Rada Zasoby

ACG 426 - Formazione dei Formatori (Don Ivo Coelho)

2. ORIENTAMENTI E DIRETTIVE

FORMAZIONE DEI FORMATORI

Don Ivo COELHO

Consigliere per la Formazione

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 “La formazione - dice S. Giovanni Paolo II in Vita Consecrata - “è… partecipazione all´azione del Padre che, mediante lo Spirito, plasma nel cuore dei giovani e delle giovani i sentimenti del Figlio.” (VC 66) Mentre il Padre è il “formatore per eccellenza”, e la prima responsabilità della risposta è tutta dalla parte di colui che è chiamato, è piaciuto al Padre, nel lavoro della formazione, servirsi di strumenti umani, “ponendo a fianco di colui che Egli chiama alcuni fratelli e sorelle maggiori” (VC 66).

I presenti orientamenti operativi vogliono  prestare attenzione non tanto a chi è in formazione, quanto piuttosto alla persona dei formatori, nella luce del cammino che la Congregazione ha portato avanti dal Concilio Vaticano II in poi, grazie al quale siamo ora tutti più consapevoli che è la missione a dare a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto; che la formazione è un processo che dura tutta la vita; che  la comunità educativa pastorale è il soggetto della missione, condivisa con tanti laici e membri della Famiglia Salesiana, con un chiaro ruolo della comunità religiosa salesiana al suo interno; infine – con il cammino aperto dagli ultimi Capitoli Generali – che la nostra identità è di essere persone consacrate, che vivono la loro vocazione nelle due forme di salesiano laico e salesiano presbitero.

1. Preparare formatori e non solo docenti

Il riconoscimento del bisogno di formazione per i formatori è ben documentato nel magistero della Congregazione, a partire da Reg. 78 che dice: “Le comunità formatrici abbiano un direttore e un’équipe di formatori particolarmente preparati, soprattutto per la direzione spirituale....” Sulla scia di Potissimum institutioni (1990), Pastores dabo vobis (1992), Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993), Vita consecrata (1996), e probabilmente anche La collaborazione inter-istituti per la formazione, (1998), la terza edizione della nostra Ratio (2000) riprende il tema della formazione dei formatori e lo propone in diversi modi.[1] Come affermano le Direttive del 1993, il ‘buon senso’ da solo non basta: occorre una capacità di discernimento resa efficace e affinata da una buona conoscenza delle scienze umane, per andare al di là delle apparenze ed “aiutare l’alunno a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a correggersi e a maturare….”[2] Potremmo aggiungere che Pastores dabo vobis fa una distinzione utile tra una fase iniziale e una fase successiva nella formazione dei formatori (PDV 66), e Vita Consecrata insiste sulla creazione di “adeguate strutture per la formazione dei formatori,” aggiungendo che queste siano “possibilmente in luoghi dove sia consentito il contatto con la cultura in cui sarà poi esercitato il proprio servizio pastorale” (VC 66).

In una lettera importante del 2009, “Formazione dei formatori della formazione iniziale”, il Consigliere per la formazione, don Francesco Cereda, ha parlato del bisogno di una scelta molto oculata dei formatori e della loro formazione; ha definito i compiti dei formatori (aiutare la trasformazione, accompagnare, favorire il primato della vita spirituale, comunicare il carisma di Don Bosco, lavorare in équipe); e ha offerto una lista delle opportunità per la formazione dei formatori a livello personale, locale, ispettoriale, regionale e mondiale.[3] Gli stessi orientamenti sono stati ribaditi in occasione della verifica della consistenza quantitativa e qualitativa delle comunità di formazione e dalla Valutazione e orientamenti circa la formazione intellettuale nella formazione iniziale.[4]

Si constata che “oggi nella Congregazione la maggior parte dei formatori non ha ricevuto, e attualmente non riceve nessuna o scarsa preparazione specifica per la formazione. Spesso le Ispettorie preparano i formatori, facendo conseguire loro un titolo accademico in un campo particolare di studio; tale qualificazione è necessaria per la cultura del formatore e per la sua abilitazione all’insegnamento, ma non è sufficiente per il suo compito formativo.”[5] Dieci anni più tardi la situazione non sembra cambiata. In “Vocazione e formazione,” don Pascual Chávez parla del bisogno “di preparare formatori e non solo professori.”[6] Potremmo dire che la preparazione dei formatori non è ancora una prassi sistematica nella Congregazione.

2. Il modello di formazione

È l’obiettivo che abbiamo davanti che ci fa scegliere il percorso da seguire. La formazione dei formatori dipende molto dall´obiettivo, cioè dal tipo di formazione che desideriamo e per cui intendiamo avere guide ben preparate.

Ora, l´obiettivo della formazione alla vita consacrata proposto in Vita Consacrata non è né una semplice conformità esteriore, né un insieme di atteggiamenti e capacità da far propri, quanto piuttosto la meta alta di “assumere gli stessi sentimenti (phronein) di Cristo” (Fil 2,5). È configurazione a Cristo, rivestirsi di Cristo (Rm 13,14), lasciando che Cristo si formi in noi (Gal 4,19), condividendo la totale donazione del Figlio al Padre e ai suoi fratelli e sorelle, diventando suo memoriale vivente fino al punto di condividere anche le sue concrete scelte di vita (cf. VC 66, 22).

L´obiettivo della formazione salesiana, potremmo aggiungere, è la configurazione a Cristo Buon Pastore sulle orme di Don Bosco.

Un autentico obiettivo educativo deve essere capace di trasformarsi in metodo. Quali sono le conseguenze operative dell´obiettivo di “assumere gli stessi sentimenti di Cristo”?

Va ripetuto con insistenza che la formazione è prima di tutto opera di Dio. È il Padre che chiama e che, attraverso lo Spirito, plasma i sentimenti del Figlio nel cuore dei giovani. Ma Dio rispetta la nostra libertà, e quindi la formazione, lungi dall´essere un’impresa ‘a senso unico’, richiede la nostra risposta alla chiamata di Dio. Insita nella formazione c’è una dinamica di chiamata e risposta, un dialogo tra due libertà e due amori. La formazione è un’opera divina in cui siamo chiamati a collaborare. È così che le nostre Costituzioni vedono la formazione: come risposta alla vocazione. (cf. Cost 96)

È precisamente all´interno di questa dinamica di chiamata e risposta che i formatori trovano il loro posto.

Un primo punto che ne consegue è che la formazione implica una dinamica di libertà. “Se si deve formare il ‘cuore’, nel senso biblico e pieno del termine, perché il giovane abbia i medesimi sentimenti del Figlio e scopra la bellezza della sequela, allora il processo educativo diventa formazione alla libertà (VC 66).”[7] La grazia incide sulla nostra libertà ma non la toglie mai – nemmeno la grazia più potente: perché la grazia è amore, e la libertà è un elemento costitutivo dell´amore: senza libertà non c´è amore e nessuna possibilità di una risposta amorevole.

Infatti, se il fine della formazione fosse solo l’abilitazione a un certo tipo d’apostolato o a un certo stile di vita o mirasse semplicemente al possesso di certe qualità virtuose funzionali per il ministero, allora la metodologia pedagogica potrebbe seguire qualche altro percorso e criterio (ad es. il rinforzo della volontà, la capacità di ascesi e di rinuncia, l´abilitazione apostolica, ecc.), ma se si deve formare il “cuore”, perché il giovane abbia i medesimi sentimenti del Figlio, allora non può esistere altra via al di fuori di quella della libertà. Il cuore dell’uomo può e dev’essere educato ed evangelizzato, purificato e liberato con tutta la sofferenza che questo comporta, al punto da provare sempre più naturalmente, grazie a una sapiente disciplina, quasi per connaturalità, quei sentimenti. Non esiste autentico processo educativo alla consacrazione per il regno che non passi attraverso le fasi, negativa e positiva, ascetica e mistica, d’una formazione alla libertà, alla libertà – in concreto – come consapevolezza dei propri condizionamenti interni, anche inconsci, e capacità d’esserne sempre meno dipendenti (libertà “da”); libertà come dono ricevuto da Dio in Cristo e continuamente rivitalizzato dal dono dei sacramenti e della vita nuova in Cristo (libertà “in”) e libertà come ricchezza di vita interiore e di amore per Dio, come conseguente qualità di desideri e forza di attuarli (libertà “per”).[8]

Un clima di autentica libertà aiuta il giovane salesiano in formazione a superare le sue resistenze interiori e le paure, lo rende gradualmente consapevole delle sue motivazioni profonde – mai univoche – , abilitandolo a riconoscere ed esprimere ciò che davvero motiva le sue scelte, sia a se stesso che a chi lo accompagna nel cammino. In questo modo ai passi esterni di adesione alla vita salesiana che segnano il percorso del formazione iniziale – prima professione e rinnovo dei voti – corrisponderà una adesione interiore sempre più vera e sincera.

L’educazione alla libertà dovrebbe quindi essere il metodo della formazione alla consacrazione. Infatti, se si può definire il sistema preventivo come una pedagogia della libertà, potremmo dire che il sistema preventivo è, in effetti, il metodo della formazione.[9] In questo contesto possiamo ricordare l´ormai famosa conversazione di Papa Francesco con i Superiori Generali nel 2013:

Non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto. Per evitare i problemi, in alcune case di formazione, i giovani stringono i denti, cercano di non commettere errori evidenti, di stare alle regole facendo molti sorrisi, in attesa che un giorno gli si dica: ‘Bene, hai finito la formazione.’ Questa è ipocrisia frutto di clericalismo, che è uno dei mali più terribili…. Io lo riassumo in un consiglio che una volta ho ricevuto da giovane: ‘Se vuoi andare avanti, pensa chiaramente e parla oscuramente.’ Era un chiaro invito all’ipocrisia. Bisogna evitarla a ogni costo.[10]

In secondo luogo, la formazione coinvolge una dinamica di attenzione all´esperienza. Secondo le nostre Costituzioni la formazione è una questione di “fare esperienza dei valori della vocazione salesiana” (Cost 98). Se Dio sta plasmando in noi i sentimenti del Figlio, più siamo attenti a questo suo lavoro, meglio possiamo corrispondervi e collaborare con Lui. Un buon formatore sa come indirizzare l´attenzione del giovane in formazione all’azione di Dio nella sua vita, abilitandolo a quella permanente apertura al discernimento (docibilitas) che permette di scoprire in tutto ciò che si vive una opportunità di crescita e di formazione. Dal momento che si è dedicata una ampia riflessione negli Atti (ACG 425) sulla formazione che è permanente, non ci fermiamo qui ulteriormente su questo tema[11].

In terzo luogo c’è la dinamica della bellezza, la via pulchritudinis (EG 15, 167). La collocazione della formazione nel seno della Trinità rende la vita consacrata partecipe della bellezza di Dio stesso. Nell’Esortazione Apostolica del 1996, la bellezza diventa una chiave di lettura della vita consacrata. La pastorale vocazionale e la formazione devono saper comunicare la bellezza della sequela. (VC 64, 66) Il giovane deve essere formato a vedere e gustare il bello (e non solo il santo e il doveroso) – la bellezza, il fascino e lo splendore del Signore che chiama e della vita a cui siamo chiamati. È la bellezza del suo modo di vivere che fa diventare la presenza del formatore irraggiante. Qui c’è tutta la dinamica dell´esempio, della testimonianza. Come il giovane Don Bosco ha imparato alla scuola di don Cafasso, solo il fuoco accende un altro fuoco.[12] Bellezza che attrae e che comunica la gioia del Vangelo: il magistero di Papa Francesco si muove costantemente su queste coordinate ed è interessante che nel guardare alla vita religiosa il riferimento alla gioia si faccia in lui ancora più diretto e insistente. Se è vero per tutti, lo è a maggior ragione per un formatore.

Così l´obiettivo della formazione salesiana – la configurazione a Cristo Buon Pastore – si trasforma in un metodo; un metodo che implica una dinamica di libertà, di apprendimento per esperienza, dinamica della bellezza. Questo obiettivo e questo metodo guideranno la preparazione dei formatori.

Due altri punti. Dobbiamo evitare l´assunto – così naturale per la modernità imperniata sulla cultura dell’individuo atomico – che la formazione è un processo unicamente a tu-per-tu. Il soggetto della formazione è la comunità: questo è proprio come deve essere. Crediamo in un Dio Comunione, e la formazione è un processo profondamente trinitario, in cui siamo chiamati a collaborare. È molto significativo che tutti i recenti documenti del magistero insistano sull’unità dell’équipe formatrice,[13] ed è in questa luce che si può intendere l´insistenza di don Cereda sul fatto che il ruolo cruciale della guida spirituale personale non dovrebbe in alcun modo minimizzare la necessità di un’équipe di formatori.[14] È nel contesto della comunità e di un’équipe di formatori unita che prende il posto il momento indispensabile del colloquio con il direttore e dell’accompagnamento spirituale personale. Nel contesto della formazione al sacerdozio, infatti, la nuova Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis insiste nel dire che la formazione “ha un carattere eminentemente comunitario sin dalla sua origine.”[15]

Per noi salesiani consacrati, la comunità è elemento essenziale della nostra identità (Cost 3).

Se la missione salesiana è affidata alla comunità e non a singoli (Cost 44), questo vale a maggior ragione per la delicatissima missione di formare giovani salesiani. Senza un sano ambiente formativo l’apporto anche molto valido di singoli formatori finisce con l’esser vanificato. Dunque molta attenzione e cura va data alla formazione delle équipes formative a tutti i livelli: mondiale, ispettoriale e locale.

E qui dobbiamo ugualmente insistere sul fatto che la comunità si espande in circoli concentrici. La comunità religiosa salesiana è nucleo animatore della comunità educativo-pastorale e di tutti coloro che condividono la missione di Don Bosco – membri della Famiglia Salesiana e laici che portano avanti con noi ala stessa missione. Questo modo di intendere e le prassi che ne conseguono non sono ancora condivise appieno nella vita della Congregazione: ci sono notevoli differenze di approccio e di intensità. Diventa pertanto ancora più urgente trovare modi efficaci per integrare questo modo di essere comunità negli itinerari formativi, coinvolgendosi in buone pratiche e formando convinzioni, riflettendo su esperienze educativo-pastorali portate avanti insieme a chi condivide la stessa missione, e pianificando percorsi formativi comuni.

Potremmo insistere anche sulla specificità portata dalla vita consacrata alla nostra vocazione. Troppo a lungo ci siamo accontentati di pensare alla formazione al sacerdozio e alla vita religiosa come “abbastanza simili”.  Il sacerdozio diocesano e il sacerdozio religioso sono due diversi stati di vita all’interno della Chiesa. “A differenza del ministero ordinato che ha una consistenza istituzionale sovrapersonale, grazie a cui rimane valido anche il ministero di un prete indegno, la vita consacrata consiste tutta nella qualità della risposta amante di coloro che la vivono.”[16] Questa diversità ha delle ricadute decisive sul modo in cui si configura nelle rispettive vocazioni l’itinerario di conformazione a Cristo e la crescita nella santità. Trascuratezza di ciò che è tipico della nostra identità primaria come religiosi porta a un genericismo nella formazione e conseguentemente anche nel modo di vivere la vita consacrata, situazione che purtroppo è tutt’altro che rara. Uno dei compiti più urgenti davanti a noi è di trovare modi efficaci di esser guide nella formazione di religiosi salesiani, che sono insieme presbiteri.

3. Considerazioni concrete sulla formazione dei formatori

a) Innanzitutto dobbiamo riconoscere, a riguardo della formazione iniziale, la grande diversità nelle regioni della Congregazione. Abbiamo numerose case di formazione ‘classiche’ nella loro tipologia, ma ci sono anche in numero crescente case più piccole dove spesso si trovano insieme diverse fasi di formazione iniziale nella stessa comunità. Con la diminuzione numerica e delle risorse vi sono regioni che in questo momento stanno portando avanti con serietà e non senza difficoltà la riorganizzazione delle loro case di formazione. In questo contesto si incontra non di rado la paura da parte delle Ispettorie di ‘essere lasciati senza nessuna casa di formazione’. Di per sé questo non è vero perché quasi ogni Ispettoria ha il suo prenoviziato; e poi in tutte le Ispettorie c´è sempre la fase del tirocinio, che è importantissima nell´arco formativo e non può essere né dimenticata né trascurata. Inoltre, siccome la formazione dura tutta la vita, ciascun direttore di comunità è formatore e custode del carisma. Dunque nessuna Ispettoria si può esimere dal compito di preparare formatori. È in questa luce che abbiamo recentemente chiesto a tutte le Ispettorie di avere un piano di qualificazione per preparare confratelli nelle aree più rilevanti per la nostra crescita carismatica e per il ruolo di formatori.

b) Occorre un intenso lavoro di coscientizzazione a riguardo della formazione dei formatori. Questo tipo di formazione deve diventare anzitutto mentalità, cultura, per essere poi sistematico ed efficace. Di sicuro Ispettori e Delegati di formazione hanno un ruolo fondamentale in questo campo. Ma non è meno importante la convinzione da parte di coloro che sono direttamente coinvolti nel servizio di formatori, e qui, come già abbiamo detto, non dobbiamo dimenticare i direttori delle comunità dove vi sono tirocinanti, e in definitiva tutti i direttori delle comunità locali.

c) Elementi fondamentali. Se i formatori devono aiutare i formandi ad assumere gli stessi sentimenti di Cristo, loro stessi in primo luogo sono chiamati a divenire vere immagini, icone viventi di Cristo. E se la nostra vocazione specifica nella Chiesa è seguire Cristo come salesiani consacrati, presbiteri e coadiutori, i formatori dovranno prendersi cura anzitutto della propria crescita personale in Cristo, nello spirito di Don Bosco, come persone consacrate.

In tale formazione di formatori possiamo distinguere tre componenti: contenuti, capacità, e la persona stessa del formatore.

Per quanto riguarda i contenuti, possiamo presumere che la maggior parte dei formatori abbia avuto una solida formazione filosofica e teologica. Ma si deve insistere su un buon radicamento nel carisma salesiano. L´UPS offre varie possibilità per una solida base teorica e metodologica, insieme all´apprendimento di metodi e competenze utili, sia nella Facoltà di Scienze della Educazione, sia nella Facoltà di Teologia.

Per quanto riguarda l’apprendimento delle capacità, abbiamo buoni corsi, sia nella nostra Università che altrove. I corsi che aiutano a sviluppare e affinare le capacità di ascolto, feedback, accompagnamento, ecc. sono preziosi training per il formatore.

d) Soprattutto ci vuole attenzione alla persona del formatore. Le Direttive del 1993 richiedono un tempo “di formazione prolungato e di ripresa radicale delle tematiche educative” e aggiunge:

Lo scopo di tali periodi di formazione è quello di favorire un accurato esame della stessa personalità dell´educatore, del suo impegno ministeriale, del suo modo di concepire e di vivere la propria missione educativa.

Periodi di formazione di questo genere dovrebbero comportare corsi ben scelti e appositamente programmati sia nel campo delle scienze ecclesiastiche, sia in quello delle scienze umane, unite ad esercitazioni pratiche condotte con l´aiuto di un supervisore e sottoposte con lui ad attenta revisione critica. In questo modo l’educatore potrà prendere coscienza più viva delle proprie capacità e attitudini, accettare più serenamente i propri limiti, e aggiornare e migliorare i criteri cui ispirare la propria azione.

Nei programmi di formazione permanente di questa ampiezza devono essere previsti periodi prolungati di rinnovamento spirituale (mese ignaziano, esercizi spirituali, tempi di deserto) per consentire all’educatore di rivedere la propria missione nelle sue connessioni e radici spirituali e teologiche più profonde.[17]

Abbiamo qui elementi preziosi: valorizzazione ed elaborazione dell´esperienza personale, pastorale e di formazione; esercitazioni pratiche accompagnate da supervisione; periodi di rinnovamento spirituale.

Potremmo insistere in particolare sull´area della crescita affettiva e psicologica. I formatori devono imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni, prestando attenzione e prendendosi cura dei propri problemi, incoerenze, comportamenti auto-distruttivi e tendenze sessuali immature, migliorando allo stesso tempo i loro punti di forza e le loro competenze.

Poche cose sono in grado di rigenerare vita come lo è il contatto con un formatore sano e libero. È la dinamica della bellezza che si dispiega: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni,” dice il beato Paolo VI (EN 41). Al contrario un formatore la cui vita non è ben integrata può fare danni enormi ai formandi. Favoritismo, possessività, rivalità, vendetta, ricerca di favori sessuali possono lasciare ferite nei formandi che durano tutta la vita.[18] Potrebbe essere un buon esercizio per i formatori monitorarsi contro le quindici malattie elencate da Papa Francesco nel suo Messaggio di Natale del 2014 alla Curia Romana.[19] Man mano che i formatori diventano persone sane, integrate e libere, diventeranno “ponti, non ostacoli” (PDV 43) per i formandi nel loro cammino verso Dio.

La nostra tradizione ha sempre insistito su un’adeguata esperienza pastorale (Cost 104), e questo è meraviglioso, a patto che il formatore sia stato aiutato a imparare da queste esperienze, così da viverle facendo “esperienza dei valori della vocazione salesiana” (Cost 98). La missione, come diceva don Chávez, è la “casa” e la “causa” della formazione.

‘Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato’ (Cost 95). La formazione consiste fondamentalmente e principalmente in questo apprendimento. La meta consiste nell’incontrare Dio nella vita che si sta portando avanti mentre si vive la chiamata…. Laddove manchi la consapevolezza di stare facendo davanti a Dio ciò che Egli ci ha affidato, non ci potrà essere formazione alcuna, per quanto si studi o per quanti anni si passino nelle cosiddette ‘case e tappe di formazione’.[20]

e) I formatori devono comprendere il Sistema Preventivo come una pedagogia della libertà. Soprattutto nelle culture in cui la gerarchia e l´autorità sono importanti, le équipes dei formatori dovranno prendere coscienza del loro modello operativo di formazione e adottare misure per cambiare, in modo che la formazione possa davvero arrivare al cuore di ogni persona, superando il conformismo esteriore che si limita a condizionarne i comportamenti (spesso soltanto per quel tempo in cui il controllo esterno rimane forte).

In questo contesto il periodo del tirocinio – che, dal punto di vista salesiano, è la fase più caratteristica della formazione iniziale (FSDB 428) – è ugualmente una fase estremamente significativa e importante per la preparazione specifica, pur remota, di formatori. Chi non avesse raggiunto in modo soddisfacente gli obiettivi tipici di questa fase, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza e la pratica del sistema preventivo (Cost 115), non sarà in grado di diventare un buon salesiano formatore.

Uno degli elementi chiave per la formazione dei formatori sarà pertanto la valutazione della propria esperienza di tirocinio, rivisitando la valutazione globale della medesima richiesta dalla Ratio (“Al termine del tirocinio si faccia una valutazione globale dell’esperienza da parte dell’Ispettore, della comunità e del confratello” – FSDB 444). Ovviamente è di grande aiuto se questo tipo di scrutinio globale è stato scritto e archiviato. Le commissioni regionali e provinciali di formazione dovranno verificare e assicurare questa prassi. Questa valutazione sarà il primo elemento nella selezione dei formatori.

Ogni tentativo di accelerare il tirocinio o perché spinti dalla fretta di ricevere gli ordini o per il ‘privilegio’ da concedere a qualche confratello particolarmente brillante dal punto di vista accademico, va respinto.

Per questa stessa ragione i direttori di comunità in cui sono presenti tirocinanti sono da ritenersi formatori di prima classe. Tutto ciò che si dice sulla formazione va applicato anzitutto e senza riserve a loro, che devono essere guide formative ben preparate per il lo.ro compito. Gli Ispettori hanno una responsabilità sacra a questo riguardo e il dovere di assicurarsi che le comunità che ricevono tirocinanti siano ambienti formativi sani e di qualità. La stessa cosa si deve dire in modo analogo del quinquennio, sia per i salesiani coadiutori che per i salesiani presbiteri.

f) Nelle nostre società e comunità sempre più multiculturali, i formatori devono fare attenzione ai propri atteggiamenti verso le differenze culturali, in modo da poter promuovere la formazione alla interculturalità. Come dice Per vino nuovo otri nuovi: “L´obiettivo della vita consacrata non sarà quello di mantenersi come stato permanente nelle culture diverse che incontrerà, ma quello di mantenere permanente la conversione evangelica nel cuore della costruzione progressiva di una realtà umana interculturale.”[21] Le strutture interispettoriali o internazionali per la formazione dei nostri giovani richiedono formatori che siano veramente convinti che

“il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, ‘restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato.’ Questo comporta la capacità e l’umiltà di non imporre un sistema culturale, ma di fecondare ogni cultura con il seme del Vangelo e della propria tradizione carismatica evitando accuratamente la ‘vanitosa sacralizzazione della propria cultura” (Per vino nuovo 37).

In pratica, molto dipende dalla persona del formatore: quando un formatore ha una sua forza interiore, e se si è seriamente dedicato a prendersi cura delle sue reazioni di fronte al diverso da sé e all´altro, sarà per questa sua attitudine già in possesso di un ponte aperto verso l’altro.

g) Dato che noi – e in particolare i nostri giovani confratelli – viviamo in una nuova era mediatica, in cui la tecnologia sta visibilmente creando e trasformando la cultura, i formatori devono essere in grado di comprendere e relazionarsi con persone che sono cittadine del continente digitale.

h) La ‘preparazione remota’ di salesiani formatori in definitiva è la loro formazione iniziale nel suo insieme, in particolare una buona esperienza di tirocinio e due o tre anni di esperienza pastorale nel quinquennio ben accompagnata.  Il minimo indispensabile per la ‘preparazione prossima’ dei formatori salesiani dovrebbe consistere in (1) un breve corso che tocca la persona del formatore; (2) un breve corso di salesianità, che includa la rivisitazione della propria esperienza educativo-pastorale durante il tirocinio e il quinquennio, e  una effettiva appropriazione della Ratio – il suo spirito, oltre alle singole norme – ; e (3) un breve corso per l´acquisizione di abilità di base come l´ascolto, il feedback e l’elaborazione dell’esperienza (‘processing’). Per direttori, maestri dei novizi e incaricati di prenoviziato, si dovrebbe aggiungere (4) un corso serio di preparazione al ministero di accompagnamento spirituale.

Mentre la formazione dei formatori non richiede necessariamente una licenza o un dottorato, le licenze all’UPS nella formazione dei formatori nelle Facoltà delle Scienze di Educazione e della Teologia rimangono offerte valide. Molto apprezzato da un numero crescente di religiosi e di sacerdoti diocesani è anche il corso semestrale dell´UPS per la formazione permanente dei formatori.

i) Per la salesianità, abbiamo corsi più brevi nei nostri centri per la formazione permanente (Quito, Parañaque - Manila, Berkeley, Bangalore) e corsi più sostanziali nella facoltà di teologia dell´UPS.

Mentre tutti i formatori devono fare almeno un breve corso di salesianità, dobbiamo insistere che ogni Ispettoria abbia uno o due esperti in salesianità con una licenza o un dottorato dell´UPS.

j) La preparazione di guide spirituali è uno dei grandi compiti che la Congregazione si trova oggi ad affrontare, ben espresso dalla Strenna di quest’anno 2018, “Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare”, in pieno accordo con il cammino sinodale che tutta la Chiesa sta facendo su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.[22] Il primo e indispensabile elemento è il cammino di direzione spirituale con cui il formatore prende cura della propria crescita.[23] Un corso pratico sull’accompagnamento spirituale migliorerà ciò che si impara anzitutto personalmente facendosi accompagnare da una guida. Oltre alle opportunità di cui ci si può avvalere in diversi contesti ecclesiali, e centri della Congregazione (Spagna, Quito, Bangalore) che offrono preziosi contributi in questo campo, abbiamo l’intenzione di istituire una Scuola di Accompagnamento Salesiano[24] come uno dei frutti del processo sull’accompagnamento spirituale salesiano portato avanti dai Dicasteri per la pastorale giovanile e per la formazione. 

k) Ci sono anche varie iniziative per la formazione permanente dei formatori a livello ispettoriale, regionale e mondiale. Nulla togliendo al loro valore e utilità, questi interventi non sostituiscono la necessità di una formazione iniziale di formatori (cf. PDV 66).

l) Invito le Commissioni ispettoriali e regionali per la formazione a offrirci riflessioni e suggerimenti sui vari punti espressi in questi orientamenti. In particolare: (1) come formare religiosi salesiani che sono anche presbiteri; (2) come far sì che l´esperienza pastorale del tirocinio e del quinquennio possa diventare un elemento integrante della preparazione di formatori; (3) come far sì che la missione condivisa con i laici e con la Famiglia Salesiana – in particolare con la comunità educativa pastorale – diventi un elemento integrante della formazione iniziale.

m) Infine, auguriamo un cambio nelle linee di governo: nessuna no.mina di formatori in una casa di formazione iniziale senza formazione specifica previa; una modifica in questo senso dei moduli per la nomina dei Direttori (specialmente delle comunità formatrici) e dei Maestri di novizi (F19 e F20); l’introduzione di un nuovo modulo per la nomina degli incaricati di prenoviziato.

*

Quando Giovanni Bosco appena ordinato sacerdote va a chiedere consiglio a don Cafasso su quale opzione scegliere per il suo ministero sacerdotale, tra le tre che gli si erano presentate (viceparroco a Castelnuovo, cappellano di Murialdo, istruttore di una famiglia nobile a Genova), don Cafasso – a conclusione di una serie di incontri in cui è da notare l’attenzione che si dà all’esperienza interiore – suggerisce al novello prete suo compaesano di mettere da parte tutte queste possibilità e di venire al Convitto per altri tre anni di formazione, che faranno da ‘matrice’ per tutto quello che Don Bosco sarà e farà per il resto della sua vita.

Investire in formazione per la nostra Congregazione è carismaticamente il modo più proficuo e più santo di spendere il meglio delle risorse disponibili. Se questo continua ad essere il messaggio che offriamo al mondo e alla Chiesa dedicando le nostre vite e le nostre risorse alla formazione dei giovani e coinvolgendo tutti quelli che riusciamo nello stesso dinamismo apostolico, tanto più ci sta a cuore la formazione di chi si prende cura delle nuove generazioni di Salesiani. 

“Nessuno sa quanto bene fa il bene che fa”: queste parole di nostro Padre acquistano tutta la loro pregnanza di significato se le applichiamo all’accompagnamento di un aspirante, di un novizio, di un giovane confratello. Lì c’è “in fieri” un potenziale di vita senza limiti, affidato a chi è già più avanti nel cammino della vita salesiana. Non possiamo che dedicarvi il meglio di noi stessi come Confratelli, Ispettorie e Congregazione.                                                  

 


[1] Cfr. FSDB (online 2016), nn. 237-239, 246, 384-286, 416, 489, 547-548, 571. È degno di nota il fatto che non c’è una sezione dedicata interamente alla formazione dei formatori.

[2] Congregazione per l’Educazione Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993). 57 (vedi Origins: CNS Documentary Service 23/32 [27 gennaio 1994] 558-571, in http://www.usccb.org/beliefs-and-teachings/vocations/priesthood/priestly-formation/upload/preparation.pdf versione 11 febbraio 2017. Vedi  FSDB (2016) 237.

[3] F. Cereda, “Formazione dei formatori della formazione iniziale,” ACG 404 (2009), sezione 4.

[4] Valutazione e orientamenti circa la formazione intellettuale nella formazione iniziale. Valutazione e orientamenti approvati dal Rettor Maggiore e dal Consiglio generale, Roma, 25 luglio 2012.

[5] F. Cereda ACG 404, sezione 3.

[6] P. Chávez, Vocazione e formazione, ACG 416 (2013) sezione 1, p. 10.

[7] A. Cencini, “La formazione oggi: Ministero e mistero,” at http://www.ofmconv.org/x/CENCINI.htm#N_13_ (as of 11 February 2017).

[8] Cencini.

[9] Cost 104 richiede formatori “capaci di dialogo.” Cost 112 chiede che il maestro dei novizi “abbia un grande senso dei contatti umani e capacità di dialogo; con la sua bontà ispiri confidenza ai novizi.”

[10] “Svegliate il Mondo,” Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali, La Civiltà Cattolica 2014 I 3-17 3925 (4 gennaio 2014) 10-11.

[11] Cfr. I. Coelho, “La formazione è permanente,” ACG 425 (2017) 25-37.

[12] Giuseppe Cafasso, Esercizi spirituali al clero. I: Meditazioni, 641-642.

[13] Cfr. p.e., OT 5; PI 32; PDV 66; Direttive (1993) 29-32.

[14] Cereda, ACG 404 66.

[15] Congregazione per il Clero, Il dono della vocazione presbiterale: Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, Roma 2016, introduzione sezione 3.

[16] Andrea Bozzolo, “Salesiano prete e salesiano coadiutore. Spunti per un’interpretazione teologica,” Sapientiam dedit illi. Studi su don Bosco e sul carisma salesiano (Roma, 2015) 335.

[17] CEC, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari (1993) 70-71.

[18] Cf. Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede, e il discernimento vocazionale. Documento preparatorio (Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2017) III.2: Le figure di riferimento.

[19] Francesco, “La Curia Romana e il Corpo di Cristo,” Presentazione degli auguri natalizi della Curia Romana, 22 dicembre 2014, a http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/december/documents/papa-francesco_20141222_curia-romana.html (24.11.2017).

[20] Chávez, “Vocazione e formazione,” ACG 416, 26.

[21] Congregazione per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Per vino nuovo otri nuovi (2017), 40.

[22] Ángel Fernández Artime, Signore, dammi di quest’acqua’ (Gv 4,15). Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare. Presentazione della Strenna 2018, Roma, 16 luglio 2017.

[23] Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (nuova ed. 2013) 73.

[24] Vedi F. Cereda, ACG 404, 80 (sezione quarta).