Testimonianze dalle Memorie Biografiche [volume pagina]
Don Bosco confessa i suoi ragazzi
Un solo peccato mortale, o cari giovani, basta a precipitare nell'Inferno colui che l'ha commesso, se egli non ne ottiene il perdono da Dio prima di morire. Perciò non havvi cosa al mondo che ci debba stare maggiormente a cuore, quanto l'ottenere questo perdono, quando si ha avuto la disgrazia di, peccare mortalmente. A fine di provvedere a questo supremo bisogno, Gesù Cristo ha istituito il Sacramento della Penitenza, con cui noi possiamo ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo.
Egli disse a' suoi Apostoli e nella persona di quelli a' Sacerdoti loro successori : " Come il Padre mio celeste mandò me, così io mando voi . Cioè io concedo a voi la medesima autorità data a me dal mio Padre Eterno. Questa autorità comprendeva certamente eziandio la facoltà di rimettere i peccati ; ma volendo parlare in ispecie della Confessione, disse precisamente a' suoi Apostoli: " Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete e saranno ritenuti a chi li riterrete „ (Joan. XX, 23).
Con queste parole Gesù Cristo diede ai suoi ministri la facoltà di assolvere e di non assolvere; donde nasce l'obbligazione ai cristiani di confessare le loro colpe, affinché il Confessore possa conoscere quando si deve dare o non dare l'assoluzione.
Ma disgraziatamente molti cristiani non sanno approfittarsi di questo augusto Sacramento. E ci sono fondate ragioni per temere che a molti invece di essere mezzo di salute, sia al contrario motivo di dannazione, perciò lo ricevono male. Per impedire che una tal disgrazia non accada a voi, o giovani cari, fu quivi esposta una breve istruzione, che vi prego di leggere attentamente ogni volta che andrete a confessarvi.
Le disposizioni necessario per fare una buona Confessione sono : Esame, Dolore, Proponimento, Confessione e Penitenza. Le più importanti sono il Dolore o Contrizione e il Proponimento.
Senza la Contrizione Iddio non concede mai ad alcuno il perdono dei peccati. Questo dolore deve essere interno, soprannaturale, sommo ed universale.
A fine di eccitarci al pentimento, giova molto considerare che col peccato abbiamo offeso Iddio, che è nostro padrone, a cui noi dobbiamo- obbedire ; che Dio è infinitamente buono, è nostro Creatore, nostro Padre, nostro Salvatore, e che ci ha, riscattati col prezzo del suo Sangue. La Contrizione perfetta è il dispiacere di aver offeso Dio, perchè Egli in se stesso è infinitamente perfetto e infinitamente degno del nostro amore.
Questa Contrizione, se è in grado perfetto e congiunta a vivo desiderio del Sacramento, quando questo non si potesse veramente ricevere, basta per ottenerci da Dio il perdono, ma con obbligo di confessarci appena si possa.
Giova eziandio fare riflessione sopra i castighi del peccato, la grazia di Dio ed il Paradiso perduto, l'Inferno meritato, la bruttezza del
l'anima e il rimorso della coscienza. Questi motivi devono eccitare nel nostro cuore un vero dolore del peccato, senza cui Dio non perdona mai.
Dobbiamo adunque essere più afflitti dell'offesa fatta a Dio, che di tutti i mali del mondo. Tuttavia non è necessario che noi versiamo lagrime, come facciamo talora per altri mali ; basta che il nostro dolore sia sommo, avuto riguardo che abbiamo offeso la somma maestà e bontà di. Dio da stimarsi e da amarsi più di tutte le altre cose.
quando si soddisfa alla giustizia di Dio colla penitenza, o con altre buone opere; si ripa, ano i danni cagionati al prossimo nell’onore, nella roba o nella persona, e si pone pronto rimedio agli scandali dati.
Il biglietto di Confessione che talvolta fa il Confessore è solamente un certificato che attesta esserci noi accostati al Sacerdote per confessarci, ma non dice nulla delle cose confessate, nè dell'assoluzione data o differita.
In generale il penitente può rimanere tranquillo di aver ricevuta l'assoluzione, quando il Confessore non avvisa che sia stata differita.
per accostarsi degnamente al Sacramento della Confessione,
Dopo che avremo attentamente lette e considerate le disposizioni generali per fare una buona Confessione, potremo facilmente passare alla pratica. Pertanto nel giorno precedente a quello destinato per la Confessione dobbiamo prepararci con qualche pera di cristiana pietà, come sarebbe una visita al Santissimo Sacramento, un digiuno o almeno qualche mortificazione, un po' di lettura spirituale, qualche preghiera e simili. Nel giorno poi della Confessione dobbiamo metterci alla presenza di Dio e pregarlo di cuore, affinché ci aiuti a far bene l'Esame, cioè a fare una diligente ricerca dei peccati commessi dopo l'ultima Confessione; perciò invochiamo l'aiuto di Dio colla seguente
Orazione.
Signor mio Gesù Cristo, Redentore dell'anima mia, io mi getto ai vostri piedi, supplicandovi di aver pietà e misericordia di me. Illuminatemi colla vostra grazia, affinché io conosca ora i miei peccati, • come li farete a me noti quando mi presenterò al vostro divin Tribunale per essere giudicato. Fate, o Signore, che li detesti con vero dolore, e ne conseguisca il perdono pei meriti infiniti del vostro Sangue preziosissimo sparso per me sopra la Croce. Vergine Santissima, Santi e Sante tutte del Paradiso, pregate per me, affinché io possa fare una buona Confessione.
Esame.
Per far l'Esame è bene che ci portiamo colla mente sopra i Comandamenti della legge di Dio e della Chiesa, facendo a noi stessi l'applicazione di quanto ivi è proibito o comandato. Si darà nonostante un cenno sopra l'esame pratico
Esaminatevi pertanto : se parlaste male delle cose di religione ; se bestemmiaste; se nominaste il Nome di Dio invano; se non ascoltaste la santa Messa nei giorni festivi o vi siete occupati in opere servili' o in lavori proibiti ; se disobbediste ai vostri maggiori. Esaminatevi poi particolarmente intorno ai doveri del proprio stato . se avete dato scandalo in Chiesa o fuori di Chiesa, specialmente con parole oscene, o con altri cattivi discorsi ; se avete recato danno al prossimo nella roba, nella persona o nell'onore. Notate bene che si può anche rubare non occupando il tempo in quelle cose per le quali siamo pagati, o ne siamo altrimenti ricompensati. Se diceste, ascoltaste, faceste, permetteste, o anche solo avvertente-mente pensaste cose contrarie all'onestà.
Dobbiamo qui riflettere riguardo all'Esame, che non basta esporre semplicemente il peccato, ma dobbiamo dire il numero delle volte che abbiamo commesso questo o quell'altro peccato. Per esempio, non basta dire: Ho fatto cattivi discorsi, ma bisogna dire il numero delle volte che furono fatti; oppure: Ho avuto cattivi pensieri; ma anche, se furono volontarii, e quante volte si è avvertitamente acconsentito. In quanto poi al peccato di scandalo dobbiamo esaminarci in parti colare e riflettere se i nostri discorsi. le nostre parole, le nostre azioni furono ad altri occasione di peccato. Perciò quante sono le 'Arsone che ascoltarono quei discorsi, 'altrettanti sono i peccati di scandalo, di cui dobbiamo accusa, ci. Che se non ci siamo mai esaminati così nel passato, dobbiamo darci la massima sollecitudine di farlo presentemente, chiedendo sopra di ciò consiglio al Confessore, e se egli lo giudica bene, rifare eziandio le Confessioni passate.
Fatto l' esame, dobbiamo eccitarci ad un vero dolore ; quindi mettendoci alla presenza di Dio faremo la preghiera seguente;
Atto di Pentimento.
Eccomi, o mio Dio, innanzi a Voi, ripieno di confusione e di rincrescimento per avervi offeso. Ahimè : le mie iniquità mi circondano, la loro immagine mi angustia, la loro moltitudine mi spaventa. Oh, non le avessi mai commesse! Oh, non mi fossi mai staccato dall'osservanza della vostra santa legge I Io vi ho offeso, mio buon Dio, ed ho corrisposto al vostro amore colla più nera ingratitudine. Ho oltraggiata la vostra giustizia. O mio Dio, quanto mai è amara la memoria dei miei peccati ! Quanto mi rincresce di averli commessi I Ah ! Signore d'infinita bontà, e degno per Voi medesimo di essere amato da ogni cuore e sopra ogni cosa, io vi domando perdono. Il Sangue di G. C. sparso per me sulla Croce chiede al trono vostro pietà e misericordia. Deh 1 ascoltate, o mio Dio, le voci di questo Sangue divino, e perdonatemi. Io non vi offenderò mai più, sono disposto di perdere ogni cosa del mondo piuttostoché ritornare ad offendervi. Vi prometto di fuggire il peccato e le occasioni di peccare: abbandonerò quei luoghi, quelle amicizie e quelle compagnie che pur troppo furono la cagione delle mie ricadute nel peccato. Voi, o Dio d'infinita bontà e misericordia, avvalorate questi miei, proponimenti colla vostra grazia, da cui dipende tutta la mia forza e la speranza di perseverare nel bene.
Vergine Immacolata, cara Madre del mio Gesù, S. Giuseppe, S. Francesco di Sales, S. Luigi Gonzaga, Angelo mio Custode, ottenetemi in questo momento le grazie necessarie per fare una buona Confessione.
Giunto il momento di confessarvi, fate il segno della S. Croce e poi dite il Confiteor sino a mea mdxima culpa ; oppure :
Mi confesso a Dio Onnipotente, alla B. Maria sempre Vergine, a tutti i Santi ed a Voi, mio Padre spirituale, per averne la penitenza e l'assoluzione ; od anche solo : Beneditemi, o Padre perchè ho peccato.
Quindi direte il tempo dell'ultima vostra Confessione, se avete fatta o no la Penitenza e la Comunione ; poi manifesterete i vostri peccati al Confessore come viene esposto nella seguente istruzione.
Della Confessione.
La Confessione sacramentale è un' accusa che fa il Penitente dei proprii peccati ad un Confessore approvato per riceverne l' Assoluzione.
I caratteri che devono accompagnare questa accusa dei peccati sono : l'integrità, l'umiltà e la sincerità.
Integrità. Non si taccia mai alcun peccato mortale, nè per negligenza, nè per vergogna. Tacendo volontariamente un peccato mortale, invece di ricevere un Sacramento ohe scancella i peccati, si commetterebbe un sacrilegio. Chi disgraziatamente per rossore od anche per sola dimenticanza avesse tralasciato qualche grave peccato, prima di ogni altra cosa se ne accusi in questa Confessione, e se il Confessore lo giudica a proposito, rifaccia le sue Confessioni fino a quella in cui si è taciuto o dimenticato per negligenza qualche peccato.
Umiltà. Un sentimento di umiliazione e di confusione deve essere proprio di chi si presenta in forma di reo al suo giudice, e in faccia a colui che nel tribunale della penitenza tiene il luogo di Dio sopra la terra.
Sincerità. Si manifestino i peccati schiettamente e senza scuse. Si sfugga la prolissità nel dire, l'apporre ad altri la cagione dei proprii mancamenti. Confessiamo i peccati certi come certi, a i dubbi come dubbi.
Giova qui richiamare a memoria il grande segreto della Confessione. Il Confessore non può dire ad altri alcuna delle cose udite in Confessione : né può servirsene per se stesso, si trattasse anche di liberare sé od altri dalla morte. Questi riflessi devono inspirarci grande confidenza a palesare qualsiasi nostra colpa al Confessore, che è un padre amante, il quale fa le veci di Nostro Signor Gesù Cristo nel rimetterci i peccati.
Finita l' accusa dei peccati, ascoltate con somma attenzione e con grande rispetto la penitenza e gli avvisi che vi verranno dati dal Confessore per correggervi delle colpe com., messe, e preservarvi dal ricadere nelle medesime per l' avvenire , procurando di tenerli bene a mente e di metterli in pratica. Quindi rinnovando eziandio il dolore e l'accusa di qualche specie di peccati più gravi della vita passata, direte l'Atto di Contrizione; infine ricevuta l'Assoluzione, cogli occhi, bassi ritiratevi in disparte a fare gli atti seguenti :
Ringraziamento.
Come potrò io mai, Dio d'immensa bontà, rendervi le grazie che meritate ? Quali grazie non dovrò io rendere alla infinita vostra misericordia ? A me erano riservate pene eterne per i miei peccati : e Voi invece me li perdonate e li seppellite in un profondo oblio. Chi potrà mai comprendere l'immensità della vostra misericordia ? Chi potrà ringraziarvi come si conviene per tanta vostra bontà? Troppo debole son io. Io non posso fare altro, adorabile Salvatore dell'anima mia, che offerirvi tutto me stesso, tutta la mia vita. Sì, io occuperò la mia vita a raccontare le vostre meraviglie, e sino all'ultimo mio respiro io annunzierò all'universo le vostre misericordie.
Nell'atto stesso che mi vedo colmare di consolazione al pensiero di ciò che era prima e di ciò che ora sono, mi sento, o mio Dio, un odio grave contro al peccato, e col più vivo sentimento dell'anima prometto di non offendervi mai più. Aiutatemi Voi a mettermi con animo costante e generoso intorno all'affare della mia eterna salute. Vergine Immacolata, Angelo mio Custode, Santi miei protettori, celesti spiriti e felicissimi comprensori
del Paradiso, ottenetemi voi da Dio che non l'offenda mai più per l'avvenire. Deh I ringraziatelo in vece mia, e colla potentissima vostra intercessione ottenetemi la grazia della santa perseveranza.
(all’ Ebreo Giona) [I 320].
Un giorno al giovane ebreo accadde un disordine susseguito da rissa, che poteva avere tristi conseguenze; laonde corse da Giovanni per avere consiglio. - Se tu o caro Giona fossi cristiano, gli disse Giovanni, vorrei tosto condurti a confessarti; ma ciò non ti è possibile.
- Ma anche noi, se vogliamo, andiamo a confessarci.
- Andate a confessarvi, ma il vostro confessore non è tenuto al segreto, non ha potere di rimettervi i peccati, nè può amministrare alcun Sacramento.
- Se mi vuoi condurre, io andrò a confessarmi da un prete.
- Io ti potrei condurre, ma ci vuole molta preparazione.
- Quale?
- Sappi che la confessione rimette i peccati commessi dopo il Battesimo; perciò se tu vuoi ricevere qualche Sacramento, bisogna che prima di ogni altra cosa riceva il Battesimo.
[II 129]
Ritornato in Torino D. Bosco fu in grado di coltivare con miglior successo i suoi cari giovanetti pel bene delle anime loro, potendo pur riceverne le confessioni.
A questo proposito, sul finire del 1842 scriveva sopra di un suo libretto questi proponimenti:
“Breviario e confessione. Procurerò di recitare divotamente il Breviario e recitarlo preferibilmente in Chiesa, affinchè serva come di visita al SS. Sacramento
” Mi accosterò al Sacramento della Penitenza ogni otto giorni e procurerò di praticare i proponimenti che ciascuna volta farò in confessione.
” Quando sarò richiesto ad ascoltare le confessioni dei fedeli, se vi è premura, interromperò il santo ufficio e farò anche più greve la preparazione ed il ringraziamento della Messa, a fine di prestarmi ad esercitare questo sacro ministero”.
II 149
Ed il suo insegnamento non era solamente una ripetizione materiale dì quelle auree dimande e risposte contenute nel volumetto del Catechismo, sibbene le corroborava con prove di miracoli e profezie tratte dai libri sacri, che dimostrano Dio stesso aver rivelate quelle verità che si debbono credere, Dio stesso aver comandato colla sua legge quello che si deve operare e quello che si deve fuggire. Per tal modo i fanciulli si rendono ragione della loro fede; cosa importantissima senza dubbio, perchè, se manca la persuasione, le credenze vacillano e le passioni e l'errore col crescere degli anni finiscono per togliere affatto il santo timor di Dio. E questa fede ragionata non cessa mai dal premunire contro le future cadute, giacchè al dir del Salmista “il giovanetto corregge le sue inclinazioni in osservando le parole del Signore (2)” e del continuo spinge verso il sentiero della salute chi avesse la disgrazia di fuorviare.
In modo particolare nei catechismi intrattenevasi lungamente nello spiegare le disposizioni necessarie per ben ricevere e con frutto il Sacramento della Penitenza ed i vantaggi che ne provengono all'uomo dal praticarlo con costante regolarità. Era ben persuaso che solo colla frequenza a questo Sacramento e quindi a quello della S. Comunione il giovanetto può passare immacolato il tempo, nel quale coll'età si sviluppano in lui le passioni più pericolose, mentre è pure l'unica tavola di salvamento e di ravvedimento per coloro che dalle passioni fossero sopraffatti. Della quale sua intima convinzione fanno fede le continue esortazioni che a voce e per iscritto rivolgeva a' suoi cari giovanetti.
[II 313]
Prova indiretta di questa stima (per la S. Messa) la porge un suo proponimento scritto da lui nel 1845 nelle brevi Memorie ai miei figli i salesiani: “Siccome giunto in segrestia per lo più mi si fanno tosto richieste di parlare per aver consiglio, o di ascoltare in confessione, così prima di uscire di camera procurerò sia fatta una breve preparazione alla S. Messa. Il lavare delle mani si faccia sempre in camera, e quando il tempo lo permette si rinnovi nella sagrestia”. Da questa nota argomentiamo che molte fossero le persone che lo attendevano a S. Francesco d'Assisi, al Rifugio, e in altre chiese della città e dintorni, quando vi si recava per celebrare il santo sacrificio;
[II 437].
Mentre quasi non sapeva se io fossi in cielo o in terra, D. Bosco mi chiama in tutta fretta, dicendo: - Mi aiuteresti a fare una cosa di qualche premura?
- Con tutto il piacere! quale?
- Forse ti costerà un po' di fatica.
- Non importa; fo qualunque cosa, sono assai forte.
- Vieni adunque in chiesa con me! - Io, contento oltre modo di servire D. Bosco, lascio prontamente il giuoco, e voleva seguirlo nell'arnese in cui mi trovava, cioè in maniche di camicia.
- Così no, mi disse D. Bosco. Mettiti la giubbetta. - Ed io prontamente me la indossai. D. Bosco precedeva ed io a seguirlo fin nella sagrestia, pensando fosse ivi qualche oggetto da traslocare.
- Vieni con me in coro, continuò D. Bosco.
- Eccomi, risposi. - E mi condusse presso un inginocchiatoio. Io che non aveva ancor capito, mi disponeva a prendere quel mobile per trasportarlo.
- Lascialo, lascialo, - mi ripetè D. Bosco sorridendo.
- Ma dunque che cosa vuole che io faccia?
- Voglio che ti confessi.
- Oh questo, sì, ma quando?
- Adesso!
- Adesso non son preparato.
- Lo so che non sei preparato, ma te ne do tutto il tempo: io reciterò una buona parte del breviario, e tu dopo farai la tua confessione, come più volte mi hai promesso.
- Giacchè Le piace così, mi preparerò volentieri, e non avrò più da darmi briga per cercare il: confessore. Ne ho proprio bisogno di confessarmi. Lei ha fatto bene a pigliarmi in questo modo, altrimenti per timore di alcuni compagni non sarei ancor venuto.
Mentre D. Bosco recitava il suo breviario, io feci la mia preparazione e poi mi sono confessato, con assai più di facilità che mi aspettassi, perchè il mio caritatevole e così ben esperto confessore mi aiutò mirabilmente colle sue saggie interrogazioni.
[II 532]
Così, quella Domenica, 8 novembre 1846, D. Bosco riprendeva le sue festive funzioni che si celebravano regolarmente a un dipresso come nelle parrocchie. Più volte alla settimana invitava i più grandicelli ed ignoranti a venirlo a trovare in casa, come e quando tornasse loro più comodo; ed egli passava le ore intiere istruendoli nel catechismo intorno alle verità della fede, e perseverando per più anni in tale laborioso esercizio. Assai spesso li esortava tutti a confessarsi avendo questo sacramento come il primo fondamento del suo sistema di riforma e preservazione morale, e facendo loro intendere la necessità di mantenere la coscienza netta dal peccato. Di questo trasfondeva nei suoi uditori un vivo orrore, perchè quando parlava dell'inferno, egli stesso dimostravasi atterrito alla considerazione delle pene eterne. Perciò lo ascoltavano e lo secondavano; e quanti in procinto di commettere un primo furto, di muovere i primi passi sulla china del vizio furono da lui arrestati, corretti, sovvenuti, assistiti! In D. Bosco avevano riposta tutta la loro confidenza, perchè erano persuasi di essere da lui amati.
[III 57].
Talora D. Bosco chiamava il padrone e dicevagli
- Mi farebbe un piacere?
- Domandi pure; troppo fortunato di servirla.
- Permetterebbe che qualche volta questo giovanetto venisse a visitarmi?
- E dove?
- All'Oratorio in Valdocco. Là potrebbe imparare un po' di catechismo e farsi buono.
- Ne ha bisogno di farsi buono! È un biricchino, è un insolente, è un poltrone. Ha tutti i difetti immaginabili.
- Oh possibile! Mi sembra che non debba esser così. E volgendosi al giovanetto, che stringeva le labbra e volgeva gli occhi altrove, soggiungeva: - Non è vero? - Continuando quindi il discorso col padrone: - A tutti i modi, siamo intesi; Lei mi farà questo piacere ed io gliene sarò riconoscente.
- Oh, quando non vuol altro; contento, contentissimo. E il giovanetto compariva all'Oratorio.
Talora D. Bosco cercava di invitare il padrone stesso ed i suoi figli a venirsi a confessare, specialmente in tempo di Pasqua. - Ebbene, signor padrone, quando facciamo Pasqua?
- Siamo cristiani sa! Il nostro dovere lo sappiamo.... ma veda bene, i continui affari... non si ha mica il tempo a disposizione... Basta, vedremo.
- E i suoi figli Pasqua l'hanno già fatta?
- I miei figli voglio che si regolino bene: hanno da fare con me, se mancassero a questo dovere.
- Dunque li manderà?
- Certamente. E quando Lei sarà in comodo?
- Tutte le mattine; ma per essere più sicuri di trovarmi, li mandi sabato a sera.
- Sarà fatto.
Certe volte per i padroni replicava l'invito, ma in ultimo, acconsentivano ed andavano coi loro figliuoli a confessarsi.
[III 137].
E in quanto alla SS. Comunione erano continuamente sulle sue labbra alcune massime, che allievi di questi anni ci ripeterono testualmente:
“ Prima di accostarvi a ricevere l'adorabile corpo di Gesù Cristo dovete riflettere se avete nel cuore le debite disposizioni. Sappiate che quel figlio il quale dopo di aver peccato non vuole emendarsi, cioè a dire, vuole di nuovo offendere il Signore, ancorchè siasi confessato, non è degno di accostarsi alla mensa del Salvatore, e comunicandosi, invece di arricchirsi di grazie, si rende più colpevole, e degno di maggior castigo. Al contrario, se vi siete confessati con un fermo, efficace proponimento di emendarvi, accostatevi pure a ricevere il pane degli Angioli ed arrecherete piacere grandissimo a N. S. Gesù Cristo. Egli stesso quando era visibile su questa terra, sebbene invitasse chiunque a seguirlo, tuttavia dimostrava una benevolenza speciale ai pii ed innocenti fanciulli, dicendo: - Lasciate che questi pargoli vengano a me, e non impediteli! - e dava loro la benedizione.
[III 153].
Cari figliuoli, diceva continuamente, e lo aveva stampato nella prima edizione del Giovane Provveduto, se voi non imparate da giovani a confessarvi bene, correte pericolo di non apprenderlo in vita vostra, e per conseguenza, di non confessarvi mai a dovere, con vostro grave danno e a rischio di vostra eterna salvezza. E prima di tutto vorrei che foste persuasi che qualunque colpa voi abbiate sulla vostra coscienza, vi sarà perdonata nella confessione, purchè vi accostiate colle debite disposizioni ”. E queste disposizioni le insegnava e spiegava, insistendo in modo affettuoso e convincente, sulla sincerità dell'accusa, per così guadagnare la piena confidenza de' suoi giovanetti. Nello stesso tempo sapeva rappresentare alle loro menti la formidabile cosa che è il peccato mortale, e al loro cuore i mille motivi che abbiamo di amare Iddio. “ Il Signore essendo un buon padre, prova grande dispiacere, quando è costretto a condannare qualcheduno all'inferno. Noi eravamo i condannati a morte, e Gesù per salvarci è morto per noi. Vogliamo ancora offenderlo? ” Ed esortandoli a mantenere i proponimenti fatti e a praticare i mezzi suggeriti dal confessore per non cadere mai più in peccato, raccomandava loro di prendere queste tre risoluzioni nelle quali, tutte le altre si concentravano, pregando Maria, la cara loro Madre, ad aiutarli per mantenerle:
1ª Di voler diportarsi in chiesa con grande divozione. 2ª Prestare pronta obbedienza ai genitori e a tutti gli altri Superiori. - 3ª Essere grandemente animati per l'adempimento dei doveri del proprio stato, e di voler lavorare per la maggior gloria di Dio e per la salvezza dell'anima.
[III 159]
In qualche domenica, nella quale, egli era andato a predicare fuori di casa, essi venivano a frotte all'Oratorio, e non trovandolo in cappella, andavano da Mamma Margherita: - Dov'è D. Bosco?
- Non c'è: è andato a Carignano.
- E dove si passa per andare a Carignano? chiedevano alcuni.
- Vedete; si va a Moncalieri e poi c'è lo stradone che mena sino là. E che cosa volete da lui?
- Confessarci!
- Ma ha lasciato qui un prete che tenga il suo posto.
- Noi vogliamo D. Bosco. - E si mettevano anche in viaggio come se Carignano fosse allo svolto della porta. Arrivavano a Carignano verso le 11 antimeridiane, polverosi, stanchi, affamati, e subito cercavano ove fosse D. Bosco.
Appena incontratolo: - Oh, finalmente, caro D. Bosco! Venga ad ascoltarci! Vogliamo confessarci e fare la santa Comunione.
E siete ancora digiuni? S'intende!
D. Bosco scendeva in chiesa, e confessatili li comunicava. Intanto egli era in angustia non essendo possibile rimandarli digiuni. I parroci però pieni di carità lo toglievano d'imbarazzo e commossi per quella pietà, allestivano un po' di pranzo.
[III 162].
Diceva ad alcuno: - Quando verrai a confessarti?
- Quando vuole: vengo anche tutte le domeniche.
- No; io desidero solo che tu venga ogni due o tre domeniche.
- Ebbene; lo farò.
“ Ed io proseguiva: - Perchè vuoi venirti a confessare?
- Per mettermi in grazia di Dio.
- È ciò che importa soprattutto; ma solo per questo?
“ E mi rispondeva: - Per farmi del merito.
- E per altro motivo?
- Perchè il Signore lo vuole.
- E per altro?
“ Il giovane non sapeva più che cosa dire. Allora io gli diceva: - E perchè piace a D. Bosco, che è il tuo amico e cerca il tuo bene.
- A queste parole restavano commossi, mi prendevano la mano, la baciavano e ribaciavano, versando alcune volte lagrime di consolazione. Ciò io diceva per ispirar loro sempre maggior confidenza ”.
Non era l'uomo, ma il sacerdote che loro domandava i cuori per darli a Dio, e a questo fine aveva dettate nel Regolamento dell'Oratorio Festivo le norme pratiche per accostarsi degnamente alle fonti della grazia, Confessione e Comunione, (1).
[IV 586]
D. Cafasso adunque continuava a prestare garanzia per D. Bosco; e dacchè ci si presenta questo nome benedetto, vogliamo fare speciale memoria di chi per circa venticinque anni guidò e soccorse D. Bosco nella vita spirituale e nelle materiali e morali necessità. Era santo il maestro e fu santo il discepolo che avealo scelto per suo confessore, e che ogni settimana si recava a confidargli lo stato della sua coscienza.
D. Cafasso, in S. Francesco d'Assisi, teneva il suo confessionale presso l'immagine della Madonna delle Grazie, ed era sempre assiepato ai lati da una folla che attendeva il suo turno. D. Bosco si inginocchiava per terra vicino ad un pilastro di rimpetto al confessionale per fare la sua preparazione, e vi rimaneva finchè D. Cafasso lo avesse veduto. Allora il confessore, perchè il venerando prete non avesse da perdere troppo tempo, gli faceva cenno alzando la tendina, e quegli a capo chino ed in atteggiamento divoto si approssimava e faceva la sua confessione sul dinanzi del confessionale con edificazione degli astanti. Il Ch. Bellia Giacomo lo accompagnava sempre, finchè frequentò l'Oratorio; e dopo lui altri chierici, e tutti ammiravano il suo contegno, dal quale traspariva la sua fede e la sua umiltà.
[VI 652];
Il 30 giugno si cantò per D. Cafasso la Messa di settima nella chiesa di S. Franceso d'Assisi con una funzione assai modesta. D. Bosco prendeva parte a quanto riguardava i suffragi al santo suo compatriota e nel Convitto trovava sempre il suo sollievo. Si era scelto per nuovo confessore il Teologo Golzio, al quale continuò a confessarsi regolarmente ogni otto giorni. Anche il Teologo era persuaso che il Signore conducesse D. Bosco per vie straordinarie e non si oppose al suo metodo di spirituale direzione anche quando l'Oratorio fu pieno di alunni interni e di chierici. “ Grande era il rispetto che aveva per lui D. Bosco, afferma D. Albera, e così sentito il rispetto e l'amore del Teol. Golzio per D. Bosco, che risolveva di lasciarlo erede dei suoi beni ”.
[XII 170]
Dal medesimo veniamo informati che Don Bosco chiese per lui al Vicariato la facoltà di confessare in Roma; quindi in giorno stabilito questi andava in casa Sigismondi e là si confessava da Don Bosco, il quale poscia si confessava da lui mettendolo, com'egli dice (3), “un poco negl'imbrogli ”.
(3) Lettera di D. Durando a D. Rua, 18 aprile 1876.
A Torino il suo giorno di confessione era il lunedì, perchè in quella mattina i penitenti della casa non solevano essere molti; allora verso le otto compariva Don Giacomelli, che, confessatosi da Don Bosco, ne ascoltava a sua volta la confessione.
[IV 164].
Sono 35 anni che aborrisco preti e religione, ed ora che per la prima volta mi viene in mente questo pensiero, D. Bosco subito me lo indovina! Dunque me la dia pure.
- Sì, volentieri; e che cosa vuole che domandiamo al Signore?
- Che io guarisca.
- Mi rincresce a dirglielo, ma se fosse decretato lassù che ella debba passare all'eternità?
- Ma vuole confessarmi?
- Non parliamo di questo adesso; lasci fare a me: sa quello che le ho promesso: voglio contentarlo: mi ascolti; adunque sono tanti anni, e precisò il numero, che non si è più confessato?
-Et appunto il tempo che ella ha detto, ma sa che io non voglio confessarmi?
- Non parli di questo. Intanto continuava dicendo: Le sue cose in quel tempo andavano in questo e in quell'altro modo. Allora il suo stato era così e così. - E precisava a meraviglia.
- Appunto; ma pare che ella sappia la mia vita!
- Dopo, nella tal circostanza ha fatta questa e quell'altra cosa.
- È proprio vero; mi rincresce, ho fatto male. Oh non vorrei averla fatta. - In tal modo D. Bosco, un per volta, diceva tutti i peccati dell'infermo, il quale diveniva sempre più pensieroso e più commosso e a ogni peccato che D. Bosco gli metteva innanzi esclamava: - Di questo mi rincresce; questo mi avvilisce; ho proprio fatto male! Ad ogni espressione di pentimento D. Bosco gli prendeva la mano e gli diceva: Caro signore, si faccia coraggio. - Queste parole parevano ferire il suo cuore, ed ogni volta che D. Bosco le ripeteva, rendevano più viva la sua commozione e gli facevano cadere una lagrima dagli occhi. Così venne al termine della sua confessione, versando come un fanciullo lagrime dirottissime di vero pentimento. Ricevuta l'assoluzione esclamava. - D. Bosco! Ella mi ha salvato! da principio non mi sarei confessato per qualunque cosa; era disposto a fare qualsiasi bestialità piuttosto che cedere ma lei mi ha saputo prendere con arte, mi ha vinto; grazie adesso farei mille confessioni: il mio cuore è straziato dal dolore, e tuttavia provo una grandissima consolazione, che non ho mai provato, nè avrei potuto immaginare.
[V 62],
L'estrazione della Lotteria era stata fissata pel 27 aprile 1854; ma D. Bosco aveva ottenuto che fosse differita di qualche settimana.
In questi giorni intanto accadeva un fatto degno di nota.
D. Bosco essendo andato nelle sale della Lotteria, fra le molte persone venute a visitare l'esposizone vi fu un signore, il quale gli chiese con istanza di confessarsi. D. Bosco gli disse di recarsi ad attendere un istante nella Cattedrale poco lontana, ove recatosi egli pure, si mise in un banco appartato, aspettando che quel signore gli fosse venuto vicino per confessarlo in quel luogo; ma invece lo vide andare difilato ad inginocchiarsi presso ad un confessionale. Come fare? D. Bosco temeva che il sagrestano venisse a metter lui fuori come un intruso, o peggio che arrivasse il canonico cui apparteneva quel confessionale per confessare qualche suo penitente. Quindi esitò alquanto; finalmente si risolse e andò a confessare. Ma dopo il primo, si presentò il secondo, e a poco a poco sopraggiungendo altri, fu tenuto in quel luogo quasi una mezza giornata.
Fra questi venne un uomo impiegato nell'Oratorio in cerca di un confessore che non lo conoscesse, e visto quel confessionale occupato, andò a porsi in ginocchio e venuto il suo turno si confessò. Nel corso della confessione palesò come si fosse recato a confessarsi in quel luogo, perchè non voleva che D. Bosco venisse a conoscere una mancanza abbastanza grave nella quale si era lasciato incappare nel maneggio, forse, dei danari della casa. Don Bosco ascoltò tutto senza pronunciar verbo e poi gli disse: - Guarda, ti assicuro che D. Bosco saprà nulla, e per tua tranquillità di coscienza anche in avvenire, sappi che egli passa sopra a questa cosa. -Pensate lo stupore di costui nell'accorgersi che si era confessato proprio da quegli al quale non aveva osato manifestare la coscienza. Egli ritornò all'Oratorio tutto consolato, e narrava a Buzzetti Giuseppe lo strano fatto occorsogli.
[V 303].Fra tutte queste vicende l'anno era giunto alla metà di luglio e D. Bosco col Ch. Francesia, il Ch. Turchi e altri loro compagni erano saliti a Sant' Ignazio sovra Lanzo per approfittare dei santi Spirituali Esercizi.
Un empio giornalista era andato a fare gli esercizi, forse più per avere alcuni giorni di riposo in quell'aria buona che non per pensare all'anima sua. Egli aveva scritti e pubblicati molti articoli contro D. Bosco, che però non conosceva di persona. Nei primi giorni, o per essere stato solitario, oppure per aver frequentato persone che non conoscevano D. Bosco, non aveva saputo che l'uomo di Dio si trovava in quel santuario. Mosso dalle prediche, decise di confessarsi, e visto che il confessionale di Don Bosco era frequentatissimo si avviò esso pure a quello. Naturalmente dovette manifestare quale fosse la sua professione e in qual modo in questa avesse mancato. Don Bosco lo ascoltò con ogni bontà, gli diede i consigli necessari e gli impose ciò che la coscienza esigeva. Egli aveva inteso benissimo chi fosse quel signore, il quale benchè incantato dalle sue maniere tutte carità, non aveva ancor pensato a chiedere il nome del suo confessore.
Baciatagli quindi la mano stava per ritirarsi, quando ad un tratto gli balenò alla mente un sospetto. Tornò indietro e chiese al confessore:
-Lei è forse D. Bosco?
- Sono D. Bosco, rispose il confessore, sorridendo. Il giornalista commosso e meravigliato si ritirò colle lagrime agli occhi.
[V 639]
Un giovanotto stato alunno nell'Oratorio, ritornava in Torino, dopo aver esercitato il suo mestiere in molte città d'Italia.
Da ben dieci anni non sì era più confessato, e trovava grande ripugnanza al Sacramento. Un suo parente, esso pure artigiano e antico allievo, lo invitò a fare con lui una visita a D. Bosco, e venuti ambidue in Valdocco lo trovarono in sagrestia, che confessava gli ultimi penitenti.
Il giovanotto aspettava che D. Bosco si alzasse dalla sedia, quando ecco il suo compagno dargli un spintone e gettarlo sbalordito fra le sue braccia. D. Bosco gli disse allora: - Hai paura di me? Non siamo sempre gli amici di una volta? Se ti vuoi confessare è la cosa più facile.
Dirò tutto io. - Il giovane intenerito, incominciò subito la sua confessione e ritornò ad essere un buon cristiano; e ancora oggi giorno ride dello scherzo del suo compagno e narra commosso ciò che Don Bosco gli disse in quel momento.
[IX 692].
- Son ben contento di vederti e che tu mi voglia bene: tu sai che Don Bosco ti ha sempre voluto bene... e che cosa fai tu qui?
- Faccio il negoziante: i miei affari non vanno male; e me la passo in modo che non posso lamentarmi.
- E sei sempre bravo?
- Bravo sì, ma non come vuole lei.
- Come sarebbe a dire?
- Là, non voglio dir di più... sarebbe un parlar male... Ah! dei Don Bosco non ne ho trovato più nessuno! ... ce n'è un solo! ... Da altri non mi sento nè coraggio nè voglia di andarmi a confessare... anzi... per nulla.
- E da Don Bosco?
- A Don Bosco non posso dire di no e in qualunque momento egli voglia io son pronto.
- Ma qui in Asti, oltre di te ci saranno altri miei amici?
- Oh sì! ce ne siamo diversi, che parliamo sempre di Don Bosco e dell'Oratorio, e dopo che abbiamo lasciato l'Oratorio non siamo più stati a confessarci.
- Siamo intesi adunque; venite domani mattina.
- Verrò, sì.
- Ma sarai di parola?
- Forse non sarò capace di perseverare, ma a Don Bosco non mancheremo certamente di parola in nessun modo; mi dica dove va domani a dir messa e verrò io e condurrò anche gli altri.
Prima che rincasasse varii altri ex - allievi si erano avvicinati al Venerabile. E all'indomani 15 giovanotti e padri di famiglia si confessavano da lui e dalle sue mani ricevevano la S. Comunione. Poi lo accompagnarono alla vettura: ove gli si strinsero attorno e, piangendo dalla contentezza, baciandogli la mano ripetevano:
- Grazie, grazie del bene che ci ha fatto, della consolazione che ci ha data. Non solo i signori le vogliono bene, ma tutti, ma anche la povera gente lo ama.
[V 721].
La vigilia della Natività di Maria SS. il giovane Zucca studente era infermo nell'Oratorio per febbri; e giaceva in letto nel dormitorio della sua camerata. A un tratto gli compare a fianco la Vergine benedetta, in aspetto indicibilmente amorevole e maestoso, e gli dice: - Sono venuta perchè voglio molto bene a questa casa: ti dico quello che desidero da ciascuno di voi, e tu lo riferirai confidenzialmente ad ognuno de' tuoi compagni e in modo speciale a quelli di questa camerata. - Dati quindi all'infermo alcuni avvisi, percorse lentamente quella stanza e fermandosi ai piedi di ogni letto, diceva, accennando al giovane che quivi soleva prendere riposo: - A questo dirai così e così. - Giunta a un certo punto, essa indicando il letto del giovane Gastaldi, continuò: - Questo qui poi lo avviserai a nome mio che vada subito a confessarsi, perchè è da Pasqua che non si accosta più ai Sacramenti.
Ritornata vicino al letto di Zucca, soggiunse: - Intanto dirai a D. Bosco questo e questo. Al tuo maestro farai questa commissione da parte mia. - E così gli disse ciò che doveva ripetere a ciascuno della casa. Quindi scomparve.
Di questa prima parte della nostra narrazione il solo giovane privilegiato poteva farne fede; ma di quanto accadde poi fu testimone tutta la comunità, cioè circa due centinaia di persone.
L'infermo da quell'istante era perfettamente guarito, ma la sera essendo già molto avanzata, non si levò. Mandò invece a chiamare i compagni di camerata che si trovavano in ricreazione, facendo dir loro di avere una commissione importante da comunicare. I compagni salirono, e, come esigeva la convenienza, circondarono il suo letto stando alquanto discosti. Egli ad uno ad uno se li fece avvicinare, e disse in segreto ciò che li riguardava. Aveva un aspetto serio, con un'aria d'autorità che imponeva e contrastava col suo viso infantile. I giovani stavano alla sua presenza muti, quasi sbalorditi e riverenti.
Come ebbe finito, disse ad alta voce: - E poi ho bisogno di parlare con Gastaldi!
Gastaldi non era venuto; un compagno corse a chiamarlo, e condottolo al letto di Zucca, questi gli fece la commissione che aveagli affidata la Madonna.
In quell'ora D. Bosco confessava in sagrestia. Gastaldi, udito ciò che la Madonna aveva detto di lui, rispose ad alta voce: - Va bene, vado subito! - Ed uscì dalla camerata per andarsi a confessare. Ma nel discendere le scale cambiò proposito e pensò: Sono tutte storie! Non volendo però aver aria di rifiutare il consiglio dell'amico, entrò in sagrestia, da questa passò nella cappella della Madonna e quivi stato un po' di tempo in ginocchio, per colorare la bugia che voleva dire a Zucca, ritornò in camerata. Nessuno dei compagni si era mosso per osservare ove andasse. Mentre voleva aprir bocca per dire: - Adesso sono contento, - Zucca prende un'espressione in volto che sembrava di profeta, si alza sul letto e gli dice alla presenza di tutti: - Impostore! T'immagini che io non ti abbia veduto? Tu hai fatto così e così. - E gli descrisse il giro fatto, la sua fermata all'altare della Madonna, e quindi riprese: - Ritorna e guarda di non abusare della misericordia di Dio. Va subito!
Gastaldi, confuso all'evidenza del fatto, non osò più contrastare e promettendo che si sarebbe confessato, discese. Zucca, quasi vedesse quanto accadeva con uno sguardo fisso verso la porta, diceva: - Ei discende.... è sotto i portici... entra in sagrestia... s'inginocchia.... adesso si avvicina a D. Bosco... adesso si confessa... va bene.
Dopo un po' di tempo Gastaldi ritornò tutto allegro, e non ebbe nè bisogno nè tempo per riferire ciò che era accaduto, perchè Zucca gli disse subito: - Adesso sì che puoi dirti contento: ma guarda di continuare ad essere buono, perchè la Madonna mi disse che tu devi mutar vita, altrimenti il castigo sta preparato.
L'indomani Zucca, con meraviglia di tutti, era in cortile. In quel giorno aveva un'aria come d'ispirato, si avvicinava ai singoli compagni e loro faceva, traendoli da parte, la commissione della Madonna. Quando egli si allontanava, lasciava il compagno meditabondo. Nessuno osava ridere. Anche a D. Bosco riferì ciò che la Madonna aveagli comandato di dire. Si presentò al Chierico suo maestro il quale era tale, e per la stima che gli portavano i suoi scolari e per l'autorità che aveva su di essi, che nessuno avrebbe certamente osato fargli un'osservazione. Ancora nulla egli sapeva, e a un tratto gli si presenta Zucca,,e all'udirlo parlare in nome della Madonna e al modo autorevole col quale gli stava davanti, sentissi preso da tale riverenza che non replicò parola. Si sentiva di essere come davanti ad un suo superiore. E le parole dettegli da Zucca erano così caratteristiche che non davano luogo ad abbaglio.
Gastaldi poi si mantenne sempre buono, lasciò di studiare, abbracciò l'arte tipografica nell'Oratorio, e morì di apoplessia verso il 1886
[VI 38].
Altra volta D. Bosco fu invitato a recarsi presso un notaio infermo, parrocchiano del Carmine. Inutile era ogni sforzo di preti per ricondurlo a Dio. D. Bosco che nel passato era in qualche attinenza con lui, accondiscese a visitarlo. Fu ricevuto con molta cortesia ma freddamente. Al solito egli si dimostrò premuroso di chiedere notizie della malattia, affettuoso nel confortare il paziente, e gioviale nel rallegrarlo co' suoi discorsi. Il notaio rimase incantato. D. Bosco entrò quindi ad accennare alle cose dell'anima, ma quel signore messosi sull'avviso: - Cambiamo discorso gli disse; saprà già che i miei principii .....Io non mi indurrò mai a confessarmi.
- E perchè ?
- Perchè non credo alle cose di religione. Veda là quei libri tengo sul tavolino.
D. Bosco si appressò al tavolino e prese uno di quei volumi. Erano le opere di Voltaire e quindi:
- E con questo?
- Capisce! uno il quale abbia le convinzioni di questo illustre autore, non avrà mai la debolezza di confessarsi.
- E lei chiama debolezza il confessarsi? E non sa che questo uomo, col quale lei dice di dividere i principii, quest'uomo che dice illustre, in punto di morte voleva confessarsi?
- Oh questo poi...
- Certo; e si sarebbe confessato se i suoi amici barbaramente non glielo avessero impedito. - E qui D. Bosco gli narrò qual fosse stata la morte di Voltaire.
Quel signore ascoltava con interesse e commozione sempre crescente e D. Bosco concludeva.
- Ora le dirò come io abbia speranza che Voltaire si sia salvato!
- Possibile! - esclamò l'ammalato con un tremito in tutta la persona.
- Possibilissimo! Nella Santa Scrittura di un solo si dice apertamente che si sia dannato: Giuda. Degli altri il Signore non volle che sapessimo la sorte nell'eternità, perchè conservassimo speranza della loro salvezza.
- Che si sia salvato Voltaire dopo tutto quello che ha detto, fatto, scritto?
- Dio è tanto buono, tanto misericordioso, o mio caro signore. Un atto di amore basta a scancellare qualunque colpa.
- Voltaire salvo!
- Io posso tenere la mia opinione. Quindi posso tener per certo che si sia salvato. Infatti che cosa gli mancò? Il desiderio di confessarsi l'aveva, il suo dolore era straziante; fu solo disgraziato, perchè non ebbe il prete. Ma in quel momento che precedette la morte, quando si vide vicino a perdersi, se cessato l'orrore della disperazione, avesse concepito un atto d'amore di Dio, quindi di vero pentimento, è certo, è di fede che si sarà salvato.
L'infermo taceva e, dopo aver alquanto pensato, esclamò risolutamente: - Voglio confessarmi. Prenda quei libri non li voglio più in casa mia: ne faccia lei quello che vuole! - Si confessò, alle otto della sera ricevette il Santo Viatico, alle dieci gli fu dato l'olio santo e la benedizione papale e prima della mezzanotte moriva con veri sentimenti di fede, di dolore, di confidenza e di carità, lasciando in tutti la più soave speranza di sua eterna salute.
VI 322-3]
3 DICEMBRE 1859.
Dalla confidenza in generale coi superiori ieri sono passato a parlarvi della particolare che dovete avere col confessore: quindi il fioretto sarà: Sincerità piena assoluta in confessione. Non abbiate paura di manifestare al confessore i vostri difetti, le vostre mancanze. L'essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna: oh no! Purtroppo tutti siamo soggetti a commetterne. L'essere buono consiste in ciò: nello aver volontà di emendarsi. Perciò quando il penitente manifesta qualche mancanza al confessore, sia pur grave questa mancanza, il confessore guarda alla volontà e non fa le meraviglie: anzi prova la maggiore delle consolazioni che possa provare a questo mondo, vedendo che quel tale gli ha confidenza, che desidera di vincere il demonio e mettersi in grazia di Dio, che vuole avanzarsi nella virtù. Nulla, o miei cari figliuoli, vi tolga questa confidenza. Non la vergogna: le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontar miracoli! Bisognerebbe che ci vi credesse impeccabili e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non la paura che il confessore possa palesare un segreto così terribile per lui, poichè la minima venialità palesata basterebbe a farlo condannare all'inferno. Non il timore che si ricordi poi di ciò che avete confessato: fuori di confessione è suo dovere il non pensarvi. Il Signore ha già permesso ogni sorta di delitti. Ha permesso che Giuda lo tradisse, che Pietro lo negasse, che preti si facessero protestanti, ma non ha mai permesso che un confessore dicesse la più piccola cosa udita in confessione. Coraggio adunque, o figliuoli miei; non facciamo ridere il demonio. Confessatevi bene, dicendo tutto. Alcuno domanderà: E chi avesse taciuto qualche peccato in confessione come deve fare a rimediarvi? Guardate: al mattino se mettendomi la veste e abbottonandola salto un bottone, che cosa faccio? Sbottono tutta la veste, finchè arrivo dove c’è il bottone rimasto fuori di posto. Così chi ha da rimediare ad un peccato taciuto, rifaccia tutte le confessioni fino a quella, nella quale tacque il suo peccato e così tutti i bottoni saranno a posto e la veste non farà gobba. Lo dice il Catechismo. Dall'ultima confessione ben fatta fino a quella che si vuol fare. Da bravi, figliuoli! Con una parola si tratta di schivare l'inferno e guadagnarvi il paradiso. E cosa di un momento: il confessore vi aiuterà e voi sapete che siamo amici e desidero una cosa sola; la salvezza dell'anima vostra.
[VI 386].
Sceso poi in cortile e circondato subito da una folla di allievi, che da qualche anno vivevano nell'Oratorio, i novelli discepoli si accalcavano dietro a costoro, o perchè non osavano avvicinarsi a D. Bosco, o farsi strada per essere più vicini a lui. D. Bosco allora li chiamava a sè e sottovoce, in santa confidenza diceva or all'uno or all'altro di essi: - Se ti farai buono saremo amici. - D. Bosco ti vuol bene e vuole aiutarti a salvare l'anima tua. - Il Signore ti ha qui mandato, perchè tu fossi sempre più buono e più virtuoso. - La Madonna aspetta che le regali il tuo cuore. - Il Signore vuole fare di te un S. Luigi.
D. Bosco assicurava che i giovani presi così, sono contenti, aprono il loro cuore, incominciano a far bene, diventano amici col Superiore e sono guadagnati, perchè ripongono in lui piena confidenza. Dir loro subito e chiaro senza ambagi ciò che si vuole da essi pel bene dell'anima, dà la vittoria sui cuori. D. Bosco ne trovò ben pochi che resistessero a queste maniere. Egli asseriva che all'entrata di un giovane se il Superiore non dimostra amore per la sua eterna salute, se teme di entrare a parlare prudentemente di cose di coscienza, se parlando dell'anima usa mezzi termini, ovvero parla in modo vago, ambiguo di farsi buoni, di farsi onore, ubbidire, studiare, lavorare, non produce alcun effetto giovevole, lascia le cose come sono, non si guadagna l'affezione; e sbagliato quel primo passo non è tanto facile correggerlo. Questo ammonimento è frutto di lunghissima esperienza. - Il giovane, ripeteva sovente D. Bosco, ama più che altri non creda che si entri a parlargli de' suoi interessi eterni, e capisce da ciò chi gli vuole e chi non gli vuole veramente bene. Fatevi adunque vedere interessati per la sua eterna salute.
Con tali modi D. Bosco invitava i giovani ad andarsi a confessare, poichè l'idea di anima ha per strettissimo correlativo quella di confessione; ed essi intendevano che se avessero voluto giovarsi del suo ministero, li avrebbe ben volentieri aiutati. Ma nel fare tale invito usava singolare destrezza e moderazione memore della gran massima che la confidenza vuole essere guadagnata e non imposta. Adattava perciò gli avvisi alle varie indoli, in modo da non riuscire molesto, ma sibbene di dolce conforto.
A taluno, che D. Bosco scopriva un po' restio a fare questo primo passo, per vincere la ripugnanza, che quegli aveva a confessarsi, soleva dirgli scherzando: - Quando ti preparerai a fare la tua confessione generale della vita futura ?
Sorridendo il giovane rispondeva: - Della vita futura? Questa non si può fare!
- Hai ragione, ripigliava allora D. Bosco. La faremo della vita passata: ma sta tranquillo. Quello che tu non saprai dire, lo sa D. Bosco.
Talora metteva attorno a tali giovani un buon compagno, il quale divertendosi con essi rivolgesse loro qualche consiglio acconcio e in bel modo li invitasse a fargli compagnia nell'andarsi a confessare il tal giorno, la tale ora; e con queste ed altre amorevoli industrie, li guadagnava o li conservava a Dio e rendevali altresì modelli di virtù e di perfezione cristiana.
Soffriva poi grandemente nel vedere talvolta alcuni dei novelli star solitarii e coll'aspetto melanconico, temendo le insidie del nemico del bene. Allora li chiamava a sè, rivolgeva loro qualche amorevole interrogazione, con particolare interesse li presentava a qualcuno dei migliori allievi, facendogliene l'elogio e raccomandandogli che trovasse il modo di ricreazione più gradito ai nuovi amici; e non si acquietava finchè non li avesse affezionati a sè, alla casa, avviati alle loro occupazioni e principalmente alle pratiche religiose.
Prima cosa adunque che D. Bosco esigeva da un giovanetto nel suo entrare in collegio era la riforma morale, il cui principio sta in una buona confessione. Egli potevasi ben dir maestro in questa riforma, e da tutto conoscevasi l'efficacia ammirabile de' suoi consigli. Oltre a ciò era un modello di cristiana e paterna amorevolezza. Il Teol. Can. Ballesio Giacinto nella sua Vita intima di D. Giovanni Bosco, così si esprime: “ Amante ed espansivo, schivava nel suo governo con noi il formalismo artificiale ed il rigorismo che pone come un abisso tra chi comanda e chi obbedisce; ed esercitava l'autorità, ispirando rispetto, confidenza ed amore. E le anime nostre gli si aprivano con intimo, giocondo e totale abbandono. Tutti volevamo confessarci da lui, che a questa santa e ad un tempo dura fatica consecrava da sedici a venti ore per settimana e ciò con tutto il suo da fare e per tanti anni! Sistema questo direi più unico che raro tra superiore e dipendenti; sistema dei santi (e solo di questi) che dà agio a conoscere l'indole e saviamente piegarla e sprigionarne le recondite energie ”.
La confessione era anche preparazione alla Comunione e questa molto frequente è un mezzo assolutamente necessario per conservare la moralità in una casa di educazione. Per le sue esortazioni continue un gran numero di giovani la facevano tutti i giorni, altri ancor più numerosi più volte alla settimana, quasi tutti almeno una volta ogni domenica, i più negligenti ogni quindici giorni o una volta al mese.
[VI 626-7].
Seconda perquisizione nell'Oratorio -D. Bosco
Non ebbero nessun riguardo e ce ne porge una prova l'interrogatorio seguente fatto subire al giovane Costanzo.
- Da chi vai a confessarti?
- Da D. Bosco.
- È da molto tempo?
- Due anni che sono in questa casa, sono sempre andato da lui.
- Ci vai volentieri?
- Ci vado molto volentieri.
- Che cosa ti dice di bello in confessione?
- Mi dà dei buoni consigli.
- Dimmene qualcuno; desidero tanto di conoscerli.
- Ho udito a dire che le cose ascoltate in confessione non va bene ripeterle al di fuori. Del resto, se lei desidera aver dei buoni consigli, potrebbe andarsi a confessare da D. Bosco e son sicuro che gliene darebbe finchè ne vuole.
- Ora non ho tempo. Ma dimmi: non ti dice che il Papa è un santo?
- Dice che il Papa si chiama Santo Padre; e io credo benissimo che egli sia Santo, perchè è molto buono ed è il Vicario di Gesù Cristo.
- Non ti dice che sono scellerati coloro, i quali gli hanno tolto una parte dei suoi Stati?
- Queste cose non appartengono alla confessione.
- Ma queste cose non sono peccati?
- Se sono peccati ci pensino i colpevoli, quando vanno a confessarsi. Io non le ho fatte, e perciò non sono tenuto a confessarle.
Da ciò ognuno si faccia idea del resto.
O fosse per la stanchezza o per la convinzione di non poter trovare il corpo del delitto, i perquisitori, dopo quasi 7 ore d'inutile fatica, desistettero dall'ignobile impresa e giudicarono di andarsene.
[VI 903]
Vuoi vedere i tuoi ragazzi tali e quali sono al presente? Quali saranno in futuro ? E li vuoi tu contare ?
- Oh sì, sì.
- Vieni adunque.
Allora egli trasse fuori, non so di dove, una grossa macchina, la quale non saprei descrivere, che aveva dentro una grande ruota e la piantò per terra. - Che cosa significa questa ruota? domandai.
Mi fu risposto: - L'Eternità nelle mani di Dio! - E prese la manovella di quella ruota e la fece girare: quindi mi disse: - Prendi il manubrio e dà un giro.
Così feci; e mi soggiunse: - Ora guarda là dentro. - Osservai la macchina e vidi esservi un gran vetro in figura di una lente, largo un metro e mezzo circa, che si trovava nel mezzo della macchina, fisso alla ruota. Intorno a questa lente stava scritto: Hic est oculus qui humilia respicit in coelo et in terra. Subito misi la faccia su quella lente. Guardai. Oh spettacolo! Vidi là entro tutti i giovani dell'Oratorio. - Ma come è possibile questo? diceva fra me. Fino adesso ho visto nessuno in questa regione ed ora vedo tutti i miei figli! Non si trovano essi tutti a Torino? - Guardai al disopra ed ai lati della macchina, ma fuori di quella lente niente vedeva. Alzai la faccia per fare le mie meraviglie con quell'amico, ma dopo qualche istante egli ordinommi di dare un secondo giro alla manovella e vidi una singolare e strana separazione dei giovani. I buoni divisi dai cattivi. I primi erano raggianti di gioia. I secondi, che però non erano molti, facevano compassione. Io li riconobbi tutti, ma come erano diversi da quelli che i compagni li credevano. Gli uni avevano la lingua bucata, altri gli occhi compassionevolmente stravolti, altri oppressi da male al capo per ulceri ributtanti, altri avevano il cuore roso dai vermi. Io più li guardava tanto più mi sentiva afflitto dicendo: - Ma è possibile che questi siano i miei figli ? Non capisco che cosa vogliano significare queste così strane infermità.
A tali mie parole, colui che mi aveva condotto alla ruota, mi disse: -Ascolta me: la lingua forata significa i discorsi cattivi; gli occhi guerci coloro che interpretano e apprezzano stortamente le grazie di Dio preferendo la terra al cielo; la testa ammalata è la noncuranza de' tuoi consigli, la soddisfazione de' proprii capricci; i vermi sono le malvagie passioni che rodono i cuori: vi sono anche dei sordi che non vogliono udire le tue parole per non metterle in pratica.
Quindi mi fece un cenno ed io dato un terzo giro alla ruota applicai l'occhio alla lente dell'apparecchio. Vi erano quattro giovani legati con grosse catene. Li osservai attentamente e li conobbi tutti. Chiesi spiegazione allo sconosciuto, e mi rispose: - Lo puoi sapere facilmente: sono quelli che non ascoltano i tuoi consigli e, se non mutano costume, sono in pericolo di essere messi in prigione e di marcirvi pei loro delitti o gravi disobbedienze. - Voglio prendere nota del loro nome per non dimenticarlo, io dissi; ma l'amico rispose: -Non fa duopo; sono tutti notati: eccoli scritti in questo quaderno! -
Mi accorsi allora di un libretto che egli teneva in mano. Mi comandò di dare un altro giro. Obbedii e mi posi nuovamente a guardare. Si vedevano sette altri giovani, i quali stavano tutti fieri, in contegno diffidente, con un lucchetto alla bocca che chiudeva le loro labbra. Tre di costoro si turavano eziandio le orecchie colle mani. Mi alzai nuovamente dal vetro: voleva estrarre il taccuino per notare colla matita i loro nomi, ma quell'uomo disse: - Non fa di bisogno; eccoli qui notati su questo quaderno, che non mi lascia mai. - E assolutamente non volle che scrivessi. Io stupito e addolorato per quella stranezza, domandai per qual motivo il lucchetto stringesse le labbra di quei tali. Egli mi rispose: - E non lo intendi? Questi sono coloro che tacciono.
- Ma che cosa tacciono?
- Tacciono! - Allora capii che ciò voleva significare per rispetto alla confessione. Sono coloro che, anche interrogati dal confessore, non rispondono, o rispondono evasivamente, o contro la verità. Rispondono no, quando è si.
L'amico continuò: - Vedi quei tre che, oltre il lucchetto alla bocca, hanno le mani alle orecchie? quanto è deplorevole la loro condizione! Questi sono quei tali che non solo tacciono in confessione, ma non vogliono in nessuna maniera ascoltare gli avvisi, i consigli, i comandi del confessore. Essi sono quelli che udirono le tue parole, ma non le ascoltarono, non vi diedero retta. Potrebbero metter giù quelle mani, ma non vogliono. Gli altri quattro ascoltarono le tue esortazioni, raccomandazioni, ma non ne approfittarono.
- E come debbono fare per togliersi quel lucchetto?
- Ejiciatur superbia e cordibus eorum.
- Io avviserò tutti costoro, ma per quelli che hanno le mani alle orecchie ci è poca speranza.
Quell'uomo diede poi a me un consiglio: cioè che quando si dicono due parole in pulpito, una sia intorno al far bene le confessioni. Promisi che avrei obbedito. Non voglio dire di regolarmi assolutamente così, perchè mi renderei noioso; ma farò il possibile per inculcare spesse e spesse volte questa massima necessaria. Infatti è più grande il numero di coloro che si dannano confessandosi, che di coloro che si dannano per non confessarsi, perchè anche i più cattivi qualche volta si confessano, ma moltissimi non si confessano bene.
Quel personaggio misterioso mi fece dare un altro giro di ruota.
Detto, fatto. Guardai e vidi tre altri giovani in un pauroso atteggiamento. Avevano ciascuno un grosso scimione sulle spalle. Osservava attentamente e vidi che i scimioni avevano le corna. Ciascuna di quelle orribili bestiacce colle zampe davanti stringeva un infelice al collo talmente stretto, che lo faceva venir rosso ed infiammato in volto, quasi schizzandogli fuori dalle orbite gli occhi iniettati di sangue; colle zampe di dietro lo serrava nelle coscie dimodocchè a stento poteva muoversi, e colla coda, che andava giù fino a terra, lo avvolgeva ancora attorno alle gambe, sicchè gli rendeva più difficile e quasi impossibile il camminare. Questo significava quei giovani che dopo gli esercizii sono in peccato mortale, specialmente d'impurità e d'immodestia, rei di materia grave contro il sesto comandamento. Il demonio li stringeva al collo non lasciandoli parlare quando dovrebbero: li faceva venir rossi in faccia al punto che perdono il cervello e non sanno più quel che si facciano, rimanendo poi legati da vergogna fatale, la quale invece di condurli a salute li conduce a perdizione; per le sue strette loro faceva schizzar gli occhi fuori dal capo, per cui non son capaci di vedere la loro miseria, e i mezzi per uscire da questo orribile stato, perchè trattenuti da una paurosa apprensione e ripugnanza dei Sacramenti.
GIANNI ASTI
Don Bosco confessa i suoi ragazzi
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INDICE
Presentazione a cura di Don Emilio Zeni . . . . pag. 3
Introduzione ............................................ » 5
Don Bosco confessa Domenico Savio
Il confessore, vera guida spirituale dell'adolescente » 7
Don Bosco confessa Michele Magone
Un vero trattato sulla confessione ............. » 11
Don Bosco confessa Francesco Besucco
L'importanza della confessione generale
e la necessità di avere un confessore stabile » 24
Don Bosco confessa Francesco Piccollo
La confidenza con il confessore facilita la sincerità del giovane penitente » 30
Don Bosco confessa Luigi Orione
La formazione della coscienza dell'adolescente e l'accompagnamento vocazionale nella confessione » 34
Don Bosco confessa Evasio Garrone
La bontà del confessore apre il cuore del giovane
penitente alla confessione e alla vocazione » 39
Don Bosco confessa Paolo Falla
La pazienza del confessore .................. pag. 42
Don Bosco confessa Giovanni
L'arte dí conquistare il cuore del penitente » 46
Don Bosco confessa un diciassettenne
I benefici della confessione frequente ...... » 51
Don Bosco confessa due giovani
La fedeltà alla confessione nell'età adulta: il frutto di una buona abitudine presa nell'adolescenza » 56
Don Bosco confessa in sogno i suoi ragazzi
Le condizioni necessarie per fare delle buone confessioni » 60
Don Bosco confessa un ragazzo dopo averlo richiamato da morte
La confessione spalanca il Paradiso e salva dalla perdizione eterna » 65
Don Bosco confessa un giovane morente
L'eco degli scandali nell'animo degli adolescenti . » 70
Don Bosco confessa i suoi ragazzi
Una bella fotografia di Don Bosco confessore ed un prezioso suggerimento per gli educatori . . . » 74
Presentazione
Con meticolosa cura, come è nel suo stile, Don Gianni, mese dopo mese, ha offerto ai lettori della nostra rivista edificanti storie di Don Bosco che, pur tra preoccupazioni di ogni genere, sapeva dedicare tempo e fatiche al ministero della Confessione che egli riconosceva mezzo efficacissimo per la crescita umana e cristiana di un giovane.
Ora, queste pagine di storia raccolte in un unico volumetto offrono, insieme ad una lettura più continuativa, un quadro straordinario di umanità, di grazia, di saggezza pastorale con cui Don Bosco seppe donare ai suoi giovani la pace dell'anima e quella visibile gioia di vivere che traspariva sui loro volti.
L'autore, che conosce l'anima degli adolescenti per la sua esperienza maturata nel quotidiano ministero della Confessione e di guida spirituale, nelle brevi e talvolta commoventi e singolari storie che racconta, attinte ai testi delle Memorie Biografiche e dalle testimonianze degli stessi protagonisti, ha colto l'essenza del cuore pastorale di Don Bosco, il movente che lo ha condotto a trascorrere ore e ore al confessionale: assicurare l'inestimabile dono della Grazia di Dio, distruggere la devastante azione del peccato che consuma l'esuberante splendore dell'animo giovanile, spinto da quell'incontenibile amore per i suoi giovani che voleva felici qui e nell'eternità.
Una raccolta di fatti la cui lettura farà bene ai sacerdoti chiamati per vocazione al ministero pastorale incoraggiandoli a dare tempo e cuore, come Don Bosco, al sacramento della Riconciliazione. Ma sarà certamente utile anche ai giovani stessi che distratti da troppe illusioni, potranno trovare qui i segreti di quella gioia e allegria che cercano e che, proprio grazie alla pace dell'anima e per la forza del sacramento della Confessione, regnava sovrana tra i ragazzi dell'Oratorio di Don Bosco.
DON EMILIO ZENI
Introduzione
Tra i quattordicimila ragazzi che passano ogni estate al Colle Don Bosco per trascorrere una giornata speciale, organizzata dai vari centri estivi di «Estate Ragazzi», ricordo un piccolino delle elementari, che al momento delle confessioni, precipitandosi verso uno dei confessori che erano a disposizione, ha esordito in un modo simpatico dicendo: «Sono qui per confessarmi da Don Bosco».
Quanti ragazzi, adolescenti, giovani, adulti, visitatori giungono al Colle come pellegrini e ne approfittano per accostarsi al sacramento della confessione.
Per loro è un po' come incontrare Don Bosco, che è stato l'apostolo della confessione, paragonato in questo solo al santo Curato d'Ars.
La grande stima che Don Bosco aveva del sacramento della confessione l'ha manifestata servendosene come una colonna del suo sistema educativo. Nella vita di san Domenico Savio scrive: «È comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della confessione e della comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella età giovanile, giungere all'età adulta ed arrivare, se così piace a Dio, fino alla tarda vecchiaia, con una condotta, che è l'esempio di tutti quellfche lo conoscono».
Don Bosco non ha solo esercitato il ministero delle confessioni, ma ha pure svolto un'opera instancabile di istruzione pratica e pastorale per guidare i fedeli e soprattutto i giovani ad una pratica sempre più fruttuosa di tale sacramento.
Ci riproponiamo di continuare questa sua opera presentando ciò che lui diceva ai suoi ragazzi circa la confessione, e come li aiutava a vivere bene questa straordinaria esperienza della misericordia di Dio.
Soprattutto desiderava farli incontrare con quel Gesù Buon Pastore che gli era apparso nel sogno dei 9 anni; perciò nel ministero delle confessioni manifestava tutta l'amorevolezza e quella paternità spirituale attinta dalla sua costante unione con Dio.
In particolare, nelle tre biografie di Domenico Savio, Michele Magone e di Francesco Besucco, Don Bosco ha alcune pagine quasi identiche sulla confessione.
Questo significa che i suggerimenti contenuti in quelle pagine sono importanti, e tengono conto delle difficoltà proprie degli adolescenti nell'accostarsi e fruire di questo sacramento. Per questo Don Bosco, scrivendo per i suoi ragazzi, si rivolge anche ai sacerdoti invitandoli ad accogliere con benevolenza questa particolare categoria di penitenti, a cui devono essere riservate le cure migliori.
Alcuni dei ragazzi confessati sono diventati famosi, altri ci sono forse sconosciuti.
In ogni incontro, e per ogni ragazzo, Don Bosco ha qualcosa da insegnare anche a noi.
Il confessore, vera guida spirituale dell'adolescente
È il ragazzo più famoso. Nella Vita del giovanetto Domenico Savio, pubblicata nella collana delle «Letture Cattoliche», Don Bosco ci parla della sua frequenza ai sacramenti della confessione e comunione: «Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due sacramenti una volta al mese, secondo l'uso delle scuole. Poi li frequentò con assai maggiore assiduità. Un giorno udì dal pulpito questa massima: Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cambiatelo senza necessità. Domenico comprese l'importanza di questi consigli».
Don Bosco insiste sulla frequenza al sacramento della confessione perché sa che gli adolescenti spesso sono incostanti. Si entusiasmano anche delle esperienze spirituali, ma poi si scoraggiano facilmente o sono deboli nella volontà. Perciò hanno bisogno di chi ricordi loro gli impegni presi e li aiuti a non arrendersi davanti ai fallimenti.
Egli sottolinea l'importanza della scelta di un confessore, che diventi la loro guida spirituale, il medico e l'amico dell'anima, che li aiuti a discernere i doni che Dio fa a ciascuno ed il progetto che ha per ognuno.
Per questo è necessario che il confessore conosca di ogni adolescente il cammino spirituale fatto e le difficoltà incontrate, insieme ai segni che il Signore dona a ciascuno per la vocazione futura.
Ecco allora il suggerimento della confessione generale. Scrive infatti di Domenico: «Cominciò a scegliersi un confessore, che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinché questi potesse poi formarsi un giusto giudizio della sua coscienza, volle, come egli disse, fare la confessione generale. Poi cominciò col confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi con la medesima frequenza».
La confessione generale suppone un sacerdote a cui il ragazzo osi aprire il proprio cuore, e questa è la cosa più difficile da ottenere da un adolescente, che è geloso dei propri segreti, che non sa come esprimere i suoi peccati, o ha paura di perdere la stima di quel sacerdote amico se viene a conoscere le sue debolezze, delle quali prova vergogna e allo stesso tempo ne è schiavo e non sa come liberarsene.
È questa la confidenza sulla quale insisterà tanto questo santo educatore, perché sa che è così difficile da ottenere dagli adolescenti. Sempre nella vita di Domenico Savio così scrive Don Bosco: «Aveva con luí una confidenza illimitata. Anzi, gli parlava con tutta semplicità delle cose di coscienza anche fuori di confessione».
Ricordando la confidenza di Domenico nei suoi confronti, forse Don Bosco rivive quella che lui, quattordicenne, aveva avuto in Don Calosso. Di questa sua prima guida spirituale dirà scrivendo nelle Memorie dell'Oratorio: «Io mi sono subito messo nelle mani di Don Calosso... Gli feci conoscere tutto me stesso. Ogni parola, ogni pensiero, ogni azione gli era prontamente manifestata. Conobbi allora che cosa voglia dire avere una guida stabile, un fedele amico dell'anima, di cui fino a quel tempo ero stato privo».
Don Bosco ricorda la fedeltà di Domenico ai suoi insegnamenti: «Qualcuno lo aveva consigliato a cambiar qualche volta confessore, ma egli non volle mai arrendersi: "Il confessore — diceva — è il medico dell'anima, né mai si suole cambiare medico se non per mancanza di fiducia in lui, o perché il male è quasi disperato. Io non mi trovo in questi casi. Ho piena fiducia nel confessore che con paterna bontà e sollecitudine si adopera per il bene dell'anima mia; né io vedo in me alcun male che egli non possa guarire". Tuttavia il direttore ordinario lo consigliò a cambiar qualche volta confessore, specialmente in occasione degli esercizi spirituali; ed egli senza opporre difficoltà ubbidiva prontamente. Il Savio godeva di sé medesimo. "Se ho qualche pena in cuore, — egli diceva, — vado dal confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacché Gesù Cristo ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di Dio... Con questi pensieri Domenico viveva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni"» (Vita di Domenico Savio, scritta da Don Bosco).
La gioia e la pace che Domenico prova è la stessa che sentono gli adolescenti quando trovano nel sacerdote una guida spirituale che li introduce nell'amicizia con Dio.
Il mezzo più sicuro per vivere felici
Accogliamo la conclusione che Don Bosco mette alla fine della vita di Domenico, come un suggerimento anche per noi, circa la fedeltà al sacramento della confessione: «Ma non manchiamo d'imitare il Savio nella frequenza del sacramento della confessione, che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu la guida sicura che lo condusse ad un termine di vita così glorioso. Accostiamoci con frequenza e con le dovute disposizioni a questo bagno di salute nel corso della vita; ma tutte le volte che ci accosteremo non manchiamo di volgere un pensiero alle confessioni passate, per assicurarci che siano state ben fatte e, se ne scorgiamo il bisogno, rimediamo ai difetti che per caso fossero occorsi. A me sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, alla fine dei quali vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora con l'ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro a nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà, per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci, come spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità, per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Così sia».
Quello sguardo alle confessioni passate, cui accenna Don Bosco, ci introduce alle riflessioni che continueremo insieme, rileggendo le pagine da lui scritte sulla confessione nella vita di Michele Magone.
PARTE PRIMA
Come superare la vergogna nel confessare i peccati e riparare le confessioni insincere
Un vero trattato sulla confessione Don Bosco lo scrive narrando la vita di Michele Magone, ed in particolare la sua prima confessione a Valdocco. Questo povero ragazzo, tredicenne, orfano di papà, vive sulla strada, ed è destinato alla delinquenza e alla triste esperienza del carcere. Don Bosco lo incontra, in una sera nebbiosa di autunno, alla stazione di Carmagnola. Sotto la scorza provocatoria di un piccolo capobanda, intuisce il cuore buono di Michele e lo invita a Torino, all'Oratorio di Valdocco.
L'arte educativa di Don Bosco porterà Michele all'esperienza di Dio e del suo amore; partendo dalla sua passione per il gioco, lo guiderà alla gioia del cuore, frutto della grazia, e Michele vivrà i suoi doveri di studio e di servizio ai compagni come preparazione a quel grande ideale della vocazione sacerdotale che lui, pur essendo un birbante, ha sentito nel cuore.
Racconta Don Bosco scrivendone la vita: «Il nostro Michele si trovava da un mese all'Oratorio, e di ogni occupazione si serviva come mezzo per far passare il tempo. Egli era felice purché potesse fare salti e star allegro, senza riflettere che la vera contentezza deve partire dalla pace del cuore, dalla tranquillità di coscienza. Quando, all'improvviso, cominciò a venire meno quella smania di trastullarsi, mostrandosi alquanto pensieroso, non prendendo parte ai giochi, se non invitato».
Un compagno
per angelo custode
In questo contesto, Don Bosco sottolinea il ruolo che affida ai suoi giovani migliori, facendoli suoi collaboratori nel guadagnare a Dio le anime dei compagni.
Anche nel caso di Michele, è un giovane l'«angelo custode» che lo prepara alla confessione e al successivo intervento di Don Bosco. Il giovane si accorge infatti che Michele è preso dalla malinconia, perché vede i compagni pregare volentieri, accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione, mentre lui non può, e sente il rimorso e la vergogna dei peccati commessi negli anni passati nell'ozio e nelle bravate, con la sua banda di amici. L'amico al momento opportuno gli dà il suggerimento decisivo:
«"Non affannarti: va' dal confessore, aprigli lo stato della tua coscienza; egli ti darà tutti i consigli che ti saranno necessari. Quando noi abbiamo dei fastidi facciamo sempre così; e perciò siamo sempre allegri".
"Questo va bene" — rispose Michele, ma... ma... e si mise a piangere».
L'occhio attento di Don Bosco coglie la crisi di Michele, e gli è paternamente accanto, pronto a conquistare la confidenza dell'adolescente. Quanti sacerdoti e quanti educatori sono così attenti con i loro giovani, da accorgersi delle loro crisi e sofferenze ed arrivare, al momento opportuno, al loro cuore?
«Io seguivo quanto accadeva in lui, perciò un giorno lo mandai a chiamare e gli parlai così:
"Caro Magone, io avrei bisogno che mi facessi un piacere; ma non vorrei un rifiuto".
"Dite pure — rispose arditamente — dite pure, sono disposto a fare qualunque cosa mi comandiate".
"Io avrei bisogno che tu mi lasciassi un momento padrone del tuo cuore, e mi manifestassi la ragione di quella malinconia che da alcuni giorni tí va tormentando".
"Sì, è vero, quanto mi dite, ma... ma io sono disperato e non so come fare".
Proferite queste parole, diede in un pianto dirotto. Lo lasciai sfogare alquanto; quindi, a modo dí scherzo, gli dissi:
"Come! Tu sei quel generale Michele Magone capo di tutta la banda di Carmagnola? Che generale sei! Non sei più in grado di esprimere colle parole quanto ti fa soffrire nell'animo".
"Vorrei farlo, ma non so come cominciare; non so esprimermi".
"Dimmi una sola parola, il resto lo dirò io".
"Ho la coscienza imbrogliata...".
"Questo mi basta; ho capito tutto. Avevo bisogno che tu dicessi questa parola, affinché io potessi dirti il resto... Ascolta dunque: se le cose della tua coscienza sono aggiustate nel passato, preparati soltanto a fare una buona confessione, esponendo quanto ti è accaduto di male dall'ultima volta che ti sei confessato. Che se per timore o per altro motivo, hai omesso di confessare qualche cosa,... in questo caso riprendi la confessione da quel tempo in cui sei certo di averla fatta bene, e confessa qualunque cosa ti possa dare pena sulla coscienza"».
La vergogna
nel confessare alcuni peccati
Notiamo la delicatezza paterna con la quale Don Bosco invita Michele a confessare i peccati della vita passata, taciuti o mai confessati. Mentre si rivolge a Michele, pensa a quegli adolescenti che leggeranno quella pagina, e si sentiranno nella stessa situazione di Michele: bloccati dalla vergogna nel confessare certi peccati, per paura di perdere la stima del confessore o perché non conoscono le parole con le quali chiamare il loro peccato e confessarlo.
Un giorno, Don Bosco confiderà che ci sono degli adolescenti che tacciono sempre i propri peccati, andando avanti per mesi e per anni, e se ne trovano anche tra i medesimi adulti. Come è dunque importante fornire ai giovani il modo di aprire il cuore al confessore:
«"Oui sta la mia difficoltà. Come mai potrò ricordarmi di quanto mi è avvenuto in più anni addíetro?", chiede Michele.
"Tu puoi aggiustare tutto con la massima facilità", lo tranquillizza Don Bosco.
"Di' solo al confessore che hai qualche cosa da rivedere nella tua vita passata, poi egli prenderà il filo delle cose tue, di maniera che a te non rimarrà altro che dire un sì o un no, e quante volte questa o quella cosa ti sia accaduta"».
La tentazione
di rimandare la confessione
Magone passò quel giorno nel prepararsi a fare l'esame di coscienza; ma tanto gli stava a cuore di aggiustare le cose dell'anima, che la sera non volle andarsi a coricare senza prima confessarsi.
«Il Signore — egli diceva — mi aspettò molto, questo è certo; che poi mi voglia ancora aspettare fino a domani è incerto». Don Bosco riporta la riflessione che fa Michele, perché
sa che l'adolescente è portato a rimandare la confessione, specie quando gli pesa confessare qualche peccato.
«"Dunque, se questa sera posso confessarmi, non debbo più oltre differire; e poi è tempo di romperla col demonio".
Fece pertanto la sua confessione con grande commozione, e la interruppe più volte per dare corso alle lacrime. Come l'ebbe terminata, prima di partire dal confessore gli chiese:
"Vi sembra che i miei peccati mi siano tutti perdonati? Se io morissi in questa notte sarei salvo?".
"Va' pure tranquillo — gli fu risposto —. Il Signore, che nella sua grande misericordia ti aspettò finora per darti tempo a fare una buona confessione, ti ha certamente perdonato tutti i peccati; e se nei suoi adorabili decreti egli volesse chiamarti in questa notte all'eternità, tu sarai salvo".
Tutto commosso: "Oh, quanto sono felice!" soggiunse.
Poi, rompendo di nuovo in lacrime, andò per prendere riposo».
PARTE SECONDA
Il confessore
e la paternità spirituale La gioia del perdono
Dopo quella confessione memorabile, Michele descrive i sentimenti del suo cuore, tanto simili a chi, come lui, ha fatto esperienza della misericordia di Dio e del suo amore, e allo stesso tempo si sente ormai libero dalle schiavitù del passato e dalla vergogna che lo aveva imprigionato. Ricorda Don Bosco:
«Questa fu per lui una notte d'agitazione, di emozione. Egli più tardi espresse ad alcuni suoi amici le idee che in quello spazio dí tempo gli corsero per la mente.
"È difficile — soleva dire — esprimere gli affetti che occuparono il mio povero cuore ín quella notte memoranda... Giunto poi alla metà del tempo stabilito per il riposo, io ero così pieno di contentezza, di commozione e di affetti diversi, che, per dare qualche sfogo all'animo mio, mi alzai, mi posi ginocchioni, e dissi più volte queste parole: 'Oh quanto mai sono disgraziati quelli che cadono in peccato, ma quanto più sono infelici coloro che vivono nel peccato. Io credo che se costoro gustassero anche un solo momento la grande consolazione che prova chi si trova ín grazia dí Dio, tutti andrebbero a confessarsi per dare tregua ai rimorsi della coscienza e godere la pace del cuore. O peccato, peccato, che terribile flagello sei tu a coloro che ti lasciano entrare nel loro cuore! Mio Dio, per l'avvenire non voglio offendervi mai più, anzi vi voglio amare, con tutte le forze dell'anima mia; e se, per mia disgrazia, cadessi anche in un piccolo peccato, andrò subito a confessarmi"».
Don Bosco ci tiene a sottolineare la gioia liberatoria che hanno provato tanti adolescenti come Michele dopo una bella confessione, nella quale, vincendo la vergogna, hanno confessato con sincerità i propri peccati.
«Così il nostro Magone esprimeva il suo rincrescimento di aver offeso Dio, e prometteva di mantenersi costante nel santo divino servizio. Difatti egli cominciò a frequentare i santi Sacramenti della confessione e della comunione; e quelle pratiche di pietà, che prima gli cagionavano ripugnanza, dopo le frequentava con grande trasporto di gioia. Anzi provava tanto piacere nel confessarsi, e vi andava con tanta frequenza, che il confessore dovette moderarlo per impedire che non restasse dominato dagli scrupoli».
Per gli adolescenti che hanno provato la stessa gioia di Michele, diventa più facile la confessione frequente, anche quindicinale. È un momento desiderato l'incontro con quel confessore che ha conquistato la loro confidenza. Ricorrono più volentieri a lui soprattutto quando, per la fragilità dell'età e la violenza delle passioni, commettono dei peccati che ritengono più gravi, mentre riesce più difficile avvicinare un altro sacerdote che non conoscono, correndo il rischio di ricadere nella insincerità.
In questi casi la disponibilità del confessore nell'accoglierli, e nel fare loro gustare la misericordia del perdono di Dio, è doverosa, ma il confessore dovrà aiutarli a confessarsi bene con qualunque sacerdote, quando non è possibile incontrare il confessore abituale.
Una malattia spirituale
Don Bosco qui accenna anche agli scrupoli, dei quali aveva già parlato nella vita di Domenico Savio. È questa una grave malattia spirituale che non colpisce soltanto alcuni adolescenti più sensibili, ma anche gli adulti. Il rimedio non sarà certo la confessione frequente, ma la sua regolarità unita all'obbedienza pronta al confessore: «Questa malattia, con grande facilità, si fa strada nella mente dei giovanetti quando vogliono darsi davvero a servire il Signore. Il danno è grave, perché con questo mezzo il demonio turba la mente, agita il cuore, rende gravosa la pratica della religione; e spesso fa tornare ad una vita cattiva coloro che avevano già fatti molti passi nella virtù. Il mezzo più facile per liberarci da tale sciagura è l'abbandonarci all'obbedienza illimitata del confessore. Quando esso dice che una cosa è cattiva, facciamo quanto possiamo per non più commetterla. Dice invece che in questa o in quell'altra azione non c'è alcun male? Si segua il suo consiglio, e si vada avanti con pace ed allegria di cuore. Insomma, l'obbedienza al confessore è il mezzo più efficace per liberarci dagli scrupoli e perseverare nella grazia del Signore».
Il confessore
è un padre e un amico
Le riflessioni di Michele offrono a Don Bosco l'occasione di presentare il confessore come un padre e un amico del giovane.
Un adolescente confidava al suo confessore: «Lei è il mio papà a livello spirituale; solo a lei posso confidare le cose più segrete della mia vita, che non riesco a comunicare neppure ai miei genitori».
La gioia di vivere questa paternità spirituale traspare nelle espressioni che Don Bosco riserva ai suoi giovani lettori: «Le inquietudini e le angustie del giovane Magone da un canto, e dall'altra la maniera franca e risoluta con cui egli aggiustò le cose dell'anima sua, mí porge occasione di suggerire a voi, giovani amatissimi, alcuni ricordi che credo molto utili per le anime vostre. Abbiateli come pegno di affetto dí un amico che ardentemente desidera la vostra eterna salvezza. Per prima cosa, vi raccomando di fare quanto potete per non cadere in peccato; ma se per disgrazia vi accadesse di commetterne, non lasciatevi mai indurre dal demonio a tacerlo in confessione. Pensate che il confessore ha da Dío il potere di rimettervi ogni qualità, ogni numero di peccati. Più gravi saranno le colpe confessate e più egli godrà in cuor suo perché sa che è assai più grande la misericordia divina che per mezzo suo vi offre il perdono, ed applica i meriti infiniti del prezioso sangue di Gesù Cristo, con cui egli può lavare tutte le macchie dell'anima vostra. Giovani miei, ricordatevi che il confessore è un padre, il quale desidera ardentemente di farvi tutto il bene possibile, e cerca di allontanare da voi ogni sorta di male».
Don Bosco ritorna sulla difficoltà per gli adolescenti di essere sinceri in confessione, e coglie l'occasione per ricordare loro il segreto al quale sono tenuti i confessori.
Un segreto
che vale il sacrificio di una vita
«Non temete di perdere la stima presso di lui confessandovi di cose gravi, oppure che egli venga a svelarle ad altri. Perché il confessore non può servirsi di nessuna notizia avuta in confessione per nessun guadagno o perdita del mondo. Dovesse anche perdere la propria vita, non dice né può dire a nessuno la minima cosa relativa a quanto ha udito in confessione. Anzi posso assicurarvi che più sarete sinceri ed avrete confidenza con lui, egli pure accrescerà la sua confidenza in voi e sarà sempre più in grado di darvi quei consigli ed avvisi che gli sembreranno maggiormente necessari ed opportuni per le anime vostre. Ho voluto dirvi queste cose affinché non vi lasciate mai ingannare dal demonio tacendo per vergogna qualche peccato in confessione. Io vi assicuro, o giovani cari, che mentre scrivo mi trema la mano pensando al gran numero di cristiani che vanno all'eterna perdizione, soltanto per aver taciuto o non aver esposto sinceramente certi peccati in confessione!».
PARTE TERZA
Ciò che il confessore e i giovani devono sapere
La gioia di Michele Magone per quella confessione che ha cambiato tutta la sua vita spinge Don Bosco a suggerire ai suoi ragazzi il modo per riparare alle confessioni fatte male. Lo fa con quella discrezione che dice tutta la sua paternità spirituale ed esprime l'ansia che vive per la salvezza e la felicità eterna dei suoi giovani.
Una parola alla gioventù
«Se mai taluno di voi ripassando la vita trascorsa venisse a scoprire qualche peccato volontariamente omesso, oppure avesse solo un dubbio intorno alla validità di qualche confessione, vorrei dire a costui: 'Amico, per amore di Gesù Cristo, e per il sangue prezioso che egli sparse per salvare l'anima tua, ti prego di aggiustare le cose della tua coscienza la prima volta che andrai a confessarti, esponendo sinceramente quanto ti darebbe pena se ti trovassi in punto di morte. Se non sai come esprimerti, di' solamente al confessore che hai qualche cosa che ti dà pena nella vita passata. Il confessore ne ha abbastanza. Asseconda solo quanto egli ti dice, e poi sta' sicuro che ogni cosa sarà aggiustata"».
Se un adolescente trova un sacerdote così attento ad accogliere le sue confidenze e si sente aiutato nel confessare con sincerità i suoi peccati, più facilmente lotterà contro le tentazioni, così violente alla sua età, e giungerà serenamente alla giovinezza, pronto ad assumersi le responsabilità richieste dalla vocazione cristiana.
L'insistenza con la quale Don Bosco invita i suoi giovani alla confessione frequente è legata al valore pedagogico divino che lui attribuisce a questo sacramento, e alla conoscenza della incostanza, della pigrizia e della vulnerabilità dell'adolescenza. Dovremmo poter ripetere anche noi, con convinzione, le sue parole: «Andate con frequenza a trovare il vostro confessore, pregate per lui, seguite i suoi consigli. Quando poi avrete fatta la scelta di un confessore che conoscete adatto per i bisogni dell'anima vostra, non cambiatelo più senza necessità. Finché voi non avete un confessore stabile, in cui abbiate tutta la vostra confidenza, a voi mancherà sempre l'amico dell'anima. Confidate anche nelle preghiere del confessore, il quale nella santa Messa prega ogni giorno per i suoi penitenti, affinché Dio conceda loro di fare delle buone confessioni e possano perseverare nel bene; pregate anche voi per lui».
Ci meravigliamo come ai nostri giorni si dimentichino facilmente queste debolezze dei nostri giovani, proponendo loro solo due o tre appuntamenti annuali per il sacramento della riconciliazione, e si insista così poco sulla scelta di un confessore stabile e di una guida spirituale.
È vero che sono venuti meno tanti sacerdoti disponibili per questo ministero ed anche il tempo da dedicare a questo prezioso servizio, eppure è questo il segreto per accompagnare il cammino vocazionale dei giovani, nella formazione alla vita familiare o a quella di speciale consacrazione.
Mentre Don Bosco raccomanda la scelta di un confessore stabile, desidera che in questo campo, così delicato della coscienza giovanile, sia data la massima libertà circa l'accostarsi al sacramento e la scelta del confessore: «Potete senza scrupolo cambiare confessore quando voi o il confessore cambiaste abitazione e vi riuscisse di grave incomodo il recarvi presso di lui, oppure fosse ammalato, o in occasione di una solennità ci fosse molto concorso presso lo stesso sacerdote. Allo stesso modo se aveste qualche cosa sulla coscienza che non osate manifestare al confessore ordinario, piuttosto di fare un sacrilegio cambiate non una ma mille volte il confessore».
Notiamo come già nella prima confessione, quando sono presenti diversi confessori, è opportuno lasciare liberi i ragazzi di andare dal sacerdote che ispira loro più confidenza e simpatia, anziché obbligarli ad andare dal confessore che è libero in quel momento. Il ragazzo più sensibile ha già le sue preferenze circa il sacerdote al quale aprire il proprio cuore.
Il bene spirituale dei suoi giovani spinge Don Bosco ad indirizzare alcuni consigli anche ai confessori, mentre sa che i ragazzi, che leggeranno queste sue indicazioni, saranno rassicurati circa la figura e la bontà del sacerdote che li accoglierà e non si stupiranno delle domande che il confessore potrà loro rivolgere.
Per i Confessori
«Che se mai questo scritto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza destinato ad ascoltare le confessioni della gioventù, vorrei, omettendo molte altre cose, suggerirgli umilmente:
l. Accogliete con amorevolezza ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovanetti. Aiutateli ad esporre le cose della loro coscienza; insistete che vengano con frequenza a confessarsi. È questo il mezzo più sicuro per tenerli lontani dal peccato. Usate ogni vostra industria affinché mettano in pratica gli avvisi che loro suggerite per impedire le ricadute. Correggeteli con bontà, ma non sgridateli mai; se voi li sgridate, essi non vengono più a trovarvi, oppure tacciono quello per cui avete loro fatto aspro rimprovero.
2. Quando sarete loro entrati in confidenza, prudentemente fatevi strada ad indagare se le confessioni della vita passata siano ben fatte. Perché autori celebri in morale, in ascetica e di lunga esperienza, e specialmente un'autorevole persona che ha tutte le garanzie della verità, tutti insieme convengono nel dire che per lo più le prime confessioni dei giovanetti, se non sono nulle, almeno sono difettose per mancanza di istruzione o per omissione volontaria di cose da confessarsi.
Si inviti il giovinetto a ponderare bene lo stato della sua coscienza particolarmente dai sette sino aí dieci, ai dodici anni. In tale età si ha già cognizione di certe cose che sono grave male, ma di cui si fa poco conto, oppure si ignora il modo di confessarle.
Il confessore faccia uso di grande prudenza e di grande riserbatezza, ma non ometta dí fare qualche domanda intorno alle cose che riguardano la santa virtù della purezza. Vorrei dire molte cose sul medesimo argomento; ma se taccio è perché non voglio farmi maestro in cose di cui non sono che povero ed umile discepolo.
Qui ho detto queste poche parole che nel Signore mi sembrano utili alle anime della gioventù, al cui bene intendo consacrare tutto quel tempo che al Signore Dio piacerà lasciarmi vivere in questo mondo».
Da profondo conoscitore del cuore degli adolescenti, Don Bosco desidera che gli adolescenti in confessione siano ben accolti, trattati con amorevolezza, aiutati nell'accusa dei loro peccati, accontentandosi inizialmente di confessioni ancora incomplete.
Non minimizza, come fanno alcuni sacerdoti, specie ai nostri tempi, circa la responsabilità morale di certe mancanze, che anche un ragazzo di sette, otto, nove anni percepisce come gravi. Le difficoltà nel settore della castità non vanno sottovalutate, ma bisogna aiutare gli adolescenti ad aprirsi alla confidenza anche per questo aspetto così delicato della loro formazione ad amare. Abbiamo incontrato dei ragazzi che non si sono più confessati per anni perché il sacerdote li aveva sgridati o era stato indiscreto nel rivolgere loro delle domande imbarazzanti. Purtroppo anche degli adulti hanno fatto questa triste esperienza.
Riprenderemo questo piccolo trattato sulla confessione, presentando la confessione di un terzo ragazzo, Francesco Besucco.
Ci congediamo da Michele Magone con negli occhi la scena commovente della sua morte. Don Bosco gli è accanto e gli dice:
«"Che cosa mi lasci da dire ai tuoi compagni?".
"Che procurino di fare sempre delle buone confessioni...". Strinse con le mani il crocifisso, lo baciò tre volte, e poi disse queste sue ultime parole:
"Gesù, Giuseppe, e Maria, io metto nelle vostre mani l'anima mia".
Quindi, piegando le labbra come se avesse voluto fare un sorriso, placidamente spirò».
Michele doveva ancora compiere quattordici anni. Diventerà un modello a cui molti ragazzi si ispireranno.
Don Bosco
confessa
Francesco Besucco
L'importanza della confessione generale e la necessità di avere un confessore stabile
Francesco è stato chiamato «il pastorello delle Alpi». Ha tredici anni quando lascia il suo bel paese di Argentera, a 1.600 metri di altezza, nelle Valli Cuneesi, e arriva a Torino, accompagnato dal papà.
La vita di Michele Magone, che Francesco ha letto con commozione, lo ha spinto a desiderare di conoscere Don Bosco e a farsi aiutare da lui per continuare gli studi, iniziati con tanta buona volontà al suo paese.
Trascorrerà solo cinque mesi a Valdocco, e poi sarà pronto per il Cielo.
Francesco è un ragazzo normale, non ha grande ingegno, ma una volontà tenace. La sua indole buona è orientata ad una profonda esperienza di Dio grazie all'educazione religiosa ricevuta dalla famiglia e dal parroco, che è anche suo padrino.
L'importanza
della confessione generale
Francesco conosce Don Bosco e subito manifesta il desiderio di mettersi nelle sue mani chiedendo di fare una confessione generale. Non sarà come quella di Michele, tormentata dalla vergogna per le colpe del passato, ma è protesa nella crescita dell'amicizia con Gesù. Così Don Bosco intendeva la confessione per i suoi ragazzi.
Parlandoci di Francesco, Don Bosco coglie l'occasione per ricordare gli atteggiamenti importanti nella vita spirituale di un adolescente. Noi ne sottolineeremo alcuni che sembrano utili, specie ai nostri giorni. Scrive Don Bosco nella vita di Francesco: «Besucco fu coltivato ed avviato per tempo alla frequenza della confessione e della comunione. Giunto qui all'Oratorio, crebbe di buona volontà e di fervore nel praticarli.
Sul principio della novena della Natività di Maria SS. si presentò al suo direttore dicendogli: "Io vorrei passar bene questa novena e fra le altre cose desidero di fare la mia confessione generale".
Il direttore, come ebbe inteso i motivi che ve lo determinavano, rispose di non ravvisare alcun bisogno di far simile confessione, ed aggiunse: "Tu puoi vivere tranquillo, tanto più che l'hai già fatta altre volte dal tuo arciprete".
"Sì — ripigliò — io l'ho già fatta in occasione della mia prima comunione, ed anche quando ci furono gli esercizi spirituali al mio paese; ma siccome io voglio mettere l'anima mia nelle sue mani, così desidero dí manifestarle tutta la mia coscienza, affinché mi conosca meglio e possa con più sicurezza darmi quei consigli che possono meglio giovare a salvarmi l'anima".
II direttore acconsentì: lo lodò della scelta, che voleva fare, di un confessore stabile; lo esortò a voler bene al confessore, a pregare per lui, e a manifestargli sempre qualunque cosa inquietasse la sua coscienza. Quindi lo aiutò a fare la desiderata confessione generale.
Egli compì quell'atto coi più commoventi segni di dolore sul passato e di proponimento per l'avvenire, sebbene, come ognuno può giudicare, consti dalla sua vita non aver mai commessa azione che si possa dire peccato mortale».
L'insistenza di Francesco di fare la confessione generale ci provoca a sottolineare il valore di questo tipo di confessione per coloro, specie gli adolescenti, che desiderano una guida sicura per la loro coscienza e vogliono fare un serio cammino spirituale.
Parlando ai Direttori delle sue Case, nel 1876, Don Bosco disse queste parole: «Ora veniamo ad un punto che credo della massima importanza per fare camminare bene i giovani nella via della salute. Purtroppo una lunga esperienza mi ha persuaso esservi bisogno di fare la confessione generale ai giovani che vengono nei nostri collegi: o almeno questa confessione essere loro molto vantaggiosa. Il giovane si può disporre in questo modo:
"Hai già fatta la confessione generale?".
"No!".
"Non saresti contento di fissarti un tempo per farla? Pensa un po' un momento, dimmi con tutta schiettezza: se tu avessi a morire questa notte, ti pare che non avresti nulla da aggiustare con il Signore? Ti pare che saresti tranquillo?".
"No!".
"Ebbene quando la vorresti fare?".
"Quando me lo dice lei".
"Oh, guarda io ti dico che tu la faccia in quel tempo in cui tu abbia intenzione di dirmi tutto, tutto...".
Poi anche venendo quel giovane a confessarsi per ripassare l'intera sua vita, dirgli:
"Sei venuto proprio con il cuore aperto? Con l'intenzione di dirmi tutto, piccolo e grosso? Oppure tu hai qualcosa che non osi dirmi?".
E dalle risposte che darà si prendano le norme per continuare. Credetemi, parrò esagerato, ma io sono del parere che forse cinquanta su cento, í giovani quando vengono nei nostri collegi hanno bisogno di fare la confessione generale» (MB VII, 91).
Per Don Bosco la confessione generale era necessaria premessa per lo sviluppo di una efficace opera educativa, soprattutto nel campo della grazia e della santità; indispensabile per l'inizio di una direzione spirituale fruttuosa. Parlando ai ragazzi, dopo aver accennato a Pitagora che pretendeva dai discepoli un rendiconto minuto della loro vita, proseguiva: «Lo stesso io consiglio a voi miei cari giovani. Alcuni credono che basti aprire interamente il cuore al Direttore spirituale, per incominciare una vita nuova, e che sia confessione generale quando dicono tutto... È una gran cosa, ma qui non è tutto... Si tratta non solo di rimediare al passato, ma anche di provvedere all'avvenire con fermi proponimenti... In quanto all'avvenire, per camminare con sicurezza dovete rivelare i vostri abituali peccati, le occasioni nelle quali eravate soliti cadere, le passioni dominanti; stare ai consigli e agli avvisi che vi verranno dati, mettendoli fedelmente in pratica; e poi continuare a tenere aperto il cuore, con piena confidenza, esponendo di mano ín mano i suoi bisogni, le tentazioni, i pericoli, di modo che chi vi dirige possa guidarvi con sicurezza» (MB VII, 720).
Dunque la confessione generale è consigliabile a quei giovani che intendono fare un serio cammino spirituale con il confessore prescelto, ed è raccomandabile in alcune tappe particolari del cammino vocazionale, ad esempio per coloro che stanno per ricevere il sacramento del Matrimonio, o l'ordinazione Diaconale o Sacerdotale, o alla vigilia della consacrazione religiosa, o in altri momenti importanti nella vita, soprattutto alla sua conclusione, come chiederà ancora Francesco alcuni giorni prima di morire.
La necessità
di avere un confessore stabile
Continua Don Bosco: «Fatta la scelta del confessore, non lo cambiò più per tutto il tempo che il Signore lo conservò tra noi. Egli aveva con lui piena confidenza, lo consultava anche fuori di confessione, pregava per lui e godeva grandemente ogni volta che poteva avere da lui qualche buon consiglio per sua regola di vita.
Scrisse una volta una lettera ad un suo amico che gli aveva manifestato il desiderio di venire anch'egli ín quest'Oratorio. In essa gli raccomandava di pregare il Signore per questa grazia, e poi gli suggerì alcune pratiche di pietà, come la via Crucis; ma più di tutto lo esortò a confessarsi ogni otto giorni ed a comunicarsi più volte la settimana.
Mentre lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando coi più vivi affetti del cuore ci tutti, ma in modo speciale alla gioventù, di voler fare per tempo la scelta d'un confessore stabile, né mai cambiarlo, se non in caso di necessità.
Si eviti il difetto di alcuni che cambiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure, dovendo confessare cose di maggior rilievo, vanno da un altro, ritornando poi dal confessore primitivo.
Facendo così, costoro non commettono alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato della loro coscienza. A costoro accadrebbe quello che accade ad un ammalato, il quale in ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male dell'ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi».
Don Bosco evidenzia l'atteggiamento di alcuni adolescenti e forse lo è anche di diversi adulti, che spesso fanno il giro delle chiese e dei santuari, alla ricerca di un confessore che non li conosca.
Quando questo atteggiamento diventa abituale, può essere segno di attaccamento al peccato e di volontà debole di vincerlo con l'aiuto di una guida spirituale che conosca bene il nostro male e possa suggerirci il rimedio efficace.
Notiamo come Don Bosco, pur raccomandando il confessore fisso, dava però la massima libertà di scelta.
Procurava che i suoi alunni vi si accostassero regolarmente, anzi con molta frequenza, ma senza pressione di sorta. Li esortava e voleva che fossero esortati, ma non li obbligava, mentre voleva che si trovassero altri confessori esterni specialmente nelle feste e nelle loro vigilie.
Ritorneremo sulla frequenza alla confessione parlando di altri giovani che si sono confessati da Don Bosco.
Ci congediamo da Francesco accogliendo il prezioso suggerimento che ci viene da questo adolescente a conclusione della sua vita: «Nel quinto giorno della malattia chiese di ricevere i sacramenti. Voleva fare la confessione generale; cosa che gli fu negata non avendone alcun bisogno, tanto più che l'aveva fatta alcuni mesi prima. Tuttavia egli si preparò a quell'ultima confessione con un fervore tutto singolare e sí mostrava commosso. Dopo la confessione apparve assai allegro... Nella sera di quel giorno gli si domandò se aveva qualche cosa da raccomandare a qualcuno.
"Oh, sì — mi diceva — dica a tutti che preghino per me affinché sia breve il mio purgatorio".
"Che cosa vuoi che io dica ai tuoi compagni da parte tua?". "Dica loro che fuggano lo scandalo, che procurino di fare sempre delle buone confessioni"».
Don Bosco veglierà su Francesco e gli sarà accanto nel momento della morte, impressionato dalla serenità con la quale concluderà la sua esistenza terrena.
Don Bosco
confessa
Francesco Piccollo
La confidenza con il confessore facilita la sincerità del giovane penitente
Ai primi di agosto del 1872, da Pecetto Torinese, arrivava all'Oratorio di Valdocco Francesco Piccollo, di undici anni.
Conosciamo la sua storia di ragazzo orfano e povero. È nota la carità che Don Bosco gli usò quando la mamma, venuta a trovarlo, fu sollecitata dall'economo della casa a pagare la retta, altrimenti il figlio sarebbe stato dimesso. La povera mamma era in lacrime quando Francesco la vide. Al ragazzo dispiaceva sinceramente lasciare Valdocco. Don Bosco, venuto a conoscenza delle sue difficoltà economiche, condonò alla mamma la retta di tutto l'anno.
Il ragazzo, conquistato dalla bontà e generosità di Don Bosco, qualche anno dopo gli confidò il desiderio di fargli un grosso regalo: diventare salesiano. Don Bosco accettò volentieri quel regalo.
Francesco divenne salesiano e, inviato in Sicilia, imitò talmente Don Bosco da essere chiamato il «Padre degli orfani della Sicilia».
Francesco si confessava abitualmente da Don Bosco. C'è una sua confessione un po' speciale che lui stesso racconterà. Ci è stata tramandata da Don Seriè e riportata da Don Teresio Bosco nella sua bella biografia su Don Bosco.
La ricchezza di Don Bosco è la confidenza dei suoi figli
«Era l'ora della merenda, e i ragazzi ricevevano una pagnotta che a volte consumavano bagnandola all'acqua della fontana. Francesco pensava però che una pagnotta sola era poco a confronto dell'appetito che si era ridestato in lui, dopo la minestra abbondante del pranzo ben presto digeríta. Avrebbe voluto almeno raddoppiare la razione. Ma l'oratorio era povero, e anche il pane non era a volontà in quel 1872.
Mentre pensava così, vide che alcuni suoi compagni, dopo aver intascato una prima pagnotta, si rimettevano tranquillamente in fila e ne prendevano una seconda e una terza senza che nessuno se ne accorgesse.
Anchio — raccontò poi Francesco — mi lasciai allora vincere dall'appetito, rubai due pagnotte e fuggii dietro il porticato, a mangiarle con avidità. Ma poi ne provai rimorso.
Ho rubato — pensavo —. E domani come oserò fare la Comunione? Devo confessarmi! Ma il mio confessore era Don Bosco, e io sapevo come si sarebbe addolorato al sapere che avevo rubato. Come fare? Non tanto per la vergogna, quanto per non dispiacere a Don Bosco, scappai dalla porta della chiesa, e difilato corsi al santuario della Consolata, poco lontano. Entrai nella chiesa semibuia, scelsi il confessionale più nascosto, e cominciai la mia confessione:
"Sono venuto a confessarmi qui perché ho vergogna di confessarmi da Don Bosco!" (Era una cosa che potevo non dire, ma ero talmente abituato alla sincerità che mi parve importante). Una voce mi risponde:
"Di' pure. Don Bosco non saprà mai niente".
Era la voce di Don Bosco!
Misericordia! Sudavo freddo. Ma se Don Bosco era all'oratorio, come poteva essere anche lì? Un miracolo? No, niente miracolo. Don Bosco era stato invitato, come al solito, a confessare alla Consolata, e io mi ero imbattuto precisamente in colui che volevo fuggire.
"Parla, caro figliuolo. Cosa ti è successo?". Tremavo come una foglia.
"Ho rubato due pani!".
"E ti hanno fatto male?".
"No".
"E allora non tormentarti. Avevi fame?".
"Sì".
"Fame di pane e sete di acqua, buona fame e buona sete. Guarda: quando avrai bisogno di qualche cosa, chiedilo a Don Bosco. Ti darà tutto il pane che vorrai. Ma ricordati bene: Don Bosco preferisce la tua confidenza a crederti innocente. Con la tua confidenza ti potrà aiutare, invece con la tua innocenza potresti scivolare e cadere, e nessuno ti darebbe una mano. La ricchezza di Don Bosco è la confidenza dei suoi figli. Non dimenticartelo mai, Francesco"».
Don Bosco sapeva che il modo di pensare di Francesco è comune a quello di tanti altri ragazzi: avendo una grande ammirazione per la loro guida spirituale, hanno paura di dargli dei dispiaceri nel confessare le debolezze che loro ritengono più gravi e cercano perciò un sacerdote sconosciuto per confessare questi tipi di peccati. In questo modo non perdono la stima del loro amico a livello spirituale.
Sincerità piena
e assoluta in confessione
Per questo, Don Bosco parlando ai giovani dirà: «Non abbiate paura di manifestare al confessore i vostri difetti, le vostre mancanze. L'essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna: oh no! Purtroppo tutti siamo soggetti a commetterne. L'essere buono consiste in ciò: nell'avere volontà di correggersi... Il confessore guarda alla volontà e non si meraviglia: anzi prova la maggiore delle consolazioni che possa avere in questo mondo, vedendo che quel giovane ha confidenza con lui, che desidera vincere il demonio e mettersi in grazia di Dio, che vuole crescere nella virtù.
Nulla, o miei cari figlioli, vi tolga questa confidenza. Non la vergogna: le miserie umane, si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontare miracoli... non la paura che il confessore possa rivelare un segreto così terribile per lui... Non il timore che si ricordi poi di ciò che avete confessato: fuori di confessione è suo dovere il non pensarvi...
Coraggio dunque, o figliuoli miei; non facciamo ridere il demonio. Confessatevi bene dicendo tutto. Qualcuno domanderà: E chi avesse taciuto qualche peccato in confessione come deve fare a rimediarvi?... Rifaccia tutte le confessioni fino a quella nella quale tacque il suo peccato... Lo dice anche il Catechismo: Dall'ultima confessione ben fatta fino a quella che si vuol fare... In una parola si tratta di schivare l'inferno e guadagnare il paradiso. È cosa di un momento: il confessore vi aiuterà e voi sapete che siamo amici e desidero una cosa sola: la salvezza dell'anima vostra» (BERTETTO D., S. Giovanni Bosco maestro e guida del sacerdote, LDC, Colle Don Bosco 1954, pag.176ss.).
La forza educativa di Don Bosco è stata nell'avere la confidenza dei suoi giovani. Diceva: «La confidenza è la chiave di tutto. Ho bisogno che tra me e voi regni vera amicizia e confidenza».
Nell'accusa dei nostri peccati spesso noi siamo condizionati dal pensiero: che cosa devo dire al confessore? E cosa dirà lui? Il pensiero dominante deve invece essere: Chi vado ad incontrare? Che cosa vado a ricevere? Vado ad incontrare Cristo risorto, che mi aiuta a risorgere dai miei peccati, dalle mie debolezze; vado a ricevere la sua pace.
Don Bosco
confessa
Luigi Orione
La formazione della coscienza dell'adolescente e l'accompagnamento vocazionale nella confessione
Il 16 maggio 2004 uno dei ragazzi di Don Bosco, diventato sacerdote, è stato proclamato santo: è Don Luigi Orione.
Luigi arriva a Valdocco nell'ottobre del 1886; ha 14 anni. E figlio di un povero selciatore di strade di Pontecurone (AL).
Lui stesso, per qualche tempo, ha condiviso con il papà la fatica di quel mestiere. Sente il fascino di seguire san Francesco ed entra nel convento dei frati Francescani di Voghera, ma una grave malattia lo porta in punto di morte. Viene dimesso dal convento e ritorna in famiglia. Riterrà una grande grazia quella malattia, che le ha fatto versare tante lacrime, perché sarà la causa che lo condurrà a Valdocco. Viene accettato da Don Bosco che, già dal loro primo incontro, sembra nutrire per Luigino una predilezione ed un interesse speciale.
Il semplice sguardo di Don Bosco, durante una ricreazione, susciterà in Orione, una scintilla che sviluppa un incendio di affetto verso il santo dei giovani.
La confessione di un ragazzo che diventerà santo
Per un privilegio, che ha dello straordinario, Luigino ottiene di confessarsi da Don Bosco che, ormai allo stremo delle forze, confessa solo più alcuni salesiani e gli alunni di quarta e di quinta ginnasio.
Resterà memorabile nel cuore di Orione quella confessione, alle quali seguiranno altre, compatibilmente con la presenza di Don Bosco a Valdocco e con la sua salute.
Sentiamo il racconto di Don Orione, che ricorda quel primo incontro a tu per tu con Don Bosco. A riferirlo è Don Carletti, salesiano: «Veniamo all'episodio della confessione. Luigi stava attraversando un periodo di particolare fervore religioso. L'8 dicembre aveva fatto la sua consacrazione perpetua a Maria, ed ora gli si presentava l'occasione di confessarsi da Don Bosco. Non sapendo se un'opportunità del genere poteva ripetersi una seconda volta, dato appunto lo stato di salute del Santo, e frequentando lui solo la prima ginnasiale, si preparò con la massima cura, come ad un atto irripetibile.
Prese più libri dove c'era l'esame di coscienza generale, trascrisse tutti í peccati ivi elencati, e ne riempì almeno due quaderni da otto o nove fogli ciascuno. "Mi accusavo di tutto... raccontò a Don Carletti — Ad un solo quesito risposi negativamente: Hai ammazzato? Questo no! scrissi accanto.
Sí presentò con una certa trepidazione per l'accusa, perché "Don Bosco leggeva negli occhi dei suoi figli e molti non volevano andare a confessarsi da lui, perché avevano paura"» (Questa testimonianza è riportata in Messaggi di Don Orione, Quaderno 69, Studio di Don Antonio Lanza, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona - Roma 1988).
Don Bosco scrutava i cuori
Don Bosco stesso confiderà: «Molte volte confessando, vedo le coscienze dei giovani aperte dinanzi a me come un libro nel quale posso leggere». E a certi ragazzi arriva a dire: «Vuoi dirli tu o vuoi che dica io i tuoi peccati?». Ritorneremo su questo dono speciale che Don Bosco ha avuto dal Signore, dono che ha reso tanto famoso, ai nostri giorni, Padre Pio.
Torniamo dal giovane Luigi Orione, che racconta: «Quando gli fui davanti, avevo come un timore dí tirare fuori i miei quaderni. Finalmente ne ho tirato fuori uno e, mentre glielo presentavo, io stavo a vedere lo sguardo di Don Bosco e l'impressione che gli faceva. Poi, per timore di fargli perdere tempo, mi misi a leggere in fretta; poi ho voltato pagina e Don Bosco ancora guardava; voltai ancora pagina e Don Bosco ancora guardava; voltai ancora pagina e Don Bosco mi disse:
"Bene, bene; ne hai ancora?".
"Sì, risposí".
"Bene, lascia qua, da' a me".
Lo prese e, fatto così e così Don Orione ripete il gesto], ne fece quattro pezzi e anche il secondo fece la stessa fine.
Giudicato il calibro del peccatore che gli stava davanti, Don Bosco continuò facendo lui domande ed accennò subito ad una mancanza che certamente era stata scritta sui quaderni, ma non era stata letta. Il giovane rimase scioccato dall'intuizione del Santo, tanto da ripetere — ancora 50 anni dopo! — l'ammirata esclamazione: "Scrutava i cuori! Scrutava i cuori!".
E continua:
"Poi mi disse tre cose che ricordo ancora come adesso (...), tre cose che solamente Iddio gliele poteva dire".
Don Bosco gli fece poi l'ammonizione:
"Pèntiti di questo e non voltarti più indietro. Non devi più ripensare a quelle cose, piccole e grandi, che ci possono essere state". Aggiungendo: "Stai allegro!".
E Don Orione conclude: "E mi sorrise come lui solo poteva sorridere".
Convintosi di essere stato a contatto con qualcosa che superava la pura conoscenza umana, Orione si alzò da quella confessione "con l'anima inondata di gioia così grande, che poi non so se nella mia vita ne abbia provata una eguale"» (Questa testimonianza è riportata in Messaggi di Don Orione, op. cit.).
La formazione delle coscienze:un urgente dovere morale
Pensando a Luigino e alla caccia di esami di coscienza, è opportuno riflettere sull'importanza della formazione delle coscienze, specie dei giovani, soprattutto in questi tempi di grande disorientamento morale.
Come sono preziosi i primi semplici esami di coscienza che i genitori propongono ai loro bambini, il parroco ai ragazzi della prima confessione, i formatori agli adolescenti.
Luigi Orione accenna ai formulari che un tempo si trovavano nelle Chiese, in prossimità dei confessionali. Sono forse da riscoprire e da aggiornare con la sensibilità del nostro tempo. Pensiamo ad esempio al comandamento: Non uccidere come può essere facilmente violato con una guida spericolata, imprudente... quante violenze alcuni fanno quando sono alla guida del loro automezzo e pochissimi si confessano di questo peccato. Utilissime sono le celebrazioni penitenziali che prevedono anche un esame di coscienza comune.
Una cura particolare delle vocazioni
Siccome la Provvidenza concederà a Luigi Orione di accostare ancora Don Bosco in questi «a tu per tu» sacramentali, la preoccupazione non sarà più di riempire quaderni per liberarsi dalla piccola zavorra del passato, ma di irrobustire le ali per lanciarsi verso gli sconfinati orizzonti che il Direttore di spirito gli veniva indicando.
Continua Don Carletti: «Non furono molte le confessioni che Luigino poté fare con Don Bosco, ma bastarono per fornirgli una traccia sicura e coraggiosa per tutta la vita. Quegli incontri spirituali non erano freddi e distaccati abboccamenti tra giudice e penitente, ma caldi e partecipati colloqui tra padre e figlio. Don Orione li ricorda appunto con un'espressione che richiama vagamente l'idea della fucina e della forgiatura di metalli grezzi».
È significativo che Don Bosco, ormai alla conclusione della sua vita, si prenda ancora cura delle vocazioni, attraverso la fedeltà alla confessione settimanale, riservata in particolare a coloro che dimostravano le attitudini ad una vocazione di speciale consacrazione o erano già Salesiani. Questa è la via privilegiata, da percorrere ancora oggi, se vogliamo sostenere i giovani nel loro cammino vocazionale.
Nel caso di Luigi Orione quegli incontri con Don Bosco tracciarono il suo cammino di santità, oggi riconosciuto dalla Chiesa con la sua canonizzazione.
Don. Bosco
confessa
Evasio Garrone
La bontà del confessore
apre il cuore del giovane penitente alla confessione e alla vocazione
Siamo aiutati a prolungare la riflessione tra confessione e vocazione attraverso la figura di un altro giovane diciottenne, che vede legata la sua confessione con Don Bosco alla sua vocazione. Ci piace ricordarlo anche perché, con un altro suo compagno, Franchini, sarà testimone delle estasi di Don Bosco presso l'altare conservato nelle Camerette a Valdocco. Sono evidenti in questo episodio, riportato dalle Memorie Biografiche, i doni soprannaturali di questo santo confessore.
«Evasio Garrone entrò come studente nell'Oratorio il 4 agosto 18 7 8. Aveva diciotto anni e a casa sua faceva il negoziante. Erano le sette della sera. Giunto alla porta della sacrestia, vide una processione di giovani avviarsi in quel luogo. Curioso seguì la corrente ed ecco là un prete che confessava, attorniato da -molti ragazzi che sí preparavano. S'inginocchiò con essi, ma pensando più a casa sua che non ai suoi peccati.
Venuto il suo turno, impreparato com'era, restò muto, né riusciva a ricordarsi di un solo peccato. Allora quel prete gli disse: "Parlerò io". E uno dopo l'altro per ordine di tempo e con le indicazioni dei luoghi gli snocciolò tutti í suoi peccati, indicandone il numero e le circostanze. Ciò fatto, gli diede alcuni avvisi con tanta unzione e con tanto affetto che ad ogni sua parola egli si sentiva sempre più confortato, e la contentezza del cuore gli crebbe a segno che gli sembrò di essere in paradiso. In ultimo il confessore disse al penitente: "Garrone, ringrazia la Madonna; dopo sei anni che tu sospiravi, ella ti ha esaudito. Siile sempre devoto, ed ella ti salverà ancora da tanti pericoli"».
A lui per primo
svelò il suo pensiero
Notiamo come il Signore fa sentire la sua chiamata anche molto presto, come nel caso di Garrone, e come il primo confidente è il sacerdote, spesso il confessore che si è conquistato la confidenza del giovane.
«Dall'età di dodici anni il giovane nutriva il segreto desiderio di farsi prete; ma, conoscendo essere impossibile per la sua famiglia mantenerlo alle scuole, non aveva manifestata ad anima viva quella sua inclinazione. A diciotto anni, sentito parlare di Don Bosco e ridestataglisi in cuore la speranza, si presentò al parroco e a lui per il primo svelò il suo pensiero; il parroco, ascoltatolo con bontà, gli ottenne di venir accettato nell'Oratorio. Ognuno pertanto immagini il suo stupore quando si udì precisare il tempo trascorso dacché alla sua mente si era affacciata l'idea di farsi prete, e poi si sentì chiamare per nome così subito nell'istante del suo ingresso, con tutto il resto che abbiamo narrato.
Finita la confessione, si ritrasse in un angolo della sacre-stia, si pose in ginocchio e con le mani dietro la schiena se ne stava là da smemorato, contemplando quel misterioso confessore, che gli aveva scoperti tutti i suoi segreti. Diceva fra sé: "Che questo prete, il quale mi conosce così bene, sia del mio paese? Ma a Grana ío non l'ho mai visto! Come fa dunque a conoscermi così?".
Pensava alla confessione, pensava alle belle parole udite, né tra meravigliato e commosso sapeva levarsi da quella posizione.
All'indomani, mentre stava in cortile, vide tutti i giovani correre verso un prete che allora si avanzava. Corse anche lui. Era proprio quello della confessione. Appena gli fu vicino, udì che diceva a un giovanetto: "Ti voglio far cuocere". Indi, rivolto a lui, soggiunse: "Anche qui Garrone lo voglio far cuocere". "Ma insomma", almanaccava fra sé Garrone, "chi è questo prete che mi chiama per nome, che sa tutti i miei affari, che mi vuole far cuocere?". E senz'altro lo interrogò:
"Dica, ma lei è del mio paese?".
"Io no — rispose il prete —. Mi conosci tu?".
"Io non l'ho mai visto".
Ciò detto, chiese a un vicino chi fosse quel prete. "Don Bosco, il Direttore dell'Oratorio...".
"Sì, sono Don Bosco", replicò il prete sorridendo.
"Ma non è lei che mi ha mandato la lettera di accettazione! ...".
Così io parlavo, spiegò Garrone a Don Lemoyne, perché io ero un giovane di maniere rozze e non sapevo quello che mi dicessi. Da quel punto però sentii per Don Bosco una profonda venerazione» (MB XIII, 8 9 5-8 9 6).
Lasciamo ai lettori la curiosità di conoscere il seguito della vita di questo giovane e della sua vocazione salesiana, mentre ricordiamoci di scegliere per la nostra vita spirituale quel sacerdote che, per santità di vita ed esperienza nel ministero delle confessioni, possa essere la guida più sicura nel realizzare la volontà di Dio per noi.
Notiamo come la fama di santità e di simpatia che circondava la persona di Don Bosco era la migliore presentazione per gli adolescenti che lo avvicinavano e come i suoi stessi giovani contribuivano a farla crescere presso i loro coetanei.
Dori Bosco
confessa
Paolo Falla
La pazienza del confessore
Un grazioso episodio, riportato dalle Memorie Biografiche, ci descrive l'amabilità che Don Bosco usava con i suoi ragazzi, in particolare durante il ministero delle confessioni. Ecco come ci è stato tramandato: «Un sabato sera, Don Bosco confessava vicino al balconcino al quale si arrampicava una vite rigogliosa di moscatello. Un giovinetto della quarta ginnasiale, Paolo Falla, aspettando il suo turno, inginocchiato dinanzi a quei pampini frondosi, adocchiò tra le foglie un grappolo che cominciava ad annerire, lo spiccò dal tralcio e si pose tranquillamente a mangiare quegli acini.
Distratto da tale occupazione, non pensava più ad altro, né si accorse che il penitente, che lo separava dal confessore, si era già ritirato.
Don Bosco, assolto quello che stava al lato opposto, si volse a lui per confessarlo. Il ragazzo con il grappolo in mano arrossì, balbettò una scusa, ma Don Bosco soavemente gli disse: "Stai tranquillo, finisci pure la tua uva e poi ti confesserai", così dicendo, si rivolse dall'altra parte continuando a confessare» (MB XVIL 1. 6 7).
Don Bosco con quel gesto di pazienza e di amorevolezza si conquistò la confidenza del ragazzo, mentre se si fosse adirato per quella mancanza, avrebbe impedito a Paolo di fare una buona confessione e forse non avrebbe assicurato alla Chiesa una bella vocazione, infatti Paolo entrò quello stesso anno nel noviziato salesiano di San Benigno Canavese. Divenne sacerdote e fu parroco a Cavallermaggiore (Cuneo).
Una delle virtù che il confessore deve spesso esercitare nei confronti dei giovani penitenti è proprio la pazienza, poiché alcuni arrivano a confessarsi impreparati, qualche volta distratti o dissipati. Non conviene sgridarli, ma piuttosto indicare loro il Crocifisso ricordando le sofferenze sopportate da Gesù a causa dei nostri peccati. Li vedremo farsi seri e più riflessivi pronti a riconoscere le loro mancanze e a maturare un proposito come segno di una rinnovata amicizia con il Signore.
All'inizio del suo ministero delle confessioni in mezzo ai ragazzi raccolti dalle strade, Don Bosco esercitò eroicamente la virtù della pazienza. Così lo descrivono alcune pagine delle Memorie Biografiche: «Talvolta, specie agli inizi dell'Oratorio, Don Bosco ne aveva intorno cento fra i più giovani che volevano confessarsi. Ma nulla avvezzi a idee di ordine ed essendo le prime volte che si accostavano a questo sacramento, colla loro rozza impazienza avrebbero persuaso qualunque altro sacerdote non essere possibile compiere convenientemente quel sacro ministero. Non trovandosi allora nessun catechista che li assistesse, gli uni gridavano di voler essere i primi, gli altri si urtavano per farsi avanti, e altri respingevano coloro che tentavano soppiantarli. Era fatica improba mettere un po' di calma in quel garbuglio; ma finalmente, se non altro, tutti erano in silenzio ed inginocchiati. Don Bosco, allora rivoltosi a quegli che gli era più vicino, alzava la mano per fare su di lui il segno della santa croce; ma ecco che tutti i più vicini si segnavano come se per ciascuno di loro fosse dato il segnale di incominciar l'accusa. E Don Bosco, sempre imperturbabile e sorridente, era allora costretto a confessare stando in piedi con una mano tenendo indietro gli altri che gli si gettavano addosso e coll'altra approssimando il suo orecchio alla bocca di chi si confessava, perché nessuno potesse udirne l'accusa.
In quell'istante però ciò che si notava di mirabile era la trasformazione che succedeva nei penitenti di mano in mano che si accostavano a Don Bosco. Divenivano calmi come se fossero lontani da ogni disturbo, intenti solo a ciò che dovevano dire: alla brevissima ammonizione loro fatta da Don Bosco, si vedeva dal loro volto quanto ne fossero compresi, e, ricevuta l'assoluzione, si ritiravano silenziosi in un angolo solitario a fare la penitenza. Quasi si vedeva la grazia del Signore stendere le sue ali misericordiose sopra Don Bosco e i suoi giovanetti. Non corse però gran tempo che i giovani incominciarono a tenere un miglior contegno; sebbene non mancassero altre difficoltà che Don Bosco doveva studiarsi di superare. Ne riporteremo una fra le altre.
Don Bosco tutti accoglieva benignamente, fossero pur rozzi, ignoranti, sbadati, poco disposti, e trovava la maniera per guadagnarli a Dio. Egli stesso diceva di certe classi di giovanetti: "Vengono a confessarsi e poi dicono nulla, ed anche interrogati non rispondono. Questi, quando si confessano nelle parrocchie, è bene chiamarli d'innanzi e non lasciarli alle grate, perché così si potranno far parlare con maggior facilità. Vale tanto a questo riguardo porre loro una mano sul capo, per impedire che non guardino qua e là come usano fare. Per lo più si riducono a dire tutto, ma bisogna da principio usare tanta e tanta pazienza, e continuare a far loro varie interrogazioni e ripeterle con carità, perché incomincino a dir qualche cosa. Mi capitò di incontrarne di quelli che a me stesso pareva impossibile strappar loro una sola parola, e mi riuscì poi a confessarli con questo stranissimo espediente. Vedendoli sempre muti ad ogni mia domanda, li interrogava:
`Hai già fatto colazione stamattina?'.
`Sì!' mi dicevano sorridendo.
`L'hai fatta con buon appetito?'.
Sì! ' .
Quanti fratelli hai in casa?' e altre cose simili.
Allora essi incominciavano a rispondere alle interrogazioni che io faceva per conoscere lo stato della loro coscienza e poi seguitavano con tutta facilità ad esporre i casi loro"» (MB III, 154-156).
È veramente ammirevole la pazienza dimostrata da Don Bosco verso i suoi piccoli penitenti. Ne hanno esperienza i confessori quando avvicinano i ragazzi, che per le prime volte si accostano al sacramento della confessione e non sanno che sorridere al confessore, il quale con pazienza deve aiutarli a dire almeno per le prime volte i loro peccati.
Diventa eroico l'esercizio della pazienza quando il confessore è impegnato per tante ore in confessionale. Anche per i penitenti l'esercizio di questa virtù diventa meritorio, specie in occasione delle confessioni natalizie o pasquali. Così avveniva anche per i ragazzi di Don Bosco: «Egli moltissime volte al sabato stava in confessionale 10o 12 ore consecutive. E quei giovanetti, prima così insofferenti di freno e pieni di vivacità, aspettavano pazientemente il loro turno per far bella la loro coscienza» (MB III, 156).
Queste riflessioni ci introducono opportunamente all'incontro di Don Bosco con un sedicenne ribelle già destinato dal padre ad un istituto di correzione.
Don. Bosco
confessa
Giovanni
L'arte di conquistare il cuore del penitente
In ogni giovane c'è un punto accessibile al bene, e Don Bosco spesso lo ha dimostrato. Lo conferma l'incontro che stiamo per narrare.
Nel 18 52 Don Bosco accettò all'Oratorio un giovane di nome Giovanni, che precedentemente era stato in un collegio civico, dove aveva preso delle brutte abitudini, familiarizzando con dei cattivi compagni e dandosi a delle letture perverse; naturalmente aveva perso l'anno di studi.
Era però rimasta impressa nella mente del giovane l'educazione cristiana ricevuta dalla mamma, morta da poco tempo. Giovanni aveva abbandonato ogni pratica religiosa, ma alla sera prima di andare a letto pregava per lei.
Il padre, ormai deciso a farlo rinchiudere in una casa di correzione visto l'atteggiamento ribelle del figlio, fece un ultimo tentativo per evitare questa estrema soluzione. Gli ricordò gli ultimi momenti di vita della mamma e il suo desiderio di orientarlo per gli studi da Don Bosco. Conosciuto il desiderio della mamma, Giovanni, commosso, disse di essere disposto a fare qualunque sacrificio per eseguirlo.
Riprendiamo dalle Memorie Biografiche il suo incontro con Don Bosco a Valdocco: «Don Bosco fu non poco meravigliato alla prima comparsa di quel giovanetto... Abiti nuovi e fatti con eleganza, un cappello alla calabrese, un bastoncino in mano, una catenella luccicante sul petto, una lisciata scriminatura dei capelli azzimati erano gli indizi che rivelavano lo spirito di vanità che regnava nel cuore del giovane.
Il padre si accordò facilmente intorno alle condizioni di accettazione; e poi con il pretesto di avere altro da fare lasciò il figlio solo a discorrere con Don Bosco. Alla vista di un giovanetto così atteggiato, Don Bosco non giudicò opportuno parlargli di religione; ma discorse soltanto di passeggiate, di corse, dí ginnastica, di scherma, di canto, di suono. Le quali cose facevano bollire il sangue nelle vene al vanerello allievo al solo udirne parlare.
Ritornato poi il padre, appena poté discorrere liberamente con Giovanni, "Che te ne pare", gli disse, "ti piace questo luogo, che ne dici del direttore?".
"Il luogo mi piace assai, il direttore sembra tutto di mio genio, ma ha una cosa che mí è affatto ripugnante".
"Che mai? dimmelo, siamo ancora ín tempo a provvedere diversamente".
"Tutto in lui mi piace, ma egli è un prete, e questo me lo fa guardare con ribrezzo".
"Non bisogna badare alla qualità di prete: piuttosto bada al merito ed alle virtù che l'adornano".
"Ma venire con un prete vuol dire pregare, andarsi a confessare, andarsi a comunicare. Da alcune parole che egli mi disse, mi è parso che già conosca i fatti miei... basta... Ho promesso, manterrò la parola, il resto vedremo"».
Un ambiente educativoche orienta a Dio il cuore del giovane
Partire dagli interessi dei giovani per condurli agli interessi di Dio è stata l'arte educativa di Don Bosco. Occorre però creare un ambiente che maturi nel giovane l'interesse per le cose spirituali. Giovanni trovò a Valdocco questo clima che favorì la sua conversione.
«Pochi giorni dopo Giovanni entrò nell'Oratorio. Il padre giudicò d'informare Don Bosco di quanto era avvenuto del figlio, e come nutrisse tuttora una grande affezione verso la defunta genitrice. Separato dai compagni, distolto dalle cattive letture, la frequenza dei buoni condiscepoli, l'emulazione in classe, musica, declamazione, alcune rappresentazioni drammatiche in un teatrino, fecero presto dimenticare la vita dissipata che da circa un anno conduceva.
Il ricordo poi della madre, "fuggi l'ozio ed i cattivi compagni", gli ritornava sovente alla memoria. Anzi con facilità ripigliò l'antica abitudine alle pratiche di pietà. La difficoltà era nel poterlo risolvere a fare la sua confessione. Aveva già passati due mesi ín collegio. Si erano già fatte novene, celebrate solennità, in cui gli altri allievi procurarono tutti di accostarsi ai santi Sacramenti; ma Giovanni non poté mai risolversi a confessarsi.
Un anniversario importante
Una sera Don Bosco lo chiamò nella sua camera, e memore della grande impressione che faceva sopra il suo cuore la memoria dí sua madre, prese a dirgli così:
"Mio buon Giovanni, che cosa ti ricorda la giornata di domani?".
"Sì che lo so. Domani è l'anniversario della morte di mia madre. O madre amatissima, potessi una sola volta vedervi, od almeno una volta ancora udire la vostra voce!".
"Faresti tu domani una cosa che sia di gradimento a lei e di grande vantaggio a te stesso?".
"Oh se lo farei! Costasse qualunque cosa!".
"Fa' domani la tua santa comunione in suffragio dell'anima di lei, e le recherai grande sollievo qualora ella si trovasse ancora nelle dolorose fiamme del purgatorio".
"Io la farei volentieri, ma per fare la comunione bisogna confessarsi... Se per altro questo piace a mia madre, lo farò, e se lo giudica a proposito io mí confesso subito in questo momento da lei".
Don Bosco, che non aspettava altro, lodò la sua decisione, lasciò che si calmasse la commozione, poi lo preparò e con reciproca consolazione lo confessò; e il giorno seguente Giovanni si accostò alla santa Mensa facendo molte preghiere per l'anima della compianta genitrice. Da quel giorno la sua vita fu di vera soddisfazione a Don Bosco».
Servirsi di ricorrenze particolari, quali quelle di suffragio per i defunti, per celebrare il sacramento della penitenza, è una bella tradizione da conservare nella Chiesa e da proporre ai giovani che sono sensibili a questi valori.
Da quel giorno il cammino di conversione di Giovanni si fece più deciso.
La necessità
di distruggere il materiale infiammabile
Sappiamo che i confessori chiedono ai penitenti di non tenere del materiale che è stato occasione di peccato. Don Bosco certamente consigliò al giovane di distruggere ogni richiamo ai peccati del passato eliminando il materiale che poteva essere per lui occasione di cadute.
«Conservava ancora Giovanni alcuni libri in parte proibiti, in parte dannosi ai giovanetti, e li portò tutti al direttore perché li consegnasse alle fiamme dicendo:
"Io spero che bruciando essi non saranno più cagione che l'anima mia bruci nell'inferno".
Conservava anche alcune lettere degli antichi compagni, colle quali essi gli davano parecchi cattivi consigli; ed egli le ridusse ín minutissimi pezzi.
Ripigliò poi gli studi, e scrisse sopra la copertina dei libri í ricordi di sua madre: "fuga dall'ozio e dai cattivi compagni".
Mandò quindi una lettera di buon capo d'anno al padre, che provò grande consolazione nel vedere il figlio ritornato ai pensieri che per tanti anni aveva nutriti. Così passò il tempo del ginnasio.
Richiamando alla memoria come nella casa paterna vi erano parecchi libri e giornali cattivi, Giovanni scrisse tante lettere a suo padre, seppe tanto accarezzarlo soprattutto in tempo di vacanza, gli fece tante promesse, che lo convinse a disfarsi di tutto» (MB IV, 499-503).
Fuggire le occasioni di peccato: è questa una raccomandazione da fare soprattutto agli adolescenti, che per la loro naturale fragilità, sono facilmente condizionati dall'ambiente pagano che ormai li circonda e dalle cattive compagnie, alle quali spesso non sanno rinunciare per paura di restare soli ed emarginati.
Don BOSCO
confessa
un diciassettenne
I benefici della confessione frequente
Nei primi tempi dell'Oratorio, Don Bosco era seguito da una folla di giovanetti che al sabato e alla domenica venivano ad assediare il suo confessionale, a pregare e a partecipare alla Messa con una devozione esemplare. Con mille accorgimenti Don Bosco si impadroniva dei loro cuori, in modo da poterli dirigere spiritualmente.
Accadeva, qualche volta, che qualcuno dei più negligenti non si arrendesse così facilmente al suo zelo sacerdotale, ed allora lui trovava altri espedienti più efficaci.
«Da quel giorno
ho provato un gran piacere a confessarmi»
A questo proposito ricordiamo un fatto narrato dallo stesso protagonista in questi termini: «Io avevo 17 anni, frequentavo da qualche mese l'Oratorio, partecipando alla ricreazione, ai giochi e anche alle funzioni religiose; anzi, quando si cantavano salmi, inni o canti sacri, io vi prendevo parte con tutto il mio gusto, e cantavo con quanto avevo di voce... Non mi era per altro ancora accostato al sacramento della confessione. Non avevo alcun motivo per non andarvi, ma avendo lasciato trascorrere un po' di tempo, non sapevo più come risolvermi a ritornarvi.
Qualche volta Don Bosco mi aveva amorevolmente invitato a fare la mia Pasqua, ed io avevo subito risposto di sì; ed intanto ora per un pretesto, ora per un altro, studiavo di eludere quei paterni inviti. Mi accontentavo di promettere, e non mantenevo mai la parola. Tuttavia egli seppe cogliermi in un modo veramente grazioso. Una domenica, dopo le sacre funzioni ero tutto intento in un giuoco, alla barra rotta, e a motivo della stagione già calda, stavo in maniche di camicia. Per l'ansia, il gusto ed il prolungamento del gioco, io ero rosso in faccia e tutto molle di sudore.
Mentre quasi non sapevo se fossi in cielo o in terra, Don Bosco mi chiama in tutta fretta, dicendo:
"Mi aiuteresti a fare una cosa di qualche premura?". "Con tutto il piacere! quale?".
"Forse ti costerà un po' di fatica".
"Non importa; faccio qualunque cosa, sono assai forte". "Vieni dunque in chiesa con me!".
Io, contento oltre modo di servire Don Bosco, lascio prontamente il giuoco, e volevo seguirlo così com'ero, cioè in maniche di camicia.
"Così no — mi disse Don Bosco —. Mettiti la giubbetta". Ed io prontamente me la indossai. Don Bosco precedeva ed io a seguirlo fin nella sagrestia, pensando vi fosse lì qualche oggetto da traslocare.
"Vieni con me in coro", continuò Don Bosco.
"Eccomi", risposi.
E mi condusse presso un inginocchiatoio.
Io che non avevo ancora capito, mi disponevo a prendere quel mobile per trasportarlo.
"Lascialo, lascialo" mi ripeté Don Bosco sorridendo.
"Ma dunque che cosa vuole che io faccia?".
"Voglio che ti confessi".
"Oh questo, sì, ma quando?".
"Adesso!".
"Adesso non sono preparato".
"Lo so che non sei preparato, ma te ne do tutto il tempo: io reciterò una buona parte del breviario, e tu dopo farai la tua confessione, come più volte mi hai promesso".
"Giacché le piace così, mi preparerò volentieri, e non avrò più da darmi briga per cercare il confessore. Ne ho proprio bisogno di confessarmi. Lei ha fatto bene a pigliarmi in questo modo, altrimenti per timore di alcuni compagni non sarei ancor venuto".
Mentre Don Bosco recitava il suo breviario, io feci la mia preparazione e poi mi sono confessato con assai più di facilità che mi aspettassi, perché il mio caritatevole e così ben esperto confessore mi aiutò mirabilmente colle sue sagge interrogazioni. In breve tempo mi sbrigò, ed io, fatta la penitenza, impostami un devoto ringraziamento, corsi a riprendere la mia vivacissima ricreazione.
Da quel giorno più non ebbi ripugnanza ad andarmi a confessare; anzi, provavo gran piacere tutte le volte che potevo accostarmi a questo Divin Sacramento, cosicché incominciai ad andarvi con frequenza.
Fin qui il racconto del giovane. E noi aggiungiamo che d'allora in poi egli fu uno dei più assidui a compiere i suoi doveri religiosi, e con l'esempio e colle parole vi attirava anche gli altri» (MB II, 43 7).
Quanti adolescenti per pigrizia, per negligenza, per rispetto umano e timore dei compagni, rimandano sempre la confessione, mentre è proprio nell'adolescenza che si radicano le cattive abitudini o si è più fragili, ad esempio nel settore della purezza, e la confessione è un ottimo emostatico, che blocca le emorragie nell'amore ed un ricostituente spirituale formidabile.
Contro il soffiare delle passioni, un'adolescente ha una resistenza limitata ed è perciò importante ravvicinare le confessioni. Sentiamo in merito il pensiero di Don Bosco circa la frequenza alla confessione.
Confessarsi!
Ma ogni quanto?
Nella «buona notte» del 20 gennaio 1876, diede ai giovani queste direttive: «Come prima norma si tenga questo. Nessuno si confessi prima degli otto giorni. Vi sono alcuni, specialmente tra i piccolini, i quali verrebbero tutti i giorni. Per tutti in generale si tenga questa norma, ed allora vi sarà comodità per tutti: nessuno però lasci mai passare il mese senza confessarsi: regola ordinaria sia ogni dieci, dodici ed anche quindici giorni.
Molti dicono: "Noi desideriamo andarvi ogni otto giorni". E costoro vadano ogni otto giorni e fanno bene! Ma, dice qualcuno: "Io desidererei andare con frequenza alla santa comunione, ma dopo un paio di giorni che mi sono confessato sono di nuovo come prima e se non mi confesso non oso più andare alla comunione". Io direi a costui: "Se tu non sei capace di perseverare in tale stato di coscienza che ti permetta di andare per otto giorni alla comunione, io non tí consiglio la comunione così frequente".
"Ma io ho voglia di correggermi; andando a confessarmi così con frequenza mi correggerei più facilmente".
"Nossignore, rispondo io, il tempo che impiegheresti ad andarti a confessare la seconda e la terza volta in una settimana, impiegalo a fare il proponimento un po' più fermo e vedrai che questo sarà più efficace che l'andarti a confessare più con frequenza come vuoi fare, ma sempre con poco dolore, con poco proponimento. Appunto il confessore ti ha imposto di andare più di rado acciocché ti prepari meglio ed abbi le debite disposizioni".
Vi è un solo caso in cui credo che uno debba andare con frequenza a confessarsi ed è quando il confessore stesso, dopo aver considerato bene la coscienza del suo penitente gli dice: "Vieni pure a confessarti ogni qual volta cadi in questo o quell'altro peccato; ciò è necessario per vincere quell'abito, per sradicare quella cattiva passione". Quando vi sia questo espresso consiglio del confessore, dato così per fine speciale, è certo che il penitente ne ritrarrà del bene. Fuori di questo caso, prendete l'abitudine di andare ogni otto giorni od anche dodici giorni, e con questo potrete, secondo il consiglio del confessore, fare anche con molta frequenza la vostra santa comunione"» (MB XII, 31).
Don Bosco non solo attendeva i suoi ragazzi in confessionale, ma andava a cercarli, come abbiamo visto fare in una forma così simpatica in questa occasione.
Conosciamo la pigrizia che spesso blocca gli adolescenti, e non solo loro, ad accostarsi con frequenza alla confessione. Lo stratagemma usato da Don Bosco ci dice il suo zelo pastorale ed è di stimolo ai sacerdoti, specie coloro che vivono in mezzo ai giovani, di essere attenti ai singoli adolescenti per aiutarli a confessarsi con frequenza, specialmente quando si fanno più forti le loro crisi adolescenziali.
Dori Bosco
confessa
due giovani
La fedeltà alla confessione nell'età adulta: il frutto di una buona abitudine presa nell'adolescenza
Una constatazione che amareggia le famiglie e le comunità cristiane è vedere come molti ragazzi, dopo il conferimento del sacramento della Cresima, si allontanano dalla Chiesa, disertano la preghiera comune, la Messa domenicale, la Comunione e la confessione. Non pochi di loro si presentano al confessore alla vigilia del matrimonio, dopo aver fatto l'ultima confessione in occasione proprio della cresima, in seconda o terza media.
Già ai tempi di Don Bosco si verificava questo fenomeno.
Don Bosco
confessa un ex-allievo
«Un giovane ex-allievo dell'Oratorio da ben dieci anni non si era più confessato, e trovava grande ripugnanza al sacramento. Un suo parente, esso pure artigiano e antico allievo, lo invitò a fare con lui una visita a Don Bosco, e venuti insieme a Valdocco lo trovarono in sagrestia che confessava gli ultimi penitenti.
Il giovanotto aspettava che Don Bosco si alzasse dalla sedia, quand'ecco il suo compagno dargli un spintone e gettarlo sbalordito fra le sue braccia.
Don Bosco gli disse allora:
"Hai paura di me? Non siamo sempre gli amici di una volta? Se ti vuoi confessare è la cosa più facile. Dirò tutto io".
Il giovane intenerito, incominciò subito la sua confessione e ritornò ad essere un buon cristiano; e ancora oggigiorno ride dello scherzo del suo compagno e narra commosso ciò che Don Bosco gli disse in quel momento» (MB V, 6 3 9 ).
Come è provvidenziale per un adolescente o per un giovane trovare un vero amico che sappia ricondurlo, con il suo esempio e con l'invito esplicito, alla confessione frequente. Sappiamo che spesso è più efficace il buon esempio di un amico che l'insistenza dei genitori e degli educatori.
Certo è essenziale il ruolo del sacerdote che segue i suoi ragazzi ed è loro vicino nelle bufere dell'adolescenza, quando le passioni sconvolgono il loro cuore.
Consolante è invece conoscere dei giovani che nella loro adolescenza sono stati fedeli alla confessione quindicinale o mensile. Manifestano più di altri delicatezza di coscienza e vera crescita nelle virtù umane e cristiane. Accompagnati nel loro cammino vocazionale, si presentano al matrimonio o alla vita consacrata o sacerdotale ben preparati e danno garanzia di fedeltà.
Fondamentale, in questo accostarsi con frequenza nell'età giovanile alla confessione, è la schiettezza e la sincerità nell'accusare i peccati, chiamandoli con il loro nome, vincendo ogni vergogna o rispetto umano.
È stato l'atteggiamento di un giovane operaio confessato da Don Bosco.
Don Bosco
confessa un operaio
«La sagrestia era piena zeppa di fanciulli inginocchiati, e un giovanotto operaio sui diciotto o vent'anni, alto dí persona e tarchiato, con un viso serio serio si confessava.
Era la prima volta che si avvicinava a Don Bosco. Con voce piuttosto forte, sicché tutti potevano intendere, prese a narrare le sue miserie, le quali non erano né poche, né leggere. Invano Don Bosco lo avvertì di parlar più dimesso, e col fazzoletto bianco cercava dí ammortire la sua voce. I compagni più vicini lo toccavano dicendo:
"Parla piano!".
Ma egli non badando a nessuno continuava come prima; e senza desistere di quando ín quando dava dei calci a coloro che lo importunavano. I giovani dovettero, per non udire, turarsi le orecchie colle dita.
Ricevuta l'assoluzione, baciò la mano di Don Bosco con tale scoppio dí labbra, che fece sorridere più d'uno. Quindi si alzò per ritirarsi, e quando si voltò, la sua fisionomia aveva una espressione di pace, di umiltà e di gioia sorprendente.
Egli intanto cercava di farsi largo tra quella folla stipata, che da una e dall'altra parte gli andava ripetendo:
"Perché parlare a voce così alta? Hai fatto conoscere a tutti i tuoi peccati".
Il giovanotto si fermò, allargò le braccia e con un candore singolare disse:
"E con questo? che importa a me che abbiate udito tutto? Li ho commessi questi peccati, è vero, ma il Signore mi ha perdonato. Da qui in avanti sarò buono. Ecco tutto!".
E ritiratosi in disparte s'inginocchiò e immobile protrasse per una buona mezz'ora il suo ringraziamento» (MB III, 160).
Il comportamento di questo giovane operaio ci offre l'occasione di ricordare che il segreto delle cose udite in confessione vale non solo per il confessore, ma anche per coloro che tra i presenti avessero sentito sia l'accusa dei peccati sia le parole del sacerdote.
Ricordi di Don Bosco
Don Bosco, più avanti negli anni, ricordava con grande piacere i fatti sopra narrati, e diceva a coloro che lo ascoltavano con vivo interesse: «Non potete immaginare quanto grande sia il rincrescimento che ora provo di non potermi più intrattenere coi giovani esterni e specialmente coi muratori, tra i quali io potevo fare e, con l'aiuto di Dio, facevo tanto bene. Ancora adesso, quando posso conversare qualche tempo con loro, provo la più grande consolazione. Essi allora mi amavano tanto, che qualunque cosa io avessi loro detto, l'avrebbero fatta. Dicevo ad alcuno:
"Quando verrai a confessarti?".
"Quando vuole: vengo anche tutte le domeniche".
"No, io desidero solo che tu venga ogni due o tre domeniche". "Ebbene lo farò".
E io proseguivo: "Perché vuoi venirti a confessare?".
"Per mettermi in grazia di Dio".
"È ciò che importa soprattutto, ma solo per questo?".
"Per farmi dei meriti".
"E per quale altro motivo?".
"Perché il Signore lo vuole".
"E per altro?".
Il giovane non sapeva più che cosa dire. Allora io gli dicevo: "È perché piace a Don Bosco, che è il tuo amico e cerca il tuo bene".
A queste parole restavano commossi, mi prendevano la mano, la baciavano e ribaciavano, versando alcune volte lacrime di consolazione. Questo io lo dicevo per ispirare loro una confidenza sempre maggiore» (MB III, 161-162).
Ci auguriamo che tanti ragazzi possano trovare dei sacerdoti zelanti come Don Bosco, capaci di conquistare la loro confidenza ed accompagnarli nell'adolescenza e giovinezza, fino alla realizzazione della loro vocazione, e se possibile per il cammino dell'intera vita.
Don Bosco
confessa in sogno
suoi ragazzi
Le condizioni necessarie
per fare delle buone confessioni
Conosciamo tutti l'amore che Don Bosco nutriva per i suoi giovani. Una delle sue principali occupazioni era confessarli affinché dalla frequenza a questo sacramento ricevessero il frutto migliore. Per questo non ci stupisce che i suoi sogni siano stati spesso popolati da coloro la cui anima gli stava così a cuore.
Ecco dunque un famoso sogno che vede Don Bosco impegnato nelle confessioni ed insieme coinvolto in una lotta veramente singolare. È lui stesso a raccontarlo la sera del 4 aprile 18 69, lasciando una profonda impressione nei suoi uditori.
Tre lacci
che conducono alla perdizione
«Sognai — disse — di trovarmi in chiesa, in mezzo a una moltitudine di giovani che si preparavano alla confessione. Un numero stragrande assiepava il mio confessionale sotto il pulpito. Cominciai a confessare, ma presto vedendo tanti giovani, mi alzai e mi avviai verso la sacrestia in cerca di qualche prete che mi aiutasse. Passando vidi, con enorme sorpresa, giovani che avevano una corda al collo, che stringeva loro la gola.
"Perché tenete quella corda al collo? — domandai —. Levatevela!".
E non mi rispondevano, ma mi guardavano fissamente. "Orsù — dissi a uno che mi era vicino — togli quella corda!". "Non posso levarla; c'è uno dietro che la tiene".
Guardai allora con maggior attenzione e mi parve di veder spuntare dietro le spalle di molti ragazzi due lunghissime corna. Mi avvicinai per vedere meglio e, dietro le spalle del ragazzo più vicino, scorsi una brutta bestia con un ceffo orribile, somigliante a un gattone, con lunghe corna, che stringeva quel laccio.
Volli chiedere a quel mostro chi fosse e cosa facesse, ma esso abbassò il muso cercando di nasconderlo tra le zampe, rannicchiandosi per non lasciarsi vedere. Prego allora un giovane di correre in sacrestia a prendere il secchiello dell'acqua santa. Intanto mi accorgo che ogni giovane ha dietro le spalle un così poco grazioso animale. Prendo l'aspersorio e domando a uno di quei gattoni:
"Chi sei?".
L'animale mi guarda minaccioso, allarga la bocca, digrigna i denti e fa l'atto di avventarmisi contro.
"Dimmi subito che cosa fai qui, brutta bestia. Non mi fai paura. Vedi? Con quest'acqua ti lavo per bene, se non rispondi".
Il mostro mi guardò rabbrividendo. Si contorse in modo spaventoso e io scoprii che teneva in mano tre lacci.
"Che cosa significano?".
"Non lo sai? Io, stando qui, con questi tre lacci stringo i giovani perché si confessino male".
"E come? In che maniera?".
"Non te lo voglio dire; tu lo sveli ai giovani".
"Voglio sapere che cosa sono questi tre lacci. Parla altrimenti ti getto addosso l'acqua benedetta".
"Per pietà, mandami all'inferno, ma non gettarmi addosso quell'acqua".
"In nome di Gesù Cristo, parla dunque!".
Il mostro, torcendosi spaventosamente, rispose:
"Il primo nodo col quale stringo questo laccio è per far tacere ai giovani i loro peccati in confessione".
"E il secondo?".
"Il secondo è di spingerli a confessarsi senza dolore".
"Il terzo?".
"Il terzo non te lo voglio dire".
"Come? Non me lo vuoi dire? Adesso ti getto addosso quest'acqua benedetta".
"No, no! Non parlerò, si mise a urlare, ho già detto troppo".
"E io voglio che tu me lo dica". E ripetendo la minaccia, alzai il braccio. Allora uscirono fiamme dai suoi occhi, e poi ancora gocce di sangue. Finalmente disse:
"Il terzo è di non fare proponimenti e di non seguire gli avvisi del confessore. Osserva il profitto che i giovani ricavano dalle confessioni; se vuoi conoscere se tengo i giovani allacciati, guarda se si correggono".
"Perché nel tendere i lacci tí nascondi dietro le spalle dei giovani?".
"Perché non mi vedano e per poterli più facilmente trascinare nel mio regno".
Mentre volevo domandargli altre cose e intimargli di svelarmi in qual modo si potesse render vane le sue arti, tutti gli altri orribili gattoni incominciarono un sordo mormorio, poi ruppero in lamenti e si misero a gridare contro colui che aveva parlato; e fecero una sollevazione generale. Io, vedendo quello scompiglio e pensando che non avrei ricavato più nulla di vantaggioso da quelle bestie, alzai l'aspersorio e gettai l'acqua benedetta da tutte le parti. Allora, con grandissimo strepito, tutti quei mostri si diedero a precipitosa fuga, chi da una parte e chi dall'altra. A quel rumore mi svegliai» (MB IX, 5 9 3).
Un antico proverbio dice: «Un buon consiglio lo si riceve anche dal diavolo». E qui il diavolo ne ha dato a Don Bosco uno che può essere utile anche per noi: «Osserva il
profitto che i giovani ricavano dalle confessioni: se vuoi conoscere se li tengo allacciati, guarda se si correggono». L'esperienza di Don Bosco ci induce a esaminarci se veramente le nostre confessioni cambiano la vita.
L'importanza
del dolore e dei propositi nella confessione
Riguardo ai tre lacci, sappiamo quanto Don Bosco abbia insistito in particolare sul primo, la sincerità in confessione, e come è necessario che i confessori lo ricordino e si conquistino la confidenza dei giovani perché arrivino gradualmente a confessare i peccati dei quali provano maggiore vergogna.
Il secondo condizionamento è quello più comune, cioè la mancanza di dolore. Non abbiamo l'abitudine di vedere il nostro peccato alla luce della passione e morte di Gesù; di ricordarci, contemplando il Crocifisso, quanto e come ci ha amati; troppo spesso ci dimentichiamo dei doni che continuamente riversa su di noi, frutti del suo amore.
Soprattutto non fare propositi oppure farli ma non ricordarli e non mantenerli, significa che non vogliamo convertirci, che c'è ancora affezione al peccato, che non siamo docili ai suggerimenti del confessore, il quale ha il dovere di suggerire e aiutarci a verificare i propositi presi. È vero che i consigli che riceviamo sono da applicare alla nostra vita e a volte non possono essere subito praticati. In questo caso è bene dire al confessore le difficoltà che incontriamo affinché possa aiutarci adeguatamente.
A conferma di quanto esposto leggiamo ciò che Don Bosco raccoglie dalle labbra dell'amico morente Luigi Comollo, suo compagno di seminario: «La frequenza dei sacramenti della confessione e comunione sono i due strumenti, ossia le due armi, con le quali si superano gli assalti del comune nemico, e tutti gli scogli di questo burrascoso mare del mondo. Procura di avere un confessore fisso: a lui apri il tuo cuore, a lui ubbidisci e in lui avrai una guida sicura per la strada che conduce al cielo. Ma, ohimè quanti si vanno a confessare senza alcun frutto: confessione e peccati, ma nessuna emendazione. Ricordati pertanto che il sacramento della Penitenza è appoggiato sopra il dolore e sopra il proponimento, e dove manca una di queste essenziali condizioni diventano nulle e sacrileghe tutte le nostre confessioni» (Bosco GIOVANNI, Cenno biografico del giovane Luigi Comollo, SEI, Torino 1928, pag. 59).
Don Bosco
confessa
un ragazzo dopo
averlo richiamato
da morte
La confessione spalanca il Paradiso e salva dalla perdizione eterna
Don Bosco amava talmente i suoi giovani che si diceva disposto a strisciare la lingua da Valdocco a Superga pur di evitare un solo peccato grave nelle sue case.
Questo suo amore ai giovani, segno di quello di Gesù Buon Pastore, traspare in modo speciale da un episodio della sua vita che, pur conosciuto, non venne divulgato per un sentimento di onore e di rispetto al giovane interessato e ai suoi familiari.
Si tratta della rianimazione di un quindicenne già morto. Don Bosco ottenne dal Signore di poter andare a cercarlo quasi alle porte dell'inferno e, con una confessione fatta bene, introdurlo in Paradiso.
Anche se abbiamo una relazione molto attendibile della marchesa Maria Fassati De Maistre, che ha dichiarato:
«Ho sentito questo racconto dalla bocca stessa di Don Bosco, e ho cercato di scriverlo con la massima fedeltà», noi desideriamo riproporlo così come le Memorie Biografiche di Don Bosco, lo presentano.
Su questo episodio ci sono le numerose testimonianze di Don Rua, di mons. Cagliero, di Giuseppe Buzzetti, di Pietro Enria, di Don Bonetti, di Don Garino e di tanti altri salesiani e giovani. Ecco come ci è stato tramandato.
Lo chiamai per nome:Carlo!
«Un giovanetto sui quindici anni, chiamato Carlo, che era solito frequentare l'Oratorio di san Francesco di Sales, cadde nel 1849 gravemente ammalato, e in poco tempo si trovò in fin di vita. Abitava in una trattoria ed era figlio dell'albergatore.
Vistolo in pericolo, il medico consigliò i genitori di invitarlo a confessarsi, e questi addolorati chiesero al figlio quale sacerdote volesse che gli fosse chiamato. Egli mostrò grande desiderio che si andasse a chiamare il suo confessore ordinario, che era Don Bosco. Si mandò subito a chiamarlo, ma con grande rincrescimento si ebbe per risposta che era fuori Torino. Il giovane manifestava un grande accoramento e si chiese del vice parroco che venne subito.
Un giorno e mezzo dopo egli moriva domandando spesso di parlare con Don Bosco. Appena Don Bosco fu di ritorno, gli fu subito detto che erano stati più volte a cercarlo per quel giovane Carlo, da lui ben conosciuto, che si trovava in pericolo di morte e aveva chiesto di lui insistentemente.
Egli si affrettò a fare quella visita, caso mai, egli diceva, fosse ancora in tempo. Giunto là, incontrò per primo un cameriere a cui subito domandò notizie dell'infermo: "È venuto troppo tardi — gli rispose —: è morto da una mezza giornata!". Allora Don Bosco esclamò sorridendo: "Oh, voi credete che sia morto, ma dorme soltanto!". Il servo lo guardò stupito e con aria ironica...
In quel mentre gli altri di casa, che erano sopraggiunti a queste sue parole, scoppiarono in un pianto dirotto, asserendo che purtroppo Carlo non era più. Don Bosco allora: "Debbo crederlo? Permettete che io vada a vederlo".
E fu subito condotto nella camera mortuaria dove erano la madre e la zia che pregavano vicino all'estinto. Il cadavere, rivestito per la sepoltura, era avvolto e cucito, come allora si usava fare, dentro ad un logoro lenzuolo, e coperto di un velo; vicino al letto una lucerna accesa.
Don Bosco gli si avvicinò e pensava: "Chi sa se avrà fatta bene la sua ultima confessione! Chi sa qual destino avrà incontrato la sua anima!". E rivoltosi a chi lo aveva introdotto, gli disse: "Ritiratevi; lasciatemi solo!".
Fatta quindi una breve, ma fervorosa preghiera, benedisse, e chiamò due volte il giovane in tono imperativo: "Carlo, Carlo, alzati!". A quella voce il morto cominciò a muoversi. Don Bosco nascose subito il cero funebre e con un forte strappo di tutte e due le mani scucì il lenzuolo, perché il giovane restasse libero, e gli scoperse il volto.
Quegli, quasi si svegliasse da un sonno profondo, apre gli occhi, li volge attorno, si alza alquanto e dice: "Oh! Come mai mi trovo così?". Quindi si volta, fissa lo sguardo su Don Bosco, e appena lo riconobbe, esclamò: "Oh! Don Bosco! Oh! se sapesse! L'ho sospirato tanto! Io cercavo appunto di Lei... Ho molto bisogno di Lei. È Dio che l'ha mandato... Ha fatto tanto bene venire a svegliarmi!". E Don Bosco gli rispondeva: "Di' pure tutto quello che vuoi; sono qui per te". E il giovanetto proseguì: "Oh! Don Bosco; io dovevo essere in luogo di perdizione. L'ultima volta che mi sono confessato, non osai confessare un peccato commesso da qualche settimana. È stato un compagno cattivo con i suoi discorsi...".
Sognai di essere sull'orlo di un'immensa fornace
"Ho fatto un sogno che mi ha grandemente spaventato. Sognai di essere sull'orlo dí un'immensa fornace e di fuggire da molti demoni che mi perseguitavano e volevano prendermi: e già stavano per avventarmisi addosso e precipitarmi in quel fuoco, quando una signora si frappose tra me e quelle brutte bestie, dicendo: Aspettate, non è ancora giudicato!'.
Dopo alcun tempo d'angoscia udii la sua voce che mi chiamava e mi sono svegliato; e ora desidero confessarmi".
La madre intanto, spaventata da quello spettacolo e fuori di sé, ad un cenno di Don Bosco, era uscita colla zia dalla stanza e andava a chiamare la famiglia.
Il povero figliuolo, incoraggiato a non aver più paura dí quei mostri, incominciò subito la sua confessione con segni di vero pentimento, e mentre Don Bosco Io assolveva, rientrava la madre colla gente di casa, che poté così essere testimone del fatto. Il figlio, rivoltosi allora alla madre le disse: "Don Bosco mi salva dall'inferno".
Così stette circa due ore, pienamente padrone della sua mente. In tutto questo tempo, per quanto egli si muovesse, guardasse, parlasse, il suo corpo rimase sempre freddo come prima di risvegliarsi. Tra le altre cose ripeté a don Bosco di raccomandare tanto e sempre ai giovani la sincerità in confessione.
Don Bosco infine gli disse: "Ora sei in grazia di Dio: il cielo è aperto per te. Vuoi andare lassù o rimanere qui con noi?". "Desidero andare al cielo", rispose il giovane. "Dunque arrivederci in paradiso!". E il fanciullo lasciò cadere il capo sul cuscino, chiuse gli occhi, rimase immobile e si riaddormentò nel Signore» (MB III, 495; VIII, 93; XV, 572).
Da questa esperienza di Don Bosco è facile trarre l'insegnamento che una confessione fatta bene ci spalanca il Paradiso e ci salva dalla perdizione eterna. È dunque un sacramento da vivere bene.
Don Bosco sappiamo che proponeva mensilmente ai suoi giovani un ritiro spirituale chiamato «esercizio della buona morte», durante il quale li invitava a curare particolarmente la confessione come fosse l'ultima della loro vita. Questo esercizio non era per loro motivo di spavento o di tristezza, ma uno stimolo a vivere in pienezza la loro adolescenza.
Tra i fioretti salesiani che si raccontano è ricordato un ragazzo che, durante i bombardamenti nell'ultima guerra, si era rifugiato con i suoi compagni sotto la Basilica di Maria Ausiliatrice e si era avvicinato ad un sacerdote per confessarsi. Il sacerdote, riconoscendolo, gli disse: «Ma ti sei già confessato questa mattina». «È vero ma non sapevo di dover morire!». Dovremmo ricordarlo anche noi ad ogni nostra confessione: farla bene come se fosse l'ultima della nostra vita.
L'accenno che Carlo fa circa un cattivo compagno ci spinge a fare alcune riflessioni su un argomento così delicato. Lo faremo narrando la confessione di un giovane raccolta da Don Bosco qualche momento prima di morire.
Don Bosco
confessa
un giovane morente
L'eco degli scandali
nell'animo degli adolescenti
La confessione di Carlo richiama l'importanza di confessarsi sempre bene, come se fosse l'ultima volta nella nostra vita. Se abbiamo buona memoria ricordiamo la raccomandazione di Francesco Besucco morente a Don Bosco per i suoi compagni: «Dica che fuggano lo scandalo, che procurino di fare sempre delle buone confessioni».
Raccontando il seguente episodio, in cui Don Bosco confessa un giovane morente, desideriamo riflettere proprio sulla gravità degli scandali che possiamo ricevere o dare agli altri, sulla necessità di confessarli e di riparare per quanto è possibile il male fatto. Per chi ha subito scandalo spesso risulta eroico perdonare. Solo Gesù può chiedercelo perché lui per primo ce ne ha dato l'esempio, quando dall'alto della croce ha perdonato i suoi crocifissori.
Ecco l'episodio come ci è stato riportato dalle Memorie Biografiche (VII, 2 3 1-2 3 3): «Don Bosco era stato chiamato in fretta a confessare un giovanetto sui sedici anni, che aveva frequentato l'Oratorio festivo, il quale si trovava in fin di vita consunto dalla tubercolosi. Abitava in una casa vicina a San Rocco. Don Bosco andò. Quel poveretto lo accolse con molte feste, si confessò e quindi entrarono nella camera suo padre e sua madre, ponendosi ai lati del letto.
Don Bosco rimase vicino al capezzale. Sul viso del morente era comparsa una espressione di profonda tristezza e a un tratto si rivolse alla madre e le disse:
"Vi prego di invitare quel giovane, che è stato mio amico, che abita il piano inferiore di questa casa, a venirmi a fare subito una visita".
"Ma perché desideri vederlo?" gli disse la madre.
"Lo so io il perché! Debbo dirgli una parola".
Sembrando a Don Bosco che tale visita ripugnasse ai genitori, "Non agitarti così — soggiunse —, che bisogno c'è di farlo chiamare?".
"Voglio salutarlo per l'ultima volta".
«Sei tu quello
che mi ha assassinato...»
Questi non tardò a giungere; gettato uno sguardo quasi di terrore sull'infermo, si avvicinò ai piedi del letto. Il morente si sforzò di alzarsi a sedere e i parenti lo aiutarono mettendogli un altro cuscino sotto le spalle.
Allora egli fissò con uno sguardo di angoscia inesprimibile il compagno, tese la mano destra verso di lui, puntandogli il dito indice e con voce stentata:
"Tu!... — gli disse, e riprese un po' di fiato, dopo un violento assalto dí tosse — tu — proseguì — sei quello che mi ha assassinato... Maledetto sia il momento nel quale io t'incontrai per la prima volta... È colpa tua se ora io muoio così giovane!... Tu mi hai insegnato ciò che io non sapevo... Tu mi hai tradito... Tu mi hai fatto perdere la grazia di Dio... Sono i tuoi discorsi, sono i tuoi cattivi esempi, che mi hanno spinto al male e che ora riempiono di amarezza l'anima mia. Oh! avessi seguito il consiglio, il comando di chi mi aveva esortato a fuggirti...".
La fatica del perdono
Tutti piangevano a queste parole. Il compagno tremante, più pallido del morente, sentendosi venire meno si sosteneva al ferro della sponda del letto.
"Basta, basta, calmati!» disse Don Bosco all'infermo. «E adesso perché vuoi angustiarti così? Ciò che è stato è stato, ora non è più... Non pensarci... Tu hai fatta bene la tua confessione e non hai più nulla da temere... Tutto è cancellato e dimenticato. Dio è tanto buono!".
"Sì, è vero! Ma intanto se non fosse per lui, io sarei ancora innocente, io sarei felice, non mi troverei ridotto a questo punto".
"Là... perdonagli! — soggiunse Don Bosco —; il Signore ha già perdonato ci te! Il tuo perdono otterrà anche a lui misericordia".
"Sì, sì gli perdono!" — esclamò quel poveretto. E coprendosi colle mani il volto, ruppe in pianto e ricadde sul guanciale.
Nessuno poteva più reggere a questa scena straziante. Don Bosco fece segno ai parenti che conducessero via quel compagno, il quale singhiozzava senza poter pronunciare una parola. Non reggendosi sulle gambe fu necessario sostenerlo.
Intanto Don Bosco con alcune di quelle parole che sapeva dire lui, ricondusse piena calma nel povero cuore di quel tradito e lo assisté fino all'estremo momento».
Sappiamo quanta eco hanno gli scandali nell'animo dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani e ci risuonano nella mente i guai che Gesù minaccia a coloro che danno scandalo ai piccoli.
È doveroso aiutare a perdonare anche coloro che sono state vittime di scandali, senza però pretendere di arrivare subito ad un perdono immediato e totale. Spesso il non rimuginare sulle offese, cercando di dimenticarle e il pregare per quelli che hanno fatto del male, è già un cammino di perdono.
L'esperienza dice anche che l'adolescente vittima degli scandali trova molta vergogna nel confidare ciò che ha subito, portando in sé, a volte per anni, il suo segreto senza avere il coraggio di liberarsene.
Prevenire gli scandali e invitare a denunciare gli scandalosi, sembra sempre più urgente in questa nostra società che vede dilagare i fenomeni della pornografia e della pedofilia in modo impressionante.
Don Bosco
confessa
i suoi ragazzi
Una bella fotografia di Don Bosco confessore ed un prezioso suggerimento per gli educatori
Una scena a tutti familiare è quella che rappresenta Don Bosco mentre confessa i suoi ragazzi. Sappiamo che si lasciò fotografare alla condizione di avere vicino a sé i suoi ragazzi. Possiamo immaginare quanti desiderarono posare accanto a lui. Questo spiega il fatto che siano così schiacciati e vicini a Paolino Albera, che inginocchiato sembra fare la sua confessione.
Quella fotografia ricorda però la gioia di Don Bosco nel confessare i suoi ragazzi e anche il sacrificio di attendere per lunghe ore a questo ministero.
Racconta Giuseppe Buzzetti, uno dei suoi primi giovani: «Vidi in questi anni Don Bosco passare delle intere notti ad ascoltare i giovani in confessione, trovandosi al mattino seguente seduto ancora nello stesso confessionale ove si era posto al tramonto! Accadde una sera, vigilia di una grande solennità, che suonate le dieci vi fosse ancora un bel numero di penitenti da confessare.
`Andate a dormire, o figliuoli — disse loro Don Bosco —, è molto tardi!".
"No, continui a confessare, abbia pazienza", esclamavano i
giovani. Continuò, ma in breve tempo, uno dopo l'altro, tutti si addormentarono.
Don Bosco stesso si abbandonò sul braccio di Gariboldi nell'atto di confessarlo e fu preso dal sonno. Il fanciullo aveva le mani congiunte, tenendo disteso e sporgente l'avambraccio sul banco. Verso le cinque del mattino, Don Bosco si destò e visti tutti i giovani che adagiati per terra dormivano, si rivolse a Gariboldi che fino allora era stato sveglio, e gli disse:
"Ormai è tempo che andiamo a riposare", ma nel dire questo gli altri si svegliarono e chiesero a Don Bosco di continuare le confessioni...
Verso le due del pomeriggio portatosi in cortile vide che Gariboldi aveva il braccio destro legato al collo e fasciato.
"Che hai fatto, caro Gariboldi, a quel braccio?".
"Oh, niente", rispose il giovane, e non voleva dire nulla a Don Bosco.
Don Bosco, che lo conosceva per un giovane vispo e ardito, non si acquietò e volle assolutamente sapere che cosa avesse al braccio. "Poiché lo vuole proprio sapere glielo dirò".
E gli raccontò il fatto. Quel braccio era nero e livido da fare compassione, poiché durante la notte era stato immobile tra l'inginocchiatoio e la testa di Don Bosco, e il giovane, pieno di venerazione per il suo Direttore, non aveva osato svegliarlo, benché per quell'indolenzimento soffrisse non poco» (MB III, 158).
Di qui si può capire quale affetto e confidenza i giovani avessero riposta in lui. Molti di loro, divenuti adulti, dicevano di Don Bosco: «Egli mi diresse spiritualmente per cinque, otto, dodici anni, e se attualmente sono quello che sono, e per riguardo all'anima e per riguardo alla mia onorevole posizione sociale, devo tutto a lui» (MB III, 160).
Avviandoci alla conclusione delle nostre riflessioni ci sembra utile riprendere un appello che Don Bosco rivolgeva agli educatori, e che troviamo nella biografia di Francesco Besucco. Ci sembra un bel compendio del suo pensiero sulla confessione degli adolescenti.
Un suggerimento agli educatori
«Se per avventura questo libretto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza destinato all'educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore. Prima di tutto, di inculcare con zelo la frequente confessione, come sostegno della instabilità giovanile, procurando tutti i mezzi che possono agevolare l'assiduità a questo sacramento.
Insistano, secondariamente, sulla grande utilità della scelta di un confessore stabile da non cambiarsi senza necessità; ma vi siano più confessori, affinché ognuno possa scegliere colui che sembri più adatto al bene dell'anima propria.
Notino sempre, per altro, che chi cambia confessore non fa alcun male, e che è meglio cambiarlo mille volte piuttosto che tacere un peccato in confessione.
Né manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto naturale, ecclesiastico, divino e civile per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male, fosse anche la morte, manifestare ad alcuno cose udite in confessione o servirsene per sé; che anzi non può nemmeno pensare alle cose udite in questo sacramento; che il confessore non fa alcuna meraviglia, né diminuisce l'affezione per cose comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al penitente.
Siccome il medico quando scopre tutta la gravità del male dell'ammalato gode nel suo cuore perché può applicare l'opportuno rimedio, così fa il confessore che è medico dell'anima nostra, e a nome di Dio con l'assoluzione guarisce tutte le piaghe dell'anima.
Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e spiegate a dovere, si otterranno grandi risultati morali fra i giovanetti, e si conoscerà coi fatti quale meraviglioso elemento di moralità abbia la religione cattolica nel sacramento della Penitenza».
Di tutti gli insegnamenti di Don Bosco quelli che ci sembrano più adatti ai ragazzi e ai nostri giovani sono: la frequenza almeno mensile alla confessione e la scelta di un confessore stabile che sia la guida sicura negli anni giovanili, e li accompagni nella realizzazione della loro vocazione professionale, familiare o di speciale consacrazione. I ragazzi devono avere in lui la massima confidenza per essere profondamente sinceri in confessione.
Ai confessori auguriamo di poter imitare lo zelo di Don Bosco nell'invogliare i giovani a confessarsi con frequenza; ricerchino la loro confidenza, conoscendo le difficoltà ad essere sinceri, e riservino loro i tempi più adatti. Con i ragazzi è bene personalizzare l'incontro, evitando confessioni frettolose o troppo prolungate.
I ragazzi desiderano essere ascoltati; è perciò conveniente non interromperli nell'accusa dei loro peccati, e poi suggerire un proposito concreto chiedendo a loro stessi di formularlo.
La penitenza deve essere facile da ricordare, perciò spesso si tratta di una preghiera da dire collegata al desiderio di vera conversione manifestato dai ragazzi.
Il cuore della confessione consiste nell'aiutarli a riflettere sull'amore di Gesù, invitandoli a contemplare il Crocifisso e a pensare alla sua passione e morte, causata dai nostri peccati. Don Bosco insisteva molto sul sangue versato da Gesù sulla croce. È questo un ottimo esercizio per suscitare in loro il dolore dei peccati.
Ricordiamo che i giovani avranno la stima della confessione che abbiamo noi, che siamo i loro educatori e confessori.
Ai giovani lasciamo come ricordo questo prezioso consiglio di Don Bosco: «Ritenete, giovani miei, che i due sostegni più forti a reggervi e camminare per la strada del Cielo sono í sacramenti della confessione e della comunione».
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BIBLIOGRAFIA
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GIOVANNI Bosco (San), Víta di Magone Michele allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, SEI, Torino 1964;
GIOVANNI Bosco (San), Il pastorello delle Alpi ovvero Vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, SEI, Torino 1963;
ANTONIO LANZA, Messaggi di Don Orione, Quaderno 69, Studio di Don Antonio Lanza, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona - Roma 1988;
PIETRO ZERBINO, I sogni di Don Bosco, Elledici, Leumann (TO) 1995;
BERTETTO DOMENICO, San Giovanni Bosco maestro e guida del sacerdote, Elledici, Colle Don Bosco (AT) 1954.