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CG 26 - allegati

CAPITOLO GENERALE 26 - ALLEGATI

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DA MIHI ANIMAS CETERA TOLLE - ALLEGATI DEL CG26
 

 

 

 

 

 

ALLEGATO 1

Lettera di Sua Santità BENEDETTO XVI a Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore S.D.B. in occasione del Capitolo Generale XXVI

Al Reverendissimo Signore Don PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA, S.D.B.
Rettore Maggiore dei Salesiani di Don Bosco

l.          Mi è particolarmente gradito far giungere il mio cordiale saluto a Lei e ai partecipanti al XXVI Capitolo Generale, che costituisce un momento di grazia nella vita di codesta Congregazione presente ormai in tutti i continenti. In esso sono chiamate a confrontarsi la ricchezza e la diversità delle esperienze, delle culture, delle attese dei Salesiani, impegnati in molteplici attività apostoliche e desiderosi di rendere sempre più efficace il loro servizio nella Chiesa. Il carisma di Don Bosco è un dono dello Spirito per l'intero Popolo di Dio, ma solo nell'ascolto docile e nella disponibilità all'azione divina è possibile interpretarlo e renderlo, anche in questo nostro tempo, attuale e fecondo. Lo Spirito Santo, che a Pentecoste scese con abbondanza sulla Chiesa nascente, continua come vento a soffiare dove vuole, come fuoco a sciogliere il ghiaccio dell'egoismo, come acqua a irrigare ciò che è arido. Riversando sui Capitolari l'abbondanza dei suoi doni, Egli raggiungerà il cuore dei Confratelli, li farà ardere del suo amore, li infiammerà del desiderio di santità, li spingerà ad aprirsi alla conversione e li rafforzerà nella loro audacia apostolica.

2.         I figli di Don Bosco appartengono alla folta schiera di quei discepoli che Cristo ha consacrato a sé per mezzo del suo Spirito con uno speciale atto di amore. Egli li ha riservati per sé; per questo il primato di Dio e della sua iniziativa deve risplendere nella loro testimonianza. Quando si rinuncia a tutto per seguire il Signore, quando Gli si dà ciò che si ha di più caro affrontando ogni sacrificio, allora non deve sorprendere se, come è avvenuto per il divin Maestro, si diventa "segno di contraddizione", perché il modo di pensare e di vivere della persona consacrata finisce per trovarsi spesso in contrasto con la logica del mondo. In realtà, ciò è motivo di conforto perché testimonia che il suo stile di vita è alternativo rispetto alla cultura del tempo e può svolgere in essa una funzione in qualche modo profetica. È necessario però, a questo fine, vigilare sui possibili influssi del secolarismo per difendersi e potere così proseguire sulla strada intrapresa con determinazione, superando un "modello liberale" di Vita consacrata e conducendo un'esistenza tutta centrata sul primato dell'amore di Dio e del prossimo.

3.         Il tema scelto per questo Capitolo Generale è lo stesso programma di vita spirituale e apostolica fatto proprio da Don Bosco: "Da mihi animas, cetera tolle". In esso è racchiusa tutta la personalità del grande Santo: una profonda spiritualità, l'intraprendenza creativa, il dinamismo apostolico, la laboriosità instancabile, l'audacia pastorale e soprattutto il suo consacrarsi senza riserve a Dio e ai giovani. Egli fu un santo di una sola passione: "la gloria di Dio e la salvezza delle anime". È di vitale importanza che ogni salesiano tragga continuamente ispirazione da Don Bosco: lo conosca, lo studi, lo ami, lo imiti, lo invochi, faccia propria la sua stessa passione apostolica, che sgorga dal cuore di Cristo. Tale passione è capacità di donarsi, di appassionarsi per le anime, di patire per amore, di accettare con serenità e gioia le esigenze quotidiane e le rinunce della vita apostolica. Il motto "Da mihi animas, cetera tolle" esprime in sintesi la mistica e l'ascetica del salesiano. Non vi può essere un'ardente mistica senza una robusta ascesi che la sostenga; e viceversa nessuno è disponibile a pagare un prezzo alto ed esigente, se non ha scoperto un tesoro affascinante e inestimabile. In un tempo di frammentazione e di fragilità qual è il nostro, è necessario superare la dispersione dell'attivismo e coltivare l'unità della vita spirituale attraverso l'acquisizione di una profonda mistica e di una solida ascetica. Ciò alimenta l'impegno apostolico ed è garanzia di efficacia pastorale. In questo deve consistere il cammino di santità di ogni Salesiano, su questo deve concentrarsi la formazione delle nuove vocazioni alla vita consacrata salesiana. La lectio divina e l'Eucaristia, vissute quotidianamente, sono luce e forza della vita spirituale del salesiano consacrato. Egli deve nutrire la sua giornata di ascolto e di meditazione della Parola di Dio, aiutando anche i giovani e i fedeli laici a valorizzarla nella loro vita quotidiana e sforzandosi poi di tradurre in testimonianza quanto la Parola indica. "L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione" (Enc. Deus caritas est, 13). Condurre una vita semplice, povera, sobria, essenziale e austera: questo aiuterà i Salesiani ad irrobustire la loro risposta vocazionale, di fronte ai rischi e alle minacce della mediocrità e dell'imborghesimento; questo li porterà ad essere più vicini ai bisognosi e agli emarginati.

4.         Sull'esempio del loro amato Fondatore, i Salesiani devono essere bruciati dalla passione apostolica. La Chiesa universale e le Chiese particolari in cui sono inseriti attendono da loro una presenza caratterizzata da slancio pastorale e da un audace zelo evangelizzatore. Le Esortazioni apostoliche post-sinodali riguardanti l'evangelizzazione nei vari continenti, potranno essere loro di stimolo e di orientamento per realizzare nei diversi contesti una evangelizzazione inculturata. La recente Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione può aiutarli ad approfondire come comunicare a tutti, specialmente ai giovani più poveri, la ricchezza dei doni del Vangelo. L'evangelizzazione sia la principale e prioritaria frontiera della loro missione oggi. Essa presenta impegni molteplici, sfide urgenti, campi di azione vasti, ma suo compito fondamentale risulta quello di proporre a tutti di vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta Gesù. Nelle situazioni plurireligose ed in quelle secolarizzate occorre trovare vie inedite per far conoscere, specialmente ai giovani, la figura di Gesù, affinché ne percepiscano il perenne fascino. Centrale pertanto deve essere nella loro azione apostolica l'annuncio di Gesù Cristo e del suo Vangelo, insieme con l'appello alla conversione, all'accoglienza della fede e all'inserimento nella Chiesa; da qui poi nascono i cammini di fede e di catechesi, la vita liturgica, la testimonianza della carità operosa. Il loro carisma li pone nella situazione privilegiata di poter valorizzare l'apporto dell'educazione nel campo dell'evangelizzazione dei giovani. Senza educazione, in effetti, non c'è evangelizzazione duratura e profonda, non c'è crescita e maturazione, non si dà cambio di mentalità e di cultura. I giovani nutrono desideri profondi di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva; ma spesso purtroppo le loro attese sono tradite e non giungono a realizzazione. È indispensabile aiutare i giovani a valorizzare le risorse che portano dentro come dinamismo e desiderio positivo; metterli a contatto con proposte ricche di umanità e di valori evangelici; spingerli ad inserirsi nella società come parte attiva attraverso il lavoro, la partecipazione e l'impegno per il bene comune. Ciò richiede a chi li guida di allargare gli ambiti dell'impegno educativo con attenzione alle nuove povertà giovanili, all'educazione superiore, all'immigrazione; richiede inoltre di avere attenzione alla famiglia e al suo coinvolgimento. Su questo aspetto così importante mi sono soffermato nella Lettera sull'urgenza educativa, che ho recentemente indirizzato ai fedeli di Roma, e che ora idealmente consegno a tutti i Salesiani.

5.         Fin dall'origine la Congregazione salesiana si è impegnata nell'evangelizzazione in diverse parti del mondo: dalla Patagonia e dall'America Latina, all'Asia e all'Oceania, all'Africa e al Madagascar. In un momento in cui in Europa le vocazioni diminuiscono e le sfide dell'evangelizzazione crescono, la Congregazione salesiana deve essere attenta a rafforzare la proposta cristiana, la presenza della Chiesa e il carisma di Don Bosco in questo continente. Come l'Europa è stata generosa con l'invio di numerosi missionari in tutto il mondo, così ora tutta la Congregazione, facendo appello specialmente alle Regioni ricche di vocazioni, sia disponibile nei suoi confronti. Per prolungare nel tempo la missione tra i giovani, lo Spirito Santo ha guidato Don Bosco a dar vita a varie forze apostoliche animate dal medesimo spirito e accomunate dallo stesso impegno. I compiti dell'evangelizzazione e dell'educazione richiedono infatti numerosi apporti, che sappiano operare in sinergia; per questo i Salesiani hanno coinvolto in tale opera numerosi laici, le famiglie e i giovani stessi, suscitando tra loro vocazioni apostoliche che mantengano vivo e fecondo il carisma di Don Bosco. Occorre proporre a questi giovani il fascino della vita consacrata, la radicalità della sequela di Cristo obbediente, povero e casto, il primato di Dio e dello Spirito, la vita fraterna in comunità, lo spendersi totalmente per la missione. I giovani sono sensibili a proposte di impegno esigente, ma hanno bisogno di testimoni e guide che sappiano accompagnarli nella scoperta e nell'accoglienza di tale dono. In questo contesto so che la Congregazione sta dedicando speciale attenzione alla vocazione del salesiano coadiutore, senza la quale essa perderebbe la fisionomia che Don Bosco volle darle. Certo, è una vocazione non facile da discernere e da accogliere; essa sboccia più facilmente laddove sono promosse tra i giovani le vocazioni laicali apostoliche e viene loro offerta una gioiosa ed entusiastica testimonianza della consacrazione religiosa. L'esempio e l'intercessione del Beato Artemide Zatti e di altri venerati fratelli coadiutori, che hanno speso la loro esistenza per il Regno di Dio, ottengano anche oggi alla Famiglia salesiana il dono di tali vocazioni.

6.         Colgo volentieri quest'occasione per rivolgere un ringraziamento particolare alla Congregazione salesiana per il lavoro di ricerca e di formazione che svolge nell'Università Pontificia Salesiana, dove si sono formati e sono stati docenti anche alcuni tra i miei attuali più stretti e stimati collaboratori. Essa ha un'identità che le viene dal carisma di Don Bosco ed offre a tutta la Chiesa un contributo originale e specifico. Unica tra le Università Pontificie, ha una Facoltà di Scienze dell'Educazione ed un Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica, sostenuti dagli apporti di altre Facoltà. In vista di uno studio che si avvalga della diversità delle culture e sia attento alla molteplicità dei contesti, è auspicabile che si incrementi in essa la presenza di docenti provenienti da tutta la Congregazione. Nell'emergenza educativa che esiste in numerose parti del mondo, la Chiesa ha bisogno del contributo di studiosi che approfondiscano la metodologia dei processi pedagogici e formativi, l'evangelizzazione dei giovani, la loro educazione morale, elaborando insieme risposte alle sfide della postmodernità, dell'interculturalità e della comunicazione sociale e cercando nel contempo di venire in aiuto alle famiglie. Il sistema preventivo di Don Bosco e la tradizione educativa salesiana spingeranno sicuramente la Congregazione a proporre una pedagogia cristiana attuale, ispirata allo specifico carisma che le è proprio. L'educazione costituisce uno dei punti nodali della questione antropologica odierna, alla cui soluzione l'Università Pontificia Salesiana non mancherà, ne sono sicuro, di offrire un prezioso contributo.

7.         Signor Rettore Maggiore, il compito che sta davanti alla Congregazione Salesiana è arduo, ma anche esaltante: ogni membro della vostra grande Famiglia religiosa è infatti chiamato a rendere presente Don Bosco tra i giovani del nostro tempo. Nel 2015 celebrerete il bicentenario della sua nascita e con le scelte che opererete in questo Capitolo Generale, voi iniziate già la preparazione delle celebrazioni di tale importante evento giubilare. Ciò vi sia di sprone ad essere sempre più "segni credibili dell'amore di Dio ai giovani" e a far sì che i giovani siano davvero speranza della Chiesa e della società. La Vergine Maria, che Don Bosco vi ha insegnato ad invocare come Madre della Chiesa ed Ausiliatrice dei cristiani, vi sostenga nei vostri propositi. "È Lei che ha fatto tutto", ripeteva Don Bosco al termine della sua vita, riferendosi a Maria. Sarà dunque ancora Lei ad essere la vostra guida e maestra. Vi aiuterà a comunicare "il carisma di Don Bosco". Sarà per la vostra Congregazione e per l'intera Famiglia salesiana, per gli educatori e soprattutto per i giovani, Madre e Stella della speranza. Nel porgere alla vostra attenzione queste mie riflessioni, vi rinnovo l'espressione della mia gratitudine per il servizio che rendete alla Chiesa, e, mentre vi assicuro la mia costante preghiera, imparto di cuore a Lei, Rettore Maggiore, ai partecipanti all'Assemblea capitolare e all'intera Famiglia salesiana una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1 Marzo 2008

ALLEGATO 2

Intervento del Card. Franc Rodé, C.M.

Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica

Da mihi animas, cetera tolle

1.         È il motto che Don Bosco scelse da giovane sacerdote e lo accompagnò per tutta la vita. È il programma di vita di Don Bosco e di ogni Salesiano,[1] il lemma che avete scelto per la celebrazione del 26mo Capitolo Generale della Società di Salesiana di San Giovanni Bosco.

In questo incontro capitolare, che vi vede riuniti, provenienti da paesi e culture diverse, si manifesta l’abbondanza e la bellezza dei doni del Signore. Per tutti e per ciascuno di voi e per tutti i vostri confratelli Salesiani sparsi nel mondo rendo grazie al Datore di ogni bene, che, nella sua infinita bontà, ha fatto dono alla Chiesa della grande Famiglia di San Giovanni Bosco.

Il mio saluto e il mio ringraziamento per l’impegno vivo di tutti i Salesiani nella Chiesa e nel mondo non può non andare al Rettor Maggiore, successore di Don Bosco, don Pascual Chávez Villanueva, per il Suo impegno non solo a favore della numerosa Famiglia Salesiana, ma di tutta la vita consacrata.

2.         Il Capitolo Generale è il segno dell’unità nella diversità, è incontro fraterno, è momento di riflessione comunitaria, per mantenersi fedeli al Vangelo, al carisma del Fondatore e al nostro tempo.[2] È il momento privilegiato per spalancare gli occhi del cuore e cominciare a guardare, ad accorgersi, a valutare; è un momento favorevole per scorgere, insieme, su quali strade il Signore vi invia; un passaggio dallo scoraggiamento alla speranza, alla riscoperta della presenza del Signore in mezzo ai voi nella Parola e nel Pane di vita eterna.

La sua celebrazione è memoria viva del cammino percorso, l’attualizzazione del sogno di Giovannino Bosco nell’oggi della storia, per proiettarvi verso il futuro con speranza viva e fiducia piena nell’opera del Signore.

3.         La fede cristiana, di fronte a un mondo complesso e alle sue crisi, è esposta a tutte le domande e le sfide su Dio, sul suo ingresso nella storia nella persona di Gesù, sulla natura dell’uomo e sul senso della sua vita e della morte. Anche la Chiesa è messa in questione: il suo ruolo e la sua incidenza nel mondo in certi ambienti sono banalizzati e contestati. La  vita consacrata è segnata dalla crisi, soprattutto in America del Nord e in Europa: diminuzione numerica, incertezze sull’identità, tentazioni di rinuncia e di scoraggiamento.

Tornare alle origini, alla centralità di Gesù Cristo, allo spirito dei Fondatori, può aiutarci a rispondere con fiducia, creatività e coraggio a queste molteplici sfide.

4.         In questi giorni ciascuno di voi è chiamato a rinnovare la scelta fondamentale per Cristo, ripensata con chiara coscienza e definita comunitariamente secondo il progetto evangelico delle Costituzioni: la vostra alleanza speciale con il Signore; un incontro di amore che segna e orienta tutta la vita; il dono totale di voi stessi a Dio ed ai giovani; il senso della vostra esistenza consacrata dalla potenza dello Spirito.

Dopo esservi soffermati negli anni passati sull’identità salesiana,[3] sulla missionarietà,[4] sulla condivisione con i laici[5] e sulla comunità,[6] durante quest’assise capitolare la vostra attenzione si focalizzerà sull’identità carismatica e sulla passione apostolica. È un tornare al cuore della vostra vocazione nella Chiesa, allo spirito più puro del Fondatore.

Don Bosco ritorna, ripeterete in questi giorni. Memori delle parole che vi scriveva il Santo Padre Giovanni Paolo II nella Lettera Iuvenum Patris: «Don Bosco ritorna è un canto tradizionale della Famiglia Salesiana: esprime l’auspicio di un ritorno di Don Bosco e un ritorno a Don Bosco, per essere educatori capaci di una fedeltà antica ed insieme attenti, come lui, alle mille necessità dei giovani di oggi, per ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle loro difficoltà e alle loro attese». [7]

Ritornare a Don Bosco e ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore.

Vi accingete quindi a tornare alle fonti della spiritualità salesiana, del carisma salesiano, al cuore della vostra chiamata, che trova la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo  con «l’atteggiamento del Buon Pastore che conquista con la mitezza e il dono di sé».[8]

5.         Ci sono modalità differenti per parlare di spiritualità. È certamente da evitare quella che porta allo spiritualismo, quasi rifugio in un mondo dello spirito in cui tutto risulta perfetto e rarefatto; è necessario, invece, conservare il suo originale carattere di vita secondo lo Spirito e il radicamento nell’esistenza quotidiana, con le sue fatiche e le sue tensioni, i suoi slanci e le sue asprezze, riflettendo così lo spessore di cammini spirituali – personali ed ecclesiali – densi di vita e di mistero.

Solo così sarà possibile evitare quell’estenuarsi dei linguaggi della vita cristiana che oggi risultano quasi consunti da un uso troppo generico, o troppo retorico. L’esuberanza del lessico dice quanto sia difficile oggi pronunciare parole spirituali vere, che non abbiano paura né delle incertezze della vita né del riferimento al mistero.

Pudore e sobrietà della parola potranno restituire ai nostri linguaggi la possibilità di comunicare l’intensa bellezza di una vita vissuta nella prospettiva del Vangelo.

6.         Sin dall’inizio della sua esistenza Don Bosco si lasciò guidare da un unico desiderio: consacrare tutta la vita al bene dei giovani. La sua opera non è espressione di attivismo, il carattere lieto ed aperto del saltimbanco dei Becchi è vera e propria consacrazione consapevole e volontaria, missione  per la salvezza integrale dei giovani.

Da mihi animas, cetera tolle. Il fine dell’educazione preventiva di Don Bosco - un’esistenza umana individuale, sociale e religiosa compiuta - è evidente nell’espressione “salvezza dell’anima”: l’anelito alla santità. Una santità “feriale”, quella che Don Bosco addita ai suoi giovani e ai primi collaboratori.

  Una “santità” che  non è un obiettivo proposto solo a qualche ragazzo “buono”, a qualche élite aristocratica, ma a tutti i giovani di Valdocco: «è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo».[9]

Nel clima di santità di Valdocco le sue proposte forti e generose diventano credibili. Egli «sa proporre la santità quale meta concreta della sua pedagogia - ricordava il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nel proclamarlo Padre e Maestro della gioventù». [10] «Mi piace considerare di Don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia».[11] È qui che bisogna cercare «quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa».[12]

7.         «Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura: egli è un “educatore santo”, si ispira a un “modello santo” - Francesco di Sales -, è discepolo di un “maestro spirituale santo” - Giuseppe Cafasso - , e sa formare tra i suoi giovani un “educando santo”: Domenico Savio».[13] E possiamo continuare questo elenco con i beati Laura Vicuña e Zefirino Namuncurá, ultimo, in ordine di tempo, ad essere additato nella Famiglia Salesiana come esempio di santità, lo scorso 11 novembre.

Questo messaggio profetico lasciatovi dal Fondatore offre il volto originale della vostra identità carismatica, della vostra consacrazione apostolica, del vostro metodo educativo basato su ragione, religione, amorevolezza.[14]

È urgente recuperare il vero volto della santità. Per ciascun Salesiano, per ciascun giovane che a voi si avvicina. Per continuare ad essere, come Don Bosco, maestri santi di giovani santi, maestri di spiritualità giovanile.[15] Per realizzare il progetto di vita che vi ha lasciato il Fondatore: «essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri».[16]

8.         L’articolo 3 delle vostre Costituzioni dice che la vostra è una «vita di discepoli del Signore», e che vi siete offerti totalmente a Dio «per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno». [17]

In vista di questa offerta il Padre vi consacra col dono del Suo Spirito e vi invia ad essere apostoli dei giovani.[18] Il dono dello Spirito deve invadere il vostro cuore con la sua soave potenza per rendervi capaci di piena fedeltà alla vostra vita di discepoli. Il segreto di riuscita sta nel saper rinsaldare costantemente i vincoli dell’alleanza con Dio.

Come consacrati al Padre siete chiamati a riprodurre nella  Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, «i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente»,[19] avendo cura della vostra fede, la vostra sequela Christi, la vostra conformazione amorosa al Signore Gesù, per essere capaci di comunicare questo vissuto in una relazione educativa. Tutto il resto può fornire supporti, modalità, strumenti al sempre difficile compito di comunicare la fede, soprattutto ai giovani, ma sono ben poca cosa di fronte al requisito irrinunciabile per chi si avvii in una tale impresa: il possedere una fede e un amore vivo, incarnato, sostenuto da una solida formazione.

È questa la vostra natura profonda, la vostra vocazione, la vostra definitiva realizzazione.  I consigli evangelici sono questa tensione relazionale, l’attitudine permanente al Tu. «Non esiste altro modo per vivere degno dell’uomo, al di fuori della prospettiva del dono di sé».[20]

9.         Don Bosco nasce quando ancora non sono passati trent’anni dalla Rivoluzione francese. Già in tutto il secolo precedente (il “secolo dei lumi”) la fede aveva subito attacchi in nome di una ragione divinizzata che pretende di lottare contro tutto ciò che chiama «superstizione». Nel secolo XIX l’attacco si mescola, in modo spesso assai intricato, con le questioni sociali e nazionali.

Il tempo di Don Bosco è quindi tempo di prima industrializzazione, di moti risorgimentali, di restaurazioni e di rivoluzioni. La Torino risorgimentale è una città in forte espansione a causa della massiccia immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo giovanile è in preda a problematiche gravissime: analfabetismo, disoccupazione, degrado morale e mancata assistenza religiosa.

“Ho sedici anni … e non so niente”: così si presentò Bartolomeo Garelli, il primo dei ragazzi di Don Bosco. «A Bartolomeo si aggiunsero altri giovani - raccontò lo stesso Don Bosco -. Durante quell’inverno radunai anche alcuni adulti che avevano bisogno di lezioni di catechismo adatte per loro». [21]

Così iniziò l’Oratorio: con i giovani in cerca di lavoro. Don Bosco diede loro una casa, un cuore amico, istruzione e protezione, assicurando per essi contratti onesti di lavoro; creò scuole professionali, laboratori. Offrì uguale assistenza agli studenti. Indirizzò i giovani a conquistare un posto nel mondo, aiutandoli a raggiungere competenza e abilità professionali; li orientò alla vita cristiana, curando la loro formazione religiosa, la frequenza ai sacramenti e l’amore filiale a Maria.

10.       Questo impegno oggi è ancora attuale. Se un tempo vi erano quasi solo il cortile, la chiesa, il laboratorio, la scuola, oggi siamo in presenza di diversi tipi di istituzioni educative, scuole, centri di alfabetizzazione, comunità di accoglienza per ragazzi e giovani in difficoltà, centri di prevenzione contro la tossicodipendenza, consultori, interventi umanitari per i giovani che vivono per la strada, campi profughi con gran numero di ragazzi e giovani, centri di accoglienza per immigrati… Sempre con l’occhio e il cuore attenti ai luoghi e alle situazioni dove la povertà e il disagio hanno bisogno di un surplus di compassione, di vicinanza, di amore e di protezione.

In questo tempo in cui la globalizzazione del mondo della comunicazione e dell’economia si accompagna al dilatarsi di povertà ed emarginazioni che colpiscono specialmente le giovani generazioni, la Chiesa avverte con preoccupazione l’urgente necessità di superarare, specialmente nell’ambito educativo, il dramma di una profonda rottura tra Vangelo e cultura, che porta a sottovalutare ed emarginare il messaggio salvifico di Cristo. Oggi, più che nel passato, abbiamo bisogno di uno sguardo profetico sui tempi nuovi, così complessi e difficili, e soprattutto dell’audacia dei santi, con cuore grande e generoso.

“Ho sedici anni … e non so niente”. È il grido che sentiamo ripetere dai tanti giovani che incontriamo sul nostro cammino, che sembrano vivere, particolarmente in questi anni, con una svogliatezza e indifferenza non solo nei confronti della fede, ma soprattutto nei confronti dell’amore di cui si ricerca il senso profondo o la nostalgia per averlo perso, mentre in maniera contraddittoria lo si riduce a frammento del sentimento e dell’emotività.

Siamo dinanzi all’era del vuoto [22] a causa dell’individualismo contemporaneo. «Mi sembra – diceva il Santo Padre rispondendo alle domande dei giovani della Diocesi di Roma - che la grande sfida del nostro tempo sia il secolarismo: cioè un modo di vivere e di presentare il mondo come “si Deus non daretur”, cioè come se Dio non esistesse. […]. Mi sembra questa la prima necessità: che Dio sia di nuovo presente nella nostra vita, che non viviamo come se fossimo autonomi, autorizzati ad inventare cosa siano la libertà e la vita. Dobbiamo prendere atto di essere creature, costatare che c’è un Dio che ci ha creati e che stare nella sua volontà non è dipendenza ma un dono d’amore che ci fa vivere».[23]

11.       È necessario essere capaci di parlare della verità, senza averne timore, anche quando ci sembra scomoda. Come, continuamente, fa il Santo Padre.

Su questo tema scriveva Romano Guardini: «Chi parla dica ciò che è, e come lo vede e lo intende. Dunque, che esprima anche con la parola quanto egli reca nel suo intimo. Può essere difficile in alcune circostanze, può provocare fastidi, danni e pericoli; ma la coscienza ci ricorda che la verità obbliga; che essa ha qualcosa di incondizionato, che possiede altezza. Di essa non si dice: Tu la puoi dire quando ti piace, o quando devi raggiungere uno scopo; ma: Tu devi dire, quando parli, la verità; non la devi né ridurre né alterare. Tu la devi dire sempre, semplicemente; anche quando la situazione ti indurrebbe a tacere, o quando puoi sottrarti con disinvoltura a una domanda»[24] . C’è un imperativo, dunque, a cui non si può né si deve sfuggire: attestare che la verità deve riprendere il suo posto e la sua coerente collocazione non solo nella nostra predicazione e catechesi, ma soprattutto nella vita delle persone perché possano approdare a un’esistenza carica di senso.

Il ministero che svolgete vi pone, in primo luogo, dinanzi alla trasmissione della fede. Questa, lo sappiamo, non è primariamente un contenuto astratto, ma uno stile di vita che scaturisce dalla scelta di porsi alla sequela di Cristo e di assumere in noi la sua parola come promessa e realizzazione di sé.

«I Presbiteri… non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; d’altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente. Per il loro stesso ministero sono tenuti con speciale motivo a non conformarsi con il secolo presente; ma allo stesso tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini, a conoscere bene – come buoni pastori - le proprie pecorelle… si applichino (quindi) ad esaminare i problemi del loro tempo alla luce di Cristo». [25]

12.       I nostri giovani, poi, vivono una profonda solitudine. Nasce spesso dal non sentirsi accolti, accettati per ciò che si è o rifiutati; le diverse forme di tradimento che la vita impone, dall’amicizia all’amore, in famiglia o con i coetanei, fanno emergere in maniera evidente il profondo senso di solitudine in cui molti sono immersi.

Sono convinto che i nostri giovani desiderano da noi una testimonianza di gratuità piena e di perdono sincero. Vogliono essere amati per ciò che sono, ma non per questo dobbiamo dimenticare che per noi amare è ricercare senza sosta e con estrema pazienza il loro bene.

Il Concilio scriveva in Gaudium et spes: «L’uomo vale più per quello che “è” che per quello che “ha”». [26] Il  contesto culturale in cui viviamo indubbiamente vive un equivoco primato del fare e dell’avere sull’essere. La risposta alle domande dei giovani non è quella di trovare tecniche o iniziative concrete: andremmo incontro al fallimento. Se desideriamo fare qualcosa per i giovani, è necessario innanzitutto essere persone dal cuore grande, perché come diceva ancora Don Bosco, l’educazione è cosa del cuore.

Questa, comunque, richiede da parte nostra l’impegno a saper recuperare con forza l’incontro interpersonale e la guida dei nostri giovani, vero strumento per la trasmissione viva della fede. Se non c’è un incontro a tu per tu, la fede non si trasmette. Possiamo chiamarla direzione spirituale od in altri modi, ma la tradizione della Chiesa ci insegna che è solo attraverso il rapporto interpersonale, che coinvolge l’uomo come persona, che avviene la trasmissione della fede.

Proprio per questo è indispensabile ripensare il vostro «essere, con stile salesiano, i segni e i portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri».[27]

«Non basta amare». L’ideale di santità salesiana è «farsi amare». [28]

«Studia di farti amare» è quanto Don Bosco consigliava a don Rua quando andò a Mirabello, nel 1863. «Siccome non posso trovarmi sempre al tuo fianco... ti parlo colla voce di un tenero padre che apre il cuore ad uno de’ più cari suoi figliuoli»; gli dà vari consigli, tra cui emerge quello di farsi amare.[29] Don Bosco insiste: «non basta amare», è necessario saper «farsi amare».

«L’arte delle arti è l’arte dell’amore – insegnava Guglielmo di Saint Thierry -. La natura stessa e Dio artefice della natura ne hanno riservato a sé l’insegnamento. Perché l’amore, che è suscitato dal Creatore della natura, se la sua purezza naturale non è intorbidata da affetti estranei, insegna se stesso: ma solo a quanti si lasciano ammaestrare da lui, ammaestrare da Dio. L’amore, infatti, è una forza dell’anima, che la conduce come per un peso naturale al luogo e al fine che le è proprio».[30]

L’arte dell’amore, l’amore per la verità, si apprende nello stile di vita di Cristo casto, povero e obbediente, umile e sobrio, proteso alla carità. La vita consacrata diventa così confessio Trinitatis, signum fraternitatis, servitium caritatis,[31] luminosa testimonianza profetica, epifania della forma di vita di Gesù, presenza incisiva all’interno della Chiesa e profezia paradossale e affascinante in un mondo disorientato e confuso.

13.       «La coscienza ecclesiale del nostro Fondatore - scriveva il Rettor Maggiore della Società, don Egidio Viganò, nel 1985 - si concretizzava pedagogicamente in alcuni comportamenti di fede, robusti e pratici. Li esprimeva con semplicità in tre grandi atteggiamenti che si vennero chiamando “devozioni”: verso Gesù Cristo Salvatore e Redentore, presente nell’azione centrale della Chiesa, l’Eucaristia; verso Maria, Modello e Madre della Chiesa, contemplata nella storia come Ausiliatrice; e verso il Papa, Successore di Pietro, posto come capo del Collegio episcopale per il servizio pastorale di tutta la Chiesa». [32]

            «Qualunque fatica è poca - scriveva Don Bosco - quando si tratta della Chiesa e del Papato».[33] Amore a Cristo, a Maria, alla Chiesa e al Papa. Il vostro sentire cum Ecclesia sia non solo impegno concreto della vita di ogni salesiano e dei Responsabili della Società, ma anche testimonianza della dimensione ecclesiale della vostra fede e impegno nell’educare ad esso i giovani.

14.       Nell’invocare la benedizione del Signore su di voi e sul vostro Capitolo Generale e sugli impegni dei prossimi giorni, riprendo le parole di Benedetto XVI nella lettera enciclica Spe salvi: «La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata». [34]

Maria, Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani, [35] Don Bosco, tutti i numerosi santi e beati salesiani siano la vostre stelle e vi rendano fari di speranza per tutta l’umanità, soprattutto per i giovani.

Roma, 3 marzo 2008

 

[1] Cfr.  Cost. n. 4.
[2] Cfr. Cost. n. 146.
[3] CG 22.
[4] CG 23.
[5] CG 24.
[6] CG 25.
[7] Giovanni Paolo II, Lettera Iuvenum Patris nel centenario della morte di San Giovanni Bosco, Roma 31 gennaio 1988, n. 13.
[8] Cfr. Cost. Art. 11
[9] Bosco G., Vita del giovanetto Savio Domenico scritta dal Sacerdote Giovanni Bosco, p. 50, OE XI p. 200.
[10]   IP, n. 5.
[11] Ivi.
[12] Ib. n. 8.
[13] Ib. n. 5.
[14] cfr. “Il Sistema Preventivo”, in “Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales”, in Giovanni Bosco “Scritti pedagogici e spirituali”, 166.
[15] IP, n. 16
[16] Cfr. Cost. art. 2.
[17] Cost. art. 3.
[18] Ivi.
[19] VC, n. 1.
[20] giovanni paolo ii, Messaggio per la giornata delle vocazioni 2003.
[21] Bosco G., Memorie dell’Oratorio, adattato da Bosco T., 1985.
[22] G.Lipovetsky,  L’era del vuoto. Saggi sull’individualismo contemporaneo, 1995.
[23] Benedetto XVI, Colloquio con i giovani, durante l’Incontro con i giovani della Diocesi di Roma, in preparazione alla XXI Giornata Mondiale della Gioventù, Roma, giovedì 6 aprile 2006.
[24] R. Guardini, Le virtù, Brescia, 1972, p. 21
[25] PO, nn. 3. 4 .
[26] GS, n. 35.
[27] Cost. art. 2
[28] MB XVII, 107-114
[29] MB VII, 524
[30] Guglielmo di Saint Thierry, Natura e grandezza dell’amore, 1,1-2, Magnano 1990
[31] cfr. Vita consecrata.
[32] Lettera del Rettor Maggiore, in ACG n. 315
[33] cfr. Cost art. 13.
[34] SpS, n. 49.
[35] Cost. art. 8.

ALLEGATO 3

Discorso del Rettor Maggiore, Don Pascual Chávez Villanueva all’apertura del CG26

«Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io» (Rm 1, 11-12)

1. Saluto agli Invitati

Eminenza Reverendissima, Card. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica,
Eminenza Reverendissima, Card. Raffaele Farina, Bibliotecario e Archivista di SRC,
Eminenza Reverendissima Card. Miguel Obando Bravo,
Eminenza Reverendissima Card. Joseph Zen,
Eccellentissimo Mons. Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede,
Eccellentissimo Mons. Gianfranco Gardin, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica,
Eccellentissimo Mons. Gino Reali, Vescovo di Porto e Santa Rufina,
Eccellentissimo Mons. Francesco Brugnaro, Arcivescovo di Camerino, Exallievo e Cooperatore,
Eccellentissimi Vescovi Salesiani: Mons. Carlo Chenis, Mons. Zef Gashi, Mons. Stanislav Hocevar, Mons. Calogero La Piana, Mons. Basile Mvé, Mons. Pierre Pican, Mons. Peter Stump, Mons. Luc Van Looy, Mons. Adrian van Luyn, Mons. Rosario Vella,
Reverendissima Suor Enrica Rosanna, Sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica,
Gentilissima Madre Antonia Colombo, Superiora Generale dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
Carissimi Responsabili dei vari Gruppi della Famiglia Salesiana,
Reverendissimo Padre Pietro Trabucco, Segretario generale dell’Unione Superiori Generali,
Reverendissimo Don Mario Toso, Rettore della Università Pontificia Salesiana

A nome di tutta l’Assemblea capitolare, Vi ringrazio di cuore per la vostra presenza in questo momento così significativo per la Società di San Francesco di Sales e Vi esprimo quanto gradita è per tutti noi la vostra partecipazione, che viene ad onorare l’inizio del nostro Capitolo Generale XXVI e ad incoraggiare il nostro lavoro.

 

 

2. Benvenuto ai Capitolari

Carissimi Confratelli Capitolari, Ispettori e Superiori di Visitatorie, Delegati ispettoriali, Osservatori invitati, venuti da tutto il mondo per prendere parte a questa importante assise della nostra amata Congregazione.

A voi tutti desidero dare il benvenuto con il cuore di Don Bosco. Sentitevi a casa vostra e a vostro agio! La casa di Don Bosco è la vostra casa. Anche la Casa Generalizia è la casa di Don Bosco, come lo è stata quella di Valdocco, dove abbiamo voluto in spirito di preghiera e di contemplazione dare inizio ai primi momenti di questa Assemblea; come lo è stata la casetta dei Becchi, sulla cui facciata è riportata l’iscrizione con le parole di Don Bosco: “Questa è la mia casa”.

Il “ripartire da Don Bosco”, tema centrale del Capitolo, è un invito rivolto a tutta la Congregazione. Esso ci ha portato ai luoghi dove il nostro amato padre e fondatore, docile alla voce e all’azione dello Spirito Santo, diede inizio e sviluppo a quel carisma, di cui siamo eredi, garanti, testimoni e comunicatori. I Becchi e Valdocco sono la culla della nostra esperienza carismatica. Lì è la nostra identità, perché lì noi tutti siamo nati, come canta il salmista pieno di gioia pensando alla città di Dio: “tutti là sono nati; sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 86).

Il nostro DNA è quello stesso del nostro padre Don Bosco, i cui geni sono la passione per la salvezza dei giovani, la fiducia nel valore di un’educazione di qualità, la capacità di coinvolgere molti fino a creare un vasto movimento di persone capaci di condividere, nella missione giovanile, la mistica del “da mihi animas” e l’ascetica del “cetera tolle”. Insieme con voi esprimo i più vivi auspici che il nostro Capitolo sia il punto di avvio per ripartire da Don Bosco e giungere all’anno 2015, quando lieti e riconoscenti celebreremo il secondo centenario della sua nascita.

 

3. Il Capitolo Generale

Ho voluto porre al principio di questo discorso di apertura la citazione di San Paolo ai Romani, perché mi sembra che esprima quanto ho nel cuore e quanto mi attendo da questa assise. Se è vero che qualsiasi Capitolo Generale è un avvenimento che supera nella sostanza il solo adempimento formale di ciò che è prescritto dalle Costituzioni, a maggior ragione ritengo debba esserlo il CG26. Esso sarà un evento pentecostale, che avrà lo Spirito Santo come principale protagonista; esso si svolgerà tra memoria e profezia, tra riconoscenza fedele alle origini e apertura incondizionata alla novità di Dio. E tutti noi saremo soggetti attivi, con le nostre responsabilità e attese, ricchi di esperienza, disponibili all’ascolto, al discernimento, all’accoglienza della volontà di Dio sulla Congregazione.

A convocarci è Dio stesso, il quale continuamente ed in ogni tempo chiama e manda i suoi profeti, perché ci sia per tutti vita in abbondanza. Le chiamate di Dio richiedono generosità, dedizione piena e disponibilità anche al patimento per “dare la vita”; non nasce vita senza “le doglie del parto”. Dio non invita a consolidare situazioni di stagnazione o addirittura di morte, ma invia il Suo Spirito per ridare vita e vitalità, trasformare le persone e, attraverso esse, rinnovare la faccia della terra.

Non posso non ricordare a questo punto la penetrante visione di Ezechiele sul popolo di Dio esiliato, privo del Re, del Tempio e della Legge. Sulle ossa inaridite, su questo popolo morto, Dio invia lo Spirito ed ecco riappaiono i nervi e cresce la carne. Egli ricopre questi corpi di pelle e soffia il suo alito di vita (cf. Ez 37, 8ss). Certamente la novità che Dio vuole offrire al mondo può scontrarsi con la resistenza psicologica e spirituale a “rinascere dall’alto” (Gv 3, 3), come è stato per Nicodemo. Al contrario, ciò che viene chiesto a noi è la disponibilità esemplare di Abramo che si lascia guidare dal Dio della promessa (cf. Gn 12, 1-3); egli non si aggrappa neppure al figlio tanto atteso e giunge alla rinuncia di Isacco, non esitando a sacrificarlo pur di non perdere il suo Dio. Sempre in questa logica di disponibilità, modello perfetto di apertura illimitata è la Vergine Maria, pronta a lasciare il proprio progetto per assumere quello di Dio (cf. Lc 1, 35ss).

Il CG26 punta a qualcosa di nuovo e di inedito. Ci spinge l’urgenza di ritornare alle origini. Siamo chiamati a trovare ispirazione dalla stessa passione apostolica di Don Bosco. Siamo invitati ad attingere alle fonti sorgive del carisma e, nel contempo, ad aprirci con audacia e creatività a modalità nuove per esprimerlo oggi. Per noi è come scoprire nuove sfaccettature di uno stesso diamante, il nostro carisma, che ci permettono di rispondere meglio alle situazioni dei giovani, di comprendere e servire le loro nuove povertà, di offrire nuove opportunità per il loro sviluppo umano e la loro educazione, per il loro cammino di fede e per la loro pienezza di vita.

È importante che ciascuno di noi, cari Capitolari, entri in sintonia profonda con Dio, che ci chiama “oggi”, affinché l’ispirazione e la forza del suo Spirito non vengano contristate nel cuore, ammutolite sulle labbra e deformate nella loro logica (cf. Ef 4, 30). Tutto ciò significa che lo sforzo a cui siamo chiamati è quello di aprire il più possibile l’arco della nostra ricettività «spirituale», per scoprire nel profondo di noi stessi la volontà di Dio nei confronti della Congregazione e per conformare sempre più il nostro pensare ed il nostro parlare alla Parola di Dio. Le parole, che ciascuno di noi si sentirà chiamato a pronunciare, portino il meno possibile il gravame della carne, perché “dalla carne nasce carne e dallo Spirito nasce Spirito” (cf. Gv 3,6).[1]

 

4. Atteggiamenti di piena partecipazione al CG26

Come vivere allora l’esperienza capitolare in forma costruttiva? Che tipo di impegno assumere da parte di ogni Capitolare? Con quali atteggiamenti partecipare al Capitolo Generale?

Coltivando lo spirito profetico

La consapevolezza d’essere convocati da Dio risveglia in noi il senso di dipendenza da Lui e l’accettazione profonda della missione che Egli ci affida. Ciò esige da noi un ascolto continuo, umile, obbediente. A differenza di un congresso o di un convegno, dove sovente prevale la dialettica, qui ci troviamo a vivere un momento di discernimento e di confronto sulla vita della Congregazione e circa il nostro carisma, che è un grande dono di Dio per la Chiesa e per i giovani.

Non possiamo assumere il ruolo di spettatori. Ciò trasformerebbe l’evento in semplice cronologia; di esso non rimarrebbe che qualche vago ricordo, incapace di creare degli autentici dinamismi trasformatori della storia. Questo è appunto il compito del profeta: mosso dallo Spirito di Cristo e portatore della Parola di Dio, egli è capace di trasformare la storia. Affinché tutto ciò si compia nella nostra esperienza, il CG26 ci propone un coinvolgimento pieno delle nostre persone. Tutti siamo chiamati a vivere questo avvenimento con responsabilità, a coglierne la vitale importanza ed a ravvivare ogni giorno l’interesse e la disponibilità per il cammino che lo Spirito ci conduce a fare.

Il Capitolo sarà significativo e fecondo se passerà dall’essere un puro “fatto”, che accade nel tempo e nello spazio, ad una “esperienza” profonda che tocca innanzitutto la nostra stessa persona. E la toccherà, se nella realizzazione del Capitolo saremo capaci di trovare Dio. Da quel momento comincerà la rigenerazione e la rinascita; allora potremo comunicare a tutti i confratelli della Congregazione «ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato» (1Gv 1, 1).

La crescita personale e il servizio alla Congregazione, che sono messi in gioco nell’esperienza capitolare, vanno assieme. Sovente si sente dire che la partecipazione ad un Capitolo Generale rappresenta un’esperienza intensa di formazione permanente; ed è vero. Tuttavia, personalmente, preferirei parlare di un’esperienza carismatica nel senso più profondo del termine, vale a dire, di un’esperienza dello Spirito e, trattandosi di un’assemblea, di una vera Pentecoste comunitaria.

Non si tratta soltanto di non deludere i confratelli, ma di non sprecare un “tempo propizio”, un “kairós”, dunque di non deludere Dio e i giovani, i due poli che configurano la nostra identità, attorno cui ruota la nostra vita e al cui servizio si giustifica il nostro essere.

Operando il discernimento

Appunto perché il Capitolo non è un congresso, ma un tempo di discernimento, si deve viverlo con questo atteggiamento, che richiede preparazione, seria riflessione, preghiera serena e profonda, contributo personale, consapevolezza della propria adesione, ascolto di Dio e di se stessi.

Da questa prospettiva sia le giornate di spiritualità salesiana vissute ai Becchi e a Torino, sia gli Esercizi spirituali, sia i due giorni di presentazione della Congregazione attraverso i Settori e le Regioni hanno contribuito a creare questo clima spirituale. L’atmosfera ideale in cui Dio opera le meraviglie e conduce la storia, anche quella della nostra Congregazione, è la carità: “Ubi caritas et amor, Deus ibi est”.

Lo Spirito agisce, soffia il suo alito di vita e sparge le sue fiamme di fuoco lì dove c’è una comunità radunata nel nome di Cristo e unita dall’amore. È la comunione dei cuori che ci convoca attorno allo stesso progetto apostolico, quello di Don Bosco, e rende possibile l’unità nella diversità dei contesti, delle culture, delle lingue.

Camminando con il Dio della storia

Oggi la situazione del mondo e della Chiesa ci chiede di camminare con il Dio della storia. Non possiamo rinunciare alla nostra vocazione di essere, come consacrati, la punta di diamante nel Regno di Dio, le sentinelle del mondo e i sensori della storia. La nostra vocazione di “segni e portatori dell’amore di Dio” (Cost 2) ci spinge ad essere quanto il Signore si attende da tutti i suoi discepoli: “sale della terra e luce del mondo” (cf. Mt 5, 14). Ecco le due immagini utilizzate da Gesù per definire e caratterizzare i suoi discepoli. Entrambe sono molto eloquenti e ci dicono che mettersi alla sequela di Cristo non è tanto determinato dal “fare” quanto dall’“essere”, è cioè più questione d’identità che di efficacia, più problema di presenza significativa che di attuazioni grandiose.

Anche qui, quello che importa non è tanto il rinnovamento della Congregazione o il suo futuro, quanto la passione per Gesù e il Regno di Dio. Questa è la nostra speranza. È qui che si trova la vitalità, la credibilità e la fecondità del nostro Istituto. In effetti, l’apertura alle domande, alle provocazioni, agli stimoli e alle sfide dell’uomo moderno, nel nostro caso a quelle dei giovani, ci libera da ogni forma di sclerosi, di atonia, di stallo, d’imborghesimento e ci mette in cammino “al passo di Dio”. Eviteremo allora di volgerci indietro, diventando così statue di sale, oppure di illuderci in sterili fughe in avanti, non conformi alla volontà di Dio.

Un elemento tipico di Don Bosco e della Congregazione è stata sempre la sensibilità storica e oggi, più che mai, non possiamo trascurarla. Essa ci renderà attenti alle istanze della Chiesa e del mondo. Ci farà “andare” e “uscire” alla ricerca dei giovani. Ciò dovrà tradursi in un documento capitolare capace di riempire di fuoco il cuore dei confratelli. Tale testo costituirà una vera carta di navigazione negli anni venturi. Ecco perché è importante la lettura dei “segni dei tempi”, alcuni dei quali ho voluto indicare in ACG 394 nella lettera di convocazione del CG26.

Costruendo sulla roccia

Nella mia lettera circolare dal titolo “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene” (Sal 16, 2), pubblicata in ACG 382, parlavo di una vita consacrata di tipo liberale che ormai ha esaurito le sue possibilità e non ha più futuro. Si sono fatti sforzi di rinnovamento e si è tentato di crescere, ma non esattamente secondo la logica di una vita che è consacrata prima di tutto a Dio. Molte esperienze convalidano il sospetto che si è voluto costruire la casa sulla sabbia, e non sulla roccia. Ogni tentativo di rifondare la vita consacrata che non ci riporti a Gesù Cristo, fondamento della nostra vita (cf. 1Cor 3, 11), e non ci renda più fedeli a Don Bosco, nostro fondatore, è destinato a fallire.

Non c’è dubbio che la vita consacrata stia vivendo un momento ancor più delicato di quello dell’immediato post-Concilio, malgrado tutti gli sforzi di rinnovamento fatti. Davanti a questo panorama può emergere la tentazione di un semplice ritorno al passato, dove recuperare sicurezza e tranquillità, a prezzo di una chiusura ai nuovi segni dei tempi, che ci spingono a rispondere con maggiore identità, visibilità e credibilità.

La soluzione non sta in scelte restauratrici; non si può infatti sottrarre alla vita consacrata la forza profetica che sempre l’ha contraddistinta e che la rende dinamica e controculturale. Come già ho detto più volte, ciò che è messo in gioco durante il prossimo sessennio non è la sopravvivenza, ma la profezia della nostra Congregazione. Non dobbiamo quindi coltivare un “accanimento istituzionale”, cercando di prolungare la vita ad ogni costo; dobbiamo piuttosto cercare con umiltà, con costanza e con gioia di essere segni della presenza di Dio e del suo amore per l’uomo. Solo così potremo essere una forza trainante ed affascinante.

Ebbene, per essere una presenza profetica nella Chiesa e nel mondo, la vita consacrata deve evitare la tentazione di conformarsi alla mentalità secolarizzata, edonista e consumista di questo mondo e deve lasciarsi guidare dallo Spirito, che l’ha fatta sorgere come forma privilegiata di sequela e di imitazione di Cristo. Potremo così conoscere ed assumere il volere di Dio su di noi, in questa fase della storia, e portarlo dentro la nostra vita con gioia, convinzione ed entusiasmo. «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Non possiamo dimenticare che la vita cristiana, e a più ragione la vita consacrata, non ha altra vocazione e missione che essere «sale della terra» e «luce del mondo».

Sale della terra siamo noi quando viviamo lo spirito delle beatitudini, quando costruiamo la nostra vita a partire dal discorso della montagna, quando viviamo un’esistenza alternativa. Si tratta di essere persone che, di fronte a una società che privilegia il successo, l’effimero, il provvisorio, il denaro, il godimento, la potenza, la vendetta, il conflitto, la guerra, scelgono la pace, il perdono, la misericordia, la gratuità, lo spirito di sacrificio, cominciando dal cerchio ristretto della famiglia o della comunità per allargarsi poi alla società.

Gesù ci avverte però della possibilità che il sale perda il sapore, che i suoi discepoli non siano autentici. Egli segnala gli effetti disastrosi di ciò: «A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». O siamo discepoli con chiara identità evangelica, quindi significativi e utili per il mondo, o siamo da buttar via e da disprezzare, siamo degli infelici, non siamo nulla. Il cristianesimo, la fede, il vangelo, la vita consacrata hanno una valenza sociale e una responsabilità pubblica, perché sono vocazione e missione, e non possono essere intesi e vissuti “ad uso privato”.

Questo è il senso dell’esortazione con cui Gesù conclude le sue parole: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini». Gesù vuole che i suoi discepoli facciano del discorso della montagna un programma di vita. Mitezza, povertà, gratuità, misericordia, perdono, abbandono a Dio, fiducia, amore agli altri sono dunque le opere evangeliche che si devono far risplendere, quelle che ci fanno diventare “sale” e “luce”, quelle che ci aiutano a creare quella società alternativa che non permette all’umanità di corrompersi del tutto.

Noi, cari confratelli, siamo chiamati ad essere speranza, ad essere luce e sale; siamo chiamati a una missione verso la società e il mondo, una missione riassumibile in una parola: santità! Essere luce e sale vuol dire essere santi. L’art. 25 delle Costituzioni presenta la professione come fonte di santificazione. Dopo aver parlato dei confratelli che, vivendo in pienezza il progetto di vita evangelica, diventano stimolo nel nostro cammino di santificazione, esso così conclude: «La testimonianza di questa santità, che si attua nella missione salesiana, rivela il valore unico delle beatitudini ed è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani».

Ci diceva Giovanni Paolo II: «Sarebbe un controsenso accontentarci di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale... È ora di proporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria»[2], che è appunto la santità. Parafrasando Don Bosco, direi che è affascinante essere santi, perché la santità è luminosità, tensione spirituale, splendore, luce, gioia interiore, equilibrio, limpidezza, amore portato sino all’estremo.

Se è vero che la vita consacrata è «dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore», «albero piantato da Dio nella Chiesa», «dono speciale che aiuta la Chiesa nella missione salvifica» e che essa «appartiene fermamente alla vita e santità della Chiesa» (LG 43 e 44), ne consegue che una celebrazione capitolare è un evento ecclesiale nel senso autentico della parola. Si tratta di un vero “kairós”, in cui Dio opera per portare la Chiesa ad essere sempre più sposa di Cristo, tutta spendente, senza macchia e senza rughe.

 

5. Tema e obiettivo del CG26

In uno studio linguistico fatto all’indomani della determinazione del tema del CG26, don Julian Fox scriveva che la parola che tornava con maggior frequenza negli interventi del Rettor Maggiore, a partire dalla presentazione dei documenti del CG25, era “passione”, unita ordinariamente a “da mihi animas”.[3] La sua conclusione è che il “da mihi animas” di Don Bosco è ciò che dà contenuto e senso alla parola “passione”, da me usata frequentemente nei miei scritti; detto altrimenti, il termine “passione” descrive molto bene il significato del “da mihi animas”.

Questo linguaggio si è fatto più intenso a partire del Congresso internazionale della vita consacrata, svoltosi a Roma a fine novembre 2004, che ebbe appunto come tema programmatico “Passione per Cristo, passione per l’Umanità”. Come membro del Consiglio esecutivo e della Commissione teologica della USG, ho avuto la possibilità di contribuire alla scelta di questo tema, che intendeva rimarcare la centralità della “passione” nella testimonianza odierna della vita consacrata.

All’interno della tradizione salesiana e nel contesto più ampio della vita consacrata, tale scelta è ordinata a riportare noi consacrati a coltivare una potente forza trainante, un’immensa energia che è appunto quella del desiderio. L’unione profonda tra “passione” e “da mihi animas” appartiene alla nostra struttura genetica non a livello formale, ma essenziale. In questo sentire, che è dono carismatico del nostro fondatore, tale “passione” ci collega profondamente a Dio e ai giovani. La scelta del tema “Da mihi animas, cetera tolle” ha perciò voluto andare alle radici del nostro carisma, alla “fondamentale” scelta spirituale e apostolica di Don Bosco, che egli stesso ha lasciato come programma di vita ai Salesiani (cf. Cost 4). Tale motto sintetizza infatti la nostra identità carismatica e la nostra missione.

Da mihi animas esprime una missione desiderata, richiesta, accettata. La missione è dono di Dio; è Lui che vuole essere tra i giovani tramite noi, perché Egli stesso vuole salvarli, vuole donare loro la sua pienezza di vita; la missione è perciò da desiderare, perché nasce nel cuore di Dio salvatore e non dalla nostra volontà. La missione è inoltre un dono che deve essere chiesto; il missionario dei giovani non è padrone né della sua vocazione né dei destinatari; la missione si realizza in primo luogo in colloquio col Signore della messe; ciò implica una relazione profonda con Dio, vero prerequisito di ogni missione. La missione è poi un dono che si accetta; questo domanda l’identificazione con il carisma e la cura della fedeltà vocazionale attraverso la formazione iniziale e la formazione permanente; sarà questa fedeltà a proteggerci dalla disaffezione a Dio e ai giovani.

Cetera tolle rappresenta la disposizione interiore e lo sforzo ascetico per accogliere la missione. È una scelta di distacco da tutto ciò che ci allontana da Dio e dai giovani. Tale scelta ci domanda: una vita personale e comunitaria più semplice e più povera, con una conseguente riorganizzazione istituzionale del lavoro, che ci aiuti a superare il rischio di essere gestori delle opere più che evangelizzatori dei giovani; l’attenzione alle nuove povertà dei giovani e dei nostri destinatari in genere; l’apertura alle nuove frontiere dell’evangelizzazione in un impegno apostolico profondamente rinnovato.

L’obiettivo del CG26 è quello di toccare il cuore del salesiano, per far sì che ogni confratello sia “un nuovo Don Bosco”, un suo interprete oggi! Abbiamo espresso questo traguardo dicendo che il CG26 vuole «risvegliare il cuore del Salesiano con la passione del ‘Da mihi animas’». Siamo certi di raggiungere l’obiettivo, se ogni salesiano si identificherà con Don Bosco, accogliendolo nella propria vita come “padre e modello” (Cost 21). Per questo dovremo rinnovare la nostra attenzione ed il nostro amore alle Costituzioni, cogliendone tutta la forza carismatica.

A tale riguardo, vorrei indicarvi in modo particolare il capitolo secondo delle Costituzioni che ci presenta lo “spirito salesiano”. Ricordiamo quanto Don Bosco ci ha lasciato scritto nel suo Testamento spirituale: “Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire con l’esatta osservanza delle nostre Costituzioni”.[4] E don Rua ci ripete: «Quando il Venerabile D. Bosco inviò i suoi primi figliuoli in America, volle che la fotografia lo rappresentasse in mezzo a loro nell’atto di consegnare a Don Giovanni Cagliero, capo della spedizione, il libro delle nostre Costituzioni. Quante cose diceva D. Bosco con quell’atteggiamento! … Vorrei accompagnarvi io stesso, confortarvi, consolarvi, proteggervi. Ma quello che non posso fare io, lo farà questo libretto. Custoditelo come preziosissimo tesoro».[5] E infine affermava don Rinaldi: “Tutto Don Bosco si trova in esse”.

 

6. Identità carismatica e passione apostolica

Il tema del CG26 “Da mihi animas, cetera tolle” ha come sottotitolo l’espressione “identità carismatica e passione apostolica”. In fin dei conti, il rinnovamento profondo di cui ha bisogno la Congregazione in quest’ora storica e al quale tende questo Capitolo Generale, dipende dall’unione inseparabile di questi due elementi. A mio avviso, è da superare fin dall’inizio il classico dilemma tra “identità carismatica e rilevanza sociale”. Di fatto, questo è un falso problema: non si tratta infatti di due fattori indipendenti e la loro contrapposizione può tradursi in tendenze ideologiche che snaturano la vita consacrata, diventano causa di inutili tensioni e sterili sforzi, provocano un senso di fallimento. Mi domando dunque: dove trovare l’identità salesiana, quella che garantì la rilevanza sociale della Congregazione, manifestatasi nel “fenomeno salesiano”, come fu chiamato da Paolo VI, frutto della sua incredibile crescita vocazionale e della sua espansione mondiale?

Capita a noi ciò che oggi vive la Chiesa. Essa «sta sempre davanti a due imperativi sacri che la mantengono in una tensione insuperabile. Da una parte è legata alla memoria viva, all’assimilazione teorica e alla risposta storica alla rivelazione di Dio in Cristo, che è origine e fondamento della sua esistenza. Dall’altra, è legata e inviata alla comunicazione generosa della salvezza offerta da Dio a tutti gli uomini, che essa raggiunge attraverso l’evangelizzazione, la celebrazione sacramentale, la testimonianza viva e la collaborazione generosa di ciascuno dei suoi membri. La cura dell’identità e l’esercizio della missione sono ugualmente sacri. Quando la fedeltà alle origini e la preoccupazione per l’identità sono sproporzionate o sono eccessive, la Chiesa si converte in una setta e soccombe al fondamentalismo. Quando la preoccupazione per la sua rilevanza davanti alla società e alle cause comuni dell’umanità è portata sino al limite, in cui si dimenticano le proprie fonti sorgive, allora la Chiesa arriva all’orlo della dissoluzione e finalmente della insignificanza».[6]

Ecco i due elementi costitutivi per la Chiesa e, dunque. per la Congregazione: la sua identità, che consiste nell’essere discepoli di Gesù Cristo, e la sua missione, che è centrata sul lavorare per la salvezza degli uomini, nel nostro caso quella dei giovani. La preoccupazione ossessiva per l’identità sbocca nel fondamentalismo e così si perde la rilevanza. L’affanno per una rilevanza sociale nello svolgimento della missione, a qualsiasi prezzo e a scapito della perdita d’identità, porta invece alla dissoluzione dello stesso “essere Chiesa”.

Ciò significa che la fedeltà della Chiesa, e a fortiori quella della Congregazione, dipende dall’unione inseparabile di questi due fattori: identità carismatica e rilevanza sociale. Sovente impostando questi elementi come antagonisti o semplicemente disgiungendoli, “o identità o rilevanza”, noi possiamo cadere in una concezione errata della vita consacrata, pensando che se c’è molta identità di fede e di carisma, possa soffrirne l’impegno sociale e conseguentemente vi possa essere poca significatività della nostra vita. Dimentichiamo che “la fede senza le opere è sterile” (Gc 2,20). Non si tratta di una alternativa, ma di una integrazione!

Parlando del rinnovamento della vita consacrata, nel n. 2 del Decreto Perfectae Caritatis il Concilio Vaticano II proponeva questo orientamento di base: “L’adeguato rinnovamento della vita religiosa comprende, al tempo stesso, un ritorno incessante alle fonti di ogni vita cristiana, alla ispirazione originaria degli istituti e un adattamento di questi alle condizioni mutevoli dei tempi”.

Sono tre i riferimenti di questo programma di rinnovamento: 1) un ritorno continuo alle sorgenti di ogni vita cristiana; 2) un ritorno continuo all’ispirazione originaria degli istituti; 3) un adattamento degli istituti alle mutevoli condizioni dei tempi. C’è però prima un criterio che diventa normativo, vale a dire, le tre richieste della riforma vanno insieme: simul. Non ci può essere nessun rinnovamento adeguato con una sola di tali prospettive. Forse questo è stato lo sbaglio di certi tentativi falliti di riforma della vita consacrata. Nell’immediato periodo postconciliare, mentre alcuni sottolineavano l’ispirazione originaria dell’istituto attraverso una forte identità, altri optavano per l’adeguamento alla nuova situazione del mondo contemporaneo con un impegno sociale più forte. Così tutte e due le polarizzazioni restavano infeconde e senza un’effettiva forza di convinzione.

Più volte ho condiviso la profonda impressione che mi fece la visita alla Casa Madre delle Suore della Carità in Calcutta, appunto per la particolare convinzione che Madre Teresa ha saputo trasmettere alle sue Suore: tanto più ti dai da fare per coloro cui nessuno bada, i più poveri e bisognosi, tanto più devi esprimere la differenza, la ragione fondamentale di questa preoccupazione, che è Cristo Crocifisso. L’unica forma, in cui diventa chiara la testimonianza della vita consacrata, si ha quando essa è capace di rivelare che Deus caritas est. Madre Teresa scriveva: “Una preghiera più profonda ti porta a una fede più vibrante, una fede più vibrante a un amore più espansivo, un amore più espansivo a una consegna più altruista, una consegna più altruista a una pace duratura”.

L’identificazione con la società contemporanea, senza una profonda identificazione con Gesù Cristo, perde la sua capacità simbolica e la sua forza ispirante. Solo questa ispirazione rende possibile la differenza di cui la società necessita. La sola identificazione con un gruppo sociale o con un determinato programma politico, anche carico di impatto sociale, non è più eloquente né credibile. Per questo scopo ci sono altre istituzioni e organizzazioni nel mondo d’oggi.

Ecco quanto Don Bosco ha saputo fare in modo straordinario. Ce lo presenta in maniera magistrale il nostro testo costituzionale all’articolo 21, parlando appunto di Don Bosco come Padre e Maestro e offrendocelo come modello. Le ragioni presentate sono tre:

a) Egli riuscì a realizzare nella propria vita uno splendido accordo di natura e di grazia

    1. profondamente uomo                     - profondamente uomo di Dio
    2. ricco delle virtù della sua gente       - ricolmo dei doni dello Spirito Santo
    3. egli era aperto alle realtà terrestri   - egli viveva come se vedesse l’invisibile
Ecco dunque la sua identitàb) Questi due aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani

 

    1. con fermezza e costanza
    2. fra ostacoli e fatiche
    3. con la sensibilità di un cuore generoso
    4. non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù.
Ecco in questo la sua rilevanza.c) Realmente non ebbe a cuore altro che le anime.

 

    1. totalmente consacrato a Dio e pienamente votato ai giovani
    2. educava evangelizzando ed evangelizzava educando
Ecco la grazia dell’unità.Oggi la Congregazione ha bisogno di questa conversione, che ci faccia nel contempo recuperare l’identità carismatica e la passione apostolica. Il nostro impegno per la salvezza dei giovani, specialmente i più poveri, passa necessariamente attraverso l’identificazione carismatica.

 

In Don Bosco la santità rifulge dalle sue opere, è vero; ma le opere sono solo l’espressione della sua vita di fede. Unione con Dio è vivere in Dio la propria vita; è stare alla Sua presenza; è partecipazione alla vita divina che è in noi. Don Bosco fece della rivelazione di Dio e del suo Amore, la ragione della propria vita, secondo la logica delle virtù teologali: con una fede che diventava segno affascinante per i giovani, con una speranza che era parola luminosa per loro, con una carità che si faceva gesto di amore nei loro confronti.

 

7. Conclusione

Carissimi Confratelli Capitolari, il 3 aprile 2002 sono stato eletto Rettor Maggiore dal CG25 e i giorni successivi furono eletti il Vicario e gli altri Consiglieri di Settore e di Regione, con il compito di animare e governare la Congregazione per il sessennio 2002-2008. Durante questi sei anni abbiamo cercato di vivere con intensità tale compito, investendo le nostre migliori energie.

Don Luc Van Looy, dopo poco più di un anno, è stato chiamato dal Santo Padre al ministero episcopale come Vescovo della Diocesi di Gent nel Belgio. Questo ci ha obbligato a nominare un nuovo Vicario, don Adriano Bregolin, e di conseguenza, un nuovo Regionale per l’Italia e Medio Oriente nella persona di don Pier Fausto Frisoli. Uno di noi, don Valentín De Pablo, è venuto a mancare mentre realizzava la Visita straordinaria alla Visitatoria AFO. Due Consiglieri, don Antonio Domenech e don Helvécio Baruffi, sono stati provati duramente dalla malattia. E infine, il 23 gennaio scorso il Santo Padre ha nominato Vescovo don Tarcisio Scaramussa, Consigliere per la Comunicazione Sociale, affidandogli l’impegnativo compito di Ausiliare nell’Arcidiocesi di São Paulo.

Mentre ringrazio ciascuno dei Consiglieri per la vicinanza e la collaborazione leale, generosa e qualificata nei diversi ruoli loro affidati, è oggi il momento di dare di nuovo la voce all’Assemblea Capitolare, che rappresenta la massima espressione di autorità nella vita della Congregazione. A tutti voi, carissimi confratelli, dunque la parola, ma anche l’invito ad aprire il cuore allo Spirito, il grande Maestro interiore che ci guida sempre verso la verità e la pienezza di vita.

Concludo affidando questo avvenimento pentecostale della nostra Congregazione alla Madonna, a Maria Ausiliatrice. Ella è stata presente sempre nella nostra storia e non ci farà mancare la sua presenza ed il suo aiuto in questa ora. Come nel Cenacolo, Maria, l’esperta dello Spirito, ci insegnerà a lasciarci guidare da Lui «per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2b).

Roma, 3 marzo 2008.

[1] Cf. V. Bosco, Il Capitolo: momento di profezia per tenere il passo di Dio, Elle Di Ci, Torino 1980, p 8.
[2]37 Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, n. 31. Cfr. anche Ripartire da Cristo, n. 46.
[3] The reference is essentially to a sentence in n. 20 of GC25: «Ogni comunità è formata da uomini, immersi nella società, che esprimono la passione evangelica del “da mihi animas, cetera tolle” con l’ottimismo della fede, con la dinamicità e la creatività della speranza e con la bontà e la donazione totale della carità».  Each community expresses the Gospel-based passion of the ‘da mihi animas’. So while the RM doesn’t actually mention the term ‘passion’ as the very first thing he wrote to the whole Congregation by way of the introduction to the GC25 documents, he is introducing a document that does, and he soon takes up the twin terms ‘passion’ and ‘da mihi animas’ in subsequent letters anyway.  We can say that they were there from the beginning of his consciousness as Rector Major. (J. Fox, 06.04.2006).
[4] Cfr. “Dal Testamento spirituale di San Giovanni Bosco”, scritti di don bosco, in “Costituzioni e Regolamenti”, ed. 2003, p. 257.
[5] Lettera circolare del 1 dicembre 1909, in Lettere circolari di Don Miche Rua ai Salesiani, Direzione Generale delle Opere Salesiane, Torino 1965, p. 498.
[6] O. González de Cardenal,  Ratzinger y Juan Pablo II. La Iglesia entre dos milenios, Ed. Sígueme, Salamanca 2005, pp. 224 ss.

ALLEGATO 4

Indirizzo di omaggio del Rettor Maggiore al Santo Padre in occasione dell’Udienza pontificia

 

Beatissimo Padre,

         sentiamo una gioia grande e consideriamo uno stupendo dono di Dio poter incontrare Vostra Santità in occasione del nostro 26° Capitolo Generale. Sono lieto di poterLe presentare i membri del nuovo Consiglio Generale, eletti nella scorsa settimana, e tutti gli altri Ispettori-Provinciali, assieme ai rispettivi delegati delle 96 Circoscrizioni nelle quali è suddivisa la nostra Società Salesiana. Sono presenti anche alcuni invitati nel ruolo di osservatori. In tutto 233 membri, che rappresentano i  quasi 16.000 Salesiani presenti in 129 paesi del mondo.

La gioia che produce in noi l’incontro con il Santo Padre è frutto ed espressione del nostro Carisma. Infatti il nostro Padre Don Bosco era solito dire: “Qualunque fatica è poca quando si tratta della Chiesa e del Papato” (MB V, 577). Egli aveva una visione radicata nella certezza della presenza viva dello Spirito Santo nella Chiesa, nella convinzione che il Papa è il Vicario di Cristo sulla terra, e nella coscienza che la Madonna è l’Ausiliatrice dei Cristiani. In coerenza con tali principi promosse e realizzò iniziative, prese decisioni ed accettò difficili compiti, sempre facendo della volontà del Santo Padre un punto di riferimento fondamentale della sua azione e della sua spiritualità. Questo modo di sentire è vivo in noi, Beatissimo Padre e, con questo, oltre ad esprimere la nostra vicinanza e adesione alla persona del Papa, intendiamo esprimere il nostro Amore e la nostra piena dedizione al servizio della Chiesa.

Il Capitolo che stiamo celebrando ha focalizzato l’attenzione su un importante nucleo carismatico della nostra Congregazione Salesiana: “Da mihi animas, cetera tolle”. Questa breve preghiera è il motto che Don Bosco scelse, fin dagli inizi, per il suo apostolato tra i giovani. Egli intendeva così esprimere, al tempo stesso, la sua totale consegna a Dio, una grande passione apostolica, e la disponibilità totale ad ogni rinuncia, pur di poter portare a compimento la sua missione.

Durante questo Capitolo Generale abbiamo voluto confrontarci con questa dedizione totale a Dio nei giovani del nostro Santo Fondatore. Ci siamo proposti di ritornare a Don Bosco e ripartire da lui con la volontà di studiarlo, amarlo, imitarlo ed invocarlo, applicandoci alla conoscenza della sua storia e delle origini della Congregazione; e tutto questo per “ritornare ai giovani”, per essere in ascolto delle loro invocazioni e farci carico delle loro inquietudini e delle loro attese, alla luce della cultura odierna.

Sentiamo tutta l’attualità del Carisma educativo di cui siamo portatori, Beatissimo Padre, e intendiamo viverlo intensamente per il bene della gioventù come un apporto originale a quella che è la missione evangelizzatrice della Chiesa.

La celebrazione di un Capitolo Generale è sempre anche un momento di verifica e siamo lieti di poter constatare che i nostri Confratelli stanno operando con fedeltà ed efficacia in tante parti del mondo. Trent’anni fa il Rettor Maggiore, don Egidio Viganò aveva dato origine al “Progetto Africa”. Una vasta iniziativa di gemellaggi missionari ha fatto sì che la nostra presenza si potesse moltiplicare, estendendosi fino a raggiungere 42 paesi del continente. Oggi i Confratelli in Africa sono più di 1200 e la maggioranza di essi sono autoctoni. In America Latina continuiamo a lavorare con grande impegno nel campo dell’educazione. È sempre grande l’attenzione ai giovani più poveri delle periferie urbane, della strada e anche delle zone meno progredite del continente. In Asia e Oceania, dove la religione cattolica è percentualmente poco diffusa, abbiamo una grande fioritura vocazionale e l’evangelizzazione è portata avanti con entusiasmo e con frutto, soprattutto tra le popolazioni di origine tribale. Così in India, in Indonesia, nel Vietnam, a Timor, fino alle Isole Figi e Samoa. Un sogno ci resta nel cuore, quello di dedicarci anche alla gioventù della grande Cina e così portare a compimento il sogno missionario di Don Bosco. Quando al Signore piacerà aprire anche questa porta, sarà una grande gioia per tutta la Chiesa e anche per la nostra Congregazione.

Siamo consapevoli, Santità, che la “missio ad gentes” è una vocazione che ci chiama con rinnovato impegno anche verso il continente europeo, come pure verso le zone più progredite del continente nord-americano e dell’Australia. Don Bosco ci spinge a ricercare nuove strade per incontrare anche questi giovani, che molte volte non presentano segni di povertà materiale, ma certamente hanno una grande povertà dal punto di vista spirituale; sono in cerca di risposte e non hanno amici del cuore; sono affamati di vita e hanno perso il senso della vita. Per tutto ciò il Capitolo Generale è orientato a formulare un “Progetto Europa”, mirato a ridisegnare la presenza salesiana con maggiore incisività ed efficacia in questo continente. Cercare, cioè, una nuova proposta di evangelizzazione per rispondere ai bisogni spirituali e morali di questi giovani, che ci appaiono un po’ come pellegrini senza guide e senza meta.

Beatissimo Padre, mentre rinnoviamo i sentimenti della nostra filiale riconoscenza, Le assicuriamo la preghiera costante per le sue intenzioni per la Chiesa e per il mondo, ed accogliamo da Lei con gioia quelle indicazioni che più chiaramente potranno segnare il cammino della nostra Congregazione nei prossimi sei anni, che ci prepareranno in maniera immediata alla celebrazione del bicentenario della nascita di Don Bosco (1815-2015).

Ci senta sempre suoi devotissimi figli e ci benedica.

Roma, 31 marzo 2008

 

ALLEGATO 5

Discorso di Sua Santità BENEDETTO XVI

nell’Udienza ai Capitolari del 31 marzo 2008

Cari Membri del Capitolo Generale della Congregazione Salesiana,

mi è gradito incontrarvi quest’oggi mentre i vostri lavori capitolari stanno ormai giungendo alla loro fase conclusiva. Ringrazio innanzitutto il Rettore Maggiore, Don Pascual Chávez Villanueva, per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti voi, confermando la volontà della Congregazione di operare sempre con la Chiesa e per la Chiesa, in piena sintonia col Successore di Pietro. Lo ringrazio pure per il servizio generoso svolto nel sessennio scorso e gli porgo i miei auguri per l’incarico che gli è stato appena rinnovato. Saluto anche i membri del nuovo Consiglio Generale, che aiuteranno il Rettore Maggiore nel suo compito di animazione e di governo di tutta la vostra Congregazione.

Nel messaggio indirizzato all’inizio dei vostri lavori al Rettore Maggiore, e per suo tramite a voi Capitolari, avevo espresso alcune attese che la Chiesa ripone in voi Salesiani ed avevo pure offerto alcune considerazioni per il cammino della vostra Congregazione. Oggi intendo riprendere ed approfondire alcune di queste indicazioni, anche alla luce del lavoro che state svolgendo. Il vostro XXVI Capitolo Generale si colloca in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali; di irrisolti conflitti tra etnie e nazioni. In questo nostro tempo vi sono, d’altra parte, comunicazioni più intense fra i popoli, nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, un più vivace confronto sui valori spirituali che danno senso all’esistenza. In particolare, gli appelli che i giovani ci rivolgono, soprattutto le loro domande sui problemi di fondo, fanno riferimento agli intensi desideri di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva che essi nutrono. Sono situazioni che interpellano a fondo la Chiesa e la sua capacità di annunciare oggi il Vangelo di Cristo con tutta la sua carica di speranza. Auguro perciò vivamente che tutta la Congregazione salesiana, grazie anche ai risultati del vostro Capitolo Generale, possa vivere con rinnovato slancio e fervore la missione per cui lo Spirito Santo, per l’intervento materno di Maria Ausiliatrice, l’ha suscitata nella Chiesa. Voglio oggi incoraggiare voi e tutti i Salesiani a continuare sulla strada di questa missione, in piena fedeltà al vostro carisma originario, nel contesto ormai dell’imminente bicentenario della nascita di Don Bosco.

 

Con il tema “Da mihi animas, cetera tolle” il vostro Capitolo Generale si è proposto di ravvivare la passione apostolica in ogni Salesiano ed in tutta la Congregazione. Ciò aiuterà a caratterizzare meglio il profilo del Salesiano, in modo che egli diventi sempre più consapevole della sua identità di persona consacrata “per la gloria di Dio” e sia sempre più infiammato di slancio pastorale “per la salvezza delle anime”. Don Bosco volle che la continuità del suo carisma nella Chiesa fosse assicurata dalla scelta della vita consacrata. Anche oggi il movimento salesiano può crescere in fedeltà carismatica solo se al suo interno continua a permanere un nucleo forte e vitale di persone consacrate. Perciò, al fine di irrobustire l’identità di tutta la Congregazione, il vostro primo impegno consiste nel rafforzare la vocazione di ogni Salesiano a vivere in pienezza la fedeltà alla sua chiamata alla vita consacrata. Tutta la Congregazione deve tendere ad essere continuamente “memoria vivente del modo di essere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli” (Vita consecrata, 22). Cristo sia il centro della vostra vita! Occorre lasciarsi afferrare da Lui e da Lui bisogna sempre ripartire. Tutto il resto sia considerato “una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” ed ogni cosa sia ritenuta “come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3, 8). Da qui nasce l’amore ardente per il Signore Gesù, l’aspirazione ad immedesimarsi con Lui assumendone i sentimenti e la forma di vita, l’abbandono fiducioso al Padre, la dedizione alla missione evangelizzatrice, che devono caratterizzare ogni Salesiano: egli deve sentirsi scelto per porsi al seguito di Cristo obbediente, povero e casto, secondo gli insegnamenti e gli esempi di Don Bosco.

Il processo di secolarizzazione, che avanza nella cultura contemporanea, non risparmia purtroppo nemmeno le comunità di vita consacrata. Occorre per questo vigilare su forme e stili di vita che rischiano di rendere debole la testimonianza evangelica, inefficace l’azione pastorale e fragile la risposta vocazionale. Vi domando perciò di aiutare i vostri Confratelli a custodire e a ravvivare la fedeltà alla chiamata. La preghiera rivolta da Gesù al Padre prima della sua Passione, perché custodisse nel suo nome tutti i discepoli che Gli aveva dato e perché nessuno di loro si perdesse (cfr Gv 17,11-12), vale in particolare per le vocazioni di speciale consacrazione. Per questo “la vita spirituale deve essere al primo posto nel programma” della vostra Congregazione (Vita consecrata,93). La Parola di Dio e la Liturgia siano le sorgenti della spiritualità salesiana! In particolare la lectio divina, praticata quotidianamente da ogni Salesiano, e l’Eucaristia, celebrata ogni giorno nella comunità, ne siano l’alimento ed il sostegno. Da qui nascerà l’autentica spiritualità della dedizione apostolica e della comunione ecclesiale. La fedeltà al Vangelo vissuto sine glossa e alla vostra Regola di vita, in particolare un tenore di vita austero e la povertà evangelica praticata in modo coerente, l’amore fedele alla Chiesa e il generoso dono di voi stessi ai giovani, specialmente ai più bisognosi e svantaggiati, saranno garanzia della fioritura della vostra Congregazione.

Don Bosco è fulgido esempio di una vita improntata alla passione apostolica, vissuta a servizio della Chiesa entro la Congregazione e la Famiglia salesiana. Alla scuola di San Giuseppe Cafasso, il vostro Fondatore imparò ad assumere il motto “Da mihi animas, cetera tolle” come sintesi di un modello di azione pastorale ispirato alla figura e alla spiritualità di San Francesco di Sales. L’orizzonte in cui si colloca tale modello è quello del primato assoluto dell’amore di Dio, un amore che giunge a plasmare personalità ardenti, desiderose di contribuire alla missione di Cristo per accendere tutta la terra con il fuoco del suo amore (cfr Lc 12,49). Accanto all’ardore dell’amore di Dio, l’altra caratteristica del modello salesiano è la coscienza del valore inestimabile delle “anime”. Questa percezione genera, per contrasto, un acuto senso del peccato e delle sue devastanti conseguenze nel tempo e nell’eternità. L’apostolo è chiamato a collaborare all’azione redentrice del Salvatore, affinché nessuno vada perduto. “Salvare le anime” fu quindi l’unica ragion d’essere di Don Bosco. Il Beato Michele Rua, suo primo successore, così sintetizzò tutta la vita del vostro amato Padre e Fondatore: “Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù ... Realmente non ebbe a cuore altro che le anime”.

Anche oggi è urgente alimentare nel cuore di ogni Salesiano questa passione. Egli non avrà così paura di spingersi con audacia negli ambiti più difficili dell’azione evangelizzatrice a favore dei giovani, specialmente dei più poveri materialmente e spiritualmente. Avrà la pazienza ed il coraggio di proporre ai giovani di vivere la stessa totalità di dedizione nella vita consacrata. Egli avrà il cuore aperto a individuare i nuovi bisogni dei giovani e ad ascoltare la loro invocazione di aiuto, lasciando eventualmente ad altri i campi già consolidati di intervento pastorale. Egli affronterà per questo le esigenze totalizzanti della missione con una vita semplice, povera ed austera, nella condivisione delle stesse condizioni dei più poveri ed avrà la gioia di dare di più a chi nella vita ha avuto di meno. La passione apostolica si farà così contagiosa e coinvolgerà anche altri. Il Salesiano diventa pertanto promotore del senso apostolico, aiutando prima di tutto i giovani a conoscere ed amare il Signore Gesù, a lasciarsi affascinare da Lui, a coltivare l’impegno evangelizzatore, a voler far del bene ai propri coetanei, ad essere apostoli di altri giovani, come San Domenico Savio, la Beata Laura Vicuña ed il Beato Zefirino Namuncurà e i cinque giovani Beati Martiri dell’oratorio di Poznań. Cari Salesiani, sia vostro impegno formare laici con cuore apostolico, invitando tutti a camminare nella santità di vita che fa maturare discepoli coraggiosi ed autentici apostoli.

Nel messaggio che ho indirizzato al Rettore Maggiore all’inizio del vostro Capitolo Generale ho voluto consegnare idealmente a tutti i Salesiani la Lettera da me recentemente inviata ai fedeli di Roma, sulla preoccupazione di quella che ho chiamato una grande emergenza educativa. «Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile: perciò non pochi genitori e insegnanti sono tentati di rinunciare al proprio compito, e non riescono più nemmeno a comprendere quale sia, veramente, la missione loro affidata. Troppe incertezze e troppi dubbi, infatti, circolano nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini distorte sono veicolate dai mezzi di comunicazione sociale. Diventa difficile, così, proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle regole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita» (Discorso nella consegna alla Diocesi di Roma della Lettera sul compito urgente dell’educazione, 23 febbraio 2008). In realtà, l’aspetto più grave dell’emergenza educativa è il senso di scoraggiamento che prende molti educatori, in particolare genitori ed insegnanti, di fronte alle difficoltà che presenta oggi il loro compito. Così scrivevo infatti nella citata lettera: «Anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti, e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini ‘senza speranza e senza Dio in questo mondo’, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita», che, in fondo, non è altro che sfiducia in quel Dio che ci ha chiamati alla vita. Nell’educazione dei giovani è estremamente importante che la famiglia sia un soggetto attivo. Essa è spesse volte in difficoltà nell’affrontare le sfide dell’educazione; tante volte è incapace di offrire il suo specifico apporto, oppure è assente. La predilezione e l’impegno a favore dei giovani, che sono caratteristica del carisma di Don Bosco, devono tradursi in un pari impegno per il coinvolgimento e la formazione delle famiglie. La vostra pastorale giovanile quindi deve aprirsi decisamente alla pastorale familiare. Curare le famiglie non è sottrarre forze al lavoro per i giovani, anzi è renderlo più duraturo e più efficace. Vi incoraggio perciò ad approfondire le forme di questo impegno, su cui già vi siete incamminati; ciò tornerà anche a vantaggio dell’educazione ed evangelizzazione dei giovani.

 

Di fronte a questi molteplici compiti è necessario che la vostra Congregazione assicuri, specialmente ai suoi membri, una solida formazione. La Chiesa ha urgente bisogno di persone di fede solida e profonda, di preparazione culturale aggiornata, di genuina sensibilità umana e di forte senso pastorale. Essa necessita di persone consacrate, che dedichino la loro vita a stare su queste frontiere. Solo così diventerà possibile evangelizzare efficacemente. A questo impegno formativo pertanto la vostra Congregazione deve dedicarsi come ad una sua priorità. Essa deve continuare a formare con grande cura i suoi membri senza accontentarsi della mediocrità, superando le difficoltà della fragilità vocazionale, favorendo un solido accompagnamento spirituale e garantendo nella formazione permanente la qualificazione educativa e pastorale.

Concludo rendendo grazie a Dio per la presenza del vostro carisma al servizio della Chiesa. Vi incoraggio nella realizzazione dei traguardi che il vostro Capitolo Generale proporrà a tutta la Congregazione. Vi assicuro la mia preghiera per l’attuazione di ciò che lo Spirito vi suggerirà per il bene dei giovani, delle famiglie e di tutti i laici coinvolti nello spirito e nella missione di Don Bosco. Con questi sentimenti imparto ora a tutti voi, quale pegno di copiosi doni celesti, l’Apostolica Benedizione.

Città del Vaticano, Sala Clementina, 31 marzo 2008

 

ALLEGATO 6

Discorso del Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva alla chiusura del CG26

Il CG 26: Una carta di navigazione verso il Giubileo del 2015
All’insegna del “Da mihi animas, cetera tolle”

 

Carissimi confratelli,

Concludiamo oggi questa Pentecoste salesiana. Sì! Questo ha voluto essere il Capitolo Generale 26: una Pentecoste, un momento di particolare apertura allo Spirito del Signore. Ancora risuonano nei nostri cuori le parole che Papa Benedetto XVI ci ha trasmesse nel messaggio all’ apertura della nostra assise: «Il carisma di Don Bosco è un dono dello Spirito per l’intero Popolo di Dio, ma solo nell’ascolto docile e nella disponibilità all’azione divina è possibile interpretarlo e renderlo, anche in questo nostro tempo, attuale e fecondo… Riversando sui Capitolari l’abbondanza dei suoi doni, Egli raggiungerà il cuore dei Confratelli, li farà ardere del suo amore, li infiammerà del desiderio di santità, li spingerà ad aprirsi alla conversione e li rafforzerà nella loro audacia apostolica»[1] .

1.      L’evento capitolare: breve cronaca

In effetti, proprio così abbiamo voluto vivere il Capitolo: sotto la guida dello Spirito Santo, perché fosse Lui ad aiutarci a capire meglio, aggiornare e rendere fecondo il carisma del nostro Fondatore e Padre. Durante questi giorni, abbiamo sperimentato l’azione dello Spirito, che infiammava il nostro cuore per renderci testimoni eloquenti e coraggiosi del Signore Gesù, per portare ai giovani la buona novella della sua resurrezione e proporre loro l’esperienza gioiosa dell’incontro con Lui.

Le giornate vissute nei luoghi salesiani (San Francesco d’Assisi, Valdocco, Colle Don Bosco, Basilica di Maria Ausiliatrice e Santuario della Consolata) sono state splendide, apprezzate da tutti per l’opportunità di stare in contatto immediato con la culla – carismatica, spirituale ed apostolica – della nostra Congregazione. Per alcuni era la prima volta che avevano la gioia di visitare “i nostri luoghi santi”, per altri era la prima volta che ascoltavano una presentazione di Don Bosco, non tanto impostata su aneddoti di famiglia da raccontare e neppure su curiosità storiche da chiarire, ma piuttosto come un’esperienza spirituale e carismatica da rivivere. Insomma, quei giorni sono stati per tutti un modo concreto e – mi auguro – un primo passo per “ripartire da Don Bosco”.

I frutti dovranno essere copiosi: il desiderio di approfondire maggiormente l’eredità spirituale che ci è stata tramandata, l’impegno per far conoscere meglio Don Bosco e la nostra storia salesiana, la volontà di preparare formatori di salesianità e, infine, il desiderio di valorizzare di più questi luoghi legati al nostro carisma.

La presentazione dello stato della Congregazione, attraverso la relazione audiovisiva dei Dicasteri e delle Regioni, ha inteso esprimere il proposito di andare oltre la consegna di un libro, con la relazione del Rettor Maggiore. L’obiettivo specifico è stato quello di informare puntualmente i Capitolari sullo stato della Congregazione, per favorirne una visione globale ed un senso di  responsabilità comune. La Congregazione è di tutti noi e tutti siamo corresponsabili della sua crescita, delle sue risorse, delle sue sfide.  

Gli Esercizi Spirituali sono stati vissuti come un vero esercizio dello Spirito, superando la tentazione di ridurre la proposta spirituale ad un insieme di temi di studio o di aggiornamento teologico-spirituale. Questi giorni di ritiro hanno giovato a creare l’atmosfera di fede che è assolutamente indispensabile per fare del Capitolo un’esperienza di ascolto di Dio, di docilità allo Spirito, di fedeltà a Cristo. Mi sono sembrati esemplari – anche perché non è comune trovare questo ambiente in altre esperienze di Esercizi Spirituali – il silenzio, la preghiera personale prolungata nell’adorazione eucaristica, la celebrazione della Riconciliazione. Va rilevato inoltre che gli Esercizi ci hanno dato degli elementi di illuminazione importanti per quanto riguarda una maggiore comprensione teologica del carisma, della missione e della spiritualità salesiana.

Nel loro sviluppo concreto, i temi ci hanno offerto significative chiavi di lettura per imparare ad essere uomini di speranza, coinvolti nel disegno meraviglioso di Dio di salvare l’umanità, con la mistica del “Da mihi animas”, che fa dell’amore di Dio la forza trainante, e con l’ascetica del “cetera tolle”, che ci spinge a consegnare la nostra vita sino all’ultimo respiro. Un elemento importante da questa prospettiva è stato il chiarimento sulla missione, che non consiste tanto nel fare cose quanto nel diventare segno dell’amore di Dio. Proprio questo Amore è l’unica energia capace di liberare, in ciascuno di noi, le migliori potenzialità. Sappiamo di dover vivere tutto ciò all’insegna della gratuità e della grazia. Solo così si raggiunge quel particolare dono di Dio, la “grazia di unità”, per cui tutto è consacrazione e tutto è missione. Per quel che riguarda i destinatari, abbiamo udito come Don Bosco si sentì carismaticamente “toccato” dal pericolo che poteva mettere a repentaglio la felicità temporale ed eterna (la “salvezza”) dei giovani: l’abbandono in cui si potevano trovare di fronte a Dio e agli altri, un abbandono provocato dalla loro stessa povertà, talvolta drammatica. Per tutto ciò Don Bosco è per noi padre, maestro e modello. Egli, alla scuola di Maria Immacolata ed Ausiliatrice, volle caratterizzare la sua identità religiosa ponendo come punti base della sua vita il primato assoluto di Dio, il desiderio di una continua unione con Lui, per corrispondere pienamente alla sua volontà (obbedienza), come espressione di un amore totale (castità), nello spogliamento e nella rinuncia a tutto ciò che poteva impedire la sua più completa dedizione alla missione (povertà).

Vorrei ripercorrere ora con voi le tappe di questo cammino di Grazia che è stato il nostro Capitolo Generale.

La prima settimana del Capitolo (3-8 marzo) è stata dedicata alle procedure giuridiche ordinarie (presentazione e approvazione del Regolamento del CG26, elezione dei Moderatori), e soprattutto allo studio della Relazione del Rettor Maggiore da parte delle diverse Regioni. Queste, riflettendo sulla Relazione,  hanno individuato le grandi sfide che emergono dallo stato della Congregazione, e, di conseguenza, le linee di futuro da presentare al Rettor Maggiore e al suo Consiglio in vista della programmazione di animazione e governo per il sessennio 2008 – 2014.

Lo studio della Relazione è stato un elemento fondamentale per l’approfondimento del tema capitolare, tenendo conto che più che mai questo Capitolo si proponeva non tanto l’elaborazione di un documento, quanto il rinnovamento della vita della Congregazione con il pressante appello a “ripartire da Don Bosco”. Esserci resi conto di dove siamo, ci permette di scoprire meglio la via di “ritorno a Don Bosco”, gli elementi da recuperare per ripartire da lui con uno rinnovato slancio.

La seconda settimana (10-15 marzo) è stata tutta impegnata nello studio dei primi tre nuclei tematici. Sono state presentate anche le questioni affrontate dalla Commissione Giuridica, specialmente quelle che avevano a che vedere con la configurazione del Consiglio Generale. Era necessario infatti arrivare alle elezioni avendo risposto alle richieste delle Ispettorie o dei singoli confratelli. Per quel che riguarda lo studio dei nuclei tematici è stato particolarmente apprezzato lo “Strumento di lavoro” come punto di partenza della riflessione capitolare. Ciò, da una parte, rappresentava la prova evidente del buon lavoro compiuto dalla Commissione Precapitolare, dall’altra sottolineava pure la validità dell’apporto offerto al CG26 dai vari Capitoli Ispettoriali. Ne sono lieto perché, come avevo scritto nella lettera di convocazione, il CG26, come processo di riflessione, ha avuto il suo inizio proprio nelle Ispettorie, con lo studio dei temi proposti e l’attivazione di un cammino di rinnovamento. Le Commissioni quindi hanno lavorato su un testo che era capitolare e non più pre-capitolare, un vero documento di partenza e non solo un sussidio. I contributi offerti dalla Commissioni lo hanno arricchito e perfezionato. Si è trattato di puntualizzazioni e cambiamenti non solo linguistici, ma tendenti a soprattutto rispondere, in maniera più adeguata, alla situazione secondo la varietà dei contesti sociali, culturali, politici e religiosi in cui la Congregazione si trova ad operare. Questo è stato il compito dell’Assemblea, che a ragione è divenuta così il vero autore del documento capitolare.

La terza settimana (17-20 marzo) è stata centrata più chiaramente sul lavoro in Assemblea, per una condivisione del lavoro fatto dalle Commissioni. È stato il momento in cui ha potuto avere spazio anche  il pensiero e la preoccupazione dei singoli capitolari che intendevano aiutare ad illuminare il tema, dar voce a sensibilità e visioni diverse, favorire, sui diversi aspetti, una votazione del documento che fosse più cosciente, più personale, più responsabile. Una sottolineatura andrebbe fatta sul fatto che dagli interventi spesso è emerso che maggiormente ci preoccupa.Così, per esempio, parlando dell’urgenza di evangelizzare, si è evidenziato che essa va intesa e vissuta nella forma in cui noi salesiani evangelizziamo; e questo sia per quanto riguarda i nostri destinatari prioritari (i giovani), sia per quanto si può riferire alle modalità dell’evangelizzazione. Parlando della necessità di convocare, lo si deve fare con la stessa convinzione di Don Bosco, per aiutare i giovani a scoprire il sogno di Dio sulla loro vita ed incoraggiarli a dare a Dio almeno un’opportunità. Le vocazioni – lo dicevo io stesso nel discorso di apertura – non sono una missione, ma il frutto della missione, quando essa viene ben fatta. Se a questo aggiungiamo la constatazione delle folle immense di giovani che vivono in situazioni di estrema precarietà e di lotta per la loro sopravvivenza, o di altri che, pur non avendo problemi di povertà materiale, conducono la vita “senza bussola”, o magari sprecano questo dono prezioso con scelte che non appagano o che diventano cammino di autodistruzione, non possiamo non darci da fare per far maturare vocazioni. Parlando della povertà evangelica, vediamo in essa un invito del Signore a fare nostra la sua beatitudine, vivendo liberi dall’affanno dei beni terreni, superando la tentazione dell’arricchimento, assumendo uno stile di vita austero, semplice, che liberi il nostro cuore e la nostra mente da tante cose che ostacolano la nostra dedizione totale alla missione, rendendoci meno credibili. La ricchezza è un vero pericolo: essa rende gli uomini miopi nei confronti dei valori duraturi (vedi il ricco stolto, Lc 12,13-21), duri di cuore nei confronti dei poveri (vedi la parabola del povero Lazzaro ed il ricco epulone, Lc 16,19-31), idolatri al servizio di Mammona (vedi le parole di Gesù sull’uso del denaro, Lc 16,9-13). Si tratta di uno dei temi più scottanti, ma anche di una scelta che ha una grande forza liberatrice per noi e per gli altri. Ed ancora: quando si parla delle nuove frontiere dobbiamo farlo non da attivisti dei diritti umani, né da ben intenzionati collaboratori di ONG, ma da educatori consacrati, che cercano di rispondere ai bisogni dei giovani, senza pregiudicare le opere che abbiamo e che compiono un servizio significativo. Perciò ribadisco qui quanto ho detto nella “Sintesi Globale e Visione Profetica” della mia relazione iniziale: è importante che le opere rispondano ai bisogni dei giovani, con nuove presenze, lì dove esse sono necessarie, o con una presenza nuova, lì dove già siamo, ma dobbiamo rinnovarci.[2]    

La quarta settimana (24-29 marzo) è stata vissuta in un clima di discernimento per l’elezione del Rettor Maggiore, del suo Vicario e dei Consiglieri. Si trattava di uno degli obiettivi principali e, al tempo stesso, di uno dei compiti più delicati del Capitolo Generale. Guidati dal P. José Maria Arnaiz, come capitolari siamo riusciti ad entrare in quell’atmosfera spirituale che ci ha reso consapevoli, liberi e responsabili per esprimere il nostro parere attraverso il voto personale. In generale, tutte le elezioni sono state vissute con tranquillità, anche se, nella valutazione fatta alla fine, si è rilevato il bisogno di favorire una maggiore conoscenza delle attese su ogni Dicastero o Regione e di definire meglio il profilo del Consigliere da eleggersi con informazioni più curate sui nomi dei possibili candidati. Non c’è dubbio che nella composizione del Consiglio Generale intervengono molti fattori: innanzitutto i sentimenti di coloro i cui nomi vengono presentati come candidati, quindi la sensibilità culturale nello svolgimento del processo, inoltre il desiderio legittimo di cercare la rappresentatività di tutta la Congregazione. Tuttavia, l’alta convergenza raggiunta nell’elezione del Rettor Maggiore e di tutti i Consiglieri è stata un segno dell’unità della Congregazione nella diversità delle realtà che la costituiscono.

Questa unità nella diversità ha avuto una sua espressione particolare  nella serata di festa e fraternità dopo l’elezione del Rettor Maggiore. Il lungo applauso dato ai Consiglieri che hanno terminato il loro servizio (don Antonio Domenech, don Gianni Mazzali, don Francis Alencherry, Mons. Tarcisio Scaramussa, don Albert Van Hecke, don Filiberto Rodríguez, don Joaquim D’Souza, compresi i Consiglieri defunti nell’esercizio del loro lavoro, don Valentín de Pablo e don Helvécio Baruffi) è stato l’espressione della riconoscenza per il servizio svolto a favore della Congregazione, nell’animazione di un Settore o di una Regione. Sempre a riguardo delle elezioni non si può non sottolineare una novità molto significativa, quale è stata la nomina del primo Salesiano Coadiutore come membro del Consiglio Generale.

La quinta settimana (31 marzo – 5 aprile) è iniziata con la visita in Vaticano e l’Udienza con il Santo Padre. La visita alla Basilica di San Pietro, dove siamo stati accolti dal Card. Angelo Comastri, Arciprete della Basilica, ci ha dato la grazia di rinnovare la nostra professione di fede davanti all’urna delle reliquie dell’Apostolo Pietro e di pregare davanti alla statua di Don Bosco, chiedendo il coraggio di poter gridare come lui “Da mihi animas, cetera tolle”. L’incontro con il Papa Benedetto XVI è stato poi uno degli eventi culminanti del CG26, in sintonia con la visione ecclesiale e spirituale di Don Bosco. Le parole del Santo Padre ai Capitolari sono state accolte come delle linee illuminanti e programmatiche. Nei giorni successivi, le Commissioni ed l’Assemblea hanno ripreso lo studio della prima redazione fatta dal Gruppo di redazione. Si è continuato così il lavoro svolto nella Settimana Santa, prima della settimana delle elezioni, riprendendo lo studio in commissione ed in assemblea dei cinque nuclei. Si è fatta pure una votazione di merito per i diversi temi presentati dalla Commissione Giuridica. La settimana si è conclusa con la visita alle Catacombe di San Callisto, dove abbiamo voluto recarci per fare riconoscente memoria dei Rettori Maggiori, in particolare, degli ultimi tre, don Luigi Ricceri, don Egidio Viganò e don Juan Edmundo Vecchi, sostando in preghiera presso l’ipogeo dove sono sepolti, dopo la celebrazione eucaristica e il pranzo. Nella mia preghiera personale ho voluto ringraziare il Signore per il dono fatto alla Congregazione attraverso ciascuno di essi. Chiedendo l’aiuto e l’intercessione di questi miei predecessori, ho chiesto pure per tutti i Confratelli la grazia di saper andare alle sorgenti della nostra propria identità (“ritornare a Don Bosco”) per trovare un cammino di futuro (“ripartire da Don Bosco”). Il nostro futuro cammino di fedeltà nasce dalla fedeltà di chi ci ha preceduto.

Non vi nascondo che mi sono domandato spesso: «Ma questa è davvero un’esperienza pentecostale? E lo Spirito Santo agisce davvero attraverso di noi per rinnovare la Congregazione riscaldando il cuore dei confratelli?» Credo di sì. Lo Spirito Santo non cambia le situazioni esteriori della vita, ma quelle interiori; Egli ha il potere di rinnovare le persone e di trasformare la terra. Egli ha agito prima di tutto in ciascuno di noi, radunandoci, coinvolgendoci in un progetto comune, facendoci responsabili di elaborare tutto ciò che rende possibile una ripresa di identità, di visibilità e di credibilità della nostra vita e della nostra missione.

Per quel che riguarda il lavoro svolto dalla Commissione Giuridica, essa ha preso in esame ciascuna delle proposte arrivate dai Capitoli Ispettoriali, dai singoli confratelli, dal Consiglio Generale, dai Capitolari. Il tutto per una presentazione chiara all’Assemblea, che avrebbe dovuto esprimere poi il suo parere.  Leggendo la storia della Congregazione, ci rendiamo conto del peso che hanno avuto i vari Capitoli Generali per la configurazione delle strutture di animazione e di governo ai diversi livelli (locale, ispettoriale e mondiale). Certamente per raggiungere alcuni cambiamenti nelle strutture sono stati necessari parecchi Capitoli Generali; e questo non a causa di lentezza o mancanza di coraggio nell’introdurre modifiche significative, ma piuttosto perché non sempre si poteva avere una visione completa di quanto entrava in gioco con queste scelte. Il ritorno, anche in questo Capitolo Generale, alla riflessione su alcuni aspetti dell’attuale configurazione del Consiglio Generale significa che c’è bisogno di uno studio serio, con soluzioni alternative, che presenti una proposta realmente innovativa e valida nella sua completezza. Da tutto ciò è nato un primo orientamento approvato dall’ Assemblea Capitolare: quello di fare, lungo il sessennio, una verifica del Governo centrale della Congregazione (composizione e funzionamento), in modo tale che il suo servizio sia più efficace e vicino ai confratelli.

 

2.  Lettura ‘profetica’: verso una “comprensione” di quanto è accaduto

Il Capitolo ha prodotto un documento, con cinque schede di lavoro, tra loro interdipendenti, sui grandi temi già indicati nella lettera di convocazione: “Ritorno a Don Bosco per ripartire da lui”; “L’urgenza di evangelizzare”, “La necessità di convocare”, “La povertà evangelica” e “Le nuove frontiere”. Queste schede di lavoro hanno voluto dare concretezza al motto “Da mihi animas, cetera tolle”, applicando lo schema già conosciuto dal CG25 (Appello di Dio, Situazione, Linee di azione) ed arricchito con alcuni criteri di verifica, che additano i traguardi da raggiungere: la mentalità da maturare e le strutture da cambiare.

Ritengo che il documento finale sia davvero buono e costruttivo, tenendo conto della varietà di contesti e situazioni in cui la Congregazione si trova ad incarnare il carisma di Don Bosco. Spetta ora a ciascuna Regione ed Ispettoria il lavoro di contestualizzare le grandi linee di azione, con i conseguenti interventi, per renderle più rispondenti alle situazioni e alle sfide concrete.

Sono sicuro che tutti i Confratelli troveranno pagine stimolanti, che aiutino a dinamizzare la loro vita ed a qualificare la missione salesiana. Forse l’insieme può sembrare non tanto radicale; eppure sono convinto che, se preso a cuore, susciterà entusiasmo e, soprattutto, permetterà a tutti rinnovarsi spiritualmente e recuperare slancio apostolico.

Il documento presuppone una buona conoscenza della realtà sociale e anche di quella della Congregazione ed esprime il desiderio di operare in esse una trasformazione. Ce l’ha ricordato il Santo Padre nel Discorso al CG26, il 31 marzo: «Il vostro XXVI Capitolo Generale si colloca in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali; di irrisolti conflitti tra etnie e nazioni. In questo nostro tempo vi sono, d’altra parte, comunicazioni più intense fra i popoli, nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, un più vivace confronto sui valori spirituali che danno senso all’esistenza. In particolare, gli appelli che i giovani ci rivolgono, soprattutto le loro domande sui problemi di fondo, fanno riferimento agli intensi desideri di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva che essi nutrono. Sono situazioni che interpellano a fondo la Chiesa e la sua capacità di annunciare oggi il Vangelo di Cristo con tutta la sua carica di speranza»[3].

In effetti, non si può parlare di evangelizzazione o di vocazioni, della semplicità di vita e delle nuove frontiere senza avere in mente lo scenario dove viviamo ed operiamo e le sfide che sta incontrando la vita salesiana e la sua missione.

Abbiamo avuto in mente i volti e le urgenze dei giovani più bisognosi, destinatari della nostra missione. Li abbiamo scelti come “prediletti” da noi, appunto perché la predilezione per i poveri “è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”[4]. Tale fede è stata assunta da Don Bosco e fatta passare alla tradizione salesiana (cf. Cost. 11).

Quali sono dunque le chiavi di lettura del documento?

–  La prima: Riscaldare il cuore dei confratelli, ripartendo da Cristo e da Don Bosco. Non si tratta di un’operazione per suscitare un sentimento superficiale o un entusiasmo passeggero. È piuttosto in gioco il compito faticoso ed urgente di una conversione, di un ritorno al  deserto – come fu per Israele – per incontrarvi l’amante dei primi giorni, quello che ci incantò e riempì di promessa e di futuro la nostra vita (cf. Os 2,16-25). Abbiamo bisogno di un incontro con il Signore che venga a parlarci al cuore, che ci aiuti a ritrovare le nostre migliori energie, quelle che scaturiscono dal cuore; che venga a ridare gioia ed incanto alla nostra vita, ad aiutarci ad approfondire le nostre motivazioni, a rinforzare le nostre convinzioni, a spronarci ad un cammino nel segno della fedeltà all’alleanza, ordinando la nostra vita personale, comunitaria ed istituzionale secondo i valori del Vangelo e secondo il carisma di Don Bosco.

Mi viene alla mente la storia di quel monaco “buono  e  conformista”, che va dal suo Abate a chiedere un consiglio per migliorare la sua vita, secondo i racconti dei Padri del deserto:

Capitò una volta - si racconta - che Abbà Lot andò a trovare Abbà Giuseppe e gli disse:

    • Abbà, per quanto posso seguo una piccola regola, pratico tutti i piccoli digiuni, faccio un po' di preghiera e meditazione, mi mantengo sereno e, per ciò che mi è possibile, conservo puri i miei pensieri. Che altro devo fare?

 

Allora il vecchio monaco si mise in piedi, alzò le mani al cielo e le sue dita si convertirono in dieci torce di fuoco. E disse:

 

 

  • Perché non ti trasformi in fuoco?.[5]

Ecco l’obiettivo da raggiungere con questo Capitolo: trasformarci in fuoco! La storia ci riporta direttamente all’eloquente e pregnante scena della Pentecoste: «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo» (At 2,3-4a). “Riscaldare il cuore” altro non significa se non trasformarsi in fuoco, avere i polmoni pieni di Spirito Santo.

Tutto ciò è in sintonia con quello che è stato il motto del Congresso sulla Vita Consacrata (novembre 2004), in cui abbiamo voluto interpretare e vivere la nostra vita religiosa, partendo da una grande passione per Cristo e una grande passione per l’Umanità.

Alla luce di queste due grandi passioni le priorità principali sono:

  • La spiritualità. Ciò comporta un impegno del tutto particolare affinché la Parola di Dio e l’Eucaristia siano veramente il centro della vita del consacrato e della sua comunità. Siamo convinti che la persona consacrata deve essere segno e memoria vivente della dimensione trascendente che esiste nel cuore di ogni essere umano.
  • La comunità. Siamo consapevoli che la testimonianza della comunione, aperta a tutti coloro che hanno bisogno, è fondamentale nel nostro mondo e diventa non soltanto sostegno per la fedeltà dei religiosi, ma anche testimonianza di una forma alternativa di vita al modello imperante, che ci fa rifluire spesso verso forme di individualismo.
  • La missione, da realizzare e vivere soprattutto sulle frontiere missionarie come l’esclusione, la povertà, la secolarizzazione, la riflessione, la formazione e l’educazione a tutti i livelli.

Ci sembrano questi i “luoghi” dove i consacrati devono essere presenti per esprimere la dimensione missionaria della Chiesa. La missione però comprende anche la “passione” – intesa come sofferenza o degenza – di tanti religiosi che continuano a pregare per la Chiesa e per gli operai della messe, e la “passione” come martirio di tanti religiosi incarcerati o trucidati a causa del Regno. Essi rappresentano la migliore espressione del Vangelo.

Se vogliamo sentire ardere il nostro cuore ed infiammare di passione quello dei confratelli, dobbiamo percorrere la stessa strada dei discepoli di Emmaus. “Si tratta – dicevo nell’omelia all’indomani della mia rielezione – più che di una via materiale, di un percorso mistagogico, di un autentico itinerario spirituale, valido oggi innanzitutto perché mette in evidenza quella che è la nostra situazione: quella di persone disincantate, che hanno una conoscenza di Gesù, ma senza una vera esperienza di fede; che conoscono le Scritture, ma non hanno trovato la Parola. Perciò si abbandona Gerusalemme e la comunità apostolica e si torna a quanto si è vissuto prima. La via di Emmaus è un cammino che ci porta dalla Scrittura alla Parola, dalla Parola alla Persona di Cristo nell’Eucaristia, e da essa ci riporta alla comunità per restare. Lì potremo vedere confermata la nostra fede incontrando i fratelli: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».”

–  La seconda chiave di lettura è la Missionarietà  o l’urgenza di evangelizzare, non spinti da un affanno proselitista, ma dalla passione per la salvezza degli altri, dalla gioia di condividere l’esperienza di pienezza di vita in Gesù.

Durante il Capitolo uno dei nuclei e, al tempo stesso, anche un tema trasversale è stato precisamente quello dell’urgenza di evangelizzare. L’Apostolo Paolo esprimeva questo con una sorta di imperativo esistenziale: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16b). Questo intenso senso missionario incarna perfettamente il comando che Gesù rivolge ai suoi discepoli:  Siate miei “testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Don Bosco fece proprio questo appello pressante di Gesù e già all’indomani della approvazione delle Costituzioni (1874), l’11 novembre 1875, inviò la prima spedizione missionaria in America Latina.

Il CG26 ci invita a metterci in sintonia con quella che è stata l’ispirazione originaria di Don Bosco, la dimensione missionaria della sua vita, ma anche del suo carisma. Tutto questo rappresenta un punto fondamentale del testamento spirituale che egli ci ha lasciato. Il Capitolo appena concluso ci offre l’opportunità per capire meglio qual è la risposta che siamo chiamati a dare oggi.

L’urgenza della missionarietà, oggi, è particolarmente viva perché, in primo luogo, tutto il mondo è tornato ad essere “terra di missione”; in secondo luogo perché, oggi, c’è una maniera diversa di concepire la missionarietà, di realizzare la “missio ad gentes”. Essa si attua infatti nel rispetto dei diversi ambienti culturali, in dialogo con le altre confessioni cristiane e le diverse religioni, e ci impegna nella promozione umana e nella lievitazione della cultura (cf. EN 19).

Ma da dove promanava la missionarietà di Don Bosco? Quali sono state le ragioni del suo immenso zelo missionario?.

A mio avviso ci sono tre grandi elementi, che devono costituire un punto di riferimento per tutti noi.

    • Il primo è quello di essere obbedienti al comando del Signore Gesù che, al momento dell’ Ascensione, prima di lasciare questo mondo per salire al Padre, ci ha detto: «sarete miei testimoni fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Ci ha dato così tutto il mondo come campo di evangelizzazione e questo sino alla fine della storia. Per noi Salesiani, come in genere per tutti i credenti, la prima ragione per essere evangelizzatori è dunque l’obbedienza al mandato del Signore Gesù.

    • Il secondo elemento della dimensione missionaria di Don Bosco è la convinzione del valore lievitante e della funzione trasformatrice che ha il Vangelo, la sua capacità di fermentare tutte le culture. Nella ‘magna carta’ della evangelizzazione, l’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, Paolo VI ha scritto che il Vangelo si può inculturare in tutte le culture, vale a dire, si può esprimere diversamente secondo le culture, senza che si identifichi con nessuna di esse. Nemmeno con la cultura ebraica nella quale Gesù è nato, nel senso che nessuna cultura concorda pienamente con la novità del Vangelo. Perciò tutte le culture sono chiamate a lasciarsi purificare ed elevare. Non esiste autentica evangelizzazione, se essa non tocca l’anima della cultura, quell’insieme di valori cui fanno riferimento i centri di decisione della persona. Ogni cultura è importante, perché rappresenta lo spazio dove le persone nascono, crescono, si sviluppano, imparano a relazionarsi, ad affrontare la vita, ma si deve anche riconoscere che ogni cultura ha i suoi limiti e ha bisogno della luce del Vangelo. Oggi poi, quando parliamo dell’urgenza di evangelizzare, non stiamo pensando soltanto all’Oceania, all’Asia, all’Africa, all’America latina, ma anche all’Europa, la quale più che mai ha bisogno del Vangelo e del carisma salesiano.

  • Il terzo elemento, molto specifico del carisma di Don Bosco, è la sua predilezione per i giovani, consapevole che nelle politiche dei governi e nel tessuto sociale dei popoli, malgrado tutte le dichiarazioni, essi non contano e sembrano doversi rassegnare ad essere solo dei consumatori di prodotti, di esperienze e sensazioni. Ma questo non corrisponde al Vangelo, alla prassi e alla logica di Gesù, che quando gli è stata posta la domanda «Chi è il più importante?», ha chiamato un bambino vicino a sé e lo ha posto al centro. Mettere i giovani al centro della nostra attenzione missionaria! Questo è uno degli elementi più specifici del ricco patrimonio spirituale che Don Bosco ci ha lasciato. Ed il compito che ci viene affidato è quello di portarlo in tutte le culture dove noi andiamo e lavoriamo e dove, spesso, i giovani non contano. La grandezza di Don Bosco è stata appunto questa: aver fatto dei giovani dei protagonisti, non soltanto della loro educazione, ma anche della sua esperienza pedagogica e spirituale. Don Bosco,  inaugurando strade nuove come sacerdote, ha creduto nei giovani e si è speso totalmente, con il suo genio apostolico, per assicurare loro opportunità di sviluppare tutte le loro dimensioni ed energie di bene, per far valere i loro diritti, per renderli responsabili (soprattutto i migliori) della continuazione della sua opera nella storia.

Nel Capitolo, dopo aver ribadito l’urgenza di evangelizzare, abbiamo ricordato che noi Salesiani svolgiamo questa missione secondo il carisma pedagogico che ci è proprio. “La pastorale di Don Bosco non si riduce mai a sola catechesi o a sola liturgia, ma spazia in tutti i concreti impegni pedagogico/culturali della condizione giovanile. (…) Si tratta di quella carità evangelica che si concretizza (..) nel liberare e promuovere il giovane abbandonato e sviato”[6].

Se non è salesiana quell’educazione che non apre il giovane a Dio ed al destino eterno dell’uomo, non lo è nemmeno l’evangelizzazione che non punta a formare persone mature in tutti i sensi e che non sa adattarsi o non rispetta la condizione evolutiva del ragazzo, dell’adolescente, del giovane.

È vero che in alcuni contesti secolarizzati la Chiesa incontra particolari difficoltà per evangelizzare le nuove generazioni. Anche se evidentemente i sondaggi e le statistiche non sono l’ultima parola e si devono considerare diverse tipologie del vissuto religioso, che comprendono pure forme di intensa spiritualità, non si può negare che in vari paesi ci sono segni di una progressiva cristianizzazione. Si nota che sia la pratica religiosa che le convinzioni profonde sono più deboli tra i giovani. “Si tratta di uno strato della popolazione più sensibile alle mode culturali e certamente più colpito dalla secolarizzazione ambientale”[7]. Sembra esserci un divorzio tra le nuove generazioni di giovani e la Chiesa. L’ignoranza religiosa e i pregiudizi che ogni giorno assumono acriticamente da certi mezzi di comunicazione hanno alimentato in loro l’immagine di una Chiesa-istituzione conservatrice, che va contro la cultura moderna, soprattutto nel campo della morale sessuale. Diventa perciò normale per molti di loro svalutare o relativizzare tutte le offerte religiose che vengono loro proposte.

Altro dramma particolarmente grave è la rottura che si è creata nella catena di trasmissione della fede da una generazione all’altra. Gli spazi naturali e tradizionali (famiglia, scuola, parrocchia) si rivelano inefficaci per la trasmissione della fede. Cresce, quindi,  l’ignoranza religiosa nelle nuove generazioni e così tra i giovani continua la “emigrazione silenziosa extra-muros della Chiesa”. “Le credenze religiose si tingono di pluralismo e seguono sempre meno un canone ecclesiale: quindi lentamente scendono i livelli di pratica religiosa: sacramenti e preghiera”[8].

Non è facile definire l’immagine che i giovani hanno di Dio, ma certamente il Dio cristiano ha perso la centralità nei confronti di un Dio mediatico che porta alla divinizzazione delle figure del mondo dello sport, della musica, del cinema. Il giovane sente la passione per la libertà e non si ferma davanti alle porte delle chiese. Sono tanti i giovani che pensano che la Chiesa sia un ostacolo alla loro libertà personale.

Di fronte a questa situazione ci possiamo chiedere: quale educazione offrono le istituzioni scolastiche ed ecclesiali? Perché la domanda religiosa è stata cancellata dall’orizzonte vitale dei giovani? Il ragazzo, l’adolescente, il giovane sono generosi per natura e si entusiasmano per le cause che valgono veramente la pena. Perché dunque Cristo ha cessato di essere significativo per loro?

La Chiesa, se vuol rimanere fedele alla sua missione di sacramento universale di salvezza, deve imparare i linguaggi degli uomini e delle donne di ogni tempo, etnia e luogo. E noi Salesiani, in modo particolare, dobbiamo imparare e utilizzare il linguaggio dei giovani. Non c’è dubbio che nella Chiesa di oggi, ma anche all’interno delle nostre istituzioni, esista un “serio problema di linguaggio”. In fondo si tratta di un problema di comunicazione, di inculturazione del Vangelo nelle realtà sociali e culturali; un problema di educazione alla fede per le nuove generazioni. Ecco dunque una sfida e un compito per noi oggi: essere degli educatori capaci di comunicare coi giovani e di trasmettere loro il grande tesoro della fede in Gesù Cristo.

L’educazione salesiana, nella trasmissione della fede e dei valori, parte sempre dalla situazione concreta di ogni persona, dalla sua esperienza umana e religiosa, dalle sue angosce ed ansie, dalle sue gioie e dalle sue speranze, privilegiando sempre l’esperienza e la testimonianza. Cura la pedagogia dell’iniziazione cristiana, in modo tale che Cristo sia accettato più come l’amico che ci salva e ci rende figli di Dio, che non come il legislatore, che ci carica di dogmi, precetti o riti. Si mettono in  evidenza gli aspetti positivi e festosi di ogni esperienza religiosa, fedeli a Don Bosco nel sogno dei nove anni: “Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù[9]

“Evangelizzare educando” vuol dire per noi saper proporre la migliore delle notizie (la persona di Gesù) adattandoci e rispettando la condizione evolutiva del ragazzo, dell’adolescente, del giovane. Il giovane cerca la felicità, la gioia della vita ed essendo generoso è capace di sacrificarsi per raggiungerle, se davvero gli mostriamo un cammino convincente e se ci offriamo come compagni competenti di viaggio. I giovani erano convinti che Don Bosco voleva loro bene, che desiderava la loro felicità qui sulla terra e nell’eternità. Per questo accettavano il cammino che egli proponeva loro: l’amicizia con Gesù, Via, Verità e Vita.

Don Bosco ci insegna ad essere allo stesso tempo educatori ed evangelizzatori (“grazia di unità”). Come evangelizzatori conosciamo e cerchiamo la meta: portare i giovani a Cristo. Come educatori dobbiamo saper partire dalla situazione concreta del giovane e riuscire a trovare il metodo adeguato per accompagnarlo nel suo processo di maturazione. Se come pastori sarebbe una vergogna rinunciare alla meta, come educatori sarebbe un fallimento non riuscire a trovare il metodo adeguato per motivarli ad intraprendere il cammino e per accompagnarli con credibilità.

–   La terza chiave di lettura è il tema delle “Nuove frontiere” come luogo naturale per la vita consacrata e come chiamata a rendersi presente nei luoghi di maggiore degrado e bisogno, dal punto di vista sia religioso che culturale, ecologico, sociale.

Consapevoli che la missione è la ragione del nostro essere salesiani e che i bisogni e le attese dei giovani determinano le nostre opere, nel Capitolo Generale uno dei temi più dibattuti è stato appunto quello delle “nuove frontiere”, dove i giovani ci attendono. Si tratta di frontiere non solo geografiche, ma economiche, sociali, culturali e religiose. Qui dobbiamo agire con il criterio che guidò le scelte di Don Bosco, vale a dire, “dare di più a chi ha avuto di meno”.

Sono contento che, già da anni, nella Congregazione stia crescendo la sensibilità e la preoccupazione, la riflessione e l’impegno per il mondo dell’emarginazione e del disagio dei giovani. Questa realtà non rappresenta più un settore particolare, identificato con qualche opera speciale o animato solo da qualche confratello particolarmente motivato. L’attenzione agli ultimi, ai più poveri, ai più disagiati sta diventando una “sensibilità istituzionale” che, poco a poco, coinvolge molte opere delle Ispettorie. Si sono moltiplicate le piattaforme sociali, si è dato luogo ad un lavoro in rete e si sta operando in sinergia con altre agenzie che lavorano nello stesso campo. È come se si fosse cominciato ad “uscire dalle mura”, girando per la città e ascoltando l’urlo e l’invocazione di aiuto dei giovani. Tutto ciò, per noi, significa rinnovare la predilezione per i più poveri, per i più abbandonati e per coloro che si trovano in una situazione di rischio psicosociale: ragazzi perduti, maltrattati, vittime di soprusi e angherie. Con lo stesso cuore di Don Bosco sentiamo di dover trovare nuove forme di opposizione al male che angustia tanti giovani.  Sentiamo pure il dovere di invertire la tendenza culturale e sociale, soprattutto attraverso ciò che è la nostra ricchezza specifica: essere portatori di un sistema educativo che è capace di cambiare il cuore dei giovani e di trasformare la società. Non possiamo dare come ‘carità’ quello che spetta loro come ‘giustizia’. In questo anno, nel quale si celebra il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, dobbiamo fare un passo in avanti ed impostare tutto il nostro progetto educativo nell’orbita dei diritti dei minori, come indicavo nella Strenna 2008.

Ricordando l'esperienza di Don Bosco

Stando a quanto scrive lo stesso Don Bosco nelle “Memorie dell’Oratorio”, l’esperienza che lo ha sconvolto e sollecitato a una nuova maniera d’essere prete è stato il suo contatto con i ragazzi del carcere di Torino. Egli la racconta con queste parole: “Vedere turbe di giovanetti sull’età da 12 a 18 anni; tutti sani, robusti, di ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire”[10].

Ecco un primo elemento da registrare: Don Bosco ha visto, ha ascoltato, ha saputo cogliere la realtà sociale, leggerne il significato e tirarne le conseguenze. Da questa esperienza nacque in Don Bosco un’immensa compassione per quei ragazzi. Nel contatto con essi sentì l'urgenza di offrire loro un ambiente d'accoglienza e una proposta educativa secondo i loro bisogni: "Fu in quella occasione che mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quel sito perché abbandonati a se stessi. Chi sa, diceva tra di me, se questi giovani avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o al meno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere? Comunicai questo pensiero a Don Cafasso e col suo consiglio e coi suoi lumi mi sono messo a studiare il modo di effettuarlo"[11].

Ed ecco un secondo elemento da percepire nell’esperienza del nostro Padre Don Bosco: la fantasia pastorale, quella che lo portò a creare con immaginazione e generosità risposte adeguate alle nuove sfide. Tutto ciò implicava il farsene carico in prima persona e creare quelle strutture che potessero rendere possibile un mondo migliore e alternativo per quei ragazzi.

È così che Don Bosco pensa innanzitutto di prevenire queste esperienze negative, accogliendo i ragazzi che arrivano alla città di Torino in cerca di lavoro, gli orfani o quelli i cui genitori non possono o non vogliono prendersi cura, coloro che vagano nella città senza un punto di riferimento affettivo e senza una possibilità materiale per una vita dignitosa. Offre loro una proposta educativa, centrata sulla  preparazione al lavoro, che li aiuta a recuperare fiducia in se stessi e il senso della propria dignità. Offre un ambiente positivo di gioia e amicizia, nel quale assumano quasi per contagio i valori morali e religiosi. Offre una proposta religiosa semplice, adeguata alla loro età e soprattutto alimentata da un clima positivo di gioia e orientata dal grande ideale della santità.

Consapevole dell'importanza dell'educazione della gioventù e del popolo per la trasformazione della società, Don Bosco si fa promotore di nuovi progetti sociali di prevenzione e di assistenza. Si pensi al rapporto col mondo del lavoro, ai contratti coi datori di lavoro, al tempo libero, alla promozione dell'istruzione e cultura popolare. Anche se Don Bosco non parlò esplicitamente dei diritti dei ragazzi – non era nella cultura del tempo – operò cercando di ridare loro dignità e di inserirli nella società in condizioni tali da poter affrontare la vita con successo (“empowerment”).

Ecco infine un terzo elemento, a mio avviso molto significativo, che ha caratterizzato l’esperienza di Don Bosco. Egli percepì che non era sufficiente alleviare la situazione di disagio e di abbandono in cui vivevano i suoi ragazzi (azione palliativa). Sempre più chiaramente si sentì portato a fare un cambiamento culturale (azione trasformatrice), attraverso un ambiente ed una proposta educativa che potessero coinvolgere molte persone identificate con lui e con la sua missione. Tutto ciò rappresentò non solo l’avvio di un’istituzione (l’Oratorio di Valdocco), ma anche il primo sviluppo di quell’intuizione particolare che portò Don Bosco a dare inizio a un vasto movimento per la salvezza della gioventù: la Famiglia Salesiana (cf. Cost. 5). I bisogni erano molti. Cercò così prima di tutto la collaborazione di sua madre, poi quella di qualche sacerdote diocesano. Coi suoi migliori giovani diede inizio alla Società di San Francesco di Sales, poi fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e mise in atto l’Associazione dei Cooperatori. La sua mente era un continuo “sogno del bene dei giovani”. Il suo cuore era una continua “espressione dell’amore di Dio per i giovani”.

Noi, come Salesiani, continuiamo a coltivare nel cuore questa passione per i più poveri, per gli abbandonati, per gli ultimi. Più conosco la Congregazione, estesa nei cinque continenti, più mi rendo conto che come Salesiani abbiamo tentato di essere fedeli a questo criterio fondamentale di essere vicini e solidali coi più bisognosi, prendendo a cuore quelle realtà giovanili che la società non vuol vedere: i ragazzi della strada, gli adolescenti soldato, i bambini operai, i ragazzi sfruttati nel maledetto turismo sessuale, gli sfollati  a causa guerra, gli immigranti, le vittime dell’alcool e della droga, gli ammalati di HIV/AIDS, i ragazzi privi di senso religioso... Come dicevo sopra, constatiamo che oggi la sensibilità tra noi è cresciuta e, grazie a Dio, continua a crescere. Oggi il lavoro dei pionieri è stato assunto dalla Istituzione, e soprattutto si sta acquistando una mentalità che ci permette di collocarci ovunque con questa chiave di lettura, facendo  la scelta a favore dei più esclusi ed emarginati. È una grazia sentire che in Congregazione sta crescendo questa mentalità: “dare di più a chi ha ricevuto di meno”.

Mentre nei paesi in via di sviluppo predominano volti di ragazzi sigillati dalla povertà materiale, nei paesi sviluppati il marchio che li caratterizza è la perdita del senso della vita, la resa al consumismo, all’edonismo, all’indifferentismo, alla tossicodipendenza. Le risposte dunque vanno necessariamente differenziate.

Alla luce di queste grandi dimensioni che possono e devono cambiare la nostra vita e attività apostolica diventa più evidente ed impellente il nostro bisogno di convertirci all’essenzialità, ad una vita povera, austera e semplice, che sia espressione del totale distacco da tutto ciò che ci può impedire di consegnarci fino in fondo a coloro che il Signore ci ha affidati.

 

3.  Scelte fatte ed avvio per renderle operative: prospettive di animazione e governo.

 

Le dimensioni soprammenzionate hanno avuto una prima traduzione nelle varie schede del documento. In effetti, le grandi scelte del CG26 per la rinascita spirituale e lo slancio apostolico sono state espresse nelle “Linee di azione” di ciascuno dei temi. Esse ci offrono degli orientamenti da assumere, da far passare dalla carta alla vita. Non possono infatti essere semplici dichiarazioni di intenti, ma diventare vero programma di vita, di animazione e governo, di proposta educativa pastorale.

Per il tema “Ripartire da Don Bosco”, abbiamo deliberato:

Ritornare a Don Bosco

Linea di azione 1

Impegnarsi ad amare, studiare, imitare, invocare e far conoscere Don Bosco, per ripartire da lui.

Ritornare ai giovani

Linea di azione 2

Ritornare ai giovani, specialmente ai più poveri, col cuore di Don Bosco.

Identità carismatica e passione apostolica

Linea di azione 3

Riscoprire il significato del Da mihi animas cetera tolle come programma di vita spirituale e pastorale.

 Per il tema “Urgenza di evangelizzare”, abbiamo deliberato:

Comunità evangelizzata ed evangelizzatrice

Linea di azione 4

 Mettere l’incontro con Cristo nella Parola e nell’Eucaristia al centro delle nostre comunità, per essere discepoli autentici e apostoli credibili.

Centralità della proposta di Gesù Cristo

Linea di azione 5

Proporre con gioia e coraggio ai giovani di vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo.

Educazione ed evangelizzazione

Linea di azione 6

Curare in ogni ambiente una più efficace integrazione di educazione ed evangelizzazione, nella logica del Sistema Preventivo.

Evangelizzazione nei diversi contesti

Linea di azione 7

Inculturare il processo di evangelizzazione per dare risposta alle sfide dei contesti regionali

Per il tema “Bisogno di convocare”, abbiamo deliberato:

Testimonianza come prima proposta vocazionale

Linea di azione 8

Testimoniare con coraggio e con gioia la bellezza di una vita consacrata, dedita totalmente a Dio nella missione giovanile.

Vocazioni all’impegno apostolico

Linea di azione 9

Suscitare nei giovani l’impegno apostolico per il Regno di Dio con la passione del Da mihi animas cetera tolle e favorire la loro formazione

Accompagnamento dei candidati alla vocazione consacrata salesiana

Linea di azione 10

Fare la proposta esplicita della vocazione consacrata salesiana e promuovere nuove forme di accompagnamento vocazionale e di aspirantato.

Le due forme della vocazione consacrata salesiana

Linea di azione 11

Promuovere la complementarietà e la specificità delle due forme dell’unica vocazione salesiana e assumere un rinnovato impegno per la vocazione del salesiano coadiutore

Per il tema “Povertà evangelica”, abbiamo deliberato:

Linea di azione 12

Testimonianza personale e comunitaria

Dare una testimonianza credibile e coraggiosa di povertà evangelica, vissuta personalmente e comunitariamente nello spirito del Da mihi animas ceteratolle

Linea di azione 13

Solidarietà con i poveri

Sviluppare la cultura della solidarietà con i poveri nel contesto locale.

Linea di azione 14

Gestione responsabile e solidale delle risorse

Gestire le risorse in modo responsabile, trasparente, coerente con i fini della missione, attivando le necessarie forme di controllo a livello locale, ispettoriale e mondiale.

Per il tema “Nuove frontiere”, abbiamo deliberato:

Principale priorità: i giovani poveri

Linea di azione 15 (cfr. linea d’azione 13)

Operare scelte coraggiose a favore dei giovani poveri e a rischio.

Altre priorità: famiglia, comunicazione sociale, Europa

Linea di azione 16

Assumere un’attenzione privilegiata alla famiglia nella pastorale giovanile; potenziare la presenza educativa nel mondo dei media; rilanciare il carisma salesiano in Europa.

Nuovi modelli nella gestione delle opere

Linea di azione 17

Rivedere il modello di gestione delle opere per una presenza educativa ed evangelizzatrice più efficace.

Il richiamo delle linee d’azione del CG26 in questo discorso conclusivo ha lo scopo di ribadire l’importanza della loro assunzione e ‘inculturazione’ da parte delle Regioni e delle singole Ispettorie. Esse saranno il “messaggio concreto” del CG26, che dovrà essere studiato e tradotto, a livello pastorale, nei diversi contesti, individuando anche criteri di verifica ed elementi di valutazione.

Mi soffermo sul “Progetto Europa”.

Oggi, più che mai ci rendiamo conto che la nostra presenza in Europa va ripensata. L’obiettivo – come già dicevo nell’indirizzo al Santo Padre in occasione della Udienza concessa ai membri del CG26 – è “mirato a ridisegnare la presenza salesiana con maggiore incisività ed efficacia in questo continente. Cercare, cioè, una nuova proposta di evangelizzazione per rispondere ai bisogni spirituali e morali di questi giovani, che ci appaiono un po’ come pellegrini senza guide e senza meta.”

Si tratta dunque di ringiovanire con del personale salesiano le Ispettore più bisognose per rendere più significativo e fecondo il carisma salesiano nell’Europa d’oggi. Intendo chiarire dunque che:

  • Questo è un progetto di Congregazione;
  • coinvolgerà tutte le Regioni e le Ispettorie con l’invio di personale;
  • per irrobustire le comunità, chiamate ad essere interculturali ed a rendere presente Don Bosco tra i giovani, specialmente i più poveri, abbandonati e a rischio;
  • il tutto sarà affidato al coordinamento dei tre Dicasteri per la Missione.

Questo progetto esigerà  ovviamente un cambiamento strutturale nelle comunità del Vecchio Continente. “Vino nuovo in otri nuovi”. Non quindi un’opera di semplice “mantenimento di strutture”, ma un progetto nuovo per esprimere una presenza nuova, accanto ai giovani d’oggi. Ci muoviamo con il cuore di Don Bosco, ricchi della sua passione per Dio e per i giovani, per collaborare alla costruzione sociale di una Nuova Europa, perché abbia veramente “un’ anima”, perché ritrovi le sue robuste radici spirituali e culturali, perché a livello sociale dia spazio e pari opportunità a proposte di educazione e  cultura, senza discriminazioni o scelte di esclusione sociale.

Tra le priorità vi segnalo le più importanti:

  • creare nuove presenze per i giovani,
  • stimolare iniziative dinamiche ed innovatrici,
  • promuovere vocazioni.

Tutto questo dovrebbe aiutare i Salesiani che lavorano in questo contesto a raggiungere una mentalità sempre più europea, irrobustire la sinergia tra le Ispettorie nei diversi settori e rafforzare la collaborazione a livello Regionale.

 

4.  Verso il bicentenario della nascita di Don Bosco: la Congregazione in stato di ritorno a Don Bosco per ripartire da lui

 

Cosa farebbe Don Bosco oggi? Non lo sappiamo! Ma sappiamo che cosa ha fatto ieri e dunque possiamo sapere che cosa fare per agire come lui oggi. È questione di conoscenza ed imitazione.

Abbiamo ribadito in questo Capitolo che è assolutamente indispensabile contemplare Don Bosco, amarlo, conoscerlo ed imitarlo, per scoprire le sue motivazioni più profonde e trainanti, quelle da cui ricavava l’energia che lo faceva lavorare per i giovani instancabilmente; le sue convinzioni più salde e personali, che lo portavano a non tirarsi indietro, che anzi lo rendevano affascinante e convincente; i suoi obiettivi definiti e chiari, che lo facevano andare avanti, con una sola causa per cui vivere: vedere felici i giovani qui e nell’eternità.

 Don Bosco sentì il dramma di un popolo che si allontanava dalla fede e soprattutto sentì il dramma della gioventù, prediletta da Gesù, abbandonata e tradita nei suoi ideali e nelle sue aspirazioni dagli uomini della politica, dell’economia, magari anche della Chiesa. Mi domando se questa situazione non sia, per tanti versi, simile a quella che abbiamo identificato nel nostro Capitolo Generale.

Ebbene,  davanti a tale situazione Don Bosco ha reagito energicamente, trovando forme nuove di opporsi al male. Alle forze negative della società ha resistito denunciando l’ambiguità e la pericolosità della situazione, “contestando” – a suo modo, si intende – i poteri forti del suo tempo. Ecco che cosa significa avere una mente ed un cuore pastorali.

Sintonizzato su questi bisogni, ha cercato di dare una risposta, con le possibilità offertegli dalle condizioni storico-culturali e dalle congiunture economiche del momento storico, e questo nonostante parziali opposizioni del mondo ecclesiastico, di autorità e fedeli. Fondò così oratori, scuole di vario tipo, laboratori di artigiani, giornali e riviste, tipografie ed editrici, associazioni giovanili religiose, culturali, ricreative, sociali; costruì chiese, promosse missioni “ad gentes”, attività di assistenza agli emigranti; fondò due congregazioni religiose e un’associazione laicale che ne continuarono l’opera.

Ebbe successo grazie anche alle sue spiccate doti di comunicatore nato, nonostante la mancanza di risorse economiche (sempre inadeguate alle sue realizzazioni), il suo modesto bagaglio culturale ed intellettuale (in un momento in cui c’era bisogno di risposte di alto profilo) e l’essere figlio di una teologia e di una concezione sociale con fortissimi limiti (e pertanto inadeguata a rispondere alla secolarizzazione e alle profonde rivoluzioni sociali in atto). Sempre sospinto da superiore ardimento di fede, in circostanze difficili, chiese ed ottenne aiuti da tutti, cattolici ed anticlericali, ricchi e poveri, uomini e donne del denaro e del potere, e esponenti della nobiltà, della borghesia, del basso e dell’alto clero.

Tuttavia l'importanza storica di Don Bosco, prima che nelle tantissime «opere» e in certi elementi metodologici relativamente originali – il famoso “sistema preventivo di Don Bosco” –, è da scoprirsi nella percezione intellettuale ed emotiva del problema della gioventù “abbandonata” con la sua portata morale e sociale;

  • nell’ intuizione della presenza a Torino prima, in Italia e nel mondo poi, di una forte sensibilità, nel civile e nel “politico”, del problema dell’educazione della gioventù e della sua comprensione da parte dei ceti più sensibili e dell’opinione pubblica;
  • nell’idea che lanciò di doverosi interventi su larga scala nel mondo cattolico e civile, come risposta necessaria per la vita della Chiesa e per la stessa sopravvivenza dell’ ordine sociale;
  • e nella capacità di comunicare questa stessa idea a larghe schiere di collaboratori, di benefattori e di ammiratori.

Né politico, né sociologo, né sindacalista ‘ante litteram’, semplicemente prete-educatore, Don Bosco partì dall’idea che l’educazione poteva fare molto, in qualsiasi situazione, se realizzata con il massimo di buona volontà, di impegno e di capacità di adattamento. Si impegnò a cambiare le coscienze, a formarle all’onestà umana, alla lealtà civica e politica e, in questa prospettiva, cercò di "cambiare" la società, mediante l’educazione.

Trasformò i valori forti in cui credeva – e che difese contro tutti – in fatti sociali, in gesti concreti, senza ripiegamento nello spirituale e nell’ecclesiale inteso come spazio od esperienza esente dai problemi del mondo e della vita. Anzi, forte della sua vocazione di sacerdote educatore, coltivò un impegno quotidiano che non era assenza di orizzonti, bensì dimensione incarnata del valore e dell’ideale; non era nicchia protettiva e rifiuto del confronto aperto, ma sincero misurarsi con una realtà più ampia e diversificata; non era un mondo ristretto ad alcuni pochi bisogni da soddisfare e luogo di ripetizione, quasi meccanica, di atteggiamenti tradizionali; non era rifiuto di ogni tensione, del sacrificio esigente, del rischio, della lotta. Ebbe per sé e per i salesiani la libertà e la fierezza dell’autonomia. E non volle neppure legare la sorte della sua opera all'imprevedibile variare dei regimi politici.

Il noto teologo francese Marie-Dominique Chenu, O.P., rispondendo negli anni ottanta del secolo corso alla domanda di un giornalista che chiedeva di indicargli i nomi di alcuni santi portatori di un messaggio di attualità per i tempi nuovi, affermò senza esitare: “Mi piace ricordare, anzitutto, colui che ha precorso il Concilio di un secolo: Don Bosco. Egli è già, profeticamente, un uomo modello di santità per la sua opera che è in rottura con il modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei”.

Fu un modello per tanti; non pochi ne imitarono gli esempi, diventando a loro volta il “Don Bosco di Bergamo, di Bologna, di Messina e così via”.  

Ovviamente il “segreto” del suo “successo” ciascuno lo trova in una delle diverse sfaccettature della sua complessa personalità: capacissimo imprenditore di opere educative, lungimirante organizzatore di imprese nazionali ed internazionali, finissimo educatore, grande maestro, ecc. Questo il modello che abbiamo e siamo chiamati a riprodurre il più fedelmente possibile!

 

5.     Conclusione

 

Cari confratelli, abbiamo vissuto il CG26 nella stagione liturgica della Quaresima e nel tempo di Pasqua. Il Signore ci ha invitati così ad accogliere l’indicazione del bisogno che abbiamo di fare esperienza pasquale, se vogliamo raggiungere la tanto desiderata rinascita spirituale ed un rinnovamento del nostro slancio apostolico. Non c’è vita senza morte. Non c’è la mistica del “Da mihi animas” senza l’ascetica del “cetera tolle”.

Vorrei concludere richiamando ancora una particolare esperienza di Don Bosco. Nel estate del 1846 egli si ammala e si trova in pericolo di morte. Dopo alcune settimane supera il male e, convalescente, può tornare all’Oratorio solo appoggiandosi su un bastone. I ragazzi accorsi lo costringono a sedersi sopra un seggiolone, lo alzano e lo portano in trionfo fino al cortile. In cappella, dopo le preghiere di ringraziamento, Don Bosco proferisce le parole più solenni ed impegnative della sua esistenza: «Cari figlioli, la mia vita la devo a voi. Ma siatene certi: d’ora innanzi la spenderò tutta per voi».[12] Don Bosco, ispirato dallo Spirito Santo, in certo senso, emise un voto inedito: il voto d’amore apostolico, di consegna della propria vita per i giovani, che osservò in ogni istante della sua esistenza. Ecco quanto significa il “Da mihi animas, cetera tolle”, che è stato motto ispiratore del nostro Capitolo Generale.  Ecco il programma di futuro per la rinascita spirituale e per lo slancio apostolico con cui vogliamo arrivare alla celebrazione del bicentenario della sua nascita.

Faccio auspici che noi e, insieme a noi, tutte le persone identificate con i valori della Spiritualità e del Sistema Educativo Salesiano possiamo amare i giovani ed impegnarci come Don Bosco nella realizzazione della missione salesiana. Mi auguro che i giovani possano trovare in ciascuno di noi (come i ragazzi dell’Oratorio trovarono in Don Bosco a Valdocco) delle persone disponibili a camminare con loro, a costruire con loro e per loro una presenza educativa affascinante e significativa, capace di proposta e di coinvolgimento, propositiva al punto di produrre un cambio culturale.

Un’icona che può illustrare perfettamente questo momento storico della Congregazione è  l’episodio del passaggio  del “mantello e dello spirito” da Elia ad Eliseo, suo discepolo (2 Re 2,1-15). Elia cerca parecchie volte di allontanare da sé Eliseo, prima a Galgala poi a Betel e a Gerico, forse per il desiderio di trovarsi solo al momento della sua scomparsa. Ma Eliseo vuole essere il suo principale erede spirituale e gli resta accanto. Come bramerei che ciascuno dei confratelli, nei confronti di Don Bosco, facesse suo il desiderio di Eliseo di ricevere due terzi dello spirito di Elia. Divenuto erede spirituale di Elia, Eliseo raccoglie il suo mantello e con esso si posa su di lui anche lo spirito del maestro. Eliseo ripete alla lettera l’ultimo miracolo di Elia e ciò rende certi i discepoli dei profeti che veramente “lo spirito di Elia” si è posato su Eliseo.

A tale proposito, mi vengono alla mente le parole di Paolo VI alla beatificazione di Don Rua, quando disse che quella beatificazione rappresentava una conferma della sua qualità di successore di Don Bosco, di discepolo suo, della sua capacità di aver accolto e trasmesso lo spirito del Padre. Come Don Rua, per raccogliere l’eredità di Don Bosco permettiamo a Dio, con la nostra totale disponibilità, di operare in noi, come operò in lui.

Eccomi qui, Carissimi Confratelli, a consegnarvi il frutto di questo CG26, del quale siete stati protagonisti. Vi consegno sì un documento, che sarà come la nostra carta di navigazione per il sessennio 2008-2014, ma vi consegno soprattutto lo spirito del CG26. Esso ha voluto essere un’ intensa esperienza pentecostale per un profondo rinnovamento della nostra vita e missione. Esso rappresenta dunque per tutti i Salesiani la  piattaforma di lancio della Congregazione verso il grande giubileo salesiano del 2015.

Che lo Spirito possa soffiare con forza sulla Congregazione per avere il coraggio di chiedere ancora e sempre, insieme a Don Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle”.

Roma, 12 aprile 2008

[1] Al Reverendissimo Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco. Dal Vaticano, 1 marzo 2008, n. 1
[2] Cf. La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 2002-2008. Relazione del Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva, p. 290
[3] L’Osservatore Romano. Lunedì-martedì 31 marzo-1 aprile 2008, p. 8
[4] Benedetto XVI, Discorso d’Inaugurazione alla Vª Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e del Caraibi, n. 3. Aparecida – Brasile. 13 maggio 2007.
[5] Citato da José María Arnaiz, ¡Que ardan nuestros corazones! Devolver el encanto a la vida consagrada. Publicaciones Claretianas. Madrid, 2007, p. 34
[6]  Cfr. ACS 290, 4.2
[7]  LLUIS OVIEDO TORRO’, “La religiosidad de los jóvenes”, Razón y Fe,  giugno 2004, p.447
[8]  LLUIS OVIEDO TORRO’, o.c., p. 449.
[9] G. Bosco, Memorie dell'Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992, pag. 35
[10] G. Bosco, Memorie dell'Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992, pag. 104
[11] ibidem
[12] cf. MB II, 497-498