Torino, 24 maggio 1951.
1. ‑ INTRODUZIONE
Figliuoli carissimi in G. e M.,
Nelle Preghiere della Sera noi rivolgiamo quotidianamente a San Giovanni Bosco la fiduciosa invocazione: « Insegnaci ad amare Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa ».
È infatti il Papa, dopo Gesù e Maria, il terzo grande amore istillato dal nostro grande Padre nel cuore dei suoi figliuoli, prima ancora che le Costituzioni recassero il solenne e fondamentale articolo 49: « I soci avranno per arbitro e per Supremo Superiore il Sommo Pontefice, cui saranno in ogni luogo, in ogni tempo, e in ogni sua disposizione umilmente e riverentemente sottomessi, anche in forza del voto d´obbedienza. Che anzi sarà precipua sollecitudine d´ogni socio di promuovere e difendere con tutte le forze l´autorità e l´osservanza delle leggi della Chiesa Cattolica e del suo Capo Supremo Legislatore e Vicario di Gesù Cristo sopra la terra ».
Ben possiamo dire che il più bel commento pratico a questo memorabile articolo noi lo troviamo nella vita stessa di Don Bosco.
La devozione al Papa è una tra le più belle caratteristiche dello spirito del nostro santo Fondatore, il quale nel lungo e molteplice suo apostolato si studiò di conoscere, di amare, di difendere il pontificato romano, che sapientemente concepiva come l´asse fondamentale intorno a cui si svolge l´opera divinizzatrice della Chiesa e la storia stessa dell´umanità.
L´immortale Pontefice Pio XI, appena elevato al soglio di San Pietro, ricordando il suo personale incontro con Don Bosco, attestava di aver « potuto leggere e sentire nel suo cuore.., come al disopra di ogni gloria egli poneva quella di essere il fedele servitore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario »(1).
E il 19 marzo 1929, dopo la lettura del Decreto approvante i miracoli proposti per la Beatificazione, alludendo ai recentissimi Patti Lateranensi, non dubitava di chiamare Don Bosco « grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana »(2). Anche il 3 aprile 1934, a due giorni dall´indimenticabile Canonizzazione del nostro Padre, Pio XI disse che « la Chiesa, la Santa Sede e il Vicario di Cristo » ne avevano riempito l´esistenza. Anzi, con felice espressione sentenziò che per Don Bosco « il Papa era elemento di vita »(3).
Come non gioire e non riempirci di santo orgoglio per sì autorevoli affermazioni, che ridondano a onore e gloria anche della nostra umile Società? Esse però sono un monito a tutti i figli del Santo, nella cui attività individuale e collettiva deve splendere il riflesso della indefettibile devozione di Don Bosco al Papa.
La Strenna del Venticinquesimo Anno Santo, il quale ha visto Roma e l´augusta persona dell´angelico Pio XII al centro delle devote aspirazioni di folle mai viste di pellegrini convenuti nella città eterna per il Giubileo, volle appunto riassumere gli esempi e insegnamenti paterni in queste parole: « Conoscere, Amare e Difendere il Papa ».
È necessario che tale triplice consegna continui incessantemente ad aumentare lo slancio con cui tutta la Famiglia Salesiana si è votata alla santa causa, oggi non meno urgente che all´epoca triste e sconvolta del nostro Padre e Fondatore.
Ed egli che, per spontanea confessione, di profani e liberali del suo tempo, ebbe in larga misura « l´arte di innamorare del Papato »(4), voglia dare efficacia a questa breve trattazione sulla testé mentovata Strenna del 1950, mentre apparirà ai nostri occhi quale eccelso Modello e Maestro nel conoscere, nell´amare e nel difendere il Vicario di Cristo.
2. ‑ CONOSCERE IL PAPA
Nei processi apostolici sulla vita, virtù e miracoli in genere del nostro Padre e Fondatore, due tra i suoi primissimi figli - il Servo di Dio Don Rua e il Cardinal Cagliero ‑ illustrando la fede eroica di Don Bosco attestarono un fatto che, senza uscire dall´ordinario, ha una straordinaria eloquenza.
Eccolo nelle parole di Don Rua, che lo espone più diffusamente: « Don Bosco volendo incominciare nei primi tempi che aveva chierici a far loro imparare a memoria i santi Vangeli, cominciò col far studiare il capo di San Matteo, dove il divin Salvatore stabilisce Pietro fondamento della Chiesa; ed in seguito fermava la nostra attenzione specialmente su quei punti in cui (Gesù Cristo) conferma a San Pietro il primato, la sua piena autorità su tutti i fedeli ed anche sui pastori, e l´infallibile suo magistero nella dottrina, facendo risaltare come queste prerogative, dovendo durare quanto la Chiesa, dovevano naturalmente passare ai successori »(5).
Come si vede, il metodo che Don Bosco seguiva nel far conoscere il Papa ai figli migliori, era quello di riportarli al Vangelo e a San Pietro, non essendo possibile farsi un concetto adeguato del Romano Pontefice, senza risalire alle cristalline origini della sua dignità e dei suoi poteri.
È opportuno quindi attenerci allo stesso criterio, soffermandoci alquanto su considerazioni che, per quanto già apprese nei corsi di Cultura Religiosa, servono però sempre a ravvivare la nostra fede e a rinsaldare i vincoli profondi che ci legano al Vicario di Gesù Cristo.
Cosicché, a chi ci chiederà poi da che cosa deduciamo noi essere il Papa veramente Pastore dei Pastori, potremo rispondere con San Bernardo: « Ex verbo Domini: dalla parola del Signore ». Forti appunto di questa divina parola, ripeteremo il fervido elogio del medesimo santo Dottore al Pontefice Romano: « Chi sei tu? Il gran Sacerdote, il Pontefice Sommo. Tu, il principe dei Vescovi; tu, degli Apostoli l´erede; tu sei Abele pel primato, Noè pel governo, Abramo pel patriarcato, Melchisedech per l´ordine, Aronne per la dignità, Mosè per l´autorità, Samuele per la giudicatura, Pietro pel potere, Cristo stesso per l´unzione. Tu sei colui al quale furono consegnate le chiavi e affidate le pecorelle. Senza dubbio anche altri sono portinai del cielo e pastori di gregge; ma tu sei tanto superiore a essi, quanto diverso dagli altri è l´uno e l´altro nome da te ereditati. E non soltanto delle pecorelle, ma anche di tutti i pastori tu sei l´unico pastore »(6).
3. ‑ GESÙ CRISTO, LA CHIESA E IL PAPA
Al termine della sublime preghiera, pronunciata nel Cenacolo poco prima di recarsi al Getsemani per dare inizio alla sua passione, Gesù uscì in questi mirabili accenti: « Padre, l´ora è venuta: glorifica il tuo Figliuolo, affinché il Figliuolo glorifichi te, come tu gli hai dato ogni potere sopra ogni uomo, affinché dia la vita eterna a tutti coloro che tu gli hai dato. Ora la vita eterna consiste nel conoscere Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo »(7).
Ma come è possibile conoscere, e perciò stesso amare e servire Gesù Cristo, divino Inviato del Padre celeste per la redenzione e santificazione delle anime, qualora si ignorasse la Chiesa, sua mistica sposa, e il Papa, suo Vicario in terra, Custode e Maestro delle verità da Lui insegnate per guidare le anime alla eterna salvezza
La Chiesa infatti fu istituita come società non solo soprannaturalmente perfetta, ma anche visibile e perpetua; e ogni società che voglia raggiungere il suo fine ha bisogno di un capo che la regga e governi con pienezza di autorità e sicurezza di comando, onde vengano evitati gli sbandamenti dei membri, e superate le insidie dei nemici.
Fondatore, pietra angolare e capo supremo della Chiesa è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo perché gli uomini ricevessero da vita, e con abbondanza(8); ma la sua missione in terra doveva restringersi nel tempo e nello spazio, mentre i frutti erano destinati a tutte le generazioni umane sino alla fine del mondo. Perciò, prima di tornare gloriosamente al Padre donde era venuto, conveniva che Gesù desse alla Chiesa un capo visibile, che lo rappresentasse in faccia ai credenti, ne facesse le veci e fosse il depositario dei suoi divini poteri.
All´altissima dignità fu scelto San Pietro, al quale Gesù medesimo aveva già fatto singolari promesse che lo preparavano a ricevere, in seno al collegio apostolico, un vero primato di giurisdizione, cioè di potere, e non di semplice onore; di modo che fra i dodici egli non fosse unicamente il primo in dignità, ma anche in autorità, e tutti riconoscessero in lui il diritto supremo di governare e d´insegnare.
Senonché Pietro era mortale. Era perciò necessario che egli avesse dei continuatori o successori nel compito sublime di pascere gli agnelli e le pecorelle(9) di Gesù Cristo; altrimenti la Chiesa, destinata a non subire il sopravvento delle porte d’inferno(10) e a durare fino alla consumazione dei secoli(11), nel giro di qualche decennio sarebbe rimasta in balia di se stessa, come vascello senza nocchiero.
Il primato adunque, pur essendo prerogativa personale concessa al solo capo degli Apostoli, non doveva estinguersi con la sua persona, ma passare in chi da lui avrebbe ereditato il governo universale della Chiesa.
Gesù infatti affidò a San Pietro il suo gregge senza limitazioni di persone, luoghi e tempi; dal che si deduce essere il primato un elemento vitale che assicura alla Chiesa unità e compattezza.
Il mondo protestante, diviso e suddiviso ‑ nel corso di quattro secoli ‑ in mille sètte contrastanti e discordi, prova all´evidenza dove possa arrivare la società cui manchi la forza coesiva di un capo supremo. E non si può credere che Gesù, il quale sentenziò: Ogni regno diviso in se stesso, sarà devastato; e ogni città o casa divisa contro se stessa non potrà reggere(12), volesse permettere alla sua Chiesa fine così miseranda.
Orbene, storicamente risulta che il primato fu sempre annesso alla sede Romana, cosicché il succedere a San Pietro nell´episcopato di Roma equivale a succedergli nel primato di autorità, conferitogli da Gesù Cristo per il governo dei credenti.
Queste sommarie considerazioni bastano già a riempirci l´animo di profonda venerazione e di filiale attaccamento alla persona del Papa, erede e successore di San Pietro, capo visibile della Chiesa, Vicario di Gesù Cristo, Maestro infallibile di verità, Padre e Pastore dell´immensa famiglia cristiana.
Vedremo giganteggiare questi sentimenti a misura che ci addentreremo nella dolcissima trattazione. Fin d´ora però facciamo nostre le espressioni che, nel 1849, San Giovanni Bosco pose sulle labbra di un giovanetto dell´Oratorio all´indirizzo del Papa: « Noi riconoscendo nella Santità Vostra il Successore di San Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, a cui chi non è unito va eternamente perduto, e nell´intima persuasione che niuno da voi disgiunto può appartenere alla vera Chiesa, dichiariamo di voler vivere e morire sempre uniti a questa Chiesa di cui Voi siete Capo visibile »(13).
4. ‑ IL COLLEGIO APOSTOLICO E PIETRO
Volendo che la sua dottrina si conservasse e propagasse tra gli uomini per mezzo di un magistero vivo e perenne, fin dai primordi della vita pubblica Nostro Signor Gesù Cristo costituì attorno alla sua persona il collegio apostolico.
Dopo una notte di preghiera ‑ narra San Luca(14) ‑ Egli chiamò i discepoli, e fra questi ne scelse dodici, cui diede anche il nome di apostoli. San Marco offre altri particolari: Salito sul monte, chiamò a sé quelli che volle: ed essi andarono da lui. E ne scelse dodici, che stessero con lui, e per mandarli a predicare con potere di curare i malati e scacciare i demoni(15).
Di questi umili ed oscuri pescatori, che avrebbero avuto un nome immortale nella storia del mondo, Gesù prese le più sollecite cure; e oltre ad ammetterli nella sua intimità, con dolcezza e pazienza infinite li venne preparando alla missione che loro voleva affidare, vale a dire la predicazione della sua dottrina, non solo ai giudei ma a tutti i popoli della terra. Ad essi infatti, prima della sua Ascensione al cielo, rivolse queste parole: Ogni potere è stato dato a me in cielo e in terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo(16).
Ma gli Apostoli non furono eletti da Gesù Cristo e inviati nel mondo come persone l´una dall´altra indipendenti. Così aveva fatto Iddio nel Vecchio Testamento coi Profeti, che mandava quali messaggeri isolati della sua parola.
Gli Apostoli furono prescelti in maniera da formare un corpo morale, che è quanto dire un insieme di uomini fra di loro uniti per raggiungere lo stesso fine. Perciò nel Vangelo sono detti i dodici(17), e dopo il tradimento di Giuda gli undici(18).
Sorge però un quesito della massima importanza: i membri del collegio apostolico furono tutti uguali in dignità e autorità, o si ebbero tra essi delle distinzioni, per cui uno venne costituito capo degli altri?
Finché Gesù visse coi Dodici, ne fu il capo visibile, al modo che ne era il maestro. Dopo il ritorno al Padre Celeste continuò ad esserne il capo invisibile, dal quale ogni potere discendeva agli Apostoli nel compimento della loro opera evangelizzatrice. Ma in precedenza Egli aveva istituito e conferito a San Pietro il primato di giurisdizione, affinché tanto il collegio apostolico quanto la Chiesa non mancassero mai di un capo visibile, che facesse le sue veci in virtù di singolarissimi poteri a lui solo concessi. Infatti la condotta del Divin Redentore verso San Pietro ha tratti assai particolari ed eloquenti fin dal primo incontro. Quando il fratello Andrea lo condusse da Lui, riconosciuto per l´aspettato Messia, Gesù lo guardò con occhio di compiacenza e senz´altri preamboli gli disse: Tu sei Simone, figlio di Giona: tu ti chiamerai Cefa che vuol dire Pietra(19).
In queste parole, che al rude pescatore di Galilea dovettero suonare misteriose, vi è già implicita l´elezione di Pietro a fondamento inconcusso e capo supremo della Chiesa.
Non tardò tuttavia a presentarsi la circostanza nella quale Gesù dichiarò più esplicitamente il suo pensiero. E siamo al capo decimosesto di San Matteo, con cui Don Bosco iniziava le sue lezioni neotestamentarie ai primi chierici dell´Oratorio di Valdocco.
5. ‑ LA PROMESSA DEL PRIMATO
Di ritorno dalle città fenicie di Tiro e Sidone, trovandosi di passaggio nel territorio di Cesarea di Filippo, il Divin Maestro domandò ai discepoli: La gente chi dice che sia il Figliuol dell´uomo? Risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o uno dei Profeti. ‑ E voi ‑ chiese loro chi dite che io sia? ‑ Simon Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. Gesù gli replicò: Tu sei beato, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l´han rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. ED IO TI DICO CHE TU SEI PIETRO E SOPRA QUESTA PIETRA EDIFICHERÒ LA MIA CHIESA E LE PORTE DELL´INFERNO NON PREVARRANNO CONTRO DI ESSA. IO TI DARÒ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI E TUTTO CIÒ CHE TU LEGHERAI SULLA TERRA SARA LEGATO NEI CIELI E TUTTO CIÒ CHE TU SCIOGLIERAI SULLA TERRA SARÀ SCIOLTO NEI CIELI(20) (20).
Ora non vi è dubbio che mediante queste parole, tra le più memorande del Vangelo e che risentono del modo orientale di esprimersi, Gesù ha promesso un vero primato di giurisdizione al solo San Pietro. Difatti: parla a lui in particolare; gli cambia nome; lo dichiara fondamento della futura Chiesa; gli preannuncia il possesso delle chiavi del cielo. Tutto ciò merita un breve commento.
a) Innanzi tutto parla a lui in particolare. Il dialogo riportato da San Matteo ha due parti nette e distinte. Nella prima intervengono Gesù che interroga e gli Apostoli che rispondono. Nella seconda ‑ la più importante ‑ non vi sono altri interlocutori che Pietro e Gesù. Solo Pietro, illuminato dall´alto, fa la grande professione di fede nella divinità del Maestro; e solo a lui Gesù rivolge con solenne maestà le parole: Io dico a te, con le promesse che seguono. Pietro solo adunque è destinato ad avere una personale preminenza nel collegio apostolico.
b) In secondo luogo Gesù gli cambia nome. Riprende cioè a spiegare la misteriosa iniziativa del primo incontro. II nome di per sé non riveste nella vita di una persona che un valore secondario. Nella Sacra Scrittura però assume talora un significato profondo, perché viene a identificarsi con la missione particolare che il Signore affida. Così quando Abramo fu scelto a capostipite del popolo eletto, Iddio gli disse: Il nome tuo non sarà più Abramo; ti chiamerai Abraamo, perché ti ho stabilito padre di molti popoli(21). E a San Giuseppe l´angelo, svelando il segreto della divina maternità di Maria, disse: Ella darà alla luce un figlio, che tu chiamerai Gesù (Salvatore), poiché salverà il suo popolo dai loro peccati(22).
Alla stessa maniera, volendo fare del figliuolo di Giona il fondamento della Chiesa, il Divin Maestro gli mutò il nome primitivo di Simone in quello assai significativo di Pietro ossia Pietra, che comunemente si dà al Principe degli Apostoli.
c) In terzo luogo, spiegando appunto il mutamento del nome, Gesù dichiara San Pietro fondamento della futura Chiesa.
È evidente che il Salvatore per meglio esprimere il suo pensiero paragona qui la Chiesa ad un edificio di cui Pietro sarà la pietra angolare, e cioè l´inizio, il principio di unità e di coesione, e al tempo stesso il motivo di stabilità e di saldezza.
Senza alludervi direttamente, Gesù si rifà a un concetto che aveva già espresso nel Discorso della Montagna. Concludendo allora i suoi insegnamenti, era uscito in questa similitudine: Chiunque ascolta queste parole e le mette in pratica, sarà paragonato all´´uomo saggio, che si è fabbricato la casa sulla roccia. E cadde la pioggia e strariparono i fiumi e i venti soffiarono e infuriarono contro quella casa, ma essa non è crollata, perché era piantata sulla roccia(23).
Non a caso, presso Cesarea di Filippo, Gesù dice a Simone che è Pietro ‑ nel testo aramaico roccia ‑ e che su tale roccia Egli intende costruire la sua Chiesa, contro della quale a nulla varranno, non solo gli elementi, ma le stesse furie d´inferno. Come non concludere che in tal maniera Gesù prometteva a Pietro di metterlo a base e fondamento indistruttibile della sua costruzione spirituale
La Chiesa infatti non doveva essere un edificio materiale, bensì una società in cui gli uomini venissero guidati al conseguimento della vita eterna. E siccome base e fondamento di ogni società è il principio di autorità, dal quale deriva il potere supremo di far leggi e di esigerne l´osservanza, nonché di punirne i trasgressori, è indubitato che Gesù dicendo a Pietro che sopra di lui avrebbe edificato la sua Chiesa, gli prometteva un primato di autorità che non avrebbe condiviso con gli altri apostoli.
Scrivendo agli Efesini San Paolo dice loro che non sono più ospiti e forestieri, ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio: edificio eretto sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, essendone pietra angolare lo stesso Cristo Gesù(24). Ma è fuori dubbio che egli non allude qui alla struttura della Chiesa, bensì al mistero della vita divina che da Gesù Cristo scorre nelle anime dei redenti mediante il ministero degli Apostoli e dei loro Successori, e che introduce nella intimità con Dio. Solo in questo senso anche gli Apostoli possono dirsi fondamento della Chiesa, poiché dal loro apostolato fra le genti si è costituito e accresciuto in terra il gregge spirituale di Gesù Cristo, di cui tuttavia solo San Pietro è il Pastore universale e supremo.
Ed in virtù di questo unico insostituibile e inconcusso fondamento la Chiesa non paventerà né le crisi interne, che pure dovevano lungamente e aspramente contrastarne la compattezza e la vita, né i ripetuti attacchi esterni dei suoi numerosi ed agguerriti nemici. Il che deve intendersi non del solo Pietro, ma anche dei suoi personali successori nel primato, i quali avrebbero partecipato della sua infrangibile solidità.
d) Da ultimo, completando e coronando la sua promessa, che dovette richiamare l´attenzione e l´ammirazione degli altri Apostoli, Gesù assicura Pietro che gli darà le chiavi del regno dei cieli, con piena facoltà di aprire e chiudere, sciogliere e legare.
Le chiavi, tanto nel senso biblico, che in quello storico profano, indicano supremazia di potere. Di Eliacim, chiamato a regnare sul popolo eletto, Iddio vaticinò per bocca di Isaia: E metterò sulla sua spalla la chiave della casa di David; egli aprirà, e nessuno chiuderà; egli chiuderà, e nessuno aprirà(25). Agli antichi re e trionfatori è poi risaputo che venivano consegnate le chiavi delle città per indicare il pieno dominio che avevano ormai su di esse.
Ebbene Gesù promette di consegnare a Pietro le chiavi del regno messianico, che nella pienezza dei tempi Egli era venuto a inaugurare sulla terra e che da Gerusalemme doveva estendersi nel mondo. Di Gesù infatti aveva predetto a Maria l´arcangelo Gabriele: Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell´Altissimo; il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine(26). E Gesù, vero Dio e vero Uomo, era precisamente ‑ al dire dell´apostolo San Giovanni ‑ il Santo e il Verace, colui che ha la chiave di Davide(27).
Proprio questa chiave, simbolo di autorità e di comando, il Salvatore promette a Pietro. E Pietro l´avrà conformemente a questa promessa, che lo designa a essere capo della Chiesa e vicario del Divino Fondatore: e ne userà con ampiezza che non conosce restrizione alcuna.
Anche agli Apostoli, dopo la promessa di Cesarea di Filippo, Gesù assicurò speciali poteri, allorché disse a tutti: Tutto ciò che voi legherete sulla terra, sarà legato in cielo e tutto ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo(28). A nessuno però, fuorché a Pietro, furono promesse le chiavi di tutta la Chiesa. Cosicché gli Apostoli in quanto tali sono fra di loro uguali: ma al modo che tutti erano soggetti a Gesù Cristo, così lo saranno al suo Vicario, poiché tutti coloro che appartengono al regno spirituale del Salvatore debbono soggiacere a colui che ha le chiavi del regno.
Saggiamente osserva San Cipriano: « Conveniva che anche agli apostoli, cui era affidato il compito di impiantare la Chiesa nel mondo, venisse dato il potere di sciogliere e di legare; ma conveniva assai più che uno di essi fosse rivestito di autorità suprema, perché si vedesse che la Chiesa, essendo una, è fondata su uno: su colui cioè al quale Gesù affidò le chiavi del cielo »(29).
A Cesarea di Filippo dunque Gesù rivelò per la prima volta il piano della futura Chiesa, di cui Egli sarebbe il sapiente architetto e divino fondatore; Simone, la pietra angolare, indistruttibile nei secoli; gli apostoli, le solide colonne legate, in perfetta struttura, con l´unico fondamento voluto e posto dal Salvatore.
Bastano già questi accenni a rapire l´animo nostro nella ineffabile visione del divino disegno che pone San Pietro, e quindi il Papa suo successore, al vertice della Chiesa, per la somma dignità e suprema autorità di cui è rivestito a spirituale vantaggio dell´umanità, per la quale non vi è salvezza fuori del regno di Gesù Cristo.
6. ‑ CONFERIMENTO DEL PRIMATO
La promessa del primato, fatta a Pietro verso la metà della vita pubblica, venne da Gesù mantenuta dopo la sua gloriosa risurrezione.
San Giovanni, descrivendo l´impensata apparizione del Maestro ad alcuni apostoli, tornati con Pietro a pescare sul lago di Genezaret, racconta: Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: « Simone, figlio di Giona, mi ami tu più di questi? ». Egli rispose: « Sì, Signore, tu sai che io ti amo ». Soggiunse Gesù: « PASCI I MIEI AGNELLI ». Per la seconda volta gli domandò: « Simone, figlio di Giona, mi ami tu? ». E Pietro gli rispose: « Sì, Signore, tu sai che io ti amo ». Replicò Gesù: « PASCI I MIEI AGNELLI ». Per la terza volta gli chiese: « Simone, figlio di Giona, mi ami tu? » Pietro f u contristato per il fatto che Gesù gli aveva domandato per la terza volta: « Mi ami tu? » ed esclamò: « Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo ». Gesù soggiunse: « PASCI LE MIE PECORE »(30).
Già la sera di Pasqua Gesù Cristo aveva detto agli apostoli: Come il Padre ha mandato me, anch´io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, ed a chi li riterrete, saranno ritenuti(31). Ora con le parole rivolte a Pietro completa la fondazione della Chiesa conferendo all´Apostolo la cura universale del gregge, vale a dire il primato di vera e propria giurisdizione.
Anche questa volta infatti, presenti alcuni apostoli, Gesù si rivolge al solo Pietro, e lo mette in gara di amore con gli altri: Mi ami tu più di questi?(32). La triplice richiesta si riconnette forse alla triplice negazione, che ancora bruciava sull´anima di Pietro, nonostante le copiose lagrime con cui l´aveva cancellata; ma voleva inoltre indicare l´immensa carità della quale ha bisogno chi deve sobbarcarsi alla cura delle anime.
Il significato poi dell´imperativo: PASCI I MIEI AGNELLI... PASCI LE MIE PECORE, non può dar luogo a dubbi o incertezze.
Già nel Vecchio Testamento il Messia era presentato come un pastore. Isaia profetò: Ecco il Dio vostro; ecco che il Signore Dio viene... Come un pastore pascerà il suo gregge(33). E per bocca, di Ezechiele disse il Signore agli esiliati di Babilonia, sospiranti la restaurazione del popolo eletto: Io salverò il mio gregge e non sarà più preda altrui, e farò giustizia tra pecora e pecora. E susciterò a esse un pastore unico affinché le pascoli, il mio servo David: egli le pascolerà, e loro farà da pastore(34).
Le citazioni si potrebbero moltiplicare, giacché simili espressioni ricorrono nei Libri dei Re, nei Salmi e presso altri Profeti. Quelle riportate bastano a indicare il valore biblico della parola « pascere », che equivale a « reggere e governare ».
Tale potere compete a Gesù Cristo il quale, in armonia con i vaticini messianici, disse di Sé: Io sono il buon Pastore. Anzi, dopo aver accennato al mercenario che abbandona le pecorelle davanti al pericolo, soggiunge: Io sono il buon Pastore e conosco le mie e le mie conoscono me, come il Padre conosce me ed io il Padre; e per le mie pecore do anche la vita. Ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle bisogna che io conduca; e daranno ascolto alla mia voce e si farà un solo ovile e un solo Pastore(35).
Non a torto quindi lo stesso San Pietro nella prima lettera chiamerà Gesù Principe dei Pastori(36), e rivolgendosi ai fedeli dirà, dopo aver accennato alla Passione redentrice di Cristo: Eravate come pecore erranti, ma ora siete ritornati al Pastore e Vescovo delle anime vostre(37).
Ed appunto nella qualità di Pastore divino immolato ormai per la salute del gregge, Nostro Signore in riva al lago di Tiberiade dice a Pietro: PASCI I MIEI AGNELLI... PASCI LE MIE PECORE.
Con queste parole Gesù comunica a San Pietro la sua qualità di Pastore universale e supremo dei credenti, e gli affida il governo di tutta la Chiesa, costituendolo suo Vicario in faccia agli uomini.
Altri condivideranno con lui la cura pastorale del gregge di Cristo, ma con rispetto e sottomissione alla sua dignità e autorità di Pontefice Massimo, cui è affidata la sorveglianza e la direzione dei pontefici minori.
È chiaro perciò il significato della doppia espressione usata da Nostro Signore. Agnelli sono tutti i fedeli, divenuti per mezzo del battesimo membri della Chiesa, e quindi parte viva del gregge di Cristo affidato a San Pietro. Pecore invece sono i pastori locali e secondari, preposti a una parte del gregge cristiano, ma soggetti al Pastore supremo, che ha il diritto e il dovere di pascerli e dirigerli.
A questi pastori, che nei tempi apostolici furono detti promiscuamente vescovi e sacerdoti, lo stesso San Pietro con mirabile ardore pastorale diceva nella sua prima lettera: I sacerdoti che sono tra voi, li esorto, io consacerdote e testimone dei patimenti di Cristo, e chiamato a parte di quella gloria, che sarà un giorno manifestata: pascete il gregge di Dio, che da voi dipende, governandolo non forzatamente, ma di buona voglia, come vuole Iddio; e non come dominatori dell´eredità del Signore, mai divenuti sinceramente modelli del gregge(38).
Sant´Efrem Siro s´infiamma di religiosa ammirazione e di incontenibile ardore davanti a Pietro divenuto fondamento e capo della Chiesa, vicario di Cristo in terra e pastore universale dei fedeli. Vorrebbe rivolgergli i più splendidi elogi; ma, immagina che Gesù stesso esalti il privilegiato Capo del collegio apostolico pronunziando queste parole, che noi pure seguiremo coi sensi della più viva devozione: « Simone, discepolo mio, ti ho costituito fondamento della santa Chiesa. Subito ti ho chiamato roccia, perché tu sosterrai tutto il mio edificio. Tu sei il vigilatore di coloro che edificano la Chiesa sulla terra: qualora essi vogliano costruire alcunché di riprovevole, tu, come fondamento, non tollerarli. Tu sei la sorgente di quella fonte, a cui si attinge la mia dottrina. O capo dei miei discepoli, per mezzo tuo io darò da bere a tutte le genti. A te si appartiene quella soavità vivificante, che io elargisco. Ti ho eletto, affinché nella mia istituzione tu sia come il primogenito e così diventi l´erede dei miei tesori. Ti ho dato le chiavi del mio regno: ho costituito te padrone di tutti i miei tesori »(39).
7. ‑ PRIMATO VERO E PROPRIO
A Cesarea di Filippo e in riva al lago di Genezaret gli apostoli non intuirono il profondo significato delle parole rivolte da Gesù a Pietro. D´altronde non compresero neppure l´annuncio della futura passione e morte, fatto immediatamente dopo la promessa del primato; e altrettanto era già accaduto per alcuni sublimi insegnamenti del Maestro.
Ricevuto però lo Spirito Santo, danno alla parola di Gesù il suo genuino significato. Se prima, sotto gli occhi stessi del Salvatore, avevan quistionato tra loro chi fosse il più grande(40), ora non dubitano di rendere a Pietro l´onore che gli corrisponde quale capo del collegio apostolico.
Gli evangelisti infatti nel dare il nome dei Dodici mettono costantemente Pietro al primo posto(41). San Matteo, in particolare, si esprime così: I nomi dei dodici apostoli son questi: Il primo, Simone, detto Pietro, e Andrea suo fratello, Giacomo eccetera(42). Tale priorità non è solo numerica, poiché mancano poi gli altri numeri pei rimanenti apostoli, ma è preminenza di grado: Pietro vien detto il primo per indicare che è il capo di tutti. Né può intendersi primo in ordine alla divina chiamata, quasi fosse stato il primo a conoscere e a seguire Gesù, giacché egli fu condotto al Messia dal fratello Andrea(43). Deve pertanto intendersi di un primato di superiorità.
Questo si deduce anche dal fatto che talora gli evangelisti, accennando distintamente a Pietro, chiamano gli altri: e quelli ch´eran con lui, e i suoi compagni, con gli undici(44). Lo stesso San Paolo, parlando della risurrezione di Gesù, afferma che fu visto da Cefa e poi dai dodici(45); e allorché usa l´ordine inverso, procedendo da se stesso come dal meno degno, nomina Pietro al penultimo posto, immediatamente prima del più degno, Gesù Cristo(46).
Tutto ciò si armonizza con il visibile impegno che mostrano gli evangelisti nel mettere in luce le distinzioni toccate a Pietro, in vista dell´ufficio che gli sarebbe affidato.
Quando Gesù è a Cafarnao, abitualmente alloggia in casa di Pietro, ed opera miracoli tra i familiari di lui(47). Per predicare dal lago alle turbe che infittiscono sulla spiaggia, prende la barca di Pietro. Questi sarà testimone della pesca miracolosa, dopo la quale Gesù dirà all´umile pescatore che si confessa indegno di stargli accanto: Non temere, d´ora innanzi tu sarai pescatore d´uomini(48). Con un miracolo paga il tributo al tempio per Sé e Pietro, come se si trattasse di una sola persona(49). Nell´ultima Cena lava i piedi agli apostoli cominciando da Pietro(50). Il giorno stesso di Pasqua gli riserva una delle prime e personali apparizioni(51), che dovette confortare e consolare il cuore dell´apostolo, straziato dal dolore della negazione e dello spergiuro.
Ma prima del collegio apostolico, il medesimo Pietro, appena Gesù fu salito al cielo, appare intimamente persuaso della sua dignità e autorità di Vicario di Cristo: e la storia della Chiesa nascente, come la tratteggia San Luca nel libro degli Atti, ne è una evidente riprova.
Pietro è il primo a interpretare le Sacre Scritture e a dichiarare la necessità di scegliere tra i presenti nel Cenacolo chi prenda il posto del traditore e diventi, con gli undici, testimone della risurrezione di Gesù(52). E dopo la discesa dello Spirito Santo con il dono delle lingue, è ancora Pietro che alza la voce in difesa dei condiscepoli accusati di ubriachezza, predica la messianità di Gesù davanti ai suoi uccisori ed accoglie i primi giudei convertiti, coi quali inaugura la nuova comunità cristiana(53).
È ancora Pietro che opera il primo miracolo, guarendo lo storpio dalla nascita, che stava alla porta del tempio detta la Bella(54); egli che giudica e condanna Anania e Saffira di frode(55); egli che passa tra le folle come un taumaturgo, tanto che portavan fuori nelle piazze gl‘infermi su lettucci e strapunti, affinché, quando Pietro passava, almeno l´ombra sua ne coprisse qualcuno; e fossero liberati dalle loro infermità(56).
È Pietro che rivendica pel primo dinanzi al Sinedrio il diritto di predicare la verità, ubbidendo a Dio più che agli uomini(57); che visita le nascenti cristianità della Giudea, della Galilea, di Samaria e di altre città fuori della Palestina(58); egli che, divinamente ispirato, battezza il centurione Cornelio ed apre le porte della Chiesa ai Gentili(59).
E allorché sorge la controversia sulla necessità di sottoporre i gentili ad alcune pratiche del mosaismo, è Pietro che nel Concilio di Gerusalemme dirime la questione(60); e quando Erode lo getta in carcere, tutta la Chiesa, colpita nel suo capo e trepidante per la sua personale incolumità, faceva a Dio continua preghiera per lui(61) .
Tutto ciò dimostra che, fin dagli inizi del Cristianesimo, la condizione di Pietro fu di aperta superiorità sugli altri apostoli e sui credenti: il che non si spiega se non in forza del divino mandato ricevuto da Cristo di pascere il suo gregge.
Noi restiamo commossi davanti alla virile figura di questo indotto pescatore di Galilea, che sotto l´azione dello Spirito Santo è tramutato in maestro di verità e in padre amante e amato delle prime generazioni cristiane, le quali affidandosi a lui sentivano di camminare per la via sicura della salvezza; cosicché non finiamo di ripetere con San Paolo: Le cose stolte del mondo ha scelto Dio per svergognare i sapienti; le debolezze del mondo ha scelto per svergognare i forti; e le cose vili del mondo e le spregevoli elesse Dio ‑ cose che non son nulla ‑ per annientare le cose che sono: acciocché nessun individuo si glorii al cospetto di Dio(62).
E prima di noi rimasero ammirati davanti alla dignità e grandezza di San Pietro gli Scrittori, i Padri e i Dottori della Chiesa.
Si domanda Tertulliano: « Fu negato qualcosa a Pietro, detto fondamento della futura Chiesa, e arricchito delle chiavi del cielo e del potere di sciogliere e legare in faccia a Dio e agli uomini? »(63). A sua volta San Cipriano rileva che, sebbene Gesù Cristo dopo la risurrezione conferisse gli stessi poteri a tutti gli apostoli, non di meno « su di uno solo » edificò la Chiesa(64); e Sant´Ottato di Milevi osserva che « il beato Pietro meritò di essere preferito a tutti gli apostoli » e che «egli solo ricevette le chiavi del regno dei cieli da comunicare anche agli altri »(65). Sant´Ambrogio mette in luce che essendo stato « il solo Pietro» a confessare la divinità di Cristo, « egli solo fu anteposto a tutti »(66). E San Girolamo aggiunge che dei dodici uno solo vien scelto e costituito capo di tutti « per togliere l´occasione di scismi e divisioni »(67).
Degno di nota il seguente brano di San Leone Magno, che riassume e condensa il pensiero della tradizione patristica e ci rivela quanto l´antichità cristiana abbia ammirato ed esaltato il Principe degli apostoli: « Da tutto il mondo ‑ scrive - il solo Pietro viene eletto e preposto a tutti gli apostoli e padri della Chiesa, per la chiamata delle genti alla fede; di modo che, sebbene si contino nel popolo di Dio molti sacerdoti e pastori, tutti siano però strettamente governati da Pietro, quelli che Gesù Cristo in maniera più alta regge e governa. La divina bontà del Salvatore concesse a questo uomo una grande e mirabile partecipazione al suo potere; e se agli altri pastori comunicò facoltà uguali alle sue, non diede mai se non per suo mezzo ciò che ad essi non volle negare »(68).
Reale adunque e profondamente sentito fu il primato di San Pietro fin dagli inizi della Chiesa. Nessuna verità è tanto sicura e inconcussa come questa, che nel magistero, nel ministero e nel governo del Pescatore di Galilea ci lascia intravedere la prima ed abbondante applicazione dell´opera salvatrice di Gesù Cristo al mondo antico, e quasi ci fa assistere allo spettacolo della Chiesa che si dilata e cresce fra i popoli, inaugurando un´èra novella per l´umanità: l´èra della Redenzione, del Vangelo, del primato di San Pietro.
8. ‑ I SUCCESSORI DI SAN PIETRO NEL PRIMATO
Inviando gli apostoli alla conquista del mondo, Gesù li assicurò della sua divina assistenza e per ciò stesso della loro efficacia missionaria. Il Vangelo di San Matteo infatti si chiude con le parole: Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo(69).
Dalle quali parole si deduce che la missione degli apostoli non soltanto è universale riguardo allo spazio, ma anche perpetua quanto al tempo. Essi cioè dovranno percorrere tutta la terra, evangelizzare tutti i popoli e perseverare, nel compito loro affidato, sino alla consumazione dei secoli.
Ma questo non sarebbe stato possibile se gli apostoli non avessero avuto dei successori o continuatori nel campo dell’apostolato. Bisognava che alla loro morte, altri ne prendessero il posto, ereditando insieme col ministero, anche l´autorità di governare il gregge di Cristo e di guidarlo ai pascoli della salvezza eterna.
Senonché la condizione degli apostoli fu diversa da quella dei loro continuatori. E qui occorre distinguere tra il collegio apostolico e il suo Capo.
Al collegio apostolico successero i vescovi nella direzione delle singole chiese o comunità cristiane da essi fondate, senza ereditare però tutte le prerogative straordinarie che Gesù Cristo aveva concesso agli apostoli. Questi infatti, scelti e inviati dal Divin Salvatore, avevano goduto di scienza infusa, del privilegio personale della infallibilità, del potere di far miracoli: e avevano mantenuto una certa supremazia sulle chiese o comunità che erano andati costituendo nell´ampliare il solco della loro attività evangelica.
A San Pietro invece succede il Romano Pontefice, ossia il Papa, che da lui eredita il governo universale del gregge di Gesù Cristo.
San Pietro infatti non solo rivestiva, come gli altri, la qualità di apostolo, ma per esplicita e solenne designazione del Salvatore assommava nella propria persona la dignità e l´autorità di capo del collegio apostolico e fondamento della Chiesa. Come tale, egli doveva avere dei successori personali: altrimenti alla Chiesa sarebbero venute meno l´unità e la saldezza.
In altre parole, Pietro era depositario di prerogative legate alla condizione di apostolo, e queste finirono con la sua morte. Ma disponeva inoltre dei diritti inerenti al primato, senza del quale la Chiesa non potrebbe sussistere, perché verrebbe simultaneamente a mancare del capo e della base: e questi diritti dovevano trasmettersi a chi ne avrebbe ereditato il posto e continuata la missione primaziale di pascere gli agnelli e le pecore di Gesù Cristo.
Circa il modo di questa successione, nulla è detto in tutto il Nuovo Testamento. Nondimeno dalla storia bimillenaria della Chiesa consta che il primato fu sempre annesso alla Sede Romana, fondata e retta da San Pietro e santificata dal suo sangue, sparso sul colle Vaticano tra le inaudite esecuzioni della ferocia neroniana. Per il solo fatto adunque di succedere a San Pietro nel governo della Chiesa Romana, si entrava in possesso dei diritti e dei doveri del primato.
Storicamente è appunto dimostrato che i Vescovi di Roma, fin dalla più remota antichità, si mostrano conscii della loro autorità di Pastori Supremi ed intervengono nelle controversie locali e nelle questioni disciplinari, morali e dogmatiche: San Clemente, terzo successore di San Pietro, verso la fine del primo secolo scrive alla Chiesa di Corinto, già turbolenta ai tempi di San Paolo, ed assume un tono che si spiega solo con la consapevolezza del primato: si trattava infatti di una chiesa orientale, e viveva ancora l´Apostolo San Giovanni. Nel secondo secolo papa San Vittore impone d´autorità alle chiese dell´Asia Minore la data in cui dovevasi celebrare la Pasqua. Nel terzo secolo Papa San Callisto stabilisce che si dia l´assoluzione di colpe gravissime, falsamente ritenute irremissibili. Ed in seguito, consolidandosi sempre più la struttura della Chiesa, anche per la conquistata libertà sociale, ecco che l´esercizio del primato si rende più continuo ed efficace, specialmente contro l´irrompere delle eresie minaccianti la purezza della fede.
Così si spiega come, parlando della Chiesa di Roma, Scrittori e Padri la considerino, per il suo Vescovo, quale madre e capo di tutte le chiese e ne intreccino i più grandi elogi. Sant´Ignazio di Antiochia, discepolo degli apostoli, la onora col titolo di « preside dell´alleanza d´amore »(70), cioè capo dei fedeli del mondo, uniti nel vincolo della carità. Sant´Ireneo di Lione, non solo dice la Chiesa Romana « massima e gloriosa », fondata dagli apostoli Pietro e Paolo e bastevole a confutare tutte le eresie, ma afferma che « in grazia della sua sovraeminente posizione, con essa debbono concordare i fedeli di tutti i paesi, perché nella medesima si è sempre conservata la tradizione apostolica »(71). E San Cipriano afferma della Chiesa di Roma che è « la chiesa principale, da cui scaturisce l´unità del sacerdozio »; anzi, arriva a chiamarla « madre e radice della Chiesa Cattolica »(72).
A ragione quindi, sull´inizio del quinto secolo, Sant´Agostino scriveva che nella sede romana « era sempre stato in auge il primato della cattedra apostolica »(73).
Altrettanto confermano i Concili ecumenici o universali, da quello di Efeso del 431 a quello Vaticano del 1870, che tra l´altro solennemente proclama: « Se alcuno oserà dire non essere di istituzione di Gesù Cristo, ossia di diritto divino, che il beato Pietro abbia perpetui successori nel primato su tutta quanta la Chiesa, e il romano pontefice non essere il successore del beato Pietro nello stesso primato, sia anatema », vale a dire scomunicato(74).
Colui pertanto che viene legittimamente eletto Vescovo di Roma e accoglie tale designazione, in virtù della primitiva istituzione divina riceve da Gesù Cristo medesimo il primato su tutta la Chiesa: quale capo e rettore supremo, esercita un potere ordinario, episcopale e immediato sull´intero gregge dei fedeli, tanto in ciò che si riferisce alla fede e ai costumi, quanto in ciò che riguarda la disciplina e il regime interno della società cristiana.
Oh! cresca a mille doppi la nostra ammirazione e devozione verso l’augusta persona del Papa! Egli salendo sulla Cattedra di Pietro, è succeduto personalmente al Capo degli apostoli nella pienezza e nell´esercizio della suprema autorità pastorale, da Cristo affidata a Pietro per la stabilità, la perpetuità e l´efficace governo della sua Chiesa, arca di salvezza per tutti gli uomini.
San Francesco di Sales, pieno di venerazione pel Supremo Pastore della Chiesa, raccolse in magnifica ghirlanda i più bei titoli con i quali, specie nell´antichità, si designava il Successore di Pietro. Ecco i più significativi: Vicario di Dio, Vicario di Gesù Cristo, Capo della Chiesa, Padre e Dottore dei cristiani, Padre dei padri, Rettore della Chiesa universale, Pastore del gregge di Gesù Cristo, Custode della vigna del Signore, Cardine e Capo di tutte le Chiese, Successore di San Pietro, Erede degli Apostoli, Sommo Sacerdote, Principe dei Sacerdoti, Pontefice, Pontefice Massimo, Sommo Pontefice, Patriarca Universale, Pontefice Romano(75).
Il titolo più comune però con cui viene designato il successore di San Pietro è quello di Papa. Con questa parola di origine greca, la quale significa padre o padre supremo, in antico furono designati anche i vescovi. Ma col volgere dei tempi essa venne riservata a chi spettava d´ufficio la cura pastorale di tutta la gran famiglia dei battezzati, e che veniva considerato come il padre supremo dei credenti. Anzi, per distinguerlo dagli altri vescovi, preposti soltanto alla custodia di una parte del gregge di Cristo, era detto Papa Apostolico ed anche Papa Universale. Ed allorquando Giovanni il Digiunatore, patriarca di Costantinopoli, tentò con l´appoggio della corte imperiale d´Oriente, di attribuirsi il titolo di Patriarca Ecumenico, che poteva equivalere a quello di Papa Universale, il Pontefice San Gregorio Magno insorse a condannare l´irriverente e sacrilega usurpazione, che ledeva l´integrità delle sue incomunicabili prerogative(76). Ricordando però 1´ammonimento di Gesù: I re delle nazioni le dominano e quelli che hanno autorità su di esse vengono chiamati Benefattori. Non sia però così tra voi; anzi il più grande tra voi, sia come il più piccolo; e chi governa, sia come colui che serve(77), continuò a chiamarsi Servo dei servi di Dio: e il suo esempio venne poi imitato da tutti i pontefici che seguirono nel governo della Chiesa.
Fu così vivo e profondo il rispetto sentito dall´antichità verso la persona del Vicario di Gesù Cristo, che venne designata con le formule di Sua Beatitudine e Sua Santità. Quest´ultima ormai è la, più corrente, e meglio di ogni altra esprime il carattere sacro, che emana dalla persona eletta a rivestire la più alta dignità umana e ad occupare il trono più elevato del mondo.
Davanti a tanta ricchezza e splendore di titoli, così appropriati a designare il Successore di Pietro nel primato di vera e propria giurisdizione su tutta quanta la Chiesa, ciascun membro della Famiglia Salesiana non può non ripetere quanto, con mano ormai stanca, scriveva San Giovanni Bosco un anno prima di morire: « Fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di San Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice. Ammetto con giubilo tutti i gloriosi titoli che egli raccolse dai Santi Padri e dai Concili, e dei quali, formata come una corona di preziosissime gemme, adornò il capo del Papa »(78).
9. ‑ IL PRIVILEGIO DELL´INFALLIBILITÀ
Per completare, alla luce del Vangelo e della Tradizione, la conoscenza che dobbiamo avere del Papa, occorre dire della infallibilità personale di cui egli gode, allorché parla ex cathedra; ossia dalla Cattedra, in materia di fede e costumi. È il privilegio che fa del Papa l´oracolo dello Spirito Santo, vivente nella Chiesa, e lo presenta agli occhi dei cristiani quale maestro sicuro e insostituibile di verità: giacché nella sua voce vi è come l´eco della voce stessa di Dio che non inganna né può ingannarsi, e nei suoi insegnamenti trovasi la luce indefettibile che guida al porto della salvezza.
L´infallibilità pontificia deriva dal primato e ne è la gemma più fulgida. Infatti dal potere di giurisdizione dipende quello di magistero, senza di cui non è possibile conservare, trasmettere, interpretare ed applicare la dottrina insegnata da Gesù Cristo e affidata, quale sacro deposito, alla Chiesa. Il Supremo Pastore è quindi anche Maestro Supremo dei fedeli. A lui incombe l´onere di ammaestrarli e soprattutto di conservare la purezza della fede contro le eventuali contaminazioni dell´errore.
Trattandosi però di còmpito superiore alla umana intelligenza, che a stento afferra e domina le stesse verità naturali, Gesù volle che il capo della Chiesa, assistito da specialissima grazia, fosse infallibile nella sua qualità di maestro, tutore e vindice della fede: vale a dire delle verità soprannaturali da Lui medesimo rivelate in forma semplice e piana, ma soggette per la loro natura a studio profondo e perciò alle deviazioni della pochezza umana.
Conviene tuttavia precisare subito che l´infallibilità pontificia non si estende a tutti gli atti del Papa, ma solo a quelli di supremo magistero: quando, cioè, parla come pastore e maestro di tutta la Chiesa.
Il Concilio Vaticano definisce chiaramente essere dogma di fede che « il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ossia, quando in qualità di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema apostolica autorità, definisce che una dottrina riguardante la fede ed i costumi deve ritenersi vera dalla Chiesa universale, per l´assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, gode di quella infallibilità, di cui il Divin Redentore ha voluto dotare la sua Chiesa nel definire la dottrina che concerne la fede e i costumi; e perciò tali definizioni del Romano Pontefice di per sé, e non per il consenso della Chiesa, sono irreformabili »(79).
Ripugna infatti pensare che, avendo Gesù Cristo affidato al suo Vicario in terra la missione di guidare le anime a salvamento, questi possa cadere in errore quando, nell´esercizio del suo magistero universale, insegna che una verità è contenuta nel sacro deposito della rivelazione oppure si connette intimamente col medesimo, allo scopo di meglio custodirlo, spiegarlo, difenderlo.
D´altronde Gesù Cristo non può permettere che San Pietro e i suoi successori, da Lui posti a inconcusso fondamento della Chiesa, siano divelti: ne crollerebbe di conseguenza il mistico edificio innalzato a salvezza delle anime. Questo però ineluttabilmente accadrebbe, qualora il Papa non fosse infallibile, ma soggetto ad errore. A San Pietro inoltre e ai suoi successori furon date le chiavi del regno dei cieli, vale a dire tutti i poteri, tra cui quello d´insegnare la verità che sublima l´uomo e lo salva. Ora, si ingiuria Gesù Cristo al solo pensare che, nell´uso delle somme chiavi, il suo Vicario possa venir riprovato, quasi avesse aperto là dove conveniva chiudere, o chiuso dove bisognava aprire. Ancora: San Pietro e i suoi successori debbono pascere agnelli e pecore, ossia fedeli e pastori. Ma come potrebbero compiere adeguatamente questa loro missione, se non fossero immunizzati contro l´errore? La mente rifugge dal pensiero che il gregge di Gesù Cristo possa venir guidato a pascoli infetti e avvelenati, e domanda che il Pastore supremo sia anche il Maestro supremo: il che vuol necessariamente la prerogativa personale della infallibilità, senza della quale non sarebbe in grado di condurre a termine perfetto l´opera affidatagli.
Del resto, al termine dell´Ultima Cena, poco prima di recarsi al Getsemani, Gesù disse in tono grave a Pietro: Simone, Simone, ecco Satana va in cerca di voi per vagliarvi come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli(80). La divina assicurazione è tanto evidente che non ha bisogno di essere illustrata. D´altra parte chi oserebbe supporre che la preghiera di Gesù non sia stata efficace? E come potrebbero Pietro e i suoi successori sostenere e confermare gli altri, se essi medesimi potessero errare?
San Francesco di Sales, nostro dolcissimo Patrono, così commenta il testo di San Luca or ora citato: « È detto che tutti gli apostoli saranno tentati: eppure Gesù prega per uno solo, Pietro: ciò fa supporre evidentemente che la fermezza di San Piero nella fede basti a mantenere saldi anche gli altri, essendo egli il fondamento della Chiesa e il capo degli apostoli e dei fedeli ». Anzi, per meglio chiarire il concetto, San Francesco ricorre a un espressivo paragone: « Il giardiniere ‑ egli dice - che vede il solleone dardeggiare su una tenera pianticella, per evitare che si dissecchi e muoia, non ne bagna i singoli rami, bensì la radice, essendo persuaso che se riesce a irrigare abbondantemente la radice, tutti i rami avranno assicurata la vita, perché da essa il fresco umore passa al tronco e si distribuisce ai rami. Pietro è la radice dei credenti, e pregando per lui Gesù ottiene che l´acqua purissima della fede si comunichi e mantenga prospero e rigoglioso tutto l´albero della Chiesa e della vita cristiana »(81).
Un´ultima considerazione, prima di chiudere questi brevi accenni sull´infallibilità pontificia, che da sola basta a farci comprendere la grandezza del Papa.
Gesù Cristo vuole che la Chiesa duri sino alla fine del mondo e che sia strumento di salvezza per tutte le genti. In che modo però la Chiesa potrebbe sfidare i secoli, conservando l´integrità della fede nonostante le persecuzioni e lotte cui va continuamente incontro, se il suo Capo e Maestro fosse passibile di errore? Gesù garantì Pietro che le porte dell´inferno non sarebbero mai prevalse contro di lui; ma esse certamente prevarrebbero nel caso che Pietro ‑ direttamente o nella persona di qualche successore ‑ uscisse dalla via della verità per insegnare l´errore. Guai alla Chiesa, se il Papa non avesse il potere infallibile di trasmettere e interpretare la verità; di smascherare e sfatare la menzogna; di condannare e punire i nemici pervicaci e gli impugnatori ostinati della dottrina di Gesù Cristo! Come potrebbe riposare tranquilla, senza certezza che il Pastore supremo veglia a difesa del gregge, pronto sempre a dire la parola che atterra ogni falsità e conduce a salvamento?
Gesù medesimo diede l´allarme contro i bugiardi e falsari: Guardatevi ‑ disse nel Discorso della Montagna ‑ dai falsi profeti, che vengono a voi travestiti da pecore, mentre dentro son lupi rapaci(82). E pochi giorni prima della sua Passione, alludendo simultaneamente alla non lontana distruzione di Gerusalemme e alla fine del mondo, raccomandò: Badate che nessuno vi seduca. Perché molti verranno nel mio nome e diranno: ‑ Io sono il Cristo ‑ e sedurranno molti(83). E insiste: Se uno vi dirà allora: ‑ Il Cristo, eccolo qui o eccolo là; ‑ non credete, perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. State dunque attenti che io vi ho predetto ogni cosa(84).
Ma come potrebbero i semplici fedeli individuare i lupi rapaci che s´infiltrano astutamente nel gregge di Gesù Cristo, se non fossero i pastori, e in primo luogo il Pastore dei Pastori, ad alzare la voce contro il ladro che viene per rubare, uccidere e distruggere?(85). Come distinguere i falsi profeti e ripudiare i loro perfidi insegnamenti, le subdole dottrine, le ipocrite massime con cui tentano di ingannare gli umili, se mancasse una voce infallibile di repressione e condanna dell´errore?
Per questo motivo nell´Ultima Cena Gesù promise agli apostoli: Il Paracleto, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi suggerirà tutto ciò che io vi ho detto(86). Anzi, dopo aver insistito sulla convenienza di tornare al Padre per inviare lo Spirito, proseguì: Ho ancora molte cose da dirvi, ma per ora sono al di sopra della vostra portata. Quando sarà venuto lo,Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità; non, vi parlerà in persona propria, ma vi dirà quanto ha inteso e vi annuncerà le cose che dovranno succedere(87).
E chi potrebbe metter in dubbio l´azione dello Spirito Santo negli apostoli e in particolare in San Pietro e nei suoi successori, dovendo essi pascere con la dottrina di Gesù Cristo l´intero suo gregge, alla loro vigile solerzia affidato?
A ragione quindi i Padri più illustri della Chiesa inneggiano con smaglianti espressioni alla infallibilità di Pietro e di chi gli succede nella Cattedra Romana. San Cipriano infatti asserisce che la perfidia menzognera degli eretici « non può trovare accoglienza veruna presso i fedeli di Roma »(88), grazie evidentemente al loro supremo Pastore. È nota poi la celebre frase di Sant´Ambrogio: « Dov´è Pietro, ivi è la Chiesa; e dove è la Chiesa, non si trova la morte, ma la vita eterna »(89). Anzi, il grande Vescovo milanese scriveva a Papa San Siricio: « Sappia la tua Santità che, secondo il tuo giudizio, presso di noi son condannati quelli che tu condanni »(90). Anche Sant´Agostino nella causa dell´eretico Pelagio afferma che, dopo il verdetto di Roma « la questione è finita », e cordialmente si augura che allo stesso modo « finisca l´errore »(91). E San Girolamo, nominati alcuni eretici, dice a Papa San Damaso: « Chi non raccoglie teco, sparge; voglio dire: chi non è di Cristo, è dell´Anticristo »(92).
Benediciamo adunque la divina Bontà per averci chiamati a far parte del gregge di Cristo, affidato alle cure supreme di San Pietro e dei suoi successori, dai quali è miracolosamente rimossa ogni possibilità d´inganno allorquando ci parlano quali Maestri e Dottori della Chiesa. Sentiamo la gioia di essere nella verità e di poterla attingere, oltre che dalle fonti della Rivelazione, anche dal vivo e infallibile Magistero della Chiesa Cattolica e in particolare del Romano Pontefice, padre e pastore di tutte le anime. A lui possiamo giustamente applicare le parole di Gesù: Io sono la via, la verità e la vita(93). Il Papa infatti è « via », perché insegna ciò che dobbiamo praticare; è « verità », perché insegna ciò che dobbiamo credere; è « vita », perché stringe nelle mani le chiavi che dischiudono il possesso della vita eterna.
10. ‑ DON BOSCO E L´INFALLIBILI TÀ DEL PAPA
Prima di inoltrarci a considerare ciò che è il Papa alla luce della Storia, pare opportuno inserire a questo punto una breve rassegna di quanto il nostro amato Fondatore e Padre fece per la definizione dogmatica della infallibilità pontificia.
Egli era intimamente persuaso che il Papa godesse del privilegio personale della infallibilità, quale maestro e capo supremo della Chiesa. Lo aveva attinto allo studio della sana teologia e ancor più della storia ecclesiastica, per la quale mostrò fin dal Seminario spiccata predilezione. Influì su di lui anche l´atteggiamento e l´insegnamento pratico dell´incomparabile suo maestro San Giuseppe Cafasso, alieno da ogni teoria che mirasse a limitare i poteri e le prerogative pontificie.
Fatto sta che nel 1848 Don Bosco pubblicava un libretto dal titolo: Il cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo de Paoli, e in quelle umili paginette, ventidue anni prima della definizione del Concilio Vaticano, egli propugnava e difendeva l´infallibilità del Papa. A proposito infatti del giansenismo gallicano del secolo XVII, Don Bosco mostrava il suo perfetto accordo con San Vincenzo de Paoli che, per reprimerlo, aveva indotto molti vescovi a ricorrere, non a un Concilio, ma all´autorità suprema del Pontefice Romano Innocenzo X; il quale nel 1653 condannò quei perniciosi errori. E prendendo occasione da quell´accenno storico, Don Bosco esortava i lettori: « Approvate quanto il Papa approva, e condannate quello che il Papa condanna. Ogni fedele cristiano si adoperi per amare e rispettare le disposizioni dei Superiori Ecclesiastici; e guardiamoci dall´essere di quelli che, avendo spesa la loro vita in tutt´altro studio che in materia ecclesiastica, si fanno lecito di censurare detti o fatti dell´autorità della Chiesa, bestemmiando così quelle cose che la loro ignoranza non capisce. Guardatevi, dice il Signore, guardatevi dall´intaccare i sacri ministri con fatti o con parole: Nolite tangere Christos meos; perché quanto si fa o si dice contro di loro, lo è parimenti contro di me stesso: Qui vos spernit, me spernit »(94).
Le medesime convinzioni Don Bosco manifestava qualche anno dopo, allorché nel 1851 i Valdesi riuscivano a concretare il progetto di un loro tempio in Torino. Impugnata nuovamente la penna, scriveva un opuscolo intitolato: Avvisi ai Cattolici. Ecco la prefazione:
« Popoli cattolici, aprite gli occhi. Si tendono a voi moltissime insidie col tentare di allontanarvi da quell´unica, vera, santa religione che solamente conservasi nella Chiesa di Gesù Cristo.
» Questo pericolo fu già in più guise proclamato dai nostri legittimi pastori, i Vescovi, posti da Dio a difenderci dall´errore e a insegnarci la verità.
» La stessa infallibile voce del Vicario di Gesù Cristo ci avvisò di questo insidioso laccio teso ai Cattolici; ´cioè che molti malevoli vorrebbero sradicare dai vostri cuori la Religione di Gesù Cristo. Costoro ingannano se stessi e ingannano gli altri: non credeteli.
» Stringetevi piuttosto di un cuor solo e di un´anima sola ai vostri Pastori, che sempre v´insegnarono la verità.
» Gesù disse a San Pietro: Tu sei Pietro e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non la vinceranno mai, perché io sarò coi Pastori di essa tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli.
» Questo disse a San Pietro e ai suoi successori, i Romani Pontefici, e a nessun altro.
» Chi vi dice queste cose diverse da quanto vi dico, non credetelo: egli vi inganna.
» Siate intimamente persuasi di queste grandi verità: Dove c´è il successore di San Pietro, là c´è la vera Chiesa di Gesù Cristo. Nessuno trovasi nella vera religione se non è Cattolico; nessuno è Cattolico senza il Papa.
» I nostri pastori e specialmente i vescovi ci uniscono al Papa, il Papa ci unisce con Dio »(95).
Benché Don Bosco mirasse con queste calde raccomandazioni a premunire i cattolici contro le falsità dei protestanti, dalle sue parole traspare quel che egli sentisse della persona, dell´autorità e del magistero del Romano Pontefice. Altrettanto si rileva dall´opuscolo: Sull´Autorità del Romano Pontefice, Istruzione catechistica del sacerdote Lorenzo Gastaldi, Teologo Collegiato e Canonico Onorario della SS.ma Trinità, che egli pubblicava nella collana delle Letture Cattoliche all´inizio del 1864(96). Con chiarezza e precisione il Gastaldi illustrava l´ambito dell´autorità pontificia in campo dogmatico, morale, disciplinare e politico, difendendo con giusti criteri l´infallibilità, che Don Bosco aveva tanto a cuore e per la quale cercava assertori franchi e valenti.
Quando poi con la Bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868 Pio IX indisse il ventesimo Concilio ecumenico, da aprirsi 1´8 dicembre 1869 nella Basilica Vaticana, il nostro Padre fu tra coloro che vagheggiarono la proclamazione dogmatica della infallibilità personale del Papa.
Nell´agosto del 1869, pochi mesi prima che il Concilio si inaugurasse, egli dava alle stampe un fascicolo d´occasione, da lui stesso composto nei fugaci momenti liberi. Era intitolato: I Concilii Generali e la Chiesa Cattolica. Conversazione tra un Parroco e un giovane parrocchiano. Pel sacerdote Giovanni Bosco. L´indice dei temi svolti basta a farci comprendere i presupposti dottrinali del nostro Santo Fondatore, in vista dell´imminente Concilio. Eccoli: Che cosa sono i Concilii e loro utilità. ‑ Chi possa convocarli. ‑ Il Papa è superiore al Concilio: nelle cose di fede e di morale è infallibile anche per sé solo. ‑ Infallibilità e autorità del Concilio Generale se unito al Papa. ‑ Le definizioni e le leggi di un Concilio obbligano per se stesse i cristiani. ‑ Breve cenno storico dei singoli Concilii ecumenici. ‑ Il Concilio Vaticano I, e le gravi ragioni che mossero il Papa a convocarlo.
« In queste pagine ‑ commenta Don Lemoyne(97) ‑ risplende l´ardente amore che infiammava Don Bosco per il Papa e la Chiesa. Egli fa voti che la infallibilità dottrinale del Romano Pontefice, sebbene nota e certissima, sia dichiarata nel prossimo Concilio dogma di fede, a gloria di Dio e della sua Chiesa, a sicurezza e consolazione dei buoni, ad ornamento, con nuova e più bella gemma, della veneranda fronte del successore di San Pietro ».
E come era stato fatto prima della proclamazione del dogma dell´Immacolato Concepimento di Maria, Don Bosco invitava i cattolici a « fare voto di credere, professare, difendere e con le parole e cogli scritti, e se fosse d´uopo anche con la vita, l´individuale infallibilità del Papa..., ad onore di Gesù Cristo e del suo Vicario in terra, e per acquisto di maggiori meriti in cielo »(98).
L´annuncio del prossimo Concilio Vaticano accese tra i cattolici la discussione circa l´eventualità di definire come dogma di fede l´infallibilità personale del Romano Pontefice. In Francia e in Italia si ebbero voti perché il Concilio fosse brevissimo, data anche la tristezza dei tempi, e definisse « per acclamazione » quella credenza antica e universale quanto la Chiesa, oltre che espressamente contenuta nei Vangeli. Non mancò tuttavia di formarsi la corrente di quelli che giudicavano inopportuna tale definizione, per timore che irritasse i cristiani d´Oriente, i protestanti e gli uomini di governo, imbevuti di principi liberali allora in voga.
Capo della corrente antiopportunista in Francia era il celebre Mons. Dupanloup, vescovo di Orléans. Questi nel recarsi a Roma visitò alcuni vescovi piemontesi, tra i quali Mons. Gastaldi, promosso da qualche anno alla sede di Saluzzo, allo scopo di aumentare con essi il partito di opposizione.
Benché persuaso delle idee che abbiamo già avuto occasione di ricordare, Mons. Gastaldi rimase scosso dalle ragioni del Dupanloup. Prima però di scendere a Roma passò all´Oratorio ed ebbe un lungo colloquio con Don Bosco, il quale con altri vescovi e teologi sosteneva calorosamente l´opportunità della definizione, sia per stroncare gli errori opposti, sia perché il Papa fosse in grado di agire qualora si rinnovassero per la Santa Sede le dolorose strettezze di Pio VII(99).
L´8 dicembre 1869 all´Oratorio si festeggiò la solenne apertura dell´atteso Concilio(100), alla quale parteciparono settecento vescovi, saliti in seguito a settecentosettanta.
Quantunque l´indice delle trattazioni distribuito ai Padri non comprendesse l´argomento della infallibilità, tutti ne parlavano; e la polemica ardeva dentro e fuori il Concilio, in libri ed opuscoli, in conversazioni private e pubbliche. Da molti si ripeteva l´argomento di Giuseppe De Maistre: « Potestas suprema ideoque ab errore immunis: La Chiesa docente è infallibile: dunque anche il Pontefice, che ricevette da Cristo il supremo potere di insegnare »(101).
Don Bosco stava in vedetta. Avendo però avuto i1 5 gennaio 1870 una superna illustrazione, decise di portarsi a Roma per comunicare a Pio IX « la voce del cielo al Pastore dei pastori »(102).
Partì da Torino il 20 gennaio: e il 24, per la quarta volta nel giro di dodici anni, metteva piede nella città eterna. La questione della infallibilità era ormai all´ordine del giorno, poiché il 26 dicembre 1869 l´arcivescovo di Malines aveva presentato a Pio IX un indirizzo con trecentottantotto firme vescovili a favore della definizione.
Dolorosamente sorpreso che Mons. Gastaldi si fosse dichiarato favorevole alle idee antiopportuniste del Dupanloup, e ciò aveva contristato Pio IX, Don Bosco si diede premura di avvicinarlo e di riguadagnarlo alla buona causa. Alla fine del colloquio Monsignore assicurava Don Bosco che avrebbe steso una memoria in difesa della infallibilità personale del Papa, e sulla opportunità della definizione dogmatica. « I confidenti ‑ osserva Don Lemoyne(103) ‑ si avvidero di questo improvviso cambiamento di pensiero di Mons. Gastaldi, e fu per loro come un fulmine a ciel sereno ». Nessuno aveva saputo dell´incontro con Don Bosco.
Il Santo gli procurò anche opere teologiche di valore e gli segnò di sua mano i brani più importanti. Anzi, pregò Don Rua di inviare direttamente a Monsignore cento copie dell´opuscolo Dell´autorità del Romano Pontefice, che il Gastaldi stesso aveva pubblicato alcuni anni prima nelle Letture Cattoliche.
L´azione svolta presso Mons. Gastaldi fu ripetuta presso altri vescovi piemontesi, tra cui Mons. Galletti di Alba, che per tal modo fu attratto nell´orbita degli opportunisti. Mons. Losana, vescovo di Biella, poté affermare che durante quel soggiorno romano Don Bosco « non aveva requie » per ottenere « il trionfo del Pontificato Romano »(104). Ed effettivamente si può dire che, pur restando ai margini della memoranda Assemblea, egli faceva intendere la sua voce di umile ma fervente sacerdote in fama di santità, e con solidi argomenti teologici e storico‑ecclesiastici procurava di. spianare la via alla desiderata definizione.
Celebre la discussione con il piemontese Mons. Audisio, Canonico di San Pietro, autore di pregevoli studi sulla storia del pontificato romano, ma purtroppo guadagnato alle idee degli antiinfallibilisti. Don Bosco lasciò che parlasse lungamente in presenza di qualche vescovo e teologo imbattutosi presso di lui; quindi con graziosa bonarietà confutò 1´Audisio con 1´Audisio stesso, mostrandogli come negli scritti precedenti egli avesse propugnato altre convinzioni intorno alla infallibilità pontificia(105).
Del controverso argomento Don Bosco trattò anche nelle udienze concessegli da Pio IX, che riponeva in lui grande fiducia. Don Lemoyne scrive che il nostro Padre « continuava a cercar di convincere alcuni della minoranza sulla necessità della definizione dogmatica dell´infallibilità pontificia » e che « si recava ad assistere alle sedute di varie congregazioni particolari e riferiva al Pontefice ciò che credeva conveniente o necessario »(106).
Il 22 febbraio Don Bosco lasciava Roma; il 7 marzo però, alle trattazioni conciliari in programma, veniva aggiunta anche la questione della infallibilità personale del Papa. Seguirono ampie discussioni, durante le quali tutti i Padri ebbero libertà di parola. Nonostante l´opposizione, la grande verità apparve più luminosa che mai e matura per essere definita. Parlò due volte anche Mons. Gastaldi e « con tanta eloquenza e forza di ragioni, che apparve uno dei più validi propugnatori dell´avversata prerogativa »; e le sue arringhe vennero accolte da ripetuti applausi dell´Assemblea(107).
Don Bosco dovette rallegrarsi di un atteggiamento così deciso ed efficace, che in gran parte era a lui dovuto. Ma assai più dovette rallegrarsi il 18 luglio; allorché si tenne la quatta e ultima Sessione del Concilio Vaticano. Essendosi ritirati gli oppositori, dei 535 Padri presenti, 533 votarono a favore della infallibilità pontificia, che Pio IX sancì con la Costituzione Pastor Aeternus.
L´indimenticabile Card. Salotti, accennando al fatto e alla parte avuta dal nostro Santo Fondatore e Padre, scrive con felice linguaggio: « Don Bosco godette di questo successo, come un soldato che, dopo aver lavorato modestamente nell´ombra, scorge la bandiera del suo reggimento inalberata sulla cima contesa, e la saluta con entusiasmo »(108).
Mai, come quando si trattava della Chiesa e del suo Capo, Don Bosco sentiva di essere soldato, pronto a dare l´opera e anche a versare il sangue per il pacifico trionfo della verità e per la gloria del Pontificato Romano, che gli riempiva la mente e il cuore e lo spingeva a iniziative che altri poteva giudicare ardite e perfino temerarie. E fu proprio questa sua interiore adesione alla Chiesa e al Vicario di Cristo che lo spinse, benché umile sacerdote, a cooperare fattivamente perché l´infallibilità pontificia riportasse, fra lo stupore del secolo scorso, la più splendida vittoria.
E a noi rimane l´intima gioia di sapere che il nostro Padre pensava del Papa come i più saggi figli della Chiesa, e che non lesinò il suo modesto impegno affinché da tutti e in modo ufficiale e solenne venisse conosciuto e venerato, come egli lo conosceva e venerava.
Perciò nelle edizioni de Il Giovane Provveduto posteriori al 1870 ampliò e aggiornò l´Appendice sui Fondamenti della Religione Cattolica. Dei dieci paragrafi, tre ‑ il quinto, sesto e settimo ‑ sono dedicati al « Capo della Chiesa Cattolica » e in particolare alla « infallibilità pontificia »; e della recente proclamazione dogmatica, servendosi di un volumetto del P. Secondo Franco, Gesuita, edito nelle Letture Cattoliche del 1871(109), segnalava cinque vantaggi; che val la pena di conoscere nella sua facile prosa:
1) « Essa ‑ la definizione della infallibilità pontificia - circondò di nuovo splendore la veneranda persona del Sommo Pontefice, e per conseguenza tutta la famiglia cristiana, essendo naturale che l´onore del padre ridondi sui figli ».
2) « Somministrò un mezzo più spedito per sciogliere le questioni religiose e condannare gli errori contrari alla fede ».
3) « Con essa la Chiesa universale assicura i fedeli che, credendo e facendo quello che il Papa propone a credere e ad operare, non potranno mai errare nelle cose necessarie alla loro eterna salute, e che perciò credono ed operano quello che vuol Dio stesso ».
4) « Giova altresì a tutta la civile società, poiché, facendo la parola infallibile del Pontefice udire più autorevolmente agli uomini l´obbligo di star soggetti alle autorità della terra, e condannando la ribellione contro le medesime, il Papato diventa di sua natura il più valido sostegno dei poteri costituiti e della pubblica quiete ».
5) « È vantaggiosa agli stessi eretici, perché, proclamato il Papa per giudice e maestro infallibile, scompare ogni pericolo di discordie e contraddizioni religiose. Essi devono sentirsi come attratti a rientrare nel seno della Chiesa Cattolica, dove trovano quella regola certa di fede che invano han ricercato nell´eresia; perché mancando tra gli eretici un´autorità suprema infallibile, e potendo ognuno credere come gli pare e piace, tutto è dubbio e incertezza desolante, nelle cose più essenziali per l´eterna salute: Non così nella Chiesa Cattolica »(110).
Con questa pagina, semplice ma succosamente dottrinale, il nostro Padre coronava la sua attività a favore del dogma della infallibilità pontificia.
11. ‑ IL PAPATO ALLA LUCE DELLA STORIA
Come figli della Chiesa, e in particolare di San Giovanni Bosco, la nostra conoscenza del Papa non deve restringersi alle pagine del Vangelo, alle dilucidazioni e spiegazioni dei Padri e Teologi, alle definizioni dei Concilii: occorre andar oltre, e scrutare la vita e le azioni dei Papi che nel corso di quasi due millenni si sono succeduti sul soglio di San Pietro, per sapere ciò che hanno fatto per l´umanità, sia nel campo del loro pastorale ministero, sia in tanti altri settori della vita sociale.
Dal Principe degli Apostoli a Pio XII felicemente regnante sono 261 i Papi che hanno retto e governato la Chiesa con mano forte e sicura, nonostante l´imperversare di continue procelle, tentanti invano di sommergerla. Alcuni spiccano per l´altezza dell´ingegno e la molteplicità delle imprese memorande; altri sono passati alla posterità con il titolo di « grande »; non pochi, nei primi secoli, hanno suggellato col sangue l´apostolico mandato: altri, in tempi meno cruenti, lo hanno onorato e illustrato con l´eroismo della virtù; negli uni si ammira la vastità del sapere, negli altri la sollecitudine di pascere il gregge di Cristo; gli uni ci appaiono invitti nelle sofferenze e tribolazioni, gli altri mirabili nei trionfi riportati per la causa del bene; tutti però conservano e, al successore, trasmettono intemerato il vessillo della Fede, che li rende maestri infallibili di verità; tutti passano alla storia come servi buoni e fedeli da Dio messi alla custodia della sua casa(111); tutti, in maggiore o minore misura, secondo la durata e le circostanze del pontificato, possono ripetere con San Paolo al termine della vita: Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuto la mia carriera, ho conservato la fede(112).
Non furon molti, nel secolo scorso, quelli che sentirono come il nostro Padre e Fondatore Don Bosco la necessità di conoscere non solo il papato, quale divina istituzione inscindibile dalla Chiesa, ma i singoli Papi quali vigili custodi e coraggiosi difensori di essa.
Fin dai primi anni del suo chiericato egli si distinse per l´amore alla Storia della Chiesa(113); anzi nel 1845, a soli quattro anni dalla ordinazione sacerdotale, dava alle stampe una breve Storia Ecclesiastica ad uso delle scuole e utile ad ogni stato di persone.
Per cogliere il suo pensiero direttivo in quel lavoro di paziente compilazione, bisogna dar rilievo a un sentimento da lui provato nella lettura di Storie Ecclesiastiche allora più in voga: « Quel che non potei osservare senza indignazione ‑ scrive nel Proemio ‑ si è che certi autori pare che abbiano rossore di parlare dei Romani Pontefici e dei fatti più luminosi i quali direttamente alla S. Chiesa riguardano »(114).
Volendo esprimere il suo pensiero su questa prima opera storico‑letteraria del nostro Santo, Don Lemoyne dice lapidariamente: « In queste pagine Don Bosco scolpisce tutta la sua fede e il suo amore verso il Papato »(115); e più avanti aggiunge: « Per Don Bosco il Papa era tutto ciò che nel mondo esisteva di più caro e di più degno: era geloso del suo onore più che del proprio »(116). E chi potrebbe esprimere la gioia con cui il nostro Padre ricordava, ad esempio, nelle sue umili paginette le esplosioni di letizia avvenute nel 451 al Concilio di Calcedonia? I Padri, udita la lettera di San Leone contro l´eretico Eutiche, esclamarono come in delirio: « Noi tutti crediamo così! Pietro ha parlato per bocca di Papa Leone. Sia scomunicato chi non crede così »(117).
Lo stesso impegno, ed anche maggiore, di collocare il Pontificato Romano. al centro della Storia Ecclesiastica, quasi a spiegare la tessitura di essa attraverso i secoli, appare dalla seconda edizione, messa in vendita nel 1848, mentre si annunciavano tempi nuovi per il Piemonte e per gli Stati della Chiesa(118).
In quegli anni Don Bosco aveva maturato il suo criterio fondamentale intorno al Papato, che egli prese a concepire come « il perno » attorno al quale deve svolgersi ogni storia della Chiesa, da lui ritenuta storia dei Papi. « Il Papa ‑ diceva ‑ non è il Capo, il Principe, il supremo Pastore? Nella storia di un regno, di una nazione, di un impero, la prima figura che si fa campeggiare continuamente non è forse quella del re? Non è forse necessario che si sappia doversi tutto ai Papi, onore, gloria, obbedienza, come a centro di unità senza del quale la Chiesa non è più la Chiesa? È un grande errore scrivere della Chiesa e lasciar trascorrere lunghi periodi senza far menzione del suo Capo »(119).
« Mi fa pena ‑ disse ancora il nostro Padre ai primi Salesiani ‑ nel vedere certi storici della Chiesa che scrivono di tante cose, ma così poco e non abbastanza bene del Papa. Bisogna che la figura del Papa risplenda di tutta la sua luce innanzi a tutto il mondo. Dicono alcuni che di certi Papi dei primi secoli si sa poco o nulla, e quindi manca la materia per scriverne. Non è vero! Leggano i Bollandisti ed altre opere importantissime, che si conoscono solo per il titolo, e vedranno!... Quel che manca è la volontà di lavorare! Qualunque fatica è poca, quando si tratta della Chiesa e del Papato »(120).
Animato da questi princìpi, pur tra crescenti occupazioni, intorno al 1849, mentre liberali e settari per motivi religiosi e politici facevano guerra al Papato sperando di umiliarlo, Don Bosco metteva mano a una Storia Universale della Chiesa per difenderlo ed esaltarne le innegabili e molteplici benemerenze. Riuscì a stendere quattro volumi, che però, a motivo del continuo e svariato lavoro, andarono irremissibilmente perduti(121).
Indubbiamente alludeva a questo l´immortale Pio XI, quando nel 1927 parlò di « luminoso, vasto e alto pensiero » in Don Bosco, che egli annoverò tra « gli ingegni propriamente detti », asserendo che da lui sarebbe potuto uscire « il dotto, il pensatore, lo scrittore », poiché egli era « una figura completa, una di quelle anime che, per qualunque via si fosse messa, avrebbe certamente lasciato grande traccia di sé, tanto era magnificamente attrezzato per la vita ». Lo stesso Pio XI parlò pure di un « primo concetto », confidatogli dal Santo, concetto dal quale « avrebbe dovuto assurgere alla composizione di un gran corpo scientifico »(122), che purtroppo non venne.
Ma se mancò la vagheggiata opera atta ad allineare il nostro Fondatore e Padre tra i principali storiografi del Papato nell´Ottocento, rimangono quelli che Pio XI chiamò « i segni superstiti »(123) dell´ideata impresa con cui Don Bosco si proponeva di far conoscere il Papato e i Papi.
Infatti nel 1855 egli cominciava a stampare la Storia d´Italia raccontata alla gioventù: dai suoi primi abitatori fino ai nostri giorni, che è tra le migliori opere di Don Bosco, e che documenta, anche in campo non strettamente religioso, il suo pensiero. « Queste pagine ‑ osserva Don Lemoyne ‑ contengono una vera difesa della Chiesa e dei Papi, e dimostrano i benefizi resi da loro alla civiltà e specialmente all´Italia »(124).
Il pensiero di Don Bosco tuttavia balza più chiaramente dalle sue Vite dei Papi, che prima raccontava nelle istruzioni domenicali ai giovani e poi metteva per iscritto e pubblicava nei fascicoli delle Letture Cattoliche(125).
Cominciò nel 1837 con la Vita di San Pietro Apostolo, Principe degli Apostoli, Primo Papa dopo Gesù Cristo: titolo che, di per se stesso un poema, rivela quel che passava nella mente e nel cuore di Don Bosco. D´altronde egli medesimo affermava nella Prefazione: « Più volte ho tra me pensato al modo di calmare l´odio e l´avversione che in questi tristi tempi taluno manifesta contro i Papi e contro la loro autorità. Mezzo molto efficace mi sembrò la conoscenza dei fatti che riguardano la vita di quei Supremi Pastori, stabiliti a fare le veci di Gesù Cristo sopra la terra e a guidare le nostre anime per la via del cielo. Io penso ‑ dicevo tra me ‑ non trovarsi tanta malignità nell´uomo ragionevole da essere avverso a coloro che hanno fatto ai popoli tanto bene spirituale e temporale; che hanno tenuta una vita santa e la più laboriosa; che furono sempre venerati da tutti i buoni e in tutti i tempi, e che spesso, per promuovere la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo, difesero la religione e la propria autorità col loro sangue »(126).
E con questi criteri dal 1857 al 1865 il nostro Padre in 17 fascicoli delle Letture Cattoliche pubblicò la vita dei Sommi Pontefici da San Pietro a San Melchiade, vale a dire dall´inizio della Chiesa fino all´evo Costantiniano. Egli avrebbe voluto continuare la sua fatica sino a Pio IX, ma con grande rammarico dovette prima interromperla e poi rinunziarvi interamente. Era suo desiderio che altri continuasse e completasse l´opera, la quale tanto bene aveva fatto in mezzo al popolo, riscotendo l´approvazione dei buoni e degli eruditi; ma troppi lavori urgevano, e il voto del Santo rimase incompiuto.
Don Lemoyne riferendo tutto ciò conclude che quanto fu scritto da Don Bosco intorno ai Papi è sufficiente a darci « un alto concetto della sua erudizione »(127).
Ma non a questo mirava Don Bosco, sebbene di lui il celebre Cardinale Tripepi facesse nei suoi scritti i più alti elogi(128). Narrando con stile facile e piano le gesta dei « sommi uomini »(129) che avevano governato la Chiesa, egli si proponeva di far conoscere, come conosceva lui, i Romani Pontefici attraverso la storia, per dimostrare a tutti come in ognuno di essi fossero continuate le prerogative del primato e le pastorali sollecitudini di San Pietro; e come soltanto nella unione al Papa si trovasse la prova suprema di fedeltà a Gesù Cristo e alla Chiesa e il pegno sicuro di salvezza.
Il nostro Padre adunque ci sprona a conoscere sempre meglio il Papa alla luce della storia; e non tanto per accrescere erudizione e cultura, quanto per alimentare la fiamma della pietà e lo slancio della fede verso Colui che continua a reggere le sorti del gregge di Cristo, conducendolo infallibilmente ai pascoli eterni.
Procuriamo pertanto di leggere e rileggere qualche Storia dei Papi, in omaggio allo spirito squisitamente papale del nostro Santo Fondatore e per fronteggiare, quando ne sia il caso, o almeno prevenire l´azione di quanti anche oggigiorno osteggiano e denigrano il Papato. Persuadiamoci che dalla conoscenza storica del Papato ci sentiremo più intimamente legati alla Chiesa, più felici di esserle figli, e più agguerriti a sostenere le sue sante battaglie, come lo esige la nostra doppia qualità di cristiani e di figli di San Giovanni Bosco ed eredi del suo spirito.
Solo così saremo ripieni di quell´ « ossequio illimitato »(130) verso il Papa, che egli ebbe in così larga misura, secondo i testimoni dei processi apostolici, e che in ogni circostanza lo faceva vibrare di amore intenso e filiale per il Vicario di Cristo: amore che deve ardere in ogni petto cristiano, e che forma la seconda parte del nostro programma papale « conoscere, amare, difendere il Papa ».
12. ‑ AMARE IL PAPA
Dalla conoscenza è facile e naturale il passaggio all´amore: non si può infatti amare ciò che non si conosce oppure si conosce tanto superficialmente da non averne una profonda stima né provare in cuore un fremito d´interesse.
Per San Giovanni Bosco, dalle sue vaste cognizioni teologiche e storiche intorno a San Pietro e ai suoi successori, scaturì un amore così abbondante e fattivo, che i coevi ne furono ammirati.
Mons. Manacorda nel discorso di trigesima a Roma, nella chiesa del Sacro Cuore, diceva commosso: « Tutto in lui era umiltà: ma questa si vestiva d´amore festivo appena gli suonasse all´orecchio la parola sacra: Pontefice Romano; s´accendeva, prendeva vita, parlava con calore »(131).
Il canonico Ballesio, antico allievo dell´Oratorio, diceva in analoga circostanza ai compagni di un tempo: « Don Bosco aveva l´amore istintivo dei santi per la Chiesa e per il Papa. Sue erano le loro gioie, suoi i loro dolori. Ed a questi nobili sensi educava i suoi figli »(132).
Don Lemoyne asserisce che l´amore di Don Bosco per il Sommo Pontefice era « immenso » e in lui appariva come « una seconda vita »(133).
Da queste e simili testimonianze d´indole generale passiamo a considerare alcuni caratteri particolari dell´amore di San Giovanni Bosco al Papa: essi ci aiuteranno a non scostarci dagli esempi luminosi del nostro Santo Fondatore e a conservare tra noi, in tutte le Case, la più genuina tradizione salesiana.
13. ‑ AMORE SOPRANNATURALE
Innanzi tutto, l´amore per il Papa ‑ sotto qualunque nome e in qualunque tempo si presenti il Vescovo di Roma ‑ deve ispirarsi ai criteri della fede. Al di là e al di sopra della persona umana, la quale potrebbe avere anche le sue manchevolezze, bisogna vedere nel Papa il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, il Maestro infallibile di verità.
Soprannaturale così fu l´amore che Don Bosco professò al Papa. Egli vide nell´amore al Sommo Pontefice un vincolo, che rinsaldava il suo legame con Dio e con Gesù Cristo, e un segreto di eterna salvezza.
Infatti Don Felice Reviglio depose nei processi informativi che Don Bosco ricordava con frequenza ai giovani la necessità di stare uniti al Papa, essendo questi l´anello supremo della misteriosa catena che ci lega a Dio(134). Dal canto suo Don Lemoyne così si esprime nei processi apostolici: « L´ossequio che Don Bosco professava al Papa era effetto di un amore appassionato, e confuso con l´amore che egli aveva per Gesù Cristo »(135). L´espressione forse non è la più felice per indicare l´intima unione di questi due amori, ma il pensiero del teste non ammette dubbi. Don Cerruti poi riferisce queste parole dette dal nostro Padre quale reazione contro quegli scrittori cattolici, che poco o nulla si occupavano del Papa: « La nostra salvezza sta solo col Papa e per il Papa »(136).
Sullo sfondo di questi concetti si comprende come nel 1847, mentre tutta l´Italia risuonava del grido « Viva Pio IX », ai suoi giovani ignari delle subdole mene settarie Don Bosco facesse ripetere « Viva il Papa ». E spiegava: « Vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal Pontefice, l´uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non vedo che si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque, se vogliamo metterci al sicuro, gridiamo Viva il Papa »(137).
Dai medesimi concetti soprannaturali con cui Don Bosco guardava al Papa, prende forma la sua devozione personale a San Pietro, che egli ha sempre cura di presentare come primo Sommo Pontefice.
Nel 1867 celebrandosi il XVIII Centenario del martirio di San Pietro, tornò a pubblicare la vita del Principe degli Apostoli, con aggiunte d´occasione. Nel proemio, oltre a considerare i cristiani « figli » di San Pietro e dei suoi Successori, scrive, ribadendo la concezione divina del pontificato romano: « Cominciando dal regnante Pio IX, noi andiamo dall´uno all´altro Pontefice fino a San Pietro, fino a Gesù Cristo. Perciò chi è unito al Papa è unito con Gesù Cristo, e chi rompe questo legame fa naufragio nel mare burrascoso dell´errore e si perde eternamente »(138).
Nel 1877 Don Bosco scrisse ancora su San Pietro, prendendo parte a un concorso promosso da Mons. Ceccarelli, parroco di San Nicolás in Argentina, e bandito dal Teologo Margotti, direttore del giornale Unità Cattolica di Torino; e il suo lavoro fu giudicato il migliore di quanti vennero presentati. Egli però tenne subito a dichiarare « non essere stata sua intenzione di aspirare al premio; ma che, trattandosi di glorificare il Principe degli Apostoli, non aveva resistito al desiderio di concorrere a celebrarne le lodi »(139).
Non contento della sua attività di storico e agiografo di San Pietro, il Santo stimolò anche quella di chi meglio di lui potesse approfondire l´argomento. Don Rua riferisce nei processi che Don Bosco « esortò il valente scrittore, bibliotecario vaticano, Mons. Luigi Ferri a scrivere gli annali dei Santi Pietro e Paolo, sobbarcandosi a tutte le spese della stampa e pubblicazione della voluminosa opera che risultò dagli studi di quel dotto »(140).
Inoltre la particolare devozione a San Pietro spingeva Don Bosco, quand´era a Roma, a visitarne la tomba e a dir messa sull´altare che gli è dedicato nelle Grotte Vaticane(141). Nel 1858 impiegò quasi un giorno a visitare la Confessione di San Pietro: « visitava tutto con ogni diligenza » per servirsene poi nel rivedere e correggere la vita da lui già scritta sul Principe degli Apostoli(142).
Sappiamo che celebrò anche al Carcere Mamertino, dalla tradizione consacrato al ricordo della prigionia romana del primo Papa(143).
Prova anche più sicura e durevole del suo amore a San Pietro fu l´altare che gli dedicò nella Basilica di Maria Ausiliatrice(144). A quest´altare ‑ come depose Don Rua nei processi(145) ‑ Don Bosco celebrava volentieri negli ultimi anni di sua vita, sia perché più comodo alla malferma salute, sia « per devozione al Vicario di Gesù Cristo e al Supremo Pontificato ». Detto altare si trova oggi in apposita cappella sotterranea dell´ampliata Basilica di Valdocco.
Né ometteva il buon Padre di inculcare agli altri i sentimenti che albergava in cuore. Nel 1876 per speciali coincidenze qualcuno avrebbe voluto che la festa di San Luigi Gonzaga, tra le più solenni dell´Oratorio, venisse rimandata al 29 giugno. Don Bosco si oppose decisamente. « Desidero ‑ disse in quella circostanza ‑ che per San Pietro si faccia una festa grande e solenne in suo onore, che abbia il suo panegirico e la sua musica, e che se ne predichi molto la devozione. Tanto più che abbiamo un altare nella nostra chiesa a lui dedicato. Ai nostri giorni c´è un bisogno speciale di solennizzare molto questo Santo e di istruire il popolo sulla sua dignità, e di cogliere ogni occasione per stringere gli uomini alla Santa Sede »(146).
Neppure sembravano eccessivi a Don Bosco gli onori liturgici tributati ai Pontefici Santi. Don Giovanni Anfossi attesta nei processi che rincresceva a Don Bosco il vedere che le ricorrenze di tanti Pontefici venissero celebrate solo con rito semidoppio e si augurava di poter segnalare a Roma tale deficienza(147). Come avrebbe gioito, il nostro Padre, del nuovo Comune dei Sommi Pontefici introdotto nella liturgia da Pio XII! Tanto più che nel relativo Decreto(148) sono addotti i motivi che incoraggiarono sempre il Santo a sostenere ed esaltare la divina autorità dei Papi: vale a dire, la guerra spietata e sleale che si combatte da molti contro il Romano Pontefice; le critiche e le stolte calunnie che si lanciano contro la sua autorità sovrumana; il bisogno di mettere in evidenza la somma dignità conferita da Gesù Cristo al suo Vicario in terra; e finalmente la convenienza di speciale culto e venerazione a quegli intrepidi martiri e confessori, che sulla terra ebbero la fronte ornata dalla tiara pontificia.
Tocca a noi ereditare i sentimenti soprannaturali di devozione e amore che aveva il nostro santo Fondatore e Padre verso il Papato, e in particolare verso San Pietro e i Pontefici Santi; ora soprattutto che, a distanza di secoli, nuove e gloriose figure di Papi recenti si avviano all´onore degli altari, quasi per indicare al mondo che la Chiesa Cattolica Romana è santa, non solo nella dottrina e nei sacramenti, ma anche nella vita e nelle opere dei suoi figli migliori e dei suoi Supremi Pastori.
14. ‑ AMORE ZELANTE E CONQUISTATORE
In secondo luogo il vero amore al Papa è contrassegnato dallo zelo di conoscerlo e di farlo conoscere, affinché altri cuori vibrino di amore per lui e siano conquistati alla sua santa causa.
Abbiamo già detto che l´amore è in proporzione della conoscenza; ma occorre aggiungere che il vero amore genera nell´animo il desiderio di meglio conoscere ciò che si ama: tanto più nel caso che l´oggetto amato sia così alto e sublime come il Papato, divino nell´origine, eccelso nella dignità e nelle prerogative, impareggiabile nella storia.
Il tempo dedicato allo studio e all´approfondimento di simile tema è senza dubbio un atto di fede e soprattutto di amore verso la persona adorabile del Divin Salvatore, poiché, secondo la soave e notissima espressione di Santa Caterina da Siena, il Papa è « il dolce Cristo in terra »(149).
Per noi inoltre, che siamo educatori, religiosi e sacerdoti, tale conoscenza, pur restando prova di amore a Dio e a Chi lo rappresenta, diviene anche necessità di apostolato, dovendo istruire la gioventù e i fedeli intorno a un punto così vitale della nostra religione. Tanto più che l´esperienza, anche quella più recente, ci insegna che i nemici di Dio, nel satanico impegno di annientare la Chiesa o almeno di screditarne e contrastarne l´azione, rivolgono di preferenza i loro attacchi contro il suo Capo. Come adunque potremo istruire giovani e fedeli, premunirli e prevenirli contro le insidie dei malvagi, se noi stessi non siamo pari al compito che ci è affidato? E chi può dire i danni incalcolabili delle anime e della Chiesa per la mancata istruzione in questa materia? Solo una triste ignoranza di dette verità può spiegare come talora certi cristiani rimangano indifferenti, se pur non sono facile preda delle perfide e calunniose insinuazioni di lupi rapaci in veste di agnelli, i quali per mezzo di conversazioni, giornali, riviste, libri e altri mille ritrovati moderni, combattono acremente la religione e Dio medesimo nella sacra persona del Papa.
Orbene, dell´amore al Papa, caratterizzato da insaziabile zelo di conoscerlo e di farlo conoscere, è tipo e modello il nostro santo Fondatore e Padre. Nulla ripeteremo del suo impegno devoto e costante nel procurarsi le più ampie cognizioni teologiche e storiche intorno al Papato. Molto anche abbiamo detto circa la sua attività di storiografo pontificio. In questo campo tuttavia possiamo aggiungere che fu inesauribile.
Nel gennaio 1868 pubblicava nelle Letture Cattoliche: I Papi da San Pietro a Pio IX. Fatti storici. « In questo libretto ‑ nota Don Lemoyne ‑ si rendono manifeste le grandi azioni del Papato, lo zelo e l´eroismo dei Papi nel sostenere le persecuzioni, dei pagani; nella propagazione della luce evangelica nell´universo; nel combattere le eresie; nell´arrestare, addolcire, convertire i popoli barbari, invasori anche dell´Italia; nella difesa dei popoli contro i loro oppressori; nel fondare e sostenere in ogni parte della terra infinite opere di beneficenza per ogni specie di miseria; nel bandire le Crociate contro i Turchi; nel proteggere le scienze, le lettere, le belle arti e l´industria; nella lotta contro lo spirito rivoluzionario che sconvolge ogni ordine morale, religioso e civile; nel difendere la legittimità e inviolabilità del potere temporale »(150).
Nel febbraio del 1869 Don Bosco metteva in circolazione un altro opuscolo dal titolo: La Chiesa Cattolica e la sua Gerarchia, le cui pagine più belle, al dire ancora di Don Lemoyne, sono quelle « dedicate al Papa »(151); e nel 1871, dopo i luttuosi avvenimenti che avevano portato alla caduta del potere temporale, non dubitava di dar alle stampe il fascicolo di novembre‑dicembre delle Letture Cattoliche intitolato: Fatti ameni della vita di Pio IX raccolti da pubblici documenti(152).
Chi potrebbe dubitare che con quei cari libretti Don Bosco mirasse a tener desti l´amore e l´ammirazione verso Pio IX, in un momento fra i più delicati del suo governo e dello stesso Pontificato Romano?
Altrettanto fece nel 1878, alla elezione di Leone XIII, col volumetto Il più bel fiore del Collegio Apostolico. Qui, più direttamente che altrove, si nota in Don Bosco l´ansia di istruire il popolo cristiano intorno ad avvenimenti fondamentali nel trapasso da un pontificato all´altro; e di conciliare stima ed affetto per il novello Pontefice(153).
Prima però che per iscritto, questa zelante campagna a favore dei Papi, Don Bosco l´aveva fatta a voce dinanzi al modesto uditorio dei suoi giovani.
Difatti, nei primi anni dell´Oratorio, ogni domenica mattina Don Bosco soleva tenere alla seconda Messa una istruzione religiosa sui Papi, dei quali veniva scrivendo la vita. Don Albera assicura che i giovani ascoltavano attentamente e con immenso gaudio quelle interessanti esposizioni storiche, non sempre ristrette alla convenzionale mezz´ora. Il predicatore era insuperabile nel dialogo tra martiri e persecutori ‑ se ne può vedere un esempio classico nelle Memorie Biografiche(154) ‑ e non scendeva mai dal pulpito senza avere interrogato qualche giovane, perché da qualche fatto traesse la morale(155).
Don Anfossi depone nei processi che in questo ministero domenicale Don Bosco procedeva con « metodo ordinato ed elementare, per cui il suo dire era accessibile alla intelligenza di tutti, anche di quelli che erano ancora nelle prime classi »(156): e Don Giovanni Villa aggiunge che mediante quelle istruzioni il Santo si proponeva di ammaestrare i giovani intorno alla suprema autorità dei Papi e all´obbligo « di stare ad essi uniti in tutto »(157).
A ragione quindi il Cardinale Alimonda poté asserire che Don Bosco « tenne ognora il Papa in cima ai suoi pensieri » e « lo ebbe caro come la pupilla degli occhi suoi »(158); perciò ne parlava continuamente, senza far distinzione tra Pio IX e Leone XIII ‑ i suoi Papi ‑ e tutti i loro Predecessori. Perciò ancora, come attesta Don Giambattista Piano nei processi, ne parlava « col massimo rispetto ed entusiasmo »(159); e ripeteva ai suoi figli: « Parliamo molto del, Papa »(160).
Ecco una parola d´ordine che arriva opportuna ed è indice di amore fatto di zelo: « Parliamo molto del Papa ». Nei collegi, negli oratori, nelle parrocchie, nelle missioni, dovunque l´ubbidienza ci ha posti a svolgere le nostre attività, in pubblico e in privato, ai piccoli e ai grandi, parliamo assai del Papa. Di tutti i Papi, ma specialmente degli ultimi, i quali si sono distinti nel governo della Chiesa per la dottrina, la pietà, e la carità verso i bisognosi e gli erranti. Parliamo soprattutto del cuore generoso e paterno con cui hanno cercato di lenire i dolori della umanità, vittima di innumerevoli tribolazioni e preda di inganni, di odio e di falsi miraggi di felicità.
Parliamo in particolare dell´angelica figura del regnante Pontefice Pio XII: della sua chiaroveggente fermezza nel difendere i diritti della verità e della giustizia; della sua illuminata prudenza nel guidare la navicella di Pietro fra il turbine di quest´epoca sconvolta; della sua sconfinata carità verso i perseguitati, i proscritti, i senza patria, i senza tetto, gli affamati, i reietti; della sua immensa bontà e paternità nell´accogliere quanti, credenti o no, arrivano fino a lui per attingere alla sorgente del suo cuore una parola di luce e di conforto. Parliamo del dono delle lingue con cui il Signore lo ha arricchito; della stima che ne hanno tutti i buoni e gli onesti del mondo; dei messaggi e discorsi coi quali ha lumeggiato e risolto le dibattute questioni della nostra età; e infine dei numerosi atti del suo governo, che hanno dato splendore alla vita della Chiesa e accresciuto il prestigio del Papato.
La materia non potrà certo mancare, se nel parlare del Papa vorremo emulare l´amore zelante del nostro Padre Don Bosco. I giovani dell´Oratorio ascoltarono con fruttuoso diletto le sue istruzioni domenicali sui Papi, rimaste celebri negli annali della Casa Madre: non accadrà lo stesso coi giovani dei nostri collegi e oratori? La storia di per se stessa attira e incanta, ed offre mille spunti ad applicazioni pratiche e morali. Tanto più la storia dei Papi e degli avvenimenti religiosi che li riguardano.
Dalla chiesa questo insegnamento può passare anche alla scuola, come risorsa didattico‑educativa. Don Bosco, geniale in tutto, ne dà l´esempio. Sullo scorcio della sua vita egli suggerì al nostro Don Garino di introdurre negli Esercizi Greci, quali temi di traduzione, i passi del Nuovo Testamento dai quali risulta il primato di San Pietro(161). A noi spetta mantenere e continuare nelle scuole classiche della Società Salesiana una così bella iniziativa che, senza tradire i fini dello studio, cerca di metterli al servizio della Fede e in particolare della conoscenza delle prerogative dei Successori di San Pietro.
Seguiamo anche in questo le orme del santo Fondatore, imbevendoci del suo spirito di illuminata e sincera “papalità”; e come lui cerchiamo di perfezionare e zelare la conoscenza del Papa e del Papato, affinché le anime a noi affidate crescano nella luce della verità e si infiammino sempre più di amore al Papa, padre e pastore dei credenti.
15. ‑ AMORE FILIALE E DEVOTO
Il nostro amore al Papa dev´essere, in terzo luogo, filiale e devoto, come quello appunto che ha per oggetto un Padre rivestito della più sacra autorità.
La qualità di Pastore supremo del gregge di Cristo ha spinto i fedeli, sin dai secoli più remoti, a scorgere nel Pontefice Romano il padre universale dei credenti: colui che veglia su tutti e a tutti provvede, come un capo di casa da cui tutto dipende e a cui tutto ritorna.
Non era difficile arrivare a questo concetto, data la struttura unitaria della Chiesa; questa, d´altronde, fu ben presto considerata quale madre dei battezzati. Scrive San Cipriano in una lettera: « Nessuno, fratelli, vi allontani dalla via di Gesù Cristo; nessuno vi rapisca al Vangelo: nessuno tolga alla Chiesa i suoi figli »(162). E il Diacono nella lode solenne al cereo pasquale erompe in quel grido festoso che tutti conosciamo: « Esulti la Madre Chiesa, fulgida nello splendore di tanto lume »(163).
Dal vincolo di figliuolanza che lega il Cristiano alla Chiesa, mistica sposa di Gesù Cristo, era facile giungere alla spirituale e universale paternità del suo Capo visibile, completando il concetto di una immensa famiglia costituita, sotto l´egida del Successore di Pietro, da tutti quelli che professano la stessa Fede e sottostanno allo stesso supremo Pastore.
L´azione poi di alcuni Pontefici, come San Leone Magno e San Gregorio Magno, essendosi estesa per speciali contingenze storiche a questioni temporali e politiche, contribuì non poco a rafforzare nei popoli la persuasione della paternità dei Romani Pontefici. E oggi per noi il Papa è il Santo Padre; e volendoci rivolgere a lui per grazie e favori non sapremmo usare che l´espressivo appellativo di Beatissimo Padre.
Da ciò si deduce che il nostro amore al Vicario di Cristo non può essere se non teneramente filiale, posto che sgorghi da una volontà illuminata e sorretta dalla Fede.
Orbene, un tale amore partecipa ai dolori e alle gioie del Papa: è fatto di preghiera e di riconoscenza; e tutto intraprende nella più stretta unione di mente e di cuore con il Vicario di Cristo.
Proprio così fu l´amore filiale e devoto di Don Bosco verso il Papa. Vediamolo un po´ diffusamente.
a) PARTECIPAZIONE AI DOLORI.
I primi contatti personali di Don Bosco con la Santa Sede avvennero nel 1845, al termine del pontificato di Gregorio XVI. In quella circostanza il nostro Padre ebbe a dire, manifestando il suo amore filiale verso il Vicario di Cristo: « Non erano solo le indulgenze (e gli altri favori spirituali) che mi stavano a cuore; anelavo soprattutto di mettermi in relazione diretta con la Santa Sede Romana e godevo al pensiero che il mio povero nome sarebbe posto sotto gli occhi del Successore di San Pietro ed erede dei suoi divini poteri ». Don Lemoyne commenta: « Questa fede e questo affetto nonillanguidirono mai nel suo cuore »; e anticipando un giudizio che i volumi delle Memorie Biografiche avrebbero ampiamente documentato, aggiunge: « Durante quarant´anni della sua vita, il Romano Pontificato nella persona di due Papi ebbe a passare per molte prove e tribulazioni, ed egli si adoperò sempre a scongiurarle o almeno lenirle per quanto gli era possibile, anche a costo di tirarsi addosso le vessazioni degli avversari »(164).
Il primo caratteristico episodio è quello delle 33 lire che, soldo a soldo, i giovani dell´Oratorio misero insieme nei mesi di febbraio e marzo del 1849, per sovvenire alle necessità economiche di Pio IX, esule a Gaeta. Nella sua Storia Universale della Chiesa Cattolica Renato Rorhbacher non disdegnò di registrare questo fatto, che dimostra come Don Bosco, nel suo cuore di figlio, sentisse ripercuotersi le angosce del Sommo Pontefice, in un´ora particolarmente lugubre del Pontificato Romano.
Degne di nota, perché indubbiamente furono scritte dalla penna del Santo, sono le parole con cui un giovane consegnò la modesta offerta ad alcuni membri del comitato cittadino per quello speciale obolo di San Pietro: « Appena giunse tra noi la nuova dolorosa che il Santo Padre trovasi in strettezze, ne fummo profondamente commossi. Crebbe vieppiù il nostro dolore al riflettere che la nostra posizione ci impedisce di corrispondere all´inaspettato bisogno. Ciò non di meno, desiderosi di dare un attestato di stima e di filiale venerazione verso il Capo della Cattolica Religione, verso il comune nostro Padre, il Successore di San Pietro, Vicario di Gesù Cristo, abbiamo fatto i nostri sforzi e raccolto l´obolo del povero. Sono 33 lire: somma di poco momento per la sublimissima destinazione, ma che ci farà degni di benigno compatimento qualora si consideri l´età nostra e la nostra condizione di artigianelli e figli di famiglia »(165).
L´offerta fu un balsamo al cuore afflitto di Pio IX, il quale non scordò quel gesto di filiale solidarietà e devozione; e prima di lasciare Gaeta faceva inviare all´Oratorio 60 dozzine di corone da distribuire fra i giovani: il che avvenne in maniera solennissima e indimenticabile(166).
Nel 1860, mentre l´orizzonte politico d´Italia si era nuovamente oscurato e nuove preoccupazioni sorgevano nel cuore di Pio IX per le sorti degli Stati della Chiesa e per l´incolumità dello stesso Pontificato Romano, Don Bosco faceva scrivere dai giovani degli Oratori una protesta di fedeltà al Papa, quasi a confortarlo di quei dolori; ed univa lire 163,40, offerte per una merenda ai giovani, ed alle quali i giovani avevano spontaneamente rinunciato perché venissero trasmesse al Papa(167).
Anche nel 1869 i giovani dell´Oratorio partecipavano con lire 205,15 alla crociata di elemosine che da per tutto si andavano raccogliendo in aiuto al Papa per l´indetto Concilio Ecumenico Vaticano(168).
Don Bosco non si fermò alle pubbliche dimostrazioni con cui tutti i cattolici partecipavano alle avversità e ai bisogni del Papa. Cercò di fargli arrivare l´eco della sua voce, specie nelle ore più tristi.
Al riaprirsi delle scuole nell´autunno 1859, « primo atto solenne di Don Bosco ‑ scrive Don Lemoyne ‑ fu dare al Sommo Pontefice una prova dell´ardente affezione che a lui portava l´Oratorio di Valdocco e la viva parte che prendeva ai suoi dolori per la rivolta, l´irreligione, il malcostume, la persecuzione del clero, introdotte ufficialmente nelle Romagne » . Difatti il 9 novembre « a nome suo e dei suoi giovani scriveva al Papa Pio IX una rispettosa lettera, nella quale, gli esternava sentimenti di condoglianza per i fatti già succeduti e che succedevano a danno della religione e della Santa Sede; e in pari tempo gli esponeva quanto in Torino si praticava dai buoni per opporre un argine alla colluvie di mali che dilagavano da ogni parte; e finiva col promettere che i suoi alunni avrebbero continuamente ricorso al trono della grazia per ottenergli in tante angustie il divino aiuto. Tutto l´Oratorio sottoscrisse quel foglio, che dovette confortare il cuore addolorato del Pontefice »(169).
Narrando gli avvenimenti dell´anno seguente ‑ 1860 - Don Lemoyne afferma che Don Bosco « non cessava un istante di prender parte alle angustie dolorose del Romano Pontefice »(170) e « cercava di portargli sollievo e di consolarlo in ogni modo a lui possibile ». E spiega: « Gli scriveva lettere piene di amor filiale, e gli faceva conoscere le trame che dalle sètte si andavano macchinando contro di lui »(171). Consta anche di informazioni particolari, che trasmetteva al Rappresentante del Papa in Torino(172).
Ad una lettera confidenziale del dicembre 1861, di cui non tenne copia, Pio IX si degnava mandare una splendida risposta, nella quale si legge: « Fra le gravissime pene che ci opprimono, con vero conforto dell´animo Nostro veniamo a conoscere dalla tua lettera con quanto zelo tu, o diletto Figliuolo, e i sullodati sacerdoti e laici ‑ cui il Papa aveva prima accennato ‑ vi adoperiate a procurare la salute dei fedeli ed a scoprire e mandare a vuoto le insidie e gli errori dei nemici »(173).
Altre informazioni Don Bosco inviò sullo scorcio del 1867, allorché si manifestarono i segni precursori di avvenimenti che avrebbero amareggiato come forse non mai l´animo di Pio IX(174). E allo spuntare del tragico e doloroso 1870 il Santo, come figlio tenerissimo e ispirato dal Cielo, fu vicino al Papa nella grande prova. Il 20 gennaio partiva alla volta di Roma, non solo per difendere presso alcuni Padri del Concilio l´opportunità di definire l´infallibilità pontificia, ma anche per recare a Pio IX la Voce del Cielo al Pastore dei Pastori, che egli misteriosamente aveva conosciuto(175). Appunto in quel critico momento il Papa avrebbe voluto trattenere Don Bosco a Roma per giovarsi della sua fedeltà e del suo consiglio. Ma il Santo, persuaso che Iddio lo volesse a Torino, ottenne di riprendere la via del ritorno(176). Col cuore però e con la mente rimase a Roma, al fianco $i Pio IX, cui si preparavano giorni amarissimi.
L´augusto Pontefice, nella congiuntura più difficile del suo pontificato, mentre cioè dopo il 20 settembre era da molti consigliato ad abbandonare Roma come nel 1848, volle sentire il consiglio di Don Bosco. Allora il Santo, recando luce e conforto al tribolato Pontefice, gli fece sapere quale veggente illuminato dall´Alto: « La Sentinella, l´Angelo d´Israele si fermi al suo posto, e stia a guardia della rocca di Dio è dell´arca santa »(177). E Pio IX iniziava quella prigionia volontaria dei Papi in Vaticano, che doveva preparare tempi migliori alla Chiesa.
Dopo ciò è facile comprendere come Don Rua abbia potuto deporre nei processi: « Allorché nel 1859 cominciò la guerra per l´indipendenza della Lombardia e del Veneto, Don Bosco, prevedendo che quelle mosse erano le prime avvisaglie per marciare contro il dominio temporale del Papa, ne era sommamente afflitto, e durante tutto quel decennio che finì con l´occupazione di Roma, non tralasciò di usare tutti i mezzi in suo potere per diminuire il male, ripararlo in qualche modo e consolare il Sommo Pontefice. Non mai vidi Don Bosco così afflitto come il 20 settembre 1870. Da quell´anno cessarono, come lutto dei mali della Chiesa, le allegre passeggiate autunnali che soleva far fare ai suoi allievi rimasti all´Oratorio nelle vacanze »(178).
b) PARTECIPAZIONE ALLE GIOIE.
Come ai dolori, così il Santo partecipò filialmente alle gioie del Sommo Pontefice. Se è vero che il suo cuore « sanguinava nel sapere oltraggiato il Papa e misconosciuti i diritti della Chiesa »(179), è altrettanto vero che godeva quando speciali avvenimenti o ricorrenze invitavano il mondo cristiano ad esultare attorno al Vicario di Cristo.
Il ritorno a Roma di Pio IX nel 1850 fu da lui annunciato e commentato in termini cosi commoventi, che i giovani dell´Oratorio versarono « giocondissime lacrime »(180).
I canti e le declamazioni al Papa non furono una isolata manifestazione di quella gioiosa circostanza(181). Si ripeterono difatti nel 1858 a coronamento del primo viaggio di Don Bosco a Roma(182); e specialmente nel 1863, in occasione delle Nozze d´Oro Sacerdotali di Pio IX. In questa occasione però, nel festeggiare il venerando Pontefice con musiche e luminarie e nel porgere auguri e omaggi, agli Oratori si unirono la nascente Società Salesiana e i suoi primi Collegi fuori Torino(183). Altrettanto si fece allorché Pio IX, primo fra tutti i Successori di Pietro, raggiunse i 25 e i 30 anni di Pontificato(184). Nel 1877 poi, al compiersi il Giubileo d´Oro Episcopale del longevo Pontefice, il quale contava ormai 86 anni di età e 32 di Pontificato, Don Bosco mandò a Roma Don Lazzero e Don Barberis, latori di un Album illustrante le opere della Congregazione(185); ed anche allora non mancarono pubbliche e festose dimostrazioni(186). È degno di nota l´elogio che in quella circostanza Don Bosco fece di Pio IX a un gruppo di pellegrini francesi, passati all´Oratorio di ritorno da Roma: « Voi avete visto il Vicario di Gesù Cristo; avete contemplato con ammirazione la meraviglia di questo secolo, la gloria della Chiesa, la fortuna del mondo, l´incomparabile Pio IX »(187). Si direbbe che la voce solitamente calma di Don Bosco si animasse qui di un fervido lirismo per esprimere i sentimenti che gli suscitava in cuore il pensiero del Papa e in particolare di Pio IX, che egli amava con filiale entusiasmo.
Le Memorie Biografiche ricordano anche gli omaggi che Don Bosco fece pervenire a Leone XIII, sia per l´onomastico sia per le solennità natalizie, dai nostri missionari d´America, i quali volevano essere « umili e ciechi strumenti » nelle mani del Papa per l´espansione del regno di Dio sino agli estremi confini del mondo(188). E proprio il 16 agosto 1885, festa di San Gioacchino, Mons. Cagliero, da poco giunto nel Vicariato Apostolico della Patagonia, amministrava il battesimo al figlio di un cacico. imponendogli il nome del Papa, al quale lo presentava come primo fiore di quelle vastissime terre, dove la Congregazione aveva dato inizio alle sue attività evangelizzatrici(189).
c) PREGHIERA E RICONOSCENZA.
Quantunque possa parere superfluo, è doveroso un cenno alle preghiere con le quali Don Bosco dimostrava il suo filiale amore al Papa. Delle preghiere personali non si può dubitare. Ne è conferma lo studio che metteva nello spronare i giovani a fare altrettanto. « Ogni qual volta - scrive Don Lemoyne ‑ il Pontefice si trovava in angustie, egli esortava i suoi alunni alla preghiera e alla Santa Comunione »(190).
Il 13 febbraio 1863 Don Bosco stesso, descritti a Pio IX i mali religiosi dell´ultimo biennio, scriveva: « Intanto, Beatissimo Padre, i giovani dei nostri Oratori continuano a pregare per la conservazione dei giorni preziosi di Vostra Santità, e per il trionfo di Santa Madre Chiesa. Ogni giorno si fa un considerevole numero di Comunioni: mattina e sera s´innalzano preghiere alla Beata Vergine Immacolata; lungo il giorno si fanno frequenti visite al SS.mo Sacramento; e ciò per invocare la divina Misericordia, onde Iddio si degni mitigare i flagelli, che da parecchi anni si fanno sentire in modo grave e terribile nei nostri paesi, e restituisca i bei giorni di pace per la Chiesa e per i popoli »(191). Anzi, la cronaca di Don Ruffino annota al 1° marzo di quello stesso anno: « L´Oratorio di San Francesco di Sales viene aggregato all´Associazione dell´Apostolato della Preghiera, il cui scopo è di pregare per la Chiesa Universale ed in particolare per il Sommo Pontefice(192).
Nel giubileo sacerdotale del 1869 i giovani e tutti i membri della Congregazione assicuravano Pio IX di pregare perché il mondo lo conoscesse ed amasse; e dal canto loro, a ripagare il cuore del Pontefice per la diserzione di molti che lo avevano abbandonato, « Noi ‑ protestavano ‑ Vi vorremo sempre bene, e riconosceremo sempre la Sede di Roma come 1´àncora di salvezza, come l´arca di Noè, dove potremo riparare nei giorni del diluvio »(193).
Anche negli altri giubilei del Papa, e nei suoi compleanni, il primo pensiero di Don Bosco era quello di offrire preghiere(194). Giova qui riprodurre le disposizioni che mandava da Roma per la giornata del 16 giugno 1871, nella quale si compivano 25 anni dalla elevazione di Pio IX alla Cattedra di San Pietro: « Venerdì, giorno solenne, gran festa. Al mattino Comunione generale per il Papa. A pranzo una pietanza in più. Tutto il giorno vacanza. La sera predica d´occasione. Benedizione e, se si può, un poco d´illuminazione »(195).
Grande omaggio di preghiere Don Bosco faceva anche a Leone XIII negli esordi del suo pontificato, servendosi del Cardinale Bartolini, il quale così gli scriveva il 22 maggio 1878: « Ho significato a Sua Santità quanto Ella mi ha scritto sull´offerta delle pratiche di pietà e delle cinquemila Comunioni che saranno fatte venerdì prossimo nella festa Auxilium Christianorum per la prosperità del suo Pontificato. Il Santo Padre è rimasto consolatissimo di sì bella offerta, ed in pegno del suo gradimento manda la speciale benedizione che Ella desidera »(196).
Alla preghiera Don Bosco univa la riconoscenza, che egli ebbe sempre grandissima verso tutti i suoi benefattori. Per amore di brevità ricorderemo soltanto le espressioni di gratitudine a Pio IX e Leone XIII in due storiche circostanze della nostra umile Società.
Ottenuto nel 1864 il Decreto di Lode della Congregazione, e ringraziato il Cardinale Quaglia, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, Don Bosco proseguiva: « Un novello favore la pregherei di aggiungere ai già concessi, ed è di voler dire a nome mio e di tutti i membri della Società una parola della più viva e sentita gratitudine, che tutti nutriamo in cuore per la sacra persona di Sua Santità. L´assicuro che tutti i palpiti del nostro cuore sono diretti ad amare un sì tenero padre, che tanto ci ama nel Signore »(197).
Nel 1884 raggiunta, dopo lunghe fatiche, la concessione dei privilegi, Don Bosco diceva a Leone XIII nel suo giorno onomastico: « I Salesiani, affezionatissimi ed obbligatissimi Vostri figliuoli, sentono il grave dovere di esternare quest´anno la profonda loro gratitudine e l´inalterabile riconoscenza verso di Vostra Santità, loro insigne Benefattore ». E soggiungeva, manifestando la filiale soddisfazione: « Questa concessione è stata per noi il coronamento dell´opera, l´appagamento delle nostre sollecitudini e dei nostri voti ». Perciò assicurava orazioni per la conservazione del Papa « a sostegno della Chiesa, a gloria della religione, e al maggior consolidamento della nascente pia Società di San Francesco di Sales »(198).
d) TUTTO CON LA BENEDIZIONE
E IN UNIONE COL PAPA.
Quanto filiale fosse la condotta di Don Bosco verso il Vicario di Cristo, appare anche dal fatto che nel nome e con la benedizione del Papa egli affrontò le maggiori imprese del suo apostolato.
Limitiamoci qui alle Missioni. Don Bosco volle che lo stuolo dei dieci fortunati scelti a trapiantare la Congregazione sulle rive del Plata, in attesa di spingersi verso i deserti della Patagonia, si recassero ai piedi di Pio IX a impetrare l´apostolico mandato e a ottenere la sua benedizione prima di partire. E la sera dell´11 novembre 1875 egli stesso, dal pulpito di Maria Ausiliatrice, asserì, con sobrii accenni storici, che i missionari « o partono da Roma o vanno col consenso del Papa ». Quindi proseguiva: « Appena si cominciò a parlare di questa Missione, subito si interrogò la mente del Capo della Chiesa, e tutte le cose si fecero con piena intelligenza di Sua Santità. I nostri missionari prima di partire per la loro Missione si sono recati ad ossequiare il Vicario di Gesù Cristo per ricevere la sua Apostolica benedizione e partire come inviati del medesimo Divin Salvatore ». E fu profeta il nostro Padre nell´affermare che in tal modo si dava principio a una grande opera(199). Glielo garantivano il beneplacito e l´approvazione del Papa.
L´anno successivo, ripetendosi la cerimonia di addio per altri ventitré missionari che si disponevano a solcare l´oceano, Don Bosco chiudeva il suo discorso in questi termini: « Manca una cosa prima di recarvi in quelle lontanissime terre. Manca di andare a Roma a prendere la speciale benedizione del Sommo Gerarca della Chiesa, del Vicario di Gesù Cristo. Manca che noi andiamo a prostrarci ai piedi di questo nostro incomparabile Benefattore e ne ascoltiamo ed eseguiamo i cenni. Sì! Chiamo Pio IX nostro incomparabile Benefattore ‑ continuava rivolgendosi all´uditorio ‑ poiché bisogna che sappiate, miei carissimi giovani, bisogna che lo sappiano tutti come Pio IX ci ami in un modo tutto straordinario, e non lasci passare la più piccola occasione per benedirci e soccorrerci. Qui bisognerebbe che io vi dicessi chi è il Papa, chi è Pio IX, ma la voce non regge, il cuore si commuove troppo al pensare alla bontà del Pontefice dell´Immacolata, viva immagine di Gesù Cristo! »; e proseguiva descrivendo la paterna premura con cui il Papa aveva cercato di sovvenire alle necessità dei partenti(200).
Anche al terzo gruppo di missionari inviati in America Don Bosco disse dal pulpito di Maria Ausiliatrice: « Ora andate a Roma e presentatevi al Santo Padre, come se fosse lo stesso Gesù Cristo in persona »; poco prima infatti aveva spiegato al pubblico che essi non si sarebbero presentati a Pio IX per vederlo, offrirgli omaggi ed essere da lui benedetti, ma per ricevere quel mandato che Gesù Cristo diede agli Apostoli: Andate in tutto il mondo: predicate il Vangelo ad ogni creatura »(201). Coi missionari, quella volta, c´erano anche le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, che si recavano oltre i mari per dare inizio al loro apostolato nelle repubbliche di America e in luoghi dove nessuna religione aveva ancor posto piede(202).
La grande impresa missionaria poggiava così sulla solida base papale: non c´è perciò da meravigliarsi, se non le mancarono più le benedizioni del Cielo.
e) DEVOZIONE PROFONDA.
Da quanto abbiamo visto fin qui, balza evidente come l´amore di Don Bosco verso il Papa sia stato intimamente filiale in tutti gli istanti della sua vita e in tutti gli aspetti della sua molteplice azione educativa e sacerdotale.
Vi è però una sfumatura, che va rilevata per cogliere interamente il suo pensiero e soprattutto il genuino palpito del suo cuore. Oltre che filiale il suo amore per il Papa fu devoto. Lo animava cioè uno slancio di dedizione incondizionata, sì da essere e da apparire un vero e proprio culto. Non è esagerato infatti asserire che Don Bosco ebbe e insegnò il culto del Papa, in ragione del carattere sacro e supremo della sua apostolica autorità.
Scegliamo dalle Memorie Biografiche alcune dichiarazioni.
Al consegnare nel 1849 al Marchese Gustavo di Cavour le 33 lire destinate a Pio IX, un giovane dell´Oratorio diceva, con parole scritte da Don Bosco: « Se mai le nostre parole potessero in questo momento venir intese dal Santo Padre, tutti prostrati ai suoi piedi vorremmo ad una voce esclamare: " Beatissimo Padre, è questo il momento più fortunato di nostra vita: noi siamo un ceto di giovanetti, i quali reputiamo a nostra grande ventura il poter dare un segno di venerazione a Vostra Santità. Ci protestiamo vostri affezionatissimi figli: e malgrado gli sforzi dei malevoli per allontanarci dall´unità cattolica, noi, riconoscendo nella Santità Vostra il Successore di San Pietro, a cui chi non è unito va eternamente perduto, e nell´intima persuasione che nessuno da Voi disgiunto può appartenere alla vera Chiesa, dichiariamo di voler vivere e morire sempre uniti a questa Chiesa, di cui Voi siete Capo visibile, offrendoci pronti a spendere ogni nostro avere, ogni sostanza e la vita medesima, per mostrarci degni figli di un sì tenero Padre " »(203). Si poteva essere più devoti?
Comunque, allorché Pio IX inviò a Don Bosco le corone da distribuire ai giovani, che si erano commossi per le strettezze del suo esilio, questi gli fecero sapere: « Conserveremo tutto il nostro amore per Voi e per quel Dio, di cui in terra siete Rappresentante ». E protestavano che dal labbro loro non sarebbe sfuggita parola che potesse disgustare il Papa, non avrebbero potuto concepire pensiero indegno della sua bontà(204).
A1 Cardinale Corsi, in visita all´Oratorio nel 1860 prima di tornare a Pisa, donde aveva dovuto esulare, un giovane ripeteva: « La prima volta che vedrete l´amabile volto del Santo Padre... ditegli che noi lo amiamo tanto: è questa l´espressione di più migliaia dei miei compagni; e che se si trattasse di dare per lui e per quella religione santissima, di cui è Capo, sostanze, sanità e vita, tutti siamo disposti ad offrire volentieri »(205).
Da questi accenni, che rivelano le parole poste da San Giovanni Bosco sulle labbra dei giovani dell´Oratorio, è facile rendersi conto della devozione e venerazione che egli nutriva per il Papa e che procurava di istillare nell´animo dei suoi figli.
Ma vi sono anche mille episodi che lo provano all´evidenza. Di ritorno dai primi viaggi a Roma parlava col massimo rispetto ed entusiasmo del Papa, delle accoglienze avute e delle benedizioni, di cui era latore per i giovani e per gli amici della sua opera(206). Portava anche immagini e oggetti sacri benedetti dal Pontefice ed arricchiti di speciali indulgenze, allo scopo di eccitare sia la pietà dei suoi figli, sia il loro attaccamento alla veneranda persona del Successore di San Pietro(207). Arrivò persino ad esporre in chiesa la palma benedetta ricevuta nel 1858 dalle auguste mani di Pio IX(208). Fece altrettanto un decennio più tardi col sacro cero mandatogli dallo stesso Pio IX, e che egli collocò vicino all´altar maggiore del nuovo tempio di Maria Ausiliatrice, affinché ricordasse ai giovani e ai Salesiani che per essere viva e fruttuosa la loro fede, doveva venir « illuminata e guidata dal Vicario di Cristo »(209).
Questa devozione gli faceva anche portare a Roma indirizzi scritti e firmati dai giovani, che egli giudicava come atti di fede e di amore al Papa(210). Talora gli furono trasmessi dopo la sua partenza da Torino, e Pio IX si compiacque di udirne la lettura(211).
Che dire poi di questo suo sentimento quando scriveva dei Papi? Osserva il primo cronista della Congregazione: « Se avesse avuto il menomo dubbio che alcunché di ciò che aveva scritto non fosse secondo la verità cattolica e il rispetto e l´amor suo al Papa, avrebbe riprovato e condannato non uno ma tutti i suoi libri, e avrebbe desistito dallo scrivere »(212). Perciò, dando alle stampe il fascicolo Fatti ameni ed edificanti della vita di Pio IX, dichiarava al lettore: « Se malgrado la diligenza usata nell´esporre le cose con la massima esattezza fosse sfuggita qualche parola non secondo la verità e non conforme ai princìpi di nostra santa cattolica religione o non abbastanza decorosa al Supremo Gerarca della Chiesa, preghiamo il lettore a considerarlo come non detto e non scritto, pronti a rettificar qualunque cosa venisse suggerita parer tornar a maggior gloria di Dio e ad onore del Padre comune dei credenti »(213).
L´amore devoto di Don Bosco al Papa traspare anche dal fatto che alla benedizione di Pio IX egli attribuì in gran parte la guarigione dalla grave infermità subìta a Varazze nel 1872(214); e che andando in udienza esordiva col presentare al Pontefice l´ossequio di tutti i Salesiani e dei loro allievi e conchiudeva domandando benedizioni ed indulgenze, onde rinfocolare sempre più negli altri la fiamma di devozione che gli ardeva in petto verso la più sacra persona del mondo(215).
Tale amore, fatto di venerazione e di rispetto, non distoglieva il Santo dal toccare col Papa argomenti della più delicata importanza pel governo della Chiesa. Ne ricordiamo qui due caratteristici. Nella seconda udienza accordatagli da Pio IX nel 1858 non dubitò di riferirgli la visione del Beato Domenico Savio circa l´avvenire del Cattolicesimo in Inghilterra(216). E nel febbraio 1863, dopo aver narrato il sogno delle due colonne, in cui sono adombrati i mali del tempo e i rimedi(217), con animo devotamente affettuoso diceva al Papa: « Purtroppo, Beatissimo Padre, (nonostante le avversità già subìte dalla Chiesa) dobbiamo fare ancora il gran passaggio per ignem et aquam (attraverso il fuoco e l´acqua); e questo passaggio che sembrava lontano ora si è fatto vicino. Vostra Santità secondi l´alto pensiero che Iddio Le ispira nel cuore proclamando ovunque possa la venerazione al SS.mo Sacramento e la devozione alla Beata Vergine, che sono le due ancore di salute per la misera umanità ». E conchiudeva con cuore devoto di figlio, che vede addensarsi la bufera sul capo venerando del Padre e a questo porge previo conforto e incoraggiamento: « Molti fedeli pregano per Lei, Beatissimo Padre, affinché ‑ e ne sia certo ‑ nel tempo della prova la Santa Vergine Le torni di appoggio e Gesù Sacramentato lo scampi dai pericoli »(218).
Si poteva essere più devotamente filiali verso il Papa? Don Bosco ritrasse se stesso quando, alla domanda di Pio IX nell´udienza del gennaio 1867: ‑ Mi amano i vostri giovani? rispose senza ambagi: « Se Vi amano? Vi hanno nel cuore; e il Vostro nome lo portano intrecciato con quello di Dio! »(219). Egli davvero portava il Papa nel cuore, come si porta in cuore l´affetto più santo e devoto, e godeva al pensiero che fosse così anche dei suoi figli. Ad ogni modo, narrando il particolare ai giovani dell´Oratorio, commentava: « Grande Pontefice! Nelle sue afflizioni, nei suoi dolori, mentre tanti cristiani osano fargli guerra, egli trova la sua consolazione nell´udire che voi lo amate! »(220).
Così dobbiamo fare noi, figli di tanto Padre, nelle continue crescenti avversità, che affliggono il cuore di ogni Pontefice, se vogliamo continuare le magnifiche tradizioni della nostra umile Società.
16. ‑ AMORE UBBIDIENTE E SOTTOMESSO
Altra caratteristica dell´amore di Don Bosco per il Papa fu l´ubbidienza e sottomissione filiale.
Amare il Papa e disubbidirlo è un assurdo; scorgere in lui il Vicario di Cristo e respingere la sua parola e i suoi insegnamenti, è un profanare sacrilegamente il divino principio di autorità che egli impersona. Don Bosco lo sapeva, e allo stesso Pio IX confessava nel 1863 che « il principio di autorità, del quale è depositario il Capo visibile della Chiesa, costituisce la base di nostra santa cattolica religione »(221).
Ciò spiega il massimo rispetto, che professò sempre verso le parole del Papa, e la piena sottomissione, che dimostrò in ogni circostanza ai suoi cenni. Intelligenza e volontà egli voleva che si piegassero in filiale omaggio di fede e di amore dinanzi alle direttive e alle disposizioni del Papa. « Amiamoli ‑ diceva(222) ‑ i Romani Pontefici, e non facciamo distinzione del tempo e del luogo in cui parlano; quando ci danno un consiglio, e più ancora quando manifestano un desiderio, questo sia per noi un comando ».
E faceva come insegnava. Trovandosi a Roma per la prima volta nel 1858, Mons. De Merode, Maestro di Camera di Pio IX, lo pregò a nome del Pontefice di voler dettare gli Esercizi Spirituali alle detenute, presso le Terme di Diocleziano. « La preghiera del Papa ‑ si limitò a rispondere ‑ è per me un comando »; e si prestò volentieri per quell´opera di carità(223). Ma più che per un caso particolare, Don Bosco badava a istruire sulla necessità di comporre tutte le nostre azioni secondo gli insegnamenti del Papa. « La parola del Papa ‑ diceva ‑ dev´essere la nostra regola in tutto e per tutto »(224). Don Francesco Dalmazzo depone nei processi: « Don Bosco manifestava la sua fede, il suo attaccamento singolare alla Santa Sede e alle sue decisioni, nonché al Sommo Pontefice, che riconosceva e voleva fosse da tutti riconosciuto come Vicario di Gesù Cristo e il Suo rappresentante in terra. Di lui parlava spesso con la più grande venerazione ai giovani, e più spesso a noi sacerdoti e al giovane clero nei santi Spirituali Esercizi, dicendo che la parola del Papa dev´essere la nostra regola in tutto e per tutto. Voleva che le sue Encicliche fossero lette, e qualche volta le medesime in latino venivano date a tradurre ai giovani, affinché le imparassero a memoria »(225).
Anche Don Rua depone al riguardo nei processi: « Don Bosco aveva il massimo rispetto per le Encicliche... e procurava che tutti i suoi dipendenti venissero bene informati, ritenendo che fosse Pietro a parlare per bocca dei suoi Successori »(226). Don Francesia invece ricorda la gioia con la quale il nostro Padre annunciò il Decreto del 1874 approvante le Costituzioni. « Adesso ‑ commentava ‑ non abbiamo più alcun dubbio sopra la sicurezza di salvarci, se pratichiamo queste Regole, perché la parola del Papa è parola di Dio »(227).
Proprio per questo motivo soprannaturale Don Bosco dava il suo pieno assenso, non soltanto a tutti gl´insegnamenti pontifici in materia di fede, costumi e disciplina, ma anche « in cose disputabili », come attesta Don Berto(228). In proposito abbiamo due documenti, che dimostrano fino a quale estremo Don Bosco abbia spinto la sua adesione al Papa, indice di prontezza a seguirlo e ubbidirlo in tutto.
Nel maggio 1862 così parlava ai primissimi figli della Società Salesiana: « Il Cattolicesimo va, via via, perdendo ogni giorno i mezzi materiali per far del bene e l´appoggio delle Nazioni; e molte anime gli sono strappate dalla perfidia dei suoi nemici. È tempo ormai che ci stringiamo sempre più intorno a Pio IX, e con lui combattiamo se sarà necessario fino alla morte. Diranno gli stolti - alludeva a liberali e settari, che intensificavano la loro campagna denigratoria contro il Papa - che certe idee sono un capriccio ostinato di Pio IX: non importa; ci sarà più caro andare in Paradiso con Pio IX per un tale capriccio, che andare all´inferno con tutte le speciosità e grandezze del mondo »(229).
Il secondo documento si riferisce a Leone XIII, ed è del 1887. In esso Don Bosco rafforza il suo pensiero, che assume quasi carattere di testamento. Celebrandosi quell´anno il giubileo sacerdotale del Papa, Don Bosco fu invitato a scrivere un articolo da inserire nel fascicolo che si veniva preparando per la fausta ricorrenza. Il buon Padre vergò soltanto alcuni periodi improntati a San Francesco di Sales. Ricordò specialmente i titoli più belli e gloriosi raccolti dal Santo Dottore ad esaltazione del Papato; quindi aggiunse: « Intendo che gli alunni dell´umile Congregazione di San Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo e nostro Patrono, verso la Sede Apostolica; che accolgano prontamente, rispettosamente e con semplicità di mente e di cuore, non solo le decisioni del Papa circa il dogma e la disciplina, ma anche nelle cose stesse disputabili abbraccino sempre la sentenza di lui anche quale dottore privato, piuttosto che l´opinione di qualunque teologo o dottore del mondo »(230).
Si comprende dunque perché Don Bosco raccogliesse ogni parola e consiglio che usciva dalle labbra del Papa, come fosse un tesoro. Così fece nel 1876 notificando subito a Don Barberis, Maestro dei Novizi, ciò che Pio IX gli aveva suggerito per la formazione di essi(231).
La maggior preoccupazione di Don Bosco era però che l´adesione e sottomissione al Papa si traducesse in obbedienza pronta e filiale.
Trovandosi in udienza, nel febbraio del 1875, chiese una parola da portare come breve messaggio ai suoi figli. « Raccomandate loro ‑ disse Pio IX ‑ che promettano fedeltà e attaccamento a Cristo e al suo Vicario in terra ». Vivamente commosso Don Bosco mostrò al Papa il foglietto degli appunti che teneva in mano. L´ultimo era così concepito: « Noi promettiamo fedeltà e obbedienza a Sua Santità come Vicario di Gesù Cristo ». Il Papa concluse: « Bisogna che riconosciamo una vera ispirazione del Signore o in voi a scrivere, o in me a dire così. Segno che queste parole sono veramente da tenersi preziose »(232).
Don Bosco le tenne preziose nel rimanente di sua vita, sebbene quello fosse stato sempre il programma del suo apostolato. « Fare un po´ di bene ‑ era la sua modesta espressione ‑ ma secondo i santi voleri del Sommo Pontefice », che egli considerava in tutto e sempre quali precetti(233).
Perciò sul letto di morte incaricava il Cardinale Alimonda di far sapere a Leone XIII « aver egli amato sempre e ubbidito come figlio il Sommo Pontefice; la sua Congregazione essere tutta agli ordini della Santa Sede »(234). E Don Rua scriveva nel gennaio 1888 al Cardinal Prefetto di Propaganda Fide: « Benché non possa quasi più parlare, Don Bosco non cessa d´inculcarci la più perfetta obbedienza alla Santa Sede »(235).
A ragion veduta pertanto Mons. Manacorda diceva nell´elogio funebre del nostro Padre: « Nessuno fra quanti lo avvicinarono udì parola da lui che non fosse improntata all´obbedienza perfetta e alla docilità d´innocente fanciullo verso il Papa »(236). E noi possiamo aggiungere che nessuno scorse mai nel nostro Santo Fondatore alcun atto che fosse in contrasto con gli ordini e le disposizioni del Papa e dei sacri Dicasteri da cui è coadiuvato nel governo della Chiesa. Al contrario, ogni cenno di Roma lo trovò pronto a spendere le sue energie nel campo del bene.
Così è stato e continua ad essere dell´intera nostra Società, che reputa a sua gloria l´essere a disposizione del Papa in quelle forme di attività e in quelle opere di bene che i tempi reclamano.
Per restringermi a questi ultimi anni, dirò a comune edificazione e conforto che la nostra umile Congregazione ha procurato di assecondare, secondo le sue deboli forze, ogni invito e iniziativa pontificia.
Durante il pontificato di Pio XI, il Papa delle Missioni, anche noi cercammo con ogni mezzo di allargare il solco della nostra attività missionaria, iniziando aspirantati missionari, accettando nuovi campi di missione, fondando riviste, allestendo esposizioni, celebrando congressi e destando, quanto più fu possibile, l´interesse dei collegi ed oratori, degli ex‑allievi ed ex‑allieve, cooperatori e cooperatrici, per le Missioni.
E durante il travagliato governo pontificale dell´angelico Pio XII, felicemente regnante, che cosa non ha fatto la nostra umile Congregazione per assecondare le sue iniziative e direttive, miranti a combattere l´ignoranza religiosa, a portare fra gli uomini una maggior giustizia sociale e a provvedere a tanta gioventù che ‑ triste eredità dell´ultima guerra ‑ venne dai mondani duramente qualificata col nome di « ragazzi della strada »? Le svariate attività e le numerose pubblicazioni catechistiche; l´assistenza materiale e spirituale prestata in cantieri e fabbriche; e specialmente le opere nuove iniziate a favore della gioventù più povera e abbandonata, sia in Europa che nei paesi d´Oriente, a cominciare dai « Ragazzi Don Bosco » nella Città eterna: tutto prova come la nostra Congregazione, sull´esempio del Fondatore, procuri anche oggi di attuare i desideri del Papa e della Santa Sede.
Sempre per assecondare i desideri dei Sommi Pontefici abbiamo anche fomentato l´Azione Cattolica, alimentandola coi soci delle tradizionali nostre Compagnie.
In ossequio poi al volere della Santa Sede abbiamo pure accettato in varie Repubbliche d´America la direzione e l´insegnamento in Seminari maggiori e minori. E il Signore ha certamente benedetto il sacrificio di membri eletti della Società Salesiana, chiamati dalla fiducia del Romano Pontefice a reggere Diocesi e Missioni.
Dio voglia che questo spirito di adesione ed obbedienza al Papa continui tra noi, come una delle migliori caratteristiche della nostra amata Congregazione.
17. ‑ AMORE SACRIFICATO ED EROICO
Il vero amore al Papa conosce infine come suo proprio quello che è il carattere dei santi: il sacrificio e l´eroismo.
Chi ama sinceramente e ardentemente, si tiene pronto alla immolazione, la quale è prova suprema di affetto, secondo la parola di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di colui che dà da vita per i suoi amici(237); e più ancora secondo l´esempio che Egli diede, morendo sulla croce in espiazione delle nostre colpe.
Il cristiano, figlio devoto della Chiesa e del suo Capo in terra, non sa misurare il sacrificio, allorquando le opere esterne debbono dimostrare al mondo i sentimenti che albergano nel suo cuore. Egli bandisce ogni viltà, doppiezza e infingimento: ad ogni istante è pronto ad affrontare pene, disagi, umiliazioni, rinunce, dolori, pur di testimoniare a fatti, più che a parole, il suo amore alla infallibile Cattedra di Pietro e a Chi vi fu posto da Dio quale Padre e Maestro dei fedeli.
Tale fu l´amore di Don Bosco per il Papa: amore di figlio che tutto sopporta e sostiene, tutto intraprende e ardisce, quando è in gioco il nome o la volontà del Vicario di Cristo.
Quanto abbiamo fin qui ricordato basterebbe già a provare che in Don Bosco l´amore al Papa non fu ordinario e comune, come in tanti fedeli ed ecclesiastici del suo tempo. La naturalezza, la costanza, l´ardore di questo suo sentimento mai smentito, sono più che sufficienti a esaltare il suo doppio eroismo nella pratica della fede e della carità verso Dio e i suoi Rappresentanti.
Ma con gioia troviamo nella vita del nostro Padre atti e momenti, in cui il suo amore al Papa diviene autentico sacrificio e riveste le attrattive dell´eroismo.
Nel 1860 da parte delle autorità civili Don Bosco fu oggetto di vessazioni e perquisizioni a motivo del suo notorio attaccamento al Romano Pontefice; e la sua stessa opera si vide per tal motivo in pericolo di naufragare. Il sesto volume delle Memorie Biografiche(238) espone con abbondanza di particolari quell´increscioso periodo, nel quale Don Bosco pagò a duro prezzo il suo amore al Papa e lo studio che metteva nel comunicarlo ai giovani. Basti ripetere succintamente con Don Lemoyne che allora Don Bosco fu ritenuto « uno dei capi del partito cattolico » e che dal governo piemontese si temette « potesse imbarazzare i nuovi assalti che meditavansi contro il Papa »(239). Anche Don Rua depone nei processi: « Era tanta la persuasione vigente in quelli che lo conoscevano pel suo rispetto ed attaccamento al Sommo Pontefice, che tale persuasione fu causa delle gravi molestie cagionategli dalle perquisizioni governative del 1860 »(240). I1 canonico Ballesio aggiunge che i liberali lodavano « la sua bontà e il gran bene che faceva alla gioventù », ma gli rimproveravano di essere « troppo papalino »(241).
Di molestie Don Bosco ne subì anche dai buoni. Nel 1867 ebbe molto a soffrire, poiché alla Sacra Congregazione dell´Indice venne deferito l´opuscolo da lui pubblicato nelle Letture Cattoliche di gennaio‑febbraio, sotto il titolo: Il Centenario di San Pietro Apostolo. Con la vita del medesimo Principe degli Apostoli e con un triduo in preparazione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo(242). Don Lemoyne parla di grave tempesta suscitata « dalla inconsulta animosità di chi aveva malamente interpretate le azioni di Don Bosco a Roma »(243).
Certo è che Don Bosco rimase come « colpito da un fulmine » (sono sue parole) per il vivissimo dispiacere che gli fossero potute sfuggire dalla penna espressioni del tutto opposte ai suoi « sentimenti »(244). Alla resa dei conti però si trovò di fronte a due semplici e modesti emendamenti da introdurre in future edizioni(245).
Egli tuttavia, pur mandando a Roma i suoi « schiarimenti », protestava: « Mi offro pronto a modificare, correggere, cancellare, aggiungere quanto mi venisse semplicemente proposto in modo concreto, affinché io possa con sicurezza seguire i suggerimenti »(246). A Pio IX scriveva: « Mi tornarono di vivo rincrescimento le parole stampate nel libretto Il Centenario di San Pietro, che furono intese in un senso certamente da me non immaginato. Credo per altro che gli schiarimenti dati avranno tolto ogni equivoco intorno al mio modo di scrivere, credere ed operare, e nella prossima edizione modificherò ogni cosa senza limite e nel preciso senso indicatomi dalla Sacra Congregazione dell´Indice »(247).
L´umiliazione fu indubbiamente grave, soprattutto perché sproporzionata alla causa e in aperto contrasto con tutta la precedente attività sacerdotale e letteraria di Don Bosco. Essa però vale a dimostrare le disposizioni eroiche del nostro Padre, allorché l´amore e l´attaccamento al Primo Papa gli costarono abnegazione di sé e pubblico sacrificio. In un caso dottrinalmente insignificante egli si diportò come quei grandi, che al trionfo della propria intelligenza preferirono l´umile sottomissione al Vicario di Cristo, frutto di fede e di amore. E Pio IX paternamente gli scrisse: « Conoscendo intimamente, la tua pietà, avevamo la certezza che tu nella nuova edizione dell´opuscolo Il Centenario di San Pietro avresti eseguito scrupolosamente ciò che la Nostra Congregazione dell´Indice credette di osservare »(248).
Maggiore umiliazione incontrò Don Bosco nel 1882 per ubbidire a Leone XIII, che interveniva onde por termine a una dolorosissima vertenza che il Santo ebbe a sostenere col suo Arcivescovo.
Don Bosco stesso nel dicembre 1881 aveva indirizzato al Papa queste fervide espressioni: « Parlate, Beatissimo Padre, e noi Vi ascolteremo. Non solo ci atterremo ai Vostri comandi, ma ai Vostri desideri; non solo Vi seguiremo come Dottore universale, ma eziandio come Dottore privato; saremo devoti alla Vostra augusta Persona non solamente noi Salesiani, ma ci adopreremo a ispirare, nutrire e crescere nei medesimi sentimenti gli ottantamila e più giovanetti, che la Divina Provvidenza tiene oggidì raccolti nelle nostre case d´Europa e d´America. Saremo in una parola ossequiosissimi alla Vostra Cattedra Apostolica in tutto, in ogni tempo e in ogni luogo, dove ci chiamerà il Signore »(249).
Leone XIII, presa in esame la spinosa controversia, comunicò il da farsi(250). Don Bosco accettò e fece quanto il Pontefice desiderava, anche se la sua sottomissione poteva parere una immeritata umiliazione. Il Papa stesso, che non ignorava come tale per l´appunto la giudicavano alcuni, ebbe a dire al Cardinale Nina: « Don Bosco Noi lo conosciamo: è un santo »(251). E da vero Santo Don Bosco, aveva annientato se stesso, perché l´amore e l´obbedienza al Papa trionfassero pienamente.
Quando questo avveniva, il nostro Padre aveva già dato a Leone XIII un´altra eroica prova della sua prontezza filiale ai desideri del Papa.
Nel 1880, rammaricandosi Leone XIII che si fossero interrotti i lavori della chiesa in onore del Sacro Cuore al Castro Pretorio, il Cardinale Alimorida gli suggerì di affidarne la costruzione a Don Bosco, il quale in quei giorni era a Roma. Il Papa ne parlò al nostro Padre nell´udienza de1 5 aprile, assicurandolo che si trattava di un suo desiderio.
‑ Il desiderio del Papa ‑ rispose Don Bosco usando l´abituale sua massima ‑ è per me un comando: accetto l´incarico che Vostra Santità ha la bontà di affidarmi.
‑ Ma io non potrò darvi denari ‑ soggiunse il Papa.
‑ Io a Vostra Santità non chiedo denari; chiedo soltanto la Sua benedizione con quei favori spirituali, che crederà bene concedere a me e a quanti coopereranno meco a far sì che il Cuore di Gesù abbia un tempio nella capitale del mondo cattolico(252).
Non è il caso di ripetere a questo punto quanto sia costato a Don Bosco il desiderio del Papa. Basti l´attestazione giurata di Don Cerruti nei processi: « Dio solo sa quello che Don Bosco ha sofferto per raccogliere i mezzi alla costruzione di quella chiesa. Io ho avuto la fortuna di accompagnarlo tre anni, cioè nel 1881, 1885, 1886, quando appunto andava a questuare per tale chiesa. Dica francamente che per me fu una delle migliori prediche... vederlo già innanzi negli anni, malandato in salute, con incomodi molto gravi che lo disturbavano a quando a quando, scendere e salire per le scale e chiedere limosine, perché il Cuore di Gesù avesse una chiesa a Lui dedicata in Roma, sottoponendosi a tante umiliazioni che spesso doveva incontrare »(253). E in altro luogo dei medesimi processi Don Cerruti parla di « enormi strapazzi » e « immense sofferenze », sostenuti da Don Bosco « per eseguire il desiderio del Papa »: e conclude: « Sono intimamente persuaso che quegli strapazzi e quelle sofferenze abbreviarono la vita di lui, già cadente e consunto dal lavoro »(254).
Che altro si potrebbe desiderare a conferma dell´amore eroico del nostro Santo Fondatore al Papa?
Amare il Papa non fu adunque una parola vana per Don Bosco. Egli lo amò nel più perfetto dei modi: con amore soprannaturale, zelante e conquistatore, filiale e devoto, ubbidiente e sottomesso, sacrificato ed eroico. E nel suo esempio ha lasciato a tutti i suoi Figli e Figlie una sacra eredità, che ognuno deve conservare ed accrescere, se vogliamo che lo spirito del Padre aleggi sulle nostre Case e dia al mondo gli spettacoli di amore al Papa, che egli seppe dare nell´Oratorio e nei primi tempi della Società Salesiana.
18. ‑ DIFENDERE IL PAPA
Ai cittadini di ogni nazione viene costantemente ripetuto di conoscere la propria patria, amarla e, quando sia necessario, difenderla con tutte le forze e con la vita stessa.
Quello che si dice per la società civile deve con maggior ragione applicarsi alla società divina che è la Chiesa. Il cristiano infatti nel Sacramento della Cresima riceve il dono della Fortezza e diviene soldato di Gesù Cristo per poter difendere il tesoro della grazia contro i nemici che lo insidiano, e anche per lottare contro i nemici della Chiesa e del Romano Pontefice.
Gesù ha preannunciato una lotta, che sarebbe stata ingaggiata a oltranza contro la sua Chiesa. La perentoria promessa a Pietro: Le porte dell´inferno non prevarranno(255) a che allude, se non al conflitto da combattersi attraverso i secoli fra la superba Città di Satana e la vittoriosa Città di Dio? Perciò prima di avviarsi al Getsemani Gesù prevenne gli Apostoli con queste parole: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; invece, siccome non siete del mondo e vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi di ciò che vi ho detto: Il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi(256).
E a Pietro in particolare, dopo avergli conferito il primato, Gesù vaticinò la persecuzione mortale, che avrebbe subito al termine della vita: In verità, in verità ti dico: quando tu eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorrai(257).
L´assioma del Divin Maestro: Il servo non è da più del padrone, né l´apostolo da più di colui che l´ha mandato(258) e la sua recisa affermazione: Non pensate ché io sia venuto a portar la pace sulla terra; non son venuto a portar la pace, ma la spada(259) adombrano la vita della Chiesa, intessuta di lotte e contrasti.
I1 cristiano pertanto, figlio della Chiesa, non può restar indifferente e inerte di fronte alla guerra che il demonio e i suoi satelliti ‑ che Gesù designa con la parola mondo(260) - conducono sempre più accanitamente contro di essa, nel vano intento di superarla. Tanto meno può incrociare le braccia il sacerdote, dinanzi alla sacrilega audacia dei nemici di Dio: egli che è stato scelto come ambasciatore di Cristo(261). Per lui in particolare è il monito di Gesù: Chi dunque mi avrà confessato davanti agli uomini, anch´io lo confesserò davanti al Padre mio, che è nei cieli; ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, anch´io lo rinnegherò davanti al Padre mio, che è nei cieli(262).
Orbene, poiché la guerra alla Chiesa è diretta specialmente contro il suo Capo visibile, centro di unità e di saldezza del corpo mistico di Cristo, nasce nel cristiano e tanto più nel religioso e nel sacerdote il dovere non soltanto di conoscere e amare il Papa, ma anche di schierarsi col Vicario di Cristo e di mettere, come soldato, la spada delle proprie risorse a di lui difesa e servizio.
Ciò fece in modo mirabile il nostro santo Padre e Fondatore Don Bosco, detto dai giornali, ostili alla Chiesa, del secolo scorso, « il Garibaldi del Vaticano e dei clericali »(263). L´espressione volendo essere un insulto a sfondo religioso‑politico, è invece uno dei titoli pittoreschi coi quali meglio poté venir descritta nell´Ottocento in Italia l´attività battagliera di Don Bosco a favore del Papato. Se altri con disinteressato entusiasmo trasse la spada per un ideale terreno, ben la poté trarre, e la trasse, Don Bosco per il suo divino ideale. E non vi è dubbio che gli stessi avversari stupirono del coraggio e destrezza con cui seppe mantenersi in lizza fino al termine dei suoi giorni, riportando palme e trionfi.
Non ci rimane dunque se non ricordare compendiosamente la molteplice campagna del nostro Padre in difesa del Papa, per animarci a fare altrettanto, secondo la nostra possibilità, anche ai giorni nostri, che non sono men tristi di allora.
La guerra di insinuazioni e menzogne, di accuse e calunnie, di offese e dileggi, che sotto i nostri occhi è dai cattivi impegnata contro la persona e la dignità del Santo Padre, non ci consente di restare muti spettatori di un male che si acuisce e dilaga, minacciando la fede di molti e soprattutto l´ingenua semplicità degli ignoranti. Dobbiamo perciò ripetere le gesta umili ma efficaci del nostro Padre a sostegno del Pastore dei Pastori e a gloria della Chiesa nostra Madre.
19. ‑ L´IDEALE DI SAN GIOVANNI BOSCO
Chi segue la vasta campagna condotta da Don Bosco in difesa del Papa, si accorge che sin dal 1848 egli perseguì un altissimo ideale, suggeritogli dalla Fede e dalle vicende storiche del tempo, da lui seguite, sia pure a distanza, con l´acume di cui era naturalmente fornito. Fu l´ideale dell´unione al Papa.
La guerra a1 Papato non era cosa nuova, intorno alla metà del secolo scorso. In campo giuridico‑religioso bastava ricordare le teorie gallicane, febroniane e giuseppiniste del Settecento; e in campo storico‑politico era sufficiente pensare a ciò che avevano fatto la Rivoluzione Francese e Napoleone con Pio VI e Pio VII.
Con il pontificato di Pio IX ‑ e fu provvidenziale che l´apostolato di Don Bosco avesse inizio proprio in quegli anni - si ebbe una tendenza nuova. I settari mirarono a scindere nel Pontefice il Principe temporale dal Capo della Chiesa, allo scopo di separare gli animi prima dal Sovrano di Roma e poi dal Successore di San Pietro. I moti del Risorgimento Italiano offrivano l´occasione propizia.
Dopo qualche incertezza, Don Bosco intuì l´oscura manovra dei figli delle tenebre; e da allora si votò al suo ideale: mantenere la gioventù e il popolo uniti al Papa, impedendo ogni specioso disgregamento, che avrebbe condotto per fatale conseguenza al ripudio delle più sante verità della Fede e all´abbandono della Chiesa.
Nei mezzi però che scelse per raggiungere lo scopo, non uscì mai dal terreno schiettamente religioso, come si addiceva a un sacerdote educatore, che mirava in primo luogo alla formazione cristiana della gioventù e del popolo, e alla salvezza delle anime.
Fin dal 1847 ‑ come nota il biografo ‑ Don Bosco « ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al Papa, perché egli era quell´anello che unisce i fedeli a Dio; e preconizzava fatali cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche menomamente la Santa Sede; e tanto era l´amore che sapeva infondere verso di questa nei suoi giovani, che sentivansi disposti ad esserle sempre obbedienti e fedeli, e a difenderla anche a costo della vita »(264).
Tre anni più tardi accrebbero impeto e valore alla campagna iniziata i tentativi dei protestanti che si univano alle torbide mene delle sètte e moltiplicavano la zizzania nel campo del Signore. Don Bosco, addestrato ormai nell´uso della penna, diede alle stampe un opuscolo anonimo dal titolo Avvisi ai Cattolici, che poi ristampò col suo nome nel 1853, poco prima di iniziare la collana delle Letture Cattoliche(265). L´idea fondamentale dell´opportuna pubblicazione è così riassunta nel proemio: « I nostri Pastori e specialmente i Vescovi, ci uniscono al Papa; il Papa ci unisce a Dio »(266). Queste medesime parole, ridotte alla formula « I nostri Pastori ci uniscono al Papa; il Papa ci unisce a Dio », campeggiano nel frontespizio della seconda edizione(267), quasi grido d´allarme contro l´ardire ereticale di coloro che cercavano di strappare gl´incauti dall´unione con la Chiesa Romana e dal Vicario di Cristo.
Stampando nel 1855 un altro opuscolo in difesa della religione, insidiata dai protestanti, inculcava: « Sì, cattolici, coraggio; teniamoci strettamente uniti a quella religione che fu stabilita da Gesù Cristo, che ha per Capo visibile il Romano Pontefice, suo Vicario in terra; che in mezzo alle vicende dei secoli fu sempre combattuta, ma che ha sempre trionfato ». E aggiungeva un concetto già altrove riportato, essere cioè impossibile restar cattolici « separati dal Papa »(268).
Il pensiero di Don Bosco e le condizioni storiche del momento traspaiono dal suo Appello ai Cattolici, edito nel maggio 1861 in calce a un´operetta di Mons. De Ségur. È una delle pagine più vivaci di Don Bosco: « Non è più un mistero ‑ dice - che si fa la guerra al Capo della Chiesa Cattolica per distruggere, se fosse possibile, la stessa Chiesa e protestantizzare l´Italia. È, questo, predicato senza velo in mille libercoli, opuscoli, fogli volanti, e perfino negli almanacchi, nei quali spacciansi i più grossolani errori degli acattolici, come se fossero verità di Vangelo; e si versa a piene mani lo scherno, lo sprezzo, il ludibrio, sul Romano Pontefice, alle vecchie calunnie aggiungendo la sfrontatezza di spacciarle come nuovo trovato, e ciò per renderlo spregevole, e quindi abbandonato da tutti. In tal guerra, che è guerra di Dio e nostra, ogni uomo è soldato; tutti dunque i veri cattolici si uniscano alla difesa del Romano Pontificato, ossia della Cattolica Religione ». Dettava quindi le norme per la santa impresa, tra cui quella di aborrire gli errori che si spargevano intorno alle prerogative del Papa, trattandosi di eresie; e concludeva con enfasi: « Italiani! Voi siete eminentemente cattolici; dichiaratevi tali anche in questo supremo momento, e sia la vostra più gloriosa divisa Cattolici col Papa »(269).
Ecco perché Don Bosco fin dal 1857 aveva scritto il libretto Trattenimenti familiari sulla supremazia del Papa e sulla salute esclusiva nella Chiesa Cattolica, a confutazione degli errori valdesi, largamente sparsi in Torino per mezzo della stampa(270). Ecco inoltre perché proprio nel decennio che va dal 1857 al 1867, egli compose le sue Vite dei Papi(271), rammaricandosi che storiografi cattolici sembrassero ignorare nelle loro opere i Sommi Pontefici(272).
Solo nell´unione al Papa Don Bosco ravvisava la sicura garanzia di salvezza per i credenti.
In nota all´opuscolo Il Papa. Questioni del giorno di Mons. De Ségur, diceva: « Tienti, o mio caro lettore, inviolabilmente unito al Papa e alla Chiesa. Non ti lasciar intimorire dal furore e dalle minacce del nemico, né ingannare dalle sue belle frasi... Abbi il coraggio della tua fede e delle tue convinzioni. Non temere: Dio è con la Chiesa tutti i giorni fino alla fine dei secoli »(273).
In queste parole descriveva se stesso; ed eccone una prova. Nel 1860 il grande statista piemontese Conte Camillo di Cavour, Presidente del Consiglio Subalpino e Ministro degli Esteri, nell´intento di rimproverare a Don Bosco il troppo attaccamento al Papa e l´avversione al Governo, gli faceva questo sillogismo: « Lei è col Papa; ma il Governo è contro il Papa; dunque Lei è contro il Governo. Di qui non si scappa ». Don Bosco, che era buon logico, rispose facetamente: « Eppure io scapperò dal suo sillogismo. Io sto col Papa; il Governo è contro il Papa: dunque il Governo è contro di me ». Poi seriamente continuò: « In fatto di religione io sto col Papa e col Papa intendo di rimanere da buon cattolico sino alla morte; ma ciò non mi impedisce di essere pure buon cittadino, poiché non essendo mio ufficio di trattar di politica, io non me ne immischio, e nulla fo contro il Governo »(274).
Anche nel famoso incontro del 1876 con vari ministri di Stato a Lanzo Don Bosco rivelò senza esitazioni la direttiva della sua vita, che in pari tempo era per lui norma di apostolato. Avendo insinuato il ministro Nicotera che Don Bosco era « troppo furbo » per manifestare interamente il suo pensiero circa gli importanti argomenti della loro conversazione, il Santo uscì in queste dichiarazioni: « Dove mai vogliono che stia la mia furbizia? Quello che ho nel cuore, ho sul labbro. Non vi è segreto palesabile che io non dica a tutti. Tutto quello che io voglio fare, lo sa fin l´ultimo giovane delle nostre case. Se la furberia consiste in questo, allora io posso credere di essere veramente furbo. In quanto a religione io sono col Papa, e me ne vanto »(275).
La ragione profonda, di questo suo atteggiamento, che potremmo dire di santa intransigenza, il nostro Padre la manifestò nella malattia mortale del 1871‑72 a Varazze. Più che del suo male, a quanti lo visitavano, specialmente ecclesiastici, parlava dei mali della Chiesa e della società. « Bisogna ‑ diceva ‑ coltivare le vocazioni e formare dei buoni e santi sacerdoti e religiosi, che si occupino in modo particolare di istruire la gioventù. Io assicuro che in pochi anni le generazioni muteranno in meglio, e la Religione trionferà... Ma per raggiungere questa mèta, ci vuole l´unione col Papa, che è il Vicario di Gesù Cristo; allora la gioventù diventerà di nuovo amante del bene, della fede e della verità »(276).
Dell´unione al Papa Don Bosco fu un fervido innamorato, perché solo essa è il vincolo di unione a Gesù Cristo(277). Perciò ne fu anche il paladino.
Un ultimo documento, forse il più eloquente: certo il più caratteristico. Nel 1874 egli era stato eletto membro dell´Accademia Romana dell´Arcadia, e il Venerdì Santo del 1876 vi tenne un lungo discorso intorno alle sette parole di Gesù in croce. Non c´interessano qui il contenuto e i commenti. Merita invece di venir riprodotta la conclusione intorno all´unità della Chiesa, dalla quale facilissimo era il passaggio all´unione col Papa.
« Come al tempo della vita mortale del Salvatore ‑ disse - gli Apostoli raccoglievansi intorno a Lui come a centro sicuro e maestro infallibile; come dopo di Lui i veri credenti per non errare si tennero strettamente uniti con Pietro e coi suoi Successori nel governo della Chiesa: così noi tutti dobbiamo schierarci intorno all´attuale successore di Pietro: intorno al grande, al coraggioso Vicario di Gesù Cristo, al forte, all´incomparabile Pio 1X ». E chiudendo il suo dire, inviava dal Palatino questi nobili accenti al Pontefice: « Beatissimo Padre, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero ma a Voi affezionatissimo. Noi vogliamo assicurarci la via che ci conduce al possedimento della vera felicità, perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi, come Padre amoroso e Maestro infallibile. Le Vostre parole saranno guida ai nostri passi, norma delle nostre azioni. I Vostri pensieri, i Vostri scritti verranno raccolti colla massima venerazione; e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, fra i nostri amici e, se fia possibile, per tutto il mondo. Le Vostre gioie saranno pur quelle dei vostri figli; e le Vostre pene, le Vostre spine, saranno parimenti con noi divise. E come torna a gloria del soldato che in campo di battaglia muore per il suo sovrano, così sarà il più bel giorno di nostra vita quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare sostanza e vita, perché morendo per Voi abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio, che corona i momentanei patimenti della terra con gli eterni godimenti del cielo »(278).
Si poteva meglio esprimere la necessità per i cristiani di stare uniti e sottomessi al Papa? Anche tra gli Arcadi Don Bosco non aveva smentito il suo carattere di acerrimo difensore della più stretta e completa unione al Vicario di Cristo.
20. ‑ DIFENSORE DELL´AUTORITÀ PONTIFICIA
Oltre all´unione col Papa, Don Bosco, impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, curò la difesa della suprema autorità di cui il Pontefice è rivestito.
Egli medesimo inviando a Roma gli « schiarimenti » circa le osservazioni che si erano fatte al suo Il Centenario di San Pietro non si pèrita dall´esordire in questi termini, coi quali presentava un venticinquennio di feconda attività sacerdotale: « In ogni mio scritto di cose sacre e di cose profane ho sempre avuto di mira difendere e sostenere l´autorità della Chiesa e segnatamente del Sommo Pontefice ». E spiegava: « Nelle prediche, nelle pubblicazioni di ogni genere mi sono sempre studiato di mettere in chiaro nel modo più semplice questo supremo principio di nostra santa Cattolica Religione »(279).
Don Rua confermò nei processi: « Quanto all´autorità del Sommo Pontefice, non solo professava per conto proprio la più profonda venerazione, ma la inculcava eziandio agli altri nei suoi scritti, come nel Compendio della Storia Ecclesiastica da lui scritto, in vari fascicoli delle Letture Cattoliche; mettendo in avviso i suoi figli di diffidare e tenere come nemici della religione chi manca di rispetto verso il Sommo Pontefice e si permette di sparlarne »(280).
Nelle ultime espressioni Don Rua, non senza ragione, sottolinea l´aspetto negativo del metodo seguito da Don Bosco nella difesa dell´autorità del Papa. Non bastava infatti decantarla ed esaltarla con gli argomenti del Vangelo e della Tradizione; occorreva immunizzarla dagli errori calunniosi, ereticali e grossolani insieme, che venivano inoculati attraverso la propaganda e la stampa anticattolica.
Già nel 1845 Don Bosco esortava i giovani « a diffidare sempre di chi venisse a parlar loro in qualsivoglia modo contro il Vicario di Gesù Cristo »(281). E nel dicembre del 1849, al termine di un corso di esercizi spirituali alla gioventù di Torino, distribuiva agli intervenuti un foglio dal titolo: Avvisi di un amico alla gioventù secondo i bisogni dei tempi. Il sesto diceva così: « Chi vuol vivere da buon cattolico deve guardarsi da quelli che parlano male della religione, dei suoi ministri, e specialmente del Papa che è il Padre di tutti i cattolici. Dite pur sempre essere un cattivo figlio chi parla male di suo padre »(282).
Anche nel secondo dei tre ricordi dati ai giovani nel 1850 per aiutarli a conservare il frutto della Comunione Pasquale si legge: « Fuggite altresì quelli che parlano male di nostra santa Cattolica Religione, criticando i sacri ministri e soprattutto il Romano Pontefice... Siccome è un cattivo figlio quello che censura la condotta di suo padre, così è un cattivo cristiano colui che censura il Papa, che è il Padre dei fedeli cristiani di tutto il mondo »(283).
Dalle Memorie Biografiche sappiamo che era solito ripetere: « Figliuoli miei, tenete come nemici della religione coloro che con le parole e con gli scritti offendono l´autorità del Papa e cercano di scemare l´ubbidienza e il rispetto dovuto ai suoi insegnamenti ed ordini »(284). Metteva in guardia soprattutto contro « i termini moderati » che gli empi solevano usare « per insinuarsi nelle anime rette e semplici onde trarle più facilmente in inganno »(285). E nel già citato Appello ai Cattolici edito nel 1861, allorché una furiosa campagna di stampa si era scatenata contro Pio IX, la terza raccomandazione suonava così: « Rigettare lungi da sé gli infami scritti che si pubblicano contro il Papa, la sua autorità e giurisdizione, distruggendoli, confutandoli, contrapponendo loro e diffondendo buone scritture, anche con sacrificio di denaro »(286).
Per Don Bosco l´autorità del Papa era l´autorità di Pietro(287). Perciò nel 1862, dopo aver esposto il terrificante sogno del cavallo rosso minacciante la vita della Chiesa; asseriva che il modo di frenare l´avanzata del mostro era di volgere la mente e il cuore dei fedeli « alla Cattedra di Pietro ». E commentava: « Qui è il fondamento inconcusso di ogni autorità che viene da Dio, la chiave maestra che lega ogni ordine sociale, il codice immutabile dei doveri e dei diritti degli uomini, la luce divina che sfolgora gli errori delle malnate passioni; qui il fedele custode e tutore possente della morale evangelica e naturale; qui la sanzione immutabile di premi eterni per chi osserva la Legge del Signore e di pene egualmente eterne per i trasgressori. Ma Chiesa, Cattedra di San Pietro e Papa, sono la stessa cosa. Quindi ‑ osserva il biografo completando il pensiero del nostro Padre ‑ per rendere accette tali verità Don Bosco voleva che si facesse ogni sforzo per sfatare le calunnie contro il Papa, si recassero le prove degli immensi benefizi da lui recati alla vita sociale, e si cercasse di accendere in tutti riconoscenza, fedeltà ed amore »(288).
Questo spiega perché Don Bosco non dubitava di affermare pubblicamente che avrebbe baciata una a una le pagine della Storia Ecclesiastica del Salzano, perché l´autore si mostrava amante del Papa; mentre parlando ai chierici dei libri sospetti proponeva la seguente norma di giudizio: « Quando vedete che un autore scrive poco bene del Papa, sappiate che il suo non è un libro da leggersi »(289).
A1 riguardo conviene tener presente che tale criterio Don Bosco tenne fin dal 1848 nel giudicare Gioberti, dopo aver sentito certi di lui apprezzamenti su Pio IX. Felice Reviglio così depone il particolare nei processi: « Quando giunse a Torino dall´esilio l´abate Vincenzo Gioberti, intorno al quale accorsero i buoni e i cattivi… anche Don Bosco si recò da lui per ossequiarlo. Ma il discorso essendo caduto su cose riflettenti la Santa Sede, e Gioberti essendosi permesso di dire che in Roma vi erano delle nubi e delle oscurità, erigendosi quasi a maestro della Somma Gerarchia, Don Bosco francamente sostenne la causa della Chiesa, e usci da lui dicendo che sarebbe finito male, perché si permetteva di censurare l´operato della Santa Sede »(290). Pure nei processi Don Francesia aggiunge che, ripetendo l´episodio, Don Bosco concludeva: « Se non ascolta Roma, è perduto! »(291).
Su questo punto il nostro santo Fondatore era inflessibile. Non avrebbe mai tollerato neppure una sola parola contro il Papa, anche in questioni non riguardanti esplicitamente la Fede. Al contrario diceva ai giovani nella Buona Notte del 6 maggio 1862: « Vorrei che Pio IX avesse in ciascun giovane dell´Oratorio uno zelante difensore in qualunque angolo della terra si trovi »(292).
E non vi è dubbio che questa è la celeste consegna che San Giovanni Bosco dà ancor oggi ai suoi Figli e Figlie, ai suoi Allievi ed Ex‑allieve, ai suoi Cooperatori e Cooperatrici, a tutta insomma la Famiglia Salesiana sparsa nel mondo, ma unita nell´intento di sostenere e difendere sempre, dovunque e in faccia a tutti, la suprema sacra autorità del Papa, « base ‑ come il Santo diceva ‑ di nostra santa Cattolica Religione »(293). A noi pure ripete ciò che, secondo la deposizione di Don Marchisio, inculcava negli anni migliori della sua lotta a favore del Pontificato: « Difendete il Papa, perché dove è il Papa, ivi è la Chiesa »(294).
21. ‑ DIFENSORE DEI DIRITTI PAPALI
Il nostro santo Fondatore e Padre, quando si trattava del Papa, non ammise mai distinzioni speciose, come quelle che separavano l´uomo dal Vicario di Cristo, e il Capo supremo della Chiesa dal Principe temporale. Per lui il Papa era il Papa: e non ammetteva motivi o pretesti per dissentire dal modo di vedere del Sommo Pontefice, e tanto meno per mettersi dalla parte dei suoi avversari.
Don Bosco, da sacerdote saggio e santo, oltre che da figlio devoto e ossequiente della Chiesa, non sottilizzò mai fra religione e politica. Sapeva che la prima è immutabile e divina, mentre la seconda obbedisce a interessi transitori e a tante passioni umane. Perciò, benché non si immischiasse nelle vicende storiche dell´età, secondo il suo motto: « In politica io sono di nessuno »(295) tuttavia per motivi di religione e di coscienza non omise di sostenere e difendere i diritti temporali del Pontefice Romano.
Forse mai, come nel secolo scorso, si parlò da tutti, e specialmente dai malevoli, del dominio temporale della Chiesa, lanciando accuse e calunnie. Data la sua coscienza papale, Don Bosco non poté restare in silenzio dinanzi al dilagare di idee pericolose e liberali. Tanto più che gli uomini che le diffondevano eran gli stessi che facevano guerra agli istituti religiosi, osteggiavano il clero, e non solo miravano a spodestare il Papa del dominio temporale, ma a menomargli i diritti e le prerogative della stessa autorità spirituale.
Scrive Don Lemoyne: « Gli opuscoli delle Letture Cattoliche testificano l´affetto generoso di Don Bosco verso la Santa Sede. Egli per difenderla fu sempre, come suol dirsi, sulla breccia ». E specifica: « Con un fascicolo(296) aveva nel 1855 minacciati i castighi di Dio a coloro che usurpavano i beni della Chiesa; e col sopraddetto sostiene il dominio civile dei Papi. Nei tempi che correvano era un atto che richiedeva un coraggio non comune, potendo nascere pericoli gravissimi per lui, come infatti avvenne »(297).
Stampando nel 1860 un volumetto di Mons. De Ségur su questa materia, che a quel tempo era diventata questione del giorno, Don Bosco premise questa nota, superiore a ogni commento: « Questo scritto tratta di religione e non di politica, e mi sta a cuore che ognuno ne sia persuaso. Esso fa appello al pubblico buon senso e alla buona fede: ed ecco perché spero che sarà ben accolto da te, carissimo lettore. Se ti parlo del potere temporale del Papa, non lo fo che sotto il punto di vista della religione e della coscienza, che invano si vorrebbero restringere alle cose invisibili. Leggi queste poche pagine con animo spregiudicato, e vedrai che la verità parlerà più forte di tutti i sofismi »(298).
In difesa di tale verità Don Bosco sostenne, proprio quell´anno, le umilianti perquisizioni domiciliari con cui si presumeva di convincerlo quale membro ed anche autore di congiure antigovernative. Ed essendogli stato chiesto in una di tali circostanze: « Ma insomma, che ne pensa lei delle recenti annessioni al Piemonte delle Province Romane? », energicamente rispose: « Come cittadino son pronto a difendere la patria anche con la vita; ma come cristiano e come sacerdote non potrò mai approvare queste cose »(299).
Sul finire di quell´anno, nell´Appello ai Cattolici Don Bosco inculcava « di alleviare con la pia opera del Denaro di San Pietro la necessità in cui si trova ‑ sono sue parole ‑ il Santo Padre per lo spogliamento fattogli del patrimonio temporale, che la Divina Provvidenza gli assegnò per la sua indipendenza »(300).
E poco prima il medesimo Don Bosco, postillando un altro opuscolo di Mons. De Ségur, diceva con bontà al lettore: « Pensa che coloro, i quali tengono discorsi avversi al Papa ed al suo potere temporale, forse, non son altro che ingannati o ignoranti, e non già pervertiti. Quindi se altro non puoi fare, prega per loro che Dio li illumini onde riconoscano la verità e la giustizia. Imita ‑ proseguiva ‑ la celeste carità del Santo Pontefice Pio IX, il quale, mentre è costretto a colpire di scomunica maggiore gli invasori del patrimonio di San Pietro, prega ardentemente per loro ed invita tutta la Chiesa a pregare, per raccoglierli di nuovo ravveduti e pentiti nell´ovile di Cristo, e stringerli al paterno suo cuore. Così sia di loro e degli uomini tutti »(301).
Nelle quali parole il nostro Padre non solo difendeva i sacrosanti diritti del Papa, ma dimostrava legittimo il suo procedere contro gli usurpatori dei millenari possedimenti della Chiesa.
Che tale fosse l´aria che si respirava intorno a Don Bosco, lo dimostra un episodio, di cui fu protagonista in quell´autunno il chierico Giovanni Cagliero. Andato a Castelnuovo d´Asti s´incontrò col vecchio maestro, sacerdote, il quale difendeva l´invasione delle Marche e dell´Umbria ordinata dal Governo e si azzardava persino a dire che il Papa avrebbe potuto trasferirsi a Gerusalemme od altrove senza scapito per la religione. « Io ‑ narra il Cagliero ‑ non rimasi silenzioso; ma la mia opposizione fu tanto accalorata, che credetti avergli perduto il rispetto; quindi... pensai di chiedergli scusa. Egli senza farne caso disse: ‑ Ti compatisco; Don Bosco riguardo al Papa vi scalda tanto la testa, che sareste capaci di farvi martiri per la sua causa »(302). Testimonianza preziosissima ed assolutamente perentoria.
Il 21 maggio di quello stesso anno Pio IX, rispondendo a una lettera di Don Bosco e ad un´altra dei giovani, esprimeva il suo alto gradimento, poiché « da quelle lettere ‑ diceva il Papa ‑ abbiamo potuto conoscere quale e quanto grande sia in te e nei medesimi giovani la fedeltà, l´amore e l´ossequio filiale verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro, e quanto acerbo il dolore ed il lutto per gli iniquissimi e sacrileghi attentati contro il civile principato Nostro e di questa Apostolica Sede, commessi da quegli uomini che, fierissima guerra portando alla Chiesa Cattolica ed alla medesima Sede, non esitano a conculcare ogni diritto divino e umano »(303).
Simili espressioni Pio IX aveva usato in altra lettera del gennaio 1860 a Don Bosco, e a quanti con lui si adoperavano « a tutto potere » per opporsi con la parola e con gli scritti « alle macchinazioni dei nemici della Chiesa »(304).
Questo fece Don Bosco in tutto il lungo e movimentato decennio dal 1860 al 20 settembre 1870. Tentò dapprima di guadagnare alla buona causa l´apostata Carlo Passaglia, già benemerito del dogma dell´Immacolata Concezione di Maria, ma divenuto nel 1862 corifèo di quelli che volevano dal Papa la rinuncia ai suoi diritti(305). In seguito tenne fronte ai passagliani in abito ecclesiastico, ripetendo ad essi la sua formula: « Io sono col Papa; sono cattolico; obbedisco al Papa ciecamente »(306); e al Ministro dell´Istruzione Michele Amari non dubitò di ribadire quanto aveva scritto nella sua Storia d´Italia intorno al Potere temporale dei Papi: « Io ho narrato la storia esponendo l´origine di questo potere, il suo ampliamento consecutivo, i vantaggi recati dai Papi all´Italia. Sfido a smentirmi in questo; e non ho col mio racconto detto parola contro l´attuale stato delle cose »(307).
Con ragione pertanto Don Dalmazzo poté deporre nei processi: « Don Bosco sostenne vigorosamente... i diritti temporali del Papa; e più volte, anche dinanzi ad alcuni che gli entravano in argomento, fu udito difendere vittoriosamente tali diritti »(308).
Anzi, nel gennaio 1869 le Letture Cattoliche uscivano con un volumetto del Sac. Pietro Boccalandra dal titolo: Del Dominio Temporale del Papa. Conversazioni tra uno studente ed un professore. Don Lemoyne così ne riassume il contenuto: « Nel fascicolo erano confutati quelli che volevano spogliato il Papa dei suoi domini e pretendevano esser egli obbligato a rinunziarvi, ed essere in colpa se anche con le armi tentasse di resistere per conservarli »(309).
A quell´ora Don Bosco non si faceva illusione sul corso degli avvenimenti. Fin dal 1863 aveva scritto a Pio IX che non si lusingasse con le apparenze della pace che sembrava essere raggiunta: bisognava prepararsi al sacrificio di Roma, che sarebbe « preda della rivoluzione »(310).
Da soldato fedele però egli aveva combattuto fino all´ultimo per difendere i sacri diritti della Chiesa e del Vicario di Cristo.
La storia in verità ha uno sviluppo che non tocca a noi sindacare: Iddio governa gli avvenimenti umani e li dispone per la sua gloria. È certo tuttavia che l´atteggiamento del nostro Padre nella questione del potere temporale dei Papi fu quello di un figlio e di un soldato: e può avere mille applicazioni pratiche, di fronte ai moderni attentati contro i sacrosanti diritti del Papa nel compimento del suo apostolico mandato. L´esempio della fermezza incrollabile di San Giovanni Bosco ci stimoli ad agire secondo le possibilità delle nostre forze, affinché l´autorità del Papa sia sempre e da tutti riconosciuta, accolta e rispettata.
22. ‑ DIFENSORE DEI SOMMI PONTEFICI
Il canonico Giovanni Anfossi, il quale mentre era studente all´Oratorio aveva scritto sotto dettatura di Don Bosco la vita del Pontefice Sant´Aniceto per le Letture Cattoliche, depose al processo apostolico: « Di alcuni Papi bistrattati dal giornalismo o da storici moderni, Don Bosco trattò a parte anche per iscritto, e a noi tenne discorsi familiari, principalmente la domenica mattina, perché ne avessimo una idea storica esatta »(311). E poco prima il medesimo teste, indubbiamente bene informato, aveva asserito: « Soleva dire che molti scrivevano e parlavano male dei Papi, non conoscendo affatto il gran bene da essi operato a pro della religione e della patria »(312).
Animato perciò da santo zelo il Santo si studiò di fare il contrario. E gran parte della sua attività di scrittore, di predicatore popolare e di educatore della gioventù povera e abbandonata, fu rivolta a difendere la dignità conculcata e i meriti misconosciuti dei Papi. Sua massima fondamentale era questa: « Bisogna che la figura del Papa risplenda di tutta la sua luce innanzi a tutto il mondo »(313). Ciò tuttavia egli non riferiva soltanto a Pio IX, che possiamo chiamare il suo Papa, perché fu colui che meglio lo comprese e più lo aiutò nelle sue fondazioni; ma lo applicava a tutti i Papi della storia, anzi al Papato come divina istituzione, indispensabile alla vita della Chiesa e altamente benemerita della intera umanità.
Egli difese innanzi tutto, contro le tendenziose affermazioni dei protestanti, la venuta di San Pietro a Roma. Benché la Congregazione dell´Indice abbia fatto qualche appunto in materia al suo Il Centenario di San Pietro Apostolo(314), Don Bosco poté affermare al riguardo: « Che il Romano Pontefice sia successore di San Pietro credo di averlo ripetuto cento volte nel corso del testo; anzi chi legge può di leggieri accorgersi che questo comunque siasi lavoro non ha altro scopo che provare, insinuare e definire il primato di San Pietro passato nel Romano Pontefice suo successore »(315).
Seguì anche le polemiche sorte fra cattolici e protestanti intorno alla dibattuta questione; e avuta dal conte Benadoluci copia del Racconto autentico della disputa avvenuta in Roma la sera del 9 e 10 febbraio 1872 fra sacerdoti cattolici e ministri evangelici intorno alla venuta di San Pietro in Roma, gli scriveva: « Noi l´abbiamo letto in pubblico e in privato e, mentre lodiamo la verità trionfante, ci sentiamo vivamente indignati per l´audacia con cui i nemici della religione e della società osarono proporre e sostenere tale disputa con tante menzogne »(316). Egli poi, ad ogni buona occasione, e magari viaggiando in treno, rintuzzava simile audacia, cooperando al trionfo della verità(317).
Ugualmente fermo e deciso si mostrò Don Bosco nel difendere l´ortodossia di tutti i Papi. Basti riprodurre ciò che stampò nei Fondamenti della Religione Cattolica, riveduti ed ampliati dopo il Concilio Vaticano del 1870, e inseriti nel Giovane Provveduto.
Alla domanda: « Che cosa rispondere a quelli che dicono essere alcuni Papi, caduti in errore? opponeva come risposta la seguente formale dichiarazione: « Questa asserzione si deve negare assolutamente, rispondendo che i fatti addotti o sono calunnie inventate contro i Papi, o si riferiscono a cose non riguardanti la Fede. Tutti quelli che hanno fatto uno studio profondo ed imparziale della Storia Ecclesiastica, convengono che queste asserzioni sono false; e chi insegna diversamente o s´inganna o vuole ingannare ».
Quanto ai Papi bistrattati dalla Storia, bastino poche parole di Pio IX. In una udienza del 1867, dopo aver discorso con Don Bosco sui primi avvenimenti del suo Pontificato, gli disse: « Tre Papi sono a voi debitori! Ne avete difesa la fama, oltraggiata, con la Storia d´Italia, la Storia Ecclesiastica e le Letture Cattoliche »(318).
Non importa qui sapere a quali Papi si alludesse. Merita tuttavia di esser ricordato ciò che nel 1873 Don Bosco scriveva a Mons. Domenico Cerri in seguito a « un terribile articolo su Alessandro VI » pubblicato da una autorevole rivista cattolica romana. Gli diceva: « Forse ella ha già scritto o starà scrivendo qualche cosa ad hoc. Ad ogni modo io credo che sia la sola persona che ciò possa fare. Abbia la bontà di dirmi qualche cosa, e mi farà un gran piacere »(319). Sempre il medesimo, il nostro buon Padre, ogni qual volta era oscurato o comunque menomato il rispetto e l´ossequio dovuti alla dignità pontificia! Non sapeva e non poteva tacere; e non avendo ormai la possibilità di uscire pubblicamente in difesa del manomesso onore del Papa, si rivolgeva ad altri perché ciò fosse fatto nel migliore dei modi.
Dal canto suo cercò di tutelare anche la sacra persona e gli interessi del Papa, sia contro il pericolo di attentati(320), sia contro persone che abusano della fiducia ottenuta dal Pontefice(321).
I suoi nemici, che erano i nemici di Dio e della Chiesa, lo poterono beffeggiare con disprezzo come « l´occhio destro del Vaticano »(322). II ministro Ricàsoli lo poté qualificare, sia pure con benevolo scherzo, « più cattolico del Papa »(323). Ma una cosa è certa: la devozione filiale e il profondo rispetto di Don Bosco al Papa non era soltanto di parole, ma soprattutto di opere; e in ogni momento, in ogni circostanza, lo troviamo pronto a scendere in campo a incrociare le armi con gli avversari per difendere il nome, il decoro, la persona, i meriti, la dignità dei Sommi Pontefici.
Come si è detto, questo fece con tutti i Papi, perché tutti ugualmente Vicari di Gesù Cristo e perciò ugualmente meritevoli di ossequio; ma non si dura fatica a comprendere che ciò abbia fatto in particolare con Pio IX, il Papa del suo cuore.
Fu senza dubbio tra i più sicuri informatori del grande Pontefice; tanto che nel 1875, dopo aver toccato questo argomento con un sacerdote di Modena, bonariamente gli diceva: « Ella, signor Teologo, crederà Don Bosco essere un gran framassone, e andrà a diffamarmi per Modena. Ma non tema: io sono un framassone a modo mio e solo in qualche circostanza ». E poi usciva nella seguente dichiarazione, che è tra le più singolari ed eloquenti: « Pio IX sa abbastanza che io gli sono attaccato più che il polipo allo scoglio »(324).
In queste parole c’è tutto Don Bosco!
23. ‑ SACRA EREDITÀ
ALLA FAMIGLIA SALESIANA
Nella sua instancabile difesa della Santa Sede e del Pontificato Romano il nostro santo Fondatore e Padre volle, senza alcun dubbio, fornire un esempio ai suoi figliuoli, prima di lasciarci a voce e per iscritto il suo “programma papale” come sacra eredità, che noi dobbiamo mantenere e accrescere con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Anzi, via via che passavano gli anni e la sua carriera volgeva al termine, San Giovanni Bosco ebbe la chiara persuasione che il Signore e Maria Ausiliatrice avevano suscitato la Società Salesiana in servizio e a difesa della suprema autorità apostolica. E fu questo un punto saliente del suo testamento spirituale alla Congregazione.
Due testimoni tra i più noti dei processi hanno cura di accentuare le intenzioni del nostro Padre e Fondatore a questo riguardo.
Il primo, Don Berto, si esprime così: « Don Bosco ci ricordava... sovente che uno degli scopi della Congregazione Salesiana era quello di sostenere e difendere l´autorità del Sommo Pontefice e della Religione, nella classe meno agiata della società e particolarmente fra la gioventù pericolante, con la parola, gli scritti e la stampa ». E dopo aver accennato a varie attività papali di Don Bosco e alle intenzioni da cui erano determinate, concludeva: « Questi sentimenti di profondo rispetto, adesione e sottomissione a tutti gli insegnamenti del Papa, sia pubblici che privati, Don Bosco li lasciò come in testamento ai suoi figli, pubblicando nel 1887 che gli alunni della Congregazione non si discostassero mai da tali sentimenti verso la Santa Sede Apostolica, ad imitazione di San Francesco di Sales loro patrono, adducendo per ragione che nel governo della Chiesa il Papa è assistito in modo particolare dallo Spirito Santo »(325).
Il secondo teste, il Cardinale Cagliero, dopo di aver parlato della venerazione di Don Bosco per i vescovi, più succintamente afferma: « Se venerava tanto i vescovi, ancor più venerava il Sommo Pontefice e la Chiesa Romana. Fu per l´amore che portava al Papa e alla Cattedra Apostolica che si recò molte volte a Roma, che ne studiò tutte le memorie e i monumenti sacri, che scrisse e pubblicò le Vite dei Papi, che fondò la Pia Società Salesiana, alla quale comandò di compiere la sua missione, sempre in difesa e sostegno del Vicario di Gesù Cristo e della Chiesa Cattolica »(326).
Che tali fossero le intenzioni di Don Bosco fin dal costituirsi della Congregazione, appare chiaramente da una sua ufficiale dichiarazione del 1864. Inviando a Roma in tal anno lo schema primitivo delle Costituzioni, affinché la Santa Sede, introdotte le opportune modificazioni, le approvasse almeno ad experimentum, aveva cura di rilevare in foglio a parte: « In questo regolamento non si parla esplicitamente del Sommo Pontefice, sebbene sia scopo principale di esso il sostenere e difenderne l´autorità con tutti quei mezzi che i tempi, i luoghi e le persone permetteranno di poter prudentemente usare ». E spiegava: « Il motivo per cui detto regolamento si esprime meno esplicitamente si è che questa casa essendo già stata più volte perquisita dall´autorità civile, ad oggetto di trovarvi relazioni compromettenti ‑ si diceva ‑ con Roma, la Società correrebbe rischio di essere posta a repentaglio, qualora questo regolamento, cadendo in mano a taluno, vi si trovassero espressioni non opportune »(327).
La Società Salesiana pertanto, non solo è nata dal benevolo interessamento e dalla chiaroveggente comprensione del Pontefice Pio IX(328), ma è nata col fine preciso di sostenere e difendere in faccia al mondo l´autorità pontificia.
Questo, oltre che dall´accennata dichiarazione del 1864, appare dalle trattative condotte dal nostro Padre negli anni 1873‑74 per impetrare l´approvazione definitiva delle Regole, di cui il suddetto regolamento era stato la prima scheletrica formulazione.
Infatti nel Riassunto (storico‑statistico‑informativo) della Pia Società di San Francesco di Sales, che Don Bosco stese in data 23 febbraio 1874, per allegarlo al voluminoso incartamento da presentare alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, scriveva essere oltre cinquanta i sacerdoti salesiani che lavoravano « a dare esercizi spirituali, missioni, tridui, novene, a confessare negli ospedali, negli istituti di beneficenza, nelle carceri, in paesi e città di varie diocesi; mentre altri si occupavano a comporre e stampare libri e dizionari e a purgare classici italiani, greci e latini. Ma ‑ concludeva, coordinando e unificando sì svariate attività, ‑ tanto nella composizione di questi libri, quanto nella diffusione di molti altri, come pure nella predicazione e nei catechismi, si ebbe sempre di mira lo scopo fondamentale della Congregazione, che fin dal suo principio fu di sostenere e difendere l´autorità del Capo Supremo della Chiesa nella classe meno agiata della società e particolarmente nella gioventù pericolante »(329).
Questo pensiero del nostro buon Padre, al quale faceva eco la sua molteplice azione sacerdotale, si era concretato in un punto delle Regole, che nell´esame dell´approvazione non subì che una leggerissima mutazione di forma(330). Esso, giova qui ripeterlo, suona così: « I soci avranno per arbitro e per Supremo Superiore il Sommo Pontefice, cui saranno in ogni luogo, in ogni tempo e in ogni sua disposizione, umilmente e riverentemente sottomessi, anche in forza del voto d´obbedienza. Che anzi sarà precipua sollecitudine d´ogni socio di promuovere e difendere con tutte le forze l´autorità e l´osservanza delle leggi della Chiesa Cattolica e del suo Capo Supremo, Legislatore e Vicario di Gesù Cristo sopra la terra » (Costit., 49).
Anche nel primitivo regolamento per la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, composto nel 1874 e stampato in appendice alle Regole per ottenerne l´approvazione dalla Santa Sede, Don Bosco tra gli scopi dell´Associazione scriveva: « Ogni associato si darà la massima cura di impedire ogni discorso, ogni opera che sia contro il Romano Pontefice e contro la sua suprema autorità. Quindi osservare le leggi della Chiesa e promuoverne l´osservanza, inculcare il rispetto al Romano Pontefice, ai vescovi e sacerdoti, promuovere catechismi, novene, tridui, esercizi spirituali, e in generale intervenire, ed animarci altri ad intervenirvi, ad ascoltare la parola di Dio, sono cose proprie di questa Associazione »(331).
Ed era felice San Giovanni Bosco, allorquando gli pareva che gli scopi da lui intesi venivano raggiunti non solo, ma anche conosciuti dalla Santa Sede. Nel 1878, appena eletto il successore di Pio IX, dava alle stampe Il più bel fiore del Collegio Apostolico, nel quale illustrava la figura del novello Pontefice: e ne umiliava copia allo stesso Leone XIII, che lo ringraziava per mezzo del Cardinale Nina. Comunicando l´augusto compiacimento del Papa al Capitolo Superiore, Don Bosco diceva di aver raggiunto l´intento, ed aggiungeva: « Al Santo Padre io avevo mandato quel libro, perché vedesse come noi lavoriamo alacremente, e quale sia l´attaccamento nostro alla Cattedra di Pietro, e gli sforzi che facciamo per infondere negli altri l´ossequio e l´amore verso il Vicario di Gesù Cristo »(332).
Affinché questo spirito altamente papale, fine precipuo della Congregazione, non avesse a scomparire dopo la sua morte, il nostro santo Fondatore si preoccupava di chi gli doveva succedere nel governo della Società. Nel 1884, prima che Leone XIII gli desse in Don Rua un Vicario con diritto di successione(333), Don Bosco indirizzò a tutti i suoi figli un lungo testamento paterno. Rivolgendosi agli elettori del nuovo Superiore Generale della Congregazione, li esorta fra l´altro a dare il voto a chi è « conosciuto per il suo attaccamento alla Santa Sede e a tutte le cose che in qualche maniera a quella si riferiscono »(334). Al neo‑eletto poi inculca di dare « tosto al Santo Padre notizia di sua elezione » e di offrire « sé e la Salesiana Società agli ordini e ai consigli del Supremo Gerarca della Chiesa »(335).
Il miglior testamento papale tuttavia il nostro santo Fondatore lo dettò durante l´ultima sua infermità. Mentre i protestanti, che in lui avevano scorto sempre un antesignano della più schietta papalità, gli lanciavano contro gli ultimi strali delle loro critiche, accusandolo di togliere i selvaggi da un paganesimo idolatrico per gettarli in quello romano(336), dal letto di morte egli affidava a Monsignor Cagliero, venuto dalla Patagonia per assistere ai suoi ultimi giorni, un confidenziale messaggio da trasmettere a Leone XIII: « Dirai al Santo Padre ciò che fino ad ora fu tenuto come un segreto. La congregazione ed i Salesiani hanno per iscopo speciale il sostenere l´autorità della Santa Sede, dovunque si trovino e dovunque lavorino ». Ed aggiunse, spingendo lo sguardo nel futuro e divinando lo sviluppo della Società nel campo delle Missioni: « Voi andrete, protetti dal Papa, nell´Africa...; l´attraverserete...; andrete nell´Asia, nella Tartaria ed altrove. Abbiate fede »(337).
Ed essendo sopraggiunto il Cardinale Alimonda, arcivescovo di Torino, Don Bosco posseduto da quel grande pensiero, che si illuminava ormai con riflessi di eternità: « Tempi difficili, Eminenza –esclamò. ‑ Ho passato tempi difficili... Ma l´autorità del Papa... L´autorità del Papa!... L´ho detto qui a Mons. Cagliero che lo dica al Santo Padre: che i Salesiani sono per la difesa dell´autorità del Papa, dovunque lavorino, dovunque si trovino. Si ricordi di dirlo al Santo Padre, Eminenza »(338).
« In quelle parole ‑ commentò poi il Cardinale Alimonda - il venerabile Uomo mi apriva il suo testamento »(339). Chi di noi lo potrebbe mettere in dubbio?
Che se nel testamento scritto nel 1884, pensando all´anima sua aveva dichiarato: « Io intendo di vivere e di morire nella santa Cattolica Religione, che ha per Capo il Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo sopra la terra »(340); nel dicembre del 1887, agli estremi confini della vita, pensando alla Congregazione e ai figli che restavano a lavorare nel solco da lui aperto, lasciava loro come sacra eredità uno dei palpiti più intimi e profondi del suo cuore di sacerdote e di santo, di padre e maestro della Famiglia Salesiana: l´autorità del Papa, da sostenere e difendere dovunque e in faccia a chicchessia.
Conserviamo pertanto gelosamente il testamento di San Giovanni Bosco, espressione viva e parlante della sua vita di apostolo, affinché sia richiamo e stimolo a fare ciò che disse e a ripetere ciò che fece, nell´unico intento di glorificare Iddio e la sua Chiesa, e di salvare le anime.
24. ‑ SULLE ORME DEL PADRE
È doveroso e confortante insieme il riconoscere che i sentimenti del nostro santo Fondatore per il Vicario di Gesù Cristo passarono ai suoi Successori, i quali ebbero a cuore di conservarli e diffonderli nella Famiglia Salesiana.
Presentandosi per la prima volta a Leone XIII nella sua qualità di Rettor Maggiore, il Servo di Dio Don Rua offriva al Pontefice i suoi omaggi e quelli dell´intera Società. « Tutti i Salesiani ‑ disse ‑ vogliono esser sempre figli devoti, rispettosi, obbedienti, affezionati di Vostra Santità e della Chiesa, continuando a lavorare quanto possono alla gloria di Dio e al bene delle anime, sostenendo le opere iniziate dal compianto... Fondatore ».
Accennando a Don Bosco, Don Rua assicurò il Papa che egli aveva sempre insegnato « la più illimitata obbedienza » al Vicario di Cristo, e ricordò le parole dette, qualche settimana prima della morte, a Mons. Cagliero e al Cardinale Alimonda: essere cioè i Salesiani per la difesa del Papa. « A queste parole - narra Don Rua ‑ il Santo Padre parve commuoversi, e disse: ‑ Oh! si vede che il vostro Don Bosco era un santo simile in questo a San Francesco d´Assisi, il quale allorché venne a morire raccomandò caldamente ai suoi religiosi di essere sempre figli devoti e sostegno della Chiesa Romana e del Suo Capo. Praticate queste raccomandazioni del vostro Fondatore e il Signore non mancherà di benedirvi »(341).
Non solo Don Rua praticò le raccomandazioni di Don Bosco, ma si sforzò di inculcarle a tutta la Congregazione. « Vi son noti ‑ scriveva ad esempio, nel 1893 ai confratelli ‑ i sentimenti di Don Bosco verso la Santa Sede e verso la persona del Vicario di Gesù Cristo. Egli lo considerò sempre come il faro luminoso che doveva guidare i suoi passi. C´insegnò con la parola e con l´esempio ad amarlo, difenderlo e accoglierne gl´insegnamenti col massimo rispetto e con la più scrupolosa obbedienza »(342).
Di questa filiale devozione al Vicario di Gesù Cristo diede, tra le altre, la seguente luminosa prova. Come sappiamo, l´antica disciplina ecclesiastica concedeva ai superiori religiosi la facoltà di confessare i loro sudditi. In seguito la Chiesa, pel desiderio di rispettare nel modo più assoluto la libertà di coscienza, stabili diversamente. Precisamente nel 1901 fu comunicata questa decisione anche al Rettor Maggiore dei Salesiani. Don Rua notificò ai confratelli la volontà della Santa Sede che i superiori si astenessero dall´ascoltare le confessioni dei propri sudditi: e usò parole di tanta fede e di tanta adesione alla suprema Autorità della Chiesa, che è bene siano qui ricordate. Ecco le più salienti espressioni della lettera confidenziale inviata alle Case:
« Finora, a norma delle Deliberazioni dei Capitoli Generali, tenevamo una via che ci pareva più adatta alle nostre circostanze; ora Chi fu da Dio incaricato di ammaestrare i popoli e anche i loro maestri, ci fa conoscere che dobbiamo modificarla; e noi, riconoscenti e rispettosi, con piena e volonterosa obbedienza eseguiamo quanto ci viene prescritto, imitando così il nostro buon Padre Don Bosco, che tanta venerazione ed obbedienza prestò sempre a qualsiasi cenno della Santa Sede...
» Riteniamo che è disposizione dell´amorevole Provvidenza; che è Gesù stesso che si degna parlarci per mezzo del suo Vicario; e studiamoci di eseguire gli ordini con la maggiore fedeltà. La data di questa ‑ 6 luglio, Ottava dei SS. Apostoli Pietro e Paolo ‑ ci deve ricordare che è San Pietro, che, per mezzo del suo Successore Leone XIII gloriosamente regnante, ci fa avere questo prezioso documento ».
Il secondo Successore di Don Bosco, Don Paolo Albera, dando notizia di una memorabile udienza concessagli da Benedetto XV il 18 dicembre 1920, si effonde in queste paterne confidenze e autorevoli riflessioni:
« Se debbo esprimervi tutto quello che passa nell´animo mio in questo istante, vi dirò che, tra i doveri che m´incombono per l´ufficio assegnatomi dalla Divina Provvidenza, uno di quelli da cui ricevo maggior conforto è indubbiamente questo di prostrarmi ai piedi del Papa, per dirgli che tutti i Salesiani e tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice nutrono per lui quei medesimi sentimenti di devozione profonda e illimitata che nutriva il nostro venerabile Padre.
» E se il paterno affetto che sento per ciascuno di voi in particolare non mi fa velo, mi pare di poter affermare con tutta verità che realmente nei due rami della grande famiglia di Don Bosco il Papa occupa sempre il posto veneratissimo di Supremo Superiore, che gli è assegnato dalle nostre Costituzioni, anzi più che di Superiore, di Padre amato.
» È questa un´impronta che Don Bosco volle dare alla nostra umile Società, trasfondendo in essa quei sentimenti che traboccavano dal suo cuore; e noi possiamo andare orgogliosi di averla mantenuta sempre intatta e di avere concorso a diffondere, dovunque l´opera nostra poté giungere, la divozione e I´attaceamento alla Santa Sede Apostolica.
» Per Don Bosco ‑ scrive ancora Don Albera ‑ il Papa era una sorgente inesauribile di attività e di bene; dal Papa egli attingeva il coraggio indomito nelle sue sante imprese, la costanza incrollabile nel fare il bene, anche quando ostacoli sopra ostacoli gli attraversavano la via. Don Bosco per il Papa soffrì assai, e ancor più era pronto a soffrire. Dal Papa egli cercava soprattutto una cosa: la certezza che tutto il suo operato, le sue iniziative di bene, le molteplici opere di apostolato, lo spirito informatore del suo nascente Istituto, rispondessero pienamente alle direttive e ai desideri del Vicario di Gesù Cristo; perché, diceva, quando abbiamo l´approvazione del Papa, abbiamo l´approvazione di Dio; quando il Papa è contento di noi, lo è pure Iddio.
» Così anche noi, che ci gloriamo di chiamarci figli di Don Bosco, dobbiamo al par di lui nutrire costantemente nel nostro spirito questi sentimenti d´illimitata e indefettibile sudditanza e devozione filiale verso il Sommo Pontefice, e rallegrarci sapendo che il Papa è pienamente soddisfatto dell´opera nostra, per quanto umile ancora e manchevole »(343).
Di ubbidienza, venerazione, amore al Papa sono ingemmate anche le Circolari del Servo di Dio Don Filippo Rinaldi, terzo Successore di Don Bosco; specie quelle che si riferiscono alle varie fasi del processo di Beatificazione del nostro Padre e Fondatore.
In occasione del Giubileo d´Oro Sacerdotale di Pio XI, così scriveva il 6 gennaio 1929 ai Salesiani: « Con l´entusiasmo che mai non manca ai veri figli di Don Bosco quando si tratta del Papa, voi avete partecipato, non ne dubito, a questo preludio di festeggiamenti e di preghiere che saranno continuati per l´intero anno giubilare. Perciò non occorre che vi dica che non dobbiamo essere secondi a nessuno in questi giubilari festeggiamenti: anzi, nei limiti delle nostre forze, è mio desiderio vivissimo, che promuoviate e zeliate quelle iniziative che vi parranno più efficaci, nella cerchia della vostra azione di bene, per entusiasmare all´amore del Papa la gioventù a voi affidata.
» Vorrei avere il cuore infiammato di Don Bosco e la sua parola così viva e penetrante ‑ continuava Don Rinaldi ‑ per dirvi con più efficacia questo pensiero, affinché nessuno di voi non creda mai di far troppo per attestare il proprio amore al Santo Padre Pio XI. Noi dobbiamo avere verso di lui tutti i profondi sentimenti di venerazione e di affetto tenerissimo, che albergavano nel cuore di Don Bosco verso Pio IX e Leone XIII. Quand´egli parlava del Papa, ben lo ricordo, la sua voce diventava così insinuante e commossa che spesso imperlava di lacrime gli occhi di lui e di chi l´ascoltava!... Erano lacrime dell´amor filiale che si sentiva impotente a palesarsi e a comunicarsi altrui in tutta la sua intensità. Egli però non amava già il Papa solo " a parole e con la lingua, ma con l´opera e con la verità ". E noi dobbiamo fare altrettanto »(344).
I Successori adunque del nostro santo Fondatore, imbevuti del suo spirito, non mancarono di tener accesa fra noi la fiaccola della devozione al Papa.
Rimangono e rimarranno sempre di attualità, pertanto, le raccomandazioni che Don Albera faceva nel 1912, ai tempi del prossimo Beato Pio X. Il venerato Superiore paternamente inculcava:
« 1) Nelle prediche, nel sermoncino della sera e in altre circostanze, parliamo volentieri del Papa, della sua autorità, della sapienza delle sue disposizioni. Questo. può farsi opportunamente, ad esempio nella ricorrenza della Festa di San Pietro (29 giugno) e delle due Cattedre (18 gennaio e 22 febbraio), della elezione e incoronazione, del genetliaco e onomastico del Santo Padre. Altre occasioni saprà ben cogliere la nostra pietà. Invitiamo i giovani a pregare per lui. Studiamoci di formare nei nostri alunni una coscienza fortemente cattolica e papale, che li aiuti a trionfare da ogni insidia che in avvenire fosse tesa alla loro fede.
» 2) Nel programma delle nostre accademie dovrebbe sempre figurare qualche cosa che ricordi le benemerenze e le glorie del Papato; e massime del Papa regnante.
» 3) Detestiamo e teniamo lontano dalle nostre Case ogni scritto dove si dica male del Papa, se ne scemino l´autorità e le prerogative, se ne censurino le disposizioni o si contengano dottrine meno conformi ai suoi insegnamenti.
» 4) Nelle conversazioni non tolleriamo parola men rispettosa verso la persona o l´autorità del Papa e delle Congregazioni Romane, o meno deferente verso le disposizioni della Santa Sede.
» 5) Facciamoci ‑ conchiudeva Don Albera ‑ un dolce obbligo di praticare le sue raccomandazioni »(345).
Per tal modo la Famiglia Salesiana continuerà sempre a imitare i luminosi esempi e calcare le fulgide orme del santo Fondatore.
Nel secolo scorso i nemici della Chiesa e del Papato riconoscendo, se pure a malincuore, i meriti e l´efficacia dell´azione papale del nostro Padre, arrivarono a scrivere nei loro giornali che in Don Bosco l´arte di innamorare del Papa era « tutto » e che valeva in ciò « mille maestri clericali e mille giornalisti cattolici ». Dicevano anzi: « Guai se le cento città d´Italia avessero per ciascuna un Don Bosco! »(346). Che fortuna, al contrario, se tutte le città del mondo avessero un Don Bosco, il quale fatica, lotta e soffre per la gloria e il trionfo del Papa! Questo almeno avvenga là dove c´è una Casa Salesiana e dove un Figlio o una Figlia di Don Bosco svolge l´opera affidataci dalla Provvidenza.
Il nostro Padre morì con la dolce persuasione che, quanto più la Santa Sede verrebbe assalita dai suoi implacabili e secolari nemici, tanto più i Cooperatori Salesiani l´avrebbero esaltata nel mondo(347). Che cosa non si aspetterà dunque dai suoi Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, che ormai sono, per la bontà del Signore, tanto numerosi e sparsi pel mondo intero ?
Di San Giovanni Bosco il Cardinale Alimonda disse che fu « delizia e tesoro di Pio IX, delizia e venerazione di Leone XIII »(348). Dio voglia che l´umile Famiglia Salesiana, attraverso l´operosa devozione papale di tutti i suoi membri, possa dovunque e sempre essere il tesoro di Colui, che lo Spirito Santo pone al governo della Chiesa.
E così la Strenna del 1950, XXV Anno Santo: Conoscere, Amare, Difendere il Papa, sarà la costante realtà anche di tutti gli anni avvenire, e noi attueremo pienamente il programma di Don Bosco, da Don Lemoyne riassunto in questi termini: « Tutto col Papa, pel Papa, amando il Papa »(349).
25. ‑ CONCLUSIONE
Da Pio IX, il Pontefice dell´Immacolata, al felicemente regnante Pio XII, il Papa dell´Assunta, tutti i Romani Pontefici furono ‑ per Don Bosco, e pei suoi Salesiani ‑ Padri, Consiglieri e Benefattori. Per questa segnalatissima grazia sale e salirà sempre dal nostro cuore l´inno della più profonda gratitudine.
Vi fu però un Papa, che ricevette ‑ e paternamente si degnò di gradirlo ‑ il filiale e riconoscente appellativo di Papa di Don Bosco: è l´immortale Pio XI, che beatificò e canonizzò il nostro santo Fondatore e Padre.
Mancavano ancora sei mesi alla Beatificazione di Don Bosco, e già il Servo di Dio Don Rinaldi scriveva ai Salesiani:
« Pio XI ha versato sopra la nostra Congregazione e sopra ciascuno di noi i tesori della carità che gli arde in petto, con tanta regale munificenza e paterna amabilità, che mi rendeva ogni volta più ammirato e commosso nelle molte, preziose udienze ch´Egli si è degnato concedermi in questi anni. Ed ho cercato di mettervi a parte volta per volta di questi tesori della Sua paterna munificenza, per cui non credo necessario richiamarveli qui neanche sommariamente.
» Quello che mi preme invece far rilevare ora ‑ continua Don Rinaldi ‑ si è che il Santo Padre Pio XI ci ama tanto e ci prodiga i suoi favori per aver avuto la fortuna di conoscere da vicino il nostro Don Bosco, riportando un´impressione così profonda della vasta mente, della carità ardente, della bontà inalterabile e della santità di lui da ricordarsela ancora viva viva circa dieci lustri dopo.
» “Noi l´abbiamo veduto da vicino ‑ son le parole di Pio XI ‑ la figura di Don Bosco, in una visione non breve; in una conversazione non momentanea: una magnifica figura che l´immensa, l´insondabile umiltà non riusciva a nascondere; una magnifica figura, che pur avvolgendosi tra gli uomini, ed aggirandosi per casa come l´ultimo venuto; come l´ultimo degli ospiti (egli il suscitatore di tutto), tutti riconoscevano al primo sguardo, al primo approccio, tutti riconoscevano come figura di gran lunga dominante e trascinante: una figura completa, una di quelle anime che per qualunque via si fosse messa, avrebbe certamente lasciato traccia di sé, tanto egli era magnificamente attrezzato per la vita... “».
« Queste parole ‑ commenta Don Rinaldi ‑ sono sgorgate solenni e rivelatrici dal gran cuore di Pio XI il 20 febbraio del 1927, dopo la lettura del Decreto sopra le virtù eroiche del Padre. Pio XI era ancora giovane sacerdote quando fu per alcuni giorni ospite di Don Bosco qui all´Oratorio, ed ebbe la « visione non breve » e la « conversazione non momentanea » . L´una e l´altra si saranno svolte un po´ nella cameretta di Don Bosco; un po´ in mezzo al turbinìo di tanti giovani, i veri figli e perciò i padroni della casa; e un po´ all´ora dei pasti, nel refettorio dei Superiori, dove Don Bosco soleva ricevere, durante i suoi poveri pasti, le confidenze e le relazioni dei suoi figli, venuti dalle altre Case. Nulla dev´essere sfuggito, all´occhio scrutatore del futuro Papa, di quanto si svolgeva attorno a Don Bosco: e tanto gli bastò per convincersi che la divina Provvidenza l´aveva improntato dei suoi doni più preziosi; e lo apprezzò subito al suo giusto valore, conservando dentro di sé, fino al dì in cui per divina disposizione, l´avrebbe più che mai apprezzato riguardandolo bene, duplicando e moltiplicando nel ricordo la letizia di quell´ora.
» Di qui, o miei cari, ‑ conclude Don Rinaldi ‑ ha origine la grande bontà paterna e la benevolenza illimitata di Pio XI verso i poveri salesiani di Don Bosco; e di qui deve pure scaturire il nostro affetto filiale, veritiero e santamente operoso verso il Pontefice che ha sì bene compreso ed apprezzato il nostro Padre in tutta la grandezza della sua carità ed operosità ». Fin qui Don Rinaldi(350).
Orbene, un modo bello e pratico di manifestare l´imperitura riconoscenza della Famiglia Salesiana verso il Papa di Don Bosco è senza dubbio quello di ravvivare il ricordo delle venerate parole rivolte il 3 aprile 1934, e cioè due giorni dopo la Canonizzazione ‑ avvenuta nella Pasqua che chiudeva 1´Anno Santo straordinario, indetto per commemorare il diciannovesimo secolo della Redenzione ‑ parole, dicevano, rivolte a tutti i pellegrinaggi organizzati dai Salesiani e accolti, per l´udienza pontificia, nella Basilica Vaticana(351).
E questa sarà la miglior conclusione a quanto siamo venuti dicendo, non soltanto circa la devozione al Papa, ma anche riguardo a tutto l´argomento della Pietà.
Pio XI infatti ci presenta San Giovanni Bosco nella pienezza della vita cristiana, animata dai tre grandi amori a Gesù Redentore, a Maria Ausiliatrice e al Vicario di Cristo.
Torna adunque a ripeterci il Papa di Don Bosco:
« Proprio con particolare, provvidenziale opportunità è venuta questa Canonizzazione del vostro e nostro Don Bosco in questa chiusura dell´Anno Santo della Divina Redenzione; e certo il vostro e nostro caro Santo ha guadagnato immensamente dall´insieme di queste circostanze e congiunture.
» È stato dapprima l´incontro del Divino Redentore, del Divino Capitano, suscitatore di ogni santità, di ogni apostolato e di ogni bene, l´incontro con un suo servo così fedele, con un soldato così intrepido delle sue sante battaglie. Da una parte si direbbe che Don Bosco sia venuto a rendere al Divino Redentore tutto quello che Gli doveva, come tutto tutti a Lui dobbiamo. Da Lui infatti ebbe principio ogni santità, ogni martirio, ogni bene; da Lui tutto quello che resta di bene in questo mondo anche paganeggiante, tutto quello che resta di bene in questa civiltà e che le viene dalla Croce, dal Cuore, dal Sangue del Redentore e che la fa essere ancora una civiltà cristiana.
» Don Bosco è venuto a rendere omaggio al suo Capo, al suo Signore, al suo Condottiero, e il Divino Redentore ha disposto, proprio sulla fine dell´Anno Santo della Redenzione, di venire quasi in persona a coronare i meriti del suo servo fedele, a mantenere con lui quelle divine promesse che ha fatto a tutti coloro che lo servono con fedeltà. Magnifico incontro! e come bello, splendido, come a posto nel quadro dell´Anno Santo, nel quadro di tutto quel corteo di santità che ha accompagnato il Redentore nel corso di questo Giubileo della sua Redenzione! È una scelta tra i più belli, freschi, olezzanti frutti della Redenzione, in omaggio all´Autore primo di ogni santità. E per questo da Lui noi tutti, e voi specialmente, voi che siete legati da tanti vincoli al nostro caro Santo, dobbiamo imparare quello che deve essere il frutto specifico di questo Anno Santo, quello che si differenzia da tutti gli altri, e per voi si differenzia con la glorificazione del vostro carissimo Padre, anzi Patriarca. E quanto mai appropriato è per voi tal frutto dell´Anno Santo che può anche dirsi « Anno Santo Salesiano »!
E dopo aver accennato al prezioso tesoro delle Sante Indulgenze, il Santo Padre proseguiva:
» Ma questo Anno Santo della Redenzione deve dire qualche cosa di più speciale. Ed infatti lo ha detto, perché lo ha detto il Redentore stesso. Egli ha espressamente indicato il frutto di tutta l´opera sua di Redenzione e noi non possiamo pertanto trascurare un tal frutto che è come la continuazione della Redenzione stessa. Il Signore lo ha detto con parole rivelatrici del suo cuore, delle sue intenzioni, quando ha annunciato di essere venuto perché gli uomini avessero la vita e l´avessero in abbondanza, in sempre maggiore abbondanza: Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. Proprio come se dicesse alle sue care anime: ‑ Abbiate la vita, e abbiatela in abbondanza, in sempre maggiore abbondanza. - E questa è la vita cristiana, perché è Cristo che l´ha data al mondo: Cristo Redentore, vita cristiana. Questa vita cristiana che voi avete già così abbondantemente, dovete averla, svilupparla con abbondanza sempre maggiore; dovete averla in accordo con le parole del Redentore, quando Egli dice che deve essere vita abbondante e sovrabbondante.
» Ed il vostro caro Santo vi dice: ‑ È così che si vive la vita cristiana. ‑ Così come lui l´ha vissuta, come la vissero i Santi, non solo quelli che in quest´anno hanno fatto corteo al Redentore, ma tutti i Santi. Che cosa essi praticarono per raggiungere la santità? Una sola cosa: la vita cristiana abbondantemente, sovrabbondantemente vissuta, quella vita cristiana dalla quale nascono tutte quelle ramificazioni così vaste e magnifiche di apostolato e di bene che conquistano tutti i cuori.
» Il Redentore disse: ‑ Vivete la vita cristiana e vivetela abbondantemente. ‑ Ecco che Don Bosco oggi ci dice: Vivete la vita cristiana così come noi l´abbiamo praticata e insegnata a voi.
» Ma ‑ continuava Pio XI ‑ ci pare che Don Bosco a voi figli suoi, e così particolarmente suoi, aggiunga qualche parola anche più specificatamente indicatrice nel senso che stiamo considerando. Ci sembra che vi dica: ‑ Ascoltate in quale direzione dovete lasciarvi guidare. ‑ Ci sembra che, per indicarvi a procedere sempre più e sempre meglio per quelle vie, vi dia tre nozioni di vita cristiana, vi insegni un triplice segreto.
» Il primo è l´amore a Gesù Cristo, a Gesù Cristo Redentore. Si direbbe persino che questo è stato uno dei pensieri, uno dei sentimenti dominanti di tutta la sua vita. Egli lo ha rivelato con quella parola d´ordine: Da mihi animas! Ecco un amore che è nella meditazione continua, ininterrotta di quello che sono le anime; non considerate in se stesse, ma in quello che sono nel pensiero, nell´opera, nel Sangue, nella morte del Divino Redentore: e l´amore del Redentore diventa amore delle anime redente, che nel pensiero e nell´estimazione di Lui si rivelano non pagate a troppo alto prezzo, se pagate col suo Sangue. È proprio quell´amore del Divino Redentore che siamo venuti ricordando, ringraziando, in tutto questo anno di moltiplicata Redenzione.
» Un altro insegnamento vi da il Padre vostro. Egli vi insegna il grande aiuto, il più forte aiuto sul quale si deve contare per mettere in pratica quell´amore al Redentore che si risolve in amore delle anime, in apostolato per le anime. Maria Ausiliatrice è il titolo che egli ha prediletto tra tutti quelli della Madre di Dio: Maria aiuto dei cristiani, quell´aiuto sul quale egli contava per mettere insieme le milizie ausiliarie con cui marciare alla salvezza delle anime. E Maria Ausiliatrice è la vostra eredità, dilettissimi figli, quella eredità che tutto il mondo potrebbe invidiarvi, se non avesse altre vie per , ricorrervi.
» Ed in questo ricordo si deve scorgere un´altra di quelle congiunture, di quelle che si chiamano combinazioni, ma che sono delicati incontri, provvide preparazioni che la Divina Sapienza sola sa mettere insieme. Uno dei frutti più preziosi della Redenzione è la Maternità universale di Maria. E non si sarebbe potuto celebrare il centenario della Redenzione, senza ricordare che dalla sua Croce, mentre più acute e terribili erano le sue sofferenze di morte, il Salvatore diede a tutti noi la stessa sua Madre per Madre nostra: Ecco il tuo figlio; Ecco la tua madre. È il Divino Redentore che ci ha dato Maria Madre nostra universale, e tale è l´intimo nesso che passa tra la Redenzione e la Maternità umana di Maria. Si direbbe che Don Bosco abbia veduto, in modo speciale, questo intimo legame e lo abbia apprezzato quanto valeva e perciò accanto al Salvatore Divino abbia voluto mettere Maria e affidare Maria, nel titolo che più le conviene, Maria Ausiliatrice, a tutte le opere che il suo gran cuore si proponeva per la salute delle anime. Anche a voi si deve indicare il grande aiuto su cui potrete contare, aiuto che non ha limitazioni nella sua potenza: perché viene da Maria, Madre nostra, che nulla desidera più che porgerci l´aiuto suo nelle opere che ci proponiamo per la gloria di Dio, per il bene delle anime.
» Ma, sapiente e Padre amoroso, il vostro Duce ha pensato a guidarvi anche con un´altra guida sicura nelle grandi battaglie, vera guerra gloriosissima, per la salvezza delle anime, quelle battaglie che si devono estendere a tutto il mondo. Don Bosco l´ha indicata nella illimitata e sentita devozione alla Chiesa, alla Santa Sede, al Vicario di Cristo. È un mirabile programma, come Egli stesso diceva a Noi con la sua stessa parola, in una vera intimità, che durò molti anni e che oltre che essere di cuore fu, per tanti aspetti, intimità d´intelligenza: un programma continuo e necessario in tutte le direzioni chiarissime, luminosissime e ancor più di fatti che di parole, per cui la Chiesa, la Santa Sede, il Vicario di Cristo riempivano la sua vita. E noi lo sappiamo per la diretta conoscenza che abbiamo avuto di lui, per la testimonianza della sua propria parola, per l´espressione dei pensieri che egli Ci confidava nella sua vera paterna amicizia, pur in tanta differenza di età. La Divina Provvidenza disponeva le cose in modo che quelle espressioni che meglio potevano farlo conoscere personalmente venissero affidate a Colui che la Provvidenza stessa, nel suo segreto disegno, destinava alla esaltazione di lui alla suprema, gloria degli altari.
» Noi abbiamo parlato di un Giubileo Salesiano, e non senza intima gioia abbiamo sentito che intorno a Noi si gridava: Viva il Papa di Don Bosco! »...
Applausi scroscianti, grida altissime di « Viva il Papa di Don Bosco » si elevarono da ogni parte. Il Papa sorrise, poi accennò a continuare.
« Basta, dilettissimi figli, basta questo a indicare che la bella parola è stata una parola di gioia per Noi, come lo è stata per voi, che siete così buoni figliuoli. Ma quella parola, più che una parola di gioia, è per voi una parola ammonitrice. Essa vuol dire che Don Bosco ‑ il nostro e vostro caro Don Bosco - vi dice che il Papa, con qualunque nome si chiami, in qualunque momento, da qualunque parte esso venga, il Papa per Don Bosco era elemento di vita, e qualche cosa senza di cui egli non avrebbe potuto essere quello che è stato.
» Ecco dunque le tre cose di primissima importanza, tre cose che vengono a procurare a voi quei frutti dell´Anno Santo che si chiude con queste esaltazioni di San Giovanni Bosco:
» ‑ l´amore di Gesù Cristo Redentore, che è amore per le anime, apostolato per le anime;
» ‑ divozione fervida, costante a Maria Ausiliatrice, da lui voluta a presidio di tutto l´organismo dell´opera sua;
» ‑ divozione, attaccamento obbediente, fedelissimo alla Santa Chiesa, al Vicario di Cristo, come alla guida visibile, sensibile che il Divin Redentore ha voluto non mancasse alle anime, affinché non avessero mai a dubitare né del pensiero suo, né del modo di avviare la vita cristiana e sovrabbondantemente cristiana, conforme ai desideri del suo cuore.
» È con questa paterna constatazione, con questo paterno augurio che vi benediciamo tutti e singoli, e vogliamo benedire tutto quello che rappresentate e non potete a meno di rappresentare. Voi rappresentate tutto quello che avete lasciato nei diversi luoghi da cui provenite, tutta la grande Famiglia Salesiana e di Maria Ausiliatrice, tutte le case dove questa famiglia non tanto dimora quanto lavora, tutte le opere di apostolato in tutte le forme, tutto quell´altro mondo, quell´esercito di Cooperatori: e poi tutto un altro mondo di anime già venute a Don Bosco o che ancora vengono a lui: una visione grande come il mondo, bella come la carità di Dio e delle anime, bella come le grazie di Maria Ausiliatrice; una visione che Noi vediamo su voi e dietro a voi a perdita d´occhio, fino ai confini del mondo. E vogliamo che la nostra benedizione arrivi proprio ai confini del mondo, fin dove arriva la nostra visione »(352). Fin qui il Santo Padre Pio XI.
È per noi sommamente consolante il pensiero che la benedizione del Papa di Don Bosco è pure la benedizione dell´angelico Pio XII, che il Signore conservi a lungo al bene e alla gloria della Chiesa: il quale Pio XII, nell´Anno Santo 1950, ci ha donato il Beato adolescente Savio Domenico, gloria del sistema educativo di Don Bosco, ed ora che il Giubileo è esteso alla Chiesa universale, sta per coronare con l´aureola dei Santi la Beata Maria Mazzarello, Confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Che la benedizione del Vicario di Gesù Cristo ci accompagni sempre e ovunque, cooperando ad accrescere e irrobustire in noi e nei nostri giovani quello spirito di Pietà, che ci fa ripetere ogni sera al nostro santo Fondatore e Padre: « Insegnaci ad amare Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa; e implora da Dio per noi una buona morte; affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. Così sia ».
Pregate, figliuoli carissimi, pel
vostro aff.mo in G. e M.
Sac. PIETRO DICALDONE.