IL PASTORELLO DELLE ALPI
OVVERO
VITA DEL GIOVANE
BESUCCO FRANCESCO D'ARGENTERA
Questa edizione della vita di Francesco Besucco si attiene al testo dell'ultima edizione curata da don Bosco, la seconda (Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera pel sacerdote Giovanni Bosco, edizione seconda, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana, 21878, 164 p.), confrontata con la prima edizione (Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera pel sacerdote Bosco Giovanni, Torino, Tip. dell'Orat. di S. Franc. di Sales, 1864, 192 p.) e con l'edizione commentata da Alberto Caviglia (Opere e scritti editi e inediti di don Bosco, vol. VI: La vita di Besucco Francesco, Torino, Società Editrice Internazionale, 1965, pp. 21-101). Abbiamo pubblicato anche l'Appendice sopra il benedetto crocifisso (introdotta nell'ed. 1864, pp. 182-190, e riportata senza alcuna variante significativa nell'ed. 21878, pp. 154-161) perché collegata con gli eventi narrati.
In nota sono segnalati gli inserimenti e le varianti testuali più significative tra la prima e la seconda edizione. Quando ci è parso utile, abbiamo inserito nelle note altre informazioni di carattere documentario e storico.
Quando nel testo s'incontra un numero di rimando a nota di piè pagina racchiuso tra parentesi tonda (n) significa che tale nota era già nel testo originale o fu aggiunta nella seconda edizione.
Nella numerazione dei capitoli abbiamo conservato le cifre romane, come nelle edizioni originali.
Giovani carissimi,
Mentre aveva tra mano a scrivere la vita di un vostro compagno, la morte inaspettata del giovane Besucco Francesco, mi fece sospendere quel lavoro per occuparmi di lui medesimo. Egli è per appagare le vive istanze dei suoi compatrioti, dei suoi amici e per secondare le molte vostre dimande, che ho divisato di mettermi a raccogliere le più interessanti notizie di questo compianto vostro compagno, e di presentarvele ordinate in un libretto, persuaso di farvi cosa utile e gradita.
Taluno di voi potrà chiedere a quali fonti io abbia attinte le notizie, per accertarvi che le cose ivi esposte siano realmente avvenute.
Vi soddisferò con poche parole. Per il tempo che il giovane Besucco visse in patria, mi sono tenuto alla relazione trasmessami dal suo parroco', dal suo maestro di scuola2, e dai suoi parenti ed amici. Si può dire, che io non ho fatto altro che ordinare e trascrivere le memorie a questo uopo inviatemi. Per il tempo che visse tra noi ho procurato di raccogliere accuratamente' le cose avvenute in presenza di mille testimoni oculari: cose tutte scritte e firmate da testimonia degni di fede.
È vero che ci sono dei fatti, i quali' recano stupore a chi legge, ma questa è appunto la ragione per cui li scrivo con premura particolare, poiché, se fossero soltanto cose di poca importanza, non meriterebbero di essere nemmeno pubblicate.
1 Le notizie biografiche dei primi 14 capitoli sono tratte da un documentato memoriale del parroco (ASC A2280701: Vita del pio giovanetto Besucco Francesco, ms. F. Pepino, con annotazioni aut. di don Bosco, s.d. [gen. 1864], 22 pp.); scrisse il parroco inviando il documento: «Solamente questa mattina ho potuto terminare di scrivere quanto ho potuto raccorre sulla vita del mio carissimo figlioccio, a cui imprestai il mio nome nel battesimo. Io non so come troverà questi cenni; però a dir la verità era questa comunque opera affatto superiore alle mie forze, e se non fosse d'un aiuto straordinario avuto, sarei stato costretto a rifiutare l'onorevole incarico. Da quel giorno in cui ho ricevuto la notizia della morte del nostro Francesco, mi parve sempre d'averlo ai panni, di notte restava insonne la maggior parte e con una tranquillità insolita, e mi sembrava di sentir Francesco che mi mettesse in mente di scrivere queste ed altre notizie a lui relative, delle quali mi ricordava poi dopo una seria meditazione: io lo vedeva in chiesa a servir la messa, a far la Via Crucis, il catechismo, a recitar rosarii etc. E con questa evidente cooperazione, che desidero continua per l'emendazione della mia vita e per poter fare in tutto sempre l'unica volontà di Dio per cui tanto m'era già raccomandato alle fervorose preghiere di Francesco ancor vivo, spero d'aver secondato il pio desiderio di Lei, che onoro come il mio principale benefattore perché ne fece l'ufficio con Francesco il quale le sarà sempre ai cenni. SI io sono tanto persuaso che Ella possa ottenere da Gesù e Maria per le preghiere di Francesco tutti i favori spirituali che desidera, che io oso pregarla affinché interceda per me le grazie surriferite» (ASC A1010909: lett. F. Pepino - G. Bosco, 1 feb. 1864, fl r.-1v.).
2 Cf. ASC A1010914: Relazione del maestro di scuola, ms. di A. Valorso, s.d. [gen.-feb. 1864].
3 ho procurato ... accuratamente: corr. ed. 1864 «non ho dovuto far altro, che raccogliere».
4 dei fatti, i quali: corr. ed. 1864 «delle cose le quali certamente».
Quando poi osserverete questo giovanetto a manifestare nei suoi discorsi un grado di scienza ordinariamente superiore a questa età, dovete notare che la grande diligenza del Besucco per imparare, la felice memoria nel ritenere le cose udite e lette e il modo speciale con cui Iddio lo favorì dei suoi lumi, contribuirono potentemente ad arricchirlo di cognizioni certamente superiori alla sua età.
Una cosa ancora vi prego' di notare riguardo a me stesso. Forse troppa compiacenza nello esporre le relazioni che passarono tra me e lui. Questo è vero e ne chiedo benevolo compatimento: vogliate qui ravvisare in me un padre che parla di un figlio teneramente amato; un padre, che dà campo ai paterni affetti, mentre parla ai suoi amati figli. Egli loro apre tutto il suo cuore per appagarli, ed anche istruirli nella pratica delle virtù, di cui il Besucco si rese modello. Leggete adunque, o giovani carissimi, e se nel leggere vi sentirete mossi a fuggire qualche vizio, o a praticare qualche virtù, rendetene gloria a Dio, solo Datore di veri beni.
Il Signore ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia qui in terra, affinché possiamo giungere un giorno a benedirlo eternamente in cielo.
Se mai ti accadesse, o lettore, di camminare da Cuneo alla volta delle alte giogaie delle Alpi, dopo lungo, ripido e faticoso cammino tu giungeresti sull'alta vetta delle medesime, ove in una specie di altipiano ti si presenta alla vista una delle più amene e pittoresche vedute. A notte tu vedi la cresta più elevata delle Alpi, che è il colle della Maddalena', così detto per tradizione da quei popolani, che credono essere questa santa venuta di Marsiglia ad abitare sopra queste quasi inabitabili montagne.
5 ancora vi prego: corr. ed. 1864 «poi dovete».
6 Colle della Maddalena, in francese Col de Larche: situato a 1.996 m sul livello del mare, separa le Alpi Marittime dalle Alpi Cozie e segna il confine tra Italia (Valle Stura) e Francia (Val d'Ubaye). Fu luogo di transito fin dall'antichità; vi passava la via Emilia (80 a.C.), della quale restano alcune vestigia. Il colle non è «la cresta più elevata delle Alpi»: ai suoi lati, verso l'Italia, si eleva a destra una catena che culmina nel monte Enchastraye (Téte de l'Enchastraye, 2.955 in) e a sinistra il monte della Signora (2.776 in) e il Vanclava (2.874 m).
La sommità di questo colle forma un largo piano ove giace un lago assai esteso da cui nasce il fiume Stura'. A sera il tuo sguardo si perde in una lunga, larga e profonda vallata detta Valle delle basse Alpi', che già appartiene al territorio francese. A mattino il tuo occhio è deliziato da una moltitudine di colli uno più basso dell'altro, che quasi gradinata semicircolare vanno abbassandosi fino a Cuneo ed a Saluzzo9. A giorno poi e precisamente ottanta metri dai confini di Francial°, ma sempre sul medesimo piano, giace l'alpestre villaggio di Argentera", patria del pastorello Besucco Francesco, di cui intraprendo a scrivere la vita.
Egli nacque in umile edificio di questo paese da poveri, ma onesti e religiosi genitori il primo marzo 1850. Suo padre chiamavisi Matteo e sua madre Rosa 12. Attesa la loro povera condizione si indirizzarono al parroco, che ha titolo di arciprete, affinché volesse battezzarlo e guardarlo come figlioccio.
7 Stura: fiume che nasce sul versante italiano del Colle della Maddalena e dà il nome alla profonda valle che percorre (Valle Stura); dopo 111 km confluisce nel fiume Tanaro; viene chiamato Stura di Demonte, dal nome del centro abitato più importante della valle.
8 È il Vallon de Larche, sul versante francese, ramificazione della Vallée de l'Ubaye, nel dipartimento delle Alpes-de-Haute-Provence (che fino al 1970 era chiamato dipartimento delle BassesAlpes).
9 Cuneo: città vescovile, capoluogo di mandamento e di provincia, posta a 544 metri sul livello del mare, sulla confluenza del fiume Stura e del torrente Gesso; nel censimento 1862 aveva 23.012 abitanti; distante 92 km da Torino. Saluzzo: città vescovile, già capitale del marchesato omonimo, a 287 metri sul livello del mare; nel 1862 aveva 16.208 abitanti; dista 33 1cm da Cuneo (cf. Dizionario dei comuni del regno d'Italia, 64 e 157; STEFANI, Dizionario generale, 405 e 1052).
10 La distanza tra Argentera e il confine francese (sul Colle della Maddalena) è di circa 6 km. Don Bosco interpreta erroneamente informazioni sommarie fornitegli dal parroco: «L'Argentera è posta sulla sommità delle Alpi in modo che appena vi saranno dalla villa ai confini dell'Italia metri 80 di ascesa [= di dislivello] e chilometri 5 di distanza, al termine dei quali si discende per la valle delle Basse Alpi in Francia il cui primo paese chiamasi Meyronnes, attraversando il Colle della Maddalena che divide l'Italia dalla Francia. Sul colle vicino al lago detto anche della Maddalena esiste una cappelletti da me fatta costruire l'anno 1850, sotto la quale esce una fonte quasi perenne che stilla acqua, detta perciò la lagrima della Maddalena, per la costante tradizione di questi popolani i quali credono che S. Maria Maddalena penitente da Marsiglia siasi rifugiata per qualche tempo nel medesimo colle che ne porta il nome» (ASC A1010912: lett. F. Pepino - G. Bosco, 6 giu. 1864).
11 Argentera: (1684 m) è il nome di una frazione dell'omonimo comune della provincia di Cuneo, da cui dista 62 kin. Il suo nome deriva dalle miniere d'argento che vi si trovavano nell'antichità. Il territorio del comune si estende per 76 kmq ed è suddiviso nelle frazioni di Argentera, Grangie, Bersezio e Ferriere; è coltivato a ortaggi e prati vicino alle case, coperto di boschi di conifere sui versanti che formano la valle, da pascoli ai piedi delle rocce e da alte cime, tra le quali l'Oserot (m 2860), l'Enchastraye (m 2995) e la Rocca dei Tre Vescovi (m 2867). La chiesa parrocchiale della frazione Argentera, costruita nel 1580, è dedicata ai santi Pietro e Paolo. Da una lettera del parroco sappiamo che nel 1860 la popolazione della parrocchia era di 299 persone, «molto scarsa di beni di fortuna [...]. Nell'inverno gli uomini e i giovani emigrano cercando altrove quel lavoro, che in detto tempo manca nel paese, ed in grazia di questa loro sollecitudine per il lavoro non esiste più alcun accattone» (AST, Gran Cancelleria, m. 447/1, n. 207: lett. F. Pepino - Ministro di Grazia e Giustizia, 14 ago. 1860).
12 La madre, Rosa Robert, era nativa della frazione Marboinet di Larche, paese sul versante francese, a 12,5 lcm da Argentera. Francesco era l'ultimo nato di sette figli: tre maschi (Giovanni Giuseppe, Matteo e Francesco) e quattro femmine (Anna, Valentina, Maria e Filomena). La sorella Filomena era morta nel 1849 «all'età d'anni otto lasciando in grave afflizione quella famiglia» (ASC A2280701: Vita del pio giovanetto Besucco Francesco, ms. F. Pepino, s.d. [gen. 1864],f1r).
In quel tempo governava già con zelo la parrocchia dell'Argentera l'attuale arciprete di nome D. Pepino Francesco che ben volentieri si prestò al pietoso uffizio'3. Madrina fu la madre dello stesso arciprete di nome Anna", donna di vita esemplare, e che non mai si rifiutava ad opere di carità. Per ordine espresso dei genitori gli fu imposto nel Battesimo il nome del padrino, cioè Francesco, al quale volle l'arciprete aggiunger quello del santo occorso nel giorno della sua nascita, sant'Albino. Appena il nostro giovinetto giunse all'età in cui poté essere ammesso alla santa comunione, non lasciava mai in quel giorno, 1° di marzo, di accostarsi ai santi sacramenti, e per quanto gli era possibile passava tutta la giornata in opere di cristiana pietà.
Conoscendo sua madre quanto importi il cominciar per tempo a dare buona educazione alla figliuolanza non risparmiava sollecitudine per insinuare sodi principii di pietà nel tenero cuore del caro figlioletto. I nomi di Gesù e di Maria furono le prime parole, che ella studiò di fargli imparare. Non di rado fissandolo in volto e portando il pensiero sulla vita futura di Francesco, tutta tremante pei gravi pericoli, cui sogliono andare esposti i giovanetti, commossa esclamava: «Caro Franceschino, io ti amo assai, ma assai più del corpo amo l'anima tua. Vorrei prima vederti morto, che vederti offendere Iddio! Oh! potessi io essere consolata da te col vederti sempre in grazia di Dio!». Queste e simili espressioni erano il condimento quotidiano che animava lo spirito di questo fanciullino, il quale contro ogni aspettazione cresceva robusto in età e nello stesso tempo in grazia appresso di tutti. Allevato con questi sentimenti non è a dire di quanta consolazione Francesco riuscisse a tutta la famiglia. Tanto i genitori di Francesco, quanto i suoi fratelli godono di poter attestare come il loro fratellino si compiacesse, appena cominciò parlare, di nominare sovente i santi nomi di Gesù e di Maria, che furono i primi nomi ben pronunciati da quella innocente lingua. Fin dalla più tenera età manifestò gran gusto nell'imparare orazioni e canzoncine spirituali, che compiacevasi canterellare in compagnia della sua famiglia. Era poi una delizia il vedere con quanta gioia tutte le feste prima del vespro si unisse cogli altri fedeli a cantar le lodi a Maria e a Gesù. Pareva allora nella pienezza delle sue consolazioni. L'amore alla preghiera sembrò nato con lui. Dall'età di soli tre anni, secondo le attestazioni dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, non diede mai occasione di esserne invitato; ed egli stesso ne domandava l'insegnamento.
13 Francesco Pepino (1817-1899), fu parroco di Argentera dal 1848 al 1876, quando si ritirò a Limone Piemonte (Cuneo) come cappellano della chiesa annessa all'ex Convento dei Cappuccini (cf. A. MARTINI, Argentera: Francesco Besucco e Benedetto crocifisso, Borgo S. Dalmazzo, Tipolitografia Martini, 2008, 51; Sanctae cuneensis ecclesiae calendarium liturgicum,„ anno universalis jubilaei 1900, Cunei, ex Typographia Subalpina, 1900, 63).
14 Anna Biagia Grosso (t 1853), di Entraque (Cuneo), vedova di Giovanni Pepino.
La mattina e la sera all'ora consueta s'inginocchiava e recitava da sé quelle brevi preghiere, che già aveva imparato, né alzavasi finché non ne avesse imparato alcun che di più.
Il giovanetto Besucco portava grande affetto alla sua madrina, la quale sia pei piccoli regali che gli faceva, sia pei segni speciali di benevolenza che gli usava, teneva come sua seconda madre. Correva egli solamente il quarto anno di sua età, quando Anna Pepino cadde gravemente inferma. Il suo affezionato figlioccio dimandava spesso di poterla visitare, pregava per lei, e le faceva mille carezze. Sembra che egli di lontano abbia avuto segni straordinari della morte di lei, che spirava l'anima sua il 9 maggio 1853.
Non ostante così tenera età da quel giorno cominciò a recitare mattina e sera un Pater per la defunta madrina, uso che ritenne sempre. Egli lo assicurò più volte dicendo: «Mi ricordo e prego tutti i giorni per la mia madrina, sebbene io abbia molta speranza che ella goda già la gloria del paradiso». Appunto in riconoscenza della pietà, che Francesco dimostrava alla cara sua madre, l'arciprete lo amò con predilezione e lo tenne d'occhio per quanto gli fu possibile.
Qualora Francesco avesse veduto quelli di sua famiglia a far preghiere, tosto mettevasi in atteggiamento divoto, alzando gli occhi e le innocenti sue manine al cielo quasi presago di quei grandi favori, che in seno versato gli avrebbe il misericordioso Iddio.
La mattina, contro la consuetudine dei ragazzi, non voleva assaggiare cosa alcuna se prima non avesse recitate le sue orazioni. Venendo fin dall'età di tre anni condotto alla chiesa, non mai successe il caso, in cui disturbasse i vicini, che anzi osservandone perfino i movimenti divoti procurava d'imitarli. Cosicché accadeva sovente, che coloro i quali l'osservavano con queste sorprendenti disposizioni dicessero: «Sembra incredibile tanta compostezza in un fanciullo di quella età».
Egli prestavasi volentieri a tutti gli uffizi di chiesa di qualunque genere, a segno che pareva nato fatto per compiacer tutti, anche con grande suo incomodo. Infatti molte volte d'inverno accadde che per la quantità della neve caduta non potesse intervenir persona di sorta all'unica messa del parroco per servirla. Soltanto l'intrepido Francesco affrontando coraggioso ogni pericolo facevasi strada colle mani e coi piedi in mezzo alla neve, e giungeva solo alla chiesa. Al primo vederlo l'avresti creduto un animale, che camminasse o meglio si
avvoltolasse in mezzo alla neve, la cui altezza superava di molto quella di Francesco. Matteo Valorso testimonio oculare depone, che circa la metà del mese di gennaio 1863, chiamato dal parroco a servirgli messa, al momento di accendere le candele all'altare, con sua sorpresa vide entrare uno in chiesa di cui a stento ravvisava le sembianze umane. Ma quale non fu la sua meraviglia, quando scoprì in quel coraggioso il nostro giovanetto, che contento della felice riuscita dei suoi sforzi esclamò: «Finalmente ci sono». Servì difatti la messa, dopo la quale sorridendo disse al parroco: «Questa ne vale due, ed io l'ho ascoltata con doppia attenzione, e ne sono tanto contento. Seguiterò a venirvi a qualunque costo». E chi non avrebbe amato sì grazioso giovanetto?
Con queste disposizioni cresceva il fanciullino in età ed in grazia presso Dio e gli uomini'5. All'età d'anni cinque sapeva già perfettamente le orazioni della mattina e della sera, che recitava tutti i giorni insieme colla famiglia, il quale uso ritenne finché dimorò nella casa paterna'. Mentre mostravasi ansioso di pregare, mostravasi eziandio assai premuroso nell'imparare preghiere o giaculatorie. Bastava che Francesco udisse alcuno a recitare una preghiera a lui ancora ignota, che non gli si toglieva dai panni se non dopo che l'aveva imparata; quindi tutto allegro, come avesse scoperto un tesoro, la insegnava a quei di sua casa. Ed allora giubilava molto osservando la nuova sua preghiera entrata in consuetudine nella famiglia, o recitata dai suoi compagni. Le due seguenti erano per così dire il suo mattutino e la sua compieta.
Appena svegliato, fatto il segno della santa croce, balzava dal letto recitando forte, od anche cantando la seguente orazione: «Anima mia, alzati su: guarda al ciel, ama Gesù: ama chi ti ama, lascia il mondo che t'inganna: pensa che hai da morir, tuo corpo ha da marcir: e perché sii esaudito, di' a Maria tre volte l'Ave Maria» 17.
Siccome nei primi anni non poteva comprendere il significato di questa orazione, così importunava ora il padre, ora la madre; o qualche altro, che gliela spiegassero. Quando poi era giunto a comprenderla diceva: «Adesso la recito con maggior divozione». Col tempo questa preghiera divenne la regola di sua condotta.
15 Cf. Lc 2,52.
16 «La casa del Besucco trovasi nel centro della villa dalla parte di ponente distante dalla chiesa parrocchiale non più di 30 metri» (ASC A1010912: lett. F. Pepino - G. Bosco, 6 giu. 1864).
17 Traduzione italiana di una formula di preghiera dialettale occitana, ritmata e in rima (simile a quelle riportate più avanti alle pp. 175 e 209), appartenente ad un patrimonio popolare molto antico, oggi quasi scomparso, che aveva funzione cultuale e istruttivo-sapienziale. Argentera e la valle Stura di Demonte appartengono all'area dialettale occitana, insieme ad altre valli del Piemonte sud-occidentale (Vermenagna, Gesso, Grana, Varaita, Po, Chisone e alta Val Susa), cf. I dialetti italiani, vol. 2: Storia, struttura, uso, a cura di M. CORTELLAZZO e N. DE BLAsi, Torino, UTET, 2002, 152.
La sera poi incamminandosi al riposo, come la mattina recitava con espressione assai viva la seguente: «A coricarmi io mi vo, non so se mi leverò: quattro cose dimanderò: confessione, comunione, Olio santo, benedizione papale. Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo».
Compiacevasi in modo particolare di ragionare delle cose di religione, degli esempi di virtù da altri praticati, che egli subito cercava di imitare. Se talvolta era alquanto malinconico, e volevasi rallegrare, bastava parlargli di cose spirituali, o del profitto, che poteva ricavare nel frequentare la scuola.
La sua obbedienza agli ordini dei genitori, dice il parroco, era così pronta che sovente ne preveniva i desiderii in modo, che non ebbero mai ripulsa dal medesimo, e nemmeno ravvisarono la più piccola indolenza nell'eseguire i loro comandi. Le sue sorelle ancora affermano essere non rare volte accaduto, che per inavvertenza, o perché occupate in altri lavori, avendo esse alquanto differita l'esecuzione degli ordini dei genitori, ne furono sempre rimproverate dal loro fratellino. Atteggiandosi in tali circostanze in atto supplichevole, «e che?, esclamava, è già una mezz'ora che nostra madre vi comandò quella cosa, e voi aspettate ad eseguirla? Non è bene dar motivo di disgusto a chi tanto ci ama».
Era poi tutto dolcezza ed amore verso i fratelli e le sorelle, non mai offendendosi quantunque fosse dai medesimi rimproverato. Con loro compiaceva-si d'ordinario trattenersi a divertimento, perché egli giudicava non potere dai medesimi imparare altro che bene. Confidava loro ogni pensiero, e perfino li pregava ad invigilare sopra dei suoi difetti. «Qui mi rincresce, dice il parroco, di non poter descrivere la buona armonia, che regnava in questa famiglia composta in allora di otto persone, le quali potevano dirsi esemplari in tutta la loro condotta, sia per la ritiratezza in casa, sia per la loro frequenza e divozione alle sacre funzioni».
Cinque anni fa essendo partito per il servizio militare il suo maggior fratello Giovanni, il nostro Francesco non cessava di dargli santi avvertimenti per sua norma, affinché si mantenesse buono come era in casa. «Procura, conchiudeva, di essere vero divoto di Maria santissima. Essa certamente ti aiuterà. Io dal mio canto non mancherò di pregare per te. Fra poco ti scriveremo delle lettere». Tutto ciò diceva in età appena di anni nove. Quindi rivolto ai genitori, che in quel figlio perdevano il braccio più forte pei lavori di campagna, «voi piangete, loro diceva, ma Iddio ci consolerà in altro modo col conservarci la sanità, ed aiutarci nei nostri lavori. Io poi farò tutto il possibile per aiutarvi». Che gran lavoratore di campagna! Eppure fu così; con grande stupore di tutti attendeva in modo straordinario ai lavori che gli erano comandati, volendo anzi intraprenderne molti altri, che i parenti credevano incompatibili colle sue forze. In mezzo ai lavori di campagna manteneva sempre inalterata la sua giovialità, non ostante la stanchezza inseparabile dal suo ardore nei medesimi. Se qualche volta suo padre per celia dicevagli: «Francesco, sembri assai stanco dal lavoro»; egli ridendo rispondeva: «Ah! mi sembra che questi lavori non siano fatti per me. Mio padrino mi dice sempre che studii; chi sa che egli non mi aiuti». Né passava mai giorno senza parlare in famiglia del suo desiderio di frequentare le scuole. Andava a scuola nell'invernale stagione, ma non dispensavasi mai dai servigi domestici, come pur troppo si usa dai ragazzi, per attendere ai divertimenti nelle ore libere dallo studio. Il tenore della sua vita per il tempo in cui frequentò la scuola in Argentera fu il seguente.
Sebbene i genitori di Francesco avessero molto bisogno del suo servizio, tuttavia persuasi che la scientifica istruzione è un mezzo efficacissimo per imparare la religione, lo avviarono per tempo a scuola". Ecco pertanto qual fu la sua condotta scolastica. Alzavasi alla mattina di buon'ora recitando l'indicata orazione: Anima mia, alzati, su, ecc., fermandosi ben sovente a meditarne il significato. Appena levato o solo o colla famiglia recitava le lunghe sue orazioni, quindi attendeva allo studio fino al tempo della scuola, dopo la quale con sollecitudine ritiravasi nella casa paterna per attendere ad alcuni lavori di famiglia. A tanta diligenza corrispondeva il profitto che otteneva in classe, e sebbene non dimostrasse grande ingegno, tuttavia supplendovi colla diligenza nei doveri, e coll'esatta occupazione del tempo nel fare i temi e nello studiare le lezioni vi fece notabilissimo progresso.
18 Scuola: era una scuola rurale unica, dove un solo maestro insegnava contemporaneamente ad allievi di due o tre classi raccolti nella stessa aula; prevista dalla legislazione per favorire l'istruzione elementare nei villaggi più remoti e poveri. La legge Casati sul riordinamento della scuola pubblica (13 nov. 1859, Atti del Governo, N. 3725), affidava l'istruzione elementare ai municipi locali e la divideva in due gradi: «il corso inferiore e superiore [che] si compiono ciascuno in due anni, ognuno di essi si divide in due classi distinte» (ibid., art. 316). Le scuole elementari superiori erano obbligatorie soltanto nei comuni che avessero «oltre a quattromila abitanti di popolazione agglomerata, non contando le frazioni e le borgate» (ibid., art. 321). Nel comune di Argentera si univano in una classe unica allievi delle elementari inferiori e qualcuno delle superiori.
Il maestro aveva in generale proibito ai suoi allievi di andare girovagando nelle stalle durante la invernale stagione. In ciò Besucco fu oggetto di ammirazione a tutti. Non solo osservò scrupolosamente la ritiratezza, ma col suo esempio trasse molti compagni ad imitarlo con grande vantaggio della scienza e della moralità, e con viva soddisfazione di Valorso Antonio, maestro, dei genitori e degli allievil'.
Raramente dopo il pranzo usciva di casa a divertimento, e se n'era quasi intieramente dimenticato alcuni mesi prima che venisse all'Oratorio.
Esilarato alcuni istanti il suo giovanile temperamento ritornava allo studio finché suonasse la scuola, nella quale per testimonianza del citato suo maestro dimostrò mai sempre tutta la possibile diligenza ed attenzione a quanto insegnavasi20, e rispetto inalterabile. Esso procurava di aiutare il maestro nell'insegnare a leggere ai fanciulli principianti, e lo faceva con disinvoltura e con edificazione21. In tutto il tempo che frequentò la scuola comunale fu sempre riguardato dai compagni quale esempio di morigeratezza e diligenza. Essi avevano concepito tanta stima per il nostro Francesco che guardavansi fino di lasciarsi sfuggir parole meno dicevoli alla sua presenza. Erano certi che le avrebbe disapprovate e fattene loro severe dimostrane, come accadde non poche volte. Che se alcuno più giovane di lui lo richiedeva di istruzione fuori della scuola, era sua passione il prestarsi di buon cuore, animandolo ancora a richiederlo ben sovente. Ma nello stesso tempo non mancava mai di pascolarne lo spirito con avvisi salutari ed animarlo alla divozione.
Dalla relazione fatta dallo zelante suo maestro raccolgo ancora alcuni fatti che qui letteralmente trascrivo22. Ogni qual volta fossero sorte risse fra i suoi condiscepoli si lanciava tosto in mezzo di loro per acquetarli. «Amici come siamo, loro diceva, non conviene percuoterci, tanto meno per queste inezie che non hanno alcun nome: vogliamoci bene, sappiamo compatirci gli uni gli altri come comanda Iddio». Queste ed altre simili parole bastavano d'ordinario a mettere la pace tra i compagni litiganti. Se osservava le sue parole non essere capaci di pacificarli, abbandonavali all'istante.
19 «Il maestro elementare Valorso Antonio è borghese ed ammogliato» (ASC A1010912: lett. F. Pepino - G. Bosco, 6 giu. 1864).
20 L'istruzione del grado inferiore, come stabiliva la legge, comprendeva: «l'insegnamento religioso, la lettura, la scrittura, l'aritmetica elementare, la lingua italiana, nozioni elementari sul sistema metrico»; quella di grado superiore prevedeva, «oltre lo svolgimento delle materie del grado inferiore: le regole della composizione, la calligrafia, la tenuta dei libri, la geografia elementare, l'esposizione dei fatti più notevoli della storia nazionale, le cognizioni di scienze fisiche e naturali applicabili principalmente agli usi ordinarii della vita. Alle materie sovraccennate saranno aggiunti, nelle scuole maschili superiori, i primi elementi della geometria ed il disegno lineare; nelle scuole femminili i lavori donneschi» (Atti del Governo 1859, N. 3725, art. 315).
21 La valorizzazione degli allievi più esercitati nell'istruzione dei compagni era comune nelle pluriclassi del Piemonte antico, secondo modalità che si avvicinavano al metodo del mutuo insegnamento lancasteriano.
22 Cf. ASC A1010914: Relazione del maestro di scuola Antonio Valorso, s.d, [feb. 1864].
Quando udiva darsi il segno della scuola o delle sacre funzioni egli invitava i suoi compagni a desistere dai divertimenti. Giuocando un giorno alle bocce udì il suono della campana che li chiamava al catechismo. Francesco disse tosto: «Compagni, andiamo al catechismo, finiremo la partita dopo la funzione parrocchiale». Ciò detto disparve dai loro occhi. Terminata la funzione si restituì ai compagni, ai quali dolcemente rimproverò la perdita di questa pratica di pietà e d'istruzione; intanto per renderseli vie più amici comprò loro delle ciliegie. A questi segni di generosità e di cortesia quei compagni promisero che in avvenire non avrebbero mai più trascurate le cose di religione per attendere ai divertimenti.
Se a caso avesse udito taluno a pronunziar parole indecenti mostravasi tosto in volto mortificato; quindi lo abbandonava o facevagli severo rimprovero. Spesse volte fu udito dire: «Cari compagni, non dite tali parole! con queste voi offendete Dio e date scandalo ad altri». Attestano anche i medesimi compagni che Francesco li invitava ben sovente a far qualche visita al SS. Sacramento ed a Maria santissima e che si prestava volenteroso ogni qual volta poteva compiacere i medesimi in ciò che riguardava la scuola.
Altre volte sentendo suonare l'Ave Maria: «Orsù, amici, diceva, recitiamo l'Angelus e poi seguiteremo il nostro divertimento». Il medesimo invito ripeteva ai compagni nei giorni di vacanza per farli assistere alla santa messa.
Nella mia qualità di maestro comunale d'Argentera debbo, per maggior gloria di Dio, dichiarare, che il pio giovinetto Besucco, nei cinque anni in cui frequentò la mia scuola", non fu mai secondo ad alcuno nella diligenza nel recarsi alla scuola. Se mai avesse osservato compagni negligenti, sapeva così ben avvertimeli che quasi da volere o non volere divenivano più diligenti. Nella scuola poi il suo contegno non poteva essere migliore, sia nell'osservare il silenzio, sia nella costante attenzione a quanto insegnavasi. Prestavasi inoltre con gran piacere a far leggere i più piccoli e ciò faceva con sì bel garbo e con tanta amorevolezza che era da loro assaissimo amato e rispettato (fin qui il maestro).
23 Nei villaggi alpini la maggior parte dei fanciulli frequentava le lezioni solo nei mesi invernali; per completare il programma scolastico, dunque, si impiegavano più anni.
Ritornato appena dalla scuola correva ad abbracciare i suoi genitori, esibendosi pronto ai loro cenni fino all'ora di prender cibo. Nella frugale mensa non trovava mai alcun motivo di lamento o per la qualità o per la quantità dei cibi. In tutte le sue azioni non dimostrava volontà alcuna e scorgendo altri in famiglia non soddisfatti nei proprii desideri loro diceva: «Quando sarete padroni farete poi a modo vostro, ma fin ora dobbiamo uniformarci alla volontà dei nostri cari genitori. Siamo poveri e non possiamo vivere e comparire ricchi. A me non importa niente vedere i miei compagni ben vestiti, mentre io non posso avere belle vestimenta. La più bella veste che possiam desiderare è la grazia di Dio». Egli aveva per i suoi genitori rispetto sommo; li amava col più tenero amor filiale, loro ubbidiva ciecamente, né cessava mai dal magnificare quanto essi facevano per lui. Per il che era da loro tanto amato, che sembrava troppo molesto il tempo in cui non l'avevano in loro compagnia. Se qualche volta i fratelli e le sorelle o per divertimento o per altro motivo gli dicevano: «Tu, Francesco, hai ben ragione di essere contento, perché sei il beniamino di tutti». «Sì, è vero, rispondeva, ma io procurerò sempre di essere buono e meritarmi il loro e il vostro amore». La qual cosa era tanto vera, che ricevendo qualche piccolo regaluzzo, o guadagnando qualche moneta per servizi ad altri prestati, giunto a casa, o rimetteva il guadagno nelle mani dei genitori, oppure ne faceva parte ai fratelli ed alle sorelle dicendo: «Vedete, quanto vi amo!». Vegliando la sera nella propria stalla, da cui usciva rarissimamente, per non associarsi con altri compagni, impiegava il tempo divertendosi coi famigliari, studiava le sue lezioni, oppure compieva qualche altro suo dovere scolastico. Di poi ad un'ora determinata invitava tutti a recitare la terza parte del rosario colle solite orazioni, prolungandole per il vivo desiderio di trattenersi con Dio recitando molti Pater noster. Né mai dimenticava di raccomandare speciali preghiere per ottenere da Dio sanità a suo padre ed ai suoi fratelli che nell'inverno dimoravano fuori del paese a fine di guadagnare col lavoro delle loro mani di che sostentare la famiglia.
«Chi sa, diceva sovente piangendo, quanto freddo soffrirà nostro padre per noi! oh quanto sarà mai stanco, e noi stiam qui tranquilli mangiando il frutto dei suoi sudori! Ah! preghiamo almeno per lui».
Di suo padre assente discorreva ogni giorno, e, per dir così, lo accompagnava ovunque col pensiero nei suoi viaggi.
Soleva eziandio nelle veglie applicarsi alla lettura di libri divoti, che procurava farsi provvedere dal padrino e dal maestro, che ben volentieri gliene somministravano. Più volte nel giorno o lungo la sera, vedendo la stalla piena di gente, loro diceva: «Oh! ascoltate il bello esempio che ho trovato in questo libro»; e lo leggeva ad alta e sonora voce, a segno che pareva un predicatore. Che se gli cadeva tra le mani la vita di qualche pio giovinetto, oh! allora questo era il suo caro libro, che diventava il soggetto dei suoi discorsi e della sua imitazione. «Fosse vero che potessi anch'io diventar tanto buono, quanto costui! sì che sarei fortunato, non è vero, mia cara madre?». «Due anni fa, dice il parroco, lesse la vita di san Luigi Gonzaga, e da quel tempo ne divenne imitatore, specialmente nell'occultare le buone azioni che faceva. Ma alcuni mesi dopo, essendogli stata regalata la vita di Savio Domenico e di Michele Magone", specialmente leggendo la vita di quest'ultimo diceva con gioia: "Ho trovato il vero ritratto delle mie divagazioni; ma almeno Iddio mi concedesse di potermi emendare dei miei difetti, ed imitare la buona condotta ed il santo fine del mio caro Magone", così lo chiamava. E qui gli nacque, continua il parroco, curiosità straordinaria di farsi spiegare il modo, con cui doveva imitare quel giovinetto, e mi richiese se non sarebbe stato possibile di farlo entrare nel medesimo stabilimento, in cui parevagli, che avrebbe tanto profittato nella virtù. È questo il frutto principale che il nostro Francesco ricavò dalla lettura dei libri buoni. Dio volesse che tutti i miei fanciulli parrocchiani attendessero a queste buone letture. Sarebbero al certo di grande consolazione ai loro genitori».
Siccome la mattina Francesco invitava l'anima sua innocente a sollevarsi al cielo, così la sera la intratteneva nelle tenebre del sepolcro con qualche pio e devoto pensiero. Interrogato più volte che facesse posto a letto, rispondeva: «Mi figuro di mettermi nel sepolcro, ed allora il primo pensiero che mi viene in mente è questo: Che sarà di te, se cadrai nel sepolcro dell'inferno? Spaventato da questo riflesso, mi metto a pregare ben di cuore Gesù, Maria, san Giuseppe ed il mio angelo custode, e non finisco più di pregare, finché non sia addormentato. Oh! quanti bei proponimenti faccio mai la sera posto a letto per timore di dannarmi. Se mi sveglio la notte seguito a pregare, e mi rincresce molto se il sonno nuovamente mi sorprende».
Sebbene il nostro Besucco sia stato fin da fanciullo prediletto dal Signore, tuttavia dobbiam dire che la vigilanza dei genitori, la sua buona indole, la cura amorevole che di lui si prese il proprio parroco giovarono potentemente al felice risultato della morale sua educazione.
24 Il parroco di Argentera era abbonato alle Letture cattoliche.
Fanciullino ancora era già dai suoi genitori condotto alla chiesa; gli prendevano le mani, lo aiutavano a far bene il segno della croce, gli additavano il modo ed il luogo, in cui doveva inginocchiarsi, e l'assistevano colla massima amorevolezza. Appena ne fu capace era dai medesimi condotto a confessarsi. Ed egli mosso dall'esempio, dai consigli, dagli incoraggiamenti dei parenti si affezionò per tempo a questo sacramento in modo che ben lungi dal provare l'ordinaria apprensione, o specie di ripugnanza, che i ragazzi sogliono manifestare nel presentarsi a persona autorevole, egli ne provava invece tutto il piacere. Ma la fortuna di questo giovanetto è in gran parte dovuta al proprio parroco D. Francesco Pepino. Questo esemplare sacerdote occupava con zelo le sue forze, e le sue sostanze a bene dei suoi parrocchiani. Persuaso che non si possono avere buoni parrocchiani, se la gioventù non è bene educata, niente risparmiava, che potesse tornare a favore dei fanciulli. Faceva loro il catechismo in qualsiasi stagione o tempo dell'anno; li ammaestrava intorno al modo ed alle cerimonie stabilite per servire la santa messa; faceva anche la scuola, e non di rado andava di loro in cerca alle proprie case, sui lavori, e negli stessi luoghi dei pascoli. Quando gli avveniva di ravvisare qualche fanciullo che palesasse attitudine allo studio, alla pietà, ne formava specialissimo oggetto delle sue sollecitudini. Per la qual cosa appena si accorse delle benedizioni, che il Signore spandeva copiose sopra del nostro caro Besucco, non lo perdé più di vista, e volle egli stesso dargli le prime cognizioni del catechismo, e a suo tempo prepararlo alla25 prima confessione. Con maniere amorevoli e proprie di un tenero padre si guadagnò il cuore di lui per modo, che il giovanetto provava le sue delizie ogni qualvolta poteva conversare coll'amato suo padrino, o udire da lui qualche parola di conforto o di pietà.
Lo scelse per suo stabile confessore, e continuò a confessarsi da lui in tutto il tempo che visse in Argentera. Il parroco lo consigliò a cangiar qualche volta confessore, e gliene porse ben anche occasione, ma egli lo pregava di volerlo sempre confessare egli stesso. «Con lei, diceva, caro padrino, ho tutta la confidenza. Ella conosce il mio cuore. Io le manifesto sempre ogni segreto. Io l'amo molto, perché Ella molto ama l'anima mia»26.
Io credo, che la più grande fortuna per un giovanetto sia la scelta di un confessore stabile, cui apra il suo cuore, confessore che si prenda cura dell'anima di lui, e che coll'amorevolezza, e colla carità lo incoraggi alla frequenza di questo sacramento.
25 prepararlo alla: con•. ed. 1864 «lo preparò per far la sua».
26 Testimonia il parroco: «Se posso portar giudicio interno alle confessioni di Francesco, essendosi sempre confessato da me dalla prima all'ultima confessione che fece in Argentera e quantunque invitato non volle mai andar da altro confessore, perché mi diceva, essi non conoscono li miei difetti. Dico dunque, che dalle sue confessioni e dalla perfetta conoscenza che io aveva dell'intiera sua condotta posso accertare di non averlo mai trovato reo di colpa mortale, e di più mi sembra poter pure asserire che non sia stato colpevole di colpa veniale deliberata» (ASC A1010909: lett. E Pepino - G. Bosco, 1 feb. 1864,f1 v.).
Non solamente il nostro Francesco dipendeva dal suo parroco nelle cose di confessione, ma eziandio in tutto ciò che avrebbe potuto contribuire al suo bene spirituale e temporale. Un semplice consiglio od anche un solo desiderio esternato dal suo padrino era per lui un comando, che con gioia premurosamente eseguiva. È poi sommamente amena ed edificante la maniera, che egli teneva nella frequenza di questo sacramento. Alcuni giorni prima parlava della prossima sua confessione, protestando coi fratelli e colle sorelle di volerne quella volta ricavare profitto. Ad essi tanto più nei primi anni raccomandavasi, affinché gli insegnassero a confessarsi bene, interrogavali, come essi facevano a conoscere le mancanze commesse, e a ricordarsi dei peccati in sì lungo spazio di tempo, che era circa un mese. Faceva poi grandi maraviglie che dopo la confessione si potesse di nuovo offendere Iddio, al quale si è promessa fedeltà. «Quanto mai è buono, diceva, Iddio a perdonarci i nostri peccati non ostante la nostra infedeltà ad osservare i fatti proponimenti; ma quanto è più grande l'ingratitudine, che continuamente usiamo ai tanti benefizi, che ci fa! Ahi! dovremmo tremare al solo riflettere alle nostre infedeltà. Io per me sono disposto a fare e a soffrire ogni cosa prima di offenderlo nuovamente». La sera precedente alla confessione interrogava suo padre, se la mattina vegnente non aveva qualche lavoro pressante a fare. Richiesta la ragione gli diceva, che aveva piacere di andarsi a confessare. Al che di buon animo accondiscendeva sempre il genitore e Francesco passava quasi tutta quella notte nel pregare o nell'esaminarsi per meglio disporsi, quantunque la sua vita fosse una continua preparazione. La mattina poi senza più parlare con alcuno recavasi in chiesa, ove col massimo raccoglimento preparavisi alla grande azione. Lasciava per altro sempre che si confessassero quelle persone che dubitava aver poco tempo per fermarsi in chiesa. «Questa sua condiscendenza verso gli altri, specialmente nel rigore dell'inverno, mi obbligò non poche volte, dice il parroco, a chiamarlo io stesso al confessionale, vedendolo già tutto intirizzito dal freddo». Fu talvolta richiesto del suo lungo attendere prima di confessarsi. «Io posso aspettare, rispondeva, perché i miei genitori non mi rimproverano del tempo passato in chiesa; ma forse gli altri potrebbero annoiarsi, o ricevere qualche rimbrotto in casa, tanto più le donne che hanno ragazzi». I fratelli e le sorelle alle volte per facezia gli dicevano: «Tu vai sovente a confessarti per ischivar la fatica». «Quando voi altri andrete a confessarvi, rispondeva egli, io vi supplirò di buon grado in tutto ciò che posso. Oh! sì andate pur sovente, che io ne sono ben contento!». E qui qual maestro di spirito non rare volte loro diceva: «Quella pigrizia che alle volte si sente, quella incertezza per la confessione, quel differirla da un giorno all'altro sono altrettante tentazioni del demonio. Sapendo esso quanto potente ed efficace rimedio sia la frequente confessione per correggerci dei nostri difetti, fa ogni sforzo per tenercene lontani. Oh! quando trattasi di fare il bene abbiam sempre paura del mondo; alla fine dei conti non è il mondo che ci dovrà giudicare dopo la morte: è Dio che ci dovrà giudicare, a lui solo e non ad altri dovremo dar conto delle nostre opere, e non al mondo: da lui solo dovremo aspettarci eterna ricompensa»". «Quando sono confessato, diceva altre volte ai famigliari, provo tanta contentezza che desidererei fino di tosto morire per liberarmi dal pericolo di offender di nuovo Iddio». Il giorno in cui si accostava ai santi sacramenti privavasi quasi sempre d'ogni divertimento. Interrogato dal parroco perché ciò facesse, rispondeva: «Quest'oggi non debbo contentare il mio corpo, perché il mio Gesù fece goder tante e sì dolci consolazioni all'anima mia. Quello che mi rincresce si è di non esser capace di ringraziare il mio Gesù sacramentato dei benefizi continui che mi fa». Passava intanto quella giornata in un santo raccoglimento e per quanto gli era possibile in chiesa.
Da sicure informazioni mi risulta che il buon Francesco per meglio disporsi a ricevere degnamente i santi sacramenti soleva dire: «Questa confessione può essere l'ultima di mia vita, ed io voglio farla come se realmente fosse l'ultima».
Non è fuor di luogo il notare come i genitori di Francesco gli lasciassero piena libertà di andar tutti i giorni a udire la santa messa; anzi parendo talvolta dubbioso, se dovesse andare o no ad ascoltarla per timore di trascurare qualche suo dovere, lo mandavano eglino stessi. Della qual cosa molto contento soleva dire ai suoi genitori: «Oh! siate certi, che il tempo impiegato nell'udir la santa messa si compenserà abbondantemente nella giornata, perché Iddio è buon rimuneratore, ed io lavorerò molto più volentieri». Che se avvenivagli qualche mattina di non potervi assistere, soleva recitare in compenso questa popolare preghiera, che è molto divulgata in quel paese: l'avea imparata in età di quattro anni. «La messa suona, san Marco l'intuona, gli angeli la cantano, e Gesù bambino porge l'acqua e il vino. Fatemi, o Gesù, un po' parte della messa del corrente mattino».
Il padre di Francesco soleva per facezia interrogarlo come avrebbe fatto a passare quella giornata senza messa, ed egli colla massima semplicità rispondevagli: «Iddio mi aiuterà lo stesso, perché ho detta la mia orazione, e poi pregherò un poco di più questa sera».
27 Cf. 2 Cor 5,10.
Credeva assai facilmente ai detti altrui, così che per divertimento i suoi compagni talvolta gliene facevano credere delle grosse. Ma quando si accorgeva di essere burlato si mostrava tutto contento. Non mai si vide dar segni di vanagloria per la stima, in cui era tenuto dai genitori, conoscenti e dal parroco. «Buon per me, diceva alcuna volta, che non mi conoscono, altrimenti non mi vorrebbero tanto bene». La sua attività nello studio, che lo rendeva superiore ai suoi compagni, ben lungi dal farglieli disprezzare, faceva loro usare ogni possibile indulgenza nella recita delle lezioni. Se veniva alcuna fiata rimproverato di qualche ragazzata sia che fosse o non fosse colpevole, tutto contrito rispondeva: «Non la farò più, e mi farò più buono. Voi mi rimproverate, ma so che mi compatite». E qui correva ad abbracciare ed accarezzare i suoi genitori il più sovente colle lagrime agli occhi. Essi non ebbero mai occasione di castigare questo loro figlio. Nella stagione estiva attendeva in compagnia della famiglia ai lavori di campagna, nei quali godeva poter sollevare alcun poco i fratelli e le sorelle, per quanto il comportavano le sue forze.
Nel tempo del riposo non volendo neppure stare ozioso iniziava alcuni discorsi di religione, oppure interpellava suo padre su qualche dubbio, od oscurità in materia spirituale.
Nella preghiera con piacere si tratteneva andando e venendo dalla campagna. Ben sovente accadde a me, e ad altri, dice il parroco, d'incontrarlo per via tanto assorto nella preghiera che neppure accorgevasi di averci vicini. Se fuor di casa incontravasi in qualche pericolo od occasione di essere scandalizzato per le imprecazioni o bestemmie udite, o pei cattivi discorsi che non poteva non udire, tosto faceva il segno della santa croce, oppure diceva: «Dio sia benedetto, benedetto il suo santo nome». Se gli riusciva incominciava egli stesso discorsi diversi. Avvertito qualche volta dai suoi parenti a guardarsi dal seguir le massime di alcuni perversi compagni, loro rispondeva: «Vorrei che piuttosto mi seccasse la lingua in bocca a preferenza di servirmene a disgustare il mio Dio».
Quando andava alla pastura delle pecore" portava sempre seco qualche buon libro divoto, o scientifico, che procurava di leggere in presenza di altri compagni quando essi avevano piacere di ascoltarlo, altrimenti leggeva da sé, o si occupava nella preghiera osservando a puntino il comando del Salvatore, di pregare senza intermissione29.
28 Nella valle Stura esiste una varietà di pecora autoctona, la pecora Sambucana (o Demontina), di taglia medio-grande (peso 70-75 kg e 78 cm di altezza al garrese). «La sua grande agilità le permette di percorrere ripidi canaloni, scoscesi pendii, attraversare pareti rocciose seguendo intelligentemente les draios, i sentieri scavati nella roccia per raggiungere le vette e brucare gli ultimi ciuffi d'erba particolarmente saporita». Nei mesi invernali le pecore vengono tenute nelle stalle, in attesa della tosatura e della nascita degli agnelli; dalla primavera al tardo autunno si portano sugli alpeggi di alta quota, cf. J. ERRANTE, Le razze ovine autoctone a rischio del Piemonte. Scheda informativa, Reggio Emilia, Associazione RARE, 2006, 3-4; Mai gridare al lupo, la convivenza possibile, Supplemento a «Piemonte parchi» 13 (1998) 3, 24.
29 Cf. Lc 18,1.
Il padre di Francesco per provvedere alla famiglia il necessario sostentamento prese la custodia del gregge comunale", al quale ufficio di quando in quando destinava eziandio il figliuolo specialmente nei giorni festivi, affinché gli altri fratelli potessero almeno in qualche festa intervenire alle funzioni parrocchiali. L'ubbidiente Francesco accettava di buon grado quell'incarico dicendo: «Se non posso in questo giorno intervenire alle sacre funzioni, procurerò di santificare la festa in qualche altro modo. Tu intanto, diceva al fratello, ricordati di me in chiesa». Giunta poi l'ora delle sacre funzioni, egli soleva condurre il gregge in luogo sicuro, quindi formata una croce su qualunque oggetto, davanti a quella s'inginocchiava per farvi preghiera o lettura. Talvolta andava a nascondersi in un antro della montagna, dove prostrato innanzi a qualche sacra immagine, che sempre conservava in un libro divoto, recitava le medesime preghiere, come se fosse realmente presente alle funzioni di chiesa: poscia faceva la Via Crucis. La sera cantava da solo il vespro, recitava la terza parte del rosario, ed era per lui grande festa, quando poteva trovar compagni, che lo aiutassero a lodare Iddio. In questi atteggiamenti fu dai medesimi compagni sorpreso ben sovente in preghiera e meditazione così fervorosa, che il suo sembiante pareva quello di un angelo. Se gli avveniva di trovar compagni indulgenti pregavali a dar d'occhio alle sue pecore dicendo aver egli qualche cosa a fare, e così se ne allontanava per un certo tempo. Ma conscii i compagni della sua consuetudine per lo più vi si prestavano volentieri.
Più tardi egli ricordava con gran piacere i pascoli del Roburent e del Drec31, che sono le montagne, sopra cui Francesco soleva condurre il gregge al pascolo32.
30 «Era infatti consuetudine, a quei tempi, affidare le pecore e le capre delle varie famiglie ad uno o più incaricati per condurle ai pascoli comunali, prevalentemente nelle zone più elevate e disagiate. Erano numerose anche le famiglie che potevano disporre di poche pecore [.. .1; di comune accordo, veniva quindi affidato l'incarico a qualche famiglia di fiducia che, con tenue compenso, al mattino provvedeva alla raccolta dei vari greggi per poi riportarli alla sera, dopo il pascolo, ai rispettivi ovili» (A. MARTINI, Vita del giovane Francesco Besucco, pastorello di Argentera, allievo di don Bosco, Cuneo, Tipografia Subalpina 1977, 34).
31 Don Bosco scrive: «del Roburento e del Dreco», italianizzando le informazioni fornite dall'arciprete di Argentera («Roburent ed il Drec chiamasi la montagna ove il nostro innocente Franceschino conduceva le bestie al pascolo», ASC A1010912: lett. F. Pepino - G. Bosco, 6 giu. 1864).
32 Roburent: i pascoli comunali si trovavano a nord-est di Argentera, nel Vallone di Rio Roburent, affluente dello Stura che scaturisce da una sorgente posta a 2178 m di altezza, in uno splendido scenario caratterizzato da tre laghetti alpini posti sotto il Colle Roburent (2496 m), e sovrastato dall'imponente castello roccioso del monte Oronaye (3100 m). Drec: altro pascolo comunale sul lato sud delle pendici del monte Roburent (il nome deriva dal termine dialettale drech o dreit, che indica il versante della montagna solatio, "diritto" verso il sole).
«Quando mi trovava, soleva dire, nelle solitudini del Roburent io provava eziandio colà le mie delizie. Io volgeva gli occhi in quei profondi dirupi, che conducevano il mio sguardo in una specie d'oscura voragine; e questo mi ricordava gli oscuri abissi e le eterne oscurità dell'inferno. Qualche uccello dal basso delle valli volava talvolta fin sopra al mio capo; e questo mi faceva venire in pensiero, che noi dobbiamo dalla terra sollevare gli affetti del cuore in alto verso Dio. Rimirando il sole a spuntar sul mattino diceva in cuor mio: "Ecco la nostra venuta nel mondo". Il tramonto poi della sera mi annunziava la brevità e la fine della vita che viene senza che noi ci badiamo. Quando poi mi metteva a rimirare le alte cime della Maddalena e di altri monti bianchi di neve, facevami venir in mente l'innocenza della vita, che ci solleva fino a Dio e ci merita le sue grazie, le sue benedizioni, il gran premio del paradiso. Dopo queste ed altre considerazioni mi volgeva verso al seno di qualche monte e mi metteva a cantar lodi alla Madonna. Quello era per me uno dei più cari momenti, imperciocché io cantava e l'eco degli antri della montagna ripeteva la mia voce, ed io godeva come se gli angeli del paradiso mi aiutassero a cantar le glorie della grande madre di Dio».
Questi erano i pensieri che occupavano il cuore del pio pastorello, quando conduceva le pecore sopra le montagne d'onde non poteva recarsi a prendere parte alle sacre funzioni di chiesa.
Ma alla sera appena giunto a casa, si ristorava alquanto, di poi correva tosto alla chiesa per compensare (sono sue parole) la mancanza di divozione di quel giorno. Oh! quante scuse domandato avrà in quelle visite a Gesù sacramentato!
Non mancava mai di farsi il segno della santa croce e recitare qualche preghiera ogni volta che passava avanti a qualche chiesa, e molto più se vi era il SS. Sacramento.
Che se custodiva solamente il gregge paterno, come in primavera ed in autunno, allora di consenso coi genitori conduceva le sue pecore a casa, o le consegnava ad altri compagni per accorrere alle funzioni parrocchiali della mattina e della sera. Oh! perché non tutti imitano sì santa industria del nostro Francesco per non mancare né ai doveri di religione, né agli affari di casa. Pur troppo si osserva che molti si dispensano per futili motivi di frequentare le funzioni parrocchiali nei giorni festivi. L'esempio del buon giovanetto aggiunge efficacia alle raccomandazioni dei sacerdoti, che predicano ed inculcano la santificazione delle feste.
Nelle conversazioni e ricreazioni coi compagni egli era gioviale quanto altri mai. Sceglieva d'ordinario quei divertimenti, che addestrano il corpo alla fatica, solendo dire ai compagni ed ai genitori: «Dovendo poi partire per il militare servizio mi addestro per tempo e potrò certamente riuscire un buon bersagliere»". Fuggiva gli alterchi, e per evitarli tollerava talvolta insulti ed anche maltrattamenti. Non di rado per non venire a contesa abbandonava l'indiscreta compagnia e ritornavasi frettoloso a casa. Tale prudenza usò mai sempre nel fuggire qualunque discorso, che potesse ridondare in discredito di alcuno, cogliendo invece le frequenti occasioni di lodare le altrui virtù. Se veniva corretto di qualche sua fanciullaggine non mai offendevasi, né tampoco rispondeva bruscamente, ma chinando il capo ne dimostrava il suo pentimento; soleva dire: «Questa correzione è segno dell'amore che mi portano». Se nel tempo delle ricreazioni udiva il segno della scuola, della messa, delle sacre funzioni, o la voce dei genitori che il richiamavano a casa, non frapponeva indugio, dicendo: «Quei richiami sono altrettante voci di Dio, che richiedono da me pronta ubbidienza».
Fin da giovanetto, come si disse più sopra, cominciò Francesco a dimostrare alla santa casa di Dio straordinario rispetto e venerazione. Appena giunto sul limitare della medesima comparivagli sulla faccia quella gravità di portamento che si conviene al luogo santo. Per desiderio di giugnere il primo in sacrestia a servire la santa messa, inconsideratamente gli avvenne talvolta di correre per la chiesa, ma una semplice occhiata del parroco o di altra persona bastava a fargli comprendere l'inconsiderato suo procedere: per la qual cosa imponevasi tosto qualche penitenza, o con fare una visita al SS. Sacramento, o stando per tempo notabile in chiesa da solo a pregare in positura incomoda, o colle braccia in forma di croce, o colle mani sotto le ginocchia. «Quante gare, dice il parroco, mi occorse di vedere nella sagrestia tra il nostro Francesco ed altri giovanetti per essere trascelti al servizio dell'altare! Non di rado succedeva che io stesso per mettere alla prova la sua virtù, e per evitare la taccia di parzialità, per essere mio figlioccio, preferiva altri a lui quantunque venuti insieme in chiesa. Rimaneva, è vero, alquanto confuso, ed anche lacrimante, ma ben lungi dal mostrarsi offeso lo rimirava star con eguale divozione alla santa messa.
33 Il corpo dei bersaglieri, fondato nel 1836 da Alessandro La Marmora come specialità dell'arma di fanteria, era composto di uomini accuratamente selezionati per agilità e resistenza fisica, addestrati al tiro e destinati ad azioni veloci di disturbo.
"Ebbene io mi rifarò di questa mortificazione, diceva ai compagni, dimani verrò io il primo", e lo era quasi sempre. Queste furono forse le uniche contese coi suoi compagni. D'allora in poi animati essi dall'esempio di Francesco seguono molti a dimostrare per il servizio della santa messa quello zelo che loro infuse». D'ordinario egli stava colle mani giunte, e cogli occhi fissi nel sacro ciborio, o nel sacerdote celebrante, oppure leggendo qualche libro divoto. Inteneriva al solo vederlo porgere le ampolline. Le sue labbra erano in continuo movimento di preghiera mentre le sue mani servivano all'altare. Tu il vedevi con ciglio dimesso, con sembiante raccolto, passo grave attendere al suo ufficio di ministro, come se fosse già un chierico perfettamente addottrinato nelle cerimonie della chiesa. Non contento Francesco di prestare a Gesù sacramentato tutto quell'onore, che da sé poteva, procurava ancora colle sue belle maniere di farlo onorare dai suoi compagni. Andava perciò tutte le feste in sacrestia a richiedere libri di divozione appositamente provvisti per dispensarli egli stesso ai suoi compagni, affinché udissero con divozione la santa messa, e non si divagassero al tempo del vespro.
«Ma, mio caro, che hai che tanto piangi?», il richiese non rare volte il parroco. «Ho ben motivo di piangere, rispondeva, perché alcuni non vogliono accettare il libro, mentre so che non l'hanno, ed io li vedo guardare qua e là senza pregare». Solamente allora consolavisi quando venivano a lui richiesti i libri. Prestavasi volentieri a tutti gli uffici di chiesa. Provvedeva il fuoco per la benedizione, l'acqua ed il vino per la santa messa, prima di cui aveva la sorprendente avvertenza d'invigilare, se niente vi mancasse per il decoro delle funzioni. Egli insomma poteva dirsi trapiantato nella casa del Signore.
Era suo costume non solo d'intervenire ogni giorno per le funzioni parrocchiali, ma bensì tutti i giorni faceva la visita al SS. Sacramento. Andava poi a prostrarsi innanzi all'altare consacrato a Maria santissima trattenendosi non di rado delle lunghe ore. Non solamente il parroco, ma molti eziandio dei suoi compatriotti, attestano di averlo veduto in queste visite in atteggiamento tanto divoto da sembrare estatico. Recitava tutti i giorni il Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, ecc.34, con un' Ave Maria e l'invocazione Sancta Maria Auxilium christianorum, ora pro nobis35. Di questa orazione facevasi maestro ai suoi compagni, perché tutti l'imparassero, e la recitassero sovente. Nelle feste poi, e sovente ancora nei giorni feriali, oltre la consueta visita amava recitare le orazioni della sera in chiesa, e tutte le altre sue predilette preghiere, che per dimenticanza o per impotenza avesse tralasciate nel decorso di quella settimana con ammirazione di quanti osservavano tanta virtù in un giovanetto di sì tenera età.
34 Ricordatevi, o piissima Vergine Maria: traduzione dell'orazione latina Memorare, attribuita erroneamente a san Bernardo, usata da san Francesco di Sales e popolarizzata da Claude Bernard (1588-1641): «Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che sia stato abbandonato chi a Voi è ricorso, chi ha implorato il vostro aiuto, chiesto il vostro soccorso. Io, animato da tale fiducia, o Vergine delle Vergini, a Voi ricorro, a Voi vengo, innanzi a Voi, peccatore contrito, mi prostro; non vogliate, o madre del Verbo, sdegnare le mie preghiere, ma ascoltatemi propizia ed esauditemi», cf. J. DEDIEU, Bernard (Claude), in Dictionnaire d'histoire et de géographie écclesiastique, Paris, Letouzey et Ané, 1935, vol, 8, 771-772.
35 Nel ms. di don Pepino si legge: «Sancta Maria refugium peccatorum ora pro nobis» (ASC A2280701, p. 11). Quando Besucco entrò all'Oratorio, don Bosco aveva dato inizio agli scavi per la costruzione del santuario dell'Ausiliatrice; così egli preferì porre sul labbro del ragazzo l'invocazione che intendeva divulgare attraverso i fascicoli delle Letture Cattoliche.
Qui pare a proposito di accennare, come Francesco fosse molto divoto verso il crocifisso miracoloso, che da tempo immemorabile si venera nella confraternita dei Disciplinanti d'Argentera, di Sambuco+, Pietraporzio, Pontebernardo, e Bersezio. A questo crocifisso si fa ogni stagione dell'anno grande concorso di gente per ottenere la fertilità della campagna in occasione di siccità, o di piogge troppo prolungate ("). È rarissimo il caso, in cui venendo processionalmente ad intercedere favori non siano stati esauditi. Non poteva ancora il pio ragazzo pronunziare distintamente queste due parole: «Benedetto Cristo» (nome che si dà al crocifisso miracoloso), che richiedeva già dai genitori un Pater al bep Crist. Nacque con lui questa divozione. Oltre a quelle frequenti visite recitò nella stessa confraternita per tre anni (1861-62-63) nelle sere estive il rosario. Per soddisfare a questo pio desiderio del rosario e per udire la santa messa tutti i giorni talora dimenticava il desinare o la cena, dicendo voler prima pensare all'anima che al corpo. Questa sua mortificazione per attendere alle opere di pietà era divenuta così abituale, che gli stessi parenti usavano molta attenzione per non darci causa. Terminato il rosario Francesco non usciva cogli altri di chiesa, ma fermavasi ancora in essa notabile tempo a fine di appagare l'ardente suo desiderio di onorare Iddio e la sua santissima madre. Credevasi a ciò tenuto, perché vedevasi da Dio in modo particolare favorito, come più volte lo attestò al suo parroco, assicurando ancora, che sempre sentiva d'essere realmente alla presenza di Dio.
36 «Vedi in fine del libro in forma di Appendice la storia del benedetto crocifisso»: nota ins. ed. 21878 (Besucco, 232-234).
Il pensiero della presenza di Dio gli diventò così famigliare negli ultimi anni di sua vita, che potevasi dire in continua unione col medesimo. Ora che Francesco non è più fra noi, scrive il parroco, ci pare tuttavia di vederlo al suo luogo attorno ai sacri altari, sentirlo dirigere le pubbliche preghiere, tanto ci eravamo abituati a contemplarlo in ogni occasione di qualche esercizio di cristiana pietà. Nell'anno 1860 richiesto a voler coadiuvare all'Opera pia della divozione a Maria santissima nel mese di maggio, egli vi si prestò volenteroso. Tutte le sere del mese recitava pubblicamente la terza parte del rosario, oltre le ordinarie e particolari preghiere che a voce chiara da lui recitavansi e che i fedeli accompagnavano. Grande era la frequenza e tutti ammiravano la straordinaria divozione che spiccava nel nostro Francesco. Se il parroco abbisognava di particolari aiuti nel disimpegno del suo dovere, o per animare qualche infermo alla confessione o prepararlo a ricevere il viatico, raccomandava ogni cosa alle preghiere di Francesco ed era sicuro del favorevole risultato. Avvenne difatti un caso particolare di un certo, conosciuto da tutti come trascurato nelle cose dell'anima, che nell'ultima sua malattia non voleva riconciliarsi con Dio. Ma con grande ammirazione si arrese ben presto, dopo che il parroco lo aveva raccomandato alle preghiere di Francesco.
Mancando il solito catechista ai fanciulli nei giorni festivi, per quattro anni Francesco ne fece le veci. Tanto impegno e tanta sollecitudine dimostrava nell'insegnarlo, che i medesimi ragazzi lo desideravano, professandogli grande rispetto. Per questo già da tre anni era dal parroco trascelto a fare il catechismo in numerosa classe nella quaresima. Soddisfatta la sua classe, ben lungi dall'andarsi a sollazzare coi compagni, egli invitavali ad andar seco ad ascoltare la spiegazione che del catechismo facevasi alla classe dei più adulti. In questa istruzione e in tutte le prediche egli pendeva propriamente dal labbro del sacerdote. Non di rado avvenne che terminata la predica prendeva il parroco in disparte, richiedendolo in qual modo potesse corrispondere alle prediche udite.
Giunto a casa aveva per costume di raccontare ai genitori e a tutta la famiglia quanto aveva udito in chiesa. Tutti erano grandemente maravigliati nel mirare un giovanetto di si fresca età a ricordarsi di tante cose.
In questa come in tutte le altre sue pratiche religiose seguiva un altro suo compagno e cugino dell'Argentera morto nel 1861 di nome Valorso Stefano. Costui era tanto amante delle pratiche di divozione, che la sua perdita fu sentita in tutto il paese. Radunai allora, dice il parroco, vani giovanetti e li interpellai,
se vi era alcuno, che si sentisse di sottentrare nella diligenza e nella pratica dei religiosi esercizi di chiesa al compianto pio giovanetto. Guardaronsi un istante gli uni gli altri e tosto gli sguardi di tutti si voltarono verso di Francesco. Con volto rosso per verecondia, ma con animo risoluto egli si avanza verso di me dicendo: «Eccomi pronto a sottentrare al mio cugino nelle pratiche religiose che mi verranno da lei indicate. Per quanto potrò prometto e voglio non solo emulare la diligenza per gli uffizi di chiesa praticati dal defunto mio cugino; ma se Iddio me ne darà la grazia, procurerò di sorpassarlo. Io porto le sue vestimenta, che mi furono regalate, e spero di vestirmi eziandio di tutte le virtù di lui».
Francesco cominciò la sua pia carriera coll'invitare i suoi compagni a fare una novena di preghiere all'altare di Maria santissima per l'anima del predetto Valorso, assistendo in ciascun giorno alla santa messa. Chi mai avrebbe detto, che una seconda novena si sarebbe presto fatta a questo stesso altare in suffragio dell'anima di lui, che fu primo a darne l'esempio? Feci menzione di questo fatto per far conoscere la molta arrendevolezza del nostro Francesco per tutto ciò che potesse tornare ad onor di Dio, ed a vantaggio dell'anima dei trapassati.
Nell'anno 1857 si fece ascrivere alla Pia opera della santa infanzia" . Godeva egli molto di essersi fatto ascrivere, ma una spina gli feriva il cuore, cioè la mancanza del soldo che ciascuno deve mensilmente pagare". Se ne accorse il parroco, che tosto lo liberò da ogni angustia col somministrargli quanto occorreva per quel bisogno, e ciò faceva volentieri per così premiarlo della lodevole sua condotta. Amava leggerne gli annali; e godeva assai nel mirare la pia sollecitudine e le industrie di tanti ragazzi nel coadiuvare tale opera. Non di rado Francesco piangeva per dolore di non poter recare ai poveri bambini infedeli quel soccorso che avrebbe desiderato.
37 Opera della santa Infanzia: fondata nel 1843 da mons. Charles de Forbin-Janson (1785-1844), vescovo di Nancy e Toul, per coinvolgere anche i bambini nella sensibilità missionaria («I bambini aiutano i bambini»), ebbe vasta diffusione nelle parrocchie e nelle istituzioni religiose del Piemonte, cf. A. BRESSOULES, Forbin-Janson (Charles de), in Dictionnaire d'histoire et de géographie écclesiastique, Paris, Letouzey et Ané, 1971, vol. 17, 1001-1004,
38 Soldo: così era chiamata in Piemonte la moneta di 5 centesimi. In quei tempi la paga giornaliera di un manovale era di 30 soldi (1,50 lire).
Ora per compensare la scarsità dei suoi mezzi naturali per il bene di quest'opera offeriva a Dio fervorose preghiere, e procurava che altri si ascrivessero ad essa, raccontando specialmente ai compagni gli esempi di tanti bambini stati salvati.
Nell'anno 1858 calpestando ogni umano rispetto aggiunse alle sue divozioni quella di fare tutte le feste la Via Crucis dopo la messa parrocchiale. Tale uso ritenne finché partì per l'Oratorio. Ma l'ammirabile divozione con cui compieva questa pratica religiosa lo rendette non rare volte oggetto di disprezzo ad alcuni compagni. Trovarono essi un amaro rimprovero alla loro poco cristiana condotta nella divozione di Francesco, perciò tacciandolo d'impostore, di bacchettone, lo esposero ad una specie di persecuzione, a fine di raffreddarlo nell'esercizio delle sue belle pratiche di pietà. Ma animato dai genitori, e confortato dal confessore non badò più ad alcuno e disprezzando le dicerie, le derisioni dei maligni fuggiva per fino il loro incontro, e proseguì sempre intrepido a praticare la Via Crucis con grande edificazione e vantaggio dei numerosi fedeli, che vi assistevano. Da quel tempo soleva dir sovente alle sorelle, che egli non badava più ad alcuna diceria del mondo e che anch'esse non si lasciassero mai intimidire nel fare il bene. Rispondendogli esse che alcuni gli davano il titolo di fratino, bigotto, ecc., «E sapete, diceva, perché sono così deriso dal mondo? Perché io mi sono deciso a non più appartenere al mondo. Noi siamo al mondo per piacere e servire unicamente a Dio e non per servire e piacere al mondo. Procuriamo adunque di guadagnarci solo il paradiso. Questo è appunto il fine, per cui Iddio ci lascia nel mondo».
Con questi santi pensieri in mente e sulle labbra, quando udiva alcuno a disapprovare il bene che faceva, per tutta risposta volgendogli le spalle ritiravasi nella casa paterna; mettendo in questo modo in pratica ciò che diceva ogni mattina nel levarsi: Lascia il mondo che t'inganna. Per questo il mondo maligno non lo amava, perché Francesco era distaccato dal mondo.
Nei famigliari discorsi, in cui il suo parroco compiacevasi di trattenersi con esso, usciva spesse volte ad interpellarlo, se avrebbe ancora ritardato molto quel giorno da lui cotanto desiderato, nel quale potesse anch'egli accostarsi alla santa comunione. Forse presto, rispondeva il parroco, se studierai bene il catechismo, e se mi darai sempre buone prove del profitto che fai nella virtù. Tardarono pochi mesi che il giovinetto casto qual altro Giuseppe" in premio della sua virtù meritò di essere ammesso alle nozze dell'Agnello immacolato", senza badare tanto alla tenera età di anni otto e mesi sei.
Trovandosi alla custodia delle pecore con altri due ragazzi poco di lui più giovani in una campagna vicina al paese nella primavera del 1858, questi fecero alcuni atti immodesti alla presenza del nostro Francesco.
39 Cf. Gen 39,7-20.
40 Cf. Ap 19,9.
Offeso da quell'indegno procedere li rimproverò acremente dicendo: «Se non volete farvi del bene col buon esempio, almeno non datevi scandalo. Fareste voi tali cose alla presenza del nostro arciprete, o dei nostri genitori? Se non osate farle in presenza degli uomini come si oserà poi alla presenza di Dio?». Ma quando vide che tornavano inutili i suoi detti tutto sdegnato si allontanò dalla perversa compagnia. Ma che? uno di quei scellerati vedendolo a fuggire gli corse dietro per indurlo al male. Il povero Francesco scorgendosi inseguito si fermò ed affrontò il seduttore con calci, pugni e schiaffi. Neppure con questi mezzi potendo liberarsi dal pericolo, si servì di un mezzo piuttosto da ammirare, che da imitare. Giunto presso ad un mucchio di pietre si pose a gridare: «O che ti allontani o che ti rompo il capo». Ciò detto, come furioso si pose con tutte le sue forze a gettar sassi contro al nemico dell'anima sua. Il compagno dopo aver riportate non leggere contusioni nella faccia, nelle spalle e sopra la testa se ne fuggì. Allora Francesco spaventato dal pericolo, ma contento della vittoria riportata, si recò frettolosamente a casa per mettersi in sicuro e per ringraziare Iddio che dal pericolo l'aveva liberato.
Chi racconta questo fatto, dice il parroco, l'osservò dal principio al fine da un luogo lungi appena 50 metri, ed appunto fu osservato per vedere fino a qual punto sarebbe giunta la virtù di Francesco.
Il giorno dopo avendolo il parroco interrogato sul caso sopra narrato rispose tutto commosso: «La grazia di Dio mi ha liberato da quella cattiva occasione, né mai più andrò con simili compagni». Come per premio del coraggio dimostrato in quel pericoloso incontro il parroco lo assicurò che lo avrebbe ammesso quanto prima a fare la santa comunione. Molto contento di quella promessa, cominciò fin da quel giorno a prepararsi e colla fuga di ogni più piccolo difetto, che egli avesse conosciuto, e colla pratica di quelle virtù che erano compatibili col suo stato. Nella sua semplicità richiedeva sovente il parroco ed i suoi parenti, che lo aiutassero a tanta azione, e diceva: «Quando io mi accosterò alla santa comunione, mi figurerò di ricevere Gesù sacramentato dalle mani di Maria santissima alla quale ora sento maggior propensione a raccomandarmi».
Con grande premura raccomandossi alla vigilanza di un suo compagno molto dato alla divozione, affinché vegliasse su di lui attentamente, perché non commettesse alcuna irriverenza. La sua preparazione non poteva al certo essere maggiore, poiché dalle deposizioni dei parenti, del Maestro, e dello stesso parroco consta, che il nostro Francesco in tutto il tempo, che visse in famiglia, non mai commise alcuna cosa che si possa giudicare colpa veniale deliberata. La bella stola dell'innocenza fu la prima e la più essenziale preparazione, che egli portò nella sua prima comunione.
Appena comunicato pareva estatico: cangiò di colore in faccia, il suo volto dimostrava la pienezza della gioia del suo cuore, e gli atti di amore verso Gesù in sacramento fatti in tale occasione saranno stati proporzionati alla diligenza usata nel prepararsi a riceverlo.
Da quel tempo accostavasi ogni mese al sacramento della Penitenza: alla comunione poi si accostava quando dal confessore gli era permesso. Negli ultimi anni egli stesso fecesi guida ai più giovani per aiutarli a prepararvisi, ed a fare il ringraziamento. Dopo la comunione col massimo raccoglimento ascoltava la santa messa, non essendo neppur sollecito quella mattina di servirla per esser più raccolto. Durante la messa tutto assorto nel contemplare, come egli diceva, l'infinita degnazione di Gesù, non leggeva nemmeno il solito libro di divozione, ma impiegava quel prezioso tempo, nascosto il capo tra le mani, in continui atti d'amore in Dio. Prima di uscire di chiesa andava cogli altri compagni all'altare di Maria santissima a ringraziarla dell'assistenza, che loro aveva usato, e recitando con voce chiara e commossa il Ricordatevi, ed altre non poche orazioni. Egli è a questo fuoco, che il nostro Francesco tanto s'infiammò d'amor di Dio che nulla più desiderava in questo mondo se non far la santa divina volontà. «Io resto fuor di me, diceva, al considerare come al giorno della comunione mi senta così vivo desiderio di pregare. Panni di parlare personalmente col mio stesso Gesù». E ben poteva dirgli: Loquere, Domine, quia audit servus tuus41.
Il suo cuore era vuoto delle cose del mondo, e Iddio lo riempiva delle sue grazie. Il giorno della comunione era da lui passato unicamente in casa ed in chiesa, ove invitava anche altri amici a recarvisi la sera per terminar bene quella solenne giornata.
Negli ultimi anni veniva animato ad accostarsi alla santa comunione ogni domenica, ed occorrendo qualche solennità eziandio nel decorso della settimana, ma non ardiva accostarvisi senza prima essersi confessato. Era così grande l'umiltà sua, che non credevasi mai abbastanza purificato: per altro al cenno del confessore deponeva ogni perplessità, ed in tutto gli professava cieca ubbidienza e pari docilità.
41 Sam 3,9.
Queste sue rare virtù erano difese, per così dire, da un continuo spirito di mortificazione. Fin da giovinetto soleva digiunare severamente una buona parte della Quaresima. Ai famigliari, che gli mostravano indiscreti quei digiuni per la sua tenera età, soleva rispondere: «In paradiso non si va senza mortificazione; perciò e vecchi e giovani, se vogliono andare in paradiso, bisogna che ci vadano per la via della mortificazione. Questa mortificazione è poi necessaria ai giovanetti, sia per dare soddisfazione a Dio pei tanti disgusti che gli cagionano coi frequenti loro difetti, e sia per addestrarsi a quella vita mortificata, necessaria a tutti per salvarsi. Voi spesso mi dite che io sono molto difettoso: per questo voglio anche digiunare». Queste e simili sapienti osservazioni faceva Francesco, come ne fanno ampia testimonianza i suoi genitori, fratelli e sorelle.
Guidato dal medesimo spirito di mortificazione sapeva custodire i suoi occhi dagli sguardi pericolosi, e le orecchie dai discorsi sconvenienti ad ogni cristiano, la lingua dalle parole inconsiderate. Se alcuna volta per inavvertenza sfuggivangli parole meno esatte, da se medesimo imponevasi qualche penitenza, condannando la sua lingua a segnare sul pavimento molte croci42. Non rare volte ne furono testimoni oculari i suoi parenti, che lo sorprendevano in quel volontario esercizio di mortificazione. Essi un giorno gli dimandarono, se quella era penitenza impostagli dal confessore. «No, ingenuamente rispondeva, ma vedendo la mia lingua troppo veloce ad espressioni sconvenevoli, voglio strascinarla volontariamente nel fango, perché la medesima non istrascini me nel fuoco eterno. Faccio anche questa penitenza, affinché Dio mi conceda la grazia di andare in quel luogo, in cui ha detto mio padrino di mandarmi, perché possa studiare».
42 Residuato di esercizi penitenziali antichi. Sant'Alfonso suggeriva lo «strascino della lingua» sul pavimento della chiesa al termine delle missioni popolari, come rito collettivo di penitenza riservato ai soli uomini: «Riesce molto utile per coloro che sono mal abituati nelle bestemmie e nelle parole disoneste». I predicatori ne davano l'esempio, accompagnando il gesto con esortazioni: «Alza gli occhi fratello mio, vedi l'immagine di questo uomo appeso su questa croce, dopo essere stato flagellato, coronato di spine e tutto impiagato da capo a piedi [...]. Or via, questa sera l'avete da addolcire [...], prima col piangere i disgusti che avete dati a questo buon Dio morto per voi; e poi con castigare e strascinare un poco per terra quella lingua che ha posto tanto fiele alla bocca di Gesù Cristo» (ALFONSO MARIA DE' LIGUORI, Selva di materie predicabili ed istruttive, in Opere di S. Alfonso Maria de Liguori, vol, III: Opere ascetiche, Torino, Giacinto Marietti 1880, p. 197). Il rito nell'Ottocento era caduto in disuso, anzi sconsigliato dai moralisti; ma c'erano ancora maestri di scuola che imponevano ai ragazzi di fare una croce colla lingua sul pavimento in penitenza di turpiloqui, bestemmie o risposte impertinenti.
Quasi che tutte queste sante industrie, non fossero sufficienti a salvarlo dalla terribile corruzione, che si osserva nelle conversazioni, il pio giovanetto negli ultimi anni di sua vita in famiglia rarissimamente accomunavasi ai compagni, cercando solo di trattenersi con quelli dai quali sapeva certo non correre alcun pericolo per l'anima sua.
Cresceva in lui ognora più il vivo desiderio di venire all'Oratorio di S. Francesco di Sales (43), ma una difficoltà gli si opponeva. Per essere accolti come studenti in questa Casa fa d'uopo, che i giovanetti abbiano fatto almeno quel corso di scuole elementari, che è necessario per entrare nella prima classe ginnasiale44. Ma le scuole del villaggio si estendevano solamente alla prima e a qualche materia della seconda elementare. Come superare adunque questa difficoltà? La superarono la buona condotta di Besucco e la carità del suo parroco. Questi non esitò di aggiugnere alle parrocchiali occupazioni anche il peso della scuola quotidiana e per Besucco e per altri giovanetti di buona speranza. Il buon Francesco esultò a quell'invito dell'amato padrino e col consenso dei genitori cominciò a frequentare quella scuola con nuovo vigore, e con nuova diligenza, onde corrispondere al favore che gli era fatto. Con quanto profitto abbia fatto il comprovò l'essere stato dipoi accettato in prima classe ginnasiale". Quante volte colle lacrime agli occhi prorompeva in queste espressioni di ringraziamento al suo parroco: «Come mai potrò io corrispondere a tanta carità che mi è usata!». Frasi perciò fatta una legge di recarsi ogni giorno impreteribilmente prima della scuola innanzi all'altare di Maria santissima, e là prostrato colla confidenza d'un figlio raccomandava alla Sede della sapienza se stesso e chi lo istruiva.
43 «La parola Oratorio si prende in vari sensi. Se si considera come adunanza festiva s'intende un luogo destinato a ricreare con piacevoli trastulli i giovanetti, dopo che essi hanno soddisfatto ai loro doveri di religione. Di questo genere sono in Torino l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco; di S. Giuseppe a S. Salvafio; di S. Luigi presso al viale dei platani; del S. Angelo Custode in Vanchiglia; di S. Martino presso ai molini municipali. Diconsi anche oratorii feriali le scuole diurne e serali che nei locali mentovati si fanno lungo la settimana per quei giovanetti che, per mancanza di mezzi, o perché male in arnese, non possono frequentare le scuole della città. Presa poi la parola Oratorio in senso più esteso s'intende la casa di Valdocco in Torino nota sotto al nome di S. Francesco di Sales. I giovanetti possono essere ricevuti in questa casa o come artigiani o come studenti. Gli artigiani devono aver compiuto gli anni 12 e non oltrepassare i diciotto; essere orfani di padre e di madre; totalmente poveri ed abbandonati. Gli studenti poi non possono essere accolti se non hanno compiuto lodevolmente almeno la 3" elementare e siano in modo eccezionale commendevoli per ingegno e per moralità. L'istruzione morale e scientifica, l'ammissione alle scuole ed ai trastulli, l'accettazione degli artigiani è gratuita. Si accettano anche gratuitamente gli studenti per il corso ginnasiale, purché, come si disse, siano in modo eccezionale commendevoli per moralità e per attitudine allo studio, e facciano constare che non possono pagar né tutta né in parte la regolare pensione che sarebbe di fr. 24 mensili» (nota ins. ed. 1864).
44 ginnasiale: torr. ed. 1864 «di latinità».
45 ginnasiale: corr. ed. 1864 «latina».
«Quali colloquii facesse allora il nostro Francesco, dice il suo parroco, non lo so; il certo si è, che molte volte uscendo di chiesa si osservò cogli occhi bagnati di lacrime, effetto indubitato della commozione provata. Interrogato a spiegare il motivo di quella sensazione, rispondeva: "Vengo adesso da pregare Maria santissima per Lei, caro padrino, affinché le ottenga da Dio quella ricompensa, che io sono incapace di darle".
In tutto il tempo, in cui frequentò la mia scuola, asserisce il medesimo, neppure una volta mi diede motivo di rimproverarlo della sua negligenza, perché faceva ogni suo possibile per corrispondere alle cure di chi lo instruiva».
In questo tempo il parroco mi scrisse raccomandando un suo parrocchiano di condotta esemplare, povero di beni di fortuna, ma molto ricco di virtù. «Questo giovanetto, diceva egli, da più anni è la mia delizia ed il mio aiuto per le cose parrocchiali». Servire la messa, prendere parte alle funzioni di chiesa, fare il catechismo ai più piccoli, pregare con gran fervore, con esemplarità frequentare i santi sacramenti sono in breve ciò che fa costantemente. Io me ne privo volentieri, perché spero di farne un ministro del Signore.
Nel desiderio di cooperare all'educazione di così caro giovinetto l'accettai di buon grado in questa casa. Egli mi era eziandio stato raccomandato dal signor Eyzautier luogo-tenente delle guardie reali", e me lo aveva raccomandato come un modello per istudio e per condotta morale. «A questa notizia non poté più rispondermi l'innocente giovanetto, dice il parroco, fuorché colle lagrime, che esprimevano tutta la sua gioia e la sua riconoscenza». Ma qui sorse ancora una grave difficoltà ad eseguire il concepito disegno, voglio dire la povertà dei genitori, i quali lottavano tra la buona disposizione del loro figlio, e la loro insufficienza dei mezzi umani. In questo doloroso stato d'incertezza il parroco lo animò a fare frequenti visite a Gesù sacramentato, ed a Maria santissima chiedendo istantemente qual fosse la loro volontà a suo riguardo.
46 Giovanni Stefano Eyzautier, originario di Bersezio, frazione del comune di Argentera, amico di don Pepino, medaglia d'argento al valor militare, era luogotenente (guardia di P classe) della Compagnia delle Guardie del Corpo di Sua Maestà (cf. Annuario ufficiale dell'Esercito italiano 1864, pubblicato per cura del Ministero della Guerra, Torino, Fodratti e Vercellino, 1863, 24-25).
«Ma raccomandati, gli disse, che ti manifestino la tua vocazione in modo chiaro per non fallire in affare di tanta importanza». Dio esaudì le sue innocenti preghiere. Una mattina, dopo essersi accostato alla santa comunione, venendo dopo messa alla solita scuola parve più contento dell'usato. «Ebbene, dissegli il parroco, che buone nuove mi porti questa mattina, o Francesco? Hai tu avuto qualche risposta alle tue dimande?». «Sì, che l'ho avuta questa volta, ed ecco in qual modo. Dopo la comunione ho fatto le più vive promesse di voler servire Iddio per sempre, e con tutto il mio cuore, che gli offersi più volte. Pregai anco Maria santissima affinché mi aiutasse in questo bisogno. Quindi mi parve proprio di udire queste parole, le quali mi fecero provare una contentezza immensa: Fa' cuore, Francesco, che il tuo desiderio sarà soddisfatto». Era sì grande la sua persuasione d'aver udito questa risposta, che la confermò molte volte anche in presenza di tutta la famiglia, e senza alcuna variazione. D'allora in poi soleva dire: «Io sono certo di andare ove ella, caro padrino, intende inviarmi, perché questa è volontà di Dio». Che se qualche volta ancora i parenti mettevano in dubbio il loro consenso: «Deh! esclamava, per carità non interrompete il mio destino, altrimenti io sarò un giovane disgraziato». Quindi raccomandavasi ora alla madre, al fratello, alle sorelle, ora al parroco, e ad altre persone, affinché procurassero colle loro osservazioni d'ottenere il consenso del padre, il quale per altro desiderava internamente di appagare le giuste brame del figlio. Si vedeva in questo suo procedere ben chiara la volontà del Signore, che chiamava Francesco nella sua vigna".
Sul finire del mese di maggio 1863 per manifesta disposizione della divina Provvidenza, essendo scomparse tutte le insorte difficoltà, fu stabilito dai genitori di inviare Francesco all'Oratorio. Egli da quel momento manifestando ai genitori la sua contentezza diceva: «Io sono il figlio della fortuna: oh quanto sono mai felice: siate certi, che vi voglio consolare colla mia condotta». «Raddoppiando il fervore nella pietà e nello studio, scrive il parroco, fece tanto profitto nel mese di giugno e luglio, quanto fatto ne avrebbe appena in un anno». Di che accorgendosi egli medesimo, diceva: «Ella mi dice, signor arciprete, che è contento di me, anche io ora non so spiegare, come in sì breve tempo possa imparare la mia lezione, e questo è segno evidente, che in ciò io faccio la volontà di Dio». «Ma qual ricompensa, soggiungeva l'arciprete, mi darai poi tu per quanto faccio per te? Sappi che io voglio essere pagato abbondantemente». «Sì, certamente, prometto di pregare sovente Iddio e Maria santissima affinché le ottengano tutte quelle grazie che desidera; stia pur certo che non mai mi dimenticherò di Lei, né di quelli che fra poco mi saranno altrettanti padri». La riconoscenza era una delle prerogative di questo grazioso fanciullo.
47 giovane: con. ed. 1864 «figlio».
48 Cf. Mt 20,1-16.
Eravamo all'ultimo giorno di luglio, vigilia della partenza del nostro caro Francesco per l'Oratorio. La mattina accostossi per l'ultima volta in Argentera ai santi sacramenti. «Colle lagrime agli occhi il vidi per l'ultima volta, dice il parroco, a rimirare il confessionale e gli altari, chi sa con quale presentimento. Insolita gioia in quel volto sfavillò dopo la comunione. Il fervore ed il lungo tempo impiegato nel ringraziamento compensarono al certo abbondantemente le molte comunioni che ancor credevasi fare in questa chiesa. Tutto quel giorno fu festivo per il nostro Francesco, né io son capace per la presente commozione a descrivere la scena tenerissima succeduta nella mia camera. Qui alla presenza di suo padre, il mio caro figlioccio in ginocchione struggevasi in atti di ringraziamento pei benefizii da lui amplificati, assicurandomi dell'eterna sua gratitudine ed arrendevolezza a tutti gli avvisi dati».
In casa poi non pareva più di questo mondo, ogni momento andava esclamando: "Sono fortunato, son felice. Oh! quanto debbo mai ringraziare Iddio d'avermi tanto favorito". Diede anche l'addio a tutti i suoi parenti, i quali rimasero stupefatti al vedere il loro nipotino e cugino provare nel suo cuore tanta contentezza. "Ma tu, gli dicevano, sarai poi annoiato e malinconico per essere lontano dai tuoi parenti, e chi sa, forse patirai il clima troppo caldo di Torino nell'estate". "No, non abbiate paura di me; quanto ai genitori, fratelli e sorelle purché sappiano buone nuove di me saranno contenti, ed io farò in modo colle mie lettere di consolarli. Io non temo di patire, e d'esser malinconico, perché son certo di trovare in quel luogo tutto ciò che potrà rendermi contento, Immaginatevi quanto grande dovrà essere la mia gioia quando sarò sicuro di rimanere nell'Oratorio, se il solo desiderio e la speranza di andarvi mi rende già fuor di me stesso per la consolazione. Solamente vi raccomando di pregare per me, affinché possa sempre fare la volontà di Dio".
Incontrandomi per via in quel giorno tutto intenerito mi disse: "Mi rincresce tanto di abbandonarla, ma la consolerò con darle buone notizie di me". Per la contentezza non poté più chiuder occhio in quella notte, che passò in continua orazione ed unione con Dio».
La mattina di buon'ora diede l'ultimo addio alla cara sua madre, ai fratelli ed alle sorelle piangenti mentre egli solo con aria serena e tranquilla, sebben commosso, incoraggiava tutti alla perfetta rassegnazione alla volontà di Dio. Solamente allora diede in dirottissimo pianto, quando raccomandossi alle loro orazioni per esser costante nel corrispondere alla voce di Dio, che lo chiamava a sé. Il suo padrino lo salutò con queste ultime parole: «Oh! sì, vanne amabilissimo Francesco, che quel Dio, il quale in una maniera maravigliosa ti toglie ora ai nostri terreni sguardi, il fa per chiamarti in quell'Oratorio medesimo, in cui potrai santificare l'anima tua, emulando le virtù, che già condussero al bel paradiso i fortunati giovani Savio Domenico e Michele Magone, alla cui vita e morte preziosa attingesti negli ultimi mesi di tua dimora fra noi quell'ardente desiderio, che ti condusse nel provvidenziale Oratorio di S. Francesco di Sales» 49
Con un piccolo corredo il padre accompagnò Francesco alla volta di Torino e partivano il primo agosto 1863. A misura che si allontanavano da Argentera il buon genitore andava interpellando il figlio, se non gli rincresceva di abbandonare la patria, la famiglia, e principalmente la madre. Francesco gli rispose sempre con dire: «Io sono persuaso di fare la volontà di Dio andando a Torino, e quanto più mi allontano da casa, tanto più cresce la mia contentezza». Cessate quelle momentanee risposte seguitava a pregare, e assicurò il padre, che il viaggio da Argentera a Torino fu per Francesco quasi una continua preghiera.
Il due agosto giunsero a Cuneo circa le ore 4 del mattino". Passando avanti al palazzo vescovile Francesco dimandò: «Di chi è questa bella casa?». «È del vescovo, gli rispose»". Francesco allora fe' segno al padre di volersi fermare un momento. Fermatosi il figliuolo, il padre si avanzò alcuni passi. Rivoltosi poi indietro lo vide ginocchioni presso alla porta del vescovo. «Che fai tu ora?», gli disse. «Prego Iddio per Monsignore, affinché eziandio mi aiuti a farmi accettare nell'Oratorio di Torino e che a suo tempo si degni poi di annoverarmi fra i suoi chierici, e così esser utile per me e per gli altri».
Giunto a Torino il padre gli faceva notare le meraviglie di questa capitale". Il padre stesso dopo aver osservate le vie simmetriche, le piazze riquadrate e spaziose, i portici alti e maestosi, le gallerie magnificamente adornate di oggetti vari, preziosi e stranieri, dopo di aver ammirata l'altezza e la eleganza degli edifizi credeva di trovarsi nell'altro mondo.
49 Il parroco gli consegnò un attestato di buona condotta per i superiori dell'Oratorio, accompagnato da una lettera a don Bosco: «Affido alla caritatevole direzione di V. S. molto Rev.da il mio raccomandato parrocchiano Besucco Francesco, accettato in codesto provvidenziale Istituto con lettera 29 maggio scorso sottoscritta Sac. Rua Michele, e spero che il medesimo giovane ben lungi dal retrocedere dall'intrapreso retto sentiero, raddoppierà anzi la sua diligenza per la pietà e per lo studio. Questa mia speranza è fondata nella condotta finora veramente lodevole del predetto giovane, del quale mi giova credere sarò per ricevere consolanti notizie da chi consacrossi interamente alla gloria di Dio ed al ben essere delle giovani menti» (ASC A1010906: lett. F. Pepino - G. Bosco, 1 ago. 1863).
50 Il 2 agosto 1863 era domenica.
51 Bella casa: palazzo Bruno di Tomaforte, costruito tra 1749 e 1751; in periodo napoleonico era stato sede della Préfecture du Département de la Stura (1808-1814); con la costituzione della diocesi di Cuneo (1817) divenne sede vescovile. Vescovo di Cuneo dal 1844 era il carmelitano mons. Clemente Manzini (1803-1865).
52 Viaggiarono con la ferrovia Cuneo-Torino (in funzione dal 5 ago. 1855); partirono dalla stazione di Cuneo, che si trovava ancora alle Basse di San Sebastiano, e giunsero alla stazione di Torino Porta Nuova (cf. L. BALLATORE, Storia delle ferrovie in Piemonte, Torino, Il Punto-Piemonte in Bancarella 2002, 41).
«Che ne dici, Francesco, dicevagli pieno di meraviglia, non ti sembra proprio di essere in paradiso?». Al che Francesco sorridendo rispose: «Tutte queste cose a me poco importano, ché di nulla sarà contento il mio cuore, finché non sarò ricevuto in quel benedetto Oratorio, al quale fui inviato».
Finalmente entrò nel luogo tanto desiderato e pieno di gioia esclamò: «Questa volta ci sono». Quindi fece una breve preghiera per ringraziare Iddio e la beata Vergine del buon viaggio, che avea fatto, e dei desideri appagati.
Suo padre nel licenziarsi da lui era commosso fino alle lacrime, ma Francesco lo confortò dicendo: «Non datevi alcuna pena per me; il Signore non mancherà di aiutarci: io pregherò ogni giorno per tutta la nostra famiglia». Vie più commosso il padre gli disse ancora: «Ti occorre qualche cosa?». «Sì, caro padre, ringraziate mio padrino della cura che si prese di me: assicuratelo, che non dimenticherò giammai i suoi benefizi, e coll'assiduità nello studio, e colla buona mia condotta mi dimostrerò tale da renderlo soddisfatto. Dite a quei di casa che io son pienamente felice, e che ho trovato il mio paradiso».
Tutto quello che ho fin qui esposto intorno al giovanetto Besucco forma per così dire la prima parte della sua vita; e in ciò mi sono tenuto alle notizie inviatemi da chi lo conobbe, lo trattò e visse con lui in patria. Quanto sarò per dire riguardo al nuovo genere di vita nell'Oratorio formerà la seconda parte. Ma qui racconterò tutte cose udite, vedute coi propri occhi, oppure riferite da centinaia di giovanetti che gli furono compagni per tutto il tempo che visse ancor mortale tra noi. Mi sono poi in modo particolare servito di una lunga e minuta relazione fatta dal sac. Ruffino professore e direttore delle scuole di questa casa", che ebbe tempo e occasione di conoscere e di raccogliere i continui tratti di virtù dal nostro Besucco praticati.
53 Cf. ASC A1010915: Relazione intorno a Besucco Francesco, ms. Ruffino, s.d. Domenico Ruffino, nato a Giaveno (17 set. 1840) da Michele e Giorgia Usseglio-Garin, fece la vestizione chiericale il 27 ott. 1857; ordinato sacerdote il 30 mag. 1863, in autunno venne fatto direttore spirituale dell'Oratorio al posto di don Michele Rua (trasferito a Mirabello Monferrato, primo collegio salesiano fuori Torino); nell'ottobre 1864 inviato direttore nel nuovo collegio di Lanzo Torinese, morirà poco dopo, il 16 lug. 1865 (cf. AAT, 12.12.3: Registrum clericorum 1808-1847, rubr. R. 1856; AAT 12.3.14: Registrum ordinationum 1848-1871; E. CERTA, Profili dei capitolari salesiani morti dall'anno 1865 al 1950, con sintesi storica della Società Salesiana e cenni storici delle Regole, Colle D. Bosco (Asti), Libreria Dottrina Cristiana, 1951, 69-73).
Da lungo tempo adunque Francesco ardentemente desiderava di trovarsi in quest'Oratorio, ma quando ci fu di fatto ne rimase sbalordito. Oltre settecento giovanetti gli divenivano in un momento amici e compagni nella ricreazione, a mensa, in dormitorio, in chiesa, nella scuola e nello studio. A lui sembrava impossibile che tanti giovanetti potessero vivere insieme in una sola casa senza mettere ogni cosa in disordine. Tutti voleva interrogare, d'ogni cosa voleva chiedere la ragione, la spiegazione. Ogni avviso dato dai superiori, ogni iscrizione sopra le mura erano per lui soggetto di letture, di meditazione e di profondo riflesso.
Egli aveva già passato alcuni giorni nell'Oratorio", ed io non l'aveva ancor veduto, né altro sapeva di lui se non quel tanto, che l'arciprete Pepino per lettera mi aveva comunicato. Un giorno io faceva ricreazione in mezzo ai giovani di questa casa, quando vidi uno vestito quasi a foggia di montanaro, di mediocre corporatura, di aspetto rozzo, col volto lentigginoso". Egli stava cogli occhi spalancati rimirando i suoi compagni a trastullarsi. Come il suo sguardo s'incontrò col mio fece un rispettoso sorriso portandosi verso di me.
— Chi sei tu? gli dissi sorridendo.
— Io sono Besucco Francesco dell'Argentera.
— Quanti anni hai?
— Ho presto quattordici anni.
— Sei venuto tra noi per istudiare, o per imparare un mestiere? — Io desidero tanto tanto di studiare.
— Che scuola hai già fatto?
— Ho fatto le scuole elementari del mio paese.
— Con quale intenzione tu vorresti continuare gli studi e non intraprendere un mestiere?
—Ah! il mio vivo, il mio gran desiderio si è poter abbracciare lo stato ecclesiastico.
— Chi ti ha mai dato questo consiglio? — Ho sempre avuto questo nel cuore ed ho sempre pregato il Signore, che mi aiutasse per appagare questa mia volontà. — Hai già dimandato consiglio a qualcheduno?
— Sì, ne ho già parlato più volte con mio padrino; sì, con mio padrino... Ciò detto apparve tutto commosso, che cominciavano spuntargli sugli occhi le lagrime.
— Chi è tuo padrino?
54 Egli ... nell'Oratorio: con•. ed. 1864 «Eravamo ai primi giorni d'agosto 1863».
55 Don Bosco scrive: letticchioso.
— Mio padrino è il mio prevosto l'arciprete dell'Argentera, che mi vuole tanto bene. Egli mi ha insegnato il catechismo, mi ha fatto scuola, mi ha vestito, mi ha mantenuto. Egli è tanto buono, mi ha fatto tanti benefizi, e dopo d'avermi fatto scuola quasi due anni mi ha raccomandato a lei, affinché mi ricevesse nell'Oratorio. Quanto mai è buono mio padrino! quanto mai egli mi vuol bene!
Ciò detto si pose di nuovo a piangere. Questa sensibilità ai benefizi ricevuti, questo affetto al suo benefattore fecemi concepire una buona idea dell'indole e della bontà di cuore del giovanetto. Allora richiamai eziandio alla memoria le belle raccomandazioni, che di lui eranmi state fatte dal suo parroco e dal luogo-tenente Eyzautier; e dissi tosto tra me: «Questo giovanetto mediante coltura farà eccellente riuscita nella sua morale educazione. Imperciocché è provato dall'esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire; al contrario coloro che dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sollecitudini a loro vantaggio prodigate rimangono insensibili agli avvisi, ai consigli, alla religione, e sono perciò di educazione difficile, di riuscita incerta». Dissi pertanto a Francesco: «Sono molto contento che tu porti grande affetto a tuo padrino, ma non voglio che ti affanni. Amalo nel Signore, prega per lui, e se vuoi fargli cosa veramente grata, procura di tenere tale condotta che io possa mandargli buone notizie, oppure possa essere egli soddisfatto del tuo profitto e della tua condotta venendo a Torino. Intanto vai coi tuoi compagni a fare ricreazione». Asciugandosi le lagrime mi salutò con affettuoso sorriso, quindi andò a prendere parte ai trastulli coi suoi compagni.
Nella sua umiltà Francesco giudicava tutti i suoi compagni più virtuosi di lui, e gli sembrava di essere uno scapestrato in confronto della condotta degli altri. Laonde pochi giorni dopo me lo vidi nuovamente venire incontro con aspetto turbato.
— Che hai, gli dissi, mio caro Besucco?
— Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni, io vorrei farmi molto buono al par di loro, ma non so come fare, ed ho bisogno ch'ella mi aiuti.
— Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili. Se vuoi farti buono pratica tre sole cose e tutto andrà bene. — Quali sono queste tre cose?
— Eccole: Allegria, Studio, Pietà. È questo il grande programma, il quale praticando, tu potrai vivere felice, e fare molto bene all'anima tua.
— Allegria... Allegria... Io sono fin troppo allegro. Se lo stare allegro basta per farmi buono io andrò a trastullarmi da mattina a sera. Farò bene?
— Non da mattino a sera, ma solamente nelle ore in cui è permessa la ricreazione.
Egli prese il suggerimento in senso troppo letterale; e nella persuasione di far veramente cosa grata a Dio trastullandosi, mostravasi ognora impaziente del tempo libero per approfittarne. Ma che? Non essendo pratico di certi esercizi ricreativi ne avveniva, che spesso urtava o cadeva qua o là. Voleva camminar sulle stampelle, ed eccolo rotolar per terra; voleva montar sulle parallele, ed eccolo cader capitombolo. Giocava le bocce? o che le gettava nelle gambe altrui, o che metteva in disordine ogni divertimento. Per la qual cosa potevasi dire che i capitomboli, i rovescioni, gli stramazzoni erano l'ordinaria conclusione dei suoi trastulli. Un giorno mi si avvicinò tutto zoppicante ed impensierito.
— Che hai, Besucco? gli dissi.
— Ho la vita tutta pesta, mi rispose.
— Che ti è accaduto?
— Son poco pratico dei trastulli di questa casa, perciò cado urtando ora col capo ora colle braccia o colle gambe. Ieri correndo ho battuto colla mia faccia in quella di un compagno, e ci siam fatto insanguinare il naso ambidue.
— Poverino! usati qualche riguardo, e sii un po' più moderato. — Ma ella mi dice che questa ricreazione piace al Signore, ed io vorrei abituarmi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i miei compagni.
— Non intenderla così, mio caro; i giuochi ed i trastulli devono impararsi poco alla volta di mano in mano che ne sarai capace, sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione, ma non mai di oppressione al corpo.
Da queste parole egli comprese, come la ricreazione debba esser moderata, e diretta a sollevare lo spirito, altrimenti sia di nocumento alla medesima sanità corporale. Quindi continuò bensì a prendere volentieri parte alla ricreazione, ma con grande riserbatezza; anzi quando il tempo libero era alquanto prolungato soleva interromperlo per intrattenersi con qualche compagno più studioso, per informarsi delle regole e della disciplina della casa, farsi spiegare qualche difficoltà scolastica ed anche per recarsi a compiere qualche esercizio di cristiana pietà. Di più egli imparò un segreto per far del bene a sé ed ai suoi compagni nelle stesse ricreazioni, e ciò col dare buoni consigli, o avvisando con modi cortesi coloro cui si fosse presentata occasione, siccome soleva già fare in sua patria in una sfera tuttavia assai più ristretta. Il nostro Besucco temperando così la sua ricreazione con detti morali, o scientifici, divenne in breve un modello nello studio e nella pietà.
Un giorno il Besucco in mia camera lesse sopra un cartello queste parole: Ogni momento di tempo è un tesoro56.
— Non capisco, mi chiese con ansietà, che cosa vogliano significare queste parole. Come noi possiamo in ogni momento di tempo guadagnare un tesoro?
— È proprio così. In ogni momento di tempo noi possiamo acquistarci qualche cognizione scientifica o religiosa, possiamo praticare qualche virtù, fare un atto di amor di Dio, le quali cose avanti al Signore sono altrettanti tesori, che ci gioveranno per il tempo e per l'eternità.
Non proferì più alcuna parola, ma scrisse sopra un pezzetto di carta quel detto, di poi soggiunse: «Ho capito». Comprese egli quanto fosse prezioso il tempo, e richiamando alla memoria quanto gli aveva raccomandato il suo arciprete, disse: «Mio padrino me lo aveva già detto anch'egli che il tempo è molto prezioso e che noi dobbiamo occuparlo bene cominciando dalla gioventù».
D'allora in poi si occupava con assai maggior applicazione intorno ai suoi doveri.
Io posso dire a gloria di Dio, che in tutto il tempo che passò in questa casa non si ebbe mai motivo di avvisarlo od incoraggiarlo all'adempimento dei suoi doveri.
Vi è l'uso in questa casa che ogni sabato si danno e si leggono i voti della condotta che ciascun giovane tenne nella settimana nello studio e nella scuola. I voti di Besucco furon sempre uguali cioè optime". Dato il segno dello studio egli vi si recava immediatamente senza più fermarsi un istante. Quivi poi era bello il vederlo continuamente raccolto, studiare, scrivere colla avidità di chi fa cosa di suo maggior" gusto. Per qualsiasi motivo non si moveva mai di posto, né comunque fosse lungo il tempo di studio alcuno lo vedeva togliere il guardo dai suoi libri o dai quaderni.
56 Cf. Magone, e. VII, 131,
57 In realtà all'inizio Francesco fece un po' fatica ad abituarsi all'ambiente di Valdocco, così diverso dalle sue montagne. Leggiamo in una lettera del parroco al ragazzo: «Ho scritto ai tuoi superiori per sapere nuove sicure di tua condotta, dello studio e se intendevano ritenerti nell'Oratorio. Sabato scorso, cioè li 26 settembre scorso ne ho ricevuto la risposta, da cui ho conosciuto che la tua condotta fu buona, lo studio solamente mediocre e che in questi due mesi sei stato un poco divagato, [ma] che eri stato accettato in codesto Oratorio, in cui seguiterai li tuoi studii» (ASC A1010907: lett. F. Pepino - F. Besucco, 3 ott. 1863).
58 suo maggior: corr. ed. 1864 «grande suo».
Uno dei suoi grandi timori era che gli avvenisse contro sua volontà di trasgredire le regole; perciò specialmente nei primi giorni chiedeva sovente se si potesse fare questa o quell'altra cosa. Chiese per esempio una volta con santa semplicità se nello studio fosse lecito lo scrivere, temendo che quivi non si dovesse far altro che studiare. Altra volta se in tempo di studio era permesso mettere in ordine i libri. All'esatta occupazione del tempo egli aggiunse la invocazione dell'aiuto del Signore. Alcuna volta lo vedevano i compagni durante lo studio farsi il segno della santa croce, alzare gli occhi verso il cielo e pregare. Richiesta la cagione, rispondeva: «Spesse volte incontro difficoltà nello imparare, perciò mi raccomando al Signore affinché mi dia il suo aiuto».
Aveva letto nella vita di Magone Michele, che prima dei suoi studi sempre diceva: Maria, sedes sapientiae, ora pro me. O Maria, sede della sapienza, pregate per me". Egli volle fare altrettanto. Scrisse queste parole sopra i libri, sopra i quaderni e sopra parecchie liste di carta, di cui valevasi per segnacoli. Scrisse eziandio" biglietti ai suoi compagni, ma o in principio del foglio, o sopra un pezzetto di carta a parte notava sempre il prezioso saluto alla sua celeste madre, siccome egli soleva chiamarla. In un biglietto indirizzato a un compagno leggo quanto segue: «Tu mi hai chiesto come io abbia potuto sostenermi in seconda grammatica, mentre che il mio corso regolare dovrebbe essere appena la prima". Io ti rispondo schiettamente che questa è una special benedizione del Signore, che mi dà sanità e forza. Mi sono per altro servito di tre segreti che ho trovato e praticato con grande mio vantaggio e sono:
1° Di non mai perdere briciolo" di tempo in tutte le cose stabilite per la scuola o per lo studio.
2° Nei giorni di vacanza ed in altri in cui siavi ricreazione prolungata, dopo mezz'ora vado a studiare, oppure mi metto a discorrere di cose di scuola con alcuni compagni più avanzati di me nello studio.
3° Ogni mattina prima d'uscir di chiesa dico un Pater ed un'Ave a san Giuseppe. Questo fu per me il mezzo efficace che mi portò avanti nella scienza e da che ho cominciato a recitare questo Pater, ho sempre avuto maggior facilità sia per imparare le lezioni, sia per superare le difficoltà che spesso incontro nelle materie scolastiche.
59 Cf. Magone, c. VIII, 133-134.
60 eziandio: corr. ed. 1864 «talvolta».
61 Grammatica: qui si usa l'antica dicitura. Dopo la riforma Casati (1859), quelle che un tempo venivano chiamate scuole di latinità o di grammatica vennero dette scuole ginnasiali. Besucco arrivato a Valdocco ai primi di agosto, seguì i corsi preparatori alla fine dei quali fu ammesso alla seconda ginnasiale. Da una lettera al padrino sappiamo che si era scelto un compagno «più forte di me nello studio e virtuoso»; col suo aiuto era riuscito a migliorare e alla fine di ottobre vennero «passati tutti due in seconda con due o tre altri; [così] che di venticinque che eravamo in prima adesso in seconda siamo soltanto cinque» (ASC A1010903: lett. F. Besucco - F. Pepino, 23 nov. 1863).
62 Don Bosco scrive: bricciolo.
Prova anche tu a fare altrettanto, conchiudeva la lettera, e ne sarai certamente contento».
Non deve pertanto recar meraviglia se con tanta diligenza abbia fatto così rapido progresso nella scuola.
Quando venne tra noi si perdeva quasi di speranza di poter reggere nella prima ginnasiale, ma dopo soli due mesi riportava dei voti assai soddisfacenti nella sua classe. Nella scuola pendeva immobile dal labbro del maestro, che non ebbe mai occasione di avvisarlo per disattenzione.
Quello che dissi intorno alla diligenza di Besucco in materia di studio, si deve estendere a tutti gli altri doveri anche più minuti: egli era esemplare in tutto. Era stato incaricato di scopare il dormitorio". In questo uffizio si faceva ammirare per l'esattezza con cui lo disimpegnava senza dimostrare minimamente di sentirne peso.
Allora che per motivo di malattia non poté più levarsi di letto, chiese scusa all'assistente perché non poteva compiere il solito suo dovere, e ringraziò con vivo affetto un compagno che lo supplì in quell'umile servizio.
Besucco venne all'Oratorio con uno scopo prefisso; perciò nella sua condotta aveva sempre di mira il punto cui tendeva, cioè di dedicarsi tutto a Dio nello
stato ecclesiastico. A questo fine cercava di progredire nella scienza e nella virtù. Discorreva un giorno con un compagno intorno ai propri studi ed intorno al fine per cui ciascuno era venuto in questa casa. Besucco espresse il proprio pensiero, poi conchiuse: «Insomma il mio scopo è di farmi prete; coll'aiuto del Signore farò ogni sforzo per poterlo conseguire».
Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e della comunione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita". Il Besucco, come abbiamo detto, fu coltivato ed avviato per tempo alla frequenza di ambidue questi sacramenti. Giunto qui all'Oratorio crebbe di buona volontà e di fervore nel praticarli.
Sul principio della novena della natività di Maria santissima si presentò al suo direttore dicendogli: «Io vorrei passar bene questa novena e fra le altre cose desidero di fare la mia confessione generale».
63 nel dormitorio: corr. ed. 1864 «nella camerata».
64 Cf. Savio, e, XIV, 71-72; Magone, c. V, 124-127.
Il direttore come ebbe inteso i motivi che a ciò lo determinavano rispose di non ravvisare alcun bisogno di far simile confessione, ed aggiunse: «Tu puoi vivere tranquillo, tanto più che l'hai già fatta altre volte dal tuo arciprete». «Sì, ripigliò, io l'ho già fatta all'occasione della mia prima comunione, ed anche quando ci furono gli esercizi spirituali al mio paese, ma siccome io voglio mettere l'anima mia nelle sue mani, così desidero di manifestarle tutta la mia coscienza, affinché meglio mi conosca, e possa con più sicurezza darmi quei consigli che possono meglio giovare a salvarmi l'anima». Il direttore acconsentì: lo lodò della scelta, che voleva fare d'un confessore stabile; lo esortò a voler bene al confessore, pregare per lui, e manifestargli sempre qualunque cosa inquietasse la sua coscienza. Quindi lo aiutò a fare la desiderata confessione generale. Egli compié quell'atto coi più commoventi segni di dolore sul passato e di proponimento per l'avvenire, sebbene, come ognuno può giudicare, consti dalla sua vita non aver mai commessa azione, che si possa appellare peccato mortale. Fatta la scelta del confessore, non lo cangiò più per tutto il tempo che il Signore lo conservò tra noi. Egli aveva con esso piena confidenza, lo consultava anche fuori di confessione, pregava per lui, e godeva grandemente ogni volta che poteva da lui avere qualche buon consiglio per sua regola di vita.
Scrisse una volta una lettera ad un suo amico che gli aveva manifestato il desiderio di venire anch'egli in quest'Oratorio. In essa gli raccomandava di pregare il Signore per questa grazia, e poi gli suggerì alcune pratiche di pietà, come la Via Crucis; ma più di tutto lo esortò a confessarsi ogni otto giorni ed a comunicarsi più volte la settimana.
Mentre lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando coi più vivi affetti del cuore a tutti, ma in ispecial modo alla gioventù di voler fare per tempo la scelta d'un confessore stabile, né mai cangiarlo, se non in caso di necessità. Si eviti il difetto di alcuni, che cangiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose di maggior rilievo vanno da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo. Facendo così costoro non fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato di loro coscienza. A costoro accadrebbe quello che ad un ammalato, il quale in ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male dell'ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi.
Che se per avventura questo libretto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza destinato all'educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore. Primieramente inculcare con zelo la frequente confessione, come sostegno della instabile giovanile età, procurando tutti i mezzi che possono agevolare l'assiduità a questo sacramento. Insistano secondariamente sulla grande utilità della scelta d'un confessore stabile da non cangiarsi senza necessità, ma vi sia copia di confessori, affinché ognuno possa scegliere colui, che sembri più adattato al bene dell'anima propria. Notino sempre per altro, che chi cangia confessore non fa alcun male, e che è meglio cangiarlo mille volte piuttosto che tacere alcun peccato in confessione.
Né manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto naturale, ecclesiastico, divino e civile per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male fosse anche la morte, manifestare ad altri cose udite in confessione o servirsene per sé; che anzi può nemmeno pensare alle cose udite in questo sacramento; che il confessore non fa alcuna maraviglia, né diminuisce l'affezione per cose comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al penitente. Siccome il medico quando scopre tutta la gravezza del male dell'ammalato gode in cuor suo perché può applicarvi l'opportuno rimedio; così fa il confessore che è medico dell'anima nostra, e a nome di Dio coll'assoluzione guarisce tutte le piaghe dell'anima. Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e a dovere spiegate, si otterranno grandi risultati morali fra i giovanetti, e si conoscerà coi fatti qual maraviglioso elemento di moralità abbia la cattolica religione nel sacramento della Penitenza.
Il secondo sostegno della gioventù è la santa comunione. Fortunati quei giovanetti che cominciano per tempo ad accostarsi con frequenza e colle debite disposizioni a questo sacramento. Il Besucco era stato dai suoi parenti e dal suo prevosto animato ed ammaestrato intorno al modo di comunicarsi sovente e con frutto. Mentre era ancora in patria soleva già accostarsi ogni settimana; di poi in tutti i giorni festivi, ed anche qualche volta lungo la settimana. Venuto nell'Oratorio continuò per qualche tempo a comunicarsi colla stessa frequenza, di poi eziandio più volte la settimana, e in alcune novene anche tutti i giorni.
Sebbene l'anima sua candida e la esemplarissima sua condotta lo rendessero degno della frequente comunione, tuttavia a lui sembrava di non esserne degno. Le apprensioni crebbero da che una persona venuta in questa casa disse al Besucco, che era meglio accostarsi più di rado per accostarsi con più lunga preparazione e con maggior fervore.
Un giorno egli si presentò ad un suo superiore, e gli espose tutte le sue inquietudini. Questi studiò di appagarlo dicendo:
— Non dai tu con grande frequenza il pane materiale al corpo? — Sì, certamente.
— Se tanto frequentemente diamo il pane materiale al corpo che soltanto deve vivere qualche tempo in questo mondo, perché non dovremo dare sovente anche ogni giorno il pane spirituale all'anima, che è la santa comunione? (S. Agostino).
— Ma mi sembra di non essere abbastanza buono per comunicarmi tanto sovente.
—Appunto per farti più buono è bene accostarti spesso alla santa comunione. Gesù non invitò i santi a cibarsi del suo corpo, ma i deboli, gli stanchi, cioè quelli che abborriscono il peccato, ma per la loro fragilità sono in gran pericolo di ricadere. Venite a me tutti, egli dice, voi che siete travagliati ed oppressi, ed io vi ristorerò".
— Mi sembra che se si andasse più di rado si farebbe la comunione con maggior divozione.
— Non saprei dirlo; quello che è certo, si è che l'uso insegna a far bene le cose, e chi fa sovente una cosa impara il vero modo di farla: così colui che va con frequenza alla comunione impara il modo di farla bene.
— Ma chi mangia più di rado mangia con maggior appetito.
— Chi mangia molto di rado e passa più giorni senza cibo egli o cade per debolezza, o muore di fame, oppure il primo momento che mangia corre pericolo di fare una rovinosa indigestione.
— Se è così, per l'avvenire procurerò di fare la santa comunione con molta frequenza, perché conosco veramente che è un mezzo potente per farmi buono. — Va' colla frequenza che ti sarà prescritta dal tuo confessore.
— Egli mi dice di andare tutte le volte che niente m'inquieta la coscienza.
— Bene, segui pure questo consiglio. Intanto voglio farti osservare che nostro Signore Gesù Cristo c'invita a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue tutte le volte che ci troviamo in bisogno spirituale, e noi viviamo in continuo bisogno in questo mondo. Egli giunse fino a dire: Se non mangerete il mio corpo e non beverete il mio sangue non avrete con voi la vita". Per questo motivo al tempo degli apostoli i cristiani erano perseveranti nella preghiera e nel cibarsi del pane eucaristico". Nei primi secoli tutti quelli che andavano ad ascoltare la santa messa facevano la santa comunione. E chi ascoltava la messa ogni giorno, eziandio ogni giorno si comunicava. Finalmente la Chiesa Cattolica rappresentata nel concilio Tridentino raccomanda ai cristiani di assistere quanto loro è possibile al santo sacrificio della messa, e fra le altre ha queste belle espressioni: «Il sacrosanto concilio desidera sommamente che in tutte le messe i fedeli che le ascoltano facciano la comunione non solo spiritualmente, ma eziandio sacramentalmente, affinché in loro sia più copioso il frutto che proviene da questo augustissimo sacrificio» (Sess. 22, c. 6)68.
65 Mt 11,28.
66 Gv 6,53.
67 At 2,42.
68 «Optaret quidem sacrosancta Synodus ut in singulis missis fideles adstantes non solum spirituali affectu sed sacramentali etiam Eucharistiae perceptione communicarent quo ad eos sanctissimi huius sacrifica fructus uberior proveniret» (Concilium Tridentinum: diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, edidit Societas Goerresiana, t. VIII: Actorum pars quinta, Freiburg im Breisgau, Herder, 1964, 961).
Dimostrava il suo grande amore verso il SS. Sacramento non solo colla frequente comunione, ma in tutte le occasioni che gli si presentavano. Già si è detto come al suo paese si prestava col massimo piacere ad accompagnare il viatico. Uditone appena il segno dimandava tosto il permesso ai suoi genitori, che assai di buon grado lo appagavano; indi volava alla chiesa a fine di pre
stare quei servigi che erano compatibili colla sua età. Suonare il campanello, portare i lumi accesi, portare e tenere aperto l'ombrello, recitare il Confiteor, il Miserere, il Te Deum, erano per lui care delizie. Eziandio in patria si occupava volentieri ad aiutare i compagni più giovani di lui o meno istruiti a prepararsi per comunicarsi degnamente, e a fare dopo il dovuto ringraziamento.
Giunto qui nell'Oratorio continuò nel suo fervore, e fra le altre cose prese la commendevolissima abitudine di fare ogni giorno una breve visita al SS. Sacramento. Si vedeva spesso intorno a qualche prete o chierico, affinché radunati alcuni giovani li conducesse in chiesa a recitare preghiere particolari davanti a Gesù sacramentato. Era poi cosa veramente edificante l'industria con cui egli studiava di condurre seco in chiesa qualche compagno. Un giorno ne invitò uno dicendogli: «Vieni meco e andremo a dire un Pater a Gesù sacramentato, che è là tutto solo nel tabernacolo». Il compagno, che era tutto affaccendato nei trastulli, rispose che non ci voleva andare. Il Besucco andò solo ugualmente. Ma il compagno preso dal rincrescimento di essersi rifiutato dall'amorevole invito del virtuoso amico, il giorno seguente gli si avvicinò e gli disse: «Ieri tu mi hai invitato ad andare in chiesa e non ho voluto andarvi, oggi invito te affinché tu mi venga a tener compagnia a far quello che non ho fatto ieri». Il Besucco ridendo rispose: «Non darti pena di ieri, io ho fatto la parte tua e la parte mia: dissi tre Pater per me, di poi ne ho detto tre per te a Gesù sacramentato. Tutta via ci vado molto volentieri e adesso e in qualunque altra occasione tu desideri avermi per compagno».
Mi è più d'una volta accaduto di dovermi recare dopo cena in chiesa per qualche mio dovere, mentre appunto i giovanetti della casa facevano la più allegra ed animata ricreazione nel cortile. Non avendo tra mano il lume inceppai in cosa che sembravami sacco di frumento con rischio prossimo di cadere stramazzoni. Ma quale non fu la mia sorpresa quando mi accorsi aver urtato nel divoto Besucco, che in un nascondiglio dietro, ma vicino all'altare in mezzo alle tenebre della notte pregava l'amato Gesù a favorirlo dei celesti lumi per conoscere la verità, farsi ognor più buono, farsi santo? Serviva eziandio molto volentieri la santa messa. Preparare l'altare, accendere i lumi, apprestare le ampolline, aiutare il sacerdote a vestirsi erano cose di massimo suo gusto. Qualora per altro qualcheduno avesse desiderato di servirla egli si mostrava contento e la udiva con grande raccoglimento. Quelli che lo hanno osservato ad assistere alla santa messa od alla benedizione della sera vanno d'accordo nell'asserire, che era impossibile il mirarlo senza sentirsi commossi ed edificati per il fervore che dimostrava nel pregare, e per la compostezza della persona.
Era poi ansiosissimo di leggere libri, cantare canzoncine che riguardassero il SS. Sacramento. Fra le molte giaculatorie, che egli recitava lungo il giorno, la più familiare era questa: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo
e divinissimo sacramento. «Con questa bella giaculatoria, diceva, io guadagno cento giorni d'indulgenza ogni volta che la dico; e di più appena che la dico mi sfuggono tutti i cattivi pensieri che mi corrono per la mente". Questa giaculatoria per me è un martello con cui sono sicuro di rompere le corna al demonio, quando viene a tentarmi».
È cosa assai difficile il far prender gusto alla preghiera ai giovanetti. La volubile età loro fa sembrare nauseante ed anche enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di mente. Ed è una grande ventura per chi da giovanetto è ammaestrato nella preghiera e ci prende gusto. Per essa è sempre aperta la sorgente delle divine benedizioni.
69 Don Bosco suggeriva di recitare questa giaculatoria soprattutto all'elevazione dell'ostia durante la messa e nel corso delle visite al santissimo sacramento (cf. G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri di cristiana pietà..., nuova edizione accresciuta, Torino, Tip. dell'Orat. di S. Frane. di Sales, 1863, 111 e 138).
Il Besucco fu nel bel numero di costoro. L'assistenza prestatagli dai genitori fin dai più teneri anni, la cura che se ne prese il suo maestro e specialmente il suo parroco produssero il desiderato frutto nel nostro giovanetto. Egli non era abituato a meditare, ma faceva molte preghiere vocali. Proferiva le parole chiare e distinte e le articolava in modo, che sembrava parlasse col Signore e colla santa Vergine o con qualche santo, cui indirizzava le sue orazioni. Al mattino appena dato il segno della levata si vestiva prontamente, e aggiustato quanto di dovere, discendeva tosto in chiesa, o s'inginocchiava accanto al letto per pregare fino a tanto che il campanello indicasse di recarsi altrove. In chiesa poi oltre la sua specchiata puntualità andava a prendere posto presso a quei compagni ed in quei siti dove non fosse in alcun modo distratto, e gli dava gran pena il vedere qualcheduno ciarlare o tenere un contegno dissipato. Un giorno appena uscito andò subito in cerca di uno che aveva commesso tal mancamento. Come lo ebbe trovato gli ricordò quanto aveva fatto; poi fattogli vedere quanto si fosse diportato male gli inculcò di stare nel luogo santo con maggior raccoglimento.
Nutriva poi un affetto speciale per Maria santissima. Nella novena della sua natività dimostrava un fervore particolare verso di essa. Il direttore soleva dare ogni sera qualche fioretto da praticarsi in onore di Lei. Besucco non solo ne faceva egli gran conto, ma si adoperava affinché fosse eziandio da altri praticato. Per non dimenticarsene li scriveva sopra un quaderno. «In questo modo, egli diceva, in fine dell'anno avrò una bella raccolta di ossequi da presentare a Maria». Lungo il giorno li andava ripetendo e ricordando ai suoi compagni. Volle sapere il luogo preciso dove Savio Domenico si poneva ginocchione a pregare dinanzi l'altare della Vergine Maria. Colà egli si raccoglieva a pregare con grande consolazione del suo cuore. «Oh! se io potessi, diceva, stare da mattino a sera a pregare in quel sito, quanto volentieri il farei! Imperciocché mi sembra di avere lo stesso Savio a pregare con me, e mi pare che egli risponda alle mie preghiere, e che il suo fervore si infonda nel mio cuore». Per lo più era l'ultimo ad uscire di chiesa, perché soleva sempre fermarsi un po' di tempo davanti alla statua di Maria santissima. Per questo motivo spesso gli accadeva di perdere la colazione con molto stupore di quelli, che vedevano un giovanetto sui quattordici anni sano e robusto dimenticare il cibo corporale per il cibo spirituale della preghiera.
Non di rado specialmente nei giorni di vacanza d'accordo con alcuni compagni andava in chiesa per recitare le sette allegrezze, i sette dolori di Maria, le litanie o la corona spirituale a Gesù sacramentato. Ma il piacere di leggere per tutti quelle preghiere non voleva mai cederlo ad altri. Nei giorni di Venerdì se gli era possibile, faceva od almeno leggeva la Via Crucis, che era la sua pratica di pietà prediletta. La Via Crucis, soleva dire, è per me una scintilla di fuoco, che mi anima a pregare, mi spinge a sopportare qualunque cosa per amor di Dio.
Egli era così amante della preghiera, ed erasi cotanto ad essa abituato, che appena rimasto solo o disoccupato qualche momento si metteva subito a recitare qualche preghiera. Nel medesimo tempo di ricreazione non di rado si metteva a pregare, e come trasportato da moti involontari talvolta scambiava i nomi dei trastulli in giaculatorie. Un giorno vedendo il suo superiore gli corse incontro per salutarlo col suo nome e gli disse: «O Santa Maria». Altra volta volendo chiamare un compagno con cui si trastullava disse ad alta voce: «O Pater noster». Queste cose mentre da una parte erano cagione di riso fra i compagni, dall'altra dimostravano quanto il suo cuore si dilettasse della preghiera, e quanto egli fosse padrone di raccogliere il suo spirito per elevarlo al Signore. La qual cosa, secondo i maestri di spirito, segna un grado di elevata perfezione che raramente si osserva nelle stesse persone di virtù consumata.
La sera terminate in comune le preghiere, recavasi in dormitorio, dove ponendosi ginocchione sopra l'incomodo dorso del suo baule fermavasi un quarto d'ora od anche mezz'ora a pregare. Ma avvisato che tal cosa recava disturbo ai compagni, che già erano in riposo, egli abbreviò il tempo e procurava di essere a letto contemporaneamente agli altri. Tuttavia appena coricato egli giungeva le sue mani dinanzi al petto e pregava finché fosse preso dal sonno. Se gli accadeva di svegliarsi lungo la notte si metteva subito a pregare per le anime del purgatorio, e sentiva gran dispiacere quando sorpreso dal sonno doveva interrompere la preghiera. «Mi rincresce tanto, diceva ad un amico, di non poter reggere un po' di tempo in letto senza dormire. Sono proprio miserabile, quanto bene farei alle anime del purgatorio se potessi pregare come io desidero!».
Insomma se noi esaminiamo lo spirito di preghiera di questo giovanetto possiamo dire avere egli letteralmente eseguito il precetto del Salvatore, che comandò di pregare senza interruzione", imperciocché i giorni e le notti da lui erano passate in continua preghiera.
Parlare di penitenza ai giovanetti generalmente è recar loro spavento. Ma quando l'amor di Dio prende possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nissun patimento lo affligge, anzi ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosa ricompensa nella beata eternità.
70 Cf. Lc 18,1.
Ognuno ha già potuto vedere quanto fosse grande il desiderio di patire del nostro Besucco, siccome dimostrò fin dalla sua prima età. Qui nell'Oratorio raddoppiò il suo ardore.
Si presentò un giorno al suo superiore e gli disse queste parole: «Io sono molto angustiato, il Signore dice nel Vangelo, che non si può andare in paradiso se non coll'innocenza o colla penitenza. Coll'innocenza io non posso più andare, perché l'ho perduta; dunque bisogna ch'io ci vada colla penitenza».
Il superiore rispose che considerasse come penitenza la diligenza nello studio, l'attenzione nella scuola, l'ubbidire ai superiori, il sopportare gli incomodi della vita quali sono caldo, freddo, vento, fame, sete. «Ma, ripigliò l'altro, queste cose si soffrono per necessità». «Appunto quello che si soffre per necessità, se tu aggiugni di soffrire per amor di Dio diventerà vera penitenza, piacerà al Signore, e sarà di merito all'anima tua»71.
Egli per allora si acquetò, ma dimandava sempre di voler digiunare, di lasciare o tutta o in parte la colazione del mattino, di potersi mettere degli oggetti che gli recassero dolore o sotto gli abiti o nel letto, le quali cose gli furono sempre negate. Alla vigilia di tutti i santi dimandò come speciale favore di poter digiunare a pane ed acqua, il quale digiuno gli fu cangiato nella sola astinenza dalla colazione. Il che gli tornò di molto piacere, perché, diceva, «Così potrò almeno in qualche cosa imitare i santi del paradiso, che battendo la via dei patimenti giunsero a salvare le anime loro».
Non occorre parlare della custodia dei sensi esterni e specialmente degli occhi. Chi l'ha osservato per molto tempo nella compostezza della persona, nel contegno coi compagni, nella modestia in casa e fuori di casa non esita di asserire che egli si possa proporre qual compiuto modello di mortificazione e di esemplarità esterna alla gioventù.
Essendo proibito di far penitenza corporale egli ottenne di poterne fare di altro genere, cioè esercitare i lavori più umili nella casa. Il fare commissioni ai compagni, portare loro acqua, nettare le scarpe, servire anche a tavola quando gli era permesso, scopare in refettorio, nel dormitorio, trasportare la spazzatura, portare fagotti, bauli, purché il potesse, erano cose, che egli faceva con gioia e colla massima sua soddisfazione". Esempi degni d'essere imitati da certi giovanetti, che per trovarsi fuori di casa hanno talvolta rossore di fare una commissione o di prestar servizio in cose compatibili col loro stato.
71 Cf. Savio, c. XV, 75: «Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l'anima tua».
72 Cf. ibid., c. XVI, 78: «Il pulire le scarpe, spazzolare abiti ai compagni, prestare agli infermi i più bassi uffizi, scopare e fare altri simili lavori era per lui un gradito passatempo».
Anzi talvolta ci sono giovanetti, che hanno fino vergogna di accompagnarsi coi propri genitori per l'umile loro foggia di vestire. Quasi che il trovarsi fuori di casa cambi la loro condizione, facendo dimenticare i doveri di pietà, di rispetto e di ubbidienza verso i genitori, e di carità verso tutti.
Ma queste piccole mortificazioni contentarono soltanto per poco tempo il nostro Besucco. Egli desiderava di mortificarsi di più. Fu udito qualche volta lagnarsi dicendo, che a casa sua faceva maggiori penitenze e che la sua sanità non ne aveva mai sofferto. Il superiore rispondeva sempre, che la vera penitenza non consiste nel fare quello che piace a noi, ma nel fare quello che piace al Signore, e che serve a promuovere la sua gloria. «Sii ubbidiente, aggiungeva il superiore, e diligente nei tuoi doveri, usa molta bontà e carità verso i compagni, sopporta i loro difetti, da' loro buoni avvisi e consigli e farai cosa che al Signore piacerà più d'ogni altro sacrificio»".
Prendendo egli letteralmente ciò che se gli era detto di sopportare con pazienza il freddo delle stagioni, egli lasciò inoltrare la stagione invernale senza vestirsi come conveniva. Un giorno lo vidi tutto pallido nella faccia, e chiedendogli se era male in salute: «No, disse, sto benissimo». Intanto prendendolo per mano mi accorsi che aveva una sola giubbetta da estate, mentre eravamo già alla novella del santo Natale.
— Non hai abiti da inverno? gli dissi.
— Si che li ho, ma in camera.
— Perché non te li metti?
— Eh... per il motivo ch'Ella sa: sopportare il freddo nell'inverno per amor del Signore.
— Va' immediatamente a metterli: fa' in modo di essere ben riparato dalle intemperie della stagione, e qualora ti mancasse qualche cosa fanne dimanda, e sarai senza altro provveduto.
Malgrado questa raccomandazione non si poté impedire un disordine, da cui forse ebbe origine quella malattia, che lo condusse alla tomba, siccome più sotto racconteremo.
Vi sono parecchi detti e fatti, i quali non hanno diretta relazione con quanto ho finora esposto, che perciò vengono qui separatamente registrati. Comincio dalle conversazioni.
73 Cf. 1 San 15,22; Mt 9,13; Gv 8,29,
Ne' suoi discorsi era assai riservato, ma gioviale e faceto. Raccontava assai volentieri le sue vicende di pastorello, quando conduceva le pecore e le capre al pascolo. Parlava dei cespugli, degli erbaggi, dei seni, degli antri, delle voragini della montagna del Roburent e del Drec come di altrettante maraviglie del mondo.
Aveva poi alcuni proverbi, che per lui erano verità incontrastabili. Quando voleva eccitare qualcheduno a non affezionarsi alle cose del mondo e pensare vie più alle celesti, soleva dire: Chi guarda a terra — Come la capra — È ben difficile — Che il ciel se gli apra.
Un giorno un compagno entrato in questioni di religione lasciava sfuggire non leggeri spropositi. Il nostro Besucco e perché più giovane e perché non abbastanza istruito taceva, ma con animo assai inquieto e risentito. Poscia fattosi animo, con viso allegro: «Ascoltate, prese a dire a tutti i presenti: tempo fa ho letto nel dizionario la spiegazione della parola mestiere, e fra le altre cose ho notato questa frase: Chi fa l 'altrui mestiere — Fa la zuppa nel paniere. Mio padre asseriva lo stesso con altre parole dicendo: Chi fa quel che non sa, guasta quel che fa». Compresero tutti il significato delle espressioni; tacque l'indiscreto parlatore; e gli altri ammirarono l'accortezza e la prudenza del nostro giovinetto.
Egli era sempre contento delle disposizioni dei superiori; né mai lamenta-vasi dell'orario della casa, degli apprestamenti di tavola, degli ordini scolastici e simili. Trovava sempre ogni cosa di suo gusto. Interrogato come mai potesse egli essere sempre contento di tutto, rispose: «Io sono di carne e di ossa come gli altri, ma desidero di fare tutto per la gloria di Dio, perciò quello che non piacerà a me, tornerà certamente di gradimento a Dio: quindi ho sempre eguale motivo di essere contento».
Avvenne un giorno che alcuni compagni da poco tempo venuti nella casa non potevano abituarsi al nuovo genere di vita. Egli li confortava dicendo: «Se ci toccherà di andar militare, potremo noi farci un orario a nostro modo? Potremo andarci a coricare, o levarci di letto quando a noi piacerà? oppure andare liberamente al passeggio?».
— No certamente, risposero, ma un po' di libertà...
— Noi siamo sicuramente liberi se facciamo la volontà di Dio, e solamente diventiamo veri schiavi quando cadiamo nel peccato, poiché restiamo allora schiavi del maggior nostro nemico che è il demonio.
— Ma a casa mia mangiava e dormiva meglio, diceva uno.
— Posta la verità di quanto asserisci, cioè che a casa tua mangiassi meglio e dormissi di più, ti dirò, che tu nutrivi teco due grandi nemici, quali sono l'ozio e la gola. Debbo eziandio notarti, che noi non siamo nati per dormire e per mangiare come fanno le capre e le pecore, ma dobbiamo lavorare per la gloria di Dio, e fuggir l'ozio che è il padre di tutti i vizi. Del rimanente non hai udito ciò che ha detto il nostro superiore?
— Non mi ricordo più.
— Ieri fra le altre cose il superiore ci ha detto, che esso tiene volentieri i giovani, ma vuole che nessuno stia per forza. Chiunque non sia contento, egli conchiudeva, lo dica, e procurerò d'appagarlo; chi non vuol restare in questa casa, egli è pienamente libero, ma se rimane non dissemini il malcontento, ci stia volentieri".
— Io andrei altrove, ma bisogna pagare ed i miei parenti non possono.
— Tanto maggior motivo per te di dimostrarti contento: se tu non paghi dovresti mostrarti soddisfatto più di ogni altro: perché a caval donato non si guarda in bocca. Dunque, o cari compagni, persuadiamoci, noi siamo in una casa di provvidenza; chi paga poco, chi paga niente, e dove potremo avere altrettanto a questo prezzo?
— È vero quanto dici, ma se si potesse avere una buona tavola...
— Giacché tu muori per avere una buona tavola, io ti suggerirò un mezzo con cui tu la puoi avere; va' in pensione coi tuoi superiori.
— Ma io non ho danari da pagare pensione.
— Dunque datti pace e contentati di quel tanto che ci danno per nostro alimento; tanto più che tutti gli altri nostri compagni si mostrano contenti. Che se poi volete, o cari amici, che vi parli schietto, dirò che, giovani robusti come siamo noi, non dobbiamo badare alla delicatezza della vita; come cristiani dobbiamo anche fare un poco di penitenza se vogliamo andare in paradiso, dobbiamo mortificare a tempo debito questa golaccia. Credetelo, questo è per noi un mezzo facilissimo per meritarci la benedizione del Signore, e farci dei meriti per il paradiso.
Con questi ed altri simili modi di parlare, mentre confortava i suoi compagni, ne diveniva anche il modello nelle regole di civiltà e di carità cristiana.
Nel discorrere, soleva sempre scrivere sopra i quaderni, sopra i libri proverbi o sentenze morali che avesse udito".
Nelle lettere, poi, era assai facondo, ed io credo di far cosa grata coll'inserirne alcune, il cui originale mi fu graziosamente comunicato da coloro cui erano state dirette.
74 ci stia volentieri: ins. ed. 2 1878,
75 che avesse udito: ins. ed. 2 1878.
Queste lettere sono un segno manifesto della bontà di cuore e nel tempo stesso della pietà sincera del nostro Besucco". È cosa assai rara anche in persone attempate lo scrivere lettere senza umano rispetto e condite di religiosi e morali pensieri, come veramente dovrebbe fare ogni cristiano: ma è poi rarissima cosa, che ciò si pratichi fra i giovanetti. Io desidererei che ognuno di voi, o giovani amatissimi, evitasse quel genere di lettere che nulla hanno di sacro, a segno che potrebbero inviarsi ai medesimi pagani. Non sia così; serviamoci pure di questo mezzo maraviglioso per comunicare i nostri pensieri, i nostri progetti a quelli che sono da noi lontani; ma sappiamo sempre distinguere le corrispondenze, quando sono coi cristiani o coi pagani; né mai sia dimenticato qualche morale pensiero. Per questo motivo io inserisco alcune lettere del giovinetto Besucco che, per semplicità e per tenerezza d'affetto, giudico vi torneranno gradite".
La prima di queste è indirizzata a suo padrino arciprete dell'Argentera colla data 27 settembre 1863. In essa gli dà ragguaglio della felicità, che egli gode nell'Oratorio, e lo ringrazia di averlo qua inviato.
La lettera è del tenor seguente:
Carissimo signor padrino 78,
Le partecipo, carissimo signor padrino, che i miei compagni da quattro giorni sono andati a casa per passare una ventina di giorni in vacanza. Io sono molto contento che essi li passino allegramente, ma io godo assai più di loro, perché stando qui ho tempo di scriverle questa lettera, che spero tornerà anche a lei di gradimento. Le dico prima di tutto che non posso trovare espressioni valevoli a ringraziarla dei benefizi che mi ha fatto. Oltre i favori che mi prodigò, specialmente col farmi scuola in sua casa, mi ha eziandio insegnate tante belle cose spirituali e temporali, che mi sono di potente aiuto. Ma il maggiore di questi favori fu quello di mandarmi in questa casa dove nulla più mi manca né per l'anima, né per il corpo. Io ringrazio ognor più il Signore, che mi abbia concesso così segnalato favore a preferenza di tanti altri giovani.
76 «Nella sollecitudine d'inviare alla S.V. molto Rev.da le richieste notizie intorno alla vita del pio giovanetto Besucco Francesco Albino, mi dimenticai di unirvi le cinque lettere dal medesimo scritte mentre trovavasi in codesto Oratorio, le quali a mio giudizio aiuteranno il biografo al nosce Franciscum. L'ultima lettera manca della signatura di Francesco omessa o per dimenticanza, o forse perché già male in salute» (ASC A1010910: lett. F. Pepino - G. Bosco, 5 feb. 1864).
77 vi ... gradite: corr. ed. 1864 «vi torneranno gradite».
78 La lettera originale, alquanto sgrammaticata, è stata sistemata da don Bosco (cf. l'originale in ASC A1010902: lett. F. Besucco - F. Pepino, 27 sett. 1863),
Lo preghi di cuore per me affinché mi conceda la grazia di corrispondere a tanti segni di celeste bontà. Ora io sono pienamente felice in questo luogo, nulla più ho a desiderare, ogni mia brama è appagata. Ringrazio lei e tutti gli altri benefattori degli oggetti che mi hanno mandati. La scorsa settimana sperava di avere la consolazione di vederla qui in Torino, affinché potesse parlare coi miei superiori della mia condotta: pazienza, il Signore vuole differirmi questa consolazione.
Dalla lettera di lei ho conosciuto, che i miei di casa piangevano al sentir leggere la mia lettera. Dica loro che hanno motivo di rallegrarsi e non di piangere perché io sono pienamente felice. La ringrazio dei preziosi avvertimenti, che mi dà, e l'assicuro che finora ho fatto quanto ho potuto per metterli in pratica. Ringrazi per me la mia sorella di quella comunione che ha fatto espressamente per me. Credo che questo mi abbia molto aiutato nei miei studi. Imperocché mi sembra quasi impossibile che in tempo così breve io abbia potuto passare nella seconda ginnasiale. La prego di salutare i miei parenti e dir loro, che preghino per me, ma non si diano alcun fastidio, perché io godo buona sanità, sono provveduto di tutto, in una parola sono felice. Mi scusi se ho ritardato a scriverle; nei giorni scorsi avea molto da fare per prepararmi agli esami, i quali mi riuscirono bene più di quanto mi aspettava. Io desidero ardentemente di mostrarle la mia gratitudine; ma non potendo in altro modo, procurerò di darle qualche compenso pregando il Signore a concederle sanità e giorni felici.
Mi dia la sua santa benedizione e mi consideri sempre
Suo affezionatissimo figlioccio Besucco Francesco.
Il padre di Francesco, di professione arrotino, passa la bella stagione lavorando la campagna e coltivando i bestiami in Argentera, ma di autunno parte e va in vari paesi per guadagnar pane per sé e per la famiglia esercitando il suo mestiere. Francesco il 26 ottobre scrivevagli una lettera in cui, notando la sua contentezza di trovarsi a Torino, esprime i suoi teneri filiali affetti nel modo seguente:
Carissimo padre",
Si avvicina il tempo in cui voi, carissimo padre, dovete partire per far campagna e provvedere quanto è necessario per la famiglia. Io non posso come vorrei accompagnarvi nei vostri viaggi, ma sarò sempre con voi col mio pensiero e colla preghiera. Vi assicuro che ogni giorno io prego il Signore, perché vi dia sanità e la sua santa grazia.
Mio padrino fu qui all'Oratorio, e ne ho avuto il più gran piacere. Fra le altre cose mi dice che voi avete paura che io patisca di fame; no, state tranquillo, che ho pane in grande abbondanza; e se mettessi a parte il pane che eccede il mio bisogno, in fine di ciascuna settimana voi potreste fare una grossa panata, come diciamo noi.
79 La lettera originale non si è conservata.
Vi basti sapere che mangiamo quattro volte al giorno e sempre finché vogliamo; a pranzo ci è minestra e pietanza, a cena minestra. Una volta si dava il vino tutti i giorni, ma dacché è venuto così caro l'abbiamo soltanto nei giorni festivi. Non datevi pertanto alcun fastidio per me: io ho niente più a desiderare, quanto desiderava mi è stato concesso.
Vi partecipo due cose con piacere, e sono che i miei superiori si mostrano molto contenti di me ed io lo sono ancor più di loro. L'altra cosa è la visita dell'arcivescovo di Sassari. Esso venne a fare una visita al Direttore; visitò la casa, si trattenne molto coi giovani, ed io ebbi il piacere di baciargli la mano e di ricevere la sua santa benedizione.
Caro padre, salutate tutti quelli di nostra famiglia e specialmente la mia cara madre. Date delle mie notizie al mio padrino e ringraziatelo sempre di quanto ha fatto per me. Fate buona campagna, e se avrete dimora fissa in qualche paese, fatemelo sapere e vi manderò tosto delle mie notizie. Pregate anche per me, che di tutto cuore sarò sempre
Vostro affez.m° figliuolo Francesco.
Da che era stato visitato dal suo padrino, desiderava ardentemente di ricevere da lui qualche lettera. Ne fu appagato con uno scritto, in cui quel zelante arciprete gli dava parecchi consigli per suo bene spirituale e temporale. Francesco risponde esprimendo la sua contentezza; lo ringrazia, e gli promette di mettere in pratica i suoi avvisi.
La lettera del 23 novembre 1863 è del tenore seguente:
Carissimo signor padrino80,
Il giorno 14 di questo mese ho ricevuto la sua lettera. Ella può immaginarsi quale grande consolazione io abbia provato. Io passai in gran festa tutto il giorno in cui ho ricevuto la sua lettera. La lessi e rilessi più volte, e più la leggo più grande è il coraggio che mi sento di studiare e di farmi migliore. Adesso conosco quale grande benefizio mi abbia fatto mandandomi in questo Oratorio. Non posso sfogare la riconoscenza del mio cuore, se non andando in chiesa a pregare per i miei benefattori e specialmente per lei; e per non perdere il tempo di studio io vado a pregare in tempo di ricreazione". Debbo per altro fermarmi poco, perché sebbene io provi maggior contentezza nello studio e nel pregare, che non nel divertimento, tuttavia io debbo fare con gli altri la ricreazione, perché così è comandato dai superiori, come cosa utile e necessaria allo studio e alla sanità.
Adesso tutte le scuole sono cominciate e dal mattino alla sera tra scuola, studio, scuola di canto fermo, di musica, pratiche religiose e divertimenti non mi rimane più un momento di tempo per pensare alla mia esistenza.
Io sono con gran piacere sovente visitato dal luogo-tenente Eyzautier; alcuni giorni sono mi portò un fracco così bello che se ella me lo vedesse in dosso mi crederebbe un cavaliere.
80 Cf. il documento originale in ASC A1010903: lett. F. Besucco - F. Pepino, 23 nov. 1863.
81 ricreazione: corr. ed. 1864 «divertimento».
Ella mi raccomandò di cercarmi un buon compagno, ed io l'ho subito trovato. Esso è migliore di me nello studio ed anche assai più virtuoso. Appena ci siamo conosciuti abbiamo fatto grande amicizia. Tra noi due non si parla di altro che di studio e di pietà. Egli ama eziandio la ricreazione, ma dopo aver saltellato un poco ci mettiamo subito a passeggiare discorrendo di cose scolastiche. Il Signore mi aiuta sensibilmente; nei lavori dei posti vado sempre più avanti: di novanta che sono in mia classe, ne ho ancora una quindicina prima di me.
Mi consolo molto nel sapere che i miei compagni si ricordano di me; dica loro che li amo assai e che si occupino con diligenza nello studio e nella pietà. La ringrazio della bella lettera che mi ha scritto, e procurerò di mettere in pratica gli avvisi in essa contenuti. Io desidero ardentemente di farmi buono, perché so che Iddio tiene preparato un gran premio per me e per quelli che lo amano e lo servono in questa vita".
Mi perdoni se ho ritardato a scrivere e se non ho messo in pratica gli avvisi datimi da lei, mio caro benefattore. La prego di salutare tutti quelli di mia casa, e non potendo porgere saluti a mio padre lo faccio col cuore pregando Iddio per lui. Sia in ogni cosa fatta la volontà di Dio non mai la mia", mentre mi affermo nei cuori amabilissimi di Gesù e di Maria
Di V. S.Obbl.mo figlioccio Besucco Francesco.
Nella lettera inviata al suo arciprete, e colla medesima data, Francesco ne chiudeva eziandio un'altra indirizzata ad un suo amico e virtuoso cugino di nome Antonio Beltrandi dell'Argentera.
L'ordine, la dicitura, i pensieri della medesima sembrano degni di essere anche qui pubblicati a modello delle lettere, che si possono scrivere vicendevolmente tra due buoni giovanetti. Eccone il tenore:
Carissimo compagno Antonio 84,
Che bella notizia mi ha dato il mio padrino a tuo riguardo! Egli mi scrive, che tu devi eziandio intraprendere gli studi come ho fatto io. Ti dirò che questo è un ottimo pensiero e sarai ben fortunato se lo manderai ad effetto. E poiché questo benefico nostro arciprete si dispone a farti scuola, procura di compensarlo colla diligenza nello adempimento dei tuoi doveri. Occupati nello studio, ma accanto allo studio metti subito la preghiera e la divozione: questo è l'unico mezzo per riuscire in questa impresa ed essere poi contento. Io godo già al pensiero che l'anno venturo mi sarai compagno in questa casa.
82 Cf. 2 Tm 4,8.
83 Cf. Mt 26,39.
84 Cf. il documento originale in ASC A1010904: lett. F. Besucco - A. Beltrandi, 23 nov. 1863.
I ricordi che io posso darti si riducono ad uno solo: ubbidienza e sommissione ai tuoi parenti ed al signor arciprete. Ti raccomando poi il buon esempio verso i tuoi compagni.
Un favore per altro debbo dimandarti ed è che in questo inverno tu faccia la Via Crucis dopo le sacre funzioni come io faceva, quando era in patria. Procura di promuovere quest'opera di pietà, e ne sarai benedetto dal Signore. Il tempo è prezioso, procura di occuparlo bene; se ti rimane qualche ora libera, raduna alcuni ragazzi e loro fa' ripetere quella lezione della dottrina cristiana, che si è insegnata nella domenica antecedente. É questo un mezzo efficacissimo per meritare la benedizione del Signore. Quando il mio padrino mi scriverà, digli che mi dia delle tue notizie, e così sarò sempre più rassicurato della tua buona volontà. Presentemente io mi trovo molto occupato. O mio caro, che grande afflizione io provo nel pensare al tempo che ho speso invano, e che avrei potuto spendere nello studio e in altre opere buone.
Credo che prenderai questa mia lettera in buona parte, e se mai qualche cosa ti dispiacesse, te ne dimando perdono. Fa' tutto quello che puoi affinché possiamo l'anno venturo essere compagni qui in Torino, se così piacerà al Signore.
Addio, caro Antonio, prega per me.
Tuo affezionatissimo amico Besucco Francesco.
Dalle lettere fin qui esposte apparisce la grande pietà, che nel cuore nutriva Francesco: ogni suo detto, ogni suo scritto è un complesso di teneri affetti e di santi pensieri. Sembra tuttavia, che, di mano in mano che si avvicinava al fine della sua vita, egli divenisse ognor più infiammato d'amor di Dio. Anzi da certe espressioni sembra che egli ne avesse presentimento. Il suo stesso padrino quando ricevette quest'ultima lettera esclamò: «Mio figlioccio mi vuole abbandonare; Iddio lo vuole con sé».
Io la riferisco qui per intero come vero modello di chi vuole augurare cristianamente un buon capo d'anno. Essa porta la data del 28 dicembre 1863.
Carissimo signor padrino",
Ogni giovine ben educato commetterebbe certamente un atto d'ingratitudine altamente da biasimarsi, se in questi giorni non iscrivesse ai suoi genitori e benefattori augurando loro felicità e benedizioni. Ma quali sentimenti non dovrò io mai manifestare verso di lei, mio caro ed insigne benefattore? Fin dal giorno che io nacqui ella cominciò a beneficarmi e a prendersi cura dell'anima mia.
85 Cf. il documento originale in ASC A1010905: lett. F. Besucco - F. Pepino, 28 dic. 1863.
Le prime cognizioni della scienza, della pietà, del timor di Dio, le debbo a lei. Se ho fatto qualche corso di scuola, se ho potuto fuggire tanti pericoli dell'anima mia, è tutta opera dei suoi consigli, delle sue cure e sollecitudini.
Come mai pertanto la potrò degnamente ricompensare? Non potendolo in altra guisa procurerò almeno di darle segni della mia costante gratitudine col conservare nella mente impressa la ricordanza dei benefizi ricevuti, ed in questi pochi giorni mi adoprerò con tutte le forze ad augurarle copiose benedizioni dal cielo con buon fine dell'anno presente e buon principio dell'anno nuovo.
Egli è antico il proverbio, che dice: Un buon principio è la metà dell'opera; pertanto anche io desidererei cominciare bene quest'anno e d'incominciarlo colla volontà del Signore e continuarlo secondo la sua santa volontà.
Al presente i miei studi vanno bene; la condotta nello studio, nel dormitorio, nella pietà fu sempre optime. Ho avuto notizie di mio padre e di mio fratello i quali godono buona salute. Dia questa notizia a quelli di mia casa e ne avranno certamente piacere. Dica loro che non istiano inquieti per niente; io sto bene e nulla mi manca.
La prego eziandio di salutare il mio buon maestro signor Antonio Valorso, e gli dica che gli chiedo perdono delle disobbedienze e dei dispiaceri che tante volte gli ho dato, mentre frequentava la sua scuola.
Finalmente rinnovo l'assicurazione che non passerò mai giorno senza pregar Dio che conservi lei in sanità ed in lunga vita. Caro signor padrino, mi perdoni anche ella di tutti i disturbi, che le ho dato; continui ad aiutarmi coi suoi consigli. Io non desidero altro che di farmi buono, e di correggermi dei tanti miei difetti. Sia per sempre fatta la volontà di Dio, e non mai la mia".
Con gran rispetto ed affezione mi professo
Suo obbligatissimo figlioccio Besucco Francesco.
Nella lettera indirizzata al suo padrino racchiudevasi un biglietto per sua madre, che è l'ultimo dei suoi scritti e si può considerare come il suo testamento ovvero le ultime parole scritte ai suoi genitori.
Amatissima madre",
Siamo alla fine dell'anno, Iddio ci aiutò a passarlo bene. Anzi posso dire che quest'anno fu per me una continua serie di celesti favori. Mentre vi auguro buon fine per questi pochi giorni che ci rimangono, prego il Signor che voglia concedervi un buon principio dell'anno novello continuato e ricolmo di ogni sorta di beni spirituali e temporali. La beatissima Vergine Maria vi ottenga dal divin suo figliuolo lunga vita e giorni felici.
86 Cf. Mt 26,39.
87 La lettera originale non si è conservata,
Quest'oggi ho ricevuto una lettera di mio padre, da cui conosco che tanto esso quanto mio fratello godono buona salute, e questo mi recò grande consolazione. Vi mando qui la nota di alcuni oggetti che ancora mi occorrono.
Mia cara madre, vi ho dati tanti fastidi quando ero a casa, e ve ne do ancora presentemente; ma procurerò di compensarvi colla mia buona condotta e colle mie preghiere. Vi prego di fare in modo che mia sorella Maria possa studiare, perché colla scienza può assai meglio istruirsi nella religione.
Addio, cara madre, addio, offriamo al Signore le nostre azioni ed i nostri cuori, ed a lui raccomandiamo in particolar modo la salvezza delle anime nostre. Sia sempre fatta la volontà del Signore.
Augurate ogni bene da parte mia a tutti quelli di nostra casa, pregate per me, che di cuore vi sono
Affez.m° figliuolo Francesco.
Da queste ultime lettere chiaro apparisce che il cuore di Besucco non sembrava più di questo mondo, ma di chi cammina coi piedi sulla terra, e che abbia già l'anima sua con Dio, di cui voleva contiguamente parlare e scrivere.
Col fervore nelle cose di pietà cresceva eziandio l'ardore di allontanarsi dal mondo. «Se potessi, diceva talvolta, vorrei separare l'anima dal corpo per meglio gustare, che cosa voglia dire amar Dio. Se non ne fossi proibito, diceva eziandio, io vorrei cessare da ogni alimento per godere a lungo il grande piacere, che si prova nel patire per il Signore. Che grande consolazione hanno mai provato i martiri nel morire per la fede!».
Insomma egli e colle parole e coi fatti manifestava quanto già diceva san Paolo: «Desidero di essere disfatto per essere col mio Signore glorificato»". Dio vedeva il grande amore che regnava verso di Lui in quel piccolo cuore, e affinché la malizia del mondo non cangiasse il suo intelletto volle chiamarlo a sé", e permise che un eccessivo affetto alle penitenze ne desse in certo modo occasione.
Egli aveva letto nella vita di Savio Domenico, come esso un anno aveva imprudentemente lasciato assai inoltrare la stagione senza coprirsi convenientemente nel letto. Besucco lo volle imitare e giudicato che l'ordine datogli di coprirsi fosse limitato soltanto agli abiti del giorno pensò di essere libero di mortificarsi nel letto di notte.
88 Cf. Fil 1,23.
89 Cf. Sap 4,10-11.
Senza dire nulla egli prendeva le coperte di lana insieme cogli altri compagni, ma invece di coprirsi le piegava e le metteva sotto al capezzale. La cosa andò avanti fino ai primi giorni di gennaio, finché un mattino rimase talmente intirizzito che non poté levarsi cogli altri. Riferito ai superiori, come Besucco fosse a letto per incomodo di sanità, fu inviato l'infermiere della casa per visitarlo e riconoscerne i bisogni. Come costui gli fu vicino, lo richiese che cosa avesse.
— Niente niente, egli rispose.
— Se non hai niente, perché dunque sei a letto?
— Così, così... un po' incomodato.
Intanto l'infermiere si avvicina per aggiustargli le coperte, e si accorge che
ha una sola copertina da estate sopra il suo letto.
— E le tue coperte, Besucco, dove sono?
— Son qua sotto al capezzale.
— Perché mai fare tal cosa?
— Oh niente... quando Gesù pendeva in croce non era meglio coperto di me.
Si conobbe tosto, che il male del Besucco non era leggiero, laonde fu immediatamente portato nell'infermeria.
Fu subito fatto chiamare il medico, che da prima ravvisò non grave la sua malattia reputandola soltanto un semplice raffreddore".
Ma il dì seguente si accorse, che invece di dileguarsi minacciava una congestione catarrale allo stomaco, che perciò la malattia prendeva una pericolosa intensità. Furono quindi praticati i rimedi ordinari dei purganti, dell'emetico, alcuni salassi, e bibite di vario genere, ma non si poté ottenere alcun favorevole risultato.
Interrogato un giorno, perché avesse fatto quella sbadataggine, cioè, non si fosse coperto in letto, rispose: «Mi rincresce che tal cosa abbia recato dispiacere ai miei superiori, spero per altro che il Signore riceverà questa piccola penitenza in soddisfazione dei miei peccati».
90 La notizia della malattia venne immediatamente comunicata alla famiglia; il parroco rispose: «L'infausta notizia della grave malattia del giovane Besucco Francesco mi addolorò molto, nonché le sorelle del medesimo (essendo assente il padre ed il fratello), le quali per risparmiare per ora sì grave disgusto alla loro buona madre tosto mi recarono la pregiatissima sua lettera nel mentre appunto io leggeva l'inviatami dal mio amico sig. Eyzautier, la quale essendo delli 4 dava già notizie del notabile miglioramento del nostro caro infermo. Lette le due lettere procurai di consolare le sempre buone e pie sorelle di Francesco col rappresentar loro che il medesimo trovavasi in un santo ricovero fra persone più amorose e caritatevoli di quanto potesser essere esse medesime, e che per altro se Iddio nella sua misericordia lo richiamava a sé, era per farne un cittadino del cielo. Che fecero allora quelle tre sorelle? Corsero tantosto all'altar di Maria santissima, e là diedero sfogo al loro affetto verso il fratello raccomandandolo alla comune nostra madre, come appunto loro aveva ordinato Francesco coll'ultima sua inviatami li 29 scorso dicembre, nella quale compiacevasi notificarmi le continue dimostrazioni d'amore che riceveva dai suoi superiori» (ASC A1010908: lett. F. Pepino - V. Alasonatti, 9 gen. 1864).
— Ma e le conseguenze della tua imprudenza?
— Le conseguenze io le lascio tutte nelle mani del Signore; qualunque cosa sia per avvenire di questo mio corpo non ci bado, purché ogni cosa torni a maggior gloria di Dio, e a vantaggio dell'anima mia.
La sua malattia fu di soli otto giorni che per lui furono altrettanti esercizi ed ai compagni esempi di pazienza e di cristiana rassegnazione. Il male gli
opprimeva il respiro, gli cagionava acuto e continuo mal di capo; fu sottoposto a molte e dolorose operazioni chirurgiche; gli furono amministrati parecchi rimedi energici. Ma tutte queste prescrizioni, tutte queste cure non valsero ad alleviare il suo male, e servirono soltanto a far risplendere l'ammirabile sua pazienza. Egli non diede mai alcun segno di risentimento o di lamento. Talvolta gli si diceva: «Questo rimedio dispiace, non è vero?». Egli rispondeva tosto: «Se fosse una dolce bibita questa mia boccaccia sarebbe più soddisfatta, ma è giusto che essa faccia un poco di penitenza delle ghiottonerie passate». Altra volta gli si diceva: «Besucco, tu soffri molto, non è vero?». «È vero che soffro alquanto, ma che cosa è mai questo in confronto di quello che dovrei patire per i miei peccati? Debbo per altro assicurarvi che sono così contento, che non mi sarei giammai immaginato che si provasse tanto piacere nel patire per amor del Signore».
Chiunque poi gli avesse prestato qualche servizio lo ringraziava di tutto cuore dicendo subito: «Il Signore vi ricompensi della carità che mi usate». Non sapendo poi come esprimere la sua gratitudine all'infermiere gli disse più volte queste parole: «Il Signore vi paghi in mia vece, e se andrò in paradiso lo pregherò con tutto il cuore per voi affinché vi aiuti e vi benedica». Un giorno l'infermiere lo interrogò se non aveva paura di morire. «Caro infermiere, rispose, se il Signore mi volesse prendere con Lui in paradiso io sarei contentissimo di ubbidire alla sua chiamata, ma temo assai di non essere preparato. Ciò non ostante spero tutto nella infinita sua misericordia, e raccomandandomi di cuore a Maria santissima, a san Luigi Gonzaga, a Savio Domenico, colla loro protezione spero di fare una buona morte»91.
91 Cf, la testimonianza dell'infermiere Francesco Mamardi: «Accorgendosi il giovane Besucco, che si rallentavano le sue forze, e cresceva il male che gli causava una forte febbre e gran dolori al capo ed assai si aggravava lo stomaco a cagione del pesantissimo respiro, si mise a dirmi: "Caro Infermiere, se il Signore mi volesse prendere con Lui in paradiso, io sarò contentissimo di obbedire alla chiamata, ma temo assai di non essere preparato... ma pensando alla sua infinita misericordia, e raccomandandomi di cuore a Maria santissima, a S. Luigi Gonzaga, e a Savio Domenico, colla protezion loro spero di far una buona morte". Prendeva volentieri le prescrittegli medicine, e posso sinceramente deporre, che ogni qualvolta gli prestavo qualche mio doveroso servizio, come sarebbe da bere, aggiustargli il letto, il capezzale o cose consimili, mi faceva chinar col viso vicino al suo, e baciandomi affezionatamente mi diceva: "O Infermiere: io la ringrazio di quanto fa per me; voglia il Signore compensarlo di tutto". Ed io gli soggiungevo: "Caro Besucco, avresti più a cuore di guarire, od andare in paradiso?". Egli mi rispose: "In questo caso sia fatto il santo voler di Dio"» (ASC A1010913: lett. F. Mamardi - G, Bosco, s.d. [gen. 1864],f1 v-2r).
Eravamo soltanto al quarto giorno della malattia, quando il medico cominciò a temere della vita del nostro Francesco. Per cominciare a parlargli di quell'ultimo momento gli dissi:
— Mio caro Besucco, ti piacerebbe di andare in paradiso?
— Si immagini se non mi piacerebbe di andare in paradiso! Ma bisogna guadagnarmelo.
— Supponi che si tratti di scegliere tra guarire o andare in paradiso: che sceglieresti?
— Son due cose distinte, vivere per il Signore o morire per andare col Signore". La prima mi piace, ma assai più la seconda. Ma chi mi assicura il paradiso dopo tanti peccati che ho fatti?
— Facendoti tale proposta io suppongo che tu sii sicuro di andare al paradiso, del resto se trattasi di andare altrove io non voglio che per ora tu ci abbandoni. — Come mai potrò meritarmi il paradiso?
— Ti meriterai il paradiso pei meriti della passione e della morte di nostro Signore Gesù Cristo.
— Ci andrò dunque in paradiso?
— Ma sicuro e certamente, ben inteso quando al Signore piacerà.
Allora egli diede uno sguardo a quelli che erano presenti, di poi fregandosi le mani disse con gioia: «Il contratto è fatto: il paradiso e non altro; al paradiso e non altrove. Non mi si parli più d'altro, che del paradiso».
— Io, gli dissi allora, sono contento, che tu manifesti questo vivo desiderio per il paradiso, ma voglio che sii pronto a fare la santa volontà del Signore...
Egli interruppe il mio discorso dicendo: «Sì sì, la santa volontà di Dio sia fatta in ogni cosa, in cielo ed in terra».
Nel quinto giorno della malattia chiese egli stesso di ricevere i santi sacramenti. Voleva fare la confessione generale; cosa che gli fu negata non avendone alcun bisogno, tanto più che l'aveva fatta alcuni mesi prima. Tuttavia egli si preparò a quell'ultima confessione con un fervore tutto singolare e mostravasi molto commosso.
92 Cf. Fil 1,22-23.
Dopo la confessione apparve assai allegro, e andava dicendo a chi l'assisteva: «Per il passato ho promesso mille volte di non più offendere il Signore; ma non ho mantenuta la parola. Oggi ho rinnovata questa promessa, e spero di essere fedele fino alla morte».
Egli fu nella sera di quel giorno che gli si domandò se aveva qualche cosa da raccomandare a qualcheduno.
— Oh sì, dicevami; dica a tutti che preghino per me affinché sia breve il mio purgatorio.
— Che vuoi ch'io dica ai tuoi compagni da parte tua?
— Dica loro che fuggano lo scandalo, che procurino di far sempre delle buone confessioni.
— E ai chierici?
— Dica ai chierici, che diano buon esempio ai giovani, e che si adoprino sempre per dar loro dei buoni avvisi, e dei buoni consigli ogni qual volta sarà occasione.
— E ai tuoi superiori?
— Dica ai miei superiori che io li ringrpzio tutti della carità che mi hanno usata; che continuino a lavorare per guadagnare molte anime; e quando io sarò in paradiso pregherò per loro il Signore.
— E a me che cosa dici?
A queste parole egli si mostrò commosso e dando uno sguardo fisso, «A Lei chiedo, ripigliò, che mi aiuti a salvarmi l'anima. Da molto tempo prego il Signore che mi faccia morire nelle sue mani, mi raccomando che compia l'opera di carità, e mi assista fino agli ultimi momenti della mia vita».
Io lo assicurai di non abbandonarlo, sia che egli guarisse, sia che egli stesse ammalato, ed assai più ancora qualora si fosse trovato in punto di morte. Dopo prese un'aria molto allegra, né ad altro più badò che a prepararsi a ricevere il santo viatico.
Eravamo al sesto giorno della sua malattia (otto gennaio) quando egli stesso dimandò di fare la santa comunione. «Quanto volentieri andrei a farla coi miei compagni in chiesa, diceva, sono otto giorni dacché non ho più ricevuto il mio caro Gesù». Mentre si preparava a riceverlo dimandò a chi lo assisteva che cosa volesse dire viatico.
— Viatico, gli fu risposto, vuol dire provvigione e compagno di viaggio.
— Oh che bella provvigione ho io avendo con me il pane degli angioli nel cammino che io sono per intraprendere!
— Non solo avrai questo pane celeste, gli fu soggiunto, ma avrai il medesimo Gesù per aiuto e per compagno nel grande viaggio, che ti prepari a fare per la tua eternità.
— Se Gesù è mio amico e compagno non ho più nulla a temere; anzi ho tutto a sperare nella sua grande misericordia. Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia.
Dopo fece la sua preparazione, né fu mestieri che altri l'aiutasse, imperciocché aveva le sue solite preghiere che con ordine recitava l'una dopo l'altra. Ricevette l'ostia santa con quei segni di pietà, che piuttosto si possono immaginare che descrivere.
Fatta la comunione si pose a pregare per far il ringraziamento. Richiesto se aveva bisogno di qualche cosa, nulla più rispondeva, che: «Preghiamo». Dopo un considerevole ringraziamento chiamò gli astanti a sé e loro si raccomandò di non parlargli più di altro che del paradiso.
In questo tempo fu visitato dall'economo della casa, la qual cosa gli tornò di gran piacere".
— O D. Savio, si pose a dire ridendo, questa volta ci vado al paradiso.
— Fatti coraggio, e mettiamo nelle mani del Signore e la vita e la morte, speriamo di andare al paradiso, ma quando a Dio piacerà.
— Al paradiso, D. Savio, mi perdoni i dispiaceri che le ho cagionati; preghi per me, e quando sarò al paradiso io pregherò anche il Signore per lei.
Qualche tempo dopo vedendolo tranquillo il richiesi se aveva qualche commissione da lasciarmi per il suo arciprete. A questa parola si mostrò turbato. «Il mio arciprete, rispose, mi ha fatto molto bene; egli ha fatto quanto ha potuto per salvarmi; gli faccia sapere che io non ho mai dimenticato i suoi avvisi. Io non avrò più la consolazione di vederlo in questo mondo, ma spero di andare in paradiso e di pregare la santa Vergine affinché lo aiuti a conservare buoni tutti i miei compagni, e così un giorno io lo possa vedere con tutti i suoi parrocchiani in paradiso». Ciò dicendo la commozione gli interruppe il discorso.
93 Era don Angelo Savio, nato a Castelnuovo d'Asti (20 nov. 1835) da Carlo e Maria Amedeo; vestì l'abito chiericale per mano di don Bosco (9 dic. 1854) e fu uno dei fondatori della Società Salesiana, eletto economo génerale nella riunione di fondazione (18 dic. 1859); ordinato sacerdote (2 giu. 1860), lavorò all'Oratorio fino al 1875, poi seguì le costruzioni di varie opere salesiane (Alassio, Vallecrosia, Marsiglia) e della chiesa del Sacro Cuore in Roma; nel 1885 accompagnò mons. Giovanni Cagliero in Patagonia; collaborò a Santa Cruz con D. Giuseppe Beauvoir; visitò le tribù indigene della Patagonia centrale e meridionale; accompagnò D. Domenico Milanesio nei viaggi missionari tra Rio Negro e Rio Colorado, fino alla Cordigliera; fondò la casa di Concepción in Cile e altre opere in Però e Paraguay, spingendosi fino al Mato Grosso (Brasile); morì il 17 gen. 1893 durante un viaggio di esplorazione in Ecuador, stroncato da una polmonite in una capanna alle falde del Cimborazo (cf. AAT, 12.12.3: Registrum clericorum 1808-1847, rubr. S. 1854; AAT 12.3.14: Registrum ordinationum 1848-1871; CERIA, Profili dei capitolari salesiani, 89-97).
Dopo alquanto di riposo gli dimandai se non desiderava di vedere i suoi parenti. «Io non li posso più vedere, rispondeva, perché essi sono molto distanti, sono poveri e non possono fare la spesa del viaggio. Mio padre poi è lontano da casa lavorando nel suo mestiere". Faccia loro sapere, che io muoio rassegnato, allegro e contento. Preghino essi per me, io spero di andarmene in paradiso, di là li attendo tutti... A mia madre...», e sospese il discorso.
Qualche ora dopo gli dissi: «Avresti forse qualche commissione per tua madre?».
— Dica a mia madre che la sua preghiera fu ascoltata da Dio. Ella mi disse più volte: Caro Franceschino, io desidero che tu viva lungo tempo in questo mondo, ma desidero che tu muoia mille volte piuttosto di vederti divenuto nemico di Dio col peccato. Io spero che i miei peccati saranno stati perdonati, e spero di essere amico di Dio e di poter presto andarlo a godere in eterno. O mio Dio, benedite mia madre, datele coraggio a sopportare con rassegnazione la notizia di mia morte; fate che io la possa vedere con tutta la famiglia in paradiso a godere la vostra gloria.
Egli voleva ancora parlare, ma io l'ho obbligato a tacere per riposare alquanto. La sera del giorno otto aggravandosi ognora il suo male fu deciso di amministrargli l'Olio santo. Richiesto se desiderava di ricevere questo sacramento:
— Sì, rispose, io lo desidero con tutto il cuore.
— Non hai forse alcuna cosa che ti faccia pena sulla coscienza?
— Ah! sì, ho una cosa che mi fa molto pena e mi rimorde assai la coscienza! — Qual è mai questa cosa? Desideri di dirla in confessione o altrimenti? — Ho una cosa cui ho sempre pensato in mia vita; ma non mi sarei immaginato che dovesse cagionar tanto rincrescimento al punto di morte.
— Qual è mai dunque la cosa che ti cagiona questa pena e tanto rincrescimento?
— Io provo il più amaro rincrescimento perché in vita mia non ho amato abbastanza il Signore come Egli si merita.
— Datti pace a questo riguardo, poiché in questo mondo non potremo giammai amare il Signore come si merita. Qui bisogna che facciamo quanto possiamo; ma il luogo dove lo ameremo come dobbiamo è l'altra vita, è il paradiso.
94 Il padre e il fratello Matteo durante l'inverno percorrevano la riviera ligure per motivi di lavoro; per questo motivo il parroco poté informarli della morte di Francesco molto tardi: «Finora non ho ancora potuto ricevere notizie del padre di Francesco, e fratello, i quali trovansi nei contorni di Porto Maurizio in qualità di arrotini, appena avrò ricevuto le notizie che m'invierà intorno al suo figlio, mi farò premura di trasmettergliele» (ASC A1010909: lett. F. Pepino - G. Bosco, 1 feb. 1864,fly.).
Là lo vedremo come Egli è in se stesso", là conosceremo e gusteremo la sua bontà, la sua gloria, il suo amore. Tu fortunato che fra breve avrai questa ineffabile ventura! Ora preparati a ricevere l'Olio santo che è quel sacramento che scancella le reliquie dei peccati e ci dà anche la sanità corporale se è bene per la salute dell'anima.
— Per la salute del corpo, egli ripigliò, non se ne parli più; in quanto ai peccati io ne domando perdono, e spero che mi saranno interamente perdonati; anzi confido che potrò ottenere anche la remissione della pena che dovrei sopportare pei medesimi nel purgatorio.
Preparata ogni cosa per l'ultimo sacramento che l'uomo riceve in questa vita mortale, volle egli stesso recitare il Confiteor colle altre preghiere che riguardano questo sacramento, facendo speciale giaculatoria all'unzione di ciascun senso96.
Il sac. D. Alasonatti, prefetto della casa, glielo amministrava. Quando fu all'unzione degli occhi il pio infermo prese a dire così: «O mio Dio, perdonatemi tutti gli sguardi cattivi, e tutte le cose lette, che non doveva leggere». Alle orecchie: «O mio Dio, perdonatemi tutto quello che ho sentito con queste orecchie, e che era contrario alla vostra santa legge. Fate che chiudendosi esse per sempre al mondo si aprano di poi per udire la voce che mi chiamerà a godere la vostra gloria».
All'unzione delle narici: «Perdonate, o Signore, tutte le soddisfazioni che ho dato all'odorato».
Alla bocca: «O mio Dio, perdonatemi le golosità e tutte le parole che in qualsiasi modo vi abbiano recato qualche disgusto. Fate che questa mia lingua possa cantare al più presto le vostre lodi in eterno».
A questo punto il prefetto rimase vivamente commosso ed esclamò: «Che bei pensieri, che meraviglia in un ragazzo di così giovanile età!». Continuando di poi l'amministrazione di quel sacramento, ungendo le mani diceva: «Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti perdoni Iddio ogni mancanza commessa col tatto». L'infermo continuò: «O mio grande Iddio, col velo della vostra misericordia e pei meriti delle piaghe delle vostre mani coprite e scancellate tutti i peccati che ho commesso colle opere in tutto il corso di mia vita».
95 Cf. I Gv 3,2.
96 Cf. Rituale Romanum, editto princeps, 59-63.
Ai piedi: «Perdonate, o Signore, i peccati che ho commessi con questi piedi sia quando sono andato dove non avrei dovuto, sia non andando dove mi chiamavano i miei doveri. La vostra misericordia mi perdoni tutti i peccati che ho commesso in pensieri, parole, opere ed omissioni».
Gli fu più volte detto che bastava dire quelle giaculatorie col cuore, né il Signore dimandare tanti gravi sforzi quali doveva fare pregando ad alta voce: allora egli taceva un istante, ma dopo continuava sullo stesso tono di voce come prima. Infine apparve così stanco, ed i polsi erano così sfiniti, che ci pensavamo che egli fosse per tramandare l'ultimo sospiro. Poco dopo si riebbe alquanto e in presenza di molti indirizzò queste parole al superiore: «Io ho pregato molto la beata Vergine che mi facesse morire in un giorno a Lei dedicato, e spero che sarò esaudito. Che cosa potrei ancora dimandare al Signore?».
Per secondare la pia domanda gli fu risposto: «Dimanda ancora al Signore, che ti faccia fare tutto il purgatorio in questo mondo, a segno che morendo l'anima tua voli subito al paradiso». «Ohi, sì, tosto soggiunse, lo dimando di cuore, mi doni la sua benedizione; spero che il Signore mi farà patire in questo mondo, finché abbia fatto tutto il mio purgatorio, e così l'anima mia separandosi dal corpo voli tosto al paradiso».
Pare proprio che il Signore l'abbia esaudito, imperciocché prese un po' di miglioramento e la sua vita venne ancora prolungata di circa ventiquattro ore.
Il nove gennaio, giorno di sabato, fu l'ultimo del caro nostro Besucco. Egli conservò il perfetto uso dei sensi e della ragione in tutta la giornata. Voleva continuamente pregare, ma ne fu proibito per il motivo che troppo si stancava. «Oh! almeno, disse, qualcheduno preghi vicino a me, e così io ripeterò col cuore quello che egli dirà colle parole». Per appagare questo suo ardente desiderio uopo era che vi fosse qualcheduno che recitasse preghiere o almeno giaculatorie accanto al suo letto. Tra gli altri che lo visitarono in quel giorno fu un suo compagno alquanto dissipato. «Besucco, gli disse, come stai?». «Caro amico, rispose, mi trovo al fine della mia vita, prega per me in questi miei ultimi momenti. Ma pensa che tu eziandio dovrai trovarti in simile stato. Oh quanto sarai contento se farai opere buone! ma se non cangi vita ah quanto ti rincrescerà al punto della morte!». Quel compagno si mise a piangere, e da quel punto cominciò si pensare più seriamente alle cose dell'anima, ed oggidì ancora tiene buona condotta.
Alle dieci di sera fu visitato dal signor Eyzautier luogo-tenente delle guardie di S. M. in compagnia di sua moglie. Aveva esso preso parte per farlo venire all'Oratorio, e gli aveva fatto molti benefizi. Besucco se ne mostrò molto contento, e diede vivi segni di ringraziamento. Quel coraggioso militare al vedere l'allegria che traspariva in quel volto e i segni di divozione che egli manifestava e l'assistenza che aveva, rimase profondamente commosso e disse queste parole:
— Il morire in questo modo è un vero piacere, e vorrei anch'io potermi trovare in tale stato. Indi volgendo il discorso all'infermo gli disse: «Caro Franceschino, quando sarai in paradiso prega anche per me e per mia moglie». Vie più commosso non poté più parlare, e dando all'infermo l'ultimo saluto se ne partì.
Circa alle dieci e mezzo pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita; quando egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto. Io gli presi le mani e le raggiunsi insieme affinché di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e le levò di nuovo in alto con aria ridente tenendo gli occhi fissi come chi rimira qualche oggetto di somma consolazione. Pensando che forse volesse il crocifisso glielo posi nelle mani; ma egli lo prese, lo baciò, e lo ripose sul letto, rialzando tosto con impeto di gioia in alto le mani'''. In quell'istante la faccia di lui appariva vegeta e rubiconda più che non era nello stato regolare di sua sanità. Sembrava che gli balenasse sul volto una bellezza, un tale splendore che fece scomparire tutti gli altri lumi dell'infermeria. La sua faccia dava una luce sì viva, che il sole in mezzodì sarebbe stato come oscure tenebre". Tutti gli astanti, che erano in numero di dieci, rimasero non solo spaventati ma sbalorditi, attoniti e in profondo silenzio tenevano tutti gli sguardi rivolti alla faccia di Besucco, che mandava un chiarore che avvicinandosi alla luce elettrica dovevano tutti abbassare lo sguardo". Ma crebbe in tutti la maraviglia quando l'infermo, elevando alquanto il capo e prolungando le mani quanto poteva come chi stringe la mano a persona amata, cominciò con voce giuliva e sonora a cantar così: Lodate Maria i O lingue fedeli il Risuoni nei cieli La vostra armonia'".
97 Cf. la testimonianza dell'infermiere: «Spesse volte ammirai il Besucco pendente la sua breve malattia e specialmente negli ultimi due giorni, alzare fissi gli occhi al cielo, ed alzando il braccio destro con segnare col dito indice il cielo!... il paradiso!... In tale guisa spirò il Besucco» (ASC A1010913: lett. F. Mamardi - G. Bosco, s.d. [gen. 1864],f2r).
98 che fece oscure tenebre: corr. ed. 1864 «che appariva oscurato il lume stesso della lucerna».
99 non solo ... lo sguardo: corr. ed. 1864 «stupefatti».
100 Prima strofa di una lode intitolata Affetti a Maria (da taluni erroneamente attribuita a san'Alfonso a causa del titolo) inserita nel Giovane provveduto, che divenne molto popolare nelle case salesiane (cf. Bosco, Il giovane, ed. 1863, 405-406).
Dopo faceva vari sforzi per sollevare più in alto la persona che di fatto si andava elevando, mentre egli stendendom le mani unite in forma divota, si pose di nuovo a cantare così: O Gesù d'amor acceso Non vi avessi mai offeso
O mio caro e buon Gesù Non vi voglio offender più102 . Senza interrompere intonò la lode: Perdon, caro Gesù I Pietà, mio Dio Prima di peccar più I Morir voglio 103
Noi eravamo tutt'ora in silenzio, e i nostri sguardi stavano rivolti all'infermo che sembrava divenuto un angiolo cogli angioli del paradiso. Per rompere lo stupore il Direttore disse: «Io credo che in questo momento il nostro Besucco riceva qualche grazia straordinaria dal Signore o dalla sua celeste madre, di cui fu tanto divoto in vita. Forse Ella venne ad invitare l'anima di lui per condursela seco in cielo».
Il sac. Alasonatti, prefetto, ebbe ad esclamare: «Niuno si spaventi. Questo giovane è in comunicazione con Dio»'°4. Besucco continuò il suo canto, ma le sue parole erano tronche e mutilate, quasi di chi risponde ad amorevoli interrogazioni. Io ho potuto soltanto raccogliere queste: «Re del ciel... Tanto bel... Son pover peccator... A voi dono il mio, cuor... Datemi il vostro amor... Mio caro e buon Signor...». Indi si lasciò cadere regolarmente sul letto. Cessò la luce maravigliosa, il suo volto ritornò come prima; riapparvero gli altri lumi e l'infermo non dava più segno di vitam. Ma accorgendosi che non si pregava più, né gli suggerivano più giaculatorie, tosto si voltò dicendomi: «Mi aiuti, preghiamo. Gesù, Giuseppe, Maria, assistetemi in questa mia agonia. Gesù, Giuseppe, Maria, spiri in pace con voi l'anima mia»1".
Io raccomandavagli di tacere, ma egli senza badare continuò: «Gesù nella mia mente, Gesù nella mia bocca, Gesù nel mio cuore; Gesù e Maria a voi do l'anima mia». Erano le undici quando egli volle parlare, ma non potendo più disse solo questa parola: «Il crocifisso».
101 che di fatto ... stendendo: ins. ed. 21878.
102 La canzoncina, collocata nel Giovane Provveduto a conclusione della Corona del Sacro Cuore di Gesù, dopo l'Orazione al sacratissimo Cuor di Maria, si concludeva con questi versi: «Sacro cuore di Maria fa' ch'io salvi l'anima mia. Il Sacro cuor del mio Gesù fa' ch'io t'ami sempre più» (cf. Bosco, Il giovane provveduto, ed. 1863, 142); con leggere varianti è ancor oggi usata in alcuni luoghi come atto di contrizione a conclusione della confessione sacramentale.
103 Strofa iniziale di una lode intitolata Atto di sincero proponimento (cf. Bosco, Il giovane provveduto, ed. 1863, 409).
104 Il sac. Alasonatti, ... con Dio: corr. ed. 1864 «Eravamo tutt'ora attoniti per la meraviglia quando il Besucco ...».
105 Cessò la luce ... di vita: ins. ed. 21878.
l06 Riecheggia una preghiera suggerita da don Bosco a conclusione della giornata: «Appena coricato direte: Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima agonia. Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia» (Bosco, Il giovane provveduto, ed. 1863, 101-102); è inserita anche nel ringraziamento dopo la comunione (cf. ibid., 135).
Con questa parola egli chiamava la benedizione del crocifisso con l'indulgenza plenaria in articolo di morte, cosa da lui molte volte richiesta e da me promessa.
Datagli quella ultima benedizione il prefetto si pose a leggere il Proficiscere mentre gli altri pregavano ginocchioni107. Alle undici e un quarto il Besucco fissandomi collo sguardo si sforza di fare un sorriso in forma di saluto, di poi alzò gli occhi al cielo indicando che egli se ne partiva. Pochi istanti dopo l'anima sua lasciava il corpo e se ne volava gloriosa, come fondatamente speriamo, a godere la gloria celeste in compagnia di quelli che coll'innocenza della vita hanno servito Iddio in questo mondo, ed ora lo godono e lo benedicono in eterno.
Non si può esprimere il dolore e il rincrescimento cagionato a tutta la casa dalla perdita di sì caro amico. Furono fatte in quel momento molte preghiere intorno al suo medesimo letto. Fattosi giorno se ne diffuse la notizia fra i suoi compagni, i quali per trovare un qualche conforto dell'afflizione e per pagare un tributo all'amico defunto si radunarono in chiesa a fine di pregare in suffragiol" dell'anima di lui, se mai ne avesse avuto ancora bisogno. Molti fecero la santa comunione con questo medesimo scopo. Rosario, uffizio, preghiere in comune ed in privato, comunioni, messa, tutte insomma le pratiche di pietà che in quel giorno festivo ebbero luogo nella nostra chiesa furono indirizzate a Dio per il riposo eterno dell'anima del buon Francesco. In quel giorno apparve altra cosa singolare. Nella fisionomia divenne così avvenente e il suo volto così rubicondo, che in nessun modo pareva morto. Anzi quando era bene in sanità non apparve mai in lui sintomo di quella straordinaria bellezza. Gli stessi compagni ben lungi dall'avere il panico timore che generalmente si ha dei morti, andavano con ansietà a vederlo e tutti dicevano che egli sembrava veramente un angiolo del cielo. Questo è il motivo che nel ritratto preso dopo morte presenta fattezze molto più gentili e leggiadre che non aveva nel corso della vita. Quelli poi che vedevano oggetti che in qualche modo avessero appartenuto al Besucco andavano a gara per averli e conservarseli come cosa della più grata ricordanza. La voce comune che correva fra tutti era che egli fosse volato al cielo. «Egli non ha più bisogno delle nostre preghiere, dicevano alcuni; a
107 Cf. Magone, c. XV, 154; Rituale Romanum, editio princeps, 86-108.
108 in suffragio: corr. ed. 1864 «pel riposo».
quest'ora egli gode già la gloria del paradiso». «Anzi, soggiungeva un altro, certamente gode già la vista di Dio e lo prega per noi». «Io credo, conchiudeva un terzo, che Besucco possieda già un trono di gloria in cielo, e che invochi le divine benedizioni sopra i suoi compagni ed amici». Il giorno seguente, undici gennaio, gli fu cantata messa dai suoi compagni, qui nella chiesa dell'Oratorio, tra cui molti fecero la santa comunione sempre per maggior gloria di Dio e per il riposo eterno dell'anima di lui, se mai avesse ancora avuto bisogno di qualche suffragio. Terminata la funebre funzione fu dagli addolorati condiscepoli accompagnato alla parrocchia, quindi al campo santo.
Il sito che ora occupa è segnato col n.° 147, nella fila quadrata a ponente'".
Le virtù che in questo meraviglioso giovanetto risplendettero per lo spazio di circa 14 anni nel paese di Argentera divennero più luminose ancora quando egli mancò dai vivi, e quando si ebbero notizie della preziosa sua morte. Il sacerdote Pepino Francesco mi mandò una commovente relazione di cose che hanno del soprannaturale. Io le conserverò gelosamente per un tempo più opportuno, e mi limiterò a ricavare da quella alcuni tratti. «Saputasi la notizia della grave infermità del nostro Francesco, egli scrive, si fecero pubbliche preghiere per il medesimo cantandovi la messa colla benedizione del SS. Sacramento, ed orazione pro infirmo. Giunta poi la notizia della sua morte la sera del giorno tredici corse tosto di bocca in bocca ed in meno di un'ora Francesco era ovunque proclamato modello della gioventù cristianalm. Non è a dire quanta afflizione recasse ai genitori e benefattori di questo caro giovanetto che contentò colla sua esemplare condotta sempre tutti, non offese mai nessuno. La sorella minore di Francesco, chiamata Maria, ne annunziò evidentemente la morte il giorno dieci gennaio, assicurando che circa la mezza notte dal nove venendo al dieci essendo in letto con sua madre sentì forte un rumore nella stanza superiore ove soleva dormire Francesco. Ella udì chiaramente gettare un pugno di sabbia sul pavimento, e per tema che la madre ad un tal rumore non venisse a sospettare della morte di Francesco la intertenne in discorsi ad alta voce disusati a quella figlia.
109. Cf. ASC A1010916: Attestato di sepoltura: «Città di Torino — Camposanto Generale: il defunto Besucco Francesco fu sepolto il 12 gen. 1864, quadrato di ponente fila 34 fossa 147. Pautassi cappellano».
110 ovunque cristiana: cori. ed. 1864 «presentato dalla maggior parte dei genitori a modello delle loro rispettive famiglie».
Parecchi altri commossi alla santità di lui non esitarono raccomandarsegli per ottenere celesti favori con esito il più felice». Io non voglio discutere sopra i fatti che qui sono esposti: io intendo solo di fare la parte dello storico rimettendomi a qualsiasi osservazione che sia per fare il benevolo lettore. Ecco adunque alcuni altri brani della relazione mentovata: «Nel mese di febbraio un ragazzo di circa due anni trovavasi in grave pericolo della vita; reputando il caso disperato i parenti si raccomandarono al nostro Besucco, di cui ognuno andava glorificando le virtù. Promisero inoltre che se quel fanciullo fosse guarito l'avrebbero animato alla pratica della santa Via Crucis ad imitazione di Francesco. Il fanciullo guarì in brevissimo tempo, ed ora gode perfetta salute. Giorni sono, continua il parroco, raccomandai io stesso alle preghiere del caro giovinetto un padre di famiglia gravemente infermo, lo raccomandai pure nel medesimo tempo a Gesù sacramentato, al cui onore e gloria si consacra il predetto padre di famiglia in qualità di cantore. Ometto i nomi di questi raccomandati unicamente per salvarli da qualche critica indiscreta. L'infermo prese tosto miglioramento e fra pochi giorni apparve perfettamente guarito.
La sorella maggiore di Francesco per nome Anna, maritata nel mese di marzo, trovandosi oppressa da grave incomodo che non lasciavela più riposare né giorno né notte, in un momento di maggior inquietudine esclamò: "Mio caro Franceschino, aiutami in questo grave bisogno, ottienimi un po' di riposo". Detto fatto. Da quella notte cominciò e continuò a riposare tranquillamente.
Animata la predetta Anna dal felice risultato della sua preghiera raccomandossi di nuovo a Francesco che la soccorresse in un momento in cui la sua vita versava in vero pericolo, e ne fu oltre ogni sua aspettazione favorita.
Io poi che raccolgo i fatti altrui a maggior gloria di Dio non debbo omettere di notare che solito a raccomandarmi alle preghiere del mio figlioccio ancor vivente, con maggior fiducia feci a lui ricorso dopo la sua morte, e di questa mia fiducia ottenni in diverse circostanze felici risultati».
Qui metto termine alla vita di Francesco Besucco. Avrei ancora parecchie cose a riferire intorno a questo virtuoso giovanetto; ma siccome esse potrebbero dar motivo a qualche critica da parte di chi rifugge di riconoscere le maraviglie del Signore nei suoi servi, così mi riserbo di pubblicarle a tempo più opportuno, se la divina bontà mi concederà grazia e vita.
Intanto, o amato lettore, prima di terminare questo comunque siasi mio scritto vorrei che facessimo insieme una conclusione, che tornasse a mio e a tuo vantaggio. È certo che o più presto o più tardi la morte verrà per ambidue e forse l'abbiamo più vicina di quel che ci possiamo immaginare. È parimente certo che se non facciamo opere buone nel corso della vita, non potremo raccoglierne il frutto in punto di morte, né aspettarci da Dio alcuna ricompensa. Ora dandoci la divina Provvidenza qualche tempo a prepararci per quell'ultimo momento, occupiamolo ed occupiamolo in opere buone, e sta' sicuro che ne raccoglieremo a suo tempo il frutto meritato. Non mancherà, è vero, chi si prenda giuoco di noi, perché non ci mostriamo spregiudicati in fatto di religione. Non badiamo a chi parla così. Egli inganna e tradisce se stesso e chi lo ascolta. Se vogliamo comparire sapienti innanzi a Dio, non dobbiamo temere di comparire stolti in faccia al mondo, perché Gesù Cristo ci assicura che la sapienza del mondo è stoltezza presso Dio". La sola pratica costante della religione può renderci felici nel tempo è nell'eternità. Chi non lavora d'estate non ha diritto di godere in tempo d'inverno, e chi non pratica la virtù nella vita, non può aspettarsene alcun premio dopo morte.
Animo, o cristiano lettore, animo a fare opere buone mentre siamo in tempo; i patimenti sono brevi, e ciò che si gode dura in eterno"2. Io invocherò le divine benedizioni sopra di te, e tu prega anche il Signore Iddio che usi misericordia all'anima mia, affinché dopo aver parlato della virtù, del modo di praticarla e della grande ricompensa che Dio alla medesima tien preparata nell'altra vita non mi accada la terribile disgrazia di trascurarla con danno irreparabile della mia salvezza.
Il Signore aiuti te, aiuti me a perseverare nell'osservanza dei suoi precetti nei giorni della vita, perché possiamo poi un giorno andare a godere in cielo quel gran bene, quel sommo bene pei secoli dei secoli. Così sia.
111 1 Cor 3,19.
112 Cf. 2 Cor 4,17.
Il culto del benedetto crocifisso in Argentera risale a tempo immemorabile, e la tradizione ce lo dà come fonte inesauribile di grazie.
Da documenti autentici giurati ed approvati dall'autorità ecclesiastica e civile, che il parroco di Argentera mi trasmise, e che sono propri dell'archivio parrocchiale, si ricava quanto segue. Nell'anno 1681, il giorno 6 del mese di gennaio, precipitando una valanga di neve da una montagna, che domina il paese dell'Argentera, fu colpita la sottoposta cappella della compagnia dei Disciplinanti sotto il titolo del nome di Gesù e dei santi Rocco e Sebastiano. Il muro dietro l'altare rovinò, precipitò a terra gran parte del tetto, e quindi furono ridotti in frantumi i banchi e gli altri oggetti che qui si trovavano. Un solo oggetto restò intatto. Fu un crocifisso in legno dell'altezza di un metro in circa, circondato da un velo. Pareva impossibile che non fosse anch'esso stato ridotto in pezzi; perciò gli abitanti di Argentera testimoni dell'accaduto giudicarono che il Signore con un atto di speciale provvidenza lo avesse voluto conservare.
Questo fatto fu preludio di altri assai più maravigliosi, che ora sono per narrare in seguito a documenti del pari giurati ed approvati.
L'anno 1695 il primo giorno di novembre dedicato a tutti i santi, i confratelli Disciplinanti andarono secondo il solito nella cappella a recitare l'ufficio di Maria santissima. Stando alcuni inginocchiati cogli occhi fissi in esso, lo videro ad un tratto bagnarsi di sudore sanguigno e grosse gocce grondare per tutta la sacra effigie. Lo stesso effetto videro riprodursi a varie riprese in tutto l'ottavario dei santi. Quel fatto destò gran rumore nel paese e fuori. Per questo Giovelli D. Sebastiano, vicario foraneo di Bersezio, si portò ad Argentera affine di accertarsene coi propri occhi. Vide anch'egli l'aspetto compassionevole che presentava quel crocifisso tutto grondante sudore a guisa di chi molto patisce. Il sole giunto ad un certo punto sull'orizzonte mandava direttamente i suoi raggi sul crocifisso; ciò nonostante continuava il sudore, ed il velo che lo circondava non fu mai bagnato. Il vicario ordinò che con un pannolino venisse rasciugato, e poco di poi vide il sudore uscire di bel nuovo dalle ferite come da tante fonti, specialmente dalla testa e dal costato.
D'ordine di monsignor Vibò, arcivescovo di Torino, furono destinate alcune persone conosciute per probità, scienza e prudenza, affinché facessero di continuo la guardia al crocifisso. Nei giorni dal 9 al 14 novembre il cielo era nuvoloso, poi cadde grande pioggia e neve; ma il benedetto crocifisso fu sempre asciutto senza verun indizio di sudore sofferto. Il giorno 16 poi essendo il cielo sereno al mezzogiorno di bel nuovo si rinnovò il sudore specialmente al costato dove pareva fosse la sorgente principale.
1 I dati contenuti in questa appendice sono forniti dal parroco di Argentera, insieme ad altre notizie su Francesco Besucco: «Solamente quest'oggi posso inviare alla S.V. stimatissima i richiesti schiarimenti intorno al benedetto crocefisso ed al pio nostro Francesco. Mercoledì scorso per affari urgenti essendomi recato in Cuneo comunicai all'amatissimo nostro vescovo gli schiarimenti finora preparati, il quale si dimostrò ben soddisfatto della sua progettata biografia [...]. Unitamente alle predette informazioni le invio pure la raccolta di giurati testimoniali comprovanti il sudor di sangue veduto in questo benedetto crocefisso, con preghiera di ritornarmela a tempo opportuno per conservarla negli archivi parrocchiali» (ASC A1010911: lett. F. Pepino - G. Bosco, 24 apr. 1864).
Nello scopo di camminare con grandissima cautela in affare di tanta importanza, ed assicurarsi che non vi intervenisse alcun inganno, l'arcivescovo di Torino ordinò che il crocifisso fosse tolto dal proprio posto, fosse collocato in una stanza ben chiusa entro cassetta serrata a chiave; non si permettesse a nessuno di visitarlo senza il vicario foraneo di Bersezio; e si sospendesse di pubblicare il fatto come miracoloso. Dal 28 novembre 1695, giorno in cui fu riposto nella cassa, fino al 2 giugno 1696, in cui fu rimesso nella cappella, non comparve più goccia di sudore. Il 7 di ottobre dello stesso anno, festa di Maria santissima del rosario, essendo priva di umidità l'atmosfera, si vide di nuovo il sudore ricomparire sul capo intorno alla corona, nella bocca e poi nelle braccia e sul petto presso alle ferite, e queste continuò fino al diciotto dello stesso mese. Si ripeterono i diligenti esami; ma la commissione arcivescovile dovette conchiudere non potere tal cosa avvenire altrimenti che per miracolo.
Dopo questo pubblico e straordinario avvenimento la venerazione verso al benedetto crocifisso fra gli abitanti dell'Argentera e della valle superiore di Stura fu sempre più costante e segnata da diversi fatti parimenti prodigiosi.
Io ne aggiungerò ancora alcuni scegliendoli specialmente da un'autentica relazione che quel parroco si compiacque d'inviarmi.
Nell'ultima invasione dei Francesi in Italia, un generale passando per l'Argentera entrò nella confraternita, fece bere al cavallo l'acqua benedetta vicino alla porta, quando il suo domestico fatto ardimentoso disse al padrone: «Generale, voi usate una grande irriverenza a questa chiesa, osservate là quel crocifisso, che sta alla custodia della santa sua casa». «Poco importa a me, rispose al domestico il superbo generale, e del crocifisso e dell'acqua santa». Ciò detto uscì dalla confraternita e montò sul suo cavallo avviandosi per il suo destino. Ma che! fatti appena cinquanta passi, giunto all'ultimo abitato del paese, ove è una breve e piccola salita, il cavallo s'inginocchiò e non ci fu più modo di fargli proseguire il cammino. Lo spronò il generale, quindi disceso da cavallo il fece battere aspramente da due soldati; ma tutto invano. In questo tempo fecesi gran concorso di gente chi per curiosità chi per vedere se avesse potuto recar soccorso a quell'infelice. Il domestico allora vedendo il suo padrone al colmo della disperazione in faccia della moltitudine: «Ecco, gli disse, signor generale, il castigo dell'irriverenza usata in chiesa al crocifisso; pentitevi del fallo e dimandategliene perdono». «Ebbene, soggiunse il generale, se il cavallo si alza, lo condurrò alla confraternita, ove lasciandolo fuori rientrerò in chiesa a chiederò perdono del fallo mio, e crederò che miracoloso sia quel crocifisso». Prese quindi per la briglia il cavallo che senza difficoltà si levò su e lasciossi senza opposizione condurre alla porta della chiesa, ove il generale entrato prostrossi con grande ammirazione dei circostanti innanzi al crocifisso, che in allora era collocato sopra un'alta trave in mezzo alla chiesa. Fece preghiera, di-mandò di cuore perdono delle bestemmie e delle profanazioni fatte, ed uscendo lasciò una somma di denaro affinché si facesse una nicchia dentro il muro per riporvi il crocifisso, come fu fatto. E questo, scrive il parroco, mi fu raccontato ripetutamente da Bertino Stefano morto nel 1854, in età d'anni 87, e da Matteo Valorso morto nel 1857 in età d'anni 80.
Certa Giovanna Maria Bosso moglie di Lunbat sapendo che il mattino vegnente i Francesi sarebbero venuti in Argentera per saccheggiare il paese, sollecita di salvare il benedetto crocifisso, notte tempo dalla confraternita lo trasportò nella propria casa. Persuasa che la camera in cui era stato riposto il crocifisso sarebbe stata risparmiata dai saccheggiatori, vi trasportò tutti gli altri mobili della casa. Infatti la mattina seguente tutto il paese fu derubato e l'unica stanza rispettata in Argentera fu quella in cui la predetta donna nascosto aveva il benedetto crocifisso, il quale a tempo opportuno fu restituito al suo posto. Questo fatto, dice la relazione, fu molte volte raccontato e deposto da Valorso Gio. Batta, sindaco di questo comune nell'anno 1848, morto nel 1852 in età d'anni 70.
Da tempo immemorabile le popolazioni del Sambuco, Pietraporzio e Pontebernardo quando erano afflitte da lunga siccità facevano sovente voto di una processione, e tutte e tre unite insieme si recavano a visitare ile benedetto crocifisso, e ben raramente poterono ritornarsene sempre processionalmente alle proprie case coi panni asciutti. Anzi così grande era ed è giornalmente la loro certezza di ottenere la desiderata pioggia, che quasi tutti vengono alla visita muniti d'ombrelli. La prima volta, scrive il parroco, che ho veduto questa processione nel 1849, composta di mille e più persone, io rimasi maravigliato oltremodo al vederle tutte munite d'ombrelli per ripararsi dalla pioggia in un tempo perfettamente sereno e asciutto; ma cessò intieramente in me lo stupore quando fui testimonio dell'efficacia della loro divozione, imperocché quei divoti non erano a metà del loro viaggio che cominciava a cadere una dirotta pioggia. Essa però per niente poteva impedirli dal continuo salmeggiare, e cantar lodi al Signore accogliendo volentieri sopra di se stessi la sospirata pioggia fino al termine della processione. La s'incomincia per lo più col cielo sereno ma è ben raro che si possa terminare senza pioggia. È questo un fatto notorio di cui parlano ben sovente gli abitanti di questa valle i quali ancora nelle loro private necessità fanno ricorso al benedetto crocifisso.
2 facevano sovente ... visitare il; corr. ed. 1864 «fecero sovente voto di fare processionalmente e tutte e tre unite insieme una visita al»,
INDICE GENERALE
Introduzione: Maestri e discepoli in azione 5
1. Importanza 5
2. Il contesto storico delle "Vite": un periodo fecondo per l'opera di don Bosco 7
2.1. La ricerca di collaboratori fidati 7
2.2. Gli sviluppi della casa annessa all'Oratorio 9
2.3. La nascita di una Congregazione di educatori 12
3. Per chi scrive don Bosco? 13
3.1. «Giovani carissimi» 13
3.2. Educatori e pastori 14
4. L'indole del lavoro di don Bosco 16
4.1. Il genere letterario 16
4.2. L'uso delle fonti 18
4.3. Il testo e le sue parti 22
5. Chiavi interpretative 24
5.1. I percorsi di lettura suggeriti dall'Autore 25
5.2. L'osservazione di don Bosco in azione 28
6. Invito alla lettura 31
Bibliografia 32
Criteri di edizione 33
Abbreviazioni 36
VITA DEL GIOVANETTO SAVIO DOMENICO
ALLIEVO DELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES
Nota introduttiva al testo 38
Capo I: Patria — Indole di questo giovine — Suoi primi atti di virtù 40
Capo II: Morale condotta tenuta in Morialdo — Bei tratti di virtù — Sua frequenza
alla scuola di quella borgata 43
Capo III: È ammesso alla prima comunione — Apparecchio — Raccoglimento e ri
cordi di quel giorno 45
Capo IV: Scuola di Castelnuovo d'Asti — Episodio edificante — Savia risposta ad un
cattivo consiglio 47
Capo V: Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti — Parole del suo maestro 49
Capo VI: Scuola di Mondonio — Sopporta una grave calunnia 51
Capo VII: Prima conoscenza fatta di lui — Curiosi episodi in questa congiuntura 53
Capo VIII: Viene all'Oratorio di S. Francesco di Sales — Suo primo tenore di vita . 55
Capo IX: Studio di latinità — Curiosi incidenti — Contegno nella scuola — Impedisce
una rissa — Evita un pericolo 57
Capo X: Sua deliberazione di farsi santo 61
Capo XI: Suo zelo per la salute delle anime 63
Capo XII: Episodi e belle maniere di conversare coi compagni 66
Capo XIII: Suo spirito di preghiera — Divozione verso la Madre di Dio — Il mese di
Maria 69
Capo XIV: Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e comunione 71
Capo XV: Sue penitenze 74
Capo XVI: Mortificazioni in tutti i sensi esterni 75
Capo XVII: La compagnia dell'Immacolata Concezione 78
Capo XVIII: Sue amicizie particolari — Sue relazioni col giovane Gavio Camillo 83
Capo XIX: Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni 85
Capo XX: Grazie speciali e fatti particolari 89
Capo XXI: Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente 92
Capo XXII: Sua sollecitudine per gli ammalati — Lascia l'Oratorio — Sue parole in
tale occasione 94
Capo XXIII: Dà l'addio ai suoi compagni 96
Capo XXIV: Andamento di sua malattia — Ultima confessione, riceve il Viatico
Fatti edificanti 97
Capo XXV: Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte 100
Capo XXVI: Annunzio di sua morte — Parole del prof. D. Picco ai suoi allievi 102
Capo XXVII: Emulazione per la virtù del Savio — Molti si raccomandano a lui per
ottenere celesti favori, e ne sono esauditi — Un ricordo per tutti 106
CENNO BIOGRAFICO
SUL GIOVANETTO MAGONE MICHELE
ALLIEVO DELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES
Nota introduttiva al testo 112
Capo I: Curioso incontro 114
Capo II: Sua vita precedente e sua venuta all'Oratorio di S. Francesco di Sales 117
Capo III: Difficoltà e riforma morale 120
Capo IV: Fa la sua confessione e comincia a frequentare i santi sacramenti 122
Capo V: Una parola alla gioventù 124
Capo VI: Sua esemplare sollecitudine per le pratiche di pietà 127
Capo VII: Puntualità nei suoi doveri 129
Capo VIII: Sua divozione verso la B. Vergine Maria 132
Capo IX: Sua sollecitudine e sue pratiche per conservare la virtù della purità 134
Capo X: Bei tratti di carità verso del prossimo 137
Capo XI: Fatti e detti arguti di Magone 140
Capo XII: Vacanze di Castelnuovo d'Asti — Virtù praticate in quella occasione 142
Capo XIII: Sua preparazione alla morte 145
Capo XIV: Sua malattia e circostanze che l'accompagnano 149
Capo XV: Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte 151
Capo XVI: Sue esequie; ultime rimembranze; conclusione 155
IL PASTORELLO DELLE ALPI
OVVERO VITA DEL GIOVANE
BESUCCO FRANCESCO D'ARGENTERA
Nota introduttiva al testo 160
Capo I: Patria — Genitori — Prima educazione del giovane Besucco 162
Capo II: Morte della madrina — Affetto alle cose di chiesa — Amore alla preghiera 165
Capo III: Sua obbedienza — Un buon avviso — Lavora la campagna 167
Capo IV: Episodi e condotta di scuola 168
Capo V: Vita di famiglia — Pensiero notturno 171
Capo VI: Besucco e il suo parroco — Detti — Pratica della confessione 172
Capo VII: La santa messa — Suo fervore — Conduce il gregge sulle montagne 175
Capo VIII: Conversazioni — Contegno in chiesa — Visite al SS. Sacramento 179
Capo IX: Il benedetto crocifisso — La corona del rosario — La presenza di Dio 181
Capo X: Fa il catechismo — Il giovane Valorso 182
Capo XI: La santa infanzia — La Via Crucis Fuga dei cattivi compagni 183
Capo XII: La prima comunione Frequenza a questo sacramento 185
Capo XIII: Mortificazioni — Penitenze — Custodia dei sensi — Profitto nella scuola 187
Capo XIV: Desiderio e deliberazione di recarsi all'Oratorio di S. Francesco di
Sales 189
Capo XV: Episodi e viaggio a Torino 191
Capo XVI: Tenore di vita nell'Oratorio — Primo trattenimento 193
Capo XVII: Allegria 195
Capo XVIII: Studio e diligenza 197
Capo XIX: La confessione 199
Capo XX: La santa comunione 201
Capo XXI: Venerazione al SS. Sacramento 203
Capo XXII: Spirito di preghiera 204
Capo XXIII: Sue penitenze 206
Capo XXIV: Fatti e detti particolari 208
Capo XXV: Sue lettere 211
Capo XXVI: Ultima lettera — Pensieri alla madre 215
Capo XXVII: Penitenza inopportuna e principio di sua malattia 217
Capo XXVIII: Rassegnazione nel suo male —Detti edificanti 219
Capo XXIX: Riceve il viatico — Altri detti edificanti — Un suo rincrescimento 221
Capo XXX: Riceve l'Olio santo — Sue giaculatorie in questa occasione 224
Capo XXXI: Un fatto meraviglioso — Due visite — Sua preziosa morte 225
Capo XXXII: Suffragi e tumulazione 228
Capo )(XXIII: Commozione in Argentera e venerazione per il giovane Besucco 229
Capo XXXIV: Conclusione 230
Appendice sopra il benedetto crocifisso 233