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QUESTO È IL MIO CORPO, OFFERTO PER VOI

LETTERE DEL RETTOR MAGGIORE - JUAN VECCHI

 

“QUESTO È IL MIO CORPO,  OFFERTO PER VOI”

 

1. "Un´ora" eucaristica
- Il cammino ecclesiale
- La domanda
- La nostra Eucaristia
- La prassi pastorale

2. Invito alla contemplazione
- “Fate questo in memoria di me”
- “Il mio corpo dato... il mio sangue versato”
- “Prendete e mangiate”
- “Io in voi e voi in me”

3. Appello alla celebrazione
- “Ho ricevuto dal Signore”
- “Voi siete il corpo di Cristo”
- “Annunciamo la tua morte”

4. Richiamo alla conversione
- Don Bosco, uomo eucaristico
- Una pedagogia originale
- L´Eucaristia e il “Da mihi animas”
- Un cammino nelle nostre comunità
- Il percorso educativo con i giovani

Conclusione - Un anno "eucaristico".

 

Roma, 25 marzo 2000
Annunciazione del Signore

All’interno del Giubileo, come si è venuto delineando nel triennio di preparazione e come si sta ora attuando, occupa un posto centrale il mistero dell’Eucaristia. Già nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre aveva annunciato che “il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico”. In molte altre occasioni ha ribadito la sua intenzione di fare dell’Eucaristia il cuore della celebrazione giubilare.
Ciò corrisponde ad un fatto costante nella storia della comunità cristiana: l’Eucaristia è stata sempre il momento più espressivo della sua fede e della sua vita. Secondo la bella espressione di S. Tommaso, la Chiesa trova nell’Eucaristia “come l’attuazione perfetta della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti”.
La fede nell’iniziativa del Risorto, che ci raduna, ci parla e ci offre la comunione al suo Corpo e al suo Sangue, dà al Giubileo il suo senso più profondo. Per la presenza eucaristica di Cristo in mezzo a noi, la memoria dell’Incarnazione non è una commemorazione del passato, bensì l’incontro con una salvezza che ci raggiunge oggi e ci apre con fiducia al futuro.
Il Congresso Eucaristico Internazionale, che verrà celebrato a Roma nel mese di giugno, vuol essere uno sguardo di fede riconoscente alla presenza reale di Cristo nella storia umana e un aprisi della comunità cristiana al suo dono totale.
Anche per noi, dunque, il rinnovamento personale e comunitario, spirituale ed apostolico del Giubileo comprende la riscoperta convinta e gioiosa delle ricchezze che l’Eucaristia ci offre e delle responsabilità a cui ci chiama, consapevoli che, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, intorno a questo mistero si edifica tutta la vita cristiana.
L’itinerario sacramentale di preparazione a quest’anno (Battesimo, Confermazione, Riconciliazione) ci porta all´Eucaristia come ad una vetta dalla quale contemplare il mistero Trinitario nella vita del mondo e nella nostra esistenza.

1. “UN’ORA” EUCARISTICA

A noi Famiglia Salesiana non mancano orientamenti, testi, esempi, tradizioni, rappresentazioni artistiche che ricordano l’importanza dell´Eucaristia nella nostra spiritualità, nella nostra vita comunitaria e nella nostra prassi educativo-pastorale.
C’è stato però, ed è ancora in corso, uno sviluppo nella riflessione e nella prassi ecclesiale. Per riscoprire il mistero eucaristico e il suo significato nella nostra vita e nella nostra pastorale, è necessario innanzi tutto che prendiamo coscienza del cammino percorso dalla Chiesa in questi anni, collocandolo sullo sfondo dell’evoluzione culturale che caratterizza i vari ambiti in cui operiamo.
In questa cornice potremo leggere in maniera più penetrante la nostra esperienza eucaristica, trovare una impostazione più pertinente delle domande che essa suscita e accogliere con maggiore generosità la grazia che comunica.

1.1. Il cammino ecclesiale.

Anche a riguardo dell’Eucaristia, il punto di partenza obbligato è il Concilio Vaticano II. Esso ha offerto orientamenti sostanziali, soprattutto impostando la coraggiosa riforma liturgica di cui oggi godiamo i benefici.
Il dato più significativo che emerge dall’evento conciliare è il rilancio della dimensione celebrativa della fede, la liturgia, come fons et culmen della vita cristiana.
Il Concilio, infatti, ha preso una rinnovata coscienza della centralità dell’esperienza liturgico-sacramentale. La riforma dei riti non è stata intesa come semplice adeguamento di gesti e parole alle mutate condizioni storiche; ma, più profondamente, come un rinnovamento dell’atteggiamento e della mentalità ecclesiale, che trova nella celebrazione l´espressione visibile più genuina ed efficace della fede cristiana.
Così il nuovo Messale Romano mette bene in luce il carattere comunitario della celebrazione eucaristica. Tutta l’assemblea viene coinvolta, non soltanto in forma corale, ma anche attraverso una ministerialità distribuita.
Così pure un posto privilegiato viene dato alla Parola di Dio, per favorirne l’ascolto e l’interiorizzazione. Il linguaggio appare più vicino alla sensibilità contemporanea, e si dà uno spazio maggiore all’adattamento e alla sana creatività liturgica.
I vantaggi dell’assimilazione graduale, e non sempre facile, di questa mentalità sono sotto gli occhi di tutti e trovano un vasto consenso. Allo stesso tempo hanno comportato il sorgere di nuovi interrogativi di tipo dottrinale e pastorale.
La ricerca in molti ambiti rimane ancora aperta: la riflessione teologica cerca di offrire nuove sintesi e prospettive che, senza perdere nulla della tradizione della Chiesa, permettano di esprimere la verità dell’Eucaristia nelle nostre categorie culturali e in conformità ai nuovi approfondimenti del Nuovo Testamento, mentre la prassi pastorale prende in considerazione i numerosi problemi sollevati dalla vita attuale dei credenti.
Anche a proposito dell’Eucaristia la Chiesa sta vivendo una stagione ricca di fermenti, in cui convivono grandi potenzialità e rischiose confusioni, acquisizioni significative e iniziative fragili, di corto respiro.
Questo sollecita in maniera particolare la nostra coscienza di pastori ed educatori che, nell’attenzione alle esigenze dei giovani e delle comunità cristiane, devono saper proporre la fractio panis con l’abbondanza di motivazioni e significati che la riflessione ecclesiale offre, senza cedere a mode passeggere né ad opinioni non accertate.

1.2. La domanda.

Il cammino ecclesiale è stato segnato da una trasformazione culturale che ha fatto sentire il suo influsso nell’ambito della celebrazione dei sacramenti in genere e dell’Eucaristia in specie.
Si può accennare al diffondersi dell’espressività spontanea e del valore puramente formale che si dà ai riti regolati da norme o abitudini, di cui si dimenticano facilmente i significati. Siamo infatti in tempi di crisi della memoria storica.
Una certa gestualità collettiva che ci impressiona (discoteche, avvenimenti rock, ecc.) è autoreferenziale: cioè non intende esprimere significati oltre coloro che la compiono. È segnata da un forte individualismo anche dentro una grande massa, perché tende alla soddisfazione propria ed è catturata da una spettacolarità molteplice. Allo stesso tempo, esprime un´esigenza di coinvolgimento personale, di esperienza diretta e di emozionalità.
Non sono questi però i fenomeni che più preoccupano, anche se non è indifferente analizzarli, per l’influsso che esercitano, specie tra i giovani. Altri sono ben più seri. Non possiamo oggi, per esempio, parlare dell´Eucaristia senza tenere presente il fenomeno dei credenti non praticanti, per i quali l’incontro con il Signore è ritenuto separabile e di fatto è separato dall´esperienza sacramentale.
Mentre il Concilio si era posto la questione: “come celebrare i sacramenti?”, nel postconcilio si è dovuto prendere atto che la domanda per molti cristiani era ormai diventata: “perché celebrare i sacramenti?”.
L’esemplificazione può essere ampia e riguarda tutti i sacramenti: se sono già pentito, perché confessarmi? Se ci vogliamo bene, perché dobbiamo ancora sposarci in Chiesa? E al riguardo dell’Eucaristia: se il Signore è sempre con me, perché devo andare a Messa?
Tali interrogativi si riflettono poi sulle condizioni particolari delle celebrazioni sacramentali, sempre all’insegna dell’individualismo e della spontaneità: perché la confessione dei propri peccati al sacerdote e l’assoluzione personale? Perché la partecipazione domenicale all’Eucaristia? E così via.
Sono domande ricorrenti, soprattutto nei giovani, che denotano una carente formazione al significato dell’esperienza sacramentale e anche il diffuso attenuarsi della percezione del valore che il comportamento simbolico e rituale ha per l’uomo, a favore di una ingenua esaltazione della spontaneità.
Come pastori ed educatori non possiamo sottovalutare l’incidenza di questi fenomeni, che portano a considerare la celebrazione dell’Eucaristia come un atto insignificante per la vita, condizionato da una rigidità ritualistica che costituirebbe un ostacolo all’espressione del proprio vissuto religioso.
D’altra parte, i tentativi di dare risposta a queste istanze si sono spesso rivelati fragili e sono giunti, in certi casi, a forme che compromettevano l’identità del sacramento, rischiando di ridurlo a un incontro fraterno, a un momento di condivisione puramente orizzontale, a un atto incluso nel programma di qualche celebrazione considerata più importante.
La complessità di questi fenomeni deve essere tenuta presente, perché la nostra esperienza dell’Eucaristia non sia disancorata dalla vita e perché la nostra pastorale non trascuri di porsi delle domande che risultano determinanti sul piano educativo.

1.3. La nostra Eucaristia.

Sullo sfondo che abbiamo tracciato in maniera sommaria, possiamo ora cercare di verificare il nostro vissuto eucaristico, alla ricerca di elementi positivi da sviluppare ulteriormente e con la disponibilità a riconoscere aspetti problematici, in cui il nostro cammino richiede di essere rettificato.
Il rinnovamento liturgico ha avuto effetti positivi anche tra di noi. Tra gli aspetti più promettenti della nostra vita fraterna, vi è infatti la quotidiana Concelebrazione eucaristica, che, come dicono le nostre Costituzioni, “esprime la triplice unità del sacrificio, del sacerdozio e della comunità i cui membri sono tutti al servizio della stessa missione”.
Intorno all’altare, nella celebrazione gioiosa del mistero eucaristico, le nostre comunità rinascono ogni giorno dal cuore di Cristo che ci rende partecipi della sua carità, ci dona la capacità di accoglierci e di amarci e ci invia come segni e testimoni del suo amore ai ragazzi e ai giovani, destinatari della nostra missione. Ciò si rende più evidente nella giornata settimanale della comunità, nella quale, in genere, si celebra con più calma e maggiore partecipazione.
Qualche elemento di riflessione può provenire dal nostro modo di celebrare. Non mancano esperienze di celebrazioni degne e gioiose, compenetrate dal mistero che si celebra e dalla fraternità in Cristo che si vuole esprimere. Non è, però, neppure raro il caso di una certa carenza nella qualità celebrativa, dovuta talora alla fretta, più spesso a una mancanza di attenzione agli atteggiamenti che predispongono e accompagnano una celebrazione, ad una sottovalutazione del valore della gestualità e del linguaggio simbolici, di cui vive la celebrazione.
Ciò può essere in parte reazione ad un passato in cui alcuni gesti apparivano solo come delle “cerimonie”, che davano solennità al sacramento. Oggi però la Chiesa, mentre ci chiede un vigoroso cambiamento di mentalità, ci mette in guardia contro il cedimento a forme di secolarizzazione, in cui si finisce per banalizzare, con motivi poco fondati, elementi carichi di significato.
Altri aspetti della nostra esperienza eucaristica richiedono riflessione e scelte pratiche non sempre agevoli, che devono essere ispirate a saggezza e flessibilità. Penso al servizio generoso che spesso prestiamo in numerose cappellanie. Esso esprime la carità pastorale delle nostre comunità verso il popolo di Dio, in particolare verso le comunità religiose femminili, che non potrebbero altrimenti godere del ministero presbiterale. Tale servizio, però, non può eliminare del tutto la necessità che la comunità trovi occasioni frequenti per la Concelebrazione comunitaria, che costituisce il momento sorgivo della nostra vita di fratelli nello Spirito.
Osservazioni più pressanti devono essere fatte riguardo alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia, che costituisce per tutta la Chiesa il segno centrale del giorno del Signore e il cuore della settimana cristiana.
La domenica “secolarizzata” è considerata giorno di svago, goduto individualmente. Viene dal singolo sequestrata alla comunità umana e persino alla propria famiglia, sotto pretesto di distensione o riposo contro lo stress del lavoro e dei rapporti funzionali. È questa una mentalità che può penetrare anche tra di noi, dedicati al lavoro educativo durante la settimana. Se così fosse, apparirebbe come un sintomo grave: una domenica senza comunità e senza Eucaristia!
Più frequente però è, ringraziando il Signore, un´altra situazione. In generale, ci spendiamo generosamente nel ministero. Non poche comunità, poi, curano qualche segno e momento che richiami come l’Eucaristia domenicale sia il perno intorno a cui ruota la nostra vita consacrata. Parecchie hanno stabilito un momento di adorazione eucaristica nelle ore vespertine, con notevole profitto anche della fraternità.
Ciò porta ad un altro punto di verifica: il senso della presenza eucaristica del Signore nella nostra Casa. Le cappelle sono quasi dappertutto disposte con gusto e dignità e offrono un ambiente adeguato di preghiera, ma si sono affievolite le forme di incontro personale e comunitario con il Signore. Il significato e il valore di una sosta, anche prolungata, davanti all’Eucaristia vengono talora messi in discussione, in base ad opinioni sulla presenza e sul culto eucaristico che non hanno fondamento nell’insegnamento della Chiesa, o in base all´affermazione che la nostra unione con Dio si realizza già nel lavoro.
Per noi questo aspetto aveva un’espressione semplice ed efficace nella “visita”. Può essere utile, in proposito, ascoltare il monito di uno dei teologi più significativi della nostra epoca, Karl Rahner: “Chi mette in discussione la visita dovrebbe domandarsi se le sue obiezioni contro tale devozione non siano, in realtà, la protesta dell’uomo indaffarato contro il richiamo imperioso a mettersi una buona volta davanti a Dio con tutto il suo essere, raccolto in disparte e rilassato, in un’atmosfera calma e tranquilla, mantenendosi nel silenzio rigeneratore e purificante in cui parla il Signore”.

1.4. La prassi pastorale.

Le situazioni educative e pastorali sono variegate e non sarebbe corretto farne un´unica valutazione generale.
Complessivamente, si può dire che c’è molta generosità e spirito di sacrificio nell´esercizio della presidenza eucaristica. Molti confratelli sacerdoti, soprattutto alla domenica, si spendono assiduamente a servizio del Popolo di Dio. Dappertutto ci si preoccupa di avvicinare gesti e parole alla comprensione del popolo e di introdurre giovani e adulti nello spirito della celebrazione con legittima creatività.
Nei nostri oratori/centri giovanili e nelle istituzioni scolastiche troviamo difficoltà di vario genere per educare al mistero eucaristico. Spesso, anche in contesti tradizionalmente cristiani, non è facile farne comprendere il valore, perché manca la collaborazione e la testimonianza da parte delle famiglie, per una insufficiente catechesi o per una pratica precedente poco eloquente per l’esperienza dei giovani.
Ciò potrebbe ingenerare in noi una mancanza di fiducia nel proporre. Con il desiderio di evitare ogni parvenza di imposizione o eccesso, c’è chi limita la celebrazione a poche grandi occasioni, rischiando di snaturare dal di dentro il senso del sacramento che appare come un momento rituale per solennizzare certi passaggi dell’anno. Qua e là si pensa che i ragazzi non sono preparati, catechisticamente e spiritualmente, a capire il significato dell´Eucaristia; si dimentica che per loro è non soltanto “culmen”, ma, se pedagogicamente preparata, anche “fons” della loro vita.
Da qualche parte si porta, come ragione di un´Eucaristia diradata, il rapporto da mantenere tra le celebrazioni nei nostri ambienti giovanili e quelle che più globalmente coinvolgono tutta la comunità cristiana. Certo, i giovani non vanno isolati da un’esperienza ecclesiale più ampia, ma inseriti in essa con la gradualità pedagogica e l’attenzione alle tappe di crescita di cui è ricca la nostra tradizione.
Bisogna dire che in non pochi progetti educativi il nodo è stato risolto molto bene con svariate opportunità di celebrazione: alcune proposte a tutta la comunità educativa, altre a gruppi, altre ancora alla libera partecipazione, dentro e fuori dell’orario scolastico od oratoriano.
L’aspetto più negativo, che fa capolino qua e là, è la pretesa di una cosiddetta laicità della attività educativa che non consentirebbe la celebrazione eucaristica, mentre si sa che ogni comunità cristiana, e dunque pure quella educativa, trova nell’Eucaristia la sua massima espressione.
Si riconosce che la partecipazione vivace dei ragazzi e giovani nella celebrazione sveglia in loro grandi risorse spirituali. Nel cercare forme che favoriscano tale partecipazione, non pochi confratelli e laici impegnano ispirazione, tempo, conoscenze ed energie.
Il nostro carisma fa sì che portiamo scritto nel cuore il desiderio di una forma di predicazione, di una gestualità, di una musica liturgica e di un tono complessivo dell’Eucaristia, in cui il giovane possa ritrovarsi. Tutto questo è una grande ricchezza ed un tesoro che possiamo offrire, con umiltà e discrezione, a tutta la Chiesa.
Ma non è ipotetico il rischio di fraintendimenti e distorsioni. La creatività, che le norme liturgiche prevedono, è cosa ben diversa dall’arbitrarietà, dall’introduzione di gesti che indulgono allo spettacolare, trasferiti da situazioni estranee al senso eucaristico, che sul momento possono attirare l’attenzione non su Dio, ma su noi stessi e sui nostri gesti.
D’altro lato, ogni rito si svolge conforme ad un ordine ed a certe norme. Ciò custodisce e trasmette valori spirituali di prim’ordine, come la consapevolezza che quello che si compie è un gesto non inventato da noi ma ricevuto come un dono di amore, il sentirci in comunione con gli altri fratelli, presenti o lontani, che celebrano la stessa fede, il ricondurci all’essenziale, che cioè è Dio stesso che opera attraverso di noi, ed altro ancora.
Sono cose di cui anche i ragazzi possono fare esperienza. Spesso ci stupiscono con la loro capacità di entrare in risonanza con la sobrietà dei simboli liturgici: essa va al di là delle nostre attese, a condizione che chi guida la celebrazione sia veramente un uomo di preghiera.
Un ultimo elemento di riflessione, sul versante pastorale, tocca da vicino la figura del salesiano presbitero, in quanto ministro dell’Eucaristia. La resistenza delle culture secolarizzate ad accogliere l’indispensabile mediazione della Chiesa e il valore dei momenti sacramentali, si traduce anche per i presbiteri in una certa difficoltà a riconoscere la celebrazione dell’Eucaristia come parte eminente del loro ministero. Concorre certamente a determinare questa esitazione anche la reazione ad una certa teologia del passato, che considerava il compito sacramentale (munus sanctificandi) quasi come l’unico ambito di esercizio del ministero.
La tradizione salesiana, grazie all’ampio raggio dell’azione educativa in cui ci vede coinvolti, ha sempre sostenuto la necessità di allargare questa prospettiva. Ma, mentre rinnoviamo la coscienza che i sacramenti non sono l’unico compito del prete, non dobbiamo dimenticare che rimangono il compito più grande, più specifico e più fecondo.
Sarebbe infatti problematica la figura di un presbitero che non sentisse come sua suprema responsabilità quella di servire la comunità attraverso la presidenza dell’Eucaristia, da cui nasce e si sviluppa la vita della Chiesa o che, quando non può celebrare per o con la comunità radunata, non compisse il gesto di offerta di Cristo in comunione e a nome della Chiesa.
Questi elementi di verifica, di proposito solo esemplificativi, ci portano a pensare che dobbiamo inserirci nella corrente viva della riflessione della Chiesa riguardo all’Eucaristia per ricomprendere il senso della sua celebrazione. Di qui i passi successivi che mi propongo di fare con voi in questa meditazione.

2. INVITO ALLA CONTEMPLAZIONE

Contemplazione è l’atteggiamento consono al mistero eucaristico. Questo è un dono che viene dall’Alto. Al di fuori della fede non trova alcuna plausibilità. Per comprenderlo è necessario mettersi in ascolto del Signore, meditare a lungo la sua parola e sentire lo scandalo che il suo annuncio, oggi come ieri, suscita nel cuore dei discepoli.
Anche noi, come i discepoli a Cafarnao, vogliamo avvertire il paradosso dell´offerta di Gesù, stupirci per la radicalità del suo discorso, che confonde la nostra logica umana con la sovrabbondanza dell’amore divino.
Cogliere con nitidezza il senso dell’Eucaristia è un compito che si rinnova per ogni generazione di credenti: compito affascinante, affidato alla riflessione, alla preghiera, al silenzio, all’amore, all’impegno per i fratelli, alla contemplazione. Ma anche compito determinante, perché è in gioco la nostra accoglienza del vero Gesù, quello che è nato da donna e ha patito sotto Ponzio Pilato, contro ogni tentazione di proiettare immagini del Signore o rappresentazioni della sua presenza che contraddicono la verità del Vangelo.

2.1. “Fate questo in memoria di me ”.


Il riferimento fondamentale per comprendere l’Eucaristia è l’Ultima Cena del Signore. Lì è nata, e di essa è il memoriale. Penso non sia necessario spiegare che memoriale, nel linguaggio liturgico, non è rievocazione soggettiva, ricordo nel pensiero; ma attualizzazione e prolungamento che rende presente e perpetuo, eppure sempre nuovo, l’avvenimento celebrato.
Una rimeditazione costante di questo momento della vita di Gesù, sulla base del testo, è indispensabile. Non mi trattengo dal raccomandarvela. Ad ogni rilettura del Nuovo Testamento emergeranno novità inattese.
L’Ultima Cena costituisce, in un certo senso, la sintesi di tutta la vita di Gesù, la chiave di interpretazione della sua morte imminente. Proprio per questo i testi evangelici le conferiscono particolare risalto.
Senza scendere nell’analisi dei singoli brani, basti richiamare che l’evangelista Giovanni colloca nel contesto della Cena l’espressione più alta dell’insegnamento di Gesù (i discorsi di addio), il momento più intenso del suo dialogo con il Padre (la preghiera sacerdotale) e l’espressione più profonda del suo amore per i dodici (la lavanda dei piedi).
La Cena appare come un avvenimento a lungo preparato, desiderato ardentemente da Gesù, e variamente anticipato da momenti emblematici della sua vita: l’annuncio del Regno durante i banchetti con i peccatori, la moltiplicazione dei pani, le parabole sugli invitati a nozze, la discussione sul Pane vivo, e così via.
Nei testi della Cena, e più specificamente nelle parole dell’istituzione, c’è un vasto intreccio di temi, che vanno dall’esperienza salvifica della Pasqua antica al banchetto della Sapienza, dalla tematica profetica della morte redentrice del Servo di Jahvè ai testi relativi all’Alleanza nel Sinai e alla Nuova Alleanza.
La Cena non è semplicemente “uno” degli avvenimenti della vita di Gesù, ma realmente l’avvenimento “decisivo”, per cogliere il senso della sua missione e l’interpretazione che egli dà del suo vivere e del suo morire.
Quanto Gesù compie durante la Cena è il coronamento di una lunga storia. È la “nuova” alleanza fra Dio e l’umanità, che realizza quanto era stato promesso in tutte le precedenti. È un’anticipazione rituale e un’interpretazione simbolica della propria morte. È un testamento per la sua Chiesa.
Egli, consapevole della passione che lo attende, non fugge di fronte alla reazione violenta che l’umanità oppone alla predicazione del Regno, ma la assume e la trasforma dal di dentro con una sovrabbondanza di amore. Consuma così il dono di se stesso, consegnandosi per la nostra liberazione, nella docile accoglienza della volontà salvifica del Padre, che lo Spirito gli presenta come un invito e come un comando d’amore.
È l´offerta della sua vita come dono del Padre per l’umanità che Gesù anticipa e iscrive nel gesto eucaristico. L’antico rito si riempie di una novità inaudita, perché l’Agnello che lava le nostre colpe e ci restituisce a Dio è il Figlio fatto carne, consustanziale con il Padre e partecipe della nostra umanità.
Non mediteremo e non adoreremo mai abbastanza il mistero di amore racchiuso in questo evento, la cui vastità ci supera e la cui gratuità ci confonde. Esso segna l’inizio dell’ordine sacramentale cristiano, che ha come contenuto la Pasqua salvifica di Cristo, ed estende agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo la comunione con la sua carità.

2.2 “Il mio corpo dato ... il mio sangue versato ”. 

Le riflessioni precedenti ci hanno già aiutato a cogliere il riferimento sostanziale dell’Eucaristia al mistero pasquale di Cristo.
Una delle parole cardini per raccontare questo mistero e quindi per comprendere cristianamente l’Eucaristia è “sacrificio”. Per l’uomo contemporaneo, esso sembra un reperto del passato, un ingombro inutile non solo nella vita quotidiana, dove è prassi la rincorsa alle comodità, ma anche nel rapporto con Dio. Non consideriamo che valga la pena sacrificarci se non in vista di un maggior vantaggio, e non capiamo allora perché sacrificare qualche cosa a Dio, e tanto meno perché attribuire a Lui un tale atteggiamento.
Al di là della parola, la realtà del sacrificio non può essere sottaciuta senza snaturare il senso dell’Eucaristia. Suscita pertanto una certa preoccupazione la tendenza a diradare l’annuncio di questa verità nella predicazione e nella catechesi, magari attraverso il ricorso ad altre categorie, che sono insufficienti da sole a esprimere l’intenzione di Cristo, come appare nell’Ultima Cena e nella consapevolezza della Chiesa primitiva.
Parlare del sacrificio eucaristico significa collegarsi, da un lato, a un comportamento presente in tutte le religioni e, dall’altro, cogliere la novità di Cristo.
Gesù, nella sua vita, dimostra un’opposizione e un rigetto totale di una certa concezione di sacrificio, ma d´altro canto, interpreta il momento supremo della sua missione, dicendo che offre il suo Corpo “in sacrificio” per noi.
La concezione sacrificale che Gesù rifiuta è quella che intende il gesto dell’offerta a Dio come il tentativo dell’uomo di accattivarsi i favori, la protezione e magari i privilegi della divinità in base alle proprie opere, presentate a Dio come un titolo di merito.
I motivi per cui questo comportamento è aberrante sono molteplici: esso contiene l’idea che Dio non ami tutti gratuitamente e liberamente, ma tratti gli uomini in base a calcoli interessati; favorisce un rapporto con Dio che non pone al centro l’adesione fiduciosa alla sua persona, ma l’adempimento giuridico di gesti formali; vede l’uomo preoccupato non di convertirsi e di entrare nel Regno, ma di avere da Dio l’esaudimento dei suoi desideri immediati.
Quando la partecipazione all’Eucaristia viene inculcata più come un precetto da assolvere che come una Grazia da incontrare; quando si va a Messa per i doni che da Dio si attendono, piuttosto che per incontrarsi con quel Dono che è Dio stesso, si impone la constatazione che, anche se le forme sono cristiane, il contenuto esperienziale non lo è affatto.
L´idea di sacrificio che Gesù manifesta, infatti, è qualcosa di molto diverso e addirittura opposto. Egli parla di sacrificio a proposito della sua morte, intesa non come una sconfitta, ma come il compimento supremo della sua missione. La morte di Gesù sulla croce, infatti, smaschera ogni rappresentazione di Dio che proietti sul Padre la nostra meschinità e i nostri istinti di possesso e di rivincita.
Il sacrificio compiuto una volta per tutte sulla croce, e reso presente in ogni Eucaristia, è quello in cui è Dio stesso a sacrificarsi per l’uomo, in forza di un movimento di carità illimitata e incondizionata. Gesù si sacrifica per noi nel senso di donarci la sua vita, con una dedizione gratuita che non ha altra attesa se non quella di esprimere l´amore del Padre suo, di cui Egli, nella sua totale oblazione, è la perfetta immagine.
Quando dunque noi celebriamo il sacrificio eucaristico, partecipiamo al mistero della Croce con cui Cristo ci ha liberati dalle nostre paure di Dio che sono la conseguenza dei nostri peccati, ci apriamo gioiosamente all’incontro con un Dio che non ci chiede nulla per amarci, se non la nostra disponibilità a lasciarci amare da Lui. Per questo il nome che definisce questo sacramento è “Eucaristia”, cioè “rendimento di grazie” al Dio che gratuitamente ci ama.
La fedeltà all’amore di Dio chiederà realisticamente anche a noi, molte volte, di affrontare ostacoli e di scontrarci con l’opposizione crocifiggente del peccato nostro e altrui. Anche questo fa parte della nostra partecipazione al sacrificio eucaristico. Ma non ci accadrà di intendere il sacrificio eucaristico come la prestazione di un obbligo religioso perché Dio ci dispensi un favore, né di intendere l’offerta di noi stessi in unione a Gesù come un prezzo imposto da Dio per poi concederci una grazia.
Se vogliamo che la partecipazione all’Eucaristia sia fruttuosa e motivata dalla fede, dobbiamo correggere le visioni distorte e soprattutto proclamare, come S. Paolo, la lieta novella che scaturisce dalla Croce di Cristo, di cui ogni Eucaristia è il memoriale.
Per noi, in particolare, la meditazione del sacrificio eucaristico costituisce un’eccellente occasione per rinnovare la nostra dedizione apostolica come partecipazione all’atteggiamento di Gesù Buon Pastore che salva gli uomini attraverso il dono di sé. È dall’Eucaristia, infatti, che la nostra carità pastorale attinge dinamismo e fecondità: partecipiamo quotidianamente al sacrificio di Cristo per imparare da Lui a dare ogni giorno la vita, mossi dal suo stesso Spirito d’amore.

2.3. “Prendete e mangiate ”.


La “mensa”, il “convivio” o “banchetto” hanno una lunga tradizione teologica e liturgica basata sul memoriale della Cena di Gesù. Sarà sempre necessario stare attenti a non centrare il suo significato su di noi, quasi fosse principalmente un incontro amicale dei cristiani, ma riferirlo piuttosto al dono del cibo per la vita che il Padre ci dà in Cristo.
L’Eucaristia infatti è la grazia, l’invito e l’avvenimento della nostra comunione con Cristo Risorto e con il Padre: “Tu prepari per me una mensa…il mio calice trabocca”.
Tutto il cammino pedagogico della celebrazione porta verso questo apice attraverso il pentimento, la lode, l’ascolto della Parola, la fede, l’umile nostra offerta. Cristo non solo compie un sacrificio di amore, ma ce ne fa partecipi e commensali.
In tutta la sua esistenza Gesù si presenta come la vita a cui partecipare, l’acqua da bere per dissetarsi, il Pane di cui cibarsi, la saggezza alla cui tavola sedersi, la vite in cui innestarsi. Il banchetto riempie il vangelo e il Buon Pastore porta i suoi ad “acque tranquille e prati erbosi”. Sono tutti accenni ad una misteriosa comunione.
Come nel discorso sul Pane, presentato da Giovanni, anche nella celebrazione eucaristica accogliere la Parola e mangiare il Corpo sono in una linea di continuità e di ascesa. E tutti e due sono dono del Padre e comunione con Cristo.
Il Signore Risorto, per la mediazione della Chiesa e con l’azione invisibile ma reale dello Spirito, in ciascuna Eucaristia si dona a noi anzitutto come Parola. Egli non soltanto, né principalmente, ha detto delle parole sagge, ma è la Parola totale e definitiva di Dio per l’uomo con tutte le risonanze che essa può avere anche a livello di significato umano. Nella nostra celebrazione eucaristica “lo stesso Cristo con la sua Parola - afferma la Costituzione Sacrosanctum Concilium - si fa presente in mezzo ai suoi fedeli” .
La comunione eucaristica è possibile per l’uomo soltanto se l’accoglienza della Parola e la fede lo hanno portato ad aprire le porte all’amore.
È importante non perdere di vista che “Egli ci spiega le Scritture (…) soprattutto quando ci raduna per la Santa Cena”. Le nostre Costituzioni privilegiano questa prospettiva che collega Parola e partecipazione al sacrificio: “L’ascolto della Parola trova il suo luogo privilegiato nella celebrazione dell’Eucaristia”. Esplicitando di più il senso apostolico, quelle delle FMA dichiarano: “Alimentandoci alla mensa della sua parola e del suo Corpo, diventiamo con Lui “pane” per i nostri fratelli”.
Questo è uno degli aspetti che spesso trascuriamo nelle nostre celebrazioni: la forma della lettura, l’atteggiamento di ascolto, la proprietà degli arredi, la conveniente sottolineatura debbono invece renderlo rilevante.
È il momento quotidiano più efficace di formazione permanente, soprattutto se - come indica lo stretto collegamento che esso ha con l’Eucaristia - non ne facciamo un oggetto di elucubrazione intellettuale o di studio, ma ci apriamo all´accoglienza ed alla comunione con Cristo. Non leggiamo le pagine bibliche per informarci di cose che non sappiamo, ma per sentire in esse e da esse la voce viva di Dio che, oggi e qui, ci rivolge la parola per illuminarci e sostenerci nella storia concreta che ci tocca vivere.
Motivo, non minore, per sottolineare questo aspetto è l’importanza che ha il ministero della Parola per noi come educatori e come pastori. Mai se ne coglie il significato così bene, specialmente in rapporto alla vita del popolo di Dio, come nel contesto eucaristico.

2.4. “Io in voi e voi in me ”.

L´Eucaristia, celebrazione dell´offerta di Cristo al Padre per l’umanità, realizza la forma più intensa della sua presenza tra noi. Quella eucaristica viene chiamata appunto “per antonomasia” la presenza reale.
L’Eucaristia proclama che la Pasqua ha compiuto la finalità dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ovvero l’intenzione di Dio di fare con l’uomo la più profonda, permanente e sentita comunione.
La Croce e Risurrezione non hanno cancellato la presenza di Cristo dalla storia, ma l’hanno portata nel tessuto più profondo delle vicende umane, proprio attraverso il segno sacramentale dell’Eucaristia. Contemplando il pane e il vino eucaristici, noi infatti comprendiamo che Gesù è veramente l´Emanuele, il Dio con noi, che ha posto tra noi per sempre la sua dimora.
Quel senso vivo della presenza di Dio, che caratterizza la nostra spiritualità e che Don Bosco inculcava con tanto impegno ai suoi ragazzi e ai suoi collaboratori, trova qui la propria radice e il proprio fondamento.
Oggi, come ieri, diventa capace di contemplazione di Dio nell’azione soltanto chi impara a vedere la sua presenza nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
È lì che, secondo l’episodio di Emmaus, si aprono gli occhi e si riconosce il Risorto, sino ad allora confuso sotto tratti e parole comuni. È lì che i discepoli scoprono la continuità tra il crocifisso e il vivente e capiscono il significato insolito della morte di Gesù. Così, allo spezzare il pane prende il via una azione apostolica autentica, che porta i segni dell’incontro reale con il Signore e si fa annuncio di una comunione con Lui, vissuta e sperimentata di persona.
In maniera suggestiva e illuminante la Sacrosanctum Concilium e in seguito altri testi collegano le diverse forme di presenza di Gesù Risorto mettendo al vertice quella, inattesa, per cui Gesù si identifica col pane e col vino dell´Eucaristia, celebrata in sua memoria dalla comunità dei discepoli.
Gesù è realmente presente nella sua Parola, nella quale si dona già come luce e come cibo. È presente pure in tutti i sacramenti, che sono “forze vive che emanano da Cristo vivo”, ad opera dello Spirito: “Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza”, quando uno assolve è Cristo che assolve.
Gesù è presente nella preghiera, soprattutto nella Liturgia delle Ore: lo stesso Gesù, orante supremo nella sua esistenza di Risorto, ci incorpora nella sua preghiera, facendoci concelebrare la lode del Padre e l´intercessione per il mondo.
Cristo è realmente presente nella comunità, nel ministro che presiede la celebrazione e ricollega visibilmente la comunità al suo fondamento che è Lui.
Dopo la celebrazione, prolunga nel sacramento la sua presenza a beneficio di tutti coloro che lo desiderano o lo cercano (malati, visitanti) e non hanno potuto convenire alla celebrazione; continua ad essere realmente presente nei poveri e nei malati: “A me l’avete fatto”.
Questa comprensione della multiforme, ma unica presenza del Risorto dà unità alla nostra vita. I sacramenti, la preghiera liturgica, la comunità, la missione, l’esperienza di fraternità, il servizio agli altri: tutto rimane unificato dalla convinzione che il Signore Gesù è presente in ogni momento, come Lui stesso ci ha assicurato: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
L’Eucaristia è il sacramento della sua presenza, così come lo è del suo sacrificio: sacramento nel quale, con maggiore intensità e vicinanza, si mette alla portata del nostro sguardo, della nostra supplica e della nostra amicizia.
Questa presenza non va intesa come presenza di realtà materiale, quasi il corpo di Cristo fosse rinchiuso, immobile, statico; è invece vivente, irradiante, attivo ed operante. Non ospitiamo un estraneo o un forestiero; non lo facciamo prigioniero di qualche prodotto del nostro artigianato. È il Risorto, il Signore del cosmo e della storia che, avendo colmato la misura dell’amore, esercita sul mondo la propria sovranità salvifica, senza essere limitato dallo spazio e dal tempo, proprio come si mostrava dopo la Risurrezione.
È questo un aspetto del mistero che dobbiamo a lungo meditare e contemplare, in un silenzio pervaso di preghiera e di docilità alle illuminazioni interiori dello Spirito.
La presenza eucaristica, opponendo resistenza alle nostre tentazioni di catturare il divino, ci aprirà spazi più umili e più autentici di contemplazione del Dono di Dio. Contemplare un Dono non è mai puramente vedere una “cosa”; è possibile solo quando si realizza un’intesa tra chi dona e chi riceve: a questa intesa spirituale con Cristo ci chiama la silenziosa presenza eucaristica.
Su tale presenza si fonda il culto eucaristico, nelle sue forme pubbliche e private. Il suo valore, costantemente proposto dal magistero della Chiesa e dall’esempio di una schiera innumerevole di santi, deve essere riscoperto anche da noi. Adorando l’Eucaristia impareremo a dilatare il cuore sulla misura di quello di Cristo; scopriremo la gioia di un ascolto prolungato, di una lode gioiosa e di un’intercessione fiduciosa per le necessità di tanti fratelli, soprattutto di tanti giovani che incontriamo o che, forse, personalmente non incontreremo mai.
Ha scritto il Papa: “L’intimità divina con Cristo, nel silenzio della contemplazione, non ci allontana dai nostri contemporanei, ma, al contrario, ci rende attenti e aperti alle gioie e agli affanni degli uomini e allarga il cuore alle dimensioni del mondo. Essa ci rende solidali verso i nostri fratelli in umanità, in particolare verso i più piccoli, che sono i prediletti del Signore ”.
In questa prospettiva egli ha rivolto un invito pressante che ci coinvolge in prima linea: “Raccomando ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, così come ai laici, di proseguire e di intensificare i loro sforzi per insegnare alle giovani generazioni il senso e il valore dell´adorazione e della devozione eucaristiche. Come potranno i giovani conoscere il Signore se non vengono introdotti al mistero della sua presenza? Come il giovane Samuele, imparando le parole della preghiera del cuore, essi saranno più vicini al Signore che li accompagnerà nella loro crescita spirituale e umana e nella testimonianza missionaria che dovranno rendere per tutta la loro esistenza”.

3. APPELLO ALLA CELEBRAZIONE
3.1. “Ho ricevuto dal Signore ”.

Colto il significato dell’istituzione dell’Eucaristia nell’Ultima Cena, non stupisce che la Chiesa, guidata dall´esperienza pasquale, abbia posto al centro della sua vita e pubblica identità la pratica frequente e perseverante della fractio panis.
Eventi come quello di Emmaus, infatti, mettono in luce come la ripetizione del gesto eucaristico è il luogo di riconoscimento del Risorto, il segno della novità e della continuità del rapporto di Gesù con i suoi dopo la sua morte e Risurrezione, il modo più evidente con cui egli continua a farsi presente in mezzo a loro, a parlare e ad ammetterli ad un’inimmaginabile comunione con sé.
La ripetizione dei gesti e delle parole della Cena diventa così per la Chiesa nascente il nuovo modo di accedere al mistero di Dio. Non è più possibile pensare a Dio, senza passare attraverso la morte e Risurrezione di Cristo e dunque attraverso l’Eucaristia che ne è il memoriale. Non è possibile trovare un’esperienza più immediata di rapporto con il Risorto di quella che riconosce la sua presenza, reale e vivente, dove si celebra lo “spezzare del pane”.
Così la celebrazione dell’Eucaristia segna il distacco della comunità cristiana dal culto antico, la rilettura di tutta la vicenda terrena di Gesù alla luce della sua Pasqua, e l’identificazione dei suoi discepoli come coloro che “mangiano un solo pane” e formano con Lui “un solo corpo”.
L’insegnamento di S. Paolo ai Corinzi, espressione di una tradizione della prima ora, evidenzia come il comando di Gesù a riguardo del rito eucaristico penetrò fin dall’inizio molto profondamente nella vita della comunità e si pose come il fondamento di tutta l’esperienza ecclesiale.
Il cammino che lega la nostra Eucaristia alla fractio panis apostolica ed all’Ultima Cena del Signore è segnato da un lungo percorso storico e da una lenta evoluzione dei riti, che ha recepito gli influssi e le ricchezze di varie epoche e zone geografiche. In fondo, il cammino rituale dell’Eucaristia fa corpo con il cammino storico del Popolo di Dio, che dall’Eucaristia è generato e che in essa esprime la propria adesione al Signore.
Non meraviglia allora l´attenzione affettuosa con cui la Chiesa conserva i gesti e le parole di Gesù, ponendoli nel cuore della sua più bella celebrazione, tramandandoli con cura e fedeltà, di generazione in generazione. Comprendiamo pure perché le comunità cristiane, anche di nascosto in tempo di persecuzione, ci tenevano a celebrare l’Eucaristia non in modo qualsiasi, ma in quello stesso della Chiesa universale che invisibilmente le sosteneva. Nell’Eucaristia infatti si contiene tutto il bene del popolo di Dio: grazia, unità, storia, missione.
Al di là delle variazioni nelle forme esterne del rito, ancorate per altro all’immutata centralità dei gesti e del racconto della Cena, vi è un significato che non deve sfuggirci.
L’Eucaristia è una “celebrazione”, ovvero un’azione rituale che ha come soggetto visibile la comunità dei credenti presieduta dai propri pastori in comunione con il Vescovo e con il Papa. Dunque già nel suo aspetto immediato, l’atto della celebrazione eucaristica pone in risalto la struttura comunionale della Chiesa.
L’Eucaristia, infatti, non si presenta con i tratti di un’azione privata, fatta da un singolo o da un gruppo occasionale, ma al contrario rivela i caratteri di un’azione comunitaria, che chiama sempre in causa la vita della Chiesa nella sua totalità.
A nessuno può sfuggire quanto sia rilevante tutto questo in un’epoca segnata da forti individualismi, che si riflettono a volte anche nell’esperienza quotidiana della nostra vita fraterna. La celebrazione dell’Eucaristia, invece, ci pone immediatamente in relazione con gli altri. Essa è possibile infatti soltanto in forza della continuità del ministero apostolico e della appartenenza alla comunione ecclesiale. Nel "memoriale", momento sostanzialmente celebrativo e rituale, noi siamo collegati a tutte le chiese del mondo e con i discepoli che, dalla Cena, si sono succeduti fino a noi.
Il fatto stesso di radunarci per celebrare costituisce già un grande atto di fede: ciò che ci muove non è un nostro progetto o calcolo, ma la consapevolezza di dover prestare, tutti insieme come comunità di discepoli, obbedienza al comando di Gesù.
Se si guarda alla celebrazione liturgica con maggiore profondità, ci si accorge che essa, oltre ad essere espressione della fede ecclesiale, è più radicalmente espressione e visibilizzazione dell’azione di Cristo Gesù. I gesti liturgici che compiamo hanno senso solo in quanto rimandano a qualcosa che Egli stesso, oggi, compie attraverso di noi. Il protagonista dell’azione liturgica è Lui e tutto il rito, nella sua bellezza e nella sua sobrietà, vuole proprio lasciare trasparire questa Sua divina presenza.
La sproporzione che esiste tra la semplicità dei gesti rituali e la grandezza del mistero che contengono, e la duplice epiclesi sui doni e sull’assemblea che inquadra il racconto dell’istituzione nella Preghiera Eucaristica, richiamano quotidianamente che all’origine del sacramento e della sua efficacia salvifica non siamo noi; ma ciò che in esso si compie viene dall’Alto. Per questo va evitato nelle nostre celebrazioni tutto ciò che potrebbe dare l’idea di un nostro autonomo protagonismo che distrae dall’essenziale.
Soprattutto quanti di noi sono sacerdoti, devono richiamarsi spesso alla mente che il loro compito presidenziale non è l’esercizio di un’autorità sull’Eucaristia, ma un servizio di rappresentanza del Signore secondo le indicazioni della Chiesa. Chi pensasse di poter disporre e decidere dei riti con un certo arbitrio in nome del ministero che ha ricevuto, dimostrerebbe una concezione ministeriale molto clericale, che attribuisce al soggettivismo del prete un ruolo normativo per tutta la comunità.
Di fronte a questa tentazione, che in tanti modi può insinuarsi dentro di noi, dobbiamo rinnovare la gioia di dare mani, sensi e voce all’azione di un Altro che trova nella nostra disponibilità a rappresentarlo lo spazio per rendere presente la sua personale iniziativa di amore. In altre parole, noi ministri presiediamo l’Eucaristia in persona Christi, non abbiamo in proprio alcun potere magico di catturare la presenza del divino, ma solo il compito di rendere visibile l’azione con cui Cristo, nella gratuità del suo amore, viene liberamente a farsi presente in mezzo a noi.

3.2. “Voi siete il corpo di Cristo”.


“Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12,27). Se voi dunque siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete, voi rispondete “Amen”, e rispondendo lo sottoscrivete. Odi infatti: “Il corpo di Cristo”, e rispondi: “Amen”. Sii (veramente) corpo di Cristo, perché “l´amen” sia vero!”
Questo testo di S. Agostino introduce in un altro aspetto che vogliamo prendere in considerazione: l’Eucaristia come sacramento che costituisce la Chiesa.
Abbiamo ascoltato frequentemente l’espressione: “La Chiesa fa l´Eucaristia e l´Eucaristia fa la Chiesa”. Tutte e due nascono e crescono assieme. L´Eucaristia raduna la Chiesa e la rende visibile. Così avviene ogni domenica in tutte le chiese. Ma soprattutto l’Eucaristia costruisce la realtà interiore della Chiesa, come fa il cibo assimilato dal nostro corpo; rafforza in essa la coscienza del mistero su cui si fonda la sua esistenza.
La celebrazione eucaristica non esiste come fine a se stessa o per restare chiusa nel tempo e nel luogo in cui viene celebrata; vuole dare origine ad un’umanità che viva in comunione di amore e di impegno con Gesù. Il pane e il vino, che presentiamo sull’altare, sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo, perché tutti coloro che comunicano fruttuosamente a questo mistero diventino una cosa sola in Cristo. Dicendo “Amen” al corpo eucaristico, diciamo anche “Amen” al corpo ecclesiale: crediamo che sia reale e vogliamo farne parte secondo le condizioni che la sua natura richiede.
Da questa verità deriva la tradizione spirituale che considera l’Eucaristia come sacramento della carità, dell’unità, della comunione fraterna.
A nessuno di noi sfugge quanto sia rilevante questa verità per la nostra vita quotidiana e per la nostra azione pastorale. Essa, infatti, ci insegna che non c’è altro modo per realizzare la comunione tra gli uomini e per contrapporsi alla logica disgregante del peccato che quello di entrare nella Nuova Alleanza offerta dall’Eucaristia, dove la prossimità benevola e accogliente di Dio ci permette di aprirci gli uni agli altri, di riconoscere e accettare come un dono le nostre diversità e di onorarci come fratelli nel servizio reciproco.
Alla luce dell’Eucaristia, l’edificazione del Regno, della Chiesa e della nostra vita fraterna non appare come un’opera titanica della nostra buona volontà, ma come il frutto della Pasqua del Signore, che sta di fronte a noi perché noi camminiamo verso di essa e ce ne lasciamo pervadere.
Tutti i documenti recenti sulla vita religiosa ribadiscono questo punto ed invitano ad un’intensa riscoperta dell’origine eucaristica della vita comune. Così, ad esempio, il documento sulla vita fraterna in comunità ricorda: “È attorno all’Eucaristia, celebrata e adorata, “vertice e fonte” di tutta l’attività della Chiesa, che si costruisce la comunione degli animi, premessa per ogni crescita nella fraternità”, e poi, citando un testo conciliare, prosegue: “È qui che deve trovare la sua origine ogni tipo di educazione allo spirito di comunità”.

3.3. “Annunciamo la tua morte”.


Poiché è all’origine della Chiesa, l’Eucaristia è all’origine della missione della Chiesa. Già il Concilio Vaticano II ha insegnato autorevolmente che “tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente connessi alla sacra Eucaristia e ad essa ordinati”, tanto che essa risulta “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione ”.
Non diamo a queste affermazioni un carattere vago e semplicemente allusivo, ma cerchiamo di percepirne la portata reale per la nostra vita spirituale ed apostolica.
Dire che la missione nasce dall’Eucaristia significa riconoscere che il nostro agire educativo ed apostolico non può essere altro che partecipazione alla missione di Gesù.
Ora è proprio questa partecipazione che non dobbiamo dare per scontata, né ritenerla già fondamentalmente assicurata dalla nostra consacrazione. Il Vangelo, infatti, ricorda con particolare insistenza che si può stare nella vigna del Signore, ma senza operare veramente secondo le sue intenzioni e al suo servizio.
La scoperta della nostra identità di inviati del Risorto è il frutto di un lungo cammino di maturazione apostolica, segnato dalla purificazione delle motivazioni che ci spingono e orientano ad una consegna sempre più profonda alle esigenze del Regno. Ed è proprio questa consegna di sé che costituisce la vera anima della missione e differenzia il buon pastore che dà la vita per le pecore dal mercenario, che in apparenza fa tante cose, ma non ama il proprio gregge.
Senza dedizione gratuita per amore di Dio e dei fratelli non c’è missione cristiana e non c’è evangelizzazione. Questa nasce dall’Eucaristia perché è partecipazione alla missione di Cristo culminata sulla Croce e resa oggi presente dall’azione sacramentale e dallo Spirito.
L´affermazione delle nostre Costituzioni, secondo cui “lo spirito salesiano trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre”, vede la sua massima realizzazione proprio nell’Eucaristia. Lì il cuore di Cristo, inviato dal Padre e vero missionario del Regno, ci configura a sé, facendoci suoi apostoli. Non si è apostoli tra i giovani, se non si è nella celebrazione eucaristica discepoli che, come Giovanni nell’Ultima Cena, sanno posare il capo sul cuore del Maestro.

 

4. RICHIAMO ALLA CONVERSIONE

Quando avviciniamo ciò che abbiamo detto alla spiritualità salesiana vengono alla nostra mente immagini e detti quasi lapidari: le tre devozioni, i pilastri del Sistema Preventivo, il sogno delle due colonne.
Gli slogan generici però, anche se contengono messaggi precisi, rischiano di rimanere inattivi e persino incomprensibili, se non riusciamo a riportarli al nostro quotidiano.
Le massime sintetiche in cui Don Bosco consegnò alla sua famiglia le sue convinzioni eucaristiche, erano il risultato di una esperienza spirituale e di una lunga prassi pedagogica.

4.1. Don Bosco, uomo eucaristico.

Scrive don Lemoyne: “Moltissimi affermano ciò che noi d’altronde provavamo ogni giorno. Abbiamo assistito tante e tante volte alla sua Messa, ma in quel frattempo sempre s’impossessava di noi un soave sentimento di fede, nell’osservare la divozione che traspariva da tutto il suo contegno, la esattezza nell’eseguire le sacre cerimonie, il modo di pronunciare le parole e l’unzione onde accompagnava le sue preghiere. E l’edificante impressione ricevuta non cancellavasi mai più”.
La celebrazione eucaristica era, secondo queste parole, un´esperienza di tale intensità da trasparire anche all’esterno, talmente coinvolgente da lasciare in tutti un ricordo e un desiderio di accostarsi personalmente all’Eucaristia.
I vertici di intensità a cui Don Bosco giunse nella celebrazione eucaristica, talora accompagnati da fenomeni straordinari, non furono momenti repentini ed isolati, ma il risultato di un cammino segnato da una rigorosa disciplina interiore e da una fedeltà a tutta prova.
Sappiamo infatti come Don Bosco circondasse la celebrazione eucaristica con un clima di silenzioso raccoglimento che rispettava personalmente e inculcava agli altri. “Egli aveva comandato che dopo le orazioni della sera fino al mattino dopo la Messa nessuno più parlasse. Parecchie volte ci avvenne di incontrarci con lui al mattino, quando discendeva dalla camera per recarsi in chiesa. In quel momento egli accettava il saluto con un sorriso, lasciandosi baciare la mano, ma non proferiva parola, tanto era raccolto in sé in preparazione della Messa”.
Don Bosco, capace di un’attività dirompente e di una gioia esplosiva, di fronte al mistero eucaristico ci appare anche come l’uomo del silenzio orante che avvolge nel raccoglimento l’incontro sacramentale con Cristo.
C’è da meditare su questo suo atteggiamento. Il silenzio infatti non è un elemento estrinseco, quasi devozionale, dell’Eucaristia, ma una sua componente essenziale che rimanda proprio al suo mistero: alle notti silenziose in cui Gesù, raccolto in preghiera, maturava la sua missione; soprattutto al silenzio di quella notte, in cui l’Eucaristia ebbe origine, che Gesù segnò con l´offerta filiale al Padre nell´orto degli ulivi, senza riuscire a coinvolgere la stanca e distratta compagnia dei discepoli, che pure poco prima avevano avuto parte alle primizie eucaristiche della Cena.
La vita, spesso frenetica, a cui siamo chiamati in giornate piene di impegni apostolici, ha un bisogno essenziale di questo silenzio rigeneratore: è una condizione perché la celebrazione non diventi una formalità esteriore, che ci trova incapaci di ascolto della Parola e di comunione con il Signore.
L’importanza che Don Bosco attribuiva a questa preparazione, come pure al ringraziamento, è tale che nel suo testamento, redatto nel 1884, si fece scrupolo di scrivere: “Debbo scusarmi se taluno osservò che più volte feci troppo breve preparamento o troppo breve ringraziamento alla Santa Messa. Io era in certo modo a ciò costretto per la folla di persone che intorniavami in sacrestia e mi toglieva la possibilità di pregare, sia prima, sia dopo la Santa Messa”.
Quando mettiamo a confronto queste parole con ciò che sappiamo del tenore della sua interiorità, non possiamo che restare confusi da questa sua confessione e chiederci se noi conosciamo e prendiamo sul serio gli insegnamenti spirituali del nostro Fondatore.

4.2. Una pedagogia originale.

L´esperienza personale e lo sguardo sacerdotale sull´anima dei giovani portarono Don Bosco ad elaborare una mistagogia o iniziazione al mistero eucaristico.
Nella pagina delle Memorie dell’Oratorio in cui egli ricorda la sua prima comunione, evidenzia alcuni elementi di pedagogia spirituale che curerà durante tutta la vita e insistentemente proporrà ai suoi ragazzi.
Don Bosco racconta come, per interessamento della madre, egli poté fare la comunione un anno prima dei suoi compagni. Tra le righe, appare il suo pensiero di Maestro di spirito dei giovani, formulato nello scritto sul Sistema Preventivo: “Si tenga lontano come la peste l’opinione di taluno che vorrebbe differire la prima comunione ad un’età troppo inoltrata. […] Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane, e palesa sufficiente istruzione, non si badi più all’età e venga il Sovrano Celeste a regnare in quell’anima benedetta”.
Vi è poi l’insistenza ripetuta sul clima di raccoglimento in cui quell’avvenimento ebbe luogo: “Mia madre studiò di assistermi più giorni. […] A casa mi faceva pregare, leggere un buon libro, dandomi que’ consigli che una madre industriosa sa trovare opportuni pe’ suoi figliuoli. Quel mattino non mi lasciò parlare con nissuno, mi accompagnò alla sacra mensa e fece meco la preparazione ed il ringraziamento […]. In quella giornata non volle che mi occupassi in alcun lavoro materiale, ma tutta l’adoperassi a leggere e a pregare”.
Con la stessa insistenza Don Bosco sottolinea il legame tra comunione eucaristica e sacramento della Confessione, a cui la madre non solo lo invitò, ma lo preparò, con quelle raccomandazioni sulla sincerità, sul pentimento e sul proposito che saranno poi gli insegnamenti che Don Bosco educatore darà ai suoi ragazzi.
Infine vi è l´accenno alla novità di vita a cui l’esperienza sacramentale è legata e ai frutti spirituali di cui è portatrice. Mamma Margherita dice: “O caro figlio, fu questo per te un gran giorno. Sono persuasa che Dio abbia veramente preso possesso del tuo cuore. Ora promettigli di fare quanto puoi per conservarti buono sino alla fine della vita. Per l’avvenire va sovente a comunicarti, ma guardati bene dal fare sacrilegi ”. E poi Don Bosco narratore commenta: “Ritenni e procurai di praticare gli avvisi della pia genitrice; e mi pare che da quel giorno vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita, specialmente nella ubbidienza e nella sottomissione agli altri, al che provava prima grande ripugnanza […]”.
Non è difficile cogliere in queste pagine l’esperienza dell’educatore che, mentre racconta ai primi Salesiani la propria storia, mette in evidenza comportamenti e attenzioni ai quali attribuisce un valore permanente.
Un’analisi minuziosa del testo rivelerebbe aspetti molto significativi del “vocabolario” spirituale del nostro Fondatore. A noi però ora è sufficiente cogliere alcuni elementi pedagogici.
Un primo elemento è l’intensa carica simbolica e il forte impatto esistenziale che accompagna la partecipazione all’Eucaristia. Don Bosco si sofferma intenzionalmente sul modo con cui mamma Margherita gli presentò l’evento della sua prima comunione: non come una tappa scontata e quasi automatica, ma come un’esperienza determinante, in vista della quale si orientano scelte e impegni quotidiani. È quello che egli praticò a Valdocco, con un sapiente dosaggio di interventi educativi e pastorali, che in un clima di libertà miravano a proporre l’Eucaristia come il momento centrale e più qualificante della vita oratoriana. Da tale orientamento, carico di fervore e capace di suscitare attesa e desiderio, derivava buona parte dell’efficacia del suo metodo educativo.
Questo offre qualche motivo di verifica anche a noi: ci porta a domandarci se la nostra pedagogia ha quella chiarezza di obiettivi e quella risonanza affettiva al mistero eucaristico, senza di cui la figura di Don Bosco non è pensabile. La prima condizione, anche se non l’unica, per far scoprire la ricchezza del mistero sacramentale di Cristo è infatti un ambiente ed un gruppo di educatori che di quel mistero vivono appassionatamente. È stato così per la Chiesa primitiva, è stato così per Giovanni Bosco ragazzo e per Don Bosco educatore. Soltanto a queste condizioni potrà essere così anche per noi.
Riconosciamo perciò francamente che il primo motivo di difficoltà della nostra pastorale eucaristica può consistere proprio, anche se non necessariamente, nell´atonia eucaristica delle nostre comunità e dei nostri ambienti. Dove l’Eucaristia è il perno di una vita quotidiana illuminata dalla fede ed ispirata a gioiosa fiducia, la pastorale eucaristica ha già trovato la sua più fondamentale risorsa.
Il secondo elemento, strettamente connesso al primo, è l’importanza di una pedagogia personalizzata che conduca il ragazzo e il giovane all’incontro interiore, non rituale con l’Eucaristia. Nell’esperienza emblematica di Giovanni Bosco ragazzo, mamma Margherita gli fa percorrere un cammino che porta fondamentalmente i tratti del catecumenato antico. Mamma Margherita, senza saperlo, traeva dal suo tesoro di sapienza e di fede gli elementi che la Chiesa ha sempre ritenuto indispensabili perché il sacramento possa essere fruttuoso e che Don Bosco infinite volte riaffermerà con la parola “preparazione”: l’Eucaristia è fruttuosa quando è preparata. E la preparazione non consiste in tecniche o espedienti straordinari, ma in un cammino di preghiera, di responsabilità, di purificazione e di istruzione proporzionato all’età.
Anche qui ci sono motivi di riflessione per la nostra pastorale, che può correre il rischio di sopravvalutare gli espedienti tecnici per rendere la celebrazione più “interessante”, e sottovalutare invece l’attrazione interiore che lo Spirito esercita nei cuori, quando essi si aprono alla preghiera e si impegnano nella lotta contro il male.
C’è un´azione della Grazia, che in nessun modo possiamo sostituire, perché è opera dello Spirito che persuade interiormente e conduce alla verità tutta intera. La preparazione sacramentale consiste prima di tutto nell’aiutare i cuori a disporsi a questa azione, liberandosi dal peccato e imparando a gustare la bellezza della vita spirituale.

Le pagine che possono illuminare il legame di Don Bosco con l’Eucaristia sarebbero ancora molte: basti pensare alla formazione seminaristica di Giovanni a Chieri, agli inizi del suo ministero, alle pagine splendide delle sue Buone Notti e dei suoi sogni (uno per tutti, quello delle due colonne) in cui il riferimento a “Gesù Sacramentato” è costante e articolato, alle biografie dei suoi ragazzi, nelle quali viene indicato un percorso di pedagogia sacramentale di cui è frutto l’estasi eucaristica di Domenico Savio. Si tratta di un insieme di elementi che dimostrano l’effettiva attuazione delle parole programmatiche: “La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza”.

4.3. L’Eucaristia e il "Da mihi animas".

Dai brevi cenni precedenti appare già la portata che l´Eucaristia ha nel pensiero di Don Bosco e quindi nella spiritualità originale che noi dobbiamo tradurre fedelmente nel nostro tempo.
L’elemento però che più di ogni altro rivela fino a che punto il mistero eucaristico segna la vita di Don Bosco, e quindi anche la nostra di Salesiani, è il rapporto con la carità pastorale che egli ha espresso nel motto “Da mihi animas, cetera tolle”.
Queste parole, che abbiamo ripetute e fatto nostre, sono il proposito ed il cammino di Don Bosco per configurarsi a Cristo, che offre al Padre la propria vita per la salvezza degli uomini. Per penetrarle più a fondo, ripeterle con più convinzione e tradurle con efficacia in esperienza quotidiana, dobbiamo meditarle alla luce dell´Eucaristia, come la parabola del Buon Pastore.
Collocato sullo sfondo dell’Eucaristia, il “Da mihi animas” ci appare, prima che un motto, una preghiera, eco della preghiera sacerdotale di Gesù nell’Ultima Cena: “(Padre,) erano tuoi e li hai dati a me. […] Per loro io consacro me stesso”. È l’espressione più alta del nostro dialogo e rapporto con Dio e ci aiuta a superare quella dicotomia tra lavoro e preghiera che, a livello esistenziale, non sempre riusciamo ad evitare.
Il “Da mihi animas” è prima di tutto riconoscimento che il protagonista o l´attore principale della missione è Dio. Ci introduce al servizio apostolico dei fratelli, facendoci passare attraverso l’invocazione rivolta al Padre. Dire: “Dammi le anime” significa per prima cosa invocare l’intervento del Signore, affidarsi al suo amore premuroso e dare spazio alla sua iniziativa di salvezza.
Si rinnova così in noi la consapevolezza di Don Bosco e dei grandi apostoli di ogni tempo, che hanno sempre avvertito che il movimento di carità verso gli altri e le energie che si suscitano in noi vengono da Dio, e a Dio si deve dunque collegare in tutto e per tutto la nostra azione.
Questo, d’altronde, è stato l’atteggiamento di Gesù. Egli ha inteso la sua vita come una missione affidatagli dal Padre e ha lasciato a noi la sua offerta eucaristica, come un dono del Padre, che “ha tanto amato il mondo da donare a noi suo Figlio”.
Da questo riconoscimento dell’iniziativa del Padre deriva al “Da mihi animas” il suo carattere di preghiera umile e coraggiosa. Chiediamo infatti al Padre che faccia di noi un punto di irradiazione del Regno, capace di attirare le anime a Cristo e quindi alla salvezza. Si tratta di una richiesta molto singolare, che possiamo avanzare soltanto perché sappiamo che essa corrisponde al cuore di Dio che vuole gli uomini pienamente e attivamente coinvolti nel suo disegno di amore. La avanziamo con fede e coraggio, consapevoli che non chiediamo le “anime” per la nostra gratificazione, ma per poterle servire con umiltà e dedizione.
Una tale preghiera comporta per noi un cammino di paziente configurazione a Cristo. Solo sulle sue labbra la preghiera del “Da mihi animas” non suona pretenziosa, perché egli innalzato da terra può attirare tutti a sé. Sappiamo che nell’Eucaristia Gesù vuole condividere con noi questa carità che, portandolo all’innalzamento pasquale sulla croce, lo fa misterioso centro di attrazione.
In questo modo l’Eucaristia illumina un altro aspetto del “Da mihi animas”. Quando Don Bosco interpreta il suo motto attraverso le parole “studia di farti amare”, non propone ai suoi collaboratori soltanto lo sviluppo delle doti naturali di simpatia, così importanti nell’ambito educativo, ma più profondamente chiede di condividere l’itinerario con cui Cristo ha "studiato di farsi amare", ovvero l’itinerario del quotidiano dono di sé.
È solo la carità evangelica, attinta dal cuore di Cristo nella comunione con il Suo Corpo e il Suo Sangue, che può dare all’educatore un vero ascendente spirituale, del tutto purificato dalle forme di protagonismo e di cattura della simpatia, e pienamente libero di irradiare in mezzo ai giovani il fascino degli uomini di Dio.
Per questo il “Da mihi animas” si completa nel “Cetera tolle”. Non è possibile partecipare all’azione salvifica di Cristo, senza subordinare a questo impegno tutti gli altri interessi e desideri. Comprendiamo così il motto di Don Bosco come una preghiera di offerta, che, a imitazione della preghiera sacerdotale di Gesù, non esclude dalla propria disponibilità nessun ambito esistenziale: tempo, amicizie, professionalità.
Il “Cetera tolle” riguarda tutto, è uno slancio totalizzante, come lo è l’Eucaristia. Don Bosco l’ha tradotto in parole e opere molto concrete: egli promise a Dio che fin l’ultimo suo respiro sarebbe stato per i giovani. E fu veramente così. La partecipazione sacramentale al sacrificio di Cristo porta ad immedesimarci nei suoi sentimenti apostolici e nella sua generosa dedizione per le esigenze del Regno.
Vi invito a rinnovare quotidianamente nell’Eucaristia la preghiera personale del “Da mihi animas, cetera tolle”. Nel dialogo intimo con il Signore questa espressione si colorerà di mille sfumature, acquisterà dentro di noi un nuovo rilievo esistenziale e si tradurrà in “quell’operosità instancabile, santificata dalla preghiera e dall’unione con Dio, che dev’essere la caratteristica dei figli di san Giovanni Bosco”.

4.4. Un cammino nelle nostre comunità.

Le riflessioni che abbiamo sviluppato sopra, suggeriscono molte applicazioni, innanzi tutto per le nostre comunità salesiane.
L’Eucaristia è essenzialmente una celebrazione comunitaria, che coinvolge cioè i singoli cristiani in quanto membri del Popolo di Dio e, dunque, ciascuno di noi come membri di una comunità. Questa è il soggetto della celebrazione.

La prima pista da suggerire riguarda i momenti celebrativi nella comunità. Si tratta di riscoprire la portata umana e spirituale del celebrare insieme e trarne le conseguenze.
Di fronte ai rischi di una vita consumata nella distrazione del cuore e in una gestione individualistica degli impegni, la celebrazione eucaristica ci riporta all’essenziale, chiedendoci di fare insieme memoria di Cristo ed offrendoci di comunicare alla sua carità, nella massima mediazione sacramentale.
Ogni comunità saprà riconoscere in che cosa far consistere questo rilievo più evidente dell’Eucaristia. Non di rado sarà un tempo meno sacrificato, una partecipazione più attiva, una preparazione più accurata, una freschezza di riferimento al quotidiano.
È necessario che riscopriamo un modo di celebrare che abbia vera dignità liturgica. Nella cura attenta per una gestualità espressiva, per una proclamazione degna della Parola di Dio e dei testi eucologici, per la bellezza del canto e degli arredi, per il rispetto dei momenti di silenzio si realizza la nostra apertura ad un Altro, che deve essere percepito, accolto, ascoltato e contemplato nella fede e la cui divina presenza giustifica la cura dei particolari e la generosità dell’impegno.
I giovani sono particolarmente sensibili alla genuinità dei gesti simbolici di cui è ricca la liturgia e spesso si fanno un’idea della nostra fede più osservando la sincerità e la qualità delle nostre celebrazioni che ascoltando i nostri discorsi.
In questo clima potremo proporci la valorizzazione della Concelebrazione di tutti i membri della comunità, almeno settimanalmente nel giorno della comunità. Così pure studiare una maggior frequenza dell’adorazione eucaristica comunitaria, che rinnova l’adesione di fede e l’attenzione orante alla presenza di Cristo tra noi, o la cura particolare delle liturgie domenicali e festive attraverso la riflessione in comune sulla Parola che dovremo condividere con i giovani e la gente.
Sarebbe bello, poi, che l’Eucaristia comunitaria si aprisse, come già in tanti luoghi avviene, ai giovani con i quali vogliamo formare una sola famiglia. Questo arricchirebbe le nostre assemblee della freschezza giovanile, mentre aiuterebbe i giovani a fare valide esperienze di vita interiore e di condivisione spirituale.
Tutti abbiamo esperienza di celebrazioni nelle quali sembra che il gesto e la parola acquistino il loro totale significato. Lo stesso visitatore che viene dall´esterno percepisce un solo cuore ed una sola anima. Altre volte si respira un´atmosfera diversa: imperfetta fusione di cuori nell´assemblea, dissociazione fra rito e vita, un cammino eucaristico ancora incerto.
Ci dicono le Costituzioni: “L´Eucaristia è l´atto centrale quotidiano di ogni comunità salesiana, vissuto come una festa in una liturgia viva. La comunità vi celebra il mistero pasquale e comunica al corpo di Cristo immolato, per costruirsi in Lui come comunione fraterna e rinnovare il suo impegno apostolico”.

La seconda pista da suggerire è il collegamento visibile tra Eucaristia e vita fraterna.
Abbiamo meditato come dall’Eucaristia nasca la Chiesa, esperienza di comunione tra gli uomini nel nome di Cristo e annuncio del Regno che si fa presente nella storia. Si tratta di trarre da questo conclusioni operative che non sono automatiche, ma richiedono il generoso contributo di ognuno.
Parlare dell’Eucaristia e soprattutto celebrarla non ha alcun senso se le comunità non si impegnano a superare le tensioni e le divisioni che possono attraversarle. In questo dobbiamo essere molto schietti ed autentici, sapendo di doverci confrontare con un insegnamento biblico che non lascia spazi a mezze misure o a compromessi.
Può essere utile che rileggiamo personalmente e comunitariamente il testo della prima lettera ai Corinzi ai capitoli 10 e 11, in cui Paolo mette in evidenza che l’Eucaristia è incompatibile con le divisioni, le chiusure reciproche, l´individualismo in ogni senso. Come dice l’Apostolo, “ciascuno esamini se stesso” e rendendosi conto che c’è un unico pane, affinché noi tutti formiamo un solo corpo, eviti di profanare il Sacramento del Signore.
La comunione sacramentale non ci porta alla comunione di vita con Cristo se escludiamo i fratelli dalla nostra stima e dal nostro tratto, se serbiamo rancori e se non diamo il nostro apporto per costruire la fraternità. L’Eucaristia esiste perché ci amiamo, ci perdoniamo e lasciamo edificare al Signore la casa che egli vuole abitare.
Nella preghiera eucaristica, dopo aver invocato lo Spirito perché il pane e il vino diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, gli chiediamo che, in forza dell’azione sacramentale, riunisca anche noi in un solo corpo. L´amore fraterno e l´Eucaristia sono due segni che non si possono separare. Quando il primo non c´è, si dà una “menzogna nel sacramento”. Quando non si vive l´Eucaristia, l´amore perde le sue dimensioni e si taglia dalla fonte di alimentazione. “Signore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita”. Sia questa l’espressione intensa dei nostri desideri e l’impegno autentico della nostra volontà.

Una terza pista da esplorare è il riferimento personale, interiorizzato e convinto, al mistero dell´Eucaristia.
“Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo personalmente uomini di preghiera”. Questa affermazione, che le nostre Costituzioni riferiscono in generale alla nostra vita di preghiera, vale in forma del tutto particolare per l’Eucaristia.
Sarà necessario innanzi tutto che maturiamo una più profonda conoscenza di questo sacramento. Presi come siamo dall’immediatezza delle sfide di ogni giorno, forse da anni non leggiamo qualche opera seria e convincente di teologia eucaristica, con la conseguenza che la comprensione del mistero si fa più sbiadita e le motivazioni interiori si affievoliscono. Il Congresso Eucaristico mondiale del Giubileo metterà sicuramente a nostra disposizione contributi e stimoli che non dovremo lasciare soltanto all’attenzione degli addetti ai lavori.
Dobbiamo poi riscoprire la lezione che ci viene da Don Bosco, cioè la sintesi, lo "splendido accordo" tra preghiera e dedizione apostolica unificate nel "Da mihi animas". Quello che cerchiamo nella preghiera e nell’azione pastorale è un’unica cosa: la partecipazione alla carità di Cristo, che l’Eucaristia ci rende possibile.
Sarà dunque importante che ciascuno di noi colga l’occasione di grazia di questo Giubileo, per ritornare alle radici più autentiche della propria vocazione, e rinnovi con convinzione l’adesione a quella carità pastorale verso i giovani che caratterizza la nostra spiritualità.
In questo cammino, però, dovremo tenere in conto ed evitare il rischio delle illusioni. La sintesi di lavoro e preghiera in un unico movimento di carità verso Dio e i fratelli non è obiettivo che si possa conseguire attraverso qualunque percorso. Il mistero dell’Eucaristia non è soltanto un motivo ispiratore, ma è ancor prima e molto più momento imprescindibile in cui il cuore contemplativo e apostolico si forma, a contatto con il cuore di Cristo. Tra la prassi eucaristica e la sintesi apostolica riuscita vi è una consequenzialità che non può essere capovolta.
Per questo sarebbe ingenuo presumere di poter divenire generosi e disinteressati nel servizio dei giovani trascurando di coltivare una robusta pietà eucaristica. Dove manchi il riferimento intenso all’Eucaristia, come centro dell’esistenza cristiana, non vi può essere né contemplazione né apostolato, perché essi insieme stanno o insieme cadono.
Domandiamoci dunque su che cosa personalmente possiamo fare di più, per corrispondere al comando di Cristo: “Fate questo in memoria di me”. Nell’ambito delle forme personali di pietà eucaristica la nostra tradizione lascia molto spazio all’iniziativa di ciascuno; ma questo non significa che l’impegno richiesto sia meno intenso e che qualunque atteggiamento sia ugualmente fruttuoso.
Un figlio e discepolo spirituale di Don Bosco sa trovare quotidianamente spazi di silenzio davanti all’Eucaristia nella forma tradizionale delle "visite" o in altre espressioni di autentica adorazione e comunicazione.

4.5. Il percorso educativo con i giovani.

Se il nostro impegno comunitario e personale di riscoperta dell’Eucaristia sarà autentico, esso porterà abbondanti frutti pastorali.
Le sfide dei nostri tempi ci stanno quasi trascinando ad unire di nuovo conoscenza teologica, vita spirituale e prassi pastorale.
Convincimenti ed esperienze comunitarie ci costringono a riconoscere che l’attività pastorale non è una tecnica, più o meno raffinata, posta a servizio del Vangelo: è piuttosto una testimonianza di vita che scaturisce da una comunione profonda con il Signore. Quanto più questa sarà intensa e perseverante, tanto più ogni nostra parola e ogni nostra azione diventeranno trasparenza che rivela la venuta del Regno.

Una prima applicazione di questo, nell’ambito pastorale, riguarda la comunità educativa. Una rinnovata attenzione all’Eucaristia condurrà ad una progettualità secondo lo spirito del Vangelo. La carità ha una sua specifica modalità di vedere, di valutare e di reagire alle situazioni e alle sfide pastorali. Ha occhi propri, una propria intelligenza, una propria creatività, una propria lungimiranza, che in nessun modo può essere sostituita. Sono cose che sappiamo, ma che abbiamo bisogno di ripeterci continuamente, per evitare il rischio di assumere nella nostra azione apostolica modelli di organizzazione e di impostazione che rispondono a dinamiche e logiche diverse da quelle del Regno.
L’Eucaristia ci dice, ad esempio, che una comunità cristiana non potrà mai organizzare la propria esperienza di fede soltanto secondo i modelli di un’impresa. E questo a molteplici livelli, che vanno dal piano delle motivazioni dell’agire allo stile dei rapporti, dai criteri delle decisioni alle modalità di rappresentanza, dal tipo di autorità alle forme di gestione economica. Il Regno ha una sua dinamica e una sua logica inconfondibile. Dobbiamo vincere la tentazione di non ritenerla praticabile, perché proprio l’Eucaristia ce ne offre quotidianamente l’attualità e l’attuabilità.
La traduzione più immediata di questa indicazione sarà il riconoscimento che soltanto l’Eucaristia potrà dare la giusta fisionomia alla comunità educativa-pastorale (CEP) che ci siamo impegnati a costruire in ogni opera. La forma di incontro, di condivisione, di corresponsabilità, di ispirazione carismatica, di attenzione alla Parola di Dio, di pratica della carità evangelica che vogliamo vivere, non può realizzarsi che a partire dalla comunione autentica al mistero di Cristo.
Al di fuori di questa comunione non ci può essere comunità educativa-pastorale perché al di fuori di questa comunione semplicemente non c’è Chiesa. Non dobbiamo temere che l’Eucaristia, messa al centro della CEP, generi esclusione o selettività tra destinatari e collaboratori; anzi dobbiamo essere sicuri del contrario. È infatti proprio e soltanto dalla comunione con Gesù eucaristico che possiamo imparare l’apertura a tutti, l’interesse sincero per chi fa maggiore fatica nel cammino umano e di fede, il superamento delle nostre resistenze interiori. In un mondo in cui l’attenzione alla comunicazione ha grandissimo rilievo, noi sappiamo che solo la comunione con Cristo ci abilita veramente a comunicare e a essere costruttori di comunione.
D’altronde, l’esperienza carismatica di Valdocco ci conferma che il segreto di un’azione pastorale efficace è un ambiente esplicitamente eucaristico, in cui anche chi si accosta in maniera marginale o con un tipo di domanda che non è direttamente religioso, intuisce che la risposta generosa e affettuosa che riceve nasce dalla carità di Cristo.

C‘è un secondo ambito in cui il mistero eucaristico ci richiede una maggiore attenzione e una crescita convinta: è l’ambito dei nostri itinerari educativo-pastorali.
L’Eucaristia può suggerirci una verifica tanto riguardo agli obiettivi quanto alla modalità di proposta.
Sul piano degli obiettivi dobbiamo tornare a far nostro quello che era l’obiettivo di Don Bosco, ovvero la proposta ai giovani della santità cristiana. Sappiamo che la situazione dei nostri ragazzi è molto diversificata. Appena sentiamo la parola “santità”, ci può subito cogliere l’impressione di una valutazione astratta e ingenua delle cose.
È importante però che non ci lasciamo trarre in inganno da un’idea miracolistica di santità, destinata a giovani straordinari, e teniamo di fronte agli occhi quel modello di santità giovanile che Don Bosco con tanta schiettezza e naturalezza presentava pubblicamente e personalmente ai suoi ragazzi: una santità fatta di volontà generosa, di conoscenza ed amicizia con Dio, di pratica sacramentale, di impegno quotidiano nella propria crescita, di allegria genuina, di servizio tra i compagni e di donazione in altri campi congeniali ai giovani.
Questi sono i nostri obiettivi educativi, quelli per cui abbiamo dato e diamo ogni giorno la vita, nella convinzione che anche i ragazzi più difficili sono chiamati a scoprire con gioia ed a sperimentare Dio nella loro vita, e che tutto è possibile a chi ha fede.
In ogni caso, i giovani che frequentano i nostri ambienti hanno il diritto di sentirsi dire da noi, con simpatia e comprensione, ma anche con slancio e propositività, a che cosa Dio li ha destinati e come paternamente li pensa e li vuole. Siamo padri spirituali dei giovani per farli camminare, per indicare loro la meta. Non c’è nulla di più bello che possiamo fare per loro che proporre, nei modi e nelle forme che la carità e l’esperienza pedagogica suggeriscono, la comunione vitale con Colui che è il Santo di Dio, la Luce, la Verità e la Vita.
Sul piano delle modalità è necessario che riflettiamo seriamente per verificare se riusciamo ad evitare il rischio di proporre un cristianesimo caratterizzato più dalle “cose” da fare per il Signore, che dalla “relazione” personale con Lui.
La polemica di San Paolo contro una giustificazione che viene dalle opere, avverte di non sostituire l’esperienza felice di incontrare l’amore gratuito del Signore, che è il centro e l’origine di tutto, con il semplice coinvolgimento in iniziative benefiche e caritative.
Non di rado, nei nostri ambienti, ci capita di incontrare giovani volenterosi, che sanno anche dedicare molto tempo ad attività educative nei confronti dei più piccoli o dei più poveri, ma trovano difficoltà a capire e a praticare l’incontro sacramentale con il Signore. Questo deve farci riflettere seriamente sull’immagine di cristianesimo che emerge dai nostri discorsi, dalle nostre proposte e dalla nostra vita.
Si tratta di un cammino di verifica che non è solo nostro, ma che tutta la Chiesa sente di dover fare. Molti pastori e molte voci autorevoli hanno in questi anni fatto risuonare un simile richiamo. D’altra parte, la necessità di riscoprire il primato della Grazia, la centralità della relazione con Cristo e il carattere costitutivo dell’esperienza sacramentale è una delle componenti fondamentali del cammino giubilare.
Per questo dobbiamo interrogarci con coraggio e saper tradurre in forma educativa la lieta notizia che risuona da duemila anni: il Verbo si è fatto carne per offrirci la sua amicizia.
Non è possibile qui esemplificare in che modo questo primato della Grazia debba tradursi in itinerari educativi. Ci sarà di aiuto riprendere l’esperienza educativa di Don Bosco. Tra i molti suoi spunti che, collocati nel nostro contesto, ci possono far riflettere, c’è l´insistenza sulla frequenza sacramentale come motore del percorso nella grazia e nella generosità apostolica; c´è la pedagogia della festa, in cui il dovere quotidiano si illumina con il riferimento a un momento di grazia atteso e preparato, fecondo di energie e di conseguenze; c’è la spiritualità della letizia che viene dall’incontro personale con Gesù.
Una ritrovata centralità dell’Eucaristia nei nostri percorsi pedagogici e pastorali ci aiuterà a prendere e a far prendere coscienza che il desiderio di impegnarsi per il bene degli altri prende quota, risulta durevole e raggiunge l´autenticità solo dall’esperienza che ognuno di noi fa di essere accolto da Cristo. È lì che si impone l´amore che salva e che non si misura.

Voglio ancora, come terzo ambito di attenzione, sottolineare l’importanza di un’autentica educazione alla celebrazione eucaristica. Sappiamo come l’esperienza liturgica, soprattutto in alcuni contesti culturali, possa apparire estranea a molti dei giovani con cui lavoriamo. D’altra parte, siamo consapevoli delle risorse che il linguaggio dei simboli e dei riti, con la sua bellezza e sobrietà, può avere quando non è un’esecuzione meccanica e superficiale, ma un’espressione di fede autentica.
In passato, la pedagogia eucaristica poteva contare su molte premesse favorevoli, date dall’ambiente. Oggi richiede non di rado anche un’educazione agli atteggiamenti ed azioni più fondamentali: al silenzio, alla preghiera, al canto, ai movimenti corali, alla gestualità. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza di questo fattore, che soprattutto nell’età giovanile acquista una grande portata per il coinvolgimento emotivo ed attivo alla celebrazione.
L’esperienza ci insegna che la partecipazione all’Eucaristia è facilitata dove ci sono gruppi giovanili che curano con gusto l´espressione musicale, un linguaggio artistico fresco ed esemplare, perché sono animati da persone competenti; mentre l’accontentarsi di forme improvvisate, ripetitive o estranee allo spirito della liturgia contamina l’ambiente e pone un ostacolo alla maturazione dei giovani.
Quello che vale per la musica, vale anche per il servizio liturgico, per la proclamazione delle letture, per tutte le forme espressive che fanno parte dell’Eucaristia e dei vari momenti celebrativi di una comunità. Non bisogna dimenticare che nella celebrazione eucaristica c´è anche una pedagogia del tempo e delle priorità, per cui ha poco senso allungare passaggi che sono secondari e contrarre quelli che sono emergenti.
Una particolare attenzione sarà richiesta per l’educazione all’ascolto dei testi biblici. L’Eucaristia è totalmente impregnata di parola di Dio, non solo per le letture che vengono proclamate, ma anche per un incessante riferimento dei testi del Messale alla Scrittura. Non è pensabile che questa ricchezza sia colta nella celebrazione eucaristica, se essa non è preparata da una vera iniziazione alla Bibbia.
Spesso noi chiediamo troppo all’Eucaristia, pretendendo che diventi anche un momento didattico e pedagogico. Se questa dimensione è legittimamente presente nella Eucaristia, essa non è però al primo posto e può portare a sbilanciamenti che finiscono per appesantire il rito e far perdere di vista l’intenzione fondamentale del sacramento.
Se sapremo curare questo itinerario formativo, l’Eucaristia potrà essere veramente una “celebrazione” del sacrificio di Cristo, in cui la comunità si raduna per esporsi gratuitamente all’incontro con il Signore, in un’intesa con Lui, che la frequentazione del Vangelo ha già propiziato.

Conclusione: Un anno "eucaristico".

Mi è rimasto scolpito nella mente un pensiero ascoltato in un convegno su Catechesi ed Eucaristia.
Per i primi cristiani la catechesi era un itinerario progressivo verso il mistero eucaristico celebrato dalla comunità. I catecumeni erano portati come per mano fino al mistero eucaristico, attraverso la spiegazione ordinata della dottrina e della vita cristiana. I battezzati invece, introdotti nell´Eucaristia, a partire da questa rimeditavano e celebravano tutta l´opera di Dio e derivavano le conseguenze di vita, come spesso fa l´apostolo Paolo. Ricomprendevano, attraverso un ritorno arricchente, quello da cui erano partiti ed attraverso cui avevano camminato: il desiderio di verità e di vita, l’esistenza ed il ministero di Gesù, la sua passione, Risurrezione e dono dello Spirito, la storia della salvezza passata e presente.
Questo è, d’altra parte, il percorso rimasto inscritto nella nostra attuale celebrazione eucaristica.
Perché non tentiamo di fare noi altrettanto personalmente e comunitariamente? Luce e generosità si sprigioneranno per la nostra vita di consacrati, per la carità fraterna, per la missione, per la qualità della nostra educazione!
Maria Santissima, “la Vergine Madre di Dio” che ricordiamo e alla quale ci sentiamo uniti nella celebrazione di ogni Eucaristia, ci sia guida in quegli atteggiamenti con cui Ella stessa ha comunicato al mistero del suo Figlio, offerto per la vita del mondo: l’attento ascolto della Parola di Dio, l’attiva partecipazione al sacrificio del Cristo, ai piedi della Croce, l’amore al Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Vi saluto cordialmente ed auguro un cammino giubilare, personale e comunitario, sempre più intenso, nella luce del Cristo Risorto, vivo ed operante nelle nostre comunità e in ciascuno di noi.

Juan Vecchi