PG Zasoby

Progetto di vita nelle Costituzioni 1986 - parte 3, 4, conclusione (ris. SDB)

IL PROGETTO DI VITA DEI SALESIANI DI DON BOSCO
 Indice generale
PRESENTAZIONE:
 
Parte Prima:  I SALESIANI DI DON BOSCO NELLA CHIESA (1-25)
I La Società di San Francesco di Sales 1 - 9
II - III Cap.II: Lo spirito salesiano
Cap.III: La professione del salesiano
10 - 25
 
Parte Seconda: INVIATI AI GIOVANI - IN COMUNITA' - AL SEGUITO DI CRISTO (26-95)
IV  Inviati ai giovani - Sez.I: I destinatari della nostra missione - Sez.II: Il nostro servizio educativo pastorale 26 - 39
IV  Sez.III: Criteri di azione salesiana - Sez.IV: I corresponsabili della nostra missione 40 - 48
V In comunità fraterne e apostoliche 49 - 59
VI  Al seguito di Cristo obbediente povero casto - Sez.I: La nostra obbedienza 60 - 71
VI Sez.II: La nostra povertà - Sez.III: La nostra castità 72 - 84
VII  In dialogo con il Signore 85 - 95
 
Parte Terza: FORMATI PER LA MISSIONE DI EDUCATORI PASTORI (96-119)
VIII Aspetti generali della nostra formazione - Sez.I La formazione Salesiana - Sez.II: La formazione iniziale 96 - 108
IX  Il processo formativo 109 - 119
 
Parte Quarta: IL SERVIZIO DELL'AUTORITA' NELLA NOSTRA SOCIETA' (120-190)
X - XI Cap.X: Principi e criteri generali - Cap.XI: Il servizio dell'autorità nella comunità mondiale 120 - 153
XII - XIII Cap.XII: Servizio dell'autorità nella comunità ispettoriale - Cap.XIII: Il servizio dell'autorità nella comunità locale 154 - 186
XIV Amministrazione dei beni temporali - Conclusione - Regolamenti generali - Nota bibliografica 187 - 196
 
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PARTE TERZA

«FORMATI PER LA MISSIONE DI EDUCATORI PASTORI»

 1 Uno sguardo d'insieme.

Le Costituzioni dedicano alla formazione l'intera terza parte, che s'intitola: «FORMATI PER LA MISSIONE DI EDUCATORI PASTORI». Essa è composta di due capitoli: l'VIII, con due sezioni, e il IX, con complessivi ventiquattro articoli.

A complemento, nei Regolamenti generali, vi è pure una parte, la seconda, anch'essa composta di due capitoli, con complessivi venticinque articoli.

Diamo un rapido sguardo ai singoli capitoli e sezioni della parte, per coglierne fin dall'inizio la struttura globale.

1.1 Il cap. VIII è dedicato a presentare gli «ASPETTI GENERALI DELLA NOSTRA FORMAZIONE» ed è suddiviso in due sezioni.

a. La prima sezione (ari. 96-101) si riferisce alla FORMAZIONE SALESIANA nella sua totalità. Di essa si enuncia il principio teologale, il modello, il protagonista, il metodo.

Il principio teologale è il Signore che chiama a vivere nella sua Chiesa il progetto di Don Bosco (art. 96). Il modello con cui ci si deve primariamente e originalmente identificare è Don Bosco fondatore, una guida sicura (ari. 97). Il protagonista, dopo il Signore, che chiama e conduce, è il salesiano. Egli, nella sua comunità, coltiva gli atteggiamenti e usa gli strumenti adatti per «fare esperienza dei valori della vocazione (art. 98), vivendo e lavorando per la missione comune (art. 99): è il metodo suggerito.

In questa impresa la comunità i.spettoriaie ha ruoli e compiti propri (cf. Cost 58) anche perché la si sollecita a curare da vicino una formazione «inculturata» (art. 100-101).

Questo insieme di aspetti generali è posto nel contesto di una citazione biblica che li introduce e li finalizza alla persona di Cristo: «Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Lui che è il capo, Cristo» (Ef 4,15).

b. Nella seconda sezione (art. 102-108) sono presentati gli ASPETTI GENERALI DELLA FORMAZIONE INIZIALE. Non si esclude quanto è stato detto nella prima sezione, anzi lo si suppone e lo si specifica accostandolo alle esigenze speciali di questo primo tempo di formazione.

L'atteggiamento da coltivare è soprattutto quello dell'ascolto e della docilità: «Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta!» (1 Sam 3,9).

Di fronte alla complessità degli obiettivi da raggiungere e da armonizzare nell'unità vitale della persona (art. 102), si avverte il bisogno di formatori «mediatori dell'azione del Signore» (art. 104; Reg 78) e di comunità formatrici «appositamente strutturate (art. 103; Reg 78. 80. 81).

In simili ambienti, fatti di rapporti veri e autentici, prende forza formativa questo tempo di dialogo tra l'iniziativa di Dio che chiama e la libertà del salesiano che accoglie e risponde fedelmente (art. 105).

1.2 Nel cap. IX viene descritto IL PROCESSO FORMATIVO.

È un vero cammino che conosce un inizio e una fine: «Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6). Il cammino incomincia quando il confratello, percependo la vocazione, si impegna a verificarne in se stesso l'autenticità e a giudicare la propria idoneità (art. 109) e termina nell'ora in cui, con l'aiuto della grazia, egli dà alla propria vita consacrata il suo compimento supremo (cf. Cost 54).

È un percorso che conosce periodi specifici diversi (preparazione immediata al noviziato, noviziato, periodo della professione temporanea) con obiettivi propri e passaggi da fase a fase attraverso le ammissioni che fanno il punto sui livelli di maturità richiesti e avvenuti.

La professione perpetua non è posta al termine della propria formazione. È semmai il riconoscimento di una maturità spirituale e salesiana sufficiente ad «acquistare la capacità di imparare dalla vita» (art. 119), così da poter vivere ulteriormente con intenti formativi le situazioni più ordinarie e le più difficili.

2. Aspetti d'interesse.

Questo veloce sguardo d'insieme ci invita a una sosta per meglio comprendere, interrogandoci su qualche aspetto che merita il nostro interesse:

2.1 Perché la «Formazione» nell'insieme organico delle Costituzioni è stata posta come PARTE TERZA?

2.2 Qual è il principio che organizza e ordina questa vasta materia?

2.3 Perché si è data grande enfasi alla formazione iniziale?

2.4 Quali sono le ragioni che fanno importante la formazione in Congregazione?

2.1 Significato della Formazione come parte terza.

La terza parte delle Costituzioni, dedicata alla formazione, segue le parti prima e seconda, che hanno presentato, nei suoi tratti essenziali, la fisionomia della Società di san Francesco di Sales e il progetto di vita che le è proprio, quasi «un testamento vivo di Don Bosco},' la sua autentica via evangelica oggi aggiornata e rinnovata; la quarta parte tratterà del servizio reso dall'autorità per la realizzazione di questo stesso progetto.

Possiamo domandarci: Ha un significato questa precisa collocazione dell'insieme dei contenuti trattati? 0 si è obbedito alle istanze di un ordine semplicemente formale?

La risposta si trova nel testo stesso delle Costituzioni.

Formare è accompagnare la persona finché non raggiunga la pienezza del suo sviluppo e, nel medesimo tempo, è porla in rapporto attivo con la realtà che è chiamata a conoscere, a servire, a salvare: i giovani, specialmente i più poveri, e gli ambienti popolari. Questo ci dice appunto il titolo: «Formati per la missione di educatori pastori».

Ma senza una proposta di vita che abbia valore, senza un'idea di significato intenso e sicuro non può mai accadere che uno si formi, che faccia un cammino di contatti, di scoperte, di conversione, di crescita.

' Cosi Proemio; ct. Cosrùuzioni 1984, Presentazione, p. 6

La Congregazione, dinanzi ai dubbi e ai problemi,2 nutre «la speranza di risolverli positivamente». Ma lega questa speranza e il suo ottimismo alla conoscenza e all'accoglienza di quel progetto di vita che essa custodisce per trasmettere e che Don Bosco per primo ha vissuto (è la PRIMA e la SECONDA PARTE); chiede che lo si renda reale nelle persone  e nelle comunità attraverso un cammino che chiama «processo formativo» (è la TERZA PARTE); e mette a sua disposizione il carisma dell'autorità che essa possiede ed esercita «a nome e ad imitazione di Cristo» (Cost 121). Si disciplina e si organizza soltanto ciò che si vive (è la QUARTA PARTE).

Le Costituzioni condensano il significato di questa sequenza: progetto-formazione in due brevi espressioni dell'art. 96; Gesù «chiama anche noi a vivere nella Chiesa il progetto del nostro Fondatore come apostoli dei giovani. A questo appello rispondiamo con l'impegno di una adeguata e continua formazione».

Anche Don Bosco visse e trasmise ai suoi l'esigenza di unire stima ed entusiasmo per un progetto di vita e per l'impegno formativo...

Il can. Giacinto Ballesio ci dice del clima straordinario di contatti in cui veniva trasmesso il progetto che Don Bosco proponeva, della sua bellezza, del suo fascino; «Pensando come si mangiava e come ci si nutriva, adesso ci meravigliamo di aver potuto allora passarcela senza talvolta patirne e senza lamentarci. Ma eravamo felici, vivevamo di affetto! Si respirava in una regione di splendide idee, che ci riempiva di sé e non pensavamo ad altro».3 Ecco il progetto, la prima e seconda parte delle Costituzioni!

Don Bosco risvegliava forti desideri, quasi un bisogno incontenibile. Ricordiamo gli effetti che ebbe in Domenico Savio la sua predica sulla santità «in una di quelle domeniche» in cui «erano cominciati nei tre Oratori festivi i catechismi quadragesimali». Ma Don Bosco accompagnava anche, partecipava attivamente alla costruzione motivando, convincendo, attendendo in ciascuno alla maturazione della sua libertà e autonomia: «Saliremo insieme il monte del Signore»,4 diceva. Ecco la formazione, la nostra terza parte!

a Cf. CGS, 658

' MB IV, 337

' MB VII, 337. La frase di non Bosco riportata si trova nel contesto della narrazione del sogno, nel quale iI Santo vide Ia faticosa salita di un alto monte insieme con i suoi giovani collabora

2.2 La Formazione permanente, atteggiamento e principio organizzatore.

Leggendo la parte terza delle Costituzioni, scopriamo presto che il testo assume il concetto di Formazione permanente come uno dei criteri unificatori di tutto il processo formativo.

La formazione permanente è «prima di tutto un atteggiamento personale» che diventa, per la forza e l'estensione che possiede, «principio organizzatore che ispira e orienta la formazione lungo tutto l'arco della vita».5 Nel CG22 si ebbe assai presto una felice convergenza su questo punto, fin dai suoi inizi, propiziato del resto dal CG21, dalla FSDB/1981 e da numerosi Capitoli ispettoriali.t

La formazione permanente è dunque, anzitutto, un atteggiamento personale. È la disponibilità e l'impegno concreto «a realizzare il proprio essere come risposta storica, libera e responsabile»' all'appello di Dio.

Il dialogo fra l'iniziativa di Dio e la libertà del salesiano avviene:

- nel contesto di un'Alleanza. Il Signore chiama infatti a riprendere e riconfermare «il mistero dell'alleanza battesimale per una sua espressione più intima e piena» (Cost 23). È un'Alleanza che si percepisce e si sperimenta come principio divino che risiede nelle profondità del cuore e dal di dentro muove, orienta, influenza tutta la vita."

-    all'interno di un progetto che fu di Don Bosco e che, per una grazia analoga alla sua, è anche il nostro.

Questo progetto è descritto dai grandi titoli delle Costituzioni: -- Inviati ai giovani -- in comunità fraterne e apostoliche - al seguito di Cristo obbediente, povero e casto - in dialogo con Lui. È un progetto tipico, un'esperienza di vocazione intesa come «sequela

ton. Ih fronte aW venir meno di diversi compagni di viaggio Don Bosco riflette in questo modo: «Vedo quello che debbo fare... Io non posso fare conto se non di quelli che avrò formati io stesso... Perciò ritornerò alle falde del monte, radunerò molti fanciulli, mi farò amare da essi, lì addestrerò coraggiosamente a sostenere prove e sacrifizi..— mi obbediranno volentieri... saliremo insieme il monte del Signore.

' CG21, 308

* Cf. CG21, 308; FSDB/1981, 415; CG22 Schemi p recapito la ri            16S. 1187; Il, 387.388' CGS, 661

8 Cf. Ger 31, 31-34; Ez 36, 26-27

 

Christi», vissuta secondo lo spirito di Don Bosco, costantemente aperta alle giuste esigenze delle novità rilevabili nella vita della Chiesa, nella storia delle culture, specialmente in quella dei giovani e degli ambienti popolari.

É questo progetto che, se si è fedeli, conduce all'«impegno di una adeguata e continua formazione», per tutta la vita e in ogni circostanza, poiché da esso dipendono «la qualità e fecondità della nostra vita religiosa apostolica» (Cost 118). Questo atteggiamento personale di formazione permanente è così interno alla vocazione e così comprensivo de suoi valori e impegni per tutta la vita che, di per sé, spontaneamente, si propone come principio che organizza tutto il processo formativo.

È all'origine infatti dei vari criteri che orientano il processo formativo stesso e la sua complessità.

Poiché è la persona a dover rispondere alla chiamata di Dio, la formazione dovrà essere personalizzata, dovrà cioè essere fatta sulla natura della persona, indovinare il giusto equilibrio tra la sua formazione e quella del gruppo, tra il tempo previsto per ogni fase e l'adattamento al ritmo di ciascuno.

Poiché è la persona che dev'essere accompagnata e promossa nel cammino che essa fa con tutta se stessa, il processo dovrà essere:

- unitario: dovranno cioè essere presenti in ogni fase, armonizzati in unità vitale, i diversi aspetti della formazione salesiana: maturità umana, approfondimento della vita religiosa, preparazione intellettuale e inserimento nel lavoro apostolico;

- progressivo e graduale, poiché ogni fase deve continuare la precedente e preparare la seguente, pur accentuando quegli aspetti che sono specifici di ciascuna.

Poiché, chiamata dal Signore che la ispira e conduce, è la persona ad essere protagonista di questo cammino, la centralità dell'esperienza personale diventa il criterio che muove tutto il processo e esige coerentemente metodi, ambienti, condizioni e strumenti corrispondenti.

Ecco, dunque, come l'atteggiamento personale di formazione permanente diventa principio organizzatore del processo con cui si attua.

3.3 La Formazione iniziaIe.

Le Costituzioni impostano il discorso formativo sul principio della Formazione permanente. Ma poi, allo stesso tempo, danno un particolare rilievo allla Formazione iniziale.

Già il CG21 orientava in questo senso: «Ci orientiamo principalmente alle fasi iniziali della formazione, perché ad esse fanno riferimento i problemi rilevati dai Capitoli ispettoriali e anche perché esse presentano caratteristiche formative peculiari e irripetibili».'

Il CG22 ha codificato questo orientamento dedicando direttamente alla formazione iniziale 7 articoli su 13 nel cap. VIII, 8 su 11 nel cap. IX delle Costituzioni e 11 su 15 nel cap. IX dei Regolamenti generali.

Le ragioni sembrano evidenti. La formazione iniziale è un processo da privilegiare, perché:

- è alla radice del senso di appartenenza, assicura lo spirito e il sentire comune a partire dal quale tutto il resto in seguito verrà intrapreso, voluto e realizzato;

è al servizio della missione, perché crea la capacità di un giudizio critico integrale, secondo criteri di scienza e di fede. Senza questa capacità si approderebbe alla ripetizione meccanica del passato o all'accoglienza acritica di pregiudizi, secondo le mode del momento;

- è al servizio della persona in quanto costruisce le condizioni personali sufficienti a muoversi dentro il lavoro pastorale con efficacia sì da farne l'ambiente naturale e quotidiano della nostra Formazione che continua.

4.4. Importanza della Formazione.

A conclusione di questa presentazione globale della terza parte, è opportuno riflettere un momento sul significato che la Formazione ha nella vita e nella missione salesiana.

È un'affermazione del CGS: «È' fondamentale l'importanza della formazione. Da essa dipende in gran parte la realizzazione personale di ogni salesiano e l'unità di spirito di tutta la Congregazione».1D Dopo tre

CG21, 243

1e CGS 659

dici anni e dopo una verifica fatta sulla vita della Congregazione, ritorna con accenti ugualmente decisi e convinti nel discorso di chiusura del CG22: «Nei vasto trapasso culturale in cui ci sentiamo coinvolti, la formazione delle persone emerge come una delle più indispensabili priorità di futuro»."

Essa infatti:

- continua l'opera del Fondatore e la sua paternità;

promuove la fedeltà all'unità del carisma e l'impegno per il suo sviluppo;

- pone in rapporto, nella comunità, i doni di natura e di grazia dei singoli con il carisma dell'Istituto in modo che entrambi crescano «nell'amore perfetto di Dio e degli uomini».'2

4.4.1 La formazione prolunga l'opera del Fondatore e la sua paternità.

In Don Bosco si è fatto presente lo Spirito, è germinato il carisma e si è svelata la forma particolare di vita e di missione che la sua Società è stata chiamata a svolgere nella Chiesa.

Leggendo la sua vita si rimane impressionati nel rilevare la coscienza che egli ebbe di essere stato scelto come strumento di Dio: «Il padrone delle mie opere è Iddio, Iddio è il sostenitore, e Don Bosco non è altro che lo strumento» ì3 ispirato, condotto per una via nuova e a lui ignota, la cui direzione si intravvedeva solo gradualmente. Consapevole della responsabilità affidatagli dal Signore e dalla SS. Vergine, ebbe a dire: «La Vergine Maria mi aveva indicato in visione il campo di azione nel quale io doveva lavorare. Possedeva il disegno di un piano, premeditato, completo... Dovetti andare in cerca, secondo quanto mi era stato indicato, di giovani compagni, che io stesso doveva scegliere, istruire e formare»."

Don Bosco esprime con forza, a volte con trepidazione, la volontà di trasmettere l'esperienza e di curare lui stesso tale trasmissione: «Cominciandosi ora a far direttori individui che stettero poco tempo al fianco di Don Bosco, c'è il pericolo di vedere scemate le relazioni così

'I CG22 13ocumen1ì, 87 12 Cosi 25; cf. PC,

1' MB IV, 251

14 MB 111, 247

cordiali» 15 e aumentata la fatica e le difficoltà per «ridurre i molti ad uno spirito e ad un'anima sola».16 Usa gli scritti, le conversazioni, orienta soprattutto alla Regola, luogo della trasmissione del carisma. «Vorrei accompagnarvi io stesso, ma quello che non posso fare io, lo faranno queste Costituzioni».11 Esse raccolgono, per quanto è possibile a parola umana, un'esperienza di Spirito che vuol promuovere un'altra esperienza, l'esperienza del Fondatore che entra in dialogo con i discepoli per provocare lo stesso anelito e la stessa modalità di sequela.

In questo senso il Fondatore è padre: genera a una nuova dimensione di vita, comunica ciò che ha ricevuto, ma che pure ha fatto proprio e trasmette come proprio. È dunque anche formatore e maestro di

formazione in quanto comunica vitalmente, coinvolge secondo il piano di Dio, insegna, orienta e guida.

Don Bosco capì due cose importanti:

- che la formazione apostolica esige un alto grado di identificazione: o impegna tutte le attitudini e i doni di grazia del salesiano (cf. Cast 99. 102) e per tutta la vita (cf. Cost 98) o il salesiano non sarà mai apostolo dei giovani;

- che questa progressiva identificazione non si raggiunge se non attraverso mediazioni e modelli che aiutano a passare dalla sensazione di gioia che si prova stando insieme ad essi, a quella di sfida nei confronti delle proprie capacità fino all'assimilazione personale dei valori che trasmettiamo (cf. Cast 104).

Lo Spirito, che infonde in noi la sua grazia, simile a quella infusa nel Fondatore, agisce attraverso un'economia di mediazioni: la Sua, prima di tutto (cf. Cost 96) e quella della Famiglia religiosa che custodisce il carisma, lo mantiene vivo e operante, lo mostra con la propria esistenza e risponde alle sue esigenze. La Congregazione mette in opera tutti gli elementi formativi convenienti perché l'esperienza del Fondatore che vive in lei si faccia reale e personale in ciascuno dei suoi membri. Essa continua così la prima generazione spirituale.

5 MB XIII, 885

'E Ms IX, boa

" Così Proemio; cf. D. RUA, LettL circolari, p. 498

4.4.2 Identità vocazionale, persona e formazione.

L'identità vocazionale e la persona, e il futuro di entrambi, sono strettamente vincolati fra loro. Il progetto vocazionale, in quanto de-. v'essere compreso, assunto e tradotto nell'esistenza dalla persona, chiama in causa l'impegno e la responsabilità del salesiano, la sua libertà e creatività, la sua docilità soprattutto. Il progetto diventa un'esigenza interrogante.

La formazione è capace di rispondere a queste interrogazioni e di soddisfare queste esigenze. Essa accompagna il passaggio dal salesiano «pensato» e proposto come ideale (prima e seconda parte) al salesiano «ín formazione continua», in movimento verso il compimento di se stesso (terza parte).

Sono indici di questo dinamismo i vocaboli stessi che nella terza parte esprimono la formazione e il suo ambiente: «dialogo» (Cost 105), «appello» e «risposta» (Cost 96), «processo» ed «esperienza» (Cost 98), «responsabilità», «crescita» (Cost 99), «cammino di crescenti responsabilità» (Cost 105).

L'identità vocazionale, la sua unità e il suo sviluppo sono in parte originati, sempre accompagnati e rassicurati dalla formazione. Essa permette e stimola una «fedeltà capace di riportare nell'oggi della vita e della missione l'ardimento col quale (Don Bosco) si è lasciato conquistare dalle intenzioni originarie dello Spirito»,18 la sua stessa genuinità carismatica, vivace e ingegnosa, 19

" Cf. Religiosi e Promozione umana, CRIS, Roma 1980, n. 30 " Cf. MR, 23f; PC, 1-2; ET, 11

CAPITOLO VIII

ASPETTI GENERALI DELLA NOSTRA FORMAZIONE

La formazione è un impegno permanente, una costante collaborazione con lo Spirito Santo per configurarsi a Cristo, un cammino che si fa per rispondere all'invito di Dio.

Il Cap. VIII presenta gli <Aspetti generali della nostra forma

zione», cioè i principi, i criteri e le condizioni che definiscono e rendono possibile il progetto formativo che la Congregazione offre a chi si sente chiamato alla vita salesiana.

La prima sezione del capitolo è composta di 6 articoli (96-101) e mette in evidenza gli aspetti generali della formazione salesiana nel senso più ampio e comprensivo; la seconda formula in 7 articoli quegli aspetti generali che sono propri della formazione iniziale.

Ecco i punti di rilievo della prima sezione, le affermazioni che devono essere verificate lungo la vita per assicurare l'esperienza formativa e la crescita vocazionale.

1. L'impegno formativo è la prima responsabile espressione della risposta alla chiamata di Dio. Alla chiamata corrisponde la risposta, e questa risposta, presa sul serio, si chiama formazione. Essa è l'esigenza vocazionale prima e originaria.

L'art. 96 dunque manifesta e assicura il principio teologale fondante della formazione: la chiamata del Signore.

2. Chiamati dal Signore (vocazione), ci impegniamo ad essere salesiani (formazione). L'identità vocazionale determina l'orientamento specifico della formazione. L'art. 97 ne indica il principio carismatico.

3. Che cosa è e in che cosa consiste la formazione? È un processo che dura tutta la vita e consiste nel fare esperienza dei valori della vocazione salesiana. È l'art. 98. Questa esperienza, dice l'art. 99, si fa

«vivendo e lavorando per la missione comune». È l'indicazione non diffusa ma chiara del principio metodologico.

4. Primo responsabile della propria vocazione e quindi della propria formazione è il confratello (è una responsabilità evidenziata a più riprese nelle Costituzioni). La comunità, che custodisce e manifesta con la sua vita e il suo lavoro la presenza del carisma, ne è l'ambiente naturale, il luogo dove si fa esperienza e, per questo, diviene essa stessa soggetto di formazione, deve continuamente progredire e rinnovarsi (art. 99).

5. La formazione salesiana nel mondo è allo stesso tempo unitaria e diversificata. Questa prospettiva, presentata nell'ari. 100, si riferisce costantemente alla sua origine: l'identità carismatica. Essa, in forza dei contenuti specifici e permanenti che la configurano, rende unitaria la formazione; la sua fecondità d'altronde genera la diversità delle sue espressioni concrete: un cuore salesiano e tanti volti, uno spirito e tante sensibilità.

6. La prospettiva annunciata dall'art. 100 dà la ragione fondamentale dell'impegno non sostituibile e della principale responsabilità delle Ispettorie che, per questo, hanno autonomie riconosciute, organismi adatti e possibilità di concreta realizzazione. È quanto contiene l'art. 101.

La seconda sezione considera, oltre agli elementi indicati nella prima, gli aspetti generali «specifici» da valorizzare perché si dia una vera esperienza di formazione iniziale. E precisamente:

L Gli obiettivi e la prospettiva di fondo sono i diversi aspetti (maturazione umana e approfondimento della vita consacrata) armonizzati in unità vitale, di cui ci parla l'art. 102;

2. L'ambiente: sono le comunità appositamente strutturate, di cui all'ari. 103;

3. 1 responsabili, i formatori e il salesiano in formazione iniziale, con i rispettivi ruoli e impegni specifici: su di essi ci informano gli art. 104 e 105;

4. Il processo formativo (art. 106-108): un curricolo di livello paritario con obiettivi e contenuti simili, distribuiti in periodi e fasi successive e caratterizzati per la loro assimilazione da un crescente impegno di discernimento.

Sezione I

LA FORMAZIONE SALESIANA

«Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo' (EI,, 4,15).

Nella Scrittura il motivo della crescita, dei perfezionamento religioso, di fede, in analogia con lo sviluppo umano, è ben presente, data la condizione storica dell'Alleanza. Converrà riassumerne i tratti specificanti alla luce del NT: l'atto di giustificazione con il Battesimo è l'inizio della salvezza, non il suo compimento, per cui occorre superare lo stadio infantile per diventare uomini spirituali (cf. 1 Cor 3,1s; Eb 5,12ss); in altri termini la

vita cristiana è comandata da una legge di progresso; la perfezione è tra

guardo più che umano, è nettamente escatologico e frutto della grazia (Fil 2,12s); la crescita ha una meta ultima che si pone anche come modello: è il rapporto con Cristo.

Nei Vangeli è facile vedere l'incidenza di Gesù nella crescita dei suoi discepoli. Opportunamente l'art. 96 delle Costituzioni cita Mc 3,14 e Gv 16,13. Ma vi è un testo nel NT che è l'espressione forse più compiuta de! significato dì maturazione e maturità cristiana: Ef 4, 7-16, entro cui si trova la nostra citazione.

La sezione della Lettera agli Efesini ha per tema «la costruzione del Corpo di Cristo» (4,12) mediante i molteplici carismi e servizi. Fonte e meta di questo processo è I' «uomo perfetto», ossia il Cristo nella sua pienezza, il Figlio di Dio (4,13). Al negativo ciò comporta uno stato di vigilanza contro modelli alternativi (4,14). Al positivo si tratta di procedere secondo un cammino di crescita dato dal vivere e testimoniare la verità mediante la carità, ossia il Vangelo accolto e attuato in uno stile di Chiesa contrassegnato dall'amore fraterno.

II «crescere in ogni cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo» non blocca però la crescita cristiana in una sterile concentrazione intimistica e sacrale. Ma semmai, riconoscendo - come fa la lettera di Paolo -- che il Cristo rappresenta la pienezza dell'universo e il suo destino, ogni tipo

dì crescita, necessaria allo sviluppo storico dell'umanità, va perseguita, e insieme commisurata, purificata, orientata e vissuta in riferimento a Gesù Cristo e alla causa del suo Vangelo.

In quest'ottica il compito della formazione, che è tipicamente tema educativo e solca questa parte dedicata alla formazione, si trova aperto alla responsabilità di portare avanti quelle dinamiche richieste dalla ragione secondo i progressi delle scienze umane, coniugandole con la responsabilità ancor più radicale che il progresso sia ispirato, sorretto e finalizzato dalla «grazia di Cristo». È quanto le Costituzioni dicono in altra parte, parlando del nostro servizio educativo pastorale, orientato a Cristo, uomo perfetto» (Cost 31).

* * *

ART. 96 VOCAZIONE E FORMAZIONE

Gesù chiamò personalmente i suoi Apostoli perché stessero con Lui e per mandarli a proclamare il Vangelo.' Li preparò con amore paziente e diede loro lo Spirito Santo che li guidasse alla pienezza della verità.'

Egli chiama anche noi a vivere nella Chiesa il progetto del nostro Fondatore come apostoli dei giovani.

A questo appello rispondiamo con l'impegno di una adeguata e continua formazione, per la quale il Signore dona ogni giorno la sua grazia.

cf. Mc 3,14 ' cf. Gv 16,13

Sullo sfondo di una pagina evangelica, un'affermazione fondamentale: rispondere alla chiamata significa vivere in atteggiamento di «formazione», di attenzione allo Spirito e alla vita.

Gesù chiama e farina.

Il primo riferimento costituzionale della Parte dedicata alla formazione ci riporta alla vocazione cristiana battesimale, al nostro «camminare al seguito di Cristo» (Cost 3) e lo fa ricordando allo stesso tempo il modello di ogni vocazione apostolica, quella dei Dodici. È l'eco di quanto affermano i primi articoli della nostra Regola di vita: siamo dei battezzati, discepoli di Gesù, consacrati apostoli (Cast 2-3), formati dall'azione di Gesù e del suo Spirito.

«Gesù chiamò i suoi Apostoli... li preparò»: due momenti, non separati né successivi, ma simultanei e complementari che accennano ad alcune prospettive per ogni salesiano. Riflettendo sulle diverse affermazioni dell'articolo, possiamo facilmente coglierle.

- «Gesù chiamò personalmente»: vocazione personale, dunque formazione personalizzata.

L'art. 22 inizia: «Ciascuno di noi è chiamato da Dio». Non ferma l'attenzione alla modalità dell'invito, quanto piuttosto alla personalizzazione della chiamata e al cammino formativo da intraprendere. Gli Apostoli, i primi salesiani, noi stessi con la nostra storia siamo alcune viventi espressioni di vocazioni personali, che domandano una formazione che tenga conto e raggiunga la realtà della persona.

- «Perché stessero con Lui»: la formazione è condivisione di un'esperienza.

Ricordiamo che cosa si dice prima della elezione di Mattia in Atti 1,21-22: «È necessario dunque che un altro si unisca a noi per farsi testimone della risurrezione del Signore Gesù. Deve essere uno di quelli che ci hanno accompagnato mentre il Signore Gesù è vissuto con noi». Questa espressione, così semplice e così densa, ce ne ricorda un'altra del nostro ambiente, così familiare ai primi Salesiani: «Stare con Don Bosco». Sono noti gli inviti del nostro Padre: «Voglio che facciamo un contratto... Ti fermeresti volentieri all'Oratorio per stare sempre con Don Bosco?»' Nell'art. 97 leggiamo appunto dei «primi salesiani inseriti nel vivo della sua comunità in azione»: Don Bosco, sull'esempio di Gesù, formò i suoi condividendo con loro la vita.

«Stare con» permette di essere più disponibili agli insegnamenti, porta a condividere le vicende, gli impegni, l'esperienza interiore, i criteri, lo stile, lo spirito. Condividere è formarsi.

' MB VI, 439. Cf. anche MB XI, 288-289; XV. 569; XVI, 301

- «Per mandarli a predicare il Vangelo», per renderli capaci di vivere da consacrati, apostoli del Padre, evangelizzatori.

La natura della vocazione determina l'orientamento specifico della formazione (cf, Cast 97), i suoi obiettivi, i contenuti, i metodi, i ruoli e gli strumenti, finanche le esigenze e le scelte nell'ambito intellettuale (cf. Reg 82).

L'«andate», l'essere «pescatori di uomini», l'annuncio del Regno è l'orizzonte che Gesù ricorda spesso agli Apostoli e «verso» il quale li aiuta a maturare.

Anche Don Bosco intratteneva spesso i giovani, i novizi, i confratelli sulle prospettive della sua missione: servivano da stimolo, erano un'esigenza e un criterio formativo. Leggiamo nelle Memorie Biografiche: «Pratica costante di Don Bosco fu di interessare i suoi alunni per tutto ciò che si faceva all'Oratorio. Egli desiderava che lo considerassero come casa propria, e perciò li teneva informati di quanto lo riguardava... Costituita la Pia Società di San Francesco. di Sales, continuò a fare altrettanto: egli voleva che per molti alunni divenisse l'ideale della vita cristiana, lo scopo dei loro studi, il posto sicuro della loro vocazione, la partecipazione alle opere e ai gloriosi destini promessi dalla M adonna».2

- «Li preparò e diede loro lo Spirito». Gesù prepara i suoi perché imparino a compiere la missione che Egli affiderà, soprattutto perché siano docili allo Spirito.

È un accenno a due momenti del processo formativo:

·    alla formazione iniziale come momento specifico di preparazione. Non è solo periodo di attesa, ma tempo di lavoro e di santità (cf. Cast 105); è un cammino verso obiettivi e impegni determinati, avviato con una metodologia propria fatta di discernimento, maturazione, opzioni motivate (cf. Cost 102. 109).

·       alla formazione come atteggiamento permanente di disponibilità allo Spirito, primo formatore 'e unico Maestro, la cui azione è «per il professo fonte permanente di grazia e sostegno nello sforzo quotidiano» (Cost 25).

MB IX, 569

La testimonianza neotestamentaria, soprattutto quella degli Atti, così letti e presi a modello da Don Bosco, ci narra il processo di formazione permanente degli Apostoli animati dallo Spirito Santo, vissuta nel confronto con «il pensiero di Cristo», nella ricerca fatta insieme, non sempre facile, nella risposta a situazioni religiose e culturali diverse, mentre era a volte drammatico il passaggio tra Antico e Nuovo Testamento, tra popolo di Israele e Chiesa, in uno sforzo di comprensione progressiva e paziente della loro vocazione e del loro ministero.

Lo Spirito accompagnò gli Apostoli perché non perdessero mai la capacità e il dono di «imparare dalla vita» (Cost 119).

- «Con amore paziente». è il senso e la comprensione delle persone che misura le richieste sulla loro maturità e dunque sa attendere e nello stesso tempo impegnare, sa mettere in crisi e incoraggiare, presenta i grandi ideali e li confronta con la croce. Spesso l'esperienza formativa degli Apostoli, a livello personale e di gruppo, fu condotta da Gesù secondo questa pedagogia. «Alla fine Gesù, si legge in Marco, apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che lo avevano visto risuscitato. Poi disse: Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini» (Mc 16,14-15).

Don Bosco ricordò anch'egli più di una volta la sua esperienza per incoraggiare i suoi nel compiere ciò che il Signore aveva indicato. Possiamo rileggere in quest'ottica l'introduzione che Don Bosco fa alle «Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales»: «...servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo...».'

La nostra risposta: l'impegno formativo.

Nella seconda parte dell'articolo, di fronte all'iniziativa e all'azione formatrice di Gesù, si mette in evidenza la nostra risposta che si fa reale nell'impegno formativo.

' MO, p. 16; cf. MB VIFI, 922 (ú. Rua incomincia a raccogliere le memorie dell'Oratorio alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime)

Come gli Apostoli siamo chiamati, in forme personali e diverse, per «camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno» (Cost 3); come gli Apostoli ci prepariamo attraverso le iniziative e l'azione della comunità e di coloro che in forma speciale sono «mediatori dell'azione del Signore» (Cost 104).

La specificità, la profondità carismatica, le proiezioni pastorali del progetto di Don Bosco, del quale siamo corresponsabili, esigono che noi «rispondiamo con l'impegno di una adeguata e continua formazione».

Per questo impegno «il Signore dona ogni giorno la sua grazia»: Egli stesso, cioè, come ai suoi Apostoli, offre il suo «amore paziente» per accompagnarci nel cammino e dà la forza e la grazia quotidiana del suo Spirito per percorrerlo (cf. Cost 25). Se il processo formativo richiede da parte del salesiano responsabilità personale (cf. Cast 99), generosità e fedeltà, è lo Spirito del Signore il protagonista primo, che ispira, conduce, sostiene e fa fruttificare.

Signore Gesù Cristo,

Tu chiamasti i tuoi Apostoli

e li preparasti con amore paziente alla missione evangelica, offrendo ad essi la testimonianza della tua esperienza interiore e rafforzandoli col dono dello Spirito Santo. Tu hai chiamato anche noi nel medesimo Spirito ad essere i continuatori dell'opera,

che ispirasti a Don Bosco

a bene soprattutto dei giovani poveri.

Ti lodiamo e Ti benediciamo per questo grande dono.

Ti supplichiamo di sostenerci ogni giorno con la tua grazia nell'impegno costante della nostra formazione, affinché corrispondiamo in tutto alla Tua chiamata.

ART. 97 ORIENTAMENTO SALESIANO DELLA FORMAZIONE

I primi salesiani trovarono in Don Bosco la loro guida sicura. Inseriti nel vivo della sua comunità in azione, impararono a modellare la propria vita sulla sua.

Anche noi troviamo in lui il nostro modello. La natura religiosa apostolica della vocazione salesiana determina l'orientamento specifico della nostra formazione, necessario alla vita e all'unità della Congregazione.

Commentando l'art. 96, si è fatto notare lo stretto rapporto che esiste tra vocazione e formazione e, di conseguenza, la necessità della formazione stessa. L'art. 97 contiene un secondo principio fondamentale, che comprende due affermazioni:

I. La prima: Don Bosco è il «modello», il «punto di riferimento costante» nel cammino formativo. In lui l'identità salesiana si è fatta persona, interiorità e presenza attiva che rivolge un appello e si apre alla comunione;

2. La seconda: «La natura religiosa apostolica della vocazione salesiana determina l'orientamento specifico della nostra formazione». È il criterio carismatico della formazione: la nostra vocazione è salesiana, la nostra formazione dev'essere salesiana.

Don Bosco Fondatore, «modello» e «guida sicura».

Il rapporto con Don Bosco è qui considerato nella prospettiva della formazione.

Egli è una presenza che vive i valori della vocazione con la capacità di un forte irraggiamento. Il CG2I lo ha espresso con convinzione: Don Bosco «non è per noi un semplice ricordo del passato, ma è una presenza carismatica, viva, operosa e protesa al futuro. In Lui noi comprendiamo meglio noi stessi e ritroviamo il vero senso di appartenenza alla Congregazione».'

' CG21, 163

La scoperta della identità vocazionale comincia dalla scoperta del proprio Fondatore come depositario «vivente» del nucleo originale del carisma dell'Istituto. Chiamati a partecipare della sua esperienza spirituale, del suo stile di vita e di azione, centrato nel «da mihi animas», troviamo in lui l'espressione storicamente determinata di una certa forma del cuore e della mente, di una sensibilità evangelica, di una visione pastorale. In questo senso egli ci è donato come «modella», come segno efficace della nostra vocazione e formazione. Quelli che hanno ricevuto lo Spirito, lo hanno ricevuto come luce. Provocano quindi una «simpatia», un «sentire comune», una conoscenza intima di valori e di ideali.

L'art. 97 sottolinea questa trasmissione del carisma attraverso il Fondatore facendo «memoria» della nostra tradizione.

- Accanto all'altissimo esempio degli Apostoli formati dal Signore (cf. Cost 96), viene ricordato l'esempio familiare dei primi salesiani che ebbero la fortuna unica di avere il Fondatore come «identità salesiana vivente» e loro «formatore»: «modello», dice l'articolo, e «guida sicura». É la testimonianza che cogliamo vivissima nelle Memorie Biografiche: «In quegli anni in cui Don Bosco veniva sempre con noi... nell'Oratorio si viveva la vita di famiglia, nella quale l'amore a Don Bosco, il desiderio di contentarlo, l'ascendente che si può ricordare ma non descrivere, facevano fiorire tra noi le più belle virtù... La grande autorità, l'opinione di santo, di dotto, in cui da noi era tenuto, quasi tipo ideale di moral perfezione...»?

- Don Bosco non era un modello a sé stante, separato, una perfezione statica, non comunicante. Egli coinvolgeva i giovani e i Salesiani nella sua stessa esperienza. I Salesiani e i ragazzi si sentivano corresponsabili di un progetto missionario mondiale. La comunione nell'azione e nella vita portava al confronto, alla sintonia, all'imitazione originale. Vivere e lavorare con lui portava a comprendere, a voler essere come lui, a restare con lui, a comunicare ciò che accadeva «nel vivo della sua comunità in azione». Una prova di questa convinzione è il sottotitolo che don Giuseppe Vespignani diede al suo «Un anno alla scuola

2 MB V, 737

44

del Beato Don Bosco», citando la prima Lettera di Giovanni: «Ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che contemplammo lo testimoniamo e lo annunciamo a voi» (1 Gv 1-2),

Portando tutto ciò sulla misura del nostro tempo, l'art 97 orienta:

- a rifarsi a Don Bosco, perché in lui «si può rileggere con l'ottica del suo spirito il mistero e il Vangelo di Cristo in risposta alle nuove interpellanze dei tempi»; s

- a farsi partecipi di una comunità «viva» che, nelle sue varie configurazioni (locale, ispettoriale, mondiale), permette e spinge a contatti, a conoscenze, a impegni e alla loro comunicazione. Quando ciò avviene in modo vero e autentico, la comunità, ricca di modelli, diventa il luogo naturale della formazione, un modo di essere che permette e stimola la conoscenza vitale e l'assimilazione dei valori vocazionali.

Identità vocazionale come criterio di orientamento nel processo formativo.

La prima parte dell'art. 97 ci ha descritto «storicamente» come l'identità salesiana, che ha Don Bosco come modello personificato, si assimila attraverso un'esperienza vissuta nel vivo di una comunità. Nella seconda parte si codifica questo fatto come criterio di orientamento formativo: «la natura religiosa apostolica della vocazione salesiana determina l'orientamento specifico della nostra formazione». La nostra formazione è da farsi tutta sotto questo segno.

Il dono che abbiamo ricevuto deve diventare la nostra fisionomia spirituale, il talento dovrà svilupparsi superando ogni genericismo, poiché «ogni Istituto, nato per la Chiesa, è tenuto ad arricchirla con le proprie caratteristiche secondo un particolare spirito e una missione specifica» .4

Questo dono e questo talento sono come il fine verso cui tendiamo, il fine riconosciuto come nostro, che attrae a sé e orienta con la forza

' CG22, RRM, n. 305

" MR, 14b

della sua verità e della sua carità tutto il processo formativo e il nostro impegno.

Così mentre «l'identità vocazionale, al di là delle legittime differenze socio-culturali, costituisce l'unità qualitativa e la realtà più profonda della Congregazione»,$ la formazione, che tende allo sviluppo di questa identità è «necessaria alla vita e all'unità della Congregazione» (Cost 97).

Va sottolineata questa affermazione: la formazione, curando la crescita delle persone e delle comunità attorno all'unico «modello» della vocazione, Don Bosco, e allo stesso progetto apostolico, contenuto nelle Costituzioni, è un fondamento essenziale per l'unità dell'intera Congregazione. La «Ratio fundamentalis» (FSDB), che intende «salvaguardare l'unità dei contenuti essenziali nella diversificazione delle espressioni concrete e lo fa «determinata da un'esperienza di vocazione intesa come sequela Christi secondo lo spirito di Don Bosco»,6 rappresenta la codificazione del criterio suddetto e delle esigenze che gli sono connesse.

0 Spirito di Dio,

con novità incessante Tu susciti nella Chiesa

uomini credenti che in forme diverse manifestano il Cristo vivo e collaborano con Lui alla costruzione del Regno. In Don Bosco, Padre e Maestro,

nella sua predilezione per i giovani,

nella sua testimonianza di santità

riconosciamo il dono che hai fatto a noi e alla Chiesa. Fa' che ogni salesiano,

 

trovando nel Fondatore il modello della propria vocazione, ne renda attuale la presenza e l'azione tra i giovani d'oggi, mosso dallo zelo del «da mihi animas» del suo cuore oratoriano.

5 CG21, 242; cf. ACSn. 272, (1973), p. 6

6 CF. FSDB. 1

ART. 98 L'ESPERIENZA FORMATIVA

Illuminato dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco, il salesiano si impegna in un processo formativo che dura tutta la vita e ne rispetta i ritmi di maturazione. Fa esperienza dei valori della vocazione salesiana nei diversi momenti della sua esistenza e accetta l'ascesi che tale cammino comporta.

Con l'aiuto di Maria, madre e maestra, tende a diventare educatore pastore dei giovani nella forma laicale o sacerdotale che gli è propria.

Che cosa è in concreto la formazione, in che cosa consiste, a che cosa tende?

L'art. 98 offre una prima risposta e la condensa in tre affermazioni: la formazione è un processo, consiste nel fare esperienza dei valori vocazionali, ha come obiettivo la vocazione specifica del salesiano.

La formazione è un processo che dura tutta la vita.

Si tratta di percorrere un itinerario con ritmi diversificati, ma per tutta la vita, che ha come punto costante di riferimento la persona di Gesù Cristo, percepita con la sensibilità spirituale di Don Bosco.

La realtà della persona, della vita cristiana e della vocazione è dominata da una prospettiva di movimento: è un procedere, un camminare lungo un itinerario di permanente risposta al Padre, nella sequela di Cristo e nella collaborazione con lo Spirito.

Non si propone con questo l'idea di un puro e continuo divenire che svuoterebbe di consistenza reale ciò che già si vive e che è significato in modo definitivo nella professione perpetua.

È piuttosto un'angolatura e un atteggiamento a cui conduce la natura stessa della vocazione e la sua autenticità, «costantemente aperta alle giuste esigenze delle novità rilevabili nella vita della Chiesa, nella storia delle culture, specialmente in quella dei giovani e degli ambienti

popolari».' La formazione ha l'andamento di una storia, con avvenimenti interiori particolari nel contesto stesso degli avvenimenti esterni.

È «un processo», cioè un insieme di elementi e modalità che caratterizzano e influiscono sullo sviluppo della persona e sul suo rapporto con l'esistenza in continuo movimento.

Si noti la specificazione del testo: il compito della formazione dura tutta la vita: è un riferimento chiaro al fatto che la formazione è per sua natura «permanente», nel senso visto già introducendo il cap. VIII: z in tal forma che la formazione permanente è principio organizzatore di tutto il processo formativo, e tutto ciò che le Costituzioni diranno avrà come orizzonte la vita stessa, tutta la vita.

Fare esperienza dei valori vocazionali.

I primi due articoli di questa terza parte (art. 96 e 97), riferendosi all'esperienza formativa degli Apostoli con Gesù e all'esperienza dei primi Salesiani nella comunità dell'Oratorio con Don Bosco, ci fanno capire in forma concreta che cosa significhi «fare esperienza dei valori della vocazione».

È una tipica conoscenza interiore che si acquista nel contatto con le persone e la realtà. È il senso e il frutto di quello «stare con Lui» che vissero gli Apostoli. La condivisione della vita nelle situazioni più diverse, il rapporto interpersonale, il confronto e la riflessione sollecitata da Gesù sugli ideali, le attese, le speranze e sulla via indicata dal Padre per raggiungerli, portò gli Apostoli ad avere la stessa forma di mente e di cuore di Gesù, a fare esperienza dei valori inauditi che Egli proponeva.

Anche per Don Bosco l'esperienza formativa, che egli offriva a quanti erano disposti a vivere con lui, era un'esperienza vissuta in un ambiente ricco di valori umani e evangelici, un ambiente di comunicazione, di contatti, di impegni.

E documento «Mutuae Relationes» descrive appunto in toni esi

FSDB, FSDB, l

cf. Introduzione al cap. VIII p. 673-674

stenziali il «carisma dei Fondatori»: «un'esperienza dello Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata».'

Vissuta prima in forma spontanea e quasi improvvisata, anche se seguita con attenzione e saggezza pedagogica da Don Bosco, l'esperienza del primo Oratorio si trasformò progressivamente in un processo organico e unitario.

Oggi, il testo costituzionale, parlando della vocazione salesiana, indica quali siano i contenuti da assimilare, le attitudini da possedere, gli atteggiamenti da vivere. Si tratta di farli passare da proposta a progetto, da valori conosciuti a valori vissuti, «vivendo e lavorando per la missione comune» (Cost 99). È il metodo.

Il lavoro e, nel lavoro e attraverso il lavoro, i rapporti, i contatti diretti, molteplici e costanti (non occasionali) con le persone e la realtà, sono l'insieme delle attività e degli eventi, che liberano le energie di una persona e generano un processo attivo di risposta.

La risposta vocazionale è, anzitutto, sostenuta dall'azione dello Spirito e dalla grazia che il Signore dona ogni giorno (cf. Cost 25. 96); ma essa esige anche uno sforzo ascetico.

Il rapporto con Dio è una strada continua dove la libertà dell'uomo è completamente e continuamente in gioco e dove il rapporto vissuto non è mai dato per scontato una volta per sempre, non è neppure ovvio o spinto avanti da un'istintiva spontaneità. Al salesiano si richiede lo sforzo ascetico che, tuttavia, per tradursi in effettiva esperienza virtuosa, ha bisogno di essere integrato dalla grazia. Solo la forza della grazia può veramente sradicare e rinnovare dal profondo la natura decaduta e non soltanto travestirla esteriormente.

Si ha dunque una reciproca integrazione tra vita di ascesi e vita di Spirito. Il testo della Regola le richiama insieme. Se la vita spirituale è altamente desiderosa di imprimere i suoi valori trascendenti sullo sforzo ascetico, anche l'ascesi è tutta preoccupata di rendere il salesiano il più possibile disponibile al dono dello Spirito.

Sul cammino dell'ascesi si incontra la croce. Il salesiano, infatti, è al seguito di Gesù, cammina con Lui per la costruzione del Regno (cf. Cost 3). Ora, il «Regno di Dio» è il frutto supremo dell'esperienza pa-

MR, 11

squale del Cristo, è il frutto del suo amore, che si manifesta in forma definitiva sulla croce.

Il salesiano, che si forma sempre meglio alla scuola di Gesù e sul

l'esempio di Don Bosco, conosce dunque le esigenze dell'esperienza della Pasqua. Ma come non ricordare anche la meta da raggiungere già fin da questa terra come frutto dell'accoglienza della croce nella sua vita? «I consigli evangelici, ci dicono le Costituzioni all'art. 63, configurando il suo cuore tutto per il Regno, lo aiutano a discernere e ad accogliere l'azione di Dio nella storia; e, nella semplicità e laboriosità della vita quotidiana, lo trasformano in un educatore che annuncia ai giovani `cieli nuovi e terra nuova' (Ap 21,1), stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza».

L'esperienza formativa ha come obiettivo la vocazione specifica.

«Educatore pastore dei giovani»: un'espressione tipica che sintetizza l'esperienza carismatica di Don Bosco, il progetto vocazionale salesiano, la nostra identità nella Chiesa.

La risposta alla chiamata di Dio si compie attraverso la tensione per essere e vivere, in forma sempre rinnovata, da educatori pastori dei giovani. Questa intenzione definisce la validità e la coerenza dell'esperienza stessa dei valori.

Non è dunque questione di formare monaci, o asceti, o grandi professori, ma educatori capaci e «buoni pastori», secondo lo spirito salesiano.

È una visuale unitaria, di capitale importanza, che era senza dubbio quella stessa di Don Bosco. Come annota il Concilio, riferendosi alla formazione specifica dei futuri sacerdoti ,4 tale prospettiva investe non solo l'unità dei contenuti della formazione, sì che tutti gli aspetti di essa

" II decreto Opta rara totius, parlando delle formazione dei futuri sacerdoti, pastori d'anime sull'esempio del Signore Gesù, maestro, sacerdote e pastore, dice: «Pertanto tutti gli aspetti della formazione spirituale, intellettuale, disciplinare siano in piena armonia indirizzati a questo fine pastorale, e tutti i superiori e i maestri si applicheranno a raggiungere questo fine con zelo e con azione concorde» (OT, 4). Questa prospettiva, con le sfumature che ci sono proprie e tenendo conto della presenza nella nostra comunità di soci chierici e laici, può esser applicata anche all'unitarietà della nostra formazione.

siano in piena armonia indirizzati al Fine educativo e pastorale, ma anche l'unità dei formatori: direttore, maestri di spirito, confessori, professori devono mettersi d'accordo per orientare la loro azione differenziata nello stesso senso: formare Salesiani impegnati dal «da mihi animas» e competenti nel loro servizio educativo pastorale.

L'espressione costituzionale ricorda ad un tempo l'unica vocazione e l'unico obiettivo accennato e le diverse forme in cui si realizza. La Società salesiana è composta di chierici e di laici, che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità.

In nessun momento esiste il salesiano generico, e le diverse forme dell'unica vocazione costituiscono una prospettiva permanente che specifica l'esperienza dei valori della vocazione stessa nei suoi diversi aspetti.

La missione, la vita di comunità, la pratica dei consigli, la preghiera, e dunque l'esperienza formativa, sono vissute da ognuno secondo la dimensione che gli è propria.

Illuminato dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco e... con l'aiuto di Maria, madre e maestra.

Queste due espressioni, incidentali nel testo, vogliono indicare l'una il Cristo vivo, centro della formazione, l'altra Maria. Essa è maestra in ogni formazione. La sua vita profondamente docile allo Spirito la predispone a concepire Gesù in virtù dello stesso Spirito Santo (Lc 1,35), a educarlo e a lasciarsi da Lui educare, attenta ai voleri del Padre. La dimensione mariana pervade tutto il testo, perché Maria accompagnò Don Bosco nel suo cammino, fatto di impegno personale, di capacità di ascesi, soprattutto di grazia di Dio manifestata anche attraverso la presenza di Maria.

Essa ci orienta al Cristo, poiché il Cristo vivo è al centro della formazione. Non si potrebbe esagerare questa visione di fede, né il vantaggio che ne deriva dal darle un aspetto concreto, vitale e personale, evitando aridità e astrattezza. Siamo in perfetta linea con il mistero della vocazione. Si tratta di fissare lo sguardo su Qualcuno, Modello perfetto, su Cristo consacrato al Padre per la sua missione.

Ma uno sguardo al Cristo del passato per essere da lui «illuminato» sarebbe troppo poco. Si tratta anche di essere «vivificato» dal Cristo glorificato di oggi, e perciò di vivere nella sua intimità mediante lo Spirito Santo.

Ciò significa affermare un mistero di grazia: Cristo stesso continua nella Chiesa a formare i propri discepoli e apostoli con il suo Spirito. Si deve ad ogni costo mantenere la formazione a questa profondità: «senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). È un appello a tutti, formatori e formandi, a restare in atteggiamento di ascolto e di docilità verso lo Spirito di Cristo.

Vissuto secondo lo spirito di Don Bosco, è il Cristo assimilato salesianamente (se così ci si può esprimere). Ispirarsi a Cristo e diventare un buon pastore salesiano non è un'unica e medesima cosa? Ricordiamo l'art. 2 della Regola: la nostra vocazione è quella di essere «segni e portatori» dell'amore di Cristo, buon Pastore, ai giovani, specialmente ai più poveri.

Il salesiano ben formato è quello che è diventato capace di questo. Il commento più tipico di questa visuale è l'art. 11, il quale spiega che la carità pastorale, centro e sintesi dello spirito salesiano (cf. Cost 10), «trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre...». Come Don Bosco, «nella lettura del Vangelo siamo più sensibili a certi lineamenti della figura del Signore... ».

La prima frase del nostro articolo dà, perciò, l'impostazione fondamentale: se il Vangelo adottato come «regola suprema» dev'essere studiato e vissuto in tutte le comunità salesiane, esso deve «splendere» nelle comunità formatrici; ma si tratta del Vangelo quale Don Bosco l'ha compreso e vissuto.

Volendo essere completi si dovrebbe dire che i due libri base del salesiano in formazione sono il Vangelo e le Costituzioni. E che la sua realtà centrale più viva è l'Eucaristia.

Signore Gesù, che a Don Bosco hai dato

la Vergine Maria quale Madre e Maestra

e lo hai condotto, attraverso un'esperienza gioiosa e sofferta,

a comprendere il Tuo disegno per la salvezza dei giovani, concedi anche a noi di vivere in pienezza, con la materna guida di Maria,

i valori e gli impegni della nostra vocazione. Aiutaci a conformare con instancabile generosità ogni momento della nostra esistenza alla luce della Tua Persona e del Tuo Vangelo, perché tra coloro ai quali ci mandi siamo, in forma fedele e creativa, educatori e pastori nello stile di Don Bosco.

ART. 99 IMPEGNO PERSONALE E COMUNITARIO

Ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione. Docile allo Spirito Santo, sviluppa le sue attitudini e i doni della grazia in uno sforzo costante di conversione e di rinnovamento, vivendo e lavorando per la missione comune.

Il naturale ambiente di crescita vocazionale è la comunità, dove il confratello s'inserisce con fiducia e collabora con responsabilità. La vita stessa della comunità, unita in Cristo e aperta alle esigenze dei tempi, è formatrice: essa per questo deve continuamente progredire e rinnovarsi.

Chi è il soggetto dell'azione formativa, il responsabile del processo vocazionale e come si esprime questa responsabilità?

Sono numerosi gli articoli delle Costituzioni (vedi in particolare quelli del cap III) che si riferiscono alla responsabilità personale del salesiano e alla corresponsabilità della comunità. La chiamata è rivolta al singolo, ma allo stesso tempo forma parte di quel dono che il Signore vuole vivo nella Chiesa e che ha affidato ai discepoli del Fondatore convocati e riuniti insieme dalla sua Parola. È un «aspetto generale» della formazione, una condizione cioè per la sua riuscita e un principio della sua validità.

Ogni salesiano è responsabile in prima persona della sua formazione.

Ogni salesiano, dal momento in cui risponde «sì» al Signore che lo chiama e lo manda (cf. Cost 24), sceglie di assumere in prima persona, sempre e in ogni circostanza della sua esistenza, l'impegno della sua crescita vocazionale. È una responsabilità che lo costituisce; da essa non può evadere, ad essa non può abdicare.

La professione perpetua non è tanto segno dell'«essere arrivati», quanto l'espressione ecclesiale di un impegno di permanente collaborazione con lo Spirito. Lo Spirito del Signore è il primo protagonista e il supremo Maestro. Ma dopo di Lui e con Lui la persona chiamata è l'altro termine diretto di questa Alleanza (cf. Cost 23). Ciascuno, perciò, è

chiamato personalmente ed è impegnato da questo appello a rispondere personalmente.

Atteggiamenti e metodo per un cammino responsabile.

Per dare alla responsabilità di ciascuno un contenuto definito, il testo invita a coltivare alcuni atteggiamenti e ad assumere un metodo concreto.

- L'atteggiamento fondamentale che viene proposto è di vivere nella docilità allo Spirito che, fin dai primi articoli costituzionali appare come il grande animatore della vocazione salesiana in Don Bosco (cf. Cost 1. 21), nella comunità (cF. Cast 2) e nel cammino di santificazione di ogni confratello (c£. Cost 25).

L'essere discepoli dello Spirito comporta un riferimento costante a Gesù Cristo. Gesù è veramente «l'immagine del Dio invisibile e il primogenito di ogni creatura» (Col 1,17). Egli è l'immagine sia del Padre comunicata agli uomini sia del Figlio dell'uomo che ritorna al Padre per cantarne la gloria. Vita spirituale significa essere costituiti una sola cosa col Cristo, diventandone a nostra volta l'immagine che rivela il suo amore, ai giovani specialmente, e reca al Padre la risposta della loro libertà conforme alla sua.

- I1 metodo è di «vivere e lavorare per la missione comune». I rapporti con le persone e gli impegni diretti di lavoro formano l'insieme di quegli eventi e fatti che, rivelando le esigenze delle cose e gli appelli del Signore, liberano le energie di una persona e generano un processo attivo di conoscenza vitale e di adesione. Ma non ogni attività e ogni rapporto porta verso la docilità allo Spirito. Soltanto quelli sorretti da motivi veri e autentici. Le Costituzioni affermano che lo sviluppo delle attitudini e dei doni della grazia non avviene se non «in uno sforzo costante di conversione (purificazione e approfondimento delle motivazioni) e di rinnovamento (scoperta e assimilazione progressiva dei valori)».

Come si vede, la responsabilità della propria e altrui formazione esige dinamismo spirituale, concretezza pedagogica, capacità di ascesi.

Gli orizzonti della responsabilità del salesiano sono dunque da una parte la volontà di Cristo su di lui, dall'altra i giovani da servire e gli impegni pastorali dell'Ispettoria a cui provvedere. Ciascuno «sviluppa le sue attitudini e i doni della grazia « non evidentemente per una affermazione individuale. I doni di Dio non sono soltanto e soprattutto per il singolo. Egli è venuto per «servire» e si arricchisce per dare di più.

Le Costituzioni, indicando con una certa insistenza l'impegno personale del singolo, ricordano anche a quanti operano in strutture formative il dovere di avere chiara coscienza della centralità della persona che presenta la domanda per iniziare un cammino di crescenti responsabilità e per rispondere a Dio che la chiama e la conduce, sostenuta dall'opera intelligente e dalla carità dei fratelli. Non si potrà fare a meno, se l'aiuto vuole essere reale, di operare coerentemente secondo una metodologia e una pedagogia adeguata.

La comunità, ambiente e soggetto dell'esperienza formativa. Ambiente e soggetto dell'esperienza formativa.

«Noi, salesiani di Don Bosco (SDB), formiamo una comunità di battezzati che, docili alla voce dello Spirito, intendono realizzare in una specifica forma di vita religiosa il progetto apostolico del Fondatore» (Cost 2). Questa affermazione iniziale delle Costituzioni enuncia un principio che definisce e raggiunge la totalità della nostra vocazione.

Non si può parlare di esperienza vocazionale se non si parla di comunità come ambiente e soggetto di formazione.

Dice infatti la Regola: la comunità è «il naturale ambiente di crescita vocazionale». «La vita stessa della comunità» diventa un elemento costante di promozione: la condivisione fraterna, e specialmente lo slancio apostolico incarnato in un progetto comune e coerente, la centralità di Cristo vissuta e celebrata, l:autenticità dello stile di vita evangelica comunicano vitalmente l'ideale salesiano, diventano criterio e stimolo vocazionale. Tanto più che spesso, nella comunità, questo ideale vocazionale non è percepito soprattutto attraverso la somma e la qualità dei valori che circolano, quanto nella presenza di «modelli» in persone che per i loro rapporti rendono più facile l'identificazione dei valori stessi.

La comunità dunque è l'ambiente, ma anche il soggetto collettivo che interagisce con il singolo ed ha una grazia speciale di efficacia formativa: «dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sono Io in mezzo a loro « (Mt 18,20).

Condizioni per un efficace ambiente formativo.

L'art. 99 si preoccupa di indicare, in modo generale, quali condizioni e atteggiamenti devono curare sia il salesiano che la comunità perché la loro stessa vita promuova e accolga la formazione. Più in dettaglio e compiutamente questi atteggiamenti e condizioni si ritrovano anche nel cap V, dove si parla della comunità in generale, e negli articoli che descrivono le comunità formatrici di formazione iniziale (cf. Cost 103. 110).

1. Al salesiano si chiede di inserirsi con fiducia e collaborare con responsabilità.

- La fiducia è un'apertura, una confidenza, una stima nei confronti della comunità di appartenenza, dei suoi valori già presenti e delle sue virtualità che la fanno sentire come il luogo dove il Signore ha chiamato la persona per costruire la propria vita e quella dei fratelli. «Ogni salesiano, con la preghiera e la testimonianza, contribuisce a sostenere e a rinnovare la vocazione dei suoi fratelli» (Cost 101). Naturalmente la fiducia è molto facilitata quando essa è un atteggiamento reciproco. Tutti sanno quanto l'opinione che la comunità mostra e diffonde nei confronti di un fratello dia vigore o deprima la sua capacità di inserimento, di cammino e di rendimento.

- La collaborazione responsabile impegna ad accedere a tutta l'informazione che riguarda il proprio lavoro, a partecipare alla elaborazione e alla attuazione delle mete formative, verificando periodicamente la propria vita e la propria attività per misurarne l'utilità e il significato in rapporto ai giovani che accostiamo, alla società in cui viviamo, alla Chiesa che si fa carico dei problemi urgenti degli uomini. Si potrà vivere in un piccolo luogo, ma la responsabilità chiede di avere il respiro ampio del Regno di Dio.

2. Alla comunità, perché sia realmente ambiente formativo, si

chiede di diventare una comunità di vita caratterizzata dall'essere:

- «unita in Cristo», apostolo del Padre, convocata da Lui, corresponsabile della missione che Egli le affida, animata dal suo Spirito di comunione, dove i rapporti interpersonali si ispirano «al modello delle prime comunità apostoliche e alla comunità familiare di Valdocco»; dov'è possibile comunicare, in un ambiente di considerazione e di ascolto, di comprensione e di verifica, la propria esperienza pastorale e spirituale; dove ci si impegna a costruire la vocazione di ciascuno con l'apporto di tutti, con l'amicizia, la testimonianza, il consiglio, la correzione fraterna, il perdono.

- «aperta alle esigenze dei tempi», sensibile al movimento della storia, ai bisogni dei giovani e del popolo, alle caratteristiche delle culture. Di fatto, il tipo e la misura dei rapporti della comunità con la vita della società, la sua cultura e le sue esigenze sono orientati e determinati dalla prospettiva globale della vocazione (cf. Cost 7) e dalle esigenze della pastorale ecclesiale. Per le comunità formatrici anche dalle esigenze particolari che esse hanno nei diversi periodi di formazione e che comportano ritmi differenti di distacco e di presenza. La comunità aiuta il salesiano ad accettare con senso di responsabilità le aperture e le rotture a cui l'impegna la sequela del Signore nel proprio progetto di vita: sono anch'esse un modo di amare Dio e i giovani.

a Padre, che ci hai chiamati per nome

e ci hai riuniti in una famiglia spirituale per il bene della gioventù,

concedi a ciascuno di noi una perfetta docilità al Tuo Spirito perché, vivendo e lavorando per la missione comune,

ci rinnoviamo ogni giorno

nel servizio generoso di Te e dei fratelli.

Fa che ogni nostra comunità,

unita in Cristo e aperta alle esigenze dei tempi, divenga sempre più l'ambiente adatto

per far esperienza della vita e della missione salesiana, sull'esempio della prima comunità di Valdocco.

Per Cristo nostro Signore.

1 CGS, 672

ART. 100 UNITA DELLA FORMAZIONE E CULTURE

Il carisma del Fondatore è principio di unità della Congregazione e, per la sua fecondità, è all'origine dei modi diversi di vivere l'unica vocazione salesiana. La formazione è dunque allo stesso tempo unitaria nei contenuti essenziali e diversificata nelle espressioni concrete: accoglie e sviluppa tutto ciò che di vero, di nobile, di giusto le varie culture contengono.

' cf. Fil4,8

 

Nel popolo di Dio lo Spirito Santo è allo stesso tempo principio di unità e germe di cattolicità. È lo Spirito della Pentecoste: tante nazioni, un solo popolo; tante culture, un solo Corpo di Cristo.

Anche nei riguardi del carisma salesiano, lo Spirito, che lo ha sucitato, lo rende fecondo e, mentre lo caratterizza nella sua specificità con i suoi doni, ne moltiplica la presenza fra i popoli, lo pone e lo fa crescere in situazioni ecclesiali diverse. La Congregazione è chiamata dunque a vivere, nelle varie culture e in vista della sua stessa missione, l'esperienza della Chiesa una e cattolica: «Dio chiama i Salesiani da una determinata situazione culturale, dalla quale sono inevitabilmente connotati e alla quale saranno mandati, per essere `segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri'».'

È un dato di fatto che si ricava dalla lettura della nostra storia e come in sintesi, simbolicamente, anche dal sogno dei dieci diamanti, il sogno della nostra identità. I diamanti incastonati, con il rilievo di luce e di collocazione che ad ognuno compete, danno la «visione organica e dinamica» della caratteristica spirituale del salesiano e concorrono a tracciare il profilo spirituale della nostra indole propria. Don Rinaldi, il più acuto interprete di questo sogno, invita a «una vera incarnazione di questo vivente personaggio»,2 «nei suoi minuti particolari» (essere «Uno solo!», dirà), onde la Società salesiana rifulga quale deve essere nell'universo mondo».3

Cf. FSDB, 19

 ACS n. 55, 24 dicembre 1930, p. 924

' ACS n. 55, Ivi

 

Il carisma principio di unità e germe fecondo di diversità.

«Il carisma del Fondatore è principio di unità della Congregazione e, per la sua fecondità, è all'origine dei modi diversi di vivere l'unica vocazione salesiana»: è la prima affermazione dell'art. 100 e ricorda una realtà e una caratteristica vocazionale, già ampiamente messe in risalto perché corrispondono al significato stesso del testo costituzionale, che vuole essere «simbolo» di questa unità e fondamento e criterio di una autentica diversità. «Dappertutto ci sforziamo di rendere vivo e inculturato lo spirito del nostro Padre e Fondatore Don Bosco, unico modello per tutti».¢

Questo è importante per la continuità e lo sviluppo del carisma e delle culture stesse. «Un carisma non aperto e duttile ai valori delle culture si sclerotizza e si emargina dal futuro; ma una cultura chiusa alla sfida dei segni dei tempi, all'interscambio con le altre culture e alla trascendenza del mistero di Cristo del suo Spirito, rischia di presentarsi come un semplice museo del passato o come una interpretazione riduttiva della universalità. Si percepisce qui quanto è divenuta delicata e impegnativa oggi nella Congregazione l'attività formativa».5

La formazione: unitaria nei contenuti e diversificata nelle espressioni.

L'identità costituisce la forza di unità e la realtà più profonda della Congregazione.

Ma l'unità oggi si realizza nel decentramento, e un genuino processo di decentramento implica un esplicito e concreto impegno di unità. La formazione, determinata nel suo orientamento specifico dalla natura della vocazione, si ispira a un criterio coerente e assume caratteristiche corrispondenti: «è allo stesso tempo unitaria nei contenuti essenziali e diversificata nelle espressioni concrete».

E. VIGANO, Il testo rinnovato della nostra Regola di vita, ACG n. 312 (1985), p. 29 ' Ivi, p. 30

A5

La FSDB, come guida pratica della formazione a livello mondiale, «espone e sviluppa in maniera organica e didattica l'insieme dei principi e norme della formazione che si trovano nelle Costituzioni, nei Regolamenti generali e in altri documenti della Chiesa e della Congregazione».ó «Il servizio che rende è quello di assicurare la solidità e l'efficacia di questa stessa formazione...; e, di conseguenza, di salvaguardare l'unità dei contenuti essenziali nella diversificazione delle espressioni concrete»,'

È compito del Direttorio ispettoriale (sezione formazione) applicarli alla realtà locale.

Ambedue (FSDB e Direttorio ispettoriale) tendono a favorire e ad assicurare realizzazioni formative rispondenti alle esigenze del nostro tempo nella fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al genuino pensiero de Don Bosco.

Esigenze e momenti di un metodo.

L'ultima espressione dell'ari. 100: «accoglie e sviluppa tutta ciò che di vero, di nobile, di giusto le varie culture contengono», ricorda la necessità dell'apertura alle culture, che le Costituzioni proponevano fin dall'art. 7: non solo il decentramento, ma la trasmissione stessa del messaggio evangelico e il carisma salesiano esigono che essi si incarnino nella cultura di un determinato popolo: è la legge della «incarnazione», che attinge alle origini stesse del mistero cristiano.

L'articolo però presenta anche direttamente, al positivo, un momento di un metodo, che comporta attenzione e discernimento. Scrive il Rettor Maggiore: «Il processo di inculturazione esige simultaneamente che si conoscano i valori ben determinati da incarnare e che si sia capaci di fare un acuto e giusto discernimento circa le esigenze delle culture locali».$ Implicitamente vengono indicati altri criteri ed esigenze facilmente deducibili. Essi sono:

FSDB, i ivi

& ACG n. 312 (1985), p. 29

 

- la conoscenza della cultura di provenienza e di quella del luogo, ottenuta attraverso contatti con quanti la vivono;

- l'identificazione di ciò che nella cultura è incompatibile col patrimonio evangelico e carismatico della Congregazione. Se lo è in modo assoluto, si dovrà avviare un cammino di trasformazione della mente e del cuore; se lo è in modo relativo, si tratterà di rettificare, riorientare, estendere e perfezionare i valori;

- la proclamazione esplicita degli elementi di assoluta novità che il patrimonio evangelico e carismatico contiene e del quale può beneficiare come di una grazia ogni cultura.

Non va dimenticato che la valorizzazione delle culture ha bisogno di essere permeata da una chiara visione di trascendenza. La forma di crescita dei «segni dei tempi», emersi in questi ultimi decenni, e l'interscambio ormai universale tra la diverse culture fanno esplodere ognuna di esse. Inoltre le verità del mistero di Cristo e la vitalità creativa dei carismi del suo Spirito apportano un fermento di revisione, di purificazione e di dinamismo a beneficio delle culture stesse... Va mantenuta una delle caratteristiche del Regno che è quella di situarsi al di là di ogni cultura, nell'unità fraterna del popolo di Dio che non dovrebbe conoscere né frontiere né razze.9

La Tua Sapienza, o Dio onnipotente,

«si estende da confine a confine con forza e amministra ogni cosa con soavità», spargendo in tutti i popoli e in tutte le culture i semi della Tua santa presenza.

Anche nella nostra Società Tu hai fatto splendere

i doni dell'unità e dell'universalità:

tanti volti, molti popoli e diverse culture,

ma una sola famiglia e un solo «cuore oratoriano».

Rendi attente le nostre menti e generosi i nostri cuori, perché nella fedeltà al carisma

v Cf. ACG n. 312 (1985), p. 29-30

 

che concedesti all nostro Santo Fondatore, sappiamo mantenere l'unità dello spirito

e cogliere «tutto quanto di vero nobile e giusto» hai donato ai popoli tra i quali ci mandi,

per ricondurre tutta a Te, sorgente di ogni bontà, in Cristo Gesù nostro Signore.

ART.101   COMUNITA’ ISPETTORIALE E FORMAZIONE

La comunità ispettoriale accoglie e accompagna la vocazione di ogni confratello, cura la preparazione dei formatori e le strutture di formazione, anima l'impegno formativo delle comunità locali.

È suo compito, tramite i diversi organi di animazione e governo, stabilire il modo di attuare la formazione secondo le esigenze del proprio contesto culturale, in conformità con le direttive della Chiesa e della Congregazione.

Nell'esercizio di questa comune responsabilità ogni salesiano, con la preghiera e la testimonianza, contribuisce a sostenere e a rinnovare la vocazione dei suoi fratelli.

A partire dal CGS si è attribuita alla comunità ispettoriale una particolare importanza sul piano della «corresponsabilità e partecipazione» dei soci e su quello della «sussidiarietà» e del «decentramento», perché si sviluppasse e crescesse l'unità viva della Congregazione nella varia pluralità delle situazioni. Oggi si dà grande spazio alla comunità ispettoriale e alla sua responsabilità anche in campo formativo sia per le possibilità che essa presenta («con l'autonomia che le compete», Cost 157) sia per il servizio a cui è chiamata: rientra nel suo compito «promuovere la vita e la missione della Congregazione» (Cost 157).

Spetta al Rettor Maggiore col suo Consiglio promuovere «la costante fedeltà dei soci al carisma salesiano» (Cast 126) e la loro formazione integrale (Cast 135); corrisponde al singolo salesiano assumere, per quanto gli compete, la responsabilità della propria formazione e alla comunità locale costituirsi in ambiente e soggetto di formazione; ma è primariamente la comunità ispettoriale la responsabile diretta della formazione salesiana nei suoi diversi aspetti e nella sua realizzazione concreta e globale.'

Il compito fondamentale e specifico.

La comunità ispettoriale è impegnata nel compito di una formazione salesiana «nel proprio contesto». È un compito che nasce dalla

I Cf. FSDB, 156

sua stessa definizione, dal significato e dalla funzione che le è propria: far vivere l'unica vocazione salesiana e promuovere la missione della Congregazione in un contesto determinato (Cost 157).

Le compete dunque quanto affermava l'art. 100, ripreso ora nel 101: coniugare unità e pluriformità, identità carismatica e pluralismo culturale, «stabilire il `modo' di attuare la formazione» secondo le esigenze della cultura a cui appartiene, in conformità con le direttive della Chiesa e della Congregazione (Cost 101) ed elaborare questo «modo» in una guida pratica, nel Direttorio ispettoriale (sezione formazione) (cf. Reg 87).

Questa prospettiva presiede tutta l'azione formativa dell'Ispettoria: «$ un compito arduo, intenso, specialmente nel periodo della formazione iniziale, sempre attuale ed esigente lungo la vita intera» .2

Espressioni concrete del servizio ispettoriale.

L'art. 101 conclude la sezione che è stata dedicata a presentare gli aspetti generali della formazione, le condizioni e i principi che rendono possibile l'esperienza formativa salesiana. E lo fa specificando qual è il servizio reso dalla comunità ispettoriale alle persone, alle comunità locali e all'organizzazione del processo formativo, tenuto conto del suo compito fondamentale, già accennato. Potremmo raccoglierlo nell'espressione che le dedica l'art. 58: l'Ispettoria «segue con amore i nuovi confratelli, è sollecita per la formazione di tutti». Essa infatti:

a. Accoglie e accompagna la vacazione di ogni confratello.

Offre a chi si orienta verso la vita salesiana l'ambiente e le condizioni adatte per conoscere la propria vocazione (cf. Cost 109); lo accompagna nei delicati periodi della formazione iniziale e nei suoi momenti più impegnativi, le ammissioni; promuove le varie iniziative, ordinarie e straordinarie (cf. Reg 101 e 102), che favoriscono i processi di formazione permanente e stimola il dinamismo della vita spirituale,

2 E. VIGANO, Il resto rinnovano della nostra Regola di vira, ACG n. 312 (1985), p. 29

l'aggiornamento teologico e pastorale, la competenza professionale e la creatività apostolica (cf. Cost 118).

L'impegno di «accogliere ed accompagnare vocazionalmente» non si esprime soltanto in servizi e attività. Implica in primo luogo che la comunità ispettoriale, che vive con slancio spirituale e competenza i vari impegni della vocazione salesiana, costituisca un modello valido e uno stimolo permanente per ogni confratello, specialmente per i più giovani.

b. Cura la preparazione dei formatori e le strutture formative.

È un compito che si riferisce specialmente alla formazione iniziale.

Sono due le responsabilità determinanti da mettere in evidenza:

- far sì che le comunità formatrici abbiano un direttore e una équipe, particolarmente preparati alla direzione spirituale (cf. Reg 78), per assicurare lo svolgimento di una valida esperienza formativa. Si chiede quindi all'Ispettoria la scelta tempestiva e oculata, la preparazione e riqualificazione di confratelli capaci di adempiere un tale «compito specifico e necessario» (Cost 104);

assicurare le strutture di formazione, cioè quell'insieme di condizioni (edificio, ambiente comunitario, contesto sociale, curricolo di studi, esperienze pastorali) che permettono la realizzazione di un'autentica esperienza formativa nei suoi diversi aspetti (maturazione umana, preparazione intellettuale, vita consacrata, inserimento educativo pastorale), il raggiungimento degli obiettivi delle singole fasi e dell'intero processo formativo.

c. Anima l'impegno formativo delle comunità locali.

La comunità ispettoriale promuove le comunità locali nella comunione fraterna e le sostiene nella missione (cf. Cost 58). La comunità locale, infatti, è corresponsabile della crescita di ogni confratello (cf. Reg 81), ne favorisce la maturazione e lo sostiene nei momenti di difficoltà (cf. Cost 52), costituisce un ambiente vocazionalmente stimolante (questo è il suo impegno!) e, soprattutto, offre un'esperienza di vita che sia formativa. «Per questo - come avvertiva l'art. 99 - deve continuamente progredire e rinnovarsi».

L'animazione da parte dei responsabili, particolamente dell'Ispettore e del suo Consiglio, le iniziative ordinarie e straordinarie progettate e realizzate a questo fine (cf. Reg 101), la formazione di una comunità ispettoriale fraterna (cf. Cast 161) che promuova attivamente la vita e la missione salesiana (cf. Cost 157) in base a un progetto educativo pastorale (Reg 4) costantemente verificato e aggiornato, sono manifestamente i segni della continuità di questo impegno formativo.

Le responsabilità di ogni singolo membro della comunità ispettoriale.

Fin dall'inizio della sezione riguardante gli aspetti generali della formazione le Costituzioni hanno sottolineato la responsabilità del singolo nella formazione, intesa come risposta personale all'appello del Signore (cf. Cost 96). Ora la sezione conclude affermando l'impegno di ogni singolo membro della comunità ispettoriale.

In tal modo, il ruolo della persona e quello della comunità sono sempre e insistentemente richiesti insieme. Se la comunità ispettoriale ha uno specifico e fondamentale compito formativo, occorre ribadire che essa è formata da persone: ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione (cf. Cost 99); ogni confratello collabora perché la comunità locale sia un ambiente formativo (Cost 99); ogni salesiano vive la responsabilità formativa anche a livello ispettoriale e «con la preghiera e la testimonianza contribuisce a sostenere e a rinnovare la vocazione dei suoi fratelli».

O Signore,

il carisma del Tuo Spirito ci è stato dato perché noi lo ridoniamo

e lo facciamo crescere in altri fratelli.

Tu ci vuoi responsabili della fecondità dei Tuoi doni e della moltiplicazione dei Tuoi talenti.

Illumina, Ti preghiamo,

i Superiori e tutti i confratelli della nostra comunità ispettoriale, affinché con la forza del Tuo Spirito

e con il calore della Tua carità

sappiano disporre l'opera della formazione

e vi si dedichino con la preghiera e la testimonianza, per sostenere, confermare e rinnovare in ogni fratello la grazia della Tua chiamata.

Per Cristo nostro Signore.



Sezione Il

LA FORMAZIONE INIZIALE

«Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta (1 Sara 3,9).

Nella sua brevità, chiarezza e densità questo è diventato un testo classico di vocazione. II contesto può aiutare a precisarne gli aspetti, mostrando anzitutto come la vocazione si svolga in termini di dialogo con il Signore e come non sempre la chiamata sia così evidente da non esser necessario un cammino di discernimento della voce di Dio e quindi un clima di preghiera.

Il racconto della vocazione di Samuele, nell'economia dell'opera deuteronomìstica cui appartiene (dal libro di Giosuè fino al 2° libro dei Re), sembra voglia esaltare la rinascita della profezia in Israele, la grazia della presenza della Parola di Dio nel popolo. Infatti all'inizio del cap. 3 si dice che «in quel tempo il Signore parlava raramente» (v. 1) ma, alla conclusione, si legge che «Samuele era un vero profeta» (v. 20), li silenzio di Dio, causato dalla cattiva condotta della casa sacerdotale di Eli (1 Sam 1-2), viene rotto nella notte, mediante delle comunicazioni divine, da quel «il Signore chiamò Samuele» (v. 4). È la formula di vocazione di Mosè (Es 3,4), di isaia (Is 6,8). Come in Mosè, e poi in Geremia (Ger 1), è necessario un processo di discernimento, per cui Samuele passi da Eli al riconoscimento di Dio. Il ripetersi tre volte della chiamata esprime bene ciò. Samuele si affida totalmente al Signore. «Parla, perché it tuo servo ti ascolta» (3,10).

Tosto alla chiamata fa seguito la missione profetica di grandezza gigantesca (3, 19-21). Fra Dio e Samuele si stabilisce un patto di reciproca fedeltà: alla disponibilità totale dei giovane chiamato, che non lascia cadere la voce di Dio, fin dall'inizio, nei confronti dello stesso Eli (3,16-18), poi nella drammatica storia da Silo a Saul, Dio corrisponde senza «lasciare andare a vuoto una sola delle sue parole» (3,19).

Ci viene richiamato il cammino vocazionale di Don Bosco: tanto aperto alla voce di Dio quanto attento a interpretarne il senso, la direzione, per essere poi, grazie alla sua fedeltà, profeta della chiamata di Dio per tantissimi giovani.

* * *

Pur impegnandosi personalmente, il salesiano che vuole diventare apostolo dei giovani, si affida docilmente allo Spirito e ne accoglie le ispirazioni.

In questo contesto, la seconda Sezione del cap VIII presenta gli aspetti generali della formazione iniziale, cioé quegli elementi indispensabili ad ottenere una valida esperienza nel cammino che porta fino alla professione perpetua per tutti e, per alcuni, all'ordinazione sacerdotale. Anche in questo processo più caratterizzato valgono i contenuti a cui si è interessata la prima Sezione del capitolo.

In sette articoli il testo costituzionale presenta i diversi aspetti che integrano in forma armonica:

- l'obiettivo della formazione iniziale (art. 102); - l'ambiente (art. 103);

- i responsabili e i loro compiti (art. 104-105); - il curricolo (art. 106);

- i periodi formativi (art. 107) e le ammissioni (ari. 108), al contempo momenti di sintesi e inizi di impegni più profondi e specifici.

Si tratta, come si vede, del fondamento su cui si muoverà il processo di formazione iniziale, argomento specifico del cap IX.

ART. 102 COMPLESSITA E UNITA DELLA FORMAZIONE INIZIALE

La formazione iniziale mira alla maturazione umana e alla preparazione intellettuale del giovane confratello insieme all'approfondimento della sua vita consacrata e al graduale inserimento nel lavoro educativo pastorale.

Nell'esperienza formativa questi aspetti devono essere armonizzati in una unità vitale.

La formazione iniziale è in funzione dell'obiettivo generale della formazione salesiana. Quale contributo specifico offre in vista del raggiungimento di questo obiettivo? È il primo aspetto generale di cui si occupa il testo costituzionale.

La formazione iniziale tende a favorire un'esperienza che porti il giovane confratello a sviluppare quegli atteggiamenti e valori che sono propri della vocazione salesiana. Vengono indicati e riassunti in quattro aspetti, ciascuno a sua volta frutto della convergenza di diversi altri elementi (questa è la complessità a cui si accenna nel titolo dell'articolo): la maturazione umana, la preparazione intellettuale, l'approfondimento della vita consacrata, il graduale inserimento nel lavoro educativo pastorale.

Maturazione umana.

Si è maturi umanamente quando si diventa capaci di scelte libere alla luce di motivi veri e interiorizzati, di rapporti umani autentici e di giudizi oggettivi su uomini ed eventi, di un amore personale aperto agli altri in un atteggiamento di mutua accettazione e di stima incondizionata. Questi valori si raggiungono più facilmente se si possiede un equilibrio fisico fatto, per quanto si può, di buona salute, capacità di lavoro, disponibilità serena al sacrificio; se ci si conosce e ci si accetta; se si vive un'affettività matura e una sessualità equilibrata, inserita al posto giusto fra i valori umani.

Preparazione intellettuale.

La preparazione intellettuale è richiesta e determinata dalla vocazione e dalle sue esigenze. Queste specificano gli obiettivi verso cui tendere, orientano nella scelta degli ambiti culturali e nel rapporto stesso da istituire fra le singole discipline: «l'ordinamento degli studi - dice l'art. 82 dei Regolamenti generali - deve armonizzare le esigenze della serietà scientifica con quelle della dimensione religiosa apostolica del nostro progetto di vita»: la preparazione intellettuale, infatti, è parte integrante del progetto di vita.

Questa esigenza e questo orientamento pervadono tutto il lungo processo formativo pur con diverse accentuazioni (cf. Noviziato: Cost 110, Reg 91; Postnoviziato: Cast 114, Reg 95; Formazione specifica del presbitero e del salesiano laico: Cost 116, Reg 97-98; Formazione permanente: Cost 118-119, Reg 99).

La missione poi, in particolare, per il servizio di promozione integrale che è chiamata a rendere ai giovani, «orienta e caratterizza in modo proprio e originale la formazione intelletuale dei soci» (Reg 82). Essa richiede che «siano coltivati con particolare impegno gli studi e le discipline che trattano dell'educazione, della pastorale della gioventù, della catechesi e della comunicazione sociale» (Reg 82).

Gli studi sono una componente, nel suo genere, necessaria (cf. Cost 98. 102) per conoscere Gesù Cristo, sentire con la Chiesa e con la Congregazione, maturare nella consapevolezza e nella professionalità e trasmettere, specialmente ai giovani, il messaggio della salvezza.

Come si vede, la preparazione intellettuale implica lo sviluppo del proprio intelletto, ma anche quell'apertura che è capacità di riflessione e di giudizio, attenzione verso le persone e le situazioni, maturità nel discernimento, disponibilità ad imparare.

Approfondimento della vita consacrata.

È un'espressione che può riferirsi, in senso largo, ai «valori religiosi salesiani». Si riferisce al senso di Dio e della sua presenza nella storia, che si manifesta in noi particolarmente col dono della carità pastorale e nel senso di Chiesa; si riferisce alla capacità di «vivere e lavo

rare insieme», superando concezioni e stili di vita individualistici, convinti che la stessa comunione è la miglior salvaguardia della diversità e originalità; si riferisce alla pratica dei consigli evangelici, che manifestano uno stile di vita che si raccoglie su Dio per rivelare la definitività del valore religioso e la sua divina fecondità nel servizio dei fratelli; si riferisce al vivere in dialogo col Signore, che impegna tutta l'esperienza vocazionale e muove da Dio al lavoro per i giovani e dal lavoro a Dio, celebrando la vita consacrata da Lui per il Regno.

Graduale inserimento nel lavoro educativo pastorale.

Lungo tutto l'arco della formazione iniziale il lavoro educativo pastorale ha i suoi momenti di speciale intensità nelle esperienze pastorali (cf. Reg 86) e durante il tirocinio (cf. Cost 115). Inserirsi gradualmente in attività motivate, programmate, accompagnate, valutate è un momento formativo in sé, differenziato e complementare rispetto al momento intellettuale.

La prassi educativa pastorale, una prassi «sapiente e credente», è centrale per la formazione di ogni salesiano anche se, nella formazione iniziale, metodologicamente, per impiego di tempo e priorità d'impegno, prevalgono le attività teoretiche e abilitanti. Esse tendono allo sviluppo del senso e delle capacità pastorali e educano nei giovani salesiani la formazione di quelle attitudini e competenze necessarie perché il lavoro pastorale, in seguito, possa essere vissuto con piena efficacia apostolica e formativa. Era già pensiero di Don Bosco che nelle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales» tradotte in italiano nel 1875, al cap. XII, scriveva: «I soci finché attendono agli studi prescritti dalle Costituzioni, non si applichino troppo alle opere di carità proprie della Società salesiana».'

Armonizzati in unità vitale.

Il vocabolario usato dal testo costituzionale per descrivere i vari aspetti: «maturazione», «preparazione», «approfondimento», «inseri

1 Cosriiuzioni 1875, XII, 6 (cf. F. MOTTO, p. 181)

mento graduale», mette in evidenza la dinamicità dell'esperienza, aperta all'orizzonte della formazione permanente. Mette in evidenza anche la prospettiva del processo formativo del quale, nel capitolo seguente, si sottolineeranno la gradualità e la continuità, la specificità e la complementarità dei momenti, il criterio di sintesi e di unificazione.

Nell'esperienza formativa questi aspetti si devono coltivare sempre contemporaneamente e non l'uno dopo l'altro, poiché si compenetrano e si sostengono a vicenda. Non se ne dovrà dimenticare mai nessuno, anche se le diverse fasi prevedono, a seconda dei loro obiettivi, di insistere ora sull'uno ora sull'altro: sullo sforzo spirituale nel tempo del noviziato; su quello intellettuale e professionale durante il postnoviziato; su un impegno di esperienza pratica durante il tirocinio. È in gioco la stessa unità e la continuità della formazione e perciò la sua riuscita.

«Unità vitale», dice il testo, poiché la formazione non è fatta di pezzi. È una realtà viva che integra continuamente i suoi diversi aspetti e li armonizza tra loro. Uno dei grandi compiti della formazione iniziale, il primo aspetto generale che la definisce, è l'esperienza di sé come persona chiamata ad unificare la propria vita. Questa unità è data dalla progressiva concentrazione della persona sul progetto di vita, che viene offerto autenticamente nel testo costituzionale e nel quale Don Bosco stesso ha trovato il segreto della sua unità di persona che amava i giovani amando Dio e amava Dio amando i giovani. Fu Lui stesso, nell'atto di consegnare a don Giovanni Cagliero il libro delle Costituzioni, a dire: «Vorrei accompagnarvi io stesso, ma quello che non posso fare io, lo faranno queste Costituzioni» (cf. Cost Proemio).

Signore Gesù,

Tu hai voluto assumere la sfida e l'impegno di crescere «in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e gli uomini».

Tu stesso hai accompagnato i Tuoi Apostoli

nel cammino di purificazione della loro umanità e nello sforzo di rivestirla di grazia in vista della missione da compiere. Concedi ai giovani che chiami a servirTi nella Società salesiana,


gioia e generosità nell'applicarsi alla propria formazione, e fa' che vivano in unità feconda la maturazione della propria persona e lo spirito del «da mihi animas» alla scuola di Don Bosco.

ART. 103   LE COMUNITA’ FORMATRICI

La formazione iniziale si realizza ordinariamente in comunità strutturate appositamente a tale scopo.

Aperte come vuole Io stile educativo di Don Bosco, esse tengono conto delle aspirazioni dei giovani a una vita più personale e più fa terna.

Il nostro spirito vi è vissuto in modo più intenso: tutti i membri formano insieme una famiglia, fondata sulla fede e l'entusiasmo per Cristo, unita nella mutua stima e nella convergenza degli sforzi.

Formatori e confratelli in formazione, pur nella diversità dei ruoli, danno vita ad un clima di corresponsabilità e attuano con chiarezza le mete formative.

Sono state presentate le linee di crescita che costituiscono gli obiettivi generali della formazione iniziale. In quale ambiente si può realizzare questa caratteristica esperienza? Le Costituzioni rispondono: ordinariamente in comunità scelte e specializzate, nelle quali regni:

- uno stile di vita aperto alle aspirazioni dei giovani; - uno spirito di famiglia vissuto in modo più intenso; - un clima di corresponsabilità.

Un ambiente particolare per uno scopo specifico.

Ogni salesiano risponde alla chiamata del Signore nella comunità e aiutato dalla comunità. Essa, ha detto l'art. 99, in ogni circostanza è il naturale ambiente della sua crescita vocazionale.

Questo principio è ancora più valido per il salesiano in formazione iniziale. La situazione speciale di discernimento e di identificazione vocazionale, il particolare momento di maturazione umana e di approfondimento della vita consacrata, il significato formativo dell'inserimento nel lavoro educativo pastorale mentre il salesiano va gradualmente formandosi, fanno sì che, ordinariamente, solo comunità appositamente strutturate possano offrire le condizioni adeguate per realizzare l'ambiente desiderato.

Tutte le comunità sono formatrici, ma non tutte sono in grado di offrire un servizio adeguato ai diversi momenti del processo formativo.

Lo stile di vita della comunità formatrice.

L'articolo costituzionale rileva tre esigenze o elementi caratteristici dello stile di vita proprio di una comunità salesiana di prima formazione. Li esaminiamo successivamente.

a. Uno stile di vita aperto alle «aspirazioni dei giovani».

La vocazione salesiana chiede di essere aperti alle culture, alle necessità dei giovani e degli ambienti popolari (cf. Cost 7), ai valori del mondo (cf. Cast 17). È detto esplicitamente della comunità locale. «è aperta ai valori del mondo e attenta al contesto culturale in cui svolge la sua azione apostolica» (Cost 57). Normalmente i Salesiani vivono una particolare capacità di apertura, di accoglienza e di sintonia con i giovani (cf. Cost 14. 15. 39).

E testo chiede che questo atteggiamento, proprio dello stile educativo di Don Bosco, diventi una particolare caratteristica di ambiente nelle comunità formatrici. Esse dovranno vivere e strutturare i loro rapporti secondo uno stile di vita più personale e più fraterna: - una vita più personale, che rispetti la persona, le sue esigenze e favorisca l'interiorizzazione;

- una vita più fraterna, in cui le relazioni siano segnate da semplicità, gioia e servizio vicendevole, in cui la comunione sia davvero autentica.

b. Un clima di famiglia vissuto in modo più intenso.

È la seconda caratteristica delle comunità formatrici: uno stile di rapporti, uno spirito intenso che li anima e che favorisce l'incontro, la comunione, la condivisione tra le persone.

Sono affermazioni frutto di un'esperienza. Più che definire astrattamente una serie di qualità, evocano un clima, un ambiente di vita fraterna, di vera «famiglia», che si respira e si sperimenta nella casa di Don Bosco. È l'esperienza che facevano quanti giungevano all'Oratorio: «compresi essere l'Oratorio una gran casa dalle porte sempre aperte e dai cuori più aperti ancora», scriveva don Giuseppe Vespignani.'

' G. VESPIGNANI, Un anno alla scuola di Don Bosco, San Benigno Canavese 1932, p. 13

I motivi e le condizioni che costruiscono i punti di incontro tra persone naturalmente diverse e costituiscono il vincolo di unità della comunità formatrice sono:

- la fede e l'entusiamo per Cristo. È la motivazione fondamentale della comune vocazione salesiana: il nostro «convenire» si basa innanzitutto sul convincimento che «Dio ci chiama a vivere in una comunità» (Cost 50), che «Dio raduna la nostra comunità e la tiene unita con il suo invito, la sua Parola, il suo amore» (Cost 85);

- la mutua stima, l'accoglienza, il riconoscimento, la valorizzazione di ognuno nella sua realtà personale. Don Bosco, trattando di «questa cosa essenzialissima alla nostra Società»2 diceva ai suoi Salesiani: «Perché sia cosa dolce questo abitare insieme bisogna togliere ogni invidia, ogni gelosia; bisogna amarci come fratelli, sopportarci gli uni gli altri, aiutarci, soccorrerci, stimarci, compatirci. Ciascuno deve guardarsi attentamente dal dir male della Congregazione, anzi deve procurare di farla stimare da tutti»;3

- la convergenza degli sforzi. Il sentirsi impegnati in un progetto comune, la coesione nell'operare, «il lavorare insieme» è un fattore fondamentale di comunione per chi vive una vocazione apostolica,

Il rapporto con Cristo nella fede, il rapporto di fraternità fra le persone, la convergenza operativa nella missione, che suppongono un'umanità matura e disponibile, costituiscono i vincoli di unità e fanno della comunità una famiglia.

c. Un clima di corresponsabilità.

Un'espressione concreta della «convergenza degli sforzi» è la capacità di generare un clima di corresponsabilità che permetta e stimoli il contributo di ciascuno nell'attuazione delle mete formative; che permetta, cioè, una vita più responsabile, personalmente e collettivamente, in cui sia possibile l'iniziativa, il dialogo sia reale, le cose di rilievo siano studiate quanto più possibile in comune e realizzate in collaborazione.

= MB IX, 574 MB IX, 572-573

 

La corresponsabilità si esercita, evidentemente, secondo la misura e il ruolo che l'obbedienza ha affidato a ciascuno.

Del compito specifico dei formatori e del salesiano in formazione trattano gli articoli 104 e 105. 1 Regolamenti generali comunque chiedono che «i confratelli in formazione siano resi participi, attraverso modalità concrete, dell'andamento della comunità» (Reg 78). E specificano due dei momenti più importanti in cui sono chiamati ad esercitare la loro corresponsabilità: la programmazione e la revisione in vista delle mete formative da raggiungere. Gli uni e gli altri poi, nella ricerca comune della volontà di Dio, devono curare in se stessi l'atteggiamento di discernimento spirituale, che è come l'anima e la delicata struttura interna che muove al suo fine ogni ricerca fatta insieme ed ogni decisione operativa a

Preghiamo per le nostre comunità formatrici, implorando per i confratelli che vi operano sapienza e intelligenza e larghezza di cuore, per un compimento gioioso ed efficace

della vitale missione loro affidata.

Signore, hai costituito la Tua Chiesa come casa e famiglia del Padre,

dove la vita di ciascuno nasce, si sviluppa e fruttifica per la forza dello Spirito Santo.

- Rendi le nostre comunità formatrici

specchio fedele della santa Chiesa

nella sollecitudine verso i confratelli in formazione.

Hai chiamato gli Apostoli

e li hai formati con paziente fortezza,

offrendo per essi la Tua vita

e inondandoli coi doni del Tuo Spirito.

- Fa' che l'ambiente della formazione dei nostri giovani fratelli

CF. II Direttore salesiano, Roma 1986, Indice analitico: corresponsabilità - discernimento

sia animato dal Tuo Vangelo e vivificato dal Tuo Spirito, divenendo luogo d'accoglienza, d'incontro e di stimolo per una risposta piena e fruttuosa alla loro chiamata.

Hai proposto ai Tuoi Apostoli

l'esempio della tua predilezione per i piccoli e per i poveri. - Concedi a tutti i nostri confratelli in formazione

l'identico anelito per la salvezza dei giovani

che infondesti nel cuore di Don Bosco.

ART. 104   RUOLO DEI FORMATORI

Nelle comunità formatrici i formatori hanno un compito specifico e necessario.

Assicurano ai confratelli in formazione le condizioni per una valida esperienza e una seria riflessione dottrinale in un ambiente adatto.

Coscienti di essere mediatori dell'azione del Signore, si sforzano di costituire insieme col direttore, guida della comunità e maestro di spirito, un gruppo convinto della comune responsabilità.

Sono scelti per tale compito uomini di fede in grado di comunicare vitalmente l'ideale salesiano, capaci di dialogo e con sufficiente esperienza pastorale.

Dopo aver descritto lo stile di vita delle comunità formatrici, le Costituzioni si riferiscono ai responsabili più immediati dell'ambiente formativo: ai formatori in questo art. 104 e al salesiano in formazione iniziale nel successivo art. 105.

Nel riguardo dei formatori, viene richiamata la nostra attenzione su tre punti: sul loro compito, sullo stile di lavoro corresponsabile o in équipe, sui criteri per la loro scelta e i requisiti che devono possedere.

Il compito dei formatori.

Il compito «specifico e necessario» dei formatori è quello di «assicurare le condizioni» per il raggiungimento degli obiettivi generali e specifici della rispettiva fase formativa.

Il loro ruolo globale è di intervenire in modo che l'esperienza formativa, e la riflessione che l'accompagna, siano valide, positive, cioè realizzino gli scopi della formazione. Ciò significa che la mancanza dei formatori o le loro insufficienze saranno di grave pregiudizio ai giovani confratelli.

Tra le condizioni, oltre all'ambiente adatto di cui si è già detto commentando Part. 103, si dà particolare rilievo alla «seria riflessione dottrinale». È per noi un'esigenza che nasce dalla natura stessa della

nostra vocazione e che trova in un curricolo di studi, completo e fedele

agli orientamenti della «Ratio», la sua prima adeguata risposta. La stessa attività pastorale, fonte di formazione, dove si percepiscono le difficoltà reali, gli interrogativi e gli appelli di Dio, richiede momenti di riflessione e di discernimento per interpretare criticamente i problemi secondo criteri di scienza e di fede, per suggerire progetti e prospettive nuove, tenendo conto specialmente della «memoria salesiana" e coinvolgendo direttamente e continuamente il soggetto. I docenti poi, quelli della classe e quanti sono chiamati a presentare, con serietà, contenuti sapienziali al di fuori della scuola, garantiscono la continuità con il patrimonio dottrinale della Chiesa e con quello carismatico della Congregazione. Assicurano, nell'ambito dell'attuale pluralismo, l'adesione alla verità e insieme l'equilibrio dei giudizi critici e delle valutazioni concrete. Sono dunque una presenza unificante, indispensabile per una formazione iniziale completa e ben ordinata.

«Formatori», non «un solo formatore». Il compito infatti è complesso ed esige la presenza e l'intervento complementare di diverse persone. Il nostro testo sottolinea l'importanza della loro «coesione», basata sulla comune consapevolezza e convinzione della propria responsabilità.

Si capisce meglio, dopo queste considerazioni, come in fatto di formazione salesiana non ci sono autodidatti, né è salesiano, in casi ordinari, chi crede di poter fare tutto da sé, salvo eccezioni carismatiche che devono essere attentamente verificate. Una delle grazie più preziose che possa avere un giovane salesiano è senza dubbio quella di incontrare formatori competenti e santi!

Un ruolo da vivere in corresponsabilità.

Alla base della «coesione» dei formatori vi è in essi la convinzione di fede di essere «mediatori dell'azione del Signore», cioè servitori dell'unica azione dello Spirito e responsabili di agire secondo i criteri e gli orientamenti della Congregazione.

Il loro non è un servizio individuale né un'azione occasionale, ma un impegno che dà risposta comune e autentica alle varie necessità in vista degli obiettivi. Non sono formatori soltanto per prestare una serie di servizi, pur validi, ma per assumere una comune responsabilità. La stessa proposta formativa ha ben altra autorevolezza se, pur risentendo

della originalità con cui ciascuno la trasmette, si presenta unificata nei contenuti e nelle valutazioni.

Questa «coesione» è dunque richiesta da motivi teologici e carismatici, dalla saggezza pedagogica e dall'esperienza. Il decreto «Optatam totius» annota: «I superiori e professori abbiano viva la consapevolezza di quanto possa dipendere dal loro modo di pensare e di agire la riuscita della formazione degli alunni. Sotto la guida del rettore siano in strettissima unità di spirito e di azione».'

Non si tratta certamente di una uniformità piatta e improduttiva, ma di un convincimento di fondo, che pone gli sforzi e le qualità di tutti al servizio della comune responsabilità. É l'applicazione del criterio spirituale e pedagogico proprio di chi è mediatore e ministro.

Gli orientamenti della Congregazione in campo formativo aiutano ad esprimere in forma concreta questa unità d'intenti. La diversità di ruoli, strutture e interventi rende indispensabili ad un tempo il contributo di ciascuno e la capacità di operare «in unum».

Il testo costituzionale cita esplicitamente il ruolo del Direttore, che viene qualificato «guida della comunità e maestro di spirito»: sono richiamate le note distintive del Direttore salesiano, espresse specialmente nell'art. 55, e tanto più importanti nel periodo della formazione iniziale. Tutta la nostra tradizione salesiana, risalente a Don Bosco stesso, vede nel Direttore la guida spirituale, proposta in primo luogo alla comunità formativa, ma anche ai singoli confratelli.

Il testo tuttavia insiste che i diversi ruoli, attorno al Direttore, devono armonicamente e creativamente collegarsi (cf. Cost 66), formando «un gruppo convinto».

I requisiti.

I1 compito specifico assegnato ai formatori esige in loro la presenza delle qualità spirituali, intellettuali e pedagogiche richieste dalla Chiesa e dalla Congregazione. Devono esere:

OT, 5; cf. CGS, 672

- «uomini di fede»

Poiché la formazione è una risposta di fede a una chiamata accolta nella fede, è necessario che questa prospettiva di vita si percepisca primariamente nella testimonianza dei formatori. Essi sono, infatti, animatori di una comunità «fondata sulla fede e l'entusiasmo per Cristo» (Cost 103); devono accompagnare e stimolare un processo formativo «illuminato dalla (sua) persona e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco» (Cost 98); devono aiutare i confratelli a maturare personalmente motivazioni di fede e a raggiungere la maturità spirituale adeguata all'impegno definitivo della professione perpetua fondato sulla «retta intenzione».

- «in grado di comunicare vitalmente l'ideale salesiano»

«Tutto in Don Bosco aveva una potenza di attrazione, testimonia don Albera, perché da ogni sua parola e atto emanava la santità dell'unione con Dio che è carità perfetta... Da questa singolare attrazione scaturiva l'opera conquistatrice dei nostri cuori».2 L'art. 85 dei Regolamenti generali afferma che «l'assimilazione dello spirito salesiano è fondamentalmente un fatto di comunicazione di vita».

Occorre dunque che i formatori abbiano il dono e la capacità di identificarsi pienamente con l'ideale salesiano in modo da poterlo annunciare, testimoniare e «comunicare vitalmente» più con il loro stile di vita e di rapporti che con le loro parole. Avere il possesso sereno dell'identità salesiana è la prima condizione per formare, per far aderire con entusiasmo motivato ai valori vocazionali, per farli amare e gustare.

- «capaci di dialogo»

È una qualità caratteristica dello stile educativo di Don Bosco, uno stile mosso e sostenuto dalla simpatia, dalla capacità di ascolto, ed anche dalla informazione valida che creano confidenza e apertura, favoriscono la comunicazione e facilitano l'azione formativa in profondità. È uno stile che suppone un atteggiamento del cuore e non poca ascesi.

ì ACS n. 3 (1920), p. 64.65; cf. D. ALBERA, Lett. circolari, p. 373-374

«con sufficiente esperienza pastorale»

Questa condizione è direttamente vincolata con l'obiettivo fondamentale del servizio che si presta (contribuire alla formazione di educatori pastori secondo Cost 98), con l'orientamento specifico della formazione (la natura religiosa apostolica della vocazione salesiana di cui all'art. 97), con la caratteristica propria e originale della formazione intellettuale (cf. Reg 82). È dunque una condizione evidente che libera dal pericolo di un intellettualismo e spiritualismo troppo astratti.

I formatori sono scelti sulla base di queste competenze; in vista di esse vengono preparati e aiutati a rinnovarsi e riqualificarsi costantemente. Non tutti possederanno questi requisiti al medesimo livello. Purché esso sia sufficiente, dovranno coltivarsi in continuità e maturare la propria professionalità e santità personale.

In ogni caso, è soprattutto importante che il gruppo dei formatori, «nel suo insieme», sia atto a compiere adeguatamente il proprio mandato formativo.

Signore Gesù,

in molti modi Tu ci manifesti la Tua volontà

e attraverso i fratelli che ci poni accanto

ci aiuti a riconoscere il nostro cammino incontro a Te. Così Tu hai voluto che Don Bosco fosse per molti strumento della Tua chiamata a servirTi nei giovani. Concedi, Ti preghiamo,

a coloro che ancor oggi scegli,

alla scuola di Don Bosco,

ad essere maestri e guide dei loro fratelli più giovani, la coscienza viva del compito ricevuto, la capacità di dialogo e la sapienza, la bontà di cuore e l'unità di intenti. Fa' che siano docili strumenti del Tuo Spirito affinché sappiano trasmettere,

in vera e gioiosa esperienza di fede,

il senso genuino della comune vocazione e missione.

ART. 105   IL SALESIANO IN FORMAZIONE INIZIALE

Per il salesiano la formazione iniziale, più che attesa, è già tempo di lavoro e di santità. t un tempo di dialogo tra l'iniziativa di Dio che chiama e conduce e la libertà del salesiano che assume progressivamente gli impegni della propria formazione.

In questo cammino di crescenti responsabilità egli è sostenuto dalla preghiera, dalla direzione spirituale, dalla riflessione, dallo studio e dai rapporti fraterni.

Nella prima Sezione del capitolo è stata messa in evidenza, tra gli aspetti generali della formazione salesiana, l'importanza dell'impegno personale di ogni confratello, primo responsabile della propria formazione. Ora questo impegno viene specificato con riguardo alla formazione iniziate, indicando nel giovane confratello il primo operatore dell'esperienza formativa e accennando ai mezzi che lo sostengono in tale compito.

La formazione iniziale tempo di dialogo e di impegno vocazionale.

La formazione iniziale costituisce senza dubbio un periodo di preparazione, un cammino di maturazione, un processo di discernimento e di crescente assunzione di responsabilità fino alla maturità spirituale salesiana richiesta dalla professione perpetua. l~ un dialogo tra il confratello e la Congregazione che tende ad accertarne l'idoneità e la maturità in vista della sua incorporazione definitiva.

Ma, nella prospettiva della formazione permanente, la formazione iniziale costituisce l'inizio dell'esperienza religiosa salesiana e non solo una preparazione per viverla in seguito. Ne è già una progressiva realizzazione, è già fecondità per il presente: «più che attesa, è già tempo di lavoro e di santità».

Questa prima affermazione dell'articolo costituzionale mette in evidenza la serietà e il significato di questo periodo di vita:

«tempo di lavoro»: il lavoro serio della persona che si dedica totalmente, con capacità di sacrificio, con senso di collaborazione e con operosità instancabile, per rispondere alle esigenze dell'ambiente formativo e del servizio pastorale;

- «tempo di santità»: la santità che si ritrova e si accresce nello sforzo di collaborazione con l'azione dello Spirito e delle sue mediazioni, nell'accettazione generosa del progetto del Padre sulla propria vita, per l'avvento del suo Regio, nella progressiva configurazione a Cristo attraverso la Parola, i sacramenti, la carità pastorale.

Quanto segue: «è un tempo di dialogo tra l'iniziativa di Dio che chiama e conduce e la libertà del salesiano che assume progressivamente gli impegni della propria formazione», esplicita e caratterizza ancor meglio qual è il lavoro e qual è la forma propria di santità del salesiano in formazione iniziale.

Il «lavoro» e la «santità» consistono nel vivere con totale disponibilità questo tempo di dialogo. Si tratta di impegnarsi, senza pause e con tutte le capacità di cui si dispone, a discernere e ad accogliere concretamente l'iniziativa di Dio colta nelle mediazioni, strutture, processi, esperienze formative. Il Signore chiama e conduce, ma chiede una risposta sempre più libera, più autentica cioè, motivata e radicale.

Il primo articolo di questa parte terza, dedicata alla formazione, aveva descritto l'impegno formativo nel suo atteggiamento primo e fondamentale: è una risposta concreta alla chiamata del Signore; è il primo «sì» detto nel dialogo vitale con Dio (cf. Cost 96). Ora questo principio si ripropone nella formazione iniziale come tempo di lavoro e santità di chi, dicendo con tutta la persona: «Si faccia di me secondo la tua Parola» (Le 1,38), vuole disporsi e rendersi idoneo alle iniziative di Dio, alla pienezza del servizio di carità e aumentare in sé la gioia della propria vocazione.

I mezzi che sostengono l'impegno formativo.

Lungo il suo cammino di crescenti responsabilità il giovane salesiano non procede a caso né può pensare che tutto accada automaticamente. Per percorrerlo deve avvalersi di tutti i mezzi che gli offre l'ambiente. L'art. 105 ne indica cinque:

La preghiera.

È l'esperienza tonificante del contatto e del dialogo con il Signore attraverso l'ascolto della sua Parola, la vita liturgica sacramentale, l'incontro personale che permette di esprimere, nell'intimità del rapporto, il proprio modo di essere figlio di Dio, manifestargli gratitudine, confidargli desideri e preoccupazioni (cf. Cost 93). Nella preghiera, prima di tutto, si realizza in profondità quel «dialogo tra l'iniziativa di Dio e la libertà del salesiano» che caratterizza questo tempo di formazione.'

- La direzione spirituale.

Per anni Don Bosco fu protagonista di un indirizzo che unificava tre momenti per avviare i suoi giovani e i Salesiani verso la santità: la direzione di coscienza, che aveva come luogo abituale la confessione; la direzione di comunità o di ambiente, che creava l'atmosfera spirituale educativa; e la direzione personale occasionale fatta con una parola, un gesto, un consiglio dato, un biglietto di poche parole. Tutto ciò riusciva a farlo «padrone dei cuori», come egli stesso diceva. L'educazione è opera del cuore e se non si arriva ad essere padroni dei cuori, ad operare sulle coscienze, l'educazione è compromessa in profondità. Era questa la sua convinzione.2

Le Costituzioni e i Regolamenti riconoscono l'importanza della direzione spirituale personale, specialmente nel periodo della formazione iniziale e la legano all'impegno di discernimento e di verifica delle motivazioni e dell'idoneità vocazionale. Ne parlano nell'immediato postnoviziato (cf. Cost 109), nel noviziato (cf. Cast 112), durante il periodo della professione temporanea (cf. Cost 113).

È raccomandata dal Concilio Vaticano III e dalla «Ratio Institutionis Sacerdotalis» che aggiunge: «Tutti gli allievi abbiano un direttore spirituale al quale aprire con umiltà e fiducia la 'propria coscienza per camminare con maggior sicurezza per la strada del Signore» .4

Un itinerario di direzione spirituale, personale e comunitaria, parte

' Sulla formazione spirituale e in particolare sulla preghiera vedi OT, 8 2 Cf. Epistolario, vol IV, p. 209

Cf, or, 8

° Cf. Ratio Fundamentilis Institurionis Sacerdotalis. 1970 n. 45. 55. 56; CIC, can. 239 §2; can. 240; can. 246 §4

 

oggi dal fatto, ormai condiviso, che essa è una realtà umana e spirituale. La crescita spirituale è possibile all'interno di un progetto di vita in un certo senso già programmato e condizionato dalla propria natura e dalla storia personale. La direzione spirituale non è solo un fatto religioso. Ha per oggetto l'uomo concreto con i suoi problemi concreti.

Mentre tutto ciò induce i formatori ad assumersi l'impegno di un'accurata preparazione, spinge il giovane confratello a rendersi facilmente conto e ad accettare (ciò che è meno facile) di aver bisogno, all'occorrenza, di essere aiutato e orientato da quanti sono attorno a lui e, a titolo speciale, da una guida spirituale. I Regolamenti generali dicono che, nella comunità formativa, tale guida spirituale, secondo la costante nostra tradizione, è il Direttore (cf. Reg 78).

- La riflessione.

Nasce dalla disposizione ad imparare e ad accettare il nuovo, superando l'ansia provocata dai cambiamenti, sapendo distinguere il permanente dal mutevole, senza estremismi; nasce dalla capacità di dialogare senza chiudersi e richiede l'attitudine alla concentrazione e una volontà costante di esercitarla.' Ogni esperienza autentica suppone una coscienza ben impostata, sveglia e stimolata continuamente.

- Lo studio.

È lo studio, serio, di tutte le discipline indispensabili alla vita e all'azione dell'apostolo salesiano e tendente a diventare studio «virtuoso», che muove umilmente verso l'obiettiva ricerca della verità, tende ad essa con una continua purificazione delle motivazioni e utilizza allo scopo i metodi scientifici più adatti. Richiede una presenza attiva, l'assistenza alle lezioni dove non si trasmette un semplice sapere, ma una genuina tradizione di vita; e l'impegno personale che garantisce l'assimilazione sicura dei contenuti culturali, il loro approfondimento critico, la loro sintesi e la loro attualizzazione.

5 cf. FSDB, 61

- I rapporti fraterni.

Sono senza dubbio di grande giovamento per il loro valore di emulazione, di stimolo e per l'incoraggiamento che un clima di amicizia crea.

A tutto questo aggiungiamo il contenuto dell'art. 80 dei Regolamenti generali che richiama alla disciplina normale. Nessuna «esperienza di vita e di azione» può essere validamente raggiunta senza la perseveranza nello sforzo quotidiano, la conversione permanente, l'allenamento alla purità di cuore, il senso del sacrificio in spirito pasquale. La libertà spirituale, elemento chiave di ogni maturazione, si conquista a questo prezzo e non vi è nulla e nessuno che possa sostituire il giovane confratello in questo servizio.

Signore Gesù,

ogni stagione della nostra vita è dialogo di salvezza,

tempo di lavoro e di santità.

Tale fu il tempo della tua esperienza a Nazareth, prolungata preparazione alla tua missione di Salvatore; tali furono gli anni di formazione di Giovanni Bosco, al quale Tu avevi manifestato il futuro campo d'azione.

Ti preghiamo per i nostri giovani confratelli in formazione:

concedi loro l'abbondanza del Tuo Spirito,

perché sappiano assumere con serietà e generosità

la responsabilità di questo periodo della loro vita, per crescere nella vocazione, sostenuti dalla preghiera, dall'interesse e dalla vicinanza dei fratelli, e dall'amore dei giovani che li attendono.

ART. 106 CURRICOLO FORMATIVO

La formazione iniziale dei salesiani laici, dei futuri sacerdoti e dei diaconi permanenti ha ordinariamente un curricolo di livello paritario, con le stesse fasi e con obiettivi e contenuti simiIi.

Le distinzioni sono determinate dalla vocazione specifica di ognuno, dalle doti e attitudini personali e dai compiti del nostro apostolato.

L'identità vocazionale salesiana, comune e fondamentale per tutti, è il principio e il fine unico della formazione.' Ma le forme in cui essa si esprime sono differenziate. Non esiste, infatti, il salesiano «generico»;2 ma ogni salesiano vive in forma specifica gli aspetti comuni e, nella formazione iniziale, tende a diventare educatore pastore dei giovani nella forma sacerdotale o laicale che gli è propria (Cf. Cast 98).

L'art. 100 enunciava come aspetto generale della formazione il principio dell'unità carismatica vissuta nella diversità dei contesti culturali: unica vocazione o identità, contenuti essenziali comuni, diverse forme concrete. Questo principio (unità nella diversità e diversità nell'unità) viene applicato dal presente art. 106 alle singole persone, preoccupandosi della loro formazione. Essa, da una parte, deve assicurare «un curricolo di livello paritario» e, dall'altra, deve prestare attenzione alle distinte forme vocazionali. Si tratta di un principio da tener presente lungo tutto il processo formativo, perché ne costituisce una prospettiva permanente.

Vediamo da vicino le affermazioni dell'articolo che vanno lette e comprese nel contesto dell'identità vocazionale salesiana, di cui si è detto, e delle diverse forme in cui essa si realizza: presbiterale, diaconale, laicale (cf. Cost 4 e 45).

I due enunciati proposti, fra loro complementari, sono i seguenti: - La formazione iniziale è unitaria, ha un curricolo di livello paritario,

' Cf. FSDB, 21 Z Cf. CG21, 264

con le stesse fasi e con obiettivi e contenuti simili, per tutti;

- la formazione iniziale è diversificata, perché è attenta alle distinzioni determinate dalla vocazione specifica di ognuno (laico, diacono, presbitero), dalle doti e attitudini personali, dai compiti apostolici.

La formazione iniziale è unitaria.

Significa che ha un curricolo di livello paritario, con le stesse fasi, con obiettivi e contenuti simili.

È un enunciato logico ed evidente. Basti ricordare che i Salesiani devono raggiungere lo stesso obiettivo vocazionale e perciò devono vivere la stessa esperienza formativa fondamentale. Questa non si riduce alla sola preparazione intellettuale; comprende anche la maturazione umana, l'approfondimento della vita consacrata, l'inserimento nel lavoro educativo pastorale come processo di progressiva identificazione con la vocazione salesiana.

Le Costituzioni e i Regolamenti rispondono a questa esigenza non solo stabilendo che ognuno, prima di essere definitivamente incorporato nella Società, percorre i medesimi periodi formativi (preparazione immediata al noviziato, noviziato, periodo della professione temporanea: Cost 107), ma anche presentando gli obiettivi e i contenuti delle singole fasi e riferendosi di fatto a tutti i Salesiani.

La formazione unitaria è diversificata.

Un salesiano coadiutore dev'essere formato salesianamente e formato bene come lo deve essere un salesiano presbitero, ma nella sua linea di religioso laico e secondo il ciclo di preparazione e di studi che gli convengono.

È un'affermazione che corrisponde a una realtà antropologica e teologica insieme. È vero che il Signore chiama molti a condividere il carisma di Don Bosco, ma è anche vero che ognuno lo vive incarnandolo nella sua realtà personale, unica e diversa. D'altra parte è proprio questa realtà personale che, esplorata e compresa, diventa uno dei segni principali attraverso i quali lo Spirito del Signore manifesta concre

tamente la sua volontà su una determinata persona. Non c'è che da guardare alle esperienze formative tipiche, cui ha fatto riferimento il testo costituzionale aprendo la parte dedicata alla formazione: l'esperienza di Gesù con gli Apostoli e quella di Don Bosco con i primi Salesiani. Pietro, Giacomo, Giovanni... e Rua, Cagliero, Bonetti sono forme diverse, esperienze creative di una medesima vocazione.

- La prima distinzione, quella che influisce su tutti gli aspetti formativi e diventa una misura e una sensibilità permanente, è data dalla forma vocazionale propria di ciascuno: salesiano laico, salesiano diacono, salesiano presbitero. «Le diverse forme dell'unica vocazione costituiscono una prospettiva permanente che specifica l'esperienza dei valori della vocazione stessa (cf. Cost 98) nei suoi diversi aspetti (cf. Cost 113). La missione, la vita di comunità, l'esperienza dei consigli, la preghiera e la vita spirituale sono vissute da ognuno secondo la dimensione che gli è propria» '3 È una distinzione che percorre in certo modo tutto il curricolo e che si esprime anche in momenti, esperienze, contenuti particolari, come si legge nell'art. 116 delle Costituzioni ( e nei corrispondenti articoli 97 e 98 dei Regolamenti), dove si parla appunto della formazione specifica del salesiano presbitero e del salesiano laico.

- D'altra parte si deve tener presente che la responsabilità formativa comporta lo sviluppo delle attitudini personali e dei doni della gra

zia (cf. Cost 99). Doti e altitudini personali diverse possono doman

dare momenti formativi distinti che favoriscono la maturazione in vista di un determinato servizio educativo pastorale.

La missione apostolica, anche in questo caso, considerata non tanto in rapporto diretto con la Congregazione e la sua forma, quanto con le singole persone, «dà a tutta la (loro) esistenza il suo tono concreto» (Cost 3) e determina l'orientamento specifico della formazione salesiana (cf. Cast 97). 1 compiti che si affidano a un confratello, le modalità concrete del suo servizio nella missione richiedono una formazione e una preparazione all'altezza delle esigenze del suo impegno apostolico e quindi adeguata e specifica.

- Siamo tutti Salesiani, ma non siamo chiamati tutti a vivere nello stesso modo la vocazione né a dare lo stesso contributo alla missione comune. Le modalità personali di vivere l'unica vocazione dipendono dal Signore, dalla chiamata specifica che Egli rivolge ad ognuno, dai doni e dalle attitudini di cui lo arricchisce e dal particolare contributo che Egli chiede in vista dei compiti che gli affida nella missione.

FSDB, 44

Non sono, quindi, differenze che nascono in primo luogo da opzioni e decisioni di persone. Provengono piuttosto da Colui che, attraverso il suo Spirito, ha suscitato in Don Bosco la vocazione salesiana e la sua molteplice ricchezza e ne fa partecipi le diverse persone in forme diverse.

In conclusione, la formazione unitaria e diversificata è un servizio al progetto di Dio sulla comunità e sulle persone, chiamate a vivere «uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani» (Cost 14).

Signore Gesù, che hai formato la Tua Chiesa

con l'infinita varietà dei doni e dei compiti,

concedi alle nostre comunità il dono dell'unità nella diversità, perché sappiamo crescere insieme, confratelli coadiutori, diaconi e presbiteri, nell'unica vocazione salesiana. Rendici attenti e grati allo Spirito, capaci di valorizzare i talenti personali di ciascuno, nel rispetto e nell'armonia della complementarità, in modo da esprimere autenticamente tra i giovani le ricchezze del carisma che Tu ci hai dato.

ART. 107   INCORPORAZIONE NELLA SOCIETA’ E PERIODI FORMATIVI

Ognuno, prima di essere definitivamente incorporato nella Società, percorre i seguenti periodi formativi: preparazione al noviziato, noviziato e periodo della professione temporanea.

Essi sono necessari sia al candidato che alla comunità per discernere, in mutua collaborazione, la volontà di Dio e per corrispondervi.

Il candidato conosce progressivamente la Società ed essa, a sua volta, può valutarne le attitudini alla vita salesiana.

Questo articolo presenta i tre periodi della formazione iniziale salesiana: preparazione immediata al noviziato, noviziato e periodo della professione temporanea, e ne sintetizza il significato.

Ad essi e alle fasi che li compongono è dedicata gran parte del capitolo seguente. Non è il caso quindi di anticipare ora quanto si espliciterà in forma più ampia e organica nel cap IX. Sembra più utile invece riprendere alcune affermazioni che mettono in evidenza il significato di questo cammino.

Seguendo i capoversi dell'articolo, tale significato può essere colto: 1. Nella prospettiva e come preparazione di un impegno definitivo; 2. Nell'atteggiamento di discernimento che lo accompagna:

per conoscere e corrispondere alla volontà di Dio;

per una mutua comprensione e valutazione del candidato e della

Società in cui egli chiede di entrare.

Nella prospettiva della professione perpetua e come preparazione di questo impegno definitivo.

La formazione iniziale ha come punto di riferimento permanente la professione perpetua. Deve portare, infatti, alla maturità spirituale salesiana richiesta dall'importanza di questa scelta: è un impegno definitivo (cf. Cost 117), che implica conoscenza della propria vocazione (della propria persona, del'identità salesiana e dei loro possibili rapporti) e maturazione a livello umano e cristiano (cf. Cost 109).

La prospettiva che si ha davanti entrando nella Società è la scelta radicale, la vita interamente consacrata, il dono definitivo. Non ci «si impresta» a Dio e ai giovani per qualche anno. Ci «si dona» con tutto l'essere. Questa era la ferma indicazione di Don Bosco per i membri consacrati della sua famiglia.'

Considerando il processo formativo e pur riconoscendo la crescita graduale della coscienza vocazionale, la progressione dell'impegno, il significato pedagogico e l'atteggiamento fondamentale di discernimento che segue l'esperienza nel suo svolgersi, bisogna evitare di considerare il cammino formativo come un processo frammentario, fatto di impegni parziali, provvisori, condizionati e sperimentali.

Il testo costituzionale sintetizza questi due aspetti, unendo la prospettiva della incorporazione definitiva nella Società con la necessità di periodi formativi che permettano, come si dice nello stesso articolo, il discernimento della volontà di Dio, la valutazione corresponsabile dell'idoneità vocazionale del candidato e quindi la sua preparazione o meno per un impegno definitivo.

Necessaria «gradualità» (senso del processo) e «prospettiva definitiva» non si contrappongono, anzi sono espressione della coscienza e del rispetto con cui si preparano decisioni umane fondamentali, dando il giusto rilievo al significato spirituale del dialogo con il Signore.

Dunque la serietà, da un punto di vista umano e di fede, di un impegno definitivo mette in risalto l'importanza e la necessità di una adeguata preparazione. La prospettiva della professione perpetua fa comprendere che, nei singoli periodi, negli obiettivi per cui si vivono, negli impegni che si assumono, si gioca tutta la vita.

Il significato dei «periodi» formativi.

L'atteggiamento di discernimento che accompagna costantemente il cammino di crescita vocazionale rende necessari i «periodi» formativi. L'articolo costituzionale sottolinea alcune motivazioni:

Cf. D. BOSCO, Introduzione alle Costituzioni. I voti. Cf. Appendice Costituzioni 1984, p. 218-219

- per conoscere la volontà di Dio e corrispondervi

L'impegno formativo, in sé, è la risposta all'appello del Signore che chiama a vivere il progetto apostolico di Don Bosco nella sua Chiesa (cf. Cost 96), ma il suo primo obiettivo, in ordine di tempo e come condizione perché il processo vocazionale sia formativo, è quello di discernere qual è il progetto di vita per il quale il Signore chiama: «conoscere la propria vocazione», «approfondire l'opzione vocazionale e verificare la (propria) idoneità» ad iniziare l'esperienza religiosa salesiana (cf. Cost 96 e 109).

Questo discernimento, realizzato in «mutua collaborazione», poiché la vocazione è un dono che implica la duplice responsabilità della persona e della comunità, suppone un processo di conoscenza dei segni della volontà di Dio. Si tratta di scoprire, nel contesto globale della vita di chi si sente chiamato, nelle sue espressioni attuali, nelle sue radici, nelle sue prospettive e previsioni, nelle qualità e atteggiamenti e nelle motivazioni, quegli aspetti attraverso i quali lo Spirito Santo si fa presente e indica la sua chiamata alla vita salesiana. Più concretamente, si dovrà accertare insieme l'esistenza della «retta intenzione», e cioè della volontà manifesta, decisa e provata di donarsi interamente al Signore per motivi di fede, con un interesse e un'inclinazione autentici verso la vocazione salesiana.

L'esperienza di tante storie vocazionali richiama all'importanza di un serio processo di discernimento che permetta al candidato di conoscersi e di farsi conoscere. A questo scopo sono finalizzate quelle esperienze formative, dette «periodi», che la stessa prassi della Chiesa e della Congregazione ritiene necessarie per comprendere, accogliere la volontà di Dio e per accrescere la capacità di corrispondervi.

per una mutua comprensione e valutazione del candidato e della Società

«Nella professione si esprime anche l'impegno reciproco del professo che entra nella Società e di questa che lo accoglie con gioia» (Cost 23).

Nel capoverso precedente si sottolineava, nella visione della vocazione, il rapporto tra Dio che chiama e il candidato che risponde. Ora si mette più in evidenza il mutuo impegno tra il candidato e la Società,

espresso nella comune corresponsabilità in rapporto di servizio alla persona e al carisma.

Nei suoi due aspetti si tratta di una realtà complessa e diversificata, quella della Società che va meglio conosciuta e quella della persona la cui valutazione deve fondarsi su elementi positivi e specifici: l'una e l'altra non possono essere che progressive.

I diversi periodi nel loro insieme graduale e continuo daranno modo di raggiungere una sufficiente e fondata sicurezza di giudizio, poiché ciascuno di essi è previsto appunto per fornirne gli elementi,

O Dio di infinita sapienza,

che «hai disposta tutte le cose secondo misura numero e peso», e che ad ogni vita hai assegnato

le stagioni e i ritmi della crescita,

dona ai tuoi servi che stanno formandosi

per la missione di educatori-pastori dei giovani e ai confratelli che li accompagnano,

discernimento e spirito di collaborazione

perché sappiano conoscere in profondità ed eseguire fedelmente

la Tua santa volontà.

Fa' che, illuminati e sorretti dal Tuo Santo Spirito, percorrano con perseveranza il cammina proposto

nella totale dedizione a Te e ai fratelli.

Per Cristo nostro Signore.

ART. 108   LE AMMISSIONI

L'ammissione al noviziato, alla professione temporanea o perpetua, ai ministeri e alle sacre ordinazioni, dopo che il candidato ha presentato liberamente la sua domanda, è fatta dall'ispettore con il consenso del suo Consiglio, avuto il parere del direttore della comunità con il suo Consiglio.

I superiori fondano il loro giudizio su elementi positivi comprovanti l'idoneità del candidato, tenendo conto in primo luogo dei requisiti canonici.'

1 cf- CIC, can. 642.645; 1019-1054

Il processo della formazione iniziale, complesso e integrato nell'unità vitale della persona (cf. Cost 102), si compie in ambienti adatti (cf. Cast 103) e sulla base di un curricolo paritario (cf. Cost 104), che vede corresponsabilmente impegnati formatori (cf. Cost 104) e salesiani in formazione (c£. Cast t05). I periodi di cui si compone (cf. Cost 107) sono l'espressione organica di una pedagogia di ricerca, di maturazione e di accompagnamento.

I vari periodi conoscono momenti di sintesi e di approfondimento sia a livello di conoscenza che di impegno: sono le ammissioni delle quali tratta il presente art. 108, ultimo del cap VIII.

Il testo mette in rilievo due aspetti:

la responsabilità e il contributo propri dell'Ispettore, del candidato e della comunità locale;

- i criteri in base ai quali deve essere emesso il giudizio di idoneità.

Le ammissioni costituiscono momenti importanti e finali di valutazioni, di scelte e decisioni; e offrono, allo stesso tempo, un valido aiuto pedagogico nell'accompagnamento del candidato verso una risposta sempre più concreta, coerente e matura. Pur essendo una costante dell'itinerario formativo, soprattutto nelle fasi iniziali, il discernimento tende a manifestarsi con più forza in quei momenti nei quali si sintetizza e si esprime la lettura e la valutazione dei segni vocazionali. Questi segni diventano le motivazioni di fondo sia della domanda del candidato che del giudizio dei responsabili sulla sua maturità vocazionale, pari alle esigenze della 'corrispondente fase formativa.

Vi è quindi una stretta relazione fra discernimento e ammissioni. La domanda, presentata liberamente dal candidato, si fonda sul discernimento da lui compiuto con la collaborazione della comunità e rimane aperta a un segno rivelatore dell'intenzione di Dio, il giudizio di coloro che sono «mediatori dell'azione del Signore» (Cost 104). D'altra parte, il giudizio dei Superiori è frutto di quello sforzo di comprensione spirituale, illuminato dai criteri della Chiesa e della Congregazione, che percorre tutta l'esperienza formativa e intende servire la vocazione personale e l'identità salesiana.

Per questo le ammissioni devono essere viste nella prospettiva di un processo con livelli diversi di maturazione e di impegno.

Domanda, parere, responsabilità nelle ammissioni.

Sono tre i soggetti corresponsabili nelle ammissioni: il candidato che presenta liberamente la domanda; la comunità locale che esprime il suo parere attraverso il Direttore e il suo Consiglio; l'Ispettore che decide con il consenso del suo Consiglio.

- La domanda del candidato

L'ammissione avviene a seguito della domanda presentata liberamente dal candidato. Non è quindi un passaggio che si compie automaticamente, come conclusione di un periodo formativo o in seguito a una scadenza di calendario. Il candidato prende personalmente l'iniziativa. Lo fa in forma libera, cioè non mosso «da pressioni esterne o interne» (Cost 109), consapevole della scelta che compie (cf. Cost 109) e con la maturità spirituale salesiana richiesta da tale scelta (cf. Cost 117).

Spetta a lui fare questo passo con cui esprime, per quanto lo riguarda, una prima personale conclusione positiva in fatto di discernimento vocazionale, raggiunta insieme a quanti possono e devono dare il loro contributo di valutazione.

Il parere del Direttore della comunità con il suo Consiglio

I segni vocazionali si scoprono soprattutto attraverso il contatto personale e la convivenza nei luoghi e nelle circostanze in cui si fa esperienza dei valori vocazionali, vivendo e lavorando insieme. È naturale quindi che la comunità locale porti il suo contributo di informazione e di valutazione in base alla vita «vissuta insieme». È una delle espressioni concrete di ciò che si è affermato nell'art. 99, parlando della comunità come «naturale ambiente di crescita vocazionale», esplicitato poi nell'art. 8I dei Regolamenti: «La comunità locale, in quanto corresponsabile della maturazione di ogni confratello, è invitata a esprimere il proprio parere quando uno dei suoi membri chiede di essere ammesso alla professione o agli ordini sacri; lo farà nelle forme più consone alla carità».

Senza sminuire l'importanza e il significato del contributo e della partecipazione di tutti i membri della comunità, spetta al Direttore col suo Consiglio la responsabilità giuridica di inviare un parere ufficiale all'Ispettore.

-- Responsabilità dell'ammissione

La responsabilità giuridica dell'ammisione è dell'Ispettore, del Direttore e dei rispettivi Consigli, di ciascuno secondo la propria competenza consultiva o deliberativa. La responsabilità morale ha un ambito molto più vasto: è propria di tutti quelli che vivono e intervengono in qualche modo nel processo formativo. Una responsabilità speciale spetta al direttore spirituale personale e al confessore, che restano naturalmente legati dal segreto in forza del sacramento o del loro ufficio.

Per tutte le ammissioni le Costituzioni richiedono che si esamini la domanda, si esprima il parere sempre a un doppio livello: a livello di Consiglio della comunità di residenza e a livello di Consiglio ispettoriale da cui dipende religiosamente la comunità.

L'ammissione spetta all'Ispettore. È un atto formale della sua autorità personale e non del suo Consiglio, del quale però è richiesto il consenso.'

- Idoneità provata

Il giudizio dei Superiori responsabili è un giudizio sul grado di idoneità del candidato corrispondente alle esigenze della fase forma-

Cf. Criteri e Norme di discernimento vocazionale salesiano. Le Ammissioni., Roma 1985, 61s

tiva in cui si trova. Questa idoneità deve essere stabilita in base a criteri di discernimento indicati autorevolmente dalla Chiesa e dalla Congregazione. Sono quegli elementi che permettono di individuare la presenza o l'assenza dei segni della chiamata di Dio e della idoneità per rispondervi, sempre che il candidato onestamente e serenamente si sia manifestato nella sua vera realtà. La FSDB come anche «Criteri e Norme di discernimento vocazionale salesiano» presentano un ampio quadro sia dei criteri positivi, comuni e specifici, che permettono di stabilire una idoneità di base e di identificare le doti necessarie proporzionate all'età e all'impegno che si assume (disposizioni e attitudini, motivazioni, retta intenzione), sia dei criteri negativi o controindicazioni, che permettono di individuare atteggiamenti e comportamenti che escludono o diminuiscono l'idoneità vocazionale. Il testo costituzionale lascia intendere che non basta l'assenza di controindicazioni. È indispensabile la presenza di elementi che comprovano positivamente l'attitudine alla vita salesiana. L'idoneità infatti non è assenza di ostacoli; è una presenza di doni ricevuti, coltivati e offerti per il presente e per il futuro.

Illumina, o Padre, con la Tua verità e con il Tuo amore, coloro che hai scelto per il delicato compilo di pastori e guide nel discernimento vocazionale. Concedi loro fede e saggezza, fiducia e prudenza, perché, valorizzando ogni Tuo dono, sappiano giudicare l'idoneità dei giovani fratelli,

sì che la nostra Società possa crescere in numero e qualità, per la diffusione del Tuo Regno. Concedi anche ai nostri giovani confratelli un cuore disponibile e generoso, libero e forte, perché sappiano rispondere con verità e carità agli impegni della loro vocazione. Per Cristo nostro Signore.

CAPITOLO IX

IL PROCESSO FORMATIVO

«Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, fa porterà a compimento fino al giorno di Gesù Cristo (Fil t,6).

La formazione, come ogni processo, tende a un traguardo. È proprio della rivelazione cristiana, mentre riconosce tappe intermedie, porre come esito definitivo l'avvento trasformante del «giorno del Signore». È in quest'ottica ampia, umanamente mai conclusa, ma per l'aggancio alla Parusia di Cristo così incoraggiante, che il testo costituzionale viene inserito grazie alla citazione della lettera ai Filippesi.

Siamo all'esordio della lettera che Paolo scrive dal carcere. li tono è autobiografico, dalle tonalità affettive molto intense: «Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù» (1,8). La comunità di Filippi è forse la più teneramente interpellata. Sappiamo come fin dalla sua origine fosse pienamente docile all'Apostolo (Atti 16,12-40; 20,1-16). Sappiamo del generoso, magnifico aiuto per la colletta a favore dei poveri (2 Cor 11,9; Fil 4,16) e dì altri aiuti mentre Paolo era in carcere (Fil 2,45; 4,10ss).

Paolo ricorda questo insieme di qualità cristiane dei Filippesi (aiuto finanziario, attività missionaria, mantenimento della purezza dei Vangelo) con il termine dì «opera buona» (1,16). E su di essa, su questa esistenza incentrata sul Vangelo, proietta significativamente una corretta interpretazione teologica, che possiede indubbia incidenza operativa: è la grazia di Dio che dà come anche sviluppa e porta a compimento ogni «opera buona». In 2,13 espliciterà il pensiero scrivendo: «È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni». Mentre in 2,12 ne ricava la conclusione pratica: «Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore». Ottima indicazione di vita per chi, situato in un processo formativo permanente, è di continuo sotto la divina ispirazione.

In 1,6 Paolo esplicita, come cosa che gli sta a cuore, che all'«opera buona», fatta non senza reali sacrifici, corrisponde sempre il premio. È un motivo, quello della ricompensa, che, svincolato da concezioni mercena-

rie (e Gesù nel discorso della Montagna lo fa ben presente: Mt 6,1-18), rimane in primo piano per Gesù e per Paolo - e noi legittimamente aggiungiamo per Don Bosco - come segno della serietà e umanità insieme di Dio nei nostri confronti (cf. Fil 2,14). Non perderemo il monito implicito in quel «giorno di Gesù Cristo» (altrove detto «giorno del Signore») in quanto giorno anche del giudizio (1 Cor 3,10-15). «Intanto, come annota più avanti con realismo Paolo, dal punto cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare sulla stessa linea» (Fil 3,16)

I. Obiettivo e significato del capitolo.

Per rispondere alla chiamata del Signore che lo invita a vivere nella Chiesa il progetto di Don Bosco come apostolo dei giovani (cf. Cast 96), il salesiano {s'impegna in un processo formativo che dura tutta la vita e ne rispetta i ritmi di maturazione. Fa esperienza dei valori della vocazione salesiana nei diversi momenti della sua esistenza e accetta l'ascesi che tale cammino comporta» (Cast 98).

Processo è l'insieme dei periodi, degli elementi e delle modalità che li caratterizzano e influiscono sullo sviluppo della personalità e sul suo rapporto con la vita. Nell'insieme del processo una particolare importanza è attribuita alla formazione iniziale, che va dal primo orientamento verso la vita salesiana (cf. Cost 109) fino alla incorporazione definitiva nella Società (cf. Cost 117).

Il cap. VIII ha presentato gli aspetti generali della formazione salesiana e, in essa, della formazione iniziale per orientare l'esperienza formativa e assicurarne la validita. L'intenzione del cap. IX è diversa e complementare: esso applica coerentemente al processo formativo, cioè ai diversi momenti del cammino di questa esperienza, gli aspetti generali indicati. La vocazione e la sua formazione si muovono come una storia dentro altre storie con le quali vivono in un rapporto di reciproco influsso. Su uno sfondo unitario e continuo si susseguono, a volte in forma graduale, a volte in maniera imprevista, periodi, situazioni, ritmi, contesti diversi; si affrontano difficoltà, si ricevono stimoli, si inventano mezzi. È un andare avanti periodo dopo periodo, situazione dopo situazione, passo dopo passo.

In questo cammino è determinante la scelta iniziale e la qualità della crescita durante i periodi, attraverso i quali il confratello definisce il suo progetto, si identifica con la vocazione, si abilita a viverla, in forma adulta, sempre più libera e consapevole.

2. Struttura del capitolo.

Nella struttura globale del capitolo si possono scorgere tre nuclei principali, condensati attorno a tre momenti significativi dell'arco formativo,

a. Prima dell'incorporazione definitiva nella Società il candidato percorre tre PERIODI fra loro continui:

- La preparazione al Noviziato (art 109);

- li Noviziato:

se ne considera l'esperienza formativa e il suo obiettivo (art. 110), la durata (art. 111) e l'importante ruolo del «maestro» (art. 112).

- Il tempo della professione temporanea:

con la sua esperienza formativa (ari. 113-116) durante l'immediato postnoviziato (art. 114), il tirocinio (ari. 115) e con attenzione alla formazione specifica (che continuerà anche dopo la professione perpetua) (art. 116).

b. La professione perpetua incorpora definitivamente il salesiano nella Società (art. 117).

c. La Formazione permanente:

I due art. 118 e 119 non la descrivono come fosse un periodo»; la presentano piuttosto come atteggiamento e prospettiva che anima tutta la vita, richiamando quanto è già stato enunciato all'inizio della terza parte: la nostra vita è un'esperienza di dialogo permanente fra il Signore che chiama e il salesiano che risponde. Egli lo fa sforzandosi di discernere negli eventi la voce dello Spirito e impegnandosi in un'adeguata e continua formazione per rinnovare il senso religioso pastorale della sua vita e abilitarsi a svolgere con maggior competenza il suo lavoro (cf. Cost 119), insieme a Colui che ha iniziato quest'opera buona e la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (cf. Fil t,6).

ART. 109   PREPARAZIONE AL NOVIZIATO

A chi si orienta verso la vita salesiana vengono offerti l'ambiente e le condizioni adatte per conoscere la propria vocazione e maturare come uomo e come cristiano. Può così, con l'aiuto di una guida spirituale, scegliere in modo più consapevole e libero da pressioni esterne e interne.

Immediatamente prima del noviziato è richiesta una speciale preparazione per approfondire l'opzione vocazionale e verificare l'idoneità necessaria ad iniziare il noviziato. Tale preparazione si compie attraverso un'esperienza di vita comunitaria e apostolica salesiana.

In diverse occasioni le Costituzioni hanno ricordato il dono divino delle vocazioni e l'importante compito di accompagnamento che ci è affidato. «Il Signore - diceva l'art. 28 - chiama continuamente e con varietà di doni a seguirlo per il servizio del Regno». Come educatori pastori, aiutiamo i giovani «a scoprire, ad accogliere e a maturare il dono della vocazione» (Cost 28). «Quest'opera di collaborazione al disegno di Dio, coronamento di tutta la la nostra azione educativa pastorale, è sostenuta dalla preghiera e dal contatto personale, soprattutto nella direzione spirituale» (Cost 37).

Tra i giovani chiamati ve ne sono alcuni che si orientano verso la vita salesiana, poiché il Signore, che «ama la Congregazione e la vuole viva per il bene della sua Chiesa, non cessa di arricchirla di nuove energie apostoliche» (cf. Cost 22). Prima che essi inizino, nel Noviziato, l'esperienza religiosa salesiana viene loro offerto un periodo formativo che li prepari adeguatamente: è la preparazione al Noviziato, di cui si tratta in questo primo articolo del cap. IX.

La Congregazione non definisce nei particolari questa tappa né la imposta secondo una struttura giuridica determinata. Spetta alle Ispettorie definirne le modalità. Le Costituzioni presentano, in forma indicativa, obiettivi e condizioni di questo tempo di preparazione, e fanno riferimento a due momenti che potremmo chiamare «preparazione al Noviziato in senso ampio» e «speciale preparazione immediata».

Preparazione al Noviziato.

Conoscere se stesso e la vocazione salesiana come approfondimento della propria vocazione battesimale, maturare come uomo e come cristiano, per rendersi atto e capace di una scelta libera e generosa, poiché ci si sente chiamati da Dio, e di una risposta che traduca in realtà di vita il progetto conosciuto, sono gli obiettivi di questo tempo di formazione.

Si tratta certo di una scelta iniziale, ma che si correda di tutte le condizioni per essere personale e validamente motivata, non cedendo né a paure o ad attrattive superficiali né a pressioni affettive e di ambiente. Soltanto quando il candidato ha fatto l'opzione per la vita salesiana è in grado di incominciare la preparazione immediata al Noviziato.'

A servizio dei giovani che vogliono raggiungere questo obiettivo la comunità offre l'ambiente e le condizioni adatte (momenti, iniziative, esperienze, sussidi...), specialmente l'aiuto di una guida spirituale. L'importanza e la funzione concreta di questi aspetti metodologici sono già state considerate nel capitolo precedente. Si tratta infatti di aspetti generali dell'esperienza formativa che, in forme e con intensità diverse, sono richiesti in ogni caso.

La realizzazione di questo servizio vocazionale costituisce un impegno e una sfida alla responsabilità e alla sensibilità giovanile salesiana

delle Ispettorie e delle singole comunità.

Una «speciale preparazione» immediata.

L'entrata in Noviziato presuppone la decisione di voler dare inizio, per motivi di fede, alla vita religiosa salesiana, preferendola ad altre forme di vita. Per essere capaci de questa scelta occorre una sufficiente maturità di coscienza e di libertà che diano modo, approfittando degli aiuti offerti, di approfondire l'opzione vocazionale e di verificare, in rapporto ad essa, la propria idoneità.

' Cf- Ccz1, 267

Dall'esperienza formativa si può capire quanto sia importante il raggiungimento di questo obiettivo per i singoli e per l'ambiente del Noviziato. Spesso le difficoltà che si incontrano nella formazione dei novizi sembrano derivare dal fatto che questi, al momento della loro ammissione al Noviziato, non possedevano né una sufficiente maturità di opzione, né una comprensione, almeno globale ma chiara, degli impegni che assumevano, né la capacità di accettare le rotture che la vocazione sempre comporta nei confronti di persone, ambienti e cose non componibili con essa.

Tutto ciò immancabilmente ha un riflesso sulla comunità stessa del Noviziato non sufficientemente omogenea, condizionata talvolta da atteggiamenti che non possono essere accettati o con problemi che dovrebbero essere stati risolti durante il periodo della preparazione.

Il metodo, che la Congregazione indica come valido per un'adeguata preparazione al Noviziato, al fine di superare incertezze e ignoranze di vario tipo, orienta verso alcune condizioni irrinunciabili:

- una esperienza di vita comunitaria e apostolica, che si svolga in una comunità salesiana e, in via ordinaria, non sia inferiore a sei mesi (cf. Reg 88);

- una guida che segua personalmente il candidato, lo orienti alla comprensione di sé e del progetto di vita che dovrà scegliere come suo e lo aiuti ad acquisire la maturità richiesta per farlo;

- dei formatori (sia che i giovani siano inseriti in una comunità già esistente o facciano comunità a sé) che, mantenendo una costante intesa con i formatori del Noviziato, assicurino quella continuità di contenuti formativi e di criteri di valutazione che facilitano senza dubbio il giudizio di idoneità in chiunque sia chiamato a dai-lo;

- una formazione intellettuale che, sfruttando gli studi che si stanno compiendo e integrandoli con letture, comunicazioni ed esperienze, sviluppi i germi dell'abito allo studio e conduca a possedere una prima visione globale della realtà, della vocazione dell'uomo, del cristiano, del salesiano e la faccia percepire come proposta concreta e attuale d'impegno possibile e valido.

Dalle indicazioni della Regola si può capire quanto sia importante questo tempo di preparazione al Noviziato e come sia indispensabile

che le comunità salesiane si rendano idonee a offrire questo prezioso servizio per molti giovani.

O Signore, che ami la nostra Società

e non cessi di arricchirla di nuove energie apostoliche, veglia sui giovani che chiami all'esperienza della vita salesiana:

custodisci in essi il germe della vocazione contro ogni tentazione e ogni dubbio e dona loro il coraggio e la gioia

di «decidere nel loro cuore il santo viaggio».

Concedi anche alle nostre comunità

la grazia di corrispondere ai tuoi doni

con la testimonianza di una vita che si dona con gioia, per offrire ai giovani l'ambiente favorevole a maturare la propria vocazione.

Art. 110-111 IL NOVIZIATO E LA SUA DURATA

ART. 110

Nel noviziato il candidato ha la possibilità di iniziare l'esperienza religiosa salesiana.

La comunità perciò dev'essere un esempio di vita fondata sulla fede e alimentata dalla preghiera, dove la semplicità evangelica, l'allegria, l'amicizia e il rispetto reciproco creano un clima di fiducia e di docilità.

Con l'aiuto del maestro il novizio approfondisce le motivazioni della propria scelta, accerta l'idoneità alla vocazione salesiana e si orienta verso il completo dono di sé a Dio per il servizio dei giovani, secondo lo spirito di Don Bosco.

ART. 111

II noviziato dura dodici mesi a norma del diritto.' Comincia quando il candidato, ammesso dall'ispettore, entra nella casa del noviziato canonicamente eretta e si pone sotto la guida del maestro.

Un'assenza che superi i tre mesi continui o discontinui lo rende invalido. L'assenza che supera i quindici giorni dev'essere ricuperata.

' Cf. C1C, can- 647.3; 648; 649.1

Le Costituzioni presentano in tre articoli - 110. 111. 112 - rispettivamente gli obiettivi e l'ambiente del Noviziato, la sua durata, il ruolo e i requisiti del maestro. A questi se ne aggiungono altri sei (art. 89-94) dei Regolamenti generali.

I contenuti dell'articolo 110 si riferiscono allo scopo fondamentale del Noviziato: la possibilità di iniziare l'esperienza religiosa salesiana; ne indicano quindi gli obiettivi specifici e l'ambiente che li rende possibili.

Scopo fondamentale: iniziare l'esperienza religiosa salesiana.

«Iniziare» non significa solo incominciare. Vuol dire anche essere introdotto, accompagnato; entrare gradualmente, muovere i primi passi nella consapevolezza riflessa di un determinato processo in cui si

è coinvolti, assumendolo liberamente e vitalmente. In questo senso il termine «iniziare» è legato e riceve il suo pieno significato dall'oggetto che gli è proprio: «l'esperienza religiosa salesiana». Si tratta appunto di «iniziare» questa esperienza di vita, di sperimentare i valori di questa vocazione (cf. Cast 98), integrandone i diversi aspetti (cf. Cost 102) e assicurandone la validità (cf. Cast 98-99).

È un'esperienza «salesiana», dunque specifica, segnata cioè dal proprio carisma. È utile a questo proposito rileggere quanto stabilisce il Codice di diritto canonico a proposito dell'esperienza formativa del Noviziato.

Gli elementi comuni sono collocati e assunti dalla «vocazione divina propria dell'Istituto»: «Il Noviziato, con il quale si inizia la vita nell'Istituto è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina qual è propria dell'Istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso a far sì che (attraverso questa sperimentazione consapevole) siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità».'

Gli obiettivi specifici del Noviziato.

In un ambiente formativo adatto il novizio inizia l'esperienza religiosa salesiana, che sarà di tutta la vita. Gli obiettivi specifici da raggiungere sono suggeriti dalle ultime espressioni del can. 646 e dal terzo capoverso dell' art. 110.

Sono tre, fra loro convergenti e complementari: approfondire le motivazioni, accertare l'idoneità, orientarsi verso il completo dono di sé a Dio.

L'esperienza del Noviziato deve portare il novizio «verso il completo dono di sé a Dio per il servizio dei giovani, secondo lo spirito di Don Bosco». Egli si prepara infatti alla professione religiosa con cui «offre a Dio se stesso per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui

CIC, can. 646

alla costruzione del Regno» (Cast 3) «secondo la via evangelica tracciata nelle Costituzioni salesiane» (Cast 24).

Due condizioni sono indispensabili perché questo dono sia completo, sia vero e realmente possibile:

- accertare l'idoneità alla vocazione salesiana: a questo tende il discernimento vocazionale, un processo che impiega mezzi naturali e soprannaturali atti a scoprire quegli aspetti della realtà personale attraverso i quali lo Spirito Santo indica che una determinata persona è chiamata alla vita salesiana, possiede cioè le attitudini e le virtù richieste, principalmente la retta intenzione. È l'idoneità che assicura, in certo senso, la verità del dono;

- approfondire le motivazioni della propria scelta. La presenza delle qualità che rendono un giovane idoneo alla vita salesiana e l'assenza di controindicazioni possono costituire certamente un segno della chiamata di Dio, importante e necessario, ma non sufficiente per decidernee con sicurezza.

Chi chiede di essere ammesso è un candidato dotato, che si sente attratto, chiamato ad essere salesiano. Opta per un tipo di vita e per un insieme di valori che percepisce in accordo con la sua realtà e le sue aspirazioni. Occorre sapere e valutare da dove nasce questa spinta, questa inclinazione, questo orientamento; quali bisogni, desideri, interessi muovono la sua esistenza, in una parola quali sono le sue motivazioni profonde.

Il discernimento delle motivazioni è un aspetto determinante del processo formativo.

Le motivazioni non sono mai allo stato puro. Sono soggette a maturazione e a purificazione graduale e continua. Formarsi porta a poco a poco il candidato a comprendere chi è il Signore che chiede e motiva la scelta e il servizio.

Le motivazioni sono complesse com'è complessa la persona, nella quale il fisiologico, lo psicologico, lo spirituale e la grazia costituiscono una unità data e da fare. Possono essere molteplici e convergenti, come per esempio il desiderio di lavorare per i giovani e la volontà di darsi totalmente a Dio nella costruzione del Regno. L'importante è che la motivazione specifica e primaria (la «retta intenzione») sia capace di unificare di fatto con il suo influsso i movimenti secondari e componibili

con essa, consci o inconsci, inevitabilmente presenti anch'essi; e di mortificare ed eliminare quelli con essa non componibili.

L'accertamento di una data motivazione è sempre un'impresa delicata. Non basta il normale incontro con i candidati, come da soli non bastano gli esami psicologici e attitudinali. Si richiedono un contatto profondo di direzione e di orientamento spirituale con chi ha veramente sensibilità e capacità di discernimento, e l'impegno della persona aiutata a voler fare contemporaneamente e insieme questo cammino.

Ambiente comunitario.

Il Noviziato è una scuola di vita e, per questo, il clima che vi si respira è un coefficiente fondamentale di formazione. Quali sono i contenuti che fanno questo clima prezioso per la vita salesiana? Già il cap. VIII ha parlato della comunità come contesto di formazione: l'art 97 ricordava i primi Salesiani intenti, attraverso l'inserimento nel vivo di una comunità in azione, a modellare la loro vita su quella di Don Bosco; l'art 99 presentava la comunità come naturale ambiente di crescita vocazionale; nell'art. 103 si descrivevano le caratteristiche delle comunità formatrici. Tutto questo vale naturalmente anche per le comunità di Noviziato. Ma il testo costituzionale, ugualmente, vuol mettere in evidenza alcuni aspetti per configurare con più sicurezza l'ambiente del Noviziato. Sono due gli elementi sottolineati: il clima di fede e quello di famiglia. La comunità deve essere:

- «un esempio di vita credente» e arante

«Esempio di vita» richiama ancora la prospettiva dell'esperienza. Non si tratta innanzitutto di un insegnamento sulla vita salesiana, ma di una forma di vita di cui si intravvede e si sente il fondamento che è la fede, la percezione di una presenza: il Cristo, la sua Parola, il suo esempio, la sua chiamata, i suoi criteri, la sua missione; di cui si sente il respiro che è la preghiera, il dialogo e l'amicizia con il Signore.

- «un clima di fiducia e di docilità»

Quanto insiste la nostra Regola di vita su questo aspetto costitutivo dello spirito salesiano e tipico del nostro stile comunitario! Ricordiamo solo alcune delle sue espressioni: «il salesiano è aperto e cordiale, pronto a fare il primo passo e ad accogliere sempre con bontà, rispetto e pazienza. Il suo affetto è... capace di creare corrispondenza di amicizia: è l'amorevolezza tanto raccomandata da Don Bosco» (Cost 15). «Don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse 'a casa sua'... In un clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono, ...i rapporti vengono regolati... dal movimento del cuore e dalla fede» (Cast 16).

Ritornano alla memoria le semplici e celebri espressioni di Don Bosco che, pur non riferendosi direttamente a comunità formatrici, del clima educativo e formativo esprimono l'anima: «Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio, che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Nient'altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio. I giorni dell'amore e della confidenza cristiana tra i giovani e i superiori; i giorni dello spirito di accondiscendenza e di sopportazione, per amore di Gesù Cristo, degli uni verso gli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti».2

«Clima di fiducia» vuol dire stile di attenzione alla persona, di apertura, dialogo, incontro, cordialità, che fanno superare il timore e i pregiudizi. «Clima di docilità» significa ambiente in cui regna la docilità di tutti allo Spirito attraverso l'impegno del discernimento e l'accettazione delle mediazioni, nella fedeltà concreta ai criteri vocazionali e nel rispetto dei ritmi della persona e delle leggi della gradualità.

Come si costruisce e si alimenta questo clima? Il testo indica quattro indispensabili elementi:

- la semplicità evangelica, una semplicità profonda, che non è solo uno stile esteriore, ma che parte dal di dentro: è una maturità che cresce nella semplicità, nelle espressioni quotidiane;

- l'allegria come espressione giovanile e, soprattutto, come esperienza della gioia vocazionale;

1 Lettera da Roma 1884, cf. Appendice Costituzioni 1984, p. 252

- l'amicizia: l'incontro profondo tra le persone chiamate a vivere in comunione la vocazione e tutta la vita;

- il rispetto reciproca che Part. 52 caratterizzava così: «la comunità accoglie il confratello con cuore aperto, lo accetta com'è e ne favorisce la maturazione». Questa affermazione è valida, in forma del tutto particolare, in questi inizi di esperienza salesiana quando emergono con più facilità e più fortemente le differenze dei caratteri ancora non lavorati, la diversa provenienza e preparazione, gli orientamenti della forma vocazionale non ancora definiti e la fatica dei nuovi impegni.

Senza falsi idealismi, ma con la chiara coscienza della sua efficacia, la comunità del Noviziato, sia il gruppo stabile come i novizi che cambiano ogni anno, costruisce il suo volto con questi connotati perché la possibilità di iniziare l'esperienza religiosa salesiana sia per tutti una felice realtà.

Durata del Noviziato (art. 11I).

L'art. l11 riporta quanto è stabilito dal Codice di diritto canonico circa la durata del Noviziato e il computo delle assenze. Nel can. 648 §1 si legge: «Per essere valido il Noviziato deve comprendere dodici mesi, da trascorrere nella stessa comunità del Noviziato, fermo restando il disposto del can. 647 §3». In esso si recita: «Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, dimori in un'altra casa dell'Istituto, da lui stesso designata».

Nella FSDB si specifica in forma concreta l'applicazione di queste disposizioni che tendono ad assicurare un'esperienza continua e sufficiente.'

Le indicazioni dell'articolo mettono poi in evidenza le tre persone più direttamente responsabili dell'esperienza del noviziato: il candidato, l'Ispettore, il maestro.

' Cf. :SUB, 379-381

Signore Gesù Cristo,

che per preparare i Tuoi Apostoli

li separasti per un tempo dagli altri «in un luogo deserto»

facesti loro conoscere «i misteri del Regno», arricchisci con l'abbondanza della Tua grazia le comunità dei nostri Noviziati,

perché, con la zelante collaborazione dei formatori

con l'assistenza dello Spirito Santo,

diventino cenacolo di comunione filiale con il Padre

luogo eletto di preparazione alla missione tra i giovani.

ART. 112    IL MAESTRO DEI NOVIZI

Il maestro dei novizi è la guida spirituale che coordina e anima tutta l'azione formativa del noviziato.

Sia un uomo di esperienza spirituale e salesiana, prudente, aggiornato sulle realtà psicologiche e i problemi della condizione giovanile. Abbia un grande senso dei contatti umani e capacità di dialogo; con la sua bontà ispiri confidenza ai novizi.

È professo perpetuo e viene nominato dall'ispettore con il consenso del suo Consiglio e l'approvazione del Rettor Maggiore. Rimane in carica tre anni e può essere riconfermato.

Una visione rinnovata della formazione mette in nuova luce la figura del maestro dei novizi. A lui, nelle nostre Costituzioni, è dedicato specificamente l'art. 112. Alla sua presenza e al suo ruolo si sono riferiti anche i due articoli precedenti: l'art. 110 ha ricordato che il novizio «con l'aiuto del maestro» raggiunge gli obiettivi propri dell'esperienza del Noviziato, il quale ha inizio, affermava 1'art. 111, «quando il candidato si pone sotto la (sua) guida».

Se tutti i formatori hanno «un compito specifico e necessario» (Cost 104), quello del maestro è unico e determinante.Il Direttore della comunità formatrice è «guida della comunità e maestro di spirito» (Cost 104), ma della comunità dei novizi lo è sempre e soltanto il maestro.

L'art. 112 gli dedica tre paragrafi successivi per riflettere:

 1. sul suo ruolo principale;

2. sulle qualità richieste dalla sua funzione;

3. sulle disposizioni canoniche per la sua nomina.

 Il maestro, un ruolo principale.

Gli art. 110 e 111 parlano della funzione del maestro in rapporto al singolo novizio; il primo paragrafo dell'art. 112 allarga a una visione globale e comprensiva del suo compito: egli «è la guida spirituale che coordina e anima tutta l'azione formativa del noviziato».

È «guidaa spirituale»: nel senso che è sua funzione accogliere, accompagnare e precedere come guida (»padre, maestro e guida spirituale» è stato definito il Direttore salesiano nell'art. 55); è sua funzione indicare qual è il cammino e come percorrerlo per giungere alla meta, avvertendo sugli ostacoli da evitare e sui mezzi da utilizzare.

È «guida spirituale» perché il cammino è quello di una esperienza spirituale, carismatica. Si dice «spirituale» non per escludere alcuni aspetti della realtà personale, ma per indicare l'angolatura specifica di un'esperienza che impegna tutta la persona nella sua risposta allo Spirito.

Il maestro esercita questo servizio nel rapporto formativo con ogni novizio, ma anche, ed è quello che qui si vuole evidenziare, coordinando e animando tutta l'azione formativa per assicurare, come afferma Part. 104, le condizioni di validità dell'esperienza.

«Coordinare» significa far convergere le corresponsabilità, le funzioni, gli sforzi, le esperienze, tutti gli aspetti del processo formativo verso l'obiettivo principale.

«Animare» dà al coordinamento una dimensione più profonda e interiore, più sensibile all'aspetto pedagogico e ai processi che partono dalle motivazioni.

Coordinare e animare tutta l'azione formativa implica un insieme di iniziative e di atteggiamenti, che promuovono la vitalità dell'esperienza formativa, facendo appello alla coscienza, alla partecipazione attiva attraverso la valorizzazione dei ruoli e dei doni personali.'

Le qualità richieste.

Due serie di qualità sono richieste perché il maestro possa compiere salesianamente il suo compito. Potremmo chiamare le une «personali», le altre «di contatto».

«Uomo di esperienza spirituale .salesiana»: questo primo requisito è giustificato dalla natura stessa della formazione dei novizi. Se il mae-

' Cf. CG21, 46

stro dev'essere la loro guida nell'iniziare all'esperienza religiosa salesiana, è necessario e normale che egli sia un uomo di esperienza spirituale salesiana. Da un professore ci si attende che conosca la disciplina di sua competenza e sia capace di insegnarla con metodi didatticamente efficaci. Dal maestro dei novizi ci si attende che abbia vissuto e viva ciò di cui parla e sia in grado di iniziare i giovani al dono di se stessi prendendoli in qualche modo per mano e guidandoli su una strada già conosciuta.

Esperienza spirituale di uomo di Dio quindi, ma anche esperienza salesiana, che comporta un minimo di pratica educativa pastorale in comunità attive e una conoscenza viva dei valori salesiani, in particolare di quelli che formano «il senso apostolico» salesiano.

Da chi deve formulare giudizi seri, spesso decisivi e delicati sulle persone e sulle loro situazioni, si richiede evidentemente prudenza. Essa suppone la capacità di osservare e interpretare secondo criteri di scienza e di fede. Per questo si aggiunge: sia «aggiornato sulle realtà psicologiche e i problemi della condizione giovanile». I novizi infatti di solito sono giovani e figli del loro tempo: la loro vocazione e la loro vita spirituale non sfuggono alle leggi della natura e della storia. Per comprenderli, per costruire su un terreno reale, il maestro dovrà conoscere sufficientemente i dinamismi delle forze psicologiche e spirituali della persona e gli influssi che normalmente esercita ogni cultura. Gli sarà quindi necessaria una «apposita formazione specifica».2

Ma le conoscenze e le qualità sarebbero ben poco utili se mancasse quel rapporto di mutua confidenza che è il clima di ogni educazione autenticamente salesiana. Si è già ricordato questo aspetto parlando, a commento dell'art. 110, del «clima di fiducia».

A ragione perciò si esige dal maestro:

- «un grande senso dei contatti umani»: è la disposizione all'accoglienza e la facilità di fare il primo passo, di stringere relazioni interpersonali;

- la «capacità di dialogo», che va più in là del contatto umano: sup-

2 Cf- CGS, 685

pone la piena accettazione dell'altro, nel rispetto della sua diversità, e la volontà di non giudicarlo, mentre il dialogo è in atto;

- «la bontà», finalmente, che è la grande legge dell'educazione salesiana. Si manifesta in una paternità che non crea dipendenze infantili, fa maturare persone adulte, suscita quella confidenza limpida e solida tanto richiesta da Don Bosco: «Il maestro metta il massimo impegno nel mostrarsi talmente amabile, mansueto e pieno di bontà che i novizi gli aprano il cuore e abbiano in lui tutta la fiducia». 1- un testo che figura già nelle Costituzioni dei 1874.3

Disposizioni canoniche per la sua nomina.

Sono chiare e precise. Più in là di quanto stabiliscono a livello di procedimento, esse hanno un significato particolare. Come «guida spirituale», in un periodo decisivo per la formazione e di conseguenza per l'unità e la crescita dell'identità vocazionale salesiana, il maestro non agisce a titolo personale. Il suo ministero è espressione della responsabilità di tutta la Congregazione, rappresentata dal Rettor Maggiore e dall'Ispettore, nella fedeltà al dono dello Spirito e nell'impegno per viverlo, custodirlo, approfondirlo e svilupparlo in sintonia con il Corpo di Cristo* e con la sensibilità rivolta alle diverse situazioni culturali.

Deve quindi agire con senso di comunione e di corresponsabilità, docile alle disposizioni della Congregazione e dell'Ispettoria, preoccupato di assicurare la continuità dell'esperienza formativa soprattutto con l'immediato postnoviziato.

Concedi, o Padre,

la luce e la forza del Tuo Santo Spirito a coloro che Tu hai chiamati per essere maestri e guide spirituali di quelli che iniziano

la loro esperienza religiosa salesiana.

' Cf. MB X, 912: cf, anche Costituzioni 1874, XIV, 10 (F MOTTO, p. 195) 4 Cf. MR, 11

Fa' che il loro ministero sia fecondo e gioioso: arricchiti della Sapienza che proviene da Te e ripieni di paziente bontà,

sappiano accogliere, correggere e incoraggiare i giovani loro affidati,

fino a condurLi al dono completo a Te, unico sommo Bene.

Per Cristo nostro Signore.

ART. 113    PERIODO DELLA PROFESSIONE TEMPORANEA

La prima professione apre un periodo di vita consacrata durante il quale il confratello, sostenuto dalla comunità e da una guida spirituale, completa il processo di maturazione in vista della professione perpetua e sviluppa, come salesiano laico o aspirante al sacerdozio, i diversi aspetti della sua vocazione.

La professione nel primo triennio sarà triennale o annuale; nel secondo triennio sarà ordinariamente triennale.

Le Costituzioni dedicano quattro articoli al terzo periodo formativo, quello del tempo della professione temporanea. L'art. 113 ne spiega il senso generale, il 114 si riferisce all'immediato postnoviziato, il 115 al tirocinio e il 116 alla formazione specifica del salesiano, che si inizia generalmente prima della professione perpetua.

Significato fondamentale di questo periodo.

Due affermazioni complementari rivelano la prospettiva essenziale di questo periodo:

da una parte si dice che «la prima professione apre un periodo di vita consacrata». Non è solo un momento di passaggio, ma possiede un significato e un valore proprio (cf. Cast 105): il professo è già un vero «religioso» salesiano;

- dall'altra si dice che è un periodo delimitato nel tempo e, come stabilisce lo stesso testo, tendente a maturare nella professione perpetua («completa»... «in vista»). Non si dà infatti professione temporanea se non con una dedizione interiore definitiva proiettata verso la professione perpetua.

Questo tempo non è solo tempo di attesa (cf. Cost 105). Il professo temporaneo è un salesiano votato a Dio e ai giovani, un vero membro della Società (cf. Cost 24). Se non è legato in modo ufficialmente definitivo, non è per mancanza di intenzione e di generosità, ma per una norma prudenziale voluta dalla Chiesa e dalla Congregazione, sapendo che la professione definitiva deve poggiare su solide basi morali e spiri-

tuali, per raggiungere le quali egli si impegna corresponsabilmente in una comunità.

L'impegno nel tempo della professione temporanea.

Le linee fondamentali dell'impegno, durante il periodo della professione temporanea, vengono così descritte: il confratello completa il processo di crescita per giungere alla maturità spirituale salesiana richiesta dalla professione perpetua e sviluppa i diversi aspetti della sua vocazione, specialmente quelli indicati nell'art. 102: maturazione umana, preparazione intellettuale, approfondimento della vita consacrata e inserimento nel lavoro educativo pastorale.

Il testo ricorda a questo proposito due aspetti generali e quindi

estensibili a tutta la formazione e alla vita salesiana:

- Ogni confratello vive l'unica vocazione «come salesiano laico o aspirante al sacerdozio» e quindi compie anche la sua formazione, in particolare nel periodo della professione temporanea, secondo questa specifica prospettiva.

- Il giovane confratello è sostenuto dalla comunità e da una guida spirituale. Non si trova solo. La comunità e la guida, ordinariamente il Direttore, condividono con lui l'impegno formativo assicurando «le condizioni per una valida esperienza e una seria riflessione dottrinale in un ambiente adatto» (Cast 104).

Frequenza e durata della professione temporanea.

Il secondo capoverso dell'articolo si riferisce alla frequenza e alla relativa durata della professione temporanea nell'arco di tempo che separa la prima professione da quella perpetua.

Per il primo triennio vengono offerte due possibilità (professione triennale o annuale), senza indicare speciali preferenze. Per il secondo triennio si stabilisce, in via ordinaria, la forma triennale, senza escludere, per motivi giustificati, altre modalità. A questo va aggiunto quanto indicherà l'art. 117, e cioè che il tempo della professione temporanea può essere prolungato fino a nove anni.

Queste diverse possibilità sono scelte in modo giudizioso solo se si considerano allo stesso tempo la gradualità e la serietà dell'impegno. I1 criterio fondamentale rimane la maturità personale, che conferisce verità al segno, e non il tempo quantitativamente obiettivo di professione. D'altra parte, una ripetizione troppo frequente della professione, che in sé significa un'opzione di esistenza, se non è sufficientemente motivata a livello psicologico e pedagogico, svigorisce il segno nel suo contenuto umano e nella sua densità spirituale. Crea infatti un senso di provvisorietà interno e fa apparire debole una decisione che scaturisce dal centro stesso della vita di chi professa e si riferisce al progetto con cui egli intende identificarsi.

È necessaria una grande flessibilità e una non meno grande prudenza nel discernimento per coniugare, al servizio della persona e del carisma, tutti i valori in gioco.

Una sentita e reale responsabilità personale e comunitaria in rapporto alla professione temporanea e alla sua frequenza si manifesta certo nel momento della opzione e della decisione, ma ancor prima e ancor più quando si assicura il raggiungimento degli obiettivi propri dei periodi formativi precedenti: la preparazione al Noviziato e il Noviziato. Il confratello non trascinerebbe problematiche e indecisioni che vanno risolte prima e i Consigli locale e ispettoriale non rimanderebbero inutilmente ad altri, negli anni successivi, il loro compito non assolto tempestivamente. 1

Rendi feconda, o Signore, nei giovani confratelli la grazia della prima professione:

il Tuo Spirito li accompagni nella loro esperienza verso la definitiva donazione della loro vita a Te per il bene dei giovani.

Fa' che, crescendo ogni giorno nell'amicizia con Te,

nella somiglianza a Don Bosco e nella comunione fraterna,

1 Cf. Ratio Fundatnentati.s Institutioni.s Sacerdotati.s, n. 40

progrediscano nella formazione,

che rende più salde le loro motivazioni,

più competente ed efficace la loro azione educativa e pastorale.

Dona ad essi di vivere con gioia e responsabilità il periodo formativa,

tempo di impegno e di santità.

ART. 114     L'IMMEDIATO POSTNOVIZIATO

Alla prima professione segue una fase di maturazione religiosa che continua l'esperienza formativa del noviziato e prepara il tirocinio.

L'approfondimento della vita di fede e dello spirito di Don Bosco e un'adeguata preparazione filosofica, pedagogica e catechistica in dialogo con la cultura orientano il giovane confratello a integrare progressivamente fede, cultura e vita.

Una fase di maturazione religiosa tra il Noviziato e il tirocinio.

«Maturazione» è una parola che si ripete spesso nei due capitoli delle Costituzioni dedicati alla formazione. Indica un processo in movimento verso la maturità (cf. Cast 102) e si chiama «religiosa» non tanto per indicarne un aspetto specifico quanto per mostrarne il punto di sintesi finale e determinante.

L'impegno di maturazione religiosa, durante il postnoviziato, ha due punti di riferimento: il Noviziato e il tirocinio. L'esperienza del primo deve essere continuata, quella del secondo deve essere convenientemente preparata.

Il Noviziato, innanzitutto, ha bisogno di un complemento ulteriore. Il lavoro formativo al servizio di un gruppo di giovani di diversa provenienza e di ineguali livelli di maturità comporta sempre una fatica in più e un impiego di tempo maggiore. A fine Noviziato certamente esistono gli argomenti per credere a una sufficiente maturazione. Ma essa ha bisogno di essere ancora aiutata, curandone la continuità e la coerenza con il lavoro compiuto. Si evitano così bruschi cambiamenti di stile di vita e una caduta di tensione nella crescita vocazionale.

Il tirocinio, d'altronde, con l'obiettivo che propone: una sintesi personale tra attività e valori vocazionali da costruire «in un'esperienza educativa pastorale» (Cost 115), esige che il giovane confratello si sia già sforzato di camminare verso questa sintesi e abbia acquisito gli strumenti adatti per viverla.

ll postnoviziato è dunque un momento delicato e importante perché costruisce queste possibilità e risponde a queste esigenze.

Una fase che ha valore formativo «in sé».

Il postnoviziato però, com'è facile comprendere, non è esclusivamente o primariamente una fase che completa un passato o che appronta «strumenti» per il futuro. Esso ha un valore in sé. Non si chiede al giovane salesiano di viverlo solo per completare la formazione del suo Noviziato o per affrontare meglio i problemi del suo prossimo tirocinio. Anche questo; ma lo si impegna soprattutto in vista della maturazione attuale della sua persona.

Egli è chiamato infatti:

- a «integrare progressivamente fede, cultura e vita»;

- a porre in atto gli strumenti indicati per raggiungere questo obiettivo e cioè:

l'approfondimento della vita di fede e dello spirito di Don Bosco;

un'adeguata preparazione filosofica, pedagogica e catechistica in dialogo con la cultura (cf. Cost 114) e «una iniziazione teologica» (Reg 95).

Sono strumenti alcuni conoscitivi, altri esperienziali. E quelli conoscitivi devono aiutare a vivere con più profondità quelli esperienziali.

a. Il significato di «una progressiva integrazione tra fede, cultura e vita».

«Vita quotidiana» e «vita eterna», «fede e vita» sono formule del linguaggio abituale che richiamano una serie di contenuti.

«Fede» esprime la dimensione soprannaturale dell'esistenza cristiana; «vita» indica i valori creaturali di questa stessa esistenza e le numerose realtà quotidiane in cui si trova immersa.

Vivere nell'unità questi due aspetti significa essere uomini spirituali, restando uomini del proprio tempo.

Si tratta di credere che la ragione ultima e decisiva della realtà è l'Incarnazione, espressione dell'amore del Padre, ossia della volontà di Dio di comunicare se stesso agli uomini come Padre nella maniera più profonda possibile, nel Figlio. Si tratta di credere che Egli per questo crea.

Esiste dunque solo questo ordine di realtà che diciamo soprannaturale, ma esso comprende, accanto a elementi soprannaturali, elementi anche naturali che, se sono valori definitivi, si completano attra-

verso la progressiva partecipazione al mistero pasquale di Gesù.

Riscoprendo l'evento della Incarnazione (fede), ci si accosta alla vita, alla storia personale (vita) e collettiva (cultura) come a un luogo tutto segnato dalla presenza del Signore: il mondo è già da sempre avvolto e penetrato dalla grazia della comunicazione divina, in esso presente sempre e dappertutto. L'umano è luogo della presenza di Dio, il quotidiano diventa luogo della trasparenza del Signore. Unificare «fede e vita» vuol dire iniziare a una nuova capacità di contemplazione del quotidiano, segnato dalla cultura del luogo, per incontrarvi i segni della presenza del Signore, la quale domanda che si comprenda la situazione, si operi, si invochi nella preghiera la Sua luce e la Sua grazia e si edifichi con Lui.

b. Gli strumenti «esperienziali» adatti: approfondimento della vita di fede e dello spirito di Don Bosco.

Meglio sarebbe dire «approfondimento della vita di fede secondo lo spirito di Don Bosco». Infatti i Salesiani vivono la sintesi di fede, vita e cultura «nella carità pastorale» (Cost 10), che ha il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre (cf. Cost 11). Non si può dunque fare esperienza di questa carità senza approfondire la propria fede che è sempre percezione di una presenza, quella del Signore, che noi raggiungiamo secondo il nostro spirito:

- nella «predilezione per i giovani», speciale dono di Dio, «espressione

della carità pastorale», per il cui bene «offriamo generosamente

tempo, doti e salute» (Cost 14);

- accostandoli con l'amorevolezza di Don Bosco che «lascia trasparire l'amore preveniente di Dio» (Cost 15), in un clima di famiglia, di affetto ricambiato, di mutua confidenza e stima. t «un amore che si dona gratuitamente, attingendo alla carità di Dio» (Cost 20); attenti alla presenza dello Spirito, cogliendo i valori del mondo e «credendo nelle risorse naturali e soprannaturali dell'uomo, pur non ignorandone la debolezza» (Cost 17);

«ravvivando continuamente la dimensione divina della nostra attività» (cf. Cost 12) e l'unione con Dio, della cui paternità facciamo esperienza.

e. Gli strumenti conoscitivi: preparazione filosofica, pedagogica e catechistica in dialogo con la cultura e una iniziazione teologica.

Per raggiungere gli obiettivi proposti il postnoviziato cura una seria e aggiornata formazione intellettuale.

La FSDB precisa gli ambiti di tale formazione intellettuale, indugiando lungamente nel commentare la specificità delle diverse scienze e dei loro rapporti in vista della formazione.' Le sue considerazioni si possono riassumere dicendo che la carità pastorale esige una mentalità che nasce dalla sintesi attiva dei contenuti propri alle discipline della fede (iniziazione teologica, per il postnoviziato), della filosofia e delle scienze dell'educazione (pedagogia). Esse sono essenzialmente autonome ma, essendo al servizio dell'esistenza (cultura), non sono fra loro indipendenti. Sono legate alla conoscenza e alla promozione della persona, alla complessità del suo mondo e, ultimamente, al mistero di Cristo che ricapitola tutto in sé.

L'art. 21 delle Costituzioni ci ha presentato Don Bosco come persona unificata, splendido accordo di natura e di grazia. In lui l'obiettivo del postnoviziato si manifesta come esigenza del carisma originale. Si identifica anzi con la sua stessa persona. «Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri, profondamente uomo di Dio, ricohno dei doni dello Spirito, viveva `come se vedesse l'invisibile'. Questi due aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario. il servizio dei giovani» (Cast 21).

D Padre misericordioso e fedele,

assisti con la grazia di unità

i nostri giovani confratelli,

che hai introdotto nella vita salesiana. Fa' che l'ambiente del postnoviziato, fatto di esperienza, di studio e riflessione e permeato di preghiera,

li aiuti a porre le basi di una solida unità personale, per diventare validi strumenti del Tuo amore in mezzo ai giovani ai quali Tu li destini. Per Gesù Cristo nostro Signore.

' Cf. FSDB, 210-236

ART. 115     IL TIROCINIO

Nel corso di tutta la formazione iniziale, insieme allo studio, si dà importanza alle attività pastorali della nostra missione.

Una fase di confronto vitale e intenso con l'azione salesiana in un'esperienza educativa pastorale è il tirocinio. In questo tempo il giovane confratello si esercita nella pratica del Sistema Preventivo e in particolare nell'assistenza salesiana.

Accompagnato dal direttore e dalla comunità, realizza la sintesi personale tra la sua attività e i valori della vocazione.

Formazione e attività pastorale.

«Nel corso di tutta la formazione iniziale, insieme allo studio, si dà importanza alle attività pastorali della missione». Questa affermazione trova la sua verità e la sua conferma nelle numerose espressioni sparse nella terza parte del testo costituzionale. La prassi educativa pastorale, una prassi sapiente e credente, è centrale per la formazione del salesiano. Lungo tutta la vita il salesiano fa esperienza dei valori vocazionali «vivendo e lavorando per la missione comune» (Cost 99).

Nella formazione iniziale, metodologicamente, per impiego di tempo e priorità d'impegno, prevalgono le attività teoriche e abilitanti (era già pensiero di Don Bosco),' perché educano nei giovani in formazione le attitudini e le competenze necessarie per vivere il lavoro pastorale, in seguito, con piena efficacia apostolica. In ogni caso, però, anche in questo tempo «il graduale inserimento nel lavoro educativo pastorale» (Cost 102) rimane uno dei coefficienti fondamentali di formazione, presente con diversa accentuazione in ogni fase: la preparazione al Noviziato «si compie attraverso un'esperienza di vita comunitaria e apostolica salesiana» (Cost 109); il Noviziato orienta il candidato «verso il completo dono di sé a Dio per il servizio dei giovani, secondo lo spirito di Don Bosco» (Cost 110); il periodo della professione temporanea impegna il confratello a sviluppare «i diversi aspetti della sua vocazione» (Cost 113).

' Cf. Costituzioni 1875, XII, 6 (cfr F. MOTTO, p. 181)

Il presente articolo 115 mette in risalto che nella fase del tirocinio l'aspetto educativo pastorale trova un'espressione tipica.

Esperienza formativa e tirocinio.

Quale obiettivo si propone, quale esperienza formativa sviluppa il tirocinio, questa fase che è forse la più tipica del cammino formativo salesiana?

Il tirocinio, dice la Regola, è un confronto, un esercizio, una sintesi realizzati in un'esperienza educativa pastorale adeguatamente accompagnata. Esaminiamo i diversi elementi.

- un «confronto vitale e intenso»

Il tirocinio è un confronto, allo stesso tempo di verifica e di maturazione, con l'azione salesiana, cioè con la vita salesiana nelle sue situazioni comuni, nelle vicende ordinarie e quotidiane della missione, che non sono precisamente come quelle vissute nelle comunità appositamente strutturate (Cost 103). Come i primi Salesiani, che crebbero inseriti nel vivo di una comunità in azione (cf. Cost 97), il giovane salesiano che si orienta verso la professione perpetua ha bisogno di confrontarsi con la vita reale per conoscersi meglio (idoneità e motivazioni) e per conoscere meglio la forma concreta della vocazione alla quale si sente chiamato e nella quale si è già impegnato. Il confronto del tirocinio offre elementi importanti di discernimento e un mezzo insostituibile di crescita.

- un esercizio nella pratica del Sistema preventivo e in particolare nell'assistenza salesiana

«Sistema preventivo» e «assistenza» sono due espressioni che identificano l'esperienza educativa pastorale vissuta come quella prima, originale di Don Bosco, che egli stesso chiamò «Sistema preventivo» (cf. Cost 20) e che esigeva «un atteggiamento di fondo, la simpatia e la volontà di contatto con i giovani» (Cast 39), in altre parole, l'assistenza salesiana.

Il tirocinio è soprattutto esercizio di questo atteggiamento vissuto

nel contesto del progetto educativo salesiano. )~ così caratteristico di questa fase che nella tradizione salesiana i tirocinanti erano chiamati anche «assistenti».

- una sintesi personale tra attività e valori vocazionali

Il salesiano è chiamato a vivere, come Don Bosco, un progetto di vita fortemente unitario, simultaneamente apostolico e religioso, e a sintetizzarne le espressioni in un unico movimento di carità verso Dio e verso il prossimo.

Il direttore e la comunità renderanno possibili e favoriranno queste esperienze che, come chiede l'art. 86 dei Regolamenti, dovranno essere programmate e accompagnate dalla presenza e dalla guida dei formatori e valutate periodicamente.

L'esperienza sarà «ben» programmata se si farà attenzione alle seguenti esigenze:

di programmare superando l'immediatezza e lo spontaneismo, attraverso l'uso sapiente e critico delle scienze pertinenti;

- di essere attenti a tutti gli elementi richiesti (analisi della situazione, obiettivi, metodi, strategie e criteri di verifica, scadenze);

- di definire l'obiettivo dopo aver confrontato la situazione di partenza con i progetti da ricollocare in situazione; di assicurare la presenza attiva di guide, testimoni di carità pastorale, che abbiano la competenza sufficiente e l'autorevolezza riconosciuta.

La sintesi personale, come si è potuto vedere indicandone i momenti nell'articolo precedente, non è statica, è un'unità in tensione e nella continua necessità di comporsi in equilibrio, Il giovane confratello dovrà maturare simultaneamente como «uomo di Dio» e «uomo dei giovani», dovrà vivere la missione come una tipica esperienza di Dio, assumerne la mistica e l'ascetica.

Signore Gesù,

per mezzo della Vergine tua Madre,

Tu guidasti Don Bosco nel formare i primi Salesiani: l'esperienza apostolica dell'Oratorio

fu per essi fonte di entusiasmo spirituale,

stimolo e sostegno nella maturazione personale e nell'ascesi. Accompagna, Ti preghiamo,

l'esperienza salesiana dei nostri giovani tirocinanti: perché nel contatto coi giovani

assimilino gli atteggiamenti propri del Sistema preventivo e, vivendo e lavorando insieme,

maturino la sintesi personale tra la propria attività e i valori della vocazione.

Dona anche alle nostre comunità

che, sostenendo il cammino dei giovani confratelli, siano il naturale ambiente

della crescita della vocazione.

ART. 116     FORMAZIONE SPECIFICA DEL SALESIANO PRESBITERO E DEL SALESIANO LAICO

Dopo il tirocinio il salesiano completa la formazione iniziale.

La formazione specifica del candidato al ministero presbiterale segue gli orientamenti e le norme stabilite dalla Chiesa e dalla Congregazione e mira a preparare il sacerdote pastore educatore nella prospettiva salesiana.

La formazione specifica offre al salesiano coadiutore, con l'approfondimento del patrimonio spirituale della Congregazione, un'adeguata preparazione teologica nella linea della laicità consacrata e completa la sua formazione in vista del lavoro educativo apostolico.

«Dopo il tirocinio il salesiano completa la formazione iniziale». È il tempo della formazione specifica, che si prolunga oltre la professione perpetua, ma che praticamente incomincia con la stessa formazione iniziale, svolgendosi nella prospettiva della forma vocazionale specifica.

Delle diverse forme, presbiterale, diaconale e laicale, in cui si realizza l'unica vocazione salesiana, le Costituzioni hanno già parlato fin dai primi articoli (cf. Cost 4), hanno messo in evidenza le responsabilità comuni e complementari e hanno sottolineato l'apporto proprio di ciascuna (cf. Cost 45). Stabilendo che i Salesiani laici e futuri sacerdoti ricevono uguale formazione di base (Cost 106), le Costituzioni non hanno dimenticato le necessarie distinzioni determinate dalla natura specifica della forma vocazionale e dalla sua particolare partecipazione alla missione comune. Il medesimo art. 106 parlava allo stesso tempo di «curricolo di livello paritario» e di opportune e necessarie «distinzioni».

Il presente articolo vuole considerare, in maniera più completa, alcune esigenze della formazione specifica dei Salesiani chierici e dei Salesiani laici,

Formazione specifica del salesiano presbitero.

Per la formazione del «sacerdote educatore pastore nella prospettiva salesiana» le Costituzioni richiamano, in generale, «gli orienta

menti e le norme stabilite dalla Chiesa e dalla Congregazione». Tali orientamenti e norme sono riportati, in modo completo, nella FSDB.r I Regolamenti generali, a loro volta, concretizzano modalità e condizioni: «I soci che si preparano al sacerdozio devono attendere, almeno per quattro anni, a una più intensa formazione sacerdotale in comunità formatrici, preferibilmente studentati. Compiano con serietà gli studi teologici, di preferenza in centri salesiani. Durante questo periodo non siano permessi altri studi e attività che li distolgano dall'impegno di questa fase formativa} (Reg 97).

Si tratta di un'esperienza formativa orientata verso obiettivi specifici. Essa suppone nel candidato un impegno chiaro e deciso verso la vita sacerdotale. $ un cammino progressivo e graduale durante il quale l'istituzione e l'esercizio dei ministeri del lettorato e dell'accolitato e il conferimento e l'esercizio dell'ordine diaconale offrono occasioni di verifica, di discernimento e di rinnovato impegno.

Obiettivi da privilegiare in questa fase, estensibili, per certi aspetti e secondo proporzioni definite, anche al salesiano diacono, sono soprattutto:

- la conformazione a Cristo-pastore nella propria vita, chiamata ad esprimerlo esistenzialmente, e nel proprio ministero, poiché di Lui il presbitero è segno-persona al servizio di giovani. È la base di una vera spiritualità sacerdotale. Il futuro sacerdote salesiano deve rendersi conto che il suo apostolato passa innanzitutto attraverso l'amore di Cristo e del Padre, perché c'è in fondo un solo Apostolo Salvatore, Gesù, inviato dal Padre. In suo nome egli è chiamato a lavorare in mezzo ai giovani perché si incontrino con Lui;

- l'approfondimento del senso ecclesiale di unità e di comunione con la Chiesa, in particolare con il Papa e i Vescovi; la fraternità sacerdotale; l'esperienza del ministero presbiterale all'interno e dall'interno della comunità locale e ispettoriale, in reciproca complementarità con il salesiano laico;

- lo sviluppo di una sensibilità e competenza particolari nell'annunciare la Parola di Dio all'uomo e ai giovani di oggi, specialmente nella catechesi, nell'animazione liturgica, nella pastorale giovanile,

1 Cf. FSDB, 457-473

nel sacramento della Riconciliazione, nella direzione spirituale;

- la cura della propria preparazione intellettuale, secondo un modello che, nei suoi orientamenti generali, fa esplicito riferimento alla figura di Don Bosco prete. Di fatto, studi teologici seri illuminano la vita spirituale e la prassi con principi solidi, con conoscenze aggiornate, con una metodologia adatta ai tempi e agli ambienti in funzione delle emergenze della cultura giovanile e popolare.

Formazione specifica del salesiano coadiutore.

La formazione specifica del salesiano presbitero segue fondamentalmente, come si è detto, gli orientamenti e il curricolo stabilito dalla Chiesa per tutti i chiamati ad esercitare questo ministero. La formazione del salesiano laico, non stabilita in dettaglio dal Magistero della Chiesa, assume espressioni più diversificate in dipendenza dalla sue doti e attitudini e dai compiti del suo apostolato.

Ciò non toglie nulla alla responsabilità personale e comunitaria, in certo qua] modo istituzionale, con cui si deve assicurare e realizzare la formazione specifica del salesiano coadiutore. Lo stabiliscono esplicitamente sia le Costituzioni sia i Regolamenti generali che chiedono di armonizzare l'esigenza vocazionale di questo momento formativo con la considerazione realistica della diversità delle situazioni.

Le Costituzioni impegnano a privilegiare quattro aree:

- «l'approfondimento del patrimonio spirituale della Congrega

zione»;

- «un'adeguata preparazione teologica, nella linea della laicità consacrata», che riesca a permeare tutta la cultura del confratello coadiutore e a mostrare il significato profondo della sua formazione e istruzione;

- il completamento della formazione tecnico-professionale «in vista del lavoro educativo apostolico»;

- l'integrazione dei contenuti della formazione intellettuale al fine di raggiungere questi obiettivi.

t quanto codifica il testo regolamentare: «I salesiani laici.., abbiano la possibilità di acquisire una seria formazione teologica, pedagogica e salesiana, adeguata al livello culturale raggiunto. Attendano an-

che, secondo le attitudini, agli studi per una preparazione professionale in vista del lavoro apostolico» (Reg 98).2

O Padre, che, per mezzo del Tuo Spirito,

susciti le vocazioni e distribuisci i ministeri affinché concorrano all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo, Tu hai voluto che nella nostra Società Salesiani presbiteri e Salesiani coadiutori vivano in pienezza e fraterna complementarità la medesima vocazione e missione per il bene dei giovani. Assisti gli uni e gli altri con la Tua grazia nella preparazione al loro specifico compito,

infondendo in essi amore alla Chiesa e al suo insegnamento, capacità di riflessione e generosità di dedizione, per divenire capaci di collaborare efficacemente all'unica opera della Tua salvezza, in Gesù Cristo nostro Signore.

2 Cf. FSDB, 474476

Art. 117 LA PROFESSIONE PERPETUA

Il socio fa la professione perpetua quando ha raggiunto la maturità spirituale salesiana richiesta dall'importanza di tale scelta.

La celebrazione di questo atto è preceduta da un tempo conveniente di preparazione immediata e accompagnata dalla fraterna attenzione della comunità ispettoriale.

La professione perpetua è fatta ordinariamente sei anni dopo la prima professione. Se tuttavia lo ritiene opportuno, l'ispettore può prolungare questo tempo, ma non oltre i nove anni.

Il significato della professione perpetua.

«Faccio voto per sempre...», dice il professo, impegnandosi davanti al Signore e davanti alla Chiesa (cf. Cost 24); l'art, 23 afferma: «La professione religiosa è un segno dell'incontro di amore tra il Signore che chiama e il discepolo che risponde donandosi totalmente a Lui e ai fratelli».

Questi «per sempre» e «totalmente» esprimono il significato della professione perpetua, vista come risposta alla iniziativa di Dio e alla sua grazia. La loro verità è costruita e, in certo qual modo, assicurata dalla formazione iniziale, il cui obiettivo è appunto quello di far vivere un'esperienza che aiuti a raggiungere «la maturità spirituale salesiana» richiesta dall'importanza della professione perpetua (cf. Cost 117). È una maturità fatta di motivazioni e atteggiamenti, che integrano in unità vitale i vari aspetti del cammino formativo e raggiungono il loro punto di sintesi nell'identità salesiana posseduta e vissuta autenticamente.

La professione perpetua è questo punto di arrivo. 1 periodi formativi, che il candidato ha percorso, sono stati necessari per prepararsi all'incorporazione definitiva nella Società (cf. Cost 107): durante il Noviziato infatti egli si è orientato «verso il completo dono di sé a Dio per il servizio dei giovani, secondo lo spirito di Don Bosco» (Cost 110); e nel periodo della professione temporanea ha completato «il processo di maturazione in vista della professione perpetua» (Cost 113).

Senza nulla togliere al valore della professione temporanea, anch'essa fatta con l'intenzione di offrirsi a Dio per tutta la vita (cf. Cost

24), è la professione perpetua che sintetizza e celebra, anche liturgicamente, quanto le Costituzioni affermano nel cap. 3 sulla professione del salesiano: «è l'espressione più profonda («per sempre» e «totalmente») della nostra libertà che, con la grazia di Dio, intende dare all'opzione fondamentale del nostro Battesimo una testimonianza concreta di esistenza. È collocata alla radice stessa del nostro modo di seguire Gesù Cristo e perciò diviene l'ottica della nostra lettura del Vangelo e il punto base di riferimento di tutte le scelte e gli impegni».1

Il suo carattere pubblico assicura e proclama autorevolmente il significato ecclesiale e comunitario della consacrazione apostolica. Da una parte vi è un legame nuovo e definitivo con la Congregazione; dall'altra, il giovane salesiano entra nella situazione ecclesiale definitiva, spirituale e giuridica allo stesso tempo, e assume, con i suoi confratelli, il particolare compito che i Salesiani svolgono nella sacramentalità della Chiesa.

L'importanza fondamentale di questa scelta, il significato cristiano ed ecclesiale che essa assume, il rapporto che stabilisce tra il confratello e la Società, il tipo di progetto di vita con il quale si identifica determinano il grado di maturità spirituale salesiana («stato adulto») che deve essere raggiunto come condizione dell'autenticità del gesto.

La preparazione a questo impegno.

Pur affermando ripetutamente che tutto l'arco formativo è preparazione alla professione perpetua, le Costituzioni stabiliscono che essa sia «preceduta da un tempo conveniente di preparazione immediata», che porta a compimento il lungo lavoro di comprensione e di assimilazione e permette un'ultima riflessione sull'esperienza stessa e una sua ultima sintesi.

Questo tempo costituisce istituzionalmente uno dei momenti forti del processo formativo. Dev'essere quindi convenientemente preparato, sufficientemente lungo, trascorso nel raccoglimento e nella preghiera, accompagnato da persone esperte nell'orientare i singoli e il

Cf. E. VIGANO Il lesto rinnovato delta nostraa regola di vita, ACG n. 312 (1985), p. 18; sul significato della professione perpetua si veda anche ACG n. 295 (1980), p. 20-22

gruppo e vissuto in ambienti e con tranquillità sufficienti per una profonda vita comunitaria.

Tanto la preparazione immediata come la celebrazione della professione perpetua saranno accompagnate dalla fraterna attenzione della comunità ispettoriale che accoglie il dono di Dio, riconosce la sua fecondità e si arricchisce di nuove energie apostoliche.

O Padre,

che attraverso la voce misteriosa dello Spirito, attrai alcuni a seguire Gesù Cristo, Buon Pastore, per dedicarsi al servizio dei giovani più poveri, sull'esempio di Don Bosco,

guarda ai nostri fratelli

che, unendosi al sì definitivo di Cristo, si offrono per sempre a Te.

Infondi in loro il Tuo Spirito di santità,

perché possano compiere col Tuo aiuto

ciò che per Tuo dono hanno promesso con gioia.

Fa' che in ogni momento

siano sospinti dalla carità pastorale

a cercare le anime e servire Te solo, Signore.

Sii Tu per essi, Padre Santo,

la certezza e la guida.

Fa' che trovino in Maria una presenza materna, in Don Bosco un modello,

nei confratelli un sostegno,

nei giovani uno stimolo.

Per Gesù Cristo nostro Signore.

su

ART. 118    ESIGENZA DELLA FORMAZIONE PERMANENTE

In un contesto pluralista e di rapide trasformazioni, il carattere evolutivo della persona e la qualità e fecondità della nostra vita religiosa apostolica richiedono che, dopo le fasi iniziali, continuiamo la formazione. Cerchiamo di crescere nella maturità umana, di conformarci più profondamente a Cristo e di rinnovare la fedeltà a Don Bosco, per rispondere alle esigenze sempre nuove della condizione giovanile e popolare.

Mediante iniziative personali e comunitarie coltiviamo la vita spirituale salesiana, l'aggiornamento teologico e pastorale, la competenza professionale e la creatività apostolica.

Come si è detto fin dall'introduzione della terza parte delle Costituzioni, la formazione permanente è la prospettiva e il principio organizzatore dell'intera parte. Quanto finora si è affermato parlando degli aspetti generali della formazione e del processo formativo ha come punto di sintesi la formazione permanente. La stessa formazione iniziale è vista sotto questa angolatura.

Le Costituzioni quindi non danno inizio alle considerazioni su questa realtà a partire dall'art. 118; e nemmeno vogliono presentarla come fosse una fase separata dalla formazione iniziale. Considerata come un'esigenza nuova e necessaria all'inizio del periodo di rinnovamento conciliare, la formazione permanente è presente ora nel testo costituzionale come principio organizzatore, come esigenza e come atteggiamento.

I due articoli conclusivi della terza parte (ai quali corrispondono nei Regolamenti generali gli articoli dal 98 al 102) vogliono da un lato riprendere e riaffermare questo principio e dall'altro mettere in evidenza l'esigenza di un atteggiamento di formazione permanente da vivere durante tutta la vita.

Esigenza della formazione permanente.

Da dove sorge l'esigenza della formazione permanente? Le Costituzioni rispondono indicando le motivazioni fondamentali per il salesiano educatore pastore.

- Prima di tutto, l'esigenza della formazione permanente nasce dalla realtà della persona:

ogni persona è vocazione e risposta, progetto in fase di realizzazione a livello umano e cristiano. «Egli chiama... (noi) rispondiamo con l'impegno di una adeguata e continua formazione». Questa chiamata, di cui parla l'art. 96, viene dal di dentro di ogni persona. Ogni persona è risposta e realizzazione permanente. «Il carattere evolutivo e dinamico della personalità impone una costante apertura sia a livello di sintesi dottrinale che di progetto di vita».'

- In secondo luogo, l'esigenza della formazione permanente proviene dalla nostra vocazione specifica:

la vita religiosa apostolica per essere feconda e qualificata non può lasciarsi fermare dalla mediocrità, dalla superficialità, dall'immobilismo. I talenti vanno sfruttati e non sotterrati. La pianta deve essere potata perché dia più frutto. La vita deve mantenersi aperta alle esigenze dello Spirito, poiché è per definizione «vita nello Spirito» e lo Spirito crea, anima, rinnova. L'aattenzione vigile allo Spirito, presente negli eventi della storia che attendono da noi una decifrazione e una risposta di fede »I ci pone in stato di continuo rinnovamento.

- Queste due esigenze fondamentali, che sarebbe meglio caratterizzare come leggi di vita, sono rese più urgenti e importanti dal «contesto pluralista» in cui viviamo, dove le molteplici e rapide trasformazioni producono e pongono a confronto diversi progetti di uomo e di società e lanciano sfide a livello culturale, sociale ed ecclesiale. «Queste stesse trasformazioni ci sollecitano a un continuo rinnovamento per mantenere leggibile la nostra testimonianza ed efficace il nostro servizio apostolico» -1 in risposta «alle esigenze sempre nuove della condizione giovanile e popolare».

Linee di impegno.

L'articolo invita a muoversi su tre principali linee di impegno. Esse costituiscono gli aspetti integranti della vocazione personale di ogni sa

CG21, 309 a Ivi

' CG21, 310

iesiano: la maturità umana, la conformazione a Cristo, la fedeltà a Don Bosco.

Si richiama così, quasi a sottolineare l'unità di tutta l'impostazione della parte terza, quanto affermava l'art. 98 nel descrivere in sintesi l'esperienza formativa come processo permanente: «Illuminato dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco, il salesiano si impegna in un processo formativo che dura tutta la vita». La realtà umana personale, Cristo e il suo Vangelo, Don Bosco e il suo spirito sono un'unica esperienza che definisce il salesiano e gli permette di vivere la sua identità di apostolo dei giovani.

I giovani, anch'essi, sono per noi un'esigenza e uno stimolo di formazione permanente, ci obbligano e ci aiutano a camminare: la nostra fedeltà, si legge nell'art. 195, {viene pure sostenuta dall'amore ai giovani».

Aspetti concreti da coltivare.

Le linee fondamentali enunciate, la cui ricchezza di contenuto è facilmente intuibile, possono sembrare troppo ampie. Il testo si sofferma su quattro aspetti più concreti, che il salesiano e la stessa comunità devono costantemente coltivare: la vita spirituale salesiana, l'aggiornamento teologico e pastorale, la competenza professionale e la creatività apostolica. Li vediamo brevemente.

- La vita spirituale salesiana.

Si intende l'insieme degli aspetti caratteristici di quello stile di vita e di azione che ci identifica nella Chiesa. è tutto ciò che le Costituzioni ci hanno indicato come la nostra «carta d'identità» e che ci è stato trasmesso dalla tradizione viva della nostra Famiglia. L'approfondimento continuo della Regola e il confronto con il nostro Fondatore e con i Salesiani da lui formati sono strumenti privilegiati di formazione permanente.

- L'aggiornamento teologico e pastorale.

Si tratta non solo della ripetizione di una trattazione, «ma anche di un approfondimento delle discipline primarie, al cui studio un giorno (i

confratelli) si sono applicati, soprattutto in riferimento alle questioni di sacra dottrina, che maggior importanza hanno per la vita spirituale e l'operosità pastorale. (Si tengano presenti) il progresso della dottrina teologica e le nuove questioni pastorali, soprattutto in quanto sono state precisate dal vivo magistero della Chiesa. Infine ci si preoccupi che le scoperte pastorali, frutto dell'esperimentazione, siano connesse con una solida sintesi dottrinale».4

- La competenza professionale.

La carità pastorale vuole anche «capacità» pastorale. L'analisi e la valutazione critica, secondo criteri di fede e di scienza, di una determinata situazione; la progettazione e la programmazione di un servizio in un determinato contesto socio-culturale ed ecclesiale; l'utilizzazione dei mezzi di comunicazione sociale; l'uso corretto della metodologia apostolica, tutte queste necessità richiedono competenza, richiedono cioè l'utilizzo critico dei risultati delle scienze pertinenti: s la formazione permanente mira ad assicurare tale aggiornata competenza.

-- La creatività apostolica.

Due citazioni collegano il passato all'oggi ed evidenziano quanto la creatività apostolica sia un tratto permanente del nostro spirito che va coltivato, personalmente e comunitariamente. Affermava don Albera: «Bisogna congiungere lo spirito di iniziativa personale con la debita sottornissione al Superiore; da questo spirito la nostra Società ritrae quella geniale modernità che le rende possibile di fare il bene richiesto dalle necessità dei tempi e dei luoghi» s E, a chiusura del CG21, il Rettor Maggiore affermava: «l'inventiva pastorale, la fantasia pedagogica, l'intraprendenza e il coraggio, la santa furbizia sono un'espressione genuina del cuore oratoriano di Don Bosco... È ormai tempo di assumere (l'inventiva pastorale) come patrimonio di ogni comunità salesiana e come espressione di fedeltà a Don Bosco».'

I Regolamenti generali indicano altri aspetti ancora, nell'ambito

° «Inter ea», Congregazione per l'Educazione Cattolica, Roma 1969, n. 5 CF. FSDB, 78

° D. ALBERA, ACS n. 4, 15 maggio 1921, p. 201; cF. Lei!, circolari, p. 499 CC21, 573

della maturità umana, considerandoli mezzi opportuni per promuovere la formazione permanente: «la formazione permanente richiede che ciascun confratello migliori la sua capacità di comunicazione e di dialogo; si formi una mentalità aperta e critica e sviluppi lo spirito di iniziativa per rinnovare opportunamente il proprio progetto di vita» (Reg 99). Su questa linea e per raggiungere questo scopo «coltivi l'abitudine alla lettura e allo studio delle scienze necessarie alla missione; mantenga viva la disponibilità alla preghiera, alla meditazione, alla direzione spirituale personale e comunitaria» (Ivi).

Signore Gesù Cristo, che ai tuoi discepoli

hai raccomandato di essere vigilanti,

Tu ci hai chiamati ad operare in un mondo pieno di fermenti e in rapida mutazione. Rendici docili al Tuo Spirito e donaci, insieme con la perfetta fedeltà al carisma trasmessoci dal nostro Fondatore, capacità di rinnovarci ogni giorno,

in uno sforzo sincero e permanente di formazione. Fa' che, crescendo nella nostra umanità e conformandoci sempre più profondamente a Te, sull'esempio di Don Bosco, diventiamo capaci di rispondere alle necessità e alle sfide del nostro tempo, e siamo tra i giovani

autentici testimoni del Tuo Amore.

CG21, 573

ART. 119 FORMAZIONE PERMANENTE COME ATTEGGIAMENTO PERSONALE

Vivendo in mezzo ai giovani e in costante rapporto con gli ambienti popolari, il salesiano si sforza di discernere negli eventi la voce dello Spirito, acquistando così la capacità d'imparare dalla vita. Attribuisce efficacia formativa alle sue attività ordinarie e usufruisce anche dei mezzi di formazione che gli vengono offerti.

Durante il tempo della piena attività trova occasioni per rinnovare il senso religioso pastorale della propria vita e per abilitarsi a svolgere con maggior competenza il proprio lavoro.

Egli si sente poi chiamato a vivere con impegno formativo qualunque situazione, considerandola un tempo favorevole per la crescita della sua vocazione.

«Ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione». Questa affermazione dell'art. 99 è valida anche per la formazione permanente. Ricordate le esigenze, indicate le linee d'impegno e gli aspetti da coltivare, ci si chiede: Come assicurare questo dinamismo? Quale dev'essere l'atteggiamento del salesiano che vuol vivere in forma rinnovata la sua vocazione, dando al Signore una risposta sempre più autentica e coerente e offrendo un servizio efficace ai giovani? L'art. 119 dà risposta a questo interrogativo, parlando di un «atteggiamento» di formazione permanente.

E primo articolo della parte terza ha presentato i due soggetti dell'esperienza formativa: il Signore che chiama e dona ogni giorno la sua grazia, e il salesiano che risponde con l'impegno di una adeguata e continua formazione (cf. Cost 96). L'ultimo articolo della parte riafferma questa impostazione: vivere in atteggiamento di formazione è vivere in dialogo con lo Spirito, ascoltare la sua voce che s'intende, a certe condizioni, negli avvenimenti, nelle attività ordinarie, nelle occasioni di sempre, in qualunque situazione. Vivere come discepoli dello Spirito: è questo l'impegno. Vediamo più da vicino il contenuto di questo articolo, che dedica il primo e il terzo capoverso all'atteggiamento permanente di formazione e il secondo all'impegno formativo durante il tempo della piena attività.

Atteggiamento personale di formazione permanente.

Vivere in atteggiamento di formazione permanente vuol dire in primo luogo discernere negli eventi la voce dello Spirito, riconoscere l'efficacia formativa delle attività ordinarie, usufruire dei mezzi che vengono offerti.

La docilità allo Spirito, l'attenzione ai segni dei tempi, il senso del concreto, il richiamo del Signore attraverso le urgenze del momento e dei luoghi sono spesso presentati nelle Costituzioni come caratteristiche dello spirito salesiano. D'altra parte il «discernimento spirituale» è una legge fondamentale del cammino di crescita cristiana.

Di questo discernimento si specifica in forma significativa il contesto e il risultato.

Colui che discerne è un apostolo che vive in mezzo ai giovani ed è in rapporto con gli ambienti popolari; la lettura attenta della realtà giovanile e popolare gli permette di comprendere in essa il messaggio del Signore.

Il risultato di questo discernimento non è una «decisione puntuale», ma la capacità permanente di «imparare dalla vita», di essere discepolo intelligente della vita, di pervenire a una vera sapienza attraverso l'esperienza.

Questa prima affermazione dell'art. 119, letta alla luce dell'esperienza di Don Bosco, ci rivela meglio il suo significato. Non si tratta di un atteggiamento spontaneo, ma di un atteggiamento che deve essere formato e cuitivato. Non si tratta di andare in cerca di occasioni straordinarie; ma occorre attribuire efficacia formativa alle attività ordinarie, imparare dalla vita di ogni giorno, usufruendo dei mezzi che vengono offerti, e sono tanti (cf. Reg 101-102). Tutto ciò lo si può ottenere se si vive in profondità e in dialogo con la realtà, non superficialmente, quasi di corsa, come se fossimo più condotti dall'azione che responsabili di un progetto.

La condizione principale per un vero processo di formazione permanente è, dunque, l'atteggiamento del salesiano, che, docile allo Spirito, ha imparato ad aprirsi a tutto ciò che la vita quotidiana e le esigenze della salvezza dei giovani gli richiedono: è lo spirito del «da mihi animas» che ha mosso Don Bosco. Quando non ci fosse questo atteggiamento, la vita del salesiano diventerebbe superficiale, stagnante, inaridita.

Nel tempo della piena attività.

Le Costituzioni hanno parlato a lungo dell'esperienza della formazione iniziale, degli impegni che essa comporta e degli obiettivi che gradualmente raggiunge. Ora il testo si riferisce più direttamente al tempo della piena dedizione apostolica e della piena attività.

Le intenzioni formative sottolineate e coltivate sono quelle di rinnovare costantemente il significato della propria vocazione e di aggiornare la propria capacità di servizio: ossia, coscienza vocazionale e competenza. Vanno trovate occasioni che permettano di conservare a questi due aspetti un buon livello di qualità. L'indebolimento del senso religioso pastorale, l'oscuramento della coscienza della propria identità, l'indifferenza e il genericismo spengono la gioia vocazionale e diminuiscono la fecondità della propria donazione: la vita, allora, si chiude all'animazione dello Spirito e si ferma in un atteggiamento opposto a quello di formazione permanente.

Per la nostra vocazione, che è tutta ministeriale, importa altresì coltivare la competenza, abilitarsi per dare alla carità pastorale mezzi ed espressioni sempre più adeguati. Ogni confratello, dicono i Regolamenti, «conservi la disponibilità caratteristica del nostro spirito e sia pronto a periodiche riqualificazioni» (Reg 100).

Qualunque situazione è un tempo favorevole per crescere vocazionalmente.

L'ultimo capoverso riecheggia i temi fondamentali presenti fin dal primo articolo del cap VIII: «il salesiano si sente... chiamato a vivere con impegno formativo qualunque situazione».

Il salesiano è un «chiamato», ma non è chiamato una volta per sempre. Egli sente costantemente questa chiamata e si mantiene attento e disponibile per accoglierne l'invito e rispondervi. La risposta è

«vivere con impegno formativo qualunque situazione» facendo espe

rienza di spirito salesiano. «Rispondiamo, diceva l'art 96, il primo della parte terza, con l'impegno di un'adeguata e continua formazione».

«Qualunque situazione»: le Costituzioni le ricordano un po' tutte, dai diversi momenti della formazione iniziale fino al periodo della piena attività, ai momenti di difficoltà, di malattia, di anzianità. Il salesiano

ha offerto a Dio tutta la sua vita, tutta la sua persona impegnandosi a viverne ogni vicenda secondo la volontà di Dio e il progetto salesiano. «Totalmente, per sempre, qualunque situazione» sono espressioni che indicano la radicalità e la totalità della nostra Alleanza con Dio. Y1 Signore ha consacrato interamente questo impegno e questa offerta.

«Qualunque situazione» va considerata «un tempo favorevole per la crescita vocazionale».

«Tempo favorevole» ci ricorda l'espressione neotestamentaria che è un invito a riconoscere l'attualità dell'azione di Dio, a scoprire il valore di salvezza che racchiude il presente da non vivere superficialmente, da non mettere tra parentesi, ma da valorizzare «per la crescita della propria vocazione».

La parola «crescita», sempre unita a quella di vocazione e di formazione, conclude così i due capitoli dedicati alla formazione e riafferma la prospettiva dinamica della nostra vita: un cammino, un progetto, un impegno permanente, una risposta sempre rinnovata alla speciale Alleanza che il Signore ha sancito con noi (cf. Cost 195). Per noi la crescita è maturare nella vocazione, nel progetto con il quale ci identifichiamo, che impegna le dimensioni più profonde del nostro essere e che manifesta la volontà di Dio su di noi.

II processo formativo è, quindi, un processo aperto alla voce dello Spirito, comunque essa ci raggiunga, e disponibile nella risposta. Questa apertura e disponibilità nel salesiano e nella comunità si traducono nell'atteggiamento di formazione permanente di cui l'articolo precedente ha evidenziato le linee e i contenuti: è un atteggiamento di collaborazione con Colui che, avendo iniziato in noi l'opera buona, vuol portarla a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (cf. Fil 1,6).

Signore Gesù, che formasti i Tuoi Apostoli

ad essere discepoli disponibili all'azione dello Spirito e che a Don Bosco fin dall'infanzia insegnasti a riconoscere la Tua voce in mezzo ai giovani, dona anche a noi occhi limpidi e cuore docile perché sappiamo scoprire i segni della Tua presenza nella nostra vita e tra coloro ai quali ci hai inviato.

Fa' che, scorgendo in ogni evento e situazione

un tempo favorevole per la crescita della nostra vocazione, rispondiamo con generosità alla Tua continua chiamata,

sì che «tutte le cose cooperino al nostro bene» e la nostra vita divenga un'offerta completa per la Tua gloria e per il bene dei fratelli.

PARTE QUARTA

IL SERVIZIO DELL'AUTORITA NELLA NOSTRA SOCIETA

«Appartiene alla natura stessa della vita religiosa, come d'altronde appartiene alla stessa natura della Chiesa, l'esigenza di una struttura senza cui nessuna società, neppure quella soprannaturale, può conseguire il proprio fine e disporre dei mezzi più idonei per raggiungerlo».'

A queste parole della Istruzione «Renovationis causam» faceva eco il CGS che affermava: «La vita religiosa è di natura carismatica, perciò comporta una dimensione spirituale, nella quale risiede la sua stabilità. Ma ha bisogno di una espressione istituzionale che la sostenga. Dal momento che i religiosi sono uomini ed hanno fini concreti da raggiungere in comune, essi si devono costituire ed organizzare come società».2

Per questo motivo noi troviamo in tutte le parti delle Costituzioni elementi che toccano aspetti istituzionali della Congregazione: sia quando si parla delle attività, come della vita comune, della pratica dei consigli evangelici, della formazione.

Logicamente questi elementi sono particolarmente presenti in quella parte che tratta in modo specifico dell'organizzazione della nostra Società, ossia delle strutture di governo ai vari livelli. Dopo le prime tre parti, che hanno presentato rispettivamente i tratti fondamentali dell'identità salesiana (parte la), gli elementi costitutivi inseparabili di questa identità (parte Ila) e l'itinerario di crescita di ogni singola vocazione (parte Illa), la quarta parte presenta quello che può chiamarsi «il libro del governo». La sua importanza deriva dal fatto che essa «struttura» la Società salesiana in un modo organico e articolato, in ordine al raggiungimento delle sue finalità.

Il suo scopo principale è quello di indicare norme e strumenti per l'organizzazione e il buon funzionamento di tutte le strutture interne

' Cf. Renovationis causam, CRIS, 6 gennaio 1969, Proemio.

z CGS, 706

della Congregazione, particolarmente in ordine alla realizzazione della comunione fra tutti i confratelli e al compimento della missione.

Suoi obiettivi concreti sono. stabilire gli organismi direttivi e di consulta e le loro funzioni, e rendere effettivo il servizio dell'autorità, in modo da coordinare i compiti, le iniziative e le attività di tutti i Sale

siani.3

1. Unità della trattazione.

Per la materia che tratta, la quarta parte ha uno stile e un linguaggio conciso e prevalentemente giuridico e anche una certa ampiezza di trattazione (71 articoli), richiesta dalla natura stessa dell'argomento.

Ma essa può essere compresa nel suo significato autentico e completo solo se viene considerata non come una parte a sé stante, staccata dal resto delle Costituzioni, ma nella sua ordinazione alle altre parti e in unità con esse. Tale unità risulta dalla struttura generale del testo costituzionale e orienta la lettura della quarta parte sul servizio dell'autorità.

Infatti l'identità salesiana descritta nella prima parte e, in particolare, il capitolo sullo spirito salesiano, come elemento che informa e permea tutta la vita e l'azione salesiana, sono determinanti sia per l'impostazione e la codificazione delle strutture di governo che per l'esercizio pratico del servizio di autorità nella nostra Congregazione. I sci articoli conclusivi delle Costituzioni poi includono anche la quarta parte come elemento integrante del «progetto apostolico della nostra Società (Cost 192) e della «via che conduce all'Amore» (Cost 196).

Si osserva, inoltre, che la descrizione dei tre elementi costitutivi della nostra vocazione, proposti nella seconda parte del testo costituzionale, si collega esplicitamente con la parte quarta:

- per la missione apostolica: nella sezione sui corresponsabili della missione, dove si sottolinea il mandato comunitario e la funzione animatrice dell'Ispettore e del Direttore nel discernimento pastorale e nell'attuazione del progetto apostolico (cf. Cost 44);

- per la vita comune: dove si descrive il posto centrale del Direttore

3 Cf. CGS, 707

nella comunità (Cf. Cost 55), come pure il legame esistente tra le comunità locali e quelle ispettoriali e la comunione di tutti i confratelli con il Rettor Maggiore e il suo Consiglio (cf. Cost 58 e 59);

- per la pratica dei consigli evangelici: nella sezione riguardante il voto di obbedienza, dove vengono messi in risalto lo stile salesiano dell'obbedienza e dell'autorità e la corresponsabilità di tutti, confratelli e superiori, nell'obbedienza alla volontà del Signore (cf. Cost 65 e 66).

A sua volta tutta la quarta parte viene legata strettamente alle parti precedenti del testo dal capitolo introduttivo sui principi e criteri generali (cap. X), che traccia le grandi linee che animano tutta l'organizzazione: la configurazione della Società in comunità ai vari livelli con le rispettive strutture di governo (Cost 120), la natura del servizio dell'autorità e le sue finalità (Cast 121-122), la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i confratelli, la sussidiarietà e il decentramento (Cost 123-124).

2. 1 contenuti della quarta parte.

Per quanto riguarda i contenuti della quarta parte si deve osservare che la Congregazione, nella revisione postconciliare, ha ripensato profondamente il problema delle nostre strutture. Non si è accontentata di attuarne l'aggiornamento, ma ha voluto riflettere esplicitamente, alla luce della dottrina del Vaticano Il, sul senso delle strutture di governo e sui principi generali che le ispirano.

Queste riflessioni, fatte dal CGS 4 sono sintetizzate nel capitolo X delle Costituzioni, che è praticamente tutto nuovo rispetto al precedente testo del 1966. Sia il CG21 che il CG22 hanno confermato l'inserimento nelle Costituzioni di questo capitolo introduttivo sui principi e criteri generali del servizio dell'autorità, perché possa servire come chiave di lettura di tutta la quarta parte.

Sarebbe un errore dannoso sminuire l'importanza di questa parte, o ritenerla quasi riservata a quelli che esercitano qualche incarico di

" Cf. CGS, 706-709; 720-722

autorità nella Congregazione. Il cap. X dimostra che il problema delle strutture non solo tocca la vita di tutta la Congregazione e di tutti i singoli confratelli, ma fa appello alla corresponsabilità di tutti. Non basta la precisa designazione giuridica delle varie competenze; ci vuole l'atteggiamento spirituale di una obbedienza comune e condivisa, a cui tutti i confratelli partecipano e contribuiscono, ognuno secondo il proprio ruolo e le proprie capacità.

Nel lavoro di revisione sono state sottoposte a un accurato esame tutte le strutture di governo ai tre livelli:

- applicando i principi e i criteri generali indicati nel capitolo introduttivo della parte;

- valutando ogni singola struttura, secondo i criteri generali indicati dal Motuproprio «Ecclesiae Sanctae» per la revisione delle Costituzioni.'

Data la natura specifica di questa parte, vi hanno assunto un'importanza particolare:

- il criterio giuridico-normativa, per garantire la presenza, l'essenzialità e la chiarezza delle norme: il CG22, in particolare, ha avuto cura di sintonizzare il diritto proprio alla normativa della Chiesa, promulgata nel nuovo Codice di diritto canonico, entrato in vigore nel novembre 1983;

- il criterio esperienziale: la rielaborazione definitiva, fatta dal CG22,

ha tenuto conto della sperimentazione circa la praticabilità delle

strutture di governo, introdotte dal CGS, durante due sessenni.

Dopo tutto questo cammino di revisione, compresa l'ultima verifica da parte della Sede Apostolica, possiamo affermare: «Le strutture di governo appaiono in armonia con le norme della Chiesa e come traduzione concreta dello spirito con cui nella Congregazione si esercita il servizio dell'autorità».b

' CF. ACS n. 305 (1982) , p. 38-41

CL CG22, Sussidi alle Costituzioni e Regolamenti, Roma 12.5.1984, p. 81

3. Titolo e ordinamento.

Alla parte quarta, nella revisione definitiva, è stato dato il titolo: «Il servizio dell'autorità nella nostra Società». Per questa materia non era possibile continuare con i titoli personalizzati delle parti precedenti, che si riferiscono ai Salesiani dei quali si descrive la Regola di vita. D'altronde si voleva evitare un titolo troppo giuridico e astratto, come appariva ancora nel testo del 1972 (dove la parte era intitolata «Organizzazione della nostra Società» e i successivi capitoli «Strutture di governo a livello mondiale, ispettoriale, locale»).

Si è scelto il nuovo titolo, perché esso sottolinea giustamente la natura dell'autorità religiosa come servizio (cf. Cost 121) e collega meglio la parte quarta alle precedenti.

Per lo stesso motivo il titolo della quarta parte si ripete per i capitoli riguardanti le strutture ai tre livelli, aggiungendo: «nella comunità mondiale... ispettoriale... locale».

La parte quarta risulta così divisa in cinque capitoli:

Cap X    Principi e criteri generali art. 120-124 (5 articoli)

Cap XI Servizio dell'autorità nella comunità mondiale art. 125-155 (31 articoli)

Cap XII Servizio dell'autoritàà nella comunità ispettoriale art. 156-174 (19 articoli)

Cap XIII Servizio dell'autorità nella comunità locale art.] 75-186 (12 articoli)

Cap XIV Amministrazione dei beni temporali art. 187-190 (4 articoli)

L'ordine adottato per la successione dei tre livelli è quello delle Costituzioni precedenti: si presentano prima le strutture mondiali, poi quelle ispettoriali per terminare con quelle locali. È vero che sul piano della vita concreta e della realizzazione più immediata della missione, le comunità locali sono in primo piano, ma queste mettono sempre in opera un medesimo carisma, di cui le strutture superiori devono assicurare l'unità. L'ordine adottato vuol significare: il medesimo carisma

salesiano universale è all'opera nel contesto delle diverse Ispettorie; e in una stessa Ispettoria il carisma salesiano, già particolareggiato, è all'opera nel contesto locale di ciascuna comunità. Conviene inoltre sottolineare che il governo negli Istituti religiosi è intrinsecamente legato al mondo della fede e alla risposta vocazionale a Dio. Le strutture di questi Istituti riflettono la natura stessa della Chiesa, di cui Cristo è il Capo.'

All'interno di ogni livello (cap. XI-XIII) si parte dall'aspetto personale dell'autorità per giungere a quello collegiale. Questa distribuzione (che è stata seguita anche nelle Costituzioni precedenti) trova il suo motivo fondamentale nel voto dell'obbedienza religiosa. La vita religiosa richiede una forma di governo e di autorità che esprime il valore del voto di obbedienza come sottomissione a un'autorità, la quale non procede dai membri stessi, ma ha la sua fonte in Dio tramite la Chiesa, che la conferisce al Superiore religioso. Tale autorità è quindi personale e non condivisibile, anche se non viene esercitata nell'isolamento, dato che il Superiore viene assistito da un Consiglio ed esiste l'autorità suprema del Capitolo generale quando è riunito in assemblea.'

Questo ordinamento è quello stesso del Codice di diritto canonico, che tratta prima dei Superiori e dei loro Consigli e quindi dei Capitoli.

NB. Si fa presente che di questa quarta parte vengono commentati singolarmente soltanto gli articoli del capitolo introduttivo e quelli del capitolo XI, che riguardano le singole autorità a livello mondiale: il Sommo Pontefice, il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio generale. Per il resto saranno sufficienti commenti più globali per paragrafi o sezioni.

CL Elementi essenziali della vita consacrata, CRIS, 31.5.83, n. 49 " Cf. CR1S, doc. cit., n. 49-50; cf. pure CIC, can. 617-618

CAPITOLA X

PRINCIPI E CRITERI GENERALI

,Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc 10,43-45).

Il contenuto generale di questo capitolo ben merita questo classico testo evangelico, sintesi per eccellenza del senso cristiano dell'autorità. La sua migliore esegesi sta nella vita stessa di Gesù, nel suo vivere il 'potere' (exousia) a lui riconosciuto (Me 1.22; MI 28,18) in un mirabile equilibrio di coraggio nel proclamare la verità (Mc 12,14) e di incoraggiante rispetto del piccolo, del debole e del fragile (Mt 9,12s, 12,20).

Ebbene in un tornante decisivo della sua vita, quando la prevista dolorosa fine si fa momento di verità (Mc 10,32-34), Gesù rivela il senso della sua vita come servizio, con un tratto autobiografico, una confessione tanto più impressionante quanto più è difficile a capirsi dalla gente comune, ma in perfetta sintonia con tutta la sua vita.

Fa da contesto storico al brano evangelico la domanda impertinente dei figli di Zebedeo (Mc 10,35-45), ma aleggia anche il problema sorto nella comunità cristiana sul ruolo ed esercizio dei capi della comunità. Ricorderemo anzitutto che Gesù pone come base dogmatica l'evento della croce («il battesimo, il calice», 10,38), alla cui luce afferma: «Fra voi non è così» (10,43). Ossia per i discepoli deve essere chiaro che non possono conformarsi alla prassi di comando dei «capi delle nazioni», anche, se necessario, fino alla rottura, detto al positivo, è solo il servizio, e quindi i servitori, che qualificano cristianamente e realizzano l'autorità nella comunità, abbinando alla concretezza dell'atto di amore la ben scarsa parvenza del prestigio (10,43-44); ma per superare ogni equivoco, è il servizio di Cristo servo che fa da supremo criterio e modello (10,45). Egli ha veramente il potere da Dio, in quanto Figlio dell'uomo (Dan 7,13s), eppure come il Servo salano (Is 53) Egli lo esercita nella fedeltà radicale e nella responsabilità piena verso gli uomini. Serve l'uomo in quanto lo redime, lo ama liberandolo secondo Dio, accettando per questo di mettere in gioco

Già abbiamo parlato di questo capitolo presentando la quarta parte nel suo insieme: deve essere inteso come introduzione e chiave di lettura di tutta la quarta parte.

Esso intende fissare lo spirito e i principi dell'autorità e del suo esercizio a tutti i livelli e trova la sua concreta applicazione nei tre capitoli che seguono, come pure nei capitoli corrispondenti dei Regolamenti generali.

Si fa notare che le fonti della dottrina contenuta in questo capitolo si trovano, in buona parte, nei documenti del Vaticano 11, che ha riflettuto profondamente sulla natura dell'autorità nella Chiesa, ma si trovano anche nella nostra tradizione salesiana, che ci ha tramandato il modo di esercitare l'autorità proprio di Don Bosco: un vero padre e servitore dei suoi fratelli.

I cinque articoli del capitolo sono organizzati nel modo seguente:

- Titolari dell'autorità nella Congregazione, secondo la sua natura tripartita: art. 120

- Natura e finalità dell'autorità.

art. 121: autorità come servizio

finalità dell'autorità

richiesta della qualifica sacerdotale

art. 122: autorità in comunione garante di unità

- Criteri dell'esercizio dell'autorità.

art. 123: partecipazione e corresponsabilità art. 124: sussidiarietà e decentramento

ART. 120 STRUTTURE FONDAMENTALI DELLA NOSTRA SOCIETA

La nostra Società si configura in comunità ispettoriali che, a loro volta, sono articolate in comunità locali.

Il governo a livello mondiale assicura l'unità di vita e di azione nella diversità di ambienti e situazioni.

Il governo centrale, ispettoriale e locale viene esercitato con potestà ordinaria da un superiore assistito dal suo Consiglio.

L'autorità suprema su tutta la Congregazione compete al Capitolo generale. Ai Capitoli ispettoriali vengono riconosciuti determinati poteri nell'ambito dell'ispettoria.

La comunità salesiana ai suoi tre livelli.

L'art. 120 presenta un breve compendio delle strutture fondamentali e dei rispettivi organi di autorità nella Congregazione.

Parte dalla realtà complessiva della nostra Società, di cui il primo articolo delle Costituzioni ricordava la fondazione ad opera di Don Bosco, e di cui la prima parte delle stesse Costituzioni descriveva l'identità vocazionale e la posizione nella Chiesa. La Società salesiana è una comunità mondiale (cf. Cost 59), presente in contesti sociali, politici e culturali diversi.

Alle diverse presenze corrispondono le Ispettorie o comunità ispettoriali, in cui essa si configura: il termine «si configura» è stato scelto per esprimere il concetto che ogni Ispettoria è come una incarnazione della Congregazione nella sua completezza fondamentale di vita e di missione in un determinato territorio (cf. Cost 157).

A sua volta l'Ispettoria «si articola» in comunità locali, «parti vive» della comunità ispettoriale (cf. Cost 58), quasi come membra del corpo vivo che è l'Ispettoria.

In tal modo vengono chiaramente distinti i tre livelli di strutture della Congregazione: sono presentate le tre comunità con un breve cenno alla loro correlazione, che verrà poi ampiamente precisata nelle varie disposizioni dei capitoli successivi.

In particolare l'articolo accentua il significato del governo centrale per assicurare l'unità di vita e di azione nella Congregazione, un'esi-

genza urgente, viste le sue dimensioni mondiali, il legittimo pluralismo e la ricca differenziazione delle comunità ispettoriali sparse nei cinque continenti.

Mentre articoli seguenti (Cost 122 e 124) svilupperanno ancora il tema dell'unità nella diversità, qui si vuole sottolineare, con una certa insistenza, il valore fondamentale dell'unità, per cui non sarebbe sbagliato dire che le strutture a livello mondiale sono le `strutture dell'unità', di «un'unità ministeriale che deve fondere organicamente tutti nella medesima vocazione».'

L'autorità del Superiore.

Ad ogni livello, centrale ispettoriale e locale, è preposto un Superiore. Egli governa la sua comunità con potestà ordinaria. Come già si accennava nell'introduzione della quarta parte, la sua autorità è propria e personale z come ogni autorità nella Chiesa, cosicché viene implicitamente escluso un governo di natura collegiale.3 Nella vita religiosa, infatti, l'autorità è collegata al mistero dell'obbedienza, che si compie attraverso la mediazione di un fratello nell'ambito delle Costituzioni.

D'altra parte però il Superiore non esercita il suo potere in un modo assoluto e autocratico. Egli - dice la Regola - è assistito da un Consiglio ed è tenuto a valersi della sua opera nell'esercizio del proprio ufficio 4 L'autorità personale del Superiore viene così illuminata e corroborata dall'aiuto del suo Consiglio e, in determinati casi di particolare importanza, indicati dal diritto proprio, anche condizionata dal suo voto deliberativo o consultivo.

Questa impostazione del governo religioso - da una parte l'autorità personale del Superiore e dall'altra la partecipazione attiva del suo Consiglio - voluta dal Vaticano Il e sancita dal Codice di diritto canonico - viene affermata esplicitamente a tutti i livelli di governo nella nostra Congregazione.

' Cf- CGS, 720

' Cf, CIC, can- 618

a Un decreto della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolai-i, in data 2 febbraio 1972, diede risposta negativa alla domanda se l'autorità nella vita religiosa potesse intendersi in modo collegiale (cf. AAS 69 (1972), p. 393).

° Cf. CIC, can. 627

Organismi collegiali.

Mentre si afferma che l'autorità del Superiore è personale, continua ed effettiva e assicurata in forma permanente dalle disposizioni del diritto proprio (durata del mandato, supplenza dei vicari, successione), si mette in rilievo che esistono nella Congregazione organismi che godono di autorità che viene esercitata in altra forma, in determinati momenti e circostanze. Si tratta dell'autorità collegiale dei Capitoli, una volta riuniti in sessione.

Il Capitolo è essenzialmente un organismo «ad hoc», convocato cioè per compiti precisi stabiliti dalle Costituzioni; è composto di membri «ex officio» e di delegati, rappresentanti delle comunità ispettoriali o locali, eletti per un determinato Capitolo; la sua autorità è limitata alla durata della sua sessione.

Il Capitolo generale ha autorità suprema su tutta la Congregazione, in quanto elegge il Rettor Maggiore e il Consiglio generale e in quanto spetta ad esso stabilire leggi per tutta la Congregazione (cf. Cost 147).

Nell'ambito dell'ispettoria il Capitolo ispettoriale ha determinati poteri, in modo particolare per l'applicazione delle leggi universali alla propria circoscrizione (cf. Cost 171; Reg 167).

Si rimanda ai singoli articoli per un commento più particolareggiato su questi organismi collegiali.

Padre Santo, che nella Tua sapienza

hai dato alla Tua Chiesa, tra i doni dello Spirito, il sostegno dell'autorità fatta di servizio, guarda con amore alla nostra Società e poni a capo di essa uomini illuninati, ripieni dello spirito di preghiera, capaci di discernimento e ricchi di bontà, che ci guidino con sicurezza

sulla via della Tua volontà.

Per Cristo nostro Signore.

ART. 121   NATURA DEL SERVIZIO DELL’AUTORITA’

L'autorità nella Congregazione è esercitata a nome e ad imitazione di Cristo come un servizio ai fratelli, nello spirito di Don Bosco, per ricercare e adempiere la volontà dei Padre.

Questo servizio è rivolto a promuovere la carità, a coordinare l'impegno di tutti, ad animare, orientare, decidere, correggere, in modo che venga realizzata la nostra missione.

Secondo la nostra tradizione, le comunità sono guidate da un socio sacerdote che, per la grazia del ministero presbiterale e l'esperienza pastorale, sostiene e orienta lo spirito e l'azione dei fratelli.

Egli a norma del diritto' è tenuto ad emettere la professione di fede.

1 cf. CIC, can. 833,8

Questo articolo si ricollega alle parti precedenti delle Costituzioni: riprende, infatti, e completa i contenuti dell'art. 55 sul Direttore nella comunità, che «rappresenta Cristo che unisce i suoi nel servizio del Padre», e dell'art. 65 sullo stile salesiano dell'obbedienza e dell'autorità, ambedue «esercitate in quello spirito di famiglia e di carità che ispira le relazioni a stima e fiducia reciproca».

Autorità come servizio.

Il nostro testo definisce l'autorità salesiana con un'affermazione molto densa: «è esercitata a tutti i livelli a nome e ad imitazione di Cristo come un servizio ai fratelli... per ricercare e adempiere la volontà del Padre».

Nel contesto della vita religiosa apostolica il concetto di autorità non evoca un potere che distingue dei «superiori» e degli «inferiori» e che mette questi ultimi più o meno a servizio dei primi, come può accadere facilmente sul piano semplicemente umano.

Il modello per eccellenza del Superiore religioso è il Signore Gesù. Alla vigilia della sua passione, Egli, lavando i piedi ai suoi discepoli, fece loro capire che se c'è uno chiamato a servire gli altri, è proprio colui al quale è stata affidata l'autorità: il «Signore e Maestro», che chiama alla sua «sequela», diventa un servo (cf. Gv 13, 1-17). E dopo la

richiesta dei figli di Zebedeo, insegna ai suoi Apostoli: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere più grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti».'

Con un'insistenza significativa il Concilio Vaticano II ha ripreso questo tema per applicarlo, tra l'altro, ai Superiori religiosi. La loro autorità è reale, ma esiste unicamente in vista di un «ministero» o «diaconia», vale a dire di un servizio, e di un servizio fraterno. «I Superiori, docili alla volontà di Dio nel compimento del loro incarico, esercitano l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama» .2 A questo testo si ispira chiaramente anche il Codice di diritto canonico, che afferma: «I Superiori esercitano in spirito di servizio quella potestà che hanno ricevuto da Dio mediante il ministero della Chiesa. Docili perciò alla volontà di Dio nel compimento

del loro incarico, reggano i sudditi quali figli di Dio ...».3

A questa dottrina evangelica ed ecclesiale attingono le nostre Costituzioni. Anzi per noi questo insegnamento ha un valore particolare, perché corrisponde alla lettura del Vangelo che facciamo «nello spirito di Don Bosco»: tra i lineamenti della figura del Salvatore per cui siamo più sensibili l'art. 11 segnala «l'atteggiamento del Buon Pastore che conquista con la mitezza e il dono di sé, il desiderio di radunare i discepoli nell'unità della comunione fraterna». Questi lineamenti devono definire in modo speciale il volto del Superiore salesiano: la sua autorità è «pastorale», procede cioè totalmente dalla carità pastorale che ha il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, il Servo del Padre e il Buon Pastore dei fratelli, fino al dono totale di sé. In questo senso radicale l'autorità del Superiore è servizio disponibile ai fratelli e obbedienza disinteressata alla volontà del Padre.

Le finalità dell'autorità salesiana.

Il secondo capoverso completa e specifica il primo. Descrive le finalità a cui tende il servizio dell'autorità. Senza aver intenzione di es

' Vedi il commento alla citazione biblica posta come ispirazione a questo capitolo X, p. 8015,

2 PC, 14

' CIC, can. 618

sere esaustivo, ne menziona due principali, richiamando idee espresse anche altrove nelle Costituzioni: a

- il primo compito dell'autorità riguarda la comunione fraterna: essa tende a «promuovere la carità» tra i fratelli della comunità locale, dell'Ispettoria, della Congregazione, e a «coordinare l'impegno di tutti», ossia assicurare l'unità dei cuori e delle intenzioni nella vita comunitaria e nella collaborazione al progetto comune (cf. Cost 55). Nella comunità il Superiore è segno e strumento della comunione di tutti i fratelli nella ricerca e nella realizzazione della volontà del Padre (cf. Cost 66): si può ricordare, in particolare, ciò che le Costituzioni hanno detto sul ruolo del Superiore nel promuovere lo spirito di famiglia (Cf. Cost 55 e 65);

- il secondo compito riguarda la missione salesiana: si tratta di un compito di specifica identità pastorale e di animazione per proporre delle mete e per orientare il cammino, e del compito più concreto di decidere, quando occorra scegliere una soluzione, o di correggere una situazione in cui si rischi di deviare (Cf. Cost 44 e 66).

La qualifica sacerdotale.

Poiché questo articolo delinea in generale il servizio dell'autorità con preciso riferimento alla carità pastorale e alla missione comune, il CG22 ha ritenuto fosse il luogo più adeguato per affermare esplicitamente la qualifica sacerdotale del Superiore salesiano, affermazione che nel testo del 1972 si trovava_ nella parte dedicata alla missione apostolica.5

Tl testo esplicita un aspetto della «forma» della nostra Società, indicato dall'art. 4. Esso rimanda alla tradizione salesiana, che risale a Don Bosco Fondatore e che si è mantenuta ininterrottamente fino ai giorni nostri, che è stata anzi esplicitamente confermata dai tre ultimi Capitoli generali, i quali hanno compiuto la revisione postconciliare delle nostre Costituzioni. Leggiamo negli Atti del CG21: «Non si tratta di una que-

` Cf. Introduzione alla parte quarta, p. 795 ss 5 Cf. Costituzioni 1972, art. 35

stione unicamente giuridica, né sociologica, o di qualcosa che appartenga genericamente alla vita religiosa della Chiesa. Si tratta di una realtà ecclesiale religiosa specifica, cioè `salesiana'- Riguarda, infatti, un determinato modo di vita della comunità salesiana, iniziato e strutturato da Don Bosco, vissuto nella Chiesa e approvato da essa, in ordine allo svolgimento della missione concreta che lo Spirito Santo affidò al nostro Fondatore e Padre».6 «Si tratta di qualcosa che tocca le radici dello spirito e della vita salesiana, sia all'interno della comunità che riguardo al metodo pastorale proprio della nostra missione».'

È un fatto che la comunità salesiana si è costruita attorno a Don Bosco, primo «direttore» dell'Oratorio, il quale ha dato alla figura del Superiore tutta l'impronta della paternità, promanante dal suo ministero di prete. Anche dopo che la Sede Apostolica impose che il Superiore di una comunità religiosa non fosse l'abituale confessore dei suoi confratelli, i Successori di Don Bosco non si stancarono di additare nel Direttore salesiano il vero «pastore» e il {direttore di spirito» di Salesiani e giovani, secondo la «mensa del Fondatore."

CG21, 199

' CG21, 200

e È utile ricordare alcuni interventi significativi dei Capitoli generali e dei Rettori Maggiori a riguardo della genuina figura del Direttore salesiano.

Un evento, che al dire di D. Cerio «segnò una svolta nella storia della Società» (cf. Annali della Società salesiana III, p. 170-194), fu il Decreto del S. Uffizio del 24 aprile 1901 che stabiliva che il Superiore religioso non fosse il confessore ordinario dei confratelli. Sappiamo quanto questo Decreto preoccupò D. Rua e i Salesiani, perché sembrava venir meno una delle caratteristiche originali del Direttore delle nostre Case. Alla luce di questa preoccupazione dobbiamo leggere quanto il Capitolo generale X del 1904 stabiliva nel Regolamento circa il Direttore: «Il X Capitolo generale volle rendere i Direttori responsabili effettivamente del progresso religioso dei soci, costituendoli veri Direttori spirituali di essi, sebben non ne siano i confessori. A tal fine raccomanda loro che le anime siano 2 loro principale pensiero; le opere spirituali, il perFezionamento morale e il progresso religioso la loro precipua cura, acciocché 'formetur in omnibus Christus' e non abbiano solamente una società d'impiegati e di istitutori...' (Regol. 1906, art. 135). Don Rua, dal canto suo, in varie lettere scritte agli Ispettori e Direttori, insiste sulla Funzione di formatori propria dei Direttori. in una importante lettera agli Ispettori e Direttori d'America scrive che il Direttore è «guida, maestro nella virtù e nella perfezione dei confratelli, soprattutto giovani (cf. D. RUA, Lett. circolari, p. 134-135).

Anche don Albera ha diversi interventi sul Direttore che si trovano nelle sue lettere (cf. D. ALBERA, Lett. circolari). Molto significativa è un suo intervento al Capitolo generale XI. Rettor Maggiore da pochi giorni, D. Albera concludeva una riflessione capitolare con queste parole: «È questione essenziale per la vita della nostra Società che si conservi lo spirito del Direttore secondo l'ideale di Don Bosco; altrimenti cambiamo il modo di educare e non saremo più Salesiani. Dobbiamo fare di tutto per conservare lo spirito di paternità... Specialmente nei rendiconti noi potremo conoscere i nostri sudditi e dirigerli... Cosi sarà conservata al Direttore l'aureola di cui lo voleva circondato Don Boseo, (cf. CER1A, Annali della Società Salesiana IV, 8-9), Si deve inoltre a don Albera l'elaborazione del Manuale del Direttore, che si apre con

Secondo la ferma convinzione dei Capitoli generali, la qualifica sacerdotale del Superiore è un elemento che appartiene essenzialmente al nostro carisma salesiano. Nel suo discorso del 24 gennaio 1978 al CG21 il Rettor Maggiore dava le seguenti tre motivazioni determinanti per questa scelta capitolare:

- la volontà esplicita e verificabile del Fondatore;

- l'approvazione e determinazione della sacra Gerarchia;

il legame di convenienza di tale elemento con la metodologia del Sistema preventivo nella realizzazione pratica della nostra missione.')

Il Superiore salesiano non è anzitutto un amministratore, né un organizzatore, il gestore di un'opera, un costruttore...; egli è anzitutto la guida di una comunità a cui è affidata una missione pastorale determinata; è, in certo modo, l'educatore spirituale del gruppo degli educatori, il pastore del gruppo dei pastori, l'animatore del loro spirito, colui che orienta l'azione «missionaria» dei suoi confratelli, sacerdoti e laici, vista nella totalità dei suoi aspetti.

Si vede allora quale significato abbia che un socio sacerdote assuma questo servizio, e perché così abbia voluto Don Bosco. Il sacramento dell'Ordine gliene conferisce la capacità radicale, l'esperienza

questa indicazione rivolta allo stesso Direttore: Contiene le norme secondo cui devi deportarti per lavorare efficacemente e conservare lo spirito di Don Bosco nella Casa affidata alle tue cure...

Di don Ri-naldi merita di esser ricordato, in particolare, I' accorato appello perché Ispettori e Direttori conservino gelosamente il senso della paternità spirituale attinto da Don Bosco: «Miei carissimi ispettori e Direttori, vi scongiuro nelle viscere della carità di N. 5. Gesù Cristo di far rivivere in voi e intorno a voi questa tradizione della paternità spirituale, che purtroppo va spegnendosi, con grave danno delle anime giovanili e della fisionomia salesiana.-. Siate veramente padri dell'anima dei vostri giovani. Non abdicate alla vostra paternità, ma esercitatela... Lasciate ad altri dipendenti le confessioni delle donne e delle religiose, e siate proprio voi i confessori dei giovani oratoriani ed esterni (ACS n. 56, aprile 1931, p. 939-943).

Anche nelle lettere circolari dei seguenti Successori di Don Bosco sì possono trovare frequenti riferimenti alla figura del Direttore. Del Magistero recente, prima del CGS, occorre ricordare soprattutto le Deliberazioni del CG XIX., che tratta del Direttore nel cap. V del doc. I (strutture), nel Doc. VII, dedicato interamente alla Direzione spirituale dei confratelli, e neI doc. XIX sulla formazione dei giovani. Significativo quanto troviamo neI doc. I: dopo aver ricordato «l'ininterrotta tradizione» che fa del Direttore «indubbiamente il centro di unificazione e di propulsione di ogni opera salesiana=, aggiunge: «L'esigenza di unità articolata, e per parte del Direttore soprattutto nel senso di una paternità spirituale e formativa, viva e operante... sembra doversi sottolineare in modo particolarmente marcato oggi...» (cf. ACS n. 244, p. 32-33)

9 Cf. CG2I, 220

pastorale gli dà la capacità pratica. Il suo modello è Don Bosco stesso, sacerdote-educatore, superiore e pastore, direttore spirituale della comunità di Valdocco, dei suoi confratelli. 10

O Cristo Buon Pastore,

dona pienezza di grazia ai Superiori delle nostre comunità, per renderli capaci di promuovere in esse l'unità degli animi e la piena concordia degli intenti e delle azioni. Fa' che in ogni cosa, come Don Bosco,

essi si dimostrino pastori pieni di zelo,

e nell'animare, orientare, decidere e correggere

ci guidino a un compimento sempre più diligente e gioioso della nostra missione di salvezza.

10 Su questo tema si veda la Lettera circolare del Rettor Maggiore: L'animazione del direttore salesiano, in ACS n. 306, ottobre-dicembre 1982.

ART. 122     UNITÀ NEL GOVERNO DELLA SOCIETÀ

I superiori, a tutti i livelli di governo, partecipano di un'unica e medesima autorità e la esercitano in comunione con il Rettor Maggiore, a vantaggio di tutta la Società. Così, mentre promuovono il bene delle singole comunità, sono solleciti per l'unità, l'incremento e il perfezionamento dell'intera Congregazione.

Nella revisione definitiva del testo costituzionale si è voluto mantenere questo articolo, che nella redazione del 1972 si trovava tra gli articoli della sezione sul Rettor Maggiore; l'articolo, tuttavia, è stato trasferito in questo capitolo introduttivo sui principi e criteri generali per sottolineare l'importanza dell'unità della Congregazione sparsa nel mondo.

Già l'art. 59, nel capitolo della comunità fraterna e apostolica, apriva ad ogni confratello, che viene incorporato nella Società mediante la professione religiosa, la dimensione mondiale nella comunione con il Rettor Maggiore e col suo Consiglio (cf. anche l'art. 24 sulla formula della professione).

Questo vale ancor più per coloro che esercitano un incarico di Superiore a livello ispettoriale o locale. Essi devono essere garanti della convergenza di tutti i confratelli nell'unità carismatica e vocazionale della Congregazione, e perciò devono esercitare il loro ufficio in stretto collegamento con il Rettor Maggiore, che ne è il centro di unità. «Ai diversi livelli - scrive il CGS - il centro che garantisce l'unità, nel pensiero di Don Bosco, è il rispettivo Superiore. Per la Congregazione vista nella sua totalità, il 'centro dell'unità' per eccellenza è il Rettor Maggiore con il Consiglio Superiore».' La Società nella sua interezza è l'erede e il prolungamento dello spirito e della missione, del carisma di Don Bosco (cf. Cast 1) e il suo Successore ne è il padre che promuove la fedeltà costante di tutti i soci al carisma salesiano. Ricordiamo le parole di Don Bosco, già altrove richiamate: «Tutti diano mano al Rettor

CGS, 720

Maggiore, lo sostengano, lo aiutino in ogni modo, si faccia da tutti un centro unico attorno a lui».z

Sono due le affermazioni fondamentali di questo articolo.

- In primo luogo si sottolinea il concetto di partecipazione (che sotto altro aspetto sarà sviluppato nell'articolo seguente). «I Superiori a tutti i livelli partecipano di un'unica e medesima autorità», che «non deriva immediatamente da un'eventuale volontà designativa da parte della base, ma ha origine nell'atto di erezione canonica della Società. Esiste quindi in tutta la Congregazione un solo nucleo, un solo centro sorgivo di autorità. E questa autorità, ricevuta dalla Chiesa, passa attraverso la volontà elettiva del Capitolo generale per concentrarsi, secondo le Costituzioni, nel ministero del Rettor Maggiore».3 È il Fondatore stesso che ricorda: «Ciò che avviene per il Rettor Maggiore riguardo a tutta la Società, bisogna che avvenga per il Direttore in ciascuna casa. Egli deve fare una sola cosa col Rettor Maggiore, e tutti i membri della sua casa devono fare una sola cosa con lui» 4 È dunque chiaramente indicata la comunione profonda che deve legare fra loro e con il Rettor Maggiore tutti coloro che esercitano il servizio dell'autorità.

- Un secondo aspetto importante, immediata conseguenza del principio precedente, viene messo in evidenza, ed è «la preoccupazione che tutti i Superiori devono avere per il bene, per l'unità e per l'incremento dell'intera Congregazione, al di sopra degli interessi immediati della propria circoscrizione o comunità».5

Questo richiamo non intende indebolire l'autorità propria e ordinaria dei Superiori ai vari livelli, né il loro compito di «promuovere il bene delle singole comunità», anche secondo i criteri della giusta sussidiarietà e del decentramento (cf. Cost 124), ma vuole ottenere la realizzazione armonica di due elementi complementari: l'unità e la pluralità. Difatti le nostre strutture mirano a rendere possibile l'espressione della diversità dei doni personali e dei valori di ogni comunità e regione ed a facilitare l'adattamento alle esigenze educative e pastorali dei di

a MB XII, 81

CGS, 721
° MB XII, 81

CGS, 721

versi ambienti socio-culturali e delle Chiese locali. Ma proprio le situazioni di pluralismo delle idee, delle opinioni, delle ricerche, delle opere, delle attività, delle forme di vita concreta esigono dalle nostre strutture una maggiore unità spirituale e giuridica, perché unica è la nostra missione, identica è la consacrazione e lo spirito; e la diversità dei doni e dei compiti deve orientarsi verso lo scambio, la collaborazione, la comunione fraterna ed ecclesiale."

O Padre santo,

che ispirasti a Don Bosco di fondare

una «famiglia di fratelli uniti intorno al loro padre», fa' che tutti noi, confratelli e Superiori,

siamo uniti attorno al Rettor Maggiore,

che ci hai dato come «padre» e «centro di unità»,

e, mentre promuoviamo il bene di ciascuna nostra comunità, rendici solleciti per l'unità,

l'incremento e il perfezionamento dell'intera Congregazione. Te lo chiediamo per l'intercessione di Maria e per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.

Cf. CGS, 706

ART. 123    PARTECIPAZIONE E CORRESPONSABILITÀ

La comune vocazione comporta la partecipazione responsabile ed effettiva di tutti i membri alla vita e all'azione della comunità locale, ispettoriale e mondiale, sia sul piano dell'esecuzione che su quello della programmazione, dell'organizzazione e della revisione, secondo i ruoli e le competenze di ciascuno.

Tale corresponsabilità esige la partecipazione dei confratelli, secondo le modalità più convenienti, alla scelta dei responsabili di governo ai vari livelli e all'elaborazione delle loro decisioni più significative.

E dovere di chi esercita l'autorità promuovere e guidare questo contributo mediante l'informazione adeguata, il dialogo personale e la riflessione comunitaria.

Questo articolo e il seguente sono strettamente vincolati con i due precedenti; essi formano insieme un blocco solo e fanno comprendere aspetti complementari dell'autorità-servizio.

Alla responsabilità specifica e propria dei Superiori corrisponde la corresponsabilità di tutti i confratelli. Il Superiore non deve credersi obbligato a fare tutto da solo o di sua autorità. Da un lato egli deve promuovere la partecipazione responsabile di tutti i confratelli (art. 123), dall'altro deve lasciare alle istanze responsabili inferiori ciò che esse sono capaci di assumersi nell'ambito delle proprie competenze (art. 124). Sono criteri questi, sui quali il Concilio ha insistito e che hanno ispirato anche il nuovo Codice di diritto canonico.'

La partecipazione corresponsabile di tutti alla vita e all'azione comune.

L'art. 123 fonda la partecipazione responsabile ed effettiva di tutti i confratelli sulla «comune vocazione», che la prima e seconda parte delle Costituzioni hanno descritta negli elementi essenziali e che cia

' C€. CIC, Prefazione. I1 principio della partecipazione corresponsabile di ciascuno, secondo il proprio ruolo, fa parte deIla tradizione che risale a Don Bosco. Sono note le sue parole: Al Direttore faccia il Direttore, cioè sappia far agire gli altri... (MB XIII, 258; efL anche X, 1102)

scuno, chiamato da Dio a far parte della Società salesiana, ha accolto nel giorno della professione.

Già l'art. 22 affermava che ogni confratello nella Società è un «membro responsabile», che «mette se stesso e i propri doni al servizio della vita e dell'azione comune».

Trattando poi dell'obbedienza, le Costituzioni sottolineavano il coinvolgimento di tutti: «nella comunità e in vista della missione tutti obbediamo, pur con compiti diversi... nelle cose di maggior rilievo cerchiamo insieme la volontà del Signore in fraterno e paziente dialogo e con vivo senso di corresponsabilità» (Cost 66).

Il concetto di corresponsabilità personale e comunitaria per la comune vocazione viene qui ripreso e ribadito tra i criteri, che ispirano le strutture di governo secondo il rinnovamento voluto dal Concilio e che devono orientare tutti i confratelli nella prassi. Tutti sono chiamati a partecipare responsabilmente ed effettivamente «alla vita e all'azione della comunità locale, ispettoriale e mondiale... secondo i ruoli e le competenze di ciascuno».

Tutti Salesiani, con la medesima vocazione, sentiamo nostra la vita e la missione della Congregazione; ciascuno nel suo ambito si sente partecipe e corresponsabile della vita della comunità e dell'Ispettoria, e aperto all'intera Società. È il pensiero stesso di Don Bosco, quando diceva che tutti devono formare «una famiglia di fratelli attorno al loro

padre».2

L'articolo indica, in particolare, alcune modalità concrete, secondo cui la partecipazione e la corresponabilità devono essere praticate dai confratelli, e promosse da parte dei Superiori.

Sono specificati tre momenti significativi della partecipazione di tutti, momenti che anche altrove le Costituzioni hanno messo in evidenza, specialmente parlando della corresponsabilità nell'obbedienza (cf. Cost 66):

- la ricerca comune nella programmazione e nell'organizzazione; - l'impegno concorde nell'esecuzione; - la revisione o verifica del progetto comunitario.

2 MB VIII, 829

Strumento privilegiato per l'esercizio della comune corresponsabilità è l'Assemblea dei confratelli, che tra i suoi compiti ha quello appunto di «programmare annualmente la vita, le attività, l'aggiornamento, e farne la verifica» (cf. Reg 184).

La corresponsabilità nella scelta dei Superiori.

Il secondo capoverso mette in rilievo una forma di partecipazione particolarmente importante, che il Concilio ha espressamente indicata,3 e che è stata codificata nel Codice di diritto canonico: si tratta del contributo attivo che i religiosi devono dare nella scelta dei membri dei Capitoli, dei Consigli, e degli stessi Superiori .4

Le nostre Costituzioni assumono questo criterio sia per la designazione dei Superiori, sia per quella dei membri dei Consigli e dei Capitoli. Le stesse Costituzioni, nel determinare le strutture ai vari livelli, stabiliscono delle modalità concrete per l'applicazione di tale forma di partecipazione: vedremo in seguito queste modalità sia a livello ispettoriale che locale (cf. Casi 162. 167. 177).

Ma non basta la partecipazione nella scelta dei Superiori. La Regola stimola ad una reale partecipazione nell'elaborazione delle decisioni più significative dei responsabili di governo ai vari livelli.

L'art. 66, sopra citato, ne parlava esplicitamente per quanto riguarda la comunità locale: anche se la decisione, al termine della comune ricerca, spetta al Superiore, i confratelli vengono prima ascoltati con un dialogo che mira ad una convergenza massima delle vedute.

Per gli altri livelli, tra le forme di partecipazione il testo costituzionale segnala espressamente le seguenti:

- la possibilità da parte delle Ispettorie, delle comunità locali e dei singoli soci di far pervenire le loro proposte al Regolatore del Capitolo generale (Reg. 112; cf. can. 631 §3);

- in occasione del Capitolo ispettoriale, la «comune sollecitudine per i problemi generali» dell'Ispettoria da parte delle comunità locali e dei confratelli (cf. Cost 170);

3 CF. PC, 14; /5,11,18

° CL CfC, can. 625 e 633

- la richiesta del parere della comunità locale interessata, prima che il Consiglio ispettoriale prenda una decisione che la riguardi (cf. Reg 158).

Il Superiore anima la partecipazione di tutti.

Tutto questo non è da considerarsi una specie di concessione o di condiscendenza da parte del Superiore. Anzi, chi esercita l'autorità ha il dovere di promuovere e guidare la partecipazione corresponsabile di tutti, mediante tre mezzi principali:

- l'informazione adeguata, per poter coinvolgere i confratelli nella riflessione sui problemi di rilievo (vi insistono anche i Regolamenti generali: cf. Reg 33. 180. 184);

- il dialogo personale, indispensabile per valorizzare ogni confratello come «membro responsabile»; è un ulteriore richiamo all'importanza del colloquio fraterno (cf. Cost 70; Reg 49);

- la riflessione comunitaria: ossia la ricerca comune della volontà del Signore (cf. Cast 66), in modo particolare a livello di comunità locale, per cui i Regolamenti raccomandano al Direttore di rendere effettiva la corresponsabilità dei confratelli e di far funzionare nei modi più adatti l'Assemblea dei confratelli (cf. Reg 173).

Le strutture di governo non sono quindi un affare solo di alcuni confratelli. Tutti sono invitati a interessarsi, a studiare i problemi, a intervenire, a proporre... ogni volta che è in gioco la vita della comunità o la sua azione apostolica. E ciascuno è chiamato a mettere a profitto degli altri la propria esperienza, le proprie capacità personali, la responsabilità che gli proviene dalla sua carica.

Non si dirà mai abbastanza che questa partecipazione e corresponsabilità per la realizzazione della comune vocazione rende più vitale la comunione fraterna, più efficace la missione, più ponderate le decisioni da prendere. Non semplifica però l'esercizio dell'autorità e richiede da parte di tutti un impegno permanente per crescere verso la maturità umana e cristiana, che si esprime in capacità di comunicazione e di dialogo, in una mentalità aperta e critica, in spirito di iniziativa (Reg 99), e anche nella rinuncia, quando occorra, ai propri punti di vista (Cost 66).

Dona, o Padre, a tutti i Salesiani

zelo generoso e capacità di collaborazione

per partecipare con senso di corresponsabilità, in tutte le fasi di studio e di realizzazione, all'opera apostolica che affidi alla comunità, applicandosi ad essa con dinamismo e umiltà, nella carità e nella pace.

Per Cristo nostro Signore.

ART. 124   SUSSIDIARIETA’ E DECENTRAMENTO

L'autorità di qualsiasi genere e livello lascia all'iniziativa degli organi inferiori e dei singoli ciò che può essere da loro deciso e realizzato secondo le rispettive competenze. Così si valorizzano le persone e le comunità e si favorisce un più reale impegno.

Il principio di sussidiarietà comporta il decentramento che, mentre salvaguarda l'unità, riconosce una conveniente autonomia e un'equa distribuzione di poteri tra i diversi organi di governo.

Due altri principi importanti per il governo della Congregazione sono segnalati in questo articolo: sono la sussidiarietà e il decentramento, che si richiamano e si sostengono a vicenda.

Il principio di «sussidiarietà», nella sua formulazione essenziale,

può esser così espresso: un giusto ordinamento dell'autorità fa in modo che le decisioni siano prese normalmente ed eseguite a quello stesso livello a cui incombe la responsabilità: perciò «l'autorità di qualsiasi genere e livello lascia all'iniziativa degli organi inferiori e dei singoli ciò che può esser da loro deciso e realizzato secondo le rispettive competenze». La sussidiarietà si appoggia sulla vera fraternità e condivisione: essa valorizza le doti e capacità di ciascuno, mettendole al servizio del progetto comunitario e fa sì che ogni membro si senta impegnato in prima persona nel compimento della missione. Lungi dallo sminuire il valore dell'autorità superiore, cui rimane l'irrinunciabile responsabilità di salvaguardia dell'unità, la sussidiarietà tende a una reale complementarità nell'azione e nelle stesse decisioni, mediante il rispetto delle attribuzioni e competenze di ciascun livello di autorità.

Così intesa, la sussidiarietà postula un effettivo «decentramento». Esso provvede ad una giusta ed efficace distribuzione dei poteri, con una opportuna precisazione degli ambiti di competenza dei vari organismi e degli obiettivi e strumenti loro propri, in modo da valorizzare le potenzialità nel modo migliore.

Questi principi, raccomandati dal Concilio Vaticano II, sono stati

Cf. E5, il, 18

recepiti dal nuovo Codice di diritto canonico, il quale scrive in generale: «fondandosi adunque sul medesimo principio - della sussidiarietà - il nuovo Codice demanda, sia ai diritti particolari, sia alla potestà esecutiva, ciò che non è necessario all'unità della disciplina della Chiesa universale, cosicché si provvede opportunamente al cosiddetto,sano 'decentramento', allontanando il pericolo della disgregazione»., -

Per quanto riguarda la nostra Società, la preoccupazione per la sua unità, già affermata negli articoli 122 e 123 e ricordata anche in questo articolo, non sottovaluta il pluralismo delle situazioni e quindi non conduce alla centralizzazione dei poteri.

La nostra Società è portatrice di un carisma per la Chiesa universale, sparsa in tutto il mondo: esiste ed opera in diverse situazioni geografiche, culturali, sociali, politiche e religiose. Perciò «l'unità ministeriale richiede, come suo termine indispensabile, complementare e integrativo, il decentramento, che è l'espressione concreta e pratica della sussidiarietà».

Da una parte le autorità ispettoriali e locali devono avere una conveniente autonomia e la potestà necessaria per un governo efficace che corrisponda alle esigenze del momento e del luogo. Ciò comporta decentramento, ossia una equa distribuzione dei poteri tra i vari organi di governo. Si arriva così a una più sciolta e rapida soluzione dei problemi, a una maggior efficienza e ad una più ampia valorizzazione delle persone e delle comunità 4

Dall'altra parte le autorità superiori non devono intralciare l'esercizio di questa potestà, ma al contrario rispettarla e favorirla. Lasciando agli organi inferiori ciò che può essere deciso e realizzato da loro, conservano sempre la possibilità di intervenire per supplire eventuali deficienze o per correggere deviazioni, come pure di esercitare quei poteri irrinunciabili, assegnati dalle Costituzioni, che devono garantire direttamente o indirettamente l'unità essenziale.

Ecco dunque che, nella revisione delle Costituzioni e dei Regolamenti generali, la Congregazione ha codificato per le varie strutture di

Cf. CIC, Prefazione; cf, anche Principia pro recognifione CIC(1967), n.5 3 CGS, 720

4 Cf, ivi

governo quella conveniente autonomia e quella equa distribuzione di poteri che sono più corrispondenti al suo carisma particolare. Basterà prendere conoscenza delle competenze conferite dal nostro diritto agli Ispettori e ai loro Consigli, ai Capitoli ispettoriali, come pure ai Direttori con i loro Consigli, per rendersi conto del significato dei principi enunciati in questo art. 124.

Vale però anche qui la costatazione che non basta l'accettazione dei principi e la loro codificazione nelle Regole. Occorre la traduzione di essi nell'esercizio pratico dell'autorità ai diversi livelli.

Abbiamo così davanti i principi e i criteri che ispirano il nostro governo. La loro stessa natura fa comprendere che vi siamo tutti coinvolti: Superiori e membri corresponsabili di ciascuna comunità, di ciascuna Ispettoria, dell'intera Congregazione.

Giustamente questi principi «hanno ora trovato un loro posto nelle rinnovate Costituzioni. È importante che essi siano pienamente compresi e messi in pratica per attuare lo scopo del governo religioso: la costruzione di una comunità unita in Cristo, nella quale Dio venga cercato e amato al di sopra di ogni altra cosa e la missione di Cristo sia compiuta generosamente» .5

In tal modo il capitolo X, introducendo la quarta parte, illustra assai bene il carattere essenziale delle strutture: esse sono al servizio di ciascuna persona e delle comunità, per aiutarle ad essere fedeli alla loro vocazione."

La ricerca incondizionata della Tua gloria

del vero bene dei fratelli, o Signore, guidi il servizio di coloro

che tra noi hai costituiti in autorità,

perché sia favorito il pieno sviluppo di ognuno

sia promossa la partecipazione ordinata di lutti, secondo le proprie capacità e competenze, per rispondere ai disegni che Tu manifesti per la nostra comunità

per i nostri giovani.

a Cf. Elementi essenziali della vita religiosa, CRSS, 31.5.1983, n. 52 a Cf. CGS, 706

CAPITOLO XI

IL SERVIZIO DELL'AUTORITA NELLA COMUNITA MONDIALE

«Pascete il gregge di Dio che vi e affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri; secondo Dio... non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli dei gregge- (1 PI 52-3).

La figura del Signore buono ed unico Pastore (Ez 34,11.23), che apriva il cap. I delle Costituzioni, ritorna ora a proposito di quanti hanno un compito specifico di governo ai diversi livelli della Congregazione, a partire dal Rettor Maggiore col suo Consiglio. Tutta la ricchezza e la potenza del motivo biblico «pastore-gregge» vengono qui riprese e tenute presenti.

A ciò contribuisce eccellentemente il passo citato della prima Lettera di Pietro. Il contesto è noto. La comunità è già impiantata, vi sono strutture di governo. Non mancano i problemi; e non solo quelli della sofferenza dovuta alle persecuzioni. Nella stessa comunità si sente la necessità dì un accordo migliore tra anziani e giovani, tra i responsabili e gli altri. Pietro risponde a tutto con una stupenda catechesi battesimale atta a generare verità e speranza (1,6-9; 5,9-10).

Ancora una volta è il mistero di Cristo il protagonista della vita dei cristiani.

L'Apostolo si rivolge ai capi della comunità (anziani o presbiteri) raccomandando loro semplicemente un servizio da «pastori», come se questa classica figura biblica fosse ormai un modello di condotta dell'autorità (cf. Atti 20,18-35). Il discorso si apre ancora una volta con un convincente tratto autobiografico (5,1): Pietro si presenta come testimone delle sofferenze di Cristo e per Cristo (senza di cui non sì esprime il servizio cristiano: cf. Mc 10,40-45); i due versetti successivi - quelli della nostra citazione - esplicitano le qualità del servizio pastorale. La convinzione di base è che il gregge è di Dio e viene consegnato agli anziani in affido. Quindi esso richiede un servizio volenteroso, non coatto, disinteressato e gratuito non da mercenario, senza aria da padroni, in una parola da «modelli» credibili (5,2-3). È chiara sullo sfondo la figura di Cristo buon Pastore (Gv 10,11), di cui i pastori della comunità sono sacramento, ossia

segni e strumenti visibili, e da cui soltanto possono aspettarsi la «corona della gloria che non appassisce» (5,4).

Il testo biblico è un programma eccellente per orientare e animare un governo mondiale, così esposto a mille cose tecniche, e che pure deve essere sempre incentrato sul mondo delle persone, non immune da tribolazioni e quindi bisognoso di traguardi veraci e di conforto. Sull'esempio indimenticabile di Don Bosco!

* * *

Dopo i principi e i criteri generali a cui deve ispirarsi il servizio dell'autorità, le Costituzioni passano a delineare e precisare questo servizio ai vari livelli, iniziando dalla comunità mondiale.

Nella introduzione alla quarta parte è già stato indicato il motivo per cui è stato adottato l'ordine di successione dei tre livelli. È una scelta che fa percepire la Congregazione come unità viva e le strutture di governo a livello mondiale come `strutture di unità'.

Questa prospettiva approfondisce nel salesiano il senso di appartenenza alla comunità mondiale, nella quale viene incorporato con la professione religiosa, che lo fa «partecipe della comunione di spirito, di testimonianza e di servizio che (la Congregazione) vive nella Chiesa universale, secondo l'espressione usata dall'art. 59.

Così l'autorità a livello mondiale è chiamata a rendere anzitutto un servizio di unità ministeriale, che deve fondere organicamente tutti nella medesima vocazione.'

Il capitolo, che riguarda il servizio dell'autorità a livello mondiale, è articolato nei seguenti punti;

1. Il Sommo Pontefice     art. 125

2. Il Rettor Maggiore        art. 126-129

3. Il Consiglio generale     art. 130-143; 154-155

4. Tre incarichi speciali art. 144-145

5. Il Capitolo generale     art. 146-152

6. Le strutture regionali art. 154-155

' Cf. CGS. 713 e 720

Il capitolo sarà commentato seguendo questa divisione e raggruppando gli articoli secondo i suddetti cinque punti; tuttavia, gli art. 154155 verranno abbinati con quelli riguardanti il Consiglio generale.

1. IL SOMMO PONTEFICE (ART. 125)

Un riferimento alla figura del Papa nella vita del salesiano si trova già nel capitolo sullo «spirito salesiano»: tra le sue caratteristiche vi è una viva coscienza ecclesiale, espressa nella filiale fedeltà al Successore di Pietro e al suo magistero (Cf. Cost 13).

Nel presente articolo questa fedeltà viene espressa nel fatto che la Società salesiana ha come supremo Superiore il Sommo Pontefice. Questi infatti, per il suo ufficio di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa.' Perciò Don Bosco stesso, nel primo articolo del cap. VI dell'edizione italiana delle Costituzioni del 1875 (cui il nostro articolo si ispira), aveva scritto: «I soci riconosceranno per loro arbitro e superiore assoluto il Sommo Pontefice, cui saranno in ogni cosa, in ogni luogo e in ogni tempo umilmente e rispettosamente sottomessi».3 Si tratta di una sottomissione «anche in forza del voto di obbedienza»,4 una sottomissione filiale, piena di amore, di cui Don Bosco stesso ci ha dato l'esempio: citando' molti aggettivi riferiti all'amore di Don Bosco per il Papa («soprannaturale, zelante e conquistatore, filiale e devoto, ubbidiente e sottomesso, sacrificato ed eroico»), il Rettor Maggiore scrive: «Non sono affermazioni pleonastiche; corripondono a diversi aspetti di una solida testimonianza vissuta lungo tanti anni».5

Le Costituzioni mettono in risalto alcuni atteggiamenti del salesiano nei confronti del Sommo Pontefice, conseguenti alla sottomissione filiale sopra affermata. Essi sono:

z Cf. CIC, can. 332

a Costituzioni 1875, VI,1 (cf. F. MOTTO, p. 113)

° Cf. CIC, can. 590

5 Cf. E. VICANO, La nostra fedeltà al Successore di Pietro, ACG n. 315 (1985), p. 8

- la disponibilità per il bene della Chiesa universale, della cui unità il Successore di Pietro è il segno visibile: tale disponibilità procede direttamente dal «senso di Chiesa», di cui parlava l'art. 13;

--- la docilità al magistero pontificio. esso orienta e anima tutta la nostra attività di educatori ed evangelizzatori; 6

- l'impegno di aiutare i fedeli, specialmente i giovani, ad accettare gli insegnamenti del Papa: la nostra «devozione» diviene «compito» e ci conduce a stringere tutti nell'unità attorno a colui che Gesù ha voluto come centro di unità.

Viene così delineata un'emblematica esperienza di fede nel ministero di Pietro, vissuta fortemente da Don Bosco e radicata profondamente nella nostra tradizione come una delle colonne della triade spirituale del salesiano (centralità dell'Eucaristia - devozione mariana - adesione soprannaturale, cosciente e operosa al Papa).

La docilità di Don Bosco era somma, immediata e anche eroica, quando gli si manifestàva il pensiero esplicito, gradito o esigente, del Papa. L'amore per il Papa fu per lui un «elemento di vita» e insieme arte di far amare il Papato. Con gli scritti, con la testimonianza della vita, con l'attività dell'educatore, con interventi svariati, che oltrepassavano anche gli interessi immediati della Congregazione, egli è stato un vero servitore della Chiesa nella persona del Successore di Pietro.

Tutto questo Don Bosco ha trasmesso alla sua Società, che, fin dal suo nascere, pose al servizio del Pontefice: «La Congregazione e i Salesiani hanno per scopo speciale di sostenere l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino e dovunque lavorino».'

Signore Gesù, che hai eletto l'Apostolo Pietro ad essere nella Tua Chiesa

fondamento, maestro di fede e pastore universale, dona a noi tutti, sull'esempio di Don Bosco, un amore filiale e una convinta sottomissione al Successore di Pietro,

6 CF. ACG n. 315 (1985),.p. 28-30 7 MB XVIII, 477

e rendici capaci di coltivare nei giovani il senso vivo dell'appartenenza ecclesiale, che li spinga alla collaborazione generosa nell'opera dell'evangelizzazione e della promozione dei più bisognosi.

2. IL RETTOR MAGGIORE (ART. 126-129)

Sin dal primo testo approvato delle Costituzioni (1875) il Superiore generale della Società salesiana è indicato con il nome di Rettor Maggiore.

Nel testo attuale la sua figura è presentata in quattro articoli, che precisano rispettivamente:

- la sua identità e la sua funzione (art. 126)

 - la sua potestà di governo (art. 127)

 - le modalità dell'elezione (art, 128)

 - le condizioni per l'elezione (art. 129)

2.1 L'identità del Rettor Maggiore e la sua funzione (art. 126).

L'identità del Rettor Maggiore, Superiore della nostra Società, è presentata con tre caratteristiche: il collegamento a Don Bosco come suo Successore, il ruolo pastorale come padre, il vincolo della comunione come centro di unità della Famiglia salesiana.

- Successore di Don Bosco.

Nel «Testamento spirituale» di Don Bosco leggiamo: «Prima di partire per l'eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore. Anzitutto vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per l'obbedienza che mi avete prestata... Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e

della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me».11

Queste parole fondano e spiegano la tradizione di vedere e chiamare il Rettor Maggiore «Successore di Don Bosco»: è una maniera concreta di esprimere il vincolo ininterrotto che allaccia al Fondatore e lo rende presente e operante.

- Padre.

Se il Rettor Maggiore è chiamato ad essere «Don Bosco vivo» nella Congregazione e nella Famiglia salesiana, non si può coglierlo nella sua più vera identità se non come PADRE. «Il nostro Fondatore - ha scritto don Rinaldi - non è mai stato altro che Padre... Tutta la sua vita è un trattato completo che viene dalla paternità del Padre celeste... e che il Beato ha praticato quaggiù in grado sommo, quasi unico, E come la sua vita non è stata altro che paternità, così la sua opera e i suoi figli non possono sussistere senza di essa».9 Nel Rettor Maggiore la paternità è la caratteristica essenziale: essa esige bontà, senso di responsabilità, guida nella fedeltà, impegno per la fecondità della vocazione salesiana.

- Centro di unità.

L'unità, che l'art. 122 ci ha indicato tra i principi generali per la vita della nostra Società, ha bisogno di un centro di irradiazione e di convergenza. Questa necessità fu avvertita, sottolineata e richiamata con vigore e continuità dallo stesso Don Bosco, che vedeva nell'unità un elemento di vita basilare e indispensabile per la sua fondazione.

Appena approvata la Congregazione (1869), Don Bosco nella conferenza programmatica, già ricordata altrove, così si espresse: «Perché una Congregazione come la nostra prosperi, è necessario che sia bene organizzata... Una Congregazione religiosa deve, come un corpo umano, constare del capo e delle membra, le une subordinate alle altre, tutte subordinate al capo... Un sol capo si richiede, poiché, essendo

s Dal Testamento spirituale di Don Bosco, cf. Appendice Costituzioni 1984, p. 255-256 o ACS n. 56, 26 aprile 1931, p. 940

come un corpo, se a questo corpo si sovrappongono due o più teste, diventa un mostro».'o

In un discorso in occasione delle conferenze ai direttori -- 3 febbraio 1876 - precisava: «Tra di noi il Superiore sia tutto. Tutti diano una mano al Rettor Maggiore, lo sostengano, lo aiutino in ogni modo; si faccia da tutti un centro unico intorno a lui». E dopo aver riconosciuta la necessaria autonomia nello svolgimento del proprio ufficio, avvertiva: «Ma si abbia sempre lo sguardo rivolto al centro di unità.' 1

È da rilevare come ognuno di questi tre aspetti, nelle Costituzioni rinnovate, è presentato con riferimento non solo alla Congregazione, ma a tutta la «Famiglia salesiana»: è una prospettiva radicata nella storia delle nostre origini e connessa con la valorizzazione e il rilancio della Famiglia salesiana operati dal CGS e costituzionalmente espressi nell'art. 5.

L'insieme di queste tre caratteristiche dà alla figura del Rettor Maggiore una tipica originalità che risale al pensiero, alla volontà e all'esempio del Fondatore.

Dopo aver presentato l'identità del Rettor Maggiore, nel secondo capoverso l'articolo 126 indica il compito principale del suo ruolo: «Promuovere la costante fedeltà dei soci al carisma salesiano per compiere la missione affidata dal Signore alla nostra Società». È illuminante vedere questo compito di animazione e promozione nella luce del primo articolo delle Costituzioni, dove la fedeltà al Fondatore è basata sulla fedeltà allo Spirito, e dell'articolo secondo, che nell'impegno di realizzare il progetto apostolico del Fondatore individua la natura stessa della nostra Società.

2.2 La potestà di governo del Rettor Maggiore (art. 127).

Per attuare il suo mandato il Rettor Maggiore, come Moderatore supremo della Società, riceve da Dio, mediante il ministero della Chiesa, la necessaria potestà di governo.

MB IX, 573 MB XII, 81-82

L'art. 127 dapprima presenta questa potestà in consonanza con il can. 622 del Codice di diritto canonico: si tratta di potestà personale (come spiegato nel commento all'art. 120); ordinaria (cioè connessa per diritto all'ufficio); estesa a tutte le circoscrizioni giuridiche, case e soci della Congregazione, nelle cose spirituali e temporali; da esercitare a norma del diritto comune e proprio.

Vengono poi indicate tre modalità di particolare rilievo dell'esercizio della potestà ordinaria del Rettor Maggiore: la visita alle Ispettorie e alle case, meglio precisata nell'art. 104 dei Regolamenti generali; la convocazione e la presidenza del Consiglio generale; la rappresentanza ufficiale della Congregazione di fronte alla Chiesa e alla società civile.

2.3 Le modalità di elezione del Rettor Maggiore (art. 128).

Il can. 625 §1 prescrive: « ll Moderatore supremo sia designato mediante elezione canonica a norma delle Costituzioni. A questa prescrizione del diritto universale risponde l'art. 128 della nostra Regola, che affida al Capitolo generale la competenza dell'elezione del Rettor Maggiore. È una disposizione che è presente nelle Costituzioni salesiane da Don Bosco ad oggi, e che si fonda soprattutto su due motivazioni: la rilevanza per tutta la Congregazione del ruolo del Rettor Maggiore e l'autorità suprema che ha nella Società il Capitolo generale.

Troviamo invece nell'attuale testo costituzionale una variazione circa la durata del mandato del Rettor Maggiore rispetto alle precedenti norme. II CGS, infatti, ha ridotto tale durata da dodici a sei anni, confermando però la possibilità della rielezione.

Questa modifica è stata introdotta per dare ad ogni Capitolo generale ordinario - che si raduna ogni sei anni l'opportunità di una riflessione sulle esigenze della Congregazione in un determinato momento della storia e sul modo migliore di rispondere anche attraverso l'elezione del Rettor Maggiore, che viene così a coincidere con l'elezione del Consiglio generale.

Stabilita la durata, viene anche precisato che il Rettor Maggiore non può dimettersi dalla sua carica senza il consenso della Sede Apostolica.

2.4 Le condizioni per l'elezione del Rettor Maggiore (art. 129).

Per la prima condizione indicata - la qualifica sacerdotale - valgono le riflessioni fatte a proposito dell'articolo 121.

La seconda condizione risponde alla prescrizione del cari. 623 del Codice di diritto canonico: «Per essere validamente nominati o eletti all'ufficio di Superiore si richiede un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua o definitiva, da determinarsi dal diritto proprio o, trattandosi di Superiori maggiori, dalle Costituzioni». Nell'art. 129 della nostra Regola questo periodo, per il Rettor Maggiore, viene fissato in dieci anni. Cade così la condizione relativa all'età - 40 anni - che era presente nelle Costituzioni anche dopo la revisione del CGS. Si tiene conto dell'età «salesiana»: il CG22 ha ritenuto che dieci anni di professione perpetua - che viene ordinariamente preceduta da sei anni di professione temporanea - siano un criterio giusto e valido.

La terza condizione è un insieme di doti e qualità che sono richieste dall'identità e dal ruolo costituzionale del Rettor Maggiore. Oltre all'esemplarità di vita e all'abilità e prudenza di governo        doti che già erano indicate nelle Costituzioni precedenti il CGS - vengono ora sottolineati l'amore alla Chiesa e alla Congregazione e il dinamismo pastorale. Sono due aggiunte pienamente rispondenti al pensiero di Don Bosco e all'accentuazione ecclesiale e pastorale della vocazione salesiana, presente in tutto il testo costituzionale.

Preghiamo Dio nostro Padre

perché benedica, protegga e guidi

con la forza dello Spirito Santo colui che nella sua Provvidenza

ha scelto come Successore di Don Bosco, Superiore della nostra Società,

padre e centro di unità della Famiglia salesiana.

Perché nella sua vita e nella sua azione

il Rettor Maggiore abbia il dono di continuare in mezzo a noi

la presenza paterna di Don Bosco, preghiamo.

Perché il Rettor Maggiore,

con la collaborazione del Consiglio generale,

abbia luce di sapienza e ricchezza di fede,

per promuovere la piena comunione di tutti i Salesiani e per guidare la Società con coraggio e sicurezza sulla via tracciata da Don Bosco, preghiamo.

Perché il Rettor Maggiore abbia efficacia nella sua opera,

e veda la nostra Società crescere in qualità e quantità, nell'adesione fedele al carisma del Fondatore e con grande apertura alle esigenze delle situazioni

in cui noi dobbiamo realizzare il nostro servizio, preghiamo.

3. IL CONSIGLIO GENERALE (ART. 130-144)

Nel commento all'art. 120 è stato ricordato e brevemente illustrato il can. 627 §1 del Codice di diritto canonico, che dice: «I Superiori abbiano il proprio Consiglio a norma delle Costituzioni e nell'esercizio del proprio ufficio sono tenuti a valersi della sua opera».

Agli articoli sul Rettor Maggiore segue così logicamente la normativa costituzionale circa il suo Consiglio.

Dal punto di vista della storia, si può anzitutto ricordare che nelle Costituzioni dal 1874 fino al 1965 la denominazione usata era quella di «Capitolo Superiore».

Nel 1965 il CG XIX, per uniformare le denominazioni di tutti gli organi della Congregazione, deliberava che il «Capitolo Superiore» prendesse il nome di «Consiglio Superiore», così come il «Capitolo della casa» si sarebbe chiamato «Consiglio della casa». 12

12 Cf. CG XIX, ACS n. 244, gennaio 1966, p. 22

Finalmente il CG22, nella redazione definitiva delle Costituzioni, per una maggior precisione giuridica giungeva all'attuale dizione di «Consiglio generale».

Gli articoli riguardanti il Consiglio generale seguono quest'ordine:

- art. 130-132: natura e competenze

- ari. 133-140: composizione

- ari. 141-144: determinazioni particolari

3.1 Natura e competenze del Consiglio generale (art 130-132).

Il Consiglio generale si configura come un collegio o gruppo di persone13 che, per tutto il tempo in cui dura il mandato dei suoi membri, costituisce un organismo permanente, chiamato a cooperare con il Rettor Maggiore nell'animazione e nel governo della Congregazione.

Ai fini di tale cooperazione vengono assegnati al Consiglio generale tre compiti indispensabili e prioritari per l'animazione della Congregazione.

- Anzitutto l'individuazione e lo studio dei problemi che interessano il bene comune della Società. Più volte, in contesti diversi, le Costituzioni ritornano sulla necessità per il salesiano di avere il senso del concreto, di essere attento ai segni dei tempi, ai bisogni dell'ambiente e della Chiesa, nella convinzione che il Signore si manifesta anche attraverso le urgenze del momento.` L'individuazione dei problemi emergenti nel divenire della storia, per studiarli in vista di una risposta conforme al nostro carisma, a livello di una Congregazione a dimensione mondiale, è un impegno complesso, che esige contributi di conoscenza, di sensibilità, di esperienza, che si integrino e si arricchiscano reciprocamente in spirito di corresponsabilità e con un'ottica di universalità.

-              Un secondo compito è la promozione dell'unione fraterna tra le diverse Ispettorie. Dopo quanto si è detto sul Rettor Maggiore come

-               

Cf. CIC, can. 127

1' Cf., ad esempi a, Cos 17 . 19. 41. 48

centro di unità della Congregazione, risulta evidente l'importanza di questo aspetto nella cooperazione che il Consiglio generale è chiamato a dargli, nei modi e con le iniziative suggerite dalle circostanze, per rendere più sentita l'unione tra le diverse Ispettorie e quindi il senso della comunità mondiale.

Il terzo compito è di ordine organizzativo: la cura di una sempre più efficiente organizzazione del servizio che il Centro è chiamato a rendere alla Congregazione. Estendendo a tutto il lavoro del Consiglio quanto è detto nell'art. 107 dei Regolamenti, l'organizzazione del lavoro implica strutture di studio, di comunicazione, di programmazione, di coordinamento, uffici tecnici, consulte.

L'articolo in esame dà un criterio pastorale per la valutazione delle strutture organizzative. Viene riconosciuta la necessità dell'efficienza, ma questa è chiaramente finalizzata alla missione salesiana nel mondo.

Determinati i compiti principali del Consiglio generale, l'art. 131 passa a indicare alcune modalità della collaborazione dei Consiglieri con il Rettor Maggiore.

La prima è di particolare importanza: dare il proprio parere e voto. Da quanto si è detto in generale sulla natura dei Consigli (Cf. Cost 120. 123) e dalle precisazioni portate dall'articolo costituzionale si deduce:

1) il Rettor Maggiore convoca e presiede il Consiglio, ma propriamente non è parte di esso: egli non vota, ma riceve il consenso o il parere del suo Consiglio;"

2) il Consiglio non è un organo di governo collegiale, in quanto non ha in se stesso potere decisionale; esso deve o può, secondo i casi previsti dal diritto generale e proprio, esprimere il proprio parere o consenso, ma la decisione è un atto giuridico di governo posto in atto dal Rettor Maggiore in forza della sua autorità personale; quando si esige il consenso del Consiglio, è invalido l'atto posto dal Superiore che non richieda il consenso o agisca contro il voto del Consiglio.

15 La Commissione per l'interpretazione del Codice, in data 14 maggio 1985, circa la norma del can 127 §1, ha risposto che quando il diritto richiede per il Superiore il consenso del Consiglio per porre un atto, lo stesso Superiore non ha diritto a dare il suo voto insieme ai Consiglieri, neppure per dirimere l'eventuale parità dei suffragi. Cf. AAS 77(1985), p. 771.

La seconda modalità precisa che i Consiglieri attendono non solo agli impegni ricevuti dal Capitolo generale, ma anche a quelli ad essi assegnati dal Rettor Maggiore. Per questo hanno sede nella Casa in cui dimora il Rettor Maggiore: non è solo un'esigenza per un lavoro efficiente e coordinato, ma un'esigenza di comunione dei Consiglieri con il Rettor Maggiore e fra di loro.

11 can. 627 §2 del Codice di diritto canonico dice: «Oltre i casi stabiliti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è richiesto il consenso del Consiglio, a norma del can. 127».

Nelle Costituzioni salesiane questi casi sono indicati e collocati nel posto ritenuto più conveniente a seconda della materia a cui si riferiscono. Tuttavia l'art. 132 elenca di seguito, per utilità e facilità di consultazione, tutti i casi sparsi nelle Costituzioni, per i quali è richiesto il consenso del Consiglio generale, distinguendoli in tre paragrafi:

- nel primo sono elencati i casi in cui è richiesto il consenso del Consiglio convocato a norma del diritto;

- nel secondo paragrafo sono elencati i casi in cui è richiesto il consenso dei Consiglieri presenti in sede, anche in numero ridotto: si tratta di casi frequenti nell'esperienza ordinaria, la cui soluzione non può essere rinviata senza inconvenienti alle sessioni plenarie (raggruppate ordinariamente in due periodi dell'anno) in cui tutti i Consiglieri sono in sede;

- nel terzo paragrafo è contemplato il solo caso in cui, secondo il diritto universale, il Consiglio generale procede collegialmente assieme al Rettor Maggiore, poiché agisce come «tribunale collegiale»: quando cioè deve procedere alla dimissione di un socio dalla Congregazione." L ovvio che in questo caso vota anche i] Rettor Maggiore.

Altri casi in cui il Rettor Maggiore deve avere il consenso del Consiglio sono indicati dall'art. 106 dei Regolamenti generali.

L'articolo 132 conclude con una indicazione di carattere generale: il Rettor Maggiore sentirà il suo Consiglio nelle altre cose importanti e

`6 Cf CIC, can. 699 jl

ogni volta che lo riterrà opportuno. Non si è ritenuto necessario determinare i singoli casi in cui è richiesto il «parere» del Consiglio. Data l'ampia e precisa determinazione dei casi per i quali si richiede il consenso, il CG22 ha ritenuto che ulteriori precisazioni non avrebbero favoríto la necessaria snellezza e tempestività del governo centrale.

3.2 Composizione del Consiglio generale (art. 133.140).

La composizione del Consiglio generale ha subito nel tempo diverse modifiche sia quanto al numero dei Consiglieri, sia quanto alla definizione dei compiti affidati ai singoli Consiglieri. L'espansione mondiale della Società, l'attenzione ai problemi emergenti nei diversi momenti storici, l'approfondimento di alcuni aspetti della missione salesiana e il. criterio esperienziale sono alla base delle deliberazioni dei diversi Capitoli generali in questa materia. Non è il caso di esporre qui in dettaglio tutti i mutamenti verificatisi; i più significativi saranno messi in rilievo al momento opportuno.

L'art. 133 presenta la composizione dei Consiglio dopo la revisione ultima delle Costituzioni. Ne fanno parte: il Vicario, i Consiglieri incaricati di settori speciali (enumerati nel secondo capoverso) e i Consiglieri regionali.

In merito alla composizione due sono le innovazioni di speciale rilievo.

Anzitutto, a partire dal CG XIX il criterio con cui vengono ripensati e definiti i settori speciali non è più quello delle «opere» (scuole - scuole professionali ed agricole - oratori - aspirantati -- stampa, ecc.) o delle persone (salesiani in formazione - cxallievi - cooperatori, ecc.) ma quello degli aspetti e dimensioni della vita e della missione salesiana che riguardano tutta la Congregazione.

L'individuazione e la descrizione di questi settori sono state oggetto di progressivi approfondimenti dei Capitoli generali XX, XXI e XXII, col fine di chiarire l'aspetto formale che caratterizza la «specialità» di ogni settore e individuare l'area dei compiti e interventi di ciascuno di essi.

Si è giunti così all'attuale formulazione costituzionale dei settori e dei Consiglieri ad essi preposti.

La seconda novità di rilievo è l'inserimento nel Consiglio generale, accanto ai Consiglieri incaricati di settori speciali e con parità di diritto, della figura del Consigliere regionale. Essa, come si accennava, risale al CG XIX, che iniziò una profonda revisione delle strutture di governo centrale e deliberò «ad experimentum» la duplice figura di Consiglieri, senza tuttavia inserire immediatamente la normativa nelle Costituzioni, in attesa di un riesame dell'esperimento da parte del successivo Capitolo generale."'

Il CGS riconosceva, alla luce dell'esperienza fatta, la validità sostanziale della nuova figura e la introduceva nel testo costituzionale. La troviamo ora, dopo l'approvazione del CG22, nella redazione definitiva.

Le motivazioni di questa rilevante innovazione sono così sintetizzate dal Rettor Maggiore: «Le esigenze dell'unità e del decentramento, la promozione del dialogo e della corresponsabilità, la fedeltà all'identità della vocazione salesiana e la sua incarnazione in situazioni, ambienti e culture diversificate, l'accelerazione della storia e i sempre nuovi problemi emergenti in un trapasso epocale che costituisce una sfida costante alla società, alla Chiesa, agli Istituti religiosi: questo il contesto in cui oggi devono operare le strutture di governo. La figura del Consigliere regionale in tale contesto ha un ruolo, per usare l'espressione del CGS, di 'collegamento verticale e di `collegamento orizzontale, che in questi diciotto anni ha reso un servizio di grande rilievo alla Congregazione».i8

Il Vicario del Rettor Maggiore (art. 134)

L'attuale denominazione sostituisce quella anteriore di «Prefetto generale». Il cambio fu introdotto nella revisione postconciliare delle Costituzioni, e si ebbe così uniformità di denominazione ai tre livelli: locale, ispettoriale, mondiale.

La specifica identità del Vicario è di essere «il primo collaboratore del Rettor Maggiore nel governo della Società». Per questo egli ha pote-

" Cf. CG XIX, ACS n. 244, gennaio 1966, p. 21.22 " CG22 RRM, n. 136

stà ordinaria (= non delegatagli dal Rettor Maggiore ma connessa col suo ufficio) vicaria (= esercitata in nome del Rettor Maggiore). In base al Codice di diritto canonico egli è Ordinario religioso e Superiore maggiore39 con i poteri e le facoltà che vengono attribuiti dal Codice a questi uffici ecclesiastici.

Il Vicario «fa le veci del Rettor Maggiore assente o impedito»; ma la sua autorità non si esplica soltanto in tale circostanza, giacché egli ha sempre potestà ordinaria vicaria e, quando è necessario, supplisce l'azione di governo del Rettor Maggiore per tutta la Congregazione.

Al Vicario le Costituzioni affidano in particolare «la cura della vita e della disciplina religiosa». Con ciò non intendono assegnare al Vicario un settore speciale nell'accezione usata per i Consiglieri di settore. Viene piuttosto indicato un aspetto particolarmente importante tra i compiti del Vicario: come primo collaboratore del Rettor Maggiore e per la potestà di governo annessa alla sua carica, egli è nelle migliori condizioni per curare e promuovere la «grande disciplina religiosa» e per intervenire, nelle forme più opportune e nel rispetto delle competenze degli Ispettori, in casi di speciale rilevanza.

Il Consigliere per la Formazione (art. 135)

Il settore della formazione era precedentemente affidato a tre membri del Consiglio: al Direttore spirituale o Catechista generale sotto l'aspetto della formazione religiosa salesiana, soprattutto dei novizi; al Consigliere scolastico generale per il settore dell'istruzione letteraria, scientifica, filosofica e teologica nell'intera Società; al Consigliere professionale generale per la cura della qualificazione dei confratelli coadiutori.

Il CG XIX istituì la nuova figura del «Consigliere per la formazione», conservando però la carica di Direttore spirituale generale con la responsabilità della formazione dei novizi.

Il CGS e il CG21, dedicando un'attenzione tutta speciale al problema della formazione salesiana, hanno ulteriormente precisato la figura del Consigliere per la formazione. Nell'attuale art. 135 delle Costi

'9 Cf. CIC, can. 134 §1; can. 620

tuzioni confluiscono appunto le riflessioni e le conclusioni di questi ultimi Capitoli generali.

Anzitutto viene evidenziata la dimensione unitaria della formazione del salesiano. Maturazione umana e preparazione intellettuale e professionale, approfondimento della vita religiosa e graduale inserimento nell'apostolato sono fattori che la formazione armonizza nell'unità vitale della spirito salesiano. È questo l'elemento unificante che consente di formare autentici educatori e pastori salesiani.20

Un altro dato di rilievo è l'unità della formazione lungo tutte le fasi del processo formativo. Ne deriva l'esigenza che siano presenti in ogni fase i diversi aspetti della formazione salesiana.

Il terzo dato importante è costituito dal Fatto che il processo formativo dura tutta la vita e impegna quindi il salesiano, e con lui la comunità ispettoriale e le comunità locali, ad una formazione permanente e continua, per rispondere alle esigenze sempre nuove della condizione giovanile e popolare.

In questi tre dati abbiamo la chiave di lettura del compito che le Costituzioni assegnano al Consigliere per la formazione: promuovere la formazione integrale (= in tutte le sue dimensioni) e permanente (= nella continuità della vita) dei soci. Si tratta di un compito di grande ampiezza e di decisiva importanza, costituendo la formazione «una delle più indispensabili priorità di futuro».`

La concezione della formazione come un processo unitario e permanente non esclude, anzi accresce, l'esigenza di una particolare sollecitudine della formazione iniziale nelle sue fasi. L'articolo in esame, nel secondo capoverso, precisa gli scopi che questa particolare sollecitudine vuole raggiungere: curare che le varie fasi - per contenuti, studi, metodi, strutture - - garantiscano le condizioni per la crescita della vocazione salesiana. Assume, per questo, speciale rilievo la «Ratio fundamentalis institutionis et studiorum» di cui parla l'art. 87 dei Regolamenti generali.

Da tutto ciò derivano per il Consigliere per la formazione e per il

20 Cf. CG21, 244

Zl Cf. Discorso del Rettor Maggiore alla conclusione del CG22, CG22 Documenti, 87

suo Dicastero (questa parola non si trova nelle Costituzioni, ma è usata nei documenti degli ultimi Capitoli generali) compiti d'informazione, di studio, di orientamento, di contatti e incontri, di coordinamento nei confronti delle comunità formatrici, dei centri di formazione permanente, delle commissioni e consulte ispettoriali e interispettoriali per la formazione.

Il Consigliere per la pastorale giovanile (art. 136)

Fino al CG XIX erano tre i Consiglieri che si occupavano di quest'area, con distinzioni basate essenzialmente sul criterio delle «opere» e delle «presenze»: ad uno erano affidate le scuole umanistiche (compresi gli studi dei Salesiani in formazione); ad un secondo le scuole professionali ed agricole (insieme con la cura dei Salesiani coadiutori); ad un terzo gli oratori e le parrocchie.

Il CG XIX - come già è stato accennato - attribuendo i compiti in seno al Consiglio in base al criterio delle «dimensioni» o «aree» della missione salesiana, affidò a un unico Consigliere tutto il settore della pastorale giovanile e parrocchiale.

Il CGS confermava la figura del Consigliere per la pastorale giovanile, ma riportava le parrocchie nell'ambito di un «Consigliere per la pastorale degli adulti».

L'esperienza e l'ulteriore riflessione conducevano il CG21 ad affidare nuovamente la cura dell'impegno salesiano nelle parrocchie al Consigliere per la pastorale giovanile. E così è rimasto nella redazione definitiva delle Costituzioni.

Per presentare il contenuto dell'art. 136 occorre partire da una considerazione di fondo. Il settore speciale affidato al Consigliere per la pastorale giovanile costituisce l'aspetto che più direttamente rientra nell'identità della vocazione salesiana: «Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione» (Cost 26). Per continuare la missione del Fondatore «educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell'uomo» (Cost 31).

Quest'idea madre, presente in tutto il testo costituzionale, guida a comprendere la figura del Consigliere per la pastorale giovanile.

L'area del suo compito è «l'azione educativa apostolica salesiana,

nelle sue varie espressioni». Rientrano in questa varietà di espressioni sia i contenuti essenziali e le finalità del servizio educativo pastorale della Congregazione (cf. Cost 31-39), sia le attività e le opere attraverso le quali realizziamo la nostra missione, come l'oratorio e il centro giovanile, la scuola e i centri professionali, i convitti e le case per giovani in difficoltà (Cast 42).

Tra queste attività e opere il CG21 ha collocato anche le parrocchie salesiane; può essere utile conoscere i motivi per cui il Capitolo generale ha voluto affidarne la cura al Consigliere per la pastorale giovanile:

è stata sottolineata la necessità e l'importanza di una pastorale comunitaria: l'intera comunità ecclesiale infatti, composta di giovani e adulti, è oggetto e soggetto, destinataria e operatrice di pastorale; la specificità della nostra missione giovanile, che deve realizzarsi nelle parrocchie, è meglio garantita da un unico Consigliere responsabile;

viene pure evidenziato lo stretto legame che deve unire le varie nostre opere pastorali nella comunità ecclesiale: oratori, centri giovanili, scuole, parrocchie 22

Questa impostazione è stata ribadita dal CG22, che ha confermato pure la denominazione di «Consigliere per la pastorale giovanile», per esprimere la priorità giovanile dell'azione salesiana in tutte le nostre opere ecucative e pastorali.

Dentro l'area descritta, l'articolo assegna al Consigliere per la pastorale giovanile anzitutto un compito di animazione e orientamento in una duplice prospettiva: cercare che nelle varie espressioni dell'azione pastorale salesiana sia realizzata la priorità giovanile e ci si ispiri costantemente al Sistema preventivo.

Viene poi indicato un ulteriore importante compito: quello di assistere le Ispettorie nello sviluppo dei loro progetti e impegni pastorali, anche qui con una duplice finalità: perché mantengano fedeltà allo spirito di Don Bosco e perché la loro azione risponda alle esigenze dei tempi e dei luoghi.

_= Cf. CC21, 400

Le tre linee di intervento tracciate - animare, orientare, assistere

trovano lungo tutto il testo costituzionale i contenuti su cui lavorare: educazione, catechesi, associazionismo, iniziazione liturgica, orientamento vocazionale, criteri pastorali e preparazione degli operatori (Cost 3148) sono aspetti diversi di un unico impegno; i Regolamenti generali indicano poi alcune concretizzazioni, tra le quali assume particolare importanza l'elaborazione del progetto educativo ipsettoriale e locale (cf. Reg 4-IO).

È evidente che un lavoro così vasto e complesso richiede che il Consigliere e il Dicastero per la pastorale giovanile facciano rilevamenti e studi per conoscere la situazione giovanile delle varie regioni e per offrire un'adeguata risposta salesiana; propongano obiettivi da perseguire nella qualificazione pastorale delle opere e nello sviluppo delle Ispettorie; creino canali di comunicazione periodica e strumenti di coordinamento e di verifica; offrano sussidi e occasioni di incontri agli organismi pastorali delle Ispettorie.

Sarà perciò indispensabile un collegamento con gli altri Dicasteri e soprattutto con i Consiglieri regionali per un lavoro coordinato e integrato.

Il Consigliere per la Famiglia salesiana e per la Comunicazione sociale (art. 137)

I1 ruolo del Consigliere, descritto in questo articolo, si riferisce all'animazione di due settori pastorali. Anche il commento avrà quindi due parti, dedicate rispettivamente una alla Famiglia salesiana e l'altra alla Comunica/ione sociale.

a. Impegna per l'animazione della Famiglia salesiana.

Il CGS nella sua riflessione sulla natura e missione della Società salesiana, affermava: «I Salesiani non possono ripensare integralmente la loro vocazione nella Chiesa senza riferirsi a quelli che con loro sono i portatori della volontà del Fondatore».` Il CGS apriva così il cammino

33 CGS, 151

alla valorizzazione e al rilancio della «Famiglia salesiana» e ad una maggior presa di coscienza del ruolo che la nostra Società ha in essa: ciò trovava la formulazione costituzionale nell'art. 5 della Regola.

Questo articolo fondamentale, tuttavia, nella revisione operata dal CGS, non aveva una corrispondenza adeguata nelle strutture di governo a livello mondiale. Era infatti responsabile del progetto di rinnovamento il Consigliere per la pastorale degli adulti, il quale, insieme con la cura dell'impegno salesiano nelle parrocchie, aveva l'incarico di promuovere l'organizzazione e le attività dei Cooperatori e degli Exallievi e il collegamento con altri movimenti di ispirazione salesiana .24

Il CG21, dopo la verifica del sessennio precedente, deliberava di esplicitare maggiormente ncll'art. 141 il compito di sensibilizzare ed animare la Congregazione per il ruolo ad essa affidato nella Famiglia salesiana. Modificava perciò, in tal senso, la distribuzione degli incarichi all'interno del Consiglio generale, stabilendo un «Consigliere per la Famiglia salesiana» con la responsabilità primaria di rendere operante l'art. 5 delle Costituzioni.

Ritroviamo ora la medesima impostazione, con le modifiche e i chiarimenti che vedremo, nella redazione conclusiva delle Costituzioni.

Ai fini di una retta comprensione della figura di questo Consigliere, sarà opportuna una precisazione sulla sua denominazione. Non è il Consigliere «della» Famiglia salesiana: questa non ha, allo stato dei fatti, un suo «Consiglio generale», eletto dai gruppi appartenenti alla Famiglia, e non si può quindi parlare di un Consigliere espresso dalla Famiglia salesiana. È invece il Consigliere «per» la Famiglia salesiana: viene eletto dal Capitolo generale dei SDB, è membro del Consiglio generale della Congregazione e il suo mandato è esplicitamente collegato alle particolari responsabilità che la nostra Congregazione ha nella Famiglia salesiana (Cost 5).

Perciò l'art. 137, che esaminiamo, affida al Consigliere come compito primario quello di animare la Congregazione nel settore della Famiglia salesiana. Questo implica che egli si adoperi affinché i Salesiani:

2< Cf. Cosiiluziorei 1972, art. 141

- prendano sempre più viva coscienza di questa realtà carismatica

operante nella Chiesa grazie all'intuizione di Don Bosco,`

- approfondiscano la conoscenza della sua dimensione storico-pa

storale-dinamica; zb

- rispondano con efficacia e concretezza alle responsabilità che per volontà del Fondatore essi hanno nei confronti della Famiglia salesiana.

Ma collegato a questo c'è pure un altro compito affidato al Consigliere: quello di promuovere la comunione dei vari gruppi, rispettando la loro specificità e autonomia.

La comunione è esigita dal carisma, che caratterizza la realtà della Famiglia salesiana (Cost 5).

Di qui l'impegno del Consigliere per irrobustire presso tutti i gruppi il significato, il senso di appartenenza e l'esperienza di Famiglia salesiana, promuovendo iniziative operative di coordinamento, di dialogo, di collaborazione «per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità apostolica», rispettando sempre la specificità vocazionale, gli statuti e l'autonomia dei gruppi.

Infine è affidato al Consigliere un compito di orientamento e di assistenza nei confronti delle Ispettorie, con una finalità ben precisa: affinché nel loro territorio si sviluppino l'Associazione dei Cooperatori salesiani e il movimento degli Exallievi.

Si noti come il compito di animazione ha per oggetto la Congregazione (confratelli e comunità), il mandato di promuovere la comunione è riferito a tutti i gruppi della Famiglia salesiana, mentre l'orientamento e l'assistenza sono rivolti alle Ispettorie, che sono direttamente impegnate dai Regolamenti generali (cf. Reg 36. 38. 39. 147) a interessarsi dei Cooperatori e degli Exallievi. Il particolare riferimento all'Associazione dei Cooperatori e a quella degli Exallievi ha una sua giustificazione. Mentre tutti i gruppi della Famiglia salesiana riconoscono nel Rettor Maggiore il loro centro di unità, i gruppi dei Cooperatori ed Exallievi hanno nel Rettor Maggiore il loro Superiore diretto. Lo svi-

25 CF. CG21, 402

26 Cf, CGS, 151-177

luppo quindi delle loro Associazioni costituisce un dovere particolare e diretto della Congregazione e delle singole Ispettorie nei loro territori.

b. Impegno per la Comunicazione sociale.

Passiamo ora all'altro settore affidato allo stesso Consigliere: la Comunicazione sociale.

Sappiamo che le Costituzioni salesiane, fin dalle sue prime redazioni, indicano tra i fini della Società la stampa e la diffusione dei buoni libri. Ma nelle strutture del governo centrale un incarico specifico per la stampa (insieme con la cura del Bollettino salesiano) venne affidato a un membro del Consiglio Superiore solo nel 1948, dopo che il CG XVI aveva deliberato di portare da tre a cinque il numero dei Consiglieri.

Nel Capitolo generale XIX i suddetti incarichi furono affidati al «Consigliere per la pastorale degli adulti» con una formulazione più adatta ai tempi e più vasta nei contenuti: «curare l'informazione salesiana e gli strumenti di comunicazione sociale».

Il CG22 ha segnato un momento forte di riflessione sull'impegno della Congregazione nel settore della Comunicazione sociale. L'art. 6 delle Costituzioni, come vedemmo, ne sottolinea l'importanza per l'educazione alla fede, che è uno dei fini della Società; l'art. 43 pone la Comunicazione sociale tra le priorità apostoliche della missione salesiana, rifacendosi all'intuizione e all'esempio di Don Bosco.

Questa volontà di rilancio e di attuazione del nostro impegno nell'area della Comunicazione sociale portava il CG22 a considerare la Comunicazione sociale come uno dei «settori speciali», da affidarsi a un Consigliere generale. Non volendo, tuttavia, il Capitolo aumentare il numero dei Consiglieri incaricati di settori speciali e non ritenendo adeguata la soluzione di affidare il settore ad un Segretariato centrale (secondo Reg 108), decise di affidare il settore della Comunicazione sociale allo stesso Consigliere cui veniva attribuito l'impegno per la Famiglia salesiana. Tra i vari abbinamenti possibili, il CG22 ha ritenuto più conveniente unire fra loro questi due settori, benché si tratti di realtà fra loro distinte.

Da questo preambolo storico e da ciò che è espresso nel testo, si capisce facilmente quali siano i principali compiti attribuiti al Consigliere responsabile della Comunicazione sociale.

Anzitutto egli è chiamato ad animare la Congregazione nel settore a lui affidato. Questo comporta una seria presa di coscienza in tutta la

Congregazione e un rinnovato impegno culturale-apostolico nel campo della Comunicazione sociale, attraverso l'assimilazione e l'attuazione degli articoli costituzionali già citati (Cost 6 e 43), che hanno ulteriori indicazioni e integrazioni nei Regolamenti generali (cf. Reg. 6. 31. 32. 33. 82. 142). Nei suddetti articoli si trovano le linee di azione per il Consigliere e il suo Dicastero, al fine di «promuovere l'azione salesiana nel settore della Comunicazione sociale». Ne accenniamo alcune:

promuovere il reperimento e la formazione di animatori ed esperti nella Comunicazione sociale e stimolare la preparazione e l'aggiornamento dei Salesiani, come comunicatori popolari, nel servizio della missione;

preparare dei sussidi adeguati per il rinnovamento dell'azione salesiana nell'uso dei mass-media, come strumenti culturali, educativi e apostolici;

offrire l'assistenza richiesta per l'organizzazione degli uffici ispettoriali per la Comunicazione sociale;

favorire il censimento e l'analisi della presenza salesiana nella Comunicazione sociale;

curare l'ufficio-stampa centrale e gli uffici-stampa ispettoriali. Sono tutti campi d'azione che richiedono un'intesa costante con gli altri Dicasteri, con i Consiglieri regionali e con gli Ispettori.

Insieme con questo impegno primario di animazione e di promozione, l'art. 137 assegna al Consigliere un compito specifico nel coordinare, a livello mondiale, i centri e le strutture che la Congregazione gestisce nel campo della Comunicazione sociale. La gestione di queste strutture resta affidata alla responsabilità e competenza diretta delle Ispettorie. Ma ciò non toglie l'opportunità, per non dire la necessità, di una collaborazione tra i diversi centri, ai fini di un arricchimento reciproco nelle idee, nelle tecniche e nelle iniziative, e quindi di una più efficace presenza salesiana nel settore.

Il Consigliere per le missioni (art. 138)

La cura delle Missioni da parte del governo centrale della Congregazione è rimasta per lungo tempo, si può dire fin dalle origini, affidata al Prefetto (Vicario) generale. Non c'era un articolo costituzionale che determinasse tale competenza; questa era attribuita al Prefetto gene-

rale in base all'art. 69 delle Costituzioni (ediz. 1954) (per il quale gli uffici di ciascun membro del Capitolo Superiore erano distribuiti dal Rettor Maggiore secondo le necessità).

Nel 1947 il Capitolo generale XVI deliberava di portare il numero dei Consiglieri del Capitolo Superiore da tre a cinque. L'anno successivo il Rettor Maggiore nominava due nuovi Consiglieri e affidava a uno di essi l'incarico specifico delle Missioni.

Il CG XIX, tuttavia, nella ristrutturazione del Consiglio Superiore, attribuiva nuovamente la cura delle Missioni al Prefetto generale, introducendo due precise condizioni: per la soluzione dei problemi missionari locali il Prefetto doveva essere coadiuvato dal Consigliere regionale incaricato delle Ispettorie nelle quali si trovavano le Missioni; nel lavoro di organizzazione e di coordinamento doveva operare alle sue dipendenze un Ufficio Missionario Centrale.27

Il CGS, tornando a riflettere sul problema, nelle Costituzioni rinnovate ha inserito tra i membri del Consiglio incaricati di settori speciali il Consigliere per le Missioni, che ritroviamo ora nella redazione definitiva delle Costituzioni, nell'articolo che stiamo esaminando.

Queste considerazioni storiche esigono un rilievo: i ripensamenti e le soluzioni diverse dei Capitoli generali riguardano la struttura più idonea attraverso la quale il Rettor Maggiore e il suo Consiglio possano meglio curare e promuovere l'azione missionaria salesiana. Ma tutti i Capitoli generali, che si sono occupati del tema delle Missioni, sono stati sempre unanimi nel riconoscere che la Congregazione deve vivere e rinnovare costantemente l'ideale missionario di Don Bosco: egli voleva che «l'opera delle missioni fosse l'ansia permanente della Congregazione, in modo da formare parte della sua natura e del suo scopo».28 Questo ideale lo troviamo chiaramente espresso nel presente testo costituzionale tra i Fini della Congregazione (Cost 6) e tra gli articoli che parlano dei destinatari (Cast 30).

L'area di questo «settore speciale» è l'azione missionaria con cui la Congregazione compie un'opera di paziente evangelizzazione e di fondazione della Chiesa in un determinato gruppo umano.29

" Cf. CG XIX, ACS n. 244, gennaio 1966, p. 23

2' CGS, 471: cf. CGXIX, ACS n. 244, gennaio 1966, p. 178 ss

20 CL AG. 6

In quest'area l'art. 138 assegna al Consigliere per le Missioni quattro compiti principali.

Il primo è di promuovere in tutta la Società lo spirito e l'impegno missionario. Don Bosco, come vedemmo, volle la sua Congregazione fortemente missionaria e considerò l'azione missionaria un lineamento essenziale di essa (Cast 34). Conservare, approfondire e accrescere lo spirito missionario è quindi una dimensione della Fedeltà al carisma originario. Attraverso opportuni canali di informazione sulle attività missionarie, sulle storia e sulle grandi figure di missionari della Chiesa e della Congregazione, attraverso la presentazione adeguata della vocazione missionaria, mediante incontri, contatti con gli incaricati ispettoriali, coinvolgimento dei giovani e della Famiglia salesiana, il Consigliere per le Missioni è chiamato ad alimentare il fervore missionario che Don Bosco seppe suscitare all'inizio delle sue imprese. Se sarà autentico, questo spirito missionario porterà ad un'estensione dell'impegno missionario; l'animazione non può non riguardare entrambi i versanti.

Il secondo impegno è di coordinare le iniziative attraverso le quali si esprime e si sviluppa l'interesse missionario, Si tratta di iniziative che, sia nella destinazione di nuovo personale che nel settore economico-finanziario, superano l'ambito ispettoriale e richiedono una visione globale della presenza missionaria salesiana.

Il terzo è un compito di orientamento affinché l'azione nelle Missioni e le iniziative, di cui sopra, rispondano con stile salesiano alle urgenze dei popoli da evangelizzare. Questi due aspetti sono illustrati nell'art. 30 delle Costituzioni, che vede nell'azione missionaria un'opera che deve mobilitare tutti gli impegni educativi e pastorali propri del nostro carisma e richiede dal salesiano la capacità di assumere i valori dei popoli tra i quali lavora.

Gli orientamenti del Consigliere negli aspetti suindicati avranno bisogno di un Dicastero che disponga di organismi di studio, di consulta e di contatto con gli altri Consiglieri incaricati di settori e con i Consiglieri regionali, con gli Ispettori, con le Procure missionarie (cf. Reg 24) e con gli organismi ecclesiali che operano nel settore missionario.

Un quarto compito, infine, affidato al Consigliere, è quello di assicurare la preparazione specifica e l'aggiornamento dei missionari. Le iniziative in tal senso potranno, secondo le opportunità, essere gestite direttamente dal Dicastero, d'intesa con gli Ispettori, oppure promosse

a livelli regionali o ispettoriali. Quello che conta è la promozione di strumenti validi per una pedagogia missionaria, che prepari il missionario a rispondere alle esigenze dell'evangelizzazione oggi.

L'Economo generale (art. 139)

Dalla prima redazione delle Costituzioni ad oggi nel Consiglio generale troviamo sempre incluso l'Economo.

Nell'attuale redazione egli figura tra i Consiglieri incaricati di settori speciali.

Questa dizione può essere applicata all'amministrazione dei beni temporali non tanto come a un'area operativa della missione salesiana, quanto piuttosto come ad una dimensione che è presente in ogni area della nostra missione. Questa infatti è affidata a una comunità di uomini che deve vivere, agire, organizzarsi, istituire ed alimentare attività apostoliche, e quindi ha bisogno di mezzi economici.

Tre compiti, in particolare, vengono attribuiti all'Economo generale.

- Anzitutto egli ha la responsabilità diretta dell'amministrazione di quei beni che non appartengono a una determinata Ispettoria o casa, ma a tutta la Società. In base all'art. 190 delle Costituzioni l'Economo amministra tali beni sotto la direzione e il controllo del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, ai quali rende conto della gestione con regolarità (cf. Reg 192).

- É poi attribuito all'Economo un compito di coordinamento e di controllo delle amministrazioni ispettoriali.

Entrambi gli aspetti di tale impegno mirano ad ottenere che la gestione economico-amministrativa, ad ogni livello, risponda alle esigenze della povertà religiosa e al servizio della missione salesiana. Sono due aspetti che devono caratterizzare la nostra amministrazione dei beni temporali che, mentre mutua dalle amministrazioni civili strutture e metodi, va realizzata con criteri che non possono prescindere dalle norme e dai principi morali di una Congregazione religiosa. E i criteri che diversificano un Istituto religioso da una società industriale o commerciale sono precisamente la povertà personale e comunitaria e l'am-

ministrazione dei beni finalizzata alla missione della Società.-,,,

Per questo l'Economo è chiamato a dare gli opportuni orientamenti, a coordinare iniziative che mirino alla formazione adeguata degli economi, a valutare i progetti di sviluppo edilizio e le altre operazioni di natura economica, a controllare l'adempimento dell'art. 188 delle Costituzioni, a esaminare il rendiconto annuale che le Ispettorie devono inviare in ottemperanza all'art. 192 dei Regolamenti.

- Il terzo compito previsto dall'articolo in esame per l'Economo generale è la vigilanza perché siano osservate le norme necessarie per una retta amministrazione. I criteri sopra indicati richiedono a tutti i gradi un'amministrazione ordinata, trasparente, controllabile, impostata con tecnica moderna proporzionatamente alla sua importanza.

La strutturazione del Dicastero dell'Economato generale, con gli uffici amministrativo, tecnico, patrimoniale, e con altri servizi di vario ordine, vuoi essere un supporto organizzativo che renda possibile ed efficiente il servizio centrale in un settore delicato e indispensabile.

I Consiglieri regionali (art. 140.154.155)

Parlando della composizione del Consiglio generale, si è già messa in evidenza la novità rilevante che con questa figura il CG XIX ha introdotto nella composizione del Consiglio stesso (cf. Cost 133).

L'art. 140 precisa ora il ruolo dei Consiglieri regionali.

Si tratta anzitutto del cosiddetto «collegamento verticale» in vista di una comunione costante e viva tra il centro della Congregazione e le Ispettorie.

Il primo compito dei Consiglieri regionali è infatti quello di promuovere un più diretto collegamento tra le Ispettorie e il Rettor Maggiore e il suo Consiglio.

I Consiglieri regionali sono membri a pieno titolo del Consiglio generale, partecipano abitualmente alle riunioni delle sessioni plenarie del Consiglio, nelle quali si trattano i problemi più rilevanti, si studiano i temi d'interesse generale per la Congregazione, si esaminano e si valutano le relazioni sulle visite straordinarie alle Ispettorie, si procede alle

30 CF. CGS, 726

nomine degli Ispettori, si promuovono le attività. Come Consiglieri, vivono in comunione di vita e in corresponsabilità di lavoro con il Rettor Maggiore e con gli altri membri del Consiglio e acquisiscono una conoscenza della Congregazione a livello mondiale. Sono così in condizione di percepire e animare i grandi valori dell'unità, della comunione, della fedeltà al carisma del Fondatore nelle Ispettorie loro affidate.

D'altra parte i Consiglieri regionali nelle sessioni plenarie danno un contributo di particolare valore al Consiglio generale nell'individuare, studiare, orientare e decidere su aspetti fondamentali della vita della Congregazione. Essi infatti per la conoscenza diretta delle situazioni della loro Regione e per i contatti personali periodici con gli organismi di governo e di animazione a livello ispettoriale e locale e con i singoli confratelli, portano nel Consiglio una peculiare e specifica sensibilità. Si può dire che la complementarità tra unità e decentramento trova nella figura e nel ruolo dei Regionali un'espressione in certo senso personalizzata.

L'opera di promozione che abbiamo descritta non comporta una potestà di governo nei Consiglieri regionali (eccetto nei casi delle visite straordinarie, per le quali ricevono dal Rettor Maggiore un'autorità delegata: cf. Reg 104): il loro compito è di promozione, animazione e collegamento, che non limita le competenze costituzionali dei Superiori ispettoriali e locali e dei loro Consigli (Reg 137).

Un secondo compito dei Consiglieri regionali è evidenziato dalle Costituzioni: è quello di curare gli interessi delle loro Ispettorie. Oltre a quanto è stato detto riguardo al primo compito, qui si afferma che le pratiche riguardanti le Ispettorie trovano nei Consiglieri regionali una mediazione di studio, di illuminazione, di sollecito adempimento. L'espressione «interessi delle Ispettorie» è volutamente generica, per un'interpretazione molto larga e ampia. Ferma restando la possibilità di tutti i Superiori e i confratelli delle Ispettorie di comunicare direttamente col Rettor Maggiore, col Vicario e i Consiglieri di settori speciali, i Consiglieri regionali hanno il preciso impegno di interessarsi di ogni settore della vita e della missione delle Ispettorie, portando nel Consiglio generale la sensibilità ai problemi particolari.

Il terzo compito, conseguente a quanto si è detto e già sufficientemente illustrato, è quello di favorire nel Consiglio generale la conoscenza delle situazioni locali.

Pare opportuno integrare le riflessioni sul «collegamento verticale» (centro-Ispettorie), trattando qui anche del «collegamento orizzontale» che le Costituzioni affidano agli stessi Consiglieri regionali negli art. 154-155.

Per «collegamento orizzontale» si intende il collegamento delle Ispettorie fra loro. A nessuno sfugge quanto questo collegamento sia necessario, sia per la complessità e interdipendenza dei problemi, sia per le molteplici strutture ecclesiali e civili che operano nei diversi settori. Le situazioni spesso superano le possibilità d'intervento di una Ispettoria ed esigono la valorizzazione piena del personale. Sono tutte ragioni valide per istituzionalizzare un collegamento orizzontale, la cui attuazione appunto è affidata ai Consiglieri regionali.

Circa tale collegamento occorre tenere presente la distinzione fra «Gruppi di Ispettorie» e «Conferenze ispettoriali», due forme di raggruppamento che devono favorire l'interscambio. Nei «gruppi di Ispettorie» si può ottenere un certo collegamento orizzontale, ma esso è spesso condizionato da fattori geografici, linguistici, culturali, socio - politici, ecclesiali che possono limitarlo molto. Quando, invece, l'affinità e la comunanza di situazioni permettono ed esigono un collegamento più stretto tra alcune Ispettorie, vengono costituite le «Conferenze ispettoriali».

Una conseguenza di tale distinzione si riflette nella stessa costituzione dei «Gruppi» o delle «Conferenze». La costituzione dei Gruppi è di competenza del Capitolo generale. Questo si spiega anche per il fatto che la composizione e il numero dei Gruppi incide sul numero dei Consiglieri regionali e quindi sulla composizione del Consiglio generale: materia molto delicata questa, che è conveniente affidare alla competenza dello stesso Capitolo generale.

Invece la costituzione delle Conferenze ispettoriali spetta al Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio, dopo aver consultato le Ispettorie interessate. È ovvio che all'interno di un Gruppo di Ispettorie possano essere costituite una o più o nessuna Conferenza ispettoriale. È il criterio di flessibilità e funzionalità delle strutture che in questo caso è determinante.

Troviamo un riflesso di questa distinzione tra «Gruppi di Ispettorie» e «Conferenze ispettoriali» nei Regolamenti generali: per i Gruppi sono descritti più dettagliatamente i compiti dei Consiglieri regionali già previsti dall'art. 140 delle Costituzioni (cf. Reg. 135-137); per le

Conferenze invece vengono precisate la periodicità delle riunioni (almeno una volta all'anno), il Presidente (il Consigliere regionale o un suo delegato), la natura orientativa delle conclusioni (eccetto casi speciali ratificati dal Rettor Maggiore e dal suo Consiglio), i partecipanti e i compiti loro attribuiti (c£. Reg. 139-142).

Per completezza c'è da segnalare il disposto dell'art. 138 dei Regolamenti che prevede la possibilità di staccare da uno o più Gruppi alcune Ispettorie senza costituire un nuovo gruppo affidato a un Consigliere regionale. In tal caso il Capitolo generale può unirle in una Delegazione per la quale il Rettor Maggiore, con il consenso del suo Consiglio e previa consultazione delle lspettorie interessate, nomina un suo Delegato regionale, con gli attributi e i compiti che crederà opportuno affidargli.

Questo Delegato può essere invitato dal Rettor Maggiore ad assistere alle sedute del Consiglio generale, per svolgere adeguatamente i compiti assegnatigli, ma non è membro del Consiglio e quindi non ha diritto di voto.

3.3 Elezione dei membri del Consiglio generale (art. 141.143)

Dopo aver determinato la composizione del Consiglio e il ruolo dei singoli membri, le Costituzioni dedicano tre articoli alle modalità di elezione degli stessi.

L'articolo 141, anzitutto, dispone che i membri del Consiglio generale vengano eletti dal Capitolo generale ciascuno con votazione distinta.

Dagli inizi della Congregazione fino al CGS l'elezione del Prefetto generale, del Catechista generale e dell'Economo generale avveniva con votazione distinta per ognuno di essi. Invece l'elezione dei Consiglieri (prima tre, poi cinque) era fatta con unica votazione: ogni capitolare indicava tre (o cinque) nomi su unica scheda; ai Consiglieri risultati eletti, poi, il Rettor Maggiore affidava gli incarichi secondo le necessità.

Il CGS, tenendo presenti i nuovi criteri che lo avevano guidato nella ristrutturazione del Consiglio (ristrutturazione già iniziata nel CG XIX), ritenne di dover rivedere anche le norme per l'.elezione dei Consiglieri. si è così giunti all'attuale formulazione dell'art. 141.

Due sono le novità di rilievo. L'elezione, come si diceva, avviene con votazione distinta per ognuno. Il Capitolo generale, cioè, li elegge non soltanto come membri del Consiglio, ma con un compito preciso determinato dalle Costituzioni.

La seconda innovazione sta nel dispositivo previsto per l'elezione dei Consiglieri regionali. Anch'essi vengono eletti dal Capitolo generale con votazione distinta per ciascuno. Ma l'articolo in esame indica di eleggere ogni Consigliere regionale preferibilmente su una lista presentata dal rispettivo Gruppo di Ispettorie.

È una soluzione che tiene conto di due dati. Da una parte l'appartenenza dei Consiglieri regionali a pieno titolo al Consiglio generale, che coopera con il Rettor Maggiore nell'animazione e nel governo di tutta la Congregazione, è stata determinante per la decisione del CGS di attribuirne l'elezione a tutto il Capitolo generale.3' D'altra parte i compiti affidati ai Regionali - nel collegamento «verticale» e «orizzontale» - hanno fatto ritenere ragionevole e opportuna una forma speciale di segnalazione e indicazione da parte dei Gruppi di Ispettorie che ad ogni Regionale saranno affidati. Questa indicazione, tuttavia, non è per il Capitolo generale fonte di obbligo, ma offerta di preferenza, suggerita esplicitamente dalle Costituzioni.

Le condizioni richieste perché un socio possa essere eletto membro del Consiglio generale, determinate nel secondo paragrafo dell'art. 141, sono nello spirito di quanto si è detto commentando l'art. 129, riguardante il Rettor Maggiore. Si osserva che per il Vicario è stata aggiunta la condizione che sia Sacerdote, dato che è Superiore maggiore (cf. Cost 4 e 123).

La durala in carica dei membri del Consiglio generale è indicata, sia per i casi ordinari sia per quelli speciali, dall'art. 142, che non presenta novità rispetto alla legislazione precedente.

È invece nuova la disposizione dell'art. 142, introdotta dal CG22, in base alla quale, in caso di morte o di cessazione dall'ufficio del Rettor Maggiore, il Capitolo generale - da convocarsi non oltre nove mesi - procederà all'elezione del Rettor Maggiore e del nuovo Consiglio.

ai CF. CGS, 723

Questo implica che tutti i Consiglieri decadono dal loro mandato quando venisse a mancare il Rettor Maggiore.

La nuova norma è dovuta a due considerazioni.

Si evita, anzitutto, di esser costretti a convocare, entro termine più o meno breve, un Capitolo generale per l'elezione dei soli membri del Consiglio e poi un altro, alla scadenza, per l'elezione del solo Rettor Maggiore.

D'altra parte, è sembrato rispondente alla natura del mandato del Rettor Maggiore e ai compiti del suo Consiglio far coincidere sempre con l'elezione del Rettor Maggiore quella del Consiglio. Il Capitolo generale è così messo in condizione, nell'eleggere i membri del Consiglio, di tener conto della persona con la quale dovranno collaborare nell'animazione e nel governo della Congregazione.

3.4. Tre incarichi particolari.

Dopo gli articoli sul Consiglio generale, troviamo due articoli che si riferiscono a tre incarichi particolari, che interessano tutta la Congregazione.

a. Il Segretario generale (ari. 144).

Il Segretario generale opera a servizio del Rettor Maggiore e del suo Consiglio e, per il suo incarico, in piena comunione con loro.

Il suo ruolo è qualificato dalle Costituzioni come «funzione notarile», per cui la sua firma fa pubblica fede per tutti gli atti ufficiali del Rettor Maggiore e del suo Consiglio. Naturalmente questo comporta la responsabilità del Segretario generale nel provvedere che gli atti siano redatti compiutamente, nella forma e nella sostanza, in conformità con quanto è prescritto dal diritto comune e proprio.32

Il suo ruolo esige che egli intervenga, pur senza diritto di voto, alle sedute del Consiglio: molti infatti degli atti ufficiali sono collegati con l'attività e le votazioni del Consiglio. A lui è affidata la redazione dei verbali delle adunanze consiliari. Si tratta di un compito delicato e -im

ax Cf., per analogia, CIC, can. 484

portante non solo per la regolarità degli atti, ma anche perché detti verbali sono strumento utile di verifica per il Consiglio, fonte di documentazione per le pratiche in corso, servizio alla storia per il futuro.

Delle responsabilità connesse con il ruolo del Segretario generale l'articolo costituzionale ne sottolinea esplicitamente due.

In primo luogo egli cura gli uffici della Segreteria generale (l'ufficio anagrafico statistico, l'ufficio giuridico e il protocollo): essi offrono un servizio indispensabile al Rettor Maggiore, al Consiglio, ai Dicasteri e ai Regionali e, per loro tramite, a tutta la Congregazione. L'organizzazione, il funzionamento, l'efficienza e il continuo aggiornamento di questi uffici sono di competenza del Segretario generale.

L'altra responsabilità affidata esplicitamente al Segretario generale è la cura dell'Archivio centrale, che raccoglie tutti gli atti e documenti riguardanti il governo centrale della Congregazione. Esso risulta diviso in quattro sezioni: l'archivio storico (con la documentazione ordinata e classificata); il deposito (con la documentazione di qualsiasi provenienza, non ancora classificata); l'archivio corrente (con la documentazione schedata provieniente dagli uffici della direzione generale); l'archivio segreto (contenente le pratiche che, per loro natura, devono restare segrete: Cf. can. 489).

Per completezza c'è da segnalare, infine, che l'art. 110 dei Regolamenti affida al Segretario generale la pubblicazione degli «Atti del Consiglio generale», organo ufficiale per la promulgazione delle direttive del Rettor Maggiore e del suo Consiglio e per le informazioni ai soci.

Descritta la figura e il ruolo del Segretario generale, l'articolo dispone che egli venga nominato dal Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio e rimanga «ad nutum».

Data la rilevanza del suo ruolo, egli partecipa al Capitolo generale (Cf. Cost 151).

b. Il Procuratore generale (art. 14.5).

L'articolo 145 conferma quanto era già stato stabilito nelle Costituzioni prima della revisione del CGS circa la figura del Procuratore generale. Il suo compito principale è quello di trattare gli affari della Congregazione con la Sede Apostolica; la sua nomina è di competenza dei Rettor Maggiore col consenso del suo Consiglio; la durata dell'incarico è «ad nutum» del Rettor Maggiore. Si conferma anche la partecipazione al Capitolo generale.

Nella nuova formulazione, tenuto conto di quanto è previsto dal can. 212 del CIC, si aggiunge che egli tratta gli affari della Congregazione con la Sede Apostolica «in via ordinaria». Questo implica che egli presenta, illustra e segue tutte le pratiche che la Congregazione inoltra, a norma del diritto, alla Sede Apostolica e tratta gli affari che intercorrono tra la Sede Apostolica e la Congregazione. É il canale ordinario della comunicazione e dei rapporti, ferma restando la possibilità che il Rettor Maggiore riservi a sé personalmente o affidi ad altri pratiche speciali (cf. Reg 109).

Il nuovo Codice di diritto canonico non parla del Procuratore generale come ne trattava il Codice precedente33 e rimette implicitamente ogni norma al diritto proprio. Di fatto la Sede Apostolica ne riconosce l'incarico a livello di Comunità Mondiale nell'Annuario Pontificio.

Il Procuratore generale esercita il suo ufficio sotto la direzione e alla dipendenza del Rettor Maggiore.

c. Il Postulatore generale (art. 145).

Il secondo comma dell'articolo 145 presenta la figura e il compito del Postulatore generale. Si tratta di una figura, che è esistita di fatto sin dai primi passi del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di Don Bosco e che viene ora inserita, per la prima volta, nel testo delle Costituzioni salesiane.

È stato ritenuto doveroso questo riconoscimento, sia per l'importanza che hanno nella storia e nella vita della Congregazione le cause di beatificazione e canonizzazione dei nostri confratelli e di altri membri della Famiglia salesiana, sia perché si tratta di un incarico ufficiale della Congregazione a livello di Comunità Mondiale, accreditato giuridicamente presso la Sede Apostolica.

I compiti del Postulatore generale sono definiti dalle norme emanate dalla Sede Apostolica.

Nomina e durata dell'incarico sono identiche a quelle del Procuratore generale.

1-1 Cf. CIC 1917, can. 517

Imploriamo la grazia dello Spirito Santo

sui membri del Consiglio generale e sul loro lavoro,

perché la loro opera a bene della nostra Società sia fruttuosa ed essi la possano compiere con zelo e con letizia.

Perché sia dato ai membri del Consiglio generale salesiano

di collaborare in perfetta unità col Rettor Maggiore e tra loro, cercando in lutto il bene della nostra Società e guidandola ad un'azione apostolica sempre più incisiva soprattutto nel campo dell'educazione della gioventù, preghiamo.

Perché i membri del Consiglio generale

siano promotori di un dialogo costante con tutte le Ispettorie e le comunità, svolto con rispetto e con coraggio,

per uno scambio fecondo di idee e di esperienze, preghiamo.

Perché i Salesiani sparsi nel mondo

siano disposti all'ascolto dei suggerimenti e delle direttive che provengono dal Rettor Maggiore e dal suo Consiglio, per collaborare all'unità della Congregazione, pur nel necessario pluralismo delle situazioni, e sia preservato integro lo spirito del Fondatore, nella sua originalità e nella sua cattolicità, preghiamo.

4. IL CAPITOLO GENERALE (ART. 146-153)

Nel capitolo introduttivo alla parte quarta delle Costituzioni è stato sottolineato con insistenza il valore fondamentale dell'unità (cf. Cost 120. 122. 124) «per «salvaguardare nel pluralismo legittimo - il progetto originario del Santo Fondatore 'e mantenere la vita e l'efficacia della Congregazione» .3a

34 CGS, 720

Primo e principale garante di questa unità deve essere il governo a livello mondiale (cf. Cost 120). Ora tra le «strutture di unità» occupa un posto privilegiato il Capitolo generale. Esso è «il principale segno dell'unità della Congregazione nella sua diversità»: così afferma l'art. 146, che apre la sezione costituzionale sul Capitolo generale e ne descrive la natura, principalmente nella sua dimensione spirituale.

4.1 Natura e compiti dei Capitolo generale.

Il Capitolo generale non è primariamente una scadenza costituzionale da osservare, né anzitutto un'assemblea giuridica, in cui predominano le preoccupazioni di ordine canonico o di organizzazione pratica a breve scadenza. Esso è prima di tutto un incontro di fratelli (Cost 146), «segno di unità nella carità».35 É un momento di espressione intensa e di esperienza profonda della Congregazione come «Comunità mondiale» (Cost 59), che si raduna nei rappresentanti di tutte le circoscrizioni e strutture presenti nel mondo. A questo fa riferimento appunto l'art. 146 quando afferma che «per mezzo del Capitolo generale l'intera Società... cerca di conoscere... la volontà di Dio per un miglior servizio alla Chiesa».

Il Capitolo generale è un momento in cui l'ideale della comunità fraterna e apostolica, descritto nel cap. V della Regola, diventa visibile e sperimentabile anche a livello mondiale, non solo per i confratelli capitolari, ma per tutti i membri della Congregazione, che vengono coinvolti nella preparazione (cf. Reg 112) e informati tempestivamente dei suoi lavori (cf. Reg 124). Tutti possono allora partecipare in un modo concreto «della comunione di spirito, di testimonianza e di servizio che la Società vive nella Chiesa universale» (Cost 59).

Questa comunione ha, anche per il Capitolo generale, come fondamento spirituale il mistero della Trinità (cf. Cost 49), come ricorda il secondo capoverso dell'art. 146. I rappresentanti della Congregazione si riuniscono nel nome del Signore e sono guidati dal suo Spirito per discernere la volontà di Dio, nel movimento della storia presente, per un miglior servizio alla Chiesa. Compiono una «riflessione comunitaria»

Il Ctc can. 631

che ha come punti di riferimento prima di tutto il Vangelo, la nostra «regola suprema» (cf. Cost 196), poi il carisma del Fondatore, «principio di unità della Congregazione» (Cost 100), infine la sensibilità ai bisogni dei tempi e dei luoghi, caratteristica del nostro spirito (Cost 19) e criterio che orienta la nostra missione (Cost 41).

Il Capitolo generale è quindi un'assemblea che si dispone a ricevere gli impulsi dello Spinto Santo per permettere alla Società di attualizzare sempre la sua missione secondo le urgenze del momento.

Può essere utile rileggere qui le raccomandazioni fatte dal Rettor Maggiore nella lettera di convocazione del CG22, che mantengono la loro validità anche per il futuro. Il Capitolo generale scrive D. E. Vigano --- «dovrà avere una profonda sintonia con lo Spirito del Signore e muovere la Congregazione a un'attenta riflessione sul momento della storia, la solidarietà con le urgenze del mondo e le necessità dei piccoli e dei poveri, in crescita omogenea con l'identità del progetto iniziale e dei suoi originali valori, suscitati dallo Spirito e destinati a uno sviluppo vitale al di là dei rivestimenti caduchi. Gli aspetti spirituali che dovranno caratterizzare l'evento capitolare sono l'incontro fraterno dei Salesiani che arriveranno dalle più diverse esperienze culturali e apostoliche, la chiarezza radicale della sequela del Cristo, la predilezione pastorale verso la gioventù, il senso di unità vocazionale per cui tutti si sentono chiamati a 'stare con Don Bosco', la riflessione impegnata, spiritualmente libera e convergente, l'apertura personale e la docilità comunitaria allo Spirito Santo come vero protagonista dell'unanimità da costruire nell'Assemblea» .36

Ogni Capitolo generale è «un dono dello Spirito Santo» alla Congregazione e alla Chiesa. I3 un «evento ecclesiale» che ci pone di fronte al Popolo di Dio e al servizio di esso in quanto Salesiani, e un «momento privilegiato di fedeltà alla nostra vocazione».37 «La celebrazione di un Capitolo generale dovrebbe essere in un Istituto un momento di grazia e di azione dello Spirito Santo. Dovrebbe essere un'esperienza gioiosa, pasquale ed ecclesiale che benefica l'Istituto stesso e la Chiesa tutta»,,~

'0 ACS n. 305 (1982), p- 7-8

" Cf. Ivi

38 Cf. Elementi essenziali della vira religiosa, MS, 31-5-1983, n. 51

in questa luce rileggiamo le parole pronunciate da Don Bosco nell'introdurre il primo Capitolo generale della Società nei 1877: «il Divin Salvatore nel santo Vangelo dice che dove due o tre sono congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue di Gesù Cristo. Possiamo dunque essere certi che il Signore si troverà in mezzo a noi, e condurrà Egli le cose in modo che tutte ridondino a sua maggior gloria» .39

L'art. 147 integra il precedente presentando la natura del Capitolo generale nei suoi aspetti giuridici: la sua autorità e le sue competenze. In primo luogo il testo riprende quanto è già stato esplicitato nel l'art. 120 sulle strutture fondamentali della nostra Società: «l'autorità suprema su tutta la Congregazione compete al Capitolo generale» (Cast 124): è un principio confermato anche dal Codice di diritto canonico.40

L'autorità del Capitolo generale è distinta da quella del Rettor Maggiore. Questi, in quanto Moderatore supremo, detiene potestà ordinaria di governo su tutte le Ispettorie, le case e i soci (Cost 127; cf. can. 622); la sua autorità durante il suo mandato è personale, universale e permanente; una successione immediata, come anche la sostituzione da parte del Vicario in caso di morte, assicura la presenza ininterrotta nella Congregazione di tale autorità. Siccome però il Rettor Maggiore viene eletto dal Capitolo generale ed è tenuto ad esercitare il suo ufficio «secondo il diritto», quello universale della Chiesa e quello proprio stabilito dallo stesso Capitolo generale, si può dire che egli sottostà all'autorità superiore del Capitolo generale. Questo, d'altra parte, è essenzialmente un organo di governo «ad hoc»: convocato dal Rettor Maggiore per un tempo determinato (anche se può avere più sessioni), esercita la sua autorità soltanto nel periodo compreso tra gli atti ufficiali di apertura e di chiusura (cf. Reg t 17 e 134). La sua autorità è suprema, perché da esso dipende non solo l'elezione del Superiore generale, ma soprattutto l'emanazione del diritto proprio. Solo il Capitolo generale, infatti, ha l'autorità legislativa per l'intera Società. Al Rettor Maggiore spetta l'interpretazione delle leggi «per la direzione pratica» (cf. Cost 192).

39 MB XIII, 251

+° Cf. CIC, can. 631 §1

Circa i compiti del Capitolo, già l'articolo precedente parlava del suo compito generale, che è quello di riflettere insieme per rimanere fedeli al Vangelo e al carisma salesiano e per rispondere ai cambiamenti culturali e alle nuove esigenze dei destinatari. Il Codice di diritto canonico, con altre parole, afferma che la funzione del Capitolo è di «tutelare il patrimonio dell'Istituto.., e promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi» 41

L'art. 147 specifica questo compito globale evidenziando tre competenze particolari proprie del Capitolo generale:

a. stabilire leggi per tutta la Società

Il Capitolo generale, come si diceva, è l'organo legislativo della Società. Da quando le Costituzioni, redatte dal Fondatore, sono state approvate definitivamente dalla Sede Apostolica (1874) tutte le modifiche della Regola sono state emanate dai successivi Capitoli generali: in modo particolare si ricorderà il CG X del 1904 (dopo le nuove norme della Chiesa sugli Istituti religiosi del 1901), il CG XII del 1922 (dopo la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico nel 1917) e, in seguito al Concilio Vaticano II e su suo mandato, il CGS (1971-72), il CG21 e il CG22, che hanno provveduto alla ristesura del testo costituazionale in base alle direttive conciliari. Anche per il futuro rimane sempre possibile una qualche modifica delle Costituzioni, ma questa compete solo al Capitolo generale, con la successiva approvazione della Sede Apostolica (cf. Cost 148).

Anche i Regolamenti generali, che formano con le Costituzioni un unico corpo normativo e contengono vere leggi di carattere universale, sono di esclusiva competenza del Capitolo generale.42

b, trattare gli affari più importanti della Congregazione

Il Capitolo generale può dare orientamenti dottrinali sulla vita e sulla missione della Congregazione (si vedano, ad esempio, gli Atti dei CGI9, CG20 e CG21), ma può anche deliberare su problemi particolari, obbligandovi tutti i soci e affidandone l'esecuzione fedele al Rettor Maggiore con il suo Consiglio o ai Superiori di altri livelli. Queste deli

· CIC, can. 631 § 1 42 Cf. Introduzione ai Regolamenti generali p. 955 ss

berazioni devono essere conformi allo spirito delle Costituzioni, come dice l'art. 148, e venire promulgate dal Rettor Maggiore per ottenere forza vincolante in Congregazione.

c. eleggere il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio generale

E un atto di massima responsabilità dinanzi alla Congregazione, da prepararsi con la preghiera e attuarsi con spirito di fede (cf. Reg 127). La procedura è stabilita dall'art. 153 delle Costituzioni: la maggioranza richiesta è quella assoluta e si possono avere al massimo quattro scrutini. Altre precisazioni procedurali si trovano nei Regolamenti generali (cf. Reg 126-133).

4.2 Frequenza di convocazione.

La frequenza ordinaria di convocazione del Capitolo generale è sessennale (Cast 149), come pure il mandato del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale, che vengono eletti dal Capitolo generale (cf. Cost 128 e 142). Questo ritmo sessennale può essere modificato nel caso di cui parla l'art. 143 delle Costituzioni: quando cioè il Rettor Maggiore muore o cessa dal suo ufficio durante il mandato (cf. Cost 142), per cui occorre procedere ad una nuova elezione sia del Rettor Maggiore che del suo Consiglio.

La convocazione di un Capitolo generale straordinario è possibile quando una grave ragione lo richiede, a giudizio del Rettor Maggiore, il quale però deve ottenere il consenso del suo Consiglio. Non è più richiesto nel nuovo Codice l'intervento della Sede Apostolica.

4.3 La composizione del Capitolo generale.

In base alla sua natura, sopra descritta, il Capitolo generale deve avere una composizione tale che sia rappresentativo dell'inlero Istituto.` A questa disposizione corrisponde pienamente quanto stabilisce l'articolo 151 delle Costituzioni.

In questo articolo vengono elencati dapprima i membri «ex officio» o di diritto: il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio generale (sia

41 Cf. CIC, can. 631 §1

quelli uscenti sia i neo-eletti durante lo stesso Capitolo), i Rettori Maggiori emeriti, il Segretario generale, il Procuratore generale, il Regolatore del Capitolo generale, gli Ispettori e i Superiori delle Visitatorie (gli uni e gli altri eventualmente sostituiti dai rispettivi Vicari). Poi vengono i delegati eletti tra i professi perpetui nelle varie circoscrizioni della Congregazione.

Questa composizione assicura anzitutto la presenza di tutto il governo centrale ordinario della Congregazione nella persona del Rettor Maggiore e del suo Consiglio.

Inoltre ogni circoscrizione ordinaria (Ispettoria o Visitatoria) viene rappresentata almeno da due confratelli: il rispettivo Superiore e un delegato eletto dal Capitolo ispettoriale. Altre eventuali circoscrizioni giuridiche mantengono il diritto di inviare un loro rappresentante eletto al Capitolo generale, secondo norme definite nel loro decreto di erezione (Cf. Cast 156; Reg 114).

Per assicurare poi la prevalenza del numero dei Capitolari eletti rispetto al numero dei membri partecipanti di diritto al Capitolo generale, nel nostro diritto è stata codificata la procedura dell'elezione dei delegati secondo il criterio quantitativo, ossia in base a una certa proporzionalità rispetto al numero dei confratelli presenti nelle Ispettorie: deve esser presente un delegato eletto dai Capitoli delle Visitatorie e di ogni Ispettoria con meno di 250 professi; due delegati per ogni Ispettoria con 250 o più confratelli (cf. Reg 114). Questa procedura venne introdotta in vista del CGS dal Rettor Maggiore con il suo Consiglio, con l'autorizzazione della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari. In base all'esperienza positiva fu mantenuta e confermata dai Capitoli generali come norma valida per il futuro- Essa è da considerarsi anche come un'ulteriore applicazione concreta del principio della partecipazione dei confratelli alla scelta dei responsabili di governo e alla elaborazione delle loro decisioni, «secondo le modalità più convenienti»

(Cast 123). Mentre si aumenta la voce dei confratelli, con questa procedura non si compromettono né si rendono troppo difficili, per il numero eccessivo dei componenti, la funzionalità e l'efficacia dell'assemblea capitolare e si adotta la massima semplicità possibile nella tecnica delle elezioni."

°a Cf. ACS n. 259, dicembre 1969, p. 8-9

Un'ultima osservazione riguarda la presenza significativa delle due componenti complementari della vocazione salesiana: quella clericale e quella laicale (cf. Cost 4. 45) al Capitolo generale. 13 evidente, innanzitutto, che ogni «capitolare» rappresenta tutti i confratelli della sua Ispettoria o Visitatoria, siano essi coadiutori, diaconi o preti. Ma in vista di una valorizzazione della presenza dei confratelli laici accanto ai chierici, già il CG21 aveva formulato il seguente orientamento: «nella elezione dei delegati dell'Ispettoria per il Capitolo generale, i membri del Capitolo ispettoriale tengano presente la possibilità di scegliere loro rappresentanti anche tra i confratelli coadiutori, soprattutto quando l'Ispettoria ha il diritto di mandare più di un delegato al Capitolo generale».¢$ Questo orientamento è stato ripreso dal CG22 nel nuovo articolo regolamentare 169, che sottolinea la convenienza che i Capitoli e i Consigli esprimano nella loro composizione tale complementarità di laici e chierici, propria della nostra Società.

4.4 Norme di funzionamento del Capitolo generale.

II diritto proprio deve comprendere anche le norme che determinano la procedura dei lavori capitolari e delle elezioni.4ó Nel nostro diritto le norme principali si trovano nelle Costituzioni (Cost 150.152.153) e nei Regolamenti generali (Reg 111-134). Altre norme sono fissate nel regolamento interno che ogni Capitolo generale stabilisce all'inizio dei suoi lavori: queste sono vere deliberazioni capitolari e fanno parte quindi del nostro diritto, anche se di per sé hanno la loro validità solo per la durata del Capitolo generale.

Conviene citare brevemente, oltre a quelle già accennate, alcune delle norme di funzionamento presenti nelle Costituzioni e nei Regolamenti generali:

- la validità degli atti richiede la presenza di almeno due terzi dei membri (Cost 152); questa norma vale sia per una riunione elettiva sia per quella decisionale; si noti che il nostro diritto richiede la presenza di

45 CG21, 210

4s Cf. CIC, can. 631 §2

una maggioranza qualificata, mentre per il diritto comune della Chiesa basta quella assoluta '47

- una deliberazione capitolare ha forza di legge quando viene approvata dalla maggioranza assoluta, con eccezione delle modifiche al testo delle Costituzioni, per cui si richiede la maggioranza qualificata di due terzi in base al valore tutto particolare che ha per noi il codice fondamentale (Cost 152 e 191); si osservi che il computo della maggioranza si fa non più sui voti validi, come nella precedente legislazione, ma sui presenti aventi diritto di voto.411

-- non solo le Ispettorie e le comunità locali, ma ogni socio ha il diritto di far pervenire al Capitolo generale i propri desideri e proposte (Reg 112). Questa facoltà così ampia è un altro esempio di applicazione del principio di partecipazione responsabile ed effettiva di tutti i membri (Cost 123) a «cosa di massima importanza per la nostra Congregazione».`»

- lo stesso principio viene applicato ancora nell'insistenza sul dovere, da parte di chi esercita l'autorità, di favorire un'informazione adeguata sui lavori del Capitolo generale (Cast 124): prima del Capitolo, comunicandone ai soci il luogo, la data e lo scopo principale (Reg 111); durante il Capitolo, dando tempestive ed esaurienti comunicazioni sull'andamento dei lavori (Reg 124); compiute le elezioni, rendendone noto immediatamente l'esito (Reg 133).

- ancora nello stesso contesto si stabilisce: il Rettor Maggiore presenterà all'inizio del Capitolo una relazione generale sullo stato della Congregazione (Reg 119). Questa relazione impegna la responsabilità del Rettor Maggiore nel suo insieme e nei giudizi particolari, ma alla sua stesura collaborano evidentemente i membri del suo Consiglio, che lo hanno assistito durante il suo mandato. Tale relazione è oggetto di studio e di approfondimento da parte dell'Assemblea, anche tramite un dialogo con il Rettor Maggiore stesso, per sviluppare la coscienza della comunità mondiale, per percepire e individuare i nodi problematici, i bisogni e le esigenze della Congregazione, per misurare il livello della

47 Cf. CIC, can. 119 n. 1-2 aa Cf_ CIC, can. 119 d0 MB XIII, 250

nostra maturità e della nostra genuinità apostolica e per discernere gli orientamenti e gli impegni per il futuro.-"' È chiaro che questo documento può essere, anche dopo la chiusura del Capitolo generale, un valido strumento di riflessione personale e comunitaria sulla Congregazione, «qualis esse debet et qualis esse periclitatur», utile per corresponsabilizzare e animare tutti i confratelli nella realizzazione della comune vocazione (cf. Cost 123).

 

 

Preghiamo per il Capitolo generale,

segno principale dell'unità della Congregazione nella sua diversità, perché sia docile allo Spirito Santo

•   diventi strumento per prolungarne e propagarne l'opera nel corso del tempo e nel mutare degli eventi.

Perché i membri del Capitolo generale

abbiano sempre consapevolezza del proprio compito

•   si muovano in clima costante di preghiera, nella ricerca della volontà di Dio, quanto alle persone dei Confratelli

· allo sviluppo della nostra missione, preghiamo.

Perché i membri del Capitolo generale siano illuminati in tutte le scelte che devono operare, in particolare nella scelta del Rettor Maggiore

· dei suoi più immediati collaboratori, preghiamo.

Perché il lavoro del Capitolo generale

conduca a decisioni che favoriscano l'armonia tra i Confratelli

•   che promuovano una maggior efficacia della nostra opera, alla maggior gloria di Dio

·  a bene dei giovani e dei poveri, preghiamo.

50 Cf. CG22, RRW Introduzione, p. 5.6

CAPITOLO XII

SERVIZIO DELL'AUTORITÀ NELLA COMUNITÀ ISPETTORIALE

«Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come responsabili a pascere la Chiesa di Dio, che Egli si é acquistata con il suo sangue- (At 20,28}.

E evidente la comunanza di pensiero con la citazione riportata nel capitolo precedente. Ma è proprio di questo passo richiamare quel »testamento spirituale» di Paolo (Atti 20,17-38), che merita essere il documento base di ogni esercizio di autorità nella comunità.

Anzitutto è la stessa figura di Paolo a rendere testimonianza, mediante la forza della personale confessione, davanti agli anziani della Chiesa di Efeso: rivela la sua umiltà, che è benignità e tenerezza verso tutti, allude alle prove subite, in previsione di doverne subire di peggiori, eppur sempre nella fedeltà alla predicazione del Regno di Dio (20, 18-25), con totale disinteresse materiale (20, 33-35). In sintesi egli può dire: «Non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio» (20,27).

L'esortazione ai capi della comunità altro non è che l'invito a proseguire l'azione pastorale di Paolo: la cura attenta del gregge, che è anche vigilanza perché si aggirano lupi rapaci (richiama il linguaggio giovanneo del buon Pastore: cf. Gv 10); la cura di chi sente affidati a sé dallo Spirito coloro di cui è stato costituito pastore: la consapevolezza oltremodo responsabilizzante che 'proprietario' legittimo, unico Pastore è Gesù Cristo Crocifisso (20,28).

Non tralasceremo di notare l'ecclesialità di questo servizio pastorale («pascere la Chiesa di Dio»), non riducibile soltanto ai Vescovi o a chi lavora nelle strutture parrocchiali. Ma che riguarda chiunque. in comunione con il Vescovo e la Chiesa locale, fa da guida pastorale a una porzione del Popolo di Dio. Tanto più, si potrebbe dire, chi, come l'autorità ispettoriale, ha una specifica responsabilità nel concreto delle Chiese locali.

Secondo l'ordine adottato per la parte quarta, dopo il capitolo sulle strutture a livello mondiale segue quello sulle strutture ispettoriali.

Tale collocazione concorda pure con il ruolo specifico dell'Ispettoria di fare da ponte tra le comunità locali e la comunità mondiale, che è la Congregazione intera.

L'ispettoria «unisce» in una comunità più vasta diverse comunità locali (Cost 157) ed «esprime» la fraternità dei suoi confratelli con quelli di altre Ispettorie e di tutta la Congregazione.'

L'ordine interno del capitolo corrisponde a quello del capitolo precedente, con questa differenza, tuttavia, che prima di trattare del Superiore-Ispettore, del Consiglio ispettoriale e del Capitolo ispettoriale, si trovano alcuni articoli che concernono la divisione della Società in varie circoscrizioni giuridiche a sé stanti.

Pertanto il capitolo si presenta con la seguente articolazione:

Le circoscrizioni giuridiche.

-          la competenza di erigerle, definirle, sopprimerle: - art. 156

-          l'Ispettoria: art. 157

- la Visitatoria: art. 158

le Delegazioni ispettoriali: -art. 159

 l'ascrizione dei soci a una circoscrizione: art.160

2. L'Ispettore:

-          figura e compiti: art. 161

-           - nomina e potestà: art. 162

-           - durata in carica: art. 163

3. Il Consiglio ispettoriale:

- compito generale e composizione: art. 164

-          casi in cui è richiesto il consenso del Consiglio art 165

-           - condizioni per la nomina dei Consiglieri: art. 166 - designazione e durata in carica: art. 167

' Cf. CGS, 512; Cast 58

- il vicario dell'Ispettore: art. 168 l'economo ispettorialc: art. 169

4. Il Capitolo ispettoriale:

- natura e autorità: art. 170

- competenze: art. 171

- frequenza: art. 172

- composizione: art. 173

- voce attiva per l'elezione dei delegati: art. 174

II commento che segue riguarda le singole quattro sezioni nella loro globalità, sottolineandone alcuni contenuti, senza fermarsi sui singoli articoli.

I. LE CIRCOSCRIZIONI GIURIDICHE (ART. 156.160)

Siccome il Codice di diritto canonico richiede che le Costituzioni indichino quali sono le «circoscrizioni giuridiche» ed a chi spetta di costituirle,2 il capitolo si apre con una sezione dedicata a trattare di questo argomento nella sua generalità.

1.1 Circoscrizioni giuridiche e aserizione ad esse.

Un primo articolo, di carattere generale, afferma che la divisione della Società in circoscrizioni è di competenza del Rettor Maggiore con il suo Consiglio e che, in via ordinaria, la Società si articola in Ispettorie e Visitatorie (Cost 156).

Al Rettor Maggiore viene conferita un'ampia facoltà di intervenire al riguardo per poter venire incontro alle esigenze della Congregazione sparsa nel mondo; ma, nella prassi ordinaria, si deve tener conto di quanto lo stesso Codice di diritto canonico prescrive circa il governo di

1 Cf. CIC, can. 581

una «Provincia» o di una «parte dell'Istituto ad essa equiparata»: tali circoscrizioni sono governate da un «Superiore maggiore», che ha potere ordinario, proprio o vicario.3

I due tipi di circoscrizione indicati dal Codice corrispondono nel nostro diritto proprio rispettivamente all'Ispettoria, già introdotta da Don Bosco stesso fin dal 1879, quando l'espansione della Congregazione richiese una divisione territoriale ,4 e alla Visitatoria, contemplata già nei nostri Privilegi, come pure nelle Costituzioni anteriori al CGS.S Nella revisione operata dal CG22 la Visitatoria è stata inserita ufficialmente accanto alla Ispettoria.

Le «Delegazioni direttamente dipendenti dal Rettor Maggiore», che erano state stabilite dal CG21, non sono più ritornate nel testo definitivo perché riguardavano «parti equiparate a una Provincia», come constava da tutta la loro struttura (unione di più case, Superiore con Consiglio, Capitolo proprio, Superiori locali con i rispettivi Consigli), e richiedevano quindi un Superiore con potestà ordinaria e non solo delegata. Difatti, in seguito all'approvazione e promulgazione delle Costituzioni, il Rettor Maggiore ha soppresso le Delegazioni direttamente da lui dipendenti e le ha costituite in Visitatorie s ad eccezione della Casa generalizia, la quale, essendo una comunità sola e non una parte equiparata a una Provincia, è stata posta alle dirette dipendenze del Rettor Maggiore.'

Nelle nuove Costituzioni viene anche precisata l'appartenenza dei singoli soci a una determinata circoscrizione giuridica (Cost 160). Per la sua professione religiosa dopo il Noviziato il socio non viene solo incorporato nella Società salesiana (cf. Cost 59 e 107), ma anche ascritto a quella circoscrizione giuridica per il cui servizio ha chiesto di essere ammesso. Questa espressione è stata scelta appositamente perché non sempre l'ispettore che ammette il candidato alla professione l'ascrive pure alla sua Ispettoria (come, ad esempio, nel caso dei Noviziati interispettoriali).

s Cf. CIC, can. 620

a Cf. MB XIV, 41-42; cf. anche T. VALSECCHI, Origine e sviluppo delle Ispettorie salesiane, in RSS n. 3, luglio-dicembre 1983, p. 252-273

5 Cf. Costituzioni 1966, art. 83

Cf. ,4CG n. 312 (1985), p. 51-55

Ivi, p. 50-51

Un trasferimento temporaneo o definitivo da una circoscrizione ad un'altra rimane sempre possibile; le autorità competenti e le modalità procedurali vengono precisate nei Regolamenti generali (cf. Reg 151). Ivi si trova pure un articolo apposito sull'ascrizione di un confratello a una determinata casa salesiana (Reg 150), che diventa così a tutti gli effetti giuridici il suo domicilio religioso."

Un ultimo elemento che merita di essere messo in rilievo è che anche per l'erezione o modificazione delle circoscrizioni giuridiche viene applicato esplicitamente il principio della partecipazione e corresponsabilità (Cost 123): il Rettor Maggiore consulterà ampiamente i confratelli interessati prima di prendere una decisione (Cost 156). Lo stesso vale per il caso del trasferimento di un socio ad un'altra circoscrizione: anche in tal caso l'Ispettore dovrà udire il confratello interessato.

1.2 L'Ispettoria.

Per l'Ispettoria si è mantenuto, almeno per il testo ufficiale in lingua italiana, il termine scelto appositamente da Don Bosco stesso, a cui corrisponde il nome di «Ispettore» per il Superiore a capo di questa circoscrizione (Cost 161).9

Mentre l'art. 58, nella parte seconda, considerava l'Ispettoria soprattutto sotto l'aspetto di comunità fraterna e apostolica, che sostiene e promuove, unisce e crea solidarietà, nell'art. 157 l'accento è posto sulla struttura apostolico-religiosa e sulla entità canonica, che gode dell'autonomia che le compete secondo le Costituzioni.

«L'Ispettoria -- dice il testo -- unisce in una comunità più vasta diverse comunità locali»: è caratteristico dell'Ispettoria di collegare le comunità locali in un'unità più ampia, secondo un progetto apostolico unitario che traduce nel concreto delle Chiese particolari la missione dell'intera Società.

L'Ispettoria è tipicamente una «struttura di mediazione»: da una parte, essendo incarnata in un territorio e in una Chiesa locale, essa è erede del senso del concreto che guidò Don Bosco nell'adattarsi alle si-

a Cf. CIC, can. 103 9 Cf. MB XIII, 280

tuazioni sociali ed ecclesiali che mutano; d'altra parte, la comunità ispettoriale richiama costantemente all'unità con la comunità mondiale, facendo sentire l'appartenenza al corpo della Congregazione e stimolando a un permanente confronto di fedeltà a Don Bosco. «Nessuna comunità ispettoriale -- scrisse il Rettor Maggiore D. L. Ricceri - è veramente leale con i suoi membri se non li conduce più in là di se stessa, nell'unità della Congregazione mondiale».1°

Notiamo che, pur precisando aspetti canonici, le Costituzioni sottolineano ancora (come già nell'art. 58) che tale struttura è al servizio della comunione e della missione apostolica nelle Chiese particolari.

Nell'articolo viene anche ripresa l'idea, già espressa rlnÌl'articolo 120 (cf. il commento fatto a proposito del termine «si configura»), che l'Ispettoria incarna in un determinato territorio «la vita e la missione» della Congregazione, ossia il nostro carisma, l'identità della nostra vocazione. Ci devono essere «le condizioni necessarie e sufficienti» per realizzare tale compito, afferma l'articolo, e indica così un criterio generale per l'erezione di una Ispettoria, che rimanda di fatto ad altri criteri più specifici, come a quelli per l'azione salesiana (cf. Cost 40-43), a quelli per l'aspetto comunitario della missione (cf. Cost 44, come pure Cast 58, già ricordato sopra), o, infine, a quelli per l'inserimento nell'ambiente sociale (cf. Cost 7) ed ecclesiale (cf. Cost 48).

1.3 La Visitatoria.

La Visitatoria, come «parte equiparata», è affine ad una Ispettoria (Cost 158). Per questa circoscrizione si è voluto mantenere la denominazione già presente nel nostro diritto proprio (vedi i «Privilegi» dati alla Congregazione).

Essa viene costituita quando non si presentano le condizioni necessarie e sufficienti per erigere una Ispettoria. Vengono indicati alcuni motivi che possono impedire l'erezione di un'Ispettoria, come la scarsità del personale, l'insufficienza di mezzi finanziari; ma vi potrebbe essere anche qualche altra ragione per l'erezione di una Visitatoria, come

10 ACS n. 272 (1973), p. 21

ad esempio il fatto che non vi sia tutta la gamma della missione salesiana, ma solo un servizio specifico (è il caso della Visitatoria dell'Università Pontificia Salesiana).

D'altra parte la situazione geografica, il numero delle case o dei confratelli o altre circostanze (socioculturali, politiche ecc.) possono esigere che un- raggruppamento di case venga trattato come un'entità a sé stante, cioè come una parte da equipararsi a una Provincia.

La Visitatoria potrà successivamente svilupparsi in modo tale da rispondere a tutte le condizioni per diventare Ispettoria (per esempio in seguito all'aumento del personale e allo sviluppo della presenza salesiana in un determinato territorio); ma può anche rimanere tale a lungo termine, finché perdura il motivo per cui è stata costituita (il servizio specifico, ad esempio, che le è stato affidato).

1.4 La Delegazione ispettoriale.

La Delegazione ispettoriale (Cast 159) non è una circoscrizione giuridica della Congregazione, ossia una parte giuridicamente autonoma, ma è e rimane una parte integrante di una Ispettoria.

Si tratta qui di un gruppo di comunità che, in seno a una Ispettoria si trovano in una situazione comune particolare (per esempio, in una zona lontana, in un'altra nazione, con un'altra lingua, in un territorio missionario in senso stretto, ecc.), ma non realizzano i requisiti per diventare una circoscrizione giuridica (Ispettoria o Visitatoria) a sé stante. La costituzione della Delegazione è di competenza dell'Ispettore, il quale continua ad essere il Superiore maggiore ordinario a tutti gli effetti. Egli nomina un suo Delegato con i poteri che crede opportuno conferirgli. Siccome però un giudizio su tali situazioni può avere aspetti che superano gli interessi ispettoriali e coinvolgono la Congregazione (cf. Cost 156), si richiede, sia per la costituzione della Delegazione che per la nomina del Delegato da parte dell'Ispettore, l'approvazione del Rettor Maggiore.

2. L’ISPETTORE (ART. 161-163)

 

2.1 Figura e compiti.

Già nelle parti precedenti si è parlato della figura e dei compiti dell'Ispettore. In particolare nell'art. 44, che trattava della missione comunitaria, l'Ispettore è stato presentato come «animatore del dialogo e della partecipazione», che guida il discernimento pastorale della comunità ispettoriale in vista dell'attuazione del progetto educativo-pastorale comune. Nell'articolo 58 sulla comunità ispettoriale, anche se non viene nominato esplicitamente, è evidente che l'Ispettore in primo luogo è il responsabile per la realizzazione degli impegni che sono ivi elencati. Possiamo dire che tutto il contenuto di quell'articolo viene riassunto nell'articolo 161, dove si afferma che il servizio dell'Ispettore mira alla «formazione di una comunità fraterna ispettoriale».

L'Ispettore è prima di tutto animatore e pastore della sua comunità ispettoriale. Egli «svolge il suo servizio... con carità e senso pastorale» (Cost 161). La sua azione animatrice riguarda «la vita religiosa e l'azione apostolica» della comunità ispettoriale, cioè tutta l'identità vocazionale salesiana come è stata descritta nella prima e seconda parte delle Costituzioni; mentre ha pure una responsabilità particolare in rapporto alla formazione di tutti i soci (cf., per la formazione permanente, Reg 101), ma specialmente dei novizi e dei giovani confratelli (Cost 161).

Come animatore e pastore egli deve essere vicino ai suoi confratelli per conoscerli, seguirli, incoraggiarli, unirli: «Un padre il quale ha per ufficio di aiutare i suoi figlioli a far andare bene i loro negozi, e quindi li consiglia, li soccorre, insegna loro il modo di trarsi d'imbarazzo nelle circostanze critiche».11 Per questo i Regolamenti dicono che «l'Ispettore procurerà di avere frequenti incontri personali con i confratelli in spirito di servizio e di fraterna comunione» (Reg 146). Una volta all'anno farà la visita ispettoriale a ciascuna comunità, compiendo con i singoli confratelli e con l'intera comunità una verifica accurata circa il

" 1 Capitolo generale 1877, MB XIII, 281

modo di realizzare l'identità vocazionale (Reg 146). Un'attenzione particolare avrà poi per i Direttori, con i quali manterrà un contatto frequente (Reg 145).

La sua attenzione si estende anche ai gruppi della Famiglia salesiana (Reg 147) e ai collaboratori laici (Reg 148): è questa, oggi, una esigente responsabilità!

La sua presenza nell'Ispettoria deve essere appunto quella dell'anima nel corpo, una presenza continua e vigile, comprensiva e amorosa, orientatrice e conduttrice.

Si può qui ricordare quanto il Codice di diritto canonico dice dei Superiori religiosi come animatori e guide dei propri fratelli: «I Superiori... insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa. Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della Parola di Dio e li indirizzino nella celebrazione della sacra liturgia».1» Il Codice accenna chiaramente al ministero di insegnamento che il Superiore è chiamato a esercitare: egli - dice il documento «Mutuae relationes» --- ha «la competenza e l'autorità di maestro di spirito in relazione al progetto evangelico del proprio Istituto»: 13 l'Ispettore è chiamato ad essere «maestro» anzitutto con la sua vita, ma anche mediante la sua parola orientatrice e stimolante. Accanto a tale compito non va poi dimenticato quello tanto importante per un Ispettore salesiano, che ha in Don Bosco il suo modello, della «santificazione» dei fratelli. A questo livello si manifesta in modo particolare la grazia dei ministero sacerdotale dell'Ispettore: nella celebrazione dei Sacramenti, specialmente della Riconciliazione e dell'Eucaristia, egli porta ai fratelli il dono dello Spirito e guida la comunità ispettoriale al compimento perfetto della volontà del Padre.

Messi in evidenza questi aspetti essenziali, le Costituzioni sottolineano che l'Ispettore «anima governando». Egli è il Superiore della sua comunità: a lui è stata conferita dalla Chiesa un'autorità personale specifica: «Esercita su tutte le case e i soci dell'Ispettoria potestà ordinaria in foro interno ed esterno a norma delle Costituzioni e del diritto» (Cost 162).

' z CIC, can. 619 " MR, 13

La sua potestà, sia quella ordinaria ecclesiastica di governo o di giurisdizione sia quella cosidetta «dominativa»,'¢ è connessa al suo ufficio per tutta la durata del suo mandato e comporta il diritto (e il dovere) finale del Superiore di discernere e di decidere sul da farsi."

Tuttavia l'Ispettore non esercita la sua autorità nell'isolamento. Egli è assistito da un Consiglio, i cui membri l'aiutano nel suo servizio di autorità. Ciò viene affermato già nell'ari. 161, che descrive la figura dell'Ispettore, per essere poi ripreso e specificato negli articoli riguardanti il Consiglio ispettoriale.

L'Ispettore, infine, svolge il suo ufficio «in unione con il Rettor Maggiore» (Cost 161): viene così richiamato ciò che l'art. 122 affermava come principio generale (vedi anche Cost 58 e Reg 144).

2.2 Nomina dell'Ispettore.

Nella revisione postconciliare delle Costituzioni è stata confermata la nostra tradizione giuridica ininterrotta circa la procedura per la nomina dell'Ispettore.

Il CGS ha introdotto però l'istituto della consultazione, in seguito alle indicazioni della «Ecclesiae Sanctae»,'6 per dare. ai confratelli la possibilità di una partecipazione effettiva nella scelta dei responsabili del governo. Troviamo qui un altro caso in cui chiaramente viene applicato il principio di partecipazione e di corresponsabilità ( cf. Cast 123). La convenienza di una consultazione per la nomina dei Superiori è d'altronde affermata esplicitamente nel nuovo Codice."

Le modalità della consultazione sono precisate dall'art. 143 dei Regolamenti generali. Essa compete immediatamente al Rettor Maggiore stesso, che può farla eseguire da un suo delegato (nel maggior numero dei casi sarà fatta dal Consigliere Regionale della Regione a cui appartiene l'Ispettoria interessata).

' Cf. CdC, can. 596 §1.2

5 CL Elementi essenziali della vita re ùgiosa, CRIS, 31.5.1983, n. 49 =6 CI. F.s, ii, 18

I' Cf CIC, can. 625 §3

Nell'art. 162 vengono anche indicati due requisiti necessari affinché un confratello possa essere nominato Ispettore: la qualifica sacerdotale, che dà un tono proprio a tutto il suo servizio, come sopra si accennava,"' e un periodo adeguato di tempo dopo la professione

perpetua.19

2.3 Durata dell'incarico.

Anche la durata in carica dell'Ispettore è rimasta quella tradizionale e costante: un mandato di sei anni. Il CGS ha introdotto però la norma che ordinariamente non è possibile la riconferma immediata per un secondo sessennio nella stessa o in altre Ispettorie: si richiede l'interruzione di almeno un anno. Per motivi particolari può tuttavia risultare necessario o conveniente un secondo mandato: di qui la clausola: «ordinariamente».

Questa norma è stata confermata nel testo definitivo e corrisponde al criterio della temporaneità della carica e a quello dell'opportuno avvicendamento, voluti dal Codice di diritto canonico: «i Superiori costituiti a tempo determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione».2°

3. IL CONSIGLIO ISPETTORIALE (ART. 164-169)

 

3.1 Compiti del Consiglio ispettoriale.

Già nell'art. 1.61 abbiamo incontrato un accenno all'aiuto che l'Ispettore riceve dal suo Consiglio nell'esercizio del proprio incarico. Nell'art. 164 il soggetto è il Consiglio stesso, che ha come compito ge

Vedi Vedi il commento all'art. 121, p. 808-811 w Cf. CIC, can. 623

2D Cf. CIC, can. 624 §1 e 2

nerale di collaborare con l'Ispettore in tutto quello che concerne l'animazione e il governo dell'Ispettoria. Qui troviamo di nuovo il binomio

«animazione e governo» (cf. Cost 130, a proposito del Consiglio generale), con cui si sono voluti esprimere i due aspetti della conduzione della comunità che si integrano e si completano a vicenda e che riguardano tutto il vasto campo «della vita e della missione» della Congregazione nel territorio che l'Ispettoria copre. Difatti i Regolamenti generali specificano così il compito generale del Consiglio ispettoriale: «collaborare con l'Ispettore per lo sviluppo della vita e della missione salesiana, aiutarlo a conoscere le situazioni e verificare l'attuazione del progetto ispettoriale» (Reg 155).

Non si sono voluti esplicitare, a livello di Congregazione, oltre a quello dell'amministrazione dei beni, altri specifici settori che possono essere affidati a singoli membri del Consiglio ispettoriale (come invece è stato fatto per i membri del Consiglio generale), per lasciare massima libertà ad ogni Ispettoria di provvedere come si ritiene più opportuno, secondo le diverse situazioni.

L'Ispettore, da parte sua - raccomanda l'art. 165 - deve farsi aiutare dal suo Consiglio e «promuovere la collaborazione attiva e responsabile dei suoi Consiglieri. Anche il Codice di diritto canonico vi insiste espressamente: «I Superiori abbiano il proprio Consiglio a norma delle Costituzioni e nell'esercizio del proprio ufficio sono tenuti

a valersi della sua opera» .21

Concretamente Costituzioni e Regolamenti danno indicazioni su questo impegno. L'Ispettore convocherà il suo Consiglio regolarmente, almeno una volta al mese (Reg 155). Ascolterà sempre il suo Consiglio nelle cose di maggior importanza, prima di prendere una decisione, ma in determinati casi non può procedere validamente, se non ha ottenuto prima il «consenso» oppure, secondo i casi, il «parere» del Consiglio. Questi casi vengono elencati per l'ambito delle Costituzioni, nell'art. 165 (consenso) e per l'ambito dei Regolamenti negli articoli 156 (consenso) e 157 (parere). In questi casi l'aiuto del Consiglio diventa così indispensabile da condizionare la stessa possibilità di agire dell'Ispet

tore. 22

_~ CIC, can. 627 §1

aa Cf. CIC, can. 627 §2

3.2 Composizione del Consiglio ispettoriale.

Il Consiglio viene presieduto dall'Ispettore (che però - come già si diceva a proposito del Rettor Maggiore - non è membro del Consiglio e non vota). )ti composto dal Vicario, dall'Economo e da un numero dispari di altri Consiglieri, tre o cinque a seconda delle necessità dell'Ispettoria. Così è assicurata normalmente la disparità nelle votazioni e viene evitata la sospensione di affari importanti a causa della parità dei voti.

I membri del Consiglio vengono nominati dal Rettor Maggiore. Per il grande numero di queste nomine e per la irregolarità delle scadenze il Rettor Maggiore può procedere anche con il consenso del Consiglio generale ridotto (cf. Cast 132 §2).

I candidati vengono proposti dall'Ispettore, il quale è anche competente a indire l'ampia consultazione tra i confratelli dell'Ispettoria (Cost 167). Le modalità per questa consultazione dipendono però dal Rettor Maggiore col suo Consiglio (Reg 154): esse sono state infatti stabilite recentemente e sono entrate in vigore dal 15 aprile 1985.2;

Visto il peso e la responsabilità di questo incarico, non solo per il compito generale di collaborare con l'Ispettore nell'animazione religiosa e pastorale dell'Ispettoria, ma anche per esprimere il proprio voto nei casi previsti (tra i quali anche quelle delle ammissioni alle professioni e agli Ordini sacri), si richiede che il candidato abbia almeno cinque anni di professione perpetua24 e abbia completato tutto il curricolo della formazione iniziale (Cost 166). Per il Vicario dell'Ispettore è richiesta inoltre la qualifica sacerdotale, in quanto è Superiore maggiore in un Istituto religioso clericale.2'

3.3 Il Vicario dell'Ispettore.

La figura del Vicario dell'Ispettore fu introdotta dal CG XIX e successivamente recepita nella revisione del testo delle Costituzioni. In

` Cf. ACC n. 312 (1985), p. 44-45

ad Cf. CIC, can. 623

Il Cf. CIC, can. 620; cf. Cost 4 e 121

base al nuovo Codice egli è Ordinario religioso e Superiore maggiore 2,1 e quindi ha un ufficio ecclesiastico con potestà ordinaria vicaria. Ciò significa che egli attua il suo ufficio non soltanto quando deve sostituire l'Ispettore assente o impedito, ma possiede sempre la sua potestà ordinaria vicaria; è dunque sempre il «vice» dell'Ispettore, uomo di fiducia, «il primo collaboratore dell'Ispettore», come dice l'art. 168. La sua funzione generale è quella di prolungare e di integrare l'azione dell'Ispettore, e concerne «tutto ciò che riguarda il governo ordinario dell'Ispettoria» (Cost 168); è chiamato, quindi, ad assistere, consigliare, completare l'Ispettore, senza volersi sostituire a lui.

Il Vicario può ricevere altri incarichi speciali da parte dell'Ispettore, per cui può esercitare in un modo più concreto e abituale la sua potestà, sempre in nome dell'ispettore.

Ma i Capitoli generali non hanno voluto dare ulteriori specificazioni a livello di testo costituzionale o regolamentare, poiché, in base all'esperienza degli ultimi sessenni nelle varie Ispettorie, il Vicario risulta incaricato di diversi settori: in una Ispettoria della formazione, in un'altra della pastorale giovanile, della promozione delle vocazioni, del settore scolastico, della Famiglia salesiana ecc. Perciò si è preferito lasciare anche qui la massima libertà di agire all'Ispettore, per permettere una maggiore adattabilità dell'ufficio del Vicario sia alle necessità diverse e mutevoli di ogni Ispettoria, sia alle capacità personali dei confratelli interessati.

3.4 L'Economo ispettoriale.

L'Economo ispettoriale è l'unico membro del Consiglio, al quale viene affidata, a livello del nostro diritto, la responsabilità immediata per un settore particolare: l'amministrazione dei beni temporali dell'Ispettoria e il controllo e il coordinamento delle amministrazioni locali. Egli dipende sempre nell'esercizio dei suo incarico dall'Ispettore, che mantiene la responsabilità ultima anche su questo settore (cf. Cast 161 e 190): agisce quindi a nome dell'Ispettore, ma con propria responsabi

26 Cf. CIC, can. 134 §1; can. 620

lità personale negli adempimenti che gli spettano secondo le Costituzioni e i Regolamenti (cf. Cost cap. XIV e Reg 193-197).

Preghiamo per la nostra Ispettoria (Visitatoria), per i Superiori e per tutti i Confratelli, perché nel territorio dove essa opera renda presente il carisma di Don Bosco per il bene della gioventù bisognosa.

Per tutti i Confratelli della nostra Ispettoria, perché la fedeltà a Don Bosco e al suo spirito, la dedizione alla gioventù povera

e l'attenzione ai segni dei tempi

ispirino e sostengano ogni loro progetto e azione, preghiamo.

Per l'Ispettore e i suoi collaboratori, perché siano testimoni efficaci, tra i confratelli e i giovani,

della paternità di Don Bosco

e siano vincolo di unità dell'Ispettoria

con la comunità salesiana mondiale, preghiamo.

Per coloro che nell'Ispettoria

hanno particolari responsabilità di formazione,

perché, compiendo con zelo la loro missione,

aiutino ciscuno a crescere nella propria vocazione, preghiamo.

Per i giovani confratelli, i novizi e gli aspiranti, perché nei Salesiani dell'Ispettoria

trovino dei fratelli maggiori,

esemplari nell'osservanza e nel fervore apostolica, pronti a comprenderli e a sostenerli

nella realizzazione della loro vocazione, preghiamo.

4. IL CAPITOLO ISPETTORIALE (ART. 170.174)

 4.1 Natura e autorità del Capitolo ispettoriale.

L'art. 170 descrive anzitutto la natura del Capitolo ispettoriale, riprendendo il concetto, approfondito durante il cammino di revisione delle Costituzioni, della comunità ispettoriale,1' che «unisce in una comunità più vasta diverse comunità locali» (Cost 157). Le comunità locali, «parte viva della comunità ispettoriale» (Cost 58), trovano nel Capitolo ispettoriale un momento privilegiato per poter vivere e intensificare il senso della loro appartenenza all'Ispettoria, superando la visuale, di fatto un po' ristretta, del proprio ambiente e della propria attività particolare e interessandosi dei problemi generali dell' Ispettoria.

Spiritualmente e fondamentalmente il Capitolo ispettoriale è «una riunione fraterna» nel senso profondo descritto nel cap. V delle Costituzioni (vedi, in particolare, gli art. 49 e 50). La fraternità trova la sua radice nella stessa chiamata di Dio, che si concretizza nella convocazione a questa riunione, tanto incisiva per la vita e la missione della comunità ispettoriale; la sua sorgente è posta nella presenza del Signore, nel cui nome i capitolari si radunano; la sua forza ispiratrice nello Spirito Santo, attivamente presente per guidare il discernimento comunitario, per aiutare a conoscere la volontà di Dio, per animare un miglior servizio alla Chiesa.28

Giuridicamente il Capitolo ispettoriale è l'Assemblea rappresentativa dei confratelli delle comunità locali.

Tramite l'elezione locale e ispettoriale è garantita la presenza proporzionata di tutte le comunità e di tutti i soci; in tal modo si riflette in esso l'insieme delle attività e delle opere, delle esperienze e dei doni di tutta la comunità ispettoriale.

Diversamente dal Consiglio ispettoriale, il Capitolo ispettoriale è un organismo collegiale, in cui tutti i membri esercitano insieme, con ugual diritto, i legittimi poteri ad esso demandati.

27 Cf. CGS, 512

ze Sì veda, per analogia, quanto affermato nell'art. 146 sul Capitolo generale, p. 858 ss

L'autorità del Capitolo ispettoriale viene indicata nella seconda parte dell'art. 170. Non si tratta di un'autorità legislativa, come quella del Capitolo generale (cf. Cost 147); tuttavia non è nemmeno un'autorità semplicemente consultiva. Il Capitolo ispettoriale può «deliberare» su ciò che riguarda l'Ispettoria, nell'ambito delle competenze che le Costituzioni e i Regolamenti demandano ad esso. Le principali competenze, come vedremo, sono indicate nell'art, 171, altre si trovano sparse nel corpo della nostra Regola. Al Capitolo ispettoriale vengono quindi riconosciuti veri poteri (cf. Cost 120), ma non in senso assoluto: le sue deliberazioni necessitano dell'approvazione del Rettor Maggiore col suo Consiglio prima di aver forza obbligante per l'ambito dell'Ispettoria.

4.2 Competenze dei Capitolo ispettoriale.

Nell'ars. 171 vengono indicate le competenze generali e principali del Capitolo ispettoriale:

- le prime due riguardano «il buon andamento» dell'Ispettoria, in modo particolare «la vita religiosa e pastorale» (altra espressione per esprimere «la vita e la missione», frase che troviamo spesso nelle Costituzioni). Oggetto quindi degli interessi capitolari è tutto il vasto campo della nostra identità vocazionale. Il Capitolo ispettoriale può «stabilire» e «ricercare i mezzi adatti a promuovere» la vita e la missione, ma sempre rispettando le competenze demandate dalle Costituzioni e dai Regolamenti ad altri organi di governo (art. 170). Non può quindi sostituirsi all'Ispettore o al Consiglio ispettoriale, trattando casi la cui decisione spetta appunto all'Ispettore e al suo Consiglio. Le deliberazioni del Capitolo nell'ambito di queste competenze non appartengono al governo ordinario, ma sono orientamenti generali o linee di azione per un più lungo periodo (normalmente un triennio).

- la terza competenza del Capitolo ispettoriale riguarda lo studio e la verifica dell'attuazione a livello ispettoriale e locale delle deliberazioni del Capitolo generale, in particolare di quello immediatamente precedente. Difatti il Capitolo ispettoriale costituisce «il mezzo più opportuno per suscitare la partecipazione dei confratelli allo studio e al

l'attuazione delle decisioni capitolari».29 Spesso poi il Capitolo generale demanda espressamente ai Capitoli ispettoriali compiti determinati, su cui devono deliberare.

Esiste anche uno stretto legame tra il Capitolo ispettoriale e il Capitolo generale successivo. Esso viene formulato nell'ars. 112 dei Regolamenti: i Capitoli ispettoriali possono inviare proposte e contributi di studio in preparazione del Capitolo generale convocato dal Rettor Maggiore; in vista di tale Capitolo generale, poi, il Capitolo ispettoriale procederà all'elezione di uno o due delegati e dei loro supplenti (quinta competenza).

- la quarta competenza del Capitolo ispettoriale concerne la redazione e la revisione del «Direttorio ispettoriale». Questo fa parte del diritto proprio della nostra Società nell'ambito di ogni singola Ispettoria (Cost 191). Fa parte infatti della normativa che, subordinatamente, contiene disposizioni esecutive o applicative del nostro codice fondamentale, che sono le Costituzioni. In base ai principi della sussidiarietà e del decentramento (cf. Cost 124) varie materie, come abbiamo visto, sono state demandate al governo ispettoriale. Stabilire queste norme è di competenza del Capitolo ispettoriale, che le raccoglie appunto in un Direttorio, il quale avrà tuttavia forza obbligante solo dopo l'approvazione da parte del Rettor Maggiore con il suo Consiglio (cf. Cost 171).

Alcune particolari materie, demandate esplicitamente ai Direttori ispettoriali, riguardano la povertà religiosa (Reg 58), la vita di preghiera (Reg 72 e 74), la formazione salesiana (Reg 87. 88. 106), l'amministrazione dei beni temporali (Reg 190).

-Il Rettor Maggiore con il suo Consiglio ha dato alcuni chiarimenti e orientamenti circa il Direttorio ispettoriale, sottolineandone chiaramente il fine-, «applicare alle realtà locali i principi e le norme della legislazione generale, per rendere più concreto ed efficace nella comunità ispettoriale l'impegno di fedeltà alle nostre Regole» '3,1

z9 CGS, 760

3O Cf. ACG n. 315 (1985), p. 34-41

4.3 Frequenza di convocazione.

La frequenza ordinaria di convocazione del Capitolo ispettoriale, dopo la revisione operata dal CGS, è triennale (prima era sessennale). Il motivo principale di tale novità è stato quello di offrire ai confratelli e alle comunità una maggiore possibilità di partecipazione corresponsabile nella conduzione dell'Ispettoria (cf. Cost 123), tramite appunto il Capitolo ispettoriale che è l'assemblea più qualificata e rappresentativa di tutte le comunità dell'Ispettoria.

Il ritmo triennale concorda poi anche con alcuni dei compiti principali dello stesso Capitolo ispettoriale: esso infatti permette di studiare e di verificare a metà del sessennio l'attuazione delle deliberazioni del Capitolo generale precedente (Cost 171,3) e di formulare, alla fine del sessennio, le proposte per il Capitolo generale successivo (Reg 112).

Il susseguirsi triennale dei Capitoli ispettoriali può essere modificato quando si verifica il caso previsto dall'art. 143 delle Costituzioni (morte o cessazione dell'ufficio del Rettor Maggiore) o quello indicato dall'art. 149 (Capitolo generale straordinario).

Un Capitolo ispettoriale straordinario è possibile nell'ambito di una Ispettoria, quando il bene dell'Ispettoria lo richieda. Il giudizio spetta all'Ispettore, il quale ha l'autorità di convocarlo; deve però ottenere il consenso del suo Consiglio ed è tenuto a consultare prima il Rettor Maggiore.

4.4 Composizione del Capitolo ispettoriale.

L'art. 173 presenta la composizione del Capitolo ispettoriale. Tra i suoi membri possiamo distinguere:

1) 1 membri di diritto:

- anzitutto i primi responsabili del governo dell'Ispettoria: l'Ispettore e i membri del Consiglio ispettoriale;

- poi il Superiore di ogni Delegazione ispettoriale, che governa a nome dell'Ispettore una parte importante dell'Ispettoria;

-  il Regolatore del Capitolo ispettoriale, nominato dall'Ispettore con il consenso del suo Consiglio (cf. Reg 168);

- i Direttori di ogni casa canonicamente eretta; in caso di grave impedimento, a giudizio dell'Ispettore, possono essere sostituiti dai rispettivi Vicari;

- il maestro dei novizi.

2) I membri eletti:

Sono previste dai Regolamenti generali due elezioni a due diversi livelli: prima a livello locale in ogni casa o in un gruppo di comunità riunite insieme (cf. Reg 161 e 163), poi a livello ispettoriale su una lista di eleggibili, in numero di uno ogni venticinque o frazione di venticinque confratelli dell'Ispettoria (cf. Reg 165).

Questo criterio quantitativo è stato introdotto prima del CGS, in seguito a un voto esplicito del CG XIX, «in favore di una più ampia rappresentatività al Capitolo ispettoriale»,31 e poi codificato nel nostro diritto per garantire in tal modo una maggior rappresentatività ai membri eletti rispetto a quelli che sono membri di diritto «vi muneris».

Hanno voce attiva in queste elezioni tutti i confratelli, sia i professi perpetui sia quelli temporanei (Cast 174). Hanno voce passiva soltanto i professi perpetui (Cost 173,7).

Si osserva infine che in vista di una presenza significativa delle dimensioni complementari della vocazione salesiana, quella clericale e quella laicale (Cf. Cost 4. 45), l'art. 169 dei Regolamenti raccomanda tra l'altro, nel contesto delle elezioni, che i confratelli tengano presente la convenienza che la composizione del Capitolo ispettoriale corrisponda realmente a tale complementarità di laici e di chierici, propria della nostra Società.32

Invochiamo la grazia dello Spirito sul Capitolo ispettoriale, affinché nello svolgimento dei compiti affidatigli sia strumento di crescita dell'Ispettoria (della Visitatoria) e aiuto ai confratelli per una fedeltà sempre più piena alla propria vocazione e missione.

" Cf. CG XIX, ACS n. 244, gennaio 1966, p. 20-21

32 Cf. CG21, 210

Perché la luce dello Spirito Santo

illumini e guidi i membri del Capitolo ispettoriale

•  li sostenga nelle decisioni che devono prendere, per l'incremento della vita fraterna delle comunità

una maggior efficacia della loro opera, preghiamo.

Perché la celebrazione del Capitolo ispettoriale sia un momento intenso di confronto

di promozione della comunione tra i confratelli dell'Ispettoria,

ravvivi in tutti la ricerca della fedeltà religiosa

lo slancio dell'impegno apostolico, preghiamo.

CAPITOLA XIII

SERVIZIO DELL'AUTORITA NELLA COMUNITA LOCALE

 

 

«Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola al servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio... Chi esercita un ufficio, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesú Cristo» (1 Pt 4,10-11).

Ritorna la prima lettera di Pietro (già citata nel cap. XI), con il pressante invito a considerare ia venuta del Signore: «La fine di tutte le cose è vicina» (4,7). È un richiamo diretto a creare quel clima di tensione escatologica (verso il giusto giudizio e insieme il conforto del premio) che fa da base dogmatica a tanta parenesi dei primi cristiani e che forse oggi si è piuttosto estenuata.

Ebbene, con lo stimolo che gli viene anche dalla visione dei futuro, la comunità cristiana (è il soggetto cui si rivolge Pietro) intensifica la vita dì preghiera (4,7) e di carità fraterna, «perché la carità copre una moltitudine di peccati» (4,8). La carità dà scopo e stile all'esercizio delle relazioni plurime nella vita comunitaria, quindi anche all'esercizio dell'autorità.

A questo stile vogliono richiamarsi le nostre Costituzioni, quando parlano di corresponsabilità della comunità (assemblea) (cf. Cost 186). Corresponsabilità che risulta dal fatto di una pluralità di carismi diversi in essa circolanti per cui ognuno in certo senso è superiore all'altro per quello che ha. Il monito di Pietro è di non misconoscere il carisma personale, ma di metterlo in circolazione per un mutuo servizio, giacché si tratta di grazia e non di possesso, dì fronte a cui non si può essere che amministratori, non capricciosi, arbitari padroni (4,10).

Vi è chi specificamente ha il compito di animare e di esercitare qualche ufficio. Gli sì chiede un'operosità che rispecchi «parole di Dio», «energia ricevuta da Dio» (l'energia che viene dalla Parola di Dio: 2 Ts 3,1); il sigillo dunque di una purezza di intenzione, ma anche la trasparenza della divina paternità, per cui solo Dio venga glorificato, in quanto reso evidente e credibile nella stessa comunità. Così come Gesù Cristo ha esercitato tra dì noi la sua parola e il suo ufficio (4,11).

Dal brano di Pietro traspare un'eccellente sintesi di corresponsabilità comunitaria, che si connette all'altro testo di Rm 12 citato per esprimere la comunità fraterna e apostolica (cf- Cost cap. V). Si tratta di una circolarità di amore, dove la specificità dei carismi, quindi anche quello degli uffici di autorità, non viene attenuata, ma vale come potenziale ulteriore di amore. Infatti quello cristiano è un amore che fa crescere, poiché viene da Dio e da Lui prende consistenza e genuinità

In questo capitolo viene presentato, come terzo e ultimo livello delle strutture organizzative della nostra Società, il servizio dell'autorità nella comunità locale.

I motivi di questa sequenza della materia sono già stati indicati nell'introduzione alla quarta parte. Non si vuole togliere niente al valore e al carattere più concreto e più immediato della comunità locale rispetto ai due altri livelli, quello ispettoriale e quello mondiale. Difatti, la convivenza in una comunità fraterna e apostolica, guidata da un Superiore, è un'esperienza che appartiene alla vita quotidiana dei confratelli. Ma questo aspetto viene già esplicitamente trattato altrove nel testo costituzionale, in modo particolare nel cap. V, che descrive prima ampiamente l'ideale della vita comunitaria, compreso il ruolo del Direttore, nelle comunità locali (Cast 49-57), per concludere poi -- in un ordine quindi inverso - con due articoli sulle comunità più vaste (più «remote» per quanto riguarda l'esperienza quotidiana, ma non meno reali): quella ispettoriale e quella mondiale (Cosa 58 e 59). Nella lettura di questo cap. XIII occorre aver presente quanto è stato affermato nel cap. V, come pure in altri articoli costituzionali, che saranno successivamente indicati.

Lo schema del capitolo è analogo a quello del precedente sulle strutture a livello ispettoriale. Si apre con un articolo sulla comunità locale come entità distinta e canonicamente definita, per trattare poi successivamente del Superiore locale, del Consiglio locale e dell'Assemblea dei confratelli.

Pertanto il capitolo si presenta con la seguente articolazione:

I. La comunità locale (ari. I75)

2. Il Direttore

- la sua figura (art. 176)

- la sua nomina e durata in carica (art. 177)

3. II Consiglio locale

- natura e compito generale (art. 178)

- la sua composizione (art. 179-180)

- i casi in cui è richiesto il suo consenso (art. 181) - situazioni eccezionali (art. 182) - il Vicario del direttore (art. 183) - l'Economo (art. 184)

- altri responsabili locali (art. 185)

4. L'Assemblea dei confratelli (art. 186)

 

1. LA COMUNITÀ LOCALE (ART. 175)

L'art. 175 sulla comunità locale, che introduce il capitolo XIII, ha una duplice finalità:

a. vuol collegare immediatamente la materia trattata alle altre parti delle Costituzioni, che determinano la realtà carismatica della comunità salesiana:

nell'espressione «vita comune in unità di spirito» l'articolo riassume tutto il cap. V sulla comunità fraterna e apostolica; ricorda la corresponsabilità comune nell'esercizio della missione apostolica, affidata in primo luogo alla comunità (Cost 44); richiama l'autorità del Superiore, sia come guida nel discernimento pastorale (Cost 44), sia come centro della comunità fraterna (Cost 55), sia come responsabile per le decisioni nella ricerca comune della volontà di Dio (Cost 66). Nello stesso tempo riprende anche i criteri circa l'esercizio del servizio dell'autorità nella nostra Società, descritti nel capitolo introduttivo della parte quarta.

In tal modo il presente articolo viene letto nella luce di quanto è stato esposto nei precedenti capitoli delle Costituzioni.

b. l'articolo, in particolare, presenta, nel contesto delle strutture

giuridiche, l'entità canonica della comunità con gli elementi costitutivi stabiliti dal Codice: «la comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un Superiore designato a norma del diritto».1

Notiamo come il nostro diritto distingua qui i due termini di «coinunità» e di «casa»: il termine «comunità» è riferito al gruppo di soci che abitano una medesima casa o residenza, mentre il termine «casa» è più largo e indica tutto il complesso sia dei confratelli sia delle cose materiali (proprietà, opere, chiesa, edificio...). La «casa» religiosa è per il diritto ecclesiastico persona giuridica pubblica non collegiale .z

In base a questa distinzione canonica, si comprende il diverso uso dei due termini nella nostra Regola: si parla di «casa» quando si tratta di tutto il complesso sia personale che materiale (cf., per esempio, la potestà ordinaria dell'Ispettore su tutte le case: Cost 162), o quando si tratta dell'amministrazione dei beni temporali (cf. i capitoli corrispondenti sia nelle Costituzioni che nei Regolamenti); si usa invece «comunità» quando si tratta, per esempio, delle relazioni tra le persone (cf. l'art. 186 sull'assemblea dei confratelli).

L'autorità competente per erigere o sopprimere una casa è, secondo le nostre Costituzioni,' il Rettor Maggiore, che deve avere il consenso del suo Consiglio (Cost 132 §1,2), previa la richiesta dell'Ispettore con il consenso del Consiglio ispettoriale (Cost 165,5) e, per l'erezione canonica, previo il consenso scritto del Vescovo diocesano .4

Il diritto canonico (l'art. 132 §1,2 delle Costituzioni dice: «a norma del diritto») stabilisce ancora altre condizioni,' tra cui quelle «necessarie per garantire ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa secondo le finalità e lo spirito proprio dell'Istituto».6 Con ciò anche il Codice vuole sottolineare, con termini simili a quelli del no-

CIC. cari. 608

2 CL CIC, cari. 634 §1

Cf. anche CIC, can. 609 §1

4 Cf. CIC, can. 609 §l

Cf. CIC, cari. 610-612.

a CIC, cari. 610 §1, che dice letteralmente: «L'erezione di case si compie tenuta presente l'utflità della Chiesa e dell'Istituto e assicurate le condizioni necessarie per garantire ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa secondo le finalità e lo spirito proprio dell'Istituto».

stro art. 175, che non basta costituire l'entità canonica, ma occorre creare tutta la realtà spirituale della comunità religiosa.

Eccetto il caso di comunità dipendente direttamente dal Rettor Maggiore, ogni comunità locale fa parte di una circoscrizione giuridica, che è normalmente un'Ispettoria o Visitatoria (cf. Cost 58 e 156-158), e dipende dal rispettivo Superiore maggiore (Cost 162). Questi è anche l'autorità competente per ascrivere i singoli confratelli, per precetto di obbedienza, a una determinata casa salesiana (Reg 150). I Regolamenti indicano per ogni casa un numero minimo ordinario di sei soci (Reg 150).

2. IL DIRETTORE (ART. 176-177)

Perché un gruppo di persone costituisca una comunità religiosa è necessaria la presenza di un Superiore, designato a norma del diritto . (Cost 175 e can. 608).

In tutto questo tempo di rinnovamento è stata sovente sottolineata l'importanza della partecipazione e della corresponsabilità dei confratelli di una comunità (cf. Cost 123), ma non è mai stato messo in dubbio il dato tradizionale della vita religiosa circa l'autorità del Superiore e non è stato mai proposto un governo collegiale della comunità in maniera ordinaria.' Le nostre Costituzioni non consentono neppure eccezionalmente la mancanza di un Superiore locale. L'Ispettore potrà modificare la struttura ordinaria del governo di una comunità, quando circostanze particolari ( per esempio un numero ridotto di confratelli) lo esigano, ma «salva sempre la figura del Direttore» (Cast 182).

2.1 Compiti del Direttore.

Il Superiore locale, secondo la tradizione salesiana che risale al Fondatore, prende il nome di «Direttore». Egli ha potestà di governo

' Cf. Nota della CRJS, 2 febbraio 1972, AAS 69, 1972, p. 393.

ordinaria nell'ambito della casa di cui è Superiore, sia sulla comunità e su ogni parte di essa, sia sui singoli socia Può comandare in forza del voto di obbedienza (Cast 68) e ha il diritto e il dovere della decisione finale sul da farsi (Cost 66).

I vari aspetti della figura e dei compiti del Direttore sono stati già evidenziati in punti diversi della Regola, sia trattando della comunità fraterna (cap. V), che parlando della missione apostolica e dell'obbedienza religiosa: egli «rappresenta Cristo» in mezzo ai fratelli (Cast 55), è il centro attorno a cui la comunità sì raccoglie in unità (ivi), è l'animatore e la guida della missione pastorale della comunità (Cast 44), è il padre e il maestro di spirito, che incoraggia e orienta ciascun confratello e la comunità nella ricerca della volontà di Dio e nella fedeltà alla propria vocazione (Cost 55 e 66).

Questo art. 176 decrive, in particolare, la figura del Direttore come «il primo responsabile» sia della vita religiosa della comunità che della sua missione apostolica e dell'amministrazione dei beni. Viene messo, quindi, in rilievo il preciso compito di «governo» del Direttore. Risuonano le parÀle stesse del nostro Padre Don Bosco: «É necessario che il Direttore comandi: che sappia bene il suo regolamento e sappia bene il regolamento degli altri e tutto quello che debbono fare, che tutto parta da un solo principio... Sia un solo il responsabile».9

Ma ciò che è stato detto dei Superiori agli altri livelli vale anche per il Direttore: il suo comp. ) non è esclusivamente di governo; egli «governa animando e anima governando». Ritorna anche a questo livello il familiare binomio «animazione e governo». Occorre anzi notare che proprio a livello locale la funzione specinca dei Superiore è stata indicata, in primo luogo, col termine «animazione»: il CG21 ha trattato ampiamente del Direttore appunto come «animatore» della comunità in vista dell'educazione e dell'evangelizzazione dei giovani.10 La funzione del Direttore, scrive infatti il CG21, «fa pensare anzitutto all'attività interiore dell'anima come energia di vita, di crescita armonica, di coe-

a Cf. Cos! 120 e C1C, can. 129 e 131.

q Parole dette da Don Bosco al Capitolo Superiore il 4 luglio 1884: cf. MB XVII, 189. Don Albera, riferendosi a questo aspetto, nel «manuale del Direttore», scrive che «dal momento della sua nomina il Direttore diventa nella casa il capo al quale tutto deve riferirsi, il centro dal quale procede ogni vitalità, la mano ferma che sta al timone perché nessuno devii dalla retta strada».

Cf. CG21, 46-57.

sione articolata delle parti; attività che dall'interno fa crescere la partecipazione di tutti i membri nella vita del corpo»."

È quanto le Costituzioni hanno già ricordato, presentando il Direttore nella comunità fraterna: «Suo primo compito è animare la comunità perché viva nella fedeltà alle Costituzioni e cresca nell'unità» (Cost 55). Anche trattando dell'obbedienza comunitaria la Regola diceva: «Il Superiore esercita la sua autorità ascoltando i confratelli, stimolando la partecipazione di tutti e promuovendo l'unione delle volontà nella fede e nella carità» (Cast 66). Rimandiamo il lettore al commento dell'art. 55, come pure a quello dell'art. 66 sulla corresponsabilità nell'obbedienza, in cui si descrive tutto il processo della ricerca comune, prima della decisione finale del Superiore.

Si notino, in particolare, i due strumenti che le Costituzioni indicano come assai validi per questa animazione: il colloquio fraterno per il dialogo personale, che interessa però anche tutta la comunità (cf. Cost 70 e Reg 49); e l'assemblea dei confratelli per il dialogo comunitario, che coinvolge tutti i singoli confratelli (cf. Cost 186 e Reg 184). Il CG21, per aiutare il Direttore nel suo compito, ma anche per illuminare la comunità sulla figura dello stesso Direttore, ha chiesto che venisse pubblicato un «manuale del direttore», nel quale si può trovare un ampio commento a questa «sintesi tra animazione spirituale e autorità

religiosa».12

Negli articoli regolamentari corrispondenti si trovano altre indicazioni per il Direttore, affinché possa svolgere bene la sua funzione animatrice: gli si chiede di assicurare la sua presenza nella comunità e la sua disponibilità per i confratelli (Reg 172), di rendere effettiva la partecipazione dei confratelli secondo le competenze e le doti di ciascuno e di promuovere incontri di fraternità (Reg 173), di curare bene la direzione spirituale comunitaria (Reg 175); di seguire i confratelli singolarmente, soprattutto i confratelli giovani, gli anziani, gli ammalati, quanti si trovano in difficoltà (Reg 176).'

I' CG21, 46

11 Cf. CG21, 61 d. Il «manuale", pubblicato nel 1982 col titolo Il Direttore salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunità locale, è stato riveduto e aggiornato dopo l'approvazione delle Costituzioni.

" Commentando l'art. 53, si è accennato alla premura di Don Bosco per gli ammalati. Ai Direttori egli dice: «Questo raccomando in modo particolare ai Direttori, che non lascino mancar

In tutto questo suo compito di animazione e di governo il Direttore viene assistito, come abbiamo visto per i Superiori degli altri livelli, da un Consiglio.14 Gli articoli 178-181 ne specificheranno la composizione e i compiti.

Si fa notare come, in circostanze particolari, per esempio nel caso di un esiguo numero di confratelli, l'Ispettore può modificare la struttura interna della comunità, anche dispensando dalla necessità di avere un Consiglio locale (Cost 182). In questo caso però il Direttore dovrà consultare l'Ispettore nei casi in cui occorra il parere o il consenso del Consiglio (Reg 181): il Direttore cioè è tenuto a chiedere all'Ispettore, a seconda dei casi, il consiglio o il consenso per poter porre gli atti validamente."

Si osservi, infine, lo stretto legame che unisce i Direttori all'Ispettore. Mentre i Regolamenti generali raccomandano all'Ispettore un'attenzione particolare per i suoi Direttori (Reg 145), ai Direttori chiedono di tener informato con semplicità e chiarezza l'Ispettore sull'andamento della comunità nella consapevolezza di appartenere alla medesima comunità ispettoriale.

2.2 Nomina e durata in carica del Direttore.

Come per l'Ispettore, anche per il Direttore è stata confermata la procedura della nomina, con la novità però, introdotta dal CGS e poi codificata nel testo delle Costituzioni, della consultazione previa dei confratelli (Cost 177). La nomina spetta, poi, all'Ispettore, che deve avere il consenso del suo Consiglio e l'approvazione da parte del Rettor Maggiore. Quest'ultima tuttavia è necessaria solo nel caso di una prima nomina, non di una riconferma per un secondo triennio (cf. Reg 170). La consultazione viene fatta tra i confratelli di tutta l'Ispettoria e

 nulla agli ammalati» (cf. MB XI, 69). Anche nei «Ricordi confidenziali, scrive: «Si faccia economia in tutto, ma si faccia in modo che agli ammalati non manchi nulla» (e f, MB X, 1046). In generale per la cura dei confratelli più bisognosi Don Bosco raccomanda: «I Direttori s'avvicinino sovente ai più bisognosi per incoraggiarli e migliorare la loro condotta e per conoscere i loro particolari bisogni e provvedervi. (MB X, 1048). a Cost 176; cf. CIC, can. 627.

5 Cf. CIC, can. 127 §2.

quindi non soltanto nell'ambito della comunità interessata. Attraverso di essa si realizza quel dialogo, che è fondamentale per un retto discernimento e per l'esercizio della corresponsabilità: i Superiori ascoltano la comunità per comprenderne le esigenze in vista del compimento della missione, e tutti i confratelli partecipano con il proprio contributo per indicare colui che ritengono più idoneo nel Signore ad essere guida della comunità.

Le modalità concrete della consultazione sono di competenza dell'Ispettore e del suo Consiglio, tenuto conto di eventuali indicazioni che può dare il Capitolo ispettoriale. Come per la nomina dei Consiglieri ispettoriali, anche qui il ritmo di consultazione potrebbe essere triennale, chiedendo cioè ai confratelli di segnalare persone idonee per assumere l'incarico di Direttore secondo le scadenze del triennio.16

Nell'art. 177 vengono precisati due requisiti necessari perché un socio possa essere nominato Direttore: la qualifica sacerdotale (come si è già visto commentando gli art. 4 e 121), e un periodo adeguato di tempo trascorso in Congregazione dopo la professione perpetua."

Anche la durata in carica è quella tradizionale: un mandato di tre anni, prolungabile per altri tre nella stessa comunità (Cost 177). Dopo questo periodo il confratello «ordinariamente» cessa, almeno per un anno, da questo incarico." La riconferma del Direttore per un terzo triennio rimane possibile come eccezione, ma in tal caso l'ispettore è tenuto a chiedere di nuovo l'approvazione del Rettor Maggiore (cf. Cost 177 e Reg 170).

ia CF. ACG n. 312 (1985), p. 44-45. Qui si trovano anche altri orientamenti utili, per esempio sulle schede, sullo spoglio e sullo scrutinio, come pure sull'opportuno riserbo circa i risultati, che per la natura e i fini che la consultazione sì propone, non possono essere oggetto di pubblicazione.

" Cf. CIC, can, 623.

18 Cl. CC can. 624 §2.

3. IL CONSIGLIO LOCALE (ART. 178-185)

Anche a livello locale il Superiore ha un suo Consiglio. i9 Questa disposizione canonica la troviamo già affermata nell'art. 176, che parla del Direttore. La ripete l'art. 178 come norma per ogni comunità, a meno che l'Ispettore non giudichi opportuna una eccezione in circostanze particolari (Cost 182).

L'art. 178 spiega qual è il compito generale del Consiglio: collaborare con il Direttore nell'animazione e nel governo della comunità. £ un impegno che riguarda tutto il campo della vita religiosa e della missione apostolica.

A nessuno sfugge l'importanza del Consiglio, che tutta la tradizione della vita religiosa riconosce come strumento principale accanto al Superiore nel suo ruolo di animatore e guida. Come dice il nome stesso, spetta al Consiglio assistere il Direttore con il proprio «consiglio», aiutandolo nel discernimento; ma, più in generale, esso assiste il Direttore in tutto l'esercizio del suo ufficio, partecipando così della sua stessa responsabilità.

Sotto questo punto di vista si deve rilevare la valenza essenzialmente 'pastorale' del Consiglio: più che un organismo amministrativo, il Consiglio è un'équipe che condivide col Direttore la responsabilità in vista della realizzazione della missione. A tale scopo il Consiglio riflette sulla situazione comunitaria, studia le direttive opportune per le diverse aree pastorali, si sente direttamente impegnato e corresponsabile in tutti i settori dell'attività.

Da parte sua il Direttore è tenuto a valersi di questo aiuto` e ad ascoltare sempre il suo Consiglio in tutte le questioni d'importanza (Cost 181; Reg 173). In alcuni casi per poter agire validamente deve prima ottenere il consenso del suo Consiglio: questi casi sono elencati nell'articolo costituzionale 181. Non si trovano invece, per ora, nel nostro diritto casi espliciti in cui è richiesto il «parere» del Consiglio. In ogni caso, i Regolamenti stabiliscono che il Direttore convochi il suo Consiglio almeno una volta al mese (Reg 180).

19 Cf. CIC, can. 627 §1 20 Cf. CIC, can. 627 §1

Si osserva che il Direttore, anche se convoca e presiede il Consiglio, non vota (si veda il commento fatto a proposito del Consiglio generale). Un caso a parte è quello delle ammissioni alle professioni e agli ordini sacri (Cost 108). Qui non è il Direttore che ammette il candidato, ma l'Ispettore; il Direttore deve tuttavia, col suo Consiglio, dare un parere previo; in tal caso egli può votare insieme col suo Consiglio, come può anche illustrare separatamente il suo parere personale all'Ispettore.

3.1 Composizione del Consiglio locale.

La composizione del Consiglio locale nelle nuove Costituzioni risulta molto flessibile e adattabile alle differenti esigenze concrete. Questa elasticità è stata voluta intenzionalmente dal CGS, come un'applicazione necessaria dei criteri generali di sussidiarietà e decentramento (cf. Cost 124).

Prima di tutto il numero dei Consiglieri non viene fissato rigidamente nel nostro diritto, ma si dice che esso deve essere «in proporzione alle esigenze e al numero dei confratelli della comunità» (Cost 178).

Vengono poi distinte nelle Costituzioni (art 179) tre categorie di Consiglieri:

a. membri di diritto: il Vicario del Direttore e l'Economo;

b. un certo numero di confratelli responsabili dei principali settori di attività della comunità. Notiamo, a tal riguardo, che il CGS non ha voluto mantenere e prescrivere a livello universale la figura e i compiti di questi responsabili, quali si avevano in Congregazione prima della revisione postconciliare e che erano membri di diritto del Consiglio locale. P- stata invece affidata al Capitolo ispettoriale la competenza di determinarli in modo che le strutture e i ruoli all'interno della comunità corrispondano alle esigenze delle situazioni, ormai diversissime nelle varie Ispettorie delle Congregazione (Cost 185). Le Costituzioni lasciano poi all'Ispettore col suo Consiglio la facoltà di determinare, previo il parere della comunità interessata, quali di questi responsabili facciano parte del Consiglio locale.

c. eventualmente un certo numero di confratelli eletti annualmente dall'Assemblea dei confratelli. Questa facoltà viene applicata

4

per le comunità locali numerose, secondo il giudizio dell'Ispettore, il quale determina anche il numero dei membri da eleggere (Cost 180).

Ouesta composizione del Consiglio, con la possibilità della rappresentanza di settori di attività e dell'elezione da parte dei confratelli, potrebbe causare una certa eterogeneità nel Consiglio locale come potrebbe creare qualche difficoltà nel raggiungere una convergenza su particolari problemi. Molto opportunamente l'articolo regolamentare 180 ricorda ai membri del Consiglio che «nelle decisioni prese sono solidali e che in ogni caso sono obbligati in coscienza al rispetto delle persone e alla discrezione circa gli argomenti trattati».

Spetta poi al Direttore informare i confratelli sulle decisioni di interesse comune, un diritto questo che è anche un dovere (Reg 180; cf. Cast 123).

3.2 Nomina dei Consiglieri.

La nomina del Vicario e dell'Economo spetta all'ispettore. Di per sé l'Ispettore non ha bisogno del consenso del suo Consiglio, ma è tenuto solo a udire prima il parere del Direttore.

Anche la nomina dei responsabili dei principali settori di attività della casa, e quindi implicitamente anche la nomina di essi a Consiglieri, è di competenza dell'Ispettore (Reg 183).

Per poter essere nominato o eletto membro del Consiglio locale si richiede che il confratello abbia emesso la professione perpetua e non sia più in formazione iniziale (Cost 178). Per il Vicario, inoltre, si richiede che sia sacerdote: ciò è determinato dal fatto che il Vicario sostituisce il Direttore assente o impedito e può far le sue veci anche abitualmente in questioni di governo ordinario.

3.3 Il Vicario del Direttore.

Nella revisione delle Costituzioni è stato introdotto nel nostro diritto anche a livello locale il Vicario del Superiore. Tra la sua figura e quella del Vicario del Rettor Maggiore e del Vicario dell'Ispettore esiste una certa analogia, in quanto anche il Vicario locale è il primo collaboratore del Direttore, di cui prolunga l'azione e la integra talmente da

formare con lui una cosa sola; anch'egli possiede, nell'ambito della casa, potestà ordinaria vicaria. Tuttavia non è un «Ordinario religioso»: la sua potestà vicaria difatti è limitata: è abituale solo «nelle cose di cui abbia ricevuto speciale incarico, mentre diventa ordinaria vicaria senza limiti, «in tutto ciò che riguarda il governo ordinario», soltanto nel caso di assenza o di impedimento del Direttore, come pure nel caso di morte del Direttore, «fino a quando non sia provveduto altrimenti dall'Ispettore» (Cost 183).

Per disposizione del nostro diritto il Vicario può anche sostituire il proprio Direttore come membro del Capitolo ispettoriale, quando esso sia gravemente impedito, previa approvazione dell'Ispettore (Cost 173,5).

In base allo stesso criterio di sussidiarietà e decentramento, che ispira tutta la normativa circa le strutture dell'organizzazione della comunità locale, non si è voluto codificare nella Regola l'attribuzione al Vicario del Direttore di qualche compito specifico. Questo viene intenzionalmente lasciato all'iniziativa dei Superiori in loco.

Nei Regolamenti generali vengono tuttavia forniti alcuni criteri generali al riguardo, che servono a garantire alla figura del Vicario del Direttore nelle comunità locali una propria consistenza abituale (Reg 182), Egli avrà di solito la responsabilità di uno dei principali settori delle attività educative e pastorali della comunità, con la riserva che il suo ufficio non venga abitualmente abbinato a quello dell'Economo. La comunità dovrà essere informata circa le facoltà abituali che il Direttore ha affidato al suo Vicario.

Si osservi come la Regola sottolinei che la figura del Vicario offre al Direttore la possibilità di affidare a lui tutto ciò che lo può impedire o distogliere dal suo compito fondamentale (cf. Cast 55 e Reg 172).

3.4 L'Economo locale.

11 settore dell'amministrazione dei beni temporali, anche a livello locale, è affidato in prima istanza dal nostro diritto alla responsabilità di un Economo. Egli compie il suo servizio in dipendenza del Direttore col suo Consiglio.

Nei Regolamenti generali (cap. XIII) si trovano le disposizioni con-

crete per la gestione dei beni della casa (Reg 198-202). L'art. 184 delle Costituzioni raccomanda in generale che l'Economo svolga il suo servizio «in spirito di carità e povertà».

4. L'ASSEMBLEA DEI CONFRATELLI (ART. 186)

Già nelle Costituzioni precedenti al CGS, anche se non si parlava esplicitamente di Assemblea, esisteva una riunione ufficiale dei confratelli della comunità, con il solo scopo tuttavia di eleggere il delegato e il suo supplente per il Capitolo ispettoriale.21

Nella revisione operata secondo gli orientamenti del Vaticano II, in base al principio della partecipazione e corresponsabilità, è stato istituito nel nostro diritto proprio l'organismo dell'Assemblea dei confratelli. «La comune vocazione comporta la partecipazione responsabile ed effettiva di tutti i membrii alla vita e all'azione della comunità locale», diceva l'art. 123. Come abbiamo visto più volte, con le espressioni «vita e azione», «vita e missione», si vuol indicare tutta la nostra identità vocazionale. E infatti in vari punti del testo le Costituzioni sottolineano che la partecipazione riguarda tutti gli aspetti essenziali della nostra vocazione (cf. Cast 3):

la missione apostolica, affidata alla comunità («la coesione e la corresponsabilità fraterna permettono di raggiungere gli obiettivi pastorali»: Cast 44);

la comunità fraterna: tutti insieme e ogni singolo confratello sono chiamati a costruire la comunione delle persone (Cast. 49 e 52); la pratica dei consigli evangelici («cerchiamo insieme la volontà del Signore in fraterno e paziente dialogo e con vivo senso di corresponsabilità»: Cost 66).

L'Assemblea, che riunisce tutti i confratelli per trattare le «princi1 Cf. Costituzioni 1966, art. 100

pali questioni riguardanti la vita e le attività della comunità» (Cost 186), vuol essere un momento privilegiato di partecipazione. Essa è uno strumento adatto per coordinare nella comunità l'impegno delle forze apostoliche, la comunione delle persone, la ricerca comune della volontà di Dio. È un mezzo di discernimento comune e di verifica per la crescita della fedeltà alla vocazione nelle concrete circostanze della vita quotidiana.

Nell'articolo costituzionale sono indicate con chiarezza le competenze dell'Assemblea dei confratelli. Ne risulta che essa:

a, è un'Assemblea elettiva: ad essa spetta l'elezione del delegato al Capitolo ispettoriale e del suo supplente, come pure l'eventuale elezione di Consiglieri locali (cf. Cast 181);

b. è un organo consultivo: l'Assemblea non può deliberare sulle questioni che tratta (come conviene invece a un Capitolo), ma il suo compito generale è di esaminare, analizzare, studiare le principali questioni, informarsi e dialogare, discernere, far emergere per quanto possibile una convergenza di vedute, di linee operative, programmare e verificare. Anche se non le compete deliberare, il suo ruolo è indispensabile come partecipazione corresponsabile ed anche effettiva al governo della comunità. Se funziona bene, essa prepara la decisione del Superiore, come conclusione di una ricerca comune (cf. Cost 66).

I Regolamenti generali (art 184) specificano ulteriormente compiti e doveri dell'Assemblea. Sono precisazioni sulla competenza assegnata dalle Costituzioni, così elencati:

- ricercare mezzi o linee operative per stimolare la vita religiosa e apostolica, ossia per realizzare sempre più pienamente la nostra vocazione;

- analizzare i problemi più seri che possono presentarsi in una comunità;

- programmare all'inizio dell'anno di lavoro la vita comunitaria, le attività educative e pastorali, la formazione permanente e farne la revisione al momento opportuno (con scadenze precise) (cf. anche Reg 174);

- contribuire alla elaborazione e verifica del progetto educativo pastorale della comunità (cf. Reg 4).

- informarsi e riflettere sulla situazione economica della casa; ciò potrà essere realizzato, per esempio, in occasione dei bilanci annuali

di cui l'Economo interesserà la comunità (cf. Reg 202); rientra in questo impegno anche la verifica della povertà comunitaria di cui parla l'art. 65 dei Regolamenti.

L'Assemblea stessa determina la frequenza di convocazione. Il minimo stabilito dai Regolamenti è di almeno tre volte all'anno: corrisponde ai compiti sopra elencati, in modo particolare alla programmazione d'inizio d'anno, alla revisione verso la fine d'anno e alla riflessione sulla situazione economica e sull'osservanza della povertà in occasione dei bilanci.

Da tutta l'impostazione delle strutture a livello di comunità locale risulta che i confratelli sono invitati ad approfondire il senso della corresponsabilità, a imparare a dialogare ed a contribuire fraternamente alle riunioni, ad accrescere il senso del bene comune e la coesione tra i membri della comunità. Le strutture devono offrire condizioni favorevoli per la partecipazione responsabile, ma i confratelli stessi sono chiamati ad impegnarsi per tradurle in pratica e renderle efficaci.

Preghiamo per la nostra comunità,

perché nella fedeltà a Don Bosco e al suo spirito e nella dedizione di tutti al lavoro apostolico risponda generosamente alla missione affidatale per il bene dei giovani e dei poveri.

Perché la nostra comunità viva,

nello spirito di famiglia e nella donazione reciproca, una vita di carità e di zelo,

che ne renda più chiara e convincente la testimonianza evangelica, preghiamo.

Per il Direttore della nostra comunità:

il Signore lo assista e lo illumini con il suo Spirito, perché sappia incarnare tra di noi la presenza e la paternità di Don Bosco

e guidare la comunità nella ricerca e nel compimento della volontà del Padre, preghiamo.

Per il Consiglio della comunità,

perché con discernimento salesiano ed apostolico

sappia organizzare e orientare il lavoro di tutti ad una presenza più viva e operosa tra coloro che ci sono affidati, preghiamo.

Per i confratelli più giovani e per la loro crescita, e per i confratelli anziani e malati,

perché trovino nella comunità

il sostegno del quale abbisognano,

in un clima di fraternità e di amicizia sincera, preghiamo.

CAPITOLO XIV

AMMINISTRAZIONE DEI BENI TEMPORALI

,Accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: 'Non ti lascerò e non ti abbandonerò... Non dimenticatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace- (Eb 13, 5.16).

Lungo tutta la Bibbia i beni della terra sono considerati secondo un triplice aspetto: vanno riconosciuti come doni dì Dio e quindi buoni in se stessi, vanno guardati con vigilanza perché non diventino idoli, vanno condivisi con gli altri, specie con i poveri. In particolare nel Nuovo Testamento Gesù pone radicale il contrasto tra Dio e mammona (MI 6,24) e insiste fortemente sulla destinazione dei beni all'elemosina.

Nel contesto di Eb 13, 1-17, questo motivo emerge nella cornice di un catechismo di vita per la comunità. Ma a sua volta tale catechismo rientra in un ben più profondo e nuovo quadro dì pensiero, quello di tutta la Lettera, e specificamente della pericope che ci riguarda: il culto autentico insegnato da Gesù. Quali incidenze operative ha l'insegnamento del Signore nella vita della comunità? Come altrove nel Nuovo Testamento, il nuovo culto vuole l'amore fraterno (13,1), amore che in una particolare situazione riguarda l'uso dei beni. Si sarà liberi dall'avarizia, con una scelta di vita sobria, ponendo invece la propria fiducia in Dio di cui siamo proprietà (13,5). Conoscendo i capitoli precedenti della Lettera agli Ebrei, viene legittimo dire che qui il modello concreto non è la figura dì uno stoico illuminato, ma l'amore generoso illuminato dall'offerta senza limiti che Gesù ha fatto dì sé (cf. 10, 5-10; 12,2).

Lo stesso pensiero ritorna verso la fine della pericope in termini più esplicitamente legati al culto. Dopo aver ricordato ancora una volta l'oblazione totale del Cristo (13, 10-13), il testo rammenta che il culto cristiano si realizza con una duplice opera: mediante il sacrificio di lode, ossia l'offerta e il ringraziamento a Dio da svolgere in permanenza nel nostro cammino verso la città futura (13, 14-15); e, come secondo atto convalidante il primo, mediante l'esercizio concreto della carità che si esprime nell'aiuto ai bisognosi (13, 16).

«Di tali sacrifici il Signore si compiace» (Eb 13,16). Anche una mate

ria, apparentemente così terra terra, qual è l'amministrazione dei beni, è avvolta da una ispirazione altissima, per cui tale compito si fa espressione non secondaria della liturgia della vita.

* * *

Non ci ha trovati impreparati quanto è richiesto dal Codice di diritto canonico: «Ogni Istituto stabilisca opportune norme circa l'uso e l'amministrazione dei beni».'

Le linee generali per l'amministrazione dei beni, come si vedrà nei singoli articoli, erano già ben evidenziate da Don Bosco Fin dalle prime redazioni delle Costituzioni. Entrano nel concetto di povertà che il nostro Padre volle fosse una delle caratteristiche della sua Congregazione.' Sono elementi chiave, anche se, ovviamente, sono stati espressi in modo nuovo nel testo rinnovato delle Costituzioni.

Può dare un'idea dell'importanza che Don Bosco annetteva alla cura per un'attenta amministrazione dei beni temporali, quanto egli scriveva nel testamento spirituale riguardo all'elezione del nuovo Rettor Maggiore dopo la sua morte. «Compiuti questi primi e importanti doveri (che sono: ringraziare gli elettori per la fiducia; dare notizia al Santo Padre dell'elezione; informare i confratelli e le F.M.A.; scrivere una lettera ai benefattori e ai cooperatori) il novello Rettore si volga con tutta sollecitudine a conoscere bene lo stato finanziario della Congregazione».3 Aveva i piedi per terra Don Bosco!

Quanto realizzò, Don Bosco lo attribuì sempre alla bontà della Divina Provvidenza e all'aiuto di Maria SS. Ausiliatrice. Ma egli non si risparmiò nel ricercare i mezzi necessari per la sua opera. Quante fatiche e sudori nel sollecitare continuamente la carità pubblica e privata: suppliche, lettere, lotterie, viaggi... Si sobbarcava a umiliazioni pesanti per

Cf. CIC, can. 635 §2

 Dice Don Bosco: -La povertà è la nostra fortuna, è la benedizione di Dio! Anzi preghiamo il Signore di mantenerci in povertà volontaria (MB VI, 328). Sull'importanza della povertà per il futuro della Società si veda, in particolare, MB XVII, 272.

' MB XVII, 260

i «suoi» ragazzi. E alla fine concludeva: «quello che abbiamo non è nostro, ma dei poveri: guai a noi se non ne faremo buon uso» 4

E buon uso egli ne fece anche per istinto contadino. Aveva l'occhio di un amministratore oculato e cauto. Non si limitava a controlli e a tenere in evidenza scadenze di pagamenti, ma conservava qualsiasi documento attestante diritti di proprietà, di possesso e di uso, convenzioni pubbliche e private, atti notarili e... carte di panettieri! s

Don Bosco è quindi per noi punto di riferimento anche per una regolare e proficua amministrazione? Senza dubbio. Ma sempre a modo suo. Basta l'esempio seguente per farci capire che cosa gli premeva di più, superando anche l'evidente dato economico.

- Prendi le cartelle e paga i debiti, dice Don Bosco.

- Le riserbo per casi imprevisti, risponde Don Rua.

- Il Signore provvederà.

- I1 Signore ha già fatto miracoli. A giorni scade un debito e allora...

--- Per allora il Signore provvederà. Mettere in serbo danaro è chiudere la via alla Provvidenza."

1~ in quest'ottica salesiana che ci accingiamo a descrivere i quattro articoli (187-190) del cap. XIV che trattano della «Amministrazione dei beni temporali».

° MB V, 482; cL Cost 79

5 Cf. P. STELLA, Don Bosco nella 5lorla economica e sociale, LAS Roma 1980, p. 8 n MB XIV, 113.114

ART. 187

La Società salesiana ha la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali. Ciò vale per la Congregazione, per le singole ispettorie e per ciascuna casa. Tali beni non siano intestati a persona fisica e si conservino solo nella misura in cui sono direttamente utili per le opere.

É da escludere l'acquisto e la conservazione di beni immobili a solo scopo di reddito e ogni altra forma permanente di capitalizzazione fruttifera, salvo quanto previsto dall'art. 188 delle Costituzioni.

1. Capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali.

La missione della Chiesa è soprannaturale, ma è inserita in strutture umane; per poterla realizzare sono necessari mezzi temporali.' Per conseguire i fini che le sono propri, indipendentemente dal potere civile, il possesso dei beni temporali le è dovuto per diritto nativo.'

I fini per cui la Chiesa rivendica la legittimità dei beni temporali sono:

- l'organizzazione del culto divino;

- il dignitoso mantenimento del clero;

- il sostentamento delle opere di apostolato e di carità, specialmente in favore dei poveri.-'

É da sottolineare pertanto lo stretto legame tra il diritto ai beni e la loro destinazione (= i fini) per cui la Chiesa rivendica tale diritto. Quasi a concludere che per altri scopi non c'è motivo per la Chiesa di possedere beni temporali.

Se la Chiesa rivendica il possesso e il bisogno di servirsi dei beni materiali per poter raggiungere i suoi fini spirituali, anche la Congregazione afferma questa capacità. Lo può fare perché è «persona giuridica

Cf. GS, 76- Certa le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione richiede».

z Cf. CIC, can. 1254

' Cf- PO, 17 e CIC, can. 1254 §2

pubblica» nella Chiesa, parte viva di essa,' Ma lo può fare solo a norma del diritto,' cioè in quanto è partecipe della missione della Chiesa e sottomessa alle sue leggi, agisce nel suo spirito, in comunione e sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica.

La Congregazione per vivere, agire, organizzarsi, istituire e sostenere le attività apostoliche ha bisogno di mezzi economici.'> La povertà quindi per noi non sta nel non possedere, ma nel saper comporre gli impegni della nostra missione con le esigenze del fatto economico. Abbiamo un ruolo profetico da svolgere anche in questo campo (Cf. Cast 77). In tutte le nostre attività consideriamo i beni temporali come mezzo per conseguire i fini istituzionali della Società. Ammonisce, al riguardo, il CGS: «le strutture devono essere a servizio della comunità e delle persone, affinché queste possano adempiere fedelmente la loro vocazione».'

Potrà accadere che qualcuno si attacchi a questi beni, ne faccia un uso sbagliato, sia ingannato dal loro complesso ingranaggio o li sciupi per incapacità, per impreparazione, per trascuratezza o per abuso. Converrà allora ricordare ai responsabili della gestione economica che, oltre ad avere cura scrupolosa di una sana amministrazione, essi agiscono come depositari dei beni della Chiesa e non devono permettersi alcun uso personale e arbitrario."

2. Ciò vale per la Congregazione, per le singole Ispettorie e per ciascuna casa.

È interessante notare come fin dagli inizi, già nel testo delle Costituzioni del 1864, scritto per avere il «decretum laudis», c'era l'idea precisa che «ogni casa possederà»; e come don Rua si sia difeso egregiamente con l'agente delle imposte, dimostrando che «le fondiarie sono iscritte a nome non già dell'Oratorio... ma dei singoli comproprietari dei terreni e dei fabbricati, dove hanno sede gli istituti».9

4 Cf. CIC, can. 116. 1258. 1259

Cf. CIC, can. 1255

•  Cf. CGS, 726 ' Cf. CGS, 706

Cf. CGS, 726

D. RUA, Lettera deI 31.12.1891, Lei I. ci rcoiari, p. 81

Le Costituzioni sottolineano: «Tali beni non siano intestati a persona fisica». Raccomandazione evidente! Oltre a dare tranquilla sicurezza nella proprietà, tale norma toglie ai singoli ogni velleità di indipendenza e ogni atteggiamento padronale. Rarissime sono le eccezioni al testo costituzionale, dettate esclusivamente dalla rigidità delle leggi civili in talune nazioni, che non consentono il diritto di proprietà ad associazioni private o religiose.

3. «Si conservino solo nella misura in cui sono direttamente utili per le opere»; quindi: «è da escludere l'acquisto e la conservazione di beni immobili a solo scopo di reddito».

I Regolamenti generali, nell'ari. 59, ribadiscono con più forza e chiarezza: «La Società non conservi alcun possesso di beni immobili, all'infuori delle case di abitazione e delle loro dipendenze di lavoro».

Le Memorie Biografiche dicono che questa «era volontà risoluta» di Don Bosco, per cui vivendo di Provvidenza quotidiana, la nostra Pia Società «non possederà mai redditi o beni stabili, eccetto i collegi e le loro adiacenze».10 E a Mons. Cagliero il 6 agosto 1885 Don Bosco scriveva: «... raccomanda a tutti di evitare la costruzione o l'acquisto di stabili che non siano strettamente necessari a nostro uso. Non mai cose da rivendersi; non campi o terreni, o abitazioni da farne guadagno

pecuniario».11

Quanto ai lasciti testamentari, Don Bosco «quanto ricevette usò rivenderlo, trasformarlo presto in moneta, depositarlo in banche in minima parte, investirlo in gran parte in imprese edilizie, in spese di mantenimento di edifici o di giovani allievi, nell'acquisto di attrezzature per laboratori delle scuole di arti e mestieri».12

Nel «Testamento spirituale», nelle pagine dedicate al «Capitolo superiore», il nostro Fondatore mette questo principio, da lui ritenuto vitale per la Congregazione, ponendolo tra le «due cose della massima importanza»: «...si ritenga come principio da non variarsi di non con-

Io MB VIII, 902

" MB XVII, 626.627

'= P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale, LAS Roma 1980, p. 157

servare alcuna proprietà di cose stabili ad eccezione delle case e delle adiacenze che sono necessarie per la sanità dei confratelli o la salubrità degli allievi. La conservazione di stabili fruttiferi è un'ingiuria che si fa alla Divina Provvidenza che in modo meraviglioso e dirò prodigioso ci venne costantemente in aiuto» Anche alla fine del «Testamento», preoccupato dell'avvenire della Congregazione, quasi a sottolineare le cose più importanti da non dimenticare e da osservare dopo la sua morte, scrive ancora: «non si conservino proprietà stabili fuori delle abitazioni di cui abbiamo bisogno} .13

Don Ricaldone così commenta questa frase: «Egli (Don Bosco) riteneva come una vera offesa alla Divina Provvidenza il conservare case, stabili, beni di qualsiasi sorta. Se noi ci spogliamo di tutto per dedicare ogni provento a fare del bene alle anime, attiriamo su di noi e sulle opere nostre nuove e più copiose benedizioni. Se all'incontro Iddio vede che, anziché appoggiarci totalmente a Lui, noi riponiamo la nostra fiducia sulle rendite e sui proventi dei capitali e degli stabili, egli ci abbandonerà alla mercé delle povere nostre risorse, le quali, appunto perché umane, mancano di solidità e duratura consistenza. Questo fiducioso abbandono nelle mani dell'amorosa Provvidenza, questo totale e generoso distacco dalle cose terrene è stata la ragione e la causa della meravigliosa forza espansiva delle opere salesiane, e costituisce la nostra  più ricca eredità» .14

4.  E’ da escludere «ogni altra forma permanente di capitalizzazione fruttifera, salvo quanto previsto dall'art.188 delle Costituzioni».

L'accento qui è posto sull'aggettivo «permanente». Ci si deve togliere dalla mente che il salesiano possa vivere o trovare la Provvidenza nell'impiegare il danaro, sotto qualsiasi forma di investimento fruttifero in modo permanente, cioè in modo stabile, fisso, duraturo, o prolungato nel tempo!

Tutt'altro discorso è tenere temporaneamente del danaro in banca e goderne gli interessi. Lo scopo primo del deposito bancario, sotto

13 MB XVII, 273

4 D. RICALDONE, Povertà, ACS n. 82 (1937), p. 48

forma di conto corrente, è la sicurezza e la facilitazione di poter operare nel campo economico, anche se di per sé il conto fa maturare gli interessi. Ma la preoccupazione non è, né deve essere quella di bloccare il conto perché maturino maggiori interessi!

Così dicasi per somme vincolate e tenute in riserva per spese programmate o prevedibili nell'arco massimo di qualche anno. Conviene notare che nell'investimento in titoli a breve o medio termine non ci dev'essere la minima traccia di speculazione o di azzardo o di imprudenza.

A ben riflettere, sembra cosa quasi impossibile che in una casa salesiana, se ben amministrata, possa rimanere dei danaro da poter investire. Si pensi ad esempio alla continua manutenzione dell'opera, alle sempre pressanti necessità di mezzi occorrenti per le finalità della medesima. Ma se dopo tutto questo rimane ancora del danaro, allora l'eccedenza va consegnata all'Ispettore (cf. Reg 197) o alla Chiesa o ai poveri.` Non è certo danaro riservato per l'accumulo o la capitalizzazione.

Meno ancora per quanto ci viene dato dalla beneficenza! Se eccezioni ci sono, sono quelle previste dal successivo articolo costituzionale 188,4, che vengono sempre sottoposte al vaglio e alla «necessaria autorizzazione del Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio».

Il CG21 per maggior chiarezza non aveva voluto accennare in questo articolo ai contenuti del 188,4 per sottolineare più chiaramente che i beni temporali in Congregazione si conservano solo nella misura in cui sono utili per le attività educativo-pastorali, escludendo ogni forma permanente di capitalizzazione fruttifera; e perché i casi ivi espressi di «borse di studio, legati di Messe, vitalizi, enti o fondazioni di beneficienza», trattandosi di vere operazioni economiche di amministrazione straordinaria onerose, fossero soggette alle normali autorizzazioni.'6 Il CG22, nella revisione definitiva delle Costituzioni, ha aggiunto la frase: «salvo quanto previsto dall'art. 188 delle Costituzioni», unicamente per non essere in contrasto con l'articolo seguente ma, così facendo, ha messo più in evidenza la necessità delle dovute autorizzazioni per i casi contemplati dall'art. 188,4.

's Cf. CIC, can. 640 'R Cf. CG21, 416-418

Il discernimento personale e comunitario sull'art. 187 può soffermarsi utilmente su due aspetti:

1) Vedere se le strutture sono a servizio della comunità e delle persone, affinché queste possano adempiere fedelmente la loro vocazione."

Sono cinque gli orientamenti che garantiscono il raggiungimento di questo obiettivo:

il giusto rapporto tra una sana amministrazione e la povertà religiosa;

la priorità dei fini istituzionali sui beni materiali;

la coscienza di essere depositari di beni della Chiesa;

il rapporto funzionale tra testimonianza e beni materiali;

la solidarietà economica fra tutte le opere dell'Ispettoria per aiutare quelle più bisognose e per far fronte a lavori e acquisti straordinari programmati in sede di Capitolo e/o Consiglio ispettoriale.

2) Evitare qualsiasi controtestimonianza di povertà nel possesso e nell'uso dei beni immobili stando attenti alle condizioni dell'ambiente e verificando se nelle strutture ci ispiriamo a criteri di semplicità e funzionalità (cf. Cost 77).

Mamma Margherita sul letto di morte diceva al figlio: «Non cercare né eleganza né splendore nelle opere. Cerca la gloria di Dio, ma abbi per base la povertà di fatto» .'$ Don Bosco nel suo «Testamento spirituale», già citato, raccomandava al Capitolo Superiore che «nel permettere costruzioni o riparazioni di case si usi gran rigore nell'impedire il lusso, la magnificenza, la eleganza». E concludeva: «Dal momento che comincerà (ad) apparire agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra Congregazione».' 9

' CGS, 706

'g MB V, 562

" MB XVII, 258

O Signore,

liberaci dalla stoltezza degli uomini di questo mondo che accumulano beni pensando solo di goderli in questa vita;

e fa' che l'esempio e le esortazioni di Don Bosco ci spingano a mettere ogni fiducia

nella Provvidenza che «in modo meraviglioso e prodigioso ci è venuta costantemente in aiuto».

ART. 188

È necessaria l'autorizzazione del Rettor Maggiore con il consenso del suo

Consiglio per:

1. acquistare, alienare, permutare, ipotecare, dare in affitto beni immobili;

2. contrarre prestiti con o senza ipoteche;

3. accettare a titolo oneroso eredità, Lasciti o donazioni; per quelli accettati

senza oneri e sufficiente darne comunicazione;

4. costituire vitalizi, borse di studio, obblighi di messe, particolari fonda

zioni o enti di beneficenza;

5. costruire nuovi edifici, demolire gli esistenti o effettuarvi trasformazioni importanti.

Per tale autorizzazione, quando si tratta di operazioni a livello ispettoriale o locale, occorre che sia presentata dagli organi interessati adeguata documentazione, accompagnata dal parere dell'ispettore e del suo Consiglio e anche da quello del direttore e del suo Consiglio quando riguarda una casa.

Come si rileva dal testo dell'articolo, per alcune importanti operazioni finanziarie che aumentano o diminuiscono il patrimonio della Congregazione, c'è un limite da osservare, ossia occorrono autorizzazioni a procedere.

Questo mette ulteriormente in evidenza il principio fondamentale che in Congregazione nessuno può farla «da padrone», ma tutti, secondo le proprie competenze, siamo amministratori di beni che non ci appartengono. Conviene ripetere, per convincerci sempre più, che i nostri beni appartengono sì alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati (= la Congregazione), ma sono sotto la suprema autorità del Sommo Pontefice perché sono beni ecclesiastici e quindi retti dal Codice di diritto canonico e dai propri Statuti.'

Ora i nostri Statuti dicono chiaramente che per le operazioni economiche dell'art. 188 «è necessaria l'autorizzazione del Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio».

1 cinque punti dell'articolo sono espressi in modo chiaro e facilmente comprensibile. Non richiedono una spiegazione dettagliata. C'è solo da ricordare un particolare, che i capitolari del CG22 hanno voluto

' Cf. CIC, can. 1256-1257

aggiungere al punto 3. Essi hanno distinto tra eredità, lasciti o donazioni accettati a titolo oneroso e quelli accettati senza oneri o impegni di sorta. I primi necessitano di regolare autorizzazione; per i secondi è sufficiente darne comunicazione. Con questo ritocco si è voluto rispondere sia all'esigenza espressa dal can. 1267,2, per il quale le offerte fatte alle opere della Chiesa non debbono essere rifiutate se non per giusta causa, sia all'opportunità che il Rettor Maggiore e il suo Consiglio siano sempre a conoscenza di aumenti significativi del patrimonio.

Le pratiche per tali autorizzazioni richiedono una «adeguata documentazione» che l'Ispettore e il suo Consiglio e, nel caso, anche il Direttore e il suo Consiglio devono accompagnare con il loro parere. In pratica l'«adeguata documentazione» comprende:

1) una domanda dell'Ispettore con il parere suaccennato, volta a commentare e completare i contenuti dei vari documenti allegati;

2) l'estratto del verbale del Consiglio ispettoriale dove risulta espresso il parere di tutto il Consiglio; quando una pratica riguarda una Casa, occorre anche quello del Consiglio della comunità;

3) eventuali altri documenti che facilitino la comprensione della richiesta.

Inoltre per la costruzione di immobili occorre presentare il preventivo di spesa; è necessario precisare come si farà fronte a tale spesa; se esiste, si accluderà anche una relazione tecnica della costruzione, corredata dai disegni del piano di costruzione, almeno quelli generali.

Se si deve procedere a una compera di immobili, necessita sapere l'importo e i mezzi con i quali verrà pagato e da chi. Completa la documentazione una piantina planimetrica e l'indicazione dell'Ente o della Casa acquirente.

Per la vendita o donazione di beni occorre conoscere con precisione il bene che si vende o si dona e il valore presumibile del medesimo; c'è poi da indicare chiaramente l'uso che si farà con il danaro ricavato.

Circa i mutui, i prestiti o fidi bancari, si indicherà la somma richiesta; il tasso d'interesse, la durata e la forma di ammortamento; quali beni eventualmente sono richiesti in garanzia (ipoteca); la possibilità di pagare i ratei.

Non si deve credere che tutto questo faccia parte di quel tributo

che bisogna pagare alla burocrazia, nume tutelare della odierna società. Si pensi invece che è 'sempre per quel principio di fondo, che cioè non siamo noi i padroni dei beni della Società, ma solo attenti e fedeli amministratori.

Già Don Bosco, nella stesura del 1864 metteva tutto questo in modo significativo nel testo delle Costituzioni: «ogni casa possederà e amministrerà... ma sempre nei limiti fissati dal Superiore generale». Più avanti insisteva: «il Direttore non può comperare né vendere stabili senza il consenso del Rettor Maggiore», e aggiungeva nel testo del 1875: «né costruire nuovi edifizi né demolire i già fatti né far novità di grave importanza»,2

O Signore,

fa' che nei rapporti con i responsabili

noi agiamo con delicatezza d'animo, senza sotterfugi, non ritenendo superfluo ciò che è dovuto da ciascun amministratore,

sicuri che nella sincerità e chiarezza degli affari terreni si rispecchia la nostra coscienza

di servi attenti e fedeli.

' Cf. Costituzioni 1864, XII, 4. 12; Costituzioni 1875, X, 12 (cf. F. MOTTO, p, 160 e ís5).

ART. 189

In ordine a tutte le operazioni di cui all'articolo 188 delle Costituzioni, spetta al Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio, uditi gli ispettori con i rispettivi Consigli e tenuto conto delle pertinenti decisioni della Sede Apostolica, determinare i limiti di valore entro cui è competente l'ispettore con il consenso del suo Consiglio per autorizzarle con analoga procedura.

Quando si tratta di operazioni che superano la somma stabilita dalla Sede Apostolica, o di donazioni votive e di oggetti preziosi per valore storico o artistico, è necessaria anche la licenza della Sede Apostolica.'

' cf. CIC, can. 638,3

L un articolo che completa il precedente, dicendo a chi spetta stabilire i limiti di valore delle operazioni di cui all'ari. 188: l'autorità competente è il Rettor Maggiore col suo Consiglio, il quale tuttavia terrà conto delle indicazioni e norme date al riguardo dalla Sede Apostolica.

Parlando di autorizzazione o «nulla osta, si può qui fermare l'attenzione sull'esigenza del «render conto», ripetutamente sottolineata nel nostro diritto proprio. I due aspetti sono strettamente collegati: il fatto di dover dipendere perché è necessaria la licenza o il fatto di imporre limiti di competenza, fanno sì che io debba render conto del mio amministrare rispettando le leggi ecclesiaStiche e quelle civili. Tutti in Congregazione, a vari livelli, dobbiamo rendere conto dei beni che ci sono affidati. Lo stesso Codice di diritto canonico ci ricorda di farlo nei tempi e nei modi stabiliti.'

Proprio per questo i Regolamenti generali abbondano di norme.2 E ciò fin dagli inizi della Congregazione: già il testo delle Costituzioni del 1864 ricordava di essere sempre pronti così «da potere ogni momento render conto a Dio e al Rettor Superiore» della propria amministrazione.3

A nessuno può venire in mente che esigere il rendiconto sia una mancanza di fiducia da parte di chi ha il dovere di farlo. Non lo è sul

Cf. CIC, can. 636 §2

2  CF. Reg 56. 65. 192. 196. 202

' Costituzioni 1864, XII, 6 (cf. F. MOTTO, p. 162)

piano personale: basta rileggere l'art. 56 dei Regolamenti per vedere quanta fiducia c'è in quel ricevere danaro «per le necessità individuali minute» e in quel richiamo a usarlo «con senso di responsabilità». Non poteva esserci una conclusione diversa: «rendendone conto al Superiore», proprio perché si parte dall'idea che «tutto dovrà essere messo tra i beni comuni». Meno ancora può ritenersi superfluo il render conto sul piano comunitario. L'importanza del rendiconto - ovvia e scontata per ogni amministrazione sul piano civile ed economico - per noi ha un motivo in più nel necessario confronto con i fini istituzionali e nella verifica della testimonianza di povertà e di carità, esigita anche dalla Chiesa .4

Non stona, in questo contesto, il richiamo all'osservanza delle leggi civili sociali e fiscali, che sono, in certo modo, un rendiconto aperto alla comunità civile (ad esempio la dichiarazione dei redditi, le leggi relative al lavoro e alle assicurazioni sociali ecc.). Se siamo educatori per formare «onesti cittadini», il nostro esempio non può mancare!

Un ultimo suggerimento ci è offerto dal Capitolo generale speciale:' amministrazione ed economia sono compiti di tutta la comunità, cioè tutti i confratelli devono sentirsi corresponsabili e impegnati nell'andamento economico della casa. Per questo vanno sviluppati i mezzi di partecipazione comunitaria alla gestione amministrativa (Cf. Reg 184. 202).

Occorre educarsi a un'adeguata valutazione degli aspetti economici sia all'interno della comunità sia nell'ambiente sociale più ampio in cui si vive.

0 Signore,

quando un giorno Tu verrai

a chiedermi conto del mio operato, fa' che possa rispondere

con la stessa chiarezza con cui oggi rendo conto ai miei Superiori.

° Cf. CIC, can. 640; Reg 65 ' Cf. CGS, 61,5

ART. 190

Tutti i beni temporali sono amministrati rispettivamente dall'economo generale, dagli economi ispettoriali e dagli economi locali, sotto la direzione e il controllo dei rispettivi superiori e Consigli, in conformità alle disposizioni canoniche, a norma delle Costituzioni e dei Regolamenti generali e nell'osservanza delle leggi vigenti nei vari paesi.

L'articolo tratta delle persone a cui, nella comunità ai diversi livelli, viene affidata la responsabilità di curare, insieme col Direttore (cf. Cost 176), l'amministrazione dei beni temporali: la figura dell'Econorno (o «prefetto», come si chiamava un tempo) è stabilmente contemplata nelle Costituzioni della nostra Società.'

È questo un esempio pratico di decentramento, come vuole l'art. 124 delle Costituzioni. Gli articoli regolamentari poi esprimeranno meglio ai vari livelli il compito riservato ai responsabili: l'art. 192 per l'Economo generale a livello di direzione generale; l'art. 193 per l'Economo ispettoriale nell'Ispettoria e l'art. 198 per l'Economo locale nelle singole Case. L'avverbio «rispettivamente» chiarisce, se ce ne fosse bisogno, che i singoli amministrano soltanto per quel che compete a ciascuno.

Per un compito così importante si impone:

la scelta e la preparazione di persone adatte;

la costituzione di un ufficio amministrativo, tenuto con metodo cd efficienza, correttezza e completezza, e dove tutto si svolge in conformità alle disposizioni canoniche, alle norme delle Costituzioni e dei Regolamenti generali e nell'osservanza delle leggi civili vigenti; la direzione e vigilanza dei rispettivi Superiori e Consigli non per un controllo fiscale ma per una collaborazione e un aiuto e soprattutto per una linea di «politica» economica onde ottenere il giusto rapporto tra beni temporali e fini costituzionali;

' Cf. Costituzioni 1875, IX, 10-14 («Prefetto» generale) e X, 14-15 («Prefetto» locale). (cf. E MOTTO p. 151-153 e 167)

- la consulenza, saltuaria e all'occorrenza, di professionisti competenti nei vari rami economico-finanziario-fiscale-assicurativo (cf. Reg 185);

- la creazione di consulte di confratelli perché diano orientamenti e consigli nei vari campi amministrativi-finanziari (cf. Reg 185); la formulazione di norme dettagliate circa l'amministrazione da parte dei Capitoli ispettoriali (Reg 190).

La cura scrupolosa e saggia di una sana amministrazione, oltre che essere una giusta valorizzazione dei beni per il servizio dell'uomo, è anche garanzia per un'osservanza della povertà individuale e collettiva; è strumento per una più chiara testimonianza di povertà.

Parlando dell'Economo, cui è affidata in modo particolare la responsabilità amministrativa, abbiamo davanti una figura caratteristica della Casa salesiana, radicata in una tradizione che risale a Don Bosco e a Don Rua, veri modelli di amministratori umanamente saggi e saldamente radicati nella fiducia alla Provvidenza divina.

Da una parte si richiedono dall'Economo salesiano qualità e atteggiamenti, che fanno di lui una persona professionalmente competente:

l'aggiornata conoscenza delle leggi che regolano il fatto econo

mico nei suoi diversi aspetti: contabile, finanziario, fiscale, ecc.;

la diligenza, l'ordine e la completezza delle operazioni economiche, delle registrazioni e della documentazione, dei rendiconti periodici;

la prudenza nelle scelte che debbono esser fatte sempre in sintonia con il Direttore e il Consiglio;

la correttezza di fronte alle leggi sociali ed agli adempimenti prescritti dal diritto sia ecclesiastico che civile; la capacità di trattare con le persone, all'interno e all'esterno della comunità.'

Ma al di là e al di sopra di queste qualità umane e professionali, l'Economo si presenta nella Casa salesiana come colui che, in spirito di famiglia, aiuta i confratelli e la comunità a vivere la propria vocazione

2 Si veda la lettera circolare di D. RICCERI, La nostra povertà oggi, in AC$ n. 253 (1968), p. 56ss. Si veda anche, su questo tema, il Il Direttore solesiono (1986), Appendice.

nella fedeltà alla Regola in un giusto rapporto con i beni terreni e con i mezzi necessari al lavoro educativo e pastorale. Unito al Direttore, egli è custode di quello spirito di povertà che Don Bosco ha voluto per la sua famiglia, spirito fatto di retta economia e di fiducia nella Provvidenza che «accetta i mezzi richiesti dal proprio lavoro e li amministra in modo che a tutti sia evidente la loro finalità di servizio» (cf. Cost 77).3

Conviene ricordare ancora che quanto amministriamo non è nostro. Come abbiamo detto, sono beni della Chiesa! e non possiamo permetterci un uso personale e arbitrario. Non dimentichiamo, poi, che quanto abbiamo tra mano è frutto del lavoro dei confratelli ed è segno tangibile della Provvidenza che ci sostiene attraverso la generosità e i sacrifici, talora incalcolabili, dei benefattori 4

Concludiamo ricordando che assumere compiti amministrativi è un vero servizio, sempre faticoso e talvolta ingrato. Va quindi tutto il nostro incoraggiamento ai confratelli economi che sacrificano il loro tempo e le loro energie in un lavoro pesante per creare alle comunità le condizioni necessarie per un lavoro pastorale più efficiente.

Preghiamo per i confratelli

chiamati dall'obbedienza al delicato compito

di amministrare i beni materiali della comunità, perché, svolgendo tra noi e per noi il lavoro nascosto e sacrificato che san Giuseppe compì nella Santa Famiglia, abbiano, per sua intercessione, il sostegno della Provvidenza del Padre.

Perché i nostri economi siano confortati

dalla collaborazione e dalla riconoscenza dei confratelli, e siano così incoraggiati a lavorare

come ministri della Divina Provvidenza, preghiamo.

Sulla figura dell'Economo salesiano si veda anche D. PILLA, Valore religioso dell'attività economico-amministrativa del salesiano, in ACS n. 300, p. 49-53

4 Cf. CGS. 726

Perché i nostri economi e i loro collaboratori

sappiano congiungere lo spirito della povertà evangelica con la sollecitudine fraterna e premurosa verso le necessità dei confratelli e dei giovani, soprattutto di quelli particolarmente bisognosi di attenzioni e di cura, preghiamo.

O Signore,

dona ai nostri economi

la scaltrezza e la precisione del saggio amministratore perchè possano infondere fiducia nei confratelli, suscitare la carità dei benefattori e degli amici e attirare le benedizioni divine sulla nostra Società.

CONCLUSIONE

Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché tu hai dilatato il mio cuore» (Sal 119, 32).

Si chiudono le Costituzioni che hanno prospettato la Regola di vita come un cammino di crescita «verso dì Lui che è il Capo, Cristo» (Ef 4,15; Cost cap. VIII). Efficacemente l'ultima ispirazione biblica rimane aperta: riconosciamo che gli articoli costituzionali rientrano per grazia di Dio tra i suoi «comandamenti» e affermiamo di voler correre per la via da essi tracciata. Vi è una ragione profonda, sostanziale, che si è venuta progressivamente scoprendo: la presenza di un Tu misterioso che dilata il cuore.

Tutta questa rete dì pensiero ha nel Salmo 119, canto e meditazione in onore della Legge del Signore, come pure in tutta la Bibbia, un solido riferimento: la legge di Dio è la via che Dio traccia e mostra all'uomo. Tale legge è anzitutto il grande piano di salvezza che Dio ha stabilito per il mondo, dove l'indicativo della grazia (le potenti azioni di Dio) e l'imperativo etico si intrecciano in modo indissolubile. Sarà giusto il cammino di vita di un uomo se coincide con la via indicata da Dio, dunque con l'accoglienza sincera, amorosa, fedele della «legge» del Signore.

Il correre indica l'estrema volonterosità del viandante, in questo sollecitato dalla coscienza della posta in gioco («corriamo con perseveranza nella corsa tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede», Eb 12,1-2). Fermarsi o peggio «volgere indietro lo sguardo» vuoi dire non essere «adatto per il Regno di Dio» (Lc 9,62).

Dilatare il cuore significa nella Bibbia riempirlo di coraggio e consolazione (Sal 25,17; Is 60,5). Annota S. Agostino: «Non dobbiamo rinchiuderci nell'angustia del timore delle pene, ma dobbiamo dilatarci nell'amore e nella gioia della giustizia». Tanto più che la legge di Dio è scritta da Dio nei nostri cuori (Ger 31,33) e la soavità dello Spirito guida i nostri passi nel compimento della legge.

Il testo delle Costituzioni scritto dal Fondatore e approvato dalla Sede Apostolica conteneva, subito dopo la formula dei voti, un articolo posto come «conclusione», il quale, mentre rammentava la responsabilità personale dell'osservanza della Regola, implicitamente stimolava alla fedeltà alla promessa fatta davanti a Dio e davanti alla Chiesa.1

Questa conclusione rimase nel testo pressoché inalterata fino all'edizione del 1966 .a

Il Capitolo generale speciale, rivedendo le Costituzioni secondo i criteri dettati dal Concilio Vaticano Il, riprese nella sostanza la «conclusione» del testo primitivo, ma allargò la visuale poggiando l'osservanza fedele della Regola sul suo più profondo significato ecclesiale e salesiano. L'art. 200 delle Costituzioni approvate «ad experimentum» dal CGS, ricollegandosi col Proemio, era un invito a scoprire nel testo della Regola «le ricchezze spirituali della nostra tradizione» come vera «via evangelica», che la Chiesa con la sua approvazione ha autenticato per la crescita di ogni socio e dell'intera Società secondo lo spirito del Fondatore.'

Il CG22, facendo proprio il pensiero del CGS, ha voluto ulteriormente allargare i contenuti della «conclusione, a ciò stimolato da diverse proposte pervenute dai Capitoli ispettoriali e dai Confratelli .4

La «conclusione» risulta in tal modo composta da sei articoli che, accanto ad alcune precisazioni globali sul nostro «diritto proprio», presentano delle considerazioni di sintesi sul senso delle Costituzioni e sulla responsabilità della loro osservanza, sottolineando in modo speciale i valori della fedeltà e della perseveranza quale «risposta sempre rinnovata alla speciale alleanza che il Signore ha sancito con noi» (Cost 195).

Più in dettaglio i contenuti della parte conclusiva sono così articolati:

-    un primo articolo (Cast 191) allarga la visuale a tutti i codici che insieme con le Costituzioni costituiscono il «diritto proprio», che regola la vita e l'azione della nostra Società. Questo articolo corrisponde sostanzialmente all'art. 123 delle Costituzioni del 1972;

' Cf. Costituzioni 1875, F. MOTTO, p. 209 x Cf. Costituzioni 1966, art. 200 ' Cf. Costituzioni 1972, art. 200 ° Cf. Schemi precapitolari, Il, p. 293-297

-   due articoli (Cost 192 e 193) descrivono in generale il testo costituzionale sia dal punto di vista carismatico che giuridico; trattano inoltre della interpretazione autentica delle Costituzioni e degli obblighi morali che derivano dagli impegni della professione e dall'approvazione da parte della Chiesa;

-   l'art. 194 tratta dell'eventuale «separazione dalla Società» di un socio: è un problema delicato, che tocca la coscienza personale e la responsabilità comunitaria e che opportunamente è stato collocato in un contesto che parla di impegno e di fedeltà;

-  l'art. 195 è uno stimolo alla «fedeltà e perseveranza», totalmente appoggiata sulla fedeltà di Dio e sostenuta dall'amore ai giovani; è insieme un invito alla gratitudine per i doni che la vita salesiana ci offre e che il testo delle Costituzioni ha descritto. Molto opportunamente questo articolo - corrispondente al 119 del testo del 1972 - è stato posto nella parte conclusiva;

-          da ultimo il testo costituzionale pone un articolo (Casi 195), di tono altamente spirituale, che corona con una degna sintesi il tutto. Si tratta sostanzialmente del Proemio dell'edizione anteriore (1972) che trova qui una collocazione significativa. In esso si proclama Gesù Cristo nostra suprema «Regola vivente», Maria nostra «Guida», Don Bosco nostro «Modello» e le Costituzioni «una via che conduce all'Amore»5

' Cf. E. VIGANO Il testo rinnovato della nostra Regola di vita, ACS n. 312 (1985), p. 17

ART. 191   IL DIRITTO PROPRIO DELLA NOSTRA SOCIETÀ

La vita e l'azione delle comunità e dei confratelli sono regolate dal diritto universale della Chiesa e daI diritto proprio della Società.

Quest'ultimo viene espresso nelle Costituzioni, che rappresentano il nostro

codice fondamentale, nei Regolamenti generali, nelle deliberazioni del Capitolo generale, nei Direttori generali e ispettoriali e in altre decisioni delle competenti

autorità.

Questo articolo, di indole essenzialmente giuridica, inquadra il «diritto proprio» della Società salesiana nel diritto universale della Chiesa, proponendo nello stesso tempo una sintesi delle fonti del nostro diritto,

E anzitutto occorre ricordare che il nuovo Codice di diritto canonico, mentre dà una legislazione più generale, è rispettoso del principio del decentramento. Uno dei criteri ispiratori della riforma delle norme riguardanti la vita consacrata, infatti, fu quello di lasciare agli Istituti la facoltà di darsi delle norme più elastiche, adatte ai loro bisogni e allo stile di vita corrispondente al proprio carisma. Perciò il Codice dice spesso che, circa determinati aspetti della loro vita, gli stessi Istituti possono e debbono stabilire la propria legislazione.

Perciò il primo capoverso dell'articolo ricorda i tipi di norme,. gerarchizzate e differenziate tra loro, che regolano «la vita e l'azione delle comunità e dei confratelli».

Esse sono:

-   le norme del diritto universale, emanate dalla Sede Apostolica e contenute principalmente nel Codice di diritto canonico;

-          le norme del diritto particolare, promulgate dal Vescovo diocesano, nelle materie in cui anche i Religiosi sono a lui soggetti. Ad esempio leggiamo nel can 678: «1 religiosi sono soggetti alla potestà del Vescovo... in ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato».'

' CIC, can. 678 §i

- le norme del «diritto proprio», cioè le norme della legislazione che la Società stessa , attraverso la competente autorità, stabilisce per i suoi membri e le sue comunità a livello mondiale o ispettoriale.

Il secondo capoverso precisa il significato del «diritto proprio» della nostra Società e ne indica le fonti. Esso - dice il testo - «viene espresso nelle Costituzioni..., nei Regolamenti generali, nelle deliberazioni del Capitolo generale, nei Direttori generali e ispettoriali e in altre decisioni delle competenti autorità».

Notiamo come la legge universale della Chiesa fa distinzione tra le Costituzioni, costantemente chiamate «codice fondamentale» e le altre fonti del diritto proprio, che devono esistere, approvate dall'autorità dell'Istituto, e che dalla stessa autorità possono essere rivedute, adattate, aggiornate. Quando, per esempio, si dice che il Superiore generale è eletto in base alle norme delle Costituzioni,2 ciò significa che le modalità per l'elezione devono essere inserite nel codice fondamentale e quindi devono essere approvate dalla Sede Apostolica. Quando, invece, è detto che il diritto proprio deve vigilare affinché i Superiori, costituiti per un tempo determinato, non restino troppo a lungo, senza interruzione, nelle cariche di governo,3 ciò vuol dire che una indicazione in proposito deve risultare in qualche parte del diritto proprio. Potrà essere collocata, se si vuole, nel testo delle Costituzioni, ma non è obbligatorio: può anche semplicemente essere messa nei Regolamenti o in altra fonte del diritto proprio.

Approfondiamo brevemente la materia.

1. Il codice fondamentale

Esso rappresenta il libro che contiene gli elementi essenziali atti a definire l'identità e la missione dell'Istituto, le finalità che si propone, lo spirito che lo anima e il modo con cui si organizza. Nelle Costituzioni devono essere opportunamente armonizzati gli elementi evangelici e teologici, relativi alla vita consacrata e all'unione con la Chiesa, e gli

2 Cf. C1C, can. 625 §t ' Cf. CIC, can. 624 §2

elementi giuridici necessari per definire in modo preciso la fisionomia, i fini e i mezzi di cui dispone la Congregazione. 1 Codice di diritto canonico avverte, tuttavia, che le norme non devono moltiplicarsi senza vera necessità, perché non è nella molteplicità delle leggi che viene garantita l'osservanza.

Una caratteristica propria del codice fondamentale è l'approvazione da parte della Sede Apostolica: tale approvazione - necessaria anche per eventuali modifiche - vuol garantire la fedeltà all'indole propria dell'Istituto.

2. Le altre fonti del diritto proprio.

Per la loro natura le Costituzioni devono contenere ciò che ha un valore permanente nel tempo e nello spazio; ma vi sono altri elementi sussidiari e pratici, applicativi delle Costituzioni, relativamente stabili, integrativi ed organici, che sono approvati e promulgati dai Capitoli generali o dalle competenti autorità, e che hanno valore universale oppure particolare. Tali elementi sono contenuti in altre fonti del' diritto proprio della Società.

L'art. 191 delle Costituzioni cita le fonti tipiche del nostro diritto proprio: i Regolamenti generali, i Direttori sia generali che ispettoriali, le deliberazioni dei Capitoli generali o delle competenti autorità. In queste fonti o collezioni di documenti, che sono insieme normativi e spirituali, va collocato tutto ciò che è necessario alla vita e all'azione della Società o di una Ispettoria, ma che più facilmente può essere oggetto di revisione per essere adattato ai tempi e ai luoghi.

1 CG21 ha dato una descrizione sintetica di questi testi del nostro diritto proprio: a

- I Regolamenti generali: rappresentano l'insieme delle norme che traducono in norme adatte alle situazioni mutevoli gli elementi generali del codice fondamentale. Essi contengono perciò le applicazioni concrete e pratiche di interesse universale delle Costituzioni, quindi valide da praticarsi in tutta la Congregazione.

4 Cf. CG21, 380-384

I Direttori generali e ispettoriali: sono un insieme di norme pratiche, fondate sui principi costituzionali e sulla tradizione salesiana, che regolano la vita e la missione della Società per quanto riguarda aspetti determinati: a livello mondiale sono promulgati dal Rettor Maggiore col suo Consiglio, e spesso per mandato del Capitolo generale (così ad esempio la «Ratio fundamentalis instítutionis et studiorum»); mentre a livello ispettoriale sono stabiliti dal Capitolo ispettoriale, ma hanno forza vincolante solo dopo l'approvazione del Rettor Maggiore con suo Consiglio.

Vi sono, infine, decreti o deliberazioni, promulgati dal Capitolo generale o dalle competenti autorità a livello mondiale o ispettoriale: sono disposizioni che riguardano questioni particolari su materia precisa, che talora hanno una validità per un tempo determinato (per esempio nell'ambito di un sessennio).

Tutti questi testi normativi, insieme con le Costituzioni o codice fondamentale, costituiscono, nel suo significato più ampio, la «Regola di vita» del salesiano.

D Dio onnipotente,

la Tua legge è per noi Parola di vita:

concedici di accogliere come Tuo dono

i comandamenti con i quali ci indichi il cammino, e di eseguirli con ardente fedeltà come risposta d'amore,

perché possiamo, come il Tuo Cristo, corrispondere in pienezza al Tuo disegno su di noi ed essere chiamati Tuoi figli. Per Cristo nostro Signore.

ART. 192   SENSO E INTERPRETAZIONE DELLE COSTITUZIONI

Le presenti Costituzioni contengono le ricchezze spirituali della tradizione dei Salesiani di Dan Bosco e definiscono il progetto apostolico della nostra Società.

La Chiesa, approvandole, assicura l'autenticità evangelica della via tracciata dal Fondatore e riconosce in essa «un bene speciale per l'intero popolo di Dio».'

Solo la Sede Apostolica ne è ('interprete autentica; ma per la direzione pratica della Società e il bene dei confratelli le può interpretare, oltre al Capitolo generale, anche il Rettor Maggiore con il suo Consiglio.

' RD, l4; cf. PC I.

L'art, 192 completa e arricchisce quello precedente, fermandosi a riflettere sul significato profondo del codice fondamentale o Costituzioni nella vita e missione della Società. Esso si riallaccia idealmente con il Proemio e con il primo articolo del nostro testo costituzionale, che collegava la Regola direttamente con Don Bosco Fondatore: nella introduzione generale a questo Commento sono già stati evidenziati molti elementi che aiutano a scoprire il senso delle Costituzioni.

Qui vengono sottolineati soprattutto due aspetti:

- le Costituzioni «contengono le ricchezze spirituali della tradizione dei Salesiani di Don Bosco»: ciò significa che nelle Costituzioni, insieme con l'esperienza spirituale del Fondatore, confluisce anche la vita della Congregazione e la santità dei suoi membri: tutto ciò che lo Spirito del Signore ha fatto fiorire per arricchire il carisma salesiano è entrato in questo testo, che a ragione si può definire il patrimonio più prezioso della Società.' Giustamente il Rettor Maggiore, a conclusione del lavoro di revisione del testo, rivolgendosi ai capitolari, affermava: «Non siamo né gli unici né i principali protagonisti del testo rinnovato delle Costituzioni e dei Regolamenti: siamo gli eredi di Don Bosco e di un tesoro di esperienza vissuta da generazioni di testimoni; la revisione è frutto di partecipazione attiva di tutta la Congregazione».2

Cf. CIC, can. 578

a CC22 Documenti, 58

- «definiscono il progetto apostolico della nostra Società»: questo aspetto è già stato commentato nella introduzione generale :3 esso risponde alle indicazioni del Codice di diritto canonico, il quale prescrive che nelle Costituzioni risultino «l'intendimento e i progetti dei Fondatori, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'Istituto, così come le sane tradizioni» .1 Le Costituzioni conterranno anche le norme fondamentali relative al governo della Congregazione e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione.' Gli elementi evangelico-teologici e gli elementi giuridici concorrono a descrivere adeguatamente il progetto di vita e di azione della Società, quello stile «particolare di santificazione e di apostolato» 6 che «ha un suo proprio campo di competenza, a cui spetta una genuina autonomia»,7

Il secondo capoverso parla dell'approvazione delle Costituzioni da parte della Sede Apostolica: è una caratteristica specifica di un Istituto religioso riconosciuto di diritto pontificio (cf. Cost 4).

Tale approvazione riveste una particolare importanza, poiché essa «assicura l'autenticità della via evangelica tracciata dal Fondatore», garantisce l'ecclesialità del carisma che lo Spirito ha fatto sorgere. Si noti la significativa frase tratta dalla Esortazione apostolica «Redemptionis donum»: la Chiesa, approvando le Costituzioni, riconosce nella Società «un bene speciale per l'intero popolo di Dio»,$ riconosce cioè che questa forma di vita appartiene alla sua vita e santità.> Abbiamo presente ciò che Don Bosco asseriva presentando il primo testo approvato nel 1874: «Questo fatto deve essere da noi salutato come uno dei più gloriosi per la nostra Congregazione, come quello che ci assicura che nell'osservanza delle nostre Regole noi ci appoggiamo su basi stabili, sicure, e, possiamo dire, anche infallibili, essendo infallibile il giudizio del Capo Supremo della Chiesa, che le ha sanzionate».`

' Cf, Introduzione generale, p, 2b-27 Cf. CIC, can. 578; can. 587 3 Cf. CIC, 587 §1

s MR, 11 MR, 13

a RD, 14

' Cf. LG, 44

10 D BOSCO, Introduzione ulte Ccsfifuzioni, cf. Appendice Costituzioni 1984, p. 217

Il terzo capoverso dell'articolo si sofferma, infine, a trattare della interpretazione delle Costituzioni.

Sappiamo che interpretare è un processo mentale con cui si stabilisce il rapporto tra un segno linguistico e un pensiero o una cosa. Ora, poiché le Costituzioni sono leggi ecclesiastiche e, se approvate dalla Sede Apostolica, sono leggi pontificie, solo la Sede Apostolica ne è l'interprete autentica.

Il testo, tuttavia, con l'approvazione della stessa Santa Sede, stabilisce alcuni ambiti per l'interpretazione del testo nella vita della Società:

1. Il Capitolo generale, legittimamente convocato e rettamente ordinato secondo le Costituzioni (cf. Cost 146 ss.) può, con la maggioranza assoluta dei voti:

- interpretare autenticamente il senso dubbio delle Costituzioni e definire ogni difficoltà che sorgesse nell'osservanza e applicazione;

- modificare il testo stesso delle Costituzioni, sia abrogando o derogando, sia aggiungendo nuove prescrizioni; ma in tal caso le modifiche avranno forza vincolante solo dopo l'approvazione della Sede Apostolica."

2. Il Rettore Maggiore può interpretare le Costituzioni «per la direzione pratica della Società e per il bene dei confratelli»; può anche sospendere o modificare qualche norma costituzionale, tuttavia col beneplacito della Sede Apostolica. Tutto questo è possibile per una necessità urgente e con il consenso del Consiglio generale ed ha vigore fino alla convocazione del successivo Capitolo generale.

O Dio, che ci hai chiamati a servirli nella Società salesiana, donaci la sapienza del cuore

per scoprire nella nostra Regola di vita

il segno certo della Tua volontà su di noi; facci comprendere e amare, nella Regola,

" Cf. CIC, can. 587 §2; Cast 148

 le ricchezze spirituali della nostra tradizione salesiana, perché, seguendo con autenticità evangelica la via tracciata dal nostro Fondatore, siamo per il Tuo popolo testimoni di santità nella vita e -nelle opere.

Per Cristo nostro Signore.

ART. 193 VALORE OBBLIGANTE DELLE COSTITUZIONI

Le Costituzioni obbligano ogni socio in forza degli impegni assunti liberamente davanti alla Chiesa con la professione religiosa.

I superiori maggiori, fermo restando ciò che dispone il diritto universale, possono dispensare temporaneamente da singoli articoli disciplinari.

' cf. CIC, can. 85.87; 90; 92; 93; t'43

Il valore obbligante delle Costituzioni.

Nell'articolo conclusivo delle Costituzioni del 1972 si affermava: «la Chiesa nell'approvarle non intende proporre speciali obblighi sotto pena di peccato»; il testo riprendeva sostanzialmente quello delle precedenti edizioni, dove si diceva più esplicitamente: «a tranquillità delle anime la Società dichiara che le presenti Costituzioni non obbligano di per sé sotto forma di peccato né mortale né veniale». Analoga dichiarazione si trova nelle Costituzioni di quasi tutti gli Istituti sorti negli ultimi due secoli. La Congregazione dei Vescovi e Regolari l'aveva, anzi, prescritta nelle «Normae secundum quas» del 1901.

Notiamo ora il cambio di linguaggio intervenuto nella redazione ultima del testo costituzionale: esso vuole collocare più chiaramente il dovere della pratica della Regola al suo vero livello, che non è quello della semplice obbligazione morale e della pura osservanza, ma quello proveniente dalla scelta di amore fatta con la professione.

In verità parlare di «obbligo sotto pena di peccato» non ha senso per un religioso che ha scelto liberamente e volentieri di donarsi totalmente a Cristo. Obbligare sotto pena di peccato sarebbe farci decadere, rischiare di spingerci nella via del legalismo sterile: fare attenzione alla legge in sé, dimenticando che la sua ispirazione viene da un appello, che la sua osservanza richiede la libertà dei figli e che il suo scopo è di affidarci a Qualcuno nell'amore: «allora Gesù, fissandolo, lo amò e gli disse: ... vieni e seguimi» (Mc 10,21).

Con questa indicazione la Chiesa prende sul serio la nostra professione: non abbiamo bisogno che ci si obblighi sotto pena di peccato, perché un simile obbligo sarebbe inadeguato per colui che fa professione di cercare l'amore totale. «Per noi, discepoli del Signore – riba-

dirà l'ultimo articolo - (le Costituzioni sono) una via che conduce all'Amore» (Cost 196). «La nostra regola vivente è Gesù Cristo... presente in Don Bosco...» (ivi): le Costituzioni ci propongono una Regola di vita, che noi accogliamo con riconoscenza e disponibilità per realizzare la pienezza della carità.

In sintesi, si può dire che le Costituzioni portano con sé un obbligo di lealtà alla propria professione, l'obbligo più esigente e gratuito che proviene dalla legge dell'amore. Il salesiano si impegna nella pratica di esse, perché sa, nelle fede, che esse sono un'espressione autentica di quella via evangelica cui il Signore l'ha chiamato e che egli ha accolto con gioia.

La docilità alle Costituzioni è un impegno di ciascuno e di tutti: di coloro che hanno il compito di animare alla fedeltà (cf. Cast 55) e di ogni confratello, che vuol contribuire a costruire la comunità; anche quando ci si vede contrariati nei propri giudizi o apprezzamenti, la Regola splende come strada di sicuro orientamento. Alle Costituzioni prestiamo umile ossequio in spirito di fede e di amore verso la volontà di Dio «col mettere a disposizione tanto le energie della mente e della volontà quanto i doni di grazia e di natura, nella esecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici assegnati».}

E quando un salesiano si sottrae alla Regola? Quando vi manca per debolezza o per reale negligenza, o per disprezzo forse, in cose gravi o in cose leggere? Ebbene allora egli si riconosce peccatore, perché trasgredendo la tale o tal altra norma ha cercato di sfuggire al movimento stesso della sua vocazione e all'impegno solenne che ha assunto davanti al Signore, alla Chiesa, ai suoi fratelli e ai giovani. Ogni infedeltà ritarda il cammino personale e della comunità. Nella misura in cui vuol essere davvero salesiano, egli cerca con umiltà e coraggio, giorno per giorno, di essere fedele. La verità è che egli si sente sempre peccatore: ogni sera il suo esame di coscienza gli rivela che ha delle mancanze. Non ama mai quanto dovrebbe, quanto potrebbe! San Paolo ci avverte che non finiremo mai di pagare il debito dell'amore (cf. Rm 13,8).

Per questo le stesse Costituzioni (Cost 90) ci invitano a rinnovare di continuo la nostra volontà di conversione e di purificazione del cuore,

1 PC, 14

con serietà ma senza angoscia, nella pace e nella gioia umile di essere stati chiamati da Qualcuno che non ci abbandona mai.

Dispensa da qualche punto della Regola.

In relazione con l'impegno di praticare le Costituzioni vi è il problema della dispensa da qualche punto di esse. La seconda parte dell'articolo tratta di questo.

La dispensa è un atto con il quale l'autorità, in particolari condizioni, esonera dall'obbligo di osservare una norma o un precetto.

La dottrina canonica, in generale, ritiene che il Superiore può dispensare:

- nel caso di un dubbio di fatto (nel caso del dubbio di diritto, come si sa, la legge non obbliga), nelle leggi per le quali la Sede Apostolica suole dispensare;

- in casi urgenti, cioè quando è difficile fare ricorso alla Sede Apostolica (o alla competente autorità) e il ritardo sarebbe gravemente dannoso, sempre che si tratti di leggi per le quali si suole concedere la dispensa.

PE in questo senso che si deve interpretare il nostro articolo. Il Superiore maggiore, quindi l'Ispettore e il suo Vicario (oltre che evidentemente il Rettor Maggiore e il suo Vicario), può dispensare temporaneamente da singoli articoli costituzionali, che riguardano norme disciplinari. La dispensa è concessa in modo provvisorio, cioè per un tempo determinato, ed ha per oggetto norme che non sono essenzialmente costitutive dell' Istituto.2

Rimane fermo ciò che dispone il diritto universale, in base al quale, per esempio, il Superiore:

- può concedere la dispensa in casi particolari dai voti privati, per giusta causa e sempre che la disposizione non leda l'altrui diritto, ai membri dell'Istituto, ai novizi e alle persone che vivono notte e giorno in casa; 3

2 Cf. CIC, can. 85

' Cf. CIC, can. 1196, 2

-- può dispensare dall'obbligo di osservare il giorno festivo o di penitenza 4

O Padre, che dando all'uomo il dono sublime della libertà gli hai aperto la strada ad un libero servizio di amore, fa' che accogliendo con amore

e osservando fedelmente

la Regola di vita da noi liberamente professata, siamo assimilati al Cristo, Servo obbediente, a lode della Tua gloria

e per la salvezza dei fratelli.

Per Cristo nostro Signore.

4 Cf. CIC, can. 1245

ART. 194  SEPARAZIONE DALLA SOCIETA’

Nel caso in cui un socio ritenesse in coscienza di doversi ritirare dalla Società, lo farà davanti a Dio e dopo essersi consultato con persone prudenti, confortato dalla comprensione e carità dei confratelli.

Non può tuttavia lasciare la Società se non allo scadere della professione temporanea o se non è stato ammesso a quella successiva; oppure se non è legittimamente sciolto dai voti e dagli impegni presi con la professione stessa per passaggio ad altro istituto, per dispensa o per dimissione, a norma del diritto

universale.'

1 cf. CIC, can. 685; 688; 689; 691-7[14

Può meravigliare che questo articolo, che tratta del caso di un socio che in coscienza ritiene di dover lasciare la Società o che per giuste cause è da questa stessa separato, si trovi in un contesto che parla di fedeltà alla Regola. In verità la collocazione dell'articolo, già discussa nel Capitolo generale, è stata determinata dopo il dialogo intervenuto con la Congregazione per i Religiosi e Istituti secolari, ed è motivata dal fatto che, proprio mentre si riflette sulla fedeltà, occorre tener conto del problema reale di una scelta diversa da parte di un socio.

L'uscita da un Istituto religioso è sempre un affare grave e delicato. In esso si intrecciano diritti e interessi legittimi e si mettono in gioco valori altissimi sia nell'ordine naturale della libertà e della coscienza, sia in quello soprannaturale del destino eterno dell'uomo. Non si può dunque procedere con leggerezza o unilateralmente, né da parte del confratello che facesse la sua scelta senza un serio discernimento in dialogo coi suoi Superiori, né da parte dell'Istituto, che decidesse senza indulgenza l'esclusione di qualcuno, per liberare la Congregazione da difficoltà. Entrambi i modi unilaterali di procedere potrebbero pregiudicare allo stesso modo la persona di cui si tratta e la stessa comunità.

Talora si prova ripugnanza a trattare di norme riguardanti la separazione dall'Istituto o la dimissione, ovvero a parlare di correzione, ammonimento, penitenza. Si ha l'impressione che ciò sia alieno allo spirito di carità e alla comprensione fraterna, mentre poi capita di lamentarsi di un confratello che con la sua condotta risulta nocivo alla pace o alla

missione comune, chiedendo senza molta riflessione che sia licenziato. Seguendo con intelligenza e spirito di rettitudine, senza cedere alla passione o alle pressioni, le norme stabilite, si procederà con armonia ed equilibrio e si salveranno i legittimi interessi ed i valori posti in gioco.

Il confratello che lascia la Società.

Il primo capoverso considera il caso del confratello che ritiene in coscienza di doversi ritirare dalla Società: ciò può avvenire, ad esempio, per entrare in un altro Istituto o in una Diocesi, oppure per ritornare laico, perché la sua permanenza nella vita religiosa e nella comunità incontra ostacoli concretamente insuperabili.

In tal caso le Costituzioni invitano anzitutto il confratello ad agire in piena sincerità davanti a Dio, cioè non per motivazioni negative, per fiacchezza, per fuga, ma perché la sua matura riflessione l'ha portato a concludere che Dio gli domanda di cambiare strada. Segno di questa sincerità è il ricorso al giudizio di persone competenti e prudenti e, in modo particolare, il dialogo fraterno con i Superiori. Don Bosco in queste circostanze raccomandava di evitare ogni soluzione precipitata e di aprirsi ai Superiori: «Mentre poi la vostra mente e il vostro cuore sono agitati dai dubbi, io vi raccomando caldamente a non prendere deliberazioni di sorta, perché in tali deliberazioni non vi può essere la volontà del Signore. `Non in commotione Dominus'. In questi casi io vi consiglio di presentarvi ai vostri Superiori, aprite loro sinceramente il vostro cuore, e seguitene fedelmente i consigli».1 Questa è, del resto, la prassi di tutta la tradizione religiosa: in un campo così importante sarebbe un rischio enorme prendere decisioni senza prima essersi consultati.

Inoltre si chiede al confratello di agire in piena lealtà rispetto alla Chiesa e alla Congregazione. Ricordando l'impegno preso liberamente e seriamente, egli non dovrà lasciare la Società se non quando avrà ottenuto lo scioglimento dei voti e degli impegni assunti con la professione. Nei Regolamenti generali si ricorda che tale lealtà si estende anche a precisi impegni circa i beni materiali (cf. Reg 54).

' D. BOSCO, Introduzione alte Costituzioni, cE OE XXVII, p. 48

i

Ma l'articolo costituzionale vuole anche sottolineare l'atteggiamento della comunità in una circostanza dolorosa com'è la separazione di un confratello. Già l'art. 52 ricordava che la comunità ha uno speciale compito di sostegno nel riguardo dei fratelli che soffrono il dubbio o la difficoltà nella propria vocazione; ora si dice che il socio, uscendo dalla Società, sarà «confortato dalla comprensione e carità dei confratelli»: essi si guarderanno dal dare giudizi avventati e dall'assumere comportamenti di avversione, e ricorderanno che l'amore deve continuare ad avvolgere anche questi fratelli più bisognosi. La concretezza di questa carità è espressa nell'art. 54 dei Regolamenti che, mentre dice che il socio non potrà pretendere nulla per il lavoro fatto nella Società, aggiunge subito che «egli sarà fraternamente aiutato a superare le prime difficoltà della sua nuova situazione». Nella casa di Don Bosco ci sono molte dimore... Dio faccia grazia che nessun confratello ci lasci per motivi non ragionevoli o per colpa nostra!

Le modalità di separazione dalla Società.

Il secondo capoverso dell'articolo, che è stato fatto completare dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, in una stringata sintesi presenta i vari modi con cui può avvenire la separazione dalla Società. Tali modi possono esser così riassunti:

1. Passaggio a un altro Istituto.

È una possibilità data ai confratelli di voti perpetui. Il professo rimane religioso, ma cambia Congregazione. In tal caso occorre che i Superiori generali dei due Istituti, col consenso dei rispettivi Consigli, siano d'accordo. Trascorso un congruo tempo di prova, il candidato, senza bisogno di fare un nuovo Noviziato, potrà emettere la professione nel nuovo Istituto.'

2. Uscita dall'Istituto ai termine della professione temporanea, perché il professo non ha rinnovato i suoi vati,3 oppure perché non è stato ammesso alla rinnovazione dei voti o alla professione perpetua.

2 Cf. CIC, can. 684

3 Cf. CIC, can. 688 §1

3. Indulto di lasciare l'Istituto con la dispensa dai voti.

Tale Indulto può essere concesso, per gravi ragioni e dopo serio discernimento:

- ai professi temporanei dal Rettor Maggiore col consenso del suo

Consiglio;`

- ai professi perpetui dalla competente autorità, a norma del diritto,

dopo il voto espresso dal Superiore generale col suo Consiglio.5

Nel caso di diaconi o presbiteri, l'Indulto può essere concesso per passare al clero secolare («secolarizzazione»): occorre in tal caso che un Vescovo, valutate le ragioni della richiesta, sia disponibile ad incardinare il chierico o almeno a riceverlo in prova nella sua Diocesi; dopo cinque anni di esperimento, il religioso o è incardinato oppure viene rimandato nella Congregazione.b

Si fa presente che, in ogni forma di dispensa, l'Indulto concesso e notificato, se non viene rifiutato all'atto della notifica, comporta per il diritto stesso la dispensa dagli obblighi derivanti dalla professione.

4. Dimissione dalla Società.

E’ questo un provvedimento molto grave, per il quale la legge canonica dà norme dettagliate per diversi casi:

- Vi è una dimissione immediata («per il fatto stesso») conseguente ad alcuni fatti, contemplati dal Codice di diritto canonico, radicalmente in contrasto con la professione religiosa: in questo caso il Superiore maggiore col suo Consiglio deve solamente emettere la dichiarazione dei fatti, dopo averne avuto le prove.' Per altri fatti, sempre contrari gravemente al comportamento religioso, il Superiore è tenuto ad avviare il procedimento di dimissione, dopo aver reso noto al professo la gravità della situazione.'

- Vi è poi la dimissione di un socio, deliberata dal Superiore generale insieme col suo Consiglio, per cause «gravi, esterne, imputabili e comprovate»: trattandosi di un provvedimento molto serio (che dovrà

Cf. CIC, can. 688 §2 ' Cf. CIC, can. 691 b Cf. CIC, can. 693

Cf. CIC, can. 694 a Cf. C1C, can- 695

esser ratificato dalla Sede Apostolica), il Codice indica alcune delle cause gravi, che possono motivare la dimissione, e indica il procedimento che deve essere seguito.9

È chiaro che ogni forma di dimissione comporta la dispensa dai voti e dagli obblighi della professione religiosa.' °

Per concludere si può anche ricordare che coloro che legittimamente, terminato il Noviziato, hanno lasciato l'istituto, possono essere riammessi dal Supremo Moderatore, col consenso del suo Consiglio senza l'obbligo di ripetere il Noviziato."

Come si diceva all'inizio, tutto questo deve esser considerato nella luce della fedeltà al dono di Dio, ma anche con la comprensione e la carità verso i fratelli che in coscienza prendono una decisione grave e spesso sofferta.

D Dio, Padre buono,

manda il Tuo Spirito di Luce, di Sapienza e di Fortezza

ai nostri fratelli che sono nel dubbio, perché li aiuti a superare la prova

e a discernere il cammino della Tua volontà. Dona a noi tutti nella comunità di saper accompagnare questi nostri fratelli con più intensa preghiera e carità,

per aiutarli a servirTi dovunque Tu li chiami. Per Cristo nostro Signore.

9 Cf. CIC, can. 696-700 ° Cf. CIG can. 701 ' Cf. CIC, can. 690

ART. 195   FEDELTÀ E PERSEVERANZA

La fedeltà all'impegno preso con la professione religiosa è una risposta sempre rinnovata alla speciale alleanza che il Signore ha sancito con noi.

La nostra perseveranza si appoggia totalmente sulla fedeltà di Dio, che ci ha amati per primo, ed è alimentata dalla grazia della sua consacrazione. Essa viene pure sostenuta dall'amore ai giovani ai quali siamo mandati, e si esprime nella gratitudine al Signore per i doni che la vita salesiana ci offre.

Le Costituzioni terminano con un invito alla fedeltà (Cost 195), mediante, la pratica generosa della Regola (Cost 196). I due ultimi articoli sono strettamente legati dagli stessi loro contenuti, nei quali si ritrova l'ispirazione di fondo delle Costituzioni, espressa già negli articoli 3 e 23-25, sull'iniziativa consacrante di Dio e sulla risposta di fede del salesiano, iniziativa e risposta il cui momento chiave è stata la professione religiosa, fatta «pubblicamente di fronte alla Chiesa» (Cost 23). Entrambi gli articoli parlano di «risposta» alla «speciale alleanza» con Dio Padre e alla «predilezione del Signore Gesù». E questa risposta è la vita stessa, generosamente donata per i giovani!

L'art. 195 è certamente tra i più importanti delle Costituzioni. Vi sono contenute alcune espressioni di grande valore spirituale: «speciale alleanza», «grazia della sua consacrazione», «fedeltà all'impegno preso con la professione», «risposta sempre rinnovata», «amore ai giovani»; è anche notevole il rilievo dato ad alcune connotazioni di carattere decisivo: «sempre», «speciale», «totalmente». La fedeltà del salesiano viene descritta in due momenti e sotto due aspetti: come una relazione personale con Dio, e poi come una realtà che coinvolge il rapporto con i giovani e l'insieme della vita salesiana.

La nostra fedeltà è risposta a Dio, con l'aiuto del suo Spirito.

La prima parte dell'articolo (il primo capoverso e la frase introduttiva del secondo) parla di «fedeltà» e di «perseveranza». È la stessa realtà vista da due angolature diverse: «fedeltà» è la continuità dei rap-

porti liberamente stabiliti al momento della professione: fedeltà a se stesso, alla Congregazione, ai giovani e soprattutto al Signore; «perseveranza» è la continuità negli sforzi necessari per mantenersi fedele («sforzo quotidiano per crescere», diceva l'art. 25).

Un paragone con i contenuti e con le espressioni degli articoli 23 e 25 fa apparire questo articolo come un loro prolungamento: si tratta infatti della fedeltà «all'impegno preso con la professione religiosa» e al significato riconosciuto a tale atto fondamentale nella vita del salesiano.

Nella fedeltà entrano, senza dubbio, molte motivazioni e virtù umane altamente apprezzabili: la rettitudine personale, il rispetto della parola data, l'amicizia fraterna, la preoccupazione per un bene comune cui si partecipa... Tuttavia la nostra fedeltà di Salesiani consacrati si radica molto più profondamente: noi restiamo anzitutto fedeli a Qualcuno, a Colui che ci ha «amati per primo», ci ha chiamati, consacrati a sé per sua grazia, stabiliti in una «speciale alleanza» con Lui. «La professione --- diceva l'art. 23 -- è un segno dell'incontro tra il Signore che chiama e il discepolo che risponde». «Padre, mi offro totalmente a Te» (c€. Cost 24), è stata la risposta di ciascuno di noi. La fedeltà non è altro che questa «risposta sempre rinnovata», che ha voluto essere «totale». Essere fedele è dunque, per noi, vivere nella logica dell'atto decisivo della professione, «scelta tra le più alte per la coscienza di un credente» (Cost 23).

Ma non basta la consapevolezza di dover essere fedele a Dio e alla donazione a Lui fatta nel giorno della professione. È pure indispensabile percepire con chiarezza che non si può essere fedele senza di Lui. Se la fedeltà non fosse che il frutto di una volontà indomita di perseveranza nella linea scelta, ci sarebbe la possibilità che, in certi giorni di oscurità e di fatica, tale volontà venga meno. Ma la fedeltà è fondata sulla fede, è fiducia assoluta concessa a Qualcuno che la merita e che ci ha preceduti con la propria fedeltà. Tutta la Scrittura, in verità, canta le lodi del Dio fedele: Egli è la roccia di Israele (Dt 32,4); le sue parole non passano (Is 40,8); le sue promesse saranno mantenute (Th 14,4); Egli non mente, né si ritratta (Num 23,19). Il disegno di Dio, che è disegno di amore, si realizzerà infallibilmente (Sal 31,11). San Paolo ricorda ai cristiani di Corinto: «Fedele è Dio che vi ha chiamati alla comunione del suo Figlio» (1 Cor 1,9). Alla totalità del nostro dono corrisponde

perciò 1'«appoggio totale» che troviamo in Lui e nell'alleanza di amore che Egli si è degnato di stabilire con noi.

L importante notare la precisazione qui introdotta dal testo della Regola: «La nostra perseveranza... è alimentata dalla grazia della sua consacrazione». Nell'atto consacrante di Dio, «con il dono del suo Spirito» (Cost 3), scopriamo la ragione profonda della nostra fedeltà: Dio ci ha presi per Sé, ci ha legati a Sé nel suo Figlio e nella forza del suo Spirito: è un Dono duraturo, infinitamente dinamico; è una Presenza viva, «fonte permanente di grazia e sostegno nello sforzo quotidiano di crescere nell'amore perfetto» (Cost 25).

Agli occhi del mondo fare professione perpetua può apparire una decisione temeraria o pazza, e perseverare può essere ritenuta cosa problematica o impossibile. Ma il salesiano, sapendo «in chi ha posto la sua fede» (2 Tm 1,12), va avanti con serenità e sicurezza, appoggiandosi momento per momento sull'amore preveniente del Padre, sulla presenza salvatrice del Risorto e sull'energia comunicata dallo Spirito, fiducioso anche della materna assistenza di Maria. Evidentemente tutto questo suppone un atteggiamento fondamentale di preghiera e di vigilanza.

La nostra fedeltà è sostenuta dall'amore ai giovani.

Gli articoli 24 e 25 ricordavano un altro importante sostegno per la nostra fedeltà: l'aiuto dei confratelli, che il Signore ci ha donato. «La tua grazia, Padre,... e i miei fratelli salesiani mi assistano ogni giorno e mi aiutino ad essere fedele» (Cost 24). « 1 confratelli... sono per noi di stimolo e aiuto nel cammino della santificazione» (Cost 25).

L'art. 195 si ferma a sottolineare un aspetto direttamente «missionario»: la nostra fedeltà a Dio è concretamente fedeltà anche ai nostri destinatari, perché Dio ci ha consacrati a Sé per mandarci a servire i giovani, dove Egli vuole (cf. Cost 3). E nell'atto della sua professione il salesiano ha detto al Padre: «Mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai».

L riconfermata l'immagine tradizionale del salesiano: non viene presentato senza dei giovani attorno a sé. Sono numerose le affermazioni di Don Bosco su questo impegno principale, che dà senso a tutta

la vita del salesiano. Eccone due molto significative: «Il Signore mi ha mandato per i giovani, perciò bisogna che mi risparmi nelle altre cose estranee, e conservi la mia salute per loro».' «Noi dobbiamo avere per scopo primario la cura della gioventù e non è buona ogni occupazione che da questa cura ci distragga».2

L'esperienza ce lo manifesta: il salesiano che ama poco i giovani rischia di abbandonare la propria vocazione; quello che li ama profondamente, anche se incontra difficoltà e prove, non accetterà mai di tradirli. L'umile dedizione quotidiana ai giovani: ecco, per noi, una forma pratica della fedeltà a Dio!

L'articolo conclude con un'ultima considerazione: la nostra fedeltà è sostenuta anche dall'esperienza della gioia interiore, che il progetto di vita salesiana ci offre: questa esperienza si esprime in atteggiamento di riconoscenza al Signore.

Don Bosco ha assicurato che il salesiano fedele nel servizio di Dio sarà un uomo contento. È veramente così! Nella vita comunitaria e nell'apostolato egli riceve dal Signore tanti doni di grazia, occasioni di crescita personale, di amicizia fraterna, possibilità di fare del bene. Dio è un padrone buono. La missione che Egli affida e la famiglia in cui invita a far parte sono sorgenti di gioia profonda: chi è fedele è un uomo felice, e questi doni di Dio sono essi stessi un incoraggiamento a perseverare nella fedeltà.

Ecco, perciò, l'invito all'azione di grazie. Certo non dobbiamo meravigliarci che sopraggiunga il dubbio e che la fedeltà conosca la tentazione e la prova (ciò è abbondantemente attestato dalla Scrittura), ma l'amore di Dio è più grande di ogni difficoltà. $ bello ricordare la promessa di fedeltà fatta dai Salesiani della prima ora: «fossero anche tutti i compagni dispersi, non esistessero più che due soli, non ce ne fosse più che uno solo, costui si sforzerà di promuovere questa Pia Società e di osservarne sempre, per quanto sarà possibile, le regole».3

MB VII, 291

x MB XIV, 284

3 Cf. MB VI, 630-632


O  Dio di fedeltà e di grazia,

che consacrandoci al Tuo servizio nell'apostolato giovanile

ci hai dato con abbondanza i doni del Tuo Spirito, rendici perseveranti nella nostra alleanza con Te, perché nell'amore verso di Te, che ci hai amati per primo, e verso i giovani ai quali ci hai mandato, si manifesti il nostro grazie e si compia il culto spirituale a Te gradito. Per Cristo nostro Signore.

ART. 196     UNA VIA CHE CONDUCE ALL'AMORE

La nostra Regola vivente è Gesù Cristo, il Salvatore annunciato nel Vangelo, che vive oggi nella Chiesa e nel mondo e che noi scopriamo presente in Don Bosco che donò la sua vita ai giovani.

In risposta alla predilezione del Signore Gesù, che ci ha chiamati per nome, e guidati da Maria, accogliamo le Costituzioni come testamento di Don Bosco, libro di vita per noi e pegno di speranza per i piccoli e i poveri.

Le meditiamo nella fede e ci impegniamo a praticarle: esse sono per noi, discepoli del Signore, una via che conduce all'Amore.

L'ultimo articolo delle Costituzioni è un grande invito alla pratica fedele della Regola, ma fa precedere questo invito da una considerazione che ne amplifica l'orizzonte, dirigendo il nostro sguardo sulla Persona stessa di Gesù Cristo. La Sua luce illumina ciascuno dei tre capoversi: «Gesù Cristo il Salvatore..., il Signore Gesù che ci ha chiamati..., noi discepoli del Signore».

Alla luce di Cristo «nostra Regola vivente».

Il primo capoverso ricorda una verità fondamentale, dove si esprime l'originalità assoluta del cristianesimo: per il cristiano non c'è che una sola legge, la legge dell'amore. Infatti Gesù stesso ha sintetizzato tutti i comandamenti in uno solo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, e il tuo prossimo come te stesso» (cf. Mt 22, 36-40). Ma c'è di più: questa legge suprema e sintetica non è soltanto una regola oggettiva, espressa in termini felici e forti, La morale e la santità cristiana consistono nel rassomigliare a Qualcuno, nel quale la legge dell'Amore si è incarnata, perché ha amato «fino alla fine» (Gv 13,1): «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12).

Il testo delle Costituzioni, dopo aver proposto tutto il progetto evangelico della vita salesiana, rimanda a Colui che è la nostra «Regola vivente», al Modello perfetto, visto nella complessità del suo mistero:

- al Cristo di ieri, così come ce lo presenta il Vangelo;

- al Cristo di oggi, il Risorto, che vive nella Chiesa e nel mondo, che ci invia il suo Spirito, che ci rende capaci di configurarci poco a poco a Lui (cf. Gv 15,5);

- infine al Cristo che si fa presente in quel «Vangelo vissuto» che sono i Santi e, per noi, Don Bosco che, da discepolo autentico del Buon Pastore, ha amato i giovani fino al dono della vita (cf. Cost 14): in Don Bosco noi scopriamo il volto di Gesù e i frutti della sua grazia.

La Regola stessa, dunque, ci invita a leggere tutto il testo delle Costituzioni nella luce di Cristo e della «traduzione salesiana» che ne ha fatto Don Bosco: «Lo spirito salesiano trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo» (Cost 1l.).

Accogliere, meditare, praticare le Costituzioni.

Il testo delle Costituzioni era incominciato presentando l'iniziativa dell'amore di Dio, che, mediante il suo Spirito e con l'intervento materno di Maria, suscitò san Giovanni Bosco per attuare un progetto di salvezza della gioventù. Ora, al termine della descrizione di tale progetto, dono del Padre per la Chiesa e per il mondo, viene ricordato che è ancora l'amore di Dio che guida ciascun salesiano alla risposta generosa e fedele per la salvezza della gioventù di oggi. Ancora una volta è messa in risalto la grandezza della nostra vocazione, tutta avvolta dall'iniziativa amorosa di Dio. Ciascuno di noi è stato oggetto di amore di predilezione da parte del Signore Gesù : «Gesù, fissatolo, lo amò» (cf. Mc 10,21) cd è stato chiamato personalmente «per nome»: «Vieni e seguimi» (ivi). Ciascuno di noi è stato guidato da Maria, come lo fu Don Bosco fin dal sogno dei nove anni.

Le Costituzioni vogliono appunto aiutarci nel vivere in pienezza questa nostra vocazione. Per questo ci vengono raccomandati tre atteggiamenti fondamentali: accogliere le Costituzioni come un dono prezioso, meditarle nella fede per capirle bene, praticarle per portare frutto.'

' Si veda un commento a questi atteggiamenti anche nell'Introduzione generale, p. 28-29

• Dobbiamo «accogliere» le Costituzioni a tre titoli precisi:

come «testamento di Don Bosco». questo pensiero ricollega l'ultimo articolo con il Proemio, anzi con la prima espressione che apre il testo: «Il libro della Regola è per noi Salesiani il testamento vivo di Don Bosco»; alla conclusione viene precisato che lo accogliamo veramente come tale, consapevoli che il testo rinnovato è in continuità fedele con quello scritto dal Fondatore, con la vita e lo spirito di Lui; come «libro di vita per noi»: le Costituzioni non sono un trattato storico, né semplicemente 'un bel libro', ma la descrizione della nostra vocazione concreta e l'indicazione dei mezzi per realizzarla, insomma la Regola e l'itinerario della nostra strada salesiana, un libro dunque sommamente vitale e pratico;

come «pegno di speranza per i piccoli e i poveri». anche i giovani, specialmente quelli abbandonati, sono interessati a questo libro delle Costituzioni salesiane, dove sono presenti in tanti articoli; è chiaro infatti che nella misura con cui i Salesiani seguiranno con coraggio e fervore la strada loro qui tracciata, tanti «piccoli e poveri» ne verranno amati, aiutati e salvati!

• Dobbiamo poi «meditare nella fede» le Costituzioni. Di per sé il testo della Regola è un libro morto. Esso acquista significato e valore di utilità soltanto per una coscienza credente, in cui prende vita. Esso deve essere letto nella fede, e merita di essere meditato: è un libro densissimo, che non sprigiona le sue ricchezze al lettore affrettato; è un testo esigente, che viene recepito solo quando è stato profondamente capito, quando è stato pregato. È quanto mai importante per il salesiano prendere frequentemente la Regola come testo di meditazione e di orazione.

• Dobbiamo infine impegnarci a «praticare» le Costituzioni, scritte proprio per essere vissute, per orientare e animare tutta la nostra vita. E dobbiamo praticarle con quello slancio interiore indicato dal testo biblico che ispira la Conclusione: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché tu hai dilatato il mio cuore» (Sal 119,32): praticarle con amore e per crescere sempre più nell'amore. È il bellissimo augurio contenuto nella «Regula ad servos Dei» di S. Agostino: «Il Signore vi conceda di osservare questa Regola con amore, quali innamorati della bellezza spirituale, rapiti con ardore dal profumo di Cristo, convinti della bontà del vostro genere di vita, non come schiavi sui quali pesa la

legge, ma come figli stabiliti nella grazia».2

L'ultima frase ci ricorda appunto che la via cui la Regola conduce è proprio quella dell'amore: ci riporta a Cristo e al suo Vangelo. «L'amore, proclama san Paolo, è la legge nella sua pienezza» (Rm 13,10). «La santità della Chiesa si esprime nei singoli cristiani che tendono alla perfezione della carità».3 E da noi, la carità pastorale è «il centro e la sintesi dello spirito salesiano» (Cost 10).

Conoscere, amare, praticare le Costituzioni è veramente il nostro camminare sulla «via che conduce all'Amore», e la maiuscola dell'ultima parola suggerisce che si tratta dell'Amore infinito: «Gesù regola vivente» e il Padre suo: «Dio è amore: chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16).

Ci accompagna Maria, nostra Madre e Ausiliatrice, «la stella del nostro futuro, che invita alla speranza». «Col suo materno aiuto potremo tradurre in vita vissuta il progetto evangelico di Don Bosco definito nelle Costituzioni», «per diventare tra i giovani i testimoni dell'amore inesauribile del suo Figlio» (Cost 8).'

O Padre, amandoci dall'eternità,

Tu hai fondato e concluso ogni cosa nell'amore; eleggendoci nel Cristo prima della fondazione del mondo, ci hai destinati ad essere santi e immacolati nella carità, a lode di gloria della Tua grazia. Fa' che, accogliendo in santa letizia il tuo disegno eterno,

con la guida del Tuo Santo Spirito,

sull'esempio del Tuo Cristo nostro Salvatore, della sua Madre Santissima e di tutti i nostri Santi, sappiamo percorrere il cammino

S. Agostino, «Regula ad seivas Dei, c. VII, 1

LG, 39

CG22 Documenti, 89

 

che nelle nostre Costituzioni ci hai indicato,

come una via che conduce con pienezza al Tuo Amore. Per Cristo nostro Signore.

oppure:

Signore Gesù, noi scegliamo Te come centro vivo della nostra fede

della nostra vita;

vogliamo che sia Tu, o Cristo,

la nostra Regola vivente,

Tu il Salvatore annunciato nel Vangelo, che oggi vivi nella Chiesa e nel mondo,

che scopriamo presente in Don Bosco che dà la sua vita ai giovani.

Concedi a noi, ti preghiamo,

per l'intercessione speciale di Maria, di accogliere le Costituzioni

come il testamento di Don Bosco,

libro di vita per noi e pegno di speranza per i piccoli,

di essere fedeli a questa scelta.

Dilata il nostro cuore

per farci correre sulla via dei tuoi comandamenti. Tu che vivi e regni nei secoli.

I REGOLAMENTI GENERALI

Nell'ari. 191 delle Costituzioni, che determina il «diritto proprio» della nostra Società, subito dopo le stesse Costituzioni, nostro «codice fondamentale», vengono indicati i Regolamenti generali, che costituiscono una raccolta di disposizioni, esplicative ed applicative del progetto salesiano fondamentale, valide per tutta la Congregazione.

Questo «secondo libro» del nostro diritto proprio ha formato, fin dai primi tempi della fondazione della nostra Società, un corpo normativo complementare del libro delle Costituzioni, sì da costituire insieme con esso un'unica «Regola di vita. t

Più volte, lungo il commento al testo stesso delle Costituzioni, sono state citate norme dei Regolamenti generali, che indicano vie concrete per l'attuazione di impegni personali o comunitari. È opportuno, pertanto, fermarci un momento ancora per cogliere più a fondo il significato del testo regolamentare.

Appena ottenuta --- il 13 aprile 1874 --- l'approvazione definitiva delle Costituzioni, Don Bosco sentì il bisogno di un Regolamento, omogeneo e completo, che, valorizzando l'esperienza di precedenti Regolamenti, limitati all'«Oratorio» e alla «Casa dell'Oratorio»,2 rispondesse agli sviluppi della nuova situazione.

Come risulta dalle Memorie Biografiche, egli si mise all'opera nell'estate del 1876, vi dedicò lunghe riflessioni, ne fece leggere ai Direttori, riuniti per le Conferenze di San Francesco di Sales, le parti che si riferivano al personale; poi volle che don Rua lo rivedesse da capo a fondo e che don Barberis esaminasse attentamente gli articoli disciplinari, ispirandosi ai principi di cui avevavo più volte ragionato insieme. Finalmente don Vespignani, sotto la responsabilità di don Rua, ne ricavò la copia definitiva. Rapidamente stampato, venne distribuito nel

Cf. Introduzione generale p. 26

' Sul primo Regolamento dell'Oratorio di San Francesco di Sales si veda MB III, 86-91. 98-108. 125. 162. 167. 467; IV, 542. Sul Regolamento della Casa annessa all'Oratorio cf. MR IV, 735-755.

novembre 1877 a tutte le case, con il titolo «Regolamento per le Case della Società di San Francesco di Sales».3

Questo testo, maturato in un ventennio di riflessione e sperimentazione, è uno dei più importanti che Don Bosco abbia lasciato ai suoi figli, Insieme alle deliberazioni prese nelle «Conferenze di San Francesco di Sales e poi nei primi quattro Capitoli generali, a cui partecipò Don Bosco, esso costituisce il primo nucleo dei futuri «Regolamenti generali» e documenta la volontà del Fondatore di codificare una «tradizione» da lui iniziata e vissuta, per trasmetterla ai suoi figli come una peculiare via ascetica e pedagogica di «grande disciplina» salesiana. Il Capitolo generale X del 1904 (come già si accennò nella storia del testo costituzionale),4 evidenziando le deliberazioni «organiche» (inserite poi nelle stesse Costituzioni) e quelle «precettive», avrebbe proceduto alla stesura di un libro dei Regolamenti completo e sistematico.

Il rinnovamento delle Regole, voluto dal Concilio Vaticano II, chiedeva agli Istituti religiosi di rivedere, insieme con le Costituzioni, anche il testo dei Regolamenti o Direttori generali.' Il Motuproprio «Ecclesiae Sanctae», tra l'altro, aveva indicato ai Capitoli Generali Speciali un criterio «diversificativo dei testi normativi», che dava il giusto valore ai diversi libri del diritto proprio. In base a questo criterio, il nostro CGS poté giudicare quali elementi dovevano essere inclusi nel codice fondamentale e quali essere inseriti in codici supplementari. Il CGS inoltre provvide ad aggiornare tutto il testo dei Regolamenti generali, escludendo elementi caduti in disuso o rispondenti a consuetudini piuttosto locali.

In tal modo il Rettor Maggiore D. Luigi Ricceri nel 1972, insieme con le Costituzioni rinnovate, presentava anche il nuovo testo dei Regolamenti generali, come «applicazioni concrete e pratiche di interesse generale, e quindi validi da praticarsi in tutta la Congregazione».6

Il CG21, in base all'esperienza fatta nella Congregazione durante il sessennio di sperimentazione dopo il CGS, credette opportuno chiarire il carattere proprio delle Costituzioni e degli altri testi normativi, preci-

3 Cf. MB XIII, 441

+ Cf. «Un cenno alla storia del testo», p. 48-49 5 Cf. PC, 3

° Cf. Costituzioni 1972, Presentazione, p. 6

sandone insieme l'indole spirituale e la forza vincolante. A proposito dei Regolamenti generali affermava: «I Regolamenti generali rappresentano l'insieme delle disposizioni che traducono in norme adatte alle situazioni mutevoli gli elementi generali della `Regola di vita'... Sono approvati, secondo le disposizioni della Chiesa, dall'autorità suprema della Congregazione (il Capitolo generale) e possono essere convenientemente modificati e adattati, in armonia sempre con le Costituzioni, senza la successiva approvazione della Santa Sede. Il loro stile è più dettagliato e circostanziato di quello delle Costituzioni».'

Il CG22 infine, tenendo conto di quanto è prescritto nel can. 587 del Codice di diritto canonico, ha precisato in modo organico l'ambito della nostra Regola di vita: essa è espressa non solo nelle Costituzioni, ma anche negli altri testi che formano il nostro diritto proprio: tra essi, in primo luogo, i Regolamenti generali (cf. Cost 191).

11 CG22, inoltre, ha curato nei Regolamenti una trattazione più completa di alcuni temi che hanno avuto negli ultimi anni e hanno ancora un risvolto operativo notevole per la vita e la missione salesiana: il progetto educativo pastorale, il servizio dei Salesiani alla Famiglia salesiana, l'adeguamento al nuovo Codice della normativa circa la Formazione, ecc. II CG22 ha pure riorganizzato tutta la materia dei Regolamenti in conformità alla rinnovata struttura delle Costituzioni ed ha curato uno stile più confacente alla normativa degli articoli regolamentari.

«Così i Regolamenti generali - scrive il Rettor Maggiore si presentano oggi con una forte novità di prospettiva, si ispirano armonicamente alle Costituzioni e ne specificano le modalità direttive, offrendo una metodologia concreta di applicazione».S

Natura e valore dei Regolamenti generali.

Analizzando le fonti citate, si possono cogliere vari elementi, che costituiscono insieme la natura e le finalità dei Regolamenti generali.

CG21, 381

a E. VIGANO, Il testo rinnovato della nostra Regola di vita, ACG n. 312 (1985), p. 34

1. Anzitutto, come si è già accennato, esiste uno stretto legame tra Regolamenti e Costituzioni. I due libri si integrano reciprocamente e formano insieme un unico corpo normativo, la necessaria sintesi tra i mezzi e i fini.

Le Costituzioni, infatti, esprimono i valori che costituiscono il patrimonio irrinunciabile della Congregazione, le esigenze vocazionali della sua identità carismatica, le finalità proprie dell'Istituto, in fedeltà alle intenzioni e allo spirito del Fondatore e in continuità nel tempo e nello spazio.

I Regolamenti generali contengono l'espressione concreta dei valori salesiani costituzionali, in quanto danno un'ulteriore precisazione di orientamento e di norme, necessaria per garantire la traduzione di quei valori nella prassi di ogni giorno.

I Regolamenti offrono «un canale di applicazione delle Costituzioni stesse alla vita».9 In quanto tali, essi sono indispensabili come i mezzi per raggiungere il fine. Senza questo strumento normativo, le Costituzioni rischierebbero di rimanere un ideale molto bello, ma non realizzabile, o almeno non realizzabile comunitariamente nella vita e nell'azione dei confratelli (cf. Cast 191); rischierebbero di esser oggetto di interpretazioni e applicazioni individuali o di gruppi diversissimi, venendo meno uno degli elementi essenziali della nostra vocazione: vivere e lavorare insieme, esigenza fondamentale per noi Salesiani e via sicura per realizzare la nostra vocazione (cf. Cost 49).

La pratica dei Regolamenti generali è quindi vincolata fondamentalmente ai valori stessi della nostra vocazione, secondo l'espressione che essi trovano nel testo costituzionale. Non è un fatto casuale che, nell'edizione delle nuove Costituzioni, accanto a molti articoli troviamo un richiamo a uno o più articoli regolamentari: nel complesso ve ne sono richiamati ben 177. È una novità redazionale che, mentre ha un'utilità pratica di consultazione e di studio, evidenzia anche lo stretto legame fra Costituzioni e Regolamenti generali. Ognuno di questi riferimenti, anche se in modo diverso secondo la materia cui si riferisce, indica una mediazione o una modalità concreta per l'attuazione degli articoli costituzionali.

° ACG n. 312 (1985), p. 34

2. 1 Regolamenti generali sono di competenza del Capitolo generale, l'autorità suprema della Società e l'unico organo competente per stabilire leggi per tutta la Società (cf. Cost 147). La fonte autorevole, da cui provengono, è perciò un'altra garanzia per una armonia coerente ed organica tra i Regolamenti e le Costituzioni stesse.

Mentre, tuttavia, le Costituzioni necessitano dell'approvazione da parte della Sede Apostolica, diventando con quella approvazione vere leggi della Chiesa, che si rende garante dell'autenticità del carisma del Fondatore e della sua utilità a servizio della comunità ecclesiale,` e quindi, non possono essere modificate senza il consenso della stessa Sede Apostolica, i Regolamenti generali sono leggi e disposizioni promananti dall'autorità del Capitolo generale, sono quindi leggi interne della Congregazione e possono esser modificati o adattati a giudizio dello stesso Capitolo generale, senza la successiva approvazione della Sede Apostolica. Questa è una conseguenza della natura propria dei Regolamenti, che sono mezzi, applicazioni, disposizioni esplicative ed esecutive del codice fondamentale. In quanto tali, i Regolamenti dipendono maggiormente dalle situazioni mutevoli e la loro materia e il loro stile sono più dettagliati e circostanziati» Dice il Codice di diritto canonico: «Potranno esser riveduti e adattati convenientemente secondo le esigenze dei tempi e dei luoghi».12

Una volta però approvate dal Capitolo generale e promulgate dal Rettor Maggiore, le norme dei Regolamenti generali obbligano tutti i soci (Cost 148): essi hanno il carattere di vere «leggi» per la Società, formando un unico corpo legislativo con le Costituzioni. Potranno sì avere carattere obbligante diverso da quello delle Costituzioni per la materia che contengono o per volontà esplicita del Legislatore; ma un'interpretazione riduttiva, che limitasse la nostra Regola e la nostra normativa legislativa alle sole Costituzioni, non sarebbe in sintonia con il pensiero della Chiesa e della Congregazione.

3. Occorre rilevare che per loro natura i Regolamenti generali hanno una validità che si estende a tutta la Congregazione. Con tale esplicita intenzione sono stati elaborati dai Capitoli generali, a cui

~u CE CC21. 378 CE CG21. 381

'z CIC, can. 587 1

hanno partecipato confratelli di tutto il mondo salesiano, rappresentanti e portatori delle peculiari sensibilità anche culturali presenti in diversi contesti. I Regolamenti quindi riflettono una concretezza operativa valutata con ottica non regionalistica ma di universalità: ne è una riprova la larghissima maggioranza con cui ogni articolo regolamentare è stato approvato.

P- bene ricordare, in proposito, che il CG22 ha riconfermato i principi di sussidiarietà e di decentramento nel servizio dell'autorità e nelle strutture di governo (cf. Cast 124) e ha demandato diverse applicazioni della legge generale della Congregazione all'ambito di ogni singola Ispettoria.t' Ha messo in rilievo la creatività e la flessibilità come componenti caratteristiche dello spirito salesiano (cf. Cost 19) e ha mostrato e raccomandato sensibilità e attenzione alle esigenze dell'inculturazione (cf. Cost 7 e 30). Coerentemente il Capitolo generale non ha voluto inserire nei Regolamenti generali disposizioni che apparissero in contrasto con questi criteri. Le norme dei singoli articoli furono invece approvate proprio perché riconosciute espressione della nostra unità vocazionale e canali di incarnazione salesiana in ogni regione.

La struttura dei Regolamenti generali.

1~ certamente un merito speciale del CG22 quello di aver riorganizzato tutta la materia dei Regolamenti generali. Una volta stabilita la struttura delle Costituzioni, il Capitolo ha voluto seguire fondamentalmente la medesima struttura anche per i Regolamenti. In tal modo non solo viene facilitato l'uso, ma viene anche meglio illustrato lo stretto legame tra i due libri della nostra Regola.

Così i Regolamenti generali adottano la stessa distribuzione degli articoli in parti, capitoli e sezioni che hanno le Costituzioni. Riportano anche i titoli costituzionali delle parti e di molti capitoli. L'unica eccezione riguarda la prima parte delle Costituzioni alla quale, a causa della materia stessa ivi esposta, non corrisponde una specifica parte regolamentare. Il capitolo sulla Famiglia salesiana non concerne propriamente la Famiglia salesiana in se stessa (cf. Casi 5), quanto piuttosto

~' Si veda ad esempio quanto riguarda i Direttori ispettoriali- cF. Cost 171 e 191, coi rispettivi commenti.

l'azione dei Salesiani nei riguardi della Famiglia; perciò il CG22 decise di inserirlo come ultimo capitolo della sezione sull'azione salesiana.

I Regolamenti generali risultano quindi articolati come segue:

PARTE PRIMA

INVIATI AI GIOVANI - IN COMUNITÀ - AL SEGUITO DI CRISTO

Cap. I     I destinatari della nostra missione                   art. 1-3

Cap. II    Il nostro servizio educativo pastorale             art. 4-10

Cap. III  Attività e opere                                               art. 11-35

              - l'oratorio e il centro giovanile                       11-12

              - la scuola e i centri professionali                   13-14

              - il convitto e il pensionato                             15

              -- iniziative a servizio delle vocazioni            16-17

              - le missioni                                                    18-24

              - le parrocchie                                                25-30

              - la comunicazione sociale                             31-34

              - il servizio in strutture non salesiane              35

Cap. IV  Il servizio alla Famiglia salesiana                    art. 36-41

Cap. V   Comunità fraterne e apostoliche                     art. 42-48

Cap. VI  Al seguito di Cristo obbediente povero casto  art. 49-68

- la nostra obbedienza                                      49-50

la nostra povertà                                           51-65

- la nostra castità                                               66-68

Cap. VII In dialogo con il Signore                                art. 69-77

PARTE SECONDA

FORMATI PER LA MISSIONE DI EDUCATORI PASTORI

Cap. VIII Aspetti generali della formazione                  art. 78-87

- comunità formatrici                                      78-81

- formazione intellettuale                                82-85

- esperienze pastorali                                      86

- guida pratica per la formazione                    87

Cap. IX Il processo formativo                                         art. 88-102

- preparazione immediata al noviziato            88

- il noviziato                                                   89-94

- formazione dopo il noviziato                       95-98

- formazione permanente                                99-102

Cap. X ll servizio dell'autorità nella comunità mondiale          art.103-142

- il Rettor Maggiore e il suo Consiglio               103-110

- il Capitolo generale                                         111-134

- strutture regionali                                            135-142

Cap. XI E servizio dell'autorità nella comunità ispettoriale art.143-169

- l'Ispettore e il suo Consiglio                         143-160

- il Capitolo ispettoriale                                  161-169

Cap. XII Il servizio dell'autorità nella comunità locale art. 170-184

- il Direttore e il suo Consiglio                        170-183

- l'Assemblea dei confratelli                           184

Cap. XIII L'amministrazione dei beni temporali           art.      185-202

- norme generali                                             185-191

- la direzione generale                                    192

- le ispettorie                                                   193-197

- le case                                                          198-202

Invito a conoscere e praticare i Regolamenti.

Nella presentazione del testo rinnovato della Regola di vita, il Rettor Maggiore afferma che «inizia in questi anni, nella vita degli Istituti religiosi, una tappa che si dovrebbe caratterizzare per lo sforzo di attuazione e di applicazione pratica... Siamo invitati ad essere pratici e a tradurre in testimonianza i valori, gli orientamenti e le norme della nostra Regola di vita».14

In questo contesto il Rettor Maggiore mette in risalto il ruolo che hanno appunto i Regolamenti generali: «Se seguendo i criteri che diversificano i testi della Regola di vita, la normativa è stata collocata preferibilmente nei Regolamenti, questo vorrà dire che una conoscenza 'vitale' delle Costituzioni non sarà completa e sincera senza un adeguato studio dei Regolamenti. La differenza di natura dei due testi non comporta una discriminazione d'importanza, bensì un'esigenza di mutua

14 ACG n. 312 (1985), p. 34

integrazione. Come si potrebbe dar forza metodologica alle Costituzioni se si misconoscessero e si trascurassero i Regolamenti e le altre norme del nostro diritto particolare?».15

Ciò esige che si circondino i Regolamenti di quegli stessi atteggiamenti di conoscenza, amore e pratica fattiva, che si hanno verso le Costituzioni.16

L'esperienza ci conferma sempre più che il rinnovamento richiede non solo una chiara comprensione dei valori da vivere e degli ideali da raggiungere, ma anche una metodologia pratica che ricalchi le vie e programmi gli interventi necessari perché i progetti elaborati nei vari settori vengano gradualmente realizzati."

Per tutto questo non bastano certo i Regolamenti, ma neppure si può prescindere da essi. Verrebbe compromessa in maniera non irrilevante la realizzazione della nostra identità vocazionale.

15 ACG n. 312 (1985), p. 34

16 Cf. Introduzione generale, p. 17 17 Cf. CG22, RRM, 331

NOTA BIBLIOGRAFICA

Si riporta una Bibliografia «essenziale», comprendente scritti di varia indole (libri, articoli, lettere circolari...) che possono esser utili sia per l'approfondimento dell'evoluzione storica del testo sia soprattutto per la comprensione profonda dello spirito della nostra Regola dì vita.'

AA.VV., Fedeltà e rinnovamento. Studi sulle Costituzioni rinnovate, a cura dell'Istituto di Spiritualità della Facoltà di Teologia dell'UPS, LAS Roma 1974, pp. 295

AA.VV., Contributi di studio su Costituzioni e Regolamenti SDB. Studi in preparazione del CG22, 2 voll., Roma 1982

ALBERA P., Don Bosco nostro modello nell'acquisto della perfezione religiosa, Lettera del 18 ottobre 1920, in Lett. circolari p. 360-383 (fedeltà alla Regola e fedeltà a Don Bosco)

Manuale del Direttore, San Benigno Can. 1915, cap. IV, Lo studio e l'osservanza delle Costituzioni, secondo dovere del direttore, p. 49-58

AUBRY J., Una via che conduce all'amore, Commento alle Costituzioni 1972, LDC Torino 1974

Apostoli per i giovani. Corso di esercizi spirituali, LDC Torino 1972, pp. 195 Orar con las Constitucìones, in Vida religiosa, vol. 44, n. 343, gennaio 1978, p. 76-82

Rinnovare la nostra vita salesiana. Conferenze, 2 roll., LDC Torino 1981, pp. 419

Consacrati a Dio per i giovani, LDC Torino 1985, pp. 198

BARBFRIS G„ Il Vademecum dei giovani salesiani (ristampa Torino 1931), parte I, cap. XIII, Punti delle Costituzioni che nel Noviziato sono pizi da praticarsi, p. 148-159

CAVIGLIA A., Osservanza. Regole e voti, in Conferenze sullo spirito salesiano, Ist. Internazionale D. Bosco Torino 1985, p. 33-60

CERIA E., Prima elaborazione delle Regole, in Annali della Società salesiana,

vol. I, p. 18-26; - Come si arrivò al Decretum laudis, Ivi p. 57-70; - Domanda di approvazione delle Regole, La «Positio», Le Regole approvate, Ivi p. 171-196

Si veda la BibLografiia curata da A. PEDRINI in Contributi dì studio su Costituzioni e Regotanzenti, Roma 1982, 1, p. 75ss

Cenni storici sulle Regole, in Profili dei Capitolari salesiani morti dall'anno 1865 al 1930, LDC Torino 1951, p. 403.496

CORNELL W. L., Constitutions of the Society of St. Fr. de Sales. Some background documentation, Oakleigh 1985

COSTAMAGNA G., La Santa Regola, in Conferencias para los Hijos de Don Bosco, Tip. Salesiana Valparaiso 1897, p. 173-184

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Il capitolo delle pratiche di pietà nelle Costituzioni salesiane, in La vita di preghiera del religioso salesiano (colloqui di vita salesiana 1), LDC Torino 1969, p. 57-93

Lo scopo della Società nelle Costituzioni salesiane. Il primo capitolo delle Costituzioni salesiane. Documentazione, in La missione dei Salesiani nella Chiesa (colloqui di vita salesiana 2), LDC Torino 1969, p. 65-85

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Finito di stampare il 31 ottobre 1986