Memorie biografiche di San Giovanni Bosco
raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Vol. VI, Ed. 1907, 1079 p.
PROTESTA DELL'AUTORE 10 CAPO I. 10 1858 - Chi era D. Bosco: sua amorevolezza contraccambiata dagli alunni - Egli povero predilige i poveri - Virtù di Magone Michele: confidenza in Maria SS.: carità - Sua lettera a D. Bosco - Cinque ricordi ai giovani per conservare la virtù della purità - Il fazzoletto bianco - Predica sulla virtù dell'obbedienza - Tre immagini della Madonna - Letture Cattoliche. 10 CAPO II. 16 Fatti di Pio IX raccontati ai giovani - Festa di S. Giovanni Battista e agape imbandita ne' tre Oratori festivi, per la generosità del Papa - La festa di S. Luigi e l'articolo sull'Armonia del Conte di Camburzano - I segreti di una coscienza svelati - Letture Cattoliche: PORTA TECO CRISTIANO - Don Bosco medita di fare ritorno a Roma: Lettera del Conte De Maistre. 16 CAPO III. 22 Conversioni in punto di morte. 22 CAPO IV. 24 Numero degli alunni nell'Oratorio - Lettera di D. Bosco al Ch. Rua da S. Ignazio - Cometa e previsione di flagelli sull'Italia - Due Letture Cattoliche - Scavi sotto la chiesa per un nuovo refettorio - Fitto e riparazioni per l'Oratorio di Vanchiglia D. Bosco va a predicare al Palasazzo presso Cuneo - Annunzia la circolare del Cardinal Vicario, che raccomandava le Letture Cattoliche - La circolare del Cardinale - Una festa ed un pellegrinaggio alla Madonna di Campagna - D. Bosco predice ad un alunno delle scuole governative che si farà prete - Accettazione singolare di Francesco Provera nell'Oratorio. 24 CAPO V. 28 Letture Cattoliche - VITA DEL SOMMO PONTEFICE S. CALLISTO I - Venerazione degli alunni di D. Bosco per Mons. Fransoni - Magone Michele e i pericoli di chi va a casa in vacanza - La Passeggiata autunnale - Accoglienze ospitali a Chieri - Riconoscenza di Magone .per i suoi benefattori e per D. Bosco - Predisposizioni - Umili preghiere a Dio e lagrime di Magone - La festa del Santo Rosario - Escursioni in varii paesi circostanti a Murialdo - Visita alla tomba di Savio Domenico e pranzo dal Teol. Cinzano - Ritorno a Torino - Ricorso al Ministero della Guerra per ottenere vestiarii fuori di uso dai magazzini militari - Dimanda di sussidio all'Opera Pia di S. Paolo Per le spese dei sotterranei della chiesa - Predica sulla virtù della purità. 28 CAPO VI. 34 D. Bosco manda alunni studenti al Cottolengo - Le prime tre classi ginnasiali nell'Oratorio - Avviso ai maestri ed agli assistenti - Conferenza a tutti i chierici - Assistenza continua e prudente agli alunni - I giovani attorno a D. Bosco nell'ora della sua refezione - Le scuole di filosofia ed un inconveniente - Le massime eterne ricordale ai giovani - La vita dei Papi dal pulpito - Predica di S. Cecilia - Morte dell'Abate Aporti. 34 CAPO VII. 40 Letture Cattoliche - Sacra novena di apparecchio al SS. Natale, composta dal Beato Sebastiano Valfrè - Avvisi importanti sul modo di celebrare con frutto questa novena - Circolari in favore delle Letture Cattoliche del Vescovo di Saluzzo e dell'Arcivescovo di Vercelli - L'apparizione di Maria SS. a Lourdes - La novena dell'Immacolata nell'Oratorio. 40 CAPO VIII. 44 Il sermoncino della sera - D. Bosco sulla tribuna - Sua eloquenza - Industria per dare pascolo alla fantasia dei giovani - Parlate nel mese di dicembre - Napoleone: il catechismo e la prima Comunione - Gregorio Nazianzeno, Basilio e Giuliano apostata agli studi in Atene - Correggersi dai difetti e dalle mancanze leggere - Non insuperbirsi per le lodi e mantenersi calmi e pazienti per i biasimi - Una vittoria sul rispetto umano ricompensata - Non vergognarsi di essere obbedienti a Dio Dopo il sermoncino - Sala destinata per le rappresentazioni drammatiche - Regolamento pel teatrino. 44 CAPO IX. 50 Esclamazione imprudente di una madre - Ordinazione sacerdotale di Don Rocchietti - Generosa carità di Don Bosco - Il Santo Natale: D. Bosco annunzia che finirà di vivere a cinquant'anni se i giovani non pregano per lui - Risposta di D. Bosco agli augurii del chierico Ruffino - Suoi ricordi ed avvisi agli alunni nell'ultimo giorno dell'anno: annunzia che uno di essi morrà prima del Carnevale - Necrologio. 50 CAPO X. 52 1859 - Si conferma l'avveramento delle profezie di D. Bosco - Malattia, santa morte e funerali di Magone Michele - Nuove disposizioni ottenute dal parroco pei funerali dei giovani dell'Oratorio - La festa di San Francesco di Sales - Muore Berardi Costanzo - Un documento arretrato in lode di D. Bosco - Sua iscrizione Per la tomba del padre di D. Chiatellino. 52 CAPO XI. 57 Il Piemonte preparato alla guerra contro l'Austria - Per una dimenticanza due chierici dell'Oratorio non sono annoverali tra quelli esenti dal servizio militare - Consiglio provvidenziale a D. Bosco del Ministro dei Culti - Il diritto di esenzione è assicurato ai due chierici - Un arruolatore di volontari nell'Oratorio. 57 CAPO XII. 61 Letture Cattoliche: VITA DEL GIOVANETTO SAVIO DOMENICO - Come regola D. Bosco la frequenza alla Santissima Comunione - Gli alunni dell'Oratorio osservatori spregiudicati delle azioni di D. Bosco - Memorabile sua confutazione di smentita fatta alla biografia di Savio Domenico - VITA DEL SOMMO PONTEFICE SAN URBANO I - Il Vicario generale di Torino raccomanda in una circolare ai parroci le Letture Cattoliche - Lettera a D. Bosco del Cardinale Arcivescovo di Bologna - Una spiegazione del Vangelo predicata da D. Bosco. 61 CAPO XIII. 66 La quaresima - Oratorio di S. Luigi: illustri Catechisti: zelo e generosità del Teol. Murialdo; le scuole diurne; i maestri; i giovani più ignoranti condotti a confessarsi da D. Bosco; scuola e regolamento per la musica istrumentale che viene poi sciolta - Oratorio di Vanchiglia: teatrino - Oratorio di Valdocco: D. Bosco regala una croce ad un nobile catechista: virtù del maestro della scuola diurna: le passeggiate degli oratoriani più rare e più brevi: causa della diminuzione di questi giovani - Fondazione dell'Oratorio di S.Giuseppe - Il Vescovo di Nizza Marittima fa il catechismo in Valdocco - D.Bosco in cerca di giovani per esortarli a confessarsi - Un fanciullo infermo visitato da D. Bosco persuade i suoi parenti a riconciliarsi con Dio - I Cattolici insidiati continuamente dai Protestanti - Ravvedimento di un venditore di libri eretici - Letture Cattoliche: indirizzo agli associati - D. Bosco estingue il sito debito antico co' Rosminiani - Sua avversione alle liti. 66 CAPO XIV. 71 D. Bosco strumento nelle mani di Dio - Sua fiducia nella Divina Provvidenza e suo abbandono in Lei - I giovani esortali alla preghiera per ottenere all'Oratorio soccorsi nelle materiali necessità - Effetti meravigliosi della preghiera - Elemosine generose e provvidenziali dei ricchi - 0fferte dei poverelli - Alcuni falli. 71 CAPO XV. 76 Le varie Compagnie nell'Oratorio - Smarrimento dei loro verbali - Due conferenze di D. Bosco tenute alla Compagnia del SS. Sacramento - Bisogno di una nuova Compagnia per gli artigiani - Un giovanetto convertito per una preghiera recitata in onore di S. Giuseppe - Divozione di D. Bosco a questo santo Patriarca - Giuseppina Pellico traduce per D. Bosco dal francese Le sette domeniche di S. Giuseppe - Istituzione della Compagnia di S. Giuseppe e suo regolamento - Frulli consolanti - D. Bosco scrive promettendo un suo artigiano per un Ospizio incipiente - 1 chierici sostegni delle Compagnie - Due lettere di D. Bosco al Rettore del Seminario e suo giudizio sulla condotta di qualche chierico. 76 CAPO XVI. 83 Qualche norma ai catechisti per l'insegnamento della Dottrina Cristiana - Studio e spiegazione del Nuovo Testamento: lezioni di eloquenza sacra: il predicatore impreparato - La scuola di sacre cerimonie - Varie conferenze settimanali a tutti gli studenti - Istruzioni intorno alla buona creanza e convenienza di queste - D. Bosco modello di perfetta educazione - Urbanità e carità nel parlare e nell'ammonire - Tacere e riflettere se l'animo è agitato: una ridicola sfuriata - Buona creanza nelle azioni: D. Bosco e il giuoco della cavallina - Delicatezza colla quale D. Bosco avvisa alcuni giovani per qualche atto incivile - Cortesie nell'accogliere in casa i visitatori - Traccia di una commedia che insegna il galateo - Profitto dei giovani nell'attendere alle esortazioni di D. Bosco - Elogio. 83 CAPO XVII. 89 Preparativi di guerra in Piemonte contro l'Austria - Il Convitto Ecclesiastico ospedale militare - D. Cafasso avvisa i suoi alunni di non entrare in questioni politiche - Il catechismo quadragesimale disturbato dall'effervescenza guerresca dei giovani esterni - Una sassaiuola fatta cessare da D. Bosco - Tre Letture Cattoliche - L'Arcivescovo di Genova e i Vescovi di Mondovì e di Cuneo le raccomandano ai loro diocesani - Grazie ottenute da Savio Domenico - Lettera di D. Bosco ad un parroco della diocesi d'Asti - Ispezione governativa nell'Oratorio per gli alloggi militari - La guerra dichiarata e l'esercito francese in Italia - Torino minacciata dagli Austriaci: D. Bosco dice a' suoi giovani di non temere - La quarta grande lotteria di D. Bosco e due circolari - D. Bosco annunzia a’ suoi allievi l'erezione nell'Oratorio di una chiesa con grande cupola - Un orto liberato dai bruchi. 89 CAPO XVIII. 94 I Francesi in Torino - Afflizione di D. Bosco - Primi fatti d'arme - Montebello, Palestro, Magenta - I feriti Austriaci nel Convitto Ecclesiastico - D. Bosco coi Turcos a Collegno - Congiure e rivoluzioni nei Ducati e nello Stato Pontificio - Le feste nell'Oratorio: Dimostrazioni di riconoscenza a D. Bosco ed ai maestri Scuole e laboratorii cristiani. 94 CAPO XIX. 98 La battaglia di Solferino - D. Bosco predice imminente il trattato di pace - Ristampa della Storia d'Italia - Lettera del Sindaco di Torino che ne accetta una copia in dono - Letture Cattoliche: LA VITA DE' SOMMI PONTEFICI S. PONZIANO, S. ANTERO E S. FABIANO - Un figlio prodigo ricondotto da D. Bosco alla casa paterna - Suoi consigli ad un giovanetto sul modo prudente di leggere certi libri. 98 CAPO XX. 103 Un incontro di D. Bosco a Troffarello - Due Predizioni - Due Letture Cattoliche - Sussidi del Re e del Ministro degli Interni - Costruzione di scuole; lavatoio e legnaia - D. Bosco ai Becchi coi giovani - Le passeggiate: programma Prestabilito: provvidenza: marcie: la storia dei paesi: casi allegri: entrata in un borgo: ospitalità: scene buffe: le funzioni in chiesa: il teatro: la partenza: animo generoso di D. Bosco: incontri non previsti - Si va a Maretto - Arrivo a Villa San Secondo - Una spina del parroco - Visita a Corsione, Cossombrato e Rinco - Festa della Madonna delle Grazie - Il teatro e un ballo impedito - La festa della Maternità di M. V. - Partenza da Villa S. Secondo Fermata a Piea - Viaggio notturno - Arrivo ai Becchi - Un giovane smarrito - Visita alla tomba di Savio Domenico - Ritorno all’Oratorio. 103 CAPO XXI. 111 D. Bosco trasmette al re Vittorio Emanuele una lettera di Pio IX - Il Clero escluso dai Consigli Provinciali e Comunali - Articolo della Gazzetta del Popolo contro la storia d'Italia di D. Bosco - Giudizio di Nicolò Tommaseo e della Civiltà Cattolica su questa istoria - Letture Cattoliche. LA PERSECUZIONE DI DECIO E IL PONTIFICATO DI S. CORNELIO I PAPA - Alcune notabili vestizioni clericali. 111 CAPO XXII. 115 Chierici dell'Archidiocesi nell'Oratorio - Tutte le classi ginnasiali in casa - Accettazioni notevoli di alcuni allievi - L'Ospizio pieno di giovani - Sottoscrizione di condoglianze al Papa - Presentimenti di mali pubblici - Sogno: la marmottina - Mezzi per vivere lungamente - Doti necessarie in un Direttore di collegio - Efficacia di una parola e di uno sguardo di D. Bosco - Timore di abusi e concessioni - Fermezza di Don Bosco nel congedare uno scandaloso, nel rimproverare un disobbediente - È sciolto e riordinato il corpo della musica istrumentale - Un giovane perdonato - Domanda di vestiarii al Ministro della guerra. 115 CAPO XXIII. 121 La legge Casati - Una guarigione ottenuta per intercessione di Savio Domenico - Novena dell'Immacolata - Sermoncini di D. Bosco alla sera: annunzio della novena: un buon consiglio ai compagni: La visita al Santissimo Sacramento: Confidenza nei Superiori: Sincerità in Confessione - Monito memorando di D. Bosco. 121 CAPO XXIV. 126 Conferenze di D. Bosco a que’ suoi collaboratori che spera rimarranno nell'Oratorio: Essere pochi e poveri non è d'impedimento a grandi imprese: Premio dell'obbedienza: Nessuno è profeta nella sua patria - D. Bosco propone a' suoi collaboratori di costituirsi in società religiosa - Commenti, predizioni e risoluzioni - La Pia Società di S. Francesco di Sales è costituita - Verbale della proclamazione del Rettor Maggiore e dell'elezione dei membri del primo Capitolo o Consiglio. 126 CAPO XXV. 130 Critiche mosse a D. Bosco: per le comunioni frequenti de' suoi giovani: per i suoi maestri che non vanno alle scuole del Seminario: Per gli studii teologici giudicati insufficienti - Timore che i migliori chierici rimangano con D. Bosco e brighe per staccarli da lui - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti pel servizio della Cattedrale - D. Bosco accusato di voler essere indipendente dall'Autorità ecclesiastica - Non si vede bene che i chierici si preparino a conseguire patenti di maestro e lauree - I pericoli dell'Università - Accuse scritte a Mons. Fransoni contro D. Bosco e difesa del Can. Nasi - Parole dell'Arcivescovo in lode di D. Bosco - Gli amanti del bene sono amici di D. Bosco. 130 CAPO XXVI. 134 Parlate di D. Bosco - Annunzio della novena del santo Natale; mezzi per santificarla - Studiare vuol dire essere buono - Non rubare - Non proferire parole villane - Obbedire al confessore - Sincerità in confessione - Suggerimenti per la solennità del Natale. 134 CAPO XXVII. 138 Indulgenza plenaria per un santuario di Caselette - Parole di D. Bosco ai giovani sull'anno che finisce -- Ricordi all'intera comunità - L'ultima sera dell'anno - Gli alunni defunti nel 1859 - Strenne personali di D. Bosco a' suoi allievi e di questi a lui. 138 CAPO XXVIII. 140 La Prefazione al Galantuomo, almanacco pel 1860 - La guerra in Lombardia e le avventure del Galantuomo - Sue profezie - D. Bosco chiamato al Ministero dell'Interno per dare spiegazioni sulle profezie dell'almanacco. 140 CAPO XXIX. 146 Sistema Preventivo in pratica - Sante industrie - Accoglienza di D. Bosco ai giovani che entrano nell'Oratorio - La sua prima parola riguarda l'anima - Effetto di questa parola - Il maestro di riforma morale - La Confessione e la Comunione - Alcuni mezzi per promuovere la frequenza ai Sacramenti - Avvisi ai Superiori dell'Oratorio - Calma e moderazione nel castigare - Due classi di giovani pericolose - D. Bosco vuol essere informato di ogni fatto anche minimo dell'Oratorio - Le liste dei voti - Diligenza degli assistenti e loro affezione a D. Bosco - Importanza che danno gli alunni ai voti - Come D. Bosco esamini le cagioni del poco profitto di alcuni nello studio - Un registro rivelatore della condotta occulta di certi allievi - L'ultima parola di D. Bosco ai giovani che partono dall'Oratorio - Sua carità verso di essi - Maniere salutari e prudenti nell'incontrare un antico allievo. 146 CAPO XXX. 153 Sante industrie - D. Bosco in mezzo ai giovani: sua carità e loro affezione - Le ricreazioni clamorose - Saggi consigli e osservazioni -- Ricordi in rima - Versi latini - Proposizioni di non facile intendimento - Dante - Le regole della grammatica - Un'operazione d'algebra - Sapienti risposte di Gianduja - Lezioni d'igiene - Indovinelli e misteriose domande - I giovani intorno a D. Bosco - La parola all'orecchio - Lo sguardo che parla - Gli schiaffetti. 153 CAPO XXXI. 162 Sante industrie - Fede e carità - Effetto di una conversazione con D. Bosco - I giovani seduti intorno a lui - Favole e racconti ameni - Il canto - Nuova chiromanzia - La misura delle mani - Lo scoppio delle palme percosse - Esercizi di destrezza - Vigilanza prudente e giocosa - I giovani più buoni invitali a pranzo - Udienze private concesse da Don Bosco agli alunni in sua camera: modo di presentarsi ed accoglienze: invito allo stato religioso: rimproveri indiretti: conforti agli afflitti - Le tre passeggiate - Avvisi per iscritto e lettere sorprendenti di D. Bosco ai giovani - I biglietti coi proponimenti - Confidenza chiesta agli alunni e sacrifizi per conservarla - Il biglietto richiamo sulla buona via - Alcuni proponimenti consegnati a D. Bosco e da lui custoditi - Risultato delle sante industrie. 162 CAPO XXXII. 171 Le sante industrie - Movente e scopo: l'eternità e la salvezza delle anime - Cooperazione di Dio - Il ragionamento non vale contro i fatti - D. Bosco legge nelle coscienze - Testimonianze universali de' giovani - Cose ammirabili al tribunale di penitenza - Segrete ansietà spirituali calmate - Increduli vinti dall'evidenza di fatti Personali - Gli ipocriti scoperti - Altre prove che D. Bosco legge in fronte i segreti dei cuori - Gli immodesti - Chi non ha la coscienza in ordine cerca star lontano da D. Bosco - Premure di D. Bosco nel richiamarlo a Dio - Avvisi misteriosi per iscritto - Una testimonianza di D. Rua - D. Bosco sorprende nelle menti altre specie di pensieri - Vede meglio quando non guarda. 171 CAPO XXXIII. 177 1860 - Letture Cattoliche - Avvisi di D. Bosco agli associali per allontanare i mali presenti e premunirsi dai futuri - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Il danaro di S. Pietro - Conversione di due giovanetti anglicani e di un ebreo - Il Vescovo di Ivrea nell'Oratorio - Cortesie di D. Bosco ad un ministro protestante - Un neofito raccomandato all'Oratorio dall'Arciprete della Cattedrale di Vercelli - La festa di S. Francesco di Sales. 177 CAPO XXXIV. 181 Seduta del Capitolo: Accettazione del primo confratello nella Pia Società - Parola di D. Bosco - Letture Cattoliche - Il Papa: questioni del giorno - Raccomandazione agli associati delle Letture - D. Bosco difensore dei diritti della S. Sede - Il Ministro Farini chiede l'accettazione di un giovanetto nell'Oratorio - La diplomazia di D. Bosco - La lingua, italiana imposta per regola dell'Oratorio nei discorsi famigliari - Giovinastri condotti da D. Bosco nell'Ospizio - Una memorabile conversione - Pastorale del Vicario Capitolare di Asti che raccomanda le Letture Cattoliche - Una società per la diffusione de' buoni libri. 181 CAPO XXXV. 185 Una nuova campana in Vanchiglia. - Il maestro Mosca Giovanni catechista - Elogi del conte Cays alle conferenze annesse degli Oratori festivi - D. Bosco e i bisogni di S. Madre Chiesa - VITA E MARTIRIO DE’ SOMMI PONTEFICI SAN LUCIO I E SANTO STEFANO I - Le cronache importanti di D. Ruffino e D. Bonelli per la biografia di D. Bosco - L'Emilia e la Toscana annesse al Piemonte - Il biglietto gratuito sulla ferrovia e il Cav. Bona - Lettera di un giovane artigiano a D. Bosco. 185 CAPO XXXVI. 189 Letture Cattoliche - Lettera dell'Arcivescovo di Firenze in lode delle suddette Letture - La Pasqua: ed un muratore che D. Bosco sostiene perchè non cada Protesta di fedeltà al Papa dei giovani dell' Oratorio e il danaro di una colazione per l'Obolo di S. Pietro Lettera di D. Bosco al Papa - Tre previsioni di avvenimenti futuri - Punizione di chi scherniva il segno della Santa Croce - Lettera del Card. Marini e dispensa di età a D. Rua per le sacre ordinazioni - La morte di un giovane predetta ed avverata - Come fa D. Bosco a prevedere queste morti - Predizione a Gastini Carlo - La rovina delle Sicilie e l'andata del Ch. Castellano in paradiso - Risposta del Card. Antonelli a D. Bosco in nome del Papa - Due verbali del Capitolo: accettazione di soci - Esercizi spirituali, ricordi e mese di Maria - Garibaldi parte per la spedizione di Sicilia - Il Card. Antonelli e i volontari pontifici piemontesi. 189 CAPO XXXVII. 194 D.Bosco va a Bergamo - Sue osservazioni sopra la lettura di un giornale cattivo - Confessa in treno un viaggiatore - Fatti ameni all'arrivo e in casa del Vescovo di Bergamo - Premure paterne di Mons. Speranza - La S. Messa in Duomo - Si stabilisce una conferenza di S. Vincenzo de' Paoli - D. Bosco conduce a Terno il parroco Bagini uscito di carcere - Festose accoglienze - D. Bosco visita il Seminario di Bottanuco - Promette al Vescovo di predicare l'anno venturo gli esercizi ai chierici: lo esorta a presentare i preti e i chierici agli esami per i diplomi e per le lauree. 194 CAPO XXXVIII. 199 Ritorno di D. Bosco in Torino - Un giovane morente all'ospedale rinviene all'avvicinarsi di D. Bosco e si confessa - L'orazione attiva - D. Bosco desidera aver preti per i carcerati - Una falce al Chierico Ruffino - Siamo solo al principio dei mali: vessazioni al clero negli Stati annessi - Il Cardinale Corsi prigioniero in Torino e suo colloquio con D. Bosco - Un alunno ha bisogno di prepararsi alla morte - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Letture Cattoliche. 199 CAPO XXXIX. 202 La virtù della fortezza - D. Bosco ossequente alle autorità civili - Sua prudenza nelle questioni politiche - Sospetti del Governo e delazioni calunniose - Il Ministro Farina - D. Bosco sorvegliato dalla polizia - l'ufficio di verificazione alla posta - D. Bosco avvertito del pericolo che sovrasta all'Oratorio - Articoli violenti dei giornali, che domandano la chiusura dell'Oratorio - Il decreto di perquisizione permesso da Cavour - Sequestro di una lettera di Mons. Fransoni - Un sogno provvidenziale - Distruzione di preziosi documenti - D. Bosco scrive e conserva le memorie delle perquisizioni - Prefazione al manoscritto. 202 CAPO XL 208 Due Gesuiti incarcerati - D. Bosco e un giovanetto raccomandalo dal Ministro Farini - Arrivo nell'Oratorio dei fiscali - Primo incontro con D. Bosco e questione sul mandato per la visita domiciliare - Le guardie; resistenza giustificata; minacce; beneficenza e malevolenza - Effervescenza nei giovani - Parole di D. Bosco - Angustie di D. Alasonatti - Scene buffe e serie tra le guardie e gli alunni - La sciarpa questurale e il Decreto di perquisizione - Burla sconveniente fatta riparare - Indagini sulla persona - Il cestone delle carte stracciate e l'avvocato - Un telegramma dimenticato - Revisione delle lettere - Episodii - Le note dei debiti - Il Breve Pontificio - In biblioteca. 208 CAPO XLI. 214 Ancor della Perquisizione - Opportuno incoraggiamento dato a D. Bosco dal Can. Anglesio - I Bollandisti - La confessione - Sospetti di un nascondiglio - Un'altra raccomandazione di Farini per un giovane da ricoverarsi - Scherzo della Provvidenza - Si stura una bottiglia; i brindisi -La fine della perquisizione - Verbale e prova d'innocenza - I fiscali partono: gioia dei giovani - Preghiere in tutti gli Istituti per D. Bosco - Delirio di un giovane al falso annunzio che D. Bosco è prigioniero - D. Bosco avvisa D. Cafasso degli ordini ministeriali al Fisco - D. Bosco compra un foglio che sparla di lui - Continue visite di condoglianza all'Oratorio - Articoli dell'Armonia e della Gazzetta del popolo - Don Bosco pensa ad ampliar L'Oratorio -Parlata al Capitolo di questo disegno - Trattative per comperare casa Filippi - Generosa offerta del Cavalier Colla - Ragione del coraggio di D. Bosco in simili ampliamenti. 214 CAPO XLII. 220 Il giorno dopo la perquisizione nell'Oratorio - Apparizione al Re di Napoli della sua santa madre defunta - Varie previsioni di D. Bosco sugli avvenimenti pubblici - Il Segretario del Cardinale Corsi nell'Oratorio - Ordinazione Sacerdotale di D. Savio Angelo - I Chierici dell'Oratorio si recano a far ossequio al Cardinale -Don Cafasso prevede vicina la propria morte - L'Armonia smentisce la falsa notizia sull'imprigionamento di D. Bosco - Sicurezza e tranquillità nell'Oratorio - Lettera di un chierico a D. Bosco perchè gli sveli il suo interno, e lo guarisca da una infermità - La vita di famiglia nell'Oratorio - Generosa carità di D. Bosco per i suoi alunni. 220 CAPO XLIII. 223 Costruzione della porteria e della nuova sagrestia - Buzzelli Carlo Capo mastro dell'Oratorio - Largizioni generose di D. Cafasso per le nuove fabbriche e sua ultima visita all'Oratorio - Regolamento della porteria - Progetto di un'obbligazione di 500 lire per la quale un giovinello avrà diritto a stare nell'Oratorio, finchè non sia compiuta la sua istruzione: Circolare: Osservazione di D. Cafasso - Risposta a certi critici - Causa dell'attività di D. Bosco - È proposta a D. Bosco l'accettazione del Collegio di Cavour - il piccolo Seminario di Giaveno a causa della sua decadenza - Il Can. Vogliotti chiede a D. Bosco un prete ed un chierico per Giaveno; Consiglio di D. Cafasso - Disegni del Municipio sul piccolo Seminario e sua offerta a D. Bosco - Il Can. Vogliolli promuove un accordo fra gli interessi della Curia e quelli del Municipio - D. Bosco aderisce condizionatamente alla proposta del Canonico, che vorrebbe affidargli la direzione del piccolo Seminario - D. Bosco scrive al Sindaco di Giaveno - Altra lettera al Can. Vogliotti: si attende una risposta da Giaveno. 223 CAPO XLIV. 228 Imprigionamento del Canonico Ortalda - Perquisizione a D. Cafasso -Riflessioni di D. Bosco - Seconda perquisizione nell'Oratorio -D. Bosco smarrito per Torino è ricondotto a Casa dalla divina Provvidenza - Ispezione nella scuola degli esterni - Scena dolorosa: D. Alasonatti svenuto - Arrivo di D. Bosco - Prigionia minacciata - Rimproveri ai perquisitori - Le guardie allontanate -Dichiarazione sui diritti del Papa - Visita alle scuole -Perlustrazione minuziosa della Casa - Subdole domande e franche risposte - Il sequestro dei quaderni - Ringraziamenti al Signore - Due consolazioni. 228 CAPO XLV. 235 D. Bosco nel tempo di tribolazione - Si leggono nell'assemblea dei socii le Regole della Pia Società - Previsioni sui pubblici avvenimenti - Le Regole della Pia Società sono firmate da tutti i socii e mandate a Mons. Fransoni - Risposta dell'Arcivescovo - La Questura di Torino e le persone di servizio dell'Oratorio - La politica e le ricchezze di D. Bosco - Giudizii di Urbano Rattazzi - Esposizione e supplica di D. Bosco a due Ministri - Udienza non concessa - D. Bosco si mostra sempre più allegro quanto più gravi sono i dispiaceri - Cinque giovani raccomandati all'Oratorio dal Ministero degli Interni. 235 CAPO XLVI. 240 Malattia di D. Cafasso e cause di questa - D. Bosco al letto del suo benefattore - Morte di D. Cafasso e dolore di D. Bosco - Nell'Oratorio è tramandata la festa di S. Giovanni - Funerali - Il testamento e un legato - Gli onori ad un santo e la trista fine di un nemico del Papa - La festa di S. Luigi nell'Oratorio - La messa di settima per D. Cafasso - Il Canonico Galletti ed il Teol. Golzio. 240 CAPO XLVII. 243 L'onomastico di D. Bosco - Guarigione del Ch. Castellano - Funerali a D. Cafasso nell'Oratorio - D. Bosco legge l'orazione funebre e la dà alle stampe col titolo: RIMEMBRANZA STORICA FUNEBRE DI DON GIUSEPPE CAFASSO - Letture Cattoliche - IL PONTIFICATO DI S. SISTO II E LE GLORIE DI S. LORENZO MARTIRE - Il Cardinale Corsi nell'Oratorio. 243 CAPO XLVIII. 247 Maligne insinuazioni del giornalismo a danno dell'Oratorio - D. Bosco non è ricevuto negli uffici del Ministero - Risoluzione e fiducia in Dio - Lunga e paziente attesa nell'anticamera del segretario generale - D. Bosco è ammesso all'udienza del Segretario: inurbanità e forzata cortesia - Altri giovani raccomandati dal Ministero. 247 CAPO XLIX. 249 Udienza fissata dal Ministro degli Interni e preghiere nell'Oratorio - Conferenza importante di D. Bosco coi Ministri Farini e Cavour - Promesse e speranze di pace - Compra di Casa Filippi -Annunzio di questa compra ai giovani. 249 CAPO L. 254 Coraggio di D. Bosco nel presentarsi ai Ministri - Il bene ricavato dal male - I giovani crescono sempre di numero nell'Oratorio - Domande delle Autorità a D. Bosco, perchè dia ricovero ai poveri giovanetti - Mons. Bonomelli, D. Bosco e la politica - Fine disgraziata di alcuni perquisitori - D. Bosco non conserva rancori e perdona a' suoi avversari. 254 CAPO LI. 258 D. Bosco è invitato a fondare un collegio in Mirabello - È afflitto da una gonfiezza al collo; non prega per la sua guarigione - Sviene a S. Ignazio - Conversione di un giovane cavaliere - Lettere di D. Bosco a varii chierici ed alunni - D. Rua agli esercizi nella Casa dei Lazzaristi e generosità del Can. Vogliotti - Disastroso fine dell'anno scolastico a Giaveno. - Nuove istanze del Vicario generale a D. Bosco perchè accetti la direzione di quel seminario -Trattative col Municipio di Giaveno e lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti con sue proposte - D. Bosco con altra lettera accetta di accompagnare il Canonico a Giaveno per intendersi col Municipio; accordo fallito - Sacra Ordinazione e prima messa di Don Rua - Un parere di D. Bosco sulla costumanza di baciarsi in segno d'amicizia. 258 CAPO LII. 261 L'onomastico di D. Alasonatti - La Messa solenne di Don Rua nell'Oratorio; festeggiamenti; pronostici; elogi - II Marchese e la Marchesa Fassati costituiti padroni dell'altare della Madonna nella chiesa di Valdocco - Il sogno delle quattordici tavole: spiegazioni - D. Bosco parte per Strambino; dialoghi in ferrovia; chiede la elemosina per il panegirico di S. Rocco. - La trigesima di D. Cafasso a S. Francesco d'Assisi: D. Bosco legge l'orazione funebre: suo continuo ricordo del caro benefattore - Garibaldi a Napoli - Invasione dei Piemontesi nelle Marche e nell'Umbria: battaglia di Castelfidardo e presa d'Ancona - Consiglio di D. Bosco; per i soldati che partivano per quella guerra - Il Card. De Angelis prigioniero in Torino - L'esercito piemontese nel Napoletano: vittoria al Garigliano e occupazione di Capua - Le sorti dell'Austria. 261 CAPO LIII. 265 D. Bosco accetta la direzione del collegio di Giaveno - Condizioni da lui proposte e accettate dal Provicario - Elezione di un nuovo Rettore - Scelta di assistenti Conferenza di D. Bosco ai socii della Congregazione: egli è Pronto a sottomettersi al volere di Dio se non fosse approvata la pia Società: non s'introducano novità nelle consuetudini della Casa: non si abbiano sospetti che venga meno l'affezione del Superiore: annunzia che fu delegalo chi deve esaminare le Costituzioni - Lettera di Monsignor Fransoni a D. Bosco colla notizia della suddetta delegazione - Giudizi dell'esaminatore - Lettera del Card. Gaude che ha ricevuto le Costituzioni - Stato desolante del Seminario di Giaveno - Entrata nell'Oratorio del Cav. Federico Oreglia di S. Stefano - Calcoli di D. Bosco sulla spesa necessaria all'erezione di un collegio - Il nuovo programma di Giaveno e nessuna domanda d'accettazione - D. Bosco trova modo di mandarvi molti allievi - Il Sindaco deluso ne' suoi disegni - Arrivo nel piccolo Seminario di chierici e giovani - Le scuole in ordine - Lodi a D. Bosco - Avviso importante da lui dato al nuovo Rettore. 265 CAPO LIV. 271 Progetto per la costruzione del collegio in Mirabello - Don Bosco a Casale per avere l'approvazione del Vescovo - Spiacevole incontro nel viaggio - Il Benedicite prima del pranzo - D. Bosco in Asti: propone al Vicario Capitolare di pilotare il ritiro dei suoi chierici nell'Oratorio essendo occupato il Seminario dal Governo: pratiche per iscritto: arrivo in Valdocco di quei Seminaristi: malumori dissipati: buona riuscita - D. Bosco vuole i giovani occupati anche in tempo di vacanze - Prime partenze degli alunni per i Becchi - Il Ch. Cagliero a Castelnuovo difende i diritti del Papa - Previsioni avverate di Don Bosco intorno al regno di Napoli. 271 CAPO LV. 276 D. Bosco e gli amici di Chieri - Ai Becchi - L'avvenire di due giovanetti - La passeggiata autunnale e varie stazioni - Le Prediche - Le confessioni: buon esempio degli alunni dell'Oratorio - Fiducia dei genitori in D. Bosco - I fanciulli dei Paesi dietro a D. Bosco e ai suoi allievi - Confidenza di questi con D. Bosco in tempo di camminate: poche vocazioni Per l'Oratorio: norma la sola volontà di Dio - Una virtù che non regge alla prova - Riconciliazione - Ritorno a Torino. 276 CAPO LVI. 280 Innovazione nei dormitorii - Nuovo programma per l'accettazione di studenti - Presa di possesso di Casa Filippi e sua descrizione - Un ponte di legno - Varie cause dell'entrata di alcuni alunni nell'Oratorio; un'invito di D. Bosco; una preghiera esaudita; la campana dell'Ave Maria e una voce consolante - Fantasie fatidiche e confortanti di due giovani - La Madonna e il dono della memoria - Esami e voti de' Chierici - Lettura solenne del regolamento dell'Oratorio - Principio delle scuole e prolusione dei maestri - Le pagelle dei voti trimestrali - Due ammonimenti ai chierici. 280 CAPO LVII. 285 Suppliche per sussidii ai Ministri degli Interni e dello Guerra: risposte - La moltiplicazione dei pani - Una guarigione meravigliosa - Annunzio della morte futura di un gran personaggio politico - D. Bosco predice l'avvenire ad alcuni alunni. 285 CAPO LVIII. 289 Note della Cronaca di D. Ruffino - Una reliquia di Savio Domenico guarisce gli occhi infermi d'un chierico - Consiglio agli artigiani di parlare italiano: la Madonna nelle sue novene toglie la zizzania dall'Oratorio: La morte viene quando meno si aspetta, e l'Angelo Custode - D. Bosco consola una famiglia affitta per la morte repentina del suo capo - La novena dell'Immacolata - Lo spirito di D. Bosco nel predicare e confessare in qualunque circostanza - Lettere al Teol. Appendino per una missione a Saluggia - Un ammonimento a chi trattava con poco riguardo i missionarii - Conferenza ai chierici sulla vocazione ed esortazione ad essere perseveranti in essa. 289 CAPO LIX. 291 Avviso ai giovani di non prendersi per mano - Cooperatori di D. Bosco nello scrivere e tradurre libri - Letture Cattoliche: BIOGRAFIA DEL SACERDOTE GIUSEPPE CAFASSO ESPOSTA IN DUE RAGIONAMENTI FUNEBRI - Studio della geografia dei paesi infedeli per zelo di convertirli - Rappresentazione drammatica - D. Bosco va a Saluggia: predica e confessa - Predizione e avveramento della morte di un chierico e di un giovanetto - Apparizione di un'anima del Purgatorio ad un principe incredulo - Lettera di un buon chierico da Giaveno - Fioretti per la novena del Santo Natale - Parlata di D. Bosco: intercessione di Savio Domenico: due alunni moriranno fra qualche mese: un nostro defunto ha bisogno di preghiere - Mons. Ghilardi predica nell'Oratorio - Stima dei Vescovi per D. Bosco Strenne di D. Bosco ai chierici: chiede ai giovani che ciascuno dia a lui per strenna una Comunione - Augurii ai benefattori - Risultati dell'educazione ricevuta dai giovani nell'Oratorio di Valdocco. 291 CAPO LX. 296 Il Galantuomo - Spiegazione delle profezie stampate l’anno scorso su questo almanacco - Accenno sugli avvenimenti futuri - Predizioni della Monaca di Taggia. 296 CAPO LXI. 299 1861 - Suo principio - Numero degli ascritti alla Pia Società -Buona condotta dei giovani - Sante industrie - Cacciatori e pescatori di anime - Il buon esempio di D. Bosco - Il sogno delle coscienze: D. Cafasso, Silvio Pellico e il Conte Cays: i conti in cifre presentati dai giovani: spettacolo doloroso: una splendida mensa: la strenna generale - Riflessioni intorno al sogno. 299 CAPO LXII. 304 Lotte spirituali - D. Bosco spiega in Privato a ciascun giovane la sua parte nel sogno - Strenne - Confessioni aggiustale - Giovani mesti e giovani lieti e santi - Morte imminente scongiurata - Confessioni generali degli artigiani - Si chiede la causa di quelle dolorose scoperte fatte dopo le Comunioni di Natale - D. Bosco dà in pubblico spiegazione del sogno - Perchè D. Bosco ritardò di alcuni giorni la narrazione del sogno - La grazia e la gloria di Dio - Una domanda sulla natura del sogno - Una Vocazione - D. Bosco e le coscienze de' giovani lontani - Felicità di chi si è confessato bene - Lettere di D. Bosco: un libro per un nobile giovinetto e un vestito per un neofito - Letture Cattoliche Indirizzo agli associati ed ai corrispondenti di queste letture. 304 CAPO LXIII. 309 Si tiene Capitolo per l'accettazione di un socio - Testamentino: D. Bosco dà qualche spiegazione sulla profezia della fine del mondo; annunzi a una grande carestia e mortalità - Riflessioni sulle profezie bibliche - Progetti per ampliare L'Oratorio - La festa di S. Francesco di Sales - D. Bosco predica gli esercizi nel Seminario di Bergamo: effetti della sua parola: vede ciò che accade nell'Oratorio: in mezzo ai Seminaristi - Lettera che ricorda questi esercizi - Ritorno di D. Bosco a Torino: scioglie li accalappiati dal demonio - Come fa D. Bosco per vedere le cose lontane: lavorar molto è suo dovere - Continuano le conseguenze del sogno - D. Bosco annunzia che dirà ad ogni allievo qualche cosa sopra il suo avvenire e sui nemici dai quali deve guardarsi - Meravigliose confessioni - La confidenza in Savio Domenico e la benedizione di D. Bosco guariscono un infermo - Come D. Bosco accetti le lodi e i biasimi - Tre furberie spirituali - Capitolo e accettazione di un nuovo socio. 309 CAPO LXIV. 314 D. Bosco Predice il futuro ai giovani e che egli vicino a morire andrà a Roma con dieci alunni - Vescovi imprigionati, sacerdoti uccisi, conventi aboliti - Vittorio Emanuele Proclamato Re d'Italia con Roma capitale - Lettera di D. Bosco al Papa: previsioni su Roma - Annunzia tre spine per L'Oratorio - Da Fossano avvisa D. Alasonatti che nell'Oratorio le cose non vanno bene - Non può recarsi a predicare in Susa - Svela a ciascun giovane quali siano i suoi nemici - Propone ad alcuni di entrare in Congregazione - Morte di un primo allievo secondo la predizione - Letture Cattoliche - Articolo dell'Armonia - Un appello ai Cattolici - Commissione per raccogliere i fatti ed i detti di D. Bosco. 314 CAPO LXV. 318 Sogno: Una passeggiata dei giovani al Paradiso - Una collina incantevole - Un altipiano - Laghi: sangue, acqua, fuoco, bestie feroci - Uno stretto passaggio - Si ritorna indietro: un'immensa pianura - Spettacolo ributtante - Un giardino ingannatore - Turbe allegre che vanno alla perdizione - Si ripiglia la salita: lo stretto passaggio; un ponte di legno - Difficile ascesa alla montagna - Un luogo di pena - Presso la vetta: canti celesti - I giovani scoraggiati e stanchi si fermano a mezza via o discendono - Sforzi di D. Bosco per farli risalire - Spiegazioni e osservazioni - D. Bosco racconta il sogno al Card. De Angelis. 318 CAPO LXVI. 325 Una commedia latina del Palumbo - Perchè la morte del giovane Quaranta non fece impressione sugli alunni - Conseguenze del sogno dell'ultimo giorno dell'anno 1860 - I giovani tacciono facilmente in confessione - Coscienze svelale - Il Capitolo accetta nuovi socii Sermoncino! Come uno può divertirsi stando in peccato - Morte predetta e avvenuta di un altro allievo - Lavoro indefesso di D. Bosco - Sermoncino per quelli che stanno lontani da D. Bosco - Conferenza ai socii: Carità da praticarsi nel parlare coi forestieri, coi giovanetti e coi confratelli - I chierici protestano di voler stare sempre con D. Bosco: estranei che dal loro contegno li riconoscono come alunni dell'Oratorio - Non si riesce a ritrattare D. Bosco - Esercizii spirituali - Virtù di D. Bosco e stima che ne ha il clero - Giovani fortunati quelli che vissero con D. Bosco - Utilità Recita del miserere ogni sera -Risposta di D. Bosco ad un prete di Osimo ed ai parroci che gli chiedono consiglio - Sussidii del Ministero dell'Interno. 325 CAPO LXVII. 330 Il sogno della ruota - Un personaggio sconosciuto - Alberi di fico e un vigneto - Si avvicina la sera - Il fratello Giuseppe - Macchina con ruota a lente - Le coscienze; i buoni e i cattivi; gli incatenati; il lucchetto alle labbra; i scimioni sulle spalle; difficili conversioni -Nuovi alunni che Dio vuol donare a D. Bosco - Le vocazioni: i coltivatori della terra; il campo di spighe mature e i mietitori; meravigliose indicazioni - I primi cinque futuri decennii della Pia Società - Progressiva scomparsa dal mondo dei primi alunni Salesiani - I loro successori e nuovi innumerabili allievi - Umile conclusione del sogno. 330 CAPO LXVIII. 339 Testimoni della narrazione del sogno e alcune prove dell'avveramento de' fatti predetti e della realtà delle cose vedute - D. Bosco palesa in privato, a quelli che glielo domandano, come li abbia visti nel sogno - Gli alunni interpellano D. Bosco in pubblico, perchè spieghi loro quale significato avessero le varie apparizioni nella lente - Due alunni fra i presenti saranno Vescovi - Alcuni artigiani messi a studiare - Il mese di Maria nell'Oratorio - D. Bosco insegna laudi sacre - Sanità cagionevole, ma lavoro incessante - Conferenza: Carità coll'obbedienza - Le sacre novene fatali ai cattivi. 339 CAPO LXIX. 345 Terzo ampliamento della fabbrica dell'Ospizio - Parole di D. Bosco nella sera del 15 maggio - Tristi presentimenti - Tre Ave Maria recitate nel dormitorio di San Luigi - Caduta del fulmine - Rovine e protezione del cielo - Una celia singolare - Ringraziamenti - Complimento del Can. Anglesio Insulti e menzogne giornalistiche - La caduta di un voltone - Sogno grazioso: Importanza di un ospedale per l'Oratorio - Le iscrizioni sotto il nuovo Portico volto a levante. 345 CAPO LXX. 350 Infermità nell'Oratorio - Mirabili guarigioni dal male agli occhi - Vocazione non corrisposta - Si fa il ritratto a D. Bosco: varii incidenti - Sogno: i due pini - Due promesse per frutto del mese di Maria - Accettazione di nuovi socii nella Pia Società - La Pioggia promessa e preghiere per la preservazione della grandine - Letture Cattoliche - Replica della commedia latina - Una prima messa - La Chiusa del mese di Maria ed una confessione ben falla. 350 CAPO LXXI. 354 La festa dell'Unità d'Italia - Le Autorità civili cessano d'intervenire alla processione del Corpus Domini - I giovani dell'Oratorio alla processione della Cattedrale - Morte e sepoltura del Conte di Cavour - Parole di D. Bosco: un giovane non farà più un secondo esercizio di Buona Morte: annunzio della morte di Cavour: minaccia a quelli che non vogliono convertirsi - Un demonio sulle spalle di chi tace il peccato in confessione - Conversazione famigliare di D. Bosco: santi giovanetti: un globo misterioso: Gesù Crocifisso: la Madonna: morte prevista di un parroco: sventura di un privilegialo da Dio, il quale cade in superbia: moltiplicazione delle ostie. - D. Bosco raccomanda in pubblico preghiere speciali per i Peccatori - Sogno: il fazzoletto prezioso e la virtù della purità - Accoglienze affettuose ad un apostata - Risposta dell'Arcivescovo di Firenze a D. Bosco che lo avvisa intorno alle insidie dei protestanti. 354 CAPO LXXII. 360 Letture Cattoliche - Articolo dell'Armonia per il rinnovamento delle associazioni a queste Letture - La festa di S. Giovanni e quella di S. Luigi; come si amassero gli antichi allievi - Il piccolo Seminario di Giaveno e felice riuscita de' suoi alunni - Visite di D. Bosco a Giaveno - Rivalità - Chierici sobillati perchè abbandonino D. Bosco - Scoraggiamento del Ch. Boggero e sua lettera - Consigli di D. Bosco a Boggero - Colloquio di D. Bosco col Provicario - D. Bosco a S. Ignazio - Lettera del Cav. Oreglia a D. Alasonatti: gli infermi - Lettera di D. Bosco ai giovani dell'Oratorio - Annunzia come vedesse da Lanzo quelli che non fanno per la casa - Distribuzione dei premii: Biglietto di Tommaso Vallauri a D. Bosco - Giovani preparati per la vestizione ecclesiastica. 360 CAPO LXXIII. 365 Letture Cattoliche - UNA FAMIGLIA DI MARTIRI - CENNO BIOGRAFICO SUL GIOVANETTO MAGONE MICHELE: articolo dell'Armonia - IL PONTIFICATO DI S. DIONIGI - Ristampa della biografia di Savio Domenico; giudizi dell'Armonia - Pregi degli scritti di D. Bosco - Cronaca: predizione al ch. Ruffino - Ricordo de’ Principii dell'Oratorio - Non conservar rancori - Star lontano da certi critici e non lasciarsi intimidire dai loro motteggi - D. Bosco va a Montemagno: in Asti confessa nella stazione e in una locanda - Consigli ad un nobile giovanetto perchè si apparecchi alla prima Comunione - Conferenza: sul parlare di politica: guardarsi dal rispetto umano nell'esercizio dei doveri di pietà: procurare che ove è un socio della Congregazione tutto proceda bene - D. Bosco rimprovera chi abusava, giuocando, delle frasi scritturali - Prende le difese dei Canonici vilipesi e di un Vescovo - Sua avversione alla maldicenza e come cercasse impedirla - Con quale carità parlasse del prossimo - È interrogato sulla predizione di una morte che non parea avverata: sua risposta - Malattie nell’Oratorio - Lettera di Mons. Fransoni a D. Bosco per le vestizioni clericali - D. Bosco si reca a Vercelli - In viaggio difende i suoi chierici dall'accusa che non 365 imparassero la teologia - Suo discorso inaugurale dopo la consacrazione della Basilica a S. Maria Maggiore - Due altre sue prediche improvvisale. 366 CAPO LXXIV. 372 La passeggiata autunnale. - A Chieri: ospiti generosi - A Buttigliera - Ai Becchi: solennità del Santo Rosario - A Castelnuovo: feste del Vicario e della popolazione a D. Bosco - Fermata a Mondonio e a Piea Arrivo trionfale a Villa S. Secondo: festa votiva in onore della Madonna e cortesie degli abitanti - A Cossombrato: fanciullo invitato a darsi agli studii - Una bella serata ad Alfiano - D. Bosco e le sue continue corrispondenze per lettera e correzioni de' suoi opuscoli Presso Castelletto de' Merli e Ponzano - Al Santuario di crea: i giovani bisognosi di ristoro: carità de' Minori Osservanti - Marcia a Casale: accoglienze del Vescovo: funzioni in chiesa e trattenimenti drammatici in Seminario - A S. Germano ed Occimiano - Arrivo a Mirabello - Funzioni religiose in piazza e teatri in chiesa - Scena buffa col sagrestano - Esercizio di buona morte nella chiesa de' Cappuccini - A Lui: esclamazione di una buona vecchia e accettazione di un giovane per l'Oratorio - A Mirabello D. Bosco risolve che si dia principio alla costruzione di un Collegio - Il parroco invita a pranzo tutta la comitiva - Partenza da Mirabello: fermate a S. Salvatore, alla Madonna del Pozzo e alla villeggiatura del Conte Groppello - Arrivo a 372 Valenza presso il senatore De Cardenas - In ferrovia da Valenza ad Alessandria - Una notte a Villafranca Arrivo a Torino - Letture Cattoliche. 372 CAPO LXXV. 381 Generosa elemosina di un vecchio creduto avaro - Il numero dei giovani dell'Oratorio - Modo grazioso nell'accordare riduzione di pensione - Lettere di D. Bosco per raccomandare chierici diocesani al Vicario Capitolare di Asti e al Provicario di Torino - Risposta di Mons. Fransoni a D. Bosco; gli Oratorii; i Protestanti; il Seminario di Giaveno; l'esame alle regole della pia Società - Il Piccolo Seminario di Giaveno floridissimo per merito di D. Bosco. 381 CAPO LXXVI. 384 Divozione di D. Bosco al Sacro Cuore di Gesù e una scismatica convertita - Insegnanti nell'Oratorio - Consolazione di chi ha impiegalo lutto il giorno per il Signore - Argomenti di lettere da suggerirsi agli alunni perchè scrivano ai loro Parenti - Suppliche esaudite per vestiarii al Ministro della guerra, al Re e al Ministro di Grazia e Giustizia per sussidii: al Presidente dell'Opera Pia di S. Paolo per le spese di culto - Tristi presentimenti e malattia mortale del Ch. Provera: Don Bosco gli offre la scelta fra la guarigione e il paradiso: Predice anni di tribolazioni: Due biglietti - Conferenze ai socii: Il consigliere nei dubbi sulla vocazione: Distacco dalle cose terrene - Capitolo e accettazione di un socio - Parlata alla sera: Distrazioni procurate dal demonio ai giovani nel tempo della Santa Messa - Soddisfazioni con danno dell'anima - Tre giovani e un sacerdote raccomandali dal Vescovo di Novara. 384 CAPO LXXVII. 391 Il Galantuomo Pel 1862 e le Sue Profezie - Lettura Cattolica per il prossimo gennaio - Alcune vestizioni clericali - Capitolo e accettazione di soci - Un alunno che la novena di Natale costringe a ritirarsi dall'Oratorio - Don Bosco infermo di risipola - L'ultimo giorno del 1861: consigli di D. Bosco a tutti gli alunni: sua promessa di una strenna straordinaria. 391
PROTESTA DELL'AUTORE
Conformandomi ai decreti di Urbano VIII, del 13 marzo 1625 e del 5 giugno 1631, come ancora ai decreti della Sacra Congregazione dei Riti, dichiaro solennemente che, salvo i domini, le dottrine e tutto ciò che la Santa Romana Chiesa ha definito, in tutt'altro che riguardi miracoli, apparizioni e Santi non ancora canonizzati, non intendo di prestare, nè richiedere altra fede che l'umana. In nessun modo voglio, prevenire il giudizio della Sede Apostolica, della quale mi professo e mi glorio di essere figlio obbedientissimo.
CAPO I. 1858 - Chi era D. Bosco: sua amorevolezza contraccambiata dagli alunni - Egli povero predilige i poveri - Virtù di Magone Michele: confidenza in Maria SS.: carità - Sua lettera a D. Bosco - Cinque ricordi ai giovani per conservare la virtù della purità - Il fazzoletto bianco - Predica sulla virtù dell'obbedienza - Tre immagini della Madonna - Letture Cattoliche. Un vecchio sacerdote, che, prima alunno e poi chierico, visse per anni nell'Oratorio, e col suo zelo molti fanciulli preservò dai pericoli della loro inesperta età, nel 1889, ci dava in iscritto le impressioni provate nel convivere con D. Bosco.
“ Chi fu D. Bosco? D. Bosco fu un sacerdote, che coll'esempio e colla parola insegnò con quale affetto ciascuno, nel proprio stato, deve servire fedelmente il Signore. Qui… fecerit et docuerit, hic magnus vocabitur in regno coelorum (Matt. V. 19.) E ben si può e devesi per questo motivo considerare con ragione D. Bosco un uomo insigne fra i più grandi personaggi non solo
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del secolo XIX, ma bensì dell'Era Cristiana. Nulla possedendo, fondò un edificio così meraviglioso, che riempie di stupore il presente, e attraverserà i secoli futuri nell'ammirazione del mondo. Egli fu istrumento di. Dio in questa grande opera, epperciò Iddio la conserverà e compirà giusta i suoi misteriosi fini, sebbene infermo possa essere l'elemento che la componga: e quanto più questo potrà difettare, altrettanto Egli metterà, per così dire, del proprio. D. Bosco Giovanni fu uomo misterioso mandato dal Signore, per provare col fatto quanto possa colui che in Dio pienamente confida. Profondo conoscitore degli uomini e de' suoi tempi, di carattere fermo, di proposito tenace, di viste lunghe e giuste, di tatto finissimo nel maneggio degli uomini e delle cose, di sconfinata fiducia nella Provvidenza divina, tutto ciò che nella sua vasta mente concepiva, sebbene insuperabili sembrassero gli ostacoli futuri, egli realizzava, compiva quasi per incanto con generale stupore, confidando in queste parole: Deus providebit. Pare che anche per lui, come pel grande Napoleone, non dovesse esistere il vocabolo impossibile, sebbene questi disponesse di altri mezzi e fosse guidato da altri fini. Gli ostacoli che si frapposero a D. Bosco nell'impianto dell'opera sua, solo il Signore può saperli. A tale uopo per disposizione divina, veniva dotato da natura di una tempra assai robusta, di corpo ben fatto, sebbene un po' inclinato nelle spalle, di statura più che mediocre, di fisico insomma e fibra assai forte e resistente. Il suo incesso moderato e semplice assai, era come d'uomo pensoso, ma tranquillo alla buona, così da non far supporre chi fosse. Anzi, se mi è lecito il confronto, direi che il suo portamento era un po' dondolante, a guisa di quello dell'amico del contadino, il bue, di cui sembrò riportarne e la mitezza di carattere e la forza e costanza nel tiro, eguale sino alla metà del campo, senza curarsi, nè di radici opponentesi sotterra, nè di qualunque altro inciampo all'aperto. Quel che però in D. Bosco più spiccava era lo sguardo, dolce bensì ma penetrantissimo fino alle latebre del cuore, cui appena si poteva resistere in fissandolo. Onde si può dire che l'occhio suo attirava, atterriva, atterrava all'uopo e che nel mio giro
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del mondo non conobbi persona, che più di lui m'imponesse collo sguardo. In genere i ritratti e quadri non riportano questa singolarità e me ne fanno di lui un dabben uomo. In mezzo a tanto tramestio di vicende umane ed avverse, D. Bosco era sempre padrone di sè; conservava l'indole sua moderatamente ilare e giocosa e rarissimamente lo vidi (forse mai) oltrepassare i limiti della suscettibilità, sebbene fosse assai sensibile di spirito e di cuore. Tutte queste attraenti prerogative unite insieme, ne facevano di D. Bosco un personaggio simpatico ed ammirabile fino alla venerazione, per tutti coloro che ebbero la fortuna di praticarlo da vicino e per cui ne diventavano di lui, più che servi, schiavi per affetto. Quel suo fare ilare e faceto in mezzo ai suoi cari figli, era ciò che gli facilitava la via e gli dava lena nelle sue più gravi e spinose imprese: onde talvolta lo si vedea scuotersi come da grave peso, sfogandosi improvvisamente con queste parole: Ah!.... Vada come vuole, purchè vada bene! Altra fiata sotto il gravame delle dicerie e persecuzioni contro di lui e le sue opere, nominando quel giovane che in quell'istante gli era più vicino, prorompeva in queste altre: Neh! Tale! Laetare et benefacere e lasciar cantar le passere. - Voi siete i miei cari biricchini: si sta pur bene nelle case dei signori, dove non manca alcuna cosa; ma là non vi siete voi! Grandi consolazioni D. Bosco provava circondato dai suoi figli sinceramente amorosi, i quali, inconscii, ne spuntavano le pungenti spine della vita, ed avevano il merito di sorreggere e conservare una si preziosa esistenza, che forse senza il loro efficace concorso, avrebbe dovuto soffrire tanto da soccombere precocemente. Egli però andava assai guardingo nel lasciare anche solo trapelare ai suoi cari le angosce e trambasciamenti dell'animo suo, per le tante avversità incontrate durante la sua scabrosa missione. Per trovar sollievo aveva composto una canzoncina giocosa, che ancora si ricorda preziosamente nell'Oratorio, come si ricorda il coro: Andiamo, compagni. Mi pare di vederlo D. Bosco in mezzo a noi e ancora udirlo: - C'è Chiapale? - Si, signore.
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- Bene…Cantiamo la nostra canzone? Intonala. - E qui accompagnarci egli stesso colla sua voce dolce e soave e continuare fino al termine del canto, come se fosse giunto a godere la bellezza d'una confortante oasi in un combusto deserto. Servite Domino in laetitia, era il suo motto d'intercalare fra i suoi più diletti; e questa santa allegria formava per lui la base del suo edificio sociale per la sicura educazione della gioventù. Nemico della taciturnità e de' nascondigli, voleva che i giovani nella ricreazione si esercitassero specialmente nella ginnastica del corpo e nella musica, cui egli stesso prendeva parte assai volentieri, anche per disingannare quelli che per malinteso spirito e scrupolo se ne astenevano. - Io desidero vedere i miei giovani, diceva, a correre e saltare allegramente nella ricreazione, perchè così sono sicuro del fatto mio. Quindi affidava a' più pratici negli esercizii suddetti, coloro che per troppa timidità ne fossero ritrosi, perchè li animassero gradatamente a stare allegri e a divertirsi cogli altri. Nello stesso tempo amante come era del canto e del suono ne aveva istituito la duplice scuola dopo la cena. Egli stesso aveva adattato la musica a parecchie Laudi Sacre e composto un semplice Tantum Ergo musicato per le feste solenni ne' primordi dell'Oratorio. Questo ancor io ebbi il piacere di cantare co' miei colleghi, sempre cari, di quel tempo (1858). Credo lo si conservi ancora nell'Archivio Musicale dell'Oratorio. Una santa adunque e continua corrispondenza di affetti tra gli alunni dell'Oratorio e D. Bosco, era non solo accesa dall'esempio di tante sue virtù e dalla gratitudine, ma eziandio dal riconoscere i giovanetti come il loro Superiore e padre, rimanendo volontariamente povero, fosse proprio come uno di loro. Povero ad imitazione di Gesù, come Lui, D. Bosco prediligeva i poverelli e tra i figli del popolo sceglieva i suoi discepoli. È notabile il motivo pel quale non accettava un fanciullo raccomandatogli dal Barone Feliciano Ricci.
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Benemerito e sempre Car.mo Sig. Barone, Mi è molto rincresciuto della venuta del Figlio Rosso e del rinvio alla patria. Non è possibile di fargli posto al presente. D'altronde la madre si presentò abbigliata in modo da invitare me a dimandare a lei la carità. Io non posso accettare giovani, fra quelli che sono totalmente abbandonati, mentre i parenti dimandano con vestiti di gala. Il secondo motivo è un solo riflesso: la ragione per cui non l'ho ricevuto è la impossibilità. Spero nella sua bontà che mi vorrà compatire, se non ho potuto secondare tostamente il suo caritatevole desiderio. Si degni di pregare per me ed io, invocando la grazia del Signore sopra di Lei e sopra tutta la famiglia, mi professo con vera gratitudine Di V. S. Benemerita Torino, 4 maggio 1858. Obbl.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI. Egli prediligeva i più meschini ed i più umili tra i quali possedeva dei veri tesori di virtù. Ci basti narrare di un solo. Magone Michele, che, nelle prime settimane della sua entrata nell'Oratorio, sembrava un focoso cavallo sbrigliato, frequentando i sacramenti era divenuto così paziente che andandosi a confessare da D. Bosco si preparava stando raccolto immobile e ginocchioni sul nudo pavimento, talvolta per quattro ed anche cinque ore lasciando che altri passasse prima di lui. Dopo la confessione, la comunione e le sacre funzioni si fermava accanto all'altare del Santissimo Sacramento o a quello della Beata Vergine, prolungando le sue preghiere. Talora i compagni, uscendo in folla di chiesa, lo urtavano, inciampavano ne' suoi piedi, ed anche glieli pestavano, ma egli pareva insensibile e
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proseguiva tranquillo le sue orazioni. Ma nel tempo di ricreazione tutti i lati dell'ampio cortile erano battuti da' suoi piedi e non eravi trastullo in cui esso non primeggiasse; tuttavia al primo segno di campana correva ove quella chiamavalo. In quest'anno egli applicavasi in tal modo allo studio, che fece la prima e la seconda classe di latinità, sicchè all'esame finale potè essere ammesso alla terza. La sua divozione ardentissima alla Madonna era causa dei suoi progressi. Interrogato come facesse a vincere certe difficoltà nei compiti giornalieri ei rispose: - Ricorro alla mia Divina Maestra ed Ella mi dice tutto e mi pone in mente molte cose che da me non avrei saputo. - Aveva scritto sopra un'immagine di Maria che teneva in un libro e tirava fuori mettendosi a studiare: - Virgo parens, studiis semper adesto meis. E su tutti i suoi quaderni, fogli, libri e perfin sul tavolo aveva scritto colla penna o colla matita: Sedes sapientiae, ora pro me. Per dar gloria a Lei e al suo Divin Figliuolo aveva imparata la musica e colla sua voce argentina e gratissima cantava nelle pubbliche e solenni funzioni. Mentre D. Bosco si trovava a Roma, egli aveva preso parte agli esercizi spirituali, dettati a Pasqua agli esterni dell'Oratorio, coronandoli colla confessione generale; e scriveva a D. Bosco una letterina in cui diceva come la B. Vergine gli aveva fatta udire la sua voce, lo chiamava a farsi buono e che Ella stessa voleva insegnargli il modo di temere Iddio, di amarlo e di servirlo. Ritornato D. Bosco a Torino gli chiese licenza di far voto, che non avrebbe mai perduto un momento di tempo; ma quegli non glielo permise e volle che si contentasse di una semplice promessa. La grazia di Dio ispirava in quel giovanetto vivo desiderio di perfezione.
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Nel maggio di quest'anno 1858 si propose di fare quanto poteva per onorare Maria. La mortificazione degli occhi, della lingua e degli altri sensi fu compiuta. Voleva pure privarsi di una parte della ricreazione, digiunare, passare qualche tempo della notte in preghiera; ma queste pratiche gli furono vietate, perchè non compatibili colla sua età. Sul finire dello stesso mese egli si presentò a D. Bosco e dissegli: - Se lei è contento, voglio fare una bella cosa in onore della gran Madre di Dio. Io so che S. Luigi Gonzaga piacque molto a Maria, perchè fin da fanciullo consacrò a Lei la virtù della castità. Vorrei anch'io presentarle questo dono, e perciò desidero di fare il voto di farmi prete e di conservare perpetua castità. D. Bosco rispose che non era ancora all'età di fare voti di quella importanza. - Pure, egli interruppe, io mi sento grande volontà di darmi tutto a Maria; e se a Lei mi consacro, certamente Ella mi aiuterà a mantenere la promessa. - Fa così, soggiunse D. Bosco, invece d'un voto limitati a fare una semplice promessa di abbracciare la stato ecclesiastico, purchè in fine delle classi di latinità appariscano chiari segni di essere al medesimo chiamato. In luogo del voto di castità fa soltanto una promessa al Signore di usare per l'avvenire sommo rigore per non mai fare, nè dire parola, neppure una facezia, che per poca sia contraria a quella virtù. Ogni giorno invoca Maria con qualche speciale preghiera, affinchè ti aiuti a mantenere questa promessa. Egli fu contento di quella proposta e alcuni giorni dopo D. Bosco gli diede un bigliettino dicendogli: - Leggi e pratica. - Magone lo aprì ed era di questo tenore:
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Cinque ricordi che S. Filippo Neri dava ai giovani per conservare la virtù della purità. Fuga delle cattive compagnie. Non nutrire delicatamente il corpo. Fuga dell'ozio. Frequente orazione. Frequenza dei Sacramenti, specialmente della confessione. Ciò che qui era in breve glielo espose altre volte più diffusamente. Gli disse egli adunque: 1. Mettiti con figliale fiducia sotto alla protezione di Maria; confida in Lei, spera in Lei. Non si è mai udito al mondo che alcuno abbia con fiducia ricorso a Maria, senza che ne sia stato esaudito. Sarà essa tua difesa negli assalti, che il demonio sarà per dare all'anima tua. 2. Quando ti accorgi di essere tentato mettiti sull'istante a fare qualche cosa. Ozio e modestia non possono vivere insieme. Perciò evitando l'ozio vincerai eziandio le tentazioni contro a questa virtú. 3. Bacia spesso la medaglia, oppure il Crocifisso, fa il segno della s. Croce con viva fede, dicendo: Gesù, Giuseppe, Maria, aiutatemi a salvare l'anima mia. Questi sono i tre nomi più terribili e più formidabili al demonio. 4. Che se il pericolo continua, ricorri a Maria colla preghiera propostaci da santa Chiesa, cioè: Santa Maria Madre di Dio, pregate per me peccatore. 5. Oltre al non nutrire delicatamente il corpo, oltre - alla custodia dei sensi, specialmente degli occhi, guárdati ancora da ogni sorta di cattive letture. Anzi qualora cose indifferenti fossero a te di pericolo, cessa tosto da quella lettura; per opposto leggi volentieri libri buoni, e tra questi preferisci quelli che parlano delle glorie di Maria e del SS. Sacramento. 6. Fuggi i cattivi compagni: al contrario fa scelta di compagni buoni, cioè di quelli che, per la loro buona condotta, odi a lodare dai tuoi superiori. Con essi parla
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volentieri, fa ricreazione, ma procura di imitarli nel parlare, nell'adempimento dei doveri e specialmente nelle pratiche di pietà. 7. Confessione e Comunione con quella maggiore frequenza che giudicherà bene il tuo confessore; e se le tue occupazioni il permettono, va sovente a fare visita a Gesù in Sacramento. Questi consigli D. Bosco li porgeva continuamente in pubblico ed in privato, a voce e per iscritto, soggiungendo: - Forse taluno potrà dire che simili pratiche di pietà sono troppo ordinarie. Ma io osservo che siccome lo splendore della virtù di cui parliamo può oscurarsi e perdersi ad ogni piccolo soffio di tentazione, così qualunque più piccola cosa che contribuisca a conservarla, deve tenersi in gran pregio. Per questo io consiglierei di caldamente invigilare, che siano proposte cose facili, che non ispaventino, e neppure stanchino il fedele cristiano, massime poi la gioventù. I digiuni, le preghiere prolungate e simili rigide austerità per lo più si omettono, o si praticano con pena e rilassatezza. Teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza. - Questo fu il sentiero che condusse il nostro Michele ad un maraviglioso grado di perfezione. E questa faceva anche brillare la sua carità verso il prossimo. Egli era sempre pronto a scrivere lettere per chi ne avesse avuto bisogno, a prestare ai compagni qualunque servizio in camerata e altrove: p. e. scopare, rifare i letti, pulir gli abiti, spiegare le difficoltà non capite nella scuola; a consolare gli affitti colle buone maniere, col raccontare storielle col farsi mediatore presso i superiori; a fare il catechismo agli esterni, ad insegnare il canto, a servire gli infermi, esibendosi ad assisterli anche di notte, a perdonare
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volentieri qualunque offesa. Con questi suoi modi erasi guadagnato il cuore di tutti e della sua influenza si giovava per il bene delle anime con avvisi, inviti, preghiere, promesse, regali, biglietti, scherzi e prudenti rimproveri. Lo sa Iddio il male che impediva e il bene che faceva operare! Non ci tratterremo in narrazioni particolari, ma non ometteremo un documento inedito, perchè sia conservato. Da una lettera che un condiscepolo di Magone, Galleano Matteo, scriveva a D. Bosco, ricaviamo due bei fatti. Ecco come si esprime: - Il primo è che una volta avendo Magone in mano una piccola candela lunga quasi quattro dita, mi invitò ad andare in chiesa a pregare per la conversione dei peccatori. Io mosso dalle sue graziose parole accondiscesi. Entrati in chiesa andammo all'altare di Maria, e avendo egli accesa quella candela, recitammo la terza parte del rosario. Io era già stanco di pregare, e mi disponeva ad andar via, quando egli con gentili maniere mi esortò a continuare l'orazione, e pregammo finchè la candela fu tutta consumata. Il secondo fatto è il seguente. Un sabato sera trovandosi molti artigiani nel parlatorio dopo cena ed essendo già suonato il campanello per le confessioni, essi non volevano andare e giuocavano alla mora. Quand'ecco giungere Magone, il quale con bei modi salutato l'uno e l'altro, li esortò ad andarsi a riconciliare con Gesù Cristo, ma invano. Allora giuocò con essi circa un quarto d'ora e poscia disse loro: - Venite meco sul secondo poggiuolo. - Tutti andarono con lui credendo che in quel luogo volesse continuar la partita. Ma egli, trovandosi sulla porta della camera di D. Bosco, tanto disse che li condusse a confessarsi. -
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L'incantevole bontà di Magone e di non pochi altri suoi compagni fioriva e fruttificava rigogliosa per l'obbedienza prestata non solo ai precetti, ma eziandio a tutti i consigli di D. Bosco. Una sera egli stava da un pezzo in mezzo a' suoi giovani in tempo di ricreazione e sentivasi stanco. Dopo averli fatti camminare qualche poco, trasse tutti insieme, quelli che si erano raccolti intorno a lui, fuori dei portici. Quindi li fece sedere per terra, dandone egli loro modestamente l'esempio. I giovani stavano a disagio, ma nessuno osava muoversi, tanto loro premeva di ascoltare D. Bosco e non perdere nulla del tempo che egli aveva destinato di passare con essi. Il servo di Dio dopo aver detto del gran bene che vi era da fare alle anime nel mondo, ed il bisogno di farlo presto, e come il Signore desiderasse che i figli dell'Oratorio lo aiutassero, soggiunse: - Quanto bene si farebbe se io avessi dieci o dodici bravi preti da mandare in mezzo al mondo! - Io! Io! - risposero tutti ad una voce. Questa entusiastica risposta fece sorridere D. Bosco, il quale continuò a parlare in questo modo: - Ma se volete venir con me, bisogna che voi siate al mio cenno, e concedermi che io faccia di voi come fo' di questa pezzuola che ho tra mano. - In così dire, come era solito a fare, e abbiamo riferito altrove, aveva tirato fuori di scarsella un bianco fazzoletto e lo piegava ora in un modo ora in un altro; se lo metteva nella mano sinistra e lo stropicciava; lo aggomitolava; e poi vi faceva qualche nodo ovvero lo sciorinava all'aria per ripiegarlo di nuovo in altra foggia. I giovani guardavano maravigliati quella strana mimica di D. Bosco e molti non l'intendevano; ed egli ripigliò a dire: - Ogni cosa sarà possibile, se lascierete che io
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faccia con voi ciò che avete veduto aver io fatto del fazzoletto! Se mi obbedirete, se farete la mia volontà, la volontà del Signore, vedrete che Egli farà miracoli col mezzo dei giovani dell'Oratorio. - E molti di questi si misero risolutamente alla sua sequela per cooperare alla gran missione. Del resto la virtù dell'obbedienza era inculcata da Don Bosco continuamente ai suoi alunni e la predicava una Domenica sera, dovendo supplire al Teol. Borel. Le sue parole, raccolte a senso da uno de' suoi chierici, Bonetti Giovanni, furono le seguenti: Tutti quelli che vogliono imparare una professione bisogna che facciano un tirocinio per imprenderla bene. Vi è un antico proverbio che dice: nessuno nasce maestro. Perciò se uno vuole imparare la professione da muratore, bisogna che per due o tre anni si rassegni a portare la secchia, i mattoni, le pietre e fare altri simili pesanti servigi, onde venga poi ad imparare ad usar la cazzuola e fabbricar case, senza pericolo che queste cadano sul capo di quelli che le debbono abitare. Così pure quanti servigi deve prima prestare un giovane che voglia fare il falegname. Se uno volendo imparare tale professione si mettesse subito a fare una guardaroba, uno scrittoio o qualche altro mobile, perderebbe tempo e fatica, guasterebbe legno e ferri, cosicchè invece di imparare a fare il falegname, imparerebbe il mestiere di guasta boschi. Ora ciò che diciamo di quelli che vogliono imparare una professione, diciamolo pure di noi. Si! Anche noi cristiani abbiamo da imparare la nostra professione, che è la professione cristiana. Noi non potremo mai riuscire bene in questa, se prima non la impareremo. Ma siccome per imparare questa nostra professione, ciascheduno di noi deve obbedire, a Dio, al Papa, e ai sacri ministri della Chiesa e ciascuno secondo il suo stato, così io vi voglio parlare della virtù dell'obbedienza. Che cosa vuol dire dunque obbedienza? La parola obbedienza viene dal latino ab audientia, cosa ascoltata, udita dalla bocca
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di un altro e perciò quando noi udiamo il comando di un superiore e lo facciamo, allora esercitiamo l'obbedienza. Che cosa è poi la virtù dell'obbedienza? S. Tomaso d'Aquino, il più grande di tutti i Teologi, uomo sapientissimo, che ha scritte molte belle cose, dice che l'obbedienza è una virtù che fa l'uomo pronto ad adempire ogni comando e la volontà del Superiore: Obedientia est virtus hominem efficiens promptum ad exequendum praeceptum aut voluntatem superioris. Ma questa virtù viene forse infusa in noi nel santo Battesimo? Questa non è una virtù Teologale, che abbia soltanto Iddio per oggetto, ma è una virtù morale, che noi, aiutati dalla grazia di Dio, possiamo acquistare coll'esercizio delle nostre forze, cioè colla ripetizione degli atti di obbedienza. Quante sorta di obbedienza vi sono? Ve ne sono di cinque sorta. L'obbedienza divina, l'obbedienza ecclesiastica, l'obbedienza politica, l'obbedienza domestica, l'obbedienza religiosa. L'obbedienza divina riguarda l'obbedire a Dio. Dio essendo il creatore del cielo e della terra, il Re dei re, il padrone di tutti gli uomini e di tutte le cose è ben giusto che sia da noi prima di tutti obbedito. Iddio ci comanda di onorar lui solo come Dio e noi lo dobbiamo obbedire. Iddio ci comanda di non nominarlo invano, di non bestemmiarlo e noi lo dobbiamo obbedire. Iddio ci comanda di santificare le feste e noi dobbiamo obbedirlo. E così via dicendo, noi dobbiamo obbedirlo osservando tutti i dieci comandamenti, che è quello che Dio ci comanda. Ma non solo dobbiamo obbedire a Dio, ma dobbiamo ancora osservare l'obbedienza ecclesiastica, cioè dobbiamo ancora obbedire alla S. Madre Chiesa, perchè Dio ha detto a Pietro: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Quel medesimo Gesù Cristo, che ha dato a Pietro la podestà di sciogliere e di legare, gli ha dato anche la podestà di fare leggi, che potessero contribuire alla maggior gloria di Dio ed alla salvezza delle anime. Perciò è anche nostro dovere che dopo Dio obbediamo al Papa, che è il vero successore di S. Pietro, dobbiamo obbedire alla S. Chiesa e perciò osservare i suoi comandamenti ascoltare la santa Messa tutti i giorni festivi, non mangiar carne il venerdì ed il sabato, confessarci almeno, una volta all'anno e comunicarci alla Pasqua di Risurrezione, e non trasgredire gli altri precetti.
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Coll'obbedienza politica noi obbediamo al Sovrano, ma solo in cose temporali, non mai in fatto di religione. Per es.: noi dobbiamo obbedire al Sovrano col pagare il dazio, o volendo fare una scrittura permanente, farla in carta bollata e così a tutte le altre osservanze che riguardano le leggi di uno Stato. Ma se le potenze temporali ci volessero comandare in cose di religione e che queste non fossero approvate dalla Chiesa non dobbiamo giammai obbedire. In questo caso dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio; e non mai per obbedire al Governo disobbedire a Dio, facendo qualche azione contraria alla sua legge o contro alla S. Chiesa che è sposa di Gesù e che fa le veci di Dio qui sulla terra. Vi è poi ancora l'obbedienza domestica. Questa obbedienza si riferisce al padre e alla madre, ai padroni, ai superiori e via dicendo. Perciò un figlio è obbligato ad obbedire ai suoi genitori, che sono i primi dopo Dio; un servo, un garzone è tenuto ad obbedire al suo principale, che fa le veci del padre e della madre; e così ciascuno deve obbedire ai suoi superiori, che hanno il dovere di vigilare sopra di lui. Ma in tutto ciò, che riguarda l'obbligo di obbidire, noi dobbiamo sottometterci soltanto a quello, che non sia contrario alla legge di Dio o della Chiesa. Qualora un padre, od una madre, o un padrone vi comandassero cose cattive, allora non siete più obbligati ad obbedire, anzi peccate anche voi se li obbedite. Guai a quel padre, a quella madre che fossero così indemoniati da indurre al male un proprio figliuolo! Guai anche a quel figlio, il quale sapendo che gli si comandano cose cattive, tuttavia obbedisce. Quanto all'obbedienza religiosa non è il caso di parlarne, perchè voi non siete nè trappisti, nè francescani. Riguardo all'obbedienza si devono inoltre osservare l'oggetto ed il soggetto. Non spaventatevi di questi paroloni: oggetto e soggetto. Se non li capite ve li spiegherò. Per oggetto dell'obbedienza s'intende la materia dell'obbedienza, ossia quello che vi vien comandato di fare. E però tutte le volte che ci comandano cose cattive, fosse pure, per impossibile, un angelo venuto dal cielo, noi non dobbiamo obbedirlo. Alcuni giorni fa ci fu un padrone, il quale disse ad un suo giovane: - Non sai come farti dei danari? Se vuoi io ti insegnerò. Io ti debbo dare otto
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soldi al giorno, non è vero? Ebbene; io te ne darò soltanto sei; gli altri due te li darò per te. Se il sig. D. Bosco te li chiede tu gli dirai: il padrone me ne ha dati soltanto sei. - Ora ditemi; in questo caso potrebbe obbedire quel garzone? No; perchè è cosa illecita. Infatti quel buon giovane non obbedì, dando così una bella lezione e un bell'esempio a quel padrone spensierato. Per soggetto dell'obbedienza poi s'intende colui che comanda. In questo caso colui che comanda deve essere superiore a colui che obbedisce e tutte le volte che chi comanda è un superiore, noi siamo tenuti ad obbedirgli. Un inferiore, un eguale non può obbligarvi ad obbedire. Ma voi domanderete: La virtù dell'obbedienza è una grande virtù? Sì! La virtù dell'obbedienza è quella che contiene, che abbraccia tutte le altre virtù, come dice S. Gregorio Magno: Est virtus quae omnes virtutes inserit, insertasque custodit. Le conserva in modo che più non si perdano. La virtù dell'obbedienza è l'atto il più grato che noi possiamo fare a Dio. Fra tutti i doni che Dio ci fece, la libertà, cioè l'averci creati liberi, è il dono più grande. Ora quando noi obbediamo facciamo un sacrifizio di questa libera volontà, assoggettandola al volere di un altro; ma la volontà è la cosa più preziosa che abbia l'uomo, dunque questo è il sacrifizio più gradito che possiamo fare a Dio. Ma perchè questa obbedienza sia grata a Dio, deve essere di nostra volontà. Uno che obbedisce malvolentieri, che obbedisce ma per timore di essere castigato dai superiori, l'obbedienza di costui non può essere piacevole a Dio, perchè a Dio non piacciono le cose fatte per forza. Egli essendo Dio d'amore vuole che tutto si faccia per amore. Perciò quando ci viene comandata qualche cosa poniamo subito il nostro cuore in pace, e pronti obbediamo, che il Signore sarà con noi. Aveva il Re Saulle da dare una battaglia contro i Filistei. Il Profeta Samuele gli disse: - Va al campo, e là aspetta finchè io sia giunto a fare un sacrificio, guardandoti dall'attaccar prima la battaglia. - Andò Saulle, aspettò, ma Samuele tardava a giungere. I nemici già si avanzavano, ed i suoi soldati indietreggiavano, non potendo accettar battaglia finchè si fosse fatto il sacrifizio. Saulle vedendo allora che il suo esercito incominciava a sbandarsi e che Samuele ancora non giungeva, fa preparare la vittima ed usurpando l'uffizio di sacerdote egli
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stesso sacrifica la vittima. Ma appena terminato il sacrifizio, ecco giungere Samuele e al vedere che Saulle, contro il comando fattogli di aspettare, aveva egli stesso sacrificato, tutto sdegnato, gli disse: Che facesti mai Saulle? - Ho fatto questo perchè vedeva che tu non giungevi, rispose Saulle. Il nemico si avanzava sempre più verso di noi e i nostri già prendevano la fuga; solo per questo fine ho fatto il sacrifizio. - Inique egisti; inique egisti. Hai operato iniquamente; hai operato iniquamente. - Ma ormai eravamo oppressi e vinti. Non c'era tempo da perdere. - Hai operato iniquamente. Ti aveva comandato di aspettarmi e non l'hai fatto! inique egisti. - Dunque per qualunque siasi motivo, quando ci si comanda qualche cosa, obbediamo. Per dimostrarvi come il Signore compensi l'obbediente anche in questo mondo, vi voglio raccontare un bell'esempio riferito dallo stesso S. Gregorio Magno. Narrasi nella vita di S. Benedetto che questo santo un giorno mandò uno dei suoi cari discepoli, ai quali insegnava la via del paradiso, di nome Placido, a prendere acqua con una secchia in un fiumicello poco distante. Questo povero giovane andò: sia che abbia messo il piede in fallo, sia che la secchia l'abbia tirato giù col suo peso, il fatto sta che cadde nell'acqua e colla secchia andava in balia della corrente. S. Benedetto ciò osservando da una finestra, subito chiamato un altro discepolo di nome Mauro - Va, gli disse, a trar fuori dall'acqua Placido, che è caduto or ora nel fiume e la corrente lo porta via. - Mauro assuefatto ad obbedire, non curando il pericolo, corre subito e giunto sulla sponda del fiume si mette a camminare sulle acque, come se fossero terra solida; giunge ove si dibatteva Placido, lo prende per i capelli, lo trae fuori e ritorna indietro sulla riva, senza nemanco bagnarsi i piedi. Dice il medesimo S. Gregorio Magno che Mauro non si accorse nemmeno che aveva camminato sopra le acque, nè si avvide del pericolo al quale si era esposto di affogare, Ecco come Iddio premiò l'obbedienza pronta. Finito il mese di maggio, D. Bosco, non sappiamo per qual motivo, alla parete della sua camera appendeva un cartone, sul quale nella parte superiore era litografata la
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polveriera pochi istanti dopo lo scoppio del 1852, vista dalla piazza Emanuele Filiberto e l'accorrere delle truppe e del Re. Nella parte inferiore vedevasi il ritratto di Paolo Sacchi, ai lati del quale D. Bosco aveva applicate due immagini della Madonna, che teneva in braccio il celeste Bambino. Sovra di una era stampato: Ricordo del mese mariano nella chiesa della SS. Trinità in Torino l'anno 1858. Sotto vi era la scritta: - Madre del bello Amor, io l'amo, il sai; - deh! fa ognor più ch'io l'ami, e l'ami assai. Nella seconda immagine si leggeva sopra: Rimembranza del mese di Maria celebralo nella chiesa delle Adoratrici. 1858. E sotto: Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi. Dal cartone pendeva una terza immagine di Maria SS. Immacolata colle mani giunte e portava queste iscrizioni: O Vergine Immacolala, Tu che sola portasti vittoria di tutte le eresie, vieni ora in nostro aiuto; noi di cuore ricorriamo a Te. Auxilium Christianorum ora pro nobis. E colla matita D. Bosco aveva aggiunto: Terribilis ut castrorum acies ordinata. Questo cartone era forse destinato a sostituire quello, che D. Giacomelli aveva nascostamente sottratto per ritenerlo come memoria di D. Bosco. Il secondo però, per lo stesso motivo, subì la sorte del primo e per la stessa mano, che lo restituì all'Oratorio anni dopo la morte di D. Bosco. D. Giacomelli conosceva bene l'amore che il santo suo amico portava alla Madonna. Continuava egli intanto nel lavoro delle Letture Cattoliche. Pel mese di giugno era stampato un bel racconto: Giuseppe e Isidoro, ovvero il pericolo dei cattivi compagni, o operetta di P. Marcello. Ingannato e tradito da Isidoro, il giovanetto Giuseppe fugge dalla casa paterna, ma ambidue rapiti da un pirata, prima corrono i rischi del mare e
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dei combattimenti e poi sono costretti a lavorare in una caverna coi falsi monetari: Giuseppe rivoltosi a Dio, sopporta con grande rassegnazione i patimenti di quella terribile schiavitù, e per un intreccio di fatti straordinari, può ritornare al paese natio: Isidoro ostinato nell'irreligione finisce di mala morte. Mentre spedivasi questo fascicolo, D. Bosco, il 2 giugno, scriveva a D. Carlo Vaschetti, vice curato a Beinasco. - Ella non manchi di pregare il Signore Iddio, che degnisi benedirci nello spirituale e nel temporale e faremo grandi cose. Faccia un milione di associati alle Letture Cattoliche. La diffusione di queste Letture stava sempre in cima a' suoi pensieri.
CAPO II. Fatti di Pio IX raccontati ai giovani - Festa di S. Giovanni Battista e agape imbandita ne' tre Oratori festivi, per la generosità del Papa - La festa di S. Luigi e l'articolo sull'Armonia del Conte di Camburzano - I segreti di una coscienza svelati - Letture Cattoliche: PORTA TECO CRISTIANO - Don Bosco medita di fare ritorno a Roma: Lettera del Conte De Maistre.
Don Bosco nel tempo di sua dimora in Roma aveva preso nota di quanto veniva a conoscere degli atti del sommo Pontefice, specialmente di quelli che manifestavano il suo carattere, ilare, benevolo e caritatevole. A quando a quando ne raccontava alcuno a' suoi giovani che lo ascoltavano con grande piacere. Due di queste narrazioni ci furono conservate da Don Michele Rua. D. Bosco pertanto così parlò una sera: Un piacevole episodio accadde al Santo Padre, mentre io ero a Roma. Un romano, il Conte Spalla, andò a fare una visita al Pontefice, e, dopo aver parlato di varii affari d'importanza, gli disse accomiatandosi: - Io vorrei, o Santità, qualche cosa per vostra memoria. E Santo Padre premuroso a rispondergli: - Domandate quel che volete e mi studierò di favorirvi. - Qualche cosa di straordinario.
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- Dimandate. - Vorrei la vostra tabacchiera. - Ma essa è piena di tabacco d'ultima qualità. - Non importa, l'avrò molto cara. - Prendetela, ve ne faccio un dono con gran piacere del mio cuore. Il Conte Spada parti più contento di quella tabacchiera che di un gran tesoro. Essa è semplice, di corno di bufalo, unita con due anelli di ottone che pel valore non ci darei quattro soldi, ma preziosissima per la provenienza. Il Conte Spada la fa vedere ai suoi amici come cosa degna di grande venerazione. Il tabacco era infatti di infima qualità. Altra non men curiosa vicenda accadde al venerando Pontefice. L'anno scorso viaggiando Egli per i suoi Stati passava nelle vicinanze di Viterbo. Una povera ragazzina, che aveva fatto un fascio di legna, vedendo là ferma la vettura pontificia, giudicò che quei Signori volessero comperare la sua fascina. Corse verso di loro: - Signore, disse al Santo Padre, comperatela, il legno è molto secco. - Il Santo Padre: - Non ne abbiamo bisogno. - Comperatela, ve la dò per tre baiocchi. - Prendi i tre baiocchi ed abbili colla tua fascina. - Il Santo Padre le diede tre scudi, quindi rimontava in vettura. La buona ragazzina voleva a qualunque costo che il Santo Padre mettesse la sua fascina nella vettura dicendogli: - Prendetela, sarete contenti, nella vostra vettura c'è posto sufficiente. - Mentre il Santo Padre colla sua corte ridevano di una tale insistenza, la madre della ragazza, che lavorava in un campo vicino, corse colà gridando: - Santo Padre, Santo Padre, perdonate; questa povera ragazza è mia figlia. Essa non vi conosce. Abbiate pietà di noi che siamo in grande miseria. Il Santo Padre ci aggiunse ancora sei scudi e poi continuò il suo cammino. Saputasi tal cosa nella città, ognuno andava a gara per magnificare la Divina Provvidenza, che loro aveva dato un così pio e caritatevole Sovrano. D. Bosco intanto aveva stabilito che il 24 giugno venisse celebrata una festa ad onore di Pio IX nei tre Oratorii di S. Francesco di Sales, di S. Luigi e dell'Angelo Custode.
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In quel giorno, essendo nell'Archidiocesi di Torino festa di precetto, volle che i giovani i quali intervenivano a tali Oratorii godessero dei favori loro concessi dal Santo Padre. Abbiamo già scritto come due grazie avesse benignamente elargite il Vicario di Gesù Cristo, nella visita che D. Bosco gli aveva fatta a Roma. Compartendo ai giovani l'apostolica benedizione, aveva loro concessa un'indulgenza plenaria in quel giorno in cui essi avessero fatta la loro confessione e comunione; e questo per l'anima. Indi aveva aggiunto una graziosa somma di danaro, affinchè fosse a tutti servita una colazione. Tale somma era stata notevolmente accresciuta dalla generosità di alcuni signori di Torino, i quali avevano chiesto di acquistare uno degli scudi donati dal Papa, sborsando un prezzo proporzionato al loro vivo desiderio di conservare una memoria dell'affetto di Pio IX ai giovani Piemontesi. Don Bosco poteva disporre di 500 lire. La domenica innanzi alla festa i giovanetti furono avvertiti dai proprii Direttori. D. Bosco li animò narrando come Pio IX avesse parlato di essi con grande bontà e come loro avesse procurati i doni già annunziati, affine di vie maggiormente incoraggiarli a correre con perseveranza la via de' comandamenti di Dio. E nella festa di S. Giovanni Battista i giovani accorsero numerosissimi ai rispettivi Oratorii, per accostarsi ai Santi Sacramenti, onde arricchirsi degli spirituali favori e per gustare nello stesso tempo della colazione, o meglio dire, della merenda loro provveduta dall'amorevole Pontefice. La festa non poteva riuscire nè più bella nè più giuliva. Però nell'Oratorio di Valdocco questa solennità ebbe un carattere tutto speciale. D. Bosco aveva fatto incidere su pietra Gesù Crocifisso, ordinandone la stampa di 550
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immagini al litografo Cattaneo, per farne dono ai suoi benefattori. Il cortile poi oltre i soliti svolazzi era tutto adorno di rami verdeggianti. La sera del 23 i giovani alunni celebravano l'onomastico di D. Bosco, con accademia di poesie e di prose scritte e declamate dagli stessi giovani. L'inno era stato messo in musica per la prima volta dal Ch. Cagliero Giovanni e la banda era diretta dal maestro Massa. D. Bosco ringraziò, parlò del Papa e all'indomani volle eclissato il suo nome innanzi a quello di Pio IX. I giovani interni ed esterni compiuti i doveri religiosi, in numero di circa mille si schierarono fuori della chiesa. Erano pronti i musici e primieramente eseguirono una cantata composta dal chierico Francesia Giovanni, alternata da recitativi per esprimere la gioia da tutti sentita per i segni d'amore, le benedizioni e i doni compartiti alla gioventù dal Romano Pontefice. Nella prima strofa dicevasi: Dal labbro, dagli atti, dal volto giulivo Traspaia, o compagni, la gioia del cuor; Chè un giorno più bello, solenne, festivo, Dal balzo d'oriente non sorse finor. Quindi due giovanetti con un dialogo spigliato in versi quinarii narrarono il motivo di una festa così bella; e concludevano:
Viva il Pontefice! Viva Pio Nono A chi fia grato Se a Voi non sono? Io indelebile In mezzo al cuore Scrivo il magnanimo Vostro favore.
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Ad essi rispondeva il coro: Noi pien di giubilo, Pieni di fede, Stampiamo un bacio Sul vostro piede; Ed alziam fervida, Mattina e sera, Per voi, Santissimo, Una preghiera.
Ed ecco un soprano accompagnato dai cori innalzava a Dio una prece, acciocchè tutti gli uomini venerassero il suo Vicario e gli obbedissero; che si vedesse sulla terra un solo ovile con un solo pastore e che tutti i giovani dell'Oratorio potessero un giorno far corona a Pio IX in Paradiso. Cessati i canti ad un invito di D. Bosco i giovani presero posto per la copiosa refezione. Tutti in quell'ora esprimevano in mille modi la loro riconoscenza verso il Papa. I brindisi, le grida di evviva ed i battimano succedevansi allegramente. Terminata l'agape i cori sciolsero un inno a Pio IX. Così cantarono:
Negli affanni della vita Negli assalti del dolore, Di quest'agape gradita, Come balsamo sul cuore, Tornerà la dolce immagine Dei fanciulli al pensiero. Tornerà al pensier nostro, Che, deserti e poveretti, Ci raccolse in umil chiostro
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Un pietoso; e benedetti Dal buon Pio, di speme florida Avvionne sul sentier. Benedetti dal buon Pio, Noi leviam lo sguardo ai cieli: Nostro è il ciel, lo disse Iddio; È dei poveri e fedeli, Degli uniti in santo vincolo Di fraterna carità.....
Uno scrittore del giornale l'Armonia si trovava presente, e pubblicandone apposita relazione così concludeva: È difficile di esprimere a parole i dolci sensi, che destava in cuore quella vista di tanti giovani, che con canti e suoni, in chiesa e fuori di chiesa, in prosa ed in poesia, manifestavano quella viva e tranquilla letizia, che solo può venire dalla coscienza, che può dire a se stessa: Non son rea. Ovunque poi risuonavano gli applausi di Evviva il Papa! Viva la sua grande bontà! Ma la sorpresa fu verso sera, quando queste radunanze erano per isciogliersi e recarsi ciascuno al proprio domicilio. Guidati da una specie di entusiasmo, si radunarono intorno al loro Direttore, ed unanimi esclamarono: Grazie, o Santo Padre, grazie; Dio ve ne ricompensi. Chi mai potrà andare per noi a ringraziarlo degnamente? Signor Direttore, fate sapere al Santo Padre che noi siamo pieni di riconoscenza per lui che lo amiamo con tutta l'effusione del nostro cuore, che noi in Lui veneriamo il Vicario di Gesù Cristo, e che noi tutti desideriamo, e vogliamo vivere e morire in quella religione, che ha Dio per Capo invisibile, e che ha un si tenero e sì buon Padre, un Pio IX per suo Vicario sopra la terra. Così compievasi quella giornata, che lascierà nel cuore dei buoni giovani indelebile memoria della paterna bontà del Santo Padre. Quei poveretti, i quali non sono guari avvezzi a ricevere carezze dagli uomini, menando una vita piena di stenti e di privazioni, sentono vivissima la riconoscenza verso il Capo della Chiesa, che dall'altissimo suo grado, lungi dal dimenticare i figli
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del popolo, come fanno gli adulatori del popolo stesso, si esibisce e si fa vedere loro padre, come è padre dei grandi della terra e dei principi. Così l'Armonia del 29 giugno 1858. Alla festa di S. Giovanni succedeva nell'Oratorio quella di S. Luigi solita a celebrarsi nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo. L'affetto di D. Bosco a questo angelico giovane lo rendeva zelante a propagarne la divozione, e ad erigere Compagnie in suo onore, anche fuori dell'Oratorio, nei varii paesi ove andava a predicare. Fra questi vi fu Poirino. Invitato dal Teol. D. Giorda Stefano, parroco in Santa Maria Maggiore, D. Bosco si era recato nell'ottobre 1855 e con una funzione commovente, aveva ascritti alla Compagnia di S. Luigi i giovanetti di quella parrocchia. In più luoghi ancora oggigiorno sono fiorenti tali pii sodalizii da lui fondati e quel di Poirino celebrò nel 1905 l'anno cinquantesimo di sua esistenza. Da ciò si argomenti l'impegno che D. Bosco metteva nel tenere acceso questo sacro fuoco nell'Oratorio, specialmente colla sopraddetta solennità. In varii anni antecedenti noi appena ne abbiamo fatto cenno, quando non era accaduto alcun fatto straordinario, benchè a dire il vero, se ben si considera, lo straordinario fosse cosa usuale. Nel 1858 però non possiamo omettere la descrizione di questa festa e le riflessioni che scaturirono dalla valente penna di un esimio patrizio che il 4 luglio ne stampava un articolo sull'Armonia. È veramente pregio dell'opera riferirlo qui per intiero.
Il 29 giugno all'Oratorio di Valdocco.
Sorgono talvolta nella vita certi giorni placidi e sereni, che di molte amarezze consolano, ed all'animo faticato danno compenso di gioie più che terrene e d'inenarrabili speranze. Quelle
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ore, è vero, balenano e fuggono come un lampo, ma lasciano dietro a sè lunga memoria nel pensiero, il quale poi dilettasi ad evocarle, e di esse si pasce, e ne fa quasi il suo nettare, quando più non sono. Correva l'anniversario del dì sacro ai due grandi Apostoli Pietro e Paolo, e festeggiavasi in pari tempo l'angelico S. Luigi nell'Oratorio di Valdocco. In Torino, come in ogni altra popolosa città dove più fitta, più compatta si agglomera l'umana famiglia, stanno di conserva e procedono insieme, ed urtandosi per ogni dove, secondo gli arcani e sempre adorabili disegni di Dio, dolori e godimenti, povertà e ricchezze, vizio e virtù. La vera carità, non verbosa nè ammodernata, ma semplice e sincera come la fede, consiste precipuamente nel sacrificare se stesso a pro di chi soffre, e nel congiungere in un solo vincolo lo spirituale ed il corporale sollievo. Ed a ciò certamente non bastano le provvide leggi e le più studiate misure dell'umana sapienza, se non le avviva quel fuoco che solo divampa nel cuore di coloro, i quali ai piè della croce compresero l'ineffabile precetto d'amore. Onde io non so darmi pace veggendo ai dì nostri, per non so qual perversità di giudizi o malnato studio di parti, fatto segno alle ire ed ai ludibrii altrui, quel clero cattolico che in ogni epoca, su d'ogni terra tanti operò e così inauditi prodigi di carità. Ed ecco per tacere d'ogni altro, nella nostra Torino un umile prete, il quale, alla sola Provvidenza affidato, volse in animo la pietosa idea di raccogliere intorno a se quanti giovanetti gli venga fatto d'incontrare per le vie vagolanti, abbandonati all'ozio, sprovveduti di mezzi di fortuna, ignari della loro celeste origine e del prezioso retaggio per cui furono creati. Egli non si disanima dalle difficoltà che sovrabbondano ad ogni passo, sacrifica ogni privato avere, e con sollecitudini non mai stancate operando, giunge a vedere consolato in parte il suo santo desiderio, premiata la sua costanza. A quella voce d'Apostolo, a quella affettuosa eloquenza che gli prorompe dal cuore, piegasi obbediente l'irrequieta gioventù e gli si assiepa d'attorno e ne ascolta riverente i consigli. Quello, in prima rustico caseggiato, che male ai venti ed ai cocenti soli faceva riparo, va grandeggiando, come il grano di senape del Vangelo, e si compone a più comoda abitazione. La piccola famigliuola cresce fino a dugento e più giovani, ai quali,
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come agli augelletti delle foreste provvede Iddio il necessario sostentamento. Attigua all'Ospizio si innalza una chiesuola, ove l'orfanello viene a deporre ai piè di Maria le sue lagrime, e la sua preghiera, le quali più gradite dei timiami e degli incensi, ricadono in pioggia di grazie celesti sui benefattori della derelitta infanzia. Annovi scuole di belle arti e letteraria palestra e classici studi, ed ogni fonte del bello e del buono onde la patria avrà a lodarsene, e ne trarranno le povere famiglie vantaggio ed onoranza; e lo scorgere i frutti così copiosi, quando appena se ne concepivano le speranze, sarà per il solerte Direttore premio anticipato alle sue virtù. Forse a taluno di que' giovanetti triste ed affannosa scorreva la vita fra le domestiche pareti; non letizia di genitori, non tenerezza di madre, non sorriso di congiunti, ma le strida, la miseria e i dolori ne intorbidavano il sereno. Videlo l'apostolo, se lo strinse amorosamente al seno e lo accolse giubilando all'Oratorio, ove con quale tenerezza si educhino le tenerelle menti e come si pieghino di buon'ora al soave giogo del Signore, con quanta, sollecitudine si avviino nel retto cammino, ne fanno testimonianza i molti, che già uscirono, pii e zelanti ecclesiasti, religiosi e missionarii in lontane regioni, militari intemerati fra la licenza dei campi, probi ed industriosi operai, padri di famiglia, esempio ai figli d'ogni pubblica e privata virtù. Ora fra tutti i giorni dell'anno uno ve n'ha lungamente sospirato, salutato ed acclamato con trasporti di giubilo dagli scolaretti di Valdocco. È il dì della festa di S. Luigi Gonzaga, Patrono della gioventù. Per esso molto tempo innanzi mettonsi in moto i musicali strumenti e liuti e cembali e violoncelli, armonizzano dolcissime sinfonie, ed ispirasi il genio dei poeti inneggiando al Santo tutelare. Poi sui primi vespri della vigilia si addobba la chiesa con arazzi, frangie dorate corrono lungo la cornice, lustri e girandole pendono dalle pareti, l'altare si veste d'ogni sua, pompa, tutto insomma è pieno di luci e fiori e d'armonia. Alla dimane cominciò fin dall'albeggiare l'incruento sacrifizio; succedevansi i leviti all'altare e distribuivasi a quella numerosa adunanza il Pane degli Angioli, mentre alle tarde ed allungate note
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dell'organo rispondendo le voci argentee del giovinetto coro, rapivano l'anima e l'inebbriavano di sovrumano diletto. Così avvicendavi le ore della preghiera e quelle della ricreazione, quindi messa solenne, vespri in musica e panegirico del santo. Una divota processione chiuse quei religiosi esercizi e ne fu quasi il complemento, ove di sè facevano commovente spettacolo tutti quei giovanetti popolani, spiegati in due ale, procedenti con aria modesta e raccolta, mentre alcuni di loro davano fiato alle trombe, altri cantavano inni, altri infine sobbarcavansi alla statua del Santo Patrono. Compartivasi infine all'affollata turba la benedizione del Santissimo. Così offerte a Dio, non che le primizie, la massima parte della giornata, era giunta l'ora dei solazzevoli ricreamenti. Tutti convenivano nell'ampio cortile, ove dall'alto di un verone estraevansi, tra mille grida festose, e proclamavansi i numeri del lotto, per cui distribuivansi poco prima i biglietti gratuitamente. Era libera al vincitore, fra mille oggetti diversi, la scelta del premio; ai circostanti non per anco favoriti dalla sorte, per celata ansia batteva il cuore e trepidava lo sguardo. Ma già in altra sala vanno accalcandosi gli spettatori, accendonsi le fiaccole, l'orchestra è in moto, si alza il sipario. Ed ecco gli allievi di D. Bosco, trasformati in personaggi da scena, rappresentare con brio e disinvoltura indicibile: v'ha il comico con tutti i suoi lazzi, con quei suoi visacci così al vivo, così al naturale da disgradarne un maestro nell'arte; v'ha il padre nobile, il vecchio servitore, v'ha perfino il figaro, che canta e cinguetta a maraviglia. Il pubblico applaude con frenesia e vorrebbe fermare il giorno nel suo rapido corso. Ma lo spettacolo teatrale volge al suo termine, e, come ogni cosa mortale, passa e non dura. Già la notte cominciava a dispiegare il suo manto e raddoppiavansi le ombre, quando odesi un subito rumore, un sibilare di razzi, che d'improvvisa luce rompevano le tenebre. Ignee striscie descrivevano le loro splendide curve sotto la volta de' cieli, e schioppettavano spandendo mazzi di scintillanti monachelle. Rotto il filo che ritenevalo cattivo, lanciasi in alto l'areostato e fende gli spazi aerei e perdesi fra le nubi, mentre la soggetta turba intende lo sguardo e batte le mani palma a palma.
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Opera malagevole sarebbe il voler esprimere con parole la gioia che traluceva su d'ogni volto, la contentezza dei parenti e congiunti accorsi in frotte, l'ordine che presiedeva in ogni parte le provvide cure di D. Bosco e dei suoi cooperatori onde rendere più splendida e più cara quella festa di famiglia. Oh! certamente a quei piaceri semplici ed innocenti può con ragione invidiare l'età matura travolta nel turbine del mondo, ove si ride a fior di labbra quando il cuore è lacerato, ove ai vani godimenti seguita non di rado con celere piede la noia e il non fuggevole rimorso. All'Oratorio di Valdocco, come a magnifica scuola di virtù, io avrei desiderato presenti quanti con vanissime parole, smentite dai fatti le più delle volte, vanno ergendo cattedra di pretesa democrazia, della popolare credulità facendosi sgabello alle loro cupidigie. Ivi apprenderebbero come e con quanto vantaggio dei privati e del comune, informati dalla religione, si nobilitino gli animi, come s'innalzino, per così dire, sopra il loro costume, e diventino possenti a grandi cose. All'Oratorio di Valdocco vi risiede la santa e operosa fraternità, che tutti stringe in dolcissimo amplesso, perchè figli tutti di un medesimo riscatto, e tutti egualmente protegge, conforta ed ammaestra. All'Apostolo della gioventù torinese, all'umil prete, che moltiplicò fra noi i grandi esempi dei Filippi Neri e dei Vincenzi de' Paoli, come ad insigne benefattore dell'umanità, eterna dobbiamo la gratitudine, e la sua gloria è nostro retaggio e cittadino dovere il mantenerla e propagarla.
Conte VITTORIO DI CAMBURZANO Deputato al Parlamento.
Il Conte di Camburzano, soprannominato il Montalembert d'Italia, amico devoto e largo benefattore dell'Oratorio in questo anno era stato testimonio, come anche da lontano D. Bosco manifestasse i segreti dei cuori. Trovandosi in villeggiatura a Nizza Marittima un giorno ebbe occasione di parlare di lui in una conversazione, ove erano persone della prima nobiltà, la cui religione era assai
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posticcia o sbiadita. Le maraviglie che raccontava il Conte fecero spuntare più di un sogghigno sulle labbra di quei signori, e una dama lo interruppe con queste parole: - Vorrei un po' vedere se questo reverendo sa dirmi come mi trovo di coscienza; e, se indovina, allora vi prometto che crederò tutto quello che vorrete. - Tutti i presenti applaudirono; venne quindi deciso di provare, e la signora quivi stesso scrisse a D. Bosco. Il Conte chiuse quella lettera sigillata, dentro un suo foglio nel quale lo pregava a dire qualche parola di conforto a quella povera Dama. Ella infatti si vedeva abitualmente in preda a profonda afflizione. D. Bosco colla solita sua puntualità rispose al Conte: - Dica a quella signora che per aver la pace deve riunirsi a suo marito da cui si è staccata. E in un biglietto alla Dama aggiunse: - Potrà V. S. starsene tranquilla quando avrà rimediato alle sue confessioni, rifacendole da venti anni addietro fino al presente; e avrà messo riparo ai difetti commessi nel passato. - La notizia che quella signora fosse separata dal marito, tornò affatto strana e nuova al Conte di Camburzano, perchè egli e molti altri di sua conoscenza la tenevano per vedova. Ma fatto la commissione ebbe a constatare come D. Bosco fosse veramente illuminato da Dio, perchè dalla medesima signora fu accertato come ella fosse separata da suo marito; e altamente sorpresa pel biglietto ricevuto, non fece alcuna difficoltà a riconoscere, che il servo di Dio le aveva scritto cose affatto vere. Il Conte assicurava qualche anno dopo il Cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, che D. Bosco non aveva mai conosciuto tale persona. Ma una delle meraviglie di D. Bosco si era anche la costanza nella diffusione delle Letture Cattoliche. Il fascicolo
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del mese di luglio portava il titolo: Porta teco Cristiano, ovvero avvisi importanti intorno ai doveri del Cristiano acciocchè ciascuno possa conseguire la propria salvezza nello stato in cui si trova. Torino, Paravia 1858.
AL LETTORE.
Questo libretto è intitolato Porta teco Cristiano, perchè esso può servire di fedele compagno a chiunque desidera salvarsi nello stato in cui si trova. La materia in esso contenuta non è una ragionata istruzione, ma soltanto una raccolta di avvisi adattati alla varia condizione degli uomini. Questi avvisi sono stati raccolti dalla Sacra Scrittura, dai Santi Padri, e specialmente dalle opere di S. Carlo Borromeo, di S. Vincenzo de' Paoli, di S. Francesco di Sales, di S. Filippo Neri, e del Beato Sebastiano Valfrè. Se questi detti procurarono tanto vantaggio spirituale alle anime, che ebbero la fortuna di riceverli dalla bocca di questi santi gloriosi, giova sperare che non saranno senza frutto per quelli che li leggeranno stampati. Io raccomando ai padri, alle madri, ai parroci e a tutti quelli, cui sta a cuore la salute delle anime, non solo di leggerli, ma di farli leggere ai loro dipendenti. Se questi avvisi verrano introdotti nelle famiglie cristiane sarà per certo non mediocre il vantaggio tanto nelle cose spirituali, quanto nelle temporali; chè anzi giudico si potranno chiamare fortunate quelle famiglie, da cui questi ricordi saranno letti e praticati. Secondi Iddio questi miei voti, e spanda abbondanti benedizioni sopra tutti quelli che li vorranno leggere, affinchè sia copioso il frutto che, mediante la grazia del Signore, spero ne sia per derivare. Aff.mo in Gesù Cristo Sac. Bosco GIOVANNI.
Questi avvisi intorno ai doveri del cristiano, alcuni erano generali per tutti i fedeli e altri particolari pei capi di famiglia e per le madri, per i giovani, per le ragazze e per le persone di servizio. Dove integra è la moralità, non è possibile che illanguidisca la fede e trionfi l'eresia.
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D. Bosco intanto aveva pensato in questo mese di fare ritorno in Roma, ma poi ne smetteva il pensiero. Non ci consta quale fosse la causa di questo progetto: se il servizio della Sede Apostolica, se l'interesse delle Letture Cattoliche. Forse commise ad altri le pratiche importanti, che doveva trattare. Apparisce il suo disegno da lettera scritta ad un Canonico di Roma. Veneratissimo Sig. Canonico, D. Giovanni Bosco ch'Ella ha conosciuto in casa nostra, si dispone ad una nuova gita a Roma, per certe sue faccende rimaste imperfette a motivo della sollecita sua partenza. Mi è venuto in mente, che non sarebbe indiscrezione per parte mia, ricorrere alla sperimentata gentilezza di V. S. Ill.ma a nostro riguardo, chiedendole se fosse a caso tutt'ora disponibile la stanza in casa del suo Sig. fratello, nella quale ebbe la bontà di ricevere il Sig. Barone di Morgan: in caso contrario le sarei molto riconoscente, se volesse prendersi l'incarico di cercare un'altra decente stanza, in cui D. Giov. Bosco potesse fare la sua dimora per due o tre settimane e, pagando lo scotto, trovare anche i suoi pasti. Ella, Sig. Canonico Veneratissimo, che conosce D. Bosco, sa ch'è un ospite facile a contentare, di amena e pia convivenza e nostro degnissimo amico: essendo anch'Ella, come credo e spero, nostro buon amico, non Le sarà discaro accogliere la mia preghiera, e renderci questo buon ufficio. Parto per la Francia, onde, se Ella mi favorirà di un grato riscontro, piacciale dirigerlo a Franceschina, oppure a mia moglie (in Chieri, provincia di Torino). Spero che la sua Signora madre goda tutt'ora buona salute e non avrà sofferto degli eccessivi caldi; le presenti, La prego, i miei doverosi ossequi e gradisca Ella stessa, Veneratissimo Signore, gli atti del mio affettuoso rispetto. Torino, li 2 luglio 1858. Umil.mo e Devot.mo Servo Il Conte DE MAISTRE.
CAPO III. Conversioni in punto di morte. IL bene che D. Bosco otteneva colle Letture Cattoliche gli aveva procurata una fama di virtù e di sapere, che a lui faceva rivolgere la speranza di quelle anime buone, le quali desideravano la conversione di peccatori ostinati all'estremo della loro vita. Ai fatti già altrove descritti aggiungiamo questi: Un impiegato del Governo in Torino, il quale aveva preso parte all'esecuzione di certe leggi offensive ai diritti della Chiesa, si era gravemente ammalato. Da lungo tempo viveva lontano dai Sacramenti, anche perchè la lettura continua di pessimi giornali avevagli soffocato nel cuore ogni sentimento di fede. Il farmacista aveva fatto sapere al parroco, come il medico curante avesse detto nella sua spezieria, che quel signore non avrebbe visto il tramonto del giorno seguente. Conoscendo il parroco con certezza che l'infermo non voleva saperne di preti, e persuaso che sarebbe stato respinto, mandò a pregare D. Bosco di voler egli fare la prova di salvare quella povera anima. D. Bosco accondiscese, ed entrato in quella casa, ecco un giovanetto tutto vispo venirgli, con sua sorpresa, incontro e fargli gran festa.
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Era uno dei ragazzetti più assidui a frequentare l'Oratorio festivo di Valdocco e figlio dell'infermo, al quale il padre portava un affetto sviscerato; per lui era tutto il suo bene e tutta la sua felicità a questo mondo e benchè così irreligioso si lasciava dominare dal suo piccolino. Questi sovente prendeva il crocifisso e glielo dava da baciare ed egli non lo respingeva per non fargli dispiacere. Il figlio talora gli diceva: - Vuoi che vada a chiamare D. Bosco che ti venga a benedire? La benedizione fa tanto bene e ti farà guarire. - Il padre rispondeva di no, ma sempre in maniera che il figlio non se ne avesse a male; e borbottava poi fra di sè: - Quante superstizioni mettono in testa ai giovani questi preti! - Il piccolino adunque visto D. Bosco gli fu addosso. - Oh D. Bosco, venga, venga, c'è papà che è tanto ammalato. - Davvero? Ebbene, va a dirgli, se permette, che venga a fargli una visita. - Sì, sì papà è contento! E senza altro entrò in camera. - Papà, papà c'è D. Bosco! Sei contento che venga neh? E senza aspettare risposta salta fuori a prendere D. Bosco per mano: - Venga, venga; papà lo aspetta, venga a dargli la benedizione. D. Bosco insisteva perchè tornasse ad annunziarlo in altra maniera più soddisfacente, voleva chiedergli che cosa gli avesse risposto il padre, ma il fanciullo non lasciavalo parlare e lo spinse nella camera. Quel signore al vedere Don Bosco gli diede un'occhiata di fuoco. Questi non si perdette d'animo e premuroso gli domandò: - Come sta? - Come vede - rispose l'infermo secco, secco.
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- Si faccia coraggio; Alberto pregherà molto per lei. Io mi unirò ..... - D. Bosco, io non credo a queste storie e non me ne parli. Il figlio confuso del modo inurbano col quale D. Bosco era stato ricevuto, uscì dalla stanza. Il Servo di Dio, approfittando d'esser soli, non perdè tempo e proseguì: - V. S. non crede all'efficacia della preghiera d'un innocente?…Del resto io non venni qui a disturbarla; trovandomi da queste parti, mi son procurato l'onore di farle una visita per l'alta stima che professo alla sua persona. - E col suo fare amorevole e spiritoso narrò alcuni fatterelli ameni, contemporanei; e s'intrecciò un dialogo che dilettò il povero infermo e rasserenò alquanto la sua fronte accigliata. Come D. Bosco lo vide interessato in quel discorso, a un tratto gli disse: - L'ora si fa tarda, non voglio recarle più oltre disturbo; ma prima d'andarmene permette che le dia una benedizione? Quel signore senza sdegnarsi gli rispose freddamente: - Faccia quel che le piace. - D. Bosco allora chiamò il fanciullo: - Alberto! E il padre: - Perchè chiama mio figlio? - Voglio che dica con me un'Ave Maria pel suo buon papà. - Non fa bisogno.... Non s'incomodi. - Ma D. Bosco tornò a chiamare: - Alberto! Il fanciullo venne e D. Bosco a lui: - Senti Alberto: diciamo un'Ave Maria pel tuo Papà. Vedi! egli sta male, molto male e bisogna che il Signore te lo conservi. Che cosa faresti tu se egli ti venisse a mancare? Rimarresti solo, abbandonato, senza il tuo primo e più caro amico, senza il
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tuo appoggio, senza il tuo consigliere fedele. In mezzo al mondo quante occasioni di male, quanti compagni perfidi, quanti libri cattivi incontreresti con pericolo della tua innocenza. E nessuno ti avviserebbe, nessuno ti porgerebbe una mano soccorrevole. La tua inesperienza ti condurrebbe a cattivi passi. Povero Alberto! E poi in punto di morte quanti rimorsi per non avere avuto al fianco, chi ti facesse da angelo custode. E nell'eternità, forse, se avessi la disgrazia di essere diviso per sempre dal tuo genitore! Queste ed altre simili idee, erano espresse con parole concise, prudenti e vibrate: ma parlava al figlio perchè intendesse il padre. Narrava ciò che era accaduto allo stesso povero infermo, rimasto orfano da giovanetto, tracciandone in compendio la biografia: Alberto lagrimava; il padre voleva resistere, ma si vedeva che era profondamente commosso. D. Bosco concluse: - Dunque mettiamoci in ginocchio e recitiamo non una sola, ma tre Ave Maria. Quindi mandò il giovinetto in sala e disse all'infermo: - Si faccia il segno della croce. - Quegli segnossi con indifferenza e D. Bosco gli diede la benedizione; e poi entrò destramente ad interrogarlo de' suoi studi, delle cariche che aveva occupate, parlandogli degli anni della sua fanciullezza, della sua gioventù e della sua età matura. L'infermo incominciò a lasciarsi andare a qualche confidenza e D. Bosco, senza dargli a vedere che investigava, scherzando e compatendo le miserie umane, gli trasse dal labbro quanto bastava per conoscere all'ingrosso lo stato della sua anima. Quindi vedendolo molto stanco: - Ora, se vuole gli disse, le darò l'assoluzione. - L'assoluzione? Ma prima dell'assoluzione bisogna confessarsi; ed io non voglio confessarmi.
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- Ma lei si è già confessato ed io ho inteso tutto. - E basta? - Basta. Faccia l'atto di contrizione. - Possibile!..... - Sì, Dio le perdona tutto è così buono, così misericordioso con quelli che di vero cuore si pentono. L'infermo allora ruppe in un pianto doloroso esclamando: - Ah! Dio è buono davvero! - e rimase prostrato di forze in modo inquietante. D. Bosco vedendo che fra poche ore sarebbe morto, anche sulla parola del medico, si affrettò. Gli fece ancora qualche interrogazione e trovatolo anche pronto a fare quanto la Chiesa richiedeva da lui, lo assolvette. Infine dopo avergli promesso che si sarebbe preso cura di Alberto, mandò in fretta a dire al parroco di S. Agostino, che portasse il Santo Viatico. Il parroco non mise tempo in mezzo, portò anche l'olio santo, ma potè darlo appena sub unica unctione, perchè il poveretto spirava. Altra volta D. Bosco fu invitato a recarsi presso un notaio infermo, parrocchiano del Carmine. Inutile era ogni sforzo di preti per ricondurlo a Dio. D. Bosco che nel passato era in qualche attinenza con lui, accondiscese a visitarlo. Fu ricevuto con molta cortesia ma freddamente. Al solito egli si dimostrò premuroso di chiedere notizie della malattia, affettuoso nel confortare il paziente, e gioviale nel rallegrarlo co' suoi discorsi. Il notaio rimase incantato. D. Bosco entrò quindi ad accennare alle cose dell'anima, ma quel signore messosi sull'avviso: - Cambiamo discorso gli disse; saprà già che i miei principii .....Io non mi indurrò mai a confessarmi. - E perchè ?
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- Perchè non credo alle cose di religione. Veda là quai libri tengo sul tavolino. D. Bosco si appressò al tavolino e prese uno di quei volumi. Erano le opere di Voltaire e quindi: - E con questo? - Capisce! uno il quale abbia le convinzioni di questo illustre autore, non avrà mai la debolezza di confessarsi. - E lei chiama debolezza il confessarsi? E non sa che questo uomo, col quale lei dice di dividere i principii, quest'uomo che dice illustre, in punto di morte voleva confessarsi? - Oh questo poi... - Certo; e si sarebbe confessato se i suoi amici barbaramente non glielo avessero impedito. - E qui D. Bosco gli narrò qual fosse stata la morte di Voltaire. Quel signore ascoltava con interesse e commozione sempre crescente e D. Bosco concludeva. - Ora le dirò come io abbia speranza che Voltaire si sia salvato! - Possibile! - esclamò l'ammalato con un tremito in tutta la persona. - Possibilissimo! Nella Santa Scrittura di un solo si dice apertamente che si sia dannato: Giuda. Degli altri il Signore non volle che sapessimo la sorte nell'eternità, perchè conservassimo speranza della loro salvezza. - Che si sia salvato Voltaire dopo tutto quello che ha detto, fatto, scritto? - Dio è tanto buono, tanto misericordioso, o mio caro signore. Un atto di amore basta a scancellare qualunque colpa. - Voltaire salvo! - Io posso tenere la mia opinione. Quindi posso tener
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per certo che si sia salvato. Infatti che cosa gli mancò? Il desiderio di confessarsi l'aveva, il suo dolore era straziante; fu solo disgraziato, perchè non ebbe il prete. Ma in quel momento che precedette la morte, quando si vide vicino a perdersi, se cessato l'orrore della disperazione, avesse concepito un atto d'amore di Dio, quindi di vero pentimento, è certo, è di fede che si sarà salvato. L'infermo taceva e, dopo aver alquanto pensato, esclamò risolutamente: - Voglio confessarmi. Prenda quei libri non li voglio più in casa mia: ne faccia lei quello che vuole! - Si confessò, alle otto della sera ricevette il Santo Viatico, alle dieci gli fu dato l'olio santo e la benedizione papale e prima della mezzanotte moriva con veri sentimenti di fede, di dolore, di confidenza e di carità, lasciando in tutti la più soave speranza di sua eterna salute. D. Bosco era ritornato all'Oratorio col suo carico di libri proibiti che gettava subito alle fiamme, dicendo a' suoi giovani: - Ringraziamo di tutto il Signore. Eziandio ad altri che sarebbero morti nell'impenitenza finale D. Bosco aperse le porte del cielo come ragionevolmente dobbiamo sperare. Bisio Giovanni, che dal 1864 fino al 1871, per ragione di servizio stava nella sua anticamera, ci affermò: - Io posso dire che molte volte D. Bosco era chiamato in città a confessare peccatori infermi ed ostinati, e interrogandolo quando ritornava nell'Oratorio, avevo per risposta: - Quel tale si è confessato.
CAPO IV. Numero degli alunni nell'Oratorio - Lettera di D. Bosco al Ch. Rua da S. Ignazio - Cometa e previsione di flagelli sull'Italia - Due Letture Cattoliche - Scavi sotto la chiesa per un nuovo refettorio - Fitto e riparazioni per l'Oratorio di Vanchiglia D. Bosco va a predicare al Palasazzo presso Cuneo - Annunzia la circolare del Cardinal Vicario, che raccomandava le Letture Cattoliche - La circolare del Cardinale - Una festa ed un pellegrinaggio alla Madonna di Campagna - D. Bosco predice ad un alunno delle scuole governative che si farà prete - Accettazione singolare di Francesco Provera nell'Oratorio.
Anno scolastico 1857 - 58 era finito. L'Oratorio aveva accolti 199 alunni, studenti 121, artigiani 78, come scrisse D. Bosco ne' suoi registri. Egli quindi saliva con D. Cafasso a S. Ignazio per gli esercizi spirituali. Da quel santuario rispondendo alle varie lettere, che gli erano mandate da' suoi alunni, così scriveva al Ch. Rua Michele: Fili mi, Gaudium et gratia Domini Nostri Jesu Christi sit semper in cordibus nostris. Nonnulla monita salutis postulasti; libenter faciam et paucis verbis.
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Scito ergo et animadverte quod non sint condignae passiones hujus temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis. Ideoque hanc gloriam incessanti animo et labore quaeramus. Vita hominis super terram est vapor ad modicum parens; vestigium nubis quae fugit; umbra quae apparuit et non est; unda quae fluit. Bona igitur huius vitae parvi habenda, coelestia studiose optanda. Laetare in Domino: Sive manduces, sive bibas, sive quid aliud facias, omnia ad maiorem Dei gloriam fac. Vale, fili mi, et deprecare pro me ad Dominum Deum nostrum. S. Ignatii apud Lanceum, 26 julii 1858.
Tuus sodalis Sac. Bosco.
Ritornato in Torino e trovandosi in mezzo ad un gran numero di giovani, Reano Giuseppe gli diceva essere comparsa in cielo una cometa di straordinaria grandezza. - Presagio o non presagio di sventure, gli rispose Don Bosco, pur troppo che sull'Italia deve cadere qualche flagello, il quale porterà gran danno alla nostra patria. Pel mese di agosto usciva nelle Letture Cattoliche un commovente racconto anonimo, Antonio ossia l'Orfanello di Firenze. Narra di un fanciullo venduto ad una compagnia equestre di ciarlatani, il quale si mantiene - virtuoso in mezzo a prove terribili, e riesce poi a ritornare al suo paese, incontrando avventure sorprendenti. I lavori materiali s'intrecciavano con quelli dell'intelletto. Sotto la chiesa di S. Francesco di Sales in tutta la sua lunghezza si scavava un sotterraneo, rifacevasi con un voltone il pavimento di quella per ivi trasportare il refettorio dei giovani. Il loro antico refettorio divenne cucina.
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Anche l'Oratorio dell'Angelo Custode in Vanchiglia richiedeva gravi spese. D. Bosco così ne scriveva ad uno dei proprietari, Signor Alessandro Bronzini Zapelloni.
Illustrissimo signor Avvocato,
Appena ricevuta la venerata lettera di V. S. Ill.ma mi sono dato premura di comunicarne il tenore al Sig. T. Murialdo, con cui, dopo aver bene ogni cosa considerato, siamo venuti a questa conclusione: Deliberiamo anche noi di diminuire le spese per quanto sarà possibile, epperciò, non potendo fare a meno de' lavori proposti, abbiamo deliberato di concorrere in questo senso: Daremo franchi quattrocento in aiuto delle spese a farsi; oppure ci assumiamo noi di far a nostra economia eseguire tali lavori mediante che V. S. ci rimborsi franchi 1500; la qual cosa non darà incomodo, avendo già ottocento franchi depositati presso al Teologo Murialdo. Notisi però che noi desistiamo dalla dimanda della rinvestitura del tetto con assi, purchè ci sia assicurata la volta della chiesa dall'acqua del tetto medesimo. Fra i lavori che intendiamo di assumerci, intendiamo di escludere la riparazione del tetto, la quale debbe effettuarsi dal proprietario senza punto aver riguardo allo stato dell'Oratorio. Noto eziandio che i fitti sono realmente diminuiti, come Ella certamente sa meglio di me; io stesso affitto quivi un corpo di fabbrica a cui pagava franchi 950; tal somma ora è ridotta a 500; la qual cosa avvenne pure all'Oratorio di Porta Nuova e in altri edifizi. Questa è la risposta che possiamo farle: il fare maggiori spese supera le nostre forze. Io però sarei di parere di considerare questo Oratorio come opera di pubblica beneficenza, che da tutti deve essere sostenuta; noi consacriamo fatiche e quelle sostanze che possiamo. Ella e il Sig. Avv. Daziani bisogna che sacrifichino anche qualche cosa; e siano persuasi che tale opera sarà molto calcolata davanti a Dio, il quale non mancherà di
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ricompensarli anche nella vita presente col benedire i loro affari e le loro famiglie. Con pienezza di stima reputo ad onore il potermi professare Di V. S. Ill.ma Torino da casa. I agosto 1858. Dev.mo Servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Occupato in queste pratiche e in molti altri lavori, D. Bosco accettava tuttavia di predicare fuori dell'Oratorio, nelle chiese pubbliche e negli oratorii privati. Infatti egli scriveva al Sig. Conte Pio Galleani d'Agliano:
Benemerito signor Conte,
In adempimento della mia promessa prevengo V. S. Benemerita, che sono per recarmi da Lei pel discorso di S. Filomena. Partirò Domenica col primo convoglio del dopo mezzogiorno. Giunto a Cuneo andrò in casa Vescovile indi al Palasazzo. Non posso però compiacerla intieramente. Al martedì col vapore delle due circa pomeridiane io debbo ripartire per Torino e perciò non posso fare il discorso sulla Natività di Maria SS. La gran penuria di preti in città, e varii miei affari mi privano del piacere di poter rimanere costà l'intiera settimana come aveva divisato. Dio benedica Lei, la signora Contessa e tutta la famiglia, mentre mi professo con vera gratitudine Di V. S. B. Torino, I Settembre 1858. Obbl.mo Servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Don Bosco aveva fors'anco fretta per la spedizione del fascicolo di settembre che portava il titolo: La guida della gioventù nelle vie della salute, opera di
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CLAUDIO ARVISENET pubblicala in Bruxelles dalla società nazionale per la propagazione dei buoni libri - Era tradotto dal francese. L'autore dopo un'affettuosa prefazione indirizzata ai giovani, presenta alla loro meditazione le massime eterne; la necessità di mettersi per tempo a servire un Dio che li ama; i castighi anche temporali coi quali sono puniti i giovanetti che vivono nel peccato; l'obbedienza dovuta ai genitori ed ai superiori; la divozione a Maria; le virtù che debbono praticare e i pericoli che sono obbligati a fuggire; la frequenza dei sacramenti degnamente ricevuti; la sottomissione al Papa, alla Chiesa e a' suoi pastori; la devozione al santo Angelo Custode e al santo protettore del quale si porta il nome. Questo fascicolo era preceduto da un importantissimo documento, prova evidente della benevolenza di Pio IX e della specialissima sua stima per le Letture Cattoliche. D. Bosco aveva ottenuto l'alto favore, che Sua Santità desse ordine all'Eminentissimo suo Vicario il Cardinale Patrizi, chè con apposita circolare raccomandasse questa periodica pubblicazione a tutti gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato Pontificio e d'introdurla nelle proprie diocesi. La circolare era in data del 22 maggio. D Bosco stampandola, premettevale un suo indirizzo.
Ai benemeriti corrispondenti ed ai benevoli lettori delle Letture Cattoliche.
Sono pochi mesi che questa Direzione con animo lieto vi annunziava, come Sua Santità il Regnante Pio IX, nella sua grande bontà, degnavasi impartire l'Apostolica Benedizione sopra tutti quelli, che si occupano per la diffusione delle Letture Cattoliche; con non minor consolazione ora vi partecipo che la medesima sua Santità si è degnata in molte altre guise di favorire la diffusione
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di questi libretti. Diede ordine all'Eminentissimo Cardinale Vicario di diramare una circolare ai Vescovi ed Arcivescovi degli Stati Pontifici, affinchè usassero la loro sollecitudine pastorale per introdurle nelle rispettive diocesi; esentò dal dazio e dalla tassa postale i pacchi o semplici fascicoli, che dovessero ivi introdursi. La voce del Supremo Gerarca della Chiesa produsse il desiderato effetto. Arcivescovi, Vescovi, Vicari generali, Parroci ed altri zelanti personaggi si diedero cura di far conoscere queste Letture e le associazioni crebbero a segno, che il loro numero oggi giorno tocca i dodici mila associati ne' soli Stati Romani. Queste cose sono a voi come lo sono a noi di consolazione, Le nostre deboli fatiche e le vostre costanti sollecitudini benedette dal Vicario di Gesù Cristo non mancheranno di produrre frutti proporzionati ai bisogni. La Direzione nutre viva fiducia che la voce del comun Padre dei fedeli sarà sentita anche tra noi e che servirà di conforto a noi ed a voi, benemeriti corrispondenti e cortesi lettori, a perseverare nella santa impresa, quale si è a far conoscer sempre più queste popolari pubblicazioni, adoperandoci che siano eziandio diffuse in que' luoghi, dove non fossero ancora conosciute. Riceverete pure una copia della Circolare di Sua Eminenza Reverendissima il Cardinal Vicario diramata in favore delle Letture Cattoliche. La benedizione del Supremo Gerarca della Chiesa vi colmi tutti di grazie e di favori celesti, siccome di tutto cuore vi auguriamo, mentre godiamo di poterci professare con gratitudine Torino, 15 settembre 1858. Per la Direzione Sac. Bosco GIOVANNI.
Ed ecco la lettera Circolare: Ill.mo e Rev. Signore, È un fatto innegabile che dagli uomini perversi si cerchi con tutto l'impegno di demoralizzare i popoli, per averli pronti a secondare i loro pessimi disegni e così ottenerne gl'intenti. A
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ciò fare essi si adoperano in più modi, fra i quali molto loro giova la diffusione di libri e stampe corrotte e spesso contrarie ai dommi della nostra Santa Religione. Il guasto non è all'aperto, bensì latente all'ombra di una sottile ipocrisia, adorno di uno stile fiorito ed ameno, e facendo mostra di trattare argomenti tanto interessanti e dilettevoli, che in breve sono nelle mani di moltissimi mal accorti di tutte le classi degli uomini, i quali bevono per tal modo quasi all'insaputa quel veleno, che forse li ucciderà per sempre. E ciò non avviene soltanto nelle città popolose, ma ancora nelle più piccole e nascoste terricciuole, ove l'antica costumanza di passare qualche tempo, specialmente nella stagione d'inverno, leggendo alcunchè della Storia Sacra, ovvero d'altro libro buono e religioso, viene surrogata dalla lettura di libriciattoli lascivi ed immorali. Non è però mai avvenuto che i buoni Cattolici non abbiano tentato di resistere agli sforzi degli empi; quindi è che a combattere il grave male accennato si è costituita una Società di dotte e pie persone ecclesiastiche e laiche, le quali propongonsi d'ovviare ai disordini, che debbono al presente lamentarsi, stampando dei libretti mensilmente col titolo di Letture Cattoliche, le quali e per la varietà dei temi e per la pianezza dello stile allettino e siano alla portata di tutti. L'esclusivo scopo di queste Letture sarà di conservare nell'animo dei Cattolici la integrità della fede, la santità dei costumi ed accrescere in essi quel rispetto ed amore sincerissimo, che debbesi alla sacra persona del Sommo Pontefice, siccome Padre universale di tutti i fedeli, non che a congiungerli vieppiù coi loro Vescovi. La Santità di N. S. sempre intenta al bene di tutti, ed informata appieno del vantaggio riportato da queste Letture Cattoliche nei luoghi dove sono state attivate, ha approvato e lodato il pio divisamento d'introdurle anche nello Stato Pontificio, ed a tal fine mi ha autorizzato ad invitare gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato medesimo per l'aiuto e sostenimento di sì bella impresa, diffondendola il più possibile per tutte le città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione. Quindi è che, in esecuzione dei desiderii della Santità Sua, partecipo tutto ciò a V. S. Illustr.ma e Rev.ma, pregandola ad
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accettare insieme i sentimenti della mia più distinta stima, coi quali resto, baciandole di vero cuore la mano. Di V. S. Ill.. e Rev. Roma, 22 maggio 1858. Servitor vero COSTANTINO Card. Vicario.
Questa lettera Circolare ottenne il desiderato effetto; onde da quel giorno le Letture Cattoliche presero a spargersi non solo negli stati Pontifici, ma in quasi tutte le diocesi d'Italia, perchè ad esempio del Vicario di Gesù Cristo molti Vescovi le raccomandarono ai propri parroci, e questi ai fedeli loro affidati. Di qui ne derivarono due vantaggi: il bene spirituale di un maggior numero di anime, che vennero istruite ed animate alla virtù, ed un canale di beneficenza pel nostro Oratorio; poichè crescendo il numero degli associati alle dette Letture, si ebbe da una parte lavoro da occupare più artigianelli, e per altra parte quel poco di guadagno che se ne ricavava, porgeva a D. Bosco il mezzo di raccogliere un maggior numero di poveri giovanetti nel suo Ospizio, e di provvedere loro vitto e vestito con una buona educazione. Per questo e per gli altri insigni favori, che Maria SS. aveva fatti a D. Bosco, ispirandogli di recarsi a Roma, era debito dell'Oratorio, porgerle speciali ringraziamenti. Si presentava quindi ovvia alla mente l'idea di un nuovo pellegrinaggio alla Madonna di Campagna. Infatti in quella chiesa erasi ottenuta nel 1846 la ferma sede in casa Pinardi, ed in quest'anno si vedeva assicurata, per l'adesione del Papa ai disegni di D. Bosco, la perpetuità dell'Istituzione. Un invito di quel parroco determinò il tempo. Leggiamo nell'Armonia del 21 settembre:
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Nella Parrocchia di Madonna Campagna presso Torino si celebrò il 12 del corrente dalla compagnia dei figli e figlie la festa del SS. Nome di Maria; vi fu un gran concorso di parrocchiani sia alla comunione generale, sia alle sacre funzioni della mattina e sera; e sebbene ogni anno siasi sempre celebrata questa festa in questa piccola parrocchia con dimostrazioni di pietà e divozione, quest'anno però fu oltre il solito commovente, essendo state le sacre funzioni accompagnate dai dolci canti ed armoniosi suoni dei figli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, diretti ed allevati dall'istancabile e zelantissimo Sig. D. Bosco, di modo che non pochi dei parrocchiani piangevano di tenerezza e tutti encomiarono per la loro abilità. Nel giovedì poi seguente si ammirò un'altra ben edificante funzione, e si fu, che il prelodato Sig. D. Bosco si portò a celebrare la Messa in questa parrocchia, accompagnato da circa 80 de' suoi allievi, i quali tutti fecero la loro comunione con gran edificazione dei religiosi stessi, che ammirarono la divozione di tutti questi giovani. Fatto poi il loro ringraziamento, il buon Padre guardiano somministrò a tutti una frugale colazione. Fra coloro, che presero parte a questo pellegrinaggio, vi fu un giovane, al quale D. Bosco aveva predetto il suo avvenire. Ecco in qual modo andò la cosa. Alcuni studenti delle scuole ginnasiali del Carmine, vennero a confessarsi, da D. Bosco. Fra questi v'era un certo Coccone, al quale il buon servo di Dio disse: - Tu, un giorno sarai prete. - Al giovane, che aveva piuttosto ripugnanza allo stato clericale, fece impressione disgustosa tale annunzio, e ne parlò ai compagni, i quali di quando in quando lo berteggiavano. Don Bosco cercò di affezionarselo, lo condusse con qualche compagno insieme ai giovani dell'Oratorio a fare la passeggiata alla Madonna di Campagna, ma dopo qualche tempo, circa un anno, Coccone più non comparve all'Oratorio. Don
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Albera poi lo incontrava già chierico e suo condiscepolo alla scuola di filosofia nel 1861. Passarono 15 anni dal giorno che aveva parlato con D. Bosco la prima volta, ed essendo già prete, lo raggiunse un giorno sulla collina, mentre era avviato a San Vito. Lo salutò, si accompagnò con lui, parlò di varie cose, ma non si palesò per quel che era. A un tratto D. Bosco si ferma, lo guarda e gli dice: - Lei è quel giovane al quale 15 anni fa ho detto che si sarebbe fatto prete. - È vero, rispose Coccone, pieno di meraviglia. Questo giovane era destinato da Dio a fare gran bene nelle carceri, ed un altro ne conduceva Egli all'Oratorio in questo settembre 1858 per via non preveduta, che doveva riuscire di grande aiuto a D. Bosco. Così ci scriveva il signor Angelo Gambara da Mirabello. “ Francesco Provera, mio conterraneo, era figlio di onesti e cristiani negozianti, ma egli desiderava farsi prete e il padre lo voleva nel negozio, perchè abile a mercanteggiare. Il suo confessore D. Giuseppe Ricaldone lo consigliava a non urtare col padre e intanto attendere l'esito della Leva ed a pregare. Estrasse il numero di coscrizione e non dovette partire pel quartiere. Allora D. Ricaldone, che conosceva se non de visu certo di fama l'Opera del Cottolengo e sapeva che al Cottolengo si cercavano giovani ben disposti a dedicarsi alla carriera ecclesiastica, inviò il giovane Provera a Torino con una lettera nella quale dava di lui le più belle informazioni e pregava fosse ammesso nella Piccola Casa fra gli studenti. Tacque sulla parte finanziaria, pensando che ne avrebbe meglio discorso a voce lo stesso Francesco. Noto che a quei tempi qui a Mirabello nulla ancora o ben poco si sapeva di D. Bosco. Francesco Provera parti per Torino;
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e dopo qualche giorno ritornò al paese, e andò da Don Ricaldone, il quale al vederlo tutto contento gli disse: - Dunque sei accettato al Cottolengo? E Provera: - Ma no, mi dissero che non vi è posto. - Non vi è posto ? Ma hai detto che potevi pagare qualche cosa? - Io no; non me lo hanno chiesto ed io ho detto niente. - Ma allora torna subito a Torino; ti darò un'altra lettera che parlerà più chiaro e vedrai che ti accetteranno subito. - È inutile, rispose il Provera; ho trovato un altro posto. - E dove? - Uscendo dal Cottolengo, mi avviava verso la strada ferrata e vidi un prete che si divertiva con dei giovani; mi fermai ad osservarli e quel prete vistomi mi chiamò a sè, mi fece varie domande, gli raccontai il motivo per cui ero là, ed esso mi disse andassi con lui ed io ho promesso di andarci. - Pochi giorni appresso Francesco Provera partiva per Torino e divenne quel salesiano che tutti sanno. ” Questa circostanza me la raccontarono più volte Don Ricaldone, la famiglia Provera e lo stesso D. Francesco ”.
CAPO V. Letture Cattoliche - VITA DEL SOMMO PONTEFICE S. CALLISTO I - Venerazione degli alunni di D. Bosco per Mons. Fransoni - Magone Michele e i pericoli di chi va a casa in vacanza - La Passeggiata autunnale - Accoglienze ospitali a Chieri - Riconoscenza di Magone .per i suoi benefattori e per D. Bosco - Predisposizioni - Umili preghiere a Dio e lagrime di Magone - La festa del Santo Rosario - Escursioni in varii paesi circostanti a Murialdo - Visita alla tomba di Savio Domenico e pranzo dal Teol. Cinzano - Ritorno a Torino - Ricorso al Ministero della Guerra per ottenere vestiarii fuori di uso dai magazzini militari - Dimanda di sussidio all'Opera Pia di S. Paolo Per le spese dei sotterranei della chiesa - Predica sulla virtù della purità.
Avvicinandosi il tempo della passeggiata ai Becchi, si conducevano a termine le stampe per le Cattoliche dei mesi di ottobre e novembre. In quello di ottobre si pubblicava: La Lampada del Santuario del Cardinale Wiseman, traduzione dall'Inglese. È un racconto dei più ingenui e dei più commoventi. La fiammella della lampada d'argento,
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innanzi all'altare di Maria, a traverso i vetri della finestra, gettava la sua luce nelle ore notturne, sopra un punto del sentiero montano, ove allo svolto si inabissava un ripido burrone. Una verginella, consacrata alla Madonna e da Lei miracolosamente guarita, una notte sale al Santuario. In quel mentre il perverso suo padre spegne la lampada per rubarla; e la fanciulla giunta al luogo del pericolo e non vedendo la solita luce, continua il cammino, mette il piede in fallo, precipita e muore. Ma la sua morte converte il padre. Pel mese di novembre era pronta la Vita del Sommo Pontefice S.Callisto I, per cura del Sac. Bosco Giovanni (G.). Egli descrive la chiesa di S. Maria in Trastevere, il martirio di S. Callisto ed esorta i cristiani a professare coraggiosamente la fede, vincendo le passioni, le lusinghe del mondo ed il rispetto umano. Questi fascicoli delle vite dei Papi, prima esposte da D. Bosco sul pulpito, ispiravano nel suo giovane uditorio un grande rispetto e sottomissione alle prescrizioni non solo del Pontefice, ma di tutti i Vescovi e specialmente a quelle dell'Arcivescovo di Torino. La condotta di Monsignor Fransoni, era stata giudicata meno rettamente da una parte del clero; ma i giovani educati da D. Bosco si erano mantenuti fermi e fedeli nel venerarlo e difenderlo. In quest'anno un suo chierico, trovandosi in Airasca nella casa parrocchiale, in mezzo a varii sacerdoti intervenuti ad una festa, un maestro sacerdote di Torino, prese a sparlare di Mons. Fransoni, dicendo che gli stava bene l'esilio per la sua ostinatezza irragionevole verso il Ministro Santa Rosa, al quale aveva negato il Viatico per essersi rifiutato a fare la ritrattazione per le censure incorse. Siccome nessuno si alzava a difendere l'operato
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retto e secondo i canoni dell'Arcivescovo, si alzò il chierico a protestare e difenderlo, e lo fece con tanto calore, che stupito il detto maestro sacerdote, domandò chi fosse il suo giovane avversario. Saputo che era un chierico di D. Bosco, disse: - Oh! con quei di D. Bosco bisogna guardarsi dal toccare certe questioni. Il chierico era Cagliero Giovanni. Intanto incominciava la novena per la festa del Rosario. Magone Michele a Pasqua erasi recato a casa di .sua madre, alla quale portava grande affetto, ma non volle più andarvi nelle vacanze autunnali, anche a persuasione di D. Bosco. Gliene fu chiesta più volte la cagione ed egli si schermiva sempre ridendo. Finalmente un giorno svelò l'arcano ad un suo confidente. - Io sono andato una volta, disse, a fare alcuni giorni di vacanza a casa, ma in avvenire, se non sarò costretto non ci andrò più. - Perchè - gli chiese il compagno. - Perchè a casa vi sono i pericoli di prima. I luoghi, i divertimenti, i compagni mi strascinano a vivere come faceva una volta, ed io non voglio più che sia così - . - Bisogna andare con buona volontà e mettere in pratica gli avvisi, che ci danno i nostri superiori prima di partire. - La buona volontà è una nebbia, che scomparisce di mano in mano, che vivo lungi dall'Oratorio; gli avvisi servono per alcuni giorni, di poi i compagni me li fanno dimenticare. - Dunque secondo te niuno dovrebbe più andare a casa a fare le vacanze, niuno a vedere i proprii parenti? - Dunque secondo me vada pure in vacanza chi sentesi di vincere i pericoli; io non sono abbastanza
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forte. Quello che credo certo si è, che se i compagni potessero vedersi nell'interno, se ne scorgerebbero molti, i quali vanno a casa colle ali da angeli, ed al loro ritorno portano due corna sulla testa come altrettanti diavolotti. Ma D. Bosco non permise che Magone rimanesse privo di un necessario ristoro, e a titolo di premio volle farselo compagno di viaggio, conducendolo ai Becchi, colla prima squadra di pochi altri giovani, fra i quali D. Garino Giovanni testimonio di ciò che narriamo. Si partiva il 30 settembre, festa di S. Gerolamo. Durante il cammino D. Bosco ebbe tempo a discorrere a lungo con Magone e ravvisare in lui un grado di virtù di gran lunga superiore alla sua aspettazione. Per la strada furono sorpresi dalla pioggia; e giunsero a Chieri tutti inzuppati. Si recarono dal Cav. Marco Gonella, il quale con bontà soleva accogliere i giovani dell'Oratorio tutte le volte, che erano di andata e di ritorno da Castelnuovo di Asti. Egli somministrò a D. Bosco ed a' suoi quanto occorreva per gli abiti e poi loro apprestò una refezione da signore. Dopo qualche ora di riposo ripigliarono il cammino. Percorso un tratto di strada Magone rimase indietro dalla comitiva ed uno dei compagni, pensando che fosse per istanchezza, gli si avvicinava, quando si accorse che bisbigliava sotto voce. - Sei stanco, gli disse, caro Magone, non è vero? le tue gambe sentono il peso di questo viaggio? - Oibò: stanco niente affatto; andrei ancor sino a Milano. - Che cosa dicevi ora che andavi sotto voce da solo parlando ?
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Io recitava il rosario di Maria SS. per quel signore, che ci ha accolti tanto bene; io non posso altrimenti ricompensarlo, e perciò prego il Signore e la B. Vergine, affinchè moltiplichino le benedizioni sopra di quella casa, e le doni cento volte tanto di quello che ha dato a noi. È difficile dire quanto Magone fosse grato per ogni favore ricevuto. Non rare volte stringeva affettuosamente la mano a D. Bosco e, guardandolo cogli occhi pieni di lagrime, diceva: - Io non so come esprimere la mia riconoscenza per la grande carità, che mi ha usato coll'accettarmi nell'Oratorio. Studierò di ricompensarla colla buona condotta e pregando il Signore, affinchè benedica lei e le sue fatiche. Passando intanto per Buttigliera, ove la Contessa Miglino aveva preparata la merenda pei giovani, sul far della notte giungevano festosamente ai Becchi, ove predicava D. Chiatellino. D. Bosco in uno di questi giorni andava in un paesello vicino per trattare coll’amico parroco di qualche suo interesse. Costui avea una vecchia fantesca così avara nell'interesse del suo padrone, che non solo, facendo il viso brusco e con sottili e mal preparate porzioni a pranzo, avea allontanato da lui gli amici, ma di più il padrone stesso teneva a stecchetto, più di quello che richiedesse la stessa necessità. Il prete che conoscevala fidata, riserbata nel parlare, e veramente buona cristiana tollerava e lasciava fare. Molte volte aveala avvertita delle sconvenienze di quel procedere, ma erano parole gettate al vento. D. Bosco adunque, sapendo con chi avea da fare, bussò alla porta della canonica. Si affacciò la serva con un brusco - Chi cerca?
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- Il parroco sarebbe in casa? - È uscito. - E starà molto a rientrare? - Non lo so. Potrebbe anche star fuori qualche ora. - Se permette lo aspetterò. Intanto ho piacere di poterla salutare. Ho sentito parlare tante volte così bene di lei ....... - Di me? replicò la serva rabbonendosi. - Ma sì, sì. Non è lei la signora Domenica? - Sono io. Ma come ha fatto a sapere il mio nome? Chi glie lo ha detto? - Chi me lo ha detto? Ho sentito lodarla tante volte e so che la signora Domenica è una valente cuciniera, una brava signora, di abilità e di buon cuore. - E lei chi è? - Sono D. Bosco. - D. Bosco? D. Bosco dei Becchi? - Precisamente. - D. Bosco! D. Bosco! Venga, venga avanti ....... - Non vorrei averla disturbata .. - Ma no; nessun disturbo, è un piacere Si accomodi, D. Bosco! - E così l'introdusse mentre D. Bosco continuava a farle il panegirico. - Si fermerà bene a pranzo con noi? - Se la signora Domenica avrà la bontà di darmi un po' di zuppa ....... - Si immagini: troppo volentieri. Se andasse via prima di pranzo ci farebbe un gran torto. Intanto il parroco ritornò. La Perpetua appena egli mise il piede sulla soglia annunziogli l'arrivo di D. Bosco e poi corse in cucina. Il buon prete fece all'amico le più cordiali accoglienze, ma era in angustie pensando al
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magro desinare, che Domenica avrebbe apprestato: tanto più si confermò nella sua opinione, perchè a mezzogiorno il pranzo non era ancora in ordine. Ma ecco la serva tutta raggiante di gioia venir ad annunziare, che la minestra era in tavola. Il parroco stupì al vedere un antipasto svariato ed abbondante e poi piatti sopra piatti che non volevano più finire. - Brava; viva la signora Domenica che sa preparare pranzi così buoni! - diceva di quando in quando D. Bosco. - Se l'avessi saputo che veniva lei oggi… ma così all'improvviso… non ci fu neppur tempo a preparare! - esclamava Domenica. E suggeriva al parroco la tale e la tal'altra qualità di vino migliore, riposta nella cella. - Ma come hai fatto ad addomesticare così quella buona donna, diceva sottovoce il parroco a D. Bosco, mentre Domenica era ritornata in cucina - insegnami il segreto. - Te lo dirò poi: adesso mangia e sta allegro. - Sì sì, son troppo contento della tua venuta; anzi ti prego: Vieni a farmi visita una volta per settimana. - E perchè? - Così potrò di quando in quando interrompere la mia eterna quaresima. Quelle lodi e specialmente il titolo di signora Domenica avevano operato quel miracolo. Così D. Bosco raggiungeva un suo fine cioè di predisporre l'animo della buona fantesca in favore de' suoi alunni quando fossero venuti in quel paese per la passeggiata. E per la sua fatica, aveale donato una buona mancia. Alla sera D. Bosco ritornava in mezzo ai suoi giovani che avevano avuto occasione di ammirare un bel atto di
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virtù del caro Magone. Erano andati a divertirsi nella vicina boscaglia. Chi andava in cerca di funghi, altri di castagne, di noci; alcuni ammassavano foglie e simili cose, che per loro formavano il più gradito passatempo. Erano tutti attenti a ricrearsi quando Magone si allontana da' compagni e tacito tacito va a casa. Uno lo vede, e nel timore che avesse qualche male lo segue. Michele pensandosi di non essere veduto da alcuno entra in casa, non cerca persona, non fa parola con chicchessia, ma va direttamente in chiesa. Chi gli tien dietro, giunge a trovarlo, tutto solo ginocchioni accanto l'altare del SS. Sacramento, che con invidiabile raccoglimento pregava. Interrogato di poi sullo scopo di quella partenza inaspettata da' suoi compagni per andare a fare la visita al SS. Sacramento, schiettamente rispondeva: - Io temo assai di ricadere nell'offesa di Dio, perciò vado a supplicare Gesù nel SS. Sacramento, affinchè mi doni aiuto e forza a perseverare nella sua santa grazia. Altro curioso episodio succedette in quei medesimi giorni. Una notte mentre tutti i giovani riposavano, Don Bosco ode uno a piangere. Si mette pian piano alla finestra e vede Magone in un angolo dell'aia che mirava il cielo e lagrimando sospirava. - Che hai, Magone, ti senti male? - gli disse. Egli che pensava di essere solo, nè essere da alcuno, veduto, ne fu turbato, e non sapeva che rispondere; ma replicando D. Bosco la domanda, rispose con queste precise parole: - Io piango nel rimirare la luna e le stelle, che da tanti secoli compariscono con regolarità a rischiarare le tenebre della notte, senza mai disobbedire agli ordini del Creatore, mentre io che sono tanto giovane, io che sono
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ragionevole, che avrei dovuto essere fedelissimo alle leggi del mio Dio, l'ho disobbedito tante volte, e l'ho in mille modi offeso. - Ciò detto si mise di nuovo a piangere. D. Bosco lo consolò con qualche parola, onde egli dando calma alla commozione, andò di nuovo a continuare il suo riposo. Ma ormai si era alla vigilia della festa del Rosario e una sessantina di giovani dell'Oratorio, fra i quali i musici, giungevano ai Becchi seguendo lo stesso itinerario della prima squadra. All'indomani la solennità fu oltremodo edificante, perchè si vide quella divota gioventù accostarsi alla sacra mensa insieme con molte altre persone venute da que' dintorni. La musica della Messa Grande e della benedizione del SS. Sacramento, riuscì non meno devota che splendida. D. Bosco predicò. Anche prima della festa i giovani erano andati a visitare qualche paese vicino ai Becchi, ma le passeggiate, che meritarono dagli alunni con questo titolo fastoso, erano sempre riservate dopo la solennità del Rosario. Ancora per quest'anno le escursioni duravano per mezza giornata od una giornata intera e si ritornava alla sera ai Becchi dove era fissato il quartiere generale. Montiglio, Passerano, Primeglio, Marmorito, Piea, Moncucco, Albugnano, Montafia, Cortazzone, Pino d'Asti accolsero festosamente negli autunni i giovani condotti da D. Bosco. Più volte furono a vedere il Santuario del Vezolano, del quale il servo di Dio narrava loro la leggenda. Queste passeggiate si prolungavano più o meno giorni, secondo il tempo del quale D. Bosco poteva disporre. L'ultima visita fu alla tomba di Savio Domenico in Mondonio, dal quale alcuni dei suoi compagni, invocandolo, aveano attenute grazie segnalate, e prima di allontanarsi
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da Castelnuovo andarono presso D. Cinzano, che aveali invitati a lieta mensa in casa sua. La sera di quel giorno arrivati tutti all'Oratorio, Magone Michele disse a D. Bosco. - Se Lei è contento domani io fo' la Comunione pel signor Prevosto, che ci ha fatto stare allegri quest'oggi. - Don Bosco non solo glie lo permise, ma esortò gli altri di fare altrettanto, come era solito di raccomandare in simili occasioni, per i benefattori dell'Oratorio. Ritornato in Valdocco si dava subito attorno per trovare vestiarii onde riparare dal freddo i suoi ricoverati, e danaro per pagare i lavori del nuovo refettorio, che sul finir del dicembre incominciò eziandio ad essere sala del teatrino. Per questi fini scriveva due lettere. Una al Marchese Lamarmora Ministro della Guerra.
Ill.mo e Benemerito Sig. Ministro,
All'avvicinarsi della stagione invernale mi accorgo del gran bisogno di provvedere oggetti di vestiario per li miei poveri ragazzi. Il numero dei ricoverati in quest'anno è di circa duecento, più grande è quello di coloro che vengono alla scuola diurna e serale, di gran lunga è poi maggiore il numero di coloro, che intervengono nei soli giorni festivi per le sacre funzioni, per la ricreazione, o per aver padroni presso cui collocarsi a lavorare. Ma questi ragazzi, chi più, chi meno, si trovano tutti in bisogno. Egli è a nome di questi che ricorro a V. E. supplicandola a voler loro concedere qualche oggetto di vestiario: coperte, lenzuola, scarpe, mutande, camicie, giacchette, calzoni ecc. di qualsiasi taglio o colore; e comunque logori o cenciosi da noi si aggiustano e si fanno servire a coprire e riparare dal freddo un povero ragazzo e metterlo così in grado di potersi collocare presso ad un padrone.
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Nella fiducia d'essere anche in quest'anno aiutato, e pieno di gratitudine per i favori ricevuti, Le auguro ogni bene dal Cielo, mentre con pienezza di stima mi professo Di V. E. Torino, 14 ottobre 1858. Obbl.mo ricorrente Sac. Bosco GIOVANNI.
PS. I due giovanetti Berardi e Litardi, dalla carità di Lei raccomandati, continuano ad essere in questa casa e sono ambedue avviati ad una professione. Altra lettera D. Bosco indirizzava al Presidente dell'Opera Pia di S. Paolo.
Ill.mo Signore.
Tutte le volte che mi sono trovato in grave bisogno e che ho fatto ricorso alla Pia Opera di S. Paolo, per ottenere sussidio per l'Oratorio di San Francesco di Sales, son sempre stato favorito. Un caso eccezionale mi stringe pure in quest'anno a ricorrere a questa fonte di beneficenza. L'umidità della chiesa mentovatale in altra mia l'aveva resa veramente insalubre ai poveri giovani che ivi intervenivano, e guastava gli oggetti ed i paramenti destinati al divin culto. Fu pertanto fatta fare una volta collo scavo sotto il pavimento, lavoro che da prima sembrava non tanto dispendioso, ma che va montando ad una somma eccedente le mie forze e le oblazioni di alcuni pii benefattori. La spesa totale monta a sei mila franchi; per quattro la Divina Provvidenza ha già aperta la strada. Mancano ancora due mila franchi che mi sono d'urgenza, che non so dove prendere, e senza cui dovrei con grave danno sospendere i lavori. È per questa somma che io umilmente ricorro alla bontà di V. S. Ill.ma supplicandola di venire anche questa volta in mio
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soccorso ed aiutarmi a compiere un'opera, che unicamente tende a promuovere il divin culto fra i fedeli cristiani e specialmente fra la gioventù pericolante. Pieno di fiducia nella provata di Lei bontà, Le auguro ogni bene dal Cielo, mentre con pienezza di gratitudine e stima mi professo Di V. S. Ill.ma Torino, 15 ottobre 1858. Obbl.mo ricorrente Sac. Bosco GIOVANNI.
E sempre da notarsi come D. Bosco in mezzo alle continue cure eziandio materiali nulla perdesse della sua unione con Dio, come lo dimostrava la sua attitudine attuale ad ogni ufficio del Sacro Ministero. D. Bonetti Giovanni ci conservò traccia ordinata di una predica fatta da D. Bosco in quest'anno sulla virtù della purità. Chi la medita sente l'efficacia che sta latente sotto quei periodi, quantunque manchi l'espressione della sua voce, del suo sguardo e la vivacità delle sue descrizioni. Don Bosco adunque così aveva parlato a' suoi giovani. Il mese di ottobre viene dalla S. Chiesa consacrato in gran parte a Maria SS. La prima Domenica è dedicata alla Madonna del Rosario in memoria delle innumerevoli grazie ottenute, e dei stupendi prodigi operati per la sua intercessione: grazie e favori che Maria SS. invocata con questo titolo impartì ai suoi divoti. - Nella seconda Domenica si celebra la Maternità di Maria SS.. per ricordare ai Cristiani, che Maria è nostra madre e noi tutti siamo i suoi cari figli. La terza Domenica, che quest'oggi, si celebra la sua purità, quella virtù che la rese tanto grande presso Dio e che formò di essa la più bella delle creature. Essendo già due Domeniche che voi mi udite narrare le glorie di Maria SS., questa sera, invece di parlarvi della Vergine benedetta, vi parlerò di questa bella virtù col dimostrarvi quanta stima ne abbia
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Iddio stesso. Oh quanto io mi stimerei felice se questa sera io potessi insinuare nei vostri teneri cuori l'amore a questa angelica virtù! Statemi attenti! Che cosa è la virtù della purità? Dicono i Teologi che per purità si intende un odio, un abborrimento a tutto ciò che è contro il sesto precetto, sicchè qualunque persona, ciascuna nel suo stato, può conservare la virtù della purità. Questa purità è tanto grata a Dio, che in ogni tempo premiò coi più stupendi prodigi coloro che la conservarono e punì coi più severi castighi coloro che si diedero al vizio opposto. Fin dai primi tempi del mondo, sebbene gli uomini non si fossero moltiplicati grandemente, essendosi essi posti sulla via del disordine, Enoc aveva conservato a Dio puro il suo cuore. Iddio perciò non volle che rimanesse tra gente viziosa e gli angioli mandati da Lui, tolsero Enoc dal consorzio degli uomini, trasportandolo in un luogo misterioso, da dove poi, dopo la sua morte, sarà introdotto in Cielo da Gesù Cristo. Andiamo più avanti. Gli uomini sulla terra si erano moltiplicati in gran numero; scordandosi del loro Creatore si erano immersi ne' vizi più vituperevoli: Omnis caro corruperat viam suam. Sdegnato Iddio di tanta iniquità, stabilì di schiantar dal mondo le umane generazioni con un diluvio universale. Salva però Noè colla sua moglie e i tre suoi figliuoli colle loro consorti. Ma perchè usa simile preferenza con costoro? Perchè conservarono la bella ed inestimabile virtù della purità. Veniamo più avanti. Dopo il diluvio gli abitanti di Sodoma e di Gomorra si erano dati ad ogni sorta di disordini. Iddio stabili di sterminarli, non più con un diluvio di acqua, ma con un diluvio di fuoco. Tuttavia prima che cosa fece? Girò gli occhi su quelle infelici città e vide che Lot colla sua famiglia erasi conservato virtuoso. Manda subito un angelo ad avvertire Lot acciocchè si allontani con tutti i suoi da quei paesi. Lot obbedisce, ma appena è fuori ecco un mare di fuoco con fragori orribili e lampi e tuoni piomba su quelle misere città e le sprofonda con tutti gli abitanti. Lot e la famiglia erano salvi, ma la moglie per un tratto di curiosità incorse nello sdegno di Dio. L'angelo aveva proibito ai fuggitivi di voltarsi indietro, quando avessero udito lo scroscio del castigo di Dio. Ora la moglie di Lot all'udire
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tanti fragori, da parer che l'inferno tutto si riversasse in quella valle, non potè trattenersi dal rivolgersi indietro: ma sull'istante medesimo fu mutata in statua di pietra o sale metallico. Così se Iddio l'aveva salvata per la sua purità dal comune eccidio, nondimeno la castigò per l'immodestia dei suoi occhi. Con ciò Iddio voleva dimostrare a noi che dobbiamo tenere gli occhi modesti, non appagare ogni nostra curiosità perchè altrimenti ne resteremo vittima, non solo del corpo, come fu della donna di Lot, ma nell'anima. Gli occhi sono due porte per cui entra quasi sempre il demonio. Andiamo innanzi! Portatevi col pensiero in Egitto. Là vedrete un giovanetto il quale per non aver voluto acconsentire ad una azione cattiva soffre mille persecuzioni, la calunnia e la prigionia. Ma permette forse Iddio che perisca Giuseppe? No! Aspettate un po' di tempo e voi lo vedrete sul trono d'Egitto, e coi suoi consigli salvar dalla morte non solo gli Egiziani, ma la Palestina, la Siria, la Mesopotamia e molte altre nazioni. E donde gli venne tanta gloria? Da Dio il quale volle premiare il suo amore eroico per la virtù della purità. lo non la finirei più se volessi contarvi le glorie delle anime pure. Di una Giuditta che salvò Betulia dagli eserciti stranieri, di una Susanna, esaltata per la sua incrollabile virtù fino al Cielo, di un'Ester salvatrice della sua nazione, dei tre fanciulli illesi tra le fiamme di una fornace, di Daniele salvo nella fossa dei leoni. Perchè Dio operò tinti prodigi in favore di costoro? Per la loro purità, per la loro purità. Sì! la virtù della purità è tanto bella, tanto grata al cospetto di Dio, che in tutti i tempi, in tutte le circostanze non lasciò mai senza protezione, coloro che la possedevano. Andiamo pure avanti che questo non basta. Già era giunto il tempo tanto desiderato nel quale nascere doveva il Salvatore del mondo. Ma chi sarà mai colei, che avrà la gloria d'essergli madre? Dio gira gli occhi su tutte le figlie di Sion e una sola ne vede degna di tanta dignità. Maria Vergine! Da lei nacque Gesù Cristo, per opera dello Spirito Santo. Ma perchè tanto prodigio e privilegio? In premio della purità di Maria, che fra tutte le creature fu la più pura, la più casta. Qual credete voi che fosse il motivo pel quale Gesù Cristo amava tanto di stare,
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di conversare coi fanciulli, di accarezzarli, se non perchè questi non avevano ancor perduta la bella virtù della purità? Gli Apostoli volevano cacciarli, avendo le orecchie intronate dai loro schiamazzi, ma il Divin Salvatore riprendendoli. comandò che li lasciassero venire a lui. Sinite parvulos venire ad me; talium est enim regnum coelorum e soggiungendo che essi Apostoli non sarebbero entrati nel regno de' cieli, se non fossero divenuti semplici, puri, e casti come quei fanciulletti. Il Divin Salvatore risuscitò un fanciullo ed una fanciulla; ma perchè? Perchè, interpretano i Santi Padri, non avevano perduta la purità. Perchè Gesù Cristo dimostrò tanta predilezione per S. Giovanni? Ascende al monte Tabor per trasfigurarsi? Conduce per testimonio S. Giovanni. Vuole andare a pescare cogli Apostoli? Preferisce di montare sulla barca di Giovanni. Nell'ultima cena lascia che Giovanni declini il suo capo sovra il suo petto, lo vuole compagno nell'Orto di Getsemani, lo vuole suo testimonio sul monte Calvario. Confitto in croce si rivolge a Giovanni e dice: - Figlio, ecco qui tua madre: Donna ecco qui tuo figlio. - A Giovanni viene affidata da Gesto sua Madre, la più grande creatura che sia mai uscita dalle mani di Dio e simile alla quale nessuna giammai uscirà! Ma perchè tanta preferenza? Perchè? Perchè, o cari giovani, S. Giovanni aveva un titolo speciale all'affetto di Gesù per la sua verginale purità. E questo amore di predilezione di Gesù verso di lui era tale da destare gelosia negli altri Apostoli, sicchè già credevano che Giovanni non avesse a morire, avendo Gesù detto a Pietro: - E se volessi che costui vivesse finchè io venga, a te che importa? - S. Giovanni infatti fu colui che sopravvisse di molti anni a tutti gli altri Apostoli, e a lui Gesù Cristo fece vedere la gloria che godono in Cielo coloro, i quali hanno in questo mondo conservata la bella virtù della purità. Egli stesso scrisse nella sua Apocalisse che essendo entrato nell'ultimo cielo, vide una gran schiera di anime vestite di bianco con un cingolo d'oro e portanti una palma in mano. Queste anime stavano continuamente coll'Agnello Divino e lo seguivano ovunque egli andasse. Esse cantavano un inno così bello, così soave, che Giovanni non potendo più reggere a tanta dolcezza d'armonia, rivolto all'angelo che lo accompagnava gli disse: - Chi sono costoro che circondano l'Agnello e che cantano un inno sì bello, che
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tutti gli altri santi non possono cantare? L'angelo rispose: - Sono quelle anime che hanno conservato la bella virtù della purità: virgines enim sunt. O anime fortunate che non avete ancora perduta la bella virtù della purità, deh! raddoppiate i vostri sforzi per conservarla. Custodite i sensi, invocate spesse volte Gesù e Maria, visitatelo Gesù nel SS. Sacramento, andate sovente alla Comunione, obbedite, pregate. Voi possedete un tesoro così bello, così grande, che fino gli angeli ve lo invidiano. Voi siete, come dice il nostro stesso Redentore Gesù Cristo, voi siete simili agli angioli. Erunt sicut Angeli Dei in coelo. E voi che per vostra disgrazia l'avete già perduta non iscoraggiatevi. Le giaculatorie, le frequenti e buone confessioni, la fuga delle occasioni, le visite a Gesù vi aiuteranno a ricuperarla. Fate ogni vostro sforzo; non temete; la vittoria sarà vostra, perchè la grazia di Dio non mancherà mai. E vero che non avrete più la bella sorte di appartenere a quello stuolo di santi, che in paradiso hanno un posto separato dagli altri, non potrete più andare a cantar quell'inno, che solo i vergini possono cantare, ma ciò non importa per la vostra futura perfetta felicità. Un posto vi è ancora per voi nel cielo, così bello, così maestoso, al cui confronto sono come fango e spariscono i troni dei più ricchi principi e più potenti imperatori, che siano stati e che potranno mai essere sovra questa terra. Sarete circondati eziandio, di tanta gloria, che lingua nè umana, nè angelica potrà mai spiegare. Potrete ancora godere della cara, bella compagnia di Gesù e di Maria, di quella nostra buona Madre che colà ansiosa ci aspetta: la compagnia di tutti i santi, di tutti gli angioli, che ora e sempre sono pronti ad aiutarci, purchè ci stia a cuore di conservare la bella virtù della purità.
CAPO VI. D. Bosco manda alunni studenti al Cottolengo - Le prime tre classi ginnasiali nell'Oratorio - Avviso ai maestri ed agli assistenti - Conferenza a tutti i chierici - Assistenza continua e prudente agli alunni - I giovani attorno a D. Bosco nell'ora della sua refezione - Le scuole di filosofia ed un inconveniente - Le massime eterne ricordale ai giovani - La vita dei Papi dal pulpito - Predica di S. Cecilia - Morte dell'Abate Aporti.
Si è all'apertura dell'anno scolastico 1858 - 59. Compiute le accettazioni di nuovi alunni, accolto Albera Paolo, di None, destinato da Dio ad essere uno dei primari Superiori della Pia Società, Don Bosco continuava eziandio a far scelta di giovanetti per la classe degli studenti al Cottolengo, accompagnandoli con un suo biglietto. Uno di questi è a noi pervenuto diretto al Sig. Ch. Frattini, assistente dei Tommasini nella piccola casa della divina Provvidenza.
Carissimo Frattini,
Il giovane Meotti Antonio è venuto a vedere se avvi qualche speranza per lui nella casa della divina Provvidenza. Tu lo puoi vedere, presentarlo alla bontà del vostro Venerato Sig. Padre,
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e poi farai ciò che meglio al Sig. Padre e a te sembrerà nel Signore. Il padre del ragazzo è disposto di pagare f. 10 mensili. Dio benedica te e le tue fatiche, prega per me che ti sono, di cuore. Da casa, 22 ottobre 1858. Aff.mo Sac. Bosco GIOVANNI.
Nell'Oratorio gli studenti di umanità e di rettorica continuavano ad andare alle scuole di D. Picco. In casa professore della prima classe ginnasiale fu il Ch. Pettiva Secondo, della seconda il Ch. Turchi Giovanni, della terza il Ch. Francesia Giovanni. D. Bosco al principio, e più volte nel corso dell'anno, soleva fare conferenze agli assistenti e ai maestri di scuola e di laboratorio, inculcando vivamente il pensiero dell'anima dei loro allievi; e diceva: - I nostri giovani vengono all'Oratorio; i loro parenti e benefattori ce li affidano coll'intenzione, che siano istruiti nella letteratura, nelle scienze, nelle arti e ne' mestieri; ma il Signore ce li manda, affinchè noi ci interessiamo delle loro anime, ed essi qui trovino la via dell'eterna salute. Perciò tutto il resto deve da noi considerarsi come mezzo; e il nostro fine supremo farli buoni, salvarli eternamente. Di una di queste conferenze, fatta a tutti i chierici dell'Oratorio verso il fine del 1858, conservossi memoria per iscritto. Io qualche volta ho piacere di parlare a tutti i figli dell'Oratorio, alcune volte a quelli soltanto della casa, spesse volte ai soli studenti o ai soli artigiani, talora poi in particolare ai Chierici
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Oramai possiamo dire che il nostro anno scolastico è incominciato e perciò io bramo assai di incominciare, come facevamo l'anno scorso, ad intrattenermi qualche poco con voi, almeno una volta alla settimana. Il momento più prezioso che possiamo avere si è a quest'ora dopo le orazioni. Io non voglio qui farvi una predica; quel che voglio dirvi, ciò che desidero con tutto il mio cuore, ciò che vi raccomando si è, che voi mettiate in pratica quello, che fu tante volte raccomandato da S. Paolo, anzi che Dio stesso raccomandò a Mosè, allorchè discendeva dal monte. Siate modelli, siate veri modelli a tutti i figli dell'Oratorio. Voi dovete essere come tante false righe sulla cui traccia devono scrivere e camminare tutti gli altri figliuoli. Perciò dovete regolarvi in modo, che gli altri specchiandosi in voi possano restare edificati. Dovete procurare non solo di giovare altrui coi consigli, ma colle opere, coll'esempio. Che vale che voi raccomandiate agli altri che frequentino i SS. Sacramenti, se vedono che voi li frequentate poco? Se vi vedono divotamente accostarvi ai Sacramenti, se vi vedono composti e modesti in chiesa, oh! allora sì che dal vostro esempio potranno attingere onde alimentare le anime loro. Se per cattiva sorte udissero un chierico fare discorsi non troppo modesti, che si lascia sfuggire qualche paroletta, che sia alcun poco oltraggiosa della bella virtù della purità, ahimè, ahimè, che danno, che scandalo! Dice S. Giovanni Grisologo che un ministro del Signore è simile ad una pianta. Oh! che bel vedere fa, dice questo santo, una pianta in un bel giardino tutta circondata da siepi, che spande i suoi frondosi rami carichi di ottimi frutti. Chiunque le si avvicina resta soddisfatto dal vedere i rami così ricchi di bei frutti. Al contrario ponetemi questa pianta che alta e superba invita a sè tutti quelli che la mirano, in un vago giardino, ma scarsa affatto di bei frutti, allora vedrete che tutti sdegnati non potranno a meno che maledirla perchè occupa inutilmente un così vago luogo. Tali siamo noi. I popoli volgono a noi gli occhi e aspettano frutti buoni e se non vedono alcun frutto, oh! quale scandalo ne prenderanno! S. Ambrogio ci assomiglia alla luna. Egli dice che noi dobbiamo essere tante lune. La luna non splende di luce sua propria, ma la piglia dal sole, se ne serve per lei, quindi la dona alla terra. Così siamo noi. Noi del nostro abbiamo niente, ma dobbiamo ricevere dal sommo
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Iddio, dal sole di giustizia quella divina parola, che illumina le menti, e dopo essercene serviti per nostra santificazione, dobbiamo spargerla per illuminare tutti gli uomini, i quali aspettano di essere da noi indirizzati sulla via, che li conduce al cielo. Sant'Agostino soggiungeva: Volete voi sapere che cosa indichi quella toga con cui si vestono i giovani Romani? Non credete già che significhi essere entrato quel giovane nei 17 anni; non indica soltanto questo; ma bensì che sotto quella toga vi è la scienza, vi è la virtù, vi sono tutte quelle buone doti di cui debbono essere adorni coloro, che la vogliono indossare. Così è pur di noi. Sotto questo abito noi dobbiamo portare quelle virtù, che merita un abito sì divino. Giosuè doveva passare il Giordano. Dio gli disse: - Manda innanzi i sacerdoti coll'arca: entrino nel fiume tenendola sulle spalle e le acque del Giordano si divideranno ed il tuo esercito passerà. - Così fecero i sacerdoti, e le acque si divisero; le superiori si alzarono come un alto muro, le inferiori, proseguendo il loro cammino, lasciarono asciutto l'alveo, e tutto l'esercito d'Israele passò al di là del Giordano. Così dobbiamo pur far noi. Noi dobbiamo coll'arca della Divina alleanza, colla S. Religione, con buone massime, con amorevoli parole, con santi esempi fare in modo, che gli uomini sani e salvi passino da questo mondo all'eternità. Adunque facciamo tutto quello che possiamo per fare del bene alle anime. Intorno a voi vi sono molti giovani che vi tengono d'occhio continuamente, adoperatevi con tutto il vostro potere per bene indirizzarli e col buon esempio e colle parole, e coi consigli e cogli avvertimenti caritatevoli. Se così fate in quest'anno, sebbene il numero dei chierici non sia più grande di quello degli anni scorsi, io sarò tuttavia contento; ed il Signore non potrà a meno che benedire me, voi e tutta la casa, continuando come sempre ha fatto, ad aiutarci col potente suo braccio, prosperando tutte le nostre fatiche. Amen. Così sia.
Nelle conferenze non stancavasi di raccomandare loro l'assistenza coscienzosa dei giovani, poichè pretendere che le debolezze umane non valicassero le soglie dell'Oratorio, sarebbe stato un disconoscere il mondo. Ed egli ne
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dava loro l'esempio. Vegliava sempre come sentinella costante, ma prudente, al fine di prevenire il male, o vincerlo qualora avesse gettato qualche radice nella casa. Nei primi venti anni dell'Oratorio compariva dappertutto e talora quando meno era aspettato. Nelle camere, nei laboratori, nelle scuole, nei refettori, nei luoghi meno osservati e più reconditi. Osservava anche le minime cose. Voleva sapere tutto e vedere tutto. Due giovani dopo il pranzo si fermavano soli nel loro refettorio per alcuni istanti esaminando il libro della lettura. Erano stimati buoni; ma ecco la voce amorevole di D. Bosco che li chiamava. Altri si erano appartati da tutti per intrattenersi di qualche loro progetto, o preparando una merenda, o qualche giuoco di quattrini, e D. Bosco all'improvviso sopraggiungeva: - Che cosa fate qui? Andate in ricreazione coi vostri compagni. Un allievo passeggiava tenendo per mano un compagno o mettendogli un braccio sulla spalla. D. Bosco gli si avvicinava e scherzando gli dava un colpo sul braccio o sulle dita, dicendo: - Sapete la regola di non mettervi le mani addosso? Giuochi di mano, giuochi da villano. Un giorno vide un giovanetto che nel cortile aveva, intrecciato il suo braccio con quello di un assistente, il quale lasciò fare. Egli attese che quel chierico fosse solo e chiamatolo allora a sè: - Oggi, gli disse, ebbi una forte tentazione di darti due schiaffi in pubblico! Hai capito? - Sissignore! - E ciò mi basta: e tu sta attento. Su questo punto D. Bosco era delicatissimo.
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In molti casi la sua vigilanza era inesplicabile e pareva splendesse in lui una speciale virtù visiva, della quale ci riserviamo a dare più ampie spiegazioni. Spesse volte mentre era tutto occupato nello scrivere o nel pregare in chiesa, o intrattenendosi, coi giovani, o anche in tempo della refezione, a un tratto chiamava a sè uno de' suoi anziani e dicevagli segretamente: - Va nella tale camerata; vi sono tre (e faceva i nomi) che, chiusa la porta, leggono un giornale poco buono: di' loro che escano subito. Altra volta ad un allievo giudizioso: - Corri a dire all'assistente che nel tal luogo, dietro ai portici, vi sono alcuni nascosti. Che li faccia saltar fuori. Poi altre volte ancora a qualche chierico: - Ascendi in cima alle scale, troverai il tale e il tale. Di' loro che D. Bosco sa tutto. Questi fatti si rinnovarono non di rado e sempre si verificava aver D. Bosco indovinato e luoghi e persone e circostanze. Ma comunque egli esercitasse l'uffizio dell'Angelo Custode, ne imitava la discreta e paziente condotta. Per i pretesti più naturali del mondo che coonestavano le sue apparizioni, per la sua bontà e semplicità, per le continue dimostrazioni di affetto e di stima verso di tutti senza eccezione, per l'oblío di mancanze scoperte e perdonate, non si destava nei giovani nessuna diffidenza. Infatti bastava che egli si presentasse in qualche luogo della casa perchè corressero intorno a lui. Commovente spettacolo accadeva tutti i giorni dal principio della fondazione dall'ospizio fino circa al 1870 dopo il pranzo e specialmente dopo la cena, quando per caso non vi fosse qualche forestiere di riguardo nel refettorio dei superiori. Era questo una sala sotterranea lunga e bassa con una semplice fila di tavole in mezzo.
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Gli alunni venuti fuori del loro refettorio si accalcavano nel vestibolo di quello di D. Bosco, aspettando che i chierici avessero finita la preghiera del ringraziamento; e non appena udivano il Dominus del nobis suam pacem, Amen, urtata la porta, si precipitavano entro. Qui succedeva un grazioso scontro, si licet parva combonere magnis, simile a quello dell'Orenoco col flusso dell'Atlantico. I giovani volevano entrare, i chierici uscire, ma dopo qualche istante prevalevano i giovani, che gareggiavano a chi primo arrivasse presso a D. Bosco seduto all'estremità della sala in fondo. I chierici erano obbligati ad appoggiarsi ai muri laterali per lasciarli passare e non essere travolti. Qui accadeva una scena inesprimibile. I più fortunati si sono già stretti a D. Bosco in modo che i più vicini appoggiano il loro capo sopra i suoi omeri. Dietro a lui si vede una siepe di faccette allegre, che gli fanno larga spalliera. Intanto è presa d'assalto la fila di tavole, che prima erano state sparecchiate in fretta, e su quella innanzi a Don Bosco, varie file di giovani seduti colle gambe incrociate a mo' degli orientali; dietro a questi molti altri inginocchiati, in ultimo, sempre sulle tavole, una turba in piedi. Chi non vi può salire, prende le panche, le accosta ai muri e vi monta sopra; ed ecco due lunghe file di occhi vivaci, che si fissano in D. Bosco. I più tardivi riempiono tutto lo spazio tra le panche e le tavole. Sembra che nessuno possa più giungere ad avvicinare D. Bosco; eppure alcuni piccolini tentano la prova. Si mettono a correre carponi sotto le tavole ed ecco le loro testoline sporgere tra la tavola e la persona di D. Bosco, che faceva loro una carezza. Sovente D. Bosco essendo stato trattenuto in camera dal lavoro, aveva incominciato solo allora a prendere un
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po' di cibo. Eppure li accoglieva con festa e, assordato dai loro canti e dalle grida, in quell'ambiente respirato da tanti petti, che a stento rimaneva acceso il lume, finiva il suo povero pasto, rivolgendo un sorriso affettuoso, uno sguardo affabile, un motto d'incoraggiamento agli uni ed agli altri. Non si mostrava mai contrariato dall'insistente importunità de' suoi figli; anzi provava rincrescimento, quando qualche visitatore non necessario veniva a rubargli la dolcezza di questi famigliari trattenimenti. Talora faceva atto di voler parlare a tutti, ed all'istante cessava quella confusione di voci, e in mezzo al più profondo silenzio narrava un breve aneddoto, proponeva una questione, faceva un'interrogazione, finchè la campana scioglieva l'assemblea coll'invito alla scuola di canto o alla preghiera. La confidenza dei giovani non riceveva adunque alcun scapito dalla continua vigilanza del superiore, più gradita di quella di altri assistenti. Intanto anche per i chierici erano incominciate le scuole del Seminario, sempre occupato dall'autorità militare, che aveva lasciato libero un solo, ma ampio ammezzato per la classe degli studenti di teologia. Quindi i professori dei corsi filosofici davano lezione nelle loro case private in ora però troppo mattutina e non comoda per gli allievi. Perciò D. Bosco, con una lettera rispettosa, si rivolgeva al Rev.mo Canonico Vogliotti, Provicario diocesano e Rettore del Seminario.
Ill.mo Sig. Rettore, Mi raccomando alla nota di Lei bontà, per un favore che riguarda ai nostri chierici Filosofi. L'ora attuale della scuola li mette in disaccordo coll'orario della casa specialmente per la messa.
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Se i signori Professori T. Mottura e C. Farina volessero aver la bontà di trasferire il principio della scuola alle 9 matt. sarebbe tutto aggiustato. Qualora però tal cosa incagliasse le occupazioni dei prefati signori, mi aggiusterei in qualche modo per uniformarmi alle loro lezioni. Sempre con pienezza di stima e di gratitudine mi professo. Di V. S. Ill.ma Da casa, 16 novembre 1858. Obb. servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Ma a questo e ad altri inconvenienti, che potevano pur riuscire di scapito alla necessaria vigilanza, D. Bosco rimediava colla potenza della sua parola. Le massime eterne erano infallantemente quelle, che per le prime faceva risuonare all'orecchio dei nuovi alunni. Una sera del mese di novembre, nel 1858, Reano Giuseppe raccoglieva dal labbro di D. Bosco e ci tramandava la sua parlata: - Due cose solo io temo: il peccato mortale che dà la morte all'anima, e la morte corporale che sorprende chi si trova in disgrazia di Dio. - Quindi fece pausa per l'estrema commozione che lo agitava e dopo qualche istante ripigliò: - Io temo che qualcheduno de' miei figli non abbia ad essere vittima della propria trascuranza nelle cose dell'anima! E la morte non risparmia nessuno. Dal principio del mondo fino ai giorni nostri quanti patriarchi, principi, re, conquistatori (e alcuni ne andava enumerando) fecero la loro comparsa sulla terra e scesero nella tomba con tutte le moltitudini dei popoli loro contemporanei! Miliardi di uomini che ora sono polvere! Persuadiamoci, cari giovani, che verrà anche per noi il giorno della morte ed essa verrà come un
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ladro! Quando uno meno ci pensa, penetra in casa e lascia cadere la falce sul filo della vita…… Aggiustiamo pertanto i nostri conti col fare una buona confessione…….. La morte non fa anticamera da nessuno, nemmeno dai re, dai papi Attenti!… Mors non tardat… E poi?…L'eternità!… - E il santo timor di Dio, ispirato dalle parole di Don Bosco, era guida e freno alla condotta dei giovani, li addestrava a robuste virtù e li rendeva degni della protezione di Maria SS. Anche l'amore alla Chiesa e al Papato si manteneva sempre vivo ne' loro cuori colla narrazione delle vite dei Papi, che D. Bosco teneva ogni Domenica mattina. Giunto a tratteggiare la vita di S. Urbano I, si dilungò per ben tre feste consecutive a descrivere l'eroismo di S. Cecilia. Conoscendo D. Bosco perfettamente la topografia di Roma imperiale, le costruzioni de' palazzi patrizii, de' loro atrii, portici, sale, fontane, e i costumi degli antichi Romani, li sapeva rappresentare al vivo alle fervide immaginazioni dei suoi uditori. Un di questi ragionamenti il Ch. Bonetti Giovanni volle far la prova a riportarlo in carta, e questa dopo circa trent'anni a noi la rimetteva. Scrisse ciò che ricordò, ma è sufficente per dare un saggio del metodo descrittivo e dei dialogi, che D. Bosco usava adoperare in pulpito, giovandosi di ogni più piccola circostanza, onde abbellire con frutto i suoi ragionamenti. Ne giudichi il nostro lettore. Sotto l'Imperatore Alessandro Severo la Chiesa dovette sostenere una furiosa persecuzione. Papa Urbano I per schivare tutti i pericoli erasi ritirato nelle catacombe, in un luogo lontano tre miglia da Roma. Queste catacombe sono luoghi sotterranei dove si
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seppellivano i corpi dei Santi martiri e dove in tempo di persecuzione si nascondevano i cristiani. Viveva in quei tempi una donzella appartenente ad una delle prime famiglie di Roma. Questa chiamavasi Cecilia e professava celatamente la religione cristiana, poichè i suoi parenti erano idolatri. Essa amava molto la musica e suonava gli organi, istrumento differente da quello usato ora da noi; cantantibus organis Caecilia Domino decantabat. Cantava lodi al Signore, nulla bramando di più che intrattenersi col suo Dio e dirgli: Sia sempre il mio cuore immacolato, perchè io non resti confusa. Questa giovane erasi consacrata con voto a Gesù Cristo, a lui promettendo di mantenersi vergine per tutta la vita. Intanto i suoi genitori avevano pensato di accasarla con un giovane di alto lignaggio di nome Valeriano. Appena Cecilia udì che i parenti l'avevano promessa ad uno sposo terreno, non poco si conturbò e pensava tra sè il modo di sbrigarsi da questo imbroglio. Essa se ne stava sempre ritirata nelle sue camere, sfuggiva gli spettacoli ed aveva sempre con sè di giorno e di notte i santi vangeli, che formavano la sua delizia. Pregava continuamente il Signore perchè l'aiutasse in quel frangente; ed ecco che si sente tutta piena di coraggio ed ispirata ad abbandonarsi con vera fiducia nelle mani del suo diletto sposo Gesù; ed esclamò: - Sono felice e sicura: so io quello che debbo fare ! - Intanto si avvicinava il giorno delle nozze. Venne Valeriano a trovarla ed ella trattolo da parte gli disse: - Valeriano, ho un segreto da manifestarti! - Valeriano premurosamente rispose: - Di pure, o Cecilia, ciò che vuoi, giacchè io ti sarò compagno fedele. - Io te lo confiderò, ma tu promettimi di non palesarlo ad alcuno. - Palesami pur tutto, che nessuno saprà mai da me il tuo segreto. Allora Cecilia così gli disse: - O Valeriano, io mi sono consacrata ad un'altro sposo, ad uno sposo celeste. Se tu venissi mai a recarmi qualche offesa, io ho un Angelo che sempre mi custodisce, il quale all'istante ti fulminerebbe. - Tu hai un angelo che sempre ti sta a fianco? ma io nol vedo. - Vuoi tu vederlo?
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Lo bramo ardentemente. Se tu vuoi vedere il mio angelo devi prima credere in Gesù Cristo figliuolo di Dio, il quale per salvare gli uomini discese dal cielo sulla terra e versò tutto il suo sangue per noi. Tu devi credere che vi è un Dio solo creatore del cielo e della terra e di quanto avvi in cielo e in terra: che questo Dio premia i buoni e castiga i cattivi. Quindi lavarti colle acque purificanti e solo dopo questo lavacro potrai vedere il mio angelo. Valeriano che non aveva mai udito parlare di Gesù Cristo e pieno di desiderio di veder l'Angelo: - Ma da chi, esclamò, io debbo andare per farmi purificare ? E Cecilia: - Se tu veramente ami di essere purificato, va lungo la via Appia lungi tre miglia da Roma tertio ab urbe lapide. Là vedrai dei poveri che ti chiederanno la elemosina. Tu di loro: “Dov'è il venerando vecchio?” Essi subito ti insegneranno dove esso si trova e a lui ti condurranno. Quando egli ti abbia purificato, ritornerai e vedrai il mio Angelo. Così egli fece. Quella parola venerando vecchio era la parola d'ordine dei cristiani per indicare il Papa, e perchè i gentili non sospettassero il ricovero di Urbano I. Valeriano giunse al terzo migliario e quivi trovò quel gruppo di poveri, i quali non erano tali, ma cristiani così trasvestiti: - Dov'è il venerando vecchio ? disse loro: - Vieni con me, gli rispose uno di quei poveri; seguimi! - Poco distante vi era l'entrata di una caverna, celata da un gruppo di alberi e da vermene pendenti. Rimossi i rami Valeriano seguiva la guida in un andito oscuro. Quivi la guida presa una lampada, l'accese e ambedue si misero in cammino per uno stretto corridoio, e fatti alcuni giri e imboccata una scala ripida, che scendeva nelle viscere della terra, si trovarono ben presto ai piedi di essa. Qui incominciavano le catacombe, ossia il luogo dove si seppellivano i martiri, le quali tengono un estensione immensa di miglia e miglia. Valeriano si avanzava per quella galleria, nella quale sbucavano centinaia di altri corridoi: la lampada della guida illuminava con scarsa luce quei sotterranei. A destra e a sinistra si vedevano, le une sopra le altre, incassate ne' loculi del muro le tombe dei martiri, le quali avevano sulle lapidi scolpiti o dipinti i segni del loro martirio. - Costui, diceva la guida, indicando la tomba, ebbe il capo tronco dal carnefice;
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quest'altro fu sbranato dalle belve feroci nell'anfiteatro: quello fu arso a lento fuoco: questi morì essendogli stato colato in bocca il piombo liquefatto. - E così continuava ad accennargli i varii generi di supplizi, verghe, graticole, croci, coi quali coloro che dormivano in quei sotterranei avevano confessato G. Cristo. I cristiani in mezzo a quelle tombe gloriose tenevano le loro assemblee, celebravano i loro riti e spesse volte mangiavano e dormivano. Valeriano nel vedere quei trofei di virtù così sublime, della quale ancora non conosceva il pregio, quasi sveniva per l'orrore e pensava fra sè: - Povero me; in qual luogo son venuto a gettarmi! - Nulla di meno si fece coraggio e continuò il suo cammino. Giunse finalmente ad un luogo alquanto spazioso, ove si incrociavano varie gallerie, il quale luogo presentava l'aspetto di un tempio. Colà eravi un altare, molte lampade accese e una folla di cristiani, che assistevano alle sacre funzioni. La guida condusse subito Valeriano presso il Pontefice Urbano, che sedeva sopra una cattedra circondata dal clero. La fisionomia, del Papa, improntata di benevolenza, il suo sguardo sereno, affettuoso, confortò non poco Valeriano. Il Papa scorgendo questo sconosciuto, che non si era ancora pienamente rimesso dal suo sbigottimento, con dolce ed amorevoli parole gli fece animo e quando gli domandò per qual fine avesse chiesto di lui, Valeriano rispose: - Io sono sposo di Cecilia. Essa mi narrò come al suo fianco stesse un Angelo invisibile a sua difesa. Io desideravo di vedere quest'angelo del cielo ed ella mi rispose, che per vederlo bisognava che venissi da te e mi facessi purificare. Quando Urbano intese il nome di Cecilia e che era dessa la quale aveva mandato a lui Valeriano, tutto commosso si prostrò per terra e pregò. Tutti i Cristiani avevano imitato il Pontefice e pregavano. Quand'ecco all'improvviso apparisce un vecchio venerando, con un'aria maestosa, imponente, celestiale. Valeriano intese essere quello un personaggio soprannaturale, e colto da spavento cadde per terra. Chi era costui ? Egli era l'apostolo S. Paolo comparso per confortare Urbano nelle sue tribolazioni e per incoraggiare Valeriano. - Alzati Valeriano, e sta di buon animo! - disse S. Paolo. Valeriano uomo di guerra e pieno di coraggio, pure in quell'istante tremava come un fanciullo. Sentendosi chiamar per nome, alzò
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alquanto il capo, diede uno sguardo a quell'essere misterioso e poi si levò in piedi. Allora S. Paolo gli presentò un libro dicendogli - Leggi! - Valeriano aperse il libro e vi lesse queste parole: Una sola legge, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra; un solo signore e redendolo, Gesù Cristo. - Credi tu queste cose? - gli disse S. Paolo. - Sì, le credo con tutte le forze dell'anima! - rispose Valeriano. - Se tu le credi puoi ricevere il santo Battesimo e quindi recarti da Cecilia e vedere l'Angelo. - Ciò detto S. Paolo disparve. Allora Papa Urbano amministrò al convertito il S. Battesimo, lo vestì della veste candida e, siccome appena appena spuntava l'alba, così vestito lo rimandò a Cecilia. Valeriano giunto alla porta del palazzo di Cecilia, assediata da numerosi clienti venuti per augurare il buon giorno al padrone e ricevere la sportula, senza trovare a quell'ora nessun ostacolo dai servi ostiarii, s'innoltra negli atrii e va direttamente alla camera della santa vergine. Quivi si arresta vicino alla soglia e solleva alquanto la tendina, che velava l'entrata. Quale spettacolo contemplarono i suoi occhi! Cecilia inginocchiata pregava e accanto a lei ritto in piedi il suo Angelo. Quell'Angelo risplendeva di una luce, che, come un sole, illuminava quella camera. La bellezza del suo volto, la ricchezza delle sue vesti, il magnifico variopinto colore delle sue ali, era tale che non è dato a lingua umana di farne la descrizione. Le ali vicino alle spalle incominciavano con ogni sorta di intrecci mirabili di lavoro divino e terminavano alle estremità con vivissimi colori simili a quelli dell'iride. A tal vista Valeriano esitava se entrar dovesse, ma già quasi avvezzo alla presenza degli abitanti del cielo, per l'apparizione veduta poc'anzi di San Paolo, si fece animo ed entrò. Subito andò a porsi in ginocchio accanto all'Angelo, cosicchè l'Angelo restava in mezzo fra Cecilia e Valeriano. Valeriano sebbene fosse tutto pieno di fervore, tuttavia abbagliato da quella luce sfolgorante, a stento pregava e la sua attenzione restava alquanto distratta dal celeste personaggio. Dopo che ebbe fatta un po' di preghiera, ecco l'Angelo trarre fuori due bellissime corone di rose e metterle una sul capo di Cecilia e l'altra sul capo di Valeriano. Disse quindi: - Conservate, o giovani, queste corone, che vi ho recate dal giardino del
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Paradiso, colla purezza del cuore e colla santità della vita. Le vostre preghiere sono state esaudite davanti al Signore: chiedete pure quel che desiderate e vi sarà concesso. Allora Valeriano: - Ti chiedo la conversione di mio fratello Tiburzio. - Se questo solo brami rispose l'Angelo, ti è già concesso e disparve. In questo mentre si ode il passo di Tiburzio, che si avvicina alla porta, ed entra: - Oh! che deliziosa fragranza io sento in queste sale! Da quali fiori, da quali aromi si spande tale odore? In vita mia non ho mai sentito il simile. Allora Valeriano: - Lo sappiamo ben noi donde viene. Devi sapere che un momento fa discese un angiolo dal cielo e mise due corone di rose sui nostri capi. - Ma dove sono che io non le vedo? esclamò.: e intanto guardava di qua, guardava di là e vedeva nulla. - Dove sono adunque queste rose che voi dite? Sento l'odore, ma le corone, che bramerei di contemplare, non le vedo. - E non poteva darsi pace. Allora Cecilia: - Se tu vuoi vedere queste corone, prima devi credere che vi è un solo Dio creatore del cielo e della terra, che questo Dio ha mandato dal cielo il suo divin figliuolo Gesù, il quale fondò una religione tutta santa, tutta pura; e poi devi essere lavato da un acqua, che purifichi da tutte le macchie l'anima tua. - Come? Vi è ancora altro Dio più potente degli dei di Roma? Gli rispose Valeriano: - O Tiburzio, ben mi stupisco che tu con tutta la tua scienza creda che i nostri idoli siano potenti! Essi son fatti dagli uomini! - È vero ciò che tu dici; ma chi è costui chè mi darà quest'acqua ? Egli è un vecchio venerando, che si chiama Urbano. - Come Urbano? Quello che odo chiamarsi Papa dai Cristiani? - Appunto. - Oh non sono così stolto da presentarmi a costui. Se io fossi scoperto dai pretoriani, sarei subito condotto alla morte. E poi corrono voci così sinistre sul conto dei cristiani. - Calunnie dei tristi, o mio caro. Urbano è un angiolo. Un uomo più affettuoso, più semplice, più dotto non l'ho mai incontrato da che vivo. Va, vedilo, parlagli e sarai contento.
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- A quel che pare tu forse.... ma non è possibile.... Io son giovane.... voglio godere la vita.... non sai che la morte sta sul capo di chi tratta coi cristiani?.... No; io non andrò giammai da Urbano. - Aspetta, o Tiburzio, aspetta. Questo tuo timore sarebbe ragionevole, se noi avessimo a vivere solamente in questo mondo, se colla morte per noi tutto finisse. Ma tu devi sapere che, l'anima nostra è immortale, che quel Dio onnipotente, che ha fatto il cielo e la terra, ha altresì creato un paradiso, dove si gode eternamente una felicità inesprimibile da coloro soltanto che l'avranno servito in questa vita; ma devi sapere eziandio, che vi è un luogo dopo la morte dove si soffrono tutti i tormenti che puoi immaginarti e per tutta l'eternità, da coloro che questo Dio non vollero conoscere, adorare, amare ed obbedire. - E chi mai può assicurarmi che vi sia un'altra vita ? Cecilia prese la parola ed essendo molto istruita recò le prove tratte dalla ragione, dalla rivelazione e dagli stessi autori pagani per dimostrare l'esistenza della vita futura, la felicità eterna che aspetta i giusti, la miseria eterna nella quale cadranno gli iniqui. Tiburzio che aveva ingegno e cuore, coll'aiuto della grazia di Dio, intese la forza di questi argomenti, fu persuaso, e disprezzando la morte: - Se la è così esclamò, ditemi dov'è Urbano e subito vi andrò, acciocchè ancor io possa guadagnarmi la felicità eterna e sfuggire l'eterna morte. Allora Valeriano gli disse: - Vieni ed io ti condurrò. Sta, certo che dopo quel lavacro salutare tu proverai una gioia, che tale hai mai provata e mente umana non può immaginare. - Andarono; Tiburzio fu battezzato, vide esso pure l'Angelo. Fin qui D. Bonetti. Il giorno 24 novembre, Domenica, i musici celebrarono la festa di santa Cecilia; e ne tessè le lodi il Diacono Giuseppe Re, ora Canonico della Metropolitana di Torino. Pochi giorni dopo, il 29 moriva d'apoplessia fulminante, in Torino, l'abate Ferrante Aporti, il quale, come abbiamo già detto, aveva introdotti in Piemonte i nuovi metodi
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d'insegnamento e le scuole normali. Senatore del regno, proposto, ma non accettato dal Papa per Arcivescovo di Genova, aveva tenuto l'ufficio di Presidente della Regia Università di Torino fino alla pubblicazione della legge del 22 giugno 1857. Nonostante certe sue opinioni e l'abito secolaresco, deve dirsi però a sua lode, che non prese parte a nessuna legge contraria alla Chiesa, e che perciò più d'una volta i giornali libertini gli tennero il broncio.
CAPO VII. Letture Cattoliche - Sacra novena di apparecchio al SS. Natale, composta dal Beato Sebastiano Valfrè - Avvisi importanti sul modo di celebrare con frutto questa novena - Circolari in favore delle Letture Cattoliche del Vescovo di Saluzzo e dell'Arcivescovo di Vercelli - L'apparizione di Maria SS. a Lourdes - La novena dell'Immacolata nell'Oratorio.
Sul principio del mese di dicembre Buzzetti Giuseppe, con l'almanacco Il Galantuomo, distribuiva l'ultimo fascicolo delle Letture Cattoliche di quell'anno: Sacra Novena in apparecchio al SS. Natale, composta dal Beato Sebastiano Valfrè della Congregazione dell'Oratorio di Torino (Paravia). Questa novena, seguita da altre considerazioni per ogni giorno dell'ottava, è piena di quella devota unzione, la quale solleva l'anima a Dio e la conforta colle più dolci speranze. Terminavano il fascicolo le profezie, l'inno, le antifone maggiori, i salmi, come nel Giovane Provveduto, con l'aggiunta di alcune laudi sacre a Gesù Bambino. D. Bosco vi faceva apporre un avviso importante. Affinchè la novena si faccia con gusto e gradimento di Dio e profitto di chi la fa, bisogna incominciarla in grazia di nostro Signore: e sarebbe a proposito il premettere la sacramentale
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Confessione, o almeno far un atto di Contrizione, con proponimento di confessarsi quanto prima. Sarà bene recitare ogni giorno nove volte il Pater e l'Ave, il Gloria Patri e l'Angele Dei, sì in memoria de' nove mesi che la santissima Vergine portò nel suo sacratissimo seno il dolcissimo ed amabilissimo Gesù; sì per invitare i nove Cori degli Angioli in aiuto, per riverire un tanto mistero; e si per rinnovare tutti quegli atti divoti ed infuocati sospiri, che, per tante centinaia d'anni, inviarono al Cielo tanti Patriarchi e Padri antichi, per desiderio di vedere nato Gesù; supplicando la santissima Vergine d'unire i nostri poveri cuori col suo sì ricco del divino amore, acciò la nostra novena riesca più grata a Gesù ....... L'aggiungere ogni giorno tre atti di pentimento d'aver offeso Iddio, tre atti d'amor di Dio, tre atti di offerta di sè a Dio, per potersi uno rendere più disposto ad entrare nella stalla di Betlemme, sarà un’aggiunta, che renderà più accettabile la novena. E chi s'impegnerà in moltiplicare tra i cristiani i detti atti ed altri simili, farà meglio avvertendo tutti di disporre in maniera le loro divozioni ed apparecchi, che si confacciano con lo stato e vocazione in cui Iddio li ha posti. Chi poi si prefiggesse la pratica quotidiana di qualche virtù in particolare e la fuga di qualche vizio parimenti in particolare, oltre il general desiderio d'acquistare le virtù tutte e di fuggire tutti i vizi, potrebbe sperare dal Cielo l'acquisto di molti favori. E però, per facilitarne la pratica, si metterà ogni giorno la virtù, che si potrà praticare ed il vizio, che si dovrà fuggire. Ed acciocchè la novena con sì buon principio abbia un ottimo fine, si ricorda ad ognuno la divozione e la modestia con la quale si dee stare in chiesa, massimamente in tempo dei divini uffici, e del tremendo ed adorabilissimo Sacrificio dell'altare. E chi veglierà nella notte del santissimo Natale per prepararsi alla solennità del mistero sì tenero, sì sacro, sì santo, s'astenga dalle facezie, da' bagordi, da' giuochi, in una parola dai peccati; e si occupi in letture di libri spirituali, in recitar lodi divine, in dire orazioni ....... E chi non si sentirà la divozione di vegliare nella notte del santissimo Natale, o avendo voglia di vegliare non gli sarà concesso, o non potrà per qualche impedimento, sia almeno diligente
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nel levarsi alla mattina del giorno solenne, per fare meglio che saprà tutti quegli apparecchi, che gli detterà la divozione del cuore ....... Il voler poi tutti aspettare il santissimo giorno del Natale per confessarsi e comunicarsi, non è praticabile, e però prenda ognuno le sue misure per sè, e dia la comodità a' domestici di poter anch'essi aver parte nella novena....... In questo libretto si mettono nove esempi divoti per affezionare ognuno all'amore dell'amabilissimo Gesù, e se ne potrà leggere uno ogni giorno. E con una pia orazione posta nel fine si chiuderà la presente novena, durante la quale sono tutti pregati di raccomandare a Dio molti importanti affari concernenti l'onore di Dio, il pubblico bene ed il vantaggio delle anime. A questo fascicolo eransi unite due circolari vescovili pubblicate nel mese di ottobre in favore delle Letture Cattoliche. Primieramente veniva un estratto di Lettera Pastorale di Mons. Giovanni Antonio Gianotti Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo ai venerandi parroci della sua diocesi. …Prima di chiudere questa nostra lettera non possiamo a meno di eccitare il vostro zelo per la propagazione di un libretto periodico, la cui lettura, attese le circostanze dei tempi, crediamo sommamente utile alle famiglie cristiane. Voi lo sapete, Ven. Fr., che alcuni anni sono, con apposita Lettera pastorale diretta ai fedeli di nostra diocesi, abbiamo dimostrato i gravissimi danni che cagionano alla fede ed al buon costume tanti libri e fogli empi e licenziosi, di cui sono inondate le nostre contrade. Ora, vedendo che questi danni si hanno pur troppo tuttavia a deplorare, vi suggeriamo di voler unire la vostra alla nostra sollecitudine e vegliare non solo per impedire, che il nemico delle anime semini di nascosto la zizzania nel campo evangelico, ma adoperarvi colla più industriosa carità per ispargere dovunque la buona semenza della parola di Dio e delle cattoliche dottrine. La qual cosa si potrà da voi eseguire non solo colle apposite istruzioni, che farete in chiesa, ma ancora col
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disseminare nelle famiglie l'accennato libretto intitolato Letture Cattoliche, che già altre volte vi abbiamo raccomandato. Sia per la scelta degli argomenti, sia per la chiarezza dell'esposizione e dello stile, sia finalmente per la modicità della spesa, ci parve il più adattato all'intelligenza, come ai bisogni del popolo. E tanto più caldamente potrete raccomandarne la lettura, in quanto che il medesimo supremo Gerarca della Chiesa, Pio IX, degnavasi d'incoraggiare i collaboratori della pia impresa a continuarvi, e di più, per mezzo di circolare di S. Em. il Cardinale Vicario, eccitava tutti gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato Pontificio a diffondere il più che fosse possibile queste Letture Cattoliche per tutte le città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione. Preghiamo, Ven. Fr., il Dio delle misericordie, affinchè riguardi con occhio pietoso le afflizioni della sua Chiesa, e faccia risplendere sopra la nostra cara patria giorni più sereni e tranquilli per la nostra santa cattolica religione, e che intanto ci accordi la pazienza, il coraggio e lo zelo di cui, come suoi fedeli ministri, abbisogniamo per combattere le sue guerre, trionfare de' suoi nemici, e condurre le anime, affidate alla nostra cura spirituale, al sospirato porto della beata eternità. Saluzzo, il 9 ottobre 1858. GIOVANNI Arciv. Vescovo. G. GARNERI Segretario.
Il Can. arciprete della Nostra Cattedrale s'incarica dell'associazione e della distribuzione mensile dei fascicoli. Altra lettera circolare era pure indirizzata da Sua Eccellenza Reverendissima l'Arcivescovo di Vercelli ai Molto Reverendi parroci della sua diocesi.
Molto Ill.re e Rev.do Signore,
Egli è fuor d'ogni dubbio che, allorquando l'empietà fa tutti gli sforzi per diffondere i perniciosi suoi scritti, non vi è, nè vi può essere opera più santa e più salutare di quella, per cui altri sì
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studii di apprestar buoni libri, i quali mirino a conservar nell'animo dei Cattolici la integrità della fede e la santità del costume. E ciò tanto più qualor si tratti di allontanare dal pericolo della seduzione quella porzione eletta del cristianesimo la quale, se per la semplicità della sua fede e de' suoi costumi è a Dio più cara, è però più esposta al rischio di restare imbevuta di quei falsi principii, che la irreligione ed il libertinaggio vanno continuamente disseminando. Ond'è che sarà sempre meritevole degli elogi di quanti sono veri amici del popolo colui, il quale al veleno, che per mezzo di empie scritture vien propinato, oppone l'efficace antidoto di libri, i quali, e per la facilità del dettato, e per l'amenità del racconto, e per la tenuità del prezzo, possono facilmente giungere alle mani delle classi anche meno istrutte e facoltose, ed essere letti con grande spirituale profitto. Or il bisogno di porre un argine alla inondante colluvie di libercoli contrarii alla santa nostra fede ed ai buoni costumi dei nostri popoli, fu vivamente sentito da un pio, dotto e zelante sacerdote, il quale per ciò appunto inaugurava in Torino, sei anni or sono, la tanto utile associazione a quelle Letture, le quali pel fine che si propongono di raffermare gli spiriti ed i cuori nella vera fede e nella sana morale, sono veramente degne del glorioso titolo di Cattoliche, che portano in fronte. Nè i fascicoli mensili fin qui pubblicati falliscono allo scopo che la Direzione si proponeva, che anzi felicemente lo raggiungono. Osserviam di fatto lo stile pianissimo in cui sono dettati, la varietà ed amenità dei temi che trattano, la forma d'ordinario dialogistica con cui li espongono, le vite dei Santi che vengonsi mano mano alternando con materie istruttive e talor apologetiche i racconti che servono mirabilmente ad inspirare l'amore ad una virtù o l'orrore ad un vizio, il prezzo finalmente dell'annuale associazione non maggiore di L. 1, 80, e dovremo conchiudere che, se nulla poteva essere più opportuno ai tempi che corrono e più vantaggioso ai fedeli, nulla eziandio poteva meglio desiderarsi, perchè le Letture Cattoliche fossero alla portata di tutti, ed a tutti di facile acquisto. Di questa così commendabile Associazione io feci parola a V. S. Molto Ill.re e Rev.da nell'anno scorso, coll'occasione che
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diramava una Pastorale sulla Fede Cattolica nel Divin Sacramento e Le raccomandai di promuoverla fra i suoi parrocchiani. Ora però che ben veggo come gli sforzi dell'empietà non cessano, ma si fanno ognor più audaci ed aprono l'adito a libri ed a giornali pessimi fin anco nei piccoli paesi, io crederei di venir meno ad un sacro mio dovere, se non Le rinnovassi l'invito a raccomandarle con tutto lo zelo al suo gregge; persuaso che sempre, ma specialmente nella invernale stagione cui andiamo incontro ed in cui i lavori della campagna o cessano o scemano, si potranno cogliere in abbondanza da cotali Letture quei frutti preziosi, che son nate fatte a produrre nel cuore di chi si faccia a percorrerle. E questo invito io glielo rinnovo tanto più volentieri, avendo testè veduto nel fascicolo VII delle Letture Cattoliche di quest'anno, che l'Eminentissimo Cardinal Vicario per ordine del Regnante Sommo Pontefice ha diramato nel p. p. maggio una circolare in cui si leggono queste parole che le trascrivo: “ La Santità di nostro Signore sempre intenta al vero bene di tutti ed informata appieno del vantaggio riportato da queste Letture Cattoliche nei luoghi ove sono state attivate, ha approvato e lodato il pio divisamento d'introdurle anche nello Stato Pontificio, ed a tal fine mi ha autorizzato ad invitare gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato medesimo, per l'aiuto e sostentamento di sì bella impresa, diffondendola il più possibile nelle città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione ”. Dopo le quali parole che ben dimostrano quanto il Sommo Pontefice apprezzi le Letture Cattoliche e quanto gliene stia a cuore la maggior possibile diffusione, certo io crederei di fare opera inutile se Le volessi aggiungere nuovi motivi per muoverla a raccomandare caldissimamente la sullodata Associazione. Ma se questa stima specialissima che il Santo Padre tiene delle Letture Cattoliche basta e soprabasta, perchè io sia certo ch'esse, per opera di V. S., verranno più largamente diffuse in cotesta sua Parrocchia, non posso però, nè debbo lasciar d'invitarla a vegliare con ogni maggior sollecitudine, perchè non s'introducano fra il suo popolo gli scritti d'irreligione e del libertinaggio, ed insieme a far pregare continuamente e fervorosamente per la estirpazione delle eresie e per la propagazione della cattolica fede.
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Nella ferma fiducia pertanto che, per di Lei cura, le Letture Cattoliche troveranno fra i suoi parrocchiani gran numero di associati, passo all'onore di raffermarmi con ben distinta stima Di V. S. M. Ill.re e Rev.da Vercelli, 18 ottobre 1858 Dev.mo aff. Servo ALESSANDRO Arc. D. MOMO Segr.
Lieto D. Bosco di tali incoraggiamenti celebrava la festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS. Tanto più che in quest'anno un portentoso avvenimento aveva in tutto il mondo fatto risuonare la gloria e la bontà della celeste Madre e D. Bosco l'aveva narrato più volte ai suoi giovani e più tardi ne consegnava alle stampe la relazione. L'11 Febbraio 1858 l'innocente pastorella di 14 anni Bernardetta Soubirons usciva da Lourdes piccola città ai piedi dei Pirenei per andare alla campagna e raccogliere un po' di legna per la cucina di sua famiglia. Non sapeva nè leggere, nè scrivere: tutta la sua istruzione si riduceva al Pater, Ave, Gloria, Credo. Non aveva ancor fatta la sua prima comunione. Giunta in falda ad una grotta detta di Massabielle, mentre voleva passare il canale quasi asciutto di un molino, ecco un rumore, un soffio, come di vento gagliardo, si fa sentire rimanendo immobili tutti i rami delle piante. Meravigliata Bernardetta volge il guardo verso la grotta e tutta tremante si getta ginocchioni a terra. Al disopra di questa, in una nicchia rustica, alla quale giungevano i lunghi rami di un rosaio selvatico, tra lo splendore di una luce magnifica, stava ritta, librata in aria una Signora graziosissima sopra ogni concetto, meravigliosamente luminosa e bella.
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Di statura mezzana, volto ovale, perfettamente regolare, occhi azzurri, soavi e dolci oltre ogni dire, aveva l'aspetto di una giovane sui vent'anni. Dal viso suo splendeva una bellezza, una grazia, una maestà ed una gravità, una sapienza, una virtù superiore ad ogni immaginazione. Le sue vesti candide come la neve: portava cinta ai fianchi una fascia di color celeste azzurro, la quale, annodata sul davanti, pendeva fino ai piedi duplicata. Avvolgevale il capo un bianco velo, il quale svolto copriva le spalle, e scendeva giù lungo tutta la persona. I suoi piedi posavano leggermente sui rami del rosaio senza farli piegare, e sopra ciascuno dei due piedi eravi una rosa fiorita. Le sue mani, divotamente giunte, tenevano un rosario, i cui grani bianchi parevano infilzati in un cordone di oro. E sembrava recitasse questa preghiera, poichè vedevansi i grani scorrere tra le sue dita, ma le sue labbra non si movevano, e gli occhi teneva rivolti su Bernardetta. Bernardetta sulle prime atterrita trasse fuori il suo rosario, ma non le bastarono le forze per farsi il segno della croce: la Signora segnossi quasi per incoraggiarla. La fanciulla sentì allora svanire ogni sua paura e con una viva gioia incominciò a recitare il rosario. Come l'ebbe terminato la visione disparve. Diciotto furono le apparizioni dall'11 febbraio al 16 luglio sempre alla sola Bernardetta e nello stesso luogo. Il 18 febbraio quella Signora le aveva per la prima volta fatto udire il suono della sua voce: - Fammi il piacere di venir qua per quindici giorni di seguito. - Delle poche parole che Ella pronunciò con volto ora sorridente ed ora mesto, memorabili sono queste: - Io non ti prometto di farti felice in questo mondo, ma nell'altro. - Desidero che qui venga gente. - Pregate per i peccatori
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Penitenza, penitenza, penitenza. - Figliuola, da parte mia fa sapere ai sacerdoti che desidero, mi venga eretta qui una cappella! - Il 25 febbraio Bernardetta per suo comando, in un canto arido, oscuro della grotta, colle mani faceva un piccolo scavo nel terreno ed ecco zampillare una fontana di acqua perenne che dà ancora oggigiorno circa cinquemila litri di acqua all'ora. Il 25 marzo richiesta per tre volte del suo nome con infinita dolcezza rispondeva: - Io sono l'Immacolata Concezione. - Fin dalla prima apparizione, la gente avutane notizia correva a quella grotta a decine e decine di migliaia, l'acqua della fontana operava miracoli senza numero e più luminosi del sole e non bastavano i confessori a contentare i fedeli, che desideravano riconciliarsi con Dio. E così incominciò quella serie di meraviglie, che resero il santuario di Lourdes una testimonianza continua della potenza di Maria. I giovani dell'Oratorio, sempre più accesi da questi racconti di amore per la Madonna, avevano fatto quella novena e quella festa con particolare fervore, e molti si erano scritti gli atti di pietà, che si proponevano di praticare in quei giorni. Era stato questo un consiglio di D. Bosco. Magone scrisse pure i suoi proponimenti ed erano di questo tenore: “ Io Magone Michele voglio far bene questa novena e prometto di: 1. Staccare il mio cuore da tutte le cose del mondo per darlo tutto a Maria. 2. Fare la mia confessione generale per avere poi la coscienza tranquilla in punto di morte. 3. Ogni giorno lasciare la colazione in penitenza de' miei peccati, o recitare le sette allegrezze di Maria a fine
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di meritarmi la sua assistenza nelle ultime ore di mia agonia. 4. Col consiglio del confessore fare ogni giorno la santa Comunione. 5. Ogni giorno raccontare un esempio a' miei compagni in onore di Maria. 6. Porterò questo biglietto ai piedi dell'immagine di Maria e con questo atto intendo di consacrarmi tutto a Lei, e per l'avvenire voglio essere tutto suo sino agli ultimi istanti della mia vita. ” Le pratiche suddette gli furono concesse da D. Bosco ad eccezione della confessione generale, che aveva fatto non molto tempo prima; e il lasciare la colazione commutatagli nel recitare ogni giorno un De profundis in suffragio delle anime del Purgatorio.
CAPO VIII. Il sermoncino della sera - D. Bosco sulla tribuna - Sua eloquenza - Industria per dare pascolo alla fantasia dei giovani - Parlate nel mese di dicembre - Napoleone: il catechismo e la prima Comunione - Gregorio Nazianzeno, Basilio e Giuliano apostata agli studi in Atene - Correggersi dai difetti e dalle mancanze leggere - Non insuperbirsi per le lodi e mantenersi calmi e pazienti per i biasimi - Una vittoria sul rispetto umano ricompensata - Non vergognarsi di essere obbedienti a Dio Dopo il sermoncino - Sala destinata per le rappresentazioni drammatiche - Regolamento pel teatrino.
L'edifizio morale dell'Oratorio si manteneva stabile e splendido ed erane la chiave maestra il discorsetto di tutte le sere dopo le orazioni. Don Bosco non cedeva ad altri questo, che egli stimava suo dovere, a meno che non fosse stato assolutamente impedito; e non voleva che il suo supplente parlasse più di tre o cinque minuti secondo che esigeva il bisogno e la circostanza. Egli consigliava: - Poche parole; una sola idea di maggior importanza, ma che faccia impressione, sicchè i giovani vadano a dormire ben compresi della verità stata loro esposta.
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Ma il desiderio dei giovani era di ascoltar lui che tanto li amava. Così si esprime il Teol. Ballesio, nella sua Vita intima di D. G. Bosco. “Terminata la scuola serale di canto e di suono per gli uni, di grammatica e di aritmetica per gli altri, alla concitata ed argentina chiamata del campanello, ci adunavamo per la preghiera. Caro e sublime momento; il mio cuore tripudia di dolcissima gioia a pur rammentarlo! S'intona una lode e trecento giovani fanno un coro imponente, che i cittadini odono da lontano. Tutti insieme ad alta voce si prega con D. Bosco in mezzo a noi, ginocchioni sul pavimento di pietra, o nel parlatorio, o sotto il porticato. Ed oh se era bello e santamente composto D. Bosco in quegli istanti! Finita la preghiera, egli dolcemente aiutato da noi montava sulla piccola tribuna, ed al vederlo comparire lassù con quel suo sguardo paternamente amorevole e ridente, che si aggirava su di noi, udivasi in tutta quella grande famiglia un senso, una voce, un dolce mormorio, un lungo respiro di soddisfazione e di contentezza. Poi in religioso silenzio, gli occhi e gli sguardi di tutti fissi in lui ”. In quel momento alcuni alunni gli presentavano gli oggetti trovati, che venivano annunciati e restituiti al proprio padrone. Quindi incominciava a parlare. Il suo aspetto diceva chiaro: - Tutto quello che io faccio non sono che mezzi da me adoperati per riuscire a salvarvi eternamente; e quanto tollero di fatiche e di stenti, tutto è per le anime vostre. O figliuoli ascoltare i precetti del padre, e così fate per esser salvi (I). E D. Bosco comunicava
(I) Ecclesiastico III.
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ordini per l'indomani, raccomandava, qualche opera di pietà, faceva la commemorazione di un benefattore defunto, dava qualche breve spiegazione del catechismo. In ogni occasione raccomandava agli alunni la frequenza dei santi Sacramenti, senza farne loro una obbligazione speciale; ma invitavali con tanta soavità, li infiammava con tanto ardore, da ottenere quanto desiderava; promoveva con ardore impareggiabile la visita al SS. Sacramento, imparadisava parlando della bontà, provvidenza e misericordia di Dio; accennava alla passione di Gesù Cristo, e allora lo si vedeva talvolta entusiasmarsi ed altre volte commuoversi in guisa da restarne soffocata la parola. Era di una varietà sorprendente sicchè la sua parola non recava mai noia o disgusto. Da tutta la sacra Bibbia, dalla Storia Ecclesiastica e da moltissime storie profane di popoli antichi e moderni; dalle vite dei Santi, dei filosofi, degli artisti celebri; dalle opere del Magister sententiarum, Giovanni Gersone, celebre cancelliere dell'università di Parigi; dai Bollandisti, e da altri moltissimi autori aveva raccolto un tesoro inesauribile di fatti e sentenze che egli esponeva mirabilmente ogni volta che facevano pel suo argomento. Raccontava anche privati e pubblici avvenimenti contemporanei, accompagnati con una riflessione adattata al bisogno ed all'ammaestramento dei giovani. Ma D. Bosco parlando non aveva solo per fine immediato l'ordine morale ed il progresso spirituale, ma procurava eziandio, con mezzi molteplici ed appropriati, di impossessarsi delle menti dei giovani, a fermare la loro volubilità. Pel momento un sol fatto ce ne faccia intravedere molti altri, che a tempo debito esporremo.
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Quando D. Bosco aveva stabilito di concedere una passeggiata o dare altro simile divertimento ai giovani, indettava un prete, il quale poi a metà del discorso della sera lo interrompeva, chiedendogli se non gli sembrasse conveniente concedere ai giovanetti quello spasso. D. Bosco faceva qualche obbiezione ed osservazione, dimostrandosi esitante a concedere. L'altro instava. I giovani naturalmente prendevano interesse vivissimo ad una disputa che speravano riuscisse a loro favore, e finalmente Don Bosco concedeva. Questi dialoghi servivano per ottenere certe promesse di miglior condotta, manifestare certi disordini da rimediare, rimproverare certe mancanze ecc. contro la regola, ma senza offendere nessuno, con maniere festive, e con sicurezza di ottenere un grande miglioramento. Con ciò si tenevano le menti dei giovani occupate, e talora per più settimane, nel pensiero di ciò che era stato annunziato, e quindi era questo l'argomento dei loro discorsi, ne scrivevano a casa, sospiravano il giorno aspettato, formavano i loro allegri progetti e ne restavano quindi escluse dal loro cuore le fantasie, che avrebbero potuto recar danno all'anima. Per lo stesso motivo promoveva ed annunziava colle descrizioni più seducenti ora feste religiose, ora accademie, o teatrini, o lotterie. Talvolta raccontava avvenimenti portentosi, descriveva sogni di una bellezza incomparabile o palesava i grandiosi progetti che andava meditando. I giovani e i chierici rimanevano così impressionati da questi sermoncini di D. Bosco, che il domani alcuni di essi li scrivevano sopra un quaderno, anche per conservare gli ammonimenti ascoltati e, rileggendoli, farne profitto. A noi furono consegnati non pochi di
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questi scritti e da venerandi sacerdoti della nostra Pia Società, e da preti diocesani e da illustri secolari nostri antichi allievi, come cari ricordi della loro fanciullezza, perchè fossero da noi tracopiati. Sono semplici tracce, ma talvolta prolisse: manca, ma non del tutto la santa unzione dell'uomo di Dio; la forza della sua parola languisce: tuttavia avvi molto del suo spirito, e ci fanno rivivere in quegli anni benedetti, ne' quali essi ebbero l'inestimabile fortuna di abitare con lui. È perciò che noi a quando a quando riporteremo i preziosi compendii delle parlate del nostro caro padre; incominciando da alcune da lui dette nel dicembre, in sei distinte sere. Siccome queste nel manoscritto non sono precisate, così le distingueremo con numeri romani.
I
Napoleone Buonaparte benchè nemico del Papa, superbo, di un'immensa ambizione, pure aveva fede e, rilegato a Sant'Elena, parlando di Dio, ne discorreva in modo che tutti ne rimanevano incantati. Una volta un suo generale gli disse: - Ma voi parlate di Dio così che pare lo vediate: io invece non so persuadermi che Dio esista. Napoleone a queste parole replicò: - Prendete un compasso e poi misurate il cielo! - Ma non si può, rispose il generale. - Ebbene, concluse l'Imperatore: negate allora che il cielo esista. Altra volta accorgendosi che un altro suo generale ne sapeva poco di religione, egli stesso si mise a parlargliene. Quindi concluse: - Avete capito? - Ben poco, rispose l'altro. - Come non avete capito? Che ingegno piccolo è il vostro! Ebbi torto a farvi generale.
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Napoleone aveva un grande ingegno e alcune delle pagine da lui scritte potrebbero essere poste fra quelle dei Santi Padri. In fine di vita si convertì e fece una morte da buon cristiano. Ma sapete perchè? Da giovanetto aveva studiato bene il Catechismo, aveva fatta bene la sua prima comunione.
II
In Atene si trovavano due studenti. Uno chiamavasi Gregorio Nazianzeno, l'altro Basilio. Essendo compagni, si amavano teneramente e il fine della loro amicizia era l'edificazione vicendevole e il crescere sempre meglio nella virtù. Era una delizia vedere come stavano in chiesa, come cantavano le lodi del Signore, come pregavano, come facevano progressi nella scienza. Era pure con loro un terzo compagno di nome Giuliano. Il suo viso avea l'impronta della cattiveria, il suo sguardo svelava una malizia precoce, sul suo labbro errava un sorriso maligno. I due buoni amici si accorsero come costui fosse un compagno malvagio e lo fuggivano continuamente, benchè colui cercasse di avvicinarli. Giuliano li derideva tutte le volte che li vedeva andarsi a confessare, a comunicare, e ad altri esercizi di pietà. Gregorio un giorno diceva a Basilio: - Guai, guai alla Chiesa se costui salirà sul trono dei Cesari. Sarà il più formidabile persecutore dei Cristiani. - Giuliano era nipote dell'Imperatore Costanzo. E fatto si avverò. Giuliano divenne imperatore, fu detto l'apostata e divenne nemico ferocissimo di Gesù Cristo. Ma non scampò lo sdegno del Signore, poichè dopo alcuni anni di governo, perì in una battaglia, bestemmiando il nome di Colui, che non aveva voluto confessare per Dio. Gregorio e Basilio invece, crescendo sempre più in virtù di mano in mano che crescevano in età, divennero due grandi luminari della Religione. Ambedue ora sono venerati sugli altari, l'uno e l'altro santi Dottori della Chiesa. Ecco, o miei cari giovanetti, come colui il quale vuole realmente divenir grande, ha bisogno di incominciare fin da giovane a battere coraggiosamente la via della virtù. Chi incomincia bene da giovane ha tutto a sperare che il Signore lo aiuti in ogni circostanza della sua vita, ma se in tempo di gioventù poco o nulla si cura di religione,
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anzi cerca ancora di deridere gli altri, che la praticano, costui tema, ma tema molto, perchè tardi o tosto lo sdegno di Dio piomberà sopra di lui.
III
S. Filippo giovanetto, essendo ancora a Firenze, soleva frequentare il convento dei Domenicani, ed uno di quei frati più d'una volta narravagli il seguente fatto. Due religiosi erano soliti, prima di andare a recitare il mattutino in coro, di confessarsi l'un l'altro. Una notte il demonio si volle burlare di essi, quindi all'ora prefissa andò a bussare alla porta di uno di quei due frati, invitandolo a scendere in chiesa. Il frate credendo essere stato chiamato dal compagno, andò e giunto in coro vide uno, che all'aspetto, all'abito, al passo sembrava tutto il suo compagno, andarsi a porre in confessionale. Quindi egli si accostò alla grata per confessarsi secondo il suo costume. Mentre esso raccontava alcune sue colpe con sua meraviglia si udiva rispondere: - Oh! È niente! è niente! - Tuttavia procedendo nell'accusa, e avendo, manifestata una mancanza più grave, udì la voce del confessore che continuava a ripetere: è niente; è niente! - Allora dubitando di qualche inganno si fece il segno della croce e subito tacque la voce del confessore. Fece un'interrogazione e nessuno, rispose. Guardò ed il confessore ossia il diavolo era scomparso. Figliuoli cari, tenete a memoria che la solita parola che usa il demonio quando vuole spingerci al male si è: Oh! è niente! Di certe amicizie troppo spinte e che i superiori vedono mal volentieri: - Oh! è niente! - Di certe mormorazioni contro i compagni e contro le regole: - Oh! è niente! - Certe volte si ruba un po' di frutta ai compagni e il demonio ripete: - Oh! è niente! - Di quelle disubbidienze a certi comandi, di certe merende fuori di tempo: - Oh è niente! - Talora certi dubbi gravi, che ci vengono su certe azioni o certi pensieri e che abbiamo rossore di confessare: - Oh è niente! Non vi dico di riputar cose gravi le cose leggiere, ma però, vi metto sull'avviso, che non diate ascolto al demonio, quando vi ripete che è niente. Una mancanza sarà sempre mancanza e quindi bisogna correggersi. E poi non dimenticate che qui spernit modica paulatim decidet.
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IV.
Un giovane presentossi un giorno a S. Macario per essere accettato da lui come discepolo. S. Macario lo accolse amorevolmente e gli disse: - Vedi là quel cimitero? - Si Io veggo. - Ebbene va fra quei tumuli e di loro tutte le imprecazioni, tutti gli improperii, tutte le parole di scherno che saprai e che potrai inventare. - Subito! rispose il giovane: e andò e fece come S. Macario aveagli comandato. Dopo circa un'ora ritornò e S. Macario gli chiese: - Hai fatto ciò che ti dissi? - Sì lo feci! - Ritorna adunque fra quelle tombe e incomincia a far loro tutti gli elogi, i complimenti, i panegirici, le adulazioni che saprai e che potrai inventare. Il giovane ritornò al cimitero e ad alta voce prese a lodare tutti quei morti, come se fossero eroi di scienza, coraggio, virtù, santità; quindi si presentò a S. Macario. S. Macario lo interrogò di bel nuovo: - Hai fatta l'obbedienza? - Sissignore! - Che cosa hanno risposto quelle tombe ai tuoi improperii ed alle tue lodi? - Niente! - Ebbene, se tu vuoi essere mio discepolo devi mostrarti impassibile e morto, come quelle tombe, a quante ingiurie e a quante lodi ti potranno da qui innanzi essere fatte! Grande è la virtù dell'indifferenza, o miei cari, in tutto ciò che può toccarci di bene o di male, e ciò per amor di Dio. Non già che io voglia esigere da voi la perfezione di questa virtù, ma sibbene desidero che siate meno sensibili agli elogi, e alle critiche. E ciò in faccia a Dio e in faccia agli uomini. Talora si vede un giovane che ha qualche speciale dono dal Signore, che è riuscito a far bene il suo lavoro, o ad avere un posto distinto nella scuola o un bel voto all'esame, pavoneggiarsi, ringaluzzir tutto per l'onore guadagnato, credersi perciò qualche cosa di
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grosso, andare a stuzzicare l'uno e l'altro per farsi ripetere il proprio panegirico, tenere i proprii compagni come inferiori a sè e offendersi se non è trattato come crede meritarsi. Questa è superbia che reca discapito, perchè ci facciam ridere alle spalle, offendiamo la suscettibilità degli altri, e Dio presto o tardi ci umilierà. Così vi sono dei giovani, che non sanno soffrire una paroletta e molto meno una burla, un atto ironico, un motto ingiurioso; diventano rossi come la cresta del gallo, saltano su, rispondono per le rime, menano le mani e guai a chi li guarda. E questa è superbia che ci fa mancare alla carità, che ci fa dimenticare il precetto del perdono, ci aliena gli animi dei compagni, e ci rende odiosi a tutti, finchè non troviamo qualcuno più forte di noi, che ci rende pan per focaccia. E allora dispiaceri, malumori, rabbie e brutte figure. Dunque se siamo lodati, se le nostre cose van bene, ringraziamone il Signore: ma siamo umili pensando che tutto viene da Dio e che Dio può toglierci tutto in un momento. Se siamo biasimati osserviamo se il biasimo è ragionevole e correggiamoci: se non è ragionevole, pazienza e calma, sopportiamolo per amore di Gesù, che fu umiliato per noi. Assuefatevi a saper frenare voi stessi che è questo il modo di avere molti amici, e nessun nemico. Se poi vi fosse qualche importuno che non vi lasciasse aver pace ci sono i superiori, che prenderanno le vostre parti. Tuttavia notate che colui il quale è umile ed amorevole sarà sempre amato da tutti, da Dio e dagli uomini. Beati i mansueti perchè possederanno la terra.
V
Si legge di un soldato che essendo solito ad esercitare con piena libertà le sue pratiche di divozione, sebbene i suoi compagni poco o nessun conto facessero della pietà, pure egli coraggiosamente la praticava. La prima sera che i commilitoni lo videro inginocchiarsi e recitare le sue preghiere prima di andare a dormire, ruppero per lunga ora in urla, fischi, scherni, battezzandolo per bigotto, gesuita, ipocrita. Ma egli non si commosse, e proseguì tranquillamente nella recita delle sue orazioni. Gli
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altri vedendo come rimanesse impassibile a tutto quel baccano, a poco a poco fecero silenzio. La sera vegnente di bel nuovo lo burlarono, ma non più così rabbiosamente come il giorno prima; e a poco a poco prima che finisse quel mese, lo lasciarono in libertà di fare ciò che meglio gli piaceva. Intanto siccome prestavasi a fare ogni servizio, a scriver lettere, ad assistere gl'infermi, a surrogare i compagni in qualche loro incombenza, il quartiere incominciò a risuonare delle sue lodi e tutti i soldati volevano essere i suoi amici. Era però giusto che il Signore, il quale non lascia mai di premiare i suoi servi fedeli, coloro che non arrossiscono di confessarsi, di andare alla Comunione, di sentir messa, gli desse segno di sua protezione. Si ruppe la guerra cogli stranieri, e Belsoggiorno, così chiamavasi il nostro soldato, partì col suo reggimento. Venne il giorno della battaglia campale. Tutto l'esercito procedeva per occupare le posizioni prestabilite. Il nemico compariva in lontananza come tante macchie nere, fra le quali vedevansi balenare ai raggi del sole la lama delle baionette. A un certo punto la compagnia di Belsoggiorno si ferma ad uno squillo di tromba. Le schiere nemiche si avanzavano, ma erano ancora lontane. Belsoggiorno in quell'istante si ricordò che non aveva recitati sette Pater, Ave e Gloria, che soleva dire ogni mattino in onore dei sette dolori di Maria Vergine. Senz'altro approfittandosi di quell'alt si getta in ginocchioni sul luogo ove trovasi. I suoi compagni scorgendo quell'atto, e sdegnati per ciò che chiamavano vigliaccheria: - Eccolo là il nostro guerriero, esclamavano; prega adesso ed è tempo di combattere; e gli scagliavano tutte le villanie delle quali era ricchissimo il loro repertorio. Ma egli continuava i suoi Pater. All'improvviso si fa udire vicina una formidabile detonazione e una stridente gragnuola di ferro passa sul capo di Belsoggiorno. I nemici avevano spinta avanti e mascherata quella batteria dì cannoni. Le grida disperate dei feriti, il rantolo dei moribondi risuonava attorno A nostro soldato, il quale, sulle prime sbigottito, alzato alquanto il capo, che pregando aveva inclinato fino a terra, si vede esser rimasto incolume e tutti gli altri stesi al suolo o uccisi o morenti. Ecco, o miei cari figliuoli, come il Signore soccorre coloro che non temono le dicerie del mondo e non si vergognano di confessarsi veri cristiani.
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L'ultima volta che ebbi il piacere di parlarvi, vi dissi come il Signore proteggesse un soldato il quale non si era vergognato di pregare in pubblico. Stasera farò ancora un'osservazione sul rispetto umano. Quanti cristiani non avrebbero la franchezza di manifestare a quel modo il loro ossequio a Dio! L'uomo talora non ha paura di affrontare il cannone, non teme le armi, non le bestie feroci, non il mare burrascoso, non viaggi per foreste immense, per deserti senza confini, ma poi non si sente il coraggio di vincere un vile rispetto umano, un vile rossore. Ha paura di uno scherno, di un sorriso maligno! Eppure si tratta di obbedire a Dio e alla sua santa Chiesa in cose gravissime; come ascoltar la messa alle feste, astenersi dalle carni venerdì e sabato, accostarsi ai Sacramenti alla Pasqua, non tener bordone a certi osceni parlatori, e via via. E facendo diversamente ne va di mezzo l'eterna salute! Non è questa una pazzia? Perder l'anima per le sciocche parole di qualche minchione, che si riderà della vostra dappocaggine! Ah ricordatevi ciò che ha detto Gesù Cristo: “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, si vergognerà di lui il Figliuolo dell'uomo, quando verrà colla maestà sua e del Padre e de' santi Angeli… E chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, lo rinnegherò anch'io dinanzi al Padre che è ne' cieli ”. Guardate S. Paolo ed imitatelo! Allorquando si recò nella città di Damasco ed entrò nella Sinagoga, manifestò lui stesso la sua conversione, dicendo con franchezza innanzi a tutti - Io sono quello che perseguitava i cristiani; ma ora sono io stesso cristiano. Gesù è il Messia promesso. E il vero Figliuol di Dio. - Tutti restarono attoniti alla sua professione di fede, specialmente poi quando videro i suoi miracoli. Gli infermi guarivano al solo tocco delle sue mani, o col baciare il sudario o altro oggetto che gli appartenesse. Così Iddio premiava la generosità colla quale aveva obbedito al suo comando; e quegli che esercitava il mestiere di fabbricare tende di pelli per i soldati, divenne il grande apostolo delle genti. E in lui si avverò la parola del Divin Salvatore: “ Chiunque mi confesserà dinanzi agli uomini, anch'io lo confesserò dinanzi al Padre mio che è ne' cieli ”.
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Così D. Bosco, aveva parlato nelle prime settimane del dicembre, e ogni volta che terminava il sermoncino come un padre ai figli, pronunciava l'augurio: Buona notte; e i giovani lo ricambiavano con un generale, fragoroso, cordiale saluto: Grazie! Disceso dalla cattedra i giovani gli si stringevano attorno bramosi che dicesse a ciascuno di loro una parola confidenziale. Ed egli con grande calma e bontà li accontentava. “ A me ragazzo, attesta il Can. Anfossi, avvenne più volte di intendere un amorevole rimprovero o avviso dal solo suo sguardo accompagnato da una stretta di mano; ed essendo io afflitto, senza bisogno di far parola, era da lui inteso e consolato con qualche sentenza morale. E quello che faceva con me, faceva colla stessa amorevolezza con tutti, sicchè i ragazzi si dipartivano da lui per recarsi al dormitorio in silenzio, raccolti e soddisfatti. ” E l'augurio di D. Bosco li accompagnava, poichè la buona notte era preparata colle sue parole e accompagnata dalle sue prescrizioni. Appena i giovani erano entrati in camerata e mentre si coricavano, un lettore incominciava a leggere per dieci minuti un libro spirituale e finiva con un: Tu autem Domine, miserere nobis, al quale non tutti rispondevano Deo gratias, perchè già presi dal sonno; e si abbassavano i lumi. Al mattino al suono della campana un battimano dell'assistente e un Benedicamus Domino svegliava i giovani, i quali rispondevano Deo gratias per averli il Signore conservati in vita. Intanto il sotterraneo sotto la chiesa condotto a termine e destinato per refettorio, potendo per la sua vastità accogliere gran numero di persone, fu deciso che servisse anche per sala di teatro. Il palco scenico si preparava
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volta per volta, e su questo recitarono le loro parti in modo splendido, Bongiovanni Domenico, un vero gianduia, Gastini, Tomatis, Cora e tanti altri. I drammi commoventi, grandiosi, le commedie con scene di famiglia, le farse spiritose, le mimiche buffe, le musiche scelte, i varii pezzi cantati di opere classiche, le celebri romanze del Ch. Cagliero, le poesie giocose in dialetto piemontese di Bongiovanni Giuseppe, facevano accorrere, invitate, le prime famiglie di Torino. Fino al 1866 queste rappresentazioni ebbero luogo nel refettorio e quindi fu scelta per esse la sala di studio. D. Bosco non tardava a preparare un regolamento pei comici!
REGOLE PEL TEATRINO.
1. Scopo del Teatrino è di rallegrare, educare, istruire i giovani più che si può moralmente. 2. È stabilito un capo del teatrino che deve tener informato volta per volta il Direttore della Casa di ciò, che si vuol rappresentare, del giorno da stabilirsi e convenir col medesimo, sia nella scelta delle recite, sia dei giovani, che devono andare in scena. 3. Tra i giovani da destinarsi a recitare si preferiscano i più buoni di condotta, che, per comune incoraggiamento, di quando in quando saranno surrogati da altri compagni. 4. Quelli che sono già occupati nel canto o nel suono, procurino di tenersi estranei alla recitazione; potranno però declamare qualche brano di poesia, o d'altro negli intervalli. 5. Per quanto è possibile siano lasciati liberi dalla recita i Capi d'arte. 6. Si procuri che le composizioni siano amene ed atte a ricreare e divertire, ma sempre istruttive, morali e brevi. La troppa lunghezza, oltre il maggior disturbo nelle prove, generalmente stanca gli uditori e fa perdere il pregio della rappresentazione e cagiona noia anche nelle cose stimabili.
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7. Si eviti quelle composizioni che rappresentano fatti atroci. Qualche scena un po' seria è tollerata, sieno però tolte di mezzo le espressioni poco cristiane, e quei vocaboli che detti altrove, sarebbero giudicati incivili o troppo plateali. 8. Il capo si trovi sempre presente alle prove, e quando si fanno di sera non sieno protratte oltre alle ore 10. Finite le prove, invigili che, in silenzio, ciascuno vada immediatamente a riposo senza trattenersi in chiacchiere, che sono per lo più dannose, e cagionano disturbo a quelli che già fossero in riposo. 9. Il capo abbia cura di far preparare il palco nel giorno prima della recita, in modo che non abbiasi a lavorare nel giorno festivo. 10. Sia rigoroso nel provvedere vestiarii decenti e di poco costo. 11. Ad ogni trattenimento vada inteso coi capi del suono e del canto intorno ai pezzi da eseguirsi in musica. 12. Senza giusto motivo non permetta a chicchessia l'entrata sul palco, meno ancora nel camerino degli attori; e su questo invigili, che durante la recita non si trattengano qua e là in colloqui particolari. Invigili pure che sia osservata la maggior decenza possibile. 13. Disponga in modo che il teatro non disturbi l'orario solito; occorrendo la necessità di cambiare, ne parli prima col Superiore della Casa. 14. Nessuno vada a cena a parte; non si diano premi o segni di stima o lode a coloro che fossero da Dio forniti di attitudine speciale nel recitare, cantare, o suonare. Essi sono già premiati dal tempo, che loro si lascia libero, e dalle lezioni che si compartono a loro favore. 15. Nell'apparecchiare e sparecchiare il palco impedisca per quanto è possibile le rotture, i guasti nei vestiarii e negli attrezzi del teatrino. 16. Conservi diligentemente nella piccola biblioteca teatrale i drammi e le rappresentazioni ridotte ed adattate ad uso dei nostri collegi. 17. Non potendo il capo disimpegnare da se solo quanto prescrive questo regolamento, gli sarà stabilito un aiutante, che è il così detto suggeritore.
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18. Raccomandi agli attori un portamento di voce non affettato, pronuncia chiara, gesto disinvolto, deciso; ciò si otterrà facilmente se studieranno bene le parti. 19. Si ritenga che il bello e la specialità dei nostri Teatrini consiste nell'abbreviare gli intervalli tra un atto e l'altro e nella declamazione di composizioni preparate e ricavate da buoni autori. Sac. Bosco GIOVANNI Rettore.
N.B. In caso di bisogno il capo potrebbe affidare ad un maestro fra gli studenti, ad un assistente fra gli artigiani, che esercitassero i loro allievi a studiare e declamare qualche farsa o piccolo dramma.
CAPO IX. Esclamazione imprudente di una madre - Ordinazione sacerdotale di Don Rocchietti - Generosa carità di Don Bosco - Il Santo Natale: D. Bosco annunzia che finirà di vivere a cinquant'anni se i giovani non pregano per lui - Risposta di D. Bosco agli augurii del chierico Ruffino - Suoi ricordi ed avvisi agli alunni nell'ultimo giorno dell'anno: annunzia che uno di essi morrà prima del Carnevale - Necrologio.
Lo zelo col quale D. Bosco coltivava le vocazioni allo stato ecclesiastico consumava quasi tutte le sue forze; pensieri, parole, azioni erano in continuo movimento per raggiungere questo scopo. È difficile farsi un idea della venerazione che professava a così eccelso stato. In questi anni accadeva un fatto che ciò metteva in piena luce, e nello stesso tempo dimostrava essere cosa indubitata, che D. Bosco vedesse le sorti future di molti, che venivano a lui per ricevere la sua benedizione. Un giorno fu a visitarlo la Contessa D… L… accompagnata da quattro suoi figliuoletti e lo pregò di volerli benedire. Quindi gli chiese: - Mi dica un po' che cosa sarà di essi in avvenire.
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- Lei mi fa una domanda assai singolare, rispose D. Bosco; l'avvenire lo sa solamente Iddio. - Questo lo capisco, replicò la Contessa; a tutti i modi me ne dica qualche cosa, almeno come per augurio. - Allora D. Bosco scherzando fece passare in rassegna ad uno ad uno quei fanciulli, dicendo: - Questo verrà un gran generale: di quest'altro ne faremo un grande uomo di Stato: Enrico sarà un dottore che alzerà grido di sè. La madre gongolando di sì felici pronostici animava i suoi figli a sperar bene, dicendo: - Oh! figli miei, non siete i soli della nostra famiglia che abbiano occupati posti eminentissimi nella società. Il quarto fanciullo era dinanzi a D. Bosco aspettando la sua parte di profezia. La madre ansiosa attendeva. D. Bosco aveva posta la destra sul capo al fanciullo e lo mirava fissamente e con affetto. - E quale sarà la sorte di quest'ultimo? - chiese la Signora. - Della sorte di questo non so se la signora Contessa sarà contenta. - Dica pure ciò che le sembra. Noi facciamo per ridere. - Ebbene: di costui ne faremo un ottimo sacerdote. La nobil dama allibbì e benchè fosse veramente una buona cristiana pure, per i pregiudizi del mondo che hanno tanta forza sugli animi dei grandi, quasi riputasse disonorevole avere in famiglia un sacerdote, strinse al suo cuore il fanciullo, come per salvarlo da una disgrazia, e, fuori di se, esclamò: - Mio figlio prete? Piuttosto che egli abbracci un simile stato, prego Dio che me lo tolga di vita! D. Bosco colpito da queste parole si alzò in piedi per ritirarsi, tanta fu la sua dolorosa meraviglia. La signora
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in quell'istante di esaltazione non aveva neppure badato al grave insulto, che faceva a chi era insignito del carattere sacerdotale. - Ma perchè lei vuole ritirarsi? - Proseguì confusa la Contessa a quell'atto di D. Bosco. - Io, rispose D. Bosco, credo di non avere più nulla a fare con una persona, la quale ha in tanta cattiva stima lo stato più bello, più nobile che vi possa essere sulla terra, e son certo che Dio esaudirà la sua insolente preghiera. - La Contessa costernata per quelle frasi risolute e per quella minaccia, balbettò ancora qualche scusa per lenire l'ingiuria, ma presto si conchiuse secco secco quel colloquio. All'indomani la nobil donna, fatte le sue riflessioni sullo sproposito che aveva detto, ritornava a far visita a D. Bosco. - Mi perdoni, gli diceva, la mia impetuosa inconsideratezza. Veda; compatisca la mia posizione. È vero che se mio figlio si facesse sacerdote ne verrebbe per me e per la mia famiglia un grave scapito; io però non voglio oppormi alla volontà di Dio: sono pronta, sono rassegnata ad obbedire. - Signora Contessa, rispose D. Bosco, lei disprezza il più gran dono che Dio possa fare a lei e alla sua famiglia, come è quello di una vocazione così sublime. È un disonore essere prescelto al servizio di Dio? - Le domando nuovamente scusa: preghi per me. - Io pregherò; ma la sua parola venne fissata da Dio dal punto che fu pronunciata. - La povera dama tornò a casa più addolorata di prima. Erano trascorsi alcuni mesi dopo questa visita ed ecco che un parente di quella Signora si presenta a D. Bosco per invitarlo ad andare al palazzo per benedire quel figlio caduto infermo. D. Bosco
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si ricusò. Ma all'indomani vennero a scongiurarlo vari altri congiunti, amici, la madre stessa in persona, annunziando con lagrime come il piccolo infermo si aggravasse ad ogni istante. I medici in consulto dichiararono di ignorare completamente la natura del male. D. Bosco, benchè a malincuore, finalmente condiscese. Entrò nella stanza del moribondo. Quel povero giovanetto prese la mano a D. Bosco e gliela baciò; quindi guardava con occhio mesto e languido, ora D. Bosco, ora la madre e taceva: era una scena che veramente straziava il cuore. Dopo un lungo silenzio, il figlio fece uno sforzo e, stendendo la mano scarna verso la madre, esclamò: - Mamma, ti ricordi, là da D. Bosco?.... sei tu... e il Signore mi prende con sè! - La madre a questo lamento, mandò un grido e ruppe in singhiozzi inconsolabili, dicendo: - No, figlio mio; era il mio amore per te, che mi ha fatto parlare in quella guisa... O figlio mio, vivi all'amore di tua madre... Prega, prega D. Bosco che ti guarisca. D. Bosco, commosso, non poteva proferire parola. Infine suggerite alcune ragioni di conforto alla madre, benedisse l'infermo e partì. Il decreto di Dio fu però irrevocabile. La preziosa eredità del Signore perduta dal figlio della nobile Dama, toccava ad un poverello dell'Oratorio. Il ch. Rocchietti Giuseppe, con gaudio indicibile di Don Bosco veniva ordinato prete nelle tempora dell'Avvento in quest'anno. Era il secondo sacerdote scelto da Dio fra gli alunni di Valdocco. D. Rocchietti, come tutti gli altri suoi compagni, aveva sempre esperimentata la gran carità di D. Bosco. Un giorno abbisognando assolutamente di una veste talare.
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si recò nella camera di D. Bosco pregandolo a provvedergliela. Non aveva più parenti e mancava di ogni mezzo. In quel mattino stesso era stata portata a D. Bosco una veste nuova di cui egli pure abbisognava. Or bene; alla preghiera del Ch. Rocchietti, facendo egli il suo solito sorriso, gli disse: - Eccone qui una mandata a bella posta per te: Vedi un po' se ti sta bene. - E gliela diede. Il Ch. Anfossi incontrò Rocchietti nel mentre se ne ritornava nella sua cella giubilante e l'udì narrare l'atto caritatevole di D. Bosco. Il prete novello amava D. Bosco e quantunque malaticcio, desiderava stare con lui. All'aspetto sembrava Sant'Alfonso Maria de' Liguori; e non si può dire quanto fosse viva in lui la pietà, ardente la sua predicazione, continue le sue belle azioni. La festa della sua prima messa, celebrata il 19 dicembre, servì ai giovani di preparazione a quella del S. Natale, celebrata alla mezzanotte con gran fervore e raccoglimento, tanto più che erano stati profondamente colpiti da una parola di D. Bosco. Egli aveva detto che la propria vita non poteva naturalmente durare oltre i 50 anni; e che il prolungamento di questa sarebbe stato concesso alle preghiere dei giovani. Da questo giorno, nelle feste, toccò a D. Rocchietti celebrare la Santa Messa alle 10 del mattino prima della predica. Finora era stata celebrata da D. Bosco, che da quel punto prese a dirla alle 5, pronto però a supplire D. Rocchietti quando mancava. Alle 7 saliva all'altare D. Alasonatti e un gran numero di interni ed esterni faceva la S. Comunione. Prima di questa messa era proibito ogni giuoco. Una grande occupazione aveva D. Bosco in questi
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giorni; scrivere lettere di augurio ad un gran numero di persone benefiche e rispondere a tutti gli augurii, che gli giungevano da ogni parte. E non dimenticava i suoi giovani amici.
Al signor chierico Ruffino nel Seminario di Bra.
Car.mo Ruffino,
Ti ringrazio degli augurii che mi fai; Dio centuplichi quanto mi hai pregato. Fa di crescere nell'età e nel timore di Dio. La scienza della Teologia unitamente al santo timor di Dio siano l'oggetto delle tue sollecitudini. Viriliter age: non coronabitur nisi qui legitime certaverit, sed singula huius vitae certamina sunt totidem coronae, quae nobis a Domino parantur in coelo. Ora pro me.
28 10 bris. 1858. Tuus Sac. Bosco.
Il dicembre giunse al suo termine, e nell'ultima sera del 1858 Don Bosco dava nel refettorio nuovo, dopo le orazioni, i seguenti ricordi ai giovani della casa. “ Passeranno secoli e secoli prima della fine del mondo, altri popoli ed altre nazioni si succederanno sulla terra, ma l'anno 1858 non ritornerà indietro mai più. Il tempo e gli uomini si sprofondano nell'eternità. Questo è il primo pensiero. Il secondo si rivolge all'anno 1859 che incomincia e, come suolsi in questi giorni fare da tutti, io pure auguro a voi una lunga vita. Ma questa lunga vita non è ciò che io più di tutto desidero augurarvi. I santi in questa occorrenza anch'essi solevano a vicenda farsi degli augurii, ma erano ben diversi da quelli, che fa il mondo. Dicevano: - La grazia del Signore sia di continuo con voi in quest'anno. - Possiate fare sempre la volontà di Dio. - La Vergine Santissima vi tenga sempre sotto la sua
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protezione. - Possiate crescere in meriti colle vostre opere buone. - Anch'io adunque voglio stasera lasciarvi alcuni ricordi che giovino all'anima e questi sono: Ai chierici: buon esempio ricordandosi sempre che sono Lumen Christi. Agli studenti: maggiore frequenza che possono alla SS. Eucaristia. Agli artigiani: siccome non possono frequentare tanto i SS. Sacramenti nei giorni feriali, frequenza ai SS. Sacramenti nei giorni festivi. A tutti in generale poi: buone confessioni, aprire candidamente il vostro cuore al confessore, poichè se il demonio fa tanto di poter indurre un giovane a tacere un peccato in confessione, costui giace in uno stato ben infelice e carico di sacrilegi è sull'orlo dell'eterna perdizione. Dunque confessatevi bene ed oltre la sincerità, in tutte le vostre confessioni vi siano il dolore ed il proponimento fermo: altrimenti sarebbe inutile anzi dannoso l'accostarsi al tribunale di penitenza; invece di benedizioni tireremo sui nostri capi la maledizione. Una cosa poi che abbiamo fra di noi in modo specialissimo, e non la conosciamo abbastanza, si è la protezione di Maria e quanto sia efficace il ricorrere a questa buona Madre. Recitate adunque e fatevi familiari quelle belle parole, che a Lei disse l'Angelo: Ave, Maria, gratia plena: e quelle che la S. Chiesa va ripetendo: Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Alla sera quando andate a coricarvi dite sempre: Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Al mattino appena siete svegliati ripetete sempre: Ave, Maria e vedrete il mirabile effetto di questa invocazione. Ciascheduno di voi faccia quello che ho detto, e il Signore vi conceda ogni felicità nell'anno, che sta per incominciare. Intanto voi non dimenticate di ringraziare la Divina Bontà dei tanti benefizii, che vi ha impartiti nel tempo trascorso ”.
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Ciò detto D. Bosco tacque per un istante, girò lo sguardo affettuoso sulla folla dei giovani, e quindi ripigliò: “ Mettetevi tutti nel santo impegno di passare il nuovo anno nella grazia di Dio, poichè forse per taluno di noi sarà l'ultimo anno di vita. Anzi, dirò, soggiungeva, vi è tra i qui presenti un giovanetto, che deve passare all'eternità prima che finisca il Carnevale”. Mentre così parlava teneva la mano sopra il capo di colui, che gli era più vicino, ed era Magone. Questi fissandogli in volto gli occhi, che avevano uno splendore di purezza angelica, gli domandò: - Dica! Sono io? - Don Bosco non rispose. - Ho capito, replicò Magone; sono io che debbo farmi il fagotto per l'eternità; bene; mi ci terrò preparato. - Coteste parole furono dai compagni accolte con riso, ma non se ne dimenticarono. Neppure Magone se ne scordò, ma non ne fu alterata la sua allegria e la sua giovialità; onde continuò ad adempiere colla massima diligenza i doveri del suo stato. Così D. Bosco chiudeva il 1858. In quest'anno nell'Oratorio non vi era stato alcun funerale. Un sol giovane era passato all'eternità. Morgando Giuseppe da Torino, moriva all'Ospedale del Cottolengo il 24 novembre in età di 17 anni.
CAPO X. 1859 - Si conferma l'avveramento delle profezie di D. Bosco - Malattia, santa morte e funerali di Magone Michele - Nuove disposizioni ottenute dal parroco pei funerali dei giovani dell'Oratorio - La festa di San Francesco di Sales - Muore Berardi Costanzo - Un documento arretrato in lode di D. Bosco - Sua iscrizione Per la tomba del padre di D. Chiatellino.
L'effetto prodotto nei giovani dalle parole dette da D. Bosco nell'ultima sera dell'anno fu pari alla stima che essi avevano di lui. Il Can. Ballesio, allora studente, che aveale udite e fu testimone del loro avveramento, così scrisse: “ Sebbene D. Bosco godesse presso di noi fama di uomo riccamente dotato di doni naturali nell'anima e nel corpo, come ingegno, memoria pronta, felice e tenace, grande bontà di animo, fortezza e destrezza fisica: sebbene noi lo credessimo meritamente dotato di molto e svariato sapere, tuttavia quello che ce lo rendeva sopratutto caro e venerando, era la nostra persuasione, che in lui Dio aveva posto, molti doni straordinarii e sopranaturali. È notorio, e noi tutti il crediamo fermamente e fondatamente, che D. Bosco in molti casi aveva il dono della profezia.
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” Più di una volta ci annunziò pubblicamente che entro un determinato tempo, breve, per es. un mese, uno della sua già numerosa famiglia, allora in ottima salute, sarebbe venuto a morire. E questo paterno suo annunzio dava in un modo così grave e prudente ed accompagnato da tali consigli, che noi si rimaneva salutarmente impressionati, ciascuno metteva in ordine i fatti suoi; e, senza che cessasse la solita nostra chiassosa allegria, si stava più buoni, si lavorava e si studiava di più, ed il solo a portare la pena della profezia era il profeta medesimo, che aveva molto più da lavorare nell'ascoltare le confessioni fatte con più buoni propositi e nel rispondere a tante interrogazioni che naturalmente gli venivano mosse. ” Ho sentito a dire che D. Bosco, prima senza darlo a vedere e poi a suo tempo ed in modo prudente, disponeva l'interessato. L'evento sempre confermava la predizione ed è per questo che noi gli aggiustavamo fede ”. Ed ora veniamo alla memorabile profezia. La sera del 31 dicembre un giovane poco lontano da D. Bosco avea udito l'interrogazione di Magone. Costui si chiamava Berardi Costanzo della Chiusa di Cuneo di 16 anni. Alle parole di D. Bosco eragli entrato in cuore la ferma persuasione sè essere il designato, e incominciò a dire: - Tocca a me! - Preparatosi perciò con una buona confessione, scrisse senz'altro una lettera ai suoi genitori, chiedendo scusa dei mancamenti, che aveva commessi quando era a casa; e, congedandosi da loro, affermava dover egli partire per l'altra vita. Chiesta licenza ed ottenutala, volle andare al Cottolengo, ove era stato ricoverato per due anni, a salutare per l'ultima volta il Canonico Anglesio e gli antichi amici. Parlava francamente del gran
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viaggio, affermando essere al termine de' suoi giorni. Tutti i suoi conoscenti nell'Oratorio e fuori lo credettero monomaniaco. Alcuni giovani andarono narrare a D. Bosco la fissazione di Berardi, ma D. Bosco senza stupirsene rispose con un - Uhm! - che diceva nè sì, nè no. Da ciò nella casa nacque il sospetto che realmente fosse Berardi colui che doveva morire. Egli intanto andava tranquillamente ripetendo: - Tocca a me di morire! “ Una settimana dopo, narrò D. Garino Giovanni, io con altri miei compagni, un mattino in tempo che D. Bosco prendeva un po' di caffè nel refettorio, ci trovavamo secondo il solito accalcati intorno a lui, ridendo e faceziando e desiderosi di sentire dal Servo di Dio alcuna cosa. Non so come, si incominciò a interrogarlo da diversi, quanti anni dovessero. ciascuno vivere. Io pure lo interrogai, e D. Bosco presami la mano, e considerando attentamente la palma della medesima, come soleva fare, quando, da alcuno lo si richiedeva degli anni di vita, che ancor gli rimanessero, mi disse scherzando un certo numero di anni. Come a me, rispose pure ad altri miei compagni, anzi a tutti, un solo eccettuato. Questi fu il santo giovanetto Magone Michele, mio condiscepolo, il quale non sapeva che dirsi di questa eccezione a suo riguardo ”. Anche gli altri giovani, che osservavano attentamente ogni parola ed ogni atto di D. Bosco, notarono come egli non avesse badato a Magone, che porgevagli la mano e varie furono le loro opinioni, che si riferivano all'avveramento della predizione. Intanto la Domenica del 16 gennaio i giovani della compagnia del SS. Sacramento, di cui faceva parte Magone, si radunarono come solevano tutti i giorni festivi. Dopo la consueta preghiera e lettura, dati quei ricordi,
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che sembravano più adatti al bisogno, uno dei compagni prende il taschino dei fioretti ovvero dei bigliettini sopra cui era scritta una massima da praticarsi lungo la settimana. Con esso fa il giro, e ogni giovanetto ne estrae uno a sorte. Magone tira fuori il suo e vede sopra di esso scritte queste notabili parole: “ Al giudizio sarò solo con Dio ”. Lo legge e con atto di meraviglia lo comunica ai compagni dicendo: - Credo che questa sia una citatoria mandatami dal Signore per dirmi che mi tenga preparato. - Dopo andò da D. Bosco e gli mostrò lo stesso fioretto con molta ansietà, ripetendo che egli lo giudicava una chiamata del Signore, che lo citava a comparire davanti a Lui. D. Bosco lo esortò a vivere tranquillo e tenersi preparato, non in virtù di quel biglietto, ma in virtù delle replicate raccomandazioni, che Gesù Cristo fa a tutti nel santo Vangelo di tenerci preparati in ogni momento della vita. - Dunque, replicò Magone, mi dica quanto tempo dovrò ancor vivere? - Noi vivremo finchè Dio ci conserverà in vita. - Ma io vivrò ancora tutto quest'anno? disse alquanto commosso. - Datti pace, non affannarti. La nostra vita è nelle mani del Signore, che è un buon padre; Egli sa fino a quando ce la debba conservare. D'altronde il sapere il tempo della morte non è necessario per andare in paradiso; ma bensì il prepararci con opere buone. Allora tutto malinconico: - Se non vuole dirmelo è segno che sono vicino. - Nol credo, soggiunse D. Bosco, che tu sia tanto vicino, ma quando anche ciò fosse, avresti forse a paventare di andare a fare una visita alla B. Vergine in Cielo ?
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- È vero, è vero. - Presa quindi la ordinaria giovialità se ne andò a fare ricreazione. Fu l'unica volta che D. Bosco fidandosi nella virtù e amor di Dio veramente grande, che ornava il cuore di questo giovane, siasi lasciato sfuggire qualche parola di più, che indicassegli, benchè oscuramente, essere vicino il suo ultimo giorno. Ma il turbamento dal quale lo vide agitato, benchè per breve ora, fu tale, che egli fece fermo proponimento di non lasciar mai più trapelare simili segreti coi giovanetti, che Dio designavagli maturi per l'eternità. Questa parola detta a Magone erasi risaputa da molti e Berardi mutata opinione incominciò a dire: - Dunque non sono io che devo morire! Lunedì, martedì ed il mattino del mercoledì Magone fu sempre allegro, nè provò alterazione alcuna nella sua sanità e adempì regolarmente tutti i suoi doveri. Solamente nel dopo pranzo del mercoledì D. Bosco lo vide che stava sul balcone a rimirare gli altri a trastullarsi, senza che discendesse a prendervi parte; cosa affatto insolita, e indizio non dubbio che egli non era nello stato ordinario di sanità. Alla sera D. Bosco gli domandò che cosa avesse, ed egli rispose sentirsi alquanto incomodato dai vermi, che era la sua solita malattia. Fu visitato dal medico, che gli prescrisse i rimedii per somiglianti incomodi, ma non ravvisò in lui alcun sintomo di male grave. Senonchè venerdì mattina non potè alzarsi da letto perchè più aggravato. Alle due dopo mezzodì D.Bosco andatolo a vedere si accorse che, alla difficoltà del respiro, erasi aggiunta la tosse e che lo sputo s'era tinto di sangue; e mandò subito a chiamare il dottore. In quel momento sopraggiunse la madre: - Michele, gli disse, intanto
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che si attende il medico non giudicheresti bene di confessarti? - Sì, cara madre, volentieri. Mi sono soltanto confessato ieri mattina, ed ho pure fatto la S. Comunione; tuttavia vedendo che la malattia si fa grave, desidero di fare la mia confessione. - Si preparò quindi per qualche minuto, fe' cenno a D. Bosco che si avvicinasse e si confessò. Dopo con aria serena, disse ridendo a D. Bosco e a sua madre: Chissà se questa mia confessione sia un esercizio della buona morte, oppure non sia realmente per la mia morte? - Che te ne sembra? gli rispose D. Bosco, desideri di guarire, o di andare in paradiso? - Il Signore sa ciò che è meglio per me; io non desidero di fare altro se non quello che piace a lui. - Se il Signore ti offrisse la scelta o di guarire o di andare in paradiso, che sceglieresti? - Chi sarebbe tanto matto da non scegliere il paradiso? - Desideri tu di andare in paradiso ? - Se lo desidero! Lo desidero con tutto il cuore, ed è quello che da qualche tempo domando continuamente a Dio. - Quando desidereresti di andarvi ? - Io vi andrei sull'istante, purchè piaccia al Signore. - Bene; diciamo tutti insieme: in ogni cosa e nella vita e nella morte facciasi la santa, adorabile volontà del Signore. In quel momento giunse il medico, che trovò la malattia cangiata affatto di aspetto. - Siamo male, disse; un fatale corso di sangue si porta allo stomaco, e non so se ci troveremo rimedio. Si fece quanto l'arte può suggerire in simili occasioni. Salassi, vescicanti, bibite, tutto fu messo in opera a fine
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di deviare il sangue che furioso tendeva a soffocargli il respiro. Tutto invano. Alle nove di quella sera, Magone chiese con desiderio e gli fu portato il Santo Viatico; e prima di riceverlo disse a D. Bosco: - Mi raccomandi alle preghiere dei compagni! - Fatto un quarto d'ora di ringraziamento, parve che fosse sorpreso da repentino sfinimento di forze. Ma indi a pochi minuti con aria ilare, e quasi in forma di scherzo fe' cenno di essere ascoltato e disse: - Sul biglietto di domenica vi era un errore. Là stava scritto: Al giudizio sarò solo con Dio, e non è vero; non sarò solo, ci sarà anche la B. Vergine che mi assisterà; ora non ho più nulla a temere; andiamo pure quando che sia. La Madonna SS. vuole ella stessa accompagnarmi al giudizio. Erano le dieci ed il male appariva ognor più minaccioso; perciò, nel timore di perderlo in quella notte medesima, D. Bosco stabilì che il sacerdote D. Zattini, entrato nell'Oratorio nel 1858, un chierico ed un giovane infermiere passassero la metà della notte con lui; D. Alasonatti poi prefetto della casa, con altro chierico e con altro infermiere prestassero regolare assistenza pel restante della notte sino a giorno. D. Bosco dal canto suo, non ravvisando alcun imminente pericolo, disse all'infermo: - Magone, procura di riposare un poco: io vado alcuni istanti in mia camera e poi ritornerò. - No, rispose tosto il giovane; non mi abbandoni. - Vado soltanto a recitare una parte del breviario, e poi sarò di nuovo accanto a te. - Ritorni al più presto possibile. Ma D. Bosco era appena giunto in camera, quando si sentì chiamare in fretta perchè l'infermo pareva avvicinarsi
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all'agonia. Il sacerdote Zattini Agostino gli amministrava in quell'istante l'Olio Santo e il morente ad ogni unzione aggiungeva una giaculatoria. Gli fu quindi data la benedizione Papale coll'indulgenza plenaria. Sembrò allora che volesse prendere un momento di sonno, ma tosto si risvegliò. Quantunque i polsi facessero conoscere trovarsi egli all'estremo della vita e la rottura di un viscere dovesse cagionargli un patimento generale in tutte le facoltà morali e corporali, pure l'aria serena, la giovialità, il riso, l'uso della ragione era quello di una persona in sanità. Egli di quando in quando recitava devote giaculatorie. Scoccavano le dieci e tre quarti quando egli chiamò D. Bosco per nome e gli disse: - Ci siamo, mi aiuti! - Sta tranquillo, gli rispose D. Bosco, io non ti abbandonerò, finchè tu non sarai col Signore in paradiso. Ma poscia che mi dici d'essere per partire da questo mondo, non vuoi almeno dare l'ultimo addio a tua madre? - Sua madre che avevalo assistito era andata a riposarsi alquanto in una camera vicina. - No, gli rispose Magone, non voglio cagionarle tanto dolore. Povera mia madre! Ella mi ama tanto! - Non mi lasci almeno qualche commissione per lei? - Sì, dica a mia madre che mi perdoni tutti i dispiaceri, che le ho dati nella mia vita. Io ne sono pentito. Le dica che io l'amo: che si faccia coraggio a perseverare nel bene: che io muoio volentieri: che io parto dal mondo con Gesù e con Maria e vado ad attenderla dal Paradiso. Queste parole commossero profondamente tutti gli astanti. Tuttavia D. Bosco fattosi animo, e per occupare in buoni pensieri quegli ultimi momenti, gli andava di quando in quando facendo alcune domande. - Che cosa mi lasci da dire a' tuoi compagni?
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- Che procurino di fare sempre delle buone confessioni. - Quale cosa in questo momento ti reca maggiore consolazione di quanto hai fatto nella tua vita? - La cosa che più di ogni altra mi consola in questo momento si è quel poco che ho fatto ad onore di Maria. Sì, questa è la più grande consolazione. O Maria, Maria, quanto mai i vostri divoti sono felici in punto di morte! Ma, ripigliò, ho una cosa che mi dà fastidio; quando l'anima mia sarà separata dal corpo e sarò per entrare in Paradiso, che cosa dovrò dire? a chi dovrò indirizzarmi? - Se Maria ti vuole Ella stessa accompagnare al giudizio, lascia a Lei ogni cura. Ma prima di lasciarti partire pel Paradiso vorrei incaricarti d'una commissione. - Dica pure, io farò quanto potrò per obbedirla. - Quando sarai in Paradiso e avrai veduta la grande Vergine Maria, falle un umile e rispettoso saluto da parte mia e da parte di quelli, che sono in questa casa. Pregala che si degni di darci la sua santa benedizione; che ci accolga tutti sotto la potente sua protezione, e ci aiuti in modo che niuno di quelli che sono, o che la divina Provvidenza manderà in questa casa, abbia a perdersi. Farò volentieri questa commissione; ed altre cose? Per ora niente altro, riposati un poco. Sembrava difatto che egli volesse prendere sonno. Ma sebbene conservasse la solita sua calma e favella, ciò nonostante i sintomi annunciavano imminente la sua morte. Per la qual cosa si cominciò a leggere il proficiscere. Alla metà di quella lettura, egli, come se si svegliasse da profondo sonno, colla ordinaria serenità di volto e col riso sulle labbra, disse a D. Bosco: - Di qui a pochi momenti farò la sua commissione, procurerò di farla esattamente; dica a' miei compagni che io li attendo tutti in Paradiso.
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- Di poi strinse colle mani il crocifisso, lo baciò tre volte, poscia proferì queste sue ultime parole: - Gesù, Giuseppe e Maria, io metto nelle vostre mani l'anima mia. - Quindi aprendo le labbra come se avesse voluto fare un sorriso, placidamente spirò. Quell'anima fortunata abbandonava il mondo per volare, come piamente speriamo, in seno a Dio alle ore undici di sera, il venerdì 21 gennaio 1859, in età appena di quattordici anni. Fattosi giorno, alla notizia: Magone è morto, i giovani ruppero in pianto, e nello stesso tempo ripetevano: - In questo momento Magone è già con Savio Domenico in cielo. - Si recitarono intanto molti rosari, l'ufficio dei defunti e si fecero moltissime confessioni e comunioni, mentre ognuno cercava qualche oggetto che gli fosse appartenuto come i quaderni e le pagine, per conservarle quali reliquie. Per dare poi un segno esterno del grande affetto che da tutti portavasi all'amico defunto, fu fatta una sepoltura solenne quanto era compatibile coll'umile condizione della casa. Con cerei accesi, con cantici funebri, con musica istrumentale e vocale accompagnarono la cara salma fino alla tomba, dove, pregandogli riposo eterno, gli diedero l'ultimo addio, nella dolce speranza di essergli un giorno compagni in una vita migliore della presente. Fu seppellito nel quadrato di mezzanotte, fila 70, fossa 22, come attestò il vice cappellano D. Fissore. Nè qui finirono le onoranze funebri, poichè, in riguardo alle sue straordinarie virtù, fu celebrata nell'Oratorio una messa solenne di trigesima ed il Sac. Zattini, celebre oratore, espose in patetico e forbito discorso l'elogio del giovane Michele. D. Bosco però, volendo impedire che
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dal funerale di Magone si prendesse motivo di stabilire un'usanza, che sarebbe stata sconveniente per una casa di poveri, d'accordo col parroco si stabilì che le sepolture dei morti nell'Oratorio si farebbero per carità, cioè more pauperum. La permissione ottenuta dal parroco era scritta in questi termini: 1. Si ordina il trasporto del cadavere in capo alla tettoia, passando per la via di S. Pietro in Vincoli con quattro, tra preti e chierici, vestiti di cotta e seguito di lumi; 2. Si accorda di accompagnarlo fin là pregando ad alta voce, ma non cantando; 3. Là giunti i chierici partano subito. Restino i laici con torchie e candele. Seguano il feretro fino alla chiesa e in fine riportino la loro cera a casa. 4. La bara sia portata come meglio aggrada. 5. Qui in parrocchia canterassi messa presente cadavere.
Alcun tempo dopo si ottenne di poter celebrare ogni funzione funebre nell'Oratorio, e mandare direttamente la salma al Camposanto, ma senza accompagnamento di clero. Dopo i giorni di lutto, un giorno di festa. Il 30 gennaio si celebrava nell'Oratorio di Valdocco la solennità di S. Francesco di Sales. Ne fu priore il signor Delponte Giovenale, al quale si dedicò e stampò un bel sonetto in onore del santo Patrono. Un invito sacro ci conserva la memoria e l'ordine di questa solennità (1).
(1) INVITO SACRO. Domenica, 30 gennaio si celebra la festa di S. Francesco di Sales titolare dell'Oratorio. Il Regnante S. P. Pio IX concede indulgenza plenaria a tutti quelli che, confessati e comunicati in tal giorno, visiteranno questo Oratorio pregando per i bisogni di S. Chiesa. Decreto dato in Roma addì 28 settembre 1850.
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Potrà sembrare cosa superflua che fra i tanti programmi, quasi tutti simili delle nostre molteplici feste religiose, noi riproduciamo questo. Ma una gran ragione ci persuade di perpetuarlo. Il nostro caro Santo dava formalmente il suo nome alla Pia Società Salesiana convocata in questo anno come tale per la prima volta, nome che durerà come nostra insegna e programma per secoli e secoli, se così piacerà a Dio benedetto e alla Sua santissima Madre. Mentre svolgevansi questi fatti, Berardi Costanzo, visto morire Magone, più non pensava ai suoi pronostici. Però fra molti giovanetti dell'Oratorio eravi un presentimento che alcun altro tra breve dovesse morire. Quand'ecco che il 25 gennaio D. Bosco annunziava alla sera non essere Magone quello che egli aveva voluto indicare come vicino all'eternità; che perciò stessero tutti preparati, perchè colui che doveva morire non fosse sorpreso dalla morte in un cattivo momento. E soggiunse: - Ciò accadrà prima che passi un mese. Sarò io, sarete uno di voi? Stiamo preparati. Berardi allora, con una sicurezza che tutti sorprese, ripigliò la sua prima frase: - Dunque tocca a me star
ORARIO. Lungo il mattino copioso numero di messe e frequenza ai SS. Sacramenti. Ore 8. Comunione generale. “ 9. Ricreazione. “ 10. Messa solenne cantata in musica dai giovani dell'Oratorio. Sera. Ore 1. Trattenimenti diversi. “ 2½ Vespro solenne, Panegirico, Benedizione col SS. Sacramento. “ 4. Lotteria di varii oggetti. “ 5½ Distribuzione di premii a 14 giovani di migliore condotta. “ 6. Trattenimento speciale.
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preparato! - E avvicinatosi a D. Bosco gli chiese: - Sono io che devo morire? - D. Bosco non gli diede risposta. Era sano, prendeva parte ai divertimenti, compieva i suoi doveri come qualunque altro. Non si era visto mai tanto fiorire di sanità nei giovani della casa come in quei giorni e sul finir di gennaio, non vedendosi alcun ammalato, più d'uno andava dicendo: - Questa volta D. Bosco la sbaglia e nessuno morirà entro questo mese. - Eravi pertanto una grande aspettazione. Il sette febbraio dopo aver pranzato Berardi Costanzo si trovava in ricreazione e poi andava a scuola cogli altri. Il giovane Garino, che aspettava egli pure con ansietà, se avveravasi la parola di D. Bosco, così ci narrava: “ Accanto a me nella scuola (era la sala posta al primo piano) ed a mia destra, aveva un compagno più grande di me per nome Berardi. Ci era stato assegnato un lavoro di prova, un tema di versione. Attendevamo ciascuno al nostro compito, quando, verso la metà della scuola, il detto Berardi si rivolge a me e mi dice: - Guarda un po' che cosa ho qui - e mi mostrava col dito il labbro superiore, ove cominciava ad apparire una pustoletta. - Senti, continuò a dirmi, se fosse un po' un male pericoloso? D. Bosco disse che uno in questo mese deve morire. Dopo Magone non c'è morto ancora nessuno: se fossi un po' io il designato! - E così dicendo quasi piangeva, e intanto irritando la pustoletta col troppo fregarla, le fece dar sangue ”. Dopo la scuola prese ancor parte alla ricreazione della merenda, quindi andò nella stanza di studio e continuò a lamentarsi col giovane Albera Paolo, che la pustola sul labbro cresceva e gli faceva molto male. Nella notte fu assalito dalla febbre e al mattino, non essendosi levato
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da letto, ad Enria Pietro, che gli portò un po' di brodo, parve quel malessere una cosa da niente. D. Bosco però mandò a chiamare in tutta fretta il medico. Questi avendo constatato trattarsi di carbonchio alla bocca, lo fece trasportare subito all'Ospedale Mauriziano. Malgrado ogni cura Berardi tutto sfigurato moriva all'indomani nove di febbraio; e precisamente prima della fine di un mese dalla morte di Magone e quindi prima del Carnovale, secondo l'annunzio dato da D. Bosco l'ultimo giorno del 1858. D. Rua Michele è uno dei duecento testimoni dell'avveramento di queste predizioni. Ad un terzo duolo in quei giorni aveva dovuto prendere parte D. Bosco. Più volte era stato a Carignano, eziandio con un numero de' suoi giovanetti cantori. Il parroco Don Capriolo Teol. Giuseppe, il clero, e molti cittadini nutrivano per lui viva affezione. Eguale stima gli professava la famiglia del Senatore Conte Mola di Larissé, che si ricordava con dispiacere non aver egli potuto accettare l'ufficio di precettore di sua nobile figliuolanza:, avendolo D. Cafasso destinato per l'Ospedaletto della Marchesa di Barolo (I). Ma sovratutto l'amicizia dì D. Chiatellino attraevalo a quella città. Ora essendo morto il venerando
(I) Illmo Signor Conte,
Vorrei poter con parole abbastanza significanti chiarire alla Signoria V. Ill.ma quanto mi accori il non poter assistere il mio caro Luigi in questi giorni specialmente, in cui si fa sempre più imminente il suo esame. Questo pensiero Le assicuro, che inasprisce sempre più il mio male, eppure mi trovo ora sprofondato in un languore tale, che mi toglie gran parte delle forze fisiche e morali.... Se la S. V. Ill.ma fosse contenta, io Le manderei un Sacerdote, mio amico, e compatriota (il suo nome è D. Bosco), persona a cui non manca neppur uno dei pregi che si convengono ad un eccellente Sacerdote.
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vecchio padre di questo santo prete, il figlio e gli altri amici, si rivolsero a D. Bosco, perchè dettasse un'iscrizione da scolpirsi sulla lapide di quella tomba. D. Bosco acconsentì e scrisse, volendo che il marmo funebre predicasse l'amore alla Chiesa Cattolica.
CHIATELLINO DOMENICO - MODELLO DI VITA CRISTIANA - RARO ESEMPIO AI PADRI DI FAMIGLIA - CALDO PROPUGNATORE DELLA MUSICA SACRA - ZELANTE PEL DECORO DELLE ECCLESIASTICHE FUNZIONI - LARGO IN BENEFICARE I POVERELLI - SEBBEN DI MEDIOCRE FORTUNA - FERMO CATTOLICO - COSTANTE NELL'AFFETTO VERSO IL SOMMO PONTEFICE - AMATO DA QUANTI LO CONOBBERO - COMPIANTO DAI PARENTI E DAGLI AMICI - NELLA MATURA ETÀ D'ANNI 80 - MORIVA IL 23 DI GENNAIO 1859 PREGHIAMO CHE L'ANIMA DI LUI - VADA A RIPOSO NELLA BEATA ETERNITÀ - NOI SEGUIAMONE GLI ESEMPI.
Virtù, dottrina, e candore di costumi in costui fanno a gara per renderlo amabile alle persone che lo conoscono. Tale è colui che mi deliberai di proporre alla S. V. Ill.ma, affinchè l'accetti nella sua nobile casa, dove potrà fare le mie veci; io non ho bisogno di raccomandarglielo, giacchè quando lo conosca, son certo che i suoi meriti sono per lui la più efficace raccomandazione. Quando la S. V. Ill.ma abbia di ciò tenuto ragionamento colla Signora Contessa, spero che avrà la compiacenza di farmi nota la sua intenzione. Abbia in ultimo la compiacenza di accettare i miei vivi e sinceri saluti, e di estenderli a tutta la sua nobile famiglia. Ed io faccio punto, perchè male mi regge il mio povero cervello, che ad ogni benchè menoma occupazione mi porta quasi al delirio. Ho l'onore di dirmi di V. S. Ill.ma Da casa mia, li 29 Luglio 1844. Dev.mo ed Umilmo Servo ALLAMANO ILLUMINATO.
A. Monsieur Le Comte Senateur Mola de Larissé TURIN.
CAPO XI. Il Piemonte preparato alla guerra contro l'Austria - Per una dimenticanza due chierici dell'Oratorio non sono annoverali tra quelli esenti dal servizio militare - Consiglio provvidenziale a D. Bosco del Ministro dei Culti - Il diritto di esenzione è assicurato ai due chierici - Un arruolatore di volontari nell'Oratorio.
Negli ultimi mesi dell'anno 1858 e nei primi del 1859 maturavano avvenimenti, che dovevano mutare le sorti degli Italiani e nello stesso tempo dar campo a D. Bosco di esercitare la sua prudenza e la sua carità. Correvano voci insistenti di guerra, che da lungo tempo andavasi preparando. Il Governo Piemontese aveva agguerrito l'esercito, provveduto all'erario, cercate alleanze potenti, costrutte ferrovie e nuove strade di comunicazione tra le provincie, per ritentare la prova di scacciare gli Austriaci dal Lombardo Veneto. Quando il fisco austriaco aveva posto il sequestro sui beni dei fuorusciti lombardi, ritenuti complici della fazione sanguinosa accaduta in Milano nel febbraio del 1853, il Governo subalpino ne faceva forti richiami alle Potenze Europee. E il Parlamento votava allora un credito per compensare i fuorusciti del danno patito. Ciò aveva dato origine al ritiramento degli ambasciatori di Piemonte e d'Austria. Poi nel Congresso di Parigi, che, nel febbraio del 1856,
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determinava le condizioni della pace colla Russia, il Conte di Cavour muoveva gravi accuse contro il Governo di Napoli, proponeva di separare amministrativamente da Roma le Pontificie legazioni, ossia le provincie di Bologna, Ravenna e Ferrara, e di mettere fine all'occupazione Austriaca in Italia. Una gran colpa aveva l'Austria in faccia alle sette. Era sempre accorsa a difendere il potere temporale del Papa ogni qualvolta lo vedea minacciato. Il Congresso però nulla aveva risoluto, ma Cavour dovette certamente ottenere promesse di aiuto dalla Francia e dall'Inghilterra. Infatti i settarii si diedero qua e là a sommuovere le provincie italiane e a raccogliere le file della rivoluzione. Varii governi avevano per bonomia rimessi in tanti ufficii dello Stato, anche dei più gelosi ed importanti, liberali, convinti di aver congiurato contro di essi, persuadendosi che non sarebbero più stati traditori. E così preparavano la propria rovina. Il soldato Agesilao Milano tentava di uccidere con un colpo di baionetta Ferdinando II, e varie torme armate sbarcavano sulle coste del Napoletano; ma capitavano male. Finalmente lo scoppio delle bombe Orsini decideva Napoleone ad obbedire alle ingiunzioni dei capi delle sette; e nell'estate del 1858 invitato da lui Camillo Cavour ai bagni di Plombières, fu stabilita verbalmente l'Unità d'Italia sotto la Monarchia Sabauda, la spogliazione della S. Sede riducendo il Papa a un piccolo stato oltre Roma, e la cessione alla Francia di Nizza e Savoia in compenso dell'aiuto, che avrebbero prestato ai piemontesi gli eserciti dell'Impero. Tutte queste disposizioni erano tenute segretissime, finchè Napoleone III nel suo discorso al corpo diplomatico, venuto a complimentarlo il dì primo dell'anno 1859, volgendosi all'ambasciatore Austriaco così gli diceva: - Duolmi
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che le nostre relazioni col vostro Governo non siano più così buone come pel passato! - E tutti intesero essere prossima la guerra. Faceva eco a Napoleone Re Vittorio Emanuele, il quale al 10 gennaio inaugurando l'apertura del Parlamento, diceva: - L'orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno e non siamo insensibili al grido di dolore, che da tante parti d'Italia si leva verso di noi !.... Il 18 gennaio Cavour e Lamarmora a nome del Re, il principe Napoleone ed il generale Niel a nome dell'Imperatore, firmarono in Torino il trattato di alleanza difensiva tra la Francia ed il Piemonte. Il 17 febbraio le camere votavano un imprestito di cinquanta milioni per la difesa nazionale, mentre le nuove reclute erano chiamate sotto le armi. Fra queste dovevano essere annoverati i Chierici Cagliero e Francesia iscritti nella leva del 1858, se D. Bosco non avesse trovato il modo di salvarli. La legge del 1854 concedeva il diritto alle Curie Vescovili di presentare ogni anno al Governo la lista di que' loro chierici, che dovevano essere esentati dal servizio militare: cioè uno ogni ventimila diocesani. Il Ch. Cagliero erasi presentato a quella di Torino per avvisarla come egli e Francesia non dovessero essere esclusi da tale esenzione; ed il Rettore del Seminario, Can. Vogliotti, avealo assicurato che sarebbero ambedue messi in nota. Distratto da molti affari, Cagliero non badò, prima che spirasse il tempo fissato alla presentazione dei nomi degli esenti, a ricordare in Curia tale promessa con una domanda per iscritto. Intanto un curiale aveva stesa la lista completa omettendo i nomi di Cagliero e Francesia. Questi per dimenticanza ed inesperienza non avevano ritirata dal 1855 la patente di vestizione
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clericale, e quindi non erano stati inscritti nell'elenco degli ecclesiastici diocesani. Da ciò la causa di quell'omissione. Quand'ecco un mese dopo venir recato all'Oratorio dall'Autorità militare l'ordine a Cagliero e Francesia di partire entro dieci giorni per i quartieri loro assegnati. Don Bosco, che aveva ricevuto quel foglio, lo presentò ai due chierici. Cagliero ne rimase grandemente stupito e non sapeva darsene ragione; passò tosto in Curia per riconoscere come fosse andata la cosa, ma ebbe dei rimbrotti per quelle patenti di vestizione chiericale non ritirate. - Siete venuto troppo tardi! gli disse il Curiale. - E perchè? - La lista di coloro pei quali si domanda l'esenzione al Governo fu già presentata al Ministero. - Ma non potrebbero mandare un supplemento? - Il numero è completo. - E se ci usassero la gentilezza di verificare se in altre diocesi, per es. Alba, Susa, Asti, mancasse il numero concesso per legge e farci iscrivere fra quelli? - Non c'è più tempo. - Dunque bisognerà che noi partiamo per la guerra! - Ci rincresce, ma non sappiamo cosa farci. Senta, concluse Cagliero. Lei sapeva che noi eravamo chierici. La nostra età constava dalle carte di nascita e battesimo loro consegnate; abbiamo messa la veste clericale con loro licenza; abbiamo subìto i nostri esami e con buon esito frequentando per cinque anni le loro scuole. Se non fummo diligenti nel presentarci una seconda volta per replicare la domanda si è chè non riflettemmo a tale necessità; tanto più che riposavamo tranquilli sulla risposta del signor Can. Vogliotti: ma è strano che siansi loro signori dimenticati di noi, essendo i nostri nomi registrati con quelli
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degli altri chierici nei registri scolastici del Seminario. Ma non importa: ci rivolgeremo a D. Bosco; ed egli farà. - Avendo D. Bosco, non hanno più bisogno di noi, rispose il Curiale, e vedremo come se la caveranno. Se gli uni avevano ragione, gli altri in sostanza non avevano torto; ma la Divina bontà così disponeva, perchè si conoscesse come nelle grandi e piccole difficoltà a Don Bosco non mancasse il suo aiuto. Il Ch. Cagliero ritornato all'Oratorio narrò ogni cosa a D. Bosco e vedendo farsi pensoso, aggiunse: - Se bisogna partire per la guerra andrò; Vittorio avrà un soldato di più: o ci lascio la testa o ritorno colle spalline, ma non voglio che lei si prenda fastidii per me. - Ma voglio ben prendermeli io e per te questi fastidii, soggiunse D. Bosco. E quindi consigliò il Ch. Francesia a presentarsi al Can. Vogliotti per chiedere consiglio sul da farsi. Ma il Canonico, in modi cortesi, lo assicurò che la Curia non poteva più far nulla essendosi compiuta in ogni sua parte la pratica col Governo: in quello stesso giorno essere spirato l'ultimo termine per tale presentazione; rincrescergli quell'ommissione per incolpevole dimenticanza e i due dell'Oratorio si industriassero per salvarsi come meglio potevano. Quando il Ch. Francesia rientrava nell'Oratorio, Don. Bosco era in sull'uscire: - Ebbene? gli disse D. Bosco. - Niente! rispose il Ch. Francesia. - Allora mi presenterò al Ministero della Guerra. Ma prima di andare si rivolse a Dio nella preghiera. Egli aveva provata l'influenza di questa nel piegare a' suoi desiderii l'animo dei potenti, ogni volta che pel passato aveva dovuto trattare con essi; e così continuò a fare in tutto il tempo della vita in simili circostanze. - Con questo mezzo,
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ei ci diceva, se sarà bene, si ottiene quanto si desidera, e si otterrà ancorchè si domandasse a chi non ha per noi nè affezione, nè stima; perchè Iddio in quel momento toccherà il cuore a tale uomo, sicchè accolga favorevolmente la nostra richiesta. - Infatti Neemia raccontando come esponesse una sua domanda di grande importanza ad Artaserse, così si esprime: “ Ho fatto preghiera al Dio del cielo, e quindi ho detto al Re... e il Re mi ha conceduto ogni cosa, perchè la mano aiutatrice del mio Dio era meco (I). Il Maggior generale d'Artiglieria Valfré di Bonzo Cavalier Leopoldo, uno dei più alti impiegati nel Ministero della Guerra, accolse D. Bosco con ogni gentilezza. Il servo di Dio narratogli il suo caso, lo pregò di suggerirgli, se vi fosse modo di togliere i suoi chierici da quella condizione, o almeno, almeno di non permettere che fossero allontanati da Torino. - Se fossimo in tempo dì pace, rispose benignamente il generale, cancellerei i suoi chierici dal ruolo con un sol tratto di penna; ma stante la guerra imminente non posso farlo. L'assicuro però che i suoi chierici non saranno mandati al fuoco, ma li destinerò a scrivere in qualche ufficio dell'arsenale in Torino, aggregati allo Stato Maggiore. Tuttavia mi sembrerebbe opportuno che lei si presentasse anche al Ministro degli affari Ecclesiastici, di Grazia e Giustizia, il quale potrebbe meglio di me darle un consiglio in affare di sua competenza. D. Bosco recossi allora al Ministero di Grazia e Giustizia. Era Ministro Guardasigilli il Conte De Foresta Avvocato Giovanni, Senatore del Regno, il quale aveva spesso dato
(I) II Esdra II, 4, S.
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motivo ai lamenti dei Vescovi e del Sommo Pontefice. Don Bosco domandò udienza e l'ottenne quasi subito. Il Ministro lo ricevette assai bene, si rallegrò di poter far la sua conoscenza personale, ammirò ed approvò il bene che faceva educando tanti poveri giovanetti e concluse: - In che cosa posso servirla ? D. Bosco, che aveva temuto un'accoglienza diversa, a queste parole incominciò a respirare e disse: - Eccellenza, io mi trovo in un impaccio gravissimo e avrei proprio bisogno di lei: ho due chierici, i quali me li ho tirati su, perchè mi assistano nelle mie opere, e da sei o sette anni lavorano con me. Ora essi non furono iscritti dalla Curia nella lista di quelli, che hanno diritto di essere esenti dalla leva militare; questa lista fu già presentata al Ministero. Se i miei chierici partono per la guerra, io resto senza il loro aiuto nell'assistenza di tante centinaia di fanciulli. Mi dicono essere cosa difficile trovar mezzo per esentarli, ma supplico caldamente l'Eccellenza vostra ad aiutarmi in questa fastidiosa circostanza. - Io sarei ben lieto di poterglieli salvare...Vediamo intanto il da farsi. - E tirò il cordone dei campanello e, comparso un usciere, gli ordinò: - Pregate il Conte Michele di Castellamonte di passare da me un momento. - Questi venne e rispose che le note delle Curie erano già arrivate e che quella di Torino era completa. Il Ministro riflettè per un istante e poi si rivolse a Don Bosco: - Le hanno detto che i suoi chierici non possono essere dispensati dal servizio militare. Tale esenzione però mi sembra essere la cosa più facile di questo mondo, senza violare la legge. Segua un mio consiglio. Persuada la Curia ad esaminare e togliere dalla lista presentata al Governo coloro, che sarebbero esenti per altri motivi oltre quello
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di essere chierici; per cagione cioè di famiglia, di sanità o di altri corporali difetti, e vedrà che ci sarà posto anche per i suoi raccomandati. D. Bosco si recò subito in Curia pel detto scopo; ma si scusò il Cancelliere, per altri lavori urgenti che aveva tra mano, dallo scrivere alle famiglie dei chierici presentati. Don Bosco allora si offerse a fare egli stesso questa incombenza. Il Cancelliere gli diede quella lista e tosto egli scrisse vent'una lettera, quanti erano i chierici; ed ebbe la fortuna di trovare, che due erano esenti, anche perchè figli unici di madre vedova. D. Bosco allora si portò di nuovo dal Ministro De Foresta e questi fece d'ufficio gli atti necessarii per sostituire Cagliero e Francesia ai due, che erano stati indicati. Il buon prete dovette faticare tre giorni in questo affare con gran pena del suo cuore, perchè, fra i chierici che aveva nell'Oratorio, Cagliero e Francesia erano tra quelli sui quali poteva meglio contare. Il Ch. Cagliero intanto che dal terrazzo aveva in quei giorni viste le migliaia di coscritti che partivano pel campo, andato a far vidimare e a ritirare certe carte necessarie, disse al Curiale: - Sono contento, perchè così io debbo tutto al solo D. Bosco. - Cagliero sentì sempre vivamente le ripulse e le umiliazioni, che D. Bosco doveva soffrire. Ma quegli vedendolo talora triste e di malo umore per tal cagione, sorridendo usciva in qualche facezia e lo rallegrava, dicendogli: - Goloso ! Vuoi tu sempre avere dei dolci? Bisogna bene accostumarsi al lavoro colle contraddizioni; queste fortificano il petto! Intanto emissarii erano spediti nei diversi Stati d'Italia per indurre giovani volontarii ad accorrere in Piemonte per arruolarsi nell'esercito. Si contarono più migliaia, la maggior parte lombardi, che furono mandati a Cuneo, dove si componeva una divisione militare, la quale sarebbe stata
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comandata dal generale Garibaldi. Altri arruolatori s'aggiravano tra la gioventù piemontese non ancora Soggetta alla leva, allettandola colla speranza di ascendere facilmente ai gradi militari e di conseguire onori e gloria. E un grave rischio per questo motivo incorreva D. Bosco in quei giorni di tanti torbidi. Si era introdotto nell'Oratorio un giovanotto disinvolto di bell'aspetto, col pretesto di visita a qualche alunno del suo paese. Dicevasi commissario di leva, e nascostamente potè parlare a lungo ad un certo numero di giovani, invitandoli a volersi arruolare tra i volontari dell'esercito. Già alcuni avevano acconsentito, quando D. Bosco venne a sapere la cosa. Colla solita tranquillità egli prima pensò bene al da farsi; e poi, a scongiurare il pericolo, sia per lui e per la casa, sia per i giovani, operò in questo modo. Fece chiamare in sua camera quel commissario, il quale accortosi che D. Bosco sapeva tutto, buon parlatore com'era, s'introdusse con franchezza. Parlò dell'amore patrio, della guerra, della necessità di avere sotto le armi molti giovanotti risoluti e prodi: asserì nell'Oratorio esservene molti abili e desiderosi: averne già iscritti cinque: dirglielo schiettamente sapendo egli quanto amor patrio si racchiudesse nel cuor di D. Bosco: e tirava giù giù, argomenti e paroloni senza fine. D. Bosco lo lasciò parlare per una mezz'ora, onde poter essere a giorno di tutto. Il commissario continuando venne fino al punto di proporre: - Io non intendo di costringere nessuno, ma se D. Bosco permette io ne parlerei in pubblico a tutti i giovani radunati, solamente per dare comodità a chi desidera di far parte dell'esercito. Qui D. Bosco lo interruppe dicendo: - Io amo la patria davvero e non intendo di oppormi a nessuna cosa che le possa giovare. Qui però per questi giovani vi è una sola
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difficoltà, che cioè io non sono loro padrone, ma solamente educatore. Essi hanno i genitori o chi ne fa le veci. Questi me li consegnarono e bisogna che a loro io li restituisca. La cosa però si può aggiustare benissimo: io rilascio questi giovani coscritti, di cui mi parlò, a' proprii parenti; dalle loro case potranno mettersi in relazione con lei, e partire anche per la guerra, se i genitori saranno contenti. - Non dica così, D. Bosco; e certo che i loro padri e le loro madri si opporranno o metteranno innanzi delle difficoltà. Io ho già mandato i nomi di cinque de' suoi alunni al ruolo e sono già fissati i numeri di matricola. Ora non resta più altro che parlare ad essi ancora una volta, consegnando a ciascuno il proprio numero: e la cosa sarà fatta. - Anzi, meglio: facciamo così; mi dica il suo nome, cognome, e dimora che prenderà qui in Torino. Io all'istante rimando i giovani a casa loro, e scrivo ai parenti che si mettano in diretta relazione con lei. Quindi fin da questo momento ella può essere in libertà, cessando il motivo che lo consiglia a fermarsi in questa casa. - Ma neppure parlare ancora una volta a questi giovanotti? - Neppure una volta. Io adesso darò ordine ai giovani che si ritirino nelle scuole e nei laboratorii ed appena ritirati, la S. V. potrà partirsene. - Ma sappia che i suoi giovani sono amici di Garibaldi e vorrebbero ..... - Anch'io sono amico di Garibaldi e prego il Signore, che egli possa trovarsi tranquillo ed in grazia sua nel punto di morte. Intanto i giovani si ritirarono dal cortile. Don Bosco accompagnò quell'intruso fino alla portieria, lo salutò cortesemente,
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e diede quindi al portinaio la proibizione di lasciarlo più entrare in casa o di parlare con chicchessia. Tuttavia siccome nell'Oratorio si era destato un po' di fermento e si parlava d'amor patrio, di guerra, di volontariato, D. Bosco mandò a chiamare i giovani compromessi. Non li rimproverò, ma disse loro con calma: - Vostro desiderio non è più di fermarvi nell'Oratorio, poichè volete arruolarvi tra i volontarii. Ora siccome mi siete stati consegnati dai vostri genitori, andate pure alle case vostre. Io non mi oppongo al vostro divisamento: consegnatevi ai vostri parenti, esponete ad essi il vostro desiderio e fate quanto vi suggeriranno. - E loro faceva premura di partir subito. - Ma così restiamo scacciati dall'Oratorio? Esclamavano quei giovani. - Non vi scaccio, rispose D. Bosco: andate solo a consultarvi coi parenti e poi se desiderate tornare mi scriverete in proposito e vedrò il da farsi. Però badate bene a non ritornare prima di aver ricevuta una lettera d'accettazione; poichè per rientrare ci vuole una nuova accettazione formale. Quei giovani dovettero partire. Se D. Bosco non trattava bene quel commissario di leva o non gli esponeva la ragione della dipendenza dai genitori, sarebbero potuto succedere dei guai. Di quel giorno stesso sarebbero accaduti tumulti popolari alla porta dell'Oratorio. Gli altri alunni non ebbero più parole e tutta quell'effervescenza svanì.
CAPO XII. Letture Cattoliche: VITA DEL GIOVANETTO SAVIO DOMENICO - Come regola D. Bosco la frequenza alla Santissima Comunione - Gli alunni dell'Oratorio osservatori spregiudicati delle azioni di D. Bosco - Memorabile sua confutazione di smentita fatta alla biografia di Savio Domenico - VITA DEL SOMMO PONTEFICE SAN URBANO I - Il Vicario generale di Torino raccomanda in una circolare ai parroci le Letture Cattoliche - Lettera a D. Bosco del Cardinale Arcivescovo di Bologna - Una spiegazione del Vangelo predicata da D. Bosco.
Mentre tutto l'Oratorio sul principio dell'anno 1859, era commosso per la morte edificante di Magone Michele, il fascicolo delle Letture Cattoliche pel gennaio recava la Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per cura del Sacerdote Bosco Giovanni. Era indirizzato ai suoi figliuoli la seguente prefazione. Giovani carissimi, Voi mi avete più volte dimandato, giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno al vostro compagno Savio Domenico; ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro
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pio desiderio. Eccovi la vita di lui descritta con quella brevità e semplicità, che so tornare a voi di gradimento. Due difficoltà si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima è la critica a cui per lo più va soggetto chi scrive cose delle quali avvi moltitudine di testimoni viventi. Questa difficoltà credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose, che da voi o da me furono vedute, e che quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima. Altro ostacolo era il dovere più volte parlare dì me, perciocchè essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa, mi tocca sovente di riferire cose, a cui ho preso parte. Questo ostacolo credo pare di aver superato tenendomi al dovere dello storico, che è di scrivere la verità dei fatti, senza badare alle persone. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche compiacenza, attribuitela al grande affetto che io portava all'amico defunto e che porto a tutti voi; il quale affetto mi fa aprire a voi l'intimo del mio cuore, come farebbe un padre che parla a' suoi amati figli. Taluno di voi dimanderà perchè io abbia scritta la vita di Savio Domenico e non quella di altri giovani, che vissero tra noi con fama di specchiata virtù. È vero, miei cari, la Divina Provvidenza si degnò di mandarci parecchi modelli di virtù; tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni ed altri: ma le azioni di costoro non sono state ugualmente note e speciose come quelle del Savio, il cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Per altro, se Dio mi darà sanità e grazia, ho in animo di raccogliere le azioni di questi vostri compagni, per essere in grado di appagare i vostri ed i miei desideri col darvele a leggere e ad imitare in quello che è compatibile col vostro stato. Intanto cominciate a trar profitto da quanto vi verrò descrivendo; e dite in cuor vostro ciò che diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso anch'io fare lo stesso? Ricordatevi però bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venire alle opere. Quindi, trovando qualche cosa degna d'ammirazione, non contentatevi di dire: questo è bello, questo mi piace. Dite piuttosto:
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voglio adoperarmi per far quelle cose che lette di altri, mi eccitano alla maraviglia. Dio doni a voi e a tutti i lettori di questo libretto sanità e grazia per trar profitto di quanto ivi leggeranno; e la Vergine santissima, di cui il giovane Savio era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un'anima sola per amare il nostro Creatore, che è il solo degno dì essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita.
Non è qui il caso di fare l'elogio di un'operetta, della quale essendosi stampate innumerevoli copie in molte lingue, queste corrono per le mani di mezzo mondo con vantaggio incalcolabile della gioventù. Piuttosto una cosa sola non vogliamo passare sotto silenzio, cioè come Don Bosco intendesse dover essere regolata la frequenza alla Santa Comunione, ciò risultando dal modo col quale egli diresse nello spirito Savio Domenico. Così leggesi nel capo decimo quarto.
Egli è comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della Confessione e della Comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l'esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla. Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due Sacramenti una volta al mese secondo l'uso delle scuole. Dipoi li frequentò con assai maggior assiduità. Un giorno udì dal pulpito questa massima: “ Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: Accostatevi spesso al Sacramento della Confessione, frequentate la S. Comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità ”. Comprese Domenico l'importanza di questi consigli.
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Cominciò egli a scegliersi un confessore, che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinchè questi potesse poi formarsi un giusto giudizio di sua coscienza volle fare la confessione generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il confessore, osservando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana, e, nel termine di un anno gli permise la comunione quotidiana.
Questa biografia che portava il ritratto del santo giovanetto disegnato da Carlo Tomatis e impresso dal litografo Hummel, esponeva le prove di una verità. consolante. Savio Domenico era stato per l'Oratorio quale, un avvenimento; poichè, se la bellezza e la fragranza di un fiore dimostra la bontà del terreno che gli dà la vita; se la bellezza e la soavità di un frutto palesa la bontà dell'albero che lo porta; ben si può dire che la santità di Domenico Savio sia prova non dubbia della bontà dell'istituzione dell'Oratorio, che gli fu scala a sì alta perfezione. Ed è per questo che lo spirito maligno cercò di far cadere in discredito quelle soavi pagine. Il fascicolo era stato distribuito agli alunni interni che l’aspettavano con viva curiosità. Ma i critici questa volta non dovevano mancare in un ospizio così numeroso, tanto più che D. Bosco permetteva una ragionevole libertà a ciascuno nell'esprimere le proprie opinioni. I suoi giovani, benchè rispettosi, erano sinceri e disinvolti, tali formandoli l'educazione che ricevevano, la quale non sopportava timidezze, ipocrisie o adulazioni. E questo è da notarsi, perchè ne risulta una gran verità. I giovani non erano infatuati di D. Bosco e ciechi credenzoni a ciò che egli affermava, ma lo amavano per la realtà delle sue virtù osservate attentamente e tali giudicate. Nessuno metteva
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in dubbio l'avveramento della sua predizione in quei giorni, ed era per tutti evidente che D. Bosco non aveva potuto per scienza umana conoscere il futuro. Tuttavia in questo stesso mentre erano sorte contestazioni sulla veracità di alcuni fatti narrati nel libro di D. Bosco. Tutti riconoscevano il Savio come giovane di virtù straordinarie, ma da alcuni non si voleva vedere in certe sue azioni nulla di sovranaturale, perchè ignoravano ciò che l'umiltà e la prudenza avevano fino allora tenuto nascosto. Altri aggiungevano aver Don Bosco inventati certi episodii per il buon fine di proporre ai cristiani un modello di giovane perfetto; e siccome un terzo e più dei giovani erano entrati nell'Ospizio dopo la morte di Savio, l'opinione di chi aveva vissuto con lui poteva far del male mettendo dubbi in non pochi di loro. Fra quelli che osavano parlare irreverentemente e con maggior libertà di questa biografia si notava un chierico. Gli alunni erano divisi in vari pareri. Tuttavia molti cercavano di star lontani da que' critici non volendo prender parte alle loro discussioni. Quand'ecco si viene a conoscere un fatto che pareva dar ragione ai contradditori di D. Bosco. Egli aveva narrato l'invito che era stato fatto a Savio Domenico di andare al nuoto ed aveva omessa la particolarità dell'essersi il giovanetto arreso una prima volta alle istanze di un compagno. Or bene; questo suo compagno e compaesano, un certo Z… che era nell'Oratorio come studente, uscì fuori a negare apertamente che Savio si fosse rifiutato d'andare al bagno, poichè egli stesso avevalo invitato, ed era andato con lui. Lo stordito si faceva di ciò quasi un vanto. Fu quindi uno scandalo. L'edifizio di virtù, quantunque vere, innalzato da D. Bosco pareva dovesse crollare. Provato falso un fatto, potevansi negare anche gli altri. D. Bosco però per
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qualche giorno nulla disse a sua difesa neppure in privato, benchè avesse piena cognizione di quelle dicerie. Finalmente una sera dopo le orazioni dette nel refettorio, salì sovra una sedia, con un volto così serio quale rare volte si vide. Si trattava di salvare la verità, ed ei prese a parlare senza preamboli e colla solita calma. - Quando Savio morì, io ho invitato i suoi compagni a dirmi se nei tre anni, che dimorò fra di noi, avessero notato nella sua condotta qualche difetto da correggere o qualche virtù che gli fosse mancata da suggerire; ma tutti furono d'accordo di non avere mai trovato in lui cosa che meritasse correzione; e che non avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui. Ed io di quanto ho scritto, o ne fui testimonio io stesso, o lo seppi da persone della casa, che sono qui presenti, od estranee ma degne di ogni fede. Sul principio del suo discorso qualcuno tentò di sorridere, ma il sorriso gli morì subito sulle labbra, vedendo il contegno grave di quelli che gli erano attorno. D. Bosco proseguì: - Eppure in questi giorni avete udite alcune osservazioni sopra certi fatti della vita di Savio Domenico, vostro compagno, e, fra le altre cose, che io era incolpato di aver detto una bugia. Si negò che Savio si fosse rifiutato di andare al bagno. Sì è vero: andò a bagnarsi!... Nel racconto però bisogna distinguere due circostanze. Egli fu invitato due volte. La prima si lasciò condurre, ma ritornato a casa e narrato alla madre quanto gli era occorso, da essa fu avvertito di non andar più. E il povero Savio pianse tanto quando conobbe di aver fatto male! Ma la seconda volta invitato si rifiutò risolutamente. Io volli solamente scrivere e pubblicare della seconda, perchè nell'Oratorio vi è quel compagno che avealo condotto una volta e tentato di condurlo un'altra. Io sperava di aver salvato costui dalla
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vergogna: io credeva che questo tale riconoscesse il suo errore, che mi fosse riconoscente del mio silenzio; ma invece volle prendere me in contraddizione, darmi una smentita e fare al suo compagno uno sfregio che non meritava. Sappiate adunque che io per risparmiare una triste figura al compagno vivente e per nascondere ciò che doveva formare il suo eterno rimorso, il pericolo cioè al quale si era esposto di tradire un amico, ho narrato solo del secondo fatto. Egli volle scoprirsi da sè. Se avrà da arrossire, egli solo ne ha la colpa. Dopo di aver tradito il compagno in vita volle tradirlo dopo morte. Allora si mise a rischio di togliergli l'innocenza, ora l'onore. Il giovane così apostrofato era presente. La sua confusione era estrema, poichè gli occhi dei compagni erano tutti fissi sopra di lui. Poche volte D. Bosco parlò in questa forma, ma è impossibile descrivere l'impressione che produsse sugli animi. Come ebbe finito fu un bisbiglio generale di approvazione, cessarono da quel momento le dicerie. D. Bosco però ordinava la ristampa di quella biografia, aggiungendo il fatto ommesso coi debiti commenti. Pel mese di febbraio gli associati delle Letture Cattolche ricevevano la Vita del Sommo Pontefice sant'Urbano I per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (FI). Vi è descritto il martirio di S. Cecilia e de' suoi compagni; e si conclude contro i protestanti, provando la venerazione delle reliquie dei santi, la loro invocazione, essere approvate dalla sacra Bibbia e dai miracoli per loro mezzo operati da Dio. L'Armonia del 26 febbraio annunziava questo nuovo opuscolo. Vediamo con piacere che le Letture Cattoliche, pubblicate per cura del sacerdote Giovanni Bosco, tanto benemerito della gioventù cristiana, continuano sempre prospere e applaudite. Le
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Vite dei Romani Pontefici, che si alternano con altri opuscoli di grande utilità, sono giunte alla vita del Sommo Pontefice sant'Urbano I, il quale ascese sulla cattedra di S. Pietro l'anno 226 dell'era volgare. Noi non aggiungiamo parole di lode a questa eccellente pubblicazione popolare, essendone da tutti conosciuti i pregi ed i meriti.
Col sullodato fascicolo chiudevasi la serie dell'anno VI delle Letture Cattoliche e si pubblicava un estratto della circolare per la quaresima di Mons. Vicario Generale della città e diocesi di Torino ai reverendi signori Parroci e Curati in favore di queste.
....Mentre io accenno ai disordini dei tempi ed ai bisogni ed ai mezzi di andarvi al riparo, mi cade il bel destro, e ben volentieri me ne valgo, per additare un altro mezzo efficace che sta pure a cuore del Vicario di Cristo. Voi sapete abbastanza e deplorate che specialmente per mezzo della stampa oggidì s'insinua l'errore, si diffondono le cattive massime, e si corrompe il costume, e che gli empi si adoperano a preparare e porgere in giornali e libri irreligiosi l'esca ed il veleno ad ogni classe e condizione di persone, e come tal sorta di fogli si vendano a buon mercato e si distribuiscano pure gratuitamente. Per parte loro i buoni si argomentano pure colla stampa e colla diffusione di buoni libri e di smascherare l'errore, di ammaestrare i popoli e mostrare loro il bello della virtù e farla amare. Tale è l'intendimento delle Letture Cattoliche. Esse vi furono già raccomandate altra volta, ed hanno ormai per loro il favore di molto bene che vanno operando, e portano eziandio il vanto di avere pure l'approvazione del Sommo Pontefice ed il suo desiderio che vengano attivate. Io tengo sott'occhio la circolare con cui S. E. il Cardinale Vicario di Roma, secondando la mente di Sua Santità, invitava gli Arcivescovi e Vescovi (degli Stati Pontifici a promuovere la diffusione delle Letture Cattoliche nelle loro diocesi; e mi sento un nuovo impulso a raccomandarle di nuovo, specialmente nei luoghi dove non sono ancora guari
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conosciute, e sono persuaso che voi pure meco lo sentirete, e quindi le proporrete con sollecitudine alle vostre popolazioni. La materia ridotta alla più bassa intelligenza, lo stile popolare, la tenue spesa mi promettono che l'opera vi tornerà facile. Benedica il Signore dall'alto le vostre preghiere, le vostre fatiche ed il vostro zelo, e la grazia di Gesù Cristo sia con tutti voi. Gratia Domini nostri Iesu Christi vobiscum (Rom. XVI, 20).
CELESTINO FISSORE. Vic. Gen.
Intanto un altro lavoro aveva per le mani D. Bosco come si scorge dalla seguente lettera: cioè aggiungere alcune Biografie di uomini illustri ad una nuova edizione della Storia d'Italia.
Molto Rev.do Signore,
Mi è grato di soddisfare al desiderio della S. V. M. R. inviandole, per le notizie che Ella desidera del Cardinal Mezzofanti, una biografia del medesimo. Anzi mi valgo dell'occasione per farle conoscere il programma di un lavoro, che tra breve uscirà in luce su la vita e gli studi di questo Em.mo, lavoro affidato a persone meritevoli, di intiera fiducia, ed il quale però è degno dell'attenzione di tutti i dotti. Conto sulle preghiere che Ella si compiace di promettermi e Le confermo la mia stima. Di V. S. M. Rev.da Bologna, 12 febbraio 1859. Aff.mo nel Signore OTT. Card. VIALE Arc.
Ma ciò che sempre aveva a cuore si erano le vite dei Papi, che egli esponeva in modo, da destare negli uditori la massima curiosità ed interesse. A questo scopo, finita una di tali vite, la dava alla stampa e prima di riprenderne un'altra,
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per un mese circa, s'intratteneva su argomenti varii e specialmente sul santo Vangelo. Tale aspettazione rendeva più vivo il desiderio dei giovani, che reclamavano ansiosi nuovi fasti della Chiesa. Terminata infatti la vita di S. Urbano I, egli fece una predica che fu scritta dal Ch. Bonetti Giovanni.
Questa mattina invece di continuare il nostro corso di storia Ecclesiastica sulla vita dei Papi, avendo finito quella di S. Urbano, ho piacere, prima d'incominciare quella del Pontefice che vien dopo, di spiegarvi il Vangelo della Domenica. È questo molto adatto a voi, o miei cari giovani. Udite adunque il racconto del santo Vangelo. Nostro Signor Gesù Cristo era andato a predicare sovra una montagna molto alta e siccome non tutti potevano ascendere fino lassù, desideroso che nessuno fosse privo della sua parola di paradiso, scese a basso nella pianura. Eravi in quei dintorni un povero infermo carico di lebbra, che è una delle malattie più ributtanti e contagiose come sarebbe quella detta volgarmente la rogna. Questo uomo disgraziato, messo fuori dalla città, respinto dal consorzio dei parenti e degli amici, privo di sostanze, era costretto a vivere all'aperta campagna, procacciandosi il cibo come meglio poteva, odiato e schivato da tutti. Sentendo che Gesù di Nazaret faceva tanti miracoli sul monte vicino, anch'egli desiderava di condursi colà per impetrare la grazia di guarire da un male così brutto; quando gli giunge la notizia che nostro Signore discendeva alla pianura. Allora egli tutto giubilante andò ad aspettarlo e quando vide le turbe che si avanzavano, fattosi largo in mezzo ad esse andò a gettarsi ai suoi piedi, adorandolo: Et veniens adorabat eum. Qui è da notare che viene a Gesù adorans, adorandolo. Da ciò si vede che questo lebbroso era persuaso, credeva che Gesù fosse vero Dio, perchè solo a Dio si deve adorazione. I santi, gli angeli, Maria SS. noi non li adoriamo, ma li rispettiamo, li veneriamo, li preghiamo ad intercedere per noi. Iddio solo si adora. Certamente quando Gesù vide quel povero uomo inginocchiato ai suoi piedi, essendo egli tanto compassionevole verso gl'infelici, tanto mansueto anche coi peccatori, certo l'avrà interrogato
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amorevolmente di molte cose della sua patria, dei suoi parenti, dei suoi dolori e forse anche dello stato dell'anima sua. Il Vangelo però ci dice niente di questo; solo ci narra che quel lebbroso proruppe in queste parole: Domine, si vis, potes me mundare. Signore, se vuoi mi puoi guarire. Solo che vogliate subito io sarò risanato. Domine! Signore! Ecco che subito lo chiama Signore, riconoscendolo il Re dei re, il Signore dei signori, il Padrone dei padroni. Si vis, potes me mundare. Se vuoi mi puoi guarire. Mirate che fede! Non sta lì a dirgli: Se voi pregate il vostro Eterno Padre egli per le vostre preghiere mi guarirà; ma no: egli dice invece: se volete voi, io guarirò. Gesù vedendo che quell'infelice aveva il cuore così ben disposto (perchè Gesù vuole il cuore) risoluto di contentarlo e di premiare la sua fede gli disse: Volo; mundare! Voglio; sii guarito! Non disse: voglio che tu sia sano; ma voglio e poi glielo comandò: sii sano: imperativo: mundare. Gesù non aveva ancor finito di pronunciare queste parole che quelle piaghe, le quali formavano come un'intera crosta su tutto il corpo del lebbroso, caddero a pezzi a pezzi e la sua pelle restò sull'istante bianca come neve. Immaginatevi che contentezza non avrà mai provato quell'uomo! Pensate quali ringraziamenti non avrà mai fatto a quel suo caro liberatore! Quando Gesù lo volle licenziare Ai disse: Vade, ostende te sacerdoti. Va e presentati al sacerdote che ti veda: volendo dire con ciò: è vero che io ti ho guarito, ma colla condizione che ti presenti al sacerdote, altrimenti rimarrai quel che eri prima. Si deve sapere che in quei tempi coloro, che erano infermi di lebbra erano scomunicati dal sacerdote, cioè separati dal popolo e costretti a stare alla campagna sino a tanto che fossero guariti. Guariti che fossero, per ritornare nelle loro case e vivere fra i cittadini, dovevano prima presentarsi al sacerdote, il quale solo dopo aver verificata la guarigione poteva ammetterlo in mezzo al popolo. Ecco qui, o miei cari figli, il senso di questo fatto. La lebbra è il peccato, il quale rende talmente schifosa l'anima nostra, che il Signore non ci tiene più per suoi, ci scomunica, ci separa dal numero dei suoi figli. È orribile, e nauseante al cospetto di Dio l'anima che ha il peccato. E che cosa ci vuole per essere liberi da questa lebbra? Ostende te sacerdoti, dice il Signore: Va, fatti vedere, presentati al sacerdote. Se noi vogliamo essere guariti
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dal peccato, essere mondati da questa schifosa malattia, dobbiamo accostarci al sacerdote, il quale ha facoltà da Dio di lavarci dal nostro peccato. Poteva bene Gesù Cristo dire a quell'uomo: Sii guarito senza aggiungere di andarsi a far vedere dal sacerdote? Certamente! ma non volle, per dimostrare che sebbene ei possa perdonare senza che noi andiamo dal sacerdote, tuttavia non ci perdona se non lo accostiamo, confessando con sincerità i nostri peccati ai piedi del sacerdote. Tanti vanno dicendo: - Eh! il Signore non ha bisogno che noi andiamo a raccontare i peccati al confessore per perdonarci; può perdonarci senza dì questo! Il Signore, io direi a costoro, se per caso ve ne fosse qui qualcuno ad ascoltarmi, il Signore potrebbe ben fare che il grano nasca maturo e che quindi da per sè se ne vada nel granaio senza tanta fatica dei poveri contadini. Perchè' Iddio, il quale essendo onnipotente, che ha creato dal nulla tutto quanto vi è sulla terra e nel cielo, che ha creato con una sola parola tanti corpi così belli, così vasti, così magnifici, che noi vediamo nel firmamento in notte serena, perchè, dico, non potrebbe fare che il grano nasca maturo e se ne vada nei granai senza la mano dell'uomo? Certamente che lo potrebbe fare. E perchè non lo fa? Domandatelo a Lui: Egli ve lo dirà. Intanto io vi assicuro che se volete liberarvi dal peccato non avete altro mezzo che la confessione: e che Iddio è pronto a perdonarvi qualunque peccato, purchè con cuore contrito ve ne confessiate umilmente al confessore, al sacerdote ministro di Dio. In ultimo Gesù impose al lebbroso guarito che non dicesse parola ad alcuno. Mirate che umiltà di Gesù! Un miracolo così stupendo non vuole che sia saputo. Vera lezione per noi i quali tanto bramiamo che gli altri, per poco bene che facciamo, subito ci lodino e andiamo a dire al terzo e al quarto le nostre virtù, affinchè ci tengano per uomini dabbene, per persone onorate. Ah Gesù non fece così, no, godendo che solo sapesse il suo Padre celeste quel bene che Egli faceva. Così pure dobbiamo fare noi: non fare il bene perchè ci vedano, ci lodino, ma solo per piacere a Dio, e per quanto si può, nascondere agli uomini quel poco di bene che facciamo. Se poi non possiamo nasconderlo lasciamo pure che gli uomini lo vedano, ma stiamo all'erta di non insuperbirci, perchè distruggeremmo dinanzi a Dio quello che avremo fatto.
CAPO XIII. La quaresima - Oratorio di S. Luigi: illustri Catechisti: zelo e generosità del Teol. Murialdo; le scuole diurne; i maestri; i giovani più ignoranti condotti a confessarsi da D. Bosco; scuola e regolamento per la musica istrumentale che viene poi sciolta - Oratorio di Vanchiglia: teatrino - Oratorio di Valdocco: D. Bosco regala una croce ad un nobile catechista: virtù del maestro della scuola diurna: le passeggiate degli oratoriani più rare e più brevi: causa della diminuzione di questi giovani - Fondazione dell'Oratorio di S.Giuseppe - Il Vescovo di Nizza Marittima fa il catechismo in Valdocco - D.Bosco in cerca di giovani per esortarli a confessarsi - Un fanciullo infermo visitato da D. Bosco persuade i suoi parenti a riconciliarsi con Dio - I Cattolici insidiati continuamente dai Protestanti - Ravvedimento di un venditore di libri eretici - Letture Cattoliche: indirizzo agli associati - D. Bosco estingue il sito debito antico co' Rosminiani - Sua avversione alle liti.
QUEST'ANNO 1859 la quaresima durava dal 2 marzo al 24 aprile. L'Oratorio di S.Luigi era numerosissimo sotto la direzione del Teol. Leonardo Murialdo il quale essendo i locali angusti, disadatti e poco
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solidi, vi faceva molte spese del proprio e arricchiva l'altare della misera Cappella con un tabernacolo e gradini di marmo. Fra i giovani, colla frequenza dei Sacramenti, faceva fiorire i buoni costumi, e in alcuni di questi si manifestarono sode vocazioni ecclesiastiche. I suoi catechisti ed assistenti venivano dall'Oratorio di Valdocco mandati da D.Bosco e dipendevano con esemplare umiltà dal Teologo Murialdo. Fra questi, ora insieme, ora successivamente, furono i chierici Rua Michele, poi Celestino Durando, Lazzero Giuseppe, Francesco Cerruti, Francesco Dalmazzo, Albera Paolo, Savio Angelo. Fra i laici distinguevansi per zelo veramente ammirabile, oltre al già accennato Avv. Gaetano Bellingeri, il Conte Francesco di Viancino, giustamente onorato poscia come il campione del laicato cattolico piemontese, l'Avv. Ernesto Murialdo fratello di Leonardo, il Marchese Scarampi di Pruney, il Conte Pensa, e per qualche tempo l'Ing. G. Batt. Ferrante, uomini tutti dotati di un grande spirito di sacrifizio e ardente di carità sincera verso i poveri giovanetti. Le fatiche di questi zelanti cristiani riuscivano molto più efficaci, dal momento che si erano aperte le scuole diurne. Tale scuola, che raccoglieva oltre ad un centinaio di ragazzi, per la più parte rifiuto delle altre scuole civiche e bisognosi di educazione quanto lo erano di pane e di vesti, proseguì a fare del gran bene, anche dopo che il Teol. Murialdo dovette lasciare l'Oratorio di S. Luigi e prendere la direzione dell'Opera Pia degli Artigianelli. Egli però finchè vi rimase, oltre all'adoperarsi nel mantenerla in fiore, soccorreva col danaro molte famiglie degli scolari perchè non si lasciassero guadagnare dall'eresia. E la sua carità produsse frutti meravigliosi. Il santo prete, come fece sempre D. Bosco, e con lui tutti i zelanti e generosi sacerdoti
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praticava una dottrina conforme a quella di S. Paolo: non prius quod spirituale est, sed quod animale: deinde quod spiritale (I). Ottimi i maestri e fra questi ricordiamo un certo Signor Formica. Il bravo insegnante coadiuvava potentemente i chierici e il Direttore nei giorni festivi; assisteva i giovani, faceva loro il catechismo. Desiderando la salvezza delle anime, chiese un giorno consiglio a D. Bosco sul modo più efficace per invitare i giovani ad accostarsi al sacramento della Penitenza e nello stesso tempo renderli persuasi della facilità di confessarsi bene. D. Bosco dopo avergli date alcune norme, concluse: - I più grandi conducili da me in Valdocco. Essi diranno che non sanno confessarsi e per questo non vanno. Di' loro che è una cosa facilissima una buona confessione. Basta che mi rispondano tre sole parole: si, no, sai nen, (non so) il restante lo dirà tutto D.Bosco, ed essi non avran alcun fastidio o paura d'imbrogliarsi. Così lo zelo dei maestri rendeva fruttuose per circa venti anni le loro scuole opponendosi direttamente alle scuole dei Valdesi aperte in via dell'Arco: ed impedì che centinaia e forse migliaia di ragazzi si lasciassero guadagnare dall'eresia. Il Teol. Murialdo intanto volendo affezionare maggiormente i più grandicelli all'Oratorio, fondava una scuola di canto nelle sere dei giorni feriali e ne incaricò il M°. Elzario Scala; e i giovani addestrati nel canto corale eseguirono delle messe solenni nell'umile cappella di S. Luigi. Si decise parimente d'istituire una banda, e dopo averne parlato a D. Bosco, gli presentò un regolamento, perchè pronunciasse il suo parere. Eccone il tenore:
(I) I ad Corint. XV, 46.
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La scuola di musica e canto stabilita nell'Oratorio di San Luigi ha per iscopo di affezionare i giovani all'Oratorio onde lo frequentino nei giorni festivi, si avvezzino a compiere i doveri religiosi, e tengano una cristiana e morale condotta. Saranno quindi esclusi dal farne parte coloro che si rendessero negligenti alle funzioni religiose dell'Oratorio, che tenessero notoria cattiva condotta, o che fossero causa di gravi sconcerti fra i compagni e restii sovente agli ordini ed alla disciplina stabilita. Ad invocare il divino aiuto su quest'opera si reciteranno in comune le orazioni della sera dopo le lezioni. Durante le lezioni si farà silenzio e si potrà solo dirigere la parola al maestro. Bisognerà trovarsi esatti alla lezione e non uscire prima del tempo senza permesso. Non si potrà toccare e suonare l'istrumento di un altro senza suo permesso. L'infrazione a questa regola va soggetta a multa di un soldo fino a quattro. Ciascuno dovrà perciò fare un fondo di soldi venti per l'eventualità della multa. Consumato che sia non potrà seguitare le lezioni se non lo rinnova. Chi ha ricevuto un istrumento dal direttore della musica deve mese per mese compiere la quota convenuta, se no verrà ritirato l'istrumento e non gli sarà rimesso se non quando si trovi al corrente degli acconti convenuti.
Il Teologo, ottenuto il consenso di D.Bosco, poichè nella sua meravigliosa umiltà nulla faceva di proprio arbitrio, insieme coll'Avv. Bellingeri comprò gli strumenti, sostenendo spesa non lieve. Desiderando però che tutto procedesse con ordine, egli coll'Avvocato assistevano in persona alle prove, coadiuvavano il maestro ed incoraggiavano gli esordienti musicisti. Ma questa istituzione non corrispose al suo scopo, perchè dava più disturbi che edificazione e si dovette sciogliere; e D. Bosco, non permise poi mai negli Oratorii festivi di Torino la musica istrumentale, perchè la banda del suo Ospizio di Valdocco poteva render loro servizio nelle solennità. Solo negli ultimi anni, malaticcio ed oppresso dalle insistenze, cedette a malincuore e lasciò fare.
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Come l'Oratorio di Porta Nuova così quel di Vanchiglia era gremito di fanciulli, e D. Bosco aveva fatto eseguire riparazioni e miglioramenti in quelle povere tettoie adattate a sale, in una delle quali un teatrino attirava le turbe giovanili alle sacre funzioni ed ai catechismi. Anche qui Direttori, catechisti, maestri, assistenti, venivano da Valdocco, e cogli altri il Ch. Cagliero. Ma quello di S. Francesco di Sales teneva sempre il primato sugli altri per il numero e la pietà dei giovani. L'appoggio che gli prestavano nobili signori, era contraccambiato da D. Bosco con segni di vivo affetto, piccoli doni, letterine, che erano ricevute con molto gradimento. Fra l'altro il 2 marzo 1859 scriveva al Cav. Zaverio Provana di Collegno: “ Eccole la croce benedetta. Se Dio mi esaudisce essa colmerà di benedizioni e di timor di Dio chi sarà per portarla. Auguro a Lei, a papà, e a tutta la famiglia, sanità e grazia dal Signore, mentre mi professo con gratitudine ecc. ”. Le scuole diurne elementari quotidiane erano bene avviate anche in Valdocco. Ne era affidato l'insegnamento a D. Zattini di Brescia. Questi, benchè professore di filosofia, con mirabile, pazienza ed umiltà si assoggettò per circa due anni alla pesante occupazione d'insegnare l'alfabeto e qualche elemento di grammatica italiana ad una numerosa scolaresca ineducata e talora schernitrice. Essendo egli ignaro del dialetto piemontese, succedevano equivoci. Dico pera, esclamava, parlando coi chierici dell'Oratorio e intendono pietra; dico bara ed essi capiscono bastone! - Tale era il significato di queste parole in dialetto. D. Bosco procurava sempre ai suoi giovani svariati divertimenti, ma le passeggiate si erano fatte molto rare specialmente quelle di un'intera giornata e ben presto cessarono.
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Dopo che egli ebbe una cappella stabile, esigeva che tutti assistettero alle sacre funzioni, perchè altrimenti la regolare istruzione delle prediche e dei catechismi, la frequenza dei sacramenti ne avrebbe sofferto. È perciò che l'Oratorio di Vanchiglia e quello di Portanuova non ebbero mai le passeggiate generali di tutti insieme i loro giovani. In Valdocco però vi era un'usanza che bisognava rispettare, cioè un premio che ogni anno D. Bosco non aveva mancato mai di concedere ai suoi giovani esterni. Questo consisteva nello svago di mezza giornata festiva, presso una chiesa non lontana dalla città. Se la camminata facevasi al mattino i giovani partivano schierati, pregando o cantando laudi sacre. Giunti al luogo stabilito si compievano le pratiche di pietà; e, distribuita da D. Bosco la colazione, che quivi avevano portata alcuni somarelli, ognuno se ne andava pei fatti suoi. Se la passeggiata facevasi dopo il mezzo giorno, allora si andava in collina, con qualche strumento musicale, si distribuiva la merenda, e in qualche chiesa si prendeva parte alla predica ed alla benedizione. Avvicinandosi la notte, tutti schiamazzando e cantando, scendevano alla barriera di Torino e, fatto quivi silenzio, sciamavano a gruppi per le vie che conducevano alle loro case. D. Bosco procurava questo spasso ai suoi Oratoriani due o tre volte all'anno, come ci narrava chi ci prese parte dal 1855 al 1861, e i giovani erano sempre più di trecento. D. Bosco provvedeva abbondantemente il necessario, ma siccome nel numero vi erano di quelli che appartenevano a famiglia piuttosto agiata, avvertiva gli uni che si portassero pane e companatico da casa, altri invitava a quotarsi di un venti soldi a testa per concorrere almeno in parte al bisogno di tanti poveretti che nulla possedevano; e
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quei giovani volentieri lo secondavano, ricompensati dal pensiero dell'opera buona che facevano e dalla sincera allegria, che loro procurava quel divertimento, in compagnia di D. Bosco. D. Bosco così studiavasi di attirare i giovanetti all'Oratorio festivo, poichè quantunque numerosi ancora, tuttavia li vedeva diminuire di anno in anno dal 1859 al 1870. E le cause di queste diserzioni non si potevano togliere. La prima erano i giovani alunni dell'Ospizio che, crescendo continuamente, occupavano a poco a poco quasi tutta la chiesa di S. Francesco; ed anche per loro riuscivano ristretti i cortili della ricreazione; e la seconda che i padroni di fabbrica senza timor di Dio costringevano i garzoni a lavorare anche alla Domenica. Tuttavia nel complesso non era scemato il bene che i giovani ricevevano da D. Bosco, poichè nel 1859 si apriva in Torino nel borgo di S. Salvario un quarto Oratorio festivo dedicato a S. Giuseppe. Il cav. Carlo Occelletti aveva destinato una parte della sua casa a questo nobilissimo scopo, ove era un vasto cortile e, da lui preparata, una vaga e grande cappella; e i preti della parrocchia di S. Pietro e Paolo vi esercitavano il Sacro Ministero. Avendo poi chiesto a D. Bosco, suo intimo amico, chierici e preti per dirigerlo, questi acconsentì premurosamente e cominciò nel 1863 a mandarvi tutte le Domeniche D. Francesia e poi D. Tamietti Giovanni e altri preti a celebrarvi la S. Messa, a confessare e a predicare. I viceparroci di S. Pietro e Paolo alla sera venivano a prestarvi l'opera loro. Il Cavaliere non cessò mai di provvedere co' suoi danari a tutti i bisogni dell'Oratorio, del quale era instancabile catechista ed assistente; e i figli di D. Bosco continuarono sempre ad averne la direzione spirituale.
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Abbiamo detto che i giovani esterni nelle Domeniche erano diminuiti, ma bisogna che osserviamo come il loro numero tornasse a crescere nel tempo dei giornalieri catechismi quadragesimali, poichè non intervenendo gli alunni interni, essi gremivano tutta la chiesa di S. Francesco. Così avviati vi si accalcavano anche alla Domenica quanti vi potevano stare ed era uno spettacolo degno di essere ammirato, come affermarono illustri prelati. Un giorno entrava all'improvviso in chiesa Mons. Sola, Vescovo di Nizza Marittima, mentre vi si faceva il catechismo, e osservando commosso quella moltitudine, si avanzò, prese il libro della Dottrina Cristiana dalle mani di un catechista ed egli stesso continuò a spiegarla ai giovanetti. Lo stesso fecero in varie circostanze altri Vescovi con grande piacere dei figli del popolo. Di questi D. Bosco ne andava in cerca e di raro tornava a casa solo, specialmente al sabato sera. A bello studio egli passava in quei luoghi nei quali con più facilità poteva avere tali incontri. Anzi nei dintorni dell'Oratorio, come luoghi conosciuti, entrava nel cortile e nelle stesse abitazioni, domandando piacevolmente alle madri: - Avete figliuoli da vendere? - E pregandole ad un tempo che li lasciassero venire con lui. In tale modo ne raccoglieva una bella schiera or di qua, or di là e li persuadeva a venirsi a confessare. Poscia condottili all'Oratorio, faceva loro un po' di catechismo, li confessava, s'informava della loro condizione e col consiglio e coll'opera provvedeva a quanto era necessario pel bene delle anime loro. Continuò queste sue caccie spirituali fino al 1864, cioè fin quando il numero degli alunni interni della casa più non gli permise tale apostolato. Non dimenticava però mai certi giovanetti operai, che
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avevano lasciato l'Oratorio festivo o vi si facevano veder solo a quando a quando. Con loro e in modo particolare con quelli che sapeva trovarsi nei pericoli ed essere un po' trascurati delle cose dell'anima, usava un tratto di maniere ammirabili e direi quasi inimitabili. Incontrato qualcuno di costoro, dopo averlo intrattenuto per qualche istante del mestiere, della sanità, della famiglia, infine con una dolcezza, che rapiva il cuore, gli diceva prima di lasciarlo: - Vieni poi a trovarmi! - Egli era subito capito ed il giovane prometteva ed attendeva. D. Bosco era sempre pronto a confessarli ogni qual volta si presentavano, eziandio in mezzo ai giovani interni che riempivano la sagrestia, facendoli passare per i primi. Il bene intanto che D. Bosco prodigava ai giovani dell'Oratorio festivo, ridondava anche a vantaggio de' loro parenti come abbiamo già accennato altrove. Egli stesso raccontava il seguente fatto discorrendo dopo pranzo co' suoi alunni il 14 settembre 1862. “ Circa due anni fa andai a confessare un nipotino di un caffettiere, giovane di ottime speranze che frequentava l'Oratorio. Lo zio e la zia lo amavano teneramente. Il piccolino fatta la confessione, vedendo i suo cari che stavano intorno al letto tristi e melanconici pel suo male, che andava ognor più peggiorando, rivolto ad essi il discorso, disse: - Questa vostra tenerezza non è ancor quello che mi consoli: se volete contentare il mio cuore preparatevi a fare una buona confessione; questo sì che mi piacerebbe. - Immaginatevi! Quello zio e quella zia sentendo parlare così quell'unico conforto che avevano al mondo, e che tanto amavano, furono commossi fino alle lacrime: -Ebbene, dissegli lo zio: se è questo solo che ti possa consolare, voglio darti questa consolazione. - E subito
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egli, la moglie, i garzoni tutti si inginocchiarono e fecero la loro confessione. Debbo notarvi che costoro, come si può supporre di gente da caffè erano poco amanti della confessione e la trascuravano. Già erano confessati gli uomini, rimaneva ancora la donna e questa era per me un imbroglio. Come fare? Dirle che venisse poi a trovarmi a casa non conveniva, perchè poteva darsi che passato quel fervore passasse pure il buon proposito. Che feci? Ho preso le tendine del letto e le aggiustai in modo che servissero di grata. Ma vedendomi quella buona donna occupato in quello, secondo lei, strano lavoro, - Che cosa vuol fare? mi disse. - Faccio il tappezziere! - Lasci pure, mi replicò; io mi confesserò come gli altri! - Non si può! - Oh! si che fa bisogno di tante cerimonie. - Non sono cerimonie, ma così è prescritto; cioè per le donne si deve usare la grata e siccome qui non c'è dobbiamo aggiustarci in altro modo. - Ah! se è così, faccia pure! ” Aggiustato che ebbi alla bella meglio quel confessionale, le dissi: - S'inginocchi lì, ma un po' discosta. ” Così fece e si confessò. ” Miei cari, ringraziamo il Signore. Si vede proprio che Dio alcune volte produce colla sua grazia veri prodigi. Felici coloro che corrispondono alla grazia di Dio: ma infelici quelli che sentendolo battere alla porta del loro cuore, gliela chiudono: essi corrono grave pericolo, che più non torni e così se ne muoiano nel loro peccato, che Dio stesso nella Scrittura minaccia di fare. Quaeretis me et non invenientis et in peccato vestro moriemini. Dopo quel tempo, tanto il padrone quanto i garzoni continuarono a
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confessarsi regolarmente. Venivano a trovarmi nell'Oratorio e, quando non avessero potuto, me lo facevano sapere, ed io andava a confessarli in casa ”. Un altro giovane dell'Oratorio festivo fu occasione della salvezza spirituale di suo padre. La propaganda protestante continuava in Piemonte i suoi attentati contro la religione cattolica e aveva stabilito in Torino la società dei trattati religiosi per l'Italia con una libreria evangelica, ed avea poste in circolazione 31.372 copie di opere eretiche tra grandi e piccole, delle quali 27.124 in lingua italiana e 4.248 in francese. I libri erano mandati da Parigi, Dublino e Londra e da questa anche grosse somme di danaro. Tale società aveva anche aperta in Torino una tipografia per la pubblicazione del giornale La Buona novella, che in otto mesi dava alla luce non meno di due milioni e mezzo di pagine blasfeme e calunniose. Un gran numero di emissarii ne procurava la diffusione, recandosi in tutte le città e paesi o frequentando i mercati, o tenendo banco, o aprendo botteghe per dare spaccio a questa merce avvelenata. Il figlio adunque di uno di questi emissarii e manutengoli frequentava l'Oratorio, e suo padre per avidità di guadagno vendeva in Torino giornali e libri pessimi. I giovani esterni non tardarono a venire in cognizione di tale cosa, e siccome D. Bosco aveva detto loro più volte, che tali emissarii cooperavano direttamente ed immediatamente al male, corsero a manifestargliela. Egli allora si avvicinò a quel povero figlio ad avute maggiori informazioni e preghiera che volesse rimuovere il padre da quell'abbominevole mestiere, si recò alla sua bottega. Colle buone maniere tanto disse e tanto fece che indusse quell'uomo a cedergli tutta quella mercanzia eretica, e se la fece portare all'Oratorio; ove fatto un grosso mucchio di quei libri e
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giornali protestanti in mezzo al cortile alla presenza dei giovani, diede loro il fuoco e li ridusse in cenere. In contraccambio si affrettò a mandare al libraio altrettanta quantità di libri buoni, quanti ne poteva contenere un ben capace carretto. Tra quelli eravi il Giovane Provveduto, il Cattolico istruito nella sua religione, ed altri moltissimi opuscoli delle Letture cattoliche. Di queste egli vedeva l'urgente bisogno e continuava con alacrità l'opera sua. Il fascicolo di marzo fu accolto con entusiasmo dai giovani e dagli associati. Era il racconto anonimo: La croce accanto alla strada. Si narra di un fanciullo tirolese che smanioso di viaggi fugge da' suoi monti; pentito però di aver cagionato dolore al padre e alla madre, ravveduto pel ricordo di una croce piantata vicino alla sua capanna, dopo avventure ora terribili, ora liete, visitate varie missioni Cattoliche d'America, riacquistato una ragguardevole fortuna, che gli era stata rapita, ritorna a consolare i vecchi suoi genitori. E D. Bosco con sagge osservazioni faceva notare ai lettori l'importanza dei benefizi recati al mondo dalla propagazione del Vangelo; e la differenza tra le missioni della Chiesa Cattolica in terre infedeli perchè guidate da Dio, e quelle dei protestanti perchè emissarii del demonio. L'opuscolo incominciava con questo indirizzo:
Ai benemeriti corrispondenti ed associali delle Letture Cattoliche.
Entriamo col presente fascicolo, nel settimo anno delle nostre popolari pubblicazioni con coraggio e fiducia che i nostri signori Corrispondenti ed Associati vorranno, come negli anni scorsi, continuarci la desiderata cooperazione. La Direzione spera di non aver mancato allo scopo che s'era prefisso, e, se non potè ottenere ancora tutto quel bene che desidera, è lieta però di conoscere che non è scarso il male impedito.
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I tempi corrono difficili ora più che mai, ma la nostra confidenza essendo riposta in Colui che tutto può e nei nostri benemeriti Cooperatori ed Associati, speriamo tuttavia di superarli. Perciò con tanto maggior impegno proseguiremo nel nostro compito, in quanto che sappiamo di far cosa ottima, avendone non solo l'approvazione, ma il più incalzante e caro incoraggiamento dal Padre dei fedeli il Sommo Pontefice Pio IX, il quale volle non solo fossero introdotte le Letture Cattoliche negli Stati Pontificii, ma che un'apposita edizione fosse pubblicata in Roma stessa, avente lo stesso titolo, formato e scopo. Mentre ringraziamo tutti quelli che ci aiutarono e promossero in qualsiasi modo le Letture Cattoliche, ci raccomandiamo caldamente a volerci continuare i loro favori, promettendo, per quanto è in noi, di apportarvi tutti i miglioramenti che saranno possibili negli argomenti a trattarsi, onde renderle sempre più interessanti. La Direzione.
Mentre così D. Bosco difendeva il regno di Dio, e molte anime riconduceva in seno ad esso, Iddio rendeva stabile sempre più il suo Oratorio per mezzo di D. Cafasso. Il Padre Pagani Superiore dell'Istituto della Carità gli aveva chiesto il rimborso delle 20.000 lire stategli imprestate dall'Abate Rosmini con una parte dei frutti scaduti e non pagati. D. Bosco si dichiarò pronto a pagare il capitale, ma di quelli interessi asseriva che l'Abate Rosmini, poco tempo prima di morire, avevagli fatto intendere non doversi più fare parola. Aggiungeva che il defunto Padre Gilardi non aveva insistito per tali pagamenti conoscendo i motivi, che avevano inclinato il Superiore a quella condonazione. Il Padre Pagani allora fece conoscere a D. Bosco i bisogni nei quali si trovava il suo Istituto, ed egli accettò un proposto accomodamento. L'11 marzo 1859 con atto rogato dal notaio Turvano D. Bosco e D. Cafasso sborsavano lire 15.000 al Teologo
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Bertetti in saldo del debito che essi avevano con l'Abate Antonio Rosmini, per il prestito fatto dal suddetto nella compra degli stabili Pinardi. Questo atto nota che il debito veniva estinto da D. Bosco con danaro comune a D. Cafasso Poco tempo prima erano state pagate 5000 lire. Il campo dei sogni restava sempre proprietà de' Rosminiani. Sorse ancora qualche contestazione di poca importanza coll'uomo d'affari dell'Istituto della Carità e ciò appare da una lettera di D. Bosco, che fa testimonianza quanto egli fosse alieno dai litigi.
Al Pregiatissimo Signore, il Sig. Zaiotti Giuseppe, presso il venerando Istituto di Carità. - STRESA.
Preg.mo Signore,
Il Signore ci doni la santa virtù della pazienza. La sua lettera mi ha dato non poco fastidio. Specialmente per quelle parole che minacciano di usare mezzi legali per quei cento franchi di cui Le sembrò essere incorso errore. Ho dovuto sospendere le mie occupazioni e spendere non poco tempo per questo affare. Anzi tutto Le devo premettere che da diciotto anni tratto affari coll'Istituto della Carità e non vi fu mai ombra di sospetto, nè di freddura; anzi il Sig. D. Carlo Gilardi, di compianta ricordanza, ma sempre di grata memoria, egli faceva il segretario per me e per lui, ed io mi rimetteva ai conti che egli mi dava senza nemmeno fare osservazione di sorta. Questi conti furono sistemati il 10 luglio 1857; Ella mi va a cercare una lettera mia, secondo la quale (che ha data del 10 febbraio 1855) sarebbe incorso un errore. Sarebbe un dire che io e D. Carlo avessimo ambedue la testa nel sacco; perciocchè per lo più i conti erano sempre sistemati in presenza di ambedue, e ci davamo premura di contare soldi e centesimi nel timore reciproco di dare il minimo danno ad una delle parti. Noti anche che quando io faceva qualche pagamento lo significava per lettera a D. Carlo, ma nel totale dei conti quelle lettere
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servivano di semplice memoria e si faceva nota a parte di debito e credito. A me pare che il ricercare lo sbaglio avvenuto antecedentemente, a conti aggiustati in questo modo, si è un cercarsi fastidii, ove non v'è nè cagione, nè motivo di sorta. Tuttavia, anche nella ferma e piena persuasione che questi cento franchi siano stati compresi nella sistemazione dei conti 1856 - 57, La prego di dire a chi fa da Superiore in questi affari, che io non voglio per nessun motivo venire a mezzi legali, e che a semplice cenno io manderò per la posta un vaglia di cento franchi, purchè tale sia la volontà del Superiore di Lei. In quanto poi a fr. 1,60 di cui non aveva spezzati onde saldare a casa del Cav. Notaio Turvano, era proprio persuaso che avessi saldato ogni cosa, mercè il cambio fatto di una moneta di 14,50, e sembrami averle dato tre monete da otto soldi, una da quattro, e due soldi. Tuttavia non avendomi notato nulla, ed essendomene potuto sbagliare come Ella mi dice, senza difficoltà di sorta, Le mando un vaglia corrispondente. Per diminuire disturbi io la prego di non occuparsi nè del mio torto, nè della mia ragione, ma dirmi semplicemente se debbo mandare i cento franchi; in caso diverso occorre nemmeno che mi risponda. Il Signore Le doni sanità e grazia e augurandole benedizioni dal cielo sopra tutto l'Istituto, mi professo colla debita stima. Di V. S. Preg.ma Torino, 4 aprile 1859. Dev.mo Servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
P. S. La prego di volermi inviare la scrittura di obbligazione segnata dal Teologo Murialdo, Borrel, Cafasso, Bosco. L'ho cercata presso il Notaio Turvano e non si è trovata.
CAPO XIV. D. Bosco strumento nelle mani di Dio - Sua fiducia nella Divina Provvidenza e suo abbandono in Lei - I giovani esortali alla preghiera per ottenere all'Oratorio soccorsi nelle materiali necessità - Effetti meravigliosi della preghiera - Elemosine generose e provvidenziali dei ricchi - 0fferte dei poverelli - Alcuni falli.
La splendida generosità di D. Cafasso verso l'Oratorio, non solo era ispirata da un'ardente amore verso Dio e verso il prossimo, ma eziandio dalla persuasione di cooperare ad un'impresa duratura per secoli: quindi amò di avere il merito intero della compra di Casa Pinardi, ponendo così egli stesso le fondamenta di un edifizio che sarebbe divenuto mondiale. Conosceva le rette intenzioni, la fedeltà ai disegni della Divina Provvidenza del suo discepolo, ed era certo che egli avrebbe corrisposto pienamente alla sua vocazione. Soprattutto ammirava in lui la fermissima fiducia di conseguire da Dio tutti gli aiuti necessarii a compiere le sue grandi opere di religione e di carità. D. Bosco infatti intrapresa una di queste, più non vi desisteva, ancorchè sprovvisto de' mezzi richiesti dalla prudenza umana, nè per difficoltà che insorgessero, nè per opinioni e giudizii contrarii, malignità o vessazioni degli
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uomini, nè per disgrazie, nè per contrattempi che accadessero. Egli non dubitò mai che Dio non gli sarebbe venuto in soccorso; e anche in gravissimi bisogni sempre lieto e tranquillo diceva: - Iddio è un buon padre, che provvede agli uccelli dell'aria, e non lascierà certamente di provvedere ai bisogni dell'Istituto. - E soleva recare la ragione della sua fiducia: - Di queste opere io non sono che umile strumento; l'artefice ne è Iddio. Or tocca all'artefice e non allo strumento provvedere i mezzi di proseguirle e condurle a buon fine: ed egli lo farà quando e come giudicherà meglio; a me tocca solo di mostrarmi docile e pieghevole nelle sue mani. Quindi non si infastidiva mai per l'avvenire; e se qualche benefattore gli avesse lasciato alcuna sostanza, egli era pronto a vendere tosto edifizii e terreni, impiegando il prezzo per i bisogni urgenti della Casa o per opere nuove. Giorno per giorno spendeva quanto aveva ricevuto e non conservava alcune somme, perchè era sempre pressato dai creditori. Sovente i prudenti lo consigliavano a non arrischiare con tanti debiti l'esistenza dell'Oratorio, ma egli, mostrandosi sicuro di ciò che affermava, più volte disse: - Dopo la mia morte questa Istituzione non solo continuerà, ma prospererà vie maggiormente e si diffonderà per ogni parte del mondo. “La sua confidenza in Dio e nella Beata Vergine, era portentosa, esclamò Mons. Cagliero. Durante trentacinque anni che stetti al suo fianco, non mi ricordo averlo veduto un sol momento infastidito, scoraggiato ed inquieto per debiti dei quali era aggravato, eziandio pel sostentamento de' suoi giovanetti ”. D. Bosco non possedeva nulla, assolutamente nulla, ma Dio era il suo cassiere, che ha per suoi agenti tutte le
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persone buone e generose, le quali sanno che il danaro non è scopo, ma mezzo concesso a loro per far del bene a se stesse e ai loro simili. Quindi egli si rivolgeva a Dio, perchè gli mandasse questi buoni angeli terreni e sovente nel sermoncino della sera diceva agli alunni: - Pregate, e coloro che possono facciano la Santa Comunione secondo la mia intenzione. Vi assicuro che prego ancor io, anzi prego più di voi. Mi trovo in gravi imbarazzi. Ho bisogno di una grazia. Vi dirò poi quale sia. E dopo qualche sera raccontava, per esempio, che un ricco signore gli aveva portato una grossa somma pari al suo bisogno, soggiungendo: - La Vergine SS., oggi, oggi stesso ci ottenne un segnalato favore. Ringraziamola di cuore e continuate a pregare che il Signore non ci abbandonerà. Ma se nella casa entrasse il peccato, poveri noi! Il Signore non ci soccorre più. Attenti adunque a respingere le insidie del demonio e frequentare i sacramenti. Gli stava perciò moltissimo a cuore che gli alunni pregassero bene. Era solito, quando poteva, venir alla sera a recitar in comune coi giovani studenti le orazioni. Più di una volta quando per qualche motivo doveva protrarre la sua cena in tempo delle preghiere, o trattenersi in refettorio, lasciava ora all'uno ora all'altro l'incarico d'andare a sorvegliare o ad avvertire certi alunni, che invece di dire le preghiere o dormivano o chiacchieravano. Alcune volte si alzava in fretta da tavola e andava lui stesso a fare questo ufficio, tanto gli stava a cuore la recita devota delle orazioni. Non poteva tollerare che i giovani in questo tempo si appoggiassero al muro o stessero seduti sulle calcagna, diceva egli, come i cagnolini.
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Qualcheduno fece a D. Bosco questa osservazione: - Non sarebbe meglio che invece di far recitare dai giovani le preghiere in comune e ad alta voce, si lasciasse che ciascuno le dicesse sotto voce e si assuefacesse alquanto all'orazione mentale? D. Bosco rispose: - I ragazzi sono così fatti che se non pregano ad alta voce cogli altri, lasciati a sè non direbbero più le preghiere nè vocalmente, nè mentalmente. Quindi posto anche che le dicessero solo materialmente, anche distratti, mentre sono occupati a pronunziare le parole non possono parlare coi compagni, e le stesse parole che dicono anche solo materialmente servono a tener lontano da loro il demonio. Insisteva eziandio molto che quando i giovani fossero raccolti per le preghiere in comune, nessuno stesse a far ricreazione chiacchierando o passeggiando nel cortile o sotto il porticato. Voleva che ognuno dei chierici o preti andasse a recitare le orazioni coi giovani, o si ritirasse in chiesa od in camera, perchè il fare diversamente lo giudicava scandalo da evitarsi a qualunque costo. Esigeva il silenzio perfetto, dalla sera dopo le orazioni fino al mattino seguente dopo la santa Messa. Questo silenzio riputavalo di somma necessità perchè gli animi non divagati potessero conseguire tutto il frutto della preghiera. Una volta D. Bosco discendendo dalla sua camera per le confessioni s'incontrò in una squadra di giovani studenti, che andavano in chiesa per ascoltare la S. Messa. Avendone visto alcuni a chiacchierare forte e liberamente, li avvertì con qualche parola o segno di far silenzio. Uno di quelli però non si diede per inteso di quell'ammonimento. Allora D. Bosco gli andò incontro ed egli stesso lo castigò, dimostrandosi poi assai malcontento, perchè gli assistenti non
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esigevano quel silenzio che egli aveva tante volte raccomandato. Per tutte queste sue premure le preghiere della comunità salivano gradite al trono di Dio e si avveravano pienamente quelle parole di Isaia Profeta: “ Non si affaticheranno, invano i miei eletti, nè avranno figliuoli, che sian loro di affanno, perchè stirpe benedetta dal Signore sono essi. E prima che alzin la voce, io li esaudirò e prima che abbiano finito di dire, li avrò uditi” (I). Sul principio del 1858, dovea D. Bosco estinguere un grosso debito pel 20 gennaio e non possedeva un soldo. Il creditore aveva già aspettato alquanto tempo ed ora voleva assolutamente essere soddisfatto. Si era già al 12 del mese e nulla di nuovo per assicurare le speranze di D. Bosco. Trovandosi egli adunque in tali strettezze, disse ad alcuni giovani in privato: - Quest'oggi ho bisogno di una grazia particolare: io andrò in Torino, e per quel tempo che vi rimarrò procurate che vi sia sempre qualcuno di voi a pregare in chiesa. - Così si fece. D. Bosco andò in città e quei giovani alternativamente andarono a pregare in chiesa. Mentre D. Bosco camminava per Torino, vicino alla chiesa dei Lazzaristi gli si presenta un signore sconosciuto e dopo averlo salutato, gli domanda: - D. Bosco! È vero che ha bisogno di danari? - Altro che bisogno! necessità! Se è così prenda! - E gli presentò una busta nella quale erano più biglietti da mille lire. D. Bosco rimase meravigliato di quel dono, ed esitava nell'accettarlo, pensando che quel signore non facesse da senno o celiasse.
(I) LXV; 23, 24.
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- Ma a che titolo mi dona questa somma? gli chiese. D. Bosco. - Prenda, le replico, e se ne giovi per le necessità de' suoi giovani. - Grazie adunque e la Madonna lo ripaghi... E se vuole le farò due righe di ricevuta. - Non fa bisogno. D. Bosco prese quei biglietti che l'incognito gli porgeva e continuò: - Almeno favorisca di dirmi il suo nome, affinchè possa conoscere il mio benefattore. - Non cerchi di più! Il donatore non vuol esser conosciuto. Desidera solamente che si preghi per lui... Ella può fare ciò che vuole di questo danaro... e non si curi di altro. - Così dicendo si allontanò in fretta. Era evidente un tratto della Divina Provvidenza e D. Bosco mandò subito a pagare il suo creditore. Narrò Mons. Cagliero: “ Un giorno dell'anno 1859 D. Bosco a mezzodì discese nel refettorio, ma non per mangiare, sibbene con mantellina e cappello in procinto di uscire. Maravigliati noi dicemmo: Oh ! D. Bosco, non mangia oggi con noi? - Non posso, rispose, pranzare oggi all'ora solita, anzi, ho bisogno che usciti di refettorio, vi incarichiate (rivolto a D. Alasonatti Prefetto, a D. Rua, a me e ad altri chierici) ho bisogno che da quest'ora fino alle tre, vi sia sempre alcuno di voi ed alcuni dei nostri fanciulli, scelti tra i migliori per pietà e fervore, dinanzi al SS. Sacramento Stasera se otterrò la grazia, che ci è neccessaria, vi spiegherò il perchè di questa preghiera. ” Eseguimmo i suoi ordini e si pregò fino alle ore tre. Verso sera arrivò D. Bosco tranquillo e calmo come quando era partito a mezzo giorno. E disse rispondendo alle nostre
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importune e curiose domande: - Oggi alle tre scadeva un compromesso serio col libraio Paravia di diecimila lire: se non l'avessi soddisfatto ne avrebbe avuto grave danno lui e gravi danni l'Oratorio. Altri debiti urgevano con altri creditori, che non ammettevano più dilazione e questi ammontavano ad altri dieci mila franchi. Sono uscito in cerca di provvidenza e senza sapere dove sarei andato. Giunto alla Consolata entrai e pregai la Vergine SS. a volermi consolare ed a non abbandonarmi in quel frangente! Uscitone andai di contrada in contrada dal tocco sino alle due, quando giunto in un vicolo presso la chiesa di S. Tommaso, che metteva in via dell'arsenale, mi si avvicina un uomo pulitamente vestito che mi dice: - Oh se non m'inganno lei è D. Bosco! - Sì, per servirla; risposi. - Veda; è proprio lei che io cercava e se non l'avessi incontrato avrei dovuto andare fino all'Oratorio: così mi risparmia una passeggiata: ecco: il mio padrone mi ha incaricato di portarle questo plico. - E che cosa contiene? - Io non lo so; disse quel domestico - Allora io lo apersi e vi trovai cartelle del debito pubblico. - E da chi provengono queste cartelle? domandai. - Non debbo dirlo... ed ora la mia commissione è fatta. Stia bene. -E senz'altro se ne andò. Io allora mi recai in casa di Paravia, ed esaminato il pacco e le cartelle, trovai tanto da pagare a lui dieci mila lire per la stampa delle Letture Cattoliche ed anche per soddisfare ad altri urgentissimi impegni! Oh! figliuoli! Come è grande la divina Provvidenza! Come ci vuol bene! Come dobbiamo esserle riconoscenti! Siate sempre buoni! Amate sempre e non offendete mai il Signore ed egli non ci lascierà mancare il necessario.
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” Noi vedevamo in quel momento il suo volto più raggiante del solito, udivamo la sua voce più affettuosa e soave non tanto per la gioia e per la meraviglia, quanto per la gratitudine e l'amore verso Dio. E noi eravamo compresi dello stesso suo stupore e riconoscenza, accrescendosi in noi l'ammirazione verso il nostro buon padre. ” Tratti prodigiosi e simili a questi della divina Provvidenza si sono poi ripetuti molte altre volte in favore dell'Oratorio e delle altre Case della Congregazione ”. Nel 1860 un giorno di sabato o altra vigilia di festa verso le 11 del mattino si presentava a D. Bosco il panattiere dicendogli bruscamente, che se non era pagato all'istante non avrebbe mandato più pane per la cena di quel giorno. E in casa non ve n'era che il puro necessario per il pranzo. Non valsero a calmarlo le buone parole e le promesse. D. Bosco, dopo aver pranzato, mandava a prendere il suo cappello e il suo mantello. Era un'ora e mezzo pomeridiane ed il Chierico Turchi con Anfossi e altri compagni, fra i quali Garino Giovanni, stavano discorrendo sotto al porticato presso la scala che scendeva nel refettorio. Ed ecco comparire D. Bosco in atto di uscir di casa. Avvicinatosi ai chierici, disse loro: - Fatemi un piacere: andate subito in chiesa a pregare per un venti minuti innanzi al SS. Sacramento secondo la mia intenzione. Datevi lo scambio due alla volta, fino all'ora in cui andrete a far scuola. Oggi mi trovo in un gran bisogno. I chierici senza sapere il perchè eseguirono subito quanto egli desiderava e mentre erano in iscuola D. Bosco rientrava nell'Oratorio. D. Turchi ci narrava: - Alla sera io era ansioso di sapere il risultato della cosa, ma D. Bosco dovendo attendere alle confessioni, non era venuto neppur a cena colla comunità,
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secondo il solito nelle vigilie delle feste. Io però chiesi al Prefetto D. Alasonatti, se sapeva nulla del risultato delle nostre preghiere: - Sì, sì, rispose; tutto andò bene e Don Bosco ve ne parlerà. All'indomani dopo le orazioni Don Bosco così ci disse: Vi ringrazio che ieri avete pregato. Io doveva fare un grosso pagamento al panattiere Magra provveditore dell'Oratorio, il quale si protestava di non poter più somministrare le provvigioni, se non veniva pagato. Io non aveva denari e non sapeva dove dar del capo per trovarli. Mentre voi eravate in chiesa io andava per la città fantasticando dove potessi rivolgermi, quando sento un uomo che mi chiama, mi raggiunge e mi dice: - Oh D. Bosco, andava precisamente da lei, mandato dal mio padrone, il quale è infermo e desidera parlargli. - Acconsentii subito e il servitore mi accompagnò presso un bravo signore, che da tempo era obbligato a stare in letto. Egli mi accolse con grande bontà, mi chiese notizie dell'Oratorio, e dopo avermi intrattenuto in altri ragionamenti, mi consegnò un plico con entro il danaro del quale io abbisognava. E così abbiamo potuto in giornata soddisfare il panattiere. Un'altra sera D. Bosco raccontava agli alunni ch'avevano pregato per lui: - Io mi era avviato per cercar fortuna: Sapevo che sotto la parrocchia dei Martiri abitava una signora facoltosa e senza famiglia, ma che non voleva saperne di far beneficenze. Trovandomi in forte bisogno, andai dal curato D. Bruno a chiedergli se non avesse a male che io andassi da quella sua parrocchiana a chiederle un qualche aiuto. Il Curato mi disse: - Vada pure e se spillerà qualche cosa sarà bravo: io ho già tentato più volte pei bisogni della parrocchia e non potei averne un becco di quattrino. E ciò non ostante io ci andai e la signora mossa a compassione di me e di voi mi diede diecimila lire. Incontratomi
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poi col Curato, ed avendogli esposto quanto aveva ottenuto, ne rimase altamente meravigliato. Circa il 1862 D. Bosco doveva dare varii acconti all'impresario delle costruzioni e ai provveditori di legnami, ferri, cuoi e panni e di altri oggetti per i laboratori. Egli pertanto, mentre i giovani erano a scuola, pieno di fiducia nella Provvidenza divina, pregò il capo cuoco Gaia ed altre pie persone della casa di andare in Chiesa e recitare il Santo Rosario: quindi usciva di casa per cercare soccorso. Ma allontanatosi di poco dall'Oratorio incontrò sul viale fiancheggiante il manicomio un cotale, il quale consegnatogli un piego suggellato gli disse: - Per le sue opere! - e senza dir altro se n'andò. D. Bosco, aperto quell'involto, vi trovò settemila franchi e ringraziando l'amabilissima Provvidenza di Dio, tutto allegro, se ne ritornò alla sua stanza. Ma se le cento volte egli andava in cerca della divina Provvidenza, questa madre amorosa veniva le cento volte e le mille in cerca di lui co' suoi soccorsi. Nell'anno 1861 il sig. Magra panattiere al quale D. Bosco doveva dodici mila lire, per provvista fatta di pane, si era rifiutato di mandargliene dell'altro. D. Bosco anche allora, come sempre soleva ripetere ai suoi creditori, gli fece dire che non dubitasse, che la divina Provvidenza aveva mai fatta bancarotta, continuasse a provvedere il pane a' suoi giovanetti, e che il Signore avrebbe pensato a mandargli del danaro. Il sig. Magra mandò il pane, ma venne per riscuotere il suo avere o almeno un acconto. In casa non si aveva punto di danaro. Era un mattino di festa e D. Bosco stava confessando in sagrestia un gran numero di giovani, quando venne il creditore dicendo al sagrestano, che a tutti i costi voleva parlare con D. Bosco. Il sagrestano tentò d'impedire
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questo disturbo, ma il panattiere si fa largo in mezzo ai giovani e va diffilato innanzi a D. Bosco e incomincia ad insistere affermando d'aver gran bisogno della somma dovutagli. Don Bosco lo guardò tutto tranquillo e gli disse: - Aspetti alcuni momenti che io abbia finito di confessare. Ma l'altro: - No che non posso aspettare, ho bisogno che mi paghi subito. D. Bosco per tutta risposta continuò a confessare e il panattiere vedendo che egli non se ne dava per inteso delle sue proteste, si ritirò in disparte guardando D. Bosco quasi con stupore. Quindi uscì a passeggiare sotto i portici aspettando che egli uscisse. D. Bosco finito che ebbe, pregò il Signore che lo aiutasse in quell'angustia e in quel mentre entrava in sagrestia un signore a lui ignoto, il quale gli consegnò una lettera chiusa e, salutatolo cortesemente, se ne andò senz'altro. D. Bosco pose quella lettera nel suo breviario e celebrata la S. Messa, andò in refettorio, accompagnato da D. Savio Angelo e da alcune persone esterne. Allora il Savio gli ricordò il debito urgente e D. Bosco senza scomporsi incominciava a dirgli che bisogna aspettare altro momento, che allora nulla egli aveva. In quell'istante però, essendo stata recata la posta, si sovvenne della lettera che aveva ricevuta in sagrestia e apertala vi trovò una somma considerevole, che tosto consegnò a D. Savio per contentare sufficientemente il panattiere. Incontratolo poco dopo gli diceva: - Vedete! La Provvidenza è grande ed è venuta in nostro soccorso! Ora vi manda un acconto e presto vi farà tenere il saldo. Sia ringraziata la Madonna. Così narrarono Mons. Cagliero, D. Savio, Enria e lo stesso D. Bosco. D. Savio Angelo, economo dell'Oratorio, aggiungeva a questo altri fatti. - Un creditore, dopo una sfuriata, per non essere ancora stato pagato, già stava per andarsene
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dalla camera di D. Bosco, minacciando di far spiccare contro di lui una citazione giudiziaria. Quand'ecco un benefattore presentarsi a D. Bosco e consegnargli tremila lire, precisamente la somma necessaria per pagare quel debito. - Un'altra volta trovandomi io stesso in bisogno di dar le paghe ai muratori per le costruzioni già fatte, ricorsi a D. Bosco, ma egli nulla aveva di che darmi. Nel mentre che D. Bosco mi licenziava, dicendomi di tornare in altro momento, entrava in sua camera, se ben mi ricordo, il Conte Callori, il quale consegnò una vistosa somma che servì a meraviglia in quella critica circostanza. Da queste pagine adunque risulta l'efficacia della preghiera, la carità sorprendente delle anime buone; ma nello stesso tempo esse racchiudono un mistero di fatiche, traversie, angustie senza numero come ognuno può bene intendere, sopportate però da D. Bosco quasi scherzando. Egli scrisse un giorno al Can. Anfossi un biglietto in questi termini: “ Mio caro; son carico di debiti: fa una colletta per me, altrimenti faccio bancarotta ”. E il Can. Anfossi recatosi da lui per presentargli una elemosina negli ultimi tempi della sua vita, sentissi a dire: - In questo anno solo si fecero già quattro milioni di spese e grazie a Dio sono tutte pagate: il poco fa il molto: ho bisogno che mi aiutino come fai ora tu, anche con offerte da poco ”. E le offerte da poco venivano a lui dalle mani di persone poverette e di bassa condizione, ma tanto numerose, da sorpassare di gran lunga quanto avevano fatto tutti i ricchi insieme. Si legge nei Proverbi al Capo XIX versicolo 22: “ L'uomo che è nell'indigenza è misericordioso, provando egli ciò che sia il patire ”. A milioni furono gli esigui, ma eroici atti di beneficenza di questi umili messaggieri della divina Provvidenza. Scegliamo due fatti.
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Mentre D. Bosco era angustiato per un debito di 300 lire che bisognava pagare senza dilazione, ecco entrare in cortile un uomo di età matura il quale avvicinatosi a lui, gli disse: - Io sono un impiegato governativo in ritiro. Ho fatto qualche risparmio sulla mia pensione ed ho pensato di fare un po' di bene per l'anima mia. - Così dicendo porgeva a D. Bosco una borsa. - Ma poi lei, si è serbato qualche cosa per caso di malattia? chiese D. Bosco. - C'è la Provvidenza, concluse il bravo uomo: e poi prima di morire voglio mandarmi innanzi all'eternità qualche merito. Se verrò ammalato, ci sono gli ospedali. - E senza dire altro se ne andò. In quella borsa vi erano precisamente 300 lire. Un dì venne all'Oratorio per parlare a D. Bosco una vecchia di circa 75 anni. Egli credeva che venisse solamente per farsi scrivere una supplica da indirizzarsi a qualche autorità o a un qualche ricco signore. - No, quella rispose, ho bisogno di parlare con Don Bosco. D. Bosco la condusse in disparte, la fece sedere ed essa così prese a parlare. - Io sono una povera vecchia: ho sempre lavorato per poter vivere: aveva un figlio e mi è morto; ora non mi resta che morire io pure; non ho eredi necessarii; mio figlio prima di morire mi disse di dare in limosina tutto quello che mi fosse sopravvanzato. Ecco: ho cento franchi, risparmio di 50 anni di lavoro continuo, e li consegno a vostra signoria. Ho ancora quindici franchi e li conservo per la bara dove mi porranno dopo la mia morte. Ho eziandio un'altra piccola somma per pagare il medico. Questa sera vado a pormi in un letto e sarà affare di pochi giorni.
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- Io prendo questi 100 franchi, rispose D. Bosco, e ve ne ringrazio, ma vi assicuro che non li toccherò fin dopo la vostra morte; e perciò in qualunque occorrenza venite pure che sono vostri. - No; sia piuttosto così; io ho fatto limosina e ne ho il merito; ella si serva pure di questo danaro. Qualora io avessi bisogno verrò a domandarle limosina ed ella, facendola, ne avrà eziandio il merito. Ma lei poi verrà a vedermi ammalata? - Sicuramente! rispose D. Bosco. Il domani D. Bosco, colpito dalla carità così ingenua di quella poveretta volgeva in pensiero di andarla a visitare, ma non si ricordava più della strada e del numero dell'abitazione. Passarono due giorni, quando un'altra donna venne a chiamarlo. D. Bosco andò subito. Appena entrato nella stanza riconobbe la vecchia che sorridendo gli fe' segno di aver bisogno di nulla. - Ma sì, esclamò D. Bosco, ella ha bisogno, del resto non mi avrebbe chiamato. - Sì; ho bisogno di ricevere i SS. Sacramenti. Li ricevette tutti con viva fede e se ne morì in pace. Oh amabile carità! E D. Bosco tutti i giorni di sua vita potè ripetere: - Come è buono il Signore! Sapeva che eravamo in bisogno e ispirò alle caritatevoli persone di venirci in aiuto. - E nello stesso tempo verificavasi la promessa del Salmo XXXII “ Santi tutti del Signore temetelo, imperocchè non manca nulla a coloro che lo temono. I ricchi si trovarono in bisogno e patirono la fame; ma a coloro che temono il Signore non mancherà nessun bene ”.
CAPO XV. Le varie Compagnie nell'Oratorio - Smarrimento dei loro verbali - Due conferenze di D. Bosco tenute alla Compagnia del SS. Sacramento - Bisogno di una nuova Compagnia per gli artigiani - Un giovanetto convertito per una preghiera recitata in onore di S. Giuseppe - Divozione di D. Bosco a questo santo Patriarca - Giuseppina Pellico traduce per D. Bosco dal francese Le sette domeniche di S. Giuseppe - Istituzione della Compagnia di S. Giuseppe e suo regolamento - Frulli consolanti - D. Bosco scrive promettendo un suo artigiano per un Ospizio incipiente - 1 chierici sostegni delle Compagnie - Due lettere di D. Bosco al Rettore del Seminario e suo giudizio sulla condotta di qualche chierico.
Un mezzo potentissimo per tener viva la divozione erano le compagnie di S. Luigi, dell'Immacolata e del SS. Sacramento. D. Bosco si recava in seno or dell'una or dell'altra per farvi udire la sua desiderata e persuasiva parola. E i segretarii di ciascuna Compagnia cercavano di trascriverla il più fedelmente che fosse possibile nei loro verbali, che volta per volta redigevano. Era un vero tesoro, che andavano accumulando di massime, esempi, consigli, esor-
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tazioni, per trasmetterlo a quelli che loro sarebbero succeduti col trascorrere degli anni. Ma pur troppo le loro note non sono giunte fino a noi; invano le abbiamo diligentemente ricercate. Il mutamento dei locali dove si tenevano quelle care assemblee, per le continue fabbricazioni di nuovi edifizii; il passare di simili documenti dall'uno all'altro in mani private, che li custodivano presso di sè, perchè le sale servivano a più usi diversi; la morte di qualcuno di essi dei quali talora gli scritti o rimanevano inosservati o andavano smarriti; la santa avidità di chi, ritornando alla propria famiglia, se ne impadroniva per recare con sè una memoria della sua fanciullezza e di D. Bosco; il trasloco poi di ufficio e di casa dei segretarii, furono causa che per noi ora sono perdute. Di due sole conferenze fatte da D. Bosco alla Compagnia del SS. Sacramento, in questo anno 1859, noi abbiamo ritrovate le traccie. In queste, come sempre, D. Bosco ha di mira in primo luogo l'istruzione religiosa dei giovani, perchè basata su questa, più ferma si mantenga la loro fede. I nostri lettori saranno contenti che noi assicuriamo la perpetuità eziandio di queste idee di D. Bosco; e quindi noi qui le riportiamo.
CONFERENZA PRIMA.
Il profeta Isaia aveva annunziato che alla venuta del Signore i monti si sarebbero scossi e che i cuori più induriti si sarebbero accesi di amore. Così fu! Ma se oggigiorno dal regno dei beati volgesse i suoi sguardi sulla terra, come vedrebbe raffreddato quel sacro entusiasmo, che egli forse sperava duraturo, intenso, ognora crescente fino alla fine dei secoli! I Patriarchi e tutto il popolo Ebreo desideravano di vedere i giorni di Gesù Cristo, sospiravano di averlo in mezzo a loro,
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di essere da lui benedetti. E noi, ora che lo possediamo, che lo abbiamo nelle nostre chiese continuamente, che possiamo adorarlo presente, accoglierlo nel nostro cuore, parlare con lui, chiedergli tutto, perchè egli è padrone di tutto, come lo trattiamo? Per scuoterci dalla nostra ingratitudine, dalla nostra indifferenza, facciamoci queste due interrogazioni. 1. Che cosa fa per noi Gesù in Sacramento? 2. Che cosa dobbiamo far noi in conseguenza verso di Lui? Che cosa fa Gesù per noi celato nel SS. Sacramento? Egli continua un atto il più profondo di umiltà, per darci esempio di questa virtù così necessaria. Tutta la sua vita mortale fu, è vero, un continuo umiliarsi; ma se io lo vedo nascere in una grotta, se giace su poca paglia, io pur odo il canto degli angioli, vedo una brillante stella che lo annunzia ai grandi della terra, ai Re Magi, i quali tosto si muovono ad adorarlo; se io lo vedo fra le turbe, disprezzato e svillaneggiato dagli Scribi e dai Farisei, vedo pur anche che ovunque egli passa lo accompagnano i più strepitosi miracoli; se io lo vedo pendere dalla croce, io vedo pur anche che al suo dolore si rattrista e si sconvolge il firmamento e il sole niega la sua luce; trema ed oscilla la terra sotto i piedi della croce; i morti risorgono dalle tombe; la natura scompigliata annunzia all'universo la morte del Dio fatto uomo. Ma nel SS. Sacramento non vedo cosa che mi possa in qualche modo indicare che vi stia nascosto un Dio onnipotente e terribile nelle sue giustizie, come infinitamente buono nelle sue misericordie. E perchè ciò? Per amore degli uomini! Per potersene rimanere con noi quasi nostro eguale, per insegnarci ad essere umili... Se egli lasciasse sfolgorare un raggio solo di sua maestà, chi mai regger potrebbe innanzi a lui? ..... E poi, se così fosse, che merito avrebbe un cristiano? Il merito sta nella fede; ma se questo Dio visibilmente si palesasse sui nostri altari tosto mancherebbe ogni nostro merito di credenti. Egli vuol darci facile, affettuosa occasione di acquistarci questo merito, col credere alle sue parole, che sono parole di un amico divino. Ma quale vivezza di fede egli trova in noi? Innanzi ad un Dio così buono come dovremo giudicare la nostra indifferenza verso la sua carità? Si entra in chiesa sbadatamente; non si degna il tabernacolo di una genuflessione,
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oppure gli si fa un inchino solo per metà; alcuni paiono quegli stessi Giudei i quali, bendato Gesù, lo inchinavano per dispregio! Ah, miei cari, entrando in chiesa fissate gli occhi nel tabernacolo ove sta Gesù Cristo. Benchè non lo vediate egli è là! Ravvivate la vostra fede; pensate che quivi abita colui, innanzi al quale tremano tutte le legioni degli angioli e tutte le schiere dei santi stanno colla fronte a terra. Domando ancora: che cosa fa nostro Signor Gesù Cristo nel SS. Sacramento dell'altare? Egli prega continuamente l'Eterno suo divin Padre per noi: rattiene i suoi castighi, i suoi fulmini che ci scaglierebbe pei nostri peccati. Se nel mondo non si vedono e non si sentono più certi così terribili castighi, che piombavano sul popolo ebreo nel tempo dell'antica legge, non è già perchè i nostri peccati non siano tanto enormi, oppure che minore sia il loro numero. Anche voi sapete quali e quanti empii uomini regnino fra di noi. Chi rattiene il braccio della giustizia eterna tutti i giorni, tutti i momenti, senza intermissione ? È Gesù sui nostri altari, che specialmente nella S. Messa si offre vittima per noi. Alla vista delle sue piaghe l'angelo sterminatore rinfodera la spada...
CONFERENZA SECONDA.
Avete udito nell'ultima conferenza che cosa fa Gesù per noi nel SS. Sacramento: resta ora che esaminiamo ciò che si deve fare per lui. Egli qui se ne sta sui nostri altari in continue umiliazioni, s'immola, prega per noi; e noi dobbiamo 1. per le sue umiliazioni dimostrargli riconoscenza di una vera fede; 2. pei suoi patimenti una riconoscenza di acceso amore; 3. per le preci che di continuo porge per noi una riconoscenza di perfetta contrizione. 1. Egli, Dio così grande, se ne sta nascosto, annientandosi sotto le specie di poco pane e di poco vino. Questo suo abbassamento dovrebbe essere agli uomini di stimolo per crederlo più fermamente Dio d'amore, che per solo amore, ed amore per chi poco lo ama, così si umilia. Eppure quanti sono mai gli eretici, che per questo appunto che non veggono alcuna apparenza di divino, osano negarlo in Sacramento.....
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Vorrebbero costoro vedere co' proprii occhi la divina faccia di Gesù Cristo, vorrebbero sentire le angeliche armonie di tutti quelli spiriti beati, che di continuo gli fanno corona. Ma sappiano costoro che, chi non crede alla parola di Gesù Cristo, non vedrà mai la sua faccia, e sarà condannato. Sconoscenti, ingrati, di dura cervice, della stessa razza di quei perfidi Ebrei, i quali, non potendo negare i miracoli, che Gesù Cristo in loro presenza andava operando, dicevano che tali miracoli egli operava in virtù del demonio. In tal modo adunque, o mio Divin Salvatore, vi viene dagli uomini pagato il vostro abbassamento ? Ah! mio Gesù! È vero che vi sono alcuni tanto ingrati, che non vi riconoscono, ma fra tanta ingratitudine vi sono moltissime anime, vi sono tutti questi giovanetti, che vi credono con tutta la forza del loro cuore, vivo e vero presente nel SS. Sacramento. Sì, credono che voi siete il figlio dell'eterno Padre, del Dio vivente, padrone assoluto di tutto il creato: vi credono vero figlio di Maria da cui nasceste per liberarci dagli artigli dell'infernal nemico ..... 2. O tempi felici della primitiva Chiesa in cui quei fervidi campioni di Cristo cotanto si segnalavano per la loro carità, quanto siete mai desiderati ai giorni nostri. Qual fosse l'amore dei primi cristiani verso Gesù Cristo nel SS. Sacramento si può apprendere dalla storia. Non dimenticavano un solo istante il Calvario e la Croce. Con qual riverenza, con quale adorazione, con quale divoto raccoglimento essi stavano al suo cospetto, andavano a visitarlo, assistevano al S. Sacrifizio, facevano la comunione! In quei sacri templi chi piange di gioia, chi manda dal petto affocati sospiri, chiètratto come in estasi fuori di sè. Verginelle ed innocenti fanciulli inneggiando al Divino Agnello, come si fa dagli Angioli nella celeste Sionne, par loro lento a venire quel fortunato istante in cui possano stringere al seno il loro Gesù. E con Gesù nel cuore,èper amor suo, che li vedete andare incontro eroicamente ad un glorioso martirio e col sangue e colla vita, render grazie a Gesù di quel sangue e di quella vita che Egli ha consumata per loro sulla croce. Ma ohimè! Volgendo i miei sguardi da quei cristiani ai cristiani di oggidì, qual differente spettacolo non mi si affaccia! che rilassatezza, che freddezza, che negligenza nel mortificare i proprii sensi! Ma se non vale ad accendere d'amore i nostri cuori quel che tanto ha fatto e
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sofferto per noi il Divin Salvatore Gesù, che cosa mai potrà accenderlo? 3. In ultimo le preci che Gesù porge per noi devono spingerci a dimostrargli una riconoscenza di perfetta contrizione. E chi mai non avrà da rimproverarsi di qualche irreverenza, se volge i suoi pensieri alla vita passata? Quanti mancamenti di rispetto alla sua presenza, quante distrazioni! Quante comunioni fatte con un cuore freddo, indifferente, fatte solo forse per convenienza, per non dar nell'occhio! Chi sa ancora che qualche volta non si abbia rinnovato il tradimento di Giuda col sacrilegio! E Gesù fu sempre così buono, così compassionevole per la nostra miseria! Ah! ognuno vi pensi un po' sul modo col quale ha trattato Gesù e risolva per l'avvenire di accendere nel suo cuore una fede viva in riconoscenza delle tante umiliazioni a cui per nostro amore si assoggettò questo nostro buon Dio; di far ardere il suo cuore d'amore verso questo buon Gesù per i patimenti che gli tocca soffrire nel SS. Sacramento dagli ingrati suoi figli; di eccitarci ad un vero pentimento di tutti i nostri peccati, in riconoscenza delle preghiere che porge al suo Eterno Padre per noi ......
Mentre così D. Bosco animava al bene i soci del SS. Sacramento, vedeva non essersi nell'Oratorio provveduto ancora abbastanza colle Compagnie ai bisogni di tutte le classi degli alunni. Per gli adulti interni di virtù soda, era la Compagnia dell'Immacolata, che li esercitava nella carità spirituale verso i compagni e ai quali udimmo D. Bosco proporre affettuosamente come modello S. Giovanni Evangelista, il quale aveva meritato per la sua innocenza e per il suo zelo di ricevere in custodia Maria SS. Per i suoi catechisti, sia interni sia esterni, stavano le conferenze aggiunte di S. Vincenzo de' Paoli, del quale Santo egli descriveva l'industriosa carità. La Compagnia del SS. Sacramento col Piccolo Clero era esclusivamente formata dagli studenti. Quella di San Luigi avrebbe dovuto abbracciare tutti i giovani interni ed esterni, ma il numero considerevole degli studenti che vi
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erano ascritti, la diversità degli orarii, il prudente consiglio di non togliere ai giovani qualche tempo di ricreazione nei giorni festivi, la diversità di inclinazione, istruzione e dimestichezza faceva sì, che pochi fossero talvolta gli artigiani che la frequentassero. D. Bosco adunque deliberò che pure gli artigiani avessero una compagnia loro propria, alla quale sarebbero stati aggregati i più volenterosi del bene; e fu quella di S. Giuseppe modello del buono, laborioso e cristiano operaio. D. Bosco era certo che i suoi cari artigiani, ascoltando nelle conferenze istruzioni convenienti al loro stato, sentirebbonsi portati alla pietà ed alla divozione. Una sera raccontava loro quanto S. Giuseppe amasse i giovanetti. - Or son pochi anni, ei diceva loro, un povero garzone della città di Torino, il quale non aveva ricevuto nessuna istruzione religiosa, andò un giorno a comperare un soldo di tabacco. Ritornato fra i suoi compagni, che lo aspettavano, volle leggere quel pezzetto di carta stampata nel quale il tabacco era stato involto dal bottegaio. Era un'orazione a S. Giuseppe per ottenere una buona morte. Stentava il buon giovane a comprenderne il senso, eppure era così commosso da quel poco che intendeva, da non poter staccare gli occhi dalla carta. I suoi amici, spinti dalla curiosità, avrebbero voluto ancor essi leggerla, ma egli se la nascose in seno e prese a divertirsi. Era per altro impaziente di rileggere quell'orazione tanta era l'ineffabile dolcezza, che aveva provato nel leggerla la prima volta. Infatti la studiò tanto che la ritenne a memoria e la recitava ogni giorno, ma quasi materialmente, senza intenzione formale di ottenere qualche grazia. S. Giuseppe non fu insensibile a quell'omaggio, direi involontario: toccò il cuore di quel povero giovane, il quale,
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essendosi presentato a D. Bosco, gli procurò la fortuna inestimabile di ricondurlo a Dio. Il giovane corrispose alla grazia: ebbe il tempo d'istruirsi nella religione, che fino allora aveva trascurata non conoscendola, e potè far bene la sua prima comunione; ma poco dopo cadde in una malattia della quale morì, lodando ed invocando il nome di S. Giuseppe, che a lui aveva ottenuto pace e consolazione in quegli estremi momenti. La parola di D. Bosco era di fuoco perchè accompagnata dall'esempio. Non è a dire quanto egli amasse S. Giuseppe e lo dimostrò con atti continui in tutta la sua vita, come ce ne fanno testimonianza gli allievi più illustri di tutti i suoi tempi. Lo aveva nominato tra i patroni dell'Oratorio, aveva messi gli artigiani sotto la sua protezione, e lo aveva proclamato eziandio protettore degli esami per gli studenti. A lui ricorreva ne' suoi bisogni ed esortava gli altri ad invocarlo. Più volte parlava lungo l'anno alla sera dell'efficacia della sua intercessione, faceva celebrare la festa del Patrocinio nella terza Domenica dopo Pasqua e soleva prepararvi gli alunni con fervorini di un'unzione particolare. I giovani santificavano il mese dedicato a questo Santo in chiesa, o individualmente, o uniti in gruppi senza averne alcun obbligo di regola, ma tanta era la loro divozione da lui instillata, che quasi tutti prendevano parte alla pia pratica. D. Bosco poi nelle chiese che edificò volle sempre fosse dedicato un altare a S. Giuseppe. Godette molto e dimostrò una grande contentezza allorquando il Papa Pio IX lo proclamò Patrono della Chiesa Universale; e nel 1871 dichiarò che in tutte le sue case si dovesse farne la festa il giorno 19 marzo dagli studenti e dagli artigiani con perfetto riposo in ogni lavoro. In quegli anni, in Piemonte, il 19 marzo era cancellato dal numero dei giorni festivi.
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Di questa sua divozione costante dava prova nel 1859, aggiungendo nel Giovane Provveduto una pratica in memoria dei sette dolori e delle sette allegrezze di S. Giuseppe; una preghiera allo stesso per ottenere la santa virtù della purità; un'altra per impetrare una buona morte e bellissime laudi sacre in suo onore. Nel regolamento poi dell'Oratorio festivo, metteva la seguente nota nella parte 3 a, capo v. “Nelle sette Domeniche precedenti alla festa di S. Giuseppe avvi Indulgenza Plenaria per chi si accosta al santo Sacramento della confessione e comunione; perciò se ne dia avviso per tempo e si indirizzano ai giovani speciali parole d'incoraggiamento ”. Di ciò non contento incaricava la sorella di Silvio Pellico a tradurre dal francese un opuscolo intitolato: Le sette Domeniche di S. Giuseppe, che intendeva dare alle stampe e divulgare tra il popolo. Pubblichiamo una lettera di questa buona signora scritta sul principiar dell'inverno intorno a detto opuscolo.
Ill.mo e Molto Rev.do,
Giacchè andò a monte il piacere ch'io sperava di veder la S. V. Ill.ma alla mia casa di campagna, mi permetta ch'io La ringrazi dell'onore che degnavasi procurarmi. Sembrandomi che per correggere quella piccola mia traduzione delle Sette Domeniche di S. Giuseppe Le sia necessario il testo francese, feci cercare in Torino quell'opuscoletto, ma non c’è; Le invio pertanto il qui unito, il quale, quantunque cosa sì da poco, desidererei riavere, perchè, come vede, lo tengo dall'autore; perciò mi raccomando. V. S. Ill.ma che ha tante conoscenze, deh! guardi di ricoverare Hinger in qualche modo per quest'inverno che s'avanza! Come farà egli con niente? vorrebbe lavorare, ma con niente non si può fare niente.
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V. S. dirà con ragione, ch'io sono importuna; ma no, non lo dirà, perchè V. R. ha la carità nel cuore, e a quest'ora saprà da Hinger stesso, che per aver già fatto per lui il più ch'io potei, sono ora indebitata non poco, e che da più di quattr'anni son perseguitata dalla grandine e da altre avversità. Siane lodato Iddio, sì, ma non mi restano mezzi per aiutare ancora quel poveretto. Cosa c'entro io, mi dirà V. R. e cosa posso fare? Ah! prenda la cosa a cuore e qualche Provvidenza l'aiuterà! Mi perdoni per amor di S. Giuseppe, soccorra Hinger per amor di S. Giuseppe, e S. Giuseppe proteggerà ognor più il suo Stabilimento e benedirà le sue fatiche. Colla più viva fiducia, ho l'onore rassegnarmi con profondo rispetto Della S. V. Ill.ma e M.to Rev.da 27 ottobre 1859 Umil.ma, dev.ma ed obbligat.ma serva GIUSEPPINA PELLICO.
Per la venerazione adunque che D. Bosco professava a S. Giuseppe, preparavasi a stabilire una Compagnia in suo onore. Il Ch. Bonetti Giovanni, che aveva per un anno fatti gli studii di filosofia nel Seminario di Chieri, attratto dall'amore che portava a D. Bosco e dalla memoria della vita incantevole di famiglia che si godeva presso di lui, era tornato nell'Oratorio. Ora essendogli stata affidata l'assistenza degli artigiani, conoscendo egli le intenzioni di D. Bosco, chiedeva ed otteneva di poter dare principia ed ordine a tale Compagnia. Annunciato il progetto ai giovani artigiani, questi lo accolsero con vivo piacere. Moltissimi risposero premurosi all'appello e il giorno dell'iscrizione, probabilmente il 20 marzo, Domenica, diede luogo ad una bella festa religiosa e ricreativa. Da quel punto la Compagnia di S. Giuseppe ebbe continua e prospera vita fino ai giorni nostri.
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D. Bonetti ne pose le basi con un regolamento ispirato e corretto da D. Bosco, al quale poi si fecero varii cambiamenti, ma lo spirito rimase sempre lo stesso. Nel modo seguente era ideata la nuova Compagnia:
I.
SCOPO DELLA COMPAGNIA DI S. GIUSEPPE.
Scopo di questa Compagnia è di promuovere la gloria di Dio e la pratica delle virtù cristiane specialmente nei giovani artigiani educati nell'Ospizio di S. Francesco di Sales.
II.
MEMBRI COMPONENTI LA COMPAGNIA.
La Compagnia sarà composta d'un Presidente, Vice - Presidente e d'un Segretario nominati dal Direttore dell'Istituto. Membri effettivi potranno essere pertanto i giovani artigiani, i loro Maestri d'arte, Assistenti, Catechista e tutti quelli, che soddisferanno alle condizioni in appresso indicate.
III.
CONDIZIONI D'ACCETTAZIONE.
Per far parte di questa Compagnia è necessario: 1. - Che il giovane faccia apposita domanda diretta o mediata al Presidente della medesima. 2. - Che sia stato ammesso alla santa Comunione. 3. - Che abbia dato prove di buona condotta per due mesi. 4. - Che sia giudicato idoneo dai membri componenti la Direzione della Compagnia, e v'intervenga l'approvazione del Superiore dell'Istituto. 5. - Che abbia lette le Regole della medesima e prometta di osservarle. 6. - Sarà aspirante per due mesi; dopo i quali, se avrà data prova d'idoneità, verrà inscritto nel registro dei Soci effettivi. 7. - Nel giorno di sua accettazione si accosterà ai SS. Sacramenti, riceverà la medaglia benedetta di S. Giuseppe, coll'attestato di ammissione.
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Si raccomanda a tutti di portare divotamente al collo questa medaglia, anche per lucrare le molte indulgenze che vi sono annesse.
IV.
REGOLE GENERALI.
I giovani che fanno parte della Compagnia di S. Giuseppe, confidando nel potente aiuto di questo gran Santo, promettono: 1. Di osservare diligentemente tutte le Regole dell'Istituto. 2. Di prestare un'esatta ubbidienza ai Superiori, ai quali si sottomettono con una illimitata confidenza; e di edificare i compagni, sia col buon esempio, sia ammonendoli caritatevolmente colle parole ogni qualvolta se ne presenti l'occasione, eccitandoli al bene e distogliendoli dal male. 3. - Di adoperarsi colla massima carità per impedire le risse ed ogni sorta di dissenzioni tra i compagni in qualsiasi luogo o circostanza. 4. - Di evitare rigorosamente, e di impedire, o per sè, o per mezzo di altri, i cattivi discorsi e qualsiasi altra cosa contraria alla modestia. 5. - Di avere in abbominazione l'ozio, procurando che siano ben occupati tutti i momenti della giornata. 6. - Di vincere il rispetto umano, non facendosi schiavi di vani od immaginari timori. 7. - Di mortificare i sensi esterni per potersi conservare puri e casti nei pensieri, nelle parole e nelle opere, ad imitazione di S. Giuseppe, che fu il primo ad offrire a Dio con voto la sua purità, e meritò d'essere Custode della stessa purezza, Gesù Cristo.
V.
REGOLE PARTICOLARI.
Non vi sono preghiere speciali; nulladimeno raccomandiamo queste poche pratiche: 1. - La frequenza ai SS. Sacramenti una volta alla settimana o almeno ogni quindici giorni. 2. - Di onorare in modo particolare il nostro Patrono San Giuseppe nelle sue feste, come sarebbe il santo suo sposalizio
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(23 gennaio), il giorno della preziosissima di Lui morte (19 marzo) ed il suo Patrocinio (III Domenica dopo Pasqua). Sarà cosa ottima fare precedere a tali feste, una novena di Comunioni in onore del Santo. 3. - Di fare qualche pratica di pietà nel mese di S. Giuseppe, alla quale potranno prendere parte anche quelli non ascritti alla Compagnia. 4. - In tutte le solennità dell'anno i figli di S. Giuseppe, procureranno d'accostarsi divotamente alla Santa Comunione. 5. - Avvenendo il caso che alcuno dei soci ammalasse, il Presidente ne parlerà nella prossima conferenza, affinchè si facciano preghiere speciali per lui. 6. - Se sarà opportuna la notturna assistenza, il Presidente potrà darne avviso a due dei membri della Compagnia, che compiano sì bell'opera di carità; e se il malato continua ad averne bisogno, i soci compiranno questo ufficio, due per ciascuna notte, come crederà meglio il Direttore. 7. - Se il compagno infermo passasse all'altra vita, i Soci, col consenso del Direttore della Casa, assisteranno al funerale, e ne accompagneranno il cadavere alla sepoltura. Si farà da ciascun membro la Comunione in suffragio del medesimo, e nella prossima conferenza, invece di altra opera di carità, si reciterà la terza parte del Rosario pel compagno defunto. Per tranquillità di ciascuno si dichiara che le suddette regole, per se stesse, non obbligano sotto pena di colpa neppur veniale, se non in quelle cose che fossero già in questo senso comandale o proibite dai precetti di Dio e della Chiesa.
VI.
REGOLAMENTO PER LE CONFERENZE.
1. - I membri della Compagnia di S. Giuseppe si raduneranno una volta alla settimana, assistiti dal Presidente. Durante l'ingresso si farà lettura di un tratto della vita di S. Giuseppe, o di qualche altro libro edificante. 2. - Si aprirà la Conferenza coll'invocazione dello Spirito Santo e colla chiama di tutti i Soci effettivi ed aspiranti. 3. - Nelle Conferenze si tratteranno cose spettanti al culto di S. Giuseppe, l'imitazione delle sue virtù, la diffusione di buoni
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libri; insomma s'inculcherà tutto ciò che riguarda il benessere spirituale e materiale dei Soci della Compagnia. 4. - Nelle Conferenze si faranno proposte di Postulanti, ed i membri componenti la Direzione potranno dare il loro parere sull'Accettazione degli Aspiranti, di cui il Presidente ne terrà conto, mentre potrà rimandare l'accettazione o farla come giudicherà meglio nel Signore. 5. - Le Conferenze in generale saranno brevi e si chiuderanno con un Pater, Ave, Gloria, Versetto ed Oremus in onore di S. Giuseppe. 6. - Ogni mese si renderà conto al Superiore della Casa di quanto si è fatto nelle Conferenze, dell'aumento o diminuzione dei Soci, dell'osservanza delle Regole e del progresso della Compagnia.
Tale fu il regolamento della Compagnia di S. Giuseppe, il quale così assegnava gli uffizi ai membri componenti la Direzione. - Era ufficio del Presidente convocare le adunanze della Compagnia, di aver cura dell'istruzione religiosa dei soci e di promuovere, con tutti quei mezzi che la prudenza gli suggeriva, il maggior progresso spirituale e materiale che gli fosse possibile tra i confratelli. - Il Vice - Presidente doveva supplire il Presidente ogni volta che questi fosse impedito di presiedere le radunanze, e coadiuvarlo in tutte quelle cose, che non potesse disimpegnare. Il Segretario aveva l'incarico di notare le assenze dei soci ed aspiranti, di tener conto del soggetto di ogni conferenza e dei punti principali di esse, stendendone il verbale per poscia trasportarlo su apposito registro. A lui spettava eziandio notare quanto accadeva di più importante riguardo alla Compagnia e tenere un elenco esatto di tutti i soci ed eziandio degli Aspiranti. - I Consiglieri e Decurioni dovevano invigilare, affinchè i Soci osservassero esattamente il Regolamento della Compagnia.
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Per dare la dovuta importanza a questa Compagnia furono dichiarati membri onorarii i Superiori maggiori dell'Oratorio e fu dessa equiparata a quella di S. Luigi. Mentre per essere membri delle Compagnie dell'Immacolata, del SS. Sacramento e del Piccolo Clero bastava farsi iscrivere; per appartenere alla Compagnia di S. Giuseppe, dovevasi recitare una formola di adesione (I). I benedetti risultati di questa nuova Compagnia appariranno evidenti dal complesso delle nostre pagine, e fin d'allora erano prevedibili per la buona condotta di gran parte degli artigiani. Era questa talmente nota che di essi facevasi richiesta in varii laboratori ed Istituti del Piemonte, e poi dell'Italia e di molte altre parti del mondo. Dei nomi di questi vi sarebbe da fare un elenco sorprendente.
(I) I postulanti si mettevano in ginocchio avanti all'altare o ad una statua del Santo. Un sacerdote vestito di cotta e stola, invocato lo Spirito Santo col canto del Veni Creator, Versetto ed Oremus, si voltava verso i postulanti e loro indirizzava le seguenti domande alle quali erano date analoghe risposte. D. Fratelli miei che dimandate? R. Noi dimandiamo di essere ammessi alla Compagnia di S. Giuseppe. D. Conoscete le regole di questa Compagnia? R. Le conosciamo avendole lette con attenzione, e, fiduciosi nell'aiuto di Dio e di Maria SS., speriamo di poterle osservare. D. Per quale scopo volete farvi ascrivere a questa Compagnia? R. Per farci un tenore di vita cristiana sotto la protezione di S. Giuseppe coll'imitarlo nelle sue virtù, massime nella castità e nell'ubbidienza. D. Quale è il fine principale che più d'ogni altro vi stimola ad entrare in questa Compagnia? R. Il fine principale si è di meritarci la protezione di S. Giuseppe nei pericoli della vita e massimamente la sua assistenza in morte. Sac. Il Signore benedica questo vostro ottimo proposito e la Vergine Santissima vi aiuti a conservarlo sino alla fine di vostra vita. Mettetevi con grande impegno ad osservare le Regole della Compagnia: e siate persuasi che S. Giuseppe vi sarà protettore in vita e specialmente in punto di morte. Ciò detto i postulanti proferivano la seguente formola:
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Abbiamo ancora una lettera di quest'anno, scritta da D. Bosco ad un fondatore di un ospizio di carità che gli chiedeva un artigiano.
Carissimo nel Signore,
L'aspetto torbido delle cose politiche mi hanno fatto indugiare alquanto a rispondere alla venerata di Lei lettera. Dirò adunque: Qualora si continui nel progetto mentovato, io Le potrei mandare uno de' miei giovani, non famoso calzolaio, ma capace di tagliare e fare l'oggetto di sua arte. Riguardo alla condotta, spero, non vi saranno lagnanze, ad eccezione che decada dall'attuale maniera di vivere. Le farò trarre copia del regolamento di questa casa e glielo farò tenere. Per la radunanza festiva sarebbe me-
Io…………………………. prometto di fare tutto quello che posso per imitare S. Giuseppe Sposo di Maria, la più pura delle Vergini; epperciò di fuggire i cattivi compagni, di evitare i discorsi osceni, di animare gli altri alla virtù colle parole e col buon esempio. Prometto altresì di osservare tutte le Regole della Compagnia. Questo spero di eseguire coll'aiuto del Signore e colla protezione del Santo. Fatta questa solenne promessa tutti insieme i nuovi soci dicevano: Nei nostri bisogni spirituali e temporali ricorreremo con illimitata confidenza al Santo e gli diremo: Glorioso S. Giuseppe, nostro Protettore, vi supplichiamo di rivolgere i vostri occhi benigni sopra i nostri presenti bisogni ed apportarci quei soccorsi che Voi vedete migliori per la salute dell'anima nostra. Ricordatevi, o purissimo Sposo di Maria Vergine, o dolce Protettor nostro S. Giuseppe, che mai non si udì aver alcuno invocata la vostra protezione e chiesto aiuto da Voi, senz'essere stato consolato. Con questa fiducia noi veniamo al vostro cospetto, ed a Voi fervorosamente ci raccomandiamo. Deh! non abbiate in dispregio le nostre preghiere, o Padre putativo del Redentore, ma ricevetele pietosamente ed esauditele. Così sia. Gesù, Giuseppe e Maria, Vi dono il mio cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia. - Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con Voi l'anima mia. I nuovi soci, dopo avere scritto il loro nome e cognome sopra un registro, ricevevano la medaglia di S. Giuseppe, quindi il. Sacerdote faceva una breve morale esortazione, e la funzione terminava col canto: Laudate Dominum omnes gentes.
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stieri parlarci; perciò se mai venisse a Torino faccia di poter passare qualche giorno festivo con noi e vedrà come ce la caviamo in nomine Domini. Quando ci sia qualche cosa di fatto mel dica e si Dominus dederit, Le andrò a fare una visita. Qualora gradisse meglio un giovane sarto l'avrei pure. Umili saluti all'intrepido D. Fenoglio. A tutti e due gran coraggio nel Signore. Faccia un milione di associati alle Letture Cattoliche; preghi per me e per li miei poveri figli; mentre mi professo Di V. S. C.ma nel Signore Torino, 3 aprile 1859 Obbl.mo Servitore Amico Sac. Bosco G.
Ed ora finiamo questo capitolo con una osservazione. Se della compagnia di S. Giuseppe e di tutte le altre era anima la frequenza alla SS. Comunione, la formazione, l'incremento e il vincolo che stringeva i membri di tali istituzioni, si deve attribuire allo zelo ed al buon esempio dei chierici. Don Bosco quasi ogni settimana li radunava in sua camera ad intime conversazioni nelle quali inculcava loro le sue idee, dava norme perchè mantenessero un'illibata condotta; e descrivendo le virtù di S. Francesco di Sales, non di rado faceva caldi elogi della sua dolcezza, purità e spirito di sacrificio nell'adoperarsi in ogni modo e a costo della stessa sua vita per la salvezza delle anime. Questi chierici oggetto delle sue più tenere cure se gli era tirati su lui fin dalla prima loro età e corrispondevano ai ricevuti insegnamenti. E non doveva essere diversamente; poichè egli non ammetteva nel suo clero o in quello dei Seminarii, se non quei giovani che davano sicurezza di buona riuscita; e li aiutava in ogni modo nel conseguimento dei loro santi desiderii.
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Così egli scriveva al Can. Vogliotti Rettore del Seminario e Provicario diocesano:
Ill.mo Signor Rettore,
Il chierico Alasia da Sommariva, seminarista di Chieri, mi scrive che gli è fatta dimanda della pensione. Egli andò in Seminario nella speranza di averla gratis, siccome Ella avevami fatto sperare. Io mi raccomando affinchè V. S. venga al medesimo in aiuto, altrimenti, non potendo pagarsi nemanco un soldo, sarebbe costretto di andarsene a casa. - Il Chierico Bonetti la godeva intiera l'anno scorso; Ella mi ha fatto sperare che prendendo io in casa il Bonetti, l'avrebbe trasferita al giovane Chierico Alasia. Pieno di fiducia nella sua bontà mi professo con pienezza di stima Di V. S. Ill.ma Da casa, 6 aprile 1859 Obl. Servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Coloro poi che non tenevano buona condotta, li escludeva senza riguardi dallo stato clericale, dando al Superiore ecclesiastico informazioni sincere. Egli aveva risposto ad una domanda del sopraddetto Rettore del Seminario in questi termini:
Ill.mo e molto Rev.do Signor Rettore,
Sono un po' imbrogliato a dare notizie del giovane……di…... Le dirò coram Domino le cose siccome le conosco. Di studio bene, di condotta mediocre e fu licenziato dalla casa per motivo da non nominarsi fra i cristiani. Quivi ha fatto fino alla Rettorica inclusivamente; e può darsi che da due anni, da che non è più qui, abbia tenuto miglior condotta e perciò si meriti speciale onorevole raccomandazione.
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Credo che tali informazioni basteranno, disposto a spiegare le cose più minutamente qualora ne faccia mestieri, mentre mi professo con gratitudine Di V. S. Ill.ma Da casa, 15 marzo 1859 Obbl. Servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
N. B. Quando detto giovane si presentò per l'esame di Vestizione, io gli rifiutai la fede di buona condotta; ed egli andò a farsela fare dal suo Curato.
CAPO XVI. Qualche norma ai catechisti per l'insegnamento della Dottrina Cristiana - Studio e spiegazione del Nuovo Testamento: lezioni di eloquenza sacra: il predicatore impreparato - La scuola di sacre cerimonie - Varie conferenze settimanali a tutti gli studenti - Istruzioni intorno alla buona creanza e convenienza di queste - D. Bosco modello di perfetta educazione - Urbanità e carità nel parlare e nell'ammonire - Tacere e riflettere se l'animo è agitato: una ridicola sfuriata - Buona creanza nelle azioni: D. Bosco e il giuoco della cavallina - Delicatezza colla quale D. Bosco avvisa alcuni giovani per qualche atto incivile - Cortesie nell'accogliere in casa i visitatori - Traccia di una commedia che insegna il galateo - Profitto dei giovani nell'attendere alle esortazioni di D. Bosco - Elogio.
L’uomo saggio si rende amabile con sue parole dice l'Ecclesiastico: ed è perciò che persuade e attira a far la sua volontà quelli che lo ascoltano. Tale era D. Bosco e questa amabilità inculcava al suoi coadiutori, ripetendo a loro per assicurare il buon andamento della Comunità: - Parlate, parlate! - Ed è per questo santo fine che moltiplicava le occasioni di parlare
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non solo per sè stesso, ma anche per i Superiori della Casa, e per varii santi preti della città, pieni del suo spirito che invitava ad intrattenersi nell'Oratorio. Costoro parlavano in sua vece quando egli era assente o impedito, si facevano eco della sua parola, ricordando le sue massime, e si adoperavano perchè fossero appagati i suoi desiderii. D. Bosco adunque oltre le prediche, l'esposizione delle vite dei Papi, il discorsetto della sera, le conferenze alle Compagnie, la lettura settimanale dei voti meritati dagli studenti, l'esposizione e spiegazione del regolamento della casa, radunava i suoi alunni per esporre loro argomenti di molta importanza che riguardavano l'educazione religiosa e civile. Sono cose che non bisogna dimenticare, e che qui le esponiamo perchè il dirle altrove non cadrà in taglio. In primo luogo diremo del catechismo. A quando a quando D. Bosco, per lo spazio di almeno vent'anni dal 1846 al 1866, soleva radunare i suoi chierici e i giovani più adulti e più buoni per insegnar loro il modo di fare con profitto il catechismo ai loro compagni esterni ed anche interni. La sagrestia era il luogo preferito per queste radunanze. Sovente spiegava il Regolamento degli Oratorii festivi. Raccomandava ai maestri che in tempo di catechismo, stessero in piedi per dominare colla persona i ragazzi seduti, per poterli veder tutti, e così ottenere con facilità il silenzio Insisteva pure che le risposte al catechismo si accompagnassero con qualche brevissima riflessione senza perdersi in ispiegazioni che non sarebbero capite. D. Savio Angelo e Villa Giovanni ci narrano il bene che facevano queste radunanze e aggiungevano come egli nelle scuole domenicali e serali impiegasse più ore alla settimana nel raccontare ai giovani con molto gusto e riverenza, i fatti della Sacra
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Scrittura, citando i Libri Santi, per ragionare colla stessa parola di Dio. Così continuava gli insegnamenti che avevano uditi in chiesa da valenti Teologi del Convitto mandati da D. Cafasso nelle Domeniche. Anche i giovani interni divisi per classi avevano in chiesa il catechismo domenicale. Ma oltre a ciò, D. Bosco procurava che fosse loro assegnato settimanalmente da studiare a memoria circa un capitolo della Dottrina Cristiana, da recitarsi dagli artigiani nella lezione, che ricevevano alla sera di ogni Domenica; e dagli studenti nelle loro scuole. Questi non erano ammessi all'esame finale delle materie scolastiche se non avevano ottenuta la promozione nell'esame di catechismo, esame dato dagli stessi insegnanti regolari oppure da loro presieduto. E ciò perchè gli scolari si avvezzassero a dare la prima importanza all'insegnamento, religioso sopra l'italiano, il latino, il greco e le altre materie accessorie. Ai chierici delle scuole di teologia, ed eziandio a quelli dei due corsi di filosofia, aveva ordinato che ogni settimana studiassero dieci versicoli del Nuovo Testamento e li recitassero letteralmente al mattino del giovedì, nel refettorio, in tempo di colazione. Questa usanza ebbe principio nel 1853. Quando D. Bosco entrò nel refettorio per inaugurarla, tutti i chierici tenevano in mano il volume della volgata latina, e lo avevano aperto, osservando le prime linee del Vangelo di S. Matteo. Liber generationis Iesu Christi filii David. Di qui pareva che necessariamente D. Bosco avrebbe dovuto incominciare, ma egli recitato l'Actiones, prese a dire: - Vangelo di San Matteo, CAPO XVI V. 18 - Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. Et tibi dabo
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claves regni coelorum: et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in coelis; ci quodcumque solveris super terram, erit solutum et in coelis. Descritta quindi con poche parole l'autorità del Romano Pontefice, assegnò per lo studio in quella prima settimana i primi dieci versicoli del Vangelo che aveano tra le mani. Per più anni egli medesimo presiedette a questa recita facendovi una breve spiegazione letterale con pochi, ma veramente magnifici, commenti, concludendo con una massima che eccitava l'amore verso Dio ed era norma di condotta. Questa sua parola dotta ed attraente, piaceva così ai chierici, che lungo la settimana tutti aspettavano che venisse il giovedì. Verso il 1857 essendo egli sovente trattenuto fino a tarda ora nel confessionale, si fece sostituire dal Ch. Rua Michele; nel 1863 diede questo incarico a D. Ruffino Domenico e poi successivamente a varii altri, ma egli di quando in quando assisteva a queste radunanze e talora le presiedeva. A questo esercizio, detto volgarmente Testamentino egli talora aggiungeva qualche osservazione sull'importanza e sul modo di annunziare la parola di Dio; raccomandando una semplicità e chiarezza nel dire, atta a fare impressione nei cuori. La salvezza delle anime, ei ripeteva, dover essere l'unico fine del predicatore. Per questo motivo uscì un giorno in una singolare espressione udita da D. Cerruti Francesco. I chierici davanti a D. Bosco ridevano delle esagerazioni lette nei sacri sermoni dei Secentisti, ed egli loro diceva: - E se in quel secolo fosse stato necessario quello stile e quelle figure per ottenere ascolto dal popolo e per far frutto di anime, che cosa ci sarebbe a ridire? Io trovo che avrebbe fatto male, chi altrimenti si fosse regolato.
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Altra volta discorreva della diligente preparazione richiesta, e dell'ordine della materia da esporsi prima di salire il pulpito. E condiva il suo discorso con fatti ameni, che dimostravano la misera figura alla quale si esponeva un Sacerdote trascurato o inetto nel compimento di questo suo stretto dovere. Noi eravamo presenti allorchè prese a narrare: - Un cappellano era conosciuto per la sua gran bonomia. Per dipingerlo basta accennare al metodo classico, oltre ogni dire, che teneva nel predicare. Saliva il pulpito e cogli occhi chiusi e colle mani posate sul parapetto della cattedra faceva l'esordio. Ogni volta che predicava passava in rassegna il decalogo: - Guardate, incominciava, sarò breve, molto breve: Sappiate adunque che il Vangelo di quest'oggi... (ma là quelle donne! lo so bene che voialtre donne avete la lingua lunga, ma almeno alla predica state zitte)... Dunque il Vangelo di quest'oggi racconta la moltiplicazione dei pani. Guardate perciò di andarvi a confessare perchè questo precetto si può anche ricavare dal Vangelo d'oggi. Incominciate dal far l'esame sul primo comandamento... (Ma eih, tu, sacrestano prendi un po' lo spegnitoio e va a regalare due colpi di canna a quella ragazzaccia là)... e facendo l'esame di coscienza visto il primo comandamento, passate a riflettere sul secondo... (Ma non c’è verso farli star queti quei fanciulli all'altar maggiore? ... ) Continuando il nostro argomento osservate se avete ubbidito al terzo precetto... E così proseguiva non già spiegando ma recitando i dieci comandamenti. Diceva di esser breve, ed era breve davvero giacchè non istava mai in pulpito più di dieci minuti. Quando la popolazione si aspettava che incominciasse egli già scendeva dal pulpito. Ora che ve ne pare di questo tratto d'eloquenza? quai frutti può recare? sdegno, risa
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o sonno! E così accade sempre o per un motivo o per l'altro a chi sale in pulpito senza preparazione, con scapito grande delle anime e tremenda sua responsabilità al tribunale di Dio. Si riconosca questo dovere del Sacerdote e si raccoglierà larga messe. - “Appartiene all'uomo, sta scritto nei Proverbi al capo XVI, preparare l'animo suo (collo studio, la meditazione e la preghiera): e al Signore governare la lingua (colla sua grazia) ”. Si ponno annoverare tra le conferenze la scuola di Sacre Cerimonie ai chierici. D. Bosco stesso la incominciò, e la proseguì per vario tempo il Teol. Bertagna Giov. Batt. Verso il 1857 D. Gherardi vice - curato di Santa Maria si assunse volentieri questo insegnamento, poichè i chierici dell'Oratorio erano stati aggregati al clero della sua parrocchia e nelle feste solenni vi si recavano per servire alle sacre funzioni. Avendo tempo libero insegnava anche a tutti i giovani ricoverati le cerimonie per servire le messe private, benchè vi fossero altri maestri deputati ad esercitarli in questo nobilissimo ufficio. D. Bosco infatti esigeva che ogni suo alunno servisse la Santa Messa e sapesse servirla bene. I chierici amavano D. Bertagna e D. Gherardi per la loro amabilità e per l'esattezza ammirabile del loro, insegnamento e più d'uno degli antichi ci ricordarono come essi corressero loro affettuosamente incontro per baciar la mano quando entravano nell'Oratorio. A D. Gherardi successe il nostro carissimo compagno, il Sacerdote D. Rocchietti Giuseppe, il quale continuò fino al 1862, allorchè dovette uscire a malincuore dall'Oratorio per la sua malferma salute. D. Giovanni Cagliero fu allora incaricato delle Sacre Cerimonie e dopo di lui D. Bongiovanni Giuseppe, l'opera dei quali altri poi continuarono.
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D. Bosco aveva anche iniziata una conferenza alla sera di ogni mercoledì per i giovani studenti, perchè progredendo nello studio, non trascurassero gli altri doveri; e non potendo egli continuarla con regolarità si raccomandava a diversi Sacerdoti suoi amici, perchè lo supplissero. Nel 1856 - 57 D. Casassa, venerabile Sacerdote per età e per virtù, Direttore delle Suore di Sant'Anna, trattò del peccato, delle virtù, dei sacramenti, ora nella sala di studio, e più sovente nella cappella di S. Luigi al venerdì, mettendo sempre cotta e stola. La sua conferenza morale riusciva sempre carissima ai giovani e durava una mezz'ora e non più. Oltre a ciò egli predicava alla Domenica a sera fino al 1863, alternandosi col Teol. Borel e col Can. Borsarelli. Nel 1857-58, affinchè gli studenti cantassero gli inni della Chiesa intendendone bene il senso, invitò il Sacerdote Prof. Matteo Picco a spiegarli ogni giovedì, e a questa spiegazione si portavano anche gli studenti del Cottolengo. Nel 1859 il Bresciano D. Zattini, aspirante alla Pia Società, ebbe l'incarico della suddetta conferenza e talora il mercoledì e talora la Domenica mattina dopo la seconda Messa, spiegava il salmo e tutte le altre preghiere e risposto dei servienti al Santo Sacrificio, acciocchè s'intendesse bene ciò che si recitava. Nel 1860, 61, 62, 63 proseguì questa usanza del mercoledì il Teol. Borel in un camerone a doppio braccio, l'uno quello dell'attuale infermeria, l'altro sotto la camera di D. Bosco; ove le due sale facevano angolo, il Teologo si poneva a sedere vestito di cotta e stola e tutti i giovani studenti e i chierici stavano schierati alla sua destra ed alla sua sinistra. Egli esponeva un catechismo ragionato. Per un anno intero parlò della fede in modo così chiaro che tutti capivano. Fides sine operibus mortua est; sine fide impossibile est
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placere Deo. Riusciva veramente sublime quando descriveva la bellezza di questa virtù teologale, ci disse il Prof. Don Garino che era presente. A lui per qualche anno succedette nel dettar lezioni morali nella sala di studio D. Bongiovanni e quindi questa usanza cessò. In ultimo diremo della conferenza o scuola di buona creanza, che si teneva una volta la settimana nella sala di studio, al giovedì mattina, oppure talvolta alla domenica prima del pranzo. Spettava al Prefetto della casa questa incombenza e primo a far questa parte fu D. Alasonatti nel 1855. Era il coronamento della cristiana educazione, perchè i giovanetti, venuti dalle campagne e dalle officine non avevano apprese le maniere per diportarsi garbatamente in società. Queste norme erano tratte dai libri santi del nuovo e vecchio testamento, i quali parlano del come diportarsi a mensa, del non sedersi quando altri è in piedi, del contegno nel presentarsi ai superiori, nello stare tra i compagni, nel conversare colle persone distinte, nel ricrearsi, in una parola, del come diportarsi in ogni circostanza della vita. L'atteggiamento di una persona è un tacito interprete del cuore e da questo si può congetturare qual sia il suo naturale carattere. Dice lo Spirito Santo nell'Ecclesiastico: “L'uomo si conosce all'aspetto, e da quel che apparisce sul volto si conosce l'uomo assennato. La maniera di vestire, di ridere e di camminare annunziano l'essere dell'uomo ”. Perciò D. Bosco voleva che assennati comparissero i suoi alunni e che la compostezza di ogni atto, il garbo, l'ingenuità e l'onesta verecondia loro conciliassero presso la gente stima e benevolenza. Egli talvolta prestavasi a salire la cattedra della sala di studio invece del Prefetto,
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ma più delle parole il suo esempio fu una continua lezione di galateo. Egli era un modello di uomo bene educato; attento ad ogni suo gesto o parola, non offese mai nè lo sguardo, nè l'udito di alcuno, trattando tutti col massimo rispetto come insegna S. Paolo: Cui honor, honor. Non falliva a nessuno di quei riguardi che si devono usare a chi veniva a fargli visita. I patrizii che lo osservavano attentamente se ne meravigliavano e più volte furono uditi esclamare: - Ma dove ha imparato simili cortesie? È un perfetto gentiluomo! - D. Albera sentì ripetere mille volte queste frasi anche in Francia, ed era una delle ragioni se si vuole secondarie, ma reale, del desiderio che avevano i gran signori di ospitarlo nei loro palagi. Simili gentilezze le usava egualmente coi poveri e non entrava mai nella loro casa senza scoprirsi il capo. Eziandio cogli alunni era di una cortesia incantevole. - Vorrei affidarti quella tal cosa: che ne dici tu? - Fammi grazia di eseguire una commissione. Permetti che ti dia un avviso? - Puoi aiutarmi in questo lavoro? - In tutte queste sue azioni nulla vi era di affettazione, perchè erano informate dalla carità di Nostro Signore, come si addice ad un prete. I giovani si specchiavano nei portamenti di D. Bosco, il quale, sia in pubblico come in privato, non cessava di far loro sentire i suoi avvisi e le correzioni opportune. Egli nella buona creanza vedeva il germoglio di molte virtù, quindi il saggio educatore indicava il tempo di parlare e il tempo di tacere. Gli alunni erano avvertiti di guardarsi dal palesare le avversioni, che destano le maniere grossolane, presuntuose, o troppo sostenute o troppo scherzevoli di taluni. Di non raccontar mai al compagno ciò che altri avesse detto malignamente di lui: di far le viste di non avvedersi di un motto satirico lanciato contro di essi. Di non insistere,
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anche cogli eguali, e con ostinazione nel proprio parere. Di non prodursi mai come esempio dicendo: io avrei fatto diversamente, quando si udisse raccontare un'azione non riprovevole del prossimo. Di non contraddire mai ad alcuno che palesa un proprio sentimento. Di ascoltare senza dar segni di noia, anzi dimostrando interesse, chi ripete un fatto che ha già narrato altre volte, come se fosse una novità, e usare tale riguardo specialmente ai vecchi: di non rimanere sempre muto in una conversazione di amici: di non mai interrompere chi parla, o rispondere senza essere interrogato, e di temperare e moderare sempre la risposta colle parole, mi pare ovvero a me sembra, e non mai dare sentenza in senso assoluto, quando non è in campo una verità della religione. In una questione, quando diversi sono i pareri, di non vociare molti insieme, cercando di soprastare gli uni gli altri, ma sibbene contentarsi di attendere la loro volta per aprir bocca. Allorchè qualche alunno dimenticava i suoi avvisi, D. Bosco aveva un modo speciale per correggere e per dare una lezione. Se chi parlava con lui pronunciava uno sproposito di grammatica, gli rincresceva che i presenti facessero atto di critica o di scherno, ed egli rispondendo a quel tale faceva entrare nella sua risposta la parola errata, correggendola, senza fare alcuna osservazione sicchè l'uno e gli altri capivano. Un giorno D. Bosco esponeva qualche suo pensiero ad alcuni fra i chierici anziani circa provvedimenti da prendersi; ma uno appena udita la cosa rispose con poca cortesia: essere quella un'idea in grado superlativo inopportuna e opponeva difficoltà insuperabili. D. Bosco senza scomporsi interpellò dicendogli: - Quid est hyperbole? - Tutti si misero a ridere, ma D. Bosco, non disse di
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più. Voleva forse fare intendere a quel tale, che fintanto che si trattasse solo di figure grammaticali e cose letterarie, poteva egli essere giudice competente. Motto enigmatico, ma grazioso per non mortificare chi faceva una poco pensata obbiezione. Più volte taluno emetteva qualche proposizione errata in fatto di scienze o di storia ed egli con pacatezza faceva segno di non approvare e soggiungeva: - Tu es magister in Israel et haec ignoras? - Ma non diceva parola che potesse recar confusione. Intanto egli raccomandava che prima di parlare si pensasse due volte a ciò che si voleva dire, rammentando la sentenza dell'Ecclesiastico: (I) “Il cuore degli stolti è nella loro bocca (cioè parlano senza pensare) e la bocca de' saggi è nel cuor loro (pensano e considerano tutto quello che debbono dire). E dimostrava quanto fosse necessaria tale riflessione, ad ottenere ciò che si desidera, per non dire spropositi, per non tradire segreti, per non crearci dei nemici, per non tirare sopra a noi stessi gravi danni, per non offendere il Signore. Non ommetteva un'osservazione su certi naturali sbadati, sospettosi, di primo impeto i quali se non sono messi a freno, prorompono facilmente in sfuriate, insultano quelli dai quali credono aver ricevute offese, malignano sulle intenzioni altrui, e sono persuasi di avere tutte le ragioni del mondo. E intanto si alienano gli amici, diventano odiosi alla società, sono la favola di tutti. Quanti se ne incontrano di questi screanzati, i quali non cadrebbero nel ridicolo se ponessero attenzione, ad essere tardi nel parlare,
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lasciando sbollire la loro fantasia, anzi dissimulando e tacendo sempre. D. Bosco avvalorava questa sua lezione coi fatti, tra i quali il seguente. - Io mi trovava un giorno nella sacrestia di S. Francesco d'Assisi, quando venne per dir Messa certo D. Corradi. Dimenticandosi di deporre la piccola mantellina che aveva alle spalle, si vestì degli indumenti sacri ed andò a celebrare. Finito il ringraziamento, prende il cappello per uscir di chiesa e cerca la mantellina, che non trova. Domanda al sacrestano, il quale si mette a ridere e non risponde. Don Corradi s'infuria. - Dove me l'avete nascosta? - Cerca in tutti gli angoli della sacrestia, e poi ritorna dal sacrestano minacciandolo se non gli diceva dove l'avesse nascosta o chi l'avesse presa. Il sacrestano continua a ridere, assicurandolo che non l'aveva toccata, nè aveva visto alcuno a prenderla. Si volge allora a me e agli altri presenti, chiedendo della mantellina, e senza aspettare risposta fa chiamare il Custode della Chiesa, il quale, all'udire tanto rumore, domandò premuroso a D. Corradi che cosa ci fosse di nuovo. Egli rispose: - Costoro mi presero… mi nascosero la mantellina, ed ora devo andare a casa e non me la vogliono dare; non può essere altri che il sacrestano capace di fare una simile burla, ed egli ride e si beffa di me. Il Custode, che si accorse subito di tutto, finse di nulla e pacatamente chiama al sacrestano: - Oh! è vero che gli hai preso la mantellina? o è forse qualcun altro che gliel'abbia nascosta? Dagliela perchè deve andare a casa. Protestandosi tutti di non averla toccata, D. Corradi ancor più agitato corre di bel nuovo per ogni angolo e dice:
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- Pure l'ho deposta qui... e non c'è... in quest'altro luogo neppure... come ha fatto a scomparire? Intanto viene D. Cafasso e vedendo la sacrestia polverosa e tutta sossopra, ne domanda a D. Corradi la cagione, che dà la solita risposta. - Ma ditemi, riprese D. Cafasso, delle mantelline ne avete due? - No, una sola, una sola. - E che cosa dunque cercate? - La mantellina. - Ma se l'avete indosso! D. Corradi porta la mano dietro alle spalle e tocca e solleva un lembo della mantellina. Rimasto un istante immobile per la confusione, più non disse parola, più non si volse a guardare alcuno, nascose la faccia, infilò diritto l'uscio che metteva fuori e via. Ma oltre la buona creanza nelle parole, D. Bosco la voleva negli atti. Essendo egli un modello di cristiana dignità nella compostezza della persona, abborriva da ogni scherzo villano, da ogni giuoco che portasse di mettere le mani addosso ai compagni, ed ogni altra specie di famigliarità sconveniente, come sarebbe camminare a braccetto, il tenersi per mano e simili. Egli asseriva essere questi tratti contro il galateo e la buona educazione: e raccomandava agli assistenti che vegliassero, perchè fosse da tutti osservato con esattezza il suo avviso. Ed anche in questo caso aveva il suo aneddoto scherzevole per far intender bene, ciò che desiderava. - Quando io giovanetto, andava alle scuole di Castelnuovo, ero avverso al giuoco della cavallina, e non solo ricusai sempre di prendervi parte, ma biasimava quei compagni che, prima o dopo la scuola, in simile modo si trastullavano. Ora accadde che un giorno tardando il maestro Don
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Moglia nel venire a far scuola, io stessi davanti al mio banco aggiustando alcuni libri. Quand'ecco uno dei compagni slanciarsi a un tratto sulle mie spalle, e subito un altro sulle spalle del primo e poi un terzo. Io però non dissi parola, ma afferrate strettamente le gambe dell'ultimo salito, le strinse ai fianchi dei sottoposti in modo, che nessuno si potesse più muovere e poi con tutta facilità uscii di scuola con quello strano fardello. I giovani così portati, sentendosi stretti fortemente e soffocando, chiamavano pietà e misericordia. Io non dando loro retta procedeva trionfante pel paese. Tutti correvano sul mio passaggio stupiti e schiamazzando. I condiscepoli mi seguivano fischiando e battendo le mani. Andai fino sulla piazza della chiesa e poi ritornai indietro. Quei poverelli che erano sulle mie spalle guaivano e supplicavano: - Bosco, lasciaci andare; non saliremo mai più sulle tue spalle: non giuocheremo mai più a cavallina. Ma io continuava a tacere e con passo franco e tranquillo rientrai in iscuola dove D. Moglia attendeva la scolaresca per incominciare la lezione. Il maestro, che era stato informato della cosa diede in uno scoppio di risa vedendo quella torre vivente e ambulante e a stento potè dirmi: -Lasciali andare. Ma quei poveretti erano così indolenziti che non potevano più scendere. Allora ad un per uno andai a posarli sui banchi e fermandomi loro innanzi: - Vi piace, dissi loro, il giuoco della cavallina? Quella lezione di buona creanza li persuase a lasciarmi in pace. In mezzo al cortile egli vedeva e notava ogni atto de' suoi alunni e sottovoce dava a ciascuno l'avviso conveniente. A questo diceva: -Sta diritto sulla persona, non curvarti
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in quel modo: sembra che tu abbi la gobba. - Ad altri: - Non infossare la testa fra le spalle, che fai la figura di una civetta. - Quelle braccia non muoverle così goffamente: pare che tu non sappia cosa farne. - Leva le mani di saccoccia: è un segno sconveniente di padronanza. Sovente correggeva uno sbadato con un gesto senza che altri se ne avvedesse, per non mortificarlo. Per esempio se avesse sputato per terra alla presenza di persone di riguardo, o sul pavimento della camera, egli faceva atto di avere un simile bisogno e si portava il fazzoletto alla bocca. Lo stesso faceva se uno tossiva, sternutava, o sbadigliava sguaiatamente. Se scorgeva che qualcuno dopo aver mangiato non si era pulita la bocca, egli facevasi passare sulle labbra la sua bianca pezzuola con un gesto significativo del capo. A chi aveva macchia sul vestito con un sorriso glie la indicava, mettendovi sopra il dito; e ciò bastava. Il Canonico Sorasio ci narrò che andato D. Bosco a Caramagna per la vestizione clericale del giovane Fusero, si intratteneva coi preti della parrocchia, in sacrestia. Fusero intanto teneva il gomito sul banco dei sacri paramenti e sulla mano appoggiava la testa. D. Bosco allora si rivolse a lui pian piano, prese il suo braccio e lo rimosse in modo così cortese che il Canonico, allora secolare, ammirò tanta delicatezza e non potè mai dimenticarla. Fra queste e altre continue lezioni, che D. Bosco dava di galateo, Reano Giuseppe ne ricorda una di non leggera importanza. Il 28 aprile 1858 egli raccomandava agli alunni di salutare, levandosi il berretto, quei forestieri distinti e specialmente i sacerdoti, che avessero incontrati nell'Oratorio; e di usare buone e cortesi maniere con tutti e specialmente con quelle persone, che domandano di parlare al
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Superiore, accompagnandole alla stanza del medesimo a capo scoperto, e rispondendo con garbo alle loro interrogazioni. Quindi descriveva ciò che ebbe a provare egli medesimo in occasione di una visita fatta il 18 febbraio di quello stesso anno. Andando in una casa ricevette accoglienze così fredde che ne restò non offeso, ma alquanto mortificato. Egli pensò allora a ciò che debbono sentirsi nell'animo i benefattori, se venendo nell'Oratorio fossero ricevuti in simil guisa ed alle conseguenze che ne potrebbero venire. E faceva osservare: - Quando si va in una casa per intrattenersi col padrone, se si presentasse anche un solo fanciullo ad aprire la porta, se questi con buone maniere vi dicesse: - I padroni non ci sono in casa, mi rincresce molto che abbia fatto invano i suoi passi; potrà ritornare alla tale ora, - chi è ricevuto con queste o altre simili gentili espressioni, ne rimane soavemente colpito e acquista stima e tiene buona memoria di tale famiglia. Qui noi aggiungeremo che in questi anni D. Bosco aveva disposta una commedia in tre atti, per esporre come in compendio le mancanze contro il galateo. Non ci restò che una traccia trovata fra le sue carte. L'argomento è questo. Da un paesello di montagna un certo Silvio manda a Parigi due suoi figliuoli, perchè si guadagnino il pane l'uno facendo lo spazzacamino, l'altro il saltimbanco. Alcun tempo prima Silvio erasi comprato un abito usato e nel ripararlo aveva trovato cucito nella fodera alcune cedole al portatore per l'annua rendita di 20.000 franchi. Essendo galantuomo, annunziò all'autorità la sua scoperta che venne pubblicata sui giornali in tutte le forme volute dalla legge. Nessuno essendosi presentato a reclamare il tesoro con sufficienti dati di riconoscimento, il Magistrato lasciò a Silvio la sua fortuna. Questi allora va da un suo compaesano avvocato, stabilito
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in città, uomo probo e suo coetaneo, e gli domanda consiglio sul modo di impiegare quel capitale! L'avvocato gli suggerisce di far ricerca dei figli, di provvederli di un educatore e maestro, acciocchè imparino i rudimenti della grammatica, si correggano dei rozzi loro modi, e divengano giovanetti di buon tratto; nello stesso tempo gli fa comprare un podere. L'avvocato, un medico, il maestro, l'educatore, un servo e un mezzaiolo di campagna e i due figli ritrovati dopo strane avventure, sono i personaggi della commedia. I due giovanetti rivestiti civilmente nel corso dell'azione, compariscono ora seduti alla lezione del maestro, ora nel giardino in ricreazione, ora a pranzo col padre e gli amici di famiglia, ora nella sala dove alla sera si radunano a conversazione i notabili del paese. Uno è goloso e si busca una indigestione, l'altro è più moderato e più docile, ma ambedue sono la quintessenza della rozzezza. Grattarsi il cranio, cacciarsi le mani nei capelli, prendere in mano le scarpe, il ficcarsi le dita nel naso, tenere il cappello in testa, non usare il moccichino, asciugarsi il sudore nella manica, camminare strisciando i piedi e cento altre gentilezze di simil genere si succedono rapidamente. La scena del pranzo fa morir dalle risa. Ma i savi consigli del maestro si succedono ad ogni villanata, ora in prosa, ora in versi con qualche proverbio. Gli alunni si indispettiscono, brontolano fra di loro e coi servi, ma facilmente si acquetano alle rimostranze del padre, alle osservazioni degli amici, alle buone maniere del maestro, che darà principio alla loro istruzione religiosa. Promettono adunque di apprendere le buone creanze, di farsi molti amici, trattando rispettosamente quanti a loro si avvicineranno, e ringraziano il Signore di aver mutato la loro condizione. Un invito a modesto festino chiude l'azione, della quale si deve proprio dire che castigat ridendo mores.
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La scuola di galateo, formò una preziosa regola di condotta civile per quelli che ne approfittarono. Un distinto avvocato nostro antico allievo ed altri con lui, ci attestarono che usciti dall'Oratorio, loro bastò il ricordo delle norme di buona creanza ascoltate nella scuola di D. Bosco, per saper vivere onoratamente in società ed essere stimate persone cortesi e compite. Ed ora concludiamo interrogando. D. Bosco che cosa poteva fare di più per l'educazione dei suoi figliuoli? A lui ben può applicarsi l'elogio di S. Giovanni Grisostomo: Omni certe pictori, omni certe statuario, coeterisque huiusmodi, omnibus excellentiorem hunc duco, qui juvenum animos fingere non ignoret.
CAPO XVII. Preparativi di guerra in Piemonte contro l'Austria - Il Convitto Ecclesiastico ospedale militare - D. Cafasso avvisa i suoi alunni di non entrare in questioni politiche - Il catechismo quadragesimale disturbato dall'effervescenza guerresca dei giovani esterni - Una sassaiuola fatta cessare da D. Bosco - Tre Letture Cattoliche - L'Arcivescovo di Genova e i Vescovi di Mondovì e di Cuneo le raccomandano ai loro diocesani - Grazie ottenute da Savio Domenico - Lettera di D. Bosco ad un parroco della diocesi d'Asti - Ispezione governativa nell'Oratorio per gli alloggi militari - La guerra dichiarata e l'esercito francese in Italia - Torino minacciata dagli Austriaci: D. Bosco dice a' suoi giovani di non temere - La quarta grande lotteria di D. Bosco e due circolari - D. Bosco annunzia a’ suoi allievi l'erezione nell'Oratorio di una chiesa con grande cupola - Un orto liberato dai bruchi.
Dalle pacifiche conferenze dell'Oratorio passiamo ai rumori di guerra. Sul finire di marzo l'esercito regolare del Piemonte forte di 8o.ooo uomini, stava scaglionato alle frontiere tra Alessandria ed il Ticino. In varie città i volontari di Garibaldi erano continuamente esercitati nelle piazze alle manovre ed al maneggio
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delle armi. Ai legionarii della guardia nazionale era affidata la custodia dei bastioni nei luoghi fortificati. Le popolazioni vedevano, soffrivano, tacevano ed aspettavano con ansietà gli avvenimenti. Torino era innondata da opuscoli politici e da giornali liberali che eccitavano gli animi alla guerra. Le vie erano percorse da solite plebi frementi ed acclamanti. Il Governo però simulava amore di pace e voleva costringere l'Austria a farsi assalitrice, perchè apparisse di essere stato egli provocato e costretto alla difesa. Ed ogni cosa era pronta per entrare in campagna, perfino gli edifici destinati per gli alloggi dei militari, e per la cura dei feriti. Il Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi era pur destinato ad ospedale dei militi, e D. Cafasso nel congedare i suoi alunni diceva loro: - Non prendetevi a cuore le cose politiche. La politica del prete è quella del Vangelo e della carità. Troverete un gran fermento nei paesi, perchè dappertutto si parla di politica e di guerra. Siate prudenti. Se per caso trovandovi in conversazione od in viaggio qualcheduno vi rivolgesse la parola: -Signor Abate, che cosa dice lei di tutte queste cose? - Io non dico nulla, rispondete, io prego. - Ma per chi prega? per i nostri soldati o per gli Austriaci? - Prego perchè le cose vadano bene. - Così si schiva ogni contestazione. - Le stesse pratiche raccomandazioni faceva D. Bosco, come fece sempre, ai suoi chierici, acciocchè non entrassero in questioni politiche. Ma la politica intanto minacciava di spopolare i catechismi della quaresima. “ Nel 1859, narrò Pietro Enria, nei giovani popolani di Torino, come nel 1848 e 1849, erasi acceso un vivo fermento di guerra. A centinaia si riversavano nei campi che si stendevano fuori della città, si dividevano in due partiti, e, per dar prova di valentia, l'uno assaliva l'altro con bat-
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tagliole che si dicevano finte, ma che riscaldando gli animi finivano sempre con vere tempeste di pietre. Questi giuochi pericolosi si rinnovavano, si può dire, tutte le feste, ed io più volte ne fui spettatore. ”Una domenica D. Bosco andò in chiesa per fare il catechismo e con sorpresa vi trovò i soli alunni interni. - Dove sono gli altri? - ei chiese; ma nessuno seppe dirglielo. Allora uscì sulla via della giardiniera e vide una moltitudine di ragazzi, i quali, nello spazio sul quale poi si eresse la Chiesa di Maria Ausiliatrice, combattevano accanitamente. Erano più di trecento, tutti dai 15 ai 18 anni, e grossi erano i sassi che venivano lanciati. D. Bosco allora entrò in mezzo a quella mischia. Io stavo osservando in lontananza, e temeva di veder D. Bosco colpito dai sassi, i quali cadevano spessi attorno a lui. Ma non fu così. Nessuna pietra lo toccò e dovetti persuadermi che la Beata Vergine facevagli scudo col suo manto. Egli si avanzò per una cinquantina di passi, ma quando tutti lo videro, si arrestarono, invitati da lui gli si avvicinarono, e con belle maniere li indusse ad entrare in chiesa. Nessuno cercò di fuggire, e D. Bosco colla sua aria ridente, come se nulla fosse stato, die' principio al catechismo ”. Nello stesso tempo in mezzo a tanti trambusti egli occupavasi della stampa delle sue Letture Cattoliche. Il fascicolo che usciva pel mese d'aprile portava una: Raccolta di fatti edificanti. - Uberto, ossia lo scultore delle Alpi. - Storia di un mendicante: gran perdono. Per fare elemosina non è necessario esser ricco. - Infanzia di Alberto. - La confessione. - Efficacia di un'Ave Maria. - Il Generale Gerard divoto a Maria; egli non si azzardò mai nei combattimenti senza prima aver invocato Nostra Signora. - Tre di questi fatti riguardano la Francia.
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All'opuscolo erano unite le raccomandazioni di due Vescovi per la diffusione delle Letture Cattoliche e noi ne aggiungeremo una terza. Mons. Charvaz Arcivescovo di Genova e martello dei Valdesi, così aveva scritto, il 19 febbraio 1859, nella sua lettera pastorale per la quaresima.
Avvertiamo i signori Parrochi essere nostro vivo desiderio che vogliano adoperarsi per la diffusione delle Letture Cattoliche, che coll'approvazione del Sommo Pontefice si pubblicano mensilmente in Torino. Lo scopo dì cotali Letture si è di contribuire a mantenere l'integrità della fede e la santità dei costumi nel popolo contro gli sforzi degli empii, che con fogli e libercoli d'ogni maniera si studiano di pervertirlo e corromperlo.
Mons. Vescovo di Mondovì, nella stessa occasione e collo stesso intendimento, così si era espresso.
Approfittiamo di questa occasione per raccomandare specialmente al Clero di promuovere l'associazione delle Letture Cattoliche. Anche il Vescovo di Cuneo, Mons. Clemente Manzini, annunziando ai suoi diocesani l'indulto quaresimale il 15 febbraio 1859, così aveva espresso il suo desiderio.
Raccomandiamo vivamente al nostro Clero, ed in ispecie ai signori Parrochi un'opera intrapresa e promossa con ispirito veramente cattolico e che non può a meno di tornare a grande vantaggio delle anime. Quest'opera è quella delle Letture Cattoliche, le quali vorremmo vedere maggiormente diffuse nel popolo, persuasi come siamo de' frutti preziosi, che da esse si verrebbero a cogliere, mentre dall'una parte allontanando i fedeli da quei libercoli e giornali avvelenati, con cui cercasi con ogni arte più diabolica di corrompere la fede, loro somministrerebbero dall'altro
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canto un pascolo salutare atto a rassodarne ed a migliorarne i costumi. Di ciò ne è garante l'approvazione che n'ebbero dal S. Padre, il quale con lettere dell'Eminentissimo Card. Vicario nel maggio u. s. e altamente le commendava e le voleva introdotte e diffuse nello Stato Pontificio. A ricevere le associazioni alle Letture Cattoliche è per questa diocesi designato il M. R. D. Borgarino, cappellano della Confraternita di S. Sebastiano in questa città.
Pel mese di maggio era pronta l'operetta del santo prete Frasinetti Giuseppe, Priore di S. Sabina in Genova. Erano le Memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone morta in Genova ai 26 novembre dell'anno 1856. Con questa biografia egli dimostra che un'anima cristiana può giungere alla maggior perfezione ed unione con Dio, ancorchè non sia arricchita di grazie e doni straordinarii e senza prolungare orazioni ed aspre penitenze. Pel mese di giugno D. Bosco disponeva che si stampasse un fascicolo anonimo: Il Santuario della Bassa e suoi dintorni; rimembranze di una festa. Sul frontispizio portava il verso: Tot tibi sunt dotes, Virgo, quot sidera Coeli. È uno dei santuari del Piemonte Posto sui monti di Rubiana, il quale testifica quanto sia grande la bontà di Maria, nell'esaudire le suppliche di coloro che a Lei ricorrono. Mentre D. Bosco rivedeva le sue bozze che trattavano delle più umili e tranquille virtù, quasi contrapposto delle violenti passioni che nel regno agitavano gli animi, era grandemente confortato dalle prove di cara protezione, che Savio Domenico assicurava dal cielo all'Oratorio, ai suoi antichi compagni ed agli alunni. Una sera d'aprile ei leggeva alla comunità radunata una lettera di Galleano Matteo colla quale faceva testimonianza, come egli sul principio del mese, aggravato da un atroce mal di capo e da un acuto dolore
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di denti, dopo due giorni di sofferenze si fosse deciso di ricorrere al buon Domenico. Recitato in suo onore un Pater noster, alle parole sed libera nos a malo, istantaneamente aveva sentito svanire quelle doglie e scomparire le gonfiezze. Era presente a questa lettura Dematteis Carlo che da parecchie settimane spasimava per male ai denti, senza poter avere refrigerio dalle medicine. Animato dal felice successo del compagno chiese a D. Bosco: - Dovrò pur io fare la prova di raccomandarmi a Savio? - Sì, fanne prova, gli rispondeva D. Bosco; digli di questa sera medesima un Pater ed Ave e poi confida in lui. - Dematteis si recò in camera, recitò l'orazione indicatagli e si pose a letto. Mentre le notti antecedenti le aveva passate in gran parte vegliando a motivo dei patimenti, egli si addormentò subito e non si svegliò prima che la campana suonasse la levata. Era perfettamente guarito e d'allora in poi non ebbe più a soffrire mal di denti. Anche il giovane Mazzucco Giacinto, da circa un mese, era così travagliato dal mal d'occhi che si trovava nella necessità di abbandonare la scuola. Il mercoledì santo, 20 aprile, disse a D. Bosco: - Debbo anch'io raccomandarmi a Savio? Ha guarito tanti altri che non l'hanno neppure conosciuto; ed a me che gli ero compagno, non vorrà ottenere la grazia di poter guarire? Tanto più che io debbo lavorare nel preparare in chiesa il Santo Sepolcro! D. Bosco gli rispose: - Bene, recitagli un Pater ed un'Ave, e domani tutto confidando in lui, eseguisci i lavori che hai da fare; procura però di offerirli ad onore di Dio.
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Alla sera Mazzucco recitò la breve preghiera, e all'indomani si sentì molto migliorato, dimodochè potè compiere i suoi lavori intorno al Santo Sepolcro senza incomodo. Al Sabato Santo egli era perfettamente guarito. Queste grazie dovevano procurare a D. Bosco un gran sollievo nei dispiaceri da lui talvolta provati per la poca corrispondenza alle sue cure di qualche allievo: e nello stesso tempo lo rassicurava dai disturbi e dalle angustie che poteva cagionargli la guerra ormai imminente. Di questi dispiaceri e disturbi egli fa cenno in una lettera a D. Giov. Batt. Torchio Arciprete di S. Martino Alfieri, Asti.
Mio Rev.do e Car.mo nel Signore,
Siamo a Pasqua e per farla bene debbo aggiustare le cose mie con V. S. verso cui sono debitore di alcune risposte specialmente riguardo al giovane B... Per reciproca soddisfazione e norma Le dirò che non ho fatto quanto desiderava, perchè la condotta di questo giovanetto, cui ho sempre portato speciale affezione, fu sempre dubbiosa. Nello studio, nella scuola, nella pietà si tenne sempre in tale mediocrità, che mai non mi diede un punto sopra cui raccomandarlo presso a persone benemerite, siccome era desiderio di V. S., del padre, che è ottima persona, e siccome desiderava io medesimo. Questo è il motivo per cui non ho potuto appagare l'aspettazione di V. S. In quanto al Saglietti Le debbo dire che per ora non mi è possibile il riceverlo. Perchè? Perchè il governo ha fatto visitare quanti soldati potrebbero dormire in questa casa in grave bisogno, il che vuol dire che da un momento all'altro posso essere al punto di dovermi fare il fagotto. Le notizie politiche di quest'oggi sono gravi e assai allarmanti. Se verrà a Torino venga a vedermi. Ma in ogni circostanza l'assicuro, che farò sempre quel che posso a suo favore.
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Preghi per me e per li miei poveri giovanetti e mi abbia sempre tra quelli che si professano Di V. S. M.to Rev.da Torino, 22 aprile 1859. Aff.mo servo ed amico Sac. Bosco GIOVANNI.
In questa lettera D. Bosco accenna ad una visita che dall'Autorità governativa era stata ordinata nell'Oratorio di Valdocco. Infatti sul principio del mese di aprile vennero due periti a fare una ispezione, per riconoscere se il fabbricato si prestava ad alloggiare soldati o a convertirsi in ospedale pei feriti, ovvero a servire di alloggio militare per gli ufficiali. D. Bosco accolse cortesemente quei signori, e li condusse a visitare tutta la casa. In fine disse loro: - Ora li pregherei che volessero riferire a chi li ha mandati i sentimenti di D. Bosco ed una sua preghiera a questo proposito. Nei pericoli e nei bisogni della patria ogni cittadino deve porgere quell'aiuto, che le proprie forze gli permettono, e per questo motivo D. Bosco è disposto a fare quanto è in poter suo: l'ha fatto sei anni or sono in tempo di peste, e saprà farlo ora in tempo di guerra. Ma io debbo pure far osservare che questa casa serve oggidì di ricovero a quasi 300 giovanetti dei più poveri ed abbandonati, e perciò prego il Governo che voglia risparmiarmi il dolore di rimetterli sopra la strada. Io credo che in Torino non manchino dei pubblici edifizii, che possono servire o da quartiere o da ospedale meglio assai che non questo fabbricato, che, come vedono, manca di molte comodità; ed ha scale e corridoi troppo stretti. - Nel costrurre la casa D. Bosco aveva preveduta tale eventualità. Che cosa abbiano i due periti esposto al Governo nol
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sappiamo; ma il fatto si fu che l'Oratorio non venne disturbato e gli alunni continuarono a rimanervi tranquillamente. Del resto D. Bosco prestò in quel tempo un servizio ben più utile, che non tanti altri. La improvvisa chiamata di varie classi sotto le armi che si trovavano in congedo illimitato, come pure quelli che dalla seconda categoria avevano fatto passaggio alla prima in occasione della guerra di Crimea, gettò i paesi in grande costernazione. I più di costoro si erano ammogliati. Dovettero partire nel cuore della primavera, quando era giunto il momento di attendere ai lavori delle campagne. Quindi molte famiglie rimasero prive delle robuste braccia che loro procuravano il sostentamento, e molte madri cariche di figliuolanza si trovarono nella più grande miseria. Ciò fu tanto vero che si dovettero istituire nelle principali città varii Comitati, a fine di promuovere e raccogliere limosine, onde provvedere alle famiglie più bisognose. Or che fece D. Bosco? Quantunque per la circostanza della guerra e pel rincaro dei viveri, egli si trovasse ben sovente in grave penuria, tuttavia accettò ancora nel suo Ospizio parecchi figliuoli dei poveri soldati. Finalmente risuonava il primo grido di guerra e il 23 aprile l'Austria, stanca dei maneggi del Governo Subalpino, mandava ad intimargliela se fra tre giorni non disarmasse e non licenziasse i volontari. Le fu risposto con un aperto rifiuto, e il 26 la flotta francese carica di truppe era in vista del porto di Genova. Intanto scoppiava la rivoluzione in Toscana, e costretto il Gran Duca a ritirarsi, Vittorio Emanuele vi nominava commissario il Buoncompagni con pieni poteri. Il 28 aprile il Re Sabaudo cogli ufficiali dello Stato, i membri del Senato e della Camera andavano alla Metropolitana di Torino, assistendo alle solenni supplicazioni per il buon esito della guerra. Il 30 l'esercito Austriaco forte
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di ben più di 200.000 uomini, comandato dal generale Francesco Conte Giulay, passava il Ticino, occupava Novara e s'innoltrava nelle fertili pianure tra il Ticino, il Po e la Sesia. Vittorio Emanuele partiva per il campo e Napoleone III il primo dì maggio scriveva a Pio IX “ ... Voglio francamente dichiarare a Vostra Santità che nel mio cuore non divido la causa della religione e del potere temporale della S. Sede, dalla causa dell'indipendenza d'Italia; devo confessare che l'una e l'altra mi sono egualmente care. ” Il Papa avevalo invitato a ritirare da Roma i suoi soldati che ivi aveano quartiere fin dal 1849, annunziandogli che quantunque debole egli affidavasi alla Provvidenza che non lo avrebbe abbandonato. Ma Napoleone per risposta aveva fatto sbarcare nuove truppe a Civitavecchia. Egli voleva fare la guardia al Papa, per renderne più facile e più sicura la spogliazione e per impedire che altri lo soccorresse. Intanto il 2 maggio gli Austriaci occupavano Vercelli e per passare il Po assalivano i Piemontesi a Frassineto ed a Valenza, ma furono ributtati dall'artiglieria. Riuscirono però a passarlo a Cornale e il 3 maggio si spinsero fino a Tortona. Divisi in tre corpi uno era tra Casale ed Alessandria, il secondo sulla riva destra e sulla sinistra del Po, il terzo a Vercelli dove si fortificava e accennava di muovere verso Torino. In quei giorni sbarcavano a Genova, scendevano dal Moncenisio e dal Monginevra, e venivano da Nizza 180.000 guerrieri francesi per unirsi all'esercito Sardo. Giulay in quel mentre, essendo in possesso di Mortara e Vigevano, spingeva da Vercelli un corpo d'armati a Santhià, Livorno e Biella, e un'altra parte de' suoi, il 9 maggio occupava Trino e pareva prepararsi a marciare sulla Capitale del Piemonte, che facilmente sarebbe caduta in
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suo potere. In Torino si temeva che gli Austriaci da un momento all'altro occupassero la città. Eziandio nell'Oratorio i giovani parlavano di tale imminente pericolo, ma Don Bosco disse loro presente il Ch. Anfossi: - Non temete; anche quando venisse il nemico, l'Oratorio, difeso dai santi martiri Solutore, Avventore, ed Ottavio, ne rimarrà illeso. Ei sentiva profondamente la divozione a questi santi che avevano sofferto il martirio presso l'Oratorio, e confidava talmente nella loro protezione, che occupavasi di una lotteria come se lo Stato fosse in piena pace. In mezzo alla miseria universale bisognava provvedere ai suoi giovani. Perciò nell'aprile aveva trattato coi membri della Commissione per la lotteria del 1857, della quale presidente era stato il Conte Carlo Cays di Giletta, e si concertò sul da farsi. Quindi esposta la cosa all'autorità civile, e ottenuto il permesso, D. Bosco procuravasi e numerava i premii, faceva scrivere a mano i biglietti col timbro dell'Oratorio e stampare o litografare le circolari, delle quali ordinavane spedizioni alle persone benevoli verso l'opera sua; una in aprile, l'altra sul principio di maggio. Ad ogni circolare era unito un elenco dei premi, contenuto in un foglio a pie' del quale D. Bosco faceva scrivere il seguente Nota bene: Per maggior comodità l'importo dei biglietti si può trasmettere ad alcuno dei membri della Commissione per la precedente Lotteria. E se ne notavano i nomi a penna. Ecco il tenore della circolare:
Ill.mo Signore,
Non è più una lotteria che io raccomando alla provata carità di V. S. Ill.ma; è una liquidazione di oggetti, parte rimasti da antecedente lotteria e parte offerti testè a favore dell'Oratorio
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di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e del Santo Angelo Custode in Vanchiglia. Ho scelto cinquecento di tali oggetti, ne sommai il prezzo secondo l'estimo approvato dall'Intendenza Generale, e ribassatolo di un terzo, lo divisi in cinquecento quote, quanti appunto sono gli oggetti. Il prezzo di ciascun biglietto riuscì di franchi 5, ma ogni biglietto ha un premio assicurato; però colla eventualità che il premio può essere di un valore maggiore o minore secondo il risultato dell'estrazione. Tale estrazione avrà luogo il giorno 26 del prossimo maggio nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Io Le mando biglietti N con preghiera di volerli accettare. Qualora però tra Lei e le caritatevoli persone di sua conoscenza non istimassero di ritenerli tutti, la prego rispettosamente a tollerare il disturbo e farli trasmettere a questa casa alcuni giorni prima dell'estrazione. L'oggetto vinto sarà portato a domicilio. Tali oggetti si sarebbero potuti mettere in vendita, ma la cosa sarebbe andata a lungo, nè avrei ottenuto un pronto aiuto siccome le attuali strettezze di questa casa richieggono. Comunque sia, io desidero che Ella non abbia altra mira se non di fare un'opera di carità: dal canto mio non mancherò di unirmi ai poveri giovani che frequentano questi Oratorii per invocare da Dio e dalla Vergine santissima grazie e benedizioni, che è il centuplo che Dio promette a chi fa opere di carità nella vita presente coll'aggiunta dell'eterna felicità nell'altra. Con pienezza di gratitudine e con profonda stima mi professo Di V. S. Ill.ma Torino, 5 maggio 1859. Obbl.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Fatta l'estrazione della lotteria, che ebbe pienamente l'esito desiderato da D. Bosco, egli davane avviso a coloro che avevano comprato i biglietti, trasmettendo gli oggetti loro assegnati dalla sorte.
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Ill.mo Signore,
Mi reco a dovere di far trasmettere a V. S. Ill.ma gli oggetti vinti nell'estrazione del 26 cadente mese seguita in questa casa in presenza della Commissione dell'antecedente lotteria. Al N….corrispose il N…. La prego di volerli gradire siccome sono; e spero che Ella vorrà piuttosto considerare l'opera di carità, che il pregio materiale ai medesimi unito. Dal canto mio non mancherò d'invocare dal Cielo sopra di Lei sanità e grazia; e mentre raccomando me, gli ecclesiastici e tutti i giovani beneficati di questi Oratorii alla carità delle divote di Lei preghiere colla più sentita gratitudine mi professo Di V. S. Ill.ma Torino, 31 maggio 1859. Obbl.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Con questo mezzo D. Bosco aveva eziandio assicurato per un po' di tempo, anche ai giovani del suo Ospizio il pane quotidiano, mentre faceva sorridere innanzi alle loro fantasie un avvenire caro e stupendo preparato dalla Divina Provvidenza. Narrò il Ch. Anfossi: - Mi ricordo con molta precisione, che un giorno quando non si parlava neppur ancora delle fondamenta della Chiesa di Maria Ausiliatrice, essendogli io vicino nel cortile, D. Bosco disse: Lì (accennando al luogo ove ora sorge la Chiesa) s'innalzerà un gran tempio! - E alzando gli occhi in maniera come se già esistesse la cupola, e la vedesse, continuava: - Questa chiesa avrà una gran cupola e vi si celebreranno straordinarie solennità. - In quei giorni queste parole non potevano a meno che produrre sull'animo nostro straordinaria impressione di meraviglia, principalmente che conoscevamo benissimo, in quanto gravi strettezze, finanziare si trovasse
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il nostro D. Bosco, mancando talora anche del denaro necessario per provvedere il pane. Ciò nondimeno quasi scherzando, cominciò più tardi ad invitare il Ch. Ghivarello, allora per nulla architetto, a tracciare il piano della futura chiesa le cui dimensioni egli poi allargò invitando il medesimo chierico a dare un secondo disegno, che fu poi presentato all'ingegnere Spezia. In questi stessi giorni D. Bosco colla benedizione sacerdotale otteneva una singolare vittoria che fece ridere molto gli alunni, i quali dicevano: - Peccato che Don Bosco non sia generale! Ha trovato un mezzo facile per far sgombrare il nemico da un territorio da lui occupato! - Così scrisse di questo fatto a D. Bonetti, Giuseppe Reano. “ Un giorno venne da D. Bosco una vecchia giardiniera, che teneva in affitto un orto vicino all'Oratorio dicendo tutta desolata: - Nel mio orto vi sono tanti piccoli bruchi nocivi alle piante ed agli erbaggi. - E con questo, buona donna, cosa volete? disse Don Bosco. -Voglio che mi mandi via tutte quelle bestie, che ho nel giardino; mi distruggono tutto, mi mandano in malora; loro dia la benedizione, le faccia morire. ” E D. Bosco sorridendo: - E perchè far morire quelle povere bestie? Loro darò la benedizione e le manderò in altri luoghi ove non possano far danno ad alcuno. ” All'indomani io andai con Buzzetti in un piccolo orto incolto, che era di fianco alla chiesa di S. Francesco, cinto da un muro alto tre metri circa, che apparteneva all'Oratorio. Là vedemmo una sterminata quantità di quei bruchi immobili e attaccati al muro, i quali coprivano anche certi travi distesi per terra, mucchi di mattoni e pietre ivi riposte, e alcuni alberelli rachitici. Ogni cosa ne era coperta. E l'orto della vecchia era libero perfettamente da quell'invasione ”.
CAPO XVIII. I Francesi in Torino - Afflizione di D. Bosco - Primi fatti d'arme - Montebello, Palestro, Magenta - I feriti Austriaci nel Convitto Ecclesiastico - D. Bosco coi Turcos a Collegno - Congiure e rivoluzioni nei Ducati e nello Stato Pontificio - Le feste nell'Oratorio: Dimostrazioni di riconoscenza a D. Bosco ed ai maestri Scuole e laboratorii cristiani.
I torinesi avevano temuto per un istante di veder comparire gli Austriaci fra le loro mura; perciò si abbandonarono ad un delirio di gioia, e con plausi e fiori accolsero i battaglioni francesi. E D. Bosco si mostrava pensieroso ed accorato all'annunzio dei continui reggimenti che entravano in Italia per marciare contro l'Austria; e sovente fu udito esclamare: - Sono tutti uomini che vengono contro il Papa. Si tratta di incominciare il suo spodestamento e con questa guerra togliergli ogni aiuto straniero e nazionale. Gli Austriaci intanto che già stavano per piombare sovra Ivrea, il 9 maggio, saputo l'arrivo dei Francesi, cominciarono un movimento retrogrado, concentrandosi tra la Sesia, il Ticino e il Po verso Stradella e Piacenza, in attesa delle mosse degli alleati. Il 19 maggio Giulay abbandonava Vercelli e trasportava il suo quartier generale a Mortara.
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Il 12 l'Imperatore Napoleone era giunto a Genova e due giorni dopo arrivava ad Alessandria come duce supremo degli eserciti. Nel proclama alle truppe egli aveva detto: Noi non andiamo in Italia a fomentare disordini, nè a rovesciare il potere del S. Padre, che noi abbiamo riposto sul trono, ma a toglierlo da quella pressione staniera che grava su tutta la penisola. Il 20 maggio vi fu un primo scontro d'importanza a Montebello tra Voghera e Casteggio, e i Gallo - Sardi perduti 700 uomini costrinsero gli Austriaci a ritirarsi. I vinti ripassarono il Po e si recarono a Pavia, lasciando sul terreno 7000 dei loro. Contemporaneamente Garibaldi partiva da Biella con sei battaglioni di volontarii e facendo un largo giro sopra Novara in potere degli Austriaci, marciava fino ad Arona. Di qui disceso a Castelletto, passava il Ticino nella notte dal 22 al 24 maggio, e recavasi a Varese. Il 24 sostenuto un felice combattimento col generale Urban accorso da Milano, lo faceva sloggiare da Como e da Visconti Venosta Regio Commissario veniva gridato Re e Signore di quelle terre Vittorio Emanuele. Urban però ripresa Varese, ritornava a Como per la riscossa, quando ricevette ordine di congiungersi col grosso dell'esercito. Si pronosticava che la guerra sarebbe stata sanguinosa oltre ogni previsione e Vittorio Emanuele vedendosi ad ogni istante in pericolo di morte, il 25 maggio scriveva al Papa, promettendo e supplicando perchè lo sciogliesse dalle censure; e Pio IX lo scioglieva, ricordandogli però che l'assoluzione per esser valida non poteva andar disgiunta dal proponimento di riparare nel miglior modo possibile ai danni recati alla Chiesa e dalla volontà di astenersene per l'avvenire.
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Il 30 maggio gli avamposti Austriaci trincerati tra Vercelli e Bobbio sono assaliti a Palestro e costretti a sgombrare. L'esercito Piemontese dimostrava grande bravura. Tre delle loro brigate scacciarono il nemico da Vinzaglio, da Confienza e occupavano Casalino. Il giorno dopo gli Austriaci tentavano di riprendere queste posizioni, ma non riuscivano. Al fine del combattimento le loro perdite erano di 1600 uomini e di 600 circa quella degli alleati. Tutto l'esercito francese era ormai concentrato tra Vercelli e Novara; una divisione avanzavasi fino a Trecate e l'altra a Galliate sulla riva destra del Ticino. Giulay accortosi allora che si minacciava Milano, da Vigevano e da Garlasco faceva immantinente passare tutto il suo esercito alla sinistra del Ticino e lo concentrava a Magenta. Gli alleati su due ponti passavano lo stesso fiume e il 4 giugno si veniva a battaglia. Lungo e terribile fu lo scontro, ma la vittoria arrise agli alleati. L'Austria aveva perduto tra morti e feriti 10.000 soldati e 7000 prigionieri; i francesi 4.000 tra morti e feriti e 1000 prigionieri. Il giorno 5 gli Austriaci incominciarono la ritirata sul Mincio abbandonarono Milano, e nel quadrilatero si apparecchiarono a fare una vigorosa resistenza. Ivi si raccoglievano 150.000 soldati dei quali l'Imperatore Francesco Giuseppe era venuto a prendere il supremo comando. L'8 giugno la retroguardia Austriaca era sconfitta dai francesi a Melegnano presso l'Adda: tra una parte e l'altra erano uccisi 2.200 uomini; e Garibaldi occupava Bergamo e respingeva da Seriate un battaglione nemico. In questo giorno Vittorio Emanuele e Napoleone entravano trionfalmente in Milano. Nel Piemonte per richiesta del Ministero si cantò in tutte le chiese l'inno di ringraziamento; e nella Metropolitana il principe luogotenente Eugenio di Savoia.
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Carignano convenne coi membri e gli ufficiali del governo. Intanto i feriti, che avevano potuto sopportare il viaggio, erano stati ricoverati in parecchie città subalpine. In Torino ne erano pieni gli ospedali e a nessuno mancarono i soccorsi dell'arte e della religione e lo zelo delle figlie della carità. Al Convitto Ecclesiastico erano stati condotti Austriaci feriti e prigionieri. D. Bosco andato a visitare D. Cafasso, al quale il Governo aveva lasciate alcune stanze, s'intratteneva con essi dicendo qualche parola di compatimento e di conforto religioso. Incontravali nel cortile colla testa fasciata, o colle braccia al collo o una gamba di legno, raccolti all'ombra del caseggiato. Erano ungheresi, polacchi, tirolesi e quasi tutti sapevano tanto di latino in maniera, di poter tenere un po' di conversazione. Coi soldati francesi però ebbe D. Bosco maggiori attinenze e l'Oratorio divenne qual luogo di convegno per quelli stanziati in Torino e specialmente per gli invalidi. Uno degli alunni più adulti che parlava discretamente la loro lingua, cominciò a contrarre relazione con alcuni di essi, loro parlò di D. Bosco e li condusse a fargli visita. Don Bosco accolse quei militari con grande amorevolezza, s'intrattenne con loro in piacevoli discorsi, li invitò a venire all'Oratorio con libertà, anzi lasciò loro l'incarico di menarvi quanti compagni il bramassero. - Voi potete venire, disse loro, per scrivere ai vostri parenti, e qui troverete carta, penne, inchiostro e i necessari francobolli; potete venire per leggere libri francesi, di cui abbonda la nostra biblioteca, e se taluni bramassero d'imparare la lingua italiana o l'aritmetica, io destinerò loro un apposito maestro. Siccome poi, soggiunse D. Bosco, noi siamo tuttavia in tempo pasquale, e potrebbe darsi
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che non tutti abbiate finora avuto comodità di adempire al precetto della Santa Chiesa, così vi avverto che in questa nostra cappella voi troverete confessori che conoscono la vostra lingua, e che si presteranno sempre volentieri a vantaggio dell'anima vostra. Questa graziosa accoglienza e queste parole riempirono di entusiasmo quei cari figli della Francia; onde ritornati in caserma raccontarono la cosa ai loro commilitoni, e destarono in molti il vivo desiderio di recarsi ancor essi all'Oratorio. Il fatto si è che in capo a pochi giorni nelle ore libere si vedeva come una processione di soldati francesi a scendere in Valdocco, e a venirsi a trattenere con D. Bosco e co' suoi suoi allievi siccome fratelli. Più centinaia di loro si accostarono eziandio ai Sacramenti e con un contegno così edificante, da ben dimostrare che appartenevano a famiglie di molta pietà e religione. D. Bosco, oltremodo contento, di tratto in tratto ne invitava alcuni a pranzo con lui; ed era allora un grazioso spettacolo il vedere i calzoni rossi risaltare presso le sottane nere, e chierici, Sacerdoti, e soldati fraternizzare insieme, gareggiando gli uni a parlare francese e gli altri a masticare italiano. Qualche uffiziale vi si intratteneva con tanta domestichezza che pareva come uno di casa. Dopo alcun tempo erano in sì gran numero quelli i quali conoscevano D. Bosco di persona, che difficilmente egli usciva in Torino senza che si vedesse accompagnato o di tratto in tratto fermato da qualche soldato francese. Un giorno, diceva D. Turchi, incontratone un drappello per Torino, che lo salutarono con un Viva l'Italia, li avvicinò, ebbe per loro buone parole e li invitò a recarsi al suo Oratorie. Accettarono l'invito e D. Bosco fece recare ad essi un rinfresco con tanta cordialità, che ne restarono
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ammirati. Altra volta doveva egli recarsi a visitare un malato a Collegno, paese distante quattro miglia da Torino. Quando fu sulla via di Rivoli, ecco a farglisi incontro una dozzina di turcos, parte convalescenti, parte solo feriti al braccio od alla mano. Andando essi al passeggio, domandarono a Don Bosco di accompagnarvelo per qualche tratto di via, ed egli vi aderì molto volentieri. Di discorso in discorso e all'ombra degli annosi olmi che fiancheggiano lo stradale, la via parve sì breve, che la gioconda brigata quasi senza avvedersene giunse sino a Collegno. Colà pervenuti, i turco, volevano ritornare indietro, ma D. Bosco disse loro: - Giacchè come invalidi avete il permesso dei vostri superiori, attendetemi un poco; io farò presto, e ritorneremo a Torino insieme; - ed eglino si fermarono. Ma contro, la sua aspettazione D. Bosco non potè sbrigarsi così tosto come sperava, e quando uscì dalla casa dell'infermo l'orologio segnava mezzogiorno. Venuto a' suoi compagni di viaggio: - Mi rincresce, disse loro, di avervi fatto aspettare sì a lungo: ora come vedete è mezzogiorno: voi avrete certamente appetito, e i convalescenti avranno bisogno di ristoro, e non conviene che ci rimettiamo in via collo stomaco vuoto: venite dunque con me, e andremo a fare come dite voi non une ribote, ma una modesta allegria. - Ciò detto, li menò in un albergo, pagò loro un pranzo, mangiò con essi, facendo loro passare uno dei giorni più lieti. Dire la contentezza di quei turcos è cosa impossibile. Ritornati in città raccontarono la cosa al loro superiore, il quale ne fu così tocco di ammirazione, che al domani venne all'Oratorio a ringraziare D. Bosco, con parole improntate della più viva riconoscenza, e con gentilezza veramente francese. Nello stesso tempo D. Bosco mandava il ch. Celestino Durando a raccogliere oblazioni presso molti sacerdoti e altri
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distinti signori, per poter comprare un gran numero di libri istruttivi e dilettevoli scritti in lingua francese. Li portava egli stesso ai soldati o li faceva recapitare alle suore di carità, che servivano negli ospedali; come pure libri di religione in tedesco spargeva fra i soldati austriaci, raccolti e custoditi nel Convitto Ecclesiastico. Per tutte queste ed altre ragioni i soldati della Francia, residenti in quel tempo tra noi, presero tanto affetto all'Oratorio, che quando ricevettero ordine di partire da Torino vennero a riverire D. Bosco e i loro maestri, mostrando colla più profonda gratitudine una grande commozione. Parecchi di loro continuarono a lungo un carteggio epistolare con D. Bosco e con alcuni della casa, specialmente con D. Michele Rua, stato loro maestro d'aritmetica. Intanto i liberali degli altri Stati d'Italia si agitavano secondando le istruzioni occulte di Napoleone III e di Cavour. Triste presagio degli avvenimenti preparati era stata il 22 maggio la morte per veleno del Re Ferdinando di Napoli. Il 9 giugno dopo un mese di agitazioni popolari e di incertezze la Duchessa di Parma, udite le vittorie degli alleati abbandonava i suoi dominii ove erano tosto innalzate le insegne Piemontesi. L'11 il Duca di Modena visto la ribellione di Massa e Carrara, tosto occupate dai soldati sardi, saputo che una divisione francese, dalla Toscana si avvicinava alla volta de' suoi Stati, se ne andò; e dopo un voto di unione al Piemonte, Re Vittorio vi spediva suo commissario per l'Emilia Carlo Luigi Farini. La divisione francese era comandata dal principe Napoleone, nimicissimo del Papa, mandato apposta per far stare a segna i fautori dell'ordine. Il 12 la rivoluzione scoppiò a Bologna, essendosi ritirati i mille austriaci ivi di guarnigione. Il Marchese Pepoli cugino di Napoleone III era capo del partito
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unionista. Armata la plebe, stabilitosi un Governo provvisorio, s'intimò al legato pontificio di partirsene. Eziandio le legazioni di Ravenna e Ferrara abbandonate dalle truppe dell'Austria, eransi ribellate e tosto il ministero Piemontese mandava commissario in Bologna Massimo d'Azeglio. A Perugia il partito dell'Unione col Piemonte, a capo del quale era Maria Bonaparte Contessa Valentini, cugina di Napoleone III, aiutato da una squadra armata venuta dalla Toscana scacciava il delegato e sottraeva la città dal dominio del Papa. Ma il 20 giugno un reggimento papale di Svizzeri non ostante la difesa accanita degli insorti la ricuperò al legittimo Sovrano. In altre città dell'Umbria e delle Marche i settari avevano cercato commuovere le plebi, ma dopo questo fatto ogni casa ritornò alla calma. Da qualche giorno anche in Lombardia era cessato pel momento il fragore delle armi, e in Valdocco si pregava per il Papa, pel Re, per l'esercito e per la pace. Ma quivi si alternavano anche le gioie e le feste delle quali l'affetto e la gratitudine erano il movente. Tale fu sempre il carattere dell'Oratorio. La divozione colla frequenza dei Sacramenti ne erano il principio ed il compimento. Si spandevano gli alunni fuori di chiesa e riempivano i cortili di canti, suoni, applausi e grida di contentezza. La poesia soprattutto adoperavasi a rendere più cari questi giorni che erano molto frequenti. Gli onomastici dei superiori, le onoranze ai priori nelle festività dei Santi Patroni, il titolare delle camerate, le gite che avevano per iscopo una solennità in qualche parrocchia, erano circostanze da accendere l'estro dei cultori delle muse. Noi raccogliemmo e conservammo più centinaia di quelle poesie essendo cara cosa ciò che rammenta
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gli antichi compagni. Alcune sono alquanto rozze, molte veramente belle, in tutte però c’è il cuore che parla. Ma la più solenne di queste feste, direi civili, era sempre quella dell'onomastico di D. Bosco. Per lui un seggio bene adorno a guisa di trono, cortile splendidamente illuminato, omaggio di graziosi doni, inno ogni anno diverso per argomento poetico e per musica, e composizioni di vario genere e in varie lingue. Dello slancio dei giovani in questo giorno avremo campo a parlarne ampiamente narrando i fatti degli anni successivi. Alle feste che si facevano per D. Bosco si unirono poi le feste, che ciascheduna classe di studenti o di artigiani facevano ai proprii maestri in occasione degli onomastici. Ogni maestro rappresentava D. Bosco in mezzo ai giovani, che gli erano stati affidati, quindi non è a dire quanto giulive fossero queste parziali festicciuole. Un mazzo di fiori, un piccolo dono comperato per sottoscrizioni e che servisse di memoria, alcuni dolci, poesie e prose erano mezzi per legare sempre più i cuori. La scuola e il laboratorio in quel giorno, erano adornati con qualche addobbo, che copriva la cattedra o il banco. D. Bosco alcune volte interveniva, ma non come per regola ordinaria. La Comunione generale della classe era il principio della festa. Alla sera, una mezza vacanza e una piccola passeggiata col maestro, coronava la contentezza di tutti. La mezza vacanza, la passeggiata, la merenda e le sottoscrizioni furono però più tardi abolite per gli abusi che si erano introdotti. Il maestro quel giorno aveva occasione di rendersi padrone di qualche cuore che teneasi chiuso, di riavvicinare qualche alunno che si era alienato da lui, di incoraggiare un negligente che erasi lasciato perdere di animo promettendogli il suo aiuto speciale, di perdonare qualche mancanza a chi temeva, che questa
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avrebbe avuti risultati spiacevoli per lui al fine dell'anno. L'espansione degli alunni in questo giorno essendo più viva, facilmente si manifestavano e si dileguavano certe ombre, certe suscettibilità, certe gelosie, ed anche qualche disordine, che altrimenti sarebbe stato nascosto con danno dell'ordine e talora delle anime. Il fine pel quale D. Bosco permetteva queste dimostrazioni d'affetto e di riconoscenza era sempre la vita eterna. Tale fine si manifestava nelle espressioni dei giovani, nelle loro composizioni, e nelle loro promesse, tale nelle risposte del maestro ai loro indirizzi. Il maestro non mancava mai di raccomandare una buona confessione, e chiedere con affetto ai giovani che si mettessero in grazia di Dio, qualora non ci fossero. Diceva chiaramente, che se qualcuno avesse per disgrazia taciuto qualche peccato per rossore, andasse a confessarlo in quel giorno, perchè Gesù benedetto fosse da tutti consolato; e che per il maestro il pensare che un solo dei suoi allievi potesse in quel momento aver sopra il capo l'ira di Dio, era cosa da turbare ogni gioia più cara. I giovani intendevano come questo fosse il più bel regalo pel maestro e il bene che producevano allora le parole di chi li amava, Dio solo lo sa. Da ciò che si poteva conoscere era grandissimo eziandio per le vocazioni. I giovani restavano come elettrizzati e più d'uno, preso il maestro da parte, prima che tramontasse il sole: - Sono contento, sa, ma proprio contento. La scuola a quei tempi era come un piccolo santuario, poichè, come adesso, la statua di Maria santissima era collocata sopra un altarino in faccia al Crocifisso e non le mancavano candele e fiori. Tutti i sabati al finire della lezione della sera si recitavano innanzi a lei le litanie, nel mese di maggio tutti i giorni le si faceva una piccola preghiera in comune, tutte le feste della Madonna erano annunziate
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dal maestro nella vigilia, con un'esortazione ad accostarsi ai Sacramenti. Allo stesso modo si annunziavano le feste principali dell'anno, perchè era notorio come D. Bosco non concepisse essere buona una festa, senza la confessione e la comunione. Non era una predica, sibbene un semplice annunzio di pochissime parole. Da ciò che si è detto si può arguire come fiorisse l'ordine e quindi lo studio in tali scuole o in tali laboratorii, poichè anche i laboratorii avevano quelle costumanze. Per conseguenza dove regna la carità regnando la felicità, ne veniva che al fin dell'anno scolastico, benchè i giovani anelassero a ritornare coi parenti, tuttavia era per loro causa di pena distaccarsi dal proprio maestro.
CAPO XIX. La battaglia di Solferino - D. Bosco predice imminente il trattato di pace - Ristampa della Storia d'Italia - Lettera del Sindaco di Torino che ne accetta una copia in dono - Letture Cattoliche: LA VITA DE' SOMMI PONTEFICI S. PONZIANO, S. ANTERO E S. FABIANO - Un figlio prodigo ricondotto da D. Bosco alla casa paterna - Suoi consigli ad un giovanetto sul modo prudente di leggere certi libri.
I chierici dell'Oratorio avevano finito il corso annuale dei loro studii. Dal 1859 in poi esistono nei nostri archivii i voti dei loro esami subiti nella sala del Seminario di Torino e da questi registri risulta come essi si dedicassero con diligenza allo studio della filosofia e della teologia. Il 23 giugno alla sera si festeggiò D. Bosco, e all'indomani S. Giovanni Battista; ma sul tramontar di quel giorno le prime notizie di una spaventosa battaglia mutarono la gioia in dolore. Il 23 gli Austriaci, ripigliata l'offensiva, erano passati sulla riva destra del Mincio e per centri di loro azione avevano fortificato Solferino e S. Martino. Nello stesso tempo gli alleati traversavano il Chiese. Il 24 si attaccava la battaglia. Per quattordici ore 274.000 uomini combattevano senza
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posa. La sorte delle armi piegava in favore dei Franco - Sardi rimasti in possesso delle contestate alture, quando una orribile bufera di vento, tenebre paurose, pioggia torrenziale, grandine con rimbombo di tuoni e scoppio di folgore, faceva tacere il frastuono di settecento cannoni e poneva fine alla pugna. I campi, narra Cesare Cantù, erano seminati di quasi 40.000 soldati o morti o feriti, fra i quali 13.000 Austriaci, e di 1500 ufficiali con tre marescialli. Nell'Oratorio temperarono l'impressione dolorosa di tante morti, le preghiere e le comunioni colle quali Don Bosco volle suffragate le anime del Purgatorio, e la festa in onore di S. Luigi Gonzaga solennemente celebrata il 29 giugno. Era priore il Sig. Delponte Giovenale. Un inno a lui dedicato, ed in onore al santo Patrono della gioventù, fa palese quale distinto poeta fosse il Ch. Bongiovanni Giuseppe. Le famiglie intanto o piangevano i loro cari morti in battaglia o trepidavano sulla sorte dei sopravvissuti. La guerra pareva dovesse ancor durare. Le truppe alleate avevano passato il Mincio ed erano accampate in vista di formidabili fortezze, che non si potevano vincere senza lunghi assedii. Presso a Verona tutti prevedevano un'altra battaglia, sanguinosa come quella di Solferino. Le navi francesi erano entrate nell'Adriatico unendosi ad Antivari colla flotta sarda. Il 10 luglio era fissato per dare l'assalto a Venezia. In mezzo a tanta generale trepidazione D. Bosco prediceva la pace. Così ci scriveva la Contessina Suor Filomena Cravosio. “ Nell'anno 1859 mentre ferveva la guerra in Lombardia, una sera la mia povera madre, che aveva nell'esercito un figlio ed anche un fratello già ferito, col cuore affranto dal dolore e collo spavento del temuto avvenire dipinto sul volto,
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mi pregò di accompagnarla da D. Bosco. Quella volta, cosa straordinaria, D. Bosco ci fece introdurre nel refettorio dove aveva appena finito di cenare co' suoi preti, che lo circondavano ancora. Più lungi seduti chi sul tavolo, chi su rozza panca, alcuni allievi si esercitavano nel canto colle carte di musica in mano. Di tanto in tanto un ragazzetto si avvicinava per dire all'orecchio di D. Bosco una breve paroletta, alla quale D. Bosco rispondeva colla medesima segretezza. Dopo averci salutate con pochissime parole e fatte accomodare vicino a lui, parlò di cose indifferenti, ma di quando in quando dava a mia madre un'occhiata piena di espressione. Quando tutti i preti furono usciti dal refettorio disse a mia madre: - Signora Contessa, io so tutto ciò che ella vuol dirmi, ma faccia cuore (abbassando il tono della voce). Questa notte stessa Napoleone farà la pace e la guerra sarà finita. ” E mia madre: -Ma questo è impossibile! Ella dice così per consolarmi, ma i fatti sono ben diversi. ” All'indomani circa le ore sette del mattino mia madre ed io ci recavamo alla chiesa di S. Dalmazzo per udire la Messa e attraversando la via Garibaldi allora detta Dora Grossa, sentimmo gridare dai venditori dei fogli: - Pace di Villafranca conchiusa stanotte fra l'Imperatore Napoleone, Vittorio Emanuele e l'Imperatore Francesco II d'Austria. ” Dopo la messa fummo nuovamente da D. Bosco, che nel cortile ci venne incontro e disse per il primo: - Ringraziamo il Signore che i patti sono stati accettati. - E ci condusse nella cappella dove pregammo un poco ”. Che cosa era adunque accaduto? La Contessa Cravosio aveva parlato con D. Bosco la sera del 6 luglio verso le 8. Napoleone III si trovava a Villafranca suo quartier generale; era sbigottito dalla carneficina vista a Solferino e preoccu-
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pato per notizie venute dalla Germania, che lo avvisavano essere pronte alcune Potenze a muoversi in aiuto dell'Austria. Questa stessa sera verso le 9, essendo a tavola, faceva chiamare il Generale Fleury e, dategli alcune istruzioni, gli consegnava una lettera colla quale domandava una sospensione d'armi al Sire Austriaco. Il Generale entrava in Verona alle dieci e mezzo. L'Imperatore Francesco Giuseppe era a letto e si andò a svegliarlo. Vestitosi in fretta, il Generale Fleury fu introdotto alla sua presenza. Nel leggere la lettera di Napoleone l'emozione e la sorpresa si dipinsero sopra il suo viso, e ascoltate le spiegazioni a voce espostegli dal Generale, dichiarò che erano giuste, e all'indomani acconsentiva alle proposte. L'11 luglio i due imperatori s'incontravano a Villafranca, convennero nelle condizioni, e la pace era fatta (I). Ed ecco le condizioni: “ Cessione della Lombardia all'Imperatore di Francia, che l'avrebbe rimessa al Re di Sardegna: Mantova, Roccaforte e Peschiera restavano all'Austria. ” Conservazione della Venezia sotto il dominio Austriaco, che però entrerebbe in una confederazione di tutti gli Stati italiani sotto la presidenza Onoraria del Papa. ” Non si impedirà il ritorno dei principi spodestati nei loro dominii e si aumenteranno i possessi del Granduca di Toscana. ” Amnistia generale da una parte e dall'altra. Non una parola delle Legazioni e del Duca di Parma. Questa convenzione fu poi sancita a Zurigo il 10 novembre 1859 e davasi anche facoltà alle corporazioni religiose lombarde di disporre dei loro beni, quando le leggi
(I) Indépendance Belge.
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dello Stato sotto cui passavano, non ve le mantenessero in possesso. Ma di tutte queste condizioni furono osservate quelle solamente che riguardavano la cessione delle terre lombarde e dell'amnistia. Tutte le altre rimasero lettera morta. Il 15 luglio il Re e Napoleone III entravano in Torino accolti con grande apparato di feste e l'Imperatore partiva tosto per Parigi accompagnato dal Re fino a Susa. Ma nè la guerra, nè la pace potevano in nessun modo influire sull'attività di D. Bosco. Nel mese di giugno aveva fatto stampare da Paravia con qualche aggiunta la seconda edizione della sua Storia d'Italia in 2500 copie. Giova ripetere come in questo libro narrasse l'origine del potere temporale dei Papi e ne sostenesse il diritto, e ne dimostrasse i vantaggi: e faceva dono di molti esemplari a personaggi cospicui del clero e del laicato. Fra gli altri il Sindaco di Torino ringraziandolo in questi termini: CITTA' DI TORINO. Torino, addì 16 luglio 1859.
Il pregievole dono teste fatto dalla V. S. Ill.ma della Storia d'Italia raccontata alla gioventù dai suoi primi abitatori fino ai giorni nostri, la rende meritevole di vera gratitudine per parte di codesta Civica Amministrazione; ed il Sindaco sottoscritto è ben lieto di farsene presso di Lei interprete, nell'atto che Le rassegna anche i più sentiti ringraziamenti per la di Lei cooperazione nell'attuazione di una pubblica Biblioteca Municipale che ridonderà a vantaggio sicuro della popolazione di Torino. Gradisca gli attestati del predistinto ossequio di chi si pregia di protestarsi Di V. S. Ill.ma D. O. servitore Il Sindaco NOTTA
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Nella metà di luglio avevanlo occupato, gli esami, le premiazioni, le pagelle dei voti, le pubbliche estrazioni e le private ai singoli alunni che erano chiamati dai parenti alle loro case per le vacanze. Sul principio del mese, coll'aiuto del giovane Chiala, Don Bosco aveva pubblicato pel mese di luglio il fascicolo anonimo delle Letture Cattoliche che portava il titolo: Antonio e Ferdinando, ossia il trionfo dell'innocenza. Racconta di uno studente, figlio di poveri artigiani, che percorre splendidamente la carriera degli studi, contristato però dalla prepotenza di un suo emulo di famiglia nobile, al quale sono concessi que' premii che a lui erano dovuti. Soccorso da uno sconosciuto benefattore, che poi si scopre essere il Ministro dello Stato, riesce a conseguire la laurea di avvocato, che egli onora col respingere le insidiose promesse di chi voleva farlo istrumento di ingiustizia, il calunniato, è chiuso in carcere, ma infine la verità si fa palese, e gli è conferita una carica importantissima e lucrosa. Il racconto prova che la Divina Provvidenza permette talvolta, che la nostra vita sia oppressa dai tristi, ma quando meno lo crediamo ella viene in nostro aiuto. La virtù è ricompensata anche nella vita presente, cui certamente terrà dietro una eterna mercede nella patria dei beati. Pel mese d'agosto l'opuscolo preparato era: La Vita dei Sommi Pontefici S. Ponziano, S. Antero, e S. Fabiano per cura del Sac. Bosco Giovanni.(H). Era lavoro tutto suo. Colla storia di questi Papi che versarono il sangue per la fede, descrive la conversione, la vita santa e il martirio di Ponzio senatore romano, il battesimo dell'Imperatore Filippo e di suo figlio e la sommissione di Origene alla Chiesa. Ultimate le correzioni di questo opuscolo D. Bosco an-
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dava a S. Ignazio dove egli avrebbe ritrovata una pecorella smarrita della quale da vari anni andava in traccia. Un giovanetto di nome Francesco D... d'ingegno svegliato, studente di ginnasio aveva frequentato l'Oratorio di Valdocco. Egli apparteneva ad una famiglia ricca di censo e di virtù. Suo padre e sua madre gli avevano infuso nel cuore il santo timor di Dio e D. Bosco secondava le loro premure raccomandando al giovane un'esatta obbedienza ai suoi genitori. Francesco non aveva segreti per lui. Ritornando a casa dall'Oratorio si dilettava di narrare quanto D. Bosco aveva detto e fatto e ripeteva il suo nome ad ogni istante, sicchè i suoi parenti speravano ogni bene da quella santa amicizia. Ma Francesco era agitato da una smaniosa curiosità di leggere, sapere e conoscere e avendogli i compagni imprestato qualche romanzo, non immorale, ma tale da scaldargli fuor di misura la fantasia, egli si appassionò talmente in quelle letture, da raffreddarsi nella pietà, nello studio, e da venirgli a noia l'Oratorio. Il padre accortosi di quel cambiamento ne cercò e ne trovò la causa, rimproverò il figlio, gli tolse quei libri e non trovando in lui la doverosa arrendevolezza, lo minacciò di un severo castigo. Il fanciullo colla mente squilibrata da quelle letture, caparbio e sgomentato fuggì di casa. Dopo essersi aggirato tra le colline di Superga, temendo di essere inseguito si fermò innanzi all'aia di una cascina ove i contadini all'ombra di un grande albero, interrotto il lavoro di battere il grano, merendavano allegramente. Estenuato dal caldo, dalla fame e dalla sete, per un istante li osservò con invidia. L'amor proprio lo ratteneva, la necessità spingevalo, ma fattosi finalmente coraggio si avvicinò e chiese loro una fetta di polenta.
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Stupirono i contadini che loro chiedesse l'elemosina un giovanetto che la fisionomia e l'abito palesavano cittadino dì condizione signorile e gli domandarono chi fosse e donde venisse: ma Francesco seppe inventare una favoletta che commosse quei semplici cuori. Disse loro: sè essere orfano di padre e di madre che per sventure commerciali lo avevano, lasciato nell'estrema miseria; e quindi, per togliersi al rossore di porgere la mano in una città dove era conosciuto, aveva deliberato di andare in paesi lontani. Ebbe allora la sua parte di polenta, e uno di quei coltivatori gli disse: - E come farai da qui innanzi a vivere? Bisognerà che ti metta a lavorare. - Se mi volete con voi, rispose Francesco, io sono pronto. - Tu così delicato, maneggiare la zappa e la vanga! E tutti gli altri diedero in uno scroscio di risa. - E perchè no? replicò Francesco; provatemi! - Ebbene; prendi questo correggiato... e avanti. Francesco deposta la giubba incominciò a battere le spighe. Benchè non fosse assuefatto a fatiche manuali, lavorava con tanto ardore, che quei buoni contadini compassionandolo gli dissero: - Ebbene sta con noi; polenta e pane non ti mancherà; nel pagliaio ci sarà il tuo posto per dormire. Sei contento? Francesco qui soffermossi per due settimane, eseguendo quanto gli era comandato, ma importunando i suoi padroni, perchè lo mettessero a servizio in qualche masseria più lontana da Torino. E quella buona famiglia lo mandò presso certi suoi parenti che abitavano a Sciolse. Qui Francesco si assoggettò a qualunque fatica ed umiliazione, con energia risoluta di volontà. Una pazza vergogna ed un timore irragionevole lo trattenevano dal ritornare alla casa paterna
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Intanto suo padre, antico magistrato, con ansia crudele, faceva ricerca di lui, ma non riusciva a rintracciarlo. Si recò da D. Bosco per avere conforto, e D. Bosco, benchè sorpreso da così strana novella, lo assicurò che la Madonna Santissima avrebbe protetto suo figlio e lo avrebbe ricondotto in famiglia; gli prometteva nello stesso tempo che nell'Oratorio si sarebbe pregato per lui. Da due anni non si erano più udite novelle di Francesco quando D. Bosco andava per alcuni giorni a Sciolse nel castello del Conte Roasenda, invitato a predicare in quella parrocchia. Il Conte volle condurlo in vettura a visitare una sua grande fattoria coltivata con molta diligenza. Esaminata minutamente ogni cosa, sedettero in un luogo delizioso dal quale si godeva un bel panorama. Mentre il Conte si era alquanto allontanato per osservare una tettoia costrutta allora, gli occhi di Don Bosco furono attirati da un giovane col volto abbronzato dal sole, di forme robuste, coi capelli rasi e un ciuffo che gli scendea sulla fronte, il quale poco distante in un prato più basso stava col tridente ammucchiando il concime trasportato dalle stalle. Più lo fissava e più gli pareva d'averlo visto altre volte, ma non riusciva a precisare le sue reminiscenze. In quell'istante il giovane alzò gli occhi, fece un atto di sorpresa, e continuò il suo lavoro, tenendo la faccia studiosamente rivolta in modo da nasconderla a D. Bosco. D. Bosco allora si mosse per scendere da quella ripa, ma il giovane allontanavasi con passo affrettato. Si fece allora la luce nella mente di D. Bosco, e pensò: - Forse è Francesco. - Intanto il fattore essendosi avvicinato a lui, egli chiese notizie di quel servitore di campagna, ed ebbe per risposta: essere laborioso, obbediente e di buona condotta; averlo a lui raccomandato alcuni suoi parenti, e chiamarsi Giuseppe: ma non aver
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stimato necessario chiedere informazioni. D. Bosco pensò essersi quel giovane mutato il nome e disse al fattore: - Fatemi il piacere: interrogatelo con prudenza: cercate di conoscere il cognome della sua famiglia, il tempo che uscì dal suo paese, e poi comunicatemi l'esito delle vostre investigazioni. Il giovane intanto nascosto tra le viti, aveva osservato come D. Bosco parlasse col fattore; sospettò l'argomento di quel discorso, risolse di fuggire e senz'altro salì alla casa colonica, per vestire i suoi rozzi panni e prendere i pochi danari, frutto de' suoi risparmi. Il Conte e D. Bosco in vettura, giravano il fianco della collina che da quel lato era incolta, sassosa e ripida; quand'ecco ad uno svolto della via, venir giù a rompicollo quel giovane, che aveva sperato di antivenire D. Bosco. Il cavallo si adombra e il Conte balza a terra e lo afferra pel morso: D. Bosco scende subito, e tenta di afferrare Francesco per un braccio, mentre salta sulla via. Ma non riesce a tenerlo per l'impeto della sua corsa e il giovane gridando: - Mi lasci, mi lasci andare! - scivola giù dalla ripa, e si dilegua fra gli alberi d'un burrone. Era passato circa un anno da questo incontro. Don Bosco si trovava a S. Ignazio sopra Lanzo per gli esercizi spirituali. Un giorno, finito il pranzo, usciva sulla spianata davanti alla chiesa, passeggiava circondato da una folla numerosa di signori e specialmente di giovanotti, intrattenendoli in amena conversazione. Giunto al parapetto del muraglione che sosteneva il terrapieno, a caso volse gli occhi al basso e vide seduta la solita turba di povere donne, vecchi, fanciulli accalcati alla porticella della cucina, aspettando che il cuoco distribuisse loro i rilievi del pranzo. Fra questi, con suo stupore, riconobbe subito Francesco, il quale
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scalzo, senza giubba, teneva in mano la scodella, aspettando la sua porzione di cibo. D. Bosco si ritrasse subito, perchè Francesco non lo vedesse e andato dalla parte opposta del cortile disse a coloro che erano con lui: - Signori, chiedo il vostro aiuto per compiere una bella impresa. - Dica, dica, D. Bosco, siamo pronti. - Dividetevi in due schiere, scendete alla spicciolata, gli uni da questa parte, e gli altri da quell'altra fino alla metà del poggio, come se andaste tranquillamente a passeggio. Quindi forniate di voi una catena in modo, che ciascheduno sia distante dai vicini non più di sei o sette passi e risalite verso il santuario. Un giovane scenderà fuggendo e voi fermatelo e conducetelo a me. Il suo ordine fu puntualmente eseguito e quando vide che i suoi amici incominciavano a risalire, si affacciò al parapetto e chiamò: - -Volgersi e slanciarsi giù per la china fu cosa di un istante per il giovane, ma non potè passare la linea di quei signori, i quali afferratolo lo condussero ove D. Bosco lo aspettava, senza che facesse una gran resistenza. D. Bosco lo prese per mano: - Questa volta non mi fuggi più, gli disse. Vieni adunque con Don Bosco e sarai contento. - E lo condusse in sua camera. Quivi fattogli apprestare il pranzo, prese ad interrogarlo amorevolmente. Seppe da lui come fuggito da Sciolse si fosse internato nelle alpi, ed ora pastore, ora contadino, ora servitore nella casa di un parroco, ed ora girovago, avesse campato la vita in mezzo a strane avventure, ma sempre fortunato nell'incontrarsi con persone morigerate. Sul principio non erasi affacciata alla sua mente l'idea del gran male fatto, ma cessata quella febbre che aveagli offeso il cervello, ne
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aveva riconosciuta l'enormità. Tuttavia questa, rappresentandogli il padre giustamente sdegnato, lo ributtava invincibilmente dal tornare a lui; e non poteva neppur reggere a tale pensiero. Sovente però gli stringeva il cuore il ricordo di sua madre e della sorella. Aveva anche pregato e pianto non osando però palesare ad alcuno la sua condizione e le sue pene. - Ma ora, egli diceva, passato il primo sgomento, sentirsi fortunato nel trovarsi in sì buone mani. D. Bosco gli promise allora di riconciliarlo col padre suo, invitandolo a riconciliarsi prima con Dio, cosa che Francesco fece volentieri. Quindi abboccatosi con D. Begliati economo del Convitto di S. Francesco e degli esercitandi a S. Ignazio, gli narrò il fatto; al giovane fu assegnata una camera. Il domani D. Begliati si faceva mandare da Torino quanto era necessario per vestirlo signorilmente. D. Bosco terminati gli esercizii ritornò all'Oratorio con Francesco e si affrettò a portare l'inaspettata notizia ai desolati genitori. Dopo un breve esordio per disporre gli animi, concluse: - Ringraziamo il Signore; Francesco è ritrovato! Fu un grido generale di gioia in quella casa e poi un chiedere: -Come? Quando? Dove? - D. Bosco narrò brevemente il fatto e poi vedendo il padre rimaner pensieroso, soggiunse: - Riavrete dunque vostro figlio, ma a condizione che non gli si faccia alcun rimprovero. Si dimentichi pienamente il passato e si riceva in casa come se non ne fosse mai partito. Altrimenti soggiunse sorridendo, non ve lo faccio vedere. - Il genitore assentì e D. Bosco invitò tutta la famiglia a recarsi all'Oratorio l'indomani nelle ore mattutine. Non si può dire con quale ansietà fu atteso quel momento. La madre entrò per la prima, colla sorella di
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Francesco nella camera di D. Bosco, ma appena visto il figlio che piangeva seduto presso il servo di Dio, sentissi mancar le forze, sedette colla figlia e ruppero ambedue in lagrime. Poco dopo giungeva il padre, con un contegno sostenuto e asciugandosi le lagrime sedette esso pure senza parlare. Francesco non si era mosso. D. Bosco non interruppe quel primo sfogo, e quando li vide più calmi disse: - Sia benedetta la Madonna che vi restituisce il figlio... E Francesco chiede perdono a suo padre e a sua madre dei dispiaceri che loro ha cagionati... e ciò detto lo prese per mano e lo condusse presso il padre che singhiozzando lo baciò in fronte. - E ora, signori miei, se lo conducano a casa, concluse D. Bosco, e mi rendo garante che avranno da lui molte consolazioni. E fu così. Riprese gli studi e col grande ingegno che aveva, in pochi anni guadagnò il tempo perduto, si addottorò in legge e salì ad una delle più eminenti cariche dello Stato. D. Bosco stesso ci narrò questo fatto, che dimostra quanto siano pericolosi per la gioventù molti libri, i quali benchè non perversi pure esaltano la fantasia, ed eccitano la sensibilità. Ed è perciò che D. Bosco era sì grandemente severo nell'imporre ai suoi alunni che presentassero al giudizio del Superiore i libri che recavano dalle loro case, e che si procuravano lungo l'anno. Anche a molti giovanetti della borghesia e della nobiltà di Torino ci consta, che dava consiglio di far esaminare ogni libro che loro capitasse nelle mani, da persone probe ed intelligenti, prima di leggerli. Tanto più che nelle stesse scuole sedevano insegnanti poco prudenti ed anche talora irreligiosi, i quali esortavano gli scolari a letture sconvenienti.
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Perciò anche dalla città gli studenti recavano o mandavano a lui i loro libri per averne il consentimento o la proibizione. Abbiamo una sua lettera su questo argomento.
Ottavio Car.mo,
Eccoti i libri di cui ho fatto fare breve rivista. In senso proprio non avvi alcuna cosa proibita: i libri non sono all'indice. Sonvi però alcune cose assai pericolose per la moralità di un giovane; perciò mentre puoi leggerli devi stare attento su te medesimo, e qualora ti accorga avvenire danno al tuo cuore, sospenderne la lettura, o almeno saltare que' brani che relativamente possono essere pericolosi. Ho fatto aspettare il domestico perchè aveva molta udienza. Dio ti doni sanità e grazia: mille saluti a maman e a tua sorella: prega anche per me che ti sarò sempre nel Signore Torino, 11 agosto 1859. Aff.mo amico Sac. Bosco GIOVANNI.
Nobile giovane Bosco Ottavio di Ruffino.
CAPO XX. Un incontro di D. Bosco a Troffarello - Due Predizioni - Due Letture Cattoliche - Sussidi del Re e del Ministro degli Interni - Costruzione di scuole; lavatoio e legnaia - D. Bosco ai Becchi coi giovani - Le passeggiate: programma Prestabilito: provvidenza: marcie: la storia dei paesi: casi allegri: entrata in un borgo: ospitalità: scene buffe: le funzioni in chiesa: il teatro: la partenza: animo generoso di D. Bosco: incontri non previsti - Si va a Maretto - Arrivo a Villa San Secondo - Una spina del parroco - Visita a Corsione, Cossombrato e Rinco - Festa della Madonna delle Grazie - Il teatro e un ballo impedito - La festa della Maternità di M. V. - Partenza da Villa S. Secondo Fermata a Piea - Viaggio notturno - Arrivo ai Becchi - Un giovane smarrito - Visita alla tomba di Savio Domenico - Ritorno all’Oratorio.
Si legge nell'Ecclesiastico: “ La bocca dell'uomo prudente è desiderata nelle Chiese e le parole di lui ciascuno le medita in cuor suo ”. (XXI, 20). In un giorno del mese di agosto D. Bosco partiva per Cambiano invitato a predicare, ma arrivato a Troffarello il convoglio non procedeva più oltre. Le corse non
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erano regolari per un continuo movimento di materiale di guerra e di soldati da Alessandria a Torino, sicchè egli fu costretto a proseguire pedestre la sua via: pioveva ed era senza ombrello. Dal medesimo treno scendeva il Deputato Tommaso Villa diretto egli pure allo stesso paese. Prese una carrozza e raggiunse ben presto D. Bosco. Vedendo quel povero prete, che camminava cercando di farsi col mantello schermo dalla pioggia, come meglio poteva, mosso a compassione lo invitò a salire. D. Bosco accettò ringraziando. L'On. Villa restò colpito dalle sue maniere e dalla ritenutezza e gentilezza del suo parlare; e giunto a Cambiano gli domandò se pernottasse nel paese, oppure ritornasse indietro la sera stessa. Saputo che doveva ritornare, lo invitò a trovarsi nel tal luogo e all'ora tale per approfittare della sua vettura. D. Bosco accettò, ringraziò e fatta la predica, fu puntuale all'appuntamento. Nel ritorno l'On. Villa chiese al prete: - Mi favorisca dire il suo pregiato nome. - D. Bosco, gli rispose il prete. - Di Valdocco? - Sissignore, e Lei? - Io sono l'Avvocato Villa! È lo stesso Avvocato che narrava a D. Rua quel suo incontro e aggiungeva che da quel momento più non cessarono le sue relazioni con D. Bosco. Lo stesso accadeva a qualunque altro che avesse la fortuna d'incontrarsi con lui: e le famiglie cattoliche in Torino lo tenevano molto caro riconoscendo in lui un uomo del Signore: e ogni giorno si persuadevano maggiormente, che egli era favorito dal cielo di straordinarii doni. Fin dai primi tempi dell'Ospizio di S. Francesco di Sales, D. Bosco recavasi a quando a quando, a far visita alla fa-
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miglia del Conte Cravosio, tanto distinta per pietà e generosità. La Contessa e le sue figliuole, volenterose di occuparsi in opere di beneficenza, si adoperavano specialmente nell'aggiustare le biancherie dei poverelli di Valdocco. Una di quelle nobili donzelle la cui testimonianza abbiamo riferito nel capitolo precedente sulla predizione di D. Bosco intorno alla pace di Villafranca, scrisse a D. Rua il seguente fatto.
Era il 30 agosto 1859 giorno di S. Rosa mio onomastico. Mia madre sempre intenta al mio bene per rallegrarmi, fra le altre cose mi aveva regalato una bella statuetta di Maria Immacolata e poi circa le ore nove mi condusse da D. Bosco ove ci trattenemmo un poco. D. Bosco ci promise di venire alle 6 a pranzo da noi, e tenne la sua parola. Durante il pranzo m'indirizzò semplici auguri riguardanti la mia salute. Dopo il pranzo lo pregai di venir meco nella mia camera. Sopra una mia cantoniera aveva deposto la statuetta della Madonna e pregai D. Bosco a benedirla ed a supplicarla per me di una grazia speciale, senza spiegarmi di più. Era la grazia di trovare il mezzo onde soddisfare la mia vocazione religiosa. D. Bosco giunse le mani e diritto davanti all'immagine di Maria, in silenzio, fece sulla statua il segno della santa croce e poi pregò ancora; infine senza scomporsi dal suo pio atteggiamento e sempre guardando la statuetta disse: - O Vergine SS. Immacolata, benedite e consolate la Rosina, che io vedo vestita di bianco. - Ma D. Bosco, l'interruppi, io non sono vestita di bianco, anzi non mi piace vestirmi di tal colore; (io aveva allora 19 anni) sono le bambine che si vestono di bianco, ma alla mia età non conviene (e nel mio cuore sentiva certa ripugnanza di farmi Domenicana appunto per l'abito). Allora D. Bosco replicò: - Sì, la Rosina vestita di bianco - e ripeteva con accento profetico le medesime parole, quando la voce di mio padre lo chiamò in sala per prendere il caffè. Due anni dopo cioè il 16 agosto del 1861 il Signore mi apriva
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la porta dell'Istituto delle Maestre suore Domenicane in Mondovì Carassone e la Vergine Immacolata esaudiva in pari tempo i desiderii del mio cuore e la preghiera di D. Bosco, realizzando chiaramente la profetica sua parola. Ma ciò non è tutto. Da parecchi anni mi trovava a Mondovì e le cose andavano assai bene, quando il demonio venne a mettere col disordine in sussulto anche la nostra cara comunità di Mondovì Carassone e la conseguenza di questo fu la perdita di un bel numero di allieve. In tale frangente la nostra buona Madre Manfredini mi suggerì di scrivere a D. Bosco mandandogli un piccolo obolo e pregandolo di fare una novena per ottenere alla nostra Comunità un ritorno al pristino stato fiorente. Pochi giorni appresso D. Bosco rispose, come al suo solito, con parole di ringraziamento, di consiglio, d'incoraggiamento. Più di 20 allieve vennero quanto prima ad accrescere il nostro educandato, ogni disordine fu dolcemente represso e la calma, la gioia e la virtù ripresero fra noi il loro posto. Ecco, reverendissimo Sig. D. Rua, le mie memorie su D. Bosco schiette schiette come le ho nella mente.
Suor FILOMENA CRAVOSIO.
Ad un'altra nobilissima fanciulla, della quale a suo tempo diremo il nome, D. Bosco predisse l'avvenire. Ella sentivasi chiamata da Dio alla vita religiosa, e non avendo ostacoli dai suoi parenti nel conseguimento dei suoi desiderii, ne fece parola a D. Bosco. Il servo di Dio le rispondeva: - Sì, lei si farà religiosa, ma dopo un lungo tempo di aspettazione, e passando per casi ora imprevedibili. E così fu. Dopo alcun tempo, morta una sua sorella, lasciando un figlio in tenera età, dovette ella sposare il cognato, essendo necessario un cuor di madre per quel bambino. Rimasto ben presto orfano anche di padre, morto di colera, la buona matrigna ne curò, con nobilissimo sacrificio, l'educazione religiosa e civile, e il ricco patrimonio; e solo quando ebbe compiuta questa santa missione, e
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lo ebbe messo nella splendida carriera che spettavagli, si ritirò in Religione. D. Bosco essendo alla fine di agosto, affrettava la stampa delle Letture Cattoliche pel mese di settembre 1859. Presentava agli abbonati: La Valle d'Almeria di autore anonimo. Si descrive una famiglia perseguitata e dispersa dall'odio e dalle violenze dei suoi nemici, riunita poi meravigliosamente dalla Bontà Divina. Pel mese di ottobre preparava: Il cielo aperto mediante la Comunione frequente, compendio di un'opera francese del celebre missionario in Savoia l'Abate Favre, scritto dal frate Carlo Filippo da Poirino Sac. Cappuccino. Espone i motivi che devono impegnare il cristiano a comunicarsi spesso; confuta i pretesti che recano molti fedeli per dispensarsi dalla Comunione frequente; tratta della prima Comunione, della pasquale e di quella per viatico. Espone le disposizioni richieste per la Comunione in generale e per la Comunione frequente; dimostra che la Comunione settimanale non si può dire Comunione frequente, stando ai principii ammessi dalla Chiesa. Mentre però egli distribuiva agli altri l'alimento per lo spirito, mancava del pane materiale per i suoi figli. D. Bonetti Giovanni così scriveva: “ La guerra lasciava molti fanciulli orfani di padre, e ben se ne accorse anche il nostro Oratorio. Quasi ogni giorno noi vedevamo giungere nuovi compagni, e vie più avvicinarsi l'un l'altro i letti per fare posto all'ultimo arrivato. Ma tante bocche di più a divorare pagnotte fecero crescere le spese ed aumentare i debiti, onde D. Bosco venne presto a trovarsi in gravi strettezze. Confidava egli bensì nella divina Provvidenza, ma in pari tempo non tralasciava di appigliarsi a quei mezzi che la prudenza suggeriva. Quindi per mano del Conte
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Luigi Cibrario egli fece pervenire alla Maestà di Re Vittorio Emanuele II umile domanda di un qualche sussidio pei suoi giovanetti; e il 31 di agosto, riceveva lettera dal Conte medesimo, nella quale leggevansi queste parole:
GRAN MAGISTERO DELL'ORDINE DEI SANTI MAURIZIO E LAZZARO.
Torino, 31 agosto 1859. Ho avuto l'onore di intrattenere Sua Maestà della poco felice situazione in cui trovasi al presente la Pia Opera da Lei fondata pel ritiro dei giovanetti abbandonati, e per la lontananza dei benefattori e per le spese straordinarie cagionate dal numero insolito di ragazzi ch'Ella ebbe a ricoverare nella circostanza della chiamata all'esercito di non pochi contingenti padri di famiglia; e la Maestà Sua, volendo venire ancora per questa volta in di Lei aiuto, si è graziosamente degnata, in seguito a mia proposizione, di accordarle una sovvenzione straordinaria di L. 250 sul Tesoro Mauriziano. Mentre mi è grato di poterle dare questo lieto annunzio e prevenirla che il relativo mandato di pagamento già si trova a di Lei disposizione presso la Tesoreria dell'Ordine, devo però anche avvertirla che questa largizione è affatto eccezionale e senza tratto di conseguenza, nè potrebbe mai essere invocata come un precedente negli anni avvenire, essendo unicamente motivata dalle straordinarie circostanze che si verificarono in quest'anno. Le rinnovo i sensi della mia particolare stima. Il Primo Segretario di S. AL Primo Presidente CIBRARIO.
Alcuni mesi dopo, il 12 gennaio 1860 un altro sussidio di 200 lire gli accordava il Ministro dell'Interno, Rattazzi, annunziandoglielo in questi termini il segretario Capriolo:
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Nello scopo di sussidiare l'amministrazione del Ricovero dei poveri giovani abbandonati in questa città, questo Ministero si è determinato ad accordare al suo fondatore e direttore D. Giovanni Bosco la sovvenzione di L. 200, ed ha ordinato la spedizione in suo capo del relativo mandato. Questo mandato sarà esigibile a suo tempo dalla Tesoreria del circondario di Torino.
Questi aiuti non erano certamente pari al bisogno; ma stante le gravi spese della guerra non erano neppure disprezzabili. Essi dimostravano per lo meno che il Re ed il suo Governo riconoscevano l'utilità dell'Opera e spronavano i privati cittadini a soccorrerla colle proprie elargizioni. D. Bosco intanto, poichè il numero dei giovani ricoverati andava sempre crescendo, aveva in quest'anno fatto costruire dall'impresario Delponte Giovenale un'edifizio di un sol piano terreno, nello stretto cortile a nord, appoggiato al muro di cinta e parrallelo al sito della prima cappella tettoia. Fu diviso in tre sale abbastanza grandi perchè servissero ad uso scuole. Sulla stessa linea a diritta dell'androne, che si apriva nel mezzo dell'Ospizio si innalzò un altro stanzone colla vasca per le lavandaie e con attigua tettoia per la legna da bruciare. Queste costruzioni stettero in piedi fino al 1873. Mentre nell'Oratorio si conducevano a buon termine tali lavori, si facevano i preparativi per la passeggiata ai Becchi. I giovani erano fuor di sè per la gioia, avendo D. Bosco annunziato che in quell'anno si sarebbe fatta la passeggiata in modo insolito. Il maestro della banda esercitava i suonatori piccoli e grandi con una nuova serie di marcie, sinfonie e variazioni da lui composte; e adattava per essa le note dì accompagnamento per una messa, un vespro e varii Tantum ergo, per i luoghi ove mancasse l'organo. I cantori nella loro sala ripetevano ancora una volta
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gli spartiti di musica sacra e profana per la Chiesa e per il teatro. Alcuni, fatta una piccola raccolta di drammi, commedie, farse, e pantomime, da poter recitare due volte e più ancora in un medesimo luogo, senza ripetere le già rappresentate, addestravano con varie prove i comici. I macchinisti imballavano qualche scenario, alcuni attrezzi del palco scenico, e pochi vestiarii per gli attori, tutta roba che avrebbero essi stessi portata sopra le loro spalle. Tutto questo lavoro però non impediva le piccole scuole delle vacanze. E D. Bosco si recava con Garino, Chiapale e pochi altri ai Becchi, ove predicando la novena del Rosario Don Chiattelino ed egli confessando, si dava una vera missione per le borgate circostanti. Sabato 10 ottobre partiva dall'Oratorio la turba dei cantori, e dei musici con altri alunni. Ognuno teneva un piccolo fagotto con biancheria da cambiarsi lungo il viaggio e aveva ricevuto alcune pagnotte, un po' di formaggio e frutta pel suo viatico. Presso Buttigliera il padre dello studente Tommaso Chiuso, che poi fu Canonico della Cattedrale di Torino, essendo ortolano, loro imbandì un'insalata saporosa con molte erbe, che li riebbe dall'arsura loro cagionata dal lungo cammino; e a sera giunsero ai Becchi ove Giuseppe Bosco aveva preparato il pranzo. La domenica 2 ottobre festeggiavasi la solennità di Nostra Signora del Rosario. Il giorno dopo incominciavano le passeggiate, che ben si meritano l'appellativo di classiche ed uniche nel loro genere, perchè si prolungavano per 10, 20 e più giorni, passando di paese in paese e seguendo l'itinerario di un ben studiato programma. Noi incominceremo a darne una
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idea generale, per poi narrare a suo tempo i particolari avvenimenti di ciascuna di esse. Erano stati fissati da più settimane i luoghi dove si sarebbe pernottato, ed era sempre presso un parroco amico od un esimio benefattore, i quali preparavano l'alloggio per tante persone e provvedevano a loro spese il necessario per dormire e per il vitto; e aspettavano ansiosamente il giorno dell'arrivo di D. Bosco, lietissimi di potergli offrire quanto gli abbisognava. E un centinaio di giovani si metteva in marcia, accompagnati da qualche chierico e portando l'allegria della musica, e del teatro e l'edificazione della pietà nei paesi pei quali passavano. Erano quelli che voleva Don Bosco in special modo premiare procurando loro un caro e salutare solazzo. Tali escursioni soddisfacevano eziandio alla frenesia invalsa allora generalmente nei giovani, di novità, agitazione, tamburi, armi e davano pascolo alla fantasia e quindi prima al desiderio e alla speranza e poscia al ricordi ed ai racconti. Questo divertimento richiedeva però un gran spirito di sacrifizio in D. Bosco, per le occupazioni dei provvedimenti a darsi e per la vigilanza continua che doveva usare. Talvolta i tratti di strada erano eccessivamente lunghi e i giovani avevano consumate le loro provvigioni; tal'altra le intemperie li sorprendevano, ma la Provvidenza soccorreva sempre per mezzo di anime generose, specie parroci o cappellani, i quali venivano loro incontro e li invitavano a fare una sosta in casa loro. Queste marce erano qualche cosa di sommamente romantico, qui un gruppo di giovani cantava in coro una canzone, più in là una tromba dava i segnali per le manovre o per la sveglia. Più lontano ancora si udivano altre quattro o cinque trombe marcare il passo accelerato dei bersaglieri.
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Il tamburo faceva parte a solo, senza tregua, e talvolta per qualche colpo di gran cassa saltava la mucca o la pecorella che pascolavano nel prato. Dietro agli altri alcuni portavano il necessario pel teatro, scenarii e quinte, per montare il palco preparato da quei del paese. D. Bosco restava generalmente l'ultimo accompagnato da alunni e da chierici. Di ogni paese, verso il quale si muoveva il passo, egli aveva studiate le origini, le vicende politiche, i principi che li avevano signoreggiati, i personaggi che li resero illustri, i fasti, le sventure, i monumenti, le rarità d'arte o di natura, se ve n'erano, giovandosi del Casalis, delle memorie stampate di quel luogo ed anche della storia ecclesiastica. Quindi egli, o mentre camminava, o nelle fermate, istruiva e dilettava gli alunni col racconto delle cose apprese sui libri. E i giovani non si stancavano, mentre le persone istruite di quelle parti si meravigliavano che Don Bosco parlasse di cose appartenenti alle loro patrie, che essi ignoravano interamente. Quando D. Bosco non poteva avere i giovani attorno a sè, sottentrava Tomatis Carlo, protagonista di tutte le farse, anima della compagnia, eroe di tutte le avventure colle sue continue buffonate a tenerli allegri ovunque si fossero trovati. D. Bosco che non poteva soffrire musonerie, taciturnità, isolamenti, o parlari sommessi e quasi sospettosi ne godeva sommamente. E Tomatis dal mattino alla sera e dalla sera al mattino secondava ad oltranza i suoi desiderii e le risa dei giovani ed i loro applausi andavano alle stelle. Ma a dir vero non erano i soli scherzi di Tomatis, che eccitassero l'ilarità. Succedevano tanti fatti ameni, che sembravano preordinati ad accrescere il buon umore. Troppe cose sarebbero a dirsi e basti una sola. Un buon vecchietto
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che faceva la sua via conducendo un'asinello carico di mele s'incontrò coll'allegra brigata. Alcuni musici suonavano una marcia: - Che bella musica esclama il vecchio, dimostrando coi gesti il vivo piacere che provava: - Che bella musica! I suonatori gli passano dappresso; ad un tratto a due note fragorose di un trombone, l'asino alza la groppa, drizza le orecchie, salta, corre a precipizio e le mele si spargono sul terreno. Il padrone correndogli dietro, si volse ai giovani e gridò rabbioso: - Al diavolo la musica! Giunti in vista di un paese tutti facevano silenzio, si radunavano in corpo e preceduti dalla banda musicale, facevano il loro ingresso solenne. Il parroco e sovente il sindaco venivano incontro a D. Bosco e a lui ed alla sua comitiva facevano le più grate accoglienze. “ Ricordo sempre, scrive il Can. Anfossi, quei viaggi avventurosi che destavano meraviglia, contento ed edificazione. Io con cento altri sono stato testimonio della gran fama di santità che godeva D. Bosco, quando per parecchi anni dal 1854 al 1860, invitato da lui stesso, lo accompagnai pei colli del Monferrato. I suoi arrivi in quei paeselli erano un trionfo. I parroci dei dintorni si trovavano al suo passaggio e generalmente anche le autorità civili. Gli abitanti si affacciavano alle finestre o uscivano sulle porte delle loro case, altri si portavano sopra i suoi passi, i contadini abbandonavano i loro lavori per vedere D. Bosco. Le madri gli si avvicinavano presentandogli i loro bambini e genuflesse anche a terra gli chiedevano la benedizione. Pareva di assistere allo spettacolo che si legge nel Vangelo dove si narra il trasporto delle turbe al passaggio del Divin Maestro. ” Siccome era sua consuetudine di recarsi direttamente alla Chiesa parrocchiale per adorarvi il Sacramentato Gesù,
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in breve questa rimaneva piena di popolo al quale D. Bosco, salito in pulpito, rivolgeva subito un discorso invitandolo ad accostarsi ai Sacramenti. Quindi si cantava il Tantum ergo in musica e si dava la benedizione ”. D. Bosco e i chierici erano invitati a pranzo o a cena, secondo l'ora nella quale erano giunti, o dal Parroco, o da qualche nobile castellano. Anche per i giovani si imbandivano pasti abbondanti, ma ora mangiavano poveramente ed ora lautamente secondo le facoltà pecuniarie di chi ospitavali; ma l'allegria più schietta regnava in tutti. Venuta l'ora del riposo, qualche rara volta erano preparati i letti in molte famiglie, talvolta si dormiva sopra materassi, o sopra sacconi, ma più spesso sulla paglia o sulle panche, disposte in camere a pian terreno o in tettoie riparate. In questi casi nei quali era quasi impossibile prender subito sonno, Tomatis ripigliava le sue valentie. Imitando esso a perfezione le voci di tutti gli animali, faceva sembrare che il luogo destinato al riposo fosse divenuto l'arca di Noè. Una volta fu messo cogli altri nel pagliaio di un castello. Un grosso cane stava di guardia al portone. Tomatis aspetta che regni dappertutto il più profondo silenzio, ed incomincia ad imitare un flebile latrato. Il cane gli risponde ed egli dopo aver ripetuto ad intervalli il giuoco, finisce colla sua voce a spingere l'animale ad un furioso abbaiamento. Il portinaio due o tre volte intima silenzio al suo cane, ma non cessando, venne fuori: - Qual diavolo mai, ha stanotte addosso il mio cane? - Tomatis tacque facendo le finte di dormire e tacque pure il cane. Il portinaio sentendo cessato quel rumore, ritornò in letto. Ma dopo un quarto d'ora siamo da capo colla stessa musica. E il portinaio dopo un'ora non potendo dormire, saltò fuori, gridando: - Non
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ci è verso di chiudere gli occhi! To, to! zitto. - Ma essendo inutile quella voce, perchè Tomatis sottovoce incitava il cane, il portinaio prese a gettar sassi contro l'inquieto mastino. Fino a mezza notte durò la commedia e i giovani per non farsi scorgere, soffocavano a stento le risa. Altra volta Gastini era con un compagno a dormire in una stanza mentre Tomatis e altri giovanotti riposavano in un camerone attiguo: ma stavano in agguato fingendo di dormire per compiere una burla che avevano da vario tempo studiata. Ed ecco ad una certa ora Gastini si alza, esce dalla stanza e va nell'aia per respirare aria fresca. Tomatis scatta in piedi, corre a svegliare il compagno che dormiva e portano via i due letti e il tavolino, solo lasciando qualche sedia in mezzo alla stanza. Tutto era all'oscuro. Gastini entra, urta nelle sedie e incomincia a brontolare; si avvicina ove era il letto e non lo trova: crede di aver sbagliato stanza, gira attorno, cerca del compagno e non c’è. Accende un zolfanello e non riconosce il luogo. Intanto con un soliloquio esprimeva i suoi sentimenti di dubbio, di meraviglia. I compagni che si erano asserragliati nella loro stanza, non poterono più tenere le risa ed a quegli scoppi malfrenati accortosi Gastini della burla, prese a tempestare. E per un pezzo, passeggiò alla bella stella. E Tomatis al mattino ricominciava le sue lepidezze col cercare le gambe che diceva di aver smarrite nelle escursioni del giorno prima. Pensava intanto a fare improvvisate serie o burlesche al padrone di casa, le quali cagionavano prima sorpresa e poi un diletto senza fine. D. Bosco era contento anche di queste facezie, perchè distraevano i giovani da ogni pensiero inopportuno. Tanta allegria non distoglieva i giovani dalle pratiche di pietà. Il giorno dopo del loro arrivo era per quei paesi
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una delle più belle solennità, sia perchè gran numero degli abitanti si confessava e si comunicava, fermandosi D. Bosco fino a tarda ora a ricevere le confessioni; sia perchè cantavasi la messa in musica, alla quale il popolo prendeva parte. Dopo il pranzo la banda andava a prestare ossequio al Sindaco e ai principali signori col suonare davanti alle loro case. Alla sera di bel nuovo D. Bosco predicava e dopo le litanie in musica davasi la benedizione col SS. Sacramento. Terminate le sacre funzioni i giovani rallegravano il popolo con canti e suoni e colla rappresentazione di qualche commedia morale, in luogo dove potessero assistervi quanti volevano. I drammi, le cantate, le declamazioni di poesie piemontesi erano uno spettacolo, che non avrebbe figurato male in una città, per la valentia degli attori Bongiovanni, Gastini, Tomatis ed altri. Le persone colte ne restavano più che soddisfatte, ma per far andare in visibilio le masse meno educate del popolo ci voleva Tomatis. Aveva un repertorio tutto suo particolare di farsette mimiche, di smorfie, gesti, movimenti, salti, frizzi di una lepidezza impareggiabile. Ad esempio, un giorno, declamando aveva in testa un alto cappello a cilindro. Nello scuotere la testa gli entrò tutto quanto fino al collo. Fra le risa sgangherate della moltitudine spettatrice egli tentava invano di toglierselo; e non poteva o meglio fingeva di non poter cavarsi d'imbroglio. Corse allora Gastini per aiutarlo e fu una farsa completa. Si dirà da taluno: pagliacciate! - È vero; ma tali rappresentazioni lasciarono sempre ed ovunque un gradito ricordo. Venuta l'ora di ripartire per altre borgate, tutti i giovani si radunavano per salutare il loro ospite. Uno di essi leggevagli un gentile componimento con alcune strofe appositamente composte da D. Bosco per ringraziarlo, a
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nome di tutti i compagni, di quanto aveva fatto a loro favore e per amor di Dio: e D. Bosco concludeva: - Io le prometto di fare domani nella santa Messa un speciale ricordo per lei e per tutta la sua parrocchia e famiglia e che i miei cari figliuoli reciteranno il Rosario unendosi con me per augurarle ogni bene da Dio. Ella poi alla carità che ci fece quest'oggi, voglia aggiungere ancora quella di pregare per me e per i miei figli, assicurandola che noi non ci dimenticheremo mai più di lei e della bella giornata che ci fece passare. Non è a dire quanto l'ospite restasse commosso a queste parole, e ringraziato D. Bosco di quella visita soleva dire ai giovani: - Il Signore vi dia il buon viaggio ed una felice riuscita negli studii e nei vostri mestieri. Egli ha pensato al vostro bene nel mandarvi una guida savia come è il vostro D. Bosco; ora pensate voi a corrispondere. E vi fu chi rivolse a D. Bosco le parole del Re di Tiro a Salomone: “ Perchè il Signore ha amato il suo popolo, per questo ne ha dato a te il governo. ” D. Bosco ricordava gli avvisi dello Spirito Santo nel libro dei Proverbi al Capo XXII: “ Chi usa liberalità acquista vittorie e onori, e rapisce il cuore di chi li riceve ”. Quindi nel partire non lasciava mai senza una mancia generosa, sovente però rifiutata, quelle persone che erano state incaricate di servirlo. Talvolta la deponeva in una busta sopra il tavolino della camera nella quale aveva dormito. Se il suo ospite largo di cuore, era di poca fortuna, trovava altro modo di compensarlo colla più squisita cortesia e prudenza. Un giorno un suo sacerdote erasi recato, essendo in viaggio, con una ventina di giovanetti presso un buon parroco, il quale avevali tenuti a pranzo con se. - E tu che cosa gli hai dato in compenso? chiese Don
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Bosco a quel prete, che gli narrava l'ospitale accoglienza avuta. - Io? Che cosa dovevo dargli? - Quel buon parroco è ristretto di mezzi. Tu dovevi chiudere in una busta un biglietto da cento lire, e darglielo sigillato, pregandolo a celebrare una Messa per te e per i tuoi giovani. Ciò ti serva di norma, perchè in certi casi non bisogna essere stretti di mano. Del resto saprò io rimediare al tuo sbaglio. - D. Bosco, così povero, era generoso come un Re. I giovani intanto si erano rimessi in marcia per un'altra stazione talvolta molto lontana e quindi entravano nei villaggi intermedii o deviavano alquanto dal loro cammino, avendo D. Bosco acconsentito all'offerta cordiale di un buon parroco, che aveva preparata una merenda per gli alunni. La gente correva al comparire di tanti giovani dei quali non era stato annunziato l'arrivo. Chi diceva: - Sono Garibaldini. - Ma no, rispondevano altri: con loro vi sono dei preti. - Saranno alunni di un collegio? - Neppure: non vedete che hanno gli strumenti di musica! - Saranno briganti! - E si rideva. D. Bosco adunque nel 1859, il 3 di Ottobre, lunedì, alle ore 10 del mattino lasciava i Becchi, e, passando per Capriglio e Montafia giunse a Maretto. Quivi fece la prima stazione, accolto al suono delle campane e ospitato dal parroco, suo grande amico, D. Ciattino Giovanni. Dopo la funzione di chiesa, la popolazione godette un mondo per una commedia della quale Gianduia era il protagonista. Il domani vi fu un gran numero di comunioni: si celebrò
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un solenne ufficio funebre per i defunti del paese, i giovani cantarono la messa del maestro Madonno, e poi Don Bosco benedisse lo stendardo della compagnia di S. Luigi, composta di un bel numero di fanciulli. Al dopo pranzo tutta la comitiva partì alla volta di Villa S. Secondo passando per Cortandone e Montechiaro. Nel primo paese i giovani ebbero una lauta merenda preparata dal buon parroco Don Vergano Natale. Alla sera tardi la banda suonava entrando trionfalmente in Villa S. Secondo. Il parroco Teol. Barbero Matteo, grande amico di D. Bosco, lo accolse giubilando. Uomo distintissimo per scienza e per pietà fu poi nominato Canonico nella Cattedrale di Asti, ove fece un gran bene. Gli alunni erano stati alloggiati dal parroco, dalle famiglie Perucatti e Bosco. Il trattamento loro apparecchiato fu veramente munifico. Mercoledì 3 ottobre D. Bosco lo passò tutto in compagnia del Teol. Barbero, che desiderava intrattenersi col Servo di Dio e fargli quelle maggiori feste che poteva. Questi aveva deciso di fermarsi con lui un dieci giorni, scegliendo Villa S. Secondo, come centro o quartiere generale per recarsi successivamente ai paesi che erano all'intorno. Ma il fine principale pel quale aveva ricevuto invito, era la festa della Madonna delle Grazie. Questa si celebrava in una cappella nel centro del paese il giorno 8 di ottobre, per un voto che la popolazione aveva emesso essendo stata liberata dal colera. Da ogni paese vicino la gente vi accorreva. Ma il Teol. Barbero aveva una spina al cuore, perchè a suo dispetto si era messo su in paese un ballo pubblico in occasione di quella festa. Alcuni maldicenti spargevano dicerie odiose contro il loro parroco, perchè cercava impe-
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dirlo. Tutti sanno quanto sia viva la passione dei Monferrini pel ballo. Questi pertanto appena giunto D. Bosco gli aveva manifestati i suoi dispiaceri e il Servo di Dio gli rispose: - Lasci fare a me e non parli. - Quindi a nessuno ed in nessun modo fece intendere, che volesse impedire quel ballo, ma comandò ai giovani di preparare il teatro in un gran cortile della famiglia Perucatti. Gastini, Buzzetti, Tomatis ed Enria si misero all'opera e a suo tempo il palco fu all'ordine. Intanto D. Bosco disponeva per l'ordine e pel luogo ove rivolgere le camminate. Il giorno 6, invitato dai parenti di un suo carissimo allievo, recossi con tutta la sua squadra a Corsione, ove con dispiacere degli archeologi si demoliva una parte dell'antico castello. Al dopo pranzo andò a Cossombrato per ossequiare i Conti Pelletta e visitare il loro vecchio maniero, le cui mura massiccie torreggiavano coi loro merli. Anche da D. Gribaudi Secondo Parroco di quel paesello, ebbero tutti le più cortesi accoglienze. Alla sera si ritornava a Villa S. Secondo. Il venerdì si andò a Rinco, diocesi di Casale, invitati dal Conte Pallio di Rinco e la marcia riuscì faticosa, perchè la pioggia li sorprese per via con tuoni e lampi e durò tutta la mattina. I giovani erano inzuppati, col fango fino a mezza gamba. Arrivati al castello parve bene al maggiordomo incaricato di riceverli, che non entrassero, perchè lo scalone e i pavimenti delle sale non restassero inzaccherati. Continuando la pioggia si rifugiarono in una stalla, sotto una tettoia e anche sotto i folti rami da vecchi alberi. Si preparò il loro pranzo con polenta e merluzzo: ma con quel tempo uggioso tutto sembrava cattivo. La banda al solito suonò nel tempo che il Conte pranzava con D. Bosco, che certamente soffriva vedendo disagiati i suoi figli.
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Il sabato 8 di ottobre si celebrava la festa della Madonna delle Grazie. D. Bosco impiegò tutto quel mattino a confessare i suoi alunni e altre persone del paese. In parrocchia si celebrava solamente una o due Messe. Tutta la festa era alla cappella. Un larghissimo tendone stendevasi per riparare dal sole la gente, dinanzi alla porta della chiesetta, Il palco per la musica era stato costrutto in piazza. Alle 10 i giovanetti dell'Oratorio prendevano Posto su questa orchestra e fu cantata la S. Messa. Tutta la popolazione era entusiasmata. Il Municipio assisteva in corpo. Dopo il vespro, la processione e la benedizione, la banda dell'Oratorio incominciò a suonare sulla piazza, e la voce sparsa colla rapidità del lampo essere pronto un teatro nel cortile del Perucatti fece correre tutta la gente allo spettacolo. E la musica la seguì e prese posto. Sul luogo del ballo già incominciavano i suoni dei violini e di qualche tromba, ma quel campo rimase deserto. Fu recitata una commedia del Genoino. Entrò in scena anche Gianduia e, arguto e corretto, entusiasmò quell'innumerevole udienza. Un buon signore, bravo violinista, venuto da Torino colla compagnia per far piacere a D. Bosco, suonò una stupenda variazione. Intanto gli impresari del ballo popolare, dopo aver aspettato per una buona mezz'ora la gente che non veniva, si dissero a vicenda: - Che cosa facciamo qui soli? - E andarono essi pure a vedere la commedia. Però masticavano amaro e cercavano quindi di vedere D. Bosco per chiedergli ragione d'aver loro tolti i ballerini. Non s'incontrarono però in lui, perchè erasi fermato a sbrigare molti scritti nella casa del parroco. La Domenica, festa della Maternità di Maria SS., i giovani dell'Oratorio fecero la comunione generale e le fun-
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zioni vennero accompagnate in musica. Dopo il Vespro Don Bosco predicò per circa tre quarti d'ora. Alla sera dello stesso giorno ei volle regalare a tutto il popolo una seconda rappresentazione teatrale. Con viva istanza era stata chiesta la replica del programma della sera antecedente; e invitati intervennero anche molti signori torinesi padroni dei castelli di quei dintorni. Ma i capi delle danze, che avevan sperato in una rivincita, si legarono ad un dito tale disdetta e, presentatisi a D. Bosco, gli chiesero risarcimento del danno loro cagionato. Ci avevano rimesse le spese della musica, delle bibite preparate, delle tele e via dicendo. D. Bosco, che gli aveva accolti in sua camera con ogni cortesia, disse loro: - Siete venuti anche voi a vedere il nostro teatro? - Sissignore! Sfido chiunque a non fare altrettanto! Eravamo rimasti soli! - E vi siete divertiti? - Ci siamo stati fino alla fine della recita. - Ebbene, conchiuse D. Bosco, che cosa volete ch'io vi risarcisca, mentre la gente era libera di andare dove voleva? Io non son venuto al vostro ballo e non vi domando niente: e voi vi siete divertiti al mio teatro e non mi pagate. Che cosa adunque volete e con quale ragione domandate ? - Già... ha ragione, risposero; e se ne andarono. Il giorno 10 la passeggiata fu ad Alfiano ove aspettavano D. Bosco due suoi grandi amici, il Parroco D. Pellato Giuseppe con suo fratello Viceparroco, zii di un chierico dell'Oratorio cognominato Capra. Qui si rinnovarono tutte le allegrezze religiose, domestiche e popolari, che si erano viste in tutti i paesi ove metteva piede D. Bosco.
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Il martedì si andò a Frinco, ove D. Bosco e alcuni suoi giovani erano andati più volte anni prima. Il parroco D. Penna Secondo aveva preparato un gradito accoglimento. La sua chiesa, sotto il titolo della Natività di Maria Vergine, risuonò in quel giorno di non mai uditi canti sacri, i quali commossero quei buoni e laboriosi paesani. Fu visitato quel vetusto castello, memoria di glorie e sventure, testimone di assedio e di battaglie. Il 12 ottobre al mattino D. Bosco coi suoi alunni uscì da Villa S. Secondo. Il Prevosto di Corsione, D. Roggero Giambattista, avendo saputo che sarebbesi egli fermato ancora per quel giorno presso il buon Teol. Barbero, avevalo supplicato che ritornasse una seconda volta alla sua parrocchia con tutti i giovani. Voleva che passasse un intero giorno con lui. Si era provvisto di ogni cosa con grande abbondanza per festeggiare gli ospiti desiderati; e D. Bosco dovette acconsentire alle sue istanze. Giovedì, cantata una messa in suffragio dei defunti del paese, dopo un sontuoso pranzo, al quale intervennero i parroci dei paesi circostanti, al suono della banda, in mezzo a tutta la gente che applaudiva, accompagnati dal Parroco per un certo tratto di via, gli alunni dell'Oratorio lasciavano Villa S. Secondo e s'incamminarono per ritornare ai Becchi. Alle 4 della sera giunsero a Piea, antichissimo castello, con vaste sale, ristaurate nel 1600, ove il Cav. Gonella, parente del benefattore di Chieri, presentava loro nel suo palazzo una buona merenda, e quindi col parroco D. Varino Bartolomeo, che voleva intrattenersi alquanto con D. Bosco, si rimisero in marcia. La notte li sorprese che erano ancora molto lontani dai Becchi. Splendeva la luna piena e si camminava ora per i sentieri delle vigne, ed ora in mezzo ai boschi dopo aver
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cantato e fatta cogli istrumenti una serenata ai merli. Tutti allegri procedevano lentamente verso casa. Costamagna Giacomo portava sulle spalle la gran cassa e D. Bosco la percoteva forte e per lungo tempo col pugno, anzichè adoperare il mazzuolo. Non era certo un divertimento e doveva provarne un vivo dolore. Ma egli voleva forse con quei colpi, dai giovani più volte sentiti, avvisarli, acciocchè per quei sentieri ora in alto ed ora in basso, ed ora intersecati lo seguissero senza smarrirsi; oppure forse anche perchè quel suono giungesse come un'avviso all'orecchio di qualcuno? Giunti ai Becchi a notte molto inoltrata e fatto l'appello si conobbe che un giovane mancava. Certo Lorenzo Boccallo volendo precedere gli altri, si smarrì e solo dopo molto cammino si accorse del suo errore. Cercò di orizzontarsi, ma non ci riuscì. Tutto era deserto all'intorno. Andò errando per valli e colline fino alle due dopo la mezzanotte, quando udì alcune voci. Erano gente che facevano il pane. Si avvicinò. Costoro vedendo comparire un giovane con della roba ad armacollo, lo presero per un brigante e gli furono sopra colla pala e col ferro della bragia. Il giovanetto smarrito tremava; quei contadini gli intimarono di fermarsi e lo interrogarono in dialetto: Chi sei tu? Il giovane non essendo piemontese, non intendeva che cosa dicessero e stava stralunato. Coloro sempre più confermandosi nei loro sospetti, gli furono sopra e osservando ciò che portava ad armacollo, credendo che avesse armi, gridarono: - Che cosa hai qui? - Il fagotto della mia roba. A questa risposta e vedendolo più da vicino in faccia, capirono che avevano preso equivoco e gli dissero: - Dove vai? - Ai Becchi!
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Si interrogarono a vicenda, ma nessuno seppe dire dove fossero questi Becchi. Capirono però che si trattava di un fanciullo smarrito. - E in compagnia di chi eri? - Con D. Bosco! - Ah adesso capiamo! E diedero in una risata omerica; e proseguirono: - Aspetta; finito di fare il pane, uno di noi ti accompagnerà. Avrai fame, neh? Introdotto in casa, gli diedero da mangiare. Finito il loro lavoro, lo accompagnarono per un tratto e poscia gli diedero le indicazioni necessarie per proseguire, dicendogli: - Per non sbagliare, chiedi dove sta D. Bosco e non dove sono i Becchi, altrimenti nessuno ti capirà. - Egli si rimise in via, ma sbagliò la seconda volta giunse invece alle cascine di Capriglio. Intanto ai Becchi si era in grande ansietà per la sua scomparsa; fu cercato nei dintorni, ma inutilmente. Al mattino, assistita la S. Messa i giovani si accingevano a fare colazione, quando verso le 8, ecco comparire Boccallo stanco, cadente dal sonno. Fu accolto con un battimano da tutti i compagni ed egli corse a dormire, chè ne aveva veramente di bisogno. L'ultima escursione dei giovani fu alla tomba di Savio Domenico in Mondonio, poichè essi riconoscevano di aver ottenuti insigni favori da Dio per l'intercessione del loro santo compagno. Il parroco D. Grassi Domenico li condusse al cimitero. Quivi trovarono che un pio signore genovese, che aveva lette ed ammirate le virtù descritte da D. Bosco nella biografia di Savio Domenico, e che in un grave cimento avevane implorato l'aiuto e ne era stato esaudito, aveva fatto collocare su quella preziosa tomba una lastra di marmo con analoga iscrizione.
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In questo giorno, 15 ottobre, venivano al Becchi per unirsi a quei dell'Oratorio i due fratelli Perucatti testimoni anch'essi della passeggiata fattasi in quest'anno a Villa San Secondo, loro paese nativo. Il 16 ottobre, sabato, alle 10 del mattino, D. Bosco colla sua schiera si allontanò dai Becchi, passò a Buttigliera d'Asti salutando i benefattori e il parroco Vaccarino Teol. Giuseppe; fermossi per breve tempo a Chieri; e alla sera rientrava nell'Oratorio, ove era aspettato per le confessioni. Il Ch. Ruffino Domenico studente di Teologia nel Seminario di Bra, poco tempo dopo prendeva stabile dimora nell'Oratorio.
CAPO XXI. D. Bosco trasmette al re Vittorio Emanuele una lettera di Pio IX - Il Clero escluso dai Consigli Provinciali e Comunali - Articolo della Gazzetta del Popolo contro la storia d'Italia di D. Bosco - Giudizio di Nicolò Tommaseo e della Civiltà Cattolica su questa istoria - Letture Cattoliche. LA PERSECUZIONE DI DECIO E IL PONTIFICATO DI S. CORNELIO I PAPA - Alcune notabili vestizioni clericali.
Ritornato D. Bosco a Torino gli si presentò un nobile signore venuto da Roma. Il Sommo Pontefice conoscendo a prova la fedeltà e l'attaccamento di D. Bosco alla sua persona, a lui affidava un geloso incarico. Quel messo consegnava al Servo di Dio due lettere di Pio IX: una segretissima diretta a Vittorio Emanuele, e un'altra tutta scritta di proprio pugno nella quale pregava D. Bosco di trovar modo per far recapitare al Re quel plico sigillato; o consegnandoglielo di propria mano lo stesso D. Bosco, ovvero per mezzo di persona fidata: se quel plico fosse giunto a sua destinazione, chiedeva che senza indugio glielo facesse sapere; se per qualche contrarietà non fosse stato possibile farlo pervenire al Sovrano glielo rimandasse a Roma. Il Re si trovava allora in partite di caccia nella valle d'Aosta a Courmajor.
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D. Bosco dopo aver pensato il modo di eseguire prudentemente la commissione del Papa, chiese con un biglietto udienza al Cav. Aghemo, segretario privato del Re, ma che in quel tempo era, a Torino. Il Cavaliere prevenne D. Bosco ed in persona si recò subito all'Oratorio. D. Bosco gli disse: - Ho qui una lettera di altissimo personaggio diretta al Re e che debbo io fargli pervenire. Le chieggo consiglio perchè mi dica se è cosa facile. - Facilissima. - Crede che si possa temere qualche deviazione, qualche impedimento? - Stia sicuro che il Re l'avrà. - Io so nulla intorno al contenuto di questa lettera, nè voglio saperlo. Domando solamente che lei mi faccia ricevuta d'avergliela io consegnata, perchè possa dare testimonianza di aver compiuto il mio incarico. - Sì; volentieri. - Allora potrebbe lasciarmi qualche ora di tempo per sbrigare prima qualche altra incombenza che mi preme? - Faccia pure. - Avrebbe la bontà di ritornare da me stasera? - Sì, e con piacere. La lettera era forse custodita altrove, e sul far della sera D. Bosco la consegnò al Cav. Aghemo. Il Re l'ebbe e la sua risposta al Papa fu portata a Torino dal Teologo Murialdo Roberto cappellano di corte e di qui trasmessa a Roma. Il Papa non erasi fidato di consegnare la sua lettera, che era forse quella così grave del 29 settembre, all'Abate Stellardi venuto a Roma per trattare con lui a nome di Vittorio Emanuele. L'Abate mancava di prudenza nel parlare ed era di spiriti più aulici che ecclesiastici, più caldo per gli
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interessi di Cesare, che per i diritti di Dio. E la risposta non fu tale certamente da consolare l'afflitto Pontefice. In Torino intanto le Camere, appena cessate le preoccupazioni della guerra, avevano subito riprese le ostilità contro la Chiesa, restringendo i diritti che lo Statuto concedeva al Sacerdoti, come liberi cittadini. Una legge del 23 Ottobre 1859, ritoccata poi in peggio il 20 marzo 1865, chiudeva a gran parte del clero l'entrata nei Consigli comunali e provinciali, dichiarando ineleggibili gli ecclesiastici aventi giurisdizione o cura di anime, i loro Vicarii e i membri dei Capitoli e delle collegiate. Nello stesso tempo D. Bosco si avvide di essere egli stesso preso di mira personalmente. I nemici di Roma conoscevano quanto fosse incrollabile la sua fedeltà al Sommo Pontefice e ne avevano prove nelle Letture Cattoliche. Nelle loro segrete conventicole, decisero adunque di incominciare a muovere guerra a lui e alla sua Istituzione infamando la Storia d'Italia. Infatti un articolo della Gazzetta del Popolo, il 18 ottobre pubblicava un articolo, che preparava una persecuzione dolorosa a D. Bosco nell'anno seguente. Era un'intimazione alle Autorità dello Stato.
PADRE LORIQUET REDIVIVO.
Chi non ha inteso a parlare della famosa storia del padre Loriquet, in cui persino gli avvenimenti più noti e più clamorosi vennero travestiti nel modo più gesuitico e grottesco ad majorem Boteghae gloriam? Pareva impossibile che quel gesuita venisse un giorno superato, ma la parola impossibile, già cancellata dal vocabolario francese, dev'esserlo pure dal vocabolario italiano. Avremmo potuto pubblicare una tale notizia un po' prima, ma dovemmo cedere il passo ad altre cose alquanto più urgenti.
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Del resto desideravamo che il Ministro dell'istruzione pubblica si trovasse finalmente un po' più libero in mezzo alla farraggine d'affari, di cui l'ingrandimento dello Stato ha ingombrato anche il suo dicastero; imperocchè potrebb'essere il caso ch'egli avesse a provvedere. Il miracolo di superare il padre Loriquet è stato fatto in Torino dal sacerdote Bosco Giovanni autore d'una Storia d'Italia raccontala alla gioventù. D. Bosco era pienamente padrone di scrivere un pessimo libro, ma siamo assicurati che questo libro fu scritto per uso di alcune scuole; e si legge sulla coperta che si vende a benefizio degli oratorii di S. Luigi, del S. Angelo Custode e di S. Francesco di Sales. La cosa è quindi più seria, sicchè franca la spesa di esaminarne un tantino le tendenze. Non ci occuperemo dei tempi antichi e nemmeno della narrazione sui generis che D. Bosco fa dei movimenti del '21 e del ¢31, che a detta sua (pag. 483) miravano a fare una repubblica sola di tutta Italia. Veniamo di sbalzo al '47. “ Gli autori della rivoluzione (dice D. Bosco) seppero approfittare di quell'entusiasmo (per Pio IX) a fine di spargere di nuovo in tutta l'Italia il pensiero di fare un regno solo cacciando dalla Lombardia gli Austriaci, che erano formidabili rivali ai ribelli ”. Ecco adunque secondo D. Bosco che gli Austriaci non erano già nemici d'Italia, ma formidabili rivali ai ribelli, agli amatori di rivoluzione, i quali volevano spargere di nuovo (cioè come nel 21 e nel 31) il pensiero di far un regno solo di tutta Italia. Ben è vero che nella pagina precedente D. Bosco imputava ai ribelli del '21 il pensiero di fare una repubblica, e non un regno. Ma Loriquet non bada alle contraddizioni. D. Bosco si sbriga in due pagine dello stesso tenore della storia del '48. La campagna del '49 è da lui descritta nel seguente modo: “ I due eserciti s'incontrarono nelle pianure di Novara. Si diedero parecchi attacchi parziali che in parte furono favorevoli ai Piemontesi; ma il terzo giorno (23 marzo 1849) si venne ad una battaglia campale presso un borgo detto la Bicocca ”. Non sapevate che la battaglia delle pianure di Novara avesse
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durato tre giorni, ma D. Bosco fa ben altri miracoli di esattezza e di eleganza storica nel racconto degli avvenimenti di Roma e delle altre parti d'Italia, in cui si può sfogare molto più animosamente contro quei ribelli che spargono di nuovo il pensiero di fare dell'Italia un regno solo. Egli è peraltro in occasione della guerra di Crimea che Don Bosco supera se medesimo nell'eccesso del grottesco, e nell'ammirazione per l'Austria. Secondo la verità gli Anglo - Francesi sbarcati in Crimea non incontrarono l'esercito russo che sulle sponde del fiume Alma. Secondo D. Bosco invece i Russi si opposero arditamente per impedire che gli alleati prendessero terra, e la battaglia della Cernaia è uno de' parecchi scontri che i Piemontesi ebbero coi Russi in quella penisola. Ma ciò è nulla. Secondo la verità l'Imperatore d'Austria fece un trattato colle potenze occidentali, ma ciò impedirebbe a D. Bosco di presentarlo come il Dio delle tragedie greche; ed ecco pertanto come il nuovo Loriquet espone il fatto: “ alla vista dello spargimento di tanto sangue umano l'Imperatore d'Austria si offerì mediatore tra le potenze belligeranti .. ” Di modo che D. Bosco ha tutto il comodo di soggiungere che della conclusione della pace noi siamo quasi totalmente debitori all'AUSTRIA ed alla Francia. Ma prima all'Austria, si noti bene, perchè D. Bosco ha bisogno di cogliere questa occasione per dichiarare che la Provvidenza protegge l'Austria in rimunerazione del celebre Concordato ecc. D. Bosco, abusando del nome della Provvidenza per sciogliere un cantico in prosa a Cecco Beppo, era un assai cattivo profeta della campagna del 1859. Ma col sistema storico che egli ha abbracciato gli sarà facile descrivere le battaglie di Palestro e di S. Martino come solenni trionfi dell'Austria contro i Piemontesi, e ciò sempre in premio del Concordato! La Storia di D. Bosco finisce con quell'inno in lode dell'Austria, della quale è del resto da capo a fondo un panegirico quasi continuo in istile macaronico. Dicesi che questo grottesco libello serva di testo e venga distribuito in certe scuole di fanciulli in Torino.
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Noi abbiamo posto in avvertenza il Ministro dell'istruzione, e crediamo per ora che non occorra altro. Si farebbe troppo oltraggio alla patria, alla verità e al senso morale, se si lasciasse menomamente circolar nelle scuole invereconde turpitudini del genere della Storia d'Italia raccontata alla gioventù dal Loriquet redivivo. Chi legge questo articolo rimane sorpreso dell'acrimonia e dalla malignità che si manifesta in ogni riga. Ma non è a farne le meraviglie, poichè la Gazzetta del Popolo organo ufficiale delle sette, era violenta contro chiunque non fosse del suo partito. Contro D. Bosco in moltissimi articoli posteriori ebbe sempre scherni, insulti e calunnie, non riconobbe in lui alcun merito, e neppure degnossi di annunziarne la morte. Essa adunque che dal suo principio fino ai giorni nostri non fece altro che falsare continuamente la storia antica e moderna per sfogare il suo odio contro la religione, la Chiesa cattolica e il Papa, osava allora rimproverare sfacciatamente a D. Bosco errori storici deliberati. Il lettore avrà scorto facilmente la malafede, gli equivoci, le false interpretazioni di questo articolo, ma sta bene, che seguendo tutti gli storici, noi per ordine di accuse ribattiamo le stesse accuse. Infatti: Dal 1820, al 1848 un partito voleva unita l'Italia in un solo regno, un altro in una sola repubblica e varie rivoluzioni si tentarono per questi due scopi. Nel 1848 infine i liberali costituzionali si decisero pel regno italico, mentre i mazziniani congiuravano per la repubblica. A tale riguardo la Gazzetta del Popolo volendo porre nella contraddizione D. Bosco col citare la pag. 483 e la pag. 484, non fa presente come a pag. 482, D. Bosco dica che le mire di tutti quei movimenti erano di formare un regno solo od una repubblica.
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In quanto alla guerra del 1849, tre realmente furono i giorni di combattimento. Ed ecco il fatto. Gli austriaci usciti da Pavia, passato il Ticino, il giorno 21 marzo a Mezzana Corti scambiavano cannonate cogli artiglieri piemontesi. Il 22 fierissimi combattimenti al borgo di S. Erro, alla Sforzesca e a Mortara della quale alla sera rimasero padroni gli Austriaci... Il 23 la battaglia di Novara, terribile singolarmente ad Olengo ed a Bicocca. In Crimea, secondo verità, i Russi avevano stabiliti campi militari e artiglieria nei luoghi principali del Chersoneso e sulle riviere del Katcha e dell'Alma. Il 14 settembre le truppe delle potenze alleate incominciarono a sbarcare presso ad Eupatoria, mentre tre fregate inglesi, cinque francesi simulavano uno sbarco a Katcha distante cinque leghe. Un campo di circa 6.000 Russi era pronto per la difesa, ma le fregate dopo un prolungato cannoneggiamento ritornarono ad Eupatoria. Dalle alture di Alma intanto 50.000 Russi sorvegliavano e molestavano con squadroni di cavalleria ed artiglieria a cavallo il nemico, il quale movendo all'assalto il 20 settembre infliggeva loro una sanguinosa sconfitta, aprendosi la strada. Gli intrepidi soldati piemontesi, oltre alla Cernaia, dove si fecero un immortale onore, presero parte alla battaglia impegnatasi a qualche miglio da Balaclava (I) e all'assalto di Sebastopoli, dove ebbero il loro posto di battaglia e lo tennero più ore in faccia al nemico, benchè le vicende del combattimento non richiedessero le prove del loro conosciuto valore. Scrisse il Barone De Bazancourt nella sua storia L'Expedition de Crimee. “ I nostri valorosi alleati, i Sardi, comandati dal generale Cialdini, gelosi di versare eziandio il
(I) LA MARMORA, Un po' di luce, pag. 133.
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loro sangue in questa gloriosa giornata, fremevano d'impazienza, aspettando il segnale per slanciarsi sul bastione del Mât, ma il Generale in capo dell'esercito francese, giudicando che il possesso del bastione di Malakoff avrebbe deciso la sorte di tutti gli altri, senza spargimento a profusione di sangue prezioso, ordinò di sospendere ogni nuovo tentativo di assalto sulla sinistra ”(I) In quanto all'Austria intermediaria di pace, vedi Cesare Cantù, Cronistoria v. III, part. I, pag. 96. Noi crediamo con queste osservazioni di aver esaurito quanto ci siamo proposti. Del resto si consideri come ben diverso da quello della Gazzetta, era il giudizio pronunciato da un distinto e dotto emigrato liberale. L'Armonia, Anno XII, 1859, n. 219, così stampava:
Noi abbiamo accolto colle meritate lodi la bella e sugosa Storia d'Italia raccontata alla gioventù dal Sac. G. Bosco, e con noi, altri periodici fecero plauso a questa operetta, che è di grandissimo vantaggio alla gioventù per guarentirla dalla congiura permanente contro la verità, che è divenuta la storia da tre secoli in qua. Ma perchè forse taluni potrebbero sospettare che quel nostro giudizio favorevole sia stato, se non dettato per intiero, almeno abbellito dallo spirito di parte, ci pare opportuno il recare qui il dettone da tale, cui non si potrà fare certamente il detto appunto. È questi Nicolò Tommaseo di cui troviamo nel L'Istitutore il seguente articolo sulla Storia di D. Bosco: Se i libri giudicassersi dall'utilità che recano veramente, se ne avrebbe una misura più giusta di quella che sogliono i letterati adoperare, e correggerebbersi, o almeno si tempererebbero molte loro sentenze peccanti o di servile ammirazione o di disprezzo tiranno. Ecco un libro modesto che gli eruditi di mestiere e gli storici severi degnerebbero forse appena di uno sguardo,
(I) Deuxième partie, livre Deuxième, pag. 362. - Milan, chez l'éditeur Charles Turati MDCCCLVI.
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ma che può nelle scuole, adempire gli uffizi della storia meglio assai di certe opere celebrate. A far libri in uso della gioventù, certamente l'esperienza dell'insegnare non basta, ma è grande aiuto, e compisce le altre doti a questo difficile ministero richieste. Difficile segnatamente là dove trattasi di compendii, i quali devono essere opere intuire nel genere loro, non smozzicare i concetti, nè offrirne lo scheletro arido. L'abate Bosco in un volume non grave presenta la storia tutta d'Italia ne' suoi fatti più memorandi; sa sceglierli, sa circondarli di luce assai viva. Ai piemontesi suoi non tralascia di porre innanzi quelle memorie che riguardano più in particolare il Piemonte, e insegna a fare il simile agli altri maestri, cioè le cose men note e più lontane illustrare con le più note e le più prossime. S'intende dunque che ciascun insegnante deve all'uso proprio e de' suoi discepoli saper rifare almeno in parte i libri scolastici, per ben fatti che siano; deve le narrazioni, per vivaci che siano nel libro, saper nella scuola animare di colori novelli e applicare e la storia e ogni altro ammaestramento a ciascheduno de' suoi allievi per quanto si può. In tanta moltitudine di cose da dire, l'abate Bosco serba l'ordine e la chiarezza, che, diffondendosi da una mente serena, insinuano negli animi giovanili gradita serenità. Giova a chiarezza, secondo me, anche il raccogliere in un capitolo distinto le considerazioni generali sopra la religione e le istituzioni dei popoli e le consuetudini e gli usi. Questo è stato ripreso in alcuni storici del secolo andato: e richiedevasi che tali notizie fossero a luogo a luogo infuse nella narrazione stessa e le dessero movimento e pienezza di vita. lo non dico che ogni osservazione generale debbasi dalla esposizione dei fatti dividere, che sarebbe un rendere e l'una e l'altra parte imperfetta: ma dico che anco gli storici antichi, maestri imitabili in ciò, o premettevano o inframettevano ai fatti la commemorazione sommaria dei costumi: e dico che, specialmente nei libri ad uso della gioventù, questa cura è sussidio alla memoria insieme e all'intelligenza. Nè a proposito di tale o tal caso è possibile indicare con la debita evidenza tutto quello che aspetta all'indole costante dei popoli, senza che ricorra tediosa necessità di ripetere ogni tratto i medesimi accenni.
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Io non dirò che l'autore non potesse talvolta approfittare maggiormente delle notizie storiche che la scienza moderna ha accertate, studiando meglio le fonti; non dirò che tutti i giudizi di lui sopra i fatti a me paiano indubitabili, nè i fatti tutti esattamente narrati; ma mi corre obbligo di soggiungere che non poche delle troppo esaltate scoperte della critica moderna rimangono tuttavia dubitabili anch'esse, e versano assai volte sopra circostanze non essenziali all'intima verità della storia; e soggiungerò che i più fra i giudizi dell'autore mi paiono conformi insieme a civiltà vera e a sicura moralità. Nel colloquio quasi famigliare, che raccontando egli tiene co' suoi giovanetti, saviamente riguarda le cose pubbliche dal lato della morale privata più accessibile a tutti e più direttamente proficua. Il voler fare dei fanciulli altrettanti uomini di Stato, e insegnar loro sentenziare sopra le sorti degli imperi, e le cagioni che diedero vinta a tale o a tal altro capitano una campale battaglia, è pedanteria non sempre innocente. Perchè avvezza le menti inesperte a giudicare, dietro alla parola altrui, cose che non possono intendere; perchè a questo modo dà loro una falsa coscienza; perchè non le addestra a modestamente applicare i documenti della storia alla pratica della comune vita. Noi vediamo all'incontro i grandi storici, i grandi poeti antichi compiacersi a ritrarre sotto le insegne e quasi sotto la maschera dell'uomo pubblico l'uomo privato; e giudicare nel cittadino e nel principe il padre, il figliuolo, il fratello. Quindi insieme con la sapienza e con l'utilità, la maggior bellezza delle opere storiche e poetiche degli antichi. Non pochi dei moderni in quella vece nella storia e nella poesia stessa propongono a sè un assunto da dover dimostrare e quello proseguono dal principio alla fine; e a quello piegano e torcono i fatti e gli effetti; dando sempre a vedere se stessi e la propria fissazione, nei più diversi aspetti del loro argomento, ostinandosi a farne sempre apparire il medesimo lato, e sotto forme differenti ripetendo a sazietà la medesima cosa; non narratori, nè dipintori, ma declamatori importuni. E non si accorgono che la storia, e tutta la natura, è quasi una grande parabola agli uomini proposta da Dio; della quale voler fare una applicazione unica, isterilisce la fecondità inesausta del vero, ammiserisce il concetto divino.
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Nicolò Tommaseo, illustre letterato, che così bene scriveva di D. Bosco, venendo a Torino non tralasciava mai di recarsi presso di lui a richiederlo anche di consigli, tanta era la stima che gli professava. Prima del Tommaseo la Civiltà Cattolica, anno VIII, serie III, vol. V, pag. 482 aveva pubblicato il seguente giudizio: Il nome dell'egregio Sac. D. Bosco è oggimai un'arra più che sufficiente della bontà de' suoi scritti, improntati tutti di zelo e diretti alla coltura della gioventù, al bene di cui da tanti anni lavora con lodevolissima fatica. Questa sua Storia d'Italia in particolare merita elogio per la rara discrezione con cui fu scritta, in maniera che nell'angusto spazio di 558 pagine in 16 vi si raccolgono con diligenza tutti i principali avvenimenti della patria nostra. Noi pertanto facciam voti, perchè, dato bando a tante storie d'Italia scritte con leggerezza, od anche con perverso fine, questa del Bosco corra per le mani dei giovani, che s'iniziano allo studio delle vicende della nostra bellissima Penisola. D. Bosco intanto per nulla turbato dagli insulti della Gazzella del Popolo, continuava a scrivere; e ciò dimostra il continuo succedersi delle Letture Cattoliche. Nel mese di novembre si pubblicava il racconto: Agostino, ossia il trionfo della religione di un autore anonimo. Tratta della conversione di un nobile e ricchissimo signore, che per espiare la sua incredulità e le sue colpe, consuma tutte le sue ricchezze in opere buone, si riduce a povertà volontaria vivendo di elemosina in Germania, ove recossi per rimanere sconosciuto: salva la vita a due condannati a morte ed infine egli stesso muore per aver difeso il SS. Sacramento dagli oltraggi di ladroni eretici. Di questo opuscolo se ne dovettero fare varie edizioni. Era ormai pronto eziandio il fascicolo del dicembre:
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La persecuzione di Decio e il pontificato di S. Cornelio I, Papa per cura del sacerdote Bosco Giovanni (I). In queste pagine si accenna alla supremazia, anche sede vacante, della Chiesa Romana sulle altre Chiese cattoliche del mondo. Si narra l'eroismo di molti martiri e la storia dei sette dormienti: il rispetto di S. Cipriano Vescovo di Cartagine pel Sommo Pontefice, al quale ricorre per aver direzione nel combattere lo scisma di Novaziano e si cita la sua famosa sentenza: “ Non può avere Dio per padre, chi non ha la Chiesa per madre ”. Si dimostra pure con una lettera di questo Vescovo e martire, ai fedeli di Cartagine, essere i peccati che hanno, tratto sopra i cristiani la procella della persecuzione e la loro cura principale dover essere di placare l'ira di Dio con umili preghiere ed ogni sorta di penitenze: ciò facendo la pace sarà ben presto restituita alla Chiesa. D. Bosco infine, descritta la vita e il martirio di San Cornelio, e il culto prestato alle sue reliquie, espone la dottrina cattolica riguardo a questo culto, concludendo: “ L'odio dei protestanti contro le reliquie dei santi pare che derivi dal non aver essi nelle loro sette un solo, le cui azioni od i fatti gloriosi operati dopo morte, ne abbiano rese le spoglie mortali degne di culto speciale ”. Frattanto nel mese di ottobre e di novembre vestivano l'abito clericale i giovani dell'Oratorio Cerruti Francesco, Ghivarello Carlo, Provera Francesco, Lazzero Giuseppe.
CAPO XXII. Chierici dell'Archidiocesi nell'Oratorio - Tutte le classi ginnasiali in casa - Accettazioni notevoli di alcuni allievi - L'Ospizio pieno di giovani - Sottoscrizione di condoglianze al Papa - Presentimenti di mali pubblici - Sogno: la marmottina - Mezzi per vivere lungamente - Doti necessarie in un Direttore di collegio - Efficacia di una parola e di uno sguardo di D. Bosco - Timore di abusi e concessioni - Fermezza di Don Bosco nel congedare uno scandaloso, nel rimproverare un disobbediente - È sciolto e riordinato il corpo della musica istrumentale - Un giovane perdonato - Domanda di vestiarii al Ministro della guerra.
Sul principio dell'anno scolastico 1859 - 60 i chierici nell'Oratorio, appartenenti all'Archidiocesi di Torino, erano una ventina; D. Bosco riusciva nel suo disegno di istituire tutte le scuole Ginnasiali in Valdocco per non essere più costretto a mandare i giovani in città presso gli esimii e caritatevoli professori D. Picco e Bonzanino. Della prima ginnasiale, la quale contava ben 96 alunni, fu professore il Ch. Celestino Durando, della seconda il Ch. Secondo Pettiva, della terza il Ch. Giovanni Turchi, della quarta e quinta il Ch. Giov. Batt. Francesia. A questi
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nel nobilissimo arringo successero altri e poi altri ancora, che istruiti e fatti maestri, si videro attorniati da numerosissimi fanciulli, speranze della Chiesa, e germi della futura Congregazione. Così D. Bosco si vedeva rivivere ne' suoi giovani chierici, che da lui avevano appreso e fatto proprio lo spirito di pietà e di sacrifizio. Santa Teresa infatti stimava più l'azione che non la sola orazione e diceva quindi: “ Il profitto dell'anima non consiste in pensar molto, ma sì in molto amare. E se mi si domanda come acquistare questo amore rispondo: Col determinarsi ad operare e soffrire per Dio, e facendolo poi in effetto, quando l'occasione se ne presenta, specialmente quando si ha da eseguire atti di ubbidienza ”. Così furono compiuti i desiderii e le fatiche sopportate per tanti anni da D. Bosco. L'Oratorio si era ripopolato coi giovani ritornati dalle vacanze e con quelli novellamente accettati. È grazioso il modo col quale uno di questi si fece iscrivere fra gli studenti. Nell'ottobre, un certo Domenico Parigi, in età di 14 anni, partiva tutto solo dalla casa paterna, veniva nell'Oratorio attratto dalla fama di D. Bosco, e saliva alle stanze del Superiore. D. Bosco si vide innanzi un giovanetto sconosciuto, sul volto del quale brillava la purezza e l'innocenza dell'anima. - Chi sei tu, o mio caro? - Sono Parigi Domenico di Chieri. - E che cosa vuoi da me? - Che mi tenga con lei qui nell'Oratorio. - Ma tu non sei stato ancora accettato. - E che importa? Mi accetti adesso. - Ascolta: facciamo le cose regolarmente. Ritorna a
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Chieri, di' ai tuoi parenti che ti accompagnino qui e così ci parleremo e stabiliremo le condizioni convenienti. - Oh! a casa io non ritorno più. - Allora scrivi una lettera. - Io non scrivo; scriva lei! D. Bosco lo guardò per un istante, sorrise di tanta franchezza: -Ebbene, scriverò io! E il giovanetto rimase, fece tutte le classi di latinità, studiò da prete in seminario e morì prevosto di S. Francesco al Campo nel 1899. Un'altra accettazione degna di nota fu quella del giovanetto ebreo Jarach, di 13 anni. D. Bosco si era già occupato della conversione di parecchi altri Israeliti e li aveva battezzati nella sua chiesa. Il padre di Jarach, dotto Rabino di Ivrea, convertito da più anni, era stato da Mons. Moreno accolto nel suo seminario, ove impiegò tutta la vita insegnando ai Chierici la lingua ebraica e dando lezioni di Sacra Scrittura. Il Vescovo aveva anche ritirato una sua figlia, che abbracciata la fede cristiana, entrava in un convento e faceva la sua professione religiosa. Accenneremo ancora all'arrivo nell'Oratorio, il 20 di ottobre, di Rossi Giuseppe, nativo di Gambarana Lomellina sui 24 anni, il quale era stato spinto a venire con D. Bosco, dalla lettura del Giovane Provveduto. “ Quando mi trovai, egli scrisse, per la prima volta alla presenza di D. Bosco, al vedere la sua benevolenza paterna, l'affabilità con cui mi accolse, rimasi grandemente edificato, e ne ricevetti in me una profonda e cordiale impressione e un sentimento di affetto figliale verso di lui. ” Da quel punto Rossi fu degno compagno di Buzzetti nell'amore a D. Bosco e nell'aiutarlo nella gestione materiale dell'Oratorio. Quando egli entrò i giovani ricoverati erano circa trecento.
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Il conto nel quale dalla gente era tenuto l'Oratorio è dimostrato dalle lettere seguenti. D. Bosco così scriveva. al Barone Feliciano Ricci a Cuneo.
Car.mo Sig. Barone,
La Divina Provvidenza non mancherà d'aiutarci tutti. In seguito alla sua lettera, che fa vedere l'assoluto bisogno di ricoverare il giovane Magliano, mi sono determinato di fargli fare un salto a tutti i postulanti che eccedono il numero di mille è fargli un posto pel primo lunedì dopo l'Epifania del 1860. Partecipi questa notizia al benemerito Sig. Cav. Ferraris, e gli dica che, come presidente della Società di S. Vincenzo, è obbligato di compensare con qualche Ave Maria l'accettazione del suo raccomandato. Io non fisso alcuna oblazione entrando; solo Le dico che gli speciali bisogni in cui versa questa casa sono gravi e perciò la raccomando alla carità di Lei, benemerito Sig. Barone, del cavalier Ferraris e della medesima Conferenza di S. Vincenzo. Se non li ha ancora ricevuti, avrà quanto prima i libri che fu compiacente richiedermi. A Lei in particolare, Sig. Barone, auguro la santa virtù della pazienza, e raccomandando me e li miei poveri giovani alla carità delle divote sue preghiere, mi professo sempre con pienezza di stima Di V. S. Car.ma Torino, 16 dicembre 1859. Obbl.mo ed Aff.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Alcuni giorni dopo D. Bosco rispondeva eziandio ad altro cospicuo personaggio.
Car.mo nel Signore,
Ho un bel pensare, ma non è più possibile di fare posti in questa casa, che è letteralmente piena. Di più nel corso dell'estate ne mandai parecchi in campagna da mio fratello che d'inverno
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non sa che farne. Perciò di mano in mano che si fa qualche posto, bisognerà che raccolga quei poverelli, che poltrirebbero nell'ozio e nell'abbandono. Che farei? Pregherò il Signore Iddio che aiuti Lei e la madre, affinchè fra tutti possano salvare l'anima a questo ragazzo. Dio benedica Lei e le tante sue occupazioni, e in quel che posso mi creda sempre Torino, 21 dicembre 1859. Aff.mo amico Sac. Bosco GIOVANNI.
Dopo il principio delle scuole primo atto solenne di D. Bosco fu il dare al sommo Pontefice una prova dell'ardente affezione, che a lui portava l'Oratorio di Valdocco e la viva parte che prendeva a' suoi dolori per la rivolta, l'irreligione, il malcostume, la persecuzione del clero, introdotte ufficialmente nelle Romagne. Egli perciò il 9 novembre a nome suo e de' suoi giovani scriveva al Papa Pio IX una rispettosa lettera, nella quale esternavagli sentimenti di condoglianza per i fatti già succeduti e che succedevano a danno della religione e della Santa Sede; e in pari tempo esponevagli quanto in Torino si praticava dai buoni per opporre un argine alla colluvie dei mali, che da ogni parte inondavano. Finiva con promettere che avrebbero i suoi alunni ricorso continuamente al trono della grazia per ottenergli in tante angustie l'aiuto divino. D. Bosco la fece sottoscrivere da tutti i suoi giovani, e la spedì per mani sicure. Ma in quei giorni, asserì D. Ruffino, D. Bosco appariva soprappensiero. Aveva egli narrato di aver visto in sogno un uomo di alta statura il quale, girando per le vie di Torino, toccava or l'uno or l'altro dei cittadini con due dita nella faccia. I toccati diventavano neri e cadevano morti. Era forse questa un'epidemia morale?
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Intanto il buon padre proseguiva a tener ogni sera un discorsetto alla comunità. Un nostro vecchio amico di quei tempi così ci narrava. “ Una delle prime sue parlate che udii (1859) fu sulla frequenza dei Sacramenti. Questa generalmente non era ancor bene avviata fra i giovani venuti dalle case loro. Egli raccontò un sogno. Gli era parso di essere vicino alla porta dell'Oratorio ed osservare i giovani di mano in mano che rientravano. Vedeva in quale stato si trovasse ciascheduno in faccia a Dio. Quand'ecco entrare nel cortile un uomo che portava una piccola cassetta. Costui andò in mezzo ai giovani. Venne l'ora fissata per le confessioni e quell'uomo aperta la cassetta, tirò fuori una marmottina e la faceva ballare. E i giovani invece di entrare in Chiesa gli facevano corona attorno, ridendo e schiamazzando per i suoi lazzi, mentre egli lentamente si ritirava nella parte del cortile più lontana dalla cappella. D. Bosco descrisse prima, senza far nomi, lo stato della coscienza di molti giovani, quindi venne a narrare gli sforzi e le insidie del demonio per distrarli e svogliarli dall'andarsi a confessare. Con quella marmottina fece ridere molto il suo uditorio, ma lo fece anche riflettere seriamente sulle cose dell'anima. Tanto più che poi in privato svelava, ai singoli che lo richiesero, ciò che essi credevano neppur l'aria dovesse conoscere. Ed era la verità. Questo sogno determinò la maggior parte dei giovani a confessarsi molto spesso e generalmente ogni settimana e la santa Comunione divenne molto frequentata. ” Ricordo eziandio che parlando D. Bosco della sanità del corpo e dell'importanza d'usare mezzi convenienti per non rovinarla, il Ch. Bongiovanni Giuseppe domandò la parola, e ottenutala chiese: - Che cosa si deve fare adunque per
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conservare la buona sanità, e campar lunga vita? - Don Bosco gli rispose dirigendo la parola ai giovani: - Vi dirò un segreto, ossia una ricetta, che servirà per risposta al chierico Bongiovanni e che sarà di gran vantaggio a tutti voi. Per conservare la sanità e vivere lungamente è necessario: 1° Coscienza chiara, cioè coricarsi alla sera tranquilli, senza timori per l'eternità. - 2° Mensa frugale. - 3° Vita attiva. - 4° Buone compagnie ossia fuga dai viziosi. E spiegava brevemente questi quattro punti ”. La parola di D. Bosco era quella adunque che dirigeva sapientemente la casa. Un certo Zerega Giusegge, ligure, impiegato nell'arsenale di Torino, nel 1859 veniva spesse volte nell'Oratorio, accolto come carissimo amico; e si meravigliava della facilità colla quale D. Bosco guidava tanta gioventù. Egli semplice, ma esperto meccanico, meditava di occuparsi dei giovani operai, quando fosse tornato a Genova, desiderava abbracciare lo stato ecclesiastico e infatti moriva sacerdote, parroco e pieno di meriti. Perciò un giorno domandò a D. Bosco, quali fossero le doti necessarie ad un direttore per regger bene un collegio od un ospizio; e Don Bosco gli rispose: - È necessario che un direttore abbia piena influenza sui giovani, e per averla bisogna: 1° che sia stimato santo - 2° che sia reputato dotto in ogni ramo di scienza, specialmente in quelle cose che interessano gli alunni. Se interrogato non sa rispondere dica al giovane: “ Ora non ho tempo, domani ti darò risposta. ” E bisogna che abbia pazienza e s'istruisca su quel punto per poter rispondere con precisione. - 3° Che i giovani sappiano di essere amati. La potenza mirabile di D. Bosco stava in questo: egli aveva in mano il cuore de' suoi fanciulli. Con una sua parola ei li metteva nella più grande allegria, al modo
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stesso che con l'ombra sola di un suo rimprovero, li faceva cadere nella più profonda tristezza. Fra tanti fatti da noi conosciuti, ci limitiamo a raccoglierne alcuni. I giovani sentendo ancor nelle ossa la dissipazione delle vacanze, una sera dopo le orazioni non si prendevano tanta cura di far silenzio appena ricevutone il segno. D. Bosco era in cattedra e dopo aver atteso per qualche minuto, ad un tratto esclamò con tutta pacatezza: -Ma sapete che io non son contento di voi? - E li mandò a letto senza permettere che gli baciassero la mano. Era questo il castigo più forte e più temuto, perchè il più sensibile, che il buon padre potesse infliggere ai suoi figli; e non fu bisogno d'altro, poichè da quel giorno memorabile D. Bosco non aveva che a comparire, perchè si potesse anche udir volare una mosca: il campanello, che aveva avuto fino allora parecchio da fare in mezzo a tutto quel frastuono, divenne affatto inutile, giacchè si tremava al solo pensiero di veder rinnovata quella punizione. Avendo bisogno di una poesia per l'onomastico di una benefattrice egli incaricò un suo alunno di mettergli insieme alcuni versi. Questi però alla sera non aveva sodisfatto il suo compito. Ma non volendo andare a letto, senza aver prima baciata la mano a D. Bosco, sperò che questi si fosse dimenticato dell'incarico datogli, e sebbene un po' angustiato, presentossi con aria disinvolta ad augurare la buona notte al servo di Dio, che appena vedutolo gli domandò: - E la poesia? - Ma ...... - Allora per un'altra volta saprò a chi indirizzarmi. - Il povero giovane ne restò tanto male, che ci volle l'industriosa sollecitudine di D. Bosco a dissipare quella dolorosa impressione.
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Tale era il suo costume quando scorgeva che uno turbavasi per un avviso un po' serio; lo troncava, dava all'alunno una dimostrazione d'affetto, per così levar da lui ogni specie di amarezza. Un altro aneddoto di genere diverso ci conduce alla stessa conclusione. D. Bosco, conoscendone il bisogno grave, ordinava che al mattino nei giorni di digiuno si desse ad alcuni chierici caffè con latte. Il cuoco, uomo bizzarro, piccole miserie della vita umana, preparava tazze piccole e latte in così poca quantità che non bastava per tutti. Quei chierici chiesero al cuciniere che fornisse loro latte a sufficenza, ma egli rispose bruscamente, che non dovevano pretenderne di più. Si rivolsero allora a chi rappresentava l'economo, il quale benchè gli dicessero essere quella concessione fatta dallo stesso D. Bosco, rispose trattarsi di una novità ed egli nulla sapere di tali ordini. Allora deliberarono di appellarsi a D. Bosco. Tre di essi salirono alla sua stanza. Due si fermarono fuori, ma in modo di udire, uno entrò per esporre le lagnanze di tutti. Guastò però la frittata, perchè sbadatamente e riferendo nell'intenzione le sue parole al cuoco e non a D. Bosco, concluse la narrazione di quel gravame con dire: - Perchè poi sa, Don Bosco, in casa nostra un po' di polenta l'abbiamo ancora! - I due che erano fuori udendo questa sparata si ritirarono in fretta in fretta. D. Bosco profondamente ferito nel cuore rimase interdetto, guardò il suo interlocutore con uno sguardo velato dalle lacrime e non disse parola. Quel poveretto allora si scusò e dileguossi. Quante volte un solo sguardo soave e benigno di D. Bosco calmò impazienze e vivacità ora subitanee, talora giustificate, sapendo egli tollerare e dimenticare! Ed è perciò che gli animi esasperati per un istante non diminuivano in lui la loro affezione.
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Pareva che per essi avesse scritto l'Ecclesiastico nel capo XXII: Chi punge l'occhio ne preme le lacrime, e chi punge il cuore ne tragge fuori gli affetti.... Quand'anche tu avessi tirata fuori la spada contro l'amico per impeto subitaneo, non disperare: perocchè puoi tornare in grazia con esso. Se avrai detto all'amico Parole d’ira, non temere: vi è luogo alla pace, purchè non vi sia stata maldicenza, nè rimprovero d'ingratitudine, ne superbia disprezzatrice, nè manifestazione di segreto, nè colpo di tradimento. D. Bosco non aveva tardato ad imporre al cuoco di eseguire senza ridicole economie le disposizioni date. Ciò che sempre sorreggeva e consolava i suoi chierici era il conoscere la carità di chi li aveva adottati per figli. Il suo cuore era così tenero, che non gli permetteva di dare una negativa, quando gli era chiesto qualche favore. Tuttavia temendo gli abusi e assolutamente non volendoli, schivava che a lui si ricorresse nelle cose, che spettavano a dispense in quanto alle regole di materialità della vita, e li rimandava al Prefetto. Allora era facile a concedere, ma indirettamente. Egli però sapeva prevenire una domanda quando conoscevala giusta. Molte volte vedendo nel refettorio qualcuno di quei suoi buoni figliuoli non reggere al cibo comune diceva sotto voce una parola al Prefetto, perchè glielo facesse cambiare. Così D. Bosco regolavasi in varii altri casi di simile natura, e i chierici e anche i giovani restavano compresi da quei tratti di squisita bontà. “ D. Bosco, scrisse il Canonico Ballesio, in tutta la sua condotta verso di noi, si vedeva che l'unico suo pensiero e desiderio era la gloria di Dio, ed il nostro maggior bene morale, religioso e civile, con una gravità, dolcezza, prudenza tutta sua propria, lontana da ogni esagerazione ”. Ne' suoi atti non scorgevasi nè violenza, nè debolezza.
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Pareva non si potesse adirare: tosto che gli si accendeva il primo moto d'ira ei lo frenava sollecito: e violentando sè stesso con moderato sorriso si raddolciva. Nello stesso tempo però, ed eziandio questa era carità, dimostravasi di una fortezza abituale, risoluta nell'esercitare la virtù della giustizia, sostenendo i diritti della moralità e dell'ordine disciplinare. Dire altrimenti è un falsare il carattere di D. Bosco. Ci scriveva Mons. Cagliero: “ Durante il mio chiericato, un giovanetto semplice ed innocente, e mio aiutante di sacrestia, era stato vittima di scandalo da parte di un adulto. D. Bosco non appena lo venne a sapere, ne sentì un estremo dolore, si turbò e pianse in mia presenza. Quindi fu sollecito a riparare all'innocenza tradita con paterna dolcezza; ma con pari fortezza procurò che fosse subito allontanato il colpevole dall'Oratorio ”. D. Bosco quantunque sempre dolcissimo, non passava facilmente sopra le mancanze di disciplina. Il Ch. Marcello nel mese di maggio, benchè fosse assistente, non arrivava mai in tempo alla lettura spirituale ed alla benedizione, che si dava tutte le sere. Per questa ed altre mancanze di vigilanza D. Bosco non aveva lasciato di ammonirlo. Il Chierico doveva recarsi tutte le feste all'Oratorio di Vanchiglia, ma conduceva con sè qualcuno della casa, contro il volere dei superiori. E fu avvertito senza frutto. Una domenica al mattino, celebrandosi in Vanchiglia non so quale solennità, egli, senza intesa con D. Bosco o con D. Alasonatti, condusse a quella festa varii giovani. Don Bosco volle porre termine ad un tale disordine conosciuto da tutti, e togliere un cattivo esempio che poteva facilmente trovare seguaci. Alla sera adunque innanzi all'intera comunità dopo le orazioni, toccò il fatto della grave disubbidienza di chi
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avesse condotto fuori di casa i giovani senza averne licenza. Quindi parlando, cosa insolita in quell'ora, il dialetto piemontese, e con tono marcato di amarezza, si fece a chiedere in pubblico, chiamandoli per nome, ai singoli giovani sopra accennati: - Dove sei stato questa mattina? - All'Oratorio di Vanchiglia. - E chi ti condusse? - Il Ch. Marcello. Così domandò agli altri che ripetevano la stessa risposta. In mezzo ad un profondo silenzio risuonavano, con brevi pause, lentamente, le parole: - E tu?... Marcello! Finite queste interrogazioni D. Bosco espresse il suo vivo dispiacere con poche e secche frasi, ma calme. Fra gli altri era presente D. Albera Paolo. Simile fortezza lo guidava nell'esigere obbedienza a' suoi comandi e a punire chi ostinato tentasse ribellarsi. Nel corpo della musica istrumentale, numeroso e ben addestrato, eravi un distinto organista, vivente nell'Oratorio come pensionante, che dava in Torino molte lezioni di pianoforte, e largamente retribuito. Pareva ed era buono, ma di testa esaltata e poco sofferente di obbedienza. Con questo compagno ed ammirato maestro di musica i giovani suonatori avevano contratto grande famigliarità e talora davano ascolto a certe sue massime contrarie alla sommissione dovuta ai superiori. In mezzo a loro perciò si manifestava qualche atto di indisciplinatezza, benchè leggero: ma parve che un avviso di D. Bosco avesse posto rimedio al male incipiente. Tuttavia D. Bosco vigilava. Per qualche anno, per motivi speciali, aveva loro permesso che nella festa di Santa Cecilia, allorchè occorreva in giorno feriale, andassero a fare una passeggiata ed un pranzo campestre in luogo da
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lui designato. In quest'anno incominciò a proibire tale svago. I giovani musici non fecero rimostranze, ma sobillati da qualche loro capo, con promessa di ottenere da D. Bosco licenza, ed anche colla speranza dell'impunità, una metà di essi risolvette di uscire dall'Oratorio e imbandire un pranzo, qualche settimana prima della festa di S. Cecilia. Avevano presa questa ultima decisione, perchè D. Bosco non fosse prevenuto e non mettesse impedimenti. In uno degli ultimi giorni di ottobre pertanto si recarono in una vicina osteria. Il solo Buzzetti, invitato all'ultimo momento, si rifiutò di unirsi a quei disobbedienti e venne ad avvertirne D. Bosco. Con tutta calma il Servo di Dio dichiarò sciolto il corpo musicale, ordinando a Buzzetti di ritirare e chiudere tutti gli strumenti e di pensare a quali nuovi allievi consegnarli, perchè li studiassero e si esercitassero. All'indomani mattina mandò a chiamare ad uno per uno tutti quei musici riottosi e si lamentò con essi che lo costringessero ad essere severo. Diede quindi loro qualche avviso per la salvezza dell'anima, e senz'altro li rimandò chi ai loro parenti, chi ai loro benefattori, chi raccomandò a qualche padrone di fabbrica. Una lettera di D. Bosco al Barone Feliciano Ricci, a Cuneo, in data 3 novembre 1859, dà ragione del suo operato.
Ill.mo e Benemerito Signore,
Ho ricevuto con vero piacere la venerata lettera di V. S. benemerita con cui nella solita sua carità raccomanda il giovane Rossi. Questo povero ragazzo, oltre ad altre cose, fu compromesso insieme con altri di questa casa, che contro mia proibizione vollero andare a fare un pranzo fuori di questa in luogo da non tollerarsi, cioè in una bettola. Li mandai a chiamare mentre pranzavano, feci ripetere la chiamata dopo il pranzo, perchè dolevami
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troppo prendere gravi misure contro ad una ventina di giovani fuorviati. Quattro soltanto in fine si arresero e si umiliarono: gli altri si mostrarono assai più baldi. Dopo il pranzo andarono a girovagare per la città; la sera andarono a cenare nello stesso posto e vennero a casa a notte tarda mezzo ubbriachi; tra questi ultimi eravi il Rossi. Siccome li aveva più volte minacciati, se mostravansi ostinati, di cacciarli dalla casa, così dovetti farlo col massimo mio rincrescimento. Tuttavia in seguito alla sua lettera terrò qui il Rossi in casa per alcuni giorni e vedrò se mi riesce di collocarlo altrove come spero. In quanto all'altro ragazzo di cui parla, ci parleremo a bocca o Le scriverò altra volta, sistemato che sia il gran numero di giovani raccolti or ora in questa casa. La ringrazio poi di tutto cuore della generosa limosina, che fa a questa casa e L'assicuro che non mancherò di pregare il Signore, perchè benedica Lei e la sua famiglia, mentre con pienezza di stima mi professo Di V. S. benemerita Obbl.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Uno tra questi trovò perdono. Egli era abile in cucina, barbiere, imbiancatore, factotum insomma per il teatro, per le feste e per ogni lavoro manuale. Alla sera di quel giorno, dopo che D. Bosco ebbe parlato ai giovani, ecco il Ch. Rua dire a D. Bosco: - Signor D. Bosco, se mi permette avrei da patrocinare una causa, che mi sta a cuore. - E quale? - Il giovane Pietro E.... fu congedato dalla casa. È giusta la punizione, che fu data a quelli che non vollero ubbidire. Ma il poveretto, inesperto per la giovane età, si lasciò ingannare dai compagni, i quali lo assicurarono aver ottenuta da lei la licenza. Non trasgredì adunque per malizia il suo divieto. Perciò in nome suo le domando perdono e
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chiedo grazia. - Il giovane colla testa bassa tutto confuso era in mezzo ai compagni. D. Bosco rispose: - E non avrebbe dovuto credere alle affermazioni dei compagni... Aveva inteso da me chiaramente l'ordine dato... Sapeva non esser io solito mutar d'intenzioni... La ragione esposta non vale a scusarlo. Tuttavia poichè sei tu che intercedi per lui, sospenderò di rimandarlo a suo padre.... Lo terremo ancora un po' di tempo in prova e vedremo! - D. Bosco intanto chiedeva al Ministro della guerra, generale La Marmora, vestiarii per i suoi giovanetti che gli furono concessi, ma non sappiamo con quale larghezza.
Ill.mo Sig. Ministro,
Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma come, nel bisogno di provvedere ad un numero di oltre cento giovanetti ricoverati nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales, e anche per provvedere ad un numero di oltre mille cinquecento, che frequentano gli Oratorii maschili di Valdocco, di Portanuova e di Vanchiglia, io ricorreva al Ministero della guerra per ottenere a titolo di sussidio alcuni oggetti di vestiario che, o per la forma o perchè molto usati, non potevano più servire ad uso delle regie truppe. La dimanda fu sempre accolta con favore, e questo benemerito Ministero veniva in mio soccorso. Le strettezze della corrente annata mettendomi in posizione assai più calamitosa degli anni scorsi, mi trovo nella necessità di ricorrere a Vostra Eccellenza Illustrissima, supplicandola a voler prendere in benigna considerazione lo stato infelice di questi poveri ed abbandonati giovani, e concedere loro quegli oggetti di vestiario, che ad essi sono di prima necessità, onde ripararsi dal freddo nella prossima invernale stagione, e poter così continuare nel lavoro e guadagnarsi il pane in qualche onesto mestiere. Noto qui solamente che, attesa l'assoluta povertà di questi, si riceverà colla massima gratitudine qualsiasi genere di vestiario,
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siano scarpe, tuniche, giacchette, camicie, mutande, lenzuola, coperte, calzoni, e comunque siano rimessi e logori: siano anche cenci di coperte od altro, tra di noi si aggiustano e si fanno servire ad occorrere ai nostri bisogni. Pieno di fiducia nella nota di Lei bontà, coi sentimenti della più viva e sincera gratitudine, anche a nome dei mentovati giovanetti, mi professo Di V. S. Ill.ma
Obbl.mo supplicante Sac. Bosco GIOVANNI.
CAPO XXIII. La legge Casati - Una guarigione ottenuta per intercessione di Savio Domenico - Novena dell'Immacolata - Sermoncini di D. Bosco alla sera: annunzio della novena: un buon consiglio ai compagni: La visita al Santissimo Sacramento: Confidenza nei Superiori: Sincerità in Confessione - Monito memorando di D. Bosco.
Gli articoli di una legislazione scolastica, che mai furono abrogati, imponevano agli istituti educativi retti da Congregazioni religiose l'obbligo di seguire i programmi del Governo intorno agli esami, alle tasse, all'idoneità degli insegnanti e all'ispezione dei regi Provveditori agli studi. Le scuole di D. Bosco non erano comprese finora, almeno ufficialmente, in questa categoria. Il Provveditore prof. Muratori non aveva ancora esercitato alcun atto di autorità. Il pensiero però del Servo di Dio rivolgevasi ansioso ad un avvenire che non appariva di certo color di rosa. Ed ecco sorgere una lieta speranza per quelli che si dedicavano all'educazione cristiana ed all'istruzione della gioventù. Il 13 novembre 1859 colla promulgazione della legge Casati, che divenne poi la legge organica della pubblica Istruzione per tutto il regno d'Italia, mostrò il Governo di volersi mettere risolutamente sulla via di libertà d'insegna-
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mento. In essa accanto all'insegnamento pubblico era fatto posto onorevole al privato; e coll'art. 3, si determinava molto chiaramente, che il Ministro governa bensì l'insegnamento pubblico, ma quanto al privato, soltanto lo sopravveglia a tutela della morale e dell'igiene, delle Istituzioni dello Stato e dell'ordine pubblico: il che costituiva già per sè una grande franchigia di libertà, sottraendo al monopolio dello Stato una moltitudine considerevole di giovani studiosi e d'Istituti educativi. Ma la legge Casati andava assai più innanzi per quella maestra e splendida via di libertà; poichè cogli articoli 251 e 252 proscioglieva da ogni vincolo di ispezione per parte dello Stato così l'istruzione secondaria paterna data nel seno della famiglia, come l'istruzione di più padri di famiglia associati fuori di essa; e quanto all'istruzione elementare, lasciava nell'articolo 326 ai padri ed a coloro che ne faranno le veci, facoltà di procacciare ai figli dei due sessi l'istruzione, nel modo che crederanno più conveniente; della stessa istruzione elementare pubblica e gratuita poi, incaricava i comuni, in proporzione delle loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti, come è detto letteralmente dall'art. 147. Qual fosse il concetto generale informatore di tutto queste disposizioni appariva molto perspicuamente: era quello della libertà d'insegnamento. Ed il Ministro Casati, nella sua relazione al Re, diceva anzi in maniera esplicita, d'aver accettato la massima della libertà d'insegnamento, come la più equa, la più conforme alle condizioni moderne di civiltà, la più universalmente gradita alla pubblica opinione; e scusandosi di non poterla applicare allora intieramente, faceva voti che si progredisse sempre per quella via, allargando vieppiù le maglie ferrate del monopolio in favore della libertà.
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Per ciò che riguarda la Religione all'art. 315, Tit. V capo I, definendo le materie proprie dell'istruzione elementare dei due gradi inferiore e superiore poneva in primo luogo l'insegnamento religioso. Nell'art. 317 Poi la legge stessa addossava ai comuni l'obbligo d'impartire gratuitamente tale istruzione, in proporzione della loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti. Era quindi evidente, in genere, che i comuni dovevano, in forza della legge Casati, provvedere, perchè nelle scuole elementari si desse l'insegnamento religioso. Ed era anche certissimo che questa insegnamento doveva esser dato nelle scuole stesse conformemente al Catechismo diocesano, approvato dal Vescovo giacchè nel 1° articolo dello Statuto fondamentale, religione dello Stato era proclamata la cattolica; e nell'art. 28 dello Statuto medesimo era rimesso all'esclusiva autorità e competenza dei Vescovi, il permesso e il divieto della stampa dei catechismi e degli altri libri di religione. È una deduzione strettamente logica, perfettamente legale, per se stessa irrefragabile. L'art. 325 stabiliva che alla fine di ogni semestre si desse un'esame pubblico, come per le altre materie, così anche per la religione; e di questa voleva fosse esaminatore il parroco. Cogli art. 326 e 327, specificava essere obbligo dei genitori, curatori e custodi di procacciare ai fanciulli l'istruzione impartita nelle scuole elementari di grado inferiore, comminando ai negligenti ostinati le punizioni della legge. Quindi per togliere ogni pretesto d'infrangere e di deludere la legge, l'art. 374 dispensava di seguir le lezioni di religione, e dall'assistere agli esercizi che vi si attengono gli allievi cui i parenti avranno dichiarato di prendere essi
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stessi cura della loro istruzione religiosa: con che si provvedeva alla libertà delle poche famiglie non cattoliche. Un regolamento poi del 15 settembre 1860 sull'istruzione elementare, diretto ad applicare le disposizioni della legge Casati, nell'articolo 2° prescriveva l'insegnamento del catechismo, secondo le varie diocesi del Regno, e pur deferendosi al Consiglio Provinciale e ad altri la distribuzione delle parti del catechismo medesimo per ciascuna classe, era determinato però, che tale distribuzione si facesse in guisa “ che in due o tre anni i fanciulli abbiano agio di studiare ed imparar bene le parti più importanti della dottrina cristiana ”. Questa legge prometteva molto bene, ma non andò gran tempo che scrittori, giornalisti, uomini di Stato, animati da passioni settarie ed anti-religiose, vennero facendo ad essa una opposizione continua ed accanita; fu aspramente malmenata, biasimata e posta in dileggio qual vecchiume discordanti ormai dalle idee e dai bisogni nuovi dell'istruzione pubblica. In essa era detestata l'equa libertà lasciata all'insegnamento privato, massime cattolico. Perciò i successori di Casati non fecero che andar sempre indietro, riprendendo con decreti e con metodi ingiusti, e talora anche brutali, una dopo l'altra le libertà che la legge aveva concesse. Non bastò ai Ministri innumerabili, quasi tutti framassoni, passati quali meteore sanguigne, o grandinate sterminatrici per gli uffizii della pubblica istruzione, di muovere guerra asprissima a tutti gli Istituti secondarii, privati e paterni, massime cattolici, dipendenti o in qualunque modo guidati da religiosi e da preti, con ipocrisia continua, fingendo di serbare loro incolumi i diritti legali e intanto per sempre nuovi congegni amministrativi, o balzelli, od angherie, togliendo loro l'alimento ed il respiro.
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Soprattutto abborrivano le disposizioni favorevoli all'insegnamento religioso. Chi riandasse gli atti del Parlamento, troverebbe da inorridire per le tanti atroci bestemmie lanciate dai signori Onorevoli in particolare contro il Catechismo e la Storia Sacra, tra i bravo e gli evviva della Sinistra. Attraverso però di tante bufere la legge Casati rimase nel suo essere di legge organica e costitutiva dell'Istruzione, non avendo nè il Parlamento, nè i Ministri, avuto mai il coraggio di proporne un'altra. Cento volte la condannarono a morte, ma non osarono mai eseguire la sentenza e dichiarare abolite le disposizioni riguardanti l'insegnamento del catechismo. Noi qui abbiamo esposto alcuni cenni sulla legge Casati e sugli stralci a lei fatti da chi avrebbe dovuto rispettarla e farla osservare, perchè si abbia un criterio per giudicare certe persecuzioni che a suo tempo verremo a narrare. Ma qualunque fossero le disposizioni delle leggi, Don Bosco era tranquillo per la protezione di Maria SS. e la intercessione di Savio Domenico, dell'efficacia della quale ebbe una prova in questi giorni. Da un anno e mezzo Donato Edoardo alunno dell'Oratorio era stato preso da forte mal d'occhi, sicchè fu costretto nel marzo del 1859 a lasciare affatto gli studii. L'aria del suo paese, le molteplici medicine, i salassi, i vescicanti dietro alle orecchie, i suggerimenti dei migliori medici specialisti non gli recarono alcun vantaggio. Ei passava i suoi giorni in una camera oscura. Sembrandogli, sul finir di ottobre, di sentire qualche miglioramento, ei volle ritornare a Valdocco, ma il male aveva ripresa la primiera malignità. Il giovane si avvicinava spesso a D. Bosco, affinchè lo consolasse con quei detti, che egli sapeva essergli di
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vantaggio temporale e spirituale, coll'incoraggiarlo ad aver pazienza, e col dargli qualche speranza di prossima guarigione. Una sera fra le altre mentre tutti i suoi compagni radunati ciascuno nella propria classe cantavano, egli pensieroso e tristo, col volto tra le mani, stava seduto nel refettorio dei Superiori, ed appoggiato alla tavola, in capo alla quale D. Bosco cenava. Il Servo di Dio com'ebbe finito, si alzò, gli si accostò pian piano, e, toccatagli la spalla, gli disse: - Che non possiamo una volta liberarti da questo male? La voglio finita. Voglio che prendiamo Savio Domenico pel ciuffo e non lo lasciamo più andare, finchè ci abbia ottenuto da Dio la tua guarigione. - A queste parole il giovane lo guardò fisso in volto e non aprì bocca. D. Bosco seguitò a dire: - Sì, tu prega tutti i giorni di questa novena (era la sera del giorno prima che si incominciasse la novena dell'Immacolata Concezione) Savio Domenico, affinchè interceda per te e ti impetri questa grazia. Procura di trovarti in tale stato di poter fare la S. Comunione ogni mattina. La sera poi prima di coricarti dirai così: “ Savio Domenico prega per me! ” Ed aggiungi un'Ave Maria. - Donato promise di fare puntualmente quello che gli era stato detto, e D. Bosco replicò: - Bene! Tu fa quel che ti ho suggerito ed io in tutti i giorni mi ricorderò di te nella S. Messa. E chi sa che questa volta Savio Domenico più non ci scappi, prima che tu sia guarito. Il giorno stesso che Donato cominciò a fare la sua novena, sentì già qualche alleviamento nel male e continuò con maggior fervore le sue pratiche di pietà. E gli occhi suoi in pochi giorni furono perfettamente guariti e il male più non ritornò. Mentre accadeva questo fatto consolante D. Bosco invitava i suoi alunni a fare la novena di Maria SS. Immacolata.
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Non vi erano funzioni in chiesa, ma ciascuno procurava di onorare la SS. Vergine con quelle opere di pietà, che suggerivagli la propria devozione. D. Bosco tutte le sere proponeva un fioretto da praticarsi e teneva il solito sermoncino. Cinque di questi ci furono conservati da D. Bonetti e qui li riportiamo colla data del giorno nel quale il Servo di Dio li pronunciò.
29 NOVEMBRE.
Ancora domani e poi siamo al fine del mese. Già un mese è passato di questo anno scolastico! Come è passato rapidamente! Ebbene; egualmente rapidi passeranno gli altri mesi. Ma al tramontare di ogni mese procuriamo che ciascuno di noi possa dire a se stesso: - Un mese di più del quale debbo rendere conto a Dio; ma per quanto stava in me, ho fatto tutto ciò che ho potuto e la coscienza non mi rimprovera di aver perduto il tempo. - Adesso nelle scuole avete già fatto esperimento delle vostre forze. Vi siete già accorti di quello che sapete e di quello che vi resta ad imparare; chi di voi è più avanti e chi è più indietro negli stessi studii, e che cosa vi manchi per riuscire i più distinti nella classe. Mettetevi adunque di buona volontà, tanto più che incominciamo la novena di Maria SS. Immacolata. Essa è madre nostra, e ci ama infinitamente di più di quanto ci possano amare tutti insieme i cuori delle madri terrene. Essa ama svisceratamente tutti i Cristiani, ma per i giovani dell'Oratorio ha sempre dimostrato un affetto speciale. Vi sarebbero migliaia di fatti ed anche di fatti straordinarii che dimostrano ciò. Ma comunque sia è certo che essa dimostra un affetto particolare a tutti coloro che l'onorano. Ego diligentes me diligo. Dimostratevi perciò colla buona condotta degni suoi figli e mettete i vostri studi sotto la sua protezione. A questo fine procurate di passare bene questa novena. E in che modo, voi direte, noi potremo onorare Maria in questi giorni in modo, da meritarci la sua protezione? Non vi raccomanderò la frequenza dei Sacramenti. D. Bosco non ha altro desiderio più vivo di questo. Però due cose speciali vi suggerirò per onorare Maria e: Iª Che ciascheduno
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si risolva di fare proprio con buona volontà questa novena. 2ª Di preparare un mazzolino di fiori da offrirsi poi a Maria nel giorno della sua festa. E in che modo formarlo? Raccogliendo un fiore tutti i giorni. E dove raccoglierlo mentre non ci sono più fiori in campagna ? Nel vostro cuore. E quale sarà questo fiore? Una piccola Virtù da praticarsi ogni giorno in onore di Maria SS. Immacolata. Fatelo tutti questo fioretto, sicchè il giorno della gran festa vi siano tanti mazzolini quanti siete voi, ed in ogni mazzolino non manchi neppure un fiore. State sicuri che a Maria SS. sarà molto gradito il vostro dono.
30 NOVEMBRE.
Il fioretto per domani sia: Darò un buon consiglio ad un mio compagno. Vi sono mille occasioni per esercitare quest'opera di carità. Se un negligente, un mormoratore, uno un po' libero nelle parole, un rizzoso avesse al fianco chi gli dicesse una buona parola, quanto male sarebbe impedito, quanto bene di più si farebbe. Consigliare una visita in chiesa, di andarsi a confessare, di fare una buona lettura, quante volte è il principio dell'eterna salvezza di un giovane! Chi poi riceverà il consiglio lo riceva in buona parte. Un buon consiglio non si può avere sempre e noi dobbiamo crederci fortunati quando lo possiamo avere. Se qualcuno di voi lo darà a me, mi farà un gran piacere e gli prometto eterna gratitudine. Io intanto lo darò anche a voi. Ne darò uno in generale ed uno in particolare a ciascheduno. Il generale si è questo: Ad quid venisti? S. Bernardo quando ebbe abbandonata la sua casa paterna per ritirarsi a far vita santa in un convento, scrisse in tutti i luoghi pei quali doveva passare: Ad quid venisti? Questo pensiero era il suo continuo conforto nei momenti di scoraggiamento, di tentazione: son venuto per guadagnarmi il Paradiso; dunque avanti. Ecco il mio consiglio. Scrivete in un angolo di un qualche libro o quaderno queste parole: Ad quid venisti? E pensate: Ad quid venisti in questo mondo? Per amare e servire Iddio e guadagnarti il paradiso. Se fai altrimenti sei fuori di riga. Ad quid venisti in questo Oratorio? Son venuto per studiare, per fare profitto nella scienza e nella pietà, per conoscere quale sia la mia vocazione: se non faccio questo profitto il mio tempo è perduto.
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I DICEMBRE.
Il fioretto di domani sia questo: Farò una visita a Gesù Sacramentato. Se una persona stimata come veritiera andasse in una piazza e dicesse alla gente, che sta là oziosa facendo conversazione: Andate su quella collina e troverete una miniera d'oro abbondantissimo e del più puro, e potrete raccoglierne senza fatica quanto vorrete; ditemi: ci sarebbe un solo, che, alzando le spalle, direbbe che a lui poco importa di quelle ricchezze? Correrebbero tutti a precipizio. Or bene; nel tabernacolo non vi è il tesoro più grande che possa trovarsi in cielo e in terra? Pur troppo che gli uomini ciechi non lo conoscono questo tesoro, ma è certo, certissimo, di fede che là vi sono immense ricchezze. Gli uomini sudano per aver danari: ebbene nel tabernacolo vi è il padrone di tutto il mondo. Qualunque cosa che voi gli chiediate e che vi sia necessaria, egli ve la concederà. Avete bisogno di sanità? Avete bisogno di memoria, di intendere le lezioni, di riuscir bene nei lavori? Avete bisogno di forza per sopportare le tribolazioni, di aiuto per vincere le tentazioni? La vostra famiglia è minacciata da qualche disgrazia, è afflitta dalla malattia di qualcheduno, ha bisogno di qualche grazia particolare? La piccola fortuna di casa vostra da chi dipende? Chi comanda al vento, alla pioggia, alle grandini, alle tempeste, alle stagioni? Di tutto non è padrone assoluto Nostro Signor Gesù Cristo? Dunque andate e chiedete e vi sarà concesso. Bussate e vi sarà aperto. Gesù desidera darvi le sue grazie e primieramente quelle che riguardano l'anima. Una santa vide sull'altare il bambinello Gesù il quale, fatto seno della veste, sosteneva un peso straordinario di perle preziosissime. Era mesto. - Perchè così mesto, o mio Signore? chiese la santa. - Nessuno viene a chiedermi le grazie che tengo preparate, nessuno le vuole. Non so a chi darle!
2 DICEMBRE.
Il fioretto che vi propongo è di una somma importanza: Procurerò di avere grande confidenza coi superiori. Noi non vogliamo essere temuti, desideriamo di essere amati e che abbiate in noi
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tutta la confidenza. Che cosa vi è di più bello in una casa di questo: che cioè i superiori godano la confidenza degli inferiori! È questo l'unico mezzo per fare sì che l'Oratorio divenga un paradiso terrestre, è questo l'unico mezzo perchè in casa non ci sia nessun malcontento. D. Bosco è qui tutto pel vostro bene spirituale e temporale. Se il superiore desidera qualche cosa da voi ve lo dice subito, così voi se desiderate qualche cosa da lui non chiudetela nel cuore; palesatela. Se voi farete così, tutto andrà bene e sarete contenti. Qualcheduno trova forse che qualche cibo gli fa male? Non è coperto abbastanza in camerata? Avrà bisogno di ripararsi dal freddo lungo il giorno? Me lo dica ed io procurerò di contentarlo in tutte le domande ragionevoli, secondo mi permette la povertà della nostra casa. Qualchedun altro non si sente troppo bene in sanità? Ha qualche difficoltà nella scuola? Ebbe qualche malinteso col maestro o coll'assistente? Gli sembra che da qualcuno gli sia stato fatto torto? Son qua io per rimediare a tutto e state certi, che le vostre confidenze le serberò unicamente per me e per vostro vantaggio. Ma per carità che non si senta mai tra voi, giovani che si lamentino di cosa alcuna. Invece di lagnarvi e di criticare, venite da me. Noi desideriamo di contentarvi e a questo modo si potrà ovviare ad una quantità infinita di inconvenienti. Questo sia detto non solo delle cose corporali, ma molto più delle cose spirituali. Il demonio alle volte vi mette melanconia indosso. Ora è un pensiero della famiglia, ora un sospetto di non essere in grazia dei superiori, ora il timore che sia scoperta una mancanza e che sia punita, ora l'oppressione di essere in poco buona stima presso i compagni, ora lo scoraggiamento di non potere avanzare negli studii. Ebbene; volete levarvi di dosso questa melanconia? Venite da me e troveremo il mezzo per cacciarla e per rimediare. Ma ciò che sovratutto vi raccomando è, che quando il demonio venisse a tentarvi, non vi lasciate scoraggiare. Volete assicurarvi la vittoria? Il miglior mezzo è di manifestare subito la tentazione al vostro Direttore spirituale. Il demonio è l'amico delle tenebre, lavora sempre all'oscuro. Se viene scoperto egli è vinto. Un giovane era fortemente tentato, faceva tutto il suo possibile per resistere, ma era ad un punto che gli sembrava di
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non poter più andare avanti in quella lotta. Per caso s'incontra col suo superiore, il quale dalla sua faccia rannuvolata indovinò qual fosse la cagione di quel suo travaglio. Chiamatolo a parte gli disse: - Perchè sei così melanconico? Certamente hai il demonio che ti fa guerra. - Il giovane guardò stupito il superiore, aprì il suo cuore e disse: - Sì! -Detto quel sì cessò ogni molestia.
3 DICEMBRE.
Dalla confidenza in generale coi superiori ieri sono passato a parlarvi della particolare che dovete avere col confessore: quindi il fioretto sarà: Sincerità piena assoluta in confessione. Non abbiate paura di manifestare al confessore i vostri difetti, le vostre mancanze. L'essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna: oh no! Purtroppo tutti siamo soggetti a commetterne. L'essere buono consiste in ciò: nello aver volontà di emendarsi. Perciò quando il penitente manifesta qualche mancanza al confessore, sia pur grave questa mancanza, il confessore guarda alla volontà e non fa le meraviglie: anzi prova la maggiore delle consolazioni che possa provare a questo mondo, vedendo che quel tale gli ha confidenza, che desidera di vincere il demonio e mettersi in grazia di Dio, che vuole avanzarsi nella virtù. Nulla, o miei cari figliuoli, vi tolga questa confidenza. Non la vergogna: le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontar miracoli! Bisognerebbe che ci vi credesse impeccabili e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non la paura che il confessore possa palesare un segreto così terribile per lui, poichè la minima venialità palesata basterebbe a farlo condannare all'inferno. Non il timore che si ricordi poi di ciò che avete confessato: fuori di confessione è suo dovere il non pensarvi. Il Signore ha già permesso ogni sorta di delitti. Ha permesso che Giuda lo tradisse, che Pietro lo negasse, che preti si facessero protestanti, ma non ha mai permesso che un confessore dicesse la più piccola cosa udita in confessione. Coraggio adunque, o figliuoli miei; non facciamo ridere il demonio. Confessatevi bene, dicendo tutto. Alcuno domanderà: E chi avesse taciuto qualche peccato in confessione come deve fare a rime-
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diarvi? Guardate: al mattino se mettendomi la veste e abbottonandola salto un bottone, che cosa faccio? Sbottono tutta la veste, finchè arrivo dove c’è il bottone rimasto fuori di posto. Così chi ha da rimediare ad un peccato taciuto, rifaccia tutte le confessioni fino a quella, nella quale tacque il suo peccato e così tutti i bottoni saranno a posto e la veste non farà gobba. Lo dice il Catechismo. Dall'ultima confessione ben fatta fino a quella che si vuol fare. Da bravi, figliuoli! Con una parola si tratta di schivare l'inferno e guadagnarvi il paradiso. E cosa di un momento: il confessore vi aiuterà e voi sapete che siamo amici e desidero una cosa sola; la salvezza dell'anima vostra.
Mentre nell'Oratorio tutti andavano a gara nell'onorare Maria SS., D. Bosco compieva un atto nobilissimo della sua missione. Il 10 novembre 1859 erano state formalmente stabilite in Zurigo le convenzioni di Villafranca e di Verona, ma egli aveva subito intuito che le cose erano composte in pace, solo momentaneamente. Tutto gli dimostrava che non sarebbero più restituite al Papa le Legazioni e che la presidenza onoraria del medesimo sulla Confederazione degli Stati Italiani era una lustra ed un'ironia. Vedeva il Pontefice scrivere più volte lettere di preghiera, di consiglio, di protesta all'Imperatore di Francia e al Re di Piemonte e di queste non farsene conto alcuno. Anzi gli emissarii delle sette continuavano a congiurare per commuovere le città dell'Umbria e delle Marche; tentavasi di sedurre i soldati pontificii, che in quelle stavano di guarnigione, e si introducevano in gran copia armi, polveri, danari e stampe sovversive. Garibaldi era a Bologna, pronto ad agire. I giornali liberali calunniavano il Governo Pontificio e fra le altre cose scrivevano, d'aver egli fatto mettere in prigione ed insultare i volontarii romani reduci dalla guerra dell'indipendenza; mentre invece Pio IX aveva soccorso generosamente i più bisognosi di essi.
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Era eziandio evidente che il fine ultimo dei settarii era quello di abbattere il potere spirituale del Papa e mille volte lo avevano annunciato nei loro libri e giornali, non sempre però apertamente. Ma ciò che allora si tramava anche da una tenebrosa diplomazia, era svelato qualche anno dopo al cospetto dell'intero mondo. Il Diritto, giornale della democrazia italiana, del quale era Direttore il deputato Civinini, carne ed unghia col grande Oriente d'Italia stampava l'11 agosto 1863 a caratteri tondi: “ La nostra rivoluzione tende a distruggere l'edificio della Chiesa Cattolica, e deve distruggerlo e non può non distruggerlo senza perire. Nazionalità, unità, libertà politica sono mezzi a quel fine: mezzi utili a noi, ma, rispetto all'umanità, null'altro che mezzi, per conseguire il fine della totale distruzione del medio evo, nell'ultima sua forma, il cattolicismo”. E prima, l'8 marzo 1863, aveva stampato. “ Il giorno in cui entreremo in Roma, non solo avremo fatta davvero l'Italia, ma avremo disfatto il Papato. E se quello riguarda noi, è utile nostro e nostro onore, questo riguarda il mondo, è utile a tutti, è progresso di tutta l'umanità ”. Queste parole furono una chiusa esplicita di quelle, che il Barone Bettino Ricasoli, presidente del Consiglio dei Ministri, idolo incensato da tutto il liberalismo monarchico e conservatore, aveva proferito nelle Camere, quando il 1° luglio 1861 uscì a dire: - La rivoluzione italiana è grande rivoluzione, appunto perchè fonda un'era nuova. L'Italia ha avuto questo grande compito, di gettare le basi, non del proprio avvenire, ma dell'umanità intera”. (Atti ufficiali pag. 915) D. Bosco adunque si rivolse al Re e non ostante la proibizione fattagli alcuni anni prima e la sua promessa, gli scrisse
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una lettera per ritrarlo dall'abisso nel quale stava per gettarsi, o meglio verso il quale i mestatori lo spingevano. Egli obbediva ad un comando venuto ab alto. La sua era la missione di Geremia ai principi di Giuda. A D. Rua e a qualche altro dei suoi più fidi egli manifestò il tenore della comunicazione, che doveva fare al Re, per dissuaderlo da una nuova guerra, che si stava per intraprendere contro gli Stati Pontificii. La lettera, della quale pare non siasi conservata copia, incominciava così: - Dicit Dominus.- Regi nostro, vita brevis; ed accennava a nuove disgrazie che sarebbero venute alla dinastia Sabauda, se fosse continuata la guerra alla Chiesa, pregando Sua Maestà a stornare la tempesta addensatasi contro il Papa. Erano poche frasi concise, imperiose, e tali da lasciare una profonda impressione nell'animo. Il Sovrano rimase turbato alla lettura di quel foglio, il quale però non ottenne il suo effetto. Passata la prima impressione, si continuò a preparare la disgraziata impresa. Gli avvenimenti incalzavano e il Re non aveva più nè animo, nè mezzi, nè volontà di resistere alla rivoluzione. Il Re intanto aveva fatto vedere quella lettera ai ministri, fra i quali Urbano Rattazzi, ed essi ne raccontarono il contenuto ad alcuni degli altri impiegati dei loro decasteri. Da uno all'altro la notizia si diffuse in tutte le sfere governative e uscì fuori nella città. Dicevasi che D. Bosco avesse minacciato la morte a Vittorio Emanuele. Ma il Servo di Dio esponendo a D. Rua e ad altri, come abbiamo detto sopra, il tenore di questa sua lettera, aveva soggiunto: In tanti modi si può spiegare quella parola: Vita brevis, senza attribuirle un senso prettamente materiale. Il Barone Bianco di Barbania, devoto come tutti i nobili piemontesi alla Casa Reale, disse a noi che scriviamo, nel
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1875: - Io ebbi in mano la lettera di D. Bosco al Re. Lessi co' miei stessi occhi quelle parole Regi nostro, vita brevis e da quell'istante in poi stetti sempre attendendo gli avvenimenti ...... Dagli avvenimenti narrati poi nella Storia e dal proseguimento delle nostre Memorie biografiche si potranno giudicare queste enigmatiche parole di D. Bosco; e nello stesso tempo si avrà una prova novella dell'affetto sincero che il Servo di Dio nutriva per il suo Re Vittorio Emanuele e per la dinastia Sabauda.
CAPO XXIV. Conferenze di D. Bosco a que’ suoi collaboratori che spera rimarranno nell'Oratorio: Essere pochi e poveri non è d'impedimento a grandi imprese: Premio dell'obbedienza: Nessuno è profeta nella sua patria - D. Bosco propone a' suoi collaboratori di costituirsi in società religiosa - Commenti, predizioni e risoluzioni - La Pia Società di S. Francesco di Sales è costituita - Verbale della proclamazione del Rettor Maggiore e dell'elezione dei membri del primo Capitolo o Consiglio.
Abbiamo già detto come D. Bosco avesse scelto e formato un piccolo nucleo di preti, di chierici e di giovani, al quale aveva aperto il suo pensiero di istituire una Congregazione Religiosa. Ei li considerava come il sostegno principale dell'Oratorio, come suoi fidi collaboratori. Alcuni avevano fatto come per prova, e di un anno solo, i tre voti, altri la semplice promessa di perseveranza nell'aiutare D. Bosco, e tutti assistevano a speciali conferenze per mantenere buono il proprio spirito e quello della casa. Qui notiamo come tali conferenze tenute da D. Bosco, in quanto ai socii che vi prendevano parte, non fossero deliberative, ma sibbene consultive o spiegative: cioè consi-
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stevano in spiegar bene il Superiore la sua volontà, finchè non fosse perfettamente intesa. Quindi improntava in tutti la stessa idea e così profondamente, che quando ai suoi preti veniva annunziato: - L'ha detto D. Bosco! D. Bosco vuole la tal cosa! - nessuno pensava a muover dubbio o a sottrarsi all'obbedienza. Questo è il carattere che desiderava avessero tutte le conferenze future nelle case. Non tanti a deliberare su cose che, secondo la regola, competono al Superiore. Un solo pensi e spieghi la sua idea: il Direttore. Gli altri obbediscano. D. Bosco più volte in queste radunanze aveva loro accennato ad opere importanti che i suoi figli riuniti in società avrebbero potuto compiere. Talora alcuno gli rispondeva: - Ma come far tante cose, mentre siamo così pochi? - Ed egli: - Ti risponderò con una massima di S. Vincenzo de' Paoli: “Nelle gravi necessità è tempo di far vedere, se veramente confidiamo in Dio. Credetemi che tre operai fanno più che dieci, quando Dio vi mette la mano; e ve la mette sempre quando ci pone in necessità di far cose eccedenti le nostre forze ”. Altri esclamava: - Siamo così poveri! - e D. Bosco diceva: - “ La povertà è la nostra fortuna, è la benedizione di Dio! Anzi preghiamo il Signore a mantenerci in povertà volontaria. Gesù Cristo non incominciò da una mangiatoia e terminò sulla croce?... Chi è ricco ama starsene in riposo, quindi l'amore alle proprie comodità e soddisfazioni, e la vita oziosa. Lo spirito di sacrifizio si spegne. Leggete la Storia Ecclesiastica e troverete infiniti esempi, dai quali risulta che l'abbondanza dei beni temporali fu sempre la causa della perdita di intere comunità, le quali, per non avere conservato fedelmente il loro primo spirito di povertà,
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caddero nel colmo delle disgrazie. Quelle invece che si mantennero povere, fiorirono meravigliosamente. Chi è povero pensa a Dio e ricorre a lui e vi assicuro che Dio provvede sempre il necessario, il poco e il molto. Chi invece vive nell'abbondanza si dimentica facilmente del Signore. E non vi pare una gran fortuna di essere costretti a pregare? E finora ci mancò qualche cosa, che ci fosse necessaria? Non dubitate; i mezzi materiali non ci mancheranno mai in proporzione dei nostri bisogni e di quelli dei nostri giovani ”. Nel mese di novembre stringeva i suoi argomenti accennando alla difficoltà che alcuni provano nel dover allontanarsi dalla propria casa. D. Bosco diceva: - “ Abramo abitava nella città di Hur in Caldea. Dio lo aveva scelto a dar principio ai suoi misericordiosi disegni per la redenzione del mondo. Perciò gli apparve e gli disse: - Abramo! Parti dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa del padre tuo, lascia le tue possessioni e gli amici e vieni nella terra che io ti additerò. E ti farò capo di una nazione grande e ti benedirò e farò grande il tuo nome e sarai benedetto. ” Poteva ben dire il Signore ad Abramo che vivesse solamente un po' più separato dai tumulti del mondo e dagli affari in una regione infetta dall'idolatria. Ma no! Dio lo vuole obbediente, pronto a lasciare la patria e ad esporsi a lungo e disastroso pellegrinaggio per amor suo. È questa la condizione posta al Patriarca per il conseguimento della gloria promessa. ” Ed Abramo non esitò e partì senza sapere ove andasse: Veni in terram quam monstrabo tibi. E si mantenne obbediente fino ad esser pronto al sacrifizio del suo unico figlio. E quale gloria ne venne a lui! Per me medesimo ho giurato, disse il Signore; io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come l'arena, che è
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sul lido del mare e come la polvere della terra. Se alcuno degli uomini può contare i granelli della polvere della terra, potrà anche contare i tuoi posteri. Il tuo seme s'impadronirà delle porte de' suoi nemici; e nel seme tuo saran benedette tutte le nazioni della terra, perchè hai obbedito alla mia voce. - Avendolo trovato pronto a lasciar tutto per Lui, lo fa padrone di un intero regno e lo mette a parte dei più alti suoi disegni, manifestandogli gli arcani decreti della sua giustizia e misericordia ”. Con questo esempio D. Bosco dimostrava la necessità e i vantaggi per ognuno di seguire una vocazione celeste a costo di qualunque sacrifizio, anche delle stesse affezioni di famiglia, avendo Gesù Cristo proclamato: “ Chiunque avrà abbandonato la casa, o i fratelli o le sorelle, o il padre o la madre, o i figliuoli o i poderi per amor del mio nome, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna. E chi ama suo padre e sua madre... più di me, non è degno di me. ” Altra volta trattando di questo argomento aveva esposto, una ragione di convenienza per la vita ecclesiastica o religiosa lontana dal proprio paese. E aveva detto: - “ Quasi tutti i profeti giunto il momento di esercitare il loro eccelso, ministero si allontanavano dai luoghi, ove avevano abitata, nella loro fanciullezza. Mandati da Dio si recavano in paesi remoti, ove erano bene accolti e predicavano ai popoli. Nelle loro patrie invece o non erano ricevuti ovvero, e sovente, perseguitati, imprigionati, battuti, e se riuscivano a sfuggire una morte crudele, si ritiravano in un deserto. Elia ed Eliseo non in patria risuscitarono morti, moltiplicarono l'olio e il vino ed operarono altri portenti. ” Lo stesso Divin Salvatore la prima volta che si presenta in pubblico nella sua patria, Nazareth, a spiegare la Bibbia nella sinagoga, è ammirata per un istante la sua
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sapienza, ma ben presto i suoi concittadini si accendono di sdegno per qualche giusta sua rimostranza. - Non è egli costui il figlio del falegname Giuseppe? E che! Vuol fare il Dottore in mezzo a noi? - E mettendo in dubbio i suoi miracoli gli gridano: - Tutte quelle cose che abbiamo udito essere state fatte da te in Cafarnao falle anche qui nella tua patria. - E Gesù risponde loro: - Amen dico vobis, quia nemo propheta acceptus est in patria sua. - E i suoi compatriotti non vogliono più ascoltarlo, si alzano, lo cacciano furiosi fuori della città e lo conducono sino alla vetta del monte, sul quale era fabbricata Nazareth per gettarle in un precipizio. ” E Gesù con un miracolo evidente impedisce che gli mettano le mani addosso, passa in mezzo a quella turba d'insensati e discende a Cafarnao. Mai più vi ritornò a Nazareth. Andava a pernottare e a prender cibo a casa di Pietro, di Lazzaro, di Nicodemo e di Giuseppe d'Arimatea, secondo l'opinione di alcuni, oppure a casa di qualche altra persona caritatevole, ma non mai a mangiare o a dormire nella sua abitazione materna. ”Era questa una lezione che il Divin Salvatore dava ai suoi discepoli. Infatti l'invidia, la gelosia, la malignità, l'amor proprio offeso, i dissidii tra famiglia e famiglia, qualche interesse materiale, i partiti politici, le stesse conseguenze di uno zelo amante del bene delle anime e della Chiesa, combattono quasi sempre e sovente in modo terribile un religioso, per quanto santo egli sia, se vive in patria. ” E se non fosse sempre stato santo? Allora si può asserire con assoluta certezza che, umanamente parlando, egli in patria non potrà fare un gran bene. Il motivo di ciò è chiaro. Ciascheduno nella sua patria trascorse l'età della fanciullezza e si sa che in tale età tutti, anche i virtuosi, chi più
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chi meno avrà commesso qualche piccolo o anche grave fallo, che potrebbe venir divulgato da quelli che lo conoscono. ” Uno ad esempio avrà avuto a contendere con un altro, e troppo vivacemente; in qualche circostanza avrà bevuto vino un po' fuor di misura; talora si sarà associato con un cattivo compagno; avrà fatto discorsi poco buoni; sarà andato a gettarsi a nuoto nel fiume, avrà talora rubacchiato frutta in campagna, o qualche soldo in famiglia e via via. Ora sia pure costui un bravo predicatore, ma salga in pulpito nella sua patria, gridi contro qualche peccato vi sarà sempre chi dirà: - Ma se anche tu hai fatto così. Tu con me hai fatto questo, hai fatto quello, hai detto questa o quell'altra cosa. - E tali dicerie ripetute anche senza malizia in pubblico, guastano maggior parte del buon effetto delle prediche e talora contrabilanciano e distruggono tutto il bene, che si sarebbe potuto conseguire. Sono cose da poco spesse volte, cose da ragazzo, ma messe insieme in tale occasione riescono perniciosissime. ” Mi sono trovato in un paese in mezzo a compagnia di ragguardevoli persone. In parrocchia un predicatore degno d'ogni lode per pietà, per eloquenza e per dottrina, dettava un corso di esercizi spirituali. Ma era in sua patria, e il discorso cadde su di lui; saltò su uno di quelli che erano vicini a me e disse: - Quel predicatore da giovanetto era un prepotente ed io l'ho schiaffeggiato. - Sì? e come? tutti domandarono. - Mi aveva insultato ed io gli diedi due schiaffi. I suoi parenti vennero ed attaccarono briga coi miei; ed io aspettai quell'insolente in un luogo fuori del caseggiato e ai primi due schiaffi glie ne aggiunsi altri quattro. Oh sì! quando era piccolo faceva le sue; per verità ora è buono, ma allora, oh! allora - e non spiegò l'ultima sua frase.
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” Io fui rattristato da queste parole e finii con dire fra me stesso: ciò mi conferma sempre più che nemo propheta in patria sua ”. Quindi D. Bosco dopo aver accennati eziandio i pericoli gravissimi che può correre nel proprio paese un chierico anche buono, ma di debole virtù, proseguiva domandando: “ E chi vuole allontanarsi dalla patria dove andrà? Con quali mezzi si sostenterà? Ove troverà l'appoggio, la guida che lo conduca per una via sicura? ” E dopo aver enumerato i bisogni spirituali e temporali di un prete secolare, passò a dimostrare come una congregazione religiosa fosse il porto sicuro nel quale, chi ha vocazione e volontà di conservarla, si sarebbe potuto ricoverare. Ivi troverebbe pace, sicurezza ed ogni altro bene anche materiale. Intanto erasi celebrata solennemente nell'Oratorio la festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS. e D. Bosco in quella sera annunciava in pubblico come il domani, venerdì, avrebbe tenuta una conferenza speciale in sua camera dopo che i giovani si fossero ritirati a riposare. Quelli che dovevano intervenire intesero l'invito. I preti, i chierici, i laici che cooperavano alle fatiche di D. Bosco nell'Oratorio e ammessi entro alle segrete cose, presentivano che quella radunanza doveva essere importante. Il 9 dicembre adunque 1859 si radunarono. Invocato colle solite preghiere il lume dello Spirito Santo e l'assistenza di Maria SS., fatto cenno di ciò che aveva esposto nelle precedenti conferenze, D. Bosco descrisse che cosa fosse una congregazione religiosa, la bellezza di questa, l'onore immortale di chi si consacra tutto a Dio, la facilità di salvare l'anima propria, il cumulo inestimabile di meriti
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che si può acquistare coll'obbedienza, la gloria immarcessibile e la doppia corona che attende il religioso in paradiso. Quindi con visibile commozione annunziò essere venuto il tempo di dare forma a quella Congregazione, che da tanto tempo egli meditava di erigere e che era stato l'oggetto principale di tutte le sue cure; che Pio IX aveva incoraggiata e lodata; che già esisteva coll'osservanza delle regole tradizionali, benchè non ancora dichiarate obbligatorie in coscienza, alla quale la massima parte di loro apparteneva almeno in ispirito e alcuni per promessa o voto temporaneo. Aggiunse che in tale Congregazione sarebbero stati ascritti solamente coloro, che, dopo matura riflessione, avessero intenzione di emettere a suo tempo i voti di castità, povertà ed obbedienza. Quindi concluse essere giunto per tutti quelli che frequentavano le sue conferenze, il momento per dichiarare se volevano o non volevano ascriversi alla Pia Società che avrebbe preso, anzi conservato, il nome da S. Francesco di Sales. Coloro che non avessero intenzione di appartenervi essere pregati a non venir più alle conferenze, che egli terrebbe in avvenire. Il non presentarsi sarebbe segno senz'altro di non avere essi aderito. Dava a tutti una settimana di tempo per riflettere e trattare quell'importante affare con Dio. Come D. Bosco ebbe finito, si recitò la preghiera di ringraziamento e l'assemblea si sciolse in profondo silenzio. Usciti da quella camera, e quando si fu nel cortile, più d'uno disse sotto voce: - D. Bosco ci vuol fare tutti frati! Il Ch. Cagliero Giovanni era indeciso se dovesse o no prendere parte alla nuova Congregazione. Passeggiò per lunga ora sotto i portici agitato da varii pensieri: finalmente esclamò volgendosi ad un amico: - O frate o non
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frate, intanto è lo stesso. Son deciso, come lo fui sempre, di non staccarmi mai da Don Bosco! - Quindi scriveva un biglietto a D. Bosco col quale dicevagli rimettersi pienamente ai consigli e alla decisione del suo superiore. E D. Bosco incontrandolo guardollo sorridendo e poi: - Vieni, vieni, gli disse: questa è la tua via! La conferenza di adesione alla Pia Società fu tenuta il 18 dicembre 1859. Due soli non si presentarono. Dal seguente verbale esistente nei nostri archivii risulterà quanto si fece.
“ Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Amen. L'anno del Signore mille ottocento cinquantanove alli 18 di dicembre, in questo Oratorio di S. Francesco di Sales nella camera del Sacerdote Bosco Giovanni alle ore nove pomeridiane si radunavano: Esso, il Sacerdote Alasonatti Vittorio, i chierici Savio Angelo Diacono, Rua Michele Suddiacono, Cagliero Giovanni, Francesia Giov. Battista, Provera Francesco, Ghivarello Carlo, Lazzero Giuseppe, Bonetti Giovanni, Anfossi Giovanni, Marcellino Luigi, Cerruti Francesco, Durando Celestino, Pettiva Secondo, Rovetto Antonio, Bongiovanni Cesare Giuseppe, il giovane Chiapale Luigi, tutti allo scopo ed in uno spirito di promuovere e conservare lo spirito di vera carità che richiedesi nell'opera degli Oratorii per la gioventù abbandonata e pericolante, la quale in questi calamitosi tempi viene in mille maniere sedotta a danno della società e precipitata nell'empietà ed irreligione. Piacque pertanto ai medesimi Congregati di erigersi in Società o Congregazione, che avendo di mira il vicendevole aiuto per la santificazione propria, si proponesse di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime, specialmente delle più bisognose d'istruzione e di educazione; ed approvato di comune consenso il disegno proposto, fatta breve preghiera ed invocato il lume dello Spirito Santo, procedevano alla elezione dei Membri, che dovessero costituire la direzione della Società per questa e per nuove Congregazioni, se a Dio piacerà favorirne l'incremento. Pregarono pertanto unanimi Lui iniziatore e promotore a gradire la carica di Superiore Maggiore, siccome del tutto a lui
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conveniente, il quale avendola accettata colla riserva della facoltà di nominarsi il Prefetto, poichè nessuno vi si oppose, pronunziò che gli pareva non dovesse muovere dall'Uffizio di prefetto lo scrivente, il quale fin qui teneva tal carica nella casa. Si pensò quindi tosto al modo di elezione per gli altri soci, che concorrono alla Direzione; e si convenne di adottare la votazione a suffragi segreti, per più breve via, a costituire il Consiglio, il quale doveva essere composto di un Direttore Spirituale, dell'Economo e di tre Consiglieri in compagnia dei due predescritti uffiziali. Or fatto segretario a questo scopo lo scrivente, protesta d'aver fedelmente adempito l'uffizio commessogli di comune fiducia, attribuendo il suffragio a ciascuno dei socii, secondochè veniva nominato in votazione; e quindi essergli risultato nella elezione del Direttore Spirituale all'unanimità la scelta nel Chierico Suddiacono Rua Michele, che non se ne ricusava. Il che ripetutosi per l'Economo riuscì e fu riconosciuto il Diacono Angelo Savio, il quale promise altresì di assumere il relativo impegno. Restavano ancora da eleggere i tre consiglieri; pel primo dei quali, fattasi al solito la votazione, venne il Chierico Cagliero Giovanni. Il secondo consigliere sortì il Chierico Giovanni Bonetti. Pel terzo ed ultimo essendo riusciti eguali i suffragi a favore dei Chierici Ghivarello Carlo e Provera Francesco, fattasi altra votazione, la maggioranza risultò pel Chierico Ghivarello, e così fu definitivamente costituito il corpo di amministrazione per la nostra Società. Il quale fatto, come venne fin qui complessivamente esposto, fu letto in piena Congrega di tutti i prelodati socii ed uffiziali pur ora nominati, i quali, riconosciutane la veracità, fermarono che se ne conservasse l'originale, a cui per l'autenticità si sottoscrive il Superiore maggiore e il redattore come segretario. Sac. Bosco Giov. ALASONATTI VITTORIO Sac. Prefetto.
Così era costituito il primo Capitolo, che poi fu denominato Capitolo Superiore, mentre tutti i primi soci, che intervennero ad eleggerlo ebbero il nome di membri nati della
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Pia Società. Quelli che non aderirono a farsi iscrivere, furono lasciati in piena libertà di seguire la loro inclinazione, continuarono a godere la beneficenza dell'Oratorio, compirono felicemente i loro studi, conseguirono la dignità sacerdotale e furono sempre gli amici di D. Bosco. Procedendo nelle nostre memorie storiche accenneremo alle sedute del Capitolo fino all'anno 1865, perchè non è possibile andare più oltre, moltiplicandosi all'infinito tale argomento. Però nomineremo non solo quelli, i quali in questi sei anni furono accettati nella Società Salesiana e rimasero fedeli alle loro promesse: ma anche gli altri che fattisi inscrivere, non essendo legati da verun obbligo, giudicarono poi di essere chiamati in altro campo dalla Divina Provvidenza. Di questi è cosa doverosa fare onorevole menzione, perchè prima di ritirarsi, per un tempo notevole lavorarono indefessi ai fianchi di D. Bosco, per educare ed istruire i suoi giovanetti; e anche lontani col titolo di cooperatori si vantano di aver militato sotto la gloriosa bandiera di S. Francesco di Sales. Non mancheremo di seguire tuttavia passo passo il crescere, il moltiplicarsi e l'estendersi della Famiglia Salesiana che si può e deve dirsi Istituzione di Maria SS.; e vedremo quanto coraggio e costanza ebbe D. Bosco, fra persecuzioni, dolori e disinganni, nel compiere la missione, che la Madre celeste aveagli affidato.
CAPO XXV. Critiche mosse a D. Bosco: per le comunioni frequenti de' suoi giovani: per i suoi maestri che non vanno alle scuole del Seminario: Per gli studii teologici giudicati insufficienti - Timore che i migliori chierici rimangano con D. Bosco e brighe per staccarli da lui - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti pel servizio della Cattedrale - D. Bosco accusato di voler essere indipendente dall'Autorità ecclesiastica - Non si vede bene che i chierici si preparino a conseguire patenti di maestro e lauree - I pericoli dell'Università - Accuse scritte a Mons. Fransoni contro D. Bosco e difesa del Can. Nasi - Parole dell'Arcivescovo in lode di D. Bosco - Gli amanti del bene sono amici di D. Bosco.
Ottime erano le attinenze di D. Bosco colle supreme autorità della Diocesi. I Vicarii generali, Ravina e Fissore lo sostennero sempre, mentre nel canonico Zappata contava un amico. La massima parte dei sacerdoti si mostrava a lui favorevole. Egli era tranquillo e sicuro in tutto ciò che faceva, avendo la piena approvazione di D. Cafasso. Non gli mancavano però oppositori in personaggi influenti del clero, persone pie e dotte. Tale opposizione più o meno intensa era incominciata fin dal 1844
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e durò fino al 1883. Si avverava un antico proverbio: “ Un prete se è cattivo lo castigano, se è buono lo sostengono, se è santo lo osteggiano”. La cosa è naturale; il prete santo, tale si dimostra con azioni straordinarie, e finchè non è ben conosciuto, una prudenza elementare insegna che bisogna andare cauti nell'emettere un giudizio; di più quest'uomo superiore agli altri pare talvolta che esca da quell'ordine stabilito, al quale si conformano tutti i suoi confratelli e quell'esimersi da costumanze comuni sembra ostentazione e novità riprensibile. E poi... e poi sarà per poco.. ma c'entra anche inavvertita la miseria umana. La prima accusa che si faceva a D. Bosco era che egli concedesse con troppa facilità la S. Comunione ai giovanetti. Infatti tale frequenza la raccomandava sempre a quelli, che raccoglieva negli Oratorii festivi e fu il primo che introdusse la comunione quotidiana in un istituto maschile. Tale costumanza era biasimata da più ecclesiastici di Torino e da Direttori di Seminarii, perchè il giansenismo aveva ancora non poche radici nel clero. Ma D. Bosco era della scuola di D. Cafasso e perciò di quella di S. Alfonso; il suo spirito era quello della Chiesa cattolica, come risulta evidentemente dal concilio di Trento fino alle ultime dichiarazioni di Pio X. Egli però non si perdette mai in disputazioni aride; la sua vita era più pratica che teoretica. Con poche parole rispondeva ai suoi oppositori. Uno di questi un giorno venne a fargli un'osservazione: - Chi avrà tali disposizioni da poter fare ogni giorno la comunione, mentre lo stesso S. Luigi non la faceva che una volta alla settimana? - Quando si trovi uno, risposegli D. Bosco, che sia perfetto e fervoroso come S. Luigi, allora potrà bastargli la Comunione una sola volta alla settimana; poichè egli
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soleva impiegare tre giorni a prepararsi e tre altri li passava in continuo ringraziamento: quindi per lui bastava il comunicarsi ogni otto giorni per mantenere acceso il fervore del suo cuore. Ad un altro che gli opponeva il detto di S. Francesco di Sales, che cioè egli nè loda, nè vitupera la Comunione quotidiana, D. Bosco rispondeva: - E perchè dunque lei la biasima? Non la disapprovi neppur lei. Questi signori però non osservavano quanta cura mettesse D. Bosco perchè le comunioni si facessero bene. Era suo principio che il solo peccato mortale fosse il vero ostacolo che impediva l'accostarsi alla Mensa Eucaristica; e non concedeva la Comunione quotidiana a coloro che portassero affetto al peccato veniale. E suggeriva un limite alla frequenza delle confessioni, raccomandando ai preti, ai chierici, agli alunni, che ordinariamente andassero a confessarsi una sola volta alla settimana e di tenere un confessore stabile. Tuttavia soggiungeva, specialmente ai giovanetti: - Piuttosto che fare una Confessione e Comunione sacrilega, cambiate anche tutte le volte il confessore. Ma gli importuni consiglieri non si ristavano dal tentare di fargli mutar sistema. Ci scrisse il Can. Prof. Anfossi: “ Una sera dell'autunno avanzato, non so più precisare l'anno, ma è verso il 1858 o 1859, entrò nell'Oratorio il sacerdote C... stimato ed influente in società. Era uomo di carattere burbero, che non conosceva molto l'arte di farsi avvicinare dalla gioventù, infelice sempre nelle sue intraprese per mancanza di buono spirito, e che sosteneva non doversi incominciare fondazioni di carità senza il beneplacito e l'appoggio del Governo. Quanto diverso da D. Bosco che cercò sempre e solamente l'approvazione della Chiesa e la benedizione del Papa! Lo vidi entrare questo signore nell'Oratorio di
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S. Francesco; il cortile era deserto, essendo i giovani nello studio o nei laboratorii. Mi feci incontro a lui, e avendomi egli detto che voleva parlare a D. Bosco, lo condussi nel piccolo parlatorio che era al primo piano, presso l'ufficio di D. Alasonatti, quindi andai a cercare D. Bosco. Finita la conversazione di questi due uomini, io che attendeva fuori, accompagnai quel prete alla porteria e poi presto raggiunsi D. Bosco, il quale mi disse. - Sai che cosa mi venne a dire quel prete? - No, signore, risposi. Mi venne a rimproverare, soggiunse, perchè io eccito i miei giovani a frequentare troppo i Sacramenti; basta nelle feste principali dell'anno, mi diceva; altrimenti diventano impostori. Io risposi, continuava D. Bosco, che i risultati dell'educazione religiosa ch'io dava ai giovanetti, mi procacciavano delle consolazioni e frutti grandissimi di virtù e che quella era la dottrina dei più grandi santi. Ma D. C... persisteva nella sua idea. Allora io mi alzai invitandolo a riferire tali idee a D. Cafasso. Ma D. C... non si presentò certo a D. Cafasso. Costui era di quelli che accusavano D. Bosco di respingere i consigli delle persone prudenti ”. Oltre a ciò da questi uomini prudenti altra critica facevasi a D. Bosco. Non volevasi tener conto dell'essere stato l'Oratorio per anni, ed esserlo ancora, il luogo d'asilo per tanti chierici dell'Archidiocesi, essendo il Seminario di Torino sempre occupato dal Governo. Non si conosceva la natura dell'istituzione di D. Bosco, che era principalmente di aiutare le vocazioni allo stato ecclesiastico. Non si comprendeva l'importanza di un'opera destinata a provvedere sacerdoti a tutte le diocesi del Piemonte e di altri Stati anche fuori d'Italia. Quindi si vedeva con più o meno fred-
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dezza che D. Bosco oltre i poveri artigianelli, si occupasse degli studenti e dei chierici. Nella loro sapienza lo giudicavano inetto all'educazione del giovane clero. Il malumore apparve più vivo quando D. Bosco fu costretto a non mandare alle scuole di Teologia in Seminario ed a ritenere in casa alcuni pochi chierici assolutamente necessarii in qualità di maestri nelle classi ginnasiali. Quantunque egli avesse di ciò fatta parola al Vicario Generale, riceveva un avviso che suonava, rimprovero dalla Curia Arcivescovile, come se egli in questo caso volesse sottrarsi alle disposizioni dichiarate dall'autorità ecclesiastica. Ma il Servo di Dio o doveva servirsi di mezzi proprii, cioè di quei chierici, non potendo trovare altri maestri, o rassegnarsi a non più mantenere l'opera sua, anzichè svilupparla ed allargarla come egli era fermamente deciso. La Curia udite le sue ragioni concesse la chiesta dispensa: e D. Bosco raccomandò, insistendo vivamente, al detti chierici maestri che studiassero bene i trattati imposti dal programma del Seminario; e li mandava regolarmente a subire gli esami in Curia. E non li lasciava abbandonati a se stessi, poichè il Teol. Berta faceva loro ripetizione in casa propria nelle Domeniche e nei giorni di vacanze. Ma tutti gli altri suoi chierici non addetti alle scuole dell'Oratorio, li tenne soggetti, senza eccezione e per lunghi anni ai regolamenti diocesani. Si mormorava eziandio che i chierici di D. Bosco distratti dalle varie e gravi occupazioni, non potessero conseguire la necessaria scienza teologica. “ Ma io posso invece attestare, scrisse il Teol. Bongiovanni Domenico, che i chierici dell'Oratorio davano prove di studio indefesso, e poi molti di essi spiccarono per dottrina fra i seminaristi medesimi e si abilitarono a conseguire la laurea anche in teo-
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logia. ” E i registri dei voti da questi ottenuti negli esami, aggiungono una prova alla suddetta affermazione. Erano anche guardati da taluno con occhio geloso e diffidente, e si diceva che D. Bosco, tenendoli per sè e per la sua piccola Congregazione, toglieva alla diocesi soggetti di migliore ingegno e speranze. E non si voleva capire come fosse al tutto naturale, che egli ritenesse quelli sui quali poteva contare di più. D'altra parte mentre egli privava una diocesi di un prete o di un chierico, per mezzo del medesimo ne tirava su centinaia di altri, o con gratuita o con modica pensione, i quali senza D. Bosco non avrebbero potuto intraprendere la carriera degli studii e sarebbero certamente mancati alla Chiesa. Ma certi zelanti non potevano di ciò persuadersi, essendo allora l'avvenire nelle sole mani di Dio, quindi a quei pochi che si fermavano nell'Oratorio, coadiutori necessarii per continuare la grande opera, e che a D. Bosco erano costati tanto denaro e fatiche, tendevano insidie da essi giudicate atti di carità. Cercavano di allettarli ad abbandonare il loro benefattore con promesse di pensioni in Seminario, di benefizii lucrosi, di carriere onorevoli. In questi imbrogli stringevano alleanza eziandio coi parenti dei chierici, e non poche volte riuscirono nel loro intento. Le amarezze che D. Bosco ebbe a provare per ciò furono grandi, e se l'Oratorio non cadde fu opera della Madonna. In questo stesso anno 1859 era sorta nuova difficoltà, per il servizio che prestava l'Oratorio alle funzioni della Cattedrale. Il Can. Vogliotti Rettore del Seminario e Provicario, mandava a chiamare D. Bosco e gli chiedeva che si continuasse tale prestazione ai canonici. D. Bosco prese tempo alcuni giorni per riflettere e poi così gli scriveva:
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Benemerito Signor Rettore,
Ho pensato e ripensato sul modo di poter lasciar alcuni chierici liberi pel Servizio Religioso siccome Ella aveva parlato; ma l'ora in cui dovrebbero assentarsi coincide precisamente con quella in cui sonvi le funzioni negli Oratori, ove sono ripartiti ed impiegati tutti quanti. Il non aver l'aiuto nè da altri Sacerdoti, nè d'altri chierici, fa sì che i miei sono da mattino a sera occupati nel fare catechismi, scuola festiva, assistere giovani in chiesa e fuori, tanto in questa casa, quanto nelle chiese di Vanchiglia e di Porta Nova. Io mi sono tenuto soltanto il numero dei chierici, che mi era strettamente necessario. Se però occorrono solennità in cui siano necessari più chierici, volentieri mi aggiusterò come posso per tenerle libero quel numero che Le occorre. Il canonico Anglesio ha un buon numero di chierici, che non hanno la farragine di cose come abbiamo noi. Le sembra bene di indirizzarsi a lui? Ci pensi un poco. Il Sig. T. Gaude parlò al Ch. Molino per metterlo al clero di S. Filippo: ma qui abbiamo cerimonie, servizio ecc. e quel che è più ho bisogno di servirmene. Onde prego Lei a volermelo dispensare. Le mando la fede di buona condotta de' nostri chierici Del tempo delle vacanze; e mi raccomando per la revisione di S. Cornelio, mentre con pienezza di gratitudine mi professo Di V. S. Benemerita. Torino, 12 novembre 1859. Obblig.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI.
Per tali controversie, quantunque cortesi e deferenti, intorno ai chierici dell'Oratorio, vi furono alcuni i quali, ignorando lo stato delle cose, non mancavano di mormorare, accusando D. Bosco di voler primeggiare in diocesi e di armeggiarsi in ogni modo per non stare soggetto ai suoi
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superiori. Talvolta infatti, benchè D. Bosco avesse sempre un retto fine in tutte le sue azioni, parve dare qualche appiglio ai critici. La sua Pia Società non era ancora approvata, e la Curia a malincuore tollerava certi atti, che pure erano, necessarii, perchè non si spegnesse la vita incipiente di quella. D'altra parte D. Bosco dopo i consigli del Papa e del suo Arcivescovo non poteva a meno, per raggiungere il suo scopo, di adoperare i mezzi che a quello conducevano. Da ciò nasceva qualche malinteso. Andando egli in Curia per avere qualche permesso talvolta gli fu negato; ed egli senza far cenno della sua missione e de' suoi progetti, usciva un giorno in queste espressioni: - Ma signori! Nulla io chiedo per me; badino! Servo la diocesi e non ho stipendio di sorta; lavoro unicamente pel bene delle anime: non domando altro, che di poter lavorare per la gloria di Dio. Quando udiva qualcuno interpretare sinistramente le sue intenzioni, come se operasse per spirito d'indipendenza, egli soggiungeva: - Si osservino pure tutte le opere mie e tutti i miei scritti e si conoscerà da quale spirito io sia animato. Si guardi pure alla mia vita pubblica e a ciò che vado facendo, e se c’è qualche cosa di biasimevole, io sono ben contento di correggerla. Mi si avverta soltanto, ma in modo concreto e non vago e indeterminato. Finalmente non mancarono di quelli che trovavano argomento di critica e facevano le meraviglie di una saggia risoluzione di D. Bosco. Per lui era cosa evidente che gli uomini politici, a dispetto della legge Casati, sarebbero stati di anno in anno sempre più ostili alla libertà d'insegnamento; e che avrebbero posto gravi incagli, affinchè gli ordini religiosi e i sacerdoti in generale non potessero più attendere nè al pubblico, nè al privato insegnamento, sia scentifico che letterario. - È finita, egli andava dicendo; i tempi
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sono cattivi e non cambieranno così presto. Noi, fra alcuni anni, dovremo o chiudere le nostre scuole, od avere maestri e professori patentati per insegnare. Perciò aveva già prima messi a studiare parecchi suoi chierici, perchè potessero presentarsi agli esami di corso normale e fornirsi delle patenti per le scuole elementari. A questo scopo s'intese con un bravo insegnante che veniva in tempo di vacanza a dar loro regolarmente le sue lezioni, sicchè non pochi fecero eccellente prova. Allo stesso modo ne preparava alcuni fra i più distinti per il conseguimento delle lauree; e fra i Superiori di Congregazioni religiose fu il primo, e il solo allora, a prendere questo provvedimento, facendo ascrivere alla Regia Università di Torino i suoi alunni per compiere i corsi di Delle Lettere, di Filosofia e di Matematica, come ci afferma il Can. Anfossi, che fu uno di questi. Non li dispensava però mai dal presentarsi agli annuali esami di Teologia. Con ciò D. Bosco dimostrava la necessità che il clero si armasse colla esigenza delle leggi, affine di resistere per quanto sarebbe stato possibile all'istruzione laica, empia e scandalosa; tutelava un gran numero di vocazioni ecclesiastiche; anche in faccia alla gente dimostrava quanta importanza egli desse agli studii, e preparava l'espansione anche fuori di Torino della sua Pia Società, che altrimenti neppure nell'Oratorio avrebbe potuto sussistere come insegnante. D. Bosco in questa sua decisione era andato d'accordo col Vicario generale della Diocesi, e di ciò ne è testimonio D. Rua; ma non tutti gli ecclesiastici, anche di molta pietà, videro bene questa misura. Alcuni Vescovi la disapprovavano quasi condannando il buon prete perchè si fosse piegato ad ingiuste pretenzioni del Governo. Ed essi non lasciavano che
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il loro clero si presentasse a tali esami. In seguito però scorgendo le conseguenze che il loro avviso produceva a danno delle anime, si accorsero quanto egli avesse operato prudentemente nell'interesse della Chiesa. D. Bosco gli aveva esortati ad arrendersi a quella necessità, adducendo loro per ragione che senza di ciò tutte le scuole sarebbero sfuggite di mano al clero: e ben tosto imitarono il suo esempio. Don Bosco stesso avendo consigliato ai Superiori di vari Ordini religiosi di procurare ai loro Istituti professori laureati del proprio ordine, sulle prime si mostrarono sorpresi, ma più tardi convennero non potersi fare altrimenti. A questo modo D. Bosco fu cagione che molti sacerdoti e chierici, oltre i suoi, si abilitassero all'insegnamento classico inferiore e superiore. Egli per tale impresa non risparmiò nè a fatiche, nè a spese, nè a dolori. Sono addirittura incredibili le difficoltà da lui sostenute, ma ad ogni ostacolo che incontrava egli si faceva più forte. Con tutto ciò sul principio si accusava D. Bosco eziandio d'imprevidenza, perchè l'attendere a questi studi, non era senza pericolo per la gioventù ecclesiastica. Il professore Tommaso Vallauri diceva a D. Francesia: - D. Bosco fa sempre conto di mandare i suoi chierici all'Università? Ditegli da parte mia che qui regna un'aria pestilenziale. Ma D. Bosco era sicuro che i principii cattolici avevano salde radici nel cuore de' suoi figli, e poi essi erano premuniti da' suoi continui avvisi. - Volete voi essere forti per combattere contro il demonio e le sue tentazioni? Amate la Chiesa, venerate il Sommo Pontefice, frequentate i Sacramenti, fate sovente la visita a Gesù ne' suoi tabernacoli, siate molto divoti di Maria SS., offritele il vostro cuore, ed allora supererete tutte le battaglie e tutte le lusinghe del
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mondo. Quando si tratta di fare il bene, di respingere o di combattere gli errori, mettete la vostra confidenza in Gesù e Maria, e allora sarete pronti a calpestare il rispetto umano e a subire anche il martirio. E perciò nella sua prudenza illuminata lasciava ai suoi per massima e per testamento di continuare a provvedere le scuole, mediante l'abilitazione all'insegnamento, per mezzo dei relativi esami, dei chierici e dei preti. Noi abbiamo adunque esposte le principali osservazioni che per anni parecchi si udirono ripetere in discredito di D. Bosco, e nello stesso tempo le difese della sua condotta. È vero che i suoi critici non potevano allora prevedere e ponderare i retti fini e le conseguenze delle azioni di Don Bosco; tuttavia non poteva da loro ignorarsi come egli fosse sempre fermo nel bene operare a vantaggio della gioventù e in modo eroico. Nel generale andamento delle sue opere avran trovato anche qualcuno di quei difetti inevitabili nelle cose umane, e che D. Bosco stesso lamentava e studiavasi di rimediarvi per quanto era possibile; ma non ottemperavano all'avviso dello Spirito Santo scritto nel libro de' Proverbi al capo quarto: “ Non tendere insidie al giusto e non cercare l'empietà nella casa di lui, e non isturbare la sua pace ”. Questi signori invece non di rado scrivevano a Monsignor Fransoni rapporti contro D. Bosco e venuto a lui in Lione il Can. Nasi, l'Arcivescovo gli chiese: - Ma insomma, D. Bosco fa del bene o fa del male? - Il Canonico gli diede spiegazioni, quali poteva dargli un amico sincero dell'Oratorio, e l'Arcivescovo ne fu contento, e non tardò di presentarsi a lui l'opportunità per dar prova della sua soddisfazione. Una commissione di tre ecclesiastici recatasi a fargli visita, dopo aver parlato di molti affari riguardanti la diocesi,
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finì con esporre varie accuse contro l'Oratorio. Fra le altre cose dicevano, che D. Bosco coi giovani studenti educati da lui, e cogli altri chierici, che abitavano nel suo Ospizio, intendeva fondare un Seminario a suo conto che provvedesse il personale al suo Istituto, il quale sarebbe riuscito a danno dei Seminarii diocesani e quindi a disdoro e vilipendio dei diritti Vescovili. Avrebbero voluto far tale pressione sull'animo del buon prelato da indurlo a scrivere una lettera colla quale fosse vietato a D. Bosco di persistere in tale disegno, anche insinuando la possibile chiusura dell'Ospizio di Valdocco. Monsignore, conoscendo l'animo di D. Bosco, dopo averli lasciati dire, esclamò: - Ho chieste informazioni precise da persona fidata: nulla mi venne riferito intorno a ciò, che voi asserite ed ho saputo che nell'Oratorio si fa un gran bene. Lasciate adunque che in Torino ci sia chi continui a fare questo bene alle anime, giacchè non posso farlo io.- Qui faremo punto, riportando un giudizio del Teol. Can. Ballesio. “Mi sembra di poter affermare che i nemici ed avversarii di D. Bosco, del suo nome e delle sue opere furono, come sono, i nemici del bene. Del resto ricordo sempre d'aver veduto che tutte le persone amanti del bene, se potevano dissentire da lui in qualche punto accidentale, o trovavano qualche cosa da dire sulle opere sue, tutti convenivano con lui e l'approvavano nelle cose essenziali e d'importanza delle sue imprese. È accaduto, e specialmente nei primi tempi dell'Oratorio, che personaggi rispettabili del clero ebbero in sospetto il Servo di Dio e le sue intraprese ed anche gli si mostrarono avversarii; ma per quanto è a mia cognizione queste persone si ricredettero, quando vennero a conoscere il vero stato delle cose, e quasi sempre gli diventarono amiche ed anche benefattrici ”.
CAPO XXVI. Parlate di D. Bosco - Annunzio della novena del santo Natale; mezzi per santificarla - Studiare vuol dire essere buono - Non rubare - Non proferire parole villane - Obbedire al confessore - Sincerità in confessione - Suggerimenti per la solennità del Natale.
Siamo al dicembre del 1859. Era per incominciare la novena del Santo Natale e D. Bosco non trascurava certamente così bella occasione per innamorare i suoi alunni dell'ineffabile mistero. Parlò sette volte, poichè qualche sera dovette impiegarla fino ad ora tardissima nel confessionale. Uno dei chierici notò i punti principali de' suoi sermoncini, compresi quelli del fin dell'anno, ce li trasmise, e noi ne facciamo un dono ai lettori. In capo a questi sta scritta una frase del Cantico dei cantici. “Sicut villa coccinea labia tua: et eloquium tuum dulce. Come cordicella di color di scarlatto le labbra tue: e dolce il tuo favellare ”. Con questo versicolo si volle indicare l'affetto che sgorgava dalle labbra di D. Bosco tinte ogni mattina dal Sangue di Gesù Cristo, affetto ed unzione che non si può esprimere altrimenti.
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15 dicembre.
Domani incomincia la novena del santo Natale. Si racconta che un giorno un divoto del Bambino Gesù, viaggiando per una foresta in tempo d'inverno, udì come il gemito di un bambino e inoltratosi nel bosco verso il luogo donde udiva partire la voce, vide un bellissimo fanciulletto che piangeva. Mosso a compassione disse: - Povero bambino come mai ti trovi qui, così abbandonato in questa neve? - Ed il fanciullo rispose: - Ohimè! come posso non piangere, mentre mi vedi così abbandonato da tutti? Mentre nessuno ha compassione di me? - Ciò detto disparve. Allora capì quel buon viaggiatore essere quel bambino Gesù stesso, che si lamentava dell'ingratitudine e della freddezza degli uomini. Vi ho narrato questo fatto, perchè procuriamo che Gesù non abbia a lagnarsi anche di noi. Perciò prepariamoci a far bene questa novena. Al mattino al tempo di Messa vi sarà il canto delle Profezie, poche parole di predica e poi la benedizione. Due cose io vi consiglio in questi giorni, per passare santamente la novena. - 1. Ricordatevi sovente di Gesù Bambino, dell'amore che vi porta e delle prove che vi ha dato del suo amore fino a morire per voi. Al mattino alzandovi subito al tocco della campana, sentendo il freddo, ricordatevi di Gesù Bambino che tremava pel freddo sulla paglia. Lungo il giorno animatevi a studiar bene la lezione, a far bene il lavoro, a stare attenti nella scuola per amore di Gesù. Non dimenticate che Gesù avanzava in sapienza, in età e in grazia appresso a Dio ed appresso agli uomini. E sovra tutto per amore di Gesù guardatevi dal cadere in qualsivoglia mancanza che possa disgustarlo. - 2. Andate spesso a trovarlo. Noi invidiamo i pastori che andarono alla capanna di Betlemme, che lo videro appena nato, che gli baciarono la manina, gli offersero i loro doni. Fortunati pastori, diciamo noi! Eppure nulla abbiamo da invidiare, poichè la stessa loro fortuna è pure la nostra. Lo stesso Gesù, che fu visitato dai pastori nella sua capanna si trova qui nel tabernacolo. L'unica differenza sta in ciò, che i pastori lo videro cogli occhi del corpo, noi lo vediamo solo colla fede, e non vi è cosa, che possiamo fargli più grata, che di andare spesso a visitarlo. E in qual modo
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andare a visitarlo? Primieramente colla frequente Comunione. Nell'Oratorio, in questa novena specialmente, ci fu sempre un grande impegno, un grande fervore per la Comunione e spero che lo stesso farete voi in quest'anno. Altro modo poi è di andare qualche volta in chiesa lungo il giorno, fosse anche per un sol minuto, recitando anche un solo Gloria Patri. Avete inteso? Due cose adunque noi faremo per santificare questa novena. Quali sono? Chi sa ripeterle? Ricordarci sovente del Bambino Gesù, avvicinarsi a lui colla S. Comunione e colla visita in chiesa.
16 dicembre.
Sono contento nel vedere che i voti dello studio sono buoni, perchè se i voti sono buoni vuol dire che si studia, e se si studia ciò indica due cose. La prima che vi farete onore, la seconda che siete bravi figliuoli. In quest'anno adunque vi farete onore e non solo potrete essere promossi tutti all'esame filiale, ma ancora essere tutti premiati. Ma voi direte: - Come fare ad essere tutti premiati? I premii si danno solo ad alcuni, altrimenti Don Bosco dovrebbe far bancarotta a provvedere premii per tutti noi. - Ma io vi rispondo che non si daranno solamente ad alcuni, ma a tutti quelli che se lo saran meritato. Se lo meriteranno tutti, lo avranno tutti. E nel giorno finale dell'anno inviteremo i parenti, i parroci, i sindaci, gli amici e che bel trionfo sarà allora per chi avrà studiato! E poi se non tutti avessero i pieni voti, per coloro che avessero ottenuta la sola promozione, non è un bel premio poter dire: Ho fatto quel che ho potuto, Dio è contento di me, i miei parenti sono felici per la mia condotta, la mia coscienza è piena di consolazione, ho arricchita la mia mente di utili cognizioni? Ma l'aver ottenuto buoni voti ho detto indicare eziandio che voi siete buoni, perchè il mezzo principale che stimola allo studio è la pietà. Ciò vuol dire che la novena del santo Natale si fa con frutto e che il Bambino Gesù vi ha già dato molto fuoco per operare il bene. Coraggio adunque! Questo fuoco non sia di una sola settimana, ma di tutte le settimane. Quelli che ottennero l'optime continuino a meritarlo sempre; quelli che ottennero un voto di sufficenza, ma inferiore all'optime, prendano animo e dicano a se stessi: Se questo e quello
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ha preso optime, perchè non potrò averlo anch'io? Non voglio essere inferiore agli altri. Se voi conosceste la gran fortuna che è la vostra di avere un mezzo da poter studiare, vi sforzereste con ogni impegno per non perdere neppure un bricciolo di tempo. Quanti che adesso sono avanzati negli anni, si sentono sovente sospirare e dire: Oh se potessi ritornare indietro e rifare di nuovo i miei anni di gioventù che ho perduti inutilmente, si che vorrei impiegarli tutti bene! Se lo avessi fatto quando ero in tempo, ora avrei tante cognizioni che non ho: ora avrei un impiego che non ho: ed all'ora della morte diranno più specialmente: ora avrei pel paradiso maggior numero di meriti che non ho. Quanti giovani della vostra età se potessero avere i mezzi, che avete voi per studiare, studierebbero giorno e notte! Sono migliaia quelli che domandano di essere accettati nella casa, che dimostrano aver proprio buona volontà, ma non c’è posto per tutti. E voi foste i preferiti dalla Divina Provvidenza. Se fra voi ci fosse chi non volesse studiare preferendo la poltroneria, non ostante tanti sacrifizi per parte dei parenti, per parte dei superiori, che fanno tutto quello che possono per aiutarvi, per parte dei compagni, che vi danno tanti buoni esempi, qual conto rigoroso dovrete rendere a Dio se non vi approfittaste del tempo che avete! Il Signore ci domanderà conto anche di un sol minuto che avessimo perduto. Vedete qual conto dovrà rendere colui che perde delle mezz'ore, delle ore e talvolta degli studii intieri facendo niente. Coraggio adunque! Continuate per la buona strada per la quale vi siete messi, ma non dimenticate mai che per studiare bene bisogna incominciare ab alto. Prima dello studio recitate con divozione l'Actiones come lo recitavano S. Luigi, Comollo e Savio Domenico.
17 dicembre.
La consegna che si fa tutte le sere degli oggetti trovati ed anche dei più piccoli, non permette di supporre che alcuno si lasci andare a ritenere roba che non sia sua. Tuttavia siccome il demonio è molto astuto e potrebbe intorno a ciò ingannare qualcheduno, ricordatevi sempre che il vizio del prendere la roba d'altri è il vizio più disonorante che sia nel mondo. Uno che venga riconosciuto per ladro, non si toglie più di dosso questo
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brutto nome. - Quel tale è un ladro! - diranno i compagni tornati alle loro case. - Quel tale è un ladro! - ripeteranno quei del paese: e sarà fuggito da tutti. Ma poi ciò che più fa paura si è quella parola dello Spirito Santo. Fures regnum Dei non possidebunt. I ladri non entreranno mai in paradiso. Sapete quanta roba ci può stare dentro un occhio? nemmeno una paglia. Ebbene così è del paradiso. Lassù non ci entra neppure una paglia di roba degli altri. Se uno morisse con un ago solo rubato questo basterebbe per non lasciarlo entrare in paradiso. È vero che un ago è materia leggiera, ma nel purgatorio lo pagherebbe caro. S. Agostino dice: non remittitur peccatum nisi restituatur ablatum. Uno ha un bel confessare il suo peccato; non sarà mai perdonato finchè abbia restituito: bene inteso che egli possa restituire e che sia materia grave la cosa rubata; e se non potesse bisogna che abbia la volontà vera efficace di restituire. E state attenti, perchè molte materie leggiere a poco a poco formano materia grave. Oggi due soldi, dopo domani una cravatta, poi un libro, poi un quaderno, dopo un po' di frutta; si fa presto a prepararsi un conto serio al tribunale di Dio. Adunque se non vogliamo esporci al pericolo di essere disonorati presso tutti, se non vogliamo aggravarci la coscienza, stiamo bene in guardia a toccar nulla che non sia nostro. La roba degli altri dobbiamo considerarla come tanto fuoco. Se una scintilla ci viene addosso la scacciamo subito. Così se vediamo presso di noi qualche cosa che non sia nostra, sia anche un oggetto piccolissimo, una pagina, un pennino, una matita, lasciamola stare dove è. Abbisognate di qualche cosa pel momento? domandatela ai compagni; sono abbastanza graziosi da darvela. Del resto ci sono i superiori; essi vi provvederanno quanto vi sarà necessario.
18 dicembre.
Se un giovane si sentisse dire: - Sei un facchino, sei un lustra scarpe, sei un uomo da piazza degno di portare la brenta, si offenderebbe e non avrebbe torto. Eppure mentre alcuni si offenderebbero per simili titoli, non hanno rossore di farsene vedere meritevoli coi fatti e con pronunziare certe parole che si dicono solo dai carrettieri, dai facchini, e da simile gente: perchè
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accidenti, contacc, va sulla forca ecc. sono parole che fanno cattiva impressione in chi ode. Perciò chi vuol essere riputato qualche cosa di più della gente di piazza, deve astenersi da tali espressioni. Io non intendo con ciò di disprezzare gli operai e gli altri braccianti, perchè sono uomini come noi; costoro sono da compatirsi se hanno un fare grossolano, perchè privi di istruzione ed educazione, ed occupati in cose materiali. Ma voi che avete maggior istruzione e siete occupati in cose più alte, non dovete usare parole e modi grossolani, ma dimostrare coi fatti la vostra educazione. Perciò vi raccomando che più non diciate certe parole. Voi direte: - Io non fo' peccato dicendo certe parole. Ma ditemi: - Non fa neppure peccato colui che lustra le scarpe: perchè dunque non andate anche voi a far quel mestiere? Qualcuno dei più arditelli potrà pensare: Tutto ciò che è peccato non si può e non si deve fare, ma tutto ciò che non è peccato si può fare. Ditemi: Se i genitori vi sentissero così sboccati sarebbero contenti? Quale mortificazione sarebbe la loro di avere un figlio così poco educato! Mi accadde già di udir proferire simili parolaccie da uno, mentre passava un forestiero. Quel forestiero poteva essere qualche persona d'importanza e quale idea si sarà fatto dei nostri giovani? Tenete adunque bene in mente l'avviso che vi ho dato e mettetelo in pratica. Qualcheduno osserverà ancora: - D. Bosco ha ragione; ma è un'abitudine antica... non vorrei dirle... ma quando non ci penso mi scappano... - Lo capisco, risponderò, ma incominciate a fare il proponimento di non più dirle apposta... Quindi fate attenzione nei momenti che siete più soliti a pronunziarle. Gli assistenti vi daran sulla voce e voi prendete in buona parte le loro osservazioni. Pregate i compagni stessi che vi usino la carità di avvertirvi quando ve ne scappa qualcuna un po' grossa, e vedrete che poco per volta vi correggerete di questo difetto. Fatelo in onore del Bambino Gesù.
19 dicembre.
Uno dei consigli che spesso suole dare D. Bosco è quello di raccomandarvi l'obbedienza. Stasera però mi limito a parlarvi dell'obbedienza al confessore. Se quando un superiore vi parla, vi parla in nome del Signore, e voi dovete obbedirlo come si
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obbedisce al Signore, ciò si deve tenere in modo particolare riguardo al confessore, che più specialmente fa le veci di Dio. Perciò dovete dare molto peso alle sue parole e considerarle proprio come parole del Signore. Per farvi vedere quanto il Signore apprezzi l'obbedienza al confessore sentite un fatto. Santa Teresa era favorita da Dio di grazie speciali, ma il confessore credendo che quelle apparizioni fossero opera del demonio, comandò alla Santa di sputar loro contro. Ed ecco Gesù le apparisce ed ella, chiesta prima scusa, fece l'obbedienza. E il Signore lodò altamente quell'atto che sembrava dispregio ed era virtù. Se voi vi confesserete bene non sarà facile che il confessore sbagli, ma ancorchè sbagliasse nel darvi qualche comando, voi non sbaglierete mai coll'obbedirlo. Quei consigli che vi dà nella confessione non contentatevi di udirli solo al confessionale, ma dopo subito pensateci sopra e risolvete: mi disse questo e questo: dunque procurerò di farlo! Tornate poi a ricordarli alla sera facendo l'esame di coscienza e questo esame fatelo specialmente su questo punto, osservando se siete stati obbedienti. Se non aveste tempo in quel momento, fatelo andando a riposo, rinnovando il proponimento se trovaste di aver mancato. Così andando in chiesa a sentir Messa o a far la visita, promettete a Gesù: -Io per amor vostro farò quello che il confessore mi ha detto. - Se voi vi atterrete a ciò che io vi dico, state sicuri che farete gran profitto nella via della virtù. 20 dicembre.
Il solito laccio con cui suole il demonio prendere i giovani è precisamente questo. Metter loro indosso un gran rossore quando si tratta di confessare i loro peccati. Quando li spinge a commetterli allora toglie ogni vergogna, facendo vedere che sono cose da nulla. Ma poi quando si tratta di confessarli restituisce loro questo rossore, anzi lo aumenta e cerca di metter loro in capo che il confessore si stupirà di vederli così caduti e perderà loro la stima. In questo modo cerca di spingere sempre più le anime verso il baratro dell'eterna perdizione. Oh quante anime, specialmente di giovani, ruba il demonio e sovente per sempre al Signore! Ma voi figliuoli ricordatevi che il confessore non si stupisce mai del peccato che uno abbia commesso, fosse stato
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pure un sant'uomo colui che si confessa. Sa che grande è l'umana debolezza e che un momento di inavvertenza può essere fatale per tutti. Quindi compatisce. Una madre quando un figlio è ammalato gli vuole più bene di prima. Il peccato è una malattia. Se il figlio muore, se la madre potesse risuscitarlo, qual gioia sarebbe la sua. Il peccato è morte dell'anima, qual gioia pel confessore poterla risuscitare. Ricordatevi, o miei cari figliuoli, che il confessore non si stupisce mai di un vostro peccato, anzi si rallegra della vostra conversione, è commosso della vostra confidenza e vi ama e vi stima più di prima. Dice il Signore che in cielo gli angeli fanno più festa della conversione di un peccatore, di quello che la facciano per la perseveranza di 99 giusti. Così accade al confessore. Anzi vi dirò di più: non temete di avvicinarvi a lui anche fuori di confessione, perchè dopo avervi confessato più non ci pensa e più non si ricorda. È un fatto che succede a me stesso continuamente. Del resto se si ricordasse avrebbe un motivo di aumentar maggiormente la sua gioia e il suo affetto per voi, perchè potrebbe pensare: - Questo figlio l'ho salvato io e un giorno potrò presentarlo tutto puro, tutto santo al cospetto di Dio in paradiso! È una caparra eziandio della mia eterna salvezza, e mi sarà riconoscente e pregherà per me. - E in punto di morte poi non sarebbe una gran fortuna avere al fianco un confessore, che ci conosca bene e con una sola parola possa confessarci? A proposito della stima che il confessore porta al suo penitente, vi narrerò due fatti accaduti a S. Francesco di Sales. Un giorno un suo penitente dopo aver confessati tutti i disordini della sua gioventù, disse al buon Vescovo, che gli dava gli avvisi necessarii con grande effusione di cuore: - Voi senza dubbio mi parlate così per compassione, ma nell'intimo dell'anima dovete avermi in gran disprezzo. - Sarei ben colpevole, rispose S. Francesco, se dopo così buona confessione vi tenessi ancora per peccatore, che anzi vi vedo più bianco della neve, simile a Naamano all'uscir dal Giordano. Vi amo come mio figlio, dappoichè il mio ministero vi ha fatto rinascere alla grazia: ho per voi stima pari all'affetto che vi porto, vedendo che di vaso d'ignominia che eravate, siete diventato vaso d'onore e di santità. Oh! quanto mi è caro il vostro cuore, ora che ama Dio daddovero.
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Interrogato presso a poco nella stessa maniera da una penitente, che gli aveva fatto la confessione di molti peccati, rispose: - Vi riguardo ora come una santa. - Ma, replicò quella, la vostra coscienza vi dirà il contrario. - No, soggiunse egli; vi parlo secondo la mia coscienza: prima della vostra confessione sapeva di voi molte cose spiacevoli che si divolgavano ovunque, ed io me ne addolorava, tanto per l'offesa di Dio, quanto per riguardo alla vostra riputazione; ma adesso ho con che rispondere a tutto ciò che si potrà dire contro di voi. Io dirò che siete una santa e dirò bene. - Ma, Padre mio, il passato rimane sempre vero. - Niente affatto, perchè se gli uomini vi giudicheranno, come il Fariseo giudicò la Maddalena dopo la sua conversione, avrete Gesù Cristo e la vostra coscienza per difensori. - Ma finalmente, voi stesso, mio Padre, che pensate voi del passato? - Vi assicuro che non penso niente, giacchè, come volete voi che il mio pensiero si fermi sopra di ciò che non è più nulla dinanzi a Dio? Non penserò che a lodare il Signore ed a celebrare la festa della vostra conversione. Sì, voglio celebrare questa cara festa cogli angeli del cielo, che si rallegrano della mutazione del vostro cuore. - E siccome ciò dicendo aveva il volto molle di lagrime, la penitente gli disse: - Voi senza dubbio piangete sull'abbominevole mia vita. - Oh! no, rispose il santo Prelato, piango d'allegrezza per la vostra risurrezione alla vita della grazia. Avete inteso, cari figliuoli? Tuttavia se dopo tutte queste ragioni non vi sentiste di aprirvi interamente al vostro confessore, piuttosto che fare un sacrilegio, cangiatelo e andate da un altro!
23 dicembre.
Voglio che nelle feste natalizie stiate allegri e molto allegri. Ci raccomanderemo al Sig. Prefetto che dia gli ordini opportuni in cucina. Siete contenti? Io penserò all'allegria del corpo e voi insieme con me penserete all'allegria dell'anima. Il Celeste Bambino che nacque in questi giorni e che ogni anno vuol rinascere nei vostri cuori, aspetta da voi qualche cosa di particolare. Avete
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poi sentito nelle prediche di questi giorni quanto abbia egli fatto per noi. Notate che tutto quello che fece, non lo fece solamente per tutti in generale, ma lo fece eziandio per ciascuno in particolare. Molti S. Padri ci dicono che il Signore sarebbe nato e morto egualmente se vi fosse stato un solo uomo da salvare. Perciò quello che egli patì per tutti, l'avrebbe sofferto per ciascheduno di noi. Ognuno pertanto può dire in se stesso: dunque questo Bambino è nato, è morto espressamente per me: per me ha sofferto tanto! Qual segno di gratitudine gli renderò ? Questo caro bambino aspetta qualche cosa da noi, qualche dono speciale! Che cosa gli darete? Due cose vi suggerisco: 1. Una buona Confessione e una buona Comunione, con promessa di essergli sempre fedeli. 2. Chi non lo ha ancor fatto, scriva una bella lettera ai parenti, ma non dicendo loro: mandatemi del salame, mandatemi dei dolci, dei fichi secchi, dei pomi ecc.; i parenti conoscono questi vostri desiderii e vi contenteranno. Sibbene scrivete una lettera da figli cristiani, augurate loro le buone feste, assicurateli che pregate per loro, ringraziateli dei sacrifizii che fanno per voi, domandate loro perdono, se qualche volta avete verso di essi mancato di rispetto, promettete che sarete sempre figliuoli obbedienti, salutateli da parte mia augurando loro per me le buone feste e il buon capo d'anno. Così scrivendo darete loro una grande consolazione e ciò farà molto piacere a Gesù, perchè con questa lettera onorerete vostro padre e vostra madre. Non dimenticate eziandio i vostri benefattori e il vostro parroco, i quali così si accorgeranno che siete giovani di cuore, riconoscenti e ben costumati. Finisco coll'augurare a voi tutti le buone feste.
CAPO XXVII. Indulgenza plenaria per un santuario di Caselette - Parole di D. Bosco ai giovani sull'anno che finisce -- Ricordi all'intera comunità - L'ultima sera dell'anno - Gli alunni defunti nel 1859 - Strenne personali di D. Bosco a' suoi allievi e di questi a lui.
Nella notte del Santo Natale, D. Bosco, celebrando la S. Messa, non aveva dimenticati nessuno de' suoi benefattori, fra i primi dei quali annoverava il Conte Carlo Cays. A questi egli procurava una desiderata e viva soddisfazione, ed ecco in quale modo. Sulla sponda sinistra della Dora Riparia a metà costa del monte detto Asinaro, sulle falde del quale sta il paese di Casellette col Castello del Conte Cays, da tempi antichissimi era stata eretta una cappella in onore del fanciullo Abaco, del suo fratello Adiface e de' suoi genitori Mario e Marta, nobilissimi persiani, tutti martiri. Riparata ed ampliata nel 1817, nel 1851 e 1855 dalle Regine e da tutto il popolo aveva ricevuto nuovo decoro e nuovo prolungamento; e nel 1856 lungo la strada che metteva al santuario furono innalzate 15 cappellette con dipinti i misteri della Via Crucis e del Santo Rosario. Questi martiri si manifestavano specialmente patroni dei febbricitanti, e invocati, operatori eziandio di maravigliosi portenti.
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Ora il Conte, in favore del Comune di Casellette, aveva fatto istanza a D. Bosco perchè supplicasse il Papa a concedere un'indulgenza plenaria a coloro i quali, nel giorno 19 di gennaio, dai primi vespri fino al cader del sole dello stesso giorno, visitassero detta cappella. Pio IX concedeva e faceva trasmettere a D. Bosco il Rescritto colle solite condizioni in data del 20 dicembre 1859. Il 29 dicembre il Can. Celestino Fissore Vicario generale permetteva che lo si pubblicasse e si desse alle stampe (I). Nella sera di questo stesso giorno (29) così D. Bosco parlava ai suoi giovani. Quest'anno non lo rivedremo mai più; il tempo pas-
(I) “ PIUS P.P. IX. ”
Ad perpetuam rei memoriam. Ad augendam fidelium religionem, animarumque salutem coelestibus Ecclesiae thesauris pia charitate intenti, omnibus et singulis utriusque sexus Christi fidelibus vere poenitentibus, et confessis, ac S. Commuinione refectis, qui Ecclesiam in honorem SS. Marii, Marthae, Audifacis et Habacu M. M. sitam intra fines paroeciae loci “ Caselette ” nuncupatae Taurinens. Dioec. die decimo nono mensis Januarii a primis Vesperis usque ad occasum solis diei huiusmodi singulis annis visitaverint, et ibi pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, ac S. Matris Ecclesiae exultatione pias ad Deum preces effuderint, plenariam omnium peccatorum suorum indulgentiam et remissionem; quam etiam animabus Christi fidelium, quae Dei in charitate conjunctae ab hac luce migraverint per modum suffragii applicari posse, misericorditer in Domino concedimus. In contrarium faciend non obstant quibuscumque praesentibus, perpetuis, futuris temporibus valituris. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris die XX decembris MDCCCLIX. Pontificatus Nostri Anno Decimoquarto. Pro D.no Card. MACCHI. I. B. BRANCALEONI CASTELLANI.
Vis. pubblicari et quatenus opus typis edi permittimus. Taurini, die 29 decembris 1859 CAELESTINUS FISSORE Vic. Gen.
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stato non ritorna più. Se lo avremo occupato bene, starà là a nostra gloria eternamente; se lo avremo occupato male, starà là eternamente a nostra infamia. Ora quel che è fatto, non si può più disfare. In quest'ultimo caso guardiamo di mettergli un buon cappello, cioè passando bene questi due giorni che ancora ci restano col rinunziare a qualche difetto, col praticare qualche virtù, affinchè almeno possiamo poi dire: Nel 1859 ho lasciato un difetto, ho praticato una virtù. Tommaso da Kempis dice così: “ Noi saremmo presto santi se non facessimo altro in ciascheduno anno, che correggere un difetto solo e praticare una sola virtù ”. Questo avviso era come l'esordio di ciò, che avrebbe detto l'ultima sera del 1859. E il 31 dicembre così esprimevasi:
Miei cari figliuoli, voi sapete quanto io vi amo nel Signore e come io mi sia tutto consacrato a farvi quel bene maggiore che potrò. Quel poco di scienza, quel poco di esperienza che ho acquistato, quanto sono e quanto posseggo, preghiere, fatiche, sanità, la mia vita stessa, tutto desidero impiegare a vostro servizio. In qualunque giorno e per qualunque cosa fate pure capitale su di me, ma specialmente nelle cose dell'anima. Per parte mia, per strenna vi do tutto me stesso; sarà cosa meschina, ma quando vi do tutto, vuol dire che nulla riserbo per me. Ora veniamo ai ricordi. A tutti in generale. Fatevi bene il segno della santa croce; non volgetevi mai indietro, quando servite la santa Messa; raccomando il silenzio in dormitorio, non fare contratti senza licenza, non fare letture cattive o proibite. Appena uno di voi dubitasse della bontà di un libro, manifesti il suo dubbio a qualche superiore. Spero che voi metterete in pratica i miei avvisi e tanto ne sono sicuro che voglio che si finisca l'anno con perfetto amore e santa allegrezza. Perciò io perdono a voi qualunque mancanza possiate aver fatta e anche voi perdonatevi a vicenda le offese, che per caso abbiate ricevute. Voglio che incominciate l'anno 1860
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senza malumore e senza melanconie. Se vi fosse qualcheduno destinato a stare a tavola di punizione, intendo che gli sia tolto il castigo. Io son pronto a tirare una linea sovra ogni vostra mancanza, prometto di non rinfacciarla mai a nessuno, e di dimenticarla; ma intendo che facciate lo stesso fra di voi. Non già perdonare un'offesa e poi dopo 10, o 15 giorni venuta l'occasione, gettare in faccia all'offensore quella parola, quella mancanza, quell'ammonizione ricevuta, quello sbaglio fatto. Ciò non va; perdonare vuol dire dimenticare per sempre. Scendendo al particolare dirò agli studenti che procurino nella scienza terrena di cercar la scienza del cielo, la virtù e metterla in pratica. Agli artigiani dirò che non avendo tempo a pensare molto all'anima nei giorni feriali, almeno vi pensino nei giorni festivi, coll'udire bene la Messa, coll'ascoltare attentamente le istruzioni, col ricevere divotamente la benedizione. Nelle domeniche e nelle feste principali procurino di accostarsi ai Ss. Sacramenti. Ai chierici ricordo che essi sono venduti al cielo e perciò non pensino più a questa terra: tutto il loro studio sia nel cercare la maggiore gloria di Dio e la salute delle anime. A questo proposito raccomando a tutti di aiutarvi scambievolmente a salvar l'anima, prima col buon esempio e poi coi buoni consigli, stimandoci felici quando possiamo impedire fra i nostri compagni anche un solo peccato veniale; imprestando buoni libri da leggere, esortando all'obbedienza, avvisando quando avvertiste qualche lupo nell'ovile, insomma ricordandoci che un gran santo dice: divinorum, divinissimum est cooperari in salutem animarum. Ai sacerdoti, sebbene pochi, raccomando che studino di accendersi di uno zelo ardente per le anime. E a me stesso che cosa dirò? Io dirò (e parlava quasi lagrimando, e con parole interrotte) che mi sento un anno di più sulle spalle, mentre il 1859 sta per dileguarsi coi secoli passati. Questo anno è un tempo di meno che ci resta a vivere e saremmo disgraziati se l'avessimo passato inutilmente. Io sento quanto grave sia la mia responsabilità, che va ogni giorno crescendo, dovendo io rendere stretto conto al Signore dell'anima di ciascheduno di voi. Io faccio quel che posso, ma voi aiutatemi, miei cari figliuoli.
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Del resto promettendo tutti noi al Signore di impiegar bene il restante della nostra vita nell'amarlo e servirlo, ringraziamolo dei tanti benefizi che ci ha fatti e dell'averci conservati fino all'anno 1860. Questa grazia non l'ha concessa a tutti. Magone, Berardi, Capra, Rosato, Odetti e altri ancora dove sono che non li vedo in mezzo a noi? Son passati all'eternità, a render conto al Signore di tutto quello che hanno fatto. Perciò io raccomando a tutti voi di tenere la vostra coscienza preparata, perchè il Signore può chiamarvi in questo anno al suo tribunale. Raccomando poi a coloro i quali per paura o per vergogna non osassero confessarsi dal proprio confessore, di cangiarlo, di andare da un'altro, ma che per carità non trascurino di aggiustare i loro conti. È cosa certa che l'anno venturo in questo stesso giorno più non ci troveremo qui tutti. Perciò vi invito a recitare un Pater per tutti quelli che moriranno nell'anno venturo e per quelli che sono morti nell'anno che sta per finire.
La memoria di questi cari defunti nel libro delle necrologie, indicava il giorno nel quale erano passati all'eternità. Rosato Carlo da Torino in età di 43 anni nell'Ospedale Cottolengo, il 23 maggio. Capra Francesco di Centallo in età di 16 anni nel mese di giugno all'Ospedale Mauriziano. Il 15 agosto in Torino presso i suoi parenti Zucca Giovanni di Cavour in età di 26 anni. Nell'Ospedale Cottolengo il 26 settembre Odetti Bartolomeo di Vigone di anni 18. D. Bosco adunque recitato un Pater, Ave e Requiem con tutti i suoi giovani inginocchiati innanzi a lui, scese dalla cattedra e come era sua usanza, incominciò questa sera e continuò nei giorni seguenti a dare la strenna natalizia a ciaschedun giovane in particolare. Questa consisteva in un consiglio, in brevissime ed accentuate parole, perchè
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fossero intese bene secondo il bisogno o vantaggio del giovane. Questo consiglio era sempre così adatto che restava impresso nella mente e nel cuore di chi lo riceveva. Ed era cosa singolarissima, perchè erano circa 300 quelli, ai quali egli dava simile strenna. Nello stesso tempo ciaschedun giovane dava a D. Bosco una strenna, la quale consisteva in una letterina, ove era esposto un proprio bisogno, un segreto confidenziale; si chiedeva un consiglio, si dava una spiegazione, si avvisava di un inconveniente accaduto, e anche si osava porgere un rispettoso avviso; o se non altro il giovane prometteva di essere più buono in avvenire, più studioso, più attivo e diligente nel lavoro, o assicurava che avrebbe pregato pel suo superiore. Il ch. Bonetti Giovanni così in quest'anno notava nelle sue memorie. “Avendo data a D. Bosco la mia strenna in una lettera, la sera del 31 dicembre 1859, egli, secondo il solito di tutti gli anni, mi disse all'orecchio le seguenti parole, che erano la sua strenna per me: Umiltà e fatica ”.
CAPO XXVIII. La Prefazione al Galantuomo, almanacco pel 1860 - La guerra in Lombardia e le avventure del Galantuomo - Sue profezie - D. Bosco chiamato al Ministero dell'Interno per dare spiegazioni sulle profezie dell'almanacco.
Sul finire del 1859 si pubblicava e distribuiva il Galantuomo con una varia e singolare prefazione. Ivi erano esposte alcune predizioni che si sarebbero avverate nel 1860 ed anche svolte negli anni successivi. Le precedeva un lungo racconto delle avventure del Galantuomo, serio - comiche, ingenue e ridicole, sia per non dare a quelle un tono spiccato di profezia, come pure perchè non prendessero ombra gli uomini politici, ai quali fosse per avventura caduto in mano quel libretto. Don Bosco sperava che non lo avrebbero giudicato opera di uomo serio e di gran levatura, e al più lo avrebbero o compatito o messo in burla come una frivolezza. Intanto fra gli associati delle Letture Cattoliche e ad altri avrebbe apportato quel gran bene che si desiderava. Ma queste sue precauzioni non riuscirono, poichè l'almanacco levò subito gran rumore di sè e per molto tempo non solo nelle case dei cittadini, ma eziandio nei palazzi dei governanti. Ecco il tenore della prefazione.
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I
Il Galantuomo Almanacco Piemontese - Lombardo per l'anno bisestile 1860. Il Galantuomo a' suoi amici.
Prima di cominciare a parlare con voi, miei venerati amici, stimo bene darvi ragione di alcune cose che voi scorgerete variate. Nel mio frontispizio invece di Almanacco Nazionale, vedrete Almanacco Lombardo - Piemontese. Questo l'ho fatto per significare che anch'io do il mio voto per l'accettazione di questo regno. Così la dedizione del medesimo sarà completa. Con questo fatto voglio anche far conoscere che i galantuomini non sono contrarii all'unione della Lombardia col Piemonte. In quest'anno mi vedrete privo di codino e ne saprete in appresso la terribile cagione. Ho sospeso di parlare delle fiere e dei mercati, perchè non ho ancora la necessaria cognizione del modo, del tempo, del luogo in cui fiere e mercati soglionsi fare nei nuovi nostri stati. Per non fare parzialità, ossia spropositi, sospendo di parlare di tutto. Posso però assicurarvi che le cose che sono per dirvi, le reputo d'assai maggiore importanza; cose da piangere e talvolta da ridere. Vi dirò le mie guerresche imprese; farò lo storico e vi esporrò il passato; farò il politico, e vi dirò il presente; farò il profeta e vi annuncierò l'avvenire, e dopo una serie di fatti curiosi studierà per ricrearvi un poco, cantandovi una canzone.
II.
Un saluto - La guerra - Negozio di rinfreschi - Incontro di un generale francese a Montebello - Cose di Palestro - Un Zuavo.
Vi fo' un cordiale e rispettoso saluto, venerati amici, e lo fo' tanto più di cuore, in quanto che temeva assai di non potervi più rivedere. La guerra terribile dell'anno scorso, a cui presi parte anch'io, toglievami pressochè ogni speranza di potervi rivedere. Sì, cari amici, ho preso parte ai fatti d'armi; e mi sono
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trovato a Montebello, a Palestro, a Magenta, a Marignano e specialmente a Solferino, ed ovunque ho fatto vedere che cosa valga un galantuomo. E vero che io non son buono a maneggiare nè fucile, nè spada, e, se volete che ve lo dica, ho paura de' vivi e de' morti; pure sono andato alla guerra, vale a dire, cioè, desiderando di far del bene a me ed agli altri, mi sono messo a fare il venditore di rinfreschi presso all'esercito, ben inteso dopo averne ottenuto il debito permesso, che, mediante quattrini, ottenni con facilità. Questo mestiere, che sembra da poco, tornò utile a molti; tornò utile a me, perchè ho guadagnato qualche cosa per me e per i miei ragazzi, i quali sebbene già alquanto adulti, non sono ancora in grado di guadagnarsi da mangiare; tornò anche utile agli altri, perchè più volte co' miei rinfreschi ho tolto la sete ai sani, agli ammalati ed ai moribondi. Mi ricordo precisamente che a Montebello vi era un generale francese che cadeva per la sete. Appena mi vide tosto si mise a gridare: Galantome, Galantome, donnez moi à boire. Io che so anche un po' di francese gli risposi tosto: Oui Monsieur, prendete, bevete pure; bien raisonnable; ve ne do volentieri, ma pour l'argent. Egli bevette e confortato da' miei squisiti rinfreschi venne in soccorso di quelli, che già fuggivano, fece loro coraggio, e combattendo con loro intrepidamente in breve i nostri giunsero alla vittoria. Di maniera che la vittoria di Montebello è in buona parte attribuita alla virtù de' miei rinfreschi. A Palestro vi era il terreno coperto di morti e di feriti; e posso asserire con verità che il numero dei morti sarebbe stato assai maggiore, se non fossi corso in aiuto, ora dando da bere ai sani, ora confortando i feriti, che morivano di sete dimandando pietà e misericordia. Più di cento feriti ristorati da' miei rinfreschi poterono riaversi e trasportarsi all'Ospedale. Un Zuavo perdeva il respiro per mancanza di bevanda; gli porsi un bicchierino che lo sollevò potentemente. Egli ne fu così contento, che mi diede dodici sigari di tabacco eccellente. Io però che non sono mai stato, nè mai sarò abituato al tabacco, anzi ne abborrisco il fumo, presi que' sigari e ne feci dono ad altri soldati, che sospiravano tabacco e non potevano averne. Sono pochi giorni che uno mi scosse colle mani le spalle, dicendomi: - Bravo, galantuomo: i tuoi rinfreschi mi hanno dato la vita; senza di essi io sarei morto di sete a Palestro.
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III.
Cose di Magenta - Tumulazioni - Carità e consigli - Un Cappuccino - La Provvidenza - Quindici marenghini.
A Magenta poi le cose presero un aspetto più terribile. Io giunsi colà il dì appresso della battaglia e vidi tanti morti e feriti, che io tremava da capo a piè. Deciso di fare un sacrifizio per la patria, ho dato ai miseri feriti dei rinfreschi, finchè ne ho avuto; dopo mi posi ad aiutare a portare i feriti all'Ospedale, e in fine a seppellire i morti. - Come, taluno dirà, il galantuomo seppellire i morti! - Sicuro, l'ho fatto e lo farei ancora. Tobia non era un galantuomo? Eppure lasciava il suo pranzo per andare a seppellire i morti. In mezzo alle mie fatiche era grandemente consolato da molti moribondi, che si raccomandavano l'anima da se stessi, ed io ho dato loro più volte il mio crocifisso a baciare. Rincresceva però molto che non pochi soldati dimandavano di confessarsi e non si potevano aver preti bastanti per soddisfarli tutti. Non potendosi fare altrimenti suggeriva loro di recitare un sincero atto di contrizione; dipoi diceva che andassero tranquilli all'altro mondo che Dio li avrebbe perdonati. Molti domandavano di confessarsi da me; ma io non poteva nè ascoltarli, nè assolverli. Uno mi diceva: - Galantuomo io confesso a te i miei peccati, e tu li confesserai poi a qualche prete. - No, risposi, ne ho già fin troppo dei miei, che mi fanno andar gobbo; guai a me se aggiungeressi i tuoi. Fa l'atto di contrizione e poi va tranquillo. Dopo il fatto di Magenta io voleva seguir l'esercito, ma non avevo più nè rinfreschi, nè danaro per far provvigione, perciocchè in mezzo ai molti bisogni io aveva consumato quanto possedeva. Malinconico camminava verso Milano occupato del modo di far provviste pel mio negozio, quando un cappuccino avvicinandosi mi disse: - Che hai galantuomo che cammini immerso in tanto gravi pensieri? Sei forse stato ferito a Magenta? - Non sono stato ferito nella persona, ma nella borsa; non ho più danaro e non ho più rinfreschi da vendere. - Non hai qualche credito da esigere? - No, i miei crediti consistono in alcuni debiti che ho a Torino.
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- Che facesti di quanto hai finora guadagnato col tuo negozio? - L'ho dato tutto ai poveri soldati, che o stanchi o feriti languivano per la sete. - Hai fatto un'opera buona. Dio non mancherà di ricompensarti; egli suole dare il centuplo di ogni opera buona anche in questa vita e riserba una ricompensa eterna dopo morte. - È vero; io non ho mai avuto nè vetture, nè cavalli, ad eccezione di un piccolo borricchetto, di cui servivami quando era negoziante di cipolle. Tuttavia ho sempre camminato. Sono sempre stato scarso di danaro ed ho sempre mangiato; ma ora mi trovo sprovvisto di ogni cosa ..... - Spera e prega e poi... Mentre facevasi tale discorso, odo la voce di uno che correva dietro: dicendo: - Fermati; aspetta, aspetta. - A prima vista temeva che fosse qualcheduno che mi prendesse per un malandrino e volesse salutarmi con qualche fucilata, oppure fosse qualche amico di frontiera, che suole mettere i guanti a certi galantuomini anche di estate, per condurmi in que' luoghi ove niuno paga pensione, che si suole chiamar prigione. Tuttavia mi fermai e per armarmi di coraggio, presi con una mano il mio codino e intrepidamente mi volsi dicendo: Chi mi cerca? Chi mi vuole? Io non faccio male a nessuno. - Non temere: io vengo a te per farti del bene. Sei ben tu che ti chiami Galantuomo? - Sì, mi chiamano, e per grazia di Dio, sono Galantuomo. - Sei ben tu che a Magenta hai lavorato per dar da bere agli assetati feriti e moribondi? - Si, si, ma io non ho fatto alcun male. - Sei ben tu, che per fasciar la ferita ad un capitano, che perdeva tutto il sangue, ti togliesti la camicia, la facesti a bende per istagnare il sangue a quell'infelice, che correva il massimo pericolo della vita? - Sì l'ho fatto, e lo farei ancora qualor ne fosse bisogno. - Quel capitano mi manda a te per ringraziarti. Egli è a te debitore della vita e per segno di gratitudine ti prega di voler accettare questo piccolo pacco. Pensavami che fosse un pacco di medaglie, perciò lo accettai volentieri con animo di farne parte ai bravi soldati, quando fosse imminente la battaglia. Ma apertolo, trovo quindici luccicanti
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marenghini. - No, gridai tosto, non li voglio: facendo quell'opera di carità ho fatto il mio dovere, e le opere di carità non si fanno per paga. - Ma l'altro era già ritornato indietro e non badò più alle mie parole. Il cappuccino mi confortò dicendo: - Prendi pure questo danaro come mandato dalla Divina Provvidenza. Giunto in Milano potrai fare la desiderata provvista. Tu hai fatto un'opera di carità e non l'hai fatta per interesse; ma Dio ispirò al tuo beneficato di venirti in aiuto nel pressante tuo bisogno. - A tali parole m'acquietai e misi in saccoccia i provvidenziali marenghini.
IV.
Milano - Le chiese - La montagna di marmo - I caffè Vista di Marignano.
Cammin facendo giunsi a Milano che trovai molto bella. Ma le vie e le piazze non sono così belle come quelle di Torino. Le nostre sono diritte, quadrate, e là tutte curve e con tante giravolte da tutte parti. Le chiese però sono più belle delle nostre. Il duomo sembra un'alta montagna di fino marmo con grande maestria lavorato. Noi poi superiamo i Milanesi nella eleganza dei caffè e nel lusso di piazza Carlina, dove trovasi in abbondanza ogni qualità di buon vino. Sonvi pure cavalli di bronzo che hanno la testa più grossa dei nostri, ma non vi è il cavallo di marino. Dimorai a Milano un giorno festivo; e poichè da qualche tempo non aveva più avuto la comodità di aggiustar gli affari dell'anima mia, volli approfittare di quell'occasione per fare le mie divozioni. Al lunedì seguente feci le necessarie provvigioni per i miei rinfreschi e mi posi in via per raggiungere gli eserciti. Giunsi a Marignano quattro giorni dopo la battaglia ivi avvenuta e vidi ancora orridi avanzi di quella giornata. Cioè il terreno ancor bagnato di sangue umano, e di quando in quando alcuni brani di cadaveri, che si andavano raccogliendo per metterli in ceste e portarli a sotterrare. Mosso a compassione ho detto un De profundis per quelli che erano morti e recitai una Salve, affinchè guarissero i feriti: quindi continuai il mio cammino.
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V.
Rumori della battaglia di Solferino - Il giorno onomastico - Rimbombo infernale - Temporale - Vittoria - Campo di battaglia - Combattimenti - Morti e feriti.
Vi assicuro, miei cari, che quando andava a scuola, ed anche quando andava in pastura co' miei compagni ho dovuto sostener grandi battaglie, ora con sassi, ora con bastoni, e talvolta con pugni e perfino coi denti; ma quelle erano un nulla a paragone della battaglia di Solferino. Io vi racconto soltanto quello che avvenne a me, lasciando a quelli che sono più capaci, di scrivere quanto è avvenuto in quella memoranda giornata. Il 23 di giugno si vociferava da tutte parti che era imminente una battaglia, la quale avrebbe deciso delle sorti dei tedeschi e degli alleati. O che noi assalivamo i tedeschi o che essi avrebbero assaliti i nostri; il che era lo stesso. Il giorno 24, giorno di San Giovanni, che è pur quello di mia festa, sul far del giorno sento un gran rumoreggiar di cannoni. Da prima pensava che fosse per festeggiare il mio giorno onomastico; ma tosto fui assicurato che gli austriaci si avanzavano contro dei nostri, e che i nostri erano pronti a servirli di barba e di perrucca. Allora presi il mio cavagno con entro alquante bottiglie di sciroppo dolce; e portando quella maggior quantità di acqua che era possibile, mi avanzai verso i combattenti. Diceva fra me: oggi fa molto caldo, e combattendo havvi molto bisogno di bere; ed io vendendo li miei bicchierini, empio la saccoccia di sonanti quattrini. Per alcuni momenti andò bene ed io aveva già venduto la maggior parte de' miei liquidi. Quando alle dieci del mattino sento gridare: - Indietro, indietro, siamo presi di fianco! Non volendo giuocar a correre coi soldati, mi posi a parte della strada e, ritiratomi sopra una vicina collinetta, lasciai che i nostri si ritirassero per prendere miglior posizione. Ma povero me! In quel momento mi trovai quasi tra il fuoco dei piemontesi e dei tedeschi. Le palle di fucile ed anche di cannone cadevanmi attorno come cadono le noci assai mature, quando sono sbattacchiate sulla pianta. Più volte vedeva gli austriaci far correre i nostri, più volte vidi i nostri cacciare gli austriaci; ma sempre fucilate, can-
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nonate, baionettate, grida di chi incoraggiava, gemiti dei feriti e dei morenti. Que' rumori, quegli strilli, que' lamenti confusi insieme facevano un rimbombo infernale. Finalmente sul fare della sera si levò un gran temporale, che favorì assai i nostri e rese inutili gli sforzi de' nemici, che furono costretti a ritirarsi. Cercai allora di discendere nella valle, ma un involontario terrore mi respinse. Ovunque volgessi lo sguardo non vedeva altro che morti, feriti e moribondi che domandavano pietà. Io avrei voluto provvedere a tutti, soccorrerli tutti, ma non mi era possibile. Mi sono unito cogli altri ed abbiamo lavorato otto giorni per trasportare i feriti all'ospedale e dar sepoltura ai morti. Un generale piemontese che assisteva alle ambulanze dei feriti, disse che una simile battaglia non aveva esempio nelle storie. Erano circa trecento mila tra francesi e piemontesi contro a trecento mila tedeschi. Si combattè valorosamente da ambi le parti, e tra morti e feriti furono messi fuori di combattimento oltre a cinquanta mila uomini. Mi assicurano che Napoleone dicesse: - I tedeschi hanno perduto il terreno, noi abbiamo perduto gli uomini. - Volendo significare che la perdita fu maggiore da nostra parte. Noi però sapevamo che non si può far guerra senza che rimangano morti da una parte e dall'altra. Siccome non si può fare la frittata senza rompere le uova, così non si può far guerra senza uccisioni. Ma dopo che ho veduto la battaglia di Solferino, ho sempre detto che la guerra è cosa d'orrore ed io la credo veramante contraria alla carità! Comunque però sia stata quella battaglia, la vittoria fu da nostra parte e gli austriaci furono costretti a passare il Mincio, che è un fiume il quale divide la Lombardia dal Veneziano.
VI.
Il cavagno - Il cappello - Il codino - li fischio delle palle e le giaculatorie - La pace - Un regalo - Una colazione.
Voi, cari amici, mi direte: in mezzo a tali combattimenti non sei tu stato ferito? Grazie a Dio fui salvo; ma fui salvo per miracolo. Mentre era sopra quella collinetta intorniato dai nemici studiava sempre di nascondermi or accanto alle piante, or dietro
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ai sassi, ora dietro a rive o nei fossi. Tuttavia fu un momento che mi credetti morto. Una palla da cannone mi passò vicino e mi portò via cavagno, bicchieri e bottiglie. - Ai ladri, mi posi a gridare, ai ladri ma ecco una palla da fucile, senza domandarmi permesso, mi portò via di testa il cappello. - Là, dissi confuso e senza vedere persona: lasciatemi stare, io non fo male ad alcuno. -Ed ecco una scheggia di mitraglia venne a passarmi rasente le spalle e mi portò via tutto intiero il codino. - Povero codino, esclamai, come farò a far conoscere che il Galantuomo ha ancora la testa? - Volsi lo sguardo onde vederlo per l'ultima volta, ma con dolore nol vidi più. Nella perdita del mio codino ebbi ancora una consolazione; perchè mi è ancor rimasta la testa sulle spalle; e questo per me non è poca cosa. Allora per timore che qualche pallottola di piombo venisse per facezia a portarmi via la testa dalle spalle, mi accovacciai in un fosso, mi coprii di terra fino al collo, e accanto al capo misi due grosse pietre e colà ristetti fino a sera. Ad ogni momento sentiva che le palle fischiando mi passavano sopra il capo. Sempre io diceva: - Gesù mio misericordia; e tosto baciava la medaglia. Che sia grazia del Signore, che sia la speciale protezione della S. Vergine, fatto sta che io fui salvato e potei ancora ritornare tra voi per raccontarvi alcune mie vicende. Pochi giorni dopo la battaglia di Solferino, Napoleone scrisse una lettera all'Imperatore d'Austria; poi andò a fargli visita e parlandosi conobbero ambidue essere meglio la pace che la guerra, meglio essere amici e conservare la vita de' loro soldati, che essere nemici e massacrarsi a vicenda. Ora la pace fu definitivamente conchiusa e sottoscritta! e se gli uomini non verranno a turbarla non vi sarà più guerra. Napoleone poi è stato molto grazioso verso di noi. Egli ci regalò la Lombardia; noi in segno di gratitudine gli abbiamo regalato sessanta milioni, non già per compensarlo delle spese fatte, ma soltanto perchè faccia dare una colazione a' suoi soldati alla nostra salute. Intendete bene: tale colazione faranno soltanto quelli, che non morirono in battaglia, giacchè i morti non abbisognano più di nulla, se non di un Requiem aeternam.
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VII.
Certo ed incerto - Desiderii di pace - Timor della guerra - Una predica - Tristi presentimenti.
Alcuno di voi, cari amici, mi domanderà: O Galantuomo, in quest'anno avremo la pace o la guerra? Vi rispondo distinguendo il certo dall'incerto. È certo che se gli uomini non fanno la guerra noi avremo la pace; ed è egualmente certo, che se gli uomini faranno la guerra non avremo la pace. Di maniera che la pace e la guerra sono nelle mani degli uomini. Questo dico parlando da Almanacco. Se poi esprimo i miei desiderii dirò di tutto cuore: da ogni guerra libera nos, Domine. O Signore, dateci la pace per omnia saecula saeculorum. Perchè è cosa orribile il vedere giovani sani e robusti, forti come Sansone, e che alle loro case formano la delizia delle loro famiglie, pure avventarsi l'uno contro l'altro, cannoneggiarsi, fucilarsi, baionettarsi, scannarsi, sbranarsi e morire là in mezzo ai campi come le bestie! Ah sono cose d'orrore! Tutti quelli che si trovarono alla guerra, o sanno che cosa è guerra, dicono tutti: da ogni guerra libera nos, Domine. Questi sono i miei vivi desiderii. - Ma i tuoi presentimenti, o Galantuomo, quali sono? che ne pensi? avremo in quest'anno la pace o la guerra? - Se volete sapere il mio pensiero da buon amico ve lo dirò. Vi premetto soltanto che non posso assicurarvi, che le cose succedano come io le penso. Vi dirò solamente come io la penso e come temo sia per avvenire. State adunque attenti. lo temo che l'anno corrente ci sia di nuovo la guerra. La mia profezia è appoggiata sopra quanto diceva mia madre. Mi ricordo che mia madre quando viveva ancora, diceva sempre: la guerra è un flagello che Dio manda agli uomini pei loro peccati. Questi peccati non cessano ancora. Io vi assicuro che trovandomi in mezzo ai soldati ne trovai molti buoni, che si raccomandavano al Signore. Ma non pochi li ho uditi discorrere male di religione, male contro il Papa, male contro ai Vescovi, male contro i preti. Ne udii altri che bestemmiavano quando combattevano, quando
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erano feriti, e perfin quando morivano. E ne udii di quelli che bestemmiavano in francese, in italiano, in piemontese. Giunto a casa dalla guerra io pensava di vedere le chiese piene di gente per ringraziare Iddio, perchè aveva fatto cessare la guerra. Invece ho trovato molti malcontenti e che parevano desiderare (sciocconi) più la guerra che la pace. Ma quello che è più, si continuavano ovunque le bestemmie e le imprecazioni in modo assai più empio che non fra i soldati. Si lavora e si fa lavorare nei giorni festivi. Ci sono le prediche e molti non vanno; ci sono preti e confessionali e molti per non recare loro disturbo, molti (che pur non sono nè eretici, nè ebrei) vi si accostano di rado, e non pochi si accostano mai, e taluno giunse fino a mettere in burla il bene che fanno gli altri. O minchioni che siete! Vi pensate forse che il Signore sia un burattino e che abbia voluto fare i suoi precetti sul monte Sinai per passatempo? No; egli li ha dati e vuole che si osservino. Chi li osserverà sarà da lui benedetto e premiato nella vita presente e nella futura; chi poi li disprezza, sarà da lui punito nella vita presente, e di poi nell'inferno condannato coi demonii nel fuoco, dove o volere o non volere andranno tutti coloro, che non osservano la legge di Dio. Perdonatemi questo trasporto di collera. Quando parlo di religione io mi sento tutto infiammato, ed a stento posso spegnere il fuoco che brucia e che mi eccita a parlare. Ora io vi accenno ancora altri flagelli che temo siano per avvenire in quest'anno. Avremo un'altra guerra sanguinosa, la quale, se non farà spargere tanto sangue, manderà però maggior numero di anime all'inferno. Avremo due malattie terribili, che io non voglio nominare, e di cui vedrete i terribilissimi effetti. Due cospicui personaggi scompariranno dalla faccia del mondo politico colla loro gloria. Molti padri e molte madri non sapranno darsi pace della insubordinazione dei loro figliuoli, piangeranno i disgusti che loro danno, lamenteranno discordie che cagionano in famiglia. Andranno in cerca del rimedio e non troveranno che veleno, perchè l'unico rimedio è la religione che essi medesimi trascurano. Vedrete il vino a miglior prezzo, ma il pane più caro. Un paese sarà rovinato dal terremoto, parecchi altri desolati dal gelo, dalla grandine e dalla siccità.
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Vorrei dirvi ancora altre cose ma non oso. Vi dico solo che i mali sono gravi, e che devono cominciare in quest'anno e che l'unico rimedio per allontanarli o almeno alleggerirli è la pratica della religione, la fuga del male. Questi sono i miei presentimenti. Voi mi direte: - Tu, o Galantuomo, sei già vecchio, epperciò hai sempre paura di tutto, e temi anche dove non vi è motivo di temere. Vi rispondo: - È vero che essendo già un po' vecchio, son divenuto come gli altri vecchi pieni di paura. Ma notate bene che la paura dei vecchi è fondata sopra l'esperienza, e l'esperienza è un maestro che non inganna. Desidero però di tutto cuore che le mie profezie non abbiano il loro compimento, e che l'anno venturo quando, se sarò ancora in vita, verrò a farvi visita e vi possa parlare, voi possiate dirmi che sono stato un cattivo profeta, ed io sarò contento di potermi scusare dicendovi, che sono un profeta da Almanacco.
L'Almanacco dopo la prefazione esponeva alcuni graziosi racconti fra i quali Il ritorno di un coscritto ferito a Palestro, il quale descrive il coraggio dei Piemontesi infiammato dalla presenza di Vittorio Emanuele, e la commozione del Re fino alle lacrime, visitando il giorno dopo il campo di battaglia. Finiva con un sonetto sul codino di Gianduia. Questo Almanacco non sfuggì alla vigilanza dei segugi della polizia e mise il governo in apprensione. Si andava macchinando per l'anno venturo una nuova invasione negli Stati Pontifici e l'annessione del regno di Napoli al Piemonte. I preparativi per queste spedizioni erano avvolti nel più misterioso segreto. Le idee del Galantuomo oscure abbastanza, perchè gli ingenui non capissero, erano chiare come il sole a coloro, che si maneggiavano astutamente per riuscire nei loro progetti. Quindi temettero che nelle loro file si celassero dei traditori e vollero conoscere
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dallo stesso D. Bosco, quale fosse il motivo che lo aveva indotto a scrivere. Per tanto D. Bosco si vide chiamato al palazzo del Ministro dell'Interno. Fu ricevuto da un addetto al Ministero, il quale, fattogli urbanamente osservare come la lettera da lui scritta al Re fosse a suo giudizio poco rispettosa, entrò in discorso sulle profezie del Galantuomo. - È ben lei che le pubblica? - Sì, sono io, signor cavaliere. - Perchè scrive certe cose che mettono in apprensione molti? Che cosa sa lei del futuro? Perchè si atteggia a profeta ? - Le faccio osservare che scrivo per un almanacco. - Ma dove ha prese le notizie che annunzia con tanta sicurezza ? - Ho detto forse cose contrarie alla verità ? -Anzi! Io le domando come abbia fatto a saperle: Lei deve avere confidenziali rivelazioni. - Io non saprei che cosa rispondere. Nessuno è venuto a palesarmi cose di Stato. Credo però di non aver fatto male a scrivere ciò che ho scritto. - Non dica questo. Lei deve avere qualche fondamento per appoggiarvi le sue predizioni. Tuttavia avrebbe fatto meglio a non impacciarsi in questi fatti e in tali questioni. - Oh quando è così se lo avessi saputo stia certo che non voglio recar loro nessun dispiacere. Del resto le ripeto che nessuno può essere compromesso per causa mia. - Ma che! Vorrà dunque che io creda che la V. S. legga nell'avvenire? - È padrone di credere ciò che meglio le piace. - Insomma l'ho fatto chiamare per dirle non essere
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conveniente, anzi essere cosa pericolosa entrare in controversie che possono preoccupar il governo. - Scusi, Cavaliere, io non vedo ragione di pericoli e di preoccupazioni: O il ministero mi crede profeta e allora provveda al bene dello Stato, o non mi crede profeta e allora mi disprezzi. Sorrise quel Signore e, raccomandandogli di essere più prudente in avvenire, lo congedò.
CAPO XXIX. Sistema Preventivo in pratica - Sante industrie - Accoglienza di D. Bosco ai giovani che entrano nell'Oratorio - La sua prima parola riguarda l'anima - Effetto di questa parola - Il maestro di riforma morale - La Confessione e la Comunione - Alcuni mezzi per promuovere la frequenza ai Sacramenti - Avvisi ai Superiori dell'Oratorio - Calma e moderazione nel castigare - Due classi di giovani pericolose - D. Bosco vuol essere informato di ogni fatto anche minimo dell'Oratorio - Le liste dei voti - Diligenza degli assistenti e loro affezione a D. Bosco - Importanza che danno gli alunni ai voti - Come D. Bosco esamini le cagioni del poco profitto di alcuni nello studio - Un registro rivelatore della condotta occulta di certi allievi - L'ultima parola di D. Bosco ai giovani che partono dall'Oratorio - Sua carità verso di essi - Maniere salutari e prudenti nell'incontrare un antico allievo.
Entrando coi nostri racconti nell'anno 1860, giudichiamo opportuno di esporre le svariate sante industrie adoperate da D. Bosco per guidare sulla via del bene i suoi giovanetti, che di anno in anno crescevano in numero. Quanto finora abbiamo narrato di
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lui e del suo zelo, è già molto, considerato in sè; ma non è tutto perchè la carità inventiva di D. Bosco era inesauribile. Molte persone interrogarono D. Bosco in varii tempi quale fosse il suo sistema di educazione per condurre i giovani così felicemente per la strada della virtù. Don Bosco soleva rispondere: - Il sistema preventivo: la carità! - Pressato a dar maggiori spiegazioni e a suggerire i mezzi che si potrebbero adoperare per far trionfare questa carità, una volta rispose: - Il santo timor di Dio infuso nei cuori. - Ma il santo timor di Dio non è che il principio della Sapienza, gli scriveva il Rettore del Seminario di Montpellier nel 1886; favorisca di spiegarmi il suo segreto, perchè io possa giovarmene pel bene de' miei Seminaristi. - D. Bosco leggendo questa lettera, diceva ai membri del Capitolo, che gli stavano intorno: Il mio sistema si vuole che io esponga! Ma se neppur io lo so! Sono sempre andato avanti senza sistemi, come il Signore mi ispirava e le circostanze esigevano. Tuttavia noi osserviamo che egli aveva un sistema suo proprio, il quale in poche parole così puossi pennelleggiare: carità, timor di Dio, confidenza nel superiore, frequenza dei Ss. Sacramenti della Confessione e Comunione, comodità grandissima ai giovani di potersi confessare. È vero che, come abbiamo visto e come vedremo, Iddio assistevalo continuamente; e questa assistenza speciale, che formava come la base dei suo sistema, non era cosa che da altri potesse pretendersi: ma in ciò che si può dire mezzo ordinario ed umano, egli apparisce facilmente imitabile ad un Direttore Sacerdote, compreso del suo imperioso dovere di salvare le anime. D. Bosco ripeteva sempre: - Ogni parola del prete deve essere sale di vita eterna e ciò in ogni luogo e con qualsivoglia persona. Chiunque avvicina un sacerdote deve riportarne sempre qualche verità, che gli rechi vantaggio al
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l'anima. - Fedele egli stesso nel mettere in pratica questa gran massima verso tutte le persone anche estranee, con affetto ed efficacia la praticava co' suoi giovanetti ricoverati nell'Oratorio. Riguardavali tutti come un prezioso deposito confidatogli da Dio stesso e parlando di loro soleva dire, giubilando di santa allegrezza: - Dio ci ha mandato, Dio ci manda, Dio ci manderà molti giovani. Teniamone conto. Oh! quanti altri giovani ci manderà in avvenire il Signore, se sapremo corrispondere con sollecitudine alle sue grazie. Mettiamoci davvero con ardore e sacrifizio per educarli e salvarli. Al comparirgli d'innanzi nella sua stanza un giovane di fresco accettato, la prima parola che dicevagli era sempre dell'anima e dell'eterna salvezza. La sua amabilità di modi paterni, il suo viso sereno, il suo sorriso abituale predisponeva i cuori ispirando rispetto e confidenza. Per rallegrarlo e diminuirgli la pena, che generalmente si prova nella lontananza dei proprii cari, incominciava: - Quanto sono contento di vederti! Sei venuto volentieri, non è vero? Or su dimmi: Come ti chiami? di che paese sei? Il giovane rispondeva. - Come stai di sanità? - Sto benissimo. - E i tuoi parenti? Hai ancora padre e madre? Stanno bene? - Sissignore. - Hai dei fratelli? - Sissignore. - E il tuo parroco? - Mi ha detto di salutarla.
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- Ti piacciono le pagnotte? Ti serve l'appetito? - Sissignore. Così fattosi largo con queste o simili interrogazioni, passava subito al più importante e preso un aspetto un po' sostenuto tra il serio e il sorridente, tutto proprio di lui: - Là, là, diceva abbassando un po' la voce in atto di confidenza, parliamo di ciò che importa di più! Voglio che siamo amici sai! Vuoi esserlo mio amico? Io voglio aiutarti a salvare l'anima tua! Come stiamo di anima? Eri buono a casa? Ma qui ti farai più buono, non è vero? Ti sei ancora confessato? A casa ti confessavi bene? Mi aprirai il tuo cuore, non è vero? Voglio che andiamo in paradiso insieme! Mi capisci che cosa voglio da te? Mi verrai a trovare? Vedi: ci parleremo con tutta confidenza; ti dirò delle belle cose che ti faranno piacerei Sarai contento.- Il giovanetto sorrideva, annuiva col capo, rispondeva con qualche monosillabo, o abbassava gli occhi e arrossiva secondo si andavano succedendo le interrogazioni, che però non erano insistenti, nè aspettavano risposta. D. Bosco intanto coll'occhio scrutatore tutto lo penetrava, e ne indovinava il carattere, l'ingegno, il cuore. A chi vedeva fornito di perspicace intelligenza talora domandava: - Mi dai la chiave? Quale chiave, gli chiedeva il giovanetto con sorpresa; quella del baule? - Quella del tuo cuore! rispondeva D. Bosco, prendendo un contegno affabilmente maestoso. - Oh sì! Volentieri! Subito! anzi glie l'ho già data! Così D. Bosco tirava a sè dolcemente e fortemente l'anima del giovanetto, che sotto l'espertissima sua mano, come arpa soave, tramandava note di santi propositi.
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Sovente i parenti stessi gli presentavano il loro figliuolo, e quando si erano ritirati, commossi pel modo cordiale col quale erano stati accolti, rimasto egli solo coi giovane, dicevagli: - Io voglio essere proprio tuo grande amico. Sai che cosa voglio dire? - Che lei mi darà il pane. - Non è questo! - Che mi darà buoni consigli. - Non è tutto! - Che mi insegnerà la scuola, l'arte. E il giovane fantasticava la risposta. - Ricordati! Io e i superiori della casa ti faremo tutto il bene che potremo, e nulla di male. Capisci? - Mi pare: ma non intendo bene. - Voglio dire che io ed i superiori faremo tutto il bene che possiamo all'anima tua. - E quindi spiegava brevemente questa sentenza. Talvolta incontrava nel cortile un nuovo alunno che non aveva ancor visto, e dopo le interrogazioni d'uso e qualche barzelletta continuava: - Voglio che tu sia un mio grande amico. Sai cosa vuol dire essere amico di D. Bosco? - Vuol dire che io sia obbediente. - È troppo generica questa risposta: Essere amico di D. Bosco vuol dire che tu mi devi aiutare. - In che cosa? - In una cosa sola: che tu mi aiuti nel salvare l'anima tua. Del resto poco m'importa. Sai tu che cosa vuol dire aiutarmi a salvare l'anima tua? - Vuol dire farmi buono! - Non è questo! Dimmi qualche cosa di più spiegato.
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- Non saprei! - Vuol dire che tu devi fare prontamente e con diligenza tutte le cose, che io ti comanderò pel bene dell'anima tua. I giovani in generale restavano così colpiti da queste parole, così fuori di sè, come balordi, che non sapevano più da che parte passare per uscire dalla camera di D. Bosco o per ritirarsi da lui, se il colloquio era venuto sotto i portici; e poi andavano soli in un angolo del cortile a meditare su quello che avevano udito. Taluni avevano capito tutto, altri solo a metà, certuni poco o nulla, ma pure restavano sotto un misterioso peso, che li costringeva a pensare. In generale questa introduzione nell'Oratorio li risolveva a farsi veramente buoni. Sceso poi in cortile e circondato subito da una folla di allievi, che da qualche anno vivevano nell'Oratorio, i novelli discepoli si accalcavano dietro a costoro, o perchè non osavano avvicinarsi a D. Bosco, o farsi strada per essere più vicini a lui. D. Bosco allora li chiamava a sè e sottovoce, in santa confidenza diceva or all'uno or all'altro di essi: - Se ti farai buono saremo amici. - D. Bosco ti vuol bene e vuole aiutarti a salvare l'anima tua. - Il Signore ti ha qui mandato, perchè tu fossi sempre più buono e più virtuoso. - La Madonna aspetta che le regali il tuo cuore. - Il Signore vuole fare di te un S. Luigi. D. Bosco assicurava che i giovani presi così, sono contenti, aprono il loro cuore, incominciano a far bene, diventano amici col Superiore e sono guadagnati, perchè ripongono in lui piena confidenza. Dir loro subito e chiaro senza ambagi ciò che si vuole da essi pel bene dell'anima, dà la vittoria sui cuori. D. Bosco ne trovò ben pochi che resistessero a queste maniere. Egli asseriva che all'entrata di un giovane se il Superiore non dimostra amore per la sua eterna
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salute, se teme di entrare a parlare prudentemente di cose di coscienza, se parlando dell'anima usa mezzi termini, ovvero parla in modo vago, ambiguo di farsi buoni, di farsi onore, ubbidire, studiare, lavorare, non produce alcun effetto giovevole, lascia le cose come sono, non si guadagna l'affezione; e sbagliato quel primo passo non è tanto facile correggerlo. Questo ammonimento è frutto di lunghissima esperienza. - Il giovane, ripeteva sovente D. Bosco, ama più che altri non creda che si entri a parlargli de' suoi interessi eterni, e capisce da ciò chi gli vuole e chi non gli vuole veramente bene. Fatevi adunque vedere interessati per la sua eterna salute. Con tali modi D. Bosco invitava i giovani ad andarsi a confessare, poichè l'idea di anima ha per strettissimo correlativo quella di confessione; ed essi intendevano che se avessero voluto giovarsi del suo ministero, li avrebbe ben volentieri aiutati. Ma nel fare tale invito usava singolare destrezza e moderazione memore della gran massima che la confidenza vuole essere guadagnata e non imposta. Adattava perciò gli avvisi alle varie indoli, in modo da non riuscire molesto, ma sibbene di dolce conforto. A taluno, che D. Bosco scopriva un po' restio a fare questo primo passo, per vincere la ripugnanza, che quegli aveva a confessarsi, soleva dirgli scherzando: - Quando ti preparerai a fare la tua confessione generale della vita futura ? Sorridendo il giovane rispondeva: - Della vita futura? Questa non si può fare! - Hai ragione, ripigliava allora D. Bosco. La faremo della vita passata: ma sta tranquillo. Quello che tu non saprai dire, lo sa D. Bosco. Talora metteva attorno a tali giovani un buon compagno,
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il quale divertendosi con essi rivolgesse loro qualche consiglio acconcio e in bel modo li invitasse a fargli compagnia nell'andarsi a confessare il tal giorno, la tale ora; e con queste ed altre amorevoli industrie, li guadagnava o li conservava a Dio e rendevali altresì modelli di virtù e di perfezione cristiana. Soffriva poi grandemente nel vedere talvolta alcuni dei novelli star solitarii e coll'aspetto melanconico, temendo le insidie del nemico del bene. Allora li chiamava a sè, rivolgeva loro qualche amorevole interrogazione, con particolare interesse li presentava a qualcuno dei migliori allievi, facendogliene l'elogio e raccomandandogli che trovasse il modo di ricreazione più gradito ai nuovi amici; e non si acquietava finchè non li avesse affezionati a sè, alla casa, avviati alle loro occupazioni e principalmente alle pratiche religiose. Prima cosa adunque che D. Bosco esigeva da un giovanetto nel suo entrare in collegio era la riforma morale, il cui principio sta in una buona confessione. Egli potevasi ben dir maestro in questa riforma, e da tutto conoscevasi l'efficacia ammirabile de' suoi consigli. Oltre a ciò era un modello di cristiana e paterna amorevolezza. Il Teol. Can. Ballesio Giacinto nella sua Vita intima di D. Giovanni Bosco, così si esprime: “ Amante ed espansivo, schivava nel suo governo con noi il formalismo artificiale ed il rigorismo che pone come un abisso tra chi comanda e chi obbedisce; ed esercitava l'autorità, ispirando rispetto, confidenza ed amore. E le anime nostre gli si aprivano con intimo, giocondo e totale abbandono. Tutti volevamo confessarci da lui, che a questa santa e ad un tempo dura fatica consecrava da sedici a venti ore per settimana e ciò con tutto il suo da fare e per tanti anni! Sistema questo direi più unico che raro tra superiore e dipendenti; sistema dei santi (e solo di questi) che
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dà agio a conoscere l'indole e saviamente piegarla e sprigionarne le recondite energie ”. La confessione era anche preparazione alla Comunione e questa molto frequente è un mezzo assolutamente necessario per conservare la moralità in una casa di educazione. Per le sue esortazioni continue un gran numero di giovani la facevano tutti i giorni, altri ancor più numerosi più volte alla settimana, quasi tutti almeno una volta ogni domenica, i più negligenti ogni quindici giorni o una volta al mese. Era cura di D. Bosco di far nascere occasioni frequenti e periodiche che eccitassero i cuori a questa sacra mensa colla debita preparazione. Accenniamo ad alcune di queste occasioni, che erano predisposte da sentiti atti di pietà. L'esercizio della buona morte pel primo giovedì d'ogni mese, il quale veniva quasi sempre preceduto dall'annunzio dato da D. Bosco, che qualcuno dei giovani era chiamato all'eternità. Egli precisava il tempo, talora le circostanze che avrebbero accompagnata quella morte, e alcune volte le iniziali del nome di colui che doveva morire. D. Bosco stesso leggeva poi all'altare le preghiere di questa commovente pratica di pietà. Tutte le novene solenni della Madonna erano celebrate devotamente. E D. Bosco vivamente istava che si facessero bene quelle dell'Immacolata e del S. Natale, dicendo: - Ricordatevi che da queste novene ben praticate dipende in massima parte il risultato di tutto l'anno. La visita quotidiana al SS. Sacramento era libera, senza che vi fosse obbligo di sorta o pressioni importune. E tale era in chiesa il contegno dei giovani, che il solo vederli bastava per accendere alla pietà i cuori più freddi. L'artista che scolpì la statua di S. Luigi, posta sopra un altare dell'Oratorio festivo di S. Francesco di Sales, ri-
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trasse sul viso del santo la fisionomia di uno di quei buoni fanciulli. Le varie Compagnie, veri focolari di carità e giardini di virtù. La scelta dei libri da leggersi in refettorio e in camerata. D. Bosco voleva che questi ultimi trattassero della santa vita di qualche giovanetto da potersi imitare. La Via Crucis fatta con tutta solennità in ogni venerdì di marzo. Un triduo di prediche al principio dell'anno scolastico, un altro triduo di prediche in preparazione della Pasqua e cinque giorni di santi spirituali esercizi ogni anno. Ma oltre i Sacramenti e le pratiche di pietà egli, per mantenere il bene ed impedire il male, aveva altri mezzi, diremmo razionali, pel buon andamento dell'Oratorio, suggeriti dallo studio continuo sulla vita comune dall'acume del suo ingegno e da una lunga esperienza. Questi esponeva nelle conferenze ai superiori della casa ai quali sovente diceva: - Perchè la vostra parola abbia prestigio e ottenga l'effetto voluto, bisogna che ciascun Superiore, in ogni circostanza, distrugga il proprio io. I giovani sono fini osservatori e se si accorgono che in un superiore c’è gelosia, invidia, superbia, smania di comparire e primeggiare egli solo, è perduta ogni influenza di lui sopra del loro animo. La mancanza di umiltà è sempre a danno dell'unità e un Collegio, per l'amor proprio di un Superiore, andrà in rovina. Ah! sì! Fioriranno sempre i tempi antichi dell'Oratorio se si guarderà solamente a procurare la gloria di Dio; ma se cercheremo la nostra gloria, ne verrà malcontento, divisione, disordine. I confratelli facciano un corpo solo col Superiore e questi un cuor solo con tutti i suoi dipendenti, senza aver mire secondarie, che non servono pel nostro
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santo scopo. Pertanto raccomandava loro di usare una grande moderazione nelle parole, trattando con quei confratelli, o altri che fossero loro sottoposti: - Nel comandare, ripeteva, si usino sempre queste ed altri simili espressioni: Potresti farmi il piacere? Vuoi farmi cosa gradita? Saresti disposto a farmi un favore? Non avresti difficoltà a fare la tal cosa? Ma non si usi mai il tono di comando: non si dica mai Voglio e neppure si comandino cose superiori alle forze di un individuo, o dannose alla sanità, o contrarie al bene spirituale di colui, che si vuole indurre ad un'opera, o ad accettare un ufficio. Ai maestri inculcava: - Siate i primi a trovarvi nella scuola e gli ultimi ad uscirne. - Prendetevi particolar cura di quelli che sono più indietro nella classe. - Non fate entrare nel voto di condotta scolastica i diportamenti dei vostri allievi in ricreazione. - Non mandate mai fuori di scuola i ragazzi negligenti e tollerate molto le loro dissipazioni. - La vigilia delle feste datene un brevissimo annunzio coll'esortazione alla Comunione, sul finir della scuola del dopopranzo. Grande è l'influenza che ha la parola del maestro sugli scolari, quando è da essi amato. - I voti di condotta non si leggano mai al sabato, perchè il malumore di quelli, che ebbero nota di negligenti non diminuisca o disturbi le confessioni. Alla domenica sera nella sala dello studio, alla lettura del libro ameno solito a leggersi nell'ultimo quarto d'ora, si sostituisca quella di un Capo del Regolamento, come ricordo, a perseverare nei buoni propositi fatti al mattino. Agli assistenti dava anche questi avvisi: - Sorvegliate continuamente i giovani in qualunque luogo si trovino, mettendoli quasi nell'impossibilità di far male; e in modo più attento alla sera dopo la cena, e così prevenire anche il
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menomo disordine. - Il sabato sera o la vigilia di qualche solennità, quando i giovani escono dallo studio o dai laboratorii si invigili, affinchè non vadano o non si fermino per le scale, pei corridoi e nei cortili col pretesto di andarsi a confessare; e si procuri che ognuno abbia con sè il Giovane Provveduto, per la preparazione ed il ringraziamento della confessione. Raccomandava a tutti quelli posti in autorità: - Non battete mai i ragazzi per nessun motivo. - Non si tolleri mai nè l'immoralità, nè la bestemmia, nè il furto. - Conosciuto un alunno come scandaloso o pericoloso, si consegni al Prefetto, il quale tosto lo allontanerà dall'Oratorio. Trattandosi di mancanze leggiere sappiasi considerare il poco giudizio dell'età infantile. Per esempio, è difficile trovare ragazzi, che non dicano bugie o avutane occasione non commettano piccoli furti di commestibili. - Quando siete adirati od agitati astenetevi sempre dal fare riprensioni o correzioni, affinchè i giovani non credano che si agisca per passione; ma aspettate anche qualche giorno, quando sia spento ogni sdegno e collera, o passata quella violenta impressione. - Così pure quando si deve fare qualche correzione, riprensione od osservazione ad un giovane, si procuri di prenderlo sempre in disparte, e non mai allorchè quello si trovi agitato e adirato: si aspetti che sia calmo e tranquillo; allora si avvisi e in fine si lasci sempre con qualche buona parola: per esempio che d'ora in poi volete essere suo amico, aiutarlo in tutto ciò che potete, ecc. E aggiungeva: - Quando un allievo si dimostra pentito di un fallo commesso siate facili a perdonargli, e perdonate di cuore. Dimenticate tutto in questo caso. - Nessuno mai e poi mai dica ad un ragazzo o ad altri che abbia disubbidito, detta qualche parola insolente, o mancato in
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altra maniera di rispetto: Me la pagherai! Questo linguaggio non è da cristiano. - Non si diano gravi castighi per cose leggere, perchè un alunno che si crede castigato a torto, ne conserverà in cuore la memoria e talvolta anche il desiderio di vendetta, e non potendo vendicarsi imprecherà a quel maestro e a quell'assistente. Si hanno degli esempi di simili odii inveterati che fanno spavento. - Quando si è costretti ad infliggere qualche castigo ad un ragazzo, si procuri di prenderlo in disparte, di fargli riconoscere il suo torto, e nello stesso tempo fargli intendere il vero dispiacere che si prova nel doverlo punire. - Non s'impongano mai castighi generali ad una classe, ad una camerata, ma si procuri di scoprire gli autori del disordine e, se fa d'uopo, si allontanino dalla Casa; ma si separi la causa dei buoni da quella dei cattivi, i quali son sempre pochi; acciocchè per questi pochi non abbiano a soffrirne i molti. Ma nello stesso tempo si dica ai colpevoli, che hanno buona volontà, qualche parola d'incoraggiamento, lasciando sempre luogo alla rescipiscenza, perchè si rimettano sulla buona strada. Due norme di grande sapienza dava anche D. Bosco ai suoi collaboratori per scoprire e allontanare dall'Oratorio certi allievi, e diceva: - Per conoscere moralmente i giovani pericolosi fin dal principio dell'anno io li distinguo in due classi. I cattivi, corrotti di costumi e quelli che abitualmente si sottraggono all'osservanza delle regole. E primieramente in quanto ai cattivi dirò una cosa che sembra impossibile, ma pure è così come io affermo. Fra cinquecento alunni in un collegio supponiamo vi sia un solo guasto di costumi. Ecco entrare un nuovo accettato, ed egli pure infetto dal vizio. Questi due sono di paesi, di provincie, anzi di stati diversi: di classe, di camerata distinte; non si sono mai conosciuti, mai visti; eppure al secondo giorno di
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collegio, e talvolta anche dopo poche ore, voi li scorgete insieme nel tempo della ricreazione. Sembra che un malefico istinto li spinga ad indovinare chi è tinto dalla stessa loro pece, e che una calamita del demonio li attiri a stringere amicizia. Il dimmi con chi pratichi, e ti dirò chi sei è un mezzo facilissimo per scoprire le pecore rognose prima ancora che diventino lupi. Un'altra classe di allievi non si deve tenere in casa. Quando avrete qualche giovanetto che pare buono, ma è spensierato, si assenta facilmente dai luoghi, ove lo vuole la regola, lo trovate spesse volte solo negli angoli del cortile, su per le scale, sui balconi, nei ripostigli, insomma nei luoghi nascosti all'occhio del Superiore, temete sempre. Non lasciatevi illudere da apparenza di timidezza, di naturale solitario, di leggerezza o di ingenuità. Costui o sa fingere bene o incontrerà immancabilmente chi lo guasterà. Ritenete che questi individui sono pericolosissimi. Ma D. Bosco non si contentava di dare norme agli altri; il lavoro principale per la conservazione dell'ordine in casa lo riserbava a sè. Egli faceasi consegnare dagli assistenti e dai maestri la lista dei voti settimanali e mensili di ciascun alunno sia di studio e lavoro, come di condotta. Tante erano le liste quanti i maestri, compresi quelli delle scuole serali, i capi di camerata, quelli di ogni laboratorio. Ogni lista era firmata da colui che doveva presentarla al Superiore. Le prime liste dei voti che ci sono rimaste risalgono al 1857-58. In margine a queste si legge sempre qualche osservazione. Oltre questi rapporti commentati, D. Bosco ne richiedeva altri speciali. Voleva anche che gli fossero presentati ogni settimana i voti ottenuti dagli alunni del Cottolengo, che frequentavamo le sue scuole come esterni; quelli dei chierici i quali erano assistiti da un proprio decurione.
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Se era costretto ad allontanarsi da Torino per qualche settimana non tardava a chiedere notizie particolareggiate de' suoi figliuoli. Abbiamo una relazione dei voti sulla condotta degli studenti della seconda classe ginnasiale, dei giovani delle sette camerate, e degli ascritti alla Compagnia di S. Luigi. Il chierico che aveva ricevuto questo incarico in calce al foglio scriveva a D. Bosco:
Ill.mo Signore e Padre in G. C. Carissimo,
Molte cose avrei a dirle. Pensi un po': non essendomi ancora presentata occasione alcuna di parlarle in particolare, poichè venni a riunirmi di bel nuovo a Lei dopo le vacanze! Qui però non giudico bene dirle ciò che bramerei. Per ora godo presentarle secondo i suoi desideri questa lista dei miei alunni e figli suoi carissimi, dalla quale vedrà che la cosa andò ancora bene assai, se ne eccettuiamo alcuni pochi. Se io Le dicessi poi che la sua lunga assenza non mi fa alcunchè di malinconia e dolore sarebbe menzogna. Ma viva Dio, che questo vien temperato dal pensiero, che Ella guadagnerà colle sue fatiche qualche anima a Cristo, che Ella lavora per la salute del nostro prossimo, dei nostri fratelli. Basta: venga presto a trovarci. Io La voglio, ognuno la cerca, la brama, la desidera: tarda ci è l'ora di vederla, giungere fra noi l'amorosissimo nostro padre. Colla ferma speranza intanto che si ricorderà sempre di me, e dei suoi figli tutti che più di se stesso ama, Le porgo per me e per tutti i miei compagni e fratelli cordiali saluti e godo dirmi. Di V. S. Ill.ma Ubb.mo e Dev.mo figlio in G. C. VASCHETTI FRANCESCO.
Questa lettera fa testimonianza del cuore che avevano i maestri e gli assistenti per D. Bosco e il loro impegno nell'adempiere il proprio dovere. Essi infatti nelle liste dei voti, che trasmettevano al Servo di Dio, scrivevano in mar-
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gine qualche sentimento, che esprimeva devozione e interesse speciale di fargli cosa grata. Riferiamo alcune di queste note. La prima dice: - Il sottoscritto assistente tratto da figliale obbedienza ed affezione verso la bontà sua, le rinnova la preghiera di ammonirlo nelle sue mancanze e ne' suoi difetti. Un altro chierico gli scriveva: - All'esemplarissimo Rua ed all'attento Danussi incombe l'uffizio di ammonitori nelle mie mancanze: il primo poi è tenuto a farmi da assistente ed a notarmi i punti. Un terzo concludeva la sua lista dei voti scrivendo: Dopo aver letto, se vostra signoria illustrissima e carissima me lo permette, verrò a dirle due parole. E D. Bosco spesse volte chiamava a sè gli assistenti, i maestri, il capo dello studio, il Catechista, il Prefetto, intrattenendosi con essi a parlare di ciò, che avevano osservato nella casa. Questo continuo scambio di idee e di osservazioni incoraggiava coloro, che dovevano stare in mezzo ai giovani e teneva al corrente di ogni cosa il Superiore. Intanto gli alunni sapendo che i loro voti meritati passavano sotto gli occhi di D. Bosco, e vedendo che tutte le Domeniche venivano a lui consegnati quelli dello studio in comune, davano a questi voti una massima importanza. Il 10 ossia l'optime era il voto più comune; il 9 o fere optime strappava lacrime a chi se l'era meritato; il bene e molto più il medie ossia l'8 ed il 7 di condotta scolastica erano giudicati voti così scadenti, da poter essere puniti coll'allontanamento dalla Casa. Bisogna osservare che questi voti si davano con certo qual rigore, tenendosi per massima che quegli, che era mantenuto dalla carità, doveva esserne degno. D. Bosco però chiedeva allora il voto che il giovane aveva ottenuto in scuola, lo confrontava con quello dello
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studio, e talvolta trovava che maestro e capo studio non erano dello stesso parere. Perciò di questi voti scadenti, ci assicurò Mons. Cagliero, D. Bosco non dava subito giudizio, ma ne ricercava la causa, che talvolta non dipendeva dagli alunni. Uno era incolpato di essere nello studio distratto quasi abitualmente. Un altro dopo un'oretta di occupazione trovava giuocatoli per divertirsi oppure leggeva libri ameni. Un terzo non finiva mai il suo compito. Un quarto non imparava la lezione intera. D. Bosco però, un dopo l'altro, li faceva salire in sua camera in giorni diversi e dava loro alcune pagine da studiare a memoria, oppure una piccola composizione da scrivere: quindi li interrogava. Questi era scusato dal tardo ingegno, sicchè stentava a tener dietro alle lezioni. In quello scopriva una portentosa memoria, che però si riduceva a intendere le cose senza riflettere. L'altro aveva poca memoria, ma giusto criterio; e dava a ciascuno le norme per occupare e con profitto il tempo. Quindi avvisava i chierici che vedendo di quelli distratti o che dormicchiavano, li avvicinassero amorevolmente, e sottovoce chiedessero loro se avessero inteso ciò che studiavano, se trovassero difficoltà nel compito; e che loro dicessero: - Sei contento che ti aiuti? A questo modo taluni che sul principio parevano inetti allo studio fecero bella riuscita. Pochi pertanto erano gli studenti meritevoli di rimprovero. Nessuno potrà mai immaginarsi la smania che in quei tempi vi era di studiare. Se i giovani andavano in refettorio tenevano aperto e accanto a sè il libro: accorciavano il tempo della ricreazione per ritirarsi in un angolo e ripassare la lezione: di notte cercavano di avere un posto vicino al lume onde vegliare allo studio quanto più tempo potevano. Ci volevano avvisi continui per impedire abusi che potevano rovinare la loro sanità.
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D. Bosco intanto per sua parte giovavasi in vantaggio morale della casa dei registri dei voti di condotta e dei rapporti degli assistenti per scoprire in modo sorprendente coloro, che sapevano nascondere la loro malizia agli occhi dei Superiori. Oltre il registro ufficiale della condotta, teneva un registro particolare con tutti i nomi dei giovani e tutte le volte che udiva qualche rapporto disonorevole, qualche mancanza leggiera, ma di quelle che fanno stare all'erta un uomo prudente, qualche serio sospetto sulla condotta di un alunno, egli a fianco del nome poneva uno dei segni convenzionali che esso solo intendeva e che specificavano la qualità del male imputato. Talora in un mese un nome solo poteva portare dieci o quindici segni e talora segni che tutti indicavano la stessa cosa. D. Bosco di quando in quando dava una lettura attenta a questo registro. Su cento giovani, novanta non avevano nessun segno, ma dieci o dodici portavano il loro nome segnato più volte. Esso allora volgeva tutte le sue cure su questi ultimi, indagava più minutamente la loro condotta, ponevali sotto sorveglianza speciale, osservava quali compagni frequentassero, facevali interrogare, e li interrogava egli stesso, e ben difficilmente il diavolo poteva nascondere la sua coda e le sue amicizie. D. Bosco raccomandava sovente ai suoi direttori questo sistema assicurando, che avevalo trovato grandemente vantaggioso, anzi quasi infallibile ne' suoi responsi. Col suo registro alla mano al fin di ogni anno scolastico nel mese di giugno provvedeva alla moralità per l'anno seguente. Faceva lo spoglio del nome di coloro, che non erano più da accettarsi e consegnatolo al Prefetto, lo incaricava di farli rimanere a casa per l'anno venturo. Abbiamo ancora la lista degli espellendi colla data del 15 maggio 1859. Deve notarsi che in quest'anno vi furono le insubordina-
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zioni per causa della guerra. Ebbene: sopra 300 giovani sono in lista soli 15 e 4 nomi hanno a lato la parola dubbio. Questa carta riesce adunque a grande onore dell'Oratorio. Notava eziandio i nomi dei giovani da non tenersi più fra gli studenti e che bisognava applicare ad un'arte; di quelli artigiani che si meritavano di passare fra gli studenti; di coloro che non troppo buoni si potevano riaccettare dopo le vacanze e tenere per fare ancora una prova. Ma se anima, come abbiamo detto, era la prima parola di D. Bosco quando un giovane entrava nell'Oratorio, era pur l'ultima quando ne usciva. “ E furono pressochè quindicimila, assicura Mons. Cagliero, che D. Bosco ha ricoverati, mantenuti, educati nel solo Ospizio di Torino; ed un numero assai maggiore egli istruì e catechizzò negli Oratorii festivi di questa città come esterni: e tutti godettero del benefizio delle sue benedizioni paterne e sacerdotali ”. Or bene: verso tutti questi giovani si mostrò tenerissima la sua carità, e non solo verso i buoni sia studenti, sia artigiani che per varii motivi ritornavano ai loro paesi, dopo avere compiuti i loro studi, o dopo aver appreso un mestiere; non solo verso i giovani esterni, che venivano a congedarsi da lui prima di abbandonare Torino; ma eziandio verso quelli, che non avevano corrisposto a tante sue cure, e sui quali talora aveva riposte le sue speranze. Tutti questi egli o accoglieva o chiamava a sè, mentre stavano sul partire, e con singolare benevolenza dava loro i suggerimenti necessarii per la prosperità relativa allo stato, che avrebbero scelto; e benedicendoli li esortava a fare sovente ritorno all'Oratorio, a conservarsi virtuosi e degni figli di D. Bosco, a salvare insomma l'anima loro. Non li dimenticava mai e talvolta sapendo che alcuno di essi si trovava in qualche bisogno, con amorevolezza
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paterna li soccorreva o procurava di cercar loro aiuto presso le persone benefiche. Ad un nostro calzolaio, soldato, la cui famiglia era povera, il quale veniva a visitarlo, D. Bosco diceva: - Ti han dato in casa qualche soldo? - E alla risposta negativa: - Prendi, soggiungeva, mettendogli in mano alcune monete; e non dire niente a nessuno. Se ti trovi in bisogno vieni pure da me. - Quanti altri fatti di simil genere si potrebbero scrivere! E con questi atti di beneficenza continuava ad essere il padrone dei loro cuori, per darli a Dio, ed era sempre per essi quel buon padre, che aveva rallegrati i loro anni giovanili. Perciò D. Bosco incontrandoli dopo anni ed anni francamente ripeteva loro quella parola, colla quale li aveva salutati quando partivano. Anima! Diceva loro: - Ebbene! Tu una volta eri buono; non è vero? - Non saprei... E adesso sei ancora buono? Già che adesso... sa bene... siamo in mezzo al mondo... Vai a confessarti? - ovvero: - Quando tornerai a trovarmi? - e quindi qualche parola sotto voce, secondo la risposta. D. Bosco esortava anche i suoi Direttori a tenere questo metodo coi giovani, che venuti uomini talora s'incontrano, ovvero ritornano a far visita al collegio. Dir loro sorridendo: - Hai fatta Pasqua? - Ovvero: quando ti sei confessato? - Ma far queste raccomandazioni senza preamboli; come sarebbero i seguenti: Vorrei dirti.. Se non ti offendi.. Se mi permetti ecc. - Nulla di ciò, ma lanciare una parola come freccia e poi passare subito ad altro argomento. Ciò fa buona impressione, altrimenti no. Si potrebbe però aggiungere: Neh che son curioso! - o altra frase simile; ma nulla di più.
CAPO XXX. Sante industrie - D. Bosco in mezzo ai giovani: sua carità e loro affezione - Le ricreazioni clamorose - Saggi consigli e osservazioni -- Ricordi in rima - Versi latini - Proposizioni di non facile intendimento - Dante - Le regole della grammatica - Un'operazione d'algebra - Sapienti risposte di Gianduja - Lezioni d'igiene - Indovinelli e misteriose domande - I giovani intorno a D. Bosco - La parola all'orecchio - Lo sguardo che parla - Gli schiaffetti.
La carità suggeriva a D. Bosco tante sante industrie per guadagnare anime a Dio, che dire di tutte e della pazienza da lui adoperata, sarebbe cosa oltremodo difficile. Elleno furono tante, e tanto degne, da superare ogni elogio. Così solennemente affermava Mons. Bertagna; e noi a quelle molte che già abbiamo descritte, e delle quali daremo ancora qualche cenno per maggiori schiarimenti e ordine di racconto, altre ne aggiungeremo che i nostri lettori apprenderanno con piacere ed ammirazione. Prima industria era mettere in atto la sua divisa: Servite Domino in laetitia. Timore di Dio, lavoro e studio indefesso e sovrattutto, come corona, la santa allegria; ecco la vita
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dell'Oratorio. E questo mirabile insieme rendeva il vivere dei giovani in Valdocco giocondo, entusiasta e per la quasi totalità ineffabilmente soave. Chi non ha visto, difficilmente si fa un'idea del chiasso, dell'ingenua spensieratezza, dei giuochi, della gioia di quelle ricreazioni. Il cortile era battuto palmo a palmo nelle corse sfrenate, e D. Bosco che era l'anima di tutti quei divertimenti, da lui voluti e promossi, ne godeva con immenso piacere. E i giovanetti che sapevano come tutte le volte che egli poteva prendesse parte alle loro ricreazioni e conversazioni, tratto tratto alzavano gli occhi alla camera del buon padre; e allorchè egli compariva sul poggiuolo, levavasi da ogni parte un grido di contentezza. Buon numero di giovani gli correva incontro ai piedi della scala per baciargli la mano. Pochi, noi crediamo, ci furono al mondo che attraessero a questo modo i fanciulli a sè e che sapessero giovarsi di questa affezione pel loro bene. D. Bosco in mezzo ai suoi figliuoli era l'amabilità stessa in persona. Mons. Cagliero, i chierici e li stessi giovani dicevano di lui: Apparuit benignitas Salvatoris nostri. - Sta allegro! - incominciava a dire D. Bosco a qualcuno che gli si fosse presentato, mesto e fosco in viso. E queste due parole pronunciate da lui producevano un magico effetto, dissipando la tristezza, sicchè il giovane sentivasi pronto e volenteroso al dovere. Come stai di sanità? - chiedeva ad altri, e se faceva d'uopo s'informava che non avesse a patire per qualche deficienza di cure. Nella stagione invernale sembrandogli che un giovanetto patisse il freddo, colle dita tastava le sue braccia per riconoscere se avesse indosso una maglia di lana sufficiente e poi gli diceva: - Ma tu non sei vestito abbastanza! E sul letto hai coperte che ti tengano al caldo?
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E lo mandava al guardarobiere perchè lo provvedesse di tutto il necessario. Così faceva con quanti incontrava allorchè parevagli che soffrissero ed anche con alcuni ai quali avrebbero dovuto provvedere i parenti. Ora all'uno ed ora all'altro faceva sempre conoscere aver egli a cuore tutto ciò che poteva interessarlo. Gli chiedeva notizie dei suoi genitori e della sua famiglia, del parroco, del maestro comunale e di quei suoi conterranei che avesse conosciuti; gli diceva che scrivendo a casa salutasse a suo nome questo e quell'altro e specialmente il padre e la madre; gli narrava qualche fasto più memorabile del suo paese, perchè egli sapeva a memoria gli avvenimenti che riguardavano molte città e i villaggi degli stati Sardi; gli parlava della chiesa parrocchiale, del campanile, di tutto ciò insomma che può essere amato da un giovanetto, il quale brillava di gioia a questi ricordi, ed era riconoscente a quell'amorevolezza del Superiore. Erano però brevissimi questi suoi discorsi, allorchè scendeva in ricreazione, sia perchè prevedeva che non tutti si sarebbero rassegnati a star fermi per ascoltarlo, sia perchè godeva vederli in movimento. E per ciò che non amava vedere gli studenti occupati in giuochi che richiedessero troppa tensione di mente, e vietava che si mettessero nei cortili panche per sedere. Non approvava le carte, la dama, la tela, gli scacchi, dicendo: - La mente ha bisogno del suo riposo. Quindi da savio educatore prevenivali, invitandoli a giuochi che esercitavano le forze fisiche. Ed egli stesso associavasi ai loro divertimenti e talora li sfidava alla corsa. Altre volte invitava tutti al giuoco della bararotta, ed egli si faceva tirare tra le file di una squadra, quando vedeva nella schiera avversaria un giuocatore che da lungo tempo
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teneva una condotta equivoca, e si studiava di star lontano da lui per non essere ammonito. Incominciava il giuoco e quando era bene avviato e massima la confusione di quelli che correvano, D. Bosco adocchiata l'ambita preda, usciva a tempo dalla sua trincea, e schivando ogni intoppo, la prendea mentre tutti gridavano: Prigioniero, prigioniero! E allora D. Bosco dicevagli scherzando una di quelle parole che legavano a lui i cuori. Se non sentivasi in forza per questo esercizio, disponeva i giovani in fila a due a due, mettevasi in testa della schiera e poi in marcia e avanti. Egli intonava lo stornello piemontese: Un, doi, polenta e coi, i giovani lo ripetevano centinaia di volte, andando con passo cadenzato, battendo le mani e i piedi con tale fracasso sotto i portici da farne tremare la terra. Ora si usciva all'aperto, ora si rientrava tra le arcate. Ora si piegava a destra ora a sinistra; ora si montava le scale da una parte, si passava per un corridoio, si discendeva per un'altra scala. E sempre battendo le mani e levando la voce, secondo l'esempio che dava loro D. Bosco. Infine, stanchi ma lieti, sentivano con rincrescimento il suono del campanello che li chiamava alle proprie occupazioni. Questa passeggiata teneva luogo di una pattuglia in perlustrazione. Moltissime volte, e in ispecie nel 1859-1860, Don Bosco schierava centinaia di giovani in mezzo al cortile in una sola fila, che egli precedeva, dopo aver detto: - Venitemi sempre dietro; e ciascuno metta il piede sull'orma di chi lo precede. - Egli batteva le mani a cadenza, imitato da coloro che lo seguivano; ed ora volgeva a destra, ed ora a sinistra, ora camminava diritto, ed ora seguiva una linea obliqua, e nel rivolgersi ora formava un angolo acuto, o un angolo retto ed anche un circolo. A un tratto diceva: alt! I giovani che lo avevano seguito in tutti quei giri
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capricciosi restavano disposti, uno presso l'altro, in gruppi bizzarri dei quali un osservatore non ne avrebbe potuto capire il perchè. Ma altri giovani che, da questi movimenti capivano già l'intenzione di D. Bosco, correvano sul poggiolo, osservavano come ogni gruppo formasse una lettera cubitale e vi leggevano chiaramente distinte le parole: VIVA PIO NONO. Non essendo prudenza in quegli anni emettere quel grido, mentre il Pontefice era minacciato ed assalito ei lo scriveva coi capi de' suoi figliuoli. Altre volte formava un VIVA MARIA: oppure un VIVA S. LUIGI. Nel 1861 D. Bosco eseguì ancora questo giuoco, ma un giorno nel quale i giovani lo attendevano con ansietà per continuarlo, egli passeggiò sotto i portici, s'intrattenne cogli uni e cogli altri, e in fine si ritirò nella sua stanza. Da quel momento non se ne fece più parola. Forse gli costava troppo studio quella manovra. Così D. Albera Paolo. Non sempre D. Bosco giuocava e allora in mezzo ai giovani non taceva mai, volendo in ogni modo occupare la loro mente; e non si può dire quanto piacevole fosse la sua conversazione, ricca di frasi, piene di spirito e di narrazioni amene. Incominciamo a riferire alcuni dì quei motti da lui rivolti a preti, chierici o alunni che gli erano intorno in refettorio o che incontrava nel suo passaggio anche fuori dell'ora di ricreazione. I veri figli di D. Bosco non avevano segreti per lui, quindi sovente ad uno - che sapeva trovarsi in qualche difficoltà, ripeteva: - Niente ti turbi, ha detto Santa Teresa! A chi era angustiato, da tribolazioni o di corpo o di spirito: - Tutto passa! Ad un altro che mal volentieri sopportava le molestie arrecategli da certi compagni: - Vince in bonum malum. Alter alterius onera portate.
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Provando qualcuno ostacoli negli studii o nel suo uffizio: - Per la via si aggiusta la soma all'asinello, cioè: operando si superano le difficoltà. - E tutti sapevano come egli si mettesse all'opera senza aspettare che le difficoltà, anche grandi, venissero del tutto appianate. Interrogato di qualche fatto doloroso, che aveagli recato disturbi, osservava: - Mia madre diceva che non vi è alcun paese dove succedano tante miserie, come in questo mondo. Talora si parlava di imprese guerresche, difficili ma fortunate, di nuove regioni scoperte a prezzo di viaggi pericolosi e mille stenti, di invenzioni scientifiche o meccaniche, frutto di lunghi studii e dopo aver sofferto contraddizioni, invidie ed ingiustizie. - E lei? e le sue opere iniziate? chiedeva taluno a D. Bosco. Ed egli con quel sorriso e con quell'aria faceta che sapeva così ben sostenere, diceva con certa solennità: - Il mondo è di chi se lo piglia. Gli arditi ottengono ciò che vogliono. Audaces fortuna juvat. Tradidit Deus terram disputationibus eorum. Se parlavasi di grandiosità, di fortune, di gloria, di fama, di ricchezze, di imprese riuscite: - Vanitas, vanitatum et omnia vanitas praeter amare Deum et illi soli servire. Chi era vicino a D. Bosco imparava sempre qualche cosa e riceveva sempre lezioni salutari. Poetava spesso in mezzo al cortile. Dopo aver ripetuta la sentenza: Tempora mutantur et nos mutantur in illis coi seguenti versi parlava della fugacità del tempo: Il tempo passa e non s'arresta un'ora E la morte vien dietro a gran giornate; E le cose presenti e le passate Mi danno pena e le future ancora. Ovvero: Fugit irreparabile tempus. Tempora labuntur tacitisque scenescimus annis.
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Volendo insegnare ai suoi figli di non lasciarsi trascinare dalle belle apparenze a giudicare della felicità altrui, cadeva spesso ripetere i seguenti versi del Metastasio:
Se a ciascun l'interno affanno Si vedesse in volto scritto, Quanti mai che invidia fanno Ci farebbero pietà! Si vedria che i lor nemici Hanno in seno; e si riduce Nel parere a noi felici Ogni lor felicità!
Altre volte improvvisava rime mettendo il nome del giovane, che gli si era avvicinato per baciargli la mano:
Ad Antonio perchè buono Sarà dato il cielo in dono. Ma se tu sarai cattivo Del bel cielo sarai privo.
E poi voltosi ad un altro:
Se Carlin non sarà buono Non avrà il cielo in dono.
E ad un terzo:
Se sarà buono Roberto Premio in cielo avrà di certo.
Ad un alunno che aveva un gran buon cuore, ma la testa piena di leggerezze, con gran sorpresa di tutti, disse cantando:
Oh Francesco, Francesco, Francesco! Su nel cielo un gran bene ci aspetta, Là godremo una pace perfetta, E quel gaudio che fine non ha.
E quindi rideva e faceva ridere quelli che gli stavano intorno. Altre volte, per distrarsi da pensieri troppo serii, ovvero
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per interrompere un racconto di cose esagerate, o dispiacevoli, o alquanto contrarie alla carità e alla giustizia, usciva fuori con quel verso di Virgilio: Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum. Oppure ripeteva con Tibullo: Tum ferri rigor, atque argutae lamina serrae. E talora: Me mea paubertas vitae tráducit inerti. Quindi faceva rilevare l'armonia imitativa di questi versi con gran piacere dei giovani delle classi superiori, i quali vedevano D. Bosco ricordarsi a meraviglia degli studii da lui fatti essendo giovanetto e che erano quelli stessi da loro percorsi in quell'anno. Proponeva anche loro da tradurre semplici proposizioni latine, le parole delle quali poco usitate avevano doppio senso e in conseguenza presentavano difficoltà per essere intese. - Or su, diceva, chi di voi mi volge in italiano la frase: Homo ne, si vis esse; oppure quest'altra: Ne mater suam. La maggior parte delle volte gli alunni non riuscivano in quella traduzione e attendevano da D. Bosco una spiegazione che non tardava: -Ecco: la prima proposizione dice: Donna fila, se vuoi mangiare. La seconda: Fila, o madre, io cucirò. Ne proponeva altre, delle quali ne ricordiamo due: Non est peccatum occidere patrem suum. - Deus non est in coelo. E mentre la folla di giovanetti pensava, interrogava spropositava, scherzava, e vociava confusamente, dicendo a D. Bosco: - Dica lei! - Egli imposto silenzio, spiegava: Non è peccato uccidere il padre dei maiali. - Dio non mangia in cielo. Battimani e sonore risate accoglievano quella risposta. A quando a quando li invitava a recitare qualche tratto dei poeti classici italiani e specialmente della Divina Com-
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media. Ed egli stesso ne ripeteva qualche terzina e talora un canto intero, sicchè appariva lo sapesse tutto a memoria. Infatti amava molto questo ammirabile poema e ne' suoi viaggi autunnali, o nelle visite alle case, specialmente dal 1874 al 1882 non dimenticava mai di porlo nella valigia per ricreare il suo spirito. Le stesse regole della grammatica latina, messe in versi italiani ottonari nel nuovo metodo, per quanto contorte e di non facile comprendimento, gli servivano per intrattenere piacevolmente gli studenti, in specie quelli di terza ginnasiale. Egli ripeteva quelle strofe, le spiegava, le faceva ripetere dai giovani, i quali già dovevano in scuola mandarle a memoria. E quell'istante di ricreazione fruttava utili ammaestramenti, ed eccitava il desiderio di approfittarne, perchè D. Bosco non avrebbe tralasciato poi di interrogare qualcuno. Ma ciò è più singolaree; queste stesse regole in un modo o nell'altro, direttamente o indirettamente gli servivano come di conclusione a certi suoi avvisi. Ad un assistente che non aveva troppo slancio nell'eseguire il suo dovere: - Ricordati, esclamava:
L'infinito dell'attivo Ti darà l'imperativo.
Osservando esservi disordine in cose necessarie, se non vi è armonia tra chi comanda e chi obbedisce, o eziandio se manca l'unione fra due che debbono convergere la propria azione ad un solo scopo, affermava: Questa è una sgrammaticatura.
Prima ognun sia persuaso Accordarsi l'aggettivo Col suo nome sostantivo In genere numero e caso.
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E voltosi verso uno degli allievi e dei chierici continuava:
Prima ognuno sia persuaso Che Giovanni ha lungo il naso.
Quindi soggiungeva: - Sapete che cosa vuol dire questo verso? Sovente D. Bosco diceva ad un giovane della classe di filosofia: -Conosci qualche cosa degli elementi dell'algebra? - Sissignore. - Dunque sciogli il seguente problema A+B-C. Che cosa significa? Il giovane pensava, diceva quell'idea che prima si affacciava alla sua mente, ma non capiva. - Or dunque attento: Io dirò io ciò che tu non sai. A vuol dire allegro: + B vuol dire buono: - C indica cattivo, cioè: sii allegro, più buono e mai cattivo, ovvero meno cattivo se ti piace la frase. Talvolta si volgeva ad un'altro: - Ricordati i tre S. - E che cosa sono i tre S.? - Sanità, studio o sapienza, e santità. Quindi ad un chierico: - Anche tu non dimenticare: Salve, salvando, salvali. Avendo intorno a sè, anche artigiani, interpellato come si dovesse fare per avere sempre danari in sacoccia, rispondeva: - Gianduia era solito a dire: Se vuoi sempre aver danari, quando hai otto soldi in tasca, spendine solo quattro: e non spendere otto quando ne hai soli quattro, ma spendine due, e così non sarai mai senza danari. Parlando egli di questo prototipo del contadino piemontese narrava episodii faceti popolari.
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Una volta Gianduia, sul teatrino in piazza era mesto, non voleva parlare, e stava tutto pensieroso. - Che cosa hai Gianduia che non parli stasera? Ed egli: - Sono mesto e afflitto perchè l'annata andò male. - Come sarebbe a dire? - E non vedi che l'Altissimo di lassù ci manda la tempesta pei nostri peccati, mentre l'Altissimo di quaggiù ci toglie quel che resta (colle imposte)? E intanto noi fra due altissimi restiamo poverissimi? Povero Gianduia! Dopo queste parole fu preso e condotto in domo Petri. Intendete che cosa vuol dire parlar male del Governo ? Un'altra volta Gianduia essendo sul palco fu interrogato: -Gianduia, dimmi un po': quale è il vino che ti piace di più, ossia il vino più buono? Ed egli silenzio. - Ti piace più la Barbera d'Asti? Gianduia con una smorfia rispose di no. - Il Barolo? - No! - Il Moscato di Strevi ? - No! - Di Siracusa? - No! - La Malvasia? il Bordeaux? il Nebbiolo? - No, no! - Il vino del Reno? Lo Champagne? L'Alicante? - No, no, no! - Il Tokai? il vino santo? il Caluso? - No! - Ed ognuno di questi no accompagnava con un gesto ridicolo da far morire dalle risa la gente.
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- Quale è dunque il vino che ti piace di più? - Il vino che mi piace di più è quello che ho nel bicchiere; è quello che io posso bere! Che cosa importa a me che tu mi nomini tante qualità di vino tutto eccellente se io non posso averlo e non ne posso bere, minchione che sei? Queste amenità D. Bosco alternava coi salutari avvisi. Quando qualcuno si lamentava di leggieri incomodi, diceva: - Pitagora prescriveva sempre questi tre rimedii per ogni sorta d'ìncomodi: dieta, acqua fresca e moto. Altre volte ripeteva questa altra ricetta: Quies, mens ilaris, dieta. Ad uno che aveva paura di venir ammalato, raccontava: - Un convalescente per timore che qualche cibo gli facesse male voleva a pranzo essere assistito sempre dal medico. Ora avvenne che una volta gli portarono un pollo. Il medico incominciò ad osservarlo a fine di togliere quelle parti che credeva dannose all'infermo. Nel tagliare le ali disse: - Ala, mala e se le pose nel proprio tondo. Coxa noxa e fece lo stesso. Testa, infesta e idem. Così fece del corpo e finalmente esclamò: Colum sine pelle bonum e gli tolse la pelle e lo passò al suo cliente. Egli intanto si pappò quella pelle e tutto il resto. Hai capito? Metti adunque a banda le paure e le precauzioni non necessarie. Fidati un po' meglio della Provvidenza Divina. Ricorri alla protezione di Maria Santissima, e avanti con tranquillità! Variava continuamente i suoi scherzi proponendo indovinelli agli allievi e invitandoli a decifrarli. Ne aveva alcuni di sua particolare invenzione. - Oh come sei tutto verde! diceva ad uno, mi pare che tu sia ammalato. - Io? sto benissimo.
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- Eppure ti dico che sei verde. - Non capisco. - Pensaci e capirai! Il giovane si ritirava, fantasticava, parlava coi compagni e poi ritornava: - Oh! D. Bosco, ho inteso che cosa vuol dire essere verde: vuol dire che sono una pianta che non porto frutto, è vero? - Finalmente: l'hai intesa, rispondevagli D. Bosco sorridendo. - Ma, mi metterò, sa: voglio proprio da qui innanzi farmi buono! Passato qualche giorno il giovanetto si presentava a D. Bosco: -Dica, mi guardi, sono ancora verde? - Hai un bel colore; si vede che stai meglio, ma c’è ancora qualche sforzo da fare. - È, vero, ma vedrà, vedrà... - Bravo; ma io l'ho sempre detto che sei un tomo. Talora accennava ad uno di quelli che aveva speranza di ammettere nella sua Congregazione e diceva di lui, dopo averlo guardato fisso: Est caput plectendum; oppure: Caput amputandum. - E il giovane il quale già aveva penetrato il senso di questo latino, rispondeva col suo sorriso. Ad altri diceva: - Ti voglio far cuocere, sai? - Oppure: - Non sei abbastanza cotto. - E con ciò indicava desiderare in lui un tenor di vita più perfetto, un fuoco di amor di Dio più sincero. Ad uno che aveva visto dissipato in Chiesa in tempo di predica: -Dimmi, interrogava, tu hai male ai denti, poveretto ? - Io no! - Almeno mi sembrava che avessi male ai denti. E con ciò, come poi gli spiegava, intendeva dire che
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masticava male la parola di Dio, che non la gustava, e che quindi non ne ricavava frutto. Dicendo: - Poveretto! Hai male al capo! - indicava i capricci e le disobbedienze. Un motto che aveva molto famigliare era questo: Quando è che ti metti a far miracoli? - Queste frasi talora le dirigeva all'improvviso a taluno che stava pensoso o pareva badasse distratto ad altro, ovvero quando uno parlava sommesso al compagno nel crocchio che lo circondava. Ad un giovane che da alcuni mesi non si accostava ai Sacramenti, un giorno disse: - Ehi l'amico! Non saresti disposto domani a pranzare con me? - E alla risposta affermativa, soggiunse: - Bada bene che io pranzo domani mattina alle 7 e mezzo - alludendo alla mensa Eucaristica durante la Santa Messa. Era un caro spettacolo contemplare D. Bosco in mezzo ad un bel numero di allievi che egli, mentre stava ragionando, passava in rivista ad uno ad uno collo sguardo; e per tutti aveva poi un motto. A questo: - Come stai? A quello: - Sei buono? - A chi sopraggiungeva: - Sei proprio un angioletto? - E chiusa la mano sollevava l'indice e il mignolo, facendo le cornette. E i giovani ridendo imitavano lo stesso gesto sopra la testa del compagno che avevano innanzi. Ad un piccolino che appoggiava in silenzio la testa al suo braccio, D. Bosco diceva: - Sta zitto! Ad un altro: - Ah! Cattivello! - e lo minacciava scherzevolmente col dito. Ad altri giovani: - Voglio che siamo amici: ma davvero e non per burla. - Dimmi, lo sei mio amico sincero? - E a qualcuno: - E quando ci vedremo? - E il giovane intendeva che trattavasi di parlare di cose dell'anima e della vocazione. Talora indirizzava un avviso ad un giovanetto e poi volgendosi improvvisamente ad un altro: - Hai capito?
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Accadeva che qualcuno si avvicinasse a baciargli la mano ed esso stringendo quella del giovane e rattenendolo, dicevagli: - Va a fare una buona ricreazione. - E continuava a parlare coi circostanti; quindi si rivolgeva verso il piccolo prigioniero - Va dunque; gli ripeteva; che cosa fai qui;" - Ma se non mi lascia andare! D. Bosco sorrideva, continuava a tenerlo e a parlare; e poi: - Ma va, va: sei ancora qui? E il giovane sorrideva esso pure, e allora D. Bosco lasciavalo in libertà che corresse e saltasse. Egli usava questi tratti specialmente con quelli che sembrava avessero l'animo alquanto alienato da lui. A quelli che sospettava ruminassero qualche idea di mormorazione, vedendoli silenziosi e pensierosi, a un tratto domandava: - Che cosa dici? - Io? Nulla! - Credevo che avessi parlato. E così sorprendeva e faceva svanire qualche loro fantasia. E tutte queste sue frasi e modi finivano generalmente in una confidenziale parola che gli alunni appellavano: LA PAROLA NELL'ORECCHIO. Ma che cosa era questa parola della quale abbiamo fatto cenno più volte nelle nostre Memorie biografiche? Era come l'eco della parola di Dio: “ viva, efficace e più affilata di qualunque spada a due tagli; e che s'interna sino alla divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture eziandio e delle midolle, e che discerne ancora i pensieri e le intenzioni del cuore ”. (I) D. Bosco pertanto con gran zelo e prudenza, reggendo tutto col suo consiglio, informandosi di tutto, conoscendo ogni giovanetto interno ed esterno,
(I) Hebr. IV, 12.
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distinguendoli per nome e per carattere, sapeva porgere con irresistibile amorevolezza un avviso sempre addattato ai bisogni di ciascuno. Ma ciò che dava massima efficacia a tale parola, si è, che tante volte questa indicava ad un giovane cose segrete solo a lui note, e sovente avvenimenti futuri che lo riguardavano e poi pienamente avverati. Gli alunni perciò davano un'importanza immensa a questa sua santa industria e costumanza, e quindi si può arguire, ma non conoscere mai in tutta l'estensione, i suoi mirabili effetti di aumento di virtù e di salute delle anime. Spesse volte D. Bosco diceva ad un giovane: - Vuoi che ti dica una parola? - Ovvero i giovani stessi gli chiedevano: - Mi dica una parola! -E D. Bosco passava una mano sul capo del giovane e curvandosi al suo orecchio gli parlava in segreto, coll'altra mano facendo riparo alla sua bocca, perchè nessuno potesse udire. Era cosa degna d'essere vista il vario aspetto che prendevano le fisionomie dei giovani in quell'atto: ora sorridenti, ora serii; taluno veniva rosso fino alla radice dei cappelli, tal'altro si metteva a piangere; questo accennava un sì, l'altro un no. Questi si ritirava pensieroso a passeggiare solo: quegli gridava un grazie e correva a giuocare; un terzo si avviava subito alla chiesa per visitare Gesù in Sacramento. Chi dopo aver ascoltato non sapeva più staccarsi da D. Bosco, restando come assorbito da un'idea grandiosa e chi a sua volta facendo riparo colla mano alla propria bocca rispondeva nell'orecchio di D. Bosco o faceva un'interrogazione. La parola che D. Bosco diceva a ciascuno non durava più di pochi secondi. Era però come un dardo di fuoco che penetrava nel cuore e vi restava fisso in modo da non poterlo più svellere. Ora era un consiglio, ora un'osservazione, un eccitamento al bene, ed eziandio un rimprovero. D. Bosco infatti non soleva rim-
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proverare aspramente e molto meno in pubblico. Mai faceva conoscere aver poca stima per un giovane, ed anche coloro che sentivano non essere meritevoli di riguardi, sapevano che D. Bosco non li avrebbe in nessun modo svergognati. Egli in tutta la sua vita non umiliò mai nessuno, eccettuato il caso nel quale si dovesse riparare ad uno scandalo da tutti conosciuto. Quindi la fiducia e l'abbandono nel superiore della quasi totalità di costoro. Così l'avviso amichevole, non disonorava, produceva il bene e perseverava nel suo effetto. “ La riprensione fatta al saggio ed all'orecchio docile, dicono i proverbi al Capo XXV, è un orecchino d'oro con una perla rilucente ”. Queste parole più comunemente suonavano così: -Potresti farmi un fioretto alla Madonna? Studiare un po' meglio la lezione? - Gesù ti aspetta in chiesa per un po' di visita. - Togliti quell'abitudine di mettere le mani addosso agli altri. - Ti sei confessato bene? - Perchè non vai più sovente alla comunione? - Ah! quei compagni! - Coraggio! invoca Maria e ti aiuterà. - Se tu potessi vedere lo stato dell'anima tua! - Continua così; la Madonna è contenta di te! - Ricordati bene: Dio ti vede. - La morte, ma non peccati. - Fatti buono che ci troveremo insieme in paradiso.- Procura di fare una buona confessione e proverai una gran contentezza. - Qui faciunt peccata hostes sunt animae suae. - Recita cinque Pater alle piaghe di Gesù pel fine di ottenere che niuno di quelli che muoiono in questo giorno vada all'inferno. - Aiutami a salvare l'anima tua. - Allegri! un giorno staremo insieme col Signore. - Sii obbediente e sarai santo. - Chiedi alla Madonna la grazia di non cader mai in peccato in vita tua. - Puoi dormire tranquillo questa notte? -E cento altre frasi di simil genere che variavano secondo il bisogno. E un occhio esperto ne vedeva talvolta
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l'effetto immediato, negli uni coll'accostarsi ai santi Sacramenti, negli altri col maggior raccoglimento nelle preghiere, colla diligenza più esatta nel loro doveri collo smettere certe gelosie, certi modi violenti, inurbani o tediosi verso i condiscepoli. E ve ne furono parecchi di questi, dei quali potremmo fare il nome, che vennero portati a tale fervore di pietà da fare penitenze straordinarie, per cui D. Bosco dovette frenarli. Ma i primi ad accorgersi dell'efficacia di questa parola erano quelli stessi cui era indirizzata. “ Asserisco, ci narrava un venerando sacerdote, un fatto particolare avvenuto a me replicatamente, quando ero giovanetto. Vedendomi Don Bosco preoccupato nelle ore della ricreazione, mi sapeva suggerire parole così opportune che io mi sentiva distolto dai pensieri molesti, e posso dire anche dalle tentazioni da cui forse sarei stato tratto al male. E così senza avvedermene rientrava la pace nel mio cuore e mi trovava bene. Ciò egli faceva non solo con me, ma con tutti, ed eziandio alla sera, quando gli si avvicinavano per dargli la buona notte, poichè nessuno andava a riposo senza avergli baciata prima la mano ”. Qui noteremo come le sue insinuanti e amabili maniere producessero fino oltre al 1860 un grazioso e singolare fenomeno. I giovani, in qualsivoglia luogo D. Bosco si trovasse, anche in mezzo al cortile, gli palesavano il proprio cuore con piena confidenza, e se qualche cosa turbava la loro coscienza non andavano a letto se prima non l'avessero confessata a D. Bosco stesso. Piuttosto vegliavano alla sua porta, bussavano leggermente, fintantochè loro non venisse aperto. Ma col peccato indosso non potevano riposare tranquillamente. Non tutti però gli alunni si avvicinavano con tanta
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figliale affezione a D. Bosco. Vi erano talora delle eccezioni anche notevoli, ma pur in queste la parola di D. Bosco produceva i suoi effetti, giungendo spesse volte inaspettata all'orecchio de' suoi figli. Talvolta egli scorgendo in mezzo ad un crocchio di compagni un dissipatello, tutto caldo nel sostenere una sua opinione, lo interrompeva, lo chiamava a sè e gli diceva: - Voglio che facciamo una bella cosa. - E interrogandolo il fanciullo che cosa mai fosse il da farsi, ci soggiungeva all'orecchio: - Voglio che facciamo un buon bucato, perchè tu possa divenire amico di Dio, ed essere protetto da Maria Santissima. Mentre un altro disperatamente correva in ricreazione tutto assorto nel giuoco, sicchè non sapeva più se fosse in cielo o in terra, ecco D. Bosco fermarlo. - Come stai ? - Benissimo! - Anche di anima? A questa interrogazione imprevista il giovane guardava D. Bosco un po' confuso, poi abbassava gli occhi, crollava il capo, si grattava le orecchie e: - Già... ma..; - Se morissi domani, stanotte, oggi, saresti contento? - Non troppo. - Dunque quando verrai a confessarti? - Domani mattina! E in generale mantenevano la parola. Qualche giovane malizioso cercava studiosamente di sfuggire alla presenza di D. Bosco, non avendo il coraggio di sopportare il suo sguardo. D. Bosco ne seguiva tutti i passi e quando l'altro credendosi sicuro, in un crocchio di compagni, stava animatamente discorrendo, ecco due mani all'improvviso porsi sovra i suoi occhi e tener ferma la sua
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testa, perchè non potesse rivolgersi. Il giovane era lontano mille miglia dal supporre chi fosse colui che facevagli simile scherzo e, credendolo un compagno, prima si metteva a nominare qualcuno cercando di indovinare, poi impazientiva, quindi gridava: lasciatemi stare; e talora finiva con improperii, con nomi ingiuriosi, ed anche col dare qualche calcio. Allora le due mani si toglievano dai suoi occhi, egli volgevasi rapidamente e un: Oh D. Bosco! usciva quasi tremante dalla sua bocca. La confusione, l'imbroglio, nel quale si trovava il povero giovane non si può descrivere. Restava lì, rosso in viso, colla testa bassa, immobile. D. Bosco allora mentre l'altro prendea la mano per baciargliela, dicevagli: - Perchè mi fuggi? - Io no! - Dunque saremo amici? Senti una parola: e mentre gli parlava nell'orecchio il giovane col capo prometteva di sì. Allorchè D. Bosco tornava da qualche suo viaggio, i giovani con vivo entusiasmo gli correvano incontro e si stringevano intorno a lui. Ma qualcuno restava indietro appartato dagli altri, e questo era segno infallibile che tenevano qualche cosa nascosta nel cuore. Per molti anni costoro non furono mai più di due o tre per volta, prova consolante che all'Oratorio le cose procedevano bene. S'intende che su costoro D. Bosco rivolgeva tutta la sua attenzione, perchè lo star lontano da lui era segno evidente di coscienza disordinata. Egli in questa circostanza vedendo coloro che eransi messi in qualche imbroglio, stare osservandolo dietro alla folla de' compagni, ma da questa staccati di quattro o cinque passi, usciva a dire: - Io ho portato un bel regalo per qualcheduno di voi!- I giovani pieni di curiosità aspettavano di vedere quel regalo.
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- E sapete a chi voglio darlo? I giovani incominciavano a metter fuori il nome dei più buoni. - Voglio darlo a quelli là! Tutti si volgevano indietro meravigliati che si trattasse di coloro, che essi sapevano bene non essere buoni. Que' tali che stavano appartati erano rimasti di sasso, ma D. Bosco li nominava ad uno per uno, li invitava ad avvicinarsi, mentre i compagni aprivano loro la via. 1 merlotti erano nella rete, una dolce parola mormorava lene lene nel loro orecchio e non passava la sera, oppure il mattino seguente senza che fossero andati a confessarsi. Conchiudiamo questo argomento coll'attestazione di Mons. Cagliero. “ Sovente questa parola all'orecchio usciva come un'affocata giaculatoria con ardenti sospiri, e noi che gli eravamo vicini ci sentivamo scaldati di amore per Dio e per lui che pur tanto ci amava nel Signore: - Tutto per il Signore e perla sua gloria! - Era questo il suo ritornello quotidiano, che risuonò al mio orecchio migliaia di volte e che egli ripeteva ad alta voce dal pulpito, nel confessionale e nelle private conferenze. E questa fu l'unica ardente brama della sua vita ”. Ma Iddio aveva concesso a D. Bosco il dono della parola con tanta pienezza che tutto in lui, sguardo, accento, movimento, aveva ragione di linguaggio. Coll'occhio in modo speciale, esercitava simultaneamente le potenze della mente e del cuore. Col suo sguardo misurato, calmo, sereno, s'impossessava del pensiero altrui con attrazione irresistibile; e colla stessa forza, quando il voleva, era egli stesso compreso. Spesso con un motto, un sorriso, accompagnato dallo sguardo fisso, valeva una domanda, una risposta, un invito, un discorso intero.
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D. Belmonte Domenico ci assicurava che simile meraviglia, non solo udilla raccontare da molti testimonii, ma che egli stesso la constatò per propria esperienza essendo alunno e poi quando fu chierico e prete. “Tante volte, ei disse, D. Bosco guardava un giovane in modo così particolare, che i suoi occhi dicevano ciò che il suo labbro in quel momento non esprimeva, e gli faceva comprendere ciò che desiderava da lui. E il buon giovane rispondendogli col labbro stupiva di aver perfettamente compreso il ragionamento intellettuale di D. Bosco. Talvolta si trattava di cose che non avevano alcuna relazione con ciò che prima era detto, oppure si aveva in quell'istante visto od operato; era un'interrogazione che personalmente non riguardava l'interrogato: un comando, un avviso, un consiglio, per la scuola, per la ricreazione o per altro. E si intendeva benissimo ”. Sovente seguiva collo sguardo un giovane in qualunque parte egli andasse del cortile e dei portici, mentre egli tranquillamente conversava con altri. Ma ad un tratto lo sguardo di quel ragazzo s'incontrava con quello di D. Bosco e leggendo in quell'occhio così limpido un desiderio di parlargli, veniva a chiedergli che cosa volesse da lui. E Don Bosco glie lo diceva all'orecchio. Non di rado, mentre aveva innanzi molti allievi, ne fissava uno o due, facendo colla mano quasi visiera ai suoi occhi, come chi è contro luce e vuole veder meglio; e pareva penetrasse nell'intimo del loro cuore. Eglino restavano confusi, moriva sul labbro loro la parola e sentivano in sè che egli conosceva qualche loro segreto. E infatti leggeva nel loro sembiante qualche oscurità di colpa o di rimorso. Un suo leggero muover di capo allora bastava: non vi era più bisogno di altro invito; restava solo da stabilire il momento della confessione.
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D. Bosco guardava ancora nel modo sopraddetto, allorchè qualcuno gli faceva una promessa che sapeva non sarebbe stata mantenuta; ovvero gli diceva cosa contraria alla verità. Ma quell'atto esprimeva questa volta, e chiaramente un dubbio od un rimprovero, o una negazione, ed era come l'esordio di un buon avviso. Accadeva eziandio che mentre D. Bosco confessava in sacrestia passasse un giovane che aveva tutt'altra intenzione che quella di confessarsi, benchè ne avesse bisogno. Eppure se D. Bosco lo avesse fissato in volto benignamente, accadeva quel che si narra dell'usignuolo che resta affascinato dal serpe. Il giovane non poteva più allontanarsi. Si arrestava indeciso, poi faceva ancora un passo verso la porta, ritornava indietro, si appressava a D. Bosco, cadeva in ginocchio ed aspettava il suo turno per confessarsi. Si era sentito attirare a lui da un'amabile forza, era svanita ogni ripugnanza, e si era accesa subito nel suo cuore la confidenza figliale. Ciò abbiamo saputo da nostri intimi amici che avevano esperimentato quella benefica influenza. In ricreazione chi aveva conosciuto come troppo curioso nel voler sapere ciò che altri facesse o dicesse, o nell'ascoltare qualche facezia o discorso non conveniente, egli coll'indice gli comprimeva leggermente il lobo dell'orecchio sul padiglione in atto di sigillarlo. Se vedeva qualcuno un po' libero negli sguardi, quasi per scherzo gli toccava le palpebre abbassandole come per chiudergli gli occhi. Ad un altro prendendo le due labbra col suo pollice e l'indice gli chiudeva la bocca, volendo così significare che non l'aprisse per mormorare. Ciò faceva con una delicatezza impareggiabile senza pronunciar parola, ma il suo sguardo spiegava tutto. Erano avvisi eloquentissimi ed indelebili. Oh la potenza dello sguardo di D. Bosco! Un alunno a
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notte avanzata non poteva prendere sonno. Irrequieto ora si volgeva sopra un fianco, ora sull'altro. Ad ogni istante sospirava, sbuffava e a quando a quando mordeva le lenzuola. Un compagno, che dormiva a lui vicino, svegliatosi: - Ehi amico! Che cosa hai? - gli disse. Ma non ebbe risposta e l'altro continuava a gemere. - Ma che cosa hai? - Che cosa ho? Ieri sera D. Bosco mi ha guardato! - Oh bella! È forse questa una novità? - Mi ha guardato in un certo modo... Oh! io li conosco gli sguardi di D. Bosco. - Ti sarai sbagliato. Abbi pazienza, e non disturbare la camerata, concluse quel giovane; e al mattino chiese a D. Bosco se egli alla sera antecedente avesse guardato quel compagno con qualche intenzione speciale. E D. Bosco gli rispose: - Domanda un po' a lui che cosa gliene dice la coscienza! - E la coscienza rispose in modo, che il poveretto andò a confessarsi e rimase tranquillo. Agli sguardi univa D. Bosco modi faceti perchè si ritenessero i suoi avvisi. Per eccitare qualcuno alla perseveranza nella virtù, con una certa sostenutezza, mescolata ad un mezzo sorriso indefinibile, soleva usare una industriosa cerimonia di sua invenzione colla seguente formola: - Fede, speranza, carità, buone opere, amicizia. Pronunciando la parola fede lo toccava leggermente coll'estremità delle dita di una mano sulla guancia destra; alla parola speranza toccava sulla guancia sinistra; dicendo carità era un piccolo colpo sul mento; sul naso proferendo buone opere; e ripercotendo un po' più forte la guancia destra diceva amicizia. Ciascuno poi rimaneva più contento di sostenere questo scherzo di quello che se avesse ricevuto qualunque premio dei più ambiti, e sentivasi grandemente animato ad essere buono, come tutti ad una voce attestavano.
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Un altro motto misterioso aveva sempre sulle labbra. Talora un chierico o uno studente gli chiedeva come facesse a conoscere l'avvenire e ad indovinare tante cose segrete dì ogni fatta. - Ascoltami: il mezzo è questo e si spiega con Otis, Botis, Pia, Tutis. Sai cosa significano queste parole? - Io, no. - Sta attento: sono parole greche. - E compitando ripeteva: - O, tis... Bo, tis... Pi, a... Tu, tis. Capisci? - È un affare serio intendere. - Lo so ancor io. Io stesso non ho mai voluto manifestare ad alcuno che cosa significasse questo motto. E nessuno lo sa, nè mai si saprà, perchè non mi conviene dirlo. Questo è il mio gran segreto col quale opero tutte le cose straordinarie; con questo leggo nelle coscienze, per mezzo di questo mi si aprono tutti i misteri. Ma se tu sei furbo guarda se puoi capirne qualche cosa. E ripeteva quelle quattro parole puntando successivamente al pronunciar di ciascuna di esse, il dito indice sulla fronte, sulla bocca, sul mento, sul petto del giovane e finiva col dargli all'improvviso uno schiaffetto. Il giovane rideva, gli baciava la mano, ma istava: Almeno mi traduca in lingua volgare le quattro parole. - Posso tradurle, ma non capirai la traduzione. - E scherzevolmente gli diceva in dialetto piemontese: Quando ti danno delle botte, pigliale tutte. Tutti i presenti scoppiavano dalle risa a tale conclusione. Questi piccoli schiaffi producevano un altro effetto salutare. Imbattendosi D. Bosco con un giovane di aspetto melanconico, lo chiamava a sè, voleva sapere la causa di
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quella tristezza: l'ammoniva che S. Filippo Neri insegnava essere la malinconia l'ottavo peccato capitale; e consolandolo con buone parole e promesse, finiva con dargli un di que' schiaffi e dicendogli - Sta allegro! - E con ciò, cosa mirabile, lo restituiva alla primiera allegrezza. Questa virtù consolatrice era talmente conosciuta e provata dagli alunni, che se loro sopravveniva qualche cosa da renderli meno lieti, ricorrevano subito a D. Bosco, per ottenere un suo rassicurante sorriso. Talvolta qualche giovane in mezzo ai compagni non badava a ciò che si diceva o si faceva dagli altri, sicchè pareva che il suo spirito passeggiasse nei regni della luna: ed ecco all'improvviso D. Bosco dargli un buffetto sulla faccia. Il giovane come smemorato, rivolto a lui: - Che cosa fa? - diceva a D. Bosco. - S. Filippo Neri faceva così coi suoi giovani dicendo: Io non batto te, ma il demonio che ti tenta. - E noi eravamo persuasi, ci disse Mons. Cagliero, che D. Bosco conoscesse aver quel tale una qualche tentazione per capo. Oltre a ciò negli alunni era fissa la persuasione che gli schiaffi di D. Bosco avessero la virtù di renderli forti contro il demonio. Quindi D. Bosco dava sovente qualche schiaffo a qualcuno, a loro richiesta, e scherzando diceva: - Per quest'oggi il demonio non verrà più a toccarti. - Alcuni se ne facevano dare vani e Don Bosco scherzando assicuravali, che per sei mesi il malo spirito gli avrebbe lasciati tranquilli. Un giovanetto un giorno chiese che gliene desse un maggior numero e lo guarentisse per sempre. D. Bosco rispose sorridendo: - Fino a sei mesi vado, ma non di più. - Poi prese un aspetto più serio: - Un giovane, continuò, che per vincersi, non aveagli giovato l'orazione, la penitenza e la sua buona volontà, riuscì ad ottenere il
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suo scopo col ricevere tutti i giorni uno schiaffo da D. Bosco. -Vedevasi altresì un giovanetto afflitto da qualche perturbazione interna avvicinarsi a D. Bosco in mezzo ai compagni e senza dir parola porgere la guancia a D. Bosco, in atto di aspettare uno schiaffetto. Ricevutolo, correre via tutto allegro come chi ha riportato un gran favore. Ciò era cosa di tutti i giorni. Nel 1861 prima delle vacanze di Pasqua un alunno in sul partire domandò a D. Bosco un ricordo. Egli senza dirgli niente gli diede uno schiaffo leggermente, e poi gli disse: - Va pure a casa che il demonio non ti toccherà più. - Il giovane ritornato che fu dalle vacanze attestò di aver riportato un gran bene da quello schiaffo e che ogni qualvolta avesse dovuto ritornare a casa avrebbe domandato un simile ricordo. Abbiamo una letterina che ricorda questi scherzi di D. Bosco, se pure scherzi vogliono chiamarsi.
Amato mio padre,
Oh! fossi sempre figlio di D. Bosco non solo di nome, ma di fatti. Sotto una sì bella bandiera si batte e si vince. Quel suo schiaffo che ultimamente mi regalò, mi è sempre improntato in faccia e quando il penso, ecco la faccia arrossirmi e mi par proprio di aver l'impronta delle sue amabili dita. Me ne mandi pure dei bei schiaffetti che io li attendo. Io amo più D. Bosco che non il mondo intero. Lo crede? La è pur così. E se nel decorso della giornata mi si affaccia qualche tristezza o qualche malo pensiero, eccomi subito libero al solo ricordare il caro mio D. Giovanni. O caro D. Bosco, eccomi a lei prostrato: tutto le offro quanto può esigere da me; di tutto a lei ne fo dono. Lei mi accetti qual suo infimo servo e non cancelli dal gran libro dei suoi figli il suo in G. C. Ch. PITTALUGA GIUSEPPE.
CAPO XXXI. Sante industrie - Fede e carità - Effetto di una conversazione con D. Bosco - I giovani seduti intorno a lui - Favole e racconti ameni - Il canto - Nuova chiromanzia - La misura delle mani - Lo scoppio delle palme percosse - Esercizi di destrezza - Vigilanza prudente e giocosa - I giovani più buoni invitali a pranzo - Udienze private concesse da Don Bosco agli alunni in sua camera: modo di presentarsi ed accoglienze: invito allo stato religioso: rimproveri indiretti: conforti agli afflitti - Le tre passeggiate - Avvisi per iscritto e lettere sorprendenti di D. Bosco ai giovani - I biglietti coi proponimenti - Confidenza chiesta agli alunni e sacrifizi per conservarla - Il biglietto richiamo sulla buona via - Alcuni proponimenti consegnati a D. Bosco e da lui custoditi - Risultato delle sante industrie.
L’apostolo Giacomo nella sua lettera cattolica scrisse di Abramo che Fides coopcrabatur operibus illillis. Lo stesso diremo di D. Bosco, perchè era la fede che informava qualsivoglia sua azione o parola, diretta al bene della gioventù. Egli non guardava a sacrifizii e Iddio gli accresceva doni straordinarii. Qualcuno giudicherà a modo suo certi mezzi adoperati da D. Bosco,
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ma potremo sempre rispondere che infirma mundi elegit Deus ut confunda fortia e questi forti sono gli spiriti delle tenebre. Continuiamo adunque a parlare delle sante industrie usate da D. Bosco, semplici come era semplice il suo cuore, ma efficaci, per allontanare per quanto è possibile, ogni nemico spirituale dai suoi figliuoli. L'amore vince tutto e tanto più l'amore ispirato unicamente dalla fede; e questo vince i cuori. Tutti vedevano D. Bosco, affaticato, infermiccio, debole di stomaco, coll'arsura alla gola, sovente collo sputo sanguigno, non cessar di parlare dal mattino alla sera, per tenerli vicini a sè; e anche da ciò argomentavano quanto li amasse. Per esporre il gran disagio che doveva sostenere per loro, non solo fisico, ma anche intellettuale, noi fummo nel capitolo precedente costretti ad essere alquanto prolissi; ma ciò richiedeva la verità e lo scopo di queste Memorie. Ripigliamo il nostro assunto. Sovente si vedeva D. Bosco passeggiare sotto i portici in mezzo ad un centinaio fra giovani e chierici. Parte lo seguivano, parte, il maggior numero, lo precedevano, camminando all'indietro colla faccia a lui rivolta per ascoltare ciò che diceva; e D. Bosco, colla sua allegra conversazione, trattenevali ora con esempi, ora con qualche sua avventura, ora con antiche vicende dell'Oratorio, che producevano in tutti impressioni salutari. “ Io stesso, affermava D. Rua, ebbi più volte a dire, come dicevano molti altri de' miei compagni, che una conversazione fatta con D. Bosco, valeva quanto, ed anche più, un corso di esercizi spirituali. Finiti i suoi discorsi o racconti, si compiaceva di regalarci varii libri ed opuscoli da lui stampati, e in particolari circostanze, specialmente
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quelli contro i protestanti, perchè fossimo preservati dai loro lacci e dai loro errori ”. Nelle sere d'estate, essendo più lunghe le ricreazioni nei giorni festivi, quando per la stanchezza languivano i divertimenti, D. Bosco andava a sedersi per terra nel cortile presso un muro della fabbrica. Gli alunni correvano tosto e sedendosi egualmente, formavano intorno a lui sette od otto larghi giri di volti allegri e tutti in lui intenti. Un esimio avvocato così espresse il sentimento provato a questo spettacolo, che infinite volte si riprodusse dal 1850 fino oltre al 1866. “ Erano essi la figura viva e parlante dell'innocenza più schietta, modesta ed allegra; i loro occhi spalancati come finestre, non avevano nulla da nascondere, poichè nessun pensiero cattivo albergava nella loro anima buona; e li fissavano ingenuamente in volto a chiunque si fosse presentato, comunicando a tutti quella pace serena che non mai veniva meno nel loro bel cuore. E per i giovani stessi era uno spettacolo osservare D. Bosco. ” Il Sac. Sacco Emilio parroco di S. Stefano a Pallanza suo allievo, scriveva a D. Rua nel 1888: “ D. Bosco! Quanto era caro! Quanto era virtuoso e santo! Mi sembra ancora di vederlo a sorridermi, di udite le dolci sue parole, di ammirare quel suo amabile volto sul quale era chiaramente stampata la bellezza dell'anima sua! ” Per queste sedute all'aria aperta D. Bosco riserbava i suoi discorsi più ameni. Ora narrava a modo suo il dialogo scritto dal conte Gaspare Gozzi tra il calamaio e la lucerna. Ora ne inventava un altro tra la sua penna e il suo calamaio: tra un ciabattino ad uno stivale rotto, che non voleva esser rattoppato in domenica sibbene in lunedì; ovvero una questione che erasi accesa tra lui e la sua lucerna che non
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voleva far lume, e parteggiava per i protestanti. Talora recitava un sonetto bernesco, e fra questi uno da lui scritto, essendo ancora chierico, sulla lama del suo temperino e che ritenne sempre a memoria, come ci narra D. Garino, avendolo da lui udito a Valsalice. Ora raccontava favole meravigliose chè occupassero la fantasia degli ascoltatori. Descriveva il gigante Gargantua con tutte le sue strabiglianti avventure avvenute nel campo dell'impossibile e poi la sua morte e la sua sepoltura, alla quale essendo concorse migliaia di persone, queste non riuscirono a coprirlo interamente di terra, benchè avessero fatto un fosso profondissimo e lungo un chilometro. - E ne rimase allo scoperto il naso, che si vede ancora oggigiorno, esclamava. - Si vede ancora? - gridavano tutti. - Osservatelo: è il Monte Bianco! La vivacità delle descrizioni e i frequenti dialoghi animavano le varie scene di tali favole, rese più amene dalle interrogazioni curiose dei giovani che vi prendevano parte. D. Piano e con lui varii antichi allievi ne raccontano ancora oggigiorno, udite cinquant'anni fa da D. Bosco e rallegrando fuor di modo gli amici. Ma non sempre in quell'ora le sue narrazioni erano favolose. Tutt'altro! Egli era solito, per entusiasmare i giovani all'apostolato evangelico, parlare delle missioni cattoliche nei paesi degli infedeli, in Asia, Africa e America. Le aveva sempre dinnanzi alla mente e gli stavano a cuore: descriveva più volte le fatiche dei missionarii le gloriose loro imprese, i popoli convertiti, ed i martirii sofferti per amore di Gesù Cristo. Nelle ricreazioni però preferiva esporre ciò che aveva letto di curioso o divertente nelle lettere edificanti della Propagazione della fede, o anche in relazioni private.
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Spesso il racconto era interrotto dalla campana che suonava il fine della ricreazione, lasciando nell'impaziente uditorio viva curiosità di ascoltarne il seguito nella sera vegnente. Questa però non poteva venir sempre soddisfatta, o perchè D. Bosco era trattenuto in camera per qualche affare o perchè era spossato pel continuo parlare lungo il giorno. Ma nel secondo caso egli non tralasciava di andare ove era aspettato con ansia, e nella sua mente feconda d'invenzioni trovava mezzi semplicissimi per occupare non senza frutto quel tempo. Ed ora intonava una canzone sacra e centinaia di voci lo accompagnavano; ed ora improvvisava qualche giuoco che non richiedesse di far moto. I giovanetti tante volte lo invitavano a predire a ciascuno di loro gli anni che doveva vivere, e in questi casi D. Bosco li contentava, dando ad intendere che si trattava di una facezia. E qui noi dobbiamo permettere come l'istruzione e l'educazione impartita nell'Oratorio escludesse ogni sorta di anche minima superstizione e che in quarantatre anni avendo noi conosciuti migliaia di giovanetti, abbiamo ammirata una fede semplice e schietta abborrente da ogni ciurmeria. D. Bosco adunque faceva aprir loro le palme della mano e incominciava a guardare le linee in essa tracciate, quelle specialmente che stanno mezzo e pare formino un M. Questa lettera gli porgeva occasione di far notare come ogni uomo portasse con sè come un memoriale continuo della morte, alla quale andava incontro. Quindi interrogava: - Quanti anni tu conti di vita già trascorsi? Chi rispondeva: Ne conto dodici; chi: ne ho diciassette; e altri ne ho quattordici, ne ho ventuno. Allora egli rifletteva e poi soggiungeva con aria alquanto misteriosa, all'uno e all'altro: - Eh prima che tu abbia trent'anni... Allorchè
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tu sarai giunto ai trentacinque... Oh se tu giungerai ai quaranta... chi sa... Vedremo!... Qualche cosa accadrà. - E si poneva a considerare quelle linee con serietà affettata e con modi enigmatici e scherzosi, con qualche barzelletta condita sempre con un buon pensiero, e soggiungeva: ad uno: - Ascoltami e sta attento. Hai quindici anni non è vero? Dunque fa il computo. Quindici più dieci, meno sette, più tre, più dodici, meno diciannove, eguale a somma totale? indovinala. - E così continuava ad ingarbugliare, variando numeri e dando a tutti i presenti il suo oroscopo. Ma l'uno non aveva potuto seguire tale complicata operazione aritmetica, l'altro aveva dimenticato un numero e insisteva perchè D. Bosco lo ripetesse, un terzo chiedeva una matita e un foglio di carta per notare il suo responso. Qualcuno di mente più perspicace riusciva a decifrare quell'imbroglio, e voleva che D. Bosco confermasse il risultato della somma da lui ricavata, ma egli aggiungeva un ma, un se, un vedremo, un purchè ti mantenga buono, che guastava il calcolo. Ed egli rideva, ridevano i più de' giovani; alcuni però sembravano stizziti, altri pensierosi. Non tutti volevano credere che D. Bosco facesse ciò per passatempo, ma si ostinavano nella persuasione, che con quell'artifizio volesse loro nascondere la grazia accordatagli dal Signore di conoscere l'avvenire. Quindi prendevano nota di ogni sua parola detta a loro riguardo. Tanto più che in apparenza, o in realtà, come noi stessi possiamo attestare, il pronostico non una sola volta si era avverato compiutamente. Comunque però andasse la cosa, siccome tutti indistintamente lo stimavano un santo, si videro quelli che volevano sembrare indifferenti, non solo, ma anche scettici, tenere così impresse nella mente le parole di D. Bosco, che dopo quaranta o cinquant'anni, all'epoca che loro pareva esser stato preannunziato il termine
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della loro vita, si prepararono seriamente alla morte. E per alcuni anche sacerdoti fu un gran bene. Con diverse altre maniere li tratteneva, come ci narrò Brosio Giuseppe. Allorquando D. Bosco aveva qualche regalo da distribuire agli alunni, e non poteva o non voleva estrarlo a sorte o metterlo come premio ai vincitori di qualche partita di giuoco, pensava ad un'astuzia che faceva ridere, e destasse la curiosità. Più volte venne in cortile, portando con sè frutta o paste dolci o zuccherini, e in quel momento non sapendo a quale giuoco appigliarsi, fece la proposta di dare quella roba a chi avesse le spanne più lunghe delle sue. Tutti accettarono la scommessa; fu presa a tutti la misura dall'estremità del dito mignolo a quella del pollice e siccome D. Bosco aveva le mani molto piccole, non pochi vinsero la posta e ottennero il premio, con grandi risate degli astanti. Infatti la misura di centinaia di mani, alcune poche delle quali respinte, ma dopo egualmente riempite di qualche ghiottoneria, destava attenzione, provocava satire, scherzi, e le continue facezie di D. Bosco. Altra volta il regalo veniva offerto a chi avesse le spanne più piccole delle sue. Nè qui si fermavano i suoi caritatevoli artifizii. Soleva in altre circostanze prendere la mano di un giovanetto, stenderla sopra la sua palma sinistra, con la parte concava volta all'insù; e la percuoteva colla sua destra aperta. Se il colpo produceva uno scoppio sonoro: - Bene, bene, dicevagli; andiamo d'accordo. Se quel rumore era tale che dimostrava l'aria non essere stata compressa nel modo che aspettavasi, esclamava: Ehm! Fra me e te va così, così. Se poi il colpo riusciva sordo, allora D. Bosco crollava il capo sorridendo e dicendo: - Cosa vuoi? Non andiamo d'accordo!
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Molte volte queste ultime parole erano uno scherzo per far ridere, ma altre volte moltissime erano da lui pronunciate per dare un avviso a chi ne aveva di bisogno senza che ei volesse spiegarsi di più, per es. ad un superbo, a chi era negligente nello studio e nel lavoro, o trascurava la frequenza dei Sacramenti, o faceva sospettare di una condotta morale non buona. S'intende che tale scoppio riusciva a volontà di Don Bosco che regolava il colpo. Tuttavia quella parola: - Non andiamo d'accordo - accompagnata dal suo sguardo pieno di tenerezza produceva l'effetto desiderato. In questi istanti quante smorfie, quanti rossori, quanti abbassamenti di sguardi, scorgevansi sopra i volti di certi alunni. Invece quando D. Bosco diceva: - Bene; andiamo d'accordo; - la gioia dei giovani era grande. Faremo ancora cenno di una sua abilità. Abbiamo già detto, nei volumi precedenti, come D. Bosco in occasione di certe feste, innanzi a tutti i giovani, desse più volte all'anno spettacoli meravigliosi di prestigio e che l'ultima volta fu nel 1864. I giuochi però che richiedevano la sola destrezza di mano non li smise così presto, e nelle ricreazioni ordinarie talora si alternavano colle altre industrie. Ci ricordiamo che un giorno venne un signore a visitare D. Bosco nel refettorio dopo pranzo. Dopo aver ragionato un qualche tempo, il Servo di Dio uscì fuori sotto i portici e i giovani accorsero, secondo il solito, a stringersi intorno a lui. D. Bosco fattili ritirare alquanto, li invitò a formare un largo cerchio ed a sedersi. Egli pure si sedette sul pavimento di pietra e pregò quel signore, che meravigliato stava osservandolo, a cedergli per un istante il suo bastone; e fatto recare uno sgabello lo invitò esso pure a sedere. Quindi con quel bastone incominciò giuochi
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difficilissimi, facendolo saltare dalla punta di un dito su quella di un altro; sulle braccia, sul gomiti, sulle spalle, sul naso senza toccarlo e senza lasciarlo cadere. I giovani erano fuori di sè dalla meraviglia e fuor di quello non potevano avere altro pensiero pel capo. Intanto questi giuochi e queste industrie non lo distraevano dalla vigilanza su tutto il suo ovile, ed era espertissimo nel conoscere le sue pecorelle. Perciò quando scorgeva in tempo di ricreazione certi crocchi e poteva dubitare s'intrattenessero in cose non convenienti o di mormorazione, ne chiamava uno e dicevagli: - Ho bisogno di un piacere da te: Prendi la chiave di mia camera, cerca nello scaffale il tale libro e portamelo. Il giovane correva, ma talora il libro non si trovava, veniva il fine della ricreazione, e D. Bosco ringraziandolo lo mandava a scuola. Tale altra mandava uno in porteria a vedere se era giunto un tal forestiero, un altro a cercare un compagno col quale diceva aver da parlare, un terzo a riconoscere se il prefetto era in ufficio, un quarto a prendere una berretta, a recare una lettera, ovvero a chiedere ad un professore le pagine della scuola. Era ingegnosissimo in questi ritrovati. E i giovani essendo eziandio costretti a recargli novella della commissione eseguita, erano tutti in moto, contenti di fare servizio a D. Bosco e senza che si accorgessero del fine pel quale così operava. D. Bosco era di una prudenza ammirabile. Un superiore sospettoso, è sempre causa di mormorazioni, irrita i poco buoni, rende diffidenti coloro che si regolano bene e perde l'affezione. Certe sere invece di ritenere presso di sè i giovani che andavano affollandosi, li disponeva in lunga fila e si metteva
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innanzi ad essa, ordinando che tutti imitassero quei gesti che egli avrebbe eseguiti pel primo. Ora batteva una mano contro dell'altra, ora saltellava sopra di un solo piede, ora camminava un po' curvo, ora colle braccia alzate, ora facendo mille movimenti colle dita, ora piegando le ginocchia in modo che i giovanetti volendo fare lo stesso sforzo andavano rovescioni per terra. Gli altri compagni sparsi qua e là erano accorsi a vedere, abbandonandosi a risa e a battimani prolungati. Quindi tutti si mettevano in marcia preceduti da D. Bosco il quale faceva cento strani giri intorno a tutti i pilastri, negli angoli nascosti, nei luoghi ove non giungeva la luce dei fanali, ovvero ordinariamente più deserti del cortile; e così cantando, ridendo, gesticolando assicuravasi cogli stessi suoi occhi che nulla accadesse di male. Anche fuori dell'Oratorio estendevasi la sua vigilanza ed egli accompagnava non di rado gli alunni alla passeggiata, studiando se in questa vi fosse nulla da osservare. Non voleva che si sbandassero, o entrassero in botteghe a far compere o andassero a far visita a qualche parente. Nel 1856 tornando egli con tutta la Comunità dalla Crocetta, sobborgo allora lontano da Torino, gli alunni percorrevano que' campi incolti, parte in gruppi distinti, parte ascoltando D. Bosco. Ed ecco alcuni e non dei migliori, allontanarsi dai compagni, prendendo altri sentieri. Farli chiamare perchè si riunissero al grosso della schiera poteva far supporre che D. Bosco nutrisse qualche sospetto. Perciò egli attese alquanto, ma appena messo piede in piazza d'arme, deserta in quell'ora, a gran voce invitò tutti a seguirlo; e correndo con essi attraversò quel vasto spazio, fino alle prime case della città. Quivi i giovani, secondo la consuetudine, si ordinarono in fila, mettendosi ciascuno al fianco del compagno assegnato, e ritornarono nell'Oratorio.
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D. Bosco intanto di tutti gl'inconvenienti che scopriva, di tutte le industrie da lui usate, ragguagliava i suoi chierici dando avvisi e norme secondo i casi; mentre queste industrie ci sempre moltiplicava cercando di attrarre a sè i singoli giovani, sui cuori dei quali anelava di avere una incontrastata influenza per il loro progresso nella virtù ed anche nella perfezione cristiana. Perciò ogni domenica, per torno invitava a pranzo alla sua mensa i giovani che avevano ottenuto i voti migliori di condotta; prima di ciascuna classe di studenti sucessivamente e poi gli artigiani di ogni singolo laboratorio uno dopo l'altro. A questo modo quasi tre volte all'anno ogni classe ed ogni laboratorio era rappresentato nel refettorio dei Superiori. Finito il pranzo i giovani si intrattenevano con D. Bosco che dava loro una pasta dolce. Talora eziandio come premio e per segno di confidenza invitava qualcuno di questi ad uscire in sua compagnia per Torino, onde potergli parlare liberamente sull'argomento della vocazione. Nel Giovedì Santo a tredici, scelti fra gli ottimi, lavava i piedi alla funzione della sera e poi li conduceva a cenare con sè,cortesia che gradivano moltissimo. Per dare poi una prova della stima che aveva per quegli alunni che servivano all'altare, senza distinzione fra i meno diligenti o i più esatti nei loro doveri, tutte le domeniche faceva venire a pranzo coi chierici i due giovani stati destinati a servire la messa della comunità nella settimana antecedente. Questi due alunni però non erano presentati a D. Bosco al levar delle mense. Tuttavia ciò era gran stimolo per essi a meritarsi altri segni di speciale affezione; mentre l'essere stati testimoni del contegno mortificato di D. Bosco, non poteva a meno di far constatare ad essi una delle sue eminenti virtù.
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Ma D. Bosco sovratutto, non ostante le sue molte e gravi occupazioni, era sempre pronto ad accogliere in sua camera, con un cuore di padre, quei giovani che gli chiedevano un'udienza particolare. Anzi voleva che lo trattassero con grande famigliarità e non si lagnava mai dell'indiscrezione colla quale era da essi talvolta importunato. Siccome in lui mai si vedevano nè atti di sorpresa, nè precipitazioni di giudizio, nè moti violenti, ma sibbene calma inalterabile e portamento sempre uniforme, tutti gli si presentavano volentieri, col cuore alla mano, e non fa meraviglia se tanta potenza esercitasse sullo spirito anche dei più riluttanti. Lasciava a ciascuno piena libertà di far domande, esporre gravami, difese, scuse, e un giorno avendogli chiesto un suo prete il motivo di tanta pazienza, egli coprendo la virtù e scherzando gli rispose: - Sai tu che cosa significhi essere furbo? Saper fare il bonomo! Così faccio io: lascio dire tutto quel che si vuol dire, ascolto l'uno, ascolto l'altro, attendendo bene alle parole; ma infine nel decidere tengo conto di tutto, e vengo a conoscere perfettamente ogni cosa. Gli alunni nel presentarsi all'udienza non omettevano mai una precauzione richiesta dal galateo e dai riguardi dovuti al Superiore. D. Bosco essendo inappuntabile nella pulizia della sua persona, questa nettezza l'esigeva negli altri. I giovani sapevano che quando uno di essi a lui presentavasi, egli prima esaminava il cappotto e il colletto, dava un'occhiata alle scarpe e se non li trovava in ordine li avrebbe mandati a ripulirsi. Quindi si presentavano in maniera che D. Bosco nulla avesse da osservare. Entrati poi in sua camera, D. Bosco li riceveva collo stesso rispetto col quale trattava i grandi signori. Li invitava a sedere sul sofà, stando egli seduto al tavolino, e li ascoltava
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colla maggior attenzione come se le cose da loro esposte fossero tutte molto importanti. Talora si alzava, o passeggiava con essi nella stanza. Finito il colloquio li accompagnava fino alla soglia, apriva egli stesso la porta, e li congedava dicendo: - Siamo sempre amici, neh! E i giovani discendevano pieni di gioia dalla sua scala, perchè non si può dire quale discrezione e saviezza tutta particolare avesse D. Bosco nel dare consigli opportuni, i quali messi in pratica producevano un proficuo e benefico effetto. Quante vocazioni nacquero in quella cameretta, quanti di buoni si fecero migliori in quelle visite! Egli un giorno disse ad un buon giovane: - Voglio che facciamo insieme un contratto. - E quale contratto? - Te lo dirò un'altra volta. Il giovane passò una settimana agitato da viva curiosità e andato a confessarsi dallo stesso D. Bosco si affrettò ad interrogarlo. - Mi dica! Qual contratto vuol fare con me? - E tu dimmi! rispose D. Bosco: Ti fermeresti volentieri nell'Oratorio per stare sempre con D. Bosco? - Magari! esclamò il giovane, senza però intendere la portata di questa proposta. - Ebbene, va da D. Rua e digli che io voglio fare un contratto con te. Il giovane andò a fare la commissione. D. Rua stette alquanto sopra pensiero non avendo a tutta prima inteso, ma poi lo condusse ad una conferenza che D. Bosco teneva ai Salesiani. Il giovane assistette a questa e a più altre, si ascrisse alla pia Società ed è zelante sacerdote Salesiano. Non tralasciava di fare amorevoli rimproveri a chi meritavali; ma quando temeva che fossero ricevuti in mala
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parte, procurava che insieme con quel permaloso si trovasse un compagno di giudizio, talora preavvisato e talora no. A questi rivolgeva la correzione, e così l'altro amico riceveva il fatto suo, intendeva quale era il suo obbligo senza addarsi, almeno in quell'istante, di tale artifizio. Ma il buon effetto non potea mancare, e riflettendo si accorgeva come D. Bosco avesse ragione e ritornava più tardi presso di lui per chiedere scusa e promettere condotta più esemplare. Talora succedeva una piccola scena ridicola. Colui, che pur conosceva l'arte di D. Bosco, se in quell'istante, mentre ascoltava il rimprovero, non fosse stato presente a se stesso, rimaneva confuso, ma taceva per rispetto al Superiore. Rimasto però solo con lui avrebbe voluto far sue ragioni; ma D. Bosco interrompevalo con queste sole parole: - Non mi hai capito! - Ciò bastava per dissipar quella nube, ma anche faceva intendere come avesse egli desiderato un po' di umiltà. Egli aveva anche un tatto squisito nel recar conforto agli afflitti per una sventura in famiglia, ai malaticci, agli accesi dall'ira per qualche litigio, agli agitati da scrupoli, a coloro che volevano andar via dall'Oratorio per dispiaceri, che dicevano sofferti o per altro motivo. Egli appena erano entrati nella stanza cominciava a calmarli con un sorriso e dando loro uno di quegli sguardi che andavano fino al cuore; poi con qualche lepidezza, che solamente lui sapeva dire in modo appropriato, acquietava in loro ogni passione e li faceva ridere; quindi li invitava a sedere e ad esporgli quanto desideravano che egli sapesse. Come avevano finito il suo avviso e consiglio la maggior delle volte riuscivano di consolazione a quei poveretti. Se si trattava di cose dipendenti da altri, gli diceva: - Va dal tale a nome mio e gli dirai: D. Bosco ha detto
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questo e quello. - Oppure: - Dì al tale che me ne parli e sta sicuro che non mi dimenticherò di te. Del resto sii solamente amico di D. Bosco e non temere; si aggiusterà tutto. Ad altri concludeva il discorso con fare il regalo di un'immagine, o medaglia, o libretto, o croce, od anche di un frutto; e talvolta con un atto di confidenza l'incaricava di una commissione da parte sua a qualche Superiore o compagno. In questo modo ritornava la pace ne' cuori e la tranquillità nella casa. E per la pace in casa egli faceva recitare tutti i giorni un'Ave Maria mattino e sera, nelle preghiere pubbliche. D. Costantino Giulio successore del Teol. Murialdo nella direzione dell'Opera Pia degli Artigianelli in Torino, diceva or son molti anni ad alcuni nostri confratelli salesiani: - Voi avete una gran fortuna in casa vostra che nessun altro ha in Torino, e neppure hanno le altre comunità religiose. Avete una camera nella quale chiunque entra pieno di afflizione, ne esce raggiante di gioia, e questa è la camera di D. Bosco! - E mille di noi han fatto prova di questa verità. Talvolta però la carità di D. Bosco in tali colloqui non otteneva pienamente i suoi intenti, ed allora egli ricorreva ad una medicina o ripiego da lui chiamata delle tre passeggiate. Quando eravi qualche ruggine o dissenso abbastanza accentuato fra due giovani adulti e vedeva cosa difficile rimetterli in buona armonia, allora invitava il primo a far una passeggiata con lui. Quest'atto di amicizia calmava quel cuore alterato, mentre D. Bosco lasciavalo raccontare tutta la storia dei torti che credeva gli fossero stati fatti. Un altro giorno invitava il secondo ad una bella passeggiata e lasciava che dicesse a carico del compagno tutto quello che
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credeva. S'intende che colle sue ragioni affabili cercava di dissipare i pregiudizi dell'uno e dell'altro, ma senza però urtare coi loro sentimenti. Finalmente invitavali tutti due insieme a venir con lui per un po' di svago. Sul principio facevano qualche smorfia, ma a D. Bosco non osavano dir di no. Silenziosi ed incerti lo seguivano. D. Bosco non tardava a prendere la parola, li faceva venire ad una spiegazione, li rallegrava, li muoveva al riso e quando si ritornava all'Oratorio erano ridivenuti amici. Altre industrie dobbiamo aggiungere alle già descritte. Non contento delle massime che suggeriva confidenzialmente a voce, queste le scriveva in piccoli fogli, che faceva pervenire ai giovani in moltissime occasioni e sempre opportuni. Per es. - Quanto fai, parli e pensi procura che tutto sia in vantaggio dell'anima tua. - Soffri volentieri qualche cosa per quel Dio, che tanto sofferse per te. - Nelle fatiche e nei patimenti non dimenticar mai che abbiamo un gran premio preparato in cielo. - Voglio che ci aiutiamo a vicenda a salvar l'anima. - Chi non è obbediente sarà privo di ogni virtù. - Chi cammina coi buoni, coi buoni andrà in paradiso. - Nell'ora della morte ti rincrescerà d'aver perduto tanto tempo, senza alcun vantaggio dell'anima tua. - Non merita misericordia chi abusa della misericordia del Signore per offenderlo. - Se perdi l'anima tutto è perduto. - Che cosa ti ha fatto il Signore che lo tratti così male? - Sta preparato. Chi oggi non è preparato a morir bene corre grave pericolo di morir male. - Custodisci i tuoi occhi riserbandoli a contemplare un giorno in paradiso il volto di Maria Vergine. E scriveva altri consigli a centinaia a centinaia che a noi non furono consegnati, perchè di natura troppo confidenziale. Anzi più volte scrisse un biglietto particolare a
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ciascuno di que' della casa quando il loro numero saliva quasi al migliaio. Non si contentava però sempre di semplici biglietti ma in parecchie circostanze dell'anno soleva scrivere ai suoi giovani bellissime lettere, e ai chierici generalmente in latino, intessute di detti tratti dai vangeli, dai santi Padri e dal libro dell'Imitazione di Cristo. Solendo tutti gli anni recarsi al Santuario di S. Ignazio sopra Lanzo per fare gli esercizii spirituali, sebbene colà fosse occupatissimo nell'ascoltare le confessioni, tuttavia trovava tempo per scrivere moltissime lettere anche a quelli dell'Oratorio. “ Io ne conservo parecchie, confermò un pio e dotto sacerdote antico alunno, e posso attestare che i pensieri ivi contenuti, ed espressi da D. Bosco in luogo lontano, giungevano a me molto opportuni per i bisogni della mia anima, come di persona che mi fosse stata presente ”. Questo faceva pure le varie volte che recavasi per qualche settimana in altre città. Da una di queste scrisse ad un suo prete indovinando i suoi pensieri e consolandolo di varie sue afflizioni. Quel prete restò meravigliato come D. Bosco avesse scelto così opportunamente l'istante per iscrivergli, e quando il Servo di Dio fu di ritorno, stupì nel sentirsi dire da lui: - Ti ho veduto che eri qui in camera, tutto afflitto e melanconico, e perciò ti ho scritto quella lettera per confortarti. - Di varii fatti consimili fece testimonianza per iscritto D. Bongiovanni Domenico con questa frase: “ Realmente D. Bosco scrisse lettere all'Oratorio, per cose ivi accadute che non poteva conoscere se non in modo sovrannaturale; e da queste si hanno molte prove che egli essendo lontano veniva invisibilmente a visitare i suoi figli ”. Rispondeva poi sempre con grande premura alle lettere, che da questi gli erano spedite in qualunque luogo ei si
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trovasse; eziandio se queste sembrassero non avere importanza. Anzi li eccitava sempre a scrivergli e nel tempo delle vacanze autunnali ricevendo da varii giovani informazioni sul loro tenor di vita, a questo raccomandava un po' più di studio, a quello una ricreazione ed un riposo più prolungato, ad un altro la fedeltà a quelle norme da lui ricevute in sul partire. Ad alunni o chierici di famiglia molto povera, chiedeva se avessero bisogno di qualche cosa, soggiungendo che arrivati a casa gli scrivessero liberamente subito. Ma le lettere dei giovani suggerirono a D. Bosco un nuovo mezzo per rendere sempre più sicura la loro perseveranza nella virtù. Così ebbero origine i biglietti che in certe occasioni speciali ei richiedeva da essi, come padre che per sua norma e per loro vantaggio, desiderava la loro confidenza. In questi, chi aderiva, scriveva il suo proponimento di praticare una speciale virtù, secondo giudicava essere il suo meglio; ovvero di fuggire un difetto, un vizio nel quale fosse solito ad inciampare. Non vi era però nessun obbligo di scrivere tali biglietti, e mentre se ne dava consiglio, in nessun modo si importunava chi la pensasse diversamente: piena, assoluta libertà. D. Bosco però prometteva il segreto, e i giovani in buon numero scrivevano con sincerità i loro proponimenti. Ciò richiedendo un atto di volontà risoluta, una riflessione attenta su quello che promettevano, un riandare, anche con un solo sguardo, il loro passato e il loro stato presente, servivano di eccitamento ad una riforma spirituale. Quei fogli chiusi erano consegnati in mano allo stesso D. Bosco, il quale leggevali e a tempo e luogo ricordava privatamente agli individui i loro proponimenti, li esortava a mantenerli, li ammoniva se vi mancavano. Quanto ei ci teneva a possedere i cuori per donarli a
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Dio! Sul finire del 1861 aveva manifestato ai giovani il desiderio di ricevere da essi un biglietto. E tutti lo scrissero e lo consegnarono. D. Bosco dopo qualche giorno salito una sera in cattedra, così parlò: - Ho letto tutti i vostri biglietti; vi ho trovate belle espressioni, promesse di preghiere e di buona condotta, ma in nessuno ho letto ciò che vivamente desiderava. Eppure in casa abbiamo un giovane, il cognome del quale avrebbe dovuto ricordarvi il mio desiderio. Non vi è il giovane Do nipote del Can. Marengo? Or bene; io aspettava da tutti questa parola: D. Bosco! le do la chiave del mio cuore! D. Bosco era fermamente persuaso che la confidenza nel Superiore fosse un efficace rimedio delle passioni e una preservazione da tanti mali morali; e che ogni atto di questa valesse una gran vittoria sopra il demonio. Un ottimo giovane, ci narrò D. Albera Paolo, era stato preso da una affezione molto viva per un compagno, e per quanto onestissima ne era disturbato. Tuttavia per qualche mese nulla ne disse a D. Bosco. Finalmente crescendo in lui quell'affetto, fu preso da scrupolo e confidò a lui il segreto del suo cuore. D. Bosco gli rispose: - Me n'ero accorto, sai, e viveva in qualche angustia per te; ma ora che ti sei aperto, io non temo più. - E D. Bosco per guadagnarsi tale confidenza dalla maggior parte de' suoi alunni, oltre non palesare in nessun modo ciò che veniagli confidato, sopportava sempre per amor di Dio, con pazienza eroica ed ilarità gli schiamazzi, le importunità, la vivacità di carattere, la varietà delle indoli e gli altri difetti dei giovani, fisici o intellettuali, o cagionati da una educazione rozza ed anche villana. E qui noteremo ancora, parlando dei biglietti, come Don Bosco ne conservasse con gran gelosia i più importanti, quale
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voce di richiamo per l'avvenire. Quante volte un giovane non ricordando più le promesse fatte al Signore, e piegando verso il male, vedeasi presentato quel biglietto che dolcemente rimproveravagli la sua infedeltà! Quante altre, certi uni che da tempo eransi restituiti alle case loro, quando meno se lo aspettavano, quando neppure più pensavano all'Oratorio, in mezzo agli affari, alla dissipazione ed eziandio ad una vita libertina, si videro giungere per posta quel biglietto così eloquente, ricordo degli anni della grazia e stimolo a ritornare sulla buona strada! Di questi biglietti, alla morte di D. Bosco, se ne trovarono alcuni pochi nel suo cassetto, scritti in certe occasioni solenni, da giovani che nella società civile e nel sacerdozio riuscirono modelli di virtù. Tutti gli altri erano stati distrutti dal buon padre. Di quelli conservati ne trascriveremo alcuni per edificazione di chi legge queste Memorie. Un biglietto allude alle cure speciali che D. Bosco prendevasi di quei fortunati fanciulli che facevano la prima Comunione. Ricordi dati dal mio caro D. Bosco in occasione della mia prima Comunione.
GRAZIE DA CHIEDERE.
1. Di morire in grazia di Dio. 2. Di poter ricevere i Sacramenti prima di morire. 3. Modestia ed abborrimento al vizio contrario.
PROMESSE.
Da farsi a Gesù Sacramentato che venne nel mio cuore. 1. Di andarmi a confessare una volta al mese ed anche più sovente secondo il consiglio del mio confessore. 2. Santificazione rigorosa delle feste.
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RICORDI.
1. Non praticar mai cattivi compagni. 2. Non star mai in ozio. 3. Ricordo fondamentale: Obbedienza ai genitori.
ROGGERO Giov.
Di un altro buon figliuolo che apparteneva alle classi superiori del ginnasio, non ometteremo lo scritto spirante una cara ingenuità.
Regole che propongo di eseguire coll'aiuto di Maria e col consiglio del confessore; 18 settembre 1857. O penitenza quaggiù, o non più luogo a penitenza. Qui brevità di penitenza, poi eternità di penitenza. Dopo averci pensato bene sopra, stabilisco quanto segue in penitenza de' miei peccati. 1. Per quanto mi sarà concesso non dormirò più di sei ore, ed anche meno e disagiatamente quanto potrò. 2. Digiunerò tutti i sabbati in onore di Maria SS., tutte le vigilie comandate e la quaresima tutti i giorni; e quando mi verrà data qualche cosa dilettevole al gusto, l'offrirò alla Madonna col privarmi di tutta o almeno di una parte: e quando mangerò qualche cosa di buono farò il confronto tra quel cibo e il fiele che bevette il nostro Signor Gesù Cristo. 3. Farò ogni giorno una visita al SS. Sacramento, reciterò ogni giorno il Recordare piissima virgo, bacerò tutte le sere e le mattine il crocifisso e farò le altre preghiere che son solito fare. Farò ogni mese l'esercizio di buona morte. Mi accosterò ai Santissimi Sacramenti una volta alla settimana od ogni giorno secondo il consiglio del confessore. 4. Mi guarderò bene dal recare offese ai compagni e procurerò di riparare agli scandali dati. 5. Perderò mai niente di tempo nello studio, occupando quanto potrò anche la ricreazione.
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6. Mi prenderò in tutti i mesi un santo per protettore particolare. Così per gennaio S. Francesco di Sales, per febbraio S. Gregorio Papa, per marzo S. Giuseppe, per aprile S. Marco.
Un terzo biglietto è così concepito:
Io R... Giacomo, coll'aiuto di Dio e di Maria SS. prometto di osservare questi proponimenti, incominciando dalla festa di tutti i Santi in cui spero di poter vestire l'abito clericale, 17 anniversario della mia nascita. 1. Domanderò ogni giorno a Dio che mi faccia morire, ma non mi lasci mai più commettere un peccato mortale. 2. Mi consacro intieramente a Lui, mettendomi nelle mani dei miei superiori e considerando come suo ogni più piccolo comando di essi. 3. Adempirò colla massima precisione tutti i miei doveri si spirituali che temporali. 4. Procurerò di vincere ogni rispetto umano e mi sforzerà a dare buoni esempi. 5. Mi accosterò ogni settimana alla Confessione e più spesso alla Comunione. 6. Farò ogni giorno una visita al SS. Sacramento ed a Maria Santissima. 7. Farò ogni sabbato qualche mortificazione in onore di Maria. 8. Celebrerò con particolare divozione le sue feste, facendovi precedere qualche digiuno. 9. Ogni giorno pregherò pei miei parenti, benefattori e superiori. 10. Se avrò la sorte di essere fatto sacerdote mi adopererò con tutto lo zelo per la salute delle anime e annunzierò ai popoli le glorie di Maria, da cui conosco specialmente il mio cangiamento di vita. 11. Pregherò sempre il Signore che mi conceda la perseveranza finale. Omnia Dominum in eo qui me confortat. Alla morte e al giudizio vedrò se gli ho conservati.
Finalmente nella carta di un giovane chierico, oltre le promesse specificate di osservare esattamente le regole della
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Pia Società e gli obblighi dello stato clericale si leggono questi due articoli:
1. Mi eleggerò un monitore segreto e lo pregherà a volermi osservare ben bene e a riprendermi ogni qual volta mi troverà mancare in qualche cosa. 2. Prima di cominciare qualunque studio leggerò un capo della biografia di Luigi Comollo, o di Savio Domenico, o di San Luigi Gonzaga o di altri pii giovanetti per imitarne le virtù. Terminata la lettura di que' libretti ritornerò da capo a rileggerli.
Chi non resterà commosso al pensare quel momento nel quale i buoni alunni, colla penna in mano, con quel foglio dinnanzi vergavano quelle linee colle quali fissavano le loro sorti per l'eternità felice, come dobbiamo sperare! Ci pare di vedere composte a serietà quelle sembianze giovanili, quegli occhi sollevati in aria per cercare la frase; e poi quel candore che manifestavano nei loro atti porgendo a Don Bosco la carta dei loro segreti! Ah! il Signore vi benedica, o cari giovani, e un giorno vi presenti a titolo di gloria i vostri biglietti. E quale era, noi ci domandiamo, il risultato di tante sante industrie? Risponde il Can. Giacinto Ballesio nella sua orazione: La vita intima di D. Bosco. “ D. Bosco governava il suo, anzi il nostro caro Oratorio, col santo timor di Dio, coll'amore, coll'edificazione del buon esempio. Qualcuno chiamerà questo governo teocratico. Noi lo chiamiamo governo della persuasione e dell'amore, il più degno dell'uomo. E non è a dire quanto fossero mirabili gli effetti di questo regime! Le centinaia di giovani studenti ed operai compivano con ardore ed esattezza i loro doveri. Ed un bel numero di loro non solo erano buoni, ma ottimi, ma veri modelli di pietà, di studio, di dolcezza, di
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mortificazione, guida amorevolissima, esempio fulgidissimo ed efficace. Giovani che non avrebbero fatto un peccato veniale volontario per tutto il mondo. Giovani di una divozione così soda e tenera, che aveva veramente dello straordinario. Com'era bello vederli in chiesa rapiti in un'estasi beata, celeste! E quante volte il patrizio della città conduceva i suoi figli all'Oratorio a specchiarsi nei figli del popolo, divenuti inconsapevolmente nobili e grandi per la loro pietà! Erano questi i carissimi di D. Bosco, e pieni del suo spirito lo aiutavano potentemente e molto grande e salutare influenza esercitarono sui loro compagni. Si videro nell'Oratorio le dolci e belle virtù; l'innocenza, la semplicità, la felicità cristiana, onde sono tanto cari i primordii di S. Domenico, di S. Francesco d'Assisi coi loro discepoli. E quello che l'uomo profano chiamerebbe leggenda, è verissima istoria ”.
CAPO XXXII. Le sante industrie - Movente e scopo: l'eternità e la salvezza delle anime - Cooperazione di Dio - Il ragionamento non vale contro i fatti - D. Bosco legge nelle coscienze - Testimonianze universali de' giovani - Cose ammirabili al tribunale di penitenza - Segrete ansietà spirituali calmate - Increduli vinti dall'evidenza di fatti Personali - Gli ipocriti scoperti - Altre prove che D. Bosco legge in fronte i segreti dei cuori - Gli immodesti - Chi non ha la coscienza in ordine cerca star lontano da D. Bosco - Premure di D. Bosco nel richiamarlo a Dio - Avvisi misteriosi per iscritto - Una testimonianza di D. Rua - D. Bosco sorprende nelle menti altre specie di pensieri - Vede meglio quando non guarda.
Tutte le industrie sovradescritte, benedette dal Signore, avevano per unico scopo la salvezza delle anime. D. Bosco teneva fisso nella mente la spaventevole ed incomprensibile eternità dei dannati; la giustizia di Dio che mai non muterà e non addolcirà mai la sentenza già data; il fuoco onde ardono che mai non si estingue, il verme che li rode e che mai non muore; la morte che i miseri invocano e che non verrà mai a porre un termine ai loro tormenti. Nello stesso tempo rimirava
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il divin Redentore sulla croce, tutto bagnato di sangue che muore per la salvezza dei peccatori: e frutto della sua passione il Sacramento della penitenza, industria ritrovata dalla sua misericordia infinita per facilitare la conversione di quelli che altrimenti andrebbero perduti. Osservava eziandio che i peccatori più grandi son quelli su cui Iddio maggiormente diffonde le sue grazie, qualora non resistano volontariamente, come avvenne a S. Agostino e a tanti altri. Egli tutto compenetrato da questi pensieri tremava per la sorte disgraziata che avrebbero forse incontrata tanti giovanetti; prevedeva le loro battaglie spirituali causa non di raro di luttuose sconfitte; sentiva in sè la potenza ineffabile di rimettere i peccati; era certo che solo per suo mezzo non pochi sarebbero giunti al porto dell'eterna salvezza. E poi amava appassionatamente le anime per guadagnarle a Gesù Cristo. Sono queste le ragioni per le quali D. Bosco, senza far caso talora di certi riguardi umani, opportunamente od importunatamente invitava molti al lavacro salutare della confessione. I nostri lettori abbiano sempre innanzi agli occhi il movente di D. Bosco in questi inviti e troveranno la spiegazione di moltissimi fatti che dovremo esporre nei nostri volumi. Nello stesso tempo si persuaderanno che non solo Iddio approvava il procedere di D. Bosco alla salvezza delle anime, ma cooperava all'ardente suo zelo in modo meraviglioso. Affermasi nei Proverbi al Capo XXVII: “ Come nelle acque risplendono le faccie di quelli che vi si mirano, così i cuori degli uomini sono manifesti ai sapienti ”. Ma la pazienza di D. Bosco andava più in là, poichè avendo dinanzi agli occhi il passato e l'avvenire di tanti giovani, ei se ne serviva per dirigerli o per ammonirli dei pericoli ai quali sarebbero andati incontro.
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Passiamo a nuove testimonianze e prima quella lasciata per iscritto nel 1861 dal professore in belle Lettere Don Giovanni Turchi, uomo guardingo nel credere, critico severo. “ Ciò che son per dire, egli così incomincia, può sembrar roba da superstizioso e da fanatico, e chi per avventura leggesse questo mio foglio, darebbemi per lo meno la taccia di leggero e troppo credulo. Perdono a tale sentenza, giacchè io pure non so rendermi ragione, nè qual giudizio fare di certe cose che veggo in D. Bosco. Tuttavia che vale il ragionamento contro i fatti? Il fatto perde nulla del suo valore, ancorchè ad alcuno piaccia ragionarvi contro. Quando si tratta di fatti, non si deve fare altro che esaminarne, per mezzo di sicure e indubitate testimonianze, la verità, la quale se intrinsecamente non si può penetrare hassene ad incolpare l'insufficenza nostra, tenendo che non è mai assurdo quello che è avvenuto. Ciò premesso, narro: ” Da dieci anni che io sono all'Oratorio sentii le mille volte a dire da D. Bosco: - Datemi un giovane che io non l'abbia mai conosciuto in modo veruno ed io guardatolo in fronte gli rivelo i suoi peccati incominciando ad enumerare quelli della sua prima età. ” Talora soggiungeva: - Molte volte confessando vedo le coscienze dei giovani aperte dinanzi a me come un libro nel quale posso leggere. Ciò accade specialmente nelle occasioni solenni di feste e di esercizi spirituali. Fortunati coloro che si approfittano allora de' miei avvisi, in ispecie nel Sacramento della Penitenza. Altre volte però vedo nulla. Questo fenomeno succede ad intervalli più o meno lungamente. - Cioè tutte le volte che lo richiedeva la salute delle anime. ” Ma in generale D. Bosco attenuava l'impressione che
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potevano fare le sue parole, sviando l'idea di un dono soprannaturale e diceva sorridendo: - Quando confesso, bramo se è di notte che il lume sia posto in modo che io possa vedere i giovani in fronte; e se è di giorno preferisco che mi vengano dinanzi perchè così li confesso più speditamente. ” Egli vedeva adunque la coscienza dei suoi giovanetti appieno svelata come in uno specchio e che questo sia vero ne sono più che certo ed ho visto cento e cento volte ripetersi questo fatto. ” Ecco ciò che gli alunni appellarono: Il leggere in fronte. ” Io non voglio pronunziare giudizio di sorta. Mi basta narrare le cose come le so io e con me tutti i giovani dell'Oratorio ”. In loro era tanto radicata la credenza che D. Bosco leggesse nelle coscienze non solo i peccati esterni, ma anche i pensieri più reconditi, che la massima parte di essi confessavasi più volentieri da lui che non da altri sacerdoti, dicendo: - Andando da lui siamo più sicuri di fare delle buone confessioni e comunioni; e se per caso noi ci dimenticassimo qualche peccato, egli certamente ce lo ricorderà. Ed era una moltitudine quella che circondava il suo confessionale. Una persona religiosa molto zelante e prudente un giorno vista quell'affluenza, disse a D. Bosco come egli avrebbe dovuto astenersi dal confessare i suoi giovani, poichè era facile che per timore o vergogna tacessero i peccati. - Sta a vedere, le rispose ingenuamente D. Bosco, se io li lascio tacere! - Ed era questa la convinzione comune a tutti gli alunni che cento volte si udirono esclamare: - È inutile tacere o nascondere peccati a D. Bosco; perchè li conosce ugualmente.
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Infatti senza numero sono coloro che anche oggigiorno affermano esser loro accaduto più volte di sentirsi scoprire da lui in confessione ed enumerare le colpe in modo così chiaro e ad una ad una, come se le avesse sotto i suoi occhi scritte in un quaderno. Scopriva ai penitenti i peccati che avevano dimenticato o che non osavano confessare. Soleva dire: - E di questo peccato non ti accusi? Di quest'altro non ti ricordi più? - Ma il più mirabile si è che D. Bosco nel palesare ad un giovane il suo peccato, aggiungeva talora, quasi per confermarlo nella persuasione che tutto egli già sapesse: - Tu nel tale anno di tua età, nella tale occasione, in quel tal luogo, dopo le tali circostanze, hai fatto questo e questo; - e precisando con esattezza il numero delle colpe. E non sbagliava, come a noi stessi attestarono varii dei nostri amici e come eziandio confidarono a Mons. Cagliero molti dei suoi compagni, stupiti nel veder svelati i più reconditi segreti della loro anima. Ma qui non si fermano le meraviglie. D. Turchi continua ad asserire: - Ho conosciuto tanti giovani che mi dissero: - Andai a confessarmi da D. Bosco il quale mi interrogò: - Vuoi dir tu o vuoi che dica io? E lasciando che dicesse lui, ci mi recitò nè più nè meno, i peccati da me commessi. Io non aveva che a rispondere sì, sì: anzi certe cose sfuggite alla mia mente, egli me le ricordò senza mai sbagliare. - Questo metodo di confessare non è a dirsi quanto consolasse quei piccoli penitenti, che volevano fare la confessione generale ed erano imbrogliati a trovare il bandolo della loro matassa arruffata. Andavano da Don Bosco e incominciavano con questa parola: - Dica lei! E D. Bosco svelava brevemente, con ordine e tutto a puntino, la loro storia segreta; non avevano che da rispondere affermativamente per far l'accusa.
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Quindi combattuti da qualche tentazione, od agitati da qualsivoglia pena di spirito, non essendo contenti di sè, dopo le orazioni, andavano senza parlare innanzi a Don Bosco e lo guardavano in volto in modo di attirarne l'attenzione, sicchè potesse fissarle. Se nulla diceva, sicuri che avesse letto nei loro cuori non essersi annidato il male, andavano tranquilli al riposo. Sovente, anche lungo il giorno, D. Bosco se li vedeva comparire innanzi, ed egli con un cenno della mano, con uno sguardo con una parola, senza che quelli avessero aperto bocca, li rassicurava. E i giovani sentivano dileguarsi la pena interna e se prima erano melanconici, si vedevano andar via tranquilli e ridenti in volto, come quando il sole con la sua luce fuga le ombre. Un chierico era tormentato dagli scrupoli, sempre indeciso se andare sì o no alla Comunione; da una parte gli sembrava di poter accostarsi alla sacra mensa, dall'altra temeva di fare un sacrilegio. Attendeva una sera la sua volta per confessarsi da D.Bosco nel coro della chiesa di S. Francesco di Sales. Questa rischiarata solo dalla lampada, era avvolta in una semioscurità, che certo non poteva far distinguere a D.Bosco anche a breve distanza alcuno fra i tanti giovanetti, che gli stavano inginocchiati d'attorno. Il chierico angosciato dalle sue pene interne non poteva più reggere pensando la sua confessione quando tutto ad un tratto gli balena un'idea: - Se D. Bosco mi leggesse nel cuore, se avanti ch'io mi confessi mi chiamasse, mi dicesse di stare tranquillo e mi comandasse di andare domattina alla santa comunione senza confessarmi, come mi farebbe piacere! Sarebbe segno non dubbio che le cose dell'anima mia vanno bene! Ed io non darei più alcun caso alle mie inquietudini e sarei guarito.
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Egli stava inginocchiato innanzi al confessionale e non veniva per anco il suo turno; ma appena ebbe finito questo interno soliloquio, sentì una mano che lo toccava leggermente sulla spalla, e alzatosi, la voce soave di D. Bosco gli disse all'orecchio, quasi rispondendo al suo pensiero: - Va pure domani mattina alla S. Comunione senza confessarti e sta tranquillo. Il chierico obbedì e da quel giorno non andò mai più soggetto a scrupoli. Ma non solo nel 1861 accaddero maraviglie simili a questo Ne fu intrecciata tutta la vita di D. Bosco e D. Berto Gioachino scrisse la seguente pagina. “ Più volte vidi giovani che stavano attendendo da più ore per confessarsi dal Servo di Dio, ai quali pareva avere imbrogliatissima la coscienza: ma egli tratto tratto con un cenno chiamava a sè or l'uno or l'altro, dicendo a ciascuno in particolare all'orecchio: Va pure a fare la Santa Comunione. - Siccome noi sapevamo già per esperienza chè egli aveva dei lumi soprannaturali, così ad un cenno suo e ad una sola parola obbedivano ciecamente. In questo modo egli riusciva pure a liberare molti giovanetti dagli scrupoli. Lungo il giorno poi incontrando alcuno del suddetti, per maggiormente tranquilizzarli diceva loro in un orecchio: - Questa mattina ti ho mandato alla Comunione senza confessarti, perchè ho veduto che la tua coscienza era pulita. - Oppure: Quelle cose che tu volevi confessare non erano peccati. ” Di questi fatti ne sono io stesso testimonio personale, perchè li ho provati più volte e li udii a raccontare da varii miei compagni, di cui per convenienza taccio il nome ”. Giunti a questo punto più d'uno potrebbe chiederci se nell'Oratorio fossero tutti persuasi di tale virtù di D. Bosco, e se non sorsero mai dubbi intorno alla veracità della cosa.
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Osserveremo: i sospettosi, i propensi a tirare al peggio ogni detto o fatto altrui certamente non mancarono in una casa tanto numerosa, ove ogni anno una parte degli alunni era nuova, molti toccavano i sedici e altri i vent'anni, e che sul principio conoscevano D. Bosco solo di nome. Ma il Professore D. Turchi nel citato manoscritto, risponde: “Son molti che hanno riso del leggere in fronte, ma so ancora che costoro si diedero per vinti all'eloquenza dei fatti. Accennerò per brevità solo ad alcuni casi. Nei primi anni dell'Oratorio un giovane Biellese di nome Ro.... giunto in Torino andò a confessarsi nella chiesa della Consolata e quindi scese all'Ospizio di S. Francesco ove era accettato come studente. Il Prefetto lo accolse con bontà e dopo il pranzo presentollo a D. Bosco, il quale non lo conosceva affatto, poichè era la prima volta che incontravalo. D. Bosco parlava coi giovani che lo circondavano della scrutazione dei cuori, e quelli rammentavano qualche sorprendente rivelazione da lui fatta di certi segreti. Il nuovo alunno ascoltava quei ragionamenti, e ad un tratto saltò su a dire arditamente: - D. Bosco! Io la sfido a leggere i miei peccati; anzi la invito a dirli ad alta voce che tutti ascoltino! ” D. Bosco gli rispose: - Vieni qua - e come l'ebbe vicino lo guardò in fronte e poi gli disse qualche parola nell'orecchio. Il giovane divenne rosso in faccia come bragia. D. Bosco tornò a guardarlo in fronte e di nuovo gli disse in segreto qualche altra parola che forse precisava in modo particolareggiato la sua vita passata. Infatti il giovane incominciò a piangere e gridò: - È dunque lei che stamane mi confessò nella Chiesa della Consolata! Non è questo il modo di fare! ” - Ma che! Ma che! lo interruppero i compagni: Don Bosco stamane non è ancora uscito di casa, e non poteva
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neppur sapere che ti fossi confessato. Sei ben lontano dal vero perchè non conosci ancora chi sia D. Bosco. È la cosa di tutti i giorni! ” A queste ragioni evidenti il buon giovane si tranquillò e da quell'istante in poi ripose in D. Bosco tutta la sua confidenza. Io era presente a questo fatto; e anche D. Rua ne fa testimonianza. ” Una simile sorpresa accadde ad un giovanetto delle parti di Buttigliera. Un giorno dell'anno scolastico già incominciato, io mi trovava con altri alunni, fra i quali Cerruti Francesco, D. Rua e il ch. Cagliero intorno a D. Bosco. Gli domandavamo qualche avviso che ci servisse di regola per il progresso nella virtù, e sovrattutto che ci ammonisce più direttamente riguardo ai bisogni dell'anima di ciascuno di noi in particolare. Intanto un giovane sui tredici anni, nella casa del quale D. Bosco erasi più di una volta intrattenuto, di nome Cesare B...., avendo sentito ripetersi dai compagni che D. Bosco conosceva i peccati nascosti nelle coscienze, si presentò a lui, e con certa franchezza gli disse: - Lei non conoscerà mai il mio interno! -Allora Don Bosco che era seduto, in presenza di tutti lo trasse a se, e gli parlò per qualche tempo all'orecchio. Quando ebbe finito il giovane rialzò il capo e rivoltosi a tutti noi presenti, profondamente commosso, ci disse con mirabile ingenuità: - Don Bosco ha indovinato. È una cosa che non ho mai detto a nessuno e neppure in confessione! - Quindi si allontanò da lui promettendo di andare presto a confessarsi. ” Un altro giorno mentre D. Bosco era nel refettorio dopo la colazione, e parecchi di noi come al solito standogli intorno, egli ci guardava sorridendo amorevolmente, dicendo di conoscere l'interno del nostro cuore. Uno studente, del quale credo dover tacere il nome, e che abitando in città
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veniva spesso nell'Oratorio, quasi sprezzando ciò che egli giudicava impossibile, lo interruppe dicendogli: - Ebbene; mi dica i miei pensieri! - D. Bosco fattoselo accostare gli parlò sotto voce. Ciò che gli disse non lo abbiamo saputo, ma fatto sta che quegli rimase imbrogliato e confuso, e non osò più replicar verbo. Io era presente. ” Un mio compagno studente di teologia andò or sono due anni in villeggiatura per alcuni giorni con un signore onesto e religioso in paese, distante non so ben se dieci o più miglia da Torino. Come fu di ritorno andò a confessarsi da D. Bosco e quindi mi confidò: - Devo dirtene una bella. Prima di venire a Torino avevo sulla coscienza un peccato e vergognandomi di accusarlo poi a D. Bosco, mi confessai dal parroco del paese dove io era. Ora, pochi giorni sono trascorsi, andai a confessarmi da D. Bosco, ed egli dopo la confessione, dissemi: - Guarda, io lo so bene che tu hai fatto così e così (e mi disse il peccato qual era). - Io, seguitò questo mio compagno, sono fuor di me dallo stupore, ed ho imparato a mie spese che quando uno fa qualche grossa scappata non val la spesa confessarsi da altri, chè Don Bosco il sa lo stesso ”. Fin qui D. Turchi che non fu solo a rendere tale testimonianze a D. Bosco. D. Giovanni Prof. Garino ci consegnò la seguente relazione. “ Era l'anno 1858, o 1859 ed un mattino d'inverno ci trovavamo in buon numero intorno a D. Bosco che stava prendendo un po' di caffè. Eravamo tutti stretti intorno a lui, chi dinanzi seduto sopra la lunga tavola in capo alla quale ei sedeva, chi ai fianchi, chi dietro alle spalle. Tutti ridevano, faceziando con molta confidenza, ma con rispetto, come è costume di buoni figliuoli affezionati
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al padre. Fra le altre cose alcuno incominciò a dire come D. Bosco vedesse il futuro, sapesse quando alcuno deve morire, e via via. In quello stesso mattino e nello stesso luogo mi ricordo come D. Bosco dicesse nell'orecchio a questo e a quello certi loro segreti, di che tutti fortemente stupivano. Sopra una piccola panca il giovane C.... Evaristo sedeva vicino a lui, alla destra. Piuttosto svegliato, e non dei più esemplari, egli rideva delle parole e degli atti di D. Bosco e dei compagni e con una certa aria, quasi di sprezzo, indicava abbastanza quel che pensasse di simili cose. Ad un tratto disse: - D. Bosco io non credo che lei vegga le cose nascoste. Mi dica un po'- e provocava D. Bosco a dirgli non so qual suo segreto. D. Bosco lo prese in parola, e abbassato il capo al suo orecchio gli sussurrò alcune parole che non furono da noi intese. Ma il fatto si è che quel giovane divenne rosso, tacque, si compose a serietà e più non osò dire che Don Bosco non vedesse o non conoscesse le cose segrete”. Enria Pietro narrava: - Mi confidò un mio compagno che una volta essendo caduto in una grave colpa non voleva più lasciarsi vedere da D. Bosco. Ma incontratosi a caso con lui sentissi dire con paterna affabilità: - Tu non osi più lasciarti vedere perchè hai commesso un peccato! E glielo specificò. Nessuno al mondo avrebbe potuto venire in cognizione della sua mancanza, ed egli sbalordito e pentito pregò D. Bosco ad ascoltarlo in confessione e cambiò vita. Altre volte di sera mentre facevamo ricreazione D. Bosco si avvicinava a qualcuno, gli diceva qualche parolina all'orecchio, e questi appena terminate le orazioni prima di andare a letto, si recava in sacrestia o saliva alla camera di D. Bosco e là si confessava. Questo dono fatto dal Signore a D. Bosco di conoscere
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lo stato spirituale di certi giovanetti, non gli venne a mancare in tutto il tempo della sua vita; sicchè non esitava a quando a quando di ricordarlo agli stessi alunni. Nel 1869 parlando una sera dopo le orazioni a tutta la comunità che numerava 900 persone fra le quali oltre a cento uomini istruiti e di senno diceva: - Io ho ricevuto dal Signore il dono di conoscere gli ipocriti. Quando alcuno di costoro mi si avvicina, sento un non so che di nauseante, che non posso tollerare. Si accorgono essi di questa mia sofferenza, sentono che io li conosco per quelli che sono; e questo è il motivo per cui mi fuggono. E i fatti continuavano a fargli testimonianza. Un mattino del 1870 D. Bosco usciva di Chiesa e i giovani appena lo videro gli corsero numerosi intorno. Benchè varii sacerdoti lo avessero coadiuvato nell'ascoltare le confessioni, egli era molto stanco per la moltitudine dei suoi penitenti. Tuttavia parlava grazioso con tutti. A un tratto si volge a un giovanetto e facendogli passare sulla fronte il dito indice della sua mano destra gli dice sorridendo: - Stamane non ti sei lavata la faccia. - Ma sì, D. Bosco. E D. Bosco sempre sorridendo gli replicò: - Ma nooo, ma nooo, strisciando carezzevolmente sul o. E quindi prese a parlargli all'orecchio e il giovane abbassare il capo, pensieroso. D. Bosco gli diceva che non era andato a confessarsi e che ne aveva di bisogno. Era presente Don Parigi Agostino che ci narrò poi l'accaduto. Di un altro caso simile noi stessi che scriviamo fummo testimoni. Negli esercizi spirituali del 1870 un giovane adulto baldanzoso e poco buono, prima di andarsi a confessare
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vantavasi in mezzo ai compagni che D. Bosco non avrebbe mai saputo i suoi peccati. Fa la prova, gli dissero gli amici. - Sì che la faccio, ma son tutte storie ciò che si narra di D. Bosco. E spensierato, ridendo, entrò in chiesa e s'inginocchìò ai piedi dì D. Bosco. La sua confessione fu abbastanza lunga. I compagni lo attendevano in cortile. Uscì fuori coi capelli scomposti, gli occhi rossi, quasi fuori di sè. I compagni lo circondarono: - Ebbene, ebbene! - Lasciatemi stare! - Che cosa ti ha detto D. Bosco? - Vi dico che mi lasciate stare. - Erano storie quelle che ti narravano di D. Bosco? - Storie? mi ha detto tutto, tutto: anche ciò che mi era dimenticato! Ma lasciatemi solo! - E si mise a passeggiare sotto i portici ripetendo sotto voce: - mi ha detto tutto, tutto. Costui più tardi quando alcuno metteva in burletta questo dono di D. Bosco, prendendo a spada tratta le difese ripeteva: - Venite dirlo a me che non è vero! Di questi casi noi potremmo qui riportarne ancora un gran numero, ma essendo collegati con avvenimenti di somma importanza, li esporremo ove lo esige l'ordine dei nostri racconti. Chiuderemo tuttavia, per soprabbondare, i fatti su esposti, ripetendo ciò che una sera del 1871 abbiamo udìto da D. Bosco nel refettorio. I giovani si erano ritirati e rimasero attorno a lui Don Rua ed altri Superiori, che volsero il discorso su certi mali morali, causa precipua della rovina di tanti giovani. Don Bosco dopo aver ascoltato così esprimevasi: - Certi mali
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il difficile è conoscerli per poterli curare. Tuttavia il Signore usa una grande misericordia verso i nostri giovani. Io quando mi trovo in mezzo a loro, vi fosse anche un solo immodesto, me ne accorgo per un fetore insopportabile che tramanda; e se si avvicina e mi vien dato di vedere il suo volto, son sicuro di non sbagliare nel mio giudizio. Gli è per questo che certi giovani, per tema che egli leggesse loro in fronte, si tenevano lontani. E se per qualche ragione, o perchè chiamati dovevano andare al suo cospetto, scoprendosi per riverenza il capo, solevano tenere il berretto innanzi alla fronte o su di essa far scendere i capelli, come se ciò bastasse a nascondere la propria coscienza. Ciò accadeva specialmente in principio dell'anno scolastico quando gli alunni ritornati dalle vacanze non avevano ancora aggiustati i conti con Dio; sicchè giungendo Don Bosco in cortile, si sentiva come un volo d'uccelli, un fuggi fuggi, e rimanevano con lui solo i buoni che per fortuna erano molti. Fuggivano tutti quelli che avevano la coscienza sporca; - perchè, dicevano, D. Bosco ci fissa gli occhi in fronte e legge tutto. - E quando qualcheduno per es. alla sera sotto i portici dopo le orazioni, era visto dai compagni ritirarsi dietro agli altri, interrogato, perchè non si fermasse al suo posto, rispondeva impacciato: - Perchè D. Bosco mi legge negli occhi i peccati. Ma D. Bosco tendeva loro le sante sue reti per tirarli a sè e quando riusciva a dir loro una parola la vittoria poteva dirsi sicura. Con frasi prudenti un po' velate faceva la correzione per mancanze occulte; p. e.: -Tu hai conti da aggiustare con Dio. - Altre volte vedendo alcuno melanconico, gli diceva: - Caro mio, bisogna togliere dal cuore il demonio per stare tranquilli. - So di un giovane, diceva
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D. Bonetti, che avendo commesso un tale peccato, mentre credeva che nessuno lo sapesse, essendo passato una sera presso D. Bosco questi lo chiamò a sè e gli disse sottovoce: - E se muori stanotte che sarà di te? I1 giovane quella notte non potè prendere riposo, e al mattino corse a fare una buona confessione. Spesse volte in ricreazione chiamava un giovane vicino a sè, suggerendogli di andarsi a confessare della tale e tale colpa ed il suo suggerimento era di una sorprendente opportunità. E lo ammoniva, lo avvertiva a far senno e lo scongiurava a dar consolazione al cuore misericordioso di Dio. Quando però non riusciva ad avvicinare certi giovani, allora ricorreva ad altri mezzi per scuotere le coscienze dal letargo. Uno fra questi era mettere una letterina od un biglietto sotto il capezzale di chi ne aveva bisogno. Il colpo che faceva questa carta è indescrivibile. Da un po' di tempo D. Bosco usava le maggiori e più cordiali sollecitudini ad un giovanetto, che a dispetto di tanta tenerezza manteneva il suo cuore ostinatamente chiuso. Ora una sera questo fanciullo andando a dormire trovò un biglietto sul letto. Lo prese: era firmato da D. Bosco. Ne conobbe il carattere; lesse: Se stanotte ti accadesse la disgrazia di morire, dove vai? Il giovanetto restò impietrito; sulle prime stette in piedi vicino al letto agitato e convulso; poi corse alla camera di D. Bosco e bussò. Erano le 10 di sera. D. Bosco venne ad aprire; il giovanetto entrò esclamando: - Ah D. Bosco vuol farmi la carità di ascoltare la mia confessione ? - D. Bosco lo accolse commosso. Il giovanetto cadde in ginocchio e si confessò. - Ciò fatto corse tutto allegro a dormire. Egli stesso al mattino seguente appena alzato ne parlava al giovane
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Piano Giovanni Battista manifestandogli come realmente si fosse trovato in gran bisogno di confessarsi, e come D. Bosco avesse conosciuto con minuta precisione lo stato di sua coscienza. Ed aggiungeva di aver passate poche notti così tranquille come quella. Un altro giovane mentre ripiegava l'orlo del lenzuolo prima di coricarsi, si sentì fra le dita una carta! - Oh! esclama ad alta voce! Che siano i numeri del lotto? Preso da curiosità va in mezzo della camerata, sotto il lume, per leggerlo. Quel biglietto era scritto da D. Bosco e non eravi altro che il nome del giovane ripetuto due volte con un punto di esclamazione. Legge e rilegge ed esclama: - Countacc! - Quindi ritorna presso il letto, infila la giubba che si era già tolta e senz'altro corre a confessarsi. Da ciò si deduce che D. Bosco conoscendo aver alcuno commesso un grave peccato non poteva assolutamente soffrire che si addormentasse in disgrazia di Dio con pericolo di non più svegliarsi. D. Rua sa di qualche altro che trovò sotto il capezzale un bigliettino con le seguenti semplici parole: - E se tu morissi stanotte? - Oppure: - E se muori questa notte che sarà dell'anima tua? sei sicuro di andare in Paradiso? - Ed anche: - Se dovessi morire saresti tranquillo? - E con altre o simili sentenze li traeva a mettersi all'istante in grazia del Signore. Qualcuno potrebbe dire, affermò giustamente Mons. Cagliero, prevenendo un'obbiezione, che D. Bosco sarà stato avvertito dagli assistenti delle mancanze di que' giovani; ma io osservo che nei primi tempi dell'Oratorio, cioè per dieci e più anni, non vi erano ancora assistenti fissi; perciò non le poteva sapere da questi. Io posso di più assicurare che quelli stessi che ricevevano tali avvisi, erano persuasi che
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D. Bosco non conoscesse i loro difetti se non per virtù divina. Lo spirito adunque il quale illuminava D. Bosco nei primi dieci anni, è lo stesso che lo guidò in tutti gli anni seguenti. Aggiungeremo ancora che non solo i peccati, i dubbi gli scrupoli D. Bosco leggeva in fronte alle persone, ma altresì molti pensieri di vario genere. Sovente dava avvisi ad un alunno secondo il suo bisogno interno, causato da turbamento o dall'esito incerto degli studi, o da affari disgustosi di famiglia. Altre volte dissipava un malumore nascosto proveniente da troppa timidezza, da gelosia, da rancore e da diffidenza. Talora dava all'improvviso un consiglio non chiesto, ma che desideravasi domandare e con una precisione corrispondente in tutto al desiderio. Di questa sua intuizione servivasi ancora D. Bosco per risolvere o dissuadere i giovani che erano titubanti circa il seguire o non una vocazione che pareva chiamarli allo stato ecclesiastico. A molti che sono salesiani, e fortunati d'esserlo, egli disse francamente: - Se tu vuoi salvarti non hai che a percorrere questa via. Iddio ti chiama per questa. Anche le persone estranee alla casa parteciparono di tale benedizione. “Molte di queste, ci attestò D. Rua, mi referirono come D. Bosco indovinasse la causa di certe loro pene, arrecando un soave conforto prima ancora che aprissero bocca ”. Noi qui dovremmo fare punto, perchè inesauribile è l'argomento colle testimonianze di Mons. Cagliero, del Teologo Piano, del Canonico Ballesio, Buzzetti Giuseppe, Villa Giovanni e altri e poi altri. Ma per finire rechiamo ancora un fatto. D. Bosco innanzi ad un certo numero di preti e chierici trattava sul modo di dare pubblicità a certe sue opere. Era presente un coadiutore di 40 e più anni che aveva per lui
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la massima venerazione, eppure in quel momento, senza che nulla esternamente palesasse il suo pensiero, disse in cuor suo: - Ciarlatanate! - Come D. Bosco ebbe finito di parlare tutti si ritirarono e rimase quel coadiutore, al quale il buon padre si rivolse sorridendo: - Dunque tutte ciarlatanate...? - Ma io!... - Hai ragione però. D. Bosco è un ciarlatano - e con tutta amorevolezza passò ad altri discorsi molto importanti e di confidenza. Molteplici furono simili rivelazioni ed una volta vi fu chi notò in sua presenza come niente gli sfuggisse di quanto accadeva dintorno a lui, sebbene tenesse quasi continuamente gli occhi bassi. Ed egli rispose: - Gli è che vedo meglio senza guardare! - Vedeva infatti cogli occhi dello spirito illuminati dalla preghiera.
CAPO XXXIII. 1860 - Letture Cattoliche - Avvisi di D. Bosco agli associali per allontanare i mali presenti e premunirsi dai futuri - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Il danaro di S. Pietro - Conversione di due giovanetti anglicani e di un ebreo - Il Vescovo di Ivrea nell'Oratorio - Cortesie di D. Bosco ad un ministro protestante - Un neofito raccomandato all'Oratorio dall'Arciprete della Cattedrale di Vercelli - La festa di S. Francesco di Sales.
Era sorto l'anno 1860 apportatore a D. Bosco di sempre nuovi lavori, di gioie e di tribulazioni. Il primo fascicolo delle Letture Cattoliche del Gennaio, scritto da un anonimo, descriveva: Il momento della grazia o le ultime ore di un condannato a morte. Lo stampatore era sempre Paravia. Come appendice di questo fascicolo, D. Bosco aggiungeva alcuni avvisi che parve accennassero alle previsioni descritte nel Galantuomo sul finire del 1859.
MEZZO FACILE EFFICACISSIMO PER ALLONTANARE I MALI PRESENTI, E PRESERVARCI DAI FUTURI.
Invito al popolo cristiano.
Gemiamo da gran tempo sotto i colpi de' flagelli, che ci percuotono, e v'è bene da temerne de' maggiori. Tutti ne sospirano,
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molti se ne sdegnano, e, più ancora, prorompono in amare querele. Ma quei che ne conoscono la vera cagione, e vi procurano il necessario rimedio, purtroppo son rari. Intendiamolo, o cristiani. La vera cagione di tutti i mali è il peccato. Il peccato rende infelici i popoli. L'uomo ardisce di offendere ed oltraggiare Iddio, e Iddio offeso ed oltraggiato dall'uomo lo punisce, lo castiga. Così insegna la ragione, così insegna la fede. Solo uno stolto potrebbe dubitarne. Vogliamo dunque allontanare i mali, che ci affliggono e preservarci da quei, che ci sovrastano? Allontaniamone la cagione, il peccato: riconciliamoci con Dio, plachiamo la sua ira, soddisfaciamo la sua giustizia. Iddio ricco in misericordia, per l'eccessiva carità con cui ci ama, ci dà in Gesù Cristo suo figliuolo un mezzo facile e sicuro per la nostra riconciliazione. Questo mezzo costò a Gesù Cristo tutto il suo sangue, a noi costa soltanto la buona volontà di profittarne. Si trova questo nella confessione sacramentale. È la fede, che ce ne assicura, e da questa fede animati, in tutti i secoli della Chiesa ne hanno profittato sempre i fedeli di tutto il mondo, e ne han sempre riportato ogni maggior vantaggio. Ma, oh Dio, quanti miseri peccatori lasciano di profittarne, e invece di riconciliarsi con Dio, l'offendono maggiormente, e provocano sempre più la divina giustizia a castighi sempre maggiori, che saranno poi seguiti da altri tanto più spaventosi per una eternità nell'inferno! Oh! cristiani, cristiani, e come potremo vedere con indifferenza la rovina di tanti nostri fratelli, e lasciare che sempre più si provochi l'ira di Dio, e si accrescano sempre più i castighi anche temporali su di essi, e su di noi tutti? Vogliamo piuttosto implorare le divine misericordie, vogliamo placare l'ira divina ed anzi soddisfare pienamente la sua giustizia? Avviviamo la nostra fede.... E qui D. Bosco continua eccitando sempre più l'amore verso Gesù Cristo e promovendo la frequenza nell'assistere alla Santa Messa.
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Lo ricompensava largamente del suo zelo e gli cagionava grande gioia una lettera di Pio IX in risposta a quella scrittagli a nome suo e a nome di tutti i suoi giovani sul principio di novembre. Il glorioso Pontefice aveva gradito sommamente questo attestato di figliale ossequio e di fedeltà inalterabile e per un atto di insigne bontà, in data del 7 di gennaio del 1860, rispondeva a D. Bosco con un Breve, che rimarrà monumento imperituro della benevolenza di Pio IX verso del nostro Oratorio. D. Bosco ricevuto il prezioso documento il volse tosto dal latino in italiano, e poscia raccolti i suoi giovani lo lesse, mettendoli a parte della propria consolazione. Ecco il tenore di questo Breve pubblicato nell'Armonia (I).
(I) Dilecto Filio Presbitero JOANNI Bosco AUGUSTAM TAURINORUM Pius P. P. IX.
Dilecte Fili, salutem et apostolicam benedictionem.
In literis tuis, V Idus Novembris proximi datis, novum invenimus eximiae tuae in Nos et Supremam Dignitatem Nostram fidei, pietatis et observantiae testimonium. Facile intelligimus, dilecte Fili, qui tuus aliorumque ecclesiasticorum hominum sit animi dolor in ingenti hoc Italiae tumultu, rerumque pubblicarum conversione, ac rebellione provinciarum quarumdam temporalis nostri Status. Hanc, ut omnes norunt, externae moverunt incitationes et machinationes, eamque omni data opera fovent tuenturque. Accessit nunc lucubratio sparsa in vulgus hipocrisi plenissima ad homines simplices decipiendos, ad communem christiani orbis in vindicando civili Sedis Apostolicae Principatu consensum extenuandum. Fides ipsa Italicae regionis adducitur in discrimen: colluvies pravorum librorum et ephemeridum non modo urbes sed et pagos etiam Italiae pervasit, nec subalpinis istis regionibus tantum, sed et Hetruriae finitimis que provinciis protestantes virus evomunt pravitatis suae, scholis sive clandestinis, sive pubblicis institutis; ad quas proemiis etiam adolescentes pauperes student allicere. Verum in saevissima hac, quam satanas excitavit, tempestate, summas in humilitate cordis Deo gratias persolvimus, qui Italiae Episcopos roborat, et gratia sua confortat ad fidei depositum in suo quique grege strenue custodiendum. Solatio cordi nostro sunt summa animorum concordia qua et Clerus tristissimo hoc tempore in salutem animarum incumbit, ani-
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Al diletto figlio sacerdote Giovanni Bosco Torino. PIO P. P. IX.
DILETTO FIGLIO, SALUTE ED APOSTOLICA BENEDIZIONE.
Nella lettera, che Ci scrivesti il nove dell'ultimo novembre, scorgemmo novella prova della tua singolare fede, pietà e riverenza verso di Noi e verso la suprema dignità Nostra. Di leggieri comprendiamo, Diletto Figlio, quale sia il dolore dell'animo
mique firmitas et constantia quibus pro Dei et Ecclesiae causa adversa quaeque perfet et sustinet. Haud vero possumus consolationem verbis explicare, quam Nobis attulit illa literarum tuarum pars qua intelleximus tibi, Dilecte Fili, aliisque viris Ecclesiasticis maiorem praesentes huius temporis aerumnas alacritatem addidisse. Hinc qua praedicatione verbi Dei, qua bonis libris et scriptis distributis, coniunctis animis et studiis, bostium Ecclesiae machinamentis obsistere alacriter contenditis. Nihil hac agendi ratione praestantius, nihilque utilius ad populi pietatem fovendam, acuendamque. Neque fructu eximia illa tua solertia caruit, qua adolescentes plurimi in sacra oratoria diebus festis atque ad scholas quotidie opportunis horis convenientes institutione christiana, ac sacramentorum frequentia evenerunt usque ferventiores. Cura, quam geris in pauperes iuvenes hospitio exceptos, feliciore in dies successu locupletatur, numerumque auget eorum qui utiles Ecclesiae ministri aliquando esse possunt. Perge, Dilecte Fili, cursum tenere, quem ad Dei gloriam et Ecclesiae utilitatem coepisti; perfer, si gravior tribulatio incubuerit, et sustine magno animo angustias et tribulationes huius temporis. Spes nostra in Deo est, qui, protegente nos coelorum Regina ac mundi Domina, Maria Virgine Immaculata, de tantis bis malis eripiet, contristatanique Ecclesiam de sua in hostibus victoria consolabitur. Minime dubitamus quin in hunc finem, atque ad impetrandam infirmitati Nostrae praesentissimam Dei opem et auxilium pergas, Dilecte Fili, una cum tibi Nobisque carissimis hospitii tui alumnis ac discipulis, in omni oratione et obsecratione Deum ipsum maiore usque studio obtestari. Eundem Nos summis precamur votis, ut Te atque illos in sua pace custodiat, dextera sua tegat, et brachio sancto suo defendat. Coelestis huius praesidii auspicem esse cupimus Apostolicam Benedietionem, quam tibi, Dilecte Fili, iisdemque alumnis ac discipulis, atque omnibus, qui una tecum in pia illa opera incumbunt vel ea frequentant, effuso paterni cordis affectu, et amanter impertimur. Datum Romae apud S. Petrum die 7 Januarii, An. 1860. Pontificatus nostri anno XIV. Pius P. P. IX.
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tuo e degli altri ecclesiastici in questo grande scompiglio d'Italia e stravolgimento delle pubbliche cose, e nella ribellione di alcune provincie del nostro temporale dominio. Questa ribellione, come a tutti è noto, venne provocata da esterne istigazioni e macchinazioni, e con ogni sorta di mezzi fomentata e sostenuta. Ora si aggiunse uno scritto, pienissimo d'ipocrisia che diffuso nel popolo tende ad ingannare i semplici ed a scemare il comune consenso dell'orbe cristiano nel difendere il civile Principato della Sede Apostolica. La fede stessa dell'italiana penisola è messa in pericolo: una colluvie di libri e di giornali perversi si divulgò non solo per le città, ma eziandio pei villaggi, nè solamente in cotesti paesi del Piemonte, ma anche nella Toscana, e nelle Provincie confinanti; i protestanti vomitano il veleno delle loro malvagità, avendo a tal fine istituite scuole, vuoi clandestine, vuoi pubbliche, alle quali anche con premii si sforzano di allettare la povera ed incauta gioventù. Se non che in questa fierissima procella, suscitata da Satana, Noi nell'umiltà del cuore sommamente ringraziamo Iddio, che colla sua grazia avvalora e conforta i Vescovi dell'Italia a custodire intrepidamente ciascuno nel proprio gregge il deposito della fede. Sono di sollievo al cuor Nostro la somma concordia degli animi, colla quale anche il Clero in questo tristissimo tempo attende alla salute delle anime, e la fermezza e costanza d'animo, con cui per la causa di Dio e della Chiesa esso sopporta e sostiene ogni avversità. Non possiamo poi esprimere con parole la consolazione che ci apportò quella parte della tua lettera, da cui conoscemmo che le presenti calamità di questo tempo resero maggiore l'alacrità tua, o Diletto Figlio, e quella delle altre persone ecclesiastiche. Quindi e colla predicazione della parola di Dio, e colla diffusione di buoni libri e di buoni scritti, uniti di animo e di zelo vi sforzate a tutto potere di opporvi alle macchinazioni de' nemici della Chiesa. Non v'ha cosa più eccellente di questo operare, e non v'ha cosa più utile a promuovere ed infiammare la pietà del popolo. Nè fu priva di frutto quella tua esimia sollecitudine, per la quale moltissimi giovani recandosi ai sacri Oratorii nei giorni festivi, e quotidianamente alle scuole ad ore opportune divennero ognora più ferventi sia per mezzo degli ammaestramenti cristiani, sia colla frequenza de' Sacramenti. La cura che hai dei giovani poveri
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da te ricoverati ottiene di giorno in giorno più felice successo, ed accresce il numero di coloro, che potranno poi diventare una volta utili ministri della Chiesa. Continua, Diletto Figlio, la carriera che hai intrapreso a gloria di Dio e ad utilità della Chiesa. Sopporta, se ti avverrà qualche grave tribolazione, e sostieni con grandezza d'animo le tribolazioni di questo tempo. La nostra speranza è riposta in Dio, il quale, per la protezione della Regina del Cielo e Signora del mondo, la Madre di Dio Maria Vergine Immacolata, ci libererà da questi si grandi mali e consolerà la sua afflitta Chiesa facendola trionfare de' suoi nemici. Non dubitiamo punto che a questo fine, e per impetrare alla Nostra debolezza prontissimo l'aiuto e il soccorso di Dio, continuerai, o Diletto Figlio, insieme cogli alunni e discepoli del tuo Ospizio a te e a noi carissimi a supplicare lo stesso Iddio con sempre maggior fervore in ogni sorta di preghiere. Noi caldissimamente preghiamo il medesimo Dio che custodisca te e quelli nella sua pace, vi copra colla sua destra e vi difenda col suo santo braccio. Pegno di questo celeste aiuto desideriamo che sia l'Apostolica Benedizione, che con effusione ed affetto di cuore paterno e con amore impartiamo a te, Diletto Figlio, ed anche agli alunni e discepoli, non che a tutti coloro che con te si occupano a favore di queste pie opere, ovvero le frequentano. Dato in Roma presso S. Pietro il 7 gennaio 1860. Del nostro Pontificato l'anno decimo quarto. PIO P. P. IX.
Mentre il Sommo Pontefice scriveva questa affettuosa lettera a D. Bosco, l'Armonia col numero 19 del 1860 apriva nuove sottoscrizioni di offerte al Papa col nome di Danaro di S. Pietro e in poco più di un anno raccoglieva trecento mila lire. Le aveva dato l'ispirazione e l'impulso la Duchessa di Montmorency e D. Bosco fra i primi presentava la sua offerta, seguita poi da molte altre. Era un invito ai fedeli: Qui Domini sunt jungantur vobis. Ne ebbero dispetto i liberali e facendone frequentissimo tema delle loro invettive, proposero una legge che vietasse la sottoscrizione
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per collette aventi scopo religioso; tale proposta però non ebbe accoglienza in Parlamento. Ma nei buoni e in D. Bosco l'attaccamento al Pastore supremo, era anche amore intenso alle pecorelle che erravano fuori dell'ovile per condurvele. Il 24 gennaio così stampava l'Armonia:
BATTESIMO DI UN GIOVANETTO ISRAELITA.
Sono or quattro mesi, che due fanciulli fratelli anglicani furono battezzati nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Qui due giovanetti nati a Londra, dopo una serie di strane vicende vennero dalla divina Provvidenza condotti nel ricovero annesso a questa chiesa, dove coll'alimento materiale trovarono il pane della vita eterna. Domenica 15 corrente, in questo medesimo Oratorio fu amministrato il Sacramento del Battesimo ad un giovinetto israelita d'Ivrea. Egli è figlio del rabbino Iarach, persona assai erudita, che da dodici anni rinunziò all'ebreismo ed ora vive da fervoroso cristiano. Il figlio Iarach ha sempre avuto le più belle disposizioni per farsi cristiano; ma la madre se gli è sempre opposta. Egli toccava già il suo quattordicesimo anno di età; e più cresceva negli anni, più vive erano le sue istanze di essere fatto cristiano. Finalmente il padre per appagare i vivi desideri del figlio il condusse nell'Oratorio maschile di Valdocco, dove tra le cognizioni che già aveva del Cristianesimo, e l'istruzione ivi prodigatagli, fu in breve trovato abbastanza istruito per ricevere il sacramento del Battesimo e della Cresima. Mons. Moreno, Vescovo d'Ivrea, insigne benefattore della famiglia Iarach, con bontà paterna veniva a raccogliere il frutto delle sue sollecitudini. Alle ore dieci il Venerando Prelato cominciava la messa, in cui una assai numerosa schiera di giovanetti si accostarono alla mensa eucaristica. Seguiva la interessante funzione del battesimo del giovanetto Iarach. Il suo contegno, la franchezza delle sue risposte, la gioia ed il raccoglimento dimostravano che egli era giunto ad appagare un vivo desiderio da lungo tempo nutrito. Egli pren-
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deva il nome di Tommaso, Luigi, Maria; il duca Tommaso Scotti erane padrino; la marchesa Maria Fassati era madrina. Dopo il Battesimo fu amministrata la sacra Confermazione al novello cristiano e ad altri giovani in numero di circa trecento. Tra essi notavansi con occhi di meraviglia venticinque spazzacamini, che per cura della Società di S. Vincenzo De-Paoli furono istruiti nell'Oratorio dell'Angelo Custode di Vanchiglia. Questi poveri giovanetti, la cui condizione fa che non osano presentarsi alle pubbliche chiese, avrebbero forse passato chi sa quanto tempo, se la carità cristiana non fosse andata in cerca di loro per radunarli, istruirli e farli cosi perfetti cristiani. Il Conte Cays, deputato, era il padrino dei giovani della Cresima. Dopo la Confermazione Mons. Vescovo con animate e commoventi espressioni incoraggiava il neofito a tenere in pregio il gran dono della fede, che aveva testè ricevuto. Animava poi tutti i cresimati a mostrarsi veri seguaci di Gesù Cristo, compiendo con fermezza e coraggio i loro cristiani doveri senza punto badare ad umano rispetto. Le varie parti della sacra funzione erano allegrate dal canto di voci argentine, che ora a coro, ora a solo eccitavano nel cuore degli astanti celesti pensieri. La funzione compievasi colla benedizione del Venerabile circa ad un'ora e mezzo pomeridiana.
“ Monsignore, lasciava scritto Reano Giuseppe, manifestava a D. Bosco nel dopo pranzo la gioia grandissima da lui provata in quel giorno, assicurandolo che quando occorresse altra simile occasione non era d'uopo invitarlo; sarebbe bastato soltanto un avviso ed egli sarebbe subito intervenuto volentieri. Era stato commosso fino alle lagrime nel vedere tanta divozione in que' giovanetti ”. Queste fortunate occasioni non dovevano mancare perchè l'Oratorio di S. Francesco di Sales era il porto nel quale si ricoveravano molti di coloro che dalle sette ritornavano in grembo alla Chiesa. L'amorevolezza di D. Bosco e la ammirabile pazienza nel sopportare le questioni villane e
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talvolta gli insulti, vinsero più volte la durezza di certi cuori: - Passar sopra ad ogni offesa per la gloria di Dio, per guadagnare a Lui anime - ecco il suo programma. Era questa l'attrattiva che egli esercitava sui poveri traviati. Fra gli altri un ministro protestante ex-prete, si presentava sovente all'Oratorio per disputare con D. Bosco. La prima volta che venne, asseriva essere necessario di porre la Bibbia come base dei punti da disputarsi. - Ma quale Bibbia? - rispondevagli D. Bosco; - la vostra o la nostra? Chi l'ha conservata a noi per tanti secoli? Voi siete nati ieri! E chi prima di voi ha custodito gelosamente questo tesoro? La sola Chiesa Cattolica, colla sua tradizione vi può recar le prove dell'autenticità dei sacri libri. - Quel poveretto non sapeva che cosa rispondere, e D. Bosco lo intratteneva a pranzo come un amico e continuò ad invitarlo ogni qualvolta veniva a ripetergli le sue obbiezioni. Testimonio di tali relazioni fu Reano, il quale eziandio raccontava come un giorno venisse un valdese a questionare con D. Bosco. Essendovi rimasto lungo tempo egli, Reano, temendo qualche sopruso aperse alquanto la porta per spiare; e vide quell'apostata inginocchiato che si confessava. Intanto D. Bosco accoglieva in casa un giovanetto convertito dall'eresia.
Car.mo e Ven. amico,
Il latore della presente è un neofito, il quale venne catechizzato dall'ottimo mio collega il Sig. Can. Barberis che vostra signoria carissima conosce: fece mercoledì la sua abiura e ricevette sotto condizione il battesimo. Quel giovane dà assai buone speranze e V. S. che sa conoscere sì bene il cuore dei giovani, se ne persuaderà facilmente sol che possa intrattenersi alquanto col medesimo. Io lo raccomando alla carità di V. S. Procuri di ricapitarlo
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da qualche pio artista. - Io credo farebbe ottima opera il ricoverarlo nel suo ritiro; son persuaso sarebbe consolato pel buon esito che confido farà questo mio raccomandato. Ricevetti ieri la carissima sua. Le scriverò alcuna altra volta di ciò che forma il soggetto della sua lettera. Si ricordi di me e mi abbia quale amo scrivermi Vercelli, 23 gennaio 1860. aff.mo servo ed amico Arcip. DEGAUDENZI.
Quattro fanciulli adunque, un Ebreo e tre protestanti, rigenerati colle acque del battesimo, la Domenica 29 gennaio celebravano per la prima volta la festa di S. Francesco di Sales nell'Oratorio, essendo priore il Cav. Bosco di Ruffino. Egli provvide la colazione a tutti i giovani interni ed esterni. Alla sera si diedero pure i premii agli alunni di migliore condotta. Aveva preso parte attiva a questa festa il giovane musico Domenico Belmonte di anni diciasette nativo di Genola diocesi di Fossano. Era entrato in questo mese nell'Oratorio unicamente per riuscire un valente organista, ma nei primi giorni colto da nostalgia, eragli balenato il pensiero di fuggirsene a casa. D. Bosco però divinando che egli sarebbe divenuto uno de' più fidi e virtuosi suoi figli, avutolo a sè, facilmente dissipò ogni ombra di tristezza e lo consigliò ad accingersi anche allo studio della lingua latina. E Belmonte intraprese quello studio con fermo proposito e buon volere.
CAPO XXXIV. Seduta del Capitolo: Accettazione del primo confratello nella Pia Società - Parola di D. Bosco - Letture Cattoliche - Il Papa: questioni del giorno - Raccomandazione agli associati delle Letture - D. Bosco difensore dei diritti della S. Sede - Il Ministro Farini chiede l'accettazione di un giovanetto nell'Oratorio - La diplomazia di D. Bosco - La lingua, italiana imposta per regola dell'Oratorio nei discorsi famigliari - Giovinastri condotti da D. Bosco nell'Ospizio - Una memorabile conversione - Pastorale del Vicario Capitolare di Asti che raccomanda le Letture Cattoliche - Una società per la diffusione de' buoni libri.
Erasi costituita, come abbiamo già detto, la Pia Società di S. Francesco di Sales, coll'elezione dei membri del Capitolo; ed ora questi si radunavano per esaminare la domanda del primo giovane desideroso di far parte della Congregazione. Così leggesi nel verbale redatto da D. Alasonatti.
L'anno del Signore mille ottocento sessanta il 2 febbraio alle 9 ½ pomeridiane in questo Oratorio di S. Francesco di Sales il Capitolo della Società dello stesso titolo, composto del Sacerdote Bosco Giovanni Rettore, del sacerdote Alasonatti Prefetto, del Suddiacono Rua Michele Direttore spirituale, del diacono
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Savio Angelo Economo, del chierico Cagliero Giovanni primo consigliere, del chierico Bonetti Giovanni secondo consigliere, del chierico Ghivarello Carlo terzo consigliere, si radunava nella camera del Rettore per l'accettazione del giovane Rossi Giuseppe di Matteo da Mezzanabigli. Quivi pertanto dopo breve preghiera, coll'invocazione allo Spirito Santo, il Rettore diè principio alla votazione. Terminata questa e fattone lo spoglio risultò che il detto giovane fu accolto a pieni voti. Perciò venne ammesso alla pratica delle regole di detta Società.
D. Bosco in quella sera parlò e citando il testo di Isaia XXVI, Urbs fortitudinis nostrae Sion Salvalor; ponetur in ea murus et antemurale, disse il muro essere la legge di Dio, l'antemurale le regole della Società. In quanto alle regole aggiunse con S. Tomaso d'Aquino che: Difficile est quod homo praecepta servet quibus intratur in regnum, nisi sequens consilia, divitias relinquat. Concluse con Sant'Agostino e dimostrò che le regole della Società sono le ali con cui si vola, son le ruote con cui si conduce il carro. Rossi Giuseppe fu poi nominato Provveditore generale della Pia Società per le cose materiali. Intanto rimettevasi agli associati il fascicolo pel mese di febbraio delle Letture Cattoliche: Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi per Giuseppe Frasinetti priore a S. Sabina in Genova. “ Questo libro, scrive il Frasinetti, insegna molti espedienti e varie arti e finezze, o lettore, colle quali ti riuscirà più facile evitare il male, operare il bene, giovare al prossimo; ed anche all'uopo dare la burla al mondo ed al demonio, per fare, a loro dispetto, ciò che non vorrebbero. Altre di queste industrie sono cose molto volgari e comuni, non per ciò meritevoli di poca stima, che anzi hanno valore
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singolare non abbastanza conosciuto perchè poco ponderato. Altre sono cose più speciali proprie delle persone di spirito, tuttavia semplici e naturali da potersi praticare da chiunque ha buona volontà”. A questo fascicolo atto a produrre un bene immenso per la santificazione delle anime, D. Bosco univa un'operetta di Mons. Segur, da lui ritoccata in qualche punto: Il Papa: questioni del giorno: Chi è il Papa - Perchè il Papa è re temporale - Dio così vuole ed è necessario che lo sia pel vantaggio dei popoli, e perchè questo suo potere è un diritto incontestabile - Pio IX ha detto: Non si attacca il mio potere temporale, se non perchè io sono il Papa - Il Papa come principe ha diritto e dovere di respingere colla forza armata la ribellione - Gli stati temporali della S. Sede sono beni sacri - Il Concilio di Trento ha fulminata la scomunica contro chiunque, posto in qualsiasivoglia dignità, anche reale ed imperiale, osi porre la mano sui beni della Chiesa - Qual pena terribile sia la scomunica -Tutti gli increduli, gli empi, i socialisti, gli eretici sono quelli che attaccano il potere temporale - I Cattolici nel diffondere questo non si mischiano in politica, ma difendono un interesse religioso - Non si può essere buoni Cattolici se non si presta anche in questo obbedienza pratica al Papa - Chiunque se la piglia col Papa è perduto. D. Bosco aveva premessa una nota al libretto: “ Questo scritto tratta di religione e non di politica e mi sta’ a cuore che ognuno ne sia persuaso. Esso fa appello al pubblico buon senso e alla buona fede, ed ecco il perchè spero che sarà ben accolto da te, carissimo lettore. Se ti parlo del potere temporale del Papa non lo fo che sotto il punto di vista della religione e della coscienza, che invano si vorrebbe restringere alle cose invisibili. Leggi queste
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poche pagine con animo spregiudicato, e vedrai che la verità parlerà più forte di tutti i sofismi”. Altra nota egli apponeva alla conclusione di questa operetta: “ Al lettore - Tienti, o mio caro lettore, inviolabilmente unito al Papa e alla Chiesa. Non ti lasciare intimorire dal furore e dalle minacce del nemico, nè ingannare dalle sue belle frasi. Diffida sopratutto dei termini moderati che gli empi sogliono usare per insinuarsi nelle anime oneste. Abbi coraggio della tua fede e delle tue convinzioni. Non temere: Dio è colla Chiesa in tutti i giorni fino alla fine de' secoli: tocca ai cattivi di tremare dinanzi ai buoni e non ai buoni di tremare dinanzi ai cattivi ”. In questo fascicolo leggevasi eziandio una raccomandazione agli associati.
Compiesi l'anno VII delle nostre Letture Cattoliche, e noi con vera consolazione annunziamo ai nostri lettori la continuazione delle medesime. Se però negli anni scorsi palesavasi il bisogno di diffondere buoni libri, quest'anno si fa sentire una massima urgenza. Perciò noi ci raccomandiamo a tutti quelli, che amano il bene di nostra santa cattolica religione, a volerci dare la mano per far conoscere questi libretti presso a quelle persone ed in quei luoghi, ove nella loro prudenza e nel loro zelo giudicheranno tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.
E per incoraggiare ogni cristiano a prendervi parte, rapportava, dalle lettere di S. S. Pio IX, del Card. Vicario e di Mons. Gianotti, già a suo luogo da noi esposte, alcune parole proferite in favore di queste Letture. Gli opuscoli di tali Letture testificano l'affetto generoso di D. Bosco verso la S. Sede. Egli per difenderla fu sempre, come suol dirsi, sulla breccia. Con un fascicolo nel 1855 aveva minacciati i castighi di Dio a coloro che usurpavano i beni della Chiesa, e col sopradetto sostiene
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il dominio civile dei Papi. Nei tempi che correvano era un atto che richiedeva un coraggio non comune, potendo nascere pericoli gravissimi per lui, come infatti avvenne. La Divina provvidenza però predispose certi avvenimenti, dei quali D. Bosco seppe giovarsi. Egli aveva per guida e conforto Maria SS. e sapeva, cosa molto difficile, accoppiare in mirabil guisa semplicità e prudenza: Hoc est enim philoso phiae culmen, simplicem esse cum prudentia. Così afferma S. Giovanni Crisostomo. Il primo filo che gli cadde in mano, il quale doveva condurlo nel difficile sentiero, fu una lettera di S. E. il dottor Luigi Carlo Farini. Era Ministro degli Interni da pochi giorni per le dimissioni di Rattazzi.
MINISTERO DELL'INTERNO DIVISIONE 5, n. 84 Torino, addì 4 febbraio 1860. Il Signor Sindaco del Comune di Lagnasco ha fatto preghiera a questo Ministero perchè interponga i suoi uffici onde procurare il ricovero nell'Oratorio maschile di Valdocco in questa Capitale al giovane Domenico Gorla del fu Michelangelo di anni 14, originario del predetto comune, il quale essendo destituito di mezzi di sussistenza ed orfano d'entrambi i genitori ha richiamato l'appoggio della pubblica carità. - Il sottoscritto non può a meno di secondare la fattagli domanda, trattandosi di procurare collocamento ad un giovane il quale essendo di onesti costumi e di sana complessione può essere avviato a qualche arte o mestiere con sensibile suo vantaggio morale e materiale. Rivolgendo quindi chi scrive tale domanda al Sig. sacerdote D. Giovanni Bosco, Direttore del predetto Oratorio, confida che Egli non vorrà rimanersi estraneo a questo atto di beneficenza che gli si propone, ed in ogni caso attende dalla sua compiacenza un sollecito riscontro in proposito. D'ordine del Ministro SALINO.
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Farini era uomo tale che avrebbe mosso aspra guerra all'Oratorio, eppure appena salito al potere un de' suoi primi atti è di raccomandare l'accettazione di un giovanetto. Sembrerà cosa strana eppure viene spiegata con tutta facilità. Era frutto dell'accortezza di D. Bosco. Egli facendo in tempo opportuno, rivolgere ad un ministro le suppliche dei postulanti, che desideravano essere raccomandati all'Oratorio, prevedeva che sua Eccellenza, indifferente per un affare che non recavagli nè disturbo nè spesa, avrebbe aderito a tale domanda così facile ad esaudirsi. Tanto più che la pratica intiera ricadeva sul segretario, al quale non di rado, pare, che fossero a scanso di noie, rimesse tutte le carte senza neppure che altri ne prendesse visione, e in queste segreterie D. Bosco aveva degli amici di gran conto. Il Ministro stesso per più di una volta per varii motivi, era interessato nel fare raccomandazioni, colle quali in certo modo si obbligava all'Oratorio. In tutti i suddetti casi D. Bosco accoglieva con premura quelle istanze; e rispondeva direttamente al Ministro, dal quale sapeva a suo tempo chiedere protezione, o sussidi. Egli adunque, che aveva insinuato probabilmente al Sindaco di Lagnasco di rivolgere la supplica al Ministero degli Interni, rispose a Farini con frasi deferenti ed ossequiose, conservò la lettera del Ministro, e il giovane fu accettato come artigiano nell'Oratorio, ove trovò che per amore dell'Italia gli alunni parlavano italiano. Infatti il 13 febbraio una deputazione di artisti della casa, indotti da chi conosceva le intenzioni di D. Bosco, presentavasi a lui che in tempo di ricreazione, dopo pranzo, stava intrattenendosi con chierici e studenti e gli domandò che volesse introdurre nell'Oratorio l'uso della lingua italiana nel parlar famigliare. D. Bosco aderì alla proposta prevedendo
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che presto si sarebbero introdotti in Valdocco i dialetti di ogni regione d'Italia; anzi per gli studenti ne fece un obbligo e all'indomani più non s'udì parlato fra i giovani il dialetto piemontese. La deputazione era composta di Fassino, Roda, Giani, Biletta, Cora e Variolato. Gli artigiani però smisero ben presto, perchè la maggior parte di essi, avevan timore di farsi burlare per i frequenti spropositi, e poi loro sembrava darsi l'aria di signori. Il loro numero erasi aumentato in questo stesso giorno 13 febbraio. Bisogna riflettere che D. Bosco, era solito per compassione, ad invitare a far vita con lui quei fanciulli rozzi, senza religione, che, specialmente nei dintorni di Portanuova, solevano vendere zolfanelli, lucidare le scarpe, anche portar le valigie ai viaggiatori. Ma gli sfaccendati, che non volevano saperne di anima, e di disciplina rifiutavano di seguirlo con vivo dispiacere del Servo di Dio. Ora in questo giorno D. Bosco dalla città stava per ritornare all'Oratorio, quando vide in mezzo ad una piazza poco distante sette giovinastri in sui diciotto anni oziosi, vagabondi, capaci di qualunque cattiva azione, che fra essi ed altri, dei quali erano capi, formavano una lega per commettere prepotenze e ribalderie. Appena videro Don Bosco presero a schernirlo. Egli tuttavia si avvicinò e con maniere benevoli domandò loro della patria, condizione, mestiere. Gli risposero che non avevano lavoro e che non si industriavano a cercarne. D. Bosco allora li invitò ad andare in una casa dove avrebbero trovato ricovero, lavoro e vitto. I giovani domandarono: - Vuol condurci forse al suo Oratorio? - Eh sì, rispose D. Bosco; se volete venire con me. Allora uno di quei giovinastri ripetè la proposta: Andiamo? Uno dopo l'altro acconsentirono e D. Bosco
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li condusse nell'Oratorio. Radunati gli alunni intorno a sè nel cortile a parte, disse loro dopo qualche avviso: - Con questi nuovi venuti bisognerà usare molta pazienza! Mi raccomando. Infatti ogni parola che loro usciva di bocca era una bestemmia o una sconcezza. Alla sera entrati in camerata, ridevano sgangheratamente, vociavano, interrompevano la lettura, fischiavano il chierico assistente che li ammoniva di far silenzio. Alcuno, quando fu vestito e calzato bene, scomparve, giorni dopo dall'Oratorio; quelli che rimasero furono avviati ad un mestiere. È facile intendere quale fatica ci volle per disporli al bene. Eppure D. Bosco, non andò lungo tempo, che facendosi amare, li mise sul buon sentiero. “ Io, ci riferì Rossi Giuseppe, li aveva continuamente sotto gli occhi e fui testimonio della loro riconoscenza pel beneficio ricevuto, e li vedeva andare a gara nel raccomandarsi vicendevolmente di star buoni, di lavorare, ed eseguire tutti gli avvisi ed ordini di D. Bosco ”. Un buon chierico però aveva affrettato il momento della loro conversione. Commosso dalla vita disgraziata di questi giovani, e delle irriverenze che commettevano in chiesa, pregava con tutta l'anima Maria SS., affinchè nel suo mese di maggio volesse loro toccare il cuore. Passarono alcuni giorni, quando uno di questi, una sera dopo la benedizione, andò a cercare il detto chierico e tutto commosso lo pregava di volergli insegnare il modo di mutar vita; soggiungendo che essendo in chiesa mentre si cantava Sia benedetta la santa Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, gli era parso di vedere che la Madonna dal suo altare gli tendesse amorosamente le braccia. Il chierico gli suggerì di fare una confessione generale; e la fece. Da quel punto il fortunato giovine incominciò e perseverò
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negli anni seguenti ad essere l'esemplare degli altri, specialmente nella compostezza in chiesa. Pel mese di marzo era pronto il fascicolo delle Letture Cattoliche; Elisabetta o la carità del povero ricompensata per M. D'Esoville. Portava unita la pastorale del Vicario Capitolare generale della Diocesi d'Asti sulle funeste conseguenze dei cattivi libri. Era il primo fascicolo dell'anno Ottavo. L'interessante racconto espone gli avvenimenti di un giovanetto abbandonato da sua madre, vagabondo, nella più squallida miseria, ricoverato ed educato da una povera donna, che a due altri fanciulli orfani usa la medesima carità. La pastorale suddetta poi, di Mons. Antonio Vitaliano Sossi, raccomandava la diffusione delle Letture Cattoliche con queste parole:
Coll'opportunità del proscrivere le stampe cattive, io raccomando a tutti coloro che vogliono occupare i loro momenti d'ozio in letture che giovino ad ornare la mente di utili cognizioni, a correggere e migliorare i cuori, a far progredire le anime nella cognizione della verità, nella pratica del bene e nel servizio di Dio, io raccomando, dico, le Letture Cattoliche che si pubblicano a Torino sotto la direzione del pio e zelante educatore della gioventù, il sacerdote Giovanni Bosco. Fortunati quei pastori delle anime, che estirpando dalle loro parrocchie la peste dei libri e dei giornali irreligiosi, riusciranno a sostituirvi le edificanti e salutari Letture Cattoliche. Asti, 10 febbraio 1860. A. V. Sossi.
Con questa circolare D. Bosco si faceva avanti per annunziare un suo progetto. Nell'anno 1859 egli aveva pensato di formare una
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società che lo coadiuvasse nel contrapporre alla diffusione di libri cattivi quel maggior numero di libri buoni che si fosse potuto. Scriveva perciò il seguente programma
SOCIETÀ PER LA DIFFUSIONE DELLE LETTURE CATTOLICHE, ED ALTRI LIBRI CATTOLICI.
1. Questa società ha per iscopo la propagazione delle Letture Cattoliche in quei luoghi e presso quelle persone ove non fossero ancora conosciute. 2. Qualora ci fossero mezzi pecuniarii la società farà anche stampare libri cattolici a suo conto e li diffonderà gratuitamente o ne promoverà la vendita al minor prezzo possibile. 3. Ciascun dei soci si adopererà di impedire la lettura di libri cattivi presso ai suoi dipendenti e presso a tutti quelli verso di cui si giudicherà riportarne qualche vantaggio. 4. Tutti possono far parte di questa società. Ognuno però è invitato di fare annualmente quell'oblazione che nella sua carità stimerà più a proposito, purchè non sia minore di franchi due. 5. Ogni socio avrà cura di fissarsi qualche luogo o qualche ceto di persone presso cui diffondere buone letture ed impedire lo spaccio de' libri cattivi. 6. Non si stamperanno libri senza la revisione Ecclesiastica, nè questo piano di regolamento sarà posto in esecuzione, finchè non sia stato approvato dal Superiore Ecclesiastico. 7. La società è rappresentata da una direzione composta di un presidente, vice - presidente, segretario, quattro consiglieri, la quale, società, surrogherà quei membri che venissero a mancare.
Costituita la società, cercò nell'anno 1860 persone che colle loro obblazioni sopperissero alle spese di stampa. Quindi preparava molti libretti di carta in bianco nei quali si raccogliessero dai soci le sottoscrizioni dei benefattori. Ogni foglio aveva il bollo dell'Oratorio. Ne abbiamo ancora alcuni colla sottoscrizione e la cifra dell'offerta di Don Giuseppe Cafasso, Cav. Carlo Giriodi, Conte Aleramo Bosco,
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Candida Bosco, T. Bertagna G. B., T. Golzio Felice, Contessa Bosco nata Riccardo, Contessa Casazza, Teresa Racca, Sac. Vallauri P., Conte Francesetti Vittorio, Avvocato Viglietti Professore, Prev. Vicario Foraneo di Frebola Soprana, il Barone Cantono di Ceva ed altri ancora. Questi libretti avevano nel secondo foglio manoscritta la seguente prefazione o circolare che dir si voglia.
Oblazioni per la diffusione dei buoni libri.
L'anno scorso alcune pie persone si associarono a fare oblazioni a fine di poter distribuire buoni libri negli ospedali, specialmente tra i militari. La cosa riuscì assai bene; molti libri cattivi furono raccolti, consegnati alle fiamme; mentre a quelli vennero sostituiti libri buoni. Ora continua lo sforzo di propagare stampati perversi, e molti sacerdoti e religiosi che predicano nella quaresima, nei sacri tridui e negli esercizi spirituali, come pure parecchi parroci ed altri sacerdoti, volendosi opporre al male crescente, fanno domanda di libri religiosi o di altri oggetti di divozione, che nei catechismi e in molte altre occasioni distribuirebbero utilmente; ma loro mancano i mezzi per farne acquisto. A tale oggetto si fa ricorso ai caritatevoli cattolici invitandoli a prendervi parte e sottoscriversi per quella oblazione che sembrerà opportuna nei bisogni di questi tempi. Il sottoscritto d'accordo con altri Sacerdoti si adopererà di appagare le varie domande che si fanno in proposito. Il Signore Iddio non mancherà di dare largo compenso all'opera che si fa in favore di nostra santa cattolica Religione. Torino, il 6 Marzo 1860. Sac. Bosco GIOVANNI.
CAPO XXXV. Una nuova campana in Vanchiglia. - Il maestro Mosca Giovanni catechista - Elogi del conte Cays alle conferenze annesse degli Oratori festivi - D. Bosco e i bisogni di S. Madre Chiesa - VITA E MARTIRIO DE’ SOMMI PONTEFICI SAN LUCIO I E SANTO STEFANO I - Le cronache importanti di D. Ruffino e D. Bonelli per la biografia di D. Bosco - L'Emilia e la Toscana annesse al Piemonte - Il biglietto gratuito sulla ferrovia e il Cav. Bona - Lettera di un giovane artigiano a D. Bosco.
La quaresima incominciava il 22 febbraio e i tre Oratorii festivi si disponevano per i catechismi. In quel di Vanchiglia non s'udiva più la campana chiamare i giovani; perchè ignoti ladri, data la scalata al tetto, l'avevano tolta. La carità però di un eccelso benefattore rimediò a quello sfregio. Il 19 febbraio così leggevasi nell'Armonia.
BENEFICENZA DI MONS. FRANSONI.
Sebbene l'amato nostro Arcivescovo sia costretto a vivere lontano dal suo gregge, e quantunque sia privato dei beni della mensa vescovile, non tralascia di venire in aiuto de' suoi dioce-
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sani. Appena udito che era stata rubata la piccola campana nell'Oratorio del Santo Angelo Custode in Vanchiglia, egli tosto, conscio delle strettezze in cui attualmente versa l'Opera degli Oratorii di D. Bosco, inviava la graziosa somma di fr. 200, perchè ne fosse comperata un'altra, e così i giovanetti potessero essere invitati con regolarità all'adempimento de' loro religiosi doveri.
L'Oratorio di S. Luigi Gonzaga a Portanuova acquistava un nuovo catechista nell'impareggiabile maestro municipale Giovanni Mosca, nativo di Alba. Egli con grande studio si occupava d'indirizzare alla pietà i giovanetti che gli erano affidati, e, non bastandogli la scuola a campo del suo zelo, era dei più assidui agli Oratorii festivi e segnatamente a quello dì S. Luigi, ove interveniva pure l'Abate Scolari di Maggiate con altri signori. Ogni anno lo si trovava con D. Bosco agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Per far conoscere tutto il valore di questo uomo aggiungeremo che nel 1876 afflitto da una malattia agli organi vocali, dopo venti anni d'insegnamento, chiedeva di essere collocato a riposo, e vestiva l'abito clericale all'età di circa 50 anni. Moriva in Torino di 80 anni, nel 1904, essendo Rettore della SS. Trinità. Con zelo ardente era stato assiduo al tribunale di penitenza, direi quasi a somiglianza del parroco d'Ars, poichè affliggevalo fuor di modo lo stato delle anime in peccato mortale. All'Oratorio di S. Francesco di Sales vi era D. Bosco. Coll'istruzione catechistica continuavano in questi Oratorii le Conferenze annesse alla Società di S. Vincenzo de' Paoli. Nella relazione ufficiale dell'11 marzo 1894 intitolata; Noces dor de la Societé de SI. Vincent de Paul a Nice 1844-1894 si legge a pag. 36 “All'assemblea generale del 19 febbraio (1860) è presente il Conte Cays, Presidente
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del Consiglio Superiore delle conferenze del Piemonte, che dà sulle conferenze di Torino le seguenti notizie: ” La città di Torino conta 10 conferenze delle quali le opere vanno ogni giorno più sviluppandosi. A queste Conferenze sono aggregate tre conferenze, composte di giovani appartenenti a famiglie, pochissimo favorite da beni di fortuna, essendo la maggior parte visitate dai membri della nostra società. ” Queste tre piccole conferenze seguono il regolamento ordinario, sotto la direzione del pio e caritatevole Abate Bosco. Presentava difficoltà l'articolo del regolamento che impone la questua in ciascuna seduta. Che cosa domandare per i poveri, a giovani poveri essi stessi? E bene! Non solamente la questua si fa, ma ognuno di questi poveri ragazzi dà tutto ciò che può economizzare, anche sulle cose necessarie; e ciò che non può dare in natura, lo dona in affetto e in spirito di sacrifizio. ” Nulla è più commovente che il vedere questi giovani circondare delle più tenere cure, di cure pressochè materne, garzoni più giovani, più deboli, più poveri, che loro sono affidati; essi esercitano sopra di quelli, in tutti i momenti, e in tutte le circostanze un vigilante e benevolo patronato. Sorvegliano la loro educazione, assai più che ai loro bisogni materiali. Insegnano loro a scrivere bene e si fanno loro veri istitutori. ” Il signor Conte Cays termina la sua interessante relazione, facendo riflettere giustamente che nelle Conferenze le risorse materiali sono meno importanti dello zelo e dello spirito di sacrifizio, dai quali è prodotto il bene ”. Mentre i giovani degli Oratorii erano così vivamente animati dallo spirito di D. Bosco, questi non cessava un istante di prender parte alle angustie dolorose del Romano
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Pontefice. Pio IX vedeva attendati sui ristretti confini delle sue province minacciosi battaglioni; lo amareggiava la doppiezza esecrabile, sleale di Napoleone III; lo nauseavano a morte le arti ora subdole, ora insolenti di una diplomazia, che rinnovava con lui l'apologo del lupo e dell'agnello. Un gran numero di giornali italiani e stranieri empi e spudorati, fucine di menzogna, lo insultavano, lo calunniavano minacciandolo atrocemente. Nella stessa Roma le Congreghe settarie erano pagate lautamente da Torino, perchè eziandio coi mezzi più scellerati tentassero di ribellare il popolo. Qualcuno dei primi impiegati del Governo Pontificio trasmettevano fellonescamente le carte più gelose al nemico. Cavour meditava e poi ebbe l'audacia di proporre ai Cardinali Santini ed Antonelli un disegno di conciliazione, del quale il primo articolo portava che il Papa rinunziasse al dominio temporale su tutti i suoi Stati. Se la cosa fosse riuscita, prometteva larghi benefizii per essi e per le loro case. D. Bosco adunque che era solito a dire: - Non dobbiamo lasciarci mai sfuggire un'occasione che il Signore ci presenta per fare del bene - non poteva certamente lasciare il Vicario di Gesù Cristo senza quel conforto che poteagli dare. In quegli anni, non era facile al Papa corrispondere coi Vescovi, poichè quanto partiva da Roma, o là era indirizzato metteva in sospetto gli avversari della Sede Apostolica. D. Bosco pertanto mentre faceva recitare tutti i giorni da' suoi allievi un Pater, Ave e Gloria per i bisogni di Santa madre Chiesa, con prudenza singolare a quando a quando scriveva su argomenti delicatissimi, o per casi di coscienza, o per norme di condotta, o di principii teologici o di diritto canonico, ora a Mons. Fransoni, ora alle Sacre Congregazioni: e raccomandava la lettera
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ad una terza persona sicura, o spediva espressamente un messo a portarla. Ricevendo risposte, consigli o avvisi da tali sacri personaggi, generalmente non li riteneva presso dì sè, ma le depositava in tali mani che potevano celarle senza provocare nessun sospetto, premendogli sopratutto che l'Autorità ecclesiastica rimanesse salva. Riguardo alla persona veneranda del Sommo Pontefice cercava di portargli sollievo e consolarlo in ogni modo a lui possibile. Gli scriveva lettere piene di amor figliale e gli faceva conoscere le trame che dalle sette si andavano macchinando contro di lui. “ Io stesso, ci narrò Don Savio Angelo, una volta in quegli anni fui mandato da D. Bosco a Mons. Tortone abitante in Torino, ed incaricato di affari presso la Santa Sede, a comunicargli a voce notizie su tale argomento, non avendo egli creduto cosa prudente il partecipargliele per iscritto ”. Di simile commissione fu anche poi incaricato D. Paolo Albera. D. Bosco considerava come suoi gli interessi del Papa e diceva: “La sua parola deve essere la nostra regola in tutto e per tutto ”. Ordinava quindi che le encicliche e altri documenti pontifici fossero letti alla mensa comune, e le faceva anche da taluni tradurre in Italiano, perchè li ritenessero a memoria. Non dissimulava i suoi principii, ma li sosteneva vigorosamente e più volte anche dinanzi agli oppositori che gli entravano in argomento; ed ancora in questi giorni glorificava il Papato colla sua penna. Paravia preparava pel mese d'aprile il fascicolo: Vita e martirio dei Sommi Pontefici San Lucio I e Santo Stefano I per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (J). Riportato per intero il Breve di sua Santità, in data del 7 gennaio, con queste due vite vien dimostrato come
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i Papi avendo giurisdizione universale sulla Chiesa, riconosciuta formalmente da S. Cipriano, in Roma consecrassero nuovi Vescovi e li mandassero a fondare Diocesi in ogni parte del mondo; e come Santo Stefano deponesse dalle loro sedi alcuni Vescovi indegni della Gallia e della Spagna. Si fa risaltare come S. Lucio esigesse che i giovani aspiranti allo Stato Ecclesiastico fossero di provata castità e come fulminasse la scomunica contro que' cristiani che s'imposessassero dei beni della Chiesa. Si parla dei miracoli operati dalle reliquie di questi due Pontefici e martiri e si confrontano con quelli del Divin Salvatore e degli Apostoli. Infine si descrivono le gloriose morti di confessori della fede loro contemporanei. Ma gli avvenimenti pubblici s'incalzavano sempre più a danno della Chiesa. E qui prima di continuare i nostri racconti dobbiamo dar ragione ai lettori di quanto siamo per iscrivere. Ruffino Domenico ordinato prete nel 1863, fornito di scienza teologica, di virtù, di pietà e d'ingegno e criterio non comune, nel 1859 incominciò a notare diligentemente i detti e i fatti di D. Bosco, dei quali era testimonio; le sue predizioni degli avvenimenti pubblici e privati, e delle morti dei giovani della casa, notando con esattezza l'anno, il mese e il giorno, vuoi delle profezie, vuoi dell'avveramento. Per dare più chiara idea di questo carissimo confratello, aggiungeremo che nell'anno scolastico 1861-62 fu destinato a far scuola di religione in tutte le classi del ginnasio; nel 1862-63 insegnò ai chierici la Storia Ecclesiastica, che conosceva molto bene, preparando volta per volta le sue lezioni, non salendo mai in cattedra per umiltà, ma stando sempre in piedi vicino a questa; nel 1863-64 ebbe l'ufficio di consigliere
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scolastico, cioè la direzione degli studii nelle scuole dell'Oratorio. Nell'ottobre del 1864 D. Bosco lo mandava ad aprire e a dirigere il collegio di Lanzo, e quindi doveva cessare dallo scrivere le sue preziose memorie che abbracciano lo spazio di cinque anni. Anche l'autore de' Cinque Lustri di Storia dell'Oratorio Salesiano, D. Giovanni Bonetti ordinato sacerdote nel 1864, dandosi l'intesa con D. Ruffino, scrisse una, cronaca sugli avvenimenti dell'Oratorio accaduti sotto i suoi occhi dal 1858 all'autunno del 1863, quando egli pure cessò di scrivere, perchè mandato a fare scuola di ginnasio nel Collegio di Mirabello. Nessuno dei confratelli ignora quanto vaste fossero le cognizioni di D. Bonetti, specialmente in teologia; gli alti ufficii che gli conferirono la confidenza di D. Bosco e la stima de' Capitoli generali; e i meriti grandi che si acquistò coadiuvando D. Bosco nella direzione della Pia Società di S. Francesco di Sales, e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. D. Ruffino adunque e D. Bonetti sono testimoni degni d'ogni fede, e noi abbiamo già ricorso alla loro autorità nei capitoli precedenti. Noi perciò uniremo in una sola le due cronache sicchè una completi l'altra. Citeremo i nomi dei due relatori, se i fatti riportati saranno diversi, e quando ambedue dicono la stessa cosa ci limiteremo a citare semplicemente la Cronaca. Alle loro testimonianze aggiungeremo quelle autorevolissime di D. Rua Michele, di Mons. Cagliero, e di altri veterani Sacerdoti e laici della nostra Congregazione. Non ommetteremo per nostra parte le prove storiche di quanto saremo per asserire. Intanto ripigliamo il nostro racconto sotto la guida dei due citati manoscritti. D. Ruffino scrive: “ Nei primi giorni di gennaio 1860
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D. Bosco ragionando delle prove dolorose che sovrastavano alla Santa Sede e dello stato politico dell'Italia aveva detto: - Aspettiamo il mese di marzo! ” - I giovani che non lasciavano cadere una sola parola di D. Bosco vedevano incominciare il marzo con viva aspettazione. E i fatti diedero ragione a D. Bosco. L'11 e il 12 marzo essendo state invitate le popolazioni della Toscana e dell'Emilia (ossia Parma, Modena e Legazioni) a manifestare i loro desiderii intorno al Governo preferito, per mezzo di una votazione, si ebbe il risultato voluto, e che era da prevedersi. Una immensa maggioranza fu per l'annessione al Piemonte. Il 18 marzo i voti dell'Emilia per mezzo del Dittatore Cav. Farini, e il 22 quelli della Toscana per il Dittatore Barone Ricasoli, erano presentati al Re in Torino, il quale li accoglieva festosamente alla presenza dei grandi ufficiali del Governo e sanciva la desiderata unione con due decreti, i quali dichiaravano far quelle provincie parte integrante del Regno Sabaudo. Così il Papa fu spogliato definitivamente delle sue Legazioni. La sera di quei giorni furono in Torino illuminati i pubblici edifizii, ma non ostante l'invito del Sindaco pochissimi privati posero i lumi alle finestre. Il Ministero aveva pur fatto sentire alla Curia il desiderio che la Domenica 25 marzo si cantasse un Te Deum nella Cattedrale; ma il Vicario Generale Can. Fissore stette fermo nella negativa. In Torino tuttavia lo cantò un parroco Cavaliere, ed in Chieri il Capitolo del Duomo col Rettore del Seminario che venne subito dalla Curia rimosso da quell'ufficio. In tutto il Regno volle il Governo si festeggiassero quelle annessioni. In Milano si suonarono le campane, ma
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al primo colpo cadde il battocchio ad una campana e ad un'altra si spezzò la corda. In Genova il campanone della Torre che in tempo della repubblica suonava per le assemblee popolari, e al tempo presente nelle feste dello Statuto e della Chiesa, in questo giorno al primo colpo si ruppe. Il giorno 24 marzo mediante un trattato, si era fatta dal Re la cessione di Nizza e Savoia alla Francia, approvata di poi il 29 maggio dalle Camere e confermata da un plebiscito, il quale riuscì come volle. Napoleone, ma non senza promesse e minacce. Era il premio per aver aiutate le imprese del Piemonte. Finalmente il 4 di aprile ebbe luogo la prima tornata del Parlamento sotto la presidenza del Generale Zanone Quaglia decano di età; ma in quel giorno medesimo avvenne un caso che gettò il terrore nell'interno della Camera e fuori. Sulle ore tre e mezzo pomeridiane, dopo che il Presidente ebbe proclamato i deputati di Bologna e di Ravenna, fu colto da un colpo apopletico: svenne e cadde; la tornata si dovette chiudere all'istante. Il Presidente venne recato semivivo dai questori e dai segretarii nelle stanze vicine, ove gli si praticarono dei salassi. Ma il poveretto moriva due giorni dopo. Intanto D. Bosco per estendere maggiormente l'azione della sua attività a vantaggio dei giovani poveri ed abbandonati, e fors'anco per tastar terreno e conoscere quali fossero gli umori riguardo a lui nel Ministero dell'Interno, aveva fatta domanda a Farini per ottenere un biglietto personale gratuito sulle Ferrovie. Il Ministro trasmetteva la domanda al Ministero dei lavori pubblici, dal quale D. Bosco riceveva la risposta:
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MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI. - Direzione delle strade ferrate. Torino, 22 marzo 1860.
In vista del lodevole scopo cui tende la domanda sporta dalla S. V. al Ministero dell'Interno, si è lo scrivente disposto ad accordarle un permesso gratuito di circolazione, sulle ferrovie esercitate dallo Stato, valevole per l'anno corrente. Pregiasi quindi lo scrivente di trasmetterle il relativo biglietto, che venne rilasciato, in data d'oggi, a di lei favore. Il Direttore Generale BONA.
Il Cav. Bona Bartolomeo senatore del Regno era stato Direttore generale nel Ministero dei lavori pubblici nel 1855 - 56 - 57; Ministro e Segretario di Stato nello stesso Ministero gli anni 1858 - 59; ed ora occupava l'importante carica di Direttore Generale delle strade ferrate. Egli adunque largheggiò nel favorir D. Bosco. Per più anni concesse per lui e per chi lo accompagnava il biglietto gratuito di ferrovia di seconda classe, su qualunque linea del Piemonte; e a tutti i giovani dell'Oratorio il 75% di ribasso. Talora mise a disposizione di D. Bosco uno o due vagoni, e senza spesa, perchè conducesse i giovani nelle passeggiate autunnali; ed è perciò che più di una volta una schiera di questi lasciata la via di Chieri, per andare ai Becchi, scendeva a Villanuova d'Asti, quantunque rimanesse ancora a percorrere una strada non breve a piedi. D. Bosco però contraccambiava tanta benevolenza, con una grande carità che già prima d'allora aveva prodotti i suoi effetti. Alla morte disgraziata e prematura di certi impiegati delle vie ferrate, i loro orfani rimanendo sprovvisti di tutto, e talora in mezzo ad una strada, D. Bosco ne ricoverava molti nel suo Ospizio. Capi di divisione,
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conoscendolo personalmente, volentieri prestavansi a raccomandarli, e D. Bosco con ogni premura soddisfaceva ai loro desiderii. Quest'opera di beneficenza mettevalo in buona vista anche presso tutto il personale subalterno. In quanto poi al Cav. Bona, che aveva una grande influenza in tutti i dicasteri del Governo, gli portava vero affetto, si dichiarava suo amicissimo, molte volte si compiaceva di conversare a lungo con lui e talvolta gli diede generosa elemosina. Poco tempo prima della sua morte, venuto un giorno a visitarlo nell'Oratorio, intrattenevalo passeggiando per più ore nella biblioteca. Oh certamente il Servo di Dio non tralasciò di ripetergli una parola di vita eterna! A noi adunque sembra che con tali benemerenze, con tale concessione dal Ministero dei lavori pubblici, e colla benevolenza del Cav. Bona, D. Bosco potesse anche sperare di avere quando che sia aiuto e difesa. La sua fiducia però non si appoggiava sulle speranze umane, sibbene nella protezione di Maria SS. e sulle preghiere dei suoi alunni. Uno di questi, artigiano modello di pietà e di illibati costumi, nel mese d'aprile, gli scriveva una lettera confidenziale, che D. Bosco conservò per la grande stima ed amore che gli portava.
Superiore Rev.mo,
Una notte vidi presentarsi ai miei occhi un uomo poveramente, ma decentemente vestito, il quale con volto benigno, ma spirante maestà e saviezza, si avanzava con un bastone in mano e coi sandali ai piedi. Questo personaggio, dopo avermi fatto vedere varie cose future, stendendo il braccio sinistro verso terra, mi disse: - Segui le mie pedate. Io lo seguii, ed entrammo in un lungo a me sconosciuto. Qui mi fece in modo chiaro intendere e scolpire
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nella mia mente che nell'Oratorio il numero dei giovani aumenterà, diventerà florido, trionferà a vantaggio ognora della Chiesa, se con assiduità si andrà vegliando nell'orazione, se tutti pregheranno divotamente. Ma quando si comincerà a provar noia degli esercizi di pietà cristiana, quando si trascurerà la frequenza dei Sacramenti, quando si reciteranno sbadatamente le preghiere, masticando le parole, quando insomma si tralascerà di amare Iddio, per andare dietro alle vane felicità del mondo (come pur troppo si fa già da taluni), allora diminuirà il numero dei giovani e del clero e piangeranno amaramente e saranno desolati coloro che vedranno gli oltraggi con cui si ferisce Dio stesso. Il Superiore perderà la stima dei soggetti, verrà dispregiato e persino perseguitato, come se volesse disperdere le antiche usanze della religione nell'Oratorio; e tale cosa incuterà minaccioso spavento in chi ne conoscerà la cagione. Per ora sia persuaso che non v'è questo pericolo, imperocchè ha giovani che colla loro ottima condotta ed innocenza lo possono aiutare molto ”.
CAPO XXXVI. Letture Cattoliche - Lettera dell'Arcivescovo di Firenze in lode delle suddette Letture - La Pasqua: ed un muratore che D. Bosco sostiene perchè non cada Protesta di fedeltà al Papa dei giovani dell' Oratorio e il danaro di una colazione per l'Obolo di S. Pietro Lettera di D. Bosco al Papa - Tre previsioni di avvenimenti futuri - Punizione di chi scherniva il segno della Santa Croce - Lettera del Card. Marini e dispensa di età a D. Rua per le sacre ordinazioni - La morte di un giovane predetta ed avverata - Come fa D. Bosco a prevedere queste morti - Predizione a Gastini Carlo - La rovina delle Sicilie e l'andata del Ch. Castellano in paradiso - Risposta del Card. Antonelli a D. Bosco in nome del Papa - Due verbali del Capitolo: accettazione di soci - Esercizi spirituali, ricordi e mese di Maria - Garibaldi parte per la spedizione di Sicilia - Il Card. Antonelli e i volontari pontifici piemontesi.
Per Lettura Cattolica di maggio era preparato il fascicolo anonimo: Angelina o la buona fanciulla istruita nella vera devozione a Maria SS. - LA MIA GIORNATA CON MARIA - era il tema svolto in capitoli nei quali, in ogni azione comune e spirituale del giorno
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si propone per modello e per aiuto la Madre SS. del Salvatore. Non manca un capo che tratta della Chiesa di Gesù Cristo. La diffusione di questi libretti stava a cuore all'Arcivescovo di Firenze, il quale rispondeva ad una lettera di D. Bosco.
Pregiatissimo Signore,
Appena ricevuta la pregiata sua del 31 marzo ho mandato a chiamare il Sac. Gerolamo Carloni, che è uno dei canonici della Basilica di S. Lorenzo di questa città e gli ho dato incarico di procurarle le notizie che Ella desidera intorno a questo bellissimo tempio. In questi giorni egli si trova assai occupato, ma appena trascorsa la Pasqua, egli si occuperà della cosa e gliene scriverà direttamente. Io sono ben lieto di potere servirla ed esserle utile nelle sue pie intraprese in servizio della nostra S. Religione. In questi giorni sono state ristampate qui a Firenze le Conversazioni tra un avvocato ed un curato da Lei composte sovra il Sacramento della Confessione, che sono un ottimo libro e che hanno già cominciato a produrre buon effetto, ravviando qualche testa traviata. Mi è grato il dirle ciò a gloria di Dio e per di Lei incoraggiamento. Mi darò anche cura che si diffondano qua le eccellenti Letture Cattoliche, che si pubblicano a Torino e delle quali mi ha inviato il manifesto per l'anno ottavo. Continui a comandarmi con libertà. Mi tenga ricordato nelle sue orazioni e mi creda, quale mi segno pieno di rispetto e di stima
Di Lei pregiatissimo Signore Firenze, il 2 aprile 1860.
Dev.mo e obb.mo servo GIOACHINO Arcivescovo di Firenze.
Era questo il principio di una affettuosa corrispondenza, per la quale poco dopo D. Bosco e l'esimio Prelato concertarono fra di loro il modo di arrestare la propaganda dei
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Protestanti, che si erano installati in un borgo di Firenze. Così narra Mons. Cagliero. Ma D. Bosco mentre in tanti modi lavorava alla salvezza delle moltitudini, cercava di attrarre a Dio gli individui dei quali le moltitudini stesse sono composte, tutti quelli cioè nei quali s'imbatteva, e che egli stesso andava cercando. Opera questa di maggior umiltà e sacrifizio della prima. Quanti di costoro da lui invitati e confessati si videro il giorno di Pasqua, 8 aprile, fare la S. Comunione nell'Oratorio insieme coi giovanetti. Ci raccontò il Teol. Reviglio: “Dove la via S. Domenico sbocca in via Milano, D. Bosco s'imbattè in un vecchio muratore, il quale in quell'istante sdrucciolò in modo, che si sarebbe fatto male cadendo. Il Servo di Dio lo sostenne e il vecchio esclamò, ringraziandolo: - Oh, se non era di lei, che mi sostenne, sarei caduto per terra. - D. Bosco gli rispose: - Potessi pure sostenervi ed impedirvi di cadere nell'inferno. - Tali parole fecero così impressione in quell'operaio, che in un lampo riconobbe il miserando stato dell'anima sua, il quale lo avrebbe fatto sicuramente precipitare negli abissi dell'inferno, se non si convertiva. Tocco dalla grazia di Dio volle tosto andarsi a confessare da D. Bosco, il quale ebbe così la consolazione di difenderlo dalla caduta del corpo e da quella dell'anima. Quel muratore fu tanto contento, che salutava D. Bosco ogni volta che incontravalo”. Intanto D. Bosco, scrisse e fece scrivere dai giovani degli Oratorii una protesta di fedeltà al Papa, con 710 Sottoscrizioni e fu inviata l'11 aprile, unendovi lire 163 e 40 centesimi per l'Obolo di S. Pietro. L'offerta ebbe occasione da questo fatto. Una caritatevole persona aveva regalata tale somma all'Oratorio e D. Bosco comunicando ai giovani la buona notizia,
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aggiunse che l'Oblatrice desiderava, che quel denaro servir dovesse per dar loro una gustosa colazione. Allora si levò unanime una voce: - Si mandi, al Santo Padre! - Don Bosco loro fece osservare che quel regalo era dato per i giovani e non pel Papa: - Noi ci rinunziamo volentieri, replicarono, e se occorre faremo digiuno in quel giorno, ma quel danaro lo vogliamo mandare al Santo Padre. Egli ha già fatto a noi tanti regali. - La persona caritatevole informata della generosa risoluzione di que' poveri giovani mandò un'altra somma eguale alla prima, affinchè quasi come premio della loro venerazione al Romano Pontefice, avessero parimenti un meritato e copioso companatico. Alla protesta dei giovani D. Bosco aveva unita una lettera al Papa scrivendogli: “che stava per cadere sulla Chiesa una grave sciagura, la quale avrebbe messa a pericolo la fede di molti, e che dovrà essere difesa dal sangue dei più fedeli. Si confortasse però perchè Maria SS. preparava per la Chiesa un grande trionfo e il tempo di questo, non dover essere lontano”. Con queste parole, tratte dalla cronaca di D. Ruffino, pare che D. Bosco alluda ai volontari Pontificii, e al trionfo, della canonizzazione dei martiri Giapponesi, poichè egli (come vedremo) tenne sempre per fermo essere ben lontana ogni speranza di ristorazione politica. Il giorno dopo 12 aprile, D. Bosco alla sera, parlando in pubblico, fece qualche commento a quanto si era operato a sollievo del Vicario di Gesù Cristo e soggiungeva: Nel mese di gennaio io diceva: aspettiamo il mese di marzo: e ora dico: aspettiamo il mese di agosto! Quindi dopo aver esortato i giovani ad essere sempre franchi e generosi cristiani, disse loro:
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- Vi narrerà un terribile esempio, che ha un intiero paese per testimonio. Prima delle vacanze di Pasqua un giovane dell'Oratorio si portava a casa. Fra gli altri avvertimenti ebbe quello di farsi sempre il segno della Santa Croce prima e dopo di prendere cibo. Questo giovane, benchè ottimo, si accomodò facilmente ad eseguire tutti gli altri avvisi, ma quest'ultimo gli parve difficile troppo a mettersi in pratica in casa sua, dove non eravi simile usanza, e prevedendo che sarebbe stato fatto segno a molte derisioni. D. Bosco allora disse: - Che hai da temere? Se i tuoi parenti faranno qualche osservazione tu dì loro così: - siamo in tempo di Costituzione e perciò vi è libertà per tutti. - Bene; farò quanto ella mi dice, - rispose il giovane sorridendo, e partì pel suo paese. Quivi giunto e accolto con feste, innumerevoli furono le interrogazioni che gli vennero fatte, specialmente intorno a ciò che aveva imparato a Torino. Intanto venne l'ora aspettata della cena. Tutti si mettono a tavola come i bruti animali, senza alzare la mente a Dio, divorando coll'occhio ingordo, prima ancora che colla bocca, ciò che era stato apparecchiato. Ma il nostro giovane, non senza rossore ma con intrepidezza fece il segno di croce seguito da breve preghiera: poi si assise. A quell'atto religioso un suo fratello assai maggiore di età gli disse: - Che cosa fai? - e incominciò a motteggiarlo; gettando spropositi in fatto di pratiche di pietà. - È tutto questo che hai imparato a Torino? Come! Tu che sei andato a scuola e che pretendi saperne tanto, ti lasci ancora dominare da questi pregiudizi? Se hai imparato solamente a fare il bigotto, potevi startene a casa. - Caro Domenico (così chiamavasi il fratello maggiore), non sono pregiudizi, ma sono pratiche religiose che ci furono insegnate dai nostri buoni vecchi, dai nostri maestri, dal nostro parroco. - Queste sono favole e le favole non sono più pei nostri tempi: mettiti a mangiare e lascia a parte queste anticaglie. - Io non so dove tu abbia imparato queste brutte maniere di parlare. Io trovo che sono ragionevolissimi certi atti di pietà. Il Catechismo ci dice che dobbiamo fare il segno della Santa Croce prima e dopo il cibo, ed ha ragione, perchè gli animali soltanto mangiano e bevono senza mai badare al loro creatore. Ma noi non siamo bestie, siamo creature ragionevoli, noi
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dobbiamo riconoscere la santa mano del Creatore in ogni opera, in ogni momento del giorno e specialmente quando andiamo a, ricevere gli alimenti che Dio ci dà per conservare questa vita, che egli eziandio ci ha donata e che ad ogni momento ci può togliere. - Inezie, inezie, - disse Domenico, al quale gli altri fratelli avevano fatto coro; e dette queste parole si venne a parlare d'altro e per quella sera la cosa passò così. Ma il domani doveva essere battaglia campale. Per festeggiare l'arrivo dello studente furono, dalla madre vedova, assai trascurata nelle cose di religione, invitati a pranzo parenti ed amici. Il momento di sedersi a mensa che avvicinavasi, metteva in un po' di timore e di confusione il nostro caro giovane, ma quando tutti ebbero preso posto intorno alla mensa senza preghiera, egli non mancò alle sue promesse. Appena ebbe incominciato il segno di croce, da tutte parti le risa, i motteggi, le villanie, tennero luogo delle congratulazioni e dei complimenti che si usano in tali circostanze. Fatto un po' di silenzio suo fratello Domenico, capoccia di quel baccano, gli rivolse la parola schernendolo: - Oh! Dimmi un po', vuoi tu che facciamo un patto tra me e te? - Quale sarebbe? - Questo che ti dico: tu farai dei segni di croce, dirai dei Pater noster ed io mangerò la tua parte di pietanze. Al fine del pranzo poi vedremo chi sarà più benedetto e avrà meglio pranzato. - Come vuoi! e, se così ti piace, io sono contentissimo di lasciarti la mia parte di pietanza. A me basterà la minestra con pane e formaggio, purchè tu mi lasci in libertà di compiere le mie pratiche religiose. In quanto poi al dir dei Pater mi basta adempiere semplicemente al mio dovere. Così si fece: Domenico scherzando mangiava la sua parte e poi mettevasi innanzi quella che il fratello cedevagli. I commensali, gente male educata, sghignazzavano. La sera all'ora di cena Domenico disse di nuovo al fratello: - Siamo intesi: tu farai il Segno della Croce e pregherai a piacimento, e la mia preghiera consisterà nel mangiare la tua pietanza. - Non m'importa cederti la mia pietanza, prendila pure, ma mi rincresce che tu abbia così perduta la religione. Credimi, o fratello, io sono profondamente -addolorato; che se tu non vuoi
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praticarla, almeno non burlartene, poichè D. Bosco mi ha detto e più volte ripetuto che col Signore non si burla, e che la religione è una spada a due tagli, che ferisce chiunque tenta d'impugnarla. Credimi; col Signore non si burla. Mentre cenavano entrò nella stanza un buon numero di giovanastri che si unirono a Domenico per burlare suo fratello. Io non voglio qui ripetere le scempiaggini degli uni e le salde risposte date dall'altro. Dico solo le cose essere giunte al punto che tutti insieme schiamazzavano, mentre il poveretto non poteva più dire altro se non che: Col Signore non si burla. Finita la cena quel cattivo disse a suo fratello: - Ebbene, hai mangiato con appetito? - Sì: io sto benissimo; è vero che non ho il mio stomaco così pieno come il tuo, ma spero che la digestione la farò più facilmente. - Oh, oh! i Pater noster li digerisci con molta facilità! - ripigliò quell'incauto, il quale non aveva ancor finito di parlare che incomincia ad impallidire e a storcersi; poi si tocca il ventre e infine dice: - Mi sento un po' male alla pancia... il dolore cresce... mi vien caldo... aiutatemi. Erano le dieci di sera e i compagni che stavano già per partirsene gli andarono d'attorno e vedendo che non si riaveva, lo portarono di peso in letto. Violenti convulsioni lo assalgono e acutissimi dolori d'intestini lo costringono a mandare grida spaventevoli. I compagni erano là sbalorditi e la madre mandò tosto pel medico, non sapendo quali cure prestargli. Allora il buon fratello si avvicina all'infermo e gli domanda se è contento che vada a chiamare il parroco. Domenico con un atto di furia gli minaccia uno schiaffo, per un momento lo respinge; ma tosto lo richiama e fa segno che vada presto dove aveva detto. Giunsero poco dopo quasi contemporaneamente il Parroco e il medico e l'infermo moriva la notte seguente soffocato dalle convulsioni e di una rottura al petto. Egli però aveva riconosciuto e detestato il suo fallo e le ultime sue parole furono queste: - Compagni, non disprezzate mai la religione: col Signore non si burla; io muoio percosso dalla mano di Dio in castigo della mia intemperanza e delle bestemmie proferite contro di Lui. Speriamo che questo giovane sia spirato nella misericordia del
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Signore. Fu per altro una terribile lezione a que' compagni, che giudicarono di non fare opera migliore, se non coll'andare il più presto possibile ad un convento di cappuccini per confessarsi e ricevere la loro Pasqua. Il fratello piange la morte di questo poveretto, e prega ogni giorno del riposo dell'anima sua.
Mentre D. Bosco così spargeva la buona semente, ornai era certo che nuovi e valenti operai lo avrebbero aiutato a raccoglierne il frutto. D. Rua ormai terminava il corso regolare di Teologia. Si era chiesto a Roma la dispensa della sua età per le Sacre Ordinazioni ed affettuosa fu la risposta ricevuta da D. Bosco.
Rev. Signore,
Mi è grato di aver potuto corrispondere a' suoi desiderii. Qui unita le mando la dispensa a favore dell'ottimo suo protetto e cooperatore nelle Opere di Carità e di Religione D. Michele Rua. Il Santo Padre per darle una prova ulteriore di sua benevolenza, ha concessa la grazia implorata per semplice rescritto, che è quello che qui accluso le ho mandato, onde esonerarlo da qualunque spesa. Desidero sempre di prestarmi ove posso; La prego a non dimenticarmi nelle sue orazioni, mentre salutandola distintamente mi confermo con tutta la stima Di Lei
Roma, 20 aprile 1860
Servitore vero verissimo addittissimo P. Cardinale MARINI.
Tale dispensa però arrivava tardi, essendo allora necessario per l'esecuzione del Rescritto il placet Regio; sicchè D. Rua dovette attendere ancora per due mesi il compimento de' suoi vivi desiderii. Il Signore intanto co' suoi doni dava a D. Bosco
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prova di gradire quanto operava per la sua gloria. Nota D. Ruffino in data del 7 aprile: “Più volte D. Bosco nei giorni precedenti annunziò: - Qualcheduno della casa dovrà morire in questo mese. ” Il 24 aprile moriva il torinese Trona Alessandro di anni 14, entrato nella casa con suo fratello il giorno 8. Era stato messo all'Oratorio da un certo signor Gianoglio per sottrarlo alla vita cattiva, che toccavagli fare in casa di suo padre. La prima Domenica che si trovò qui, ossia la Domenica in Albis, 15 aprile, fece la sua Pasqua. Dai sette anni non si, era più confessato. Il giorno dopo si coricò infermo di rosalia, il 22 Domenica, ricevette il Santo Viatico, lunedì l'Estrema Unzione, ed il martedì morì di tifo circa alle ore nove e mezza antimeridiane”. Si parlò molto in casa di queste ripetute previsioni e D. Bosco talvolta disse, presente D. Francesia: - Se sapeste quanto mi costa prevedere l'avvenire degli altri! - Dà ciò si arguisce che vi fosse qualche condizione misteriosa o sacrifizio straordinario e che fosse ciò effetto delle sue preghiere. - Come fa, un giorno fu interrogato a sapere i giovani che dovranno morire? - Vedo talora, rispose, molti sentieri ciascuno dei quali è percorso da un giovane e il sentiero è interrotto da un fosso a metà, a un terzo ovvero a un quarto della - sua lunghezza; altra volta sopra questi sentieri a un certo punto leggo la cifra dell'anno, del mese, del giorno. Carlo Gastini andò a chiedere a D. Bosco fino a quale età sarebbe vissuto. D. Bosco gli rispose: - Fino a settanta anni! - Questa predizione il buon Gastini la ricordò mille volte in prosa ed in poesia ed era conosciuta da tutto l'Oratorio ed anche da molta gente di fuori. Ed egli moriva
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nel 1901, il giorno dopo che era entrato nel settantesimo anno, assistito da D. Rua. Succedevansi le previsioni. D. Ruffino nota nella sua cronaca. “Il 25 aprile D. Bosco disse privatamente: Sono decise due cose: - La rovina delle Sicilie e l'andata del Chierico Castellano in paradiso”. Questo chierico malaticcio erasi ritirato a casa sua in Torino per sottoporsi ad una cura diligente. Intanto mentre in Piemonte si preparavano segretamente gli uomini e le armi per conquistare l'Italia meridionale, Pio IX faceva rispondere alla lettera di D. Bosco.
Ill.mo Signore,
Rassegnai volentieri al Santo Padre il plico che V. S. Ill.ma mi rimetteva col suo foglio del 25 aprile e del quale mi manifestava il contenuto. La Santità Sua accolse lo scritto con vero gradimento, conoscendo appieno il figliale zelo, ond'era dettato. Implora frattanto su Lei e sopra i giovanetti alla sua direzione affidati la copia delle celesti benedizioni. Ed esortandola al non cessare dalla preghiera di cui molto si abbisogna,, ho il piacere di conformarmi con sensi di distinta stima Di V. S. Ill.ma Roma, 17 maggio 1860.
Servitore G. CARD. ANTONELLI
Sig. D. Giovanni Bosco - Torino.
Colla benedizione del Papa D. Bosco aggregava nuovi confratelli alla sua Pia Società, come si legge nei seguenti due verbali delle sedute del Capitolo.
L'anno del Signore 1860, 1 maggio, il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales si è radunato per fare l'accettazione dei giovani, Capra Pietro figlio di Francesco di Alfiano, Albera Paolo
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figlio di Gio. Battista da None, Garino Giovanni figlio di Antonio da Busca, Momo Gabriele figlio di Giuseppe da Saluggia, tutti proposti dal Rettore D. Bosco in altra seduta anteriore. Pertanto dopo la solita preghiera ed invocazione dello Spirito Santo fecesi la votazione. Capra Pietro ottenne i pieni voti, gli altri su sette voti ebbero ciascuno un sol voto negativo. Perciò tutti furono ammessi alla pratica delle regole della Società.
Due giorni dopo il Capitolo tenne un'altra seduta.
L'anno del Signore 1860 li 3 maggio alle 10 pomeridiane il Capitolo della società di S. Francesco di Sales radunossi per l'accettazione dei giovani, Ruffino Domenico, Chierico, figlio di Michele, da Giaveno, Vaschetti Francesco, Chierico, figlio di Pietro, di Avigliana, Donato Edoardo fu Carlo da Saluggia. Fatta secondo il solito la votazione, il Chierico Ruffino su sette voti ne ottenne sei, il Chierico Vaschetti ne ottenne cinque, il giovane Donato ebbe i pieni voti. Pertanto furono tutti ammessi alla pratica delle regole di detta Società.
Tutti i sunnominati per ingegno, studio, pietà, e condotta erano fra i primi dell'Oratorio: D. Bosco aveali formati a sua immagine e somiglianza pel candore, l'attività e risolutezza di propositi. Gli irresoluti, i snervati di volontà non facevano per lui, specialmente se gli fossero stati raccomandati per lo studio. In questi giorni scriveva alla signora Damigella Adele Daviso di Chieri.
Pregiatissima Signora,
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Affinchè il giovanetto Rossi possa essere accolto in questa casa, bisogna che pensi a qual cosa voglia appigliarsi in fine de' suoi studi; ma egli sa nemmeno se ami più un mestiere o lo studio. In tale dubbiezza Ella potrebbe indirizzarlo al sig. Can. Caselle che saprà studiarlo e consigliarlo nella sua vocazione ed io sono
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sempre pronto di fare per questo suo raccomandato quanto sembrerà di maggior gloria di Dio e bene dell'anima di lui. Raccomando me e i miei giovanetti alla carità delle divote di Lei preghiere, mentre colla dovuta stima mi professo nel Signore Di V. S. Preg.ma
Torino, 24 aprile 1860. Devot.mo servitore Sac. Bosco GIOVANNI
“Si era in tempo di esercizi spirituali, si legge nella Cronaca di. Don Bonetti, i quali incominciati il 30 aprile, finivano il 4 maggio. Oltre ai ricordi dettati ai giovani dai predicatori, D. Bosco volle dar loro egli pure alla sera i suoi. Ci diede due “F” ed un “S”. Il primo “F” spiegò che voleva dire frequenza dei SS. Sacramenti della Confessione e della Comunione. Il secondo “F” fuga dei cattivi compagni e frequenza dei buoni compagni, che possono insegnarci la strada della virtù e lo spirito di pietà. L'“S” schiettezza e sincerità nella confessione. - Oh I miei cari figliuoli, proseguì, se voi mettete in pratica queste raccomandazioni io vi assicuro che il demonio farà banca rotta”. Con gli esercizi spirituali era incominciato il mese consecrato a Maria, nel quale, testifica il Can. Ballesio, D. Bosco dava un fioretto generale per tutto il mese ed un particolare ogni sera per ciascun giorno, i quali fioretti erano molto osservati con profitto dei giovani e della disciplina interna. Mentre così D. Bosco informava a virtù lo spirito dei suoi alunni, Garibaldi radunati i suoi volontarii, con 1000 di questi, tolti con simulata violenza due piroscafi alla società Rubattino, s'imbarcava a Quarto presso Genova il 5 maggio. Cavour segretamente lo forniva d'armi e di danari. Protetto da navi da guerra inglesi, l'11 maggio approdava a
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Marsala. La Sicilia eccitata da molti emissarii sollevavasi; i soldati del Re di Napoli o impauriti o traditi, si lasciarono vincere a Calatafimi, a Palermo e a Milazzo. Garibaldi il 28 luglio poteva entrare in Messina. Le navi da guerra Napoletane erano dai loro comandanti consegnate all'ammiraglio Piemontese Persano. Francesco II era troppo debole ed inesperto di fronte a coloro, che numerosi congiuravano, contro il suo trono. Intanto conoscendosi a indizii abbastanza chiari che la guerra doveva finire per cadere sul Papa, affluivano a Roma i giovani generosi di varie nazioni, e molti della prima nobiltà Francese e Belga, per arruolarsi in sua difesa nell'esercito pontificio. Eziandio alcuni Piemontesi si portarono a Roma per militare sotto quelle bandiere, ma non furono accettati. Il Cardinale Antonelli disse loro che si facessero dare una commendatizia da D. Bosco.
CAPO XXXVII. D.Bosco va a Bergamo - Sue osservazioni sopra la lettura di un giornale cattivo - Confessa in treno un viaggiatore - Fatti ameni all'arrivo e in casa del Vescovo di Bergamo - Premure paterne di Mons. Speranza - La S. Messa in Duomo - Si stabilisce una conferenza di S. Vincenzo de' Paoli - D. Bosco conduce a Terno il parroco Bagini uscito di carcere - Festose accoglienze - D. Bosco visita il Seminario di Bottanuco - Promette al Vescovo di predicare l'anno venturo gli esercizi ai chierici: lo esorta a presentare i preti e i chierici agli esami per i diplomi e per le lauree.
Il giorno 6 di maggio D. Bosco partiva alla volta di Bergamo. Deplorabile oltre ogni dire era la condizione del clero in quella discesi. Essendo i sacerdoti del Bergamasco tra i più dotti ed esemplari della Lombardia, venivano fatti segno alle ire rivoluzionarie. L'anno antecedente era stato invaso da una turba ladra e frenetica il palazzo Vescovile e malmenata sacrilegamente la stessa persona del Vescovo. Ogni giorno scrivevasi sulle mura delle case: Morte ai preti! Ma ciò che è peggio gli stessi ufficiali del governo non si vergognavano d'infierire contro sacerdoti innocenti. Parecchi erano stati tra-
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dotti pubblicamente alle carceri dei malfattori con grande scandalo e dolore di quella buona popolazione. Si accusavano di cospirazioni commesse per mezzo di associazioni pubbliche, di preghiere, di danaro di S. Pietro e cose simili. D. Bosco pertanto si mise in viaggio per confortare Mons. Pietro Luigi Speranza, Vescovo di Bergamo; e, dopo qualche giorno, ritornato in Torino narrava ai suoi alunni quanto gli era occorso. Era questa la sua costumanza quando, stava qualche tempo fuori dell'Oratorio, perchè i giovani vivevano della sua vita. Così aveva occasione di impartir loro qualche ammaestramento e col suo stile ricco e festivo dar sempre nuovo pascolo alla loro fantasia. Ecco dunque la sua descrizione, colla quale intrattenne per qualche sera la Comunità: potrà sembrare troppo prolissa e particolareggiata, ma tale era il suo stile in simili circostanze. Noi la riportiamo esattamente come ce la riferisce la Cronaca di Don Bonetti.
Il 6 maggio montato a Torino sul vagone, mi trovai insieme con due altri viaggiatori. Uno di questi si lagnava che essendo venuto a Torino per parlare con D. Bosco di un suo ragazzo che voleva mettere nell'Oratorio, non lo aveva potuto trovare. Gli domandai se conoscesse D. Bosco ed ebbi per risposta che lo conosceva benissimo. Passai quindi ad interrogarlo del ragazzo e su questo oggetto si discorse quasi fino a Saluggia. Allora lasciando l'incognito mi palesai a quell'uomo dicendogli il mio nome e con ciò gli cagionai sorpresa e consolazione, con grandi risa di ambedue le parti. Giunti a Saluggia siam tutti discesi e approfittandoci del tempo che vi era di fermata, il mio compagno volle visitare qualche cosa del paese. Intanto venne il tempo della partenza e colui che era per terzo, avendo lasciato nel nostro vagone il parapioggia ed il sacco da viaggio, non dandosene pensiero, salì in un altro scompartimento. Restammo perciò in due soli in quel vagone. Il mio compagno era un uomo di buon fondo, ma imbevuto di pregiudizii, causa l'ignoranza e la lettura dei
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giornali cattivi pieni di veleno contro i preti e specialmente contro il Papa. In quel frattempo aveva comprato il giornale l'Opinione; lo aperse, ne scorse qualche riga e poi per compiacermi me lo porse, perchè io leggessi. - Grazie, mio caro, ma io non leggo simili giornali e mi fa meraviglia che la S. V. l'abbia comprato. - E perchè? - Non vede che è un giornale cattivo che parla male della religione e de' suoi ministri? - Oh! si sa che trattandosi di giornali non si va troppo pel sottile. - Il bene è bene, il male è male. - Ma non sa che tutto il mondo legge questo giornale? - Adagio, caro mio; tutto il mondo! Di novecentomila, per es., cristiani, non ne troverà un duemila che leggano tale sconcezza. - Ma dica quel che vuole; molti lo leggono, dunque non è male. - Non dica cosi! Molti lo leggono e molti fanno male; e sappia che se noi potessimo in questo momento aprire le porte dell'inferno, sentiremmo le grida di molti che si sono dannati solo per aver letti libri o fogli cattivi. - Non sa che mi fa paura! E se è così vada al diavolo l'Opinione, chè io non ci voglio andare. E preso quel giornale lo fece in minutissimi pezzi e lo gettò dallo sportello. Dopo questo bell'atto io cercai di entrare con lui in confidenza ed in breve mi aprì tutto il suo cuore. In fine mi disse: - Io avrei piacere di confessarmi. - Allora io contento come un principe, non esitai, lo presi in parola e gli dissi che si preparasse. Accondiscese: da Magenta a Milano egli fece la sua confessione, lasciandomi le più belle speranze di sua conversione. Vedete quanto può operare la grazia del Signore. Quel giorno io era per quel fatto così contento, che non poteva più stare nella pelle; principalmente perchè aveva veduto quivi un tratto speciale della Divina Provvidenza, nel far si che quell'altro uomo non cercasse più di venir a montare in quel nostro vagone, dove aveva le sue robe, quantunque si fossero fatte molte fermate. Se fosse di nuovo venuto con noi, non sarebbe certo stato possibile provvedere a quell'anima, perchè non avremmo potuto entrare in
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confidenza. Questo terzo venne poi a salutarmi e a prendere il fatto suo, giunti che fummo a Milano. Alcuni di voi domanderanno: - Ma D. Bosco aveva licenza di confessare fuori diocesi? State tranquilli che io avevo il permesso e questo l'ottenni da S. S. Pio IX quando sono andato a Roma. Il Papa mi diede facoltà senza limite di confessare ovunque. Giunsi a Bergamo alle 8 di sera. Pioveva. Domandai ad un ragazzo se avesse voluto condurmi a casa del Vescovo, ma si mise a gridare così forte, che quelli che rimanevano con me rimasero spaventati. Non' so se si fosse preso paura di me o che cosa avesse visto o pensato, il fatto si sta che non mi volle guidare. Perciò presi un brun o cittadina e fui condotto ancora assai bene, non avendo il vetturino proferito bestemmie. Gli domandai quanto volesse per quel tragitto e mi rispose: - Un fiorino. - Lasci i fiorini e dica quanti franchi. - Due franchi e mezzo. - Tastai la mia borsa e cavai fuori uno scudo, dicendogli che mi desse indietro un fiorino; ma risposemi di non aver moneta. Cavai fuori delle pezze da otto soldi e voleva pagarlo con queste, ma egli dando ai nostri soldi il valore dei soldi austriaci, non potevamo andare d'accordo, perchè secondo lui colle mie brave monete toccavami pagare un franco di più. - Abbia pazienza, gli dissi, quando saremo col Vescovo ci aggiusteremo. - Si, si; mi rispose. Giungemmo al palazzo Vescovile, pregai il Vescovo di intendersi egli col vetturino e subito la cosa fu aggiustata, poichè il Vescovo ne incaricò il domestico che gli diede un fiorino, moneta che il nostro carrozziere conosceva. Quella sera l'abbiamo passata in continuo riso col Vescovo e con quelli di sua casa; ed il Vescovo godeva nel farmi raccontare tutta la scena di quel vetturino. Venne intanto l'ora della cena; ma io non mi sentiva voglia di mangiare sebbene stessi benone. Il Vescovo però prima di andare a letto è solito dire tutte le sere il rosario. Andai io pure con lui. Per giungere più speditamente alla cappella si doveva passare per un corridoio, ma io giunto ad un certo punto, diedi tale un colpo colla mia zucca che credetti aver la testa rotta. - Si prenda guardia, mi disse il venerando prelato; il passaggio qui è un poco basso.
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- Me ne sono pur troppo accorto che è un poco basso! - risposi; ed intanto andava presso al Vescovo che aveva in mano il lume! Giungemmo ad un posto dove eranvi due scalini da calare. Il Vescovo aveva a fare per sè e non poteva attendere a me; fatto sta che io saltai due scalini ad una volta e caddi addosso al Vescovo. - Ma che fa? mi disse il Vescovo: Non ha paura d'incorrere la scomunica, volando addosso ad un Vescovo in questo modo? - La scomunica l'incorriamo tutti e due, gli risposi, perchè ci siamo a vicenda urtati l'uno contro l'altro. - È bene che per questa volta ce la perdoniamo a vicenda. Abbiamo di nuovo riso un poco, ma io sentiva il capo che mi doleva ed un ginocchio che mi faceva molto male, perchè aveva eziandio dato un colpo in uno scalino. Si disse il rosario; quindi il Vescovo stesso ripreso il lume volle accompagnarmi nella stanza che mi era destinata. Entrai in una gran sala riccamente addobbata, passai in un'altra ancor più splendida, e in una terza ove la manificenza non poteva essere maggiore. Un letto, ove una dozzina di persone avrebbero potuto dormire comodamente, mi fu additato dal Vescovo. Io rimasi stupefatto vedendo per me preparato un letto che risplendeva d'oro e d'argento; chè non pareva un letto, ma un trono regale. Dissi pertanto al Vescovo: - Monsignore, non ha altro letto da darmi per dormire? - No, sig. D. Bosco, se ne avessi uno migliore glielo esibirei di buon grado. - Ma no, Monsignore; non è questo che dico io. Non avrebbe una stanza dove mette la roba sporca? Io non posso, dormire in questo letto e non oso. - Non faccia cerimonie; sì adatti. - No; piuttosto dormirò su questo sofà; ma non andrò a pestare quel letto lì. - Lasciamo le facezie a parte, proseguì il Vescovo; adesso ella è sotto la mia giurisdizione; si corichi glielo comando, ed ella lo faccia in virtù di santa obbedienza. - Se è così allora mi corico. Il buon Vescovo dopo alcune altre parole, augurandomi la buona notte, si ritirò. Io era appena coricato ed aveva allora spento il lume, quando sento uno venir verso la mia camera e bussare. - Avanti! dissi. - Era il Vescovo.
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- Scusi tanto, sig. D. Bosco; non mi son ricordato di accertarmi se fosse ben coperto. - Oh, Monsignore, mi confonde, sa; ma perchè prendersi tanta pena? Sono servito come un imperatore! - Infatti in quel letto aveva già dormito l'Imperatore d'Austria. Il Vescovo visitò di nuovo le finestre per vedere se fossero ben chiuse, osservò se avevo tutto e lume e zolfanelli, tantochè una madre non poteva far di più per un suo amatissimo figlio. Malgrado io avessi un letto tanto bello e soffice, potei dormir poco, perchè il mio capo ancora mi doleva ed il ginocchio parimente. Perciò al mattino saltai su molto presto ed ebbi così tempo a far molto lavoro al tavolino. Intanto Monsignore mandommi un domestico, il quale mi condusse nella sacrestia del Duomo. Il servitore si avvicinò al capo sagrestano e dissegli che io voleva dir messa e che era stato mandato da Monsignore. All'udire che ero mandato dal Vescovo tutta la turba dei sagrestani fu in moto. Tolsero il calice che era pronto e ne misero al posto un altro più prezioso, cangiarono le paramenta e trassero fuori una stupenda pianeta. Come fui vestito, mi domandarono: - Eminenza, dove vuol andare a dir messa ? - Ovunque, risposi, purchè vi sia un altare, ed ove si trovi il Signore e la Madonna. - Vuole andare al sacro Cuore di Maria? - Sì! - Vi sarà da comunicare! - È quello che io desidero. - E così feci. Comunicai un gran numero di persone. Finita la mia messa ritornai alla sagrestia. Svestitomi e messomi a fare il ringraziamento, udiva che dicevasi di qua e di là: - Chissà chi sia costui? Chissà donde venga? Un cardinale non può essere! - E facevano mille supposizioni. Non osando domandarmi chi io fossi, finito che io ebbi di pregare mi dissero: - Eccellenza! (non più Eminenza) C'è il costume che quei sacerdoti che vengono qui a dir messa, scrivano in questo quaderno il loro nome e l'altare al quale la celebrarono. - Ebbene; anch'io lo farò. - E scrissi. Missam celebravi ad altare B. V. Sacerdos. - Ma di grazia metta anche il nome. - Ma è proprio necessario?
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- Così si fa da tutti. - Quanto più io mostrava di non voler mettere il mio nome, tanto più cresceva in essi il desiderio di saperlo. - Eh! sentano, conclusi; non avrei proprio nessuna voglia di scrivere il mio nome: è quello del primo eremita del mondo. - E lo scrissi. Subito uno ripetè all'altro: - D. Bosco, D. Bosco, D. Bosco! - tanto che corse un bisbiglio non indifferente, sebbene nessuno sapesse chi fosse quel D. Bosco. Me ne ritornai alla casa del Vescovo e quivi eravi già un parroco, stato mandato a chiamar dal Vescovo perchè io vedessi, d'accordo con lui, il modo di stabilire la Società di S. Vincenzo de' Paoli. Questa non esisteva ancora a Bergamo e il Vescovo desiderava, molto di stabilirla. Io sciolsi tutte le difficoltà che mi vennero fatte, dicendo: - Non si potranno avere due bravi giovani in tutta questa città? - Per questo non c'è difficoltà, mi fu risposto; non solo due, ma molti mi sento di prepararne; ed esemplari. - Ebbene, questo basta. Li raduni in sua casa ed io questa sera mi vi porterò e daremo principio. Così feci; alla sera 18 giovani già stavano radunati nella casa del parroco; loro feci coraggio, dimostrando quanto grande fosse il bene che potevano operare per vantaggio dei poveri, e per quello delle anime loro; che mettessero sotto i piedi il rispetto umano col pensiero che non il mondo sarà quello che ci dovrà premiare, ma quel Dio che tiene preparato in questa vita il centuplo ed in cielo la vita eterna per una buona azione. Tutti furono entusiasmati e mi promisero di tornare la sera dopo, per stabilire il nostro Consilio. Vennero e si tenne quella sera la prima seduta. Ma ritorniamo alla casa del Vescovo ed andiamo a pranzo. Mentre pranzavamo, nel giorno 8, ecco sentiamo i domestici esclamare: - È qui, è giunto, è uscito di prigione il prevosto di Terno! - E dopo pochi istanti entrava nella nostra sala un venerando sacerdote D. Bagini Ferdinando, che subito si slanciò a baciare la mano al Vescovo, tutto consolato per l'inaspettata comparsa. Quel parroco venne quindi pure da me e per un qualche pregiudizio che io fossi quegli, che, venuto apposta per lui da Torino, gli avesse ottenuto la liberazione, come dicevasi fra il popolo, mi ringraziava e tornava a ringraziarmi.
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Ebbi un bel dire che io non ci era entrato per niente in quella liberazione, ma egli prendendo le mie parole come un atto di umiltà, mi colmava di tante finezze e ringraziamenti che n'era tutto confuso. Quel zelantissimo prevosto era stato due mesi e mezzo in carcere. Causa di ciò fu aver egli fatto stampare un'orazione, con cui s'implorava l'aiuto di Dio pel Papa e aver raccomandato il denaro di S. Pietro. Il Governo ed il partito liberale stavano contro di lui. Alcuni maligni interpretando sinistramente il suo operato, lo avevano accusato per odio; e quindi la prigionia dal 22 febbraio fino all' 8 maggio. In questo giorno però il tribunale lo aveva sottoposto ad un breve dibattimento, in cui manifestatosi l'insussistenza dell'accusa, rimandavalo in libertà, e sciolto da ogni spesa, con dichiarazione che non faceasi luogo a procedimento. Dopo le prime accoglienze, continuammo il pranzo ed io vedendo come il Vescovo fosse divenuto pensieroso, non potei fare a meno che domandargli qual pena lo affliggesse. Il Vescovo mi rispose come quel Prevosto dovesse ritornare il domani alla propria parrocchia e che il partito liberale essendo mal predisposto contra di lui, temevansi tumulti. Essere conveniente che esso Vescovo lo accompagnasse, ma per questo motivo e perchè il Governo spiava ogni suo passo e parola per colpirlo, tornargli pesantissimo quel viaggio, del quale ben volentieri avrebbe fatto a meno. - Oh! se è per questo, io risposi, per levar d'impiccio Monsignore, andrò io ad accompagnare questo Reverendo alla sua parrocchia. - Grazie! esclamò Monsignore respirando; è un favore grande che mi farà assumendosi le mie parti, perchè l'assicuro che ero troppo angustiato, pel timore di dover compromettere la mia persona e la mia autorità! Questa determinazione non mi portava nessun incomodo. Era tutta strada che io già voleva fare. Il domani io doveva andare a Bottanuco parrocchia della stessa Diocesi, distante circa 10 miglia da Bergamo, a predicare e visitare un Seminario. Per recarmi in quel paese era necessario passare in Terno, che si trovava circa ai due terzi di strada. Intanto questo giorno passò, lietamente. Il Vescovo mi aveva proposto di servirmi della sua carrozza per fare quel viaggio. Io
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ben volentieri accettai massimamente che non mi sarei sentito di farlo a piedi. La mattina del giorno 9 montammo in carrozza, io, due altri preti, uno segretario del Vescovo, l'altro professore nel seminario ed il prevosto Bagini. Appena fummo usciti di città, subito si presentò un uomo che cavalcava un cavallino che pareva un somarello, il quale veniva già da Terno; e ci domandò: - C'è il nostro Prevosto, qui con voi? - C’è -, gli si rispose. - Ne ho abbastanza! Esclama; e volta indietro il suo ronzino, quindi galoppando a rompicollo, colle braccia aperte, sicchè io non sapeva come potesse tenersi in sella, volò a portare la notizia dell'arrivo del Prevosto a tutti quelli che incontrava. Avevamo percorso un mezzo chilometro ed incontrammo una folla di ragazzi scalzi e colle gambe nude, i quali avevano fatto quel lungo cammino per essere i primi a salutare il loro pastore: - C'è il nostro parroco? gridarono ad una voce. - C'è, c'è! - Evviva il nostro Prevosto! Evviva! Intanto i cavalli galoppavano ed i fanciulli ad ogni costo vollero tener dietro alla carrozza. Abbiamo avuto un bel dire: - Non stancatevi! Venite appresso pian piano; arriverete a tempo. - Non ci fu verso di arrestarli e correvano a precipizio. A mano a mano che ci avvicinavamo al territorio di Terno, s'incontravano gruppi di gente la maggior parte di vecchi coi capelli bianchi, di vecchie che non potevano più camminare senza un appoggio, di bambini e di bambine. Abbandonati i lavori domestici e rurali, venivano sulla strada incontro al glorioso prigioniero e tutti lacrimando di consolazione, esclamavano - Evviva il nostro parroco! il Signore ce lo conservi; nessuno venga mai più a disturbarlo, a strapparlo dal nostro seno. - Alle lagrime, agli atti, alle voci di quella brava gente, io era agitato da profonda commozione e con me il segretario ed il professore. Il Prevosto piangeva dirottamente. Ei pensava alla scena dolorosa, lugubre della sua partenza quando fu imprigionato e la confrontava col giubilo del presente ritorno alla sua cara parrocchia. Ma in mezzo allo spettacolo serio vi fu eziandio la parte comica. Siccome eravamo nella carrozza del Vescovo, quella buona
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gente alla vista della livrea del cocchiere credeva vi fosse anche il Prelato: quindi s'inginocchiava per esser benedetta. Io diceva al Parroco che benedicesse, ma egli pretendeva che dovessi dar io la benedizione. Io mi rifiutava; finalmente il Prevosto preso il mio braccio mi sforzava di quando in quando a far dei segni di croce in aria e la gente, che vedeva la mano, curvava la fronte e si segnava. Ed ecco finalmente il campanile e le case di Terno. Da tutte le borgate circostanti si vedeva non solo i fedeli, ma tutti parroci e molti preti della Vicaria e di altre parrocchie, parte a cavallo e parte a piedi, incamminarsi per onorare D. Ferdinando Bagini. Si udivano le campane suonare a festa e continui li spari de' mortaletti. All'entrata del paese aspettava una folla enorme di popolo di ogni età e di ogni condizione. La facciata della parrocchia, le case, gli archi trionfali, tutto era coperto di arazzi a varii colori. Sulla piazza della chiesa attendeva il sindaco col municipio; e la parte migliore dei parrocchiani. Qui erano pronte le ovazioni. Al comparire della carrozza si udì un brontolio indistinto, ma non voci ostili, che partiva da qualche crocchio di liberali; ma tosto cessò quando costoro e tutti gli altri videro ai fianchi del parroco un altro personaggio che aveva il cappello differente da quello dei preti lombardi. S'interrogavano a vicenda chi fosse quel prete e facevano le meraviglie del mio cappello alla piemontese, il quale a tre punte colle falde strettamente accartocciate, faceva singolare contrasto con quello degli altri ecclesiastici le cui falde sollevavansi maestosamente come tre vele. Credettero essi pure che io fossi il liberatore del parroco. In questo primo istante non si udirono applausi, ma appena entrati noi tra le case, ecco la guardia nazionale schierata in gran tenuta, presentare rispettosamente le armi, e sparare tutti i fucili in aria, e a questa salva rispondere le sinfonie della banda municipale. Gli applausi e le grida di gioia andavano alle stelle e soffocavano il suono della banda. - Viva il nostro parroco! - erompeva da migliaia di petti! Io pensava tra me: - Oh santa religione cattolica, quale forza, quale potenza hai sul cuore dell'uomo! Quanti vi saranno qui i quali avranno forse l'anima indurita nel male; eppure spinti da un interno irresistibile impulso,
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non possono fare a meno di prestare omaggio e di venerare i servi del Signore! Ma la carrozza non potendo procedere, tanto fitta era la moltitudine, fece una larga volta lasciando la via principale e andammo a fermarci sotto il muro che circondava il giardino parrocchiale. Il popolo aspettava dalla parte opposta dei fabbricati sulla piazza della chiesa. Noi fatta venire una scaletta salimmo lassù, ma quando fummo sul muro ci trovammo ben impacciati. Come fare a scendere? Nell'interno non ci erano scale. Bisognava adunque che uno di noi si spenzolasse e calasse il primo. - Scende Lei o scendo io? Si dicemmo a vicenda: e sceso il primo prendendo un leggero stramazzone, aiutò a scendere gli altri. Ma quando fummo a terra, ecco il popolo, accortosi di quella manovra, irrompere nel giardino, e riempirlo così da non poterci più muovere. Non si sapeva più come fare per poter giungere alla chiesa, ma in buon punto il campanaro venne in nostro soccorso, e dopo sforzi inauditi potemmo entrare in sagrestia, passando per una porticina. Quivi erano convenuti tutti i parroci dei dintorni. La chiesa era stivata di gente ansiosa di udire la voce del suo pastore; ma egli profondamente commosso, non poteva articolar parola. Io feci allora osservare a tutti quei sacerdoti, che sarebbe stata cosa convenientissima indirizzare qualche parola alla popolazione. Quindi invitai in particolare qualcuno di quei reverendi a salire in pulpito, ma tutti si rifiutarono - Io non son pronto, dissero; non si pensava che ci dovesse esser predica; è troppo facile compromettersi; è una circostanza spinosa; monti lei in pulpito! - Ebbene conclusi, vedendo gli occhi di tutti volti a me: monterò io! E comparvi innanzi all'udienza col cappello nella mano sinistra e il mantello sul braccio destro. Incominciai a ringraziare i fedeli dell'accoglienza fatta al Prevosto; li invitai a ringraziare la Divina Provvidenza che spesso permette tribulazioni, le quali eziandio nella vita presente non di rado sono compensate da Dio con grandi consolazioni; loro raccomandai di perseverare nella venerazione verso un sì degno sacerdote, riconoscendo sempre nelle parole di lui la voce di quel Dio di cui egli è ministro; accennai ai doveri del popolo verso il loro pastore; conclusi col parlare della carità, vincolo soave tra il parroco e i suoi parrocchiani.
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Mentre io parlava si udivano nella chiesa continui singhiozzi ed io stesso a stento poteva trattenere le lagrime. Quindi fu intonato un solenne Te Deum e si fini colla benedizione del Venerabile. Appena questo fu riposto, la gente si affrettò ad uscire di chiesa, perchè nessuno voleva ritornare a casa senza prima dare un figliale saluto al padre delle anime loro. La casa parrocchiale fu in un istante assediata dalla moltitudine che voleva vedere il parroco. Invano i militi della guardia nazionale tentavano rattenere quell'agglomerazione tumultuosa che non era senza pericoli. Allora si combinò che il parroco si sarebbe messo in un luogo nel quale tutti potessero venire a baciargli la mano. D. Bosco salì sopra un muricciuolo e fatto fare silenzio a quella immensa turba prese a dire: - Ecco! Adesso il vostro parroco si porrà qui in un luogo onde voi possiate non solo vederlo, ma ancora baciargli la mano! - Una voce unanime partì allora dalla folla: - Bravo, bravo! L'ha pensata bene; - Ma però, io replicai, vi raccomando di non spingervi a lui tutti in una volta, perchè come avete visto è così stanco, che non può più stare in piedi e se lo opprimete ancora lo farete morire. Andate dunque adagio uno per volta a baciargli la mano. - Ciò detto scesi giù. Il parroco si mise contro un muro perchè non lo gettassero a terra e prima in piedi e poi seduto porgeva la mano ai suoi parrocchiani sempre lagrimando per la divozione che gli professava il suo popolo. La sfilata durò due ore. La predica, per grazia di Dio, aveva ottenuto il suo effetto. Gli animi ostili al parroco si volsero a benevolenza, perchè io non aveva fatto nè allusione nè recriminazioni; la gran maggioranza del popolo che lo amava grandemente era fuor di sè dalla contentezza! e quello fu giorno di gioia e di festa per tutti. Appena ebbi pranzato partii subito per Bottanuco, col professore e col segretario. Quivi il Vescovo aveva collocati nel suo piccolo Seminario i Chierici di Filosofia e di Teologia, avendo i Francesi occupato il grande Seminario di Bergamo nel tempo della guerra, ed essendovi rimasti anche dopo lungamente. Io era contento. Appena giunto, m'intrattenni famigliarmente coi chierici, e fummo subito amici, quindi si andò a cena; dopo tenni loro un breve discorso, e infine andai a dormire, come stassera farete anche voi. Buona notte. - Fin qui D. Bosco.
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Noi aggiungeremo ciò che non disse ai giovani. Egli era stato anche a Chiuduno ove il parroco Calvi Giuseppe pel suo zelo si meritava le ire dei cattivi. Ritornato presso Mons. Speranza gli espose l'esito della missione confidatagli e le opposizioni che avrebbe ancor potuto incontrare Don Bagini. La sua prigionia era dovuta specialmente alle replicate accuse di un prete perverso; e il Vescovo scoperte le trame, comandò a quel prete, pena la sospensione, di uscire in poche ore dal territorio parrocchiale di Terno. D. Bosco parlò anche al Vescovo della visita sua ai chierici, e fece la proposta di ritornare egli stesso l'anno venturo a predicare gli esercizii nel seminario di Bergamo. La sua offerta venne accolta con entusiasmo, e i chierici ne fecero festa. D. Bosco a Bottanuco aveva dette loro parole così dolci e così consolanti che tutti ne erano stupiti e si avvidero di quale santità e di quale sapienza il Signore avesse arricchito il suo servo. D. Bosco espose eziandio a Monsignore il progetto di provvedere maestri e professori per la sua diocesi, mandando preti e chierici a subire gli esami per ottenere lauree e patenti in quel maggior numero che fosse possibile. Monsignore essendo contrario a questa idea, e di più intransigente in ogni cosa che riguardasse la sua giurisdizione, rispose dicendo non permettergli la coscienza di piegarsi in nessun modo verso i persecutori della Chiesa. Tuttavia non era uomo da misconoscere i vantaggi di questo progetto. Rimase quindi soprapensiero e come furono a pranzo, interrogò di bel nuovo D. Bosco, esponendo come non credesse lecito sottomettere, come professori e maestri, i suoi preti all'ispezione secolare. Toccare ai Vescovi dirigere l'istruzione del popolo e non poter essi rinunciare al proprio diritto.
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D. Bosco rispose: - Dirò poche parole per non far questioni. O i pastori della Chiesa si gettano avanti e riprendono con questo mezzo l'istruzione della gioventù prevenendo i laici, e allora le cose andranno bene: ovvero si ritirano e stanno inerti ed allora da qui a 10 anni l'empietà avrà il suo trionfo nelle scuole. Il Vescovo credeva, come tanti altri, che quella rivoluzione fosse cosa di un momento e che l'ordine avrebbe ripreso il suo antico posto. Don Bosco insistette assicurando che la rivoluzione sostenuta da tutti i mezzi potenti, de' quali può disporre un governo regolare, aveva preso stabile dimora nei nostri paesi e Dio solo poter sapere quando, dopo molti anni, sarebbe accaduta, col suo aiuto, una ristorazione dell'autorità Ecclesiastica. Le speranze umane essersi ormai tutte dileguate, e non veder nessun barlume neppur lontano che indicasse cessare quello stato di cose. I Governi esteri essere tutti contrarii alla Chiesa. Monsignore non volle togliersi dalle sue illusioni e rimase incredulo ai pronostici di D. Bosco; ma dopo qualche anno gli scriveva: - Avevate ragione, ma ora forse è troppo tardi. In Bergamo D. Bosco, sempre più riconoscente alla famiglia De Maistre, aveva visitata la figlia del Conte Rodolfo, vedova a 19 anni del Conte Medolago, e si affrettava a dar notizie di lei, che sapeva essere vivamente desiderate, al Conte padre molto avanti negli anni che era in Francia a Beaumesnil.
CAPO XXXVIII. Ritorno di D. Bosco in Torino - Un giovane morente all'ospedale rinviene all'avvicinarsi di D. Bosco e si confessa - L'orazione attiva - D. Bosco desidera aver preti per i carcerati - Una falce al Chierico Ruffino - Siamo solo al principio dei mali: vessazioni al clero negli Stati annessi - Il Cardinale Corsi prigioniero in Torino e suo colloquio con D. Bosco - Un alunno ha bisogno di prepararsi alla morte - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Letture Cattoliche.
Don Bosco era atteso in Torino da molta gente come appare dalle lettere conservate, e tra questa dall'illustre letterato Padre M. Conobbio dei Barnabiti di Moncalieri, il quale scrivendogli si firmava: Affezionatissimo figlio. Desiderava un favore che molto importavagli e che non gli fu negato. Mentre era a Bergamo una grave disgrazia accadde a due giovani che, già stati allievi dell'Oratorio, da qualche tempo ne erano usciti per apprendere l'arte del muratore. Un giorno si sfasciò la volta terminata di fresco di una casa in costruzione e i due giovani predetti rimasero sepolti in mezzo a quei rottami. Uno fu estratto fuori
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cadavere; l'altro colla testa rotta, privo di sensi e di parola fu trasportato all'ospedale Cottolengo. Quivi continuò in quella dolorosa mutezza e nulla dimostrava intendere di quanto lo si interrogava. Il giorno 14 maggio andò D. Bosco in detto ospedale: era già una settimana che il giovinetto giaceva in una di quelle corsie e in quello stato; ma appena D. Bosco entrò nella sala, l'infermo rinvenuto in quell'istante, lo vide che era ancora lontano e facendo uno sforzo, gridò ad alta voce, chiamandolo: - D. Bosco? D. Bosco? - Tutti i circostanti rimasero stupiti. Un Cappuccino che era in quella infermeria, raccontò che il giovane dal momento della caduta fino a quel punto non aveva ancor proferita parola. D. Bosco gli si avvicinò e il giovane volle subito confessarsi. Lo ascoltò, l'assolse, gli disse parole che fecero ritornar sereno il suo volto e quindi percorse l'infermeria visitando altri ammalati. Intanto il giovane aveva perduto di bel nuovo la parola e mentre D. Bosco, finito il suo giro, era giunto di nuovo presso di lui, il poveretto spirava. Come un altro S. Filippo, Dio aveva condotto Don Bosco ed era giunto nel giorno e nell'istante unico, opportuno per salvare l'anima di un suo caro figliuolo. Questo fatto ce lo riferì Reano Giuseppe. D. Bosco nei suoi passi era guidato dal Signore, perchè uomo di preghiera continua, quantunque non avesse nessuna di quelle esteriorità e pratiche che generalmente si vedono negli altri Santi. Era la sua quell'orazione attiva, la quale consiste nello stare continuamente alla presenza di Dio, col fine, non solo di servirlo, ma godendo e rallegrandosi tra le proprie occupazioni, nel vedere attuarsi in ciò che si sta facendo la volontà del Signore.
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Ha scritto S. Francesco di Sales: “ Vi è una certa maniera di pregare, molto facile, molto utile, che si fa coll'assuefare l'anima nostra alla presenza di Dio, ma in maniera che questa produca in noi una unione intima, nuda, semplice e perfetta. Oh che preziosa orazione è questa! ” D. Bosco adunque, in casa e fuori di casa, colle parole e coi fatti promoveva la gloria del Signore con tale spirito e con grande semplicità. Non dei soli ospedali ma ancora delle carceri egli continuava a prendersi cura. Il 18 maggio dopo cena molti chierici si fermarono attorno a lui in refettorio. Si parlò di più cose tra le quali del bisogno di buoni e coraggiosi sacerdoti pei poveri carcerati. Riflettendo D. Bosco a questi infelici, bisognosi della parola di Dio per essere svincolati dalla obbrobriosa schiavitù del vizio, rimase alquanto pensoso. Ad un tratto egli prese tra le sue la mano del Chierico Ruffino, guardandolo in viso come per riconoscerlo: poi, appuntellati i gomiti sulla tavola, posò la fronte sulla mano del chierico e così stette per alcuni minuti. Quindi alzando il capo gli disse: - Fa coraggio: hai bisogno di preparare un braccio forte, per maneggiare con destrezza una falce. - Indicava la mietitura nel campo evangelico. Il giorno dopo disse ai Chierici parlando degli avvenimenti pubblici: - Io credo che noi siamo solamente al principio dei mali. - Eppure questi già apparivano gravissimi. Si era data ai protestanti la più ampia libertà di aprir templi, scuole e di bestemmiare a loro talento. Si permetteva la diffusione di libelli infami e sudicie rappresentazioni teatrali contro la Religione ed al Sommo Pontefice. In tutte le provincie annesse doveva eseguirsi
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la legge del 1855 contro gli ordini religiosi, ai quali intanto si vietava di accogliere novizi. Guai al clero se in qualunque maniera avesse manifestate opinioni contrarie al nuovo ordine di cose, o sostenuti i diritti della Chiesa, pubblicate bolle o altre provvisioni Pontificie. Furono comminate pene gravissime e molti sacerdoti, posti sotto processo, vennero condannati chi al carcere chi alla deportazione. I Vescovi si opponevano all'invadente immoralità ed irreligione, e per le loro giuste lamentanze, alcuni erano stati posti in prigione, altri relegati violentemente in certe loro ville. Il Cardinal Corsi Arcivescovo di Pisa aveva protestato contro le vessazioni che il Governo faceva soffrire al clero; e per ordine di Cavour un capitano dei carabinieri lo condusse a Torino, ove giunse il 21 maggio alle 10 di sera. Alla stazione fu consegnato all'Abate Vacchetta, il quale in carrozza lo portò alla casa dei Lazzaristi, dai quali fu accolto con grande venerazione e ospitato con ogni maniera di cordiali riguardi. Il 22 l'Abate Vacchetta lo accompagnava nell'ufficio del Ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni B. Cassinis il quale attendevalo per fargli una viva riprensione. Il Cardinale in tutto il tempo della sua prigionia, che durò circa due mesi, non si lasciò sfuggire una sola parola da cui potesse dirsi offesa qualsivoglia persona; negli interrogatorii rispose come il Divin Salvatore a' suoi giudici, cioè quasi sempre tacendo. Aveva detto all'Abate carabin |