la junta general de la Asociación de Católicos, habida el 11 de mayo de 1884, el presidente recién elegido, José Oriol Dodero, propuso «nombrar socio de honor a don Bosco» y se aceptó por unanimidad tal propuesta, el presidente saliente, José María Rodríguez-Carballo, añadió una nueva: «que luego que [don Bosco] hubiere aceptado, se publicara en los periódicos de esta Capital». Esta segunda proposición fue igualmente aproba' Y es que la Asociación de Católicos sentía la necesidad de proclamar a los cuatro vientos que se había apropiado del Fundador de los Talleres Salesianos. Era una conquista y una ganancia...
Esta mutua interrelación entre las asociaciones y don Bosco sirvió, entre otras cosas, para dar a la obra salesiana naciente una prueba de aceptación y de inserción en el tejido vivo de la Iglesia local. Al fin y al cabo, al frente de las organizaciones católicas estaba generalmente el obispo de la diócesis.
3'. La primera imagen pública de don Bosco. Las asociaciones asumieron
147 Actas I, sesión correspondiente a la Junta General de socios del 11 mayo 1884.
también otra función de extraordinaria importancia: la de interpretar a don Bosco y elaborar y difundir su imagen pública. Tal operación se llevó a término en el seno de las asociaciones y utilizando los medios de comunicación que éstas tenían a mano.'"
Los que en Barcelona hablaron y escribieron mejor de don Bosco fueron un clérigo (Félix Sardá y Salvany), un catedrático de Universidad, doctor en fi-. sica (Bartolomé Feliú y Pérez), un farmacéutico (Joaquín de Font y de Boter) y dos abogados (los hermanos Narciso María y Manuel María Pascual de Bofarull). Todos ellos, según se ha podido comprobar en las páginas del presente estudio, pertenecientes, en un grado o en otro, al asociacionismo católico de Barcelona.
148 Naturalmente los folletos señalados en las notas 95 y 96 se distribuyeron entre los socios. Ambos pertenecen a la literatura más antigua que se produjo en Barcelona tratando de don Bosco y de la obra salesiana. Por otra parte, ya se ha visto que las publicaciones a las que las asociaciones mencionadas tenían acceso eran especialmente el diario «Correo Catalán» y los semanarios «La Hormiga de Oro» y «Revista Popular», dirigidas las dos primeras por Luis de Llauder y la tercera por Félix Sardá y Salvany. Las tres en la línea católico-integrista.
En la extraordinaria proliferación de nuevos institutos de vida religiosa surgidos en el siglo XIX, se sitúa la fundación del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora, que tuvo a don Bosco y a María Mazzarello como fundadores.'
En el contexto de la reflexión sobre la figura histórica y la obra de don Bosco promovida por este Congreso, me ha parecido oportuno ofrecer esta comunicación como intento de profundización en una relación que en la historiografía salesiana se interpreta según líneas de diversa orientación.
Para captar correctamente la modalidad de la relación que se estableció entre los dos santos se ha hecho necesaria una puntualización histórica, una reconstrucción cronológica de los encuentros directos e indirectos y la individuación de mediaciones significativas de esa relación, para poder llegar después a centrar el contenido y la incidencia de las diversas intervenciones del Fundador en la vida de María Mazzarello y su actitud de respuesta y asimilación.
María Domínga Mazzarello (nacida en Mornese-Alessandria en 1837 y muerta en Nizza Monferrato en 1881, un corto trayecto de vida fecunda en caridad apostólica),2 conoce a don Bosco a los veintisiete años cuando posee una cierta formación y madurez espiritual. Don Bosco, que ya había fundado
El Instituto fue fundado en Mornese, provincia de Alessandria, diócesis de Acqui, el 5 de agosto de 1872. Es conocida la figura del fundador, don Bosco; María Dominga Mazzarello, reconocida como cofundadora, no es muy conocida en ámbitos no salesianos. Su figura se coloca en un contexto ambiental más limitado que el del Santo; su vida fue breve (1837-1881), pero su específica misión edesial ha sido recordada repetidas veces en los procesos de beatificación y canonización.
2 Cf. la biografía fundamental: F. MACCONO, Santa Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice 2 vol., Torillo, Istituto FMA 1960. Presenta una bibliografía completa de la Santa: A. COSTA, Rassegna bibliografica su S. Maria Domenica Mazzarello, en: M.E. POSADA (ed.), Attuale parché vera. Contributi su S. Maria Domenica
Mazzarello, Roma, LAS 1987, p. 227-262.
la congregación salesiana y trabajaba activamente en la consolidación de si obra en Valdocco, establece progresivamente una relación de conocimiento mediato y después personal con esta mujer sobre la que ejercerá un influjo de terminante.
De un examen de las publicaciones (aun diversas por finalidad, ámbito, método y valor documental) relativas a las figuras de los dos santos (biografías, estudios, memorias...) se aprecia enseguida que la presentación de su relación ofrece una variedad de planteamientos y de interpretaciones: desde una absoluta dependencia de la Madre — como se la llamaba habitualmente — con respecto a don Bosco, hasta una acentuación de su papel de cofundadora como valor preeminente y autónomo.3
Las primeras y conocidas biografías del santo subrayan su papel preponderante y la dependencia y sumisión de la joven María Dominga, «atraída» por su persona, aunque en «providencial» convergencia de ideales y de modalidades educativas y apostólicas: «siempre tuvo la mirada clavada en él, como una hija en el Padre, como una humilde discípula en el Maestro, atenta a cada gesto, devota, fidelísima», afirma Amadei.'
El décimo volumen de las Memorias biográficas de San Juan Bosco exalta, en efecto, a la beata María Mazzarello como «quien no tuvo otro anhelo que el de seguir e inculcar el programa trazado por el Fundador».3 Amadei expresa una convicción muy arraigada, tanto en las Hijas de María Auxiliadora como en los salesianos: que María Mazzarello debía aparecer sólo como discípula de don Bosco y colaboradora suya, y no podía presentarse como cofundadora de pleno derecho. La intención explícita y declarada del autor es, efectivamente, aclarar «los caminos del Señor, es decir, las disposiciones de la providencia al guiar cada paso de su Siervo fiel». Y María Mazzarello es sólo el instrumento preparado por Dios para que el Santo pueda fundar su segunda familia.
Es interesante ver, en cambio, que los primeros escritos que se refieren a María Mazzarello de Bonetti en la «Tinitá Cattolica»6 y de Lemoyne en el «Bollettino Salesiano» (1881),7 aunque en tono laudatorio, toman con mayor acento a la Madre en su papel de superiora llena de entrega al echar las bases del nuevo Instituto, hasta el punto de que despierta la admiración y la aprobación de don Bosco. Al exponer la misión de María Mazzarello, los dos autores se refieren al Fundador del Instituto, pero no explicitan la dependencia de la primera superiora con respecto a él.
3 Cf. P. CAVAGLIA, Il rapporto stabilitosi tra S. Maria Domenica Mazzarello e S. Giovanni Bosco. S'uds.° critico di alcune intetpretazioni, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 69-98.
A. AMADEI, La Serva di Dio Madre Maria Mazzarello, en BS 47 (1923) 2, 30. MB X, IV.
6 Cf. G. BONETE, La Superiora Generale delle Suore di Maria Ausiliatrice, en: «L'Unitá Cattolica» (21 maggio 1881), n. 120.
Cf. G.B. LEMOYNE, Suor Maria Mazzarello, en BS 5 (1881) 9, 11-13.
Francesia y Maccono, al poner el acento en las afinidades biográficas y espirituales, intentan de nuevo probar que la Providencia preparó a don Bosco el instrumento apto para la realización de sus obras.8 El Santo encuentra correspondencia a su proyecto en la docilidad y solicitud diligente de la Madre, que lo ejecuta en humilde obediencia, con actitud de discípula fiel.
Cuando más tarde, la Congregación de Ritos atribuye a María Mazzarello el título de cofundadora, los autores tratan de ahondar en el significado y el valor del papel de la Madre como colaboradora, como «auxiliadora» de don Bosco.9
Cenia, por ejemplo, tiene preciosas intuiciones sobre la aportación personal e insustituible de María Mazzarello en la fundación del Instituto, aunque en dependencia de don Bosco?'
Caviglia afirma que don Bosco, al encontrar en María Dominga los rasgos esenciales de la espiritualidad salesíana, los asume para construir sobre ellos algo nuevo y poderoso: no ya dependencia fiel de don Bosco, sino creación de una nueva tradición espiritual." Aunque la interpretación de Caviglia no se basa todavía en una reconstrucción histórica exacta de los encuentros que tuvieron lugar entre los dos santos y sobre sus dependencias recíprocas, tiene el valor de definir la identidad de la relación, pero ya no en términos estáticos de dependencia.
Ahora los estudios más recientes relativos a María Mazzarello (Colli, Fiora, Posada, Midali...) 12 discurren por una hermenéutica más correcta de las fuentes, acuñando los términos de «fidelidad creativa» o «creatividad fiel» de la Madre ante don Bosco.
8 Cf. G.B. FRANCESIA, Suor Maria Mazzarello ed i prim i due lustri delle Figlíe di Maria Ausiliatrice. Memorie raccolte e pubblicate, S. Benigno Canavese, Libreria Salesiana 1906; F. MACCONO, Suor Maria Mazzarello, prima Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrici, fondate dal Venerabile D. Giovanni Bosco, Torino, S.A.I.D. 1913.
9 Cf. la evolución en las mismas biografías escritas por Maccono: de la primera de 1913 a la publicada en 1934.
1° Cf. E. CERIA, Santa Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Torino, SEI 1952.
" A. CAVIGLIA, Santa Maria Mazzarello, Torino, Istituto FMA 1957.
12 C. COLLI, Contributo di don Bosco e di madre Mazzarello al carisma di fondazione dell'Istituto delle F.M.A., Roma, Istituto FMA 1978; L. ÑORA, Stork del titolo di «Confondatrice» conferito dalla Chiesa a S. Maria Domenica Mazzarello, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 37-51; M.E. POSADA, Significato della «validissima cooperatio» di S. Maria Domenica Mazzarello alfa fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, en: POSADA (ed.), Attuale perché vera, p. 5367; M. MIDALI, Madre Mazzarello. II significato del titolo di Confondatrice, Roma, LAS 1982.
Además, las interpretaciones de marcado acento teológico subrayan el papel de cofundadora como valor preeminente y autónomo." En cambio, la publicaciones sobre don Bosco no se plantean, parece, el problema del tipo de relación entre los santos y siguen en la línea de dependencia y acentúan para. lelismos y semejanzas de vida.
Pero me parece que de una atenta lectura de las fuentes que tenemos a disposición, es necesario plantearse un serio estudio que no reduzca a dependencia absoluta o sitúe en paridad de papel la relación entre los santos: hay, en efecto, una evolución progresiva, gradual, desde una intuición inicial recíproca hasta una auténtica y fecunda colaboración.
La reconstrucción histórica de los encuentros que tuvieron lugar entre don Bosco y María Mazzarello, hecha a partir de las fuentes más atendibles, tiene como fin identificar el carácter de la relación que se estableció entre los dos santos.
Los documentos y la historiografía salesiana consultada no han facilitado mucho el trabajo: he debido hacer una revisión crítica de las fuentes como, por ejemplo, de la Cronistoria dell'Istituto delle Figlie di María Ausiliatrice (fuente narrativa que reconstruye los orígenes del Instituto a partir de diverso material documental) y de algunas memorias y testimonios fundamentales, pero tardíos."
Siguiendo un criterio cronológico, he dividido la exposición de la investigación en dos períodos delimitados por el hecho de la fundación del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora (5 de agosto de 1872), porque pone de re, lieve el carácter, el contenido espiritual de las intervenciones de don Bosco en la vida de María Mazzarello antes y después de la fundación del Instituto.
No entro, sin embargo, en la problemática del proceso de decisión y fundación del Instituto, tema que oiremos en la comunicación siguiente de Sor Posada.
" Cf. MIDALI, Madre Mazzarello.
14 Cronistoria. Se trata de la publicación completa de la «cronistoria» mecanografiada compuesta por la madre Clelia Genghini durante los años 1922-1942. Se presenta como una rica elaboración historiográfica. La autora usa un material abundante y válido, pero no siempre indica las fuentes; a veces, las integra o sintetiza. No obstante, la documentación recogida se conserva en: AGFMA. Dicho material está constituido por fuentes narrativas (testimonios de hermanas que vivieron en Mornese, laicos y sacerdotes paisanos de Madre Mazzarello) y de fuentes documentales, en los anexos al texto (deliberaciones capitulares, actas notariales, documentos históricos, textos de las Constituciones, correspondencia, documentos referentes al status jurídico del Instituto). Además de este material, la Cronistoria toma datos de la biografía de Maccono y de Francesia, de las MB y del BS. Por esto, mi investigación ha exigido la consulta de las fuentes inéditas, para confrontarlas con el texto impreso. Cuando coinciden, cito el ejemplar impreso de la Cronistoria, para facilitar la consulta.
El contexto histórico-ambiental en que se sitúa el conocimiento inicial de los dos santos es el típico del siglo XIX piamontés-ligur que gira alrededor de las figuras de don Bosco, del teólogo Frassinetti de Génova, de don Pestarino, sacerdote de Mornese, pueblo del Monferrato en el que vive María Mazzarello y en el que tendrá lugar la fundación del Instituto. También este pueblo siente y vive con modalidades y resonancias propias el típico clima de la Restauración del siglo XIX y los problemas religiosos conectados con ella." En el movimiento de renovación espiritual tiene un papel preponderante propio don Pestarino, discípulo y amigo del teólogo Frassinetti, que promueve una espiritualidad esencialmente cristocéntrica, mariana y apostólica.'6
Aunque del examen atento de las fuentes no se logra establecer con exactitud las fechas de los primeros encuentros entre don Pestarino y don Bosco (y hasta su inscripción en la Pía Sociedad Salesiana), aparece, sin embargo, indudable el papel de mediación ejercido por el sacerdote para el conocimiento inicial de María Mazzarello (1862).'7
Los mensajes escritos y orales que don Bosco envía a María Dominga y a Petronila Mazzarello, jóvenes pertenecientes a la asociación local de Hijas de María Inmaculada, comprometidas y formadas ya en una modalidad especial de apostolado educativo, los dirige sin conocerlas personalmente, pero parece que los expresa más bien como una respuesta benévola a lo que el mismo Pestarino expone.'8
Tampoco en el primer encuentro histórico (octubre de 1864, en Mornese, durante una de las clásicas excursiones de otoño de los muchachos de Valdocco) se puede hablar de un interés específico del Santo por María Mazzarello, considerada en el «grupo» de las Hijas de María Inmaculada, aunque presentado explícita e intencionadamente al Santo."
" Cf. M.E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello. Rapporto storico-spirituale, Roma, LAS 1986, p. 37-41.
Una carta inédita de Angela Domenico Pestarino, nacido en Mornese en 1817, hizo sus estudios eclesiásticos en el Seminario de Génova, donde fue ordenado sacerdote en 1839. A consecuencia de algunas tensiones que se originaron en el ambiente eclesiástico genovés, volvió a Mornese en 1847, en donde permaneció hasta la muerte (1874) realizando un vasto apostolado y desempeñando importantes funciones en la vida pública local, como consejero del ayuntamiento y ecónomo de la parroquia. Después de conocer a don Bosco, en 1862, se hizo salesiano; pero permaneció en Mornese como Director del naciente Instituto de las Hijas de María Auxiliadora. Cf. F. MACCONO, L'apostolo di Mornese. Sac. Domenico Pestarino, Torino, SEI 1926; cf. también la documentación relativa a don Pestarino en: ASC 275 Pestarino.
En una Memoria del cardinale Giovanni Cagliero, del 15 febrero 1922, se lee que don Pestarino había conocido a don Bosco en Génova, en la casa del teólogo Frassinetti, encontrándose después con él varias veces entre 1860 y 1864 (en: AGFMA). La Cronistoria y la biografía de Maccono recogen, en cambio, un testimonio de don Giuseppe Campi, sacerdote mornesino, que afirma que el primer encuentro ocurrió en un viaje, en el tren de Acqui a Turín en 1862.
" Cf. Cronistoria I, p. 117-118.
19 Cf. Ibid., p. 148-150.
Maccagno a Frassinetti expone el modo y el contenido, más bien exhortativo, para el compromiso en la Pía Unión.20
En cambio, es diferente la resonancia interior y profunda de la figura, de la palabra y la acción de don Bosco en la joven María Dominga que precisamente en esa circunstancia aprende a hacer más esenciales sus intervenciones educativas y más educativa su presencia entre las jóvenes. Los testimonios concuerdan en subrayar la intuición de la santidad de don Bosco y la insólita audacia al proclamarlo abiertamente 21
En la historiografía salesiana se habla del sucesivo y continuo interés indirecto de don Bosco por el grupo de Mornese, pero sólo en 1867 se tiene una carta explícita del santo a don Pestarino para anunciar una visita a Mornese,22 y por la crónica del mismo don Pestarino se sabe que don Bosco dio de nuevo una breve conferencia a las Hijas de María Inmaculada 23
Y en marzo de 1869 tiene lugar otra visita de don Bosco a Mornese, un nuevo encuentro con las Hijas, esta vez más específico: hasta se habla de una especie de horario y de reglamento para las que hacían vida común, pero por desgracia ese documento no aparece.24 El testimonio transmitido por Petronila Mazzarello, pone ya, sin embargo, de relieve elementos fundamentales de la espiritualidad salesiana que van modelando al pequeño grupo del que ahora es cabeza María Mazzarello.25
¿Un interés ya orientado con vistas a la fundación de la obra salesiana femenina? Hasta 1871 no tenemos la primera declaración oficial de don Bosco sobre esa intención; don Pestarino sigue al grupo y lo forma y continúa encontrándose con don Bosco, que sigue con estima y observación atenta y cierta actitud de expectación.26
Paso por encima la sucesión de hechos que llevaron a la fundación del Instituto (es interesante a propósito la memoria del mismo don Pestarino,27 el proceso de la redacción de la Regla, los pasos dados por don Bosco). En cambio, querría más bien poner de relieve la obra de mediación de don Pestarino con María Dominga y sus compañeras: es él quien presenta la propuesta de don Bosco, la misma Regla, orienta la decisión y prácticamente da comienzo a la obra.28
20 Cf. una carta de Angela Maccagno (1830-1890), maestra de Mornese, fundadora del grupo de las «Figlie di, S. Maria Immacolata», al prior, Giuseppe Frassinetti, fechada el 4 diciembre
1864. El manuscrito autógrafo se conserva en el «Archivio della Postulazione Generale dei Figli di Santa Maria Immacolata» (Roma).
21 Cf. Cronistoria I, p. 150.
21 Carta de don Bosco a don Pestarino, 3 de diciembre 1867, en: ASC 131.01.
23 Recogida en: Cronistoria I, p. 204.
24 Cf. Ibid., p. 222-224.
2' Cf. testimonio de Petronilla Mazzarello en: SACRA CONGREGATIO RITUUM, Aquen. Beatifil cationis et canonizationis Servae Dei Mariae Dominicae Mazzarello, Confundatricis F.B.V.M.A. Transsumptum, 133-134.
26 Cf. Cronistoria I, p. 239.241.243.245.
27 Cf. Memoria di don Pestarino, manuscrito autógrafo en: AGFMA.
Don Bosco no está presente (casi obligado) hasta la profesión de las primeras once Hijas de María Auxiliadora el 5 de agosto de 1872. Don Pestarino es de hecho mediación activa y actuante. Y, sin embargo, la fuerte adhesión de María Mazzarello a don Bosco está subrayada por el testimonio que en este momento da Giuseppe Campi (salesiano, natural de Mornese, muy próximo a don Pestarino). «Si por un imposible don Pestarino dejase a don Bosco, yo me quedaría con don Bosco».29
No hubo, pues, por cuanto consta de los testimonios, encuentros directos individuales entre don Bosco y María Mazzarello. Pero no parece que por ello la relación con don Bosco no sea determinante en la vida de María Mazzarello: antes de encontrarse habían madurado ya un ideal parecido y al encontrarse se dan cuenta de la convergencia y de la complementariedad. La relación tiene el carácter de conocimiento inicial recíproco y de aceptación: sin embargo, la postura de María Mazzarello no es de dependencia absoluta y pasiva; acepta libremente vivir la propuesta de don Bosco y según la modalidad salesiana, que ya practicaba inicial y originalmente antes de conocerle.
Don Bosco aparece en la historiografía salesiana que trata de este período como el Fundador y María Mazzarello como el instrumento para la actuación de un designio providencial. En realidad, a mi parecer, la aceptación libre, responsable y hasta original en el modo sencillo de suceder las cosas; hace que el «instrumento» sea activo y dotado de autodeterminación personal.
El período que va de 1872 a 1876, año de la aprobación diocesana de las Constituciones, es el de la formación estructural y espiritual del Instituto: y la relación que se establece entre don Bosco y la Madre Mazzarello ayuda a la constitución definitiva del Instituto. Se pueden encontrar, en efecto, lazos estrechos entre las intervenciones de don Bosco, el papel de la Madre Mazzarello y la formación de las primeras hermanas.
La actitud del Fundador que interviene — unas veces directamente y otras, también, indirectamente — hacia la nueva superiora general y hacia la primera comunidad provoca una respuesta rápida en la Madre y en las hermanas. Pero por otra parte también las características de su modo de ser y de su obra influyen en la modalidad, en la frecuencia y en el contenido de las intervenciones del Fundador.
Una vez más, los días 4 y 5 de agosto de 1872, la atención y la palabra de don Bosco se vuelcan sobre la comunidad para que se forme en una vida de sencillez, pobreza y mortificación." No es posible — como se nos atestigua siquiera un encuentro personal, tan deseado, entre don Bosco y la Vicaria(es éste el título que toma) ni siquiera cuando se la presenta en su nuevo cargo Me parece que la preocupación de don Bosco es clara por la formación de la comunidad (enviando a las religiosas de Santa Ana, aceptando personalmente a las que desean ingresar, yendo personalmente a Mornese);3' pero al mismo tiempo muestra atención y confianza hacía aquella mujer, campesina, sí, pero verdadera educadora.
28 Cf. Cronistoria I, p. 250-252.
29 Testimonio de Giuseppe Campi en: AGFMA.
30 Cf. Cronistoria I, p. 223.
En las visitas que están documentadas (como en 1873, 1874, 1875),32 las intervenciones de don Bosco van dirigidas a delinear y consolidar la fisonomía del nuevo Instituto. A la aprobación de las Constituciones de los salesianos (1874) le sigue a poca distancia la inserción del Instituto en la Pía Sociedad Salesiana: don Bosco se convierte de derecho en el Superior Mayor de las Hijas de María Auxiliadora. Sin embargo, conserva el modo de relación, estima y confianza hacia María Mazzarello, de la que va conociendo gradualmente el sentido de responsabilidad y la progresiva capacidad de gobierno. La Madre no se dirige a él — como vemos en la documentación de las cartas33 — por motivos personales, a los que puede y sabe renunciar; sino que se dirige al Fundador en su papel de superiora de la comunidad para la selección de personas que desean entrar en el Instituto, para pedir consejo sobre la marcha de la casa.
La relación con don Bosco se basa en la verdad y la confianza. Hay obediencia y escucha; pero hay también capacidad de propuestas maduras y de opciones oportunas. Don Bosco, en su actitud de interés, de guía siempre discreta (y realizada por medio de don Pestarino, primero, y después de don Cagliero) precisa normas y provoca una cooperación eficaz y esencial.
Con la aprobación diocesana de las Constituciones de las Hijas de María Auxiliadora (1876), el Instituto comienza su expansión, no sólo en Piamonte, sino también en Liguria, Francia y América. Para la Madre Mazzarello es un período intenso de obras, de iniciativas, de viajes, de correspondencia epistolar.
Los encuentros con don Bosco son más prolongados y más frecuentes. Es ella la que siente la necesidad de recurrir al Fundador para pedirle consejo o para darle cuenta de la marcha del Instituto. En la apertura de nuevas casas es ella la que escoge el personal, es ella la que forma con verdadera sensibilidad educativa. Le caracteriza el don de un discernimiento auténtico.34
31 Cf. Ibid. II, p. 24.28-31.40; cf. también: Annali e cronache Istituto Suore di Sant'Anna, vol.
I, 1873, p. 103-104, en: Archivio «Suore di Sant'Anna della Provvidenza» (Roma).
32 Cf. los testimonios recogidos en: Cronistoria II, p. 40.88.146. 148.
" Cf. carta de la Madre Mazzarello a don Bosco, 22 de junio 1874, publicada en: E. POSADA, Lettere di S. Maria Domenica Mazzarello, Roma, Istituto FMA 1980, p. 51; carta del 17 junio
1878, en: Ibid., p. 83; del 22 diciembre 1879, en: Ibid., p. 128; del 30 octubre 1880, en: Ibid.,p. 167.
Después de las visitas que hace a las cosas acude a don Bosco para referirle lo que ha visto. No nos queda documentación de esas relaciones. Sin embargo las idas a Valdocco son numerosas."
Don Bosco interviene personalmente más tarde en el traslado de la casa madre a Nizza Monferrato: y la actitud de confianza de don Bosco hacia la Madre asume, en ese período, un tono de mayor intensidad, estimulando su colaboración, reduciendo sus intervenciones, apelando con mayor frecuencia a su capacidad de Superiora general efectiva.36
Por su parte, María Mazzarello madura en sí misma el sentido de pertenencia y de responsabilidad hacia el Instituto, cuyo espíritu es el de don Bosco. Las intervenciones de don Bosco, que ahora se hacen menos frecuentes y numerosas, se dirigen a reforzar la unidad en la familia religiosa."
Los últimos encuentros de 1880 y de comienzos de 1881 tienen lugar en Sampierdarena, Marsella, S. Cyr.38 La Madre está enferma y es don Bosco el que le hace entender la verdad del momento. Hace su ofrecimiento. En la última conferencia a las hermanas la Madre habla de la obediencia hacia don Bosco, mediador de la voluntad del Padre."
Pero don Bosco no está presente cuando muere María Mazzarello. Faltan documentaciones explicitas que justifiquen su ausencia. El 14 de mayo de 1881 don Bosco se encontraba en Florencia con «cosas muy graves entre manos», como escribía a don Berto.4° Le sustituye Cagliero.
Este último período de la vida de la Madre Mazzarello se caracteriza, pues, por la presencia de colaboración, de confianza plena por parte de don Bosco. El 'Santo interviene, sí, con sus precisiones, normas ascéticas, consejos, aprobaciones, pero da plena libertad a esta mujer sencilla y excepcional, cuya auténtica maternidad culmina en el ofrecimiento total de su vida por el Instituto.
La exposición lineal de esta relación histórica, como se ha expuesto, ha exigido sin embargo una búsqueda atenta en la documentación accesible.
A través de la reconstrucción de los hechos, a través de los testimonios, la correspondencia epistolar, como también la consideración de los encuentros indirectos, se ve cómo entre don Bosco y María Mazzarello se dio una comunicación progresiva y variada. Los encuentros, ni frecuentes ni largos, pero fe. curdos en consecuencias, hacen entrever que entre don Bosco y María Mazzarello hubo de hecho un influjo recíproco.
34 Cf. los testimonios del proceso de canonización: SACRA CONGREGATIO RrniUm, Aquen. Beatificationis et canonizationis Servae Dei Mariae Dominicae Mazzarello Primae Antistitae Instituti
Filiarum Mariae Auxiliatricis Summarium super dubio, 408-422.
33 Recogidas en: Cronistoria II, p. 182.202269.323.341.
36 Cf. Ibid., p. 350.385.
37 Recogidas en: Ibid., p. 32.58.66.70.139.172.178.229232.
38 Cf. Ibid., p. 340.343.346.354.
39 Recogida en: Ibid., p. 367-368.
4° Carta de don Bosco a don Berto, 8 de abril 1881, en: E IV, 42-43.
El carácter de los encuentros es también significativo para el conocimiento del estilo de las intervenciones propias de don Bosco. Es típico de él, en efecto, la intervención breve, oportuna, siempre estimulante para el crecimiento interior, realizada con una actitud de respeto y confianza. Así son exactamente las intervenciones de don Bosco en el Instituto de las Hijas de María Auxiliadora y en la vida de María Mazzarello.
Una alusión especial, dado el límite de una comunicación, se impone para identificar y nombrar al menos algunas de las mediaciones significativas de la relación que se estableció entre don Bosco y María Mazzarello.
Ya se ha aludido al papel preponderante de mediador del conocimiento primero y del espíritu, después, de don Bosco, jugado por don Domenico Pestarino (1817-1874), precioso educador de la vida espiritual de María Mazzarello. Primer director del Instituto, desempeñó su papel con una presencia discreta y eficaz, refiriéndose, como es natural, a don Bosco, pero utilizando también su sólida formación doctrinal desde los años de seminario de Génova, madurada con una intensa vida parroquial.
Don Giovanni Cagliero (1838-1926) director general aun antes de la muerte de don Pestarino, se presenta como mediación privilegiada de la solicitud de don Bosco por el naciente Instituto. Colaborador entregado y ligado por el afecto a don Bosco, está autorizadamente presente en la vida del Instituto y su palabra es acogida como si fuera la de don Bosco, del que es portavoz oficial. Con frecuencia es don Bosco mismo quien confía a su sagacidad y experiencia cosas que se refieren al Instituto. La relación de cordial y filial apertura es especial y se manifiesta con singular confianza, delicado e intenso afecto por parte de la Madre hacia él. Las cartas son un testimonio explícito de ello.°
Don Giacomo Costamagna (1846-1921), tercer director local, conocido por su particular «exuberancia» al querer formar a las Hermanas, tiene el mérito de haber llevado a Momese el estilo de vida y las tradiciones de Valdocco. El equilibrio de la Madre Mazzarello hizo que en la estima recíproca, en la caridad, se lograse mantener un clima de alegre serenidad salesiana, aun dentro de la tensión ascética impuesta por él.42
41 Cf. las cartas de Madre Mazzarello a don Giovanni Cagliero: 29 diciembre 1875, en: Po. SADA, Lettere, p. 53; 5 abril 1876, en: Ibid., p. 58; 8 julio 1876, en: Ibid., p. 64; 27 diciembre
1876, en: Ibid., p. 73; 27 septiembre 1878, en: Ibid., p. 85. Sobre la figura del Card. Cagliero, cf. G. CASSANO, Il Cardinale Giovanni Cagliero, 2 vol., Torino, SEI 1935.
42 Cf., por ejemplo, las cartas de don Costamagna a Madre Mazzarello del 19 de febrero 1877 y del 20 de noviembre 1878, en: AGFMA.
Don Giovanni B. Lemoyne (1839-1916) provenía de una experiencia salesiana rica y «gratificante». No le resulta fácil integrarse en Mornese, pero su permanencia allí y en Nizza Monferrato da una preciosa aportación típicamente salesiana a la vida de comunidad, con discreción y oportunidad. Sus intervenciones formativas orientan también la acción educativa. Con la Madre establece una relación afectiva, sencilla, familiar.43
Estas conocidas figuras de la historia salesiana contribuyeron a reavivar la relación entre don Bosco y María Mazzarello y el estudio de su mediación sigue siendo un campo por explorar. La documentación relativa a los arios de la permanencia en Mornese es escasa, es verdad, pero el significado de su mediación es tal, que debe estudiarse.
La reconstrucción de la línea cronológica de la relación de don Bosco con María Mazzarello lleva, por último, a poner en evidencia la relación espiritual que se dio entre los dos santos.
Dotada de especial receptividad y unificada por la búsqueda de la verdad, María Mazzarello se revela dotada también por una viva capacidad de asimilación de la propuesta espiritual de don Bosco, también porque se hace abierta por la presencia de elementos que preparan a la espiritualidad salesiana y que están ya en su formación.
La espiritualidad cristocéntrica, mariana, apostólica, fundamentada sobre una sólida ascesis, virginal propia del grupo de las Hijas de la Inmaculada, guiada por don Pestarino en la escuela del teólogo Frassinetti, encuentra convergencia en las propuestas de don Bosco." A esta sólida base se añade además la atención vigilante por conocer el espíritu de don Bosco, para vivirlo en fidelidad a sus intenciones y a los ejemplos de su santidad.
Dalla lettura dei "fatti" si nota che la crescente richiesta della Madre di conformarsi alla spiritualità salesiana non è una ricerca di sostegno o di sicurezza, ma piuttosto sottolinea che la Madre insiste nel penetrare nello spirito di Don Bosco per innestarlo e rinnovarlo nell'ambiente educativo di Mornese. I contenuti che Don Bosco ha proposto direttamente o indirettamente sono stati assunti dalla Madre, ma vissuti nel loro personale, con un carattere di austerità, semplicità e consegna continua.
. Cfr. Le lettere di Madre Mazzarello a Don Lemoyne: 14 dicembre 1877, in: POSADA, Lettere, p. 78; 17 marzo 1879, in: Ibid., P. 95; 9 aprile 1879, in: Ibid., P. 97; Dicembre 1879, in:
Ibid., P. 134.
44 Cfr. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello, p. 131-132.
Ritornando alla presentazione iniziale sulla considerazione della relazione tra i santi considerati negli autori salesiani, si può concludere che tale relazione non ha il carattere di dipendenza assoluta o di imitazione passiva. Don Bosco trova una donna con la quale, in atteggiamento di rispetto, fiducia e libertà, può realizzare un progetto di vita e di azione che non è indifferente a quel tempo. È una relazione di collaborazione responsabile, realizzata attraverso l'assimilazione creativa della spiritualità salesiana.
Il limite di una comunicazione mi ha costretto a procedere forse schivando. Ma il campo di indagine si è rivelato vasto e ancora aperto. Viene imposta la necessità di una corretta ermeneutica delle fonti e la mia intenzione è ancora in una prospettiva molto ampia. Il percorso di ricerca dovrebbe essere approfondito e lo studio di una relazione dell'importanza di quella di Don Bosco e Maria Mazzarello, anche nel suo contenuto essenziale, sarà fruttuosa per il futuro delle due congregazioni che lavorano nella Chiesa.
María Esther POSADA
L'argomento di questa comunicazione è presto ampio e complesso. Si richiede, infatti, la spiegazione del rapporto tra lo storico e 'la realtà ecclesiale che è Salesiane di Don Bosco (HNLA) e il suo fondatore, San Giovanni Bosco. L'esplicitazione della relazione che l'Istituto ha maturato durante i suoi 116 anni di storia richiederebbe, non solo uno studio più profondo di questo, ma anche uno spazio meno limitato di quello di una comunicazione.
Tema-e lo spazio mi portano a fare una scelta di carattere storico, riducendo l'argomento entro i limiti delle origini dell'Istituto e, in quel periodo, i primi sedici anni della sua esistenza, che, come spero di mostrare In questo studio si stabilisce una relazione con il Fondatore il cui risultato appare paradigmatico per l'Istituto nelle diverse fasi della sua storia?
Avendo dichiarato la mia scelta e ancor prima di presentare la struttura della materia, penso sia necessario indicare almeno alcune osservazioni preliminari richieste dal suo contesto.
1) Il contesto storico-ecclesiale in cui appare l'Instituto de lilasda H1VLA è un momento di sofferenza e crescita, crisi e vitalità religiosa. Giacomo Martina afferma che la situazione degli istituti religiosi in Italia intorno agli anni '70 rivela una doppia antinomia: persistente crisi interna negli istituti e fiorenti iniziative e nuove fondazioni.3
La traduzione castigliana del dispositivo tecnico appartiene all'autore della comunicazione (nde). L'Istituto, fondato a Mornese (provincia di Alessandria, diocesi di Acqui), riconosce come cofondatore Santa Maria Dominga Mazzarello (1837-1881). Ha come scopo l'educazione della gioventù femminile di ambienti popithres, attraverso diverse opere e attività; tra cui: scuole e collegi, catechesi, oratori o centri giovanili. L'Istituto è di diritto pontificio dal 7 dicembre 1911. Attualmente (1988), ha 17.167 suore, distribuite in 72 province e 5 visite, presenti in 1.495 case di 72 nazioni.
2) FJ nuevo florecimiento de los institutos religiosos estimula un proceso jurídico a veces inexistente o bien inadecuado y de lenta elaboración, especialmente en Italia y en particular para los institutos femeninos.4 Por otra parte, la evolución de la legislación promueve la expansión de la vida religiosa femenina.5
A mi parecer, esta situación incide sobre la actitud de don Bosco en orden a la fundación de un nuevo Instituto de Hermanas; si por una parte se siente estimulado por la gradual aceptación de la mujer en el campo de la acción social y de la educación, por otra comprende la exigencia del proceso hacia el que se ven abocados los nuevos institutos. Él, en efecto, se mostrará inicialmente reticente a fundar y, más todavía, a hacer aprobar por la Santa Sede el Instituto ya fundado.6
3) La tercera observación se refiere a la diversidad del grupo inicial de las HMA en relación con el de los salesianos. Estos provenían en su mayor parte del ambiente de Valdocco, es decir, fueron muchachos educados directamente por don Bosco;' las primeras, en cambio, surgen de un grupo ya formado, con «Uno sguardo anche superficiale alla situazione degli Istituti religiosi in Italia intorno al 1870 rivela una duplice antinomia, difficile a spiegare almeno a prima vista: una persistente crisi degli istituti nel loro complesso, molto anteriore alle leggi eversive, una fioritura di ini7iative costruttive e una rapida esuberante espansione» (G. MARTINA, La situazione degli Istituti religiosi in Italia intorno al 1870, en: Chiesa e religiositá in Italia dogo l'Unitá [1861-1878],PW1, Milano, Vita e Pensiero 1972, p. 194).
4 «Il continuo ricorso di queste fondazioni [femminili] a Roma [...] coopera [...] ad accrescere sia la loro importanza [...] sia quena dell'autoritá della Chiesa negli Statí in cui si trova ad
agite. Se alcuni elementi sono accolti facilmente [nella procedura] altri avevano bisogno di ripensamento» (G. ROCC.A, Le nuove fondazioni religiose femminili in Italia dal 1800 al 1860, en: ASSO
CIAZIONE ITALIANA DEI PROFESSORI DI STORIA DELLA CHIESA, Problemi di noria della Chiesa. Dalla Restaurazione all'Unitá. Atti del VI Convegno di aggiornamento [Pescara 6-10 settembre 1982], Napoli, Edizioni Dehoniane 1985, p. 171-172).
Nos encontramos en realidad con situaciones antitéticas: «Da un lato é riconosciuto gradualmente alla dona un maggior spazio nella vita attiva, particolarmente nell'assistenza e nell'istruzione elementare. Dall'altro la legislazione écclesiastica dell'Ottocento comincia ad evolversi, a riconoscere a questi istituti, finora non considerad ufficialmente come "religíos in, gli attributi essetwinli della vita religiosa vera e propria» (MARTINA, La situazione, p. 200).
6 «Un falto che puó sembrare un'anomalia nella vita di Don Bosco é ch'egli non chiese e non si decise mai a chiedere a Roma l'approvazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tanto piú ció é sconcertante, quanto pió si bada al contesto in cui si colloca, nella comice di una mentalitá che è portata a dare gran rilievo alla persona del Papa e alle prerogative che la religiositá cattolica del tempo afferma ed esalta. [...] Mentre da una parte, per salvaguardare alla Societá Salesiana la fisionomía che aveva sognata si sottrae alle pressioni vescovili di Torino [...], dall'altra, quasi nello stesso tempo, per un moto affettivo analogo rífugge dal sottoporsi a Roma per quanto riguarda l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice» (STELLA, Don Bosco I, p. 203-204).
' MB IV, 429.
espiritualidad y estructuras propias: «Figlie di Santa Maria Immacolata» de Mornese.8
4) La última observación es de carácter documental. Tengo que declarar que no existen estudios de carácter histórico-crítico sobre este tema.9 La historiografía salesiana al respecto, aunque intenta reconstrucciones lo más atendibles posible, se sitúa en una línea de relato edificante más que en una vertiente científica.m Hacía falta, pues, trabajar sobre documentos de primera mano, que son escasos, pero importantes!' La búsqueda, ya encauzada, el tamizado crítico de las fuentes, la publicación de ediciones críticas sobre el material existente se hace indispensable para una hermenéutica correcta en el ámbito de la historia de las TIMA.
Una vez hecha esta referencia al contexto y a las fuentes históricas, dedico mi atención a la dinámica que se da entre los dos polos de la relación de la que estamos hablando: el primer núcleo de las HMA, grupo en transformación y realmente modificado por la intervención de don Bosco, y el mismo don
Se trata de una pía unión que surge hacia 1851 en la parroquia de Mornese, por iniciativa de Angela Maccagno (1832-1891). Don Domenico Pestarino dio un fuerte impulso al grupo como guía espiritual inmediato. El teólogo genovés Giuseppe Frassinetti compiló una Regla en respuesta al deseo de don Pestarino y en base a un esbozo de Angela Maccagno. La pía unión tomó el nombre de «Nuove Orsoline Figlie di Santa Maria Immacolata», bajo la protección de Santa Úrsula y Santa Ángela Merici (cf. G. FRASSINE111, Opere edite ed Medite. Opere Ascetiche, vol. II, Roma, Postulazione Generale dei Figli di S. Maria Immacolata 1909, p. 108ss.; M.E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria Domenica Mazzarello. Rapporto storico-spirituale, Roma, LAS 1986).
9 El capítulo dedicado a las Hijas de María Auxiliadora en laobra crítica de P. StelIa antes citada es un estudio documentado y estimulante, aunque sintético, que debe considerarse como el primero sobre el argumento. Se debe tener también en cuenta la edición crítica de las Constituciones primitivas de las HMA, preparada por Cecilia Romero. Es un estudio serio que, de modo indirecto pero documentado, investiga sobre los orígenes del texto y sobre su colocación histórica
(cf. G. Bosco, Scritti editi e inediti, vol. Costituzioni per l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice [1872-18851, Testi critica a cura di Sr. Cecilia Romero FMA, Roma, LAS 1983).
Un estudio sobre la génesis de la fundación fue publicada por mí con ocasión del centenario de la muerte de don Bosco (cf. M.E. POSADA, Alle origini di una scelta. Don Bosco, Fondatore di un Istituto religioso femminile, en: R. GIANNATELLI [ed.], Pensiero e prassi di don Bosco, Roma,LAS 1988).
'° Así en las MB; cf. también: Cronistoria. Tampoco son estudios críticos, aunque sean fundamentales para la historia de la Sociedad salesiana y del Instituto de las Hijas de María Auxiliadora: Annali; G. CAPETTI, II cammino dell'Istituto nel corso di un secolo, 3 vol., Roma, Istituto delle FMA 1972-1976. En estas fuentes y estudios se funda, en general, la historiografía del Instituto.
" Documentos existentes en el AGFMA y en el ASC, especialmente en el «Fondo Don Bosco» (ASC 131-175). Me parece conveniente precisar que las primeras crónicas del Instituto de las HMA son tardías e incompletas. La más antigua parece ser de 1887. Estos y otros documentos posteriores como los Schiarimenti sugli inizi dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice se presentan como escritos sintéticos o resúmenes. Se necesita, por lo tanto, un minucioso análisis de las noticias y documentos, más bien fragmentarios. Nos encontramos, a mi parecer, en el momento heurístico de un proceso de reconstrucción histórica. En este sentido se puede afirmar que todos los documentos, aunque incompletos, resultan importantes.
Bosco, en el momento de la búsqueda, de la elección y de la fundación del Istituto, implicado él también en una dinámica de transformación, de continuidad y, al mismo tiempo, de rotura con esquemas anteriores, de novedad de vida y de obras.
Estudiando atentamente esta dinámica dentro de los límites que he fijado, he podido identificar tres momentos, de desigual duración, que expresan las diversas modalidades de una única relación. La estructura de este tema refleja precisamente estos tres momentos sucesivos:
1) una nueva orientación espiritual dentro del grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada (1860-1870);
2) una verdadera opción histórica: el momento de la fundación (1871- 1872);
3) una progresiva conciencia de pertenencia madurada en el grupo y en la misma relación que se establece con don Bosco (1872-1876).
El grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada (HSMJ), comprometido en un intenso ritmo de vida cristiana y entregado a diversas actividades parroquiales,' estaba dirigido habitual e inmediatamente por don Pestarino," y giraba en la órbita espiritual del teólogo genovés, Giuseppe Frassinetti." Entró por primera vez en contacto con el sacerdote Giovanni Bosco a través de la mediación personal del mismo don Pestarino.
Las fuentes documentales no coinciden en la fecha de este encuentro," niu Las Hijas de Santa María Inmaculada tenían como fin «procurare la propria santificazione e coadiuvare alla salute dei prossimi [esercitandosi] nelle opere di misericordia corporale [...] assistendo specialmente le povere inferme del luogo» (Regula della Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, I, 1; HL 37).
13 Don Domenico Pestarino (1817-1874). Originario de Mornese, hizo sus estudios en el seminario de Génova, del que fue más tarde prefecto. Regresó a Mornese en 1847 y trabajó intensamente en la renovación espiritual de la parroquia. Director espiritual de Santa María Domenica Mazzarello, durante 27 años, director del grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada y, más tarde, primer director local y espiritual de la primera comunidad de las Hijas de María Auxiliadora. La correspondencia de don Pestarino, conservada en el ASC está clasificada con este título: Pestarino don Domenico, sac. fondatore dell'opere salesiane di Mornese [ASC 275, 1, 3] (cf. F. MACCONO, L'apostolo di Mornese. Sac. Domenico Pestarino, Torino, SEI 1926).
Giuseppe Frassinetti (1804-1868). Prior de la iglesia de Santa Sabina (Génova). Moralista, escritor de obras ascéticas, pastor y director espiritual. Por deseo de don Pestarino, preparó y publicó la Regla de la pía unión de las Hijas de Santa María Inmaculada, y fue animador espiritual del grupo (cf. G. FRASSINETIT, Opere Ascetiche. Introduzione e note di P. Giordano Renzi FSMI,
2 vol., Roma, Postulazione Generale dei Figli di S. Maria Immacolata 1978; POSADA, Giuseppe Frasinetti).
En una memoria del card. Giovanni ,Cagliero, depositada en el AGFMA, se lee que «questo incontro e visite successive avveruiero nel 1860, 61, 62 e 64» (Memoria del Cardinale Giovanni Cagliero, 15 febbraio 1922 in AGFMA). La Cronistoria y el biógrafo de Santa María Mazzarello, don Ferdinando Maccono, citan un testimonio de don Giuseppe Campi, sacerdote de Mor-nese. El encuentro habría tenido lugar «verso il 1862» (Testimonianza di D. Giuseppe Campi en: AGFMA; cf. Cronistoria I, p. 111; F. MACCONO, S. Maria Domenica Mazzarello, Confondatrice e prima Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, vol. I, Torino, Istituto FMA 1960, p. 100). La autora de la Cronistoria, la M. Clelia Genghini, que fue secretaria general del Instituto de las HMA, basándose en varias investigaciones hechas por ella misma, sugiere como posibles fechas los meses de agosto, septiembre u octubre de 1862 (cf. Cronistoria I, p. 111-114).
en el lugar donde ocurrió,l6 y ni siquiera en el contenido, del cual existen versiones no unívocas. Todas estas versiones indican dos elementos importantes: el entusiasmo de don Pestarino hacia la persona y la obra de don Bosco' y el interés de don Bosco hacia el grupo de las HSMI dirigido por don Pestarino.18 Sin embargo, las mismas fuentes no coinciden en el modo con el cual el ropo entra en la órbita de don Bosco. Algunas versiones presentan a don Pestarino como el que «ofrece» a don Bosco el grupo de la Inmaculada sin una previa petición;" en otras, es don Bosco mismo quien, oyendo hablar a don Pestarino, se «mueve», empujado por su interés hacia el grupo." Algunos testimonios dejan entrever la preexistencia de la inquietud de don Bosco por fundar un Instituto femenino,2' otros ponen de relieve que el encuentro, considerado «providencial», suscita en don Bosco la idea de fundar.22
16 En la citada memoria del card. Cagliero se lee: «Ricordo che Don Pestarino mi disse di aver conosciuto Don Bosco in Genova, in casa del Parroco Frassinetti di S. Sabina». Don Campi afirma que el encuentro tuvo lugar en un viaje en d tren que conducía a don Bosco y a don Pestarino desde Acqui a Alessandria. Este testimonio es recogido por la Cronistoria y por Maccono.
«[Don Pestarino] preso da venerazione per le sue virtit [di don Bosco] s'invoglió di venire
a Torno» (G. CAGLIERO, Memoria, en: AGFMA).
i8La Cronistoria, junto con el interés de don Pestarino por la obra de don Bosco, pone en evidencia el interés de éste por el grupo de las Hijas de Santa María Inmaculada, que don Pestatino dirigía, y reconstruye, de modo hipotético e imaginario, el diálogo entre los dos sacerdotes, del que, en realidad, se conservan solamente algunos detalles (cf. Cronistoria, I, p. 114-116).
19 Es significativo un testimonio de don Rua, sucesor de don Bosco, en el proceso ordinario para la canonización del mismo don Bosco: « [Don Pestarino] con calde istanze ottenne pare che l'adottasse [la Pia Unione] come sua spirituale famiglia. D. Bosco vedendo il buono spirito, la pietá e la vicendevole carita, che cola regnava, lascib il Sacerdote D. Pestarino alla direzione dele medesime [Figlie di S. Maria Immacolata e poi FMA] finché il Signore lo conservó in vita (1872) [sic] » (M. RUA, Deposizione en: SACRA RITUUM CONGREGATIONE, Taurinen. Beatificationis et canonizationis Servi Dei Joannis Bosco Sacerdotis Fundatoris Piae Societatis Salesianae, Positio super Introductione Causae, Summarium super dubio, p. 323). Citaré: Summ.
20 Es la tesis más afirmada en los documentos del Instituto (cf. Schiarimenti, p. 3-4), donde se da énfasis a la pertenencia de don Pestarino a la Sociedad salesiana. El documento más interesante a este respecto es, a mi parecer, la Memoria autografa de don Pestarino, donde él pone en evidencia la intervención de don Bosco respecto a la idea de hacer una fundación. El documento no hace mención del primer encuentro. Parte de 1871: «Nel orille ottocento settant'uno il benemerito Sacerdote D. Bosco esponeva a D. Pestarino Domenico [...] il suo desiderio per l'educazione cristiana dele povere fanciulle e dichiarava che Mornese sarebbe stato fi luogo che conosceva pió adatto [...] essendovi giá da varii and iniziata la Congregazione dele zitelle sotto nome dell'Immacolata e dele nuove Orsoline...» (D. PESTARIN0, Memoria autografa, manoscritto A, en:AGFMA).
21 Así afirman los Schiarimenti.
22 «[Don Bosco] non venne nella decisione [di fondare] sino a guando la Provvidenza gli
A mi parecer, en el encuentro, ocurrido probablemente en el verano de 1862, don Bosco halla el camino definitivo para la actuación de uh proyeco que estaba madurando desde hacía mucho tiempo.23
Desde aquel momento, los hechos nos han llegado con mayor credibilidad y claridad y la implicación del grupo, movido siempre por don Pestarino, aparece más evidente y efectiva. La relación con don Bosco se va perfilando en tres direcciones:
a) en orden a su persona, que suscita en el grupo admiración, respeto, veneración por su personalidad y fama de santidad;24
b) en orden a su obra educativa, que interesa a toda la población de Mor-nese, especialmente en la primera visita del Santo al pueblo en 1864:25 las HSMI se vieron especialmente afectadas en la preparación de esta visita; y después de la propuesta de don Bosco a toda la población de fundar en Mornese un colegio para muchachos, se comprometen ellas en primer lugar en el trabajo de construcción del edificio;26
c) en orden a un proyecto insólito que don Bosco va manifestando lentamente en sus visitas a Mornese en años sucesivos"' y que culmina en un «pnigrama» de vida espiritual propuesto a todo el grupo hacia 1869.28
La implicación mediata más efectiva del grupo de las HSMI en la órbita de aperse essa stessa evidentemente la vía. Un pio sacerdote, D. Domeníco Pestarino ecc.» (M. RIJA, Deposizione, en: Summ., p. 323).
" Cf. POSADA, Alle origini, p. 162-169.
24 Cf. Cronistoria I, p. 148-150. Me parece interesante, a este respecto, una carta de don Pestarino a don Rua, con ocasión de la enfermedad de don Bosco en Varazze, a finales de 1871. Las Hijas de la Inmaculada habían rezado y hasta ofrecido la vida por la salud del Santo: «Ebbi la consolazione, nella tristezza, di sentirrni chiedere da una che, se le permettevo, faceva l'olocausto della sua vita per ottenere la salute e la vita di don Bosco, il che mí ripeterono altre, pronte a morire [...] e faranno l'olocausto alla santa comunione» PESTARNO, Lettera a don Michele Rua,Mornese, 17 dicembre 1871, manoscritto originale, en: ASC 275, 1, 2 [2] Pestarino).
25 «Nell'ottobre di quest'anno [1864] passó da Momese il Rev.mo e celebre D. Bosco di Tocino con 60 e pió de' suoi giovani, con banda musicale ecc... col quale da qualche tempo, per grazia di Dio, io aveva fato relazione ed eravamo intesi in molti punti; con lui avevo esternato tutto fi mio povero spirito e i miel progetti. Giunto qui ed accolto dalla popolazione nel miglior modo possibile, si fermó 4 giorni, nei quali si fece bellissima funzione in Chiesa, accademia a Borgoalto; ed io intanto gli esternai il mio desiderio di fabbricare in tal Mogo...» (Racconto - Memoria della fabbrica di Borgoalto. Copia allografa di un racconto attribuito a Don Pestarino, en: ASC 409, 1, 5, f. 4).
26 Cf. Ibid. 2ss; Cronistoria I, p. 147-154.
n Don Bosco hizo diversas visitas a Mornese (cf. Cronistoria I, p. 204-239). Documentos importantes para reconstruir la relación entre don Bosco y don Pestarino y las visitas del Santo a Mornese son las cartas autógrafas de don Bosco al mismo don Pestarino (cf. ASC 13101). 28 La Cronistoria habla de un «Horario-Programa» de vida, escrito por el mismo don Bosco en abril de 1869 (cf. I, p. 222-224). C. Romero en el estudio ya citado sobre las Constituciones de las HMA se expresa así: «Sena voler entrare nella questione dell'esistenza e datazione di questo regolamento d sembra di poter affermare che non si tratta dí un testo normativo riguardante la vita religiosa di una comunitá» (C. ROMERO, Alle origini delle Costituzioni dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, en: Bosco, Scritti editi, p. 32).
San Juan Bosco, tal como aparece en este decenio de transformación, es de carácter estrictamente espiritual, es decir, revela una actitud común interior que se expresa, por parte del grupo, en la admiración por la persona y la obra de don Bosco y en la primera apertura a sus orientaciones directas. Don Bosco manifiesta interés, pero al mismo tiempo ponderación realista de una opción a través de encuentros mediatos e inmediatos con un grupo del que llega a conocer bien la espiritualidad y la actividad.
Desde el punto de vista histórico, la génesis de un instituto religioso no puede reducirse a la fecha de su fundación. La génesis es un proceso de duración diversa según las vicisitudes históricas que atraviesa el instituto. El 5 de agosto de 1872 es la fecha que el Instituto de las HMA reconoce como el de su fundación y corresponde, efectivamente, a la celebración de las primeras profesiones.
Documentos atendibles referentes a la génesis del Instituto nos permiten verificar modificaciones de importancia en el tiempo que va desde 1871 a 1872. Consideramos este tiempo como el «momento» cumbre de la fundación. Son modificaciones que se refieren a la relación ya estable entre don Bosco y las HSMI.
Una carta autógrafa de don Bosco a Madre Enrichetta Dominici, superiora general de las «Suore di Sant'Anna della Provvidenza»,29 nos pone ya frente a una decisión de don Bosco y a un proyecto de fundación. Pide a la Madre Dominici que le ayude en la redacción de un esbozo de Reglamento para «fondare un Istituto le cui figlie in faccia alla Chiesa siano vere religiose, ma in faccia alla civile societá siano altrettanto libere cittadine».3° Esta decisión la manifestaría a su Capítulo (Consejo) superior.31
29 Madre Enrichetta Dominici (1829-1894). Nació en Borgo Salasio, Carmagnola (Turín). Entró en el Instituto fundado por la marquesa Barolo en Turín, las Hermanas de Santa Ana de la Providencia, dedicadas a la educación popular. Fue Superiora general por 32 años. La personalidad de la Madre Dominici debió de dar seguridad a don Bosco, por su sabiduría y don de gobierno (cf. Vigilia eroica. Pagine autobiografiche di suor M. Enrichetta Dominici delle Suore di S. Anna della Provvidenza. Introduzione e note di Morazzetti S.P., Tivoli 1951). La Madre Dominici fue prodamada Beata en 1978.
" Lettera di don Bosco a madre Enrichetta Dominici, Torino, 24 aprile 1871, original autógrafo en: ASSA.
" Fuentes y estudios indican que el 24 de abril de 1871 es la fecha en que don Bosco se comprometió oficialmente ante su Capítulo superior respecto a la fundación de un Instituto femenino. Para avalar esta afirmación se citan las actas de este día (cf. STELLA, Don Bosco I, p. 188; MB X, 594; Cronistoria I, p. 241). En el ASC no existen las actas de ese año (cf. ASC 0592) y la noticia no se encuentra en las actas sucesivas ni en otras fuentes. Sólo un testimonio de don Paolo Albera, pedido por don Rua, relata el hecho atribuyéndolo al año 1870 (cf. Verbali del 25 dicembre 1907, en: ASC 0592; cf. Summ. lI. Substantialia causae, 68 ss.).
La carta contiene, en efecto, elementos preciosos para identificar, no sólo las fuentes del primer código de vida de las HMA, sino también para conocer la identidad jurídico-eclesial del nuevo Instituto. Aparece, además, significativo que don Bosco se dirija a una mujer para la elaboración del texto-base de la Regla y que escoja a la superiora de un Instituto religioso dedicado a la educación de muchachas del ambiente popular.
Pero también por parte del grupo de las HSMI se verifica una verdadera opción. El grupo, que ha entrado ya en relación directa con don Bosco, se síente llamado a decidir sobre un nuevo compromiso de vida y sobre una pertenencia más estrecha al proyecto del Santo turinés.32 Una parte del grupo de las «Nuove Orsoline» (HSMI) rechaza abiertamente la propuesta de hacerse «religiosas» demostrando conciencia del cambio radical en su condición de vida. Otras se adhieren rápidamente, dando prueba de saber que realizan una opción ya ponderada. Otras se adhieren más tarde, demostrando también ellas que tenían la «sensación» del cambio.33
La Memoria autógrafa de don Pestarino sintetiza así la primera reunión que se tuvo el 29 de Enero de 1872 para la elección de un Capítulo (Consejo) superior:
«[...] il bel giorno di S. Francesco di Sales, ed esposto quanto D. Bosco li aveva consigliato (a don Pestarino), detto il Veni Creator Spiritus col Crocifisso esposto sopra un tavolino con due candelieri accesi, si passó alla votazione, essendo in numero di 27, facendo poi leggere i voti ricevuti da D. Pestarino, dalla Angela Maccagno Maestra del Paese, e fino aflora Superiora di quelle che vivono in loro famiglia. Risultó dallo scrutinio 21 voti a Maria Mazzarello di Giuseppe delta dí Valponasca [...] si passó alla votazione della seconda Assístente che riusci Petronilla con voti 19; si ritirarono queste due e nominaron per Maestra delle Novizie Felicina [Mazzarello], ed Economa Giovanna [Ferrettino] e per Vicaria o Vicesuperiora per quelle del paese, la Maestra Maccagno. Si pubblicarono e si fina col Laudate Dominum l'adunanra che Jopo fu sciolta».34
Siete meses más tarde tuvieron lugar las primeras profesiones. Las que se adhirieron al proyecto de don Bosco se trasladaron al colegio hecho construir por don Pestarino en el lugar llamado Borgoalto y en un primer momento destinado, en la intención de don Bosco, para escuela de los muchachos de Mornese. Ahora se convertía en la Casa-Madre del Instituto de las HMA. El «sello» histórico-eclesial de tal transformación del grupo de simple «Pia Unione» parroquial en instituto religioso lo puso la presencia del obispo de Acqui, mons. Giuseppe Maria Sciandra, durante la función de las profesiones; el «sello» histórico-salesiano lo aportó la presencia del Fundador que, por invitación del mismo obispo, dirigió la palabra a las nuevas profesas, precisamente como Fundador."
32 Cf. PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA.
33 Cf. Cronistoria I, p. 272-274.
34 PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA. " Loc. cit.
Leyendo superficialmente las pocas noticias que se poseen de este hecho Parecería que don Bosco no demuestra una conciencia «histórica» del hecho que se estaba realizando el 5 de agosto. Efectivamente, no había previsto estar presente en las profesiones,36 aparece como forzado a ir,37 y sale inmediatamente de Mornese sin que su firma aparezca en el Acta de fundación.38 Sin embargo, su presencia, la invitación del obispo a dirigir la palabra a las nuevas profesas, la aceptación que él hace del Instituto en presencia del mismo obispo, revelan la calidad de la relación histórica que se establece ahora con las FMA ante la Iglesia y la historia.
De una implicación simple, aunque profunda, en lo espiritual, la relación de las FMA en orden a la persona y a la misión edesial de don Bosco se transforma en una relación de carácter histórico que supone una dependencia real del Fundador y se abre a la aceptación de un nuevo vínculo, el jurídico, con la aceptación del nuevo Código de pertenencia. Éste, desde las primeras e imperfectas fases de su planteamiento, lleva ya la marca del pensamiento y del espíritu de San Juan Bosco.39
De la observación atenta del modus vivendi de las primeras HIVIA como aparece en las Reglas y de las noticias que las crónicas nos dan, se deduce un estilo simple, pobre, sereno y austero, centrado totalmente en la configuración de la primera comunidad y en el compromiso apostólico entre las muchachas, especialmente las internas.
Sin embargo, algunos hechos casi inmediatamente posteriores a la fundación demuestran una progresiva maduración en la conciencia y en la estructuración jurídica del Instituto, conciencia que incide en la relación que se había establecido entre la comunidad primitiva y su Fundador.
En 1874 y aún en vida de don Pestarino, don Bosco procede a dos medidas jurídicas de importancia: la elección de un Director general del Instituto," en la persona de uno de sus mejores salesianos, don Cagliero,41 y el nombramiento de una superiora general en la persona de Sor María Do/11in, Mazzarello que hasta entonces había presidido la comunidad con el título la, Vicaria."
" Cf. Cronistoria I, p. 297.
" Cf. Ibid., p. 307.
78 Verbale relativo alla fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice eretto in Mornese Diocesi di Acqui, Mornese, 8 agosto 1872, copia auténtica, en: ACVA Registri, 15, 520-522.
39 Cf. ROMERO, Alle origini, en: Bosco, Scritti editi, p. 34-49.
40 Solamente a partir del Manoscritto F de las Constituciones HMA aparece la figura del Director general del Instituto. En los manuscritos precedentes se dice que el Instituto está bajo la dirección inmediata del Superior general de la Sociedad de San Francisco de Sales (cf. Manoscritti
A-E y F, en: Bosco, Scritti editi, p. 209-252).
' Giovanni Cagliero (1838-1926). En 1874 fue nombrado primer Director general de las Hijas de María Auxiliadora. En 1875 partió como responsable de la primera expedición misionera a Argentina. En 1884 León XIII lo nombró obispo titular de Magida y le confió el vicariato apos tólico de la Patagonia. En 1904, Pío X le confió la visita apostólica en las diócesis de Tortona, Piacenza, Albenga y Savona, enviándolo luego como Ministro plenipotenciario y Delegado apostólico de Centro América. En 1915, Benedicto XV lo nombró cardenal y miembro de las congregaciones de Religiosos, de Propaganda Fide y de Ritos. En 1920, obispo de Frascati. Murió en Roma en 1926 (cf. G. CASSANO, Il cardinale Giovanni Cagliero, 2 vol., Torillo, SEI 1955).
El porqué del nombramiento de don Cagliero está justificado por la un' posibilidad, por parte de don Bosco, de seguir directamente al Instituto y de su visión previsora sobre la expansión del mismo." El nombramiento de la superiora general obedece tal vez al deseo de asegurar una figura jurídica entonces controvertida, pero necesaria según los usos del tiempo.44
En el mes de marzo del mismo año 1874, don Bosco había presentado a la Congregación de los Obispos y Regulares un «Riassunto» de la «Pia Societá Salesiana», en orden a la aprobación de las Constituciones. En este «Rías. sunto» hacía alusión a la fundación de Mornese en términos muy sucintos."
Sín detenerse, pues, en clarificaciones sobre la estructura jurídica del Instituto, don Bosco se orienta en cambio hacia la aprobación diocesana del mismo y de las Constituciones procediendo a la revisión de éstas46 con el deseo de presentarlas al obispo de Acqui, el mismo mons. Sciandra que presidió las primeras profesiones.
42 En la primera elección del Capítulo superior del Instituto, el 29 de enero de 1871, fue elegida como Superiora (21 sobre 27 votos) Sor María Dominga Mazzarello. Ella «suggeri le pareva lasciar nelle mani di D. Bosco la scelta della prinia Superiora» (PESTARINO, Memoria A, en: AGFMA). Efectivamente, don Bosco la nombró Superiora general, con el título de Vicaria en 1874, cuando se hizo la elección de Superiora general. De hecho en el Manoscritto D, cuya fecha se coloca entre 1874 y 1875, aparece por primera vez la figura de la Superiora general (cf. Bosco, Scritti editi, p. 85-95).
43 En él año del nombramiento del Director general del Instituto existía solamente la Casa central o Casa madre de Mornese.
44 Es interesante notar que en Italia, antes de 1839, no se plantea el problema del nombramiento de la Superiora general. Algunas dificultades eran de orden eclesiástico, otras relativas a la condición femenina como, por ejemplo, las dificultades de viajar, cosa que entonces no parecía «né conforme alla prudenza né cosa decente che done religiose, di cui la ritiratezza dovrebbe essere un distintivo carattere viaggino con tanta frequenza» (RoccA, Le nuove, p. 155).
45 «Come appendice e dipendentemente dalla Congregazione Salesiana é la Casa di Maria Ausiliatrice fondata con approvazione dell'autoritá Ecclesiastica in Mornese diocesi d'Acqui. Lo scopo si é di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fano per i ragazzi. Le religiose sono giá in numero di quaranta ed hanno cura di 200 fanciulle» (Riassunto della Pia Societá Salesiana di S. Francesco di Sales nel 1874, en: CONGREGAZIONE PARTICOLARE DEI VESCOVI E REGOLARI [...] Torinese, Sopra l'approvazione delle Costituzioni della Societá Salesiana [?] marzo 1874, en: ASC 0231).
46 Cf. Manoscritti E, F de las Constituciones primitivas en: BOSCO, Scritti editi, p. 99-123.
La petición para la aprobación es un documento sumamente significativo por lo que se refiere al origen del Instituto, su fundación, sus finalidades, su desarrollo.' El manuscrito está firmado por don Bosco, por don Costamagna, entonces director local de la casa de Mornese y por Sor María Mazzarello. Es interesante observar, a la luz del contexto histórico del momento, cómo, junto a la firma de la Madre Mazzarello, don Bosco añadió, de su puño, la abreviatura: sup., que demuestra la existencia real de una Superiora efectiva en el Instituto."
Las cartas de Santa María Dominga Mazzarello, dirigidas en estos años a don Bosco, demuestran su dependencia personal y la del Instituto del Superior Mayor, don Bosco. Escribe la Santa:
«Permetta, Rev.mo Superiore Maggiore ch'io mi raccomandi alle sue efficaci preghiere acció possa adempiere con esattezza tutti i doveri che la mía carica m'impone e possa corrispondere al tanti benefizi datimi dal Signore ed alle aspettazioni della S.V.; dica una di quelle efficaci parole a Maria SS. perché voglia aiutarmi a praticare ció che debbo insegnare alle altre e possano cosi ricevere tutte da me quegli esempi che il mio grado m'obbliga dí dar loro >>.49
Surgida en un terreno de implicación espiritual, espontánea pero profunda, consolidada a través de una efectiva opción de significado histórico, la relación entre las HMA y San Juan Bosco se afirma como pertenencia jurídica real al tronco salesiano. Esa pertenencia supone un singular y estrecho vínculo con el Fundador, quien, al pedir la aprobación oficial del Instituto y de las primeras Constituciones, asume in proprio ante la Iglesia la paternidad real del Instituto.
Ho detto all'inizio di queste riflessioni che la relazione stabilita tra il primo AMF e Don Bosco è paradigmatica nella storia dell'Istituto. Mi sembra, infatti, che possiamo affermare, in conclusione, che gli elementi spirituali, storici e giuridici che costituiscono una relazione unica, agiscano tra loro in una dinamica di "circolarità" attraverso i diversi momenti della vita dell'Istituto.
Questi elementi o dimensioni sono accentuati in modo speciale nelle varie fasi attraverso le quali l'Istituto continua ad approfondire il suo rapporto con il Fondatore.
. "Cf. Domanda vescovo Giuseppe Maria dello Sciandra Istituto per l'approvazione e delle Costituzioni di Maria Ausiliatrice delle Figlie [SD] Originale Manoscritto, Cartella Mornese; autenticata copia (Acqui 26 gennaio 1876 [?]) In ACVA,. Registri 17
48 Cfr. Loc. Cit.
"Maria Domenica S. MAZZARELLO, Lettera Don Bosco, Mornese, 22 giugno 1874, in: (ed.) ME POSADA, S. Maria Domenica Mazzarello di Lettere, Confondatrice dell'Istituto di Maria Ausiliatrice delle Figlie, Roma, Istituto FMA 1980 , pp. 51-52.
Nel difficile momento della separazione legale dell'Istituto della Società Salesiana, tenuto in forza del secundum Normae Quas emesso dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari nel 1901 e in vigore presso l'Istituto dalle Costituzioni del 1906 5 ° l'Istituto approfondisce le sue relazioni con il fondatore e anche l'acquisizione di autonomia giuridica, nel legame spirituale con la Società Salesiana nella persona del pro tempore Rettor Maggiore, il punto con lo spirito delle origini.
Dal 1907 al 1920, e proprio attraverso chiarimenti successivi causati nel processo di beatificazione e canonizzazione di Don Bosco, 5 'Chiesa, della Società Salesiana e le Figlie di Maria Ausiliatrice sono in grado di dimostrare in modo incontrovertibile la fondamento storico della paternità di Don Bosco per quanto riguarda l'Istituto femminile ha fondato e scomparendo ogni ipotesi di un singolo genitorialità adottiva, come il vero ruolo di Don Pestarino per la fondazione della FMA è chiarita.
forze revivalisti Vaticano II spinge gli istituti religiosi alla memoria della sua origine e al lo stesso tempo per la profezia del futuro, ha anche chiesto la dinamica della "circolarità" portare l'Istituto ad approfondire il carisma delle origini. Il testo delle Costituzioni rinnovate appare in questo senso come una sintesi di memoria e profecía.52
Questo riflette sulla storia e la spiritualità dell'Istituto è apparso più definito presenta la figura di Santa Maria Domenica Mazzarello. Don Bosco, fondatore dell'Istituto in modo inequivocabile, non è l'unico e solo fondatore. Efficace ed essenziale la collaborazione di Madre Mazzarello ha incoraggiato la Chiesa di conferire il titolo di Co - fondatore nel vero e proprio senso.
L'ultima osservazione è a livello metodologico. Di continuo, progressivo e circolare è tra l'Istituto ei suoi fondatori è imposto continua e progressiva ricerca del documento dinamico al fine di correggere l'ermeneutica in diversi settori: storico, teologico, giuridico, educativo, pastorale, sociale. Secondo me, l'Istituto è nei pródromos del momento euristico, forse il più delicato, ma anche il più fertile.
L'euristica, l'esegesi e l'ermeneutica sono anche dimensioni di una circolarità che conduce, in forma spirale, a un continuo e direi un'inesauribile indagine sul passato per il vero progresso della storia.
"Cfr Normae secundum quas S. Congr. Episcoporum et Regularium procedere Solet in approbandis Novis institutis Votorum simplicium, Typis SC di Propaganda, 1901 (cfr IsTrruro Figlie di Maria Ausiliatrice, Costituzioni Maria delle Figlie di Ausillatrice fondate dà Don Bosco, Torino , Tip, Salesiana 1906).
51 Per uno studio dei processi di beatificazione di Don Bosco, cfr. P. STELLA, Don Bosco III. Riguardo alla fondazione dell'Istituto, nell'area dei processi di Don Bosco e di Madre Mazzarello, cfr. M. Mumil, Madre Mazzarello. I1 significato del titolo di Confondatrice, Roma, LAS 1982.
"Cfr. ISTITUTO FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE, Costituzioni e Regolamenti, Roma, Istituto FMA 1982.
La ocasión del Centenario ha estimulado, sin duda, la atención de los estudiosos sobre la historia de don Bosco. Pero, según la propia especialización (en mi caso, la economía), seguir tras la figura de don Bosco ha significado también tratar de entender cuál era el contexto en el que se fue desarrollando su obra. Mi residencia en Turín ha supuesto para mí una ocasión afortunada para ir a las fuentes originales de la documentación que queda de aquel período.
En esta ocasión me gustaría exponer a los presentes algunas consideraciones, más que un discurso completo, que requeriría otro momento muy diverso, para intentar presentar los estímulos, con sus nuevas indicaciones, que se derivan de las investigaciones realizadas. Trataría también de dar una nueva clave de lectura (si se me permite hablar así) de los estudios conocidos desde hace tiempo y que han contribuido a formar una imagen, consolidada ya, de lo que sucedió en aquellas décadas, sumamente representativas para Turín, comprendidas entre 1840 y 1880.
Se han visto nuevos documentos, pero sobre todo se ha visto que hoy se aborda la historia económica de la Italia del siglo XIX de manera totalmente nueva, que se hace muy interesante también para entender a don Bosco.
Hace unos treinta años se pusieron de moda en Italia los estudios de historia económica, por desgracia con una corriente ideológica predominante, que veía en la aplicación del materialismo histórico una verdad sólidamente erigida a la que muchos acudieron, aunque sólo fuese para aceptar los resultados que aquellos estudios dieron a conocer. Digo esto, porque la visión que se da a veces del Turín del siglo XIX como de una ciudad que vive el período preliminar al despegue del desarrollo industrial, parece hoy universalmente forzada. No se puede ya decir o escribir, como se ha hecho, que el Turín del siglo XIX recuerda el Londres de la fase preindustrial o, peor aún, el Londres de
los primeros años de la revolución industrial. Desde luego que no: basta considerar que la revolución industrial turinesa e italiana se sitúa claramente en la década a caballo entre los dos siglos, el XIX y el )
Para una información más amplia sobre el tema tratado en esta comunicación, se puede ver: G. BRACCO (ed.), Torino e don Bosco, vol. I, Torino, Archivio Storico della dttá di Torino 1989 (n.d.e.).
Tratando de construir un cuadro, lo más objetivo posible, de aquella reajidad, estudiosos italianos, estudiosos franceses, estudiosos ingleses, en una .
labra, estudiosos europeos convienen en que la situación económica y social d pae la Italia y también del Turín de aquel período tuvo características propias, pe.. culiares, que no se encuentran en otras partes. Para decirlo en términos económicos, se ha entendido ya claramente que el lento desarrollo italiano fue tal que consintió garantizar una oferta de bienesy servicios, que había en realdad, capaz de responder a la demanda de bienes y servicios que hacía la sociedad italiana. Con esta premisa, se hace más fácil entender el cuadro social y civil del Turín en el que trabaja don Bosco.
Era una ciudad que tenía un tejido muy abierto, muy desmenuzado en actividades productivas, no ciertamente industriales, sino de tipo artesanal, aunque a veces las técnicas usadas eran las de las innovaciones que se conocían en el resto de Europa.
El papel de capital, por otra parte, presentaba todavía a Turín con características diversas, porque, a pesar de todo, Turín era ciudad de servicios más que ciudad de producción. Turín se convertirá en ciudad de producción sobre todo al final del siglo.
Entonces esta ciudad de servicios exigía una masa de hombres, mujeres y campesinos, que venían con un espíritu que recordaba todavía la costumbre de la edad moderna, cuando los pobres del campo, en los momentos de dificultad acudían a las grandes ciudades, porque allí era más probable encontrar recursos para la propia vida, que nacían de la aplicación del viejo dicho católico de la caridad como instrumento real para la redistribución de la renta. Por tanto venían a Turín muchos pobres, hoy diríamos marginados, no tanto porque se encontrase en vías de transformación económico-productiva, sino porque Turín era en todo caso el centro en el que era posible aprovechar la oportunidad de sobrevivir.
Hace falta también tener presente que Turín era la capital de un reino amplio, tal vez el mayor en términos territoriales del contexto italiano (lo formaban Saboya, Piamonte, Liguria, la zona de la actual Costa Azul, la parte marítima y Cerdeña) y por tanto en condiciones de ejercer un reclamo sobre la población pobre de un vasto territorio.
El don Bosco que llega a Turín es portador de los valores que se dan en la ciudad, que se dan en Piamonte. Y estos valores suyos en relación con la sociedad civil los explicita todos en el curso de su acción. Estar presente en esta ciudad con los valores antiguos significaba tener que enfrentarse con un Municipio que derivaba de los antiguos valores de los Ayuntamientos libres y, por tanto, con una autoridad ciudadana que afectaba a toda la ciudad; significaba enfrentarse con el Gobierno del Estado, con la monarquía por tanto, el rey, los ministros y también con una determinada Iglesia. No me compete, desde luego, a mí hacer aquí la historia de aquella Iglesia, pero es una Iglesia que aparece muy en consonancia con una tradición que es del Estado, que tiene un cierto modo de situarse, en los siglos anteriores y también en el XIX, en las entre Iglesia y Estado, lin Estado, Piamonte, que representa también npoecquliue cufiar.
Un contradecirme, parece que los primeros actos, los mstouy primeros pasos que dio don Bosco en Turín están de acuerdo con el plan que -tiene toda la Iglesia de Turín. Un dato que me ha chocado enseguida, apenas me he puesto a leer entre los documentos de don Bosco que están en los archivos comunales, es que don Bosco no está nunca solo. Don Bosco actúa con un grupo de sacerdotes, que parecen todos orientados hacia un mismo objetivo, la intervención en el sector de la marginación y del malestar social, según esquemas que son también antiguos.
Son los personajes que vienen hoy al recuerdo como una riqueza de la Iglesia del siglo XIX, de don Borel a Cafasso, Murialdo y tantos otros. Si se leen con este punto de vista las Memorias biográficas y se anotan sólo los nombres de todos los sacerdotes que pasaron por Valdocco trabajando con don Bosco, nos damos cuenta del fenómeno: don Bosco no está nunca solo; trabaja, permítaseme el término, con una multitud de sacerdotes que trabajan en la ciudad, según un plan que parece común. Que el plan esté trazado antes o que resulte sólo a posteriori como consecuencia de las actuaciones posteriores es hoy de difícil interpretación.
Una carta que hemos encontrado — era desconocida, pero hoy ha circulado ya — de marzo del 46, dirigida por don Bosco a Michele di Cavour, en la que pide permiso para llevar su obra a Valdocco, pone en cuatro puntos fundamentales — autógrafos, en el sentido de que están firmados por don Bosco los principios según los cuales se moverá después don Bosco siempre en la sociedad civil.
El primer punto — escribe — es el amor al trabajo; el segundo, la frecuencia de los santos Sacramentos; el tercero, importantísimo desde nuestro punto de vista actual, el respeto a toda superioridad; el cuarto, la fuga de los compañeros malos, cosa ésta que se puede leer también en términos de simple sociedad civil.
En una ciudad en la que hay mucho malestar; donde hay autoridades muy presentes, hay una Iglesia que trabaja, la relación con las instituciones, con la sociedad civil, se convierte en un instrumento ineludible, debe darse.
Es casi posible (he usado el término) seguir los pasos de don Bosco en sus movimientos por la ciudad. No hay prácticamente ningún acto fundamental, ninguna opción, que don Bosco no haya sometido a la atención de la sociedad civil. Cualquier construcción, desde la más sencilla pared hasta el edificio más grande, desde la pequeña Capilla Pinardi hasta la gran Basílica de María Auxiliadora, se realiza siempre después de haber obtenido el permiso de la autoridad civil. También la intervención en las obras, desde las grandes escuelas hasta la intervención con cada persona, se hace siempre teniendo en cuenta a la sociedad civil. Precisamente la intervención con cada muchacho, por ejemplo, nos presenta un modo de afrontar el problema tan moderno, tan como se haría hoy, que a mí me ha parecido excepcional.
Cuando el Ayuntamiento, la Prefectura, la Jefatura de policía del Gobierno, debían afrontar el caso de un muchacho, diríamos, en peligro o abandonado, como no tenía entonces el Estado saboyano prevista ninguna estructura para intervenir en ese sector y como sólo existían las instituciones que hoy definimos nosotros como IPAB, pedían a don Bosco que interviniese.
En el curso de las investigaciones emprendidas para la preparación de un estudio, promovido por la Administración comunal de Turín, he tenido lá suerte de encontrar cartas que considero muy hermosas, en un fondo del Archivo del Estado de Roma, en las que don Bosco respondía a las peticiones para. que se interesase por los muchachos. Estas cartas son pequeños proyectos para una actuación en la que se examina al muchacho en sus cosas esenciales, se comunica a la autoridad civil, porque parece que don Bosco quería que su modo de actuar fuese, más que aceptado, reconocido por la autoridad civil. Resulta entonces que si el muchacho es demasiado joven, don Bosco dirá: «Mirad que debemos enviarlo primero a ese otro sitio; cuando tenga la edad apropiada, lo aceptaré». Examina a otro muchacho y escribe: «No tiene todavía instrucción. Lo enviamos a la escuela, después le orientaremos al trabajo, pero viendo e intentando comprender cuál es su inclinación personal». O bien viene un muchacho que tiene problemas porque el padre ha tenido -que ver con la justicia, o hasta ha sido ajusticiado, y don Bosco: «Atención, que poner a un muchacho de este tipo con otros muchachos, le puede suponer molestias ulteriores, porque los muchachos, en su malicia involuntaria, pueden perseguirlo tomándole el pelo, y por tanto no obtenemos el resultado de suprimir el malestar, sino de empeorarlo».
Esta referencia continua resulta un elemento importante. Si además, de estos episodios que se refieren a personas y, por tanto, en cierta medida reservados, ampliamos el examen a los hechos más generales que afectan a las comunidades de personas, encontramos comportamientos que son igualmente precisos al buscar su diálogo con la sociedad civil.
Me ha asombrado siempre, al leer la hagiografía tradicional de don Bosco, que para él todas las cosas eran difíciles. ¿Es posible? Y parece que casi todas las veces, para lograr hacer algo, tenía que suceder un hecho extemporáneo, por no decir de tipo casi ultraterreno. Hay siempre alguna intervención que se lo ayuda a resolver. Cuando quiere hacer la Basílica de María Auxiliadora, los malvados del Aytmtamiehto no quieren que se dedique a María Auxiliadora; cuando quiere ir a Valdocco, Michele Cavour grita y así por el estilo. Es decir, cada cosa que hace don Bosco, parece que la tradición la presenta como sumamente difícil. Después llega allí el toque, el deus ex machina que resuelve el problema.
Me he convencido de una cosa: don Bosco usa como método educativo, pedagógico, pero también como método concreto para construir la presencia de su obra en la sociedad civil, un instrumento que puede parecer feo, pero que tiene, en cambio, connotaciones hermosas por las consecuencias que supone. En la comunidad en que vive hay un proyecto, él quiere interesar a dos, él se pasa la vida interesando a personas. Entonces dice: «Tenemos que todos,
esto,-pero es una cosa difícil y hace falta sudar para lograrla». Todos los de la comunidad tienen que participar en ello. El que pueda hacer algo, debe hacerlo. Y en el caso limite de que alguno no pueda trabajar debe también (y perdóneseme el sólo) rezar. Pero tiene que interesarse, tiene que sudar. Esónloeste punto, con el interés de todos, salta el otro mecanismo, que es el de la solidaridad: todos juntos, uno para el otro, porque se tiene algo que alcanzar que está en consonancia con un fin. Este mecanismo construye una comunidad que vive unida, que se beneficia de ello y que encuentra elementos de impulso en los momentos en que después se obtiene el resultado.
Sí leemos las cartas de ese modo, vemos que hasta hay momentos en los que don Bosco ya tiene el permiso en el bolsillo para algunas cosas, ya ha obtenido el permiso de quien tiene que darlo, pero no lo dice enseguida.
Nada. Hay que conquistar cada cosa.
Desde ese punto de vista, he estudiado, tal vez rozando la paranoia, los diversos actos de las loterías de don Bosco. Todos recuerdan las loterías como un instrumento para obtener medios financieros, para construir, para hacer, para actuar. Leyendo esas cosas, he encontrado aspectos muy diferentes. Las loterías son uno de los instrumentos mayores para interesar a la sociedad civil en la obra de don Bosco. Don Bosco, cuando lanza una lotería, presenta una idea. Después comienza a actuar para interesar a todos, que es una obra enorme, para recoger los regalos. El momento de la venta de papeletas es, sí, un momento de compromiso, pero sin duda menor que el compromiso que se ha suscitado antes para formar la Comisión promotora, reunir a los sostenedores y a los donantes: son miles de personas. Y después, muy bien, habrá que hacer seguir el acto de la venta de papeletas, de la realización de la tómbola y el sorteo, con ideas estupendas, como la lotería con premio único: se sortea; ¿quién tiene el número?; nadie lo tiene; lo tenía don Bosco y la cosa queda en casa.
Si se me permite (no querría robar más tiempo del debido), la relación con la sociedad civil la concretaría de este modo: la frase del joven sacerdote que va a Valdocco — «amor al trabajo y respeto a toda superioridad» — se convierte en un modelo que seguir para toda la vida.
La relación con las instituciones es propia de un personaje que forma parte de la comunidad regida por esas instituciones, pero que se pone frente a ellas con igual dignidad.
Él sabe que desempeña un cometido que las instituciones no son capaces de desempeñar y que él, en cambio, garantiza. Entonces esa igual dignidad se hace grande, pero hace falta descender después de las instituciones a toda la sociedad civil y el único instrumento, el verdadero instrumento es el de interesar, interés que implica solidaridad y que al final lleva a la construcción de la comunidad, que yo veo de todos modos, y de la que hablaba con algunos aini. gos esta mañana, en la gran Familia salesiana de hoy.
La rapidez con que los proyectos salesianos llegan al conocimiento de toda la Familia salesiana, por ejemplo, parece un instrumento inventado por don Bosco. Esta mañana citaba el «correo salesiano», como un instrumento para interesar, que parece contrastar a veces con las reglas de la sociedad civil, pero que interesa porque así se está al servicio recíproco, según un plan que es global, para alcanzar resultados que son comunes.
Para terminar, digo que yo leo las Memorias biográficas ya casi exclusivamente más como un monumento a un método pedagógico que como un verdadero documento de historia crítica y, probablemente, hará falta seguir ese camino de la búsqueda de documentos fuera de las instituciones salesianas, porque son muchos y consienten cotejar los comportamientos. En las Memorias biográficas tenemos el instrumento que sirvió para el compromiso; fuera tenemos, en cambio, los documentos que nos permiten captar realmente la grandeza de las cosas que se hicieron.
Muchas gracias por su atención.
Gian Mario Bravo en un rico volumen, a pesar de todo, sobre Torino operaia. Mondo del lavoro e idee sociali nell'etá di Carlo Alberto,' mientras aporta con amplitud ideas y actividades de conservadores y moderados sociales, de radicales y reformadores sociales, del primer movimiento obrero y de las sociedad de ayuda mutua, liquida en una paginita la obra de Giuseppe Conolengo y de Giovanni Bosco, escribiendo que «la caridad cristiana y el paternalismo piamontés se unían estrechamente dando lugar a realizaciones también eminentes que, tanto en su concepción como en su ejecución, quedaron limitadas a grupos restringidos de individuos y no llegaron a generalizarse a toda la sociedad». Y prosigue: « [Sus] actividades estaban viciadas por la idea fundamental que movía a ambos, por la que todo quedaba abandonado en las manos piadosas de una providencia divina». Y añade «que hubiera podido, según se le ocurriese, aliviar los males o también agravarlos», por lo que «la única posibilidad de ayuda para los pobres era que los ricos y los nobles de buen corazón se interesasen por ellos dándoles un lecho, una sopa, un local en que reunirse. De ese modo — concluye — seguían extraños a los movimientos reales de las masas y de sus necesidades y, apoyados por las clases dominantes, únicamente podían caminar hacia un subproletariado, aún más miserable y oprimido que los trabajadores normales, pero también con problemas menores que estos últimos y preocupados sólo por procurarse algo con que alimentarse»? «No queremos negar el bien que hicieron estos dos sacerdotes y las instituciones que promovieron; pero observamos que la teorización de sus ideas, intentada más por sus seguidores que por ellos mismos, suponían un impedimento al progreso social e intelectual de las masas y de la misma sociedad piamontesa, al considerar a esta última inmóvil en el tiempo, como si estuviese
Cf. G.M. BRAVO, Torino operaia. Mondo del lavoro e idee sociali nell'eta di Carlo Alberto,
Torino 1968.
2 Ibid., p. 152.
cautiva y enferma por constitución y sólo pudiese mejorar en algunas partes marginales: de ahí procedía su interés por el pueblo y sus males ».3
Ahora bien, aparte la distinción que habría que hacer entre la acción de Cottolengo, orientada a aliviar y proteger los estratos más marginados de la sociedad, y la de don Bosco que si en sus comienzos intentaba acoger y ayudar con caridad cristiana a los jóvenes campesinos que venían a buscar trabajo a la ciudad y se encontraban abandonados (el primer esbozo de constituciones sobre la finalidad de la obra salesiana indicaba los giovani «poverelli», convertidos después sólo en «giovani»), en un segundo momento amplió su obra de la preparación a la colocación y a la asistencia, tal vez sin plantearse el problema de las clases en transformación (como advierte Guasco y con él muchos hístoriadores)4 y, mucho menos, el de una organización de lucha de clases, difícilmente aceptada entonces hasta por los laicos. Por eso hace falta subrayar con Scoppola que si hay que situarle en la linea de los santos sociales que, a partir de Cafasso y Cottolengo y a través de él llega a Murialdo, representando un aspecto original de la sociedad piamontesa, los espacios de su acción fueron amplios, llegando no sólo al campo de la asistencia, sino a muchos problemas conectados con los procesos de modernización del país al día siguiente de la Unidad? Nos parece entonces que no se puede ni siquiera afirmar que «sus instituciones pertenecen a la patética prehistoria paleocapitalista»6 y no han incidido en lo más mínimo en el gran curso de la historia sucesiva. Al contrarío, la Institución salesiana — como escribe un historiador laico, Bairati — se convierte en lugar de paso y de inculturación para los jóvenes que «van del campo a la ciudad, de una sociedad que empieza a ser industrial y se orienta hacia la modernidad, de un modelo de vida y de cultura que se basa en ritmos de comportamiento ligados al trabajo agrícola o paleoartesanal a un modelo de vida y de cultura unido a ritmos y comportamientos más ordenados y estructurados»;' por lo que el modelo cultural salesiano, «aun presentando algunas connotaciones que lo contraponen tajantemente a los tiempos en que nació y anche alla Tocino liberale di Cavour e Gobetti, e alla Torino operaia di Gramsci, alla Torino del lavoro, della imprenditoria, della cultura».
3 Ibid., p. 152.
4 Cf. M. GUASCO, Don Bosco nella storia religiosa del suo tempo, en: Don Bosco e le sfide della modernitá (Quaderno del Centro Studi «C. Trabucco», 11), Torino, Stabilimento Poli9rafico Editoriale «C. Fanton» 1988, p. 4. El juicio está tomado de L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione
degli artigiani a Valdocco (1846-1886), en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987.
5 Cf. P. SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, en: Don Bosco e le sfide, p. 20. A este propósito, recuérdese lo que dice el mismo Scoppola, en la conclusión de su conferencia: «Don Bosco appartiene a pieno titolo alla storia civile del nostro paese e di questo nostro travagliato mondo contemporaneo. Appartiene perció a tutta Tocino: alla Torino cristiana e cattolica, ma
6 Cf. S. QUINZIO. Domande sulla santitá. Don Bosco, Cafasso, Cottolengo, Torino, Gruppo Abele 1986, p. 88.
7 Cf. P. BAIRATI, Cultura salesiana e societá industriale, en: TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 338.
se desarrolló, encuentra después en otros niveles una relación propia unida estrechamente con la historia de la sociedad».8 Se hace así moderno, no en el te- rreno de las doctrinas sino en el de la organización, caracterizado por una j fuerte autonomía económica, por una notable capacidad expansiva, y por una especial capacidad de estimular y madurar a los individuos en el trabajo y en la conquista de un papel social, por lo que el mismo Bairati lo pudo definir como «un extraordinario organizador tayloriano del amor cristiano ».9
En este contexto — complejo si queremos, como a juicio de muchos es el personaje de don Bosco — hay que situar su concepción del trabajo y su acción en el mundo del trabajo. Su concepción primera y fundamental del trabajo no podía ser más que la bíblica, en su acepción más inmediata y primaria: in sudore vultus tui vesceris pave." El trabajo como medio para ganar con qué vivir, la fatiga del trabajo como consecuencia del pecado. Y también el largo sueño de más de seis horas tenido en la noche entre el 1 y el 2 de mayo de 1861 (cuando un misterioso personaje le mostró los muchos jóvenes que se perdían y le indicó el camino de salvación para sus muchachos con tres palabras: labor, sudor, fervor, explicándole después: «Labor in assiduis operibus, sudor in poenitentiis continuis, fervor in orationibus ferventibus et perseverantibus», es decir, fatiga en el trabajo cotidiano, sudor en las penitencias continuas, fervor en las oraciones perseverantes) puede confirmar esta concepción,u así como aquello que prometía a quien quería entrar en su congregación: «pan, trabajo y paraíso».13 Comenzando por su trabajo: el de su infancia como necesidad para sobrevivir, primero en su casa y después al servicio de otros campesinos.
Y cuando tuvo que interrumpir los estudios para acoplarse a las pretensiones de su hermanastro, volvió a las duras fatigas del campo. Peón en la granja Moglia, se levantaba al amanecer y trabajaba hasta la noche. Reemprendidos los estudios en Castelnuovo y en Chieri, se ganaba la pensión y las matrículas trabajando de criado y de preceptor, de camarero, sastre, mozo de cuadra. Trabajaba también durante las vacaciones, como él mismo escribió más tarde: «Hacía husos, canillas, trompos, bochas o bolas en el torno, cosía zapatos; Izabajaba en hierro, en madera. Aún hoy hay en mi casa de Morialdo un escritorio, una mesa de comedor con algunas sillas que me recuerdan los muebles de aquellas vacaciones mías. Me dedicaba también a segar la hierba en los prados, a cosechar el trigo en el campo; a despampanar, a despabilar, a vendimiar, a hacer vino, a trasvasar el vino y cosas por el estilo»."
8 Cf. Ibid., p. 333.
9 Cf. Ibid., p. 355.
'O Sobre la complejidad del «personaje» don Bosco, cf. G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, Tocino, SEI 1988.
" Gen 3,19, al que se podría añadir el v.17: in laboribus comedes ex ea (la tierra) diebus vitae tuae. Cf. también lo que don Bosco escribe en la Storia sacra (nueva edición corregida: Tocino 1855), p. 9-10. Y en el Primo piano di regolamento per la casa annessa all' Oratorio di S. Francesco di Sales, cap. «Del lavoro», se lee: «1°) L'uomo, miei cari, é nato per lavorare. Adamo fu collocato nel paradiso terrestre affinché lo coltivasse. S. Paolo dice: é indegno di mangiare chi non vuol lavorare. 2°) Per lavoro s'intende l'adempimento dei doveri del proprio stato sia di studio che di arte o mestiere. 3°) Ma ricordatevi che mediante il lavoro potete rendervi benemeriti della so-cica, della religione e far del bese all'anima vostra, specialmente se offrite a Dio le vostre occupazioni [...]. 7°) Chi é obbligato a lavorare e non lavora fa un furto» (MB IV, 748s.).
u Cf. MB VI, 904. " Cf. MB XII, 598.
Ahora bien, aun teniendo en cuenta la abundancia de la prosa del Santo y un poco también su protagonismo, deberíamos decir que nunca dejó el trabajo. No sólo en aquel primer período de su vida, sino también después. Su trabajo podía ser ahora dar vueltas por Turín en busca de muchachos abandonados, encontrar bienhechores, educar a sus hijos espirituales, pero nunca desder.% el trabajo manual: poner un remiendo a un traje, arreglar una puerta, encuadernar un libro, ayudar a los albañiles a poner ladrillos en la iglesia de María Auxiliadora.
El concebía el trabajo manual (y trataba de que lo fuese también para sus muchachos) como fuente de ingresos para sostenerse en la vida, como palestra de formación del espíritu y, por último, como maduración para las futuras responsabilidades y salvaguardia de la moralidad." Pero no más.
Se ha exagerado tal vez al hablar de la laicidad en la concepción que tenía don Bosco del trabajo." Habría sido más justo subrayar la valoración positiva del trabajo, como hizo Veneruso," valoración positiva que ve en la no distinción de calidad en sus especificaciones y variedades de desarrollo, en la asociación del trabajo a la oración para la salvación del alma," a la convicción de que el trabajo contribuye a la ascesis personal más que las mismas penitencias. «No os recomiendo penitencias ni ayunos, sino trabajo, trabajo, trabajo», repetía frecuentemente a sus jóvenes." Ciertamente si se entiende por laicidad (como la entendió el Superior mayor en su discurso de Milán) la importancia
" MO 95s.
M. PERRINI, Politice e imprenditorialita di don Bosco, en «Studium» (1988) 269-274, habla de una cultura salesiana del trabajo, sintetizada en la expresión de don Bosco «chi non sa lavorare non é salesiano», y nota también en don Bosco «una vivacissima disposizione al confronto col moderno in campi come il sistema di produzione industriale, le innovazioni scientifiche e tecnologiche, la ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro per la classe operaia».
16 Cf. SCOPPOLA, Don Bosco nella storia titile, p. 11, en donde afirma que don Bosco anticipó, en los hechos y en la praxis, muchos elementos de aquella visión de la «laicidad» que el concilio Vaticano II ha hecho propia.
" Cf. D. VENERUSO, II metodo educativo di San Giovanni Bosco alía prova. Dai laboratori agli istituti professionali, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 134.
18 Cf. MB X12, 598.
19 Cf. 1V18 IV, 216.
dada al orden temporal, la apertura al progreso de las ciencias, la competencia organizativa, se puede estar de acuerdo en hablar también de concepto «laico» del trabajo en don Bosco. Pero menos, me parece, cuando el mismo don View?) afirma: «Don Bosco, en su modo concreto de actuar, demostró siempre -una sensibilidad especial hacia los muchos aspectos positivos de la laicidad peculiar del mundo del trabajo, que está en reconocer la bondad y el orden propios de la creación y el testimonio de la realeza que ejerce el hombre sobre lo creado a través de su actividad».2° Aquí don Bosco aparece casi como un anticipador de la teología de las realidades terrenas. Y en esta línea parece estar también Scoppola cuando escribe: «Sí laico es aquel para quien las cosas son, es decir, tienen un valor propio, según una bella definición del teólogo Congar, entonces tenemos que decir que don Bosco anticipó con los hechos y la praxis muchos elementos del aprecio de la laicidad que el Concilio Vaticano II hizo propios» 21 Y menos aún nos parece que se pueda aceptar la valoración de Pietro Prini de que el método de don Bosco anticipó las intuiciones del humanismo personalista de nuestro siglo.' Para que nuestras valoraciones sobre el concepto del trabajo que don Bosco y sus mismas ideas resulten mejor, nos agrada compararlas con un discurso del 21 de mayo de 1862 de un sacerdote liberalizante, Giacomo Zanella, con ocasión de la cesión de una iglesia a una sociedad de ayuda mutua de obreros. «La condición natural del hombre afirma - es ganarse el pan con el trabajo». Pero inmediatamente añade que ese trabajo está ennoblecido por el trabajo manual de Jesús y ve en el trabajo la continuación de la creación. «Trabajar es nuestra misión en la tierra. Cuando Dios creó el mundo y lo acomodó a nuestras necesidades, se reservó la parte principal de la tarea, pero confió el resto a la acción del hombre: como noble artista que, una vez realizado un diseño con su mano, deja que los alumnos le pongan los colores [...]. Del mismo modo que sin Dios el mundo no subsiste, no subsiste tampoco la vida sin el hombre: hace falta que cada día Dios y el Hombre colaboren juntos para que la vida se mantenga; el primero suministra la materia y las fuerzas; el segundo pone su trabajo y adapta a sus necesidades la una y el otro. Dios empieza y el hombre continúa [...]. El obrero es el verdadero conquistador del mundo; él es quien somete al yugo de su carro a las fuerzas salvajes de la naturaleza»23
20 El discurso del Rector mayor, don E.Viganó, ha sido publicado en el número especial, dedicado a la figura de don Bosco en «Rassegna CNOS» 4 (1988) 5-13, de forma algo diversa respecto al ciclostilado en que apareció por primera vez.
21 SCOPPOLA, Don Bosco nella storia civile, p. 11. Y continúa: «11 cosiddetto "metodo preventivo" — ma l'espressione oggi pul) prestará ad equivoci — tende appunto a valorizzare tutto quanto di laicamente positivo la gioventú esprime». Pero todo esto nos parece demasiado poco para poder hablar de «laicidad» en don Bosco.
22 Cf. P. PIUNI, en la presentazione del ensayo de S. PALUMBIERI, Don Bosco e l'uomo, Torino, Gribaudi 1987.
' G. ZANELLA, Religione e lavoro, en: Le auspicatissime nozze Scola-Patella, Vicenza 1863, p. 32-33. Cf. también el reciente ensayo de P. MARANGON, Cristianesimo sociale e questione operaia
No hace falta ver en don Bosco anticipaciones filosóficas o teológicas para considerarlo grande. Es suficiente lo que pensaba en realidad, según los juicios de su tiempo, con un cierto pragmatismo que sabía adaptarse al presente y prepararse a esperar el futuro. Es suficiente advertir que tenía un concepto y estima del trabajo en el sentido de una entrega personal y una actividad cargada sí de espíritu de sacrificio, pero también de inventiva. Lo ha observado bien un psicólogo, Gíacomo Dacquíno, haciendo ver que don Bosco animaba a sus colaboradores a la versatilidad en el trabajo: «Tenemos que estar dispuestos a subir al púlpito o a ir a la iglesia; a dar clase o a barrer; a dar cate- quesis o a rezar en la iglesia o asistir en el patio; a estudiar tranquilamente en la habitación o a ir con los jóvenes de excursión; a mandar o a obedecer».24 Era la noche del 20 de enero y él lo hacía desde que había empezado. El, que había sido prestidigitador, acróbata, sastre, carpintero, músico, escritor, encuadernador, sacerdote. Y así hacían también los coadjutores, los clérigos, los sacerdotes de Valdocco.
Y ese trabajo se entendía no sólo como necesidad existencial, sino también como valor mediante el cual se construye, se realiza, se expresa la propia personalidad. Hay diferencia entre trabajar para producir y trabajar por amor, entre un trabajo que acaba en la sociedad de consumo (y, por tanto, fin en sí mismo) y un trabajo al servicio del hombre y, por consiguiente, expresión de caridad. «La primera caridad», diría don Cusmano, el don Bosco siciliano.25
Otro de los subrayados que nos parece que hay que hacer a propósito del concepto que tenía don Bosco del trabajo es el aprecio que tenía del trabajo manual y del trabajo intelectual; por lo que en sus casas acogía, en los comienzos también físicamente juntos, a estudiantes y artesanos. No tenía que haber diferencia esencial de valor y de dignidad por tanto, sino, si acaso, de complementariedad: en efecto, estaba convencido de que el trabajo manual y el intelectual eran recíprocamente correlativos para la formación de una personalidad completa; por lo que hace falta dar una cultura, aunque sea sencilla, a los artesanos y habituar a los estudiantes también al trabajo material. Y ésta sí que nos parece una verdadera anticipación.
nel pensiero di Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro, en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» (1988) 111-130. Nótese también lo que afirma Zanella en la p. 58: «L'uomo ha fi diritto al lavoro perché sen7a lavoro non avrebbe la vita di ogni giorno. Per conseguenza ogni ostacolo che venga posto all'esercizio di questo diritto é grave ingiuria che piú o mero direttamente vien falta alla vita medesima». Pero nos parece que esta cita y las precedentes no superen la pura concepción del «paternalismo social» que Marangon atribuye a Zanella.
24 MB VII, 47.
25 Cf. G. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 155. «11 lavoro é la prima carita» solía repetir el beato Giacomo Cusmano, el don Bosco siciliano, y pensamos que la misma idea podría ser compartida por el mismo don Bosco (aunque, quizás, no fue nunca pronunciada), teniendo en cuenta sus iniciativas y escritos. Acerca de Cusmano y de su obra social, cf. M.T. FALZONE, Giacomo Cusmano. Poveri, Chiesa e societá nella Sicilia dell'ottocento (1834-1871), Palermo 1986. Acerca de análogas iniciativas palermitanas: M.T. FALZONE, Carita e assistenza nella Chiesa palermitana dell'Ottocento en «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» (1988) 70-110.
Por lo que se refiere al tipo de trabajo conviene observar que al principio los estudiantes prevalecieron sobre los artesanos. Efectivamente, en 1855 en el centenar de jóvenes hospedados en Valdocco, los estudiantes representaban un 49,40%, los artesanos un 37,34%; mientras que en 1891, tres años después de la muerte de don Bosco, se alojan entre Valdocco, Porta Nuova y Valsalice 800 artesanos, 200 empleados en la imprenta y 400 estudiantes.26 Habían sido las exigencias de los tiempos las que le habían llevado a una mayor atención hacia el trabajo manual, así como el regreso de los seminaristas diocesanos a sus respectivos seminarios.
Pienso, sin embargo, que se debería valorar el concepto de don Bosco sobre el trabajo y su desarrollo en el tiempo a partir del Oratorio. Es una observación que juzgo fundamental y que no siempre veo respetada. El Oratorio es, en efecto, el punto de partida y seguirá siendo en adelante el punto de encuentro, de coordinación, de nuevas actividades. Es el mismo don Bosco quien nos lo indica. En un folleto impreso en 1862, Invito ad una lotteria d'oggetti in Torino a favore degli Oratori, observaba lo siguiente: «En Turín, desde hace varios años, se abrieron tres oratorios para muchachos en los barrios principales de la ciudad,27 en los que se acoge al mayor número posible de jovencitos en peligro. Se les entretiene allí con honesto y agradable recreo después de haber cumplido el precepto festivo, se les estimula con premios, con un poco de gimnasia y con clases. Un notable número de atentos señores acuden en respuesta solícita a nuestro ruego a prestar su servicio dando catequesis, vigilando el cumplimiento de su deber en los distintos talleres, y buscándoles trabajo, si están en paro., con honrados patrones. En el Oratorio de San Luis y de San Francisco de Sales hay clases diarias para los jóvenes que, por la pobreza de sus vestidos o por su indisciplina, no serían admitidos en las escuelas públicas. Además de instrucción religiosa, reciben clase de lectura, escritura, principios de aritmética, del sistema métrico, de gramática italiana y otras materias. Pero entre estos jóvenes se encuentrn algunos tan pobres y abandonados, que no podrían dedicarse a ningún oficio si no se les da cobijo, alimento y vestidos. A estas necesidades atiende la casa aneja al Oratorio de San Francisco de Sales. Allí se dan también clases nocturnas, además de trabajo en talleres y conocimientos elementales a los artesanos, así como canto gregoriano, música vocal e instrumental. Estas clases son tanto para externos como para internos. Además, como la divina Providencia dota a muchos jóvenes de ingenio no común, al estar sin medios materiales para progresar en los estudios, se les abrió un acceso a esa casa, tanto si pueden pagar toda la pensión como si pagan parte o no pagan nada, con tal de que tengan capacidad y buena conducta. Estos, en su mayor parte, se convierten en maestros de escuela, otros se dedican al comercio y los que tienen vocación se orientan al estado eclesiástico».28'
26 Los datos están tomados de P. STELLA, Don Bosco nella storia economice sociale (18151870), Roma, LAS 1980, p. 180.612.
27 Se trata de los de San Luis en Porta Nuova, de San Francisco de Sales en Valdocco, del Angel Custodio en Vanchiglia.
Cuando don Bosco redacta esta invitación, en 1862, la organización está casi completa (se ha echado a andar también la imprenta) y nos encontramos en las etapas finales, pero — como se puede ver — siguen siendo los tres oratoHos el centro de todo.
Desde allí comenzó el Santo su acción. Desde 1840 a 1850, en efecto, los tres oratorios regidos ya por don Bosco (el de Vanchiglia, abandonado en 1849 por don Cocchi, el de Valdocco, alquilado en 1847 igual que el de Porta Nuova) seguían siendo sustancialmente los oratorios tradicionales, con la excepción de los diez jóvenes hospedados en la casa Pinardi. Los otros seis o setecientos solían ir al Oratorio por la tarde (y para ellos había una escuela nocturna en la que aprendían los primeros elementos de lectura, escritura, cuentas, un poco de dibujo, canto y música) y el domingo con la escuela festiva, las prácticas de piedad y un honesto recreo.
En este período la preocupación principal de don Bosco es la de colocar en el trabajo con algún honrado patrón a sus muchachos, estipular por ellos un justo contrato, ir a visitarlos en los talleres, en los establecimientos de trabajo, en los andamios de las casas en construcción, suscitando a lo mejor perplejidad por parte de algún representante del clero de entonces, que no consideraba una actividad apostólica aquel mezclarse en el mundo del trabajo como hacía don Bosco.
Colocarlos con patronos h¿nrados y cristianos, donde el ambiente no los indujese a la inmoralidad o quizá a la cárcel (y sus experiencias de las visitas a los presos le confirmaba en esa necesidad) y estipular contratos que impidiesen la explotación tan frecuente entonces, especialmente con los aprendices, fueron en aquel período su objetivo principal.
En el archivo de la Congregación se conservan dos contratos de «aprendizaje», respectivamente de noviembre de 1851 y de febrero de 1852, firmadOs por el patrón, por el joven aprendiz, por su padre y por don Bosco.
28 Elenco degli oggetti graziosamente donati a beneficio degli oratori di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia, Torino 1862, p. 1-3, tomado de BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 29-30.
En ellos, el patrón se obliga a enseñar al joven el arte, a darle las instrucciones necesarias y las mejores reglas, a corregirlo amablemente y no con golpes en caso de alguna falta, a excluir cualquier servicio extraño a la profesión, a dejarle libre por entero todos los días festivos del año, a darle una paga semanal conveniente, con aumentos semestrales, a tratarlo como padre y no como amo. Por su parte, el joven aprendiz se obliga a ser siempre atento, puntual y asiduo, dócil, respetuoso y obediente, a reparar los daños que tal vez ocasionase. La duración del contrato se fija en dos o tres años.29
Don Bosco — observa Dacquino — se empeñaba en lo que hoy se llamaría normativa, pero sin carnés de sindicato y sin una base a las espaldas que le consintiese hacer huelga. Y aunque no fuese el inventor de los contratos de trabajo (parece que ya los hacía la «Opera della Mendicitá Istruita»)," sin embargo, se puede también afirmar — con Dacquino — que don Bosco fue el primer sindicalista italiano verdadero, como defensor de los trabajadores y del trabajo." Se trata probablemente de otra de esas afirmaciones exageradas que han brotado en esta época de celebraciones, pero ciertamente la de don Bosco es una época en la que el joven aprendiz estaba indefenso, a merced del amo, bajo la continua amenaza del despido, explotado según las leyes de la libre demanda. Llegar a la estipulación de contratos que garantizasen a los muchachos sus derechos era, sin más, una conquista. Además, en julio de 1850 fundó una Societá di mutuo soccorso, en la que reunió a los jóvenes obreros que iban al Oratorio. Cada socio pagaba un soldo cada domingo. y recibía, seis meses después de la inscripción, una ayuda de 50 céntimos al día en caso de enfermedad o de paro. La caja se alimentaba también con libres aportaciones de bienhechores, uso común en las sociedades de mutua ayuda de entonces, pero las cuotas de los socios les habituaban al ahorro y les educaban en la solidaridad."
29 El contrato de aprendizaje del oficio de carpintero, estipulado, el 8 de febrero 1852, entre el patrono, Giuseppe Bertolino, el joven aprendiz, Giuseppe Odasso, el padre de éste y don Bosco aparece reproducido también en el apéndice del discurso de don Viganó (no el impreso, sino el fotocopiado).
'° Acerca de la «Opera della Mendicitá Istruita» (en la que Guala y Cafasso invitaban a trabajar a los jóvenes sacerdotes del «Convitto ecdesiatico»), iniciada hacia 1770, de clara inspiración jesuítica, y en la que también don Bosco se inspiró al poner en marcha sus iniciativas (asistencia a los muchachos abandonados, clases de catecismo, escuelas diarias y nocturnas, hospicios...), cf.
STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 61-66.
n Cf. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 194. Hemos creído necesario utilizar esta obra, a pesar de las reservas que hay que hacer sobre el enfoque general y sobre algunos puntos particulares de la misma.
" Cf. Societá di mutuo soccorso di alcuni individui della congregazione di San Luigi eretta nell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino 1850. «II primo Giugno cominció la Societá di mutuo soccorso di cui veggansi gli statuti nel libro stampato» se dice, en el año 1850, en el Principio dell'attuale oratorio di Valdocco e suo ingrandimento fino al presente (BRAM, Don Bosco nella Chiesa, p. 57). En realidad — como advierte el mismo Braido — aquélla había comenzado algunos meses antes.
Tambien aquí debemos ver en don Bosco a un precursor social, que intuyó las largas líneas de la historia hasta el punto de que anticipó las mutualidades, la indemnización por infortunio, y hasta la caja de compensación33 ¿O, más bien, un hombre atento a las iniciativas que estaban apareciendo34 y dispuesto a aplicarlas en beneficio de sus muchachos?
Esto, en la primera fase de su inserción, aún exterior en un cierto sentido, en el mundo del trabajo. Pero después, a partir de 1850, comienza una segunda fase. De una asistencia genérica y de la colocación, se pasa a la institución de los talleres. He aquí cómo cuenta el hecho con sencillez Pietro Enria, que iba a ser después uno de los primeros coadjutores salesianos: «D. Bosco, al ver el peligro que tenían sus jóvenes continuamente en los talleres de Turín, fue fraguando poco a poco la idea de establecer talleres en su-misma casa y comenzó con el de sastrería y zapatería, después el de carpintería y a continuación con todos los talleres que existen todavía; y esto lo hizo únicamente para sustraer del peligro a sus queridos jóvenes, a los que quería más que a sí mismo ».35
Así, en 1853, habían surgido en casa los talleres de zapatería y sastrería; en 1854 el de encuadernación; en 1855 el de carpintería; en 1861 la tipografía; en 1862 el de herrería. Como resulta del testimonio citado, los primeros talleres tenían el objetivo principal de sustraer a los jóvenes de los talleres en que se oían conversaciones inmorales, anticlericales y blasfemias. Su estructura era todavía la preindustrial: jefes de taller, obreros y aprendices juntos. Se piensa en ellos no como propias y verdaderas escuelas de artesanía, capaces de producir objetos terminados y rentables, sino destinados sobre todo a las necesidades de los mismos internos, aunque también a la venta.
Había una gran diferencia y era que, mientras que en los talleres artesanales las ganancias eran de los amos, en los del Oratorio iban en beneficio de los mismos artesanos, cuando no tenían necesidad de ser atendidos con las rentas de los estudiantes.36
33 Estas afirmacione son de DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 192.
34 Acerca del nacimiento y del desarrollo de la «Societá di mutuo soccorso», cf. F. FRANCON', Le prime lotte operaie nell'Italia unita, en: L'economia italiana dal 1861 al 1961. Studi nel 1° centenario dell'Unitá d'Italia, Milano 1961; E.R. PAPA, Origini delle societa operaie, Milano 1967; A. CHERUBINI, Dottrine e metodi assistenziali dal 1789 al 1848: Italia - Francia - Inghilterra, Milano 1958; A. CHERUBINI, Stork della previdenza sociale in Italia (1860-1960), Roma 1977, p. 3670; Stato e Chiesa di fronte al problema dell'assistenza, Roma 1982.
39 La narración está recogida en: STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 505. Se transcriben las 24 paginitas del Promemoria de Enria.
36 Cf. F. RIZZINI, Don Bosco e la formazione professionale. Dall'esperienza alfa codificazione, en el número especial de mayo 1988 del CNOS: Don Bosco e la formazione professionale, p. 15-56.
Su proyecto no reviste, pues, todavía las dimensiones y los requisitos de una verdadera y cabal escuela profesional y sigue inspirándose en la idea de un aprendizaje. Pero aun así se tiene un desarrollo y una transformación de la realidad tradicional del Oratorio. Éste se convierte en algo nuevo, se inserta, a su modo, en el mundo del trabajo y de la producción, evitando el peligro de la despersonalización y de la explotación. Los oratorios no son, de este modo, almacén de trabajo, talleres artesanos o algo parecido a la industria naciente, sino una unión de trabajadores en beneficio propio, aunque esto aumenta las dificultades por la crisis de competencia en el mercado del trabajo, con la consiguiente dificultad de colocar los productos y de hacerlo a precios competitivos.
Pero esta segunda fase de inserción en el mundo del trabajo pedía que don Bosco concibiese nuevas figuras. Los jefes de taller, en efecto, no siempre eran seguros, a veces dejaban su tarea sin previo aviso. Era preferible entonces que los más instruidos entre los aprendices enseñasen a los otros, aunque esto suponía perjuicio para realizar los trabajos pedidos. Fue entonces cuando maduró en don Bosco la idea del coadjutor. También en este caso al principio como ha observado Stella37 — se designaba con este nombre a partir de 1854 (año en el que uno de 39 ingresados se clasificaba como tal) a los seglares jóvenes o menos jóvenes que coadyuvaban en casa en los trabajos domésticos o en los de los talleres. Eran, por tanto, personas empleadas en arreglos de la casa, barrían, servían en las comidas o ayudaban a los maestros de taller en los mejores casos. Más adelante, no obstante, se diferenciarían los coadjutores salesianos, con votos o sin votos, que se convertirían en maestros de taller, no sólo con una continuidad de dirección, muy deseable, sino garantizando una asistencia mayor y preparando el camino para la constitución de auténticas escuelas profesionales.38 Aun así, a pesar de la forma en que se concibieron los talleres inicialmente y, en cierto sentido, forzosamente, fueron una gran ayuda. Libraban a los muchachos de los peligros morales del aprendizaje junto a patronos indiferentes en moralidad, les ayudaban moral y materialmente, creaban amistades y colaboraciones y orientaban a algunos de ellos a la vida religiosa como coadjutores.39
39 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 180 y el ensayo de F. Rrzzím, II salesiano coadiutore e la formazione professionale, en el número cit. del CNOS, 87-97.
" CE P. STELLA, Cattolicesimo in Italia e laicato nelle congregazioni religiose. Il caso dei coadiutori salesiani (1854-1974), en «Salesianum» (1975) 411-445.
39 Acerca del desarrollo de los primeros talleres, cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 123-199. Sobre las analogías con los patronatos venecianos, que se quedaron, sin em
• bargo, en este primer período, cf. S. TRAMONTIN, Gli Oratori di don Bosco e i Patronati veneziani, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 117-132.
Sólo más adelante (y Veneruso sitúa este giro hacia 1876, viéndolo por primera vez en el instituto de Sampierdarena,4° pero puede ser que sea por un cierto orgullo de patria chica, porque transformaciones análogas se verifican en aquellos años en otros institutos salesianos incluido el de Valdocco), los talleres artesanales se orientaron, en cierta medida, hacia verdaderas escuelas de formación profesional. La fórmula del taller, que había durado a lo largo de tantos años, no era ya plenamente satisfactoria ante las exigencias de los tiempos, que pedían más especialización y una formación más completa. El mercado había pedido hasta entonces el mismo tipo de vestido, de zapatos, de impresos: productos siempre iguales a sí mismos que no exigían del artesano ni mucho empeño ni mucho tiempo ni puesta al día. Ahora bien, la justificación nueva del producto artesanal no estaba en la inmobilidad, sino en el cambio. Al cambio en el modo de producir debía corresponder un cambio en el modo de aprender el oficio. Hacía falta un empeño metódico de años, en el que el estudio se uniese al trabajo y el proyecto y la capacidad de ponerse al día caminasen al mismo ritmo que la adquisición y perfeccionamiento de la habilidad manual. Hacía falta, pues, pasar de la fórmula del taller a la del instituto profesional. Don Bosco entendió todo esto y las deliberaciones del tercero y cuarto capítulo general't y el Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane42 fueron la norma fundamental de las futuras escuelas profesionales; que sus sucesores organizaron y multiplicaron. También en este caso, pues, hay que rectificar el juicio de Quinzio, según el cual «las escuelas profesionales y los «artigianelli» pertenecen a la patética prehistoria neocapitalista».43 Si esto es verdad, en efecto, para el primer período de puesta en marcha y de funcionamiento de las primeras escuelas artesanales, no lo es ya después de 1880 cuando se formaron auténticas escuelas profesionales, destinadas a ofrecer, entre otros destinos, centenares de obreros a la Lane Rossi de Schio y a la FIAT de Turín. Es el mismo Alessandro Rossi quien promueve la ida de los salesianos a Schio (1901); aquel Alessandro Rossi que había tenido ocasión de encontrarse con don Bosco en Turín, que había tenido también la oportunidad de intercambiar ideas con el senador Giovanni Agnelli.44 Este último, en 1929, con ocasión de las manifestaciones por la beatificación de don Bosco en Turín, dirá al recibir .a las autoridades religiosas y civiles en la FIAT: «Los discípulos, los seguidores del Beato don Bosco, de este gran piamontés al que venera hoy especialmente y festeja Turín, sentirán que aquí late un ritmo de vida que no habría desagradado al Beato, que fue un héroe sublime de la caridad cristiana y, al mismo tiempo, un ardoroso apóstol del trabajo humano, un creador excepcional de empresas y talleres >>.45 Y habría que observar también que la proliferación de talleres y la institución de las escuelas profesionales se realizó al mismo tiempo que el aumento de los cooperadores salesianos, al aumentar la necesidad de ayudas económicas, morales y personales 46
40 Cf. D. VENERUSO, II metodo educativo, p. 138-140.
41 Cf. Deliberazioni del terzo e quarto capitolo generale della Pia Societá salesiana, S. Benigno Canavese 1887, p. 18-22.
42 L'indirizzo da darsi se recuerda en: VENERUSO, II metodo educativo, p. 141. Cf. además: MB XVIII, 700-702. Es también significativo — como ha observado Pazzaglia — que, muy probablemente, don Bosco haya hablado de «scuola professionale» sólo en una carta de 1880 (cf. PAZZAGUA, Apprendistato, p. 43). Por otra parte, todavía el 7 de octubre 1879, el ministro de agricultura, industria y comercio, Benedetto Cairoli, pedía a las autoridades periféricas que favorecieran la creación de escuelas de artes y oficios, centrándose en las escuelas dominicales y nocturnas que presentaban la ventaja de horarios cómodos, y no las escudas diurnas, que servían para formar obreros preparados y responsables de otros obreros.
47 QUINZIO, Domande sulla santitá, p. 88.
Don Bosco no fue sólo, sin embargo, un sacerdote que acogía a muchachos abandonados para encaminarlos hacia el trabajo, un fundador de talleres artesanales primero y después de verdaderas escuelas profesionales. Entró más directamente en el campo del trabajo en calidad de empresario con el establecimiento y, sobre todo, el notable desarrollo de la tipografía.
El santo piamontés había entendido, como sus contemporáneos más sagaces en el clima de la Restauración, la importancia de la prensa. Recuérdese, por otra parte, que uno de los objetivos principales de las «Amicizie Cattoliche» surgidas en 1811 por iniciativa de don Pio Brunone Lanteri, que aceptó la herencia de las «Amicizie Cristiane» del padre Diessbach, fue la difusión gratuita de buenos libros.47
El primer libro de don Bosco, publicado por los tipógrafos Speirani y Ferrero en 1844, fue Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo, del que se imprimieron 3.000 ejemplares (cifra notable entonces), vendido al módico precio de 30 céntimos para facilitar su difusión. Fue el primero de una larga serie de publicaciones, de libros de devoción (11 Giovane provveduto, que será un clásico entre los libros de devoción y que tuvo varias reimpresiones con una primera tirada [1847] de 10.000 ejemplares), de libros escolares (entre ellos la Storia ecclesiastica y la Storia sacra, tal vez una de las más conocidas, a las que se añadió la Storia d'Italia), de periódicos como «L'amico della Gioventú», iniciado en 1846, impreso por Marietti, pero que duró muy poco, las «Letture
44 «Dare questo benvenuto mi é tanto caro — dirá il senatore Agnelli — in quanto ricordo di ayer conosciuto personalmente don Bosco e la sua immagine illuminante parla sempre al mio spirito».
El discurso es citado por BAIRATI, Cultura salesiana, p. 347.
" Acerca de los cooperadores salesianos, cf. Cooperatori salesiani, ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile societá, Sampierdarena 1877; Don Bosco e le sue opere. La casa di Sampierdarena, Sampierdarena 1923, p. 21-22.
" Cf. C. BONA, Le Amicizie. Societá segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torino 1962.
Cattoliche», que comenzaron en 1853 con periodicidad mensual con teernvaas. «religiosos» o «amenos», cuyos primeros fascículos hubieron de reimprimi— se, dada la favorable acogida que tuvieron.
Para todas estas múltiples iniciativas editoriales, don Bosco se valió d nos impresores turineses, entre los que estaban Paravia, Marietti, De Agostini. Pero ya entre 1853 y 1855, con Rosmini, había ideado fundar una tipografía propia, también para actuar con mayor libertad y obtener mayores ganancias. El 26 de octubre de 1861 se dirigió al gobernador de la provincia de Turín, conde Giuseppe Pasolini, para poder abrir en la casa del Oratorio una tipografía, que se abrió efectivamente en 1862. Las «Letture Cattoliche», afianzadas ya, podían asegurar trabajo. En el aspecto legal, rescindido el contrato con Paravia,48 don Bosco se convirtió así en el dueño de una tipografía; y en el social, en un empresario que invertía el propio capital con fines filantrópicos.
La tipografía se convirtió muy pronto en el centro propulsor de los talleres de Valdocco y el más conocido de todos. Don Bosco invirtió un capital notable para mejorar la maquinaria, montar una encuadernación, comprar una fábrica de papel, abrir una librería (en esta actividad estaban ocupados, en 1891, 200 obreros, la mayor parte jóvenes del Oratorio y esto nos puede dar idea del desarrollo tomado por la iniciativa), estar en la vanguardia del progreso, como él mismo decía, despertando envidias y celos en los otros tipógrafos de la ciudad y superando crisis difíciles y demostrando con todo ello que era un hombre de temperamento emprendedor.°
Pero a este propósito hay que repetir una observación de Pietro Stella: «Entre el modo antiguo de establecer relaciones de trabajo entre el patrón y los aprendices y el nuevo modelo de escuela técnica prevista en la ley orgánica sobre la instrucción, don Bosco prefirió ir por su tercera vía: es decir, la de los grandes talleres de su propiedad, cuyo ciclo de producción, de nivel popular y escolar, era también un útil ejercicio para los jóvenes aprendices»." Aunque después, como hemos visto, no descartará la de las verdaderas escuelas profesionales.
Alma de todo seguía siendo, sin embargo, el amor hacia sus jóvenes y por este amor cristiano se convirtió, en todas las formas que hemos reseñado, en un extraordinario organizador taylorista."
48 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 366-368.
49 Sobre el funcionamiento de la tipografía, cf. STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 351-369, y el ensayo de F. RIZZINI, Don Bosco tipografo ed editore, en el citado número especial del CNOS, p. 57-85.
50 STELLA, Don Bosco nella storia economice, p. 248.
51 La expresión es de BAIRATI, Cultura salesiana, p. 355. Nos parecen importantes los juicios del mismo autor, que escribe: «Il modelo culturale salesiano é particolarmente interessante sotto profilo dei rapporti tra religione e societá, tra cultura ed economia. Nel caso dei salesiani tali rapporti non si configurano affatto come compromessi ideologici inevitabilmente effimeri, come ardite ma sterili mediazioni dottrinali, come spregiudicati ma labili patteggiamenti politici. L'intransigenza salesiana é totale. La socialitá di don Bosco e dei salesiani non é il frutto di un inquiy descanso arece que deben tratarse otros dos aspectos, no marginales, cuando demuestran que el centro de la vida salesiana seguía siendo el Oratorio, es decir, la relación trabajo-descanso (o mejor, recreo) y la otra de trabajo-oración. Ahora bien: aparte el descanso festivo, no sólo, evidentemente, respetado en sus talleres, en la tipografía y en las escuelas profesionales, sino exigido también en tratos de colocación en el trabajo estipulados por él a favor de sus muchachó" y los numerosos testimonios a propósito, querían que todos tuviesen una sana diversión. Don Felice Reviglio, en el proceso en Turín de su beatificación, afirmó: «En un patio bastante amplio que rodeaba la pequeña capilla se reunían los días de fiesta cerca de quinientos jóvenes. El había preparado varios juegos e instrumentos de gimnasia para entretenerlos alegrde e-mente, como petancas, tejos, zancos, muletas, paralelas, potros y en la fiesta San Luís y de San Francisco de Sales, carreras de sacos, rotura de ollas, rompecuellos (se llamaba así este juego porque consistía en un plano inclinado untado con mucho jabón, pero que no suponía peligro de ninguna clase, y daba un premio al que llegaba a la cima) ».53 En las horas de recreo era el mismo don Bosco el que animaba a los chicos a jugar porque había intuido que la dimensión lúdica del ser humano es muy importante en el equilibrio psíquico y en la vida de relación.54 Utilizó el juego para encontrarse con los muchachos, no sólo porque había entendido que «el patio atrae más la que la iglesia», síno también porque la actividad lúdica sublima la agresividad, ya que implica aceptación y el respeto a normas, compromete a portarse bien con los demás, a salir del propio egoísmo. «Nosotros, en vez de castigos, tenemos la asistencia y el juego», respondió una vez don Bosco a un periodista que había advertido el clima sereno que reinaba en el Oratorio." Excluía los juegos sedentarios «por la razón de que nunca responden a la necesidad que tiene el muchacho de movimiento y de desahogo. Por eso no quiso nunca que en los patios de renamento progressista o populista della dottrina cattolica (e non dimentichiamo — vorremmo aggiungere — che una domina sociale cristiana non era ancor nata o almeno ufficializzata). La modernitá non é un dato ideologico od un opportunts' tico rimaneggiamento devoto al valori laici. Il modelo culturale salesiano riesce ad essere sociale e moderno non sul terreno della domina, come giustamente sottolinea Burzio, ma in quanto coincide con un'organizzazione, un assetto tradizionale di tipo nuovo, caratterizzato da una forte autoritá economica, da una notevole capacitó espansiva, da una spiccata capacitó di stimolare e maturare gil individui al lavoro e alfa conquista di un ruolo sociale» (Ibid., p. 354).
51:No lamrabsaios an de don Bosco y del mundo del trabajo, entre otras cosas porque nos
52 El Santo había dedicado también al tema del reposo festivo el número de julio de 1861 de las «Letture Cattoliche».
53 Cf. Taurinensis. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Ioannis Bosco sacerdotis fundatoris Piae Societatis Salesianae. Positio super introductione causae, Roma, p. 147. " Cf. DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 151. " Cf. MB XVI, 168.
creo de sus centros hubiese bancos o asientos de cualquier tipo para evitar dar ocasión a esos juegos» 56 Le gustaba acompañarlos en los largos paseos por las colinas de Monferrato y por eso decía a sus muchachos en 1876: «El movimiento es lo que más favorece la salud. Soy del parecer de que una causa no indiferente de la disminución de la salud en nuestros días viene de que no se hace tanto ejercicio como antes. La comodidad del ómnibus, del coche, del tren elimina muchísimas ocasiones de dar paseos, aun breves, mientras que hace cincuenta años parecía un paseo ir a pie de Turín a Lanzo. Me parece que el movimiento del tren y del coche no es suficiente al hombre para estar bien».57
Los paseos servían también para despertar en sus muchachos el sentimiento de admiración por la naturaleza y lo bello. El sentido estético se desarrollaba también por medio del canto, de la música (un Oratorio sin música es un cuerpo sin alma, solía decir),58 el teatro de marionetas al principio y después la presentación de sainetes y farsas (las bandas y las comedias salesianas fueron y siguen siendo célebres). También quiso que se introdujese la gimnasia para ayudar al desarrollo del cuerpo de sus muchachos y establecer una sana armonía con el trabajo y el estudio. Recomendaba además, especialmente a los estudiantes, un buen empleo del tiempo libre, conociendo bien (y solía repetirlo con frecuencia) que el ocio es el padre de todos los vicios: «Os recomiendo — les decía — que os divirtáis mucho. Jugad a la petanca, a la pelota, al balón. Cada uno en su familia tendrá diversiones especiales; juegue también a las cartas, a las damas, a los «tarocchi», al ajedrez y con todos los medios que encontréis para distraeros. Sobre todo os recomiendo que hagáis bonitas excursiones muy largas ».59
Esto lo quería para los estudiantes, mientras que los que trabajaban en el taller tenían que contentarse con breves recreos, si vivían en los talleres salesianos, o con la diversión de la tarde y de los domingos en el Oratorio. ¡Podría parecer extraño también que por todas estas manifestaciones, a nadie se le haya ocurrido hacer de don Bosco un precursor de la ecología! 60
56 P. RICALDONE, Don Bosco educatore, vol. II, Colle Don Bosco (Asti), Libreria Dottrina Cristiana 1952, p. 49.
57 MB XII, 343.
5° MB V, 347. En cuanto a la música, enseñaba piano, acordeón, armonium, órgano y todos los instrumentos musicales de madera, metal y de cuerda (Riassunto della Pia Societá di San Francesco di Sales nel 23 febbraio 1874, en: OE XXV, 381).
59 MB XIII 431s.
60 Es verdad que una alusión la ha hecho C. SEmEtAR0, Don Bosco, il santo dell'aria aperta, en «Rivista del CAI del Piemonte» (setiembre 1988). Para un examen comparativo, se debe señalar la revalorización de la fiesta (contra la supervaloración de la actividad, del esfuerzo, de dolor y de la función social activa) hecha por I. Pieper, de la universidad de Munich, en un reciente artículo de «Settimana». En dicho artículo se revaloriza el ocio en el sentido aristotélico, y se concluye: «Fare festa, cioé dare Jode a Dio, perché il mondo é godibile».
El trinomio programático de la pedagogía de don Bosco comprendía, además de la alegría y el trabajo, la piedad." Se tratab, pues, de unir el trabajo con el descanso y la diversión, pero también con la piedad.
Piedad que tenía que cimentarse en la instrucción religiosa. Ya en 1850, cuando pedía ayudas a la «Opera Pia della Mendicitá Istruita», don Bosco presentaba una breve referencia histórica en la que se decía: «Por medio de agradable recreo animado con algunas diversiones, con catequesis, clases y canto, algunos (jóvenes aprendices) se hicieron moderados en su vida, amantes del trabajo y de la religión»," y un poco más adelante, añadía: «Un número notable de atentos señores acude a prestar su servicio dando catequesis» 63 Y sigue diciendo en 1862: «Un notable número de atentos señores viene a prestár la colaboración que se les pide dando catequesis, vigilando para que cumplan sus deberes en los respectivos talleres y colocando en empresas de honrados patronos a los que no tienen trabajo »."
Y en d Cenno storico dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, recientemente publicado por don Braido, el Santo indica que su obra empieza precisamente con la actividad catequística: «Este Oratorio — escribe — es decir, reunión de jóvenes los días de fiesta, empezó en la iglesia de San Francisco de Asís. Don Cafasso, desde hacía bastante tiempo, en el verano, venía dando catequesis los domingos a jóvenes albañiles en una habitación contigua a la sacristía de la mencionada iglesia. La importancia de las ocupaciones de este sacerdote le hicieron interrumpir esta tarea tan grata para él. Yo la reemprendí al terminar 1841 y comencé reuniendo en el mismo lugar a dos jóvenes mayorcitos, muy necesitados de instrucción religiosa. A éstos se les unieron otros y a lo largo de 1842 el número creció hasta veinte y a veces veinticinco. Estos comienzos me hicieron comprender dos verdades importantísimas: que en general la juventud no es mala por sí misma; pero que se hace así generalmente por el contacto con los malos, y que los mismos malos, separados unos de otros, pueden experimentar grandes cambios morales (serán después estas dos verdades las que hagan que despegue el sistema preventivo). El año 1843 siguió la catequesis del mismo modo y el número subió a cincuenta, los que cabían en el lugar que se me había asignado».65
Esta exigencia de cultura religiosa lo impulsó también a hacer imprimir en 1847, además de los acostumbrados pequeños catecismos," la Storia sacra
61 Cf. DAcQuiNo, Psicologia di don Bosco, p. 38s.
62 La memoria fue leída el 20 de febrero a los administradores de la «Opera della Mendicitá Istruita», citado en E I, 29ss.
63 Catalogo degli oggetti 1. El opúsculo es de 1857.
64 Invito ad una lotteria 1.
65 Cf. BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38s.
66 El más usado (adquirido y reimpreso por él) era el Breve catechistno pe' fanciulli alíe pre
(Speiraní y Ferrero, impresores editores), una vez que vio que entre las que circulaban no había una adecuada para sus jóvenes que (hace falta recordarlo) estaban casi totalmente ayunos de religión. «Falta de estilo popular, hechos inoportunos, temas largos o fuera de tiempo eran defectos comunes — anota en sus Memorie —. Además, se exponían muchos hechos de modo que ponían en peligro la moralidad de los jóvenes. Se preocupaban muy poco por subrayar los puntos que debían servir como fundamento a las verdades de la fe. Dígase lo mismo de los hechos que se refieren al culto externo, al purgatorio, la confesión, eucaristía y otros parecidos ».67
Se da aquí un salto cualitativo, o al menos un intento de darlo, porque sí su Storia sacra supera muchos de los defectos denunciados en las otras, sin embargo, no logró que fuese ese «fundamento de la verdades de la fe» que se había propuesto, aunque suponía un paso en esa dirección. Y la dirección que indicaba era la exacta y contribuirá al salto de cualidad.
Don Bosco reunía también a sus muchachos para la oración. Triduos, novenas, preparación a las fiestas principales constituían su trama. Basta, también aquí, recorrer la lista de sus publicaciones. Le sei domeniche e la novena di San Luigi Gonzaga (1846), II divoto dell'Angelo custode (1845), La giornata del cristiano (1852), La chiave del paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri del buon cristiano (1856), y los diversos títulos de las «Letture Cattoliche». Pero lo mejor que produjo — por decirlo así — en esto campo fue la impresión en la casa Paravia en 1847 de Il Giovane provveduto. Era un libro de devoción de 352 páginas y la primera tirada fue de 10.000 ejemplares. Contenía las oraciones de la mañana y de la noche, tomadas del catecismo de mons. Casati,68 el «oficio parvo» de la Virgen, las vísperas del domingo, el Vía crucis y muchos cantos religiosos populares y de éxito.
El centro de la piedad en la que don Bosco educaba a sus jóvenes estaba, sin embargo, constituido por la participación en la santa misa, celebrada en el Oratorio, y la frecuencia de los sacramentos de la confesión y la comunión.
ghiere della mattina e della sera ad uso delle scuole cristiane della cittá e diocesi di Tormno, editado anteriormente muchas veces por Marietti.
67 MO 184s. Pero el mismo Stella (Don Bosco nella storia economica, p. 33) las juzga justamente excesivas y no referibles a escritos de catequesis bíblica como los de Aporti o Rayneri.
68 El llamado catecismo de Casati fue, en realidad, compuesto por el canónigo Giuseppe Maria Giaccone en 1765, por encargo del obispo de Mondovl, mons. Michele Casati. Dicho catecismo se coloca en el surco de tradiciones exquisitamente oratorianas: una de las fuentes es sin duda el Piccolo compendio della doctrina cristiana, impreso en Turín en 1710, con la efigie de San Felipe Neri en la anteportada. El autor tuvo presente igualmente el Catecismo romano, el de Bellarmino (como se dice claramente en la carta pastoral de Casad, presentándolo a sus sacerdotes), y también el de Bossuet, del que aparece transcrita literalmente la parte referente a las fiestas litúrgicas, puesta al final del mismo catecismo. Fue adoptado, en 1896, como texto único por los obispos de Piamonte y de Lombardía, hecho que constituye una confirmación de la acertada elección hecha por don Bosco. Cf. S. TRAMONTIN, Dal catechista di Tombolo al papa catechista, en: ID. (ed.), Le radici venete di San Pio X. Saggi e ricerche, Brescia 1987, p. 72-104; L. NORDERA, 11 cate-chismo di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia (1896-1916), Roma, LAS 1988.
Enría nos cuenta cosas de las misas celebradas por el Santo y oídas por sus muchachos en la fría iglesia,69 de las muchas horas pasadas en el confesonario y, más todavía, de las confesiones en una sala. Una de las más bellas fotografías es, en efecto, la que nos lo muestra mientras está confesando a un muchacho que le habla al oído, mientras otros jóvenes esperan su turno alrededor. Atribuía al diálogo en la confesión una importancia decisiva: además de guía espiritual, se sentía amigo y padre del penitente. La confesión — ha subrayado acertadamente Dacquino7° — en el ambiente de vida familiar del Oratorio se convierte en un momento de confidencia filial y, por tanto, tenía una función de apoyo del aspecto afectivo, además del espiritual.
Y también por lo que se refiere a la comunión, aunque una cierta mentalidad jansenista lo retenía de animar a todos sus muchachos a la comunión frecuente, sin embargo, por lo que se refiere a los mejores, los empujaba para que se alimentasen con frecuencia del pan eucarístico para un contacto más intenso con Jesús» La oración y los sacramentos debían, por tanto, alimentar junto a la instrucción religiosa, la vida de sus muchachos externos e internos, estudiantes y artesanos. Para estos últimos, además, serían un buen apoyo para que soportasen la fatiga física del trabajo, de lo que se podía advertir el efecto espiritual en el cumplimiento de la voluntad de Dios y hacerlo, por tanto, precioso ante él.
Aun durante el trabajo quería que sus jóvenes orasen, además de ofrecerlo al Señor. «Comenzad siempre el trabajo con el Ave María», decía el n. 8 del Primo Piano citado; y el n° 9: «Por la mañana, a mediodía y por la tarde, recitad el Angelus y por la noche añadíd el De Profundis».72
También Zanella en la conferencia recordada había afirmado: «Religión y trabajo se han dado de nuevo la mano (en la formación de sociedades de ayuda mutua de inspiración cristiana) y de su unión no puede salir más que el mayor bien para una y otro. ¿No ha sido acaso la religión la que ha dado dignidad al trabajo? ¿No responde, por otra parte, el trabajo a los fines augustos de la religión?» Y había invitado a promover fiestas religiosas como en los antiguos gremios para «alegrar el alma maniatada por los mecanismos del oficio
" Cf. el «promemoria» de Enria reproducido por STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 494-506. Se habla también en él de las confesiones y de las comuniones de los muchachos del Oratorio.
DACQUINO, Psicologia di don Bosco, p. 259.
" Es interesante la descripción de un domingo en el Oratorio como viene narrada en el segundo documento inédito presentado por Braido: «Le funzioni religiose ne' giorni festivi sono come segue: al mattino comodita per chi vuole confessarsi; messa cui segue un racconto di storia sacra od ecdesiastica o l'esposizione del Vangelo della giornata; quindi ricreazione. Dopo mezzol catechismo in dasse, vespri, breve istruzione dal palpito, benedizione col venerabile, cui tiene dietro la solita ricreazione. Terminate le funzioni religiose ognuno é libero dí rimanere per trastullarsi o di recarsi a casa. Sul fare della notte si mandarlo tutti a casa e si chiude l'Oratorio» (BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 68).
72 Cf. Primo piano, cit. en nota 11.
y sacudirla y consolarla con el augusto espectáculo de los misterios de la fe». y la compara «a esas hornacinas que se encuentran por los caminos de los Alpes, que despiertan un piadoso pensamiento en el corazón del caminante y le ofrecen al mismo tiempo un asiento donde descansar»." La fiesta debía, pues, servir para el descanso y la oración: como para Zanella también para don Bosco.
Ésta era la actitud de don Bosco frente al mundo del trabajo, con sus ideas y-sus iniciativas. Su preocupación fundamental era y seguía siendo para él la salvación de las almas, pero si tuviésemos que buscar en él una «cultura del trabajo» no podríamos hacerlo mejor de lo que indicaba don Viganó en su discurso de Milán, es decir:
— primacía del hombre sobre el trabajo;
— primacía del trabajo subjetivo sobre el objetivo; — primacía de la conciencia sobre la técnica;
— primacía de la solidaridad sobre los intereses individualistas y de grupo.74
Conceptos todos subrayados en la Laborem exercens de Juan Pablo 11 75 y repetidos en sus numerosos discursos en la reciente visita de septiembre a Turín y a los lugares queridos por don Bosco.76 F1 discurso sobre el hombre, sobre su trabajo, sobre su dignidad — como ha señalado algún comentarista -- fue el motivo dominante de aquellas jornadas." E invitó, más que a ver en don Bosco a un precursor, a «sentir su presencia en nuestro hoy y nuestro mañana ».78
" Cf. ZANELLA, Religione e lavoro, p. 40. En este discurso, el autor ve la previsión y el ahorro, indicados también por don Bosco, como útiles para conservar los sentimientos religiosos, e invita a mit, a las prácticas religiosas, la lectura de algún buen libro. Los dos se encuentran de acuerdo en este punto como en el ver en todo esto una «educazione a sentire questa dignitá vostra».
74 Cf. el cit. discurso de don Viganó (fotocopiado).
" Para la Laborem exercens, cf. Le encidiche sociali dalla Rerum novarum alfa Laborem exercens, Roma 1984, p. 471-564.
76 Véanse los números 206. 207. 208. 209. 210 de «L'Osservatore Romano», en los que se recogen los discursos completos o el resumen de los mismos con algún comentario. Cf. también el BS (octubre 1988), en donde son comentadas las jornadas turinesas del papa.
77 Cf. P. Ama, Seguire la via indicara da don Bosco per restituire a Torino la sua vera anima, en «L'Osservatore Romano» 5-6 setiembre 1988, 7.
78 De la homilía pronunciada en la plaza «Maria Ausiliatrice» de Turín.
Luciano PAZZAGLIA
Al preguntarle, en 1886, qué método prefería para conducir las almas a Dios, el de San Francisco de Sales o el de San Vicente de Paul, don Bosco salió del paso diciendo: «Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppur io. Sono sempre andato avanti come il Signore m'ispirava e le circostanze esigevano».'
La respuesta no puede tomarse en sentido literal, como si el sacerdote piamontés hubiera querido verdaderamente sostener que había actuado exclusivamente empujado por lás circunstancias externas. La respuesta parecería, más bien, un expediente para no tener que pronunciarse entre dos autores a los que estaba igualmente ligado.2 Los estudiosos comparten ampliamente la convicción de que don Bosco fue más un educador que un «pedagogo», en sentido riguroso. Con todo, el preeminente carácter práctico de su empeño no debe hacer pensar que don Bosco careciese de un diseño teórico o que fuese adelante de forma casual. Hay que decir, a lo sumo, que resulta difícil organizar los múltiples aspectos de su obra en una visión de conjunto. Tal dificultad es debida, más que a la cantidad de documentación disponible, a la linea seguida por don Bosco en su itinerario. De hecho, llegó muy pronto a elaborar los principios fundamentales a los que iba a permanecer fiel durante toda su vida; pero, al mismo tiempo, trató de obrar de acuerdo con las necesidades del momento y de adaptar aquellos principios a las diversas circunstancias históricas. No hay, pues, que maravillarse de que su pensamiento, aun conservando algunas coordenadas estables, presente contornos algo sinuosos y se escape al intento de quien quisiera situarlo en el cuadro de un proyecto rígidamente unitario. Recientemente alguien se ha preguntado si, en vez del «sistema preventivo» de don Bosco — según una fórmula ya codificada —, no convendría más bien hablar de «sistemas», en plural?
La pregunta había sido formulada por M. Dupuy, rector del seminario de Montpellier, en una carta enviada a don Bosco, el 2 de julio de 1886, para agradecerle la visita hecha a dicho seminario, al regresar de su viaje a Barcelona. La carta de Dupuy y la frase de don Bosco se encuentran en: MB XVIII, 126-127 y 655-657.
2 P. BRAIDO, II progetto operativo di don Bosco e l'utopia della societiz cristiana, Roma, LAS 1982, p. 6.
Con la presente colaboración quisiéramos verificar, aunque sea de forma muy general, en qué forma el sacerdote piamontés decidió dedicarse a la educación de los jóvenes, y, sobre todo, de qué modo esta opción se concretó en las diversas fases de su rica y compleja biografía. La empresa no es fácil, porque se trata, precisamente, de seguir la obra educativa de don Bosco, considerando las más amplias perspectivas sociales y religiosas, en las que fue colocándola. Preciso, de entrada, que al realizar este ensayo, me he servido especialmente de la propuesta interpretativa de P. Braido, según el cual, don Bosco pasó de posiciones basadas en la idea de recuperar, para la sociedad, a los jóvenes en peligro («pericolanti»), a posiciones comprometidas en la defensa de la juventud frente a una realidad social que él, poco a poco, debía considerar cada vez más densa de peligros para las nuevas generaciones."
La versión dada por don Bosco, en sus Memorie dell'Oratorio, acerca de los comienzos del Oratorio, es generalmente conocida.5 En ese escrito, redactado en los primeros años 70, cuenta que empezó su obra en favor de los jóvenes abandonados el 8 de diciembre — día de la Inmaculada — de 1841, cuando, recién llegado a Turín para frecuentar el Convitto ecclesiastico dirigido por Cafasso y Guala, encontró casualmente a un joven, llamado Garelli, y, con su consentimiento, se puso a enseñarle algunas nociones de catecismo. La reciente publicación de algunos escritos inéditos de don Bosco autoriza, sin embargo, a. pensar que el Oratorio surgió de forma menos azarosa de lo que dichas Memorie querrían hacer creer.6 En el Cenno storico dell'Oratorio, de 1854,, el sacerdote piamontés escribió que había dado comienzo a su trabajo, reanudando, a finales del año 1841, una iniciativa catequística dominical veraniega para aprendices de albañil, iniciada años antes por Cafasso, pero que éste había abandonado después.' En los Cenni intorno all'Oratorio, de 1862, don Bosco afirmaba, en cambio, que había iniciado su obra para salir expresamente al paso de los problemas de los jóvenes presos, que, puestos en libertad, tenían necesidad de alguien en quien apoyarse. Las versiones dadas por los dos escritos — que, como se ve, no hacen ninguna alusión al episodio relativo al joven Garelli —, no son necesariamente contrastantes. En efecto, puede darse que don Bosco, aconsejado por don Cafasso, reactivase la experiencia catequística que éste no había tenido la posibilidad de proseguir: esto explicaría, entre otras cosas, la rapidez con la cual el novel sacerdote promovió los encuentros dominicales, desde sus primeras semanas en Turín. Pero no se puede excluir que, habiendo comenzado mientras tanto a visitar a los presos acompañando a don Cafasso —, se le hubiese ocurrido utilizar aquel servicio para ayudar también a los jóvenes salidos de la prisión. Fuese cual fuese la verdadera intención con la cual don Bosco emprendió su obra, queda claro que ésta, bastante. pronto, se iba a dirigir, no a una categoría específica, como era la de los ex presos, sino más en general a los muchachos «pobres y abandonados» de la ciudad o que llegaban a Turín desde los pueblos cercanos: jóvenes sin residencia fija, desocupados o empleados en trabajos eventuales, habituados a vivir precariamente, y expuestos a todos los riesgos de la calle.'
' P. BRAMO, L'esperienza pedagogica di don Bosco nel sao «divenire», ponencia presentada cc el seminario de estudio: «Don Bosco e la sua esperienza pedagogica: ereditá, contesti, sviluppi, ri soflame» (Venecia, 3-5 octubre 1988), cuyas actas fueron publicadas en «Orientamenti Pedago• gici» 31 (1989) 3-241, y en: C. NANNI (ed.), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, Roma, LA1 1989 (la ponencia de Braido: p. 11-39).
En este sentido se ha pronunciado Braido en: P. BRAIDO (ed.), Esperienze di pedagogía cris• tiana nella storia, vol. II: sec. XVII-XIX, Roma, LAS 1981, p. 322s.; BRAMO, Il progetto operativo di don Bosco, p. 19-20; y, últimamente, BRAIDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 20-21.
5 MO 124-125.
6 Los escritos inéditos a los que nos referimos fueron publicados por: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 13-81. En realidad los escritos presentados por Braido son tres: una Introduzione (que había ya dado a conocer en: G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo, p. 360-362), el Cennc storico dell'Oratorio di S. Francesco di Sales y los Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesa di Sales. L'Introduzione y el Cenno storico fueron redactados según Braido en 1854; según lo: Cenni storici, en 1862.
La historiografía ha discutido ampliamente sobre las fuentes culturales de don Bosco. Por de pronto, hay que observar que la decisión de reunir, los domingos, a grupos de jóvenes para entretenerlos con algunos juegos e instruirlos en las verdades del cristianismo, no constituía una novedad. El título de verdadero iniciador de aquel tipo de actividades en Turín correspondería, en todo caso, a don Cocchi, el cual había abierto, el año 1841, el «Oratorio dell'Angelo Custode» en el barrio del Moschino.9 En otras ocasiones, teniendo presentes las indicaciones dadas por algunos estudiosos, además de los testimonios provenientes del ambiente de don Bosco, he sostenido que el Oratorio de este último se fue caracterizando, respecto al de don Cocchi, por un más organizado empeño educativo.10 Tal afirmación habría, quizás, que matizarla un poco, pues, en realidad, el Oratorio del Angel Custodio no dejó de promover, a lo largo del camino, iniciativas que, más allá de la preocupación de entretener a los muchachos con juegos y ejercicios físicos, se proponían atender a la formación moral, religiosa y cívica. Es singularmente interesante, a este respecto, el proyecto de escuelas dominicales y nocturnas que don Cocchi, con la ayuda del teólogo R. Murialdo, perfeccionó en 1847:" un proyecto que, por lo menos en el papel, no tenía nada que envidiar a las líneas educativas que, en los últimos años 40, había madurado Bosco.
7 Escribe don Bosco: «Quest'Oratorio, ovvero adunanza di giovani ne' giorni festivi comindó nella chiesa di S. Francesco di Assisi. II Sig. D. Caffasso giá da parecchi anni in tempo estivo faceva ogni Domenica un catechismo a' garzoni muratori in una stanzetta annessa alla sacrestia di delta chiesa. La gravezza delle occupazioni di questo Sacerdote gil fecero interrompere questo esercizio a lui tanto gradito. Io lo ripigliai sul Emite del 1841, e cominciai col radunare nel medesimo luogo due giovani adulti, gravemente bisognosi di religiosa istruzione» (BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38-39). Diversos estudiosos han atribuido a la iniciativa de Cafasso el comienzo de los oratorios en el Convitto de Turín. Incluso P. Stella, el más informado estudioso de don Bosco, en su obra: Don Bosco 1, p. 95. P. Braido, sin embargo, recuerda que en la tradición salesiana esta atribución ha sido impugnada por algunos: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 38.
8 El texto del 62 afirma perentoriamente: «L'idea degli Oratori nacque dalla frequenza delle carceri di questa dttá» (BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 60).
9 Puede verse sobre don Cocchi: E. REFFO, Don Cocchi e i suoi artigianelli, Torino, Tipografia S. Giuseppe degli Artigianelli 1896; se encuentran referencias en el estudio dedicado por el mismo Reffo a la Vita del T. Leonardo Murialdo, Torino, Tipografía S. Giuseppe degli Artigianelli 1905; se halla también amplia información acerca de don Cocchi y, más en general, acerca de los oratorios turineses en: A. CASTELLANI, II beato Leonardo Murialdo, 2 vol., Roma, Tipografía S. Pio X 1966-1968.
No debe sorprender que la nueva generación de sacerdotes — como don Bosco y don Cocchi, profundamente animados del deseo de socorrer los sectores sociales más míseros — vinculase el crecimiento de los jóvenes pobres y abandonados a una mejor educación de los mismos, también desde el punto de vista cívico. Téngase presente que, desde hacía algún tiempo, la cultura de la prevención, superando la visión defensivo-punitiva de los siglos precedentes, estaba subrayando la urgencia de ayudar a los jóvenes marginados, dándoles los instrumentos indispensables para integrarse en la sociedad. Los exponentes de tal cultura — muy preocupados por las repercusiones sociales del pauperismo, de la mendicidad, del vagabundeo — recomendaban contener los fenómenos de la marginalidad con una serie de medidas indirectas. Entre éstas, en primer lugar, la instrucción y educación de los niños y adolescentes necesitados.' Para evitar falsas interpretaciones, es oportuno añadir que, aunque colocándose en una posición mucho más abierta respecto a la represiva de la tradición, la nueva concepción preventiva seguía considerando a la sociedad existente como una estructura intrínsecamente buena, y seguía considerando a las personas colocadas en los márgenes del consorcio civil como a sujetos «peligrosos», a los que había que ayudar, desde una perspectiva esencialmente paternalista. No podemos decir si don Bosco siguió y profundizó las publicaciones de estudiosos como Morichini, Petitti o De Gérando." Pero, desde los comienzos de su actividad, conoció la acción realizada en Turín por instituciones como el Albergo di Virtú o la Opera della Mendicitá Istruita, que, activas ya desde hacía tiempo, habían renovado recientemente su ayuda en favor de los jóvenes en peligro («perícolanti»)."
i. L. PAZZAGLIA, Apprendistato e istruzione degli artigiani a Valdocco (1846-1886), en: F. TRANIELLO (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI 1987, p. 16-17; respecto a la hipótesis de que el Oratorio de don Bosco tenía un enfoque pedagógico más sólido y completo que el de don Cocchi, cf. G. CHIOSSO, L'Oratorio di don Bosco e il rinnovamento educativo nel Piemonte carloalbertino, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 98ss.
" Oratorio dell'Angelo custode, en «L'Educatore. Giornale d'Educazione ed Istruzione» 3 (1847) 762-765.
<2 Acerca de los debates que, en la primera mitad del Ochocientos, se entablaron en torno al tema de la prevención socio-asistencial, cf. G. MILANESI, Sistema preventivo e prevenzione in don Bosco, comunicación presentada en el citado seminario de Venecia: «Don Bosco e la sua esperienza pedagogica» (p. 148-165).
" C.L. MORICHINI, Degl'Istituti di pubblica carita e d'istruzione primaria in Roma, Roma,
Estas breves alusiones permiten precisar el contexto en el que don Bosco empezó a trabajar. Su opción de ponerse al servicio de la juventud pobre y abandonada arrancaba, ciertamente, de forma directa y prevalente, de las razones propias de la caridad cristiana; pero, aun así, no se puede dudar de que, inicialmente, las modalidades de tal opción se tiñeron de las orientaciones de la cultura preventiva de la época. Es decir, muy pronto, don Bosco comprendió la necesidad de contrarrestar la marginación de la juventud por medio de un generoso y fuerte empeño asistencial-educativo; pero en términos no-muy lejanos de los típicos de la cultura entonces generalizada, comenzó su trabajo considerando que todo el problema consistía en volver a ganar a los jóvenes para la vida social. Esta perspectiva se alimentaba, principalmente, de la convicción de que, siguiendo la inspiración de los principios de la tradición cristiano-católica, la sociedad era capaz de «garantire ordine, sanitá morale, pace religiosa»." Para darse cuenta de la confianza con la cual don Bosco miraba el orden social — al que el viento revolucionario había asestado un duro golpe, y que la Restauración trataba de volver a poner en pie —, es suficiente hojear la Storia ecclesiastica, redactada por él en 1845, y considerar el juicio negativo emitido sobre los movimientos revolucionarios que, a su entender, tenían como objetivo la desestabilización de los equilibrios conseguidos con la alianza entre el trono y el altar.16 No se puede, sin embargo, excluir que hayan pesado además sobre don Bosco el concepto algo pesimista de la naturaleza del hombre y el sentido agudo del pecado original adquiridos en el seminario en la clase de teología rigorista que allí se enseñaba, y por cuyas sugestiones él mismo había sido inducido a dudar hasta de la propia capacidad de salvarse." Los escritos de este período — piénsese en los Cenni storici della vita del chierico Luigi Comollo" o en el testimonio acerca de su compañero de seminario G. Burzío19— dan la impresión de que en aquel momento don Bosco tenía un concepto de los jóvenes matizado de severidad. Son sintomáticas las valoraciones hechas entonces de sus ex compañeros seminaristas. Uno se sentiría inclinado a decir que no logró descubrir en ellos más que seres vacíos y superficiales, aunque sea con la excepción de algunos «veramente buoni»; pero estos últimos — anotaba — «son pocos, y precisamente por esto se debe usar la más atenta cautela, y, encontrados algunos, tratarlos con frecuencia, y establecer aquella familiaridad espiritual de la cual se recaba tanto provecho».2° En la perspectiva de una visión que parecía dar poco crédito a la juventud en general, era natural que, al entrar en contacto con la categoría de los muchachos más extraviados, don Bosco pensara que el único camino a seguir fuese el de reintegrarlos en el contexto social en el que, en virtud de las costumbres inspiradas en los principios religiosos, tales jóvenes podrían mantenerse en el recto sendero.
Stamperia dell'Ospizio apostolico presso P. Aurelj 1835; C.I. PErn II DI RORETO, Saggio sul buon governo della mendicita, degli istituti di beneficenza e delle carceri, Torino, Bocca 1837; J.M. DE GÉRANDO, Della pubblica beneficenza, 7 vol., Firen7e, C. Torri 1842-1846.
" Sobre el «Albergo di Virtil», cf. G. PONZO, Stato e pauperismo in Italia: L'Albergo di virtú di Torino (1580-1836), Roma, la Cultura 1974. Sobre la «Opera della Mendidtá Istruita», cf. las amplias referencias de P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS 1980, p. 61ss.
BRAIDO, L'esperienza pedagógica di don Bosco, p. 20.
16 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole utile per ogni ceto di persone, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1845, ahora en: OE I, 161-556.
" Respecto a la formación recibida por el joven Giovanni Bosco en el seminario de Chieri, además de los recuerdos del mismo don Bosco (MO 89ss), se puede ver la paciente reconstrucción de STELLA, Don Bosco I, p. 51ss.
18 [G. Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di
Pero ya en los primeros arios de la estancia en Turín, don Bosco puso premisas significativas para una ampliación de sus perspectivas. Mientras tanto, el perfeccionamiento pastoral en el Convino, realizado bajo la prudente guía de Cafasso (que continuaría siendo el director espiritual de don Bosco hasta 1860), le permitió superar el rigorismo teológico del seminario con concepciones espirituales caracterizadas por un sentido de mayor equilibrio.21 En la escuela de Guala y Cafasso, don Bosco encontró y conoció mejor a autores como San Alfonso de Ligorio, San Felipe Neri, San Francisco de Sales. Reflexionando sobre ellos, pudo abrirse al sentido de la esperanza cristiana y del abandono confiado en la misericordia de Dios. El Convitto resultó muy eficaz altres categorías: «cattivi», «non cattivi, ma non moho buoni», «veramente buoni» (OE I, 63-64).
Chieri ammirato da,tutti per le sue singolari virtú scritti da un suo collega, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1844, ahora en: OE I, 1-83.
19 La «notificazione» hecha por don Bosco apareció en: F. GIORDANO, Cenni istruttivi di perfezione proposti a' giovani desiderosi della medesima nella vita edificante di Giuseppe Burzio, Tocino, Stamperia degli Artisti tipografi 1846, p. 96ss., ahora en: OE II, 6ss.
2° El juicio, en realidad, era el que don Bosco decía haber escuchado de labios de su compañero Comollo, y formaba parte de la división con que éste había clasificado a los clérigos, según
Es fácil suponer que ésta fuera también la apreciación de don Bosco. De las Memorie dell' Oratorio parecería desprenderse que a esa clasificación de los jóvenes según las tres categorías recordadas, don Bosco había llegado, por su cuenta, al valorar a sus compañeros de latinidad, durante los años de los estudios secundarios en Chieti (cf. MO 50-51). Sobre el juicio bastante crítico que, en los primeros años 40, emitía sobre el seminario y sobre sus moradores, se puede ver también el testimonio acerca de su compañero G. Burzio, en el que sostiene que un buen seminarista debería tener, con los ojos de la paloma, la sagacidad de la serpiente, si desea salir inmune «da' scogli nascosti a flor d'acqua, che nel porto medesinio potrebbero delle volte presentare il naufragio e la morte» (OE II, 8-9). Entre estos «scogli», don Bosco ponía en primer lugar el de los malos compañeros.
21 Sobre los años pasados por don Bosco en el Convitto, cf. STELLA, Don Bosco I, p. 85ss.
22 Sobre las relaciones de don Bosco con San Alfonso, cf. STELLA, Don Bosco I, p. 87ss.;
M. MARCOCCITE, Alle radici della spilitualitá di don Bosco, en este mismo volumen. Sobre los contactos de don Bosco con el pensamiento de San Felipe Neri y de San Francisco de Sales, cf. BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 306-307.
ayudarle a fijar las lineas fundamentales de su apostolado. Impulsado a salir de las abstractas diatribas doctrinales para confrontarse con las exigencias de la concreta cura de almas, don Bosco comprendió que, en vista de la gloria de Dios, lo que contaba no era la adopción de una doctrina teológica en lugar de otra, sino más bien la ayuda efectiva que, como sacerdote, era capaz de dar a las personas.
En octubre de 1841, terminada su práctica pastoral en el Convitto, llegó a ser capellán de la «Opera Pia del Rifugio» de la marquesa Barolo, y tuvo la posibilidad de dar a sus encuentros dominicales con los jóvenes una organización más estable: fue precisamente durante el período del Refugio cuando don Bosco comenzó a designar su obra con el nombre de «Oratorio di San Francesco di Sales». La actividad que fue desarrollando (de acuerdo con una fórmula que unía siempre a la explicación del catecismo pasatiempos alegres y entretenidos, además de momentos de verdadera y propia instrucción), debía confirmarlo en la persuasión de que sólo viviendo con los muchachos y cuidándose de ellos era posible conducirlos a pensar en las cosas del cielo 23 Es decir, don Bosco se daba cuenta de que un punto esencial de su acción era hacer comprender a sus jóvenes que habían encontrado un «amigo», una persona de quien se podían fiar y a la que era posible abrir el propio corazón. En aquel momento, cuando los muchachos se sintiesen circundados de profundo afecto y sincera solidadaridad humana, el problema de su recuperación resultaría menos difícil: «Fue entonces — diría más tarde refiriéndose a aquellas primeras experiencias — cuando yo palpé con la mano que los jóvenes salidos del lugar de castigo, si encuentran una mano benévola, que cuide de ellos, los asista en los días festivos, trate de colocarlos a trabajar con algún honesto patrón, yéndolos a visitar alguna vez a lo largo de la semana, estos jóvenes comenzaban una vida honrada, olvidando el pasado, llegaban a ser buenos y honestos ciudadanos ».24
Los historiadores se han preguntado si don Bosco adquirió esta idea de prevención en un sentido más marcadamente promocional impulsado por alguna fuente precisa. Se puede decir, sin más, que la profundización del apostolado de un San Felipe Neri o de un San Francisco de Sales no podía dejarlo indiferente, sobre todo, por las orientaciones que daban sobre aspectos como la alegría, puesta por San Felipe Neri en el centro de su propia visión educativa, o como la dulzura y caridad, que San Francisco de Sales tanto recomendaba a los que se preparaban a comenzar su trabajo en la cura de almas.23
23 Por lo que se refiere a la instrucción propiamente dicha, don Bosco comenzó organizando los domingos un breve encuentro instructivo encaminado a impartir a los muchachos los primeros rudimentos de la lectura y escritura: en los Cenni storici se lee que la «scuola domenicale» se inició en el 1845, pero Braido opina que esta fecha habría que retrasarla un año (cf. BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 68).
24 MO 127.
" Don Bosco hacía, en su Storia ecclesiastica, algunas alusiones a san Felipe Neri y a San Junto a estos maestros de la espiritualidad, don Bosco tuvo también seguramente presentes algunos autores de la literatura ascético-pedagógica menor, de la cual la Iglesia se servía (y no sólo desde entonces), para difundir en medio del pueblo el culto de las verdades y de las virtudes cristianas. P. Stella ha verificado que, entre las fuentes del Giovane provveduto — redactado por don Bosco en 1847 para ayudar a sus muchachos a vivir como cristianos" —, hay que poner una obrita de Gobinet, autor de diversos escritos devocionales profundamente empapados del espíritu de San Francisco de Sales." Pero en la base de la reflexión y de la praxis de don Bosco, ocupado en consolidar su Oratorio, se pueden encontrar también analogías y coincidencias con obras de autores y ambientes contemporáneos. Piénsese, por ejemplo, en la propuesta pedagógica de los hermanos de las Escuelas Cristianas, a la enseñanza de Aporti, a las temáticas de los educadores y de los pedagogos que se agrupaban en torno a la revista «L'Educatore Primario». Podríamos decir que se trata de todo un movimiento que, aun sin llevar adelante una acción programática-mente coordenada, estaba poniendo de relieve la importancia de la educación popular y subrayando la urgencia de una obra de formación que, antes de castigar y reprimir, debería evitar que los muchachos cometiesen el error.28 Sin embargo, P. Braido ha mostrado que, aparte algunas relevantes coincidencias, no existe una documentación que permita hablar de una directa dependencia entre don Bosco y aquellos autores o grupos, con algunos de los cuales man
Francisco de Sales, así como a otros apóstoles surgidos después del concilio de Trento (OE I). Son significativos los rasgos con que fueron caracterizados los dos santos: «Correva per le piazze, per le contrade raccogliendo specialmente i ragazzi i piú abbandonati, i quali radunava in qualche luogo, dove con lepidezze ed innocenti divertimenti li teneva lontani dalla corruzione del secolo, e li istruiva nelle veritá della fede» (Ibid., p. 473); de San Francisco de Sales: «Spinto dalla voce di Dío che lo chiamava a cose grandi; colle sole armi della dolcezza e carita si parte per Chiablese. Alla vista delle chiese abbattute, dei monasteri distrutti, delle croci rovesciate, tutto s'accende di zelo e comincia il suo apostolato» (Ibid., p. 479-480). En las Memorie dell'Oratorio, indicando las razones por que había decidido designar su obra con el nombre de San Francisco de Sales, precisaba que lo había hecho, entre otras cosas, para que este santo «ci ottenesse da Dio la grazia di - poterlo imitare nella sua straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle anime» (MO 141).
26 G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli esercizi di cristiana pietá per la recita dell'Uffizio della Beata Vergine e de' principal:* vespri dell'anno coll'aggiunta di una scelta di laudi sacre ecc., Torino, Paravia 1847, ahora en: OE II, 183-532.
27 La obra en cuestión de Gobinet es Instruction de la jeunesse en la piété chrétienne..., publicada por primera vez en 1655, y destinada a convenirse, muy pronto, en un libro de espiritualidad juvenil muy difundido. De las varias traducciones italianas recordamos: P. GOBINET, Istruzione della Gioventú nella pietá cristiana, Tocino, Associazione prenso i librai Maspero e Sena 1831 (que constituía el vol. 23 de la «Scelta biblioteca economica d'opere di religione»). Sobre las relaciones entre el Giovane provveduto y el escrito de Gobinet, cf. P. STELLA, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni Bosco, Roma, Scuola Grafica Borgo Ragazzi Don Bosco 1960.
28 Cf. a este propósito: P. BRAMO, Stili di educazione popolare cristiana alíe soglie del 1848, en: Pedagogia fra tradizione e innovazione, Milano, Vita e pensiero, 1979, p. 383-404; BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 310-313; G. CHIOSSO, L'Oratorio di don Bosco, en: BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 83-116.
tuvo relaciones." Obviamente, de este hecho no es licito concluir que él haya elaborado sus convicciones educativas a partir de su sola experiencia, alimentada a lo sumo con las tradiciones espirituales y ascéticas aludidas más arriba. Las analogías recordadas indican que don Bosco participaba, por lo menos, de un mismo clima cultural.
De todos modos, es cierto que, al final de los arios 40, el sacerdote piamontés se acercaba a una visión más serena.cle la juventud, aunque sin caer en cierto optimismo rousseauniano; acerca del cual, por el contrario, continuó manteniendo con firmeza sus reservas. Es fácil poner de relieve en Ii giovane provveduto que don Bosco estaba madurando aquella visión más serena, en estrecha relación con la perspectiva teológica fundada sobre un Dios que — en modo diverso del conocido a través de las doctrinas rigoristas del seminario —, asumía cada vez más la imagen de un padre bueno, deseoso de ayudar a los hijos a lograr la propia salvación. En el cuadro de tal concepción, don Bosco afirmaba así: «Convencidos, queridos hijitos, de que todos hemos sido creados para el paraíso, debemos dirigir todas nuestras acciones a este fin. A esto os debe mover especialmente el gran amor que Dios os tiene. Aunque Él ame a todos los hombres, como obra de sus manos, tiene, sin embargo, un amor especial para los jovencitos, en los cuales encuentra sus delicias: Delíciae meae esse cum filiis hominum. Por lo tanto sois la delicia y el amor de aquel Dios que os creó. Él os ama porque estáis todavía a tiempo para hacer muchas obras buenas; os ama porque estáis en una edad sencilla, humilde, inocente, y, en general, no habéis sido todavía presa infeliz del enemigo infernal»."
La base sobre la que don Bosco habría edificado su concepción preventiva estaba ya puesta. Si la juventud se presentaba no sólo como la parte de humanidad más amada por. Dios, sino también como el tiempo más precioso para ganarse el paraíso, los adultos tenían la delicada tarea de acercarse con caridad paterna y con razonable solicitud a los jóvenes para sostenerlos en su fragilidad y, con la ayuda de la gracia, hacer crecer en sus corazones el amor de la virtud y de la vida cristiana. Con otras palabras, la propuesta hacia la que don Bosco se estaba encaminando era una propuesta educativa que, aun sin desconocer la importancia del sostén de las estructruras sociales, buscaba, ante todo, consolidar las energías interiores de cada muchacho, de modo que fuese puesto, gradualmente, en la condición de discernir y querer el bien.
29 Éste no comparte, por tanto, la posición de quien, como A. Caviglia, ha llegado a sostener que don Bosco vendría a depender de las perspectivas pedagógicas de los hermanos de las Escuelas Cristianas y de los pedagogos que se agrupaban en torno a «L'Educatore Primario» (cf. BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 310).
30 OE IL 190-191.
Mientras tanto, en el año 1846, el Oratorio había encontrado su lugar definitivo en Valdocco, zona periférica de la ciudad de Turín, y podía por tanto enriquecerse con nuevas actividades. En el invierno de dicho año, dándose cuenta de que los primeros rudimentos de lectura y escritura, que se impartían a los muchachos los días de fiesta, eran excesivamente irregulares y no podían producir frutos duraderos, don Bosco decidió organizar las escuelas nocturnas, con la enseñanza de la lectura y escritura, y, más tarde, de la aritmética y del dibujo.3' Al principio, el momento instructivo nació claramente en apoyo de la formación religiosa propiamente dicha; pero bastante pronto se cargó de un valor humano propio, porque permitía a los muchachos una mejor integración no sólo con la religión sino con la sociedad. Que el crecimiento espiritual debía concebirse enramado en el crecimiento de todo el hombre era, por otra parte, una convicción del mismo don Bosco, quien, desde el 47, había afirmado que, siguiendo el método que les había propuesto, los jóvenes, antes que «afortunados moradores del cielo», llegarían a ser «el consuelo de los [...] parientes, el honor de la patria, buenos ciudadanos en la tierra».32
Desde esta óptica se explica también la preocupación con la que él trataba de procurar a cada uno de sus muchachos un trabajo, de modo que, arrancados del ocio, tuviesen la posibilidad de llenar dignamente la vida y sentirse miembros activos de la sociedad civil. Don Bosco avanzaba, cada día más, hacia una concepción que conjugaba una intensa inspiración religiosa fundamental con una fuerte atención a los valores humanos. Es posible, sin duda, decir que, desde los comienzos, su proyecto tendía a dar a sus jóvenes todo lo que necesitasen: ante todo, los instrumentos para desarrrollar su vida de fe; pero, al mismo tiempo, ayuda material, trabajo, amistad, cuidado de su salud, consejos, momentos de diversión y de alegría.33 Naturalmente este «programma globale d'intervento» llegó a ser relativamente más realizable, cuando pudo contar con una morada que, si bien al principio era muy modesta, tenía de todos modos la ventaja de ofrecer un apoyo estable y seguro. Con la primavera de 1847, aprovechando la disponibilidad de la casa, don Bosco dio también alojamiento a algunos muchachos. Desde aquel momento Valdocco, junto al oratorio festivo y las escuelas nocturnas, disponía de un hospicio que permitiría a un cierto número de jóvenes ir durante el día a la ciudad, para trabajar en diversos talleres o para estudiar en casa de algunos profesores privados, y volver por la tarde al Oratorio, donde, gracias también a la activa y amable presencia de la madre de don Bosco, encontraban el calor de una verdadera familia.
31 Sobre la fecha (1846), indicada como el comienzo de las escuelas nocturnas, cf. el testimonio del mismo don Bosco en Cenni storici, en: BRAmo, Don Bosco nella Chiesa, p. 72; pero, en las Memorie dell'Oratorio, había hablado del invierno de 1845-1846 (y Ceda había llegado hasta a adelantar la fecha del comienzo al año 1844) (cf. MO 150-151). Según Braido, las escuelas nocturnas de don Bosco comenzaron, muy probablemente, en el invierno de 1846-47 (Don Bosco nella Chiesa, p. 72).
" OE II, 187.
" Braido, al resaltar esta labor de sostén integral, habla de «programma globale d'intervento» (BRAmo, II progetto operativo, p. 9).
Para comprender la importancia que en la estrategia del sacerdote piamontés iba a adquirir progresivamente la fórmula del hospicio — y del colegio, como veremos —, es necesario no olvidar las vicisitudes políticas de los últimos años 40. P. Stella no excluye que, en los primeros meses de 1848, don Bosco se dejara tentar por cierta simpatía neogüelfa, en un momento en que «la mayoría del clero (y también de prelados que después se separaron de la causa nacional y se mostraron intransigentes) se adhirió al neogüelfismo y aplaudió la guerra de la independencia».34 Para apoyar esta no abstracta hipótesis, se pueden aducir no sólo el adjetivo «grande» atribuido por don Bosco a Gioberti en la nueva edición de su Storia ecclesiastica publicada en 1848,35 sino también algunas ideas que se pueden encontrar en el primer número del «Amico della Gioventá», un periódico político-religioso que el sacerdote piamontés comenzó a publicar a partir del mes de octubre de 1848.36En un artículo titulado Religione e liberta — que apareció anónimo, pero que, si no de don Bosco, fue publicado verosímilmente con su aprobación37 —, se sostenía la tesis, según la cual, la Iglesia, diversamente a lo que los adversarios querían hacer creer, no odiaba ni el progreso ni el sentimiento nacional: «En suma, cada día aparece más claro que catolicismo, progreso y nacionalidad son reconciliables entre sí más de lo que parece a primera vista; que los dos últimos encontraron ventajas en el primero, y que a él deben dirigirse todavía si quieren obtener su triun fo».38 Pero si nutrió alguna simpatía neogüelfa, la abandonó bien pronto, y comenzó a temer que la abolición de la censura (30 octubre 1847), la concesión del Estatuto (4 marzo 1848) y, sobre todo, la equiparación de los valdenses (17 febrero 1848) y de los hebreos (29 marzo 1848) a los demás ciudadanos en gozar de los derechos civiles39 fueran las señales premonitoras de algunas transformaciones políticas gravemente dañosas para la religión católica. Don Bosco tuvo la impresión de que, bajo el influjo de los enemigos del catolicismo, el Estado se estuviese alejando de la línea con la que hasta entonces había tate- lado premurosamente a la Iglesia, recibiendo en cambio de ella el más leal apoyo. La introducción de otra serie de reformas, a partir de la abolición en 1850 del foro eclesiástico, y la adopción de algunas medidas, como la expulSión en el mismo año 1850 de mons. Fransoni, arzobispo de Turín, debía transformar aquella impresión en amarga convicción.4° Desde aquel momento, don Bosco, más allá de sus declaraciones de ser ajeno a la política, vivió con la nostalgia de la organización político-social del Anden Régime: una nostalgia no sin consecuencias, si se tiene presente que don Bosco quedaría ligado tanto a la idea de una estrecha integración entre trono y altar, como a la visión de una sociedad organizada jerárquicamente.
" STELLA, Don Bosco II, p. 78.
" Al introducir un elogio de Pío IX, don Bosco escribía: «I sovrani impararono da lui [da Pio IX] il yero modo di governare i popoli. La sola sua presenza forma la meraviglia di chi lo pub vedere. II gran Gioberti chisma il giorno che lo vide il piii bello di sua vita» (G. Bosco, Storia ecclesiastica per uso delle scuole utile ad ogni stato di persone, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1848, p. 182). En la edición siguiente, publicada por don Bosco en 1870, la referencia a Gioberti ya no apareció.
36 El periódico no tuvo mucho éxito y en el mes de mayo de 1849, después del fascículo
LXI, se fundió con «L'Istruttore del Popolo» (STELLA, Don Bosco II, p. 78-79).
37 El artículo se puede consultar en el último volumen de las Opere edite, publicado recientemente: OE XXXVIII, 291-292.
" OE XXXVIII, 292. En el artículo se emitía, entre otros, un juicio lisonjero sobre la juventud: «In simile stato di cose, dedicad al bene della gioventú, abbiamo ideato di rivolgersi a questa bella eta delle speranze, invitandola a voler usare pienamente di sua liberta» (Ibid.). El juicio reflejaba lo que la Dirección de «L'Amico della Gioventú» escribía en el editorial del mismo número, titulado «Programma» (se puede ver en: OE XXXVIII, 289-290). Al hacer una llamada a los lectores, para que colaborasen en la obra que iba a emprender, la Dirección observaba en efecto: «[La gioventú] é la porzione piú favorita del genere umano, sopra cui si fondano le speranze della patria, il sostegno delle famiglie, l'onore della Religione e dello Stato» (Ibid.). En modo análogo se expresaba don Bosco en un Avviso sacro difundido por él en aquellos mismos meses: «La porzione dell'umana societá, su cui sono fondate le speranze del presente e dell'avvenire, la porzione degna dei piú attenti riguardi é, dubbio, la gioventù» (MB 111, 605).
Pero el motivo por el cual más se angustió, después del 48-49, fue la activa propaganda con la cual los valdenses, aprovechando los nuevos espacios de libertad, trataban de ampliar la propia presencia en medio de la gente. Piénsese en lo que don Bosco debió probar en 1851 cuando en el barrio de Porta Nuova, donde había dado vida a otro Oratorio titulado de «San Luigi», vio surgir el templo valdense. Los escritos compuestos por él en este período — de los Avvisi az' cattolici a Il cattolico istruito41 — reflejan la viva preocupación con la que el autor seguía el proselitismo actuado entonces por los valdenses
" Los valdenses obtuvieron su emancipación en virtud de las «Regie lettere patenti» del 17 de febrero 1828; los judíos en virtud del regio decreto del 29 de marzo 1848. Pero la equiparación de los ciudadanos no católicos iba a tener, no mucho más tarde, una ulterior y más solemne confirmación. En efecto, el 19 de junio de 1848 era emanada una ley cuyo artículo único establecía que la diferencia de culto ya no constituiría «eccezione al godimento dei cifrad civil e politici e all'ammissibilitá alle caniche civili e militad». Sobre la emancipación de los valdenses y de los judíos, cf. G. SPINI, Risorgimento e protestanti, Napoli 1956; S. FoA, Gli ebrei nel Risorgimento, Roma/Assisi 1978.
4' Para conocer el pensamiento de don Bosco sobre el 48, cf. lo que él iba escribir más tarde en: G. Bosco, La storia d'Italia raccontata alla gioventú da' suoi primi abitatori sino ai nostri giorni, Torino, Paravia 1855, ahora en: OE VII, 1-558 y en: MO 204ss.; sobre la reconstrucción de aquellos acontecimientos hecha por don Bosco, sobre todo en las páginas de la Storia d'Italia,
cf. F. TRANIELLO, Don Bosco e l'educazione giovanile: la «Storia d'Italia», en: TRANDELL0 (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, p. 81-111.
" G. Bosco, La Chiesa cattolica-apostolica-romana é la sola vera Chiesa di Gesti Cristo. Avvisi ai cattolici, Torino, Tip. Speirani e Ferrero 1850, ahora en: OE IV, 121-143; G. Bosco, II cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo, Torino, De Agostini 1853, ahora en: OE IV, 195-646.
en Piamonte. Don Bosco juzgaba al protestantismo no sólo como una herejía religiosa — que, según la apologética del Setecientos, consideraba más como fruto de inmoralidad, de las costumbres que de apostasía de la razón42 —, sino también como un fenómeno político que tendía a desquiciar toda legítima autoridad. Es sintomática, a este propósito, la presentación que él hacía de las consecuencias que, a su entender, producía el principio del libre examen: «El decir: haceos una religión a voluntad, es como decir: haced lo que queráis; robad, desobedeced, matad a vuestro rey, a los ministros, y a todo el que aparezca culpable a vuestros ojos, vosotros obraréis ciertamente bien, con tal de que creáis hacer buenas acciones».43 En el curso dé su campaña contra las «sectas», don Bosco tendía, por tanto, a identificar el protestantismo con la «revolución» y a presentar, por el contrario, el catolicismo como la religión que concurriría a instaurar la pacífica convivencia de todos."
En este contexto cobra nueva luz la importancia que en la praxis pedagógica del educador piamontés adquiría su hospicio. Este debería servir para contener los influjos negativos que, durante el día, habrían podido alcanzar a los jóvenes a través de las personas con que se encontraban, de las conversaciones que oían, de la prensa que corrían el peligro de tener entre manos. No carece de significado el que entonces don Bosco decidiese dirigir a los huéspedes un «brevísimo sermoncito por las noches después de las oraciones con el fin de exponer o confirmar alguna verdad que por ventura hubiese sido contradicha en el curso de la jornada»." Entre los años 1851 y 1853, Valdocco se enriquecía con la iglesia de San Francisco de Sales y con un nuevo edificio destinado a habitaciones: en 1853 los huéspedes de la casa eran cerca de unos veinte y comprendían, además de los artesanos y estudiantes, diversos clérigos que, al ser cerrado el seminario diocesano por la guerrra de independencia, don Bosco muy gustosamente había acogido en su casa, poniendo en marcha una nueva experiencia educativa." Como es fácil advertir, el Oratorio de don Bosco era ya una cosa bien diversa del simple encuentro dominical de los primeros años 40. Pero detrás de la evolución de las estructuras, había un cambio más profundo. Solicitado por el empuje de los acontecimientos de 1848, don Bosco empezó a revisar la concepción con la que, hasta entonces, había pensado que debía salvar para la sociedad a los muchachos abandonados de los que se venía ocupando. Es decir, tomaba cuerpo en él la idea de que eran los jóvenes — los jóvenes en general y no sólo los pobres y abandonados — los que tenían que ser puestos al abrigo de los influjos negativos de la realidad social. En esta óptica, el hospicio era solamente una etapa.
42 STELLA, Don Bosco II, p. 47ss. 45 OE 590.
" STELLA, Don Bosco II, p. 81ss. 45 MO 205.
46 Don Bosco se complacía diciendo que, después de 1848, el Oratorio se convirtió por casi veinte años en el seminario diocesano (MO 212).
En efecto, en 1853, pudiendo contar con un mayor número de locales, don Bosco creaba en Valdocco los primeros talleres (de zapateros y sastres) — a los que, a lo largo de unos diez años se habrían de añadir otros cuatro (de encuadernadores, carpinteros, tipógrafos y forjadores) —, y en 1855 instituía la tercera clase gimnasia! — que a la vuelta de cuatro años estaría integrada por las clases restantes hasta completar un curso gimnasia! completo. Después de estas medidas, el hospicio se transformaba en verdadero internado, en el que los muchachos tenían la posibilidad de dormir, comer y trabajar o estudiar. La progresiva transformación de Valdocco — que conservó de todos modos el Oratorio festivo —, se actuó también para dar una respuesta a algunas exigencias muy concretas como, por ejemplo, la necesidad de proporcionar a los huéspedes del Oratorio vestidos y calzado, o la oportunidad de acompañar el trabajo de escritor y de editor de don Bosco con un taller de encuadernación y con una tipografía.47 Pero en la base de esta evolución estaba, ante todo, la intención de proteger a los jóvenes de los peligros de una sociedad cuya obra, a los ojos de don Bosco, se hacía cada vez más perniciosa para la integridad de la vida moral y religiosa, en particular de aquellos en quienes no habían madurado todavía la fuerza de carácter y la solidez de convicciones.
Hacia la mitad de los años 50, don Bosco había esbozado ya las estructuras de las que se serviría definitivamente en su estrategia educativa. Y sería interesante estudiar detenidamente los documentos y reflexiones que elaboró en aquel período para encuadrar la praxis cotidiana. Pensamos, por ejemplo, en-el conjunto de reglamentos redactados a partir de 1852, en la Introduzione y el Cenno storico ya recordados, en la conversación con U. Rattazzi de 1854; aunque, en realidad, el contenido de tal conversación fuera publicado en el «Bollettino Salesiano» del 1882 y se le pudieran, por tanto, añadir valoraciones y juicios posteriores.48 Para los fines de nuestro discurso pueden bastar, quizás, algunas simples alusiones.
De estos y de otros documentos resulta confirmada, por de pronto, la idea positiva que mientras tanto don Bosco se había formado acerca de la juventud: «porción la más delicada y la más preciosa»,48 «no mala de por sí»,5° que se podía estropear «por inconsideración [...] no por malicia consumada»." En la citada Introduzione el sacerdote piamontés llegaba, por tanto, a sostener que, quitados algunos obstáculos — como «la negligencia de los padres» [o bien la falta de afecto, el abandono], «el ocio» y los «malos compañeros» sería «facilísima cosa» educar a los jóvenes e «insinuar en sus tiernos corazones los principios del orden, de las buenas costumbres, del respeto, de la religión.».52
47 Sobre las razones que indujeron a don Bosco a implantar, en Valdocco, los diversos talleres me permito remitir a: PAZZAGLIA, Apprendistato, p. 20ss.
48 El texto ha sido publicado recientemente por: A. FERREIRA DA SILVA, Conversazione con
Urbano Rattazzi, en: Bosco, Scritti pedagogici, p. 55-69.
49 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 34.
50 BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 39.
51 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 35.
52 BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p. 34-35.
La rapida definizione che Don Bosco, nel contesto del suo ottimismo pedagogico, diede all'educazione, merita di essere indicata e confrontata con ciò che egli stesso osservò nel 1854, nel corso della conversazione con Rattazzi. In questa circostanza, opponendosi ai metodi "repressivo" e "preventivo" secondo una terminologia che, tuttavia, non poteva ancora utilizzare al momento del suo incontro con il politico - Don Bosco ha spiegato quale era l'azione preventiva: "Prima di tutto qui si cerca di infondere nei cuori dei giovani un santo timore di Dio; Sono ispirati dall'amore per la virtù e l'orrore del vizio, con l'insegnamento del catechismo e con appropriate istruzioni morali; si stabiliscono e si sostengono nella via del bene con opportuni e benevoli ammonimenti, e specialmente con le pratiche di pietà e religione ». 53 Certamente questa deficienza di educazione era più precisa di quella che abbiamo osservato nell'Introduzione; ma sia l'uno che l'altro sono ispirati dallo stesso principio. Don Bosco ha iniziato dalla convinzione che, se fosse davvero importante trovare luoghi in cui "si riuniscono" il giovane, il più positivo e costruttivo di una parte prevenire è stato fatto da semina - "insinuare", "infondere" - nella mente dei giovani i principi naturali e soprannaturali. In questa prospettiva, si riesce anche a dare una più precisa a tale contesto di ampia libertà che, come si legge nella storico Cenno contorno, egli ha sostenuto che aveva fatto all'Oratorio anche se, soprattutto all'inizio, le cose non hanno fatto non era riuscito a procurare, da circoli conservatori, l'accusa di istruire i giovani con "massime sospettose":
Potremmo dire che, verso la metà degli anni '50, Don Bosco era venuto a definire non solo i "luoghi", ma anche i principi chiave di ciò che il suo sforzo educativo dovrebbe essere. Naturalmente, per sapere meglio in che modo ha partecipato alla realizzazione di tale sforzo, sarebbe necessario iniziare un'attenta analisi del suo lavoro, tanto più che, secondo lui, una corretta strategia educativa dovrebbe adattarsi alle esigenze specifiche di ogni situazione. Infatti, procedendo con la realizzazione del suo progetto, Don Bosco seguì due sistemi: quello dell'Oratorio festivo, che per quanto riguarda i primi incontri improvvisati domenicali aveva acquisito una maggiore continuità, diventando, di fatto, quotidiano; e il sistema scolastico, la nuova istituzione che, sebbene fosse operativa dal 1853 con i primi due seminari, è stato delineato in modo chiaro e preciso solo dopo l'inizio del ciclo completo di ginnastica. Ma per avere un quadro più completo, sarebbe opportuno per noi tenere conto di un'ulteriore divisione all'interno del sistema scolastico, poiché Don Bosco, nonostante aderisse agli stessi principi, adottò linee diverse, a seconda che fossero artigiani, studenti o chierici. gli studenti; Soprattutto, quando sono state istituite tutte e cinque le classi di ginnastica, è stato necessario lasciare il clima di semplicità seguito fino ad allora e introdurre una regolamentazione più esigente e puntuale di ciascuna delle sezioni. Essendo impossibile, in questo momento, fare un esame dettagliato dei vari itinerari educativi attraversati da Don Bosco,
53 Bosco, Scritti pedagogici, p. 65. E Rattazzi continuando ad illustrare il carattere del lavoro educativo ispirato al criterio di prevenzione vera e propria, Don Bosco ha aggiunto: "Oltre a zio, se circondano [i ragazzi], per Quanto é possibile, di Assistenza in un'amorevole ricreazione, nella scuola, sul lavoro; s'incoraggiano con parole di benevolpn? a, e non Appena vederlo di dimenticare i proprii Doveri, pappagallo se Ricordano Bel se la modalità richiamano e Sani Consigli. In una Parola se ci si sintonizza Usano industrie, Che suggerisce Christian Carità, affinche Facciano Il Bene e fuggano principio maschile per il dato un illuminata Coscienza e Dalla sorretta Religione "(Ibid., Pag 65-66).
54 BRAIDO, Don Bosco nella Chiesa, p. 45.
Per quanto riguarda la concezione che nel bel mezzo della sua attività, aveva maturato nel corso l'Oratorio di festa, vale la pena di esaminare il primo Regolamento dell'Oratorio, seguendo il modello di alcuni regolamenti oratori milanesi, Don Bosco ha iniziato a sviluppare intorno al 1852, con appunto l'intenzione di ordinare l'afflusso di giovani che frequentavano Valdocco la domenica e nei giorni feriali nel pomeriggio. Questi giovani, dopo l'introduzione del collegio, sarebbe chiamato "esterno" .55 Il regolamento ha dichiarato che lo scopo del Oratorio era "intrattenere i giovani durante le vacanze con la ricreazione gentile e onesto dopo aver frequentato le funzioni sacre la chiesa ».56 Mettendo in guardia contro un'interpretazione seduttiva di tale concezione, P. Braido ha scritto che Don Bosco aveva in mente non un semplice "Ricreatorio" o "ritrovo giovanile", ma una "Scuola d'Istruzione, Pratica di ISPIRAZIONE religiosa e cristiana di Alla Vita" 57 La scuola termine dovrebbero prendere, ovviamente, in nessun senso letterale, perché se è vero che alcuni scolastici stessi momenti sono stati anticipati, la formazione di coloro che frequentavano l'Oratorio doveva avvenire in modo informale e in linea con quanto sempre è stato suggerito dalle circostanze e dalla creatività degli educatori . In breve, ciò che pensava don Bosco era un "ambiente" allegra e serena insegnando che, per rendere fruttuose le varie opportunità - scuola, gioco, teatro, escursioni a piedi -, sapeva offrire ragazzi un solido sostegno per il loro morale, crescita spirituale e religiosa. La struttura che dovrebbe favorire il raggiungimento di questo obiettivo è stata, piuttosto, articolata. Infatti, accanto al regista ("il superiore principale, che è responsabile di tutto ciò che accade nell'oratorio"), il regolamento mette un gruppo di collaboratori più diretti - dal prefetto al direttore spirituale - che, per le sue delicate responsabilità potevano essere solo sacerdoti, e un altro gruppo di assistenti - assistenti, sacrestani, osservatori, catechisti, bibliotecari - alcuni dei quali sarebbero stati scelti tra i giovani più capaci ed esemplari.
55, questo Regolamento è stato pubblicato da Lemoyne in: MB III, 91-92.98-108. Secondo il biografo salesiano, la stesura della scrittura sarebbe già stata fatta, in gran parte, nel 1847; ma è molto probabile che, come sostiene P. Braido, tale redazione sia stata fatta intorno all'anno 1852 (vedi BRAMO, Don Bosco nella Chiesa, p.36). Il testo finale del Regolamento per gli esterni fu pubblicato nel 1877: Regolamento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per esterni, Torino, Tipografia salesiana 1877, ora in: OE XXEX, 3 1-92.
56 MB DI, 91.
57 P. BRAMO, II sistema preventivo di Don Bosco, Zurigo, PAS Verlag 1964, p. 322. Nell'oratorio festivo, vedi cosa è stato scritto da BRAIDO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 160ss.
Don Bosco era convinto che per entrare in all'Oratorio di festa dovrebbe o esercitare un mestiere o di avere almeno l'intenzione di esercitarla: "Chi erano lasciato libero e il lavoro malattia può andare al Protettori, e saranno aiutati da loro" 58 Non sorprende che l'attività lavorativa fosse così importante agli occhi del prete piemontese. Questo, fedele a un'idea che era molto cara, indicato nel regolamento di esterno che per il tempo libero e la disoccupazione genererebbe tutti i vizi e ogni sorta di inutile sarebbe religiosa.59 istruzione è chiaro, tuttavia, che con le nuove disposizioni l'Oratorio tendeva ad essere caratterizzato con caratteristiche diverse rispetto a quello delle origini. Infatti, mentre all'inizio era stato concepito - come si è visto - per aiutare, principalmente ma non esclusivamente, ai ragazzi lasciati in prigione e abbandonati a se stessi, l'Oratorio divenne ora un servizio aperto a tutti i giovani che, impegnati in qualche attività, desiderano utilizzare il loro tempo libero in modo positivo. La trasformazione non era una cosa secondaria. Molto probabilmente tale trasformazione è dovuta al fatto che, quando Don Bosco propose la diretta integrazione dei suoi ragazzi nella vita lavorativa, l'oratorio era diventato sempre più frequentato da giovani artigiani; ma non è da escludere che la nuova apertura nascono anche dalle riflessioni praticati che, di fronte al mutato contesto culturale, il sacerdote piemontese considerato non più offrire sostegno urgente una particolare porzione di giovani, ma i giovani in generale, sono stati studenti o apprendisti.6 Sarà necessario, tuttavia, aggiungere che,
58 MB 111, 92.
"MB 111, 92. Sul contrasto stabilito da don Bosco tra lavoro e vita
di inattività, ho avuto l' opportunità di impegnarsi nel citato seminario di studio di Venezia, una comunicazione: Il lavoro pedagogica nell'esperienza tema, pubblicato in: NANNI (a cura di), Don Bosco e la sua esperienza pedagogica, pp. 113-131.
60 Nello stesso Regolamento affermava di essere particolarmente presenti «i giovanetti,
Concepito già in funzione dei settori giovanili sempre più ampi l'oratorio festivo, di fronte ai suoi ospiti, avrebbe adottato uno spirito di grande comprensione. Il regolamento ha dichiarato che le porte erano aperte anche ai più irritabile, se non scandalo diesen e confermare che si potrà osservare una condotta mejor.6 'è la tolleranza dichiarata non deve credere che don Bosco avrebbe fatto l'ipotesi di una proposta educativa flaccido e im .. preciso. L'elemento attorno al quale ruoterebbe il lavoro dell'Oratorio era quello religioso. Nel delineare la figura del direttore, il regolamento ha dichiarato: "Questo dovrebbe essere come un padre tra i suoi figli, e mettere a punto tutti i modi possibili per insinuare nei giovani cuori l'amore di Dio, il rispetto per le cose sacre, la frequenza dei Sacramenti, filiale devozione a Maria" .62 Gli sforzi educativi della regista dovrebbe essere considerata, ovviamente, finalizzato alla Oratorio nel suo complesso: tutto dovrebbe partecipare non solo per promuovere la conoscenza delle verità cristiane, ma anche per promuovere la loro applicazione in vita di tutti i giorni Per capire fino a che punto si è radicata nella preoccupazione di Don Bosco per vedere i loro ragazzi a possedere quelle verità, è sufficiente rivedere la narrazione, da lui pubblicato nel 1855, La forza della buona educazione; anche se la prima parte era traduzione in realtà quasi letterale di un francesa.63 obrita Don Bosco è stato lieto di notare che il giovane protagonista, Pietro, che nella storia è stato presentato proprio come allievo dell'Oratorio di Valdocco, ha avuto stato operai, io quali nei giorni festeggiamo un grandi pericoli morali e corporali "; ma non escludono "gli studenti, nei giorni festivi o nei giorni di vacan? a vi volessi intervenire" (MB la, 91). D'altra parte, gli studenti erano venuti a Valdocco da molto tempo, anche se con uno scopo speciale. E 'noto che fin dall'inizio, don Bosco aveva invitato "Giovani di buona condotta È già istruiti" (MO 128), che, oltre a mantenere l'ordine, aiutarlo a leggere e cantare canti sacri.
61 MB III, 92.
62 MB Hl, 98.
63 G. Bosco, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo, Torino, Paravia 1855, ahora en: OE VI, 275-386. En la presentación, don Bosco declaraba que había utilizado un escrito francés titulado: Un mari comme il y en a beaucoup, une femme comme il y en a peu. De esta obrita, publicada anónima, pero nacida, quizás, en los ambientes de los hermanos de las Escuelas Cristianas, P. Stella ha encontrado una edición de 1869 (Caen, Chénel Librairie 1869, 7' ed.), puesta, amablemente, a mi disposición. La comparación de Un mari con La forza della buona educazione permite establecer que los seis primeros capítulos de la segunda constituyen la traducción de toda la obrita francesa. Es probable que los capítulos restantes (aquellos en que se acompaña a Pietro, el joven protagonista, desde el día de la primera comunión hasta el servicio militar) sea obra de don Bosco. Hay que decir además que también en la parte simplemente traducida, se pueden encontrar algunas añadiduras o variantes, a veces no sólo marginales. Por ejemplo, a lo largo del dialogo en que la madre recomienda a Pietro referirle, todas las tardes, las conversaciones tenidas con los compañeros de trabajo, don Bosco añade una nota típica de su visión pedagógica: «Cosí — decía precisamente la madre al hijo — io potró sempre darti buoni consigli intorno a ció che devi fare e intorno a ció che devi fuggire» (OE VI, 282).
ejemplo de virtud cristiana asistiendo a la misa no sólo en los días de fiesta, ino también en los día laborables, acercándose regularmente a los sacramende la confesión y comunión, haciendo cotidianamente lectura espiritual (I/ tos giovane provveduto), evitando las malas compañías y huyendo del ocio.
Pero en la visión de don Bosco, el Oratorio debía hacer que los jóvenes, profundizando en la vida cristiana, llegasen a ser al mismo tiempo, hombres honestos: «Entrando un joven en este Oratorio — subrayaba el Reglamento debe convencerse de que éste es un lugar de religión, en el que se desea formar buenos cristianos y honestos ciudadanos».64 Esto significaba que se habría tratado de promover virtudes tales como el altruismo, la honradez, el sentido del deber, el respeto a las autoridades constituidas. Es significativo, también aquí, el modelo de joven que don Bosco ilustraba a través de las páginas de La forza della buona educazione: Pietro había honrado al padre y a la madre aceptando los sacrificios que le habían pedido; se había comportando en el trabajo de forma encomiable, conquistando tanto la estima del patrón — que había apreciado «la fidelidad, la puntualidad, la actividad» — como la simpatía de los compañeros, «que no podían tener asistente más paciente, más caritativo»; pero no menos leal y generoso se había mostrado para con la patria, que le había llamado al servicio militar.63
Si es bastante fácil delinear el perfil del Oratorio festivo que don Bosco acariciaba en los años 50, resulta mucho más difícil establecer si tal ideal logró ser traducido, y en qué medida, en la realidad de todos los días. Algunos testimonios de proveniencia salesiana no han dudado en reconocer que el Reglamento para los externos no fue nunca practicado integralmente, ni siquiera en Turín.66 Por desgracia no existe hasta hoy un estudio serio y riguroso que precise la situación del Oratorio festivo de Valdocco, durante la vida de don Bosco. Las actas de las reuniones o conferencias del personal de la casa turinesa no ofrecen elementos dignos de relieve, al menos para el período del que son disponibles.67 Sería simplista deducir de esta ausencia de referencias (aun
ILI, 92. Véase además la definición del Oratorio que daba don Bosco el 20 de diciembre de 1851, al presentar una gran lotería promovida por él: «una casa di domenicale adunanza, in cui potessero gli uni e gli altri ayer tutto l'agio di soddisfare al religiosi doveri, e ricevere ad un tempo una istruzione, un indirizzo, un consiglio per governare cristianamente e onestamente la vita» (E I, 49).
Pietro se había expresado en estos términos ante el padre que se angustiaba al ver al hijo marchar al servicio militar: «Non affannatevi, padre, siamo cittadini, dobbiamo servire la patria»
(OE VI, 343).
66 Cf. la comisión de estudio establecida para preparar el XI Capítulo general (cf. Annali IV, P. 7).
67 Sobre estas conferencias, cf. las correspondientes actas conservadas en: ASC: 0592 Deliberazioni del Capitolo dal 1866-1877; 38 Torino Oratorio S. Francesco di Sales Adunanze del capitolo della casa Ottobre 1877 - Genn. 1884. Como es fácil intuir, estas actas constituyen una documentación de primaria importancia, para la vida de la casa de Valdocco, y, más en general, para la historia de la Sociedad salesiana. Sobre estos documentos está trabajando, desde hace algún tiempo, José Manuel Prellezo. Entre sus trabajos, cf. J.M. PRELLF70, Fonti letterarie della circolare «Dei que sea en el ámbito de un órgano ciertamente importante como eran aquellas conferencias) la conclusión de que el Oratorio se estuviese, por así decir, agotando. Por los documentos examinados, hemos sacado la impresión de que, en efecto, después de los años 40-50, se había impuesto como institución educativa de relieve, el Oratorio festivo presentaba algunos síntomas de crisis-.68 A este propósito, hay que observar que, después de informar a Pío IX en 1853 de la intención de fundar una sociedad religiosa que garantizase continuidad a su trabajo, don Bosco comenzó a viajar frecuentemente, encontrándose así en la necesidad de confiar las responsabilidades cotidianas de su obra a los colaboradores más vecinos, como don Rua o don Francesia: elementos, ciertamente de valor, pero jóvenes — al comienzo coetáneos de los mismos jóvenes de quienes tenían que ocuparse —, sin el carisma del fundador, replegados sobre los problemas de la casa hasta el punto de no darse completamente cuenta de las profundas transformaciones socioculturales de Turín y, en general, del país. Es, pues, comprensible que el Oratorio festivo de Valdocco, la institución más ligada a las dotes de «conquistador» de jóvenes, cual era don Bosco, entrase en una fase de desaceleración. Una fase que estaba destinada, en realidad, a durar mucho tiempo y de la que saldría sólo en los primeros años 80, después de que — en 1883 — el tercer Capítulo general de la Socieda salesiana inició una reflexión sobre los oratorios festivos,69 y después de que castighi da infliggersi nelle case salesiane», en «Orientamenti Pedagogici» 37 (1988) 625-642; la., Studio e riflessione pedagogica nella congregazione salesiana 1874-1941. Note per la storia, en RSS 7 (1988) 35-88.
68 Esta impresión la comparte también P. Stella, el cual refieriéndose, en realidad, más a los oratorios festivos en general que al de Valdocco en particular, escribe: «Gli oratori festivi, la stampa, i pensionati, le scuole agricole non mancano e sono presentí nell'opera legislativa dei Capitoli generali, ma in pratica soprattutto g,li oratori festivi pare attraversino negli ultimi decenni del secolo una fase di compressione e di deperimento» (STELLA, Don Bosco I, p. 124).
69 El tercer Capítulo general, celebrado en Valsalice del 2 al 7 de septiembre 1883, trató de los oratorios festivos en el punto VII: «Impianto e sviluppo degli Oratori festivi prenso le case salesiane». En vista de las deliberaciones a tomar sobre el tema, los directores de las casas fueron invitados a enviar toda clase de sugerencias útiles: ASC 04 Capitolo generale III 1883 («Convocazione Proposte»). Sobre la base de las propuestas enviadas, el Capítulo discutió el problema en la sesión del 5 septiembre. En las actas de estas sesiones hay una nota que confirma que, en los comienzos, el Oratorio de Valdocco descansaba completamente sobre los hombros de don Bosco: «dapprincipio don Bosco doveva fare di tutto: bisogna cercare o chierici o giov[an]etti fra' pié adatti e buoni che disimpegnino gli ufficii secondari. E perció fissarsi bese sul Regolamento spedale». Don Bosco formula un canon en estos términos: «II Direttore della Casa particolare sceglierà d'accordo coll'Ispettore un sacerdote che abbia cura speciale dell'Oratorio festivo» (ASC 046, Capitolo generale III - 1883 Verbal:). Terminada la discusión, el Capítulo emanó varias directrices generales para los oratorios festivos; pero, no habiéndose podido estudiar exhaustivamente todos los puntos del orden del día, los trabajos del tercer Capítulo general iban a ser completados por los del Capítulo sucesivo (1886), y las deliberaciones sobre los oratorios festivos aparecieron, por tanto, en: Deliberazioni del Terzo e Quarto capitolo Generale della Pia Societa Salesiana tenuti in Valsalice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tipografia Salesiana 1887, ahora en: OE XXXVI (el nuevo Regolamento de los oratorios festivos se encuentra en las p. 274-276). en 1884 — don Bosco decidió llamar a la dirección del Oratorio de Valdocco un inteligente y activo educador como don Pavia."
Es conveniente, por otra parte, no olvidar que, a partir de los años 60, don Bosco y sus colaboradores estuvieron ocupados prevalentemente en el intento de potenciar el colegio. Varios elementos pesaron sobre la particular atención dedicada entonces por el sacerdote piamontés a la segunda de sus instituciones. Hemos recordado que, hacia mitad de los años 50, maduró en don Bosco la idea de un instituto religioso compuesto de personas entregadas a la educación de la juventud: en 1859, sostenido por el estímulo de Pío IX, pidió a algunos clérigos, que compartían ya el proyecto, que diesen su adhesión formal a la Sociedad salesiana. En este contexto el colegio de Valdocco venía a tener una función especialmente importante: serviría, precisamente, para favorecer el reclutamiento de personas dispuestas a abrazar el especial apostolado educativo de don Bosco. Su servicio resultaba tanto más precioso en cuanto que el internado, disponiendo de la sección de estudiantes y de artesanos, habría consentido alimentar, con la primera, las vocaciones sacerdotales y, con la segunda, las de los salesianos laicos." Naturalmente, cuando la Sociedad salesiana echó sólidas raíces y — confortada por el reconocimiento pontificio en 1869 — se difundió con la rapidez y con la amplitud que conocemos, el colegio de Valdocco ya no pudo cumplir de forma adecuada la función de vivero vocacional y, en aquel punto, fue necesario replantearse el problema en su globalidad y activar estructuras de formación específica.
Debió también de afianzarse en don Bosco la idea de la propuesta educativa de los colegios debido a la constatación de que el Estado persistía en reducir los espacios de libertad de que, hasta entonces, había gozado la Iglesia. Baste recordar que en 1855 — el año en que, no por casual coincidencia, don Bosco concebía su Sociedad salesiana — el gobierno había decretado la supresión de todas las congregaciones religiosas, a excepción de las que perseguían fines educativos y asistenciales?' Al final de los arios 50, se pusieron también dificultades y problemas a la Iglesia en el campo de la escuela. La ley Casati de 1859 consentía a los privados abrir escuelas propias en el sector de la instrucción secundaria, pero con la condición de que las personas encargadas de la enseñanza cumpliesen los mismos requisitos que se exigían para enseñar en una escuela secundaria pública." Esta disposición iba a suministrar las razones jurídicas de la acción vejatoria con que, por motivos frecuentemente ideológicos, la administración escolar comenzó a enfrentarse con las escuelas católicas mediante controles e inspecciones para verificar la conformidad de éstas con la ley. El gimnasio de Valdocco y el colegio fundado por don Bosco en 1863 en Mirabello Monferrato no escaparon a estas vejaciones. Si, además de esto, se considera que en 1861 el nuevo Parlamento proclamaba no sólo el Reino de Italia, sino también — aunque simbólicamente — Roma capital, con el conteracioso que la propuesta abrió inmediatamente; y si se tiene en cuenta que, sobre el telón de fondo de las tensiones entre el Estado y la Iglesia, las sectas intensificaron sus ataques contra la religión católica, no causa maravilla que don Bosco encontrase nuevas razones para preocuparse de la evolución socio-política y se convenciese de la extrema urgencia de dar vida a una red de colegios como estructuras educativas privilegiadas para salvaguardar a la juventud de los efectos disgregantes del cada vez más marcado ateísmo social.
70 Sobre don Giuseppe Pavia (1852-1915), cf. Un apostolo degli oratori festivi, Torino, Tipografia Salesiana 1919.
71 Como es sabido, la Sociedad querida por don Bosco estaba compuesta de sacerdotes, clérigos y coadjutores laicos. Para una visión de conjunto de la historia del coadjutor salesiano, cf. la documentción recogida por P. BRAMO, Religiosi nuovi per il mondo del lavoro, Roma, PAS 1961. Sobre las dificultades que don Bosco tuvo que superar en relación con la situación creada por la ley del 29 mayo 1855, cf. la minuciosa reconstrucción de los hechos en: STELLA, Don BoscI, p. 129ss.
72 Como la historiografía ha subrayado ampliamente, la ley Casati se atenía, pues, al criterio de una libertad vigilada. Entre las razones que movieron al legislador a seguir este camino, se pue
Don Bosco creía que «preservazione» e «immnnizzazione» eran ya las condiciones indispensables para una seria formación moral y religiosa de las nuevas generaciones." A esta luz se comprende el régimen de minuciosas reglas que, en los primeros años 60, introdujo en el colegio de Valdocco, tanto más que, como se ha observado, dicho colegio habría debido funcionar como pequeño seminario. Así como el oratorio festivo era una estructura «abierta» donde los muchachos entrarían y permanecerían con la sola condición de que tuviesen un trabajo y compartiesen los valores humanos y religiosos del ambiente, en la misma medida el colegio asumía el perfil de una institución «cerrada» respecto al mundo externo y controlada por precisas reglas referentes a la administración y a la permanencia. En el primer Regolamento del parlatorio, redactado en 1860 para Valdocco, se podían leer disposiciones como ésta: «1. No se permite a los jóvenes del Oratorio hablar con toda clase de personas sin el permiso explícito de los Superiores, o del Encargado. No pueden ser llamados al locutorio más de dos veces al mes, y solamente desde media hora antes de las dos de todos los días, excepto los festivos. 2. No se permiten nunca salidas especiales, ni con los parientes ni con otros [...] 7. No está permitido a los parientes entrar en los dormitorios de los jóvenes»." Pero igualmente rigurosa era la recomendación que don Bosco dirigía en 1863 a don Rua en una carta, destinada a convertirse (con el título de. Ricordi confidenziali ai direttorz) enden recordar: 1) la preocupación de evitar que un sistema de total autonomía pudiese ser usado, instrumentalmente, contra el Estado; 2) el deseo de que las escuelas creadas por libre iniciativa impartiesen una instrucción, al menos, digna. Sobre la ley Casaca y las reacciones provocadas por la misma, sobre todo en campo católico, me ocupé hace tiempo en: L. PAZZAGLIA, Educazione e scuola nel programma dell'Opera dei Congressi (1874-1904), en: Cultura e socktá in Italia nell'eta umbertina, Milano, Vita e Pensiero 1981 (especialmente p. 423ss).
74 Sobre el ideal de colegio acariciado por don Bosco, cf. las acotaciones de BRAMO, /I sistema preventivo, p. 330ss. (recogidas después en: L'esperienza pedagogica preventiva, p. 389ss.) y de STELLA, Don Bosco I, p. 121ss.
75 MB VI, 597-598.
uno de los textos clásicos de la tradición pedagógica salesiana: «No aceptarás nunca alumnos expulsados de otros colegios, o que sepas que son de malas costumbres. Si, a pesar de la debida cautela, ocurriese que se acepta alguno de este género, señálale enseguida un compañero seguro que le asista y no le pierda nunca de vista. Si cometiese faltas obscenas, avísesele una vez, y si recae, sea enviado inmediatamente a su casa»." También el Regolamento per le case de 1877, que don Bosco y sus colaboradores fueron preparando a través de diversas redacciones," llamaría la atención sobre la necesidad de una atenta prudencia en las aceptaciones.
Pero no se debe pensar que en Valdocco y en los otros institutos que se iban fundando, el rigor sustituyese a la alegría con una visión sombría de las cosas. Don Bosco estaba convencido de que la. alegría era «una forma di vita» congénita no sólo a la índole de los muchachos, sino también al cristianismo que, en cuanto anuncio de verdad, no podía sino producir gozo interior." A su entender, los jóvenes internos deberían, por tanto, gozar no sólo de adecuados entretenirnientos recreativos, sino, más,Olfundamente, de un clima general de confiado optimismo. Don A. Caviglia escribió que «el servite Domino in laetitia podría llamarse el undécimo mandamiento de la casa de don Bosco»." Y no se crea que, al caracterizarse el colegio por el orden y la disciplina, el sacerdote piamontés tuviese la intención de renunciar al espíritu de familia que tanto le interesaba y que él ponía en estrecha relación con la amorosa paternidad que el director debería usar con cada uno de sus jóvenes. En la citada carta a don Rua — al que también recomendaba que no transigiese mínimamente en lo que se refería a la rectitud de vida de sus huéspedes —, advertía: «Procura más bien hacerte amar que hacerte temer. La caridad y la paciencia te acompañen constantemente al mandar, al corregir, y obra de tal suerte que todos saquen por tus hechos y palabras que lo que buscas es el bien de las almas. Cuando se trate de impedir el pecado, toléralo todo»." Es sabido que, según don Bosco, si se quiere ayudar a los muchachos a desarrollar las riquezas interiores puestas en ellos por la gracia de Dios, es necesario rodearlos de una caridad sensible, por la cual cada uno de ellos se sienta valorizado. Desde esta óptica, juzgaba que el colegio, lejos de irritar a los jóvenes con ejercicios militarescos mortificantes, debía crear en torno a los alumnos un ambiente de serena familiaridad: las relaciones de bondad y de confianza recíproca suavizan las inevitables tensiones entre superiores y discípulos, y permiten a estos últimos crecer plenamente.
76 Los Ricordi confidenziali ai direttori han sido publicados por F. Motto en: Bosco, Scritti
pedagogici, p. 71-86 (el pasaje citado se halla en la p. 82).
Regolamento per le case della Societá di San Francesco di Sales, Torino, Tip. Salesiana 1877, ahora en: OE XXIX, 97-196; en el capítulo relativo a los criterios a seguir en la admisión de los muchachos, el Regolamento precisaba: «Parimenti si baderá a non ammettere dei giovani od altri individua, che per la loro cattiva condotta e massime perverse potessero riusdre d'inciampo a' propri compagni, pera si esigerá da ciascuno un certificato di condona dal proprio parroco» (p. 156-157).
78 BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 370.
79 A. CAVIGLIA, II Magone Michele (vol. V de las Opere e scritti editi ed inediti di don Bosco), Todito, SEI 1965, p. 149.
88 Bosco, Ricordi confidenziali, p. 79.
Casi no es necesario subrayar que, para don Bosco, la validez de un colegio se medía por la capacidad que tenía de promover, ante todo, la formación moral y religiosa. Ciertamente él evitaba cuidadosamente el mortificar las actividades referidas a la formación propiamente humana y profesional. Es más, don Bosco, animado por una visión cristiana profundamente empapada de humanismo, consideraba esencial, por ejemplo, que sus pobres artesanos adquiriesen la práctica de un oficio, pues de lo contrario, sin poder proveer digna.. mente a su vida, no podrían tampoco elevarse hacia los valores espirituales y religiosos. Aun así, la convicción de que el problema último era el de llegar a ser «fortunati abitatori del cielo» lo llevaba a considerar que la principal razón de ser del colegio consistía en inculcar a los jóvenes el temor de Dios y en colaborar con la gracia. Naturalmente, en el caso del colegio de estudiantes destinados por don Bosco para seminario, el fundamento religioso llegaba a ser más radical y la espiritualidad propuesta no se alejaba mucho de una normal preparación para el sacerdocio. A tal propósito basta leer las biografías que don Bosco dedicó a D. Savio (1859), a M. Magone (1861) y a F. Besucco (1864), tres jóvenes de relevantes cualidades morales y religiosas, que habían pasado aquellos años por Valdocco.81 Sus vidas hacían ver que la piedad fundamental de la que ellos se habían alimentado — de la oración a la frecuencia de los sacramentos, del cumplimiento de los deberes del propio estado a la devoción a María — era la de un internado de orientación seminarística.
Para comprender la idea que tenía don Bosco de un colegio católico, puede ser quizás útil la narración Valentino o la vocazione impedita, publicada por él en 1866." En el escrito se comparaban los dos colegios que el joven Valentino había conocido, frecuentando, en primer lugar, un instituto católico al que había sido mandado por el padre, descontento de la precedente experiencia, y donde el muchacho había descubierto que tenía vocación religiosa. Son sintomáticas las diferencias con las que don Bosco contraponía las dos casas. Éstas se distinguían en primer lugar por el enfoque fundamental: el instituto laico reservaba a las prácticas religiosas un puesto completamente marginal
8' G. BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino, Paravia 1859 (ahora en: OE XI, 151-292); G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, Torino, Paravia, 1861 (en: OE XIII, 155-250); G. BOSCO, Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, Torino, Paravia 1864 (en: OE XV, 243-434).
12 G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita, Torino, Tip. dell'Oratorio di San Francesco di Sales 1866 (ahora en: OE XVII, 179-242). Cf. G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita. Introduzione e testo critico a cura di M. Pulingathil, Roma, LAS 1987 (las citas que siguen han sido tomadas de esta edición).
(«no se hacía ni meditación, ni lectura espiritual; y las oraciones se recitaban en común, pero una- sola vez al día, estando de pie y muy deprisa»); el católico, en cambio, asumía la religión como propio principio inspirador («la religión [es] enseñada, recomendada y practicada de forma excepcional»). Pero, como el responsable de la edición crítica de la novela ha subrayado, los dos colegios se diferenciaban también desde el punto de vista metodológico.83 En efecto, mientras el primero parecía que se fundaba exclusivamente en la disciplina — al menos por los rasgos con que se describía al director —, el segundo se orientaba según una concepción pedagógica abierta — alegría, estudio, piedad — y podía, además, contar con la presencia discreta pero continua de un director constantemente preocupado del progreso moral y espiritual de sus muchachos-hijos."
4. Entre las exigencias de reglamentación y nuevos problemas educativos
Después que en 1869 la Sociedad salesiana tuvo el reconocimiento pontificio, don Bosco estuvo muy absorbido por preocupaciones de tipo jurídico-organizativo, porque debía redactar y hacer aprobar las Constituciones (18721874) y porque comenzando la Sociedad en 1875 a implantarse fuera de Italia y hasta a lanzarse en la empresa misionera, era necesario seguir su desarrollo, evitando que el rápido y amplio crecimiento resultara en menoscabo de una imprescindible unidad de orientación. De esta forma fue inducido a reflexionar sobre el sentido de su obra y sobre la especificidad característica." Las Memorie dell'Oratorio, redactadas por don Bosco en los primeros años 70, nacieron precisamente en el cuadro de tales reflexiones, y fueron elaboradas por el autor con el claro intento de dejar a sus propios colaboradores una especie de memoria viva de sus orígenes. En este contexto, el sacerdote piamontés hizo también la redacción definitiva de los Reglamentos para el Oratorio festivo y para las casas, que, como ya hemos recordado, fueron publicados en 1877.
83 Bosco, Valentino, p. 42-43.
84 A propósito del primero de los dos directores, se decía: « [Valentino] aveva un direttore affabile si, ma deciso nel comandare, severo nel pretendere, rigoroso in ogni ramo di disciplina» (Valentino, p. 58). El sacerdote que dirigía el colegio católico era presentado, por el contrario, como persona afectuosa, aunque no melosa, capaz de adentrarse en las heridas más secretas de los jóvenes interlocutores, inteligentemente preocupada del destino de las almas: «Da quel giorno la vita di lui [Valentino] fu di vera soddisfazione al suo direttore che non perdette piti di vista il figliuolo spirituale che aveva acquistato» (Ibid. p. 71).
a' Sobre la especial atención con la que don Bosco y sus colaboradores fueron inducidos, en aquellos años, a profundizar el sentido de su propuesta pedagógica, cf. PRELLEZO, Studio e riflessione pedagogica, p. Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, en «Orientamenti Pedagogici» 36 (1989) 40-61.
De forma totalmente ocasional tuvo origen, en cambio, Il sistema preventivo. En este momento nosotros no seguiremos su génesis, ni haremos un examen pormenorizado de sus contenidos, porque, en último término, tendríamos que repetir cosas que P. Stella y P. Braido han dicho ya eficazmente, resaltando — entre otras cosas — asonancias, convergencias y conexiones de la obrita con los escritos de autores como el hermano Agathon, el abate Blanchard, el canónigo Auclisio, el lazarista Monaci, el barnabita Teppa, mons. Dupanloup." Pero es útil subrayar que, a pesar de haber nacido como simple desarrollo de la conferencia dada por don Bosco el 12 de marzo de 1877 en Niza con ocasión de la inauguración del Patronage Saint Pierre, el pequeño tratado adquirió muy pronto, dentro y fuera de la Sociedad salesiana, una relevancia que ni siquiera el autor había imaginado.87 El hecho tiene su explicación: téngase presente que don Bosco, reordenando durante aquellos meses — junto con sus colaboradores — los Reglamentos, decidió introducir la conferencia de Niza en el Regolamento per le case (1877). De este modo, la obrita asumió, a los ojos de los salesianos, el significado de «ley fundamental», y bastante rápidamente fue utilizada como metro de juicio para valorar la conformidad de las varias casas — en actividad o en vías de institución — con los principios y el espíritu de la Sociedad salesiana.88 Es necesario añadir, sin embargo, que Il sistema preventivo tenía el valor objetivo de ilustrar de forma sumaria pero eficaz algunos de los criterios inspiradores de una experiencia de más de treinta años. En efecto, los tres principios — razón, religión, amabilidad —, sobre los que, más allá de la terminología represivo-preventiva completamente nueva en don Bosco, se llamaba la atención, constituían los contenidos y la metodología en la que se había inspirado, al realizar una obra que de la recuperación de los muchachos abandonados le había llevado, progresivamente, a ocuparse de la formación de los estudiantes y hasta de futuros sacerdotes. No hay, pues, que extrañarse de que, dentro de la Sociedad salesiana, el breve escrito se revistiese de tanta importancia y que don Bosco y sus colaboradores no sólo se persuadiesen de tener en las manos un sistema educativo propio, sino que comenzasen a considerarlo susceptible de ser aplicado más allá de sus ambientes educativos.89
La distancia con la cual hoy es posible examinar el opúsculo, permite ver mejor también su límites. P. Stella ha subrayado ya que dicho opúsculo tendía a supervalorar la antítesis preventivo-represivo con la consecuencia de descuidar una parte no indiferente de la problemática educativa; corría el riesgo de método de don Bosco comenzó a recibir, precisamente entonces, de estudios dedicados específicamente a él (cf. BRALDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 32ss.).
De STELLA, véase Don Bosco II, p. 441-474; de BRAMO, L'esperienza pedagogica preventiva, p. 313-319, y sobre todo las amplias notas a G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventü, Introduzione e testi critici a cura di P. Braido, Roma, LAS 1985.
87 OE XXIX, 99-109.
88 BRAIDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco, p. 28ss.
89 Fueron reforzados en esta persuasión, además, por los juicios favorables que el hacer creer que todo el problema consistía en evitar que los muchachos cometiesen errores; estaba demasiado condicionado por la fórmula del colegio y por la situación que llevaba consigo como, por ejemplo, la asistencia «visible» y «continua» de los jóvenes por parte de los educadores9° Con palabras un poco expeditivas, se podría decir que, más allá de sus indiscutibles méritos, Il sistema preventivo no reflejaba el abanico completo de las varias estructuras y actividades a las que el sacerdote piamontés había dado vida, ni la riqueza de motivaciones religiosas y pedagógicas implicadas. Lo que ocurre es que las formulaciones teóricas de don Bosco no lograban expresar justamente el concreto proyecto hist&