INTRODUZIONE 297
DEI CASTIGHI DA INFLIGGERSI NELLE CASE SALESIANE (1883)
a cura di José Manuel Prellezo 300
I. INTRODUZIONE 300
1. Diffusione e silenzi significativi 301
2. L'autore 304
3. Contesto e fonti redazionali 306
4. I Documenti originali 312
5. La presente edizione 315
Il. TESTO 317
SOCIALITÀ E PEDAGOGIA DEL SISTEMA PREVENTIVO 334
I. INTRODUZIONE 334
Il. TESTI 337
La scelta «politica» dell'educazione della gioventù (1883) 337
Il «sistema preventivo» in una «Storia della pedagogia in Italia» (1883) 341
DUE LETTERE DATATE DA ROMA - 10 MAGGIO 1884 344
I. INTRODUZIONE 344
1. Il redattore e l'ispiratore: don G.B. Lemoyne e don Bosco 347
Descrizione dei documenti 352
3. Vicende redazionali e tradizione dei testi 357
II. TESTI 362
1. Ms A, B, C 362
2. Ms K - Lettera ai giovani dell'Oratorio di Torino-Valdocco 372
3. Ms D - Lettera ai salesiani dell'Oratorio di Torino-Valdocco 377
MEMORIE DAL 1841 AL 1884-5-6 A' SUOI FIGLIUOLI SALESIANI
a cura di Francesco Motto 391
I. INTRODUZIONE 391
1. Il manoscritto e le sue edizioni 395
2. Norme di edizione 397
II. TESTO 399
TRE LEI-I ERE A SALESIANI IN AMERICA (1885)
a cura di Francesco Motto 439
I. INTRODUZIONE 439
II. TESTI 445
1. A mons. Giovanni Cagliero . 445
2. A don Giacomo Costamagna 448
3: A don Domenico Tomatis 451
Indice alfabetico delle materie 453
Indice alfabetico dei nomi di persona 461
Indice generale 469
Si attestano intorno al centinaio gli appelli di don Bosco, orali e scritti, rivolti a benefattori, cooperatori, exallievi, autorità civili e religiose per il sostegno delle sue opere, in Italia e all'estero, nell'ultimo decennio (18771887) della sua instancabile ricerca di aiuti finanziari. Essi si esprimevano in conferenze, discorsi, circolari, suppliche, lettere periodiche sul «Bollettino Salesiano», diventato dal 1877 il suo portavoce più qualificato ed efficace.
La gran parte di essi, in particolare le conferenze pubbliche tenute sullo stile del «sermon de charité», segue schemi vicini al primo discorso, «expo-sé», di cui è rimasto il testo completo, redatto, corretto e pubblicato personalmente da don Bosco. Lo si può leggere nell'opuscolo del 1877 Inaugurazione del Patronato di S. Pietro a Nizza a Mare, insieme alla cronaca dell'evento e alle pagine del sistema preventivo, pubblicato integralmente in questo volume. Ritornano le tematiche del «prevenire», viste nella duplice fondamentale ottica, educativa e sociale: la situazione drammatica, e drammatizzata, della gioventù «povera e abbandonata»; le istituzioni che se ne prendono cura: oratorio, patronage, ospizio; l'urgenza dei mezzi di impianto e di sostegno mediante l'elemosina; la garanzia di abbondanti ricompense celesti, temporali ed eterne, oltre la riconoscenza affettuosa ed orante dei beneficati; la sicurezza dei felici «risultati», personali, professionali, sociali.
Il discorso non è nuovo. È del don Bosco dei primi oratori torinesi e delle lotterie. Ma oralsi fa più universale e sistematico, coll' avvento di una formula che domina nell'ultimo decennio: «la società sarà buona se voi darete una buona educazione alla gioventù; se la lascerete piegare al male la società sarà pervertita».
Contemporaneamente don Bosco opera all'interno della sua Congregazione per sensibilizzarne i membri, e la famiglia dei cooperatori che la coadiuva, alle esigenze del sistema preventivo, diventato il tipico modo salesiano di educare. A conclusione del testo delle pagine del 1877 pubblicato nel «Bollettino» italiano del settembre 1880 (seguito da quello francese nel dicembre 1880 e castigliano nel settembre 1887 e novembre 1889), il redattore-direttore don Bonetti scriveva: «Il sopradescritto sistema, tenuto da lui e raccomandato sin dal principio dell'Oratorio e dell'Ospizio, è quello che si studia e si pratica ancora oggidì in tutte le Case Salesiane; e sappiamo che quelle appunto maggiormente fioriscono e danno buoni frutti, nelle quali il detto sistema è meglio conosciuto e più esattamente eseguito. Sarebbe desiderabile che esso venisse introdotto in tutte le famiglie cristiane, in tutti gli Istituti di educazione pubblici e privati, maschili e femminili. Allora non si tarderebbe ad avere una gioventù più morigerata e pia; una gioventù, che sarebbe la consolazione delle famiglie, e per la civile società un valido sostegno».' Ai salesiani era poi rivolta la raccomandazione registrata dal segretario del consiglio generale della società salesiana, don Giovanni Battista Lemoyne, sotto la data del 12 settembre 1884: «Un'altra cosa raccomando. Studio e sforzo per introdurre e praticare il Sistema preventivo nelle nostre case. I Direttori facciano conferenze su questo importantissimo argomento, i vantaggi sono incalcolabili per la salute delle anime e la gloria di Dio».2 Il sistema diventa anche punto di riferimento imprescindibile in trattative e controversie per opere già accettate e altre in discussione, come nel caso di Lione del settembre 1879 e di Madrid nel 1885. Nel primo don Bosco ritiene inaccettabili certe richieste, che verrebbero a creare condizioni — afferma — «che mettono sossopra il nostro sistema educativo».3 Nel secondo ci si richiama al «nostro sistema» nelle trattative, fallite, per l'assunzione di un'opera madrilena: n «malgrado tutta la volontà di far il bene, noi non potremmo discostarci nella pratica da quanto stabilisce il nostro Regolamento, di cui ho mandato copia nel settembre».5 Dei due aspetti, educativo e sociale, sono testimonianza i documenti raccolti in questa sezione. Di rilevanza soprattutto «pedagogica», pastorale, spirituale, sono il primo Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, quanto scritto da don Cerruti nella sua Storia della pedagogia, le due lettere datate da Roma al 10 maggio 1884, le ultime Memorie di don Bosco del 1884-1886.
Di chiara portata sociale è il discorso agli exalunni del 24 giugno 1883. Esso, però, assume anche un particolare valore «pedagogico» per il suo contesto. Esso, infatti, presenta in apertura un'eloquente testimonianza di uno dei frutti del «sistema preventivo», e cioè l'attuazione di quanto don Bosco scriveva nelle pagine del 1877: «Il sistema preventivo rende affezionato l'allievo in modo che l'educatore potrà tuttora parlare col linguaggio del cuore sia in tempo dell'educazione, sia dopo di essa»; «l'allievo sarà sempre amico dell'educatore e ricorderà ognor con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori».
1 BS 4 (1880) n. 9, settembre, p. 9.
2 Verbali del Capitolo Superiore, 12 sett. 1884, fol.
3 Lett. al can. C. Guiol, sett. 1879, E III 520.
4 Verbali del Capitolo Superiore, 22 sett. 1885, fol. 80'"
5 Lett. al sen. Silvela, 17 marzo 1886, E IV 354. Il «nostro Regolamento» significa in questo caso il testo del sistema preventivo stampato, come si è visto, in capo al Regolamento per le case.
Inoltre, la «gloria» dei discepoli diventa «gloria del Maestro»: «Se D. Bosco ha qualche nome nel mondo, diss' egli, non lo deve già alle sue virtù né ai suoi talenti, ma lo deve alla buona riuscita, alla buona condotta dei suoi figli. Si avverò per me quello che si legge nei libri Santi: Gloria patris filius sapiens. Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini, e così sarete ognora la mia consolazione, il mio gaudio, la mia corona».6
Le lettere ai tre salesiani che operano in Argentina, collocate in chiusura della raccolta, rappresentano quasi il massimo di espressività del «sistema», non solo pedagogico e sociale, ma anche stile generale di relazioni e di vita, principio di una vera spiritualità di vita religiosa, personale e comunitaria.
6 Discorsino a exalunni, laici e sacerdoti, accorsi a Valdocco a porgergli gli auguri onomastici la mattina del 24 giugno 1882: BS 6 (1882) n. 7, luglio, p. 123.
Una circolare attribuita a don Bosco a cura di José Manuel Prellezo
Nella recente storiografia salesiana lo scritto Dei castighi ha destato l'attenzione dei più qualificati studiosi di don Bosco. Scrive, per esempio, Pietro Stella: «Tra i documenti cronologicamente successivi al Sistema preventivo merita di essere considerata anzitutto una circolare sui "Castighi da infliggersi nelle case salesiane" composta nel 1883».' Ma va notato subito che, sebbene porti la data del 29 gennaio 1883, questa circolare, dedicata al tema dei castighi, rimase inedita fino al 1935: quasi 50 anni dopo la morte di don Bosco, il cui nome appare in calce all'ultima pagina delle copie conservate attualmente nell'Archivio Salesiano Centrale (ASC) di Roma.
Per parte sua, don Eugenio Ceria ricostruisce i fatti nel modo seguente: «Prima di allontanarsi per non breve tempo dall'Oratorio e dall'Italia Don Bosco lasciò a Don Rua l'incarico di consegnare o spedire ai Direttori delle Case una sua lunga lettera sopra un punto di capitale importanza nell'applicazione del sistema preventivo. A bello studio la datò dalla festa di S. Francesco di Sales, non solo perchè vigilia della sua partenza, ma soprattutto perchè l'argomento si aggirava intorno a un tema rivolto a interpretare lo spirito del Salesio in uno dei compiti più delicati nell'opera di un educatore. Don Rua aveva fatto preparare il sufficiente numero di copie. Ma a poco a poco il testo dell'esortazione cadde in oblio».2 La «lunga lettera» vide la luce per la prima volta nel volume XVI delle Memorie biografiche di don Bosco nel 1935.
1 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, p. 466.
2 EIV,201.
3 MB XVI 439-447.
Una volta pubblicato, lo scritto trovò il consenso di pedagogisti e educatori, soprattutto nell'ambiente italiano. Anche studiosi non salesiani, come il prof. Mario Casotti, dell'Università Cattolica di Milano, considerarono «importante» la lettera circolare in cui «D. Bosco giustifica il sistema preventivo colle parole e con l'esempio di Gesù».4 Giovanni Modugno la cita per documentare la necessità di seguire lo spirito del vangelo nella correzione degli educandi; e trascrive abbondanti paragrafi quando si riferisce al tema dei castighi nel pensiero educativo di don Bosco.' Ovviamente, sono salesiani gli studiosi che hanno dedicato maggior attenzione allo scritto del 1883, sottolineandone il valore. Così don Pietro Ricaldone, allora Rettor Maggiore della Società Salesiana, parlò nel 1951 della «grande circolare sui castighi», nel primo volume della sua opera Don Bosco educatore.6 E fece un ampio estratto del suo contenuto, volendo precisare le idee di Don Bosco sul tema della disciplina e dei castighi (pp. 456-476).
Ugualmente numerose sono le citazioni che si possono trovare nel primo volume degli Annali della Società di San Francesco di Sales, nel capitolo sul sistema preventivo. L'autore degli Annali è il citato E. Ceria.7 Il testo completo della circolare fu pubblicato in varie raccolte antologiche degli scritti dell'educatore piemontese. Mario Casotti lo trascrive nel-l' appendice documentale del volume citato precedentemente. Raccoglie pure integralmente la lettera sui castighi Gennaro R. Zitarosa nel suo lavoro: Pensiero e metodo di Giovanni Bosco.' Nell'ambito sale/siano di lingua spagnola ha avuto ampia diffusione la Biografia y escritos de San Juan Bosco (1955), preparata da Rodolfo Fierro Torres.
4 GIOVANNI Bosco (s.), Il metodo preventivo. Con testimonianze ed altri scritti educativi inediti. Introduzione e note di Mario Casotti. Brescia, La Scuola 1942, p. 121.
DON GIOVANNI Bosco, Il metodo educativo. Introduzione e note di Giovanni Modugno (= Educatori Antichi e Moderni). Firenze, La Nuova Italia 1941, pp. 50-54; 144-145: «(Da una lettera di D. Bosco del 1883)».
P. RICALDONE, Don Bosco educatore, vol. I. Colle Don Bosco (Asti), Libreria Dottrina Cristiana [1951], p. 456. Cfr. anche Uffici propri della Società di San Francesco di Sales. [Roma], Tipografia Poliglotta Vaticana 1974, pp. 15-17 («Dalle lettere di san Giovanni Bosco, sacerdote»).
' Annali I 664. Cfr. anche A. AUFFRAY, Comment un Saint punissait les enfants. Lyon, Emmanuel Vitte 1946, pp. 27-43.
G.R. ZITAROSA, Pensiero e metodo di Giovanni Bosco. Documentazione ed analisi del «metodo educativo di Don Bosco» come classico della pedagogia per gli esami di Stato e nei concorsi. Roma/Napoli/Città di Castello, Società Editrice Dante Alighieri 1956. (Trascrizione della lettera: pp. 43-59: «La punizione che libera dal male»).
Questi, nel presentare la lettera, aggiunge questa nota: «Come il lettore avvertità, nello scritto si sente un accento di melanconia. Lo compose su richiesta dei suoi figli dell'Argentina, alcuni dei quali si erano lasciati contagiare da un certo militarismo». 9 Ma 1' affermazione non è corredata da una qualche documentazione.
Esaurita la seconda edizione della Biografia y escritos, è stata pubblicata nella medesima collana una «obra nueva», che raccoglie «gli scritti principali» di don Bosco. Tra essi si trova la lettera circolare del 1883.'° Ma non vi appare la nota di don Rodolfo Fierro sull'origine «argentina» dello scritto.
La raccolta antologica più autorevole e diffusa è, senza dubbio, quella preparata da Pietro Braido, e pubblicata nel 1965 dall'editrice La Scuola di Brescia. Tre anni prima, lo stesso Braido aveva raccolto il testo della circolare sui castighi nel volume Il sistema educativo di Don Bosco (1962). Nelle pagine introduttive, lo studioso salesiano affermava: «A nostro parere la sua importanza non sta tanto nella presentazione di una diffusa casistica sui castighi, quanto nei motivi e nelle suggestioni più generali che la ispirano. Lo spirito, l'atteggiamento educativo generale, la valutazione positiva dei giovani, l'ottimismo, l'evidente predilezione per una politica pedagogica dell'amore, sono certamente di Don Bosco, e in armonia con tutto il suo metodo». n Nel volume della «Biblioteca de Autores Cristianos» citato sopra, Pedro Castellví scrive: «Un lavoro poco conosciuto, nonostante il suo grande interesse, è la lettera di don Bosco sui castighi».12 Probabilmente, quando parla di «poco conosciuto», Castellví si sta riferendo alla scarsa diffusione che lo scritto del 1883 ha avuto nell'ambiente spagnolo non salesiano.
Bisogna riconoscere che pure in altri contesti si trovano, assieme a giudizi entusiastici e a lunghe citazioni esplicite, certe omissioni e silenzi che possono sembrare, quanto meno, strani. Il testo della lettera circolare attribuita a don Bosco non si trova, per esempio, tra i documenti riprodotti da don Bartolomeo Fascie nel suo libro sul Sistema preventivo, anche se l'autore presenta altre testimonianze e scritti inediti su problemi educativi.13
9 R. FIERRO TORRES, Biografia y escritos de San Juan Bosco. Madrid, Biblioteca de Autores Cristianos 1955, p. 470, n. 1.
l0 S.J. Bosco, Obras fundamentales. Edición dirigida por Juan Canals Pujol y Antonio Martínez Azcona. Estudio introductorio de Pedro Braido. Madrid, BAC 1978, pp. 595-608.
11 P. BRAIDO, Il sistema educativo di Don Bosco. Torino, SEI 1962, p. 94. L'antologia preparata da Braido è questa: S. GIOVANNI Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù, introduzione, presentazione e indici alfabetico e sistematico a cura di Pietro Braido. Brescia, La Scuola 1965. Il testo della circolare: pp. 305-316. Si avverte che «è riprodotta l'edizione delle Memorie Biografiche, vol. XVI, e dell'Epistolario, vol. IV» (p. 277).
12 S.J. Bosco, Obras fundamentales..., p. 595.
13 B. FASCIE, Del metodo educativo di Don Bosco. Fonti e commenti. Torino, SEI 1927.
Don Giulio Barberis, primo insegnante di pedagogia dei giovani salesiani (1874), stretto collaboratore di don Bosco e attento compilatore delle sue parole, dedica negli Appunti di pedagogia sacra varie pagine all'argomento dei castighi; non fa però alcun cenno alla lettera del 1883. Un silenzio abbastanza significativo, se si pensa ancora che Barberis fa suoi alcuni paragrafi presi da un libro di A. Monfat, tradotto in italiano, che servì di base come vedremo — per la stesura dello scritto di cui ci stiamo occupando.'4 Non si son trovati riferimenti alla «lunga lettera di Don Bosco» neppure negli scritti di uno dei primi e più autorevoli studiosi salesiani di pedagogia, don Francesco Cerruti, autore di numerose pubblicazioni pedagogiche e di diversi lavori che si occupano di don Bosco educatore e del suo pensiero sull'educazione e sulla scuola.° E questo nonostante che don Cerruti, allora direttore generale degli studi e delle scuole salesiane, si sia impegnato, ancora prima della morte di don Bosco, a raccogliere le lettere circolari di questi; come sembra potersi dedurre da questo fatto: il 14 gennaio 1887, rispondendo a don Bellamy, salesiano francese, interessato a una raccolta di quegli scritti del fondatore, don Cerruti, pur riconoscendo la difficoltà che comportava trovare una raccolta completa, scriveva che avrebbe cercato «con tutto impegno» tutto quello che gli fosse stato possibile, «trattandosi — aggiungeva — di cosa non solo gradita, ma altamente salutare».16 Senza voler dare troppo peso all'argomento del «silenzio», penso che i fatti accennati richiedano che si dedichi, anzitutto, un certo spazio al problema dell' autenticità/del documento: questione tutt'altro che insignificante.
14 G. BARBERIS, Appunti di pedagogia sacra esposti agli ascritti della Pia Società di S. Francesco di Sales. Torino, Litografia Salesiana 1897. Si veda, per esempio, pp. 352-354 di questi Appunti... e A. MONFAT, La pratica dell'educazione cristiana, prima versione libera del Sac. Francesco Bricolo. Roma, Tipografia dei Fratelli Monaldi 1879, pp. 158-178; cfr. in particolare J.M. PRELLEZO, Fonti letterarie della circolare «Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane», in «Orientamenti Pedagogici» 27 (1980) 625-642.
's Si può vedere, per esempio, F. CERRUTI, Le idee di D. Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola. Lettere due. S. Benigno Canavese, Tipografia e Libreria Salesiana, 1886; IDEM, Educazione ed istruzione sistema preventivo ispezioni scolastiche e civili. Torino, Tip. S.A.I.D. «Buona Stampa» 1910.
16 ASC 272 Cerruti Francesco Corrispondenza. Charles Bellamy (1852-1911) fu il primo direttore della casa salesiana di Oran-Eckmilhl (1891).
La lettera circolare del 1883 non è stata neppure raccolta in Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua ed altri loro scritti ai salesiani. Torino, Tip. Salesiana 1896. Nessun riferimento in F. MACCONO, La vocazione pedagogica del Beato Don Bosco. Roma, Libreria Salesiana Editrice 1930. (Il tema dei castighi: pp. 67-76).
Riguardo a questo tema è opportuno ascoltare di nuovo il primo editore. Dopo aver fatto cenno a una copia trovata «a caso», Celia aggiunge che non ha potuto trovare un manoscritto autografo di don Bosco. Ciononostante, per lui non c'è nessun dubbio: «qualche copia con i caratteri di Don Berto, il segretario particolare di Don Bosco, sta a dimostrare che abbiamo dinanzi uno scritto autentico del Santo, come lo conferma il contenuto, lo stile e tutta l'intonazione». Così scrive Celia attorno all'anno 1955, nella nota introduttiva che precede il testo della circolare sui castighi, trascritta nel volume IV dell'Epistolario di don Bosco. Il volume vide la luce nel 1959, dopo la morte dell'editore, a cura di Eugenio Valentini." Nel 1935, aveva scritto semplicemente: «Con la data del 29 gennaio 1883 esiste nell'archivio (32-I) una lunga circolare intitolata: Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, è tutta scritta per mano di don Rua, compresa la firma: SAC. GIOVANNI Bosco. Non ci consta che sia stata mai pubblicata».18 Attualmente, tra la documentazione custodita nell'ASC, non si trova alcuna copia scritta per mano di don Rua, collaboratore e primo successore di don Bosco. Esiste, è vero, una copia che porta precisamente la sigla: 32-I; ma è stata scritta per mano di don Giovanni Battista Francesia.19 Ci occuperemo di questo argomento più avanti, quando si farà l'esame di ognuno dei documenti che si utilizzeranno nella presente edizione. E si vedrà inoltre che non si può affermare con assoluta certezza che una delle copie porti i caratteri della grafia di don Berto.
Ai criteri «esterni», indicati da Celia per documentare l'autenticità della lettera sui castighi, occorre aggiungere i criteri «interni» (contenuti, struttura, stile, tono del documento...). Anch'essi richiedono alcune precisazioni. Infatti, buoni conoscitori degli scritti pedagogici del fondatore della Congregazione Salesiana si esprimono in forma molto più sfumata.
17 «Come abbiamo avuto occasione di dire, presentando il terzo volume, tutta la raccolta è opera del compianto Don Celia, che dedicò ad essa gli ultimi anni e le ultime forze della sua non breve esistenza» (E. VALENTINI, «Presentazione» a E IV, p. V).
18 MB XVI 15. A. Auffray scrive: «Circulaire, dictée un an avant sa mort, à son bras droit, le vénéré Don Rua, circulaire portant cette mention: Des chcltiments à infliger dans les maison salésiennes» (AUFFRAY, Comment, p. 27).
19 Giovanni Battista Francesia (1838-1930). Fu uno dei primi 16 alunni che si unirono a don Bosco per fondare la Società Salesiana (1859). Ordinato sacerdote nel 1862. Fu il primo salesiano che ottenne la laurea in Lettere; autore di numerose pubblicazioni di carattere letterario (lett. italiana e latina). Cfr. E. VALENTINI, Giovanni Battista Francesia scrittore, in «Salesianum» 38 (1976) 127-128; E. VALENTINI - A. RODINO (Edd.), Dizionario biografico dei salesiani. Torino, Ufficio Stampa Salesiana 1969, p. 128.
Pietro Braido ha scritto che «l'orientamento ideale e le formulazioni sono perfettamente conformi allo spirito del 'sistema preventivo'»; ma suggerisce pure che è probabile che la stesura materiale sia stata fatta da uno dei collaboratori; e che «Don Bosco l'abbia semplicemente approvata e fatta sua».2° A conclusioni molto vicine arriva, da parte sua, Pietro Stella: «Il periodare dell'intero documento induce a pensare che il lavoro redazionale altrui sia prevalente. Il che del resto è di consuetudine negli ultimi anni della vita di Don Bosco. Tuttavia è possibile riconoscervi termini e preoccupazioni ch'erano anche di Don Bosco proprio in quel periodo»?' Stella si riferisce, per esempio, ai cenni sul sistema preventivo, all'avvertimento di non correggere mai in pubblico, ma in camera charitatis. E conclude affermando che, a quanto sembra, il documento non fu mai inviato alle case salesiane durante la vita del fondatore, né fu stampato o litografato come si era soliti fare a Valdocco.22 Anni prima, nel 1964, anche Pietro Braido si era riferito al fatto che la lettera circolare del 1883 non fu mai inviata ai destinatari e rimase inedita per molti anni. Egli tratta questo punto esaminando la dottrina di don Bosco sui castighi. In una classica «Buona Notte» ai giovani, nei 1863, lo stesso don Bosco ammonì: «Io, ve lo dico schiettamente, aborrisco i castighi, non mi piace dare un avviso con l'intimare punizioni a chi mancherà: non è il mio sistema»," Dopo aver trascritto queste affermazioni, Braido si domanda: «Non può essere questo il motivo per cui la lunga circolare intitolata Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, esistente nell'archivio capitolare salesiano, datata con il giorno :di S. Francesco 1883, non fu mai inviata ai destinatari e rimase inedita? Pur corrispondendo tutta al pensiero di Don Bosco ed esponendo ordinariamente la sua precettistica e la sua pratica, non sembrava dare troppa importanza ad un argomento che nella pedagogia dell'amorevolezza andava appena sfiorato?»." In una più recente pubblicazione (1981), il noto studioso di don Bosco si occupa di nuovo dell'argomento. Ricorda ancora la «Buona Notte» del 1863.
20 GIOVANNI Bosco, Scritti, p. 277.
21 STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pp. 466-467.
22 Si possono vedere le circolari di don Bosco e dei membri del Cap. Sup. e altri scritti di carattere ascetico-pedagogico (come, per esempio, i citati Appunti di pedagogia Sacra di G.Barberis o gli Elementi di pedagogia di F. Cerruti).
23 MB VII 503.
24 P. BRAIDO, Il sistema preventivo di don Bosco. Ziirich, PAS-Verlag 1964', p. 179, n. 76.
Poi sintetizza e sfuma, in forma significativa (ormai senza interrogativi), la sua riflessione precedente: «Probabilmente è questo il motivo per cui la lunga circolare Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883) non fu mai inviata ai destinatari e rimase inedita. Pur corrispondendo nella sostanza al pensiero di Don Bosco, dava troppa importanza e sistematicità ad un argomento che nella pedagogia dell'amorevolezza andava appena sfiorato»." Senza dubbio è una ipotesi chiarificatrice. Ma, pur tenendo questo fatto molto presente, non sembrerebbe completamente ingiustificata una certa sorpresa di fronte alla costatazione che non fosse stata inviata ai destinatari una lunga lettera circolare, se questa portava, come autore, il nome di don Bosco. È ben conosciuta l'autorità di cui godeva, tra i suoi primi collaboratori e figli, il fondatore dei Salesiani. Ed è risaputo, in particolare, che don Rua non era uno che lasciasse cadere in oblio le indicazioni o avvisi del Superiore.
In questa rete di problemi e di punti oscuri, si prospetta con chiarezza l'esigenza di avvicinarsi all'ambiente in cui, probabilmente, fu composto lo scritto del 1883. Tale avvicinamento può offrire, almeno in teoria, elementi validi per chiarire il problema dell'estensore della lettera e per individuare le fonti redazionali del documento in esame.
È felice, a mio avviso, l'espressione con cui P. Stella sintetizza il suo parere riguardo alla lettera Dei castighi: «Comunque è sempre da considerare come un significativo prodotto dell'ambiente collegiale costituitosi ormai solidamente in quegli anni a Valdocco e in molte case salesiane»." Ci troviamo nei primi anni '80. Don Bosco avrebbe consegnato lo scritto al suo vicario, don Michele Rua, prima di allontanarsi, per un non breve periodo di tempo, dall'Oratorio torinese e dall'Italia. Eugenio Celia, autore del racconto, si riferisce sicuramente al lungo viaggio che don Bosco fece in Francia nei primi mesi del 1883. Tale viaggio è ben documentato. Ma, in questo momento, può essere molto pertinente portare la testimonianza dello stesso don Rua. Questi, in una lettera circolare da Torino, datata il 25 gennaio 1883, dice: «Quest'anno avremo qui il nostro caro Padre D. Bosco a rallegrare la festa di S. Francesco. Deo gratias! Ma il 30 corrente egli partirà pel solito viaggio assai lungo e faticoso».27
25 P. BRAIDO (Ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia. Vol. II: Sec. XVII-XIX. Roma, LAS 1981, p. 380.
26 STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, p. 467.
27 ASC 9.131 Rua Michele Circolare agli ispettori (25.1.1883) ms allografo e firma autografa di don Rua; cfr. anche ASC 0529 Rua Michele Circolari. Si conservano lettere circolari delle seguenti date: 26.1.1883; 25.2.1883; 28.4.1883; 31.5.1883; 26.6.1883; 24.7.1883; 24.10.1883; 24.11.1883; 28.12.1883.
Nei mesi successivi, don Rua, tra le altre cose, comunica alcune notizie sulle vicende del viaggio stesso da Bordighera a Ventimiglia a Marsiglia a Parigi... Il 31 agosto scrive, finalmente, ai suoi confratelli: «Col Divino aiuto giunse a casa sano e salvo il nostro caro Padre reduce dal suo lungo viaggio di ben quattro mesi». Aggiunge poi che, in foglio a parte, invia un «bel sogno del Sig. D. Bosco», che si può far conoscere in pubblico, in modo che sia di edificazione e di stimolo per il bene. Né in questa circolare né in quelle precedenti (almeno quelle oggi reperibili nell'ASC) fa alcun riferimento allo scritto che avrebbe dovuto inviare, secondo quanto scrive Celia, alle case salesiane dopo la partenza di don Bosco da Torino." D'altra parte, neppure le cronache dell'Oratorio di Valdocco e i verbali delle adunanze o «conferenze» del personale della casa fanno cenno alcuno alla lettera sui castighi, anche se, in quegli anni (1882-1884), il tema della disciplina e, in concreto, dei castighi occupò frequentemente l'attenzione di «superiori, maestri e assistenti».
Bisogna però aggiungere subito che, nonostante questo silenzio, le notizie che si trovano nei documenti citati offrono dati di indiscutibile interesse per ricostruire 1' ambiente collegiale in cui si «produce» il documento del 1883. Essi riflettono momenti tesi nell'andamento del primo istituto fondato da don Bosco. Nelle notizie, sovente schematiche, che si danno sugli interventi dei partecipanti alle diverse adunanze, si avverte una certa insistenza sull'urgenza che ognuno conosca e osservi il proprio regolamento. E non mancano allusioni e commenti su temi e fatti di carattere disciplinare. Nell'adunanza o conferenza che ebbe luogo il 27 giugno 1882, qualcuno disse che i «giovani non hanno bpono spirito, sono insubbordinati».29 Come uno dei fattori che hanno provócato tale situazione, i membri del consiglio direttivo di Valdocco indicano la mancanza di unità nella direzione del centro. L' argomento fu oggetto di riflessione e di dialogo nei successivi incontri. Alla «gran conferenza» del 16 novembre presero parte tutti, sacerdoti, maestri e chierici assistenti: 35 ca. Furono lette e commentate alcune pagine di un'opera del pedagogo francese A. Monfat (Pratica dell'educazione cristiana), a cui ci siamo riferiti sopra, nelle quali si affrontava precisamente l'argomento della «disciplina fra gli educatori».
28 Cfr. A. AMADEI, Il servo di Dio Michele Rua. Vol. I. Torino, SEI 1931. 11 biografo dedica ampio spazio a raccontare i fatti del 1883 (pp. 317-331). Riporta le notizie date da Don Rua nelle sue circolari sul viaggio di don Bosco. Ricorda che, alla fine di aprile, «Don Bosco vide la necessità di avere Don Rua al fianco, e lo chiamò» (p. 320).
29 ASC 38 Torino San Francesco di Sales fol. 53. Cfr. altri riferimenti in I.M. PRELLEZO, Fonti, pp. 627-628; IDEM, Valdocco (1866-1888). Problemi organizzativi e tensioni ideali nelle «conferenze» dei primi salesiani, in RSS 8 (1989) 289-328; P. BRAIDO, La lettera di Don Bosco da Roma del 10 maggio 1884. Roma, LAS 1984, pp. 81-82.
Nella medesima adunanza si parlò anche dell'ordine tra i giovani: due aspetti dello stesso problema che preoccupava seriamente i responsabili dell'Oratorio. Lo si può affermare, se si pensa che all'inizio dell'anno seguente, l'otto marzo 1883 (mentre don Bosco realizzava il suo viaggio francese), ebbe luogo una nuova conferenza, alla quale presero parte ancora una volta tutti quelli che avevano una qualche responsabilità nell'andamento della casa. L'ordine del giorno aveva un argomento centrale: la disciplina. Allo scopo di trovare orientamenti precisi riguardo a questa delicata materia, fu letto un capitolo sui castighi preso dal volumetto Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù del P. Teppa." E furono commentate le parole di don Bosco che si riferiscono al tema nei Regolamenti. (Non è fuori luogo rilevare ancora una volta che i verbali di queste adunanze non fanno allusione alcuna alla circolare Dei castighi; perché, nel contesto presentato rapidamente, una tale allusione si potrebbe considerare «scontata», se le cose fossero andate così come le racconta don Celia).
L'adunanza dell'8 marzo si chiuse con una viva esortazione ad attenersi allo spirito di don Bosco e del P. Teppa: due «modelli sperimentati nell'educazione della gioventù». E che l'argomento interessasse vivamente i partecipanti si capisce ancora dal fatto stesso che essi decidono di trovarsi di nuovo il giorno seguente. Il punto centrale da affrontare era questo: «Trovare il perchè, che i giovani ci temono più di quello che ci amano. Ciò è contrario — si osserva — al nostro spirito o almeno allo spirito di D. Bosco»." Su questo «importante argomento» si discusse «circa due ore», ma senza trovare la «vera causa». Fu sentito allora il bisogno di poter disporre di un libro che servisse da guida e orientamento. Si decise di provvedere a ciascuno un esemplare degli Avvertimenti... del barnabita P. Teppa. Il volumetto fu distribuito nella riunione del mese di aprile 1883.
Se si confrontano le pagine degli Avvertimenti col testo della circolare Dei castighi, si trovano concetti affini: il castigo, come le medicine, si deve applicare solo per necessità e come ultimo rimedio; l'educatore non deve castigare mai con durezza o mosso dalla passione; le punizioni non devono causare danni alla salute...
30 A. TEPPA, Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù. Roma/Torino, Marietti 1868, pp. 41-51 (cap. VI Dei castighi).
31 ASC 38 Torino San Francesco di Sales, foll, 78-80. Cfr. testo critico di questo documento in: L'Oratorio di Valdocco nelle «Conferenze capitolari» (1866-1877). Introduzione e testi critici, [a cura di] J.M. Prellezo, in RSS 10 (1991), 35-71.
Ma sono temi abbastanza comuni nella letteratura pedagogica dell'ottocento." Invece la struttura e l'impostazione generale dei due scritti sono assai diverse. Certe affermazioni poi riflettono punti di vista alquanto differenti: mentre Teppa consiglia di castigare prontamente, anche se senza precipitazione, l'autore della circolare pensa che il ragazzo non dovrebbe essere castigato nell'istante stesso della mancanza, ma dovrebbe disporre di un certo tempo per riflettere. Si può, inoltre, rilevare un fatto piuttosto curioso: l'educatore barnabita parla di infliggere i castighi con «amorevolezza»; invece, nello scritto attribuito a don Bosco non appare questo termine così caratteristico del suo vocabolario, almeno in certi periodi." Si può concludere che, nell'insieme, le tracce del libro di P. Teppa nella lettera circolare Dei castighi sono piuttosto lievi. Al contrario, si vedrà che l'altro libretto usato a Valdocco, e cioè l'opera di P. Monfat, offrì abbondanti materiali al compilatore della medesima.
Il confronto dei testi presenta un solido fondamento per sostenere che tra questi due scritti non solo esistono coincidenze tematiche e parallelismi concettuali, ma vere e reali dipendenze. In un lavoro precedente questa conclusione venne ampiamente documentata; e nello stesso tempo risultò dimostrata l'inconsistenza dell'ipotesi di una dipendenza diretta dagli scritti di Ch. Rollin." Nella presente edizione si completerà la trascrizione dei testi; perché anche i paragrafi in cui le somiglianze appaiono più tenui possono essere chiarificatori alla luce dei brani riportati, quasi letteralmente, in altri punti dello scritto del 1883.
Attraverso il pedftgogista della Società di Maria, il redattore della circolare indirizzata ai direttori delle case salesiane si è messo in contatto con le dottrine e gli scritti di altri pedagogisti e educatori: Seneca, Quintiliano, Fénelon, Dupanloup, Rollin... In tali casi, si dovrebbe parlare solo, ovviamente, di fonti indirette. Lo stesso si dovrebbe dire ancora dei libri e autori aggiunti da Bricolo nella sua traduzione-adattamento italiana: Lambruschini, Tommaseo, Arrò Carroccio, Alfieri...
32 Cfr. B. SCHNAPPER, La correction paternelle et le mouvement des idées au dix-neuvième siècle (1789-1935), in «Revue Historique» 1980, n. 534, 320-349; A. CUMMING, Discipline: an historical examination, in «Paedagogica Historica» 9 (1969) 366-379.
33 Andrebbe fatta, a questo riguardo, una precisazione in S.J. Bosco, Obras fundamentales, p. 596, quando si dice: «Todas sus Oginas subrayan en forma reiterativa la amorevolezza, expresión tipica, verdadero tecnicismo en su léxico pedagógico».
In realtà, questa «expresión tipica» non si trova nella circolare Dei castighi.
34 Nel lavoro citato nella nota 12 (Fonti...) si cercò di documentare l'apporto del pedagogista francese Ch. Rollin. Tale apporto fu piuttosto indiretto: attraverso l'opera che conosciamo di A. Monfat. Nello stesso lavoro si mise pure in evidenza che l'estensore della circolare Dei castighi non usò l'originale francese ma la «versione libera» di F. Bricolo.
C'è un punto in cui la fonte letteraria è chiaramente diversa: è il paragrafo dedicato al «nostro caro e mansueto» San Francesco, e ai suoi esempi di dolcezza e di carità. Il testo riportato riproduce un brano della Vita di San Francesco di Sales, scritta da André Jean Marie Hamon, un'opera che non era sconosciuta nell'ambiente salesiano di Valdocco.35 Gli abbondanti materiali raccolti sono stati, in generale, poco elaborati. Il lettore può rendersene conto facilmente confrontando il testo e l'apparato delle fonti. L'autore dello scritto del 1883 commenta e illustra i principali argomenti pedagogici con riferimenti alla Sacra Scrittura: esempio di Gesù (amore, dolcezza e pazienza con Maria Maddalena e con gli apostoli), esempio di San Paolo, Mosè, Davide, Elia...
Questi cenni e le esortazioni a ricorrere alla preghiera, al timore di Dio e ad altri mezzi di carattere soprannaturale contribuiscono a dare alla circolare Dei castighi un più forte e caratteristico tono religioso-spirituale. Ci sono pure altri elementi che contribuiscono a «personalizzare» il contenuto. L'estensore parla più d'una volta, in prima persona, ai «miei cari salesiani»; accenna a esperienze educative e apostoliche, familiari nell'ambiente oratoriano di Valdocco: «Io ho avuto vere conversioni»; «Il Signore mi ha consolato più volte»; «Ho sovente incontrato animi così caparbii [...], e che furono piegati solamente dalla carità»; «Sovente chiamati a me alcuni di questi piccoli riottosi, trattati con benevolenza»...
Sono, queste, espressioni che suggerirebbero l'intervento di Don Bosco; ma non consentono di arrivare a conclusioni sicure e definitive.
Il lavoro di ricerca e di identificazione delle fonti letterarie fa vedere con chiarezza che l'originalità contenutistica della circolare Dei castighi presenta proporzioni molto modeste. E, dopo aver analizzato tali fonti, rimangono degli interrogativi aperti attorno alla questione dell'autore della redazione del 1883 e del suo intervento nella scelta e presentazione della documentazione raccolta.
35 [André Jean Marie HAmoN], Vita di San Francesco di Sales vescovo e principe di Ginevra compilata sui manoscritti e sugli autori contemporanei dal curato di S. Sulpizio di Parigi. Torino, Cav. Pietro Marietti 1877, 3 vol.
L'opera si conserva nell'antico fondo della Biblioteca Salesiana di Valdocco. L'esemplare usato (vol. III) porta il vecchio timbro circolare: «Oratorio di S. Francesco di Sales - Torino».
In diverse pagine (anche nella 356 e 357) si avvertono i segni fatti a matita da un anonimo lettore (croci, righe verticali e orizzontali).
Ciononostante, un fatto appare abbastanza chiaro: da una nuova prospettiva e sulla base di dati attendibili, si conferma l'ipotesi che nella lunga lettera del 1883 l'opera redazionale di una persona diversa da don Bosco è stata prevalente.36 Ma, anche se può sembrare paradossale, bisogna aggiungere che la mole di testi presi letteralmente da pubblicazioni precedenti non facilita il compito di identificazione. Il libro più utilizzato dal compilatore era conosciuto a Valdocco già nell'anno 1882. Basti ricordare che ben 35 responsabili dell'educazione dei ragazzi presero parte alla «gran conferenza» del 16 novembre, e poterono ascoltare la lettura e il commento di alcune pagine della Pratica dell'educazione cristiana di A. Monfat: un volumetto che veniva, a quanto pare, caldamente raccomandato dallo stesso don Bosco ai suoi collaboratori. Infatti, don Giulio Barberis, dopo aver attinto abbondantemente all'operetta monfatiana per la compilazione degli Appunti di pedagogia sacra, nel capitolo dedicato al tema della disciplina afferma testualmente: «dirò coll'illustre P. Monfat, Marista (del qual libro D. Bosco ci raccomandava grandemente la lettura)»." Sono fatti tutt' altro che irrilevanti in ordine alle non poche affinità tra le proposte del pedagogista francese e determinati orientamenti educativi riscontrabili nei primi scritti pedagogici salesiani. Tali fatti non costituiscono però una base sufficientemente solida per poter affermare che, di fatto, don Bosco abbia messo la sua firma in calce all'ultima pagina della sintesi-estratto che delle pagine di Monfat fece sicuramente uno dei suoi collaboratori. E, a prescindere da questioni di dipendenze letterarie, non sembra azzardato supporre che con la scelta e l'utilizzazione di tali testi si sia voluto rispondere a problemi particolarmerite sentiti nel collegio internato di Valdocco nei primi anni '80, a jdui si è accennato nelle pagine precedenti.
La presentazioiíe, che si farà nei paragrafi seguenti, di ognuno dei documenti che hanno trasmesso la lettera circolare può offrire altri elementi utili.
36 Nel riassumere le pagine riguardanti la repressione, punizioni-castighi (pp. 156-193), non sembra che il redattore abbia tralasciato determinati brani in base a precisi criteri di scelta. In qualche caso i cambiamenti riscontrabili nel suo lavoro potrebbero tradire un atteggiamento meno favorevole ai castighi. Ad esempio, mentre Monfat dice di non castigare «che dopo esauriti gli altri mezzi» (p. 157), nella circolare si legge: «dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi» (p. 1). Va notato però che anche il pedagogista francese, in un secondo momento, invita l'educatore «a non ricorrere alle punizioni, che all'ultimo estremo» (p. 169).
Non si trova nello scritto attribuito a don Bosco una raccomandazione che, nel clima familiare di Valdocco, potè forse sembrare troppo austera: «la parola nell'educatore sia sempre grave» (p. 161). Ma, d'altra parte, bisogna pure aggiungere che non sono state raccolte alcune indicazioni e proposte di Monfat (o aggiunte da Bricolo nella sua «libera versione»), che si possono considerare particolarmente vicine agli orientamenti educativi donboschiani: condanna delle «punizioni generali» (p. 177); che il giovane conosca «di essere amato» (p. 158); trattare con «amorevolezza» (p. 159). Per altri elementi e rilievi, cfr. PRELLEZO, Fonti, pp. 640-642.
31 BARBERIS, Appunti, p. 303.
Dello scritto che ci accingiamo a pubblicare in queste pagine non si è trovato alcun originale autografo di don Bosco. Né si hanno notizie dell'esistenza, in qualche momento storico, della minuta o di qualche copia con la sua firma.
Dopo una sistematica consultazione dell'ASC, fondo Don Bosco, si è potuto verificare che esistono sette copie allografe (cinque manoscritte e due dattiloscritte) con la segnatura 131.03 Lettere Circolari ai Salesiani. Nello stesso ASC è custodita un'altra copia dattiloscritta nella posizione: 0509 Superiori Maggiori Circolari 1867-1907.
Soltanto in pochi casi si è riusciti a identificare con solida probabilità l'amanuense che ha vergato il manoscritto. Si può però aggiungere con sicurezza che in nessuna di queste otto copie si avvertono interventi attribuibili in qualche modo alla mano di don Bosco. Le ricerche fatte in altri archivi non hanno portato finora a risultati positivi.
Nel lavoro saranno tenuti presenti, oltre alle copie manoscritte, i due testi editi nelle Memorie biografiche e nell'Epistolario di don Bosco, per l'autorevolezza e la diffusione che tali edizioni hanno avuto. La prima si indicherà, in seguito, con la sigla J, la seconda con la sigla K.
L'esame delle diverse copie conosciute porta a una prima, se pur provvisoria, ipotesi: sembra che tutti questi documenti derivino da un'unica redazione (forse scomparsa?) della lettera circolare Dei castighi. Tutte le copie conservate ne contengono il testo sostanzialmente completo. Le varianti che si osservano (omissioni e/o aggiunte di fonemi, cambio dell'ordine delle parole...) possono attribuirsi a semplici errori propri del copista e, in qualche caso, esse possono tradire difficoltà di lettura del manoscritto riprodotto. Solo in poche occasioni si avvertono varianti di un certo rilievo (omissioni di righe) e probabili interventi intenzionali dell'amanuense-editore per «migliorare» il testo. Ma neppure in questi casi viene compromessa l'integrità sostanziale del contenuto.
Nella presente edizione si è prescelta come base una copia manoscritta conservata nel luogo segnato ASC 131.03 Lettere Circolari ai Salesiani, che si indicherà d'ora in poi con la sigla A.
Il manoscritto A è costituito di due fogli doppi inseriti l'uno nell'altro, di complessive 8 pagine non numerate, senza rigatura e marginatura, dalle dimensioni 220 x 140 mm. L'ultima pagina è bianca. La carta, ormai ingiallita e quasi annerita dal tempo, è leggera. Nel secondo foglio si legge l'intestazione delle carte da lettera usate nel collegio salesiano di Valsalice: «COLLEGIO-CONVITTO VALSALICE - Torino, addì».
Il manoscritto è un po' logorato dall'uso. Si notano numerose macchioline scure, dovute probabilmente all'umidità. La grafia, piccola, aggraziata e regolare è di don Giovanni Battista Francesia.38 Questi scrive anche la firma: «Giovanni Bosco». Dato il tipo di carta usata, non è azzardato supporre che la trascrizione sia stata fatta da don Francesia quando era direttore del collegio di Valsalice (1883-1884) o in un periodo leggermente posteriore. Il manoscritto presenta poche correzioni; qualche volta però riesce difficile precisare la parola che è stata sostituita; e sovente le vocali finali (a, e, o), offrono una lettura dubbia. L'inchiostro usato è bruno.
Si tratta della copia più antica e autorevole. A questa conclusione portano una serie di considerazioni che vanno più in là delle caratteristiche e degli aspetti estrinseci del documento già di per sé assai eloquenti. La copia A fu fatta prima delle edizioni curate da Celia. Infatti, una nota d'archivio dice: «Non risulta pubblicata». Detta copia porta inoltre, scritta a mano con inchiostro nero, la sigla: «32-I», che indicava, in un antico catalogo dell'ASC, la posizione in cui si trovavano lettere circolari varie di don Bosco (o a lui attribuite) ai Salesiani.
La presenza sistematica nel testo di A di forme usate nel secolo XIX («aveva», «era», «intiera» al posto di «avevo», «ero», «intera») offre nuovi elementi di attendibilità. Qualcosa di simile si potrebbe dire di alcune espressioni di sapore piemontese («chiamare ai parenti» al posto di «chiedere ai parenti»). Tutte queste forme e espressioni appaiono invece «ammodernate» nelle Memorie biografiche (1935) e nell'Epistolario (1959).
L'analisi dei testj mette in luce, d'altra parte, una chiara affinità tra A e altre due copie manoscritte della lettera circolare.
La prima (B) è un comune quaderno scolastico di 23 pagine non numerate, dalle dimensioni 201 x 152 mm. La seconda (D) è ugualmente un quaderno scolastico, questa volta, di 36 pagine numerate, dalle dimensioni 201 x 153 mm. Queste due copie sono state fatte da amanuensi diversi; la scrittura, leggermente inclinata a destra, .è chiara, e, nel manoscritto B, non priva di una certa eleganza.39
38 Nel biennio 1884-1886 Giovanni Battista Francesia fu direttore della sezione studenti di Valdocco. Contemporaneamente occupò la carica di ispettore (provinciale) salesiano in Piemonte (1878-1902). Cfr. E. VALENTINI - A. RODINd (Edd.), Dizionario, p. 128.
39 È questo il manoscritto a cui si riferisce Celia quando parla di una «copia con caratteri di Don Berto» (E IV, 201)? Tra i manoscritti conservati attualmente nell'ASC, la copia B è quella che potrebbe sembrare più vicina ai «caratteri di Don Berto». Ma non ci sono stati dati sicuri per poter rispondere in senso positivo.
Il confronto delle varianti, pur confermando l'affinità tra i tre manoscritti, non consente di parlare con tutta sicurezza di dipendenza diretta. Anzi la presenza di un rilevante numero di varianti comuni porta a non scartare l'ipotesi che gli amanuensi di B e D abbiano potuto usare per la trascrizione un manoscritto diverso da A. Appunto per questo, tali copie saranno tenute presenti in questa edizione.
Considerazioni analoghe vanno fatte riguardo ai rapporti tra A e J. Don Celia dice di aver trascritto una copia custodita nell'archivio salesiano con la segnatura: «32-I». Essa è precisamente la vecchia segnatura del manoscritto A. Tale fatto e la vicinanza di testi potrebbero far pensare che J dipenda da A. Le divergenze riscontrabili troverebbero una spiegazione in errori di trascrizione o in semplici mende tipografiche (per esempio, «curandola», invece di «curvandola», «sogliono» al posto di «vogliono»). E non è da escludere, in qualche caso, l'intervento intenzionale dell'editore allo scopo di «migliorare» il testo (correzioni di qualche eventuale svista dell'originale riprodotto, sostituzione di forme verbali antiquate).
Non sono però considerazioni che consentano di venire a conclusioni definitive. Dal canto suo, don Celia afferma che utilizzò nel suo lavoro una copia scritta dalla mano di don Rua. Invece la copia A è stata realizzata sicuramente da don Francesia. Pur senza escludere la possibilità di una inesatta attribuzione della scrittura da parte dello storico di don Bosco," la sua testimonianza costituisce un elemento in più, che merita considerazione. I dati oggi disponibili lasciano, dunque, aperta in parte la questione di una vera e propria dipendenza tra A e J. Meno problematico appare invece il rapporto tra J e K. L'edizione dell'Epistolario riproduce, eccetto qualche lieve ritocco, quella delle Memorie biografiche.
Altri due manoscritti (C, E) conservati nella posizione indicata dal l' ASC, sono con tutta probabilità trascrizione di B e D rispettivamente.'" Ugualmente due delle copie dattiloscritte (G, H) dipendono direttamente da A.
40 Tra le grafie dei due collaboratori di don Bosco (don Rua e don Francesia) esistono notevoli somiglianze. Tali somiglianze spiegherebbero anche l'inesattezza che si avverte nel volume Fondo Don Bosco. Microschedatura e descrizione a cura di A. Torras. Roma, Archivio Salesiano Centrale 1980, in cui si presenta la copia A come «Ms. Rua» (p. 256).
La grafia di C coincide con quella di altri documenti conservati nell'ASC, nei quali si legge questa nota d'archivio: «scrittura del famiglio Gerard - lavorò in Archivio tra il 1923 e il '26» (Cfr. ASC 123 Rinaudo).
Le copie D, E molto probabilmente sono state realizzate dallo stesso amanuense. La grafia di questi manoscritti ha certe somiglianze con quella di C, e coincide con la scrittura di copie di documenti realizzate — si dice nelle corrispondenti note archivistiche — dal citato «famiglio Gerard». (Cfr., per esempio, cronache di D. Ruffino, ASC 110.1).
La seconda (H) è custodita nella posizione 0509 Superiori Maggiori Circolari. Una terza copia dattiloscritta (F), conservata, come G, nella posizione 131.03 Lettere Circolari ai Salesiani, è molto difettosa: contiene numerosi errori materiali che non sono stati corretti.
Sulla base dell'analisi interna dei testi, delle varianti e delle testimonianze esterne, si presenta — anche per ragioni di chiarezza e di utilità per il lettore un'ipotesi di stemma, pur riconoscendo che esso offre aspetti problematici.
[o] A a a G D H K 5.
La presente edizione
Il testo critico presentato in questa edizione della circolare Dei Castighi da infliggersi nelle case salesiane rispecchia fedelmente quello trasmesso dal manoscritto A, il documento considerato più antico e autorevole.
Per facilitare la lettura, si è preferito emendare qualche «svista» dovuta probabilmente a disattenzione o errore materiale del copista. Gli elementi aggiunti sono stati inseriti tra parentesi quadre. Pur nel rigoroso rispetto del testo trascritto, si è considerato conveniente introdurre lievi ritocchi nell'ortografia, preferendo, per esempio, l'uso regolare delle minuscole in parole come «casa», «collegio». Ma si tratta di poche e leggere variazioni di carattere formale. In altri termini: nelle pagine seguenti si riproduce il testo critico presentato in una precedente pubblicazione» L'apparato delle varianti è stato ridotto però a qualche esemplificazione essenziale: si riportano solo quelle lezioni che interessano, sebbene non in forma rilevante, il senso del discorso.
42 Cfr. Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane. Una lettera circolare attribuita a Don Bosco. [Introduzione e testo critico a cura di] J.M. Prellezo, in RSS 5 (1986) 263-308. In questo lavoro si può trovare una descrizione più ampia e puntuale (pp. 274-286) dei Documenti che contengono il testo della circolare attribuita a don Bosco.
Per comodità dei lettori, si è preferito invece riprodurre integralmente un secondo apparato che contiene: l'indicazione delle citazioni letterali o parafrasate della Sacra Scrittura e degli autori citati nel testo; alcune note «storico-esplicative» e riferimenti a passi paralleli di scritti di Don Bosco o dei suoi primi biografi, che possono aiutare a «contestualizzare» lo scritto del 1883. Per facilitarne la lettura, le fonti letterarie dirette non sono più collocate in appendice, ma nel corrispondente apparato critico a pié pagina.
Miei cari figliuoli,
Sovente e da varie parti mi arrivano ora domande, ora anche preghiere, perchè io voglia dare alcune regole ai Direttori, ai Prefetti ed ai Maestri, che servano loro di norma nel difficile caso in cui si dovesse 5 infliggere qualche castigo nelle nostre case. Voi sapete in quali tempi viviamo, e con quanta facilità una piccola imprudenza potrebbe portare con sè gravissime conseguenze.
Nel desiderio pertanto di secondare le vostre domande, ed evitare a me ed a voi dispiaceri non indifferenti, e, meglio ancora, per - 10 ottenere il maggior bene possibile in quei giovinetti che la Divina Provvidenza affiderà alla nostra cura, vi mando alcuni precetti e consigli, che se voi procurerete, come io spero, di praticare, vi aiuteranno assai nella santa e difficile opera della educazione religiosa, morale e scientifica. 15 In generale il sistema che noi dobbiamo adoperare è quello chiamato preventivo (1) il quale consiste nel disporre in modo gli animi
(1) Vedi Regolamento per le Case della Società di S. Francesco di Sales.
de' nostri allievi, che senza alcuna violenza esterna debbano piegarsi a 20 fare il nostro volere.
12 affiderà torr ex concederà A
5-8 Cfr. ad es., Regolamento per l'Istruzione elementare approvato con R. Decreto [N° 4336] 15 settembre 1860, in: Codice dell'Istruzione secondaria classica e tecnica e della primaria normale... Torino, Tipografia Scolastica di Seb. Franco e Figli e Comp. 1861, p. 389.
16-22 «Diverso, e direi opposto è il sistema Preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore e degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze» — Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales. Torino, Tipografia Salesiana 1877, p. 4. Cfr. G. Bosco, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Introduzione e testi critici a cura di Pietro Braido. Roma, LAS 1985, p. 83.
Con tal sistema io intendo di dirvi che mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e soli quelli della persuasione e carità.
Che se l'umana natura, troppo inclinevole al male, ha talvolta bisogno di essere costretta dalla severità, credo bene di proporvi alcuni 25 mezzi, i quali, io spero coll'aiuto di Dio ci condurranno a fine consolante. Anzitutto se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, ed obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre il tenero oggetto delle mie occupazioni, de' miei studi, e del 30 mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione Salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia; e solo in modo di chi in questa si adatta per forza e per compiere un dovere.
35 Io intendo di esporvi qui quali siano i veri motivi, che vi debba no indurre alla repressione, e quali siano i castighi da adottarsi e da chi applicarsi.
36 adottarsi] adattarsi BD
23-24 «Allorchè la sorveglianza è imbelle a contenere i suoi istinti malvagi, è dovere dell'educatore il reprimerli» — A. MONFAT, La pratica dell'educazione cristiana prima versione libera del Sac. Francesco Bricolo. Roma, Tipografia dei Fratelli Monaldi 1879, p. 156.
27-30 «Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani>> — MB XVIII 258. «11 sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben quaranta anni e quanto soffro e tollero ancora adesso» — La lettera di Don Bosco da Roma del 10 maggio 1884, [a cura di] P. BRAIDO, in RSS 3 (1984), p. 341.
31-34 Cfr. Bosco, Il sistema preventivo, p. 83. «Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori, e non più come padri, fratelli ed amici» — La lettera di Don Bosco da Roma, p. 344.
35-38 «I maestri, gli istitutori rappresentano i genitori, essi tengono i loro diritti e specialmente il titolo di secondi padri dalle famiglie, che ad essi affidano le loro creature. Ma se sono padri dei loro allievi, bisogna, che ne abbiano anche il sentire. Un padre non reprime o punisce mai con piacere; vi si rassegna per ragione o giustizia, ma esercitandola si mostra sempre padre. Le disposizioni, che un educatore, memore del suo titolo di padre arreca nell'esercizio della Repressione sono dunque: 1. di non appigliarvisi, che dopo esauriti gli altri mezzi di azione» — MONFAT, La pratica, p. 157.
36-37 «Dove è possibile, non si faccia mai uso dei castighi» — Bosco, Il sistema preventivo, p. 91.
fol. iv Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! È certo più facile irritarsi che pa- 40 zientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia, castigare quelli che ci resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava S. Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che so- 45 vente lo faceva piangere, e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Perciò io raccomando a tutti i Direttori, che prima debbano adoperare la correzione paterna verso i nostri cari figliuoli, e che questa sia fatta in privato, o come si suol dire in camera charitatis. In pubblico 50 non si sgridi mai direttamente, se non fosse per impedire lo scandalo, o per ripararlo qualora fosse già dato.
Se dopo la prima ammonizione non si vede alcun profitto, se ne parli con un altro superiore che abbia sul colpevole qualche influenza; e poi alla fine se ne parli col Signore. Io vorrei che il Salesiano 55 fosse sempre come Mosè, che si studia di placare il Signore giustamente indignato contro il suo popolo d'Israele. Io ho veduto che raramente giova un castigo improvviso e dato senza aver prima cercato altri mezzi.
40-44 «E diffatti è piA facile irritarsi che pazientare; è cosa più spiccia minacciare un fanciullo che persuaderlo; è più comodo alla superbia e all'impazienza umana picchiare su quei che resistono, che sopportarli correggendoli con fermezza e benignità» — MONFAT, La pratica, p. 159.
44-47 Cfr. 1 Cor 1,10; Gal 4,15-20; Phil. 2,1-5.
48-52 «Per correggere con frutto non far rimproveri in presenza di altri» — Memorie dal 1841 al 1884-5-6 pel Sac. Gio. Bosco a' suoi figliuoli salesiani [Testamento spirituale], [a cura di] F. Motto in RSS 4 (1985), p. 92. «Il Direttore [...] Non faccia mai rimproveri, nè dia mai severi avvisi in presenza altrui. Ma procuri di ciò far sempre in camera caritatis, ossia dolcemente, strettamente in privato» (ibid., pp. 115-116). «Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni» — Bosco, Il sistema preventivo, p. 91.
49-50 «Qualora si dovesse a costoro fare un biasimo, dare avvisi o correzioni, non si faccia mai in presenza dei compagni» — Regolamento per le case, p. 17. «Lo si chiami in particolare e con tono paterno» — MONFAT, La pratica, p. 184.
56-57 Cfr. Ex 32,11-14.
59-68 «È precisamente, perchè niuna cosa può forzare la trincea impenetrabile della libertà di un cuore, che è d'uopo far di tutto per guadagnare quel cuore, la sua stima, e il suo affetto. Una fermezza dolce e saggia, costante ed amabile può sola venirne a capo. Ecco la disciplina morale. Ma bisogna confessarlo, questa è una perfezione, che s'incontra di rado, sovratutto nei giovani maestri, anche pii: i più non correggono, come si dovrebbe, non pigliano i fanciulli, come converrebbe pigliarli; non fanno che punire materialmente e non far nulla; lasciar andar tutto, o colpire a torto e a ragione» — MONFAT, La pratica, pp. 159-160.
Niuna cosa, dice S. Gregorio, può forzare un cuore, che è 60 come una cittadella inespugnabile, e che fa d'uopo guadagnare con l'affetto e con la dolcezza. Siate fermi nel volere il bene, e nell'impedire il male, ma sempre dolci e prudenti; siate poi perseveranti ed amabili, e vedrete che Dio vi renderà padroni anche del cuore meno docile. Lo so, questa è perfezione, che si incontra non tanto di fre 65 quente ne' maestri e negli assistenti, spesso ancor giovanetti. Essi non sogliono pigliare i fanciulli, come converrebbe pigliarli: non farebbero che castigare materialmente, e non riescono a nulla, o lasciano andar tutto a male, o colpiscono a torto ed a ragione.
È per questo motivo, che sovente vediamo il male propagarsi, 70 diffondersi il malcontento anche in quelli che sono i migliori, e che il correttore è reso impotente a qualunque bene. Devo perciò anche qui portarvi di nuovo per esempio la mia propria esperienza. Ho sovente incontrato certi animi così caparbii, così restii ad ogni buona insinuazione, che non mi lasciavano più nessuna speranza di salute, e 75 che ormai vedeva la necessità di prendere per loro misure severe, e che furono piegati solamente dalla carità. Alcune volte a noi sembra che quel fanciullo non faccia profitto dalla nostra correzione, mentre invece sente nel suo cuore ottima disposizione per secondarci, e che noi manderemmo a male, con un malinteso rigore, e col pretendere 80 che il colpevole faccia subita e grave emenda del suo fallo. Vi dirò prima di tutto che egli forse non crede di aver tanto demeritato con quella mancanza, che egli commise più per leggerezza che per malignità. Sovente chiamati a me alcuni di questi piccoli riottosi, trattati con benevolenza, e richiesti perchè si mostravano tanto indocili, ne 85 ebbi per risposta, che lo facevano perchè erano presi di mira, come si suol dire, o perseguitati da questo o da quel superiore.
65 giovanetti] giovani J 66 sogliono] vogliono J 76 a noi] mi D 85 face vano] faceva A
80-83 «Non affrettiamoci a troppo riprenderlo: potrebbe credere, di essere odiato e perseguitato. L' abitudine infatti di questi falli fa, che un giovinetto leggero li commetta quasi a propria insaputa, le riprensioni troppo frequenti non fan breccia» MONFAT, La pratica, pp. 184-185.
81-83 «La ragione più essenziale è la mobilità giovanile, che in un momento dimentica le regole disciplinari, i castighi che quelle minacciano; perciò spesso un fanciullo si rende colpevole e meritevole di una pena, cui egli non ha badato, che niente affatto ricordava nell'atto del fallo commesso e che avrebbe per certo evitato se una voce amica 1' avesse ammonito» — Bosco, Il sistema preventivo, p. 83.
Io poi informandomi dello stato delle cose con calma e senza preoccupazione, doveva convincermi che la colpa diminuiva di assai, ed alcune volte scompariva quasi intieramente. Per la qual cosa devo dirlo con qualche dolore che della poca sommissione di questi tali, noi medesimi 90 avevamo sempre una parte di colpa. Vidi che sovente questi che esigevano dai loro allievi silenzio, castigo, esattezza ed ubbidienza pronta e cieca, erano pur quelli che violavano le salutari ammonizioni che io ed altri superiori dovevamo fare; e dovetti convincermi che fol. 2r i maestri che nulla perdonano I agli allievi, sogliono poi perdonar tut- 95 to a se stessi. Adunque se vogliamo saper comandare, guardiamo di saper prima ubbidire; e cerchiamo prima di farci amare che temere. Quando poi è necessaria la repressione, e devesi mutare sistema; giacchè sono certe indoli che è forza domare col rigore, bisogna saperlo fare in modo che non compaia alcun segno di passione. Ed ecco veni- 100 re spontanea la raccomandazione seconda, che io intitolo così:
Ogni cosa a suo tempo, disse lo Spirito Santo; ed io vi dico che occorrendo una di queste dolorose necessità, occorre pure una grande
89 quasi om BD 90 della] nella J I
91-96 «Nè si deve dimenticare che il maestro medesimo colla sua negligenza può talvolta essere la causa della necessità di castigare. [...] Nessuna libertà, dice Fenelon, nessun'apertura di cuore, sempre scuole, silenzio, posizioni incomode, correzioni e minacce, sempre un'esattezza ed una serietà, della quale coloro che l'esigono sarebbero incapaci: gli istitutori nulla perdonano agli allievi e tutto perdonano a sè medesimi» — MoNFAT, La pratica, p. 160.
97 «Studia di farti amare prima di farti temere» — I 'Ricordi confidenziali ai direttori' di Don Bosco, [a cura di] F. Motto in RSS 3 (1984) 146. «Ognuno procuri di farsi amare se vuole farsi temere» — Regolamento per le case, p. 15.
102-114 «2. di saper scegliere il momento favorevole» — MONFAT, La pratica, p. 157.
«II. Occorre ancora una certa oculatezza per cogliere il momento, in cui la Repressione sarà più salutare. "Ogni cosa a suo tempo" dice il Savio: conoscerlo e adoprarlo sono due condizioni molto pregiate e praticate dai veri padri. Ora quali condizioni di riuscita vorrebbe trascurare un educatore, che deve essere padre, quando gli è d'uopo eseguire un dovere sì delicato, e sì critico, com'è quello di castigare? "Le malattie dell'anima, dice Rollin, domandano di essere trattate almeno come quelle del corpo. Nulla è più pericoloso di un rimedio dato mal a proposito e fuori di tempo. Un medico saggio aspetta, che l'infermo sia in stato di sostenerlo e a tale scopo spia gl' istanti favorevoli". È l'esperienza maturata dalla bontà del cuore, che li farà rilevare. [...] Non lo riprendete mai nè nel suo, nè nel vostro primo impeto. Se lo fate nel vostro, se ei si avvede, che voi agite per umore e per furia, non per ragione e per amicizia, perderete senza rimedio la vostr' autorità...» — MONFAT, La pratica, p. 162.
105 prudenza per saper cogliere il momento, in cui essa repressione sia salutare. Imperocchè le malattie dell'anima domandano di essere trattate almeno come quelle del corpo. Nulla è più pericoloso di un rimedio dato male a proposito o fuori tempo. Un medico saggio aspetta che l'infermo sia in condizione di sostenerlo, ed a tal fine aspetta l'istante 110 favorevole. E noi potremo conoscerlo solo dalla esperienza perfezionata dalla bontà del cuore. E prima di tutto aspettate che siate padroni di voi medesimi; non lasciate conoscere che voi operate per umore o per furia; perchè allora perdereste la vostra autorità, ed il castigo diventerebbe pernicioso.
115 Si ricorda dai profani il famoso detto di Socrate ad uno schiavo, di cui non era contento: Se non fossi in collera ti batterei. Questi piccoli osservatori, che sono i nostri allievi, vedono per poca o leggiera che sia la commozione del vostro volto o del tono della voce, se è zelo del nostro dovere, o ardore della passione, che accese in noi quel fuoco. Al 120 lora non occorre di più per far perdere il frutto del castigo: essi, quantunque giovanetti, sentono che non vi è che la ragione che abbia diritto di correggerli. In secondo luogo non punite un ragazzo nell'istante medesimo del suo fallo, per timore, che non potendo ancora confessare la sua colpa, vincere la passione, e sentire tutta l'importanza del castigo, 125 non si inasprisca e non ne commetta di nuovi e di più gravi.
116 era om ABD 125 noni om D di] dei D
103 Cfr. Qoh 3,1. 8,6.
115-128 «Rollin a questo proposito ricorda il motto famoso di Socrate al suo schiavo, di cui non era contento. "Se non fossi in collera, ti batterei" e termina con questa massima molto giusta e profonda: "per quanto poca emozione appaia sul viso del superiore o nel tono della sua voce, l'allievo se ne accorge ben tosto, e sente non essere più lo zelo del dovere, ma l'ardore della passione, che ha acceso quel fuoco. Non occorre di più, per far perdere il frutto del castigo; perchè gli allievi, sebben giovinetti, sentono non esservi che la ragione che abbia il diritto di correggerli". [...] "La prima regola, dice ancora Rollin, è di non punire un fanciullo nell'istante medesimo del suo fallo, per tema, che non avendo l'animo libero per confessar il suo fallo, per vincere la sua passione e per sentire tutta l'importanza di quella misura, non s'inasprisca e non ne commetta di nuovi spingendolo agli estremi; ma di lasciargli il tempo per riconoscersi, rientrar in se stesso, sentire il suo torto e insieme la giustizia e la necessità della punizione, e con ciò metterlo in grado di trarne profitto"» — MONFAT, La pratica, p. 163.
Bisogna lasciargli il tempo per riflettere, per rientrare in se stesso, sentire tutto il suo torto ed insieme la giustizia e la necessità della punizione, e con ciò metterlo in grado di trarne profitto. Mi ha fatto sempre pensare la condotta che il Signore volle tenere con S. Paolo, quando questi [era] ancor spirans irae atque minarum contro i cristiani; e mi parve di ve- 130 dere la regola lasciata anche a noi quando incontriamo certi cuori ricalcitranti ai nostri voleri. Non subito il buon Gesù lo atterra: ma dopo un lungo viaggio, ma dopo aver potuto riflettere sulla sua missione: ma lontano da quanti avrebbero potuto comecchessia dargli incoraggiamenti a perseverare nella risoluzione di perseguitare i cristiani. Là in- 135 vece sulle porte di Damasco gli si manifesta in tutta la sua autorità e potenza, e con forza insieme e mansuetudine gli apre la mente, perchè conosca il suo errore. E fu appunto in quel momento che si cambiò l'indole di Saulo, e che da persecutore diventò apostolo delle genti, e vaso di elezione. Su questo divino esempio io vorrei che si formassero 140 i miei cari Salesiani, e che con la pazienza illuminata, e con la carità industriosa attendessero nel nome di Dio quel momento opportuno per correggere i loro allievi.
128-140 Cfr. Act 9,1L19; 22,4-16; 26,9-18.
145-149 «3. di escludere tutto, che facesse sospettar la passione» — MONFAT, La pratica, p. 157.
«III. La terza disposizione, cioè ch'escludasi ogni passione» — MONFAT, La pratica, p. 165.
147-166 «La calma nel tono di voce, se non sul volto, è rara allorchè l'educatore punisce. Taluni credono, stia bene l'alzare la voce, annunciando così un umore o un risentimento, che certo non hanno nel cuore. Altri senza cadere in questa sciocca affettazione, assumono un fare maestoso, o anche, sia a bella posta, sia senz'avvedersene, allontanano dalla loro anima la calma e la tenerezza, che dovrebbero riempirla, per dare alle loro parole alcun che di paterno. "Ciò che v'ha di disgustoso, dice Rollin, è che quelli, i quali più agiscono per dispetto, sono coloro, che se ne accorgono meno".
Il titolo di padre condanna un tono, che, se è vero, è troppo austero; se è affettato, pedantesco. "Riguardiamo come nostri figli, dice santo Agostino, tutti quelli sui quali abbiamo qualche potere. Mettiamoci al loro servizio, vergognandoci di ciò, che arieggiasse in noi il dominatore, e non dominiamoli, che per servirli con maggiore piacere... Dal momento, che son nostri figli ricacciamo ogni collera nel reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in guisa, che sembri soffocata affatto". Non asprezza nell'anima, non disprezzo negli occhi, non ingiurie sul labbro, compassione pel momento, speranza per l'avvenire, ecco il padre, ecco la vera correzione» — MONFAT, La pratica, pp. 166-167.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria, per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. E quanto più si fa con 150 dispetto, tanto meno uno se ne accorge. Il cuore di padre, che noi dobbiamo avere, condanna questo modo di fare. Riguardiamo come nostri figli, quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare; vergognandoci di ciò che potesse aver l'aria in 155 noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù co' suoi Apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e famigliarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di otte 160 nere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di cuore. Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in guisa che sembri soffocata affatto. I Non fol. 2v agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiurie sul lab 165 bro; ma sentiamo la compassione pel momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri, e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a Lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte 170 nessun vantaggio in chi le merita. Ricordiamo il nostro Divin Redentore che perdonò a quella città, che non lo volle ricevere tra le sue mura, malgrado le insinuazioni pel suo decoro umiliato di quei due suoi zelanti Apostoli, che l'avrebbero veduto volentieri fulminarla per giusto castigo. Lo Spirito Santo ci raccomanda questa calma con 175 quelle sublimi parole di Davide: Irascimini et nolite peccare. E se vediamo sovente riuscire inutile l'opera nostra, e non ricavare dalla nostra fatica che triboli e spine, credete, o miei cari, lo dobbiamo attribuire al difettoso sistema di disciplina.
168 le quali emend ex che A2
153-154 Cfr. Mc 10,44-45.
156-160 Cfr. Lc 5,29-35; Mt 9,10-13; Mc 2,15-17.
160-161 Mt 11,29.
170-174 Cfr. Le 9,51-55.
174-175 Eph 4,26; Ps 4,5.
Non credo opportuno di dirvi in largo come Dio volle un giorno dare una solenne e pratica lezione al suo profeta Elia, che aveva un non so che di comune con alcuni di Iso noi, nell'ardore per la causa di Dio, e nello zelo avventato per reprimere gli scandali, che vedeva propagati nella casa d'Israele. I vostri superiori ve la potranno riferire in disteso, come si legge nel libro dei Re; io mi limito all'ultima espressione, che fa tanto al caso nostro, ed è: Non in commotione Dominus, e che S. Teresa interpretava: Niente 185 ti turbi.
Il nostro caro e mansueto S. Francesco, voi lo sapete, aveva fatto una regola severa a se stesso, per cui la sua lingua non parlerebbe, quando il cuore fosse agitato. Soleva dire in fatto: «Temo di perdere in un quarto d'ora quella poca dolcezza, che ho procurato di accu- 190 mulare in venti anni a stilla a stilla, come la rugiada, nel vaso del mio povero cuore. Un'ape impiega più mesi a fare un poco di miele, che un uomo mangia in un boccone: e poi, a che serve parlare a chi non intende?».
185 post Dominus add (1) III Reg., XIX, II J 194 Essendogli torr ex Avendogli A2 post giorno del trattato A2
178-185 1 Reg 19,1-11.
185-186 «1° Niente ti turbi» — I «Ricordi confidenziali ai direttori», p. 145. Cfr. MB VII, 524.
187-204 «Altrettanto .dolce in tutto il suo conversare quanto nel tribunale della misericordia, Francesco non faceva mai verun comando. [...] Un giorno che gli veniva rimproverato di non aver ripreso colla dovuta severità un giovane che aveva oltraggiata la propria madre sino a percuoterla, e cui avevangli condotto affinchè gli facesse sentire la gravezza del delitto: "Che volete? rispose, ho fatto quanto ho potuto per armarmi di una collera che non fosse peccaminosa, e, a dirvi il vero, temo di perdere in un quarto d'ora quella poca dolcezza che ho procurato di accumulare in venti anni a stilla a stilla, come la rugiada, nel vaso del mio povero cuore. Un'ape impiega più mesi nel fare un poco di miele cui un uomo mangia in un boccone; e poi, a che serve parlare a chi non intende? Questo giovane non era capace di profittare delle mie ammonizioni, poichè la cattiva disposizione del cuore lo aveva privato di ragione e di senno: un'aspra correzione a lui nulla avrebbe servito, ed a me sarebbe stato di gran danno, facendomi fare come coloro che si annegano volendo salvare gli altri". [...] Questa dolcezza dava al santo vescovo un cosiffatto dominio sui cuori, che, se non erano di straordinaria durezza, come il figlio snaturato di cui abbiamo fatto menzione, egli ne faceva quel che voleva, nè niuno poteva resistergli» — [A.J.M. HAMON], Vita di San Francesco di Sales vescovo e principe di Ginevra compilata sui manoscritti e sugli autori contemporanei dal curato di S. Sulpizio di Parigi. Torino, Cav. Pietro Marietti 1877, vol. III, pp. 356-357.
Essendogli un giorno rimproverato d'aver trattato con 195 soverchia dolcezza un giovinetto che erasi reso colpevole con sua madre di grave mancanza, egli disse: «Questo giovane non era capace di profittare delle mie ammonizioni, poichè la cattiva disposizione del suo cuore lo aveva privato di ragione e di senno; un'aspra correzione non avrebbe servito a lui, e sarebbe stata a me di gran danno, facendomi 200 fare come coloro che si annegano volendo salvare gli altri». Queste parole del nostro ammirando Patrono, mite e sapiente educatore di cuori ve le ho volute sottolineare perchè richiamino meglio e più la vostra attenzione, ed anche voi ve le possiate più facilmente imprimere nella memoria.
205 In certi casi può giovare parlando alla presenza del colpevole con altre persone della disgrazia di coloro che mancano di ragione e di onore fino a farsi castigare; giova sospendere i segni ordinarii di confidenza e di amicizia fino a che non si vegga che egli ha bisogno di consolazione. Il Signore mi consolò più volte con questo semplice 210 artifizio. La vergogna pubblica si riserbi come ultimo rimedio. Alcuna volta servitevi di altra persona autorevole che lo avvisi, e gli dica ciò che non potete, ma vorreste dirgli voi stessi: che lo guarisca della sua vergogna, lo disponga a tornare a voi: cercate colui col quale il ragazzo possa nella sua pena aprire più liberamente il suo cuore, 215 come forse non osa fare con voi, dubitando o di non essere creduto, o nel suo orgoglio di non dover fare. Siano questi mezzi come i discepoli che Gesù soleva mandare innanzi a sè perchè gli preparassero la via.
207 onore] cuore BD
205-222 «Parlate alla sua presenza con altre persone della disgrazia di coloro, che mancano di ragione e di onore, fino a farsi castigare. Sospendete i segni ordinari di amicizia, fino a che veggiate, ch'egli ha bisogno di consolazione. Rendete il castigo pubblico o tenetelo segreto, secondo che lo giudicherete più utile all' allievo, o causandogli una grande vergogna, o mostrandogli, che gliela si vuole risparmiare. La vergogna pubblica riservatela come ultimo rimedio, servitevi talvolta di una persona ragionevole, che lo consoli e gli dica ciò, che ancora non potete dirgli voi stesso; che lo guarisca della sua triste vergogna, lo disponga a tornar a voi, e alla quale il fanciullo nella sua emozione possa aprire più liberamente il suo cuore, che non oserebbe farlo dinanzi a voi. Ma appaia specialmente, che voi non dimandate altra soggezione, che la ragionevole o necessaria. Procacciate di far in modo, ch'ei si condanni da se medesimo, e null'altro rimanga, che di mitigare la pena da lui accettata. Impieghi ognun le regole generali secondo i bisogni particolari» — MONFAT, La pratica, p. 168.
Si faccia vedere che non si vuole altra soggezione, che quella ragionevole e necessaria. Procurate di fare in modo, che egli si condan- 220 ni da se medesimo, e non rimanga altro a fare, che mitigare la pena da lui accettata. Un'ultima raccomandazione mi resta a farvi, sempre su questo grave argomento. Quando voi avete ottenuto di guadagnare questo animo inflessibile, vi prego che non solo gli lasciate la speranza del vostro perdono, ma ancora quella che egli possa, con una 225 buona condotta, cancellare la macchia a sè fatta con i suoi mancamenti.
Bisogna evitare l'affanno ed il timore inspirato dalla correzione e 230 mettere una parola di conforto. Dimenticare e far dimenticare i tristi giorni de' suoi errori, è arte suprema di buon educatore. Alla Maddalena il buon Gesù non si legge che abbia ricordati i suoi travia fol. 3r menti; come pure con somma e paterna delicatezza I fece confessare e purgarsi S. Pietro della sua debolezza. Anche il fanciullo vuol essere 235 persuaso che il suo superiore ha buona speranza della sua emendazione; e così sentirsi di nuovo messo dalla sua mano caritatevole per la via della virtù. Si otterrà più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento, che dia fiducia al suo cuore, che con molti rimproveri, i quali non fanno che inquietare e comprimere il suo 240 vigore.
222 accettata torr ex meritata A' 234 fece] fare B 228-229 «4. di agire in modo da lasciare la speranza d'esser perdonato» — MONFAT, La pratica, p. 157.
230-232 «Egli [il direttore] poi dal canto suo apra a tutti il suo cuore senza mai far conoscere rancore alcuno; neppure ricordare le mancanze passate se non per darne paterni avvisi» — Memorie dal 1841, p. 116.
231-238 «"Non dite mai il suo difetto al fanciullo, dice Fenelon, senza suggerirgli qualche mezzo da superarlo; perocché bisogna evitare l'affanno e l'avvilimento ispirato dalla correzione, quando non è accompagnata da una parola di conforto". Il giovinetto deve restare convinto, che il suo superiore ha egli pure buona speranza della sua emenda, e così sentirsi messo dalla sua mano paterna su quella via» — MONFAT, La pratica, p. 172.
«Sovratutto non dimentichi l'educatore, esservi sempre o quasi sempre nella vita dei fanciulli una specie di crisi di adolescenza, difficilissima da traversare» MONFAT, La pratica, p. 170.
232-234 Cfr. Mt 26,6-13; Mc 14,3-9.
234-235 Cfr. Jo 18,16-27; Lc 22,54-62; Mc 14,26-31; Mt 26,31-35.
Io ho veduto vere conversioni con questo sistema, che in altro modo parevano assolutamente impossibili. So che alcuni de' miei più cari figliuoli non hanno rossore di palesare, che furono guadagnati così alla nostra Congregazione e perciò a Dio. Tutti i giovanetti hanno 245 i loro giorni pericolosi, e voi pure li aveste! e guai, se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero. Alcune volte il solo far credere che non si pensa che l'abbia fatto con malizia, basta per impedire che ricada nel medesimo fallo. Saranno colpevoli, ma desiderano che non si credano tali. Fortunati noi, se sapre 250 mo anche servirci di questo mezzo per educare questi poveri cuori! State sicuri, o miei cari figliuoli, che quest'arte, che sembra così facile e contraria a buon effetto, renderà utile il vostro ministero, e vi guadagnerà certi cuori, che furono e sarebbero per molto tempo incapaci, non che di felice riuscita, ma di buona speranza.
Ma non si dovranno usare mai i castighi? So, o miei cari, che il Signore volle paragonare se stesso ad una verga vigilante: virga vigilans, per rattenerci dal peccato, anche pel timore delle pene. Anche noi perciò possiamo e dobbiamo imitare parcamente e sapientemente 260 la condotta, che Dio volle tracciare a noi con questa efficace figura. Adoperiamo adunque questa verga, ma sappiamolo fare con intelligenza e carità, affinché il nostro castigo sia di natura da rendere migliore.
Ricordiamoci che la forza punisce il vizio, ma non guarisce il vi-265 zioso. Non si coltiva la pianta curvandola con aspra violenza, e non si educa perciò la volontà gravandola con giogo soverchio. Eccovi una serie di castighi, che soli io vorrei adoperati tra noi.
264 non torr ex con A2 265 curvandola] curandola J 257-258 Jer 1,11-12.
264-265 «La forza punisce il vizio, ma non lo guarisce» — MONFAT, La pratica, p. 180. 265-266 «Non si coltiva la pianta curvandola con aspra violenza, angustiandola, comprimendola: non si educa la volontà gravandola di ferreo giogo e togliendole di svilupparsi e di operare??,— MONFAT, La pratica, p. 181.
267-271 «Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che uno schiaffo» — Bosco, Il sistema preventivo, p. 91. «"Ho parlato dello sguardo, dice Dupanloup; devo dire, che tra i mezzi di repressione morale, uno dei più efficaci è infatti lo sguardo malcontento, severo, triste dell'educatore; sguardo che inflessibilmente restando il medesimo per un certo tempo fa sentire il giovinetto, per poco cuore ch'egli abbia, che è in disgrazia; e lo provoca al pentimento, all'emenda".
Uno de' mezzi più efficaci di repressione morale, è lo sguardo malcontento, severo e tristo del superiore, che fa vedere al colpevole, per poco cuore che abbia, di essere in disgrazia, e che lo può provocare al penti- 270 mento ed all'emenda. Correzione privata e paterna. Non troppi rimproveri; e fargli sentire il dispiacere dei parenti, e la speranza delle ricompense. Alla lunga si sentirà costretto a mostrare gratitudine e perfino generosità. Ricadendo, non siamo corti a carità; si passi ad avvertimenti più serii e recisi; così si potrà con giustizia fargli - 275 conoscere la differenza della sua condotta, con quella che si tiene verso di lui; mostrandogli come egli ripaga tanta accondiscendenza, tante cure per salvarlo dal disonore e dalle punizioni. Non però espressioni umilianti; si mostri di avere buona speranza su di lui, dichiarandoci pronti a dimenticare tutto dal momento, che egli avrà dati segni di 280 condotta migliore.
Nelle mancanze più gravi si può venire ai seguenti castighi: pranzare in piedi al suo posto, od a tavola a parte; pranzare diritto in mezzo al refettorio, e per ultimo alla porta del refettorio. Ma in tutti questi casi sia somministrato al colpevole tutto quello che è dato alla 285 mensa dei compagni. Castigo grave è privarlo della ricreazione; ma fol. 3v non metterlo mai al sole i od alle intemperie in modo che ne abbia da patire danno.
276 sua] nostra ABD
[...] Lo si chiami in particolare e con tono paterno» — MONFAT, La pratica, p. 184. 271-274 «Non troppi rimproveri per avere noncurato il primo avvertimento; fargli intravedere delle ricompense a capo di qualche giorno di buona volontà, la gioia della sua famiglia ecc. [...] Alla lunga poi si sentirà costretto a mostrar gratitudine e perfino generosità» — MONFAT, La pratica, p. 185.
274-281 «Non siamo sì corti a carità. [...] Dopo qualche nuovo fallo, si passi ad avvertimenti più seri e recisi; così si sarà in diritto di fargli notare la differenza della sua condotta con quella che si tiene verso di lui. Si farà una ricapitolazione dell'una e dell'altra fin dal primo avvertimento, mostrandogli con quale insubordinazione e dappocaggine egli abbia ripagato tanta condiscendenza, tante cure per serbargli l'onore. Non espressioni umilianti; si mostri anzi di avere sempre buona speranza su di lui dichiarandoci pronti a tutto porre in oblio fin dal momento, che avrà dato saggi di migliore condotta» — MONFAT, La pratica, p. 186.
282 «È, dice Rollin, gran parte del merito di un educatore il saper imaginare differenti specie e gradi di punizioni, per correggere i suoi allievi» — MONFAT, La pratica, p. 188. 286-288 «L'educatore deve interdirsi assolutamente le punizioni umilianti; così pure quelle, che potrebbero nuocere alla salute; per esempio, arresti in un tempo freddo, esposizione al sole e simili» — MONFAT, La pratica, p. 188.
Il non interrogarlo per un giorno nella scuola, può essere castigo 290 grave; ma non si lasci di più. Intanto si provochi altrimenti a far penitenza della sua mancanza. Ora che vi dirò dei pensi? Un tal genere di punizione è per isventura troppo frequente. Ho voluto interrogare, su questo proposito, quello che ne dissero celebri educatori. V'ha chi lo approva, e chi lo biasima, come inutile e pericolosa cosa tanto al 295 maestro, quanto al discepolo. Io lascio però a voi libertà di fare in questo, avvisandovi che per il maestro è pericolo grande di andare agli eccessi senza alcun giovamento, e che si dà all'alunno occasione di mormorare e di trovare molta pietà per l'apparente persecuzione del maestro. Il penso non riabilita nulla, ed è sempre una pena ed una 300 vergogna. So che qualcuno de' nostri Confratelli soleva dare per pensi lo studio di qualche brano di poesia o sacra o profana, e che con tal utile mezzo otteneva il fine della maggior attenzione, e qualche profitto intellettuale. Allora si verificava che omnia cooperantur in bonum a quelli che cercano Dio solo, la sua gloria e la salute delle 305 anime. Questo vostro confratello convertiva coi pensi; io lo credo una benedizione speciale di Dio, e caso piuttosto unico che raro: ma riusciva perchè si faceva vedere caritatevole.
305 io] ciò J 306 speciale om J 291 Sono vietati «i pensi, quando non siano la semplice ripetizione di un lavoro mal fatto» — Regolamento per l'istruzione elementare, art. 98.
291-300 «Vi è, dice Dupanloup, un altra maniera di colpire i poveri scolari, la quale non mi pare nè men grossolana, nè meno funesta delle percosse; essa è di dar loro i pensi e talvolta di sovraccaricarneli. Un tal genere di punizione è per isventura troppo frequente. Agli occhi nostri esso è una punizione materiale più inutile e pericolosa tanto pel maestro, quanto per lo scolaro. [...] il penso non riabilita nulla ed è sempre una pena, una vergogna» — MONFAT, La pratica, pp. 192-193.
303-304 Cfr. Rom 8,28.
308-309 «Abbiamo accennato a certi alunni, consegnati all'Oratorio dalla questura e da altre pubbliche autorità, spesso refrattari ad ogni avviso e ad ogni miglioramento. [...] Per tentare ogni mezzo di correggerli e non venir all'espulsione, col consenso di Don Bosco si stabilirono alcune camere di riflessione, dove cotesti pubblici refrattari ad ogni disposizione del Regolamento, che parevano irreducibili, venivano segregati durante la scuola e le ricreazioni, perchè senza tornar di danno ai compagni, potessero rimanere nell'Oratorio ancora qualche giorno, comprendere l'imminente pericolo ond'erano minacciati, prendere una generosa risoluzione ed emendarsi» — AMADEI, Il servo di Dio Michele Rua, p. 224. 308-313 «Badi l'educatore di non punire con parecchi giorni di prigionia, sarebbe un non conoscere il cuore di un giovinetto. Non c'è malanno in cui non valgano a precipitarlo la rabbia e l'avvilimento che lo assalgono sotto il colpo di una punizione di tanta lunghezza...
Ma non si venga mai a far uso del così detto camerino di riflessione. Non c'è malanno, in cui non possano precipitare l'alunno la rabbia e l'avvilimento, che lo assalgono in una punizione di tal natura. 310 Il demonio prende da questo castigo un impero violentissimo sopra di lui, e lo spinge a gravi falli, quasi per vendicarsi di colui che lo volle punire in quel modo (1).
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(1) Nel timore che in qualche collegio per rara eccezione ed assoluta necessità si credesse dover usare il camerino, ecco le precauzioni che vorrei adoperate: Il tate- 315 chista od altro superiore vada sovente a visitare il povero colpevole, e con parole di carità e di compassione si cerchi di versar olio in quel cuore tanto esacerbato. Si compianga il suo stato, e si industrii a fargli capire come tutti i superiori siano dolenti di aver dovuto usare un castigo così estremo, e si capaciti a domandare perdono, a far atti di sottomissione, ed a chiamare che si faccia di lui un'altra prova della sua emen- 320 dazione. Se pare che questo castigo produca il suo effetto, lo si levi anche prima del tempo, e si riuscirà a guadagnare sicuramente il suo cuore.
Il castigo dev'essere un rimedio: ora noi dobbiamo aver fretta di lasciarlo, quando abbiamo ottenuto il doppio scopo di allontanare il male, e di impedirne il ritorno. Riuscendo così di perdonare, si ottiene anche l'effetto prezioso di cicatrizzare 325 la piaga fatta al cuore del fanciullo; egli vede che non ha perduta la benevolenza del suo superiore, e si rimette coraggiosamente al suo dovere.
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Nei castighi summentovati si ebbero soltanto di mira le mancanze contro alla disciplina del collegio; ma nei casi dolorosi che qualche allievo desse grave scandalo, o commettesse offesa al Signore, allora 330 egli sia condotto immediatamente dal Superiore, il quale nella sua prudenza prenderà quelle efficaci misure che crederà opportune. Che se poi uno si rendesse sordo a tutti questi savii mezzi di emendazione e fosse di cattivo esempio e scandalo, allora costui dev'essere allontanato senza remissione, in guisa però che per quanto è possibile si 335 provveda al suo onore.
312 falli] follie J 327 coraggiosamente] maggiormente J 330 grave torr ex qualche A' Il demonio prende da quello un violento impero su lui, e lo spinge a gravi falli, come per vendicarsi dell'educatore crudele, che lo ha sopraffatto» — MONFAT, La pratica, p. 169.
329-339 «"Quelli che pei loro compagni saranno di cattivo esempio e di scandalo, devono essere allontanati, senza remissione, in guisa però, che si provveda il meglio che si può al loro onore". [...] Non si arrivi a tale estremo senz'averlo prima lasciato presentire alla famiglia, e senz' avere impegnato i genitori ad aiutarci per iscongiurarlo» — MONFAT, La pratica, p. 190.
Questo si ottiene col consigliare il giovane stesso a chiamare ai parenti che lo tolgano, o consigliare direttamente i parenti a cambiar collegio, nella speranza che altrove il loro figliuolo faccia meglio. Quest'atto di carità suol operare buon effetto 340 in tutti i tempi, e lascia, anche in certe penose occasioni, una grata memoria nei parenti e negli alunni.
Finalmente mi resta a dirvi ancora da chi deve partire l'ordine, il tempo ed il modo di castigare.
Questi dev'essere sempre il Direttore, senza però che egli abbia 345 a comparire. È parte sua la correzione privata, perchè più facilmente può penetrare in certi cuori meno sensibili; parte sua la correzione generica ed anche pubblica; ed è anche parte sua l'applicazione del castigo, senza però che egli, per via ordinaria, la debba eseguire od intimare. Perciò nessuno vorrei che I si arbitrasse di castigare senza fol. 4r 350 previo consiglio od approvazione del suo Direttore, il quale solo determina il tempo, il modo, e la qualità del castigo. Nessuno si tolga da quest'amorevole dipendenza, e non si ricerchi pretesti per eludere la sua sorveglianza (1). Non ci dev'essere scusa per far ecce (1) I maestri od assistenti non mettano mai fuori di scuola alcun colpevole, ma 355 in caso di mancanza si faccia accompagnare dal Superiore.
zioni da questa regola della massima importanza. Siamo ubbidienti perciò a questa raccomandazione che io vi lascio, e Dio vi benedirà e vi consolerà per la vostra virtù.
Ricordatevi che l'educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne 360 è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e ce ne dà in mano le chiavi. Procuriamo perciò in tutti i modi ed anche con questa umile ed intiera dipendenza di impadronirci di questa fortezza chiusa sempre al rigore ed all'asprezza.
352 amorevole] autorevole J ricerchi] cerchino J
354-355 «Occorrendo necessità di castighi, li infliggano nella scuola, ma per castigo non allontanino mai alcuno dalla classe. Presentandosi casi gravi, mandino a chiamar il Consigliere scolastico o facciano condurre il colpevole presso di lui» — Regolamento per le case, cap. VI, 6. «Avendo il caso di dover infliggere castighi fuori di scuola, o prendere deliberazioni di grande importanza, riferiscano o rimettano ogni cosa al Consigliere scolastico, od al Direttore della Casa» — Ibid., cap. VI, 7.
Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere e del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte 365 di tanti cuori, ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di Colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell'educazione della gioventù.
Pregate per me, e credetemi sempre nel SS. Cuore di Gesù
370
Giorno di S. Francesco
1883
Vostro Aff. Padre ed Amico Sac. Giovanni Bosco
364 «Chi vuole signoreggiare il cuore dei giovani, procuri soprattutto di farsi amare» — TEPPA, Avvertimenti, p. 21.
373 Giovanni] Gio. J
Nell'incontro con don Bosco degli exalunni laici di Valdocco, il 23 luglio 1882, al levar delle mense tra altri interventi, un loro rappresentante, il prof. Alessandro Fabre, lesse un suo discorso su La politica di Don Bosco. Scherzo...' Veniva sviluppata una polemica semiseria contro certi giornali che vedevano risvolti «politici-partitici» nell' azione di don Bosco. Un' ottica di questo tipo persisteva, potenziata, nell'anno seguente, particolarmente in occasione della trionfale accoglienza a Parigi, quasi un fatto nazionale, e la rapida visita di luglio, nel castello di Frohsdorf, presso Vienna, al conte di Chambord, gravemente malato. A Parigi, oltre e più che come taumaturgo, egli si era espresso come educatore preoccupato delle sorti della società; ad essa, ordinata, conservativa, dove la giustizia si chiamava elemosina (che dona sussidi e riceve riconoscenza) egli consacra la sua opera, «l'educazione della gioventù», la più alta forma di carità, quindi di socialità, nell'immaginario dei suoi uditori la forma ideale di soluzione della «questione sociale». È il contesto entro cui si collocano le parole con cui don Bosco espone ai suoi exalunni il significato «politico» della sua scelta educativo-assistenziale in favore dei giovani «pericolanti e pericolosi». L'intervento esplicita e sviluppa quanto già affermato nella conferenza tenuta ai Cooperatori di Torino la sera stessa del suo arrivo dalla Francia, il 31 maggio: «Volete che vi suggerisca un lavoro relativamente facile, molto vantaggioso e fecondo dei più ambiti risultati? Ebbene, lavorate intorno alla buona educazione della gioventù, di quella specialmente più povera ed abbandonata, che è in maggior numero, e voi riuscirete agevolmente a dare gloria a Dio, a procurare il bene della Religione, a salvare molte anime e a cooperare efficacemente alla riforma, al benessere della civile società; imperocché la ragione, la Religione, la storia, l'esperienza dimostrano che la società religiosa e civile sarà buona o cattiva, secondo che buona o cattiva è la gioventù, che ora ci fa Corona»?
1 Pubblicato dalla tip. G. Derossi, Torino 1882, 16 p.
2 BS 7 (1883) n. 7, luglio, p. 104.
Ad anno 1883 avanzato il salesiano Francesco Cerruti (1844-1917), direttore del ginnasio-liceo municipale di Alassio e ispettore o superiore provinciale delle opere di don Bosco della Liguria e della Toscana' pubblicava una sintetica Storia della pedagogia in Italia dalle origini a' tempi nostri.4 Dopo due anni egli era nominato e, nell'anno successivo (1886), eletto Consigliere Scolastico generale o Direttore generale degli studi della Società salesiana, permanendovi fino alla morte. La Storia è divisa in tre grandi epoche: antica o pagana fino al IV sec. dopo Cristo, cristiana fino all'inizio del '500, moderna. È storia anche di idee e di valutazioni, come appare chiaramente dall'Introduzione. Essa, infatti, in sostanza intende essere storia della lotta tra due realtà che nell' educazione dovrebbero procedere in armonia: autorità e libertà, «simbolo la prima di superiorità, di gerarchia, la seconda d'autonomia, d'indipendenza»: «non adunque separazione, non disunione innaturale fra 1' autorità e la libertà, ma mutua colleganza, ma bella armonia fra loro col rispetto a' reciproci diritti e l'accordo armonico delle forze loro, ecco quello che deve proporsi la pedagogia, ecco le basi fondamentali, su cui ella poggia, come su rocca incrollabile».5 Da qui deriva la nobiltà della pedagogia, «scienza morale», a cui si addice «un posto nobilissimo fra le molteplici scienze affini, quali sono l'antropologia, l'etica, l'economia, la politica», «figlia primogenita della filosofia».6Nella prima epoca «sta a capo e splende di bella luce la scuola italica di Pitagora, immortale monumento della sapienza pedagogica degli avi nostri».' Il secondo periodo segna l'avvento della superiore pedagogia cristiana, contraddistinta da due caratteri fondamentali, «1' universalità e 1' unità», che raggiunge la sua piena espressione nel medioevo.' In conformità con la tesi di Ozanam l'equilibrio si rompe con l'ultimo periodo di questa epoca, il Rinascimento e la Riforma, e si stabilizza con l' epOca moderna: «ribellione della ragione alla rivelazione», «rivolta della libertà'contro l'autorità», «promosse e fomentate prima dal naturalismo de' dotti bizantini, poscia dalla Riforma o meglio eresia luterana». 9 «La pedagogia nell'epoca terza, che ne seguì e corre fino a' giorni nostri, porta l'impronta di questo servaggio, sotto l'aspetto d'intellettuale indipendenza».'°
3 Cfr. J. M. PRELLEZO, Francesco Cerruti Direttore generale della scuola e della stampa salesiana (1885-1917), in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 127-164.
4 Torino, Tip. e libr. salesiana 1883, 320 p. Cfr. J.M. PRELLEZO, Don Bosco y la «Storia della pedagogia» de Francesco Cerruti (1844-1917), in L'impegno dell'educare, a cura di J.M. Prellezo. Roma, LAS 1991, pp. 435-450.
5 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 5.
6 E CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 7.
F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 10.
F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p, 81.
9 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 10.
10 F. CERRUTI, Storia della pedagogia,.., p. 11.
Non vi soggiace, però, «la pedagogia italiana essenzialmente cristiana», «avvivata e sorretta dalla Chiesa Cattolica e dalle numerose Congregazioni religiose, che le mantennero in una e lo splendore della civiltà antica e lo spirito creatore della nuova»; vi campeggiano le figure di Rosmini, Rayneri, Tommaseo, Lambruschini, la Molino-Colombini, la Franceschi-Ferrucci, ricostruttori di «quella catena di nobili e gloriose tradizioni, che ricongiunge per Vittorino da Feltre Pitagora a Rosmini, la scuola pagano-italica antica a quella cattolico-italiana moderna»."
Oltre Pitagora, però, egli mette in particolare evidenza nell'età antica «Quintiliano ossia il più illustre pedagogista antico», «vissuto quasi sempre a Roma dal 42 al 118 dopo G. C.». A lui l'Autore dedica un numero notevole di pagine.12 Egli, infatti, rappresenta il primo momento, «umanistico», di quella sintesi preventiva [che, tuttavia, in Quintiliano Cerruti riconduce al solo «sistema disciplinare»] che avrà in Vittorino da Feltre il suo momento «cristiano» 13 e troverà in don Bosco la perfetta sintesi."
11 Ibid.
12 E CERRUTI, Storia della pedagogia..., pp. 69-73.
13 Il Cerruti vi dedicherà un intero capitolo: Ibid., pp, 151-161.
14 Lo schema storiografico è ripresentato dal Cerruti venticinque anni dopo nell'opuscolo Una trilogia pedagogica ossia Quintiliano, Vittorino da Feltre e Don Bosco. Roma, Scuola Tipografica Salesiana 1908, 19 p.
II. TESTI
L'ONOMASTICO DEL PADRE
E I FIGLI A MENSA CON LUI.
Abbiamo fatto sperare che saremmo ritornati sull'onomastico di D. Bosco, accennato appena nel numero precedente; e qui manteniamo la promessa sia per ricordare almeno per sommi capi le preziose parole dette da lui in quell'occasione, sia per dire brevemente dell' agape, che come conseguenza di quell'onomastico medesimo ebbe luogo nell'Oratorio il 15 e il 19 dello scorso luglio.
Anzitutto ricordiamo l'affettuosa dimostrazione, che nel mattino del 24 Giugno, festa appunto di S. Giovanni Battista, diedero a D. Bosco i suoi antichi allievi, che dal 1841 sino a questi ultimi anni ricevettero da lui nell'Oratorio di S. Francesco di Sales la cristiana e civile educazione. Un numero considerevole di essi residenti in città o nelle sue vicinanze, a nome proprio e a nome di più centinaia di loro compagni sparsi in ogni paese, si presentarono a lui accompagnati dal suono della banda musicale. Raccolti in apposita sala gli offersero i doni, procurati colle spontanee obblazioni di ognuno di loro, il principale dei quali consistente nella magnifica corona dorata, di cui abbiamo fatto parola/nella relazione della novena e nella festa di Maria Ausiliatrice; indi passarono ai componimenti. A nome di tutti lesse un affettuosissimo discorso il Sac. D. Onorato Colletti, Prevosto di Faule; il quale, dopo la proclamazione dei nomi dei presenti e degli assenti, che o per lettera o per altro mezzo avevano manifestato desiderio di partecipare alla detta dimostrazione di riconoscenza e di gratitudine, declamò ancora una poesia, che fu meritatamente applaudita.
In fine D. Bosco, visibilmente commosso, prese la parola. Esternò la viva gioia, che provava in quel momento nel rivedere tanti suoi amatissimi figliuoli; assicurò che egli sempre li amava, e con essi amava pur quelli, che non erano colà presenti col corpo, ma ben lo erano col-l' affetto; li ringraziò della figliale dimostrazione, che gli ripetevano sempre più numerosi; lodò il pio pensiero di offrirgli un dono, che faceva sì bella figura nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, ed ebbe soprattutto parole improntate di grande affetto pel Prevosto di Faule.
+ BS 7 (1883) n. 8, agosto, pp. 127-128.
— È vero, disse D. Bosco, che l'oratore e poeta, parlando di D. Bosco, uscì in pie esagerazioni e fece uso della figura rettorica chiamata l'iperbole; ma è questa una licenza perdonabile ai figliuoli, i quali nell'esprimere i sentimenti dell'animo stanno più ai dettami del cuore, che non a quelli della mente. Ricordate però sempre che D. Bosco non fu e non è altro che un misero strumento nelle mani di un artista abilissimo, anzi di un artista sapientissimo ed onnipotente, che è Dio; a Dio pertanto si tributi ogni lode, onore e gloria — Del resto, soggiunse D. Bosco, ha detto bene il nostro D. Colletti, che l'Oratorio ha fatto finora delle grandi cose; e io vi aggiungo che coll' aiuto di Dio e colla protezione di Maria Ausiliatrice ne compirà delle altre più grandi ancora. Oltre 1' aiuto del Cielo, quello che ci facilitò e ci faciliterà di fare del bene è la stessa natura dell'opera nostra. Lo scopo al quale noi miriamo torna beneviso a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi, che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi ha qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce, oppure che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata, o pericolante, per sottrarla all'ozio, al mal fare, al disonore, e forse anche alla prigione, ecco a che mira l'opera nostra. Or qual uomo assennato, quale autorità civile potrebbe impedircela? Ultimamente, come sapete, io fui a Parigi, e tenni discorso in varie Chiese, per perorare la causa delle opere nostre, e, diciamo francamente, per ricavare quattrini, onde provvedere pane e minestra ai nostri giovani, i quali non perdono mai l'appetito. Or bene, tra gli uditori ve n'erano di quelli, che vi si recavano unicamente per conoscere le idee politiche di D. Bosco; imperocchè taluni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti ad un partito, e via dicendo; onde vi furono delle benevole persone, che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole cessarono tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e D. Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all'altro della Francia. No davvero, coll' opera nostra noi non facciamo della politica; noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù, e salvare delle anime. Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo.
La politica si definisce la scienza e l'arte di ben governare lo Stato. Ora l'opera dell'Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell'America, in tutti i paesi, dove già si è stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa, tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero de' piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidi alle pubbliche Autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l'ordine, la tranquillità e la pace. Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire. Ed è appunto questo metodo, che ha permesso a D. Bosco di fare del bene da prima a voi, e in appresso a tanti altri giovani di ogni età e paese. E poi a che pro entrare in politica? Con tutti i nostri sforzi che cosa potremmo noi ottenere? Nient'altro che il renderci forse impossibile di proseguire l'opera nostra di carità. Le cose politiche di oggidì possono riguardarsi come una macchina a vapore, che corre veloce sulla via ferrata, trascinandosi dietro un convoglio fors'anche al precipizio ed alla rovina. Volete voi mettervi in mezzo ai binari per fermarla? Ne sareste schiacciati. Volete gridare per atterrirla? Ma non sente, e vi squarcereste inutilmente la gola. Che fare adunque? Schierarsi di qua e di là, lasciarla passare, finché o si fermi di per se stessa, o la fermi Iddio colla sua mano onnipotente. Certamente nel mondo vi devono pur essere di quelli, i quali s'iinteressino delle cose politiche, ora per dare consigli, ora per segnalare pericoli e simili; ma questo compito non è per noi poveretti. A noi la religione e la prudenza dicono invece: Vivete da buoni cristiani, occupatevi della morale educazione della vostra figliuolanza, istruite bene nel catechismo i fanciulli dei vostri collegi e delle vostre parrocchie, ecco tutto. Questa, ripeto, è la condotta di D. Bosco, il quale è si poco politico, che legge nemmeno un giornale; questa sia pure la condotta vostra, o miei cari figliuoli, e ne avrete voi pure quel gran bene che vi desidero, voglio dire, la concordia e la pace nelle vostre famiglie, la prosperità nei vostri negozii temporali, una lunga vita scevra di gravi affanni e tribolazioni, e specialmente il bene di tutti i beni, che è la perseveranza nella grazia di Dio e la felicità del paradiso, dove io spero che pei meriti di nostro Signor Gesù Cristo e per la intercessione di Maria SS. ci ritroveremo un giorno tutti riuniti a cantare le sue eterne glorie.
Queste parole di D. Bosco furono ascoltate colla più viva attenzione. Ma siccome egli aveva chiamate pie esagerazioni e figure rettoriche le lodi attribuitegli poc' anzi, così sorse il prof. Germano Candido a difendere le espressioni dell'Oratore, riferendo la testimonianza non sospetta di un giornale di Milano, che in quei giorni ripeteva pressoché le stesse lodi — Possibile che buoni e cattivi, osservò il professore, si accordino insieme nell'esagerare piamente ed iperboleggiare intorno a D. Bosco? No; ma è la verità, ma sono gli splendidi fatti, che fanno parlare. Viva dunque D. Bosco, viva nel nostro cuore, viva nel cuore di tutti.
«La sapienza pedagogica di Quintiliano» (ca. 35-95)
Ma dove apparisce soprattutto la sapienza pedagogica di Quintiliano, è nel sistema disciplinare che vuol essere a giudizio suo e di tutti i savii non repressivo, ma preventivo. Lungi il battere, che è cosa da schiavo e atta solo ad indurir il cuore; il maestro s'adoperi invece a formare il suo alunno con una vigilanza continua, un'assistenza dolce e severa ad un tempo, che pigliando un giusto mezzo fra la lassezza e il rigore impedisca possibilmente il male, senza che occorra di doverlo poscia reprimere. Prudente nel suo operare non pretenda più di quanto comporti l'età del fanciullo, zelante lo animi allo studio con porgliene sott'occhio la bellezza e la soavità, né tralasci lodi, premi, emulazione e quanto altro sa suggerire un'ingegnosa accortezza.
«Il più illustre degli educatori», Vittorino da Feltre (1373 ca.-1446)
Ma fra quanti illustri educatori vanta l'Italia, da Pitagora a' giorni nostri, splende di bella immortal luce il nome di un uomo, su cui si raccoglie quanto di più saggio e di più grande siasi fin qui detto od operato intorno al magistero dell'educazione. È questi Vittorino Rambaldoni da Feltre, città sul Bellunese, il quale ravvivò e continuò non solo le gloriose tradizioni pedagogiche della scuola italica, ma le condusse a perfezione sotto l'alito divinamente vivificatore d'yna religione essenzialmente educativa, qual è il Cristianesimo (...). Chi mi sa dire qual sapiente indirizzo dovesse dar Vittorino all'educazion morale de' suoi alunni? Persuaso che in opera così importante nulla vi dev'essere che ne ritardi il corso o ne sminuisca l'efficacia, non ammetteva ne' suoi collegi che maestri religiosi e costumati, e con rigore che parrebbe soverchio a chi non sa quanto sia facile un'impressione contagiosa nell'animo de' giovani, negava pur l'entrata alle persone che non gli erano ben conosciute. I suoi allievi non abbandonava mai nè di giorno nè di notte, e per quanto era possibile, li assisteva co'proprii suoi occhi. La maggior parte delle mancanze preveniva colla vigilanza, giacchè niuno ignora che la solitudine è pe' fanciulli forte incitamento alla colpa.
+ E CERRUTI, Storia della pedagogia in Italia dalle origini a' nostri tempi. Torino, Tip. e Libr. Salesiana 1883, pp. 72, 151, 159-161, 269-270.
Chi conoscesse di corrotti costumi o irreligioso, ammoniva con severità e fermezza, allontanavali inesorabilmente se si mostrassero incorreggibili e pericolosi agli altri. Abborriva ne' giovani il soverchio e inconsiderato parlare e la menzogna; instillava in quei teneri cuori l'amor fraterno, come il dimostrano molti generosi fatti che illustrarono i suoi Istituti. Il Prendilacqua narra di sè che, essendo precipitato a caso per entro un lago e presso a sommergersi, vi si gettarono per salvarlo parecchi suoi condiscepoli, e vi riuscirono in mezzo alle grida di gioia e di entusiasmo de' circostanti. Mostravasi mite, e facile perdonava a chi mancasse per giovanile vivacità od imprevidenza o riconoscesse almeno e condannasse con prestezza il fallo commesso; ma puniva con giusta severità quando la colpa fosse opera di malizia o vi si aggiungesse l'ostinazione. Sdegnoso della vita e fiacchezza amava di forte affetto la mansuetudine e colle parole e coll'esempio la predicava e la voleva osservata insieme con quelle virtù, che sono chiaro segno di nobiltà d'animo, la cortesia e l'affabilità cogl'inferiori, la gentilezza cogli eguali, il rispetto e l'amore pe' vecchi.
Le migliori cure riserbava a informar l'animo degli alunni a pietà e religione, chè l'edifizio educativo fondato su altra base crolla ben resto e si sfascia con rovina. Vittorino il sapeva e non si stancava di ricordarlo a' suoi. Quindi è che non solo non sofferiva alcun scherzo o motto irreverente alle cose sacre o che sentisse d'irreligioso, ma adoperavasi in ogni modo perchè non mai mancassero a' lor doveri, si studiassero anzi di conseguir la cristiana perfezione. Le pratiche di pietà non erano di troppo numero, ma volevale costantemente mantenute. Al mattino dopo alcune divote preghiere assistevano alla S. Messa. I giorni festivi erano principalmente consacrati alle funzioni ecclesiastiche ed alle opere di carità. Aggiungasi la frequenza de' Sacramenti, che egli raccomandava con parole animate e piene di fede, come il più valido sostegno della virtù. Del resto, lo dirò colle parole di Jacopo Bernardi, ogni atto ed ogni parola di Vittorino erano un'istruzione religiosa, se è vero che la religione abbia per inalterabile meta il bene dell'individuo e della società e consacra tutti i doveri e i diritti che nella famiglia, nella città, nella nazione rendono migliore l'uomo.
«L'opera umanitaria di quest'uomo»: don Bosco
Ma la classe maschile operaia abbisognava sopra ogni altra dell'opera di saggi e zelanti educatori. E certo la storia registrerà fra questi a caratteri immortali il nome di quella gloria vivente del Piemonte, che è il venerando D. Giovanni Bosco, nativo di Castelnuovo d'Asti. Commosso al deplorevole stato intellettuale, morale e materiale, in cui vedeva perdersi tanta gioventù, l'umile prete gettò in casa sua fin dal 1841, coadiuvato dall'eccellente sua madre, i primi fondamenti di quell'Ospizio, che poscia crebbe gigante e prese così vaste proporzioni sotto il titolo di Oratorio di San Francesco di Sales. I ragazzi alloggiati e mantenuti gratuitamente, inviati lungo il giorno a lavoro presso probi capi d'arte, istruiti nel leggere, scrivere e conteggiare con un'ora almeno d'insegnamento quotidiano, quando le scuole serali e festive erano in Piemonte ancor nuova cosa, addestrati ad esercizi ginnastici d'ogni fatta, educati nella religione e nella moralità co' catechismi e co' ritrovi festivi, ecco l'opera altamente umanitaria di quest'uomo, in cui non sai qual sia maggiore, se l' ardor d'una carità che tutto abbraccia o l'altezza del senno che a tutto provvede. E veramente del primo diede singolare prova, allorchè a far ben conoscere il sistema metrico decimale pubblicava a questo scopo per gli artigiani e la gente di campagna fin dal 1848, vale a dire un anno e mezzo prima che nel Regno di Sardegna andasse in vigore per legge, un trattatello commendevole per semplicità, popolarità e precisione. Quanto poi al secondo basterebbero senz'altro le poche pagine sul sistema preventivo nell'educazione, umile opuscoletto, dove pure troverai assai più e assai meglio di sane massime pedagogiche, che non in tante voluminose opere di tal fatta. Tu vedi quivi infatti accolto in brevi parole il fiore della civiltà pagana antica e l'essenza della nuova cristiano-cattolica, la sapienza teoretica di Quintiliano e l'assennatezza pratica di Vittorino da Feltre, il Vangelo in una parola e quanto vi ha di legittimo nell'eredità dello spirito umano. +
+ Ovviamente è la testimonianza di un uomo fervidamente vicino a chi gli è stato fin dalla fanciullezza «padre, fratello, amico» e che resta tale ancor più ora, che ne è diventato vicino collaboratore.
Quanto si è detto a proposito di vari documenti raccolti nel presente volume è sufficiente a ridimensionare ciò che l'Autore scrive circa una presunta priorità di don Bosco in determinate iniziative educative.
Mentre le pagine sul sistema preventivo del 1877 hanno goduto di fama pressoché ininterrotta fin dalle origini «la lettera da Roma» del 1884 ha vissuto stagioni ineguali di presenza e di oblio. Letta, almeno nella redazione breve, all'esclusivo destinatario, il «piccolo mondo antico» dell'Oratorio di Torino-Valdocco, e, nella duplice redazione, ricorrente, tra i «sogni», nei quaderni dei novizi di fine secolo, nella redazione lunga sembra entrare in una nuova fase storica e ideale, messaggio pedagogico universale, intorno al 1920.
In quell'anno, in data 6 aprile, il rettor maggiore della Società Salesiana, don Paolo Albera, vi si riferiva esplicitamente in una circolare scritta a commento dell'Invito all'inaugurazione del Monumento a D. Bosco, in piazza Maria Ausiliatrice, che non si era potuto inaugurare nel 1915, centenario della nascita.' Per l'inaugurazione del Monumento al Venerabile D. Bosco egli sviluppa riflessioni che concludono con un invito ai salesiani a erigere «un altro monumento (...), un monumento imperituro, aere perennius»: «far rivivere in se stessi le sue virtù, il suo sistema educativo, il suo spirito tutto quanto».2 E in relazione a quella «pedagogia celeste» che è il «sistema educativo di don Bosco», le cui norme egli raccomanda di rileggere nell' «aureo suo trattatello sul 'sistema preventivo'», egli intende evocare un punto essenziale particolarmente lumeggiato nella lettera romana: Bisogna saper amare i giovani.3
1 Invito all'inaugurazione del Monumento a Don Bosco, circolare agli Ispettori del 24 marzo 1920, in Lettere Circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani (Torino, SEI 1922), pp. 306307. Il giorno stabilito per l'inaugurazione, tramandata dal 1915 a causa della prima guerra mondiale, era il 23 maggio, vigilia della festa di Maria Ausiliatrice.
2 Circolare del 6 aprile 1920, Per l'inaugurazione del Monumento al Venerabile Don Bosco, in Lettere Circolari..., p. 311.
3 Ibid., pp. 312-313.
Nel primo numero degli Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana del 24 giugno del medesimo anno il Consigliere Scolastico generale, don Bartolomeo Fascie, comunicava: «Nell'ultima circolare del 6 aprile u.s. il Sig. D. Albera, dopo aver annunziato che sarebbe uscito stampato a parte, perché potesse più facilmente correre per le mani di tutti, il Trattatello di D. Bosco sul sistema preventivo, si fermava intanto a raccomandare alla nostra imitazione — quell'amore, quell'affettuoso interessamento per i giovani che fu il segreto del suo meraviglioso ascendente su di essi — confortando la sua raccomandazione con norme e moniti preziosi, raccolti da una lettera del Ven. nostro Fondatore datata da Roma, 10 Maggio 1884. Nella speranza di potere prossimamente portare a conoscenza di tutti l'intera lettera di D. Bosco, mi limito per ora a far mie le raccomandazioni del nostro Rettor Maggiore, comunicandovi insieme che l'edizione del Trattatello è stata eseguita e che esso viene inviato agli Ispettori».4
Nel fascicolo successivo degli Atti del Capitolo appariva il testo della lettera con una breve presentazione dello stesso Consigliere Scolastico: «Ecco nella sua integrità la lettera del Ven. nostro fondatore, che vi avevo annunziata e promessa. Mancherei certo di rispetto alla parola di D. Bosco ed a voi, se credessi necessario od anche solo opportuno presentarvela con raccomandazioni e commenti. Essa parla da sé con tanta chiarezza ed efficacia, e rappresenta così al vivo l'andamento delle nostre case, secondo che in esse la pratica del sistema preventivo vive ed informa tutto l'organismo della casa, oppure vi è trascurata, o fiaccamente applicata, o male intesa o deformata, che ognuno può tirarne da sé le opportune applicazioni alla sua condotta personale per animarsi o correggersi. Ci dia il Signore di leggerla con filiale e devota attenzione per1ricavarne quel frutto di vera carità che del sistema preventivo è anima e vifa».5
Alla lettera del 1884 si richiama ancora don Albera pochi mesi prima della morte (29 ottobre 1921) nell'ultima importante lettera circolare Sulle vocazioni del 15 maggio 1921. Egli indica «lo spirito di famiglia» come «il terreno più propizio per le vocazioni», esortando nel contempo a ispirarsi al messaggio del 1884: «Facciamo dunque rivivere intorno a noi quella famigliarità che il nostro buon Padre ci ha tanto caldamente ed efficacemente descritta nella sua memoranda lettera da Roma del 10 maggio 1884, che è il commentali() più autentico del suo Sistema Preventivo.
4 «Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana», Anno I. N. 1, 24 Giugno 1920, p. 14.
5 «Atti del Capitolo Superiore», Anno I. N. 2, 24 Agosto 1920, pp. 39-40. Il testo della lettera è riportato nelle pp. 40-48, secondo la trascrizione, vicina all'originale di don Lemoyne, eseguita da d. Gioachino Berto (v. più avanti ms E).
La potete leggere o rileggere, o miei cari, negli Atti del Capitolo Superiore (pag. 40-48); ed io faccio i più caldi voti perché gli alunni delle nostre Case di Noviziato e di Studentato la studino unitamente al Sistema preventivo con vero amore filiale, sì da imprimersela profondamente nella mente e nel cuore. Anzi, a rendere tale studio più agevole, la farò tra breve stampare in libretto a parte» .6
Seguiva a distanza di parecchi anni, accanto a qualche diffusione locale, la pubblicazione della lettera nella redazione lunga in due opere in qualche modo «ufficiali»: le Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco' e l'Epistolario di S. Giovanni Bosco,' ambedue a cura di Eugenio Ceria. La redazione breve, l'unica sicuramente «originaria», era caduta nel più totale oblio.
Fino a tempi recenti si parlava della «lettera da Roma», riferendosi esclusivamente alla redazione lunga. Essa trovava posto, ma non sempre, in antologie di scritti di don Bosco, a cominciare ovviamente da quella tempestiva e fortunata di don Bartolomeo Fascie Del metodo educativo di Don Bosco.'9
Qualche attenzione essa suscitò anche in alcuni studiosi del sistema educativo di don Bosco. Si possono ricordare: E. VALENTINI, La pedagogia mariana di Don Bosco, in «Salesianum» 15 (1953) 100-164: a questa «Magna Charta del Sistema Educativo Salesiano», com'è da lui chiamata, egli dedica le pp. 137-154; P. BRAIDO, 10 maggio 1884, in «Orientamenti Pedagogici» 6 (1959) 545-558 e Il poema dell'amore educativo. S. Giovanni Bosco: Lettera da Roma del 10 maggio 1884, in Don Bosco educatore oggi. Ztirich, PAS- Verlag 1963, pp. 77-96 (viene presentato il testo edito da d. E. Ceria); P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II. Mentalità religiosa e spiritualità. Roma, LAS 1981 (I ed. 1969), pp. 467-469, il quale conclude la breve analisi con alcuni pertinenti interrogativi e una concisa valutazione: «Ma che cosa propriamente dettò Don Bosco? la lettera o un canovaccio? una serie di ricordi o l'intero documento con il periodare enfatico e di gran lena e con l'aggettivazione che si riscontra persino nella stessa nota tra parentesi del segretario?
6 «Atti del Capitolo Superiore», Anno II. N. 4, 15 Maggio 1921; poi nelle Lettere Circolari di D. Paolo Albera, pp. 458-459.
7 Cfr. MB XVII 107-114. Il testo si avvicina a quello predisposto per le MB da d. G.B. Lemoyne nei Documenti.
8 Cfr. E IV 261-269. Il testo è simile a quello riprodotto in MB.
9 Cfr. D.B. FASCIE, Del metodo educativo di Don Bosco. Fonti e commenti (= Letture di pedagogia 4). Torino, SEI 1927, pp. 73-80. Il testo è identico a quello edito nel 1920 negli «Atti del Capitolo».
Di questa lettera non si conosce minuta autografa di Don Bosco, ma solo l'originale (in due redazioni) scritto da Don Lemoyne e sottoscritto da Don Bosco. Ciononostante per il suo contenuto è da considerare come uno dei più efficaci e dei più ricchi documenti pedagogici di Don Bosco».''
Più recentemente la Lettera di San Giovanni Bosco da Roma sullo stato dell'Oratorio ha trovato collocazione in appendice al testo delle Costituzioni e Regolamenti delle due Congregazioni religiose fondate da don Bosco, la Società di S. Francesco di Sales e l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice."
In vari documenti, manoscritti e in bozze di stampa, il testo della lettera nella redazione più ampia è preceduto da una nota di cronaca di un protagonista e, insieme, unico testimone diretto, G.B. Lemoyne. A un esame dei documenti questa risulta in gran parte inaffidabile, anche se resta incontestabile quanto riguarda l'ispiratore e il redattore dell'una e dell'altra lettera. «D. Bosco in quelle notti nelle quali si era trovato male avea fatto uno di quei sogni che fanno epoca. In diverse volte lo raccontò a D. Lemoyne e quindi glielo fece stendere e leggere correggendolo. Quindi si dovette rifare e ricopiare. Siccome riguardava specialmente i membri della congregazione Salesiana fu necessario un nuovo lavoro perché potesse essere letto in pubblico alla presenza di tutti i giovani dell'Oratorio. Conservata quindi tutta la seconda parte si dovette mettere da parte ciò che prolissamente si diceva nella prima, rappresentando cioè solo la scena delle due ricreazioni. Questa lettera venne )spedita il 10 maggio. Letta in pubblico da D. Rua fece un grande effetto; ormai da varii anni i giovani non erano assuefatti a udir lettere loro indirizzate da D. Bosco. Fu questo nell'Oratorio come il segnale di una riforma della quale parleremo nel progresso del nostro racconto. Il primo effetto di questo sogno fu che D. Bosco conobbe lo stato di tante coscienze anche di certi uni che sembravano buonissimi sicché alcuni furono allontanati dalla casa».12
10 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, p. 469.
11 Cfr. Costituzioni e Regolamenti della Società di S. Francesco di Sales. Roma 1972, pp. 267-280 e 1984, pp. 243-252; Costituzioni e Regolamenti dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Roma 1982, pp, 265-277. Nelle Costituzioni dei salesiani del 1972 il testo è desunto dalle MB; in quelle del 1984 dagli «Atti del Capitolo» del 1920.
12 Il testo è contenuto in un manoscritto preparato per la vasta raccolta di Documenti che dovevano servire per la stesura delle Memorie Biografiche. Al termine, Lemoyne, che ne è il redattore, aggiunge questa notazione: «Fascio LXV p. 189 - 10 mag. 1884» (v. più avanti ms D).
G.B. Lemoyne 13
G.B. Lemoyne (1839-1916), sacerdote genovese, si inserisce nel vivo dell'incipiente società religiosa di don Bosco nel 1864. Direttore del collegio di Lanzo Torinese dal 1865 al 1877, a cominciare dal 1883 diventa segretario e collaboratore fraterno di don Bosco e, insieme, segretario del Consiglio Superiore della Società Salesiana. Uomo ricco di intelligenza e di fantasia e dalla forte affettività egli sa parlare al cuore dei giovani, come provano le lettere collettive che scrive loro durante le forzate assenze dalla sua famiglia educativa e, accanto a don Bosco, interpreta con straordinaria finezza il compito che fin dai primi giorni si sente assegnare: «Ebbene ti affido la mia povera persona. Usami carità, specialmente nell'ascoltarmi. Io non avrò segreti per te, né quelli del mio cuore, né quelli della Congregazione. Quando verrà la mia ultima ora, ho bisogno di qualche amico intimo per dirgli la mia ultima parola in tutta confidenza»." Il medesimo stile sembra emergere inconfondibilmente dalla lettera del 1884, sintonizzato con la piena immediata accettazione del suo ruolo, come appare già da una lettera alla madre del 18 dicembre del 1883: «Io sono stato traslocato a Torino (...). Don Bosco mi ha voluto presso di sé come suo particolare aiutante perché lavorassi con Lui. Il Signore non poteva destinarmi posto più bello (...). Per parte mia se mi avessero fatto Re non sarei più felice di quello che sono»."
Non è la prima volta, né sarà l'ultima, che il suo apporto non di puro amanuense si rende presente in scritti voluti, ispirati e firmati da don Bosco, come appare da alcune documentazioni significative.
È del 15 ottobre 1883 una lettera inviata a don Lemoyne: «Car.mo D. Lemoyne, fammi il piacere di ultimare il sogno di America e poi mandamelo tosto. Il conte Colle ne è desideroso, ma lo vuole tradotto in Francese; il che procurerò di fare immediatamente»."
13 Su d. G.B. Lemoyne cfr•. E. CERIA, Profili dei Capitolari salesiani morti dall'anno 1865 al 1950 con sintesi storica della Società Salesiana e cenni storici delle Regole. Colle Don Bosco (Asti), LDC 1951, pp. 382-400; E DESRAMAUT, Les Memorie I de Giovanni Battista Lemoyne. Étude d'un ouvrage fondamenta) sur la jeunesse de saint Jean Bosco. Lyon 1962: Première partie. L'auteur des Memorie et son oeuvre, pp. 27-93; T.L., v. G.B. Lemoyne, in Dizionario biografico dei Salesiani. Torino 1869, pp. 166-167; G. FAVINI, D. Giovanni Battista Lemoyne primo grande biografo di Don Bosco (pro manuscripto). Torino 1974; E BRAIDOR. ARENAI. LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne attraverso 20 lettere a don Michele Rua, in RSS 7 (1988) 89-170.
14 MB XVI 419.
15 ASC 272 Lemoyne.
16 E IV 237.
Riferendosi, invece, al 1884, il biografo informa: «Il Santo nel mese di luglio fece un sogno (...). Nei giorni seguenti egli espose per sommi capi a Don Lemoyne quello che aveva veduto, ma riferendogli solamente il senso molto generico di quello che aveva udito (...); quindi gli disse che se ne valesse come traccia per un suo svolgimento libero. Il segretario eseguì l'ordine, ma gli mancò sempre la possibilità di leggergli la lunga composizione»."
Ed ancora in relazione a un tempo immediatamente successivo E. Celia scrive: «Sull'affare delle letture Don Bosco ruminava già da un pezzo l'idea di far pervenire a tutti una sua autorevole parola. Infatti nel 1883 aveva detto a don Lemoyne: — A suo tempo ti darò un lavoro. — Quindi, passato un anno e incontrandolo gli domandò: — Ti ricordi quel che ti dissi di un lavoro da fare? Ebbene, ora è il tempo. — E gli tracciò il tema di una circolare sopra le letture per ispedirla poi alle case nel cominciamento dell'anno scolastico. Don Lemoyne scrisse, Don Bosco rivide e questa lunga lettera fu diramata ai collegi sul principio di novembre»."
Nella collaborazione, naturalmente, gli stili si fondono pur conservando chiare caratteristiche individuali. Non sembra difficile rintracciare nella lettera del 1884 motivi e tonalità presenti in precedenti lettere che il direttore di Lanzo aveva inviato ai suoi allievi, come si può ricavare da alcuni saggi.
La prima dovrebbe essere stata scritta intorno al 1868: «Miei cari figliuoli, dice il Divin Salvatore che dove è il vostro tesoro ivi è il vostro cuore. Voi miei cari siete il mio tesoro, tesoro preziosissimo che il Signore mi ha consegnato, tesoro cpe vale il sangue di Gesù Cristo, tesoro del quale un giorno dovrò rendere strettissimo conto. Perciò benché lontano il mio cuore è sempre in mezzo a voi e nella santa Messa nelle mie preghiere nelle mie occupazioni mi ricordo di voi continuamente ed anelo il momento nel quale potrò rivedere le vostre faccie da angioletti e continuare la mia missione di guidarvi al paradiso».'
Altre due sono del 1875. «Carissimi figliuoli, Non so come spiegare, una forza irresistibile che mi spinge a scrivervi, allorché per qualche giorno debbo star lontano da voi. Interrogo il mio cuore ed il mio cuore non è muto! Quanto più avanzo negli anni, tanto più io sento di amarvi; di amarvi come un amico, un fratello, un padre.
17 MB XVII 194.
18 MB XVII 197. È la Circolare sulle letture nelle case, firmata da don Bosco e datata da Torino 1° novembre 1884 — MB XVII 197-200.
19 Questa e le lettere seguenti si trovano in ASC 272 Lemoyne, nella busta Corrispondenza ai familiari.
E la mia affezione non è quella semplice intimità di persone che vivono insieme, è qualche cosa di più vivo, di prepotente; è una condizione perché io possa esistere. Nell'affezione, nella corrispondenza, nell'obbedienza di coloro, che il Signore nella sua bontà mi concesse di chiamar figliuoli, io trovo ogni felicità, ogni interesse, ogni mia ricchezza, dopo Dio e Maria».
«Cari i miei figliuoli! Vi ho detto che voi siete la mia corona, la mia felicità, la mia speranza».
Don Bosco
Nella primavera del 1884 — precisamente dal 14 aprile al 14 maggio — don Bosco è a Roma, assillato da problemi finanziari, relativi alla dispendiosa costruzione della chiesa del S. Cuore al Castro Pretorio, e impegnato ad ottenere per la sua Società religiosa un rassicurante stato giuridico-canonico. Sembra accentuarsi in lui la preoccupazione, che lo accompagna da vari anni, di dare stabilità e unità alle strutture e allo spirito che le informa, nella lucida consapevolezza della crescente precarietà del proprio stato di salute.
Di fatto, dopo il trionfale viaggio in Francia da febbraio a maggio del 1883 i disagi di salute si acuiscono con momenti particolarmente critici prima e dopo il travagliato mese di soggiorno romano." Il «Bollettino Salesiano» di aprile 1884, dopo aver riferito per bocca del direttore del collegio di Alassio, don Francesco Cerruti, che don Bosco non aveva preso la parola il 2 marzo in occasione della riunione dei Cooperatori e delle Cooperatrici, tracciava un quadro piuttosto allarmante: «E poiché qui ci si presenta propizia occasione raccomandiamo ancor noi alle preghiere dei Cooperatori e delle Cooperatrici il nostro amatissimo D. Bosco, il quale da alcun tempo si sente affievolire la vita. Non vi è nulla di allarmante pel momento; ma un valente dottore di Torino, visitandolo prima che egli si mettesse in viaggio, ebbe a dire che non dobbiamo lusingarci gran fatto sulla vita di lui; imperocché, soggiunse, avuto riguardo alle fatiche sostenute, D. Bosco può oggimai reputarsi vecchio di 100 anni, sebbene non ne conti ancora 70. Preghiamo dunque di gran cuore, e quegli, che per natura e per debolezza dovrebbe soccombere, viva in quella vece ancora molti anni a nostro aiuto e conforto per grazia e in virtù dell' onnipotenza di Dio».21
20 In riferimento ai primi mesi del 1884 fino al ritorno da Roma le Memorie biografiche abbondano di notizie circa le condizioni di salute, talora allarmanti, di don Bosco: cfr. MB XVII 21, 22, 23-24, 26, 27, 29-32, 34-35, 36, 38, 40, 42, 56-58, 65, 80, 83-84, 88, 89, 105, 119, 121, 122; e conferme si hanno per i mesi successivi: MB XVII 204-207, 458-459.
21 BS 8 (1884) n. 4, aprile, p. 58.
Don Bosco stesso ne dà discrete ma significative conferme nella sua corrispondenza. «La mia sanità non è cattiva, ma non è molto buona. Sono sempre molto stanco»." «La mia sanità è un po' migliore, ma ho molto bisogno di preghiere»." «La mia sanità va stenterellando; spero di poterla riverire personalmente quanto prima e potermi alquanto confortare».24 «La S.V. darà compatimento ad un mezzo cieco che scrive»." «Avrete saputo che da qualche tempo io era molto cagionevole di salute, e come impotente a lavorare...» .26
Parallelamente emerge un'accentuata emotività che lo porta frequentemente a fondere i nostalgici ricordi del passato con vivaci divinazioni del futuro. Si moltiplicano i «sogni» mentre chi l'accompagna assicura: «Il nostro amatissimo Padre non sa tenere discorso senza che rammenti i tempi eroici dell'Oratorio»." Insieme al grande tema della «salvezza» torna insistente l'appello al «metodo», allo stile, al «sistema preventivo»: l'amore, la confidenza, la famigliarità, l'amicizia; «avviene spesso che i giovani sono meno colpevoli di quel che si crede, come dimostra l'esperienza», avvertiva nell'ultima riunione del III Capitolo Generale, il 7 settembre 1883. E il 25 aprile 1884 compariva sul Journal de Rome la sua risposta ad un giornalista che lo interrogava sul suo «sistema educativo»: «Il est très simple. Je laisse aux enfants la faculté de faire ce qu'ils aiment le mieux. Le talent consiste à decouvrir chez les enfants les germes de leurs bonnes dispositions, et à s'appliquer à les développer.
22 Lett. alla co. Bonmartini, da Torino, 4.2.1884 - E IV 253.
23 Di ritorno dalla Francia, lett. a d. Berto da Sampierdarena, 6.4.1884 - E IV 255.
24 Da Roma il 3 maggio 1884 all'arcivescovo di Torino, card. Alimonda - E IV 259.
23 Da Roma all'on. Paolo Boselli il 6 maggio 1884 - E IV 259.
20 Discorso ai Cooperatori e Cooperatrici di Torino, il 23 maggio - BS 8 (1884), n. 7, luglio, p. 95. All'incontro con gli ex-allievi laici del 13 luglio 1884, un loro rappresentante, il prof. Germano dice: «Mi ricordo i tempi antichi, penso al tempo presente: guardo D. Bosco, e il cuore mi si stringe, per ineffabile tenerezza. Quanto è mutato da quello che noi l'abbiamo conosciuto essendo fanciulli! La sua persona si incurva, i suoi capelli s'imbiancano e il suo passo è stentato e vacillante. Il Signore tenga ancor lontano quel giorno nel quale esso dovrà ricevere il premio di tante sue fatiche sopportate per noi. Possa esso rimanere fra mezzo ai suoi figli finché abbia celebrata la sua solenne messa d'oro. Ma gli anni passano inesorabilmente(...)» (BS 8 (1884) n. 8, agosto, p. 112). Don Bosco risponde: «(...) E in primo luogo vi dirò che io sono molto contento di vedervi radunati qui in questo luogo, tanto più che in quest' anno io fui a un certo punto di malessere e di spossatezza, che mi credetti di non potermi più trovare con voi (,..)» (Ibid., p. 113).
27 Lett. di d. G.B. Lemoyne da Sampierdarena, 1'8 aprile 1884 - ASC 272 Lemoyne.
Comme chacun n' aime à faire que ce qu'il sait qu'il pourra faire, j' applique rigoureusement ce principe, et mes élèves travaillent tous, non seulement avec activité, mais avec amour».28
La lettera sorge, dunque, in un «contesto» particolarmente favorevole. Per quanto riguarda, poi, le circostanze immediate della ideazione, della comunicazione, della redazione e del controllo dei contenuti appaiono estremamente illuminanti alcune informazioni, che E. Celia raccoglie dal testimone diretto, d. G.B. Lemoyne.
«Le altre volte Don Bosco a Roma visitava moltissime persone; ma nel 1884 sia per la difficoltà del camminare sia per i sopravvenienti incomodi dovette limitare assaissimo le sue visite»." «Alla fine delle giornate la sua povera testa era così stanca, che spesso non gli reggeva più a formare e a connettere le idee; quindi ogni sera usciva a respirare una boccata d'aria, camminando per tre quarti d'ora appoggiato al braccio di Don Lemoyne»." «Tante fatiche aggravate da acerbi dispiaceri, acuivano sempre più i suoi incomodi fisici. Soffriva al fegato e aveva un occhio infiammato. Il 27 aprile lo assalse una febbre, duratagli tre giorni. Una notte era tanto il malessere, che gli fu forza abbandonare il letto; in certe ore del giorno lo spossamento lo prostrava».31
È esattamente la situazione a cui si riferisce il «sogno», occasione prossima della genesi delle «lettere».
Ma a questo punto è indispensabile l'analisi particolareggiata dei documenti disponibili, che insieme alle informazioni provenienti da altre fonti permetterà di stabilire con sufficiente attendibilità i testi autentici, la loro successione, la rispettiva destinazione e il significato di ciascuno.
L'edizione della lettera nelle sue due distinte redazioni è fatta in base a documenti manoscritti, dattiloscritti o in bozze esistenti presso l' ASC di Roma oltre a edizioni a stampa di particolare autorevolezza storica e letteraria.
28 MB XVII 85-86.
29 MB XVII 80.
30 MB XVII 83-84.
31 MB XVII 89.
Non è escluso che trascrizioni, più o meno fedeli, dei testi originali si possano ritrovare presso altri archivi salesiani, dovute ad antichi novizi o a chierici studenti allievi di don Giulio Barberis e don Eugenio Bianchi o di loro discepoli a loro volta maestri dei novizi e formatori di neosalesiani a cavallo tra i due secoli. Non è nemmeno da escludere che un inventario accurato del materiale conservato nell'ASC possa riservare qualche sorpresa.
Quelli finora ritrovati — e che dovrebbero comprendere i più importanti — sono conservati in tre differenti posizioni: ASC 110 Cronachette; ASC 111 Sogni; ASC 131 Torino-Oratorio.
Nella descrizione dei documenti si segue quest' ordine: si indicano dapprima i manoscritti preparatori (nn. 1-3); si descrivono poi i documenti attinenti la redazione lunga (nn. 4-7); infine, viene recensito l'originale della redazione breve (n. 8).
1. A = ASC 111 Sogni-Lemoyne
Il ms è un foglio semplice di carta uso mano con leggera rigatura azzurra di formato 209x268 mm. In alto le due pagine sono numerate a matita 1 e 2. Nel margine a sinistra di pag. 1 è scritto in pastello azzurro in senso verticale: 1884.
La scrittura è in inchiostro bruno; è di don Lemoyne che fissa in annotazioni frammentarie, con scarsi nessi, elementi utilizzati nelle redazioni immediatamente successive.
Dal confronto risulta che i frammenti confluiscono sia nel documento K sia, tramite questo, nel ms D; più precisamente nella redazione breve (K) viene accolto interamente il contenuto della prima pagina e metà della seconda; le prime linee 'di pag. 1 trovano riscontro soltanto in tale redazione.
Non si trova nessun riscontro di A in B: le aree di riferimento di A e B sono differenti.
Punti di contatto sono rilevabili tra le ultime sei linee del ms A e i mss C e D (lin. 129-131, 174-176, 204-206).
2. B = ASC 111 Sogni-Lemoyne
È un foglio doppio di carta del medesimo formato e qualità del precedente ms A con identica rigatura leggera.
Al lato sinistro di pag. 1 è tracciata a matita una linea verticale a formare una marginatura di 30 mm.
Sulle quattro pagine appare cancellata, ma è ancora visibile, una precedente numerazione a matita 3, 4, 5, 6 (il ms era stato confuso e fuso con il seguente ms C).
È autografo di don Lemoyne, che sembra tentare una prima redazione parziale della lettera nella redazione lunga.
Il testo è scritto nella metà pagina di destra; la metà di sinistra è riservata a correzioni e aggiunte.
Tramite C il contenuto del ms B (in gran parte simile a quello del ms C) confluisce in D. Nessun rapporto immediato o mediato esiste tra B e K (redazione breve); infatti B si muove nell' area di riferimento ai salesiani e non ai giovani.
Nel presente volume sarà riprodotto integralmente, indicando in apparato ciò che don Lemoyne cancella.
3. C = ASC 111 Sogni-Lemoyne
È un fascicolo costituito da tre fogli doppi inseriti l'uno nell'altro del medesimo formato e identica rigatura dei due ms precedenti A e B.32
Le pagine sono numerate in alto a matita da 1 a 10; le ultime due sono bianche e non numerate. La prima pagina porta in alto scritta a matita l'indicazione: 1884.
È autografo di don Lemoyne. Il testo è scritto nella metà pagina di destra; la metà di sinistra è lasciata libera per eventuali correzioni o aggiunte; ne risultano soltanto alle pagine 2, 6 e 9.
Inc.: Una di queste sere... Exp.: ...scriver a voi o miei cari queste righe.
Il ms C utilizza il materiale di C, riscrivendolo in una forma letterariamente migliore e ampliandolo. A sua volta rivela diretti rapporti causali sia con la redazione breve (K) sia con la redazione lunga (D). Il suo influsso immediato è chiaramente visibile nella prima parte del ms K quanto agli elementi che questa ha in comune con la redazione lunga, da cui non sembra dipendere in questa prima sezione. Ma soprattutto, comprendendo il «sogno» della prima notte, il manoscritto C ricopre per il contenuto complessivo i due terzi della redazione lunga. Invece per i contenuti paralleli D sembra piuttosto dipendere immediatamente da K che da C, il che pare confermato dal fatto che in K si trovano correzioni di mano di don Rua, che D presuppone e utilizza, e D presenta varianti proprie di K, che D2 corregge.
4. D = ASC 111 Sogni-Lemoyne
È un fascicolo costituito da 7 fogli doppi inseriti l'uno nell'altro cuciti con filo piuttosto resistente. Il formato è di 270x380 mm.
32 Conviene tener presente che il ms K (redazione breve) per i giovani ha le identiche caratteristiche dei mss A, B e C. Non altrettanto il ms D.
Il primo foglio che raccoglie gli altri è di carta protocollo solida, rigata e marginata a sinistra (37 mm.) e a destra (14 mm.). Gli altri fogli sono di carta leggera uso mano con rigatura azzurra ben marcata, non marginati. Le pagine non sono numerate; soltanto in alto di pag. 3 è indicato a matita il numero 5. La prima pagina è bianca e in alto a sinistra presenta scritto a matita: 1884. La seconda pagina è bianca. La terza e la quarta pagina contengono il testo della notizia di cronaca di cui si è detto: Inc. Don Bosco in quelle notti... Exp. furono allontanati dalla casa. Al termine del testo si trova l'indicazione: Fascio LXV p. 189 - 10 mag. 1884, da cui risulta chiaramente che il ms è preparato in vista della raccolta di Documenti. Da pag. 5 a pag. 26 si trova il testo della lettera. Le pp. 27-28 sono bianche. A p. 5 si nota una macchia sbiadita; a pag. 6 nel margine sinistro due macchie d'inchiostro violaceo.
Il ms è tutto di mano di don Lemoyne che scrive nella metà a destra di ciascuna pagina, riservando la parte sinistra a eventuali correzioni o aggiunte, che si trovano effettivamente soltanto alle pp. 15 e 16.
Non è da escludere l'ipotesi che i testi della notizia di cronaca e della lettera siano stati scritti in tempi diversi: più precisamente che il primo foglio protocollo sia destinato a raccogliere un fascicolo preesistente con il testo della lettera.
In ogni caso il ms D è da considerarsi il più antico tra quelli conosciuti che contengono il testo integrale della lettera nella redazione lunga; potrebbe essere addirittura il testo originario di essa.
È quello offerto nell'edizione, che lo riproduce con assoluta fedeltà, salvo qualche indispetsabile arricchimento della punteggiatura.
5. E = ASC 131 Torino-Oratorio
È un fascicolo costituito da cinque fogli protocollo doppi cuciti insieme con un totale di 20 pagine numerate a matita. L'ultima pagina è bianca. La carta è solida, rigata e marginata con inchiostro di colore azzurro. È manoscritto.
È una bella copia trascritta da don Gioachino Berto a piena pagina.
Nella prima pagina in alto è scritto quasi come titolo: Sogno in forma di Lettera 10.5.1884 da Roma.
Il ms E deriva direttamente da D, di cui riporta sia la breve informazione di cronaca sia il testo integrale della lettera nella redazione lunga: la notizia storica occupa tutta la pag. 1 e una parte esigua della seconda. Essa termina con le indicazioni date da don Lemoyne; soltanto Fascio viene corretto in Fascic. Il testo della lettera occupa le pp. 3-19.
In genere la copia di Berto risulta più accurata dell'originale quanto alla punteggiatura e alla dizione italiana di certe forme arcaiche care a Lemoyne: avea = aveva; faceano = facevano...; si trova, però, anche qualche omissione ed errore, per distrazione.
Il ms di Berto è l'ultimo fedele in tutta la sua sostanza al testo originario di Lemoyne. Esso troverà riscontro nell'edizione a stampa della lettera apparsa negli Atti del Capitolo Superiore del 1920 (in apparato con la sigla J).
6. J = stampato negli «Atti del Capitolo Superiore» (1920)
L'edizione della lettera nella redazione lunga apparsa a cura di don Bartolomeo Fascie negli «Atti del Capitolo Superiore» (1920, Anno I, N. 2, 24 Agosto, pp. 40-48) ricalca il testo ms di don Berto (E), con arricchimento della punteggiatura e qualche variante migliorativa.
7. F = ASC 111 Sogni-Lemoyne
Il ms è un fascicolo costituito da 5 fogli protocollo doppi inseriti l'uno nell'altro e cuciti con filo piuttosto solido; solo il primo foglio ha le due pagine staccate per usura. Il formato è di 208x311 mm. La carta uso mano è rigata con inchiostro azzurro. La prima pagina non è numerata, la seconda è bianca e non numerata. La numerazione incomincia a pag. 3 col numero 2 e continua fino a 17; le due ultime pagine sono bianche. Nella prima pagina nel margine sinistro è scritto in senso verticale in pastello azzurro, lo stesso usato per la numerazione delle pagine: 1884.
La notizia di cronaca occupa la prima pagina; il testo della lettera le pagine numerate da 2 a 17.
È una scrittura che vuol essere calligrafica, ma diventa più frettolosa e meno nitida nelle ultime pagine. L' amanuense dovrebbe essere persona giovane, diligente, dal tocco leggero e discretamente elegante; l'inchiostro è bruno.
Nel margine superiore della prima pagina dedicata alla notizia storica don Lemoyne aggiunge con grafia marcata e inchiostro nero: Capo XXXI Sogno: L'antico e il presente oratorio — Carità e famigliarità che debbono avere i Salesiani coi giovani — Confessioni e condotta dei giovani.
Il testo manoscritto occupa la metà a destra delle singole pagine.
La trascrizione è accurata e migliora formalmente — punteggiatura e perfezione lessicale — il ms D da cui evidentemente dipende. Essa si distacca da questo in alcuni punti qualificanti con la sistematica sostituzione del termine amore con i sinonimi più austeri affetto e carità. Non si è rintracciato un ms intermedio che permetta di individuare chi ha introdotto tali modifiche, che don Lemoyne stesso accoglie in Documenti (testo in bozze G) e d. Celia riedita con varianti marginali nelle Memorie biografiche (H) e nell'Epistolario (I).
Il ms E resta fuori gioco e verrà ricuperato, come si è detto, soltanto nel 1920, quando il Consigliere Scolastico Generale, don Bartolomeo Fascie, ne cura la pubblicazione negli Atti del Capitolo (= Consiglio) Superiore della Società Salesiana.
8. K = ASC 131 Torino-Oratorio
Il ms è costituito da due fogli doppi inseriti uno nell'altro in modo da formare un fascicolo di 4 fogli numerati dal redattore da 1 a 4, da 8 pagine numerate a matita da altra mano da 2 a 7. Dimensioni, qualità, rigatura della carta sono identiche a quelle dei ms A, B, C. L'inchiostro è scuro sbiadito (diluito).
È autografo di don Lemoyne, amanuense-redattore.
Con altra grafia — di don Rua — vengono apportate aggiunte, che nei dialoghi indicano gli interlocutori: Io (= don Bosco), a. (= allievo), V. (= Valfrè). Sono riportate in apparato.
Alla fine si trova la firma autografa di don Bosco.
È con ogni certezza la lettera partita da Roma il 12 maggio e letta da don Rua ai giovani di Torino-Valdocco.
È da tenere preset}te che l'editore dell'Epistolario la ignora.
L'esame dei documenti consente di localizzare in tempi nettamente distinti la stesura delle due redazioni, breve, per i giovani, e lunga riservata agli educatori salesiani. Questa, tuttavia, suppone un tempo di redazione successivo agli altri manoscritti A, B, C, K, che per gli elementi materiali tradiscono una grande vicinanza cronologica. L'iter della lettera breve, rivolta direttamente ai giovani, risulta invece lineare e rapido.
Conviene, quindi, tentare di individuare le varie fasi di composizione dei testi, rifacendosi in linea di massima alle informazioni fornite dal testimone diretto, don Giovanni Battista Lemoyne."
33 Su questa linea va rettificata la fantasiosa ricostruzione di E. Celia: «Il 6 maggio aveva fatto scrivere a Don Rua: "Don Bosco sta preparando una lettera che intende di mandare ai giovani, nella quale vuol dire tante belle cose ai suoi amatissimi figliuoli". La lettera fu spedita il 10 maggio; ma Don Rua, non credendo conveniente leggerla in pubblico tutta intera, pregò d'inviargliene una copia che potesse andare per gli alunni. Don Lemoyne ne estrasse per loro le parti che non riguardavano i superiori. La lettura fattane da Don Rua alla sera dopo le orazioni venne ascoltata dai giovani con tremore, massime perché il Santo diceva d'aver conosciuto lo stato di molte coscienze. Dopo il ritorno era una processione di ragazzi alla sua camera per sapere com'egli li avesse veduti» (MB XVII 107).
A proposito delle «notti nelle quali (don Bosco) si era trovato male» don Lemoyne trascrive nei Documenti: «27 Aprile. D. Bosco è preso dalla febbre e questa gli dura tre giorni. La notte scorsa ebbe un tal malessere che dovette alzarsi da letto. Sul suo fisico influiscono molto le continue opposizioni che sorgono contro la lotteria e contro la concessione dei privilegi».34 In una lettera a don Rua del giorno seguente conferma: «Tra una faraggine di lettere da sbrigare rubo un po' di tempo per farti sapere nuove di D. Bosco. Esso di sanità non sta male, ma son già due mattine che gli è tornata la febbre»."
In queste condizioni di sofferenza emergono con accresciuta prepotenza, ricordi, intuizioni, sollecitudini familiari, che troveranno poi più articolata espressione nel racconto al segretario. Il tempo per raccontare, per sviluppare, per organizzare abbondava. È vero che a don Bosco il lavoro non mancava; ma le condizioni di salute e le attenzioni del fraterno collaboratore gli imponevano soste consistenti tutti i giorni con la possibilità di rilevanti momenti di distensione e di sereno familiare colloquio.
Nelle varie fasi compositive e nelle diverse stesure non si trova mai traccia di intervento redazionale di don Bosco: sua (se non è imitata) è soltanto la firma che chiude la forma breve.
Ma l'eco immediata di quanto don Bosco andava dicendo si può trovare almeno in parte nei rapidi appunti consegnati dal Lemoyne al ms A e, in misura più consistente, nella prima elaborazione degli elementi caratteristici della lettera ai salesiani, contenuti già nel ms B e ripresi e ampliati nel ms C. Tutti e tre vengono poi utilizzati dal Lemoyne nella redazione della lettera ai giovani, il ms K, e in seguito di quella per i salesiani.
Invece, è arduo stabilire il tempo e la sede della composizione della redazione lunga (ms D) quale fu poi trasmessa manoscritta e stampata, con significative varianti. Essa potrebbe essere stata stesa più tardi a Valdocco."
34 Documenti, vol, XXVII, pp. 158-159.
35 Lett. a don Rua del 28 aprile 1884, ASC 9126 Rua - Lemoyne G.B. Cfr. P. BRAIDO e R. ARENAL LLATA, Don Giovanni Battista Lemoyne attraverso 20 lettere a don Michele Rua, in «Ricerche Storiche Salesiane» 7 (1988), p. 151.
36 È da tener presente che il ms K, a differenza del ms D, ha le medesime caratteristiche (carta, rigatura, inchiostro) dei mss A, B e C.
Con grande probabilità, Lemoyne sta redigendo la lettera per i giovani, approdando al ms K, quando il 6 maggio scrive a don Rua nei seguenti termini: «5 In ultimo ti annunzio che D. Bosco sta preparando una lettera che intende di mandare ai giovani, nella quale vuol dire tante belle cose ai suoi amatissimi figliuoli»."
Da una considerazione globale, che sembra confermata da quanto avviene a Valdocco nelle settimane immediatamente successive, appare più che probabile che dei due testi, datati 10 maggio 1884, sia stato inviato a Torino quello che contiene la redazione breve, come sembra potersi pure ricavare dalle due lettere di don Lemoyne a don Rua, una da Roma del 12 maggio (antivigilia della partenza da Roma di don Bosco e del suo segretario), l'altra da Firenze del giorno 15. Nella prima don Lemoyne scrive: «Ti mando una lettera che D. Bosco manda a tutti i suoi figliuoli dell'Oratorio. Tu stesso farai piacere di leggerla alla sera dopo le orazioni e se tu non potessi incarica D. Lazzero. Così desidera D. Bosco e che tu prima di leggerla ai giovani, procuri di darle una scorsa e che modifichi ciò che credessi bene di modificare, e attenuassi qualche frase se la credessi troppo forte. Se ci trovi qualche sproposito perdonami e correggi perché ho impiegato una notte intera a stenderla»." Da Firenze il giorno 15 scrive ancora a don Rua: «Oggi siamo giunti a Firenze (...). Con questa conchiudo la mia corrispondenza con voi, se nulla occorrerà di nuovo. Spero che a quest' ora avrai ricevuta e letta ai giovani la lettera loro indirizzata da Don Bosco»."
Alla forma breve sembrano pure riferirsi preoccupazioni e interessi particolarmente accentugti a Valdocco nelle settimane e nei mesi successivi al ritorno di don Boscò da Roma. Ricorre insistente il problema «dell'ordinamento» dell'Oratorio e, soprattutto della «riforma» disciplinare, morale e religiosa della comunità giovanile, con speciale attenzione alla componente studentesca, che alimentava le prevalenti speranze di nuove «vocazioni», ecclesiastiche e salesiane.
37 Lett. a don Rua del 6 maggio 1884, ASC 9126 Rua - Lemoyne; Cfr. P. BRAIDO e R. ARENAL LLATA, art. cit., p. 154.
38 Lett. a don Rua del 12 maggio 1884, ibid. Cfr. P. BRAIDO e R. ARENAL LLATA, art. cit., p. 157. In calce alla lettera il diligente don Lemoyne aggiunge l'avvertenza: «Conserva la lettera di D. Bosco per metterla nell'archivio». È da credere si tratti del ms K quale noi possediamo.
39Lett. a don Rua del 15 maggio 1884, ibid. Cfr. P. BRAIDO e R. ARENAL LLATA, art. cit., p, 157.
Dai Verbali delle riunioni del Capitolo [= Consiglio] Superiore della Società Salesiana e da un'inchiesta promossa tra i salesiani di Torino- Valdocco sorge un'immagine non meno pessimistica del clima ivi imperante (mancanza di confidenza, clima di sospetto, carenze nella direzione e nell'assistenza), quale è più esclusivamente tratteggiato nella lettera breve. È, invece, più debolmente presente l'esplicito messaggio positivo dell'amore, proclamato con eccezionale calore retorico nella redazione lunga.
Ancora alla lettura pubblica ai giovani della lettera a loro destinata si riferiscono le informazioni consegnate ai Documenti, più avanti, al cap. XXX-VIII, «...Effetti meravigliosi dell'ultimo sogno fatto da Don Bosco. (...) 13 giugno. — Il sogno fatto da D. Bosco a Roma porta le sue conseguenze. In tutti i giorni passati D. Bosco diede verso sera udienza a molti giovani. Ieri però giorno del Corpus Domini moltissimi andarono in sua camera a parlargli di vocazione».4°
Quanto poi alla tradizione e alla diffusione della lettera nelle due redazioni le relative vicende si possono ricondurre ai seguenti scarni dati, per tanti aspetti, caratteristici:
1) La redazione breve, destinata ai giovani, è rimasta manoscritta nel documento originale conservato in archivio e in copie contenute in alcuni quaderni di novizi e formatori di novizi.
2) Come redazione breve viene, invece, tramandata — però, solo manoscritta — una trascrizione della forma lunga, nella quale appare posto tra parentesi e, quindi, idealmente escluso il corpo centrale (lin. 82-206: acciocché... offesa di Dio); ne appare responsabile, non si sa su quale fondamento, il maestro dei novizi don Giulio Barberis, seguito dal suo immediato collaboratore e successore, don Eugenio Bianchi: ad essi fanno capo alcune poche trascrizioni di novizi o di giovani chierici.
3) Viene, invece, trasmessa in un certo numero di manoscritti e mediante stampa la forma lunga, in duplice «versione»: a) la più diffusa, corrispondente al ms F, avallata da don Ceria nelle Memorie biografiche e nell'Epistolario, e ripresa dal testo delle Costituzioni e Regolamenti della Società Salesiana e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice del 1972; b) quella meno familiare, ma più vicina ai manoscritti originari di don Lemoyne e di don Berto, (ms D e E), accolta poi negli Atti del Capitolo (= Consiglio) Superiore del 1920 e da d. Bartolomeo Fascie nella sua antologia del 1927. Le due versioni recano varianti numericamente limitate, ma qualitativamente significative.
40 Documenti, vol. XXVII, p. 274.
Nei luoghi più tipici la seconda (doc. E) concede spazio al termine amore, che la prima (doc. E MB, Ep) sostituisce con i termini affetto e carità; nella seconda l'interlocutore di don Bosco nel sogno si rivolge, talvolta, al suo antico educatore con il confidenziale tu mentre la prima, accolta già da don Lemoyne stesso in Documenti, adotta sempre il più rispettoso e aulico lei; questa, inoltre, rivela qualche passaggio più logico: per esempio alla più approssimativa successione psicologica potuto e saputo sostituisce quella più consequenziale saputo e potuto.
A
/ \I i
C /
11/
D
E
Lunedì notte fol•1
Visto Buzzetti. In mezzo domandai Ma ti sembravano
più buoni i giovani adesso o quelli di una volta
Mi rispose — la differenza fra questi e quelli si è
che questi non hanno troppa confidenza nel confessionale
i consigli tuoi ma in particolare nelle cose
di coscienza
Il numero dei giovani buoni è grande
Ma tra gli antichi e i moderni vi è una differenza
notabile anticamente il loro cuore era tutto aperto
ai Superiori che essi amavano ed obbedivano
presentemente i Superiori sono considerati come
superiori temuti etc. perciò se si vuol far
un cuor solo ed un'anima sola per amor di
Gesù bisogna che si rompa la fatale
barriera della diffidenza e vi entri la
confidenza cordiale Quindi 1' obbedienza
che guidi l'allievo come la madre guida
un fanciullino etc. etc. Non parliamo delle
frequenti confessione e comunione ma man
ca radicalmente la stabilità dei proponimenti etc.
mi sentiva stanco fol. 2
Hai null' altro da dirmi? Quale avviso speciale
— che si ricordino tutti che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice
che essa li ha qui radunati. Quindi pure la pace del cuore
quindi l'amore per vicendevole. Che i cuori si aprano, che si
faccia un cuor solo e anima sola come nei primi tempi
E ci riusciremo?
Sì purché grandi e piccoli vogliano far un fioretto alla Madre
Celeste e siano pronti a soffrir qualche cosa per lei
qualche giovane ma in questi pochi io vidi cose che
hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metter-
le sulla carta ma voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono.
Qui vi dico soltanto che è tempo di pregare e prendere
risoluzioni ferme, proporre non colle parole ma coi fatti
e far vedere che i Comollo i Savio Domenico i Besucco
i Saccardi, vivono ancora tra noi.
Basta che un giovane entri in una casa salesiana e preso subito
sotto speciale Protezione di Maria SS Ausiliatrice
giovani
(Che si facciano uno strettissimo dovere di coscienza il riferire
ai Superiori tutte quelle cose che i Chierici in qualunque
modo conoscano esser offesa del Signore
(Della gelosia che ciascheduno vorrebbe amato dai
Giovani esclusi tutti gli altri superiori
Feroci gelosie
2. Ms B
Sigle: B = redazione originaria di Don Lemoyne
B2 e B3 = successivi interventi del medesimo Don Lemoyne
— Perché tanta noia e tanta e tanta svogliatezza. fol. 1
— Vidi tanta svogliatezza è di qui che proviene la freddezza nei Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà specialmente in Chiesa, lo star mal volentieri in un luogo ove la provvidenza li ricolma
5 d' ogni benefizio, di qui l'ingratitudine, i segretumi, le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
— Vedo Capisco, intendo, ma come si ponno rianimare i giovani acciocché possano riprendere l'antica vivacità, allegrezza, espansione? — Coll 'amore!
10 — Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io amo i miei giovani. Tu sai quanto ho sofferto, ho tollerato. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni ho dovuto incontrare e patire per essi.
— Non parlo di te!
15 — Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Non vedi come sono martiri del lavoro, giorno e notte studiano, sorvegliano, si consummano.
— Vedo tutto conosco, ma qui non è tutto. I
— Che cosa manca? fol. 2
20 — Che i giovani non solo siano amati ma essi stessi conoscano di essere amati.
— Ma non hanno gli occhi in capo? Non scorgono casa, pane, profitto, carriera etc. scuole. — No ciò non basta.
1 Perché...svogliatezza B del B2 7 Vedo B del B2 18 tutto' B del B2 20 conoscano] vedano B del B2 conoscano emend sl B2 26 essendo amati] si avvedano B del B2 essendo amati emend sl B2
25 — Che cosa ci vuole dunque?
— Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, e queste imparino a far con amore.
— Spiegati.
— Il Divin Salvatore si è fatto piccolo coi piccoli e ha portato le 30 nostre infermità.
— Non capisco.
— Osserva i giovani!
Osservai: — E cosa c'è di speciale da vedere?
— Come? tanto che vai educando giovani e non capisci. Dove 35 sono i tuoi Salesiani?
— Guardai e vidi etc. (come l'altro foglio)
E l'altro ripigliò: quando tu nel passato ti ponevi in mezzo ai giovani era così?
fol. 3 — Oh allora era una gioia un tri Ipudio, un voler parlar, un essere 40 ansiosi di udir le mie parole etc. Ma ora non posso più. Non vede come le visite, la mia sanità etc.
— Capisco che tu non puoi ma perché i tuoi Salesiani non si fanno tuoi imitatori? Perché tu non comandi, non insisti, che trattino i giovani allo stesso modo che tu li trattavi? 45
— Parlo e mi spolmono, ma capisci bene che anche i maestri e gli assistenti son stanchi dal far scuola, non si sentono più di far le fatiche di una volta, etc.
— E quindi tralasciando il meno, perdono il più; e questo più sono le loro fatiche! 50
— Dunque quale è il meno. — La famigliarità!
Se non c'è questo, se stanno lontani dai Chierici. Che cosa ci vuol una regola, e eguale al ferro che quando [...l esteriore. E questo senza cuore farà dei nemici. 55
Ne viene la gelosia tra superiore e Superiore. Ne viene che per non essere singolare chi farebbe non fa. Rispetto umano.
Amore delle proprie comodità. Amicizie particolari.
— Eppure io vedo che andando avanti li regolerà predominerà al sistema paterno. 60
30 si è fatto] ha po B del B2 si è fatto emend B2 40-52 Oh allora...famigliarità B del B2 56-58 Ne viene...particolari add mrg sin B2
— La famigliarità quanto Gesù Cristo si fece piccolo pei piccoli e sopportò le nostre infermità.
Il maestro in cattedra è maestro, ma in ricreazione diventa fol. 4 fratello. Se si predica è ufficio di dovere, una parola in ricreazione è 65 la parola di uno che da segno. Quante conversioni non accadere da una tua parola in
Chi è amato ottiene tutto perché specialmente nei giovani
Ciò mette una corrente elettrica tra giovani e Superiori.
Si conoscono i loro bisogni, si vedono i loro difetti.
70 Conoscendosi amati svelano il loro cuore.
61-65 La famigliarità...segno B del B2
65-66 Quante..in add mrg sin B2 del B3
67-70 Chi...cuore B del B2
3. Ms C
Sigle: C = redazione originaria di don Lemoyne
C2 = interventi successivi del medesimo don Lemoyne
fol. 1r Una di queste sere io mi preparava per andare a riposo e avea incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. Mentre così pregava ecco assalirmi una distrazione o sonno che fosse e mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio. Uno di questi due mi si avvicino e mi salutò 5 affettuosamente. Io lo guardava e quegli dissemi: — Mi conosce D. Bosco?
— Si che ti conosco.
— Si ricorda ancora di me?
— Di te e degli altri: Tu sei Valfrè, ed eri nell'Oratorio prima lo del 1860.
— Dica! vuol vedere i giovani che erano nell'Oratorio ai miei tempi?
— Sì fammeli vedere: Ciò mi cagionerà molto piacere.
E Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla 15
foi. iv statura ed età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'Oratorio in tempo di ricreazione. Era una scena tutta di vita, moto, allegria. Chi correva, chi saltava, chi facea saltare. Qui si giuocava alla rana, la alla palla. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un Chierico il quale narrava un fattarello. In un'altro luogo un 20 prete in mezzo ad altri giovanetti e li facea giuocare all'asino vola. Si cantava e si rideva da tutte parti e dovunque i Chierici e i preti erano l'anima del divertimento e i giovani intorno ad essi schiamazzavano allegramente.
Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse: — Veda: la 25 famigliarità porta amore e l'amore produce confidenza.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro antico allievo dell'Oratorio e mi disse: — D. Bosco vuole adesso vedere conoscere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio?
— Sì! fammeli vedere: risposi io —. 30
28 conoscere add mrg sin C2
Ed esso me li mostrò. Vidi l'oratorio e tutti i giovani che facevano ricreazione. Non più cantici ! non più grida di gioia, non più quel -fol. 2r- moto, quella vita come nella prima scena. Si udiva qualche grido isolato, ma in generale si spandeva per l'aria come un mormorio 35 confuso e nel viso e negli atti dei giovani si leggeva spossatezza, noia, musorni, diffidenza. Non mancavano giovani i quali corressero, si agitassero, con beata spensieratezza, ma moltissimi ne vedeva star soli appoggiati ai pilastri, molti seduti in fondo alle scale e su pei corridoi per sfuggire la ricreazione; altri passeggiare lentamente parlando 40 sottovoce fra di loro e dando occhiatte sospettose o maligne attorno; molti giuocare bensì ma con una svogliatezza di chi non trova gusto ne divertimenti.
— Hai visti i tuoi giovani? — Mi disse quell'antico allievo.
— Li vedo risposi.
45 — Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta.
— Pur troppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.
— E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà specialmente in Chiesa; lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza foi. 2v
50 li ricolma di ogni bene per il corpo, per l'anima, per l'intelletto: di qui il non corrispondere che fanno molti alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi le mormorazioni con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
— Capisco; intendo risposi io: Ma come si possono rianimare 55 questi miei cari giovani acciocché riprendano l'antica vivacità, allegrezza espansione?
— Coll'Amore!
— Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se amo i miei giovanetti. Tu sai quanto ho sofferto e tollerato per
60 ben 40 anni e tollero e soffro ancora adesso per loro. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, per dare pane, casa, maestri, ad essi e specialmente per la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per chi forma l'affetto di tutta la mia vita.
— Non parlo di te!
65 — Di chi dunque? Di coloro che ! fanno le mie veci? Da - fol. 3r - Direttori, Prefetti, Maestri, Assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro?
32 più2 add sl Cz
Come consummino i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
— Vedo; conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.
— Che cosa manca adunque? 70
— Che i giovani non solo siano amati ma che essi stessi conoscano d'essere amati.
— Ma non hanno gli occhi in capo? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore? 75
— No ciò non basta.
— Che cosa ci vuole adunque?
— Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col participare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono la disciplina, lo - 80 fol. 3v - studio, e la mortificazione di se stessi e queste cose I imparino a far con amore.
— Spiegati meglio!
— Il Divin Salvatore si è fatto piccolo coi piccoli ed ha portate le nostre infermità. 85
— Non capisco bene.
— Osserva i giovani!
Osservai e quindi replicai: — E che cosa c'è di speciale da vedere?
— Come? Sonp tanti anni che vai educando i giovani e non ca- 90 pisci? Guarda! Dove sono i tuoi Salesiani?
Osservai e vidi che fra i giovani vi erano ben pochi preti e chierici i quali prendessero parte ai loro divertimenti. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro o non dandosi pensiero dei giovani o sorvegliandoli così alla lontana. 95
Allora quell'amico ripigliò: Negli antichi tempi dell'oratorio tu non stavi sempre in mezzo ai giovani e specialmente alle loro ricreazioni?
68 post Provvidenza add Come sorveglino giorno e notte, come patiscano freddo e caldo sicché si puon dire veramente sacrificati per i loro allievi? C del e 84-86 Il Divin...bene add mrg sin C'
— Certamente e allora tutto era gioia per me e in essi un slancio nel volermi parlare ed una viva ansia di udire le mie parole e metterle 100 in pratica. Ora però vedi come le udienze, gli affari multiplicati, la mia sanità me lo impediscono.
— Va bene ma se tu non puoi perché i tuoi Salesiani non si fanno tuoi immitatori? Perché I tu non insisti e non comandi che si tratti i gio- fol. 4r 105 vani allo stesso modo che tu li trattavi?
— Parlo mi spolmono; ma capisci bene che anch'io veggo come i maestri siano stanchi dal far scuola e purtroppo non si sentono più di far le fatiche di una volta.
— E quindi trascurando il meno perdono il più e questo sono le 110 loro fatiche. Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori, e a questo modo sarà più facile e più leggera la loro fatica.
— Che cosa adunque debbo raccomandare ai miei Salesiani?
— Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza
115 famigliarità non si dimostra l'amore, e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il modello della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro, ma se va in ricreazione coi giovani diven
120 fa fratello rispettato. Se uno è visto solo predicare dal pulpi i to si dirà fol. 4v che fa ne più ne meno del suo dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni non accaddero per una tua parola giunta improvvisa all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è ama
125 to ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani e i Superiori. I cuori si aprono: fan conoscere i loro bisogni, palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare eziandio le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze e le negligenze dei giovanetti, sicché ogni cosa abbia per
130 fine non la vanagloria, non il vendicare l'amore proprio offeso, non la gelosia di una temuta preponderanza d'autorità altrui ma null'altro che la gloria di Dio, la salute delle anime coll' esempio di Gesù Cristo. Sai perché l'oratorio di adesso è diverso da quello di una volta? Perché si vuole sostituire all'amore la freddezza di un 135 regolamento; perché i tuoi si allontanano dall'osservanza di quelle regole di educazione che tu hai loro I dettate, perché al sistema di prevenire - fol. 5r - amorosamente i disordini si va a poco a poco sostituendo il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda; bandir leggi e punir trasgressori.
123 all'orecchio] in cuore C all'orecchio torr C'
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che l'oratorio ritorni all'antica felicità si rimetta in 140 vigore l'antico sistema di essere tutto a tutti, padri dei giovani, tolleranti finché lo permette la carità i difetti della loro età giovanile, togliendo le distanze, amando con essi tutto ciò che essi amano. Allora i cuori non saranno più chiusi e non vi saranno più segretumi che uccidono. 145
— E qual è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
— L'osservanza esatta delle regole che tu hai dato.
— E null'altro?
— Un piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera. 150
— E quale altro avviso mi dai pel buono andamento della casa?
— Null'altro che questo: La famigliarità porta amore e l'amore
porta confidenza e i giovani allora tutto palesano senza timore, ai fol. 5v maestri agli assistenti ai Supe !fiori. Diventano schietti in confessione
e fuori di confessione e sono docili a tutto ciò che loro comanda Co- 155 lui dal quale sono certi di essere amati.
Mentre l'altro finiva di parlare io continuavo ad osservare con vivo rammarico quella ricreazione e a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza. Questa oppressione giunse al punto che mi scossi non potendo )più resistere. Rinvenni. Era in piedi vicino al let- 160 to. Le gambe gonfie mi facevano male e non potea più star ritto. L'ora era tardissima. Quindi me ne andai in letto risoluto di scrivere a voi o miei cari queste righe.
4. Ms K – Lettera ai giovani dell'Oratorio di Torino-Valdocco
Sigle: K = redazione originaria di don Lemoyne
K2 = interventi di don Lemoyne sul proprio testo
R = interventi successivi di don Rua
S = la firma: Sac. Gio. Bosco
Roma 10 Maggio 1884 fot. 1r
Miei carissimi figliuoli in Gesù Cristo.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio; quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, 5 questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa; ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al lo mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete non è vero? e mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
15 Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera e mentre mi disponeva per andare a riposo, avea incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel mentre non so bene se preso dal sonno, o tratto fuori di me da una di 20 strazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio. Uno di questi due mi si avvicinò, e salutatomi affettuosamente mi disse:
— O Don Bosco mi conosce?
— Sì che ti conosco — risposi.
25 — E si ricorda ancora di me? — soggiunse.
— Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè, ed eri I nell'Oratorio foL lv prima del 1870.
24 ante Sì add Io R 25 ante E si add V. R 26 ante Di te add Io R
— Dica! continuò Valfrè, vuol vedere i giovani che erano nel-l' Oratorio ai miei tempi?
— Sì, fammeli vedere, io risposi; ciò mi cagionerà molto piacere. 30
E Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a bararotta, ed al pallone. In un luogo era radunato un 35 crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola e ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra giovani e Superiori regnava 40 la più grande cordialità. Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse: — Veda: la famigliarità porta amore, e l'amore produce confidenza in Confessione e fuori di Confessione.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo che avea la barba tutta bianca e mi disse: — D. Bosco vuole adesso conoscere e 45 vedere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio?
— Sì, risposi io; poiché è già un mese che più non li vedo —.
E me li additò. Vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non più udiva grida e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti di 50 voi si leggeva una spossatezza, una noia, una musoneria, una diffidenza che faceva piena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi
fol. 2r io ne vedeva I star soli appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti; altri sulle scale e nei corridoi per sottrarsi alla ricreazio- 55 ne; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che facean vedere chiaramente come non trovassero gusto nei divertimenti. Rari si scorgevano fra i giovani i Chierici ed i preti. Valli giovani cercavano 60 studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai Superiori. I Superiori non erano più l'anima delle ricreazioni.
In allora domandai al mio amico dalla barba bianca: — Ti sembrano più buoni i giovani di adesso o quelli di una volta?
30 ante Sì add Io R
Mi rispose: — Il numero dei giovani buoni eziandio nel tempo 65 presente è assai grande nell'Oratorio.
— Ma perché tanta differenza fra i giovani di una volta e i giovani di adesso?
— Causa di tanta diversità si è che un certo numero di giovani
70 non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente. Si ricorda quei belli anni quando lei Sig. D. Bosco poteva intrattenersi continuamente con noi? Era un tripudio di paradiso, e noi per lei non avevamo segreti. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori, e
75 non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola per amor di Gesù, bisogna che si rompa la fatale barriera della diffidenza, e sottentri a questa la confidenza cordiale. Che quindi l' obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il suo fanciullino. Allora regnerà nell'Oratorio la 80 pace e l' allegrezza antica.
— Come dunque fare per rompere questa barriera?
— A te e ai tuoi io dico; Gesù Cristo si è fatto piccolo I coi piccoli fol. 2v e portò le nostre miserie. Esso non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello.
85 — E ai giovani?
— Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poiché se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifizi; che si ricordino essere l'umiltà il fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti
90 degli altri poiché al mondo non si trova la perfezione, ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni poiché queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella S. Grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, non ha pace cogli altri.
95 — E tu mi dici dunque che vi sono fra i miei giovani di quelli chenon hanno la pace con Dio?
— Questa è la prima causa del malo umore, fra le altre che tu sai, alle quali devi porre rimedio, e che non fa d'uopo che ora ti dica. Infatti: non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme 100 che questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia.
67 ante Ma add Io R 69 ante Causa add a. R 81 ante Come add Io R 82 ante A te add a. R 85 ante E ai add Io R 86 ante Che add a. R 95 ante E tu add Io R 97 ante Questa add a. R
Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace di Dio rimane angosciato, irrequieto, insofferente d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino.
— Eppure o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e 105 di Comunioni vi è nell'Oratorio!
— È vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la sta
fol. 3r bilità nei proponimenti. Si confes I sano ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni, le stesse abitudini, le stesse disobbedienze, le 110 stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace, e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.
— E di costoro ve ne ha molti nell'Oratorio? 115
— Pochi in confronto del gran numero dei giovani che sono nella casa: Osservali! — E me li additava.
Io guardai; e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle a 120 ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare, e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole ma coi fatti e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, e i Besucco, e i Saccardi vivono ancora tra noi.
In ultimo domandai a quel mio amico: — Hai null' altro da 125 dirmi?
— Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria S.S. Ausiliatrice. Che Essa stessa li ha qui radunati perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. Che si ricordino che sono alla vigilia della festa della lo- 130 ro S.S. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.
Mentre 1' amico parlava io a poco a poco sentiva crescere in me una stanchezza che mi opprimeva. Non potendo finalmente più resi- 135 stere mi scossi e rinvenni.
fol. 3v Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non potea star ritto. L'ora era tardissima e quindi me ne andai in letto, risoluto di scrivere a voi o miei cari figliuoli, que140 ste righe. Molte altre cose importantissime che io vidi, desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e la convenienza non me lo permettono.
105 ante Eppure add Io R 107 ante È vero add a. R 115 ante E di add Io R
116 ante Pochi add a. R 127 ante Predica add a. R
Concludo. Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consummata la sua vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'antico
145 Oratorio. I giorni dell'amore e della confidenza Cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spirito di accondiscendenza e sopportazione per amor di Gesù degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza
150 e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra d'essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana perché la Vergine S.S. lo prenda subito sotto la sua speciale protezione.
155 Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di chi comanda, la carità di chi obbedisce faccia regnare fra di noi lo Spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia Eternità; (A questo punto D. Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non di 160 rincrescimento, ma di ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce. Dopo alcuni istanti continuò.) quindi io bramo di I lasciar voi, o preti, o Chierici, o giovani carissimi, per quella fol. 4r via del Signore nella quale esso stesso vi desidera. A questo fine il Santo Padre che io ho visto Venerdì 9 di Maggio, vi manda di tutto cuore la 165 sua benedizione. Il giorno della festa di Maria S.S. Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effigie della nostra Amorosissima madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e D. Lazzero e D. Marchisio pensino a farci stare allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiam 170 celebrare tutti insieme uniti un giorno in paradiso.
Vostro aff.mo amico in G.C. Sac. Gio. Bosco
155 chi comanda] quelli che comandano corr R 156 chi obbedisce] quelli che devono obbedire corr R 158 ante A questo add sl Nota del Segret. R 167-168 D. Lazzero...stare] che stiamo corr R 172 Sac. Gio. Bosco add S
5. Ms D — Lettera alla comunità salesiana dell'Oratorio di Torino-Valdocco
Sigle: D = redazione originaria di don Lemoyne
D2= interventi di don Lemoyne sul proprio testo
E = trascrizione di don Berto
E2 = interventi di don Berto sul proprio manoscritto
F = trascrizione di amanuense
F2 = interventi del medesimo amanuense sul proprio testo
G = testo contenuto in Documenti XXVII, 221-228
H = testo edito nelle MB 17, 107-114
I = testo edito in E 4, 261-269
J = testo edito negli «Atti del Capitolo Superiore» (1920)
fol. 1 r Roma, 10 Maggio 1884
Miei carissimi figliuoli in Gesù C.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari 5 miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia, benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi al- 10 meno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in/Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
fol. lv Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della 15 mia mente.
6 da voi om EJ 8 scrivere] scrivervi EJ 12-13 colla libertà di] liberamente come EJ 14 quello che] quanto EJ
3-5 «Giovedì prossimo [15 febbraio 1872] a Dio piacendo sarò a Torino. Mi sento un bisogno grave di andarvi. Io vivo qui col corpo, ma il mio cuore, i miei pensieri e fin le mie parole sono sempre all'Oratorio in mezzo a voi. È questa una debolezza ma non la posso vincere» — Don Bosco a don Rua, da Alassio il 9.2.72, E II 193. – «Tra breve io sarò di nuovo con voi, con voi che siete l'oggetto de' miei pensieri e delle mie sollecitudini, con voi che siete i padroni del mio cuore» – Don Bosco ai giovani studenti di Valdocco (Torino) da Roma il 7.3.1874 – E II 361-362.
Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per andare a riposo avea incominciatoa recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una 20 distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente mi disse: — O D. Bosco! Mi conosce?
— Sì che ti conosco: risposi.
25 — E si ricorda ancora di me? soggiunse quell'uomo.
— Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè, ed eri nell'Oratorio prima del 1870.
— Dica! continuò Valfrè, vuol vedere i giovani che erano nell'Oratorio ai miei tempi?
30 — Sì fammeli vedere, io risposi; ciò mi cagionerà molto piacere.
E Valfrè mi mostrò i giova Mi tutti colle stesse sembianze e colla fol. 2r statura e nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuo
35 cava alla rana, là a bararotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti e intorno ad essi i gio
40 vani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i Superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse: — Veda: la famigliarità porta amore, e l'amore porta confidenza.
25 soggiunse] aggiunse EJ 26 Valfrè] quell'uomo FGHI 30 Sì om EJ 31 Valfrè] egli F 36 crocchio] crocicchio J dal labbro] dalle labbra EJ 38 giovanetti] giovani EJ 42 Valfrè] quell'uomo F
26 Con tutta probabilità si tratta di Ferdinando Valfrè, n. a Pinerolo nel 1843, studente all'Oratorio dal 1° maggio 1859 al luglio 1860 (Registri contabilità, ms. autografo di Don Vittorio Alasonatti). Il registro anagrafe di Valdocco segnala anche un Bartolomeo Valfrè, n. a Villafranca Piemonte il 22 dicembre 1855, entrato all'Oratorio come studente 1'11 agosto 1866. Un giovane Valfrè, di diciassette anni, che Don Bosco dice parente del B. Sebastiano Valfrè, con buone qualità e di ottima indole, compare già in una lettera del Santo educatore al rosminiano D. Giuseppe Fradelizio del 5 giugno 1849 (Em I 85).
42-47 «L'Oratorio era allora una vera famiglia» – MB III 353. – «Fino al 1858 D. Bosco governò e diresse l'Oratorio come un padre regola la propria famiglia, e i giovani non sentivano che vi fosse differenza tra l'Oratorio e la loro casa paterna» – MB IV 679. – «D. Bosco ci fu esempio di veramente cristiana amorevolezza e nel suo governo con noi schivò il formalismo artificiale, il rigorismo, che pone come un abisso tra chi comanda e chi ubbidisce. Amante ed espansivo esercitava l'autorità, inspirando rispetto, confidenza ed amore. E le anime nostre gli si aprivano con intimo, giocondo e totale abbandono. Tutti volevamo confessarci a Lui (...). Sistema questo direi più unico che raro tra Superiore e dipendenti» – G. BALLESIO, Vita intima di D. Giovanni Bosco nel suo primo Oratorio di Torino. Torino, Tip. Salesiana 1888, p. 21 – cfr. anche MB VI 592.
Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e 45 si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo che avea la barba tutta bianca e mi disse: — Don Bosco vuole adesso conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio? (Costui era Buz- so zetti Giuseppe).
— Sì! risposi io; perché è già un mese che più non li vedo!
E me li additò. Vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udiva più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di mol- 55 ti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli appoggiati ai pilastri in preda a
fol. 2v pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i pog- 60 giuoli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare, ma credere che San Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in 65 compagnia di costoso; eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che faceano veder chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.
43 amore, e l'amore] affetto e l'affetto FGHI porta2 om EJ 50-51 (Costui...Giuseppe) om F 58 si agitavano om EJ 62 passeggiare] asseggiavano EJ 63 sorridere] sorridevano J
50-51 Giuseppe Buzzetti, n. nel 1832, allievo dell'Oratorio fin dagli inizi, studente (1847-1851), collaboratore laico, poi coadiutore religioso nel 1877, m. nel 1892 E. CERTA, Profili di 33 coadiutori salesiani. Colle Don Bosco, LDC 1952, pp. 17-24.
— Hai visti i tuoi giovani? mi disse quell'antico allievo.
70 — Li vedo; risposi sospirando.
— Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quel vecchio allievo.
— Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.
— E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai Santi
75 Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà in Chiesa e altrove; lo star malvo ilentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma fol. 3r- di ogni bene pel corpo, per l'anima, per l'intelletto. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte 80 le altre deplorevoli conseguenze.
— Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, acciocché riprendano l'antica vivacità, allegrezza, espansione?
— Coll'amore!
67-68 come non trovassero] che non trovavano EJ 69 Hai] Ha HI tuoi] suoi HI 70 vedo] vidi EJ 72 quel vecchio] quell'antico EFGHI 84 Coll'amore!] Colla carità! FGHI 85 Amore?] Colla carità? FGHI
77-78 «Si facciano sacrifizi pecuniari e personali, ma si pratichi il sistema preventivo ed avremo delle vocazioni in abbondanza (...). La pazienza e la dolcezza, le cristiane relazioni dei maestri cogli allievi, guadagneranno molte vocazioni tra loro» Memorie dal 1841 al 1884-5-6, RSS 4 (1985), p. 106.
84-86 «...I1 nostro sistema preventivo di educazione. Dev'essere l'amore che attira i giovani a fare il bene per mezzo di una continua sorveglianza e direzione; non già la punizione sistematica delle mancanze, dopo che queste siano commesse» – Don Bosco nella conferenza conclusiva del I Capitolo generale (1877), MB XIII 292.
86-91 «Stamane mi ha detto che la sua testa è molto stanca, tuttavia continua ad occuparsi delle cose della nostra Congregazione. Si vede ad ogni istante quanto bene vuole a noi e quanti sacrifizi, umiliazioni, sopporta per i suoi figliuoli. Quando certe volte narra il suo passato, esso sorride, ma chi l'ascolta si sente stringere il cuore. In quarantotto anni quanto ha patito! questo dovrebbe essere l'argomento da predicarsi a tutti e grandi e piccoli» – Don Lemoyne a don Rua, da Roma il 20.4.1884 – ASC 9126 Rua – cfr. anche MB XVII 89. – «L'unica cosa ammettere per vera, vale a dire il grande amore che egli portò sempre e porta tuttora ai giovani, pel bene dei quali è pronto a spendere quel tanto di vita che ancor gli resta» – Discorso di don Bosco, 23 giugno 1884, BS 8 (1884), n. 7, luglio, p. 98.
85 — Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho potuto e saputo 90 -fol. 3v- per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita.
— Non parlo di te!
— Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei Direttori, Prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumino i loro anni giovanili per coloro che ad 95 essi affidò la Divina Provvidenza?
— Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.
— Che cosa manca adunque?
— Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati. 100
— Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
— No, lo ripeto; ciò non basta.
— Che cosa ci vuole adunque? 105
87 tollero e soffro] soffro e tollero EJ 90 potuto e saputo] saputo e potuto FGHI
92 te] lei HI 95 consumino] consacrino E consumano HI consacrano J
99-100 «Un certo Zerega Giuseppe(...) un giorno domandò a D. Bosco quali fossero le doti necessarie ad un direttore per reggere bene un collegio od un ospizio; e Don Bosco rispose: — È necessario(...): 1° che sia stimato santo – 2° che sia reputato dotto in ogni ramo di scienza, specialmente in quelle cose che interessano gli alunni (...). 3° che i giovani sappiano di essere amati» – MB VII 302.
106-110 «È cosa assai difficile il far prender gusto alla preghiera ai giovanetti. La volubile età loro fa sembrare nauseante ed anche enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di mente» – G. Bosco, Il pastorello delle Alpi. Torino, Tip. Salesiana 1864, pp. 113-114, OE XIV 355-356. – «Parlare di penitenza ai giovanetti generalmente è recar loro spavento» – Ibid., p. 119, OE XV 361 – «Affezionati a questa mescolanza di divozione, di trastulli, di passeggiate, ognuno mi diveniva affezionatissimo a segno, che non solamente erano ubbidientissimi a' miei comandi, ma erano ansiosi che loro affidassi qualche incumbenza da compiere» – MO 157-158; cfr. MO 176. – «Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità» – Il sistema preventivo II 3 – OE XXIX 103.
— Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi I e queste cose imparino a fol. 4r 110 far con amore.
— Spiegati meglio!
— Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: — E che cosa c'è di speciale da vedere?
115 — Sono tanti anni che va educando giovani e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i nostri Salesiani?
Osservai e vidi che ben pochi Preti e Chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte
120 di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi; altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che
125 avrebbe desiderato intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano stu I diosamente di allontanarsi dai fol. 4v maestri e dai Superiori.
110 ante amore add slancio ed GHI amore] slancio F 121 gli allievi] i giovani EJ nessun] nessun E neppur corr E2 neppur J 122 dei giovani] degli allievi EJ
117-119 «La ricreazione, come si diceva, la faceva compiuta. Tutti i lati dell'ampio cortile di questa casa in pochi minuti erano battuti dai piedi del nostro Magone (...). Era meraviglioso il vedere colui che era 1' anima della ricreazione e teneva tutti in movimento, come se fosse portato da una macchina, trovarsi il primo in que' luoghi dove il dovere lo chiamava» – Cenno biografico del giovanetto Magone Michele (1861), p. 33 – OE XIII 187. – «Ho già osservato una cosa che non mi fa troppo piacere. Questa cosa è il vedere come vi siano sempre quei due, tre, quattro, o cinque confratelli là riuniti insieme, sempre gli stessi e quasi sempre separati dagli altri (...). Dunque desidero, e voi procurate di tenervi sempre in mezzo ai giovani in tempo di ricreazione, discorrere, divertirvi con loro, dar dei buoni consigli. Vigilanza. Quando non potete intrattenervi nei loro divertimenti, almeno assisteteli, girate le parti più remote della casa e procurate di impedire il male. Non potete credere il bene che si può fare col salire una scala, passare per un corridoio, fare un giro di qua e di là per il cortile» – Don Bosco ai salesiani di Valdocco (Torino), 11 marzo 1869, MB IX 576. «Fare in modo che gli assistenti e in generale quelli che sono in qualche autorità si trovino in mezzo ai giovani in tempo di ricreazione» – Circolare ai salesiani, da Torino il 15.11.1873, E II 320.
Allora quel mio amico ripigliò: — Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di paradiso, 130 un'epoca che ricordiam sempre con amore, perché l'amore era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti.
— Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come le 135 udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.
— Va bene: ma se lei non può, perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei? 140
— Io parlo, mi spolmono ma pur troppo che molti non si sen-I fol. 5r tono più di far le fatiche di una volta.
— E quindi trascurando il meno perdono il più e questo più sono le loro fatiche. Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la 145 loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un certo numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente.
131 amore2] affetto EFGJ-II 138 lei] tu D lei corr D2 può] puoi D può corr D2 suoi] tuoi D suoi corr D2 143 questo om F
128-130 «Quelli che trovansi in qualche uffizio o prestano assistenza ai giovani, che la Divina Provvidenza ci affida, hanno tutti l'incarico di dare avvisi e consigli a qualunque giovane della casa, ogni qual volta vi è ragione di farlo specialmente quando si tratta d'impedire l'offesa di Dio» – Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales (1877), Articoli generali, n. 1, OE XXIX 111.
147-151 «Ai nostri figli. Il vostro Padre, il vostro fratello, l'amico dell'anima vostra dopo tre mesi e mezzo di assenza parte oggi da Roma» – Don Bosco ai giovani di Valdocco (Torino), da Roma il 14.4.74, E II 378. – «L'allievo sarà sempre pieno di rispetto verso l'educatore e ricorderà ognor con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori» – Il sistema preventivo III 1, OE XXIX 107. – «Va' non come Superiore, ma come amico, fratello e padre» – Don Bosco a don Perrot, da Torino il 2.7.78, E III 360. – «Il nuovo Rettor M. 1° Indirizzerà alcune parole agli elettori, li ringrazierà della fiducia riposta in lui e li assicurerà che egli vuole essere di tutti il padre, 1' amico, il fratello, dimanda la loro cooperazione, e, ove sia d'uopo, il loro consiglio» – Memorie dal 1841 al 1884-5-6 pel sac. Gio. Bosco, RSS 4 (1985), p. 101.
Ma ora i Superiori sono considerati 150 come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola per amor di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Che quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il suo fanciullino.
155 Allora regnerà nell'Oratorio la pace e l' alle grezza antica. fol. 5v
— Come dunque fare per rompere questa barriera?
— Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l'amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che
160 faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
155 allegrezza] allegria E 158 amore] affetto FGHI 161 Ecco...famigliarità om D add mrg sin D2
151-153 «Tutti i congregati tengono vita comune stretti solamente dalla fraterna carità e dai voti semplici che li stringono a formare un cuor solo ed un'anima sola per amare e servire Iddio» – Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales nel ms. originario e in tutte le edizioni successive. – «Ai confratelli dimoranti in una medesima casa. 1° Tutti i confratelli salesiani che dimorano in una medesima casa devono formare un cuor solo ed un'anima sola col direttore loro» – Memorie dal 1841 al 1884-5-6, RSS 4 (1985), p. 117.
157-171 «Coi giovani allievi... 2° Procura di farti conoscere dagli allievi e di conoscere essi passando con loro tutto il tempo possibile adoperandoti di dire all'orecchio loro qualche affettuosa parola, che tu ben sai, di mano in mano ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto che ti renderà padrone del loro cuore» – Ricordi confidenziali ai direttori, prima redazione 1863 – cfr. MB VI, cap. XXX... Don Bosco in mezzo ai giovani... La parola all'orecchio, pp. 400-426. – «Io vedeva parecchi buoni preti che lavoravano nel sacro ministero, ma non poteva con loro contrarre alcuna famigliarità (...). Più volte piangendo diceva tra me, ed anche con altri: — Se io fossi prete, vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli» – MO 44. – «Il professore Banaudi era un vero modello degli insegnanti. Senza mai infliggere alcun castigo era riuscito a farsi temere ed amare da tutti i suoi allievi. Egli amava tutti qual figli, ed essi l'amavano qual tenero padre» – MO 63. – «Per riuscire bene coi giovanetti, fatevi un grande studio di usare con essi belle maniere; fatevi amare e non temere; mostrate loro e persuadeteli, che desiderate la salute della loro anima; correggete con pazienza e con carità i loro difetti, soprattutto astenetevi dal percuoterli; insomma adoperatevi che, quando vi veggono, vi corrano attorno, e non vi fuggano» – Don Bosco a ex-alunni ecclesiastici, BS 4 (1880) n. 9, sett., p. 11.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa ne più ne meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni 165 non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva. Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i fol. 6r Superioiri. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano 170 i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l' a- 175 mor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guadagnando null'altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per far la corte a questa 18o trascurare tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. È quando illanguidisce questo amore - 185 fol. 6v - che le cose non vanno I più bene. Perché si vuole sostituire all'amore la freddezza di u9• regolamento? Perché i Superiori si allontanano dall'osservanza di' quelle regole di educazione che D. Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema meno pesan- 190 te e più spiccio per chi comanda di bandir leggi che se si sostengono coi castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare fruttano disprezzo per i superiori e cagione sono di disordini gravissimi?
174 fumava] fumigava GHI 182-184 chi...ammonito add mrg sin D2 182-183 un vano... umano] rispetto vano EJ 186 all'amore] alla carità FGHI 188 di educazione om EJ
179-181 «I maestri, i capi d'arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Studino di evitare come la peste ogni sorta di affezione od amicizie particolari cogli allievi, e si ricordino che il traviamento di un solo può compromettere un Istituto educativo» – Il sistema preventivo II 2, OE XXIX 103.
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se - 195 - adunque si vuole che l'oratorio ritorni all'antica felicità si rimetta in vigore l'antico sistema: che il ,Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio, o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il 200 bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha i affi- fol. 7r dati. Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. È meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno 205 strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio.
Allora io interrogai: — E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
— L'osservanza esatta delle regole della casa.
210 — E null' altro?
— Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava
ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo.
215 Questa oppressione giunse al punto che non potendo più I resistere mi fol. 7v scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non potea più star ritto. L'ora era tardissima quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere a' miei cari figliuoli queste righe.
220 Io desidero di non far questi sogni perché mi stancano troppo. Nel giorno seguente mi sentiva rotto nella persona e non vedea l'ora di potermi riposare la sera seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sogno. Aveo d'innanzi il cortile, i giovani che ora sono nell'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. Io presi ad interrogarlo:
225 — Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani, ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?
Mi rispose: — Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poi che se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a i tanti sacrifizii; che si ricor- fol. 8r 230 divo essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri poi che al mondo non si trova la perfezione ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni poiché queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella S. grazia di Dio.
198 occhio] occhi EJ 225 dicesti] diceste F 228 fatichino] si affatichino EJ
202-203 «Non sarai mai troppo severo nelle cose che servono a conservare la moralità» – Memorie dal 1841 al 1884-5-6, RSS 4 (1985), p. 92.
Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sè, non ha pace cogli altri. 235
— E tu mi dici dunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?
— Questa è la prima causa del malo umore, fra le altre che tu sai, alle quali devi porre rimedio, e che non fa d'uopo che ora ti dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che 240 questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con - fol. 8v - Dio rimane angosciato irrequieto insofferente I d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada a male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino. 245
— Eppure o caro mio non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?
— È vero che grande è la frequenza delle Confessioni ma ciò che manca radicalmente, in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano ma sempre le stesse mancanze, le 250 stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così continuano alla 5a ginnasiale. Sono confessOni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovahetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di 255 Dio sarebbe un affare ben serio.
— E di costoro ve ne ha molti all'Oratorio?
fol. 9r — Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa: Osservi. — E me li additava.
238 tu sai] tu sai F lei sa torr F2 lei sa HI 239 devi] deve F ti] le F 244-245 e perché...amore om EJ
234-235 «Parlò del gran dono della pace, concludendo che per essere in pace con Dio e col prossimo bisognava prima essere in pace con se stessi» – Don Bosco alle FMA il 28 agosto 1875, MB XI 363. – «Continuate il cammino della virtù e voi avrete sempre la pace del cuore, la benevolenza degli uomini, e la benedizione del Signore» – Don Bosco agli alunni del collegio di S. Nicolas (Argentina), lett. del 1.7.1876, E III 67.
248-250 «Le cose che ordinariamente mancano nella loro confessione [a]i fanciulli sono il dolore dei peccati ed il proponimento» – Memorie dal 1841 al 1884-5-6, RSS 4 (1985), p. 91.
260 Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io
vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole ma coi fatti e
265 far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi, vivono ancora tra noi. In ultimo domandai a quel mio amico: — Hai null' altro da dirmi?
— Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che 270 sono figli di Maria SS, Ausiliatrice. Che essa stessa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. I Che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studiare fol. 9v con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della 275 festa della loro SS. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il Demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.
— E ci riusciremo a togliere questa barriera?
— Sì certamente purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire 280 qualche piccola mortificaziione per amor di Maria e mettano in pratica ciò che io le ho detto.
269 Predica] Predichi F
265 Luigi Comollo (1817-1839), chierico con Don Bosco in seminario a Chieri; di don Bosco i Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo (1844).
Domenico Savio (1842-1857), n. a Riva di Chieri il 2 aprile 1842 entrò nell'Oratorio il 29 ottobre 1854, studente, uscì il 1° marzo 1857, m. a Mondonio il 9 marzo; canonizzato nel 1954.
Francesco Besucco, n. ad Argentera (Cuneo) nel 1850 entrò all'Oratorio il 3 agosto 1863, studente, m. all'Oratorio il 9 gennaio 1864.
Ernesto Saccardi (1850-1866), n. a Lione il 15 gennaio del 1850 entrò a Mira-bello Monferrato (AL) il 24 dicembre 1865, studente, m. all'Oratorio il 4 luglio 1866. 269 «Si promuovano fervorose preghiere fra i giovani per me (...). 2° Perché ho bisogno di molti quattrini. Si dica ciò ai grandi, si dica ai piccoli» — Don Bosco nella riunione del Consiglio Superiore del 28 febbraio 1884, MB XVII 34. — «D. Bosco dice Cereja [o ciarèia, dialetto piemontese, = buon giorno] a te e poi a tutti gli altri grandi e piccoli» — Don Lemoyne a don Rua, lett. da Roma del 16 aprile 1884, ASC 9126 Rua. — «Questo dovrebbe essere l'argomento da predicarsi a tutti e grandi e piccoli poiché purtroppo non ci si pensa» — Don Lemoyne a don Rua, lett. da Roma del 20 aprile 1884, ASC 9126 Rua. Vedi anche lin. 279.
Intanto io continuava a guardare i miei giovanetti e allo spettacolo di coloro che vedeva avviati verso l'eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi ma il tempo e le convenienze non 285 me lo permettono.
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vec - fol. l0r - chio che per i suoi cari giovani ha I consummato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni ritornino i giorni felici dell'antico oratorio. I giorni dell'amore e della confidenza Cristiana tra i 290 giovani ed i Superiori; i giorni dello Spirito di accondiscenza e sopportazione per amor di Gesù Cristo degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per 295 il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che - 300 fol. 10v - comandano, la carità di quelli che devono obbedire fac I cia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità (Nota del Segret. A questo punto D. Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma 305 per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopd qualche istante continuò) quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera. 283 ante vedeva add io EJ 290 amore] affetto FGHI
290-294 «Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro Superiore quanto vostro amico. Perciò non abbiate nessun timore di me, nessuna paura, ma invece molta confidenza, che è quella che io desidero, che vi domando, come mi aspetto da veri amici. — Senza il vostro aiuto non posso far nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d'accordo e che fra me e voi regni vera amicizia e confidenza» — da due «buonanotte» di don Bosco di agosto-settembre del 1862, MB VII 503-504.
298-299 «Essi continuino a pregare per lui, ricordandosi sovente la grande fortuna d'essere in modo così speciale figli della Madonna» — Don Lemoyne a don Rua, lett. da Roma del 16 aprile 1884, ASC 9126 Rua.
A questo fine il Santo Padre 310 che io ho visto venerdì 9 di maggio vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria SS. Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effige della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e D. Lazzero e D. Marchisio pensino a far sì che stiamo allegri anche in refettorio. La
315 festa di Ma Iria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa che dob- fol. llr biam celebrare tutti insieme uniti un giorno in paradiso.
Vostro aff.mo amico in G.C. Sac. Gio. Bosco.
309-311 Effettivamente il venerdì 9 maggio Don Bosco ebbe una lunga cordiale udienza dal papa Leone XIII. Al segretario Don Lemoyne, introdotto al termine dell'udienza, il pa¬pa avrebbe raccomandato: — Voi dovete aver cura della sua sanità e che non si affatichi trop¬po. Non permettete che scriva lui: ha gli occhi troppo stanchi e ammalati – MB XVII 105. 313-314 Giuseppe Lazzero, n. a Pino Torinese il 10 maggio 1837, professa i voti re¬ligiosi nel 1862, sacerdote nel 1865, del Consiglio Superiore della Società Salesiana dal 1874 al 1898, vice-direttore (1875-1879) e direttore (1879-1886) dell'Oratorio, m. a Mathi Torinese il 7 marzo 1910.
Secondo Marchisio (1857-1914), sacerdote salesiano, prefetto (incaricato della disciplina generale e dell'economia) dell'Oratorio nell'anno scolastico 1883-1884, m. a Bologna il 20 maggio 1914.
«Caris.mo D. Lazzero, (...). Dirai ai nostri amati confratelli e cari figli della casa che la mia salute in ispecie da due giorni, ha notevolmente migliorato, e perciò al mio arrivo desidero che facciamo una bella festa in chiesa per ringraziare la Ma¬donna degli innumerabili benefici che ci ha fatti, ed anche in refettorio per cacciare la malinconia e stare allegri nel Signore (...) Roma, 23 aprile 1884» – lett. al direttore dell'Oratorio, ASC 131.01, E IV 256.
a cura di Francesco Motto
«Don Viglietti, guarda, nel mio tavolino vi è un libretto di memorie, tu sai di quale parlo, vedi di prenderlo e darlo poi a Don Bonetti, ché non vada in mani qualunque».'
Con queste parole, tramandateci dal taccuino del fedele segretario, don Bosco consegnava ai suoi successori quello che nella tradizione salesiana verrà definito il «testamento spirituale»2 di don Bosco, ma che in realtà porta il titolo, autografo del santo, «Memorie dal 1841 al 1884-5-6 pel sac. Gio. Bosco a' suoi figliuoli Salesiani».
La definizione è comunque appropriata, non fosse altro che per la data in cui il manoscritto è passato dalle mani di don Bosco a quelle dei continuatori della sua opera (24 dicembre 1887: 38 giorni prima di morire) e per il grado di tensione e di vibrazioni interiori, proprie di un padre che si accinge ad un definitivo congedo dai suoi figli. Dopo aver tanto seminato in vita mediante la parola e l'azione, don Bosco non ha voluto mancare all'ultimo appuntamento: alla disponibilità altrui affida il suo ultimo messaggio e la piena attuazione dei suoi propositi.
Si tratta invero di uno scritto di circa 140 paginette, alle quali don Bosco, giunto allo zenit della vita, ha consegnato ricordi e consigli per i soci della congregazione di S. Francesco di Sales, per le Figlie di Maria Ausiliatrice, per i cooperatori e benefattori delle opere salesiane.
1 ASC 110 Viglietti (8) Cronaca di Don Bosco dal 23 dicembre al 31 gennaio 1888, pp. 8-9, citata da MB XVIII 492-493. Don Bonetti era allora Direttore spirituale generale della congregazione salesiana.
2 Di «testamento» parlava don Rua nella circolare dell'8 febbraio 1888, poco più di una settimana dopo la morte di don Bosco: Lettere circolari di Don Michele Rua ai Salesiani. Torino, tip. S.A.I.D. - Buona stampa, 1910, p. 4. Il termine «testamento spirituale» appare con una certa veste di ufficialità nella presentazione della «lettera di congedo» fatta da don Albera nel 1916: «Si riceva e si conservi come il suo spirituale testamento, dettato dal grande affetto di cui avvampava verso i diletti figli in Gesù Cristo»: Pratiche di pietà in uso nelle case salesiane. Torino, Scuola tipografica salesiana [1916] p. 325. Disposizioni testamentarie olografe vere e proprie sono conservate in ASC e pubblicate in MB X 1331-1336.
Numerose e cospicue risultano soprattutto le raccomandazioni e gli avvisi per chi, nelle due congregazioni da lui fondate, esercita l'autorità: Il Rettor Maggiore, il Capitolo Generale, il Consiglio superiore, i direttori ecc.
Per la comprensione di don Bosco e del suo spirito, per l'approfondimento della sua concezione pedagogico-religiosa, per la conoscenza delle sue ansie in ordine alla salvezza dell'anima ed all'avvenire della società salesiana, il «testamento spirituale» costituisce senza tema di smentita uno degli scritti più eloquenti. E ciò nonostante alcune mende di contenuto e certe cadute di tono, di cui diremo.
Nell'indirizzarsi ai suoi «figli» don Bosco anzitutto svela loro i criteri educativi e pastorali, le coordinate fondamentali alle quali si è sempre attenuto nella sua attività di sacerdote zelante ed educatore sagace, e che vorrebbe si rispettassero pure per il futuro. Espone il suo punto di vista circa la funzione e l'esercizio dell'autorità in congregazione, circa la valorizzazione delle persone, da non sacrificare alle stesse esigenze dell'ascetica e della vita comune. Non fa mistero della sua concezione della vita religiosa salesiana come scelta definitiva per la gioventù povera ed abbandonata. Evidenzia le sue aspettative a riguardo della dimenticanza delle offese, della completezza del perdono, dell' amore effettivo per la povertà, della riconoscenza verso i benefattori, della cura delle vocazioni, della devozione mariana.
Fra quelle righe vergate nella coscienza della morte sentita come prossima, si aprono, all'occhio del lettore, le profondità dell'anima di don Bosco: la straordinaria umiltà, che traspare dalla domanda di perdono, di suffragi, di preghiere; la paura di aver dato scandalo anche se involontario; la reticenza ed il malcelato pudore circa le eventuali lodi per i fatti soprannaturali connessi con la sua vita; le richieste relative alla verità religiosa delle sue produzioni letterarie; il timore di Dio e contemporaneamente la consapevolezza della divina misericordia.
Ancora una volta, al termine della giornata terrena vissuta in costante ascesi ed intessuta di lavoro, sacrificio, sofferenze sopportate nella serena convinzione di conquistare le anime, emerge con incombente evidenza il leitmotiv della sua spiritualità: la trepidazione per la salvezza eterna, una petizione continua, quasi ossessionante.
Il «testamento spirituale» si potrebbe così leggere come uno specchio, un autoritratto di don Bosco, che dei segreti più intimi del suo scrinium cordis poco o nulla esclude per timore, pietà o pudore. Di fronte a certi passi, è difficile sottrarsi alla suggestione di essere alla presenza di un testo «sacro», tanto è irrorato di parole non vane e non caduche: parole di fede, di gratitudine, di amore, di speranza, di umiltà, di perdono, parole che la morte pensata come reale ed attuale segna di incontrovertibile sincerità.
Nelle sue «Memorie», ricche sì di valenze di fede e di prassi, ma redatte in un tono di massima confidenza, don Bosco si esprime con una immediatezza e naturalezza tale da fugare qualsiasi ombra della sempre facile retorica e da sostituire alla pur possibile eloquenza la semplicità del dire. Uno stile, quello del «testamento spirituale», che si presenta disadorno, sostanzioso, efficace più nella effusione dei sentimenti e nella concretezza delle raccomandazioni che nella concisione dei concetti.
Colpisce soprattutto, pur nella povertà del lessico e nello stile affatto curato, la forza morale e spirituale che emana da certe pagine, l'incisività e definitività di alcune affermazioni aforistiche,3 la tenerezza supplicante di certi brani,4 il deciso rifiuto di ogni trionfalismo e di ogni celebrazione delle proprie opere post mortem, il tono solenne dell'epilogo che si tinge con i colori dell'epopea e della profezia, l'appello commosso alla fedeltà alla tradizione, presagio e promessa di radioso futuro.
Da quanto si è venuti dicendo, si potrebbe dedurre che il documento abbia conseguito notevole risonanza e goduto stagioni di ampia notorietà. Niente di tutto ciò, per lo meno nei riguardi del testo considerato nella sua integrità.
Il mancato rilievo può essere facilmente imputato ad una eziologia di carattere interno al documento stesso. Anzitutto la carenza di sistematicità e di organicità nella presentazione dei contenuti, che spesso si ripetono e talora con una formulazione non molto dissimile; 5 in secondo luogo le disarmonie di stile e le disuguaglianze di tono che rompono l'omogeneità della forma letteraria; 6 poi l'eccessiva concretezza e l' inattualità di alcuni temi trattati;' infine le vaste digressioni e l'inserimento di lettere a singole persone che sospendono quella logicità di pensiero e quella unitarietà di discorso che sarebbe lecito attendersi.8
3 Ad es.: Il prete non va solo al cielo, non va solo all'inferno; cerca di farti amare, di poi ti farai ubbidire con tutta facilità; le virtù non acquistate nel tempo di noviziato per lo più non si acquistano più; quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso; quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del cielo; se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire con la esatta osservanza delle nostre costituzioni.
4 Si vedano le pagine dedicate alla «lettera di congedo» per tutti i «cari cd amati figliuoli in G.C.», come pure la «raccomandazione per me stesso» che precede l'epilogo.
5 Al direttore delle case don Bosco si rivolge direttamente alla pagina 43 e poi ancora nelle pagine 73-80. Le lettere alla vicecontessa Cessac e alla baronessa Scoppa si trovano a pagina 95-96, distanziate di oltre 20 pagine dalle altre undici lettere che le precedono. Della povertà si tratta in almeno 10 pagine, fra la quindicesima e l'ultima. Sintomatico pure il fatto che don Bosco ad un certo punto del suo scrivere senta l'esigenza di redigere le testuali parole: «Noto qui ciò che avrei dovuto dire altrove».
A tale riguardo occorre però tener presente la precarietà delle condizioni fisiche di don Bosco negli ultimi tempi. Letteralmente logorato dalle fatiche di oltre quarant'anni di vita dedita ad un apostolato attivo ed indefesso, con una vista ormai debolissima, don Bosco ha stilato il suo «testamento spirituale» nello spazio di tempo di un triennio, allorché una certa ripresa delle sue condizioni di salute coincideva con i rari momenti di tempo libero da altre più urgenti occupazioni.9
Non si deve inoltre sottovalutare il carattere dello scritto, che mirando alla massima concretezza e confidenza, esigeva spontaneità, familiarità e pertanto una non particolare avvertenza ad una rielaborazione contenutistica e ad una redazione stilisticamente sorvegliata.'° Il che rimane vero, anche se le molteplici varianti, tutte autografe del santo, ne hanno talora precisato i contenuti, sottolineato i concetti, migliorato lo stile.
6 Dalla enunciazione di concrete esigenze della povertà si passa immediatamente alle toccanti espressioni della «lettera di congedo»; ai suggerimenti per la vita comune seguono raccomandazioni per l'eventuale stampa o ristampa di scritti di don Bosco. Le primissime pagine del taccuino poi contengono veri ricordi o «memorie» di don Bosco; la maggior parte del documento offre invece esortazioni per il futuro della congregazione salesiana. Non è da escludere l'ipotesi che al momento della stesura delle prime pagine don Bosco avesse l'intenzione di continuare in qualche modo le «Memorie dell'Oratorio», sospese circa un decennio prima.
7 Tali sono ad es. le disposizioni per l'immediato post-decesso di don Bosco, le lettere a persone dell'epoca, il tema del direttore-confessore ecc.
8 Cfr. nota 5.
9 Circa le condizioni di salute di don Bosco negli ultimi anni si hanno ineccepibili testimonianze di medici, di segretari, di testimoni oculari. Conferme quanto mai significative si trovano nella corrispondenza autografa. Rimandiamo in tutti i casi alle Memorie Biografiche (voll. XVII, XVIII) ed all'Epistolario (vol. IV). Inoltre conviene tener presente quanto hanno inciso sullo stato di salute di don Bosco i numerosi ed estenuanti viaggi di quegli anni in Italia, Francia e Spagna. La gravità del male al momento di consegnare le «Memorie» a don Viglietti è ufficialmente ammessa da don Rua che nella circolare del 21 dicembre 1887 così scrive: «Questo mese anticipo l'invio della solita circolare per motivo ben grave. D. Bosco che già da tempo trovasi incomodato, da circa due settimane si aggravò assai e non può più camminare e quando vuol muoversi devesi condurre a sedia a rotelle, non può nutrirsi e non può più quasi far sentire la sua voce, tanto è divenuto debole. Per meglio far comprendere la gravezza del suo male soggiungerò che da più di una settimana malgrado il suo gran desiderio, non può più celebrare la santa Messa, cosa che mai tralascia se non quando trovasi gravato da infermità». Vedi pure la nota 13.
10 È palese l'esigenza sentita come tale da don Bosco circa la proprietà e la dignità della lingua per ogni testo da presentare all'attenzione del pubblico. Del resto significantissimo è quanto afferma a proposito dei suoi scritti editi ed inediti nelle «Memorie» stesse (pp. 66-69).
Il «Testamento spirituale» è stato vergato da don Boscò su un taccuino, meglio, su un quadernetto-agenda di contabilità, di 308 pagine. Il manoscritto è olografo del santo, ad eccezione delle pagine 117-128, sulle quali un' altra mano ha copiato il testo di nove fogli strappati prima della pagina 71 e di due fogli staccati dopo la medesima pagina.
Le pagine 72, 94, 105, 106 e 116 sono rimaste bianche; altrettanto è avvenuto per le pagine da 129 a 166. Forse don Bosco pensò di lasciare spazio per altre raccomandazioni che potessero venirgli in mente in seguito." Al toccante epilogo stilato sulle pagine 267-276 seguono pagine bianche fino al termine del libretto.'
Il «testamento» è redatto con un susseguirsi di inchiostro or viola intenso or viola tenue or nero or bruno. Se a ciò si associano l'eterogeneità dei contenuti e la tipologia delle correzioni e delle aggiunte si ha un chiaro indice della diversità di tempi nei quali il documento è stato scritto. L'inizio della redazione infatti, per lo meno fino alla pagina 22, è da riportare al mese di gennaio-febbraio 1884.'3 Da pagina 22 in poi fino almeno alla pagina 95 sembra doversi datare nello spazio che intercorre fra il mese di settembre del 1884 ed il mese di maggio del 1886.
11 Sulla pagina 70 rimasta bianca un archivista a matita ha scritto: «Le nove pagine strappate tra la 70 e 71 contenevano lettere a varie persone benemerite, da consegnare ai destinatari dopo la morte di don Bosco. Vedine copia a pag. 117ss». L'originale della pag. 127 è stato personalmente rinvenuto dal curatore di queste note in un quadro appeso ad una parete di palazzo Callori a Torino.
12 L'intenzione di don Bosco di continuare i suoi ricordi anche dopo il 1886 è forse testimoniata anche dal trattino posto accanto al numero 6 nel titolo del manoscritto. Al 6 avrebbe dovuto seguire il 7, vale a dire la data 1887. Si fa qui osservare en passant che mentre il numero 5 del titolo è scritto con inchiostro violaceo (così come il resto del titolo che però risale all'anno precedente), il numero 6 invece è annotato con inchiostro nero, ulteriore prova dei diversi periodi di compilazione.
13 L'avvio delle «Memorie» coincise con un periodo assai critico della salute di don Bosco. Scrive don Celia: «Nel pomeriggio del 31 gennaio Don Bosco andò a S. Benigno per festeggiare con gli ascritti S. Francesco di Sales. Le confessioni e le udienze lo stancarono; la stanchezza poi, aggiunta ai disturbi che lo molestavano più del solito nelle ultime settimane, fece sì che, partendo, appariva spossato all'estremo [...] La salute di don Bosco andava di male in peggio. Da prima una straordinaria prostrazione di forze era stata causa che il vociferare gli straziasse lo stomaco; sopravvenne quindi un principio di bronchite con tosse e sputo sanguigno. Nella notte sul 10 febbraio riempì di vivo sangue la pezzuola. Il gonfiore delle gambe, che lo affliggeva da anni, saliva alle cosce. Il giorno 12 fu dal dottore Albertotti obbligato a tenere il letto. Quella sera in un consulto i dottori Albertotti e Fissore riscontrarono sintomi di estrema debolezza: il palpito del cuore era appena percettibile [...] Avvezzo a una vita d'incessante attività, le coltri gli pesavano in modo insopportabile; eppure la testa non gli reggeva a serie riflessioni o a letture d'ogni specie. Nel suo parlare si notavano sconnessioni d'idee e, alzandosi parecchie ore al giorno, scriveva lettere con frequenti omissioni di vocaboli [...] Talora, facendoglisi relazioni d'affari, esclamava: — Se si continua così, non arriverò certamente alla festa della mia Messa d'oro... Questi affari li sbrigherà chi succederà»: MB XVII 25-30. Le Memorie Biografiche poi, attingendo alle Biografie dei Salesiani defunti negli anni 1883 e 1884 (Torino 1885, pp. 110-116) collegano il fatto dello scampato pericolo di morte da parte di don Bosco all'offerta della vita del chierico ascritto Luigi Gamerro, morto il 10 febbraio 1884.
I tempi di redazione delle pagine finali, cioè dalla pagina 96 in poi, dovrebbero essere stati gli ultimi mesi del 1886. Per il terminus ad quem dell'ultimo intervento di don Bosco sul manoscritto non si ha difficoltà a porlo al 24 dicembre 1887, giorno in cui il taccuino passò nelle mani di don Viglietti.
La stessa grafia irregolare e tormentata è quella tipica degli ultimi anni della vita di don Bosco. L'eccessivo ravvicinamento o allargamento a dismisura dei segni dell' alfabeto, il fatto che talora poche parole o pochissime righe coprano l'intero spazio di una pagina sono evidentemente dovuti alla insufficienza della vista, alla stanchezza fisica e psichica dello scrivente.
L'ASC conserva cinque copie allografe del documento in oggetto. Le prime due sono opera del segretario, don Gioachino Berto, che con una grafia ampia ed ornata trascrive l'intero «testamento». Una di esse autenticata dal timbro della società salesiana e da quello della curia arcivescovile di Torino, è stata compilata in occasione del processo de scriptis di don Bosco.
Degli altri tre apografi custoditi nell'ASC uno, su fogli di formato protocollo, è a cura di un copista d'archivio, Giuseppe Balestra; il secondo, su un quaderno nero, è di una mano rimasta anonima, così come il terzo, su fogli formato protocollo, databile però verso gli anni venti di questo secolo.
Per quanto concerne le edizioni del documento, ricordiamo:
1. Eugenio CERTA, Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco. Vol. XVII. Torino, SEI 1936, pp. 257-273; ne pubblica la parte principale. Le pagine 3-6 del manoscritto di don Bosco erano già state pubblicate da Giovanni Battista LEMOYNE nel vol. I delle MB alle pagine 518-519. Le pagine 7-23 del manoscritto, contenenti temi eterogenei, sono con qualche difficoltà individuabili nei vari volumi delle MB. Infine le lettere ai benefattori sono riportate nelle MB vol. XVIII, pp. 839-842 e nell'Epistolario, a cura di Eugenio Ceria, vol. IV, pp. 388-391.
2. Angelo AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato. Dalle sue memorie personali e da testimonianze di contemporanei. Torino, SEI 1929, passim, soprattutto pp. 720-740, 759-764: ne pubblica numerosi tratti con qualche parola di commento.
3. Giovanni Bosco, Scritti spirituali, a cura di J. AUBRY. Roma, Città Nuova Editrice 1976, vol. I, pp. 82-84; vol. II, pp. 270-293: pubblica l'intero testo, omettendo le parti di carattere unicamente giuridico, storico o di pastorale pratica.
Una menzione speciale merita poi la riproduzione a stampa della «lettera di congedo». Pubblicata su un foglietto volante varie volte durante il rettorato di don Rua, nel 1916 venne inserita nel volume Pratiche di pietà in uso nelle case salesiane.14 Da allora in poi è stata presente in tutte le successive ristampe, riedizioni e traduzioni nelle varie lingue. Analogamente è avvenuto per il libro delle pratiche di pietà delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dalla prima ristampa del 1894 a quella con aggiunte e aggiornamenti del 1962.
In seguito ai Capitoli Generali Speciali, la lettera-testamento venne trasferita dai manuali delle pratiche di pietà alle Costituzioni e Regolamenti della società di S. Francesco di Sales, 1972 e 1984 [appendice, rispettivamente pp. 283-287 e 255-258: lettera di congedo e brevissimi altri passi del «testamento»], al Manuale-Regolamenti FMA 1975, pp. 77-79 e Costituzioni e Regolamenti FMA 1982 [appendice pp. 280-281].
Il testo autografo di don Bosco è stato riprodotto con scrupolo e fedeltà mediante un attento esame dell'unico testimone, cui si riduce l'economia stemmatica delle «Memorie».
Gli interventi del curatore si sono limitati alla
— normaliízazione dell'ortografia (ad es. j che diventa i);
— uniformità nell'uso delle maiuscole, conservate solo per i termini quale Dio, Chiesa, Rettor Maggiore, Capitolo superiore e per quelli preceduti da S. [San];
— introduzione del corsivo per le citazioni in lingua latina;
— correzione dell'ortografia delle lettere in francese, delle quali per altro, come detto, esiste solo copia allografa;
14 Cfr. nota 2. Così si legge in un documento d'archivio: «Fu pure deciso che fosse stampata pulitamente l'affettuosa e commoventissima lettera scritta di propria mano di Don Bosco ai salesiani, con raccomandazione al successore di farne loro avere copia dopo la sua sepoltura. Così sarà fatto e colla scelta di un formato che possa conservarsi o nel libro delle Costituzioni o in altro di pietà, affinché torni più facile il leggerlo di spesso, siccome testamento del proprio Padre» – ASC Verbale delle riunioni capitolari, vol. I, p. 110.
— separazione ed evidenziazione dei titoli, tutti per altro già esistenti nell' originale.
L'interpunzione è quella seguita da don Bosco, con qualche eccezione per esigenze di chiarezza. Data la natura di questa raccolta, non abbiamo creduto indispensabile presentare la stratigrafia delle varianti, così come sono state pubblicate in RSS 4 (1985), pp. 88-127. Non abbiamo invece omesso l'apparato delle informazioni storiche, dei riferimenti biblici e soprattutto dei loci paralleh.15 Se è vero infatti che il «testamento spirituale» permette di aggiungere all'immagine di don Bosco una serie di pieghe, di notazioni umane, di spirituali vibrazioni che erano sfuggite ad interpretazioni basate su altre fonti o soffocate da cliché convenzionali, è altrettanto vero che nella prospettiva della conclusione della vita terrena, che acquieta le passioni e favorisce visioni più serene, il «testamento spirituale» viene trasfigurato da una atmosfera patetica, toccante, che ne ingrandisce le proporzioni ed il significato. Il confronto con testi anteriori di contenuto analogo permette di enuclearne meglio e di apprezzarne maggiormente i temi più incalzanti, grazie anche al processo di maturazione giunto, per così dire, al termine.
15 La citazione dei loci paralleli, delle allusioni esplicite o meno, delle coincidenze di contenuto e di forma è evidentemente limitata ad un certo numero, anche per non sovraffollare più di tanto il relativo apparato. Maggiore completezza può essere facilmente raggiunta mediante la consultazione delle Memorie biografiche di San Giovanni Bosco. Repertorio alfabetico a cura di Pietro Ciccarelli. Torino, Edizione extracommerciale S.E.I. 1983. È indubbio che la scelta fatta sia soggettiva, ma tale è la condizione inevitabile di qualunque momento euristico.
p. 3 Ho cominciato gli eserc[izi] sp[irituali] nella casa della Missione il giorno 26 maggio festa di S. Filippo Neri, 1841.
La sacra ordinazione sac[erdotale] fu tenuta da mons. Luigi 5 Franzoni nostro arciv[esco]vo nel suo episcopio il 5 giugno di quell' anno.
La prima Messa venne celebrata in S. Francesco di Assisi assistita dal mio insigne benef[attore] direttore D. Giuseppe Caffasso di Castelnuovo d'Asti nel giorno 6 giugno dom[enica] della SS. - 10 - Trinità.
Conclusione degli esercizi fatti in preparazione alla celeb[razione] della prima S. Messa, fu: Il prete non va solo al cielo, non va solo all'inferno.
5-11 «Il giorno della mia ordinazione era la vigilia della SS. Trinità, ed ho celebrato la mia prima messa nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, dove era capo di conferenza d. Caffasso» — MO 114-115.
5-6 Mons. Luigi Fransoni [Franzoni per don Bosco] nacque a Genova il 29 marzo 1789. Ordinato sacerd(Ste nel 1814, entrò nella congregazione dei Missionari urbani. Il 13 agosto 1821 venne nominato vescovo di Fossano ed il 24 febbraio 1832 arcivescovo di Torino. Imprigionato dal governo del regno sardo prima nella cittadella di Torino e poi nella fortezza di Fenestrelle, esule a Lione (1850), vi morì il 26 marzo 1862. La figura di mons. Fransoni fu legata a quella di don Bosco per circa 30 anni: dall'ingresso di don Bosco in seminario alla ordinazione sacerdotale anticipata di un anno, dalla fondazione dell'opera degli Oratori [nominato Direttore-capo il 31 marzo 1852] al suo consolidamento, fino alla morte del prelato. Il biografo di don Bosco, don G. Battista Lemoyne, lo definirà «padre, sostegno, amico confidente di don Bosco» — MB I 242.
9 Definito da Pio IX «la perla del clero italiano», Giuseppe Cafasso [Caffasso per don Bosco] nacque il 15 gennaio 1811 a Castelnuovo d'Asti, ora Castelnuovo Don Bosco. Ordinato sacerdote il 22 settembre 1833, successe al teologo Luigi Guala nella direzione del Convitto Ecclesiastico di Torino dal 1848. Morì il 23 giugno 1860 e venne canonizzato il 22 giugno 1947. Fu di aiuto spirituale e materiale al conterraneo Giovanni Bosco: lo indirizzò fra l'altro verso l'apostolato della gioventù e trasfuse in lui un profondo zelo sacerdotale. Don Bosco ne tesserà l'elogio nella Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso esposta in due ragionamenti funebri. Torino, tip. G.B. Paravia e comp. 1860: OE XII [351]-[494].
Se fa bene andrà al cielo colle anime da lui salvate p. 4 15 col suo buon esempio; se fa male, se dà scandalo andrà alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo.
Risoluzioni:
1° Non mai fare passeggiate se non per gravi necessità: visite a malati etc.
20 2° Occupare rigorosamente bene il tempo.
3° Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre, quando trattasi di salvar anime.
4° La carità e la dolcezza di I S. Francesco di Sales mi guidino in p. 5 ogni cosa.
25 5° Mi mostrerò sempre contento del cibo che mi sarà apprestato, purché non sia cosa nocevole alla sanità.
6° Beverò vino adacquato e soltanto come rimedio: vale a dire solamente quando e quanto sarà richiesto dalla sanità.
7° Il lavoro è un'arma potente contro ai nemici dell'anima, perciò 30 non darò al corpo più di cinque ore di sonno ogni notte. Lungo il giorno, specialmente dopo pranzo, non prenderò alcun riposo. Farò qualche eccezione in casi di malattia. I
[8°] Ogni giorno darò qualche tempo alla meditazione, alla lettura p. 6 spirituale. Nel corso della giornata farò breve visita o almeno una pre35 ghiera al SS. Sac[ramen]to. Farò almeno un quarto d'ora di preparazione, ed altro quarto d'ora di ringraziamento alla S. Messa.
18-19 «Non fate visite se non per motivi di carità e di necessità» — Ricordi ai missionari, RSS 3 (1984), p. 207.
23-24 «Mettiamoci dunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales» — Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), p. 351. — «Si avvicina l'epoca dei nostri esercizi d'America. Insisti sulla carità e dolcezza di S. Francesco di Sales che noi dobbiamo imitare» — Lettera a Don Luigi Lasagna, E IV 340. — «Un'altra cosa che bisognerà studiamo assieme di promuovere è lo spirito di carità e dolcezza di S. Francesco di Sales» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale 1880, quaderno Barberis.
27-30 «Amerò e praticherò la ritiratezza, la temperanza nel mangiare e nel bere: e di riposo non prenderò se non le ore strettamente necessarie per la sanità» — MO 88. «Fuggite l'ozio e le quistioni. Gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo» — Ricordi ai missionari, RSS 3 (1984), p. 207.
33-34 «Oltre alle pratiche ordinarie di pietà, non ometterò mai di fare ogni giorno un poco di meditazione ed un po' di lettura spirituale» — MO 88.
[9°] Non farò mai conversazioni con donne fuori del caso di ascoltarle in confessione o di qualche altra necessità spirituale. Queste memorie furono scritte nel 1841. I
p. 7 1842 40
Procurerò di recitare divotamente il Breviario e recitarlo preferibilmente in chiesa affinché serva come di visita al SS. Sacramento.
Mi accosterò al Sacram[en]to della penitenza ogni otto giorni e procurerò di praticare i proponimenti che ciascuna volta farò in - 45 - confessione.
Quando sono richiesto ad ascoltare le confessioni dei fedeli[,] se vi p. 8 è premura[,] interromperò il santo uffizio e farò I anche più breve la preparazione ed il ringraziamento della Messa a fine di prestarmi ad esercitare questo sacro ministero. 50
P. 9 (tempi diversi)
Siccome giunto in sacristia per lo più si fanno tosto richieste di parlare o di ascoltare in confessione, così prima di uscire di camera procurerò sia fatta una breve preparazione alla S. Messa.
Il lavare delle mani si faccia sempre in camera e quando il tempo 55 lo permette si rinnovi nella sacristia.
p. 10 Quando si è riéhiesti ad ascoltare le confessioni a ciascuno si mostri con aria ilare, e non usi mai sgarbatezza né mai si faccia conoscere impaziente. Prenda i fanciulli con modi dolci e con grande 60 affabilità. Né mai strapazzi o faccia maraviglia per l'ignoranza o per le cose deposte in confessione.
37-38 «Si fuggano i convegni dei secolari [...] e le conversazioni specialmente colle persone di sesso diverso» — Cost. SDB, pp. 110-111. — «Fuggite la conversazione e la famigliarità colle persone di altro sesso o di sospetta condotta» — Ricordi ai missionari, RSS 3 (1984), p. 207.
59-77 1° «Accogliere con amorevolezza ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovanetti. Aiutateli ad esporre le cose di loro coscienza; insistete che vengano con frequenza a confessarsi. E questo il mezzo più sicuro per tenerli lontani dal peccato. Usate ogni vostra industria affinché mettano in pratica gli avvisi che loro suggerite per impedire le ricadute. Correggeteli con bontà, ma non isgridateli mai; perché oggi voi li sgridate, e per lo più domani essi non vengono più a trovarvi, oppure tacciono quello per cui avete loro fatto aspro rimprovero. 2° Quando sarete loro entrato in confidenza, prudentemente fatevi strada ad indagare se le confessioni della vita passata siano ben fatte. Perocché alcuni autori celebri in morale ed in ascetica e di lunga esperienza, e specialmente un' autorevole persona che ha tutte le garanzie della verità, tutti insieme convengono a dire che per lo più le prime confessioni dei giovanetti se non sono nulle, almeno sono difettose per mancanza di istruzione, o per omissione volontaria di cose da confessarsi. Si inviti il giovinetto a ponderare bene lo stato di sua coscienza particolarmente dai sette ai dieci, ai dodici anni. In tale età si ha già cognizione di certe cose che sono grave male, ma di cui si fa poco conto, oppure si ignora il modo di confessarle. Il confessore faccia uso di grande prudenza e di grande riservatezza, ma non ometta di fare qualche interrogazione intorno alle cose che riguardano alla santa virtù della modestia» – Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele, OE XIII 181-182.
Qualora si vedesse necessità in qualcuno di essere istruito, esso sia invitato in tempo e luogo adattato ma a parte. p. 11
Le cose che ordinariamente mancano nella loro confessione i fan-65 ciulli sono il dolore dei peccati ed il proponimento. Quando manca l'una o l'altra di queste qualità della conf[essione] si consigli il fanciullo ad istruirsi frequentando il catechismo o colla dottrina stampata se egli è capace di leggere e comprendere I quel che legge. p. 12
In questi dubbi se non appare colpa grave si può dare soltanto la 70 benedizione.
È cosa assai importante ed utile per la gioventù di fare in modo che mai un fanciullo parta malcontento da noi.
Al contrario si lasci sempre con qualche regaluzzo, con qualche promessa o con qualche parola che lo animi a venirci volentieri a 75 trovare in confessione.
Mantenere costantemente le promesse fatte ai fanciulli, o almeno dar qualche ragione perché queste non furono adempite.
Per correggere con frutto non far rimproveri in presenza di altri. p. 13
Cerca di farti amare, di poi ti farai ubbidire con tutta facilità.
80 Non sarai mai troppo severo nelle cose che servono a conservare la moralità.
64-65 «Ciò che manca radicalmente, in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienza, le stesse trascuranze nei doveri» – Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), p. 349.
79 «L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere» – Il sistema preventivo, OE XXVIII 442. – «Studia di farti amare piuttosto che farti temere. La carità e la pazienza ti accompagnino costantemente nel comandare, nel correggere, e fa in modo che ognuno dai tuoi fatti e dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime» – Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 151.
80-81 «Si allontanino inesorabilmente dalle nostre case quei giovani e quelle persone che in qualche modo si conoscessero pericolose in materia di moralità e di religione». – Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 67.
Quando un giovanetto manifesta segni di vocazione procurate di rendervelo amico. È indispensabile di allontanarlo dalle letture cattive, e dai compagni che fanno discorsi osceni. 85
p. 14 Colla frequente confessione i e comunione conserverete al vostro allievo la regina delle virtù, la purezza dei costumi.
Noi viviamo della carità dei nostri benefattori. Quando taluno ci fa qualche offerta sia sempre ringraziato e si assicurino preghiere per 90 lui. Nelle comuni e private preghiere siano sempre compresi i nostri benefattori e si metta ognora l'intenzione di pregare che Dio dia il centuplo della loro carità anche nella vita presente colla sanità, colla p. 15 prosperità nelle campagne[,] negli affari, li difenda da ogni disgrazia. 95
Si faccia loro notare che l'opera più efficace ad ottenerci il perdono dei peccati ed assicurarci la vita eterna è la carità verso ai poveri fanciulli: uni ex minimis ad un piccolino abbandonato.
Si noti eziandio che in questi tempi mancando i mezzi pecuniari per educare nella fede e nel buon costume gli abbandonati, la S[an]ta Vergine si costituì ella stessa loro protettrice. Ottiene a tali benefattori molte grazie spirituali e temporali, anche straordinarie! Noi stessi siamo testimoni che molti nostri insigni benefattori di scarsa fortuna p. 16 divennero I assai boiestanti dal momento che cominciarono a largheggiare a favore dei nostri orfanelli. 105
Il marchese Fassati dissemi più volte: Non voglio che mi ringraziate quando faccio carità a' vostri poverelli; ma debbo io ringraziare voi, o don Bosco, che me ne fate dimanda. Da che ho cominciato a largheggiare con voi, la mia fortuna ha triplicato
106-115 «Il marchese Domenico Fassati [...] era solito dire: "È cosa curiosa, ma vera. Più ne dò a don Bosco e più ne ricevo"», MB V 317. – «Scrisse Monsignor Cagliero: "Mi ricordo che il marchese Fassati ed il comm. Cotta dissero più volte a don Bosco: — Oh don Bosco. Lei dice che non ha parole bastanti per ringraziarci di quel poco che abbiamo fatto pel suo Oratorio; ma siamo noi che dobbiamo ringraziar lei: prima, perché domandandoci aiuti per i suoi giovani ci presenta un' occasione di fare un po' di bene; e poi perché il Signore per le sue preghiere ci benedice e triplica le nostre sostanze"», MB V 335. – «Veniva sovente a portar elemosine a don Bosco dicendo: "Più le porto danaro per le sue opere e più i miei affari vanno bene. Io provo col fatto che il Signore mi dà anche nella vita presente il centuplo di quello che io dono per amor suo"», MB VIII 467. – Il marchese Domenico Fassati Roero San Severino nacque a Casale il 4 agosto 1804. Di nobile famiglia piemontese, capitano della brigata granatieri, maggiore comandante delle guardie del corpo di re Carlo Alberto, fu ammiratore e sostenitore delle opere di don Bosco fin dai primordi. Catechista all'Oratorio di Valdocco, divenne intermediario fra don Bosco e Vittorio Emanuele II. Morì a Torino il 3 maggio 1878; nell'occasione della messa di trigesima, don Bosco mandò una circolare di invito per i benefattori, MB XIII 573. — Il cav. Giuseppe Antonio Cotta, già senatore del regno, grande ufficiale dell'ordine Mauriziano, fu da Pio IX nominato commendatore dell'ordine di S. Gregorio Magno. Per le munifiche elargizioni in favore dei poveri venne definito «banchiere limosiniere» o anche «banchiere della provvidenza». Nato il 4 aprile 1785, moriva il 29 dicembre 1868, all'età di 83 anni. Si vedano cenni biografici in Supplemento perenne alla Nuova Enciclopedia popolare... 1868-1869. Torino, UTET 1870, vol. 29, p. 136.
110 Il cav. Cotta veniva egli stesso a portar danaro dicendo: Più porto danaro a voi, più vanno bene le mie operazioni. Io provo col fatto che il Signore mi dà I anche nella vita presente il centuplo di quanto dono p. 17 per amor suo. Egli fu nostro insigne benefattore fino all'età di ottanta sei anni, quando Dio lo chiamò alla vita eterna per godere colà il frutto 115 della sua beneficenza.
È bene di notare il nome di alcuni benefattori verso cui avremo perpetua riconoscenza davanti a Dio e davanti agli uomini.
I signori conti Carlo, Eugenio e Francesco de Maistre contin[u]- p. 18 120 ano a seguire la carità dei loro genitori, e sono tra quelli che ci aiutano sovente e generosamente.
La marchesa Fassati Maria, la contessa Carlotta Callori, la contessa Corsi Gabriella (Req[uiem]) sono nostre generose benefattrici.
119-121 Carlo, Eugenio e Francesco sono figli di Rodolfo De Maistre e di Carlotta du Plan de Sieyès. Il conte Rodolfo de Maistre, figlio del famoso scrittore e filosofo Giuseppe, era nato il 22 settembre 1789. Morì a Borgo Cornalese il 5 febbraio 1866: cfr. Il Tempio di Don Bosco, a. XX, n. 12, dicembre 1966, pp. 147-149, che corregge alcune imprecisioni di MB VIII 298. Don Bosco fu suo ospite a Roma, in via del Quirinale 49, durante il primo viaggio nella città papale, nel 1858. In quell'occasione gli fecero da guida il conte Eugenio, commendatore dell'Ordine Piano, morto il 23-24 luglio 1908 (BS a. XXXII, n. 9 settembre 1908, p. 286) ed il conte Francesco, ufficiale dell'armata pontificia. Il conte Carlo, nato il 21 maggio 1832, fu, tra l'altro, catechista dell'Oratorio fin dal 1855. Morì a Lourdes il 21 luglio 1897: Bulletin Salésien, 19 (1897), n. 9, sett., p. 235.
122-123 La marchesa Maria Fassati Roero San Severino nacque nel 1824 da Rodolfo De Maistre e Carlotta du Plan de Sieyès. Dama di Corte della regina Maria Adelaide, presidentessa delle Dame di S. Vincenzo de Paoli, sposò a 23 anni il marchese Domenico Fassati [vedi sopra]. Fu per 40 anni cooperatrice di don Bosco e per 16 cooperatrice di don Rua. Morì a Torino il 4 febbraio 1905. Ci sono pervenute oltre 20 lettere di don Bosco a lei inviate, senza contare quelle ai figli. Cfr. BS a. XXIX, n. 3 marzo 1905, p. 94. — La contessa Gabriella Callori dei conti di Sambuy, consorte del conte Federico Callori di Vignale, nacque a Torino il 6 settembre 1827. Dama di palazzo della regina Maria Adelaide, aiutò don Bosco in modo decisivo per varie imprese: la fondazione del collegio di Mirabello, trasportato poi a Borgo S. Martino 7 anni dopo (1870), l'edizione del Cattolico Provveduto (1868), le chiese di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni ecc. ecc. Abitando a Casale e trascorrendo la buona stagione a Vignale Monferrato, don Bosco era costretto a rivolgersi a lei per via epistolare. Ci sono così giunte oltre 50 lettere olografe del santo, dalle quali è possibile ricavare, oltre ai profondi sentimenti di stima e di affetto per la contessa, anche numerosissime informazioni sulla vita e le opere di don Bosco dal 1864 in poi. Morì il 13 agosto 1911: BS 35 (1911) n. 9, sett., p. 287; Celebrazioni centenarie Collegio «S. Carlo», Borgo San Martino [1864], pp. [26]-[30]. — La contessa Gabriella Corsi di Bosnasco, nata Pelletta di Cossombrato, morì a Torino 1'8 aprile 1887. Dal 1871 alla morte si distinse come cooperatrice di don Bosco, tanto da meritarsi pure lei l'appellativo di «buona e carissima Mamma». Sovvenzionò in particolare l'opera delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato, località dove la contessa aveva la residenza estiva. Più di 10 le lettere di don Bosco alla contessa pervenuteci fino ad oggi; diverse altre sono invece indirizzate alla figlia: BS 11 (1887) n. 5, maggio, pp. 58-59. 124-126 La principeissa Sofia Odescalchi, nata Branicka a Pietroburgo nel 1821, morì a Bassano di Sutri, ora Bassano Romano, nel 1886, un anno dopo il marito, principe Livio III, che aveva sposato nel 1842 e dal quale aveva avuto 4 figli (Baldassarre, Maria, Pace e Ladislao). La nobile famiglia Odescalchi mantenne stretti legami con don Bosco, soprattutto in occasione delle visite del santo all'Urbe. Dalla medesima famiglia pervenne a don Bosco la proposta di aprire una scuola nel feudo di Bracciano. Ma la proposta non ebbe seguito. — La sig.ra Fanny Ghiglini Polleri, vedova dal 1877 del senatore cav. marchese Lorenzo Ghiglini, fu per parecchi anni a capo di un comitato detto «Dame della misericordia» di Genova che intendeva potenziare l'opera di bene verso i poveri, i giovani abbandonati. Fu una delle più benemerite cooperatrici di don Bosco, specialmente per l'Istituto salesiano di Sampierdarena. Morì il 13 febbraio 1877: BS 11 (1887) n. 4, aprile, p. 46. — La baronessa Luigia Cataldi-Parodi fu, assieme ai suoi famigliari, un'altra delle cooperatrici che più largamente contribuirono alla fondazione dell'Ospizio salesiano di Sampierdarena. Don Bosco ebbe per lei parole di benedizione un mese prima della propria morte (MB XVIII 503). La baronessa si spense dopo un lungo periodo di cecità, il 4 febbraio 1896: BS 20 (1896) n. 3, marzo, pp. 79-80. — La famiglia Dufour (Maurizio, Lorenzo, Carlo, Luigi, Amalia ecc.) fu di sommo aiuto alle opere salesiane di Genova. La sig.ra Luigia Pavese Dufour rimase in costante relazione epistolare con don Bosco nell'ultimo decennio di vita del santo. Ulteriori informazioni sulla famiglia Dufour e su altri benefattori di Genova si possono reperire in S. SCIACCALUGA, Don Bosco a Genova. Ge-Sampierdarena, Editrice Salesiana 1946, pp. 64-117.
La principessa Odescalchi Sofia, di Roma (Req[uiem]); sig[ra] Ghiglini Polleri Fanny di Genova (Req[uiem]), come la sig[ra] Luigia 125 p.19 Cataldi, Luigia Dufour sono di questo numero.
A Nizza Marittima dobbiamo ritenere i nomi gloriosi della sig[ra] Visconti, Barone Heraud, cav. Vincenzo Levrot, la sig[ra] Daprotis. M.r e M.me de la Flechiere, Hyvères, han fatto e fanno.
130 Ma il nostro grande benefattore di Tolone è il sig. conte Fleury Colle e la sig[ra] contessa di lui moglie. Essi hanno veramente beneficato la nostra congregazione, e se abbiamo potuto fondare case, scuole e far progredire le nostre missioni di America lo dobbiamo p. 20 alla loro carità.
135 Marsiglia deve la sua fondazione ai signori della società Beaujour, alla generosa signora Prat, a mad[ame] Jacques, mad[ame] Broquier ed alla sig[ra] Pasquè che donò generosamente ad uso nostro la casa e il terreno dove presentemente avvi il nostro piccolo noviziato di S. Margherita detto anche della Provvidenza.
127-129 La sig.ra Marguerite Visconti, di Bordeaux, nata Labat, visse in Piemonte finché suo marito, un ufficiale dell'esercito sardo, andò in pensione. Si trasferì quindi a Nizza, là dove i fanciulli del patronage St. Pierre (ma pure don Bosco) la chiameranno maman: MB XIII 720, E III 414, Bulletin Salésien 8 (1886) n. 9, sett., p. 104. La sua morte risale al mese di aprile-maggio 1892: Bulletin Salésien 14 (1892)
n. 5, maggio, p. 80. Nella testimonianza di don Cartier resa a don Cena (MB XIII 720) viene invece anticipata al mese di gennaio-febbraio 1891. — Il barone Héraud de Chateauneuf, membro della Società di S. Vincenzo de Paoli, commendatore dell'ordine di S. Gregorio Magno, cameriere segreto di Sua Santità Leone XIII, fu amico personale di don Bosco e sostenitore efficacissimo dell'opera salesiana di Nizza fin dai suoi inizi. Morì il 23 ottobre 1902: Bulletin Salésien 24 (1902) n. 282, dic., p. 334. Diverse sono le lettere di don Bosco al barone ed alla baronessa Héraud. Vedi pure vari riferimenti a loro ed ad altri benefattori di Nizza Marittima in F. DESRAMAUT, Don-Bosco à Nice. Paris, A.D.E. 1980. — Il cav, Vincenzo Levrot, cui don Bosco, fra l'altro, scrisse varie lettere, fu uno dei più grandi benefattori dell'opera salesiana di Nizza Marittima. Morì il 13 dicembre 1912: Bulletin Salésien 34 (1912) n. 2, febbr., pp. 53-54. Cfr. F. DESRAMAUT, Don-Bosco à Nice, op. cit. passim. — Pure la sig.ra Daprotis, più volte menzionata nelle lettere di don Bosco a don Giuseppe Ronchail, al pari di altre benefattrici già ricordate ebbe da don Bosco l'appellativo affettuosissimo di «mamma».
130-134 I coniugi Colle, il marito Giuseppe Luigi Henry, conte Romano (morto il 1° gennaio 1888) e la moglie Sofia (morta il 28 marzo 1909) sono fra le figure più note degli ultimi anni della vita di don Bosco. Basti citare le decine di lettere inviate dal santo alla loro famiglia; si aggiunga che don Bosco firmò la vita del figlio: Biographie du jeune Louis Fleury Antoine Colle..., Turin, imprimerie salésienne 1882. Brevi profili sono offerti da Bulletin Salésien 10 (1888) n. 2, febbr., pp. 16-18 per il conte, e BS 33 (1909) n. 9, sett., pp. 286-287 per la contessa.
135-139 La Società Beaujour di Marsiglia era «costituita da ottimi cattolici» ed aveva «per iscopo di favorire istituzioni benefiche a vantaggio della gioventù pericolante»: MB XIII 526. Le altre persone citate sono benefattrici in costante relazione con don Bosco, il quale talvolta le manda a salutare tramite il direttore di Marsiglia, don Giuseppe Bologna, e tal altra le raggiunge personalmente con lettera autografa. La sig.ra Anna Prat-Noilly morì nell'estate del 1902: Bulletin Salésien 24 (1902) n.280, nov., p. 280. Di lei l'ASC conserva una lettera datata 27 luglio 1883 nella quale ringrazia don Bosco per la messa che ha promesso di celebrare il giorno di S. Anna, festa onomastica della signora. — La sig.ra Jacques morì il 3 febbraio 1915 all'età di 89 anni: Bulletin Salésien 37 (1915) n. 423, aprile-giugno, p. 51. — Nel medesimo bollettino (a. XIII, n. 5 maggio 1891, p. 88) si dà la notizia della morte della sig.ra Broquier: marzo-aprile 1891. A lei don Bosco indirizzò una delle sue ultime lettere, in data 27 novembre 1887: E IV 386.
p. 21 Sono pure insigni benefattori la famiglia Quisard di Lyon, la con- 140
tessa de la Reserve, la sig[ra] Desvernay religiosa del Sacro Cuore aux Anglais. La marqu[ise] di S. Seine, Dijon, cont[essa] Parque idem, [vice] contessa [de] Cessac (Req[uiem]), Parigi, Mad[emoise]lle Louvet Clara, Aire sur le Lys.
Molti poi fecero generose offerte in seguito a grazie ricevute, ed 145 altri offrirono danaro o sostanze diverse in natura.
p. 22 Questi sono i nomi di alcuni dei più segnalati nostri benefattori al giorno d'oggi 8 febb[raio] 1885.
140-144 La famiglia Quisard (Guisard per don Bosco) era legata da costante e sincera affezione col santo. Ne sono prova le numerose lettere di don Bosco: E IV 435446. — Madame Marie Desvernay, religiosa del «Sacro Cuore» di Lione aveva aiutato generosamente don Bosco, soprattutto nel finanziamento delle spedizioni missionarie degli anni '80. Un ritrito carteggio fra don Bosco e la religiosa di Lione è ancora inedito. — La marchesa di Saint-Seine, in data 10 aprile 1883, si era fatta portavoce di un gruppo di persone di Digione affinché don Bosco sostasse qualche tempo presso di loro nel suo viaggio in terra francese: ASC 126-1 Saint-Seine, ed. in MB XVI 558559. — La contessa De Cessac-Montesquiou e il marito furono insigni benefattori del patronage St. Pierre-St. Paul di Parigi, che deve il secondo nome (Paolo) proprio al figlio dei De Cessac morto all'età di 25 anni. La contessa, dama di corte dell'imperatrice Eugenia, morì il 24 maggio 1886, a pochi mesi di distanza dalla morte del conte, che al tempo dell'Impero aveva occupato cariche di prestigio. Stranamente le MB XVII 611 datano la morte della contessa «nell'autunno» del 1886. La fonte del Lemoyne (Bulletin Salésien 8 [18861 n. 11, nov., p. 127) precisava: «le jour méme de Notre-Dame Auxiliatrice». — Mademoiselle Clara Louvet: cooperatrice di straordinaria generosità con don Bosco e con i suoi successori. Del carteggio epistolare di don Bosco con lei ci sono pervenute varie decine di lettere edite e moltissime inedite che coprono gli ultimi sei anni della vita del santo. In esse si possono enucleare precise indicazioni di vita spirituale. La Louvet morì a 80 anni, 1'11 novembre 1912: Bulletin Salésien 35 (1913) n. 1, gennaio, p. 27. A lei è dedicato un intero capitolo delle MB XV 584-610.
148 1885 torr ex 1884. Si veda anche alla linea 173-175. Per motivi di ordine interno ed esterno sembra doversi assolutamente escludere che la redazione delle prime pagine sia avvenuta negli anni '40, come potrebbero far supporre a prima vista le date 1841, 1842, 1845 riportate rispettivamente sulle pagine 6, 7 e 9. Le suddette date si riferiscono agli anni cui risalgono le risoluzioni e gli insegnamenti colà trascritti, e cioè i primi anni di sacerdozio. D'altronde il titolo è esplicito: «Memorie dal 1884...». Pertanto andrebbero corrette in varie parti le MB, ad es. vol. II p. 313.
Se [per] la divina misericordia dopo la mia morte e per la 150 protezione di Maria sarò fatto degno di essere ricevuto nel regno eterno, pregherò sempre per tutti e particolarmente per quei nostri benefattori affinché Dio benedica essi, le loro famiglie, sicché tutti vengano un giorno a cantare e lodare in eterno la maestà I del Creatore. p. 23 Amen.
All'epoca del mio decesso si raduni il Capitolo, e stia regolarmente pronto ad ogni evenienza, e niuno si allontani se non per motivi assolutamente necessarii.
Il mio vicario d'accordo col prefetto prepari e legga in Capitolo 160 una lettera da dirigersi a tutti i confratelli in cui si dia notizia della mia morte, loro raccomandi preghiere per me, e per la buona scelta del mio successore.1
1 Si ritenga che queste pagine furono scritte nel sett[embrel 1884 prima che il S. Padre nominasse un vicario con successione, perciò venga modificato quanto farà 175 d'uopo.
Stabilisca il giorno per la elezione del novello Rett[or] Maggiore e p. 24 dia tempo che quei di America e di altri paesi distanti possano in 165 tervenire qualora non siano da gravi motivi impediti assolutamente.
Io noto qui due cose della massima importanza:
1° Si tengano segrete le deliberazioni capitolari, e se avvi qualche cosa da comunicare ad altri, sia uno apposi[ta]mente incaricato. p. 25 Ma esso stia ben attento a non nominare qualche membro del 170 Capitolo che abbia dato il voto affermativo o negativo, oppure abbia proferita tale frase o tale parola.
2° Si ritenga come principio da non mai variarsi di non conservare alcuna proprietà di cose stabili ad eccezione delle case e delle adiacenze che sono necessarie per la sanità dei confratelli o della salubrità degli allievi.
156-165 «Appena morto il Rettore, il Prefetto ne dia tosto avviso ai direttori di tutte le case, i quali subito si daranno cura, perché si facciano al defunto quei suffragi, che sono prescritti dalle Costituzioni. Quindi inviti i medesimi direttori a radunarsi per la elezione del nuovo Rettore» — Cost. SDB, pp. 128-129.
p. 26 La conservazione di stabili fruttiferi è una ingiuria che si fa alla divina provvidenza che in modo maraviglioso e dirò prodigioso ci 180 venne costantemente in aiuto.
Nel permettere costruzioni o riparazioni di case si usi gran rigore nell'impedire il lusso, la magnificenza, la eleganza.
Dal momento che comincerà [ad] apparire agiatezza nella persona,p. 27 nelle camere o nelle case, comincia I nel tempo stesso la decadenza 185 della nostra congregazione.
Fatta la mia sepoltura il mio vicario inteso col prefetto dirami a tutti i confratelli questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale.
176-178 «Ma raccomanda a tutti di evitare la costruzione o l'acquisto di stabili, che non siano strettamente necessari a nostro uso. Non mai cose da rivendersi; non campi o terreni, o abitazioni da farne guadagno pecuniario» — Lett. a mons. Giovanni Cagliero, E IV 328.
182-183 «Nella forma degli edifizi, nella scelta dei materiali, nella mano d'opera, nella esecuzione dei lavori, negli ornamenti interni non si dimentichi mai la povertà religiosa. Offende l'occhio delle persone oneste il vedere eleganza e ricercatezza negli edifizi, nelle suppellettili,. e negli apprestamenti di tavola presso di chi loro suole domandare carità» — Deltberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 444-445. 184-186 «Leggete la Storia Ecclesiastica, e troverete infiniti esempi, dai quali risulta che 1' abbondanza dei beni temporali fu sempre la causa della perdita di intere comunità, le quali, per non avere conservato fedelmente il loro primo spirito di povertà, caddero nel colino delle disgrazie» — MB VI 328-329.
188-222 «Intanto ricevete queste regole come testamento fatto per tutta la Congregazione. Ricevete poi questi pensieri che le precedono come ricordi, che io vi lascio, prima della partenza per la mia eternità, cui mi accorgo avvicinarmi a gran passi. Raccomandate al Signore la salvezza dell'anima mia, ed io pregherò costantemente anche per voi, affinché colla osservanza esatta delle nostre costituzioni possiamo vivere felici nel tempo, e per tratto della sua infinita misericordia ci conceda di raccoglierci tutti un giorno a goderlo e lodarlo nella beata eternità» — Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales 1875. Introduzione, OE XXVII 49-50. — «Questo è come Testamento che indirizzo ai Direttori delle Case Particolari. Se questi avvisi saranno messi in pratica, io muoio tranquillo perché sono sicuro che la nostra Società sarà ognor più fiorente in faccia agli uomini e benedetta dal Signore, e conseguirà il suo scopo che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), pp. 159-160. «0 miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità. Quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi per quella via del Signore nella quale esso stesso desidera» Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), pp. 188-191. — «Mentre per altro i voti aumentano in cotale guisa il merito delle nostre opere, dobbiamo darci massima sollecitudine per non trascurarli [...1. Noi pertanto prepariamoci bene a questa eroica consacrazione, ma quando l'avremo fatta procuriamo di mantenerla anche a costo di lungo e grave sacrifizio» — Regole o Costituzioni... 1875, OE XXVII 27.
190 Miei cari ed amati figliuoli in G. C.
Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo I desiderio del mio cuore. p. 28
Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per la ubbidienza che mi avete prestata, e di quanto avete lavorato per sostenere 195 e propagare la nostra congregazione.
Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la infinita misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità. Colà io vi attendo.
Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito p. 29 200 che tutti dobbiamo pagare, ma dopo ci sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amor del nostro Maestro il nostro buon Gesù.
Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimanere saldi nella vocazione fino alla morte.
205 Vegliate e fate che né 1' amor del mondo, né l'affetto ai parenti né il desiderio di una vita più agiata vi m[u]ovano al grande sproposito p. 30 di profanare i sacri voti e così tradire la professione religiosa con cui ci siamo consacrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiamo dato a Dio.
210 Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni.
Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero superiore[,] Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello; ma ritenete che a suo tempo egli stesso sarà 215 nostro giudice e rimuneratore della nostra fedeltà nel suo I servizio. p. 31 Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.
Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al cielo. Là parlere220 mo di Dio, di Maria madre e sostegno della nostra congregazione; là benediremo in eterno questa nostra congregazione, la cui osservanza p. 32 delle regole contribuì potentemente ed efficacemente I a salvarci.
210-211 Cfr. Giov. 15,10-14.
Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te Domine speravi, non confundar in aeternum.
Fatta la mia sepoltura, radunati e convenuti gli elettori al luogo stabilito si compieranno le cose prescritte sia pei suffragi del Rettore defunto sia per effettuare la imminente elezione e riconoscimento del p. 33 nuovo superiore della congregazione.
È bene che ogni cosa sia tostamente comunicata al S. Padre e si 230 domandi speciale benedizione sopra quest'atto importantissimo.
Ciascuno poi senza badare ad affezione umana, a speranze di sorta dia il suo voto a colui che egli giudica maggiormente idoneo a p. 34 procacciare I la maggior gloria di Dio e il vantaggio della nostra pia società. Perciò: 235
1° Che sia conosciuto per la sua puntualità nella osservanza delle nostre regole.
2° Non siasi mai mischiato in affari che lo abbiano compromesso in faccia alle autorità civili od ecclesiastiche oppure lo abbiano reso odioso o spregevole in faccia ai soci della nostra medesima 240 società.
3° Conosciuto pel suo attaccamento alla Santa Sede e per tutte le p. 35 cose che in qualche maniera a quella si riferiscono.
Compiuta la elezione e conosciuto anzi proclamato il nuovo Rettore Maggiore tutti gli elettori gli baceranno la mano, di poi si - 245 metteranno ginocchioni, canteranno il Te Deum. Dopo daranno un segno sensibile di sottomissione rinnovando i voti come si fa all'epoca degli esercizi spirituali.
221-222 «Dall'esatta osservanza delle nostre Costituzioni e di queste deliberazioni, che ne sono come l'applicazione pratica, dipende in massima parte lo sviluppo ed il profitto spirituale della nostra pia Società e de' suoi membri» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 4.
223 Ps. 113,2.
224 Ps. 31,2 e Te Deum.
236-243 «Perché alcuno possa essere eletto Rettore maggiore, si richiede che sia vissuto almeno dieci anni in Congregazione, abbia compito trentacinque anni, ed abbia dato non dubbie prove di vita esemplare e di destrezza e prudenza nello spedire i negozi della Congregazione, ed infine sia professo perpetuo» — Cost. SDB, pp. 130- 131.
Il nuovo Rettor M[aggiore]
250 1° Indirizzerà alcune parole agli elettori, li ringrazierà della fiducia riposta in lui e li assicurerà che egli vuole essere di tutti I il padre, p. 36 l'amico, il fratello, dimanda la loro cooperazione, e, ove sia d'uopo[,] il loro consiglio.
2° Darà tosto al S. Padre la notizia di sua elezione ed offre sé e 255 la salesiana società agli ordini, ai consigli del supremo gerarca della Chiesa.
3° Diramerà poscia una lettera circolare a tutti i confratelli ed un'altra alle figlie di Maria Ausiliatrice.
4° Altra lettera scriverà ai nostri benefattori ed ai nostri - p. 37 260 cooperatori ringra[zia]ndoli da parte mia di quanto hanno fatto per noi mentre io viveva in terra; pregandoli a continuare il loro aiuto in sostegno delle opere salesiane. Io sempre nella ferma speranza di essere accolto nella misericordia del Signore, di là pregherò incessantemente per loro.
265 Ma si noti, si dica, e si predichi sempre che Maria Au[siliatrice] ha ottenuto ed otterrà sempre grazie I particolari, anche straordinarie e mi- p. 38 racolose per coloro che concorrono a dare cristiana educazione alla pericolante gioventù colle opere, col consiglio, col buon esempio o semplicemente colla preghiera.
270 Compiuti questi primi ed importanti doveri il novello Rettore si volga e con tutta sollecitudine a conoscere bene lo stato finanziario della congregazione. Esamini se vi sono debiti e quando si debbano pagare.
È bene che almeno per un po' di tempo non [si] aprano nuove p. 39 275 case, né si comincino nuove costruzioni, nemmeno nuovi lavori che non sono strettamente necessari.
Nel mio particolare poi mi raccomando che non si decantino i debiti lasciati dal Rettore defunto. Ciò farebbe conoscere una cattiva amministrazione negli amministratori e nello stesso superiore; e cagionerebbe qualche dif[f]idenza nella pubblica opinione. I 280
259-269 Don Rua eseguirà l'invito di don Bosco inviando una lettera circolare a stampa ai «buoni benefattori» e «buone benefattrici» in data 23 aprile 1888. Il BS dell'aprile 1888 la annunciava come lettera trovata tra le carte autografe di don Bosco «da spedirsi» dopo la sua morte. In realtà l'intervento di don Bosco si era limitato alle poche righe qui sopra riprodotte, che servirono da traccia al vero redattore, identificato da don Ceria in don Bonetti (cfr. E IV 393, nota). Per onestà storica pertanto andrebbe meglio attribuita la paternità delle citazioni di tale «testamento» su migliaia di immaginette, bollettini, notiziari, stampati diffusi ovunque nel «mondo salesiano» e non.
Se alla elezione del nuovo Rett[ore] venisse a mancare qualche membro del Capitolo, il Rettore usi del suo diritto e completi il numero con dei consiglieri supplenti pel tempo che deve correre prima del sessennio fissato per la elezione generale dei singoli consiglieri o 285 membri del Capitolo.
Ma il ricordo importante e che io giudico fondamentale si è di p. 41 fare in modo che nessun membro abbia delle occu ipazioni estranee e non dirette all'amministrazione della nostra pia società. Anzi io credo non dir troppo che la nostra congregazione avrà sempre un vuoto fino 290 a che i singoli membri del Capitolo non siano esclusivamente occupati nelle cose fissate dal regolamento approvato nelle deliberazioni capitolari.
Si dovranno a tale uopo superare non poche difficoltà, ma si facciano sacrifizi e si conceda questo grande benefizio alla intera con- 295 gregazione.
Il Rettor M[aggiore] legga e metta in pratica gli avvisi soliti a darsi da me a tutti i direttori di nuove case, specialmente al tempo dovuto al riposo ed!' al nutrimento. 300
Il direttore di ciascuna casa abbia pazienza e studi bene le persone o meglio I esamini bene quanto valgono i confratelli che lavorano p. 43 sotto di lui. Esiga quello di cui sono capaci e non di più.
282-286 «Se poi alcuno del Capitolo cessasse dal proprio ufficio o per morte o per qualunque altra causa prima che si compiano i sei anni, il Rettore maggiore ne affiderà il disimpegno a quello che giudicherà meglio nel Signore; questi poi starà in officio sino alla fine del sessennio incominciato dal socio uscito di carica» — Cost. SDB, p. 155.
298-300 Si tratta dei Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), pp. 125-166.
302-307 «Procura di ripartire le cose in modo che niuno sia troppo carico d'incombenze, ma fa' che ciascuno adempia fedelmente quelle che gli sono affidate» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 158. — «Non mai comandare cose che giudichi superiori alle forze dei subalterni, oppure prevedi di non essere ubbidito. Fa' in modo di evitare i comandi ripugnanti, anzi abbi massima cura di secondare le inclinazioni di ciascuno affidando di preferenza quegli Uffizi che a taluno si conoscono di maggior gradimento» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 159.
305 È indispensabile che egli conosca il regolamento che ogni confratello deve praticare nell'uffizio affidatogli; perciò ciascuno abbia a sua disposizione almeno quella parte di regole che lo riguardano.
La sua sollecitudine sia in modo speciale rivolta alle relazioni morali dei maestri, assistenti tra di loro e cogli allievi loro affidati. I
1° Io raccomando caldamente a tutti i miei figli di vegliare sia nel parlare sia nello scrivere di non mai né raccontare né asserire che D. Bosco abbia ottenuto grazie da Dio od abbia in qualsiasi maniera operato miracoli. Egli commetterebbe un dannoso errore.
315 Sebbene la bontà di Dio sia stata in misura generosa verso di me, tuttavia io non ho mai I preteso di conoscere od operare cose sopran- p. 45 naturali. Io non ho fatto altro che pregare e far dimandare delle grazie al Signore da anime buone. Ho poi sempre esperimentato efficaci le preghiere e le comunioni dei nostri giovani.
320 Dio pietoso e la sua Madre SS. ci vennero in aiuto nei nostri bisogni. Ciò si verificò specialmente ogni volta che eravamo in bisogno di provvedere ai nostri giovanetti poveri ed abbandonati, e più ancorap. 46 quando essi trovavansi I in pericolo delle anime loro.
308-309 «I maestri, i capi d' arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Il traviamento di uno solo può compromettere un Istituto educativo» — Il sistema preventivo, OE XXVIII 53-54. — «Accorgendoti che taluno di essi contragga amicizia particolare con qualche allievo, oppure che l'ufficio affidatogli, o la moralità di lui sia in pericolo, con tutta prudenza lo cangerai d'impiego; se continua il pericolo, ne darai tosto avviso al tuo Superiore» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 153.
311-323 «Don Bosco [...] sarebbe l'ultimo degli uomini se si arrogasse un tale potere. Grazie straordinarie certamente sono state concesse; ma le ha fatte a vantaggio delle nostre opere la Santa Vergine» — MB XV 502. — «Da qualche tempo si va dicendo ed anche pubblicando sui giornali che don Bosco fa dei miracoli. Questo è un errore. Don Bosco non ha mai preteso e non ha mai detto di fare miracoli, e nessuno dei suoi figli deve concorrere a propagare questa falsa idea. Diciamo chiaramente come stanno le cose: Don Bosco prega e fa pregare i suoi giovani [...] e Iddio nella sua infinita bontà il più delle volte concede le grazie domandate, talora anche straordinarie e miracolose. Ma don Bosco c'entra così poco che spesso le grazie si ottengono senza che egli ne sappia niente» — MB XVI 292. — «Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa stessa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. Che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studiare con infinite grazie e portenti» Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), p. 350.
2° La santa Vergine Maria continuerà certamente a proteggere la nostra congreg[azione] e le opere salesiane, se noi continueremo la no- 325 stra fiducia in Lei e continueremo a promuoveftel il suo culto. Le sue feste, e più ancora le sue solennità, le sue novene, i suoi tridui, il mese a Lei consacrato, siano sempre caldamente inculcati in pubblico ed in p. 47 privato; coi foglietti, coi libri, colle me I daglie, colle immagini, col pubblicare o semplicemente raccontare le grazie e le benediz[ioni] che 330 questa nostra celeste benefattrice ad ogni momento concede alla soff[e]rente umanità.
3° Due fonti di grazie per noi sono: raccomandare preventivamente in tutte le occasioni di cui possiamo servirci per inculcare ai nostri giovani allievi che in onore di Maria si accostino ai santi sa- 335 cramenti od esercitino almeno qualche opera di pietà.
L'ascoltare con divozione la santa Messa, la visita a Gesù p. 48 Sac[ramenta]to I la frequente comunione sacramentale o almeno spirituale, sono di sommo gradimento a Maria, e un mezzo potente per ottenere grazie speciali. 340
Dio chiamò la povera congregazione salesiana a promuovere le vocazioni ecclesiastiche fra la gioventù povera e di bassa condizione.
Le famiglie agiaté in generale sono troppo mischiate nello spirito del mondo, da cui disgraziatamente restano assai spesso imbevuti i 345 p. 49 loro figli I uoli, cui fanno perdere così il principio di vocazione che Dio ha posto nel loro cuore. Se questo spirito si coltiva, e sarà sviluppato, viene a maturazione e fa copiosi frutti. Al contrario non solo il germe di vocazione, ma spesso la medesima vocazione già nata e cominciata sotto a buoni auspizi, si soffoca o si indebolisce 350 e si perde.
342-343 «Essendo poi molti e gravi i pericoli che corre la gioventù, che aspira allo stato ecclesiastico, questa società si darà massima cura di coltivare nella pietà quelli che mostrassero speciale attitudine allo studio, e fossero commendevoli per buoni costumi» — Cost. SDB, pp. 76-77. — «Scopo dei nostri collegi è di formare dei buoni cristiani, e degli onesti cittadini; non si tratta adunque di sforzare allo stato ecclesiastico chi non ha ad esso la vocazione, ma di coltivarla e svilupparla ne' giovanetti che ne dessero chiari segni» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 65.
I giornali, i libri cattivi, i compagni ed i discorsi non riservati in famiglia sono spesso cagione funesta della perdita delle vocazioni e non di rado sono sventuratamente il guasto I ed il traviamento di - p. 50 355 coloro stessi che hanno già fatto la scelta dello stato.
Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una buona vocazione: che questa vocazione o questo prete vada in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa non importa. È sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di 360 G.C.
Ma non si dia consiglio ad un giovanetto qualunque, se non è sicuro di conservare l'angelica virtù nel grado che è stabilito dalla p. 51 sana teologia. Si transiga sopra la mediocrità dell'ingegno, ma non mai sulla mancanza della virtù di cui parliamo.
Coltivate l'opera di M[aria] SS. A[usiliatrice] secondo il programma che già conoscete.
Per mancanza di mezzi non cessate mai di ricevere un giovane che dia buona speranza di vocazione.
370 Spendete tutto quello che avete, se fa mestieri andate a questuare, e se dopo ciò I voi vi trovate nel bisogno non affannatevi, ché la p. 52 S. Vergine in qualche modo, anche prodigiosamente, verrà in aiuto.
352-355 «Si consiglino attentamente agli allievi alla fuga dei cattivi compagni ed alla frequenza dei buoni; ad astenersi dalla lettura di libri non solo cattivi e pericolosi, ma anche dagli inutili o meno opportuni» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 66.
356-360 «La cosa poi che ho caldamente raccomandata a coloro, cui in questi giorni ho potuto scrivere, è la coltura delle vocazioni, tanto dei Salesiani, quanto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Studia, fa progetti, non badare a spese, purché ottenga qualche prete alla Chiesa, specialmente per le Missioni» — Lettera a don Luigi Lasagna, E IV 341. 365-372 «È da commendarsi in modo tutto particolare l'opera dei Figli di Maria per le vocazioni allo stato Ecclesiastico. Il Capitolo raccomanda che tutti i Soci cerchino di farla conoscere e di promuoverla, e se conoscono qualche giovane, il quale abbia i requisiti dal programma richiesti procurino d'indirizzarlo in quelle case dove si fanno gli appositi studii» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 70. — L'Opera di Maria Ausiliatrice si proponeva come scopo «di raccogliere giovani grandicelli [comunemente chiamati 'Figli di Maria'] che [avessero] decisa volontà di fare gli studi letterari mercé corsi appropriati, per abbracciare lo stato ecclesiastico» — Cfr. MB XI 529-535. Si veda pure Opera di Maria Ausiliatrice... 1877, OE XXIX 1-28.
Il lavoro, la buona e severa condotta dei nostri confratelli guadagnano e per così dire trascinano i loro allievi a seguirne gli esempi. 375
Si facciano sacrifizi pecuniari e personali, ma si pratichi il sistema preventivo ed avremo delle vocazioni in abbondanza.
p. 53 Se non si possono annientare almeno si procuri [di] diminuire i giorni delle vacanze quanto sarà possibile.
La pazienza e la dolcezza, le cristiane relazioni dei maestri cogli 380 allievi, guadagneranno molte vocazioni tra loro. Però anche qui si usi grande attenzione di non mai accettare tra' soci, tanto meno per lo stato eccl[esiastico], se non vi è la morale certezza che sia conservata l'angelica virtù.
374-375 «La vita esemplare, pia, esatta dei Salesiani, la carità tra di loro, le belle maniere e la dolcezza cogli alunni sono mezzi efficaci per coltivare le vocazioni allo stato Ecclesiastico, perché, verba movent, exempla trahunt» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 65.
376-381 «E prima di tutto io vedo necessario che vicendevolmente noi ci trattiamo con molta carità e dolcezza ed usiamo lo stesso trattamento con tutti i soci. Da questa carità e dolcezza tra noi i giovani resterebbero già molto ingag[g]iati al nostro genere di vita perché è della natura dell'uomo e specialmente del giovanetto l'amare e cercare d'abbracciare quel genere di vita che mena colui che gli piace e venera. Quando poi questa dolcezza nostra dopo di essersi dimostrata coi confratelli si riversi anche sopra gli allievi medesimi essi ne restano come elettrizzati e noi ne guadagneremmo molto sul loro affetto epperciò sulla loro vocazione [...] Dico adunque e ripeto la dolcezza, la carità tra noi e con loro sono i)mezzi più potenti per poterli educare bene e per coltivare le vocazioni» —ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
378-379 «Pel tempo delle vacanze, a norma degli avvisi che si sogliono distribuire stampati, si raccomandi la frequenza dei SS. Sacramenti e l'assistenza alle funzioni religiose, ed anche di tenere relazione epistolare coi proprii superiori. Si persuada la necessità d'una vita ritirata in tempo di vacanza e si cerchi modo di diminuire loro la dimora fuori di collegio, dando comodità di continuare le vacanze in alcuna delle nostre case, coi necessari sollievi» — Deliberazioni del 2° Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 66-67.
378-401 «Come fare adunque a coltivare il germe della vocazione che il Signore ha posto in petto a molti in questi tempi di generale corruzione? Si fece notare prima di tutto il bisogno di cominciare per tempo e poi non perderli più di vista; abbreviare le vacanze per quanto si può, e raccomandare molto che anche a casa vadano qualche volta ai S. Sacramenti e non frequentino cattive compagnie. Don Bosco soggiunse: "Il germe della vocazione il Signore lo mette nel cuore di molti e si vedono i giovanetti fin che sono buoni amare ed aspirare allo stato ecclesiastico, ma par proprio vedere il Signore a ritirarsi quando il giovane si lascia andare a peccati e specialmente quando si perde il tesoro della castità"» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
385 Quando poi il direttore di qualche nostra casa ravvisa un allievo di costumi semplici, I di carattere buono, procuri di renderselo amico. p. 54 Gli indirizzi sovente qualche parola, l'ascolti volentieri in confessione, si raccomandi alle preghiere di lui; l'assicuri che prega per lui nella santa Messa; lo inviti, per esempio, a fare la S. Comunione in 390 onore della B.V. o in suffragio delle anime del purgatorio, pei suoi parenti, pei suoi studi e simili.
In fine del ginnasio I lo persuada di scegliere quella vocazione, p. 55 quel luogo che egli giudica più vantaggioso per l'anima sua e che lo consolerà di più in punto di morte.
395 Confronti le cose di coscienza ed osservi se andavano meglio a casa, in tempo di vacanza, oppure in collegio etc.
Ma studi di impedire la vocazione eccl[esiastica] in coloro che volessero abbracciarla per aiutare la propria famiglia per motivo che fosse povera. In questi casi diasi consi[glio] I di abbracciare altro - p. 56 400 stato, altra professione, un'arte, un mestiere, ma non lo stato eccl[esiastico].
Per aspiranti noi qui intendiamo quei giovanetti che desiderano formarsi un tenore di vita cristiana che li renda degni a suo tempo di 405 abbracciare la congr[egazione] salesiana o come ch[i]erici o come confratelli coadiutori.
A costoro sia usata diligenza particolare. Ma siano soltanto tenuti in questo numero quelli che hanno intenzione di farsi salesiani o almeno I non ne siano contraria, quando tale sia la volontà di Dio. p. 57
410 Sia loro fatta una conferenza particolare almeno due volte al mese.
In tali conferenze si tratti di quanto un giovanetto debba praticare o fuggire per divenire buon cristiano. Il 'Giovane Provveduto' somministra i principali argomenti su tale materia.
415 Non si parli però loro delle nostre regole in particolare né dei voti, né dell'abbandonare casa o parenti; sono cose che entreranno in cuore senza che se ne faccia tema di ragionamento.
Si tenga fermo il gran principio: bisogna darsi a Dio o più presto p. 58 o più tardi, e Dio chiama beato colui che comincia [a] consacrarsi al Signore in gioventù. Beatus homo cum portaverit jugum ab adole- 420 scentia sua.
413-414 G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli esercizi di cristiana pietà... Torino 1847. Vivente don Bosco si giunse alla 120' edizione: OE II 183-532; XXXV 130-684. 418-424 «Se non lasciamo il mondo per amore, dovremo un dì lasciarlo per forza» — Regole o Costituzioni... 1875, OE XXVII 31. Si veda pure l'intero paragrafo «Seguire prontamente la vocazione» in Regole o Costituzioni... S. Benigno Canavese 1885, pp. 9-11. Cfr. I Gv. 2,16-17.
Il mondo poi, con tutte le sue lusinghe, parenti, amici, casa, o più presto o più tardi o per amore o per forza bisogna abbandonar tutto e lasciarlo per sempre.
Gli aspiranti provati e conosciuti come sopra si possono con facilità ricevere fra gli ascritti. Non così di coloro che [stessero] vivendo o facendo gli studi fuori delle nostre case. Per costoro siano fedelmente seguite le norme stabilite dalle nostre costituzioni per gli aspiranti. I 430
p. 59 Ascritti o novizi
Il tempo di vera prova o ascrizione o noviziato per noi è come un crivello per conoscere il buon frumento e ritenerlo se conviene. Al contrario si sarchii l'erba non buona e quindi colla volva e colla gramigna si getti fuori del nostro giardino. 435
Si noti bene che la nostra congregazione non è stata fondata per coloro che avessero condotta una vita mondana e che poi per convertirsi volessero venire fra noi. La nostra congreg[azione] non è fatta per essi. Noi abbiamo bisogno di soci sicuri e provati nella vita secolare. Vengano fessi non a perfezionare loro med[esi]mi ma ad 440 esercitare la cristiana perfezione e liberare dagli immensi e gravi pericoli in cui si trovano in generale i fanciulli poveri ed abbandonati; p. 60 per quei I fanciulli che furono già vittima infelice delle miserie umane o che hanno già fatto naufragio in fatto di religione e negli stessi costumi, costoro o non si facciano preti o siano inviati ad ordini clau- 445 strali o penitenti.
420-421 Lam. 3,27.
436-446 «Una cosa che nelle accettazioni deve sempre tenersi come base e deve dar norma a tutte le accettazioni si è che la nostra congregazione non è un riformatorio dei costumi: chi ha molte cattive abitudini e vizi e vuol convertirsi e farne penitenza può entrare in altro ordine religioso; ché ve ne sono tanti stabiliti per questo scopo ma non è da accettarsi tra noi. La nostra è istituita in modo speciale per dare aiuto ai prossimi [...1» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
Nell'anno di prova si osservi ben in pratica la sanità, la moralità, la scienza, e se ne dia conto esatto al Capitolo superiore. Ma il direttore di noviziato badi a non mai presentare per l'accettazione quei 450 novizi di cui coscienziosamente egli non fosse sicuro della moralità. I
Per l'accettazione si seguano le norme prescritte dalla santa Chiesa, dalle nostre costituzioni, dalle delib[erazioni] capitolari, sia per l'accettazione in noviziato sia per la definitiva accettazione alla 455 professione religiosa.
Si dica pro e contro di ciascun candidato, ma la votazione sia sempre segreta così che un membro del Capitolo non conosca il voto dell' altro.
Dimissioni
460 Nelle dimissioni noi dobbiamo imitare il giardiniere che sarchia e getta fuori del suo giardino le erbe e le piante nocive o semplicemente inutili.
Ma si badi bene che spesso la coscienza meticolosa fa temere - p. 62 della vocazione anche quando non v'è alcun motivo di temere. Perciò si 465 esamini bene il motivo o i motivi per cui si dimanda la dimissione. Né si conceda se non quando questa fosse reclamata da motivo grave: cioè quando la dimora del socio in congregazione tornasse di grave danno spirituale od anche temporale a lui stesso od alla congreg[azione] medesima.
470 In tali casi si osservi se basta una dimissione ad tempus o debba essere assoluta. Ma in ogni caso si usino tutti i riguardi al dimittendo p. 63 e si facciano anche sacrifizi affinché il socio parta con buona armonia e amico della congreg[azione]. Ma in via ordinaria non si tengano più con lui se non le relazioni che riguardano al buon cristiano. Né a lui si offra ospitalità se non in casi di vero e conosciuto bisogno 475 e momentan[eamen]te.
447-450 «Prima di accettare un ascritto si prendano informazioni sicure sulla sua condotta morale antecedente. Si potrà talvolta transigere sulla scienza e sull'interesse materiale, ma non mai intorno alle doti morali» — Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 420.
451-455 «All'accettazione di un aspirante si badi che questi sia in buono stato di salute e di buona costituzione fisica; e coloro che sono chiamati a dare notizie a quest'uopo, cerchino d'averle esatte, ed in generale non si dia voto d'accettazione a quei candidati che non possono uniformarsi alla vita comune, e compiere tutti gli Uffizi e i lavori che sono propri della nostra Congregazione. Gli ammalati coi voti triennali non sono a carico della Congregazione, se non durante il triennio, dopo il quale, se la sanità non comporta di continuare, si possono rinviare. Ma i professi perpetui, essendo membri effettivi della Congregazione, sono a totale carico della medesima, specialmente quelli che lavorarono molto, o in altro modo hanno fatto del bene alla nostra Società» — Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 410-411.
Uscendo da noi un socio si aiuti a trovare un impiego o almeno qualche posto dove egli possa guadagnare onesto sostentamento.
Si faccia ogni sforzo a fine di conservare la vita comune. I - 480 superioni comandino ed esigano quanto ciascuno può fare e non di più.
p. 64 Quando però un ascritto manca della sanità per adempiere idoveri che le nostre regole prescrivono non si può accettare alla professione religiosa, e se il suo male pare cronico, si restituisca alla famiglia paterna. 485
Quando poi si tratta di un professo si ritenga tra noi e gli siano usati i dovuti riguardi. Ma non si dimentichi mai che siamo poveri e niuno pretenda riguardi superiori alla condizione di una persona che sia consacrata a Dio col voto di povertà.
Siano per altro usati specialissimi riguardi a quelli che con le 490 loro fatiche e in altro modo abbiano recato notevole vantaggio alla congregazione. Anzi qualora possa loro giovare il cangiamento di clima, di vitto, o recarsi all'aria nativa, ciò si faccia, sempre però col p. 65 consiglio del medico.
Ma questi riguardi siano limitati al tempo di malattia e di conva- 495 lescenza, e si guardi bene che tali riguardi non diventino una seconda tavola. Ciò sarebbe la peste della vita comune. Quindi qualora un convalescente possa essere rimesso alla tavola dei confratelli, questo si faccia, ma ognora si usi riguardo speciale nelle occupazioni, né a lui si affidino lavori superiori alle sue forze. 500
479-481 «Massima sollecitudine nel promuovere con le parole e co' fatti la vita comune» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 158. — «Non mai comandare cose che giudichi superiori alle forze dei subalterni, oppure prevedi di non essere ubbidito» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 159. — «Abbiatevi cura della sanità. Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano» — Ricordi ai missionari, RSS 3 (1984), p. 207. — «La vita comune è il legame che sostiene le istituzioni religiose, le conserva nel fervore o nell'osservanza delle loro Costituzioni. Pertanto noi dobbiamo darci premura di introdurla perfettamente, conservarla e farla osservare tra di noi con molta esattezza [...]» — Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 401.
In questo importante affare si pratichi somma carità, prudenza ed energia, ma in ogni cosa sempre la dovuta discrezione, carità e dolcezza.
505 Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto poteva per sostenere, difendere e propagare principii cattolici.
Tuttavia se in essi fosse trovata qualche frase, qualche parola che contenesse anche solo un dubbio o non fosse abbastanza spiegata la verità, io intendo di rivocare, rettificare ogni pensiero, o sentimento non 510 esatto.
In generale poi io sottometto ogni detto, scritto, o stampa a qualsiasi decisione, correzione, o semplice consiglio della I santa madre p. 67 Chiesa cattolica.
In quanto alle stampe e ristampe io mi raccomando di più cose:
515 1° Alcune mie operette furono pubblicate senza la mia assistenza ed altre contro mia volontà, perciò raccomando al mio successore che faccia o faccia fare un catalogo di tutte le mie operette, ma dell'ultima edizione di ciascuna, e qualora sia mestieri una ristampa.
2° Ove si scorgesse errore di ortografia, di cronologia, di lingua, o 520 di senso si corregga pel bene della scienza e della religione.
3° Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande attenzione nel senso e nella dottrina, perché la maggior p. 68 parte furono scritte precipitosamente e quindi con pericolo di molte inesattezze.
525 Le lettere francesi poi si possono bruciare; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che sianò lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua francese, affinché le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla o il disprezzo sulla religione in favore di cui furono scritte.
504-533 «Se mai ne' miei scritti o stampati si trovasse qualche cosa che fosse o potesse essere interpretata minimamente contraria alla santa Chiesa cattolica, apostolica, romana, intendo di ritrattarla, perché protesto di voler vivere e morire in questa chiesa che sola conserva la religione di Gesù Cristo, unica vera, unica santa fuori di cui niuno può salvarsi. In caso che si venisse alla ristampa di qualcheduno dei mentovati libretti, dopo la mia morte, mi raccomando che ciò si faccia servendosi dell'ultima edizione. Voglia il Signore Iddio gradire li miei deboli sforzi nel pubblicare questi scritti in riparazione dello scandalo dato in vita; e l'infinita sua misericordia mi perdoni li miei peccati, e mi conceda di vivere e morire in grazia sua benedicendo que' giovani che la divina provvidenza mi ha in qualche maniera affidato» — Testamento del sac. Bosco Gioanni, Torino 26 luglio 1856, ASC 132 Testamento. Edito in MB X 1332-1333.
p. 69 Chi poi possedesse notizie o fatti ritenuti a memoria o raccolti 530 colla stenografia, siano attentamente esaminati e corretti in modo che nulla sia pubblicato che non sia esattamente conforme ai principi di nostra santa religione cattolica.
p. 117 A mad.me Prat de Marseille
Je vous remercie de votre charité. Dieu vous récompense largement. Nos 535 p. 118 soeurs et nos élèves de l'oeuvre apostolique sont vos enfants qui pri leront pour vous. Aidez-les.
O Marie, veuillez guider cette bienfaitrice dans le chemin du paradis.
Priez pour mon âme
humble serviteur 540
Turin abbé J. Bosco
M.r et Madame le c.te et la c.tesse Colle de Toulon
Je vous attends où le bon Dieu nous a préparé le grand prix, le bonheur éternel
avec notre cher Louis. I 545
p. 119 La divine miséricorde nous l'accordera. Soyez à jamais le soutien de la congrégation salésienne et l'afide de nos missions. Dieu vous bénisse affectionné comme fils
Turin abbé J. Bosco 550
Mad.11e Rose du Gas - Marseille
Que la S[ain]te Vierge vous protège à jamais.
Je vous confie nos soeurs et nos pauvres orphelins. Priez pour l' 'àme de
votre obligé serviteur 555
Turin abbé J. Bosco
p. 120 A M.me Jacques notre mère en J.C.
Dieu m'appelle à l'éternité. J'espère que la miséricorde du bon Dieu vous conservera une piace pour vous dans le paradis. Mais continuez votre large protection 560 à nos soeurs et à nos orphelins.
534 Madame Prat: vedi linea 136.
542-543 Monsieur et madame le corate et la comtesse Colle: vedi linee 130-131.
551 Mademoiselle Rose du Gas (altre volte per don Bosco du Gaz o Dugaz): vedi E IV 121, 188.
557 Madame Jacques: vedi linea 136.
Que Marie vous protège et veuillez à jamais prier pour la pauvre àme du pauvre abbé
Turin Jean Bosco I
Sig.a march. Maria Fassati p. 121
565 Vi ringrazio, sig[a] marchesa, della carità che mi faceste nel corso della mia vita mortale. Se Dio mi riceverà nella sua misericordia, pregherò tanto per voi.
La vostra protezione pei nostri orfanelli sarà un mezzo efficacissimo per assicurarvi il paradiso.
Vogliate pregare per questo antico ma sempre affez[ionatissi]mo amico di casa 570 Fassati
Torino povero sac. Gio. Bosco I
Sig. [ra] baronessa Azeglia Ricci p. 122
Signora Azeglia, continuate a proteggere la nostra opera apostolica, ed avrete tante anime salvate dai nostri missionari che vi porteranno al cielo.
575 0 Maria, guidate questa vostra figlia e il sig. suo marito B. Carlo a godere ambidue un giorno il vero premio della loro perseveranza nel bene in paradiso.
Pregate per la po ivera anima mia p. 123
obb.mo servitore
Torino sac. Gio. Bosco
580 Sig. barone Feliciano Ricci
O sig. barone, voi dovete assolutamente salvarvi l'anima; ma voi dovete dare ai poveri tutto il vostro superfluo, quanto vi ha dato il Signore. Prego Dio che vi conceda questa grazia straordinaria.
Spero che ci vedremo nella beata eternità.
585 Pregate per la salvezza dell'anima mia. p. 124
obbl.mo in G.C.
Torino sac. Gio. Bosco
564 Marchesa Maria Fassati: vedi linea 122.
572 Baronessa Azelia Ricci: figlia del marchese Domenico Fassati e della contessa Maria De Maistre-Fassati [vedi linea 119] nacque nel 1846 e morì a Torino il 7 settembre 1921: BS 45 (1921) n. 10, ott., p. 279. Il marito, Carlo Ricci des Ferres, nacque nel 1847 e morì nel 1925: BS 49 (1925) n. 3, marzo, p. 83.
580 Barone Feliciano Ippolito Ricci, padre di Carlo, nacque nel 1816 e morì 1'11 novembre 1893: BS a. XVII, n. 12 dicembre 1893, p. 245.
M.le Clara Louvet,
Je dois partir avant vous, mais je ne manquerai jamais de prier pour votre
bienheureuse éternité. 590
Continuez à soutenir nos orphelins, et nos orphelins vous feront couronne quand les anges vous porteront un jour à jouir la gloire du paradis.
p. 125 0 Marie, protégez à jamais votre fille.
Veuillez prier pour le repos éternel de ma pauvre âme toujours obligé serviteur 595
Turin abbé J. Bosco
Caro c.te Eugenio De Maistre,
Vi ringrazio della carità con cui avete aiutato le opere nostre. Continuateci la vostra protezione.
p. 126 Faccia Iddio che voi, tutta la vostra I famiglia sia un giorno tutta con voi, e col 600 povero vostro amico, che vi scrive le ultime sue parole, a godere la gloria del paradiso. Così sia.
Vogliate pregare anche pel riposo dell'anima mia
affez.mo amico e servitore
Torino sac. Gio. Bosco 605
P.S. O Maria, guidate il vostro figlio Eugenio per la via del cielo.
p. 127 Sig.a C.ssa Carlotta Callori,
O Maria, proteggete questa vostra figlia, ottenete dal divin figlio Gesù larga ricompensa della carità fatta in sostegno della congregazione salesiana. Maria vi conduca seco al paradiso con tutta la vostra famiglia. 610
Continuate ad essere il sostegno delle opere nostre, pregate per la povera anima mia.
A rivederci nella vita eterna.
obbl.mo in G.C.
Torino sac. Gio. Bosco 615
p. 128 M.me Broquier - Marseille
Que Dieu récompense largement votre charité et la bonté de votre mari; continuez à aider nos oeuvres; priez pour ma pauvre âme.
Je prierai aussi pour vous, et je vous attends dans la bienheureuse éternité,
corame je l'espère de la miséricorde infinie du bon Dieu. Ainsi soit-il 620
obligé serviteur
Turin abbé J. Bosco
588 Mademoiselle Clara Louvet: vedi linea 144.
597 Conte Eugenio de Maistre: vedi linea 119.
607 Contessa Carlotta Callori: vedi linea 122.
616 Madame Broquier: vedi linea 136.
C.ssa Gabriella Corsi p. 71
Dio vi benedica, o nostra buona mamma in G.C. e con voi benedica tutta la vo625 stra famiglia e vi aiuti a condurla costantemente per la via del cielo e trovarla un giorno tutta con voi raccolta in paradiso.
Sia questa la ricompensa della carità usata a me e a tutti i vostri salesiani. Pregate per me che vi attendo alla vita eterna.
obbl.mo come figlio
630 Torino Sac. Gio. Bosco
Requiescat in pace. Volò alla vita eterna 1887.
Il direttore di una casa co' suoi confratelli p. 73
Il direttore deve essere modello di pazienza, di carità co' suoi confratelli che da lui dipendono e perciò[:]
635 1° Assisterli, aiutarli, instruirli sul modo di adempire i proprii doveri, ma non mai con parole aspre od offensive.
2° Faccia vedere che ha con loro grande confidenza; tratti con benevolenza degli affari che li riguardano. Non faccia mai rimproveri, né dia mai severi avvisi in presenza I altrui. Ma procuri di ciò far 640 sempre in camera caritatis, ossia dolcemente, strettamente in privato.
3° Qualora poi i motivi di tali avvisi o rimproveri fossero pubblici, sarà pure necessario di avvisare pubblicamente, ma tanto in chiesa, quanto nelle conferenze speciali non si facciano mai allusioni personali.
623 Contessa Gabriella Corsi: vedi linea 123.
632-645 «La carità e la cortesia siano le note caratteristiche di un Direttore tanto verso gli interni quanto verso gli esterni. [...] Nel comandare si usino sempre modi e parole di carità e di mansuetudine. Le minaccie, le ire, tanto meno le violenze, siano sempre lungi dalle tue parole e dalle tue azioni» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), pp. 156-159. «Carità, pazienza, dolcezza, non mai rimproveri umilianti, non mai castighi, fare del bene a chi si può, del male a nissuno. Ciò valga per i Salesiani tra loro, fra gli allievi, ed altri, esterni od interni» — Lett. a mons. Giovanni Cagliero, E IV 328. — «Il sistema preventivo sia proprio di noi; non mai castighi penali, non mai parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la parola dolcezza, carità e pazienza [...]. La dolcezza nel parlare, nell'operare, nell'avvisare guadagna tutto e tutti» — Lett. a don Giacomo Costamagna, E IV 332- 333. — «Colla tua esemplare maniera di vivere, colla carità nel parlare, nel comandare, nel sopportare i difetti altrui, si guadagneranno molti alla congregazione(...). Sii sempre l'amico, il padre, dei nostri Confratelli, aiutali in tutto quello che puoi nelle cose spirituali e temporali» — Lett. a don Domenico Tomatis, E IV 337.
638-640 «Vi sono di quelli che desiderino di castigare ecc, ecc. Il direttore avvisi, ma giammai in pubblico, mai in faccia ai giovani. A tu per tu è facilissimo ottenere che si pieghino alla volontà del Sup[eriore] e al sistema preventivo» — ASC Verbale del terzo Capitolo generale... 1883.
Gli avvisi, i rimproveri, le allusioni fatte palesemente p. 75 offendono e I non ottengono l'emendazione. 645
4° Non dimentichi mai il rendiconto mensile per quanto è possibile; ed in quell'occasione ogni direttore diventi l'amico, il fratello, il padre de' suoi dipendenti. Dia a tutti tempo e libertà di fare i loro riflessi, esprimere i loro bisogni e le loro intenzioni.
Egli poi dal canto suo apra a tutti il suo cuore senza mai far co- 650 noscere rancore alcuno; neppure ricordare le mancanze passate se
p. 76 non per darne paterni avvisi, o richiamare caritatevolmente al dovere chi ne fosse negligente.
5° Faccia in modo di non mai trattare di cose relative alla confessione a meno che il confratello ne faccia dimanda. In tali casi non 655 prenda mai risoluzioni da tradursi in foro esterno senza essere ben inteso col socio di cui si tratta.
6° Per lo più il direttore è il confessore ordinario dei confratelli.
646-653 «Si raccomanda caldamente ai Direttori che non trascurino mai di ricevere simili rendiconti. Ogni confratello poi sappia che, se li farà bene, con tutta schiettezza ed umiltà, ne troverà un gran sollievo pel suo cuore, e un aiuto potente per progredire nella virtù» — Regole o Costituzioni... S. Benigno Canavese 1885. Introduzione, p. 39. «Ognuno abbia somma confidenza nel suo superiore; sarà perciò di grande giovamento ai soci il rendere di tratto in tratto conto della vita esteriore ai primari superiori della Congregazione. Ciascheduno loro manifesti con semplicità e prontezza le mancanze esteriori contro le regole, ed anche il suo profitto nelle virtù, affinché possa riceverne consigli e conforti, e, se farà d'uopo, anche le convenienti ammonizioni» — Cost. SDB, pp. 96-97. — «Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici, quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola per amor di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale» — Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), pp. 54-55. — «Va' non come Superiore, ma come amico, fratello e padre» — Lett. a don Perrot, E III 360. — «Riguardiamo i nostri Superiori come fratelli, anzi come padri amorosi, che nulla altro desiderano che la gloria di Dio, la salvezza delle anime, il nostro bene ed il buon andamento della nostra Società» — Circolare del 21 novembre 1886, in Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua. Torino, tip. Salesiana 1896, p. 41. 654-657 «Tenetelo a mente: se noi vogliamo che l'istituzione salesiana si mantenga quale fu concepita bisogna sapere che quasi tutto dipende dal rendiconto mensile fatto e fatto fare nel modo conveniente (...). L'unico scoglio sarebbe l'entrare in cose prettamente di coscienza: non si entri in quanto ciò che è di coscienza dev'essere affatto segreto e noi non abbiamo a saperlo salvoché essi medesimi spontaneamente ne vogliono parlare» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
658-662 «Nelle nostre Case il Direttore è il Confessore Ordinario, perciò fa vedere che ascolti volentieri ognuno in Confessione, ma da' loro ampia libertà di confessarsi da altri se lo desiderano» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 156. — «Pel buon andamento della Congregazione, per conservare l'unità di spirito e seguire l'esempio degli altri Istituti religiosi è fissato un confessore stabile per quelli che appartengono alla Società. Il Rettor Maggiore è confessore ordinario in qualsiasi casa della Congregazione esso si trovi. In ciascuna casa confessore ordinario è il Direttore, ma in casi particolari ciascuno è libero di confessarsi anche ad altro sacerdote» — Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 402.
Ma con prudenza procuri di dare ampia I libertà a chi avesse bisogno p. 77 660 di confessarsi da un altro. Resta però inteso che tali confessori particolari devono essere conosciuti ed approvati dal superiore secondo le nostre regole.
7° Siccome poi chi va in cerca di confessori eccezionali dimostra poca confidenza col direttore, così esso, il direttore, deve aprire gli
665 occhi e portare l'attenzione particolare sopra l'osservanza delle altre regole e non affidare a quel I confratello certe incombenze che sem- p. 79 tirassero superiori alle forze morali o fisiche di lui.
N.B. Quanto dico qui è affatto estraneo ai confessori straordinari che il superiore, direttore, ispettore, avranno cura di fissare a 670 tempo opportuno.
8° In generale poi il direttore di una casa tratti sovente e con molta famigliarità coi confratelli, insistendo sulla necessità della uni- p. 80 forme osservanza delle costituzioni, e per quanto è possibile ricordi anche le parole testuali delle medesime.
675 9° Nei casi di malattia osservi quanto le regole prescrivono, e quanto stabiliscono le deliberazioni capitolari.
10° Sia facile a dimenticare i dispiaceri e le offese personali e colla benevolenza e coi riguardi studii di vincere o meglio di correggere i negligenti, i dif[f]identi ed i sospettosi. Vince in bono malum.
680 Ai confratelli dimoranti in una medesima casa
1° Tutti i confratelli salesiani che dimorano in una medesima casa devono formare un cuor solo ed un'anima sola col direttore loro.
679 Rom. 12,21.
681-682 At. 4,32. «Tutti i soci vivono in comune stretti solamente dal vincolo della carità fraterna e dei voti semplici, che li unisce in guisa da formare un cuor solo ed un' anima sola per amare e servire Iddio» — Cost. SDB, pp. 82-83. — «Don Bosco raccomandò le conferenze che secondo lo stabilito nel precedente capitolo generale si hanno a fare ai soci ogni quindici giorni. Queste conferenze sono come un secondo tratto di unione perché confratelli e direttore possano essere un corpo solo ed un'anima sola» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
2° Ritengano però ben a memoria che la peste peggiore da p. 81 fuggirsi è la mormorazione. Si facciano tutti i sacrifizi possibili, ma non 685 siano mai tollerate le critiche intorno ai superiori.
3° Non biasimare gli ordini dati in famiglia, né disapprovare le cose udite nelle prediche, nelle conferenze o scritte o stampate ne' libri di qualche confratello.
p. 82 4° Ognuno sof[f]ra per la I maggior gloria di Dio ed in penitenza 690 de' suoi peccati, ma pel bene dell'anima sua fugga le critiche nelle cose di amministrazione, nel vestito, nel vitto ed abitazione, ecc.
5° Ricordatevi, o figlioli miei, che l'unione tra direttore e sudditi, e l'accordo tra i medesimi, forma nelle nostre case un vero paradiso terrestre. 695
p. 83 6° Non vi raccomando penitenze o mortificazioni particolari, voi vi farete gran merito e formerete la gloria della congregazione, se saprete sopportare vicendevolmente le pene ed i dispiaceri della vita con cristiana rassegnazione.
684-692 «Niuno si faccia mai a biasimare le disposizioni dei Superiori, a criticare le loro azioni, le loro parole, i loro scritti e simili» — Deliberazioni del Capitolo Generale... 1877, OE XXIX 417. — «La cosa che molto nuoce nelle Comunità religiose è la mormorazione direttamente contraria alla carità. Il sussurrone imbratterà l' anima sua e sarà odiato da Dio e dagli uomini [...] Procurate voi pertanto di schivare ogni parola che sa di mormorazione, specialrhente verso i vostri compagni e più ancora verso i vostri Superiori» — Regole o Costituzioni... S. Benigno Canavese 1885. Introduzione, p. 31. — «Non si facciano mai mormorazioni contro alle disposizioni dei Superiori, ma siano tollerate le cose che non siano di nostro gusto, o siano penibili o spiacenti. Ogni salesiano si faccia amico di tutti, non cerchi mai di far vendetta; sia facile a perdonare, ma non richiamar le cose già una volta perdonate. Non siano mai biasimati gli ordini dei Superiori, ed ognuno studi di dare e promuovere il buon esempio» — Lett. a don Giacomo Costamagna, E IV 332-333. — «Guardiamoci poi, o miei cari figliuoli, dal cadere nel grave difetto della mormorazione che tanto è contraria alla carità, odiosa a Dio e dannosa alla Comunità. Fuggiamo la mormorazione riguardo a qualsiasi persona, fuggiamola specialmente riguardo ai nostri Confratelli, soprattutto se Superiori» — Circolare del 21 novembre 1886, in Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua. Torino, tip. Salesiana 1896, p. 42. 693-695 «Quando in una Comunità regna questo amor fraterno, e tutti i soci si amano vicendevolmente, ed ognun gode del bene dell'altro, come se fosse un bene proprio, allora quella casa diventa un Paradiso» — Regole o Costituzioni... S. Benigno Canavese 1885. Introduzione, pp. 30-31.
696-699 «Evita le austerità nel cibo. Le tue mortificazioni siano nella diligenza a' tuoi doveri e nel sopportare le molestie altrui» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 150. Cfr. Gal. 6,2.
700 7° Date buoni consigli tutte le volte che vi si presenta qualche occasione, specialmente quando si tratta di consolare un afflitto o venirgli in aiuto a I superare qualche difficoltà, o fare qualche servi- p. 84 zio sia in tempo che uno gode salute, o che uno si trovi in casi di malattia.
705 8° Venendo a notizia che nella casa sia imputata cosa o fatto biasimevole, specialmente fossero cose che potessero anche solo interpretarsi contro la santa legge di Dio, se ne dia rispettosamente comunicazione I al superiore. Esso saprà usare la dovuta prudenza a p. 85 fine di promuovere il bene e di impedire il male.
710 9° Riguardo agli allievi ciascuno si tenga ai regolamenti della casa ed alle deliberazioni prese per conservare la disciplina e la moralità tra gli studenti e gli artigiani.
10° Ciascuno poi in luogo di fare osservazioni su I quello che p. 86 fanno gli altri, si adoperi con ogni possibile sollecitudine per adempire 715 gli uffizi che a lui furono affidati.
Ricordo fondamentale ossia obbligazione per tutti quelli p. 87 che lavorano in congregazione
A tutti è strettamente comandato e raccoman i dato in faccia [a] Dio ed in faccia agli uomini di aver cura della moralità tra salesiani e 720 tra coloro che in qualunque modo e sotto a qualunque titolo ci fossero dalla divina provvidenza affidati.
705-709 «Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio» — Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), p. 57.
713-715 «Niuno trascuri la parte sua. I Salesiani considerati insieme formano un solo corpo, ossia la Congregazione. Se tutti i membri di• questo corpo compiono il loro Uffizio, tutto procederà con ordine e con soddisfazione; altrimenti succederanno disordini, slogature, rotture, sfasciamento e infine la rovina del corpo medesimo. Ciascuno pertanto compia l'ufficio che gli è affidato» — Regole o Cost... 1875. Introduzione, OE XXVIII 44. Cfr. Mt. 7,3-5. 718-721 «Chi non ha fondata speranza di poter conservare, col divino aiuto, questa virtù nelle parole, nelle opere, nei pensieri, non si faccia ascrivere a questa Congregazione, perché ad ogni passo egli sarebbe esposto a grandi pericoli» — Cost. SDB, pp. 108-109. Si veda pure l'intera lettera circolare ai salesiani del 5 febbraio 1874, E Il
In tempo di esercizi spirituali il direttore della casa e tutti gli altri ordinari superiori sono consigliati a cessare dall'ascoltare le confessioni dei loro dipendenti, e per quanto possono si servano di - 725 confessori e predicatori straordinari. Se essi non bastano si chiamino in aiuto altri confessori ben conosciuti. Se poi in certi casi fosse in ciò necessaria qualche eccezione il superiore saprà giudicarlo. I
p. 89 Quando un confratello va in urto colle autorità ecclesiastiche di una città, luogo o diocesi il suo superiore usi la dovuta prudenza e gli 730 destini un altro impiego.
Similmente qualora qualche confratello incontrasse rivalità od opposizione coi confratelli suoi, è bene che sia cangiato di famiglia o di occupazione.
Ma sia sempre amichevolmente avvisato dei difetti suoi e si diano 735 le norme con cui regolarsi meglio in avvenire per evitare gli screzi.
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a quistioni.
Colle autorità civili od ecclesiastiche si sof[f]ra quanto si può 740
onestamente, ma non si venga a questioni davanti ai tribunali laici.
Siccome poi malgrado i sacrifizi ed ogni buon volere talvolta devonsi sostenere quistioni e liti così io consiglio e raccomando che si p. 91 rimetta la veri tenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere. 745
In questo modo' è salvata la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace del cuore e la carità cristiana.
p. 92 Pel bene di ogni socio e della intera nostra congregazione niuno si mischi per danaro, per impieghi o per raccomandazioni che abbia- 750 no relazione coi parenti e cogli amici.
Presentandosi gravi motivi per cui debbasi in simili affari occupare, ne parli col suo superiore e si tenga strettamente al parere di lui.
347-349, e le linee 84-85, 352-355, 361-364, di questo stesso documento.
740-748 «In caso di questioni sopra cose materiali accondiscendi in tutto quello che puoi, anche con qualche danno purché si tenga lontano ogni appiglio di liti, od altro che possa far perdere la carità» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 156. Cfr. Mt. 5,25; I Cor. 6,1-8.
749-751 «Niuno in Congregazione faccia contratti, riceva danaro, faccia mutui o imprestiti ai parenti, agli amici o ad altri. Né alcuno conservi danaro od amministrazione di cose temporali senza esserne direttamente autorizzato dal Superiore. L'osservanza di questo articolo terrà lontano la peste più fatale alle Congregazioni religiose» — Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 158.
755 Si osservi inalterabilmente la massima di non mai firmare - p. 93 cambiali, né mai rendersi mallevadore pei pagamenti altrui. L'esperienza fece conoscere che ne abbiamo sempre danno e dispiaceri.
Se si può si faccia qualche servizio, si dia anche qualche sussidio, ma nei limiti consigliati e permessi dal superiore rispettivo.
760 Rue Boetie - Paris p. 95
M.me la V.sse de Cessac.
Vous avez protégé nos orphelins et la S[ain]te Vierge vous fera bien riche dans l' éternité. Là vous verrez vos parents, vos amis; là vous parlerez de Dieu avec eux à jamais.
765 Continuez votre charité pour nous maisons; priez pour ma pauvre âme
obligé serviteur
Turin. A Paris abbé J. Bosco
[P.S.] 1886. Requiescat in pace
Voi, o signora baronessa Scoppa che abitate S. Andrea del Ionio Napolitano, p. 96 770 continuate la vostra carità ai nostri missionari[,] ai nostri orfanelli e Maria guiderà le opere vostre, e sarete molto consolata negli ultimi momenti di vostra vita. Sia che viviate su questa terra, sia che Dio vi abbia già ricevuta fra i beati in cielo, noi pregheremo ogni giorno per voi, pei vostri parenti ed amici.
775 Per le figlie o suore di Maria Ausiliatrice i salesiani devono fedelmente osservare quello che è stato stabilito nelle deliberazioni capitolari.
Non si deve badare né a lavori, né a spese, né a disturbi di sorta a fine di regolare le nostre relazioni come la Chiesa e le medesime 780 costituzioni hanno stabilito.
Nel trattare affari materiali i religiosi e le religiose non siano mai soli, I ma procurino di essere sempre assistiti, o che almeno siano da p. 98 altri veduti. Numquam solus cum sola loquatur.
761 Madame la Vicecontesse de Cessac: vedi linea 143.
769 La baronessa Maria Enrichetta Scoppa di Badolato nacque a S. Andrea sull'Ionio il 4 novembre 1831. Il BS la definiva «vero apostolo» per la Calabria, in quanto fondatrice e sostenitrice di vari istituti maschili e femminili. Morì nel ventesimosecondo anniversario della morte di don Bosco, il 31 gennaio 1910: BS 34 (1910) n. 4, aprile, p. 126.
775-777 Si veda l'intero capitolo «Direzione generale delle suore», in Deliberazioni del secondo Capitolo Generale... 1880, OE XXXIII 34-35.
Nel ricevere nell'Istituto di Maria si stia attenti a non ricevere chi non ha buona sanità e fondata speranza di vera ubbidienza. 785
Si ritenga che le virtù non acquistate nel tempo del noviziato per lo più non si acquistano più.
Niuna suora dopo la professione religiosa conservi fondi stabili o per sè o per la comunità religiosa, cui appartiene. Si farà eccezione nei p. 99 possedimenti necessari per fondare case di educazione o giardini per 790 conservare la sanità.
Né per burla, né per ischerzo, né per altre ragioni o pretesti si dicano parole che servono a m[u]overe il riso o procacciare stima o benevolenza nelle persone di altro sesso. Si leggano e si facciano ben capire queste parole e se ne facciano spiegazioni ripetutamente. 795
p. 100 La superiora generale, le direttrici delle case non permettano alcuna famigliarità con persone secolari di qualunque genere. Essendovene vera necessità, intervenga un'assistente e si osservino le prescrizioni delle rispettive regole.
La stessa superiora non ritenga presso di sè alcuna somma di - 800 p. 101 danaro se non per affari determinati e solamente pel tempo I necessario per le cose a trattarsi.
Quanto dicesi della superiora generale si deve dire di tutte le direttrici delle altre case.
In questa ed in simili cose ciascuna si rimetta senza opposizioni ai sos consigli ed agli ordini del superiore maggiore.
Non mai si facciano costruzioni o riparazioni senza essere ben intese col medesimo.,
p. 102 1° Nel trattare affari di qualche rilievo nel Capitolo superiore o nel Capitolo generale, tanto i salesiani quanto le suore, si procuri di pro- 810 porre preventiv[amente] o con uno scritto o verbalmente le cose che si vogliono trattare.
2° Si conceda a tutti ampia libertà di parlare sugli argomenti pro e contro come a ciascuno pare meglio davanti a Dio, ma nelle deliberazioni si faccia uso dei voti segreti. I 815
p. 103 3° Si mettano segretamente in un taschetto o recipiente qualunque, noci o noc[c]ioli o fave etc. di colore diverso e ciascuno cavi un frutto. Il nero è negativo, il bianco è affermativo.
4° Ma stabilita la maggioranza in qualche deliberazione, non si 820 cangi più se non con altra deliberazione in cui vi prenda parte tutto il Capitolo.
786-787 «Ciò che non ha fatto nell'anno di prova, difficilmente lo farà dopo e, quando anche lo facesse, sarebbe uno sforzo momentaneo, sopra di cui non si può calcolare...» — MB XIII 250.
5° Si abbia gran cura di dare puntualmente esecuzione alle cose deliberate; I e si vegli da tutti attentamente che le deliberazioni non p. 104 siano mai in contraddizione, le une alle altre.
825 È un errore grande e fatica sprecata quando non si dà esecuzione alle cose proposte in Capitolo ed ap[p]rovate, e poi messe in oblio.
Si procuri da tutti di evitare le novità delle proposte nelle conferenze o nei Capitoli; e si faccia in modo che [si] ammettano regolarmente le cose già anteriormente approvate o dalla tradizione, dalle re-830 gole, o Capitoli generali o particolari.
Qualora in un paese od in qualche città vi si presenti una difficoltà da parte di qualche autorità spirituale o temporale, procurate di fare in modo [da] potervi presentare per dare ragione di quanto 835 avete operato.
La spiegazione personale delle vostre intenzioni buone diminuisce assai e spesso fa scomparire le sinistre I idee che nella mente di taluni p. 108 possono formarsi.
Se sono cose colpevoli anche in faccia alle leggi, se ne dimandi 840 scusa, o almeno se ne dia rispettosa spiegazione, ma se è possibile, sempre in udienza personale.
Questo modo di fare è assai conciliante e ben sovente rende benevoli gli stessi avversarii.
Ciò non è altro che quanto raccomanda Iddio: responsio I mollis p. 109 845 frangit iram. Oppure la massima di S. Paolo: charitas Dei benigna est, patiens est, etc.
La medesima regola seguano i direttori di case coi loro inferiori. Parlatevi, spiegatevi, e facilmente vi intenderete senza venire a rompere la carità cristiana contro gli interessi della stessa nostra 850 congregazione.
Se poi volete ottenere molto dai nostri allievi, non mostratevi mai p. 110 offesi contro ad alcuno. Tollerate i loro difetti, correggeteli, ma dimenticateli. Mostratevi sempre loro affezionati, e fate loro conoscere che tutti i vostri sforzi sono diretti a fare del bene alle anime 855 loro.
844-846 Pv. 15,1; 1 Cor. 13,4.
Amate la povertà se volete conservare in buono stato le finanze della congregazione.
Procurate che niuno abbia a dire: questo suppellettile non dà se gno di povertà, questa mensa, questo abito, questa camera non è da 860 povero. Chi porge motivi ragionevoli di fare tali discorsi, egli cagiona un disastro alla nostra congregazione, che deve sempre gloriarsi del voto di povertà.
p.112 Guai a noi se coloro da cui atten I diamo carità potranno dire che teniamo vita più agiata della vita loro. 865
Ciò s'intende sempre da praticarsi rigorosamente quando ci troviamo nello stato normale di sanità, perciocché ne' casi di malattia devono usarsi tutti i riguardi che le nostre regole permettono.
Ricordatevi che sarà per voi sempre una bella giornata quando 870 vi riesce vincere coi benefizi un nemico o farvi un amico.
857-865 «Ricordiamoci, o miei cari figliuoli, che da questa osservanza dipende in massima parte il benessere della nostra Pia Società e il vantaggio dell'anima nostra. La Divina Provvidenza, è vero, ci ha finora aiutato e diciamolo pure in modo straordinario in tutti i nostri bisogni. Questo aiuto siamo certi vorrà continuare anche in avvenire per l'intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, che ci ha sempre fatto da Madre. Ma questo non toglie che noi dobbiamo usare dal canto nostro tutta quanta la diligenza sì nel diminuire le spese, ovunque si possa, come nel far risparmio nelle provviste, ne' viaggi, nelle costruzioni ed in generale in tutto quello che non è necessario» — Circolare del 21 novembre 1886, in Lettere circolari di D. Bosco e di D. Rua. Torino, tip. Salesiana 1896, pp. 42-43. — «Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitaziioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini» — Ricordi ai missionari, RSS 3 (1984), p. 207.
866-868 «Si faccia economia in tutto, ma assolutamente in modo che agli ammalati nulla manchi. Si faccia per altro a tutti notare che abbiamo fatto voto di povertà, perciò non dobbiamo cercare, nemmeno desiderare agiatezza in cosa alcuna. Dobbiamo amare la povertà ed i compagni della povertà. Quindi evitare ogni spesa non assolutamente necessaria negli abiti, nei libri, nel mobiglio, nei viaggi, ecc.» Ricordi confidenziali, RSS 3 (1984), p. 159.
869-876 «Nel parlare e nel trattare usate dolcezza non solo co' Superiori, ma con tutti, e massimamente con coloro che per lo passato vi hanno offeso, o che al presente vi mirano di mal occhio. La carità sopporta tutto; ond'è che non avrà mai vera carità chi non vuole tollerare i difetti altrui [...]. Quando poi accadesse che il fratello che vi ha offeso venisse a cercarvi perdono, badate bene dal riceverlo con cera brusca o di rispondere con parole mozze: ma dimostrategli anzi belle maniere, affetto e benevolenza. Se avvenisse all'incontro che voi aveste offeso altri, subito cercate di placarlo e di togliere dal suo cuore ogni rancore verso di voi. E, secondo l'avviso di S. Paolo: non tramonti il sole senza che di buon cuore voi abbiate perdonato qualunque risentimento, e vi siate riconciliati col fratello» — Regole o Costituzioni... S. Benigno Canavese 1885. Introduzione, p. 33.
Non mai tramonti il sole sopra la vostra iracondia, né mai ri- p. 113 chiamate alla memoria le offese perdonate, non mai ricordare il danno, il torto dimenticato. Diciamo sempre di cuore: Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Ma con una 875 dimenticanza assoluta e definitiva di tutto ciò che in passato ci abbia cagionato qualche oltraggio.
Amiamo tutti con amore fraterno.
Queste cose siano esemplarmente osservate da quelli che - p. 114 esercitano sopra gli altri qualche autorità.
O giovani cari, voi che siete sempre stati la delizia del mio cuore; io vi raccomando la frequente comunione in suffragio dell'anima mia.
Colla frequente comunione voi vi renderete cari a Dio ed agli uo885 mini, e Maria vi concederà la grazia di ricevere i santi sacramenti in fine di vita. p. 115
Voi preti, ch[i]erici salesiani, voi parenti ed amici dell'anima mia, pregate, ricevete Gesù Sacramentato in suffragio dell'anima mia affinché mi abbrevi il tempo del purgatorio.
890 Espressi così i pensieri di un padre verso a' suoi amati figli ora p. 267 mi volgo a me stesso per invocare la misericordia del Signore sopra di me nelle ultime ore della mia vita.
Io intendo di vivere e di morire nella santa cattolica religione che ha per capo il romano pontefice, vicario di Gesù Cristo sopra 895 la terra.
871 Ef. 4,26.
873-874 Mt. 6,12. Cfr. Col. 3,12-13.
877 Cfr. 1 Gv. 4,21.
878-879 Cfr. Gv. 13,14.
881 «Miei cari, io vi amo di tutto cuore, e basta che siate giovani, perché io vi ami assai» — Il Giovane Provveduto (1885), OE XXXV 135. — «Voi siete veramente la mia delizia e la mia consolazione...» — Lettera agli alunni di Torino, Em I 508. 884-886 «Un solo è il mio desiderio; quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità» — Lettera da Roma 1884, RSS 3 (1984), p. 337.
893-897 «...protesto di voler vivere e morire in questa Chiesa che sola conserva la religione di Gesù Cristo, unica vera, unica santa fuori di cui ninno può salvarsi» — Testamento del sac. Bosco Giovanni. Torino 26 luglio 1856, ASC 132 Testamento (MB X 1332).
Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha rivelato alla santa Chiesa.
Dimando a Dio umilmente perdono di tutti i miei peccati p. 268 specialmente di ogni scandalo I dato al mio prossimo in tutte le mie azioni, in tutte le parole proferite a tempo non opportuno; dimando 900 poi in modo particolare scusa degli eccessivi riguardi usati intorno a me stesso collo specioso pretesto di conservare la sanità.
Debbo però scusarmi se taluno osservò che più volte feci troppo breve preparamento o troppo breve ringraziamento alla S[an]ta p. 269 Messa. Io era in certo modo a ciò costretto per la folla di I persone che 905 intorniavanmi in sacristia e mi toglievano la possibilità di pregare sia prima sia dopo la Santa Messa.
So che voi, o amati figli, mi amate, e questo amore, questa affezione non si limiti a piangere dopo la mia morte; ma pregate pel riposo eterno dell'anima mia. 910
Raccomando di fare preghiere, opere di carità, delle mortificazioni, delle sante comunioni e queste per riparare alle negligenze commesse nel fare il bene e nell'impedire il male.
p. 270 Le vostre preghiere siano con fine speciale al cielo rivolte affinché io trovi misericordia e perdono al primo momento che io mi pre- 915 senterò alla tremenda maestà del mio creatore.
La nostra congregazione ha davanti un lieto avvenire preparato dalla divina prov-Odenza, e la sua gloria sarà duratura fino a tanto che si osserveranno le nostre regole. 920
Quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso.
p. 272 Il mondo ci riceverà sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai selvaggi, ai fanciulli più poveri, 925 più pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che niuno invidierà e niuno verrà a rapirci.
Non si vadano a fondare case se non avvi I il necessario personale p. 273 per la direzione delle medesime.
Non molte case vicine. Se una è distante dall'altra i pericoli sono 930 assai minori.
Cominciata una missione all'estero si continui con energia e sacrifizio. Lo sforzo sia sempre a fare e stabilire delle scuole e tirare su qualche vocazione per lo stato ecclesiastico, o qualche suora tra le fanciulle.
935 A suo tempo si porteranno le nostre missioni nella Cina e - p. 274 precisamente a Pechino. Ma non si dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri ed abbandonati. Là fra popoli sconosciuti ed ignoranti del vero Dio si vedranno le maraviglie finora non credute, ma I che Iddio - p. 275 potente farà palesi al mondo.
940 Non si conservino proprietà stabili fuori delle abitazioni di cui abbiamo bisogno.
Quando in qualche impresa religiosa vengono a mancarci i mezzi pecuniari, si sospendano, ma siano continuate le opere cominciate appena le nostre economie, i sacrifizi lo permetteranno.
945 Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra congre[ga]zione ha I riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le p.276 benedizioni del cielo.
918-920 «L'osservanza della Regola è l'unico mezzo, perché possa durare una Congregazione» — MB XII 81. — «Se i salesiani [...] senza pretendere di migliorare le loro costituzioni, studieranno di osservarle puntualmente, la lor Congregazione sarà ognor più fiorente» — Regole o Costituzioni... 1875. Introduzione, OE XXVIII 43. — «Dall'esatta osservanza delle vostre Deliberazioni, che ne sono come l'applicazione pratica, dipende in massima parte lo sviluppo del vostro pio Istituto ed il profitto spirituale dei suoi membri» — Deliberazioni del secondo Capitolo Generale delle FMA... 1880. Presentazione di Don Bosco, OE XXXVI 151-152.
921-926 Cfr. linee 857-865.
932-934 «Si inculchi a tutti e si raccomandi costantemente di promuovere 1c vocazioni religiose tanto delle Suore quanto dei Confratelli» — Lettera a don Giacomo Costamagna, E IV 333.
945-948 «Si lavori adunque molto, in tutti i modi, da tutte le parti si procuri di conservare quanto vi è di buono nei popoli e nei giovanetti [...] Al mondo malizioso non possiamo opporre né paternostri e nemanco miracoli: ci vogliono opere: bisogna raccogliere molti ragazzi» — ASC Verbale del 2° Capitolo Generale... 1880, quaderno Barberis.
Fondatore di una congregazione religiosa che contemplava fra i suoi scopi l'attività missionaria, don Bosco non ebbe la possibilità di recarsi nelle cosiddette «terre di missione». Forse anche per questo nutrì un affetto tutto speciale verso i missionari salesiani dell'America Latina che negli ultimi anni della sua vita andarono realizzando quel sogno che a lungo aveva accarezzato. Nel suo cuore e nella sua mente li sentì come realizzatori delle sue aspirazioni più profonde, li percepì come parte di sé, si proiettò in loro. L'immensa ammirazione e la particolare tenerezza di cui traboccano le sue lettere ai missionari d'oltre oceano troverebbero così una suasiva spiegazione.
A migliaia di chilometri di distanza don Bosco continuò ad essere loro «padre» e, come tale, volle conoscere lo stato morale di tutti e di ciascuno: rispose alle loro domande, orientò i loro dubbi, si preoccupò della loro salute, li invitò alla pratica delle virtù «salesiane» (la carità, la temperanza, la laboriosità...), li seguì pon parola sicura e costante quasi avessero un posto speciale nel suo cuore." «Amico dell'anima» si diede pensiero della loro fedeltà alla vocazione con intime raccomandazioni ed appassionanti consigli: ne lodò il lavoro, ne apprezzò i sacrifici, li fece sentire oggetto delle sue premure e delle sue preghiere.
Ma don Bosco si sentì anche Superiore di una 'congregazione e pur lasciando spazio alle iniziative personali non mancò di intervenire perché si osservassero le costituzioni e le deliberazioni capitolari e soprattutto perché la vita religiosa e missionaria fosse una testimonianza credibile agli occhi delle autorità civili e religiose del luogo nonché delle alte sfere vaticane. Volle essere informato costantemente delle attività in corso, dell'andamento delle opere, dei successi apostolici e delle operazioni fallite, così da potersi corresponsabilizzare da Torino mediante un coraggioso confronto con la realtà locale conosciuta grazie ad un'ininterrotta corrispondenza epistolare.
Negli ultimi anni della sua vita don Bosco fu cosciente che ciò di cui aveva soprattutto bisogno la congregazione, sia in Italia dove era ormai pre
sente da tempo, sia in America Latina dove stava trapiantandosi, non era solo l'unità e la stabilità delle strutture. La garanzia di futuro, e di un futuro salesiano era nelle mani dei confratelli e dei collaboratori purché restassero fedeli allo spirito delle origini, vale a dire al metodo e allo stile educativo che aveva caratterizzato la vita dell'Oratorio di Valdocco.
Se con la «lettera da Roma» del 1884 aveva risposto ad una particolare situazione educativa che si era venuta a creare sotto il suo stesso sguardo a Torino,' l'anno seguente un'analoga ed inequivoca circostanza fu alla base della redazione, nel breve volgere di 10 giorni, di altre tre lettere a missionari d'America, che si possono catalogare fra le più importanti del suo epistolario ai fini della conoscenza ed approfondimento del sistema educativo e dello spirito salesiano.
Dall'Argentina erano giunte ad alcuni membri del Capitolo Superiore allarmanti voci che indicavano come in alcune case d'America, ed in specie nella casa di Almagro (Buenos Aires) la severità e la rigida disciplina tendevano a soppiantare la familiarità e l'amorevolezza tanto care a don Bosco ed essenziali al suo sistema. E come non bastasse si insinuava l'esistenza di profonde lacerazioni fra i confratelli della suddetta casa.
Chi aveva inviato il grave rapporto era don Antonio Riccardi,2 segretario di monsignor Giovanni Cagliero. In qualità di Visitatore delle case d'America ed in attesa di prendere possesso della sua missione di Vicario Apostolico della Patagonia, monsignor Cagliero si era soffermato alcuni mesi nella casa di Almagro e con lui il suo segretario, che pertanto aveva avuto modo di osservare e quindi riferire a Torino quanto colà avveniva sotto i suoi occhi.
A poco più di un mese dal suo arrivo in terra d'America aveva già scritto a don Rua che la casa di Almagro «era povera di spirito e di quattrini».3 Ma si trattava solo di un'avvisaglia. L'autentica «bomba» sarebbe scoppiata in seno al Capitolo Superiore solo di lì a poche settimane con le sue esplosive comunicazioni a don Lazzero, don Durando, don Barberis e don Rua. In particolare scrivendo confidenzialmente a don Rua il 6 giugno don Riccardi così stigmatizzava la situazione: «[...1 in questo collegio di Almagro il Direttore non esiste che di nome, non essendo mai al contatto coi giovani né per le confessioni né per consigli né per altro bisogno, fuorché non più di 10 minuti per mattino, dopo la meditazione.
1 Cfr. RSS 3 (1984) 295-374.
2 Nato a Porto Maurizio (Imperia) nel 1853, a 10 anni entrò all'Oratorio di Valdocco, dove 6 anni dopo ricevette l'abito talare e nel 1875 venne ordinato sacerdote. Partito per l'America Latina nel 1885 come segretario del neonominato Vicario Apostolico della Patagonia, Mons. Cagliero, in seguito operò come missionario in Perù, Giamaica e Messico, dove ricoprì per un certo tempo anche la carica di Ispettore. Gli ultimi anni della vita li trascorse in Italia, dove morì il 15 maggio 1924. Si veda BS 48 (1924) n. 8, agosto, p. 223, che servì da fonte per il Dizionario biografico dei Salesiani, a cura di E. VALENTINI-A. RODINÒ, Torino, Ufficio Stampa Salesiano 1969, p. 237.
3 Lettera di don Riccardi a don Rua del 9 maggio 1885; ASC 9.126 Rua.
Egli passa quasi tutta la giornata colle suore, per le scuole e per altro». E dopo aver presentato il super lavoro cui erano sottoposti don Vespignani, don Cassini e don Paseri, continuava: «Perciò i giovani restano molto trascurati, e non è meraviglia se poco frequentano la Comunione e sono molto indisciplinati. Gli assistenti senza appoggio, e sgraziatamente con sotto gli occhi il carattere secco e talvolta rozzo del Direttore, inesperti, per ottenere un poco di ordine e di disciplina non conoscono altro metodo che il battere sicché ogni giorno, ad ogni ora, non sentesi che gridare l' ahi in ogni angolo della casa [...] Monsignore parlò prima privatamente, fece già tre conferenze a tutti i confratelli riuniti inculcando la pratica del sistema preventivo [...] ma tutto quanto finora è senza effetto. Dicono che se don Bosco fosse qui, farebbe come loro!!! E il Direttore li sostiene, dicendo a Monsignore che con i piccolini non si può fare diversamente». Né a questo punto concludeva la sua lettera don Riccardi. Per varie altre pagine raccontava incresciose circostanze di cui era stato testimone, prima di rivolgere a don Rua un solerte appello: «Gioverebbe però assaissimo che V.S. [...] invitasse generalmente tutti i Salesiani d'America: 1° A considerarsi come fratelli, figli di un solo Padre don Bosco [...] 2° A praticare e non leggere solamente il metodo preventivo [...i] 3° A non allontanarsi dalle usanze dell'Oratorio in fatto di pratiche di pietà e frequenza dei Santi Sacramenti. 4° A considerare che non basta il nome per essere Salesiani, se non si pratica la dolcezza, la pazienza e la carità di San Francesco di Sales. 5° A non nascondere le cose al Superiore per timore di osservazioni [...]».4
Increduli delle notizie loro pervenute, i vari destinatari delle missive risposero al Riccardi che forse aveva esagerato nella sua «denuncia», che le sue lettere erano state vergate «per passione» e che qualcuno aveva male interpretato il suo corrispondere con diverse persone del Capitolo.
4 Copia fotografica in ASC 9.126 Rua. I ruoli ricoperti dai suddetti membri del Capitolo Superiore erano i seguenti: don Michele Rua, prefetto; don Giuseppe Lazzero, consigliere, direttore della casa Madre (sezione artigiani); don Celestino Durando, consigliere scolastico; don Giulio Barberis, vice direttore spirituale. Direttore spirituale era rimasto mons. Cagliero. Non ci si meravigli della frequenza della corrispondenza del Riccardi coi Superiori di Torino e particolarmente con don Lazzero. Oltre che conoscerli tutti personalmente per aver loro vissuto accanto molti anni, lasciando l'Italia gli era stato detto che per la corrispondenza americana era incaricato don Lazzero. D'altronde nelle loro risposte tutti gli esprimevano il loro gradimento per le sue lettere e lo invitavano a continuare nella sua corrispondenza.
Replicò loro nei mesi successivi il Riccardi. Negava di aver esagerato nel resoconto dei fatti e nel tono del suo dire, giustificava il suo scrivere a vari membri del Capitolo Superiore, e ribadendo le informazioni date portava nomi di testimoni che sarebbero stati in grado di aggiungere ulteriori particolari a controprova delle sue precedenti affliggenti relazioni.' Non era certo immune da spirito denigratorio e da rimpianto per il «piccolo mondo antico» dei primi tempi di Valdocco il Riccardi; ° ma il suo j'accuse era sostanzialmente veritiero e lo stesso vicedirettore della casa di Almagro, don Giuseppe Vespignani, sia pure a denti stretti, lo dovrà ammettere.'
5 Il 19 agosto a don Lazzero: «In poche parole a mio giudizio definirei le cose così: I. Concentramento assoluto di tutta l'autorità nel Direttore, per modo che mancando egli, la casa resta acefala... II. Esercizio di autorità suprema nel Direttore con modi aspri, provocanti ed umilianti e degradanti... III. Mancanza di una continua corrispondenza libera de' Confratelli con don Bosco, e con i Superiori del suo Capitolo... E non si può prestar fede cieca a tutte le relazioni che furono negli anni passati spedite a Torino. ...Panni che nelle relazioni degli anni trascorsi parlisi troppo del bello e del buono che dovrebbe essere nella casa madre di Almagro e mai si fa cenno del male e del brutto che vi si trova realmente... erano slanci poetici e nelle mie antecedenti credo averle dimostrato a sufficienza l'amaro disinganno mio e di Monsignore. Al nostro arrivo le lagnanze, i rancori a lungo repressi nel cuore di molti confratelli si palesarono e alcune volte anche pubblicamente ed in presenza di noi, succedendo certe scene, che è bello tacere...». Ancora a don Lazzero il 3 settembre: «...Ho tra le mani altri argomenti, negativi, ma abbastanza eloquenti. Prima di partire si raccomandò Monsignore che gli si dessero frequenti informazioni delle case, dei confratelli, delle suore ecc. Lo fanno quei di Colón, quei di Paysandu... ma da Almagro non giungono che lettere del solo d. Costamagna, leggendo le quali non può Monsignore non lasciare sfuggire certe espressioni... ma poi ride dicendo che — È un uomo del credo antico, quello là —!»: ASC 275 Riccardi. E a don Durando il 27 ottobre successivo: «Credo, caro Sig. d. Durando, che non scrissi mai cosa alcuna per passione, né sotto l'impressione di essa, anzi ben poca cosa fu quello che scrissi in paragone di quel moltissimo di più che avrei potuto e forse dovuto scrivere. Le basti sapere che vi fu (prima del nostro arrivo) chi non si peritò di sentenziare pubblicamente che in fatto di educazione di giovani, don Bosco e quanti sono seco lui in Torino, non s'intendono un fico... Ma basti»: ASC 275 Riccardi.
6 Nelle sue lettere si incontrano sovente espliciti richiami alla «Torino antica, di 20 e più anni fa almeno, quando l'Oratorio era la casa, non il collegio, e don Bosco il padre non il Rettore o Direttore de' suoi figli»: lettera succitata del 19 agosto.
7 Se ne vedano alcune testimonianze in C. BRUNO, Los salesianos y las hijas de Marta Auxiliadora en la Argentina. Vol. 1. Buenos Aires, Instituto salesiano de artes grgficas 1981, pp. 152-154; J.E. BELZA, Luis Lasagna, el obispo misionero. Buenos Aires, Editorial Don Bosco 1970, p. 195, n. 7. Evidentemente non potevano mancare alcune pagine sull'intera vicenda in R.A. ENTRAIGAS, Los Salesianos en la Argentina. Buenos Aires, Editorial Plus ultra. Vol. IV (afios 1884-1885) 1972. Vedi pp. 261-265.
Comunque sia, le lettere di don Riccardi non passarono invano per i corridoi della casa Madre di Torino. Don Rua dette loro immediato credito e già sul finire del mese di giugno così scriveva a mons. Cagliero: «Nel tuo rendiconto morale favorisci pure se cotesti direttori nel loro modo di trattare e di operare conservano lo spirito di S. Francesco di Sales, cioè quella carità, dolcezza e longanimità che sempre raccomanda il nostro amat.mo Padre Don Bosco e che produce si buoni effetti in tutti sia interni che esterni. Abbiamo inteso che costì i collegi e le case salesiane non sono tutte dirette colla dolcezza e col sistema preventivo, ma in alcuni siti si fa piuttosto uso del sistema repressivo. Tu sul luogo potrai esaminare meglio le cose ed apportare il necessario rimedio, dove ce ne fosse bisogno».8
Mons. Cagliero intervenne allora direttamente sia presso l'Ispettore-Direttore don Costamagna raccomandandogli caldamente «di seguire in tutto il sistema preventivo»' sia presso il personale salesiano con «conferenze sulla dolcezza, carità, affabilità».10 Ossequente poi alle disposizioni ricevute ne fece un resoconto a don Rua, il quale a sua volta lo trasmise a don Bosco che in quei giorni risiedeva nella casa di Mathi."
In tal modo don Bosco, che dal Riccardi 12 e dagli stessi membri del Consiglio Superiore era stato tenuto forse all'oscuro fino allora, per motivi di prudenza e di riguardo, della reale situazione delle case d'America ne venne a conoscenza e simultaneamente intervenne presso Mons. Cagliero (6 agosto), don Costamagna (10 agosto), don Tomatis (14 agosto).
8 ASC 9.131 Rua: lettera del 30 giugno 1885. Mentre la prima parte è di mano di un segretario di don Rua, la seconda parte (Abbiamo inteso...) è un'aggiunta autografa dello stesso prefetto generale della congregazione.
9 Lettera citata del 3 settembre 1885.
10 Ib.
11 In data 10 agosto così scriveva don Rua a mons. Cagliero: «Mandai la lettera al nostro carissimo don Bosco a Mathi. Sentiremo che cosa ne pensa»: ASC 9.131 Rua. Si notino le coincidenze: il 10 agosto don Rua aveva già inviato la lettera di mons. Cagliero a don Bosco. Il 6 agosto don Bosco redasse la sua risposta al vescovo annunciandogli anche che stava preparando una lettera per don Costamagna. La daterà 10 agosto. Quattro giorni dopo sarà la volta di quella a don Tomatis.
12 Lo confesserà egli stesso a don Bosco nella sua missiva del 2 gennaio 1886: «Ella ha certamente tutte le ragioni d'essere contro di me disgustato perché non le ho scritto mai o quasi mai dappoi la mia partenza da Torino e l'arrivo in America. Lo feci per non accrescere le occupazioni...»: ASC 126.2 Riccardi. Invero l'ASC conserva varie lettere inviate da don Riccardi a don Bosco nel corso del 1885. Ma forse don Bosco si aspettava anche lettere confidenziali dal Riccardi, e non solo quelle in qualità di segretario di mons. Cagliero.
Questo il contesto e le circostanze immediate delle tre lettere che come non passarono inosservate presso i singoli destinatari," non sfuggirono altresì all'attenzione — specialmente la seconda — degli studiosi del sistema educativo di don Bosco e della sua pedagogia spirituale e religiosa. 14
L'ASC conserva tutti e tre gli autografi: il primo e il terzo alla posizione 131.01 Lettere originali, mc. rispettivamente 11 B 10 - C 1 e 53 B 1-3; il secondo, recentemente pervenuto, è ancora in fase di definitiva collocazione.
13 Si veda ad es. l'esito della lettera a don Costamagna in C. BRUNO, Los salesianos..., p. 155 e R.A. ENTRAIGAS, Los Salesianos... IV, pp. 264-265.
14 S.G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù, a cura di P. Braido. Brescia, La Scuola 1965, pp. 346-348 per la lettera a mons. Cagliero, e pp. 348-350 per quella a don Costamagna; G. Bosco, Scritti spirituali. Vol. 2, a cura di J. Aubry. Roma, Città Nuova Editrice 1976, pp. 258-265 (a mons. Cagliero), pp. 260-262 (a don Costamagna). pp. 264-265 (a don Tomatis). Superfluo sottolineare che sono riprodotte nelle MB XVII 626631 nell'E IV 327-329, 332-333, 336-337 ed in molti altri volumi di storia salesiana.
Mio caro Monsig. Cagliero
La tua lettera mi ha fatto un gran piacere, e sebbene la mia vista sia divenuta assai debole, ho voluto leggerla io stesso da capo a fondo, malgrado quella tale calligrafia che dici aver appreso da me, ma che ha degenerato dalla forma primitiva. Alle cose d'amministrazione 5 risponderanno altri per me. Dalla parte mia ti dirò quanto segue.
Nello scrivere alla Propag[azione] della Fede, all'Opera della S. Infanzia tieni calcolo di tutto quello che in diversi tempi hanno fatto i Salesiani. Credo abbi teco i moduli di cui devi servirti nello esporre le cose nostre a questi Presidenti, che ricevono volentieri anche gli lo scritti italiani, qualora si avessero difficoltà nella lingua francese. Se non basta una, scrivi anche più lettere intorno alle escursioni di D.Fagnano, D. Milanesio, D. Beauvoir etc.
1 Nato nel 1838 ed accolto da don Bosco nel 1851, Giovanni Cagliero era stato ordinato sacerdote nel 1862 e consacrato vescovo il 7 dicembre 1884. Capo della prima spedizione missionaria salesiana nel 1875, era poi stato richiamato da don Bosco a Torino, dove rimase fino alla nuova partenza per l'America Latina in qualità di Vicario Apostolico della PAtagonia, partenza che si effettuò ai primi di febbraio del 1885. Solo nel luglio successivo partì da Buenos Aires alla volta della sua missione apostolica sulle rive del Rio Negro. Cardinale nel 1915, morirà a Roma il 28 febbraio 1926. Cfr. Profili di missionari salesiani e figlie di Maria Ausiliatrice, a cura di E. VALENTINI. Roma, LAS 1975, pp. 1-8.
2 tua lettera: si tratta della lettera del 29 giugno 1885 (ASC 126.2 Cagliero; mc. 1466 D 10 - 1466 E 6) e non di quella del 30 luglio 1885, come erroneamente asseriscono le MB (XVII 626). Entrambe poi sono indirizzate a don Bosco e non a don Rua.
6 altri: vale a dire i membri del Capitolo Superiore, ed in particolare il prefetto generale don Rua.
7-18 Don Bosco da parte sua faceva altrettanto. Pochi giorni prima, ed esattamente il 27 luglio, avendo ricevuto dal Consiglio Centrale dell'Opera della S. Infanzia la somma di 1.000 franchi da devolvere alle missioni della Patagonia, non mancava di ringraziarne immediatamente il segretario e ne approfittava per sottolineare gli ulteriori sviluppi apostolici in quelle terre: lettera inedita in lingua francese, con firma autografa di don Bosco, Archivio dell'Opera della S. Infanzia presso Archivio Propaganda Fide - Roma.
12-13 D. Fagnano, d. Milanesio, d. Beauvoir: se ne veda il breve ritratto biografico in Profili di missionari... pp. 12, 42, 64.
Si noti particolarmente [il numero de] i battezzati, cresimati, instruiti, ricoverati in passato o al 15 presente. Si ritenga che nella esposizione per la Propaganda si dica tutto, ma in generale. Per la Propagazione della Fede, viaggi, commercio e scoperte; per la S. Infanzia si dica minutamente ciò che è relativo ai fanciulli, alle fanciulle, alle Suore od ai Salesiani.
Se per caso vi mancassero modelli per tracciare queste relazioni, 20 dimmelo e te ne manderemo. C'è molta propensione di venirci in aiuto. È bene però che di qui io sappia almeno in complesso, quello che scrivete di lì, perché posso esserne interrogato ad ogni momento.
Riguardo ai Vescovi Coad[iutori] ho bisogno di avere qualche richiesta positiva e in questo momento spero riuscire a qualche cosa. 25 La pratica per una Porpora all'Arcivescovo era assai ben avviata dal Card. Nina; ma ora per nostra disgrazia è passato all'eternità. Ho già toccato altro cantino, e te ne darò cenno a suo tempo.
Preparo una lettera per D. Costamagna, e per tua norma io toccherò in particolare lo Spirito Salesiano che vogliamo introdurre nel-30 le case di America.
Carità, pazienza, dolcezza, non mai rimproveri umilianti, non mai castighi, fare del bene a chi si può, del male a nissuno. Ciò valga pei Salesiani tra loro, fra gli allievi, ed altri, esterni od interni. Per le relazioni colle nostre Suore usa pazienza molta, ma rigore nella osservanza delle loro regole. 35
20-22 Cfr. linee 7-18.
23-27 Nella sua lettera del 29 giugno mons. Cagliero aveva riferito che l'arcivescovo di Buenos Aires, mons. Leone Federico Aneiros aveva scritto direttamente al pontefice per chiedere che i suoi due vicari generali, Antonio Espinosa e Juan Agustín Boneo, fossero nominati suoi vescovi ausiliari. Ma avendo ancora una volta fallito nel suo intento — le trattative erano ormai in corso da vari anni con le autorità romane — domandava la mediazione di don Bosco. Curiosamente, toccherà invece al «figlio» di don Bosco, a mons. Cagliero, vincere le ultime resistenze romane e così favorire la loro promozione negli anni 1892-1893.
Anche il vescovo di Montevideo, mons. Innocenzo Maria Yeregui aveva avanzato a Roma la candidatura del suo vicario generale a vescovo ausiliare ed auspicava un intervento di don Bosco. Si noti la grande fiducia che nutriva mons. Cagliero (e con lui i due presuli sudamericani) nella autorevolezza di don Bosco presso le alte gerarchie vaticane. Non poteva certo dimenticare le numerosissime mediazioni di don Bosco per la nomina di vescovi italiani di cui era stato testimone più volte.
25-27 L'arcivescovo di cui si parla è mons. Aneiros (vedi sopra) per la cui promozione a cardinale don Bosco aveva già fatto passi presso il Prefetto della Sacra Congregazione del Concilio, card. Lorenzo Nina. Essendo questi deceduto alcuni giorni prima, don Bosco comunica a mons. Cagliero che appena saputa la notizia della morte del cardinale aveva immediatamente preso contatti con altri esponenti della curia.
In generale poi nelle nostre strettezze faremo ogni sacrifizio per venirvi in aiuto; ma raccomanda a tutti di evitare la costruzione o l'acquisto di stabili che non siano strettamente necessari a nostro uso. Non mai cose da rivendersi; non campi o terreni, o abitazioni da farne guadagno pecuniario. 40
Procurate di aiutarci in questo senso. Fate quanto potete per avere vocazioni sia per le Suore e sia pei Salesiani, ma non impegnatevi in troppi lavori. Chi troppo vuole nulla stringe e guasta tutto.
Avendo occasione di parlare coll'Arcivescovo, con Monsig. Espinosa o ad altri simili personaggi, dirai che sono interamente per 45 loro servizio specialmente riguardo a cose di Roma.
Dirai a mia nipote Rosina che abbia molto riguardo alla sanità, che si guardi bene dall'andar sola in Paradiso. Ci vada, sì, ma accompagnata da tante anime da lei salvate.
Dio benedica tutti i nostri figli Salesiani, le nostre Sorelle Figlie so di Maria Ausiliatrice. Dia a tutti sanità, santità e la perseveranza nel cammino del Cielo.
Mattino e sera pregheremo per voi tutti all'altare di Maria; e tu prega anche per questo povero semicieco che ti sarà sempre in G.C.
Aff.mo amico 55
Sac. Gio. Bosco.
Torino 6 agosto ]885
PS. - Una moltitudine innumerabile dimandano essere a te nominati e fanno loro ossequi.
47 Rosina: nata a Castelnuovo d'Asti il 23 luglio 1868 in realtà era pronipote di don Bosco in quanto figlia di Francesco Bosco, nipote del santo. Postulante e poi novizia nella casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato, con la spedizione missionaria del 1885 partì per l'America. Appena arrivata colà, si ammalò, così che mons. Cagliero nella sua lettera a don Bosco il 29 giugno scriveva: «Suor Rosina è sempre allegra, quantunque non del tutto guarita». Morirà a Viedma il 21 gennaio 1892, a 23 anni.
Caro e sempre amato D. Costamagna
L'epoca de' nostri esercizi spirituali si va avvicinando, ed io che mi vedo in cadente età vorrei potere aver meco tutti i miei figli e le nostre consorelle di America. Ciò non essendo possibile ho divisato 5 di scrivere a te una lettera che possa a te, ad altri nostri confratelli servire di norma a diventare veri Salesiani nei vostri esercizi che pur non sono gran fatto dai nostri lontani.
Prima di ogni cosa dobbiamo benedire e ringraziare il Signore che colla sapienza e potenza sua ci ha ajutati a superare molte e gravi lo difficoltà che da noi soli ne eravamo veramente incapaci. Te Deum, Ave Maria.
Di poi vorrei a tutti fare io stesso una predica o meglio una conferenza sullo spirito salesiano che deve animare e guidare le nostre azioni ed ogni nostro discorso. Il sistema preventivo sia proprio di 15 noi. Non mai castighi penali; non mai parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la parola dolcezza, carità e pazienza. Non mai parole mordaci, non mai uno schiaffo grave o leggero. Si faccia uso dei castighi negativi, e sempre in modo che coloro che siano avvisati, diventino amici nostri più di prima, e 20 non partano mai avviliti da noi.
Non si facciano mai mormorazioni contro alle disposizioni dei superiori, ma siano tollerate le cose che non siano di nostro gusto, o siano penibili o spiacenti. Ogni Salesiano si faccia amico di tutti, non cerchi mai far vendetta; sia facile a perdonare, ma non richiamar le 25 cose già una volta perdonate.
1 Don Giacomo Costamagna era nato a Caramagna di Piemonte il 23 marzo 1846. Entrato nell'Oratorio di Valdocco a 12 anni, venne ordinato sacerdote nel 1868. Nel 1877 partì con la terza spedizione missionaria per l'America Latina dove nel 1880 fu nominato direttore della casa di Almagro ed ispettore delle case d'Argentina. Ancora vivente don Bosco fondò la prima casa salesiana in Cile e visitò vari paesi dell'America del Sud in vista di eventuali fondazioni. Eletto vescovo titolare di Colonia e Vicario Apostolico di Méndez e Gualaquiza (Ecuador) nel 1895, solo nel 1912 otterrà il permesso del governo locale di stabilirsi definitivamente nella sua missione. Autore di opere liturgiche, ascetiche, musicali, fu direttore spirituale di varie comunità religiose, specialmente delle Figlie di Maria Ausiliatrice, al cui servizio operò sia in Italia che in America. Morì a Bernal (Argentina) il 9 settembre 1921. Cfr. Profili di missionari... pp. 38-42.
Non siano mai biasimati gli ordini dei superiori, ed ognuno studi di dare e promuovere il buon esempio. Si inculchi a tutti e si raccomandi costantemente di promuovere le vocazioni religiose tanto delle suore quanto dei confratelli.
La dolcezza nel parlare, nell'operare, nell'avvisare guadagna tut- 30 to e tutti.
Questa sarebbe la traccia tua e degli altri che avranno parte nella prossima predicazione degli esercizi.
Dare a tutti molta libertà e molta confidenza. Chi volesse scrivere al suo superiore, o da lui ricevesse qualche lettera, non sia assolu- 35 tamente letta da alcuno, ad eccezione che colui che la riceve, tale cosa desiderasse. Nei punti più difficili io consiglio caldamente gli inspettori ed i direttori di fare apposite conferenze. Anzi io mi raccomando che D. Vespignani sia ben al chiaro in queste cose e le spieghi ai suoi novizi o candidati colla dovuta prudenza. 40
Per quanto mi è possibile desidero di lasciare la congregazione senza imbarazzi. Perciò ho in animo di stabilire un mio Vicario Generale che sia un alter ego per l'Europa, ed un altro per l'America. Ma a questo riguardo riceverai a suo tempo istruzioni opportune.
È assai opportuno che tu qualche volta lungo l'anno raduni i di- 45 rettori della tua Ispettoria per suggerire le norme pratiche qui sopra indicate. Leggere ed inculcare la lettura e la conoscenza delle nostre regole, specialmente il capo che parla delle pratiche di pietà, l'introduzione che ho fatto alle nostre regole stesse e le deliberazioni prese nei nostri capitoli geperali o particolari. 50
Tu vedi che le mie parole dimanderebbero molta spiegazione, ma tu sei certamente in grado di capire ed ove occorra comunicare ai nostri confratelli.
Appena tu possa presentati a M. Arciv., Mr. [E]spinosa, a' suoi
39 Don Giuseppe Vespignani: nato a Lugo di Romagna nel 1854, si fece salesiano dopo la sua ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1876. Nel 1877 venne inviato, con la terza spedizione missionaria, come maestro dei novizi nella casa di Almagro. Nel 1880 fu anche vicedirettore della stessa casa, ed in seguito succedette a don Costa-magna, nominato allora vescovo, come direttore ed ispettore. Nel 1922 il XII Capitolo Generale lo elesse consigliere professionale ed agricolo, carica che occupò per 10 anni. Morirà il 15 gennaio 1932 e la sua salma verrà trasferita nel 1948 a Buenos Aires. Cfr. Profili di missionari... pp. 48-53.
41-43 Vicario generale sarà don Michele Rua, e Provicario per l'America Latina lo stesso mons. Cagliero, cui la nomina verrà comunicata poche settimane dopo. Si veda MB XVII 620.
54-55 Per mons. Arcivescovo, mons. Espinosa e i vicarii generali di Buenos Aires vedi note alla lettera precedente. Edoardo Carranza era il presidente generale delle conferenze di S. Vincenzo a Buenos Aires. Il Dott. Terrero, o, meglio, don Juan Nepomuceno Terrero (e non Ferrero come spesso è stato scritto probabilmente in seguito alla cattiva trascrizione di don Berto) aveva studiato teologia a Roma e da tempo era in relazione con don Bosco. Diventerà poi vescovo di La Plata.
55 Vic. Generali, D. Carranza, Dott. Terrero ed altri amici e farai a tutti e ciascuno umili ed affettuosi ossequii come se io parlassi ad un solo.
Dio ti benedica, o caro D. Costamagna, e con te benedica e conservi in buona salute tutti i nostri confratelli e consorelle, e Maria 60 Ausiliatrice vi guidi tutti per la via del cielo. Amen.
Pregate tutti per me.
Vostro aff.mo amico in G.C.
Sac. Gio. Bosco.
Torino 10 ag. 85
64 Torino: più esattamente avrebbe dovuto scrivere Mathi, località a pochi chilometri da Torino, dove don Bosco si era trasferito dalla metà di luglio per evitare il caldo afoso della città.
Mio caro D. Tomatis,
Il ricevere tanto di rado di tue lettere mi fa giudicare che hai molto da fare; io lo credo; ma il dare di tue notizie al tuo caro D. Bosco merita certamente di essere fra gli affari da non trascurarsi. Che cosa scrivere? tu mi dirai. Scrivere della tua sanità e della sanità dei 5 nostri confratelli; se le regole della congregazione sono fedelmente osservate; se si fa e come si fa l'esercizio della buona morte. Numero degli allievi e speranze che ti danno di buona riuscita. Fai qualche cosa per coltivare le vocazioni, ne hai qualche speranza? Mons. Ceccarelli è sempre amico dei salesiani? Queste risposte le attendo con 10 gran piacere.
Siccome la mia vita corre a grandi passi al suo termine, così le cose che voglio scriverti in questa lettera son quelle che ti raccomanderei negli ultimi giorni di esiglio: mio testamento per te.
Caro D. Tomatis: tien fisso nella mente che ti sei fatto salesiano 15 per salvarti; predica e raccomanda a tutti i nostri confratelli la medesima verità. Ricordati che non basta sapere le cose ma bisogna praticarle. Dio ci aiuti che non siano per noi le parole del Salvatore: Dicunt enim et non faciunt.
Procura di vedere gli affari tuoi cogli occhi tuoi. Quando taluno 20 fa mancamenti, o trascuratezze, avvisalo prontamente senza attendere che siano moltiplicati i mali.
Colla tua esemplare maniera di vivere, colla carità nel parlare, nel comandare, nel sopportare i difetti altrui, si guadagneranno molti alla congregazione. 25
Raccomanda costantemente frequenza dei sacramenti della confessione e comunione.
Le virtù che ti renderanno felice nel tempo e nella eternità sono: l'umiltà e la carità.
Sii sempre l'amico, il padre, dei nostri confratelli; aiutali in tutto 30 quello che puoi nelle cose spirituali e temporali; ma sappi servirti di loro in tutto quello che può giovare alla maggior gloria di Dio.
1 Don Domenico Tomatis era nato a Trinità (Cuneo) nel 1849. Entrato giovanissimo a Valdocco, ricevette l'ordinazione sacerdotale nel 1875. Don Bosco lo inserì fra i partenti della prima spedizione missionaria, allorché da pochi mesi si trovava a Va-razze come professore di quinta ginnasio. Fu per vari anni direttore del collegio di S. NicoMs de los Arroyos in Argentina e di Santiago in Cile.
9-10 Mons. Pietro Bartolomeo Ceccarelli: parroco di S. NicoMs de los Arroyos, uno dei principali fautori dell'andata dei Salesiani in Argentina.
Ogni pensiero che esprimo in questo foglio ha bisogno di essere alquanto spiegato. Tu puoi ciò fare per te e per gli altri.
35 Dio ti benedica, o sempre mio caro D. Tomatis; fa un cordialissimo saluto a tutti i nostri confratelli, amici e benefattori. Di' che ogni mattina nella santa Messa prego per loro, e che mi raccomando umilmente alle preghiere di tutti.
Dio faccia che possiamo ancora vederci in questo esiglio morta-40 le, ma che possiamo poi un giorno lodare il santo nome di Gesù e di Maria nella beata eternità. Amen.
Fra breve tempo ti scriverò o farò scrivere altre cose di qualche importanza.
Maria ci tenga tutti fermi e ci guidi per la via del cielo. Amen.
45 Vostro aff.mo in G.C.
Sac. Gio. Bosco
Mathi 14 agosto 1885 +
33-34 Ogni pensiero... gli altri: vedi lettera precedente, linee 32-33.
+ Don Domenico Tomatis rispondeva il 5 novembre 1885 con un'ampia lettera, nella quale riscontrava ordinatamente tutte le domande poste da don Bosco: la sanità, le Regole, l'Esercizio della buona morte, le vocazioni, mons. Ceccarelli. Terminava ringraziando con singolare affetto e grande concretezza di impegno: «Non so poi come ringraziarla abbastanza dei preziosissimi ricordi che Ella mi dà nella sua lettera, e mi lascia come suo testamento. Veramente non mi piace nulla sentir parlare di testamento, ma penso che Ella abbia voluto fare l'opposto di ciò che fanno molti, i quali aspettano a dire la loro ultima volontà, quando più non possono parlare. La Paternità Vostra ha voluto prendere le cose da lontano, e lasciarci assai prima di tempo quei ricordi che Ella desidera sieno da noi praticati più tardi. Frattanto, io avrò la consolazione di avere l'aiuto delle sue preghiere, per metterli in pratica fin d'ora, sforzandomi di arrivare ad essere quale mi desidera la P. V. con vero amore di padre.
I suoi ricordi li ho scritti in un foglio, che aggiunsi al libro delle nostre Regole, per averli più soventi sotto gli occhi; e così il Signore mi aiuti a non dimenticarli colle opere, come li avrò presenti nel pensiero.
Tutte le sere, dopo aver ringraziato il Signore di avermi creato, fatto cristiano e sacerdote, Lo benedico per avermi fatto salesiano, e prego la S. S. Trinità, pel mio amato padre Don Bosco, pei carissimi confratelli e per l'incremento della nostra Società» (D. TOMATIS, Epistolario (1874-1903). Edizione critica a cura di J. Borrego. Roma, LAS 1992, pp. 188-191).