Programma Tavola rotonda Relazione RM Testimonianze Liturgia Video Buonanotte Audio Video-sintesi Foto
Rettor Maggiore: sintesi finale mp3 (50MB)mp3
Rettor Maggiore sintesi finale zip (50MB)
15-01-2015 mp3 (350MB) zip
15-01-2015 mp3 (60MB) zip
Sintesi-16 mp4 (620MB)mp4 Sintesi-17 mp4 (620MB)mp4 Sintesi-18 mp4 (620MB)mp4
Sintesi-16 zip (620MB) Sintesi-17 zip (620MB) Sintesi-18 zip (620MB)
Angel F. Artime – Rettor Maggiore zip
RM
BUONA NOTTE
INIZIO DELLE GIORNATE DELLA F.S.
Giovedì 15 gennaio 2015
Care Sorelle e cari Fratelli tutti della nostra Famiglia Salesiana.
Cari amici e amiche di questo padre comune che è Don Bosco, PADRE DELLA NOSTRA FAMIGLIA SALESIANA NELLA CHIESA E NEL MONDO. Siate veramente i benvenuti in questa vostra casa, che è e vuole rimanere casa comune, simbolo del luogo santo comune che è Valdocco e specialmente la Basilica di Maria Ausiliatrice, faro della Gloria della Madonna.
Abbiamo iniziato poche ore fa questa XXXIII giornata di Spiritualità della Famiglia Salesiana. I termini Spiritualità e Famiglia Salesiana sono, quindi, il quadro in cui ci situiamo. Ancora una volta vogliamo approfondire, nelle sue varie caratteristiche, la conoscenza della spiritualità di questo bellissimo carisma che lo Spirito Santo ha suscitato in Don Bosco per il bene della sua Chiesa e del Mondo.
Ecco perché le mie parole, in questa prima sera, sono un invito a centrarci sull’essenziale che ci unisce.
In primo luogo, l´unico centro e l’Unico importante: IL SIGNORE GESÙ, al quale ci accostiamo per cercare fiumi di acqua viva, come dice il Salmo. È Gesù Cristo il Signore che ci FA UNO, che ci convoca con la forza dello SPIRITO di Dio, e che ci vuole in UNITÀ E COMUNIONE attorno a DIO PADRE. Perciò desidero che questi giorni siano un’esperienza ricca e profonda di Fede e di presenza di Dio in mezzo a noi.
Questo stesso Signore, ci invia come discepoli missionari tra la sua Gente, nella sua Chiesa. E in questa Chiesa alla quale apparteniamo, noi, Famiglia Salesiana, vogliamo e dobbiamo essere non solamente parte della Chiesa in uscita per incontrare coloro che non sono tra di noi, ma una Famiglia Salesiana che, per quanto possibile, sia libera o faccia il tutto per liberarsi dai pericoli e le tentazioni che annuncia Papa Francesco: come possono essere un crescente individualismo, una crisi di identità e perdita di fervore (EG 78), una perdita di dinamismo missionario (EG81), il pragmatismo che logora la Fede (EG83) e un pessimismo sterile (EG84).
Questa nostra Famiglia Salesiana non è fatta, dunque, per guardare a sé stessa e sentirsi, sentirci, autocompiaciuti, ma per confermare e rafforzarci l´un l´altro nella Fede e rispondere a tutti nel mondo, ovunque il Signore ci vuole, quello per cui ci abbia sognato il Signore vivendo fedelmente la sequela di suo Figlio con il carisma salesiano di Don Bosco.
E in questo essere oggi discepoli missionari dal luogo in cui il Signore ci ha voluti, due assi sono fondamentali per non perdere mai il nostro Nord. Si tratta di un binomio che, nel nostro caso, va di pari passo: la centralità di Gesù nella nostra vita e i giovani, e tra di loro i più poveri, abbandonati ed esclusi.
Questa è la nostra tabella di marcia per tutti, carissimi fratelli e sorelle, che ci garantisce individualmente e come Famiglia Salesiana, che stiamo continuando il cammino nella giusta direzione.
A tutti auguro dei giorni ricchi dove, oltre ad approfondire quello che ci verrà presentato come riflessione, diventi realtà di convivenza, di condivisione e di preghiera, questo è costitutivo del nostro essere famiglia. Proprio lo SPIRITO DI FAMIGLIA, qualcosa che è MOLTO NOSTRO.
Vorrei che per tutti siano giornate belle, ricche di contenuti e di esperienze, e chiedo la speciale intercessione della nostra Madre Ausiliatrice, guida di tutta la nostra famiglia che già in cielo intercede per noi.
Grazie per la vostra presenza e perché sarete diffusori, tornando a casa, di quello che condivideremo e vivremo, di quello che avremo visto e sentito.
Un grazie di cuore e buonanotte.
VISITE N°: 7
|
VISITE N°: 6
|
VISITE N°: 2
|
VISITE N°: 2
|
VISITE N°: 4
|
VISITE N°: 1
|
VISITE N°: 3
|
VISITE N°: 2
|
VISITE N°: 18
|
Testimonianza e domanda
Leggere il passato per scrivere il futuro
Don Giuseppe Buccellato SdB
Un’identità senza memoria non avendo radici è priva di futuro
(dalla Carta di Identità della famiglia Salesiana)
«Lo studio di Don Bosco – scriveva Don Chávez nella lettera di presentazione del bicentenario ‒ è la condizione per potere comunicarne il carisma e proporne l’attualità. Senza conoscenza non può nascere amore, imitazione e invocazione; solo l’amore poi spinge alla conoscenza. Si tratta quindi di una conoscenza che nasce dall’amore e conduce all’amore: una conoscenza affettiva».
Nessuna vera intelligenza, comprensione. infatti, è possibile senza l’amore. Afferma il filosofo russo Boris Vyšeslavcev: «È indicativa, per chiarire il rischio di ogni intellettualismo, questa espressione di Leonardo da Vinci: Un grande amore è figlio di una grande conoscenza. Noi cristiani di Oriente, amiamo dire il contrario: Una grande conoscenza è figlia di un grande amore»[1].
Stimolo creativo in questo processo, dunque, è l’ascolto amorevole di Don Bosco e della sua storia, la meditazione dei suoi numerosissimi scritti, il discernimento e la preghiera, la comunione di vita. Se questo manca, il rischio di una “riduzione” del carisma, la tentazione di far prevalere la prassi sul ritorno alle fonti, costantemente raccomandato dalla Chiesa, possono rendere sterile o autoreferenziale il nostro cammino. C’è il rischio di ritornare al fondatore soltanto quando questa operazione conferma le nostre scelte attuali, ma di rinunciare a rileggere, nella sua integrità, la sua eredità spirituale.
L’ancorarsi alle origini, comunque, non è nostalgico ritorno ad un passato ormai archiviato, ma è contatto ininterrotto con la sorgente che rende giovani e creativi. Si tratta di leggere il passato per continuare a nutrire la speranza di scrivere un futuro. È una memoria che si fa, nel medesimo tempo, ringraziamento e compito.
Scriveva il secondo successore di Don Bosco, Don Paolo Albera, nel 1920, in tempi che diremmo “non sospetti”, in occasione della inaugurazione del monumento eretto nella piazza antistante la Basilica di Maria Ausiliatrice:
«Soltanto formandoci allo spirito di D. Bosco, potremo operare come D. Bosco, e ottenere, nell´opera nostra di educatori, quei frutti meravigliosi di rigenerazione spirituale che ottenne D. Bosco. Ma per questo bisogna conoscere D. Bosco. Bisogna pur dire che vi sono tanti, anche fra noi, che parlano di D. Bosco solo per quel che ne sentono dire; donde la necessità vera e urgente che con grande amore se ne legga la vita, con vivo interesse se ne seguano gl´insegnamenti, con affetto filiale s´imitino i suoi esempi. Bisognerebbe che ogni Salesiano sentisse costantemente nell’animo l’impulso profondo ed efficace a divenir tale da meritare un monumento, come lo meritò il nostro Padre»[2].
Un’identità senza memoria è priva di futuro… Proviamo allora a rileggere, a titolo di esempio, almeno alcuni tratti del nostro straordinario patrimonio spirituale che dischiudono elementi di attualità e di profezia, capaci di stimolare un nuovo modo di guardare al futuro della Famiglia Salesiana.
1. LAICI ED ECCLESIASTICI INSIEME PER LA SALVEZZA DELLA GIOVENTÙ
Qualunque persona anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia può appartenere alla nostra Società (dalle Costituzioni della Società di S. Fr. Sales del 1860).
Fin dagli inizi della sua opera a favore dell’educazione cristiana della gioventù, Don Bosco seppe coinvolgere chierici, sacerdoti e laici, in un unico movimento spirituale, una realtà complessa e solo apparentemente non differenziata, per molti versi profetica, che comunque suscitò qualche perplessità in alcuni osservatori esterni, che non comprendevano l’originalità del suo progetto.
Nel sentire di Don Bosco, la presenza feconda dei laici e il loro coinvolgimento nell’opera educativa degli oratori ha origini nel 1841, ancor prima dell’insediamento a Valdocco:
«Si cominciò a raccogliere i ragazzi poveri e abbandonati nella città di Torino ‒ scrive in una memoria degli anni settanta, citando gli avvenimenti del ’41, anno della sua ordinazione presbiterale ‒. Si raccoglievano in appositi locali e chiese, erano trattenuti in piacevole ed onesta ricreazione, istruiti, avviati a ricevere degnamente i Santi Sacramenti della Cresima, della Confessione e Comunione. Al disimpegno dei molti e svariati uffizi unironsi parecchi signori che coll’opera personale e colla loro beneficenza sostenevano la cosiddetta opera degli Oratori festivi. Essi prendevano il nome dall’uffizio che coprivano, ma in generale erano detti benefattori, promotori ed anche cooperatori della Congregazione di S. Francesco di Sales» (cf. MB XI, 84-86).
Intorno al 1858, poi, matura in Don Bosco la risoluzione di dare continuità alla sua opera educativa; è di quell’anno, la prima bozza di costituzioni della Società di San Francesco di Sales.
Egli stesso scrisse nella memoria già citata: «Dal 1852 al 1858 furono concessi vari favori e grazie spirituali; ma in quell’anno la congregazione fu divisa in due categorie o piuttosto in due famiglie. Coloro che erano liberi di se stessi e ne sentivano vocazione si raccolsero in vita comune, dimorando nell’edifizio che fu sempre avuto per casa Madre e centro della pia associazione, che il Sommo Pontefice consigliò di chiamare Pia Società di S. Francesco di Sales, con cui è tuttora denominata. Gli altri, ovvero gli esterni, continuarono a vivere in mezzo al secolo in seno alle proprie famiglie, ma proseguirono a promuovere l’opera degli Oratorii».
Di questa unità di spirito sono testimoni autorevoli i primi testi costituzionali; laici ed ecclesiastici, nelle intenzioni di Don Bosco, devono far parte, giuridicamente, di un’unica Società.
Quando Don Bosco, nel 1860, prepara una bozza di costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, da sottoporre all’arcivescovo di Torino, Mons. Fransoni, un capitolo con quattro articoli è dedicato ai laici, che, nel suo sentire, fanno parte a tutti gli effetti della Società, pur vivendo a casa propria e non essendo legati da voti. «Qualunque persona – si legge nell’esordio ‒ anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia può appartenere alla nostra società. Egli non fa alcun voto; ma procurerà di mettere in pratica quella parte del regolamento, che è compatibile colla sua età, stato e condizione come sarebbe fare o promuovere catechismi a favore de´ poveri fanciulli, procurare la diffusione di buoni libri; dare opera perché abbiano luogo tridui, novene, esercizi spirituali ed altre simili opere di carità che siano specialmente dirette al bene spirituale della gioventù o del basso popolo».
Le autorità ecclesiastiche del tempo, però, non erano ancora in grado di recepire la portata profetica di un simile progetto. Nella sua relazione del 6 aprile 1864 il consultore della Congregazione per i Religiosi scriverà a proposito di questi articoli: «Crederei ben fatto cancellare tutti gli articoli… che presentano una novità nelle affiliazioni all´Istituto di persone estranee, ed un vero pericolo, fatta ragione dei tempi che corrono e dei luoghi poco sicuri». Le osservazioni del pro-segretario Svegliati sono sulla stessa linea: «Non si può ammettere che persone estranee al pio Istituto vi siano iscritte per affiliazione».
Il braccio di ferro con la Congregazione dei Religiosi durò quattordici anni; alla fine Don Bosco dovette cedere. Nel 1874 il capitolo sugli esterni fu cancellato dalle costituzioni della Società di San Francesco di Sales, che furono approvate quello stesso anno. Nel 1875 inizia così la stesura del primo regolamento dei Cooperatori, chesarà approvato l’anno successivo; ma per Don Bosco si tratta di una soluzione “di ripiego”: la sua idea era ben altra, ma aveva il difetto di essere davvero… “fuori tempo”!
Anche la separazione giuridica dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che Don Rua dovette accettare non senza sofferenza, diventa per noi oggi motivo di riflessione. Nulla ci impedisce di ipotizzare che in tempi come questi, alla luce anche del nuovo Codice di Diritto Canonico, Don Bosco avrebbe dato una diversa identità giuridica a questa unica Società composta da laici e consacrati; non ci è dato di saperlo con certezza, ma in questi tempi non facili una simile ipotesi potrebbe stimolare il cammino di rinnovamento della nostra Famiglia.
2. TESTIMONI DELLA RADICALITÀ EVANGELICA
Spirito d’orazione, col quale le Suore attendano di buon grado alle opere di pietà, si tengano alla presenza di Dio, ed abbandonate alla sua dolce Provvidenza. Queste virtù debbono essere molto provate e radicate nelle Figlie di Maria Ausiliatrice, perché deve andare in esse di pari passo la vita attiva e contemplativa, ritraendo Marta e Maddalena (dalla edizione a stampa delle Costituzioni delle FMA del 1878).
Uno degli elementi che colpisce maggiormente, in un semplice studio comparato dei primi regolamenti e dettati costituzionali, è la estrema coerenza che Don Bosco manifesta nel delineare il progetto delle diverse fondazioni. Questa coerenza emerge, ad esempio, nel confronto tra le costituzioni della Società, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, in relazione alla descrizione dello o degli scopi che sono all’origine delle rispettive istituzioni.
Fin dal primo testo costituzionale della Società di S. Francesco di Sales [1858], che, come già detto, abbracciava anche i membri esterni, Don Bosco così delinea i primi due scopi per cui essa nasce:
«1. Lo scopo di questa congregazione si è di riunire insieme i suoi membri ecclesiastici, chierici ed anche laici a fine di perfezionare se medesimi imitando per quanto è possibile le virtù del divin Salvatore.
2. Gesù Cristo cominciò fare ed insegnare, così i congregati comincieranno a perfezionare se stessi colla pratica delle interne ed esterne virtù e coll´acquisto della scienza, di poi si adopreranno a benefizio del prossimo»[3].
A questi primi due scopi seguono altri tre scopi “apostolici”, che fanno riferimento agli oratori festivi, ai convitti, e, infine, all’apostolato della buona stampa e alla predicazione degli esercizi spirituali; due anni più tardi, nel 1860, aggiungerà anche la particolare cura delle vocazioni allo stato ecclesiastico; ma i primi due scopi resteranno sostanzialmente invariati fino al testo definitivo, approvato nel 1874. Analogamente, nell’esordio del primo testo a stampa delle Costituzioni dell’Istituto: «Lo scopo dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice è di attendere alla propria perfezione, e di coadiuvare alla salute del prossimo, specialmente col dare alle fanciulle del popolo una cristiana educazione. Pertanto le Figlie di Maria Ausiliatrice prima di ogni altra cosa procureranno di esercitarsi nelle cristiane virtù»[4].
Due anni prima, nel Regolamento della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, aveva scritto:
«Scopo fondamentale de´ Cooperatori Salesiani si è di fare del bene a se stessi mercè un tenore di vita, per quanto si può, simile a quello che si tiene nella vita comune. Perciocchè molti andrebbero volentieri in un chiostro, ma chi per età, chi per sanità o condizione, moltissimi per difetto di opportunità ne sono assolutamente impediti. Costoro anche in mezzo alle loro ordinarie occupazioni, in seno alle proprie famiglie, possono farsi Cooperatori e vivere come se di fatto fossero in Congregazione»[5].
E più avanti:
«Ai Cooperatori Salesiani si propone la stessa messe della Congregazione di S. Francesco di Sales, cui intendono associarsi:
1. Promuovere novene, tridui, esercizi spirituali e catechismi, soprattutto in quei luoghi dove si manca di mezzi materiali e morali,
2. Siccome in questi tempi si fa gravemente sentire la penuria di vocazioni allo stato Ecclesiastico, così coloro che ne sono in grado prenderanno cura speciale di quei giovanetti ed anche degli adulti, che forniti delle necessarie qualità morali e di attitudine allo studio dessero indizio di esserne chiamati, giovandoli coi loro consigli…
3. Opporre la buona stampa alla stampa irreligiosa....
4. In fine la carità verso i fanciulli pericolanti, raccoglierli, istruirli nella fede, avviarli alle sacre funzioni, consigliarli nei pericoli, condurli dove possono essere istruiti nella religione, sono altra messe dei Cooperatori Salesiani».
Due sottolineature: lo scopo fondamentale per cui nascono i salesiani e le salesiane di Don Bosco è quello di perfezionare se medesimi, di fare del bene a se stessi… L’apostolato, l’amore ai giovani, le opere coraggiose a servizio della gioventù sono la conseguenza di questo “prenderci cura di noi stessi” e della nostra vita spirituale, che è la prima condizione per poter essere un buon regalo per coloro che ci sono stati affidati. La nostra santità è il dono più bello che possiamo fare ai nostri giovani…
La seconda evidenza di questi e di molti altri testi analoghi è la centralità della evangelizzazione nell’opera educativa e apostolica che il fondatore indica al vasto movimento spirituale che da lui ha avuto origine. Per Don Bosco fin dall’inizio la Società è innanzi tutto un catechismo, un semplice catechismo…Siamo apostoli non perché siamo chiamati a realizzare opere sociali, scuole, “giocatori”, ma perché, come gli apostoli, sentiamo l’urgenza e la gioia di annunciare, nel mondo di oggi, la vita buona del Vangelo e le beatitudini del Regno. «Con la parola nostro Signore ha conquistato il cuore della gente scrive il Papa nella Evangelii gaudium ‒. Con la parola gli Apostoli, che aveva istituito “perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,14), attrassero in seno alla Chiesa tutti i popoli» (EG 136).
Tutti hanno diritto a sentire l’annuncio del Vangelo, anche i nostri giovani più poveri.
«Desidero affermare – scrive Papa Francesco più avanti ‒ con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (EG 200).
La confusione che talvolta ha caratterizzato la nostra pastorale, la perdita di consapevolezza della differenza che intercorre tra i mezzi e il fine, la necessita di tornare a dare priorità ad una evangelizzazione e ad una proposta “a chiara identità” è stata spesso messa in evidenza nel magistero salesiano recente; segno del fatto che c’è ancora un cammino da fare, in questa direzione. «In alcune strutture non si riesca a far risplendere la scelta consacrata per il peso delle attività strumentali – scriveva Don Vecchi agli SdB nella lettera Ci consacra e ci invia del 1998 ‒: si è rimasti nei mezzi, piuttosto che evidenziare i fini». «Il Sistema Preventivo – si legge nei documenti del CG27 ‒ per noi salesiani è metodologia pedagogica, proposta di evangelizzazione giovanile, profonda esperienza spirituale».
3. ALCUNI “LUOGHI COMUNI” DELLA RECENTE TRADIZIONE
Una buona e documentata conoscenza della storia, poi, può aiutarci a superare alcuni “luoghi comuni” che possono aver caratterizzato la nostra recente tradizione. Proviamo ad enuclearne un paio.
- Don Bosco stava sempre in mezzo ai giovani
I due primi biografi del Cafasso testimoniano che Don Bosco, che nel 1844 aveva completato il suo periodo di formazione al Convitto, continuò a confessarsi settimanalmente col Cafasso e poi col suo successore, il Teologo Felice Golzio, e per lunghi periodi si recò quotidianamente al Convitto per studiare e ritirarsi in una camera a lui riservata.
Ancor più rilevante è l´abitudine di Don Bosco alla periodica ritiratezza. Ogni anno, a partire dal 1842, egli si recò al Santuario di Sant´Ignazio per i suoi esercizi spirituali; abitudine che conservò anche dopo che ebbero inizio, nel 1866 a Trofarello, i corsi di esercizi per i soci salesiani. Don Bosco raggiungeva a piedi il Santuario (cf. MB III, 245), che si trova ancora oggi nelle Valli di Lanzo, in un luogo ameno e distante da ogni centro abitato, a più di novecento metri di altezza sul livello del mare.
- Don Bosco non dedicava lunghi tempi alla preghiera né usava metodi o forme particolari
Non si tratta di ribadire il tema della continua unione con Dio, utilizzato a volte impropriamente per “assolvere” Don Bosco (e soprattutto noi) dall’obbligo (?!) di dedicare del tempo alla preghiera, ma di “riconoscere” la sua continua insistenza sul tema della preghiera e della preghiera prolungata praticamente in tutte le biografie da lui scritte (Comollo, Savio, Besucco, Magone, Cafasso, Beata Maria degli Angeli, biografie di confratelli defunti…). Anche se Don Bosco è molto geloso e riservato nel confidarci le sue personali esperienze di preghiera, rimane il fatto che egli seppe riconoscere, mettere in evidenza e raccomandare alla imitazione di tutti la vita mistica e la preghiera prolungata, proprio in un secolo più avvezzo ad ispirarsi ai santi della carità che ai grandi contemplativi della storia della spiritualità. Non dimentichiamo, poi, che fin dall’inizio egli volle mettere la Società di San Francesco di Sales e l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice sotto la protezione rispettivamente di San Luigi Gonzaga e di Santa Teresa D’Avila. Non per nulla lo studioso carmelitano Padre Euloghio Pacho annovera Don Bosco tra i «grandi maestri spirituali» e tra «le più grandi figure mistiche» del secolo XIX[6].
Quanto al metodo, basterebbe riprendere in mano gli insegnamenti del primo noviziato canonico, che si svolse a Valdocco a partire dal 1874 sotto lo sguardo vigile di Don Bosco, per scoprire che i salesiani, fin dall’inizio e per molte generazioni ancora dopo la morte del fondatore, impararono a pregare e a fare la loro quotidiana meditazione col metodo insegnato da Sant’Ignazio nel prezioso libretto degli Esercizi Spirituali e ripreso dal Barberis; ma anche di questo sembra essere scomparsa la memoria.
CONCLUSIONE
A conclusione del Congresso Storico Internazionale, celebrato a Roma meno di due mesi or sono,il Rettor Maggiore Don Angel Fernandez ha sottolineato una fondamentale necessità: «Il nostro DNA deve rimanere quello di Don Bosco». Per tutta la nostra Famiglia Salesiana, per questo grande albero che ha l’unico tronco comune nel quale scorre la linfa del fondatore «la fedeltà a Don Bosco – afferma il Rettor Maggiore ‒, è dire la sua lettura della vita, della missione, dell’evangelizzazione e della salvezza dei giovani che è garanzia di futuro del carisma salesiano».
Che lo Spirito Santo di Dio ci doni sempre di sentire la gioia ed il compito di conoscere, discernere, custodire e far crescere lo straordinario dono che abbiamo ricevuto.
[2] P. Albera, Il monumento simbolo d’amore e sintesi dell’opera nostra, 24 giugno 1920, 352.
[3] G. Bosco, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales [1858] – 1875, a cura di F. Motto, Roma 1992
[4] G. Bosco, Regole o costituzioni per l’Istituto di Maria SS. Ausiliatrice aggregato alla Società Salesiana, Torino 1878, 7.
[5] G. Bosco, Cooperatori Salesiani, ossia un modo pratico per giovare al buon costume e alla civile società, Torino 1876,6.
[6] E. Pacho, Storia della spiritualità moderna, Roma 1984, 315.
Pedagogia e missione di don Bosco
Celebrare il bicentenario della nascita di un santo è un evento ricchissimo di significati. Se poi colui del quale si festeggia tale ricorrenza è san Giovanni Bosco, e coloro che lo celebrano si riconoscono nella sua paternità fondatrice, allora quanto stiamo vivendo è destinato a rimanere nel nostro ricordo e nella memoria storica della Famiglia Salesiana come evento colmo di grazia, occasione unica di rinascita e conversione al Vangelo. È questo, del resto, il felice orizzonte ecclesiale nel quale si svolge tale evento. Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, prospetta a tutti i cristiani, ed in particolare a noi che abbiamo il privilegio di vivere in questo tempo, vie coraggiose e ardite per dilatare l’annuncio del Vangelo di Gesù e giungere così alle periferie esistenziali più nascoste e bisognose della luce della salvezza.
Il tema che mi è stato consegnato – la pedagogia e la missione di don Bosco – mi offre il punto di vista dal quale partire e nel quale soffermarmi per questa breve riflessione. In realtà, però, come è emerso durante i tre anni di preparazione al bicentenario, è difficile, se non impossibile, separare la pedagogia dalla spiritualità di don Bosco, aspetti della sua santità apostolica che del resto trovano concretezza e aderenza alla realtà solo se collocate nel suo tempo e nella sua storia. Le tre dimensioni: la storia, la pedagogia e la spiritualità, quindi, vanno lette in interazione dinamica in quanto l’una invera l’altra ed offre la giusta prospettiva per ricondurre a unità la sua vita ed opera. Pertanto, non è possibile comprendere don Bosco educatore, senza mettere in evidenza la fonte da cui scaturiscono le sue straordinarie realizzazioni: il suo cuore infiammato di carità pastorale e zelo apostolico. Ma la santità riconosciuta a don Bosco, può essere compresa e imitata solo nell’ottica della missione educativa alla quale egli si sentì chiamato sin da fanciullo e che venne articolandosi in un progetto e uno stile di intervento condensato in seguito nel Sistema preventivo. Nel solenne riconoscimento tributato a don Bosco da san Giovanni Paolo II nel centenario della sua nascita, che lo definì “padre e maestro dei giovani”,[1] troviamo in conclusione questa sintesi luminosa della quale, per brevi accenni, vorrei far emergere qualche raggio.
Di don Bosco educatore e della sua pedagogia mi soffermo sul fascino, quello che non si ferma alle impressioni immediate, ma si tributa ad un’opera d’arte, la cui bellezza mai tramonta. Il messaggio che veicola, infatti, supera lo spazio ed il tempo, attestandosi a livello delle cose divine, eterne. Di qui un incanto che si trasforma in una fonte inesauribile di ispirazione, e che per noi qui presenti oggi, ha assunto la forma di una vera e propria vocazione. A questa grazia è necessario ritornare perché è come una sorgente a cui dissetarci, un roveto sempre ardente da avvicinare scalzi da pregiudizi per lasciarci illuminare dalla sua luce.
La pedagogia di don Bosco è certamente debitrice del suo tempo e della sua storia. Per questo, autorevoli studiosi hanno messo in luce la necessità che venga “restaurata, reinventata, ricostruita”.[2] E tuttavia, essa è capace di superare gli elementi caduchi per attestarsi al livello di «un incomparabile esempio di umanesimo pedagogico cristiano»[3] valido per tutti i tempi e in tutti i contesti culturali.
Geniale educatore cristiano, don Bosco sa proporre la santità quale meta concreta della sua pedagogia, seminando abilmente la Parola del Vangelo nella realtà personale e concreta dei giovani, riuscendo così a fare sintesi tra evangelizzazione ed educazione e a pervenire a quella grazia di unità che è il fulcro di ogni autentica spiritualità apostolica.[4]
Radicato nei principi della pedagogia cattolica, don Bosco, è certo che l’educazione è un processo complesso nel quale si compenetrano aspetti umani ed elementi divini, componenti personali e interventi comunitari, dinamismi di maturazione umana non disgiunti dall’azione misteriosa della grazia divina. Così pure, egli sa coniugare la persona del giovane nel suo particolare qui e ora con i suoi diversi mondi vitali. Interezza e integralità sono quindi le colonne sulle quali poggia e si costruisce la sua azione educativa, direttrici di marcia capaci di orientare ogni altra strategia.
Dell’autentico educatore, poi, don Bosco possiede la virtù caratteristica che è la prudenza o saggezza pratica. Virtù fondata certamente su talenti personali, ma anche coltivata e sviluppata attraverso un lungo tirocinio fatto di convivenza con i giovani, di condivisione della loro vita, di partecipazione ai loro interessi, di ascolto dei loro bisogni. La prudenza, virtù di natura intellettuale, sostenuta da componenti affettive e volitive, consiste nella capacità di cogliere con grande facilità e immediatezza il cuore dei problemi educativi così come emergono nella pratica e di impostare un’azione che risponda in maniera congruente e flessibile a questa esigenza.[5]
Si comprende così il significato più vero e profondo del suo essere uomo di azione. La sua è la saggezza pratica di chi sa deliberare, giudicare e decidere a tempo e luogo, in modo serio e responsabile, cosa fare, come agire, quali relazioni instaurare.[6] È questo tipo di azione che giustifica la sua identità di educatore cristiano, azione umana per eccellenza giacché volta a formare l’uomo a partire da ciò che lo rende tale. Opera che non può che scaturire da una persona lei stessa impegnata in tale impresa. Come afferma Romano Guardini, «la vita è destata e accesa solo dalla vita. La più potente forza di educazione consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico per crescere».[7]
Sarebbe facile ripercorrere tutta la vita di don Bosco per mettere in evidenza come dall’intreccio tra la fede in Dio e la sua indomita volontà – che del contadino piemontese possedeva la pazienza, la tenacia e la perseveranza – egli seppe compiere una vera metamorfosi trasformandosi dall’impulsivo ragazzo dei Becchi nel don Bosco educatore, mite e calmo, capace di trovare la parola e il gesto più appropriato per entrare discretamente nel cuore e nella mente di ciascuno dei suoi giovani, si chiamassero Domenico Savio oppure Michele Magone.
Il primo messaggio di don Bosco educatore è quindi legato al fascino di questa sua esemplarità che in ambito pedagogico è la conditio sine quae non di ogni azione formativa. L’effetto dell’osservazione e dell’interiorizzazione di modelli, infatti, «è stato sempre riconosciuto come uno dei più potenti mezzi di trasmissione di valori, atteggiamenti, modi di pensare e di agire».[8] Se a don Bosco la Chiesa ha riconosciuto il titolo di “Maestro dei giovani” è perché egli prima di tutto fu testimone credibile dei valori che proponeva e, in quanto tale, capace di affascinare e coinvolgere altri nella sua impresa formativa e pastorale. Ogni opera autenticamente educativa, infatti, non può che darsi nella prospettiva del discepolato.
Non è quindi di infatuazione che si parla quando si tratta di don Bosco, bensì dello spessore della sua umanità che valida lo splendore della sua santità e che, anche oggi, raggiunge tutti noi. Oltre ad essere centro di unità della Famiglia Salesiana, don Bosco, infatti, è anche il luogo ermeneutico per rileggere la nostra vocazione di educatori cristiani.[9]
Da questa prospettiva, allora, lasciarci affascinare da don Bosco significa risvegliare e rinvigorire in noi la sua stessa passione educativa che, in quanto tale, è un appello alla metànoia, alla trasformazione del cuore e della mente che ci permette di sentire prepotente la preoccupazione per tanti giovani che «vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita».[10]
Sono i giovani, infatti, il permanente prolungamento dell’incarnazione per ognuno di noi e, quanto facciamo per loro, ha una dimensione trascendente secondo le parole di Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me».[11] Questa certezza spinge anche noi, come don Bosco, a incontrarci con ciascun giovane a tu per tu, credendo che in ognuno vi è sempre un seme di bontà e del Regno, aiutandoli a dare il meglio di se stessi e avvicinandoli all’incontro con Gesù.[12]
L’educazione cristiana è prima di tutto una via d’amore, un ministero di collaborazione con Dio, uno squisito esercizio di maternità ecclesiale,[13] che riempie il cuore di gioia e fa aumentare il coraggio e la speranza. Essa, infatti, si alimenta della certezza di sapere che “è Dio solo che fa crescere”[14] e ci permette di conservare questa gioia in mezzo a un compito tanto esigente e sfidante che prende la nostra vita per intero.[15] Gioia che ci preserva dai rischi del potere facendoci ripetere, come il santo dei giovani: «Io non sono che il povero don Bosco […]. Di queste opere io non sono che l’umile strumento».[16] Gioia che ha una sorgente nascosta, profonda e inesauribile: Gesù Cristo. Annunciare Lui, quindi, «non è solo rivelare una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove».[17]
Qui tocchiamo il nucleo centrale del metodo preventivo che si propone di rendere felici i giovani, qui e nell’eternità, incarnando la Buona Notizia del Vangelo di Gesù nella loro vita. È la gioia di una comunità che trova nell’impegno di educare evangelizzando ed evangelizzare educando il senso del suo costituirsi tale e, per questo, è unita in comunione, creando al suo interno uno stile relazionale caratterizzato da serena e spontanea familiarità.
Riscoprire e riappropriarsi della gioia di educare insieme, in comunione, in tempi di individualismo esasperato, è l’invito che il Rettor Maggiore don Ángel Artime fa a tutta la Famiglia Salesiana per questo bicentenario. Ma questo sogno viene da ancor più lontano. È uno degli ultimi desideri di don Bosco che nella Strenna del 1888 chiedeva ai suoi figli salesiani e cooperatori «che gli promettessero di amarsi come fratelli».[18]
La comunione è il frutto maturo del Sistema preventivo vissuto insieme e, dunque, prima grande e vera via di educazione ed evangelizzazione perché luogo di armonizzazione delle differenze all’interno di un progetto comune.[19] Essa, lo sappiamo, non è un punto di partenza, bensì meta di ogni convivenza umana. Ma proprio per questo, la comunità che si impegna a costruirla diventa un laboratorio di umanizzazione perché offre se stessa, nel realismo delle proprie luci ed ombre, come campo di esperienza in cui è possibile condividere e sperimentare i valori.
I quattro principi proposti nell’Evangelii gaudium per costruire la comunità evangelizzatrice sono interessanti coordinate che meritano attenzione e possono orientare l’azione educativa preventiva.
Il principio del tempo superiore allo spazio, ad esempio, ci invita a privilegiare le azioni che creano dinamismi, a preoccuparci di iniziare processi più che possedere spazi, a pazientare tenendo presente l’orizzonte, nella certezza che «il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo».[20] L’ottimismo pedagogico del Sistema preventivo si radica in questa visione di fede che fa dire a don Bosco e a noi con lui: «Seminiamo, e poi imitiamo il contadino che aspetta con pazienza il tempo della raccolta».[21] È a partire da questo punto di vista che vanno riletti i tempi dell’educare e del costruire comunione. Tempi che non sottostanno alle leggi dell’efficienza perchè necessitano di uno “sguardo pedagogico”, longanime, paziente, buono, capace di immaginare il frutto di domani a partire dalle potenzialità del seme di oggi. Si tratta, cioè, di cercare e trovare – in noi stessi, negli altri, nella realtà – il “punto accessibile al bene” dal quale partire e da far crescere.
Il secondo principio prende le mosse dalla convinzione che l’unità prevale sul conflitto. Conflitti e tensioni sono inevitabili in ogni contesto umano, come all’interno della persona stessa, tuttavia possono risolversi in una nuova promettente sintesi che non annulla le differenze, ma le ricompone in un piano superiore, quello dello Spirito. La pedagogia di ambiente, sulla quale si fonda la strategia preventiva, esige di considerare la dialettica tra il conflitto e il suo superamento come la normale dinamica della pratica educativa. Il fondamento del metodo – la carità paolina che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, non perde mai la speranza – è appunto quel piano superiore nel quale è possibile pervenire alla comunione nell’amore. Ciò esige che la comunità sia in continuo stato di conversione per evitare le divisioni sterili. «Uniti in un cuor solo», afferma don Bosco, «si farà dieci volte tanto di lavoro e si lavorerà meglio».[22]
La realtà è sempre più importante dell’idea. Con questo terzo principio si vuole ribadire la fede nella Parola di Dio incarnata nella storia della salvezza che si prolunga nell’oggi e fino alla fine dei tempi. È la visione cristiana del mondo che fa da cornice anche alla proposta educativa salesiana, offrendole un criterio di rilettura dell’azione educativa come graduale svelare ai giovani la bellezza della loro identità di figli di Dio, salvati e redenti dal sangue di Cristo e chiamati a far risplendere sempre più in se stessi e nel mondo tale condizione.
Infine, l’ultimo criterio, il tutto è superiore alla parte, è un principio ermeneutico che applicato alla realtà porta ad abbandonare il modello della sfera in cui i punti sono tutti uguali perché equidistanti dal centro, in favore del poliedro, il quale riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. È una visione non lineare, ma sistemica, che considera la relazione tra le parti in prospettiva di reciproca influenza. Questa chiave è la stessa utilizzata per rileggere gli elementi del Sistema preventivo in interazione dinamica: ciascun di essi è importante e decisivo, ma nella misura in cui è posto in relazione con gli altri ed il risultato è più della somma delle parti. Nel metodo preventivo tale principio si applica all’interdipendenza della triade ragione, religione e amorevolezza, come pure agli elementi del progetto educativo, ma anche alla comunità educante e i suoi membri.
Il tutto superiore alla parte, inoltre, sprona ad allargare lo sguardo, a riconoscere il bene ovunque. È cioè, un principio di inculturazione che considera il Vangelo come lievito che fermenta tutta la massa, città che brilla sull’alto del monte illuminando tutti i popoli. Questa prospettiva rimanda alla realtà della Famiglia Salesiana che con la sua vitalità, giovinezza, attualità e fecondità esprime concretamente l’universalità del carisma salesiano che si è dilatato a livello planetario. Nella molteplicità delle vocazioni e dei compiti essa rimane unita nella sua identità di famiglia apostolica che realizza il sogno di don Bosco.
Concludo con una riflessione di san Luigi Grignion di Monfort che nel suo Trattato della vera divozione a Maria Vergine ritrae il profilo dei santi degli ultimi tempi. Non potrebbero esserci parole migliori per dipingere la santità di don Bosco. Celebrare tale splendore nella sua persona, tuttavia, non basta, ma anche in tutti i membri della grande Famiglia Salesiana deve potersi rinnovare il desiderio di imitare la sua santità prolungando così la sua opera nell’oggi e nel domani. Sarà questo, ne siamo certi, il modo più bello e fruttuoso di festeggiare questo bicentenario:
«[I santi degli ultimi tempi] saranno purificati dal fuoco di grandi tribolazioni e ben uniti a Dio, e porteranno l’oro dell’amore nel cuore, l’incenso della preghiera nello spirito e la mirra della mortificazione nel corpo; saranno ovunque il buon odore di Gesù Cristo per i poveri e per i piccoli. […] Saranno i veri apostoli degli ultimi tempi: ad essi il Signore delle virtù darà la parola e la forza per operare meraviglie. […] Essi saranno i più assidui a pregare la santissima Vergine e ad averla sempre presente come perfetto modello da imitare e potente aiuto per soccorrerli».[23]
[1] Cf Giovanni Paolo II, Lettera Iuvenum Patris nel centenario della morte di san Giovanni Bosco, 31 gennaio 1988, in http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/1988/documents/hf_jp-ii_let_19880131_iuvenum-patris_it.html
[2] Cf Braido Pietro, Prevenire non reprimere. Il Sistema preventivo di don Bosco, Roma, LAS 1999, 391.
[3] Paolo VI, Il valore del nuovo centro di studi superiori nell’armonia dell’alta cultura ecclesiastica, in Insegnamenti di Paolo VI vol.V, Città del Vaticano, Tip. Poliglotta Vaticana 1966, 530.
[4] Cf IP 15.
[5] Cf Pellerey Michele – Grządziel Dariusz, Educare. Per una pedagogia intesa come scienza pratico progettuale, Roma, LAS 20112,95.
[6] Cf ivi 99.
[7] Guardini Romano, Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, Brescia, La Scuola 1987, 240-241.
[8] Bandura Albert, Social foundations of thought and action: A social cognitive theory, Englewood Cliffs, Prentice Hall 1986, 47-48.
[9] Cf Carta d’identità carismatica della Famiglia Salesiana di Don Bosco, Roma, Tipografia Vaticana 2012.
[10] Francesco, Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013, in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html, 49.
[11] Mt 25,40 citato in EG 179.
[12] Fernández Artime Ángel, Strenna 2015. Come Don Bosco con i giovani, per i giovani, in https://www.infoans.org/1.asp?Lingua=1&sez=2&sotsez=13&doc=10988.
[13] Cf IP 20.
[14] 1 Cor 3,7.
[15] Cf EG 12.
[16] Lemoyne Giovanni Battista, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco V, S. Benigno Canavese, Scuola tipografica e libreria salesiana 1905, 653; VI 171. D’ora in poi MB.
[17] EG 167.
[18] MB XVIII 502-503.
[19] Cf EG 221.
[20] Ivi 225.
[21] MB XIV 514.
[22] MB XII 383.
[23] Grignion di Monfort Luigi, Trattato della vera divozione a Maria Vergine, Roma, Ed. Ferrari 1908, 68-69.
Don Jesús Manuel García
Il vissuto cristiano è unico, ma diversi sono i cammini di appropriazione e integrazione personale e comunitaria, e differenti sono anche le espressioni simboliche ed etico-pratiche dell’unica spiritualità cristiana.[1] Un modo di sintetizzare e assimilare i dati della fede, e di viverli secondo un principio architettonico, con accentuazioni e sfumature specifiche, è quello che si costruisce intorno alla «famiglia religiosa salesiana». Don Bosco ha dato un’impronta inconfondibile al movimento spirituale da lui inaugurato, una impronta che è frutto di una intuizione percepita sotto l’influsso dello Spirito Santo: «la salvezza delle anime», e che scaturisce dalle modalità con cui il santo torinese ha saputo centrare l’esperienza vissuta cristiana intorno ad un’idea chiave: «l’educazione dei giovani».
Se vogliamo fare una lettura non soltanto storica, ma anche ermeneutica, la prima cosa da affrontare è quella di trovare la giusta collocazione della spiritualità salesiana all’interno della spiritualità cristiana contemporanea. Dopo ciò tenterò di definire il proprio della spiritualità salesiana e le sfide che, a mio avviso, devono affrontare oggi gli eredi del carisma di don Bosco.
Parlare oggi di «spiritualità» vuol dire richiamare uno spazio semantico di enorme vastità, estremamente vitale, ricco e complesso, che si allarga addirittura verso forme di «spiritualità religiosa», forse non sempre esplicite e tematizzate, ma tutt’altro che prive di interesse. Molti uomini e donne del nostro tempo, che vivono e testimoniano un’esperienza spirituale, non la riferiscono spontaneamente e direttamente ad una tradizione religiosa. Si tratta di uomini e donne senza credo e senza chiesa, ma ricchi di esperienze umane, relazionali, professionali, sentimentali, che cercano, come noi, di dare un senso alla vita. Sono spiritualità laiche, nelle quali la trascendenza abbandona i cieli e la sfera del teologico-etico per immergersi nelle relazioni orizzontali e umanitarie.[2] Non senza motivo questa tendenza fondamentale è stata definita come «religiosità senza Dio» o «spiritualità senza dio».
Considerando il fatto religioso, si può affermare che le stesse esperienze religiose non mancano di elementi comuni e ricorrenti. Si parla così di spiritualità ebraica, musulmana, indù, buddista e di altre ancora.
Ne segue che se vogliamo parlare di spiritualità dobbiamo esprimerci al plurale: spiritualità come insieme di procedimenti e di atteggiamenti metodici e controllabili di tutta la persona, per orientare la vita all’unione con la Realtà suprema.[3] Oppure, con le parole di S. Schneiders: «L’esperienza di un coinvolgimento (involvement) consapevole nel progetto di integrazione della vita attraverso l’auto-trascendimento verso il valore ultimo che ognuno percepisce».[4] Oppure «un modo tipico di considerare la condizione umana», di Panikkar.[5]
Questa descrizione “antropologica” di spiritualità certamente ci avvicina alla spiritualità secondo la prospettiva religiosa biblico-cristiana, ma non ne esaurisce i significati.
Limitandoci alla prospettiva cristiana, per «spiritualità» intendiamo sia la «vita secondo lo Spirito di Dio» come la «progressione del cristiano» verso ulteriori realizzazioni, secondo la grazia del battesimo, fino alla pienezza della vita in Cristo. Questi due elementi, cioè l’«esperienza vissuta»[6] e la «dinamica della trasformazione» operata dallo Spirito nella vita del credente, costituiscono i due assi fondamentali per definire oggi la natura e la funzione della spiritualità.[7]
Ciò che caratterizza lo specifico spirituale cristiano, fin dalle origini, è essenzialmente il riferimento alla vita nuova in Cristo, sotto la guida ed il dinamismo del suo Spirito. Questa esperienza unitaria della vita cristiana nello Spirito ha un luogo privilegiato, che è il contesto ecclesiale, in cui la celebrazione della Parola e del sacramento culmina nell’Eucaristia e coinvolge tutta la persona umana (mente e corpo, intelletto ed emozioni). Per questo motivo la spiritualità cristiana ha sempre una dimensione ecclesiale, comunitaria e sociale.
Come forma particolare di vita cristiana, la spiritualità salesiana si è ispirata alla vita e all’azione sociale, educativa e pastorale di don Bosco e alla tradizione che a lui si riferisce. Conviene dunque distinguere tra don Bosco e il dopo-don-Bosco. Quando oggi parliamo di spiritualità salesiana intendiamo richiamare il vissuto storico di don Bosco registrato, riletto, interpretato, inculturato e soprattutto attualizzato. Non basta, quindi, conoscere bene l’eredità spirituale di don Bosco; è altrettanto importante sapere come essa è stata vissuta e formulata nell’epoca del dopo-don-Bosco, e come oggi si riesca a renderla viva nella cultura odierna. Una cosa è conoscere come don Bosco, ad esempio, intendeva e viveva l’«assistenza salesiana», altra cosa è studiare come l’hanno capita e vissuta i salesiani; ed altra ancora, come riformulare oggi il concetto di «assistenza salesiana», in dialogo soprattutto con le scienze umane, perché la “prossimità” tra educatore ed educando voluta da don Bosco continui ad essere anche oggi perno efficace nel sistema educativo. Se manca uno di questi tre elementi (dato storico-tradizione-ermeneutica del dato), non si può parlare di spiritualità salesiana.
Dal punto di vista della fase «dopo – don – Bosco» si può analizzare il vissuto sotto ottiche diverse.
Sembra tuttavia inevitabile dover tenere presenti alcune tappe per il significato particolare che rivestino:
a) Il don Bosco biografico-storico come primo referente. La sua spiritualità dell’agire quotidiano è anzitutto quella da lui vissuta, convissuta, comunicata nella condivisione; assimilata da quanti hanno vissuto e operato con lui. In questo senso dobbiamo ringraziare il lavoro fatto dai nostri storici nell’offrirci il dato storico, criticamente vagliato, per riportarlo nella sua autenticità e originalità, nella recente pubblicazione delle Fonti. [8]
b) La prassi e la riflessione dei primi salesiani. Al periodo che va dalla morte di don Bosco al momento attuale va data una attenzione particolare in quanto è in questo periodo che si concretizza la tradizione salesiana: gli atti dei Capitoli generali, le lettere e gli atti dei Superiori maggiori, dei membri del Capitolo superiore o Consiglio generale, la vita e gli scritti di salesiani che hanno «impiantato» l’opera salesiana in altre situazioni, nazioni e mondi nuovi, gli atti di importanti congressi e convegni di salesiani, cooperatori, compagnie o associazioni religiose... In merito, aspettiamo gli Atti del recente Congresso storico internazionale, tenutosi a Roma-Salesianum dal 19 al 23 novembre 2014. Questi studi ci permettono di capire come è stato colto e interpretato dai discepoli il dato originale trasmesso dal Fondatore.
c) I documenti ufficiali e ufficiosi della Chiesa nel corso dei Processi di beatificazione (1929) e di canonizzazione (1934), i discorsi dei Papi. Questa letteratura deve essere valutata tenendo presente il linguaggio, l’intenzionalità degli scritti, i destinatari, ecc.
d) Contributi e interventi di studiosi di don Bosco, della sua spiritualità, del suo sistema educativo, le teorizzazioni dello spirito salesiano nelle diverse culture, nazioni e ispettorie.[9]
e) Il rinnovamento post-conciliare in vista di una “nuova spiritualità” per “tempi nuovi”.[10] Infatti sotto la spinta dei grandi cambiamenti culturali ed ecclesiologici, la spiritualità post-conciliare comincia ad acquistare un nuovo volto: più dinamica, più esistenziale e vitale.[11]
Questo contesto storico, culturale e sociale in cui si vive e si lavora oggi è fondamentale riferimento perché lo spirito di don Bosco possa avere realmente un influsso nella società. La spiritualità salesiana deve fuggire dal «narcisismo autoreferenziale» e calarsi nella realtà esistenziale degli uomini e delle donne del nostro tempo, per rispondere alle loro domande. Soltanto a questa condizione tale patrimonio potrà acquistare un ruolo efficace nella vita e nella comunità dei credenti come eredità di una persona o di un gruppo, continuando realmente a motivare ed ispirare persone, comunità, gruppi o movimenti.
Un’altra difficoltà si frappone presenta nello studio della spiritualità di don Bosco: anche se Giovanni Bosco appartiene alla categoria delle grandi figure «carismatiche» del secolo decimo nono, egli non è un maestro spirituale nel senso classico della parola. Uomo di azione, prete, educatore conosciuto, autore, fondatore ecc., egli non è alla base di una dottrina spirituale rigorosa. Non ha scritto nessun libro spirituale che possa imporsi come trattato di vita cristiana da realizzare secondo una certa ispirazione originale. Meno ancora egli rivela direttamente le sue esperienze spirituali o il suo itinerario personale. Anche se ha ispirato molti giovani e adulti, religiosi e laici, con le sue parole, i suoi scritti, le sue realizzazioni e il suo stile di vita e di azione, non è paragonabile a san Francesco di Sales o a santa Teresa o san Giovanni della Croce, e non può essere considerato come grande autore spirituale. Le informazioni sul modo in cui egli ha vissuto il suo rapporto con Dio e nel quale ha orientato la sua vita verso l’ideale della perfezione cristiana, sono poche e rare. Lo spirito che lo ha animato, si esprime a spezzoni nei suoi testi, nelle lettere, nei discorsi e nei numerosi libri e opuscoli, da lui scritti.
A questo punto possiamo chiederci: in che senso si può parlare, nel caso di don Bosco, di una spiritualità, se in lui non si trova né dottrina spirituale esplicita, né testimonianza scritta della sua ricerca di Dio, del suo vissuto personale della fede, né itinerario articolato di vita cristiana tesa verso la santità? Sotto quale aspetto, si può parlare di spiritualità di don Bosco?
Per rispondere si deve ricorrere al significato plurale, non univoco, della parola spiritualità. Molte volte la parola si riferisce più genericamente ad una tipica «esperienza» e «prassi» di vita umana e cristiana, fatta sotto la spinta dello Spirito Santo, cioè a quella realtà composta, che partecipa dello Spirito di Dio e dello spirito dell’uomo, cioè di tutta la vita cristiana. Come uomo carismatico, don Bosco ha fatto una «esperienza» tipica di vita spirituale, con una sensibilità pratica e concreta per certi valori del vangelo: la sua esperienza ha trascinato un certo numero di discepoli. Non dobbiamo però cercare in don Bosco né una articolazione organizzata di vita spirituale né una sintesi prospettica completa di personalizzazione del dato rivelato. Siamo più vicini ad una tipologia di vissuto spirituale, che ad una proposta di spiritualità cristiana.
Il salesiano, e i gruppi che vivono secondo lo spirito di don Bosco, confessano la fede nel Dio di Gesù Cristo e lo vivono secondo lo stile di san Giovanni Bosco, molte volte in un impegno educativo, sociale e pastorale nel servizio diretto e indiretto verso le giovani generazioni. In che modo, questo impegno educativo può diventare per l’educatore salesiano cammino verso Dio, campo privilegiato per lo sviluppo della sua vita spirituale, forma mentis del suo agire?
I possibili approcci possono essere diversi. Sembra però che la vita apostolica, più specificamente l’attività sociale, educativa e pastorale, possa essere considerata come uno dei tratti più specifici e qualificanti della spiritualità di don Bosco e dei Salesiani.[12]
La spiritualità che don Bosco propone non possiamo qualificarla come “monastica” o, tanto meno, frutto di un “idealismo ingenuo”, ma «apostolica», «secolare», «attiva»: «Alla società, – scrive P. Stella – che dei religiosi si era fatta la pittura di individui inutili e oziosi, don Bosco presentava i Salesiani al lavoro, a fianco di qualsiasi cittadino e, soprattutto, a fianco dell’indigente. I Salesiani – si preannunciava – avrebbero operato una compenetrazione totale della società, così come avevano fatto i cristiani dei primi secoli... Nei Salesiani e nei loro simpatizzanti veniva volutamente lievitata la persuasione che «la società andava trasformandosi»… Presentando i salesiani al lavoro – a fianco dei giovani, bonariamente e familiarmente – si intendeva presentare un nuovo tipo di religioso e un nuovo tipo di dignità civile dell’ecclesiastico e del religioso non scostante e non provocante per la sua inerzia e inutilità. In concreto, il gettarsi del salesiano in mezzo alla società in progresso consisteva in massima parte nel raccogliere in ambienti adatti (quasi sempre nell´ambito della casa religiosa) giovani bisognosi di educazione e di assistenza».[13]
Promovendo la cooperazione salesiana, don Bosco ripropose la stessa convinzione, espressa d’altronde già nei Congressi cattolici. In una conferenza rivolta ai Cooperatori il 4 giugno 1880, egli diceva: «In altra epoca bastava riunirsi insieme a sante pratiche di pietà, e la società ancora piena di fede seguiva la voce dei suoi pastori. Ora i tempi si sono cangiati, e quindi oltre al ferventemente pregare, conviene lavorare ed indefessamente lavorare, se non vogliamo assistere alla intera rovina della presente generazione».[14]
La stessa idea tornanella conferenza dell’1º luglio, nello stesso anno, a Borgo S. Martino: «Una volta poteva bastare l’unirsi insieme nella preghiera; ma oggidì che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestiere unirsi al campo dell’azione ed operare».[15]
L’azione, specialmente quella educativa, è dunque il luogo privilegiato della spiritualità salesiana, a condizione che il fare dell’educatore salesiano sia «come» quello di don Bosco; cioè, la garanzia per il salesiano di essere «contemplativo nell’azione» sta proprio nella purezza di intenzione: trattare le cose e relazionarsi con le persone come faceva don Bosco.
L’attività educativa dell’educatore salesiano non può essere qualcosa di collaterale alla vita spirituale, come se questa si realizzasse unicamente nella preghiera, negli esercizi di pietà, nell´espressione liturgica e sacramentale. Essere “mistici nello Spirito oggi”[16] comporta non soltanto nutrire un intimo rapporto con Dio, tramite la preghiera personale e comunitaria, ma anche lottare per la giustizia nei confronti degli altri, essere sinceri con se stessi e con gli altri, lavorare duro per condividere la vita dei poveri, non cercare il proprio guadagno sfruttando gli altri, sentire una vera devozione per i doveri del proprio stato di vita, accettare la rinuncia e il sacrificio di sé per amore agli altri. Nessuno dovrebbe illudere se stesso con aspirazioni spirituali mistiche e contemplative se non è disposto a sottostare, prima di tutto, agli impegni e agli obblighi ordinari del dovere quotidiano.
È nel servizio ai giovani che l’educatore salesiano trova Dio. Il campo dell´educazione può essere considerato dal salesiano come il luogo del compimento del mistero pasquale, perché si tratta di «morire a se stesso» facendo crescere le possibilità di vita e di fede dei giovani. Il principale esercizio di ascesi salesiana continua ad essere la vicinanza con i giovani: il successo del Sistema Preventivo è precisamente vivere fra loro. I rapporti con i giovani, la presenza tra loro (scuola, oratorio, tempo libero...), l’aiuto dato e il tempo consacrato a loro, la promozione variegata delle loro capacità: tutto questo diventa il luogo di «contemplazione» dell’educatore salesiano,[17] la «mistica» e la «ascesi» dell’educatore che si ispira al carisma di don Bosco. La «mistica» rende lentamente accessibile l’incontro e l’unione con Dio. L’«ascesi» permette di modellare poco alla volta la vita in conformità allo spirito del vangelo. Questa è la strada tipica, il cammino spirituale specifico e originale di chi desidera incontrare Cristo risorto e vivere con lui, secondo lo stile di don Bosco.
Con un linguaggio più teologico, si potrebbe dire che l’attività educativa è come un “sacramento” dell’incontro con Dio. Nell’educazione è presente un mistero profondo, nascosto allo sguardo immediato: «Chi accoglie questo bambino nel mio nome, accoglie me» (Lc 9,48). Secondo la parola di Gesù, con un unico atto si accoglie il fanciullo nel suo nome e si accoglie lui, Gesù, il figlio di Dio. Per questo motivo è legittimo affermare che l’attività educativa del cristiano è un “sacramento”, un “segno efficace” dell’incontro con Dio: Lui fa sentire la sua presenza attiva all’educatore proprio nel rapporto educativo, quando la relazione è pienamente umanizzante.
Ogni intervento educativo di don Bosco porta il segno di questa fondamentale preoccupazione: «salvare anime». L’acuto senso del valore eterno dell’uomo, creato in vista della felicità eterna nella comunione con Dio, porta don Bosco ad offrirsi incondizionatamente perché si realizzi il progetto di salvezza per i giovani. Per don Bosco il riferimento a Dio diviene (concettualmente ed affettivamente) il centro unificante di tutte le componenti della sua personalità, la ragion d’essere ideale e operativa. Tutto il resto acquista significato e importanza in quanto riferito a Lui,[18] collocato nel suo amoroso piano salvifico, proiettato nell’orizzonte della sua “santissima volontà”.
L´educatore, agli occhi di Don Bosco, è simbolo della vicinanza salvifica di Dio e della sua cura incessante per la maturità personale del giovane, che può realizzarsi soltanto attraverso la redenzione cristiana. In questa prospettiva l´amore educativo prende una insospettata profondità. I giovani non sono soltanto soggetti pedagogici casuali, ma persone chiamate verso la reale pienezza della vita, della comunione con Dio e con il prossimo, della fede, della speranza e della carità.
Ci domandiamo: come attuare un sistema educativo fondamentalmente basato sulla religione in un mondo che si mostra indifferente o che rifiuta ogni legame con la trascendenza?[19]
Lontani dallo scoraggiamento, diciamo subito che l´indifferenza religiosa dei giovani, il loro scetticismo o il loro interesse per forme di religiosità vaga, la difficoltà di trovare un linguaggio umano, religioso, catechistico portante, può rendere l’educatore salesiano un testimone della vita buona del Vangelo. Certamente, dovrà interrogarsi sul modo di proporsi davanti a coloro che professano, oggi, una «spiritualità senza dio»,[20] oppure una spiritualità senza legami con la trascendenza,[21] eppure naturale, storica e radicata nell’immanenza dell’umano: una trascendenza scoperta nella coscienza dell’uomo, senza richiamo a nulla di previo o di esterno.[22] Accogliere con simpatia anche coloro che fanno riferimento ad una spiritualità “flotante, difusa o impersonal”,[23] intesa come sviluppo della vita interiore a partire da valori, quali la comunione, la fedeltà e l’amore.
Queste spiritualità fanno parte del secolo XXI. Sono «la espiritualidad del hombre laico», come vengono descritte da Martín Velasco;[24] sono esperienze umane di “trascendenza”, radicate nella struttura del nostro cervello. Sono spiritualità che non offrono una trascendenza della vita, ma una vita che diventa Dio.[25]
Queste “nuove spiritualità” non rappresentano modi passeggeri, ma piuttosto movimenti profondi dello spirito umano, che penetrano anche negli strati del mondo cristiano. Anzi, hanno tante caratteristiche comuni con l’esperienza mistica cristiana: esperienze fruitive, passive, difficili da descrivere, ecc. Ignorare queste nuove spiritualità sarebbe debilitare il significato della proposta di spiritualità evangelica e proporre una santità con gravi anacronismi. «Il cristianesimo – ci ricorda il teologo spagnolo Torres Queiruga – soltanto potrà mostrare la sua capacità di attualizzazione senza rinunciare alle proprie radici, se riesce a rispondere alle sue domande, accogliendole in dialogo aperto e attraverso lo interscambio critico».[26]
Si tratta di vedere ciò che tali manifestazioni possono insegnarci come sintomi di una insufficienza nella risposta cristiana, e captare ciò che in esse vi è di richiamo e sfida per il necessario rinnovamento di una proposta di spiritualità che intenda proporsi all’altezza del proprio tempo: i punti da cui nascono le loro insoddisfazioni, se ascoltati con umiltà e apertura, possono trasformarsi in una eccellente diagnosi delle piaghe della Chiesa e, proprio per questo, in una preziosa occasione per tentare di curarle.
La nostra proposta di spiritualità deve essere capace di valorizzare il momento presente che mostra entusiasmo per la spiritualità a detrimento della religione, per offrire una proposta convincente che tenga conto della scelta di coloro che, riconoscendosi atei,[27] rivendicano l’importanza sociale della spiritualità perché, come afferma A. Nolan: «C’è fame di spiritualità».[28] Non interessano più i contenuti religiosi, o la regolazione dei medesimi da parte delle istituzioni, ma l’esperienza spirituale individuale al di là del credo, delle confessioni e delle regole normative.
L’educatore salesiano deve accettare, alla luce della fede e delle radici dello spirito di don Bosco, le sfide e le provocazioni della società odierna. L´ascesi oggi ci orienta verso il rischio dell´apertura: rischio di ascoltare, di informarsi, di aprirsi ad altre forme, ad altre relazioni. Incontrare la diversità e l’alterità, vuol dire accettare di far morire la propria sicurezza, per trovare meglio l´identità più profonda.
Sono altri tempi, altre culture, altre generazioni, altri comportamenti, altre forme di pensiero. Tutto è diventato altro, diverso. Assumere l´alterità, per morire a se stesso e aprirsi al diverso: ecco il compito fondamentale dell´ascesi salesiana.
In questo senso, una spiritualità aperta al dialogo con il mondo, deve rinunciare alla pretesa di sapere già tutto o di proporre soluzioni per tutti i problemi. Questo, nulla toglie al compimento del mandato di annunciare il Vangelo «a tempo opportuno e non opportuno» (2 Tim 4,2). Ma la modestia del saper tacere, dubitare e attendere quando i tempi non sono ancora maturi, può essere anche un modo eccellente di rendere credibile il Vangelo. Consapevoli che l’autentica fecondità non è sempre quella del frutto, e che, in determinate stagioni, può esserlo molto superiore quella del seme nell’oscurità della determinazione: come il Crocifisso nella storia.
Il discorso del dialogo oggi introduce un tema di attualità nelle nostre presenze salesiane. Per molto tempo si è pensato che Dio si rivelasse solo nella Bibbia, escludendo le altre religioni. Dio invece, nel suo amore illimitato, si sta sempre rivelando a tutti. Un Dio che crea per amore, ma che si riveli solo a pochi, risulterebbe non solo crudele, ma anche assurdo. «Rendersi conto di questo è inevitabile in un mondo dove le religioni hanno smesso di essere lontana notizia per trasformarsi in quotidiana convivenza».[29]
La consapevolezza teologica sempre più crescente della presenza dello Spirito Santo e della sua azione nelle altre religioni e dei loro valori trascendenti – verità, sapienza, preghiera, ascesi, carità, misericordia – sembra favorire oggi il clima del dialogo interreligioso, utile per sviluppare, senza sincretismi, ma con grande rispetto e stima, il dialogo con le altre religioni, in una società nella quale le religioni sono chiamate a salvaguardare valori religiosi ed umani, come la pace e il senso della trascendenza, la salvaguardia del creato, la lotta di liberazione e la promozione dei popoli. Su queste premesse si potrà annunziare a tutti il mistero di Cristo, pienezza della verità e della grazia.[30]
Fedeli alla nuova sensibilità del Vaticano II, l’invito a «salvare anime» acquisterebbe sfumature diverse, più in sintonia con le prospettive della Gaudium et Spes. Dobbiamo essere capaci di ridisegnar le modalità educative di don Bosco, secondo i parametri di un’antropologia e di una pastorale giovanile rinnovata,[31] per ritrovare la loro potenza operativa ed il loro fascino spirituale. Lo stesso Papa Francesco, nell’Evangelii Gaudium 89, ribadisce: «Più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che, nel medesimo tempo, li chiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio».
La spiritualità è più che un’etica, anche se tra le due esistono stretti rapporti: è impensabile una spiritualità che non si esprima anche nell’azione etica e nei comportamenti concreti dell’uomo. La spiritualità protegge l’etica in modo che non si riduca ad una pura norma di doveri o ad una osservanza automatica di regole.
La spiritualità non è neppure riducibile a interiorità, a mistica e meditazione, a preghiera e celebrazioni liturgiche o sacramentali... Queste sono certamente fonti essenziali per la vita spirituale, ma non sono le uniche. Essa ha bisogno di esprimersi in modo esplicito, al di là di queste forme.[32]
La spiritualità cristiana è un insieme d’interiorità e di comportamento. Tocca la dimensione dell’essere, del pensare, del fare, dell’affettività, della gratuità, del godimento, della felicità e del desiderio sostenuto dalla speranza.
A questo proposito, la spiritualità dell’educatore salesiano, «contemplativo nell’azione», comincia con la disciplina della fedeltà al suo dovere di stato: religioso, laico, cittadino. Non basta «essere un buon cattolico». Si deve scoprire il valore interiore della propria vita in Cristo, cogliere il senso pieno delle sue esigenze. Si devono adempiere i propri obblighi non come una questione di forma, ma con la decisione autentica e personale di offrire a Dio, in e per Cristo, il bene che si fa. La virtù di un cristiano è qualcosa di creativo e spirituale, e non semplicemente il compimento di una legge.
La dimensione etica della spiritualità ci porta inoltre a sviluppare anche una «spiritualità» globale e planetaria, che arrivi ai vertici di una «mistica ecologica», nella prospettiva della salvaguardia del creato, da collegare armonicamente con l’impegno della giustizia e della pace. Si tratta di contemplare la gloria di Dio in noi, in questa storia, in questa creazione;[33] contemplare il Cristo in tutto, perché «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui».[34]
Siamo chiamati e abilitati ad amare e ad abbracciare con compassione la creazione: in tale servizio la Chiesa dovrebbe essere disposta a lavorare con persone di tutte le fedi e di tutte le concezioni del mondo interessate al sostegno della vita, della speranza, della pacificazione e della liberazione piena.
La nostra missione è una lotta per i poveri. La vera partecipazione all´esistenza e alla miseria degli emarginati (in tutte le forme) e degli sfruttati non ha niente di romantico. Il combattimento per la giustizia sociale e per la creazione di situazioni e di strutture che permettano ai giovani di vivere e di crescere in dignità umana e cristiana, richiede alla famiglia salesiana, spesso, nuove forme di presenza e di azione, orientate verso una promozione collettiva. Questo suppone anche l´accettare l´invito di rompere alcuni legami affettivi con certe opere o certe forme di presenza e di potere.
In un mondo segnato da tante forme di ineguaglianza, la spiritualità del Regno di Dio, che è promotrice dell´uguaglianza di tutti, è necessariamente un forza sovversiva. La priorità per il povero e per l´oppresso non è un aspetto accessorio della spiritualità cristiana e salesiana: essa costituisce la logica interna di un amore realistico che desidera assicurare per ogni uomo, senza distinzioni, la vita in pienezza, affrontando situazioni in cui le possibilità di vita e di sviluppo umano sono molto ingiuste. L´amore per i poveri non è dunque qualcosa di facoltativo nella spiritualità salesiana: è l´espressione concreta della fede in un Dio che “venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
«Nell´esercizio quotidiano del nostro ministero pastorale ci feriscono talora l´orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei Concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell´idea e della vita cristiana, e della giusta libertà religiosa. A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sciagura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine dei mondo». Sembrano parole scritte ieri, invece si tratta di un passaggio del discorso pronunciato dal San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II, il 11 ottobre 1962.
È vero che il dopo Concilio non portò quei frutti che si aspettavano, ma l’atteggiamento dei Pontefici e della Chiesa sono rimasti pur sempre di ragionevole ottimismo. E come si fa ad essere ottimisti, soprattutto quando le polemiche, gli scandali, le polemiche sembrano dilaniare la Chiesa?
Abbiamo urgente bisogno di messaggi per l’anima, di antidepressivi spirituali! Abbiamo bisogno di ottimismo. Di fronte allo scoraggiamento, alle miserie che inaridiscono il cuore, di fronte alla cadute, Papa Francesco, nell’esortazione Evangelii Gaudium,ci invita a riscoprire la bellezza e la gioia del credere. Abbiamo, come cristiani, la parola e i gesti capaci di segnare la rotta della speranza per il nostro mondo?
Papa Francesco suggerisce alcune chiavi per vivere la gioia cristiana in mezzo alle difficoltà della vita quotidiana: Esperimentare la gioia della missione; vivere bene, e con realismo spirituale, le attività che facciamo ogni giorno; contemplare i misteriosi piani della Divina Provvidenza, anche i mezzo alla zizzania; scoprire nel deserto ciò che è essenziale per vivere; imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste; imparare a soffrire, in un abbraccio con Gesù crocifisso, quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità; curare le relazioni in un mondo “virtuale”: il Vangelo ci invita a correre sempre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo (Francesco d’Assisi...); uscire dal mondo delle apparenze, per abitare spazi di autenticità…
Come ci ricordano i teologi della Commissione teologica internazionale, «ciò che accade nel mondo in generale, in positivo o in negativo, non può mai lasciare indifferente la Chiesa. Il mondo è il luogo dove la Chiesa, sulle orme di Cristo, annuncia il Vangelo, rende testimonianza alla giustizia e misericordia di Dio, e partecipa al dramma della vita umana».[35] Accettare la sfida di mettersi in contatto con il mondo, suppone mettersi in ascolto di esso per capire cosa sta cercando, cosa lo affascina e cosa lo interpella e lo agita, per segnalargli valori e temi di importanza vitale oggi.[36] In questo esercizio di ascolto si dovrà anche accettare di subire dall’interno le ricadute di alcune delle maggiori tensioni che si vivono nella società civile: mancanza di visibilità istituzionale ecclesiale, perdita di percezione della Chiesa come referente forte e sicuro, doppio processo di secolarizzazione civile ed ecclesiale…[37]
Una partecipazione «amabile» al dramma della vita umana, deve favorire una revisione della nostra spiritualità: forse è il caso di passare da una spiritualità astratta per tutti, ad una «spiritualità incarnata per ognuno»; da una spiritualità intesa come dottrina o codice morale, alla comunicazione di una Vita: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».[38]
Precisamente per la complessità dei problemi – si pensi, ad esempio, alla globalizzazione, affermata già in campo economico, allo sviluppo di società plurietniche, alle nuove esigenze del mondo della comunicazione, alla crisi economica, ecc. –, abbiamo bisogno di una “spiritualità forte” capace di orientare le decisioni dei credenti, in particolare dei giovani, verso la vita buona del Vangelo. Una spiritualità che sappia rispondere al desiderio dell’uomo contemporaneo: un uomo che ha bisogno di senso per capire il perché del vivere («ragione»); bisogno di interiorità per sentirsi protagonista del proprio agire («religione»); bisogno di relazione per ricuperare il valore dell’accoglienza e della gratuità («amore»).
Il ricupero della dimensione spirituale dell’uomo, immerso nell’immanenza della cultura tecnologica, implica l’accettare il passaggio da un cultura del vivere «centrati» in se stessi, ad un’altra del vivere «decentrati» in Dio, per gli altri. La semplicità, l’umiltà e la gratuità nel servizio sono alcuni tratti essenziali che renderanno credibile e significativo il nostro «decentramento» a favore del «Da mihi animas».
Auguriamoci, come ci ricorda Papa Francesco, che la «fame di spiritualità» ci porti ad una revisione degli stili di vita nella Chiesa e nella famiglia salesiana, per costruire un nuovo modello di essere Chiesa: un modello che riesca a mostrare al mondo la gioia della forza profetica e trasformatrice del messaggio evangelico.[39]
Le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la speranza nell’esercizio responsabile della nostra missione.
[1] Cf. A. Favale, Spiritualità e scuole di spiritualità, in J.M. García (ed.), Teologia e spiritualità oggi. Un approccio intradisciplinare. Atti del Simposio organizzato dall’Istituto di Teologia spirituale dell’Università Pontificia Salesiana (Roma: 9-10 dicembre 2011), Roma, LAS, 2012, 325-368.
[2] Si veda il cap. VII, Una spiritualità laica per il terzo millennio, di J. Vernette, Il XXI secolo o sarà mistico o non sarà, Roma Morena, OCD, 2005, 173-197.
[3] Cf. J.-A. Cuttat, L´esperienza cristiana può assumere la spiritualità orientale?, in A. Ravier (ed.), La mistica e le mistiche, 634.
[4] S.M. Schneiders, The Study of Christian Spirituality. Contours and Dynamics of a Discipline, in «Studies in Spirituality» 8 (1998) 39-40. Cf. S.M. Schneiders, Spirituality in the Academy, in american academy of religion, Modern Christian Spirituality. Methodological and Historical Essays, B.C. Hanson (ed.), Atlanta, Scholars Press, 1990, 18.
[5] R. Panikkar, The Trinity and the Religious Experience of Man: Icon-Person-Mystery, Maryknoll, Orbis Books, 1973, 9.
[6] Con il termine «esperienza vissuta» intendo indicare una soluzione di continuità tra l’accadere dell’esperienza e lo sviluppo progressivo di essa nella vita del credente. Per cogliere le diverse sfumature tra «vissuto» e «esperienza» si veda: R. Zas Friz de Col, La teologia spirituale e la ricerca della triplice unità: disciplinare, intradisciplinare e interdisciplinare, in «Mysterion» (www.mysterion.it) 6 (2013) 1, 65-85; T. Dienberg, Vivere la vita spiritualmente. Trasformare la vita per vivere in pienezza, in Istituto di Spiritualità di Münster (ed.), Corso Fondamentale di Spiritualità, Brescia, Queriniana, 2006, 13 -101, in particolare 26-30.
[7] Ho sviluppato questo argomento in: J.M. GARCIA, Teologia spirituale. Epistemologia e interdisciplinarità, Roma, LAS, 2013, 225-250.
[8] Cito l’ultimo sforzo editoriale dei nostri studiosi di don Bosco e della sua opera: ISTITUTO STORICO SALESIANO, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, Roma, LAS, 2014.
[9] Nel recente volume sulle Fonti Salesiane, a pp. 1310-1315 si può trovare una bibliografia scelta riguardante i «Saggi e Studi su don Bosco e la sua opera».
[10] Una sintesi del percorso post-conciliare della teologia spirituale si può trovare in: J. Castellano Cervera, La Teologia spirituale nella Chiesa e nel mondo di oggi, in La teologia spirituale. Atti del Congresso internazionale OCD (Roma 24-29 aprile 2000), Roma, Teresianum/OCD, 2001, 811-869; ID., Teologia spirituale, in G. Canobbio - P. Coda (edd.), La teologia del XX secolo. Un bilancio. III: Prospettive pratiche, Roma, Città Nuova, 2003, 195-321. Alcuni contributi più recenti, con ampia bibliografia, in: R. Zas Friz De Col, Identità e missione della teologia spirituale: bilancio e prospettive dal Vaticano II a oggi, in P. Martinelli, La teologia spirituale oggi. Identità e missione, Bologna, Dehoniane, 2012, 15-52; ID., Teologia della vita cristiana. Contemplazione, vissuto teologale e trasformazione interiore, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010, 39-128; J.M. García, Teologia spirituale. Epistemologia e interdisciplinarità, Roma, LAS, 2013, 171-216.
[11] Cf. I. Colosio, Le caratteristiche positive e negative della spiritualità odierna, in «Rivista di Ascetica e Mistica» 10 (1965) 4/5, 319.
[12] Cf. X. Thevenot, L’attività educativa: un cammino verso Dio, in ID., Principi etici di riferimento per un mondo nuovo, Leumann, Elle Di Ci, 1984.
[13] P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol.II: Mentalità religiosa e spiritualità, Roma, LAS, 1981,369‑372.
[14] Bollettino salesiano (1880) 4, 12.
[15] Bollettino Salesiano (1880) 4, 9.
[16] Si veda la recente pubblicazione: J.M. García (ed.), Mistici nello Spirito e contemporaneità, Roma, LAS, 2014.
[17] Cf. J.E. Vecchi, Spiritualità salesiana. Temi fondamentali, Leumann, Elle Di Ci, 2001. Sui «contemplativi nell’azione si veda la pubblicazione di T. Merton, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2005, specialmente le pp. 117-122: «L’unione con Dio nell’attività».
[18] San Francesco di Sales lo chiama la «santa indifferenza»: l’imitazione di Gesù in «questo perfetto abbandono nelle mani del Padre Celeste e questa perfetta indifferenza in ciò che appartiene alla divina volontà ... Ogni ritardo nella nostra perfezione deriva soltanto da questa mancanza di abbandono» (Predica per il Venerdì Santo, 25 marzo 1622, in Oeuvres de saint Francois de Sales, t. X, Annecy 1898, p. 389).
[19] Cf. R. Zas Friz de Col, La silenziosa rivoluzione antiescatologica, in «La Civiltà Cattolica» 165/3 (2014) 3937, 32-47.
[20] Cf. A. Comte - Sponville, Lo spirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio, Ponte alle Grazie, Milano, 2007; R. Dworkin, Religione senza Dio, Bologna, Il Mulino, 2013.
[21] Cf. R. Zas Friz de Col, La silenziosa rivoluzione antiescatologica, in «La Civiltà Cattolica» 165/3 (2014) 3937, 32-47.
[22] L. Ferry, L’homme Dieu ou le sens de la vie, Paris, Grasset, 1996; ¿Qué es una vida realizada?, Barcelona, Paidós, 2003.
[23] Cf. V. Vide, Senderos de transcendencia en tiempos de increencia, in «Revista de Espiritualidad» 72 (2013) 343-363.
[24] J. Martín Velasco, La noción de espiritualidad en la situación contemporánea, in «Arbor» (2003) 175, 613-628.
[25] Cf. D. Tacey, The Spiritual Revolution. The Emergence of Contemporary Spirituality, Brunner-Routledge, Hove-New York 2004.
[26] Cf. A. Torres Queiruga, Creati per amore: la santità cristiana, in «Concilium» 49 (2013) 3, 30-51.
[27] Cf. A. De Botton, Religión para ateos, Barcelona, RBA Libros, 2012.
[28] Cf. A. Nolan, Jesús hoy. Una espiritualidad de libertad radical, Santander, Sal Terrae, 2007, 77.
[29] Queiruga, Quale futuro per la fede?, 247.
[30] A questo proposito, si vedano gli interventi di C.M. Martini, Karekin I, Alexis II e C. Lubich all’Assemblea di Graz, in «Il Regno/Documenti» (1997) 15, 447-493. Esemplare per il dialogo con le religioni non cristiane sembra il documento della Commissione Teologica Internazionale reso noto nel 1996: Il cristianesimo e le religioni, Paoline 1997. Si veda pure una nuova visione dei rapporti con le religioni in J. Dupuis, Vers une théologie chrétienne du pluralisme religieux, Paris, Cerf, 1997; una visione da confrontare con la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus del 6 agosto 2000. Inoltre A. Scola, Libertà fede e religioni. I principi del dialogo interreligioso nella teologia cattolica in Id., Questioni di antropologia teologica, Roma/Torino, PUL/Mursia, 21997, 155-173; E. Castellucci, La salvezza cristiana nel dibattito interreligioso, in «Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione» 5 (2001)10, 221-295; F. Blée, Il deserto dell’alterità. Un’esperienza spirituale del dialogo interreligioso, Assisi, Cittadella, 2006; B.M. Janzen, La spiritualità e il dialogo interreligioso, in Istituto di Spiritualità di Münster (ed.), Corso Fondamentale di Spiritualità, Brescia, Queriniana, 2006, 453-485; F. Asti, Teologia della vita mistica, LEV, Città del Vaticano 2010, in particolare 631-655.
[31] Per una pastorale giovanile salesiana «rinnovata», si veda: DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA, La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento, edizione extra commerciale, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco, 32014.
[32] Si vedano i suggerimenti di “altri luoghi” che, se “abitati” dallo Spirito, possono avvicinare all’esperienza mistica: García, Mistici nello Spirito, 161-209.
[33] Cf. Sal 8,2; 104,1ss.; Sap 13,3-5; Sir 43,1.9.
[34] Col 1,16.
[35]Commissione Teologica Internazionale, La teologia oggi: prospettive, principi e criteri, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, 54.
[36] Cf. B. Secondin, Inquieti desideri di spiritualità. Esperienze, linguaggi, stile, Bologna, EDB, 2012, 260. Si veda la proposta di calare l’esperienza spirituale e mistica nella vita dell’uomo contemporaneo: lavoro, educazione, corporeità, politica, cultura virtuale, in Garcia, Mistici nello Spirito, 42-160.
[37] Cf. R. Zas Friz De Col, Teologia della Vita cristiana. Contemplazione, vissuto teologale e trasformazione interiore, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010, 29.
[38] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1, in AAS 98 (2006) 217.
[39] Cf. Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii Gaudium», Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013; Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita apostolica, Rallegratevi, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014.
Giornate di Spiritualitá Famiglia Salesiana
Conclusione - Rettor Maggiore
IL FUTURO DEL CARISMA NELLA NOSTRA FAMIGLIA SALESIANA. Sfide presenti e future
Oltre a quello che ho potuto comunicare nella Buona Notte del primo giorno e nell´omelia conclusiva di oggi mattina, vorrei presentarvi, e tramite voi ai diversi gruppi della nostra Famiglia, ciò che in questo momento e in prospettiva dei prossimi anni considero siano le grandi sfide o pure i pilastri che ci daranno la certezza della fedeltà che io attende di Dio per il bene della missione a noi affidata.
Lo svolgo in 6 domande che mi sembrano essenziali .
1. IL NOSTRO DNA deve rimanere QUELLO DI DON BOSCO CENTRATO IN GESÙ
Credo veramente fratelli e sorelle che il futuro del Carisma di Don Bosco passa, in primo luogo, giustamente per l’unico modo possibile, la nostra fedeltà a Don Bosco e al carisma che ha incarnato, perché la fedeltà a Don Bosco è e sarà fedeltà allo Spirito Santo che lo ha suscitato per il bene dell’umanità e della Chiesa. E perché questa fedeltà allo Spirito ci porta al´unico importante: la centralità di Gesù nella nostra vita personale e come Famiglia Salesiana.
Tutti noi, tutta la nostra Famiglia Salesiana, questo grande albero che ha l’unico tronco comune nel quale la linfa del carisma di Don Bosco scorre, come si afferma nelle nostre Costituzioni, Progetto di Vita, Direttori ... (come chiamiamo i nostri documenti), che Don Bosco è il nostro Padre, il Padre della Famiglia Salesiana e un dono, da parte nostra, a tutta la Chiesa e al mondo.
È per questo che la fedeltà a Don Bosco, è dire la sua lettura della vita, della missione, dell’evangelizzazione e della salvezza dei giovani che è garanzia di futuro del carisma salesiano.
Necessitiamo per questo motivo, di continuare a seguire Don Bosco conoscendolo sempre più, per Amarlo sempre più (perché ciò che non si conosce non si ama), per poterlo imitare meglio in ciò che è essenziale e con tutta la novità e la profezia che dobbiamo avere in questi tempi moderni di ogni momento storico, di ogni epoca.
Don Bosco è il nostro grande patrimonio, di tutti e di ciascuno dei membri della nostra Famiglia Salesiana (perché è patrimonio della Chiesa). E l’identità di tutta la nostra famiglia e di ciascuno dei suoi gruppi (e dei singoli membri) diventa più forte quanto più forte è il riconoscimento della PATERNITÀ di Don Bosco in tutti. Non abbiamo bisogno come gli adolescenti nella loro evoluzione personale di separarci, prendendo le distanze dai genitori per rafforzare la propria identità. La nostra identità è più grande, più chiara e più solida quanto più è chiara e manifesta la paternità spirituale di Don Bosco per tutti, per ciascuno e ciascuna.
E questo non ha nulla a che fare con il pericolo di autoreferenzialità di cui parla il Papa Francesco in EG28. Noi non siamo né saremo un ‘gruppo di eletti che guardano se stessi’, ma una Famiglia Religiosa che vuole vivere una forte sequela di Gesù (Discepolato), con un profondo senso di appartenenza e di comunione alla Chiesa universale e alle Chiese locali, sempre con una chiara identità carismatica, con la specificità del proprio carisma (come Dono dello Spirito Santo alla Chiesa).
2. La predilezione carismatica per i giovani, specialmente i più poveri
Questa è la nostra seconda grande sicurezza nel futuro del carisma salesiano. I giovani, specialmente i più poveri, abbandonati ed esclusi.
La Missione Salesiana, in tutta la nostra Famiglia Salesiana, ha in un modo o nell’altro, in tutti i suoi rami la caratteristica di questa opzione preferenziale. Essi sono i destinatari della Missione. Ciò che conviene sottolineare, per essere fedeli al Carisma di Don Bosco, è che sono i destinatari che determinano il tipo di attività e di opere per mezzo delle quali si rende concreta ed efficace la nostra Missione (cfr. Csdb 1,2,14,21; Cfma 1,6,65; PVA 2,2b; ADMA,2; VDB 6; DS 17,c,d; CihscJM,23;).
La nostra fedeltà a Dio e ai giovani ci chiede di essere attenti alle necessità dell’ambiente e della Chiesa, sensibili ai segni dei tempi. E l’educazione e l’evangelizzazione di molti giovani, soprattutto fra i più poveri, ci muovono a raggiungerli nel loro ambiente e a incoraggiarli nel loro stile di vita servendoli nel modo migliore per il loro bene. Questa apertura ha dato origine, nella Congregazione, nell’Istituto delle FMA e negli altri gruppi, ad una infinità di attività e di opere straordinariamente varie ed ammirevoli. Siamo sicuri che per mezzo loro, i giovani e fra di loro i più poveri, Dio ci parla e ci attende in essi.
Come indicavo nel Discorso di Chiusura del CG27, “oso chiedere che con il ‘coraggio, maturità e molta preghiera’ che ci mandano ai giovani più esclusi, vediamo in ogni Ispettoria di rivedere dove dobbiamo rimanere, dove dobbiamo andare e da dove possiamo andarcene… Col loro clamore e il loro grido di dolore i giovani più bisognosi ci interpellano” (Discorso programmatico finale 3.5). In questo senso credo, sorelle e fratelli che il Signore ci invita tutti nella nostra famiglia salesiana a essere valenti, a non sentirci soddisfatti credendo che la missione presente sia quella di custodire quello che gli altri hanno costruito nel passato. La nostra fedeltà al Signore ed ai giovani oggi ci chiede audacia, lì dove è necessaria.
3. Per la fedeltà al carisma: SEMPRE EVANGELIZZATORI DEI GIOVANI, E DELLE GIOVANI.
La predilezione per i giovani più poveri espressa precedentemente è totalmente insufficiente nella totalità del nostro carisma salesiano e nella nostra Famiglia se non diventa efficace mediante una educazione integrale che comprende, come elemento indispensabile, l’evangelizzazione: “Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell’uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto (cfr GS 41)”. “Come Don Bosco, siamo chiamati, tutti e in ogni occasione, a essere educatori alla fede” (Csdb 6,7,20 34; Cfma 5,26,66,75...; PVA 9.1;9.3; ADMA 2; VDB 6; DS 16; CihscJM 5).
Di fatto, a modo di illuminazione sulla preoccupazione che la dimensione evangelizzatrice ha nella nostra Famiglia e nella maggior parte dei suoi membri, posso offrire come mostra la preoccupazione della Congregazione Salesiana dedicando già nel CGXXIII dell’anno 1990 alla Educazione dei giovani alla Fede, o all’impegno delle nostre sorelle FMA anche nel loro ultimo CGXXIII per “Essere oggi con i giovani casa che evangelizza”, dall’ottica del discepolato che narra l’esperienza di Fede, ascoltando ciò che Dio dice oggi, aperti ai cambi necessari per rimettersi in cammino (con i giovani), fino al coraggio di osare insieme gesti profetici
4. La condivisione dello spirito e della missione di Don Bosco nella Famiglia Salesiana e con i Laici
Sappiamo che uno degli elementi fondamentali del Concilio Vaticano II fu, e continua ad essere, il modello teologico della Chiesa come ‘Popolo di Dio’, valorizzando così la consacrazione battesimale, propria di ogni cristiano. Questo diventa realtà, nella nostra Famiglia, per mezzo della ‘comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco’.
Questo spirito del Concilio noi lo viviamo in questa realtà che è la nostra Famiglia religiosa espressa come famiglia di cui all’articolo 1 della Carta della Famiglia Salesiana, "Con umile e gioiosa gratitudine riconosciamo che Don Bosco, per iniziativa di Dio e la materna mediazione di Maria, diede inizio nella Chiesa ad un’originale esperienza di vita evangelica.
Lo Spirito plasmò in lui un cuore abitato da un grande amore per Dio e per i fratelli, in particolare i piccoli e i poveri, e lo rese in tal modo Padre e Maestro di una moltitudine di giovani, nonché Fondatore di una vasta Famiglia spirituale ed apostolica”.
In questo senso penso che ciò che ci si aspetta da noi in questo momento e nei prossimi anni è la crescita come una famiglia in un vero senso di comunione, di comprensione, di conoscenza e anche di ricerca del bene dei giovani e dell’evangelizzazione. È andare oltre, con più forza, di quella che già abbiamo, che è di per sé preziosa, ma che a volte può stagnarsi in un tratto rispettoso, con non poca ignoranza degli altri membri della nostra famiglia.
Inoltre, dal momento che il Papa chiede a tutta la Chiesa, di essere Chiesa in uscita, questa sfida è per noi come famiglia. Siamo una grande forza religiosa nella Chiesa, e con semplicità ed umiltà, dobbiamo ricordarci che siamo veramente lievito nella pasta, dobbiamo dirci che accettiamo la sfida, come ho detto sopra, “Risvegliare il Mondo” (sfida che il Papa ha lanciata ai religiosi e religiose).
A questa realtà di famiglia aggiungo l’urgenza della missione condivisa con i laici. Naturalmente questo appello è inevitabile per noi (consacrati e consacrati e nella nostra famiglia). Come ho detto ai miei fratelli SDB alla fine del CG27 “la missione condivisa con i laici non è più opzionale -caso mai qualcuno lo pensasse ancora- ed è così perché la missione salesiana nel mondo attuale ce lo richiede insistentemente...., la riflessione su questa missione, il processo di conversione da parte nostra è irrinunciabile” (Discorso di chiusura del R.M.,3.7).
5. La dimensione missionaria della nostra Famiglia come garanzia di Fedeltà e Autenticità al carisma di Don Bosco
La dimensione missionaria è stata da sempre una priorità fin dall’inizio della Congregazione Salesiana e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Pur con la scarsità di personale e tra le difficoltà degli inizi, Don Bosco volle inviare i salesiani e le fma più idonei ‘all’altra estremità’ del mondo, in Patagonia.
Il Concilio Vaticano II, rinnovando l’impegno missionario della Chiesa, ne sottolineò, in primo luogo, il profondo significato teologico: “Inviata per mandato divino alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’, la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini” (AG 1).
Lo sviluppo del grande albero della nostra Famiglia ha fatto sì che alcuni dei suoi rami più giovani hanno anche un forte carattere missionario ad gentes, in piena sintonia con il cuore di Don Bosco.
Sempre progetti, allo stesso tempo distinti eppure identici in fondo, perché nascono dalla medesima identità carismatica: un bell’esempio nella nostra famiglia di fedeltà creativa a Don Bosco e al suo Carisma, ma la sfída per il futuro ci incalza.
6. Non il potere e la forza, ma il servizio umile
Concludo esprimendo alla nostra famiglia Salesiana quello che, in questo momento qualifico come un’intuizione che risuona nel mio cuore, che va maturando ed entrando in dialogo con i dati, le realtà viste e conosciute, le informazioni ...
Ciò che chiamo intuizione, che in me è CONVINZIONE FORTE è questo: La nostra fedeltà a Don Bosco come Famiglia Salesiana in questo secolo XXI e negli anni successivi al suo Bicentenario, chiede a noi un servizio alla Chiesa, al popolo di Dio, ai giovani, specialmente i più poveri, e alle famiglie che si distingua e si caratterizza per il servizio nella semplicità, nella familiarità, nell’umiltà, di essere e di vivere per gli altri, dare e darsi ai giovani dalla realtà delle nostre presenze perché abbiamo accettato che questo è il nostro modo di vivere.
La nostra fedeltà è a rischio grave quando si vive nel potere e nella forza, dal momento che si ha e perché si dà o si prende, offre o nega ... E se questo potere e della forza è legata al denaro, allora il rischio si fa maggiore. Attenzione sorelle e fratelli, religiosi, religiose e laici della nostra Famiglia Salesiana, a questa tentazione reale e molto pericolosa.
La nostra forza è di vivere una vera vita di comunione e di fraternità che sia più evangelica in modo da essere più interpellante, attraente di per sé, e la nostra comunione nel servizio, all’interno di ciascuna delle nostre istituzioni o gruppi, e nella nostra stessa Famiglia parlerà da sé stessa.
Volendo terminare con l’appello del Papa, credo che la sua chiamata alla conversione all’umiltà di essere una chiesa (e Famiglia Salesiana dico io) che accoglie sempre, che testimonia la misericordia e la tenerezza del Signore, che porta le la consolazione di Dio alle donne ed agli uomini, non ci lasci indifferenti, così come la chiamata ad essere Chiesa povera e dei poveri. E il suo invito a vivere nella gioia, con profonda gioia fino ad essere in grado di svegliare il mondo è una sfida meravigliosa che ci anima e ci lancia in avanti nella missione affidata.
E nelle parole scritte come titolo alla lettera d’indizione del bicentenario della nascita di Don Bosco, questa fedeltà carismatica è garantita se mettiamo le nostre energie e la nostra vita nell’ “Appartenere di più a Dio, di più ai fratelli e alle sorelle, di più ai giovani”.
Omelia nella Messa della
II Domenica del TO
Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana
Casa Generalizia Salesiana,
Roma 2015.01.18
Carissimi fratelli e sorelle,
sono convinto che abbiamo tanto per lodare e ringraziare Dio, nostro Padre, perché ci ha regalato delle belle giornate insieme, dove abbiamo potuto condividere, conoscerci di più e riconoscerci come Famiglia Salesiana, ascoltare le esperienze fatte in diverse parti del mondo e portate qui da alcuni di noi, piuttosto con il cuore che nella carta o nelle immagini. Dio ci vuole molto bene e ci benedice in abbondanza. Per questo la nostra lode e il nostro ringraziamento oggi in questa Eucaristia. E mi piace che sia così perché l´Eucaristia è proprio lo spazio, la realtà, che esprime la nostra essenza come niente lo può fare: formiamo un cuor solo, un´anima sola e un corpo solo, quello di Gesù Risorto, vissuto nella comunione ecclesiale.
Le letture di questa seconda domenica del tempo ordinario ci mostrano il cammino da fare: Partiamo dal Vangelo, nel quale Gesù ci fa una domanda e un invito. Come i discepoli di Giovanni, anche noi in un momento della nostra vita ci siamo messi in cammino per seguire Gesù, magari ancora senza conoscerlo troppo, magari senza sapere con certezza cosa significa essere suoi discepoli allo stile di Don Bosco. E´ vero che Don Bosco è una persona affascinante, capace di turbare positivamente il cuore delle persone, capace di trascinare comunità intere verso il Dio della Vita, anche in modo che non si stacchino dal quotidiano, dalla vita ordinaria, dalla semplicità e dalla “normalità” di qualsiasi cittadino di qualsiasi cultura su questa terra. Ma, è vero pure che non sempre uno si domanda cosa sostiene la attualità di Don Bosco, cosa lo ha spinto in vita e cosa spinge oggi la sua opera a essere così coinvolgente ed entusiasmante. Purtroppo poche volte ci domandiamo profondamente il perché ancora cerchia di seguire questo cammino...2 E Gesù, come ai discepoli di Giovanni, in un momento quasi per caso ci guarda e ci domanda “Che cosa cercate?”. Carissimi tutti, le Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana sono un´opportunità bellissima per sentire ancora una volta questa domanda dalle labbra di Gesù, l´Agnello di Dio. Anch´io vi domando oggi: “Famiglia Salesiana, che cosa cercate?” E´ molto importante che ognuno possa rispondere personalmente a questa domanda e una volta anche insieme, come corpo ecclesiale. Abbiamo bisogno di imparare a sentire la Parola di Gesù con il cuore aperto, il più purificato possibile, rinnovando la nostra capacità di ascolto. I discepoli dei quali parla il Vangelo, prima di ascoltare Gesù hanno ascoltato dal Battista: “Ecco l´agnello di Dio”, provando nel proprio cuore il desiderio di cercare qualcosa in più nella loro vita, e così pur Simone ha ascoltato suo fratello Andrea: “Abbiamo trovato il Messia” e lo “condusse da Gesù”. Ascoltare e riconoscere la voce degli intermediari (Giovanni Battista e Andrea in questo brano) è una prima condizione.
E noi, come Famiglia Salesiana, siamo stati chiamati anche a diventare intermediari che conducono gli altri da Gesù, in nostro caso specifico, specialmente i giovani.
Dunque, siamo chiamati ad ascoltare molto di più Dio e gli altri, e anche essere pronti per diventare noi stessi intermediari, mediatori, che portano da Gesù. Questa è una mia convinzione fin dall´inizio e ve la condivido perché possa essere anche vostra.
Noi, come Famiglia, siamo chiamati a un maggiore ascolto di Dio e degli altri, soprattutto dei giovani che dappertutto e dalle diverse periferie ci interpellano.
Una volta che i discepoli risposero con un po´ di sorpresa e imbarazzo domandandogli dove abitasse, Gesù ha fatto sentire il suo invito indirizzato oggi anche a noi: “Venite e vedrete”. Ecco il piano di pastorale vocazionale di Gesù. Carissimi, la nostra Famiglia, presente in quasi ogni angolo della Terra, viene invitata a trasformarsi in questa casa di Gesù, la sua dimora, dove qualsiasi persona di qualsiasi condizione, ma soprattutto quelle più bisognose, possa fare l´esperienza di venire e vedere.
Ma possiamo ugualmente domandarci quale era la casa di Gesù. Infatti, nei Vangeli, troviamo Lui quasi sempre in cammino e quando è “a casa” si trova come ospite di qualcuno che lo riceve, perché sappiamo bene che Egli non aveva nemmeno “dove 3 posare il capo” 2 . Quindi, attenzione a non attaccarci troppo alle strutture delle nostre case e presenze, le nostre opere e istituzioni. Sicuramente sono molto lodevoli, e meritevoli, ma attenzione con il trionfalismo vuoto che finalmente ci svuota.
Il vaccino per prevenire o combattere questa malattia è contemplare Gesù sempre in cammino, perché il cammino è proprio lo scenario di un rabbì con i suoi discepoli.
Infatti, cosa significa essere discepolo, se non una persona che segue un maestro? Abbiamo sentito nella prima lettura quella storia di Samuele, molto conosciuta, perché è un tipico testo vocazionale: Dio chiama “Samuèle, Samuèle”, e Samuèle risponde: “Eccomi”. Però oggi voglio sottolineare un altro aspetto. Nel racconto sembra che Dio si è impegnato a non lasciar dormire Samuèle. Il testo dice che “Il Signore chiamò” e ancora una volta: “Il Signore chiamò di nuovo”, e ancora: “Il Signore tornò a chiamare”, e, finalmente: “Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte”.
Una prima osservazione è che Dio non si stanca di chiamarci, un´altra è che non ci vuole dormiglioni. Lo ripeto, carissimi tutti della Famiglia Salesiana: Dio non ci vuole dormiglioni! Quindi, andiamo!, su! Facciamo molta attenzione ad un peccato non poco comune: l´autocompiacimento, cioè, il conformarci con il vissuto ad intra, il gusto e la soddisfazione dell´essere insieme e mettere il centro in noi stessi come gruppi e istituzioni. Quando uno si trova molto a suo gusto, molto coccolato, nel calore della “dolce casa”, è facile di addormentarsi. E una famiglia addormentata e dormigliona non può essere mai una porzione di Chiesa in uscita, come oggi ci propone Papa Francesco, e come viene proprio nel nostro DNA salesiano dalle origini.
Finisco, carissimi fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana presenti qui, in queste Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2015, SVEGLIAMOCI e SVEGLIAMO IL MONDO! Il nostro carisma è più vivo che mai, non per virtù nostra, ma per la grazia di Dio che mai ci abbandona, per la forza della sua chiamata, per la testimonianza dei nostri cari santi, beati e venerabili della nostra immensa Famiglia, e per la 2 Mt, 8,204 testimonianza di migliaia di sorelle e fratelli che ci hanno preceduto o sono oggi in mezzo a noi. Ma soprattutto è un carisma vivo più che mai perché ancora ci sono milioni di giovani, soprattutto quelli delle diverse periferie geografiche ed esistenziali, a gridare a Dio, tante volte con grande chiasso e tantissime con un profondo silenzio pieno di dolore, abbandono e sofferenza.
Maria, Stella della nostra vita personale e comunitaria, Ausiliatrice, Madre e Maestra della nostra spiritualità, già presente e operante dalle origini fino ad oggi, ci conforti, ci svegli e ci incoraggi per vivere la comunione tra di noi, nella Chiesa e nella società, per essere strumento della cultura dell´incontro lì dove ci troviamo, e per vivere il nostro carisma come comunità credente in uscita, in missione, dove ognuno di noi possa crescere come vero discepolo e discepola missionari, e vivere, come Don Bosco, con i giovani e per i giovani.
Angel F. Artime – Rector Mayor
BUONA NOTTE
INIZIO DELLE GIORNATE DELLA F.S.
Giovedì 15 gennaio 2015
Care Sorelle e cari Fratelli tutti della nostra Famiglia Salesiana.
Cari amici e amiche di questo padre comune che è Don Bosco, PADRE DELLA NOSTRA FAMIGLIA SALESIANA NELLA CHIESA E NEL MONDO. Siate veramente i benvenuti in questa vostra casa, che è e vuole rimanere casa comune, simbolo del luogo santo comune che è Valdocco e specialmente la Basilica di Maria Ausiliatrice, faro della Gloria della Madonna.
Abbiamo iniziato poche ore fa questa XXXIII giornata di Spiritualità della Famiglia Salesiana. I termini Spiritualità e Famiglia Salesiana sono, quindi, il quadro in cui ci situiamo. Ancora una volta vogliamo approfondire, nelle sue varie caratteristiche, la conoscenza della spiritualità di questo bellissimo carisma che lo Spirito Santo ha suscitato in Don Bosco per il bene della sua Chiesa e del Mondo.
Ecco perché le mie parole, in questa prima sera, sono un invito a centrarci sull’essenziale che ci unisce.
In primo luogo, l´unico centro e l’Unico importante: IL SIGNORE GESÙ, al quale ci accostiamo per cercare fiumi di acqua viva, come dice il Salmo. È Gesù Cristo il Signore che ci FA UNO, che ci convoca con la forza dello SPIRITO di Dio, e che ci vuole in UNITÀ E COMUNIONE attorno a DIO PADRE. Perciò desidero che questi giorni siano un’esperienza ricca e profonda di Fede e di presenza di Dio in mezzo a noi.
Questo stesso Signore, ci invia come discepoli missionari tra la sua Gente, nella sua Chiesa. E in questa Chiesa alla quale apparteniamo, noi, Famiglia Salesiana, vogliamo e dobbiamo essere non solamente parte della Chiesa in uscita per incontrare coloro che non sono tra di noi, ma una Famiglia Salesiana che, per quanto possibile, sia libera o faccia il tutto per liberarsi dai pericoli e le tentazioni che annuncia Papa Francesco: come possono essere un crescente individualismo, una crisi di identità e perdita di fervore (EG 78), una perdita di dinamismo missionario (EG81), il pragmatismo che logora la Fede (EG83) e un pessimismo sterile (EG84).
Questa nostra Famiglia Salesiana non è fatta, dunque, per guardare a sé stessa e sentirsi, sentirci, autocompiaciuti, ma per confermare e rafforzarci l´un l´altro nella Fede e rispondere a tutti nel mondo, ovunque il Signore ci vuole, quello per cui ci abbia sognato il Signore vivendo fedelmente la sequela di suo Figlio con il carisma salesiano di Don Bosco.
E in questo essere oggi discepoli missionari dal luogo in cui il Signore ci ha voluti, due assi sono fondamentali per non perdere mai il nostro Nord. Si tratta di un binomio che, nel nostro caso, va di pari passo: la centralità di Gesù nella nostra vita e i giovani, e tra di loro i più poveri, abbandonati ed esclusi.
Questa è la nostra tabella di marcia per tutti, carissimi fratelli e sorelle, che ci garantisce individualmente e come Famiglia Salesiana, che stiamo continuando il cammino nella giusta direzione.
A tutti auguro dei giorni ricchi dove, oltre ad approfondire quello che ci verrà presentato come riflessione, diventi realtà di convivenza, di condivisione e di preghiera, questo è costitutivo del nostro essere famiglia. Proprio lo SPIRITO DI FAMIGLIA, qualcosa che è MOLTO NOSTRO.
Vorrei che per tutti siano giornate belle, ricche di contenuti e di esperienze, e chiedo la speciale intercessione della nostra Madre Ausiliatrice, guida di tutta la nostra famiglia che già in cielo intercede per noi.
Grazie per la vostra presenza e perché sarete diffusori, tornando a casa, di quello che condivideremo e vivremo, di quello che avremo visto e sentito.
Un grazie di cuore e buonanotte.
Giornate di Spiritualitá Salesiana
“Come Don Bosco con i Giovani”
Don Pablo Javier Bustos
“Ognuno di noi ha un valore,
ma è ancor piú valore il fatto di essere insieme”
Pampa Yacuza
Sono stato invitato a queste Giornate di Spiritualitá Salesiana con lo scopo di condividere un’esperienza in cui “ il lavorare assieme come Don Bosco con i Giovani” risulta una ricchezza ed una opportunitá di crescita. Ricchezza perché i doni personali e carismatici propri sono messi in comune. Crescita perché nel lavoro con l’altro ci confrontiamo con le nostre proprie virtú e difetti e questo è un’occasione di conversione personale, se si approfitta dell’ opportunitá. Lavorare assieme ad altri membri della Famiglia Salesiana ci permette di conoscerci meglio e scoprire aspetti nostri che forse erano sconosciuti anche a noi stessi.
Don Bosco chiama oggi alla Famiglia Salesiana a “pensare assieme”, “progettare assieme”, “lavorare assieme” e “pregare assieme” per i giovani e con loro, per questo voglio condividervi un cammino realizzato in questi ultimi sei anni: consiste “nell’Unificazione delle Scuole Salesiane (SDB/FMA) in Victorica” - La Pampa – Argentina – Un progetto educativo-pastorale.
Innanzitutto voglio dire che questa esperienza si é potuta realizzare per la comunione e la fraternitá che abbiamo vissuto le due comunitá religiose (FMA ed SDB) e grazie all’accompagnamento degli Ispettori e i consiglieri referenti delle due Ispettorie. É stato un lavoro molto impegnativo che si é portato a termine perché sapevamo chiaramente dove volevamo arrivare: ottimizzare la proposta educativa salesiana per Victorica. Devo anche dire che questo impegno ci ha portati a guardare piú in lá della Scuola e a ripensare comunitariamente la missione salesiana nell’Ovest pampeano (accompagniamo assieme tre paesini).
La parte piú forte all’inizio del processo é stato tralasciare la competenza specifica delle due scuole e far regnare la comunione. In primo luogo il lavoro si è fatto tra i religiosi, attraverso un lavoro impegnativo e sistematico costruendo una nuova proposta “migliore” di quella che avevamo fino a quel momento. Nell’attualitá c’é un equipe di quattro laici educatori impegnati nella gestione ed animazione assieme a sei religiosi salesiani (tre SDB e tre FMA).
Le riunioni permanenti si arricchirono con gli interventi dei referenti ispettoriali tanto delle FMA come degli SDB con cui abbiamo elaborato le proposte per essere presentate ai consigli ispettoriali.
Sono convinto che tutto si é potuto portare avanti grazie a due persone (laiche) che hanno puntato tutto sul progetto con “totale disponibilitá” : sono le due direttrici delle scuole elementari, tanto del Collegio Maria Ausiliatrice, come del collegio San Giovanni Bosco.
La loro fiducia é stata fondamentale per accompagnare docenti, alunni e genitori che erano molto preoccupati per i cambiamenti.
Origine e descrizione del progetto.
Il carisma salesiano che anima l’Istituto San Giovanni Bosco e il Collegio Maria Ausiliatrice si sono sviluppati nel paese di Vittorica attraverso alcuni Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, i quali si dedicarono all’educazione ed evangelizzazione dei bambini ed adolescenti. All’inizio e in sintonia con la cultura dell’epoca, i salesiani sacerdoti si occupavano dei ragazzi, mentre le suore delle ragazze.
Trascorso il tempo e con i contributi di una nuova cultura basata sulla co-educazione le due Istituzioni hanno migliorato le proprie iniziative arricchendosi con la reciproca collaborazione. Oggi, uniscono tutti gli sforzi per migliorare la proposta educativa della Scuola Cattolica in Victorica. Continuano con energie rinnovate il compito educativo in “un’UNICA SCUOLA”.
Considerando diversi aspetti della nostra realtá, alcuni motivi che ci hanno portato alla realizzazione del progetto sono stati:
ü Diminuzione del personale religioso per la gestione ed animazione delle scuole.
ü Diminuzione della popolazione infantile in Victorica (attualmente ci sono 7.000 abitanti).
E osservando che:
ü I salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno una stessa missione apostolica
ü La realtá della co-educazione ci permette di lavorare insieme
Abbiamo deciso dare una risposta ai nuovi eventi in modo solidale e sussidiario coerenti con l’impegno assunto.
A volte le circostanze, il “soffio dello Spirito” attraverso una lettura credente dei fatti, sono quelle che ci spingono a fare delle scelte che sono necessarie per superare certe difficoltá e ció muove a percorrere CAMMINI NUOVI, che con il tempo si scoprono pieni di ricchezza carismatica.
Nel progetto sono state coinvolte le due Comunitá religiose (FMA ed SDB) con diversi Equipe di Gestione integrati da Laici impegnati nell’Opera.
Il collegio attualmente conta 580 alunni di tutti i livelli (scuola materna, scuola elementare e superiore). Molti di loro si trovano in situazione di vulnerabilitá per la realtá socio-economica e realtá familiari complesse che esistono nella popolazione.
D’altra parte, nella MISSIONE DELL’OVEST PAMPEANO, si accompagnano realtá diverse, a seconda delle popolazioni.
“La Famiglia Salesiana é un insieme di cristiani e di consacrati che, con la originalitá del loro carisma e dello spirito, si mettono al servizio della missione della Chiesa, specialmente nel vasto mondo della gioventú, degli ambienti popolari, dei poveri e dei popoli non ancora evangelizzati (apostolicitá)”. Lettere dell’Identitá della Famiglia Salesiana, art. 6
Gli ambienti popolari e rurali sono quelli che si seguono con prioritá in questa Presenza missionaria.
I fine settimana SDB e FMA assieme partiamo verso l’Ovest della provincia per condividere momenti celebrativi, incontri catechistichi, visite ai luoghi rurali, visite a domicilio, incontri sistematici con adolescenti i sabati sera, spazi per programmi a raggio.
Ogni martedí come Comunitá religiose, ci troviamo per condividere l’Eucaristia e la fraternitá nella cena. Ci troviamo anche con una certa frequenza per rivedere, attualizzare, riformulare la proposta missionaria partendo dalla realtá che stiamo vivendo. Un’altra opportunitá sono i dialoghi spontanei durante i viaggi verso l’Ovest (circa 280 km che ci separano dalla localitá piú lontana che accompagnamo: La Humada).
Cammino percorso:
Si é redatto il primo Progetto Educativo Istituzionale (PEI) con un processo di unificazione con ampia participazione durante gli anni 2008-2009. Si fece effettivo negli anni 2009-11. In questo momento si stá rielaborando con la metodologia della Progettazione Pastorale Participativa nel contesto della Progettazione generale dell’Opera.
Si é rafforzato l’equipe di Conduzione. Nei primi due anni si é creato l’Equipe, che ha assunto la responsabilitá della costruzione del PEI. Si sono realizzate riunioni sistematiche settimanali. Si é rafforzato lo sguardo di una scuola unica che realizza un processo educativo in tutti i livelli scolastici. Dal 2010 si sono potenziate le equipe di conduzione dei vai livelli. E’ stato realizzato questo passo: rafforzare gli aspetti che sono propri di ogni livello, dopo aver raggiunto un’organizzazione generale della scuola.
Un SDB accompagna piú da vicino l’animazione della scuola superiore, invece nella scuola elementare una FMA. Si é creato un equipe di Gestione e Conduzione di tutto il Collegio oltre a quello di ogni livello. La creazione di questo equipe ha permesso l’allargarsi della base di partecipazione per la presa di decisioni. Allo stesso partecipano Direttori di ogni livello, consacrati, amministratore dell’opera. Ha anche aiutato a chiarire i criteri di lavoro che hanno permesso un avvicinamento migliore alle diverse situazioni. Le riunioni sono sistematiche e permettono di affrontare collegialmente la gestione educativa.
Come Famiglia Salesiana siamo coinvolti a svolgere questa solidarietá attraverso diversi tipi di interventi educativi e apostolici:
“L’educazione, che é la forma piú alta di solidarietá, se la si prende, si comprende e si realizza secondo i criteri che suggerisce l’assistenza salesiana. Oggi potremmo definirla come “etica dell’essere prossimo”, ossia: interventi personalizzati, relazioni di amicizia e di fiducia, ascolto delle speranze piú profonde dei giovani e dei poveri, ricerca di risposte possibili ed efficaci, accompagnamento fedele”.Lettere dell’Identitá della Famiglia Salesiana Art. 9
Verso un nuovo Quadro di Riferimento
Il Quadro di Riferimento é stato realmente un orientamento nella gestione. Crediamo che abbiamo fatto veramente un lavoro di missione condivisa, favorito dal dialogo e dal protagonismo dei laici e deelle due comunitá religiose. Con di piú si é esteso oltre alla scuola verso l’insieme della missione.
Per questo motivo, le seguenti domande: Che atteggiamento assumono le suore, i salesiani e i laici nella scuola affinché continui ad essere una mossione condivisa? Quali nuovi accordi rafforzerebbero la missione condivisa? Quali decisioni bisogna prendere insieme?, ci interpellano oggi a rivedere ed attualizzare l’accordo per custodire la missione condivisa.
Alcuni punti da tener presenti:
ü Rinnovare l’impegno dei consacrati di sentirci corresponsabili dell’animazione pastorale della Scuola e della Missione
ü La partecipazione di una delle suore all’equipe di Conduzione della scuola e come Consulente Pedagogica Pastorale
ü La partecipazione di una delle suore all’equipe económico dell’opera: accompagnamento delle rette, preventivo scolastico, progetto di investimento e manutenzione, elaborazione e presentazione di progetti di miglioramento.
ü Animazione insieme dell’esperienza di Mallín (Associazionismo)
ü Consensi tra SDB ed FMA (Direttori) per le nomine del personale docente.
ü Per quanto riguarda l’accompagnamento degli equipe di Conduzione dei livelli, avere una maggior presenza le FMA nella scuola elementare e gli SDB nella scuola superiore
ü Prendere visione e risolvere assieme le situazioni conflittuali con il personale, gli alunni e le famiglie.
ü Le suore coinvolte nella scuola partecipano al processo di animazione del settore scolastico degli SDB, con contributi propri dell’animazione ispettoriale delle FMA, opportunitá che arricchiscano la formazione, la gestione, l’equipe di conduzione e i docenti in generale.
ü Elaborare assieme un programma di manutenzione degli edifici, far progetti assieme per chiedere a Istituzioni solidali e al Governo provinciale un sotegno concreto. Partendo dalle possibilitá reali, vedere la distribuzione, considerando le prioritá del lavoro. Per quanto riguarda i contributi economici delle Ispettorie, assumere il costo del 50% di ogni investimento per la manutenzione degli edifici.
Animazione generale della Missione Salesiana dell’Ovest Pampeano
Dopo aver riprogettato la Missione dell’Ovest Pampeano nel 2000 le comunitá degli SDB e delle FMA hanno realizzato un cammino di discernimento assieme ed hanno unito gli sforzi. In questa realtá nell’anno 2008 si inizia la formazione della Pianificazione Pastorale Participativa con la partecipazione di consacrati e un gruppo di laici. Alla fine del cammino di formazione si decide tra i consacrati e i laici di iniziare il processo di implementazione della PPP in tutta la Missione. Guardando insieme l’animazione missionaria dell’Ovest Pampeano, vediamo che passa dall’essere una responsabilitá affidata a un confratello, a un compito comunitario degli SDB, e a posteriori a un’animazione d’insieme SDB-FMA e ora un’animazione SDB-FMA e laici.
In questa realtá si sta elaborando con le diverse comunitá delle Cappelle, la sede parrocchiale e la scuola il primo Piano Pastorale insieme con la metodología della Pianificazione Pastorale Participativa (PPP). Nello stesso processo c’é un momento personale e comunitario in cui si fanno le scelte pastorali, il quale richiederá ai religiosi tornare a chiedersi che cosa ci chiede Dio e come siamo disposti a rispondere.
Siamo l’unica presenza cattolica in tutta la zona, per cui l’impatto sociale ed ecclesiale é molto alto e di grande importanza. Per questa ragione rafforziamo tutto il lavoro in rete con altri organismi ed istituzioni della societá (collegi, ospedali, agenzie per la gestione, consigli provinciali dell’infanzia e dell’adolescenza, clubs, etc.).
In questo percorso missionario sorgono alcune proiezioni:
ü Approfondire la missione condivisa. Come continuare a crescere nella missione condivisa?
ü I gruppi di popolazione autoctoni: Continuiamo il cammino come una sfida pastorale assunta dalle due comunitá?
ü In questi anni le Suore hanno animato il catechismo nell’estremo ovest, é una responsabilitá che si assume come contributo delle suore alla pastorale della Missione? Come continuare il processo di formazione delle Catechiste affinché sia una responsabilitá delle comunitá di ogni cappella, in comunione con i criteri pastorali della Parrocchia e della Diocesi?
ü Nell’animazione dei progetti che sorgano dalla PPP, quale sará la partecipazione delle comunitá religiose? Contribuiranno in qualche area specifica?
ü Alla luce del progetto che sorga dal processo della pianificazione sarebbe conveniente realizzare un accordo per l’animazione d’insieme della Missione Salesiana del’Ovest Pampeano.
Risultati raggiunti negli ultimi anni.
Durante questi anni del Progetto abbiamo potuto:
Realizzare una Pianificazione Pastorale Participativa, in cui un risultato é stato la participazione dei membri dell’equipe di Conduzione nella formazione, assieme con altri docenti. Questo ha permesso il processo di partecipazione dei laici. Si é riusciti a formare un nucleo animatore della comunitá. Prima erano solo i religiosi coloro che animavano tutto, in cambio con la PPP si é formato equipe animatore composto da differenti attori: FMA, SDB e laici. Questo é un processo che si realizza per la prima volta e coinvolge tutte le comunitá-cappelle e i settori dell¿opera. Bisognerebbe continuare a rafforzare la partecipazione di Inaun (Programma di contenzione di adolescente in situazione di vulnerabilitá), degli ausiliari e degli amministrativi.
In questo momento ci troviamo nella Tappa di Pianificazione ed esecuzione di programmi.
Si valorizza l’accompagnamento pastorale nella scuola elementare e superiore con maggior intensitá.
Nel mese di maggio si passa dal ruolo di maestra con funzioni di consulente pedagogico-pastorale al ruolo di Consulente Pedagogica Pastorale. Questo cambio le da un maggior riconoscimento simbolico al compito e una fascia oraria piú ampia. In base a quanto stabilito nell’Accordo Marco della Unificazione, il ruolo lo assume una Suora come contributo all’animazione della pastorale scolastica e si conviene tra l’SDB e la FMA le incombenze dello stesso. La creazione del ruolo e l’accordo posteriore é stato un passo molto importante nella crescita nell’animazione pastorale dell’opera.
Dall’unificazione é aumentanto lo spazio della catechesi nella scuola Superiore: da una riorganizzazione volontaria dei compiti (segretaria e consulente pedagogico-pastorale) si son potuti creare, assumere ed accompagnare questi spazi (ore convertite chiamate oggi “Spazio Giovane”) di catechismo.
In questi anni c’é stato un lungo processo di discernimento e prove con la proposta associativa del Mallín, che é stata una scelta anteriore all’unificazione e riassunta con questa. Abbiamo “amato il tempo degli intenti”, perché é stata difficile riunire i giovani, la convivenza tra loro e la sistematicitá degli incontri, dato che, finita la scuola superiore, i giovani escono dal movimento e da quello che propone.
Frutto di questo discernimento sono stati i seguenti passi: la decisione di assumere itinerari corti; convocare altri adulti educatori all’animazione, formare un equipe di consulenti del Mallín. Si é iniziato a fare la proposta associativa del Mallín-Amicizia ai gruppi del secondo anno delle superiori e Mallín-Stilo nel primo anno delle superiori per favorire la formazione delle comunitá.
Inoltre, e non meno importante, si son potuti realizzare solidarmente miglioramenti edilizi a partire dall’unificazione:
Nell’edificio del collegio Maria Ausiliatrice si sono ristrutturati:
ü Scuola materna: le quattro aule, i bagni, modificazione del cortile di gioco
ü Scuola elementare: bagni per bambine, riaccomodamento stanza dei maestri, restauro della chiesa, e creato uno spazio dedicato alla segreteria (che non esisteva)
Nell’edificio del collegio Don Bosco:
ü Costruzione di un Salone per diversi usi
ü Modificazione del teatro
ü Modificazione del settore dell’antico giardino in biblioteca, aula della comunicazione, sala professori, sala pastorale, sala del gruppo Spazio Giovane
ü Aule e corridoi interni imbiancati
ü Rifatto il pavimento in un aula.
Sfide che ci spingono a continuare
ü I membri della comunitá educante posseggono un’esperienza pastorale diversa, con differenti vedute. C’é bisogno di approfondire ed accordare cosa intendiamo per “pastorale scolastica” o cosa significa “trasformare la scuola in chiave di pastorale”, anzi tutto nell’equipe di Conduzione e poi con il resto delle equipe, per guardare nella stessa direzione.
ü Ci sono pochi agenti di pastorale con una formazione catechistica solida che permetta di iniziare cammini di approfondimento e rinnovamento dell’itinerario catechistico e della proposta pastorale istituzionale. Questo richiede di generare proposte e spazi di formazione assunti dall’Equipe di Pastorale.
ü Ricomposizione e rafforzamento dell’Equipe di Pastorale di tutta l’Istituzione e configurazione delle Equipe per livelli invitando nuovi collaboratori (c’é stato un ricambio di persone che al momento ha rallentato il processo, ma non é crollato, anzi, ognuno ha contribuito con qualche dono).
ü Continuare a crescere nel passaggio da una pastorale di eventi a una pastorale di processi avendo in considerazione le caratteristiche culturali.
ü Offrire spazi di formazione per gli agenti di pastorale a tutti i livelli.
ü Continuare la costruzione del ruolo di Consulente pedagogico-pastorale e rafforzare l’Equipe di Pastorale per accompagnare con l’Equipe di Conduzione, approfondendo la scuola in chiave pastorale.
ü Organizzare la pastorale scolastica e potenziare la sua programmazione per evidenziare il processo che esprime la proposta pastorale nel suo insieme.
ü C’é un ricco contributo che è permesso dalla quanlitá di religiosi che lavorano nella scuola e il ruolo di Consulente Pedagogico Pastorale; questo richiede un dialogo permanente che permetta accordi con i contenuti e stili di animazione.
ü Alcuni temi che é necessario approfondire con la Comunitá Educativo-Pastorale (CEP): la formazione in salesianitá (Don Bosco/Madre Mazzarello) dei docenti, rifare gli itinerari catechistici, approfondire la comprensione delle nuove culture giovanili, assumere la metodologia esperienziale nei diversi spazi di evangelizzazione esplicita, etc.
Difficoltá affrontate:
ü Le diverse occupazioni e responsabilitá che sono causa di assenze e mancanza di spazi per discernere e progettare assieme
ü La rinnovazione continua in questi ultimi anni dei religiosi
ü La mancanza di spazi piú frequenti di discernimento comunitario
ü Alcune linee pastorali diverse a livello delle Ispettorie FMA ed SDB che richiedono discernimento e consensi comuni
ü La diversitá di criteri pastorali dei diversi attori
ü Gli “ego” o la ricerca di posti di potere nelle decisioni da prendere
ü Discussioni sui contributi economici che ogni Comunitá realizza o é disposta a dare per sostenere la missione.
Ricchezze trovate in questo camminare insieme:
ü La familiaritá, fraternitá, affetto, rispetto che regna tra “le” e “i2 religiosi, creando un clima che favorisce i dialoghi e il discernimento nelle ricerche.
ü La crescita e potenziamento della nostra identitá come donne e uomini, che arricchiscono il gran sogno di Don Bosco che ci ha creati come un’UNICA GRANDE FAMIGLIA.
ü La passione missionaria che portiamo in cuore e che viviamo anche nella fatica quotidiana
ü Quando uniamo le forze, non si sommano... SI MOLTIPLICANO!!!
ü Se il centro della nostra preoccupazione sono “loro”, i giovani, le nostre proposte si superano.
ü La provvidenza é presente nel quotidiano
ü É un cammino molto arricchente quello della Co-gestione … cercando di non congestionarci
ü Tutti siamo importanti: laici, FMA ed SDB... e la ricchezza risiede nella diversitá
ü La piú grande testimonianza é quella della Comunione. Siamo “Famiglia”. Questo é il nostro DNA.
Conclusione – invito:
Ho iniziato la mia presentazione citando il ritornello di una canzone del gruppo Pampa Yacuza, gruppo di giovani musicisti dell’Argentina, il quale dice: “Ognuno di noi vale, peró vale di piú il fatto che stiamo assieme”.
Senza una reale comunione si presenta il pericolo di un progressivo impoverimento fino all’infedeltá al progetto di Don Bosco e di Madre Mazzarello. Avvertire che senza gli altri, i membri di un determinato gruppo non possono essere se stessi, dovrebbe essere una certezza coltivata da tutti, ispirando linguaggi coerenti ed atteggiamenti concreti.
Mi congedo regalandovi un racconto, forse conosciuto giá da molti, che ci incoraggia sempre a continuare il cammino:
Dicono che un gigante stava per iniziare ad attraversare un fiume profondo e si incontró sulla riva con un pigmeo che non sapeva nuotare e non poteva attraversare il fiume per la sua profonditá. Il gigante lo caricó sulle sue spalle e si mise nell’acqua.
Verso la metá del fiume, il pigmeo che sporgeva quasi mezzo metro sopra la testa del gigante, riuscí a vedere, accuratamente nascosti tra la vegetazione nell’altra sponda, gli indios di una tribú che aspettavano con i loro archi che si avvicinasse il gigante.
Il pigmeo avvisó il gigante. Questi si fermó, si giró e cominció a tornare indietro. In quel preciso istante, una freccia lanciata dall’altra riva affondó nell’acqua vicino al gigante senza averlo colpito. Lo stesso accade con altre frecce mentre entrambi – gigante e pigmeo – riuscivano ad arrivare alla sponda di partenza sani e salvi.
Il gigante ringrazió il pigmeo ma questi gli rispose: “Se non mi fossi appoggiato in te, non avrei potuto vedere piú lontano di te”.
Per i giovani e con loro
“Bisogna muoversi, altrimenti ti calpestano
Bisogna strappare un sorriso a questo “incisivo” dolore.
Che molte contratture prima o poi ti passano il conto
Messaggio e massaggio al tuo cuore” Pampa Yakuza
Don Pablo Javier Bustos e Comunitá Religiosedell’Ovest Pampeano
Evangelizzare nel carcere
L’esperienza del Gruppo “Martes”
Don Vicente Serrano
Sono Vicente Serrano, salesiano della comunità di San Antonio Abate, nell’Ispettoria “Maria Ausiliatrice”, in Spagna.
Nell’anno 2000 sono stato chiamato da Ángel Tomás, che iniziava il suo servizio come ispettore dell’allora Ispettoria “San Giuseppe” di Valencia. Lui era stato fondatore, alcuni anni prima, del Gruppo “Martes”. Mi ha chiesto di accompagnare il Gruppo, formato da persone colpite dalla malattia della tossicodipendenza. Nel gruppo si trovavano – e fino ad oggi continuiamo ad avere con noi - tossicodipendenti, ex-tossicodipendenti, genitori e familiari ammalati, volontari, più alcune persone con altri tipi di problemi non sempre provocati dall’uso della droga.
Non sono un teorico del tema: mai avrei immaginato di dover parlare dinanzi ad un’assemblea tanto grande! La mia esperienza deriva dalla pratica di accompagnamento, nel corso di questi anni di appartenenza al Gruppo Martes, fatto a numerose persone nel lungo e difficile processo di recupero del controllo della loro vita, e dallo stare accanto a loro nelle difficoltà che comporta questo processo.
Di questo, in particolare di ciò che viene fatto nel Gruppo Martes del carcere di Picassent, è ciò di cui, a nome dello stesso gruppo Martes, posso parlare.
Come si evangelizza in carcere
Forse non è ciò che si intende fare in primo luogo quando vai a fare volontariato in una prigione. Hai sentito il grido dei poveri e senti che si deve dare una risposta alla richiesta che quel grido ti rivolge. Non sai cosa fare, ma ti senti spinto a farti avanti.
Dopo un po’ di tempo vorresti evangelizzare, annunciare la buona novella. Così si propongono diverse ONG tra quelle che operiamo all´interno del penitenziario, il carcere Picassent nella provincia di Valencia: la cappellania cattolica, varie confessioni cristiane evangeliche e altre organizzazioni non esplicitamente confessionali. Tra esse c’è la nostra, il Gruppo Martes.
Tutti lo facciamo a partire da un punto abbastanza comune: fare annuncio gioioso della venuta del Regno di Dio e della sua giustizia; o, in altre parole, rendere visibile ciò che è nascosto della sua presenza. O, ancora più chiaro nel nostro caso: annunciare la buona notizia che è possibile vivere senza schiavitù, senza la dipendenza dalla droga. Le diverse organizzazioni agiamo tutte con gli stessi obiettivi, ma non necessariamente con la stessa metodologia.
Un´altra caratteristica che identifica tutte le organizzazioni è il sentimento di gratuità: si fa parte di esse e si accetta di svolgere quel ruolo in modo gratuito e volontario. In modo gratuito si offre agli interni – eufemismo per indicare i carcerati - di partecipare alle attività che vengono proposte: non godranno di privilegi penitenziari straordinari per il fatto di partecipare ad esse. Naturalmente, nel medio e lungo termine, vedranno migliorata la loro vita attraverso la partecipazione ai programmi che offriamo, ma non otterranno alcun beneficio immediato.
Io credo di dover ringraziare tante e tanti volontari che animano queste associazioni. E soprattutto quelli che allora hanno dato inizio al Gruppo Martes e lo hanno animato nel corso di questi quasi 25 anni. Di diverse età e condizioni, ma con un profilo comune: l´incapacità a restare impassibili e inattivi o immobili e indifferenti dinanzi alla sofferenza del fratello.
Non dimentico nemmeno le persone che, con il loro contributo finanziario, rendono possibile il mantenimento degli interventi del Gruppo Martes, con persone del carcere o della strada. Spostamenti, alloggi, manutenzione ... presuppongono una spesa a cui gli utenti non possono far fronte. E non saranno lasciati fuori dalle attività quelli di sempre: gli ultimi ...
Il Gruppo Martes
Si tratta di una associazione che ha iniziato la sua attività, come ho già detto prima, alla fine degli anni ´80, ad opera del sacerdote salesiano Angelo Thomas, accompagnato da un gruppo di giovani di ambedue i sessi, ex-allievi della Scuola Salesiana della via Sagunto a Valencia, e della Scuola di Magistrale della Chiesa Edetania (ora incorporata all’Università Cattolica), nella quale Angel insegnava. Mentre scrivo queste righe, è l´unica piattaforma sociale salesiana, nella nostra Ispettoria “Maria Ausiliatrice”, che si dedica direttamente al mondo della tossicodipendenza per le strade e in carcere.
L´impegno iniziale che ha preso quel gruppo di persone è stato quello di offrire, inizialmente nei quartieri in cui si trovava situata l’opera dei salesiani, qualche aiuto ai giovani ai quali la droga aveva rubato la vita. Angel –salesiano dalla testa ai piedi -era rimasto profondamente colpito dall´incontro con ragazzi molto giovani carcerati nel "La Modelo" o nel "Centro di minori di Lliria". E soprattutto nel vedere che, nella maggior parte dei casi, la droga era all´inizio del processo di autodistruzione che li aveva portati alla situazione di carcerati.
Gli interventi in quei primi tempi sono stati molto semplici: riunione settimanale, gruppi di ricerca di clienti... A volte con proposte che presto si mostrarono poco efficaci. Il passare del tempo e l´esperienza acquisita hanno fatto individuare diversi tipi di aiuto e la metodologia che si doveva utilizzare.
Così sono andate emergendo nuove proposte: dal "telefono 24 ore" all’aiuto psicologico personalizzato o di gruppo (terapia informale di gruppo), dal “sombreo” (sostegno) continuo delle persone alle case di accoglienza e accompagnamento, dalla riunione settimanale dei martedì (da cui il nome del gruppo) all’avvio del gruppo Martes Picassent, senza dimenticare la rivista El Martes, i vari laboratori, la scuola dei Genitori, la squadra di calcetto, i campeggi estivi o gli esercizi spirituali, tra le altre attività, in questi quasi 25 anni di esistenza del Gruppo Martes.
Il Gruppo Martes Picassent.
All’inizio degli anni ‘90 l’Associazione diede inizio al gruppo nel carcere, per dare continuità e stabilità all’entrata che precedentemente si faceva nel vecchio Carcere Modello di Valencia, per collaborare con il cappellano dello stesso. L´attività all´interno del nuovo carcere, recentemente trasferito a pochi chilometri dalla città, non pretendeva evangelizzare, almeno in modo esplicito. La motivazione per entrare nella nuova prigione era più semplice: per le persone che frequentavano il gruppo nella strada non era strano l´ingresso in carcere. Si verificava - e continua a verificarsi, anche se meno – una routine: droga - criminalità - condanna - più droga - più crimine - più condanna ... e così quasi all´infinito, senza saper uscire fuori dal giro. A volte, con alcuni periodi di astinenza e / o con qualche tentativo di rompere la routine entrando in centri di recupero (anche se qui e ora, nella crisi in cui ci troviamo, può sembrare insolito, in quegli anni i governi degli Stati si preoccupavano dei dipendenti e finanziavano programmi per aiutarli a uscire dalla loro situazione!)
Dinanzi a questa situazione, il Gruppo sosteneva che non si dovevano dimenticare i suoi membri che avevano cambiato la loro situazione penale: se erano oggetto di attenzione quando stavano sulla strada, ancor di più avrebbero dovuto esserlo mentre stavano in una situazione più preoccupante, all’interno di un istituto di pena.
Il Gruppo Martes, forse senza rendersene conto chiaramente, incarnava il carisma salesiano nello stare con loro, con i più poveri, i carcerati, nel conoscere il loro mondo, nell’incoraggiarli ad essere i protagonisti della loro vita, a porsi obiettivi più esigenti…Cercando il loro bene, spendendo in questo le nostre energie.
Stando in periferia, con i giovani che stanno in questa periferia, lontano da quasi tutto, esclusi, con le opportunità bruciate fino quasi a rimanere senza di esse. Perché negli ultimi, nei più poveri, in coloro che hanno più bisogno di noi, c’è ciò che è più proprio del nostro DNA come carisma salesiano. Sono parole del Rettor Maggiore nella bozza della Strenna .
L’intervento del GM a Picassent.
Nel carcere di Picassent, suppongo anche in altri, ci sono due sezioni principali: Centro di Preventivi e Centro Complimento. All´interno del Centro di complimento (non in quello di preventivi) del carcere si realizzano fondamentalmente incontri di aiuto per le persone - tutti uomini - che hanno seguito il protocollo intrapenitenziario per poter partecipare a qualsiasi attività (chiederlo attraverso una richiesta all’educatore del modulo, perché si valuti la convenienza). Una volta superato questo primo passaggio, hanno avuto un colloquio con qualcuno del Gruppo per valutare l’opportunità della loro ammissione.
Il gruppo di aiuto si sviluppa, salvo alcune eccezioni, con una struttura che l´esperienza continua a confermare valida. Ogni sessione inizia con la presentazione di nuovi assistenti, se ce ne sono. Quindi si fa un giro di condivisione di notizie sulle persone o situazioni che fanno riferimento al Gruppo. Per passare poi a situazioni che hanno a che fare con lo stato dei presenti, soprattutto per quanto riguarda il processo di unione e uscita da esse.
Tutti possono parlare e si può parlare di tutto – solo è proibita la violenza, fisica o verbale, sia qualsiasi argomento che genera morbosità o ansia di consumo. - Il rispetto è fondamentale: se parlo io mi impegno ad ascoltare ciò che gli altri ritengono opportuno per la mia situazione come l’ho manifestata. Se io non sono disposto a accettarlo, sto zitto.
Uno dei volontari del Gruppo modera l’incontro.
Con quale pretesa si entra nel carcere?
In primo luogo, si entra nel carcere a visitare giovani carcerati. Semplicemente questo. Di per sé, questo giustificherebbe l’intervento, essendo il gruppo Martes un gruppo con spirito evangelico, e ancor più perché opera in un ambiente salesiano. Così ha fatto Don Bosco. Quando, giovane sacerdote, cercava di chiarire, sotto la guida di Don Cafasso, ciò che il Signore si aspettava da lui, quale era la porzione di messe che gli era stata assegnata, una delle esperienze che lui racconta di aver realizzato è la visita ai giovani detenuti nel carcere di Torino. Non tutto dovette risultare gradevole a Don Bosco, in quanto nella tradizione salesiana non perdurò questa pratica. Tuttavia, alcuni aspetti di questa esperienza saranno ricordati da lui con soddisfazione: la passeggiata con i giovani detenuti. Ma, soprattutto, Don Bosco rafforzerà la coscienza della necessità di offrire una formazione a quei giovani e proposte alternative per la loro vita al fine di evitare la ripetizione del giro vizioso "carcere - libertà - criminalità - carcere ..."
Ma c´è di più. Il profetico aprire gli occhi ai ciechi, liberare i prigionieri dal carcere e dal fango quelli che giacciono nelle tenebre il Gruppo Martes lo realizza quando portiamo avanti azioni con l’intenzione di sostenere o suggerire, in coloro che partecipano alla riunione, processi che aiutano a essere liberi dalle trappole ingiuste (droga ...) attraverso la realizzazione di uno dei seguenti obiettivi:
- Provocare la verbalizzazione di stati d´animo, spesso repressi, inconsciamente o come risposta cosciente dinanzi alla ostilità del mezzo – il carcere- nel quale si svolge la sua vita. E si arriva a un momento di grande liberazione, e di espressione dei sentimenti insoliti in un ambiente in cui non è conveniente mostrare momenti di debolezza.
- Stabilire e mantenere legami con persone in situazione di esclusione a causa della loro dipendenza. Per ridare la speranza che la vita senza droghe è possibile.
- Valorizzare le persone per le quali tale esperienza personale è abbastanza rara. In modo che, a partire da questa base, possano cominciare ad auto valorizzarsi come persone. Questo è essenziale per smettere di cercare soddisfazione che la droga è in grado di fornire e impegnarsi a ricostruire una personalità per sempre libera dalla dipendenza. Se ti senti apprezzato è più facile rompere la dinamica di cercare compulsivamente delle soddisfazioni fuori di te.
- Accompagnare il processo di scoperta e di accettazione che il peggior carcere è quello che io stesso metto dentro di me: le peggiori sbarre sono invisibili, sono nel cuore e nella testa. Il padrone delle tue scelte sei tu, non è il tuo passato, né la tua situazione sociale, familiare o lavorativa: la soluzione è nelle tue mani, e probabilmente già l’hai presa in passato, anche se non l’hai saputa mantenere.
- Imparare ad accettare le conseguenze delle decisioni che una volta sono state prese e che devono essere assunte responsabilmente. Perché ogni decisione comporta delle conseguenze. E ogni persona matura deve accettare, senza lasciare la loro soluzione nelle mani degli altri.
- Continuare a sviluppare ulteriormente gli atteggiamenti e le motivazioni che favoriscono la vita libera dalle droghe. Dopo tutto, il tuo atteggiamento verso di esse è completamente responsabile della situazione in cui ti trovi. Solo se cambi il tuo atteggiamento e la motivazione di fronte ad esse potrai modificarla. Essere positivo e propositivo.
- Fare da piattaforma all´esterno del carcere per accogliere e facilitare l´inserimento nella vita fuori da esso, sia nei permessi di uscita come nel momento della libertà, temporanea o permanente.
Come?
Tre interventi costituiscono fondamentalmente la realizzazione del G. Martes a Picassent:
- La riunione quindicinale: a sabati alterni (2 ° e 4 ° di ogni mese). Con gli obiettivi e la struttura a cui si è fatto riferimento in precedenza. Alcuni volontari si trasferiscono dal luogo della loro residenza al Centro Penitenziario per incontrare un gruppo tra i 15 e i 22 detenuti. Per circa due ore si parla, si ascolta, si sostiene ..., tutto questo con grande interesse e capacità empatica tra i presenti. Spesso manca il tempo per occuparsi di tutti i temi e le situazioni che vengono proposte, dai volontari o, quasi sempre, dagli stessi prigionieri.
- Questo intervento potrebbe essere ampliato in numero di giorni (ogni sabato), in numero di persone (raddoppiando il gruppo) o iniziando un gruppo specifico per detenuti (che alcuni educatori del carcere hanno richiesto). Queste possibilità, in ogni caso, dipenderanno dal numero di volontari /e disponibili e dalla maggiore spesa che può comportare.
- Il secondo intervento è uno dei momenti stella: gli Esercizi Spirituali Gruppo Martes. Un fine settimana del mese di maggio, dall’ultima ora (prima di cena) del Venerdì fino alla prima ora del pomeriggio della Domenica (dopo pranzo), i membri del gruppo, della strada o detenuti che sono stati autorizzati, dedicano un tempo per riflettere sulla propria vita.
Una volta raccolti i detenuti (che devi custodire e far ritornare nel Centro Penitenziario la Domenica pomeriggio) tutte le persone ci dirigiamo verso la casa salesiana Godelleta. Un luogo ben noto, che ci accoglie da molti anni e ha ottime condizioni per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Un programma ben organizzato, che alterna momenti di riflessione guidati dall´animatore, altri di lavoro personale seguendo delle proposte e spazi per condividere il risultato della riflessione. Niente di originale, senza dubbio, ma che deve essere molto curato per rendere l´attività fruttuosa al massimo per le persone che ne fanno parte. La persona che anima gli Esercizi deve tenerne conto nel momento di preparare i contenuti che vuole sviluppare così come la metodologia più appropriata.
Risultati? Chiunque osservava poteva notare la profondità raggiunta nelle riflessioni, la normalità con la quale si condivide la propria storia personale, così come la facilità con cui si chiede e si offre aiuto personale. E anche la partecipazione nei momenti di preghiera o nella celebrazione finale dell´Eucaristia.
- L´altro momento stella: Il campeggio estivo o vacanze Gruppo Martes. Un numero variabile di prigionieri, - come sempre, si deve seguire il protocollo – vanno a vivere insieme con altri membri del Gruppo, un´intera settimana in montagna, liberi dalla routine del carcere, nella Residenza Don Bosco, nei pressi di Albaida. Lì possono anche incontrarsi con alcuni dei loro familiari in un ambiente molto diverso di quello che li circonda quando comunicano o quando usufruiscono di una visita in prigione.
L´esperienza di tanti anni (dal 1993) e la partecipazione volontaria degli animatori (giovani salesiani o assistenti per il tempo libero del C.J. Amics) permette mantenere un programma pieno di attività, adatte per le diverse età (sono di solito presenti figli e figlie di detenuti): giochi di giorno e di sera, escursioni e marce in montagna, momenti di formazione, sport acquatici e in cortile ... E, soprattutto, un tempo per condividere una vita in libertà, preparandosi per quando arriverà quel momento, attraverso l´esperienza di alternative a ciò che si era precedentemente vissuto.
Si sottolinea che la gestione ordinaria del campo (cucina, pulizia, organizzazione di attività) è anche parte del processo di riabilitazione: si tratta di una responsabilità di chi partecipa che non deve essere trascurata da nessuno.
E, finalmente, Evangelizzati in carcere
Non so fino a che punto i cittadini percepiscono, a partire dalle informazioni -abbastanza distorte- - trasmesse dai media, la realtà delle carceri e se questi centri possono riuscire nella funzione loro attribuita dalla Costituzione spagnola: il recupero e il reinserimento sociale dei detenuti. Quello che constatiamo noi che entriamo nel carcere a prestare quest’opera di volontariato è che riceviamo almeno nella stessa misura, se non di più, di quanto diamo.
Continuo a prendere le parole del Rettor Maggiore: i giovani, specialmente i più bisognosi, sono un dono per noi, affermava Don Vecchi. Se stiamo con loro e in mezzo a loro, sono loro i primi a farci del bene, ad evangelizzarci, ad aiutarci a vivere veramente il Vangelo nella maniera propria del carisma salesiano. Sono loro, soprattutto i più poveri e bisognosi, che ci salveranno, aiutandoci a uscire dalle nostre abitudini, dalla nostra inerzia, dalle nostre paure, spesso più interessati a conservare i nostre sicurezze che ad avere il cuore, l’ascolto e la mente aperti a ciò che lo Spirito ci può chiedere.
Possiamo ratificarlo: è parte della nostra esperienza: persone- i carcerati - con un cuore grande (anche se, generalmente, con carenze nella gestione del loro mondo emotivo: i sentimenti e le azioni non sempre si muovono nella stessa direzione) ci danno molto con alcuni atteggiamenti che non sono troppo lontani dal Vangelo. Ne cito alcuni:
- Sentimenti di gratitudine, anche se può risultare ambiguo, ogni piccolo gesto ricevuto è riconosciuto e apprezzato. "Ti benedico, o Padre, perché hai rivelato queste cose ai semplici ...", dice Gesù. E i semplici li percepiscono e li apprezzano.
- Capacità empatica: lo scoprire la sofferenza di chi mi sta accanto, come si fosse sviluppato un sesto senso simile a quello che ha fatto esclamare a Gesù "Chi mi ha toccato?"
- Compassione: il coinvolgersi nella risoluzione del conflitto che colpisce l´altro, forse perché io percepisco che, in un altro momento, un altro avrebbe fatto lo stesso per me. Ma Gesù dice, "anche un bicchiere d´acqua non resterà senza ricompensa ...".
- Assunzione della propria responsabilità: non succede niente "perché deve succedere". Tutto ha un´origine e si realizza dopo un processo. Solo se riesco a identificare ogni momento di esso ho tra le mani la chiave per la soluzione del conflitto in cui mi ritrovo.
Ancora una volta prendo le parole del Rettor Maggiore, nella bozza della Strenna, "se arriviamo a sentire nelle nostre viscere, nel più profondo di ciascuno/a di noi, quel fuoco, quella passione educativa che portava Don Bosco a incontrarsi con ogni giovane a tu per tu, credendo in lui, credendo che in ciascuno vi è sempre un seme di bontà e del Regno, per aiutarli a dare il meglio di se stessi ed avvicinarli all’incontro col Signore Gesù, staremo certamente concretizzando nella nostra vita il meglio del carisma salesiano, secondo le nostre modalità e possibilità".
Don Bosco è stato un dono per la Chiesa. Chi formiamo la famiglia dei suoi discepoli e seguaci non possono rimanere concentrati su noi stessi, autocompiacenti: dobbiamo uscire verso le periferie. E coloro che sono malati di tossicodipendenza sono già lì. Per molte ragioni: per la malattia stessa, per il carcere dove di solito finiscono e per l’esclusione a cui sono condannati.
Che in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco, e con la guida e la protezione di Maria Ausiliatrice, possiamo lanciarci con più forza nella missione della periferia.
Questo è quello che abbiamo cercato di fare con la nostra esperienza, che siamo disposti a condividere.
Finalmente ho trovato la pace
Minori rifugiati non accompagnati nelle comunità salesiane tedesche
Sign. Achim Jägers
“È abbastanza difficile raccontare come io sia arrivato qui. Ma è semplice parlare di come io mi senta oggi perché sto bene nei salesiani. Gli educatori sono gentili, pratichiamo tanti sport e ho trovato tanti amici da paesi differenti come Nigeria, Bangladesh, Somalia e altri, come me, provenienti dall´Afganistan. Mi trovo molto bene con loro.
Io mi devo occupare di tutto: lavare, cucinare e fare la spesa. Questa è la ragione per cui io oggi sono molto più autonomo. Preparo piatti afgani, riso con fagioli e pollo e qualche volta noodles o uova. Di solito io cucino per pranzo dopo essere rientrato a casa dalla scuola e poi nuovamente per cena.
Nel pomeriggio svolgo i miei compiti, successivamente vado in piscina o in palestra o suono la chitarra (ho infatti preso lezioni per un periodo).
Amo la Germania. Per la prima volta nella mia vita sto assaporando la pace: mi sento come se fossi a casa. La Germania è la mia casa perché qui sto bene. Durante la fuga sono stato solo per tre anni. Ho avuto a che fare con trafficanti, ho dormito in vagoni bui e ho usato barche per attraversare il mare. I soldi che mi diede mia madre, andarono spesi velocemente.
Mi sono procurato da vivere accettando lavori occasionali come il raccoglitore di frutta. Quando racimolammo abbastanza soldi, affittammo una stanza e quando questo non accadde, dormì per strada.
Una volta superato il mio esame scolastico, vorrei iniziare una formazione in sistemi elettronici. Voglio vivere e lavorare in Germania ma il mio più grande desiderio è quello di incontrare nuovamente la mia famiglia: mia madre, mio padre, mia sorella minore e mio fratello maggiore (5 anni più grande di me). Per coincidenza ho scoperto dove vivono adesso. Stanno bene e io sono molto grato di questo.”
Ogni 4 secondi una persona fugge per lasciare la propria casa e la propria terra. Questa è la stima fatta dalla UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e pubblicata il 20 giugno in occasione della giornata mondiale dei rifugiati. La finalità di questa stima è quella di far rivolgere l´attenzione verso le necessità dei rifugiati di tutto il mondo, verso le loro speranze e verso le loro aspirazioni per una vita migliore. 51.2 milioni di persone erano in fuga l´anno scorso (il più alto numero dal 1989).
La ragione principale di questo incremento di rifugiati, scrivono essere la guerra civile in Siria. Più della metà delle persone in fuga proviene da paesi in guerra: Afganistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan.
Un´inchiesta risalente all´agosto 2013, fatta da un´organizzazione non governativa tedesca che supportava minori non accompagnati, ha dichiarato che nel 2010, 6.000-10.000 giovani rifugiati vivevano in Germania. Le stime prevedono che il numero dei rifugiati incrementi notevolmente, a partire da quest´anno, per altri 500 mesi. Quindi persino in Germania il problema di questi giovani ragazzi ha rappresentato una sfida per il sistema governativo. I giovani rifugiati volarono dalle loro case in situazioni di pericolo quali dittature, guerre civili, il terrore delle loro case, persecuzioni religiose, razzismo, prostituzione, abusi o varie ragioni politiche.
Situazione legale: Dopo l´articolo 22, la convention delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini, firmata e ratificata dal governo tedesco, ha stabilito che un giovane rifugiato ha bisogno d´aiuto nel caso sia orfano o con altri membri della famiglia irreperibili. Al bambino dovrebbe essere garantita la stessa protezione di qualsiasi altro bambino permanentemente o temporaneamente privato del proprio ambiente familiare per qualsiasi ragione. Dall´ottobre 2005 i servizi tedeschi addetti alla tutela dei giovani sono obbligati a prendersi cura dei minori rifugiati non accompagnati e a pagare per loro (vitto, alloggio, cura sociale ed emotiva, educazione e formazione professionale e linguistica).
Ogni stato tedesco ha applicato una differente politica concernente minori rifugiati non accompagnati, in particolar modo se sedicenni o diciassettenni. Qualche volta venivano trattati come adulti con conseguenze avverse: nessun diritto allo studio, nessuna tutela (come per esempio il diritto d´asilo). Se un minore rifugiato non accompagnato non ha documenti d´identità, un amministratore pubblico di un ufficio, stima la sua età con la paura di render loro più grandi di quello che sono in realtà, negando loro i diritti dei bambini. La protezione ufficiale normalmente termina al compiere dei 18 anni.
La procedura di integrazione: I servizi di assistenza sociale per i giovani hanno iniziato la così detta “procedura di integrazione”. La procedura è a discrezione della polizia: può trattarsi di interviste di un´ora o di procedure approfondite che durano alcune settimane.
La procedura di integrazione prevede domande quali: quanto supporto educativo il rifugiato non accompagnato necessiterà nella vita di ogni giorno? Qual è la sua condizione mentale e fisica? Quali informazioni sono disponibili circa l´identità del minore rifugiato? Dov´è la sua famiglia? Nel caso in cui gli altri membri della sua famiglia siano fuggiti in altri paesi, è possibile reperirli? Quale tipo di vitto è adatto ad un rifugiato e dove può vivere? Chi si prende cura e la responsabilità della sua vita nel nuovo paese? Quali sono le prospettive dei rifugiati e come possono essere sviluppate? In alcuni stati esistono casi di integrazione: istituti educativi per minori rifugiati non accompagnati nei quali loro vivono per sei mesi. In collaborazione con gli assistenti sociali e i servizi sociali per i giovani, viene definito un piano di assistenza e iniziano dei servizi sociali individuali. Sino all´età di 18 anni la maggior parte dei ragazzi vive in gruppi residenziali socio-educativi. Dopo di che, generalmente diventano indipendenti.
Da 20 anni i salesiani offrono servizi sociali e aiuto per diversi progetti in tutta la Germania, nell´organizzazione nella vita di ogni giorno per i rifugiati minori non accompagnati, emigrati e richiedenti asilo. Continuano con le missioni di don Bosco le quali si preoccupano delle necessità (intese in senso olistico) dei ragazzi e delineano nuove prospettive con i giovani per i giovani.
“I giovani emigrati, in maniera particolare, hanno bisogno di don Bosco dal momento in cui sono le persone più svantaggiate nel nostro paese” dice F. Joseph Grünner, Provinciale dei salesiani tedeschi. Nel frattempo loro si occupano di 7 case residenziali a Monaco, Norimberga, Regensburg, Wurzburg, Bamberg, Aschau, Helenenberg e di una casa di integrazione situata a Trier.
Circa 40 assistenti sociali si occupano di 200 ragazzi.
Don Bosco sviluppò un progetto giovanile eccezionale 150 anni fa. Da allora (1859) il nostro impegno è rivolto alle vite dei ragazzi, specialmente quelli poveri e non privilegiati. Le condizioni essenziali per la vita alla metà del XIX secolo, quando don Bosco fondò la congregazione, erano le stesse alle quali dobbiamo far fronte oggi: senzatetto, migrazione e delinquenza. I ragazzi rifugiati non accompagnati necessitano di persone che si prendano cura di loro in questo paese. Il sistema preventivo (“Ragione, religione e amorevolezza: possiamo farlo!”) segue i principi fondamentali della pedagogia di don Bosco: per lui consistette nel creare un´atmosfera familiare, nell´educare creando un rapporto di fiducia e ragionevolezza che fosse basato sulla gentilezza e sulla capacità di fare gruppo. Una costante del mondo salesiano è quella della qualità della relazione tra giovane e adulto, fatta di buona volontà e alcun pregiudizio, interesse nella cultura e nella religione e trasparenza nel supporto.
Inoltre, come don Bosco, noi stiamo ricercando in modo olistico (individuale, sociale, ecologico, vocazionale, politico e religioso) di educare i ragazzi. Noi incarichiamo loro di agire in maniera unanime e responsabile e accompagniamo loro nella ricerca della propria identità in modo che possano avere successo.
E dunque, qual è la risposta dei salesiani in Germania e in Europa oggi?
I ragazzi ancora si rifugiano da condizioni economiche svantaggiate, da biographic implications,
e qualche volta da loro stessi.
Le conseguenze: al giorno d´oggi, ragazzi svantaggiati subiscono la minaccia di essere inutili e inservibili. Loro interiorizzano una cattiva reputazione, non vi è alcun sviluppo sociale e ciò che consegue è una stagnazione emozionale. Nei nostri centri tutti hanno il diritto di ricominciare. Noi combattiamo per questo assumendo dei legali e intervenendo con un linguaggio politico per i diritti dei rifugiati.
Il sistema preventivo rimane nel cuore della vocazione salesiana. Don Bosco rispose con amore, spiritualità e impegni positivi focalizzati sul talento e sulle potenzialità degli adolescenti.
Per noi oggi significa: competenza, qualificazione, esperienza nella pedagogia, credenza nella bontà umana, stima e accettazione nei loro confronti. Rivolgendosi a Dio, nessuno è senza speranza. Don Bosco assistette i ragazzi al fine di sviluppare soluzioni individuali e allo scopo di garantire loro una vita felice.
“È bene che tu sia qui”- da questa tradizione ha origine la pratica che ogni centro salesiano attua nella scuola, a casa, in chiesa e nell´oratorio allo stesso tempo. Noi cerchiamo di portare questi elementi, nel loro significato più pratico e rilevante, ai ragazzi, indipendentemente dall´ubicazione del centro salesiano. I più poveri sono sempre parte di qualsiasi comunità basata in un centro salesiano. Lo stile pedagogico è basato sulla cordialità, sulla felicità e sull´ottimismo.
L´unico modo per affrontare la pedagogia salesiana è farlo insieme. Noi estendiamo il benvenuto a qualsiasi ragazzo indipendentemente dalla confessione, dal passato, dal sesso o dall´educazione. Insieme alla famiglia salesiana noi partecipiamo con i giovani per i giovani.
La competenza, la qualificazione e l´esperienza individuale, spirituale e tecnica è indispensabile per ogni membro dello staff. La riflessione circa il miglioramento in corso della qualità pedagogica è un qualcosa da affrontare assolutamente. La necessità sarà non solo amministrata, ma anche trasformata. Questa mentalità è alla base del nostro lavoro con i minori rifugiati non accompagnati.
Abbiamo stipulato le direttive fondamentali seguenti:
Noi mostriamo un impegno completo ai minori rifugiati non accompagnati (UMR). Ogni essere umano dovrebbe ricevere quel tipo di aiuto del quale ha veramente bisogno. Lo scopo personale deve essere determinato individualmente da professionisti. Noi stiamo conferendo un alto valore alla trasparenza delle procedure dell´immigrazione relegate alla legislazione.
L´impegno con i UMR necessita di solida cooperazione. Noi lavoriamo insieme in maniera confidenziale con le istituzioni rilevanti, e garantiamo un networking comunale e regionale allo scopo di modellare un aiuto individuale che sia il più appropriato possibile.
Noi vogliamo che gli UMR abbiano la possibilità di ricevere un´educazione nell´immediato (intesa in maniera olistica). Noi diamo loro il nostro supporto cercando dei lavori o orientamenti professionali così come la possibilità di praticare un tirocinio. Noi incoraggiamo lo sviluppo e proviamo a moderare dispute di differenti valori culturali.
In accordo con l´immagine cristiana dell´uomo, noi ci preoccupiamo per la dignità umana e dei suoi diritti. È un lavoro politico quello che facciamo quando lottiamo per i diritti degli UMR. Noi ci rendiamo disponibili ai guardiani per utilizzare le nostre competenze.
Noi supportiamo fortemente il concetto specifico delle case di cura residenziali che hanno dato prova del proprio valore in passato. Molto importanti sono le assistenze permanenti e l´integrazione accurata.
La conoscenza delle lingue è basilare per garantire la formazione e l´integrazione. Noi supportiamo i ragazzi con l´insegnamento delle lingue. Quando cerchiamo dei traduttori, questi vengono ricercati aventi un´integrità.
Il nostro staff pedagogico deve migliorare continuamente le sue competenze specifiche circa le necessità dei ragazzi. Quando vengono considerate nuove offerte concernenti gli UMR, la nostra attenzione si focalizza sulla flessibilità e sull´affidabilità.
Un amico del ragazzo sopracitato, si è trasferito in Germania. Da agosto lui vive al terzo piano dei salesiani, in una casa residenziale per gli UMR a Monaco. Lui condivide un appartamento con altri 10 rifugiati che hanno lasciato i loro paesi per differenti ragioni. L´appartamento include stanze sia singole che doppie, due cucine, un salotto e un bagno. Nella casa, loro hanno anche una palestra e altre possibilità ricreative. Il gruppo è supervisionato da 4 assistenti sociali. Loro si occupano dell´organizzazione quotidiana: chi deve cucinare, chi deve lavare i piatti, e dove devono andare i rifugiati. Ma sopratutto: gli assistenti sociali aiutano i minori rifugiati, molti dei quali sono traumatizzati, a gestire le loro esperienze di fuga e a costruire un futuro in Germania passo dopo passo. Loro vengono accompagnati nei dipartimenti e aiutati a compilare i moduli e a scrivere delle lettere. Tengono i rapporti con i più importanti contatti relativi agli interessi dei ragazzi, inclusa la scuola.
La scuola a Monaco è chiamata “SchlaU” e significa: lezioni speciali per minori rifugiati, è situata vicino alla stazione centrale e garantisce un primo importante diploma. Gli insegnanti supportano la ricerca offerta per la formazione. Bela sta frequentando il IV livello finalizzato all´ “advanced beginners”. Ogni giorno si fa solo una materia che impegna un´ora e mezza di tempo. “Bela è un allievo adottato”, dice l´insegnante. Lei lo conosce da un bel po´. Lui è stacanovista e molto attivo ma lei pensa che lui sia underchallenged. Bela accenna: è noioso. Lui preferirebbe frequentare la scuola molto più a lungo, spendere più tempo nell´apprendimento per raggiungere il livello successivo al fine di conseguire la qualifica che lui necessita per diventare un meccanico. Questo è quello che lui vuol diventare!
Per Bela la casa è molto lontana anche mentalmente. In Germania lui vuole vivere rilassato, in maniera facile e senza alcuna paura. Lui vuole guadagnare i soldi necessari per pagarsi il cibo. Bela vuole una sua famiglia, lui immagina una moglie e dei bambini, ma non in Afganistan (nonostante i suoi genitori e i suoi fratelli vivano ancora li). La sua voce trema. Se le immagini del passato diventano troppo presenti, Bela deve fare qualcos´altro il più presto possibile. Deve lasciare la vecchia vita alle spalle e iniziarne una nuova. Se per caso lui sente dell´Afganistan in TV, rischia un flashback, e velocemente cambia canale. A lui piace guardare film e telefilm insieme al suo gruppo. Recentemente hanno visto “Titanic”. Gli è piaciuto.
Il ragazzo che ha trascorso la sua intera vita in un piccolo villaggio rurale in Afganistan, tentativo dopo tentativo, passo dopo passo, si è avvicinato alla cultura tedesca. Lui ha adottato molto presto anche la moda: in Afganistan lui indossava rope , ora lui gira in jeans e giacca in pelle.
Anche il cibo è differente: Bela ricorda esattamente il giorno in cui andarono al supermercato la prima volta, scoprendo l´enorme varietà dei differenti cibi offerti. La prima cosa che lui comprò con i suoi soldi fu una bottiglia Coca Cola. Lui imparò a cucinare: qualcosa che sarebbe stato inconcepibile in Afganistan. La responsabilità dei lavori domestici è infatti delle donne. “Le donne non hanno diritti in Afganistan”, un´assistente sociale spiega, “di conseguenza è difficile accettare istruzioni dalle donne”.
Bela ha già fatto molta esperienza con le agenzie di pulizia. Quindi lui era ben preparato al passo successivo: vivere in un altro gruppo. “Si è ben integrato”, dice l´assistente sociale sorridendo.
Bela ha incontrato il suo amico nel corridoio dei salesiani. Anche lui proviene dall´Afganistan, ma si sono incontrati a Monaco. “Vieni in piscina?” Bela chiede in dari (la sua madrelingua) battendosi il petto. In questo momento loro sembrano nuovamente dei normali adolescenti.
In Germania e in altri paesi europei, i salesiani tentano di interrompere un processo negativo e di entrare in contatto con i ragazzi esclusi e in cerca di speranza. Loro si basano sul rispetto, l´uguaglianza e apprezzano qualsiasi personalità. Loro dipendono dalle virtù salesiane: approcciarsi ai problemi giovanili in maniera pragmatica. Non solo in Germania ma anche in altre località europee, loro costruiscono case per l´educazione dei ragazzi dove ciascuno ha il diritto di ricominciare e dove la necessità non sarà solo soddisfatta ma anche trasformata. Nel sud della Germania si usa pronunciare le seguenti parole: Grüß Gott (“benvenuto Dio”).
Perché? In tempi passati c´era la credenza che uno straniero portasse Dio sulle sue spalle quando entrava nella tua stanza. Quindi diamo anche noi il nostro benvenuto a Dio.
Don Bosco avrebbe aggiunto: “questo è vero per ogni ragazzo straniero o rifugiato che bussa alla nostra porta”.
Don Artime dice: “[...] incontrare ogni ragazzo profondamente a livello personale, credere in ogni individuo, ci fa convincere del fatto che in ognuno ci sia sempre un seme di bontà [...]”.
Diamo loro il benvenuto!
Grazie.
“Non togliere Dio a chi è stato tolto il resto”
Don José González Rodríguez
Non è facile definire l´immagine che i giovani hanno di Dio, ma certamente il Dio cristiano ha perso la centralità rispetto un Dio mediatico che conduce alla divinizzazione dei personaggi del mondo dello sport, della musica, del cinema. Il giovane sente la passione per la libertà e non si sofferma alle porte delle chiese. Sono molti i giovani che pensano che la Chiesa è un ostacolo alla loro libertà personale. (Pascual Chávez, CG26)
Mi ha sempre impressionato il racconto del paralitico di Betsaida ... “Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l´acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me". (Gv 5,7)
Forse l´interpretazione e la riflessione che faccio del testo può apparire scarsa e superficiale dal punto di vista esegetico, ma non è mia intenzione fare esegesi, quanto piuttosto comunicare come questo racconto evangelico mi ha interpellato, al punto da segnarmi sia nella mia vita personale che pastorale.
Ho potuto costatare come, anche nelle cose di Dio, ci sono sempre altri che passano avanti ai più bisognosi. Ho notato molto da vicino come, anche se per Dio i bisognosi non sono al secondo posto, lo sono però per molti di noi che lavoriamo a nome suo, dal momento che in molti giovani continua a ripetersi ciò che è successo al paralitico a Betsaida: per anni e anni vivono buttati a terra senza che nessuno ad un certo momento dia loro una mano perché possano sollevarsi, e, quando vogliamo farlo, ci sono altri che si fanno avanti e impediscono a quelli di raggiungere l´acqua che li guarisce; la verità è che, molte volte, ci manca quello sguardo di Gesù, che va al di là delle nostre preoccupazioni, capace di scoprire colui che se ne stava buttato a terra. Il Rettor Maggiore nella Strenna manifesta questa preoccupazione e, facendo eco alla raccomandazione di Papa Francesco quando ci invita ad andare verso le periferie, ci dice di stare con i giovani che sono alla periferia, lontano da quasi tutto, esclusi, quasi senza alcuna opportunità… questa periferia è per noi qualcosa di molto proprio come Famiglia Salesiana, perché la periferia è qualcosa di costitutivo del nostro DNA salesiano. (Strenna 2015).
Il nostro essere e fare da pastori, non deve portare ad evitare il rischio di preoccuparci troppo del fatto che le novantanove pecore non se ne vadano dall’ovile e non rendersi conto che ce n´è una che si è perduta e alla quale non si presta attenzione perché siamo troppo occupati con le altre novantanove.
E´ anche vero che ci sono molti giovani che vogliono rimanere buttati a terra e non vogliono muoversi pur avendo qualcuno disposto a tendergli la mano. Ci sono anche quelli che si tengono fuori e non si interessano né si preoccupano di tutto ciò che viene loro offerto sul tema religioso. E questo non sorprende in una società in cui, non solo in loro, come dice Don Pascual Chávez, il Dio cristiano ha perso la centralità rispetto un Dio mediatico che porta alla divinizzazione delle figure del mondo dello sport, della musica, del cinema. Ma insieme a questi che non sanno o non vogliono sapere nulla, ho incontrato altri che sentono una certa attrazione per tutto ciò che ha a che fare con il "più in là della realtà" e che provoca una risonanza emotiva e suscita sentimenti capaci di farli credere nell´esistenza di un essere superiore, anche se velata da altre realtà materiali che fanno da ostacoli al loro avvicinarsi all´acqua di guarigione. E così si finisce per restare soli e / o buttati nelle comodità della loro situazione personale.
In cerca di risposte
A questo punto mi viene in mente una serie di domande: Perché ci devono sempre essere quelli che si fanno avanti e quelli che rimangono sempre privi dell´agire di Dio? Perché non hanno qualcuno al loro fianco che li aiuti ad arrivare in tempo quando l´angelo agita le acque? Perché si devono veder privati di questa grande opportunità di buttarsi in acqua? Mi ha preoccupato e continua a preoccupami il fatto che i più bisognosi, oltre a mancare di tante cose, sono privi anche della possibilità di accedere a quel Dio misericordioso che è venuto a liberare gli oppressi. Se ora, per le particolari circostanze di ognuno, sono stati privati di tante cose, perché non impedire anche che vengano privati del loro accesso a Dio?
Penso che siano molto illuminanti e, allo stesso tempo, impegnative, le parole che il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández dice nella Strenna: sono i giovani, le giovani, e specialmente quelli più poveri e bisognosi, coloro che ci salveranno aiutandoci ad uscire dalla nostra routine, dalle nostre inerzie e dai nostri timori, a volte più preoccupati di conservare le nostre sicurezze che di tenere il cuore, l’udito e la mente aperti a ciò che lo Spirito ci può chiedere. (Strenna 2015)
Per rispondere a questa prima domanda, non posso fare a meno di tornare in quei quartieri tanto amati e tra quei giovani tanto speciali con i quali ho avuto la fortuna di condividere gran parte della mia esperienza personale e professionale e, soprattutto, la mia preoccupazione e il mio interesse per loro. Cerco di fare un breve percorso tra i vari gruppi o tipi di giovani con i quali mi sono trovato nel corso del mio lavoro con loro.
Non è mia intenzione fare un’analisi o una diagnosi dei quartieri per i quali sono passato, né fare uno studio sociologico sui giovani. Voglio solo riflettere e descrivere i sentimenti che ha suscitato in me la vicinanza con loro, perché la vita in questi quartieri e la cultura della loro gente ha significato per me un autentico luogo in cui Dio si manifesta e ci offre il suo amore in modo generoso e gratuito. Tra di loro ho potuto capire che i poveri sono i prediletti di Dio.
Nel fare una descrizione dei destinatari, ricorro al modo in cui Don Bosco definiva i suoi ragazzi: "vivono l´assenza di Dio, la mancanza di norme morali, la corruzione del cuore, l’oscuramento mentale; a causa dell´incapacità, dell’impossibilità o della negligenza degli adulti e, in particolare, dei genitori e della famiglia, per l´influenza deleteria della società, per l’immoralità e per le cattive compagnie".
Come con poche parole e in modo tanto preciso descrive il gruppo a cui ci stiamo riferendo! Si tratta di giovani che per l’incapacità, il fallimento o la negligenza degli adulti vivono l´assenza di Dio, lasciandosi trascinare da altri dei che soddisfano quel qualcosa che cercano e che non riescono a trovare perché nessuno si è fermato a mostrarglielo. Vivono questa assenza, come vivono l´assenza di molti altri valori per il fatto di vivere in un ambiente in cui sono stati espulsi dal sistema, anche se non dalla società, e con loro anche Dio è stato espulso, sedendo sul suo trono altri dei ai quali si rende culto e si offre sottomissione.
Giovani che non avendo valori a cui aggrapparsi e mancando modelli che indichino il cammino e siano per loro punti di riferimento, crescono con la mancanza dell’aspetto religioso, ma, nello stesso tempo, con la sete e la fame per ciò che è spirituale, trascendente, perché in fondo, sono alla ricerca di un senso alla loro esistenza.
Sono giovani che sono cresciuti sotto l´influenza palliativa di certi quartieri e ambienti poco favorevoli ad una loro crescita personale, e sono rimasti senza poter raggiungere quella maturità che possa facilitare la loro integrazione sociale. Essi hanno dovuto sopraffare per non soccombere alla pressione di situazioni escludenti e marginanti che offrono loro di tutto, tranne un Dio che, misericordioso e vicino, viene loro incontro per liberarli e renderli persone che non devono dipendere da altri o da altre cose che li mettono in situazione di rischio e pericolo, e peggio, li rendono pericolosi nella convivenza con gli altri.
Mi fa male vedere come questi minori sono stati privati non solo di Dio, ma di molte cose fondamentali per la loro crescita e il loro sviluppo come persone.
Un’altra caratteristica che li distingue è che, apparentemente, si vedono e si sentono liberi. Dispongono di tempo e di spazi per la loro volontà, ma quando vai un po’ in profondità dentro di loro, scopri che sono strettamente legati al bisogno di divertirsi, al confort, al rifiuto di qualsiasi dolore, alle mode, agli amici. Vivono la strada come il loro grande spazio di libertà, ma non sanno cosa fare, non hanno alcuno scopo che li stimoli; le loro aspirazioni sono a breve respiro... La strada è soprattutto il luogo senza il controllo dell’adulto e dove possono vivere ogni tipo di esperienze e sensazioni. E tutto questo li fa sentire liberi e apparentemente felici.
Conversando con loro si dicono soddisfatti della vita, ma ti rendi conto che lo sono a costo di essere dipendenti da molte cose; che sono legati alle cose materiali alle quali danno un grande valore, in quanto mancano di ciò che è spirituale, perché lo hanno coltivato poco e perché, secondo loro, questo appartiene ad un mondo diverso dal loro. E a questo mondo diverso appartiene anche la Chiesa istituzionale e tutto ciò che la riguarda.
Insieme a questa sensazione di libertà, dispongono di risorse materiali e di ultima generazione. Non hanno alcun problema quando si tratta di ottenerle poichè i genitori gliele forniscono grazie al denaro facile, spesso ottenuto illegalmente. Questo provoca un´altra caratteristica che rende difficile il lavoro con loro: non sono abituati allo sforzo, al sacrificio, a guadagnarsi le cose in base al merito. Questo rende molto difficile l´apprendimento dei valori etici e morali. Anche se nella cerchia di amici e conoscenti sono solidali, in realtà sono egoisti e cercano di soddisfare i loro desideri e le loro aspirazioni qui e subito, preoccupandosi poco di ciò che succede attorno a loro, soprattutto se non interessa i suoi. Tutto questo rende difficile la comprensione del senso della gratuità e della trascendenza e le mettono da parte visto che non si possono ottenere in modo semplice e immediato.
Molti di loro vedono, inoltre, come gli adulti si servono delle istituzioni e della stessa Chiesa, ma per il loro carattere pragmatico, solo quando soddisfano i loro bisogni immediati o quelli dei loro amici. Qui entra l´uso discriminatorio che fanno dei servizi sacramentali e della carità della Chiesa. La Chiesa per loro è una istituzione che ha l’obbligo di assisterli, a prescindere dal fatto che non hanno alcun collegamento con essa. Perfino sentono di avere diritto all´assistenza della Chiesa cattolica, anche se la loro pratica religiosa si realizza in un´altra chiesa o credenza.
Infine, faremo riferimento a coloro che vivono con una "mancanza di norme morali, la corruzione del cuore, l’oscuramento mentale ...". Sono ragazzi che vivono senza identità propria. Presentano vite frammentate, senza grandi convinzioni. E ciò che è ancora peggio, non se ne preoccupano. Essi cercano di costruire la propria identità attraverso la negazione di ciò che fanno gli altri, e che non sono come loro. Cercano di essere liberali, permissivi con quasi ogni tipo di condotta, in particolare con comportamenti pubblici che mostrano altre persone che vivono nel loro quartiere, ma la loro scarsa o negativa identità li fa considerare diversi e, per questo, non sono in grado di assumere le loro norme e i loro stili di vita. Tutto questo li fa sentire lontani e disinteressati di tutto ciò che si riferisce ai valori civici e naturalmente religiosi. Le cose di Dio le considerano come qualcosa che devono fare gli altri e che non hanno nulla a che fare con loro. Quando fanno uso della religione, lo fanno dal punto di vista della magia ("perché non accada loro nulla di male "), ma non come un riferimento a Dio che ha molto a che fare con l´organizzazione della loro vita personale e sociale. Vivono lontano dalla Chiesa come istituzione, perché per loro, come ho detto sopra, è valida solo quando se ne possono servire.
In tutta onestà, dobbiamo riconoscere che, anche se il profilo descritto è il più comune e frequente in questi quartieri, non è l´unico. In molti giovani si può percepire la sensibilità e la necessità che hanno del fatto religioso. E’ vero che in un primo momento, a causa del contesto descritto, risulta scioccante e cercano di respingerlo. Ma quando si mostra il volto misericordioso di Dio, i giovani si lasciano guidare. Si interessano e vogliono sapere di Lui.
Per riempire il loro vuoto cercano di scoprire qualcosa di diverso, che non trovano in questi dei e in quelle altre cose che li stanno danneggiando. Io li ho visti guardarmi con occhi perplessi e perfino piangere quando ho parlato di quanto Dio li ama e di quanto sono importanti per Dio. Ho costatato come quando si aiutano e si dedica loro del tempo, sono in grado di scoprire il Dio che permea ogni cosa, anche la loro realtà marginale; ho costatato come è possibile tirar fuori da loro ciò che di Dio è in loro. E questo non è altro che dare la piccola spinta di cui avevano bisogno per raggiungere l´acqua che sana.
Devo, inoltre, sottolineare l´influenza che hanno sui giovani zingari gli insegnamenti dei pastori della Chiesa Evangelica di Filadelfia. Come si lasciano guidare dai consigli del pastore, anche se in maniera estremista e con poca convinzione personale e, in molti casi, attraverso messaggi impregnati di paura e timore. Ma dobbiamo riconoscere che sono riusciti a risvegliare il sentimento religioso in loro al punto di far esprimere apertamente ciò che sentono e credono, senza vergogna e orgogliosi di appartenere alla loro chiesa.
Qualcosa di simile accade con i giovani marocchini che ancora continuano a praticare la loro religione. E’ facile con loro intavolare una conversazione centrata sul religioso. E’ bello ascoltarli quando si parla di Dio e vedere la testimonianza tanto coraggiosa che danno quando sono capaci di fare le loro preghiere senza nascondersi e senza vergogna degli altri. Peccato che si vanno adattando anche alle usanze locali e vanno perdendo questo senso religioso. L´ambiente inghiotte ciò che gli altri hanno messo in loro se non si trova qualcuno che li aiuti ad alimentarlo.
Parto dal testo di Papa Francesco nella sua esortazione apostolica: "... Desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria” (EG 200)
Il non dimenticare questi ultimi deve essere il primo criterio da considerare quando ci si pone la domanda di come parlare loro di Dio, o , che è lo stesso, di come evangelizzarli. I condizionamenti culturali e sociali che abbiamo visto, rendono questo compito difficile, ma allo stesso tempo sono importanti come punto di partenza, in quanto rappresentano lo spazio in cui le persone nascono, crescono, si sviluppano, imparano a relazionarsi, ad affrontare la vita... Non possiamo dimenticare che la vita e la cultura sono luoghi in cui Dio si manifesta e si fanno dono gratuito di amore e compassione. E’ nella propria cultura che Dio si incarna e dove Dio scommette per la vita di ogni uomo in particolare. È necessario impregnare questa cultura di valori evangelici e, allo stesso tempo, lasciare che il Vangelo si traduca in detta cultura.
Nell´ambiente salesiano si parla molto di "Evangelizzare educando ed educare evangelizzando". Esiste una profonda relazione tra attività educativa e azione evangelizzatrice, perché si basa su una esperienza di fede: la vita e la cultura sono luoghi in cui Dio si manifesta e ci offre gratuitamente il suo amore. E da questa premessa, nella nostra concezione della persona occupa un posto importante la dimensione o il significato trascendente della vita.
Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell´uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto. E questo deve essere fatto attraverso percorsi semplici, strettamente legati alla vita quotidiana e con il metodo dei piccoli passi. Inoltre in questo compito è molto importante la nostra testimonianza personale e la creazione di un ambiente accogliente e familiare, e a partire da questo, lavorare per la difesa e la promozione della dignità e dei valori personali, cercando di far sì che tutto si trasformi in annuncio e prima realizzazione della salvezza di Cristo e in offerta di liberazione e pienezza di vita. Questo è qualcosa di cui io sono sempre più convinto, poiché il nostro dedicarci a loro non può rimanere un mero intrattenimento, per questo hanno già mezzi migliori dei nostri. Loro aspettano qualcosa di diverso. Aspettano una buona notizia che li faccia venir fuori da questo mondo in cui sono ancorati, hanno bisogno della migliore notizia: Cristo Signore che viene a portare la salvezza a tutti gli uomini e di tutto l’uomo, e soprattutto a quelli che ne hanno più bisogno.
Ma in questo lavoro ci imbattiamo anche su un condizionamento che non è solo per questi giovani, ma qualcosa di più generale, come indicato nella citazione all´inizio: "... non è facile definire l´immagine che i giovani hanno di Dio, ma certamente il Dio cristiano ha perso la centralità rispetto un Dio mediatico che conduce alla divinizzazione delle figure del mondo dello sport, della musica, del cinema "; e che il Papa definisce come un nuovo paganesimo individuale.
E’ necessario restituire la centralità al Dio di Gesù che porta un messaggio di liberazione che non hanno questi dei della società a cui abbiamo accennato. Dobbiamo aiutarli a liberarsi da questi dei che schiavizzano e annullano la persona e la usano per ottenere benefici tanto alti che possono mettere in gioco anche la stessa vita. Dobbiamo aiutarli a scoprire questo Dio che è dentro di loro, questo Dio che impregna la loro realtà personale e sociale; bisogna tirar fuori da loro ciò che è di Dio. Ho potuto costatare il bisogno che hanno di scoprire e avvicinarsi a questo Gesù, amico incondizionato, che ci parla di misericordia e tenerezza di Dio, che ci ama fino al punto di dare il proprio figlio, che spende la sua vita combattendo, salvando, dando vita agli oppressi da qualche dolore; a questo Dio che ha nel suo cuore un posto speciale per loro. Dobbiamo mostrare il Gesù che ha conosciuto la gioia, l’amicizia, e che capiva il dolore degli uomini, perché lo ha sofferto nel suo corpo. Mostrare loro questo Gesù, Buon Pastore, capace di lasciare le novantanove pecore per cercare quella che è perduta; che è capace di vedere il paralitico che da tanto tempo aspettava la mano che lo portasse alla piscina. Dire loro che Dio è come quel Padre che si avvicina ogni giorno alla porta, in attesa che torni il figlio che è andato via perché non voleva saper più niente di lui.
Quando si utilizza questo linguaggio, i giovani capiscono e aprono i loro occhi e il cuore al Dio che aveva perso la sua centralità e gli altri dei cominciano a perdere importanza e interesse. Questa esperienza l’ho potuta fare soprattutto nel mio dialogo con giovani con problemi giudiziari e carcerati. In prigione ho incontrato giovani che sulla strada non volevano sapere nulla di Dio né di tutto ciò che si riferiva a Lui e, come mi ha confessato uno di loro, in carcere ha capito che alla fine l´unico su cui poteva contare era Gesù, che sa che lo ama e lo perdona e che in cambio chiede solo di non peccare più.
Devo confessare di non essermi mai sentito tanto realizzato, celebrando il sacramento della riconciliazione, come quando l’ho fatto con questi giovani con problemi giudiziari o carcerati. In loro ho trovato dei veri penitenti ai quali rimane solo la fiducia che Dio li perdoni, perché gli esseri umani difficilmente perdoneranno i loro crimini. Ho incontrato giovani adulti il cui incontro con Cristo è stato così forte che si sentono con una pace e una serenità tanto grande, che i giorni di condanna diventano più sopportabili, perché si sentono accompagnati e sostenuti dalla forza dell´amore misericordioso Dio. Quando sei di fronte a loro e, nel segreto della confessione, ti esprimono ciò che ha significato il loro incontro con questo Dio di bontà e vedi come, riconoscendo i loro gravi crimini, confidano nel perdono di Dio, senti come dal pentimento scoprono l´immensa bontà di Dio; e quando dici loro che per Dio non c´è passato, ma che tutto inizia di nuovo, vedi come si inumidiscono i loro occhi fino a quando non cominciano a piangere... E’ lì che scopro che il Dio che avevano messo da parte per più o meno tempo, comincia a riacquistare la sua centralità e viene messo di nuovo sul suo trono.
Ma questo annuncio, bisogna farlo da una vera e cordiale vicinanza, accompagnando in un modo adeguato i loro processi evolutivi e di liberazione. Non si tratta di utilizzare un linguaggio mistico, che non capiscono, ma un linguaggio testimoniale che si traduca nelle realtà concrete in cui vivono. Lo spirituale non deve diventare dogma, ma essere soprattutto esperienziale. È incomprensibile, e quindi respinto, quando il linguaggio suona a demagogia o di fatto si pone in un atteggiamento di chi sa tutto e, perché lo sa tutto, può dogmatizzare e giudicare. Quel linguaggio recriminatorio e autoritario non lo vogliono perché è il linguaggio che hanno sentito da sempre, e ciò che hanno bisogno è sentire il linguaggio della comprensione, della vicinanza, del perdono, cioè, il linguaggio del Dio di Gesù, che non ha inviato suo Figlio per condannare, ma per salvare.
Stando con loro puoi verificare come cercano in te il padre e/o l’educatore, che dia loro il protagonismo che appartiene a loro e che li valorizza, li comprenda e li aiuti a scoprire le loro capacità. Hanno bisogno di adulti con autorità (non autoritari) che si mettano al loro fianco per accompagnarli e correggerli quando stanno sbagliando; che li orientino e controllino con fermezza, dando loro la sicurezza e la stabilità che a loro manca. Ma insieme a questa autorità, domandano vicinanza e fiducia, tratto personale. Qualcuno vicino, che condivida gioie e preoccupazioni e non rimanga su un piedistallo di superiore. Educatori che parlano dal cuore perché possano essere loro quelli che scoprono ciò che cercano. A questo proposito sono eloquenti le parole di Papa Francesco in Evangelii Gaudium: "Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a presentare la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro"(198).
Evangelizzare è anche esercitarsi nell´arte di amare, mettere in pratica la carità pastorale che cerca di umanizzare ciò che facciamo poiché saremo pienamente umani quando saremo in grado, come dice Papa Francesco, "di lasciare che Dio ci porti al di là di noi stessi per raggiungere il nostro essere più vero " (GE. 198), quando il nostro amore per loro è così evidente che essi sono in grado di percepirlo.
Una carità pastorale che per Don Bosco, proprio perché si sentiva coinvolto nella Trama di Dio, significava amare il giovane, qualunque fosse il suo stato o situazione, per condurlo alla pienezza di quell’essere pienamente umano che si è manifestato nel Signore Gesù e che prendeva concretezza nella possibilità di vivere come onesto cittadino e come figlio di Dio. (Strenna 2015).
Un amore capace di provocare nei giovani il bisogno di amare e di essere amati, di amare e di lasciarsi amare, perché, come diceva Don Bosco: "Se non vi è alcun rapporto di affetto, dimostrato e percepito dal giovane fino a provocare la sua corrispondenza, o in ultima analisi, il desiderio di amare chi lo ama, non avremo la chiave dell’educazione, perché non si possiede la chiave del cuore del giovane”. E se c´è educazione, c’è evangelizzazione.
Voglio concludere esprimendo una convinzione personale. Mi sento un privilegiato per aver avuto la fortuna di lavorare con questi giovani tanto bisognosi. Con loro sento la forza e l´urgenza dell´evangelizzazione. Loro mi hanno fatto davvero credere a quello che Gesù ha detto: "I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi".
Con loro, sento quanto siano bisognosi, fino al punto di crollare quando manca quel punto di riferimento che siamo coloro che ci troviamo accanto a loro. Dobbiamo dare tutto per soddisfare la fame che hanno di tutto e come sono desiderosi che tu glielo dai, anche se a volte con il loro atteggiamento ti dimostrano il contrario. In molti casi, stando con loro, mi sono ricordato di quella famosa espressione di Don Bosco: "Siete ladri, mi avete rubato il cuore". Perché quando tu ti dai, loro ti cercano aspettando quel sorriso di complicità che ti fa mettere in gioco la pedagogia del cuore, quella pedagogia dell´amore fatto di tenerezza verso coloro che hanno ricevuto solo disprezzo e rifiuto. Un amore che li porta a credere che, anche se per molti sono fastidiosi, per Dio sono i primi. E tutto perché l´educatore è, prima di tutto, segno chiaro dell´amore compassionevole di Dio.
Voglio concludere con alcune parole di Don Angelo: "Se arriviamo a sentire nelle nostre viscere, nel più profondo di ciascuno/a di noi, quel fuoco, quella passione educativa che portava Don Bosco a incontrarsi con ogni giovane a tu per tu, credendo in lui, credendo che in ciascuno vi è sempre un seme di bontà e del Regno, per aiutarli a dare il meglio di se stessi ed avvicinarli all’incontro col Signore Gesù, staremo certamente concretizzando nella nostra vita il meglio del carisma salesiano, secondo le nostre modalità e possibilità”. (Strenna 2015)
E così, potranno avvicinarsi all’ “acqua che guarisce” della piscina molti di coloro a cui è stato negato questo privilegio per anni...
Don Donizette Ferreira
Buon pomeriggio a tutti…
Vorrei iniziare questa condivisione riportandomi alle parole del Beato Paolo VI nell´esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi del 1975, al numero (44).
“Una via da non trascurare nella evangelizzazione è quella dell´insegnamento catechetico. L´intelligenza, soprattutto quella dei fanciulli e degli adolescenti, ha bisogno di apprendere, mediante un insegnamento religioso sistematico, i dati fondamentali, il contenuto vivo della verità che Dio ha voluto trasmetterci e che la Chiesa ha cercato di esprimere in maniera sempre più ricca, nel corso della sua lunga storia. I metodi dovranno essere adattati all´età, alla cultura, alla capacità delle persone, nella costante ricerca di fissare nella memoria, nella intelligenza e nel cuore le verità essenziali che dovranno impregnare la vita intera. D´altronde, senza che si rischi di trascurare in qualunque cosa la formazione dei fanciulli, si osserva che le condizioni attuali rendono sempre più urgente l´insegnamento catechistico sotto la forma di un catecumenato, per numerosi giovani e adulti, che, toccati dalla grazia, scoprono a poco a poco il volto di Cristo e provano il bisogno di donarsi a lui.”
Spinto da queste parole, il fondatore della Comunità Canção Nova, il sacerdote Salesiano Jonas Abib, iniziò un lavoro di evangelizzazione con i giovani nella diocesi di Lorena, San Paolo, Brasile. Il vescovo in quell´occasione, Don Afonso di Miranda, incaricò Padre Jonas a iniziare questa catechesi con i giovani, perché secondo lui “con i giovani sarebbe più facile”. Dopo quest´ammonizione si strutturò un lavoro costante con i giovani di quella diocesi. Nel 1978, ebbe inizio la Comunità Cançao Nova, frutto diretto di questo servizio di evangelizzazione, con la finalità di formare uomini nuovi per un mondo nuovo, composta di dodici giovani che, toccati dalla grazia, ebbero ricevuto la formazione proposta dall´esortazione papale. Il termine Cançao Nova corrisponde al Canto Nuovo che si trova in tutta la storia della salvezza: è il canto dei redenti, degli uomini e donne nuove. Il carisma è una forma rinnovata e prioritaria per favorire l’esperienza personale dell’incontro con Gesù Cristo nell’efficacia dello Spirito Santo.
Iniziata la comunità, Padre Jonas si è reso conto di quello che il documento presentava al numero seguente, il (45), in cui si afferma:
“Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass media o strumenti di comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l´approfondimento ulteriore della fede, non possono fare a meno di questi mezzi come abbiamo già sottolineato.
Posti al servizio del Vangelo, essi sono capaci di estendere quasi all´infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la Buona Novella a milioni di persone. La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l´intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chiesa «predica sui tetti» il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini.
Tuttavia l´uso degli strumenti di comunicazione sociale per l´evangelizzazione presenta una sfida: il messaggio evangelico dovrebbe, per il loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di ciascuno come se questi fosse l´unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un´adesione, un impegno del tutto personale.”
Tutti gli incontri con i giovani dopo quel periodo venivano registrati da una editrice che metteva a disposizione dei giovani tutte le prediche e relazioni svolte in quel fine settimana. E uno dei grandi segni che Padre Jonas ebbe da Dio fu attraverso un sacerdote americano, Padre Eduardo Dougherty, essendo tornato dagli stati uniti, porta con sé un registratore e lo regala a Padre Jonas. Da quel momento in poi lui capì che come una comunità di consacrati, Dio ci voleva portare a evangelizzare tramite i mezzi di comunicazione. La conferma di questa volontà di Dio avvenne con l´acquisto della radio Bandeirantes nel 1980, la TV nel dicembre del 1989 e l´arrivo del sito web nel 1995.
Oggi la Comunità Canção Nova dispone di un ampio campo di lavoro con diversi strumenti che vorrei presentarvi in seguito. Ma prima devo sottolineare che, oltre tutti gli strumenti che abbiamo per svolgere la nostra missione, la cosa più bella è contare su una comunità di fedeli di ogni condizione di vita che, in conformità al proprio stato, promettono di darsi interamente a Dio e al suo servizio per seguire più da vicino Gesù Cristo e vivere con maggior radicalità il suo Vangelo, secondo il carisma proprio di Cançao Nova. Oggi siamo più di (1500) membri sparsi nel Brasile e nelle diverse missioni all´estero. Gli statuti della Comunità sono stati riconosciuti dalla Santa Sede nel 2009 come Associazione Internazionale Privata di Fedeli, presso il Consiglio per i laici. Un´altra grazia è che nello stesso anno la comunità entrò a far parte ufficialmente di questo grande movimento per la salvezza dei giovani che è la Famiglia Salesiana.
TV Canção Nova
Inizio con la nostra TV che nacque nel 1989 con lo scopo di trasmettere tutto quello che accadeva nei nostri incontri nella sede della Comunità, con l´intenzione di portare alle persone che non potevano venire da noi, la grazia di fare un’incontro personale con Dio. Oggi sono più di 440 ripetitori nel territorio brasiliano. Dal satellite a Portogallo la TV arriva in Europa, nord d´africa fino al Medio Oriente. Sono (150) milione di ascolti. La nostra programmazione opera 24 su 24, senza pubblicità, sostenuta dai benefattori che ogni mesi ci aiutano nella missione di evangelizzare.
Il contenuto rivolto ai giovani comprende diversi aspetti del processo di evangelizzazione. Ad esempio, nell’ambito formativo abbiamo il programma Rivoluzione Gesù, in cui sono trattati diversi temi d’interesse giovanile, come sessualità, fidanzamento, matrimonio, ecc. Cerchiamo anche di offrire un contenuto catechetico presentando ogni settimana un programma sul catechismo della chiesa. Perfino abbiamo apprezzo per il contenuto testimoniale. Uno dei programmi più seguiti si chiama PHN, (Por Hoje Não) che sarebbe l’abbreviatura di “per oggi non peccare”. Egli è basato nelle storie di giovani che hanno avuto un passato di droghe e altre dipendenze e che grazie a un incontro di esperienza personale con Cristo hanno vinto e diventano adesso un incoraggiamento per gli altri.
Non manca addirittura uno spazio sostanziale per divertimento, che voglio dire, la dimensione dell’allegria e della festa caratteristica singolare dei giovani. Nostra comunità ha una sorta di cantanti che attraverso i concerti portano ai giovani la gioia del vangelo. Specialmente nel periodo di Carnevale, noi cerchiamo di attrarre questi giovani con la musica cattolica di qualità nei diversi ritmi che compongono la cultura brasiliana, il nostro modo gioioso di vivere la fede.
Questo ideale presente in questi programmi della nostra TV, non si restringono soltanto alla esperienza televisiva. Devo dirvi che questi programmi sono nati di una realtà concreta e reale. Ad esempio, i programmi che vi ho accennato sopra sono frutti di un raduno annuale di giovani nella nostra casa sede a Cachoeira Paulista, San Paolo. A luglio vengono da noi almeno cento mila giovani a celebrare la fede e a scambiare le esperienze vissute in tutto l’anno nelle loro parrocchie e comunità. Noi prepariamo un incontro di tre o quattro giorni, dove i giovani portano con sé una tenda da campeggio e restano li ascoltando prediche, testimonianze, celebrano l’eucaristia, adorazione eucaristica, partecipano ai concerti cattolici, ecc.
Radio
La nostra rete di radio compone (19) stazioni che difondono il segnale ad una grande parte del Brasile. Il contenuto veicolato è quello con lo scopo di evangelizzare, formare e catechizzare i nostri ascoltatori. I nostri programmi sono dinamici, interattivi e dispongono di una varietà di pubblico e età.
Intenet
Lo scopo del nostro sito web è disporre ai giovani tutto il contenuto veicolato, sia su la radio oppure su la TV, perche possa raggiungere il massimo numero di persone. Gli accessi mensile sono 6 milioni, avendo il canale della Liturgia quotidiana quasi 1 milione. L’età di quelli che cercano nostro contenuto tra (18 e 34) anni, è di 55%.
Noi abbiamo un canale, il “Destrave”. Con un linguaggio adatto ai giovani, un contenuto formativo sia nella dimensione spirituale e anche sociale, de forma interattiva e dinamica.
Youcat School
È una scuola di formazione permanente con lo scopo di formare i giovani di un modo integrale, con l’uso del catechismo della chiesa. La formazione si rivolge a quei giovani che già abbiano fato un’esperienza d’incontro personale con Gesù e svolgono qualche lavoro in parrocchia. Ricordo che dopo la giornata a Madrid, Spagna, si è molto diffuso il catechismo della chiesa stampato in versione giovanile per attingere un numero maggiore di ragazzi, assicurandogli una formazione solida ed effettiva. La formazione avviene attraverso incontri settimanali, sia radunando i giovani in aula, sia di modo virtuale facendo uso della ferramenta PodCast. I nostri missionari vanno in diverse parrocchie del Brasile a fare catechesi nei gruppi che seguono questo itinerario formativo.
La sfida
Parlo prima in ambito generale di una così detta trasformazione culturale nei nostri giorni e con questa l´arrivo della ideologia di genero che ha come alleati i grandi mezzi di comunicazioni sia attraverso la pubblicità, cinema, programmi, serie di TV, la moda, musica, sia nella letteratura scritta. Devo accennare anche al predominio di una mentalità del transitorio in detrimento ad un senso dell´impegno definitivo nei diversi ambiti della vita del giovani: famiglia, matrimonio, rapporto con Dio e con gli altri. È da sottolineare ancora nell´ambito spirituale la crescita della ricerca per le sette, una spiritualità basata più nella persona che nella istituzione e addirittura la mancanza di un impegno parrocchiale. Riguardo a quest’ultimo io riprendo le stesse parole del documento che ho citato all´inizio, dove il Beato Paolo VI dice che “il messaggio evangelico dovrebbe, tramite i mezzi di comunicazione, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di ciascuno come se questi fosse l´unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un´adesione, un impegno del tutto personale”. La sfida per noi è fare con che nella coscienza di questi giovani non venga mai perso l´impegno parrocchiale nelle loro realtà concrete, e di non sostituire la vita sacramentale e comunitaria con i mezzi virtuale di formazione e incontro con Gesù. L´Altro aspetto che ci manca è un feedback da parte dei parroci sulla vita e cammino di questi giovani, perché noi non abbiamo condizioni di seguire, da vicino, tutti quelli che passano da noi a partecipare ai nostri incontri.
Testimonianza
Io vorrei con semplicità parlarvi della mia esperienza personale con la forza evangelizzatrice di questi mezzi nella chiesa. Nel 1998 io per caso guardavo la TV e saltando da un canale all´altro mi sono fermato in una televisione cattolica di nome Canção Nova. Mi è piaciuto il modo con cui i missionari parlavano di Cristo, la gioia stampata nei loro visi. Quell’esperienza non fu sufficiente ed io decisi di andare a conoscere la comunità. Sono stato quattro giorni li, in uno dei incontri per i giovani nel weekend e alla fine sono stato colpito tanto, al punto di scoprire la mia chiamata al sacerdozio. Da quel periodo in poi il modo di evangelizzare della comunità Canção Nova è diventato per me sostegno, formazione e maturità nella fede. Nel 2002 io decisi di farne parte e intrapresi il mio discernimento vocazionale. Sono stato ordinato nel 2009 e svolgo mio ministero con gratitudine a Dio per questo carisma, dono di grazia e che fa parte della famiglia Salesiana.
Per concludere torno al tema di questa condivisione perche parlandovi di tanti strumenti con i quali se compie la nostra missione nella chiesa devo ancora sottolineare che qui si tratta di una comunità di giovani che un giorni hanno fato una esperienza tramite questi mezzi. Nel novembre di 1978, Solennità di Cristo Re, Padre Jonas fecce, dopo tre giorni di ritiro giovanile chiamato Maranathà, l’invito a chi era disposto a lasciare tutto per vivere in comunità. E della risposta di alcuni è nata la comunità. Questo Ve lo dico ma sappiate bene che, la forza evangelizzatrice della chiesa non si sostiene soltanto nella potenza dei mezzi, ma piuttosto nella potenza vivace e testimoniale dei suoi membri. Per questo la Comunità Canção Nova si sforza per comunicare un Gesù Cristo vivo e vissuto.
GIOVEDÌ 15: COME DON BOSCO
Moderatore: don Giuseppe Casti.
15.30 Arrivi e sistemazione.
15.45 Eucaristia (per chi desidera) presieduta da don Pierluigi Cameroni.
16.30 Benvenuto del Rettor Maggiore ai partecipanti. Introduzione alle Giornate dal Delegato Centrale della Famiglia Salesiana.
16.45 Preghiera:
17,00 Tavola rotonda a tre voci: COME DON BOSCO, UN CARISMA DI EVANGELIZZAZIONE
19:45 Cena.
21.15 Spiegazione Poster Strenna: Sig. Luca Pontassuglia. Proiezione del video della Strenna. Buona Notte (Rettor Maggiore).
VENERDÌ 16: COME DON BOSCO CON I GIOVANI
Moderatrice: Sig.na Miriam Venialgo.
7.00 – 8.30 Colazione.
8.45 Video informazione.
9.00 Preghiera.
9.15 Video di esperienze.
“Cosa vuol dire ESSERE CON I GIOVANI OGGI: Relazione RETTOR MAGGIORE, don Ángel Fernández Artime.
11.00 Pausa
11.30 Celebrazione Eucaristica Presieduta dal Rettor Maggiore (Predica: don Fabio Attard).
13.00 Pranzo.
15.30 In cammino con Maria, Don Bosco ed i giovani d’oggi: don Guido Novella.
16.30 Pausa
17.00 Condivisione in gruppi sui contenuti del cammino con Maria, Don Bosco ed i giovani d’oggi.
18.30 Pausa
19.00 Cena
20.00 Partenza per Cinecittà: Recital dei Postnovizi di Nave. Buona notte (Rettor Maggiore).
SABATO 17: COME DON BOSCO PER I GIOVANI
Moderatore: Sig. Roberto Lorenzini.
7.00 – 8.30 Colazione.
8.45 Video informazione.
9.00 Celebrazione iniziale.
9.20 Don Bosco Chiama oggi la Famiglia Salesiana a “Pensare insieme, progettare insieme, lavorare insieme e pregare insieme” per i giovani: don Pablo Bustos, Argentina.
10:15 Gruppo “Martes”: Evangelizzare nelle carceri. L’ esperienza del gruppo Martes dei Salesiani in Spagna: don Vicente Serrano.
11.00 Pausa
11:15 Come don Bosco per i migranti della Germania: Sig. Achim Jägers
13.00 Pranzo.
15.30 Relazione - esperienza “Come parlare oggi di Dio in quartieri di “conflitti” (periferie esistenziali) e con ragazzi che hanno vari dei, nessuno dio o hanno idoli (traffico, la banda e la violenza, ecc.) Don José González Rodríguez.
16:45 Pausa
17:15 Come parlare oggi ai giovani con i mezzi di comunicazione sociale Canção Nova: Don Donizete Ferreira
18.30 Eucarestia Presieduta dal Rettor Maggiore (Predica: don Maria Arokiam Kanaga).
20.00 Cena
21.15 Buona notte don Pierluigi Cameroni. Serata di fraternità con la partecipazione di tutti. (Coordina Sig. Bellocchi).
DOMENICA 18: Con don Bosco, coinvolti nella trama di Dio
Moderatore: Delegato Centrale della Famiglia Salesiana.
8.00 Eucarestia presieduta dal Rettor Maggiore con omelia.
9.00 Colazione.
10.00 Video informazione.
10.15 Celebrazione conclusiva con Intervento del Rettor Maggiore. In sala col Rettor Maggiore, CREDO elaborato dai gruppi.
12.30 Pranzo.
Relatori:
Siviglia, partecipa tutto il tempo nelle Girante.
Tel. Cellulare: 0034 607416981
Email: jgrsdb@hotmail.com
Email: pablojbus@hotmail.com
Tel. 000542338432217 (casa)
Argentina.
Don Bosco llama hoy a la Familia Salesiana a “pensar juntos, proyectar juntos, trabajar juntos y orar juntos por los jóvenes.
Tavola rotonda
Caro don Aldo,
Come li dicevo per teléfono. Li chiedo gentilmente una collaborazione per le Giornante di Spiritualità della Famiglia Salesiana (15-18 gennaio 2015,). L’intervento in una tavola rotonda a tre voci il 15 gennaio, alle ore 17:00.
Parteciperanno tre relatori nella tavola rotonda:
Grazie mille della sua attenzione e collaborazione.
Don José Pastor Ramírez
Testimonianze
Don Vicente Serrano
Cel. 0034649145473
Email: vicenteserrano@salesianos.edu
Gruppo Martes: Evangelizzare nelle carceri. La esperienza del gruppo Marte dei Salesiani in Spagna (Vicente serrano grupomartes@salesianos.edu).
Tavola rotonda
Carissima sr. Piera,
Li chiedo gentilmente una collaborazione per le Giornante di Spiritualità della Famiglia Salesiana (15-18 gennaio 2015). Formar parte in una tavola rotonda a tre voci il 15 gennaio, alle ore 17:00.
Parteciperanno tre relatori nella tavola rotonda:
Grazie mille della sua attenzione, disponibilità e collaborazione.
Don José Pastor Ramírez
Germania
Dear Fr. Jose Pastor Ramirez,
after discussion with our provincial I inform you that I will assume the responsibility to present, during Spirituality Days of the Salesian Family in Rome, the German project in favour of immigrants. I am looking forward to those days. If there is anything to review, please contact me personally. You will see the signature below.
Yours sincerely,
A. Jägers
Achim Jägers
Referent für Einrichtungen
Deutsche Provinz der Salesianer Don Boscos
St.-Wolfgangs-Platz 10, 81669 München
Tel.: 089 48008-475
Mobil: 0171/2254940
eMail: jaegers@donbosco.de
Homepage: www.donbosco.de