1. La castità per il Regno.
- Quello che abbiamo professato.
- Il clima culturale.
- La certezza ispirante: un amore che annuncia il Risorto e lo attende.
2. Castità e carisma salesiano.
- Nel solco di una tradizione.
- Al servizio dell´amore educativo.
- Segno della donazione totale.
- "Quasi un postulato dell´educazione"
- Complementarità arricchente.
3. Il cammino verso la maturità.
- Un´emergenza che sfida ed interpella.
- Un percorso da assumere.
- Discernimento vocazionale e formazione iniziale.
- Il ruolo della comunità.
Conclusione: la forza di una profezia.
Roma, 8 dicembre 1998
Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria
Cari confratelli.
Vi scrivo all’inizio dell’anno giubilare dedicato al Padre, dal quale provengono tutti i doni. Fra i doni più grandi ricevuti nella nostra esistenza si colloca, dopo quello del Battesimo e della vita cristiana, la speciale grazia della consacrazione, sulla quale vi ho invitato a riflettere nella lettera precedente.
In essa “eccelle il prezioso dono (…) dato dal Padre ad alcuni (cf. Mt 19,11; 1 Cor 7,7) di votarsi a Dio solo, più facilmente e con cuore indiviso (cf. 1 Cor 7, 32-33) nella verginità e nel celibato” .
Mi è sembrato dunque opportuno continuare il discorso iniziato proponendovi alcuni spunti su questa dimensione della nostra consacrazione.
Le Costituzioni presentano la manifestazione singolare che questo dono ha nel nostro carisma, quando affermano che è “un amore senza limiti a Dio e ai giovani”. Esso include la totale donazione di sé e dispone ad affrontare con maggior libertà e prontezza anche il rischio della vita sulle frontiere della missione ad gentes, la solidarietà con i poveri, le situazioni in conflitto.
Mentre sto concludendo la stesura di questa lettera, sono stati fatti pubblici i nomi dei missionari e delle missionarie uccisi nel 1998 in contesti di guerra, fondamentalismo religioso e conflitti etnici: un totale di trentuno, che vengono a sommarsi ai numerosissimi che formano il martirologio del secolo XX.
Su questo sfondo segnato dalla storia di sorelle e di fratelli che non hanno esitato a donare la vita vorrei collocare la mia riflessione su quel “modo intensamente evangelico di amare Dio e i fratelli” che si realizza attraverso il voto di castità. Con tale riflessione mi propongo anche di fare “emergere la valenza educativa della nostra consacrazione religiosa nella vita quotidiana”, secondo quanto ci siamo proposti nella programmazione di questo sessennio.
L’Esortazione Apostolica Vita Consecrata non fa una trattazione separata dei singoli consigli evangelici. Li unisce nell’unica grazia della sequela, limitandosi a esplicitare qua e là significati, valenze o esigenze particolari di ciascuno di essi. Sottolinea così il carattere di rapporto personale con il Signore che ha la professione e la dimensione mistica dei voti. Ciascun consiglio comporta atteggiamenti e impegni specifici, ma finisce per comprendere gli altri due. È difficile pensare ad una castità coerente e luminosa staccata da quella povertà che consiste nell’offerta totale dei propri beni materiali e personali o da una obbedienza del cuore che mette se stesso a qualsiasi costo a disposizione della missione. E viceversa.
Vita Consecrata non presenta nemmeno un discorso disteso sui consigli nel loro insieme, ma ne inserisce degli spunti quando tratta sulla consacrazione, sulla missione e sulla comunità fraterna. I consigli sono condizioni per una realizzazione serena e coerente di questi aspetti fondamentali della nostra vita e si riflettono su ciascuno di essi.
La chiarezza con cui ne parla il vangelo, la frequenza con la quale i documenti della Chiesa e della Congregazione, anche in tempi recenti, hanno studiato l’argomento ci hanno aiutato ad acquisire un quadro sufficientemente sicuro circa il senso della castità consacrata: è un dono del Padre e, da parte nostra, una risposta libera di amore che ci porta a conformarci al genere di vita verginale scelto da Gesù. E così pure sono certi gli impegni che essa comporta: il celibato come stato di vita e la pratica della continenza propria di tale stato, la volontà di donazione senza limiti a Dio e ai giovani. Dottrinalmente acquisita è pure l’ascesi che la pratica della castità richiede, espressa quasi sempre in una serie di indicazioni che comprendono mezzi umani e soprannaturali.
Eppure il clima culturale che stiamo vivendo suggerisce di fare una riflessione personale e contestualizzata su questo consiglio.
Siamo infatti quasi sommersi da immagini, messaggi, opinioni e spiegazioni che riguardano la sessualità, mentre il silenzio sulla castità è quasi totale.
Ciò porta ad interrogarsi sulla pratica attuale della castità, sulle condizioni da richiedere e creare affinché sia maturante e serena, sulla sua forza di testimonianza, sui percorsi pedagogici e spirituali che ci possono portare ad una sua realizzazione significativa in un mondo che sembra non prenderla in considerazione.
Un certo silenzio sulla castità cristiana, anche da parte nostra, può derivare dal cambiamento culturale che rende oggi più difficile di ieri percepirne il significato umano e parlare, in termini realistici e delicati, su alcuni problemi che essa suscita: come le espressioni legittime dell´amore, la forma della coppia, le pratiche che riguardano la vita, la colpevolezza o meno di certi comportamenti personali.
La riflessione cattolica viene sottoposta a particolari sforzi dalla complessità delle questioni e dalla varietà di opinioni. Cerca risposte alle interpellanze, approfondendo il carattere della persona, il ruolo della coscienza, l´influsso della situazione, l’orientamento esistenziale. Giudizi sommari dunque, anche formalmente corretti ma senza sufficiente analisi o approfondimento, finiscono per non risolvere pressanti interrogativi che la castità solleva.
Tra gli elementi che segnano la presente evoluzione c’è senza dubbio la valorizzazione della sessualità. È complessa. Le si riconosce un influsso determinante nello sviluppo della personalità. La si considera una ricchezza da sfruttare piuttosto che un istinto da debellare. Viene messa in relazione con aspetti molto sentiti della persona come la maturità, la realizzazione completa, la capacità di rapporto, il godimento, l´equilibrio interiore che sa superare complessi, sentimenti di colpa e insicurezze. Questa prospettiva positiva è assunta anche dal pensiero della Chiesa come dimostrano l’abbondante catechesi di Giovanni Paolo II e una vasta letteratura morale e spirituale.
D’altra parte sono caduti i controlli sociali e a volte anche quelli familiari. C’è tolleranza pubblica e si difende il diritto a scelte diverse; anzi, stampa, letteratura, spettacoli spesso esaltano la trasgressione e presentano le deviazioni come scelte possibili, conseguenza di condizioni personali. Qualsiasi dimensione etica, anche soltanto umanistica, viene trascurata, quando non ignorata, persino in programmi ufficiali ampiamente diffusi. Ci si preoccupa solo di vivere la sessualità in modo appagante e sicuro da rischi per la salute fisica o psichica e la si stacca dai componenti che le danno senso trascendente e dignità umana.
Il corpo viene avvalorato e quasi esaltato nelle sue diverse possibilità: salute, forma, bellezza, espressione artistica, piacere. È al centro di molte cure e relative industrie che rispondono e stimolano nuovi interessi: ginnastica, sport, cosmetica, danza. Il pensiero cristiano sottolinea che il corpo è chiamato ad integrarsi sempre meglio nel progetto vocazionale, che l’uomo non solo ha un corpo, ma è corpo capace di esprimere ciò che lo spirito sente e vuole comunicare: l’amore e la gioia, l’ansia e la rabbia, l’attenzione per l’altro o l’esclusivo interesse per sé.
L’evoluzione culturale nel suo insieme ed i contributi di un femminismo equilibrato hanno messo in luce l’originalità della donna, le ricchezze del suo genio e la complementarità reciproca con l’uomo. Gli interventi di Giovanni Paolo II in merito sono il segno anche di un cambiamento ecclesiale. La conseguenza per noi è una vicinanza maggiore alla donna che si esprime nella compresenza in tutti gli ambiti, nella collaborazione, nel rapporto più libero, che non poche volte porta verso la confidenza, la familiarità e l´amicizia.
Le nostre società poi sono diventate allergiche a controlli e leggi che pretendano di addentrarsi in quella che è ritenuta la sfera del privato, per cui le stesse norme morali suscitano reazioni e stentano a trovare spazio in ambito civile per esprimere in esso la loro profonda valenza umana e religiosa. La sessualità, l’amore e per certi versi la famiglia sono privatizzate. Non pochi comportamenti e scelte personali in merito non sono più valutate a partire da una considerazione morale comunemente accettata ma dai diritti della persona, ora considerata nella sua irripetibile dignità, ora confusa con una libertà arbitraria
La trasmutazione culturale in atto comporta sviluppi positivi e costi pesanti. Tra i primi possiamo enumerare una maggiore libertà nel vivere le proprie scelte, la percezione di vuoti che chiedono di essere colmati e di fatto lo sono attraverso il riapparire del desiderio di un amore autentico, la ricerca e l´offerta del gratuito, cioè di quello che non può essere acquistato, ma si scopre e si vive al di fuori degli scambi.
Tra i secondi c’è una esagerata sottolineatura della soggettività in materia sessuale; l’indebolirsi o il venir meno del legame matrimoniale e la paura di assumerlo, con le conseguenti "adolescenze prolungate"; il proliferare di immagini e materiale sessuale di bassa lega, praticamente alla portata di tutti, attraverso canali e reti autorizzate o clandestine.
Tutto questo produce una ambiguità che sfida non soltanto la capacità di valutazione, ma anche il controllo dei desideri. Da una parte si difende con forza la dignità della donna, che è ben più del suo corpo, ma nello stesso tempo si continua a presentarla come oggetto erotico nella pubblicità e nel cinema. Si stimola la libera espressione della sessualità, ma si reagisce con durezza quando, incontrollata, non riconosce limiti. Si preme sulla “emozione”, in particolare dei giovani, attraverso immagini e slogan, e si pretende da loro la costanza e la fedeltà, che è frutto di capacità riflessiva e progettuale. La conquista dei mercati porta i media a puntare sulla efficacia comunicativa, se non addirittura sulla furbizia tecnologica, piuttosto che sull’offerta di una visione vera e profonda della realtà.
Il clima avvolge i giovani ai quali la prima informazione sulla sessualità e la castità arriva confusa e ambigua. Ma non risparmia i religiosi, nemmeno quelli che ne avevano precedentemente interiorizzato una visione cristiana. Ne può derivare, anche per noi, un calo di sensibilità, che ci rende quasi indifferenti riguardo a valutazioni o comportamenti e diminuisce il valore specifico della nostra scelta consacrata. Può venir meno il rigore della vigilanza, che evita l´esposizione ad occasioni negative, da parte di chi ha scelto di porre Gesù al centro del proprio cuore. Si può ingenerare, nei pastori e negli educatori, incertezza nel guidare le coscienze in comunione con la Chiesa, e nel proporre, in modo convincente, la castità come un valore essenziale nella costruzione dell´uomo e del cristiano.
Ciò può diventare più rischioso, nel caso che l´educazione da noi ricevuta, che ha avuto i suoi limiti accanto ad indubbi pregi, non ci abbia sufficientemente provveduto dei necessari strumenti di valutazione, di consolidati atteggiamenti di vita, di onesta interiorità capace di smascherare le razionalizzazioni di cui il male spesso si riveste.
Vita Consecrata invita a rispondere alle provocazioni della cultura con la “pratica gioiosa della castità perfetta, quale testimonianza della potenza dell´amore di Dio nella fragilità della condizione umana”.
Noi Salesiani avvertiamo la necessità di una mobilitazione interiore, personale e comunitaria, per vivere con gioia più grande e con più irradiante trasparenza questa virtù, che configura le membra di Cristo alla totale libertà e capacità di dono del loro Capo.
Solo con lo sguardo posato su di Lui, siamo in grado di cogliere il significato della castità, specie in quella forma profetica e peculiare che brilla nel dono della verginità, professata per il Regno dei cieli, nelle comunità religiose.
È impossibile affrontare qualsiasi questione specifica della castità cristiana senza cercarne le radici più profonde nella parola di Dio. E, piuttosto che in testi particolari, che certamente non mancano, il fondamento della castità consacrata e il suo significato vanno ricercati nella persona stessa di Gesù, Parola totale e definitiva di Dio. Egli è celibe per il Regno, per manifestare visibilmente l’amore di Dio per tutti e per ciascuno. Inaugura così un altro modo di essere persona in cui la sessualità realizza, con totale libertà, la piena appartenenza al Padre e la donazione fino all´estremo per gli uomini.
Dalla Bibbia prendo soltanto qualche stimolo che giudico particolarmente adeguato al nostro presente. Vi servirà come invito ad avvicinare la Parola in forma personale e calma per collocare tutta la riflessione nel suo contesto pieno di luce e di grazia.
L´Antico Testamento adombra la futura rivelazione della verginità per il Regno quando Geremia, che ha messo il suo celibato al servizio della missione profetica, introduce l’immagine della vergine d’Israele. Ma la normale attesa dell’Antico Testamento è la fecondità, benedetta da Dio con figli che scendono, di generazione in generazione, a conferma delle promesse di Jahweh e della speranza di propiziare, nella propria carne e nel proprio sangue, la venuta del Messia.
Il dono della verginità appartiene al Nuovo Testamento e porta nel suo cuore - come dicevamo - la memoria di Gesù, che la visse con semplicità e ne espresse il contenuto con la sua esistenza, donata al Padre ed al servizio dei fratelli.
È facile cogliere nel Nuovo Testamento una sottolineatura della relazione personalissima che lega il discepolo a Gesù. Appare particolarmente forte e propositiva nel vangelo di Giovanni. Si sviluppa nel dialogo di Gesù con Nicodemo e con la Samaritana, diventa familiarità nella casa di Lazzaro, Marta e Maria; si dimostra fedele nell´ora della croce, in un intreccio di vicendevole donazione e di passione, che vede protagonisti Gesù, la Vergine Madre, il discepolo prediletto.
È proprio l’icona del discepolo che Gesù amava a mostrare la centralità dell´amore personale. Il "discepolato", ha la sua origine ed espressione nell’amore credente ed obbediente. E ciò fonda l´"apostolato". È questo il senso del dialogo con Pietro del capitolo XXI del vangelo di San Giovanni: in esso l’amore personale per il Maestro è richiesto come condizione imprescindibile, in vista dell´affidamento del ministero pastorale: “Mi ami tu più di questi?”.
È un amore segnato dall´intimità immediata fra Gesù e il discepolo prediletto, che nell´ultima cena riposa il suo capo sul cuore del Maestro. È amore coraggioso, che gli resta accanto nella prova. È amore illuminato, che, il giorno della Risurrezione, “crede senza vedere”, e mantiene lo sguardo acuto, capace di riconoscere il Risorto sulla sponda del lago, anche fra le brume del mattino. È amore che dura “finché Egli venga”.
Oggi si ritiene che il discepolo che Gesù amava sia anche il “tipo” del cristiano maturo, che ha fatto di Cristo il centro, la causa, il “primo amore” della propria vita. E c´è anche una tradizione ecclesiale, antica e sempre viva, che vede nel discepolo prediletto il “simbolo” della verginità e del “cuore indiviso”, quasi una premonizione della vita consacrata, che fa di Cristo l’amore unico e sovrano della propria esistenza, capace di dare vigore e regola a tutti gli altri amori. La sua casa è con Maria, nel cuore della Chiesa. La sua famiglia è la compagnia dei fratelli e delle sorelle, cui viene fatto il dono della medesima chiamata. Suo destino è di durare “fino al Suo ritorno”, scrivendo, in modo sempre nuovo, la lunga storia degli amici e seguaci di Gesù.
La comprensione di una tale novità non fu agevole. Il cambiamento introdotto da Gesù nel costume corrente, in omaggio al piano originario di Dio - “al principio non era così” - era troppo radicale. Per questo Gesù stesso afferma - rispettivamente nei confronti della fedeltà matrimoniale e del celibato per il Regno - che “non tutti capiscono questo insegnamento, ma lo accolgono soltanto quelli ai quali Dio dà la capacità di farlo”: “altri poi non si sposano per servire meglio il regno di Dio. Chi può capire cerchi di capire”.
“Che cosa è allora questo Regno di Dio che abilita addirittura a rinunciare al matrimonio? È l´amore paterno, materno, sponsale di Dio per l’uomo, di cui parla tutta la Scrittura; la signoria dolce del Padre, attraverso Cristo, nello Spirito, a cui si decide di rispondere con un amore filiale e sponsale. La percezione dell’irruzione del Regno: questa è la radice della verginità cristiana”.
Se Gesù predica il Regno, gli apostoli predicano Cristo, che ne incarna la definitiva pienezza. La verginità fa memoria di Lui. Egli è il Regno, che, in spirito e verità, riavvia l´umanità verso il destino di Grazia, preparato dal Padre.
L´Apocalisse vede nella verginità il segno della sposa, “che scende dal cielo, da Dio” e che, dalla terra, sale verso di Lui. Essa significa dunque prossimità a Cristo Signore, gioia di accompagnarlo in comunità festose, che si esprimono con un cantico nuovo, carico di bellezza e di mistero, tensione sostenuta dalla speranza di un incontro definitivo. Per la entusiasmante scoperta di Cristo, “lo stato religioso più fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita, che il Figlio di Dio abbracciò, quando venne nel mondo per fare la volontà del Padre, e che propose ai discepoli che lo seguivano”.
Il nostro voto è un segno che indica Cristo: vivo, risorto, presente nella Sua Chiesa, capace di innamorare i cuori, con quell’“amore”, che la Chiesa canta da secoli nella sua storia e nella Liturgia.
Attraverso la castità, il religioso si fa immagine e primizia della Chiesa, tutta donata - solo e per sempre - al Suo Signore. La sua identificazione con la Chiesa avviene e si esprime soprattutto attraverso il totale dono di sé. “Non c´è nessuna verginità che sia feconda e piena di significato in sé (...); essa acquista il suo senso e la sua fecondità unicamente dalla totale dedizione nella Chiesa”.
La verginità cristiana sta o cade col mistero della croce, con l´apertura della ferita sul fianco e la nascita della Chiesa da essa, come “corpo e sposa di Cristo”. Questa espressività ecclesiale è la ragione per cui in ciascun voto si ricapitolano anche gli altri due. “L´obbedienza è la povertà dello spirito per amore, e la verginità, che è una povertà del corpo per amore, diventa feconda solo laddove ha per presupposto il sacrificio spirituale”. La castità - anche sotto questo profilo - ci configura a Cristo che “da ricco che era, si è fatto povero per noi”. I1 religioso - sull´esempio di Cristo morto nudo sulla nuda croce - si troverà, alla fine della sua esistenza, come uomo senza famiglia e senza fortuna, che non ha costruito niente per proprio conto, i cui occhi sono fissi in Dio, che, solo, dà un significato alla sua esistenza.
La castità viene ad esprimere così una forma matura di libertà, che è la scelta di donarsi senza risparmio, di realizzare in forma insolita una dimensione personale, di consegnarsi totalmente alla propria missione senza nulla ricercare né tenere per sé. È questa la testimonianza che tanti missionari di ieri e di oggi - e molti confratelli salesiani fra loro - hanno dato e danno alla Chiesa, quando, sugli avamposti della missione, continuamente donano tutto, anche la propria vita, esposta spesso a rischi mortali, per la fedeltà al popolo ad essi affidato. Si scopre così la presenza operosa del Mistero pasquale nel cuore della Congregazione e dei nostri fratelli migliori. La storia della Chiesa, specie nei paesi di missione, e le cronache drammatiche di questi ultimi anni confermano ampiamente che non stiamo giuocando con le parole, ma solo sforzandoci di leggere “fatti di Vangelo”.
Questa incondizionata totalità di oblazione è il cuore della castità di Maria, che - nell’atto di dire Ecce ancilla Domini, “Eccomi, sono la serva del Signore” - intreccia insieme la castità più alta e l´autoconsegna totale al progetto di Dio.
È appena da ricordare l´attenzione di Don Bosco per la virtù della purezza, in cui egli vedeva una componente essenziale della crescita cristiana del giovane, una garanzia del clima educativo della casa salesiana, una premessa per l’autoconsegna del salesiano e del giovane a Cristo ed alla Chiesa.
È unanime la testimonianza dei contemporanei sul fascino che l’esercizio di questa virtù conferiva a Don Bosco, diventando uno dei più limpidi lineamenti della sua santità. Non desta dunque stupore che il nostro santo Fondatore sogni i Salesiani caratterizzati dalla castità e collochi questa virtù all´incrocio di esigenze educative, di cammini di santificazione personale al seguito di Cristo, di urgenze profetiche al servizio dei giovani e del popolo di Dio.
Il nostro Padre ha certo goduto di un dono straordinario, per aiutare i giovani a vivere con gioia la castità. In una sua nota, don Giovanni Bonetti osserva, parlando di Don Bosco: “Più volte dal pulpito l’ho udito parlare di questo argomento, ma sempre, una volta più dell´altra, lo confesso, sperimentai la forza delle sue parole, e sentivami spinto ad ogni sacrificio, per amore di così inestimabile tesoro”.
Rileggendo la prassi di Don Bosco, si ricava la convinzione che la qualità globale dell´ambiente educativo, la paternità amorevole di Don Bosco stesso, educatore e confessore, la continua e serena proposta dei mezzi soprannaturali (Eucaristia, Penitenza, amore a Maria), lo spirito di mortificazione e la fuga delle occasioni, uno stile di vita carico di allegria, vissuto e proposto in positivo erano le piste che il nostro Fondatore batteva di preferenza e indicava con convinzione agli educatori, per formare i giovani alla castità.
Non fu soltanto un tratto della sua santità personale, ma elemento del carisma. Don Bosco inaugura una tradizione. Nel 20° anniversario della sua morte, il Beato Michele Rua scrive una delle sue lettere più accorate, intitolandola Vigilanza. Sua preoccupazione è di rendere noto “quello che di mano in mano l’esperienza ci insegna o che i bisogni dei tempi presenti ci suggeriscono”. La lettera viene pubblicata all´indomani di quella difficile prova, nota nella storia della Congregazione come i fatti di Varazze. “Una valanga di calunnie e di orribili accuse squagliò in un istante come nebbia al sole” - scrive don Rua - ed evoca le parole di Don Bosco: Est Deus in Israel. Niente ti turbi. Tirando la lezione dalla dolorosa esperienza, il Beato però aggiunge, con sereno realismo: “Non possiamo farci illusioni: sono scrutati i nostri pensieri, sono raccolte e vagliate le nostre azioni”. Appare chiaro il proposito di infondere coraggio in un momento di prova, ma anche di prevenire fatti che potessero dare luogo a critiche e accuse in un campo così delicato, quale quello giovanile ed educativo.
Sotto questo profilo occorre dire che - da allora, fino ad oggi, in molte parti del mondo - il clima si è reso ancor più sensibile ed esigente.
Anche don Paolo Albera, nel 1916, credette opportuno scrivere una lettera Sulla castità, densa di elementi, derivanti dalla tradizione salesiana, ed attenta a fornire i grandi mezzi di fedeltà: Eucaristia e Penitenza, preghiera e devozione a Maria, mortificazione, umiltà e prudenza. Anche questa lettera è contestualizzata. Si cominciava allora a proporre, come parte dell’educazione dei giovani, una informazione più sistematica e fondata sulle questioni sessuali. Niente più naturale che ricordare la delicatezza di Don Bosco, riportare le espressioni da lui usate nel proporla e le strade da lui indicate per svilupparla.
Don Albera insiste sul carattere offertoriale della castità, con riferimento a la Lettera di San Paolo ai Romani: “Vi esorto, dunque, fratelli a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. È questo il vero culto che gli dovete”.
Il suo secondo successore - che Don Bosco ebbe carissimo - ha colto bene il fondamento evangelico della castità, che il nostro Fondatore annunciava più con lo stile della sua vita, totalmente donata ai giovani, che coi discorsi: l’offerta eucaristica, si prolunga nella vita, che ripete umilmente ma fermamente: “Questo è il mio corpo dato per voi”.
Don Pietro Ricaldone, col cuore ancora pieno delle celebrazioni della Pasqua del 1934, che aveva visto la canonizzazione di Don Bosco, offriva la sua lettera Santità è purezza, a coronamento di quell’anno indimenticabile. Si trattava di una scelta calcolata e radicata nella certezza di toccare uno dei punti nevralgici dello spirito salesiano. Don Ricaldone si diceva convinto di non poter fare a Don Bosco “cosa più gradita che esortando tutti i Salesiani a riflettere senza posa che la santità nostra deve estrinsecarsi specialmente con una vita di candore e purezza verginale”.
Don Luigi Ricceri nel 1977, con la lettera Vivere oggi la castità consacrata, riproponeva, “obbedendo ad un preciso dettame” della sua coscienza, “la testimonianza tipica della castità salesiana”. È una lettera interessante, ancora di grande attualità, che vi invito a rileggere a complemento di questa mia. È infatti contestualizzata agli inizi della temperie che noi viviamo in pieno: nuovo contesto e nuove sfide da parte del mondo e interpellanze da parte della Chiesa: un contesto segnato all’interno della Congregazione dal doloroso problema delle defezioni spesso toccate, sebbene non unicamente, da vuoti, mancanze di fondamento, imprudenze o trascuratezza in questo campo.
Forse, troppo sommariamente si sono attribuite le severe parole di Don Bosco, in tema di castità, al contesto culturale ed ascetico della sua epoca, certo non priva di limiti anche seri. Oggi, comprendiamo meglio di essere chiamati a leggere in esse anche la saggezza di un santo, profondo conoscitore del cuore umano, che vedeva con preoccupazione le conseguenze negative anche lontane di alcune tendenze e atteggiamenti. Tornano di attualità - alla luce di quanto, con frequenza, viene oggi pubblicamente denunciato - le riflessioni di Don Bosco durante il terzo Capitolo generale del 1883: “Mancando contro la moralità, in faccia a Dio si perde l´anima, in faccia al mondo l´onore”. “Il Signore - osservava in altra occasione - disperderebbe la Congregazione, se noi venissimo meno alla castità”.
I drammi educativi della nostra epoca, gli abusi sui minori dentro e fuori della famiglia, la prostituzione minorile organizzata e trasformata in nuova schiavitù nel contesto di un turismo depravato, forme atroci di pedofilia, rinnovata “tratta degli schiavi” nei confronti di donne indifese, giovani uomini e adolescenti ci confermano che questo non è solo un problema di religione, ma un’urgenza etica, non è questione di virtù privata, ma bisogno di pubblica giustizia, non è esclusivo problema della Chiesa, ma responsabilità di una società civile, preoccupata del suo futuro e della sua dignità.
Quando cerchiamo i motivi profondi dell´insistenza che percorre la nostra tradizione ci vengono alla mente espressioni con cui Don Bosco esprime il suo amore ai giovani e che forse noi oggi stentiamo a ripetere : “Vi amo cari giovani e per voi sono disposto a dar la vita!”. O quelle che abbiamo letto nel prologo al Giovane Provveduto: “Miei cari, vi amo tutti di cuore. (…) Vi posso accertare che troverete libri propostivi da persone di gran lunga più virtuose e più dotte di me, ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo e che più desideri la vostra vera felicità”.
“I1 celibato... è uno stato d´amore”, che ci fa “segni e portatori dell´amore di Dio ai giovani”. Per amare evangelicamente ed educativamente, con più grande libertà ed efficacia, si professano i voti. È ormai acquisito che la castità non va staccata dalla carità. San Francesco di Sales lo dice con la sua solita semplicità ed eleganza: “Noi conosciamo che la nostra preghiera è buona e che noi in essa progrediamo se, uscendone, il nostro volto splende di carità e il nostro corpo di castità”.
Si sa che la carità pastorale, che costituisce il cuore della missione salesiana nell´ambito educativo, si esprime in forma “sensibile”: “Cerca di farti amare”, “Che i giovani vedano che li amate”. Non solo dunque vicinanza e professionalità, ma amicizia, affetto paterno e materno che solleva, lenisce e tante volte supplisce quello che ai ragazzi è mancato. E tutto questo guardando al loro bene e non alla nostra soddisfazione, senza meccanismi captativi né possessivi, senza ambiguità né stanchezza nelle inevitabili prove di mancata corrispondenza o incomprensione. Chi ne ha fatto l’esperienza capisce la portata delle parole di Don Bosco : “Chi spende la vita a pro dei giovani abbandonati deve certamente fare tutti gli sforzi per arricchirsi di ogni virtù. Ma la virtù che si deve sommamente coltivare…. è la virtù della castità”.
Anche in quest’ambito centrale del nostro ministero educativo ci viene data una “grazia di unità”, per la quale la carità si fa generatrice di purezza e la delicatezza comunicazione ottimale di affetto.
“La chiave della castità salesiana - nota don Ricceri - è la carità salesiana”. Lo stile della carità salesiana è profondamente segnato dalla castità. Questa libera ed esprime, tempra e protegge, conferisce originalità all´amore dell´educatore - pastore.
Anzitutto lo rende capace di profonda gratuità. Sua gioia è veder crescere ciascun giovane e per questo "dà la vita" nel paziente accompagnamento quotidiano. Desidera la corrispondenza e ne gode perché in essa vede il segno che il giovane ha accolto quanto l’educatore gli va proponendo; ma, di fronte alla resistenza, è anche capace di attendere ed offrire nuove opportunità di salvezza.
La castità ispira poi un’amorevolezza trasparente e schietta sul modello di Don Bosco, dal quale ciascuno si sentiva prediletto, in base ai segni di un amore che si fa leggibile con inesauribile creatività: “un amore, senza il minimo movimento di ritorno su di sé”, che non si inquina e non suggerisce nemmeno da lontano ambiguità di sorta.
Questo tipo di amore educativo dà origine allo spirito di famiglia, autentica fucina della casa e dell’opera salesiana. La carità tiene acceso il fuoco; ma la castità ne esalta la luce ed il calore. Essa stimola l´accoglienza pronta dei confratelli e dei giovani, coltiva il gusto per il servizio della casa, apre il cuore ad amicizie limpide e profonde e nell’incontro di cuori rasserenati si fa scudo e sostegno della perseveranza e della allegria di Salesiani e giovani. “Coloro che Dio conduce a separarsi dai loro prossimi parenti per Suo amore - nota J. H. Newman - trovano fratelli nello spirito al loro fianco. Coloro che rimangono soli per Suo amore hanno dei figli nello spirito allevati per loro”.
Don Bosco “ci avverte che il suo metodo esige che noi amiamo la gioventù non solo santamente e soprannaturalmente, ma anche sensibilmente; e questo amore deve avere tutto il profumo della vita di famiglia e le espansioni sante dell´amorevolezza”. Don Ricaldone esita a parlare di “carità sensibile”, e non è l´unico; ma comprende che è proprio la parola giusta per esprimere l´intenzione di Don Bosco, il quale “voleva che l´alunno avvertisse non solo, ma sentisse la carità del suo educatore”.
Questa dimensione è così centrale che il CG24 la riprende sotto il titolo Spiritualità della relazione: spirito di famiglia. Per liberare la relazione educativa da possibili risvolti captativi o manipolatori, essa “va riempita di carità, fino ad essere trasformata in espressione di autentica spiritualità. Ne è frutto e segno quella castità serena, così cara a Don Bosco, che regge l´equilibrio affettivo e la fedeltà oblativa”.
Situazioni gravi, che mettono a rischio la vocazione salesiana, possono avere il loro inizio nella difficoltà di coniugare insieme la carità generosa e la castità prudente, l’audacia apostolica e la regolarità comunitaria. La parabola di certi cammini, cominciati con sincero desiderio di servizio, ma progressivamente falliti, invita ciascuno a sentirsi responsabile della gioiosa perseveranza del confratello, donandogli il calore dell’amicizia, la gioia della famiglia, l’aiuto della correzione fraterna.
“Per voi sono disposto a dare la vita”, “chi spende la vita per i giovani…” sono espressioni di Don Bosco per definire il proposito interno che garantisce la pratica del Sistema Preventivo.
La verginità di Gesù, di Sua madre, di Giuseppe suo sposo è il segno della loro autoconsegna incondizionata al progetto del Padre per la salvezza degli uomini. Essi non ebbero un loro progetto o, se lo ebbero, l´abbandonarono nell´atto stesso in cui ricevettero la loro speciale vocazione. Fecero proprio il disegno di Dio. Non ebbero una propria famiglia, ma solo la Famiglia di Dio; non una propria discendenza, ma solo quella inclusa nella Promessa di Dio.
Maria "Tota pulchra" è radicalmente consegnata a Dio. “Non soltanto partecipa alla forma di vita che consiste nella dedizione di sé, ma viene impiantata in essa come sua anima”. Ne è il modello, il motore, la spinta e il punto di attrazione.
Il "Totus Tuus" - ripetuto da Giovanni Paolo II - è l´atteggiamento interiore di Cristo, venuto a fare la volontà del Padre fino alla morte, ed alla morte di croce.
A confronto con questi parametri ci sentiamo piccoli e diventiamo sempre più coscienti della nostra povertà . Per questo Gesù ci ama, con amore di predilezione. L´essenziale è che, in risposta all´eterno Suo amore, gli doniamo tutto, magari soltanto un paio di spiccioli, sull´esempio della vedova del Vangelo. Purché sia tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo. Ci è difficile comprendere appieno i voti religiosi, se non all´interno di questo orizzonte, entro cui si colloca la nostra paziente navigazione verso la totalità della donazione a Dio nella missione.
I voti costituiscono tre segni di quell’atteggiamento totale ed unico con il quale ci abbandoniamo alla fedeltà del Signore, e che trasfigura evangelicamente tutti i valori della nostra esistenza.
“Don Bosco visse la castità come amore senza limiti a Dio ed ai giovani”. Essi divennero - per la forza e il dono dello Spirito - la sua famiglia. Si consumò, per incontrarli, raccoglierli ed educarli. Bruciò il suo tempo per raggiungerli, ovunque fossero, nelle carceri e nelle strade, attraverso le “Letture Cattoliche” e le collane di libri scolastici. Costruì per loro una casa, per dare ad essi vitto e vestito, una famiglia ed una scuola, nonostante l’esiguità dei suoi mezzi.
C’è nella tradizione spirituale dell´Occidente un significato della locuzione purezza angelica, che merita di essere riscoperto. Essa fa riferimento per un verso alla profondità con cui gli angeli contemplano Dio e, per l’altro verso, alla prontezza con cui si fanno suoi messaggeri di salvezza presso gli uomini e si trasformano in custodi di coloro che Egli ama, accompagnandoli in mezzo alle drammatiche vicende del mondo. È una valenza missionaria che va recuperata ed esplicitata, per analogia, a proposito della vocazione dei Salesiani, chiamati ad essere custodi ed educatori dei giovani. La castità rende totalmente “disponibili”: a stare qui o a correre là, a condurre una raccolta vita di studio e di educazione, oppure ad osare quando e dove si rischia la vita; a consegnarsi alla “obbedienza” religiosa (virtù missionaria, per eccellenza), come ci si abbandona alle braccia della Provvidenza di Dio.
La gioia espressa da molte popolazioni, per chi “resta” - anche nei momenti più difficili - a condividere e rischiare tutto con loro; la risonanza enorme che, ovunque, ha avuto la morte di Madre Teresa di Calcutta ci mostrano i frutti maturi di quella “dedizione totale” alla causa del Regno, di cui la castità è segno.
Chi guardava a Don Bosco o a Madre Teresa non si interrogava sulla loro vita di castità, ma la coglieva e l’apprezzava come un fuoco, che accendeva ogni giorno una vita totalmente donata.
A chi, durante la giornata mondiale della gioventù di Parigi 1997, chiedeva loro quale fascino trovassero in Giovanni Paolo II, vecchio e cadente, due ragazzi risposero: “Siamo venuti, perché comprendiamo che egli dà la sua vita per noi”.
Porre la vita totalmente a disposizione non è un movimento spontaneo. Eppure non era difficile per i migliori ragazzi di Valdocco (fra i quali c´erano molti birichini...), dire: “Io voglio fermarmi con Don Bosco”. Si fermavano non solo per “stare con lui”, ma anche per “fare come lui”, il che comportava inevitabilmente il “vivere come lui”.
Sono convinto che, per quei ragazzi, la castità di Don Bosco non era colta come un problema, una difficoltà, o un sacrificio - e qualche volta lo sarà pur stato, anche per il santo dei giovani - ma sempre come un dono del Signore, una gioia di amare, una pienezza di vita, uno slancio gaudioso, che gli consentiva di essere “tutto” per loro. Per questo, pur trattandosi di una virtù esigente, essi l´abbracciavano, insieme a tutto ciò che fa bella, ma anche impegnativa, la vita salesiana.
L’espressione è di don Alberto Caviglia che così definisce il ruolo della purezza nel progetto educativo pensato da Don Bosco.
La nostra castità, abbiamo detto sopra, è feconda nell’ispirare un amore paterno verso i giovani, in particolare quelli che ne hanno più bisogno, e nel suggerire i gesti che lo possono fare immediatamente comprensibile.
È altrettanto feconda quanto agli obiettivi e ai contenuti dell’educazione per la visione della vita, della persona e della cultura che suppone, testimonia e comunica.
La sessualità comprende certamente una costellazione di manifestazioni specifiche: il senso giusto del corpo, la relazione, l’immagine di sé e degli altri, il dominio e l´orientamento del piacere, valori come l’amore, l’amicizia, la donazione. Ma matura e si esprime nel contesto di tutta la persona e mai come funzione separata. Interagisce con ogni altro aspetto della personalità. Educare la totalità della persona conforme ad una certa visione è dunque indispensabile.
Ciò fa vedere l’influsso quotidiano che la presenza, le parole, l’amicizia, gli atti di educatori ed educatrici possono avere sui giovani che frequentano i nostri ambienti. Educhiamo più per quello che siamo che per quello che diciamo.
Oggi si sente il bisogno diffuso di individuare vie adeguate, per aiutare i giovani a rendersi capaci di vivere ed integrare la sessualità nel progetto di vita, a cui si sentiranno chiamati. Ciò comporta processi delicati ed impegnativi spesso destinati ad andare controcorrente; non ci si può illudere che essi maturino da soli senza illuminazioni, proposte e sforzo.
Se - come è stato giustamente notato - “castità è libertà” nell’amare e nell’essere amati, allora occorre individuare le tappe successive di un “processo di liberazione”, che conduca progressivamente a orientare le risorse affettive della persona, ponendole a servizio dell´amicizia e dell’amore, in uno stabile progetto di vita.
Per compiere un tale processo occorre, innanzitutto, ricollocare al centro dell´attenzione educativa la persona con le sue molteplici possibilità e, in particolare, la sua destinazione a Dio. Ciò porterà a chiarire il giusto valore del corpo e di quella virtù, oggi non comune, che si chiama pudore. Con esso l’uomo e la donna riconoscono di essere assai più del proprio corpo e si abituano a scorgere l’inedita ricchezza degli altri.
La presenza, in molti nostri ambienti, di ragazzi e di ragazze ci impegna a prendere molto sul serio il cammino di coeducazione, in cui ogni persona accoglie la propria sessualità come una vocazione, scopre ed apprezza l’originalità dell´altro senza trasformarlo in oggetto del desiderio, impara ad impostare dialoghi liberi e maturi, in una dinamica relazionale, nella quale si espande l´amicizia serena e lo scambio dei doni.
I giovani oggi sono inseriti a forza in campi ad alta tensione emozionale (media, gruppi amicali, discoteche, cultura ambiente...). Questo chiede un surplus di impegno per educare la castità del cuore, insegnando sobrietà e regolarità di vita, controllo e orientamento dei desideri, riflessione permanente sulle proprie scelte ed atteggiamenti affettivi, forte e serena capacità di attesa, cui è chiamato un giovane cristiano, in preparazione agli impegni vocazionali e matrimoniali.
A partire dai primi anni, accompagniamo i nostri giovani a comprendere come la persona si realizza nell’esperienza d’amore. Di un amore che è incontro e progetto, offerta e dono, gioia e sacrificio, volontà di fare felici più che di esserlo, magari a spese altrui.
Solo l’amore oblativo può essere l’approdo sereno della spinta sessuale. Il giovane deve capire che quanto più la sessualità gira su se stessa, altrettanto resta inappagata ed impazzisce alla ricerca di evasioni, cui invano si chiederà di soddisfare l´anelito del cuore. La nostra società ci offre, anche senza volerlo, mille conferme del dramma che coinvolge chi non imbocca il giusto sentiero dell´amore. Un amore, che ignori il sacrificio, che non faccia spazio alla croce di Cristo, rischia di trasformarsi continuamente in possessività, che soggioga e strumentalizza.
Ma imparare ad amare è imparare a vivere, è cominciare ad essere cristiani. Don Bosco lo sapeva e lo insegnava ai suoi ragazzi. Per questo, ad un invito che non ammetteva dubbi, aggiungeva indicazioni sagge di custodia dei propri movimenti e sensi, di rafforzamento interiore, di purificazione.
Il CG23 ha considerato particolarmente influente sulla tenuta o decadimento della fede questa educazione all´amore e ci ha invitato a riprenderla con decisione ed in maniera aggiornata mediante alcuni itinerari: clima educativo ricco di amicizia, attenzione integrale alla persona, qualità umana nella compresenza ragazzi - ragazze, educazione della sessualità, testimonianza di Salesiani e laici che vivono serenamente la donazione, catechesi che orienti verso il Signore e formi la coscienza, vita spirituale che sottolinei la forza trasformante dei Sacramenti.
Il CG24 ha sancito un tipo di ambiente educativo che si veniva formando da tempo, ma le cui caratteristiche non erano ancora pienamente espresse né le conseguenze sui nostri atteggiamenti e possibilità, esplicitate. Una di tali caratteristiche è la complementarità tra educatori e genitori che si traduce in dialogo, collaborazione, illuminazione e scambio di esperienze. “Si intensifichi la collaborazione con la famiglia in quanto prima educatrice dei suoi figli e delle sue figlie. A questo fine bisogna offrire nelle nostre opere un clima educativo ricco di valori familiari e, in particolare, un’équipe di educazione integrata armoniosamente di presenze maschili e femminili”.
L’amore tra gli sposi, così come dà origine alla vita, costituisce la prima e principale energia educativa della famiglia. Ora gli sposi, protagonisti della famiglia cristiana, ed i celibi, protagonisti della vita consacrata, esprimono il dono di Cristo alla sua Chiesa nella fedeltà coraggiosa e nell’offerta totale ad una missione tipica. Il matrimonio cristiano e la castità consacrata manifestano in due modi eccellenti, anche se diversi, lo stesso mistero di totalità, espresso nel “patto di amore”, animato dal medesimo Spirito Santo. “Il sì della promessa matrimoniale e il sì del voto religioso corrispondono a quello che Dio si aspetta dall´uomo: la consegna di sé senza condizioni, così come il Signore sulla croce offrì tutto, anima e corpo, per il Padre e per il mondo”.
Nello scambio di doni fra vocazioni e stati di vita, la fedeltà degli sposi incoraggia i consacrati, e la feconda verginità di questi sostiene il cammino degli sposi, oggi assai più insidiato ed esposto di ieri. Essi si testimoniano reciprocamente quella forza che non viene dalla carne e dal sangue, ma dallo Spirito di Cristo, che anima la Sua Chiesa. Un’unica fedeltà al Signore li accomuna, aprendo fra loro profondi dialoghi di comunione.
Nell’incontro e nella collaborazione quotidiana, questo dialogo diventa per i giovani comunicazione di valori ed esempio di vita cristiana. “In questo contesto - afferma il CG24 - è necessario rilevare il significato e la forza profetica del salesiano: egli non solo concorre all’educazione con i valori maschili ma, vivendo il celibato con gioia e fedeltà, testimonia una qualità particolare dell´amore e della paternità”.
Negli ambienti educativi, inoltre, siamo oggi chiamati ad esprimere la ricchezza educativa della complementarità maschile - femminile. Religiosi ed educatori progettano, agiscono e verificano insieme. Il percorso di coeducazione interpella noi insieme e forse prima che i giovani. Paura, distanza, timidezza, incomunicazione vanno superate. Così pure leggerezze, superficialità, appannamento del senso pastorale e della testimonianza consacrata.
L´esigenza di coeducazione tocca il cuore, i pensieri, gli atteggiamenti profondi, piuttosto che soltanto le maniere.
Lo sguardo di Gesù e la persona di Maria ci danno i parametri per orientare e modellare pensieri, sentimenti ed atteggiamenti. È chiaro che i rapporti umani e la collaborazione educativa fondata ed espressa conformemente a tali parametri dà un tocco di qualità umana e di testimonianza cristiana all’ambiente e ad ogni intervento educativo.
Il CG24 ce lo ricorda in molti passaggi. Ne riporto uno: “La presenza della donna aiuta i Salesiani non solo a interpretare l’universo femminile, ma a vivere una più completa relazione educativa: infatti uomo e donna aiutano il ragazzo e la ragazza a scoprire la propria identità, ad accettare come arricchente la propria specificità da offrire come dono nella reciprocità”.
La carità verginale unendosi all’amore coniugale, l´originalità maschile in dialogo con il genio femminile confluiscono con inedita fecondità nella “carità educativa”, che diventa capace di strutturare unitariamente i cammini di crescita umana e cristiana di giovani e adulti.
Non posso passare sotto silenzio un’esperienza dolorosa, che sta mettendo a dura prova alcune Chiese locali ed Istituti religiosi, in diverse parti del mondo. Si sono riscontrati - qua e là - casi di sacerdoti e religiosi che sono stati accusati di “abusi e molestie sessuali’ su minori o donne indifese. È nota la devastazione - spesso irrimediabile - che tali traumi apportano ad una giovane vita. Questo spiega la severità di molte legislazioni nei confronti di tali deprecati episodi e la severità dei tribunali nei confronti dei colpevoli. A volte, i fatti in questione risalivano addirittura a diecine di anni precedenti: nondimeno sono diventati oggetto di procedimenti penali, con grave pregiudizio della missione della Chiesa, ripercussioni dolorose sull’accusato e sulla sua comunità, e anche con ingenti danni di natura economica.
Questi avvenimenti acquistano rilevanza - oltre che per l’oggettiva gravità dei fatti - anche per i problemi connessi che creano preoccupazione nelle Chiese ed nelle istituzioni religiose. È in corso, talora, un anomalo allargamento del concetto di “abuso e molestia sessuale”, sotto il quale possono venir a cadere anche atti soltanto imprudenti. Non mancano esempi da tutti conosciuti.
Non sfugge il rilievo che i media danno alle mancanze di sacerdoti e consacrati, il più delle volte per una legittima denuncia e per un’ovvia attesa di coerenza, ma, spesso, anche a scopi speculativi e diffamatori nei confronti della Chiesa cattolica e di altre Istituzioni. Il tutto è aggravato dalla strumentalizzazione dei fatti in vista dell´esborso di ingenti somme di denaro per danni e spese processuali.
Tutto ciò risveglia in noi l´eco delle parole drammatiche che Don Bosco scriveva da Roma il 5 febbraio del 1873: “La voce pubblica spesso lamenta fatti immorali succeduti contro i costumi e scandali orribili. È un male grande, è un disastro: ed io prego il Signore a fare in modo che le nostre case siano tutte chiuse, prima che in esse succedano somiglianti disgrazie”.
I fatti che stanno sotto i nostri occhi, da una parte ci impegnano, in tutti i modi possibili, ad intervenire in difesa dei minori e contro lo sfruttamento delle donne. E ringrazio di cuore i confratelli impegnati su queste frontiere.
Ci spingono anche a riscoprire elementi del sistema preventivo, che Don Bosco aveva evidenziato o suggerito, e che, forse, in qualche luogo, sono stati parzialmente disattesi.
Occorre recuperare alcune norme pedagogiche e prudenziali - proprie della tradizione salesiana - che meritano di essere riproposte e che, a suo tempo, sono state fatte presenti ai superiori responsabili, ai quali, anche attraverso queste pagine, chiedo una collaborazione ferma e serena. È questa una parte non insignificante di quella preventività, che struttura ambienti ed abitudini, in modo da aiutare il fiorire di ogni virtù umana e cristiana.
Ma soprattutto ci sollecita a ricomprendere, alla luce di conoscenze adeguate e della Parola di Dio, il cammino di crescita permanente che siamo chiamati a fare. La ricerca incontrollata di soddisfazioni, sebbene la più grave, non è l´unica manifestazione di una sessualità immatura e repressa. Ci sono pure l’incapacità di amicizia, la chiusura alla fraternità, la durezza di cuore, l’attaccamento incomprensibile a pareri, cose o vantaggi, l’aridità nei rapporti. Ci è necessario dunque mantenere la tensione verso la pienezza della nostra donazione e della nostra capacità educativa.
La energia e l’identità sessuale - che la castità riconosce con gioia, accoglie senza esitazioni e valorizza nel proprio progetto di vita - struttura la personalità ai livelli più profondi, connotandone ogni dimensione: il pensiero, gli affetti, l´espressività, la progettualità, la relazione. Essa resta segnata dalle esperienze di vita più significative. La stagione prenatale, i primi mesi ed i rapporti con la madre, il clima e le relazioni familiari, gli elementi di ereditarietà, la precocità o i ritardi nell´educazione e nell’autoeducazione, le esperienze traumatiche di non facile elaborazione ed altre influiscono nel processo di maturazione dell’affettività e della sessualità.
La castità serena è al termine di un lungo cammino, per la semplice ragione che la personalità matura è anch’essa il punto di arrivo di un lungo percorso. Si tratta dunque di accogliere - per noi stessi e per coloro che sono affidati alla nostra cura educativa - i processi necessari per raggiungere quella maturità, che genera la gioia e la pace e si traduce in forza di testimonianza.
Al tempo stesso, siamo chiamati a prendere atto che in questo decisivo campo della crescita umana, la vita religiosa, ed ancor più una Congregazione di educatori, è messa, per così dire, alla prova non soltanto quanto alla morale sessuale, ma soprattutto alla ricchezza affettiva. “È necessario che la vita consacrata presenti al mondo di oggi esempi di una castità vissuta da uomini e donne che dimostrano equilibrio, dominio di sé, intraprendenza, maturità psicologica ed affettiva”. Ciò comporta il controllo e l’orientamento delle tendenze spontanee, ma più ancora lo sviluppo della capacità di amare.
Le Costituzioni ci rendono avvertiti che “la castità non è una conquista fatta una volta per sempre. Ha i suoi momenti di pace e i momenti di prova. È un dono, che, a causa dell´umana debolezza, esige un quotidiano impegno di fedeltà”.
“Vuol dire - nota paternamente don Ricceri - non meravigliarsi né spaventarsi, se in certe ore di depressione, d’inattività o d’isolamento, ne soffriamo nella carne e nel cuore. È un aspetto della nostra croce. E qualche volta, forse, una forma di partecipazione all’angoscia di Cristo nell’orto del Getsemani”. Difficoltà nelle relazioni, frustrazioni apostoliche, incomprensioni comunitarie, ansie per la salute propria o dei propri cari, momenti di stress: tutto viene puntualmente registrato nella nostra sfera affettiva, con contraccolpi, che vanno messi in bilancio e superati con l´aiuto della grazia e della preghiera, dello spirito di mortificazione, di una serena determinazione, di una comunità che accoglie ed accompagna. Non è da escludere che si debbano pure intraprendere pazienti itinerari per ricuperare motivazioni e per cambiare abitudini radicate. Le diverse stagioni della vita richiedono ulteriori processi di ricomprensione dell’impegno assunto.
Alcune indicazioni sostanziali per tale camino vanno ricordate.
Il nostro ministero va gestito con spirito di umiltà e di prudenza, liberandolo da ogni forma di presunzione, nei confronti di quanto può ferire la castità: “Ricordatevi che vi mando a pescare, e che non dovete essere pescati”, diceva Don Bosco ai suoi, con una punta di umorismo, e, sapendoli impegnati in ambienti di qualche rischio, li avvisava di “lasciare gli occhi a casa”. Tali parole ripropongono, oltre gli accenni materiali, l’attenzione da mantenere in fatto di amicizie e familiarità nei nostri ambienti educativi e pastorali, segnati dall´incontro quotidiano con collaboratrici e giovani di entrambi i sessi.
Il cammino verso la serena maturità è segnato dalla croce. Con l’autorevolezza del testimone oculare, don Albera scrive: “Non si creda che Don Bosco abbia dato poca importanza allo spirito di mortificazione; se ne studi bene la vita e si troverà che ogni circostanza di essa è un eccitamento ed una lezione per la pratica della mortificazione”. Può sembrare una parola inattuale, va invece collegata alla fecondità della croce. Forse, l’insidia più pericolosa dello spirito borghese non solo alla vita religiosa, ma prima ancora alle radici cristiane è il rifiuto della croce: tacito, pratico, sistematico. Il comfort è ritenuto un valore da ambire ed uno status da raggiungere; gli analgesici sono passati dal mondo della medicina a quello della vita quotidiana, desiderosa di alleviare ogni sofferenza. Si sono così ingenerati atteggiamenti ed abitudini per cui il soddisfacimento del desiderio diventa un imperativo, la soppressione dei rischi di sofferenza, sia fisica che morale e spirituale, uno stile di vita. Ciò che nel campo fisico è lecito, e spesso auspicabile, tende a trasferirsi nel campo morale, azzerando o riducendo quel prezzo di doverosa fatica che ognuno è chiamato a pagare in difesa dei valori, della fedeltà, dell’autenticità della vita cristiana. Questa, fin dagli inizi, si è trovata a misurarsi con la croce, la persecuzione, il martirio. La parola di Paolo ai cristiani di Filippi resta di piena attualità per noi uomini di oggi, immersi, a volte, in un clima di disimpegno morale: “Non pochi si comportano da nemici della croce di Cristo. Ve l’ho già detto più volte e ve lo ripeto ancora fra le lacrime”.
Quando si discusse sul motto da inserire nello stemma della Congregazione, ci fu anche chi propose Lavoro e temperanza. È nota l’insistenza di Don Bosco sul binomio, che invita a spendersi con generosità, senza dimenticare, al tempo stesso, la misura. In questo senso, i due elementi vanno letti non disgiunti, ma congiunti, a significare che lo stesso lavoro va regolato dalla temperanza, in modo che possa continuare ad esprimere carità verso Dio e verso l´uomo, evitando gli eccessi che possono portare allo stress, al “burn out” ed alla confusione affettiva.
Occorre un ragionevole dosaggio di tempi di lavoro e tempi di recupero, di spazi di azione e di formazione, di immersione tra la gente e di emersione spirituale alla ricerca di noi stessi e delle motivazioni più profonde del nostro vivere e del nostro operare. Va superato l’attivismo e il disordine della vita e riconquistata la padronanza sul tempo, sulle attività e su se stessi. Per questo, occorre dare il rilievo necessario agli esercizi spirituali annuali, al ritiro mensile, al giorno del Signore settimanale, ai momenti di comunità e di preghiera quotidiani (ivi compresa la meditazione!) Il raccoglimento personale deve, di nuovo, trovare spazio nella programmazione della nostra giornata. “L´isolamento è negativo, ma la solitudine è altra cosa: si può dire che è il suo contrario. È come il silenzio, che precede e feconda la parola”.
Gli aiuti più decisivi, tuttavia, ci vengono dalla grazia del Signore, che ha nei sacramenti e nell’amore a Maria Ausiliatrice elementi che la nostra tradizione ha sempre riconosciuto di grande efficacia.
L’Eucaristia, che ci nutre del Corpo e Sangue del Signore, rinnova continuamente la nostra coscienza di essere Sue membra, ci dà la forza di vivere da cristiani, evitando tutto ciò che è contrario a questo nome.
L´ascolto quotidiano della Parola di Dio contesta e scioglie i sofismi, con cui siamo tentati di giustificare eventuali cedimenti o di abbandonarci ad abitudini meno positive.
L’amore a Maria e la contemplazione della sua impareggiabile esistenza mantengono alte e caste le intenzioni del cuore ed animano una più grande docilità alle mozioni della grazia.
Don Paolo Albera rilevava l’importanza della confidenza in un direttore spirituale quando raccomandava di “aprire a due battenti la propria coscienza al confessore”. È un’insistenza in fase di ricupero. Per mantenere la coscienza sensibile e vigilante, capace di riconoscere da lontano il bene e il male, e per difendere la propria libertà spirituale giova mettere la propria esistenza sotto gli occhi dei fratelli, sapersi confidare e valorizzare le mediazioni che il Signore mette nel nostro cammino.
Il cammino, cui abbiamo accennato, richiede un’attitudine fondamentale di partenza che è segno della chiamata alla vita salesiana e l’apprendimento interiorizzato degli atteggiamenti, abitudini e pratiche consone con la castità. Non si può dunque, parlando del cammino verso la maturità, tralasciare il discorso sul discernimento vocazionale e sulla formazione iniziale. I nostri documenti offrono già dei criteri carismatici di discernimento e scelte pedagogiche per l’accompagnamento dei candidati. Non è il caso di riportarli qui. Conviene comunque richiamare qualche punto di particolare attualità.
L’esperienza, la riflessione e gli orientamenti ecclesiali di questi ultimi anni hanno dato particolare rilievo alla maturazione affettivo-sessuale di base come condizione previa per l’ammissione ai voti religiosi e al ministero ordinato e come elemento indispensabile per un’esperienza vocazionale serena e matura.
Una formazione specifica all’affettività, che integri l’aspetto umano con quello più propriamente spirituale, è particolarmente necessaria nel contesto attuale, che è allo stesso tempo di grande apertura e di continua esposizione a stimoli vari. “Si fa più difficile ma diventa più urgente, - afferma la Pastores Dabo Vobis - un’educazione alla sessualità che sia veramente e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto alla stima e all’amore per la castità, quale virtù che sviluppa l’autentica maturazione della persona e la rende capace di rispettare e di promuovere il significato sponsale del corpo”.
In versione contestualizzata nella fase che si va aprendo per noi, il CG24 domanda che “sia riservata una particolare attenzione alla maturità affettiva richiesta dalla collaborazione con i laici e con il mondo femminile” e che si aiutino i confratelli sin dalla prima formazione “a crescere in un atteggiamento sereno e maturo nei confronti della femminilità”.
Si tratta di portare i candidati ad una decisione matura e libera, fondata sulla conoscenza di sé e del progetto vocazionale cui sono chiamati; di assicurare quella idoneità “grazie alla quale il consacrato ama la sua vocazione e ama secondo la sua vocazione” .
Nel processo di discernimento e nei momenti di ammissione l’area affettivo-sessuale deve essere oggetto di particolare attenzione, valutata nella globalità della persona e della sua storia, in rapporto con le caratteristiche della vocazione salesiana.
Tra i punti da verificare e chiarire prima del noviziato, in base ad una conoscenza adeguata e ad una valutazione prudente, vi è lo stato sano dell’affettività, particolarmente l’equilibrio sessuale. Il decreto Perfectae Caritatis del Vaticano II, ripreso da Potissimum Institutioni, chiede che i candidati alla professione della castità non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva.
Il discernimento iniziale o il percorso formativo possono evidenziare serie inconsistenze, esperienze di vita che inducono quanto meno ad una estrema prudenza. L’articolo 82 delle Costituzioni richiama la parola di Don Bosco: “Chi non ha fondata speranza di poter conservare, col divino aiuto, la virtù della castità nelle parole, nelle opere e nei pensieri, non professi in questa società, perché sovente si troverebbe in pericolo”. È una direttiva, che ci impegna ad assicurare la serietà del discernimento e delle ammissioni.
Ci sono personalità che mostrano, fin dall’inizio, elementi che sollevano seria preoccupazione: la vita salesiana non è la loro strada. La “fondata speranza”, sottolineata dalle parole di Don Bosco, non può coesistere con situazioni che hanno inciso profondamente sulla persona, né con inclinazioni che difficilmente si armonizzano con le caratteristiche della vocazione salesiana e con le esigenze della missione di educatore pastore, né con una vita precedente gravemente scorretta.
Conosciamo tali situazioni e tendenze; penso ad esempio ai rapporti precoci, alle esperienze sessuali, alle problematiche nell’ambito della omosessualità, a situazioni di violenza, e altre simili. Su di esse si discute con abbondanza di dati antropologici, pedagogici e morali. La varietà dei soggetti, la diversa incidenza delle situazioni e lo stato differente in cui si possono trovare le suddette tendenze sconsiglia una trattazione sommaria, per non far torto alle persone e non limitarsi al fatto dell’accettazione o meno. È conveniente però sapere che noi abbiamo criteri propri di una Congregazione di educatori espressi nei nostri documenti e con possibilità di venire ulteriormente specificati per casi particolari.
Non sempre è facile discernere e valutare con delicatezza e prudenza. È necessario perciò il ricorso a professionisti seri, per giovarci di tutto ciò che la scienza mette a nostra disposizione in questo fondamentale campo della maturità umana.
In ogni caso non si possono chiudere gli occhi su situazioni dubbie. Esse devono essere chiarite prima di ammettere ad impegni che coinvolgono seriamente la persona e la Congregazione. Il formatore, guida o accompagnatore deve essere in grado di non illudersi e di non illudere sulla consistenza del candidato.
Certi abbandoni, in fase di esperienza avanzata, spesso conseguenza di ammissioni poco prudenti, e altre situazioni dolorose (ambiguità di vita, insoddisfazione permanente ed inspiegabile, compensazioni illegittime) invitano alla vigilanza nel discernimento.
Sottolineata l´attenzione da rivolgere alla dimensione affettivo sessuale e rilevata la necessità di un’attitudine di base per la castità “salesiana”, c’è da ricordare che questa richiede una formazione mentale, morale, spirituale e ascetica, se si vuole che porti alla realizzazione di persone mature e gioiose. È dunque un punto da affrontare in forma serena, aperta e diretta.
La conoscenza adeguata, in termini reali, della sessualità nei suoi diversi aspetti, significati e realizzazioni è oggi necessaria, senza tralasciare l’informazione su fatti e tendenze presenti nella nostra cultura. In tal senso, va presentato il problema degli "abusi e molestie" e le sue implicanze di natura civile, ecclesiale, vocazionale, sottolineando il senso di giustizia verso coloro che ne sono oggetto e coltivando una premurosa preoccupazione pastorale sia nei confronti della vittima che del colpevole.
Contemporaneamente sarà necessario presentare in forma “positiva” il celibato e la castità per il Regno, aiutando ad assumerla come un bene anche dal punto di vista umano, con quella libertà che “si configura come obbedienza convinta e cordiale alla verità del proprio essere, al significato del proprio esistere”. La visione che se ne offre, basata sempre sulla Parola di Dio, caratterizzata dal realismo, indicherà criteri e parametri di autovalutazione che il soggetto possa applicarsi senza ansietà e senza illusioni.
In questa prospettiva si inseriscono armonicamente, senza dicotomie e senza ingenuità, l’esigenza di vigilanza spirituale, di prudenza e rinuncia, il richiamo all’ascesi e alla disciplina di vita, all’indispensabile e continuo sforzo per padroneggiare e integrare gli impulsi sessuali.
L’apertura trasparente nel dialogo formativo (direzione spirituale) e la pratica frequente del sacramento della riconciliazione, i rapporti umani e comunitari di serena amicizia e fraternità, il senso della missione e l’amore personale a Gesù Cristo sostengono un cammino di fedeltà non privo di insidie.
La formazione alla castità consacrata costituisce una sfida e un impegno per tutti coloro che intervengono a diverso titolo nel processo vocazionale. E in alcuni contesti può includere difficoltà provenienti dal retroterra culturale. In tal senso, speciale attenzione andrà riservata alla preparazione iniziale dei candidati ed alla formazione continua, al rinnovamento pedagogico e all’unità di criteri lungo tutto il cammino formativo.
L’insegnamento di Don Bosco e l’esperienza della Congregazione ci aiutano ad unire fiducia educativa ed esigenza, sensibilità pedagogica e responsabilità carismatica.
Quanto abbiamo detto può ingenerare l’impressione che la castità riguardi esclusivamente la sfera individuale. Sarebbe come accettare quell’insinuazione insistente della cultura odierna che relega certi aspetti del comportamento all´insindacabile “privato”, alla sola coscienza del singolo.
È vero che in questo ambito, come in tutto il processo vocazionale, ciascuno di noi porta una responsabilità intrasferibile e unica. Eppure la comunità ha una funzione tutt’altro che secondaria.
Ciascuno è chiamato personalmente a inserirsi nella comunità con maturità e a rendersi disponibile per un interscambio fraterno di doni ed esperienze. La comunità, d’altra parte, crea il clima, appoggia, stimola e sostiene. La qualità della nostra testimonianza di castità è legata alla qualità del nostro essere e costruire comunità, del nostro vivere e lavorare insieme. Possiamo esplicitare alcuni motivi di questa interdipendenza.
“Nella comunità - dicono le Costituzioni - troviamo una risposta alle aspirazioni più profonde del cuore”, cioè al bisogno di amare ed essere amati. Nell’affetto donato e ricambiato ci rendiamo consapevoli del nostro valore come persone ed esprimiamo le più profonde potenzialità del nostro essere. La comunità è la nostra famiglia. Nella comunicazione serena e nell’amicizia adulta cresce e si manifesta la nostra capacità di donazione, costruiamo rapporti di efficace collaborazione. Quanto più è forte e sincero il nostro vivere insieme, tanto più il senso della nostra castità, anche nei suoi evidenti aspetti di rinuncia, tonifica il nostro bisogno di amore umano e dà testimonianza credibile che l’amore di Dio riempie la nostra esistenza. Risulta evidente allora, specie per i giovani e la gente che ci vive accanto, che la verginità che professiamo è scelta di un amore autentico, sincero, coinvolgente, ricco di umanità ed aperto a tutti. È cosa certa che l’amore fraterno previene, neutralizza, tempera e riorienta per tempo eventuali cedimenti affettivi. La dissoluzione comunitaria invece, che ha le sue manifestazioni nella freddezza, nella fuga verso l’esterno, nell’individualismo apostolico, spinge verso evasioni e soddisfazioni alternative.
Un secondo motivo dello stretto intreccio tra responsabilità personale ed esperienza comunitaria riguarda la nostra missione di educatori. La vita comunitaria è una scuola e una palestra. La comunicazione educativa ha efficacia se realizzata attraverso un rapporto corretto e intenso, capace di trasmettere valide esperienze e visioni di vita. La condivisione comunitaria, la capacità e disponibilità ad integrarci e completarci reciprocamente forniscono il banco di prova per rapportarci in maniera equilibrata ed efficace anche nei confronti dei giovani. Forse dietro molte tensioni comunitarie si nasconde l’incapacità al confronto, la rinuncia ad integrarci nella missione, la caparbietà di voler fare contro tutto e contro tutti la nostra strada. La fragilità del tessuto comunitario si ripercuote negativamente sull’efficacia della nostra presenza in mezzo ai giovani, che possono diventare l’oggetto dei nostri sfoghi e delle nostre tensioni. Un’esperienza di vita comunitaria serena diventa educativa per se stessa, soprattutto nella sfera dell’amore, dell’amicizia, dell’affettività, nella quale i giovani sono particolarmente sensibili.
Da ultimo, la comunità ci guida e ci sorregge nel nostro cammino di fedeltà, offrendoci uno spazio umano di interrelazioni, circostanze, avvenimenti e contatti che fanno sì che ci sentiamo umanamente realizzati, inseriti positivamente nella società e nel mondo. Una comunità ben integrata comunica forza, energia a ciascuno dei suoi membri, motivandolo ulteriormente nel vivere la propria chiamata, sostenendolo nei momenti di difficoltà, fornendogli uno spazio ampio di comprensione per affrontare anche situazioni difficili, momenti di crisi e di smarrimento. La vicinanza amichevole e discreta dei confratelli è sostegno per chi vive le tensioni della giovinezza e le crisi della maturità, gli affanni della malattia e dell’anzianità.
La comunità ha quindi un compito delicato: assistere e discernere. Assistere nel senso salesiano significa prevenire, percepire prontamente i segni di uno stato d’animo o insoddisfazione, avvertire con una parola fraterna insorgenti ambiguità e rischi, dare coraggiosa e franca illuminazione e chi ne avesse bisogno.
Discernere vuol dire risolvere situazioni insostenibili con rispetto fraterno, ma con altrettanta fermezza e tempestività. È compito del superiore, ma non solo. La testimonianza di ciascuno influisce su tutta la comunità e quindi le appartiene. Essa deve sentirsi investita del dovere di custodire tale testimonianza. A ciò richiama il nostro impegno religioso e per alcuni versi anche la legge civile.
L´Esortazione Apostolica Vita Consecrata sottolinea il fatto che i religiosi “mentre cercano la santità per se stessi, propongono per così dire, una “terapia spirituale” per l´umanità, poiché rifiutano l´idolatria del creato e rendono in qualche modo visibile il Dio vivente”.
Urs Von Balthasar, riprendendo un´espressione di Nietzsche, scrive: “La frase più assennata che io abbia udito è: Nel vero amore, è l’anima che avvolge il corpo”, cioè: “L’irraggiamento del corpo ad opera della purezza dell´anima è effettivamente la castità assoluta”. L´uomo, riplasmato dal Battesimo, in modo nuovo, attraverso il dono della castità, assume la sua corporeità nella grazia, per farne segno non già di dominio, né di solo piacere o di semplice prestanza fisica od estetica, ma di una vita che si dona incondizionatamente al Signore ed ai fratelli.
Siamo consapevoli che non basta “ragionare” di castità. Don Bosco ci ha insegnato ad irradiarla: “L´educazione alla purezza si svolge, come condizione base, da una irradiazione personale degli educatori”.
Né si può parlare di castità salesiana, sganciandola dal clima che la generava e la esprimeva. In quella esperienza di Spirito Santo, Gesù Eucaristico nutriva la vita degli educatori e dei giovani facendoli cristiani, illuminava le anime col fuoco della carità e conferiva alla presenza ed ai gesti la capacità di comunicare la grazia. Creava così una scuola di spiritualità, che continua a dare, in ogni parte del mondo, frutti di santità apostolica ed educativa. Suo “segno” è quell’allegria, in cui Don Bosco vedeva la versione salesiana della “buona notizia” evangelica. Poiché la castità salesiana, rilevava don Luigi Ricceri “viene abitualmente vissuta con una specie di serenità e di allegrezza, con un ardore giovanile, con la freschezza dell´animo, con la chiarezza dello sguardo, con una fiducia invincibile nella vita, con la percezione della presenza segreta di Dio”.
La festività odierna dell´Immacolata è carica di memoria di quell’ambiente che ci serve sempre di ispirazione. Sotto i suoi occhi premurosi e dal fascino della sua maternità verginale, nacque e crebbe quel gruppo di giovani, futuri pilastri della Congregazione salesiana che costituì la Compagnia dell´Immacolata. L’amorevolezza di Don Bosco aveva suscitato in essi desiderio di consacrazione totale.
Aiuti anche noi a maturare nell’amore e ad orientare i giovani verso propositi di santità.
Con l’augurio di un anno nuovo arricchito dalla grazia del Padre, al quale ci volgiamo con amore di figli alla vigilia del terzo millennio.
Juan Vecchi