Interculturalità nelle presenze salesiane in Europa
§ “Congregazione missionaria: quando la diversità è ricchezza”, “A missionary congregation: in which diversity is a treasure” Rettor Maggiore
§ “Esperienza interculturale nelle comunità internazionali in Europa”, Intercultural experience in the international communities of Europe Don Francesco Cereda
§ “Formazione iniziale interculturale in Europa”, “An intercultural initial formation in Europe” Don Ivo Coelho - Consigliere generale per la Formazione
§ “Interculturalità nelle comunità educative pastorali e migrazioni in Europa”, Interculturalism educative and pastoral communities and Migrants in Europa" Don Fabio Attard
§ “Contributo interculturale dei missionari in Europa”, “Intercultural contribution of young missionaries in Europe” Don Guillermo Basanes
§ “Comunicazione sociale a servizio della interculturalità in Europa” Don Filiberto Gonzalez
§ “Apporto interculturale delle procure missionarie in Europa”, The intercultural contribution of the Mission Offices for Project Europe Sig. Jean Paul Muller
“Congregazione missionaria: quando la diversità è ricchezza”
Don Angel Fernandez Artime - Rettor Maggiore
Negli Atti del Consiglio Generale 419 ho presentato una riflessione sulla dimensione missionaria della Congregazione; la pongo ora qui di seguito in queste pagine che commento. Ciò vale in particolare anche per il Progetto Europa, che deve avere presente anche gli altri fronti missionari della Congregazione e che nello stesso tempo deve essere realizzato con spirito missionario.
Con il titolo “Congregazione missionaria: quando la diversità è ricchezza” voglio dire qualcosa di semplice e chiaro: La dimensione missionaria fa parte della nostra IDENTITÀ e la diversità culturale, la multiculturalità e la interculturalità sono una ricchezza verso cui camminare in questo sessennio.
Secondo la ‘Evangelii Gaudium’[1] l’annuncio del Vangelo è missione di tutto il popolo di Dio ed è annuncio per tutti, dove “non c’è Giudeo né Greco… perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Implica l’essere fermento di Dio in mezzo all’umanità, una umanità e un Popolo di Dio con molti volti, con molti sviluppi storici e culture diverse, dove tutti siamo dei discepoli missionari.
Il Papa fa una chiamata all’Evangelizzazione di tutti i popoli e noi dirigiamo il nostro sguardo, sempre per riconoscerci nella nostra identità, verso il carattere missionario della nostra Congregazione. Don Bosco volle che la Società Salesiana fosse decisamente missionaria. Nel 1875, tra il piccolo gruppo dei primi salesiani, ne scelse dieci perché andassero in America; prima della sua morte aveva già inviato 10 spedizioni missionarie e 153 si trovavano in America al momento della sua morte, quasi il 20% dei salesiani del momento, secondo il catalogo della Congregazione del 1888.
Questa identità missionaria, conservata e curata col passar degli anni, portò il Capitolo Generale Speciale a fare una chiamata speciale che io vorrei rinnovare oggi, alle porte del Bicentenario della nascita di Don Bosco e come omaggio vivente a lui: “Il Capitolo Generale Speciale lancia un appello a tutte le Ispettorie, anche a quelle più povere di personale, perché, obbedendo all’invito del Concilio e sull’audace esempio del nostro Fondatore, contribuiscano, con personale proprio, in forma definitiva o temporanea, all’annuncio del Regno di Dio”[2].
Credo sinceramente, cari Confratelli, che questa chiamata abbia oggi piena attualità nella realtà della nostra Congregazione. Quando parlo di omaggio a Don Bosco nella celebrazione del Bicentenario della sua nascita, non lo dico in un contesto celebrativo vuoto o per fare statistiche, ma perché credo veramente – ed è stata la sensibilità del CG27 – che una grande ricchezza della nostra Congregazione sia proprio la sua capacità missionaria, la possibilità di essere lì dove si ha più bisogno di noi nell’Evangelizzazione, anche se tutte le forze sono molto valide in qualsiasi posto ci troviamo. In questo senso approfitto di questa occasione per invitare tutti i salesiani SDB - e di cuore estendo il mio invito a tutta la Famiglia Salesiana - affinché, al momento opportuno, la ‘Evangelii Gaudium’ sia letta, meditata e condivisa. Certamente ci farà molto bene; in molti posti non è ancora conosciuta.
In questo senso, e non solo per l’anno 2015 ma per tutto il sessennio, vogliamo che si traduca in realtà l’aiuto reale in alcune aree di missione che presentano una maggiore fragilità in questo momento, per esempio, tra le altre:
- Il lavoro missionario in Amazzonia, specialmente a Manaus, Campo Grande, Venezuela, …
- Il lavoro missionario nel Chaco Paraguayo.
- Il lavoro missionario in alcune regioni della Pampa e della Patagonia Argentina.
- La presenza missionaria presso comunità di immigranti negli Stati Uniti.
- La presenza missionaria in Medio Oriente, tremendamente castigata per di più da diversi conflitti bellici, come ben sappiamo.
- La presenza missionaria tra i mussulmani, dal Nord Africa fino ai paesi del Golfo Arabico o il Pakistan…
- La nuova presenza missionaria che richiede il Progetto Europa e che ha molto a vedere con gli ultimi, attratti dalle diverse migrazioni.
- Rinforzare le giovani presenze missionarie di prima Evangelizzazione in Asia e Oceania: Mongolia, Cambogia, Bangladesh, Laos…
In più di una occasione, nella mia vita salesiana, ho sentito dire da chi aveva più vocazioni che essi, nel proprio paese o Ispettoria non avevano bisogno di aiuti, poiché avevano un numero sufficiente vocazioni. Ma proprio per questo, e perché la differenza, la diversità, la multiculturalità e interculturalità è una ricchezza, diventa ogni volta più necessario tale aiuto, anche per garantire l’identità del carisma salesiano, che non sia monocolore, per favorire l’interscambio di confratelli tra le Ispettorie per alcuni anni, offrire temporaneamente confratelli alle Ispettorie più bisognose, oltre a quelli che si offrono come missionari ‘ad gentes’ in risposta a questa chiamata e ad altre che verranno; e in tal modo anche preparare i confratelli, in tutte le parti del mondo, con uno sguardo più globale e universale. Noi Salesiani di Don Bosco, anche se abbiamo una organizzazione giuridica che si concretizza nelle Ispettorie, non facciamo professione religiosa per un luogo, una terra o una appartenenza. Siamo Salesiani di Don Bosco nella Congregazione e per la Missione, là dove più ci sia bisogno di noi e dove sia possibile il nostro servizio.
Sono consapevole che questo messaggio può risultare sorprendente, ma dobbiamo essere arditi nel sognare, cari Confratelli, e non aver paura della novità, per quanto esigente sia, se è buona in se stessa. Una concretizzazione semplice ma immediata di questo che dico è, per esempio, la necessità di preparare i giovani salesiani nell’apprendimento delle lingue; quante più lingue, tanto meglio. È passato il tempo, che io stesso ho vissuto, in cui imparare una lingua estera era qualcosa di superfluo e quando andare nel paese vicino, anche se la frontiera distava solo cinquanta chilometri, era ‘andare all’estero’ e riusciva molto difficile ottenere i permessi all’interno della Congregazione. Dobbiamo preparare le nostre nuove generazioni, pertanto, nell’apprendimento degli idiomi e, tra essi, l’apprendimento della lingua italiana perché non avvenga, col tempo, che l’accesso alle fonti e agli scritti originali del nostro Fondatore e della Congregazione siano qualcosa di proibitivo, data l’ignoranza.
Così pure desidero sottolineare che non dobbiamo avere paura e fare resistenza al fatto che i nostri giovani confratelli studino fuori della propria Ispettoria. Non si ama meno la propria terra, le proprie radici e le proprie origini per il fatto di non studiare nello stesso luogo. Non è vero, e non vi è nessun pericolo di perdere il senso della realtà. Al contrario, si allarga molto lo sguardo e la capacità di capire la diversità e la differenza, qualcosa di essenziale nel nostro mondo di oggi e di domani.
“A missionary congregation: in which diversity is a treasure”
Fr Angel Fernandez Artime - Rector Major
In the Acts of the General Council 419 I presented a reflection on the missionary dimension of the
In the Acts of the General Council 419 I presented a reflection on the missionary dimension of the Congregation; I now put it below in the page after my comment. This applies in particular to Project Europe, that must also keep in mind the other missionary frontiers of the Congregation and which at the same time should be realized with a missionary spirit.
Under this heading or title I want to say something simple and clear: The missionary dimension is part of our IDENTITY and that cultural diversity, a multicultural and intercultural situation are a treasure towards which in this six year period we are advancing.
Under this heading or title I want to say something simple and clear: The missionary dimension is part of our IDENTITY and that cultural diversity, a multicultural and intercultural situation are a treasure towards which in this six year period we are advancing.
According to ‘Evangelii Gaudium’[3] the proclamation of the Gospel is the mission of all the people of God and is meant for everyone, since “there are no more distinctions beteeen Jew and Greek … but all of you are one in Christ Jesus” (Gal 3,28). It means being the leaven of God within the human race, a humanity and a People of God with many faces, with many histories and different cultures where we are all missionary disciples.
The Pope is calling for the Evangelisation of all peoples and we are directing our gaze, always so as to recognise ourselves in our identity, on the missionary character of our Congregation. Don Bosco wanted the Salesian Society to be determinedly missionary. In 1875, from among the small group of the first Salesians, he chose ten to go to America; before his death he had already sent 10 missionary expeditions and the 153 who were in America at the time of his death were almost 20% of the Salesians at the time according to the Elenco of the Congregation for 1888.
This missionary identity, preserved and cultivated as the years passed led the Special General Chapter to make a special appeal which I want to renew today, on the threshold of the Bicentenary of the birth of Don Bosco and as a living homage to him: “The Special General Chapter appeals to all the provinces and even to those who are poorest in numbers so that by obeying the invitation of the Council and following the courageous example of our Founder they may contribute, even in a temporary manner, to the spread of the kingdom of God.”[4]
I sincerely believe dear Confreres that this call remains fully relevant in the current situation of our Congregation. When I speak about a homage to Don Bosco on the celebration of the Bicentenary of his birth I am not doing so in an empty spirit of celebration or for the sake of statistics , but because I truly believe – and it was the feeling of the GC27 – that a great wealth of our Congregation is its missionary capacity, the possibility of being there where there is the greatest need for us in the work of Evangelisation, even though all our efforts are very valid wherever we may find ourselves. In this context I take this opportunity to invite all the SDB Salesians – and I earnestly extend my invitation to all the Salesian Family –at an appropriate time to read, meditated on and discuss the ‘Evangelii Gaudium’. Certainly it will be good for us to do so; in many places it is still not known.
In this regard not only for 2015 but for all the six year period, we want real help to be given in certain mission areas where there is a degree of special difficulty at this time, for example among others:
- Missionary work in Amazonia, especially in Manaus, Campo Grande, and Venezuela…
- Missionary work in the Chaco Paraguayo.
- Missionary work in some regions of the Pampas and of Argentine Patagonia.
- A missionary presence among the immigrant communities in the United States.
- A missionary presence in the Middle East, in addition to being tremendously afflicted by a variety of armed conflicts with which we are familiar.
- A missionary presence among the Muslims of North Africa, the countries of the Arabian Gulf and Pakistan…
- A new missionary presence required by the Project for Europe which is concerned in large measure with the emarginated as a result of the various migrations.
- Strengthening of the new missionary presences for first Evangelisation in Asia and Oceania: Mongolia, Cambodia, Bangladesh, Laos…
On more than one occasion in my Salesian life I have heard it said by those who had more vocations that in their own country or Province they had no need for help since they had a sufficient number of vocations. But precisely for this reason and because difference, diversity, a multicultural and intercultural situation is a treasure, this help becomes more and more necessary also in order to ensure the identity of the Salesian charism, so that it is not monochrome, in order to encourage the exchange of confreres between Provinces for some years, to offer confreres on a temporary basis to the Provinces most in need, in addition to those who offer themselves as missionaries ‘ad gentes’ in response to this call and to others that may come; and in this way also to prepare confreres in all parts of the world, with a more global and universal outlook. We Salesians of Don Bosco, even though we have a juridical organisation which is expressed in Provinces do not make our religious profession for one place, one country or one destination. We are Salesians of Don Bosco in the Congregation and for the Mission, there where there is need for us and where our service is possible.
I am ware that this message may appear surprising, but dear Confreres we have to be daring in our dreaming and not be afraid of the new no matter how demanding it may be if it is good in itself. A simple but immediate practical example of what I am saying is the need to prepare young Salesians in the learning of languages; the more languages the better. The time, which was my own experience, has passed in which learning a foreign language was considered superfluous and when going to a nearby country even though the frontier was only fifty kilometres away was considered “going abroad”, and obtaining the necessary permissions within the Congregation was very difficult. We have to prepare the new generations therefore to learn languages and among these the Italian language so that with the passing of time access to the sources and the original writings of our Founder and of the Congregation does not become something almost impossible through ignorance of the language.
So too I want to emphasis that we should not be afraid nor put obstacles in the way of our young confreres studying outside their own Province. One does not love one’s homeland, roots and origins any less on account of not studying in the same place. There is no truth in that idea and there is no danger of losing a sense of reality. On the contrary one’s horizons are widened and the capacity to understand diversity and differences increased - something that is essential in our world of today and of tomorrow.
“Esperienza interculturale nelle comunità internazionali in Europa”
Le comunità internazionali in Europa sono una realtà in crescita. Soffermiamoci innanzitutto a considerare come è vista questa situazione dal CG27; consideriamo poi alcune scelte di animazione e governo per favorire all’interno di queste comunità un’autentica esperienza interculturale.
Nella parte dell’ascolto del CG27 si dice: “La multiculturalità all’interno delle nostre comunità è un’opportunità di testimonianza di unità per il mondo; rivela anche alcuni limiti della nostra carità e svela pregiudizi che resistono alla fraternità evangelica. Le comunità internazionali e la collaborazione a progetti mondiali contribuiscono a creare un maggiore senso di fraternità e di solidarietà” (CG27 29). Nel parte del cammino inoltre il CG27 domanda, come passo da compiere, di “favorire le comunità internazionali anche attraverso la globale ridistribuzione dei confratelli e la promozione dei progetti missionari della Congregazione” (CG27 75.5).
1.1. Multiculturalità come opportunità. La multiculturalità è una situazione ambivalente. Nel CG27 la multiculturalità delle comunità salesiane appare come una opportunità per offrire una testimonianza profetica di fraternità; in esse è possibile esprimere la convivialità delle differenze. Talvolta però in situazioni comunitarie multiculturali si manifestano remore e pregiudizi; vivere con persone di altre culture può risultare difficile. Il CG27 ci invita a valorizzare le opportunità che la multiculturalità offre e a superare le resistenze. Dobbiamo essere consapevoli dei limiti e delle difficoltà di vivere in comunità multiculturali, ma nello stesso tempo dobbiamo anche essere coscienti delle possibilità che in esse si offre: la varietà delle culture, la ricchezza della diversità, la specificità degli apporti, … arricchiscono le realizzazioni del carisma di Don Bosco.
1.2. Impegno di internazionalizzare le comunità. Il CG27 ci offre decisamente una chiara e concreta linea di azione: ci chiede di impegnarci a costruire comunità internazionali. Occorre creare situazioni di multiculturalità con un’azione di governo e quindi con scelte volute e condivise: impegniamoci perciò a internazionalizzare le comunità. La ridistribuzione dei confratelli, la collaborazione a progetti mondiali, la riorganizzazione delle ispettorie, la cura di un territorio missionario, la presenza in contesti multietnici ci pongono nelle condizioni di costituire comunità internazionali. E’ interessante al riguardo la situazione di ispettorie le cui comunità sono presenti in più nazioni. Il progetto Europa visto come invio dei propri confratelli in altri contesti e accoglienza di confratelli di altre ispettorie è uno dei grandi progetti missionari attuali della Congregazione.
1.3. Dalla multiculturalità all’esperienza interculturale. Vivere in una comunità internazionale richiede che ognuno si impegni a conoscere e comprendere la mentalità e la cultura di ogni confratello, al fine di valorizzare la loro ricchezza. Ciò domanda pure che ognuno riconosca i limiti e le fragilità della propria cultura di provenienza e di quella degli altri, al fine di superarli. In questo modo con l’apporto di tutti si costruisce un’esperienza interculturale, in cui ognuno è disponibile a dare e ricevere, superando l’individualismo. E’ la cultura dell’incontro e dello scambio di doni, che conduce a espressioni visibili di armonia e di unità nella diversità.
1.4. Esperienza interculturale come fraternità. La fraternità è alla base della vita comunitaria. Essa richiede rispetto, gentilezza, cortesia; la fraternità aiuta a superare le diffidenze, i pregiudizi, le barriere; facilita la comunicazione, la relazione, il confronto. Come nella vita di famiglia, nella vita comunitaria occorre sapere dire grazie, domandare permesso, chiedere scusa; è necessario evitare chiacchiere, pettegolezzi e giudizi sugli altri. Una vera esperienza interculturale è un segno visibile ed eloquente di fraternità, anzi essa meglio esprime la profezia della fraternità.
1.5. Esperienza interculturale “in uscita”. L’esperienza interculturale della comunità supera l’autoreferenzialità quando è aperta e attenta al contesto. La comprensione e l’accoglienza del contesto ci proietta fuori da noi stessi; le situazioni in cui viviamo fanno convergere le nostre differenze culturali nel servizio ai giovani e alla gente tra cui ci troviamo a vivere. Nessuna delle nostre esperienze culturali di provenienza diventa allora prioritaria nei confronti delle altre; non c’è una cultura predominate, se non quella dei giovani e della gente che siamo chiamati a servire. Inserirci nel contesto ci fa uscire da noi stessi e ci apre a integrare altre differenze. La fraternità ci apre al servizio e la mistica della fraternità diventa la mistica del servizio.
In Europa esistono già comunità salesiane apostoliche internazionali e si sente l’esigenza di costituirne altre e di rafforzarle. L’esistenza di tali comunità è dovuta al Progetto Europa, che ha portato missionari europei ed extraeuropei in alcune ispettorie dell’Europa. Ciò inoltre è richiesto dal forte fenomeno migratorio in Europa che domanda la presenza di confratelli di diverse provenienze culturali e geografiche nelle comunità educative pastorali. Al riguardo vi suggerisco alcune semplici attenzioni di animazione e governo nel costituire comunità internazionali.
2.1. E’ opportuno che un confratello non originario dell’ispettoria non si trovi solo all’interno della comunità, ma che sia nella comunità insieme con qualche altro confratello missionario. Occorre infatti un certa consistenza numerica e qualitativa della diversità culturale, per non correre il rischio che tale confratello si senta straniero e si trovi isolato.
2.2. Nel costituire le comunità internazionali la preferenza va data a quelle comunità in cui ci sono confratelli “locali” che condividono il progetto Europa e che sono aperti all’accoglienza della diversità, altrimenti il rifiuto della diversità culturale si traduce spesso nel rifiuto del confratello.
2.3. E’ importante aiutare le comunità a passare dalla multiculturalità e internazionalità alla autentica esperienza interculturale, che è un modo visibile e concreto di vivere la fraternità in questo tipo di comunità. Nello stesso tempo occorre aiutare le comunità a proiettarsi al loro esterno, con attenzione a comprendere il contesto e rispondere ai suoi bisogni educativi e pastorali.
2.4. Nei momenti importanti della vita di una ispettoria devono trovare posto ed essere visibili espressioni che manifestano l’accoglienza della diversità culturale. Avere missionari nella propria ispettoria aiuta a comprendere meglio cosa sia il Progetto Europa. L’ispettoria aiuti a creare una mentalità interculturale e favorisca l’invio di missionari, partecipando così anch’essa a progetti missionari della Congregazione.
2.5. L’Ispettore abbia attenzione a inviare i confratelli missionari del Progetto Europa in contesti dove ci sono situazioni multiculturali, perché in questo modo la comunità può offrire la testimonianza che è possibile realizzare l’interculturalità tra etnie diverse; i missionari poi possono meglio essere di aiuto a realizzare l’integrazione degli immigrati.
2.6. Se vi sono confratelli che accompagnano gruppi etnici, la loro azione pastorale faccia parte del progetto comunitario e coinvolga tutta la comunità nelle relazioni con tali gruppi e nel lavoro apostolico. Ciò vale anche per gruppi di immigrati europei in Europa.
2.7. L’esperienza interculturale delle comunità e delle ispettorie può essere rafforzata da volontari che hanno fatto esperienza in presenze salesiane di altri paesi e che ritornano nel proprio paese. Tale esperienza deve essere allargata anche ai laici e alla Famiglia salesiana.
“Intercultural experience in the international communities of Europe”
The international communities in Europe are a growing reality. Let us stop to consider in the first place how the GC27 looked at the situation, and then consider some strategies of animation and government to promote a real intercultural experience in these communities.
In its section on Listening, the GC27 said: "Intercultural living within our communities is an opportunity to bear a witness of unity to the world; it also reveals certain limits to our charity and uncovers prejudices which resist evangelical fraternity. International communities and collaboration in worldwide projects contribute to creating a greater sense of fraternity and solidarity” (GC27 29). And in the section on The Way Forward, the GC27 asked that steps be taken to encourage “international communities also through a worldwide redistribution of confreres and the promotion of the missionary projects in the Congregation” (GC27 75.5).
1.1. Multiculturality as an opportunity. Multiculturality is an ambivalent situation. In the GC27 our multicultural Salesian communities were seen as an opportunity to provide a prophetic witness of fraternity, for such communities show how differences can be reconciled in harmony. Sometimes, however, one can come across resistances and prejudices in multicultural communities: it can be difficult to live with persons belonging to other cultures. The GC27 invited us to make the most of the opportunities offered us by multiculturality and to overcome the resistances. We have to become aware of the limitations and difficulties of living in multicultural communities, but at the same time we have to recognize the possibilities they offer: the variety of cultures, the richness of their diversity, the specificity of their contributions - all things that enhance the projection of Don Bosco’s charism.
1.2. The effort to internationalize communities. The CG27 did not hesitate to give us a clear and concrete line of action: it asked us to commit ourselves to building international communities. We have to create multicultural situations through the action of government and therefore through decisions that are deliberate and shared: let us then endeavour to internationalize our communities. The redistribution of confreres, collaboration in worldwide projects, the reorganization of provinces, the care of a missionary territory, and our presence in multi-ethnic contexts – all these elements put us in a position of being able to establish international communities. In this regard, it is interesting to look at the situation of those provinces which have communities in several countries. Project Europe, understood as the sending of confreres to other contexts and their reception by the host provinces is one of the great missionary projects of the Congregation at the present day.
1.3. From a multicultural to an intercultural experience. Living in an international community requires everyone to be committed to knowing and understanding the mindset and the culture of each confrere in order to draw on their rich experience. It also requires each one to recognize the limitations and fragility of one’s own culture of origin and that of others, and to go beyond them. In this way, with each one’s contribution, an intercultural experience is built up: everyone is willing to give and to receive, and to rise above individualism. This is the culture of encounter and an exchange of gifts, leading to visible expressions of harmony and unity in diversity.
1.4. Intercultural experience as a fraternity. Fraternity is the foundation of community life. It requires respect, kindness, courtesy; fraternity helps to overcome mistrust, prejudices, barriers; it facilitates communication, relations, discussions. In community life, as in family life, one must know how to say “Thank you”, ask permission, apologize; one must be able to avoid chatter, gossip and judgments about others. A real intercultural experience is a visible and eloquent sign of fraternity; indeed, it expresses better the prophecy of fraternity.
1.5. “Outgoing” intercultural experience. The community’s intercultural experience surpasses “self-referentiality” when it is open and attentive to the context. The understanding and acceptance of the context pushes us out of ourselves; the situations in which we live make our cultural differences converge on the service of youth and the people among whom we live. When that happens, none of our cultural experiences of origin becomes a priority in respect of others; there is no predominant culture, except the one of the youth and the people we are called to serve. Inserting ourselves in the context makes us go out of ourselves and opens us to integrate other differences. Fraternity opens us up to service, and the mystical dimension of fraternity becomes the mystical dimension of service.
There are already Salesian apostolic international communities in Europe, and the need is felt to establish more of them and strengthen them. These communities owe their existence to Project Europe which brought European and non-European missionaries to some provinces of Europe. Furthermore, the strong migratory phenomenon in Europe required the presence of members coming from different cultural and geographical backgrounds in educational and pastoral communities. In this connection I wish to suggest some simple points that need attention in your work of animation and government as you establish international communities.
2.1. It is advisable that a confrere not native to your Province does not find himself alone in a community, but finds some other missionary confrere in the community. What is needed in fact is a certain numerical and qualitative consistency of cultural diversity so as to avoid the risk of such a confrere feeling an outsider and finding himself isolated.
2.2. In establishing international communities preference is to be given to those communities in which there are "local" confreres who share Project Europe and are open to accept diversity,
otherwise the rejection of cultural diversity often becomes translated into a rejection of the confrere.
2.3. It is important to help communities to move from multiculturality and internationality to an authentic intercultural experience, which is a visible and tangible way of living fraternity in this type of community. At the same time, it is necessary to help communities project themselves towards the outside, paying attention to understanding their context and responding to its educational and pastoral needs.
2.4. In the important moments of the life of a Province, the acceptance of cultural diversity must find a place and be seen in some visible expressions. To have missionaries in one’s Province helps to understand better what Project Europe is all about. The Province helps to create an intercultural mentality and encourages the sending of missionaries, herself too taking part in this way in the missionary projects of the Congregation.
2.5. Let the Provincial take care to send the confrere missionaries of Project Europe to contexts where there are multicultural situations, because in this way the community can testify to the fact that it is possible to achieve interculturality among different ethnic groups; furthermore, the missionaries can help better to achieve the integration of immigrants.
2.6. If there are confreres who accompany ethnic groups, let their pastoral action form part of the community project and let it involve the whole community in relations with such groups and in apostolic work. This also applies to the groups of European migrants in Europe.
2.7. The intercultural experience of the communities and provinces can be reinforced by volunteers who have had experiences of Salesian presences in other countries and have returned home. This experience must be extended to the laity and the Salesian family as well.
“Formazione iniziale interculturale in Europa”
Il mio tema è la dimensione interculturale della formazione iniziale in Europa. Avevo già pronto una lista dei punti concreti da condividere con voi. Ma qualcuno ha detto che niente è più pratico di una bella teoria. Lasciatemi allora di offrirvi alcuni pensieri suggeriti da due esperienze che sto vivendo in questi giorni. Uno è più personale, se si vuole: stavo leggendo una tesi dottorale sulla nozione empirica di cultura in Lonergan, in preparazione della difesa che si terrà il 5 dicembre, un impegno che avevo preso prima di una chiamata improvvisa a Roma.[5] L’altro è il Congresso Storico Internazionale che abbiamo appena concluso qui alla Pisana.
La prima riflessione è sull’educazione e cultura. Nel suo libro The Crisis of Western Education, lo storico Christopher Dawson dice:
Fino a quando un uomo non acquista una certa conoscenza di un´altra cultura, non si può dire di essere educato, dal momento che tutta la sua mentalità è talmente condizionata dal suo ambiente sociale che non si rende conto dei limiti di questo ambiente.[6]
Quali sono le conseguenze di tale affermazione per la formazione salesiana, soprattutto dove si da una situazione piuttosto monoculturale? ‘Interculturalità’ ormai fa parte del bagaglio linguistico salesiano; ma che cosa intendiamo per essa? Cos´è che rende una casa di formazione interculturale? che cosa rende un processo di formazione interculturale? È sufficiente che ci siano studenti provenienti da diverse nazioni e culture? È sufficiente avere un’equipe multiculturale?
Dawson è una delle influenze fondamentali sul pensiero del teologo canadese Bernard Lonergan: grazie a Dawson, Lonergan ha fatto il passaggio da una nozione classicista a una nozione empirica della cultura. La nozione classicista della cultura è una concezione normativa e universale della cultura. C’è un’unica cultura per tutti i tempi. È cultura con la C maiuscola. È una questione di buon gusto, formazione superiore, carattere fine, conoscenza del latino e del greco, etc. La nozione empirica della cultura, invece, riconosce che ogni popolo, ogni nazione, ogni gruppo ha la propria cultura, con luci e tenebre.
Fino a poco tempo fa, la nozione classicista della cultura reggeva negli ambienti ecclesiastici. Una delle implicazioni di una tale nozione è che tutti gli altri popoli e culture erano considerati selvaggi. Questa nozione ha dominato anche il mondo salesiano? Probabilmente. Per uno che cresce in India, non si parla normalmente di cultura ma delle culture. Nei nostri documenti salesiani, invece, si parla facilmente di educazione e cultura, intendendo più o meno la stessa cosa. Certo, esiste anche la bellissima lettera di don Chavez sull’inculturazione del carisma salesiano (ACG 411), ma quella è forse un’eccezione, e di recente data (2011).
Durante il Congresso Storico, la questione del nazionalismo è emerso diverse volte e in diversi interventi. Per me è stato piacevole costatare che i relatori sono riusciti parlare di questo fenomeno, nella storia salesiana, con grande schiettezza e franchezza. Sono abbastanza consapevole che i relatori erano tutti italiani, mentre io non lo sono. Credo comunque che il tema sia importante e d’interesse per il discorso dell’inculturazione e interculturalità. La domanda riguarda l’intreccio tra salesianità e italianità: si deve essere italiano per essere salesiano? Fino a che punto? La domanda, anche se non in forma esplicita, ha giocato un ruolo di non poco spessore nella storia della congregazione. Ecco due esempi:
Prof. Mario Belardinelli: La supposta ‘moderazione’ del fascismo a paragone dello statalismo esasperato del comunismo e poi del nazismo hanno consentito ad una corrente di studi di considerarlo un ‘totalitarismo imperfetto’, capace di organizzare le masse popolari italiane (e soprattutto i giovani), sottraendole al ribellismo e orientandole alla collaborazione nazionale. Ciò può conciliarsi con una versione del boschiano “educare a divenire buoni cittadini”, e convince molti salesiani a marciare in sintonia con il regime, sia accentuando l’autoritarismo nelle strutture di formazione sia favorendo nelle missioni estere l’insegnamento della cultura italiana “faro di civiltà”.[7]
Prof. Giorgio Rossi, SDB: Il fenomeno del ‘nazionalismo’ ha coinvolto anche i salesiani: non solo strumenti, ma anche attori, alle volte consapevolmente e alle volte inconsapevolmente. I salesiani si sono difesi sia dall’accusa di scarsa ‘italianità’ sia dall’accusa di essere ‘agenti’ della madrepatria.[8]
Non si tratta di dare colpa ai nostri predecessori. Non è neanche una questione di gettare via, nel nome di universalità e interculturalità, tutto ciò che è italiano. Solo che una congregazione internazionale e una chiesa universale non può non affrontare la questione dell’inculturazione della fede o di un carisma.
Già dall´inizio, è importante notare che ci troviamo d´accordo sull´obiettivo. Inculturazione e interculturalità sono importanti per la congregazione di oggi. A Strasburgo Papa Francesco ha detto che l’unità non significa uniformità, e che ogni autentica unità vive della ricchezza dei suoi componenti. Ha parlato di Europa come una famiglia di popoli con responsabilità per gli altri popoli del mondo.
Il motto dell´Unione Europea è Unità nella diversità, ma l´unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l´Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell´Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l´ideale dell´unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
Nel secondo luogo, dobbiamo ammettere che l´interculturalità è un argomento che deve essere approfondito. Permettetemi di offrire qui solo alcune indicazioni per mezzo di un inizio.
1. È importante per i formatori di veramente essere educati, che, se vogliamo andare da Dawson, significa trovare un modo per acquisire la conoscenza di un´altra cultura, sia per l´esposizione sostenuta e la riflessione, o per studio. Siamo in grado di ricordare ancora una volta le parole di Dawson: "Fino a quando un uomo non acquista una certa conoscenza di un´altra cultura, non si può dire di essere educato, dal momento che tutta la sua mentalità è talmente condizionata dal suo ambiente sociale che non si rende conto dei limiti di questo ambiente." potremmo pensare qui la differenza tra un formatore che è educato in questo senso, e uno che non lo è.
2. È importante come una congregazione, come continente, come regioni, per riflettere sul tema dell’inculturazione e interculturalità e sulle sue implicazioni pratiche per i processi di formazione.
3. E ´importante che i formatori siano in grado di guardare costantemente a se stessi, piuttosto che solo ed esclusivamente sui formandi. "Come si può prendere cura della famiglia di Dio, se non si può prendere cura del proprio nucleo familiare?"
Mi fermo un po’ sul terzo punto.
Il formatore salesiano avrà una grande capacità di ascolto – ascolto non solo di quello che viene detto ma anche quello che non è detto, ai pensieri ma anche ai sentimenti. Sarà uno che si sforza di capire prima di giudicare; e di giudicare, quando necessario, con compassione.
Il formatore non sarà un illetterato nell’area dei sentimenti (emotionally illiterate). Avrà una conoscenza delle dinamiche dei sentimenti (feeling dynamics), e non solo perché abbia studiato le teorie, ma perché conosce i propri sentimenti, e ha fatto il proprio lavoro di auto-appropriazione dei sentimenti.
Il formatore avrà la capacità di coinvolgere i formandi nel proprio lavoro di formazione. Resisterà la tentazione di imporre o anche di suggerire linee di azione. Crederà nel metodo di partecipazione e sarà un uomo di dialogo, come dicono le nostre Costituzioni.[9]
Tutto questo è profondamente legato a nostro sistema di educazione, il Sistema Preventivo. Alla conclusione del Congresso Storico Internazionale, il prof. Giorgio Chiosso ha sottolineato il fatto che il Sistema Preventivo è “una pedagogia della libertà personale, affidata alla forza della relazione interpersonale, e garantita dalla valorizzazione della componente affettiva”; questo tipo di sistema è superiore “rispetto a una pedagogia dell’autorità e della separazione del ruolo magistrale da quello discepolare e affidata più a regole impersonali che al rapporto vivo.” Forse questo non è niente di nuovo, ma mi è piaciuto molto il commento che segue, dove il professore fa un contrasto tra un ‘educatore di razza’ e l’educatore normale: dove il primo “riesce a trasferire in modo originale nella realtà quotidiana” le enunciazioni di principio, il secondo “è tentato di superare la propria insicurezza mediante il ricorso a regole, norme, comportamenti più o meno standard.”[10]
A me sembra che si può tradurre il nostro trinomio ragione, religione, amorevolezza in termini di dialogo.
A questo punto qualcuno chiederà: perché tutta questa attenzione alla formazione dei formatori? Abbiamo sempre trovato formatori bravi tra i nostri confratelli, e sono stati confratelli senza una grande preparazione. E questo è vero: alcuni sono formatori nati. Ma penso che anche questi hanno bisogno di supervisione, dei propri accompagnatori. Spesso, problemi irrisolti dal passato emergono in età media. E poi, secondo i nostri documenti, e secondo i documenti della chiesa, anche recenti, i formatori vanno formati, non basta affidarsi ai formatori nati, a confratelli buoni e capaci.[11] Secondo me, è venuto il momento nella congregazione di stabilire politiche su questo punto, politiche e tradizione di preparazione e formazione dei formatori. Questa formazione non dev’essere solo teorica, ma deve comprendere un buon Prakticum, deve puntare sulla formazione del cuore. In questo senso, si può leggere nel Progetto del Rettor Maggiore e del suo Consiglio 2014-20 al # 3.1.1.3: “Insistere con gli Ispettori che si formino i formatori prima di inviarli ad una comunità formatrice, mediante un anno o due di counselling e accompagnamento spirituale, insieme alla teoria e pratica del Sistema Preventivo.”
Processi di formazione interculturali devono essere costruite. Essi probabilmente emergeranno attraverso processi dialogici e partecipativi. Essi sicuramente richiederanno anche un buon dosaggio di studio e confronto. Ma sono sicuro che saranno grandemente aiutati da qualsiasi lavoro che il formatore fa su se stesso.
In conclusione: inculturazione e interculturalità ci chiedono:
· Un passaggio da una nozione classicista della cultura ad una nozione empirica
· Uno sforzo di educazione e formazione all’interculturalità, attraverso un confronto con almeno un’altra cultura
· Un approfondimento del significato di ‘interculturalità’
· Una formazione dei formatori, una formazione al rispetto, al dialogo, alla reciprocità.
“An intercultural initial formation in Europe”
Fr Ivo Coelho - Councillor for formation
The topic assigned to me is the interculturality of initial formation in Europe. When I began preparing my intervention, I made a list of many practical points that I had been thinking of sharing with you. But, as someone has said, there is nothing so practical as a good theory. So let me begin by putting down some of thoughts that have been running through my head in these days. The first inspiration is from a doctoral thesis I have been reading on Lonergan’s empirical notion of culture,[12] while the second comes from the recently concluded International Historical Congress in celebration of the Bicentenary.
In The Crisis of Western Education, Christopher Dawson says:
Until a man acquires some knowledge of another culture, he cannot be said to be educated, since his whole outlook is so conditioned by his own social environment that he does not realize its limitations.[13]
What kind of implications does this statement have for salesian formation, especially in those places where it tends to be monocultural? The term interculturality has found a home in our Salesian documents; but what do we mean by it? What is it that makes a formation house intercultural? What makes a formation process intercultural? Is it enough that there be students from different nations and cultures? Is it enough to have a multicultural formation team?
Dawson is one of the fundamental influences on the thought of the philosopher, theologian and economist Bernard Lonergan: thanks to Dawson, Lonergan began making a shift from the classicist to the empirical notion of culture. The classicist notion of culture is a normative and universal conception of culture. It maintains that one and only culture is valid for all time. It is concerned with what ought to be. It is culture with a capital “C.” It is a matter of good taste, high learning, refined character, knowledge of Latin and Greek, etc. The empirical notion of culture, instead, recognizes that each people, each nation, each group has its own culture, with its own share of light and darkness.
The classicist notion of culture held sway in church circles until quite recently. One implication of such a notion is that all other peoples and cultures, if they do not match up to this culture, tend to be considered ‘uncivilized,’ savages, etc. Did such a notion hold sway also in Salesian circles? Probably. Someone growing up in India tends to take for granted the fact of a plurality of cultures. Our Salesian documents, instead, tend to speak in terms of education and culture, mostly equating the two. On the other hand, there is also the important letter of Fr Chavez on inculturation of the Salesian charism (AGC 411, 2011), and we have now begun to speak explicitly not just of international and multicultural communities but also of interculturality.
During the Historical Congress, the issue of nationalism came up several times and in several different papers. It was refreshing to see speaker after speaker dealing with this thorny topic with great simplicity and frankness. I am quite conscious of the fact that all those who spoke of this topic happened to be Italian, whereas I am not. But still, the issue is too interesting and too important not to be mentioned in this meeting, given especially the topic of interculturality. The question is the familiar one: how Italian should one be in order to be Salesian? Here are just two samples of what emerged at the Congress:
Prof. Belardinelli touched upon the difficult topic of Salesians and their attitude towards Italian Fascism. He noted that the supposed ‘moderation’ of Fascism in contrast to the exaggerated place given to the state in Communism and Nazism allowed some scholars to regard it as an ‘imperfect totalitarianism’. This made it possible and easy for many Salesians to reconcile and sometimes accomodate themselves to the regime in the name of ´educating good citizens.´ One fallout was the strengthening of authoritarianism in formation, and the tendency to spread Italian culture as the ´beacon of civilization´ in the missions.[14]
Prof. Giorgio Rossi, SDB, summed up his paper on the cultural policies of the Salesians in the Middle East in this way: Salesians were also involved, along with others, in the phenomenon of nationalism, not merely as instruments but also as actors, sometimes consciously and sometimes not. They defended themselves both from the accusation that they were not Italian enough, and from the accusation of being agents of their motherland.[15]
It is not my intention here to find fault with our predecessors. Much less am I advocating the jettisoning of all that is Italian in the name of universality and interculturality. I am merely making the trite observation that an international congregation and a universal church cannot avoid having to face squarely issues such as the inculturation of the faith, the inculturation of a charism, or, in the present context, the interculturality of formation processes.
First of all, it is important to note that we are agreed on the objective of inculturation and interculturality. The congregation has owned this objective. It sees these as values to be cultivated. It is increasingly realizing that they are an essential part of being Christian. It finds very pertinent Pope Francis’ remarks to the European Parliament about Europe as a family of peoples, where unity does not mean uniformity, but rather a celebration of differences:
The motto of the European Union is United in Diversity. Unity, however, does not mean uniformity of political, economic and cultural life, or ways of thinking. Indeed, all authentic unity draws from the rich diversities which make it up: in this sense it is like a family, which is all the more united when each of its members is free to be fully himself or herself. I consider Europe as a family of peoples who will sense the closeness of the institutions of the Union when these latter are able wisely to combine the desired ideal of unity with the diversity proper to each people, cherishing particular traditions, acknowledging its past history and its roots, liberated from so many manipulations and phobias. Affirming the centrality of the human person means, above all, allowing all to express freely their individuality and their creativity, both as individuals and as peoples.
Next, we must admit that interculturality is a topic that needs to be deepened. Let me offer here a few pointers by way of a start.
1. It is important for formators to truly being educated in Dawson’s sense, which means finding some way to acquire knowledge of another culture, either by sustained exposure and reflection, or by study. We can recall once again the words of Dawson: “Until a man acquires some knowledge of another culture, he cannot be said to be educated, since his whole outlook is so conditioned by his own social environment that he does not realize its limitations.” We could think here of the difference between a formator who is educated in this sense, and one who is not.
2. It is important as a congregation, as a continent, as regions, to reflect on the issue of incluturation and interculturality and on the practical implications for processes of formation.
3. It is important also that formators be able to constantly look at themselves rather than solely and exclusively on the formees. “How can a man take care of the household of God if he cannot take care of your own household?” (1 Tim 3:5)
Allow me to expand the third point a bit.
The ideal Salesian formator is one who is able to truly listen: not only to words, but also to feelings; not only to what is being said, but also to what is not being said. A formator who take the trouble to understand before judging; and to judge when he has to with compassion.
Such a formator cannot therefore be emotionally illiterate. He will be familiar with the dynamics of feelings, and not because he has studied the relevant psychological theories, but because he is familiar with his own feelings, perhaps through having made use of the technologies that are today available.
Such a formator will also be able to involve the formees in the process of formation. He will resist the temptation to impose lines of action, seeking to make these emerge from the formee himself. He will be someone who believes in the method of participation, and so will be a man of dialogue, as our Constitutions require.
All this is profoundly rooted in our own system of education. At the conclusion of the Historical Congress, prof. Giorgio Chiosso wonderfully highlighted the fact that the Preventive System is “a pedagogy of personal freedom, one that relies on the force of interpersonal relationships, and that gives due value to the affective component”. This kind of system, he went on to say, is far superior to a pedagogy of authority that presupposes a distance between masters and pupils, and that relies more on impersonal rules than on living relationships.[16] Perhaps this is not all that new; but what struck me very much was the comment that followed, where the professor drew a contrast between the gifted educator and a run-of-the-mill one: where the former is able to translate the great principles of the system in creative ways into everyday life, the latter is constantly tempted to hide his own insecurity by means of a recourse to rules, norms, and behaviour that is more or less standard. All this makes me think that ‘dialogue’ is a good way of translating the great trinomial reason, religion, loving kindness, or perhaps at least the first and third of these terms.
At this point someone will be tempted to say: why all this talk about formation of formators? Haven’t we always managed somehow? Our way is to find some good confreres and put them to the job. And I would say: yes, you are right. There are always those who are born formators. But not all. And even the born formators, I would venture, eventually feel the need for help, for what is today called supervision, for someone with whom they can confront themselves and their experience of the formative process. Besides, our own documents and the documents of the church require that formators be formed not only to teach but also to form, and not only theoretically but also practically.[17] According to me, it is time as a congregation to establish policies on this point, policies and traditions and good offerings in a diversity of languages regarding the preparation and formation of formators. The Formation Department has been, since 2011, been engaged in preparing a document entitled Criteria and Norms for Salesian Personal Accompaniment. But beyond the document there remains the work of identifying processes and places where Salesian formators can be formed, where they will receive a formation not only of the mind but also of the heart, and of convincing provincials to prepare formators and not only teachers.
But what has all this to do with the topic of interculturality in formation? I would say: it is not the whole solution, but it is certainly one of the indispensable components. If a formator has done his own work of self-appropriation; if he has come to an adequate self-knowledge and self-acceptance; if he has the capacity to listen to someone else because he has spent time listening to himself; if he has the capacity to dialogue; if he believes in empowering and participation rather than imposing and giving guidelines and rules; if, in other words, he is truly an educator after the heart of Don Bosco, if he practises the preventive system, he will be well equipped to confront the issue of interculturality on a daily basis and in praxis.
Intercultural formation processes have to be constructed. They will probably emerge in the process of dialogical and participatory methods of formation. They will surely require also good doses of study and the confrontation that comes with study. But they will, I think, certainly be helped by any work that the formator does on himself.
To conclude: I am proposing that inculturation and interculturality demand of us:
· A shift from a classical to an empirical notion of culture
· An effort of education and formation towards interculturality, through an encounter with at least one other culture
· An effort to deepen the meaning of interculturality
· A formation of formators, a formation of the heart, a formation to dialogue, mutual respect, and reciprocity.
“Interculturalità nelle comunità educative pastorali e migrazioni in Europa”
Don Fabio Attard - Consigliere per la Pastorale giovanile
Presento alcune riflessioni che provengono da due ispettorie, BEN e GBR. Quanto segue cerca di rispondere alla domanda circa l’impegno pastorale in questo scenario pastorale nuovo. Sono degli spunti che offrono una rapida fotografia sul come alcune comunità educative pastorali stanno rispondendo alle sfide che esistono, sul si sta favorendo processo d’integrazione e sul come si cerca di dare attenzione pastorale ai migranti.
A. Sfide generali
1. La prima sfida è quella di accompagnare i ragazzi a inserirsi nella società dove vivono. Facilitare la loro integrazione si presenta come un processo che chiama in causa il bisogno della conoscenza della storia e della cultura locali. Accompagnare i ragazzi in questa fase significa aiutarli ad un appezzamento dei vari modo di vivere, dei modelli organizzativi sociali che si presentano come nuovi, in netto contrasto con quello vissuto prima dai loro genitori. Tale processo presuppone sempre il rispetto alla loro storia, alle loro radici e alla cultura dalla quale ancora si nutrono in famiglia.
2. In alcune situazioni tale processo non è molto forte. Questa debolezza è anche dovuta al fatto che in alcune realtà le comunità di ‘migranti’ costituiscono spazi per un forte senso di appartenenza tra loro. È una realtà che contrasta fortemente con quello che capita in altri luoghi dove la migrazione è un fenomeno in transizione.
Questo, da una parte, apre la possibilità di assistere gruppi più omogeni: per esempio esistono processi di accompagnamento più specificamente pastorale e sacramentale per alcuni di questi gruppi. D’altra parte, c’è un impegno più specifico a livello di persone in cerca di riconoscimento legale, o bisognosi di altri tipi di aiuto.
3. All’interno dell’ambiente parrocchiale cresce sempre di più l’attenzione alle comunità cristiane multi-culturali. Si sta sempre più dando attenzione alle opportunità di processi pastorali mirati a questi vari gruppi etnici: basta pensare ai momenti importanti come l’amministrazione dei sacramenti, ma anche dei momenti molto importanti quando muore un parente.
B. Alcune pratiche pastorali nell’ambiente della scuola
La scuola offre uno scenario con molteplici possibilità d’interventi. Per la durata della loro permanenza nella scuola e la qualità dei rapporti che si stabiliscono, nella scuola incontriamo lo sviluppo di molteplici forme educativo-pastorali concrete che rispondono alla storia dei giovani. È da ricordare che in alcune nostre scuole arriviamo ad incontrare un elevato numero di nazionalità, 35 nazionalità in una scuola particolare.
1. Iniziamo dalla Comunità Educativo-Pastorale (CEP). Prima di presentare alcuni processi più concreti, si sente sempre di più il bisogno che la stessa CEP abbia una consapevolezza della sua missione in questo nuovo scenario. Urge chiarire l’identità educativo-pastorale della CEP. In alcuni casi esistono dei sentimenti a livello di alcuni di guardare ai migranti come delle persone non completamente accette, ‘stranieri’. Non va preso per scontato che tutti i membri della CEP hanno una chiara consapevolezza della missione salesiana con la sua forte attenzione e impegno ai giovani più poveri.
2. Alcuni interventi più specifici: prima di tutto bisogna studiare come il contatto con le famiglie vada rafforzato. Quella che chiamiamo ‘pastorale familiare’ qui si presenta come una frontiera molto ampia e necessità attenzione pastorale creativa e intelligente. Si è sempre più convinti che lavorare con i giovani implica necessariamente entrare in contatto con le loro famiglie. Nell’assenza di questo cammino, la scuola resta una proposta parallela e debole in paragone con l’influsso che esercita l’ambiente familiare.
3. Impegnarsi sempre di più affinché le nostre presenze siano sia realmente ambienti di accoglienza, dove si sente lo spirito di famiglia verso coloro ai quali mancano riferimenti sociali e culturali abituali. Una buona base per un’integrazione reale passa attraverso la creazione di ponti tra scuola e famiglia, tra la CEP e i genitori che l’ambiente scuola, ma anche altre presenze, stanno favorendo.
4. Un’altra opportunità che si valuta molto positiva è quella di offrire servizi di accompagnamento che normalmente prendono il nome di vocational guidance o counselling offerti a tutti indistintamente. Tali servizi offerti dalla scuola sono spazi e luoghi non solo di conoscenza umana sana e adulta, ma anche di confronto a livello personale, di aiuto verso la scelta del futuro.
5. Altri spazi che in maniera più generale facilitano l’integrazione sono i momenti sociali, sportivi, celebrativi dove tutti i giovani della scuola partecipano insieme, interagiscono, collaborano. È un aspetto che nella scuola gli si sta dando sempre più attenzione e importanza perché facilità un modus vivendi che supera pregiudizi culturali, integra valori umani e religiosi condivisi. Sono momenti che promuovono una convivenza sociale dove i giovani si trovano come persone con i loro doni, condividendo le loro capacità attorno a progetti e cammini ai quali aderiscono con libertà.
6. Si tenta sempre di più di offrire momenti celebrativi che hanno un sentire religioso, valori trascendentali ai quali tutti possono partecipare senza sentirsi ‘fuori’. In questo senso attenzione è data al fatto che si cerca di favorire ambienti e proposte aperte a accoglienti.
Conclusione
Anche se qui non si tratta di parlare dei processi dei nuovi missionari nel Progetto Europa, va detto che i vari processi e proposte all’interno della CEP necessariamente risentono di come la stessa comunità salesiana gestisca al suo interno i rapporti umani dei suoi membri, in modo più specifico quando la comunità è composta da confratelli provenienti da varie nazioni e continenti. Le sfide sociali e pastorali una volta individuate e gestite con pazienza e intelligenza all’interno della comunità salesiana, costituisce un esempio e un paradigma non indifferente a tutti i membri della CEP e uno stimolo ai processi di una integrazione più vera a livello di processi educativo-pastorali.
Interculturalism educative and pastoral communities and Migrants in Europa"
Fr Fabio Attard - Councillor for Youth Pastoral
I present some thoughts that come from two provinces, BEN and GBR. The following attempts to answer the question about the pastoral ministry in this pastoral scenario. Here are some ideas that offer a photograph on how some educative and pastoral communities are responding to the challenges that exist, how is integration process being favoured and how is pastoral care being offered to migrants.
A. General Challenges
This, on the one hand, opens the possibility to attend more homogeneous groups: for example, there are more specifically pastoral and sacramental processes for some of these groups. On the other hand, there is a commitment to a more specific group of people looking for legal recognition, or in need of other types of aid.
B. Some pastoral practices in the school environment
The school offers a scenario with many possible interventions. For the duration of their stay in the school and the quality of relationships that are established, in the school there is the possibility of multiple forms of concrete educational and pastoral journeys with the young. It is to be remembered that in some of our schools we can to meet a large number of nationalities, 35 nationalities in a particular school.
Although here we are not speaking of the processes of new missionaries in the Project Europe, it must be said that the various processes and proposals within the EPC are necessarily affected by how the same Salesian community handles within itself the human relationships of its members, especially when the community is made up of confreres from different nations and continents. Social and pastoral challenges once identified and managed with patience and intelligence within the Salesian community, that process becomes a significant example and a paradigm to all members of the EPC and a stimulus to the processes of integration a the real level of educational processes.
“Contributo interculturale dei missionari giovani in Europa”
Don Guillermo Basañes - Consigliere per le missioni
[scheda per il dialogo]
I. Due premesse / convinzioni, condizione sine qua non perché ci sia un contributo interculturale valido e fecondo da parte dei Salesiani missionari inviati in Europa:
ü “I popoli non ancora evangelizzati” (C30) sono a casa nostra, in Ispettoria, nel territorio missionario affidatoci in Europa. “Oggi c’è ancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes” (Papa Francesco, Giornata Missionaria Mondiale 2014). Questi popoli in Europa – locali e immigrati – “continuano a sollecitare e a mantenere vivo il nostro zelo: ravvisiamo nel lavoro missionario un lineamento essenziale della nostra Congregazione” (C30; cfr. Ecclesia in Europa 46).
ü Ogni cultura, ogni contesto può far risonare, crescere, sviluppare diversi aspetti del carisma, inclusi aspetti nuovi. La mia / nostra esperienza locale / ispettoriale / nazionale del carisma, sarà sempre limitata, incompleta. Don Bosco “profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente” (C 21): nessuna cultura riesce o riuscirà a manifestare, o essere portatrice di tutte le virtù.
II. Una domanda (sbagliata):
Ø “Cosa faranno questi nuovi / giovani missionari, che noi non sappiamo fare?”
§ Risposta: “inizialmente, (quasi) niente”. Essi non vengono né per sostituire né per competere; né per occuparsi esclusivamente dei loro connazionali immigrati. Non sono inviati prima di tutto per “fare”, ma per “essere”.
§ Uno dei loro più preziosi contributi è quello di dare più possibilità alle comunità locali e ispettoriali di offrire ai giovani in Europa il Vangelo della fraternità universale, o meglio, di educarli attraverso la profezia della fraternità universale. D’altra parte, la multidirezionalità dei missionari è un segno concreto della fecondità della missio ad gentes.
o CG27, 29 : “La multiculturalità all’interno delle nostre comunità è un’opportunità di testimonianza di unità per il mondo; rivela anche alcuni limiti della nostra carità e svela pregiudizi che resistono alla fraternità evangelica. Le comunità internazionali e la collaborazione a progetti mondiali contribuiscono a creare un maggiore senso di fraternità e di solidarietà”.
o Papa Francesco (al Consiglio di Europa 2014): “Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo parlare di un´Europa dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al servizio dei popoli armonicamente uniti” (…) “Un´Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c´è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità” (cfr. C46).
III. Alcune condizioni / cammini per una valido e fecondo contributo interculturale da parte dei Salesiani missionari inviati in Europa:
a. avere un loro referente costante in Ispettoria, che faccia da ponte tra i missionari e l’Ispettore con il suo consiglio;
b. dare loro il necessario spazio e tempo per il delicato processo dell’inculturazione;
c. scoprire delle forme rinnovate di condivisione della propria storia e della propria vita;
d. dare opportunità alle loro voci e iniziative alternative, che rischiano di rimanere in silenzio;
e. lavorare insieme e celebrare insieme.
“Intercultural contribution of young missionaries in Europe”
Fr Guillermo Basañes - Councillor for the Missions
[outline for dialogue]
I. Two premises / convictions, conditio sine qua non for a valid and fruitful contribution on the part of Salesian missionaries sent to Europe:
ü “People still waiting the Gospel message” (C30) are in the house, in the Province, in the missionary territory entrusted to us in Europe. “Today vast numbers of people still do not know Jesus Christ. For this reason, the mission ad gentes continues to be most urgent” (Pope FrancIs, World Mission Sunday 2014). These peoples in Europe – locals and immigrants – “continue to stimulate our zeal and keep it alive: We look upon missionary work as an essential feature of our Congregation” (C30; cfr. Ecclesia in Europa 46).
ü Every culture, every context can re-echo, grow, develop various aspects of the charism, including new aspects. My / our local / Province / national experience of the charism, will always be limited, incomplete. Don Bosco “deeply human, rich in the qualities of his people” (C 21): no culture can or will be able to manifest or to be the bearer of all virtues.
II. A (wrong) question:
Ø “What will these new / young missionaries do, which we cannot do?”
§ Answer: “initially, (almost) nothing”. They are neither to substitute nor to compete; nor to deal exclusively with immigrants from their country. First of all they are not sent to "do", but to “be”.
§ One of their most valuable contributions is to give more opportunities to the local communities and Provinces to offer to young people in Europe the gospel of universal fraternity, or better, to educate them through prophecy of universal fraternity. On the other hand, the multi-directionality of the missionaries is a concrete sign of the fruitfulness of missio ad gentes.
o GC27, 29 : “Intercultural living within our communities is an opportunity, a witness to unity for the world; it also reveals certain limits to our charity and uncovers prejudices which resist evangelical fraternity. International communities and collaboration in worldwide projects contribute to creating a greater sense of fraternity and solidarity”.
o Pope Francis (to the Council of Europe 2014): “Were we to define the continent today, we should speak of a Europe in dialogue, one which puts a transversality of opinions and reflections at the service of a harmonious union of peoples.” (…) “A Europe which can only dialogue with limited groups stops halfway; it needs that youthful spirit which can rise to the challenge of transversality” (cfr. C. 46).
III. Some conditions / processes for a valid and fruitful intercultural contribution on the part of Salesian missionaries sent to Europe:
f. have a constant person as a point of reference in the Province, who acts as the bridge between the missionaries and the Provincial and his council;
g. give them the necessary time and space for the delicate process of inculturation;
h. discover the renewed forms of sharing one´s story and of one’s own life;
i. give opportunities for their voices to be heard and proposals for alternative initiatives, which are likely to remain silent;
j. work together and celebrate together.
“La Comunicazione sociale a servizio della missione della Chiesa e del Progetto Europa”
Don Filiberto Gonzalez - Consigliere per la comunicazione sociale
L’atteggiamento con il quale si affronta una realtà può in qualche modo prevedere il risultato. Questo può capitare anche con la Comunicazione Sociale. Per questo motivo comincio presentando la posizione della Chiesa davanti ai Media nel Vaticano II, nella consapevolezza che ci introdurrà in modo positivo e proattivo nel tema che ci occupa come pure nella ricaduta nel Progetto Europa.
Inter Mirifica è un decreto del Concilio Vaticano II sugli strumenti di comunicazione sociale. Venne approvato con 1960 voti favorevoli e 164 contrari dai vescovi riuniti in Concilio e fu promulgato dal papa Paolo VI il 4 dicembre 1963. Il titolo Inter Mirifica significa dal latino: Tra le meraviglie e deriva dalle prime parole del decreto stesso. Questo decreto Inter Mirifica parla dei mezzi di comunicazione sociale, anche detti mass media.
“Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto nel nostro tempo, l´ingegno umano è riuscito, con l´aiuto di Dio, a trarre dal creato, la Chiesa accoglie e segue con particolare sollecitudine quelle che più direttamente riguardano le facoltà spirituali dell´uomo e che hanno offerto nuove possibilità di comunicare, con massima facilità, ogni sorta di notizie, idee, insegnamenti. Tra queste invenzioni occupano un posto di rilievo quegli strumenti che, per loro natura, sono in grado di raggiungere e influenzare non solo i singoli, ma le stesse masse e l´intera umanità. Rientrano in tale categoria la stampa, il cinema, la radio, la televisione e simili. A ragione quindi essi possono essere chiamati: strumenti di comunicazione sociale” (Inter Mirifica, 1).
Vale la pena dire che la visione dei vescovi riguardo alla Comunicazione Sociale è stata così positiva da far scaturire da questo decreto la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Questa giornata si celebra ogni anno con un tema diverso che tocca la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo.
“Al fine poi di rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa con l´impiego degli strumenti di comunicazione sociale, ogni anno in tutte le diocesi del mondo, a giudizio dei vescovi, venga celebrata una « giornata » nella quale i fedeli siano istruiti sui loro doveri in questo settore, invitati a speciali preghiere per questo scopo e a contribuirvi con le loro offerte. Queste saranno debitamente destinate a sostenere le iniziative e le opere promosse dalla Chiesa in questo campo, secondo le necessità dell´orbe cattolico” (Inter Mirifica, 18).
E stato il Papa Paolo VI, che aveva visto lo svolgersi dell’idea durante il Concilio Vaticano II, a convocare la I Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali nel anno 1967 con un messaggio di semplice e chiaro titolo: “I mezzi di Comunicazione Sociale”, e scrisse:
“Con quest´iniziativa, proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa, che "si sente intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia", intende richiamare l´attenzione dei suoi figli e di tutti gli uomini di buona volontà sul vasto e complesso fenomeno dei moderni strumenti di comunicazione sociale”.
A quei tempi si faceva riferimento, soprattutto, alla stampa, al cinema, alla radio e alla televisione, perchè costituivano una delle note più caratteristiche della civiltà della prima metà del XX secolo. Nel messaggio Paolo VI ribadiva:
“Grazie a queste meravigliose tecniche, la convivenza umana ha assunto dimensioni nuove: il tempo e lo spazio sono stati superati, e l´uomo è diventato come cittadino del mondo, compartecipe e testimone degli avvenimenti più remoti e delle vicende dell´intera umanità. Come ha detto il Concilio, "possiamo parlare di una vera trasformazione sociale e culturale, che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa"2 e a questa trasformazione gli strumenti di comunicazione sociale hanno contribuito validamente, e talora in forma determinante mentre si attendono nuovi sorprendenti sviluppi, come il prossimo collegamento in mondovisione delle stazioni trasmittenti televisive, per il tramite dei satelliti artificiali.”
Quaranta anni dopo il Concilio Vaticano II è uscito un documento ecclesiale che, essendo più vicino ai nostri giorni, risulta più famigliare e meglio conosciuto. Studiandolo si vede in profondità, nella prospettiva del Vangelo, la cultura e la vita dell’Europa contemporanea, si tratta dell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Europa. L’Esortazione è stata consegnata al popolo di Dio da Papa Giovanni Paolo II nel giugno del 2003. Marcata da una visione eminentemente positiva guardando a tanti segni di speranza, tra questi l’unione dei paesi dell’Europa in prospettiva particolarmente economica rimanendo ancora come desiderio e progetto la prospettiva etica e il riconoscimento aperto della piattaforma cristiana comune e positiva nella cultura e formazione del continente.
Ecclesia in Europa concentra in poche parole la verità e il valore della speranza, al punto di sottolineare che nell’uomo c’è una “insopprimibile nostalgia della speranza”. I Padri sinodali affermano, « l´uomo non può vivere senza speranza: la sua vita sarebbe votata all´insignificanza e diventerebbe insopportabile ». Quindi il nostro mondo si può capire e sostenere solo se si costruisce nella speranza. Questo diventa per noi un criterio di decisione e di azione nelle nostre ispettorie, nelle nuove Regioni e quindi nell’insieme del Progetto Europa.
Con questa affermazione possiamo guardare avanti e camminare con ottimismo nell’intreccio dinamico di tante culture e nel campo delle comunicazioni sociali che, in diversi modi e con la novità di linguaggi e tecnologie, aiutano a metterle insieme passando dal multiculturalismo all’interculturalismo, certo in modo faticoso, però positivo e arricchente.
Guardando dentro al tessuto sociale dell’Europa moderna si possono cogliere diversi segni della presenza del Vangelo sui quali appoggiarsi per continuare con ottimismo l’inculturazione del Vangelo e il tessuto interculturale, tra questi: il recupero della libertà della Chiesa nell´Est europeo, con le nuove possibilità per l´azione pastorale ad essa dischiuse; il concentrarsi della Chiesa sulla sua missione spirituale e il suo impegno a vivere il primato dell´evangelizzazione anche nei rapporti con la realtà sociale e politica; l´accresciuta presa di coscienza della missione propria di tutti i battezzati, nella varietà e complementarietà dei doni e dei compiti; l´aumentata presenza della donna nelle strutture e negli ambiti della comunità cristiana.
Da un’altra parte, guardando l’Europa come una comunità di popoli, i vescovi costatano:
“la crescente apertura dei popoli, gli uni verso gli altri, la riconciliazione tra nazioni per lungo tempo ostili e nemiche, l´allargamento progressivo del processo unitario ai Paesi dell´Est europeo. Riconoscimenti, collaborazioni e scambi di ogni ordine sono in sviluppo, così che, a poco a poco, si crea una cultura, anzi una coscienza europea, che speriamo possa far crescere, specialmente presso i giovani, il sentimento della fraternità e la volontà della condivisione. Registriamo come positivo il fatto che tutto questo processo si svolga secondo metodi democratici, in modo pacifico e in uno spirito di libertà, che rispetta e valorizza le legittime diversità, suscitando e sostenendo il processo di unificazione dell´Europa”(EE, 12), mancando ancora che sia garantito il primato dei valori etici e spirituali.
Dentro a questo contesto prevalentemente positivo, prima multiculturale però con intenzione interculturale, la Chiesa in Europa riserva una particolare attenzione al variegato mondo dei mass media. Osservando in modo attento i Vescovi affermano la priorità delle persone sui Media, priorità che comporta una accurata preparazione e formazione dei pastori e dei cristiani che operano nei media e degli utenti di questi strumenti, in vista di una buona padronanza dei nuovi linguaggi. Parlano della speciale cura che si deve porre nella scelta di persone preparate per la comunicazione del messaggio attraverso i media. La presenza dei cattolici e di persone di Chiesa nel mondo della comunicazione sociale diventa, in questo senso, un obbligo. Essere fuori vuol dire essere irrilevanti per le persone, per la società.
In un secondo momento, una volta che si è confermato il principio della priorità delle persone sui Media, si proclama il punto indispensabile della collaborazione e delle sinergie tra le Chiese Europee, essendo questa comunione la prima e più forte comunicazione “sociale” perché è la più visibile e la più estesa. La mentalità evangelica e la mentalità Europea, siccome non sono realtà che si formano in modo automatico, crescono nella misura in cui le diverse chiese, nazioni, razze e culture si uniscono per offrire un volto ricco e unico che le fa diventare più forti all’interno e all’esterno di se stessi, cioè passando della multiculturalità alla interculturalità.
In un terzo momento si propone l’inserimento dei valori del Vangelo nei processi della comunicazione sociale, per renderla più rispettosa della verità, della solidarietà (meglio la fraternità come fa Papa Benedetto) e della dignità della persona umana. È qui dove si invita i cattolici a partecipare all´elaborazione di un codice deontologico per quanti operano nell´ambito della comunicazione sociale, lasciandosi guidare dai criteri che i competenti organismi della Santa Sede hanno recentemente indicato e che i Vescovi in Sinodo avevano così elencato:
« Rispetto della dignità della persona umana, dei suoi diritti, compreso il diritto alla privacy; servizio alla verità, alla giustizia e ai valori umani, culturali e spirituali; stima delle diverse culture evitando che si disperdano nella massa, tutela dei gruppi minoritari e dei più deboli; ricerca del bene comune, al di sopra degli interessi particolari o del predominio di criteri soltanto economici ».(EE 63).
A dieci anni della pubblicazione dell’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” gli operatori della comunicazione sociale delle Conferenze episcopali d’Europa si sono interrogati sulle sfide che interpellano l’azione missionaria della Chiesa oggi in Europa. L’incontro annuale dei Portavoce e addetti stampa, promosso dal CCEE, si è svolto dal 12 al 15 giugno 2013 a Bucarest in Romania.
Gli operatori della Comunicazione Sociale hanno affermato che Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, è sorgente di speranza per l’Europa, e costatano che oggi più che mai il messaggio di speranza dell’esortazione apostolica si rivela profetico e attuale per l’Europa che sembra infatti attraversare una stagione di smarrimento e di offuscamento della speranza. Si tratta di una crisi, che non è solo economica, ma anche culturale, antropologica, etica e spirituale.
A questo punto, secondo gli operatori della comunicazione sociale delle Conferenze episcopali d’Europa la sfida principale è quindi quella di capire chi è oggi l’uomo in Europa e verso dove cammina. Come può la Chiesa cattolica essergli accanto, aiutandolo ad integrare il messaggio evangelico nella sua esperienza quotidiana e proponendo, con linguaggi nuovi, con strumenti moderni, anche sul piano della comunicazione, la persona di Gesù ed i valori presenti nel suo vangelo.
Le realtà sociali, culturali e religiose, come parte della storia, hanno la dinamica cambiante della vita. Nel linguaggio popolare si dice che “solo un morto non si muove”. Quello che vive si muove nella speranza non solo di poter sussistere, ma di vivere in pienezza. La Chiesa e la Congregazione non fanno eccezione e camminano d’accordo col comandamento di “proclamare il Vangelo a tutte le persone”, nella gioia che scaturisce dal vivere in fedeltà e speranza, senza cadere nella tentazione dello scoraggiamento o nella rigidità delle posture davanti alle nuove sfide.
Nelle nostre Costituzioni si segnala che il carisma e la vocazione salesiana ci situano nel cuore della Chiesa e ci pongono interamente al suo servizio: l’evangelizzazione dei popoli. Dentro a questa missione prende senso il Progetto Europa e mette pure la Comunicazione Sociale al suo servizio. Uscendo di noi stessi, siamo presenti dove è il popolo di Dio, dove sono i giovani, condividendo le loro attese e predicando il vangelo nel loro linguaggi e con i loro Media. Questi sono pure segni di vita e di fedeltà alla vocazione e alla missione. Dice l’articolo sei:
“Fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso siamo evangelizzatori dei giovani, specialmente dei più poveri; abbiamo una cura particolare per le vocazioni apostoliche; siamo educatori della fede negli ambienti popolari, in particolare con la comunicazione sociale; annunciamo il Vangelo ai popoli che non lo conoscono. Contribuiamo in tal modo a edificare la Chiesa come Corpo di Cristo affinché, anche per mezzo nostro, si manifesti al mondo come “sacramento universale di salvezza”.
La trasversalità e richiamo collaborativo di ogni punto ivi segnalato è una condizione fondamentale perché non si perda l’identità che nasce dell’essere al servizio della Chiesa e della sua missione, e perché il segno diventi messaggio di grande forza comunicativa trovato appunto nella dinamica e visibilità dell’insieme.
Le persone attente alla comunicazione di Papa Francesco, e mi riferisco al Popolo di Dio e ai non credenti, capiscono che egli comunica con segni, decisioni e immagini, e no solo con parole. Capiscono che dietro alle sue comunicazioni c’è l’autenticità nascosta della vita come vocazione e servizio, misericordia e verità. A capire questo ci può aiutare l’immagine dell’Iceberg: sette di otto parti sono profondità di vita, passione per Dio, per la salvezza delle persone, amore per i poveri, per quelli che la società a fatto prodotto di scarto, e tante altre cose che non contano come valori per la pubblicità, per la moda o per il mercato sociale ed economico. La comunicazione di papa Francesco a colpito a tutti quando, nella sua coerenza di vita, ha fatto della periferia il centro della missione, e del vangelo proposta di gioia e di speranza per tutti.
In questo senso, il Rettor Maggiore, Don Pacual Chavez, nella lettera 390 delle Atti del Consiglio Generale intitolata: “Con il Coraggio di Don Bosco Nelle Nuove Frontiere della Comunicazione Socviale”, scrisse:
“Naturalmente la comunicazione sociale pone pure delle sfide alla Congregazione, alla sua vita e alla sua formazione. Noi dobbiamo ripensare la nostra esistenza all’interno di questa cultura mediatica, ma dobbiamo prestare attenzione anche a cosa comunichiamo. Noi possiamo trasmettere moltissime informazioni e conoscenze attraverso le nuove tecnologie, ma è anche vero che noi comunichiamo soprattutto quello che siamo. Ossiamo quindi essere esperti e professionalmente preparati, ma allo stesso tempo comunicare la nostra mediocrità e meschinità, oppure la nostra coerenza e onestà”.
In base a questo punto appena accennato sopra e anche al resto della riflessione sulla Comunicazione Sociale nella Chiesa Universale e quella Europea, nello spirito del Bicentenario della nascita di Don Bosco, propongo a voi Ispettori, coinvolti in primo piano e in profondità in questo progetto di evangelizzazione e di inculturazione del carisma salesiano, produrre due segni o contenuti comunicativi, uno a breve termine, l’altro a medio termine:
· A breve termine uno di alta e chiara visibilità in uno dei punto dove siamo modestamente forti e significativi: le editrici. Vi comunicare comunione, forza e speranza a tutti i Confratelli regalando l’accordo di unità delle Editrici dell’Europa sotto un solo nome e marchio salesiano. Una decisione e “comunicazione” del genere è competenza dell’autorità.
· A breve termine uno di necessaria profondità che coinvolge non solo la comunicazione sociale, ma il futuro della Congregazione in Europa. Si tratta di non rima non rimanere fuori della dinamica e dei linguaggi con i quali si comunica in società, si tratta di essere dove sono i giovani imparando i loro linguaggi per comunicare il Vangelo della Gioia. Si tratta della la formazione alla comunicazione sociale e nella comunicazione sociale di tutti i salesiani. L’autenticità e profondità di vita radicata in Cristo e comunicata con nuovi linguaggi ci farà diventare più significativi davanti alla società Europea e ai suoi giovani.
Possono esserci altre proposte magari più adatte alle necessità di ogni Ispettoria, però pensando alla visibilità, estensione, profondità e significatività in Europa queste due iniziative possono incoraggiare la crescita di una mentalità Europea e Salesiana in Europa perché affondino le radici del Vangelo della gioia e venga fuori un robusto albero con diversità di rame e bellezza di foglie unite tutte allo stesso tronco.
L’apparto interculturale delle Procure missionarie per il progetto Europa
Sig. Jean Paul Muller - Economo Generale
Da qualche anno l´FBI ha introdotto l´acronimo MICE per ridefinire le motivazioni di una spia. L´FBI parte dal presupposto che ogni spia sia guidata da una combinazione dei quattro fattori seguenti. MICE sta per
- Money (Soldi),
- Ideology (Ideologia),
- Compromise (Compromesso nel senso di "prendere una decisione che comporta vantaggi per me e per questa decisione rinuncio ad altre persone, cose, credenze/convinzioni ‘preziose’ per me”)
- Ego.
Ora, in questo momento, persone fondamentali e importanti per l´Europa sono qui riunite per occuparsi di un tema storico della nostra Congregazione. L´emergenza gioventù è stata ed è la spinta propulsiva di tutti noi, non soltanto del programma e delle nostre azioni organizzato nelle 4 “grande Procure” e le ca. 10 “Procure minore” in Europa. A tal fine è importante sincerarsi della storia e di chiunque, oggi come allora, abbia scelto di vivere per gli adolescenti. Non siamo spie. Anche se alcuni confratelli si comportano come se lo fossero, perché viviamo in un mondo governato dai quattro fattori sopra elencati. Molte persone, ma non tutte, con ruoli di responsabilità nella politica, nella Chiesa, nel mondo della finanza, della giustizia e dell´istruzione vivono in modo simile a quegli uomini che l´FBI definisce spie. Le procure sentono la sfida di vivere e agire in un mondo cambiato dové il denaro e il compromesso uniti con un Ego forte è diventato il quadro d’orientazione per tanta gente (anche il gruppo dei nostri donatori/benefattori). Noi, invece come responsabili nelle ispettorie, siamo attori, co-attori di Cristo e dei giovani che Egli ogni giorno ci manda. Non è solo il XXVII Capitolo generale a sottolineare nuovamente l´importanza della vita radicale di ogni singolo Salesiano per e con la gioventù, bensì le nostre Costituzioni, che esistono sin dai tempi di Don Bosco e che sostengono che saremo in grado di creare un modo aperto, trasparente e sociale soltanto se la nostra motivazione e i nostri obiettivi saranno rivolti a un´impostazione positiva della vita. E spero vivamente che in questi giorni qui nella Pisana riconosceremo il modo in cui vogliamo procedere in questa Europa, tra l’altro attraverso le nostre Procure/PDO, affinché sia possibile plasmare l´identità dell´"Occidente cristiano" di un tempo per tutte le istituzioni di Don Bosco. La Chiesa nella persona di Papa Paolo VI accolse la tematica europea in modo concreto. Il suo pensiero può essere così riassunto: "Solo se il concetto di ‘Europa’ sarà costituito da una sintesi di realtà politica e identità morale, esso potrà diventare una forza trainante verso il futuro[18]." Con riferimento all´ultimo Capitolo generale possiamo affermare: solo se i Salesiani comprenderanno di dover portare i mondi della vita all´interno del mondo dei politici e di dover realizzare una Pastorale giovanile (salesiana) unita e morale, riusciremo a creare un concetto di "Europa" tale che questo spazio, costituito da più di 26 Paesi, diventi un luogo di appartenenza per la gioventù, nel quale essa possa realizzarsi. E ognuno di noi in questa sala è consapevole che a tal fine non ci si può limitare a formulare documenti e a tenere omelie appassionanti: perché i quattro fattori menzionati all´inizio devono essere aggirati con astuzia e, meglio ancora, sostituiti dai contenuti dell´insegnamento sociale cattolico.
Nei miei incontri delle settimane passate (in estate ho iniziato a visitare alcune delle nostre ispettorie nel mondo) mi è stato nuovamente ripetuto che si potrebbe fare di più se fosse disponibile più denaro: un argomento che sentano i nostri Procuratori ogni giorni. La mia risposta è stata ed è: avete bisogno di un´idea giusta e di più determinazione per vivere la filosofia salesiana! Non si tratta soltanto di denaro. Un Salesiano deve comprendere il mondo nel quale si trova. Soprattutto gli adolescenti e i loro comportamenti, molto più complicati da capire rispetto alle leggi della Natura. Chiunque collabori con le istituzioni di Don Bosco deve osservare e interpretare correttamente il proprio ambiente, gli adolescenti e i loro luoghi di vita. Sebbene Karl Popper[19] non sia del tutto familiare a noi Salesiani, il suo modo di procedere è tuttavia utile per noi. Molti di noi si lamentano e aspettano troppo a lungo prima di agire, prima di dare spazio agli adolescenti e di sostenerli nel loro sviluppo. Più di una settimana fa sono stato in un centro nel quale da più di due anni due Salesiani stanno aspettando che la Congregazione (l´ispettore) dia finalmente il via alla costruzione di un nuovo centro. Non è chiaro neppure a loro in quale parte della metropoli in cui si trovano vogliano agire e non sanno neppure esattamente che cosa vogliano fare: forse un oratorio, forse qualcosa per gli adolescenti disoccupati, forse qualche forma di offerta spirituale..... Presso il luogo dove vivono si ritrovano ogni giorno giovani ragazzi, seguiti da alcune collaboratrici, e nel loro contesto è disponibile una moltitudine di offerte per persone emarginate dalla società. Tuttavia aspettano. Don Bosco suggerirebbe di iniziare ad aprire le porte e, la sera, di cucinare una buona minestra per chiunque abbia fame. E così ritorniamo a Karl Popper, che in primo luogo ha sviluppato e sperimentato un´ipotesi. Noi dovremmo procedere esattamente nello stesso modo: iniziare e sperimentare. Se dovessimo accorgerci di aver commesso un errore o di non aver considerato un determinato fattore interno o esterno, allora potremo correggere la nostra offerta (la soluzione migliore è ascoltare che cosa ne pensino i giovani). Così andremo avanti un passo alla volta. La nostra idea non può più essere limitata al girare il mondo con fotocopie di documenti di architetti e progettare edifici, oppure pregare altri ispettori di inviare "missionari" a coprire dei buchi di personale per attività che ci costano soltanto tempo, energia e denaro, e che ci impediscono di agire ed essere presenti per gli adolescenti.
La prima strenna del nostro Rettore Maggiore Padre Fernandez Artime è espresso in modo semplice ed è enormemente difficile da viverla e riformulare con la nostra vita quotidiano: >Come Don Bosco: Con la gioventù, per la gioventù< Così come i nostri predecessori, viviamo tempi nei quali è difficile fare progetti, per noi non esistono tempi normali, tranquilli. In tale situazione è importante per le nostre procure, per nostri ispettori in Europa, di identificare la cultura storica di questo continente per rivitalizzare il spirito cristiano e sociale tra le nazione/ispettorie nostri. In un´udienza per i partecipanti al congresso organizzato dalla "Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (ComECE)", il 24 marzo 2007 Papa Benedetto XVI ha sostenuto la posizione dell´unità dell´Europa in maniera molto critica. Di seguito i punti principali del suo intervento: "Dal punto di vista demografico, invece, bisogna purtroppo riscontrare che l´Europa ha apparentemente intrapreso una strada che potrebbe portare all´allontanamento dalla storia. […] Si potrebbe quasi pensare che l´Europa abbia perso la fiducia nel proprio futuro. […] Da ciò si evince chiaramente che non si può pensare di poter costruire una vera "casa comune” se si trascura l´identità propria dei popoli di questo nostro continente. Si tratta di fatto prima di tutto di un´identità storica, culturale e morale e soltanto in secondo luogo di un´identità geografica, economica o politica, di un´identità costituita da un insieme di valori universali alla cui formazione il Cristianesimo ha contribuito, assumendo così non soltanto un ruolo storico, ma un ruolo fondante rispetto all´Europa. Questi valori, che sono alla base dell´anima del continente, devono rimanere parte fondamentale dell’Europa del terzo millennio e assumere la funzione di "lievito" della civiltà. ……. Non sorprende che l´Europa odierna da una parte si sforzi di presentarsi come comunità retta da valori, mentre dall´altra sembri negare sempre più spesso che vi siano valori universali e assoluti? ...... Infine, in questo modo si contribuisce a diffondere la convinzione che la "valutazione dei beni" sia l´unica via per la differenziazione morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. Il compromesso può essere senza dubbio un accomodamento legittimo dei diversi interessi dei singoli; tuttavia si trasforma sempre in male comune quando si fa portatore di accordi dannosi per la natura degli uomini. Una comunità costruita senza tenere in considerazione la dignità autentica degli individui, dimenticando che ogni persona è stata creata a immagine e somiglianza di Dio, finirà per non procurare alcun bene a nessuno. Pertanto appare sempre più indispensabile che l´Europa si protegga da quest’atteggiamento pragmatico così diffuso al giorno d´oggi, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani fondamentali, come se si trattasse di un´accettazione inevitabile di un presunto male minore. Un pragmatismo di questo tipo, presentato come equilibrato e realistico, non lo è alla sua stessa base, soprattutto perché rifiuta qualsiasi dimensione di valori e ideali che sono parte fondamentale della natura umana. Se in un tale pragmatismo si impiantano tendenze e correnti laiciste o relativiste, si finisce per negare ai cristiani il diritto di inserirsi nel dibattito pubblico come tali oppure, nel caso migliore, di sminuire il loro contributo con l´accusa di voler proteggere privilegi illegittimi....."
Sull´eco delle parole di Papa Benedetto XVI possiamo dire e confermare con l’esperienza delle nostre procure che tutto avviene più velocemente di quanto si possa comprendere. Pertanto dobbiamo agire più rapidamente e in modo più deciso, poiché fare il minimo non è sufficiente e non possiamo neppure ritirarci tutti nei ricoveri per anziani a infuocarci davanti la televisione, ma dobbiamo formare la nostra eredità in modo che dia frutti e che la voce salesiana si faccia sentire nitidamente. Solo così potremo vincere il pragmatismo e mantenere il ruolo di difensori degli adolescenti in Europa e nel resto del mondo. Attualmente l´UE non è più un simbolo di pace e di cooperazione internazionale, bensì una fonte di oppressione, almeno dal punto di vista di molti europei del Sud e delle persone che vivono nelle isole britanniche. Si arriva a questo quando non si hanno un posto di lavoro e prospettive. Guardo con grande preoccupazione all´evolversi di questa situazione. A Berlino abbiamo festeggiato la caduta del Muro, in altri Paesi si è iniziato a proporre referendum o altri strumenti per costruire nuovi muri/confini (Spagna, Italia, Gran Bretagna, ...). L´investitore George Soros ha dichiarato in un´intervista del 7 novembre: "L´Europa deve svegliarsi: non è solo una questione di debito pubblico e riforme. Esiste un’alternativa all´Unione Europea e un´altra strada per governare un Paese. E questa strada è la violenza. La Russia, la Russia di Putin. Questa è l´alternativa. Le politiche russe hanno successo anche perché l´Europa è così debole e fallimentare. Si pensa sempre alla libertà come a un bene gratuito, a costo zero. Ma bisogna difenderla. Soltanto quando l´aria è troppo diradata e non permette di respirare si comprende la vera importanza dell´ossigeno"[20].
Il nostro stile educativo salesiano (Salesian Style of Education), così come è descritto nel Capitolo 5,3 del nuovo quadro di riferimento della nostra pastorale giovanile[21], è la vera alternativa delle istituzioni di Don Bosco nel contesto europeo attuale. A tal fine è necessaria una "planning mentality" che vada oltre i fattori tecnici e personali, ben presentata all´inizio del Capitolo 5 del quadro di riferimento appena menzionato. Come Salesiano capisco bene i movimenti dei giovani che si oppongono ai diktat del capitalismo, anche se rifiuto la mera critica al capitalismo, ormai diventata una moda. Trovo positivo che il movimento degli Indignados in Spagna abbia portato in piazza un gran numero di persone a protestare contro i mali sociali, politici ed economici, e che abbia contribuito a un primo cambio di mentalità della società. Nel frattempo sono persino nati dei partiti (Podemos, Piraten, Cinque Stelle, Ukip, ecc.). Questi giovani hanno bisogno di libertà e di luoghi in cui possano riflettere su alternative sane e ragionevoli. Le persone in Europa sono preoccupate, perché il futuro è incerto. A questa sensazione contribuiscono non solo i giovani frustrati con i loro comportamenti talvolta violenti, ma anche la letteratura e i talk show, con le molte chiacchere e i toni cupi. Il francese Thomas Piketty, nonostante tutte le obiezioni contro i suoi argomenti, ha scritto un libro affascinante. "Le Capital au XXIe siècle”[22] (Il capitale nel 21° secolo, non ancora tradotto in italiano) fornisce un insieme di materiale sul tema della disuguaglianza mai presentato finora. Ma molti critici sostengono che le conclusioni politiche che Piketty trae dal proprio materiale priverebbero l´economia e la società della propria dinamica, inasprendo ancor più il problema da risolvere. È triste che anche i nostri collaboratori e i confratelli si lascino influenzare dalle notizie pessimistiche e, quindi, si presentino come incapaci di aiutare, inutili o impotenti. Quasi ogni giorno riceviamo da Santa Marta[23] indicazioni e stimoli incoraggianti su come potremmo impostare la nostra vita e la nostra missione. Il 25 novembre a Strasburgo Papa Francesco ha dimostrato che vuol dire “Advocacy” per i deboli. Il Papa ha pronunciato una visione e una programmazione per la Chiesa e per noi, che senza dubbio ci fa riflettere si siamo veramente dalla parte dei deboli e degli emarginati. I parlamentari, o forse meglio ancora i loro presidenti, hanno la sensazione di trovarsi a un punto fermo a causa della mancanza di orientamento. Solo in questo modo si può intendere la dichiarazione di Martin Schulz, che dopo l’incontro con Papa Francesco ha detto: "Ringrazio Papa Francesco che ha trasmesso un messaggio europeo e universale sui valori fondamentali che oggi più che mai sono necessari".
Noi salesiani dobbiamo fare tutto il possibile per continuare la nostra opera. Ma dobbiamo anche scoprire nuovi terreni e valutare collaborazioni, soprattutto con adolescenti e giovani adulti! E a questo proposito bisogna seguire il messaggio del Papa, che il 9 novembre, in occasione della commemorazione della caduta del Muro, ha detto: "Abbiamo bisogno di ponti, non di muri". Con le Procure e centri di comunicazione sociale dobbiamo contribuire allo sviluppo di un pensiero solidale diverso. Ciò è urgentemente necessario, come ha spiegato Papa Francesco con un esempio:
"La disoccupazione è un fenomeno (...) che si sta espandendo sempre più a macchia d´olio in Occidente. E si estende in maniera ancora più preoccupante verso la povertà. A tale proposito mi sembra importante sottolineare che non esiste una povertà materiale peggiore di quella che non permette di guadagnarsi un po´ di pane e di avere un lavoro dignitoso. Frattanto la situazione è diventata tale che questo qualcosa che non funziona non interessa più soltanto il sud, bensì l´intero pianeta. Per questa ragione è necessario ripensare il concetto di solidarietà, da intendersi non più come una semplice assistenza ai più poveri, bensì come nuovo concetto globale legato all´intero sistema. Dobbiamo pensare alla solidarietà in modo nuovo, in modo che rispecchi i diritti fondamentali degli individui e precisamente di tutte le persone. Al mondo dell´economia non piace molto il concetto di "solidarietà", è come se lo considerasse una parolaccia. Tuttavia, questo concetto deve riconquistare il valore che merita. "Attualmente non c´è solo una crisi economica e finanziaria, ma ancor più si tratta di una crisi etica e di una crisi dell´essere umano”, ha spiegato il Papa:
"L´aspirazione al potere, la ricerca di profitto e l´avidità di denaro sovrastano il valore della vita umana. Ciò è diventato una regola di base e un criterio determinante dell´organizzazione. Con tutti gli affari e la logica delle leggi che definiscono il mercato, l´uomo si è smarrito e continua a perdersi. L´uomo in quanto individuo, con le sue virtù e la sua dignità profonda. Bisogna dargli la possibilità di vivere dignitosamente e di prendere parte al bene comune".[24]
Per noi Salesiani, tenuto conto della condizione personale, della situazione economica e anche considerando la situazione della Chiesa cattolica, nell´ambito della discussione sull´Europa, sul progetto Europa, non si tratta più soltanto di richieste di singoli in questa o quella ispettoria, ma si tratta di intaccare le riserve. Abbiamo ancora idee troppo diverse sull´obiettivo della nostra missione in questo continente e a tal proposito non riconosciamo ancora tutti allo stesso modo chi appartenga all´Europa salesiana e chi no. Siamo ancora troppo poco chiari nella definizione del Salesiano (Salesiano doc), ci scandalizziamo ancora troppo per le scelte di vita degli altri, .... e quindi abbiamo bisogno di progetti comuni e che tutte le ispettorie europee partecipino, metaforicamente parlando, ai lavori nella stessa vigna per rafforzare reciprocamente la nostra appartenenza, per prendere le decisioni giuste relativamente alle nuove colture e al taglio dei viticci, costruendo così fari della pastorale giovanile salesiana in Europa che aiutino la Chiesa e i giovani a orientarsi.
In questi tempi caratterizzati da cambiamenti radicali, nei quali la nostra Congregazione, la Chiesa europea e le società europee si trovano oggi, dobbiamo trovare misure basandoci sull´intuizione e dobbiamo essere pronti a imparare da eventuali errori. Poiché i vecchi modelli conosciuti non sono più validi, alcuni ordini vacillano e rimane il dubbio su quale forma debbano avere le nuove proposte pedagogiche e carismatiche per gli adolescenti. Pertanto, e mi ripeto, molto, quasi tutto dipende da quale idea di futuro vogliamo avere. Ma dove regnano strutture diverse (per es. Italia, Belgio, Polonia, le strutture dirigenti sono nettamente diverse, così come la partecipazione degli adolescenti, dei laici, ecc.) la valutazione delle tendenze e dei criteri esistenti, secondo le cui differenze essa deve essere riorganizzata e formulata nell´insieme, può manifestarsi in modo molto diverso. Questo è il dilemma dell´Europa salesiana di oggi, con le sue ispettorie piccole, giovani, sane, malate e deboli. Un sistema di ispettorie che agiscono insieme, che si obbligano al riconoscimento reciproco e a una vera partecipazione, a un orientamento progettuale fondante, può essere la strada giusta. Ciò è possibile soltanto se saremo pronti a camminare insieme in modo continuo e a inserire fasi intermedie (come i progetti comuni già iniziati nel campo della formazione dei giovani confratelli). A tal proposito le ispettorie e il loro consiglio devono rispondere alle domande nell´ambito della discussione con i confratelli, i collaboratori e gli adolescenti, come ad es.:
- Quali obiettivi cerchiamo di raggiungere se le altre ispettorie non fanno il minimo sforzo per supportarli?
- Che cosa vogliamo impedire, poco importa con chi o se, in caso di emergenza, in solitudine?
- E che cosa cerchiamo di raggiungere, come singola ispettoria, qualora almeno una o più ispettorie dovessero supportarci?
- Quali valori vogliamo comunicare come ispettoria singola o insieme alle altre? Ecc.
L´Europa salesiana non si può ottenere con ispettorie isolate, che operano parallelamente: per ottenere un´idea orientata al futuro della nostra presenza salesiana in Europa, le nostre ispettorie devono far propria una cultura che sia di stampo europeo (globale), strutturale e giuridico: un´idea per il futuro che superi le prospettive e gli ideali delle ispettorie oggi ancora fortemente connotate dal punto di vista nazionale e linguistico. Non lo facciamo soltanto per noi oggi, ma soprattutto per coloro che si rivolgono a noi; essi ci giudicheranno, valuteranno se abbiamo affrontato le sfide più importanti e ricche di sviluppi del nostro tempo, senza poter riconoscerne il risultato. Così come il nostro fondatore Don Bosco che, con fiducia nella Provvidenza e nei suoi confratelli, si dirigeva verso il traguardo successivo anche quando riusciva appena a muoversi a causa dei forti dolori dovuti alle vene varicose.
Oggi, ad esempio, le ispettorie in Spagna, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Belgio e Germania sono ancora nella condizione di intraprendere progetti comuni. Non sapremo che cosa succederà, ma certamente domani vi saranno meno Salesiani e meno mezzi a disposizione e allo stesso tempo vi saranno più adolescenti ad aspettarci. Per troppo tempo abbiamo creduto di poter coprire i buchi con i cosiddetti missionari e che questi confratelli, provenienti in particolare dall´Asia e dall´America, potessero risolvere i nostri problemi. E abbiamo lasciato loro uno spazio d´azione quasi nullo perché potessero contribuire con la loro visione delle cose, il loro stile di vita e la loro spiritualità. Abbiamo sprecato opportunità enormi perché non abbiamo percepito come la Chiesa sia cambiata negli ultimi anni. In Olanda, in Russia, in Svezia, in Danimarca, in Turchia, nella stessa Italia e in Germania esistono sempre più gruppi di cattolici che hanno serie difficoltà nel vedersi assegnata una chiesa per la loro messa, nel trovare un parroco che li capisca o un posto dove i loro adolescenti possano giocare a calcio nel fine settimana o semplicemente incontrarsi. E questo perché sono stranieri!
Se oggi riuscissimo a unirci con le ispettorie europee, ad esempio in Gatschina o a Mosca, ad Amsterdam, a Istanbul oppure Ankara, a Kiev, ecc., così come un tempo è accaduto per il progetto Africa, per il quale le ispettorie hanno lavorato insieme per intraprendere nuovi progetti concreti, sono convinto che daremmo vita a una nuova dinamica fruttuosa e benefica in tutte le nostre ispettorie europee, perché cadrebbero i muri e si costruirebbero nuovi ponti. Per realizzare tali progetti e supportare con un modo più efficace le nostri missioni in Africa, Asia e Oceania dobbiamo creare centri (Procure/Uffici) anche in paesi dové attualmente non esistono comunità salesiane. Il sogno di don Cappelletti di creare una raccolta fondi centralizzato e coordinato in Europa e da realizzare.
La prossima esposizione mondiale Expo 2015, nella quale i Salesiani avranno la propria rappresentanza, è in perfetta sincronia con la celebrazione del 200° anno dalla nascita di Don Bosco, poiché con il tema "Feed the planet, energy for life" sintetizza la nostra missione nell´Europa odierna. Gli adolescenti non hanno bisogno soltanto di alimenti materiali, ma necessitano di nutrimento spirituale. Essi, gli adolescenti, sono quell´energia che serve all´Europa, alla Chiesa, a noi Salesiani. Oggi e domani.
The intercultural contribution of the Mission Offices for Project Europe
Br. Jean Paul Muller - Economer General
A reflection on Salesian Europe today
For some years now the FBI has introduced the acronym MICE to define the motivations of a spy. The FBI The FBI presumes that the spy is motivated by a combination of the following foctors:
- Money,
- Ideology,
- Compromise
- Ego
Now, in this moment, persons who are fundamental and important for Europe are gathered for a historical topic of our Congregation. The emergency faced by youth was and is the driving force of all of us, not only of the program and our actions organized in the 4 “big Mission offices” and the other around 10 “smaller Mission offices” in Europe. To this end it is important to understand history and of every person, then as now. We are not spies. Although some confreres behave as if they were, because we live in a world governed by the four factors listed above. Many people, but not all, with positions of responsibility in politics, in the Church, in the world of finance, justice and education are living in a similar manner to those men that the FBI defines as spies. The mission offices feel the challenge to live and act in a changed world where money and compromise combined with a strong ego has become the framework of orientation for many people (also the group of our donors / benefactors). But we as leaders in the provinces, we are actors, co-actors of Christ and of young people every day that He sends us. It´s not just the 27 General Chapter which re-emphasized the importance of radical life of each individual Salesian for and with youth, but our Constitutions, which have existed since the days of Don Bosco which underline that we will be able to create in a way of life that is open, transparent only if our motivation and our objectives will be will be directied to a positive way of life. And I sincerely hope that these days here in Pisana we will recognize the way we want to proceed in this Europe, including through our Mission Offices /PDO, so that it may be possible to shape what was once the identity of ´"Christian West" for all institutions of Don Bosco. The Church in the person of Pope Paul VI welcomed the European issue in a concrete way. His thought can be summarized as: " Only if the concept of ´Europe´ will consist of a summary of the political and moral identity, will it become a driving force towards the future[25]." With reference to the last General Chapter we can say: only if the Salesians will understand the need to bring a way of life within the world of politicis and of having to build a youth ministry (Salesian) founded on unity and morals, can we create a concept of "Europe" so that this space, made up of more from 26 countries, will become a place where young people will feel a sense of belonging, in which they can be realize their potentials. And each of us in this hall is aware that for this purpose it is not enough to formulate documents nor to preach passionate sermons: because the four factors mentioned at the beginning should be circumvented with astuteness and, better yet, replaced by the contents of Catholic social teachings.
In my meetings of the past weeks (in summer I started to visit some of our provinces in the world) It was again reiterated that we could do more if we had more money available: a topic that they feel our Prosecutors every day. My answer was and is: you need the right idea and more determination to live the Salesian philosophy! It is not just money. A Salesian must understand the world in which he lives in. Especially teenagers and their behavior, which are much more complicated to understand than the laws of Nature. Anyone working with the institutions of Don Bosco must observe and correctly interpret their own environment, the adolescents and their places of life. although Karl Popper[26] is not entirely familiar with us Salesians, his approach is nevertheless useful for us. Many of us complain and wait too long before acting, before giving space to adolescents and to support them in their development. Over a week ago I was in a center where more than two years, two Salesians are waiting for the Congregation (theProvincial) will finally start construction of a new center. It is not clear to them what thwey want to do in that part of the metropolis where they are: perhaps an oratory, maybe something for unemployed teenagers, perhaps offer something spiritual..... At the place where they live every day their youth, followed by some collaborators, and in their context a multitude of possibilities are offered to persons marginalized by society. However they keep on waiting. Don Bosco would suggest to begin by opening the doors and in the evening to cook a good soup for anyone who is hungry. And so we return to Karl Popper, who first developed and tested a hypothesis. We should proceed in exactly the same way: start and experiment. If we realize that you made a mistake or failed to consider a given internal or external factor, then we can correct our offer (the best solution is to listen to what the young think). So we will move forward one step at a time. Our idea can no longer be limited to travelling around the world with photocopies of documents and building designs of architects, nor to begging other Provincials to send "missionaries" to cover the holes of personnel for activities that only cost us time, energy and money, and that prevent us from acting and being present amongst teenagers.
The first Strenna of our Rector Major Father Fernandez Artime is expressed in a simple way and it is enormously difficult to live and applied to our daily life: >Like Don Bosco: with the young, for the young< Just as our predecessors, we live in times where it is difficult to make plans, for us there are no ordinary and tranquil times. In such a situation it is important for our mission offices for our Provincials in Europe, to identify the historical culture of this continent in order to revitalize the Christian and social spirit among our nations / Provinces. In an audience to the participants at the conference organized by the " Commission of the Bishops´ Conferences of the European Union (ComECE)", on March 24, 2007 Pope Benedict XVI supported the position of European unity in a very critical way. Here are the main points of his speech: " from a demographic point of view, one must note that Europe seems to be following a path that could lead to its departure from history. […]One could almost think that the European continent is in fact losing faith in its own future. […]From all this it clearly emerges that an authentic European "common home" cannot be built without considering the identity of the people of this Continent of ours. It is a question of a historical, cultural, and moral identity before being a geographic, economic, or political one; an identity comprised of a set of universal values that Christianity helped forge, thus giving Christianity not only a historical but a foundational role vis-à-vis Europe. These values, which make up the soul of the Continent, must remain in the Europe of the third millennium as a "ferment" of civilization. ……. Is it not surprising that today´s Europe, while aspiring to be regarded as a community of values, seems ever more often to deny the very existence of universal and absolute values? ...... And so the opinion prevails that an "evaluation of the benefits" is the only way to moral discernment and that the common good is synonymous with compromise. In reality, if compromise can constitute a legitimate balance between different particular interests, it becomes a common evil whenever it involves agreements that dishonour human nature. A community built without respect for the true dignity of the human being, disregarding the fact that every person is created in the image of God ends up doing no good to anyone. For this reason it seems ever more important that Europe be on guard against the pragmatic attitude, widespread today, which systematically justifies compromise on essential human values, as if it were the inevitable acceptance of a lesser evil. This kind of pragmatism, even when presented as balanced and realistic, is in reality neither, since it denies the dimension of values and ideals inherent in human nature. When non-religious and relativistic tendencies are woven into this pragmatism, Christians as such are eventually denied the very right to enter into the public discussion, or their contribution is discredited as an attempt to preserve unjustified privileges....."
Re-echoing the words of Pope Benedict XVI we can say and confirm with the experience of our mission offices that everything happens faster than one can comprehend. Therefore we have to act faster and more decisively, as do the minimum is not enough and neither can we all withdraw to old peoples homes in order to spend time in front of the television, but we have to form our heritage so that it may bear fruit and that the Salesian voice may be heard clearly. Only then can we overcome pragmatism and maintain the role as defenders of adolescents in Europe and in the rest of the world. Currently the EU is no longer a symbol of peace and international cooperation, but a source of oppression, at least from the point of view of many Europeans and South of the people living in the British Isles. One reaches this level one does not have a job and possibilities. I look with great concern the development of this situation. In Berlin we celebrated the fall of the Wall, while in other countries we began to propose referendum or other tools to build new walls / borders (Spain, Italy, Great Britain, ...). The investor George Soros said in an interview on 7 November: "Europe must wake up: it is not just a matter of public debt and reform. Is there an alternative to the European Union and another way to govern a country. And this road is violence. Russia, Putin´s Russia. This is the alternative. Russian policies are successful also because Europe is so weak and unsuccessful. We always think of freedom as a free good, at no cost. But you have to defend it. Only when the air is too sparse and does not allow you to breathe one appreciates the true importance of oxygen"[27].
Our Salesian Style of Education, as is described in Chapter 5.3 of the new framework of our youth ministry [28], is the real alternative for the institutions of Don Bosco in the current European context. To this end, a "planning mentality" that goes beyond the technical factors and personnel, well presented at the beginning of Chapter 5 of the framework just mentioned is needed. As Salesian quite understand the movements of young people who are opposed to the dictates of capitalism, although refusing the mere critique of capitalism, now become a fashion. I find it positive that the movement of the Indignados in Spain has brought a large number of people to the streets to protest against social, political and economic evils, and that this has contributed to a first change of mindset of the society. Meanwhile parties were even born (Podemos, Piraten, Cinque Stelle, Ukip, ecc.). These young people need freedom and places where they can reflect on healthy alternatives and reasonable. People in Europe are concerned, because the future is uncertain. To this sensation frustrated young people not only contribute with their sometimes violent behavior, but so do literature and talk shows. The frenchman Thomas Piketty, despite all the objections to his arguments, has written a fascinating book. "Le Capital au XXIe siècle”[29] The capital in the 21st century) provides a set of material on the subject of inequality never presented so far. But many critics argue that the political conclusions that Piketty derives from its material would deprive the economy and society of their own dynamics, making the problem to be solved even more complex. It is sad that our collaborators and confreres let themselves be influenced by the pessimistic news and, therefore, present themselves as unable to help, useless or powerless. Almost every day we receive from Santa Marta[30] encouraging stimuli indicating how we could set up our life and our mission. On 25 November in Strasbourg Pope Francis has shown that he wants "Advocacy" for the weak. The Pope presented a vision and a program for the Church and for us, that no doubt makes us think if we are truly on the side of the weak and marginalized. Parliamentarians, or maybe better yet their presidents, have the feeling of being at a dead end due to the lack of guidance. Only in this way can one understand the declaration of Martin Schulz, who after meeting with Pope Francis said: "I thank Pope Francis, who sent a European and universal message on the fundamental values that are needed now more than ever." We Salesians must do everything possible to continue our work. But we also need to discover new lands and evaluate partnerships, especially with adolescents and young adults! And in this regard we must follow the Pope´s message, on 9 November, on the occasion of the commemoration of the fall of the Wall, said: " We need bridges, not walls ". With mission offices and center for social communication we must contribute to the development of a different way of expressing solidarity. This is urgently needed, as explained Pope Francis with an example:
"Unemployment (...) is a phenomenon that is spreading like an oil slick in vast areas of the west and is alarmingly widening the boundaries of poverty. Moreover there is no worse material poverty, I am keen to stress, than the poverty which prevents people from earning their bread and deprives them of the dignity of work. Well, this “something wrong” no longer regards only the south of the world but also the entire planet. Hence the need “to rethink solidarity” no longer as simply assistance for the poorest, but as a global rethinking of the whole system, as a quest for ways to reform it and correct it in a way consistent with the fundamental human rights of all human beings. It is essential to restore to this word “solidarity”, viewed askance by the world of economics — as if it were a bad word — the social citizenship that it deserves. "The current crisis is not only economic and financial but is rooted in an ethical and anthropological crisis”, the Pope explained:
"Concern with the idols of power, profit, and money, rather than with the value of the human person has become a basic norm for functioning and a crucial criterion for organization. We have forgotten and are still forgetting that over and above business, logic and the parameters of the market is the human being; and that something is men and women in as much as they are human beings by virtue of their profound dignity: to offer them the possibility of living a dignified life and of actively participating in the common good".[31]
For us Salesians, given the condition of personnel, the economic situation and also considering the situation of the Catholic Church, in our discussions on Europe, the Project Europe, it is no longer only a matter of individual requests of this or that Province, but it is affecting our resources. We still have too divergent ideas on the goal of our mission in this continent and in this regard we do not have a common understanding who belongs to Salesian Europe and who does not. We are still very unclear in the definition of the Salesian. we are often scandalized by the life choices of others .... and so we need common projects to which all the European Provinces participate, metaphorically speaking, in the work in the same vineyard to reinforce each other in our sense of belonging, to make right decisions about new cultures as well as to prune, thus building lighthouses of Salesian youth ministry in Europe to help the orientation of the Church and of young people.
In these days of radical changes, in which our Congregation, the European Church and European companies find themselves in today, we have to find measures relying on intuition and we must be prepared to learn from eventual errors. Since the old models known are no longer valid, some Congregations are falling, and the question remains on how to make the new pedagogical and charismatic proposals for teenagers. Therefore, and I repeat, a lot, almost everything depends on what idea of the future we want to have. But where different structures exist (eg. Italy, Belgium, Poland, management structures are clearly different, as well as the participation of adolescents, the laity, etc.) the evaluation of trends and existing criteria according to these differences need to be reorganised together, may be expressed in a very different way. This is the dilemma Salesian Europe today, with its small, young, healthy, sick and weak Provinces. A system of Provinces acting together, which undertake mutual recognition and real participation, a fundamental program orientation, may be the right direction. This is possible only if we are ready to walk together in a continuous manner and to include intermediate steps (such as joint projects already started in formation of young confreres). In this regard, the Provinces and their council must answer the questions in the discussion with the members, collaborators and adolescents, like for eaxmple.:
- What goals do we try to achieve if the other provinces do not make the slightest effort to support them?
- What we want to prevent, no matter who or where, in case of emergency?
- And what do we try to achieve, as a Province, where at least one or more Provinces were to support us?
- What values do we want to communicate as a Province or together with other Provinces? etc.
Salesian Europe cannot be achieved by isolated Provinces, which operate in parallel to each other: to have an idea which is oriented to the future of our Salesian presence in Europe, our Provinces should make their own a culture that is structurally and legally European (global),: an idea for the future that looks beyond the perspectives and ideals of Provinces which still have a strong national or linguistic characterics. We do not do it just for us today, but especially for those who come to us; they will judge us, evaluate us whether we have addressed the most important and rich challenges of development of our time, without being able to recognize the result. Thus, as our founder Don Bosco who, with trust in Providence and his confreres, continued to push towards the succeeding objectives even when he could barely move because of severe pain due to varicose veins.
Today, for example, the Provinces of Spain, Slovenia, Slovacchia, Poland, Belgium and Germany are still in a position to undertake joint projects. We will not know what will happen, but certainly tomorrow there will be less Salesians and less means available and at the same time there will be more teenagers waiting for us. For too long we have believed to be able to cover the holes with so-called missionaries and that these confreres, coming mainly from Asia and America, could solve our problems. And we left them a space of action almost zero so that they could contribute their view of things, their lifestyle and their spirituality. We wasted huge opportunity because we have not seen how the Church has changed in recent years. In the Netherlands, Russia, Sweden, Denmark, Turkey, similarly in Italy and Germany there are more and more groups of Catholics who have serious difficulties at being assigned a church for their masses, in finding a parish priests who understand them or place where their teenagers can play soccer on weekends or simply meet. And this because they are foreigners!
If we were to unite today with the European Provinces, for example in Gatschina or Moscow, Amsterdam, Istanbul or Ankara, in Kiev, etc., So that what happened once for Africa project, where the Provinces worked together to undertake new concrete projects, I am convinced that we would give rise to a new and fruitful dynamics which will be beneficial to all our European provinces because it will bring down the walls and build new bridges. To realize these projects and support in a more effective way our missions in Africa, Asia and Oceania we need to create centres (Procure / Offices) even in countries where there are currently no Salesian communities. The dream of Fr Cappelletti to create a centralized and coordinated fundraising in Europe is still to be realized.
The next world Expo 2015, in which the Salesians will have their own representation, is in perfect synchrony with the celebration of the bicentennial of the birth of Don Bosco, because the theme "Feed the Planet, Energy for Life" summarizes our mission Europe today. Adolescents do not need only material food, but spiritual nourishment as well. They, adolescents, are the energy that serves Europe, the Church, to us Salesians. Today and tomorrow.
[1] Cf. Evangelii Gaudium, n.111, 115 e 120
[2] CGS, n.477
[3] Cf. Evangelii Gaudium, n.111, 115 and 120
[4] SGC, n.477
[5] Maria Arul Anthuvan Tharsis, “Lonergan’s Genetic and Dialectical View of Culture,” doctoral dissertation in the Faculty of Philosophy, UPS, Rome; to be defended 5 December 2014.
[6] Dawson, The Crisis of Western Education (New York: Sheed and Ward, 1961) 113.
[7] Mario Belardinelli, “I cambiamenti politici, sociali, culturali, economici, religiosi che hanno inciso sulla situazione dei giovani dalla fine dell’ottocento al secondo dopo guerra,” Congresso Storico Internazionale: Bicentenario della nascita di don Bosco, sul tema “Sviluppo del carismo di Don Bosco fino alla metà del secolo XX,” Roma, Salesianum, 19-23 novembre 2014, [46].
[8] Giorgio Rossi, “La politica ‘culturale’ italiana all’estero e il modus operandi della Congregazione Salesiana nell’area medio-orientale,” [84].
[9] C 104: “Sono scelti per tale compito uomini di fede in grado di comunicare vitalmente l’ideale salesiano, capaci di dialogo e con sufficiente esperienza pastorale.” C 112: “Abbia un grande senso dei contatti umani e capacità di dialogo.”
[10] Giorgio Chiosso, “Problemi aperti e prospettive del Congresso.”
[11] FSDB #262, vedi #284.
[12] Maria Arul Anthuvan Tharsis, “Lonergan’s Genetic and Dialectical View of Culture,” doctoral dissertation in the Faculty of Philosophy, UPS, Rome; to be defended 5 December 2014.
[13] Dawson, The Crisis of Western Education (New York: Sheed and Ward, 1961) 113.
[14] Mario Belardinelli, “I cambiamenti politici, sociali, culturali, economici, religiosi che hanno inciso sulla situazione dei giovani dalla fine dell’ottocento al secondo dopo guerra,” Congresso Storico Internazionale: Bicentenario della nascita di don Bosco, sul tema “Sviluppo del carismo di Don Bosco fino alla metà del secolo XX,” Roma, Salesianum, 19-23 novembre 2014, [46].
[15] Giorgio Rossi, “La politica ‘culturale’ italiana all’estero e il modus operandi della Congregazione Salesiana nell’area medio-orientale,” Congresso Storico Internazionale [84].
[16] Giorgio Chiosso, “Problemi aperti e prospettive del Congresso,” Congresso Storico Internazionale.
[17] FSDB #262, speaking of the spiritual director, says: “His personal qualities and experience are not enough; he absolutely needs a proper preparation and updating.” See also #284: “Let the Provincial choose a Rector and a team of formation personnel who are specially prepared, above all as regards community and personal spiritual direction.”
[18] Ratzinger, Europa: eredità obbligatoria per i cristiani, in: Europa. Orizzonti della Speranza. Red. a cura di F. König e K. Rahner (Graz – Vienna – Colonia 1983)
[19] Sir Karl Raimund Popper (* Vienna 28 luglio 1902; † Londra, 17 settembre 1994) è stato un filosofo austro-britannico, che con le sue opere sull´epistemologia e sulla filosofia della scienza, sulla filosofia della storia, sulla filosofia sociale e sulla filosofia politica, ha fondato il razionalismo critico.
[20] George SOROS in “Deutschland Dinner”, Handelsblatt 215/2014, 9 novembre 2014
[21] Cfr.: Salesian Youth Ministry, Frame of Reference, Rome 2014
[22] Pubblicato in tedesco il 23 ottobre 2014 da C.H. Beck-Verlag
[23] In settimana Papa Francesco recita l´omelia durante la messa mattutina della Casa di Santa Marta in Vaticano
[24] Dichiarazioni di Papa Francesco in un discorso durante l´incontro con i membri della fondazione "Centesimus Annus Pro Pontifice" del 25.05.2013 sul sito tedesco di Radio Vaticana.
[25] Jospeh Ratzinger, “Europa: eredità obbligatoria per i cristiani”, in: Europa. Orizzonti della Speranza, edited by F. König and K. Rahner (Graz – Vienna – Koln 1983)
[26] Sir Karl Raimund Popper (* Vienna July 28, 1902; † London, Sept 17, 1994) was an Austro-British philosopher, who founded the critical rationalism with his works on epistemology and philosophy of science, philosophy of history, social philosophy and political philosophy.
[27] George SOROS in “Deutschland Dinner”, Handelsblatt 215/2014, 9 November 2014
[28] Cfr. Salesian Youth Ministry, Frame of Reference, Rome 2014
[29] Published in German on October 23, 2014 by C.H. Beck-Verlag
[30] Weekly homily of Pope Francis in Casa Santa Martha, Vatican City
[31] Pope Francis, address during meeting with members of the foundation "Centesimus Annus Pro Pontifice" on 25.05.2013.