Santità Salesiana

Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, su Stefano Sandor

Beato Stefano Sándor, SDB (1914-1953)

Messaggio[1]

Angelo Card. Amato, SDB

L’odierna beatificazione del Salesiano Stefano Sándor – il cui nome richiama il primo martire cristiano – è un dono di Dio Trinità alla nobile nazione ungherese, alla Congregazione Salesiana e alla Chiesa intera. I martiri si accendono come stelle nei cieli oscuri dell’umana malizia per illuminare i sentieri dell’amore, della comprensione e del rispetto reciproco.
Se la persecuzione religiosa crea un abisso tra gli esseri umani, i martiri con il loro sacrificio costruiscono i ponti della fraternità, del perdono, dell’accoglienza. L’eredità dei martiri è la carità, tesoro divino infuso nei nostri cuori col battesimo.
In modo particolare, il Beato martire Stefano Sándor lascia ai suoi confratelli Salesiani un triplice messaggio.

1. Anzitutto l’invito a essere autentici figli di San Giovanni Bosco, mediante la fedele osservanza della vita consacrata nella gioia, nel lavoro, nella comunità. Era un giovane entusiasta della sua vocazione di Salesiano coadiutore. È commovente rileggere quello che scriveva nella domanda alla prima professione: «Mi sono adoperato a passare il periodo del noviziato con la continua aspirazione alla vita perfetta, assimilando sempre più lo spirito del nostro santo Padre Don Bosco […]. È mia ferma decisione trascorrere la mia vita in conformità alla sacre regole, per santificare la mia anima e quella degli altri, e per impiantare nel maggior numero di giovani anime il bianco stendardo mariano di Don Bosco».[2] Con felice sintesi di lui si afferma che amava i libri, l’altare e l’oratorio.[3]

2. Il secondo messaggio riguarda la sua ansia educatrice. Fedele al carisma salesiano, il Beato Stefano Sándor non solo era un maestro tipografo di alta professionalità, ma anche un impareggiabile maestro di vita. Gli allievi ricordano con ammirazione le sue esortazioni alla vita buona del Vangelo. Era giustamente convinto che i giovani apprendisti, oltre al mestiere della tipografia, avessero bisogno anche di un’educazione spirituale.[4] Li assisteva nel lavoro e nel tempo libero. Era un instancabile organizzatore dei loro giochi. Per questo aveva un gruppo di 50-60 giovani studenti e artigiani, che costituivano anche la culla delle vocazioni alla vita salesiana.

3. Il martirio è il suo terzo messaggio. Per il cristiano, il martirio di sangue è la suprema testimonianza della sua fede, della sua speranza e della sua carità. A ogni Salesiano, coadiutore o sacerdote, il nostro Beato ricorda che l’esistenza consacrata è un autentico martirio bianco, consumato giorno per giorno nella fedeltà al Vangelo e al nostro carisma.
Un gesto eroico non si improvvisa. Tra le testimonianze raccolte per il processo di beatificazione, ci sono alcune che raccontano come il signor Stefano Sándor un giorno abbia salvato dalla morte per dissanguamento un ragazzo finito sotto la ruota di un tram, togliendosi la giacca e fermando l’emorragia. Un altro giorno, ai genitori di un suo allievo gravemente ammalato di tifo, promise di dare il suo sangue se fosse stato necessario.[5]
Quando, sotto il regime comunista, fu imprigionato, torturato, falsamente accusato di misfatti mai commessi e infine ucciso, il nostro Beato rimase saldo nella fede, preferendo la morte piuttosto che riparare all’estero o rinnegare la sua vocazione salesiana.
Egli appare così come un nobile modello di Salesiano forte nell’affrontare le prove della vita, senza mai scoraggiarsi. Egli ci trasmette la profezia dell’importanza dell’educazione dei giovani, per contrastare una cultura che spesso si oppone ai valori della vita, della carità, della laboriosità, del perdono, della fraternità.

Come Salesiano mi sento onorato di aver celebrato, in rappresentanza del Santo Padre, questa beatificazione e chiedo, con la commozione nel cuore, che il nostro Beato confermi i nostri propositi di bene e susciti in molti il suo stesso anelito di consacrazione e di servizio nell’educazione e nella santificazione dei giovani. I martiri sono il terreno più propizio per far germogliare la spiga della santità.


[1] Testo letto il 19 ottobre nella cattedrale di Budapest, al termine del rito di beatificazione.

[2] Positio, p. 242-243.

[3] Pierluigi Cameroni, Stefano Sándor, martire del Vangelo della gioia, Don Bosco Kiadó, Budapest 2013, p. 33.

[4] Positio, p. 96.

[5] Positio, p. 124-125; 161.

S. Messa di Beatificazione (19 ottobre 2013)

Rappresentante del Santo Padre: Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Breve nota biografica: Stefano Sandor nacque a Szolnok, in Ungheria, il 26 novembre 1914 da Stefano e Maria Fekete, primo di tre fratelli. Il padre era impiegato presso le Ferrovie dello Stato, la madre invece era casalinga. Entrambi trasmisero ai propri figli una profonda religiosità. Stefano studiò nella sua città ottenendo il diploma di tecnico metallurgico.

Fin da ragazzo veniva stimato dai compagni, era allegro, serio e gentile. Amava stare con gli amici del vicinato, era per loro un leader. Aiutava i fratellini a studiare e a pregare, dandone per primo l’esempio. Fece con fervore la cresima impegnandosi a imitare il suo santo protettore e san Pietro. Serviva ogni giorno la santa Messa dai Padri francescani ricevendo l’Eucaristia.

Leggendo il Bollettino Salesiano conobbe don Bosco. Si sentì subito attratto dal carisma salesiano. Si confrontò col suo direttore spirituale, esprimendogli il desiderio di entrare nella Congregazione salesiana. Ne parlò anche ai suoi genitori. Essi gli negarono il consenso, e cercarono in ogni modo di dissuaderlo.

Ma Stefano riuscì a convincerli, e nel 1936 fu accettato al Clarisseum, dove in due anni fece l’aspirantato. Frequentò nella tipografia “Don Bosco” i corsi di tecnico-stampatore. Iniziò il noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata alle armi.

Nel 1939 raggiunse il congedo definitivo e, dopo l’anno di noviziato, emise la sua prima professione l’8 settembre 1940. Destinato al Clarisseum, si impegnò attivamente nell’insegnamento presso i corsi professionali. Ebbe anche l’incarico dell’assistenza all’oratorio, che condusse con entusiasmo e competenza. Fu il promotore della Gioventù Operaia Cattolica. Il suo gruppo fu riconosciuto come il migliore del Movimento. Sull’esempio di don Bosco, si mostrò un educatore modello.

Nel 1942 fu richiamato al fronte, e guadagnò una medaglia d’argento al valore militare. La trincea era per lui un oratorio festivo che animava salesianamente, rincuorando i compagni di leva. Alla fine della Seconda Guerra mondiale si impegnò nella ricostruzione materiale e morale della società, dedicandosi in particolare ai giovani più poveri, che radunava insegnando loro un mestiere.

Il 24 luglio 1946 emise la sua professione perpetua diventando coadiutore salesiano. Nel 1948 conseguì il titolo di maestro-stampatore. Alla fine degli studi gli allievi di Stefano venivano assunti nelle migliori tipografie della capitale e dello Stato.

Iniziarono le persecuzioni nei confronti delle scuole cattoliche, che dovettero chiudere i battenti. Stefano fu colto sul fatto mentre stampava in tipografia. Dovette scappare e nascondersi nelle case salesiane, lavorando sotto falso nome in una tipografia pubblica.

Nel luglio del 1952 fu catturato sul posto di lavoro, e non fu più rivisto dai confratelli.

La causa di martirio è iniziata a Budapest il 24 maggio 2006, il Decreto è del 27 marzo 2013.