Il messaggio di Stefano Sándor, salesiano coadiutore
Sándor Stefano nacque a Szolnok, in Ungheria, il 26 ottobre 1914 da Stefano e Maria Fekete, primo di tre fratelli. Il padre era impiegato presso le Ferrovie dello Stato, la madre invece era casalinga. Entrambi trasmisero ai propri figli una profonda religiosità. Stefano studiò nella sua città ottenendo il diploma di tecnico metallurgico. Fin da ragazzo veniva stimato dai compagni, era allegro, serio e gentile. Aiutava i fratellini a studiare e a pregare, dandone per primo l’esempio. Fece con fervore la cresima impegnandosi a imitare il suo santo protettore e san Pietro. Serviva ogni giorno la santa Messa dai Padri francescani ricevendo l’Eucaristia.
Leggendo il Bollettino Salesiano conobbe don Bosco. Si sentì subito attratto dal carisma salesiano. Si confrontò col suo direttore spirituale, esprimendogli il desiderio di entrare nella Congregazione salesiana. Ne parlò anche ai suoi genitori. Essi gli negarono il consenso, e cercarono in ogni modo di dissuaderlo. Ma Stefano riuscì a convincerli, e nel 1936 fu accettato al Clarisseum, dove in due anni fece l’aspirantato. Frequentò nella tipografia “Don Bosco” i corsi di tecnico-stampatore. Iniziò il noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata alle armi.
Nel 1939 raggiunse il congedo definitivo e, dopo l’anno di noviziato, emise la sua prima professione l’8 settembre 1940 come salesiano coadiutore. Destinato al Clarisseum, si impegnò attivamente nell’insegnamento presso i corsi professionali. Ebbe anche l’incarico dell’assistenza all’oratorio, che condusse con entusiasmo e competenza. Fu il promotore della Gioventù Operaia Cattolica. Il suo gruppo fu riconosciuto come il migliore del Movimento. Sull’esempio di don Bosco, si mostrò un educatore modello. Nel 1942 fu richiamato al fronte, e guadagnò una medaglia d’argento al valore militare. La trincea era per lui un oratorio festivo che animava salesianamente, rincuorando i compagni di leva. Alla fine della Seconda Guerra mondiale si impegnò nella ricostruzione materiale e morale della società, dedicandosi in particolare ai giovani più poveri, che radunava insegnando loro un mestiere. Il 24 luglio 1946 emise la sua professione perpetua diventando coadiutore salesiano. Nel 1948 conseguì il titolo di maestro-stampatore. Alla fine degli studi gli allievi di Stefano venivano assunti nelle migliori tipografie della capitale e dello Stato.
Quando lo Stato nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni ecclesiastici e iniziarono le persecuzioni nei confronti delle scuole cattoliche, che dovettero chiudere i battenti., Sándor cercò di salvare il salvabile, almeno qualche macchina tipografica e qualcosa dell’arredamento che tanti sacrifici era costato. Di colpo i religiosi si ritrovarono senza più nulla, tutto era diventato dello Stato. Lo stalinismo di Rákosi continuò ad accanirsi: i religiosi vennero dispersi. Senza più casa, lavoro, comunità, molti si ridussero allo stato di clandestini. Travestiti e trasformati, si adattarono a fare di tutto: spazzini, contadini, manovali, facchini, servitori… Anche Stefano dovette “sparire”, lasciando la sua tipografia che era diventata famosa. Invece di rifugiarsi all’estero rimase in patria per salvare la gioventù ungherese. Colto sul fatto (stava cercando di salvare delle macchine tipografiche), dovette fuggire in fretta e rimanere nascosto per alcuni mesi, poi, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detergenti della capitale, ma continuò impavido e clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era attività rigorosamente proibita. Nel luglio del 1952 fu catturato sul posto di lavoro, e non fu più rivisto dai confratelli. Un documento ufficiale ne certifica il processo e la condanna a morte eseguita per impiccagione l’8 giugno 1953.
La fase diocesana della causa di martirio iniziò a Budapest il 24 maggio 2006 e si concluse l’8 dicembre 2007. Il 27 marzo 2013 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto di martirio e a celebrare il rito di beatificazione sabato 19 ottobre 2013 a Budapest.
2. Testimonianza originale di santità salesiana
I rapidi cenni sulla biografia di Sándor ci hanno introdotto nel cuore della sua vicenda spirituale. Contemplando la fisionomia che ha assunto in lui la vocazione salesiana, segnata dall’azione dello Spirito e ora proposta dalla Chiesa, scopriamo alcuni tratti di quella santità alla quale siamo chiamati: il senso profondo di Dio e la disponibilità piena e serena alla sua volontà, l’attrazione per Don Bosco e la cordiale appartenenza alla comunità salesiana, la presenza tra i giovani animatrice ed incoraggiante, lo spirito di famiglia, la vita spirituale e di preghiera coltivate personalmente e condivise con la comunità, la totale consacrazione alla missione salesiana vissuta nella dedizione agli apprendisti e ai giovani lavoratori, ai ragazzi dell’oratorio, all’animazione di gruppi giovanili. Si tratta di un’attiva presenza nel mondo educativo e sociale, tutta animata dalla carità di Cristo che lo spingeva interiormente!
Non mancarono gesti che hanno dell’eroico e dell’insolito, fino a quello supremo di donare la propria vita per la salvezza della gioventù ungherese. «Un giovanotto voleva saltare sul tram che passava davanti alla casa salesiana. Sbagliando mossa, cadde sotto il veicolo. La carrozza si fermò troppo tardi; una ruota lo ferì profondamente alla coscia. Una grande folla si radunò a guardare la scena senza intervenire, mentre il povero malcapitato stava per dissanguarsi. In quel momento si aprì il cancello del collegio e Pista (Stefano) corse fuori con una barella pieghevole sotto il braccio. Buttò per terra la sua giacca, si infilò sotto il tram e tirò fuori il giovanotto con prudenza, stringendo la sua cintura attorno alla coscia sanguinante, e mise il ragazzo sulla barella. A questo punto arrivò l’ambulanza. La folla festeggiò Pista con entusiasmo. Egli arrossì, ma non poté nascondere la gioia di avere salvato la vita a qualcuno».
Uno dei suoi ragazzi ricorda: «Un giorno mi ammalai gravemente di tifo. All’ospedale di Újpest mentre, al mio capezzale, i miei genitori si preoccupavano per la mia vita, Stefano Sándor si offrì di darmi il sangue, se fosse stato necessario. Questo atto di generosità commosse molto mia madre e tutte le persone intorno a me».
Anche se sono trascorsi sessant’anni dal suo martirio e profonda è stata l’evoluzione della Vita Consacrata, dell’esperienza salesiana, della vocazione e della formazione del Salesiano Coadiutore, la via salesiana alla santità tracciata da Stefano Sándor è un segno e un messaggio che apre prospettive per l’oggi a tutti noi, chiamati a vivere nella consacrazione apostolica il carisma di Don Bosco. Si compie in questo modo l’affermazione delle nostre Costituzioni: «I confratelli che hanno vissuto o vivono in pienezza il progetto evangelico delle Costituzioni sono per noi stimolo e aiuto nel cammino di santificazione». La beatificazione di questo nostro confratello ci indica concretamente quella «misura alta della vita cristiana ordinaria», indicata dal Beato Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte.
3. Sotto il vessillo di Don Bosco
È sempre interessante cercare di individuare nel piano misterioso che il Signore tesse su ciascuno di noi il filo conduttore di tutta l’esistenza. Se io dovessi esprimere con una formula sintetica il segreto che ha ispirato e guidato tutti i passi della vita di Stefano Sándor, riterrei esaustive queste parole: al seguito di Gesù, con Don Bosco e come Don Bosco, dovunque e sempre. Nella storia vocazionale di Stefano don Bosco irrompe in modo originale e con i tratti tipici di una vocazione ben identificata, come scrisse il parroco francescano, presentando il giovane Stefano: «Qui a Szolnok, nella nostra parrocchia abbiamo un giovane molto bravo: Stefano Sándor di cui sono padre spirituale e che, finita la scuola tecnica, apprese il mestiere in una scuola metallurgica; fa la Comunione giornalmente e vorrebbe entrare in un Ordine religioso. Da noi non avremmo nessuna difficoltà, ma lui vorrebbe entrare dai Salesiani come fratello laico».
Il giudizio lusinghiero del parroco e direttore spirituale evidenzia: i tratti di lavoro e preghiera tipici della vita salesiana; un cammino spirituale perseverante e costante con una guida spirituale; l’apprendistato dell’arte tipografica che nel tempo si perfezionerà e si specializzerà.
Era venuto a conoscere don Bosco tramite il Bollettino Salesiano e le pubblicazioni salesiane di Rákospalota. Da questo contatto attraverso la stampa salesiana nacque forse la sua passione per la tipografia e per i libri. Nella lettera all’Ispettore dei Salesiani d’Ungheria, don János Antal, dove chiede di essere accettato tra i figli di don Bosco, dichiarava: «sento la vocazione di entrare nella Congregazione salesiana. Di lavoro, ce n’è bisogno ovunque; senza lavoro non si può raggiungere la vita eterna. A me piace lavorare».
Fin dall’inizio emerge la volontà forte e decisa di perseverare nella vocazione ricevuta, come poi di fatti avverrà. Quando il 28 maggio 1936 egli fece domanda di ammissione al noviziato salesiano, dichiarò di: «aver conosciuto la Congregazione salesiana ed essere stato sempre più confermato nella sua vocazione religiosa, tanto da confidare di poter perseverare sotto il vessillo di don Bosco». Con poche parole Sándor esprime una coscienza vocazionale di alto profilo: conoscenza esperienziale della vita e dello spirito della Congregazione; conferma di una scelta giusta e irreversibile; sicurezza per il futuro di essere fedele sul campo di battaglia che lo attende.
Il verbale dell’ammissione al noviziato, in lingua italiana (2 giugno 1936), qualifica unanimemente l’esperienza dell’aspirantato: «con ottimo risultato, diligente, di pietà buona e si offrì da sé all’oratorio festivo, fu pratico, di buon esempio, ricevette l’attestato di stampatore, ma non ha ancora la perfetta praticità». Sono già presenti quei tratti che, consolidati successivamente nel noviziato, ne definiranno la fisionomia di religioso salesiano laico: l’esemplarità della vita, la generosa disponibilità alla missione salesiana, la competenza nella professione di tipografo.
L’8 settembre 1940 emette la sua professione religiosa come salesiano coadiutore. Di questo giorno di grazia riportiamo una lettera scritta da Pista, come veniva famigliarmente chiamato, ai suoi genitori: «Cari genitori, ho da riferire di un evento importante per me e che lascerà orme indelebili nel mio cuore. L’8 settembre per grazia del buon Dio e con la protezione della Santa Vergine mi sono impegnato con la professione ad amare e servire Dio. Nella festa della Vergine Madre ho fatto il mio sposalizio con Gesù e gli ho promesso col triplice voto di essere Suo, di non staccarmi mai più da Lui e di perseverare nella fedeltà a Lui fino alla morte. Prego pertanto tutti voi di non dimenticarmi nelle vostre preghiere e nelle Comunioni, facendo voti che io possa rimanere fedele alla mia promessa fatta a Dio. Potete immaginare che quello fu per me un giorno lieto, mai capitato nella mia vita. Penso che non avrei potuto dare alla Madonna un dono di compleanno più gradito del dono di me stesso. Immagino che il buon Gesù vi avrà guardato con occhi affettuosi, essendo stati voi a donarmi a Dio… Affettuosi saluti a tutti. PISTA».
4. Dedizione assoluta alla missione
«La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto…», dicono le Costituzioni. Stefano Sándor visse la missione salesiana nel campo che gli era stato affidato, incarnando la carità pastorale educativa come salesiano coadiutore, con lo stile di Don Bosco. La sua fede lo portò a vedere Gesù nei giovani apprendisti e lavoratori, nei ragazzi dell’oratorio, in quelli della strada.
Nell’industria tipografica la direzione competente dell’amministrazione è considerata un compito essenziale. Stefano Sándor era incaricato della direzione, dell’addestramento pratico e specifico degli apprendisti, e della fissazione dei prezzi dei prodotti tipografici. La tipografia “Don Bosco” godeva in tutto il Paese di grande prestigio. Facevano parte delle edizioni salesiane il Bollettino Salesiano, Gioventù Missionaria, riviste per la gioventù, il Calendario Don Bosco, libri di devozione e l’edizione in traduzione ungherese degli scritti ufficiali della Direzione Generale dei Salesiani. È in quell’ambiente che Stefano Sándor prese ad amare i libri cattolici che venivano da lui non solo approntati per la stampa, ma anche studiati.
Nel servizio della gioventù egli era pure responsabile dell’educazione collegiale dei giovani. Anche questo era un compito importante, oltre al loro addestramento tecnico. Era indispensabile disciplinare i giovani, in fase di sviluppo vigoroso, con fermezza affettuosa. In ogni momento del periodo di apprendistato egli li affiancava come un fratello maggiore. Stefano Sándor si distinse per una forte personalità: possedeva un’eccellente istruzione specifica, accompagnata dalla disciplina, dalla competenza e dallo spirito comunitario.
Non si accontentava di un solo determinato lavoro, ma si rendeva disponibile ad ogni necessità. Si assunse il compito di sagrestano della piccola chiesa del Clarisseum e si prese cura nella direzione del ‘Piccolo Clero’. Prova della sua capacità di resistenza fu anche l’impegno spontaneo di lavoro volontario nel fiorente oratorio, frequentato regolarmente dai giovani dei due sobborghi di Újpest e Rákospalota. Gli piaceva giocare con i ragazzi; nelle partite di calcio faceva l’arbitro con grande competenza.
5. Religioso educatore
Stefano Sándor fu educatore alla fede di ogni persona, confratello e ragazzo, soprattutto nei momenti di prova e nell’ora del martirio. Davvero Sándor aveva fatto della missione per i giovani il proprio spazio educativo, dove viveva quotidianamente i criteri del Sistema preventivo di Don Bosco – ragione, religione, amorevolezza – nella vicinanza e assistenza amorosa ai giovani lavoratori, nell’aiuto prestato a comprendere e accettare le situazioni di sofferenza, nella testimonianza viva della presenza del Signore e del suo amore indefettibile.
A Rákospalota Stefano Sándor si dedicò con zelo all’addestramento dei giovani tipografi e all’educazione dei giovani dell’Oratorio e dei ‘Paggi del Sacro Cuore’. Su questi fronti manifestò uno spiccato senso del dovere, vivendo con grande responsabilità la sua vocazione religiosa e caratterizzandosi per una maturità che suscitava ammirazione e stima. «Durante la sua attività tipografica, viveva coscienziosamente la sua vita religiosa, senza alcuna volontà di apparire. Praticava i voti di povertà, castità e obbedienza, senza alcuna forzatura. In questo campo, la sua sola presenza valeva una testimonianza, senza dire alcuna parola. Anche gli alunni riconoscevano la sua autorevolezza, grazie ai suoi modi fraterni. Metteva in pratica tutto ciò che diceva o chiedeva agli alunni, e a nessuno veniva in mente di contraddirlo in alcun modo».
Il Sig. György Érseki conosceva i Salesiani fin dal 1945 e dopo la II Guerra mondiale andò ad abitare a Rákospalota, nel Clarisseum. La sua conoscenza con Stefano Sándor durò fino al 1947. Di questo periodo non solo ci offre uno spaccato della molteplice attività del giovane coadiutore, tipografo, catechista ed educatore della gioventù, ma anche una lettura profonda, dalla quale emerge la ricchezza spirituale e la capacità educativa di Stefano Sándor:
«Stefano Sándor fu una persona molto dotata di natura. In qualità di pedagogo, posso sostenere e confermare la sua capacità di osservazione e la sua personalità poliedrica. Fu un bravo educatore e riusciva a gestire i giovani, uno per uno, in una maniera ottimale, scegliendo il tono adeguato con tutti. Vi è ancora un dettaglio appartenente alla sua personalità: considerava ogni suo lavoro un santo dovere, consacrando, senza sforzi e con grande naturalezza, tutta la sua energia alla realizzazione di questo scopo sacro. Grazie ad un intuito innato, riusciva a cogliere l’atmosfera e ad influenzarla positivamente. […]
Aveva un carattere forte come educatore; si prendeva cura di tutti singolarmente. S’interessava dei nostri problemi personali, reagendo sempre nel modo più adatto a noi. In questo modo realizzava i tre principi di Don Bosco: la ragione, la religione e l’amorevolezza... I coadiutori salesiani non indossavano la veste all’infuori del contesto liturgico, ma l’aspetto di Stefano Sándor si distingueva dalla massa della gente. Per quanto riguarda la sua attività di educatore, non ricorreva mai alla punizione fisica, vietata secondo i principi di Don Bosco, diversamente da altri insegnanti salesiani più impulsivi, incapaci di padroneggiarsi e che a volte davano degli schiaffi. Gli alunni apprendisti affidati a lui formavano una piccola comunità all’interno del collegio, pur essendo diversi fra di loro dal punto di vista dell’età e della cultura. Essi mangiavano alla mensa insieme agli altri studenti, dove abitualmente durante i pasti si leggeva la Bibbia. Naturalmente vi era presente anche Stefano Sándor. Grazie alla sua presenza, il gruppo di apprendisti industriali riuscì sempre il più disciplinato…
Stefano Sándor rimase sempre giovanile, dimostrando grande comprensione verso i giovani. Cogliendo i loro problemi, trasmetteva dei messaggi positivi e li sapeva consigliare sia sul piano personale, che su quello religioso. La sua personalità rivelava grande tenacia e resistenza nel lavoro; anche nelle situazioni più difficili, rimaneva fedele ai suoi ideali e a se stesso. Il collegio salesiano di Rákospalota ospitava una grande Comunità, richiedendo un lavoro con i giovani a più livelli. Nel collegio, accanto alla tipografia, abitavano dei seminaristi in prova, che erano in stretto rapporto con i coadiutori. Ricordo i seguenti nomi: József Krammer, Imre Strifler, Vilmos Klinger e László Merész. Questi seminaristi avevano compiti diversi da quelli di Stefano Sándor e ne differivano anche caratterialmente. Grazie però alla loro vita in comune, conoscevano i problemi, le virtù e i difetti gli uni degli altri. Stefano Sándor nel suo rapporto con questi chierici trovò sempre la misura adeguata. Stefano Sándor riuscì a trovare il tono fraterno per ammonirli, quando mostravano qualche loro manchevolezza, senza cadere nel paternalismo. Anzi, furono i giovani chierici a chiedere la sua opinione. A mio avviso, egli realizzò gli ideali di Don Bosco. Fin dal primo momento della nostra conoscenza, Stefano Sándor rappresentò lo spirito che caratterizzava i membri della Società Salesiana: senso del dovere, purezza, religiosità, praticità e fedeltà ai principi cristiani».
E un ragazzo di quel tempo così ricorda lo spirito che animava Stefano Sándor: «Il mio primo ricordo di lui è legato alla sagrestia del Clarisseum, in cui egli, in qualità di sagrestano principale, esigeva l’ordine, imponendo la serietà dovuta alla situazione, rimanendo però sempre lui, con il suo comportamento, a darci il buon esempio. Era una delle sue caratteristiche, quella di darci le direttive con un tono moderato, senza alzar la voce, chiedendoci piuttosto cortesemente di fare i nostri doveri. Questo suo comportamento spontaneo ed amichevole ci conquistò. Gli volevamo veramente bene. Ci incantò la naturalezza con la quale Stefano Sándor si occupava di noi. Ci insegnava, pregava e viveva con noi, testimoniando la spiritualità dei coadiutori salesiani di quel tempo. Noi, giovani, spesso non ci rendevamo conto di quanto fossero speciali queste persone, ma egli spiccava per la sua serietà, che manifestava in chiesa, nella tipografia e persino nel campo da gioco».
6. Il “lavoro santificato”: sintesi tra spiritualità e professionalità
Un’attenta considerazione della vita di Stefano Sándor porta a riconoscere, nei contenuti e nelle modalità del suo servizio, l’intuizione della dignità propria dei valori creaturali e delle azioni quotidiane, che sono il normale orizzonte della vita e del mondo laicale.
Fin da giovane aspirante si evidenzia il collegamento tra la richiesta di essere salesiano e la disponibilità al lavoro. È un tratto tipico dello spirito di don Bosco, che orienterà la scelta chiara fin dall’inizio e vissuta con gioia, senza ripensamenti, di essere salesiano coadiutore. Senza saperlo il giovane Stefano riprende tutta la grande tradizione cristiana relativa al lavoro: quella dell’apostolo Paolo che si manteneva con il proprio lavoro e invitava i cristiani delle prime comunità a fare altrettanto: «chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2Tes 3,10); quella monastica dell’«ora et labora»; quella di don Bosco che prometteva ai suoi figli «pane, lavoro e paradiso»; lavoro vissuto nella speranza cristiana del premio eterno.
Anche la vita di Stefano era tutta intessuta delle minuzie quotidiane, che sono proprie di un servizio, che potrebbe facilmente scadere nella routine. Ma tutto veniva investito da un permanente flusso di carità, che permeava ogni cosa, trasfigurandola, fino a farsi energia di unificazione vitale e di tacita evangelizzazione. Anche il suo sforzo continuo di rendersi meno inadeguato ai suoi compiti – attraverso processi di informazione e di formazione permanente – va compreso come uno sbocciare del fiore della carità, per cui il salesiano cura di fare bene ogni cosa, con semplicità e misura.
Risulta, con singolare evidenza, dalla storia di Stefano Sándor, la ricerca appassionata di una sintesi, sempre più matura, fra ricerca di autentica professionalità e crescita in spirituale autenticità. Ad una tale sfida è necessario rispondere con una particolare “grazia di unità”, che trasformi la professionalità in risorsa della vita consacrata, ed anzi, se così si può dire, in una sua ulteriore qualificazione. Alla radice di una tale unità non è difficile scorgere una carità industriosa, la fiducia serena nei progressi della scienza e della tecnica, il bisogno di dialogare alla pari coi nostri interlocutori, per dare vigore alla nostra stessa vocazione ed al suo messaggio, perché diventi energia evangelizzatrice e presenza qualificata di Chiesa.
Stefano Sándor aveva ben appreso e ben vissuto ciò che il Beato Filippo Rinaldi chiamò «lavoro santificato», chiedendo un’apposita indulgenza al Santo Padre , e ravvisando in esso un tratto essenziale della spiritualità salesiana. Nel concetto di «lavoro» è inclusa tutta la serietà professionale di cui siamo capaci. Ed in quello di «santificato» il fermento vivo costituito dalla carità, dall’offerta, dallo spirito di sacrificio.
Il salesiano, in forza della sua esperienza, sarà allora abilitato ad educare i suoi destinatari – prima implicitamente e poi anche esplicitamente – ad una nuova professionalità, evangelicamente ispirata, capace di rinnovare la qualità della vita. Essa è l’armoniosa risultante di specifica competenza tecnica e culturale, di articolata capacità relazionale e solidale, di profonde motivazioni etiche e spirituali. Ed appare in grado di redimere e di risignificare il lavoro dell’uomo – che è parte sostanziale della sua vita – e, al tempo stesso, di sostenere ed incoraggiare la civiltà dell’amore. La sua testimonianza di salesiano coadiutore aveva una forte incidenza sui ragazzi a lui affidati e la sua autorevolezza educativa incideva profondamente nella formazione umana e cristiana, come venne testimoniato anche nel processo: «I giovani gli volevano particolarmente bene, perché sapeva tenere l’ordine in maniera affettuosa. Spiegava ai ragazzi le conseguenze delle loro scelte ed esercitava un influsso molto positivo sui più piccoli, che erano attaccattissimi a lui. Aveva compiti notevoli anche nella vita del collegio. Era l’educatore degli apprendisti di tipografia; il che voleva dire che si occupava di loro nel dormitorio, nel refettorio e anche durante il tempo libero. La mia impressione generale su Stefano Sándor era la seguente: compiva i suoi doveri, viveva una vita da religioso con grande consapevolezza, con quella serietà che caratterizza solitamente le persone più mature».
La sua esperienza di Dio animava tutta la sua attività di maestro di tipografia e di educatore, suscitando stupore e ammirazione tra i suoi giovani apprendisti. «Stefano Sándor faceva dei commenti formidabili alle preghiere salesiane. Anch’io fui sorpreso quando, da bambino, entrai all’istituto salesiano per la recita della prima preghiera comune in cappella: “Vergine Maria, Madre nostra, aiutami a salvare l’anima mia!”. Fui testimone di una conversazione, che potrei chiamare anche catechismo, tra Stefano Sándor e gli alunni della tipografia, i quali non erano delle anime raffinate, ma neanche tanto rozzi. Parlava della preghiera dal punto di vista pratico. Integrava i suoi discorsi rivolti ai giovani con le sue esperienze al fronte russo, la cui veridicità i giovani non mettevano in dubbio. Il suo insegnamento si basava sulla convinzione che gli apprendisti, oltre al mestiere della tipografia, avessero bisogno anche di un’educazione spirituale. Lo si poteva vedere anche quando si trovava in mezzo ai giovani artigiani, che lo circondavano estasiati e sempre rispettosi. Non fece mai l’errore di abbandonare la disciplina tra gli studenti. La sua presenza di per sé imponeva obbedienza e rispetto. Una volta gli dissi che lo ammiravo perché il suo gruppo era il più disciplinato di tutto il collegio. Lui mi rispose: “Caro mio, se i ragazzi sentono che tu gli vuoi bene, anche loro vorranno bene a te!”. Si vedeva chiaramente dal suo comportamento che già da giovane affrontava il lavoro di educatore, a cui dedicò la propria vita, con fede e speranza».
7. Riflesso di Dio con radicalità evangelica
Ciò che dava spessore a tutto questo – la dedizione alla missione e la capacità professionale ed educativa – e che colpiva immediatamente coloro che incontrava era la figura interiore di Stefano Sándor, quella di discepolo del Signore, che viveva in ogni momento la sua consacrazione, nella costante unione con Dio e nella fraternità evangelica. Dalle testimonianze processuali emerge una figura completa, anche per quell’equilibrio salesiano per cui le diverse dimensioni si congiungono in una personalità armonica, unificata e serena, aperta al mistero di Dio vissuto nel quotidiano.
Un tratto che colpisce di tale radicalità è il fatto che fin dal noviziato tutti i suoi compagni, anche quelli aspiranti al sacerdozio e molto più giovani di lui, lo stimassero e lo vedessero come modello da imitare. L’esemplarità della sua vita consacrata e la radicalità con cui visse e testimoniò i consigli evangelici lo distinsero sempre e ovunque per cui in molte occasioni, anche nel tempo della prigionia, diversi pensavano che fosse un sacerdote. Tale testimonianza dice molto della singolarità con cui Stefano Sándor visse sempre con chiara identità la sua vocazione di salesiano coadiutore, evidenziando proprio lo specifico della vita consacrata salesiana in quanto tale. Tra i compagni di noviziato Gyula Zsédely così parla di Stefano Sándor: «Entrammo insieme nel noviziato salesiano di Santo Stefano a Mezőnyárád. Il nostro maestro fu Béla Bali. Qui passai un anno e mezzo con Stefano Sándor e fui testimone oculare della sua vita, modello di giovane religioso. Benché Stefano Sándor avesse almeno nove-dieci anni più di me, conviveva con i suoi compagni di noviziato in modo esemplare; partecipava alle pratiche di pietà insieme a noi. Non sentivamo affatto la differenza d’età; ci stava a fianco con affetto fraterno. Ci edificava non solo attraverso il suo buon esempio, ma anche dandoci dei consigli pratici in merito all’educazione della gioventù. Si vedeva già allora come fosse predestinato a questa vocazione secondo i principi educativi di Don Bosco... Il suo talento di educatore balzò agli occhi anche di noi novizi, specialmente in occasione delle attività comunitarie. Con il suo fascino personale ci entusiasmava a tal punto, che davamo per scontato di poter affrontare con facilità anche i compiti più difficili. Il motore della sua profonda spiritualità salesiana furono la preghiera e l’Eucaristia, nonché la devozione alla Vergine Maria Ausiliatrice. Durante il noviziato, che durò un anno, vedevamo nella sua persona un buon amico. Divenne il nostro modello anche nell’obbedienza, poiché, essendo lui il più vecchio, fu messo alla prova con delle piccole umiliazioni, ma egli le sopportò con padronanza e senza dar segni di sofferenza o risentimento. In quel tempo, purtroppo, c’era qualcuno tra i nostri superiori che si divertiva ad umiliare i novizi, ma Stefano Sándor seppe resistere bene. La sua grandezza di spirito, radicata nella preghiera, era percepibile da tutti».
Riguardo alla intensità con cui Stefano Sándor viveva la sua fede, con una continua unione con Dio, emerge una esemplarità di testimonianza evangelica, che possiamo ben definire un “riflesso di Dio”: «… mi pare che la sua attitudine interiore sia scaturita dalla devozione all’Eucaristia e alla Madonna, la quale aveva trasformato anche la vita di Don Bosco. Quando si occupava di noi, “Piccolo Clero”, non dava l’impressione di esercitare un mestiere; le sue azioni manifestavano la spiritualità di una persona capace di pregare con grande fervore. Per me e per i miei coetanei “il Signor Sándor” fu un ideale e neanche per sogno pensavamo che tutto ciò che abbiamo visto e udito fosse una messinscena superficiale. Ritengo che solo la sua intima vita di preghiera abbia potuto alimentare tale comportamento quando, ancora confratello giovanissimo, aveva compreso e preso sul serio il metodo di educazione di Don Bosco».
La radicalità evangelica si espresse in diverse forme nel corso della vita religiosa di Stefano Sándor:
Tutto questo rivela quello sguardo di fede che accompagnerà sempre la storia di Stefano: la consapevolezza che Dio è presente e opera per il bene dei suoi figli.
Conclusione
Stefano Sándor dalla nascita fino alla morte fu un uomo profondamente religioso, che in tutte le circostanze della vita rispose con dignità e coerenza alle esigenze della sua vocazione salesiana. Così visse nel periodo dell’aspirantato e della formazione iniziale, nel suo lavoro di tipografo, come animatore dell’oratorio e della liturgia, nel tempo della clandestinità e della carcerazione, fino ai momenti che precedettero la sua morte. Desideroso, fin dalla prima giovinezza, di consacrarsi al servizio di Dio e dei fratelli nel generoso compito dell’educazione dei giovani secondo lo spirito di don Bosco, fu capace di coltivare uno spirito di fortezza e di fedeltà a Dio e ai fratelli che lo misero in grado, nel momento della prova, di resistere, prima alle situazioni di conflitto, e poi alla prova suprema del dono della vita.
Vorrei evidenziare la testimonianza di radicalità evangelica offerta da questo confratello, che diventa particolarmente eloquente nella prospettiva del prossimo Capitolo Generale. Dalla ricostruzione del profilo biografico di Stefano Sándor emerge un reale e profondo cammino di fede, iniziato fin dalla sua infanzia e giovinezza, irrobustito dalla professione religiosa salesiana e consolidato nell’esemplare vita di salesiano coadiutore. Si nota in particolare una genuina vocazione consacrata, animata secondo lo spirito di Don Bosco, da un intenso e fervoroso zelo per la salvezza delle anime, soprattutto giovanili. Anche i periodi più difficili, quali il servizio militare e l’esperienza della guerra, non scalfirono l’integro comportamento morale e religioso del giovane coadiutore. È su tale base che Stefano Sándor subirà il martirio senza ripensamenti o esitazioni.
La beatificazione di Stefano Sándor impegna tutta la Congregazione nella promozione della vocazione del salesiano coadiutore, accogliendo la sua testimonianza esemplare e invocando in forma comunitaria la sua intercessione per questa intenzione. Come salesiano laico, riuscì a dare buon esempio persino ai preti, con la sua attività in mezzo ai giovani e con la sua esemplare vita religiosa. È un modello per i giovani consacrati, per il modo con il quale affrontò le prove e le persecuzioni senza accettare compromessi. Le cause a cui si dedicò, la santificazione del lavoro cristiano, l’amore per la casa di Dio e l’educazione della gioventù, sono tuttora missione fondamentale della Chiesa e della nostra Congregazione. In tale prospettiva invito a riprendere la lettera scritta da don Vecchi in occasione della beatificazione di Artemide Zatti (ACG 377), le cui riflessioni e orientamenti sono ancora oggi attuali e stimolanti e ciò che dice il Capitolo generale 26° circa l’unica vocazione consacrata salesiana nelle sue due forme.
Come educatore esemplare dei giovani, in particolare degli apprendisti e dei giovani lavoratori, e come animatore dell’oratorio e dei gruppi giovanili, ci è di esempio e di stimolo nel nostro impegno di annunciare ai giovani il vangelo della gioia attraverso la pedagogia della bontà. In questo secondo anno di preparazione al Bicentenario tale prospettiva ci spinge con ardore ed entusiasmo nella nostra missione tra i giovani degli ambienti popolari che si avviano al lavoro e tra i giovani lavoratori che spesso incontrano difficoltà e sono facilmente esposti ad ingiustizie.
Don Pierluigi Cameroni SDB
Postulatore Generale
pcameroni@sdb.org
Lettera del cappellano fra Kázmér Kollár, OFM, del 10.12.35, al Cancelliere della diocesi di Vác per raccomandare Stefano Sándor al Provinciale dei salesiani. Positio, p. 227.
Lettera di Stefano Sándor all’Ispettore salesiano don János Antal (23 dicembre 1935). Positio, p. 230.
Lettera di Stefano Sándor al direttore della comunità di Rákospalota, don János Bali, (28.05.1936). Positio, pp. 231-232.
Rescritto del Papa Pio XI a don Filippo Rinaldi, 10 giugno 1922. Si fa presente che questa Indulgenza, dopo la Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina di Paolo VI del 1 gennaio 1967 e il successivo decreto attuativo della Penitenzieria Apostolica, non è più in vigore. La Penitenzieria, in data 31 gennaio 1968, ha concesso speciali Indulgenze plenarie, lucrabili dai Salesiani e dalla Figlie di Maria Ausiliatrice, in particolari occasioni.